Ci KDfrNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA fondato da ACHILLE NERI e UBALDO ΛίΧζΖΙΝΙ » g . NUOVA SERIE diretta da Francesco Luigi Mannucci e Ubaldo Formentini Pietro Nurra, il giansenismo ligure alla fine del secolo XVIII — Luigi Staf tetti. Donne e castelli di Lunigiana. La moglie di Gian Luigi Fieschi VARIETÀ: Onorato Pàstine, SulPorigine del tricolore italiano — RASSEGNA BIBLIOGRAFICA: A. Codignola, La giovinezza di G. Mazzini (Francesco Luigi Mannucci) — Annuali genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori, voi HI: Ogerio Pane, Marchisio Scriba, Trad. di G. Mon-leone Francesco Luigi Mannucci/ — La Liguria nel Risorgimento (Aroldo Chiama SPIGOLATURE E NOTIZIE (F. L M.): Arturo Codignola, Appunti per una bibliografia mazziniana. ANNO II. 1926 Fase. I Gennaio - Marzo SO/Λ AVARIO Francesco Luigi Mannucci, Per la storia della questione romantica — GENOVA Stab Tip. G B. Marsano 1926 Giornale storico e letterario della Liguria NUOVA SERIE diretta da Francesco Luigi Mannucci e Ubaldo Formentoni. COMITATO DI REDAZIONE: • Orlando Okosso, Pietro Nurra, Arturo Codignola. L'annata 1926 esce sotto gli auspici del Municipio e della R. Università di Genova, e del Municipio e della Società d'incoraggiamento della Spezia. DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE: Genova, Palazzo Rosso, Via Garibaldi, 18 CONDIZIONI D’ABBONAMENTO. Il Giornale si pubblica a Genova, in fascicoli trimestrali di circa 80 pagine ciascuno. Ogni fascicolo contiene scritti originali, recensioni, spigolature, notizie e appunti per una bibliografia mazziniana. ABBONAMENTO ANNUO per l’Italia Lire 30; per l’Estero Lire 60. Un fascicolo separato Lire 7.50. IL GIANSENISMO LIGURE ALLA FINE DEL SECOLO XVIII Che il giansenismo si fosse grandemente sviluppato a Genova, lo aveva già notato, fra gli altri, il Rodol-ico nel noto studio su Scipione de' Ricci (1). e Notevoli accenni sul g;an-enÌMno napoletano trovane! in un recentissimo saggio •li Βρνκπγγγο Croce, Studi sulla rifa religiosa a Sapoli nel settecento, iu La Critica. fase. I, II. del 1926. 2 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Non sarà, quindi, inutile esporre qui un primo saggio dei risultati delle nostre ricerche; esso potrà servire a chi voglia preparare una estesa e compiuta illustrazione del giansenismo italiano. * * * Alle prime avvisaglie che, a Genova, aprirono una fierissima guerra fra giansenisti ed antigiansenisti, diede occasione una raccolta di tesi teologiche sostenute nel Seminario arcivescovile di Genova contro il Vescovo di Pistoia, e pubblicate nel 1788 da Giambattista Lambruschini, prevosto di S. Maria delle Vigne (1). 11 libro, che si inspirava alla più intransigente dottrina gesuitica, trovò fredda accoglienza persino a Roma, anche per diretto intervento del padre Giambattista Molinelli, il patriarca ed il Maestro dei giansenisti genovesi (2). L'incidente ebbe interessanti ripercussioni presso il Governo della Repubblica, ed ecco un biglietto di calice che ce ne dà ampia notizia : <( Ser.mi (1) Theologica dogmata ab Joanne Babtista Lambruschini, Presbytero Genuenti,. S. Theologiae Professor in Archiepiscopali Seminario Genuensi proposita a suis Auditoribus propugnata..·.. Genuae, Casamara, 1788. Sul Lambruschini. nato a Sestri Levante il 28 ottobre 1755, divenuto vescovo di Azoto e di Orvieto, morto il 24 novembre 1825. può vedersi la Notizia biografica scritta da G. Baraldi nelle Memorie di religione, di morale e di letteratura, Modena, Soliani, 1826, vol. 'IX, Serie I,. pgg. 175-202. (2) Sul Molinelli, nato a Genova il 29 gennaio 1730, morto il 25 febbraio 1799, abbiamo scarsi cenni biografici negli Elogi di Liguri Illustri, a cura di Luigi Grillo,. Il ediz., Torino, Fontana, vol. III. Le notizie da noi date sulla polemica Lambruechini-Molinelli possono completarsi con due interessanti lettere inedite, scritte da Roma al padre Molinelli da un corrisi: indente che firma con le iniziali L. C. La prima, in data 20 settembre 1788, dice : ·« L'affare delle Tesi è andato a maraviglia. Codesto Arcives.vo ha risposto al P. R.mo esser verissimo, che la stampa è stata fatta subdolamente, e di soppiatto, e racconta anche i guai che gli hanno dato diversi Ecclesiastici, fra i Quali è anche il Lambruschini; ma per esser costoro protetti, e per aver un grosso partito, prega che non si proceda contro del libro, percjiè l’attribuirebbero a lui, e prenderebbero motivo di dargli altri guài. Ieri dunque il P. M.ro comunicò al Papa una tal ri-r-rosta ed in conseguenza diede l’ordine, che il libro di quelle Te3i si sepeliisse in profondo oblìo ; e che si mortificasse l’Autore col mostrare di non farne verun conto : anzi di disiprezzarlo. Ed ecco che il Sigr. Lambruschini col suo partito, che j-i saranno augurati da Roma i più grandi applausi, resta mortificato per la noncuranza che Roma ne fa. Il Papa certo non scrive verun breve, il P. M.ro non ha nè risposto, nè risponderà, io non mi dò per inteso di aver ricevuto quel libro in GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Signori. Fa sorpresa che YV. SS. Ser.nie non abbiano ancora efficacemente provvisto a che non si dilati maggiormente il fermento eccitato -pur troppo dalle tesi pubblicate e sostenute nel Seminario Arcivescovile dal R. Lambruschini. In esse si contengono le più nere calunnie d’infamità contro il vescovo di Pistoia, e suo Sinodo. Questo Sinodo sono già tre anni che si va esaminando in Roma per ordine del Pontefice da una Congregazione particolare di Vescovi. Finora non si è ancora pronunziato nulla dhe possa intaccarlo, od il Lambruschini ha ia temerità di decidere prima dell’oracolo della S. Sede. Si sa paire che finche dopo la censura che mai ne venisse fatta in Roma, S. M. il Re di Boemia ha chiesto ministerialmente di essere inteso : che il Papa lia risposto che ciò è di dovere, affinchè il Vescovo si possa o giustificare, o ritrattarsi : ed in Genova intanto si decide con tanta ingiuria e della Sede Apostolica, e di un Sovrano, che non potrà non prendervi parte, e molestare seriamente per questo capo la Sei*.ma Repubblica. dono, il Giornale non ne parlerà tamquam non esset. Che di più, per mortificarlo ? e mortificare anche i suoi fanatici ? Una tal cosa farà conoscere, che qui non si ama il Fanatismo ».... E dopo aver riprodotto l’intero Frontispizio del libro del Lambruschini, ed aver accennato alla Dedicatoria al Papa Regnante, la lettera continua : « ...io non so combinare tal Dedicatoria coll’ignoranza che il Papa ieri mostrò di tali Tesi, delle quali parve che non fosse inteso affatto prima di ieri. E’ vero che il P. R.mo mon pensò a domandargli, se le aveva vedute, ricevute, ec. Ma da tutto il contesto, parve di no. In somma v'è del pasticcio, e tale, che non merita la di lei attenzione; ed Ella rispondendo (mi creda) farà onore, e manterrà in vita un liber'o-laccio, che muore affatto tra pochi giorni; anzi che già è morto. Ella se ne può uscire dicendo sempre : Aspettiamo cosa ne dice Roma — E dopo un certo tempo può dire: Roma disprezza, cattivo segno per Lambruschini». 11 biografo citato dal Lambruschini asserisce, invece, che l’opera in questione riuscì gratissima a Pio VI; ma l’affermazione è da ritenersi dubbia perchè^il Lambruschini metteva fuori subito dopo una nuova edizione del suo libro, tacendovi il suo nome, e sopprimendo la Dedicatoria a Pio VI. A questa edizione, che ho sott’oc-chio, accenna il corrispondente del Padre Molinelli in un’altra lettera da Roma, in data 25 novembre 1788 : « Se poi Ella mi manda la Copia di stampa diversa, Bervi rà per mettere Luna e l'altra sotto gli occhi del S. Padre, e per fargli notare il pasticcio ». La nuova edizione del libro del Lambruschini ha per titolo: Theologia Dogmata quae in disquisitionemponit R. Jacobus Costa in Archipiscopali Seminario (xenuensi, Metropolitanae Ecclesiae S. T. Auditor... Genuae MDCOLXXXVIII. apud Casamanm. Nella· copia esistente presso la Biblioteca Universitaria di Genova, sono incollate le due lettere inedite delle quali si è parlato. 4 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Il Lambruschini ha avuto 1’ imprudenza di spedire in varie parti il suo (portentoso volume. Si sa di certo che a Roma ne sono andate 17 copie; che la posta vi ha guadagnato 17 scuti; e che dalle persone di giudizio non si lascia di rimproverare questa vera insolenza. In Genova poi cresce il fermento : si fanno delle continue dispute e la pubblica quiete, che sta tanto a cuore di YV. SS. Ser.me, come si è velluto negli ultimi savissimi provvedimenti, continua ad essere disturbala. Ohi promuove tali dispute ha le sue viste : il solo dividere in parti il Ser.mo Governo, Senatore da Senatore, Patrizio da Patrizio gli basta facendo così occupare in cose da nulla quel tempo che dovrebbe darsi a cose più rilevanti, e profittando di queste divisioni per il suo interesse. Gente che non ha più niente a perdere è sempre da temere. Sig.ri Ser.mi vi provvedano; e non aspettino a farlo quando la Repubblica in grazia delPim-prudenza altrui si trovi in qualche imbarazzo » (1). Contro il Molinelli, rivelatosi un osso duro per le protezioni di cui disponeva e la sua qualità di teologo della Repubblica (2), gli antigiansenisti lanciarono un altro dei loro, il padre Gian Carlo Brignole (3), Costui, prendendo di mira alcune proposizioni del Molinelli difese da Lorenzo Lavaggi (4), pubblicava un Esame critico sopra alcuni punti di dottrine di Baio, (Vxansenio e Que-snello (5), dove accusava il Molinelli di insegnare con gli scritti e meglio (( nelle lezioni.... che pubblicamente aveva dettate in parecchi punti a’ (1) Archivio di Stato di Genova, filza Secretorum, n. 103. I biglietti di calice erano denunzie anonime. (2) I « Teologi della Repubblica » erano tre o quattro Regolari pagati per la direzione di pareri, e risoluzioni in materia d’affari dipendenti dalla Chiesa o dalla Religione (Accinelli, Compendio delle storie di Genova dalla sua fondazione sino alVanno MDCCL, Edizione del Lertora, vol. Ili, pgg. 34-35). (3) Gian Carlo Brignole, nato a Genova il 22 luglio 1721, morto il 7 marzo 1808. Sue notizie biografiche trovanti nel Giornale \degli Studiosi, di Scienze, Lettere ed Arti, Genova, anno I, n. del 20 maggio 1869. (4) De videndo deo, deque Cordis Munditia ad Deum videndum necessaria, obtinenda, roboranda, augenda, recuperanda Seleotae Propositione, quas publice propugnavit Laurentius Lavaggi.... Genuae, ex tipographia Gexiniana, 1787. (5) Stampate con la falsa data di Avignone, 1789. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA suoi scolari », le teorie gian&eniste (1), 1J Molinelli non rispose, ma sappiamo che « sopra ricorso umiliato da lui al Ser.rno Trono furon date le opportune provvidenze contro lo spaccio di quel libello calunnioso » (2). Il Brignole ritornò alla carica con altri scritti (3), allo scopo « di concitare la pubblica autorità tanto Politica quanto Ecclesiastica, e sommuovere le persone private d'ogni ceto contro del P. Molinelli »r che accusava di essere ((convinto Eretico Giansenista» (4). Tali scritti incontrarono la disapprovazione delle autorità civili, e ne furono « d’Ordine Pubblico ritirate immediatamente e soppresse le copie » (5), mentre il Molinelli rispondeva questa volta con un vivace scritto polemico (0). Nel frattempo i suoi amici reagivano con nuove e più calde pressioni verso il Governo. « È già da qualche tempo », 'dice un altro biglietto di calice, « che da parecchi ecclesiastici si procura di screditare quali sostenitori di dottrine dannose non pochi Sacerdoti e Regolari. Lo scandalo è gravissimo. Quei che prestano fede a tali imputazioni si offendono perchè si lascino ministrar all’Altare coloro che ad essi sono stati dipinti per λ eri Eretici. Gli altri, che pesano le cose, ed osservano gli andamenti e s’informano della Dottrina degli accusati si scandalizzano vedendo gli accusati dopo di aver oltraggiata colle (1) In questo libro il Brignole così parlava del Molinelli: «Chi lo esalta quale sommo Teologo, e profondo, e difensore di una più sana, e più purgata dottrina dietro le traccie della venerabile Antichità, e gli insegnamenti del gran Padre S. Agostino; chi per l’opposito lo condanna, come .seguace di un partito ribelle, e dalla Chiesa con -più Bolle Dogmatiche già separato dalla sua comunione, volli dire de’ discepoli, e partigiani di Bajo, di Giansenio, e di Quesnello ». (Esame ecc. cit., pag. 3). (2) Archivio di Stato di Genova, filza Secretorum, n. 103. (3) Hanno questo titolo : « Raccolta di opuscoli interessanti », Avignone (falsa data per Genova) 1789. (4) Molinelli, Avviso al Pubblico in difesa dell'innocenza e discaoprimento della calunnia mascherata di zelo per la Religione. Genova, Btamp. Gesiniana, 1790 pagine 3-5. (5) Vedi il giornale genovese Avvisi, n. 32 del 7 agosto 1790. (6) È quello indicato nella nota (4). Contro il Molinelli, come si rileva da tale scritto (pag. 6), venne pure diffuso, con la falsa data di Lovanio 1790, quest’altro libello : — Lettera e Riflessioni di Madama, la Marchesa di Rochefort a Madama la Contessa di Molle, ambedue Fiamminghe, sulla condotta de' Direttori della Setta. Giansenista. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA imposture e calunnie l'altrui riputazione, accostarsi intrepidi a celebrare i Sacri Misteri. Uno scandalo di questa natura merita il più pronto rimedio. Senza di ciò i Popoli non solamente concepiranno un totale disprezzo per i Ministri della Religione, ma giungeranno a persuadersi, dhe i più sacrosanti misteri della medesima 11011 siano se non mere imposture di Preti e Frati alle quali non credono quei medesimi che le spacciano, mentre vi si accostano senza timore, o, secondo gli uni, quei che tengono dottrine dannate, o, secondo gli altri, quei che sono calunniatori. VY. SS. 111.me e Sei*.me possono agevolmente discernerlo da ciò che sta accadendo ». l·] dopo aver accennato alle vicende, che noi conosciamo, della polemica Molinelli-Bri-gnole, il ((biglietto di calice» prosegue: «E Munque evidente che lo scandalo nasce dalla parte degli accusatori, dacché insultano, se si tace, si offendono e si lagnano, se si parla anche con la maggior moderazione. Ma 11011 basta, Sig.ri Ser.mi, il non far caso de’ loro clamori se gli (sic) fan giungere fino al Trono di YV. SS. Ser.me. L’innocenza pubblicamente intaccata deve essere difesa patentemente dall’Autorità Sovrana, e i calunniatori, gli autori delle turbolenze e degli scandali devono essere ed efficacemente repressi, e palesemente mortificati. L’integrità, lo zelo, la saviezza di VV. SS. Ser.me sapra 11 ritrovare i mezzi più pronti e più confacenti ad un oggetto tanto importante » (1). 11 (Ìoverno non seppe o non ipotè far altro, per il momento, che istituire la censura sulla stampa, e, premesso che « la frenesia di scrivere e di stampare è cresciuta in Europa a misura, che annebbiati si sono i principii della Religione, e del costume », e che a colla guasta idea d’una falsa libertà, e coi principii d’una immaginaria eguaglianza » si distrugge (( ogni sistema politico, civile e sacro promulgò un Regolamento per gli Stampatori ed i Librai (2). che lasciò le cose peggio di (1) Archivio di Stato di Genova, filza Secretorum, n. 103. (2) Cfr. il giornale Avvisi, n. 41 del 9 febbraio, 1790. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 7 prima. Le pubblicazioni con fallse date si moltiplicarono, altre vennero realmente stampate negli Stati esteri, e la polemica continuò, si estese violenta, implacabile, mentre le due schiere •avverse si organizzavano, si serravano decise a trasportare la lotta dal terreno teologico e religioso in tutti quegli altri campi ove all'ima od all’altra balenasse la possibilità di strappare la vittoria. Un nuovo scontro fra i due partiti si ebbe quando nel 1790 Vincenzo Palmieri (1) e l'abate del Mare (2). giansenisti, vollero daliPUniversità di Pisa stabilirsi a Genova. « Li disturbi di Toscana », dice un biglietto di calice, « hanno condotto qui li due novatori Palmieri e del Mare : Puno e Paltro non paiono, anzi 11011 sono pubblici benefattori : in pubblico osserveranno moderazione di dottrina, ed in privato faranno dei proseliti. 11 fanatismo del Del Mare è noto qui e molto più 4i Pistoia : quello del Palmieri non è occulto e come pensa delle indulgenze lo ha fatto stampare. Non occorre far osservare i loro andamenti perchè saranno occulti in pubblico per non essere colti in fallo. Sarà una lodabile providenza di VY. SS. Ser.me, fare intimare loro che ritornino da dove son venuti, e così la Nazione conoscerà che qui si professa e si di fende la nostra Santa Religione » (3). Come si vede, anche gli antigiansenisti si rivolgevano al Governo che, scosso dai loro alti clamori, fece qualche concessione: lasciò indisturbati (1) Vincenzo Palmieri, nato a Genova nel 1755, fu professore di Storia Ecclesiastica nell’Università di Pisa, e di Teologia Dogmatica in quella d* Pavia. Può considerarsi come uno dei più combattivi e più dotti giansenisti italiani. Morì nel 1820. Per la sua vita e ile sue opere, vedi : M. G. Canale, Vincenzo Palmieri; in Elogi, di Liguri Illustri, vol. Ili; Giornale degli studiosi, ecc., n. 47 del 23 ottobre 1869; Parisi, Op. cit., pgg. 216-230. (2) Paolo Marcello Del Mare, nato a Genova, da genitori ebrei, nel 1734, si convertì al cattolicesimo nel 1753. Prese parte nel 1779 alla stampa fatta in Genova del Catechismo del Gourlin, insegnò teologia nella Università di Siena, e Sacra Scrittura in quella di Pisa; pubblicò due volumi di tragedie, alcune delle quali furono anche rappresentante, oltre a diversi libri di ispirazione giansenista. Più tardi, nel 1817, ritrattò le sue idee; morì a Pisa nel 1824. Altri cenni biografici di lui ei hanno nelle -citate Memorie di Religione, di Morale e di Letteratura, vol. V, Serie I, 1824. pgg. 314-320. e nel Giornale degli studiosi, ecc., n. 41 del lo ottobre 1870. (3) Archivio di Genova, Secretorum, filza 103. 8 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Palmieri e Del Mare, genovesi, e limitò la permanenza di Monsignor de’ Ricci, c'he li aveva accompagnati, a sei giorni e non più (1). Ma ci porterebbe oltre i contini del nostro studio seguire a passo a passo Pincrociarsi delle polemiche fra i due partiti ; basterà che ci fermiamo su quelle che possono darci una chiara idea dei caratteri del giansenismo ligure. Tale è appunto la polemica scatenatasi attorno alla Bolla A uctorem Fidei, pubblicata da Pio VI il 28 agosto 1794 (2ì w vr *X· Un decreto dell’ Inquisitore presso la Repubblica di Genova, il padre Gio. Stefano Anseimi, ne ordinava, in data 19 settembre 1794, l’affissione in tutte le diocesi, ma Monsignor Benedetto Solari vescovo di Noli (3), vi si rifiutò allegando che il placet governativo riguardava soltanto il Decreto del .padre Inquisitore, e non il contenuto della Bolla che il Governo non avrebbe potuto approvare. Il rifiuto del vescovo di Noli, che si appoggiava su di una sottigliezza giuridica, richiamò l’attenzione del Governo sulla portata giurisdizionalista della Bolla, ed il Senato invitò Monsignor Solari ad esporre per esteso i veri motivi della sua opposizione, sollecitando in pari tempo dai Teologici della Repubblica un parere sullo stesso argomento (4). Il Solari, nella sua esposizione, ritiene di poter opporre, per la sua doppia qualità di buon suddito e di vescovo, il suo zelo agli (( atten- do Luigi Maria Levati, I dogi di Genova dal 1771 al 1797 e vita genovese negli stessi anni, Genova, Tip. della Gioventù, 1916, «pgg. 518-520. (2) Di questa Bolla venne fatta una edizione anche a Genova, Tip. J. Bartholomei Como, 1794. '(3) Su Monsignor Benedetto Solari, (1742-1814), professore di teologia nella Università di Genova, poi vescovo idi Noli dal 1778, una delle figure più note del giansenismo ligure, possono vedersi specialmente le citate opere del Degubernatis e del Parisi. (4) Cfr. E. Degola, L’ancien cl erg/· constitutionnel jug/ par un évêque d'Italie, Lausanne, 1804, pag. 2. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA tati, che si facciano contro il bene dello Stato, i diritti, e l’Au-torità del Sovrano », e ad ogni dottrina che tenda a corrompere la purità della morale insegnata da Gesù Cristo e dagli Apostoli, come è appunto « il sentimento dei Curialisti romani, e di certi Teologi Cortigiani dei Sommi Pontefici, il quale stende la podestà Papale sul Dominio temporale dei Principi e Sovrani del secolo, e fa nel Successor di San Pietro l'arbitro dei scettri ; ed il Monarca dell’ Universo ». Rileva che ap-punto (( sotto il Pontificato presente la Curia Romana gusta assai 'questa immaginata immensità di potere temporale « K nota in Roma, egli continua, la degnazione, coila quale il Santo Padre riguarda l’Abate Niccolò Sipedalieri, e con quanta parzialità ha protetta l’opera di questo scrittore dei Diritti delPUomo, nella quale il Papa è innalzato al grado supremo della temporale autorità sopra tutte le podestà della terra ». Sostiene in appresso, valendosi delle opinioni in materia giurisdizionale del Van Espen, che le bolle Pontificie, anche quando trattino materie dogmatiche, abbiano bisogno del Placet Sovrano, sopratutto perchè, 11011 essendo il Papa infallibile9 anche gii altri Vescovi sono giudici e non soltanto esecutori in materia di Sacra Dottrina, e solo quando essi siano consenzienti il Sovrano ha la sicurezza che le decisioni pontifìcie sieno conformi alla verità rivelata. Il regio Placet è inoltre tanto più necessario in quanto, come l’esperienza delle precedenti Bolle insegna, la Corte Romana si vale del carattere dogmatico di esse per estendere « le vaste sue pretensioni sopra i diritti temporali Sovrani ». Ad es. : nel Matrimonio, che è un Sacramento ((fondato sopra un contratto umano» e, per questa ragione, « soggetto alla suprema podestà politica », la Chiesa vorrebbe riservarsi il diritto di stabilirne essa sola gii impedimenti dirimenti, cioè quelle condizioni l'inosservanza delle quali renda nullo il contratto, e di concederne essa sola, mediante una tassa, le relative dispense, a Se a questa decisione Pontificia piegano la fronte quei che Dio ha incaricati del Governo temporale de’ Popoli, restai! 11011 solo assicurate in perpetuo 10 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA alla Curia Romana le somme conspicue, che, col pretesto delle dispense matrimoniali, vi colano annualmente; ina potranno ad arbitrio de* Pontefici aumentarsene le tasse, non restando più luogo a’ Curiali Romani di temere, che si possa ricorrere ai mezzo, col quale i P.P. di Pistoia han cercato di liberare da quelle odiose gravezze il Popolo di detta Diocesi ». Nòli meno reciso mostrasi il Solari nelPillustrare in che modo la Bolla pontifìcia (( ferisce il Ser.mo Governo ne' diritti del suo temporale dominio » rendendola « incompatibile coll’as-saluta indipendenza della Sei*.ma Repubblica », Accennato al diritto di Reffolia, di devolvere allo Stato, cioè, i frutti dei Benefizi ecclesiastici vacanti, esteso nel 1082 a tutte le Chiese di Francia dalla Assemblea dei trentadue vescovi scelti dal Re, il Solari si ferma a iungo sopra le dichiarazioni, proposte ed approvate nella stessa adunanza, dirette «a mantenere l'antica dottrina e P uniformità di sentimenti intorno alla podestà Ecclesiastica ». Consistono le dichiarazioni nei quattro famosi articoli de' quali tutto il sugo e la sostanza si riduce, nel primo articolo, ad assicurare, « che a S.~ Pietro, ed ai di lui Successori, ed alla Chiesa stessa, non ha Dio data podestà che sulle cose spirituali, ed appartenenti alla salute delPanime, che in conseguenza i Re, i Principi non erano nelle cose temporali soggetti per divina disposizione ad alcuna podestà Ecclesiastica, nè in virtù della podestà di sciogliere, e legare le anime, che compete alla Chiesa, poter questa direttamente, o indirettamente deporre i Sovrani, assolvere i sudditi dalPubbidienza, e fedeltà, e svincolarli dal giuramento, che ne abbiano prestato ». Nel secondo articolo dichiaravasi l'autorità de? Concilii superiore a quella del Pontefice : nel terzo « che Puso della Podestà Papale abbia a starsi ristretto ne' confini assegnati da’ S. Canoni, e non possa il Pontefice alterare le antiche regole, consuetudini, e stabilimenti della Chiesa Francese»; nel quarto, in-segnavasi « che il giudizio del Papa nelle questioni, che riguardali la fede, per quanto sia rispettabile, 11011 è però di tanta autorità, che non possa essere riformato, finché non è stato ap- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DEI.LA LIGURIA provato col consenso della Chiesa Cattolica ». 1 quattro articoli, che sono quelli accolti dal Sinodo Pistoiese, furono condannati dalla Bolla Auctorem fidei siccome inspirati ad una dottrina temeraria e scandalosa e som ma mente ingiuriosa alla sede Apostolica. Dopo averli difesi, con l’appoggio di testi sacri e di autorità ecclesiastiche, il Solari conclude : (d’erronea sentenza, che dà al Romano Pontefice il supremo temporale dominio sopra tutti i Sovrani del Mondo, che fa tutti i Principi vassalli della Corte di Roma, che dispone i sudditi alla fellonia, gii Stati alle rivoluzioni, e la Società umana alle più orribili convulsioni, pretenderà il R.mo P. Inquisitore, in virtù del placet carpito al suo decreto, che si abbia nello Stato della Sei*.ma Repubblica a riconoscere per una Legge ecclesiastica ? Avran dunque i Pastori delle anime a mutar linguaggio nelle loro istruzioni, e quando insegnano, che a quelli, che tengono le redini del Governo, è stato dato il potere da Dio dovranno aggiungere, che questo potere è però subordinato nel suo esercizio al Romano Pontefice ? E parlando della soggezione, ed ubbidienza che de-vesi da’ sudditi al Principe, non solamente per timore di provocare l’indignazione, ma per obbligo di conoscenza, dovranno eccettuare in avvenire il caso, nel quale il Papa avesse o sospeso, o deposto dal Governo chi da Dio ne era stato investito Nè la condotta d’altri Sovrani Cattolici che ne’ loro Stati hanno impedito il corso alla nuova Costituzione, potrà fare alcuna impressione a scredito della dottrina contenuta in questa Bolla, finché il nostro Servmo Governo non abbia dimostrato di non approvarla ? La giusta opinione che si ha in tutto lo Stato che la Religione, e la pietà siano gli oggetti primari di chi lo regge, possono condurre certi poveri ingegni a persuadersi, c he in quelli esteri Stati, ove la nuova Costituzione Pontificia non ha incontrata dalla parte del Governo quella tolleranza, della quale ha finora goduto nel Dominio Genovese, siansi fatte prevalere mire di umana politica ai doveri della coscienza, nel dichiararsi contro una decisione Pontificia, che può sembrar tra noi venerata. La ristampa fatta in Genova della Costituzione, il placido ac- 12 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA cordo al din.·reto del St. Uffizio, ohe la promulga, formeranno* altrettanti pregiudizi a favore della Costituzione, e la Costituzione considerata in questi vantaggiosi prospetti accrediterà le ambiziose pretenzioni della Corte Romana, e Farà ripullulare Veri-ore, che forse ancora serpeggia, della temporale giurisdizione del Papa sopra tutti i Principati del mondo. Potrà mai il Ser.mo Governo esser indifferente a questo pericolo e della sana dottrina, e della pubblica tranquillità? Potrà mai soffrire che si tenga qualche conto ne’ domini della Sei*.ma Repubblica d’una Bolla, che contradice alla di Lei assoluta Sovranità ? Qui il Vescovo di Xoli rimette intiero a periti di gius pubblico Tesarne della questione, se possa, chi tien nelle mani ]a Suprema Podestà, rinunziare arbitrariamente all’indipendenza del suo Stato, soggettarla alla giurisdizione temporale del Papa, e rei; dcrsi di lui vassallo, come fece già a persuasione d’un Legato Pontifìcio Giovanni detto Senzaterra re d’Ingiiilterra, ed Irlanda » (1). I periti di gius pubblico, invocati dal Solari, e cioè i Teologi della Repubblica, che erano allora i Padri Fortunato Benedetto Mollino delle Scuole Pie, Gianfrancesco Zacchia da Yez-zano, Gio. Battista Molinelli, e. come consultore, Giuseppe Maria Morchio, rispondono con una lettera in data 17 luglio 1705 al Ser.mo Governo che li aveva interpellati, di ritenere « con uniforme sentimento », non essere in verun modo «riprensibile ». ma anzi «commendevole)) la condotta del Vescovo di Xoli. E ciò perchè, sebbene la Bolla Aurtorrm Fidei sembri diretta a prima vista a stabilire massime dottrinali sul Dogma e sul Costume, vi si ritrovan però canonizzate altre Dottrine, che sono «lesive dell’autorità Sovrana de Principi » (2). Alla lei- (1) Ci siamo valsi di una copia ms., con la data 8 ottobre 1794, conservata nella Biblioteca Universitaria di Genova; Collezione m?s. : Appunti Storici * Documenti„ Supplem. IV, cc. 153-163. Ne esistono, però, copie a stampa. <2) Biblioteca Universitaria di Genova: Collezione mss. : Appunti Storici e Documenti, Supplem. IV, cc. 82-83. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 13 tera collettiva ciascuno dei sopraindicati teologi allega il proprio consulto, nel quale si mettono in rilievo le ragioni particolari sul inerito della questione (1). Non mancarono gli antigiansenisti di far pervenire al Governo la loro voce, ed un memoriale, che il compilatore del voi. ms. da noi esaminato attribuisce al Lambruschini. controbatte punto per punto gli argomenti degli avversari. « Il determinare, se una dottrina sia vera, ed ortodossa, oppure falsa, ed ereticale; se certe massime siano conformi, o contrarie agli insegnamenti di Gesù Cristo; se certi libri contengano pascolo sano, od infetto per nutrirne i Cristiani, tutto questo è stato privatamente riservato alla Chiesa, ed a S. Pietro senza la minima dipendenza da tutte le Potenze della Terra.... Dunque una Polla pontificia, che condanna un libro come contenente dottrina falsa, ed ereticale, e pascolo velenoso ed infetto, non è soggetta alla Potestà secolare, e si deve con sommissione accettare nè meno da ogni fedele, che da ogni Principe cristiano. A questo riguardo il Principe non differisce dal suo suddito, ed è anclfesso figlio, non superiore della Chiesa, come scriveva S. Ambrogio: Imperator est filius Ecclesiae, non super Ecclesia, e così il Principe nè meno, che il suo suddito deve riguardarsi sempre il Papa come suo Padre in Gesù Cristo, e come Capo di tutta la Chiesa al quale e i Pastori, e i Principi e tutta la Greggia devono amore, rispetto ed ubbidienza. Il Principe è bensì Protettore, e difensore della Chiesa, ma questo diritto non si può far valere per un diritto di comando, e di Legislazione. Il Principe dee proteggere la Chiesa ne’ suoi dogmi, e nella sua disciplina, e ciò vuol dire, che dee prestar il suo braccio per tenere in dovere quei temerari che ardissero contraddire alla dottrina, alle leggi, alla Costituzione della Chiesa ». Date queste 1/ Biblioteca Universitaria di Genova; Collesione m~'.. citata: Supplem. IV. Tro y ansi in quest’ordine: — Consulto del Molinelli (cc. 84-89) — Consulto del Molfino cc. 90-92) — Consulto dello Zacchia (cc. 94-95). Manca quello del Morchio che però ha firmato la lettera collettiva. 14 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA premesse, si comprendono le conseguenti proposizioni sostenute dal Memoriale degli antigiansenisti. Se la Chiesa <( ha diritto sopra le cose esterne, che riguardano il culto esteriore della Religione, come sono i Templi, gli Altari, i Vasi sa*ri, tutti gli Ecclesiastici ornamenti », a maggior ragione le materie dei Sacramenti sono ad essa sottoposte; e « da quando piacque a Gesù ("risto I\e de' Re, e Signore de’ dominanti, di assumere il contratto naturale tra un uomo, ed una donna battezzati, per farne la materia del sacramento dei matrimonio, dal punto passò quel contratto ad esser materia sacra, e così soggetto alla Potestà della Chiesa ». Dal caso particolare eccoci alla regola generale: «K finalmente cosa indubitata, continua il memoriale, che essendo la Potestà dei Principi della terra tutta destinata a procurare il benessere, e la felicità degli uomini in questo mondo, e la potestà della Chiesa essendo stata institui ta da Gesù Cristo, per diriggere gli uomini al fine» della felicità, del Cielo, questa seconda deve regolare hi prima in tuttociò che riguarda la felicità del (Melo; e così, se dalla potestà secolare emanasse cosa che di stogli esse l’uomo dal suo fine eterno, potrebbe la Chiesa dichiarare esser ciò illegittimamente fatto, esser una perversione d'idee, ed un'ingiuria fatta agli uomini, e a Dio. 11 vero interesse dei Sovrani esige che si conservi la Chiesa nel pieno, libero esercizio dei suoi diritti, ricevuti da Gesù Cristo. Non si possono attaccare questi diritti senza offendere la Religione : quella Religione, che sola è propria a far regnare la pace, la concordia, e la subordinazione fra i popoli : quella Religione che sola è efficace a far rispettare ed amare ΓAutorità del Principato Civile, per le grandi virtù, che Ella prescrive ai sudditi, ed ai Sovrani : per la forza sovrannaturale dei motivi, eli’Ella insegna : per la sublimità del fine, eli Ella propone, e per Γelevatezza dei sentimenti di’Ella inspira. Si tolga questa Religione, ed i Principi non avranno altro titolo per farsi ubbidire, fuorché la vana imaginazioni» del contratto sociale, o la l>estial legge del più forte... Se il Sacerdozio, e 1 Impero saranno concordi, regnerà sopra di noi la Religione, regnerà l’or- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dine, la tranquillità, la sicurezza, e saranno pienamente fe lici » (3). * * * Il Senato di Genova, esaminate le ragioni dei contendenti, delibera di lasciare che il Vescovo di Noli operi secondo il suo pensiero (2). Il che non deve arrecar meraviglia quando si pensi all-atteggiamento sempre mantenuto dal Governo genovese sul terreno giurLsdizionalista. Genova, pur sotto l’alta protezioni* di Maria Santissima, ricca di un numero straordinario di chiese e di monasteri, devota e pia come nessun altro Stato italiano, non aveva mai tollerato una eccessiva invadenza sul potere civile da parte di quello ecclesiastico, che si era sforzata sempre di circoscrivere, in tutti i campi, agli argomenti di sola fede (3). Molti esempi in proposito si trovano riportati dall’Accinelli (4), dal Semeria (Γ>), dalTIsnanli (fi), dal Levati (7), ed è abbastanza conosciuto, del resto, il clamoroso conflitto sorto fra Genova e Roma, nel 175i)-f>0, in occasione dell’invio di un Visitatore Apostolico nella Corsica ri belile. Basti dire che in una pubblicazione ufficiale il Governo di Genova non (‘sitava a dichiarare che l’invio clandestino, da parte della S. Sede, di .Monsignor Cesare Crescenzio de Angelis era avvenuto con una procedura atta a far « purtroppo rivivere l’antico sospetto, che sotto il manto così rispettatile del Sacerdozio, possano tal volta ili Biblioteca Universitaria di Genova: Collezione mes., citata. Supplem. IV. cc. 94 101). (2) E. DeGola. op. cit., pap\ 2. (3) Cfr. M. Spinola. Compendiate oteervazioni intorno al governo aristocratico che mtr la Repubblica di Genova al tempio dei Dogi biennali, (Giornale ligusticot ecc. ί\ηηο VI. 1879). (4) Accinelli. op. cit.. vol. III. p&gg-. 23-24. (5) G. B. Semeria. Secoli cristiani della Liguria. Torino, Chirio e Mina, 1843. vol. I, pajr. 116. vol. II, ptnr. 414-421. (6) ISNARDt, Sloria della Cnirereità di Genova, Genova, Sordo-Muti, 1861, parte I, carpitolo XXI. (7) L. M. Levati, I Dogi di Genova dal 1746 al 1771 c vita genovese nvgli stesti anni, Genova, Tip. della Gioventù, 1914. papg. £29. 302-304, 356-358. 16 GIORNALE STORICO K LETTERARIO DELLA LIGURIA ricoprirsi le vedute le più pericolose ai diritti tli^l Principato»^ ). In conseguenza di che il Governo di Genova si riteneva autorizzato a considerare rinviato Apostolico come a un nuovo avventuriero che andasse ad accrescere i torbidi dell'isola » (lì), ed a trattarlo come tale, promettendo, con decreto del 14 aprile 1T«>0, un -premio di seimila scudi romani a chi riuscisse ad arrestarlo . Astraendo, poi, dal caso particolare, la Repubblica di Genova formulava allora delle dichiarazioni di principio, che, per la precisione dei termini, sono un chiaro documento delle sue idee in tema giurisdizionale: ((Diremo.... che i Sovrani conoscendo ora-mai pienamente quali siano i giusti limiti del Sacerdozio, e dell?Impero, conoscono altresì, che non puonno, nè devono abbandonare i secondi in favore delle più inaudite complicazioni •dei primi, onde nel tempo stesso che professano il dovuto ossequioso attaccamento verso la Santa Sede, sono egualmente fermi, ed invariabili nella risoluzione di non lasciare pregiudicare le prerogative della Sovrana loro Potestà, ben consapevoli, che siccome hanno ricevuta questa da Dio, così uno dei primi omaggi, che devono renderne a Dio medesimo, ed uno dei primi obblighi, che hanno verso dei loro Popoli, si è quello di conservarla e difenderla con tutte -le loro forze da qualunque lesione, o detrimento » (3). (1) La pubblicazione ha per titola: Esposizione di fatto concernente la Missione dvl Vescovo di Seoni nell'isola di Corsica. (2) Vedi Esposizione di fatto, ecc. (3) Aggiungiamo, fra i tanti, un episodio pochissimo conosciuto. Il giorno -9 ottobre 1712, per ordine del Cardinale Lorenzo Fieschi, veniva affissa alla Porta della Cattedrale, in Genova, la notizia della scomunica a certo padre Granello dei Minori Osservanti. Il Governo della Repubblica, rilevando che la notizia non era sottoscritta da notari pubblici, e quindi non aveva l’autenticazione del potere civile, la dichiarava nulla con editto del 31 stesso mese. Il pontefice Clemente XI, con lettera apo stolica del 3 dicembre successivo, abrogava 1' Editto del Governo di Genova, il quale con Proclama del 23 dicembre, bandito pubblicamente dal cintraco \ incenzo \er nengo il 2 gennaio 1713, premesso che «la giurisdizione Ecclesiaetica non..... può eccedere li suoi limiti, nè deve tentare d’inserire alcun impedimento alla Potestà, et autorità laicale, o turbarla », dichiarava essere « obbligo preciso di Stato, e di coscienza mantenerla, e proteggerla sempre illibata e illesa», e concludeva “di volere intieramente usare della facoltà e potestà » che al Governo compete, « conferita da Dio «on la Sovranità di questo Stato». (Biblioteca Universitaria di Genova; Colle’'., mss. : Appunti storici e documenti, voi. Λ. cc. 67-68;. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 17 Date queste premesse, appare logico che gli antigiansenisti interpretassero come un loro smacco la decisione del Senato Genovese a riguardo del vescovo di Noli. A confutare i Solari intervenne perciò, con due poderosi volumi, il cèlebre cardinale Giacinto Gerdii (1); ribattè le sue argomentazioni il Vescovo di Noli (2), ed a suo favore si aggiunse anche Monsignor Eu-stacchio I)(»gola (3), ma contro entrambi scendeva in campo un altro liguri», il padre Filippo Anfossi (4). Ben presto dalle polemiche si passò alle persecuzioni da parte della Curia dominata dal Lambruschini. I giansenisti « si videro cacciati dalle •cariche, coperti di calunnie, di odi, di disonori » (5). Lo scolopio Stefano De Gregori, uno dei primi maestri di Giuseppe Mazzini (fi), venne bandito dall'insegnamento della teologia nel Seminario Arcivescovile; i preti missionari Pier Gaetano Api (7), e Gotuzzi vennero esiliati dalle loro rispettive Diocesi nel (lj Giacinto Gebdil, Esame dei Motivi della Opposizione fatta da Mons. Vescovo di Xoli alla pubblicazione della Bolla « Auctorem. Fidei », Venezia, Zerletti, [1801]. IX*: Gordil òi ha pure, in argomento, un’opera postuma : Appendice aW Esame demotivi, ecc., Venezia, Zerletti, 1802. Precede un Elogio funebre del... card. Giacinto Gordil, recitato dal P. D. Francesco Fontana, con ampie notizie eulla vita e ?uMe opere stampate e mss. del detto Cardinale. (2) Apologia di Fra. Bened. Solari... contro il fu... Cardinal Gerdil, Genova, 1804. <3) Con l'opera citata Uancicn clergé constitutionnel, ecc. — L’abate Eustacchio Degola, amico -del vescovo Grégoire e compagno dei suoi viaggi, nacque a Genova il 20 settembre 1761, e mori il 17 gennaio 1826. Fu tra le figure più emineuti del giansenismo ligure, ed intorno alla sua vita può consultarsi la nota opera del De-pubernatis, ed il profilo che ne dà il Parisi nel lavoro citato (cap. XI). (4) Risposta del P. F. Anfossi domenicano alle Lettere del Signor De la Plat <■ alle opposizioni di alcuni altri teologi che hanno preteso d'impugnare la Bolla I uctorem Fidei *, Roma, Pagliarini, 1805, voli. due. Il padre Filippo Anfoeei, nato a Taggia il 17 gennaio 1748, teologo ed oratore, morì a Roma il 14 maggio del 1&25, con la carica di Pro-Maestro dei Sacri Palazzi. (Mokoni. Dizionario di erudizione sìorico-ecclesiastica)- (5) Le notizie riguardanti la persecuzione contro i giansenisti le abbiamo rilevate da una lettera .1/ Cittadino Arcivescovo di Genova, pubblicata negli Annali politico-ecclesiastici, n. del 15 nov. 1797. (6) F. Resasco, Mazzini studente in Libro di Cronaca, Genova, Stabil. Tip. Genovese, 1891. pgg. 107 e seio nella Penitenza»; e fu tolta la confessione, nel 1795, ai sacerdoti Michele Calegari, ed Onorato Olcese, reo quest'ultimo di aver* in casa il ritratto del dott. Arnaldo. Vennero infine perseguitati Francesco Carrega (1), Saettone Pietro, (îrondona Pietro, Firpo Luigi, Pitta luga Luigi, Piccoiie (ί. Maria (2), i quali tutti furono più tardi fra i sacerdoti incaricati dalla Repubblica- Ligure di « instruire i popoli nei principii della de moerazia » (3). Maggiore impressione suscitarono i provvedimenti contro il frate Tomaso Vignoli (4), il quale, per aver predicato ala più pura dottrina di Gesù Cristo» (5) ispirandosi alle teorie rigidamente gianseniste sulla Predestinazione e la Grazia, venne accusato di rigorismo e sospeso dalla predicazione nel 1795 ((>). Le persecuzioni ebbero il solito effetto : atterrirono i deboli, gli esitanti, ma resero più fermi, più compatti gli altri ; e la lotta continuò sempre più aspra, lentamente, ma sicuramente, spostandosi dal campo dogmatico religioso a quello j>o- (1) Francesco Carrega fu nel 1801 Segretario dell'istituto Nazionale della Liguria, e nel 1805 professore di Storia Ecclesiastica e Sacra Scrittura nella Università di Genova. (Giornale degli Studiosi, ecc., n. 46 del 16 ottobre 1869). (2) Piccone G. Maria (1722-1832) di Albissola Marina, allievo del Molinelli, è conosciuto come apprezzato scrittore di agraria. Una sua biografia, scritta dal prof. G. B. Canobbio, trovasi nel vol. Ili degli Elogi di Liguri Illustri; altre notizie possono trovarsi nel Giornale degli Studiosi, ecc., n. 18 del 30 aprile 1870. (3) [Cl a varino], Annali della Repubblica Ligure, vol. I, pagg. 85-88. (4) Tomaso Vignoli, genovese (6 ottobre 17J7 - 18 febbraio 1803), insegnò filosofia a Verona, Venezia, Vicenza, Ferrara; poi, dedicatosi alla predicazione, trattò pubblicamente le dottrine Portorealiste intorno al dalgma ed alla morale. Fu amico de» principali giansenisti italiani. Per la sua biografia vedi: F. Carrega, Cenno storico della vita del fu P. Vignoli, Genova, Stamperia della Libertà, 1803; e Degola, Prède de la vie du R. P. Thomas Vignoli, Paris, 1804. (5) Annali politico-ecclesiastici, n. del 5 agosto 1797. (6) Possono vedersi in proposito due lettere di Monsignor Solari, in data 30 gennaio 1794, e 14 febbraio 1795, già pubblicate dal Degubernatis. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 19 litico "Social e. A Genova, infatti, più forse che nelle altre parti d’Italia, troviamo i giansenisti uniti alle altre correnti riformatrici, sia nel periodo prerivoluzionario, sia nei cimenti sanguinosi della rivoluzione, e nella febbrile e tumultuosa opera ricostruttrice delle repubbliche democratiche. Fra gli ecclesiastici che un biglietto di calice denunzia quali settari « è il circonciso prete che dimostra non avere religione, e questo è il poeta Del Mare, scandaloso nel vestire, nel parlare e nell’opera re » (1): egli, ed il P. Ravina, Parroco di S. Croce, sono accusati di complottare coi massoni e coi giacobini contro Poligarchia dominante (2). Fra i più ferventi capi del movimento giacobino troviamo, inoltre, Patate Giovanni Cuneo ed un monaco di S. Bernardo, Alessandro Ricolti, (3), i quali nel 22 maggio 1797 guidano schiere di rivoluzionari (4). Ma dove i giansenisti portano il contributo più notevole delle loro con- fi) Biblioteca Universitaria di Genova, Collez, mss. · Appunti istorici e documenti, vol. XII, cc. 20; Belgrano : I Giacobini in ìmbreviature di Giovanni Scriba, Genova. Sordo-Muti, 1882, pgg. 152-153. (2) Ex ante del m. Filippo Doria, ed Esame del m. Francesco Curio. (Biblioteca Universitaria di Genova, Collez, mss.: Appunti Storici e Documenti, vol. X, pgg. 23 e 580-581). (3) [Clavarino], Annali della Repubblica Ligure, vol. I, pag. 3. (4) [Clavarino], Annali oitati, vol. I, pag. 11 — G. GagGrro, Compendio della Storia di Genova dall’anno 1777 al 1797. Genova, Tip. Como, 1851, pgg. 139-140 — [Stefano Poussyelgue], Rélation de la Révolution de Gênes, Gênes. I. B. CaffareHi, 1797, pag. 13. — A. Desodoars ; Istoria filosofica e imparziale delle rivoluzioni di Francia, di Venezia e di Genova.-.. Prima trad. italiana. Genova, delle Piane, 1798-1802, vol. XV, pgg. 27-28. Il monaco Alessandro Ricolti, di Castellaro, detto il Bernardone, indirizzava, in seguito, una Petizione alla Commissione Civile della Repubblica Ligure, nella quale diceva : « La mia istoria e nota : Ogniuno 6a quanto io abbia sofferto nel fisico, e nell’economico : il giorno 22 di maggio. Il sangue, che versai in quella grande giornata. l’ho consacrato alla Patria; le sostanze che mi furono rapite, le voglio da quell’infami Oligarchi, che armando i Cittadini contro i Cittadini, trasformarono in un’orda di cannibali un Popolo nato all'amore, ed alla fraternità ». In un foglio volante intitolato: «Lanterna magica Nazionale», leggiamo : «Prima veduta: 22 maggio. Le botteghe si chiudono: Guarda, guarda il Bernardone con sciabola nula... attacca i tiranni ! eccolo, che da fuoco al cannone ■. (Biblioteca delle Missioni Urbane : Miscellanea di stampa, busta 2, pacco 74, .anni 1797-1800). Il Bernardone dovette essere uno dei più scalmanati, perchè il Comitato di Polizia, dopo qualche tempo, fu costretto ad esiliarlo (Gazzetta Nazionale ideila Liguria, n. 29 del 30 die. 1797). Allora, gettata la tonaca, sposò la signora Franzonni, nata D’Oria — [Clavarino], Annali citati, vol. IV. pag. 121). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA vinzioni, Fappoggio più fattivo delle loro energie, il peso, in una parola, defll’autorità del loro partito, si è nel periodo di assestamento della Repubblica Democratica Ligure. E urtacchio Degola pubbJ&a allora un giornale, gli A mitili politico-acci·'** statici (giugno 1797-dicembre Π99), col programma di dimostrare che la libertà e F uguaglianza sono in perfetta armonia con la dottrina del Vangelo. « Voi sapete, rincalza Benedetto Solari, in una sua circolare in data 25 maggio 1797 ai Parroci della sua Diocesi, quanto un sistema ben consolidato di perfetta democrazia, e per la fraterna eguaglianza nel conversare, e per la proporzionata distribuzione delle imposte, e per la imparziale amministrazione della giustizia, e pel accesso a tutti accomunato degli onori, e delle cariche, colle massime si confacela del Sacrosanto Vangelo » (1). Queste idee sono spiegate al popolo da una quarantina di sacerdoti inviati in missione patriottica, dietro proposta di Gian Carlo Serra (2), e con plauso dei poeti d’occasione che esortano gli ecclesiastici a predicare : Eguaglianza, Libertà, Caritade, e Fratellanza Unitade, ed in sostanza Fate quello, che dovetey Fate quel che deve un Prete; Quel che han fatto, e fanno alcuni Come un Cuneo, un Montebruni (3). (1) Annali politico-ecclesiastici, η. XXI del 25 nov. 1797. (2) L. Grillo, Gian Carlo Serra, in Giornale deoli Studiosi, ecc. n. 4 del 23 gennaio 1869; [Clavarino] Annali citati, vol. I., pag· 85-88. Vedi pure il Discorso al Governo Provvisorio della Deputazione de' Missionari Nazionali. (Annali poUtico-ecclesiastici, η. XI del 1 Settembre 1797). (3) Esortazione Apostolica Democratica ai Cittadini Ecclesiastici, di un certo Stefanini, il quale, in un successivo capitolo in terza rima, indica i nomi degli Ecclesia^-stiçi che, a suo avviso, sarebbero i più indicati per la Missione patriottica : Saettoni, Daniele, Agnin, Crondona, Peire, Assereto, Bozzo, liamorini. Ponte, Rei, e con questi non minchiona Sebben alquanto vecchio Demartini, e Crocco, e Ferri, ed il Prior Botturo. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 21 («li antigiansenisti videro ben presto ritorcersi contro di loro il sistema delle persecuzioni : molti di essi ((furono imprigionati, esigliati, rilegati» (1), primi fra tutti PArcivescovo e la sua eminenza grigia, il Lambruschini, che venne chiuso nella tortezza di Savona e poi (( per ordine del Governo dovette vivere ritirato ed occulto» (2). Ma ritornò con gli Austro-Russi, e Fravega, Torre, Costa, Mon giardini. Questi da ver non buoni, e van del paro detestando le Spie, gl’Ipocriloni, e degli A fisiocrati il zelo amaro. Da un Volume Politico-Satiricò-Poetico-Critico-Democratico Ligure.... 1797 in 1798, compilato dal Cittadino Prete Gaspare Perazzo in Genova iin Miscellanea di carte, mas. ed a stampa, della Biblioteca Universitaria di Genova, pgg. 111-115 e 121-124). Dall’elenco dei Sacerdoti incaricati della Missione Patriottica, riportato nei citati Annali del Clavarino, e dai nomi dati dallo Stefanini, ci risulta pertanto un numero così rilevante di giansenisti e simpatizzanti che abbiamo una sicura prova della larga diffusione delle idee innovatrici, eia· religiose che politiche, nel clero ligure. Alcuni dei nomi ci sono sconosciuti, ma di altri abbiamo potuto raccogliere indicazioni che oi sembra utile riferire: Campalati Francesco (1756-1836) : Prevosto di Ovada, fu scelto per la Missione Patriottica al di là dei Giovi. Ne sarisse VElogio il padre Bernardino Crestadoro : Onori Junebri al professore Antonio Nervi... e al Preposto D. Francesco Compalati, Genova' tip. Ferrando, 1836. De Scalzi Luca Agostino(1764-1840),scelto per la Missione Patriottica da Setri ad Al-bissola, fu maestro di Mazzini (Epist. vol. XII, pag. 101), il quale lo descrive come «un prete venerato a quei tempi da tutti i buoni per l’elevatezza del suo ingegno, per l’immensa erudizione, per la carità verso il prossimo, per l’esemplare modestia e religione »». (Memorie materne premesse all 'Epist., ediz. Sansoni, vol. I pgg. XXV-XXVI). Fu amico di Solari, Degola, De Gregori, Carrega, ed ebbe a soffrire persecuzioni per le sue idee gianeeniste ), e più di tutti Γ ex-gesuita Gandolti Giuseppe, che scriveva sotto lo pseudonimo di Pietro Paolo Giusti (7), addimostrandosi amici sinceri della Repubblica, suggerivano che la nuova Costituzione avesse per base la religione Cattolica Apostolica Romana, perchè, dovendosi nella democrazia raggiungere (( unità di pensare, di giudicare, di volere », questa unità non poteva ottenersi con altro mezzo che con la Religione sopì a-detta la quale aveva il suo centro di unità nel Papa. Il Gan-dolfi, che non risparmiava attacchi contro gli ((ascritti (1) Vedi in proposito una lettera del Solari al Degola del 28 giugno 1800, in DegubebnaTis, Op. cit., ipagg. 215-216. (2) Notizia Biografica citata del Lambruschini, scritta da G. Baraldi. Ofr. Parisi,-op. oit., cap. XV. % n 13) Giuseppe Maria Lovat. nato a Genova il 7 febbraio 1734, entro neUa Compagnia di Gesù il 14 luglio 1750. Per i suoi scritti vedi Augustin et alois De Bacher, Bibliothèque des écrivains de la Compagnie de Ii'8U&, Liege, L. Gra.K mont 1853-58. vol. IV. . . 71 (4) Il Palar eri scrisse La libertà e la leaoe, considerate nella li berta delle op,-nioni e nella Tolleranza dei Culti Religiosi, Genova, Odiati. 1798. Il Canepa rispose col libro: Riflessioni amichevoli sopra il libro intitolato «ha libertà e la cggen, ecc., Genova, Casamara, 1802. (5) [Clavarino], Annali citati, vol. I, pag. 58. (6) [Clavarino], Annali citati, vol. I, pgg· 138-141. (7) [Clavarino], Annali citati, vol. I, pag. 62; Parisi, Op. cit. i gg. 212 e sgg. Annali polit ico 'ecclesiastici, η. XXII, del 2 dee. 1797. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 23 a 11*eresia Giansenista », ammetteva che « il carattere dell’uomo cattolico non consiste unicamente nel professare certi precetti di morale Evangelica », perchè la Religione cattolica non riguarda soli oggetti di morelle e di credenza, ma anche oggetti politici, anzi « i giusti principii d’una vera Politica » (1). Rispondevano i giansenisti ed i loro alleati che l’unità doveva, ad ogni modo, essere ristretta ai soli oggetti di morale e di credenza, ma non riguardava gli oggetti politici, tanto è vero die vi erano nazioni unite nel sistema religioso, ma divise riguardo ai criteri politici, seguendo alcune il dispotismo, altre il sistema monarchico, altre, infine, la democrazia ; che d’altra parte, questa supremazia assoluta della Chiesa avrebbe significato l’abolizione della tolleranza religiosa, il ripristino delle immunità ed esenzioni ecclesiastiche, in una parola il potere giurisdizionale delle autorità civili sottoposto interamente a quello ecclesiastico. Commentando le improvvise tenerezze democratiche degli antigiansenisti, Cottardo Solari, uno dei più autorevoli uomini politici genovesi di quel periodo, non poteva trattenersi dall’os-servare che, nel fondo, essi rimanevano difensori accaniti dell'oligarchia, avversari di qualunque tendenza riformatrice, a Vi sono », egli scriveva, «da molto tempo, fra i teologi e scolastici, due terribili partiti di opinioni religiose. Quelli di un .partito si chiamano Giansenisti, e quelli dell’altro si chiamano MolUnisti, e Gesuiti, o Exgesuiti sono del secondo partito... I Giansenisti, pare, che abbiano in vista di richiamare la Religione cattolica alla sua purità primitiva ; e a sgombrarla di tutto ciò che è pompa, e grandezza, e dominazione temporale; e sono amici dichiarati della Democrazia. I Molli η-isti al contrario, non sembrali troppo inclinati a <|iieste virtù oscure; entrano volen- (1) Pietro Paolo Giusti, Ragìonamento cattolico-politico sul mezzo di conservare la Democrazia, Genova, Franchelli, 1797. Le medesime idee difese in altri due opuscoli : Discorso al Popolo Ligure... preceduto da un Avviso ai Lettori; Apologia del Ragionamento Cali oli co-politico di Pietro Paolo Giusti in risposta allo scritto di Qiov. Jf7i«-eorr.o Massa. ; Volume Politico-Satirico, ecc., pgg. 448-467: 552-563: 564-606). η GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA tieri nei Governi, amano le Corti, e gerarchie sublimi : e sostengono, che le cose spirituali si accordano benissimo colle temporali, e che il regno
  • , è nel suo pieno vigore (7). Assume (1) [Rocco Bonola], La lega della Teologia moderna colla filosofia a’ danni della Chiesa di Gesù Cristo. (2) Lettera a Sofia intorno alla setta dominante nel nostro tem.po, Foligno, 1790. (3) Compendio storico-cronologico de’ più importanti giudizi portati dalla S. Sede Apostolica Romana sopra il Bajanismo, Giansenismo, e Quesnellismo, Fuligno, Toma-sini, 1792. (4) Problema se i* Giansenisti siano Giacobini proposto da Gianvincenzo Bolgeni al Pubblico da rivolo ersi in risposta alle Lettere Teologiche Politiche sulla presente situazione delle cose ecclesiastiche, Roma, 1794. (5) F. Gusta, Memoria della Rivoluzione Francese tanto politica che Fjcclesiastica e della gran parte che vi hanno avuto i giansenisti.·., Assisi, 0. Sgariglia, 1793. (6) È la tesi, che però ci sembra troppo generalizzata, di Maria Rigatti, Un illuminista trentino del secolo XVIII: Carlo Antonio Pilati, Firenze, Vallecchi, 1923, pa gine 196 e seg. (7) Cfr. Pietro urrà, La missione dei Generale Bonaparte a Genova nel 1794, ed. cit.r pgg. 31-32- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 29 di conseguenza una spiccata originalità nazionale, é si ricol -lega, con evidentissime analogie di svolgimento, alle tradizioni di un altro Stato italiano, della Repubblica di Venezia il). Ecco perchè Eustacchio Degola scrisse una appassionata apologia di fra Paolo Sarpi (2). Pietro Nurra (1) Cfr. G. Occioni-Bonaffons, La Repubblica di Venezia alla vigilia della rivoluzione francese. (Rivista Storica Italiana .anno VI, 1889). (2) Justification de F. Paolo Sarpi, ou Lettres d’un Prêtre Italien à un Magistrat François sur le caractère et le sentiment de cet homme célèbre, Paris, 1811. Al Degola rispose il padre Bartolomeo Rivara (1779-1825) con un violentissimo libro ·. « Giuda traditore giustificato ossia la dottrina del Giansenismo, atta a giustificare ogni sorta di delitti. Dialoghi diciotto pubblicati dal S. Don Roberto degli Alberighi vicen-.tino abate di S. Gottardo *>, Rovigo, 1815. DONNE E CASTELLI DI LUNLGIANA. LA MOGLIE DI GIAN LUIGI FIESCHI La congiura del 1547, che ha nome dal Fieschi, fu la con-seguenza di tante ragioni, in cui le cause politiche, intrecciate con quelle particolari e domestiche, s’unirono e combinarono per sconvolgere Genova. La casa dei D’Oria, eminente per opera di Andrea, già grande ammiraglio del Cristianissimo poi di Carlo Y Imperatore, stava iper superare ormai l’emula dei Fieschi,. che non jpotea porre in oblio come, pochi anni innanzi, in Violata, da Gian Luigi il vecchio era stato accolto e superbamente ospitato re Luigi XII di Francia. E recente era il ricordo del papa Paolo III, che, reduce dal convegno di Nizza, aveva avuto accoglienze nell'avito ipalazzo fieschino. Ma ormai gli splendori del palazzo doriano di Fasso'lo erano onorati della presenza di Cesare, e quindi fra le due casate l’antagonismo vivo. Pure le cause occasionali e concomitanti la fanno essere in rispondenza colla politica delle Corti di Madrid e di Parigi e con il contrasto tra Francia e Spagna per il predominio, che agitò l’Europa e più particolarmente l’Italia per tutta la prima metà del secolo XVI I/ambizione di Gian Luigi, che avrebbe voluto primeggiare nella Repubblica, urtava si con l'alterigia dei D'Oria, venuti su di recente, appetto ai Fieschi, e pur così fieri della conquistata grandezza. Non furono estranei all’odio verso Giannettino gli incitamenti di Maria Grosso Della Rovere al figliuolo, che vedeva nell’emulo D’Oria l’ostacolo alle sue mire ambiziose. E v’entraron per mezzo rancori per mal conclusi o per mancati matrimoni e parentadi. La Ginetta di Adamo Centurione era, forse nel disegno de’ genitori di Gian Luigi, guardata con desiderio pel figliuolo. E invece fu sposa di Giannettino. Vero è che le nozze avvennero nel 1530, quando il Fieschi era ancora settenne; ma il ramma- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 31 rico del mancato connubio con la ricchissima ereditiera, disegnato dai parenti, potè covare il fuoco di una latente ostilità. Le nozze di Eleonoça, col giovane Fieschi, erano, poi, dispiaciute ad Andrea D'Oria e le assiduità di Giannettino presso costei avevano, e non a torto, ingelosito il marito. 11 parentado, infine, del cognato Giulio Cybo, desideroso di 'sposar la Camilla Fieschi e costretto a pigliarsi Peretta D’Oria, sorella di Giannettino, avea cresciuto il malcontento. Le discordie di Casa Cybo attizzarono ancora quelle fra D’Oria e Fieschi, avendo Giannettino favorito Giulio contro sua madre Ricciarda, cui era favorevole il genero Gian Luigi. Questo odio fra i due emuli era occulto e occulto durò fino alla loro tragica morte. (( Dicti Ioha/nnettinus et Io. Aloysius ad invicem demonstrabant amicitiam... Io. Aloysius die noctis subsequentis qua commisit delictum, visitaverat Principem eumque familiariter alloqutus fuerat, amplectendo et deosculando filium ipsius Iohan-nettini quod autem cum eo habuerit sermonem ». (1). Gian Luigi assalì le galere del Principe in quella notte della congiura « volens de nonnullis iniuriis quas sibi Johannet-tinus fecerat, vindictam capere ». Questa della· vendetta, a trentanni di distanza dalla congiura, era, per il vecchio famigliare di Casa Fieschi, stata la causa determinante. * -:t La ostentazione di amicizia per parte del Fieschi apparisce diii testi nel tanto citato Interrogatorio per la causa di Scipione. (1) Interrogatori cit. Taddeo de Platone che fu precettore dei figli di Sinibaldo Fieschi, Paesi, f. 333. Anche il vecchio D’Oria asseriva al Duca Cosimo di Firenze che Gian Luigi « se mi dimostrava il maggior amico del mondo et non passava giorno che non venesse in casa mia et conversava e mangiava con Giannettino mio nepote, con quella domestichezza che se li fosse stato fratello ». Cfr. Staffetti, La Congiura del Fiesco cit., pag. 36. E partecipando il· caso ai reggenti mantovani, diceva «li novi a/cc:denti causati da un tradimento fatto dal Conte Fiesco, dominica passata che frono li dui del presente circa le dieci hore di notte, il più abhorrendo che forse sia mai seguito principalmente contra il servitio di S. JÆ.tà.... et successivamente contra la persona mia e di Giannettino mio Nepote, conversando il detto Conte con ambidui come se a me fosse stato figlio et a. lui fratello ». A. Neri, Andrea D'Oria e la Corte di Mantova, pag. 110. &> GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Gian Luigi andò sull'ora ventitreesima dell giorno - a casa D'Oria, .parlò per un’ora, nella camera dove il Principe era ma lato di podagra, con Giannettino, presso la finestra, a bassa voce, dopo aver baciato i tìgli di Giannettino, fra cui Pagano che era lattante e che il Fieschi pigliò in grembo e baciò più volte (1). Potevasi uccidere Giannettino anche altra volta, poiché nè lui nè i famiglia-ri portavano armi, e uscivano anche di notte così. Tra i fa miglia ri si dava 11 queste ragioni : « Haec inimicitia habuit ortum quia Io. Aloysius cum triremibus suis sumpserat onus vehendi serica ex insula Siciliae, quod admodum aegre tulit dictus Iohannettinus dicens Iunx* verba una die: I nus schiffus mearum triremium capiet illas quattuor triremes Goni itis Io. Aloysii )) (2). Riassumendo : la congiura· deve considerarsi in quel tempo che 11e ha tante di famose — sotto il duplice aspetto di un tentativo d'insurrezione genovese connesso ad una rivolta italiana. Gian Luigi, audace fino alla temerarietà, è intollerante dell’alterigia crescente dei D'Oria, particolarmente del nipote d* Andrea. Male adattandosi al decadimento della sua casa, intesse trame, esagerate spesso, con i Francesi, col duca Pier Luigi Farnese, esageratore spesso della politica del pontefice (3), e macchina la 'sua cospirazione fomentata, particolarmente, da quei nemici di Carlo V or che la Spagna è in prevalenza sicura, e mentre contro l'esorbitante suo imperio si congiura dal Burlamacehi, dal Faitinelli*, dal Mormile e poi da Giulio Cybo nel 1548. Sottrarre Genova al protettorato dell*Impero e alla so-praincombente influenza dei D’Oria, ristabilirvi il governo (liliale con Barnaba Adorno, mettersi sotto il protettorato della (1) Deposto di Paride Pinelli, Busta Pae-i. 323. (2) Deporto di Lodovico Minuerio cit.. francese, già paggio di Gian Luigi \ec-chio. Questa quistione delle sete dipendeva dal fatto che Gerolamo Fiochi a\ea portato di Sicilia sulle sue galere le sete dei mercanti genovesi eh© Giannettino era solito condurre con le sue. Di qui la controversia. (3) Il Capasso esclude la complicità del papa. Cfr. Paolo III. Messina, Principato 1921. Voi. II. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 33 Francia, aver propizio il papa e i Farnesi, ecco il disegno dell'ambizioso Gian Luigi Fiesclii, che ne sperava il riacquisto del dominio in Genova e sulla Riviera e il consolidamento di possedimenti feudali dal Pontremolese alla Val di Taro. Ma dovea mancargli il concorso sperato. Aveva trattato col Cristianissimo per ottener aiuti e toccato qualche denaro con la promessa di un’annua provvigione e d’una condotta di lancie : Pier Luigi con intesa del cardinal Farnese aveva fatto larghe promesse e del papa sperava l’assenso. Da costoro e da quanti conosceva avversi al D’Oria il Fieschi ebbe promessa d’uomini e d’armi. Per ogni eventuale opposizione de’ nemici raccolse buon numero di soldati, disperdendoli, prima, ne’ suoi fondi e facendoli poi, man mano, con scaltriti espedienti, penetrare in città, anche travestiti e confusi con altra gente. Parte ripararono nelle case dei congiurati, i più in Violata e nei luoghi attigui. Ancfae quattro galere che fin dall’ottobre del 1545 aveva acquistato dal Farnese a prezzo conveniente accrebbe di gente di spada e di remo, sotto colore di mandarle al corso. Una, la ('(itcrinetta, era da pochi giorni entrata nel porto di Genova per favorire la trama (1). Per la notte della domenica 2 gennaio 1547 « invitò quasi tutti li gentili huomini et giovani ricchi di populo grasso a cena con seco; li andorno, et quando hebbe il numero et quelli che desiderava Sua Signoria et che li parse il tempo opportuno, lesse due lettere a detti giovani, quali testimoniavano et advi-savano cliol Signor Giannettino D’Oria voleva amazzar il Conte, o con ferro o con veneno, et exhortò detti giovani che volessero essere in sua compagnia, et li aperse il suo petto. Che cosa li diss<* puntualmente non si sa, ma si dice che li disse che voleva ammazzar il Signor Giannettino et pigliare le galere et le porte. Ilaveva da 300 soldati boni et bene armati in Violà, tutti suoi (1» CallbGâei Ettore, Lo congiura del Fieschi secondo i documenti deoli archici di Si manca.* · di Genova, estr. à&WAtcneo Veneto, Luglio Settembre 1892, M. Fontana. 34 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA subditi, et erano stati eomìutti a poco a poco dentro Genova, (*on questo nome che andavano in corso, in su la galera· del Conte, che era in porto » (1). Il discorso fu tenuto da Gian Luigi, tutto armato dal capo alle piante, e quei che l’ascoltarono, due eccettuati, blandirono alle sue parole e al grido di Fieschi e libertà si disposero a seguirlo : « Immersa in uno strazio indicibile, reso più cupo dallo strepito delle armi, dalle grida dei congiurati e dal silenzio, che severo involgeva tutto il palazzo, se ne stava la giovine moglie di Gian Luigi, Eleonora Cybo. A lei si recò lo sposo. E allora, per la prima volta, le confidò il segreto dei suoi disegni, assicurandola ch’egli non avrebbe corso alcun pericolo » (2). Uscì quindi «di Viola con trecento armati et più, circa a vS bore et mezzo di notte, et subito si fece padrone delle porte dell'Arco et della Cazola (Acqua-sola). Preso le due porte, s’inviò a quella di S. Tommaso, et subito la prese, et fatto questo andò alla Darsena con gran rumore et pareva si combattesse le galere » (3). Mentre era ingaggiata fiera battaglia per le galere del D’Oria, il Fieschi balzava da una nave all’altra, salendo poi sul ponte posticcio di una semplice tavola (scalandrone), che posando per una parte sul lido, andava, con l’altra, ad appoggiarsi sopra la scaletta vicino alla poppa. Piombò, a un tratto, per l’ondeggiar della nave, insieme col ponte, giù nell’acque limacciose della darsena (4). Un po' pel frastuono della battaglia, che durò, nella darsena, dalle 9 alle 14 ore, un po' per l’oscurità della notte nessuno s: avvide di quella caduta, epperciò Gian Luigi, impacciato (1) Da una relazione della congiura fatta al Cardinal Cybo il 5 gennaio 1547, da Genova. G. Staffetti, La congiura nel Fiesco c la Corte di Toscana, cit. pag. 33. (2) Callegaki, op. cit. pag. 32. (3) Saftetti. Relaz. cit. al card. Cybo. (4) La galera che il Fieschi aveva nel porto imbarcò i prigioni fatti e, tornata verso Violata, dopo aver imbarcato vari canotti di soldati partì, vereo levante, in sull'ora 16a. Le 20 galere del D’Oria furono svaligiate e sferrati li schiavi. Ma, la Temperanza, fu menata via da 3 o 4 cento di costoro. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 35 com'era dal peso dell”armatura e privo di soccorso, miseramente annegò (1). Nè diversa fortuna toccava ali-emulo suo. « In quel mezzo volendo (riannettino, qual era in casa, andare* a riconoscere il rumore clhe s’era sentito alle galere, et non pensando mai nel tradimento della porta della città, ch’era prosa, come fu intrato in quella restò morto da quelli traditori che la occupavano » (2). Così lo stesso Principe D’Oria comunicava al Duca Cosimo de’ Medici la morte del diletto nepote. Occupate le porte della città e la darsena, combattute e saccheggiate le galero donane, ucciso Giannettino, i congiurati, clic avevano avuto severa diffida di non far alcun male all vecchio Andrea D’Oria, si dispersero per la città per suscitare la rivolta nel popolo. Ma conosciuta la morte di Gian Luigi lo scoramento invase l’animo di tutti, nè il popolo si mosse, tanto ohe, ricordando l’avvenimento, sei anni dopo, il Senato poteva scrivere all'oratore a Vienna aliate Di Negro: « Non potria esser maggior fedeltà in questo popolo nè più zollo verso questa Repubblica de quelo havemo provato alli 3 de gennaio del 47, poiché all'hora el ,ροροί tutto havea l'armi in mano et li nemici di questa patria, grandi per natura, all'hora, adesso per gratia di Dio estinti, con Parimi in mano, disfate le galere, morto il (1) A mi rea D’Oria dava al Duca di Firenze questa variante: «Volendo montar »u la galera capit&nia li fu data una archibusata in testa, per quanto afferma uno che gli stava appresso, et cadete in mare, ove resta affogato ». Ma il particolare manca di conferma. i2) Stappetti. La Congiura del Ficsco, c«t., pag. 37. Pietro di Val di Taro, nei cit. Interrogatori, depone che in porto c’erano quattro galere di Spagna (quelle di Don Bernardino di Mondo ta) ohe non furono tocche per consiglio dello stesso Gian Luigi. · Ipso teste praesenti dicit hunc ordinem dedisse: Uni nuncupato Cambialancia quod accederet a di gennaio (1). Si disse che Giulio Cybo, per essere cognato di Gian Luigir si tosse mosso dal suo Stato alla volta di Genova per correre in aiuto della fazione fieschiuà : ma non regge questa opinione alla prova dei fatti. Innanzi tutto è contrario al vero ch’egli fosse tra’ congiurali di (ìian Luigi e fu invenzione dello Schiller avercelo posto nella famosa sua tragedia (2). Come già vedemmo fra Gian Luigi e il cognato correvano, in quei giorni, tutt’altro che buoni iapporti : Giulio non nascondeva il suo mal animo contro il Fieschi, perchè lo sapeva sostenitore di Ricciarda contro le ragioni da lui vantate sul Marchesato di Massa. E, dall’altro lato, l’aiuto recentemente prestato da Giannettino D’Oria al giovane Marchese aveva cresciuto l’antagonismo del Fieschi contro il cognato, antagonismo da mutarsi addirittura in contrarietà che il novissimo parentado del Cybo coi D'Oria avea indubbiamente suscitato. Non si mosse, dunque, Giulio verso la Liguria, col disegno di concorrere alla disegnata congiura del Fieschi, di cui non avrebbe, certo, assecondato in quei giorni gli ambiziosi propositi. Nella causa di Scipione de’ Fieschi, venti anni dopo, si volle ricercare una possibile intesa; ma i testi la escludono: Ricciardo Lombardelli dichiara esplicitamente che Giulio partiva per Genova quando avea saputo della morte di (ìian Luigi e di (ìiannettino, i due emuli; e nel commento all'interrogatorio è detto: Però non venne in aiuto più d’uno che di un altro cognato. Poco dopo, in capo a quattro giorni, si (1) Tanto riferiva, fra gli altri, Battista Belmeseeri, dichiarando che era presente quando l'inviato del Marchese di Fosdinovo avea portato la lettera a Carrara, e che aveva accompagnato Giulio a Genova. Paesi, f. 333 cit. (2) Per quanto v'ha di storico in quest’opera e quanto v’abbia introdotto il poeta per libera inveratane cfr. Weltrich Richard; Schillers Fìesco und die oetcliichtliche WahrhHt. Sonderabdruck aus - Veróffcntlichungen de* Schwab. Schiìlervereins » r[I vom III Bande des - Mnrbacher Sehillerhucht », Juli 1909. partì da Genova per muovere all’impresa di Pontremoli che do-veasi togliere ai Fieschi per passare alla Camera imperiale, il capitano Bilia, di Massa, in quegli interrogatori dichiarava che Giulio odiava i Fieschi per la parentela contratta con Giannettino loro nemico. I Pontremolesi, secondo il deposto di Battista Beimessori, inviarono un messo a Don Ferrante Gonzaga perchè mandasse un suo delegato a pigliare il possesso della terra, come accadde, sicché Giulio Ovbo, come lo seppe, non proseguì oltre Aulla (1). * * * Poiché Tanno successivo, effettivamente, il Marchese di Massa si gittò dalla parte di Francia, dei Fieschi e dei nemici di Spagna, allora il suo tentativo potè considerarsi una continuazione della congiura tìeschina. E intatti in chi procedeva agli interrogatori nella causa di Scipione, come appare dai commenti apposti alle deposizioni, c era la preoccupazione di voler trovare Giulio Cybo connivente eoi Fieschi anche nel moto del 1547 : il che non fu. La conclusione positiva è che il giovane partì da Massa impetuosamente, senza esser ben sicuro di quel che poteva accadere, ma certo senza nessuna intesa col Fieschi. Λ istosi, poi, più tardi, maltrattato dal D'Oria nel contrasto con la madre, come dispe iato si mise fra quelli che erano anche nemici del Principe. Alberico Cybo, al proposito, ha ne’ suoi Ricordi queste prudenti parole al riguardo del fratello : a L’anno 1547, di ge-naro, nel trattato del Conte Fiesco di Genova, «Tulio Cybo andò, non sapendo il fine di quel tumulto, con molta celerità verso Genova con 2500 homrni di Massa et di queste parti, et a Sesti i li fu fatto entend ere el successo et che n’andasse con 300 soldati, il che fece ». a Julio Cybo, per ordine deili ministri emperiali. nella occupazione che fecero del Stato del Conte Fiesco per el trattato che coulisse en Genova, andò con 2000 fanti et artiglici ia λ orso (1) Per i cit. Interrogatori, Bunta Pattai, 333. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 39 Pontremoli, ,per espugnarlo ; però, en tendendolo, loro si resero, essendo egli già» in Laùla » (1). Ajpfpena giunto a (ìenova Giulio era stato a confortare la sorella Eleonora, rimasta così infelicemente priva dello sposo e minacciata della ruina della sua casa. Ne scriveva al cardinale zio : Rever.mo et Jll.mo Signor mio, li ieri scrissi a V. S. (R.ma quanto m’occorreva dirle dintorno alle •cose di mia sorella (2). Mora mi pare di aggiungere che non havendo Leonora qualche donna die sia al proposito per accompagnarla quando se ne verrà al paese, V. S. R.ma mandasse a torre o la Duchessa di Camerino (Caterina Cubo-Varano, sorella d'Innocenzo) o la Contessa di Cajazzo (Ippolita Cybo, altra sorella del cardinale, vedova, dai 1532, di Roberto Sans&oerino, conte di Cajazzo e Colorno), acciò ch’una di loro, quale le piacerà, le potesse far compagnia, altrimenti non veggo che gli si faccia quel dlie a lei si conviene, sì come V. S. R.ma ottimamente conosce. Alla quale non mi occorrendo per hora dirle altro, mi raccomando e bacio le mani. Di (ìenova alli Vili di Gennaio MDXLVII. (segue autografo). lit anche perchè ella è molto disperata et non la posso a mio modo governare, sarìa bene che V. S. R.ma le scrivesse in esortarla a far quelle cose che per bene et necessità se li proponeno, che la non vuol puro mangiar un boccone, talmente che ella non è in molto buon tenni ne. Di V. S. R.ma Servitore et Nipote Il Marchese di Massa (3). • * * Lo tragiche morti de' due giovani emuli, Giannettino, rimasto vittima d’un colpo di archibugio presso la porta di S. Tommaso, e Giovali Luigi, piombato in mare da uno scalandrone e affogato miseramente nelle verdi acque della darsena, se troncarono, a un tratto, ogni movimento di ribellione, portarono un (1) Il Libro di Ricordi cit. pag. 14. (2) Questa lettera manca nell’Arcbivio di Massa. (3) Arch. di St. in Ma-ssa, cart. cit. ad ann. 40 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ben crudele dolore alPafflittissima Eleonora. L infelice, così duramente provata dalla sorte, riparò nel monastero di S. Leonardo,, prossimo al palagio di Carignano, presso la cognata Suor Angela Caterina Fieschi, monaca in quel convento. Alle sollecitudini sa : Carteggio originale de’ CytK. Littere al cardinale Innocenzo, ad annum. 42 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELI A LIGURIA Pochi giorni dopo lo stesso Gerolamo Fieschi mandava alla marchesa Eicciarda Cybo Malaspina. madre di Eleonora, questa interessante missiva : 111. S.ra marchesa quanto matre osservandissima, Poi del miserando caso seguito della felice memoria de nostro fratello, non ho scritto a V. S. per non aggiùngere a quella e me maggior dolore. Al presente che si ha da partire da Genova la nostra signora Cugnata e-Sorella, se fa questa supplicandola che, non ostante il giudichi superfluo, la vogli Ih avere et tenere, nel solito loco de buona figliuola, e io, non ostante si parti e si allontani al quanto, il che Iddio sa d * quanto dolor mi sia, voglio che sempre Sua Signoria sia libera patrona de me e stato mio cossi richiedendo li suoi generosissimi deportamenti seguiti dal giorno è stata in casa nolstra con quelli fatti poi la morte del detto S.mo nostro fratello in commodo e honor nostro, troppo in verità laudabili, conio a tutto il mondo e manifesto, e a noi tanto grati, che mai sono per scordarmeli. V. S. ha perso un buon figliolo, quale vi amava da vera madre, e perchè io mi tengho debitore a V. S. in più cose, yorria che quella fosse contenta accettarmi in loco suo con disponere di me e stato mio perchè la certifico che in ogni suo commandamento sempre mi ritroverà promptissimo: et io se m’aecaderà, alla libera di-sponerò de V* S. conio de mia madre, perchè per tale la tengho e reput;»: e baciando le mani de V. S. farò fine, alla qual mi riccornando, che nostro S. Iddio la prosperi. Da Montoio, alli tre de Marzo del XLVÏI. Come figliuolo Gieromino Fiesco (aut.) Alla 111. S. Marchesa di Massa la S. Risarda Malaspina quanto [matre] oss.ma A Rema (1). Ma le speranze del giovane fratello di Gian Luigi doveano riuscir vane : Andrea D’Oria quattro giorni appena dopo la morte di Giannettino si riteneva ormai sicuro e scriveva ai règgenti di Mantova : (( Dalla morte in fuora del detto mio Xepote, il resto tutto pa-ssa con la quiete et pacifico di prima, et con quella certezza della devotione et fede di tutta questa città verso S. M.tà che si potesse desiderare, la quale hanno (1^ R. Arch. di Stato in Mas*a, cart. di Ricciarda. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 43 dimostrata in questi tumulti per effetti, et similmente l’amore ohe iportano a me et a tutte le cose mie, non essendo persona .alcuna di conditione c’ babbi voluto seguire il detto Conte, per persuasione, misterio, nè arti ch’egli babbi saputo usare, che non sono state poche » (1). Nè poteva, alla risolutezza del D’Oria in perseguitar gli ultimi avanzi di quel moto, aver forza e ardire di opporsi il Cardinale Cybo, muovendosi in favor di Gerolamo Fie-schi. Al quale, appena tre mesi dopo, toccava d’essere assediato in quel castello e, dopo vigorosa resistenza, rendersi a discrezione IMI giugno. Γη mese più tardi gli veniva tagliata la testa, il castello diroccato e le terre passate in dominio della Repubblica di Genova. Le pratiche pel ricupero della dote di Eleonora furono molte e trovaron più tardi accoglienza alla Corte di Carlo V. Il 7 febbraio Eleonora faceva una procura per riavere Pernii tà di Gian Luigi suo marito: il 14 stillava un atto dinanzi al podestà per lo stesso fine e il 1(> febbraio avanzava una supplica per far valore le sue ragioni (2). Ma per allora non ottenne ascolto, nè più fortuna ebbero i suoi parenti. Quasi due anni dopo, il 7 dicembre 1548, la Marchesa Kicciarda, scrivendo, da Carrara, al Cardinale ch’era andato a Genova, tornava a insistere sulla dote della figliuola (3). * * * Mentre era ancora a S. Leonardo, l’Eleonora si rivolgeva nuovamente, allo zio : R.jiio et 111.ino Signor, Signor mio osservandissimo, Ho visto quella di V. S. R.ma e quanto mi ha sposto a bocca Messer Ambrosio Calvo (maestro di rasa dei Cardinale) al che non accadde dir altro, salvo che la prego strettamente che non risolvendosi V. S. R.ma di venir qua, vogli mandarci qualche persona di auttorità per più canile, le quali se dirano più minutamente a bocca. il Neri A. Andrea D'Oria e la Corte di Mantova, cit. Lettera del 6 gennaio 1547. pajr. 110-11. (2) R. Arch. di Stalo in Genova. Carte sparge (Gavazzo) ad annum. (3) R. Arch. di Stato in Ma-ssa, Carteggio originale .lei Cybo, Lettere al Card. 44 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA E di questo (gli ne supplico si vogli risolvere al più presto possibile,, perché così sto con troppo peso d’animo e sulevatione di niente, e restando così non se ne vede utilità nessuna.. E non mi accadendo dir altro a V. iS. R.ma, per adesso gli baccio la mano, supplicandola tenermi in sua ibona gratia e mostrare quella, tenerezza di me la quale iha sempre (mostrato la bontà sua. Da Genoa, dal Monastero di San Leonardo, a dì 1!) Zenaro 1547. di V. Signoria Rev.ma Nepote et Serva La Infelicissima Leonora La nostra Maria chara Fiesca fascia le mani di V. S. R.ma. Juori). Al R.mo et IU.mo S.re Signor mio Osservandissimo Il Sig. Cardinal €iì>o, a Carrara (1). Povera Eleonora ! Lasciata a così tristo destino da' suoi sconvolti in quei giorni per il rincrudire di contrasti fra < îiulio e sua madre per il possesso di Massa, poco potea attendere anche dallo zio, sbattuto fra tante agitate tempeste, fra le minacce del D’Oria, le preoccupazioni del Duca di Firenze e gli ordini de' Ministri imperiali, timorosi che dal focherello del Marchesato di Massa non traesse alimento un incendio che po tesse minacciare le faccende d’Italia. Quella che più si rivela trista e deplorevole, è la condotta di Kicciarda, preoccupata solo deir interesse personale (2) e quasi estranea alle vicissitudini della giovane figliuola, così provata dalla sventura, non si curando che de la ‘lieta vita di Roma. Ad arbitrio de' suoi era stata tratta dalle Murate di Firenze, appena ventenne, per collocarla nella nobilissima ca-sa dei Fieschi, nel «untuoso palagio di Violata, con uno de’ soliti matrimoni, stabiliti per volontà de’ parenti e con intendimenti determinati da considerazioni particolari di vantaggio senza tener conto delle tendenze de' figliuoli o studiarne le simpatie, ('he col marito non ci fosse la migliore ar- di Archivio di Ma^a. Cart. cit. dal Card. Cybo. ad annum. <2) Anche al Cardinale scriveva, in quei ^icrni, con la sola preoccupazione della dote per i denari dati al Fieschi. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 45 nionia già l’abbiamo valuto : mancarono anche i figli a render più saldo il legaane stretto dalla convenienza (1). E, nel tragico fato, era perito, col marito, anche colui che le aveva dimostrato tanto attaccamento, quel Giannettino le cui assiduità parvero spingersi ipiù innanzi di quel che il dovere comportasse. Ohe rimanevale, ormai, in Genova, quando, priva della tenerezza materna per confortarla, 11011 doveano bastarle i deferenti rapporti con la madre di Gian Luigi, la suocera Maria, cara, sì, ma anch’essa nel tramonto di una fortuna? Talché non le restava, per allora, altro ricovero migliore di quello ond’era uscita quattro anni innanzi. E si rinchiuse, novellamente, alle Murate. Fu nel marzo successivo, proprio mentre jpiù vivaci erano l<* pratiche per far depositare a Giulio Cybo lo stato, preso da pochi mesi con l’aiuto di Giannettino. S’incontrò con lo zio Tardi naie che mandatole incontro il vescovo di Yolturara, Girolamo Vecchiano, suo maestro di rasa, da Carrara, si era mo*?so alla volta di Genova, invitato da Andrea D’Oria : ma non era andato oltre Lerici ili), trattenuto dalla nuova che Ricciarda aveva operato in modo che a Giulio converrebbe tosto restituirle il marchesato. Una lettera di Lorenzo Pagni a Pier Francesco Riccio, del 0 marzo 1547, da Pisa, ci avverte : « Qui comparsero hiersera il Cardinale Cv1h> e la Signora Dianora, sua nipote, che fu moglie del ('onte Fiesco : et S. S. R.ma e stata chiamata dal 1 Mica Nostro Signore per dargli in deposito lo Stato di Massa, perchè non habbi a ire in mano di Don Ferrando Gonzaga, non ostante che il Signor Marchese Giulio fusse ostinato di non fare tale deposito in Sua Reverendissima Signoria et tampoco in Don Ferrando, che era appunto la ruina sua. Ma a persuasione di S. E. (il Duca Cosimo) et del Principe D’Oria si è ridotto alla buona via et si contenta di depositarlo in detto Cardinale. (1) Gian Luigi ebbe un flplio naturale. Paolo Emilio, la cui discendenza continuò in Francia. (2) Innocenzo scrive al duca Cosimo, da Lerici, il 13 marzo 1547, che « aspetta la Dianora », R. Arch. di Stato in Firenze. Mediceo, fil. 3718. 4(5 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Ma con queste condizioni però : che S. S. Rana habbi a mettere nella fortezza persone confidenti a'1 Duca Nostro Signore, che tutto sta bene» (1). Su tali pratiche getta lume questa lettera del Cardinale a Don Ferrante. Ecc.mo et Ill.mo S.a Don Ferrando, Per el correro suo ho ricevuto la di V. Ecc. di 14 di questo con la copia della lettera della S.ra Ma/rdhesa di Massa, la qual lettera è venuta in tempo che rs.mo Principe d’Oria et S.r Duca di Fiorenza conformi, hanno mandato qui a persuader Giulio a condescendere a questo deposito in mia mano; et così il padre parimente ci era venuto in persona a tal effetto, acciò che più facilmente si potessi venire a qualche giusta et honesta compositione, come convenientemente tra madre et figliuolo si ricerca et vedere di levar questo fastidio a V. Ecc. in questi tempi maxi-mamiente che non-li ne manchano delli altri et di magiore importanza, et così che S. M. dalle cose mie r.on havessi a haver molestia di pro-vedere per giustizia, alle debolezze nostre. Li detti S.mo Principe, Duca et Padre, conoscendo hora quello che nel principio che favorirno tal cosa forsi non vedevano, «hanno fatto vivamente ogni officio con Giulio di exhortarlo al disopra, ma nè Γautorità, loro nè la mia ha. bastato che lo voglia fare; però resta solo che l’E. V. con la sua et con la di S. M., alla quale detto Giulio si rimette, et di ragione non doverà manchar, ojperi cilie quello ohe uè io nè suo padre nè Ί Principe, nè ’l Duca ha potuto fare faccia ella, essendo, com’è, in man sua il poterlo effettuare, et perchè daUa Corte mi fanno intendere che quando io possa assettare queste nostre cose ohe S. M.ta restava servita che io le componessi, et non potendo che si era scritto a V. Ecc. lo dovessi fare lei, et se la commissione sopra di ciò dattali non bastava che si provederia di noyo ordine, secondo ’l bisogno, onde la prego sia contenta di avisarmi hor che sono per mandare un homo mio alla Corte se ho da supplicare a S. M.ta circa a tal negotio et se ella ha ordine sufficiente che basti, perchè la può pensar che vedendo questo fuoco acceso in casa mia, dal quale continuando non ne posso aspettare di vedere se non rovina, che porteria ancho incomodo al servitio della p.ta M.ta, in che ansietà io mi trovi et sin che io posso non voria manchare di darli tutti li rimedij per me possibili. Et sempre che essa delibererà procedere a questo effetto, come in quella spero, piaccili scrivere al S.a Duca di Fiorenza di buona maniera exortandolo a voler col mezzo suo favorire le commissioni di S. M. et (1) R. Arch. di Stato in Firenze, Mediceo, fil. 1173. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 47 •dar remedio che non iusurgonó nuovi scandali et inconvenienti ohe son certissimo non le manicherà et così anchora al S.re Principe D’Oria qual doverà hayere caro dhe si pigli qualche buon L>exto a questi travagli, acciocché havendo messo sua nepote iin Casa nostra, essa venga in casa di quieta et non si triibulati-onj, si che di nuovo la prego con tutto M cuore c'he voglia abbracciare questa faccenda et trattarla come cosa sua, certificandola che metterò questo obbligo tra infiniti che li tengo et non essendo io bastante :i remunerare l’Ecc. V. di tanti ottimi officii che ha fatto et fa del continuo per me et per tutta Casa mia, pregerò N. S.re Dio che esso sia che per me suplisca donandoli quajnto essa desidera. Da Carrara alii XXI di Febbràio XLVII Di V. Ecc. Come fratello et S.re In. Car.le Cibbo. in mezzo a queste dolorose vicissitudini ricompare l’ambigua <* scialba figura di Lorenzo (\vbo, fratello del Cardinale e padre di Giulio. Non gli piaceva che il figliuolo si opponesse ai desideri di S. M. e del Duca di Firenze, però, lasciandolo libero nel governo di Massa, s’era ritirato nelle private possessioni di A guano, in quel di Pisa·, ,pur consigliandolo al deposito. Presso del padre, in Agnano, riparò Eleonora. Ma quando Lorenzo si accorse che il Cardinale suo fratello segretamente favoriva Ric-ciarda, temendo che costei avesse a tornar padrona di Massa incitò Giulio a resistere, esempio lagrinievole di odio fra figliuolo e marito, da una parte, madre e moglie dall’altra. Giulio, come disperato, tentò ogni espediente, inviò fino a Pier Luigi Farnese un suo messo: riparò poi presso il padre in Agnano dove, la notte del 17 marzo, Cosimo de’ Medici lo fece arrestare, per rompere ogni pericoloso indugio, e trasferirlo nella fortezza di Pisa. Così Leonora, partita di fra gli sgomenti e le angosce di (ìenova, trovavasi a Pisa fra i tormenti de’ suoi famigliar!. 11 20 marzo Giulio era indotto a depositare lo Stato in mano (1) R. Arch. di Stato in Modena, Carteggio Principi esteri. Carteggio del Cardinale Cybo. ad annuxn. 48 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA <11 suo padre, timoroso eli qualche più grave riscJhio del figliuolo, e la cessione Lorenzo la riceveva a nome del Cardinale. Pochi dì appresso genti di Cosimo prendevano possesso di 3Iassa in nome del cardinale Cybo, e Giulio, dopo un lungo colloquio col Duca di Firenze che lo incorò a pacificarsi con la madre, ma per allora invano, dimesso dalla fortezza di Pisa, se ne partì per Fosdinovo dov’era la moglie Peretta 1) Oria presso la sorella Luisa Vittoria, moglie di quel marchese Giuseppe Ma-laspina. Parve che, trascorso l’aprile, venisse a più miti propositi perchè, ai primi del maggio successivo, recavasi a Roma- dove addivenne ad accordi con la madre che non potevano essere sinceri. Presso Ricciarda in quei giorni era il più giovane de’ fratelli Fieschi (1). Ne avvertiva il cardinale Innocenzo Stefano Spinola, con sua lettera del (> marzo 1547, da Genova, in cui di cevasi che Scipion Fiesco era alloggiato a Roma presso Ric-ciarda, aveva ricevuto spesso udienze dal Papa, cui avea ricercato le galere, ma non l’aveva ottenute, avendogli risposto S. Santità che potea bastargli gli avesse conservato Calestanò e il Rorgo Val di Taro, e così le aveva fatte consegnare al Garibaldo, con sicurtà di 24 mila scudi. 11 fi di Maggio 1547 Giulio Cybo scriveva, da Roma, allo zio Cardinale dandogli avviso del suo arrivo colà. Gli diceva d aAer concordato (( che V. S. R.ma tenghi lo Stato di costì a nome della Signora mia madre ». Gli raccomandava le cose sue : (( Hor solo (1) R. Arch. di Stato in Massa, Cartgg. del Card. Cybo, ad annum. Anche Leonardo Platone, ne’ cit. Interrogatori, depone che Scipione stette a orna 17 mesi. Se usciva andava da don Diego di Mendoza e dal Cardinal di Carpi, pere e lo aiutassero presso Cesare. Nell’aprile del 1548 partì da Uoma. Nega risolutamente che Scipione congiurasse con Giulio Cybo, che reputava nemico. Attendeva alle le. tere, e il cardinal Cybo era per resignargli l’arcivescovato di Torino. Scipione e e da Donna Giulia Gonzaga lettere pel cardinale di Arras col consiglio da accedere a Cesare. — Busta Passi, 333, R Arch. di St. in Genova. Gio. Francesco Fieschi, vescovo adriense, depone che Ricciarda avea proibito a Scipione fin di parlare « cum dicto Julio ne ipsum de medio aliquo veneno tolleret ». Attesta di papere che, sforzato dai tormenti, Giulio, nel suo processo a Milano, accusò Scipione di complicità, ma poi, non volendo morire con quel peccato, lo sco po. Interr. cit. Genova. Cfr. Note prec. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 49 le ricordo et servilmente supplico, a non lassar dietro la cosa di Genova della dote (promessagli da Andrea D’Oria iper la nipote Peretta), che ben sa ella istessa quanti e quali pericoli dentro vi si covano » (1). Contava di ipoter mettere insieme 40 mila scudi per tacitare la madre. * % *- Proprio in quei giorni l’Eleonora era rientrata nelle Murate a Firenze. Ne dava particolare ragguaglio al Cardinale Lorenzo padre di lei, do,po avercela accompagnata da Agnano. ■Reverendissimo Signor Mio, Con lo aiuto di Dio si è arrivato a Firenze et posto la Leonora nelle Murate, molto gratamente ricevuta da quelle anadre; et ce è ristata con le suo doi damigelle, et si aspetterà la Theodorina (Cybo). In questo .mezzo dalla badessa li è stato ordinate alcune monache per sua compagnia. Hieri non si possette andare a dare ordine al resto rispetto al tempo : oggi, a Dio piacendo, si manderà la Agostina verso Agnano et quel Domenico Luna con ordine di volersene tornare a Carrara; l’altro resterà li mezo, et venendo la Theodorina, non accaderà altre persone di donne, maxime faceendo resistenza le monache d’accettare queste; pur si sono contentate; et havendo a scriverli poi di quel che si risolverà, per hora non li dirò altro, salvo che li baso le mani. Di la Loggia (2) il dì 5 di maggio del XL VII. Il solito servitore di V. S. R.ma Lorenzo Cylbo A1Γ111.mo et R.mo Sig. mio osserv.mo Cardinale Cybo a Carrara (3). * * * ►Se il ridursi nella pace delle claustrali mura potè giovare all’animo afflitto di Vittoria Colonna e di Giulia Gonzaga, raccolte in meditabondo silenzio in quei giorni in cui le varie questioni della riforma accendevano gli spiriti e le teorie della giustificazione per la fede sollevavano tanti dibattiti, mentre ormai una riguardosa prudenza imponevansi nel trattare de’ problemi (1) Id. ilidem. (2) La Loggia a Montughi. (3) Arch. di Massa — Cart. del card. ad. annulli. 50 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA religiosi, divenuti ardui a discutere dopo il prevalere delia parte del Caraffa, non così doveva accadere per Eleonora. Troppo giovane ancora, (era appena ventiquattrenne) e dopo dhe iper brev’ora s’era affacciata agli splendori della superba (ìenova, lusingata, in uno de’ più sontuosi palagi, dalla cortigiania di quello che, in Genova, solo potea sfare a fronte dell’altero consorte, Gian Luigi, l’ardimentoso e audace (ìiannettino D’Oria ; tornare a chiudersi nelle Murate, dal tristo nome, non potea esserle tollerabile a lungo. Rinserrarsi quindi in quel chiostro dove aveva passato 1 primi anni giovanili e dond’era uscita con tanto impeto di liete speranze, fu per la giovanissima vedova molto amaro. E ben presto ebbe più vive ragioni di rammarico (piando .si accorse che Lorenzo, suo padre, il cardinale Innocenzo, suo zio, e quella trista Ricciarda, sua madre, che a ben altro volgiti l’animo che alla felicità o alla quiete della figliuola infelice, per quanto non fossero concordi nel resto, in questo s’intesero, nel volerla —cioè — mantenere nella più stretta clausura per disporne a loro arbitrio. Quando la giovane donna fu certa di queste macchinazioni, che avrebbero dovuto condurla a nuovo parentato combinato a loro arbitrio da’ suoi e secondo i particolari loro interessi, si ribellò contro di costoro risoluta a impedire che, per la seconda volta, si dovessero mercanteggiare le sue nozze senza consultarla. Pensò pertanto di rivolgersi al Duca Cosimo de’ Medici e costui si prese a cuore la pratica, andando incontro alle proteste de' parenti della Cybo. U 3 di Maggio del 1548 Cosimo de’ Medici proponeva a Monsignor de’ Rossi, vescovo di Pavia, che il conte Troilo suo nipote sposasse <( Dionora Cybo che fu consorte del Conte del Fiesco » (1). (1) R. Archivio di Stato di Firenze, Mediceo Carteggio di Cosimo I, Filza 11. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Pochi dì appresso il vescovo, da Milano, rispondeva al Duca : « Circa il parentado ch’Ella mi scrive di quella di Cybo, mogliera già di quel di Fiesco, essendone stati proposti al conte Troylo, mio nepote, da quattro o sei buoni, si è risoluto di star ancora qualche giorno prima venghi a conclusione nessuna. Et per quanto posso rendo infinita gratia a V. E. della memoria tiene di far beneficio alla casa mia, et lo aggiungerò a gli altri infiniti obblighi tengo con la S. V. » (1). (Continua) LUIGI StAFFETTÌ (1) R. Arch. di Stato iti Firenze, Med-iceo, fil. 387. V A R I ET A’ SULL’ORIGINE DEL TRICOLORE ITALIANO. II {problema dell’origine del tricolore italiano viene riaperto da. Nicola Ferorelli (1), ritornando sulle note conclusioni, comunemente accettate, a cui era pervenuto, fin dall 1S97, Vittorio Fiorini : che cioè il tricolore nazionale assumesse vero valore di simbolo politico soltanto il 7 gennaio 1797, allorché Giuseppe Oampagnoni lo propose al Congresso di Reggio come emblema della Repubblica Cispadana. Per il Fiorini non si dovrebbe risalire, nella questione di quell’origine, oltre la venuta dei Francesi in Lombardia (maggio 179C>) : mentre d’altronde la bandiera bianca rossa e verde, data nell·ottobre del 1796 alle legioni lombarda e italiana, non sarebbe ancora che un semplice distintivo militare. Ma il Ferorelli osserva come i patriotti che proponevano la formazione di tali milizie fossero animati da sentimenti e da aspirazioni veramente nazionali ; come essi pensassero ormai — e non da questo momento soltanto — a « tutta l’Italia », e la vagheggiassero ricomposta in un unico stato, in una repubblica indivisibile. Onde egli si domanda : « Ma se dunque la creazione di milizie indigene rappresentava sentimenti, propositi e speranze di pura italianità, perchè la bandiera assegnata alla le gione lombarda coi colori scelti da quei patriotti, come nell’ll ottobre scriveva Bonaparte, non doveva simboleggiare gli stessi sentimenti, gli stessi propositi e le stesse speranze ? » Ma neppure a questo avvenimento occorre fermarsi; bensì, risalendo più indietro, bisogna ripresentarsi il quesito del come, quando e dove sorse l’unione dei tre colori a noi sacri. Una soluzione «definitiva » ed esauriente sotto tutti i punti di vista, non pare ancora raggiunta. Si ha l’impressione che altri dah (1) La vera origine del tricolore italiano in Rassegna storica del Risorgimento, 1925, fase. Ili, pag. 654. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 53 —torniti da documenti di magistrati inquisitoriali e di polizia, da lettere di patriotti, da gazzette contemporanee — possano portare nuova luce in proposito; sebbene non sia da dissimularsi la possibilità che elementi preziosi d’informazione siano irreparabilmente perduti, per lo stesso tumultuoso svolgimento degli avvenimenti, Foceulta preparazione delle trame e degli eventi fra le persecuzioni e Postile vigilanza dei governi. Comunque, un primo punto accertato si è il modo e il tempo in cui apparvero i nostri tre colori uniti, sia pure senza avere assunto ancora una significazione nazionale. Il Ferorelli, basandosi su dati attinti da gazzette del 1789r particolarmente da quelle milanesi, che ebbero maggior importanza nella diffusione delle notizie defila rivoluzione, e sopra un documento pubblicato dal P. L. Levati e tratto dal R. Archivio di Stato di Genova, stabilisce cihe le informazioni sulla coccarda francese ad uno, a due e a tre colori (verde; turchina e rossa; bianca turchina e rossa), si propagarono in Italia attraverso specialmente i pubblici fogli in modo inesatto, determinando la formazione delPopinione che a Parigi, fra il 12 e il 15 luglio, al primo ((riclamo del terzo stato» verde, se ne sostituisce uno bianco-rosso, e quindi la coccarda a tre colori costituita dall’unione di quelli qui sopra indicati. La semplice imitazione, spontanea e diretta, delPesempio francese è, nei casi italiani del 1789 — noti specialmente quelli d(dlo stato pontificio e di Genova — evidente; e ciò appare in modo chiarissimo dall’importante documento del 21 agosto 1789 reso noto dal Levati, in cui gli Inquisitori di Stato della Repubblica avvertono la presenza in Genova della « nuova coccarda francese bianca, rossa e verde introdotta, da poco tempo In Parigi ». Nessun significato politico nazionale, dunque, vi è ancora in tale simbolo. Ma questa fortunata combinazione dei tre colori, alla quale il caso e l’errore aveva contribuito, non doveva più dissolversi, votata ormai a grandi destini. Anche quando fu conosciuta la 54 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA vera coccarda francese — il che avvenne certo ben presto — il nostro tricolore fu conservato, ed allora appunto esso dovette assumere un nuovo valore, che lo differenziasse da quello stra niero. Per opera di chi e in qual modo ciò sia poi avvenuto, è quanto non è ancora precisato, se pure sarà mai possibile precisarlo. Si deve forse tal fatto all’anonima volontà di un’esigua schiera propagatrice di un movimento ideale, che andava man mano allargandosi? Certo i patriotti italiani, quei patriotti nei cuori e nelle menti dei (piali eran germinati l’amore e t’ideale di una grande Patria italiana assai prima che squillasse la diana di Parigi, dovettero per tempo accogliere un simbolo che, offerto dalle circostanze contingenti, veniva a rappresentare questo loro alto ideale. Tali circostanze contingenti non sono peranco ben definite, e il moviménto fu senza dubbio assai complesso. Gli impulsi erano vari, i sentimenti ed i fini disparati. La tendenza regionalistica, il prevalente carattere economici)-sociale del moto più vivamente si affermano ; il concetto unitario si fa strada con maggior difficoltà. Ora il sim'bolo tricolore non poteva assumere significato nazionale se non quando la coscienza della Patria non si tosse rinvigorita attraverso l’intensificazione dei contatti fra i patriotti delle diverse regioni e la concretezza dell’azione. Per questo non a torto il Ferorelli ferma il suo esame sugli avvenimenti dell 1794, nel qual anno appunto, con l’allargarsi dell’attività politica nella penisola, riappaiono i tre colori in parola e questa volta con valore che si può ben dire italiano. Negli anni precedenti, mentre molti avevano presa la vera coccarda francese, .si vede usato in taluni casi un distintivo bianco-rosso, come quello detto (( genovese », che fu adottato nel moto popolare di Portomaurizio del 1792. Ma nel 1794 col bianco e il rosso ritroviamo unito il verde. Il Ferorelli cita un rapporto dell’ottobre di tale anno al R. I. Consiglio di Governo di Milano, in cui si parla di un tale elii- GIORNALI·: STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA rurgo di Politezza, Giovanni Gottifredi, capo di una società locale detta (( Assemblea francese » e acceso fautore delle nuove idee, informandoci, fra l’altro, come detto chirurgo fosse comparso sul lago di Lugano « sopra una barca oltremodo adobbata, coperta di frondi e portante in mezzo un albero con due bandiere, una bianca e Paîtra rossa». La presenza dei tre colori (( sotto forma di bandiera » :— il verde essendo rappresentato dalle fronde — non è dubbia per il citato autore. 11 quale inoltre ridà al verde della fodera delle coccarde e della tracolla pre parate da Luigi Zamboni a Bologna per il fallito tentativo di insurrezione del 1794, tutto il significato negatogli dal Fiorini, che, tenendo conto soltanto dei due colori, bianco e rosso, messi in evidenza, in dette coccarde ( tracolla, li considerava semplicemente come ricavati dallo stemma della città pontificia. Se in questi esempi e in qualche altro del genere, la comparsa del tricolore 11011 è del tutto chiara e precisa, due anni dopo, nel settembre del 1796, prima ancora della costituzione delle legioni lombarda e italiana, una vera e propria bandiera bianca rossa e verde venne spiegata — secondo informa il Cantù — nella dimostrazione popolare, durante la (piale si bruciò in piazza del Duomo a Milano la Basvillimia del Monti. Ma assai prima di questa data, nota il Ferorelli, abbiamo (( la sicura riapparizione del verde in Liguria»; anzi, aggiungiamo noi — come vedremo tra breve — del completo tricolori» o A italiano. Anche qui si tratta di un brano di documento dell’Archivio di Stato di Genova, brano pubblicato dal P. Levati e a proposito del quale così si esprime il l'erorelli : «notevolissimo fra tutti ì casi da Ini (Levati) raccolti dell’uso di coccarde e di distintivi in .Liguria, quello del soldato Perazzo. Questi, abituato coi commilitoni genovesi nel 1794 a suonare ed a ballare la Carmagnola nella fortezza di Savona, (ni a deridere le truppe austriache di guarnigione nella città, fu scacciato dal generale tedesco barone Dew'ins, perché erasi recato ad ascoltare la banda militare col cappello ornato di un « piti mazzo rosso e verde ». Piumazzi 56 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA di tali colori non esistevano nell’esercito genovese. — Ora la sicura riaipparizione del verde in Liguria durante il 1794 non è priva di importanza » (1). 11 documento in parola (Collegi diversorum, filza 389), che già prima avevo avuto occasione di esaminare per altri scopi e che ora di nuovo consultai per accertare l’esattezza della mia trascrizione, è un rapporto originale del Mag.to degli Tnqui sitori di Stato e la sua data è, per essere più esatti, del 4 a-gosto 1795. Dobbiamo tosto aggiungere però che la suscettibilità del generale austriaco dimostra come evidentemente il significato di quei colori fosse a tutti ben noto e da tempo : certo fin dal 1794, se non prima. Inoltre : si tratterebbe dunque di un nuovo distintivo a due colori, rosso e verde, di cui in vero non si ha alcuna traccia ? Diciamo subito dhe la questione cade senz’altro, osservando che il documento parla propriamente di « piumazzo bianco, rosso, e verde ». Ecco i punti più interessanti del rapporto : « Rinviene al· l’Ecc.mo ed 191.mo Magistrate d’inquisitori di Stato, che il Comandante, ed altri Uffiziali della Fortezza di Savona possano essere geniali Francesi, e che tutte le sere verso la mezza notte colle bande d'instrumenti da fiato vi si suoni, e balli la Carmagnola. quale suono sentendosi dal di fuori della Fortezza, dà motivo di lamenti all’Ufficialità Tedesca ». Cotesti ufficiali tedeschi e quelli genovesi si guardavano in cagnesco e si schernivano a vicenda per le vie di Savona ; « e Domenica scorsa alla sera è stato mandato via, con intimazione di mai più accostarvisi^ dal sito ov’è alloggiato il Baron Devins, certo Perazzo, ch’è nel corpo dei Liguri, e che aveva la divisa, stando ivi a sentir suonare la Banda Tedesca, ed il motivo per il quale è stato mandato via è perchè aveva nel cappello il piumazzo bianco, rosso, e verde ». (1) Art. cit., pag. 669. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 57 Il Ferorelli cita dal Levati, e questi tralascia appunto la parola a bianco ». Si tratta evidentemente di una semplice svista di trascrizione, ben spiegabile in tanta mole di documenti sapientemente raccolti e coordinati dal valoroso erudito. Ma questa parola, mi pare, lia qui un’importanza non trascurabile. Noi ritroviamo così completamente e chiaramente formato il tricolore italiano. Ed è notevole questo riscontrarsi in Liguria dei fatti a cui si riferiscono i due documenti ricordati del 21 agosto 17SÎ) e del 4 Agosto 1795 ; gli unici due, fra quelli noti, che, pur con valore diverso, indicano con sicurezza l’unione dei tre colori, i quali già nel 1794, come si disse, dovevano aver assunto il valore di simbolo politico italiano. 11 Ferorelli stesso ricorda il piano del giovane Bonaparte per la campagna d’Italia di questo anno, la quale avrebbe dovuto portare alla cacciata degli Austriaci dalla Lombardia; il lavorio rivoluzionario che si svolgeva per opera del Tilly e attorno a lui in Genova, massimo focolare delle nuove idee, punto d'irradiazione del moto insurrezionale che si voleva propagare a tutta la penisola : le congiure fallite di Piemonte, Bologna, Napoli, Sicilia e il rifugio che i cospiratori delle varie regioni italiane trovarono nella seconda metà del 1794 sulla riviera ligure,, specie ad Oneglia occupata dai Francesi. Ma già negli anni precedenti Nizza era stata centro di raccolta di italiani delle diverse parti d’Italia, quali il Buonarroti, Γ Aurora, il Nat era in relazione pure con i genovesi <3. Cari > Serra e Gaspare Sauli, fra i quali il pensiero nazionale e unitario avea avuto non dubbie affermazioni (1). Ora gli eventi precipitavano, gli ideali parevano avviarsi alla loro realizzazione; non più singole questioni regionali, ma il problema italiano nel suo valore integrale s’imponeva oramai : adesso, appunto, ed in tal modo il tricolore sarebbe divenuto se gnacolo del patrio risorgimento. (1) P. Nubra, La missione del gerì. Bonapar\ a Genova nel 1794 in La Liguria nel Risorgimento a cura dei « Comitato Lig. della Soc. Naz. per la storia del Risorgi monto », Genova. 1925. 58 GIORNAI.K STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA La congettura appare verosimile, sebbene non suffragata da prove particolari e precise. Rimane il desiderio di (gualche nuovo documento, di qualche dato sicuro che stabilisca la continuità storica-fra- la notizia del 21 Agosto 1789 e quelle del periodo 1794-5; ma non ci par dubbio che i tre colori, bianco rosso e verde, avessero assunto in questi ultimi anni una significazione nazionale. Certo non in tutti coloro che portavano siffatto distintivo doveva essere ugualmente chiara la coscienza di un tal significato ; non per tutti il valore simbolico del tricolore doveva es sere inteso e sentito con la stessa intensità e nella stessa misura. Il soldato Perazzo, ad esempio, non è probabile che facesse sfoggio dei tre colori col medesimo animo e con la stéssa intima consapevolezza con cui li avrà forse portati il colonnello del Reggimento Sarzana di presidio nella Fortezza di Savona, il M.co Domenico Spinola, fervente seguace delle idee rivoluzionarie. in relazione col Saliceti e con gli altri principali agita tori, come era pure ben noto al Governo della Repubblica. Costui e i suoi compagni d'arme che così apertamente e con tanto entusiasmo palesavano le loro opinioni politiche, non e-rano certo animati soltanto dai principi di libertà, di uguaglianza sociale e di sovranità popolare banditi dalla Rivoluzione francese. Qualche altro brano inedito, del citato documento del 4 ago sto 1795 credo possa meglio illuminarci in proposito. Γη certo sentimento nazionale anima ed esalta quei militari : sentimento che. come dicevo, è naturale avesse un colore diverso nei diversi individui, confondendosi talvolta con quello regionalistico: ma che vibrava pur sempre in Liguria come fiera espressione deirindipendenza dallo straniero (i Francesi erano ancora i fratelli liberatori!), per elevarsi ed allargarsi, almeno nei migliori e nei più illuminati. alFimagine, ancora alquanto confusa, di una più grande Patria. In quegli ufficiali genovesi noi vediamo, attraverso il documento, più che i fautori dei Francesi, i nemici degli Au- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 59 striaci ; di quegli Austriaci che erano i dominatori avidi e minacciosi della vicina Lombardia, e che, mentre vivi erano tuttavia i ricordi del 174(5, si potevano ritenere pur sempre pronti a tradurre in azione violenta l’astratta affermazione dei vantati diritti imperiali sulla Liguria. L’odio particolari1 contro l’austriaco appare dal citato rapporto degli Inquisitori di Stato di Genova, dove s’informa che i soldati di nazione tedesca di guarnigione nella Fortezza di Savona erano « soggetti a castighi più rigorosi, e battuti col bastone* più severamente che i soldati dell’aìtre nazioni ». E si aggiunge ancora : « il figlio di certo Zerbino di Savona è molto amico degli Ufficiali Tedeschi, che sono in quelle vicinanze, ed è publica voce per Savona, che dia delle notizie a Tedeschi di ciò, che lui perviene, e viene temito da tutti per un Ribelle ». L'opinione pubblica era con gli ufficiali del presidio genovese; tutti giudicavano un ribelle la spia dei tedeschi. Ribelle chi ? ( Vrto anche a Loro Signorie Serenissime ; ma innanzi tutto alla patria, alla nazione, anche se per i più questa non varcava i ristretti termini della vecchia Repubblica. Un tale sentimento era diffuso in Liguria ; la quale veniva a trovarsi in condizioni speciali rispetto agli altri stati italiani. Tutti i governi della Penisola, sebbene rendessero impossibile la formazione di una lega antifrancese fra di loro, secondo la proposta di Vittorio Amedeo III, approvavano certo l’azione bellicosa del re sardo; non così si può dire del governo genovese. Si ri presentava ora la situazione politica del 1746-7, in cui gli Austriaci erano alleati col re di Sardegna, che rimaneva pur sempre l’eterno nemico della Repubblica. Questa, per tali ragioni storiche, aveva assunto pertanto un atteggiamento non del tutto avverso ai Francesi, ritenuti meno temibili degli Austriaci ed anche strumento di difesa contro costoro. Benevola era stata in complesso la neutralità della Serenissima verso la Francia, con la quale l'incaricato d affari Boccardi (50 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA trattava a Parigi, nel settembre del 1794, persino un’aperta alleanza. Nel 1795, poi, nonostante un certo mitigamento della fogi rivoluzionària, gli arresti di caldi fautori delle nuove idee, e l'agitarsi di quel partito di Patrizi che era nemico irriducibil i della vicina Repubblica, vi era chi pensava e consigliava a procurarsi, per mezzo dei Francesi, Loaaio ed Oneglia, tolte al Piemonte da compensarsi con Monaco; mentre il Governo continuava ad essere accusato dai suddetti Patrizi come inattivo e poco energico di fronte agli avvenimenti incalzanti. Ora, quale fu il contegno del Governo stesso rispetto alla relazione del Mag.to degli Inquisitori di Stato presentata il 4 agosto 1795 ? Si noti che in essa si riferiva pure la notizia, avuta per mezzo del M. Capo-Quartiere di S. Lazzaro, delParrivo in città di certi Matteo Boccaciampe, Carlo Galloni, corsi, e Carlo de Colage, francese. Essi, giunti male in arnese, erano ritenuti ufficiali del Corpo del Principe di Condé; avevano già avuto una lunga conferenza col ministro (inglese) Drake e altra ne dovevano tenere coll generale Dewins. I Ser.mi Signori disponevano pertanto che più non si concedesse ai tre forestieri nuova bolletta di soggiorno e che si vigilasse sulla loro partenza. Quanto ai non lievi incidenti di Savona i provvedimenti appaiono, al contrario, assai blandi. Al Comandante la Fortezza si limitano a raccomandare di trattar i soldati tedeschi ((con uguale parzialità» rispetto agli altri commilitoni, facendo intendere agli Ufficiali del presidio a che incontrandosi per città e fuori Fortezza con Ufficiali di Truppa estera si regolino con urbanità e prudenza ». Ogni altra misura disciplinare si riduceva infine ad incaricare PIlLmo Generale perchè richiamasse a Genova la banda del Reggimento Sarzana. Di quell tal Perazzo del Corpo dei Liguri e dei tre colori del suo piumazzo non vi è parola : neppure gli uomini del Governo GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 61 sembravano poi tanto urtati da quel (( verde », definito, un anno dopo, dall’avv. G. R. Sacco in Milano : « il color nostro nazionale » (1). Ma quegli stessi Ser.mi Signori decretavano qualche mese dopo, il 20 novembre 1705, che il Mag.to degli Inquisitori di Stato riferisse i nomi degli « individui genovesi che avessero patente francese, o che portavano coccarda francese » ; e una lista di una trentina di persone veniva infatti compilata alcuni giorni dopo, comprendente, fra gli altri, il farmacista Felice Morando, chirurghi delì’Ospedale che. « portano l’insegna della Nazione Francese sotto la marsina », ed alcuni « che praticano nelle Loggie » (2). Qui si tratta senza dubbio della coccarda francese propr u-mente detta, usata pur sempre da molti con poco gradimento del Governo. Ma con essa non ci pare possa identificarsi, neppure nella precisa valutazione simbolica, il tricolore bianco roso e verde, apparsoci nel piumazzo del soldato di Savona, come segno di un sentimento, di un ideale, ripeto, più o meno largo e cosciente, ma che crediamo possa ben dirsi nazionale e italiano, in quanto basato anzitutto sul principio dell’indipendenza. E appunto in un tal momento interessa cogliere il valore d^l nostro tricolore, prima ancora del suo riconoscimento ufficiai'* come emblema politico. Onorato Pastine il) Ferorelli, art. cit., pag. 675. (2) Archivio di St. di Genova, Collegi Diversoium, filza 390. PER LA STORIA DELLA QUESTIONE ROMANTICA A Genova, sui primi del 1829. le dottrine romantiche profetate dal Mazzini e dai suoi accoliti, avevano talmente attratto irli studenti universitari da indurli a battere in breccia i precetti del classicismo anche nelle aule scolastiche, dove di tanto in tanto si tenevano adunanze letterarie dette pomposamente accademie. Allora i depositari del pubblico insegnamento corsero alle difese combattendo a loro volta nel Giornale ligustico le idee del l'audace scuola boreale e particolarmente le applicazioni fattene neìVI ndieaton Licorne** e neli'Antologia. Impegnò dapprima la battaglia il Padre Giambattista Spotorno con una Lettera la Del Romanticismo, intesa a dimostrare che l'annunzio di una letteratura europea, bandito dal Goethe e ribandito dal Mazzini, serviva ad insinuare certo u occulto disegno » della setta romantica. intorno al quale si potevano dire et molte cose» il). Ma poco dopo, entrò in campo un uomo che aveva più nerbo pole mico e più voglia di usarne: il gesuita Antonio Bresciani, futuro autore delVEbreo ili Verona. A questo implacabile reazionario va attribuita, come si rileva dalle note manoscritte a una copia del periodico classicheggiante, la recensione dell'articolo del Mazzini sulla nuova letteratura europea, che reca la sigla K. B. : recensione, a dir poco, feroce per il tono sarcastico e Labilità inquisitoriale con cui son denudate le riposte intenzioni degli avversari i2k l1 Gì. ’rrtaZt lì.·;·..dì sci* ns·:. I :* rv irti.. Anno LEI, fase. IV, Luglio e 1S29. p 561. L'articolo del Mazzini, eoaparre nei uri. 107 e 108. ài novembre e dicembre 1S29 deliM «telerìa ma i fascicoli del Ligustico uscivano in ritardo, e talvolta, come m questo caso, circa un anno dopo La loro data. Lo Spotorno preparò anche. in quella circostanza, una ietterà Al Chuzr.mt Diruttori del « Giornale Ligustica ». L· difesa degrli attacchi moss* dall' « I radicar ore g^naces** > alia sua Storiti lettura ria delia Lt;uria: ma la Lasciò medita, tra le sue carte, cire ora si conservano nei Museo storico del Risorgimento di Genova. 2 Analisi di un orticaia sopra unie Letteratura europea inserita nel n. 1QT*-1C$ Antologia e in generale del Rc-rn&nûcismo Gio-rn. cit.. Anno III» fase. V, sei-teaftee e ottobre 182?. e fase. VI. novembre e dicembre 182S, pp. 441 e 523. La nota man».·ritta fu vtsta dal compianto Achille Nr*· in una copia posseduta di privati. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Bisognava però rimbeccare direttamente quegli « scolari di bello ingegno che, non ostali ti R sommesse raccomandazioni dei maestri· osavano leggere, nello stesso Ateneo, le « loro maliziose dicerie ». Ferisse quindi il Bresciani quattro «capitoli sopra il romanticismo » e li getto nell agone, di due in due giorni, per le mani di uno studente scelto tra quelli incontaminati. « Furono si repentine le botte ». narrava il Bresciani stesso, più tardi, nella lettera dedicatoria al « Xobile Signor Marchese Giuseppe iJu-razzo ». del 3 dicembre 1838. « sì rapido il volteggiare, si duro il cozzo, che, celiando e discutendo da senno, ebbi sconfitti e sbaragliati que* prodi campioni della scuola romantica. Fino dal primo giorno gli scolari di quella illustre Accademia risero tanto del fatto loro che i j>overi romantici uscirono di scuola a capo taisso : ma. ringagliarditi da coloro che li avevano mossi all'impresa. il giorno appresso recitarono una loro filippica, che colpeggiava il vento. Al secondo capitolo s’ndiron voci fra que’ scolari di buon giudizio, rhn sciamavano : Viva l’antica scuola italiana I AI terzo tacquero, e— de* rei intendimenti de’ romantici fieramente indignarono. 11 quarto gli attizzò tanto contro quella setta eh'essi medesimi accalorati saltarono a piè giunti nell’arena e serratisi di fronte vennero a battaglia. Die > che io mi rimasi dallo scrivere h qoei jMrverelli de* romantici, venuti alle mani cogli scolari, fur vinti e rotti gagliardamente. Laonde quel savio e dotto Professore "evidentemente il Padre ir/ B. Spotomo. che aveva lasciato l’impresa a mezzo], m’ebbe grado e grazia grandissima, e il bello e retto scrivere dell’antica scm»la italiana golette in qoeirUni versità pacificamente il suo impero ». Di questa baruffa son rimasti i quattro capitoli dei Bresciani. che si leggono tuttora, insieme con la lettera or ricordata, in fondo ai suoi AtHmoniinenti di Tm>nide ni fonte ÌAOne di; Ammoniin>niti di lie'tkìAe ·il Cwir* di L*totonerà del P_ Αλτβίϊΐο BaESCLiST I> e-Borsa della €&mjpa>jnin di Verona, preso Fedit. Gaetano GafceLL Ι8α9_ I capitoti sono allatrati al volume, con numeratc-ne a parte e recano il trtoLo : < Ècç.ra lì E orna ntic - . Artieri: recitati nell * A<*c aio» belle lettere d'nna celebre 64 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA poiché contengono argomentazioni non prive di acume e d'interesse, e anzi precorrono, per alcune vedute, conclusioni moderne sui fatti e il carattere del romanticismo d’allora, vale la pena di metterne un po' in evidenza il contenuto. Comincia il Bresciani confutando l’asserzione che il romanticismo sia « naturale » in se stesso e ben si opponga perciò al tradizionale classicismo. Macché ! È naturale, egli ribatte, (( tutto ciò che opera conforme alla natura », cioè con indine e buona disposizione ; ed è naturale, in conseguenza, la scuola classica che di quell’ordine e di quella disposizione si è fatta due canoni imprescindibili. Ora guardate i romantici. « invece di esporre con ordine i loro pensieri, di disporre i leggitori allo sviluppo dell’argomento, saltano dentro a più giunti, e λ e li trovate in casa, 11011 sapete se entrati pel tetto o per le tìnestie... Andate errando di torre in torre, di sotterraneo in sotterraneo, e poi uscite alla luce pieni di ragnatele, di nitro, di gomma.... Tutto vi si balestra dinanzi a’ piedi senza che voi sappiate donde e come vi sia capitato ». Si sostituisce, insomnia, all ordine il capriccio, alla buona disposizione lo scompiglio. Così fanno, per citare i capiscuola, Walter Scott nei romanzi e il Byron nel Corswro. X011 essendo dunque naturale, il romanticismo si scosta dal gusto italiano, dalla tradizione di Dante, del Petrarca e di tutti i nostri maggiori. Quella scuola scende dalla (jreimania, dalla Francia, dall'Inghilterra; ma badate: « i più celebri scrittori di quelle nazioni, quelli che costituiscono il loro secolo d'oro » non sono punto romantici, seguono bensì « le medesime leggi del hello, del buono e del retto che sono immutabili e universali ». Si vuole l’abolizione della mitologia ? Ma se Dante vi ricorre tante volte! E poi che male vi fa questa allegoria Università italiana nel febbraio dell’anno 1829·.. - Che l’Univeraità sia quella di Ge-nova, assicura anche l’anonimo autore dell’opera intitolata : Della vita e delle ope t del padre Antonio Bresciani, vol. I, Milano, 1876. p. 95: « Quivi [a Modena], oltre la versione del Binet Bell'arte di governare e le biografie di tre alunni del Collegio di Propaganda, già distene in Roma, apparecchiò per le stanii>e e divulgò i capitoli sopra il Romanticismo che, gittati in carta frettolosamente, aveva fatto leggere oer vari giorni nell’Accademia dell'università di Genova, 1 anno 1829 » GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 6b iinimatrice della natura ? Non creaste una mitologia anche voi, signori romantici, con i Silfi, con quei « genietti finissimi e spiritelli vivacissimi », dhe (( presiedono alle fontane, alle selve, agli alberi, ai fiori, all’erbe »? Non voleste « fabbricarvi, in -luogo delle furie mitologiche, i fantaismi de* castelli ; in luogo delle Parche, le streghe; in luogo degli Dei Mani, i folletti; Torco, i vampiri, il diascolo in forma di drago e di caprone»? Dite che è duopo a togliere la mitologia e poscia aggiungerò una cosa sostanziale che affatto ora le manca [alla letteratura italiana], ed è l’espressione della civiltà attuale ». Come se il medioevo tedesco, fosse proprio l’espressione di questa civiltà! Ali ! ve lo dirò io. Voi /siete -nemici della religione cristiana, della buona politica e del buon costume, perchè presentate frati e monache per ali più vigliacchi e malvagi uomini della cri-cristianità », perchè sparlate « de’ Pontefici, del Patrimonio della Chiesa e della civile polizia del Clero », perchè vi struggete (('(li vedere tutta l’Italia reggersi da sè a stato di repubblica popolare », perchè tendete a a porre in odio la Monarchia e a sommuovere i petti degli italiani a ribellione dei loro legittimi signori », perchè infine ci pennelleggiate, se non aperte oscenità, certi quadretti sentimentali con molti paladini che, ·(( senza rispetto al matrimonio », si dichiarano cavalieri di belle donne. Non a torto il Bresciani imputava ai romantici di tenersi ligi al gusto di un germanesimo che in odio alla, latinità rievocava gii spettri del suo torbido medioevo; nè errava, in fin de’ conti, scoprendo un intento politico nel nuovo indirizzo letterario, che il Mazzini definiva appunto una battaglia per la libertà. Ma, nel dibattito, egli portava tutto il suo livore di parte -e incitava a zuffe volgari ; potendo avrebbe ordinato un sommario auto da fè per tutti coloro che gli sobillavano le innocenti anime di tanti scolari pieni di buoni principi ». Pubblicati quei •capitoli, scriveva al P. Luigi Ricasoli, offrendoglieli in dono: « Io li credo un’apologia tacita, ma solenne ( !), della Compagnia, riguardo al punto dei classici scrittori, ch'ella ha sempre > » lORN AI K STORIC O K 1 KTTKR VRIO |iEl-l-\ Ι.ΚΊ'ΓΗΙΛ instillato cou metodo e solidità ai suoi scolari. La <'oni.pagnda si è sempre opposta agli errori correnti; e questo è uno dei principali ile nostri dì, che, sotto l'apparenza delle lettere, asconde un tossico velenosissimo. Padre mio, gridi e faccia gridare a tutti i nostri maestri, che infrangano con ogni loro potere questa rea e invereconda maniera di scrivere.... Specialmente i nostri gio vani abborrano questo peccato, Ichie sarebbe, a mio credere, tanto dannoso allo spirito nostro in punto di lettere, quanto il giansenismo in teologia. Non rida per carità di questo con fronto. Ohe vuole? 11 solo immaginare che alcuno dei nostri giovani potesse lasciarsi a linci mire da questo guasto mi fa fremere » ( 1 ). S'ingannava peraltro sugli effetti dell'opera sua. Nel 1839, quando uscivano in luce quei capitoli, le dottrine romantiche, proprio jhm* il carattere che avevano assunto dieci anni innanzi col Mazzini, godevano a Genova sempre più favore. Il romanti cismo, pur restando alla superficie una questione letteraria, vo leva dire, agli occhi di tutti, patria, progresso, indipendenza: e, se si pensava ai suoi banditori, esigi io,, sacrificio, martirio. La lettera che qui in parte pubblichiamo, di un certo A. 1*. M., al padre Spotorno, prova come gli si facesse buon viso anche nei cenacoli dell'aristocrazia : cosa del resto nat unii issi ma, dal momento che molti patrizi s'erano schierati fra i liberali e avevano anzi partecipato alle congiure mazziniane del H. soffrendo carcerazioni o correndone il rischio fJ). i teservandissimo Padre, Non sono ancora molti mesi parsati che, trovandomi io in compagna, fui introdotto in una signorile conversazione dove molto goffamente, a parer mio, si ragionava di poesia. ‘Fra Je altre cose, alcune dell? più sbardellate eh*- io udii, furono di un giovinastro, il quale, avendosi Ί A. BttMUM. Kpurloltiria rompìelo. Milano 1682,. τοί. I «* II, t>. 158. 2> Vedi A. Nili. Patriti gcnoreri nel libro nrro della politia tiuitrkteo. (ìenova, l’atra no. 1923: c Ann» Del Pini Fai riti ornami nei prore** i del Ü. in Uι Liguria n«l Risorgiti * nto, a cura del Comitato hinire della Società nazionale per la etor.a del Rieondoiento, G««noTa. 1925, n. 139 e eegW· (.ΙΟΗΧΛΙ.Κ STORICO Κ LETTERARIO DELLA LIGURIA allacciato Ja giornea di lodare il romanticismo, disse che, se non per iilt.ro dovesse lodarsi la 'poesia romantica, pur per ciò si dovrebbe altamente commendare, che toglie agli ingegni i ceppi deH’miitazione, a apre Jor largo campo da trovar cosa nuova. Adduceva in conferma di ciò che di «juanti iimiiatori vanta il Petrarca, non ve n’è uno che :à discinti, //« latum quidem un.quaiu dal suo prototipo; laddove tra i romantici non si trova chi tolga da un altro, non che un sentimento, una sola parola. Disse in Une dlie non si vuol andar dietro a quella chimera dell'aanor platonico introdotto dal Petrarca, che ha tradito in tal anodo l'eccellenza del suo ingegno (buona che un romantico accordi iil Petrarca eccellenza d’ingegno!), ma che le cose si vogliano esporre tali e «piali si sentono nel cuore. K tante altre pazze cose aggiunse che di (più pazze non furori mai fatte dire axl Arlecchino in iscena. Pur» al fine della sua chiacchierata, gli si fece da tutta la brigata un ap-plausti hi vivo che a qual s’è miglior tragedia di Sofocle sarebbe stata, cied io, anche troppa la «metà. Cessati quando a Dio piacque gli evviva al Hoileau della scuola romantica, io che une ne stava-quanto più ponevo rincantucciato e stretto nelle spalle ad apprendere i dogmi del novello gusto di poetare, ecco che fui conosciuto per Petrarchista (cosi fossi veramente, cliè avrei a mio gran pregio Tesser schermito per tale), fui fatto, non so come, sbalzare a mezzo, tirato a forza, perc’hè io dicessi le ragioni della mia scuola. A dir che egli era peso non dalle mie hi arrie il Zanotti aveva definito la poesia un* arte tli verseggiare affina di diletto, non avrei inteso facilmente donde questo diletto, fine della [mesta ■**j potesse cavare se non dall'imitazione. Qui mi fu fatto notare ch io t.lORVU F. STORICO K I.KTTKRARIO lìgi I Λ 1 Κ.ΓΗ1Α parlava «iella imitazione della natura e non degli autori. Al che risposi 10 che appunto si studiano i buoni autori (chi la volesse intendere pienamente) per vedere fin dove si può con lode imitar la natura, come i buoni autori hanno fatto. Dissi poi per riguardo agli imitatori ùe\ Petrarca che mal per loro se erano rimasti tanto di sotti» all'originale,, pereiiè o non avevano appresa la vera maniera d'imitare o più veramente perchè erano tanto discosti dall’ingegno del Petrarca quanto erano rimasti al di sotto nelle opere loro. Ma che in ciò aveva colpa 11 Petrarca come ne aveva il bue di Fedro -per non esser potuta giunger la rana ad agguagliarlo a mezzo dopo tre replicati sforzi; che tuttavia i Dalminj, i Bembi, i Manfredi e tanti altri con tutta la lor riverenza al Petrarca avevano potuto dir tanto di proprio da non esser messi in conto di imitatori sm ani prcus. Al lor vanto ili non rupiaisi i rouianti i l’un l’altro, io risposi che, non ostante la mia avversione alla lettura dei romanzi, avrei potuto, quando che fosse, dar prova del contrario, ma che, quando la loro asserzione fosse stata anche vera, ben poca gloria si proponevano essi scrìvendo di non aver neanche speranza che un ingegno comunque siasi minore del loro debba dir p**ggìu» per non replicar quello die e>si avevano detto men male. Entrando per ultimo* nelTamor platonico, feci osservare che era pur troppo vero, ed era perciò da dolersene altamente che i romantici non avevano il puro e gfentil cuore del Petrarca, e che perciò lasciato da canto quel velo onde cotesto giudizioso poeta mirava a coprire e ingentilire all'altezza e divinità, per cosi dir, de’ pensieri la bassezza del soggetto, essi ni contrario non volevano che sudiciume, intendendo per natura (mi sii pt rmesso il dirlo) la nuda carne; ma che in ciò chi f»*.se dal lato della ragione potranno farne fede i costumi del Petrarca medesimo e de. romantici; aggiungendo ]>erò che non erano mancati autori che anche collo stile del Petrarca avevano con troppo danno del buon costume espresso quello i^ie i romantici van cercando. Degni al tutto di star con loro. Con ciò io posi fine al mio dire, contento Hi non aver suscitai/» di me tanti plausi quanti ne erano stati largiti a quel primo enco-miator dei romantici.... Di (Ìenova. 183D, 5 gennaio. Godo... di professarmi Di S. V. Osservandissima Ubb.mo Dev ino Srevitore A. M D. (1). Volle forse il Bresciani, con la pubblicazione dei capitoli e la dedica a un patrizio genovesi*, intervenire ancora in un fi La letu-ra trota*! fra le carW» Spotorno. nel Mu-#*o «torleo del Rn-onrimrnto- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 69 ambiente cittadino così refrattario ai « buoni principj »? Vana impresa, nel caso! Il Padre Spo torno, che aveva provocato la soppressione àaAY Indicatore genovese, finiva per infastidire Pautorità con le sue discussioni nel Ligustico. E l’anno appresso, doveva anch'egli, per ordine superiore, interrompere la stampa ilei mio (periodico, lamentando che « il livore oscuro ma ope rat ivo dei liberali » l'avesse spuntata contro «le dottrine cattolico-romane e monarchiche ». da lui fedelmente impugnate (4). Francesco Luigi Mannucci li A. Νεκι. Λ itropoiito del libro, pieno di conclusioni fondatamente concrete, alcune delle quali risultano nuove del tutto, altre confermano ciò che per l’innanzi non s’era addotto nè poteva addursi che in forma ipotetica. Dapprima son qui studiati alcuni personaggi che furono saggi consiglieri di Maria Drago nell’educazione del piccolo Giuseppe: special-mente l’avvocato Giacomo Breganze, uno dei paladini del partito democratico nazionale durante il dominio francese e pubblico magistrato più tardi in varie città dell’alta Italia. Il carteggio fra l’inclita donna e questo degno amico dura, con qualche interruzione, molti anni, dal 1814 al 1821, e reca non solo interessantissimi suggerimenti sulle lettuie del promettente giovinetto, sulla scelta della sua futura professione e sugli esercizi fìsici più acconci per lui, ma si anche notevoli considerazioni per distoglierlo dal desiderio, ingenito o acquisito che fosse, di atteggiarsi a scrittore satirico, e per invogliarlo piuttosto agli studi legali, che a Genova consentivano a ogni « bravo giovane » di segnalarsi. Poco dopo il Mazzini ci appare nel turibine della vita universitaria, con già fermo e risoluto il suo avviamento morale. È del ’24 una lettera a Giambattista Noceti (la più antica che si conosca e fino ad oggi inedita), ov’egli rivela gran parte di sè esponendo liberamente le ragioni per le quali non riteneva di dover approvare, come altri, la condotta e il carattere di un tal Solari. A quel tempo risalgono anche i suoi primi saggi letterari, che sono, in so»stanza, espressione del suo mondo interiore, oscillante per allora fra le nebbie di un falso misticismo e i primi balenìi delle sue prossime idealità patrie. Quanto poi ai suoi casi di studente, non è \più da dubitare, dopo i documenti del C., ch'egli fosse veramente arrestato, nel ’20, per i tumulti nella festa di S. Luigi; sappiamo, anzi, da cotesti documenti, che fu rimesso in libertà con il compagno Andrea Gastaldi dopo un efficace intervento della R. Deputazione agli Studi. Conrè noto, il Mazzini capeggiò ben presto una pleiade di giovani già spiritualmente predisposti a quel moto che in letteratura doveva prendere il nome di romanticismo e in politica manifestarsi come un liberalismo di carattere rivoluzionario. E di questi accoliti — Jacopo e Giovanni Ruffini, Giuseppe Elia Benza, Napoleone De Ferrari, Federico GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Carni pane 1-1$., Filpifpo Bettini — il C. ha molto opportunamente raccolto dall Archivio dell’Università particolari biografici e scolastici, dhe per altra via sarebbe stato difficile conoscere. Vero è che poi l’indagine s’estende forse troppo ad amici di amici, per esempio a Tito Rubaudo, Luigi Rambaldi, G. B. Cuneo, Vincenzo Goglioso, di modo che la figura del Mazzini giovane e nella sua prima fase apostolica pare alquanto dimenticata, ma in un lavoro d’insieme, conveniva tener conto anche di questi, per così dire, elementi di propagginazione, data la forza, e-spansiva che l’attività fascinatrice del grande Genovese esercitava indirettamente anche -sui lontani, dichiaratisi, più tardi, nel 1831 e ’32, tutti concordi con gli esuli di Marsiglia A proposito del Benza, il C. ha ragione di credere che non si può attribuire a lui la conversione religiosa del Mazzini, il quale, se mai, avrelbbe guardato, secondo il Benza stesso, a un Dio umanitario, o, come disse il Sismondi ben prima del De Sanctis, un Dio politico. Il Benza fu sempre, rispetto al Mazzini, una stella di seconda grandezza; e gli si aggirò attorno anche nello sviscerare la questione letteraria. La stessa conclusione a cui egli giungeva nell’articolo su Lo spirito del romanticismo, pubblicato nell’Indicatore livornese, cioè che « lo spirito europeo nuovamente con tanta forza manifestato* forma l’essenza e la generalità del Romanticismo », era già tutta del Mazzini, che, se la sviluppò largamente e da par suo e con più palesi riferimenti politici nell’articolo su « La letteratura europea, l’aveva già espressa nel 1828 affermando (ved. Carlo Botta e i romantici, in Indicatore livornese, n. 14) che i « veri romantici non sono nè boreali, nè scozzasi;.... ma sanno che il genio è europeo ». Importantissime alcune pagine del C. che smentiscono nettamente il Lorenzo Benoni, là ove si dice che i professori erano tutti supinamente ligi all’autorità governativa e quindi tutti volti ad angariare i poveri studenti. Come risulta dal carteggio del 1819 tra il marchese Grillo Cattaneo e il Ministro Prospero Balbo, essi si mostravano invece apertamente irriducibili suirindipendema universitaria. La Deputazione infatti ricorreva alle RR. Patenti del 30 dicembre 1814, che dichiaravano sotto certi rispetti autonomo 1 Istituto; e non mancò di protestare per Γoccupazione militare delle aule nel 1821 e di opporsi ad ordini di carattere poliziesco. Il che si spiega bene se si ricordi che molti degli uomini più in vista nel pubblico insegnamento erano stati capi o gregari al tempo della rivoluzione gallicizzante. Ugualmente nuovo è il contributo dall'ultimo capitolo, il VI, ove il Mazzini e i suoi compagni, sono seguiti nella loro attività politica. I carbonari genovesi mettevano capo alla libreria di quell’Antonio Doria che più tardi, nel ’48, doveva avere una parte singolare nei moti di Genova e perorarvi la candidatura dell’Apostolo a deputato. Il Mazzini 72 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGUR A continuava ad essere, verso il ’29, ascritto alla Carboneria, per tenersi meglio in contatto con altre regioni — il Piemonte, la Toscana e la Svizzera —; ma egli col (pensiero trascendeva già gl'intenti della decrepita setta e, meditando di sostituire ad essa una nuova associazione, cominciava a prepararle il terreno acconcio con la letteratura e soprattutto fondando una società culturale. Nel ’30, oltre lui, fu arrestato il Benza, ma suibito rilasciato, avendo potuto combinare, con il commissario Pratolongo, parente di un suo cognato, la risposta alle accinse. Per il periodo dal 1830 al ’35, il €. ordina e amplia le notizie farraginose del Faldella. Il lavorio dell.i congrega genovese, presieduta da Jacopo Ruffini, era specialmente avviato nella compagine deir esercito. La Giovine Italia doveva poi diffondersi nelle due Riviere, per mezzo di alcuni amici del Benza: di Paolo Pianavia Vivaldi, Domenico Ferrari, Paolo Anfossi, Nicola Arduino, David Vaccarezza e Pasquale Berghini. Il Benza, ormai libero e tranquillo, era incaricato di stabilire una congrega provinciale a Napoli; ma ne fu impedito dalla scoperta del famoiso barile a doppio fondo con cinque fascicoli del periodico La Giovine Italia, e si rifugiò a Marsiglia, donde potè poi ritornare, quasi indisturbato, nel '32. Dai vari carteggi di quel torno il C. riporta lettere inedite dell’Arduino a Efìsio Tola e al Fissore. Il sogno tanto caro al Mazzini di far partire da Genova la scintilla dell’insurrezione italiana, non si tradusse in realtà. Nel 1834 la Giovine Itali/ι si dissolveva; « ma il sangue generoso che aveva consacrato i principi santi cui essa s'ispirava, non poteva », ben osserva il C., « esser sparso invano ». Il volume è adorno di quindici ritratti in gran parte inediti, e di un’appendice contenente — oltre alla lettera inedita del Mazzini a G. B. Noceti,k che non reca data sincrona, ma l'indicazione apografa: Da Genova 5 novembre 1824 — numerosi documenti sull’educazione di G. Mazzini (« la lettera profetica » del Patroni e il carteggio Breganze Maria Drago Mazzini) sulle condizioni dell’Università di Genova dopo la Restaurazione e sulle vicende universitarie di G. Ruffini e F. Campanella. Francesco Luigi Mannucci Annuali genovesi di Caffa.ro e dei suoi continuatori, vol. Ili, Ogerio Pane, Marchisio Scriba, Traduzione di Giovanni Monleone, a cura del Municipio di Genova, 1925, pp. 244. Il Monleone reca nella solita veste italiana, piena di sapore classico e quasi di succhio nativo, le cronache di Ogerio Pane e Marchisio Scriba, l una delle quali comprende gli avvenimenti svoltisi dal 1197 al 1219, l’altra quelli dal 1220 al 1224. A quanto pare, Ogerio Pane imprende l’opera di sua iniziativa e semplicemente perchè crede la continuazione di Caffaro « cosa utilis- GIORNALE STORICO E LETTERARIO .DELLA LIGURIA 73 siima alla comunità di Genova e assai giovevole a* presenti come a1 futuri ». È, in verità, un po’ freddo e asciutto: espone i fatti uno dopo l’altro, come se le loro conseguenze non lo interessassero troppo, e di rado pronuncia giudizi particolari sugli uomini. Ma, sotto quell’appa-rente obbiettività, palpila un vivo amore per la città natale, massime quando si tratti di rilevare la vittoria sui Pisani, e la malafede dei limitrofi marchesi. Anzi, a proposito dei Pisani, il tono abitualmente monotono del narratore si eleva alquanto, testimone di passioni ed emozioni presenti: «Di poi io stimo degno di narrare, per tenersi a memoria, la gloria e l’onore, la vittoria e il trionfo che .il Padre celeste per Ja sua benignità concesse dal «cielo alla città genovese sopra gl’inimici nostri, i Pisani » (pag. 32). Più che il sentimento religioso, che si esaurisce in frasi stereotipe (« per misericordia di Cristo », « per istigazione delle peccata » ecc.), è notevole in lui l’intento di una politica guelfa: « Sia manifesto tanto ai presenti quanto ai futuri che messere il Papa Alessandro ITI, quando venne nella città genovese, fu ricevuto onorevolmente' e conobbe la fede illimitata che la Chiesa genovese e il popolo conservò alla Santa Romana Chiesa.... » (pag. 79). E per tutti ({nei ventitré anni egli procede così, senza pretese, lieto delle gioie cittadine, dolente delle sciagure comuni, ordinato, temperato, fin che la vecchiaia o forse la morte gli toglie la onesta penna di mano. Già in questa cronaca occorre il nome di Marchisio Scriba, come di persona molto in auge, incaricata di stendere i più importanti atti pubblici e spesso inviata per ambascerie a potentati di terre lontane. È quando egli subentra a Ogerio nella narrazione, subito ci accorgiamo di avere innanzi il letterato, l’uomo saputo, che, nonostante le sue esageratissime professioni di modestia, è contento di essere stato ufficialmente pregato dal podestà. Rambertino Guidone di Bovarello (il noto poeta in lingua provenzale) di scrivere, in continuazione, di « messer Caffaro, strenuo uomo illustre, di beata memoria »; e perciò s’allaccia la giornèa e sfodera il suo bravo armamentario rettorico. Apriamo le prime pagine, ed ecco subito espressioni di questo genere: « Dunque il padre celeste Iddio, senza il di cui cenno nè passero a terra nè foglia d'albero cade... » (pag. 118). In ogni modo, avendo egli rogato tutti gli istrumenti di paci e tregue e compre e vendite della Repubblica, e avendo trattato come ambasciatore questioni complicate e sottili, egli è certo più ricco di notizie, e merita la nostra attenzione anche quando s'attenta a riferir testualmente i discorsi dei principi e dei pubblici dignitari. Ma la sua nota caratteristica, quella che eleva ad insolita energia d’arte la sua cronaca, è, se non erro, l’ironia; un’ironia che talvolta si fa addirittura sarcasmo. Si veda ciò che agli, naturalmente guelfo come tutti i Genovesi d'allora, dice e racconta e rileva sul fu- 74 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA turo imperatore. Messer F Federico è « re eccelso e sempre augusto dei Romani e del regno di Sicilia », degnissimo di recarsi « all’ Urbe per ricevere il diadema dell’impero »;... ma, guardate un po’, «mentre clie egli, in sul principio, i nostri accolse con ilare volto, di poi si propose di spregiarli e abbonirli sì fattamente che faceali ogni giorno rimanere disonorevolmente fuor della sua tenda, non come uomini conosciuti ma al par di estranei » (pp. 130-131). Ora, questo eccelso e potente, che si era mostrato così altezzoso con i Genovesi, «desiderando far viaggio verso le parti di Alamania, evitate tutte le altre regioni,... approdò con fidanza a Genova, dove, messo da parte ogni pericolo e ogni timore, da tutti i cittadini, dal più piccolo al più grande, fu ricevuto con tanta riverenza e devozione e trattato con tanta allegrezza e onoranza, che se volessi tutto spiegare con parole, potrei difficilmente esprimere con pienezza- la verità, chè il comune di Genova, non avendo esso Frederico le cose necessarie, diedegli anco.... libbre genovesi » (ipag. 135). Non è una bella arguzia quella di presentare come uno straccione, bisognoso sin delle « cose necessarie », un personaggio di quella sorta ? E non è una bella vendetta, anche, della sua alterigia verso i ricdhi, autonomi, iieri Genovesi? 11 volume del Monleone è stampato in edizione di lusso, corredato di note e di un Indice detibe persone e dei luoghi, e adorno di tavole con riproduzioni di miniature del codice parigino, e ricostruzioni di luoghi liguri nominati nelle cronache; tavole dovute a un valentissimo artista, il Signor R. Multedo. Francesco Luigi Mannucci La Liguria nei Risorgimento, noiizie e documenti a cura dû Francesco Luigi Mannucci, Pietro Nurra, Vito Vitale, Carlo Bornate, Anna Del Pin, Giuseppe Gonni, Evelina Rinaldi, Umberto Monti, Orlando Grosso, Emilio Pandiani, dalla Sede del « Comitato Ligure della Società Nazionale per la Storia del Risorgimento », Genova, 1925. È questa una pregevole miscellanea edita in occasione del Congresso della Società Nazionale per \la storia de\l Risorgimento, ch'ebbe luogo in Genova nell’Ottobre dello scorso anno. Parecchi studiosi, già degnamente noti nel campo della storia e della letteratura, vi hanno contribuito con ricerche interessanti ed erudite, e con rievocazioni di vicende e di figure su documenti inediti. Apre la serie degli scritti una memoria di F. L. Mannucci su gli Annali del Muratori e la cacciata degli Austriaci da Genova nel 1746, con lettere di Alessandro Botta Adorno (fratello del generalissimo Austriaco nella guerra contro Genova) allo storico L. A. Murato-ri, alcune delle GIORNALI· STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 75 quali riguardano i fatti del 174G ed altre, di data posteriore, avvenimenti dell”anno successivo. Segue La Missione del Generale Bonaparte a Genova nel 1794 (con sette documenti inediti) di P. Nurra, che •chiarisce minutamente la missione politico-militare di cui il futuro generalissimo dell1 Armata d’Italia fu incaricato in quell’anno; missione che gli costò poi l’arresto per tredici giorni, e che forse avreìbbe avuto ©sito peggiore, se altri avvenimenti non avessero deviato· l’attenzione di chi allora stava in Francia al governo. E di V. Vitale uno studio dal titolo Un documento sull'Amministrazione comunale e lo spirito piMiico a Genova dopo il 1814; siamo nella capitale ligure, subito dopo l’annessione al Piemonte, e gli animi dei più non sono ancora iben disposti al nuovo stato di cose; vari inconvenienti nella vita e nella direzione amministrativa della nostra città ne seguivano, per i quali era opportuno prendere speciali provvedimenti. Partì da Genova un Parere steso dal Conte Carbonara, Primo Presidente del Senato, e « passato per l’esame » da Prospero Balbo « al suo cugino e confidenziale collaboratore » M. S. Provana, il quale rispose con circa venti Osservazioni, che denotano molta equità di giudizio e conoscenza dell’ambiente e dello spirito genovese. Que-ste osservazioni costituiscono appunto il documento inedito che viene dal Vitale illustrato. Notevole pure l’articolo di C. Borriate: Federati Lombarda a Genova, con documenti ricavati dal nostro Museo del Risorgimento, che riguardano personaggi e fatti del 1821; e quello di G. Gonni su Genova e la Liguria in istato di difesa (1831), ove si espongono lie apprensioni suscitate a Torino all’avvento de'la Monarchia di Luglio in Francia, per timore di ripercussioni in Italia da parte dell’elemento progresisista, e si notificano i conseguenti provvedimenti presi nella città per il caso che fosse necessario apporsi a qualche tentativo contro il Governo. Quindi Anna del Pin ci parla di alcuni Patrizi genovesi nei processi del 1833 e delle istruttorie e vessazioni che essi ebbero a subire dalla Polizia d'al-lora; Eyelina Rinaldi illustra, nello scritto La Svizzera e i proscritti politici, uua lettera di Luilsa Mandrot a Giuseppe Mazzini; U. Monti, entrando Nella redazione d'un giornale Mazzinmno: Italia e Popolo, 1851, oi presenta parecchie figure di patrioti, ad es. quella poco nota di Girolamo Remorino. Infine 0. Grosso ci offre Alcuni documenti di Cavour riguardanti la spedizione dei MilU} fra i quali un’importantissima lettera di Cavour, ed E. Pandiani commenta le Postille del Generale Alfonso La Maivnora ad una biografia di Cavour. In complesso, un elegante volume di oltre 200 pagine ricdhe di documenti inediti ed interessanti, cui aggiungono pregio gli eruditi commenti di tariti egregi studiosi. A. CHIAMA. SPIGOLATURE E NOTIZIE Auguste Gazier, nella sua recente Historié générale du mouvement janséniste depuis ses origines jusqu’ à nos jours (Paris, Libr. Ane. Honoré Champion, 1924, II, pp. 157, 168, 177) traccia brevemente la biografìa, del giansenista genovese Eustachio Degola e tocca dell’influsso ch’egli esercitò sul Manzoni. * * * Luigi Tonelli (Il teatro italiano, Milano, Modernissima, 1924, p. 160), discorre del Rapimento di Cefalo di Gabriello Chiabrera. Sarebbe stato-opportuno ricordare le relazioni, già rilevate da 'Ferdinando Neri (Il Chiabrera e la Pléiade francese, Torino, Bocca, 1920, p. 120), tra questa « favola boschereccia » e il Ravissement de Cefale del Ronsard. * * * Léon Mirot, in una importante memoria su Doni Bévy et les comptes des trésoriers des guerres. Essasi de restitution d'un fonds disparu de la Chambre des comptes (Bibliothèque de Vécole des chartes, Iullet - Décembre, 1925, p. 309 e seg.), avverte dhe il secondo e terzo volume del Dictionnaire alphabétique et chronologique deiristoriografo Carlo Giuseppe Bévy (1738-1830) contengono i nomi dei Genovesi che servirono in Francia dal 1338 al 1515. * * * Nella Stampa di Torino, del 31 Marzo 1926, è comparso, col titolo: L'ultimo Doge, un articolo sopra la famosissima convenzione stipulata tra la Repubblica di Genova e il Maresciallo Botta Adorno, già riprodotta di sull’originale conservato neH’Archivio di Stato Genovese, dal Pan-diani nello studio su La cacciata degli Austriaci da Genova nel 1746 (in Miscellanea di Storia Italiana della R. Deputazione sopra gli studi di Storia Patria per le antiche Provincie e la Lombardia, XX, p. 308). L’anonimo articolista dice che il documento « perdette la strada degli Archivi della serenissima Repubblica e fu accolto, chissà per quali vie traverse, nella libreria di certo Ambrogio Laberio », il quale, chi volesse saperlo, è il famoso avvocato Ambrogio Laberio, di cui possono trovargli notizie in G. B. Spotorno, Storia lett. della Liguria, io V, Genova, Pontihenier, 1*58, p. 123. * * * Nella Miscellanea di studi storici in onore di Giovanni Sforza (Torino-Bocca, 1923) il compianto U. Mazzini tratta Di ima zecca di Lu ni dei secoli sesto e settimo finora ignorata (p. 619 sgg.), G. Livi rievoca la figura di Un sarzanese (Lorenzo da Sarzana) allo studio di Bologna nel 1371 (p. 89), A. Lattes illustra II regolamento sardo del 1815 per il Ducato dà Genova (p. 331 sgg.), C. Contessa pubblica Una lettera di Vittorio lima- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA nuele II ad Alfonso La Marmava ed una d\i Costantino lieta triumviro di Genova nel 1849 a Felice Govean (661 -sgg.), F. Podestà rileva alcune relazioni tra V. Gioberti e G. G an do (p. 167 e sgg.). * * * -Nei carteggi Gioberti-Montanelli e Salvagnoli-Ricasoli, rispettivamente pubblicati da Guistavo Balsamo-Crivelli e Angiola Doria in II Risorgimento italiano, N. S., Vol. XVIII, fase. III.-IV, luglio-dicembre 1925, ricorrono frequenti allusioni a liguri di parte liberale o di fede mazziniana. * * * li. Nelson Gay pubblica nella Nuova Antologia (16 febbraio, 1° marzo 1926), uno studio su Cavour e Vincognita, ossia sulla corrispondenza d'amore tra il futuro statista e la marchesa Anna Schiaffino maritata Giustiniani. Ben altro, però, potrà sapersi di questa dama così passionale, quando verrà pubblicato ΓArchivio Sauli-Littardi, sebbene, come risulta da una lettera ivi compresa, il carteggio di carattere politico con Cavour sia stato totalmente distrutto. * * * Da un manoscritto di Ludovico Bianchini risulterebbe (ved. Emma De Vincentiis, La caduta della Monarchia borbonica in un'opera inedita dii Ludovico Bianchini, in Archivio stor. ital., Serie VII, vol. IV, 1, 1925, p. 83) dhe a Napoli, nel trambusto del biennio 1860-62, i giovani di leva erano afferrati a fatica e « imi)arcati alla rinfusa per Genova », così da sembrare « che li conducessero al macello ». * * * Carlo Volpati ha tradotto La difesa di Roma di Riccarda Huch (Milano, Fratelli Treves, 1924), che potrebbe definirsi più romanzo che studio storico, ma interessa per le ben delineate figure degli eroi del grande episodio, e in particolare per quella del Maaneli. * * * Ottimo e ricco di notizie sul Mazzini e molti suoi seguaci, lo studio: Esuli cospiratori italiani in Corsica (1840-1850), pubblicato da E. Michel in Archivio storico di Corsica. A. 1. nn. 1, 2-4. Ma la bella rivista del prof. Volpe è, quasi ad ogni pagina, di interesse ligure per l’importanza dei nessi politici fra la Corsica e Genova. Segnaliamo in particolare questi altri scritti: Arrigo Solmi, La Corsica (I., p. 4): E. Michel, Spigolature corse in un carteggio inedito di F. D. Guerrazzi, (I. p. 110); G. \7olpe, La Corsica dopo il 1769 (I. p. 125); La Corsica ysotto i Duchi di Milano (li. p. 170); E. Michel, La Corsica in una statistica italiana (1835-1839) (L p. 450). 78 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA * * * Nella Revwe de la Corse ancienne et moderne, n. 36, Janvier-février 1926, A. Ambrosi - r., raccoglie notizie sopra Un paûnqjhl t célèbre: Le disinganno, attorno alla guerra di Corsica, di Curzio Tulliano, pubblicato nel 1737 con quello pseudonimo dall’abate Mathieu Natali, e inteso a dimostrare che la rivolta corsa era «onorevole, pia, utile, giusta c* necessaria». Appena uscito il libello, il vescovo Giustiniani diè fuori, per incarico della Repubblica genovese, una Réponse cui furono poi contrapposte le Osservazioni storiche sopra la Corsica del-Γ Abat è A. Rossi. Nel medesimo numero della Revue, Doni Ph. Marini, studiando La Compagnie de Saint-Georges et la féodalité corse discorre delle lotte di Giamoaolo De Leca contro i Genovesi (1488-89) al servizio dei quali si trovava Alfonso d’Ornano. * * * Giuseppe Pardi, studiando La Sardegna e la sua popolazione attra-rerso i secoli. Dominio spaglinolo (1430-1708) in lì Nuraghe, A. Ili, n. 34, p. 18, reca interessanti notizie sull'ingerenza dei Genovesi nei commerci dell’isola durante il sec. XVIT e tocca delle riforme legislative che il Parlamento sardo deliberò nel 1635 circa Tindustria ligure dei tessuti. * * * Mario Chiaudano illustra i Contratti commerciali genovesi del secolo XII (Nuova eolie z i-αι le di opere giuridiche, N. 230, Torino, Bocca, 1925), determinando la differenza tra 1’« accomandai io » e la « societas ». Lo studio è specialmente condotto sugli atti del notaio Guglielmo cassinense, del R. Archivio di Stato genovese. * * * Nell’ Archivio stanco delle Scienze, A. VI, n. 4, dicembre 1925, si ricorda la celebrazione del terzo centenario di Giovanni Domenico Cassini, l’insigne astronomo nato a Perinaldo presso Nizza Γ8 giugno 1625 ed educato a Genova. Ivi è anche, in appendice, un articolo di Davide Giordano su Medicazioni strane e medicazioni semplici, con una breve biografìa di Giovanni da Vigo da Rapallo (1450-1524), cerusico di Papa Giulio II e autore di una Pradica molto pregiata al suo tempo. * * * Intorno a Un amore del Paciaudi e una poesia dei Frugom s’intrattiene Paolo Clerici in Aurea Parma (Vili, 1921, I), dando interessanti notizie sul Bibliotecario del Duca di Parma e il poeta genovese rivali neH'aniore per la pastorella arcadica Fiorilla, ossia la Marchesa Anna Spinola. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 79 * * * Nella Lettura (aprile 1924), Bice Pareto Magliano tratteggia la figura del-ΓAapmiraibile Critonio, ossia -stra poesia, {Nuova Antologia, fase. 1298, Natale di Roma, 1926, p. 404 e egg.)> rievoca le pagine del Mazzini e le poesie del Mameli sulla Città eterna. * * * Sebbene gli storici chiamino « leggendario » il famoso Giambattista Perasso, detto il «Balilla», un anonimo, nella Stampa del 2 maggio 1926, cerca ricostruire, non si sa su quali testimonianze, la vita olvei condusse come povero « farinotto » di piazza Banchi dopo d’esser stato giornaliere in Porto. * * * G. Gonni abbozza una storia de La fanteria marina italiana nel Risorgimento (estr. dalla Rassegna storica italiana. anno XIII, 1926. fase. I), ove si rileva il contributo dato dalla Liguria alla marina sarda e si ricorda più volte Giorgio Mameli, il padre deU'erôico Goffredo. 80 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Appunti per una bibliografia mazziniana Iniziamo con questo numero una sistematica raccolta di appunti per una bibliografia mazziniana. Qwesta rubrica che s\i propone chi ■raccogliere l'indicazione bibliografica di quanto si piùbblica in Italia e all'estero su G. Mazzini, non potrà certo essere completa, ma diventerà notevole se non ci mancherà Vaiato dei lettori. Essa verrà compilati; trimesttalmente con tutte le pubblicazioni, a noi note, del trimestre’ precedente, e sarà suddivisa in tre parti: 1.) opere su G. Mazzini stcwn-patc all'estero; 2.) opere su G. Mazzini sitamqiate in Italia; 3.) articoli di giornali quotidiani e riviste, i quali, anche se non porti/no contn'ibivti di studio, possono tuttavia riuscire utili per una storia del mazzi nianismo. SCRITTI SU G. MAZZINI PUBBLICATI ALL’ESTERO. 1.) Mazzini Giuseppe, Dolznosti cloveka prevede! Dr. Aloiz Graduile, 1925. Edito dalla Società Editrice Kleimnayr e Ferd. Bamberg, 1925. Traduzione in sloveno dei Doveri deWuomo, curata dal Dr. A. Graidnik. 2.) Zaxdrixo F. M., Mazzini, Vultimo italiano vivente che lo vide e gli parlò ; in La Patria degli Italiani, Buenos Ayers,. 27 settembre 1925. 3.) Malgridi A., Un aspetto poco noto di Giuseppe Mazzinir in Corriere degli Italiani, Digione, 13 dicembre 1925. L’aspetto poco noto di G. Mazzini sarebbe che a lui importò sempre (( che l’Italia fosse grande, Ibuona, morale, virtuosa!... ». 4.) Mazzini e gli slavi, in La Patria degli Italiani, Buenos-Ayres, 12 gennaio 1926. Annuncio della traduzione del Dr. Aloiz Gradnik in sloveno, dei Doveri deìVuomo. Cfr. N. 1. 5.) S[ilya Pietro], Giovinezze eroiche dei primi mazzinianir in Opinione, Philadelphia, 28 febbraio 1920. 6.) PALÉOLOGUE Maurice, Un grand réaliste, (Uiour, in Revue de deux Mondes, Paris, 15 ottobre, 1° novembre, 1° dicembre, 15 dicembre 1923 e 1° febbraio, 1° marzo, 1° aiprile 1926. Il P. in uno studio assai interessante sul Cavour ha modo di parlare ancihe diffusamente del Mazzini. Ne tratteremo a studio interamente pubblicato. 7.) Giuseppe Mazzini, in La Voce del Popolo, Cleveland, Ohio 10 marzo 1926. GIORNALE .STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 81 OPERE E STUDI SU G. MAZZINI PUBBLICATI IN ITALIA. 8.) Pareto Magliano Bice, Lettere e ricordi di Giuseppe Mazzini con prefazione di Aless. Luzio. Torino, Paravia (s. a.). 9.) Rinaldi E velina ^ La Svizzera e i proscritti politici, Lettera di Luisa Mandrot a G. Mazzini, in La Liguria nel Risorgimento, a cura del Comitato ligure della Soc. Naz. /per la Storia del Bisorgimento, ( rénova 1925, pag. 157-170. La R. pubblica un’importante lettera 'di Luisa Mandrot a G. Mazzini tratta dali’Archivio Ruffini; lettera che dà ragguaglio di un interrogatorio subito dalla Mandrot dalla Polizia svizzera per i suoi rapporti politici col Mazzini e, opportunamente illustrata, ci fornisce amipi ragguagli sulla situazione dell1 Apostolo nell’ultimo anno del suo esilio in Svizzera. 10.) Monti Umberto, Nella redazione di un giornale mazziniano (Italia e Popolo 1851) in La Liguria nel Risorgimento cit. pagg. 173-190. Il M. pubblica quindici documenti tratti dalle carte Remorino conservate nella Biblioteca della R. Università di Genova e li commenta opportunamente illustrando la breve vita del giornale Italia e Popolo uscito a Genova nel 1851. 11.) Del Pin Anna, Patrizi Genovesi nei processi del ’33 in La Liguria nel Risorgimento cit. pagg. 139-15(5. La D. P. pubblica importanti documenti tratti dal R. Archivio di Stato di Torino e riguardanti i marchesi Cambiaso, Rovereto, Spinola, Pareto, De Mari, Balbi Pioverà. Lo studio è assai notevole perchè chiarisce lo spirito che la nobiltà genovese nutriva verso il governo piemontese in questi anni. 12.) Mazzini Giuseppe, Scritti scelti ed annotati da Rosolino Guastalla (Biblioteca classica), Torino, C. R. Paravia 1925. 13.) Salucci Arturo, Il figlio di Mazzini in Rassegna Internazionale, Milano 1925, vol. I, 27 e 28. 11 ,S. riesamina la nota questione sul figlio del Mazzini e attraverso un diligente spoglio dell1 epist. mazziniano e più attraverso il carteggio Mazzini-Sidoli edito dal Rinieri, giunge alla conclusione che il misterioso A di cui è fatto cenno in tali lettere, altri non sia cihe un figlio che il Mazzini eiblbe dalla Sidoli, e a cui già avea accennato Emilio Ollivier. 14.) Codignola Arturo, / Fratelli Ruffini, Lettere di Giovanni ed Agostino Raffini alla madre dall’esilio francese e 82 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA svizzero. Parte I (1833-1835) in Atti della Soc. ligure di Storia Patria, Genova, 1925. La pubblicazione delle lettere dei Ruffini è preceduta da uno studio eu la giovinezza di G. Mazzini, dei Ruffini c chea primi nhazzìnimii liguri condotto in gran parte su documenti inediti. 14.) Ferretto Arturo, Un sacerdote cliiavarese precettore di G. Mazzini, in La Sveglia, ChUwari, 6 dicembre 1925. - Notizie biografìiclhe intorno a Luca Agostino De Scalzi, n. a Chiavari il 22 ottobre 1765. Il D. S. fu amico fin dalla prima gioventù di Giacomo Mazzini il quale vestì anch’egli fino al diciassettesimo anno l’abito degli Agosti nianii. Nel 179? e 1798 appartenne con Giacomo Mazzini alla Guardia Nazionale e meritò una menzione di merito per aver preso parte con altri volontari alla repressione degli insorti in Albaro nel 1797 contro la repubblica democratica. Fu dapprima coadiutore di Lorenzo Garaventa nell’istruzione popolare gratuita e quindi deH’Assarotti nella istruzione ai sordomuti. L’Aissarotti nel suo testamento lo designa come suo successore nella direzione dell’istituto da lui creato. Il D. S. fu tra i primi precettori di Giuseppe Mazzini. Si credette fino ad ora ch’egli fosse un ardente giansenista. iDa certe tsue note caratteristiche rilevate dal Registro segreto della Curia di Genova, che pubblica il Ferretto, non risulta sospettato di eresia. Ma non crederemmo suffì-niente questo documento per stabilire senz’altro dhe il D. S. non sia stato giansenista. Il D. iS. morì in Genova il 16 novembre 1840. 16.) Luzio Alessandro, La Massoneria ed il Risorgimento Italiano, Bologna, Nicola Zanichelli, 1925. Il libro terzo del 1° volume tratta di Giuseppe Mazzini e il suo completo distacco dagli ideali e dai metodi massonici; il libro V (2° volume) tratta di Garibaldi e la Mus soneria, competizioni fra Garibaldi e Mazzini sul terreno massonico. 17.) Rinieri Ilario, La cospirazione mazziniana nel carteggio di un transfuga, in II Risorgimento Italiano, voi. XVIII, fase. II, pag. 316. Il R. continua la importante pubblicazione dei documenti riguardanti la spia Michele Accursi. 17.) Landogna Francesco, Giuseppe Mazzini, Livorno, R. Giusti Bdit. 1926 (in Biblioteca degli Studenti, n. 644-647). Studio divulgativo della vita e degli scritti del Mazzini, seguito da un’appendice in cui sono pubblicati estratti degli scritti mazziniani. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 83 19.) (Vjdignola Arturo, La Giovinezza eli G. Mazzini, Vallecchi, Firenze, 1926. Studio sulla giovinezza di Mazzini condotto su documenti inediti tratti da archivi pubblici e privati. 20. Neri Achille, Scampoli mazziniani, in II Comune di Genova,, Bollettino municipale, Genova, 31 gennaio 1926. Scritto postumo del compianto Nestore degli studiosi liguri, nel quale viene studiata l’opera svolta da Giacomo Mazzini durante l’epidemia colerica a Genova nel 1835 e vien tratteggiata la figura di un amico di G. Mazzini, il protomedico MLdhele Griffa. 21.) Morandi R., La Nazione in Giuseppe Mazzini, in Critica Politica, anno VI, fase. II, Roma, 25 febbraio 1926. 22.) Ferrari Aldo, I precursori del movimento socialista in Italia, in Nuora rirista storica, Milano, Gennaio, Febbraio anno 1926. 23.) Zonta Giuseppe, Idee filosofiche di G. Mazzini in L’idealismo realistico, anno III, n. 5-6, Roma, 1-15 marzo 1926. 24.) Piccoli Valentino, G. Mazzini dinanzi alla storia della filosofia, in L’idealismo realistico, anno III, n. 5-6, Roma 1-15 marzo 1926. 25.) Pareto Magliano Bice, Alcune lettere di Mazzini all'amica Aretliusa Milner Gibson, in L’Italia del Popolo, Genova, Marzo 1926. Importante lettera di Mazzini ad Arethusa Milner Gibson; una lettera di Victor Hugo ad A. Milner Gibson; una lettera di A. Milner Gibson a Costanza Beart, ed una protesta di quest’ultima pubblicata sulla Democratie di Ginevra in data 5 settembre 1854. 26.) Zanotti Bianco Umberto, Mazzini, (Pagine tratte dall’E-pistolario), Milano, S. Morreale (e. a.ma 1926). Scelta delle pagine più belle del Mazzini, tratte dall’epistolario, con una prefazione di U. Zanotti Bianco. ARTICOLI VARI IN GIORNALI Ë RIVISTE. 27.) Triulzi Giovanni Guido, La Orna di Mazzini, in Italia del Popolo, Genova, Nov. 1925. 28.) Morando Ernesto F., Goffredo Mameli nell’ Epistolario mazziniano e in altri documenti, in Italia del Popolo, Genova, Nov. 1925. 29.) Latronico Ettore, Buon tempo antico, in II Solco di Cagliari, «diari, 3 Nov. 1925. 34 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 30.) Ceryesato Arnaldo. <( Tkigli esuli di Londra ai « Fasci di combattimento » Risorgimento e Marcia su Roma, in II Popolo, Trieste. 4 nov. 1925. 31.) Pini Oliviero, Il pensiero di Mazzini e il Sindacalismo Nazionale, in Opinione di Spezia, 15 Nov. 1925. 32.) Lodolini Armando, I/antisettarismo di Mazzini e iï concedo unitario, in Camicia Rossa,, Roma, 15 nov. 192;). 33.) Lodolini Armando, Gin seppe Mazzini corrispondente e-stero, in Vita' Nova, Bologna, 19 Die. 1925. 34.) Grilli Alfredo, Mazzini tri univi ro, in Corriere Padano, Ferrara, 10 Die. 1925. Recensione dei voli. XXXIX e XI. dell’Ediz. Naz. degli scritti mazziniani. 35.) Plini Giovanni, Reali-stazioni mazziniane. in Camicia Rossa, Roma, 13 Die. 1925. Articolo divulgativo delle teorie mazziniane. 30.) 77 pensiero politico-sociale di G. Mazzini, in Vedetta, Lugo, 13 Die, 1925. Articolo divulgativo intorno alle dottrine di G. Mazzini. B7.) A lina, il monumento di Mazzini sull'Aventino in Fede nuova, Roma, 20 dicembre 1925. S’invoca la collocazione sull’Aventino del monumento di Mazzini eseguito da Ettore Ferrari. 38.) Baldi Vittorio, Gli affetti di Giuseppe Mazzini, in Italia del Popolo, Genova, gennaio 1926. Si parla degli affetti di Mazzini e in modo particolare di Giuditta Sidoli. 39.) Manfroni Camillo, I fratelli Ruffini, in Rivista Marittima, Roma, gennaio 1926. Recensione del volume di A. Codignola su i fratelli Ruffini. Cfr. N. 13. 40.) Puglionisi Carmelo, Marx, Mazzini ed Hegel, in La Voce Repubblicana, Roma, 17 gennaio, 1926. Risposta polemica a\VAvanti, che avea polemizzato col P. per un suo articolo Marx e Mazzini, pubblicato sulla Voce Repubblicana il 15 gennaio del 26. 41.). Vi fu un colloquio fra Vittorio Emanuele II e Mazzini ? in Rivolta ideale, Roma, 26 gennaio, 1926. Si riproduce la nota pagina del Brofferio comparsa nel giornale Venezia e Roma. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 42.) Codignola Arturo, La Casa di Mazzini, in 11 Comune dì (ìenova, Bollettino Municipale, Genova, 31 gennaio, 1926. 43.) La giovinezza di Mazzini, in Scuola in Sardegna, Cagliari* febbraio, 1926. Breve recensione del voi. di Codignola sulla giovinezza di G. Mazzini. 44.)Pivano Livio, Mazzini dittatore (1849), in Nuova Antologia Roma, 1° febbraio, 1926. Recensione del XLI voi. degli Scritti mazziniani. 45.) Lodolini Armando, Il processo della> Sacra Consulta contro la Repubblica Romana, in Camicia Rossa, Roma, 7 Febbraio, 1926. 46.) ( ; ri sfolti, La Masso ne ria e il Risorgimento Italiano, in Corriere d’Italia, Roma, 13 febbraio, 1926. (Recensione del volume del Luzio. Cfr. n. 15. 47.) Finzi Glauco, La comunità Mazziniana, in Regime /a-cista, 13 febbraio 1526. Accenni ai compiti che si prefìggono le Comunità mazziniane. 48.) Lizzari Mario, Un cinquantenario nazionale : Maurizio Quadrio, in ('amieia Rossa, Roma, 14 febbraio 1926. Sobria rievocazione della figura di Maurizio Quadrio e della sua attività svolta accanto a Mazzini. Una lettera inedita di Maurizio Quadrio a Carlo Lizzani del 6 maggio 1875. 49.) Gianquinto G. B., Un richiamo a Mazzini, in La Voce Repubblicana, Roma, 16 febbraio 1926. Riferendosi al dibattito sul problema religioso recentemente svoltosi sulle colonne della Voce Repiibblicana, rivendica Γemancipazione religiosa del popolo italiano alla teoria mazziniana. 50.) Salucci Arturo, La giovinezza di Mazzini, in II Lavoro Genova, 18 febbraio, 1926. Recensione del volume di A. Codignola sulla giovinezza di G. Mazzini, cfr. n. 13. 51.) La Giovinezza di Mazzini, in La Nuora scuola Italiana* Firenze, 21 febbraio, 1926. Breve recensione del voi. di A. Codignola sulla giovinezza di Mazzini cfr. n. 13. 52.) Lo Storico dissidio mazzinia-no-gariìmldino in Camicia Rossa, Roma, 21 febbraio, 1926. 53.) Zanotti Bianco Umberto, Mazzini e l’Europa d’oggi, in La Voce Repubblicana, 21 febbraio 1926. E’ un brano della prefazione che Z. B. ha premesso ad una raccolta di pagine mazziniane edite dal Morreale di Milano, cfr. n. 25. 86 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 54.) G. I\, II fondamento religioso della dottrina mazziniano, in Camìcia Rossa, Roma, 21 febbraio, 1926. 55.) Giaxquixto G. B., Mazzini e Lamennais, in La Voce re-pul)l)licana, Roma, 24 febbraio, 1926. 56.) L. L. Un richiamo alla religione di Mazzini, in ]j'Evangelista di Roma, 24 Febbraio, 1926. Polemizza con G. B. Gianquinto sulla interpretazione del pensiero religioso mazziniano nel riguardo del cristianesimo. Secondo l’A., il cristianesimo per Mazzini non è dottrina ormai superata, ma dottrina « da essere sviluppata nei suoi germi ed applicata nelle sue verità ». 57.) Baglioni Benedetto, La religione di Mazzini in La Voce Repubblicana, Roma, 25 febbraio 1926. 58.) Due lettere di Marx sa Mazzini e i contadini in Italia, in Unità, Milano, 26 febbraio 1926. 59.) Rixatdo Costanzo, La figura morale dì Giuseppe Mazzini, in 111 astrazione del Popolo, Torino, 28 febbraio 1926. 60.) MAzzrcCHETTi Layixia, Swinhourne e l’Italia, in Libri del giorno, Milano, Marzo, 1926. 61.) Landogna Fraxoesco, La politica di Giuseppe Mazzini, in (iostruire, Pisa, marzo, 1926. 62.) La qiorinezza di G. Mazzini, in Puglia fascista, Bari 1° Marzo 1926. 63.) [Cavassa Umberto Vittorio], La giovinezza di G. Mazzini in Giornale d’Italia, Roma, 2 marzo, 1926. Recensione del Voi. di A. Codignola sulla giovinezza di G. Mazzini, cfr. il 18). 64.) Titta Rosa G., Mazzini (fiorane, in II Secolo, Milano, 5 Marzo, 1926. Recensione del voi. di A. Codignola sulla giovinezza di G. Mazzini, cfr. n. 18). 65.) Petraccoxe Giovaxxi, Le lettere dei Ruffini alla madre, in Secolo XIX, Genova, 6 marzo 1926. 66.) Gigi, La politica internazionale di Mazzini, in La Riscossa, Treviso, (> marzo, 1926. 67.) Golinellt G., X Marzo 1S72, in La Vedetta, Lugo, 7 marzo 1926. 69.) C[artosio] T[omaso]. Un libro sa G. Mazzini, in Grido d’Italia, 7 marzo, 1926. Recensione del voi. di A. Codignola sulla giovinezza di G. Mazzini. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 87 70.) Alfani Mario, Commemoriamo Giuseppe Mazzini, in II Progresso, Salerno, 8 marzo 1926. 71.) Paloscia M. Leonardo, Mazzini e il fascismo, in Puglia fascista, Bari, 8 marzo 1926. 72.) Un amico di G. Mazzini, in Regime, Fascista, Cremona, 9 marzo, 1926. Sono studiati i rapporti di amicizia tra Mazzini e William James Linton. 73.) Un appello mazziniano ai reggitori di popoli, in La Voce repubblicana, Roma, 9 marzo, 1926. 74.) Giuseppe M'azzini, in Telegrafo, Livorno, 10 Marzo, 1926. 75.) V. B., Mazzini musicista, in II Messaggero di Rodi, Rodi, 10 marzo, 1926. 76·) Dovere e diritto di Giuseppe Mazzini, in ('remona ynova* Cremona, 10 marzo, 1926. 76.) Un severo giudizio di Garibaldi su G. Mazzini, in II Tevere, Roma, 11 Marzo 1926. Riassunto di una lettera di Garibaldi del 30 agosto 1859, scritta in risposta ad un quesito rivoltogli da alcuni liberali di New^Castle. 78.) Morando F. Ernesto, X Marzo, in II Lavoro, (ìenova, 10 Marzo 1926. 79.) X Marzo, in Caffaro, Genova, 10 marzo 1926. 80) Profeta Ottavio, Mazzini, in Fiamme 'Nere, Catania, 10 Marzo, 1926. 81.) Il nostro Mazzini, in La Voce repubblicana, Roma, 10 Marzo 1926. Si nega che il Mazzini delblba considerarsi come una tremenda unità e si propugna la «necessità di una elaJborazione critica del pensiero mazziniano .la quale ponga nella giusta luce i principii fondamentali, indichi i loro rapporti gerarchici con i concetti secondari e metta da parte, se così deve essere, quello che risulta aberrante e superfluo. 82.) / repubblicani alla ricerca del vero Mazzini, in l’Unità, Milano, II marzo 1926. Breve polemica con la Voce Repubblicana soipra Γinterpretazione dell’attuale valore politico della teoria sociale mazziniana. 83.) Midolla Domenico, X Marzo, Mazzini, in Corriera di Sardegna, Cagliari, II Marzo, 1926. 84.) Donati Luigi, G. Mazzini e l'ora presente, in Gazzetta di Parma, 11 Marzo, 1926. SS GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 85) Galleani Luigi, Giuseppe Mazzini, in II Monito, Paris, 13 marzo 192(5. 86) Ganga le Giuseppe, Necroloc/io in Co uscenti a, Roma, 13 marzo 1926. 87) Romagnolo (II), In memoria di Giuseppe Mazzini, in La Riscossa, Ravenna, 13 marzo 1296. 8S.) Mazzini in Santa Milizia, Ravenna, 13 marzo 1926. Breve articolo polemico con la Voce Republblicana. 89) Guardione Francesco, Giuseppe Mazzini, Ricorrendo il 54° anno della morte, in Corriere marittimo siciliano, Palermo, 14 marzo 1926. 90) Marzo dei Ricordi in EtruriuNuova, Grosseto, 14Marzo 192(>. 91) Molinari C. A., La vocazione di Mazzini, in Giovinezza fascistay Bologna, 15 marzo 1926. 92.) Mazziniana, in La Voce Repubblicana, Roma, 17 marzo 1926. Riproduce largamente un articolo di Ferdinando Martini pubblicato sul Secolo di Milano. Il Martini nell’articolo rievoca i tempi da lui trascorsi a Pisa in qualità d’insegnante negli anni ’71 e ’72 e i suoi ricordi personali sulla morte di Mazzini. 93) Parini Vico, Giuseppe Mazzini, in II Timavo, Monfalcone, 20 marzo 1926. 94.) Giuseppe Mazzini, in II Piave, Livorno, 20 marzo 1296. 95) Gibigi, La politica internazionale di Mazzini, in La Riscossa, Treviso, 20 marzo 1926. 96) Spectator, La Giovinezza del Titano, in Giornale di Genova Genova, 21 marzo 1926. Chiaro e preciso riassunto del voi. di A. Codignola sulla giovinezza di G. Mazzini. Cfr. n. 19. 97) Viterbo Michele, Mazzini e il Sindacalismo, in Gazzetta di Puglia, 24 marz ol9'26. Largo riassunto di una conferenza che il V. tenne a Canova per l’inaugurazione del corso per maestranze istituito dall’Ente pugliese di Coltura popolare. A. C. (continua) Recenti pubblicazioni : FRANCESCO LUIGI MANNUCCI La lirica di Gabriello Çhiabrera STORIA E CARATTERI vol. IX della Biblioteca della « Rassegna » (un voi. in 8°, di pp. 298; L. 35) Società Anonima Editrice Francesco Perrella, Genova, Via Assarotti, 16 A ARTURO CODIGNOLA La giovinezza di G. Mazzini vol. XXIII della «Collana storica» dell’Editore Vallecchi (un voi. in 16°, di pp. 250, con 15 illustrazioni fuori testo; L. 14) Vallecchi, Editore - Firenze. Direttore responsabile : Ubaldo Formentini v>' V- ■ i i M. » . % ( I lORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA I I/^|l TDIA fondato da ACHILLE NERI LlUU ΓγΙ/Λ e UBALDO MAZZINI » * diretta da Francesco Luigi Mannucci e Ubaldo Formentini Alfredo Schiaffini, I Liguri antichi e la loro lingua secondo le indagini più recenti Discussioni, dubbii, proposte — Antonio Costa, Gian Luca Pallavicino e la Corte di Vienna (1731 - 1753) — VARIETÀ: Francesco Luigi Mannucci, Il Circolo costituzionale di Genova nel 1798 — Onorato Pàstine, Officium magistri Cursorum — Onorato Fàstine, Genova e una gazzetta napoletana del Sec. XVIII — RASSEGNA BIBLIOGRAFICA: U. Formentini, Le origini di Genova (Vito vitale) — L. Fumi e E. Lazzareschi II carteggio di Paolo Guinigi (Umberto Giampaoli) — SPIGOLATURE E NOTIZIE (F. L. M. - U. F.): Arturo Codignola, Appunti per una bibliografia mazziniana. NUOVA SERIE ANNO II. 1926 Fase. 2 Aprile - Giugno SOMMARIO GENOVA Stab. Tip. G. B. Marsano 1926 Giornale storico e letterario della Liguria NUOVA SERIE diretta da Francesco Luigi Mannucci e Ubaldo Formentini. COMITATO DI REDAZIONE: Orlando Grosso, Pietro Nurra, Arturo Codignola. L'annata 1926 esce sotto gli auspici del Municipio e della R. Università di Genova, e dei Municipio e della Società d'Incoraggiamento della Spezia. DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE: Genova, Palazzo Rosso, Via Garibaldi, 18 CONDIZIONI D’ABBONAMENTO. Il Giornale si pubblica a Genova, in fascicoli trimestrali di circa 80 pagine ciascuno. Ogni fascicolo contiene scritti originali, recensioni, spigolature, notizie e appunti per una bibliografia mazziniana. ABBONAMENTO ANNUO per Γ Italia Lire 30; per P Estero Lire 60. Un fascicolo separato Lire 7.50. I LIGURI ANTICHI E LA LORO LINGUA SECONDO LE INDAGINI PIÙ RECENTI DISCUSSIONI, DUBBII. PROPOSTE (*) S'è scritto, finora, la. Storia romana; e a Roma s’è pensato come a ima città che occupasse prestissimo una posizione idi prim ordine, così tìa regolare e dominare subito le sorti del Latium non solo, ma dell’Italia (1). È giunto, però, il momento di scrivere la Storia italica, e di guardare con occhio più acuto e più curioso alla vita attiva e intensa delle varie stirpi italiche appunto, e non italiche, che influirono in modo duraturo sulla civiltà, e sulla lingua, di Roma (2); Ha quale non acquista che lentamente, con sforzi eroici e gloriosi, il suo posto di potenza dominatrice nel Latium, in Italia, e nel mondo : posto che mantiene anche quando, decapitata da Costantino, diventa il centro fatale, — e, ancóra, lentamente e 11011 senza contrasti, ■— di un nuovo e più poderoso Imperium. Ho accennato alla lingua. Proprio nella lingua, _ chi .la esamini e scruti con quel metodo, sostanziato anche di storia, che la ricca esperienza e la meditazione continuata dei neolatinisti ha reso straordinariamente fine e .sagace, — si scorgono, rispecchiate con la fedeltà massima, tutte quante le vicende di Roma; e fin dal suo primo apparire, quando 11011 ha che una popolazione di agricoltori e lotta con i popoli e i dialetti vicini, sentendone fortemente l'efficacia (3). Dal confronto col (*) [Discorso letto nell’Aula Magna della R. Università di · Genova il 29 maggio 1926 per inaugurare l’anno accademico della Società Ligustica di Scienze^ Lettere. Si pubblica con modificazioni, aggiunte e l’indispensabile corredo di note, le varie questioni accennate saranno riprese e discusse ampiamente]. (1) L. Homo, L'Italie primitive et les dcluts de l’imperialisme romain, Paris, 1925, pp. 31 e sgg. (2) U. v. Wilamowitz-Moellendorf, Storia italica, in Rivista di filol. e di istruz class., N. S., a. IY (1926), pp. 1-18. (3) Cfr., anche per ciò che segue, J. Maroitzeau, Le latin, langue de vaysans, nei Mélanges Vendryes, Paris, 1925, pp. 251 e sgg. 90 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA greco e con 'l’indoiranico, «i quali riflettono i costumi e la mentalità di un ambiente aristocratico », il latino è risultato ad Antonio Meillet « come la lingua di una popolazione frusta, di tournure di spirito realista, positiva, concreta ; esso reca l’impronta di una società di contadini». Ma a mano a mano che Roma, non sine divino mimine, estende la sua potenza, col prestigio politico acquista anche un prestigio linguistico ; elimina gli elementi d'origine rustica e dà regolarità al proprio sistema fonetico e grammaticale (per esempio, esclude dal verbo il tipo faxo-faxim (1) ) ; reagisce gagliardamente contro i dialetti di quelle popolazioni con le quali viene in contatto, e elabora (soprattutto a cominciare dal secondo secolo) un concetto suo ideale di urbanitas. Tuttavia, ogni stirpe, o quasi, che ha vissuto nella Penisola, ha esercitato e continuato a esercitare a lungo — fin che non è stata assorbita completamente ; ma in modo da lasciar tracce lino a oggi — la sua influenza sulla lingua latina. Quando questa si generalizza, assimila ancóra elementi varii, soprattutto lessicali, — e tanto più numerosi quanto più potenti so-3)0 le popolazioni da cui provengono, — e altri lascia cadere che le sono eccessivamente caratteristici. Pensiamo, — senza ricordare il fiorentino che si fa la lingua nazionale italiana, o il parigino che diventa il francese comune, e, l’uno e l’altro, perdono peculiarità troppo tipiche e sottostanno a evidenti influssi provinciali (2), — pensiamo, per rimanere nel mondo antico, a quanto è accaduto al dialetto attico, il quale passando alla funzione di lingua generale, subisce reazioni varie e (per fermarmi a un esempio solo) diffonde μέλισσα ’ape’, vocalbo'lo comune all’ionico e alla maggior parte dei dialetti greci, e non μέλιττα, caratteristico di Atene (3). (1) É. Benveniste, in Bull, de la Soc. de Ling., t. XXIII, pp. 61 e sg. Sul tipo in questione tornerò anch'io di proposito altrove. (2) A. Schiaffini, Testi fiorentini del Vugento e dei primi del Trecento, con introduzione, annotazioni linguistiche e ·glossario, Firenze, 1926, pp. XLIII e egg. (3) A. Meillet, La méthode comparative en Linguistique historique, Oslo, 1925, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 91 Quando si comporrà, accanto alla Storia
  • -osca, ecc.) lo troveremo nella Penisola iberica (in nomi di luogo, in tutto venti, di piante, in appellativi come ta vasca, dello spagnolo e del portoghese, per •brutta femminaccia’ (3)) e in Francia, dove si estende in tutto il territorio compreso tra il Rodano e la Saòna (da una parte), le Alpi e il Giura (dall’altra). Toponimi in -asca (e simili) si raccolgono «aussi à l'ouest du Rhône, dans le Vivarais, P Auvergne, le Rouergue et la Bourgogne ; en outre, on en constate la présence plus au nord, jusque dans les environs de Metz, si toutefois on peut faire état du nom de Caranusca, que la Table de Peutinger attribue à une station itinéraire, située entre Metz et Trêves; et, du côté du midi, on en rencontre un exemple dans le département de P Hérault» (4). (1) Le congiunture in floviom Neviascam, ad rivom Vinelascam ecc. non provano affatto (come ha creduto G. Herbig nel Reallexikon der germani. Altertumskunde, pubbl. sotto la direzione di J. Hoops, III, 159) che il ligure non conoscesse la distinzione indoeuropea dei generi. Cfr. M. Niedermann, Essais d’étymologie et de critique verbale latines, Paris - Neuchâtel, 1918, pp. 98 e sg. (2) Corpus Inscript. Lat., XI 1147. (3) D’Arbois de Jubainville, op. cit., II, p. 116; P. /Skok, Die mit den Suffixen -a cum, -anum, -a s c u m und -u s c u m gebildeten siidfranzosisclien Ortsnamen, nei Beiliefte z. Zevtschrift /. roman. Philologie, η.ο 2, Halle a. S., 1906, p. 2, η. 2. (4) A. Longnon, Les noms de lieu de la France, I, Paris 1920, p. 16, il quale soggiunge : « De sorte que la toponomastique permet d’affirmer que les Ligures habitèrent jadis dans une vingtaine au moins de nos actuelles circonscriptions départementales ». <)4 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Siamo, dunque, in una zona già occupata dai Liguri ; inoltre, _ed è un rilievo che qui però non può avere valore essenziale, — le testimonianze più antiche per la Francia (e lo stesso è da dire per la Penisola iberica) sono di parecchio posteriori a quelle offerte dalla Liguria (1); infine, i luoghi più anticamente documentabili, sempre per la Francia, sono nell'estremo sud, e cioè Tarusco Ταρούσκων, oggi Tarascon (Bocche del Rodano) e l indolisca, oggi Yenasque (Vaichiusa) (2). E anche le variazioni, che sono tarde, -usco, -osco hanno certo il loro peso. Concludendo, si direbbe che il centro d irradiazione del suffisso -asca (forma più antica, a non parlare di -asco, che -usco, ecc.), e con la funzione di designare l’origine ο 1 appartenenza___ (cfr. bergamasco, comasco, ecc.; Intra-Intrasca, Anza-Anzasca ; ecc.), sia la Liguria, donde è passato direttamente anche in Corsica, la quale offre venti toponimi del tipo in questione (3). E non è suffisso celtico, chè, nel caso, dovremmo attendercelo più diffuso in Francia e, forse, non dovremmo incontrarlo affatto in Spagna, dove i Celti, come prova anche la toponomastica, pare che non siano stati molto stabilmente (4) ; e non è nemmeno latino, nè italico. Anzi, è un suffisso preitaloceltico, e non indoeuropeo (sebbene non sempre preindoeuropeo voglia dire non indoeuropeo). Di fatti, il celtico, il greco, il latino, il germanico, il lituano e lo slavo conoscono quasi solo la derivazione -isc-, la quale non si documenta per nulla nel ligure, che ha unicamente -asc-, -esc-, tese- e -ose- (5). Tuttavia, di recente s’è cercato di dimostrare, da Edoardo (1) Oltre Longnon, op. cit., pp. 15 e sg., cfr. H. Gbohleb, Ueher Ursprung und Bedeu-tung der franzósisclien Ortsnamen, I, Heidelberg, 1913, pp. 52 e 6g. <2) Autori e opp. oitt. (3) D’Arbois de Jubainville, op. cit., II, pp. 91-93. È notevole che la Corsica non abbia -usco, -usca, -osco, -osca. (4) Dottin, Anciens peuples de l’Europe, pp. 182 e 8g.; C. Jullian, Histoire de la Gaule, I5, Paris, 1924, pp. 305-t308. <5) €fr. Kbetschmeb, Die ligurische Sprache, p. 122. Il NiedebmAnn, Essais ecc., pp. 98 e seg., dimostra poi che non si può ammettere l'esistenza di un suffisso -isco- già nell’indoeuropeo comune. Per -isc- greco, cfr. A. Debbunneb, Griechische Wortì)ildungs-lehre, Heidelberg, 1917, §§ 397-399. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 95 Philipon (1), che -asco (e -osco) sono suffissi appartenenti al tipo indoeuropeo di derivazione dei nomi. Dico subito che il tentativo è completamente fallito ; perchè le prove, uniche e sole, e miserrime, sarebbero offerte , proprio come Tosco-umbro· Quindi, pe per que è forma legittima per il gallico (2). Inoltre, Latumaros è nome personale che ha un’impronta interamente gallica, e ciascuno dei suoi due elementi costitutivi ci si appalesa come gallico (3). Ma, d’altra parte, il nome della donna, Saps-uta, non par che abbia nulla di indoeuropeo (4). E per il ligure? Se il ligure fosse da mandare insieme con la lingua dell’iscrizione di Ornavasso, il suo caratteristico osca, che si fa risalire (5) a un più antico e originario -asqwu-■ e la stessa cosa è da dire di -nqic-), dovrebbe sonare -aspa (si confrontino, infatti, i nomi gallici Bratuspo-s da * Bratusqico-e Cerispo-s di fronte a Yertiscos (6)). Ma il ligure sta saldo a -osca. Dunque, non par collegato da nessun rapporto col gallico (7): e l’iscrizione di Ornavasso, che ha pe, può esser celtica, ma non è ligure. In breve, le povere e scarne iscrizioni, del resto anche difficili, trovate in territorio celtico o celticizzato, non possono essere, in linea generale, altro che celtiche o affini al celtico. (1) A. Walde, Uéber alteste sprachJiclie Beziehungen zwischen Kelten und Italikern, Innsbruck, 1917, p. 57, n. 1. (2) Ma v. i dubbii del Sommer, op. cit., p. 1. (3) Kretschmer, Die Inschriften von Ornavasso, p. 103; Hirt, Die Indogermanen, II, pp. 564 e sg. (4) E. Windisch, nel Grundriss del Grôber, 12, p. 404. Sarà del substrato ligure. (5) Dal Philipon, Les peuples primitifs de l’Europe meridionale, p. 258. <6) E v. Philipon, op. cit., p. 258. (7) Anzi il Philipon, op. cit., pp. 143, 144 e 318 e sg., — contrariamente al Kretschmer. Die ligurische Sprache, p. 126, — annovera proprio fra le caratteristiche del ligure quella del mantenimento della labiovelare qw, a differenza del gallico, che la labializza (p). Per i casi di delabializzazione nel britannico, cfr. Walde, op. cit., pp. 58 e sgg. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 101 C: maraviglieremmo solo se risultasse il contrario. È non sono tali da portare allcun contributo per risolvere la questione (lei Liguri (1), i quali possedevano già da un millennio almeno quelle zone che in seguito (a cominciare dal VI-V sec.) vennero occupate dai Celti. Da ultimo, il Kretschmer medesimo ha modificato, mi pare, la propria opinione. In un breve ma solido e lucido opuscolo sulla linguistica indoeuropea (2), dopo aver dato notizia del ramo celtico, afferma che a questo veramente sarebbe da aggiungere il ligure, se pero le nostre conoscenze non fossero così scarse e insufficienti, che la questione ligure non si risolve con sicurezza, e resta quindi ancora sul tappeto. Con probabilità, infatti, nei Liguri si è avuto uno strato preindoeuropeo, coinè negli Elleni e in altri popoli affini (3) ; ma sin dal principio della storia essi sono stati ? indoeuropeizzati ’ da una tribù strettamente congiunta con i Celti. Per ciò i nomi proprii liguri — quasi gli unici resti del ligure! — in parte sono non-indoeuropei, in parte con l'indoeuropeo si lasciano spiegare agevolmente. Ammessa l’innegabile ipotesi della celtizzazione sur un fondo preindoeuropeo e non-indoeuropeo, i vocaboli riferentisi hi Liguri, e interpretati mediante lingue indoeuropee (come il nome di fiume Porcobera ' Polcevera ? (4) ), non costituiscono (1) Di recente, H. Hirt, Zu don lepontischen imd den thrakischen Inschriften, nelle In-dogerm. Forschungen, XXXVII (1916), p. 212 e sg., ha dichiarato che è meglio lasciar sospeso ogni giudizio sull’attribuzione dei testi lepontici. Per ora, è preferibile continuar a parlare di * lepontico \ (2) Die indog ermanische Sprachwissenschaft, Eine Eìnfiihrung fiir die Schuìe, Gòt-tingen, 1925, pp. 29-30. (3) Cfr. P. Kretschmer, in Sprache, 6. Heft del 1. Bd. dell’Einleitung in die Alter-1iim8wi88cnschaft 3 herausg. v. A. Gercke u. E. Norden, Leipzig-Berlin, 1923, pp. 69esg. ; M Cohen, Sur le nom d’un contenant à entrelacs dans le monde méditerranéen, in Bull, de la Soc. de Ling., XXVII, pp. 81 e sgg. ; A. Trombetti, Elementi di Glottologia. Bologna, 1922-23, pp. 125 e sgg.; F. Ribezzo, La regione Japigo-messapica nella tradizione e nei monumenti scritti delVantichità, in Rivista indo-greco-italica, III (1919), pp. 93-110, articolo proseguito col titolo La originaria unità tirrenica dell’Italia nella toponomastica, (e dove sono studiati parecchi toponimi liguri), nella stessa rivista, IV (1920), pp. 83-97 e 221-239; cfr. anche ibid., X (1926), pp. 119 e sg. (4) Studiato da M. Olsen nella Zeitschrift f. vergleich. Sprachforschung, XXXIX (1906), pp. 607-609. 102 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA di necessità nemmeno « ein wahrscheinlichkeitsbeweis, da ss wir ■ini Ligurischen ein idg. idiom und zwar ein selbstiindiges glied des idg. sprachstammes zìi erkennen haiben ». Per aver badato troppo, o esclusivamente, al periodo nel quale l'area ligure fu occupata dai Celti, a»l periodo, cioè, ligure-celtico. o, meglio, celtico-ligure — che è seriore : per 11011 avere studiato cronologicamente e geograficamente la documentazione e la distribuzione dei nomi di luogo, specie di quelli, importantissimi, col suffisso -Q-soa : infine, perchè si possono spiegare eoi celtico, anzi perchè possono essere celtiche tarde iscrizioni di territorii celtici o celticizzati : — non solo si è parlato da taluno del ligure come di lingua indoeuropea e affine al celtico (benché Strabone (1), per esempio, scrivesse che Liguri e Celti sono di ni zza diversa, έτεροεθνείς ) : ma storici veramente insigni, come Camillo Jullian. haamo sostenuto e difeso strenuamente la tesi, tradizionale in Francia (Maurv. Desjardins, D'Arbois de Jubain-ville, Funel (2)). che «non c'è differenza essenziale fra Liguri e Celti : che i Liguri sono Celti prima del nome celtico, oppure, se si preferisce, i Celti sono un ramo ligure che ha imposto il suo nome allOccidente» (3). Il Grenier, discepolo e seguace del Jullian, arriva al punto di asserire, con la sicurezza massima, che, «figlia dell'indoeuropeo primitivo, la lingua ligure può essere considerata come il ceppo da cui dovevano staccarsi i dialetti italico, celtico e, probabilmente, anche germanico». E soggiunge le parole del Maestro: «più tardi, la maggior parte dei raggruppamenti che costituivano l'unità ligure si ritrovano nelPepoca celtica. I Celti si sarebbero dappertutto sovrapposti a popolazioni italo-celtiche, vale a dire di civiltà per nulla troppo differenti (lì II 5. 28. E cfr. H. Nissen. lì ali sche Landeskunde, I. Berlin, 1883, pp. 469 e egre. È vano sofisticare sul valore di έτεροβθνείς (2) Les vrais ancêtres de la Patrie française: essai historique et linguistique rur la race ligure. Nice. 1917. Quest'opera è ricordata e discussa dal PiziaGalli. ne La Sfinge ligure cit., pp. 455 e eç. (3) Histoire de la Gaule, P. pp. 122 e 530. η. 1. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 103 dalle loro. Può esser perfino che sia la loro parentela con queste antiche popolazioni liguri quella che avrebbe determinato i Celti a farne la conquista e a rivendicarne Pimpero» il). Io sono convintissimo che bisogni rimanere fedeli alla tradizione, confermata e per quanto è confermabile dalla linguistica, 1 unica fra le discipline storiche che sia in grado di far luce sulle origini. Come ha detto argutamente .poco tempo fa il più illustre dei classicisti viventi, il Wilamowitz-Moellendorf, le stesse ((«coperte archealogiche antichissime rimangono mute su ciò che importa di più. Perchè se anche si tiene in mano il cranio, esso non ci comunica nulla di ciò che il cervello ha pensato o la bocca ha detto : non ci permette di penetrare nell'anima Ì2)». * I dati che possiamo ricavare dal materiale fino a oggi posseduto, e già vagliato, ma ulteriormente vagliabile, — e che ho esposti, sia pure rapidamente, — si possono accrescere ancóra, procurandoci, poi che i mezzi ci sono, materiale nuovo. Non so se ci sia da sperare in fortunati ritrovamenti archeologici. In ogni modo, questa via è da battere. Ma per due strade soprattutto, da percorrere con molta fiducia, devono incamminarsi le nostre ricerche. È indispensabile, da una parte, di riesaminare a fondo quel < he conosciamo come tramandato e codificato per celtico fé questo è un vóto, se il mio ricordo è esatto, anche di indoeuropeisti lungimiranti come Carlo Marstrander). per vedere se e quanto nel volume lessicale celtico ha confluito di ligure. La fonetica e la storia, cioè la storia della parola come forma fonetica e come significato, trattate con quel rigore e quegli avvedimenti che sono oramai consueti ai neolatinisti (almeno, ad alcuni neolatinisti). faranno molta luce. Ad esempio, nè la Spagna nè il Portogallo hanno nomi locali, che ci riporterebbero al celtico, e che sono comunissimi in Fran- Ί A. Grexibk, Les Gaulcit. Paris, Payot. 1323, p. 38. (2) Storia italica cit.. pp. 5-6. 104: GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA eia, composti con -ncmctuni, 'recinto sacro1, 'fanum% -magus, 'campo', -ritum, ’guado’, -durum, ’porta’, del tipo mediola-num. Ne hanno invece sei, ma incerti, in dunum, 'montagna’, ’fortezza’, e ventotto, certi, nel quasi sinonimo -briga, ’ fortezza' (1). Anche briga (come dunum) è voce giudicata, pressoché universalmente, celtica. Ma la mancanza, in Spagna e in Portogallo, di toponimi in -magus, -ritum, ecc· ; i dubbii che nascono per dunum ; la constatazione che lo stabilimento dei Celti nella Penisola iberica suscita molta inquietudine; inviteranno almeno a riprendere in esame la storia del vocabolo briga, — che si apparenta (2) col gotico baurgs, ’città', germanico originario * burgis, — e che .si continua nei dialetti celtici moderni, cioè nell’irlandese bri 'altezza’ e nel gallico bre ’ picco (3). Mi si conceda ch'io adduca un altro esempio. In Lombardia vive fruda. froda froa, fruva frua, fodra, per 'rigagnolo', 'cascata d'acqua' (4). Si tratta di una voce estesa in territorio occupato da Liguri, donde potè metter piede anche in dialetti tedeschi, in cui compare pur come toponimo. A causa del confronto col bretone antico frot, s’è pensato che si risalga a un gallico fruta, ’ rivo ’. Ma avremo piuttosto a che fare, — come ha congetturato il Grohler (5) contro il Meyer-Lübke ((>), e anche per ragioni fonetiche, cioè per il / iniziale, che al gallico (1) Per tutta questa statistica, cfr. G. Dottin, Manuel pour servir à l’étude de VAntiquité celtique -, Paris, 1915, p. 445. (2) Per es., dal Meyer-Lübke, Die Bctonung im Gallischen, nei Sitsungsberichtc d. h. Akademie der Wissenschaften, Philos-Hist. Classe, CXLIII (1901), p. 21. (3) Sui nomi di città liguri in berg- (come Bergonum), cfr. Kretschmer, Die Ugu-rische Sprache, p. 116. Il D’Arbois de Jubainville, op. cit., II, pp. 165 e sg., ei domanda sia da connettere, tale ligure berg-, con quell'indoeuropeo bhergh- da cui deriverebbero il gali, briga e il germanico hurg. Ma dell'opera del D’Arbois de Jubainville v. anche vol. I, p. 363. Per il Jullian, Histoire de la Gaule, I5, p. 259, n., briga è voce preceltica e ligure (cfr. anche p. 307, n. 1). Il Dauzat, Revue des études anciennes, XXVIII (1926), p. 168, parla di « celtoligure ». Il Kluge, Etymogisches Wòrterbuch der deutschen Sprache, non collega burg con nessun’altra voce. (4) Meyer-Lübke, Romanisches Etymologisches Wòrterbuch, n. 3545; J. Jud, Bulletin de dialectologie romane, III, p. 74, n. 3; P. Scheuermeier, Einige Bezeichnungen fiir den Begriff ’Hohle’ in den romanischen Alpendialelcten, in Beihefte s. Zeitsclirift f. roman. Philologie, n.o 69, Halle a. S., 1920,, pp. 120 e sg. (5) Op. cit., p. 40, n. 1. (6) L. cit. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 105 manca (1), — con un termine originariamente ligure, che poi i Galli si trovarono a mutuare. Ma non solo è da tener conto di quel tanto di ceiltico, sicuro o meno, che ha già trovato il -suo augusto museo nei vocabolarii (come quello dello Holder), sì anche di quel molto che siamo in condizione di restituire, mediante le vive parlate moderne, gallo-romane e gallo-italiche. Il lavoro in questa direzione è già stato intrapreso con vero entusiasmo da J. Jud (2), e ha portato e porta a conclusioni sorprendenti. Molte parole, per la forma, il significato, l’antichità, la collocazione geografica, sono da considerare come celtiche. Non conta-, .se non trovano conferma in nessun testo o glossario. La nostra restituzione non e per ciò meno legittima. Altre poi, passando a una scrupolosa vagliatura, i* conducendo l’indagine, come sur un’unica area linguistica, tanto sulla Gallia transalpina quanto isu quella cisalpina, ci si faranno innanzi, e quasi baldanzosamente, come di origine ligure. E chissà che anche il lessico latino, e italico, non ci serbino qualche nuova sorpresa (3) ! Voci, che è lecito giudicare non indoeuropee e non italiche, potranno venir imputate anche al ligure (4). Notoriamente ligure è, per esempio, almeno quanto al suffisso, il latino verbascum (5), francese ’ bouillon-fblanc’, (1) Windisch, op. cit., p. 392. (2 Mots d’origine gauloise?, nella Romania, XLVI (1920), pp. 465 e sgg.; e volumi successivi. È in continuazione. (3) Cfr. ora Fr. Muller Jzn, Altitaìisches Worterbucli, Gòttingen, 1926. Per i nomi proprii, F. Solmsen, Indoger muniscile Eigennamen als Spiegel der Kulturgescliichte, Heidelberg, 1922, e K. Meister, cit. a p. 22. (4) Alcuni tentativi recenti di attribuire un’origine ligure a parole latine, movendo dal (presupposto che il ligure sia indoeuropeo, nonostante la molta ingegnosità delle combinazioni, non sembrano riusciti. Ricordo i tentativi di J. Bruch, Zwei ligu-risclie Worter im Lateinisch-Romanisclien, Zeitschrift f. vergleicli. Syrachforschung, XLVI (1914), pp. 351-373, a proposito di lepus e di * peltirum, «stagno»; e di M. Nieder-mann. Essais citt., pp. 17 e eegg., a proposito di falx (per cui cfr. Muller Izn, Altita~ lische-s Worterbucli, p. 504), connessa col siculo ζάγκλον elementi che conosciamo del siculo non ci consentono se non di concludere che si tratta di una lingua non italica, ma italicizzata : v. anche F. Ribezzo, Rivista indo-greco-italica, II, 1918, pp. 39, n., e 64). (5) Cfr. Philipon, op. cit., pp. 258 e sg. : « de nos jours, le suffixe ibéro-ligure -asco-est encore plein de vie: rhodan. fomasclii de fumasca «fournaise»; esp. nevasca « tempête de neige » du lat. niv e- « neige », verdasca « baguette », de virid i- 106 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ((scrofulariacea bienne dei luoghi asciutti incolti», attestato da, Plinio (e si confrontino, ancóra per il suffisso, i nomi di pianta in -usca, quali asinusca 'specie di uva’ (1), atvasca-, ’ id’, ama-rusco, da amarus (2)), come forse di provenienza ligure è l’italiano comune marasca da amaras, ’ ciliegia aspra e amarognola ’ (3). Voci, inoltre, che solitamente si ritengono derivate a-1 latino dal celtico, un esame oculato le riporterà alla Liguria : 11011 è improbabile che la Gallia, rispetto al Latium, albina avuto, in qualche caso, solo la modesta funzione di mediatrice. E i prestiti linguistici, se avvengono più di frequente tra popolazioni di lingua affine ; in speciali condizioni, da precisar volta per volta, si determinano anche fra chi parla le lingue più diverse di tipo. L'etnisco, infatti, che non pare indoeuropeo (in tanta incertezza, questa è l’unica cosa meno incerta), al latino ha dato, nientemeno, amo-amare e pulcher (4). L’altro mezzo di cui ci si può servire è fornito dai dialetti antichi e moderni. Il conoscitore più profondo e più acuto del dialetto genovese, — che del genovese ha dato una descrizione fonetica, morfologica· e lessicale riconosciuta come un vero modello del genere, pegno di affetto alla propria· terra e monumento di scienza, — il mio compianto Maestro Ernesto Giacomo Parodi, mi assicurava che un discreto manipolo di vocaboli indigeni di questa città, o importati dalle terre vicine, ma certo anticamente, resiste a ogni tentativo di spiegazione, per quanto insistente e sottile, col latino — che ha fornito la gran massa di parole, — col celtico, col germanico. Si deve, allora, risalire * vert »; ita!, marasca « cerise amère » et-c. ». — Si ricordi che anche il gallico ha dato suffissi, se non al latino, al romanzo : come -ittu, -ittone, -iccu. Ne ha parlato J. TJ. Hubschmied. (1) Dal colore dell’asino ? Cfr. anche la voce successiva atrusca e Walde, Lateini-sches Etymologisclies Worterbucli. (2) Anche A. Thomas, Mélanges d’étymologie française, Paris, 1902, p. 98, connette, come il Walde, asinusca con asinus e atrusca con ater; e così mollusca con mollis. Sj tratta di voci che risalgono in sù; più recente, invece, è amarusca (per cui v., del Thomas, le pp. 105 e sg.) Per labrusca cfr. J. Charpentier, nella Zeitschrift f. vergleich. Sjjrachforschung, XL (1907), p. 440. (3) Meyer-Lübke, Romanisches Etymologisclies Worterbucli, n. 406. (4) P. Kretschmer, Sprache cit., p. 113 (e Glotta, XIII, pp. 114 e sg., per amo). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 107 al tenace substrato ligure. Di tale nucleo ligure, che è riuscito a •sopravvivere anche alla livellatrice latinizzazione, profonda e continuata, bisogna Ohe ci rimettiamo alla ricerca ; ma con un severo metodo prestabilito. L· necessario raccogliere tutti i nomi di luogo, specie i nomi degli appezzamenti di terreno (1), anche i più piccoli, e dei corsi d’acqua (2), anche i più magri, che l’esperienza ci mostra diffi-( ilmente mutabili (3). Ha scritto or ora il Dauzat, per la Francia (4), che «les noms de rivières, qui représentent, dans l’ensemble, la partie archaïque de nos toponymes, renferment sur les langues le plus anciennement parlées en Gaule, des secrets que la science, guidée par une méthode prudente, peut légitimement aspirer à pénétrer». E, intanto, ci ha discorso (5) di orina, onno (che compare, ad esempio, in Belronna e Colonna), che non par celtico, se «aucune racine de ce genre n’a été signalée, sauf erreur, en brittonique ou en gaélique». «La répartition géographique des composés [con o»»-] plaide en faveur d’une origine ligure». Però il Dauzat, seguace della teoria del Jullian, (1) Si terranno in conto particolare i toponimi che si riferiscono a culti antichissimi, e si studieranno leggende e superstizioni. « Documenti mesa in luce dalla paletnologia, provano con tutta evidenza il fatto che i Liguri antichi avevano fede nella vita futura ed onoravano i morti. Non mancano segni che essi praticassero un rozzo feticismo di cui rimangono tracce nelle caverne ossifere da un lato e dall’altro in certe tradizioni. Soggiogati, essi adottarono non solo i costumi, ma anche le credenze dèi vincitori, come può argomentarsi dai sepolcri delle antiche sedi delle trilbù ligustiche divenute città romane: Intemelium, Alba Docilia, Vada Sabazia. Li-barna e Genova stessa. Tuttavia, vestigia di culti antichissimi rimasero alcuni secoli dopo l’introduzione del cristianesimo e forse si palesano anche al presente nelle superstizioni dei montanari. Esposi altra volta il dubbio che quei Liguri che Santo Eugenio e Windemiale, reduci dall’Africa, trovarono dediti ad una bizzarra idolatria, i cui rati si compievano in una grotta col sacrifizio di vittime umane, fossero appunto gli ultimi presso i quali vivevano ancora le usanze superstiziose e crudeli . Trait* à? Gmmmuaàrt comparée des Itamgxes Paris, 1524. pp. 109 e ίε. — SS Teda an eia e quanto il Damai dàce: di ag«ara«ias Morendo, " limile d'eau ' pp. 155-161). il cui secondo demento è il ra;Iàcale ceiòoo r : per ài Danaat. non si tratta di radice indoeuropea. D'accordo, ebe è « dangereux de rejeter pêüe - mèle dans nne laneae unique - ligure on italo-celtiqne - tons ües toponymes preceltàqnes ou preibères ». Si cÆr. ancise p. 16S, η. 3. « GIORNALE STORICO E LETTERARIO BELLA LIGURIA 109 dell Adriatico (1). bastano per indicare di che vivissimo interesse debbano riuscire le ricerche alle quali ho fatto cenno. E pure per lo studio della Aita d'un popolo, riflessa nella sua lingua, .possediamo già un'opera veramente insigne, quella ai M. L. Wagner, che dei Sardi, in quanto campagnoli, e dei loro dialetti costituisce un'illustrazione e un commento compiuti e luminosi (2). Sulla vita dei Liguri, gli antichi ci hanno lanciato notizie assai minute e importanti, che gli eruditi sono andati via via raccogliendo con mirabile solerzia. Anche sul loro temperamento fisico e morale non hanno mancato di informarci. L· ^-gendo i vivissimi profili, .«tesi, con mano alzile di .storico e di poeta, dal Jullian (3), corriamo subito con la mente ai Liguri d'oggi, sorpresi di ritrovare tanti e cosi singolari punti d'accordo. Senza dubbio, alcuni caratteri li crederemo prodotti, e mantenuti attraverso la 'perenne fuga dei secoli', dalle condizioni dei luoghi, che dovettero determinare i modi di vita, la costituzione fisica e spirituale dei Liguri. Ma molti proverranno direttamente da quella razza andace e fiera che. prima della dispersione indoeuropea, ebbe ad occupare quasi tutto l'Oeci-dente. Se. invece, diamo anche solo un'occhiata al quadro della vita celtica, qnale è lecito ricostruire dai ragguagli degli antichi e dalle fini induzioni dei moderni, ci persuadiamo ancóra una volta che tra Celti e Liguri si stabilisce. — proprio come nel riguardo linguistico, — un'opposizione nettissima. Non insisto che su qualche tratto, e traduco fedelmente e letteralmente giudizii conclusivi sul mondo morale dei due popoli, formulati (1) G. Meltul/iX Ld pesca uei la$<& di Fa ramo »■ qmeì ài Foga*a, se L'It&ik2 àiàUt-iaìe» I (19851, pp. 252 e sge. i[2| Dos lëwuSiïche Jjt-bem. SardiKzrmf âm Spiegel der Spra*h€e Heâdeîberç. 1921 4_· saappL di WSrter aa- Sachemì)- «3)) Eistimre àæ 2«a Gamie, p„ pp. 127 e ss·?. Belile, sella ik-sx» MiwisexEa sôeœîifiia, anche le paeisae tìeI3' Issel. ©p_ cà3_ 551 e re?. 110 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA da chi tuttavia non ammette nessuna differenza sostanziale tra Liguri e Celti. « I Geliti (o, propriamente, Celti della Gallia, o Galli) adorano le narrazioni maravigliose. Semplici e ingenui, accettano con credulità i racconti più inverosimili. E spesso, senza che nessuno pensi a verificare i fatti, un movimento d’entusiasmo 0 d'indignazione basta per decidere della condotta di tutti. Dal punto di vista intellettuale, c’è una qualità che nessuno ha mai creduto di poter negare ai Celti : la loro facilità di assimilazione. Essi si mescolano volentieri agli altri popoli e ne adottano agevolmente gli usi. Quando questi sono a loro superiori, 1 progressi dei Celti ,sono rapidi. Il loro spirito non manca di finezza ; buon numero delle risposte che vengon loro attribuite è spiritoso· I Celti amano la poesia. Hanno nel più alto grado il gusto d^lla parola e sanno servirsene con sagacia » (1). « Non c’è nessun popolo dell’antichità che con i Celti non si sia trovato in rapporto ; non c’è quasi uno storico, dopo Erodoto, che non abbia a far cenno del loro nome. Nel mondo mediterraneo, da essi riempito di turbamento, hanno gettato subito lo spavento e il terrore. Alla prudenza dei Greci, alla calma ragionata dei Romani, i Celti sono parsi dei furiosi veri e proprii. I primi scrittori antichi, che non videro in essi che le bande avventurose venute in cerca; di fortuna in mezzo ai popoli calmi del mondo mediterraneo, ne fanno un popolo di predoni senza fede nè legge, tratti dal proprio ardore alle imprese più chimeriche, e, per orgoglio, alle fanfaronate più pazze. Sempre in movimento, millantatori, litigiosi, iburloni, adoravano il rumore, i colori vistosi, tutto ciò che brilla, tutto ciò che inebria. Amanti del lusso, di una ostentazione inaudita, prodigavano i metalli rilucenti. Tutto presso di essi pareva eccessivo : la statura, la forza, gli impeti, la ghiottoneria, i gesti, le parole. ’ C’étaient de^ grands enfants, les enfants terribles da l’antiquité’» (2). (1) Grenier, op. cit., pp. 18-20. (2) Grenier, op. 'cit., pp. 15-18. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 111 Al contrario, i Liguri «erano uomini di lavoro [e stavo per dire ’da lavoro7], gli eterni ojperai della vita materiale ». Il β'ος επίπονος dei Liguri è diventato proverbiale. «Presso di essi la vita intellettuale non esisteva. Erano i più illetterati fra i popoli. Non scrivevano, non raccontavano nulla che li ìiguardasse ; non avevano nessuna storia, nessuna leggenda; non mantenevano con gli scomparsi» quella ’ celeste corrispondenza d’amorosi sensi, — celeste dote negli umani’, — «che forma l’attrattiva degli antichi racconti. Il sogno fantastico e il pensiero si restringevano alla speranza e alla gioia del pane quotidiano. L’intelligenza non era che l’ausiliaria dei loro bisogni fisici. Il Ligure aveva lo spirito fertile per le invenzioni e gl’inganni, soprattutto quando si trattava di rubare o di trarsi da qualche mal passo. I suoi sforzi intellettuali si impiegavano nelle menzogne». Aveva 1111 grande amore per l’indipendenza e un culto straordinario per il suolo nativo. «Fra tutte le nazioni dell’anticJhità non si ha memoria di nessuna che sia stata meno moibile. Nessuna invasione, nessuna spedizione di conquista è partita dal paese dei Liguri. Etruschi, Iberi, Italioti, Elleni, Celti, Belgi, Germani sono stati tutti, in più momenti della loro vita, popoli in marcia, che deducono colonie o fanno annessioni : i Liguri si sono mostrati, all’opposto, la popolazione eternamente respinta». Quando cercano avventure lontane, quando voltano le spalle ai loro aridi monti, corrono le vie del mare; «e il loro mestiere di pescatori e di marinai non è incompatibile con l’amore tenace dei travi e della soglia della capanna, col culto delle tombe e del focolare : correre sul mare significa evitare ogni altra sede all’infuori di quella del proprio paese. Da una forza invincibile è attaccato il Ligure ai sepolcri dei suoi antenati e ai penati della sua vita, e sembra fatto ad immagine delle sue montagne, come esse duro e immobile» (1). * * E fermiamoci qui, dopo aver ottenuta una nuova e notevole conferma dell'isolamento nel quale i Liguri, da qualunque lato (1) Jullian, Histoire de la Gaule, I5, pp. 131-134. 112 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA si guardino, devono essere considerati (1). Non continuiamo, anche per non toccare, o non toccare più oltre, di quelle che i Romani, stizziti per la resistenza dei Liguri (2), o il poeta degl’indomiti corrucci definivano 7 magagne \ E lasciamo anche le troippo tardive lamentele di odierni storici inguaribilmente moraleggianti, i quali ai Genovesi di età posteriori, eredi dei Liguri antichi, muovono solenne e aspra rampogna di non aver avuto i grandi ideali politici che, esempio e monito, ispirarono i rivaili Veneziani, continuatori delle tradizioni di Roma. Rimettiamo, invece, in netto e energico rilievo le vere e grandi e stupende virtù dei Liguri d’ogni tempo, — Γintelligenza pratica, la serietà dignitosa, l'instancabile, rude attività, forze invincibilmente operose in tutta quanta la nostra storia, allora che i Latini sono oramai a capo di tutte le stirpi della Penisola, r*, più, quando, con l’inaugurarsi del secondo millennio dopo Cristo, — come ha chiarito lucidamente il nostro medievalista più insigne (3), — da una massa informe e diseguale, ch’è il resultato di romanesimo, cristianesimo, germanesimo, prende spiccata individualità e carattere proprio una nuova entità spirituale : 1’ Italia. Alfredo Schiaffini. (1) Anche I’Issel, op. cit., II, p. 331, ha rintracciato «negli scritti dei Romani e dei Greci [Diodoro Siculo, Strabone, Lucio Floro, Catone] indicazioni e ragguagli che valgono a farci conoscere alcuni caratteri etnici per i quali si distinguer a !a stirpe ligure, prima della sua intima commistione colla celtica e la latina, intima commistione avvenuta, o almeno compiuta, in tempi storici ». Cfr. anche le pp. 335-336. (2) «Gli scrittori romani si mostrano in generale poco benevoli pei Liguri... Se erano dotati della semplicità e della energia dei popoli primitivi, i Liguii 11011 P°‘ tevano andar immuni certamente dai vizi o dai difetti che sono inseparabili dalla balabarde ; l’asprezza dei luoghi in cui abitavano e la vita misera e travagliosa dovevano pur esercitare qualche influenza sull'indole loro. Ma con ciò il critico deve pur tener presente che essi furono giudicati con tanta severità dai nemici e dagli oppressori loro e che prima una guerra crudele, poi gravi ribellioni avevano esacerbato l’animo dei Romani contro quel popolo sempre vinto, ma sempre indomito e pronto alla riscossa. Per la stessa ragione, sarebbe ingiusto chi accogliesse senza riserva, ai giorni nostri, i giudizi che si profferirono in Italia sul conto degli Abissini, dopo l’infausta giornata di Dogali » : Issel, op. cit.. II, pp. 334-335. (3) G. Volpe, Albori della Nazione Italiana, in Momenti di Storia italiana, Firenze, 1925, pp. 3 e sgg.; e per il carattere dei Liguri nel Medio Evo, v. le bellissime pagine di E. G. Parodi, L’eredità romana e l'alba della nostra poesia, nel voi. Poesia e Storia nella ' Divina Commedia Napoli, 1921, 35 e sgg. GIAN LUCA PALLA VICINO E LA CORTE DI VIENNA (1731-1753) Il Conte Giovanni Luca Maria Pallavicino, di cui prendo ad occuparmi in questo studio, nacque il 3 novembre 1097, da Giuseppe (figlio di Gian Luca morto nel 1679 e di Faustina di Quilico di Negro) e da Livia di Ottavio Centurione, nella casa che quel ramo dei|k illustre famiglia possedeva in piazza Pellicceria. Dai registri della Parrocchia gentilizia di S. Pancrazio risulta che il bambino fu battezzato in casa per imminente pericolo di vita. Le cerimonie solenni furono compiute il 2 aprile del seguente 1698 dal Rettore Aurelio Pallavicino, ch’era anche canonico di S. Lorenzo, padrini Angelo Pallavicino e Maria Be nedetta vedova di Quilico di Negro. La piccola chiesa di S. Pan crazio, che sorge in un quartiere attualmente popolarissimo, era allora circondata dai palazzi delle varie famiglie di quel nome. I palazzi esistono ancora tali e quali, con le ampie sale ornate di pitture e di stucchi, ma gli abitanti non sono più i Signori dei secoli passati. Ora vi sta la povera gente, oppure vi sono allogati gli scagni od uffici, dhe da anni hanno invaso tutta o quasi la vecchia città. I nostri antichi si contentavano di abitare in mezzo a quei vicoli stretti ed oscuri dove penetra a stento la luce del sole. In compenso avevano a loro disposizione ampi locali arredati con tutto il lusso che possiamo immaginare in appartamenti principeschi. Giovami Luca fu l’unico figlio di quel ramo. A ventitré anni sposò Anna Pallavicino, con la (piale era legato da vincoli di consanguineità· Dai registri della Parrocchia risulta che fu chiesta ed ottenuta la dispensa da quell'impedimento, nonché dalle consuete proclamazioni, e che il matrimonio fu celebrato per procura rilasciata a Stefano Spinola del fu Giovanni Battista·, essendo assente il nostro Gian Luca. La chiesa di S. Pancrazio non vide dunque gli sposi inginocchiati dinanzi aU’altare. 114 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Il rito fu compiuto nel palazzo di Bendinelli Negrone, testi Giuseppe Spinola del fu Francesco e Ottavio Grimaldi del fu Silvestro. I>a quelPunione non nacquero figli. La Contessa avea due anni più del consorte e probabilmente era stata legata a quell'uomo, più che da vera passione, da interessi di famiglia. Sta il fatto dh’essa, dopo che il Conte fu partito per Vienna nei 1731, visse in una quasi forzata vedovanza, perchè il marito la lasciò a Genova, dove da quel tempo non fece che rare e fugaci apparizioni. I)el nostro Pallavicino il Litta (1) dice che fu inscritto nel libro d'oro della nobiltà nel 1721 e che nel 1732 per incarico della Repubblica passò a Milano per trattare degli affari della Corsica col Principe Eugenio : più tardi si trasferì ;; Menna come ambasciatore. Le parole del Litta contengono alcune inesattezze. Ecco in qual modo ho potuto ricostruire questo periodo della vita del Pallavicino dalle lettere che di lui rimangono nell'Archivio di Stato di Genova (2). * -5- Partito il 12 marzo 1731 con le credenziali di ambasciatore alla Corte di Carlo VI Imperatore, arrivò a Vienna il 24 dello stesso mese. Podici giorni di viaggio, in quei tempi, non erano una gran cosa. Il nostro Conte era giovane e robusto della persona e potè, dopo Pavia, sobbarcarsi alla fatica di viaggiare anche la notte, tanto più che v'era un magnifico chiaro di luna. La comitiva (poiché Γ ambascia tore conduceva seco gran numero di persone) filava dunque verso la meta attraverso la Lombardia e il Trentino : e, valicato il Brennero, si posava il 18 dello stesso mese ad Innsbruck. Qui le strade diventavano addirittura impraticabili, tanto che l'uomo previdente dovette, per proseguire, assoldare alcuni montanari che nei passi più difficili sostenessero e spingessero innanzi le carrozze. Passa il treno dell'amba-sciatore della Serenissima in mezzo a quei buoni villici che guar- di Famìglie nobili italiane; ai nome. (2> Ministri; Vienna. n. g. 2577. Di qui provengono tutte le lettere che citeremo <er la giusta premura... di essere di minor aggravio che sia possibile al-l’Ecc.ma Camera » pensa ad assicurarla vendita de' suoi mobili. Una prima proposta è fatta dal Conte al Magnifico < attaneo. <1) La stana dell'anno 1732..., Amsterdam, Francesco Pitteri. Venezia, p. 276 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 121 Perchè non profittare dell’offerta? par chiedere l’interessato ambasciatore: e siccome il nuovo Inviato rifiuta, ecco il Palla-vicino intendersela con la Contessa d'Althemps. Questa Signora deve preparare l’alloggio al figlio che in carnevale si sposa : il ("onte le rende (la parola è sua) tutti i suoi mobili e le lascia l'appartamento, riducendosi a vivere in un mezzanino. Ciò accade ai primi di febbraio. Però nelle angustie in cui si trova, il Pailla vicino può ancor (pensare a feste e trattenimenti. Una scelta compagnia di Dame e Cavalieri s’attarda a cena in casa di lui. Questa notizia pare poco accordarsi con le replicate proteste di non poter più oltre rimanere in quella incomoda situazione. Ë vero che egli dice di aver dovuto mandare la famiglia ad alloggiare altrove ; ma noi che io vediamo aprir le sale ad una comitiva allegra e numerosa, siamo tentati di non Credergli af-fatto. Comunque sia la cosa, le Signorie Serenissime furono iuteinnate di questo ed anche d’un incendio che proprio quella sera si sviluppò nella cucina e mise in pericolo la riuscita della festa. Il carnevale doveva dunque passare allegro, 11011 ostanti gli incomodi lamentati. Non era possibile che il giovane Conte si annoiasse. Pensate alle pratiche che lo ponevano in continuo contatto con i Ministri e con gli alti funzionari ; pensate alle feste che egli da brillante gentiluomo genovese dava e riceveva. Perchè dunque quella specie di irrequietezza che gli faceva sospirare il ritorno? C’entrava forse la diversità del clima, l’inclemenza delle stagioni, l’aspro carattere teutonico così lontano dalla gentilezza latina ? Queste cose poteva sentirle un Metastasi, temperamento sensibilissimo (e pure vi resistette più di cinquantanni), ma non mi pare che potessero influire su di un diplomatico, che per giunta dimostrò poi d'essere anche uomo d'armi, rotto ad ogni fatica. Tanto più strano appare dunque H suo contegno, se si riflette che dopo pochi mesi egli accettò li entrare ai servigi dell'Imperatore. Ma si può osservare che lino allora (siamo nei primi mesi del 1733) le cose dell'impero andavano innanzi tranquillamente e nulla faceva prevedere i 122 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA torbidi imminenti. In tale situazione non c’era niente da sperare. Voglio dire che mancava l’occasione per ottenere ciò che era forse il segreto lungamente accarezzato. Ma proprio in quei giorni, in cui più amare partivano da Vienna le lagnanze per il ritardo del successore, accadeva un fatto la cui importanza non poteva sfuggire all’occhio acuto del Conte, a Ieri (4 febbraio 1733) con espresso da Varsavia giunse la notizia della morte del Re di Polonia ». Era la scintilla destinata ad appiccar l’incendio della seconda guerra di successione in quel secolo disgraziato. Il Pallavicino sentì nell’aria odor di polvere. Intuì ch’era giunto il momento di farsi avanti. Ma apparentemente le sue cose continuarono secondo il piano prestabilito. Il Cattaneo arrivò alla metà di febbraio ed il Nostro si preparò alla partenza· Comincia la serie delle visite di congedo. Passano dinanzi agli occhi delle lontane Serenissime Signorie le LL. Maestà e le numerose Arciduchesse : passano i dignitari di Corte, tutto il mondo ufficiale a cui il Pallavicino presenta i suoi omaggi prima di allontanarsi. Non manca il regalo dell’imperatore, un anello con diamanti, di cui dice ii fortunato Conte: «Mi riserbo di presentarlo a W. SS. Serenissime al mio ritorno, come esige la mia rassegnazione e il mio dovere ». Nelle ultime lettere, in cui dà ragguaglio delle visite e dei complimenti voluti dal protocollo, accenna ancora alle pratiche più importanti, cui attende insieme con il nuovo Ambasciatore, e cerca, modestamente, di mettere in evidenza lo zelo con cui si è sempre adoperato per il bene della Repubblica. Ma nello stesso tempo, da buon genovese, pensa a tutelare i suoi interessi. Così egli addebita alla Ecc.ma Camera la metà della perdita fatta nella vendita dei mobili e non isdegna di pregare e supplicare affinchè gli siano accordate le somme richieste. Sentite come finisce questa che fu Γultima lettera del Pallavicino Ambasciatore della Serenissima Repubblica : « ...non mi sia differito il pagamento dell mio credito: Le supplico pertanto di non permettere che risenta anco questo pre-giudicio che non mi pare di avere meritato » (29 aprile 1733). Il GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 123 carteggio del Magnifico Signore termina così con una molto prosaica quistione di scudi o di trenovine. * * * Il -!) luglio di quell’anno il Cattaneo scriveva : « Ieri dopopranzo il Magnifico Gian Luca Pallavicino fu All'udienza di S. M. suppongo per renderle le dovute grazie della nuova carica confertagli ». Così in quella seconda metà del 1733, che si annunziava (burrascosa per una gran parte dell’Europa, il Palla-vicino cominciava la nuova carriera. L'uomo che veniva dal bel mare ligustico parve a proposito per capeggiare quella specie di flotta che doveva difendere le coste adriatiche del pericolante possesso napoletano. Quale impressione n’ebbero allora le Signorie Serenissime ? Forse quei parrucconi del Grande e del Minor Consiglio pensarono che un tale Gentiluomo alla Corto di Vienna avrebbe sempre potuto giovare. Molte e difficili erano le pratiche con la Corte Imperiale ed è da credere che a Genova si contasse su l’appoggio del nuovo Ammiraglio dell'Adriatico. 1! quale nella prima metà di dicembre s'incamminò alla volta di Trieste per mettere in assetto la flotta che gli era affidata. Dice il Litta, a questo proposito, che il Conte provvide a su * spese (iOO marinai stipendiati per nove mesi e che somministrò del suo ben Π0 mila fiorini per accelerare le fortificazioni di Trieste. Le vicende di quella spedizione non furono liete. Avrebbe dovuto proteggere i trasporti di truppe imperiali da Trieste e dai porti dell’Lstria alle spiagge del regno di Napoli. Ma c’exa una squadra nemica di dodici galee, comandata dal Cavaliere d'Orleans, Gran Priore di Francia, la quale corseggiava nell’Adriatico per impedire i movimenti degli austriaci. Non si sa en·· il Palla vicino abbia tentato qualche impresa eroica per tener libero il mare. Poche soldatesche riuscirono a guadagnare Je coste meridionali d'Italia. E il regno di Napoli in breve fu perduto dagli Imperiali. Tra gli artìcoli della capitolazione di Capua (21 novembre 1734) figura anche questo: «... dovendo la guarnigione essere imbarcata (e fu di fatto trasportata per ciò GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA a Manfredonia), se le darà per sua sicurezza una -scorta, di vascelli di guerra spaglinoli fino a Fiume o Trieste». Gli Sp:s gnuoli eran dunque padroni dell’Adriatico. E il Pallavicino ! Chissà se mise mai fuori il capo dal sicuro rifugio di Trieste Î Con tutto ciò non perdette la grazia imperiale. Rimase a Λ ienna a disposizione del nuovo Padrone. Il Wurzbach dice che si distinse nella presa di qualche trasporto spaglinolo e nel ricuperare alcuni galeotti catturati dai nemici. Lasciamo a lui la responsabilità di questa, affermazione, di cui non reca alcuna prova (1). Non ho trovato cenni di sua attività nel 1735. Nell’anno seguente egli pensava alla Città che gli aveva dati i natali, e manifestava il proposito di tornare a rivederla· Il documento, autografo, si trova fra le carte dell’ Inviato Cattaneo. « Signori Serenissimi, Mi sono sempre lusingato, che saranno presenti a VV. SS. Ser.me le circostanze, che con continua successione mi hanno accompagnato dopo che deposi in anano del Mag.co Cesare Cattaneo il Ministero della Repubblica Se r.ma in questa CoTte, ed ho avuto perciò ragione di sperare, che non solo non averanno condannato la mia tardanza a comparire a1 lor piedi, ma che averanno resa giustizia alla mia viva sollecitudine di compire ad un così giusto dovere. Ora però, che se ne avvicina il tempo, non posso trattenermi dal partecipare a W. SS. Ser.me la somma impazienza, con cui .-to aspettando questo da me tanto sospirato momento, nel quale avrò altresì la consolazione di vivamente supplicarle di considerarmi sempre col titolo di figlio ossequioso e zelante: titolo di cui mi faccio, e mi farò in ogni tempo una sensibile e giusta ambizione. Considero con maggior sodi-sfazione il mio «presente impiego, perchè lo rimiro capace di secondare l'ardente desiderio, in cui sono, di manifestare Γa/more, e la venerazione ad una Patria dhe ho in ogni tempo procurato di servire con un purissimo zelo, e con una viva e costante applicazione. Dureranno in me perpetuamente questi sentimenti, nè per qualunque condizione e circostanza di cose soffriranno cangiamento alcuno. E mi riserbo a più ampiamente esprimerli meglio che non possa far con le parole, quando, come ardentemente desidero, se ne presenteranno le congiunture. Non (1) Biographisches Lerìkon ; al nome. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 125 devo intanto tacere la mia isodi stazio ne in vista di quello dhe va operando il M. Segretario Bologna nelle sue incombenze con diligenza veramente (degna del suo zelo; e con profond’ ossequio m’ inchino. Di VV. SS. Ser.me Vienna, 16 giugno 1736. Umilissimo Servitore Gio. Luca Pallavicini Prendiamo atto di queste proteste di devozione e dell'ardentissimo desiderio di mostrare co’ fartti la sincerità de7 sentimenti espressi in questa lettera. Non altrimenti fecero le SS. Serenissime in quel 1736, che non lasciava ancor presagire, per nulla, le angustie che dovevano piombare su la Repubblica dieci anni dopo. Vedremo allora come i fatti abbiano corrisposto alle parole. Entro la lettera del Magnifico Pallavicino è la minuta, di un biglietto scritto dal Magnifico Segretario alla Magnifica Anna Pallavicino. L'Ecc.ma Giunta dei Confini ha ordinato che dal Segretario si scriva lettera o sia Biglietto alla Mag.ca Anna Pallavicino in conformità e nella sostanza della presente minuta : L’ Ecc.ma Giunta dei Confini Commissionata da’ Ser.mi Collegi a far rispondere secondo la mente di Lor Signorie Ser.me per quel mezzo che più stimerà, alla lettera del Sig.re Gian Luca Pallavicino in data di Vienna de’ 16 del scaduto Giugno, nv impone di pregarla a partecipare a detto sig.re Gian Luca il pieno gradimento, con cui il Governo Ser.mo ha ricevuto l’accennato suo foglio, ben persuaso che li di lui sentimenti siano stati in ogni tempo, e debbano essere in avvenire uniformi alle prove che ha date del suo vero zelo e costan'.e sollecitudine in serviggio della Patria, e di vedere pienamente corrispondere gli effetti alle sue giuste e figliali espressioni della propria attenzione verso la Ser.ma Repubblica. Potrà non meno attestarle dhe Lor Sig.rie Ser.me ripongono nella di lui Persona una intiera confidenza assicurate dall’interesse che sempre più vorrà prendere in promuovere ìe pubbliche convenienze, ed hanno tutto il motivo di compiacersi dci-Γonorevoli impieghi accordati da S. 'M. C. C. al di lui merito. NelTeseguir quest’incarico per me fortunato ho l’onore di dedicarle la mia inalterabile servitù e dirmi con sincero rispetto. (6 luglio 1736). La contessa Pallavicino, trasmettendo al lontano consorte il foglio delle Signorie Serenissime, avrà pensato, probabilmente, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA che allo zelo per gli interessi della Repubblica non corrispondeva altrettanto zelo per la famiglia lasciata tranquillamente a tanta distanza e per sì lungo volgere di anni. La vita del Conte non s’era soltanto estraniata dalla Patria, benché ogni tanto egli non disdegnasse dare uno sguardo e spendere una parola in favore delle pratiche che per parecchi anni rimasero affidate al Segretario Bologna· ; scorreva altresì, con grande disinvoltura, lontana dalla dolce metà. Anche nel 1746, che fu pieno di tante tristi vicende per la Repubblica, la Signora Pallavicino viveva a. Genova, mentre il consorte battagliava per 1’ Imperatrice Maria Teresa nell’Italia· settentrionale. Tornò egli a Genova in quel 1736 ? Io ne dubito. Non era tornato negli anni precedenti, non ostanti le sue ripetute proteste, non ostanti le assicurazioni del Cattaneo che lo aveva veduto partire per Trieste. Si può ritenere che anche questa volta la non sia stata che una velleità, presto scomparsa dinanzi alle complicate esigenze di quel periodo turbolento. Qui cade opportuno rilevare come, passando al servizio dell'Austria, il Conte credette conveniente modificare la desinenza del cognome. Tutta la corrispondenza di lui, ambasciatore della Serenissima, è, senza possibilità di equivoco, firmata Pallavicino : mala lettera scritta nel 1736 dairnmilissimo servitore im iperiale è sottoscritta Pallavicini. E Pallavicini si legge in tutte quelle, e sono numerosissime, che trovansi negli archivi di Vienna. Non istò ad indagarne il perchè. Dirò solo che in quel 1736 egli ebbe la nomina di General Maggiore e fu dichiarato proprietario di un reggimento di fanteria. Era cosa ambitissima in quel secolo, e portava seco, oltre l’onore, un cumulo non indifferente di beneficj. Il titolare non era tenuto a correr dietro al suo corpo : tutt’altro. Il reggimento andava a destra e a sinistra, secondo le esigenze del momento. Quello del Pallavicino passò dalla Lombardia in Toscana e poi tornò nel settentrione attraverso le terre della Repubblica. Lo vedremo più tardi, nella guerra di successione austriaca, muoversi in qua e in là dove il bisogno lo richiedeva; lo vedremo, nel forte delle ostilità GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 127 austro·-spaglinole, nel centro ologna scriveva da Vienna la notizia alle Ser.me Signorie e più tardi aggiungeva che, cessato il pericolo « con particolare sodi sfazione della Corte » il Conte sarebbe forse passato a Belgrado per prepararvi la difesa delle rive del Danubio. Erano le voci raccolte nelle anticamere. In realtà il Palla vicino per allora non andò a Belgrado, nè tampoco passò in Toscana col suo reggimento, come in un certo tempo credette il nominato Bologna (lettera del 29 novembre 1736). Soltanto nei primi mesi del seguente 1737 tornò a Vienna. Il Bologna lo vedeva spesso e si giovava de’ suoi pareri e del· l’appoggio che poteva dargli nei Ministeri. Non disdegnava, il Conte, di recarsi a pranzo in casa del Segretario Genovese, col (pialle, in quei primi mesi del 1737, c’era da risolvere una qüi-stione spinosa, quella dei disertori austriaci passati al servigio della Repubblica in Corsica ed anche in terraferma. E si noti che non pochi erano del reggimento Pallavicino.’ La repubblica non voleva consegnarli senza una preventiva sicurezza che non sarebbero stati castigati nè con la vita, nè con la galera, nè col taglio del naso o delle orecchie. Curiosi costumi del tempo- Ma non si creda che le LL. SS. Serenissime fossero mosée da sentimenti umanitari : quello era il pretesto per non restituirli, visto die l’Austria non intendeva dare assicurazioni di sorta. La guerra di successione polacca era finita. Carlo VI l’aveva spuntata collocando sul trono di Polonia il suo candidato Augusto, ma aveva perduto il regno di Napoli ed ora doveva pensare ad apparecchiarsi contro il Turco per sostenere l’alleata 128 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Russia. Fu una occasione propizia per il nostro Conte. Si andava allestendo una flotta fluviale per le inevitabili operazioni sul Danubio. Ne vennero fuori 10 galee e 4 navi da guerra insieme con altri bastimenti armati, maggiori e minori. Conosciamo i nomi augurali di quelle 4 navi : Leone, Cavallo Marino, Aquila, Tritone. L'artiglieria non faceva difetto : le galee portavano 20 cannoni, le navi perfino 30 ciascuna. Oltre i marinai e la ciurma vi èrano imbarcati ben 10 mila soldati. Comandante della flotta il Generale Pallavicino. Non sappiamo se l'illustre uomo abbia nutrito qualche segreta speranza di emulare le gesta del grande Andrea Doria : sappiamo invece che Pimpresa contro il Turco fu un disastro. Lo spirito di Eugenio di Savoia non s'era transfuso ne' successori : nò il Seckendorf, generalissimo, nè il Kevenlhüller, nè lo Hildburghausen (che per nulla distratto dalla guerra aveva pensato di assicurarsi il vistoso patrimonio dell'allor defunto Principe Eugenio sposando Vittoria di Cari-gnano sua erede universale) riuscirono a nulla. Dopo un'avanzata che parve felice per la presa di Nisch (23 luglio) (onde l'imperatore s’affrettò a cantare un solenne Te Deum), per alcuni progressi in Valacchia e Moldavia, cominciarono gli scacchi in Croazia, in Serbia e altrove. Fu una ritirata su tutta la-linea. La flotta del Danubio era stata varata nel mese di giugno (con somma lode del Magnifico Pallavicino, come dice il Bologna), e quindi, dopo una solenne cerimonia alla presenza dell·4 LL. Maestà, era partita per Belgrado, contandosi molto sul concorso di quelle navi per l’assedio di Vidin. Il nostro Comandante aveva raggiunto l’armata per posta. Ma l’imperizia dei capitani e la peste che infuriava tra l’esercito mandarono a monte tutti i disegni. Dovette esser magro conforto per la Corte e per i Circoli Militari Austriaci la condotta eroica d’una dellè navi partite con tanta solennità per il teatro della guerra- Racconta il Bologna : « uno de' vascelli, che era degli due che avevano passata la porta di ferro sul Danubio e che era rimasto solo esposto alle batterie di terra ed alle scariche dei Turchi e che era stato per tre giorni GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 129 attaccato da ogni (parte, si è difeso e ritirato contro la «corrente del fiume con tanto valore deilPEquipaggio e del Capitan Merlo che vi aveva destinato il Mag.co Gio. Luca Pallavicino, che fa ora il discorso di tutta la Corte, che riguarda questa azione come la più gloriosa di tutta la campagna » (lettera del 1 ottobre 1737). Le navi della flotta rimaste a Belgrado vennero riattate, .per servirsene contro il nemico che cercava di occupare Orsova. Sorvegliava i lavori il nostro Pallavicino, avendo a’ suoi ordini una maestranza genovese che dava saggio di grande perizia, come piaceva di rilevare al Segretario Bologna in una sua del 18 giugno 1738. Quando tutto fu pronto, le navi, al comando di capitani scelti dallo stesso Magnifico Gian Luca, si avviarono verso Orsova. La quale, nonostante l’aiuto procuratole per la via del Danubio, si arrese ai Turchi il 15 agosto, lasciando aperta la strada per Temesvar e la Transilvania. L’acuto osservatore a servizio della Repubblica non manca di notare la disunione iclie regnava tra. i Capi e che forse, insieme con le malattie, non fu l’ultima causa dei disastri delle forze imperiali. E da buon cronista aggiunge che in Vienna (( per ordine deir Imperatore si sono ripigliate le pubbliche preghiere e vanno in questi giorni le processioni per la città » (lettera del 10 settembre 1738). Così finiva, senza alcun risultato, anche quella campagna. Nella terza, del 1739, il Pallavicino compare un’ altra volta come sovrai il tendente ad una nuova fabbrica di vascelli sul Danubio (lettera del Bologna, 31 gennaio 1739) e nello stesso tempo si occupa della leva de’ marinai, per cui sarebbe andato personalmente a Genova, se la sua presenza non fosse stata richiesta su le rive del Danubio· Da parte loro le Signorie Serenissime scrivevano al Magnifico Gian Luca per interessarlo ad una pratica annosa intorno a ferti feudi, e sollecitavano il Bologna a trattarne con lui. Non so che esito abbiano avuto tutte queste pratiche, nè la cosa ci interessa affatto. L'imperatore da parte sua spingeva innanzi i preparativi contro il Turco, sollecitava aiuti dai Prin- 130 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA cipi dell’impero, faceva accelerare la costruzione dei bastimenti, di cui abbiamo parlato, adoperando operai venuti da Fiume e da Trieste. Di queste navi parla spesso il Bologna con repli cate lodi al nostro Magnifico, il quale, 11011 avendo potuto trarre i marinai dalla sua Repubblica, li aveva presi dal litorale austriaco, incamminandoli per la via della Drava verso Belgrado insieme con 14 Cavalieri dell*Ordine di Malta (lettere del 4 e dell’ 11 aprile). Due di questi Cavalieri erano giunti a Vienna per darne l’avviso e il Pallavicino li accompagnava nelle visite di prammatica al Ministro della Guerra ed ai Ministri di Conferenza. Sappiamo che il Conte, pur comandando la flottiglia del Danubio, era anche comandante di due reggimenti, una parte dei quali, forse un battaglione, era stato avviato in Toscana l’anno innanzi a sostegno del nuovo governo del Granduca. Ora le necessità della guerra· col Turco richiedevano in Austria tutte le forze disponibili e quindi il battaglione fu incamminato su la via del ritorno. Da Livorno passò a Sarzana e qui ci fu un gran guaio, stando ad un rapporto del Λ icario di quella città, certo Gregorio Castagnola. 11 guaio fu dovuto al Sergente Maggiore del battaglione di passaggio, Barone Ochelli. La lettera del Bologna. (18 aprile) parla di <( improprietà praticata dal suddetto Maggiore», ma il rapporto del Vicario elenca in due ipa-gine una serie di pretese eccessive, di lamenti per insufficienza di locali, di minacce di prendere 50 paesani per ogni disertore, di pretese di più bestie di quelle convenute nella lettera del Commissario Imperiale di Livorno, di furti compiuti dai soldati e infine del linguaggio oltracotante ed offensivo tenuto verso di lui, rappresentante della Repubblica, e del grande spavento pronto dalle popolazioni. Il Bologna, sollecitato dalla Repubblica, parlò dell’incidente col Magnifico Gio. Luca. (( Rimase molto sensibile e sorpreso... », ma prima di dare una qualche risposta, volle attendere notizie dal suo Maggiore. Quali potessero essere, noi argomentiamo da una lettera dell’Ochélli al Vicario di Sarzana, GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 131 scritta probabili mente da Aulla e nella quale il Maggiore, ancora irritato, rincara la dose delle insolenze. Fu poi composta la bega con sodisfazione della Repubblica ? Non credo. Non era udii’uso dei Grandi sconfessare i propri dipendenti iper far piacere ad uno statereflJLo inoffensivo. Intanto a Λ ienna sul Danubio si varano le navi allestite sotto la sorveglianza del Pallavicino, e si spera inviarle nel maggio ut Belgrado (lettera del 29 aprile). In quei giorni arriva da Roma una Bolla ipapale che dichiara la guerra d’Ungheria guerra di Religione. Un anacronismo? Non del tutto. Quell’atto era certamente stato sollecitato dalla Corte di Vienna ed aveva mvimmediata ripercussione sul bilancio delle entrate necessarie all’impresa, perchè la bolla imponeva una tassa sopra tutti i beni ecclesiastici di Gei-mania «et anco sopra quelli del suo Stato » (del Papa). La campagna comincia con infausti presagi. Il contagio, non mai cessato a Belgrado, si estende anche in Ungheria, attacca Budapest, invade la Croazia. Il Pallavicino con decreto imperiale del maggio è nominato Comandante delle navi del Danubio. « Egli l’ha accettato », scrive il Bologna il 1G maggio, « con condizione che, se non vi sarà che fare per acqua, discenderà a fare la campagna con la grande armata per terra. Risposta < he è stata molto gradita dalia Maestà Sua ». Se l’orizzonte è fosco, a Vienna non mancano però i divertimenti. IJ battesimo di sei navi (20 moggio) raduna una gran folla di titolati, ai quali il Pallavicino fa poi gli onori di casa trattenendoli a pranzo «in un vicino giardino». Ai primi di luglio giungono felicemente le navi a Belgrado e con esse il Conte Pallavicino. Cominciano le ostilità. La sorte si mostra subito avversa agli imperiali. Alla fine del mese il Wallis, generale in capo, mette a repentaglio tutta la campagna con una infelicissima mossa nelle strette di Kroska, dove lascia più di diecimila 'morti. E la fine. La flottiglia del Pallavicino non può far nulla. Attaccata dalle saiche turche, si difende e riesce a ritirarsi in salvo. Il Bologna, che in una poseritta vi accenna (1° 13 2 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA agosto), conclude così : ((Il fatto è che ne è uscito con molta gloria ». Pochi giorni dopo i Turchi battono Belgrado. In settembre la pace conclusa ritorna loro le fortezze occupate dagli imperiali nel 1717. E Belgrado, smantellata dagli stessi austriaci, ricade con >la Serbia sotto la mezzaluna. Tornano alla spicciolata a Vienna i generali battuti. Il contagio, non ultima causa della sconfitta, li tiene in quarantena al cordone di Man-nersdorf. E torna anche il Pallavicino ai primi di gennaio « dopo di aver osservata un’esatta contumacia, facendo il cammino col suo battaglione ». Egli è in frequenti colloqui col Bologna e s’occupa degli interessi della Repubblica. Pranzi in casa Pallavicino e in casa Bologna con il Signor di Bartestein, scambi di cortesie, parentesi della politica, più fruttuose che le conferenze ai Ministeri. 11 13 settembre il Conte parte per Genova a dopo di avere li giorni innanzi spedito li suoi cavalli e bagaglio ». Si chiude un periodo di storia, in cui il nostro protagonista ha potuto dar saggio del suo valore e prendere risolutamente posizione, in ai tesa di avvenimenti più vasti e clamorosi. (continua) Antonio ('osta VARIETÀ IL CIRCOLO COSTITUZIONALE DI GENOVA NEL 1798 Nel 17i)8, «quando lo fcpirito ipubblico nell’alta· Italia era già prevalentemente giacobino, s’istituì a Genova, come già a Milano, un Circolo 'Costituzionale, le cui (adunanze furono descritte per qualche tempo Ida 1 giornale omonimo. Il Circolo, allogato nella Chiesa 'di S. Girolamo ipresso F Università, avrebbe dovuto provvedere all’incremento della « pubblica istruzione », cioè assodare i fondamenti delle conquistate libertà sui detriti dell’illuminiismo francese, e propugnare, con discorsi, discussioni, letture, declamazioni e rappresentazioni drammatiche, il nuovo indirizzo della Repubblica Ligure. A istituirlo s’erano adoperati — per «suggerimento di (îiovanni Fan toni, il poeta Lalbindo, reduce da Milano — i cittadini (più colti ostura » (1) Aprì la serie lo Scriba nis raffrontando le massime del Vangelo con quelle di (( un povero democratico )) e ronchi udendo, polemicamente, (( non potersi opporre alla vera democrazia se non chi, al pari de” Farisei, nell’orgoglio punto, nell’interesse e negli altri rozzi suoi vizi, malvagiamente desidera l’infamia sua ricoprire col menzognero manto sacrilego di una religione bugiarda» (2). Seguì poi, più volte, Giovanni Assereto, che, a proposito di finanze e di rapporti fra Stato e Chiesa, non si peritò di propugnare il passaggio dei Beni ecclesiastici alla Nazione, cui spetta l’obbligo ((dii provvedere al decente sostentamento degli ecclesiastici, che hanno il gius di vivere a carico della Chiesa» (3). Penetrava, insomma, lì dentro, il problema più dibattuto dai giansenisti militanti : quello di una religione nazionale, sottratta, per quanto riguardasse il culto esterno, all’assolutismo della Curia romana. Di qui 1 avversione che molti, tutti quasi i poeti e oratori dell Circolo, inneggianti alla presa di Roma per opera del generale Berthier, dimostrano contro il Vaticano e il Pontefice. In sostanza, il Circolo finì per essere, sotto l’egida del Direttorio, che lo lodava e lo incòraggiava (4), un accademia lei teraria, pronta ad accogliere e ad avvalorare, in quel turbinoso ÌSD8, ogni specie d’innovazione sociale, morale, politica, religiosa. Ma non è da dimenticare il carattere veramente patriottico ch’essa assunse per la sua tendenza a un certo nazionalismo più italiano che ligure. Nei vari discorsi pronunciativi, il» Cire, cost.r n. 1 (22 febbraio 1798), p. 14. ^ ^ (2) Circ. cast., n. 3 (28 febbraio 1798), p. 38. - Domenico Scnbams che come abbiam -letto/fu magna par* del Circolo fin dalla sua fondazione^™ nato il 5 ago eto 1761 a Chiavari da Giov. Batt. e Maria Caterina di Andrea Descalzi (R Arclmjo di Stato Genovese, Sala 50, Repubblica Ligvre, fil. 450), e il 3 novembre 1780 ave a avuto dal Governo la concessione di vestire l'abito dei Chierici Regolari de,le Scuo c Pie (Ibidem. Jurisdictionalium, n. 1293). L'anno innanzi (1797) aveva fatto parte con altri sei cittadini della commissione incaricata dal Governo Provvisorio di preparare un piano di studi nelle scuole normali e centrali. (3) Circ. cost., n. 4 marzo 1798), p. 63. ..... (4) Lo stesso Presidente del Direttorio, il Corvetto, si compieva de. principi! seguiti nel Circolo e scriveva ai «*>ci dicendo cbe essi avevano - ben meritato della Bepubblica » ; Circ. cost., n. 3 (28 febbraio 1798), p. ^O. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 139 e il I lodi P^^atiche alla Francia rivoluzionaria e U ilo ufficiale ad ogni sua vittoria, un’esaltazione continua dei «progenitori romani », presso i quali, diceva id mode-atoie S^bastiajx, Biagini, già trovate! quel che « .possono aver w-iitto i filosofi moderni dal MaccMavelli al Mablv, non eccettuando la dicMarazione dei diritti dell’uomo, premessa alla c ostituzione di Francia » (1). E nelle moltissime poesie che vi declamavano i mille versaioli del tempo, spuntali su sempre i nomi di Roma, dei Bruti, dei Gracchi, di Lucrezia; e in alcune, il nome d’Italia, come in quella, dedicata da Giacomo v e amni, caipitano del Genio, e ideatore di drammi e novelle incendiarie, al (renio della Libertà : 'Deh ! qruando fìa che il tuo furore investa Quei che pur anco nçl servaggio esolità ? Quando fìa dal letargo, ov’ è sepulta, Italia desta ? (2) e in quella, senza titolo, del P. Nicolò Delle Piane, .Scolopio : Ed ecco intanto 0he con noi ridente Tutta Italia s’ awria al dolce nome Di libertà (3). Del resto, Gaetano Marre, il futuro maestro di Giuseppe Mazzini, cominciava a trattare -della lingua italiana e a invocare « leggi che impediscano l’introduzione delle merci straniere di lusso e proteggano le industrie nazionali » (4). Altro che asservimento ai Francesi liberatori, tutori e illuminatori ! Il Giornale cessò il 23 aprile del 3798. Le adunanze continuarono certo fino all’anno seguente (5) ; ma diradandosi e (1) Circ. cost., n. 8 (17 marzo 1798), p. 112, Sebastiano Biagini, giudice di pace e grande fautore del movimento progressista alla francese, doveva poco dopo cadere a-ssasîïinato per mano degli avversari. Quanto al iMably, è bene ricordare che proprio in quell’anno 1798 era uscita a Genova con i tipi del Caffarelli una traduzione italiana della sua Analisi. della superstizione, ma con note e chiarimenti. (2) Circ. cost., n. 5 (8 marzo 1798), p. 69. (5) Circ. cost., n. 2 (24 febbraio 1798), p. 25. (4) Circ. cost., n.4 (4 marzo 1798), p. 82. (5) Il 10 marzo vi si decretava la stampa di un componimento in ottave che Stefano Lazzari v’aveva recitato su La w.orlc deU'immortale cittadino Sebastiano Biaomi, foglio voi. senza tnd. tip. 140 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA affiochendosi, perchè i soci più attivi e autorevoli erano stati chiamati, intanto, a costituire quelli’ Istituto Nazionale che doveva per lungo tempo regolare in Genova le sorti della Pubblica Istruzione secondo i dettami di una « ben intesa Democrazia », cioè secondo le direttive compostamente prestabilite dall’autorità governativa. Francesco Luigi Mannucci. OFFICIUM MAGISTRI CURSORUM Pubblicando il seguente documento del 1591 (1) relativo alle « Poste » genovesi, ricordo come un vero ordinamento di questa forma di attività, disciplinata dal Governo col sistema del monopolio, si ha propriamente nella seconda metà del secolo XVI. Per l’epoca anteriore (sec. XIV-XV) era già stata segnalata l’esistenza di un « ufficio delle bollette » come esercitante taile funzione (2). E noto subito che il nome di « bollette-» fu dato — non saprei da qual momento preciso — ai logli che venivano concessi ai forestieri, perchè potessero trattenersi in città per il tempo fissato. Alla fine del cinquecento — epoca del nostro documento — vi era un certo Tomaso Rato detto « delle bollette », che riceveva dalla Camera Eccell.ma un salario di lire 600 annue, ed aveva l’obbligo di rilasciare ai forestieri cotesti permessi per quattro giorni e di visitare le osterie per vedere se le bollette « camminarono.;», mandando poi ogni sera «il suo libro al Ser.rno Duce con la nota dei vaselli, che erano venuti al giorno ». Con lui trovo ricordato pure certo Galletto, padron del così detto « liuto della bandera », salariato con lire 180 annue, e che, essendo con la sua (barca nel porto, dovea per suo conto, quando arrivarono vascelli da fuori, andare in Palazzo per darne avviso; ed avea pure obbligo «del barcarezzo a Tomaso Rato c’hà cura delle bollette, il quale poi le da in notta a Sua Ser.tà e di reccatto a tutte le lettere, che si mandano per la via di Mare ». Nulla, di più preciso so in proposito. E’ certo però che la. delicata funzione del rilascio delle « bollette » ai forestieri fu <1) Tale documento non è compreso fra quelli pubblicati nel mio studio : L’organiszazione postale della Repuììiblica di {Genova in Atti della Società Ligure di Storia Patria, voi. LUI; al quale rimando per altre notizie iull’argomento. (2) Mi riferisco alla notizia riportata nello studio cit. er cinque omini da cominciare a 3 di Marzo dei p.nle anno 1591 e da -finire a 2 di Marzo 159C. [1] Il dett ufficio s intenda de Mastri idi poste Corrieri, et ordin.rij generale «della Rep.ca con quelle preheminenze, honori prerogative, et autorità, che à detto Ufficio spettano, e si convengano, et al quale saranno anco soggetti gli ordinarij di Milano, e Venetia tanto dì venuta, come di partenza con gli obligihi però, et ordini particolari infrascritti. [2] E prima sarà ubligato, e tenuto detto Mastro di Poste per servitio publico a sue spese ad' ogni richiesta, e volontà del Ser.rno Senato, o, altri publici magistrati ispedire e far impedire tutte le staffette, che sarà bisogno .per qual si voglia luogo del Dominio della Rep.ca con’ogni diligenza, servandosi però il m-odo, e forma solita à gin-dicio delli due Ill.mi Governatori, che faranno residenza prò tempore in Palazzo, a quali resti autorità di punire così il detto mastro di poste, se per parte sua non sarà stato compito a quanto si conviene,, come qualsi vogli altro, dhe in ciò non tiavessi usata la debita diligenza. [3] Che 1 publico sia franco di tutte le lettere, che veniranno di qual-si vogli parte del mondo, o, si mandaranno per causa pub.ca ne per esse si possa domandar mercede, o premio alcuno escluse i*erò quelle, che veniranno di Spagna, o, dalla Corte di S. M.ià Cesarea, della consignaticne, e peso delle quali sia ubligato haverne lede dal Canc.re del Ser.rno Senato e mandarne ogni mese il conto, e noria in camera e mancando non «possi domandar cos'alcuna per quel tempo dhe mancassi, o de quali non presentassi la fede, e per quelle, che si mandaranno di qui in dette due CortL il porto di esse dover à in esse esser paigaio dalli Ambas .ri osiano agenti per la Rep.ca sia però ubligato detto M.ro di poste tener nota con fede del canc.re del Ser.mo Senato delTispeditione e peso di d.e lettere, e mandarle ogni mese in camera, aocioche si possi vedere ciò, che si havrà à far buono all'Ambasciatore, et Agente di Alamagna per porti di lettere. [4] Che sia ubligato servar la tariffa descritta apie di queste cosi intorno alli porti di lettere come della spesa di staffette e corrieri, che si ispediranno per qnalsivog-li parte del mondo per cui si vogli, 1 ]fe. presso la BrbUoleca driva Berìo. 146 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ne quella possi, o, debba eccedere sotto qualsivogli colore, ο pretesto, e che di quelle lettere, che li saranno date qui per spaglia con correri, che passaxanno in esso luogo adrittura per via di mare non possa far prendere in Madrid, più di un reale, per oncia, e per rispetto di quelle, dhe li saranno date per mandar con Ji ordi-narij poiché facendo la strada di lione, e di francia sogliono bavere maggiore spesa, possa far prendere solamente due reali e smezzo per oncia, e dette lettere sara ubliigato mandarle a bon ricatto, et ordinare, che non sia riscuosso di vantaglio. E per quel che tocca alle lettere che veniranno di Spagna sarà ubliga-to servare l’isteasa forma, dichiarandosi che quando li ordinarij non arrivaranno a tempi statuiti nella prammatica di Spagna per siami lettere non potrà ne dovera riscuotere salvo la metta di detti porti sotto pena di scuti cinquanta a-pp.ti alla Cam.ra e più di uno dodeci alla parte. [5] Sarà ubligato nomine proprio per tutti que’ correri, ohe partiranno di qui per qualsivoglia parte del mondo, che fedélm.te faranno quanto sono tenuti, et ubligati, e dlie renderanno buon conto dei danari, oro, et argento, gioie, et og*n’ altra cosa, che li sara consignata, e spetti a cui si vogli, e di più per tutto quel danno che avvenisse per colpa di detti correri, quando da loro non fussero osservati gli appontaon.ti presi con cui si vogli dichiarando che ’l sudetto M.ro sia tenuto far polizza della ricevuta delli, ori, argenti, gioie, et altre cose, che li saranno consignate per consignare a detti correri sara nondimeno non ostante quanto sopra in sua facoltà non mandar danari, oro, argento, et altro con detti correri s'egli non vorrà sia di più ubligato detto m.ro di po»ste dar correri a cui li ricercassi al pretio espresso nella tariffa, quali debbano usar diligenza come sopra si contiene altrimente sia tenuto, oltre le pene contenute di sopra, alla restituzione di detti correri, e non dando essi correri come sopra sia in facoltà di cui si vogli ispedirli come le piacera a danno anco del sudetto m.ro di poste. [6] Sara uìbligato dentro da bore dodeci doppo la venuta de correri metter la lista alla sua porta delle lettere di coloro a quali saranno dirette venute con correri ordinarij liiberi senza \'antaglio, cioè di quelle persone, a quali frà detto tempo non saranno state date. [7] Che le lettere de correri, che veniranno con ventaglio se ne debba por la lista alla d.a porta fra hore ventiquattro di quelle persone similmente a quali fra d.o termine non saranno state date. [8] Sara uìbligato sempre, dhe veniranno li correri, et ordinarij da qual si vogli luogo far pesare, et approntare tutte le lettere prima che GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 147 darle ad alcuno particolare, e poi di pesate darle ugualm.te a tutti secondo, che anidaranno a pigliarle sott’ ogni grave pena arbitraria alli prefati doi Ill.mi Sig.ri Governi residenti prò tempore in Palazzo risalvato pero se vi fussi qualche persona c’ haveesi 'fatto vantaglio a detti ordinarij, e le lettere del Ser.mo Senato, e •Ministri di S. M.tà Cattolica le quali doveranno esser date subito. [9] Che tutti coloro c’ 'havranno da prendere cavalli da posta siano ubligati prenderli dal d.o m.ro co’l polito pretio ne li sarà lecito crescerle, ne per quelli, ohe correranno la posta, ne per altri, che andassero a mezza posta, ne qui, ne in luogo alcuno del Dominio della Rep.ca ne sara lecito ad’ alcuno tanto qui nella città, quanto nel Dominio senza licenza del sud.o m.ro dar cavalli da posta, ne a meza posta, eccetto · coloro che tengono le poste sotto pena di scuti diece per ogni contrafattione, e cavallo, li cavalli parimenti da posta dhe veniranno di fuori debbano di subito andar da lui -sotto le medesime pene escludendone tutti coloro c’ havranno licenza dal Ser.mo Senato. Dichiarasi pero che se il detto m.ro di poste non provedessi subito di* cavalli da posta a cui gli ne ricercassi sia in facoltà di quel tale provedersene d’ altrove, et ad’ ogni uno di servirgliene. [10] Che occorrendo disparere frà d.o m.ro di poste, e qual si vogli trattante, et ogn’ altra persona sia chi si voglia compreso anco li ministri d’esso per affari dipendenti dalla cura di esso m.ro di poste debba esser terminato per li doi Ill.mi Gover.ri residenti in Palazzo li quali debbano procedere sommari amente, conosciuta la verità del fatto secondo il dovere, e la giustizia, e dalla sentenza di detti doi Ill.mi Gover.ri si possa appellare, chi si sentirà gravato dal Ser.mo Senato, e di più il d.o m.ro di poste havrà facoltà di far prendere ogni contrafaciente tanto correri a cavallo, ordinarij, Pedoni, e qual si vogli altro portalettere, e che M M.co Podestà della Città sarà tenuto dar l’essecut.e subito contro questi tali, ri* salvato però sempre il giud.o e decisione delle cause come sopra, sara nondimeno ubligato ’il detto m.ro di poste alle spese, a danni di coloro, che indebitamenti facessi carcerare a giuditio di detti doi Ill.mi Gover.ri di Palazzo. [11] Non sara lecito al su detto m.ro di poste riscuotere quà il porto delle lettere, dhe si mandano di qua in qualsivoglia parte del mondo senza licenza del Ser.mo Senato, salvo però se cosi fussi volontà delle parti. Dichiarandosi pero, che per lettere, che veniranno di dove si vogli franche, che possa esse riscuotere la sua decima. [12] Sarà in facoltà di ognuno ispedire di sua casa pedoni a piedi istraordinarij per qual si vogli parte del mondo purché non facci 148 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA cumulo di lettere d’ altri, et havenidoisi notitia che il pedone fuori •del D.nio fussi andato a cavallo delbba esser pagato ad detto m.ro il suo dretto dal sud-etto pedone, o, da olii Γ Ih avesse ispedito, ca-dino di più in pena li mandanti di acuti venticinque sino in cento ajpplioati per metà alla camera, e l’altra al m.ro di poste, et il pedone in pena di scuti venticinque, o di un’anno di Galera. [13] Che ogn'anno del tmese di Gennaio delbba «star a sindacato delli Sig\,ri sopremi -per otto giorni, così di quello havessi omesso came di quello ch'havesse commesso in detta «sua cura e di ogni cosa da essa dependente così iper se, come per suoi ministri, e sara temipo alla (pena, (che pare*ssi al Ser.mo Senato tìa.rJ»i. [li] Non potrà per qual si voglia causa pretensione, eccessione, o ragg.e di>re me allegare contra il pretio, che sara compro il detto ufficio, anzi -resterà il compratore d’ogni attione ragione, e causa, che potessi contro esso dire, et allegare per qualsi vogli conto in modo, chc resterà Obbligato totalmente alli termini, che saranno convenuti infaLlibilm.te. [15] Che alcuno Cittadino, o gentil’huoano, o qual si vogli altra persona non (possa in Genova, o suo Dominio ricevere in sua casa correro alcuno, o altre persone che faccino essercitio simile, ne tampoco di loro case ispedirne in posta, o a meza posta, dhe non si consi-gnino prima al detto moro di poste, o di sua casa per fuori, o non piglino da lui l'ispeditione sotto pena oltre il pagamento del suo dretto di scuti venticinque sino in k>ento d’applicarsi per la metà alla camera, e per d'altra metà «al detto miro di poste, e per rispetto del correro, et altri sotto pena di scuti venticinque, o, un'anno di Galera in arbitrio delli prefati due 111.mi Gover.ri residenti in Palazzo prò tempore d’applicarsi in tutto come sopra. [16] Che penson’alcuna cioè correri, Pedoni, o altri simili che veniranno di fuori con lettere per particolari non possino nella Città distribuirle, ne in palese, ne in (secreto ma siano uìbibligate consi-gnarle al sudetto auro sotto pena di souti venticinque, o, di un’anno di Galera per ogni contrafaciente, et ogn'altra volta d'applicarsi come sopra, compresi anco quelli, che di tale professione, o, essercitio venissero per mare. [17] Che a person'alcuna non sia lecito provedere di vaselli per mare à correri, o, Pedoni, che partiranno di qui in posta, o a meza posta, che venissero di fuori per andare più avanti, e b imi Ini enti non sia permesso ad alcuno patrone di vaselli portarli senza licenza del mastro di jK>ste suddetto, sotto -pena di scuti venticinque, o di un anno di Galera per ogni contrafaciente, et ogni volta applicati in tutto come s.a. GIOHiNaLE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 149 [18] 'Sarà uibliga/to detto mro di poste ifar portare ogni mese a Sarzana le paghe, che isi mandano /di ordine 'degli IM.mi Procur.ri senza apes’aLcuna della camera ne .premio del correro, et ondinario, che le portara. [19] «Sarà ulbliigato detto Mastro di poste servare la tariffa sotto pena in caso di contraventione per ogni volta, che fussi contrafatto di scuti cinquanta applicandi alla camera de prefati Ill.mi SS.ri Procuratori, e più idi .uno dodeci applicati alla £arte sopra llo •riscuotossi, di più incorra nelle medesime pene, quando, che nel peso delle lettere commettesisi fraude. TARIFFA BELLI PORTI DI LE I TERE E DELLE ISPEDITIONI DI STAFFETTE E CORRERI Da Milano à Genova soldi doi per onza D’Anversa » » » diece » » Da Venezia » » >· cinque » » Da «Lione » » »> sette » » Da Turino » » » tré » » Dalla Corte di Sua M.tà Cesarea a Gen.a soldi otto per onza e da Augusta soldi sei Di Spagna à 'Genova quello, che nei sudetti icapitoJi è e*spre » » » » iLione » sessanta » » » » » » » Pisa » venticinque » •sino a Firenze scuti trenta d'oro. Per un correro da Gen.a à Roma di astate scoiti cinquanta d’oro, d'inverno scuti cinquantacinque. Per un correro da Genova à Madrid scuti ... » » » » » à Napoli » novanta d'oro » » » » » à Messina » cento cinquanta » » » » » » à Palermo » cento settanta » Che in caso di peste in qual si «vogli fparte del ini ondo per ila quale occorressi far maggiore spesa si 'deblba ihaver rispetto nella tariffa a gìu-ditio degrill.mi Sig.ri due Governatori in Palazzo prò tempore. Onorato Pastine GENOVA E UNA GAZZETTA NAPOLETANA DEL SEC. XVIII Come tutti i governi, anche quello della Repubblica di Genova teneva d’ocdhio, con attenta, ma spesso dissimulata cura, ;]e penne venali dei gazzettieri nostrani e forestieri, e gli avvisi che si occupavano della Serenissimia con notizie ora ad arte falsate, ora benevole, raramente disinteressate e sincere. Ministri, inviati, segretari, agenti presso Stati stranieri si facevano premura od avevano incarico di trasmettere alle Ser.me Signorie i fogli che particolarmente riguardavano la Repubblica. Alle notizie, che ho altrove raccolte sull’argomento, si aggiunga che, al tempo d^lla fatale insurrezione di Corsica del XVIII sec., durante la quale la Serenissima s’industriò pure a corrompere con Toro, ad esempio, il temuto gazzettiere di Berna, i diversi periodici erano seguiti assiduamente dal Governo. Così, intorno al 1730, il Segretario di Napoli, Paolo Geronimo Molinello, appartenente ad una famiglia che tenne a lungo quell’ufficio, inviava a Genova la gazzetta di quella città, allora possesso austriaco. Nella corrispondenza ufficiale di co-testo Segretario si trovano acclusi i fogli in parola, settimanalmente da lui trasmessi (1). Il giornale, di pagine otto e di formato ridotto (cm. 19 x 16 : alcuni numeri sono di poco più grandi), è, come al solito, senza titolo, portando nella testata lo stemma con Paquila 'bicipite e, sotto, il numero d’ordine e la data. Non vi è nota tipografica in fondo, ma soltanto la dicitura : « In Napoli, con licenza de’ superiori ». L’annuncio però della pubblicazione di certo libro, nel n.° del 9 maggio 1730, avverte che questo « si vende nella Libreria medesima dove si dispensano gl’Avvisi » ; mentre da (1) Archivio di Stato di Genova, Collegi Diversorum. 152 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA altro simile annuncio (30 maggio 1730) si apprende che tale libreria è quella del « Signor Felice Mosca, Lïbraro della strada di San Piaggio ». Per quanto riguarda Genova, è da rilevarsi infine che le corrispondenze trasmesse da questa città occupano un posto preminente rispetto a quelle inviate da altri luoghi, avendo sempre un’ampiezza assai notevole ed anche maggiore di queste ultime. Esse vengono •subito dopo le notizie locali e quelle di Roma. I/ordine degli arrisi, secondo le diverse provenienze, si ripete costantemente in tutti i numeri ; ed è il >seguente : Roana, Genova, Livorno, Milano, Venezia, Parigi, Madrid, Granata, Bruxelles, L’Aja, Londra, Amburgo, Colonia, Vienna, Varsavia. Anche dalPesame di questo foglio napoletano si può pertanto constatare l’importanza di Genova come centro d’irradiazione di notizie che vi si raccoglievano da molte parti. Onorato Pastine. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Ubaldo Formentini, Le urigini 1di Genova, estratto dal Bollettino Municipale Il Comune di.Genova, N. 2, 28 .febbraio 19J^ pp. 13. Breve ma dotto e geniale studio nel quale si ripropone e forse si risolve con novità di vedute e di conclusioni una vessata e sempre interessantissima questione. L’archeologia e ^etnologia, la glottologia e le scienze storico-giuridiche sono (messe a profitto con sicurezza non ingombrante a confortare un ragionamento logicamente serrato e avvincente. Posto il principio che « una città è una istituzione giuridica e religiosa, non un villaggio dhe s’accresce nè nn gruppo umano ohe bì moltiplica, ma una forma particolare di consorzio che indipendentemente da qualsiasi fortuna e splendore iniziale, riceve dal suo nascere il destino di città», se ne ricerca l’applicazione per quanto riguarda l’origine di Genova. Un acuto esame della nota Tavola della Polcevera, considerata isopra tutto dal punto di vista del diritto costituzionale, e contenente la sentenza arbitrale romana nella controversia tra Genuati e Langesi-Vituri, permette di escludere, nel complesso intreccio di rapporti tra queste popolazioni contrastantisi il possesso e l’uso di terre, un riferimento alle forme di diritto pubblico amministrativo romano e rivela perciò un’origine diversa. Si può allora pensare, per la federazione di quelle genti e l’egemonia gemiate rivelata dalla Tavola, a un’origine non ligure di Genova, forse a un processo di espansione e di conquista di una colonia marittima forestiera, fenicia, etrusca o greca ? Esclusa facilmente l’origine fenicia ed etrusca, la discussione si ferma all’ipotesi greca che sembrerebbe confermata dall’esistenza di un « dèmo » attestata dalla stele del IV ο III secolo, scoperta da Orlando Grosso a Porta Soprana. Ma qui — conclude questa parte che si potrebbe dire negativa del suo studio il For-mentini — si è avuto un processo inverso dal noto e comune, avveratosi per esempio a Marsiglia, dove il dèmo forestiero ha assorbito i gruppi indigeni; qui è accaduto appunto l'opposto se in data più recente della stele di Porta /Soprana, e precisamente quando i Minuti emettevano la iloro sentenza, il comune genuate appare per ogni indizio un comune ligure. E questo dissolvimento del dèmo greco in una compagine ligure starebbe anche ad attestare una assai considerevole forza di resistenza e di assimilazione di ifronte a un elemento di elevai cultura come il greco. Sgombrato il terreno dall’ipotesi dell’origine forestiera, la parte dimostrativa e conclusiva riprende Tesarne del lodo contenuto nella Tavola per concludere che i Genuati avevano appartenuto alla stessa comunanza originale dalia quale erano usciti gli altri popoli nominati nella 154 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Tavola. L’oppido gemiate, sorto dallo svolgimento economico e costituzionale di una precedente federazione, è anzi una vera costituzione federativa e i Genuati appaiono come un deano originalmente costituito dai messi dei castelli circostanti, e «perciò legato con questi in particolari condizioni giuridiche per il possesso dell’agro pubblico cannine. Ma in ragione della preminenza economica e politica assunta dalla città, il rapporto tra essi e gli antichi dèmi, viene ad assumere un carattere di rapporto tributario che inverte le antiche relazioni di «sovranità del comune viturio di fronte alla posteriore supremazia genuate. In conclusione, Genova è nata come luogo di convegno e di afflussi di tribù liguri e emporio aperto ai forestieri. La necessità della protezione militare d’un mercato aperto alle offese, dal mare, richiede rinvio di un presidio: i coloni non sono che i messi di un gruppo di villaggi <> castelli già uniti come « civitas » forse in forma di confederazione religiosa e costretti a determinati obblighi di residenza e di guardia e conservanti da prima le rispettive funzioni e i diritti nel campo dei singoli comuni d'origine. « In seguito la popolazione avventizia del mercato si fissa e il suo nucleo si differenzia con l’esercizio del commercio e della navigazione. La città istituita ritualmente con la consacrazione delle mura castellane, unifica e fonde l’arce e la piazza, forse assimila poi una colonia straniera, probabilmente greca, vivente autonomamente accanto ai gruppi indigeni ». E questo vigoroso sinvicismo recante l’impronta di un forte elemento organizzatore porta, attraverso acute comparazioni analogiche, ad attribuire le origini del centro genovese alla presenza di organizzatori arii venuti a contatto con la più antica popolazione mediterranea uscita dalle caverne dell'età litica, quello stesso fattore etnico cioè che inizio le grandi capitali elleniche e italiche. Profondo insieme e suggestivo, H breve studio che abbiamo qui sommariamente riassunto nelle affermazioni più importanti, nel serrati» vigore dell*argomentazione, nella suggestiva novità delle conclusioni che mirano a risolvere un oscurissimo e interessantissimo problema, si presenta e afferra il lettore con carattere
  • e sopra un annesso convento di Carmelitani a Pontremoli, dà notizie ragguardevoli per il secolo nel quale ki città fu soggetta agli Spagnuoli (15Λ7-1647), il prof don Emilio Cavalieri nel t'orriere Apuano, nn. li, 15, 16 dell a ’XN (estr. della Tip. Rossetti di F. Berlocchi, Pontremoli, di pp. 21-V!). * * * Alla memoria tisi P. Cornai. Marcellino Centi Ο. M. dt1 · ez*ano Ligure, è dedicato un opuscolo commemorativo del nepote l ba io Centi Sarzana, Tip. Zappa, 1965, di pp. 44l> nel quale sono ricoi iaìe affettuosamente la vita e le opere dell'eminente religioso e particolarmente il suo fervente apostolato d’italianità durante la guerri, 111 t«en*»\a, dov'era guardiano del convento provincializio d Oregina. 1 ^li n »ri -ui gradini dell'altare, nell*insigne santuario, mentre w accingeva al rito per la benedizione del ricordo eretto ai Caduti del quarti t®. I#r»Ile notizie bibliografiche date nell'opuscolo, rileviamo la notevole atti\ita storico-letteraria del P Centi : una pubblicazione su Cristoforo Colombo in collaborazione con P. Teofilo Domenichelli, Tourna*. !&£?: due d.ss^r-t / dantesche dal titolo: Il ringoio di liant? e II ( astrilo nel limbo, oubb!:cate nel Bollettino del Santuario di 5. AuU-ìh di Chiarori; fra le opere inedite, uno studio sul Liber Conformi lai uni di fra Bartolomeo da Pisa, e Memorie storiche sopra il Santuario d Oregina; oltre i discorsi e \ari? opere ascetiche. Appunti per una bibliografia mazziniana (Continuazione: cedi numero precedente) SCRITTI SU G. MAZZINI PUBBLICATI ALL’ESTERO. 98.) L’un ni versano tirila morir rii Mazzini, in I/ Italiano, Montevideo, 7 marzo 1926. 99.) (riuxeppe Mazzini, in Giovinezza, Boston Ma ss.. 15 marzo 1926. 100.) Rossi Dario, L’eredità di Giuseppe Mazzini, in II Ri sveglio italiano, Parigi, 26 marzo 1926. 101.) Ricordando il Grande Genovese, in Alala. Lima. 6 aprile 1926. 102.) Dal Vespro Nino, l omini e idee del Risorgimento, in Il Monito, Paris. 10 aprile 1926. 103.) Frati Ili Raffini, in The Observer, Londra. 18 aprile 1926. Recensione del volume di A. Codignola, cfr. n. 14. 104.) Zandrixo F. M., Mazzini e le sue opere in un vola me del prof. .1. Codignola, in I*a1ria degli Italiani, Buenos Aires. 7 maggio 1826. Recensione del volume di A. «Codignola, cfr. n. 19. 105.) I.a Casa di Giuseppe Mazzini sede delVIstituto Mazziniano, in L'Eco d'Italia, Londra. 12 gingilo 1926. OPERE E STUDI SU G. MAZZINI PUBBLICATI IN ITALIA. lOtf.) Lrzio Alessandro, Xuove ricerche mazziniane, in Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, Seri** ΙΓ. I. Tomo LXVI [anno 1926]. Importanti studi intorno al iM. condotti su documenti inediti deir Archivio di Stato di Torino. Nel 1° studio ìi L. espone i rapporti 162 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA del De Vignet e idi altri ■emissari del governo sardo in Svizzera negli anni 1833-1836; nel 2° studio intitolato Carlo Alberto e Mazzini Tiel 48, il tL. pubblica importanti lettere /tratte dal carteggio inedito tra .i 'Marchesi ILorenzo e Gaetano Pareto, riguardanti in particolar «modo le prevenzioni persistenti nel mondo ufficiale contro (Mazzini (nel '48. iNel 3° studio intitolato « Gli incidenti Tan-cioni-PasGhetta-Guerrieri Gonzaga », il L. ha modo di illustrare attraverso i rapporti del ir. console a Ginevra e dei dispacci della Legazione di Berna, « due incidenti disgustosi dhe si verificarono sulla fine del '49 e i primi del '50: la persecuzione a Susanna Tan-cioni, e le oscure mene di un tal OPaschetta, basso arnese di Polizia ». 107.) Rosselli Nello: Reputìblicani e socialisti in Italia (dal 1860 ad oggi), in Critica politica, Iìoina, 25 maggio 1926. 108.) Kent Roberts Greenfield, Mazzini e Γomicidio di Rhodez nel 1833 (con docc. inediti), in Suora Antologia, Roma, 16 giugno 1926. 11 Kent R. Greenfield pubblica alcuni documenti della polizia segreta francese che gettano nuova luce sulle circostanze che indussero le autorità francesi a permettere che Mazzini fosse tanto ingiustamente calunniato. 109.) Il liato e la chitarra, in Rivista musicale italiana. Torino, giugno 1926. Viene studiata attraverso VEpistolario e gli altri Scritti la passione del Mazzini per la musica e in special modo per la chitarra. 110.) Sabatelli Francesco, Mazziniana : Mazzini c il pacifismo, in Pietre, Genova, luglio 1926 111.) Bernardi Marziano, Mazzini e la musica in II Piemonte, Torino, luglio 1926. ARTICOLI VARII IN GIORNALI E RIVISTE. 112.) Petraì ΧΌΝΕ <ì., Un carteggio inedito dei Fratelli li affini, in La Critica Politica, Roma, anno IV, fase. 3°, 25 marzo 1926. Recensione del volume di A. ICodignola, cfr. n. 14. 113.) The last years of Mazzin’s life, in The Italian Mail, Firenze, 27 marzo 1926. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 163 114.) E. P., Il pensiero religioso di G. Mazzini, in La Riscossa, Treviso, 27 marzo 1926. una recensione /del voi. idei Gianquinto sul pensiero religioso di G. Mazzini. 115.) Fiammiferino, Religione e morale nel pensiero mazziniano, in Al (Uopi, Bergamo, 27 marzo 1926. Articolo di 'divulgazione della «dottrina mazziniana. 116.) Righi Azeglio, Pagine mazziniane. Mazzini anima religiosa, in II Grido d’Italia, Genova, 28 marzo 1926. 117.) Lodolini Armando, Morte e risurrezione di Giuseppe Mazzini, in Camicia Rossa, Roma, 28 marzo 1926. É uno scritto polemico contro G. Gang-ale per Γarticolo di questo (v. sopra n. 86) intorno al Mazzini pubblicato in Conscientia. 118.) g. p.. Asterischi mazziniani, in Camicia Rossa, Roma, 28 marzo 1926. 1.19.) Silva Pietro, Giuseppe Mazzini da Milano a Roma, in La parola dell’Univers ita popolare di Milano, Milano, marzo 1926. Il S. riandando i fatti salienti dell’azione mazziniana nel ’48 e '49, miette in rilievo come « il Mazzini non sia stato repubblicano in-tranisi-geute e fanatico. Il 'Mazzini prima che repubblicano fu unitario, (disposto a rimandare a un secondo tempo, a transigere sulla questione del regime, ipurohè fosse affrontata e risolta dalle forze regie la questione dell'unità ». 120.) COCO Nicola, Dell’idea imperiale italiana in Giuseppe Mazzini, in L’ordine fascista, Roma, marzo 1926. 121.) Cianciulli Michele, Giuseppe Mazzini, in L’idealismo realistico, Roma, 1 aprile 1926. Recensione dell’opera di Fr. Landogna edita dal Giusti di Livorno. 122.) Jankee, Sulle orme di Mazzini. Alla ricerca dei valori morali, in « La Voce Repubblicana », Roma, 6 aprile 1926. Recensione del voi. di U. della Seta: 1 valori inorali, Roma, La Speranza, 1926. 123.) Jacques, Mazzini, in Camicia Rossa, Roana, 11 aprile 1926. 1926. 164 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 124.) ha conferenza di 8. E. Gentile a Gorizia, ili lì Popolo, Trieste, 13 aprile 1926. È (largamente riassunto un discorso tenuto da Giov. Gentile a Gorizia sul « ritorno di G. Mazzini ». 125.) ['Gentile Giovanni], lì pensiero di Mazzini nel pensiero di Gioranni Gentile, in Giornale del Veneto, Treviso, Ampio riassunto ideila conferenza tenuta dal Gentile inaugurando l’università «popolare fascista di Gorizia. 126.) Plim GIOVANNI, I falsi interpreti del pensiero mazziniano, in Camicia Rossa, Roma, 18 aprile 1926. Nota polemica contro il libro ded Gianquinto II Pensiero religioso di G. Mazzini. 127.) Morando F. Ernesto, Ricordi mazziniani, in La I oce Repubblicana, Roma, 21 acrile 1926. 128.) GlARRATANO, Tradizioni italiane dei movimento operaio, in lì Popolo di Brescia. Breccia, 21 aprile 1926. 129.) Lodolini Armando, lì posto di Mazzini e Cavour nel Risorgimento italiano di ieri e di oggi, in lì Patto Nazionale, Roma, 21 aprile 1926. 130.) Furitano Antonio, Uattualità di Mazzini, in Patto Nazionale, Roma, 21 aprile 1926. 131.) Paltrinieri Vincenzo, La liberazione del Veneto e Γorganizzazione repubblicana (in uno scritto inedito di <ί. Mazzini), in II Patto Nazionale, Roma, 21 aprile 1926. 11 P. pubblica un importante (proclama mazziniano del *64 per la liberazione del Veneto. 132.) Morandi Rodolfo. Ι/Γinanità in G. Mazzini e VAssocia-zioni cIelle Nazioni, in Critica politica, Roma, 26 aprile 1926. R un icajpitolo di un lavoro in ipreparazione : La teoria ideologica di Mazzini. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 165 133.) La giovinezza di G. Mazzini, in Avanti!, Milano 28 •aprile 1926. Breve recensione del volume di A. Codignola, dir. n. 19. 134.) Benvenuti C. A., Giuseppe Mazzini, in Patria ed arte, Trieste, marzo-aprile 1926. 136.) Chiodini Antonio, Democrazia e repubblica, in L’Italia del Popolo, Genova, aprile 1926. 137.) Due volumi su Mazzini, in L’Educazione Nazionale, Roma, aprile 1926. Breve recensione del voi. di A. «Codignola sulla giovinezza di Mazzini, cf-r. Ώ. 18; e del volume di Umlberto Zanotti Bianco: Mazzini, ofr. n. 26. 138.) gab., Mazzini dittatore?, in La Voce Repubblicana, Roma, 1 maggio 1926. 139.) ΓΝΟ DEL TERZO stato: Alessandro Lazio, La Massoneria e l’obiettività degli storici, in Quarto Stato, Milano, 1 maggio 1926. Articolo (polemico contro il Luzio per Topera sua sulla Massoneria e il -Risorgimento italiano. «Contesta idhe il Mazzini sia stato avverso alla Massoneria. 140.) C[abtosio] - T[omaso], Letteratura mazziniana, in Grido d’Italia, Genova, 9 maggio 1926. Recensione dei volumi del Landogna: Giuseppe Mazzini e Le idee religiose di G. M. 141.) Coiazzi Antonio, Il crollo di una grossa menzogna, in Italia, Milano, 9-12 maggio 1926. Recensendo il voi. del Luzio sulla Massoneria ecc., ha cura di mettere in particolar rilievo Vanlimassoniamo di Mazzini. 142.) Salucci Arturo, Sorrisi femminili nell’epistolario mazziniano, in II Lavoro, Genova, 15 maggio 1926. Recensione del voi. XXIÌ dell*Epistolario mazziniano. Il S. si sofferma a considerare in modo particolare la vita intima sentimentale del M., quale si può cogliere daille sue lettere. 166 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 143.) Vilain, La condanna a morte di Mazzini dopo la spedizione di Sapri, in La Voce Repubblicana, 20 maggio 1926. Accenno al iprocesso «di Mazzini e ristaaivpa ‘di ima parte dell arringa «di G. Carcassi. 144.) gal·., Garibaldi c Mazzini. .4 proposito della battaglia di V eli et ri, in La Voce Repubblicana, Roma, 29 maggio 1926. 145.) Puglionisi Carmelo, Repubblicani e socialisti, in II Quarto Stato, Milano, 29 maggio 1926. Articolo ipolitico in cui il 'P. afferma che la contrapiposizione di Marx a Mazzini è un non senso e che « non si può essere repubblicani sul serio senza essere socialisti e non si può essere socialisti sul serio senza essere repubblicani in senso itc&liaffio e non asti attamente ». 146.) Danie nel pensiero mazziniano in una conferenza di Silf io Stringa-ri, in La Voce Repubblicana■, l\onui, 30 maggio 1926. 147.) La giovinezza di Mazzini, in Idee sociali, ( omo, 1 giugno 1926. Recensione del -voi. di A. Codignola sulla Giovinezza di Mazzini, cfr. n. 19. 148.) Bergamo Mario, Mazzini e Dio, in La Voce Repubblicana, Roma, 1 giugno 1926. Recensione al voli, del Gianquinto col quale concorda nel definire il Dio mazziniano un « eccelso attributo ». 349.) Mazzini e « Conscientia », in T/Italia del Popolo, Genova, 5 giugno 1926. Nota polemica contro » i protestanti di Conscientia » che cercano demolire Mazzini «con l’accusa ch’egli è un credente nel progresso, nn ottimista, cioè quasi un positivista credente nella na-turale evoluzione ». 150.) Monti Antonio, La spedizione dei fratelli Bandiera e le deficienze delibazione mazziniana, in Scuola Italiana Moderna, Brescia, 12 giugno 1926. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 167 151.) Pepe Attilio, La filosofia di Mazzini e la mentalità razionalistica, in La Conquista dello Stato, Roma, 14 giugno 1926. 152.) Fantasio, L’apostolo d’Italia : Giuseppe Mazzini, in La nostra Scuola, Roma, 17 giugno 1926. 153.) Mariutti A., Giovani precursori, in (( Corriere Mercantile», Genova, 19 giugno 1926. Recensione idei voi. di A. Codignola sui fratelli Ruffini, cfr. n. 14. 154.) Sestan E., La giovinezza di Mazzini, in Leonardo, Firenze, 20 giugno, 1926. Recensione del voi. di A. Codignola sulla .Giovinezza di Mazzini, cfr. n. 19 . 155.) G. Β.,.Χα casa ove nacque Mazzini, (22 giugno 1805 - 22 giugno 1926), in Etruria Nuova, Grosseto, 20 giugno 1926. 156.) Pepe Attilio, Il pensiero religioso di Gius. Mazzini, in Camicia Rossa, Roma, 20 giugno 1926. 157.) Morando F. Ernesto, Giorgio Sand e Giuseppe Mazzini, in Messaggero, Roma, 23 giugno 1926. Il M. studia i rapporti tra il Mazzini e la Sand, desumendo le informazioni saprattutto ù&W fijjistolario mazziniano. 158.) Rosselli Nello, Mazzini e VInternazionale, in II Mondo, Roma, 26 giugno 1926. 11 R. studia i rapporti che corsero tra Mazzini e la prima internazionale mettendo in rilievo i (punti d’accordo e quelli di contrasto fra le correnti marxista e mazziniana dal ’64 al ’68. 159.) Pepe Attilio, L’affermazione unitaria di Giuseppe Mazzini, in Conquista dello Stato, Roma, 28 giugno 1926. 360.) Sabatelli Francesco, Mazziniana, in Pietre, Genova giugno 1926. 161.) Tedeschi Paolina, La crisi del dubbio in G. Mazzini, in Il Testimonio, Roana·, ghigno 1926. 162.) Triulzi Giovanni 'Guido, Daniele Sterri e Giuseppe Mazzini, in L’Italia del Popolo, Genova, giugno 1926. Il T. studia i rapporti tra Mazzini e la Stern, desumendoli dalle lettere mazziniane. 168 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 163.) Plini Giovanni, Mazzini e Dio, in Fede Nuora, Roma, inalzo-gì ugno, 1926. Polemizza con Mario Bergamo per l’articolo da questo pubblicato nella Voce RejJuUbHcana del 1° giugno 1926. 164.) Antinoo, Mazzinianesimo e socialismo, in II Quarto Stato, Milano, 3 luglio 1926. 165.) 'Morando Ernesto F., Intorno a Goffredo Mameli, in 11 Lavoro, Genova, 6 luglio 1926. Il M. (pubblica due lettere inedite di Mazzini a Enrichetta Bolton King, una delFS duglio 18Ì9 ed una del *51. A. C, (Con tinua) Hecenti pubblicazioni : FRANCESCO LUIGI MANNUCCI La Lirica di Gabriello Chiabrera STORIA E CARATTERI vol. IX della Biblioteca della « Rassegna « (un voi. in 8°, di pp. 298; L. 35) Società Anonima Editrice Francesco Perrella, Genova, Via Assarotti, 16 A ARTURO CODIGNOLA La giovinezza di G. Mazzini vol. XXIII della «Collana storica» dell’Editore Vallecchi (un voi. in 16°, di pp. 250, con 15 illustrazioni fuori testo; L. 14) Vallecchi, Editore - Firenze. Direttore responsabile : Ubaldo Formentini C"flORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA f \f^i\ IDI Λ fondato da ACHILLE NERI LlVJUl\lrY e UBALDO MAZZINI * * NUOVA SERIE diretta da Francesco Luigi Mannucci e Ubaldo Formentini ANNO II. Fase. 3 e 4 1 9 26 Luglio - Dicembre SO/Λ AARIO Ubaldo Formentini, Consorterie langobardiche fra Lucca e Luni — Luigi Staffetti, Donne e castelli di Lunigiana. La moglie di Gian Luigi Fieschi (coni, e fine). — Antonio Costa, Gian Luca Pallavicino e la Corte di Vienna (1731 - 1753) (cont. e fine). — Giannina Gnecco, Il Molière nella produzione comica di Stefano De Franchi — VARIETÀ: Pietro Rivoire, Gabriella Malaspina di Fosdinovo. Vicende di una monaca del secolo XV1I1 — Francesco Luigi Mannucci, Inventari della biblioteca di Agostino Giustiniani — RASSEGNA BIBLIOGRAFICA: P. Revelli, Terre d’America e archivi d’Italia (Francesco Luigi Mannucci) — F. L. Mannucci, La lirica di Gabriello Chiabrera; Chiabrera, Liriche (Vito Vitale) — A. Canepa, Note storiche sanremesi; Fra tradizioni e leggende; Notizie su alcuni luoghi del «Castrum Sancti Romuli* e sua ubicazione; Vicende del Castello di San Romolo (Vito Vitale) — C. Imperiale di Sant’Angelo, Annali Genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori dal MCCLI al MCCLXXIX (Vito Vitale) — M. G. Celle, Valore territoriale del nome «Romania» negli annalisti genovesi del XII e XIII sec. (Francesco Luigi Mannucci) — SPIGOLATURE E NOTIZIE (F. L. M. - U. F.) — Arturo Codignola, Appunti per una bibliografia mazziniana. GENOVA Stab. Tip. G. B. Marsano 1926 Giornale storico e letterario della Liguria NUOVA SERIE diretta da Francesco Luigi Mannucci e Ubaldo Formentini. COMITATO DI REDAZIONE: Orlando Grosso, Pietro Nurra, Arturo Codignola. L’annata 1926 esce sotto gli auspici del Municipio e della R. Uni versità di Genova, e del Municipio e della Società d’Incorag giamento della Spezia. DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE: Genova, Palazzo Rosso, Via Garibaldi, 18 CONDIZIONI D’ABBONAMENTO. Il Giornale si pubblica a Genova, in fascicoli trimestrali di circa 80 pagine ciascuno. Ogni fascicolo contiene scritti originali, recensioni, spigolature, notizie e appunti per una bibliografia mazziniana. ABBONAMENTO ANNUO per l’Italia Lire 30; per l’Estero Lire 60. Un fascicolo separato Lire 7.50. CONSORTERIE LANGOBAR DICHE FRA LUCVA E LUNi Le più recenti ricerche sulle consorterie feudali in Lunigia-na hanno rivelato una grande diffuisiofne Idi famiglie iango 1 tardiche lucchesi. Queste formarono il substratum antichissimo della feudalità nei contadi di Lucca e Limi, nonché ntìll’Ap-pennino parmense, reggiano, modenese; a cui si sovrapposero ile stinpi « francesche » venute coi Carolingi ; la bavarese degli antichi marchesi della Tuscia., la 'Supponide, l’obertenga. Far dipendere, come si suole, il potere delle famiglie feudali lunigianesi, in ogni caso, da una subinfeudazione, cioè da una delegazione d’uffici obertenga, è dunque, il più delle volte, un errore cronologico ; d’altra parte molti indizi fanno capire un ben diverso processo giuridico di questa feudalità. Chè il gran numero de’ consortili lucchesi e lunigianesi sembra di scendere da libellari di terre ecclesiastiche; libellari, s’intende, non coltivatori, tenuti a prestazioni in denaio con contratti di lunga scadenza, e per ciò, secondo la nota regola dell’Alto Medio Evo, appartenenti a grande casato. L’ingresso dei magnati lucchesi in Lunigiana va collegato con le vicende e con le date, non ancor certe del tutto, dell’annessione di Limi al regno lan goliardico. L’opinione lungamente pacifica, che questa annessione fosse ■avvenuta a seguito della spedizione di Rotari nella Maritima, fra il 635 e il 643, è stata rimessa in discussione dal Hartmann, dallo Schneider, dal Solmi ; si ritiene che alcuni luoghi della Maritinm, in particolare Limi e la strada di Monte Bardone, siano rimasti ai Bisantini anche dopo quell’impresa e siano venuti ai Langobardi soltanto sotto Luitprando, in relazione co’ i mutamenti politici generali avvenuti a questo tempo (1). (1) V. un breve cenno della questione, con la bibliografia, nel mio opuscolo : Istituti popolazione e classi della Spezia medievale e moderna. La Spezia, Tip. Moderna, 1925. 170 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA In realtà il registro degli atti ìangobardici lunigianesi non ha principio più antico. jSTel luglio 715 (( Mnnichis, pie^biter lunensis » adiste all giudizio tenuto da alcuni vescovi della Tuscia, in <( Vico Vai-lari », per ordine del predetto re, a definizione delle liti fra i vescovati di Siena e d’Arezzo (1). Ne^l diploma dato da Carlo il Grosso il 15 febbraio 882 al-•l’ajbbazia di Brugnato (2), come in altro di Ottone III del 25 maggio 996 (3), sono ricordati ed enumerati vari privilegi anteriori concessi alla stessa aibbazia, a partire da uno di Luii-prando. A questo regno deve dunque, verisimilm ente, essere riferita Y origine del cenobio ; il quale, per i suoi rapporti con Bobbio, di cui forse fu filiazione (4), per la protezione avuta da Kacliis, Astolfo, Desiderio, per la sua tenace opposizione al bizantineggiante vescovo di Limi, appai e un vero istituto religioso-politico lango'baiilico, ila cui fondazione può solennemente rappresentarci Pentrata in Lunigiana dei nuovi dominatori. Nel 736, Walpert, (( glorioso » duca di Lucca, acquista a Castel F Uffi, luogo non identificato in Lunigiana, iper venti soldi d'oro, da Lupo f. q. m. Audoald, una casa con servi e ancelle, Aligne, campi, selve (5). Questo, od altro posseduto dalla casa ducale, suo figlio Walprando, vescovo di Lucca dal 73< al 755, trasmise per testamento al vescovado stesso (6) e il suo successore Jacopo, nel settembre 816, allivello con cJwrta ter ti generis al vescovo Petroaldo di Luni (7). La chiesa lucchese godeva però, o continuò a godere, altri beni in Lunigiana. Un documento del 2 settembre 879 ìicorda proprietà della cattedrale di 8. Martino « prope ColugnuUa il) Limi, S. Eccì. Fior. Mon. I, 311-313-, Sforza, Bibliografia, st. della Città di Lnni, Z14; <2) L’ghelli, Italia Sacra, IV, 981-2 (3) Ibid. 982-3. (4) S. Colombano è titolare del monastero, con S. Pietro Apostolo e 8. Lorenzo. (5) MDL [Memorie e documenti per servire alVittoria del ducato di Lucca]. !V. 332. (6) Bestini, Dissert, sopra la st. eccl. lucchese, MI)L, IVI, 331-46. Appendice n. XLVI. (7) MDL, IV-I, A pp. 34-35; V-II, 248-49. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 171 lini bus lunensie » (3) ; potrebbe essere Colognola, oggi Coròn-giola, luogo dell’antica pieve di Vezzano (2), nel cui territorio si ritrovavano infatti famiglie feudali lucchesi, oppure Colognola presso Gragnola, nella valle delPAulella, terra che fu. poi del monastero di Canossa, forse per donazione della caisa Mlatildica, cioè di una delle cacate làngdbardtohe di Lucca (3). Un altro luogo, non identiftca/to, «qui dicitur Waldo», è se-guato come terra vescovile di Lucca nella carta suddetta. Una mais seri a « in Yiscignano » nel comitato lunense è concessa dal v. Alalongo nel 976 a Gotifredo detto « Gottitio » (4). Infine, il vescovato possedeva una corte « domnicata » nel territorio di Massa, presso il Frigido, in luogo detto « Quarantula », come appare da un atto del 20 gennaio 882 (5). A questa corte o ad altra 'prossima, dovevano appartenere anche i beni posseduti dal vescovo nel territorio della pieve di S. Vitale, oggi del Mirteto, nel suburbio massese, elencati in libelli del 19 maggio 843 (6), del 16 gennaio 986 (7), del 21 ottobre 988 (8). Non sono da trascurare infine le proprietà del monastero lucchese di >S. Pietro Sonialdi « in loco et finibus campo Kasioli vel in Lunensibus finibus », segnate in atto del 10 maggio 873 (9). Sebbene non sia facile collocare i pochi nomi conosciuti a/vanti il Mille degli affittuari di terre vescovili lucchesi in Lu-nigiana negli alberi genealogici delle consorterie langobar-<1 iclie venute da Lucca, pure è da supporre che da questi c simili libelli abbiano avuto principio, dilagando poi, dalle terre i due grandi casate lucchesi, forse le ultime venute in Lunigiana, possiamo con maggior sicurezza stabilire 1 occasione, se non le date degli acquisti. 11 vescovo Enrico, appassionato inquisitore dei diritti, usi e tradizioni della sua chiesa ci ha lasciato in proposito questa memoria (2) : Factum nobilium de Buzano et de Porcari tale est prout a fidedignis senioribus e: antiquis intelleximus. No? Hericus lun. eq>. et fama publica de hoc €st, videlicet quod sunt fkieles et vassalli lun. curie eu ratione qua qui dicitur publice, quod fuit quidezn nomine Tedalasiuit*, qui fuerat vieeeornes, syndicus, procurator et castaldio et negociatorum gestor curie lun. et ratione sui offici niuìta acquisi vit; et erat tiomo magane industrie et fama, de quo superfuerunt tres filie quarum una ex devotione obtulit se et sua lun. c. alia nupta fuit cuidam nobili de dictis Polemo essere della ste=«a provenienza i fondi donati da ^Guidoakio. melico dei re Desiderio e Adelchi, il 5 febbr. 767, al mon. di' S. Bartolomeo di Pistoia - in Arcowana Lainisìana *. *e pur qui si tratta veramente di fondi lunieiane^ T*ot*. CDL. * . 338-91: Sforza, o. c. 316’. 1 MHP. XIII. 944. Le corti sono: Aulla. Cornano. Valleplana, che identifico con Verdiana da cni poi il castello e il distretto fendale dOlirola. eurîû que dicitur Son. che identifico con Cortenovo in Val Ci viglia, da cui poi il castello di Panicale. e un’abbazia de Valeriana che riteneo. per ragioni topografiche, essere l'abbazia di fc-Salvalore di Linan. Z) CP. ad*ì. n. 13. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 175 Porcarieii'cibus et alia euidairn nobili 1. ep. Sun. », nonché l’allodio che ivi ha in proprietà « idest podium quod ei advenit ex parte sue matris » (3). Questo accenno all'eredità materna potrebbe concordale con il memoriale del vescovo Enrico e far ritenere la madre d’Ulberto una delle figlie di Tedalasio sposate a nobili lucchesi : senonchè i titoli di vicecomes, procurator, negociatorum gestor, dati nel memoriale a questo per sonaggio, mi sembrano definire, riferiti al secolo XI, un (1) ClANELLI, o. c. 237 sgg. (2) MÜL, VΊ1Ι, 144-5; ClANELLI, 1. c. (3) CP, n. 324. 178 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA avvocato del vescovo; infatti i vice-domini laici 11011 appariranno in Lunigiana olle il secolo seguente e la rappresentanza e Panimi lustrazione (patrimoniale\della chiesa son tenute tiifallora dagli avvocati, insieme giudici e notai della curia, fra i cui nomi non si trova quello di Tedalasio. Bensì, risalendo alla prima metà del secolo X abbiamo un « Teudingus que Teutpert vocatur » vassallo del vescovo Adalberto, al cui seguito assiste il 25 aprile 941 ad un placito del marchese Uberto in Lucca (1). Ohe il nome Teudingo sia stato tramandato e ricordato, dopo lungo tempo, come Tedalasio sembrami probabile. D’altra parte la qualità il « vassallo » del vescovo designa con certezza 1111 ministro della curia, nell'epoca in cui comincia a definirsi la sovranità vescovile (2), risponde cioè alle indicazioni date per Tedalasio dal noto memoriale. Ciò posto, sarebbe da stabilii e (pur disperando di trovare negli atti lunigianesi della prima metà del secolo XI, o poco oltre, nomi rispondenti alFalbero dei Baggiano) se la comparsa di questa casa in Lunigiana non si verificili intorno alle date anzidetto; ma per giungervi occorrerà premettere 1111 breve sommario della storia dei Bnggianesi in Lunigiana, affatto sconosciuta finora. Il balzo di Volpi gl ione, che prima del 1070 Uberto di B ug-giano aveva forse tentato di fortificare, o fu in seguito incastellato dai suoi discendenti, non è stato ancora identificato ch’io sappia dai nostri studiosi. Risulta da un documento del secolo X di cui ora diremo , che la località confinava con il territorio dell’Avenza. Apparteneva da antico alla chiesa lunense, giacché nel 998 il vescovo ivi permutava 1111 appezzamento di sei jugeri ((cum in parte monte et fiasca-rio» in cambio d’altri beni, con Bonizo del fu Martino, longobaido, prete della chiesa stessa di Limi (3), che potrebbe anche essere un della casa di Buggiano. Io credo che il « castrum Viilpilionis » sia Tat- ii) MDL, V-III, 186. (2) Cfr. Salvioli, St. della proc. civile e criminale, Milano. Hoepli, 1925, pp. 127 ««ggr. <3ì CP, n. 297. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 179 tuale Castelpoggio nel carrarese. Noto che il nome Volpigllione appartiene al monte e alla località in esteso, mentre il luogo (lei castello è sempre detto (( podium », o « pozo » ; quindi castello del poggio di Volpigliene, quindi semplicemente Castelpoggio. Il castello sorse precisamente sulla proprietà allodiale della famiglia, giacché sappiamo dal documento del 1070 che proprio il (( podium » era venuto ad Uberto di Buggiano per eredità materna, mentre i possessi circostanti erano d’origine beneficiaria; ma il tutto venne ceduto dai Buggiano al vescovo Raimondo e da questi retroceduto ai donatori, in feudo, con i patri consueti di fedeltà e d’omaggio, con atto del febbraio 1108 nel quale si menzionano i figli di Gregorio, i figli di « Catie Regi », i figli di Rufino, «domini de Buzano » (1). Questo documento identifica piecisamente i « Buzano » lunigianesi con i Buggiano lucchesi, giacché un diploma di Federico Barbarossa ai consorti di Val di Nievole, dato a Pontremoli il 4 settembre 1167, nomina « fideles nostros dominos de Bugiano, fili videlicet Gregori, filii Oacianei, et Folcum Missini Bufimi ecc. ». Questa è la Sezione di Francesco Galeotti, che riporta l’atto dall’Archivio Comunale di Buggiano (2), lezione che nel momento io non posso controllare tsu miglior testo ; parmi, tuttavia, che, come s’identificano nei due documenti i «fili Giegori », così i «fili Catie Re-gis» dell'uno rispondano ai «fili Cacianei » dell’altio, e Γίη-comprensibile «Folcum Missini Ruffini» del diploma federi-ciano sia una cattiva lettura di «fili... Rufìni ». I « fili Gregorì » sono i discendenti diretti del noto Uberto. Gregorio infatti è documentato nel 1124 eonre seguace dei Ma-laspina e dei marchesi di Massa alla famosa paci di Lucca con il vescovo Andrea (3) : nel 1141 come testimone in atto vesco-vile (4); la sua paternità è data da un documento del 1151, riguardante la pieve di Carrara, dove è segnato « f. q. m. (1) ibid. n. 304. (2) Compendio della Storia di Peseta, ms.; v. iCianelli, o. c., 240-41. (3) CP, n. 50. (4) Ibid. n. 303. 180 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA l iberti » (1). Dall’atto più volte citato del 1070 sappiamo che già a quella data esisteva un'altra linea di signori di Buggiano, quella dei « tìlì q. ni. Zenei » alla quale potremmo riferire le-altre stirpi riguardate nel diploma di Federico 1. l>a Castel poggio i signori di Buggiano premevano sui castelli e le ville dei dintorni di Carrara. Il vescovo Enrico nella sua autobiografia, ricorda : <( Item reduximus plebem S. Laurentii de Monte Libero ad mensam episcop. que tenebatur a no bilibus de Buzano et ab aliis nobilibus, ecc. » (2). l^i chiedi ple balia di M. Libero esisteva sulFultimo sprone meridionale dei civile che separa la Valle del Frigido da quella delTAvenza (3). Non ne conosciamo, né è facile supporne la circoscrizione territoriale. ristretta fra i territori delle vicinissime pievi di San Vitale del Mirteto e di Carrara: può dai si che si addentrasse nella parte montuosa. In relazione con la detta memoria autobiografica del vescovo Enrico [potremmo riunire col casato dei Buggiano anche una linea signorile che s'intitola da Monte Li bere, la quale rivelasi con un Alberto nel 1099 (4) : e riappare nei U5t> con Solimano u q. ni. l’gonis Melege de M. L. >) avente ragioni o pietese, a quanto pare, sullo stesso luogo di Carrara, giacché in quella «lata, ricevuto il prezzo di trenta soldi lucchesi. promette ai priori di S. Frediano di Lucca e di S. Andrea di Carrara di non molestare questa chiesa « de turri rum curie et broilo ecc. » i “>). Γη altro podere, in parte più interna della Lunigiana. possedevano i Buggiano in consorzio con i signori di Buuione. Era il famoso castello della Brina, oggetto di grandi contese fra vescovi e Malaspina sulla fine del Dugento; uno degli ultimi baluardi della contèa vescovile. I/ > gennaio 11W) i signori di Burcione e di Buggiano ven- 1) R. Arch. di Stato di Lacca. Diplomatico. Perp. del Mon. di S. Frediano. (2) CP, Adà., n. 4. <3> Mazzini, o. c. 17-18. 4' Perg. del Mon. di S. Frediano, ed. Sroiz*. Ortrucfio Castraram ia Lun.. in. • Atti delie Rfi. Dep. di S. P. per Je prorv. mod. v ana. Serie III .Voi. VI-ΠΙ, 429 5 Charl. II, 310. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 181 _gono a patti col vescovo, cedendogli « prò aiodio » il poggio di Castiglione, .sotto la Brina, che viene loro immantinente ricon--ceduto «jure feudi»; si obbligano, sotto determinate clausole, a costruirvi un castello, con torre e abitazione del vescovo; giurano il vassallatico con i patti soliti, per il vecchio feudo (vuol dire per il castello (preesistente della Brina) e (per il nuovo castello da costruire il). 1 signori di Burcione, i quali prendevano nome da un castello esistente sopra PAulla. di fronte al Bibola, distrutto sulla fine del XIII secolo (2), sorgono nel castello della Brina già nella seconda metà defl secolo XI. Il 14 gennaio 1078 Pellegrino del fu Ootezone di Buicione aveva venduto al vescovo la sua parte d’una grande proprietà nel piviere di Soliera, in Tal d’Atdla, e giù, nella bassa Lunigiana « usque in mare ». fino a Monte-rosso in Riviera : dal tutto eccettuato quel che il venditore possedeva entro le mura del castello della Brina (3). L'atto non dice chi fossero i comproprietari, se della stessa famiglia, o d'altra: ma vediemo non esser dubbio che già da allora i Buggiano avessero parte nel consorzio, ed esser probabile che questi con i Burcione fossero di medesimo sangue. Verso la fine del XII secolo il condominio signorile del castello della Brina (accanto al quale s'era costituito un comune popolare) era diviso in ventiquattro sorti (4) ; ma i consignori si spartivano tre quote : « pars Peregrinorum » dei discendenti di Pellegrino da Burcione: «pars Buzanoium ». dei Buggiano: « pars Ubertorum» (5) di un ramo pure appartenente, come ora vedremo, al secondo ceppo. Infatti ne abbiamo la prova nei documenti del consortile di Stadano. altro castello della Val di Magra, non lungi dalla Brina, dominato dagli stessi signori. <1) CP, n. ói6. 2 Bilevaci dal protocollo del noi. Saladino neìì’Arch. noi. delTAulIa, sotto .* data 2 o«- 1295. Xizziki. Ecçefio. GSL. Vii. 105-7. (3) CP, n. 255.. (4) Atto 19 febbr. 1279. CP. n. 520. 5 Memoriale sema data del v. Enrico: CP. n. 526. 182 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Nel 1211 erano signori ili «Stadano Urceolo, « Codevideus » e i tigli di Bonafccoiso da Burcione, i figli del fu LevacasteJlo, Enrico del fu Uberto (1). Una parte di Stadano, come della Brina, era dunque in mano dei Burcione; Levaca,stello, i cui tigli ne (posseggono un'altra parte, non può essere dhe Gerardo di Levacastello f. q. m. « Catie Regis » nominato in atto de^l Tino del 1189 (2), cioè uno dei tìgli di « Catie Regis» investiti dei feudi buggianesi di Vai1 di Xievole col diploma federiciano del 11 (»7. Questo ramo conservava ned secolo XIII il cognome Buggiano e teneva quindi alla Brina la <( pars Buzanornm »; vieil meno ogni dubbio notando che un Bonaccorso, figlio del detto Levacastello, in carte del 1244, s'intitola (( de Buzano » (3). Quanto a Enrico di Uberto, signore della residua parte di Stadano, era discendente dell'altra linea buggianese compresa sotto la denominazione « tilî (ïregorî » nel citato diploma di Federico 1. Infatti Uberto, padre di Enrico suddetto, è indicato come tiglio di Pagamelo di Buggiano in atto della pieve di Carrara del USI (4) e Pagamelo deve esser uno dei detti (etili Gregori », visto che ripete il nome d'un ascendente di questa linea, quello di Pagano, ricordato defunto nel 1970. E questo il gruppo possidenti» la «pars Ubeitorum» della Brina, sulla quale infatti il vescovo Enrico, nel suo memoriale, dice
  • K. Arch. di Stato di Lucca. Diplomatico. S. Frediano. >5) L'affermazione del vescovo è controllata dall’atto d’a«juìsto fatto l’anno 1273 dagli eredi di Rollandino di Stadano (CP. n. 520). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA sarà stata <1 inique degli eredi del fu « Zencio », ricordati con Uberto nella stessa data 1070. Xe viene, in conclusione, che ila ti ipartizione della Brina risale almeno alla seconda metà del secolo XI; data nella quale è pressoché impossìbile ammettere un consorzio signorile che non sia fondato sopra vincoli da consanguineità. L’autore comune delle tre linee, non può ritrovarsi che a distanza almeno di due generazioni dagli individui sopra ricordati, poiché conosciamo la paternità del capostipite degli Uberti col nome di un Pagano già morto nel 1070, e quella del capostipide del Burcione, col nomed’un Gotezone, morto prima del 1078 : si risalecioè circa agli inizi deir XI, o alla fine del X secolo, il che concorda con la supposizione fatta che il visconte Tedalasio, da cui i Buggiano ebbero causa, fosse il « Teudingus que Teutpert vocatur », vassallo del v. Adalberto alla metà del secolo X. * * La fine del dominio dei Buggiano in Lunigiana si confonde con la catastrofe del potere temporale dei vescovi. Il dominio della Brina e di Stadano fu infatti il principale « casus belli » dell'ultima lotta combattuta «lai 'Marchesi contro questi pieti-soldati. Il contegno dei Buggianesi, come quello di tutti gli altri minori feudatari di Lunigiana, era stato molto oscillante dagli inizi del secolaie duello. Nel 1124 è registrata la defezione di Gregorio di Buggiano. militante con i marchesi di Massa (* i Maiaspina contro il vescovo. Più strette aderenze, documentate fin dal 10SÓ (1). con le case obertenghe ebbe il ramo dei Burcione. Fu poi uno di loro. Lombardello, vivente sulla fine del XII secolo, quegli che diede occasione alla funesta controversia della Brina. Il 17 ottobre 11S7 Lombardello del fu Pellegrino a Castelnuovo la questione della Brina rimase in sospeso : nè alcuno la risolse mai : la Brina, Stadano, Boiano, ugualmente contesi, non uscirono più dalle mani dei Malaspina. Così svanì il potere feudale dei signori di Buggiano, in questa plaga, legato alle sorti del vescovo ; non saprei dire quando ed in quali circostanze essi abbiano perduto Castel-poggio e il resto. Nell'ultima lotta fra marchesi e vescovi gran parte dei minori feudatari lunigianesi, i discendenti dei militi che circa un secolo prima avevano cavalcato in folta schiera con il vescovo Gualtieri a Padivarma e alPAulla (-), avevano disertato il vessillo di S. Maria. La sentenza data da Guidotto da Milano, per mandato di Bonifacio Vili, in una di queste liti il 10 novembre 1277, nominava quasi tutti i conti e nobili di Lunigiana fra gli offensori del vescovo (3). Ecco, del resto, lo stremato stuolo degli ultimi settari del vescovo Antonio ricor- (1) Ibid. n. 517. (2) Cfr. il testimoniale raccolto dal v. Guglielmo nel 31 die. 1269; CP, n. 615. (5) Ibid. Add. n. 13. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 185 dati nel trattato di pace del 1306 : i nobili di Fosdinovo, Puccio •e Francesco Larmischa, i figli del q. m. Facio di Falcinello ! (Ma la deiezione non giovò agli ultimi « lombardi » di Lu-nigiana. Quelli che la trionfante espansione dei grandi comuni. Oenova, Pisa, Lucca, 11011 aveva ancor sommersi, furono, in breve ora, destituiti dai vittoriosi Madaspina, i quali, conformandosi allo spirito delle nascenti signorie, volleio eliminare ogni ìlitermediario nel governo dei loro stati. Ubaldo Formentini DONNE E CASTELLI DI LUNIGIANA. LA MOGLIE DI GIAN LUIGI FIESCHI {continnasù ne ; ved. il fase. I della presente annata, p. 30 e sgg.) In quei giorni i Cybo erano in seria preoccupazione per le ultime vicende di Giulio che, gittatosi come disperato alle iparti avverse all’impero, aveva disegnato un nuovo moto di Genova. Ma, arrestato a Pontremoli e tratto a Milano, dopo un processo la'boiioso, nel maggio, l’avean mandato al supplizio. Il vescovo di Forlì avvertiva il Duca di Firenze d’aver ritratto dall’agente di Don Ferrante Gonzaga clic i-icercavasi se il cardinale Cybo fosse stato conscio dei disegni del nipote per conficcargli lo Stato di Massa (1). In quegli estremi, agitata dalla paura, Ricciarda 11011 mostrò cuor di donna, non che di madre, ma come perfida e inumana creatura, pur di salvare sè stessa e lo Stato, scrisse a Carlo Λ una memorabile lettera, in cui chiedeva a Cesare la vita del figliuolo, non già per pietà che ne sentisse, chè anzi <( s’ella· lo avesse in suo potere con le proprie mani lo affogheiìa », ina perche non restasse « memoria del corpo suo sia nato omo che abbia meritato morire per giustizia » (2). Cosimo de Medici, che la detestava, non si arrese all’insuccesso della pratica delle tentate nozze di Leonora e pensò di rimaritarla con Gian Luigi di Nicolò, detto Chiappino, Vitelli, giovane di 29 anni, che era uno de’ suoi più fidati capitani. I Cybo non volevano sentir parlare di queste nozze e Lorenzo fu a Firenze ed ebbe poi invito a 1111 colloquio con la sorella Ippolita, contessa di Cajazzo. Tanto risulta da questa curiosa sua lettera al fratello cardinale, tutta autografa : Rev.ma Signor mio. Quando parti da Fiorenza me n.andai allo Spe-daletto, dove era necessario dare ordine a certe cose di quel 1θ€θ, et passando la Contessa nostra dal Pontadera, mi scrisse dhe mi hareibfoe \Tolentier parlato et ohe andrebbe alla Scada et lì aspetterebbe o me o (1) R. Arch. di Stato in Firenze, Mediceo cit. (2) Cfr. la lettera nel mio Giulio Cybo, cit. cap.. X. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 18T inio avviso. Partimi avanti dì dal Spedaletto et traversai quei paesi: per satisfarla, dove non la trovai, ma presi ben un extremo disagio, per il quale mi si è mosso il mio sangue et è parso a questi medici che io mi purghi, et arrivato qui ho dato principio et fra tre o quattro di spero potrò pigliar vacuatione, che se questo non fussi stato, alla tornato mia qui havevo designato venir di longo da V. S. et raguagliarla de ogni cosa fatta in Fiorenza et su quelle risolver quello che s’hanno a fare per veder se è possibile et per quanto sta in noi condur al bon porto le cose della Leonora, secondo il debito et desiderio de tucti.. Arrivato qui trovai alcune pratiche et parlamenti della Agostina havuti al monasterio de nostri frati quasù con certi delli grevi de corte et alcune parole da lei dette in casa non troppo a proposito al fin nostro; et poi ch’io ho da soprasedere per necessità questi pochi dì a venir da lei, ho voluto darli questo poco awilso, l’una perchè la detta Agostina non sia lassata partir de lì fin che io sia da lei anchor che con qualche colorata ragione lì fussi persuaso, l’altra che questo V. S. lo tenga, se sanza alcuna saputa, del suo vescovo, che de segretario fa il referendario;, et ha fatti tali offitij per questi Buoi advisi non troppo a proposito al intento nostro: quando a Dio piacia che sia poi da lei ragionerassi de ogni cosa et quella resolutione che a lei parerà tanto se exeguirà. Ilo visto la risposta della Theodorina et delle altre cose che in suo nome mi .ha scritto il vescovo et havendo io a esser lò si farà tutto in un lì atto et in questo rnezo non accade rescriver a Genua per lei come V. S. ha resoluto far et la causa è stata ben considerata, nè far altro in questa cosa della Leonora fin a mio arrivo. Basoli adunque le mani humilmente come devo et me li faccio recomandato. Di Agnano il di XXIX de magio del XLVIII. Il solito S.re di V. S. R.ma Lorenzo Cibo (1) Mandarono poi a Firenze prima il Marchese Leonardo Ma- 1 aspina di Podenzana, perchè, con una lettiga, pigliasse Eleonora e la conducesse a Massa presso il Cardinale e la Marchesa, poi il marchese Gian Francesco Sanseverino, che aveva sposato Lavinia, figliuola di Ippolita Cybo, contessa di Cajazzo. Ma Eleonora si ribellò al volere de’ suoi, atterrita al pen siero che, venuta in Lunigiana, fosse poi costretta ad agire contro la sua volontà. (1) R. Arch. di Stato in Massa, Carteggio del Card. Innocenzo. 188 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 11 cardinale Cybo ne scriveva al fratello Lorenzo dicendogli : a Avrà inteso che la Leonora 11011 vuol partirsi dal monastero se non maritata, e lo liti detto alila Duchessa (Cuterimi-Cybo Varano, duchessa di Camerino), al (tuMuccì (segretario d Innocenzo) % al Marchese Lionaido (lfa1a prato all’amico cav. Umberto Giampaoli di avermene tratta la conia. 190 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Vitelli era venuta accentuandosi e che essa dava a conoscere di non voler essere troppo ossequente alle intenzioni della la- miglia circa il suo matrimonio. Si capisce, dal contesto della lettera, che la famiglia vedeva di mal occhio questa eventualità e che avrebbe cercato di scongiurarla: ina c'era da fare i conti con la ostinatezza di Eleonora (1). Anche Giovali Francesco Guiducci in una lettera di par? data ripete presso a poco gli stessi concetti, aggiungendo che ad Eleonora, fra tutti i partiti proposti, il preferibile sembrava quello del Vitelli, per il quale mostrava ormai grande attaccamento. Termina suggerendo che venga mandato qual cuno ad abboccarsi con Eleonora per prendere in seguito una decisione (2). * *■ * Il nuovo marito che, sul cader dell'ottobre del lì>48, Eleonora era determinata prendersi, nasceva di Niccolò Λ itelli da Città di Castello (1519-1575) e da Gentilina della Staffa. Toccava ormai trentanni, ei chiamava Gian Luigi e, per un nomignolo derivato alla famiglia da una parentela con gli Orsini, aveva il soprannome di Chiappino che, pei montanari toscani, significa orso. A questo proposito si narra un curioso aneddoto. Quando, la notte della congiura famosa, Gian Luigi Fieschi, tutto chiuso neH'armi, comparve dinanzi alla moglie e con vivaci parole disvelandole il suo disegno, l'animò ad aver fiducia nel buon esito dell* impresa, Eleonora, smarrita e piangente, dopo la partenza del Conte, si rifugiò nelle sue stanze, dove s era in trodotto un orsacchiotto, che, come addomesticato, tenevano per casa, e s'era celato nel letto. Sicché dal fatto si volle poi trarre una maniera di oroscopo preannunciatore delle seconde nozze della Cvbo col Vitelli. Chiappino, cioè orsacchiotto. il) Arch. di Mas-a. Cari. cit. del card. Innocenzo Cybo. (2) Carteggio cit. nota prec GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA m Il secondo marito d*Eleonora aveva perduto tragicamente Ja madre, pugnalata, per infedeltà, dal mai ito, che. a sua volta, cadea poco dopo ucciso per mano dell’amante di lei. Chiappino non ebbe pace finché non vendicò il padre suo col sangue dell'uccisore. Aveva poco più di 23 anni e si arruolò fra i sol dati ili Cosimo de' Medici. A Talamone e Port’Ercole fece prova del suo valore contro i pirati del Barbarossa Kaireddyn. Nel 154-7 comandava un colonnello di 1000 fanti e una rorma di cavalieri. Si occupava, con particolare competenza, ili fortificazioni. Più tardi lo troveremo a presidiar Piombino per timore di Dragut, poi a militare in Corsica coi Genovesi e infine, richiamato dal Medici per la guerra di Siena ed esecutore delle crudeltà del Malignano. Avrebbe avuto poi uffici diplomatici, titoli ed onorificenze fino ad essere marchese di Cetona e generale supremo delle milizie toscane. Questi l'uomo che, col favore del duca di Firenze, Eleo nora deliberò prendere per marito, decisa di uscire una seconda volta dal monastero. Nell'agosto del '48 Cosimo de' Medici mandava al cardinal Cybo. e a Lorenzo, suo fratello. Messer Jacopo de' Medici per proporre « alcune cose che io desidererei havessino effetto, ta.re ». (1). Il 3 settembre il Lottino, agente del Medici, proponeva esplicitamente il matrimonio alla marchesa Ricciarda, cui, un mese dopo, il duca mandava Jacopo de' Medici, rinviato successivamente a Lorenzo e al Cardinale (2) munito d'istruzioni per entrambi «tper proporre il matrimonio di Lionora con Chiappino e della sorella di Ridolfo Baglioni col Marchese di Massa. (Alberico secondogenito, erede del titolo, dopo il supplizio di Giulio Cybo) » (3). 1 Co>imo al Cardinale. Firenze. Mediceo, f. 2654. 20 aeosto 154S. 2 ET. Arch. di Stato in Firenze. Mediceo. Carteggio di Cosimo I. fiL 12. 5 Arch. di St. Mediceo, fil. 2654. 192 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Per riuscire alla soluzione della pratica col possibile accordo de’ parenti, Cosimo spiegò in quell’ottobre una fervida attività epistolare e diplomatica (1) e mandò Lorenzo Pagni col vescovo di Volturare, Gerolamo da Vecchiano, a Firenze dalla Eleonora per persuaderla a recarsi presso sua madre Ricciarda e presso il Cardinale. Il 24 d'ottobre egli insiste presso Innocenzo Cybo che non la vogliano maritare per forza. Ma Eleonora non si mosse. Il 10 novembre Cosimo scrive al segretario Vinta che il Sig. Chiappino Vitelli ha pubblicato il parentado conchiuso con la Sig. Leonora Cybo e che Don Ferrante Gonzaga lo avea voluto (2). Non mancarono le proteste dei Cybo presso il Duca di Fi renze di cui è l'eco in queste due lettere. Ricciarda scrive al Duca Cosimo, da Carrara, dove aveva atteso invano la figliuola : Illustrissimo Signore, Dal vescovo de la Volturara (il da Vecchiano) ó inteso in che termine sta il negocio de la Elionora, el quale me acora tanto ch’io non so per che non muoia; e la causa che me induce a tanto dolore è per essere certa che la povera figliola gle stata azirata dentro, soto el nome di V. E.; del qual nome son più ohe certa la Eccellenza Vostra non saperne niente. Però io non entrarò a dire quel tanto che meritano queli tali presuntuosi, per parermi toca a lei; ma per quel che toca a me e a quella povera figliola, la suplico quanto' io so, voglia operare dhe la venga da me, a ciò la non sia persuasa a fare tanta ingiuria a chi non la deve. E V. E. la sicura ohe, venendo, l’averà forsi più aiuto da me di quelo gle dito da li malivoli. Del resto me rimeto al Sig. Zan Francesco nostro [Guiducci], el qual sa lo intiero da l’animo mio. Da Carara a li XXXI di otobre [1548]. Di Vostra Eccellenza serva Ricciarda (3) Il tono cosi umile e dimesso della Marchesa di Massa non poteva ingannar Cosimo, che la conosceva troppo bene e non ignorava la trascuranza che aveva avuto della figliuola. Sicché (1) L ha -seguita il Reumont, op. cit. «2) R. Arch. di Stato in Firenze, Mediceo, Cari, di Cosimo I, Pii. 10. (3) Mediceo, Carle di Cosimo I, già Mise, med., F. 40, n. 32 42. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 193 iil consiglio -dato alla giovine vedova di obbedire alla madre non potè essere altro dhe un’apparente condiscendenza verso Ric-ciarda. Sdegnosa, pur essendo contenuta ne’ dovuti termini, la lettera del Cardinale : Illustrissimo et Eccellentissimo Signore, Non ho prima risposto alla sua de’ 28 del presente, aspettando la venuta del vescovo Vulturara, quale istasera è giunto. Et da lui più largamente ho inteso quello che per la sua mi accenna. Et per quanto ho ritrato da lui persevero in la mia opinione che questa povera figliola è stata, et essere ancora, circonvenuta et agirata et condutta in quel termine che si trova, et quel che più mi spiace è dhe li manarini et circonventori sono stati et sieno ancora persone troppo intrinseche sue, come Don Pietro Toleto, il Vescovo di Cortona et Jacopo de’ Medici et il Pagni, quali halbino havuto ardire et ardischino, senza suo ordine e comrssione, dar tanto carico a V. E. di sedure questa povera figliola. Quale io, pensando che era sotto l’ombra sua nella i?ede del suo stato, in uno Monastero tanto famoso come è le Murate, la tenevo più sicura che in altra parte del mondo; trovami da la fede et meriti miei tanta ingannato. Et perchè per la sua mi dice et off ere ogni sua opera a beneficio di questa negociacione, del dhe 'sommamente ne le iringratio et acepto, la suplicherò prima che essendo facti questi manegii di quello modo che sono, fora di ogni legie, nè divina nè humana, et contra la volontà sua, come sono più che certo; che la sia contenta darli quello castigo a chi 'ha havuto tanto ardir, che se li conviene, et chiarisca il mondo della candidezza del animo suo. Et a me et a tucti li altri parenti di casa mia, non voglio patir sia facto uno fregio tale sul viso, che a nostro dispeto ce sia tolto la robba, il sangue et honore nostro, quale havemo riposto in braccia sua. Et non voglia so iterare me vivo, quale per esaltar lei et meterlo dove è, non ho curato nè vita nè altra felicità humana mia. Et perchè non sia deto che io manchi mai al debito mio verso le cose mie, essendo questa povereta sedutta come di sopra, mi rpareria essere infame se io fin dhe posso non la adiutassi. Però la suplico et a questo effecto li mando il Signor Conte Johan Francesco Sanseverino, che in mio nome li faci ogni instantia che la sia contenta far che la Leonora venga qui da noi, et questo non per altro, a ciò nè lei nè il mondo possi mai atrilbuirsi a noi ohe non l’foa-biamo adiutata, et factoli cognoscere quanto questo si disconviene a 104 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA lei et a noi di far simii matrimonii di questa manera; promettendoli dì novo che da noi non sarà nè sforzata nè violentata del volere suo. Ed di questo nella prego et suplico quanto più posso, perchè secondo mi ha fatto intendere lei, per più et più delli meì, sempre che da lei habi licentia et li fìa ordinato verrà volentieri. Et di gratia V. E. non mi manchi a ciò non habi per altra via a iustifìcare il mondo, che da me non sono questi errori, essendo ubligato per interesso mio proprio a dare conto dì me, come so Ia cognosce meglio di me. Et con questo farò fine, rimentandomi a quello più li dirà il su-detto Signore Conte Francesco, al quale si degnerà prestar fede et exaudirlo. Xostro Signore Idio li dia quello che tucti desiderarne, et conservi in sua Santa Gratia con la Signora Duchessa et figli. Da Carara, Tuli imo dexembre del '4S. Servo In[nocentioJ Cardinale Cybo (1 Le parole del Cardinale non commossero il Duca Cosimo più che 1<* lamentele di Ricciarda, con tutto che colui avesse fin rievocato l'opera sua in Firenze, del 1536. per la successione del Medici al cugino Alessandro ucciso da Lorenzino, Cosimo, fin dal novembre, avea concessa la mediazione, che trovasi nel suo carteggio fra le lettere al Segretario Pagni. perchè « Leonora Cibo, figlia della Marchesa di Massa, innamorata di Chiappino Vitelli, avesse la libertà di potersi eleggere un partito a suo modo » (2). * * * Da una lettera di Cosimo alla Marchesa di Massa del 18 gennaio 1549 lilevasi che Chiappino ed Eleonora desideravano liconci liarsi con Ricciarda e col Cardinale. IM tempo stesso dev'essere questa missiva della giovane a sua madre, determinata dal desiderio di finire ormai un contra-sv che lasciò lunt:<> stra>cico perchè, molti anni doj» ». Alberico Cybo annotava nei suo Ricordi : Nota che gli anni 1518, 49 et 50 fumo per la casa Cybo infelici et di grandissima perdita, perchè da: ^ fu la prigionia e: morte di Giulio 1 Mediceo. Cori. cit. -· Carr. dì Cosimo L Lettere del Pa^ni. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 195 Cybo, Marchese di Massa, et il matrimonio di Leonora, nostra sorella, con Chiappino Vitelli, fatto contra la volontà di tutti, con quei favori che più erano maggiori in Fiorenza: del 49 mori il Sig. Lorenzo Cybo. Conte di Ferentillo et Marchese di Maësa, mio padre: del 50 morì il vescovo di Marsiglia: [G. Batt. Cybo], zio, et un mese poi il Cardinale suo fratello » (1). Ecco lo scritto di Eleonora : Lettera di Eleonora Cybo-Fiesciïi a sua madre, dopo ch'ebbe preso il Sig. Chiappino Vitelli contro il volere de* suoi. Quest’è stato il principio del negoiio, Ill.ma S.ra mia. Quando il Signor Lorenzo mi cavò di questo monastero con la galanteria che V. S. sa, sotto nome del Cardinale e di lej, fui messa nelle Murate con tante constitutioni che se non fussi stata conosciuta e allevata in detto loco sarei stata astretta finir e giorni mieL Cossi mandai per il Guiduccio e feci scrivere e scrissi al Reverendissimo mio che m* aiutasse e ragliasse partito di me. Intanto S. Ecc.tia mi mandò a visitare per Dognanna [Donna Anna] sua criata. a condolerti meco dei portamenti mi faceva il signor Lorenzo e offrimiisi d'aiutarmi, et io non lassai passar questa occasione e supplicai detta Signora non mi lassasse far oltraggio ne1 Stato suo, perchè da tutte le bande mi veniva detto cbel Signor Lorenzo usava di male parole con dire che mi metterebbe in loco ove non Tederei mai più luce, e dell’alt re cosse assai. Di poi che S. Ecc.tia m’Jiebbe assicurato di questo, mi fece parlar per il Signor Don Pietro de accasarmi col Signor Chiappino quando le S. V. ne fossero contente. Li i-sposi ch’io non potevo mancare di ubedire a S. Ecc.tia. Mi fece risponder che questo era giusto. Cossi, stando il negotio sospeso e non essendo mai passato giorno che non mi fusse parlato di questa cosa, non li detti mai altra risposta se non come di sopra, eccetto quando la S. V. ripose al Segretario Lottino della maniera ch’ella fece. Io dissi al S.or Don Pedro che havendo visto l’animo di λ'. S. non mancherei riconto niuno a contentar lor Ecc.tie. Capitandomi la lettera di Y. S. di Roma che m'a vi asse allo stato, le risposi che di gratia non mi levasse delle Murate se non collocata, del che non hebbi mai risposi a. e cossi si scrisse al Car. le. Poi quando le S. V. mi mandomo la lettica e le genti a pigliarmi, li supplicai il medesmo, e scrissero! con gran collera e cossi m*impaurii più che non bisognava, e riccorsi a S. Ecc.tia che m'aitasse di quello m’havea promesso, il qual fece poi con V. 5. qurl 1' I *. à. B-·;'.: 2Γ- 196 GIOHiNaLE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA che le sano. E vene il S.r Don Pedro da me in nome di S. Ecc.tia a dirmi eh’o assicurasse il S.or Chiappino per mio. A questa cossa stetti forte \più di tre hore: nel ultimo mel comandò in nome dell detto S.re eoa. dirmi che fra el Cardinale e S. Ecc.tia non (bisognava mezzi, dhe l’a-nimo di l’uno e di l’altro era una cosa medesima e dhel tutto s’asset-terelblbe con bel modo; di maniera ch’io feci tutto quel che volsero, sbi-gotita e spaurita, com’ho detto, dalle lettere e parole che se dicevano che* V. S. mi voleva fare : poi queste altre due volte cihe ha mandato per me mi son trovata non poterne disipor più che tanto. Colssì la voglio pregare per la passione di Iddio che vogli perdonar a questo mio grande-error secondo la sua gran bontà, confessando non esseir degna volger gli occhi nelle bande dove la sta, nè nominarmeli figliola : ma tanto lev chiederò misericordia e perdono che forse si degnerà concedermelio, assicurandola che alla giornata e parlamenti miei saranno tali che scancellerà la rugine che è nel petto adesso della S. V., alla quale umilmente· bacio le mani. Indegna fraglia (sic.) Leonora Una grave pieoccupazione costituì la dote di Eleonora, se-questrata dalla Repubblica dopo la congiura dell Fieschi. Se n?era interessata Ricciarda, insistendo, poco dopo l’avversa sorte di Gian Luigi, col Cardinale suo cognato perchè ne* tentasse il ricupero. E costui ne faceva premure a Genova con questo scritto : Illu.mo Sig. Duce et Molto Magnifici Signori Governatori deH’Ec-celsa Repubblica di Genova. Essendo stati avvertiti che le scritture che erano in Mon taglio soa.> venute in potere delle S. Vostre et persuadendoci che li possa essere qualche cosa atinente alla Leonora nostra Nipote, le preghiamo che siano· contente farne gratia di farle cercare, et quelle che si troveranno appar tenenti alla detta Leonora consegnare al Reverendo Monsignor Nicolò Pinello, Vicario nostro Archiépiscopale et procuratore della su detta Leonora, dal quale saranno più largamente informate di quanto attorno a ciò ci accade dirle. Le piacerà crederli tutto ciò che le esporrà in nomenostro, come farebbono a noi proprij, ohe lo receveremo da esse per servizio et cosa gratissima; et la detta nostra Nepote le ne resterà con: obbligo perpetuo. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 197 Et con questo fine del continuo ce le offe rimo, et raccomandiamo ohe N. S. Dio le conservi in sanità con auguanento del stato et sotto a sua iprotettione. Da Carrara, alii XXVII di Giugno 1547. Di V. S. Ill.ma et molto Magnifìc-he Come Fratello : Innocenzo Cardinale Cybo (1) Questa ricerca delle scritture jpare non avesse seguito. Si imbastì una controversia giudiziaria, come rilevasi dalla credenziale che, il 14 aprile del successivo 1548, il Cardinale, da Carrara, faceva per Girolamo Testa, gentiluomo suo agente in Genova, che doveva comunicare qualche faccenda col governo, in isipecie « attorno alla lite che pende dinanzi al Vicario del Sig. Podestà, per conto di parte della dote de la Leonora nostra Nipote ». Due mesi dopo il Cardinale ringrazia perchè si sono soddisfatte le sue insistenze : Illumo Sig. Duce et Molto Magnifici Signori Governatori dell’Eccelsa Repubblica di Genova Ancihor che noi ci rendessimo sicurissimi che le Illu.me Signorie Vostre non fussino, in la differenza che vertiva tra la Lecmora nostra Nipote et li promissori di parte della ,$ua dote, per ordinare se non quantu comportava el dovere, et conforane a quel che a un Supremo Magistrato, come è il Loro, s’appartiene, qual non deve ne ha da mirare in aJlt.ro che al servizio di Dio et alla consei-vazione et augumento dei stato di quella eccelsa Repubblica, il che per la maggior parte consiste in far administrare giustitia indifferentemente a ogn’uno; ci è non di meno stato oltremodo grato, per molti degni et considerevoli rispetti, l’havere da Messer Girolamo Testa, nostro Gentil huomo (qual habbiamo tenuto sin adesso in Genova per espedire questo et alcuni altri negozi jì inteso la risoluzione dhe a quelle è piaciuto fare attorno alla ditta differenza, della quale non solo ne le ringrati amo, ma le ne restiamo con obbligo grandissimo, offerendocele sì come compatriota, et sì anchor.-i come Arcivescovo di quella Città, non meno desiderosi che pronti, in oigni occasione pubblica et privata, a renderle di bonissima voglia il (1) R. Arch. di Stato in Genova, Lettere Senato, fil. 30. 198 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA contraccambio della buona giustizia administrata, et favor fatto alla prefata nostra Nipote. Et con questo fine del continuo alle S. V. 111.me ci raccomandiamo., che N. S. Dio le conservi sane et sotto la 6ua protezione. Da Carrara, allo ultimo di Giugno del MDXXXXVIII. Di V. Signoria Illti.me et Molto Magnifiche ■Come fratello Innocenzo Cardinale Cyibo (1) Il matrimonio di Chiappino Vitelli veniva a scombussolare, anche per la dote, i disegni del Cardinale e di Ricciarda, sicché costei, mentre alla fine di quel per lei funesto 1548 il Cardinale era a Genova, gli esponeva questi suoi propositi per la dote stessa. Io mandarò il contrato de le dote de la Lionora a un dotor nel qual*-ò fede asai, el parer di cui più volte ò esperimentato eser ver icusì per i casi; mi è stato rii erto ohe dito contrato non ne molto pregiudiziale a V. S. R.ma et ohe per vie di ragione se posano mantenere molte cose a benefìcio ìsuo onde io sono intrata di bona speranza che questo negocio delbia riuscir asai meglio cihe fin a qui non albiamo creduto; per ciò mando el presente a posta, a ciò V. iS. R.ma .non pratichi nè concluda cosa alcuna con la sigurtà di esa dota, che facendo altrimente forse farebe dano sè stesa e mon ad altrui, come parlandoli presencia.1-mente gli dirò più a lungo. La Lena, [figlia naturale di Ricciarda], sta ibene. Ogi è nevicato di sorta che Carara è venuta tuta bianca. E a V. S. baso la mano. Da Carara ali 7 di dicembre [1548)]. Serva (Ricciarda) (2) All R.mo et Ill.'mo Mons. mio Osservandissimo 11 S. Cand.le Cylbo a Genova Dovea passare buona parte anche del successivo anno 1549 prima che tante controversie fossero definite perchè lo « Strumento della dote di Leonora » fu redatto soltanto il 1° ottobre di quelFanno a Firenze, nel popolo di S. Felice, in (1) R. Arch. di Stato in Genova, Lettere Senato, fil. 30. (2) R. Arch. di Stato in Massa, Cart. cit. del Card. Innocenzo Cybo. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 199 piazza, nel palazzo di Gian Luigi Vitelli. Furono conclusi al lora i (( Patti stabiliti per interiposizione del Duca Cosimo de’ Medici fra Leonora Vitelli e Gian Luigi, suo marito, da una parte, e i procuratori dell Cardinale Innocenzo, suo zio, e di Ricciarda, sua madre, dall’altra, in nome anche d’Albe-rico suo fratello. » Ecco il testo dell’atto : Primo : che S. S. Rev.ma debba, in fra dui mesi proxi-mi futuri da oggi, rimettere in S. Giorgio, sotto il nome deilla IH. Sig.ra Leonora, in tutto e per tutto come erano prima, li nove milla scudi, o quanto siano, che ha \renduto come procuratore di essa Signora a Paris Spinola, et che de cetero nè S. S. Rev.ma nè il Sig. Alberico, nè la Signora Marchesa [Ricciarda] debbino impedire la prefata Signora Leonora o suoi agenti che non possa liberamente riscuotere dall’Ill.mo Signor Principe DOria o dalle segurtà il restante delli denari pagati per la dota, che sono in le segurtà otto midi a, et nel Principe novemilia scudi, e li proventi che daranno li detti luoghi di San Giorgio. Secondo : ohe il restante della dote dhe resta a pagarsi (1) S. S. R.ma halbbi tempo anni diece a pajgiharla e metterla in S. Giorgio, o tanto per anno o tutta in una volta, come più piacerà a S. S. Rev.ma, et che la prefata Signora sia obligata acceptare il poco o Tassai pe/ gli anni che S. S. Rev.ma gli vorrà porre in S. Giorgio a suo nome intendendo però che del restante non si habbi mai a pa-gihare per S. S Rev.ma nè per il Sig. Alberico o altri alcun interesse, ma solo la sort-principale; Tertio: Che tutta la dote della prefata Signora, cusì paghata coma da pagharsi interamente, si debbe apponere nel Monte e Luogo di S. Giorgio, nè si possa per alcun tempo levarsi di lì se non con expres-io consenso de S. S. Rev.ma, in tutto e per tutto come si era convenuta con niluistr. Signor Conte di Fiesco bona memoria nel istrumento del matrimonio o dote fatto a Milano, al quale in questa parte si habbi relatione. Quarto : :Che la prefata /Signora Leonora et 1111. Signor suo consorte icedeno e renuntiano, et eu sì cedeno et renuntia:no, .a ogni ragione e actione ohe havessino per qualsivoglia acto iuridico o a prehensione di possesso acquistato in Agnano o altri beni deM’Ill. Signor Lorenzo, et che (1) Mancavano scudi 10011, 58.6 d’oro del sole. Questi scudi valevano un bolo-gnino più per scudo dello scudo del conio d’Italia. 200 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA non spossino inai molestare nè il Rev.ano, nè iil Sig. Alberico, nè la Signora Marchesa per causa de alcuni interessi o frutti o proventi di decta dote, decorsi insi-no al presente, nè domandare alcune ragione et administrat ione. Quinto: Che morendo la prefata Signora, ohe Dio non voglia, senza figli maschi o femine del prefato Iil. Signor Ohiapino, lei non possa disponere di decta dote, nè in fra vivi et nè in ultime volontà, per qualsivoglia via o spetie di alienatione o testamento, più che la somma di scudi novenni a, et le sue gioie e iocali, che son doi milia tanto, e non ο·1-tra; et cihe de restanti sedici milia scudi ne deiblhi, de fatto et iptso iure, retornare et essere restituiti al prefato Reverendissimo, et doppo lui al prefato Signor Alberico o suoi heredi e discendenti, e che il prefato 111. Signor Chiappino non possi nè vogilia per causa alcuna d’ante fatto o guadagno dotale guadagniare de detta dote più de novemilia scudi, et per questo renuntii et cosi renuntia a ogni statuto de cità e castello \> della cità di Fiorenza e di Pisa e a ogni stilo, consuetudine o lege che disponesse il contrario, in ampia forma; et morendo il Sig. Chiapino prima della Signora Leonora, cihe essa Signora resti con lilbera facultà ìii dette sue dote di poterne disporre in tutto e per tutto come hoggi si ritrova. Sexto : Perchè S. Signoria Rev.ma pretende ohe la detta dote, sia per la diminution fatta per il Sig. Lorenzo, come per altre cause isi possi redurre in minor somma, ohe in tal caso sempre S. Signoria Rev.ma o il Signor Alberico o la Sig.ra Marchesa parerà volere sopra questo articulo usare la lor ragione, che, non obstante questo instrumento de accordo o paghamentc alcuno da farsi o qualsivoglia altro acto, pos-sino li prefati Signori usare le dette lor ragioni che in questo li sieno reservate inile*se et intiere, ec similmente alli prefati Signori Leonora et Ohiapino siano reservate ogni Jor presuntioni et pretensioni contra detti Signori Cardinale, Alberico et Mardhesa, in tutto e per tutto come bave-vano innanzi alla celebrazione del presente contratto (1) [omissis]. Risulta dal piecedente documento che al Ineschi erano sta ti pagati, in tutto, sui 36 mila scudi d’oro del sole, promessi per dote a Eleonora, scudi 26 mila. Questa somma, seguita Alberico in un aggiunta dell’atto, il Rig. Chiappino recupeiò. E il Cardinale si obbligò pagare (1) E. Arch. di Stato in Massa; Archivio ducale; Matrimoni della jCasa Cyho; 1487-1590. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DEI.LA LIGURIA 201 il resto al Vitelli, secondo marito di Leonora. E AUberico prò mise di compir lui il pagamento oltre gii scudi 25988 pagati. I pagamenti avvennero per Falbio de Mari, quando Chiappino andò in Corsica nell’ottobre del 1553. Poi gli dettero poderi nel Pisano, ile terre di Morino reto nel Fiorentino e danai i che erano in S. Giorgio, in Varie partite versate a Raffaele e Gio vanni Batt. Spinola, ad Ambrogio del Nero, a Leonardo Spinola, a Domenico D’Oria e a Gio. Batta Lercaro, terminando il saldo dei 36 mila scudi con « l’orto sito vicino affla ca. I Gallo-Ispani, cui s era aggiunto un corpo di diecimila genovesi con un treno di artiglieria, penetrati nei territori del Piemonte e della Lombardia, avevano cacciati da ogni parte i nemici. Alessandria e Milano furono presto in loro potere, sicché le sorti di quella campagna parvero assicurare il trionfo degili alleati della nostra Repubblica. Il Pallavicino si ritrasse a Mantova dove si stava preparando la riscossa. Maria Teresa, fatta la pace col Re di Prussia, potè rivolgere tutte le sue cure agli affari d Italia. Grandi rinforzi erano in marcia attraverso il valico del I>i(Minerò per venire in aiuto delle soldatesche rimaste inoperose nella pianura padana. Il 1740 doveva vedere la situazione del tutto capovolta. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 207 Seguiamo il nostro Conte attraverso la corrispondenza con la Corte Imperialo. In una sua Memoria, datata da Mantova il 19 febbraio 1746, egli espone alla Sacra Cesarea Reale Maestà quanto -ha fatto fino allora per Pesercito come Plenipotenziario, ma chiede nello stesso tempo (( Vassistenza ά’ψη (irait Cancelliere » che non sia distratto da altre incombenze. 11 Conte Christiani lo soddisfa per probità e intelligenza, ma troppi altri impieghi lo obbligano a lunghe assenze. « Sono certo che adempirebbe molto meglio di me le funzioni di Plenipotenziario: ma conviene certamente al servigio della Μ. V. che l'autorità del Governo sia ristretta in un suggetto solo, onde conoscendo la mia poca capacità, e che forse il mio zelo e il mio candore dispiace a molti, sottopongo umilmente alla considerazione superiore di V. M. se convenga meglio nelle presenti circostanze lasciare a lui solo tutto il peso degli affari e togliermi dalPaffli-zione in cui mi trovo, vedendomi privo di attività nelParinata e ridotto a essere divenuto nelPopinione del Pubblico inferiore in autorità e in credito al Gran Cancelliere. Io sono contento di rimanere sènza alcuna carica, purché sia sicuro di non aver demeritata la grazia di V. M. ecc. » (1). Questo primo saggio di prosa aulica è molto istruttivo. ■K- * * Le operazioni degli Austro-Sardi ripresero nel Marzo del 1746. Quanto era -stata rapida la occupazione della Lombardia nel 1745, altrettanto rapida fu la ritirata dei Gallo-Ispani sotto la pressione nemica. In breve fu rioccupato il Lodìgiano e il Milanese. Guastalla costretta a capitolare il 27 marzo, Parma e Piacenza, dopo varie alternative, evacuate. La voce del Pallavicino giunge a parecchie riprese dal campo. Il 14 aprile egli riferisce intorno alle operazioni svoltesi dopo la resa di Guastalla. Questa Memoria è datata dal Taro e dimostra che il Plenipotenziario imperiale seguiva le (1) Kriegsarchiv, W (1). Però, dopo la fuga o ritirata del Marchese di Castellar, non pare sia stata grande impresa l’assedio e la capitolazione di Parma. Il Pallavicino, scrivendo la breve relazione, sentiva 11 disagio della sua situazione. Mentre i Comandanti dell Armata manovravano in grande stile contro il nemico che qua e là non manca\’a di opporre seria resistenza, al Pallavicino era affidata quella specie d’operazione poliziesca : ripulire le piazze forti che i Gallispani avevano lasciate in mano delle guarnigioni. E il Conte se ne doleva seco stesso e non poteva a meno di lasciar trasparire il suo malcontento nella prosa (1) Kriegsarchiv, Wien; Cart. cit. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2091 inviata alla Corte. Magra consolazione poter apporre la pro-ipria firma sotte le controproposte nel testo della capitolazione Î Altre carte, stillate e sottoscritte dal Pallavicino, sono contenute nell fascicolo di maggio di quel 1746. Una Norma provisionale da osservarsi dalli rispettivi uffici delli due commissariati e dalla Cassa Militare ci informa dhe il 22 maggio il Conte si trovava al Campo sotto Piacenza. Si dice a questo proposito che serie dispute sorte tra i soldati imperiali e i sardi furono sedate dal Palla-vicino dhe mise per ciò in oipera tutta la sua destrezza. A Rottofredo (10-11 agosto) fu ferito da una palla alla testa. Dopo una -sommaria medicazione, il tenente maresciallo così bendato continuò a combattere dinanzi alle sue truppe. Rottofredo segna una data memorabile in questa guerra. Gli onori d^lla giornata furono del Botta, cui la città natale di Pavia decretò particolari onoranze con una il 1 u m i 11 a zio n e gen era le. * * * Si avvicinavano tristi giorni per la Repubblica. I progressi degli Àustrosardi si facevano senupre più minacciosi. oh è compito nostro seguire le vicende della campagna che finì con la completa vittoria dei nemici di Genova. Il G settembre veniva firmata la capitolazione della città alle cui porte aveva messo il suo quartier generale il maresciallo Antoniotto Botta Adorno. In quei frangenti pare che la Repubblica contasse su l’appoggio dell’antico ambasciatore. Secondo alcunif egli consiliava la resistenza alle eccessive pretese del Chothek, il Commissario austriaco senza pietà e senza scrupoli. Forse i! Pallavicino voleva esporre la sua città allo sbaraglio ? oppure sapeva che le armi imperiali non sarebbero mai arrivate agli estremi? Non è facile la risposta. Ad ogni modo Genova non risentì alcun beneficio dal fatto che due suoi figli, il Pal-lavicino ed il Christiani, erano a servizio dell prepotente che le teneva il tallone sul collo. Dice il Litta che 1’ Imperatrice avrebbe voluto affidare al Pallavicino l’impresa contro la Repubblica e ch’egli non volile saperne. Non credo che ciò possa 'J10 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA riferirsi alla campagna del 174ti, Tra lui e il Rotta non c’era da esitare alla Torte di Vienna. Dopo la ignominiosa cucciala del dicembre può darsi che a Vienna si sia ]tenento a lui e può ilarsi che a lui ripugnasse comandare le truppe destinate a casti gare Genova ribelle Ma s'egli non ebbe l'animo ili comparire personalmente in armi contro ila patria, non cessò di lavorare con fervore j>er il padrone tedesco. Dinanzi a (ìenova non comparve. Ma due compagnie del suo reggimento, (il l.V fanteria) erano acquartierate nella riviera di ponente, a (.}elle, in* tutto 170 soldati circa, al comando di un maggiore e di un capitano (1). Anche senza la presenza del Comandante proprietario, quella partecipazione dei soldati del nobii ('onte genovese aille misure odiose contro la Repubblica sua patria era un fatto in troppo stridente contrasto con le antiche promesse di affetto e di devozione. Ma la sensibilità morale del Pallavicino sYra fatta ottusa in quegli anni di servizio aulico. I na sola sarebbe stata la via di uscita da quella situazione equivoca: rinunciare al grado e alTimpiego e correre alla difesa della Patria. Invece rimase nella sua carica di plenipotenziario, sollecito di curare gli interessi deU’armata che opprimeva la piccola Repubblica. Appena le truppe del Botta ebbero subito il noto scacco, il Pallavicino studiò lai maniera di ottener la rivincita. La prova di ciò è in un fascicolo manoscritto da me rintracciato neiraivhivio di Stato di Vienna (2). Riferisco la prosai del ('onte in Italiano, traducendo fedelmente quel francese da corrieri di gabinetto: « Avendo esposto il mio parere sul piano ria stabilire per ricon-ifiibtar la città di Genova e riparare I affronto ohe le anni di S. M. bau sofferto, io proponevo che si sceglieste « preferenza la strada di Savona e c4ie si formassero grandi magazzini in questa citta per sostener Γimpresa, f*d ho ragionato su questo fondamento in merito alle altre parti essenziali di questa spedizione. il· Archivio di Stalo iti Genova; 3faf?ric tniltlari; Guerra, n. tt. 7 2867: n. 72. del If novembre 1746. i2) Staat*archiv, Wien: Gmua. Cofltctonra, 18 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 211 Ma ora apprendo dal Colonnello ‘Conte di Chotek, venuto a Milano, che non è -da sperare alcun aiuto da S. M. il Re di Sardegna per riuscire a formare tali magazzini e che il Conte di Richecourt ha fatto sapere dhe sono essi stessi nell’imbarazzo per trovar i foraggi ed i viveri necessari alle loro truppe. Il Piemonte manca di grano per la scarsità del raccolto, e non sa come far trasportare il fieno necessario per la moria de’ buoi che toglie la comodità di servirsi dei carri, unico* mezzo praticabile per il fieno là dove non si ihanno le comodità delle Riviere. Il Chotek aggiunge che dalle risposte di Livorno e d’altre parti dove ha cercato risorse, dia perduto ogni speranza sul fieno, e il grano e l'avena sono a prezzi esorbitanti. Qui si son prese misure per cui non mancherà il pane nè l'avena, ma non v’è che Dio con un miracolo che possa far trovare fieno a Savona, quando non se ne può far venire per mare da Toscana o Sardegna. Ciò posto, non si può più pensare a condurre la spedizione per la strada di Savona. Bisogna sceglierne un'altra. Ksaminate dunque le diverse strade, la situazione del paese e delle montagne di Genova, tutta la costa ad oriente di Genova fino al golfo di Spezia e Sarzana, io credo che lo stesso «piano proposto per Savona può sussistere, se, in luogo di Savona per Alessandria e Acqui, si vada per Parma e Rerzeto a Sarzana e con l’assistenza degli Inglesi si faccia uri colpo per impadronirsi del forte di S. Maria che è nel golfo di Spezia ed ancora in mano dei Genovesi. Padroni del golfo e di Sarzana, s'avrà un Porto 100 volte migliore di Savona e due piazze d’armi eccellenti, Sarzana e Spezia, ove saranno comodità sufficienti per accamparvi le truppe e radunar i viveri e i foraggi in un paese su la frontiera di Lunigiana e Toscana. Ciò fatto, si potrà procedete verso la Capitale, «potendo gli Inglesi dare lo stesso aiuto lungo questa costa; e devono essere interessati e premurosi di guadagnare la comodità del golfo di Spezia, riparo eccellente alle navi in tempo cattivo, che ivi può quando soffia il sud-sudest. Questo è adunque un giro più lungo, ma con vantaggi forti. In primo luogo ci si presenta al fianco della città, dove per la sua posizione è più debole ed esposta alle conseguenze di un bombardamento, e dove si dovrà naturalmente fare le trincee per procedere all’assedio nelle forme, se i cittadini, vedendosi bloccati per terra e per mare, avranno il coraggio e la fermezza d’attendere le ultime conseguenze. In secondo luogo, agendo in luogo ove non è possibile aver truppe di S. M. Sarda, bisognano rinforzi Allemanni, ma ciò metterà in grado di non trovarsi nel caso di dover dividere la conquista: cosa essenziale e degna da far superare ogni ostacolo. Queste riflessioni m’inducono a manifestare senza ritardo gli ostacoli insuperabili che si scoprono rispetto alle sussistenze, secondo il mio progetto di agire dalla parte di Savona, e di far vedere nello stesso ‘212 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELIA LIGURIA tempo la facilità e la grande utilità die si avranno dal nuovo piano* ch'io reputo indispensabile per sostenere una spedizione così importante agli interessi di S. M. e alla gloria delle sue anni. Ho comunicate le mie idee al Gen. Conte Luchet*i e al Chotek ed essi trovan giuste le ragioni del mutamento: ogni fedel servitore di S. M. deve augurarsi che si possali subito levar di Croazia e Ungheria ottoanila uomini, truppe-di S. M., perchè esse sole aMvian l’onore di lavar l’onta ricevuta, senza l’aiuto di truppe straniere.... Si dirà forse die, allontanando questo corpo da Savona e prendendo il canunino di Parma, si dividono le forze e si sarà meno pronti a soccorrere l'armata di Provenza: ma bisogna riflettere che la difficoltà di unir le sussistenze dah lato di Savona esige questa separazione, poiché tutti gli sforzi che si faranno per ammucchiare viveri da questa parte, basteranno appena alle truppe di Provenza, uh e troverebbonsi male se ci fosse da quella parte un’altra annata da nutrire. Inoltre se· "*i fa l’impresa di Genova senza l’aiuto del Re di Sardegna, resta in-libertà il contingente ch’egli doxrefabe fornire e può impiegarsi in Provenza: e il «piano di Parma -Sa rzana non solo non nuoce, ina toglie di mezzo il pretesto che si siano distratte le forze del Piemonte e clic si sia sottratto al Re di Sardegna il modo di fare degli sforzi per spingere con vigore questa guerra di diversione. In terzo luogo, da «fuakmque parte si marci, bisogna sempre nn rinforzo di ottomila infanterie, per-tJ»è andando da Savona non si può far a meno d’aver un corpo di ottomila fanti e due mila cavalli in Lombardia per mantenere le comunicazioni e ar-sicurar la tranquillità negli Stati e nelle montagne di Modena e Panna e apporsi a tutto ciò dhe potrebbero tentare i Napolitani: senza di ciò Tannata sarebbe in pericolo di perire |>er manco di sussistenza, mentre i pai*saggi delle montagne sarebbero chiusi per i convogli di viveri e di munizioni che bisogna trasportar successivamente e al minuto, da qualunque parte si faccia la spedizione. In quarto luogo non c’è da dubitare che i Genovesi più facilmente s'indurranno* a sottomettersi a S. M. quando le truppe di S. M. saran sole, che se ci fossero insieme anche le truppe del Re di Sardegna, perr/ir l'animosità e l'odio che regnano tra queste due nazioni son rapaci di portarle a sentimenti di ddsprrasione rd a preferire di arrjrare alle estreme coihse-ùuenze. » Milano, 10 gennaio 17i7. Conte Pm.I-avicini. Il l’allavieino non aveva voluto capeggiare la spedizione-] mi n tt i v;i. i· forse l'incarico non gli fu nemmeno offerto. Ma come rieni|M>tenziario si occupò di tracciare il piano della neon- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 213 quista. E per invogliare gli Inglesi, non mancò di mettere in rilievo Γopportunità di occupare il bel golfo della Spezia. * * * Dopo die il Botta, caduto in disgrazia, fu rimosso dalla -carica di comandante generale, anche il Pallavicino, non ostante 1 interesse dimostrato jter la causa imperiale con la redazione
  • e con prudenza senza fin ! Viva «con Qu, felix in sempiterna El isciur cont generai Pali avi-si n ! Codile «do torr che contra i vent se reggen Che ne sostenten, guarden e proteggen. Se questo anonimo dovesse tenersi, come interprete sincero dei sentimenti del popolo, ci sarebbe proprio da congratularsene <·οΊ ('onte. Intanto le due allegoriche torri non sembra che andassero troppo d’accordo. Xel loO 1 Harrach, che noi possiamo credere vedesse giusto, fu esonerato dall ufficio, nel Quale sottentrò il Pallavicino, che continuo cosi a reggeie la Lombardia come un padrone assoluto, forte della protezione e della benevolenza di Maria Teresa. L'Accinelli, il noto cronista, punto favorevole alla Nobiltà, dice che il Conte rivide Genova nel 1750, ma che non vi si stabilì, dopo la sua rimozione che fu nel li53, conoscendo non potervi conseguire l'accoglienza desiderata (1). Forse la sua venuta nella città natale deve collocarsi nel 1751, 1 anno in cui gli morì Üa moglie Anna Maria. Anche il Wurzbach, -nel noto lessico, dice che il Conte visitò la povera moribonda. La Contessa Anna Maria Pallavicino passò a miglior vita in età di 56 anni, il 16 novembre .1751, nella sua villa di Cornigliano Ligure e fu sepolta nella Chiesa di S. Giacomo dei PP. Predicatori. Nel suo testamento ella si ricordava dello sposo lasciandogli alcuni vistosi regali: ma l'erede principale fu un Marchese Serra, cui toccò l’annua rendita di cento mila lire. Xel dettare le sue ultime volontà la Contessa pensò anche all’ospedale di Pammatone e all’Albergo dei poveri. Le due gloriose istituzioni (1) F. il. Accinelli, Compendi del le storie di Genova dalla sva fondanone sino .«ÌVanno 1776, Genova, 1851. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 217 <1 eli’antica Repubblica s’ebbero rispettivamente un legato di cento e di ottanta mila lire. Pallavicino se ne tornò a Milano, vedovo, questa volta, anche legalmente. Non c’erano figli. La memoria della scom-iparsa era forse già dileguata dalla sua mente, prima che ricalcasse il suolo di Lombardia. La sua stella s’avviava al tramonto. Ire anni di governo sciuparono l’uomo e lo compromisero irreparabilmente· Dice il Wurzbach ch’egli dovette cedere il posto all’ Arciduca Ferdinando- Lo scrittore equivoca.. Si trattava dell’ Arciduca Leopoldo allora di anni sei, per il quale assumeva 1’ amministrazione della Lombardia Austriaca il Duca di Modena, che prometteva in moglie al piccolo la figlia di appena anni tre. Combinazioni delia politica. In tal modo la Casa d’Absiburgo si assicurava anche il dominio, diretto o indiretto, ■su quel Ducato. Ma. se è vero che il nostro Conte dovette ritirarsi dinanzi alla Serenissima figura del Duca, è pur Λ-ero che alcune sue misure erano dispiaciute a Maria Teresa. Egli aveva date in appalto le principali imposte del Ducato per nove anni. Ne avevano profittato ingordi speculatori, provocando lamentele infinite. L’imperatrice, che richiedeva correttezza amministrativa, intervenne rimovendo l’incauto amministratore. La severità della misura gli fu raddolcita dal Toson d'Oro che ebbe il 30 novembre di quello stesso 1753. Vienna rivide l'aristocratico Generale che tanto aveva fatto parlar di sè. ma ormai la disgrazia piombatagli sul capo l’aveva reso un numero trascurabile in quel mondo scintillante di colori e di decorazioni. Quell’anno aggiunse anche ai vecchi i galloni di Generale Feld Maresciallo, ma non comparve più su la scena del grande e allora fortunato Impero. Milano non poteva ormai essere residenza gradita a lui che vi aveva tenuto il comando supremo. Fin dal 1753 s'era trasferito a Bologna, città papale, dove era possibile emergere e contare ancor qualche cosa. Là sposò la Contessa Maria Caterina Margherita Gaetana Fava, vedova d’un Marchese Cor-radini. E finalmente, nel 1756, il 23 gennaio, aveva un figliuolo. 218 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA cui imponeva i nomi di Giuseppe Maria Francesco Vincenzo Carlo Ignazio Melchiorre. Al piccolo Pallavicino fu amministrato il battesimo dal Cardinale Arcivescovo Vincenzo Malvezzi: padrini rill.mo Mous. Lattanzio Felice Sega, vescovo di Amatunta, e la Contessa Persia Sega Fava per procura della Ecc.ma Contessa Livia Centurione Pallavicino, madre del Conte Gian Luca. L'atto di nascita e di battesimo fu regolarmente notificato al Parroco di S. Pancrazio in Genova, che lo trascrisse ne’ suoi registri al giorno 25 marzo del 1758. Questa consuetudine delle nobili famiglie genovesi aveva un’origine lontana. Siccome Y albergo dei Palla/vicino aveva beni e rendite comuni, alle quali, in date circostanze, potevano aspirare gli appartenenti alla famiglia, era interesse dei singoli non trascurare quella formalità, che all’occorrenza avrebbe fornito la prova legale d'un eventuale diritto. Del soggiorno del Pallavicino a Bologna parlano le cronache del tempo. Il fasto del noibile genovese è definito soperchiatoli nelle pagine del Litta. Il suo seguito batteva li1 orme del padrone. Le insolenze di quei brari restavano impunite. Così il Conte si rifaceva delle disdette toccategli al servizio degli Imperiali e Iìeali Padroni. Del rampollo venuto ad allietare la sua casa dice il Wurzbach che fu in seguito nominato Cavaliere dell'Ordine di Maria Teresa. Niente altro mi fu dato di trovare intorno all’erede del nome e delle sostanza del Magnifico Gian Luca Pallavicino. Antonio Costa. * IL MOLIÈRE NELLA PRODUZIONE COMICA DI STEFANO DE FRANCHI Nelle commedie tradotte o imitate dal francese, Stefano-De Franchi volle soprattutto rendersi interprete, presso il popolo, dei sentimenti e delle concezioni artistiche dei più famosi drammaturghi francesi. Il patriziato 'conosceva il francese e lo parlava correntemente; quindi poteva leggere e gustare nel-l’originale le produzioni comiche d’oltraljpe. Il popolo invece non avrebbe potuto pregiarle, se non fossero state tradotte nella rudezza arguta del suo dialetto. Il De Franchi vive di vita propria l’ambiente genovese, che egli era ben capace di intendere, frequentandolo e osservandolo. In lui le «macchiette» tratte dalle commedie del Molière e del R(*gnard, non rappresentano tipi francesi venuti a Genova ed acclimatati al nostro cielo, ma sono figure veramente genovesi, di nome genovese, di sentimenti, di tendenze, di sangue ligure: contadini delle vallate e dei paeselli rivieraschi» cittadini di ogni età, di ogni condizione, che Genova settecentesca conosce per vederli girare tra le sue vie, discorrere sulle sue piazze, affollare i suoi teatri. Le frasi particolari e caratteristiche del linguaggio plebeo ison raccolte qua e là, pei viuzze,, ai Banchi, in Porto, nelle campagne, nei tuguri, ovunque. E al merito di aver dato colorito personale alla produzione straniera. va aggiunto quello di aver saputo realmente fare una buona traduzione, penetrando con fine intuito l’arte degli autori presi a modello. Perciò potranno parer utili le pagine seguenti, ove cercheremo di rilevare come egli accostasse al popolo genovese le migliori produzioni del teatro comico del Molière, a volte traducendo quasi letteralmente, a volte invece riuscendo così originale, da far quasi dhfienticare la fonte primitiva·. 290 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA * * * Anzitutto bisogna· distinguere le commedie del Molière •che il De Framchi tradusse letteralmente senza ì.essun rimaneggiamento particolare, {da· quelle elisegli riprodusse idi volta in volta sempre più liberamente, fino a· non conservare, in veste genovese, Ohe il titolo e i caratteri principalissimi. Nel primo gruppo poniamo: Le Médecin malgré liti. Le Mariage forcé, Les Fourberies de Soapin; nel secondo, ohe ipivì c’interessa, comprendiamo : I/Avare, Les Précieuses ridicules e Les Fâcheux. Nella traduzione -del Médecin malgré lui il De Franchi si è attenuto quasi sempre al testo, arricchendolo di ben scarso contributo personale. La commedia genovese s’intitola : Ro Mcgo per força. I personaggi, con nomi cambiati, si mantengono gli stessi : Géronte e Lucinde diventano rispettivamente Fabriçio e Giacili tin-na ; Sganarello prende il nome di Tilburçio ; gli altri personaggi conservano, italianizzato, lo stesso nome della pièce francese. Identico è il numero degli atti e delle scene. La prima scena dell’atto I è tradotta con brio e riportata con lo stesso spirito di cui è pervasa nell’originale ; in essa è da notare qualche piccolo cambiamento, e precisamente la soppressione di una certa ironica allusione che, durante il tragico bisticcio, il marito fa su « un certain désappointement éprouvé la première nuit de son mariage » (1). Il De Franchi non accenna a questo, ma si limita a far osservare molto più sempli cernente ed ingenuamente al marito « qu’on lui avait i «apporté, avant qu’il l’épousât, qu’elle ne savait manier l’aiguille » (2). Interessante è notare la soppressione che fa il traduttore genovese di alcuni accenni, i quali avrebbero potuto urtare la moralità genovese. Questa preoccupazione è frequente nel (1) Toldo, « L’oeuvre de Molière et sa fortune en Italie ». Ed. Loescher, Torino, 1910. -p. 234. (2) Toldo, op. cit. p. 234. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 221 De Franchi, e si spiega con gli editti emanati dal Senato della Serenissima, allo scopo di proibire le recite di commedie francesi contrarie ai principj morali. Vedremo in seguito quale importanza dia il I)e Franchi a questa disposizione dell’Ecc.ino Senato. Nelle scene seguenti, letteralmente e abilmente tradotte, notiamo un’aggiunta del De Franchi a proposito della descrizione che G-iagintìn-na fa di tsuo marito, quale valente e miracoloso dottore. Nella commedia fnancese Martine dice a Valére -e a Lucas, i quali vanno cercando un medico per la povera Lu-cinde, ch’essa sa loro additarne uno veramente portentoso ; e si dà quindi a narrare, inventando con fine arte e con fantasia sbrigliata-, le miracolose guarigioni operate da questo medico, il quale, chiamato accanto ad una donna morta da sei ore, « lui mit, l’ayant vue, une petite goutte de je ne saie quoi dans la bouche, et dans le même instant elle Ise leva de son lit, et se mit' aussitôt à ise promener dans sa chambre comme si de rien n’eût été ». Il De Franchi, a questo punto, ama aggiungere una piacevolezza che non può mancare di destare l’ilarità dei suoi ascoltatori e che ricorda una delle migliori e più note specialità della cucina genovese. Giaçintin-na soggiunge infatti : « No gb'e passò un minuto ch’a sàté zù dro letto, a se misse à pas-sagiâ. pe ra sò cammera, comme s’a no avesse mai avuo ninte dro tutto, e a l’andò à impastà- un-na crosta de lasagne, ch’à se mangiò con l’aggio e ro baxaicò » (1). Curiosa davvero questa donna già morta dhe, pei- l’intervento del povero Sga-na-rello, non solo risuscita, ma ha anche la forza d’impastare una sfòglia ed ha lo stomaco tanto buono da mangiare una scodella di trenette con ro -pesto, uno dei piatti genovesi più saporiti, ina di più difficile digestione! Anche nell’Atto II0, tradotto fedelmente e colorito di quella stessa comicità che anima l’originale, l’autore si studia (1) « Non ipassò un minuto ch’essa saltò giù dal letto, si mise a passeggiare per la sua camera, come ee non avesse mai avuto niente, e andò ad impastare una sfoglia per fare le lasagne, che poi mangiò condite con d’aglio e col basilico». GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA di sopprimere qualche frase un po' troppo ardita, qualche volgarità che appare nella commedia francese, specialmente allorquando Sganarello, colpito dalla bellezza rigogliosa della nourrice, le rivolge in modo alquanto sfacciato e triviale i suoi dolcissimi complimenti e le propone le sue cure. Per questo la commedia genovese riesce meno piccante della francese, ma così purgata e limpida da non poter destare i furori dell'Eccellentissimo Senato e le proteste dei fieri difensori della moralità !... Sembra però quasi impossibile che le licenziosità puerili ed innocenti del Molière potessero eccessivamente intaccare la moralità della pièce, a danno del decoro e del buon costume. Sono frasi piccanti, accenni mordaci, ma sempre condotti nel termine dell’onesto e del giusto, e che il De Franchi avrebbe potuto tradurre senza scrupoli e senza tema di offendere alcun orecchio. E il fatto ci sembra tanto più strano se si pensa che in altri punti delle commedie tradotte, là ove il Molière tace v sorvola, il traduttore genovese ama invece introdurre certe frasi a doppio senso alquanto «convenienti. Ma forse nell’uno e nell'altro caso si regolava a seconda di speciali esigenze che ci -sfuggono. Anche il III0 Atto defila commedia molieresca, a parte le solite soppressioni di certi accenni un po’ sfacciati e piccanti, è tradotto esattamente e con arte. Onde possiamo senz’altro concludere con Pietro Toldo che la traduzione di questa commedia (( n’offre pas davantage de changements ». Per ciò che riguarda la traduzione dell opera Le iivforiayc forcé, bisogna anzitutto'Spiegare perche il De Franchi abbia scelto questa commedia piuttosto che un’altra di maggior pregio. 11 Molière, mediante 'la Ibellisisima satira 'eli egli fa delle teorie filosofiche di quei tempi e del desiderio essenziale e dilagante di filosofeggiare in ogni circostanza, anche la più elementare e la più comune della vita, cerca di far comprendere tutto il lato ridicolo di questa smania malsana ed inconcludente. Il De Franchi invece non sente questo bi'so- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 223 g'iio, perchè non ha nessuna malsana tendenza di questo genere da riprovare e da combattere tra la sua popolazione ; anzi è certo dj esprimere, mediante quella caricatura, sentimenti ch<· gli spettatori suoi pienamente condividono, per quell’antipatia forte e caratteristica che Genova coltivò, in ogni tempo, verso qualsiasi disciplina che non ha basi solide e positive ed in ispeciaJ modo verso la pseudofi loisofia, la quale non approda a nessun risultato serio, perchè basata su fantasie e fantasticherie inutili. L’opera sua assume quindi più l'aspetto di una farsa che di una commedia, avendo per solo scopo quello di far ridere e divertire. La traduzione genovese s’intitola : Ro Marieszo por força. Il De Fianchi traduce con fedeltà il testo francese, con servando gli stessi particolari e le stesse circostanze: solo la parte di un personaggio viene ampliata e maggiormente colorita : (niella di Alcidae, fratello di Dorimene, il «piale soprag-giunge a minacciare il povero SganareHo che, per tema di diventare coou, si è rifiutato di sposare la sorella. Alcidas, nella commedia genovese, diventa il famoso Oimondo, soprannominato taggià e sqmrga (1). La figura d’Ormondo, che il De Franchi tratteggia minutamente e circonda di una maggior copia di particolari, riproduce forse la fisionomia e il carattere di qualche tipico personaggio di Genova settecentesca. Si tratta di un intrepido cavaliere spaccamonti, che vanta combattimenti eroici, duelli e lotte terribili contro un numero fantastico di persone. E questo spavaldo ragazzo, che cita prodezze considerevoli. fatti, luoghi, avvenimenti in cui egli brillò per coraggio e valore, questo «ammazza sette e storpia quattordici », quanta sincera ilarità avrà destato tra gli attenti spettatori dello Zerbino! Ad ogni modo, sia che il De Franchi abbia colorito Ormondo con tinte più vive, per meglio rappresentare una delle tante « macchiette » note al suo popolo, sia ch'egli abbia ampliata la figura molieresca, al solo scopo di far ridere e di ren- (1) « Taglia e squarta ». 224 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dersi più interessante, dobbiamo pur sempre riconoscere ch’egli riuscì a ritrarre e ad ampliare le caratteristiche di Alcidas con una maestria e con una grazia veramente artistica. Anche il Toldo avverte la trasformazione di Alcidas nel Capitano Ormondo, il quale racconta con un fantastico sproloquio « ses aventures héroïques » (1). Meno letterale, per quanto sempre fedele all’originale fran cese, è la traduzione che il De Franchi fa delle Fourberies p. 234. (2) Lascia parlare a me, e segui il mio esempio. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA '2'2ï> riferendosi a tutte le bugie che il tìglio verrà a raccontargli,, esclama: « Ils ne m’en donneront point à garder », frase tutta particolare della lingua francese, letteralmente intraducibile in italiano, che il De Franchi ottimamente modifica in : « Non son così slbarlugao de daghe mente » (1). « -Te ne sui pas decet avis », risponde Argante infuriato a Scapili ohe lo consiglia di calmarsi, « et je veux faire du bruit tout mon soûl. Quoi ! tu ne trouves pals que j’aie tous les sujets du monde d’être en colère?»; e il De Franchi traduce: « E mi penso all’incontra-rio. Voeuggio che o sacce tutto o mondo. E te pâ forsi che 11011 agge tutta a raxon de dà in ti tacchi » (2). L’Atto II” è esso pure tradotto fedelmente, e ile scene in cui Scapin furbacchione adopera tutte le sue arti più sottili per imbrogliale i due poveri padri, sono riprodotte con maestria.. Qua e là balzano alcuni motti spiritosi, caratteristici del dialetto genovese, che aggiungono brio e comicità alla commedia : « . . . t’infio cornine 1111 baggio (3) », esclama, ad esempio, il feroce Leandro rivolto a Monodda. E talvolta son citati personaggi, tipi, località genovesi : « . . . . l’ò impegnao a Ca zan-na », confessa Monodda a Leandro, riferendosi all’orologio che il padrone gli aveva affidato. Quello che poi appare evidente nella traduzione genovese, è il diverso colorito di cui il De Franchi riveste il suo Monodda. Il servo genovese è molto più volgare, nel suo linguaggio, dello-Scapin mo'lieresco. Le sue parole a volte sono persino un po’ insolenti, senza quella grazia e quella finezza che troviamo invece nel personaggio francese. Prendiamo, ad esempio, la fine della scena IV e vediamo come Scapin, riferendosi al padre del suo padroncino, si limiti molto correttamente a dire: «Avec votre· permission, il 11’a pas dit la vérité », mentre Monodda non esita a pronunciare, anziché l’eufemismo di Scapili, la parola un pò- (1) « Non isono poi così «ciocco >da dar loro retta» (Atto I - Boena YI). (2) « Ed io penso diversamente. Voglio «he üo eaip-piano tutti. E non ti pare forse* ch’io abbia tutte le mie buone ragioni per andare in collera ? ». (3) « T’infilo come se tu fossi un rospo». (Atto II - Bcena V). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA ■co offensiva : « Con vostra bornia liçenza o l’è un boxardo » (i). Ma; iper avere un’idea precisa della diversità di linguaggio tenuto dallo Scapin molieresco e dal Monodda defranchiano, ri produciamo ora un brano della traduzione genovese, mettendolo a confronto col testo da cui è tradotto. SCAPIN. Te veux tirer cet argent de vos pères. (A Octave) Pour ce qui est du vôtre, la machine est déjà toaite trouvée. (A Léandre) Et, quant au vôtre, bien qu’avare au dernier degré, il y faudra moins de façons encore, icar vous savez que, pour l'esprit, il n’en a pais* grâce à Dieu, grande provision; et je le livre* pour une espèce d’homme à qui l’on fera croire tout ce qu’on voudra. Cela ne vous offense point. il ne tombe entre lui et vouis aucun soupçon de* ressemblance; et vous savez assez l’opinion de tout le monde, qui veut qu’il ne soit votre père que pour la forme. MONODDA. Son resoluto de leva de sot t a questa somma de dinae ai vostri Poaeri. (A Ottavio) Per quello che riguarda a voi, scio Ottavietto, a machina l’é za fortmà. Per voi, scio Leandro, (a Leandro) quantunque vostro Poaere sae un avaro all’ultimò segno, ghe farò manco fatiga, iperchè, essendo grosso de legnamme, tanardo, goffo comme un aze, me riuscirà ciù façiile a daghe da intende vescighe per lanterne. Non ve l’aggee per a mà. perchè da voi a lè ghe da bella differenza; e tutto o mondo vive sciù Γ opinion che o non s’è vostro Poaere se non per a forma. (2). E altri numerosi brani potrei citare in cui i modi alquanto grossolani di Monodda risaltano in confronto del garbato e civile savoir faire di Scapin. La figura di Géronte, vecchio avaro, è ti atteggiata dal De Franchi con maggior cura degli altri personaggi, poiché egli al solito vi ravvisa una delle tante « macchiette » genovesi, (1) «Con vostra ibuona licenza, è un bugiardo». (Atto II - Scena Λ). (2) « Sono 'deciso di togliere queste Gomme id'i idenaro ai vostri padri ; per quello che riguarda a voi, signor Ottavietto, il meccanismo è già. pronto. Per voi, signor Leandro, quantunque vostro padre sia avaro all’ultimo eegno, riuscirò senza fatica, perchè, essendo egli duro di comprendonio, 'sciocco come una talpa e goffo come un ■asino, mi riusoirà più facile dargli a vedere lucciole (per lanterne. Non a/bbiatevelo a male, perchè tra voi e lui c’è una bella differenza : tutti credono che non sia vostro padre se non per forma. (Atto II - Scena VII). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURI \ •227 note per quella sfrontata avarizia che era causa di tutti i loro -affanni. La traduzione del III Atto, anch’essa condotta con arte e con sapienza, rivela la conoscenza perfetta che il De Franchi doveva avere della lingua francese, la is.ua famigliarità coi capolavori del teatro francese, ch’egli così bene penetra e traduce, riuscendo spesso ad animarli di vita nuova. Dal confronto fatto con minuziosa cura tra le due commi-die, nessun punto trovai, coirne precedentemente ho osservato, che il De Franchi abbia tralasciato per non offendere la moralità genovese. Anzitutto questa pièce molieresca è precisamente una di quelle che mancano di motti arguti e triviali ; e ipoi, per una figura come quella di Monodda, che nella commedia genovese è tratteggiata volgarissima e senza scrupoli, il nostro traduttore non isi sarebbe data certo la pena di sopprimere allusioni un po’ piccanti. Sembra quindi di poter confutare e negare senz'altio l'affermazione del Tolde. * * * Passiamo ora al secondo gruppo delle commedie moliere-sche, a quelle tradotte dal De Franchi con molta maggiore libertà e con più vivo e sentito contributo personale : e prendiamo ad esaminare la traduzione delle Précieuse.s· ridicules, -dhe il De Fraudili intitola : Le preziose ridicole. Quatunque il numero dei personaggi e le loro attribuzioni particolari siano invariate nella traduzione genovese, tuttavia i loro nomi appaiono felicemente modificati in senso umoristico. I nomi dei personaggi defranchiani sono quelli stessi che si sentivano risonare quotidianamente per le vie e nelle piazze della « Superba », ora come veri nomi, ora come soprannomi ridicoli, affibbiati a questo o a quel personaggio caratteristico. Il Marquis de Mascarille, valet de La Grange, diventa nientemeno che il marchese Boffalaballa, servitore di Fiorindo : e il Vicomte de Jodolet, valet de du Croisy, è sostituito con il *>28 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Conte De Bronzili, servitore di Flaminio. 1 due u portems de* chaises », ai quali nella /ùcce francese 11011 è neppure assegnatoli nome, nella riduzione genovese vengono chiamati Monodda e Sussapipj>e. Così Moni in-na e Catin-na sostituiscono Made-lon e Cathos, le due Preziose ridicole. Come nel secolo XVII la moda delle donne saccenti e preziosi* si era diffusa in Francia

    lo, e desideroso di farla conoscere e gustare alla classe incolta e rozza della sua città, «ili attese a riprodurla con mente attiva e con intelletto -d'amore. Della tTaduzioue dell'.Iraro il De Franchi fece parecchie edizioni.le quali però differiscono e per il numero degli atti e per la soppressione di alcune s ene. Di primo acchito tradusse il testo tal quale era in cinque atti : e ciò <*gli stesso afferma nella sua prefazione aHMraro in tre atti, pubblicata nell’edizione del 1772 : μ ... si e di nuovo rappresentata, — egli scrive ^ferendosi alla sua commedia — <« Panno corrente 1772 in cinque atti e con pubblico gradimento ». Però questa traduzione in cinque atti non compare in nessuna delle edizioni delle sue commedie: quelle che a noi pervennero sono le due traduzioni rispettivamente in tre e in due atti. Forse, nel primitivo suo volgarizzamento in cinque atti, l'autore si «irà uniformato alTorigi- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 233 «ale senza introdurre alcun cambiamento ; ma nelle successive traduzioni egli procurò di ridurre ben bene il testo francese, semplificando alcune circostanze, e dando insomma alla commedia una impronta tutta sua, che modifica alquanto il capolavoro molieresco. In ogni modo, se nella riduzione in tre arti rivela molto senso d’arte, nel volgarizzamento in due atti, riesce invece freddo e scipito. Il Toldo, nell’opera succitata, riferendosi a questa riduzione in due atti, scrive: « De Fianchi nous offre ensuite une réduction en deux actes de V Avare, où les amours du vieillard sont supprimées, avec tout ce qui pourrait paraître un peu libre. Cette réduction était probablement destinée à un collège ». Può essere; il De Franchi può aver così ridotto il testo francese, sopprimendo Tintiigo di Arpagone con Marianna, o per qualche collegio, o per qualcuno dei numerosi teatri istituiti nei conventi, teatri che in quei tempi a Genova pullulavano. Ma a parer mio, e da quanto ho potuto dedurre dallo studio fatto, questo non è forse il vero motivo per cui il traduttore genovese pubblicò quella sua riduzione in due atti abbreviata e modificata. Anzitutto nessuna notizia abbiamo di commedie genovesi del De Franchi, recitate in collegi e in oratori. E poi, difficilmente negli istituti ecclesiastici si ascoltavano commedie francesi, contro le quali sperano levati di comune accordo i patrizi ed il clero, cercando di proibirne la rappresentazione, per la loro mancanza di moralità e di convenienza. La riduzione in due atti fu probabilmente suggerita al De Franchi dal desiderio di scrivere una commedia che non potesse affatto suscitare scandalo e che non corresse il pericolo d’essere proibita. Egli la scrisse per il suo teatrino campagnolo, dove il bravo popolino genovese dall*umor gaio e dallo spirito sereno accorreva per· fare un po' di bnon sangue alle spalle di quel pittamu di Arpagone... Ma questo zelo eccessivo ed ossequioso verso gli editti emanati dal governo della Serenissima, zelo che aveva indotto Steva a contaminare e a svisare il capolavoro molieresco in modo 234 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA barbaro, sembrò in seguito alquanto eccessivo. Perciò il De Fianchi pensò di rifare la commedia, dividendola in tre atti e traducendo in modo che Γ opera del Molière potesse brillare e affascinare così quale era, colla -sua freschezza, colla sua originalità, con quella sua insuperabile forza comica, che la riporta tra i più pregevoli lavori della letteratura universale. Il l)e Franchi scrive : (1) « Io però ho stimato bene iper mie ragioni particolari di metterla in luce in tre atti, conforme a quella che ho scritto nel mio originale del 1772, riservandomi di rifarla in cinque atti e di pubblicarla unita ad. altre commedie già tradotte e pronte a stampare ». Ma neppur questa nuova traduzione delPAvaro e queste altre commedie vennero mai alla luce. Quali sono le differenze essenziali che corrono tra il testo francese e le due riduzioni genovesi che possediamo, pubblicate nelle due edizioni della raccolta completa delle commedie di Stefano De Franchi ? Intanto, mentre nella riduzione in tre atti il numero e le attribuzioni dei personaggi non variano dall?originale francese, nella riduzione in due atti alcune figure scompaiono e rimangono solamente : Harpagon, Valére, Élise, La Flèche, Maître Jacques, Anselme e Le Clerc. Come .sempre, i nomi nelle due riduzioni genovesi sono in gran parte cambiati : Elise e Cléante diventano rispettivamente Mominna e Oraçio, Brindavoine e La Merlu dhe 'son mutati in Trinchetto e Menegollo, Dame Claude e Erosine compaiono sotto il nome di Miniea e Zabetta, Harpagon e La Flèche conservano, volgarizzato, il loro nome : Àr-pagon e Freccia. Il 1° atto della commedia, tanto nelle riduzioni come neH’o-riginale, si svolge in casa di Arpagone; però, nelle due commedie genovesi vi sono modificazioni riguardanti i caratteri dei vari personaggi, i quali vengono coloriti di sfumature proprie. É1 ad esempio, nella commedia genovese, appaTe meno in- (1) Prefazione all* Avaro; ediz. 1772. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 235- namorata, meco impulsiva e commossa di quello che non sembri nel testo francese; essa è 'riflessiva e calcolatrice, caratteristiche coin n ni ad una gran parte delle buone figliuole della nastrai Liguria. Osserva il Toldo coinè É ise.sia, nella commedia defranchianar « une jeune fille aux sens calmes, bien plus prudente et, par conséquent, moins amoureuse que sa devancière. Elle se préoc cupe, surtout, en brave génoise, de la question économique (1) E della questione economica, anziché dell'amore, sembrano occuparsi tutta 1 personaggi della riduzione genovese, per quel desiderio che il traduttore ha di far rivivere le scene molie-resche nell’ambiente locale, con tendenze e caratteristiche paesane. Osserviamo infatti dhe, mentre la pièce francese apre la-scena la dell'atto 1° con una appassionata dissertazione tra Élise e Valére, sulla qualità del loro ^sentimento amoroso, in rapporto a quello degli altri, la commedia genovese tralascia questo particolare... di poca importanza per gli spettatoli a cui essa è destinata, e ci porta su'bito al nodo dell’azione. Questo avviene maggiormente nella- traduzione in due atti. Nella commedia del Franchi il dialogo della prima scena si svolge subito sulle difficoltà, non di indole sentimentale, ma su quelle di indole economica, per cui i due giovani innamorati sono costretti a sospirare di speranza- e a soffrire il disinganno. Il nòstro autore, peroccupato di interessare il suo pubblico mediante l’intreccio dell’azione, sopprime spesso quanto è risultato di un profondo studio psicologico ; e questa soppressione, se da un lato può spiacere ed essere considerata una deficienza artistica, dall'altro è appunto giustificata dal desiderio di piacere aìl’amfoiente popolare, per il quale la commedia è stata preparata. Stefano De Franchi, che conosce il suo pubblico, cerca di accostare l’opera del Molière nel modo più semplice e più puerile alla capacità intellettuale dell’uditorio, assecon (1) Toldo, op. cit. pag. 232. 236 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA •dando i suoi gusti, seguendo le sue tendenze, uniformandosi ai suoi desideri. Per questo stesso motivo, la seconda scena del 1° .atto dell’originale, nella traduzione genovese in tre atti, è riprodotta con meno fronzoli e con minor co-pia di particolari : in essa manca, per esempio, tutto il saggio discorso sull’obbe-♦cliènza che i figli debbono avere verso Ü padri, discorso che sarebbe riuscito pesante agli spettatori dello Zerbino. Nella commedia genovese 'subito si conosce, per bocca di Mominna (Élise), chi è la fanciulla annata da Oraçio (Cléante), e subito sappiamo ch’essa è buona e bella; sappiamo pure dove abiti, di quali sostanze disponga e a quale famiglia appartenga. Inoltre, mentre il Molière, con arte fine ed insuperabile, non manifesta apertamente certi pensieri e giudizi, ma li lascia tia-pelare appena per accenni, il De Franchi invece, nella sua- riduzione, si da ben cura di esprimerli chiaramente e subito, affinchè il buon popolo comprenda senza sforzo e senza stanchezza. Certo Steva dovette accorgersi come, tralasciando alcune finezze, alcuni particolari piegevoli, e rendendosi un po’ volgare con certe spiegazioui inutili, sminuisse assai la bellezza della commedia molieresca. E questo lavoro di piccozza e di «scalpello fece un po’ a malincuore, portando quale giustificazione lo scopo a cui mirava e Futilità pratica· ch’egli amava raggiungere. La scena IIIa del primo atto, quella che avviene tra Harpagon e la Flèche, così smagliante di fine umorismo nel Molière, è altrettanto grossolana nella riduzione genovese; tuttavia essa è tradotta dal De Franchi con arte notevole e con ima certa maestria. Nella commedia genovese si sente il bel gergo grasso, ^ridanciano e franco 'della Genova di Banchi, di Portoria, di Sottoripa, nel quale abbondano frasi caratteristiche, motti spiritosi, comuni in queste località. Freccia, alla fine della scena, esce in una esclamazione che non compare nel telato francese, ma che il De Franchi crede opportuno introdurre, iper colorire la figura del valletto di una certa aria furbacdhiona e spiritosa comune al popolo genovese : « Barbasciuscia ! Ohi s£ sente smangià, se gratte, mi no v’ho arrobao ninte, se ghe GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 237 vedde ; lui ho re inoen nette: e voi sei un mâifiaddo. Andaeve à fâ servì du ro bulla » (Atto 1°. Scena 3a) (1). Mentre nella commedia in tre atti la traduzione segue somigliantissima all’originale, per quanto si raccolgano più scene in una sola, nella scena III della commedia in due atti, scena che corrispónde alle IV, V e VI dell’originale, manca affatto l’intervento di Oraçio. E ciò avviene perchè in questa opera, come da principio accennammo, sono soppressi gli amoii di A ripago n e di Oraçio per la belila Mariana. In essa Arpagon comunica senz’altro alla figlia ch’egli intende darla in moglie al signor Anseimo, proposta chela fanciulla rifiuta energicamente, avendo il signor Anselmo la rispettabile età di cinquantotto anni. La scena VII dell’originale, quella cioè in cui Harpagon insiste con Valére che il partito destinato a sua figlia è ottimo in quanto il pretendente nov richiede la dote, nella riduzione in tre atti è magnificamente tradotta, ma nella commedia in due atti riesce meno felice. In quest’ultima infatti il De· Franchi raccorcia, salta, tralascia punti importanti, e affievolisce così il colorito smagliante della scena molieresca, anche se riesce poi, con la naturalezza (lei nessi ideali, a mascherar bene le .soppressioni. La scena I dell’atto II dell’originale francese e la scena VI della riduzione genovese in tie atti sono quasi uguali, però non sono trascurabili certe sfumature della traduzione. Mentre nella commedia molieresca Cléante mette subito la Flèche a parte dello straordinario ed incredibile matrimonio stabilito tra il padre suo e Marianne, nella traduzione defranchiana, tutto ciò è omesso : si legge subito quello che pare debba maggiormente interessare, cioè l’intrigo tra Oraçio e gli usurai. Inoltre il De Franchi esprime molto bene tutta l’ansia del povero Cléante, desideroso di sapere da La Flèche i patti stabiliti dall’usuraio, (1) Gridate pure : Chi si sente prudere si gratti ; io non vi ho rubato niente : oi si vede: ho le mani pulite: voi siete uno che non si fida mai di Nessuno. Andatevi a far servire dal « bolla »! ! — « Chi se sente smangia, 'se gratte » è frase proverbiale che significa «chi si sente colpevole se la sbrighi». — Probabilmente il «bulla», dapprima nome di qualche imbroglione ingannatore, divenne poi sinonimo di queste qualità. 238 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA e tutta l’esitazione che il servitore pone a rispondere, temendo di dar nuovo dolore al padioneino. Freccia, con un intercalare spiritoso, interrompe le domande ansiose ed affrettate di Orario (Atto 1 - 'Scena VI) : Oraçio. — Comme ? iNo-n se ne poeoi fà dro nint-e ? Freccia. — Flemma, dixeiva, Çeolon! Oraçio — Dunque re averò re Çinquanta miria li re eli e çerco? Freccia. — Fi emana, dixeiva, Çeolon! Oraçio. — Ma dimane un-na volta quarcosa e non me fà ciù tribolà. Freccia. — Flemma, dixeiva, Çoelon! (1) E i patti, stabiliti dall’usuraio, sono con esattezza ripro dotti· nella commedia genovese: anzi, la scena a questo punto -desta, nel volgarizzamento defranchiano, un interesse assai più VIVO. Il De Franchi sa che scrive per Genova, per il popolo lavoratore, pei il borghese trafficante ed interessato sino all’avarizia : ed è certo quindi di attirare l’attenzione del suo pubblico ritraendo l’ingordigia degli usurai... Gli articoli succedono agli articoli, le clausole alle clausole, con spigliatezza e con brio. E la scena seguente, cioè la VII, è pervasa di nuova e singolare gaiezza comica. L'imbroglio in cui si trova Arpagone quando si accorge d'essere l'usuraio feroce di suo figlio, è descritto con maggior precisione e con maggior copia di particolari : e il soliloquio di quell’arpia, nel testo genovese, al contrario dell’originale, forma una scena a- sè, piena di convinzione e di comicità. La scena V del II atto dell’Ava re molieresco, quella in cui Fautore cerca di colorire, per mezzo del dialogo dei due valets, l’incurabile ed insuperabile avarizia di Arpagone , è tralasciata nella traduzione genovese. E ciò avviene perchè forse il De Franchi pensò che poteva riuscire superflua e noiosa agli (1) Obazio — Come? Non si riesce a far niente? Freccia — Calma, diceva Cipollone (sinonimo di nomo molto calmo). Orazio — Eunque, le avrò le cinquanta mila lire che cerco? Freccia — Calma, diceva Cipollone! Orazio — Ma dimmi una buona volta qualcosa e non farmi più penare. Freccia — Calma, diceva Cipollone ! GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 239 spettatori del suo teatro, i quali attendevano impazienti qualche avvenimento che accrescesse l’interesse dell’intreccio e sciogliesse o imbrogliasse ancor più il nodo dell’azione. Le scene seguenti a questa procedono tradotte quasi lette Talmente; tuttavia non è supeifluo notare certe frasi caratteristiche del dialetto genovese, che il De Franchi ottimamente sostituisce a quelle proprie della lingua francese. Ad esempio, il Molière fa dire a Frosine: « ...je marierais le Grand-Turc avec la République de Venise ». Il De Franchi, molto più opporti! namente per un’azione che si •svolge nell’ambiente genovese, traduce : (1) «... spero ancora un giorno de maria ra Lanterna con ro moeu vègio ». (spero di sposare un giorno la lanterna col molo vecchio). E chi conosce la topografia genovese, comprende il significato di questa frase, misurando la distanza che corre tra queste due località. La Lanterna trovasi infatti dalla parte ovest, verso Sampieidarena, mentre il Molo Vecchio si delinea ad est verso Alto aro. E quest’altra frase : « Je commerce chez elle », viene tradotta : « Son de casa de queste Signore come ra spaççoira » (Io son di casa loro come la scopa) : frase anch’essa frequente nel dialetto genovese. Il De Franchi si uniforma ai costumi della sua città. Xon sarebbe stata una cosa ammissibile e morale, per Genova, che una iagazza, non ancora ufficialmente fidanzata, fosse andata in casa del suo promesso sposo da sola. Quindi Za-betta (Erosine), la quale deve necessariamente giustificare (perchè Marianna sia venuta da Arpagone, dice che la madre, essendo a letto ammalata, l'ha affidata a lei. Ed ecco in tal modo salvate le apparenze ! Altra cosa degna di nota è il vedere come, nella traduzione defranchiana, àlla enumerazione delle doti di Marianna, fatta da Zabetta, venga aggiunto un pregio particolare, quello cioè di non giocare all’oca. Ciò è introdotto dal De Franchi con una certa ironia e allo scopo di pungere l’uso delle signore di quel (1) Atto I - IX scena. 240 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA texngpo di giocare all’Oca o alla Francese, causa di non lievi /pèrdite e di illeciti guadagni. a On lui voit dans sa chamlbre », — seguita Frosine in quella stessa scena del testo francese — « quelques taibleaux, et quelques estampes; mais que ,pensez-vous que ce soit ? Des Adonis ? Des Céphales, des Paris et des Apol'lons ? Non : de beaux portraits de Saturne, du roi Priaan, du vieux Nestor, et du bon père Anchise sur les épaules de son fils ». Ma come avrebbe potuto capire l’ingenuo ed ignorante uditorio, per cui il De Franchi scriveva, questa rievocazione di personaggi storici e leggendari? Il De Franchi quindi così riproduce l’ambiziosissimo tratto : « Bizoegnerae che ra vedessi quando a l’è à ro bar-con. Se passa un zerbinotto de quelli tutti poiscetti, a gihe serra ri barcoin infra faccia. A l’incontro, se passa un omino dra vostra etae, a ghe fà «quattin, sarui, che non finis’cian mai » (1). Pare, a questo punto, che il De Franchi prenda gusto a quella piccante e veridica descrizione che Zaibetta colorisce, riguardo agli zerbinotti pieni di moine e di sciocchezze. Steva rivede gl’impomatati e smorfiosi ganimedi del suo tempo, pieni di esteiiorità, ma vrioti di cervello, e li nomina quindi con una certa aria di compatimento. L’atto secondo della traduzione genovese in tre atti si chiude col bellissimo monologo di Arpagon derubato, soliloquio al quale però si giunge un po’ troppo precipitosamente, giacché le scene precedenti si riducono, si accorciano, e affrettato è il rapimento della preziosa cassetta. La meravigliosa, pagina molieresca, alla quale non si può guardare senza viva ammirazione, perde, nella traduzione, un po’ del suo felicissimo colorito comico ; ma, in sostanza, è riprodotta con sufficiente vivacità. Il Toldo stesso scrive : a La découverte de la précieuse cassette est trop précipitée, toutefois le monologue célébré de l’avare me paraît bien rendu » (2). (1) « Bisognerebbe che la vedeste quando è alla finestra. Se passa uno zerbinotto, tutto smorfie e tnoine, gli chiude la finestra in faccia. Invece se passa un uomo della vostra età. gli fa un mondo di sorrisi e di saluti ». (Atto I, scena IX). (2) Toldo, op. cit. p. 233. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 241 Nella traduzione genovese in due atti, il monologo invecc-perde assai del >suo valore artistico, in quanto che il vaneggiare affannoso di Àrpagon viene accorciato, la descrizione insuperabile del suo tormento e del suo accecamento improvviso viene sminuzzata e impoverita, così da rendere scarsamente quella bellissima tragedia interiore del vecchio, la quale, causata da così lieve affanno, riesce di una comicità insuperabile. Tuttavia bisogna riconoscere che, anche nella traduzione in due atti, il discorso procede abbastanza naturale e fianco, e continua ^ brillare, per quanto indirettamente e con minore vita, di quella luce meravigliosa onde è soffuso il monologo dei capolavoro molieresco. Dopo iJ soliloquio del vecchio Arpagone, incominciano contemporaneamente : Patto V del testo francese, Patto III della traduzione genovese in tre atti e Patto II di quella in due atti. La traduzione di questo ultimo atto si identifica quasi col testo francese; ma il De Franchi comprese e penetrò la fine comicità della scena III Ae è tutta intessuta su 'piacevolissimi malintesi ; e, ise alternò al dialetto genovese dialoghi in lingua italiana, ciò fece perchè non sarebbe stato naturale che Valerio e Anselmo, napoletani e da poco venuti a Genova, parlassero in genovese. Qui, nel punto culminante delibazione comica, in cui sta per scioglie] si il nodo delPintrigo, le scene così attraenti ed interessanti delPoriginale francese, affascinano ugualmente Puditorio nella loro nuova veste genovese. Comicissima è la figura di Arpagon che, sempre impensierito per la, sua cassetta, rimane indifferente dinanzi alla patetica scena delPimprovviso riconoscimento della famiglia di Anseimo, e ad altro non pensa che a farsi restituire i suoi soldi : « È vostro figlio costui ? » — egli domanda ad Anseimo — « Sì, Signore » — « E dunque, qua i miei soldi ! ». Egli è felice di saperlo figlio di Anseimo, solo per la certezza che il padre riparerà immediatamente al furto ! La traduzione genovese, sino alla fine, non offre altro di notevole da considerare, poiché Pazione si svolge quasi eguale a quella del testo francese; pelò la commedia in due atti finisce GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA in modo più fiacco ed è priva di particolari brillanti, a causa appunto della suaccennata soppressione. Certo la traduzione dell’Avare è la migliore di tutta la produzione comica defranchiana. In questa commedia i caratteri moliereschi sono riprodotti fedelmente, quantunque prendano qua e là un diverso coloiito ed una particolare sfumatura. Il De Franchi, per uniformarsi all’ambiente in cui egli fa vivere ed agire i suoi personaggi, insiste su particolari locali. Xon può sfuggire, ad esempio. I mportanza speciale che in tutta 1 o-pera egli dà alla questione economica. Anche il Toldo avverte la maggior cura posta nel tradurre le scene ove .si parla di interesse, di prestiti, di dote, e specialmente quella famosa del (( mariage sans dot ». Una scena alla quale il patrizio genovese da appunto molta importanza, è quella in cui si stabilisce il banchetto di nozze tra Momin-na e Anseimo, e in cui Arpagon imbestialisce più del solito, a causa del « menu » proposto da Maestro Giacomo, e costituito di ventisette piatti, (( se qui rend plus raisonnable encore l'emportement du vieillard ». Il Toldo nota ancora, come il Genovese si riveli (( tout d a-bord lorsqu'on fixe la somme du prêt, ensuite lorsqu il explique pourquoi Harpagon garde son argent enfoui au lieu de le placer à intérêt » (1). Il Molière infatti dimenticò di notare, nel contratto di Harpagon, il termine di tempo concesso al debitore, per restituire il denaro che aveva avuto in prestito : mancando ciò, il contratto non aveva nessun valore. Il De Fianchi invece «mieux auecourant de ces questions d argent, en fixe le terme» (2). Secondo il nostro critico, però, il traduttore genovese esagera e pecca contro la verisimiglianza, in quanto dispone che il debitore debba pagare gli interessi di quindici anni, « ce qui, en d'autres termes, signifie qu'il ne toucheia pas même un sou ». Ceito, nella realtà nessuno si permetterebbe di lare simili patti : ma non ci dobbiamo meravigliare di ciò, se pensiamo alle numerose altre esagerazioni e cose inverosimili che (1) (2) Toldo. op. cit. p. 235. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA il Molière introduce nella sua pièce. Si esagera per meglio far risaltare quanto è nella tesi prefissa, e cioè i difetti, le tendenze, le debolezze dei vari personaggi. Si esagera anche fidare al lavoio una maggiore tinta comica, capace di far sorri dere e ridere di gusto. Proprio attraverso questa esagerazione si raggiunge lo scopo della commedia. Secondo il Toldo il traduttore genovese esagera pure in quel punto della sua commedia, dove Freccia fa l’elenco degli oggetti offerti dall'usuraio, in luogo del denaro contante. Questi oggetti sono : « una treccia di Cleopatra, un uovo di struzzo, la lampada perpetua della Sibilla di Cuma, gli occhiali di Lucullo, i pantaloni di Anchise... », tutte assurdità che, a detta del Toldo, non hanno altro scopo che quello di far ridere. A parere mio, il De Franchi non ha introdotto quella ridicola ed assurda enumerazione al solo scopo di far ìidere. La massima parte del pubblico ignorante non poteva certo comprendere la rarità degli oggetti elencati, nè il loro valore in quanto appartenevano a personaggi famosi, il nome dei quali era ad esso totalmente ignoto. Chi conosceva la Sibilla Cumana ? chi Lucullo ed Anchise? Il De Franchi voleva piuttosto, mediante quella enumerazione, colorire con una tinta più maic-ata la sordida avarizia di Arpagone. Forse egli voleva anche dimostrare come l’ingordigia del vecchio giungesse al punto da voler attribuire ad oggetti semplicissimi e di nessun valore, una provenienza ed una rarità favolosa, così da cadere, senza accorgersene, nell’assurdo ! Come avrebbero potuto trovarsi infatti nelle mani •di Arpagon la treccia di Cleopatra e l’eterna lampada della Sibilla Cumana? Neppure credo che il commediografo genovese, per fare questo elenco, abbia avuto bisogno, come afferma il Toldo. di ispirarsi alle diffuse pièces dell’antico teatro: alla « Farce nouvelle d’un pardonneur. d'un triacleur et d'une tavernière», o a qualche prologo faceto della commedia popolare. L'enumerazione comica ed assurda deve essere sgorgata spontanea nella mente del nostro patrizio, tanto spontanea da 244 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA fargli violare la verità comica, e da impedirgli di pensare alla, difficoltà che i suoi uditori avreWbeio incontrata per comprendere quello strano linguaggio. In complesso dunque, iper quanto la traduzione deliV Avare-sia in molti punti una fedele riproduzione del te'sto francese, 'non manca però di originalità, di colorito nuovo e di vivacità. Il nostro patrizio deve altere senza dubbio prediletto, trai le alti e commedie da lui imitate, questo capolavoro dei teatro comico francese, oltre che per le sue «bellezze artistiche e per- ii suo profondo studio psicologico, anche perchè esso colpiva un vizio pu troppo così diffuso nella sua città. Quanti Arpagoni in Genova ricca tenevano il 'loro gruzzolo prezioso gelosamente nascosto, vivendo in continua ansia, macerando la propria vita in stenti e privazioni per aumentarlo, negando ogni carità, misconoscendo ogni sentimento umanitario, pur di non danneggiare* il loro tesoro! Il De Franchi avrà voluto fustigarli e svergognarli, facendo ridere alle loro spalle il buon popolino esilarato. L’Avaro fu infatti una delle commedie (più applaudite, una di quelle che maggiormente formarono i'l diletto e Γ am mira zione de’ contemporanei, come io stesso De Franchi, abbiamo visto, afferma nella introduzione alla sua (commedia, e come certi documenti del tempo attestano. * * * Ci rimane ancora da esaminare un’ultima commedia che il De Franchi attinge dal Molière : Ri Fastidiosi. Questa però, 11011 è una traduzione nè libera, nè letterale della pièce molieresca Les Fâcheux giacché si allontana del tutto dall’intreccio e dai casi della commedia francese e trae da essa solamente il titolo ed i caratteri generalissimi. Éraste, giovane pieno di sogni e di speranze, è innamorato di una vaga fanciulla : Orphise. Alcuni « fâcheux », dai1 quali egli non può liberarsi, vengono sempre ad Importunarlo colle loro chiacchiere e colle loro vane confidenze, quando GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 245 .il giovane sta per avere un colloquio coll’amato bene. Il più terribile dei « fâcheux » è Damis, tutore di Orpbise, il quale ostacola ton ogni mezzo il matrimonio tra i due giovani. La commedia finisce lietamente in quanto che, avendo Êîraste salvato Damis da certa morte, questi, per debito di riconoscenza, accon-:sente di buon cuore e con entusiasmo alle nozze del bravo giovane colla sua pupilla. Orbene, anche nella commedia genovese (le cui scene si svolgono a Frassinello, in casa Pretoria) ci sono due innamorati ; Lelio e Florinida; e,, a dispetto dei giovani, c’è un seccatore terribile, lo zio di Lelio : Simon Bambara ; e ci sono dei seccatori secondari, cioè tutti gli invitati al banchetto di nozze ; ma queste sono le sole somiglianze che corrono tra le due commedie, ove l’intreccio, lo svolgimento dell’azione, gili avvenimenti secondari sono invece del tutto diversi. Lelio e Fio rinda più non sospirano, come avviene nella commedia frali-• cose, le loro nozze future : essi sono già marito e moglie, e l’anione si svolge precisamente durante il banchetto che segue le loro nozze. Il matrimonio però si è effettuato all’insaputa •dello zio di Lelio, perchè i'I giovane teme di essere da lui diseredato. Nel tripudio del banchetto nuziale, i brindisi e gii omaggi •seccano enormemente i due giovani sposi, i quali desiderei ebbero mandar via tutta quella gente e rimanere un poco in pace; ma i convitati, immersi nell’allegro baccano, non accennano a volersene andare. Lelio e Fiorinda sono sulle spine, anche perchè temono che a suoni ed i canti giungano alle orecchie del temuto zio. A farlo apposta, Don Venanzio, uno dei convitati, tipo, assai ridicolo, il quale parla un linguaggio misto di toscano e di latino, vuole ad ogni costo e a dispetto degli •sposi recitare un suo epitalamio. Finita la noiosa declamazione, per colmo di sventura, gili invitati esprimono il desiderio di ballare. Lelio, tediato oltre ogni dire, fa ritirare tutti in una -camera e, rimasto solo, pensa al modo di liberarsi definitivamente da tutti quei seccatori. In quel mentre sopraggiunge il temuto zio, il quale, dopo essersi dapprima nascosto, si pre- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA senta al nipote e acerbamente lo rimpiovera per quel matrimonio celebrato a sua insaputa. Lelio si giustifica, vantando ogni •bella dote di Fiorinda, e chiede umilmente perdono ; ma Ho zio, prima di perdonare, vuol giocare un suo tiro birbone. Assicura Lelio che lo lascerà suo erede, malgrado la disulbbidienza fatta, a patto però ch’egli risponda a tutti quelli che verranno in quella carnei a con le parole: ziffe e zaffe. Ed a Tiburçio, servi-tore di Lelio, presente alla scena tra lo zio e nipote, impone di rispondere ad ogni domanda : piffe, paffe. A questo punto 'la commedia incomincia ad interessare e a divertire. Lo zio si -nasconde sotto la tavola e intanto sopraggiunge Fiorinda. Il pò-λ'βΓο Lelio deve rimanere impassibile dinanzi a tutte le domande, le proteste, le esclamazioni, i pianti della moglie, alla quale egli continua a rispondere : ziffe zaffe. La comica situazione si ripete alla presenza di tutti i convitati accolsi, che ascoltano attoniti lo zi)fe zaffe di Lelio, a cui fa 'eco il piffe paff-e di Tibur-çio. Intanto lo zio, che, durante la comicissima scena, ha potuto, non visto, sperimentare la dolcezza di carattere e la nobiltà di sentimento della novella sposa, esce dal suo nascondiglio e, dinanzi a tutti, spiega il mistero, rappacifica i cuori smarriti, si congratula cogli sposi e benedice, tra 1 unanime applauso, la loro unione. La commedia defranchiana si scosta dunque molto da quella del Molière, per le circostanze e lo svolgimento delibazione. Però neppure Ri Fastidiosi rappresentano un’opera compiutamente originale, in quanto che mostrano frequenti reminiscenze di altre commedie, e non soltanto molieresctie. Lo ziffe zaffe, pronunciato involontariamente da Lelio, non ricorda forse (come opportunamente osserva il Toldo) il heee... heee.... dd povero Agnelet, nella graziosa Farce de Mmtrv Pathehn, voce ripetuta ad ogni domanda del Podestà, e consigliata da furibo Pathëlin ? Ad ogni modo questa è una delle commedie in cui il De Francai si è reso più indipendente, e in cui ha saputo armonicamente unire, con un colorito originale e simpatico, gli elementi ricavati da varie fonti. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Concludendo, il De Franchi molto tradusse ed imitò la produzione comica ii n olio re,se a ; seppe scegliere quei lavori che, a parer suo, dovevano maggiormente interessare i suoi spettatori, e rispondere alle caratteristiche etniche della sua Genova. In molte traduzioni o riduzioni riuscì davvero originale e simpatico, facendole vivere di quella Arita che l’ambiente esigeva e le circostanze imponevano, e 'senza sforzo, senza esitazione. Padione della lingua dalla quale traeva effetti di vera comicità, padrone del'Pamhiente per il quale lavorava, animato da grande entusiasmo e dal favore del pubblico, Stefano De Franchi riuscì a portare sul teatro genovese un alito di vita nuova, ed a· fare opera non priva di valore artistico e morale. Giannina Gnecoo G-ABRI ELLA MALASPINA DI FOSDINOVO VICENDE DI UNA MONACA DEL SECOLO XV1I1 La storia di Suor Virginia De Leyva, immortalata dal Manzoni col nome di Gertrude, corrisponde a quella di molte giovinette >le cui vicende sono rimaste sepolte 'nell’oblio e di cui non ci è pervenuto nemmeno il ricordo. Nel tempo in cui vigeva il regime feudale, dhe per mezzo della ferrea legge della primogenitura mirava a conservare nel •casato Ίο sostanze avite, i cadetti, se maschi, erano per lo più avviati alle armi o al sacerdozio ; e le femmine, o si sposavano o venivano rinchiuse, spesso contro la loro volontà, fra le mura di un monastero, ove finivano per adattarsi al loro destino, o si ribellavano, con grave scandalo dei parenti, per andare incontro a traversie e dolori d’ogni sorta. I genitori, troppo spesso avidi, egoisti e sensuali, mettevano al inondo un gran numero di figli·* verso i quali sentivano poco affetto e nessun dovere, e di cui cercavano di liberarsi nel miglior modo, purché non fossero intaccate le loro ricchezze e fosse salvo, almeno in apparenza, l’onoie ed il decoro della famiglia. Una di quelle infelici fu Ga'briella Malaspina, delle cui pietose vicende ci è rimasto qualche vestigio nelle carte dell archivio di Stato di Milano, relative ai feudi dipendenti dal Sacro Romano Impero (1). La Casa Malaspina, di antichissima origine, si era suddivisa in parecchi rami, che avevano coperto di una fitta rete di feudi la Lunigiana, ove si mantennero ton ogni sorta di delitti sino alla venuta in Italia dei Francesi, guidati da Napoleone, il quale nel 1796 pose termine alla signoria di quei trrannellr. Ad uno di qnesti rami, cioè a quello dei marchesi di Fosdinovo, apparteneva colei di cui tenterò di far rivivere la figura. (1) Feudi Imperiali, cartella 289 - Fosdinovo, n. 12. Atti nella causa della fuga .della monaca D. Gabriella Malaspina dal monastero di S. Martino di Pisa. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA _____ * 249 Era nata il 31 agosto 1726 dal marchese Gabriele (1) e da Angelica, figlia del torinese marchese Carlo Emanuele Pallavicino di Sant Remy ed era la seconda di sei figli, ai quali si aggiunsero altri nove, che il marchese, rimasto vedovo, ebbe dalla «seconda moglie, Isabella Or-succi di Lucca ; il che ci dà il numero cospicuo di quindici, tra maschi e femmine. Della sua infanzia e della'sua adolescenza sappiamo solo che fu educata nel Conservatorio di S. Raimondo di Lucca e che nel 1742, cioè a 16 anni, fu costretta a -prendere il velo nel convento di S. Martino di Pisa (2), sebbene non avesse alcuna vocazione ,per la vita monastica. Ivi conobbe, non sappiamo nè quando nè come, ma certamente sin dal 1746, un giovane livornese, non nobile, ma di famiglia civile, Domenico Eusebio Chelli, ben diverso dalΓEgidio manzoniano ; giacche quel poco che ci è noto di lui basta a farlo conoscere dotato di animo delicato e gentile. Egli divenne il confidente di quella poverina, senza che vi sia stata in quel periodo, a quanto pare, alcuna relazione illecita fra di loro : ne ascoltò i lamenti e per più di tre anni cercò di confortarla e di indurla ad adattarsi alla sua sorte o, come ultimo espediente, a ricorrere a Roma per ottenere Pannulila-mento dei suoi voti : ma tutto fu inutile. La risposta non venne ; le monache incominciarono a sospettare di lei : il padre, lungi dalPaccondiscendere al suo desiderio, non si mostrava nemmeno disposto a fornirle i mezzi per vivere decorosamente : tanto che Punico pensiero di Suor Gabriella divenne quello di sottrarsi ad una vita intollerabile. Palesò i suoi proponimenti al Chelli, il quale tentò invano di calmarla e solo a malincuore, di fronte alla minaccia che essa gli fece di avvelenarsi, finì con Paccon-sentire ad aiutarla a fuggire. Non conosciamo, ed è peccato, i particolari della sua evasione dal convento, ove pare non sia rimasta di lei alcuna traccia. È certo però che i due riuscirono ad abbandonare Pisa nella (1) 1695-1758. <2) Litta, FairtìgliG celebri italiane, Vol. V. 250 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA prima metà elei 1749 (1), ad attraversare gran parte d’Italia, senza essere scoperti ed a rifugiami in luogo «sicuro, a Coirà nel paese dei Origioni. Era allora Plenipotenziario per i feudi imperiali italiani il conte generale Carlo Stampa, sottentrato nell’alto ufficio nel 1738 allo zio, conte Carlo Borromeo Arese. A lui si rivolse il Chelli, il quale, il 2 luglio, gli scrisse la lettera seguente, che rivela la bontà dell’animo suo : Eccellenza, A chi potrei ricorrere fuori che all’E. V. per chiederle soccorso e protezione nelle fatali circostanze in cui mi trovò, essendovi bisogno di ipotenti soggetti e ragguardevoli non solo, come compassionevoli e giusti ? Il delitto, col quale io comparisco avanti V. E. sò che deve farmi indegno della di Lei benigna udienza, ma pure se mi darà luogo ch’io possa se non rendermi innocente colle mie giustiifìcazioni, almeno mi renda compatito, ed in parte scusato. Si degni adunque permettermi che per quanto brevemente io potrò, gli narri la vera storia ed i pressanti motivi, che mi àrnio spinto e violentato a prestare il mio ajuto al passo irregolare, cihe à fatto la sig.ra Marchesa Gabbriella Malaspina. Sappia adunque VE. V. che io sono stato per tre e più anni obbligato a confortare questa Dama, ed ò speso tutto questo tempo in trattenerla dalla disperata risoluzzione di privarsi di vita. Le ragioni di questa sua terribile determinazzione saranno note aH’E. V. senza che io Le spieghi per non accrescerle il tedio. Dopo lunghe prove ed infinite esortazioni, che io li facevo confortandola ia tollerare ed adattarsi a quello stato, per uscir dal quale erano ardue e difficilissime le vie, per cui bisognava passare : Vedendo che era risoltissima procurai di farla incamminare per la più regolare e degna della sua nascita, ed unica per la religione che professa, che è quella di esporre a Roma le sue suppliche. Scrisse adunque, ma Tunica sua premura essendo dhe il Sig.r Marchese Padre non sapesse giammai il suo pensiero, temendo che vi si opponesse, tentò di trattarlo nel foro della coscienza, alla qual cosa fu animata da codesto Ill.mo Monsignor Arcivescovo e dal suo confessore. Viveva colla speranza di giungere con questo mezzo all’adempimento dei suoi desideri, ed aspettò per cinque mesi con impazienza qualche risposta, ma non le fu possibile di averla per replicate istanze. Procurai, per mantenerla in questa legittima via, di persuaderla che giammai a- (1) Essa aveva allora 23 anni. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 251 vrebbe ricevuto lettere, poiché i Sovrani non rispondono mai, e che perciò era necessario di avere qualcheduno a Roma che trattasse per lei questo affare, e la animai a fare all’E. V. la confidenza di tutto, mettendosi nelle di Lei mani, assicurando1 a, dhe così facendo, avrebbe in V. E. trovato un protettore efficace, ed un compassionevole cavaliere, che bì sarebbe impegnato con tutto il cuore a giovarli. Al che ella si dispose, e la vidi tornare di buon'umore alla speranza che aveva concepito nella bontà dell’E. V. Quando il lunedì, giorno che precede la nostra partenza, mi mandò a chiamare e la trovai così disperata e così risoluta, che mi fece una sorpresa indicibile riflettendo alla calma nella quale l’avevo lasciata la sera antecedente, e domandandoli la .cagione di questa sua mutazzione, mi disse che ella non sperava più in altro che nella fuga o nella morte, poiché le monache si erano accorte della sua idea, e che poco poteva stare a saperlo suo Padre, sicché si vedeva oramai costretta ad abbandonarsi in braccio ad una, o all’altra. Rifletta l’E. V. se io mi mentisse diacciare il sangue a questa orribile proposizione. Io mi provai a farli considerare i gravissimi pericoli e le funeste circostanze, che accompagnavano la prima, siccome le eterne irrimediabili ed orribili conseguenze della seconda. Ma che cosa si può fare con un animo disperato? Mi soggiunse oltre le tante cose di simile tenore, che o io l’avessi prestato la mia mano per fuggirsene, o che assolutamente ella prendeva l’oppio, che aveva a tale effetto in mano in positiva determinazzione di prenderlo. Sicché vedendo il caso giunto a questo segno, mi parve minor anale di preistorie il mio ajuto, dhe lasciarla così malamente morire. Questa è la vera istoria. Il Sig. Marchese Padre crederà di avere molta più ragione d’essere in collera meco, di quella che veramente ne abbia. Poiché se egli nel passato carnevale al teatro di costì (1) nel «palchetto della Sig.ra Sammartini mi avesse voluto più lungamente ascoltare, gli avrei parlato con tale chiarezza, che avrebbe potuto evitare una così precipitata risoluzione. Ebbe la povera Dama (come di frequente aveva) un bisogno di alcuni danari, ricorse a me, ed io la servj volentièriissimo. Il Padre, che questa volta seppe che gli avevo avanzati i d.i danari e trovandomi nel d° palchetto al teatro mi entrò in discorso di sua figlia e mi disse ohe sapeva benissimo ch’io avevo fatto questo iimprelsto e che non imaginava come la medesima avesse potuto rimborsarmi; che perciò procurassi d’imsinuarle dell’economia: al che io risposi che li assegnamenti scarsissimi di sua figlia non comportavano economie per la loro eccedente miseria, e qui si fece un dettaglio delle di lei entrate, e soggiunsi che giacché mi aveva dato luogo di par- di cioè di Pisa, ove risiedeva allora lo Stampa. 252 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA lare di questa materia, che io lo assicuravo che per queste ragioni, sic-icome per altre ancora sua figlia era affatto disperata, che io temevo qualche stravagante passo. Che la ipersecuzzione di quelle monache era tale, che non poteva soffrirla, e che era impossibile di estinguere questo fuoco : Che codesto era un luogo, nel quale sua figlia non poteva restarci, che il suo temperamento, la sua educazione non erano per quella vita, e che og:ni giorno tremavo per paura di vederla in diisperazzione affatto, e che egli avrebbe dovuto pensare ai compensi per consolarla. Ma egli dimostrò di non gradire più a lungo questo discorso e mi tolse il luogo di farle una confidenza, la quale chi sà forse poteva produrre vantaggio alla Dama e a lui (1). Non lasoiai di penisare a farla a qualdhe altro soggetto, che potesse contribuire ai fini della Dama più dhe il Padre, e pensai all’E. Y. a cui senza il fatale accidente che è occonso si sarebbe se libata la gloria di aver consolata un innocente oppressa. Speravo ancora di poter corre un tempo in cui il Sig.r Marchese fosse più inclinato a sentir discorrere di sua figlia, e dirle tali cose che se la tenerezza ipaterna non si fosse risvegliata a favore d’una figlia infelice, almeno il decoro di lui medesimo l’avesse mosso a risolvere, o a cooperare a di lei vantaggio. Ma anche questo non mi è stato possibile. In somma se di nulla sono colpevole presso il Sig. Marchese lo sono per non aver saputo trovare altra via di trarre di anano alla morte una sua figlia, che quello di favorire i di lei disegni. Io per me non la sepipi trovare, e credo che lui medesimo essendosi trovato nel caso mio avrebbe fatto così. Prego adunque umilmente l’E. V. a farmi tanta grazz-ia di rappresentare, quando li venga occasione, questo fatto al d° Sig.re affine che capisca ohe doppo quelle cose tutte che di sopra ò dette, non dovrebbe irritarsi tanto contro di me, se non si è affatto dimenticata l’umanitâ. Io non saprei come trovare altra persona più efficace dell’E. V., alla quale quantunque non abbia avuto l’onore di presentarmi, che in questa fatale congiuntura, con tutto questo non diffido che mi riceverà colla solita generosità del suo cuore, quale con tutta la profonda e rispettosissima stima mi pregio di dichiararmi dell’ Eccellenza Vostra Umiliss-mo Dev.rno obbl.mo servitore vero Eusebio Chelli Coirà, 9 Luglio 1747 Il giorno 16 dello stesso mese la marchesa Gabriel'la si rivo!- O (1) Non sappiamo di che si tratti. In ogni modo è notevole la sincerità di quesra lettera, che ho trascritto scrupolosamente, coi suoi lievi errori. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 253 geva anch’essa allo Stampa con questa lettera che non si può leggere senza commozione : Eccellenza; Dovevo prima di ora avanzare all’E. V. le mie preanure à fine di ottenere compatimento e protezione. Nello stato nel quale mi trovo e a cui mille giusti motivi mi anno portata, chiedo (1) che sarà nota a V. E. 'siccome lè a tutta Pisa la maniera indegna che usarono per sachrificarmi in un Monastero, in cui vi era tutto il male dell’altri e poi qualcihe cosa di particolare suo proprio. Saprà ancora le barlbare maniere con le qnali mi trattava mio Padre, e tutte le altre miserie che mi circondavano là dentro, sicché non sarà stata nell· E. V. tanto grande la maraviglia che avrà cagionata la mia fuga, quanto in persone non inforniate. 0’ tentate tutte le strade per non ridurmi a questo passo ma tutte in vano, volevo ricorere all’E. V.; e quando mi determinai di incomodarla, una Monacha mi disse che erano noti i miei disegni e che già tutte sapevano che avevo nicorso a Roma per (provare la nulità della mia professione; conobbi benissimo che poco poteva stare a saperlo ancora mìo Padre, il quale son certa che mi avrebbe impedito tutto, come mi viene detto dhe fa adesso. 11 suo dispiacere non è che io mene sia andata, è il dovermi assegnare la dote. Se mi sarà fatta giustizia otterò in vigore delle mie ragioni ciò che mi si perviene, ed a questo fine mi sono ritirata in questa Città dove con il mezzo di questo Monsignor Vescovo (procurerò di trattare presso alla S. Sede Ja mia causa, e già ho manidatata · (sic) una 'supplica. Se ΓΕ. V. volesse degnarsi di impiegare a Roma i Suoi mezzi mi vedrei quasi vicina al fine dei miei desideri. Ma questo non è tutto quello che potrebbe V· E. fare a mio vantaggio; io non voglio stare a suggierirlielo perchè raccontandole la mia storia intenderà Γ E. V. quale sia il mio bisogno. Sappia .pertanto che mi trovo obbligata con mio sommo dispiacere a vivere in una locanda in casa di un Protestante, perchè nella mia fuga non potiedi portare nemmeno un soldo e quello che si trovava il mio compa-gnio non era tanto da potersi mantenere qual-dhe tempo qua; io obligai il medesimo con tanta fretta che li convene seguitarmi senza perdere tempo, perchè mi vedeva risolutissima di prendere il veleno, con il quale lo feci determinare a dirmi di sì e ad assistermi nella mia fuga. Se ò nissuna mortificazione in questa risoluzione è di avere obbligato uno a darmi la mano per levarmi di là dentro con la perdita intiera di lui medesimo. Se prima di adesso avessi avuto queste riflessioni stavo nel mio (1) Ho trascritto esattamente anche questa lettera, sopprimendo solo gli accenti,, che la Malaspina collocò su tutti i monosillabi. 254 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA proposito di prendere l'oppio senza cercare altra strada. Ma forse Iddio è stato quello che non à permesso che io l’aibtaia per salvarmi con questo mezzo. Tutti saranno contro di lui : lo raccomando all E. V. che lo difenda quanto pole assicurandola «che nè inocente, e ohe do ò abbusato della tenera premura che egli à semipre dimostrato per me; mi liberi da questo rammarico che mi angustia infinitamente, del quale essendo pi iva non avrei niente da pentirmi della mia risoluzione. Confido intieramente nella pietà e gentilezza de-ΗΈ. V. ed in Lei pongo tutte le mie speranze, e pei non esserle di maggior incomodo con tutto il dovuto rispetto e stima sono deir E. V. Umill'ss.ma e devotSss.ma serva vera Gabbrìella Malct&pina eli Fosdinovo Coira 16 Luglio 1749 Questi due 'documenti, in cui si narra senza omlbra di retorica la tragedia di una infelice, che sembra solo rimpiangere di avere trascinato il Chel'li nella sua sventura, dovettero fare una profonda impressione ne 11’animo dello Stampa, il quale, come cattolico, coime gentiluomo e come ministro, non poteAa certamente approvare quanto era avvenuto ; ma, come uomo di cuore, non ìpoteva soffocare un sentimento di pietà per quei due disgraziati : tanto che si rivolse al vice-cancelliere dell Impero, conte di Colloredo, al quale, 1’ 11 agosto, mandò copia delle due lettere, chiedendogli di «disporre a prò di questa malconsigliata Dama e del pred.° disgraziato giovane » ciò che avrebbe giudicato più conveniente nel caso loro che era ((veramente consideratile », e soggiunse : (( sono non vi ha dubbio ambedue in una assai strana .positura, e per questo ambedue hanno bisogno di chi gli soccorra e gli ajuti. Considero esser questa una causa che interessar debbe le premure di qualsiasi Cavaliere Cattolico, ma in i speci e poi d'un Ministro della qualità di Λ . E. e le mie ancoia, trattandosi massime, rispetto alla Monaca, d una figlia d un vassallo del Sacro Romano Imperio e d’una famiglia assai ragguardevole, come appunto ognun sa essere quella del S.r Mai chese Malatsspina di Fosdinovo ; quindi per rimediare nel miglior modo possibile al male di già succeduto e per ovviare ad un maggiore vi è necessaria la protezione di V. E. e. sarà opera degna del di Lei animo gentilissimo l’accordar loro questa grazia ». GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 255 A queste parole improntate ad un senso, se non di simpatia, almeno di commiserazione, il Colloredo rispose con molto ritardo (1) Ae in attesa del rescritto imperiale doveva scrivere alla march esina a che quando si disponesse essa a lasciare la nota scandalosa compagnia, cioè il Chelli, ed a porsi in luogo di Cattolici, potrebbe sperare la protezione della M. S. della quale, 'Senza questi preliminari non dovrèbbe mai lusingarsi »; e di lì a pochi giorni, cioè il 1° novembre, gli mandava il rescritto cesareo del 27 ottobre, con l'avvertenza che siccome S. M. non era pienamente a conoscenza delle circostanze relative airingresso della Malaispina in convento e di tutto quanto si riferiva a lei. lo invitava a mandargli i suoi avvisi e consigli. Nel suo rescritto latino, indirizzato allo «Stampa, Francesco I non faceva altro che sviluppare i concetti accennati dal Colloredo, promettendo il suo aiuto secondo le norme di religione e di giustizia solo « si iprius tam absurdum statui ac votis «uis consortium juvenis Cheli, cum quo in Rhaetianr aufugerat, derelinquat, ac simul in locum catholicum decenti ratione se conferat ». II17 novembre lo Stampa avvertiva il Colia redo che avrebbe scritto la sera stessa alla monaca a Coira, ove supponeva si trovasse ancora, selbbene alcuni credessero che ne fosse partita pel· ìecarsi in luogo cattolico. In ogni modo era sicuro che la sua lettera le sarebbe stata consegnata : e si riservava di far conoscere al Sovrano ciò che avrebbe potuto fare « in sollievo di questa Dama », alla quale scriveva con la stessa data, scusando il ritardo ed avvisandola di quanto aveva fatto per lei in un affare di tanta considerazione e non da riguardarsi con quella indifferenza con cui pareva che essa lo riguardasse. Le consigliava pertanto di tornare in se stessa, di riflettere alla gravità della sua fuga dal monastero, di abbandonare la compagnia che le aveva dato maiio a quella impresa e di trasferirsi in paese cattolico, ove avreibbe potuto fare i passi opportuni per conseguire dal (1) 25 ottobre. Le sue lettere, come quelle della Malaspina e del Chelli sono auto graie. Di quelle dello Stampa abitiamo solo la minuta. 256 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA paipa indulgenza e perdono al grave suo trascorso, e giustizia altresì in ciò in cui riteneva di avere ragione. La invitava a fargli conoscere le sue deliberazioni, a considerare la benignità dell'imperatore, a non abusare defila sua clemenza, ma a far tutto il possibile per ben profittarne ; e a ringraziare Iddio che le aveva aperto una così bella strania per il suo ibene, tanto spirituale, che temporale. Accennava alla sua stima per la sua Casa, che gli aveva fatto sentire con pena il suo trasporto e lo aveva stimolato a procurarle un aiuto, che poteva esserle (i di consideratile sollievo ». !>i questa lettera, da cui traspare una doverosa severità, dato l'ufficio ch'egli ricopriva, temperata tuttavia da una certa benevolenza, lo Stampa dava notizia il 24 novembre a Francesco I, al quale soggiungeva : In questo mentre ho avuto qualche riscontro che alle serie ammonizioni di mon.re Nunzio Ac-ciajoli (1) di concerto col vescovo di Coira Ella avesse preso il partito di portarsi senza la nota scandalosa compagnia à Lucerna per ivi assistita da d° Nunzio fare le sue parti a Roma per ottenere dal Papa indulgenza al grave trascorso e giustizia insieme alle asserte giuste di lei pretensioni : ma in questo stato di cose Ella si fosse ammalata, di modo che le fosse convenuto di differire questa sua risoluzione con animo per altro di eseguirla tosto che fosse guarita. Prometteva poi d'inviare le ulteriori notizie con le sue proposte intorno a ciò che si sarebbe potuto fare « in ajuto e sollievo di questa Dama, che è d’una Casa così ragguardevole ». Il Plenipotenziario era stato informato esattamente intorno alla partenza della Malaspina, che il 10 dicembre gli rispondeva da Lucerna in questi termini : R stato un effetto della somma bontà di V. Ecc. il motivo del ritardo della risposta alla lettera, che io ne 16 di Luglio scorso mi feci animo di scriverle da Coira, del quale ora ella si compiace di sì gentilmente darmi raguaglio nella sua gentilissima de’ 17 Novembre caduto, conse- lì Filippo, poi cardinale: nunzio pontificio in Isviizera ed in Portogallo, 1700-1766 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 257 gnatami da questo Monsignor Nunzio, onde mene protesto a V. Ecc-infinitamente tenuta, mentre mi à prodotto un vantaggio, che maggiore non poteva mai desiderare, quale è quello di vedermi accordata sì clementemente l’alta protezione dell’Augustissimo Imperatore, della quale spero ora di essere assicurata, giacché mi trovo di avere adempiute le condizioni che volute da Sua Maestà Imperiale, V. Eìcc. mi à espresse nella medesima sua lettera, essendo già da più di un mese che allontanatami da ogni Compagnia, mi sono portata in questa Città Cattolica e sotto la direzione del Pontificio Ministro, per mezzo del quale ò umiliate all’ Sommo Pontefice le ragioni, per le quali io credo nulla la professione fatta solo materialmente nella Religione, e i motivi dai quali fui indotta a quella materialità di parole non accompagnata certamente dal cuore; e il Santo Padre col innata sua carità si è degnato ascoltarli, e farmi avvisata per mezzo dello stesso Monsignor Nunzio che non mi à abbandonata e che attualmente esamina le dette mie ragioni e motivi. Io per tanto starò qui ferma fino a tanto che mi pervenghino le Pontifìcie determinazioni, il che spero sarà per essere accetto alla Maei?tà Sua Imperiale, già che mi trovo con mio sommo contento di aver prevenute le di lei clementissime prescrizioni. Mi lusingo che V. Ecc., che à cominciato un opera di tanta pietà, vorrà proseguirla, e con procurarmi la continuazione della Venerabilissima Imperiale Protezione, e con prontamente farmene provare li effetti operando in forma che Bieno passate a nome Cesareo calde raccomandazioni alla Santità Sua, peT la bramata decisione di questa mia causa. Di tanto istantemente la prego, e ripro-teMandole co’ più vivi sentimenti del animo le mie distinte obbligazioni a V· Ecc. divotamente mi confermo (1). 11 22 dicembre lo Stampa scriveva al Colloredo per raccomandargli la sua protetta, pregandolo di cooperare « col suo bel cuore » ad assisterla con far passare qualche ufficio al Papa, ed univa alla sua lettera questa relazione per l'imperatore : ((In conformità de veneratissimi comandamenti di V. Sacra Cesarea Maestà scrissi, sino sotto li 17 del mese passato alla Monaca Malaspina ne* termini che Ella si degnò di prescrivermi e che contengonsi nella mia lettera, che in cotpia rassegno alla Μ. V. e fu la med.a trasmessa al Nunzio Pontificio a Lucerna, col fine che se mai d.a Monaca si fosse ivi trovata, giacché vi erano notizie che Ella fosse disposta a portarvisiy potesse essere alla med.a consegnata, e fattale avere con sicurezza a Coira, quando non ne fosse per anco partita. Fù questa dunque conse- I li Segue la chiusa, ugnale alla precedente GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA guata alla Monaca in Lucerna, danklove ci sono ora riscontri che Ella vi giungesse il dì primo dell’accennato mese di novembre; che fosse stata da quel Nunzio Apostolico collocata in una casa fuori di Città appresso à gente onoratissima e che vivesse con morigeratezza, e obbedendo alle ibuone insinuazioni che le venivano fatte. Ed Hià essa risposto alla d.a mia lettera, che in copia pure umilio alla Μ. V. Dal tenore pertanto di questa e dalle mentovate notizie ricavasi che Ella avesse adempiuto esattamente alle parti da me insinuatele per ordine di V. M.; quindi sembrami che possa aperare della di Lei beneficenza quella protezione che ha sempre implorata e tuttora imjplora sempre più. Ora poi siccome piacque à V. M. di ordinarmi altresì di doverle suggerire ciò che io credessi che potesse convenire di fare in sollievo di questa Dama nelle circostanze presenti, così io con tutta la maggiore venerazione mi attento di significare alla Μ. V. che potrebbe sommamente giovare alla medesima qualcihe ufìcio che fosse passato al Pontefice per via del Ministro di V. M. in Roma, o di chi altri Ella giudicasse più approiposito, ed in tal caso che fusse rimesso à me il Cesareo Rescritto per farlo avere a chi fosse diretto : tanto più cihe come asserisce la da Monaca, hà essa fondamento di essere contenta della risposta che le hà fatto dare il Papa per mezzo del d° suo Nunzio in Lucerna dopo il ricorso fatto presentare •a S. Santità per ottenere la dichiarazione della nullità della sua professione. Questo è quanto mi trovo in dovere di rappresentare alla Sacra Cesarea Maestà Vostra in questo particolare, ed intanto alia meda fò profondissimo inchino ». Pur troppo però sembra che l’amicizia che da tempo univa i due «novalii si fosse a poco a poco mutata in 1111 sentimento più profondo; e che prima di abbandonare Coira fossero stati trascinati dalla passione amorosa sino alle ultime conseguenze, giacche troviamo una nota dello Stampa, il (piale informa che ha scritto al Collomlo (1) dandogli parte della sicura notizia della gravidanza della Monaca Malaspina ; che però con questa aggravante circostanza e mutazione di cose si sarebbe andato con maggior ponderazione per non impegnare mal a proposito la Cesarea Protezione, ma attendere prima ciò che si tara dal Papa. Dopo questo breve cenno non sappiamo pili nulla sino :λ\ (1) La minuta porta la data del 15: ma è probabile si tratti d'una svista e che debba riferir» al 25 dicembre, cioè a dopo la lettera al l’imperatore. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 259 23 marzo 1750 in cui lo Stampa spedisce al Colloredo la lettera seguente : « In seguito di quanto già rassegnai a V. E. intorno alla Monaca Malaspina, dhe sin dalTanno scorso fuiggì da questo Monastero di S. Martino, richiede ora il dovere mio di render pure intesa Γ E. V. d'essermi questi giorni stato comunicato, che avesse il Pajpa data la sentenza, dichiarando valida la Professione, e che però non rimaneva alla Monaca altro partito, che di ritornare al suo Monastero, o di sceglierne altro, che più le piacesse per ritornare alla Religiosa osservanza: Questa Pontifìcia decisione restò incaricato a Mons. Acciajoli Nunzio Apostolico al li Svizzeri di doverla d’ordine santiss.mo intimare alla sodetta, che prima, come già ebbi l'onore di riferire a V. E., erasi resa a Lucerna pei* trattare per mezzo del medesimo Prelato la sua causa, del di cui esito contrario poi non si sa se forse ne abbia essa avuto qualche preventivo riscontro da suoi corrispondenti da Roma; giacché avanti dhe ricevesse Monsignor Nunzio sodetto la sentenza e gli ordini di Sua Santità, la Religiosa si ritirò da Lucerna, e dalla giurisdizione de' Cattolici, dandosi però alla disperata risoluzione di seguitare nell‘abbonii nevole intrapresa cariera; e per quante salutevoli- amorose insinuazioni le avesse prima fatte Γindicato Ministro Pontifìcio, non è stato possibile di ricondurla al dovere, e ritirarla dal precipizio a cui sempre più va inoltrandosi, se la Divina Misericordia non gli tocca il cuore. Degnisi V. E. di fare quel uso che più le piacerà di questa notizia, che per scarico del-l'obbligo mio ho voluto avanzane, giacché in questo stato di cose essendosi la prefata Monaca resa indegna della Cesarea Clementissima protezione, risparmerò all’ E. V. gl'incomodi per questo conto ». A questo punto si perde di vista quella infelice. Xon sappiamo quindi ove si sia rifugiata, come è probabile, con F amante, nè quale sia stata la sorte della creatura, che era il frutto della loro disgraziata passione. Certo essa viveva ancora nel 1754 : giacché neiresaminare le numerose cartelle del feudo di Monte Santa Maria foggi Santa Maria Tiberina) ho trovato per un cavo fortuito un accenno a lei in una lettera che il marchese Monaldo Bourbon del Monte scriveva il 31 dicembre da Città di Castello al nuovo plenipotenziario imperiale, marchese Aiitoniotto Botta Adorno, a proposito d'un suo parente, Filippo Bourbon del Monte, già frate domenicano e delinquente della peggiore specie : ((La monaca Malaspina, condotta via anni sono da Pisa· ‘260 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA non fù mai sicura in Paesi Cattolici, e vive miseramente nei Cantoni Protestanti; tal tu Γattività della Corte di Roma, per* riaverla nelle mani, senza enumerare altri moltissimi esempi)) (1).. Da questo cenno si vede come la notizia della fuga si fosse-divulgata sino nel'PUmlbria· e si indovina.no una vita di stenti ed una serie di vani tentativi della Curia per ricondurre all'ovile la pecorella smarrita. Dopo questa data, «per quante ricerche io abbia fatte a Lucca, a Pisa e a Livorno non ho ,più trovato nulla : ed il più fosco mistero incombe sulla line di quella poverina, che moiì quasi certamente in esilio; giacche la differenza di nome e il divario* delle date non permettono di ravvisare in lei quella Suor Maria Gioconda Malaspina, monaca professa, morta nei convento di S. Martino di Pisa il 2 aprile 1700 in età di anni 35 e sei mesi (2).. Quanto al suo compagno, più disgraziato che colpevole,, dopo la perdita della donna amata, avvenuta probabilmente verso il 1760, tornò a Livorno, ove però il governo granducale, sebbene il marchese Gabriele fosse morto sin dal 1758, lo fece arrestare; e senza alcun processo lo rinchiuse prima nel maschio di Volterra, ove pare si trovasse nel 1702, come risulta da una lettera del tutore dei pupilli Malaspina di Fosdinovo, marchese Carlo di Oli vola, loro cugino, il quale scriveva al nuovo Ministro Plenipotenziario, maresciallo Antoniotto Botta Adorno. succeduto allo Stampa, morto nel 1751, che la vedova del marchesa Gabriele, Isabella Orsucci, aveva collocato la figlia maggiore in un convento di Lucca, ove stava poco bene, per motivi di salute, e che Parrebbe voluta trasferire nelle Salesiane di Pescia ; mentre egli (penjsava a farla passare a Prato o a Pistoia, perchè a Pescia vi era la sorella di quel disgraziato Chelli, che si diceva nel maschio di Volterra, « il quale apportò sacri· lesamente .sì grave disgusto e .smacco a questa Casa » (3). (1) Feudi Imperiali; Monte Santa Maria, cart. 452: « Eccessi facinorosi commessi dai Marchesi Bourbon del Monte ». Costoro, come i Malaspina ed altri feudatari, erano* troppo spesso veri briganti. (2) Costei doveva pertanto essere nata il 2. ottobre 1724; mentre Gabriella era più1 giovane di quasi due anni. (3) Lettera del 22 agosto. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 261 Di lì egli fu trasferito nella fortezza del Falcone a Porto-ferraio, ove si trovava nei 1766, anno in cui i suoi fratelli, Ti 'berio e Luigi, si rivolsero al nuovo Granduca, per chiedergli la liberazione del loro congiunto, che sin dal suo ritorno in Livorno, doipo quasi 11 anni, aveva dato segni di pazzia. Prima però di ottemperare alla domanda, basata sul fatto che nel corso di dieci anni non si era emanata contro di lui alcuna sentenza, il principe incaricò il ministro conte Roberto Pandolfìni di chiedere per mezzo del Botta Adorno il parere dei Malaspina. Il maresciallo che jion conosceva il contegno tenuto dai congiunti -e dal defunto padre della monaca, nè sapeva se dopo la morte di lei (osi potessi no esaudire i (supplicanti », scrisse il 1° luglio al tutore marchese Carlo per chiedergli il parere suo e quello *degli altri parenti : e questi con una lunga lettera del 6 luglio jsì affrettò a rispondergli, ringraziandolo, che si sarelbfbe informato della loro opinione, tenendo conto specialmente del marchese Annibale di Fosdinovo, zio paterno della defunta, e delle famiglie di Mulazzo e di Filattiera. Dichiarava però che a ciascuno rincrescerebbe moltissimo vedere rimesso in libertà ((il sud0 iniquo Domenico Eusebio Chetili che recò tanto disonore all’intiero corpo della medesima famiglia ». Accennava alla sua pena per essere stata la sconsigliata monaca sua cugina carnale, essendo egli tìglio d’una zia di lei, e ilo pregava a nome di tutti di consigliare S. A. B. affinchè non desse orecchio « alle istanze dei fratelli dell’indegno malfattore, che, se non fosse stato creduto pazzo nel temerario ritorno da esso fatto, sarebbe sicuramente stato condannato da cotesti giustissimi Tribunali alla maggior pena, che lui meritava ». Lo invitava a riflettere se i rsuoi pupilli, usciti di minorità avrebbero potuto « aver piacere di vedersi su gli occhi quell’infame traditore del loro sangue, e quali sarebbero le loro doglianze e risentimenti contro di lui se non si fosse adoprato col maggior impegno per impetrare la grazia che non venisse mai fatto rilasciare ». La risposta feroce e inumana, da cui traspare tutto l'orgoglio di quei signorotti, prepotenti e troppo spesso disonesti, fu •comunicala il 22 luglio al Pandolfìni dal Botta, il quale dieci GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA giorni dopo informava il marchese che il granduca, considerali i motivi espressi da lui, aveva stabilito di ritenere il l'belili in carcere, in attesa del parere degii altri interessati ; ed il Malaspina. eh e aspettava ancora la risposta dello zio Annilbale e di due marchesi che erano in Lombardia, si affrettava, con 'lettera del 27 luglio a rincarare la dose, avvisando il lìotta che tutti i (parenti da lui consultati erano del suo parere e « che rispetto alla supplicata assoluzione del Chelli, reo del consaputo enorme eccesso, parlando ingenuamente, ogn uno ci vi]uigna\ a. sì per lo strappazzo fatto a ciascuno del medesimo nome, sì per le contingenze di potersi imbattere un giorno o l’altro nell'odioso incontro dello scelerato offensore». Ringraziava pertanto vivamente a nome di tutti il granduca, che aveva assicurato il decoro della Casa « con aver decretato che quell'iniquo non sia rilasciato, ma che continui nella meritata pena ». 11 Malaspina mandò quindi un memoriale, che non possediamo. a Leopoldo I, che lo fece trasmettere al Plenipotenziario dal Pandolfini, il quale, il 9 agosto gli fece sapere che era stata accolta l'istanza contro il Chelli. « per non rinnovare la memoria dell’insulto fatto nel rapire (il che non era vero) dal Monastero di S. Martino di Pisa la Religiosa Malaspina di Fosdinovo»: ma, salva sempre la necessaria sicurezza per impedire qualunque fuga che potesse tentare, aveva ordinato che fosse « ritenuto in detta Fortezza con qualche facilita ». La notizia fu, il 19 agosto, trasmessa dal Botta al marchese Carlo, il quale, bontà sua. se ne accontentò e, mutando lievemente il solito stile, non trovò nulla da ridire che S. E. avesse « benignamente risoluto di usare a questo sfortunato qualche carità, in maniera però giustissima e misurata co più obbligatissimi riguardi ». \ questo punto finiscono le informazioni intorno al doloroso episodio : ed è probabile che i'1 povero Chelli, solo colpevole di avere ceduto ad un sentimento di pietà, che fini col trasformarsi in amore verso la sua compagna di s\entiira, sia rimasto sino alla morte nella fortezza di Portoferraio, vittima dei rancori e dell’odio dei Malaspina, coadiuvati, duole il dirlo, dal buono e mite granduca· di Toscana. Pietro R ivoire INVENTARI DELLA BIBLIOTECA DI AGOSTINO GIUSTINIANI Coni’ è noto, Agostino Giustiniani, il ciottissimo vescovo di di .Nibbio, donò alla Repubblica di Genova la sua biblioteca, «la (piale » — diceva egli stesso nell’autobiografia, scritta fra il 1532 e il 35 — « non tanto per il numero dei volumi, che ascendono al millenario, quanto per la varietà e preziosità di essi, che in tutte le lingue e in tutte le scienze, ed in preziosa materia scritti, non è il paro (che sia detto senza invidia) in tutta Euiopa; come che io gli abbia congregati dalle remotissime regioni con suprema diligenza, e con maggiore spesa che non si conveniva alla facoltà mia... » (1). Ma la sorte di quei mille e più volumi, fra i quali ve n’ eran molti ereditati da AndreOlo. avo di Agostino (2), fu delle più miserevoli. L’abate Michele Giustiniani, che volle ricercarli, non ne trovò più traccia nel Palazzo del Comune, sebbene fosse trascorso appena un secolo dalla morte del donatore ; e constatò, invece, che alcuni erano « presso diversi particolari, che, per non esser scoperti », ave van «levato nel frontispizio i contrassegni» (3). D’allora, storici e bibliografi espressero per cotesta perdita tutto il loro rimpianto, del quale si fece poi eco, nei primi decenni del secolo XIX, il padre Giambattista Spotorno, lamentando che della maravigiiosa raccolta, adunata in Genova da ogni parte del mondo civile, non vi fosse neppure un catalogo (4). Dato l’espediente a cui ricorsero gli antichi detentori, sarebbe difficile oggi, pur fra tanta abbondanza di repertori ed elenchi bibliografici a stampa, rintracciare i volumi del Ye- ti) Annali della Repubblica di Genova, con note di G. B. Spotorno, 3* ediz., vol. II. Genova. Canepa, 1854, p. 465. (2) M chele G USTiniani, Gli scrittori liguri d-escritti, P. I, Roma, Angelo Tinassi. 1667, p. 18. (3) Ibidem. (4) Storia letteraria- delia Liguria, Genova, Ponthenier, 1825, III, p. 237. ÌIÌ4 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA scovo di Nebbio che ancora devono esistere qua e lù oltre i pochissimi in lingua ebraica conservati, con indicazione sicura della loro provenienza, nella Biblioteca Universitaria di Genova (1). Tuttavia possiamo conoscere gran parte della ra<* ♦colta da due inventari dell’Archivio di Stato genovese : uno :su fogli volanti, che comprende alcune opere consegnate nell'aprile del 153S a Nicolò Senarega e a Pellegrino Grimaldi Bobio dai prefetti della Sacrestia· di San Lorenzo (2) ; l’aitro in ampio fascicolo, che ne annovera circa quattrocento consegnate nel 1544, non si sa da chi a»i Frati Domenicani di Santa ldrado (rob abilmente. l’Aldina del 1516. 107 - BESSARIONIS CAR.lis NISENI IN CALUMNIATORES PLATONIS. Certo una delle ediz. aldine del 1503 >e 1516, perchè in quella del sec. XV (1469) il Bessarione è detto cardinalis sabini anziché ni-ceni. In luogo di calumniatores, si ha sempre calumniatorem. 10S - PROVINCIALE OMNIUM ECCLESIARUM CATEDRALIiUM. È il Prov. omn. eccl. cast, universi orbis, pubbl. a Parigi, per Giov. Petit, nel 1518. 109 - SOMMA ROSELLA. È la Summa casuum conscientiae dieta Rosella seu Bat ist lana, di cui esistono più stampe del eec. XV. L’autore è iBattista de Salis o Trovamala. 110 - JO: FRANCISOI PIGHI MIRANDULANI HYMNI CUM COMMENTO. Forse gVHyrnm heroici, editi più volte nel primo Cinquecento. Ma i repertori non recano cenno di commento. Ohe si tratti del Commentarius cantica canticorum, uscito a Ferrara nel 1492 (Hain) ? 111 . BLONDI FLAVIJ FOROLIVIENS1S HISTORIE. Due ediz. già nel sec. XV (Hain). 112 - DIVUS PLATO. 113 . PRIMA PARS SUMME ALBERTI MAGNI. Quale? Aliberto Magno scrisse la Su.mma de laudibus Yirgi.[ruis]. Mariae, la Summa philosophiae naturalis, la Summa (le officii missae et sacramento eucharistiae .... 114 _ CALCULATIONES SUI SET DOCTORIS ANNICI CUM METAFISICALI CUM ( ?) LIBERI ACHILINI L’indicazione è oscura e forse confusionaria. Qui si annovera {'Opus aureum calculationum di Riccardo Suiseth, doctore anglico; e può darsi si tratti dell’ediz. curata da Giov. Tollentino veronese; se pure non s’ha da credere che vi foese uìnita un’operetta di Alessandro Achillimi, bolognese, filosofo averroista, di cui non 276 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA trovo però inulla ic'he si riferisca alla metafìsica o recfii titolo consimile (veld. 'Fantuzzi, Scritt. bologn·.). Ilo . LIBER MANU SCRITUM ACTUM APOSTOLORUM. 116 - MARCI ANTONIJ SABELICI AB OR3E CONDITO AD DECLINATIONEM RO- MANI IMPERI J. È Γ Enneades db orbe condito ad inclinationem Romani Imperi]. Varie ediz. sulla fine del sec. XV e nel iprimo ventennio del seguente. 117 - BUDEI DE ASSE ET PARTIBUS EIUS. Del iBuideo 'furono tfat-te due ediz. dall'Ascensio a Parigi nel 1514 e 1516; poi una migliore dall’Aldo nel 1522. 118 - CAJjIPSIHIA FRATRIS THOME RODINI TODISCHI ORDINIS PREDICA TORUM DE OBSERVANTIA. Ediz. di Milano, del 1511 per Gottardo Pontico. 119 - GALEOTI MARCI DE HOMINE MARCI N ANIENSIS. Il De homine di Galeotto Marzio ida Narni usci nel 1517 a Basilea per il Froben e a Torino per il De Sylva. 120 - PANTHEOLOGIA DE TUTI DEI FRATRIS RAINERIJ DE PISIS ORDINIS PRE. DICATORUM. È -l'opera di iRainerio da Ribalto detto Pisano o da Pisa, edita a Lione nel 1519 e a Brescia nel 1519 (iPanzer). Queì-de tati dei par^ una glossa del trascrittore, salvo dhe tali parole non foissero manoscritte accanto al titodo Pantheologia, per dichiararne il significato. 121 - ENEAS SILIUS IN EUROPAM. Dovrebbe essere l’ediz. s. u. tip., ma uscita prima ded 1491 (Hain). 122 - DECLAMATIONES SENESE Ι-N PERGAMENO. Pare opera ms. 123 - SIDONIUS CUM COMMENTO PETRI BONONIENSIS. Non trovo nei bibliografi un -commento di Pietro, bolognese a Sidonio Apollinare. Al Poema aureum fece ατη commento G. B. Pio (Fantuzzi, Scritt. bologn.). 124 - LEONARDI ARETINI COMMENTARIJ RERUM GRECARUM MANU SCRIPTUM. 125 - PETRI ORINITI LIBRI DUO. Del Crinito si citano due opere : Co^mmentao'ii de honesta disciplina e De poetis latinis, c>he uscirono nel 1504 e nel 1505 a Firenze, per il Giunti; e più tardi, nel 1508, nel 1513 e ned 1525 si ristamparono unite a Parigi. Probabilmente con le parole «libri duo»· si allude a una di queste ultime ediz. 126 - DIVERSA OPERA FRANCISCI PETRARCIIE LATINO SERMONE. 127 - S.tus THOMAS SUPER LIBROS FIS1CORL/Î USQUE VIGESIMAM PAGINAM LECTIONIS OCTAVE. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 277 128 - (S) LIBER EGESIPI DE EXCIDIO JEROSOLIME IN BERGtAMENO MANUSCRIP TUS. 129 - LIBER DE. YENIS (sic) FERD1NANDI PONSETL È il De venen/bs, pubbl. a Venezia per Ottaviano Scoto nel 1492. 130 - XENOFONTIS GRECCA GESTA OMISSA CEORGIJ GIOMISTI ERODIANI ER- RANACIUN CULE ANTIQUE. E l’ediz. aldina, uscita nel 1503, del Xenophontis omissa con le altre operette di Gemisto Pletone, di Erodiano, e le Enarratiuncula e antiquae. 131 . AOTA LUTHERI APUD APOSTOL1CUM LEGATUM AUGUSTE. Ediz. del 1513 (Panzer). 132 - LIBER ARTIS MUSICE MANU SCRIPTUS CUM FIGURIS. 133 _ COSMOGRAPHIA SCOTI AD THEODOSIUM AUGUSTUM CUM PICTURIS. Non pare un ms. Ma ohe opera sarà mai ? Di Michele Scoto non trovo nulla che rechi quel titolo; bensì un 'Expositio super auctorem sphaerae... cum quaestionibus (Bologna, 1495) e un 'Expositio i brevis Sphaerae (Venezia, Giunta, 1531). 134 . HIERONIMI DONATI PATÜICI VENETI APOLOGETICUS LIBER DE PRIMATU ROMANE SEDIS. Apologeticiis ad Graecos de primcipatu Ecclesiae Romanae, Romae, ap. f. Minitium Calvum, 1525. 135 . PENITENTIA ET CONFESSIONE SECRETA CONTRA LUTERUM IOHANNIS ECHIJ. Di quest’opera, dovuta a Giov. Eckio, uscirono numerose ediz. nel primo Cinquecento. 136 - DE SATISFATENE ET ALIJS PENITENTIJS. De satisfactione et aliis poenitentiae annexis Johannis Ecidi Germani contra Ludderum hiber *unus. Romae, per Jac. Mazochium, 1523. 137 . REPLICA FRATRIS SILVESTRI PRIERIARUM AD MART1NUM LUCHERUM. Prieriarum sta per prìeratis e luclverum per Lutherum. Di questa Replica furono fatte un’ediz. nel 1520 e una nel 1522 (Panzer). 138 . JOANNIS CANONICI ORDINIS MINORUM IN LIBROS PHISICORUM. Sono le Quaestiones super octo libros phisicorum Aristotelis, pubib1. a Venezia, nel 1505. 139 . QUINDECIM ORATIONES DEVOTE MANU SCRIPTE. 140 - DE ESCOMUNICATIONIBI S S.ti ANTONINI EPISCOPI. Tractatus de excommunficaitionibus. 'Swspenswiiibus. Interdictis. Irregullaritatibus et Penis, Fratris Antonini Archiepiscopi Florentini de ordine praedicatorum Salubriter. Imipresso a Roma, nel 1476, insieme «con Bullae quaedam Pauli II Pont, Max., s. n. di st *278 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 141 . LIBER IN PERGAMENO DE LUNA ET SOLE MANU SORITUS. È Tapera di Marsilio Ficino. 142 - TRACTATUS DE EPISCOPO PER D. JO : BERTACHIUM DE FIRMO. È V IlhOsìtnssimi J. V. monarche, Joannis Bertachini de Fipno Tractatus de Epìscopo Ecclesiastice facultate cvdnvodwn conveniens,. Lugdumi, per Benedictum Bonnyn, 1533. Non trovo ediz. anteriore a questa. 143 . SINGULARIA NOTABILIA D. LUDOVICI PONTANI DE ROMA. Molte ediz. im Hain, senza ind. tiip., ma -certo della fine del sec. XV e del principio de'l XVI. 144 - SUMMA JO: DE TURJtE CREMADA. Ë la Summa de ecclesia contra impugnatores potestatis Summi Pontificis, edita più vodte dal 1484 in poi (Hain). 145 - INFORCIATUM. 146 - SINDACARUM OFFICIALIUM. 147 . SOSINI SCENENSIS. Due furono i Socini o iSozini da Siena, Bartolomeo e Mariano;, ma non si capisce quale opera sia qui indicata e a qual dei due appartenga. 148 - PAULI DE CASTRO SUPER INCllUCIATO (Sic). Si tratta della Lectura super prima et secunda parte Infortiate Venezia, per Giov. da Forlì (1480 e altre ediz. posteriori). 149 _ BARTOLUS SUPER DIGESTI VETERI. Lectura super digesto fodero. Non è detto ise fcul'la prima o Bulla •seconda parte dell’antico digesto. Ediz. idei sec. XV, in Hain. 150 - SUMMA GOFREDI SUPER DECRETALI. . , . È la Summa super titulos de ere tabium, compilata « a magistro Gau-fredo de Trano » (Fabricius, che riporta dal Tritemio). 151 . MARIANI DE URBE SUPER MATERIA REGULA TIARIUM. È la Famosa repetitio... Mariani de urbe SenarumJSocmio Sozimi) super materia irregularitatis ecc. Ediz. del isec. \\ m Hain. 152 - SPECULUM D. GULIELMI DURANTE CUM ADDITIONIBUS JO : ANDREE ET B Ali DT. Speculum judiciale ecc. Ediz. del isec. XV, in Hain. 153 . PAULUS DE CASTRO SUPER PRIMA ET SECUNDA DIGESTI VETERIS. Trovami separatami eut e. Footse qui si itratta de>lla ristampa fatta di entrambe le operette a Lione nel 1515 per Jac. iSachon. 154 . CONSILIA OLDRADI. Consilia sacrorum theologorum pro monte \pietatis, puibi)l. a Venezia (Fabricius, che riporta dal Tritemio). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 27 <> 155 . A VERRO] S SUPER L1BROS FILOSOFIE. È il Liber Subtilissimus qui dicitur Destructio Destructionum Philosophiae AlgazeUs, probabilmente nell’ediz. veneta, per Bernardino de Vitali, dei 1526. 156 - BALDUS (SUPER PRIMO DEORETI. Ediz in Panzer. 157 _ VINCENTIJ DE PERCULANIS LIBER. Non è indicato quale. L’autore è certamente Vincenzo Ercolano* che scrisse di giurisprudenza (ved. qui innanzi, al N. 218). 158 - TERCIA BRISIENSIS. (Il n. 159 manica). 160 - SECUNDA BRISIENSIS. 161 - APARATUS INSTITUTIONUM. 162 - VINCENTIUS DE PERCULANIS. (Ved. più sopra, al n. 157). 163 - SECUNDA PARS HENEADUM MARCI ANTONIJ SABELICI. Secunda pars Rapsodiae Enneadum, continens Enneades tres, in aed. Ascensionis, 1509. 164 - FELINI SANDEI DE CONSTITUTIONI BUS. È d’opera di Felino Sandeo, intit. Super proemio decretalium et tit. constitutionum. Più ediz. del sec. XV in Hain. 165 - ZMO (sic) SUPER DECRETO. Forse la Summa decretorum del vesc. Ivo, edita nel 1499 a Basilea. 166 - SECUNDA PARS PANTHEOLOGIE RAINERIJ. Ved. qui indietro al n. 120. 167 - PAULUS DE CASTRO SUPER PRIMO SECUNDO TERCIO CODICIS. Ê la Lectura aurea de casibws super primo secundo tercio Codicis, di cui is’-hanno già due ediz. nel sec. XV (hain). 108 - REPERTORIUM MILIS (sic). Qualcuna d'elle opere enciclopediche di Cristoforo Mdleo, sommariamente indicata ? 109 . FRANCISCI ZABARELIS SUPER CLEMENTINA. Ediz. del sec. XV in Hain. 170 . PAULO DE CASTRO SUPER SEXTO OODICIS. È proto abilmente una parte della lettura sopra i sette liibri de1 cod., putotol. a Venezia nel 1495. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 171 . PAULUS DE CASTRO SUPER PRIMA ET SECUNDA DIGESTI NOTI. Parecchie ediz. del sec. XV in Hain. 172 - LECTURA D. DOMINICI DE Sto GEMENIANO SUPER SEOUNDA PARTE Sti LIBRI DECRETALI. iDev’esser la 'lettura sulla seconda parte del Sesto dei Decretali (Hain Panzer). L’inventar latore lesse Sancii invece di S-exti, dopo da parola parte. 173 . PAULUS DE CASTRO SUPER PRIMO SECUNDO ET TERCIO C. Un altro e-semplare dell’opera già elencata al n. 167. 174 _ BALDUS SUPER TOTO CORPORE JURE CIVILIS. ,Forse tutt’uno con il Super 1-IX Codicis, pubbl. a Lione, per Nicolò de Benedictis, nel 1502. _ 175 - COMMENTARI A SUPER ALIQUIBUS TITULIS DEORETÀXjIUM FRANCISCI DE ACOLTIS DE ARECIO. Edito, con questo titolo, a Venezia, « per Raisnaldum de nomma-gio tentonicum », il 1495 (Hain). 176 . PAULUS DE CASTRO SUPER SECUNDO INFOR. Ed. veneta del 1497 (Panzer). 177 _ BALDI SUPER QUARTO ET QUINTO CO. ,Non trovo un’opera del Baldo così intitolata. Probabilmente, ί tratta d’una parte dell’opera citata al n. 174. 178 . LECTURA BALTOLI (sic) SUPER SEOUNDA PARTE CO. Ediz. Milanese, del 1483 (Hain). 180 (Il n. 179 manca). PRIMA PARS SUPER SEXTO DECRETALIUM. 181 - SUMMA AZONIS. Ediz. lionese del 1514 e 1523 (Panzer). 182 . TRACTATUS DE SERVITUTIBUS RUSTICORUM D. BARTHOLOMEI CEPOLE. Numerose ediz. nel sec. XV (Hain). 183 . TERCIA PARS SPECULI (JULIELMI DURANTI CUM ADDITIONIBUS JO : ANDREE ET BALDI. È la terza (parte dello Spéculum jvÆcmle di Guglielmo Durante, -edito sulla fine del sec. XV (Hain). 184 - D. DOMINICUS DE SANCTO GEMINIANO IN P. PARTE DECRETI. È la prima parte della lettura sopra il VI dei decretali... Ved. la iseconda più avanti, al n. 187. 185 _ TRACTATUS QUARTI VOLUMINIS DIVERSORUM DOCIORUM. 186 - PRIMA PARS BRISIENSIS. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 2«! 187 - PARS secunda d. gulielmi durantis. 188 - LOGICA ET F1LOSOPHIA MORALIS ET DIVINA CUM COMMENTO AVE ROIS. Sono opere di Aristotile col noto commento di Averrods (Hain). 189 - NOVELLA JO: ANDREE SUPER SEXTO. Novella super Sexto decretalium, più ediz. nel sec. XV (Hain). 190 - TRACTATUS DE DUOBUS FRATRIBUS ET QUIBUSCUMQUE SOCIJS PETRI DE EUBALDIS. Solewvms Tractatus de duobu.s Fratribus et aliis quibit sdami sociis. di Petrus (de Uibaldis: più ediz. già nel sec. XV (Hain). 191 . TRACTATUS GLOSE CLEMENTINE NICOLAI SICOLI. Commentaria, in epistolas clementinas et earum glosas di Nicolaus de Tudesco, /Sìculo, editi a 'Parigi dal 1516 in poi (Fabricius). 192 . MERCURIALES QUESTIONES REGULIS JURIS JO : ANDREE. Più ediz. già nel sec. XV (Hain). 193 . MARS ILIUS DE GENERATIONE. Quaestiones super libri# Aristotilis de generatione et corruptione, pubibl. nel 1500, a Venezia, per Oti-no de Luna da Pavia. 194 . FELINUS DE PROBATIONIBUS DE TESTIBUS COGENDIS. Aurea commenta/ria in ti. de Probationibus, de Testibus, de Testi-bus cogendis, et de Pre sumptionibus, di Felini Sandei; più ediz. nel sec. XV (Hain, s. Samdeo). 195 _ COMMENTARIA BALDI SUPER PRIMA ET SECUNDA INFOLCIATI (sic). Sarà la Lettura super I et U parte Infortiate. Ediz. del sec. XV, in Hain. 196 - JO: DE IMOLA SUPER PRIMA INFOLCIATI (sic). Lectura super prioria Infor ciati. Ediz. del eec. XV in Hain. 197 . JO: ANDREAS SUPER PRIMA PARTE INFOLCIATI (sic). Non trovo indicazione di quest’opera nei .cataloghi. 198 - BALDUS SUPER PRIMA DIGESTIS VETERI. Lectura super ecc. (Hain). 199 . BALDUS SUPER SECUNDA PARTE DIGESTI VETERI. Lectura super ecc. (Hain). 200 - ANGELUS SUPER PRIMA DIGESTIS VETERI. E opera di Angelo degli Ufoaldi da Perugia, edita nel 1490 (Hainì. 201 - ANGELUS DE PERUSIO SUPER CODICE. Lectura Super secundo usque ad novum librum Codicis, 1493 (Hain). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 202 r JO : DE IMOLA SUPER SECUNDA PARTE DIGESTIS NOVI. Lectura super, ecc. (Panzer); se non è sul'la prima parte (ved. al n. 204). 203 - RESPONSA NO (sic) DELFICA BARTHOLOMEI ET MARIANI DE SUCINIS. (Sono i libri Consiliorum repurgatorum, editi tra il 1525 e il 152ì> (Panzer, s. Socini). 204 - JO : DE IMOLA SUPER SECUNDA PARTE DIGESTIS NOVI. Ved. al n. 202, do-ve, fo.nse, fu iscritto secunda per prima. 205 - LECTURA SUPER TITULO DE APELATIONIBUS FILIPI DECIJ. Non trovo che alcuna opera di .Filippo Decio rec'hi questo titolo lp reciso. 20G - FILIPI DECIJ SUPER TITULO DE CONSTITUTIONIBUS. Neppure quest’opera del Decio figura nei catalogali da me consultati. 207 - IDEM DE PROBATIONIBUS. (Hain, Panzer). 208 - QUARTA PARS BARTHOLOMEI SOCINI. Non la trovo nei cataloghi. 209 - QUARTUM VOLUMEN EIUSDEM. Indile azione îndet erminata. 210 - JO : DE IMOLA SUPER PRIMA PARTE INFOLCIATI. Lectura super ecc., edita dal 1475 in poi (Hain). 211 - IDEM SUPER SECUNDA PARTE INFOLCIATI. Lectura super eoe.,: Le due parti erano forse unite e quindi edite nel 1502 (Panzer). 919 COMMENTARIA SUPER DECRETO CARDINALIS ALEXANDRINI. ' E l’opera di Alexander Cardinalis int. Super Decretum et Decretales e pubbl. a Lione, nel 1490 (Hain). 91S - JAC. GUTRIGARIJ (sic) SUPER CODICE. È opera di lac. de Butrigariis da Bologna (Fabricius). 214 . REPERTORIUM ALPHABETI IN LECTURA PANDETARUM D. BALDI. Forse lo stralcio di una delle tarate edizioni dell opera del Baldo. 915 _ COMMENTARIA BALDI SUPER DIGESTO NOVO. ^ Nei cataloghi trovo una Lettura sul digesto muovo, non già dei commentari. Ma ohi può fidarsi del traiscruttor-e . 916 . GUDO FREDUS SUPER CODICE. Sono i Notamente Cocücis lustmianieì di Pietro Godofredo o Go-tliofredi, (ved. Biblioteca, Rcaliis·. Jupidica di Martino Lippenio, Lipsia, 1836, I, p. 126-282. GIORNALE STORICO e LETTERARIO DELLA LIGURIA 283 217 - SECUMDUM VOLUMEN TRACTATUUM DIVERSORUM. C.te De S.to BLAXIO &eca X*VG (Ή a m )d * B' dÌ SaTlk> Blaisi0j P***1· due volte già nel 218 - VINCENTIUS DE ERCHOLANIS SUPER PRIMAM PARTEM DIGESTIS NOVf, L’autoire è Vincenzo Ercòlano («Lippenio, I, 161). 219 - PRIMUM VOLUMEN OMNIUM TRACTATUM. Ved. qui addietro al n. 217. 220 - ALEXANDER SUPER QUARTO. Una delle molte opere giuridiche di Alessandro Tartagno da Imola (Hain, Panzer). 221 - archidiaoonus super deceeto. 222 - JO : ANT.i DE S.to G.no COMMENTUM QUARTI LIBRI DECRETALIUM. Si tratta certo di Domenico, non di Giov. Antonio da San Gemi-mano (ved. anche qui addietro al n. 172). 223 - JO: FABER IN LIBRO INSTITUTIONUM JUSTINIANI COMMENTARLI. Ediz. del primo Cinquecento (Panzer). 224 - ANGELUS DE PERUSIA SUPER SECUNDA DIGESTIS VETERI. Questa lettura è sempre unita a .quella indicata nel n seguente (Hain). ° 225 - ANGELUS DE PERUSIA SUPER PRIMA DIGESTIS NOVI. Vedi al n.ro precedente. 226 - ANGELUS SUPER PRIMA ET SECUNDA INFOLCIATI. Trovo sodo la Lectura super foto Infardato (Hain). Probabilmente è uno stralcio. 227 - TABULA SUPER PRIMA ET SECUNDA LECTURA DO. VINCENTIJ DE ER OULANIS. È il repertorio dell’opera elencata al n. 218. 228 - filipi decij super titulis phi. decij. Lectura super titulis de regulis Juris (Panzer). 229 - DIVERSA FRAGMENTA LEGIS. 230 - QUESTIONES MATHEFISICALES MAGISTRI PAULI DE SONCINO. Acutissimae quaestiones ecc. Probabilmente 1’ediz. veneta dei 1505. 231 - QUESTIONES TOSCULANE M. TULIJ. 232 - ELEGANTIE LAURENTIJ VALE. Innumerevoli ediz. già nel sec. XV (Hain). 284 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 233 _ POLITICA ARISTOTELIS CUM COMMENTO DIVI THOME. Politicorum libri Vili ex versione Leonardi Aretini cum com-ììienitariis D. Thomae Aquinatis. Ve n’è già 73 . UBER GRECUS 27-i - LIBER ARCOLANI (sic) TN ARABICO IN PERGAMENO. 275 - DICIONARIUM ARABICUM. 276 - ALIUD LIBER ARABICUS IN PERGAMENO MANU SCRIPTUS. 277 - LIBER EBREUS IN PERGAMENO PARVUS. 278 - ITEM ALIUS UTSUPRA. 279 - ITEM ALIUS EIUSDEM FORME. 280 - ITEM ALIUS ARABICUS IN PERGAMENO MAGNUS. 281 LIBER EBREUS MEDIOCRIS MANU SCRIPTUS. 282·- BUDEI ANOTATIONES IN PANDETAS. (Panzer). 283 - LATANTIJ FIRMIANI OPERA. (Hain). 284 - EUCLIDES DE GEOMETRIA. (Hain). 285 - FRANC1SCI PETRARCHE DE REMEDIJS UTRIUSQUE FORTUNE. (Hain). 2&6 - ENARRATIONES ALEGOR1CE FABULARI FULGENCIJ. Fabulari per fabularujn. L’opera è di Falbio Fulgenzio Planciade (Hain). 287 - MARS ILI FICINI DE VITA STUDIOSORUM. E la prima parte del De triplici vita (Hain). 288 - DICIONARIUM GRECUM MANU SCRIPTUM. 289 - ZA ELIS FILOSOPH1 INTELLOGIA MANU SCRIPTUM. 290 - EPISTOLE CLEMENTIS PAPE. Noti figurano nei cataloghi. 291 - SCARTA FACIUM SEU MANU SCRIPTUM D. AUGUSTINI. Certo di Agostino Giustiniani. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 287 292 - EOZA NO-VELA MAGISTRI ARNOLDI. E il sottotitolo di un’opera legale o grammaticale ? 293 - LIBER DE GRAMATICA IN PERGAMENO. 294 - ANGELI POLICIANI MISILANEE (eie). E la Mis celiane oi'um Centuria uva (Hain). 295 - liber GRECUS CUM miniatl’ris CIRCA PRINCIPIUM MANU SCRIPTUM. 296 - QUESTIONNES MATEFICALES (sic) ANTONIJ ANDREE. Sono Je Quaestiones super XIf libri Metaphisicae Aristotelis, di Ant. Andrea deU’Ondine dei Minori: due ediz. nel sec. XV (Hain). 297 - DITIONARIUM ARABICUM SCRIPTUM MANU EPISCOPI. 298 - libelus ARABICUS. 299 - principia lingua arabice. 299 bis . RETORICORUM MARCI TÜLIJ IN PERGAMENO MANU SCRIPTUS. 300 - LIBER SINE TITULO IN PERGAMENO MANU SORIPTUS. 301 - SALMISTA IN EBREO. 302 - LIBER ARABICUS MEDIOCRIS. 303 - LIBELOS GRECUS ARMANIUS. 304 -, PRUDENTIUS DE PUGNA VIRTUTUM IN PERGAMENO IN FÓRMA MAGN \. 305 - ITINERARIUM PORTUGALENSIUM E LUSITANIA IN JNDIAM. Traduzione in latino, dovuta ad Arcangelo Madrignano di Milano e pub-bl. nel 1508 (Panzer). 306 - LIBER GRECUS IN PERGAMENO MANU SCRIPTUS MEDIOCRE IN LVTI TUDINE. 307 - LIBER ARABICUS. 308 - TRACTATUS DE DOCTRINIS MACOMETI IN ARABICO. 309 - JACOBUS DE BRACELIS DE BELO ISPANO MANU SCRIPTUM. Il noto De bello hiispanensi di Ja-copo iBracelli. 310 - LIBRO SUB TITULO ANGELICE..... ALIQUA DE DIVINATIONE. Titolo guasto. Forse qualche opera di S. Tomaso, il doctor angelicus. 311 . STACIJ AQUILEIDOS. Due ediz. del 1515 e una del 1517 (Panzer). Ma qui forile ms. 288 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 312 . PLURES A N OTA TIONES THEOLOGICE MANU SCRIPTE IN PERGAMENO. 313 . PERSII PHOEMA IN PERGAMENO. Pìioema; così, all’ingrosso. Ma, certo, le Satire. 314 . LIBER IN PERGAMENO LASERATUS SINE TITULO. 315 . LIBER ANTIDOTARIJ. Forse, ΓAnHdotaHus aiwnae di Nicolò Saliceti; più ediz. nel sec. XV (Hain). 316 - LIBER EBREUS IN SCARTAFACIO. 317 . LIBER ELES1R (sic) AD ALBUM. 318 . BOECIUS DE CONSOLATIONE IN PERGAMENO. 319 . LIBER ARABICUS IN PERGAMENO. 320 - ITEM ALIUS LIBER DES LIGATUS IN SCARTAFACIO MAGNUS. 321 - LIBELUS IN PERGAMENO CARMINUM. 322 - MARCI TULI J CICERONIS DE SERVITUTE Leggi : de senectute. 323 - LIBER EBREUS PTJLCER Me). Pulcer per pulcher. 32 i - DE ARTE MAGICA MAGISTRI RA FA ELIS DE PORNASIO. Ved. «per quest’opera del ligure Raffaele da Pornasio, maestro di Teologia, Spotorno, li, p. 103. L’elencatore si dimentica qui di dirla manoscritta. 325 - LIBER AD REFRENANDAM LINGUAM SERMONUM PREDICA BILIUM. Quasi certamente, si tratta di un ms. 326 - MAIOR RETORICA ARISTOTELIS IN PERGAMENO. 327 - F· FRANCI SOI ROSEIJ DE VITA ET MORIBUS HOMEI (sic). Forse è ms. anche questa opera, dovuta a un frate di cui no a trovo notizia. QueìYhcrmei sta per hovieri ? 328 - SCARTAFACIA GRECA ET EBREA. 329 - LIBELUS ARABICUS IN PEROAMENO. 330 - EVANGELI CM GRECUM LATLNUM EBRAEUM ET CALDEUM. E la seconda parte della Bibbia jx>liglotta del Giustiniani stesso. 331 . LIBER EBREUS IN PERGAMENO MAGNUS. 332 - PAULI VERGERIJ DE MORIBUS INGENUIS. (PAnzer). GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 289· 333 . LIBER ERCHIM1A ROZARIUS AC JO : DE 8TURIS. Forse tre opere; ima tutte anale o insufficientemente indicate. 334 . LIBER ASTROLOGIE. 335 _ LIBELLUS IN PERGAMENO DE STELLIS. iDi chi? Moltissimi -hanno scritto sul l'argomento. 33G - C0L1BETA HOOAM (sic). È l’opera di Tommaso d’Aquino, intitolata Quolibeta duodecim, e (Stampata la prima volta nel 1471 (Hain). 337 . LEONI BAPTISTA OBERTI (sic) OPERA. E V Opera di misere B. Alberti de repubblica, de vita civile e rusticana el de fortuna in volgare, pubbl. a Firenze nel 1490 (Brunet). 338 - LIBER ARABICUS MAGNUS IN PERGAMENO. 339 . MACROBIUS DE AN/NALIBUS IN PERGAMENO. Forse i Saturnalia. 340 . LIBER GRECUS MAGNUS. 341 . LIBER GRECUS MAGNUS. 342 - DOCTRINA NEOPHIDA VITE MORALIS GALVANI JANNUENSIS. R forse opera del domenicano Francesco Gravano da Genova (v_ Spotorno, op. cit., II, p. 84). 343 . STACI US DE BELLO THEBANO IN PERGAMENO. 344 . LEONARDI ARETINI DE PRIMO BELLO PUNICO MANU SCRIPTUS 345 . VICENTINI POPULI APOLOGIE. 346 - VIRGILIUS IN PERGAMENO MANU SCRIPTUS. 347 - PLAUTI COMEDIE. Ms? Per le ediz. del sec. XV e XVI (Hain, Panzer). 348 . LIBER ARABICUS MANU SCRIPTUS. 349 . BULLA QUEDAM CLEMENTIS. Ê la Bulla di Clemente VI, pubi)!, a Roma ney 1454 o poco prima (Hain). 350 - ALBERTUS DE ALFERIJS IN PERGAMENO. 351 . LI BELUS UBI IN PRINCIPIO AN CARDINALI VEL CAPITIS CARDINALI* POSSiT CREARE CARDINALES. 352 - LIBER MAGNUS SINE TITULO IN PERGAMENO. # GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 353 - QUEDAM REGULE GRA M A TICALES IN PERGAMENO. Sono le Regulae grammatica les del Guarino nominato al n.ro seguente ? 354 . GUERRINI (sic) DE EDUCANDIS LIBERIS. Sarà il De modo et ordine docendi et discendi, edito più volte nel sec. XV e nel XVI (Panzer). 355 - SIBILLA ERITREA IN PERGAMENO. Sibylla er y trae a carmina (Panzer). 356 - INNI GRECI. Ms ? 357 - LIBER MANU SCRIPTUS MINUTISSIMIS CA R AT ER I BUS IN PEEGAMENO. 358 - LIBELUS EBREUS. 35Ù - SC A R TA FACI UM SIVE LIBER DESLIGATUS IN HEBREO. 360 - LIBER IN PERGAMENO DE NUMERIS. 361 - LIBER DEPONTIS CT)M FIGURIS IN MARGINE SIVE ART1S ARCHIMI E SIVE GEOMANT1E. L’inventariatore cercò dare qualche indicazione sul contenuto del 1 iibro privo di titolo o con titolo illeggibile. Qui s’ha, (forse, il De arte divinatrice antiquorum del De Pooite (Ved. Fabricius, S. Ponticus). 362 - LIBELUS DE MEMORIA ARTIFICIALI DE ARCHIMI A ET DIVERSARUM SENTENTIARUM. 363 - LIBER EBREUS MANU SCRIPTUS. 364 - CICERONIS DE FACTO (eie). Forse il De fato conimi, dal Valla e pubbl. a Parigi nel 1509 dal- Γ Ascensio. 365 - PERSIO CUM DUOBUS COMMENTIS. Sono le Satyrae conimi, da Giovanni Britannico e dall’Ascenzio. 366 - LIBELUS EBREUS. 367 - LIBELUS LEONARDI ARETINI AD COSMUM DE MEDICIS CENIOREM. Me ? 368 - LIBELUS GRECUS IN PERGAMENO MEDIE FORME. 369 - LIBELUS EBREUS IN PERGAMENO. 370 - SALTER IUM IN PERGAMENO INTEGRUM. 371 . LIBELUS SUB TITULO, NON ACCEDAR NISI DOCTISSIMUS ETC J.ig. Pare una cabala. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 291 372 - REPROBATIO ALCORANI IN LINGUA OASTELANA. Una traduzione della Confutano A leovaivi seti legis Saracenorum (Panzer). 373 . SCARTAFACIA IN HEBREO. 374 - itinerarium provinciarum Antoninij augusti. (Panzer). .375 . portolano desligatus. 376 . ars memorie localis. ProbaJbilmente VArs memorativa (Hain, Panzer, Brunet). 377 . vocabolarium magnum in pergameno. Latino ? 378 - BEDA DE ÌÌATURIS RERUM. De natura rerum et temporis ratione (Panzer). 379 . LI BELUS IN CARMINE IN PERGAMENO TALIS. 380 - diversa fragamenta. Francesco Luigi Mannucci RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Paolo Revelli, Terre d'America e archivi d'Italia, Milano, Fratelli Treve·?,. 1926, pp. 200 in 8° grande, «con 80 illustrazioni e 3 tavole fuori testo. In quest’opera, molto ammirala nel recente Comgreisiso degli Anneri-nisti, il R. «si è proposto di rappresentare 'le tfasi salienti della conoscenza delle terre americane attraverso i 'secoli, lumeggiando -le più importanti questioni isulla priorità delle scoperte e (inquadrando l’opera degli Italiani nel lavoro molteplice delle varie nazioni; e ha raggiunto l’intento da quel grande maestro ch’egli è in fatto di geografia storiica, ossia con una (singolare e, vorremmo dire, compiuta mèsse di dati rigorosamente scientifici. Il volume è diviso in Idue {parti; runa delle quali espositiva e argomentativa : La conoscenza delle terre americane e l'opera degli Italiani; l’altra di 'carattere (bibliografico: Manoscritti velativi culle terre d. America conservati in Italia. Le ricerche sulla /vita primitiva degl’indi, osserva l’insigne geografo,, sono state preferite, per qualche tempo, a quelle sui singoli viaggi d’esplorazione. Un nuovo orizzonte parve idilstìhiudersi solo dopo la metà del secolo trascorso, quando si guardò alle più antidhe carte portolaniche· e soprattutto ai più antichi planisferi. Ma ■— «come si è presto notato — le basi di una storia, sia pure (sommaria, delle rappresentazioni cartografiche dell’America attraverso i secoli non potevano trovarsi negli atlanti più famosi, bensì in relazioni trascurate per la loro rarità o esigua mole;: ad esempio, nel Libretto di tutta la navi g azione del Re di Spagna, pubblicato a Venezia prima della morte di Cristoforo Colombo. Numerosi documenti e notizie apparvero, ricorrendo il quarto Centenario della scoperta del grande Genovese, nell’opera monumentale della Raccolta Colombiana, ove, oltre tutto, si smentiscon le vane obbiezioni all’italianità dello .scopritore. Poi, per un trentennio la critica ammutolì o s’affiochì,: ma, recentemente, ripresero a trattar dell’America molti giornali, riviste e libri importanti, ifinchè un primo Congresso Internazionale d1 storia e-geografia americana, -adunato il 12 ottobre 1924 a iBuenos-Ayres, fé’ sentire il bisogno di rilevare la parte che ciascuna nazione ha avuto nella storia dell’incivilimento americano. L’attività cartografica degli Spagnoli fu limitata; quella degli Italiani larghissima. Il merito d’aver delineato le prime vere e proprie· carte moderne a stampa d’America spetta al piemontese Giacomo Gastaldi e al veronese Fu riani. Poco dopo, Giovan Matteo Contarmi co- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA struì e Francesco Roselli stampò la prima carta d'America a Genova. Seguirono infine, per tutto il sec. XVIII, nnmerosiissimi tentativi di stranieri; e, più tardi, gli studj letterari, che son tuttora in corso, grazie alle cure, sempre più amorose, di scienziati americani. Italiana è la migliore, se non la maggior parte, degli esploratori, fra i quali, dopo C. /Colombo, i due Caboto e Amerigo Vespucci, figurano, per restringerci a quelli d’origine ligure e lunigianese, G. B. Pà-stene di Genova, Alessandro Malaspina di Pontremoli, Nicola De Scalzi di Cihiavari e Bartolomeo Roissi di Portomaurizio. Quanto a C. Colomlbo, è ormai inutile, dinnanzi ai documenti, discutere del luogo di nascita; giova piuttosto ricordare che appartiene alla scuola cartografica genovese la carta che il De La Roncière credè di poter attribuire a lui, e che genovesi furono i più insigni cartografi, come Canerio, Visconte Maggiolo e Battista Agnese. Scarse sono, senza dublbio, le prove della conoscenza del continente americano nella patria stessa del grande scopritore; più scarse che a Venezia e a Firenze,'dalle quali città provengono e si diffondono le prime relazioni di viaggi e i primi planisferi a stampa, talvolta anche di Liguri. E il R. spiega il fatto a questo modo : « Quando giungono, verso l’inizio della primavera del 1493, alle principali città italiane le notizia del prodigioso viaggio di Colomlbo, esse sono accolte dovunque con Tinteresse più vivo, con ansia e con meraviglia tanto maggiori quanto è più diffìcile precisarne l’importanza, collegandole alle generali cono-■scenze geografiche del tempo sull’Asia orientale e meridionale.... Poi sembra venir meno persino l’eco della prima traversata dell’Atlantico, affievolirsi l’interesse per i viaggi alle latitudini estreme o nelle regioni impervie deH’interno, anche perchè pochi Stati possono vagheggiare relazioni economiche con le terre nuovamente scoperte; e soltanto qualche Corte, o più cólta, o ipiù pronta a capire l’enorme portata del grande avvenimento, iha i suoi informatori, i suoi corrispondenti, Bpecial-mente dalla Spagna e dal Portogallo ». Chiusa così la prima parte del libro, l’A. imprende a elencare e descrivere i documenti cartografici e le relazioni di viaggio, ch’esistono in Italia circa le terre americane, insieme con i documenti storici diesi riferiscono all'argomento, come, per es., quelli sulla nascita e la famiglia di C. Colombo, già comparsi altrove, ma utilmente qui riprodotti. Tali documenti sono ordinati secondo la posizione geografica delle sedi in cui sorgono i vari istituti di conservazione (Bibliotedhe, Archivi, Enti diversi, Privati); e descritti, fin dove è possibile, secondo l’ordine cronologico. Si tratta, in .sostanza, di nn magnifico Inventario, con tutti i dati ohe esteriormente caratterizzano i codici e i manoscritti, e talvolta GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA con Γindicazione parziale o totale del loro contenuto. Al Catalogo è poi aggiunta una Nota iUustratina. E l’intero volume si chiude con una serie di nitidissime zincotlpie, riproducenti 27 stampe e 52 manoscritti fra i più preziosi e significativi. Francesco Luigi Mannucci. Francesco Luigi, Mannucci, LA lirica (li Gabriello Chiabrera - Storia caratteri. Vol. IX della Biblioteca della « Rassegna », Soc. Edili*. Fr. Perrella, 1926; ipp. 298, in 8°. Garriello Chiabrera, Liriche. Introduzione e note di Fr. L. Mannucci Collezione di clssici italiani con note, seconda serie, vol. XXVI, Torino, L'nione Ti-p. Editr. Torinese, 1926, pp. XLIV, 256, in 16°. Doipo gli esempi e i precedenti non solo del Barrili ma del Carducci e di Severino Ferrari, dopo tanti giudizi e studj Olitici dal Foscolo dal Leopardi dal Giordani dal De Sanctis, per non dir dhe dei maggiori, ai più valorosi chiabreristi recenti, il Varal/do e Ferdinando Neri, nor. era davvero impresa facile studiare ancora, recando elementi nuovi e personali vedute, il poeta savonese. Ha saputo farlo con acuirne e misura i*l Mannucci in questi due volumi: l’uno, studio critico del Chiabrera poeta lirico, della i>ua importanza, della parte che gli spetta nella storia letteraria del suo tempo, della funzione esercitata specialmente negli atteggiamenti formali posteriori; l’altro, con succosa e organica introduzione riassuntiva, saggio di liriche, corredate di sobrio e persicuo commento, quasi a corredo e riprova di ciò che nello studio maggiore è asserito e dimostrato. Tuttavia, e s’intende, i due lavori sono pienamente indipendenti; s’integrano senza ripetersi o confondersi e sono conferma di un’assai semplice, anche se non sempre seguita, verità, che cioè le edizioni annotate dei classici dovrebbero in ogni caso essere opera di chi a innato buon gusto e a senso di misura unisca, come in questo caso, lunga consuetudine e vasta e cojnpita conoscenza delTautore. Soltanto così, e tanto più qnando si tratta di dare saggi di un’assai abbondante produzione, la scelta è sicura e tale da rendere veramente l'immagine dello scrittore e il significato dell’opera sua, e il commento storico e filologico appropriato e misurato. Riprende il Mannucci la domanda che altri si è fatta, il quesito chesi pone naturalmente per ogni scrittore: qual posto spetti al Chiabrera nella storia della nostra letteratura; e, vagliate le risposte che nei vari tempi e dalle diverse correnti di pensiero storico e letterario sono state date, conchiude, come punto di partenza dell’indagine, dhe tanto il poeta GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 295 quanto rinnovatore formale, che di solito sono stati vieti e studiati nel Chiaibrera, vanno giudicati indipendentemente dal suo malaugurato grecismo: l’uno in sè e nel suo tempo e nelle sue origini; l’altro in raiù lontane alle quali vuol attingere e che vuol dividere; imitazione la sua che non è semplice riproduzione, ma continuo adattamento e contemperamento di materie di maniere e di toni in una personalità sua non certo profonda ma musicale, canora, pittorica e mirabilmente intonata al genio della lingua italiana e all'esemipio delle più felici manifestazioni della anteriore poesia nostra. L'aver dato un’impronta nazionale a una riforma poetica e metrica praticata su norme ed esempi francesi è il maggior titolo di vanto di un uomo die, se non trovò un nuovo mondo perchè non ne aveva l’animo — •egli enfativamente diceva di voler fare come il suo concittadino Colombo, o scoprire un nuovo mondo o affogare —, neppure affogò, salvato •dall’innato buon gusto e dalla fertile fantasia; e diede all'opera sua di grande poeta mancato un’impronta formale così viva, così fresca, così nazionale da essere e anche dai maggiori di poi imitata e pregiata. Egli è stato, conchiude con arguta efficacia il Mannucci, il rabdomante die ha fatto zampillare dal suolo ormai arido della sua terra una polla viva e copiosa di maniere inusitate la quale corse a fecondate i clivi del nostro Parnaso. Da questo studio esauriente e dal volume di saggi della lirica chia-bresca, con attenta cura e piena cognizione illustrati, viene al lettore il rimpianto, impressione conclusiva dell· opera del critico, -che tante doti di gusto, di fantasia, di forma, di prodigiosa fecondità versatile fossero a servizio di un animo fiacco e opportunista, scarso di sincerità e di fede; onde la letteratura nostra ha avuto un fervido immaginoso espertissimo verseggiatore di ipiù, ma un gran poeta di meno Vito Vitale GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Antonio Canepa, Note storiche sanremesi — Ubicazione e successive denominazioni dell'antica « Villa Matutiana »; estratto dal vol. LÏI degli Atti della Società Ligure di Stoi-ia patria, Pontremoìi, Cavagna, 1925, pp. 24. --Fra tradizioni e leggende — Dalla Villa Matutiana al C'astrum S. Romuli; estratto dall Annuario del R. Liceo Ginnasio G. D. Cassini dell’anno 1925-26, Sanremo, Bianoheri, 1925, (pp. 18. --Notizie su alcuni luoghi del « Castrum Sancti Romuli » e sua ubicazione; estratto dal II voi. degli Atti del IX Congresso geografico italiano, Genova, .Sestri, S. I. A. G., 1925, pp. 8. --Vicende del Castello di San Romolo, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, voi. LUI, 1926, pag. 93-146. Sono quattro studi nei quali con sentimento. di cittadino e profondità •di erudito il prof. Canepa esamina questioni inerenti alla più antica storia di San Remo; quattro studi strettamente collegati insieme, nei quali anzi, e specialmente nei primi due, piuttosto che diverse questioni si •trattano diversi punti di vista della questione medesima; tanto che sarebbe bone l’autore li rifondesse in un unico comprensivo lavoro che riuscirebbe ad un tempo più compiuto e più snello con l’eliminazione delle notizie e delle discussioni per necessità -ripetute nelle memorie staccate. Quale è stato il nonne di quel centro abitato, attestarto da avanzi ancora rilevanti nel secolo XVII e neppur oggi interamente scomparsi, sul quale sorse poi, probabilmente nel secolo IX, il « Castrum Sancti Romuli »? Esaminate c scartate le diverse opinioni e tradizioni, rimangono attendibili e accettabili soltanto i nomi di Villa Matutiana e di Oppidum Matulianum che si confondono o meglio si susseguono, perchè il secondo si sovrappose quando la città fu fortificata. Questo nomi riconducono ad una evidente origine romana; e nella questione etimologica s’innesta la questione storico-aroheologica delle origini. Come altri luoghi dell'estrema Liguria occidentale, che conservano nel nome evidente il ricordo di famiglie romane là trapiantate come colonie, la Villa indica appunto nella stessa forma e nella desinenza de1 nome gentilizio la sua origine confermata dai risultati di scavi eseguiti in varie epoche e comprovanti l’esistenza di coloni che vi si dedicavano alle coltivazioni delle terre e anche alla fabbrica di laterizi. E appunto da una gens Matuzia della quale è traccia nelle iscrizioni, dovè trarre il nome la Villa, entità demografica ed economica, sede del centro di una ricca e cospicua colonia di agricoltori. Più tardi, staccatasi dalla circoscrizione municipale in momenti di pericolo per le irruzioni dei barbari, quando le 298 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA altre ville intornio, delle quali è meno certa ma non imiproibabile resistenza, furono abbandoniate, la Villa d'eve -aver cominciato ad accogliere le .popolazioni rurali circon vicine tanto da diventare una città, trasformai! a ipoi in oppidnm con la fortifie azione. Questa parte della discussione, nella quale ΓΑ. esamina e vaglia con grande dottrina i pareri idegfli 'studiosi ohe rihanno preceduto e con copia di argomentazione e di erudizione giunge alle conclusioni mettendo a profitto con cautela e sicurezza i dati della linguistica e dell’ archeologia,, mi pare la più convincente. Acuto e geniale, aniche se lascia qualche dubbio, il /tentativo di contaminazione tra le due tradizioni, quella dell’origine gentilizia del nome e· quella dell’origine religiosa. Secondo altri, infatti, il nome deriverebbe dalla dea Matuta, divinità paleoitalica. Ora, per il C., questa etimoUogia non esclude l’altra, ma le si concilia e -con-fonde. .Biaista pensare che molte famiglie romane cercarono di nobilitare la propria origine con raccostarla a qualche divinità: può ben essere dhe da gens Matatia abbia fatto risalire la proipria origine alla Mater Matuta e ne aJbibia initrodotto il culto nel luogo della sua dimora, cuilto tanto più facilmente accolto e profondamente sentito in quanto questa dea dell1 Aurora era anche protettrice dei na\i,ganti. Tradizioni e leggende locali attesterebbero questo antichissimo culto· della dea trasformatasi più tardi -in una 'vecchia strega lercia e sdentata,, che, inseguita dal popolo indignato per i euoi malefìzi, si sarebbe gettata nel torrente San Romolo. Questa tradizione poipolare conserverebbe, allte-rato come sogliono le leggende, il ricordo di un duplice fatto : la scomparsa del vecchio culto, mantenendone la traccia soltanto nel nome popolare e locale dedla strega, Maire Maciucia, e la sostituzione d-el nome d-i San Ramalo a quello di Matutiana. Geniale è la spiegazione -senza dubbio e calorosamente 'sostenuta e difesa, ma in materia così difficile per mancanza di dati positivi e per necessità di procedere per induzioni ed ipotesi, i dubbi sopra questa specie di sincretismo sono ancora possibili. Sopra un terreno più -solido si torna con la ricerca delde successive vicende delda Villa Matuziana divenuta Op'pido Matuziano : la sua popolazione dovè a un certo momento, per necessità dii difesa e di salvezza, riparare siile alture circostanti concentrandosi nedila località detta Bordilo, che divenne un po’ odila volta un grosso borgo, accosto all luogo chiamato Baruma che le fonti indicano conile luogo di dimora del vescovo San Romodo. La 'dimora e la morte di lui nella Baiuma spiegano la grande venerazione nella quale fu tenuto il santo vescovo ed aiudhe il fatto che da lui abbia preso il nome il Casteïlo ohe da popolazione ha costruito in seguito scendendo da Borello a fondare la nuova città fortificata sulla costa e re- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA cando seoo il corpo del Santo venerato come protettore e patrono e trasportato (più tardi a Genova in San Lorenzo. Le notizie degli scrittori ecclesiastici e di studiosi moderni intorno ai vescovadi di S. Felice, S. Siro e S. Romolo permettono al 'Canepa, ohe gii aggira con grande e sicura maestria tra le contrastanti versioni e sa adoperarle, e vagliarle con: acuto senso critico, di ricostruire le prime vicende del Castello e di passare così dalla Villa Matutiana alla città di Sanremo. Nel terzo breve studio — ove, -sulla base di documenti compresi nei Libri Jurirnm si -determina il posto 'di due luoghi detti isole, spazi di terra cioè lambiti da acque sui quali doveva sorgere o già sorgeva un mulino — egli può pertanto e giustamente rallegrarsi non solo di avere determinato i luoghi oggi corrispondenti ai nomi conservati da quegli antichi documenti, ma d’aver con esattezza scientifica potuto stabilire,, secondo il desiderio espresso più volte da studiosi del passato, Γubicazione dell’antico Castrum Sancii Romuli. Di questo, nel quarto e più recente studio, ritesse le vicende daH’ori-gine al secolo XIV con molta sicurezza aggirandosi nelle difficili questioni dei rapporti tra i conti di Ventimiglia e i Vescovi genovesi cher ottenuto da prima, e speci aliment e da parte del conte Corrado, soltanto il possesso di terre incolte, finirono un po’ alla volta a trasformarlo in vero dominio feudale, come attesta il progressivo sostituirsi loro e dei loro giudici al Conte anche nelle funzioni giuridiche. I complessi rapporti tra i conti di Ventimiglia, d Vescovi e il Comune genovese sono minutamente seguiti con larga discussione storico-giuridica fondata sui documenti dei Libii Juvmrn e del Registro della Curia studiato già e illustrato dal Beigramo. Le aspirazioni dei Vescovi al possesiso del Castello sono favorite dal Comune genovese che considera come proprio possesso quanto è acquistato dalla sua chiesa vescovile; ma, quando l’autorità politica del Vieisicovo in Genova viiene scemando, i rapporti tra la Curia e il. Castello si complicano con quelli tra il Castello e il Comune genovese, dando luogo a una serie di dissidi e di alternative di predominio vescovile e dii indipendenza autonoma dei rettori del comune sanromolese, già organizzate coi suoi rettori e i suoi statuiti, Ohe il Canepa minutamente segue e illustra e che offrono un tipico esempio del sopravvivere dlelle aspirazioni vescovili sopra un piccolo comune, quando già 1 autorità e la funzione politica del Vescovo era nel Comune maggiore e potente, ove aveva la isede consueta, pienamente scomparsa. Ma la stessa vicenda si riproduce amche nel Comune minore : tanto che, logorarti e rosi un po’ alla volta i diritti della Curia, ribelli e insofferenti del vecchio dominio le popolazioni, l’arcivescovo Iacopo da Varagine credette opportuno alienare i podhi diritit ancora esistenti per ricavarne un urtile pratico e immediato. Così avvenne !T8 gennaio 1297 l’acquisto da parte di Oberto GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Dori a e Giorgio De Mari dei CaisteMi di iSan Rotmalo e Geriana con tutto il territorio la giumiisdizione comi itale e di mero e miisto imp ro, onde, com-•centraito ben presto nei Doria, tutto il dominio, sorse, per opera del famoso Capitano dfeil popolo e tfiarca genovese, questa signo'iiia ghibellina •come baluardo contro i doni inj guelfi dei Grimaldi a Monaco e dei Vento a Menton e. Queste lott e violente tra guelfi e ghibellini a proposito del castello Sanromolese, ohe si intrecciano a quelle ohe agitano Genova nei pnimii del secolo XIV, il Canepa riaiS9umie fino alila occupazione ohe il 29 ottobre 1319 Giovanni Mantella ne fece in nome del re Roberto dii Napoli, promettendo di rispettare i diritti e gli statuti dei Comune. A questo momento della vita del Castello di San Romolo si riferisce un’iseritfiome che, insieme a tre altre alttestanti costruzioni di importanti edifìci, è dottamente illustrata dal Canepa il quale ne riproduce il fac-simile e dimostra, mi pare persuasivajmemte, come essa ts'fcia ad attestare l'a costruzione compiuta nel 1321 della Porta Santo Stefano e della cimta inferiore delle mura e ne spieghi esaurientemente i simboli e il significato. Vito Vitale AnÉaU genovesi di Caffaro e dei suoi Contimi (itovi dal MlCCLI al MCCLXXIX, a cura di Cesare Imperiale di Sant’Angelo, Vol. IV, ■Roma, Istituto Storico Italiano, Fonti per la storia d Italia, 1926, pp. CXII-187, in 8.o gr. La pubblicazione degli Annali genovesi assume un i iftmo accelerato che è ottima promessa per quanti desiderano di vederne finalmente la prima intera edizione italiana. L’intervallo di ventanni fi a il secondo e il terzo volume si è ridotto a tre anni fra il terzo, e il quarto che ora esce, comprendente il periodo dal 1251 al 1279; e già sa annuncia in corso di stampa il quinto, che sarà anche l’ultimo, a concludere l’opera comin-ciaita da Caffaro e proseguita per due secoli a narrare l’età veramente eroica del Comune genovese. E non sarà lieve soddisfazione il non dover ricorrere all’edizione del Pertz nei Monumenta Germaniae Historica, ma avere un’edizione critica nostra, per ogni rispetto non inferiore a quella, per molti lati anzi notevolmente superiore, così nel testo come nell’apparato critico e nell’introduzione. Infatti il Pertz non conobbe il Codice del Ministero degli Esteri a Parigi, dhe è l’originale, e si valse del Codice Britannico; ma ohi gli fece la copia, per imperizia o sbadataggine, vi inserì molti errori che la nuova edizione corregge e più correggerà nell'ultima parte, facendo ritornare Alberto Fiesohi uno che era diventato abate, restituendo in punta quel che era diventato ponte, correggendo anche errori d’interpretazione, facili del resto e scusabili in chi mandili GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 301 del sussidio d'eli a conoscenza locaile e del dialetto, specialmente in termini tecnici e di luogo. Continuando nella solita scrupolosa restituzione del testo mediante la collazione dei varii codici, la parte esteriore e paleografica non ha nean-che in questo quarto volume novità di mietodo e di tecnica. La via era stata segnata in man/iera definitiva dal Belgrano nel primo volume, la introdiuzione dell quale, dottissima e compiuta, com’era nelle abitudini di quell’insigne studioso, ha esaurito interamente l’argomento. Il Bei-grano aveva fatto la magnifica presentazione generale dell’opera, e l’Imperiale, ohe gli è succeduto, mantenendosi nelle linee generali e nei criteri metodici indicati dal predecessore e conservando la piena continuità, dell’opera nella riproduzione deil telsto e nell’illustrazione critica e documentaria delle note, ha 'aggiunto un esame interiore della materia compresa nei singoli volumi mostrandone, tra le diversità delle redazioni formali, la unità intrinseca e trovandola con acuto giudizio nel fatto che gli Annali appaiono un vero e proprio documento politico. Curiosa vicenda e singolare caratteristica quella degli Annali genovesi. Si aprono con la narrazione di un uomo che iha parte capitale nel-riaffermarsi e ingrandirsi del Comune, con Caffaro, che appare nei primi luminosi bagliori della storia di Genova, capitano, navigatore, ambasciatore, console e che le grandi cose vedute e compiute cicrwe per proprio ricordo e ammoniimenito dei posteri e l’opera sua presenta in omaggio ai Consolli; continuano sul suo esempio, che i Consoli vogliono seguito, con Oberto Cancelliere, Ottolbono Scriba e Ogerio Pane e numerosi altri notai e narratori, divenendo un racconto ufficiale e seguendo le vicende politiche del Comune; si allargano da opera mdividu.ale a lavoro collettivo di una specie di commissione incaricata di fermare e compilare le notizie più imiportanti, tei chiudono ancora con l’opera di uno solo che racconta il momento più epicamente grandioso e potente della vita cittadina, con la cronaca di colui ohe, per importanza politica, per acutezza narrativa, per valore insieme di uomo e di storico, è id più degno di staire accanto a Caffaro: Iacopo D’Oria. Ê un ciclo chiuso, è un’ampia e solenne sinfonia die canta le glorie è le vicende, le lotte furiose e Γ ascensio ne faticosa dell’industre città marinara e commerciante; ne accompagna la storia fino al più alto periodo, cessa quando con la vittoria della Meloria e di Curzola Genova è amimta all sommo della gloria e della potenza a cui non tarda a seguire, nell’ieìstenuanlte succedersi delle lotte faziose, nel mutare delle esterne situazioni politiche, nel sorgere di nuove contrastanti potenze che si affermano sui mari, lenta dapprima poi più rapida e irrimediabile, la decadenza. Ma questo unico esempio di una cronaca che continola per due secoli sempre narrata da contemporanei, per quel suo essere opera compiuta 302 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA per ispirazione di governi o da addetti ailla stessa cancelleria comunale, viene ad assumere uai netto carattere politico, che si può dire ufficiale e riproduce nella presentazione degli avvenimenti il vano atteggiarsi della turbinosa vita medioevale e l’alterna usi dei partiti e degli elementi al potere. Richiede perciò, come giustamente notava il Neri, uso cauto e frequente controllo; ma ha un accento di così viva e immediata e calorosa partecipazione agli avveramenti, ci dà così precisa la versione della parte a volta a volta dominante, che ci sentiamo trasportati nel pieno di quella vita agitala e tumultuosa, fervente d’opere e complessa di atteggiamenti diplomatici e politici, economici e militari. Tale impressione risalta, anche più netta e sicura che dalle precedenti, dalla narrazione contenuta in questo volume, nel quale ci vien fatto di seguire al .mutevole carattere politico degli Annuii a seconda del mutar delle situazioni e quasi di sorprendere lo spirito e le intenzioni con le quali gii Annalisti hanno scritto. Qui noi siamo veramente, nel canto magnifico, di fronte ad um coro, anoniimo sulie prime, perchè, coirne ]>er gli ultimi anni del periodo precedente, dopo il 1251 gli autori sono ignoti e con ogni probabilità, come acutamente nota ΓImperiale, non hanno cominciato il loro lavoro prima del 1255. In queglii anni un mutamento radicale si è venuto compiendo. Dopo la morte di Federico II, Genova, prima ufficialmente compresa nella lega lombarda, non partecipa più alla lega rinnovata nè combatte le città che riconoscono l’autorità del nuovo imperatore Corrado o sono sotto i colpi delle sentenze pontifìcie. Soddisfatta di aver sottomesso la Riviera, non rinuncia alla sua autorità esterna, ma, volgendo le spalle alla Lombardia, si consacra interamente ai suoi interessi in Lunigiana e in Sardegna, cioè alla guerra con Pisa, e agli interessi d Oriente che devono necessariamente metterla ancora di fronte a Venezia, riprendendo 1 insanabile conflitto soltanto assopito daM’Innaturale alleanza conclusa sotto gli auspicj di Gregorio IX nel 1230. La sua politica cioè si modifica radicalmente, non nel senso che osteggi il pontefice — le parole accese di commozione e di ammirata devozione con le quali gli Auntili accompagnano la notizia della morte di Innocenzo IV lo provano — ma piuttosto, e speciabnentfe dopo la scomparsa del pontefice cittadino, in qnanto Genova cessa di estere uno strumento, un'arma potente che interessi politici ed economici a lei estranei si contendono per mezzo di podestà forestieri e devile fazioni ohe li hanno elertti, ma si dà, tra esitazioni e soste e incerti tentativi, un regime e una politica — con termini odierni si direbbero nazionaiti — Ohe le permettono con libertà o con minor soggezione a influenze esterne, di seguire un indirizzo più costante, ispirato ai suoi interessi in Sicilia, in Sardegna e in Levante per l’espansione dei commerci e la conquista dei mercati e GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 303 nella lotta cLi predominio e di concorrenza con Pisa e Venezia. £ il momento η-el quale la politica genovese leva le ali al volo più alto e più •audace. Segno del mutato atteggiamento sono i patti commerciali e i trattati anche con città ghilbelMme come Pavia e Cremona, ma specialmente il riawicinamiento al regno di Sicilia governato da Manfredi, sia per riattivarvi correnti di traffico antiche e importanti sia per assicurarsi sulla via dell’Oriente e nelle lotte con le repubbliche rivali la neutralità del re preoccu pato a s-ua volta -degli accordi di Pisa con Alfonso di Casti gli a cui il papa ha offerto il regno meridionale. Tutto questo porta naturalmente anche a un mutamento interno, al richiamo dei ghibellini, all’attenuarsi delle vecchie contese imperniate sul dissidio guelfo-gihibetlliino dei nobili per dar luogo ad altre contese, sempre vivaci e violente in queirambiente irriducibilmente fazioso. Gli Annalisti, che con l’intonazione meno intransigentemente guelfa e più conciliativa del racconto avevano indicato il mutamento compiuto, non naiscondono le loro tendenze e le loro simpatie in uno degli episodi più caratteristici e importanti del tempo in quanto è indizio di quell’evolversi delle lotte cittadine verso l’aspetto di contese tra classi sociali, che avveniva in quegli anni anche altrove. La loro prosa assume un caldo tono concitato e drammatico quando narra il tumulto popolare, sobillato però dai nobili ritornati e tuttavia insoddisfatti; il tumulto che porta al potere un uomo nuovo, già chiaro per imprese militari e appartenente a ricca e potente famiglia, ma non nobile, Guglielmo Boccanegra. Scoppiato ili tumulto, il popolo raccolto nella chiesa di S. Siro, la t$ede consueta dell parlamento cittadino, « sine discretione sed cum tumultu et vociferatione » proclama il Boccanegra capitano del popolo, lo va a cercare, lo trascina meravigliato e riluttante, lo investe deU’uffifcio, gli giura obbedienza. Il giorno dopo la rivoluzione viene legal/Lzzalta davanti al Podestà: un nuovo parlamento giura obbedienza al capitano e istituisce tremtadue anziani che debbono assisterlo e formarne il consiglio, il quale nella prima riunione stabilisce le norme della nuova carica e ne determina in dieci anni la durata e, cosa anche più notevole, autorizza il Boccanegra a designare in uno dei fratelli É successore quando egli venga a mancare entro i‘l decennio. Sorge così a Genova il Capitano del Popolo; e si tratta di una vera rivoluzione, di una trasformazione intima, amcihe se momentanea e prematura, nell’organismo costituzionale del Comune; tanto che il Podestà, vistosi pienamente esautorato, dopo poco chiede licenza e se ne va poiché ormai tutti i poteri sono concentrati nelle mani del Capitano. Importante fenomeno, tanto più se si considera che appunto in quegli anni un fatto analogo avviene a Firenze, a Pisa, a Bologna, in molti cioè dei luoghi ove la vita comumafle è più attiva e più intenlsa e ha compiuto (.1 ORNAl.E STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA con maggiore svolgimento di forme e con più celere ritmo il ciclo della sua esistenza. Ala quando i Fiorentini fanno il « (primo popolo » con reiezione appunto del Capitano, è üia nuova classe della borghesia mercantile che si afferma di fronte all'antica nobi’Ptà di origine feudale o cittadima; è veramente il Po>polo, ned senso medioevale della parola, che si organizza di contro alla nobilita, dando luogo a due comuni coesistenti e contrapposti· il Comune nobiliare del Podestà, il Comune popolare del Capitano. Di più, il Capitano fiorentino, come il bolognese e il pisano, è, al pari del Podetstà, nobile e forestiero, e di durata solamente annuale. A Genova invece il tumulto scoppia, sì, per opera del popolo andhe minuto, sempre pronto e sensibile alle suggestioni e agli allettamenti altrui, ma gl’iniziatori, gli « auctores in seditionibus », come dicono gli Annali, sono dei maggiori cittadini «de potendo ri bus civitatis » : i D’O-ria, certo, gli Spinola, i De Mari, i Lercari, coi quali il Boccanegra, cittadino cospicuo anche se non di nobiltà consolare, è stretto ili parentela. Nel proposito di questi organizzatori egli dovrebbe essere strumento cieco e obbediente. Ma la realtà è sempre diversa dai calcoli più sapientemente architettati e li sconvolge e scompiglia, deludendo le speranze, demolendo i piami prestaliiliti. La rissa delle famiglie e delle classi in contesa può ammantarsi dei vecchi nomi di parte, ma rimane sempre un fatto locale di predomiinio cittadino, un momento della gara perenne tra le forze contrastanti. Se non che tra tanto contrasto, dalie necessità più profonde dell’esistenza sorge un bisogno impellente, anche se indistinto, di equilibrio e di ordine, la necessità di un forza concimante superiore che organizzi e domini, rivolgendone a un fine comune le forze opposte. Andhe se inconsapevole, Guglielmo Boccanegra, rappresenta questo bisogno e questa tendenza. Egli ottiene il diri*tto di riformare, occorrendo, gli statuti cittadini; egli non agisce come capo del popolo, non opera neppure neirinteret=«e esclusivo di quei nobili che ne hanno provocato l’elezione, ma, da vero signore, con vedute tutte personali e senz’altro intento che di mantenersi al potere e rendersi padrone di tutto lo Staito. Così almeno lo presenta Giorgio Caro, lo storico tedesco che solo sinora ha studiato la figura del Capitano e il temipo che fu suo. Ma egli ha subito forse eccerehwnente l’influenza e ha fatto proprio il giudizio ostile degli Annali, i quali, come il recente editore ottimamente dimostra, rappresentano l'opinione e interpretano gl’interessi di quella classe nobiliare che deH’opera. del Boc-canegra, avendone sperato invano il proprio predominio, rimane scontenta e delusa, gli ordisce contro continue congiure e finalmente, in un nuovo e più grave tumulto, uccisone il fratello, lo caccia in penj>etuo esilio. Da costoro deriva al Capitano la famia di tiranno irrequieto e ambi- GIORNALE STORICO E LETTERARIO DEI,LA LIGURIA ziotso, di usurjpatore d:i ogni (potere; di accentra tore di ogni carica; ma non era certo uomo volgare colui dhe per sette anni in quelle condizioni e fra tanti nemici riuscì -a governare la città e pensò primo a porre le basii di una sede degna al governo della repubblica e diiede alla potenza genovese incremento e respiro largo -e sicuro col traitato di Ninfeo e fu pronto all’iinterno, in un evidente proposito di pacificazione e di equilibrio, a perdonare agli avversari dopo laiverli resi innocui. Si intrawede neU’opera sua l’intento e lo sforzo di superare gl’interessi di un gruppo organizzato per conciliarli neii'l’iiinterease complessivo della oi'ttà. Certo, un governo pacificatore ed equilibratore in quelle condizioni non poteva essere che personale e dittatoriale : un tale potere esercitano infatti i Signori ohe in diverse parti d’Italia cominciano a sorgere nella seconda metà del secolo XIV. E Guglielmo Boccanegra, per il modo della elezione, per la durata dell’ufficio, per la forma di governo, ha precisamente i'1 carattere, l’aspetto e la funzione di un Signore, come signori saranno, con particolare tisonomia locale, quei Capitani del Popolo ohe si succedono sino al 1300 nella vita genovese, maggiori di tutti i Diarchi, Oberito D’Oria e Oberto Spinola, che videro il periodo più splendido'della potenza marittima della Dominante. Egli rappresenta cioè, precoce ancora e quasi in barlume, il bisogno e il tentativo di uscire dalla disorganica forma del materiale accostamento di nuclei chiusi, di uomini, di classi, propria della vita me-d'ioevale, per assurgere ad una più armonica e sistematica unità statale. Comunque, nella prefazione dell’Imperiale il giudizio sul Boccanegra è diverso da quello degli Annalisti e qualche fugace accenno lascia- credere e sperare che egli voglia farne oggetto di particolare studio : è una promessa della quale si attende il compimento. Intanto appare molto felice l’ipotesi dhe questa parte di racconto sia posteriore alla nuova rivoluzione del 1262 e rappresenti lo spirito della reazione nobiliare alla quale fu dovuto il ritorno al governo del Podestà e alle lotte tra i nobili. Tre anni dopo una nuova sommossa abbatte ancora l’ormai arretrato sùstema del Podestà che ha compiuto il suo ciclo storico ed ha esaurito in un vano sforzo di conciliare i varii elementi la sua funzione e sorge, primo esempio di un governo ohe avrà poi più lunga e importante, attuazione, una diarchia, con la nomina di due rettori con pieni poteri, Guido Spinola e Nicola D’Oria il padre del Branca immortalato e infamato da Dante. A (jiiesto rivolgimento corrisponde la costruzione degli scribi anonimi, espressione ufficiale e diretta della Cancelleria del Comune, con quattro personaggi scelti tra. i patrizi e i giureconsulti ed è particolarmente curioso e interessante, a rappresentare i diversi elementi dei quali ormai il Comune si compone e l’opera di assimilazione che vi si è venuta 306 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA compàendo, die uno dea quattro sia aipjpunto Enrico marolieee di Gavi, appartenente alla famiglia feudale die era stata tipico esetnupio della opposizione e della latta contro il Coaivutne, dell cfuaùe aveva dovuto finire col riconoscere il dominio prendendo statale dianora in città. E con lui c'è un rappresentante della nobiltà vdscontile, discendente cioè dagli antichi v assali li dei mairoh-efei signori della città nel periodo feudale, e di quella nobiltà comunale formatasi con l'esercizio continuato, per molte generazioni e nelle stesse famiglie, delle più aJfte cariche pubbliche; e insieme a loro un giudice Guglielmo di Multedo che è assai prdbalbdde facesse in quella strana opera di collaborazione la parte del compilatore e del materiale espositore. Certo doveva avere attitudini particolari, perchè, finito l'anno dei due rettori e tornato il governo al Podestà forestiero, egli fu ancora nominato a far parte dedla nuova commission.? dei quattro redattori che improntava la sua opera al nuovo carattere prevalentemente guelfo del partito dominante. Ma guelfo a modo suo; si direbbe più per uso interno che nella politica generale intesa piuttosto alla neutralità. Già, dopo il trattato di Ninfeo e la caduta dell'impero latino, l'attenzione di Genova è tutta rivolta al levante; molti fatti anche capitali della politica italiana sono taciuti o appena accennati dagli Annali: la battaglia di Montaperrti non vi ha che un cenno fugace. Navigatori, commercianti, avventurieri si sono precipitati verso Oriente come alla conquista cii un nuovo vello d'oro: una febbre di guadagno e di avventura coglie lutiti, nè H debole governo può frenarla; il disordine che ne deriva e la discordia tra i comandanti della flotta cagionano la sconfìtta dei Sette Pozzi nella guerra con Venezia. Alle troppo accese speranze segue la delusione: d'altra parte è ancire il momento in cui il cajpitaino del popolo di origine ghibellina è abbattuto e la nobiltà che ha fatto il nuovo colpo pentei opportuno riaccostarsi al papa molto indispettito per quella politica genovese che ha tolto ai cattolici per ridarlo agli ortodossi il dominio di Costantinopoli; e si avvicina anche a Carlo d Angiò che comincia a nutrire le prime aspirazioni italiane. Ma il trattato che 1111 Fieschi e un GrimuJdi — capi di parte guelfa dunque — stipulano col conte di Provenza per una questione di frontiera, contiene una sintomatica clausola là dove assicura ai sudditi dell’Angioino il libero paj^saggio per jl territorio genovese « dummodo non vadant cum annis in offensionem regis Manfredi Sicilie ». Guelfismo cioè, ma fino a un certo punto e finché conviene agl’interessi della repubblica che ha ancora rinnovato il trattaito con Manfredi contenente l'impegno di non dar passaggio aiuto o consiglio ai nemici del re di Sicilia o alle spedizioni militari dirette contro di lui. K vero che nel l*26i un tentativo compiuto da emissari siciliani, con l'adesione GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 307 •del poetata genovese in oriente, Guglielmo .Guercio, spinto, a quanto pare, da motivi -famigliari, determina -la cacciata dei Genovesi da Costantinopoli e natura/im en te un raffreddamento con Manfredi ohe quel complotto Ara organizzato *> conosciuto; ma neppur questo ibasta a dare un orienta/mento nettamente guelfo alla politica di Genova anche perchè le due parti che si disputano di potere apjpoggiand; le trattative diplomatiche sono sempre lente e difficili e sempre poco concludenti e il trattato finalmente stipulato nel 1269, che in forma di alleanza comprende una vera sottomissione al governo angioino, doveva essere un adattamento momentaneo alle condizioni contingenti nrn ostico agli uomini saggi e prudenti di ogni partito, ormai vivamente preoccupati di fronte alle ambiziose aspirazioni di predominio italiano del nuovo re ili Napoli. Il quale, in quel momento decisivo della storia di tutta Italia, quando si è capovolto il iapporto tra i partiti ed è scomparso con la dinastia sveva il centro e l’appoggio del ghibellinismo, da pupillo si atteggna a tutore del papa e da protettore dominatore dei guelfi. Se Γ atteggiamento generale di questi è espresso nella formula del convegno di Cremona nel 1269, « noi vogliamo Carlo amico non padrone », la preoccupazione deve essere maggiore a Genova che vede il Tirreno, dalla Provenza alle coste napoletane e alla Sicilia, diventare mare angioino e l'ambizioso sovrano guardare con occhio cupido alla costa africana nella crociata di Luigi IX, ai mari d’oriente con le aspirazioni sull'intpero bizantino. Due fatti denotano il mutare o meglio il chiarirsi dell atteggiamento genovese: la cacciata dei Grimaldi, accesi sostenitori del l'amicizia ad ogni costo col re di Napoli e la creazione della nuova e più celebre e duratura diarchia di Oberto D’Oria e Oberto Spinola; e insienie la designazione della nuova commissione di Annalisti nella quale vediamo comparire Iacopo D'Oria cfoe compilerà poi da solo l’ultima parte e conchiuderà il ciclo degli Annali. Spetta a questi Annal sii esporre l'opera ferma e sagace del nuovo governo nel suo atteggiamento ora abilmente resistente ora apertamente ostile alle .pretese di Carlo e la lung« e complessa lotta GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 309 che si chiude con il trattato del 1276 ohe distrugge nella forma e nella sostanzia le esose disposizioni del 1269 contrarie all’indipendenza di Genova, pur confermando le concessioni commerciali nel Regno : coimpleto trionfo del nuovo regime, sorto nel 1270 in apposizione a Carlo ed ai suoi fautori e destinato a portare Genova alila gloria della Meloria e di Cur-zola. Gli interessi economici e commerciali inducono la Repubblica all’amicizia o alla neutralità coi sovrani dell’Italia meridionale; ma quando questi minacciano la sua esistenza stessa e Γ autonomia e la libertà di movimento, devono trovarsi necessariamente di fronte, disposto a una resistenza accanita e all1 impiego di tutte le fiorenti risorse, un organismo nel /pieno vigore delle forze, nella cosciente volontà di vita e di libera espansione. L’interesse primordiale de l’esistenza si sovrappone agli interessi minori ohe im quello del reis*to sono mantenuti e difesi : così è avvenuto con Federico II, così accade con Carlo d’Angiò; e le due successive vittorie danno a Genova anche più viva e sicura la coscienza della sua forza; «le aprono il periodo breve ma intensivo e mirabile della massima potenza che Iacopo D’Oria appunto dovrà narrare. Sarà questa la materia dell’ultimo volume, che coronerà la meritoria fatica e ci darà finalmente la compiuta edizione italiana di quelli che non sono, secondo l’infelice espressione del Seignobos, un « recueil de récontars », ma, come giustamente notava il primo editore, il Pertz, « loculentissima Ianuensis gloriae monumenta et qui non Itaiiae solum sed et Germaniae atque onb.is terrarum per saecula XII et XIII historiam multimodis illustrant ». Infatti accanto agli episodi puramente locali e alle figure di importanza cittadina, ancihe tse notevoli e degne di ricordo, troviamo qui tutti i principali personaggi storici del tempo: Manfredi, Carlo d’Angiò, il Paleologo, San Luigi IX, Urbano IV, Clemente IV, Gregorio IX, i cardinali Ottobono Fieschi e Ottaviano degli Ubaldini, Corra-dino, Arrigo III, il re della semplice vita, e suo figlio Eduardo I, Gugiliel-ano di Monferrato, il conte Ügolino e mille altri che Dante ha reso immortali e die gli Annalisti hanno conosciuto e descritto. Di questi narratori e sulia base dei loro racconti e dei documenti da varie parti raccolti, specialmente dai tesori d'eli’Archivio genovese, l’imperlale ricostruisce la figura e l’opera, ne segue e interpreta il racconto. Vivendo da lunghi anni nella loro famigliarità, ne sente le passioni e i propositi e si rifà quasi loro contemporaneo con un senso storico così sicuro e preciso ohe le stesse ipotesi sembrano colorarsi della luce di una persuasiva e indiscutibile realtà, onde il lettore segue suilla sua guida il mutevole carattere politico degli Annali a seconda del mutar delle situazioni e sorprende lo sparito e gl’intendimenti coi quali gli Annalisti hanno scritto. Vito Vitale 310 GIORNALE STORICO F. LETTERARIO DELLA LIGURIA Mario G. Celle, Valore territoriale del nome « Romania » negli annalisti genovesi del XII e XIlì sec.; estratto dalla Rivista geografica italiana, anno XXXIII, 1926. In questa dotta e succosa memoria, il -Celle, jper aiieglio precisare il valore territoriale che il nome Romania ha negli antichi annalisti genovesi, ricorre alla (testimonianza di altri scrittori contemporanei. Ogerio Pane concorderebbe con il vagliatore granatino Hbn Gubayr nel chiamare « isole di Romania » quelle dell'Arcipelago Egeo, e con Beniamino di Tudela nell'accennare a frequenti incursioni dei Vaiaceli! contro gh abitanti di Costantinopoli e dei dintorni. Ottobono Scriba poi assegna alla Romania (paese dei Rum) o almeno a parte di esi»a, gli stessi limiti ciie avrebbe negli itinerari di Al Ediisi, riferiti e studiati dal Lelewel. A tun’altra regione, cioè a quella dell'antico Esarcato di Ravenna, ci riporta invece Uberto Cancelliere in un passo «otto Tanno 1172, che trova anche conferma in una notizia delTEdrisì. E infine, rispetto alla diversa accentuazione dei nomi Ronuinia e Romania, il secondo dei quali compare già nel poemetto L'Intelligenza, il C. conclude che 1 una e 1 altra forma sapravvisse in differenti successivi (adattamenti così in occidente come in oriente, mia l'accentuazione latina si riservò al nome da cui potè formarsi in Italia Romagna, quella orientale al nome della regione d oltremare. Francesco Luigi Mannucci SPIGOLATURE E NOTIZIE G. A. 1848-49, un tratto della monografìa di Giuseppe Gonni su Cavour ministro della 'marina. Vi hi dice, fra l’altro, che nel 1840 gili equipaggi sardi, non potendo combattere il nemico, ritornarono a Genova e così distrussero moralmente la forza navale di cui erano parte. * * * Guido Bustico, trattando di Carlo Negroni e /’« Italiano » del Montanelli in Nuova Antologia, 1° novembre 1926, ip. 56 e sgg., avverte che il Negroni collaborò nel 1841 al giornale genovese Esperò, diretto da Federico Alizeri. * * # Nel fase. Ili (Luglio-sett. 1926) della Rassegna storica del Risorgimento, Luisa Fiori (Il marchese Giorgio T rivai zio-Palla vicino, p. 575). ricorda reiezione a deputato del march. T. P., avvenuta nel 3° Circondario di Genova durante il marzo 1849; Eugenio Casanova (Il Comitato centrale siciliano di Palermo, 1849-1852, p. 614 e sgg.) rileva l’organizzazione e le vicende del (Comitato siciliano di Genova, costituito di Giuseppe Vergerà, Rosolino vPilo e Giovanni Interdonato; Antonio Boselii (La rivoltinone napoletana degli anni 1798-1799, ip. 671 e sgg.) continua a pubblicare il racconto di Ugo Foscolo sulla rivoluzione napoletana, nel quale si nota come i4 Macdonald dovesse, dopo la battaglia della Trebbia, riparare sulle -montagne di Genova; Augusto Beccaria (// generale I)tiranda nella campagna del 1859, ip. 685 e sgg·) tocca dei movimenti della divisione di Genova; e Aldo Ferrari (Destra e sinistra, 1871-1881, .p. 725) mette in chiaro i rapporti fra Bakunine e il Mazzini. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 315 * * * Il celebre inventario della Biblioteca di Borso d’Este (1467), ristampato con esattezza da Giulio Bertoni (La biblioteca M Borso d'Este, p. 705 e *sgg. degli Atti della R. Accademia delle ^Scienze di Torino, vol. LX1, disp. 14, 1926), comprende questi due mes. d’interesse 'ligure: « Alia Cronica in carta membrana vocata Cronica fratris Johachinis Januensis de Voragine in forma prava· littera moderna in columnis ohoperta coreo* ruibeo -cairn duobus azulis super albis .de iduolbus columnis cart. n° 83,. si-gn. n° 7 » —. « Catholicon super vocabulis in carta membrana in forma reali in columnis cohopertimi montanina alba scriptus -littera moderna, cum 4 azulis cart. 352, n° 10 ». * * * Nell’inventario della Biblioteca Giovardiana di Veroli (in Albano Sor-belli, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, vol. XXXI, Firenze, Olschki, 1926), .figurano i «seguenti mss.: a p.. 16: « Notizie dello Stato di Genova riportate dal Sig. di Sant Olone alla Maestà Christia-nissima di Lodovico XIV. Contiene una relazione sulle discordie della Nobiltà e sulle fazioni di Genova, sulla costituzione della repubblica e eulle leggi dell’anno 1597, sui rapporti con la Francia, sulle forze militari e sulle risorse economiche della Repubblica Genovese in relazione-alla stesso anno »; a p. 47 : « Discorsi e materie politiche, to. V, Relazione della Repubblica di Genova fatta alla Maestà idi Ludovico XIV dal Sig. di Sant Olone, p. 50: «Discorsi e umaterie politiche, to. Vili,. Relazione del viaggio e ricevimento del iDoge e dei iSenatori di Genova a Parigi e Versaglies [sic] 15 maggio 1685 »; a p. 69: « Miscellanee varie,. to. X : Eisipositione fatta dal Sig. di Santalon inviato straordinario del Re Qhristianissimo Ludovico XIV alla Repubblica di Genova, 1683 — Relazione di quello che fece l’Armata del Re Christianissimo contro ìa città di Genova — Relatione di .Siti, Forti e Fortezze, Arme, Nobiltà e Ricchezze della Repubblica Genovese fatta da Mons. di Santalon a S. M. Christianissiima l’anno 1684 »; a p. 89: « Miscellanea divei'Soru7ny to. XVIII: Volume miscellaneo formato di lettere, discorsi relativi alla storia di Boemia, dell’eresia ussita, della Francia, di Mantova, Monferrato, Genova, d’Austria», a p. 90: « Mi-s celiatile a diversorum, to. XXIV: Relazioni riguardanti la repubblica di Venezia. Seguono alcuni discorsi sulla repubblica di Genova, di Siena ed adire ». — (Nell’inventario della Biblioteca Gallertti idi Domodossola (ibidem, vol. cit.) trovasi, a p. 169, il ms. : « Reminiscenze e memorie su Genova, 1850 ». — 'Nell’inventario-della Biblioteca Oliveriana idi \Pesaro (ibidem, vol. XXXV) è annoverato, a p. 27, il ms. : « Documenti Roveraschi} vol. XXXIII: Relazione i.i 1 316 C.I0RNA1.E STORICO E LETTERARIO DEI I Λ LK'.l'RIA latino d’un (fatto seguito a -Genova contiro gli Uditori qui persecutionem 'patiuntur -propter Listitiam ». F. L. Μ. In una serie d'articoli nel Corriere Apuano di Poni remoli, Pier > Ferrari dà notizie interessanti sopra un castellani dell’alia valle della Capria, in quel di iFilattieora. \\ questo il primo e l’unico cast eli oro lunigianese finora conosciuto dei tanti, di cui U. -Mazzini iil quale aveva in aniino uno studio completo sulΓargomento, anche per sollecitazione della Société Préhistorique ds France) era riuscito a .raccogliere Ίο indicazioni toponomastiche. 11 Ferrari, che nel suo lavoro tocca felicemente anche altri problemi della preistoria ligure-apuana, pone in-Vieni e un quesito non indifferente di storia medioevale. Il ricordo toponomastico dei « Saraceni » congiunto con quello del castellani di Val ili Capria, confrontato con altri simili ricordi d'altre parti di Lunigiana, specialmente dell’alta Val di Magra, è veramente il segno di uno stanziamento earacenico in Lunigiana? 'Dopo gli studii ‘più recenti bulle invasioni moresche nell'Italia occidentale, nei secoli IX e la tradizione pop ·-lare è «tutt'altro che da relegare fra le fantasie e le favole. Piuttosto è da vedere se si tratti di schiere saracene sbarcate nelle incursioni marittime sulla costa e su Luni o non piuttosto della diffusione dei nuclei saraceni stanziati nell’Appennino tortonese, a cui del resto sembrano alludere chiaramente le tradizioni raccolte e trasfigurate nel Chro-nicon Imaginis Mundi di fra Giacomino d’Acqui. # * * Nel vol. XXV delVArchivio storico per le Provincie parmensi, pubbl. dalla R. Deputazione di Storia Patria, il .senatore Camillo Cimali dà m a breve notizia sopra un frate eretici» pontremolesc, il francescano («io-vanni da Pontremoli, processato e condannato per eresia a Modena nel 1545, dopo un vivace contradittorio in Duomo col domenicano fra Angelo de' Valentini. Il reo -sfuggì alla pena, ma l’episodio notevole per la storia dei rapporti tra francescani e domenicani. Il volume contiene pure una necrologia di Achilìe Neri. • · * Sopra il duomo di Carrara, magnifico monumento dell’arte romanico-gotica sconosciuto, si può dire, agli storici dell'arte italiana — foIvo eh* a Pietro Toesca, ctfie ne tocca magistralmente nella sua Storia d^ìVarte Italiana, in corso di pubblicazione — sono usciti contemporaneamente due studi esaurienti, per opera di Mario Salmi, in L'Arte, diretta ria A. Venturi, XXIX. fase. 3°; e di UmbertoGiampaoli nei Marmo, rivista pubbl. a GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA $17 Carrara dall’Associazione Nazionale idei Marmo, in° 3 idei maggio-giugno 1926. Lo studio del «Salmi stabilisce icon rigoroso esame stilistico la cronologia del secolare monumento dalle origini romaniche al compimento gotico, discerne gli elementi lombardi dalle evidenti forme pisane, aprendo insieme nuove vie allo studio dell’arte lombardo-toscana nel periodo, ancora in gran parte oscuro, sul quale maturano le grandi manifestazioni preri nascenti di Piisa. Il lavoro del Giampaoli, frutto di lunghe e meditate ricerche, è del pari avvincente per l’indagine estetica confermata ila ampia e rigorosa documentazione; nè poteva esser trascurata dal «dotto autore l’occasione di gettare uno sguardo sopra la storia preconi u η ale e comunale di Carrara, istrettaniente legata con quella religiosa e artistica dell’insigne monumento. * * * * La R. Deputazione modenese di storia patria iha avuto la felice occasione di riprendere la stampa dei tanto pregiati Monumenti di Storia Patria, col dare in luce un’opera postuma idi Giovanni Sforza: Documenti inediti per servire alla vita di Ludovico Ariosto (Modena, Società Tipografica Modenese, 1926, pp. *493). Questo monumentale lavoro d’erudizione era stato intrapreso dall’illustre storico lunigianese nel 1901 e interrotto, non isi «sa per qual ragione, quando la stampa n’era già a buon punto, nel 1911. Giovanni Canevazzi, chiamato all’ufficio di Segretario della Deputazione, ha poi rintracciato, presso la tipografìa editrice della Società, i fogli stampati dell’opera ifìno al cap. 5° .della parte III; in pari tempo opportune ricerche eseguite fra le carte sforzesche della Biblioteca Comunale della Spezia, procurarono abbozzi, appendici e note, che ilianno permesso al Canevazzi di iproseguire se non di ultimare, la pubblicazione. I documenti inediti raccolti dallo Sforza, si riferiscono p .uicolarmente al tempo nel quale (Ludovico Ariosto fu Governatore iiflla Garfagnana (1522-1525), e illuminano così una parte non trascurabile delia vita e dell’attività del -poeta. iMa lo Sforza ha fatto opera egregia e sommamente utile agli studiosi anche col ristampare da edizioni rare e riunire le prime biografìe dell ’ A riosto : gli appunti del figlio Virginio, l'elogio del Giovio, le vite di Simon Fornari e G. B. Pigna, f ricordi biografici di G. B. Giraldi e di Gerolamo Ruscelli; il tutto con il consueto, larghissimo corredo documentario e con geniale apparalo critico. * * * Carlo Andrea Fabbriconi, nel n° i del Marmo, studia l'organizzazione scientifica del lavoro aieH’industria marmifera dall’età d’Augusto .il 1870; lavorìi pregevole per ila singolare competenza dello studioso, che è appassonato ricercatore di memorie storiche e insieme uno dei principi dell'industria moderna dei marini. 318 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Nello stesso numero della rivista, Pier Francesco Cuochiari, in un articolo su Benvenuto Cellini e i marmi di Carrara, discorre d’un’opera di scultura del bellini, a noi poco nota: il «Crocifìsso marmoreo che il Duca Francesco IÏ donò a Filippo li di Spagna ed ora trovasi nella chiesa di S. Lorenzo neH’Eecuriale; opera che, come osserva giustamente il Cucchiari, « ci dà modo di apprezzare lo sforzo veramente eccezionale latto dal ‘Cellini, per ricavare dai nostri marmi un effetto grandioso neirinsieme, pur essendone i particolari di mirabile accuratezza e verità ». * * # S'è ristampato alla Spezia, per cura della Libreria delia Ma riti a, il Libro dei sonetti di Ubaldo -Mazzini, aggiuntevi le poesie e Je canzoni di Carnevale; cioè, se non tutta l’opera in vernacolo del compianto autore, le poesie che egli aveva registrato nella sua bibliografìa. Il volumetto reca, a guisa di prefazione, la ristampa di un acuto studio buU’o-ipera dialettale del M., pubblicato da Manfredo Giuliani nella Gazzetta xli Genova. V. F. Appunti per una bibliografìa mazziniana (continuazione; cedi numero precedente) SCRITTI SU G. MAZZINI PUBBLICATI ALL’ESTERO. ](>(>.) Paliooloote Maurice, In grand réaliste, Cavoïtr, Paris, Librairie Pion, 1ί)2(>. E’ un accurato studio di uno spirito fine e garbato, ma non soverchiamente informato intorno alla storia del nostro Risorgimentoe in par-ticolar modo di quella mazziniana. Oltrarno qualche periodo dove accenna al Mazzini, lasciando il giudizio al lettore: «Quelle que soit l’adresse de Cavour, il y a un révolutionnaire qu’il essaierait en vain d’apprivoiser, et malheureusement c’est 3e plus dangereux de tous : Mazzini. Le (petit homme débile, au tëint verdâtre, aux longs cheveux noirs, au front vaste, aux jeux aigus et flamboyants, est un fanatique, un .illuminé. Il a pris comme devise: « Dieu et le peuple » Son programme .n*est (pas moins laconique : L'Italie une et républicaine, arec Borne /tour capitale — On peut dire que d’dLmagj de la Ville éternelle rayonne sur toutes les cimes de son âme: « Roane est à nous; Dieu et les hommes le déclarent. C’est de Rome que nous avons hérité le langage qui -nous (fait frères. De Rome sort le développement de notre histoire. Milles ans de grands souvenirs l’ont sacrée mère de l’Italie et centre de notre unité nationale. C’est de Rome que, »par deux fois, nous avoius régi l'univers. Deux fois, est parti de ses murs le souffle puissant qui a imposé au monde une vie commune. Après la Rome des Césars, après la Rome des pontifes, viendra la Rome du 'peuple!... » Et, dans sa bouche, ce langage n’est tpais une simple effuision mystique; c’est une révéla tion explicite, une apocalypse positive, dont il a été gratifié, un soir -de sa jeunesse, « au cours d’une effrovaible tempête morale »r dans la prison de .Savone (sic) où .il tfaisait 3e rude apprendissage dlu carcere duro (sic). Ce soir-là, il a senti vraiment passer eur sa face le souffle d’Ézéchiel et d lsaïe — Depuis lors, ne doutant plus de son rôle messianique, dii est 'imperturbalblement convaincu de son infaillibilité. D’où son despotisme hautain, ses ironies tranchantes et les accès rte (fureur où le jette ila moindre contradiction. Étranger a-i monde, ne vivanlt que dans ses passions et dans ses rèyes, il se fait de toute chose une idée abstraite. Aussi l’exipérience ne compte 320 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA pas. pour lui. Vingt années de continuels échecs, en Piémont, en Savoie, en Lomlbardie, en Calabire, dams les Marches, à Rome, à Naples, en . Sicile, et, coniane conséquence, pour des milliers de citoyens, l’echauifaud, le bagne, la proscription, la misère, la ruine, de,s calamités ©ans nombre, ne Jui 011t. rien appris: la désillusion 11e lui enlève jamais l’esperance. D’imagination ténébreuse et romantique, il ne se iplaît que dans les manoeuvres souterraines les complots, leis attentats. Si personnellement n’a jamais pratiqué le régicide, il en a fait du moins l'apologie : « Les nations traversent -parfois des temps exceptionnels, qu’011 nie doit pas juger d’après la norme; il ne faut alors s’inspirer que de sa conscience et de Dieu. Or. ielle était sainte, l’eipée qui, 'dans la main de Judith, a trancilié la tête d’Holopherne; il était saint, le poignard de Brutus, il était salait, de stylet -qui -a donné le signal des Vêpres siciliennes ». Il 'confine manifestement à l’aliénation mentale : on discerne en lui touis îles symptômes de la psychose redoutable qui fuit les grandes fanatiques, -les (grands .redresseurs de tort, les grands justiciers: croyance à une vocation surnaturelle, orgueil démesuré, irrita -ibilité de (caractère, (couleur sombre de l’esprit, permanence de l’état passionel, «haaïtiise impérieuse de l’idée fixe, raisonnement dogmatique, indifférence absolue aux objections de la réalité ». [yct-gina 116 ie sgg.]. Bel quadro, «come si vede, trattato con mano vigorosa, che serve ottimamente come contrapposto, nell’intenzione dell autore, per far meglio risaltare la figura del Cavour, ma cihe non risponde neippur lontanamente alla verità storica. Si legga il Paléologue Mazzini e soprattutto il suo Epistolario e modificherà non pochi dei suoi giudizi. L· 'conosca anche un po’ la nostra storia ed allora, semipre a paoipo-sito del Mazzini, non uscirà in affermazioni come queste : « Les Ibombes d’Orsini et de ses complices lui (parla cU Naqioleone III) ont mis devant les yeux, sous une lumière éclatante, l’exécration que lui ont voueé les révolutionna ireis· italiens ». Quand il avait eu « le cynisme imipie » de renverser la Répubbliqua Romaine pour s’élever ®u trône de France, Mazzini lui avait écrit: « Tu as parjuré dé serinent de ton âme, tu as trahi le dieu de ta jeunesse!... ». ‘Depuis lors, tous les mazzinienis avaient l’idée fixe de l’assassiner. C’était devenu pour eux la pensée maîtresse, le but primordial, « un «acte absolument nécessaire, un acte presque religieux, ipuisqu’il est indispensable au salut d’un peuple ». Et chacun d’eux portait la sentence de mort gravée darus le coeur ». [ibid pag. 145-146]. Ma a chi le racconta queste cose il Signor Paléologue ? GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 321 167.) Boulenger 'Marcel, Le (ine de Marni/ Prince français* Paris, Libraire Hachette, 1926. È un altro bel libro che fa simpaticamente rivivere; la figura fine e forte dei fratellastro di Napoleone Ili 'e l’ambiente del secondo impero. Ma perda storia 'italiana si rimette alle /idee fatte e correnti. Casi par1 a, incidentalmente, di Mazzini accennando ad Orsini ed al suo attentato: « iGet Italien était né à Rome *(sic) d’une famille noble et ■ancienne. H n’y avait que dévouement et générosité dans ì’ànie de cet ingénu. Il conspira toute sa vie. Le républicain nationaliste Mazzini 'l’eût ipour disciple, et lui enseigna sa doctrine favorite, a savoir celle de l’assassinat politique » {pag. 98). Gasi impariamo a conoscere dhe la dottrina favorita del Mazzini non è quella religiosa, e quiindi quella delle nazionalità ecc. ecc., ma è invece quella dell'assassinio politico!... 168.) Lodolixi Armando, Questioni del giorno : Un « alito » fascista nel Partito Repubblicano. — Littorio mazziniano — Rievocazioni di Romagna — La fine dello « Storico » Partito Re pubblicano i'U Italia, in La Tribuna Italiana, S. Paolo, 8 luglio 1926. Articolo politico. — « Chi non sa porre i fenomeni nel loro ambiente, gabella Mazzini per repubblicano e basta; chi sente la vita della stirpe, -anziché quella degli uomini, venera in ,Mazzini il precursore fascista e -non dà che una mediocre importanza all’atmosfera repubblicana che tegM respirò ». — — Giuseppe Mazzini nato nel 1805 morta nel 1872, in II Piccolo, S. Paolo, 17 luglio 1920. Articolo divulgativo delle teorie mazziniane. 170.) Bertacchi Giovanni, La Patria e ΙΊ inanità nel pensiero di (t. Mazzini m Alala, Lima, 24 luglio 1926. ft un estratto del volume di Giov. -Bertacchi su Mazzini, edito dalla Soc. Alpes di Milano. 171. )--A Dictator of thè Risorgimento in The Times, Lite- rari/ supplément, London, 15 août 1926. Ampia recensione del volume di W. K. Hancock, Rie asoli and thè Risorgimento m Tuseany (London, Faber and Gwyer - 1926). — Parla ' 322 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA dell’entusiasmo e simpatia ohe si eibbe in Inghilterra per il Risorgimento italiano fra i poeti e gli storici fmo a pochi anni fa. Ne attribuisce la causa particolarmente alla· fede degli inglesi che, compiute le nazionalità, pensiero divino dell’aristocratico Ricasoli e del democratico Mazzini, non vi sarebbero più guerre. Questa fede e quest’interessamento gono spariti oggi. 11 nazionalismo italiano ha •disperso le illusioni ]liberali deviando verso l’imperialismo. 172.) Ruffini Francesco, La Famiglia inglese di Mazzini9 in Messaggero Egiziano, Alessandria d* Egitto, 16 settembre 1926. Ê l’interessante introduzione al volume delle lettere di Mazzini alla famiglia Asihurst, -tradotte da Bice Pareto Mugliano, pubblicata nella Stampa di Torino del 5 settembre. 173.) Gonni Giuseppe Le Marchesina Zoagli e G. Mozzitii, in Progresso italo-americano; New York, 20 sett. 1926. Rievoca la nota pagina di Mazzini sulla sua amicizia da giovinetto con Adele Zoagli (artic. già pubblicato nel « Caffaro » di Genova del 9 agosto 1926). 174.) Zandrino F. M., Ottocento lettere inedite di Giuseppe Mazziniin Patria degli Italiani, Buenos Aires, 11 ottobre 1926, Ampia, recensione del voi. del Saiucci. Lo Zandrino si sofferma dotte da Bice Pareto Magliano. 175.) Zandrino F. M., Tavolozza Genovese in Patria degli italiani, Buenos Aires, 20 ottobre 1926. Ampia recensione del voi. del Saiucci. Lo Zandrino si sofferma specialmente sui capitoli dedicati al Mazzini. 176.)—— Giuseppe Mazzini a Maria Piccolomini, Lettera, in Corriere d'America, New York, 6 novembre 1926. Lettera del 25 maggio 1865 alla celebre cantante Marietta Piccolomini: «Voi desiderate due parole da me. Il vostro desiderio mi onora e vi scrivo con animo grato; vorrei, invece di scrivervi, poter stringervi la mano. Io non vi dico amate la Patria, perchè so che l’amate. Ma vi dico: giovatevi dell·influenza che esercitate perchè altri rami... ». GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 323 OPERE E STUDI SU GIUSEPPE MAZZINI PUBBLICATI IN ITALIA. 177.) Mazzini Giuseppe, Scritti editi ed inediti, Vol. XLIII (Politica XVI), Imola, Galeati, 1926. Si continua in questo volume la -pubblicazione degli Alti del governo idi C. Mazzini a Roma, conchiudendolo col proclama del 5 luglio 1849. Segue quindi la raccolta cronologica degli scritti politici mazziniani (1849-1850). 178.) Mazzini Giuseppe, Scritti editi ed inediti, Vol. XLIV (Epistolario Vol. XXIII), Imola, Galeati, 1920. Lettere di Mazzini dal 2 agosto al 29 novembre 1850. 179.) Giannelli Andrea, (Jenni autobiografici e ricordi politici d; Andrea Giannelli, Milano, 1920. Sono scritti che escono pastumi per cura degli amici. Vi son riprodotte le lettere di G. Mazzini a Giannelli già pubblicate a Prato nel 1888-1890. 180.) Salucci Arturo, Tavolozza Genovese, Genova, Libreria Editrice Moderna, 1920. Nel cap. Ili sotto il titolo Luci Mazziniane il Saiucci ha raccolto ritoccati e modificati parecchi articoli già pubblicati in varii giornali e «cioè: \La mia d'un Santo; Come amò Giuditta .Sidoli; La Casa di Mazzini; Antonio Pellegrini; e II Poggio della Giovine Italia. 181.) Curatolo Giacomo Emilio, Scritti e figure del Risorgi mento italiano con documenti inediti, Torino, Bocca, 1926. Da pag. 156 a pag. 205 è pubblicato uno studio su Giuseppe Maz-ztini e George Sand. Sano illustrati i rapporti corsi fra l'Apo- 324 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA stolo iligure e la grande scrittrice ifrancese soprattutto attraverso· VEpistolario ;di Mazzini e i isei volumi 'della Corrispondenza della-Sancì. V 182.) Luzio Alessandro, Profili biografici c bozzetti storici,. Mi la-no, Casa Bd. L. F. Cogl iati, 1927. In questa nuova raccolta di scritti di Luzio ripubblica, sotto il titolo La psicologia rfd Mazzini, la 'conferenza -sul ,M. stampata dal Treves nel 1905 '« riprodotta quasi .immutata ne' tratti essenziali : e solo rimessa un {po’ al corrente della «letteratura (mazziniana del ventennio ultimo ». 183.) Sforza Carlo, Mazzini, Giuditta Sidoli e il misterioso A. r in II Mondo, Roma, 13 luglio 1926. Ë parte di uno studio -che verrà pubblicato, sopra una rivista inglese. Da quanto è qui pubblicato non risultano elementi nuovi, oltre quelli già conosciuti e messi im rilievo dal Rimerà e dal Sa-ducci, sul « misterioso A. » Attendiamo i n>. Era la voce della Signora Jessie, l’illustre gentildonna, inglese di nascita, .italiana di [pensiero e d’azione, la quale ci ha lasciato la più ampia e ricca vita del Genovese. E la conversazione fu attratta da questo tema del « giammai non rise » sul quale l’interruttrice poteva parlare e lo fece « ex proteso )>. — Disse in prima di 'non aver mai udito ridere di un riso così schietto e (aperto come -Mazzini, tanto da suscitare allegria e da stimolare a «fargli coro, senza neppure conoscere l’oggetto che l’aveva provocato; -e qui raccontò vari aneddoti... ». 187.) Ondki Demetrio, G ar Amiti i e il rospi nitore en chambre. Camicia Rossa, Roma, 27 settembre 1926. Son diverse pagine interessanti che fanno parte di un’opera di imminente orò. 197.) Battara Antonio, Momenti e figure di Storia Italiana, in Piccolo della Sera, Trieste, 19 luglio 1926. Recensione del voi. di A. Codignola sulla Giovinezza dsi G. Mazzini (Cfr. N. 19). 198.) Lodolini Armando, Le opere e gU uomini, in Camicia Rossa r 19 luglio 1926. Articolo polemico con la Voce lìepuìMicana e con il Quarto Stato. 199.) 'Coletti Vergilio, Apostoli, Martiri e Eroi della Patria — Giuseppe Mazzini in I/Assalto, Perugia, 22 luglio 1926. Articolo politico. 200.) Huetter L., Lettere centonovanta.trè, in Corriere d’ItaliaT Roma, 30 luglio 1926. Recensione del voi. 'di Umberto Zanotti Bianco su Mazzini. (Cfr. n. 26). 201.) Gianquinto G. B., Il pensiero religioso di Mazzini — Lo Stato e la Chiesa, in Scintilla, Napoli, 31 luglio 1926. È riprodotto dal volume del Gianquinto il capitolo riguardante le* relazioni tra Stato e Chiesa. 202.) Celesti Vincenzo, Giuseppe Mazzini, in II Comune di Genova, Genova, 31 luglio 1926. Breve recensione del volume di (Francesco Landogna su G. Mazzini,, edito dal Giusti di Livorno. {Ofr. n. /17). 328 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 203.) Minutili/) A., La Giovinezza dì Mazzini, in Economia, Trieste, luglio 1926. Breve recensione del voi. d.i A. iCodignola sulla Giovinezza dì Mazzini. {Cfr. .n. 19). 204.) Zanotti Bianco U., Mazzini (pagine tratte dall’epistolario), in Bilychnis, Roma, luglio 1926. Breve recensione del volume sul Mazzini, di Umberto Zanotti Bianco. (iCfr. n. 26). 205.) Tarantini Ernesto, Mazzini antimarxista, in La Stirpe, Roma, luglio 1926. Mette brevemente in rilievo i noti contrasti fra Marx e Mazzini. 206.) Lizzani Mario, La Romanità di Mazzini, in Patto Nazio naie, Roma, 1° agosto 1926. 207. )_— Giuseppe Mazzini, Scritti editi e inediti, in Pensiero e Volontà, Roma, 1° agosto 1926. Breve notizia degli ultimi quattro volumi (voi. 41-44) degli Sci itti mazziniani delY Ediz. Naz. 208.) Lodolini Armando, Neo-ghibellinismo mazziniano, in Patto Nazionale, Roma, 1° agosto 1926. Articolo polemico d’inspirazione politica. 201).) Morando F. E.. Lettere inedite rii Giuseppe Mazzini nella pultlilimsione di un nuovo epistolario, in II Lavoro, Genova, 7 agosto 1926. Sono pubblicate alcune lettere del Mazzini alla famiglia Ashurst nella traduzione della signora Bice Magliano Pareto. ^210.) Arlod, Socialisti e repubblicani nell’attuale momento politico, in (Unììicia Possa, Roma, 9 agosto 1926. Articolo polemico di ispirazione politica contro gli scrittori del P. R. 1. 211.) Galimberti Alice, Il pensiero religioso mazziniano, in L’Italia del Popolo, Genova, 10 agosto 1926. Recensione del volume del O.ia/ncjninto sul pensiero religioso di Mazzini. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 212.) Golinblli G., Risposta -ad un neo-protest^ite di Con-scientia, in I/Italia del Popolo, Genova, 10 agosto 1926. Articolo polemico contro il Ganga!e per i suoi noti articoli in Con-sicmtia (-Cfr. n. 80). 213.) E[lsa] G[oss], Maria Mazzini, in La Chiosa, Genova, 12. agosto 1926. Breve profilo della figura di Maria Mazzini. 214. )--Nuove lettere di Giuseppe Mazzini} in II Lavoror Genova, 13 agosto 1926. Sono riportate alcune lettere di Mazzini a Emilia Ashurst dal volume-di imminente pubblicazione presso Paravia : « Lettere di Gius.. Mazzini ad una famiglia inglese ». 215. )--Il vecchio Mazzini, in Voce Repubblicana, Roma, 14 agosto 1926. Articolo polemico col Quarto Stato. 21G.) Luzio Alessandro, Il Prestito Mazziniano, in Corriere della Sera, Milano, 14 agosto 1926. Il Luzio prendendo lo spunto dalle lettere mazziniane pubblicate negli ultimi due volumi degli Scritti (ai. 43, 44) rii à la storia del prestito mazziniano lanciato nel settembre del 1850. 217. )--AWonAbra di una gran luce - Emilia e Carlo. Vengono rievocate le figure di Emilia Ashurst e di Carlo Venturi, intimi amici di Mazzini. 218.) Il Littore, Mazzini sconfessato, in Vedetta Fascista, Vi· cerna, 21 agosto 1926. Breve articolo polemico di carattere politico. 21!).) Guardioxe Francesco, II Prestito Nazionale del 1850, in Corriere Marittimo Siciliano, Palermo, 22 agosto 1926. 220.) Plixi Giovanni, Mazzini uomo d’azione in Camicia Rossa,. Roma, 23 agosto 1926. Difende il Mazzirui dalla taccia di aver sempre cercato di evitare t 330 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA pericoli e riproduce come fatto significativo l’aneddoto della Jilbe-razione del gufo raccontato dalia signora Bice Pareto Magliaio nel suo volume Lettere e ricordi di Giuseppe Mazzini (ΟΥ. n. 8). 221.) Masini Otello, Giuseppe Mazzini a Firenze, in Nuovo Giornale, Firenze, 29 agosto 1920. Il 'Masiini «racconta succintamente -le visite del Mazzini a Firenze •nel 1849, nel 1859 e nel 1860. 221.) Candida Carlo, Mazzini di Umberto Zanotti Bianco, in Fiera letteraria·, Milano, 29 agosto 1926. Breve recensione del voi. di Zanotti Bianco su Mazzini (Cfr. n. £6). 223.) Cecchini G. F., Autori, libri, editori, in Corriere Padano, Ferrara, 31 agosto 1926. Recensione di viarii libri fra cui quello di A. Codignola sulla Giovinezza di Mazzini (Cfr. n. 19). 224.) a. o., Mazzini di U. Zanotti Bianco, in Libri del Giorno, Mila.no, Agosto 1926. Recensione del voi. di li. Zanotti Bianco su G. Mazzini (Cfr. n. 26). 225. )--Cesare Schiaparelli - Giuseppe Mazzini - 1 precursori - Gli apostoli - I martiri del Risorgimento Italiano, in Rivista Biellese, Biella-, Agosto 1926. Recensione del volume dello Schiaparelli pubblicata dall’Istituto Nazionale per le bibliotedhe dei soldati di terra, di maTe e deiraria. 226.) Tedeschi Paolina, La crisi del dubbio in G. Mazzini, in 11 Testimonio, Roma, Luglio-Agosto 1926. E’ la continuazione dello studio iniziatosi nel giugno. (Cfr. n. 161). Lo studio è condotto in gran parte sulle lettere edite nell 'Epist. deU'Ediz. Naz. 227.) Stenio, Un anno duro nella vita di Mazzini (Londra 1842), in Voce Repuljblicana, Roma-, 3 Settembre 1926. Desumendo gli elementi dall'Epistolario parla della vita del Mazzini a Londra nel 1842. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 331 228.) — — La giovinezza di Mazzini, in Unione Sarda, Cagliari, 8 settembre 1926. Breve recensione del voi. di A. Codignola sulla Giovinezza (hi Mazzini (iGfr. n. 12). 229.) Triulzi G. G., Mazzini e George Sand, in I/Italia del Popolo, 10 Settembre 1926. Studia i rajpporti -fra George Sand e Mazzini servendosi particolarmente dei volumi d'Epistolario mazziniano dell’Edizione Nazionale. 230.) SALUCCI Arturo, Biblioteca Mazziniana - L’edizione nazionale delli scritti - Nuove ricerche di A. Luzio, in Txivoro# Genova, 11 Settembre 192(5. Recensione dei voli. 43 e 44 (degli Scritti mazziniani dell’Ediz. Naz. e della memoria del Luzio : « Nuove ricerche mazziniane » (Cfr. n. 106). 231.) Romano Pietro, La personal ita di G. Mazzini e la sua azione, in L’idealismo realistico, Roma-, 1-15 settembre 1926. 232. )--Nuovi documenti mazziniani, in II Mondo, Romar 16 Settembre 1926. Breve recensione degli ultimi due volumi dell’Epistolario mazziniano delTEdiz. Nazionale. 233.) Morando F. E., I ricordi politici di Andrea GiannelH in Lavoro, 25 agosto, 17 settembre 1926. Ampia recensione del volume di Andrea Giannelli. 234. )---Mazziniana, in La Riscossa, Treviso, 18 sett. 1926. Breve articolo di carattere politico. Per dimostrare i punti d'incontro· del mazzinianesimo e del socialismo cita brani delle opere del Colaianni, del Viazzi, del Salvemini. 235.) Della Seta Ugo, La pena di morte nel pensiero di MazziniT in La Voce Repubblicana, Roma, 26 settembre 1926. Citazioni varie desunte dagli Scritti mazziniani facenti parte dell’opera del Della 'Seta: « La filosofìa ài Giuseppe Mazzini ». 236.) Morando Ernesto F., Nuove ricerche mazziniane, in Messaggero, Roma, 30 settembre 1926. 332 GIORNALE -STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Ampia recensione della pubblicazione di A. Luzio, edita nelle Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino (Cfr: n. 106). 237.) Pareto Magli ano Bice, Le idee religiose di Mazzini, in L’Italia del Popolo, Genova, settembre 1920. La P. pubblica vari! brani di lettere del Mazzini alla famiglia Ashurst, riguardanti il suo pensiero religioso. Le lettere fanno {parte dell’opera edita dalla Richards e ora tradotte dalla Pareto. 23(>.) Julitta E., Un patriota oleggese ed alcune lettere inedite di G. Mazzini, in Balletti no storico per la provincia di JVo rara, higlio-sett. 1926. Le lettere del Mazzini al patriota oleggese G. O. Minoli tono due: una del 7 agosto 1860, l’altra del 29 agosto 1862. In entrambe il Mazzini ringrazia di offerte in denaro. Nella prima lettera egli dice: « Ricordatemi con affetto alla Signora Giuditta ». 339.)--Mazzini espurgato, in Avanti!, Milano, 6 ott. 1926. Lettera polemica in cui si rimproverano i professori Ferdinando Palazzi ed Enrico Piceni, i quali in una antologia per le scuole hanno pubblicato il giuramento della Giovine Italia di G. Mazzini espurgato] 240.) ΓΚAndrea Ugo, Una classe politica, in Giornale d'Italia, Roma, 15 ottobre 1926. Articolo d’ispirazione politica. Recensione del volume di Roberto Can-talupo: « La iclasse dirigente » - Milano 1926. 241.) A. G., La giovinezza di Mazzini, in Carriere Padano, Ferrara, 27 ottobre 1926. Breve recensione del voi. di A. Codignola sulla Giovinezza di G. Mazzini (-Cfr. n. 19). 242.) Quaglio Γ., La spedizione di Savoia nel 1834, in Gazzetta Ferrarese, Ferrara, 29 ottobre 1926. Il Q. pubblica una lettera del 3 maggio 1868 riguardante fatti già noti sulla « spedizione di Savoia nel 1834 e sulla condotta del generale Ramorino, senza però indicare nè l'autore della lettera nè a chi essa era destinata. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 333 243.) Guardione Francesco, Lettera inedita di G. Mazzini a Nino Bixio, in Corriere Marittimo Siciliano, Palermo, 31 ottóbre 1926. iE’ una importante lettera del ’59 diretta a Nino Bixio, il cui autografo è conservato nelle carte di Alessandro Bixio alla Biblioteca Naz. di Parigi. 244.) Plini Giovanni, Mazzini e Dio, in Testimonio, Roma, ottobre 1926. Sono ripubblicati varii pensieri sulla religione tratti dagli Scritti del Mazzini e già pubblicati dal Plini in Fede Nuova del marzo-giugno 1926. 245.) Chiodini Antonio, Oh! quei protestantesimo.... in L’Italia del Popolo, Genova, ottóbre 1926. Articolo polemico. 246. )--Per Mazzini giurista, in Fede Nuova, Roma, ottobre 1926. Si pubblica ima lettera di Enrico Ferri all’aw. Raffaele di Lauro. Tra gli altri giudizi su Mazzini giurista vi è questo : « La mentalità di Mazzini mi è sempre parsa al di fuori della realtà: ed infatti come uomo politico, non ha avuto intuizione della realtà, come l’ebibero invece Cavour e Garibaldi. E anche come giurista.... Mazzini non mi pare poggiasse il suo sistema sulla realtà nuova e sociale ». — Alla lettera segue un commento polemico della direzione del giornale. 247.) Golinelli G., Mazzini e il vecchio e nuovo protestantesimo, in L’Italia del Popolo, Genova, ottobre 1926. Articolo polemico contro le affermazioni del Gangale. Il G. ripubblica parecchi ibrani del Mazzini riferentisi al protestantesimo. 248.) a. g., Mazzini e Gioberti, in Vittoria, Palermo, 4 nov. 1926. 249. )--Mazzini e Tommaseo, in Popolo Toscano, Lucca, 17 novembre 1926. Si ripetono cose già note attraverso ΓEpistolario mazziniano. A. C. (Continua) 334 GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA INDICE Pietro Nurra, Il giansenismo ligure alla fine del secolo XVIII Pag. i Luigi Staffetta Donne e castelli di Lunigiana. La moglie di Gian Luigi Fieschi.........» 30, 186 Alfredo Schiaffine I Liguri antichi e la loro lingua secondo le indagini più recenti. Discussioni, dubbi, proposte ...» 89 Antonio Costa, Gian Luca Pallavicino e la Corte di Vienna (I73I”I753) · · ......» 113,204. L baldo FORMENTINI, Consorterie langobardiche fra Lucca e Luni » 169 Giannina Gnecco, Il Molière nella produzione comica di Stefano de Franchi. ....... » 2τη V ARIETA' Onorato Pastine. Sull'origine del tricolore italiano . Pag. 52 Francesco Luigi Mannucci. Per la storia della questione ro¬ » 62 mantica ........... Francesco Luigi Mannucci, Il circolo costituzionale di Genova nel 1798 » *33 Onorato Pastine, Officium magistri Cursorum .... )) 141 Onorato Pastine, Genova e una gazzetta napoletana del sec. XIII » 151 Pietro Rivoire, Gabriella Malaspina di Fosdinovo . » 248 Francesco Luigi Mannucci, Inventari della biblioteca di Ago¬ » 263. stino Giustiniani . . . . RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Pag. 70 A. Codignola, La giovinezza di G. Mazzini (Francesco Luigi Mannucci)...... Annali genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori, vol. III. » 72 Ogerio Pane, Marchisio Scriba, Trad. di G. Monleone (Fran¬ cesco Luigi Mannucci)...... La Liguria nel Risorgimento (Aroldo Chiama) . . )) 74 U. FORMENTONI, Le origini di Genova (Vito Vitale) )) 153· GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA 335 292 294 L. Fumi e E. LazzareSCHI, Il carteggio di Paolo Guinigi (Umberto Giaimpaoli) . . . ......pflg. ^ P. Revelli, Terre d'America e archivi d'Italia (Francesco Luigi Mannucci) .......... „ F. L. Mannucci, La lirica di Gabriello Chiabrera G. Chiabrera, Liriche (Vito Vitale)....... A. Canepa, Note storiche sanremesi. Ubicazione e successive denominazioni dell1 antica « Villa Matutiana ». - Fra\ tradizioni e leggende. Dalla Villa Matutiana al Castrum S. Romuli. -Notizie su alcuni luoghi del « Castrum Sancti Romuli » e sua ubicazione. - Vicende del Castello di San Romolo (Vito Vitale)............ Annali genovesi di Caffaro e dei suoi Continuatori dal MCCLI al MCCLXX1X (Vito Vitale)........ 300 M. G. CELLE, Valore territoriale del nome « Romania » negli annalisti genovesi del XII e XIII sec. (Francesco Luigi Mannucci)...... . . . . . „ ^10 SPIGOLATURE E NOTIZIE Pag. 76, 157, 311. A. CòDIGNOLA, Appunti per una bibliografia tnazzimana Pag. 80, 161, 319 297 Giovanni Da Pozzo aministratore responsabile , _ _ Recenti pubblicazioni : J FRANCESCO LUIGI MANNUCCI La lirica di Gabriello Chiabrera STORIA E CARATTERI vol. IX della Biblioteca della « Rassegna » (un voi. in 8°, di pp. 298; L. 35) ^Società Anonima Editrice Francesco Perrella, Genova, Via Assarotti, 16 A ARTURO CODIGNOLA La giovinezza di G. Mazzini vol. XXIII della «Collana storica» dell’Editore Vallecchi (un voi. in 16®, di pp. 250, con 15 illustrazioni fuori testo; L. 14) Vallecchi, Editore - Firenze. UBALDO FORMENTINI Conciliaboli pievi e corti nella Liguria di Levante (Saggio sulle istituzioni liguri nell’antichità e nell’alto Medio Evo). Edizione della Accademia lunigianese di scienze, 1926; in vendita presso Γ Amministrazione del Giornale storico e letterario della, Liguria, Palazzo rosso, Via Garibaldi, 18 — L. 10 Direttore responsabile : Ubaldo Formentini i