Conto Corrente con la Posta ANNO XI - 1 55 Ó-XIII Fascicolo I - Gennaio-Marzo GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE Direttore: ARTURO CODIGNOLA Direzione e Amministrazione GENOVA - Via Lomellini, 21 (Casa Mazzini) FRATELLI PAGANO TIPOGRAFI EDITORI - S. A. VIA MONTICELLI, Jl - GENOVA - TELEFONO 52004 iB«iBMBi>B»f n—«B Il B«fH »**·Μ·Μ·~·*.·Μ·«*»*··*«·»ί e·*·!!·*···*·:!»·«·'··«··"»* *·»··"·*Ι·Μ·*Ι··· ·«♦·*» »«IBII ·ΙΙ ·ΙΙ·Ι1· II· UBI!· 11*1 Ι·ΙΙ ·ΙΙ·Ι Nostre Edizioni POESIE IN DIALETTO GENOVESE di Martin Piaggio • ò* edizione, curata da Giulio Gatti - Prefazione di L. A. Cervetto .....· L. 1 ö.—- LA CUCINIERA GENOVESE di Gio Batta e Giovanni padre e figlio Ratto - 1 Sa edizione - Prefazione di Carlo Panseri ...··· L. ö. ANNUARIO GENOVESE FRATELLI PAGANO £ Guida di Genova e Provincia (Lunario del Signor Regina) 1 19 ediozione · 30,«— ; i 1 — SOMMARIO = Arturo Codignola, Il credo di Mazzini - Ferruccio Sassi, Evoluzione delle forme politiche Lunigianesi dal secolo Xll e! X VI - Mario Bat-tietini, Rapporti di Mazzini con democratici del Belgio. - Paola Catel, Ancora sul congresso repubblicano del 30 aprile 1646. - Renato Giar-delli, Saggio di una bibliografia generale della Corsica. - RASSEGNA BIBLIOGRAFICA: Arrigo Solini, L'idea dell' unità italiane nell'età napoleonica (Vito Vitale) - Ilario Rinieri, / vesto»'/ della Corsica (Adolfo Bassi) - SPIGOLATURE E NOTIZIE. Giuseppe Bisogni Anno XI 1935*XIII Fascicolo 1.° - Gennaio-Marzo GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Direttore: ARTURO CODIGNOLA Comitato di Redazione : Carlo Bornate - Pietro Nurra - Vito A. Vitale IL CREDO DI MAZZINI Era. consuetudine, non so se lodevole, dei tempi passati di commemorare Giuseppe Mazzini nella- annuale ricorrenza della morte* con reboante retorica, troppo spesso faziosa; consuetudine poco confacente con l’atmosfera d’oggi, nella quale son più graditi i fatti delle parole; e nella coltura si cerca· di ficcar lo viso in fondo, piuttosto che acchiappar farfalle sotto l'arco di Tito. Invitato a rievocare oggi il Grande nella, casa ov’Egli vide la luce, mi propongo di ripercorrere con voi la via da lui seguita, pei* formulare la sua concezione religiosa, intorno alla qua1 e lungo è stato il dibattito, clie ancor oggi non p-uò dirsi chiuso. L’indagine non è oziosa, perethè tutto il pensiero politico, sociale economico, letterario delFApostolo, la stessa sua prassi di vita, non si può comprendere, se non si ha chiaro il centro irradiatore della sua fede religiosa; se no-n si risolve cioè, prima di tutto, quello che ne è il problema fondamentale. La sua dottrina, espressa in formule filosofiche, si avrà soltanto quando si potrà- trovare il saggio Le reliquie d'un 1 (pioto, nel quale, per sua dichiarazione, egli la eresse a sistema; ma poiché la-preziosissima opera non s’è potuta rintracciare, ci dobbiamo accontentare di definire J-orientamento del suo pensiero, col sussidio de gli accenni, da lui stesso fatti, disordinatamente, ne’ suoi scritti. Lungi dall’essere oziosa, l’indagine è indispensabile alla comprensione. del pensiero e quindi dell’azione di Giuseppe Mazzini. Accennerò prima, brevemente, ai tempi nei quali egli aprì gli occhi a’ia luce: erano, come gli attuali, per molti popoli, tempi "di crisi, in cui crolla un mondo ed un altro ne sorge dalle sue rovine. Il processo storico, apertosi nel 17S9, si chiudeva quand’egli era ancora decenne: tutto il grande movimento rivoluzionario, che aveva la sua radice negli enciclopedisti del secolo XVIII, era sorto da (i) Discorso tenuto nel salone dell’istituto mazziniano in Genova il 17 marzo 1935‘XIii* iniziando 1111 corso di conferenze su « Uomini ed idee del Risorgimento », promosso dal Comitato di Genova della Società Nazionale per la Storia del Risorgimento. Arturo Codignol\ huh ìicocssitù storica, t^sprossu nolbi turione ili uiui < iecu lode iit?i razionalismo, che cercava di tradurre nei latti la nuova civiltà «lei lumi. Senonchè la perfetta felicità sognata dagli utopisti con lo stato di natura, pareva ormai, alla dura esperienza, non altro che una spaventosa tregenda di stragi e di sangue; la libertà rivendicata sembra \ a risolta in una tirannide più ferrea di quella del più schietto assolutismo: la parola eguaglianza, tanto solennemente proclamata, non era più ripetuta che in tono »li scherno; la fratellanza dopo essere stata affogata — ed in che undo! — uel sangue delle stragi di settembre, pareva ormai aneli'essa un mito. Il fallimento sembrava completo; ma se erano crollate le ideo’o-gie morali e politiche da cui era sorto il più grande movimento ri-volutomi rio della storia moderna, la loro funzione storica non era stata perciò meno importante; perchè precisamente nella grande prova. gli spiriti vigili avean sentito il formarsi di una realtà storn a ben più concreta di quanto non fosse stata quella sorta dall’i'lumin sino, t hè aveva preteso ricostruirsi un mondo esclusivamente su basi razionalistiche. S'era creduto di poter rinnegare in toto il passato, e si era nega to. di conseguenza, nell'esaltazione dell'ideale cosmopolita ogni valore alle tradizioni storiche; e la realtà degli eventi occorsi e di quelli (he si stavano svolgendo, dimostrava col linguaggio più evidente che in tali ideologie appunto risiedeva la loro limitazione e la loro critica. _ . La parola della religione cattolica che, prima della rivoluzione, non era ormai più sentita profondamente nei cuori nell'or» del più desolante ateismo, sotto la bufera che aveva travolto Ί clero traviato, cominciava di nuovo a risuonare consolatrice, perchè ue'lo strazio delle gnerre civili e di conquista, l'umanità aveva troppo sofferto; e negli animi provati dalla sventura, e sulle tombe innumerevoli, la speranza risorgeva, la consolatrice « ultima dea ». *·* Come in tutte le età profondamente turbate da crisi salutari, era sorto anche questa volta spontaneo quello stato d'animo particolare che s’è c onvenuto chiamare col nome di tneieianuo; il quale è nei più, inconscia asjiettazione di un nuovo verbo, e solo in poche chiare ed acute menti viene identificato, nella storia degli eventi umani con una aspirazione di carattere religioso. Nel Mazzini, ancor adolescente, questa crisi è in atto: nello Schiller, le cui tragedie egli legge fremendo, trova l'esaltazione degli alti valori della ri viltà : ia santità della gerarchia famigliare, la in-sopprimibilità della tradizione nei costumi, la genuinità dell anima |K»pol-ue, fatta vivere dal genio con fantasmi poetici. Il Goethe lo Il Ckedo di Mazzini 3 co'pisce sopra tutto per aver dato vita, nel Faust, alle « credenze inviscerate nei costuiai dell'epoca » e più, per aver ritratto, in Mefi-stofelc, il simbolo dell’egoismo, divenuto per i più « legge di vita· », e per avere esaltato in Margherita « Pinnocenza, la calma morale ed i puri affetti domestici ». La restati razione, dunque, non portò soltanto l'assurdo ed antistorico ritorno al passato colla netta opposizione del diritto dei prìncipi a quello dei popoli, con la imposizione del* a religione cattolica in odio alla libertà di pensiero, ma anche l'esigenza assai viva di una, diremo così, restaurazione interiore che tendeva a ridare all’uomo, per intrinseco processo spirituale, il seuso intimo del valore de'Ia vita, l'unità della « verità politicai, religiosa, morale e letteraria », come il Mazzini stesso nel 1829 — a soli 24 anni — già affermava. Kisale anzi ail'anno precedente la formulazione netta di questa concezione: «Tu senti — scrive a proposito dePa filosofia dello Schlegel — la mancanza d’un vincolo », che unisca i vari quadri in cui si ritraggono i diversi periodi. « Il problema dello spirito umano — afferma e stabilito con tutte le condizioni; ma la soluzione rimane intatta; la parola dell'enigma può indovinarsi talora, affermarsi non mai; pei eli'essa sta nelPintima connessione, che unisce i progressi della civiltà intellettuale alla vita politica delle nazioni; sta nelle istituzioni con cui si reggono e stà neirordinaineuto degli elementi sociali, nelle costumanze, nelle vicende, nelle rel gioni ». L'esigenza di una nuova fede è (pii implicita nel!a condanna dell'ideologia in cui sera esaurito l’illuminismo; ma questa critica, per non essere sterile, non doveva limitarsi alla negazione e un'esigenza soltanto, pura e semplice, che si fosse fermata lì, a sua volta noli era se non un conato di pensiero; cioè non era pensiero. 1 noltre dalla pura critica negativa non sorgeva una fede; a meno che non si fosse accettato il credo quia in(]ptum di Tertulliano, se si pensava « Ite non fosse pû possibile alla ragioue di dare una sufficiente risposta al problema fondamentale del nostro spirito. In Mazzini prevalse l'esigenza propria della sua generazione di mettersi al?a ricerca di una veiita che con» iliasse la filosofia con la religione; eterno problepia degli umani, che su tutti predominava vivo ed urgente, nella generazione succeduta alla bufera de’la rivoluzione francese. (Concezione questa pragmatistica — detto fra parentesi —, che, a giudizio di alcuni filosofi a noi contemporanei dovrebbe essere superata nella storia del pensiero, che identifica* l'azione creatrice col pensiero creatore e quindi la religione colla filosofia). Non è però nei miei propositi esaminare criticamente la dottrina del Mazzini; mi basta di cogliere in atto il suo formarsi, per illustrarne !'es>cnza viva ; ed entro perciò senz’altro nell'argomento. 4 Arturo Codi g nola Egli, giovane, nutrito il forte ingegno di studi profondi, meditò innanzi tutto, e lungamente, sul problema assillante per trarne norma di vita. Lui stesso, più tardi, lo dirà : « era urgente il conoscere i nostri bisogni, la nostra volontà, le nostre forze, e il come adoperarle: era urgente, per mettersi in moto, il sapere perchè e tvon quale insegna·. Gridar libertà senza definirla·, è istinto di schiavo che soffre, è sfogo d'anima appassionata, e generosamente intolerante; ma nulla più. Non si vince un proposito, confidando la mente in un sentimento incerto di reazione, in una» idea indefinita di guerra agli ostacoli. La libertà intesa vi quel modo genera martiri, non crea la vittoria. L'uomo che spira a correre una carriera deve abbracciarla tutta intera d'uno sguardo calcolatore. Noi non vo'evamo errare in cerca d'un I):o ignoto ed occulto: volevamo intendere, poi adorare: volevamo offrirci, s’era bisogno, in sacrificio, ma all'altare di nostra scelta, all'oggetto di un culto ragionato e positivo ». Voleva dunque prima intend#» poi adorait'. O’tre lo stato di attesa, cui s'è accennato parlando del messianismo, un'altra fede da quella scaturente, propria dei tempi nei quali il Mazzini da' forma alla sua dottrina, è quella nel perfezionamento progress ino dell'uomo, affermando il quale si postulava un fine posto fuori dei tempo: si risolveva cosi, nella su,, essenza, il problema religioso perché s’ammetteva una legge prima regolatrice del mondo. Il Mazzini non è avulso dal suo tempo: le esigenze del‘a sua generazione sono forse in ini, genio luminoso, ancor più vive che nei suoi contemporanei, tanto urgenti, anzi, da indurlo a rpereorrere da solo il cammino ideale della società umana, tenendo fisso rocchio, in modo particolare, alla storia delle religioni, la quale s’ident’fica per buona parte con quella della civiltà, perchè a seguire qn Ila, è necessario penetrare molto addentro nella vita dei popoli. l>i qui le sue ricerche intorno alle tradizioni sulla origine del mondo conservateti dalie varie religioni, sui culti orientali, sullo svolgersi della ci* vilià presso gli Indiani, i Caldei, gli Ebrei, gli Kgizi, i Cinesi, i Gre* ci, i Romani. Indagine c h’egli compie ed integra con l'assiduo si lidio dei fiosoii maggiori, sulle opere dei quali medita a lungo; incominciando da G. Γ*. Vico che ben conobbe, annor prima che il Michelet, con la sua opera divulgativa togliesse il filosofo napoletano dal* l’ob’io in cui era sepolto. A lui infatti rivendica il Mazzini il merito di quanto conquistò la filosofia del secolo XVIII, affermando già nel 1ν2ί> « il vincolo, che annoila iu un popolo le istituzioni, le lettere e i progressi della civiltà, indovinato un secolo innanzi» dal Vico, « fu posto in chiaro, sottomesso ad analisi e diede cominciamento a una nuova scuola». I risultati di questa nuova scuola non devono essere ignorati ma snpeiati : tende a questo fine lo studio sul granale Il Credo di Mazzini 5 filosofo meridionale, del quale tracce numerose si ritrovano negli zibaldoni, che testimoniano anche una preparazione, tale da non essere inferiore a quella di altri pensatori Buoi contemporanei. * * * Dalle sue meditazioni il Genovese è giunte alla constatazione che la vita è retta· da una legge; presupposto questo che segue a quello dell’unità dello spirito. Quale sia questa legge ed in qual modo si attui, è il problema che si pone e che per sè risolve. . La storia, e cioè lo svolgersi degli eventi umani, gli era stata guida nella ricerca della soluzione del problema: «la santa idea del Progresso » rivelatagli « dalle intuizioni dei core fortificate di studi storici » gli aveva fatto superare la concezione naturalistica della generazione che aveva preceduto la sua. « Le forze della generazione naia fra i due secoli XVIII-XIX — afferma — s'erano consumate nei quar&nt’auni di guerra ostinata e di sacrifici, spesi a ricadere nei fango d’onde avea voluto levarsi. Gii uomini, che avevano veduto il primo e Fultimo giorno d'una rivoluzione destinata a mutare le sorti europee, disperavano del progresso ». Le cause del fallimento dell’ideologia eran nate con lei, poiché essa aveva tentato di risolvere il problema coll’esclusivo esercizio «« «Ielle facoltà individuali », ossia· con la sola concezione razionalistica; la quale appunto il Mazzini si rifiutava di ammettere nell'esame nitico a conclusione delle sue meditazioni, che intendo qui ricordare. * # # Sullo scorcio del secolo XVIII la filosofia moderna con Emanuele Kant pose i fondamentali capisa’di di un nuovo orientamento idealistico. Nell’attività dello spirito, dimostrata criticamente, si trova la nuova conquista del pensiero, che si· esplica nell'etica come automa determinazione. 11 Mazzini fa sue le deduzioni tratte dai capisaldi dell’etica kantiana in certi appunti conservatici nei suoi scritti « secondo Kant — troviamo in 11110 di essi — lo scopo dell’edurazionc sarebbe di sviluppare nell’individuo tutta la perfezione della quale è capace»; concetto su cui ritornerà pochi anni dopo, affermando: « v’è una legge di Kant, che definisce, parmi, mirabilmente la missione della giovane Europa ». Sono dunque da lui accolti i fondamentali capisaldi del l’idealismo, cui non contrasta tutta la tradizione della filosofia italiana dal Vico in poi. Non esita a definire la sua una dottrina, perchè « dove non domina l’autorità d‘1111 principio razionale— afferma — dove tutti gli arridenti sociali non possono richiamarsi a quel principio, v‘è conflitto fra le opinioni, fra gl’interessi, fra le passioni degli individui; allora giudioe supremo è la forza». Ila però ben 6 Arturo Codigxola sura di precisare — e qui si differenzia dai filosofi neo-idealisti — che, se è « inesorabile su’ principii », sente « bisogno di procedere lento e più cautamente nelle deduzioni », perché « non tutte le conseguenze d’un principio possono desumersi a un tratto ». Respinge cioè le deduzioni che, dai fondamentali principi dell’i-dealismo, traggono i creatoli del movimento filosofico post - kantiano Fichte, Schelling, Hegel, sui sistemi dei quali ha già portato il suo acuto esame critico già ali-età di 23 anni. Egli, che nutre la sua forte, aperta intelligenza con innumerevoli letture di classici della filosofia e di storici delle religioni, in quegli anni in pieno rifiorire, afferma : i filosofi tedeschi « pongono ad esame i lavori del genio, collo stesso spirito indipendente e vivace che presiede alla loro creazione e criticano con eloquenza, lodano con entusiasmo, che è forse la guida più possente alla verità. Ma l'indole, le controversie di religione che nel secolo XYI agitarono) le menti e le scuole filosofiche, esercitano pure somma influenza sugli ingegni, e ne risulta una oscurità, un amor di sistemi, una tendenza alle astrazioni metafisiche, che troppo sovente campeggiano nei loro scritti. « Una naturale inclinazione a illimitate ricerche è ognor più avvalorata dalle scuole trascendentali, e dalle disquisizioni kantiste. Pare ch’essi divaghino in cerca d’un fine ideale, misterioso indeterminato, collocato oltre i limiti della nostra sfera; e se riconcentrano talora le forze, e gettano uno sguardo indagatore sulle umane cose, si slanciano ben tosto con più vigore a tentar di raggiungere questa idea, eh'essi vagheggiano sovra ogni altra. «Quindi teoriche che ti seducono, perchè ogni sistema seduce, ma ti traviano; meditazioni che ti sollevano dal fango di questa terra ma per cacciarti nel vuoto o nei vortici delPiaifinito ». Critica non dubbia, come si vede, alla dottrina dei filosofi post-kantiani; è assai significativa poiché è formulata negli anni durante i quali il Mazzini segue con non celata simpatia i corsi che hanno ripreso in Parigi il Cousin ed il Guizot ; corsi che lo stesso Hegel definisce «une musique de l’energie libérale dont Paris, toute la France et l’Europe retentissaient». 11 futuro Apostolo delPUnità segue cioè non solo il Cousin nel Patteggiamento politico·, ma anche nell'orientamento kantiano nel quale si trova; non lo seguirà più tardi quando il filosofo eclettico accoglierà le conseguenze tratte dalPHegel, partendo dalla stessa critica kantiana. La conquista della moderna filosofia non rende persuaso il Mazzini; per il quale, come Perrore fondamentale delPillumini-smo fu quello d’aver voluto edificare «sopra una teoria di diritti, ohe conduce inevitabilmente all’accettazione dei fatti compiuti )), in altre parole, alla adorazione della forza, così la filosofia hegeliana non fa che sostituire al materialismo brutale degli atei del Il Crì:do di Mazzini 7 secolo XVIII, un altro materialismo più « mite, velato, celato, alquanto gesuitico » perchè, in tale dottrina « la verità esiste ma relativa . . . , esiste l’ideale ma in noi, non fuori di noi». Ogni realtà, « ogni fatto compiuto, è perchè deve essere, ha nella propria esistenza la propria ragione d’essere. Ogni evoluzione, o-gui fenomeno è cagione ed effetto ad un tempo. Dio 11011 esiste o non importa tentare l’impresa impossibile d’appurare se esista; ma l’uomo lo crea» perché il simbolo o il nome può essere utile che siano conservati. Per il Mazzini questi sviluppi della teoria hegeliana non sono che conseguenza « del concetto materialista che non vede nè può vedere nel mondo se non una serie finita di fenomeni prodotti dalle forze di una somma di materia! necessariamente finita, fatalmente concatenati e chiamati a indefinitamente ripetersi » e cioè cade nella conseguenza ineluttabile dèi fatalismo e « conseguenze del fatalismo sono a loro volta la giustificazione del male e la contemplazione sostituita all’azione. A che la condanna — si chiede — dove tutto s’incatena in una serie di fenomeni che sono effetto e cagione ad un tempo, in virtù di forze e leggi delia materia immutabile perchè non intelligente? » E non si vede il Cousin ed il Guizot fautori della religione del progresso, farsi sostenitori della commedia dei quindici anni recitata tanto bene da Luigi Filippo — son parole del Mazzini — perchè colla loro dottrina si giustificano appieno i fatti che avvengono sotto i loro occhi? non si son visti « scrittori tedeschi, inglesi, francesi farsi dottamente apologisti d’ogni tirannide e contaminare la severa moralità della storia colla riabilitazione di Siila, di Nerone, di Caligola? E la muta inerte contemplazione che intende e ammira, s’è sostituita nei più, tra gli intelligenti, allo spirito d'azione che desume, trasforma e antivede ». Questa concezione filosofica non può rigenerare le nazioni i>er-chè ogni conquista morale è in tal modo loro preclusa come lo dimostra la storia moderna. « Per una serie di pensieri incatenati e di conseguenze forzate — scriveva ora è un secolo — venimmo· al punto in cui siamo. Così, ci parve che dopo tante delusioni, tanti esperimenti infelici tanta vicenda di casi fosse oggimai tempo di rinsavire, e pensare seriamente a una via di salute. Così intendiamo la nostra missione. Missione di verità pura e franca fortemente sentita, e arditamente parlata, 11011 di blandizie funeste, ad uomini o cose, di transizioni pericolose, di reticenze colpevoli. Missione di vero progresso sociale . . · . non d’insistenza sulle vecchie norme, di servilità al passato, di riverenza agli errori, soltanto perchè commessi dai nostri padri. Missione altamente rivoluzionaria — di rigenerazione, nazionale 8 Ariuro Codignola di miglioramento popolare... — non di paurosa riforma, di mutamento a pro di una classe sola, di rivoluzione aristocratica ed incompiuta-. Missione infine d'energia, di coraggio, di sacrificio illimitato, non di terrore, di debolezza, dì egoismo mascherato e d'inconseguenza ». Ed ecco il Mazzini ergersi come il dantesco Farinata. La dottrina è in lui fede: una dottrina che non fosse tale non potrebbe spingerlo sulla tribolata via dell’apostolato e del martirio. E’ indispensabile che esista in lui la certezza da cui trae origine, a sua volta, la dottrina: la fede in Dio. No, Dio eterno, afferma, chi ti nega non può essere che grandemente infelice o grandemente colpevole. La verità è una ed eterna, il pensiero « germe del mondo in Dio >;, che lo contiene tutto, deve realizzarla e può soltanto se respinge la teoria dell'individualismo, se .attraverso l’associazione, ricerchi la legge per dirigere la sua condotta·, Ila quale non può essere quella che si ispira, al diritto, ma soltanto quella che prende per sua norma « il fecondo principio del dovere». Ma il dovere — come norma — da che può trarre legittimità se non si ammette l'esistenza- di una causa prima, di un'unica legge generale, immutabile, che costituisce il nostro modo d'esistere ; « che abbraccia ogni serie di fenomeni possibili » che « esercita continua un'azione sull’universo e su quanto vi si comprende, così nel suo aspetto fisico come nel morale? ». La risposta è ovvia : Dio è « Punica causa di tutto ciò che esiste». Ma qual’è questo Dio? Egli stesso appena superata, appunto con atto di fede, la tragica tempesta del dubbio, che per poco non lo travolse, lo afferma con parole troppo chiare per prestarsi ad arbitrarie interpretazioni : « Credo in Dio intelligenza, superiore al mondo creato, causa, legislatore, perchè credo che la sua unità si trasforma e si riproduca in tutta la creazione e generi necessariamente una legge, un pensiero, imo sviluppo continuo, una missione, un intento, un interprete, un’umanità, quindi necessariamente un'arte, una filosofia, una politica, una religione, della quale tutte le arti le filosofìe le epoche civili, le religioni non sono che evoluzioni, fasi, manifestazioni progressive, transitorie, divine ad un tempo ed umane tutte ». Dio ha creato dunque l'umanità e non il singolo uomo, che l’u-manità nel significato mazziniano non è se non l’espressione del concetto definito da Paolo nella lettera ai Corinti nel modo ben noto : « il corpo è uno solo, ed ha molte membra, e tutte le membra, di quel corpo che è uno solo, benché siano molte, sono uno stesso corpo ». Il Credo di Mazzini 9 Il creatore è uno ed una è l'umanità,: Dio si rivela agli uomini attraverso le leggi che regolano l'umanità, ed in tal senso il divino è immanente nella storia; queste leggi non sono conosciute che dalla profonda intuizione del genio e confermate dal l'evolversi dell umanità verso un termine ultimo, che noi oggi è sconosciuto ma che non è perciò meno sicuro·. * X- * Questo Creatore, questo Dio, causa e legislatore, con buona pace di molti studiosi del pensiero mazziniano non è immanente; è un Dio trascendente. Egli anche aggiunge che non è il « padre nostro che sei nei cieli ». Lo afferma scrivendo una di quelle sublimi lettere consolatorie (per la morte di persone care), in cui meglio s'effonde il più alto sentimento del nobilissimo suo spirito; e l'affermazione è tanto più significativa, in quanto egli si rivolge -ad una madre che impreca contro il fato che le ha rapito due figli: essa è atea, e perciò grandemente infelice. A questa russa — di nome Ogarief — in qual parte del mondo Mazzini non esercita la sua azione? — che, evidentemente, non si trova con lui in grande dimestichezza, scrìve : « Se voi foste mia ■sorella» di fede vi direi che sopra di noi tutti c'è Dio e la sua legge, la quale perchè da lui proviene non può che essere legge di vita, la qua1 e vita perchè sua non può essere -annientata da quella trasformazione da noi chiamata morte ». Vi direi ancora « che la morte non esiste, che la vita è eterna, che tutto ciò che ha principio in terra, si sviluppa* in altro luogo; che l'amore è la promessa e la tomba la seconda culla: che tutto ciò che alimenta il cuore deir nonio è eterno e che la nostra esistenza rassomiglia ai fiori che vegetano nella terra e fioriscono nell'aria pura elevandosi al cielo che ci circonda ». Clie cosa risponde la sventurata madre al Mazziini, il quale tenta di consolarla, elevando il suo spirito alle altezze sublimi del’a fede? Non lo sappiamo, ma dalla successiva lettera del Genovese non è difficile comprenderlo : un grido di ribellione e di scherno contro il caso che l'ha colpita, lasciandole il vuoto intorno. « Sapete voi perchè vedete soltanto la morte, il vuoto e la disperazione? _ egli ribatte — sapete voi perchè negate Dio* e l'immortalità e proferite l'incomprensibile parola caso, che è, perdonatemi, una parola priva di senso, dato che tutto ciò che avviene si determina con leggi visibili? Forse perchè di fronte a colui che vi ha parlato, o vi parla di Dio, come nel mio caso, voi avete pensato al Dio dei cristiani e cioè ad un Dio che si interessa minutamente di tutto ciò che noi facciamo, non altrimenti di un direttore di polizia, mi è affidato il compito di seguire e di controllare ogni nostro atto1. 10 Ακτυko Codignola « In tal caso, se si osserva il male clic regna nel mondo, il giusto sacrificato, il malvagio trionfante, l’amore distrutto dal male fiskio, i figli rapiti dalla morte, la conclusione per voi non può essere clie la. seguente: o Dio non esiste o non lia amore per le sue creature perché non veglia su noi. « Il Dio dei cristiani non è il mio Dio; esso è il Dio della fanciullezza del genere umano. Iddio, 1 unica causa di tutto ciò che e-siste, non conosce limiti: egli non ha cjreato me e voi ma 1 umanità dalisi quale noi proveniamo e creandola le ha dato leggi, la possibilità di progresso, e tali leggi si leggono nella storia ed il genio le riconosce nella profondità della sua intuizione. Ognuno di noi ritrova Dio nel suo cuore nei migliori momenti d'ispirazione e se non lo possedesse in sé non potrebbe neppure averne 1 idea. « I disagi che capitano ad ognuno di noi sono la conseguenza della nostra imperfetta natura ; di quanto ci circonda, dei nostri errori, della nostra imprevidenza ed essi sono indissolubili dalla nostra sorte, perchè nella nostra· qualità di esseri umani noi ci troviamo in un gradino inferiore a quello che dobbiamo raggiungere. Sopra ogni cosa però sta la vita, che è il pensiero di Dio e che non può essere distrutta: il progresso che noi constatiamo, che deve realizzarsi qui o altrove, l’amore che tende all?eternità, non sono un'ironia, ma una uosa sacra sulla terra: la promessa ed il principio. La vostra negazione di Dio sulla terra e la vostra credenza nell e-sistenza del diavolo sono assurde. La legge è l'immortalità. Λ oi rivedrete ancora i vostri figli ». La ferma fede nell’immortalità, espressa con tanto commosso ed appassionato fervore nelle sue lettere consolatorie, fece sospettare che nella dottrina del Mazzini trovasse posto anche kt credenza nella metempsicosi ; ma tale interpretazione non può essere presa in seria considerazione, essendo in netto contrasto colle basi stesse di tutta la sua concezione filosofica. Fissata così l'origine del « credo di Mazzini » ci sarà agevole illustrare le deduzioni ch'egli ne trae ed a cui s'ispira durante il suo apostolato ; cioè, si può dire, per tutta la vita, che fu sempre coerente, come poche altre nella storia, come quella che voleva sempre raggiungere « l'armonia progressiva d'idea rappresentata colle opere, di pensiero espresso in azione ». Sappiamo già quale sia il Dio di Mazzini; e in che significato egli adoperi la parola Umanità, la (piale rappresenta, è ovvio, l'insieme dei popoli ; ma il Popolo nelPinterpretazione sua è soltanto « l’universalità degli uomini componenti nazioni », poiché « la moltitudine degli uomini erranti non costituisce nazione, ove non sia diretta da prinenpii comuni, affratellata in una tendenza uniforme* Il Credo di Mazzini 11 governata da leggi uguali ». E la· nazione, a sua volta, non è tale se non ha come principio l’unità. Senza unità di principi, d'intenta e diritto non può riunirsi in tutto omogeneo, una moltitudine di uomini ; si avrà cioè una genie, non una nazione. Ancor qui egli convalida la siici dottrina- con ’a storio-. « I barbari _ afferma — venuti dal nord a trucidarsi Pun l’altro sul cadavere dell'impero Romano erano gente. Gli italiani — soggiunse amaramente — a’ quali ogni manifestazione di principii d’intento, di diritti è vietata son gente fino a quest’oggi ». Che intende il Mazzini con le parole principio, intento, diluito? « Il principio -- egli risponde — nel quale Ja nazione « ha fede, deve essere inviolabile e progressivo, perchè uè tempi nè capriccio d'uomini lo consumino ». Il diritto, come è ben noto, trova la sua legge nel fecondo principio del dovere dal quale deriva. L'unità dei princi\pì, inoltre, non può essere vitale se non è spontanea e lifbera, 11011 infirmata dall’arte e dalla violenza. E la-libertà a sua volta, trova il limite a se stessa, intesa come deve essere quale mezzo e non quale fine. Non è questa-, mi pare una concezione nebulosa nè astrusa-, come di consueto si afferma. Gli sviluppi della sua dottrina, quando son ben ferme queste premesse, non soli meno chiari. Così l'intento della nazione è altrettanto chiaramente definito. Essa, precisameli te come gii individui, deve tendere al proprio perfezionamento, al- lo sviluppo ordinario delle peculiari sue facoltà ed allo sviluppo dell'attività sociale: la quale 11011 deve prefiggersi di raggiungerò esclusivamente un benessere economico poiché l’intento, « deve essere radicalmente inorale ». «Un intento materiale soltanto è di sua natura finito — afferma — e, perciò, 11011 costituisce base d’unione perpetua ». Quali sono i mezzi per raggiungere tale fine? Egli non esita ad additare l’asso dazione, vincolo potente a moltiplicare le forze; associazione stretta fra eguali in diritti e doveri, indispensabile per realizzare una armonia nei lavori, una cooperazione generale nella nazione e fra le nozioni nell'umanità. Ma occorre che anche *1 concetto di eguaglianza, che sta a base dell’associazione, sia ben definito. Il Mazzini supera la concezione deli-eguaglianza lasciata in retaggio dagli enciclopedisti che, la consideravano 1111 diritto di natura. Gli uomini — afferma invece lui — nati « moralmente eguali, dotati delie stesse facoltà,, degli stessi organi, dello stesso istinto di progresso, sottomessi all’influenza degli stessi principi, 11011 soggiacciono ad altre ineguaglianze, che a quella del ^intelletto, e a quella che deriva dalla maggiore o minore attività delle facoltà loro: la prima, inegua-gianza di fatto e non di diritto, non ereditaria, 11011 tirannica, perchè gli uomini piegano spontaneamente davanti ad 12 Arturo Codignola nistra alla nazione, che sa valersene, un elemento efficacissimo di progresso, la seconda suscettibile di modificazioni continue, è necessariamente segno alla legistiz,ione, clie ripartendo il latoo-ro, e le ricompense proporzionatamente al lavoro, può diminuirla gradata-niente; ma leggi e diritti civili e politici stanno eguali; per tutti gli uomini che fanno parte della nazione, e chi statuisce il contrario, viola l’umanità ». it w La dottrina, rievocata nelle linee fondamentali, costituisce per il Mazzini una fede, ed ha perciò caratteri inconfondibili cpn le correnti di pensiero contemporaneo delle quali egli non si fa mancipio. Essa è sempre avvivata dal calore della fede, in lui incrollabile e tanto profonda da fargli dettare una pagina inspirata, che forse occorre rievocare a ricompensarci un po’ della crudele vivisezione che abbiamo sino ora compiuta. « Figli di' Dio e dell'umanità, levatevi e movete. L’ora suonò. La libertà vive in voi; l’uguaglianza che un giorno s’aspettava in cielo passeggia oggi sulla terra che voi calcate e al disopra della redenzione sociale. Sappiate compirla: mostratevi uguali all’impresa, non dubitate del successo; non dite: si am deboli; quando Dio assegna una missione, ei v’aggiunge le forze necessarie a compirla. Ora, una missione v’è affidata: in nome suo, siate fratelli ed uguali. Raggi delPUmanità, voi movete tutti dalla stessa circonferenza per convergere ad un centro solo. Inoltrate dunque tutti. La libertà, di tutti deve essere conquistata da tutti. Senza -questa partecipazione comune all’impresa, come s’accerterebbe la vostra missione?.... » « L’iniziativa non è dietro voi : essa v’è innanzi. Non è più racchiusa nella teoria dei diritti...., non è più nelle parole libertà, eguaglianza, traduzione del doppio aspetto subbiettivo ed obbiettivo. vita propria e di relazione dell’io : non è più in quella di fratellanza,, figlia dell’eguaglianza, religione individuale, espressione di un fatto, anziché definizione di un principio, che unisce senza associare, connette due termini senza dirigere la loro attività collettiva verso la conquista di un terzo, e santifica il presente, senza creare il futuro. L’iniziativa è nelPUmanità, nuovo concetto, programma non veduto dai vostri padri : nell’Umanità che ha per suo metodo il Progresso, come il progresso ha per suo metodo l’Associazione- » Ribaditi i caposaldi della sua dottrina, addita le nuove vie da seguire con ispirati accenti : occorre — afferma — « segnare chiaramente con esattezza la lincia che distingue il passato dall’avvenire, giovarsi dei grandi risultati del primo, ma soltanto come Il Credo di Mazzini 13 di mezzi per conquistare il secondo ; trovare nel passato il punto dal quale devono muovere le generazioni, ma evitando quanto può tendere a imprigionarle nei suoi contini ; sfuggire all’errore che confonde la successione delle cose colla loro causa, immiserire la coscienza e la missione dei popoli ; e dire loro ch’essi non fanno che desumere conseguenze, lavoro che i popoli abbandoneranno sempre a quei che posero le premesse, mentre il fatto d’una manifestazione sociale, d’un'Epoca nuova, d’un nuovo battesimo, arditamente annunziato, basterebbe per sè ad ampliare il loro orizzonte, a redimere la loro· esistenza, a creare una nuova attività e a rivelar loro forze, oggi ignote, proporzionate alle loro imprese. (( Ritemprare la» nazionalità e metterla in armonia co 11’ Umanità: in altri termini redimere i popoli colla coscienza d’una missione speciale fidata a ciascuno d’essi e il cui compimento, necessario allo sviluppo della grande missione unitaria, deve costituire le loro individualità e acquistare ad essi' un diritto di cittadinanza nel mondo ». *· * ir Queste parole il Mazzini scrive nel 1834, a 29 anni : il suo storicismo, di pretta ispirazione vichiana, è agli antipodi dell’intellettualismo degli enciclopedisti francesi, altrettanto lontano dal misticismo inconsistente dei tedeschi e della dottrina di. Hegel e de’ suoi epigoni. La tradizione schiettamente italiana, cui egli si riallaccia, è troppo estranea al pensiero francese ed a quello tedesco; ma l’il-Jnnunismo ed il pensiero razionalìstico tedesco, non disgiunti da orna concezione religioso-teologica, son pure stati necessari, per dare all’orientamento del pensiero· mazziniano una fisionomia propria. Poiché il Mazzini, checché si sia- detto, ebbe uno spirito così concreto da dover essere da noi considerato come uno dei più schietti rappresentanti della nostra stirpe; è quindi necessario affermare ben chiaro che l’opera sua è grande non solo per aver contribuito, col sacrificio di tutta una vita, a dare agli Italiani patria e indipendenza, ma per essere stato uno dei più grandi maestri di vita. Il termine ultimo che l’Italia nuova dovrà raggiungere, egli lo ha collocato molto in alto; tanto in lalto, anzi, che dopo il ’70, e cioè dopo che la nostra penisola finalmente potè essere una -— in gran parte mercè il suo apostolato — egli si dichiarò insoddisfatto. Ma la. méta da lui genialmente additata deve essere raggiunta; i suoi, contemporanei e le generazioni susseguitesi sino ad oggjity pur avendo in un secolo fatto dei prodigi — si pensi che cosa era 14 ART'jRO Codignola ri talia nel 1835 — possono e debbono attingere ancora vitale nutrimento dalla sua dottrina; perché il grande suo merito iu quello di aver posto delle solide basi di credenza, religiosamente sentite, dalle quali scaturiscono soluzioni geniali, ma non astratte ai più gravi problemi che assillano ancor oggi la tormentata umanità. Esse contengono germi che in un avvenire prossimo o lontano daranno il loro frutto. Poiché la patria per il Mazzini fu davvero religione; la fede nella missione dell’Italia per lo svolgersi della civiltà è certezza incrollabile: «‘L’Italia è un infante divino — afferma — chiamato da Dio ad essere il Mosè dell’Europa dei popoli. Ciascuno di noi è chiamato ad esserne l'educatore. Ciascuno di noi lo può, purché l’anima sua divenga tempio di virtù, simbolo d’unità fra il Pensiero e PAzione. » Ed è questa missione ch’eg’i bandisce, con linguaggio profetico: «Nella grande tradizione dell’Umanità — esclama — ho studiato la tradizione italiana, e v'ho trovato Roma due volte direttrice del mondo, prima per gli Imperatori, più tardi pei Papi : v’ho trovato ohe ogni manifestazione di vita italiana è stata manifestazione di vita europea e che, sempre, quando cadde l’Italia, PUnità morale Europea cominciò a smembrarsi nell’analisi, nel dubbio, nell’anarchia. Credo in »un'altça manifestazione del Pensiero Italiano, e credo che un altro mondo Europeo debba· svolgersi dall’alto della città eterna che ebbe il Campidoglio ed ha oggi il Vaticano. » * * * Il Veggente di Staglieno è stato profeta. All’Italia in cammino, all’Italia di Vittorio Veneto e di Mussolini, il tradurre in realtà, come sta facendo, il religioso credo mazziniano. Arturo C< »lignola EVOLUZIONE DELLE FORME POLITICHE LUNIGIANESI DAL SECOLO XII AL XVI (Continuazione, vedi num. precedente) Nel mentre questi «avvenimenti si svolgono avendo a teatro la vallata del Vara, altri fatti — nel loro complesso più interessanti e produttivi di più durature conseguenze — ci rivelano nelle popolazioni della Magra resistenza d’una crisi più profonda, o per lo meno più sentita da tutte le popolazioni della Val di Magra e da* tutti i vari strati sociali. Esaminiamo ad esempio il quadro offertoci dalla nota pace stipulata in Aulla nel 12-02 tra Vescovo e Malaspina : è un panorama vasto e complesso sintetizzato nella nuda sclieletricità di poche righe. ft di dominio comune la precisione, quasi la meticolosità o meglio l’amore al formalismo meticoloso, dei nostri maggiori. Non vogliamo esagerare, ma non crediamo però di errare traendo dalla carta, alcune osservazioni. Essa ci descrive praticamente tutta la Lunigiana vescovile delia bassa vallata Magra - Vara organizzata a comune agrario con i propri consules, milites e populus: gli uomini, questi, che 11011 sono « de espiscopo » ma hanno giurato « sequimen-tum episcopi » (J). Vi è rappresentata Pontremoli : ma in essa il primitivo ordine gerarchico è capovolto; vi sono infatti « populus et milites »; è il comune cittadino che ha perduto il carattere magnatizio — <>, se vogliamo nel caso specifico, signorile delle origini — ed è già divenuto un Comune a tinta popolare proseguendo all’interno ed a!l*esterno nelle direttive politiche segnate dalla tregua del 1173; preludio delle lotte acerrime scoppiate nel secolo successivo, e composte nel 13.17 dal Cardinal Fi escili (2), tra il ceto cittadino — artigiano, e magnatizio per sangue o per denaro — ed il ceto agricolo del distretto. Abbiamo numerosa la rappresentanza del ceto feudale assorbito nella circoscrizione comitale dalla politica vescovile, ormai sprovvisto di propri uomini che non siano anzitutto valvassori od uomini della curia, ormai investito soltanto di poteri riflessi di subfeudo da quella concessi; accanto a questi, membri di quel l’aristocrazia montana tanto caratteristica in certi atteggiamenti ed in certe configurazioni giuridiche dei loro poteri, da darci l'impressione verace di relitti abbandonati dal naufragio di organizzazioni politiche anteriori di decenni ed anzi di secoli. Notiamo (ì) Cfr. ad oh. nel Cod. IViavicino ì patti stipulati con gli uomini della villa di S. Terenzo del Bardine. (2i Cfr. O. Sforza, Storia di Pontremoli dulie origini al 1500, Firenze, Tip. Franceschini e C., 16 Mario Battistini infine il folto gruppo proveniente dalla Lunigiana dei Marchesi ; ed anche questo ci presenta i vari aspetti della diversa costituzione sociale e politica delle singole terre, che dobbiamo partita-mente esaminare per poter abbracciare nel suo insieme ed in tutto il suo valore partitario questo mosaico formato dalla brillante adunata delle forze lunigianesi del 1202. La carta è -una traccia del cammino percorso e delle posizioni sino allora raggiunte con lento e tenace lavorio, e costituisce per alcune classi il più alto livello delle realizzazioni in fatto conseguite sia allora sia in seguito, per altre invece un punto di partenza. Anche in questa parte della Lunigiana la crisi stava maturandosi dopo un periodo non lungo di incubazione, con una contemporaneità non casuale rispetto alle rimanenti zone: è t*utta la regione che si agita e che lascia intravvedere l'esistenza d'una fitta rete di scambi e di estesi contatti tra le varie parti di essa e con le regioni limitrofe. Qualcosa di ben diverso insomma dallo squallido e desolato quadro che da alcuni si ostentava non si sa meglio se per convinzione od inveterata consuetudine. La classe ormai pervenuta: «i domini», sorti e sviluppatisi all'ombra del potere feudale, e che in parte provengono dai vecchi valvassori; le necessità delle guerre hanno poi favorito l'ascesa di « uomini nuovi » tratti in prevalenza dalle fila di coloro che, o nella zona stessa o temporaneamente emigrati altrove, hanno potuto costituirsi un discreto peculio, e sulla ricchezza mobiliare hanno costituito la successiva fortuna famigliare. Gli uni e gli altri diventano talora i banchieri dei Marchesi, come più tardi quel Rollandolo qm. Tarente de Giovagallo dal quale Isnardo' Malaspina riceve a prestito 400 genovini necessari per la spedizione di Corsica con 600 uomini d’arme (*) ; ed anche conseguono in cessione, a titolo di garanzia, una parte dei proventi propri del sistema fiscale feudale, come quel nobile milite Tomasio qm. Rosso de Giovagallo che vantava diritti sui pedaggi percetti lungo le strade di Aulla, Villafranca e Licciana (2). Parecchi sono i consorzi dominicali già formati nel 1202 sulle terre marchionali, come quelli di Groppo di San Pietro e di Bagnone; ma non potremmo davvero garantire che l'origine loro fosse molto antica, ove se ne tolga la casa di Moregnano con i sottorami derivati di Calice e Giovagallo, scesa in Lunigiana dall’Emilia rieJPundecimo secolo con atteggiamenti indipendenti. Accanto a questi maggiori vassalli, dobbiamo ricordare tra i presenti alla tregua quelle stirpi che — come i Bianchi, ed i Castello — in parte si trovano in relazione di vassallaggio con i Marchesi, in parte però godono di poteri e diritti loro pervenuti da diversa mano così da poter apparire del tutto indipendenti, e non solo nel secolo XIII ma anche nel successivo, cioè nel periodo di netto predominio ma· laspiniano su tutta la zona a levante della Mijgra. O) Flristito, op. cit. II, n. 511 : atto 14 dicembre 12Θ9. (2) R. A. S. Firenze, Perg. Fondo Malaspina: alto 1T> agosto 3302. ■KV0LUZI0.nl DELLE FOU ME POLITIQUE LUNIGIANESI DAL SECOLO SII AL XVI 17 Md, ripeto, i ipotesi d un’origine abbastanza recente dei domini di second’ordine già accennati, mi sembra abbia qualche fondamento. Vassalli diretti auch essi dei Marchesi, ma evidentemente di scarsa importanza presi partitamente, costituiscono, riuniti nella nota tregua del 1173, un elemento di forza tutt’altro che trascurabile in quanto, essendo a diretto contatto con le milizie tratte dal- I elemento feudale, non era difficile per loro valersi di un proprio prestigio persona'e per diffondere le idee e le aspirazioni d'intonazione comunale mosse da Pontremoli e da loro stessi abbracciate al fine di scalzare il potere superiore o almeno di acquistare in credito ed in ricchezze. Siamo nel vero contado, eppure essi non si diportano diversamente dai valvassori dei feudi maggiori facenti capo un tempo alle più fiorenti città. D’una cosa possiamo esser certi : del controllo esercitato dai Marchesi ininterrottamente — eccezion fatta pel quarantennio in esame — su queste formazioni minori. Ma abbiamo già detto che questo è un periodo di crisi: superata questa, riprende il predominio effettivo dei Malaspina che con lavorìo lento, tenace e silenzioso giurigeianno a smantellare in modo definitivo le resistenze e le opposizioni della classe, a rinnovarne la composizione, a staccarla del tutto - così trasformala — dall’altro elemento sul quale essa poggiava: il «populus». Appoggio cercato dalla bassa feudalità, qui; non subito, come nella Lunigiana occidentale, dal salire delle classi borghesi e popolari, le quali — assente od impotente l’alta aristocrazia — imponevano dapprima il riconoscimento del dualistico Comune (signorile e popolare) in attesa della totale eliminazione, per forza esterna se non per sviluppo interiore, del potere politico feudale. Nella Lunigiana marchionale, i vari movimenti e sommovimenti ci danno l’impressione d’una corrente in lento deflusso, ben arginata e opportunamente incanalata dal potere costituii o. Lo vediamo già il « populus », nella carta del 1202, comparirci come ’’.in entità della quale non è possibile disconoscere l’esistenza, ed è perciò riconosciuta o almeno ammessa in linea d,L fatto : ed essa già manifesta una propria volontà ed una propria capacità di agire. Si tratta ancora d’una capacità collettiva giuridicamente limitata in quanto questo popolo non ha ancora i propri legali rappresentanti con carattere continuativo, ed ognuno « prò tempore»; non consoli, non podestà, non rettori, nè regole di viver connine comunque fissate. È solo una forza politicamente viva, almeno pel momento, e che tende inevitabilmente ad un pieno riconoscimento giuridico. Ma la stessa denominazione ci mostra un complesso demico che, pur così cojne si presenta, non è privo di certi diritti, d’nna certa libertà personale: non tutti gli abitatori delle terre dei Marchesi dovevano essere loro « homines », come non tutti gli abitatori delle 13 Ferruccio Sassi terre vescovili erano « de episcopo ». Ripeto che la causa precipua «li questo stato .li cose dovrebbe essere ricercata nel costante difetto di circolante, assai inferiore quantitativamente al fabbisogno creato dalla necessità di resistere alla costante pressione esercitata sui Marchesi dai Comuni padani: fabbisogno direttamente propoi-zionale alla pressione, e fortemente sentito già nella metà de ^ colo XII. Ï2 noto che in questo periodo, quasi non \ e urto che noi termini in una ritirata dei Marchesi ed in uno sborso di denari da parte del Comune, di Piacenza soprattutto, per compensar oro in qualche modo la perdita di territori vasti e abbastanza produttivi. Dopo l'insurrezione del 1173 e 73, le cose volgevano abbastanza, inale: bisognava ricorrere alle fonti stesse del reddito. E così vediamo _ il -M febbraio 1180 — Opizzo ed Opizzino Malaspina cedere feudo, per la somma di 230 lire, denari due per daggio di Torriglia, e promettere Tappi-ovazione der frate li Moi cel- lo e Albertino (*)· Nel marzo 1188, Moroello e ridotto al l""»t<> di non poter restituire al conte Tebaldo di Lavagna la modesta somma di 21 lire genovesi, così che a garanzia del prestito deve on-vine che il settembre 1255 viene per denaro affrancato dal Vescovo e liberato da ogni condizione servile: caratteristico tipo di artigiano persona!mente obbligato verso la curia, con doveri quindi indubbiamente inerenti alla sua particolare attività, ma al quale è per altro concesso di lavorare per retribuzione sino a quando i frutti dei suoi sudori — venendo incontro ai bisogni della curia vescovile— gli consentono la cessazione di ogni vincolo personale. Procedimento insomma sostanzialmente identico a quello pel quale i possessori di ricchezze nobiliari potevano innalzarsi tra i « domini » e che già aveva dato i primi frutti anche nel rimanente della Lunigiana, Nè bisogna con ciò ritenere che tutto fosse ormai misurato in rapporto al valore della moneta. Ancora il 7 Maggio 132i>, ad esempio, il Marchese Spinetta Malaspina della Verrucosa concede a livello a Giovanni qm. Conforto di Sarzana ed al tìglio Simone una casa d’abitazione con le pertinenze, sita in Fivizzano, per Fannuo canone d'uno staio di frumento da consegnarsi in Verrucola, nelPabitazione del Marchese (2) Ld il bisogno di allargare il respiro su zone politicamente importanti, militarmente fortissime, ma anche economicamente redditizie, spinge il Marchese Guglielmo — proprio nel giaigno di quello stesso anno 1202 — ad allearsi con Modena contro Reggio per tentare la riconquista della fertile zona di Carpineti. (3) 0) « I Capitoli del Comune di Firenze, passim. (2) Sforza «Regesto delle pergamene malaspiniane del Diplomatico fiorentino, provenienti dalle Riformagioni » in Giorn. Stor. e Lett della Lunigiana X, 2, pag. 125 segg. (3) Sforza, «Saggio d’una bibliografia lunigianese» pag. 94 μ. 44. 20 Ferruccio Sassi Scorgiamo appunto in queste guerre, frequenti e ili una certa entità, un’altra causa determinante delle mutazioni intervenute già agli albori del XIII secolo nella composizione sociale delle popolazioni. Esse dovevano necessariamente provocare chiamate ricorrenti di genti straniere, stipendiate, indispensabili a>d integrare le forze feudali — che solo in parte potevano essere distratte dalle campagne, e dai lavori ordinari in genere, dalle consuete fazioni di guardia a castelli e torri e ridotti — perchè i Marchesi potessero farsi ancora ascoltare con qualche autorevolezza nelle lotte e nelle beghe dei finitimi Comuni, e sperare in qualche azione di riconquista. E non è detto che, cessati i motivi della chiamata, tutta questa gente dovesse definitivamente abbandonare i domini marchionali— tanto più se per quella benedetta deficenza di moneta» non avesse potuto riscuoter subito il saldo dovuto. E d’altro lato questa intensa attività politica, anche se subita anziché voluta, e fonte più di amarezze che di gioie, portava indubbiamente le sue ripercussioni nel campo della finanza marchionale, ί: del 17 ottobre 1200 l1) il trattato d'alleanza tra Milano, Piacenza e i .Marchesi Alberto, Corrado e Guglielmo, che stabilisce il pedaggio o teloneo, che questi ultimi dovranno esigere dai mercanti i>ia-centini e milanesi, allo stesso livello di quello percetto in Piacenza; che impone ai Marchesi di chiudere il transito ai mercanti pavesi, ma mai in alcun caso a coloro cui il Comune di Pontremoli avesse accordato il passo. Era un'altra arma, assai forte per. la magnifica posizione geografica·, che i Marchesi si vedevano spuntar nelle mani. Chi ben conosce la natura dei luoghi da loro dominati, e riflette che non erano certo adattabili colà- i procedimenti della politica commerciale e industriale monopolistica adottati dalle metropoli degli affari, non può non vedere nei proventi delle regalie il maggior sostegno finanziario dei Malaspina: e si potrebbe anche dire della regalia di transito, e di gabella, chè le altre o non esistevano affatto o eran troppo misera cosa come la « piscatio ». Restavano le regalie improprie, le imposizioni ordinarie sui prodotti agricoli (escatico, pascatico, erbatico etc.) ; ma è logico che con queste, per le mutate condizioni personali di gran parte degli obbligati, già si stanno spostando le vere basi del sistema fiscale feudale __il quale ormai giustificava solo il diritto all’imposizione — e ci stiamo avvicinando, sia pur lentamente, al concetto di imposte sul reddito. Aggiungeremo per uitimo la presenza di un elemento dotto che evidentemente non poteva mancare : notai e fìsici. (i) « Reg. Magn. » di Piacenza, cit., n. 249. Evoluzione delle forme politiche lunigianesi dal segolo xii al xyi 21 * * * Tali sono dunque gli elementi precipui determinanti questa situazione di trapasso nella quale sembrano trovarsi tutte o quasi le terre dei Marchesi all’aprirsi del secolo. Abbiamo veduto anche come possa, per mezzo di quelli, giustificarsi la qualifica di « populus » riconosciuta alle popolazioni di Val Magra, ed il particolare lignificato che dobbiamo attribuire alla denominazione. Quel ben noto movimento evolutivo che nel corso del secolo XIII portava, nella Lunigiana occidentale, prima alla costituzione dei due coesistenti Comuni signorile e popolare, ed alla metà del secolo all’assorbimento del primo nel secondo sull’esempio di Levanto, faceva pur sentire i suoi influssi anche sull'altra parte della Lunigiana. Qui poi la situazione era aggravata dalla prossimità di due Comuni, l’on tremoli e Lucca. Ed è appunto in questo momento che cominciamo ad intravvedere nei Marchesi la stoffa di veri uomini politici, eredi di una tradizione non certo, nel complesso, ingloriosa, «che affondava le sue radici in profondità gradualmente svanenti nel ricordo dei posteri, ma nel tempo stesso lasciava tracce indelebili nell’animo degli ultimi rampolli. Per tutto il secolo XIII è una continua opera di contenimento, della quale invano si cercherebbe nelle carte la prova diretta. Bisogna desumerla dagli indizi offerti dalle carte di principio e di fine secolo, le quali ci illustrano il punto di partenza e il punto di arrivo, e soltanto saltuariamente illuminano il cammino con qualche tenue raggio di luce. In tutto questo tempo domini e popolo rientrano tra le quinte della storia. Ricompariranno più tardi, quelli, ma con altri atteggiamenti, più confacenti alla loro qualità di vassalli, richiamati certamente al loro posto e all’osservanza dei loro obblighi di fedeltà da una politica fine, operante sugli animi e sui sentimenti : quante donne dei Malaspina possono ora assumere il diretto governo dei feudi, a tutela dei tìgli minori, senza che si verifichino, per questo, levate di scudi più o meno aperte! E più tardi, un opportuno rinsanguamento delle loro file certamente avvenuto tra la fine del 300 ed il primo 400, immetterà nelle file di questa minore nobiltà altri elementi provenienti dalle file di quell’elemento dotto, mai assente da queste zone neppure in passato. Elementi provenienti soprattutto dalle file del notariato che, mentre la generalità della categoria andava decadendo in dignità e importanza (*), avevano saputo, con l’onestà professionale e con la fedeltà dimostrate nella loro qualità di «procuratores ad negotia», procurarsi la stima e la· riconoscenza dei Marchesi. Elementi portati, per la loro speciale « forma mentis », più ad una vita; aulica che -di milizia — almeno sugli inizi —, e che ad ogni modo recavano (!) Cfr. Novati, Freschi e minii del dugento, Milana, Cogliati, 1025. 22 Ferruccio Sassi del nuovo posto vedute diverse e contribuivano a spostare 1 asse di quelli che un tempo, in una determinata tase storica, potevano sembrare i veri interessi della nobiltà minore. Certo è che non scorgiamo più segni di intese e di alleanze tra questi domini e Je classi inferiori. Le quali seguitano a loro volta nell/ascesa, molto lenta agli inizi. Abbiamo detto che nella pace del 1202 le popolazioni non appaiono organizzate e riconosciute giuridicamente in via continuativa; ed infatti, ancora il 20 aprile 1266 un'interessante carta ci mostra i fratelli Marchesi Manfredo, Alberto e Moroello qm. Corrado, e i loro nipoti (ex fratre Federico) Cor-radino <)pizzino e Tommaso — consenziente ,1 a madre di questi ultimi, Agnese di Gugliemo Marchese del Bosco —, in atto di concedere a livello alcuni mulini, terre, edifici etc. a Patentino di Troio-1υ sindaco degli uomini di Villafranca (*). Al piccolo ceto mercantile, che ai primi del secolo già si era necessariamente inserito tra i fornitori forestieri e la curia marchionale, tra quelli e il ceto dei liberi viventi nelPambito dei feudi, si affiancherà ora in modo più netto una classe di lavoratori agricoli e di piccoli industriali della terra personalmente non obbligati, legati al signore da un atto di livello che consentirà loro la formazione d’una modesta fortuna mobiliare, primo passo per lo sviluppo della libera proprietà. È un’altra importante attività economica — la molitoria — che elude i vincoli restrittivi della gestione forzosa derivante di fatto,, se non legalmente, dal « banno » dei Marchesi, quale trasformazione e rieiaborazione del vecchio « jus vescontandi ». Politicamente il « populus» è ancora alquanto amorfo, ed il fatto che esso1 sia rappresentato da un <( sindicus » conferma appunto da un lato l’esistenza di tutti gli elementi occorrenti per la- formazione del Comune, dall'altro il non ancora avvenuto riconoscimento formale del medesimo o l’assenza d'uno spirito rivoluzionario decisamente innovatore. E Pallivellamento è anche un atto molto politico da parte dei Marchesi, impossibilitati ormai a regolare essi l’andamento economico di tutte le loro terre, a provvedere ai bisogni di tutti, a corto di mezzi e per di più in procinto di organizzare per i prossimi anni quella levata di scudi contro Pontremoli sboccata in aperta azione militare, con esito infel ve, nel 1270. Ma il sorgere delle organizzazioni comunali non è lontano. Ne possediamo qualche atto di nascita, e son tutti di questo tempo, anche quelli che sono rogati fuori delle terre esclusivamente controllate dai Marchesi, e dominate o in tutto od in parte da quei consorzi signorili dell’ali a montagna, diramati forse in epoche molto anteriori dal vecchio gastaldato di Bismantova al tempo dell'organizzazione dei Canossa. Sono infatti di pochi mesi posteriori le con- (ì) Ferretto, op. cit. I, n. 90. Evoluzione delle forme politiche lunigianesi dal secolo xii al xvi 23 reazioni stipulate con gli uomini delle terre dei Bianchi e di Luci-gnano, giurate il 28 febbraio 1207 da Rollando qm. Enrico e Ugone di Bonifazio dei Bianchi di Erberia (>). Non passano che dieci anni e noi vediamo i Comuni amministrativi già in pieno funzionamento, regolarmente organizzati con una propria economia, con propri redditi e criteri finanziari ben distinti da quelli dei Marchesi, ufficialmente riconosciuti quando non addirittura creati «lai signore. È Alberto qm. Opizzone Malaspina che il G dicembre 1270 erige in Comune la popolazione di « Yerrucola Corbellarorium » a ricompensa dei servigi prestatigli, staccandolo dal preesistente Comune di Fi lat tiera, affrancando gli uomini da ogni prestazione reale, personale e mista verso quest’ultimo, delimitandone i confini (2). E 1 atto costitutivo è un vero e proprio atto pubblico, rogato per mano del notaio Bonaccorso de Ere. Non è difficile intravedere in queste carte il segno d’una controffensiva alla silenziosa, lenta, paziente opera di penetrazione di Pontremoli e di Lucca. E di nuovo rileviamo nelle carte gli effetti appariscenti della sorda opera reciproca di lima, intesa a scalzare lentamente le basi sulle quali i due opposti regimi si reggevano, impotenti a schiacciarsi in una lotta aperta e a decidere con le armi in pugno le sorti dell’alt·-' Lunigiana. Popolazioni del contado e fazioni cittadine sono le pedine, gli elementi di cui il Comune di Pontremoli ed i Marchesi rispettivamente si servono : alla penetrazione di idee sovvertitrici nel contado, questi oppongono graduali realizzazioni di natura schiettamente evolutiva e rispondono offensivamente giuocando sulle lotte di parte. A questa intromissione il Comune di Pontremoli contrappone a sua volta il ricorso alle armi di altri Comuni, i quali hanno tutto l’interesse ad impedire la formazione nell'alta Magra di un blocco unico e compatto che, unendo alla padronanza dei passi verso la Val di Taro una preponderanza vieppiù accentuantesi nelle zone di confine verso le valli dell’Enza e della Secchia, avrebbe potuto danneggiare seriamente gli interessi economici delle città padano ed alimentare forse rinnovate aspirazioni di ritorno alle posizioni d’un tempo. E d’altra parte, lungo la via della Magra, risaliva con opera di penetrazione più aperta, più franca, più realizzatrice la potenza lucchese che, avanti l’ascesa di Enrico da Fucecchio alla cattedra vescovile, aveva steso le mani — coni'è noto — pressoché sull’intero vescovado cii Luni. E subito dopo, ricacciata dall’energia del pastore, riprendeva più velatamente e pazientemente la marcia, verso gli stessi obbiettivi per la strada della montagna. (ì) R. A. S. Firenze, Perg. Fondo Malaspina: in atto 19 luglio 1292. (2) R. A. S. Genova, Paesi, Marzo, XXV (Yerrucola). 24 Ferruccio Sassi * » * Gli ilit imi decenni del secolo XIII sono veramente decisivi per l'avvenire e per lo sviluppo delle organizzazioni politiche lunensi, e per le mutazioni avvenute nell’indi rizzo politico generale dei Mala spina : si può dire che il perno è proprio costituito dal tentativo effettuato militarmente contro Pontremoli. Mutamenti nell’indirizzo economico - finanziario. È molto lontano ormai quell’anno infelice — il 1220 — in cui Corrado Malaspina trovava tanto poco credito e tanta difficoltà a pagare dal gennaio alla Pasqua la modesta somma di 25 lire genovesi per merce acquistata presso Lanfranco Vento, da dover promettere a quest'ultimo — in caso di mancato pagamento — il possesso dei pedaggi di Reeco. (*) Per qualche tempo ancora, ed in vista della preparazione militare, prosegue l’impiego dei vecchi espedienti per far denaro : il 12 Febbraio 1201) Isnardo e Alberto Malaspina qm. Opizzone, per sè e pel nipote ex fratre Francesco qm. Bernabò, vendono per 300 lire al Vescovo Guglielmo di Luni, ricevendoli poi in feudo, i diritti loro competenti sulle castellarne di Soliera, Moncigoli, Collecchia e Cesarono (-): diritti nei quali aveva compartecipazione Bonifazio di Erberia. Ma solo pochi anni dopo, e certamente per l'influenza esercitata dalle donne delle grandi casate genovesi entrate nelle famiglie dei Marchesi, avvertiamo nuovi concetti : e ad esempio vediamo nel 1272 Opizzone Malaspina partecipe d’una società commerciale lucchese, che in quell’anno apre un credito a favore di Anione tiglio di He Enrico d’Inghilterra con promessa di riceverne 300 lire tornesi alla fiera di Lajny-sur-Marne (3). Nei primi anni del secolo successivo vedremo debiti accesi da Tobieta Spinola vedova di Opiz-zino Malaspina presso la Società dei Peruzzi di Firenze. Pochi anni dopo, gli interessi finanziari dei Marchesi tendono infine a gravitare verso Genova per l’alacre attività di Alagia Fieschi ; e le Compere di S. Giorgio, di S. Lorenzo, del sale annovereranno personaggi dei Malaspina tra i loro clienti ed acquirenti. (4) In questi diversi atteggiamenti riscontriamo anche, dal lato politico, riflessi della situazione generale. Non tutti i Malaspina riescono a sottrarsi completamente all’influenza di Lucca; in un pri mo tempo riscontriamo anche una diffidenza politica verso il Comune genovese, che viene solo più tardi superata col concorso di favorevoli contingenze famigliali ; per converso, rileviamo i primi segni d’un orientamento vero Firenze, che preparerà le numerose « accontami iglie » del ’300 e del ’400, quando i Malaspina dovranno guardarsi nuovamente da Genova e lottare contro l’intraprendenza dei (i) Ferretto, op. cit. I, pag. 3 nota. (2) Ib., I, n. 465. (3) lb., n. 284. (4) Ib., prefazione storica. Evoluzione delle forme politiche lunigianesi dal fedolo xii al xvi 25 dinasti di Milano. Kd anzi il tacito consenso di Firenze all*avventura pontremolese era già stato cercato sin dall’agosto 1267 (1 ), con la concessione di libero transito, attraverso i feudi, di tutti i panni, torselli, e qualsiasi altra merce pertinente ai Fiorentini. L’amico lontano poteva ben servire, con la sua sola esistenza, ad incutere soggezione ai nemici prossimi. La sfortunata impresa doveva infatti avere arrecato non lieve discredito ai Marchesi, e non poche nò di lieve momento* dovevano essere state le ripercussioni della sconlitta sulla saldezza della compagine dei feudi. F degne di rilievo ne sono le conseguenze nella politica interna. Non certamente per caso, infatti, il primo Statuto pi* le terre marchionali risale al 1288 ed è composto ed ordinato dal Marchese Manfredo per gli uomini del Terziero, e cioè per terre che, come Filattiera, Malgrate, Treschietto, Bagnone, etc.... erano ffr,aj le più prossime a Pontremoli, e le più insidiate. Cacciati dal Vescovo Enrico, i Lucchesi stavano poi tentando, con il consueto sistema meno appariscente ma non meno pericoloso, la via della montagna, sempre intenti al loro* scopo principale di impadronirsi delle vie d'accesso alla valle padana per aprirle a se e chiuderle ad altri, e al line secondario di assiemarsi qualche altro sbocco locale ai confini dello « stato ». Ci troviamo ancora -una volta di fronte a problemi d’indole non interamente materiale, ma presupponenti lotte e movimenti d’idee. La prima manifestazione la notiamo negli Statuti di Virolo e Posar a del 1298, composti « ad honorem et bonum statum Nobilium de Castello » ( 2)· Ma Lucca lavora: pone dapprima le mani sull'im-portante rocca di Yerrucola Bosi, la organizza a comune (rurale naturalmente), ne esclude i consiglieri nominati da Azzone Malaspina e dai Nobili1 di) Dallo e di Castello (3) i quali pure, soltanto pochi anni innanzi — nel 12i>l —, precisavano i limiti delle rispettive giurisdizioni ponendo fine ad un effettivo condominio; occupava quindi la terra di Agnino cacciandone Alberto Malaspina. Ed ecco1 nel 1308 mutare la costituzione delle terre di Posara e Virolo, i cui uomini hanno un Podestà nella persona di uno dei loro signori, Giuse-rame qm. Lamberto da Castello (4 ). È occorsa ai Da Castello, « consule» Lucca, la stessa sorte toccata nei primi anni del 1200 ai signori di Carpena e a quelli di Vezzano sotto l’influsso genovese e Ila spinta delle classi sociali inferiori. Dopo una sosta di decenni, dovuta alla reazione di Spinetta Malaspina, seguono nel 1333 gli Statuti per gli uomini delle comunità di Mulazzo, Groppoli e Montereggio, perfezionati nel 1314 nei (i)Ib., n. 287 e 290. (2) Sforza, Saggio cit., pagg. 00 e 90 n. 7ft. (3) Ib., pag. 90 11. 79. (4) Ib., pag. 97 il. 98. 26 Ferruccio Sassi ___________ « Capitoli di franchiggie e esenzioni » chiesti dagli uomini di Mu-lazzo e consentiti e giurati da Moroello del t u l· raucescliino Malaspina, l’ospite di Dante, λ orso il 1310 abbiamo· l importante gruppo degli Statuti di Au Ila, Podenzana e Tresana. Quando noi sentiamo parlare di feudalesimo, il pensiero corre anzitutto alla più importante manifestazione del potere sovrano estrinsecato, nell'ordinamento feudale, nella giurisdizione. Ma (pii ci troviamo in presenza di un potere normativo che i Marchesi usano per emanare le leggi con le quali regolare i rapporti con e tra i sudditi. Nessuna sostanziale differenza vi è quindi tra il modo di procedere di questi signori e dei grandi Comuni autonomi, come del resto non ve n'è tra la condotta loro e quella del Vescovo di Limi Gualtiero li che detta le leggi per gli uomini delia contea. Scrive il Solmi ( }) che il potere normativo nasce dal diritto di autonomia, e si risolve nella facoltà degli organi competenti nel Comune a dettare le norme che debbono regolale la> vita interiore del gruppo sociale e le sue relazioni con gli altri gruppi : potere limitato alla creazione di semplici disposizioni eccezionali, di semplici mirine, e che compete come tale anche alle classi organizzate, ai comuni minori, alle ville rurali. E, possiamo aggiungere, ai feudatari, anche ai titolari dei vecchi feudi imperiali, devotissimi tra i devoti alla causa dell'impero. Questa tendenza a ^organizzazione autonomistica — non incoraggiata dall'impero, ma trionfante a suo dispetto — prescinde quindi dal Porgali izzazione giuridica delle singole terre qual era in partenza-, e non può trovare la sua giustiii-cazione che in cause di portata generale inerenti alle mutate condizioni sociali. Anche i signori feudali perciò esercitano diritti sovrani, non assoluti perchè non originari, nè formalmente riconosciuti dalle potestà superiori, nè tanto meno derivati da delegazioni od investimenti popolari.. In Lunigiana, questi diritti sovrani hanno poi impresso un cui attere di esclusività maggiore in quanto ben poca cosa è lasciata al Comune: nell'importante Statuto di Aulla — contemporaneo a quelli di Tresana e Podenzana, risalenti tutti ai primi anni del 1300 — troviamo cenno del Comune so’o in quanto gli uomini del marchesato sono tenuti a prestare un ceito numero di giornate lavorative in di lui favore. Non può darci 1 idea della sovranità il fatto di trovare in atto Γorganizzazione d’una curia comunale col Podestà od i Consoli, i consiglieri, I ufficio di masseria, accanto alla corte marchiona’e (cap. 25) i cui diritti e ragioni dovranno essere riservati e ricuperati. Questo capitolo < i dice bensì che un profondo, radicale mutamento è avvenuto nella composizione delle classi sociali, per cui la sistemazione dei mai-chesati si presenta almeno in apparenza non difforme da quella (i) « Il Comune nella storia del diritto » cit., i»ag. i>7. Evoluzione delle forme politiche lunigianesi dal secolo xii al xvi 27 della contea sarzanese nel secolo precedènte: ma l’insieme degli Statuti ci dice anche che nessun potere politico e giurisdizionale è pervenuto nelle mani dei consorziati, i quali formano' «comune» solo a determinati effetti ed in quanto vi è il consenso del signore della terra. Perciò il Marchese Opizziuo Malaspina può ad esempio chiamarsi signore Generale « de Luxo'o, Tresana, Iiichò, Giovagallo e de Lavili la. » (x) ed essere anche « Marchese Malaspina », ma vi è assoluta assenza di quella diarchia che caratterizza le signorie ileoformate da parte di « gens no-va » al dominio. E questa dunque una figura giuridica tutta speciale, e che ritengo trovi la sua materiale espressione tipica appunto nelle parole « dominus generalis » : qualifica che per esempio vediamo adottata anche da Spinetta Malaspina· il grande per designare la sua qualifica personale in rapporto alla signoria da lui esercitata sulla vicaria di Massa pochi anni più tardi. Le terre obertenglie sono marchesati in quanto un « marchio Malaspina » ne tiene il governo : ma nei rapporti con l’aggregato socia1 e prevale il concetto del « dominio generale » ; generale perché sovrastante ai «domini » minori e ai vassalli laddove sono ben chiare le ragioni feudali della corte dei Marchesi, a tutti i liberi personalmente non obbligati laddove il dominio sulle persone nasce e si giustifica per mezzo del diritto di sovranità di natura reale sul suolo. Ecco dunque una tipica manifestazione d'intreccio di diritti reali e personali, nata da una fusione di principi di diritto feudale e comunale, e nel tempo stesso distinta dalla forma signorile vera e pròpria, la quale — è noto — presenta cosi anteniente almeno agli inizi 1111 elemento volontario (elezione, libera scelta o conferma tacita da parte dei cives) o un elemento coattivo, obbligatorio, imposto — questo, per le signorie minori — dalle necessità politiche di aggregati più forti. Questo diritto di sovranità di natura re-ale sul suolo si. fa valere (è il caso di Spinetta Malaspina; anche nei rapporti con ° : In che modo si dia credito ai libri dei cercanti); categorie che possono esercitare la loro libera attività fuori del dominio dei Marchesi, tanto che il capitolo (>i) prevede la concessione delle ben note rappresaglie, .atto giuridico inconcepibile se non con una struttura statale superante il concetto del feudalismo, ed un’organizzazione esercitante veri e propri attributi sovrani riconosciuti nelle rela* zioni internazionali. E d’altra parte i Marchesi stessi possono e tengono anzi ad esercitare per mezzo del loro Vicario attività d’indole patrimoniale, privatistica, con netta separazione tra questa e l’esercizio dei pubblici poteri. « Che il vicario sia tenuto augumentare l’onore e la robba del li Sigg. Marchesi », predica il Capitolo 21. La sovranità negli atti interni inline è esercitata dai Marchesi o direttamente — per le questioni maggiori e d’appello — o per mezzo del loro funzionario, il Vicario, mentre al Comune, rappresentato dai Consoli, rimane parte deile attribuzioni amministrative intese a regolare determinati interessi comuni (viabilità, edilizia etc.) Una tale concezione dello stato, della sua funzione e dei suoi diritti, è del resto la premessa necessaria per un tentativo di fresca ripresa di attività, per così dire, internazionale, quale vediamo consacrata nc'l patto di pace e alleanza stipulato il 12 Agosto 1415 tra i Marchesi Bartolomeo della VerrucoLa, Leonardo di Castel dell’Aquila, e le casate di Eosdinovo e del Terziero (2)· Vero patto di famiglia (>) Sforza, Saggio cit. pag. 227 segg. (2) Sforza, Saggio cit. pag. 100 n. 129. 30 Ferruccio Sassi cui solo mancò la costanza nei propositi perchè si potessero conseguire risultati tangibili e duraturi nelle complesse vicende della politica italiana. Abbiamo così tracciate le linee generali dell’evoluzione delle forme statali proprie dei feudi malaspiniani, ed abbiamo controllato su precisi dati di riferimento come i Marchesi siano costantemente riusciti a tenersi lontani dai reggimenti comunali pur ammettendo cSi| essi quel tanto di spirito innovatore che bastava per salvaguardare la propria esistenza. Di fronte alla decadenza dei Dallo, dei Castello, di tutte le altre stirpi feudali, questa tenacia nel non voler morire, ed il graduale sviluppo delle concezioni politiche inala-spiniane in genere, sono sufficienti a non farci consentire nel gin dizio non troppo benevolo per la grande famiglia, troppo sovente e con qualche leggerezza emesso in passato. Il buon senso e l’istinto di questi signori — innati forse, ma anche frutto evidente d’un’abi-tudine al dominio e di una secolare tradizione — aveva precorso nel fatto le teorie scientificamente enunciate parecchi secoli dopo dal Clausewitz a proposito di avvenimenti di risonanza infinitamente superiore. « Si licet parva componere magnis » — poiché anche i piccoli fatti possono ammaestrare, poiché notiamo nel caso specifico una grande analogia nelle circostanze, poiché infine può essere un insegnamento di perenne attualità — vien fatto di ricordare alcune proposizioni dell'illustre stratega tedesco: « L'influenza straordinaria che la rivoluzione francese seppe produrre al di fuori dei contini dello stato, è molto meno da ricercare nei nuovi mezzi, e nei nuovi concetti dei condottieri francesi, che non nei sistemi di governo e di amministrazione degli Stati, nella condizione dei popoli ecc. Gli altri governi videro tutte queste cose in forma inesatta, credettero «li poter resistere con i soliti mezzi ad un'ondata di forze nuove e travolgenti — e tutto questo è errore di carattere politico >>. Ed il nostro pensiero corre allora a un degno discendente della schiatta antica, al Marchese Giacinto dei Malaspina di Mula zzo, trascinato dall’Austria nel Ì1UU nelle casematte della Dalmazia as sieme a centinaia di altri Italiani che, dalla momentanea infatuazione per quelle che erano allora le nuove idee, trassero poi lume per trovare la vera via da battere, ispirazione e forza per farsi banditori e combattenti del nostro Risorgimento. * · * E poiché il necessario accenno alle signorie spinetiiane ne offre il destro, non mancheremo di svolgere alcune altre conside razioni. Territorialmente parlando, il dominio di Spinetta — ini portantissimo come schietta affermazione d’un principio di indipendenza lunigianese dal predominio politico di tutti i grandi Comuni autonomi limitrofi, come tentativo di unificazione con un ampio re- Κνοΐ.υΖΙΟΝΚ DELLE FORME l'OLITlOIIE LUMOIANESI DAL SECOLO XII AL XVI 31 .spiro sul mare — si arresta .anche nel periodo migliore alla riva sinistra della Magra: non diversa-mente, il tentativo del Fieschi si era giA arrestato sulla destra del liume. Xe scende chiara ed evidente la funzione politica della città di Sarzana nel medioevo; non il fiume, ma la città univa costituendo fra le opposte rive una testa di ponte e richiamando in sè stessa energie ed interessi. E una funzione di vera capitale della Lunigiana, quella esercitata da Sarzana nel campo economico come nel campo intellettuale, in quello reh-gioso conie in quello politico: anche in quest’ultimo, poiché di li onte alla molteplicità dei domini laici, ben poteva risaltare 1 unita morale e d’indirizzo della curia vescovile. E ben lo sanno i Marchesi, i quali — anche nel periodo in cui Sarzana ha perduto la sua autonomia politica — inseriscono negli Statuti delle lor terre ! obbligo di non tenere rapporti col Vescovo e con la curia. Più tardi Sarzana riprenderà il suo posto e la sua funzione, e sarà al tempo in cui — chiusosi il periodo delle signorie lunigia- nesi._ riacquisterà importanza riflessa per effetto delle lotte tia i maggiori potentati italiani. Bisogna arrivare cioè in pieno secolo XV, quando la vita lunigianese veramente autonoma come indirizzo e movimento politico volge ormai ad inevitabile declino. Quella mirabile forza di resistenza all’assorbimento da parte ni raggruppamenti forestieri, che aveva consentito alla Lunigiana di sviluppare in tempi di eccessivo particolarismo una vita propria, e che si era incastrato a cerniera attorno all'asse dato dal corso della Magra, si era ormai esaurita: sgretolato nella zona di occidente della Magra, schiacciato in Pontremoli ed in Sarzana, l’autonomismo si era rilu-giato alPombra di alcuni dei numerosi manieri malaspiniani. Ma anche i Marchesi — e ne abbiamo visto F esempio nel patto del 1415 _ avevano sentito il bisogno di stringersi in blocco: troppo elevata ormai era la statura dei vicini, troppo solida la loro ossatura statale a dispetto anche di frequenti lotte intestine ed esterne. Iti vi ve l'autonomismo in Sarzana, ma non è più di marca locale; l’insegna è genovese, dei Campofregoso, ed è una rinascita artificiale, voluta ed imposta della politica viscontea nel suo pieno vigore. Quale pagina di gloria, almeno di vita vissuta, (piale tradizione potevano i Campofregoso rappresentare nella storia di Sarzana? Se mai, nella niente degli uomini di quella città e delle altre terre venute in possesso dei Campofregoso dopo la breve parentesi del munifico dominio di Paolo Guinigi, i nuovi dominatori rappresentavano la stirpe rude e volitiva che era stata causa 11011 ultima della rovina della signoria sarzanese e indirettamente di ogni possibile realizzazione del Comune sarzanese. Con ciò si vuoi dire soltanto che non poteva sussistere queirintimo affiatamento tra dominanti e dominati*che è requisito indispensabile per poggiare su incrollabili basi ogni stabile governo: e troppo breve fu il dominio dei Cajnpofregoso perchè l’affiatamento potesse formarsi col tempo. 32 Ferruccio Sassi Furono forse queste constatazioni di fatto, unite all’aspirazione a fondare nuovamente le fortune del casato procurando· ai singoli rami nuove fonti di entrate, che indussero Tommaso Campofregoso ed i suoi successori a dare al loro dominio l’organizzazione interna tipica del principato col costituire attorno alla, propria corte sar-zanese un piccolo nucleo dì nobiltà schiettamente famigliare — investita di singole terre con l’evidente scopo di tenere queste ultime in più facile soggezione — e feudalmente obbligata verso il Signor di Sarzana. Comincia ora, il vero periodo trionfale del principato, che aveva mosso i primi passi — dapprima tentennanti, poi sempre più arditi — pochi decenni innanzi, auspice ed iniziatrice la politica viscontea. E già la Ducal Camera aveva avvolto ed irretito buona parte della Lunigiana: Fazione dei Duchi di Milano è già stata descritta con ampio lusso di particolari dallo Sforza* (l). Politica. dal'e lunghe braccia e dalle larghe vedute miranti alFaffermazione d’una potenza· italiana; politica piena d’iniziative impersonata in una teoria di dominatori senza scrupoli ma indubbiamente di indomita· volontà e non comune energia, ben figuranti come tali nella folla deile ferree ligure dai tratti taglienti e dagli occhi d’acciaio pullulate dovunque nell’epoca della nostra Rinascenza. Era la politica che obbligava anche i più restii Malaspina a subire, anzi ad invocare, il protettorato politico di Firenze o ad accettare l’investitura feudale di loro terre dalle mani dei Duchi di Milano, troppo astuti e troppo esperti nella storia politica per ignorare l'importanza effettiva del possesso della Lunigiana. Età la politica che schiantava ogni superstite aspirazione all’autonomismo in Lunigiana, e che ancor due secoli dopo, quando ormai il dominio genovese era stato tranquillamente accettato ed era entrato nella coscienza di ognuno, ispirava il Conte di Fuentes ad affermare le ragioni della Corona di Spagna in quanto erede spirituale e di fatto del ducato milanese, ed armava la· penna dei sarzanesi Dottor Francesco Cicala nel «Discorso sulle Convenzioni della Città di Sarzana colla Serenissima Repubblica di Genova » e Canonico Ippolito Landinelli ne « I trattati della Storia di Luni e Sarzana». Argomentazioni d’ordine giuridico in seguito svolte! e trattate « ex professo » dal Landinelli stesso nell’interessante « Relazione della Città di Sarzana, della Spezia, de Marchesi Malaspina, e di tutta la Provincia Lu-nesö»; canto del cigno ed insieme rivendicazione delPautonomispio luni già nese. Nessun diritto può rivendicare la Ducal Camera, poi che i Sarzanesi nel 1407 fecero essi spontanea rinunzia di ogni diritto sovrano, ragione e dominio alla repubblica di Genova; essi avevano dun- (*) « Storia di Pontremoli dalle origini al 1500 », cit. Evoluzione delle forme politiche lunigianesi dal secolo xii al xvi 33 que conservato quel diritto eli autodecisione tornato' di moda a proposito e a sproposito dopo il 1918, che può essere riconosciuto soltanto in chi ha una personalità giuridica propria-, e cioè il vecchio « parlamento » cittadino come organo costituzionale del Comune e somma delle volontà dei singoli. In realtà il parlamento del 1407 f'U nul l’altro che un atto* rivoluzionario, sancito con la dedizione; ma ciò non toglie che il dotto canonico sostenga aver sempre avuto i Sarzanesi questo· diritto di scelta dopo la line del regime vescovile, ed aver essi sempre trattato con signori e comuni forestieri, non per sottomettersi, ma per confederarsi. « Se Barnabò Visconti ebbe il dominio di questa città, vi fu chiamato dalla parte Ghibellina, ma con diverse capitolazioni, e nella stessa guisa che di prima li Sarzanesi avevano contrattato coi Lucchesi, con Castruccio e Pisani, che era più tosto di libera aderenza, appoggiandosi alla protezione di più potenti, che di soggezione.... ». E perchè tutto ciò? Perchè « gl*imperatori neglessero di venire in Italia, o di tenere a questo governo il loro luogotenente come solevano (2) ». È curioso vedere questo dotto prelato, infiammato d’amore per ki sua terra, accusare per artificio polemico gli Imperatori di lor trascuratezza, quasi facendo rivivere in pieno G0<0 le invettive dantesche. E dì chi la colpa se « tre o quattro » dei Marchesi Malaspina » per forza o per isdegno·» si sono « soggettati a quella Camera e presone rinvestiture»? Degli Imperatori, che non curarono « ....i signori e la contrada ». La visione si allarga a tutta la Lunigiana; è la difesa dei Marchesi, che direttamente .assume il Landmelli, ma per giovare indirettamente alla sua Sarzana, alla curia dei suoi Vescovi « ....dequali li Malaspini spesso si facevano ligi, e feudatari, o si sopponevano alia protezione. E di questa sorte d’investiture molte se ne veggono nel libro Pallavicino, di veneranda antichità, del medesimo vescovato ». E l’investitura di Venceslao? Illegale perchè comprata per denaro e accordata contro il diritto dell’impero e in devoga dei diplomi dei suoi predecessori, riconf ernia ti invece dal suo successore Federico III: quindi nulla. Ed invoca, il Landinelli, anche il sussidio del diritto fiscale: in tutte le aderenze stipulate anche con i Visconti, si obbligarono sì i Sarzanesi a fornir soldati e far cavalcate e « altre simili cose, ma non già di pagar taglie, o altre angarie, che poner sogliono quelli che sono assoluti padroni delle città». Dunque nessun diritto reale sul suolo, ma semplice uso di poteri sovrani conferiti volontariamente dal Comune di Sarzana di volta in volta a chi meglio ritenesse poter difendere i diritti civili e custodir « la pace » della terra. Dunque semplici signorie perso- i1) Op. cilt., Sarzana, Tip. Lunense di L·. R a vani, ISTI pag. 29 e passim. 34 Ferruccio Sassi nali (o esercitate da altri Enti per volontà dei Sarzanesi), temporànee, col vincolo di determinati patti : in definitiva, il popolo solo depositario della sovranità, mancando la tutela del vero sovrano, l’imperatore. Dante e Bartolo chiamati insomma a difesa del buon diritto genovese, per il titolo giuridico dato dal patto del 1407 e dal lungo e giuridicamente pacifico possesso. * * * La tesi sostenuta dal Landinelli ci offre il destro per ricapitolare e studiare l’importanza sociale e politica del movimento organizzativo in Lunigiana, nell’epoca in discorso. Già abbiamo visto come nella Lunigiana genovese non esistesse alcuna organizzazione del lavoro, all’infuori dell'arte dei balestrieri riunita con criteri unitari per tutto il territorio della repubblica, con statuti propri : evidentemente, in considerazione dell’alta importanza dell’arte nel quadro della difesa militare dello Stato. In Sarzana, il movimento associativo era sboccato nella formazione della corporazione dei beccai e dei cambiavalute, e, potremmo tutt’al più supporre, forse di qualche altr’arte o mestiere. Ma l’indirizzo, favorito dalle tendenze autonomistiche della Comunità sarzanese, era stato opportunamente frenato dal signore ecclesiastico e privato di ogni forza od autorità nel campo politico. Per quanto concerne Pontremoli è noto, dagli studi dello Sforza, che al tempo del regime comunale — e precisamente nell’ultimo periodo — si ha ricordo dei Consoli dei Mercanti riunitisi nel 1284 assieme agli « Octo qui presunt expensis Comunis in hospitio Potestatis » : cosicché non è fuor di luogo pensare ad una competenza consultiva ed anche deliberativa dei detti Consoli in materia economico - finanziaria. Un secolo più tardi, nel 1385, troviamo già in atto una trasformazione della curia consolare: anche le Arti hanno ottenuto per sè stesse . 113. (2) Archivio cit. Rifugiati Vol. 3, fase. <»9. (·**) Ministero cit. Rifugiati Voi. 3, fase. 84. (4) Ministero cit. Rifugiati Voi. 4, fase. 50. Rapporti di Mazzim con democratici del Belgio 45 lettera dell’ambasciatore belga a Londra del 1° marzo il quale scriveva clie « les proclamations ont été imprimées sur le continent. On n’est point pervenu à découvrir à Londres la moindre trace d’une correspondance entre Mazzini et les réfugiés italiens ou la société des Amis de F indépendance italienne». Ed aggiungeva : « Mazzini n'a pas tenté le coup qui n’a échoué que parce que son influence diminuait considérablement en Italie, tandis que la Société du Deux décembre établie par des agents français y faisait de grands progrès. La grande sévérité du gouvernement Autrichien contre les hommes les plus modérés et qui avaient en horreur le Mazzinisme est considérée en Angleterre le moyen le plus propre d’en alimenter le foyer » (l). Da Vienna poi la legazione belga assicurava I’ll marzo che contro le affermazioni dell’Austria « lord Clerendon dans sa dépêche cherche à établir que rien ne prouve que ce soit en Angleterre que l’émeute de Milan a été préparée et il trouve une preuve du contraire dans le fait que depuis le 15 janvier AJazzini avait quitté l’Angleterre. Mais le gouvernement anglais s'était abstenu de renseigner le gouvernement d’Autriche sur le départ de Mazzini et sur le jour précis où Mazzini s'était embarqué ». (2) Qualche mese dopo sarà il prèstito rivoluzionario che richiamerà l’attenzione «Ielle autorità, del Belgio, le quali, il 4 giugno, sequestreranno alla dogana dOstenda, un sacco contenente un buon numero di biglietti del prestito stesso, che, com'è noto, portavano le firme di Pyat, Cuoi ssi dière, Baichot. Invece il viaggio che Mazzini fece nuovamente sul continente nell'aprile del 1854 non fu nemmeno sospettato; anzi, nel settembre dello stesso anno, il ministero degli affari esteri cercava ancora il ritratto dell'agitatore fatto dal Calamatta, domandatogli dal console di Basilea, ai quale, il 27 di quel mese, era obbligato a confessare che la riproduzione non era ancora comparsa a Bruxelles. (3) Almeno pel ministero! Ma chi avrebbe detto all'occhiuta polizia belga che effettivamente Mazizini passò pel Belgio nel 1856, e s'incontrò con DallOngaro, con Uraniani e forse con altri? (4). Essanoli ne ebbe neppure un vago sospetto. Due anni dopo l’attentato Orsini rinfocolò le ire contro Mazzini e la stampa reazionaria insistè per mostrare la complicità di questo nella preparazione di quel triste episodio, e non risparmiò attacchi violenti, non solo contro il genovese, ma contro gl’italiani. Sono del 1863 alcuni documenti che provano come il grande esule facesse sforzi per intendersi coi democratici belgi, forse per- (ì) Ministero cit. Rifugiati, fase. 80. (2) Ministero cit. Rifugiati 1S54, fase. 114. (a) Ministero cit. Rifugiali 1854, fase. 154. (*) Epistolario cit. vol. 57, p. 390. 46 Mario Battistini che sentiva che una nuova forza andava lentamente, ma sicuramente formandosi. Le lettere, che autografe si conservano fra le carte di Hector Denis nell’archivio de la Maison du Pin pie di Bmxelles, non portano nè data nè indirizzo, pia si può ritenere che esse furono dirette a Cesare De Paepe od a Leone Fontaine, più probabilmente a quest'ultimo, ambedue ardenti propagatori del socialismo nel Belgio, e si riferiscono al tentativo per la creazione della Federazione democratica universale. La prima lettera, del 1^ api ile, porta, d'altra mano, l'indicazione dell anno 18Gb: «Cher citoyen. Demain matin Garibaldi aura \ otre adi esse. Il est presque sûr qu’il ne se rendra pas à Bruxelles. Il répondra. Si le Congrès dont nous avions parlé pouvait se tenir dans la première quinzaine du mois de mai en Puisse, je crois qu il irait le présider; mais j'y vois toutes les difficultés imaginables. Je ne crois pas que les hommes importants du parti s y rendraient. J en parlerai toutefois. Je vous écrirai encore quand j aurai à. vous envoyer sa réponse. Votre frère Joseph Mazzi ni ». Mi sembra che la lettera provi come precedenti relazioni esistessero fra Mazzini e qualche membro in vista del movimento socialista belga, in ogni modo essa lissa una data sicura della presa di contatto fra l’esule nostro coi democratici socialisti belgi. La nota circolare a stampa che si trova fra gli stessi documenti, porta la data del 1° luglio, senza indicazione d anno, ma essa è senza dubbio, del 1863 e la riferisco, perchè gli studiosi possano meglio confermare o correggere la mia affermazione e le altre mie ipotesi : « Chi vuole il fine vuole i mezzi. E mezzi richiede l’impresa d’emancipazione assunta dal Comitato. Questi mezzi devono escir dal paese. I Polacchi combattono da cinque mesi con successo, perchè richiesti versarono tutti, prima dell’insurrezione, le loro offerte nelle mani del Comitato occulto di Varsavia. Saremo da meno? Il Comitato chiama al compimento di questo dovere quanti hanno seriamente a cuore l’emancipazione del Veneto e l'Lnità della patria Italiana. Esso affida a’ suoi agenti la circolazione dei bollettari contrassegnati dal suo suggello. Ciascuno sarà responsabile al Comitato del numero di ricevute depositate in sue mani. 1° luglio H Comitato d’azione Veneto ». 11 progetto d’un congresso democratico, accennato nella lettera dell’aprile, non si era potuto, per varie cagioni, tradurre in atto; ma l’idea era lanciata e la· questione della Polonia spingeva ancor più gli uomini della democrazia. Rimesso al successivo anno e deciso di tenere il congresso a Bruxelles, Mazzini fu invitato ad Rapporti di Mazzini con democratici del Belgio 47 assistervi od a collaborarvi ed è all'invito che fa cenno la lettera diretta, ritengo, a Leone Fontaine: « Citoyen. Je vous remercie et j’accepte. Je n’ai pas en ce moment le temps de vous écrire, mais je Je ferai si-u peu ; je vous communiquerai mes idées; vous les examinerez et nous verrons à faire fructifier ensemble et fraternellement le germe que vous avez jeté. L’organisation générale de la Démocratie Européenne est aujourd’hui plus que jamais un devoir. Un peuple heroique qui se meurt si ses frères ne viennent pas à son aide, en réclame l'accomplissement. A bientôt et à vous de coeur. 30 octobre. Joseph J[azzini ». Ma il genovese non intervenne al Congresso, tenuto, com’è noto. a Bruxelles nei giorni 2G, 27, 28 e 29 settembre 1863, convocato con lettere datate da Ginevra in data 7 settembre e portanti la firma di Garibaldi. « Queste riunioni — scriveva il ministro della giustizia a quello degli affari esteri il 18 febbraio 1864 — avevano pochissimi aderenti, erano accessibili al pubblico e non hanno offerto alcun interesse» (J). Un breve riassunto della riunione fu forse inviato al Mazzini, il quale, in attesa di una relazione dettagliata, scriveva il 25 novembre, ritengo allo stesso Fontaine : « Citoyen. Une courte absence m’a empêché de vous répondre. Je suis d’ailleurs accablé de travail et il me faut économiser autant que possible des forces qui menacent de s’éteindre. Ne vous attendez donc pas à une correspondance active de ma part ; mai comptez sur mon travail pour toute chose essentielle. Envoyez-moi le rapport. Je vous écrirai louguement après l’avoir examiné. Votre dévoué 25 nov. Joseph Mazzim ». La risposta al rapporto non si fece attendere a uno, ed essa ha grande importanza perchè si riferisce alla affermata e negata, ma certa avversione esistente fra Mazzini e Marx. Il Rosselli (2). nel suo interessante studio, ne lia fatto cenno, come, con abbondanza di particolari interessanti, aveva già fatto Max Nettlau (·') il quale riferisce altresì che Mazzini avrebbe scritto una lettera a Léon Fontaine a Bruxelles, che doveva essere portata a conoscenza delle società belghe per premunirle contro le idee socialistiche di Marx ; « De Paepe ne avrebbe parlato alla conferenza del settembre 1S65 ». Benché la lettera non sia quella che si riferisce alla questione degli (1) Ministero cit. Rifugiati Voi. 9, fase. UH). (2) Mazzini e Bakounìne. Torino. Bocca, 1927i (3) Bakunin e ΓInternazionale in Italia dal 1S64 al 1S72. Ginevra, 1928, traduzione italiana. 48 Mario Battistini statuti delFInternazionale, accennata dal Marx e riferita dal Net-tlìau ma si bene, al Congresso di Bruxelles, essa prava che 1 avversione del Mazzini per P agita tore tedesco è anteriore alla compilazione dei famosi statuti dell/Internazionale. Dissenso ed avversione irreconciliabili e facilmente spiegabili, perchè, come giustamente scrive il Rosselli, « il tempo, la cultura, le aspirazioni, il genio di Marx e di Mazzini erano troppo diversi, perchè potessero conciliarsi ». « Citoyen. Voici1 mon adhésion. Il est clair que les statuts sont insuffisants, mais il est inutile d'en parler aujourd hui. Ce 11 est qu’après une entière et véritable assemblée qu ils pourront être mis à la hauteur de la tache. Maintenant, ce n’est pas en lançant aujourd'hui la Circulaire de convocation que nous réussirons. Il faut avant tout préparer un peu plus le terrain. J ai envoyé déjà aine lettre à un ami sur ce sujet qui devrait être déjà publiée, mais qui le sera, j'espère, sous peu de jours. Elle fera germer un peu la pensée. Il faut aussi que je m’assure de Garibaldi. Je pense que cette assemblée devrait avoir lieu dans le mai au commencement et dans une ville de Suisse. Elle fortifierait alors, come vous le dites, les événements qui doivent se passer peu de temps après. D'ici là, travaillez à vous procurer des adhésions. J’ai écrit en Suisse à Du conn____ par Zampeiini, je n’ai pas eu de réponse. C est commencer mal, la Suisse nous est nécessaire. Naturellement toute adhésion qui vous vient doit être accueillie mais ne prenez pas trop l'élément allemand Marx et Cie. C est un élément communiste dissolvant qui a déjà beaucoup nui à Berlin et partout ailleurs en effrayant la petite bourgeoisie — peu importe la haine — et ne créant ces tendances hostiles qui ont nui a la France. A l'intérieur d’un pays 011 a le droit de prêcher ce dont on est convaincu, bien que je doute fort qu’on le soit. Mais une association Européenne doit se fonder sur les bases les plus larges et les moins exclusives possible. Or je crois voir cet élément en prédominance dans votre compte-rendu pour les adhésions allemandes. Connaissez-vous Deltmann, polonais, à Bruxelles? Le Comité démocratique Polonais réexiste à Londres, présidé et inspiré par l'organisateur général à l’extérieur Mroczkowski. Quant à nous, Pobole du prolétaire belge nous portera bonheur. Merci pour tout ce que vous m’avez envoyé. Λ la hâte, votre frère 16 déc. Jos. Mazzini] ». Se questa lettera, diretta, si può dire quasi con certezza, a Leone Fontaine, sia stata comunicata a qualche congresso successivo, non so, ma è certo che non fu pubblicata, poiché Fontaine non poteva render pubblico il giudizio del Mazzini su Marx e sul It apporti di Mazzi xi con democratici del Belgio 49 nascente movimento socialista nel Belgio. Gli ardenti uomini che guidavano il piccolo, ma attivo gruppo internazionalista del Belgio, avevano compreso, e forse non da allora, come Mazzini fosse uno dei più pericolosi avversari del socialismo, e non poteva essere altrimenti. Ma sui successivi rapporti fra i democratici belgi ed il genovese avrò, spero, occasione di ritornare fra breve. È della medesima epoca, del dicembre 1863, un altro documento mazziniano, sfortunatamente non in originale e sprovvisto dell’indicazione del destinatario. La lettera fu, nell’anno stesso nel quale fu scritta, stampata senza la parte introduttiva che avrebbe fatto conoscere il nome del destinatario, il quale credo è da escludere fosse uno dei due sopra ricordati, in un modestissimo opuscolo di S pagine, indicato nella bibliografia belga. Riuscite vane le mie ricerche nelle biblioteche pubbliche, mi volsi allora alle raccolte private e finalmente fui fortunato di scoprirne un esemplare, forse imo dei pochissimi che rimangano ancora, nella biblioteca privata di Luigi Bertrand, già assessore del comune di Schaerbeek, ministro di Stato, uno dei superstiti del movimento operaio belga. L’egregio uomo volle, non solamente mostrarmi il prezioso opuscolo, ma anche farmene dono, perchè potessi, con tutta mia comodità, valermene. Gliene rendo vivissime e pubbliche grazie ( i). L'opuscolo porta il titolo: Un mot de Mozzini. Aux dewocrates hefyes (2) : décembre 1S63. <( Ce qui me préoccupe, ce qui me frappe parfois d’une stupeur douloureuse en songeant à notre Europe blasée, matérialiste, énervée, c’est le cri de détresse et pourtant de suprême énergie qui nous arrive du Nord; c’est ce meurtre de tous les jours dont nous lisons chaque matin les sauvages détails sans plus nous émouvoir que si nous lisions le compte-rendu d’un drame; c’est ce brave peuple de Pologne qui prie, combat et meurt pour tout ce qu’ il y a de plus sacré dans le monde, vie, liberté, indépendance nationale, et que nous regardons mourir, inertes, impassibles, ou que nous saluons de quelques applaudissements comme on applaudit au théâtre, comme les payens des cirques applaudissaient aux gladiateurs lorsqu’ils prenaient pour mourir une pose héroïque. Sommes, nous frères de par le Christ, solidaires de par Dieu, associés vers un (i) L·. Bertrand, già deputato di Bruxelles è l’autore de Histoire de la démocratie et du socialisme en Belgique depuis 1S30, BruxelLes. Decbenne, 1907. (2) L’opuscolo porta nella pagina dii guardia l’indicazione seguente: « Les lignes suivantes sont extraites d’une lettre adressée par Mazzini à un démocrate de Bruxelles ». Bruxelles. A. Mertens et fili, imprimentes 22 rue de l’Escalier 1SG3. 50 _Mario Battistixi________ but commun de par l’aveni 1 ou Dieu l’égoïste f cïn est-elle à l’heure qu’il est est devenue notre seul évangile. Je me demande cela. me dites- oui cet ap?el que vous me demandez, par la bouche, par les sout-rances d Ionien peuple? Ce peuple meUrt pour meurt pour tout ce que nous prétendons constituer ce, liberté, patrie. Il meurt pour ce qui est e mot d ordre tous tes mouvements sérieux de l’époque, Nationalité. l’indérien- ver, comme toujours, une barrière entre le tzarisme et 1 mdfce* dance européenne. Il meurt en jetant un ori de rév eil a toiute race slave qui n'a pas encore de place definitiv « ® ,β^ϋ0 servirait, si l’appel de tout un peuple apôtre et martyr pas les âmes, le pauvre appel d’un individu? m0110. Je comprends fort bien la Diplomatie : el e | délai poliser les résultats du mouvement s’il n!^/s^s ^uver- sur délai dans l’espoir qu’il sera écrasé. Je comprends ^ ^ nements de Prusse et d’Autriche: ils res en l’ap- plicité dans le meurtre de la Pologne. Je \?r prouver, l’abstention du gouvernement anglais ^ craint poindre au Eliin Vidée de son allié. Mais nous? nous 1ζ^ η0 crovans, nous qui avons pressé sur tous les mains polonaises et qui avons dit a ces eternels combat*ante P le droit: Comptez sur nous! L’insurrection se fourvoie,j eutena dire autour de moi: elle se livre à un élément amtocratiq q nous n’aimons pas. Eh ! aurait-elle ces affaiblissements si e sentait pas abandonnée de ses défenseurs nature s. Crovez-vous que si la Hongrie s’était levee, la Po ogni respecté la Gallicie? Croyez-vous qu’elle n aurait pas e si nous avions été à elle? Anverte Italie, Serbie, Hongrie, Gallicie — la grane - utés aux subsides en armes et en hommes _ la guerre répondant à la sienne — ce souffle des batai ·■> . COuraec et combattues, ce souffle de la révolution qui ° p , nous centuple les forces - voilà ce que nous devions à, la Pjtogn* qui nous appelions la Démocratie, nous qui lui avons repioche apparente inertie lors de la tourmente de 1848. Pourquoi cela n’a-t-il pas eu lieu, pourquoi cela n a-t-il pas lieU Γ partdlesUcLses morales, l’alanguissement général conséquence du culte égoïste des intérês matériels, substitue aux i -vances et dont ie n’ai pas ici à m’occuper, il y en a une que j a depuis longtemps signalée:'le manque d'organisation. Chaque pays Rapporti di Mazzini cox democratici del Belgio 51 se croit faible et isolé: il hésite (levant les grandes hardiesses; rien ne lui réprésentent la solidarité des peuples, il ne calcule que ses propres forces et se trouvant en face d’une alliance compacte de tous les pouvoirs qui protègent le mal, il recule. J appelle organisation ce qui rend possible de traduire, à un moment donné, la ipensée en action — un but pratique — une entende réelle entre toux ceux qui acceptent les bases d’une même croyance — une direction permanente — une caisse commune. Une foule d’associations s’agitent au sein de l’Europe; toutes appartiennent à la grande pensée démocratique, mais ne réprésentent chacune qu’un détail dans l'ensemble et sans liens: membra disjecta. L une s’occupe de la liberté religieuse, comme si elle pouvait se mantenir là où il n’y a pas de liberté politique ; l’autre, de 1 émancipation des races noires, compie si l’affranchissement des races blanches n’était pas la condition du succès; une troisième poursuit les réformes économiques n’impliquant pas la· conformité des lois qui règlent les marchés, et, par conséquent, l'alliance des peuples en une croyance morale et politique commune. Ainsi de suite. Nous avons lès éléments d'une armée: point d’armée. Or, supposez que, par l’unité du but, du plan, de chefs, l’armée se forme. Supposez que ces travaux secondaires, et dont je reconnais l'importance, deviennent eu quelque sorte des îfonctions speciales reliées par une conception supérieur de solidarité humaine; que, libres de s’accomplir sur uue direction choisie dans un état; de choses normal, ils viennent concentrer toutes leurs forces sur un point donné, lorsqu’un état de choses anormal se produit, lorsqu’ un grand événement domine le développement progressif général, lorsqu’on tue un peuple ou lorsqu’ un peuple vient à la : ie. Supposez que tous les efforts de ce vaste camp, multiple et pourtant surmonté d’un seul drapeau, se hâtent de converger vers ce peuple pour le sauver de la tombe ou pour protéger son berceau : que volontaires, argent, propagande, affluent, pour le temps nécessaire. sur une seule direction, sous un seul mot d’ordre. Quelle ne serait pas notre force! Que de chances pour cette Pologne que nous laissons aujourd’hui assassiner sous nos yeux! Et suppose® qu’un centre de la Démocratie sorti de l’élection reconnu, fort de tous les moyens collectifs, eût dit dès le commencement de 1 insurrection, ce que je vous ai dit moi plus haut: a Ce n est pus en envoyant quelques centaines de volontaires, dont les deux tiers ne passeront pas la frontière, mourir dans les rangs polonais; ce n’est pas en ramassant l’aumône de quelques milliers de francs livrés aux stériles intrigues de l’aristocratie polonaise que vous sauverez la Pologne : c’est en élevant sa· cause à la hauteur d'un principe, c’est en déployant avec hardiesse le drapeau des nationalités c est en agissant par la Vénétie. par la Serbie, par la Hongrie, par 52 Mario Battistixi la Gallicie ». N’aurions-nous pas en posantauusi a . » ments le dilemme : intervention ou revolution obt^. pour la Pologne ce que Cavour obtint pour 1 Italie, moms la pa x de Vili afranca? . . 4tini,„ ογ.„ Eh bien, tout ceci pourrait encore se faire, si ^^Organisation de la Démocratie : c’est là le but, le devoir, la force le dis encore, nous ne sommes pas aujourd’hui la Démocratie · elle n’est nulle part constituée. Nous somme, les précurseurs l’Eglise militante de l'a. Démocratie. Il se peut que la génération qui suivra la nôtre n’ait à accomplir qu’une> oeuvre d’évolution pacifique dont le mot d’ordre sera Quant a nous, révolutionnaires, nous avons a conquérir le tenam sur equei la Démocratie pourra s’asseoir ; notre tâche a pour mot d oie Unité, discipline. Notre Eglise militante doit former une. seule. armée- chaque pays doit en représenter une division; et toutes el e doivent, si elles veulent vaincre et bien mériter de 1 toutes les fois que le besoin s’en presente, sur un p ‘ ’ sous l’inspiration d’un centre commun, vers un but copunun. ce but commun doit être indiqué par les événements. Il est la où un neuDle tout entier se lève en brisant ses fers au nom de sa liberté, de son droit à la vie; c'est à led étendre à a^nd^^ base de son action, à fortifier son initiative, que tous les efforts doivent se diriger. Là est le point d’appui du levier <^roPéen' aujourd’hui, c’est Dieu qui indique de son doigt ïa Pologne. Concentrer toutes les forces dont on peut disposer su n pomt donné, n’est-ce pas là le secret des grandes revolutions aussi bien que celui des grandes batailles? . Laissez là toutes vos questions de progrès intérieur ; anjourd hui la solution de tous les problèmes est d’un ordre secondaire sauvez, ce peuple qui combat pour les aspirations de touterine race T^, est le devoir. Et, je vous le dis, vos droits sont au prix de 1 accomplissement d’un devoir. Ce peuple vivant, triomphant par vous, c es une nouvelle force, une nouvelle source de vie pour tous, sa mort serait le crime de^ous et voas »virait la moitié a. Honte et malheur ! Nos maîtres comprennent la solidarité mie que nous. Ils se haïssent et ils s’allient; nous nous aimons et nous restaat isolés^ ^ aire à trÈres si je paavais croire à la puissance de ma voix. Je n’y crois pas. . Mais vous qui m’engagez à le faire, emparez-vous de mes idees, répétez-les ; essayez. Je travaille autant que possible en Italie pour Ita réalisation du plan, qui seul peut sauver la Pologne, iravaillez-y de votre côté en Belgique. Donnez-moi, par un commencement Rapporti di Mazzini cox democratici delBelgio 53 succès, la confiance qui me manque. Une tentative de Congrès démocratique a eu lieu il y a quelques mois à Bruxelles. Des bases d’une Association fédérative universelle y ont été posées. Peut-être y a-t-il là un germe qu’on pourrait faire fructifier. La pensée initia;]# troji ver a-t-elle en Belgique un appui aetif, sérieux? Si cela pouvait avoir lieu ; si les patriotes suisses qui les premiers, je crois, en ont donné l’idée, voulaient avec une ferme volonté, se grouper autour d’un essai de réalisatiou, il n’y aurait plus à hésiter. Vous pourriez compter sur mon travail et sur la coopération de mes amis. A vous de coeur, Joseph Mozzini ». Molto rimane ancora a dire intorno ai rapporti fra Mazzini ed il movimento democratico-socialista belga e non è forse lontano il giorno nel quale affronterò il non facile argomento. Mario Battistini Ancora sul Congresso Repubblicano — del 50 Aprile 1Ô4Ô — Il 1.0 maggio 18481 Giuseppe Mazzini scriveva da Milano la seguente lettera al generale barone Giacomo Filippo· De-Meester, allora a Lugano : Carissimo Generale, Ti scrivo una linea; non ho tempo per altro ora ; ma ti scii-verò presto, appena potrò darti qualche risultato pratico dell opeia mia. Ebbii dall5amico Chialiva l'articolo ; lo diedi a D. Carta eccellente repubblicano che s’incaricò di pubblicarlo in alcuni giornali. se l’abbia fatto non so; ma ne chiederò domani, e te ne dirò. L impianto del nostro giornale avrà luogo tra pochissimi giorni· e ne riceverai il manifesto!. Tento organizzare il partito nostro; e speio riescirvi. È forte abbastanza; ma combattuto da una idea (JOp;pOì-tunità, di calcolo momentaneo, alia quale cede di soverchio. Quii il segreto del partito albertista sta tutto nel rompere il Provvisorio e passare alla decisione sulla forma del Governo, precedente la guei-ra, perchè la paura d’essere abbandonati ridurrebbe i più a votare per lui. La nostra è quella d’impedir!i e andare sino alla fine della guerra. Pregaci buona riuscita; e se risani vieni a darmi aiuto, ama il tuo * Œmseppe Mnzzirvl Lunedì De Boni qui presente ti saluta con affetto e stima. Vivi certo che agiamo attivi per la causa nostra; trionferemo, forse qaiando si deciderà la questione in Lombardia ina se anche nei pochi mesi dopo. (■) Il destinatario di questa lettera, il generale De-Meester, eia un ardente patriota repubblicano. Di padre olandese ma di madie 0) Scritti Editi ed Inediti di G. Mazzini - Epistolario vol. XIX, p. 155156. Ancora sul Congresso Repubblicano del Sì) Aprile 1S4S 55 italiana e nativo di Milano (1765-LS52), aveva iniziato brillantemente la carriera militare nella Guardia Nazionale della Cisalpina, giungendo al grado di generale a soli 34 anni, nel 1709. Sotto Napoleone aveva combattuto contro gli Austrìaci, era stato ispettore dell’esercito Cisalpino, e nel lbll governatore del Collegio degli orfani dei militari. Fedele ai] principi repubblicani, si era iscritto alla Carboneria Beneficente, all’Adelfia. Tornata ΓAustria, aveva preso parte, nel 1814, alla congiura degli ufficiali del disciolto esercito italiano, ed era stato condannato al carcere durissimo a vita, ridotto poi a quattro anni, di cui due bonificati, nel forte di. Theresienstadt. Nel ’20, '21 a capo dei Carbonari di Milano, aveva informato Carlo Alberto delle intenzioni dei Lombardi e delle condizioni degli1 Austriaci. Falliti i moti del’ 21, condannato a morte con la forca, in contumacia, era andato esule in Francia, Svizzera, Inghilterra, fondando un Comitato di soccorso per gli esuli. Ritiratosi quindi] a Lugano, seguì i moti del '48, fremendo' di sdegno alla « servile dedizione » dei Lombardi a Carlo Alberto. Morì ii 14 dicembre 1852, dopo di aver finanziato i moti mazziniani che dovevano fallire il G Febbraio del Panno successivo. L’articolo del De-Meester, cui si accenna in questa lettera di Mazzini, è intitolato : « Ai bravi lombardo-veneti il generale De-Meester, nativo di Milano. Lugano, dal letto : 16 Aprile 1848 » : in esso il De-Meester esortava alΓadozione di un Governo repubblicano rappresentativo. L'articolo non venne però pubblicato. Mazzini annuncia all’amico la fondazione imminente di un giornale: è questo «L’Italia del Popolo», organo dell’Associazione Nazionale Italiana, di cui Mazzini era presidente. Il primo numero, col Programma del giornale, uscì il 20 maggio 1848. « L’Italia del Popolo » continuò le sue pubblicazioni sino al 4 agosto, alla vigilia del ritorno degli Austriaci a Milano ; poi le sospese fino al settembre del ’40, quando, con lo stesso titolo, ma come rivista che si pubblicava due volte al mese, incominciò a uscire a Losanna, dove Mazzini si era rifugiato dopo la caduta della Repubblica Romana. L’importanza di questa lettera di Mazzini sta tutta nell’accenno alle divergenze che si manifestavano in seno al partito repubblicano, in quella gloriosa ma tormentata primavera del *48, accenno di delicata interpretazione, se deve' porsi in relazione, come fu or di dubbio, al drammatico e tempestoso colloquio avvenuto il giorno prima tra Mazzini e i repubblicani Cattaneo, Ferrari e Cernuschi. Mazzini sfcriive al De-Meester: « Tento organizzare il partito nostro; e spero riesciryi.^È forte abbastanza ; ma combattuto da una idea d'opportunità, di calcolo momentaneo, alla quale cede di soverchio. Qui il1 segreto del partito albertista sta tutto nel rompere il Provvisorio e passare alla deci- 56 Paola Catel sione sulla forma i,n cui riferisce la risposta data agli emissari di Carlo Alberto, che gli proponevano una « ouverture » per un’al Peanza del partito repubblicano con Carlo Alberto e per un « rapprochement personnel » : « Non desidero nessun ((rapprochement personnel» : che Carlo Alberto rompa apertamente qualunque legame diplomatico, qualunque unione con gli altri principi: che firmi un proclama dando all'Italia l’unità assoluta, con Roma per capitale, e spodestando tutti gli altri principi italiani : solo allora saremo soldati sotto la sua bandiera : se no, no. » Anche se Mazzini non udì Paccusa del Cattaneo: « Cet homme est vendu », sentiva tuttavia dii essere giudicato male. Xella lettera del 5 maggio alla madre (2) egli scrive: « Son tempestato di gente che viene a tentarmi (il « tentatore » è Carlo Alberto coi suoi emissari, come resulta dalla lettera del 30 maggio ’48 a Emilie Hawkes (3:) dico tentarmi, perchè questo volere che rinneghi ora le mie crederne, è una vera tentazione. Nasca quel che sa nascere, io non posso», madre mia, esser diverso da quel che sono. Io vedo più in là di molti altri. Guardo non alla Lombardia ma all’Italica. E so che per la salate d’Italia è necessario, qualunque sia il risultato immediato degli avvenimenti, che alcuni pochi mantengano pura di transazioni codarde la bandiera dell'avvenire. Io sono uno di quei pochi e la sosterrò. Voi e il padre amatemi sempre. Degli stolti i quali credono o tìngono credere che io lavori per ambizione, non curo. » Queste fiere parole di Mazzini, scritte cinque giorni dopo il colloquio famoso a cui accennano e che si possono accostare a queste altre della lettera del 7 maggio, alla sorella (4) : « so di tutti i clamori sparsi sul conto mio; leggo gli articoli, accusatori... L'Austria si irritava un giorno perchè io parlava : oggi gli uomini della libertà, s’irritano perchè io taccio. Miserie! M'accusano d'aspirare - \ (1) Epistolario, vol. XIX, pag. 100 segg. (2) Epistolario, vol XIX, pag. 158 seg. ( 3j Epistolario, vol. XIX, pag. 180. (4) Epistolario, vol. XIX, pag. 103 seg. 60 Paola Catel alla dittatura; non si avvedono ohe se io mai v’aspirassi, accarezzerei appunto le opinioni, 11011 mie, ma predominanti », contrastano certo vivamente con la rappresentazione del Ferrarii di un Mazzini incerto, esitante, quasi intimidito e vergognoso, come di chi abbia a nascondere qualche fallo! Se è Mazzini colui che si accusava di albertismo, stupisce ora di trovare nella lettera al De-Meester, l'accusa di albertismo ritorta sui repubblicani. Infatti, confrontando la frase « il1 partito nostro è combattuto da una idea d'opportunità e di calcolo momentaneo » colle seguenti parole della, lettera a George Sand a Parigi del 19 aprì!e '48 (J) : « Le parti de Charles Albert est bien fort, il se compose de tous ceux qui sacrifient le principe a ce qu’ils appellent l'opportunité » non si potrebbe riferire se non a coloro che parteggiavano per Carlo Alberto e auspicavano la fusione della Lombardia col Piemonte. Le parole «opportunità» e «calcolo momentaneo» ricorrono anche nel Manifesto dell·'« Italia de Popolo », là dove parlando dell'idea repubblicana, immedesimata coll'altra d'Unita, Mazzini dice: « Noi non la tradiremo oggi, quando da un lato i casi europei ne ; filettano lo sviluppo, e dalFaltro, uomini che l'hanno adorata con noi, la travisano accusandola di colpe non sue o la sacrificano a calcoli fallaci d7un'opportunità che morrà domani, ma che sostituita ai principii, indebolisce intanto negli animi quel culto di moralità politica, che solo può rigenerare o creare un popolo ». Poiché tuttavia l'idea repubblicana è inscindibile da quella unitaria, per cui Mazzini nello stesso Manifesto «lice: «Qualunque programma separi questi due termini o sagrì-fichi l'uno all altro é per noi imperfetto o vizioso: può riesci re a trionfo breve, ma cadrà rinnegato dalle necessità dei tempi e dal diritto senso degli Italiani », possiamo ritenere la frase citata, della lettera al De-Meester. diretta contro i repubblicani capitanati da Cattaneo, Ferrari e Cerniscili, in quanto anche essi, come gli albertisti, desideravano mutare immediatamente e definitivamente la torma di governo della Lombardia, anziché attendere la fine della guerra; il loro programma subordinava, secondo Mazzini, all'indipendenza e unità d Italia il tiionfo momentaneo di un'idea. Solo in tal modo si può conciliare l'apparente contrasto coute-nuto nella lettera al De-Meester, se la si mette in rapporto al colloquio del giorno precedente. Comunque tuttavia si debba* interpretare quella frase, è inequivocabile che il partito repubblicano non era concorde e compatto quale lo avrebbe voluto Mazzini, poiché (j) Epistolario, vol. XIX, pag. *30 reg Ancora sul Congresso Repubblicano del 30 Aprile 184S 61 ancora il 17 maggio egli scriveva a Carlo Grillenzoni, a Ferrara (0 : « Noi vogliamo collocare pubblicamente Topini one repubblicana anzi tutto sopra un terreno legale, iniziare l’apostolato aperto dichiarando : siam convinti d’esser l’unico partito che possa unificare, non due o tre parti d’Italia, ma l’Italia... insegniamo finalmente a tutti che un partito fondato non sopra un mero calcolo d’opportunità, ma sopra nna credenza, può e vuole essere uno e compatto. È l'unica cosa che ci manchi ! » Paola Catel (l) Epistolario, vol. XIX, pag. 177 seg. SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE SULLA CORSICA (Contumazione - vedi numeri precedenti) COLONNA d’Istria e Gaffori — Resumé de la jurisprudence de la cour impériale de Bastia et solutions à consulter sur la liquidation des dépans en matière civile, précédé d’observations pratiques sur l’opération de la taxe e suivi d‘un tarif legal pour la Cour imperiale de Bastia et les diverses jurisdictions de son ressort. Bastia, Fabiani, 1857, 4* Buon. CONCESSIONI graziose fatte dalla Serenissima Repubblica di Genova a popoli e sudditi del Regno di Corsica colla interposizione della Cesarea Garantia, 1733, Genova, Paolo Scio-nico [S d] 1744 8% pagg# 77. [Contiene 1) Concessioni graziose, 23 Gennaio 1733, pagg. 1-6; 2) Nuovi Ordini e Decreti della Ser. Repubblica di Genova da osservarsi nel Regno di Corsica per il buon regolamento di quell'isola, pag. 7-21, 28 Geno. 1733; 3) Tariffe, pagg. 21-45; 4) Decreto 18 Ottobre 1738; (Fontainebleau) pagg. 40-54; 5) Decreto 30 Agosto 1742, pagg. 55-00; 0) Decreto 30 Agosto 1742, pagg. 01-04; 7) Decreto fi Agosto 1744, pagg. 05-77] CONCESSIONE del perdono per le sollevazioni del 1733, dato in Genova il 3 Agosto 1744. Genova, presso Paolo Scionico (s d. - 1744, 9·, p. 15. GB CRIMINALIUM Iurium — Civitatis Genuae Libri IV quibus addita sunt armorum proclamata. Decreta ad eandem materiam pertinentia alia respicentia diversas materias. Ordines de exulibus classiariis ac exemptiones privilegia relatorum in militias dominii cum indice capitum et privilegio. Genuae apud Iosephum Pavones, 1010, 4°, ecc. nn. 0 303 pag. -j. 5 nn. cc. {Notevoli particolarmente : 1) Il divieto di trasmettere le cause criminali della Corsica a Genova (Rota criminale) per alleviare la procedura (1570, pag. 149). Obbligo di presentare la fede per coloro che sono rilegati in Corsica, 234. 3) Grida e proibizione d'anni 3104) disse di banditi in Corsica. 5) Non è necessaria la lettura dei processi per rimettere la pena agli esuli in Corsica, pag. 07.J DECLARATION du en faveur des Corses fideles ii la République de Gênes et tontre reux qui cherchent à se soustraire à sa domination, du 9 Avril 1740. Parts. Tip. Royale, 1740, 8·, pagg. 3 GB» DECLARATION du Roi qui trasière à la Mezzana le siège de la junte de Guagno et à Talla celui de Quenza : donnée h Versailles le treize Décembre 1772 : Registrée au Conseil Supérieur de l’iale de Corse le 12 janvier suivant. Bastia, Sebastien François Batibi. 8% pagg. 7. GÜ Saggio di una Bibliografia generale sulla Corsica 63 DECRET de la Convention nationale... qui proroge de six mois le délai pour le pourvoir eu cassation, par les habitants du département de Corse. Paris, Iinpr. Nationale executive du Louvre, 1793, 4°. Buon. DÉCRET de la Convention nationale... qui divise l'île de Corse en deux départements. Paris, Impr. Nationale executive du Louvre, 1793, 4°. DÉCRET de la Convention nationale... qui déclare citoyen français Philippe Buonarrotti, natif de Toscana... ayant rendu des services à la République, ainsi qu’iL est constaté par les autorités constituées dans le départemente de la Corse. Parts, Impr, Nation, exécutive du Louvre, 1793, 4“ Buon. DÉCRET de la Convention Nationale .. qui accorde des secours provisoires aux citoyens corses réfugiés et autres qui ont souffert des dommages de la part des rebelles... Paris, Impr. Nat. du Louvre, 1793« Buon. DÉCRET de la Convention Nationale... relatif au délai pour se pourvoir en cassation contre le jugemens rendus par les tribunaux de la Corse. Paris, Impr. National du Louvre 1793. Buon. DÉCRET do la Convention . Nationale... relatif au payement du traitement des ci-devant employés de la Régie des Domaines et Droits de l’île de Corse. Paris, Impr. Nation exécutive du Louvre, 1798, 4°. Buon. DÉCRET de la Convention Nationale... relatif aux troubles du département de la Corse. Paria, Impr. Nation, exécutive du Louvre, 1793, 4°. Buon. DELIRI RAZIONI del Serenissimo Duce, Eccellentissimi Governatori et illustrissimi Procuratori della Serenissima Repubblica di Genova Relative alla coltivazione generale della Corsica (17 Febbr. 1038) Genova, per Giuseppe Pavoni, 1638, J\ pag. 4. G DE STEFANI Angelo — Degli ordinamenti del 1475 sulla pesca del corallo a Bonifazio pubblicati per la prima volta, in Archivio Storico Italiano, ßerie IV, XII, 313-330. DUMONT — Corp Universel Diplomatique du Droit des Gens : contenant un Recueil des traites d’alliance de paix, de trûve..,. de tous les conventions transactions.... qui ont été jaites eu Europe depuis le règne de ΓEmpereur Charlemagne jusques à présent avec les Capitulations impériales et royales.... et eu général des tous les titres sous quel, ques nom qu’on le désigne qui peuvent établir les droits et les intérêts des princes et des états de l’Europe. . . par D. . ., Avec supplement. Amsterdam, chez Brunei et Wetstein, 1720. (Vol. I), (Tom. V Suppl.) 1739. Periodo 1091, 14G4, 1478. EDIT du Roi portant création de qnatres juntes nationales et d’un jurisdiction prévôtale contre les bandits et fugitifs en Corse. Donné à Compiègne le 15 Aoust 1772, registre au Conseil Supérieur de la dite Isle au mois de Novembre suivant Bastia, Sebastien François Ratini, 1772, 4e, pagg. 39 GB EDIT du Roi portant création d’un greffier â la suite de la commission établie concernant le« juutes nationales de l’isle de Corse. Donné il Versailles au mois de Mars 1773 registrò au Conseil Supérieur de la «lite isle le 28 May suivant, (it. e fr.) Bastia, Sebastien François Ratini, 1773, 4% pagg. 7. GB EXTRAIT du registre du Conseil d’Etat du Roi IArrêt qui détende la culture des châtaigniers en Corse] Bastia, Ratini, 1771, 4‘, 2 voll. (fr. it.) B EXTRAIT de lOrdonnance du Roy du 2 juillet 1710 concernant les déserteurs, (it. e fr.) Bastia, Sebastiano Francesco Ratini, 1770), F volante. F.to Cardon GB 64 Saggio di γχλ Bibliografia generali·: svlla Corsica FONTANA — EssaS sur l’histoi-e du droit privé en Corse. Paris, Jouve, 1905. FRANCE SCHINI — Situation morale et judiciaire de la Corse, 1817-21, in Bull. Soc. Uist. Corse 1919. FRANCESCHINI E. Jules — La situation sociale et judiciaire de la Corse, 1S17-20; justice, magistrato gendarmes en l’île de Corse, in Bull. Soc. Uistt de la Corse 1919. Anno 39, nn. 397-400, pagg. 25-87. - GARELLI — Les institutions démocratiques de la Corse jusqu’à la conquête française, thèse doctorat. Paris, Jouve, 1905. GARNIER-Dubourneuf — Coup d’oeil sur l’ancienne législation de la Corse, Paris, 1840, 8*. GRAZIANI — üne magistrature agricole en Corse au XVI siècle, in Revue de la Corse, 1920,. (1), pagg. 56-59. IMMUNITATIBUS (De) a Magistrato Divi Georgii Concessis Liber. Genuae, Ex Tip. Haeredum Hieronymi Bartoli, 1593 4% 1 vol. ~ ISAMBERT — Recueil général des anciennes lois de la France depuis l’an 420 jusqu’à la Révolution de 1789 par M. M. Jourdan de Crusy et Isainbert. Rec. Daunon in Journal de Savants, 1822 - nov. - 1824 juillet. ISTITUTI et ordini militari da osservarsi dalle truppe della Serenissima Repubblica di Ge. nova stabiliti e deliberati daH’IU.mo e eccellentissimo magistrato di Guerra et ancora approvati da »Serenissimi Collegi per loro decreto del 22 Genaro 1722 formati dal colonnello Lurenzo Maria Zignago stampati l’a. 1710 e di nuovo ristampati l'anno 1722. Genova, Gio Battista Casamara, 1722, 16% pagg. 272. G B-S ISTRUZIONI e Ordini per la Sanità da osservarsi in tutti quei luoghi che hanno giurisdizione al mare nell’una o nell’altra riviera della Ser. Repubblica compreso il Regno di Genova, Casamara, 1753, 8·, pagg. 16. LEGES — Coinperarum S. Georgii, 1691. LEGGE et Ordini fatti da’ Serenissimi Collegi con l’Approvatione dei Consegli della Repubblica, rispetto all'autorità di essi Serenissimi Collegi, contro di Corsi che ammazzano o sparano archibuggi o ferono sotto pace, o per vendetta. (Deliberaz. 25 Maggio e 20 Nov. 1635). Genova, Benedetto Celle, 1669, pagg. 4. Ö LETTERE italiane sopra la Corsica in rapporto allo spirito di Legislazione che dovrebbe animare quel regno. Losanna, 1796, 1 voi. 8*. LETTREiS-Patentes du Roi Louis XVI portant abolition et remi«aion du Crime de la Conjuration d’Oletta -Ju mois de May 1778. Bastia, Sebastien François Batrni (1778, 4\ pagg. 15. LETTRES Patentes du Roi portant confiscation des biens des Corses fugitifs hors de l’ile et donation desdits "oiens à l’Université de la Corse. Bastia, Batini, 1780, 4·. Buon. LETTRES Patentes du Roi qui ordonnent que le délai . , .concernant la suppression des offices de la chancellerie de Corse ne commencera à courir que du jour de la lecture et publication au Sceau dudit édit. Paris, Simon et Nyon, 1876, 4*. Buon. LETTRES Patentes du Roi sur le décret de l’Auemblée nationale, concernant les Corses fugitifs. . . Paris, N. H. Nyon, 1790, 4*. Buon. Saggio di una Biülioghafia generale sulla Corsica 65 LETTRES Patentes du Itoi sur uu décret de l’Assemblée nationale portant che l’isle de Corse fait partie de l’empire français. Janvier, 1790. Paris, N. H, Nyon, 1790, 4e. Buon. LIBRO Rosso dei decreti, leggi e gride, publié par M. Letteron, in Bull, des Sciences corse», 1890. X (1890) fase. 119-120, pagg 1-168; XII (1892) fase. 138-139, pagg. 169-424; XIV (1894) fase. 167-168, pagg. 425-586 ; XVIII, (1898) fase. 206-208, pagg. 585-592 LOI relative aux Doctrinaires de la ville de Bastia et au Directoire du district de !a raéine ville Paris, Impr. Royale, 1791, 4°. Buon. LOI relative aux troubles de la Corse et qui autorise provisoirement les départements et Γβ-vêque à tenir leurs séances dans la ville de Corte. Paris, Impr. Royale, 1791, 4°. Buon. LOI relative au terrier général de l’île de Corse. Paris, Impr. Royale, 1791, 4°. Buon. LOI relative aux concessions des domaines nationaux de l'île de Corse, Paris Impr. Royale 4°- Buon. LOI portant que la Corse ne forme qu’un seul département. Paris.. Nyon, 1791, 4°. Buon. LOI relativo à la gendarmerie du département de la Corse. Paris, Impr. Royale, 1791, 4·. Buon. LOI relative à la révocation du bail emphitéotique de plusieurs domaines nationaux du dé partement de la Corse. Paris, Impr. nationale du Louvre, 1792. Buon. LOI RELATIVE au payement de dépenses de l'ancienne administration tant civile que judiciaire de l’isle de Corse. Paris, Impr. Royale, 1792, 4°. Buon. LOI RELATIVE au payement des troupes employées dans l'ile de Corse.... Paris Impr Royale 1792. **· Buon! LOI RELAri\L· aux frais faits pour la vent et estimation des biens nationaux dans l'ile de Corse, Paris, Impr. Royale, 1792, 4°. Buon. LOI AUTORISANT la commune d'AjâcTio h vendre pour 50.000 francs des 'biens communaux, pour améliorer le service des eaux, Paris, Impr· Nationale, [1800] anu. IX, 8° Buon «j-rr f MAINOLDL’S Jacobus — Consultf de Titulis Philippi Austrii Regis Catholici et in ipsas Titulorum successiones. Bononia, 1573, 4°. (Corsica, Tom. XI, fogl. 11] Alare. MARILIANUS Hieronymus — Observationes et Decisiones Aureae regni Corsicae, Papiae, 1597. Francofcrte, 1589. MONTERA — De la legislation et de 1 organisation juridiciaire en Corse sous le gouvernement du général Paoli. Bastia, Impr. Fabiani, 1858, 8°. MORATI — Gentile (F.de) — Les Anciens Notaires Corses, iu Revue de J a Corse, 1921, (II), pag. 33 - 37. MORATI PIETRO — Prattica manuale del Dott. P. M. di Muro: Texte revu par M. de Caraffa. Part. 1-11, in Bull. Soc. Hist. Corse, 1885, (Ann. V), Fase. 54-57, pagg. 1-354; 1886-87 (Anu. Vl-MI) fqse. 70-74, pagg 1*516; (La 2* parte ò un trattato giuridico, la 1* d.i notizie impoi tanti sulle attribuz. dei magistrati, personaggi, città, di Corsica alla fine del 600 e al principio del 700.) 66 Saggio di una Bibliografia generale sulla Corsica [NASICA] — Observations sur Fabiani, 1842, 8\ la prohibition des armes en Corse, par un magistrat. Bastia, Buon. ORDINI (intorno a’ relegati in Corsica per l'inosservauza de’ bandi (15 Marzo 1011). Genova·, Appresso Giuseppe Pavoni, F, pag. 1. tu ui'iaiua ** ----------- 1773, F., pagg. 14. [Ved. Concessioni Graziose] ORDONNANTE du Roy qui acorde des gratifications à tous les Bas-officiers, soldats, Cavaliers et Dragons ainsi qu’à toutes personnes qui arrêteront des déserteurs ou Embauchent, du 17 Décembre, 1768. Bastia, SA. Fr Batini, 1770, F. v., Chardon. G B ORDONNANCE [Boucfeeporn] de M. L'intendant de l’isle de Corse portant publication des dispositions des Règlements et Ordonnance de la police des Troupes dans les Places, relativement aux Habitants et les obligations à remplir à cet égard par les dits habitants. Du juillet 1779, (ital. e fr.) Bastia, Irapr. François Batini, Impr. de Roi, 4% pag 25. GB ORDONNANCE du Roi concernant le Régiment Provincial de l’isle de Corse, du 2 juin 1777. Paris, Tip, Royale, 1777, 4°, pag. 12. GB PAIX DE SARTÈNE — Tracté de paix entre le parti Sainte Anne et Je parti Borgo.... fait et clos par devant notaire et témoins en l’église paroissiale de Sartène le 7 Déc. Is34, 1835, 8°. PATORN1 — Lettre touchant l'administration de la justice criminelle en Corse. Paris, 1818. PATORNI F. M, — Violation de la charte et falsification d'une loi comlses par un ministre dans une ordonnance royale, ou appel aux chambres, aux magistrats, aux jureconsultes. Paris, Palais Royal, 1827. PATORNI — Lettre a M. Pcrtalis.... touchant de la justice criminelle en Corse, (6 janvier, 1828) Paris, Delaunay, 8U. PATORNI — Du juri en Corse. Vote du Conseil général de ce département et observations par F. M. P. (15 Mars. 1829)raris, Marin val, 1829, 8° PATORNI — Du jurl en Corse. Mémoire au Roi (Spt. 1830) Paris, Impr. Selligne, sd. S°. PATORNI — La Corse. Documents historiques législatifs et judiciaires, 1768 à 1842. Pans, Impr. Blondeau, 8°. PATORNI F. M. — La Corse, documents historiques législatifs et judiciaires. Paris, Impr. Blondeau, 1842, 8°, f. 13. PICCIONI CAMILLO — La Corse et la proposition de loi -organisant les régions administratives, in Stivile de la Corse, 1923, (IV), pagg. 33-40, PROCLAMATION des commissaires nationaux envoyés en Corse, 10 Avril 1793. Bastia, Battini, F. PROCLAMATION — Les commissaires de la Convention nationale aux citoyens du département de Corse.... (24 Avril 1793) Bastia, Battini, (s. d.) F. RECUEIL des usages locaux du Canton d’Ajaccio, constatés et mis en ordre d’après le rapport de la Commission instituée par l’arrêté préfectoral de juillet 1857, M. M. Maestroni - Me-glia.... et Louis Meyer. Ajaccio, Peretti, 1858, 8°. Buon. Saggio di una Iìibliogkafia generale sulla Corsica 67 REQUETE au Roi sur les é\énements qui ont eu lieu en Corse depuis le 11 Avril dernier jusqu’à 1 arrivée de M. le chevalier général de Brulard gouverneur..., Paris, Impr. Porthmaun. 1814, 4°. RIBAULT DE LAUGARDIÈRE — Etude sur le code anglo-corse.. Bastia, Ollagnier, 18G3. RIFORMA del sindacato e degli ufficiali di Corsica e Capraia. Genova, Appr. Giuseppe Pavoni, 1613, cc., 4* RISTABILIMENTO (Sul) dei giurati in Corsica: Lettera di X X all’ab. Raffaello Lambruschini,, in Antologia. Firenze. Vieussieux, \ol. 41. Part. III, pag. 102: Voi. 44. Part. I, pag. 87; Voi. 47, Part. I, pag. 165. SERMENTS de fidélité, franchises et immunités, conventions, propositions, instructions, statuts de la Corse, in Bull. Soc. Hist. Corse. R. S. III 351. SOLMI — Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel Medio Evo. Cagliari, presso la Soc. Storica Sarda, 1917, 8°. (Passim notiz. sulla Corsica.) • STATUTI Civili e criminali dell’isola di Corsica, Genova, 1571, F STATUTI Civici e criminali 1) Genova, Antonio Bellone, 1621, Additione fatta alli Statuti di Corsica, (s. 1. a). [Genova, Antonio Bellone, 1573]. STATUTI Civili ed Criminali dell’isola di Corsica. Genova, Giuseppe Pavoni, 1602, pag. 96. [Annesso Riforma del Sindacato e degli ufficiali di Corsica e Capraia] STATITI Civili e criminali del Comune di Bonifacio riformati e compilati dal Nob. Gio Battista Marzolaccio, d'ordine dei Senato Serenissimo, Genova, per Giuseppe Pavoni, 1625, 4°. 6 cc nn., pag. 71. STATUTS et privilèges accordée à la ville de Bastia depuis l’an. 1484 jusqu’à l’an. 1648. Bull, ac la Soc. Hist, de la Corse, 1885-86, (Ann. V-VI), fase. 59-61, pagg. 274-375. R. S STATUTI Civili e criminali di Corsica. Bastia, 1654. STATUTI Civili et criminali dell’isola di Corsica. Bastia, Francesco Mafia patini, 1694, 4°, pagg. 108. [aggiunte varie grida dal sec. XVI] GB [.STATUTSj Traduction des Statuts Civils de l’isle de Corse faite sur un exemplaire italien imprimé à Bastia en 1694, par Serval advocat en Parlement. Toulon, Impr. de la Veuve de J. L. Maillard, 1769, 8°, pagg. 145. GB STATUTI Civili dell'isola di Corsica Italiani e Francesi. Tolone, 1769, 8°. STATUTI Civili dell’isola di Corsica. Nuova edizione. Bastia, Fabiani, 1828, 16°. STATUTI Civilï e Criminali di Corsica pubblicati con additazionf inedite e con una introduzione per munificenza del conte Andrea Pozzi di Borgo da Giovan Carlo Gregory. Lione, Dumoulin, 1843, 8e, 2 Tomi in 1 voi. STEPHANOPOLI (de Comnène) La Corse et les torys auxquels cette île et la France ont été inféodés, pétition aux Chambres par un Corse. Paris, Mathi'as, 1843, 8°. VIOLATION de la charte de 1830. Protestation des Corses contre la nouvelle suspension du jury dans leur département. Paris, Impr. Selligue, 1830, 8°. 68 Saggio di una Bibliografia generale sulla Corsica Folklore AMBROSI E. - Une fête française a Bastia eu XVIII siècle, i.. Revue de la Corse, 1026, (VU), pagg. 107-115. [Per la nascita del Duca di Borgogna, 1752; costumi] APPI NZ AP A LO - A Calcagnetta : Leggenda Murianinca, iti Almanaccu di « A Muvra », 1927,. pagg 109 112. BOUCHEZ _ Nouvelles corses tirées de Grimaldi, Paris, 1S43. BÜSQUET - L'attacar, lu Reme de la Cone, 1920 (I) pagg. 15-19. [Studia fluo al sec.. XVIII il costume dell’attacar] [toccare in viso una donna o toglierle la cuffia] BU.SQUET — Le Rimbecco en Corse, in Revue de la Corse, 1920, (I), paggv 81-84. [Istigazione-a uccidere per vendetta] C ARNO Y HENRY — La fête de Nöel, in La Tradition, (Ann. Ill), 1889, η. II, pagg. 5o-57. [Tradizione della festa in Corsica] CARNOT HENRY - Le Carnaval, in La Tradition 1892, (Anno VI) η. VI, VIII, pagg, 227-229.. Paris Juin-Aôut (Cap. ΧΛ). [Notizie inedite] CHANAL EDOUARD — Voyages en Corse : descriptions, récits, légendes. Paris, Gédalge ed. 1890, 8°, pagg. 224. Rivist. stor. VIII, 108, nota bibl. [Leggende, superstiz.oni] Ree. Ambrosi, in Revue de la Corse, 1923, (IV), pagg. 5G-60. CHAUVET — Ajaccio à Noel, in Revue de la Corse, 1924, (V) n. 30; id. id. 192o (\ I pa00. lo 10. CHAUVET PAUL — Bonifacio en semaine Sainte, in Revue de la Corse, 1925, (VI) pagg. 28 30,-pagg. 45-48. C1RNENSI MATTEO _ A Mamma di San Petru. Racconti di « A Muvra », in Almanacca di « A Muvra », 1927, pagg. 43-44. [Parlata di Custeria] CONYBEARE F. Ü. — The use of a skull in arain · making cerimony in Corsica, in folklore, XIX, 1908, pagg. 332. [Uso di portare una testa di morto nella processione per essere buttata in un ruscello] (Continuo) Renato Giardelli. Rassegna Bibliografica Arrigo Solmi — L'idea dell’unità italiana neWetà napoleonica. Con una .appendice di documenti - Collezione storica del Risorgimento italiano, Serie I, vol. XI - Modena, Soc. Tipografica- Modenese, 1934-XIL L’illustre storico amplia e riassume in questo volume una materia clie gli è cara e sulla quale è ritornato più volte, l’ultima, come egli stesso ricorda nell’introduzione, nella Rassegna storica del Risorgimento italiano del gennaio-feibbraio 1934, proprio nel primo numero pubblicato sotto la nuova direzione e col nuovo impulso di S. E. De Vecchi di Val Cismon. Veramente il volume comprende, oltre quello che gli dà il titolo, una serie di altri studi ad esso logicamente congiunti; più rilevanti quello su «Francesco Melzi e l’idea unitaria nel 1801 » e l’altro su « Ugo Foscolo e l’unità dell’Italia·)). Dire dell’importanza di questi lavori, del contributo che essi recano a una conoscenza meno imprecisa e generica· della genesi della concezione 'unitaria è c\osa superflua. Si tratta di studi che hanno un valore definitivo e rappresentano l’apporto più importante su questa materia non ancora sufficientemente nota e studiata, su un tema, come l’illustre autore giustamente dice, vastissimo e quasi ancora inesplorato. Per l’autorità dell’insigne Maestro nel doppio campo della scienza e della politica, è d’altra parte naturale che una sua trattazione organica e riassuntiva, anche se Egli dichiari di non aver esaurito l’argomento, faccia testo fra gli studiosi : ed .a riprova basta aprire l’ultimo fascicolo della Rassegna storica dtji Risorgimento nel quale Carlo Zaghi in una Nota sul Generale La Eoss si riferisce come a studio base al volume del Solini. Duole perciò, per restringersi, soltanto- alla Liguria, come è nell’indole della nostra Rivista e dei nostri studi, che in opera di tanta importanza che, con le vedute personali e le acute considerazioni sul formarsi già nel 700 del concetto unitario, dà corpo organico a quanto è stato indagato e scritto in argomento, ci sia una notevole lacuna per ciò che riguarda la Liguria. E la cosa si nota, senza timore di voler fare rivendicazioni regionali ben lontane dal nostro spirito, per »una duplice ragione : perchè è giusto e doveroso, a dimostrare appunto la vastità e la portata del fenomeno, coglierne e approfondirne le manifestazioni nelle diverse parti d’Italia ; perchè la manifestazione ligure, almeno nel 70 Rassegna Bibliografica suo aspetto più importante e significativo, non è ligure che occasionalmente, in quanto avviene a Genova ma con ogni probabilità è opera di patrioti di altre regioni, dèi profughi qui raccoltisi nel terribile 99, dai quali, come l’Autore ricorda, partirono quegli appelli alla Francia dei quali con precisa opportunità si ripubblicano i testi in appendice al volume. Questa minore considerazione degli e1ementi e degli apporti liguri alla concezione unitaria (nell’età francese e napoleonica era già stata notata nella Rassegna Storica del Risorgimento (ott. - die. 1933) ; ma è assai probabile che l’illustre Maestro, assorbito dalle altissime cure della sua funzione politica, non abbia avuto modo di averne visione o di tenerne conto ; si può infatti notare che le opere da lui citate non scendono oltre il 1932. Ed è invece dei primi del 1933 uno studio, sepolto nel vol. LXI degli Atti della Società Ligure di Storia Patria, nel quale l’argomento è ampiamente trattato per quanto riguarda la Liguria. Per la quale il solo accenno contenuto nello studio del Maestro dell’Ateneo milanese è il riferimento all’anonimo scrittore che sulla fine del 1797 nel Difensore della Libertà invocava l’unificazione della penisola, incitando a far sparire « quei limiti e quelle frontiere che dividono l’Etruria dal Lazio, PInsubria dalla Liguria» per raggiungere Punita. La notizia è derivata al Solmi dal mediocre lavoro di G. Lumbroso su I moti popolari contro i Francesi alla fine del secolo'XVIII, del quale, a parte l’esagerazione della tesi che partendo da giuste premesse è portata ad eccessive conclusioni, è stata indicata in questo Giornale (aprile - giugno 1933, pag. 125 seg. ) la deficiente preparazione per quanto riguarda le cose e gli studi delia Liguria. L'asserito anonimo autore dell’articolo del Difensore è infatti ben noto dacché sin dal 1887 Achilìe Neri lo identificò in Gaspare Salili al quale si devono parole come queste: « Bei) presto PItalia non formerà che un popolo solo, animato dagli stessi principi, guidato dai medesimi interessi, felice di dentro e rispettato di fuori di tutte le nazioni delPuniverso » ; e queste altrettanto si gnificative ; « La Liguria è pronta ad unirsi all’Italia libera quando sarà tutta rivoluzionata o almeno quando l’Italia libera sarà liberamente e sovranamente governata ». Ma il Sauli non era il solo ; e prima di lui Sebastiano Biagini, ben noto per gli studi del Pivano e del Soriga, e poi Giambattista Serra e Gaetano Marrè e alcuni altri rappresentano il manipolo, sparuto certo ma entusiasta e fervido, che sostenne in quegli anni, contro Patteggiamento ufficiale del governo ligure, la concezione unitaria, la quale, oltre che nel Difensore, ha avuto le sue voci, intermittenti e isolate, anche nel Censore e nel Monitore Ligure. Molto giustamente il Solmi si trattiene a dimostrare come la concezione unitaria abbia avuto nel 1799 le sue affermazioni maggiori, Rassegna Bibliografica 71 per effetto delle condizioni particolari del momento, della delusione dei patrioti per le prepotenze e le violenze degli eserciti, dei generali, dei commissari francesi, per le rovine derivate dalla reazione austro-russa unita spesso e sostenuta dalla violenta reazione popolare ; onde l’unità· aiutata dalla Francia sarebbe apparsa un giusto risarcimento dei torti commessi e Punico mezzo per costituire un. forte blocco Francia - Italia capace di resistere alle potenze conservatrici e alleate. Orbene, la voce più chiara e insistente a questo proposito è il giornale II Redattore Italiano che si pubblicò a Genova tra l’aprile 1799 e il gennaio 1800 e che di' quel programma unitario fece la bandiera e la ragione della propria esistenza. Ignoti i redattori, nè gli atti relativi alle agitate vicende del giornale, perseguitato dagli ufficiali francesi per il suo aperto linguaggio, permettono di individuarli : certo, vi erano dei Liguri nella redazione; ma è assai probabile, come risulta da- molti indizi, che lo scrittore al quale si debbono gli articoli più tipici e insistenti sul programma unitario appartenesse agli emigrati da Napoli o da Milano. Comunque le idee ivi espresse sono maturate appunto tra quegli esuli e sono le stesse che troveranno precisamente a Genova, come il Solmi afferma, la formulazione nell'indirizzo qui dettato da Cesare Paribelli. Fin daini maggio — prima, dunque degli appelli dei profughi a Parigi — il veramente anonimo redattore scriveva : « 0 voi che reggete il destino della grande repubblica, proclamate solennemente che tutti i popoli italiani si riuniscano in un sol popolo sotto l’ombra della Repubblica Italiana una e indivisibile, ed annunciate in faccia all’Europa che, conchiusa la pace generale, rientreranno i Francesi nei cionfini delle Alpi, contini posti dalla natura per dividere F'una Nazione dall'ai-tra ». Tutti i concetti esposti nell’indirizzo Paribelli (è il doc. n. 1 del Solmi) sono già, ribaditi con tenace insistenza, negli articoli del giornale, dei quali sorriderebbe l’idea di poter riconoscere al val-tellinese la paternità. Uno solo forse potrebbe essere attribuito al Foscolo, ma che 11 poeta fosse allora a Genova e conoscesse il giornale risulta, se non m’inganno interamente, dall’analogia caratteristica e non casuale tra uno di quegli articoli e il brano celebre della seconda redazione del-1}Iacopo Ortis sul pellegrinaggio esaltatore in S. Croce, destinato a tramutarsi poi nel brano più famoso dei Sepolcri. E finalmente è da notare che tin dal 13 luglio il Redattore pubblicava a Genova l’indirizzo presentato in quei giorni dal1 Paribelli a Parigi, ciò che conferma i rapporti del giornale col Paribelli medesimo e con gli emigrati che nutrivano le sue stesse idee. Dell’indirizzo, come aveva notato il Croce e ora il Solmi conferma, si conoscevano due copie ; questa del Redattore è la terza ma sventuratamente neppur essa portale firme dei sottoscrittori. È ancora da rilevare che gli articoli del giornale hanno molti punti di contatto con l’interessantissimo me- 72 Rassegna Bibliografica moriale smora inedito sulla politica francese in Italia presentato al Ministro degli Esteri della Repubblica il 25 giugno li99 (doc. n. 8 del Solini); onde si conferma quanto il suo editore ha luminosamente provato, che quelle concezioni erano largamente diffuse e si erano anche manifestate indipendentemente le une dalle altre per effetto della situazione politica e dello stato degli animi sopra tutto nei cittadini più illuminati e dovevano avere poi la più alta espressione nel DìscOì so sull’Italia del Foscolo1 al gen. Championnet. Comunque, non mi sembra si possa revociare in dubbio il rapporto esistente tra il Redattore Italiano e l’azione dei rifugiati in Genova nel 1799 e l’importanza di questa che fu la voce più insistente e cosciente della concezione unitaria in quel fortunoso momento : onde non apparirà ingiustificato il rammarico che non ne sia cenno nell’opera più esauriente e compiuta sulFidea unitaria nell’età napoleonica dovuta al più esperto conoscitore della materia. Y ito Vitale Ilario Risieri — I vescovi della Corsica - (Collana storica della Corsica diretta da Gioacchino Volpe) Livorno, Giusti 1934-XIII, pagg. XXVIII - 296. Nome simpatico agli studiosi, ai religiosi e ai Genovesi quello del padre Ilario Rinieri, e in specie ai giovani.... d’un tempo, abituati a ricorrere da anni alla sua cortesia e alla sua competenza in materia storica. E caro anche ai Corsi, da cui egli' si staccò nella sua giovinezza lontana: onde con ricordo nostalgico1 ritorna a quegli anni e alle impressioni del tempo, tra il 1866 e il 71, quando frequentava il Seminario d’Aiaccio. Da allora non rivide più Venacc, il suo paese natale : ma il suo amore crebbe nel desiderio di esso. La Francia repubblicana e massonica precluse a lui, gesuita, il ritorno : ed egli ne fece la più nobile vendetta, esaltando nel suo culto della storia la diletta Corsica, e dalle glorie e dalle sventure di essa traendo nuovo slancio per celebrarla. Invano si cercherebbe in lui il parteggiante dell’Italia o della Francia ; egli è sopratutto corso, immedesimato1 nell’uomo di chiesa e, in secondo luogo, un erudito. Gli anni più ibelli della vita li trascorse nella Città Eterna, consultando e pubblicando i documenti dell’Archivio Vatioano, in cui egli formò la sua coltura vastissima. A Genova poi, ove visse per tanto tempo, ebbe modo di studiare i documenti più preziosi della sua isola, nel pensiero cioè dei dominatori di essa per secoli, dei venditori sacrileghi della sua terra. Roma papale dunque gli dimostra il suo millenario dominio spirituale sull’isola; Genova lo riempie di ammirazione1 per lo spirito d’indipendenza dei Corsi; la Francia gli parla, attraverso gli eruditi, della sua dominazione ultima. Rassegna Bibliografica 73 Tutto ciò va tenuto presente nel leggere le opere del padre Rinieri, e specialmente quest’ultima, dove la dottrina prende vigor nuovo da spirito polemico; cosicché anche quando possiamo dissentire dal dotto Gesuita, non possiamo ohe ammirarne l’amore del natio loco e la fierezza corsa, che nii richiama quella di un dotto suo conterraneo, l’agostiniano padre Marini, che nel 1903, avendogli io chiesto se si riteneva italiano' o francese, mi rispose, dimentico della cocolla, con un gran lampeggiamento dei neri occhi, in un toscano purissimo : « Noi siamo corsi, signore e basta ! » A tutto ciò pensavo terminando di leggere l'ultimo volume del padre Rinieri « I vescovi di Corsica », secondo della Collana Corsa, dell’Archivio Storico di Corsica, presentato oon nobile prefazione di S. E. Gioacchino Volpe. Il titolo in volgare dice più o meno del contenuto; la dedica: «opus qualecumque, quod eius (Cyrni) Pon-tiüces atque Du ces explicat » più chi aramente giustifìcia lacune religiose e divagazioni politiche che esorbiterebbero (queste ultime) dal libro. Certo l’argomento è arduo e il Rinieri in molti punti dà più l’impalcatura che la costruzione dell'opera; onde giustamente il Volpe si attende che altri studiosi arrechino all’opera il contributo degli Archivi di Genova e Pisa, le due anticjie dominatrici rivali; di Roma, signora spirituale dell’isola; di Aiaccio e Bastia, che possono serbarci il sentimento reale e appassionato dei Corsi in tanta, dolorosa vicenda di secoli. Il periodo mitico della cristianizzazione dell'isola è studiato dal Rinieri con animo di erudito preistorico, che su traccie incerte e verosimiglianze incontrollabili abbatte ipotesi assurde e ricostruisce. Primo predicatore del Cristianesimo nell’isola S. Paolo, no; solo nel sec. V appaiono vescovi corsi, che nell’isola combattono il paganesimo, o ciancellano dai primi cristiani i residui dell’idolatria. E compaiono i primi martiri e santi corsi, esumati dagli « Acta Sanctorum » : tra essi il più accertato è il S. Fiorenzo*, vescovo di Nebbio. Colla caduta delPImpero d’Occidente e le invasioni barbariche la Chiesa per opera di Gregorio~Magno assume la difesa della Corsica contro Longobardi e Saraceni da un lato, e Bizantini dall’altro. Il patto di Quiersv (751) riconosce al Papa varie donazioni nell’isola, ma con valore nominale, poiché colà la pressione saracena si faceva sempre maggiore. L’isola infatti aveva un'importanza strategica somma pel dominio del Mediterraneo : e questo non va dimenticato mai per la storia di essa in ogni tempo. Dei vescovadi primitivi della Corsica il più antico, se non del 1° secolo pare fosse Aleria, ma il catalogo dei suoi vescovi (come del resto quello degli altri di Mariana, Nebbio, Sagona, Aiaccio e Accia, sistemati nel 1133 da papa Innocenzo II) è, a detta del Rinieri stesso, « tale una matassa, che a sbrogliarla è cosa manifestamente im- 74 Rassegna Bibliografica possibile ». Specie ne’ primi secoli non si à certezza di nomi, di successione, di durata, di opera apostolica compiuta: neppure di permanenza nell'isola per quei pochi vescovi, del cui nome si è sicuri. Ma la causa prima di tanta nebulosità storica è dovuta all'invasione dei saraceni, che nel secolo· Vili si impadronirono delle isole tirreniche, le quali divennero le loro piazze forti, dopo avervi! distrutto ogni traccia e ogni opera del cristianesimo e dopo averne deportati schiavi in Africa gli abitanti. I pochi Corsi scampati si! rifugiarono nelle terre del Papa (852). Per opera degli Altavilla si allenta la pressione saracena (1061) colla liberazione della Sicilia. Tosto anche la Corsica scuote il suo giogo e si dà nel 1077 al Papa, che la protegga. Gregorio VII allora concede a Pisa il primato sulle chiese dell’isola; la tiera opposizione di Genova induce finalmente papa Innocenzo II nel 1133 ad un giudizio che voleva essere salomonico, per cui lasciò a Pisa le diocesi di Aleria., Sagona e Aiaccio, a Genova quelle di Accia, Nebbio e Mariana. In realtà Corsioa e Sardegna furono il fomite di discordie, di lotte fratricide e di sterminio tra le due repubbliche marinare. La storia religiosa dell’isola se ne risente. Sia per la precarietà delle sedi, sia per la insufficienza e irregolarità dei benefici nell’isola poverissima ed esausta, sia per le lotte politiche, sia per le invasioni corsare, i vescovi hanno titolo, ma non residenza: onde una decadenza religiosa dei corsi, resa più grave dalle traode superstiziose lasciate dai saraceni ed assimilate dai vinti: cosicché questo stato gravissimo dura sino alla Controriforma e al Concilio di Trento, che riordina i pastori e i greggi. A questo punto desidereremmo che a riassumere e riordinare la materia lacunosa una tabella, per quanto cauta, una tabella raccogli esse i dati più sicuri delle serie di vescovi delle sei diocesi corse, che il Einieri ebbe sott’occhio e che controllò nelle ricerche delPArchivio Vaticano : come pure una o più cartine ci orienterebbero nelle diocesi e pievi : tanto più che di alenine sedi di Vescovi, specie sulle spiagge, scomparve ogni abitato e delle chiese non rimangono che i ruderi. Delle diocesi di Sagona e di debbio non ci dice neppure le pievi. Vano il tentativo di ricostruirlo pel lettore : lavoro analitico riservato in particolare a coloro che compulseranno sistematicamente, secondo l’augurio del Volpe, gli archivi d’Italia. Dopo essersi sbrigato in tre pagine dei vescovi consi tra il 1260 e il 1562 PA. passa ad esporre la storia sostanziale della Chiesa in Corsica colla celebrazione di Sant’Alessandro· Sauli che fu vescovo di Aleria dal 1570 al 1592 contemporaneamente al governatore Giorgio Doria, uno de’ pochi genovesi nell'isola che egli ammiri. E l’opera del santo Vescovo, anche fuori dei panegirici che se ne fecero, dal card. Gerdil in poi, fu veramente mirabile, poiché si prese cura di visitare pieve per pieve, non badando a disagi, riconducendo il clero Rassegna Bibliografica 75 sviato corrotto ignorante ai principi del Concilio di Trento e ravviando il popolo, che viveva quasi « pecudum more » alle pratiche e ad. una vita cristiane. L’À. si rallegra di tanto bene, ma non sa tacere che Popera del santo divenne fruttuosa e duratura solo- colla preparazione prima, la cooperazione poi dei gesuiti, non interrottasi più dal 1540 al 1SÌT<0. Infatti i gesuiti da Silvestro Landini in poi furono i veri apostoli dell'isola, e il buon padre Rinieri ci fa indovinare il segreto della sua vita, d’esser stato gesuita perchè corso e di aver avuto in tale doppia natura come missione l’esaltazione della sua isola cristianizzata contro quanti ne discutessero menomamente il patriottismo e la fede. Questo è il segreto per cui egli esalta l’opera educatrice dei gesuiti colla fondazione di scuole e infine di un collegio a l»astia e uno ad Aiaccio, che durarono sino' all'occupazione francese. Ma, curiosa inversione storica!, solo a questo punto ritorna indietro nella esposizione e ci parla di Sampiero da Laste-lica e, in contrapposto del card. Cicala, e rinfresca la sua polemica col Russo, mantenendo immutate le proprie convinzioni, dopo aver creato alla figura del primo lo- sfondo attraente del l'elevazione morale dell'isola, pur fra tante sventure, in epoca a lui posteriore. Il Vitale ha discusso esaurientemente ed equamente su questo Giornale la questione dell’eroe, perchè ci si possa tornar sopra. Riprendendo il racconto interrotto alla prima metà del sec. XVII PA. narra dei progressi dell’isola sotto il migliorato governo di Genova durante le crisi religiose e politiche d’Europa. E prova delle cure, che per essa avevano Genova e la Chiesa, è l’importantissima visita apostolica compiuta nel 1GS0 per ordine di papa Innocenzo XI da mons. Spinola, vescovo di Sarzana. Egli e i suoi coadiutori per cinque mesi esplorarono ogni pieve: a un secolo dal Concilio di Trento quanto vi era ancora da correggere e riformare in ogni ambiente! Eppure si era già riparato a tanti mali! Cumuli di superstizioni animistiche nel1 popolo; clero, specie nei luoghi più selvaggi, trascurato o traviato; sempre viva la vendetta corsa, per cui PA. cerca attenuanti che la giustificano; ignoranza in gran parte greggia; uso e abuso delle armi, portate persino in chiesa, anche dagli ecclesiastici ; trascuratezza di riti e sacramenti, cui bisognò porre con armi spirituali pronto rimedio : cioè con censure ecclesiastiche, sospensioni «a divinis», minacce di scomunica per reprimere; per prevenire, con la creazione (li due seminari, che cmicorsero alla creazione di un clero autenticamente corso, benché Genova riuscisse ad ottenere, che almeno i vescovi 11011 fossero isolani. JSTe derivarono due conseguenze importantissime, che 11011 vedo rilevate : 1) che lo spirito isolano, quasi nazionale, si a ricrebbe enormemente ne' Corsi, che trovarono nel clero più colto largo appoggio, fomentato dalle non belle condizioni create dalla dominazione genovese; 2i) che i Corsi cercarono ravvivare la loro dipendenza (non pericolosa per la loro 76 Rassegna Bibliografica libertà) dal Papa, rafforzandola colle invocazioni di aiuti stranieri. Difatti dopo un periodo di tregua e di preparazione si giunge alla ribellione del 1729, soffocata nel sangue dopo lunga lotta e coll’intervento delle truppe imperiali ; ma il principio di dirit to alla libertà ne ese*e rafforzato; il principio di fatto lia l’infelice esplicazione, di re Teodoro. Il p. Rinieri procede di qui innanzi sicuro nella nota storia politi ca· dell’isola, e si ravviva d'entusiasmo nell’esporre l’opera di Pasquale Paoli, difendendola· a spada tratta anche dove gli storici moderni. fecero qualche riserva. Certo il Paoli fu uomo superiore, disinteressato e amantissimo della Patria, cui si consacrò interamente. Ma Genova per vincerlo si rivolge alla Francia, e infine è costretta a venderle l’isola, don clausole dimenticate. Meno noto è quanto di storia ecclesiastice. Ì?A. alterna alla narrazione de’ fatti, cioè la missione in Corsica nel 1741 di padre Leonardo da Portoniaurizio, poi santificato. Essa ebbe effetti miracolosi sotto l’aspetto religioso, ma non rese più obbedienti alla Repubblica i corsi. Pasquale Paoli nel suo apogeo concesse largo appoggio al clero, e quando in Efuropa più imperversò la persecuzione contro i Gesuiti, egli diede loro larghissima e durevole protezione. Sotto i Re di Francia nel nuovo dominio l'episcopato si muta in francese o francesizzanti, e nei clero si infiltrano il gallicanismo e il giansenismo: nella borghesia sorgono le logge. La Rivoluzione francese, sino al concordato del 1802, che •unifica l'isola sotto un solo vescovo; la decadenza religiosa sino al 1S33 (e i fasti della Corsica nel Risorgimento?), in cui mons. Santi Casanelli, eletto vescovo di Aiaccio, inizia l’opera sua di rinnovamento durante i 3G anni del suo ministero : ecco la storia dell’isola, rimpicciolitasi, nel secolo XIX. Dopo l’elogio del Casanelli e un accenno di rimpianto allo splendore del Secondo Impero, si sorvola sino alla rottura del Concordato nel 1905. L’argomento trattato dal p. Rinieri era veramente arduo, ed egli lo svolse tra le gravezze dell’età in otto anni di assiduo lavoro, avvicendandolo con altre pubblicazioni. L’unità del volume è più apparente che reale e si riconduce a tre argomenti principali : i primi tempi del Cristianesimo in Corsica — il periodo di Sampìero — quello di Pasquale Paoli : questi due ultimi periodi sono studiati attraverso l’azione civilizzatrice dei Gesuiti. Non mancheranno consensi, come reazioni. Comunque, è fuori discussione Γ onestà e competenza dello storico in un assunto che egli pel primo dichiara· « molto ardito e di trattazione difficilissima», lasciandone il giudizio « ai lettori, agli storici e a’ cultori degli studi sulla Corsica ». E a questi ultimi specialmente egli darà materia piti che per polemiche, che poco fanno avanzare la storia, per nuove riderelle di documenti, i quali soltanto potranno dire l’ultima parola sui punti più controversi del poderoso volume, e riempirne le forzate lacune. Adolfo Bassi Spigolature e Notizie Preistoria, storia, critica letteraria, biografia Sant'Eutichiano. Can. Luigi Mussi : « Su Sant’Eutichiano papa di Luni » in II Nuovo Cittadino, Genova, i gennaio 1935; San Marziano. R. F.: «I focolari di culto per San Marziano nella Diocesi di Genova » in II Nuovo Cittadino, Genova, 6 marzo 1935; — Dante Alighieri. Luigi Mussi: «Fu Dante a Bocca di Magra? », in II Nuovo Cittadino, Genova, 7 febbraio 1935; — Giovanni Boccaccio. Erre : « I Genovesi nel Decamerone » in Corriere Mercantile, Genova, 9 febbraio 1935; — Antonio Malfante. U. V. Cavassa : «Il viaggiatore Antonio Malfante » in II Lavoro, Genova, 8 marzo 1935. -^Cristoforo Colombo. Salvatore Magri: «Cristoforo Colombo e il Banco di San Giorgio» in Realtà, agosto 1934; Paolo Revelli : « Le tavole astronomiche usate da Colombo nel primo viaggio » in Il Nuovo Cittadino, Genova, 23 febbraio 1935; — Fieschi. Vito Vitale: «La moglie di Gian Luigi» in li Giornale di Genova, 9 gennaio 1935; — Cristina di Svezia. Can. Luigi Mussi : « Cristina di Svezia a Roma nelle carte del Cardinale Cibo» in II Nuovo Cittadino, Genova, 24 febbraio 1935; — Balilla. Padre Umile da Genova : « La testimonianza giurata del Padre Candido Giusso » in Il Nuovo Cittadino, Genova, 2 gennaio 1935; «Un interessante documento rinvenuto nel Convento di Oregina » in 11 Giornale di Genova, 31 gennaio 1935'» Vito Vitale : « L’odiosa capitolazione » in Giornale di Genova, 20 febbraio 1935 ; Alberto Lumbroso : « Balilla si chiamava G. B. Perasso » in Le Opere e i Giorni, marzo 1935 e in II Nuovo Cittadino, 28 marzo 1935; — Angelo Goudar. Renzo Ricciardi : « Un avventuriero del ’700 a Genova » - « Il Pulpito e la Predica » in Giornale di Genova, 25 gennaio 1935; — F. Autron. «Un poeta provenzale del secolo scorso» in 11 Lavoro, Genova, 20 gennaio 1935; — Napoleone Bonaparte. Giuseppe Pessagno : « Chiavari e Lavagna ai tempi di Napoleone » in Genova, gennaio 1935; M. Strada: «Napoleone Bonaparte a Genova» in Giornale di Genova, 7 febbraio 1935;_Stella Nera: «Una storia d’archivio» in II Lavoro, Genova, 23 marzo 1935; — Giuseppe Garibaldi. Mario G. Celle: «Garibaldi e D’Annunzio» in Genova dicembre 1934 i Arturo Codignola : « L’Alfiere di Calatafimi » in il Secolo XIX, Genova, 16 febbraio 1935 e in II Messaggero, Roma, 16 febbraio 1935; G io Bono "Ferrari : « Schiaffino l’eroe di Calatafimi » in Giornale di Genova, 16 febbraio 1935 ; — Antonio Mosto. L. Agrifoglio : « L’epistolario di un eroe genovese : Antonio Mosto » in Corriere Mercantile, Genova, 2 gennaio 1935 > — Giosuè Carducci. Alfredo Algardi : « Giosue Carducci, uomo, poeta e patriota nella luce di alcune preziose lettere inedite » in Giornale di Genova, 16 marzo 1935· 78 Sn (λ la ru ui·: v. Notizie Luca Ciurlo: «Genova nella sua storia» in Realtà, luglio 1934; Federico Negrotto Cambiaso : «Genova marinara» in Realtà, luglio 1934; Vito Vitale: « Il Banco di S. Giorgio a Famagosta » in Corriere Mercantile, Genova, 14 gennaio 1935; Vito Vitale : «Genova medioevale» in Giornale di Genova, 7 marzo 1935; Antonio Costa: «Spigolature dai registri parrocchiali di Genova» in Raccoglitore Ligure, Genova, dicembre 1934; — Januensis : «Contro la denatalità a Genova nel sevolo XVIII» in Corriere Mercantile, Genova, 7 marzo 1935; G. Ansaldo : « Scene della Genova deliaco » in II Raccoglitore Ligure, Genova, dicembre 1934; Faro: « L'na grande giornata attorno ai Due Fratelli » ili Giornale di Genova, 3 gennaio 1935: Padre Amedeo da Varazze : «Condizioni igieniche di Genova nel 1854» i11 H Nuovo Cittadino, Genova, 26 gennaio 1935; Vito Vitale: «La Storia Patria » in Giornale di Genova, 19 gennaio 1935 ; — Juanuensis. « Dei Pionieri Genovesi in Abissinia » in Corriere Mercantile, Genova, 27 febbraio 1935; Vito Vitale: «Gli oiientali di Laigueglia » in Giornale di Genova, 13 febbraio 1935; Giovanni Carraro : « Pentema » in II Nuovo Cittadino, Genova, 1 gennaio 1935; Stella Nera: «La poesia di un secolo» in II Lavoro, Genova, 12 marzo 1935; Antonietta Brambilla : « Ancora sull’uso del nome di Liguri nella preistoria » in Annuario del R. Istituto tecnico Vittorio Emanuele li, Genova, 1935. Critica d'Arte Pittura Francesco Campora. Arturo Dellepiane; «Francesco Camp ora » in 11 Lave ro, Genova, 25 gennaio 1935; _ Teramo Piaggio. Giorgio Berzero : «Affreschi di Teramo Piaggio nella chiesa di N. S. delle Grazie a Chiavari » in 11 Nuovo Cittadino, Genova 6 febbraio 1935; — Gioachino Assereto. Mario Bonzi: « Gioachino Assereto » in II Nuovo Cittadino, Genova, 28 marzo 1935; — Bernardo Carbone. Mario Bonzi : « Un ritratto del Carbone » in II Nuovo Cittadino, Genova, 10 febbraio 1935 ; — Cornelio De Wael. Mario Bonzi : « I galeotti » in 11 NitovÖ Cittadino, Genova, 20 marzo 1935; — Van Dych. G. M. : « Il rione marinaro-tra 11 Molo e S. Torpete » in Corriere Mercantile, Genova, 26 marzo 1935; — Luigi Morgari. Fra Galdino : « L’opera di Luigi Morgari nel Santuario di Bussana x in II Nuovo Cittadino, Genova, 30 gennaio 1935. Scultura Giovanni Gaggini. S. P. Bigazzi : « Storia di una statua quattrocentesca a in Giornale di Genova, 28 marzo 1935; — Riccio e Giuliano. Canonico Luigi Mussi : « Due maestri carraresi a Monte-Cassino » in 11 Nuovo Cittadino, Genova, 17 febbraio 1935 ; _ Gerolamo Pittaluga. Arturo Dellepiane : « Gerolamo Pittaluga scultore sampierdarenCse » in 11 Lavoro, Genova, 23 marzo 1935; Cesare Zonca, Fra Galdino : « L’opera di Cesare Zonca nel Santuario di Bussana » in II Nuovo Cittadino, Genova, 7 marzo 1935. Spigolature} e Notizie 79 Architettura, Musei, Ville, Restauri G. M. : λ La Chiesa di S. Tomaso a Capo -2633, Vitale, Diplomatici e Consoli ecc., pag. .109. (3) P. Nurra, La coalizione europea contro la liepuMlÀCa di Genova, Atti Soc. Lig. Storia Patria, vol. LXII. (4) A. S. G.. Lettere Ministri Inghilterra, 24-2290; Litteranm, reg. 181-1957, n. 4. (5) Lettera Spinola 3 dicembre 1787. (6) Id. 17 gennaio 1792. SA Vito Vitale ;θ 22 maggio (i). Accrebbe i sospetti il fatto che avesse fatto· il viaggio con uir avventuriera intrigante. Madame Grant allora in intimi rapporti con Talleyrand amico di Barnas e notoriamente aspirante succedere al Ministro Delacroix, e che avesse fatto venire dalla Provenza dove si erano rifugiati, il Guiraud già addetto' alla legazione e sostituto interinale del Massuccone, poi per qualche tempo console generale della Repubblica a Parigi, e suo cognato Giovanni Francesco Canac viceconsole (2) ritenuti uomini « a tout faire». (3> Quando lo Spinola giunse a Parigi, Stefano Rivaro’a che vi era arrivalo 15 giorni prima aveva già cominciato il proprio lavoro tentando accordarsi con l’altro inviato straordinario, \ incenzo Spinola, mandato nel 1796, dopo le violenze inglesi, u stipulare un trattato di amicizia e di alleanza con la Francia e nonostante Festerio-rrfcà delle forme non mo’to ben visto dal residente ordinario1 l’incaricato di Affari Barto'omeo Boccardi (4). Il Rivarola si mise subito alPopeva, cercando di accordarsi con Lo Spinola e lasciando interamente da parte il Boccardi per dimostrare al Direttorio l’illegale intromissione del rinviato Faivpoult nelle cose di Genova e nei movimenti rivoluzionari ivi accaduti e per reclamare il rispetto alla neutralità e all*indipendenza. Troppo tardi; quando egli chiese l’u-xüenza ufficiale al Ministro Delacroix era già arrivata a Parigi la notizia della convenzione stipu’atia a Mombello dal Bonaparte coi delegati genovesi che istituiva il governo provvisorio incaricato di preparare la nuova costituzione democratica. Rivarola si senti rispondere die non potevi*, essere ricevuto perchè i suoi poteri emanavano da un governo che non esisteva più. Ala non si diede per vinto. Poiché la caduta del Direttorio era in quel momento considerata, nonché probabile, imminente, si 111 is& fa rapporto con gli elementi realisti avversi al Direttorio e in 1111 banchetto 111 casa del banchiere fiorentino Busoni tu organizsato un piano d’azione che doveva cominciare con una campagna di stampa rivolta a condannare Fazione francese a Genova e a- mostrare come (1) Vincenzo di G. B. Spinola apparteneva ad una famiglia del ramo di S. Luca. Per la missione in Francia, cfr. Serba, Memorie, pag. 53 sgg. ; Vitale, O. Scassi, pag. 101 sgg., Ncrra, La coalizione, pag. 93, R. Guyot, op. cit. in La Revolution a. XXII n. 11, pag. 417 sgg. I dispacci da Par. pi in Colucci, III. 119 sgg. (2) Vitale, Diplomatici e Consoli, pag. 155, 279 (3) R. Guyot, Le directoire et la République de Gcnesf in La Revolution Française, a. XXIII, n. 1, 14 luglio 1908, pag. 54. (4) Già primo e unico ambasciatore di Genova in Russia tra il 17S2 e l’v5 ria relativa corrispondenza in A. S. G. Lettere Ministri Russia, 1-2409 e cfr. Λ. Pesce. L’apertura delle relazioni diplomatiche tra la Repubblica di G€m nova e VImpero di Russia, Rivista Ligure, 1915) il Rivarola era stato inviato presso l’esercito austriaco nel 1795 (Serra, Memorie, pag. 40 41). Vincenzo Spinola e l’innocuo complotto contro i.a Repubblica ?5 la rivoluzione fosse »stata opera- dei maneggi del Faypou’r, e deller iniposizioni del Bonaparte. Al banchetto presero parte, col Rivarola e col suo segretario Giuseppe Assereto, Vincenzo Spinola, il principe Corsini ministro-di Toscana, Riclier-Serisy redattore delVAccusateur public ed altri- Ala sopraggiunta la conferma ufficiale della convenzione di Mon-bello (1), Vincemzo Spinola, poiché ormai la questione era risoluta con un trattato formale ed egli non era poi troppo avverso ai Francesi e alle concezioni moderatamente democratiche, si mise da parte* abbandonò ogni idea di rovesciare il governo appena, istallato a Genova e chiese anzi con insistenza il· proprio richiamo. A questo punto entrò in scena Cristoforo Vincenzo Spinola (2), che assistito da Guiraud e da Canac, ebbe parecchi colloqui — che egli giustificò a Delacroix come determinati da affari privati — con Doulcet — Pontécoulant cugino di sua moglie e uno dei capi dell’opposizione antidirettoriale e in un secondo banchetto tenuto presso il principe Corsini, annunciò il prossimo attacco del deputato Aumo-lard ai Cinquecento sugli avvenimenti d’Italia e in modo particolare di Genova, mentre Giuseppe Assereto assicurava l’intervento del suo amico Marandet presso il direttore Barthélémy, del quale· era segretario. E infatti mentre il giornalista Mallet du Pan sferrava in tre articolo (23-20-27 pratile e 4 messidoro, 10, 14-15 e 22 giugno) l’attacco di stampa, il 5 messidoro Dumolard, «sostenuto da Dcmleet e da Boissy d’Anglas, portava la questione all’Assemblea sollevando un vivo dibattito. La stampa nei giorni successivi si occupò vivamente e in vario senso della cosa ; notevole un articolo favorevole al movimento democratico pubblicato il 10 messidoro (28 giugno) dalla Sentinella del Louvet con così precisi particolari che ne fu sospettato autore il Boccardi il quale, richiestone dal ministro della guerra Tuguet, si limitò a. rispondere che lo stile « dénonçait la plume d’un Français » (3 ) Lo stesso giorno i due Spinola e il Rivarola parteciparono alla solenne cerimonia della consegna fatta dal generale Séruriefe dello (U Continuo a chiamarla così, sebbene negli atti e nelle carte del tempo il nome sia »sempre nella forma Montebello, perchè nessun Montebello è presso Milano ed è noto che il quartier generale del Bonaparte era alla valle Crivelli? a Mombello. (2; Guyot, XXIII, n. 1, pag. 50 sgg. (3) « La longa dimora di Cristofaro Spinola in Parigi in qualità di ministro di Genova — riferiva ili Boccardi — le conoscenze che vi ha fatto, i rapporti che vi ha contratto, le parentele che gli ha procurato il suo matrimonio, lo rendono uno strumento ben prezioso alle viste e ai progetti dei signori Rivarola e Corsini, e dovevano farne il più gran caso, come infatti £ avvenuto » nelio scritto : Conjura scoperta in Parigi, citato più sotto. 86 Vjto Vitale bandiere conquistate in Italia dall·esercito francese e il direttore La Revelliòre^Lepaux rivolse al Rivarola, presentatogli da Vincenzo Spinola- aspri rimproveri per le violenze commesse a Genova contro i Francesi nePa controrivoluzione di maggio accendendosi sino ad alzare La voce, mentre -Boccardi, che stava conversando col Barras, fingeva di non accorgersi di nulla, (j) Tre giorni dopo un’informazione anonima al Ministro1 Delacroix denunziava su informazioni da buona fonte e con promessa di ulteriori particolari l’intrigo degli emissari genovesi, raccontava dei due banchetti e conchiudeva invitando il governo francese a considerare 1 opportunità di permettere che un ministro genovese a Londra, e elie si faceva vanto dell’intimità del ministero inglese, venisse a intrigare a Parigi per l’Inghilterra. Subito, il 13 messidoro (1 luglio) il Direttorio deliberò che il Ministro degli Esteri dovesse invitare Cristoforo Vincenzo Spinola ad abbandonare immediatamente Parigi con la Grant e le altre persone condotte da Londra, e scrivesse al Bonaparte d’invitare il Governo di Genova a richiamare il Rivarola, Vincenzo Spinola e il Bone ardi sostituendoli con un nuovo ministro quando non preferisse di rinnovare i poteri al Boccardi. Anche Guiraud e ( anac dovevano ritirarsi col Rivarola. Cristoforo Spinola, avuta dal Delacroix l’ii.giunzione di partire, chiese una proroga· di quindici giorni, che il Ministro» concesse, ma il Direttorio ridusse a tre solamente. Intanto « i Patrioti Genovesi di Parigi » avevano fatto pervenire a Genova una narrazione degli avvenimenti pubblicata col pseudonimo di Valerio Publicola e intitolata « Congiura scoperta in Parigi contro la Libertà di Genova e dell’Italia e ne davano comunicazione anche al pubblico francese nel Journal des hommes libres del 16 messidoro (4 luglio) con »un articolo che, secondo il giudizio del Guyot, tradisce la mano italiana (2). È infatti evidente che questi diversi documenti anonimi sono tutti della stessa provenienza e che i patrioti genovesi a Parigi si riducono a un'nnica persona; certo il Va'erio Publicola· era lo stesso Boccardi (3), che coglieva 1 ottima occasione di ren- (1) Dispaccio Vincenzo Spinola, 2 luglio, Cor.ucci, III, 53: Guyot, pag. ·>!>. · (2) Guyot, pag. 00. (3) Lo scritto a Congiura scoperta in Parigi» era la relazione ufficiale mandata dal Boccardi il 14 giugno e da lui stesso fatta pubblicare in quel niodo, con meiodo diplomatico veramente rivoluzionario. Lo affermano i! 1*U2'-za, Ministro degli Esteri della Repubblica Ligure e la Commissione eliminale incaricata di vagliarne le accuse (lettera del Ruzza a M. Mariani a Pa-' rigi, 16 aprile, 179S, Litterarum; 181-1957, n. 319 e Lettera della Commissione Criminale al Direttorio Esecutivo 4 aprile, Sala 50, Dir. Esec. 179S iilza .»-179). La relazione Boccardi del 14 giugno non si trova nella sua corrispondenza (le Vincenzo Spinola e l’innocuo complotto contro ia Repubblica 87 dere un servigio e farsi benemerito del nuovo governo; il quale infatti, dopo averlo confermato, unico dei diplomatici del governo aristocratico, a ministro plenipotenziario, ora gli rinnovava i poteri, forse anche a cagione delle sue buone relazioni col Barras. (1) 11 piccolo episodio dell’innocuo complotto di Parigi acquista un maggiore valore so1 tanto per il fatto che contribuì a determinare il Direttorio, minacciato dalle accuse dei realisti, ad approvare anche contro voglia, e nella maniera più esplicita, tutta l’opera del Bonaparte in Italia, « notamment à l’égard de Venise et de Gênes » *2)· Conseguenza che certo il Rivarola e lo Spinola non si attendevano. A sua volta il Governo provvisorio di Genova tanto più spaventato quanto più si sentiva debole in quella sua larva di libertà rappresentata dalla protesone francese si spaventò del supposto e forse di più che il Direttorio ne avesse informato il Bonaparte e si affrettò a cercare di punire i colpevoli. Anzi poiché sin dal JO luglio aveva ordinato al Boccardi ài avvertire i due Spinola e il Rivarola che, cessata la loro missione, il governo li attendeva a renderne conto (3), se ne fece un inerito presso il generale (4) e non solo rinnovò l’ordine assegnando un termine perentorio a Cristo-foro Spinola e al Ui vaiola per rientrare in Pairia e giustificarsi, pena la confisca dei beni, ma fece presentare formale istanza al Direttorio per l’arresto loro e la consegna « come indiziati rei di attentato contro la libertà ed indipendenza della Repuibb'ica Ligure con abuso delle cariche ad essi rispetti va mente affidate ». (5) Ma il Rivarola, in seguito all’ordine del Direttorio, era partito sin dal 15 luglio, col suo segretario Assereto, e Cristoforo Spinola aveva dovuto anche Lui lasciare precipitosamente Parigi, Vincenzo Spinola, meno sospetto per 11011 aver preso parte al· secondo lettere del primo semestre 1707 non sono pubblicate dai Colucci) dove del giugno ci sono soltanto 2 lettere e del 1S segnate n. 22 e 23 che non contengono alcun accenno’ ala congiura (A. L. G., Lettere Ministri Parigi, 91-2267). Dello scritto del Boccardi conosco una sola copia, nella miscellanea di fogli volanti seguata li. 0.13 della Biblioteca Brignole Sale De Ferrari (Cfr. L. Valle, Catalogo delle pubblicazioni relative al Risorgimento della Bibl. - B. 8. De F.), pag. 81. Coi.ucci, III, pag. 39; Guyot, pag. 61. (1) Guyot, pag. 61 e sgg. (2^ Colucci, III, pag. 42. (3) Il Comitato delle 'Relazioni Estere a Girolamo Serra a Milano; Arch. Stato, Genova, Litterarum, reg. 181-1957, η. 19, lo luglio. «Il Governo si è affrettato a deliberare detto richiamo anche prima dei riscontri avuti per parte vostra circa l’irregolare condotta dei predetti cittadini Cristoforo Spinola e Stefano Rivarola », ne avverta ili Generale. (4) Coi ucci, III, pag. 42 e 44 (lottere 15 e 17 luglio) (5) Lettere Boccardi, l(ì, 24, 30, 22 agosto, Colucci, III, pag. 47, 53, 68, 75 e 10S. 88 Vito Vitale banchetto, partì il 22 agosto rimanendo in buoni rapporti coL Direttorio. (i) Da questo momento il Boccardi non si occupò più dei supposti cospiratori e neppure rispose alle insistenti richieste di ulteriori informazioni del suo Governo. Liberatoci di gente che gli dava ombra, desiderava di lasciar cadere la faccenda·, pieoccupato per sè, se non pentito, di aver montato lina macchina sul nulla. A Genova invece i nuovi zelanti, specialmente nellai stampa, non si davano pace nel desiderio di punire i supposti traditori (2) e spinto dai più violenti, il Comitato delle Relazioni estere scrisse ad Angelo Borgo incaricato di> affari a Londra che se lo Spinola, il Rivarola e l’Assereto si trovavano colà li avvertisse di presentarsi a Genova, pena la confisca, dei beni, entro venticinque giorni, e non contento, e quasi a difendersi da ogni1 accusa, il 7 agosto riassumeva in un comunicato tutti i provvedimenti presi, deliberava il sequestro dei beni di Cristoforo Spinola e del Rivarola, e ordinava al Comitato di Polizia di procedere a una severa inchiesta, invitando nello stesso tempo il Boccardi a dare tutte le informazioni necessarie per poter procedere a un’azione giudiziaria, ricorrendo per informazioni anche al Direttorio francese (3). Finalmente il 21 agosto deferiva gli accusati alla Commissione Criminale. Ma Boccardi non rispose perchè in realtà non aveva nulla da· dire nè voleva ritrattarsi dopo essersi atteggiato a salvatore della patria, e la Commissione criminale non poteva procedere ad alcun giudizio perchè le mancava ogni giudizio positivo. Incanto lo Spinola era tornato a Londra e quando il Governo Provvisorio gli sequestrò i beni, la moglie chiese invano la intercessione del Talleyrand ricordando come essa « aurait eu autrefois bien des titres à Pintéresser » e apertamente denunziando il contegno del Boccardi (4). Per alcuni mesi non si parlò più della faccenda, ma quando il Rivarola, riparato nella Svizzera, chiese che si chiarisse la situazione nei suoi riguardi perchè egli desiderava rientrare in patria, il Ruzza del Comitato degli Esteri rinnovò al Boccardi la richiesta dei documenti e delle prove promesse contro i cospiratori « per dare il dovuto esito alla procedura che si fa sulla condotta di detto Cittadino, e delli suoi cooperatori, e di cui la Nazione attende il fine». (5) (1) Il Difensore della Libertà, n. 7, 20 luglio 1707, pag. 25; II Giornale degli Amici del popolo, n. 13, 10 luglio, pag. 51, 20 luglio pag. 67. (2) A Borgo 31 luglio, Litterarum, reg. 181-1957, η. 28, a Boccardi, 14 agosto ibid n. 20, Gazzetta Nazionale della Liguria n. 9 12 agosto pag. 73, n. 10, 19 agosto, pag. 81. (3) Guyot, pag. Gl, η. 1. (4) Ruzza a Boccardi, 20 novembre 1797, Litterarum, reg. 181-1957, η. 150. (5) A. S. G., Sala 50, Governo Provvisorio, filza 1-177. Vincenzo Spinola e l’innocuo complotto contro i.a Repubblica 89 Sebbene inanellino le lettere dettate dal Boccardi in questo tempo si può affermare che neppure ora egli rispose. E intanto gli accusati lion rimanevano inerti ; la moglie dello Spino’a faceva presentare in suo nome da un cittadino Orezoli una domanda perchè la causa fosse una buona volta trattata e si decidesse sui beni sequestrati e il Governo trasmise il sollecito alla Commissione che non so'o rispose il 27 novembre d’aver già domandato inutilmente il 31 agosto e poi il 18 ottobre i documenti necessaii e di attenderli ancora (i), ma fece parlare la stampa. Evidentemente la richiesta del giornale 11 Censore nel numero del 12 dicembre : perchè la Commissione Criminale non definisce la qausa di Stefano Rivarola e compagni, era fatta per dar modo alla Commissione di rispondere nello stesso giornale; perchè il Governo non aveva risposto ai tre messaggi che essa gli aveva inviati per sollecitare i documenta della colpevolezza degTi accusati « anzi, il credereste? al seguito d’una petizione presentata dalla moglie del Cristoforo Spinola, i cui beni sono sequestrati dal Comitato di Polizia, ha tramandato un invito alla Commissione per il disbrigo de?la pratica, quando è ben certo che la Commissione nulla può fare, perchè non le sono state fatte passare le prove » (2). Il Ruzza, tutt’altro che demagogo e per conto suo certamente persuaso che l’accusa non aveva fondamento, per accontentare gli energumeni rinnovò le richieste al Boccardi; se non poteva lui, che era stato destinato a rappresentare la- Repubblica al Congresso di Rastadt, incaricasse qualche altro del!a ricerca di quei famosi documenti (3). Ma anche questa volta il Boccardi rispose evasivamente e senza recare alcuna documentazione (4). Frattanto il 15 gennaio il Governo Provvisorio, che stava per cedere i poteri al Direttorio, ordinò di risolvere secondo lo stato degli atti la questione, e mentre trasmetteva ie carte relative alle missioni Rivarola e Vincenzo' Spinola (5), revocò il sequestro dei Beni. A sua volta, il 26 marzo la Commissione decretava non esservi luogo a procedere contro detti Cittadini Cristoforo Spinola, Vincenzo Spinola, Stefano Rivarola, Giuseppe Assereto, come pure ordina la cessazione del sequestro dei beni di detti cittadini Cristo-faro Spinola e Stefano Rivarola. » (6) (1) Il Censore, n. 14, 12 dicembre 1707 ; pag. 55 e n. 15, 14 dicembre, pag. 5S. (2) Ruzza a Boccardi, 3 gennaio 179S, Litterarum; 181-1057, n. 184. (3) Lettera 14 gennaio 17i)8; è accennata nell’esposto della Commissione Criminale dei 4 aprile, ma non si trova nelila raccolta dei dispacci Boccardi. (4) Il Genio repubblicano ; n. 0, 20 gennaio 1798, pag. 25. Le carte di Vincenzo Spinola sono in A. S'. G., Sala 50, Repubblica Ligure, filza 32. (5) Arch. Stato, Genova, Repubblica Ligure, Direttorio Esecutivo, filza 2-178. (e) A. S. G., Direttorio Esecutivo, Filza 3-179. gO Vito Vitale La sentenza non dovè essere di pieno gradimento d£l Direttorio Esecutivo da poco entrato in funzione e il Ruzza, divenuto Ministro degli Esteri, probabilmente per ordine ricevuto, mandò un messaggio al quale la Commissione rispose col seguente rapporto : Libertà LA COMMISSIONE CRIMINALE Eguaglianza al Cittadino Ministro delle Relazioni Estere e Giustizia Cittadino. . . Un vostro messaggio lia posta in necessità la Commissione c_i sincerarsi non solo sopra Faniministrazione della Giustizia nella caosa dei Cittadini Spinola, Rivarola, Gliiraud e Assereto, ina di farvi conoscere che colle risultanze degli atti era ini pei i osamente comandata dalle leggi l'interinale prononzia fatta in soddetta caosa ; piacciavi di fermarvi nn momento sulla storia del processo. Vengono denunziati alla Commissione come briganti contro la convenzione di Montebello e cosi contro la nostra, politica rigenerazione i sudetti Spinola, Rivarola e Compagni, i loro delitti ve-donsi dettagliati in una longa informazione dal Cittadino Ministro Boccardi pubblicata poi colle stampe sotto nome di \ allerio Pu- bleca. lite) . Non basta vagamente denunciare un uomo per delinquente, bisogna per inquisire e procedere l’assistenza delle prove univocamente corri spondenti ai fatti. Questo appronto è sostanzialmente mancante in detta caosa, Il Ministro Boccardi non ha mai spedito 1 un’ombra di giustificazione. E da ciò, che dopo aver dilazionato con longo tratto di tempo per aspettarla si è mossa la Commissione a sollecitare lo zelo de Governo Provinciale per averla e in tre distinti messaggi dimandando sempre le prove non ha mai avuto alcuna risposta sopra i primi due, e sopra il terzo dopo qualche giorno ebbe soltanto una breve lettera significativa d’un incomodo di salute del Ministro Boccardi, con cui dopo sei mesi ci scusava di non aver trasmesse le opportune dimostrazioni. Attese pertanto un’altra volta le desiderate prove, ma sempre e tutte le volte perirono i suoi desideri. Stanchi i Parenti di vedersi procrastinare una caosa di tanta importanza, con cui aveansi sequestrati tutti i loro ibeni, senza c e si scorgesse dato alcun passo criminale sopra le persone dei denunziati. ricorsero allora al Governo Provvisorio, e rimostrando incongnienza dei precedenti decreti non appoggiati sopra alcun fondamento di legge dimandarono al medesimo l’ultimazione di detta . caosa e la cessazione del sequestro. Il Governo Provvisorio ascolto le loro voci e quindi con un ragionato decreto incaricò la Commissione : l.o di terminarlo, 2.o di dichiarare cessato il sequestio, Vincenzo Spinola e l’innocuo coml lotto contro i a Repubblica 91 3.0 di poter scrivere, quando lo stimasse giusto e necessario, tutte le lettere clic credesse opportuno intendendosela col Gomitato' delle relazioni esteriori. Stretta la Comissione da un tale decreto, e molto più dalle Leggi che comandavano Γassolutoria del reo nella totale deficienza delle prove per un effetto di maggior zelo non si appigliò che all’ultima parte del medesimo e con altro messaggio diretto al suddetto Comitato invitò ili di lui civismo a scrivere al Ministro Boccardi, oppure al Ministro Bertuccioni,, perche sollecitassero la missione d un qualche documento. Passarono molti giorni e finalmente si comunicò alia Commissione Criminale una lettera del Ministro Boccardi dotata del 14 Gennaro 17198, che credeasi dovesse una volta levare il velo a1· delitto, invece il suddetto Ministro non replica che agli antichi fatti, non manda alcun esame dei testimoni, benché fosse autorizzato a rice-, ver li, caratterizza le sue relazioni come sole notizie incapaci a produrre un eli etto legale nanti un Tribunale competente, le propone di coltivarsi come in aria di domande da farsi ad alcuni indicati testimoni, Vinzoni, Ballestreri e Spinola, due dei quali, cioè Λ inzoni e Ballestreri, lasciando lo Spinola, perchè indicato come reo, esaminati dalla Commissione Criminale, invece di sostenere che brigassero i denunciati, escludono ogni idea possibile di cabale e di intrigo. In questo sfiato di cose è parso perciò dovere di giustizia di pronunciare dopo dieci mesi d’inquisizione e dopo tante istanze per diffetto d’ogni prova una sentenza interinale non esservi luogo a procedere : Sentenza che non li dichiara innocenti, che lascia luogo ad ulteriore investigazione ufficiale, che non perseguita sul momento chi mon conosce ancor reo, che lo rende soggetto aTimportanza di tutte quelle prove, che potessero in appresso cumularsi. A questo effetto si fa la Commissione una giusta premura di » trasmettervi un-foglio [non c’è] d’istruzione da spedirvi al nostro Ministro in Parigi ; onde vedere se di fatti potessero combinarsi, protestavi il di lei maggior zelo, ritrovate, che fossero, in coltivarli. Salute e fratellanza. Dal Palazzo Criminale li aprile Anno l.o della Rep. Ligure A. Lcrcarìo Dep.o L. Ronco M'hn.o (]) In seguito a questo esposto che chiaramente indicava non essersi trovata materia per procedere contro gli accusati e pure, per compiacere gl’incontentabili consigliava nuove indagini, il Ruzza ' scrisse a Mariano Mariani, incaricato d'affari al posto» del Boc- (i) A. S. G. Litterarum, reg. 181-1977, lt» aprile, n. 319. 92 Vito Vitale cardi andafio a Rastadt, di iure le ricerche specificando che F accusa riguardava « i maneggi e le parti da essi fatte in Parigi per sostenere e reintegrare, se possibile, il governo aristocratico, non ostante la convenzione di Montebello e il voto del popolo ligure » e che era tutta basata su l’originale inforinazione del cittadino Boccardi stam.pata poi soi io il nome di Valerio Publicola » (i). Che cosa abbia precisamente risposto il Mariani con lettera del 30 aprile non è dato sapere, perchè la sua corrispondenza non si conserva; ma il Ruzza insisteva il 14 maggio : ((Ho comunicato al'a Commissione Criminale il capitolo che riguarda Rivarola e C. Essa mi ha inculcato ricordarvi Tesarne dei testi costì dimoranti che fu autorizzato, a ricevere il Cittadino Boccardi e ora lo siete voi che coprite il di lui posto. Ilo presente che uno dei detti compagni è Cristoforo Spinola, per cui si è domandato il passaporto. Ma la negativa che avete riportato potrà servire di sanatoria all’atto fatto, quando venisse rinfacciato, il qua’e non è stato dei più misurati ». (2) E in seguito ad alti a lettera del Mariani del (j maggio: <*. Sulle risposte che avete date alle questioni della Commissione Criminal.0 conferirò colla medesima e potete ben credere che devo desiderare ancor io il disimpegno. Ma non so se mi riuscirà di combinare in questo caso li ripieghi diplomatici con le regole della Giustizia ». (3) È l'ultima lettera sulla questione, che vien lasciata cadere. Che cosa volesse significare il Ruzza con quel proposito di conciliare la diplomazia e la giustizia non si incende bene; forse si riferiva al passaporto di Cristoforo Spinola. Questi, certo informato dal provvedimento preso dal Governo Provvisorio il 15 gennaio, aveva mandato da Londra al Direttorio Esecutivo questa istanza, che, come appare dalTannesso decreto, era stata accolta. « Il Cittadino Cristof-faro Vincenzo Spinola, che attualmente si trova in Londra, deve per interessi non indifferenti dal disbrigo de’ quali dipende la sorte di Sua Moglie e Famiglia portarsi in Genova, nulla più desiderando che ritornare nel seno della sua Patria, deve però passare per Parigi all'oggetto di sistemare gli affari sopra indicati. Le deliberazioni del passato Governo potrebbero forse impedirle una tale permanenza, e la concessione degli opportuni passo porli. [•a vostro ordine al Vostro Ministro cojlà Residente potrebbe riparare al tutto. Voi siete giusti, e conoscete Fimportanza dell’oggetto per cui mi lusingo di conseguire il fine propostomi. Salute e rispetto. (1) A. S. G. Litterarum, reg. 181-1057;, 14 maggio, n. 373. In realtà l’atto ora ripreso era stato ordinato dal Direttorio. (2) A. S·. G. Litterarum, reg. 181-1957, 21 maggio, n. 38S. (3) A. S. G. Sala 50, Repubblica Ligure, Ministro Esteri e Giustizia, fiUa 32. Vincenzo Spinola e l'innocuo complotto contuo la Repubblica 93 A tergo 1798, 31 Marzo Il Direttorio· Esecutivo — vista la Relazione — decreta: Il Ministro delle Relazioni estere e di giustizia, scriva all’incaricato di affari Mariani di domandare la permissione al1 Governo Francese acciò il cittadino Cristoforo Spinola possa passare nel territorio Francese per portarsi a Geneva. Littardi Presidente - Sommariva Seg. Generale». (x) Dalle lettere Ruzza si rileva che il Governo francese ricusò il passaporto, se poi abbia mutato avviso non appare; certo1 alcuni mesi dopo lo Spinola era a Genova, forse arrivato per mare come il Rivarola che, sbarcato a Livorno, di qui era tornato a Chiavari il 2 aprilo. (1 ) 11 23 dicembre lo Spinola rivolgeva al Direttòrio Esecutivo una istanza tutta informata al frasario del. momento, perchè gTi fosse pagato Vai ufo di so.sia per il suo stabilirsi a Londra, mai percepito (« che Pinviolalbile legge dell’Uguaglianza richiama a di lui favore »), per i residui di stipendio dovutigli e per le spese di viaggio da Parigi a Londra e da Londra in Patria. (2) Dell’istanza port(ò egli stesso un duplicato al Ruzza ina non avendolo trovato gli lasciò un biglietto che attesta una certa cordialità di rapporti tra il diplomatico e l’antico Segretario di Stato. Il giorno seguente, — prova di procedure molto sommarie e famigliali — - recò al Ruztza la domanda- riconsegnatagli brevi manu col Decreto del Direttorio, firmato dal Corvetto, Presidente: «Il cittadino Ministro delle Relazioni estere e giustizia riconosca i fatti e presenti un rapporto al Direttorio Esecutivo», pregandolo di sollecitare la risposta e Γevasione della pratica perchè egli aveva contratto impegni coi creditori e gli premeva di soddisfarli. Ma non pare che il rapporto sia stato fatto, poiché lo Spinola il 25 aprile 99 rinnovava insistentemente la domanda affeimando il diritto, anche tenuto conto del sequestro di otto mesi subito dai suoi beni, « di quella indennità per cui reclamano ad una voce i principi della ragione, della consuetudine, della nazionale Leal tè e della Uguaglianza ». Il Direttorio oppose alla nuova istanza un decreto identico al precedente (3), nè si vede come la cosa sia finita. Ma, tenuto conto della condizione delle finanze — o miserie come diceva il Ministro (1) 11 Censore, n. y>2, 5 aprile 1798, pag. 142, Vincenzo Spinola era invece tornato direttamente a Parigi senza essere molestato. (2) Una nota per rimborso di spese postali aveva fatto mandare dall'incaricato d’affari Borgo da Londra il 1<» marzo. A. S G. Govern> Provvisorio, 3 - N G. 2ÎM7. (3) A. S. G., Ite pubblica Ligure, filza 32. 94 Vito Vitale G. B. Rossi —, è assai probabile che non se ne sia fatto nulla e il vecchio Ruziza abbia adottato ancora la tattica del silenzio. E meno male che lo Spinola non era chiamato alla transazione pecuniaria voluta dal decreto 18 gennaio 1800 per i nobili assenti da Genova il 22 maggio 1797 perchè la sua assenza era giustificata come dovuta ad ulìicio pubblico. La relativa deliberazione lo dice: « Ori st of faro Spinola di Agostino in Londra all’epoca suddetta ed ora in Voltri» (i); e a Voltri morì, senza aver avuto più nessuna attività politica, lontano ormai da un mondo che non era più il suo, nel 1803. (2) Più a lungo vissero e con varie vicende gli altri accusati, il Rivarola fondatore della Società Economica di Chiavari, onorato di cospicue cariche nell’età napoleonica e dopo l’annessione al Piemonte ; Vincenzo Spinola per breve tempo deputato presso il generale Massena· dopo l’assedio del 1800 ; maire di Genova dal 1812 al 14; Giuseppe Assereto che, stanco della vita pubblica, ricusò molti uffici offertigli dalla repubblica e dal dominio napoleonico e visse (benefico fino al 1830. (3)* Vito Vitales (1) A. S. B., Repubblica Ligure, filza 252. (2) Batti lana. Genealogie delle famiglie nobili, vol. II, pag. 140. (3) Sul Rivarola (1752-1827) v. Levati, I Dogi ecc., pag. 706 sgg. e Vitale, Onofrio f%cassi; passim; sullo Spinola (1752-1829) notizie ibid e in tutte le opere che trattano del periodo e necrologia in Gazzetta di Genova, 1821), n. 89-90. L’Asserelo era stato incaricato di affari a Torino dal 1793 al 95 e a Basilea nel novembre-dicembre 1795 (A. S. G. Lettere Ministri, Torino 26-2513 a 28-2515 e Lettere, Ministri Vienna 97-2614, Necrologia in Gazzetta di Genova, 17 febbraio 1830). T / educazione militare nella concezione di Gaspare Niorardo Bernardino Toneo, mercante libraio, in Dora Grossa, nell anno di grazia 1785 pubblicava un'opera «ben originale e di curiosa attualità· per noi, viventi nel tempo di Mussolini. Era opera filosofica pedagogica e sociale : « La filosofìa Militare di Don Gaspare Morar-do ». Un Sacerdote delle scuole pie, professore, filosofo, monarchico, rivoluzionario, giacobino, politico, storiografo dell Università, Accademico____ insigne e fecondo scrittore. Era nato in Oneglia nel 1738 ed aveva trascorso la maggior parte della sua vita ben avventurosa in Torino, nella città d’Italia dove ancora era più sentita la tradizione militare. Infatti Gaspare Monardo che riuniva simpaticamente la personalità, organica del filosofo, e Γ impetuosità del soldato, volle applicare la filosofia all’arte della guerra e scrisse in tre volumi la « Filosofìa Militare » che fu data alle stampe nel 1785 e nel 178G dove, sp* ito preveggente, esponeva teoria d’idee che non potevano essere comprese se non dopo raffermarsi dei principi della rivoluzione francese e pienamente attuate solamente ai nostri giorni da un Governo che ammonisce: «Le funzioni di cittadino e di soldato sono inscindibili nello stato Fascista » (Mussolini). Quest opera più di ogni altra gli attirò la benevolenza del Re Vittorio Amedeo che lo compensò per la spesa delle stampe, gli assegnò una pensione annua e una patente di professore onorario dell’Università con tutti i diritti e il previlegi dei professori. Quando presentò al Re il suo 3.0 Volume, racconta egli stesso, Sua Maestà imponendo su di lui le mani, come usano fare i vescovi nei consacrare i preti, gli disse ad alta voce: « Voi siete un uomo esimio; vi voglio fare vescovo alla prima vacanza» ed egli francamente rispose: « kire, amo meglio fare il filosofo, ohe non il vescovo ». Per la stessa opera l’imperatore Giuseppe II gli fece presentare i suoi- sentimenti di stima dall’Ambasciatore Gherardini. Una lettera che certamente il Morardo tenne preziosa fu quella che Federico II Re di Prussia gli inviò in risposta al dono, che egli gli aveva fatto, del suo libro e che è degna di essere qui riportata: 96 Maria Ada Ra va no bili guerrieri tutti accesi nell’amor della patria, perchè non riusciranno' ancor tali, se nel modo stesso saranno allevati? ) « E se tutti i giovani non riescono conformemente· esige il iben « pubblico nè del l· indole, nè del Paria, nè del clima è la colpa, ma « tutta, e sola degli educatori ». (2) La gioventù non deve divertirsi in giochi sedentari e tanto meno in giochi di .carte, ina deve passare il tempo in divertimenti « marziali » che oggii si direbbero « sportivi » ; in quei giochi e divertimenti dove la nostra gioventù odierna dà sfogo sano all’èsuberanza della sua fiorente vitalità. « Corsa, armi, cavalli, militari eserciti, siano i loro più geniali trattenimenti dopo le letterarie fatiche. Con questo mezzo verrete a dar loro un fondo di sanità, e robustezza, e nel tempo stesso ne formerete buonii soldati ». (3J Gaspare Morardo propone che Peducazione per formare un cittadino valoroso, sano, equilibrato, morale, debba considerarsi sotto tre aspetti: « ....Dividesi dunque questa educazione in tisica, scientifica e morale. Dalla prima ne verrà la robustezza; Pattitudine la capacità dalla seconda ; e dalla terza la virtù ». (4) Concepisce Peducazione risica come «indurimento» secondo il Locke e critica in modo Rousseauniano i metodi di allevare i bambini del suo tempo dimostrando con vari esempi e confutazioni quanto sia da n nos i Peducazione molle. Anche il nostro Morardo non ammette che il fanciullo sia imprigionato con fasce, e busti ; non vuole che si copra troppo durante Pinverno, che gli si vietino fatiche ch’egli possa sostenere; detesta assolutamente il metodo di dire ai fanciu’li cose che li possano atterrire . Come i fanciulli non debbono mai restare inoperosi così i soldati non siano lasciati mai in ozio; ma dopo le esercitazioni militari, siano impiegati a costruire opere pubbliche. L’uomo pensa a far male quando son sa che fare : « Più che l’acqua è mossa e sbattuta, miglior diviene, e più che i nostri corpi stanno in azione, ed esercizio.... si rassodano. Abbandonati alPozio s’infievoliscono, diventano pigri, e torpidi, e soggetti a mille malori, come l’acqua appunto, se si lascia stagnare, ancorché chiara, e cristallina da pura fonte derivi, in breve si guasta e si corrompe ». (5) Il nostro filosofo ha già una chiara concezione del valore dell’uomo come cittadino; idea che verrà affermata in pieno soltanto dalla Rivoluzione Francese; infatti, dopo aver dimostrato i danni il) G. Morardo, La filosofia militare ecc. cit. pag. 105-100 (2) » » « » » » » » 107 («8) » » » » » » >> 100 (4> » » » » » » » » U0 (5) » » » » » » » » 138 L’educazione militare nella concezione di Gaspare Morardo 97 di una educazione effeminata conclude: « Se Tuoni nato non fosse che per se stesso sarebbe sempre un gran male educarlo in tal modo (mollemente) ; ma avendo egli contratto nel nascere un debito immenso verso la patria, e verso il Principe, riesce un male intollerabile; perciocché sii rende affatto incapace di prestare al pubblico i dovuti servigi ». (i) Passiamo adesso all’educazione scientifica che non è altro che educazione militare pura e semplice e che è per noi oggi., la più interessante per la sua attualità. Oltre la forza e la robustezza che si saranno acquisite con una sana educazione fisica, ai cittadini occorre la perizia e la scienza della guerra; per ottenere questo scopo ecco la proposta del nostro filosofo: « ....Io propongo che si aprano tante scuole militari quante sono le diverse classi degli uomini componenti la società ». (2) Il piano- di educazione militare del Morardo oltre il fine, ha comune anche i mezzi con Tattuale nostra educazione militare. Occorre tener presente che egli scrisse nel 1785; e la sua· concezione viene realizzata soltanto oggi dal Governo di Mussolini. « Vi ha una classe di giovani applicati nelle pubbliche scuole o ne’ collegi alle lettere, ed alle scienze. In certi giorni, e iii date ore destinate a solazzo non potrebbero i direttori, i prefetti, i maestri, occuparli utilmente ne’ militari esercizi?» (3) E siccome il Morardo conosce a fondo il sentimento dei giovani soggiunge : « Per prova si vede che questa scuola di guerra si è a figliuoli un divertimento, ohe tocca il cuore. Profittiamo dunque di questa loro inclinazione a vantaggio della Patria e dello Stato. Venga pertanto deputato ad erudire nelTarmi quella gioventù studiosa un esemplare perito* ufficiale, o un veterano soldato di conosciuta probità » (4). Oltreché nei collegi l’educazione militare dovrà pene trare anche negli Orfanotrofi « che esser potrebbero fecondi seminari di valenti arcieri, e di prodi soldati». (5) Ed ecco che oggi in tutte le nostre scuole medie e universitarie pubbliche e private sono stati istituiti corsi di cultura militari obbligatori tenuti da vecchi ufficiali ed anche da insigni generali. La nostra educazione guerriera non si ferma alla scuola ma continua anche dopo il servizio militare perchè si è compreso che l’ad destramente militare è parte integrante dell’educazione ; ha inizio appena il fanciullo è in grado di apprendere, continua fino a quan- di) G. Morardo, La filosofia militare ecc. cit. pag. 121 (2) » » » » » » „ }) -J45 (3) » » » » )) » » » 145 (4> » » » » » )) * » » 145 (5) » » » » » )) )) j) 98 Marta Ada Rava no do il cittadino è in condizioni d’impugnare le armi per la difesa della patria ». (Mussolini) Siamo ritornati alla concezione di Nazione armata quale concetto educativo secondo Atene e Koma. Nazione armata vuol dire popolo preparato alle armi senza ohe per ciò esso debba necessariamente rimanere tutto o in parte, per lungo tempo sottoposto al servizio militare obbligatorio ; oltre l’educazione premilitare anche l’educazione postmilitare tende a questo scopo. Oggi tutti i cittadini debbono partecipare ad esercitazioni guerresche dirette da uf-liciali della M.Y.S.N. ; esercitazioni obbligatorie che avranno luogo nei giorni festivi e che avran lo scopo di mantenere vivo lo spirito e la disciplina, la sommaria cultura e i! pratico addestramento delle armi. Una istruzione che giustamente si potrebbe dire postmilitare (considerando Γordinamento guerresco del tempo) è contemplata da Gaspare Morardo con una oggettività e una genialità tutta sua particolare. Ecco ciò che egli scrive: « Scuole militari per i giovani Mer-ca danti ed artieri. Si dividano in varie compagnie in ragione dei numero, e de' mestieri. Vi sia un Tribuno o Sindaco, o Censore, che appellar si voglia, per ogni arte, o mestiere, o per ogni genere di mercatura. Il di. lui uffizio sia, di tenere registro d: tutti i giovani della sua professione, e invigilare sulla loro condotta. Ne’ giorni a milkari esercizi destinati faccia un attenta rassegna per sapere quei, che mancano, e le cagioni della loro assenza. E si stabiliscano pene ai trasgressori conforme esige la militare disciplina. Ad ogni compagnia si deputi un savio esperto veterano soldato per maestro del l’armi. Affine però dii non distoglierli dall’esercizio de loro mestieri, che dan loro la sussistenza, quésta scuola di guerra si potrà fissare ne’ giorni festivi dopo la religiosa osservanza.... ». ( ]) Ma non basta; la soia idea è perfezionate e completata; anche i contadini debbono avere un’istruzione militare: « Esige dunque il ben pubblico, che questi non si lascino indarno riguardo al maneggio delle armi ». (2) « E' l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende», cosi il Duce ha espresso con diverse parole io stesso pensiero. In tal modo la concezione della Nazione guerriera era completa e perfetta, l'addestramento militare iniziandosi fin dalla tenera età e continuando anche in tempo di pace per coloro che non si dedicavano alla carriera delle armi, per tutte le categorie dei cittadini, avrebbe formato un popolo forte nel corpo e nello spirito, potente e coraggioso. (1) Pag. 14G - 137, op. cit. (2) Pag. 147, op. cit. L’educazione militare nella concezione or Gaspare Morardo « Frideric Rai de Prusse - à Monsieur Morardo-. « Monsieur Morardo·, jusquesici je iTai point vu de philosophie « militaire imprimée et réduite en système. « Comme cependant elle est tous les états, je ne puis qu’applau-« dir aux soins que vous avez pris d’enrichir la république des « lettres d’un ouvrage si utile. Le premier tome que vous venez de « m7adresser à la suite de votre Jettre du '2U Janvier dernier, a done « été très favorablement accueilli; et je vous remercie dé votre aten-« tion ainsi que des sentiments que vous manifestez à cette occa-« sion ; en priant sur ce Dieu, qu’il vous ait, Monsieur .Morardo, « en sa sainte et digne garde. « Potdsdam 27 Février 1735 Segnato : Frideric ». Interessanti e di attualità sono tutti gli argomenti trattati nella « Filosofìa militare » ma in particolar modo, oggi che tanto il Governo Fascista prende cura del F educazione guerriera del popolo Italiano, possiamo andare a rileggere il libro1 secondo del tomo primo che ha per titolo « L'Educazione per io Stato Militare ». Nel primo capitolo il Morardo traccia Io schema dell’argomento che intende trai tare, così : « La necessità di questa educazione, e quale esser debba, si è ciò, che in questo libro imprendo a trattare. Le meditazioni, che noi faremo, gioveranno ai genitori, ai maestri, a tutti gli educatori per dare al Principe, ed alla Nazione una gioventù nobilmente bellicosa, e gioveranno del pari a’ soldati di qualunque classe o per rimediare ai difetti, quando stati vi fossero della prima educazione, o per darla eglino a se stessi conformemente richiede la loro condizione. » (l) Per formare dei soldati, egli dice, non sono sufficienti il coraggio e la robustezza della persona ma occorre sopratutto siano educati con una educazione adatta. Infatti « se non si dà professione alcuna in cui possa taluno lodevolmente riuscire senza una previa cultura, quanto più si dovrà esigere per uno Stato, il di cui tine è la pubblica sicurezza e difesa. » (2) E l educazione bisogna che sia completa ed armonica ; come « il coraggio sprovveduto di virtù, di industria, e di sapere, è piuttosto pregiudiziale, che vantaggioso.... (3)» così la sola pratica non è sufficiente a formare un buon soldato. « Quelli che s’innamorano dèlia pratica senza la diligenza, ovvero la scienza, per dir meglio, sono come i nocchieri che entrano in mare sopra una nave senza timone o bussola, che mai non hanno certezza dove si vada- (1) V ag. 91 «Filosofila militare», vol. I. (2) » 92, op. cit., vol l. (3) » 92-93 » » » 100 Maria Ada Rava no no.... » diceva Leonardo Da Vinci ed il Morardo scrive: « ....Coloro i quali aspettano la guerra per apprendere la difficile arte, non sono meno spensierati, imprudenti, e temerari di colui, che fra le tenebre d'oscura notte senza luce, e senza guida, s’inoltra per sassosi, spinosi, rovinosi sentieri » (AJ. La formazione di uno spirito guerriero lin dalia tenera età è voluto dal Morardo, il quale rivolgendosi agli educatori e ai maestri li ammonisce di ricordare sempre ai fanciulli «che debbono amare la Patria: che son nati peri servire il principe, che debbono vivere più al pubblico, che a se stessi, che nelle occasioni debbono spargere generosamente il sangue, che le ferite, ricevute in guerra sono splendide e luminose; che è cosa dolce, e onorata morire per la difesa del proprio Sovrano ». (2) E nel capitolo seguente ecco un periodo che si potrebbe attribuire ad un moderno statista «Non potrà mai fiorire una città, una Nazione, un regno, se tutti i cittadini, i nazionali, i regnicoli, non siano accesi d’amore per esso. Il nervo di uno stato è sempre in proporzione della forza di quest’amore ». (3) Per il Morardo, naturalmente, l'educazione ha una grandissima importanza : «È d’una forza infinita; e vince, ed abbatte, » » » » » » » » 101 (4) » » » » » » » » 101 <5) » » » » » » » » 106 (C) » » » » » » » » 102 L’educazione militare nella concezione di Gaspare Morardo 101 Le idee del nostro onegliese erano pienamente coerenti; la suu concezione ha tanto più va1 ore in quanto ibisogna considerarla nel tempo; era il secolo XVIII ; ed ancora la Rivoluzione Francese non aveva affermato i suoi principi politici e sociali. Come si è visto le idee del Morardo sono pienamente d'attualità ed è giusto clic siano ricordate ed illustrate oggi che « stiamo diventando e diventeremo sempre più una Nazione militare. Poiché non abbiamo paura delle parole aggiungerò militarista. Per completare guerriera, cioè dot«)ta in grado sempre più alto della virtù dell’obbedienza, del sacrificio, della dedizione alla patria ». (Mussolini) Maria Ada Ravano DANIELE M O R C H I Ο e le glorie marinare dell’Italia Nella rinascita, alla quale con lauto piacere assistiamo, oggi che per impulso del Fascismo liti ori scono tutte le energie nazionali, della nostra storia e letteratura marinaresca conformemente alle più .schiette e suggestive tradizioni in cui s’identifica un’indeclinabile esigenza storica degli Italiani, il nome e l’opera di Daniele Morchio non devono essere dimenticati. Devono, anzi, essere ricordati con molto onore. 11 tempo è inesorabile e molte cose travolge nella sua ruina, di molti uomini anche egregi cancella sin la memoria. È compito delle generazioni nuove rinverdire la testimonianza di quello che le precedenti hanno fatto di più proficuo e per ciò più meritevo’e di 11011 cader nell'oblìo. Se la vita dell’uomo è, come fu detto, una lotta -contro il tempo, è bello e degno dell’uomo strappare, o tentar di strappare, al gorgo del tempo vorace non solo se stesso ma anche gli altri uomini dei quali egli faccia stima e riconosca il diritto a non sparire del tutto. Ora del Morchio son più pochi a rammentarsi : qualcuno che gli tu amico; qualche altro clic gli fu collega nel magistero del pubblico insegnamento ; parecchi che gli furon discepoli; taluno anche che, venuto più tardi, ne ha rintracciato notizie solamente fra i libri. Il gran pubblico non oso neppur dire italiano ma soltanto genovese ignora presso che interamente non so’o le benemerenze ma perfino l’esistenza di lui. Non pretendo certo di rievocarne compiutamente, qui, la figura, di tratteggiarne e colorirne in pieno il ritratto. Il tempo e il carattere) d’un discorso consentono appena di richiamare alcuni dei principali aspetti di una personalità complessa e multiforme come la sua. Nato a Genova il 1824, mortovi il 1894, Daniele Morchio insegnò dapprima letteratura italiana nella Regia Scuo’a di Marina di Genova, dalla quale più tardi ebbero origine, per la marina militare, la Regia Accademia Navale di Livorno, e, per la marina mercantile, il Regio Istituto Nautico che ora porta il nome augurale di Akrigo Fugasra 103 San Giorgio e severamente prepara tanta balda gioventù ai cimenti della vita su! mare; poi insegnò geografia commerciale nell’istituto Tecnico e nella Scuola Superiore di Commercio di questa stessa città. Della sua sapienza e del suo .stile di maestro potrebbe dir meglio chi, nei vari istituti, ne profittò; parecchi de’ suoi scolari, come ho detto, sopravvivono, che lo rimemorano con affettuosa gratitudine e con ammirazione non diminuita dagli anni : di portentosa memoria, di passionata eloquenza, d’alta dignità, pari alla reverenza di cui in vista era degno; innamorato1 della multanime bellezza della nostra letteratura nazionale, di Dante soprattutto, di cui sentì la coscienza prima ancora che l’arte e a cui professò un culto sincero, fervente, inai scaduto a disamorata consuetudine di pedagogo, mai isterilito in prolissi vaniloqui di pedante. Dei docenti i migliori giudici sono, checché si dica, i discenti; e quando un maestro lascia dietro di sè così larga e viva eredità d'affetti, non v’ha dubbio ch’egli ha saputo tenere il suo officio· iin modo conforme a'Tim portanza e alla nobiltà, altissime, di esso. Ma del Morchio (*i preme considerare (pii soprattutto le qualità di scrittore marinaro, d’oratore.e di poeta: triplice e pure sostanzialmente unitaria manifestazione della tempra del suo ingegno e del suo carattere, e ragione precipua dell’onorevole ricordo di cui gii siamo tuttavia debitori e come Liguri e come ItaMani. La sua opera maggiore e che l’ha reso più largamente noto è Il marinaio italiano scritto per incarico de'l’ammiraglio De Saint-Bon, e stampato a Genova dal Pellas nel 1879: cinquecento pagine fitte, in ottavo. Il Ministero della Marina voleva offrire un libro di lettura ai marinai d.eill’Armata· Navale, un libro di letture storiche, naturalmente, attraverso le qua'i Tosse evocata e vivificata alle menti dei giovani chiamati a servire la Patria sui mare la mirabile somma d’imprese sui mare compiute dalla nostra gente, nei secoli. Il volume reca sul frontispizio, come epigrafe, queste parole del maggiore scrittore marinaro d’Italia, Alberto Guglielmotti: Desideroso dimettere in chiaro le glorie più belle della marineria italiana.... piglio questa impresa, e s’apre col racconto d’un episodio storico, di prodezza marinara, che è già una delle pagine più vive delle 500 di cui il volume stesso risulta. È, anche questa, la storia d’un vecchio nostromo, che per altro non ha nulla che fare (per chi se ne ricordasse ancóra !) col mio caro Mattei, la storia d'un salvataggio di mare, storia, dice il Morchio, « incancellabile nella memoria, e quando nel 1874 il contrammiraglio di Saint-Bon mi richiese d’un libro di lettura pei marinai, quel ricordo mi fornì la prima idea del volume che ho potuto compilare mercè la benevolenza del Copim. Brin e che viene oggi in luce....; opera certo impari all’altezza dell’argomento e in cui saranno notate troppe mende e troppe lacune, ma che ho pigliato a scrivere di Ibuon animo e con amore, non perchè mi ten- 104 Daniele Moscaio e le glorìe dell’Italia tasse la lusinga di seguire anche da Iunge i pochi valorosi maestri della, letteratura marinaresca, bensì per mostrarmi, come potea, ricono1 scente verso il Ministero che mi onorò dell’incarico e mi fornì il modo di compierlo, desideroso di mettere in chiaro 1$ glorie più belle della marineria italiana, e di invogliar altri a svolgere degnamente il nobilissimo tema ». Parole — della prefazione, datata da Genova, 1 giugno 1879 — che ho voluto citar testualmente per mettere sùbito in evidenzia l’esemplare modestia dello scrittore e il suo riguardo tanto per i predecessori quanto per gli eventuali prosecutori del suo lavoro, e anche per segnare la differenza· col tono di certe presuntuose prefazioni che si son potute e si possono tuttodì leggere in fronte a certi libri che valgono tanto meno di questo del Morchio. Il quale libro — al Saimt-Bon dedicato — vuol essere dunque una storia de1 la marina, particolarmente della marina italiana, e tale è, senza, ingombro e peso d’inutile erudizione ma con una preparazione coscienziosa e minuta che si rivela senza tradirsi nello stile denso, nel raccontare nutrito, nello sviluppo ampio e integrale. Quattro pagine di proemio, intitolate la via maestra dell’incivilimewtof si concludono con questo sonoro periodo diventato famoso perchè riprodotto su alcune diffusissime antologie marinare come quella di Angelo Russo e l’altra di Augusto Vittorio Vecchi — cioè il compianto Jack La Bolina — e Giovanni Targioni Tozczetti : « O marinaro, quando reietti alle gabbie, o vigili al timone, o stenti alle manovre, o lotti! impavido colla tempesta, dall’afa della zona torrida travalicando agl’irti ghiacci circumpolari, ti abbandona pure ad un legittimo orgoglio; la nave che coi santi colori della bandiera ti rammenta la patria lontana, che t'accompagna dovunque, la nave che ami come Ta casa paterna, sia che intesa alla tutela del commercio e alla difesa della nazione ti appaia quasi fortezza galleggiante staccata dal tuo paese, sia che trasporti a un continente i prodotti della natura o dell’arte di un altro, ha un carico ben più prezioso che non sieno le ricche merci che riempiono la stiva e ingombrano i ponti : essa porta l’incivilimento ». La ponderosa materia è suddivisa e alleggerita in tre parti: Il Mediterraneo; LOceano; L’Italia littorana, ripartite alla loro volta in un congruo numero di capitoli. Nella prima è rapidamente rievocata nella sua genesi e nei suoi svolgimenti la marineria degli antichi, dai Pelasgi, Liguri ed Etruschi via via attraverso Fenici, Greci, Cartaginesi ai Romani: sui quali ultimi l’autore s’intrattiene abbastanza a lungo, descrivendo la foggia e la manovra dei loro navigli, sia onerari che militari, e narrando i più celebri fatti d’arme con rara precisione di linguaggio ed efficace animazione drammatica. Questo capitolo ancóra oggi, dopo cinquantanni da che fu scritto, è ricco d’alto interesse né si può dire che molto abbiano potuto aggiungervi gli studi posteriori, da quelli del l)e Sanctis a quelli del Arrigo Fugassa 103 Boni: tutt’al x^iü. questi »ultimi lian recato un contributo di defili izioine a qualche particolare. La seconda parte rievoca, dai tempi dei Normanni, ancóra un po’ favolosi, al 1879, che vide le crociere della ViPtor Pisani comandata da Tomaso di Savoia, Duca di Genova, e della Garibaldi agli ordini di Costantino Morin, quella che ben si può chiamare l’epopea dei grandi viaggi di scoperta e d’esplorazione, mediante i quali venne concretandosi e determinandosi la conoscenza geografica. Prima del celebre volume dell’Errerà, queste cento pagine del Morchio offrirono in una chiara, documentata sintesi, la storia degli avventurosi tentativi intesi a svelare il mistero della terra e del mare; e se oggi possediamo tutta una moderna, vivace, colorita letteratura su questa storia della navigazione, per cui ci è possibile rivivere più addentro il dramma delle singole spedizioni, tuttavia questo tratto dell’opera del Morchio costituisce una lettura introduttiva o riassuntiva assai profittevole. Diversamente da quanto avviene invece con la terza e ultima parte del Aio-vinaio italiano che ancóra adesso riesce interamente nuova e davvero preziosa perché raccoglie notizie e dati non rintracciabili altrove o rintracciabili soltanto a prezzo di grandi fatiche. A me pare che qui e in questo consista oggi soprattutto il pregio del paziente e amoroso lavoro del Morchio, e per ciò appunto il suo libro possa venir vantaggiosamente consultato. Per quasi 300 pagine, Daniele Morchio aduna ordinatamente storia, leggende, esempi deL nostri paesi e delle nostre città costiere, procedendo dal mare ligustico — quello che ci s ostina, contro ogni buona ragione storica e geografica, a chiamare Alto Tirreno — al toscano, dal latino al partenopeo, dal calabro al tarantino, dal pugliese al bruzio, dal veneto al siculo e al sardo, e Fautore va poi anche oltre i confini politici, a ricercare la storia marinara di Nizza, di Villafranca, di Monaco, della Corsica e di Malta, storia italiana come italiane sono le genti che abitano que1 le riviere. Lettura appassionante. Ogni italiano vi ritrova e riconosce con commozione nomi che ama, testimonanze di cui si compiace alteramente. È un vero peccato che II marinaio italiano sia da tanti anni esaurito e introvabile altro che su qualche bancarella di sobborgo — appunto per la sua rarità ne lio dato qui un po’ minutamente il disegno —: almeno questa parte di sconosciuta storia e gloria italiana bisognerebbe riprenderla, ristamparla, naturalmente aggiornata, rinfrescata, per metterla ili mano alla gioventù che ora cresce con tanto anelito d’avvenire. Così il Ministero della Marina potrebbe, magari d’accordo con 1 Opera Nazionale Balilla, farsi promotore d’un’iuiziativa di questo genere che miri a salvare dal fiume della immeritata dimenticanza e a rimettere in circolazione quanto è veramente pregevole e attuale, educativo e incitatore in questo libro 106 Daniele Morchio e le glorie dell'Italia che il Ministro della Marina del ISTI, e un Ministro come il Saint-Bon, volle distribuito alla gioventù marinara d’Italia. Quando si vedon correre per le mani dei ragazzi e degli adolescenti certi volumi di mestieranti frustapenne, dove son raccontate senza grazia, né verosimiglianza avventure sbalorditive di conquistadores da strapazzo, si rimpiange veramente e vivacemente di non poter offrir loro in cambio qualche cosa di più sostanzioso e di più consentaneo all’indole dei tempi: i quali richiedono ben altro che insu1 se fantasticherie: richiedono studio intelligente del passato, trasfusione del meglio del passato, come alimento e lievito, nello spirito e nel sangue dei giovani d’oggi. Il marinaio italiano di Daniele Morchio possiede ancora attivamente tale virtù evocatrice e animatrice. Anche più introvabili o meno trovabili (come si dovrebbe correttamente dire) sono le pagine oratorie di Daniele Morchio. Il volume dove son contenute s'intitola Orazioni e discorsi e fu edito a Genova, ancora da JPeiias, nel 1S94. 141 pagine in ottavo. Comprenne sei discorsi, alcuni dei quali giù stampati in opuscoli a parte, in questo ordine : 1) Le lettere e la libertà·, orazione ; 2) Le Società di Salvamento y discorso; 3) Carlo Combi, commemorazione; 4) Il monumento in Genova a Re Vittorio Emanuele II, orazione inaugurale ; 5) La Geografia commerciai e, prolusione; G) Jacopo Virgilio, commemorazione. Eloquenza civile e commemorativa, dunque, oratoria in toga. Anche qui un motto come epigrafe: recte ac tenacitery non sul frontespizio ma in capo alla prefazione risuonante di maschi accenti : l’autore dice d’aver voluto raccogliere i suoi discorsi nel giorno in cui compiva il suo settantesimo anno — 12 febbraio 1894 — « raccomandandoli alla benevolenza degli amici, e singolarmente ai radi sopravviventi di quella schietta e ardimentosa generazione del 1848, la quaV assunta con entusiasmo l’impresa di conseguire l’indipendenza, l'unità e la libertà della patria, ebbe l’ineffabile gioia di vederla, per maturità di consiglio e per maravigliosa virtù di uomini e di eventi, coronata in Roma ». E termina così : « Non sconfortati dalle presenti miserie, conservino e accrescano i giovani il sacro patrimonio, che i vecchi hanno conquistato per sé e per loro». La prima orazione fu detta nella cerimonia di premiazione degli alunni del R. Istituto Tecnico il 23 maggio 1872: presiedeva al’a solennità Stefano Castagnola, ministro d’Agiicoltura, Industria e Commercio. « valoroso volontario di Govèrnolo che ha meritato loco nei Consigli della Corona» (il 19 luglio 1848 il Castagnola aveva preso parte da prode, coi bersaglieri del capitano Lyons, alla vittoria riportata dal generale Bava in quel bel fatto d’armi). È un discorso infiammato d’alti spiriti che si potrebbero dire alfieriani : Arrigo Fu gassa 107 dignitoso nello stile, nobile negli intendimenti, bello ingomma anche oggi d’una bellezza anzi venustà che la vetustà- non offusca. Oggi parliamo*, anche nelle occasioni solenni, più sciolto : ma la sonorità di queste pagine non dispiace perchè non è mai reboanza: è gusto di fraseggiare largo, d'ornamentazione classicheggiante, ricerca d’armoniose cadenze : parlare ore rotundo, come dicevano i nostri antichi. Il secondo discorso venne letto dal Morchio il 4 marzo 1877 nel Salone del Palazzo Ducale per la terza distribuzione di premi deìla Società Ligure di Salvamento : tema più ristretto·, meno voli ; più dati, più fatti : altro- tono. L’oratore comincia com 1 esaltare Edoardo Maragiiano, P« operoso genovese» che pensò a costituire quest’utile associazione di soccorso dopo l’annegamento d'un giovanetto, avvenuto « sul vespro del 1G luglio 1871 ». Presto 3a bandiera dall’ancora azzurra sventolò sull’arco della gemina Riviera, come già sventolava a Livorno e a Pisa; nel 77 otto asili erano aperti nel comune di Genova (Lanterna, Porto, Molo Vecchio, Cava, Foce, Strega, S. Giuliano, Starla), ne erano già fornite ftanipierdarena, Sestri Ponente, Volt ri, Varazze, Finalmarina. Comitati locali eran sorti e sorgevano altrove. Nell’anno precedente s’erano operati sulla costa 43 salvamenti ; altre nove vite vennero salvate a Sarzana, Ova-da, Novi Ligure e Tortona. All’Esposizione Internazionale d’igiene e Salvamento di Bruxelles la Società ottenne la medaglia d’argento. Molte notizie interessanti affiorano nel discorso del Morchio : si apprendono con curiosità, queste statistiche retrospettive. Si calcolava allora che di cento bastimenti che solcavano i mari, due fossero inghiottiti dai flutti, e ogni anno duemila salme avessero per tomba Γ Oceano. « Le nostre coste — osserva l’oratore — non sono flagellate dalle onde procellose che rompono o guastano 1800 navi sui nebbiosi lidi d’Inghilterra e d’Irlanda », ragione per cui lassù le associazioni analoghe disponevano di mezzi ben più cospicui : 233 imbarcazioni provvedute dai privati, 31 dalΓautorità marittima ; 280 stazioni fornite di razzi e mortai; nove brigate e 123 compagnie di volontari « arditi ed esperti » in sostegno e rinforzo dei guardacoste. In mezzo secolo l’istituzione britannica aveva contribuito a salvare 22.700 naufraghi ; assegnato ricompense per 4G.000 sterline, spendendone ogni anno più di 20.000, delle quali «un decimo in premi. La statistica non finisce qui: 22.000 inscritti annoverava allora la Società tedesca « vigilante sul Baltico e sul mare germanico », con 42 comitati, e in un settennio aveva salvato 558 persone, mentre la corrispondente istituzione nazionale italiana aveva appena sei stazioni per 281G miglia di costa e di litorale « in gran parte deserto o quasi deserto d’abitatori ». Nelle acque italiane si contava che naufragassero a quei tempi 139 navi, di cui 112 con la nostra bandiera, e che lOS Daniele Morchio e le glorie dell’Italia 10ì) s’i na b iosassero spegnendo 04 vite e « sprofondando am valsente di due milioni ». 11 discorso si chiude con un'animata descrizione delle regate e con una rievocazione delle antiche vicende e lotte marinare di Genova, Pisa e Venezia, col richiamo di alcune epistole del Petrarca al Doge di quest‘ultima città. Carlo Combi fu commemorato dal Morchio alla Società di Letture e Conversazioni Scientifiche la sera del 23 dicembre 1884. A me, modesto ma non freddo biografo di Nelson, piace quest'esordio colorito e suadente : « Per una lunga serie d’autunni, convenuti dalle parti più lontane del’a Gran Bretagna a fraterno convito nella Taverna di Londra, i vincitori di Trafalgar sedevano a commemorare, tra le coppe spumanti, la> più memoranda giornata navale che la Storia abbia registrato da secoli. Ad un tratto al lieto e vivace conversare, al vario e gaio rumoreggiare delle mense, agli urrà fragorosi succedeva improvviso silenzio : le tazre erano vuotate con religioso raccoglimento come nel rito d'una libazione: il muto brindisi era consacrato ai Ta1 orosi dormenti sulle alighe verdi, o all'ombra dei salici e dei cipressi. D'anno in anno, il numero dei convitati facevasi più scarso: a poco a poco la pietosa costumanza cessò: ma se in qualche spiaggia del Regno Unito vive ancóra un vecchio cadente che, mozzo nel 1805, ricorda il giorno in cui ΓInghilterra non aspettò invano che ogni suo tìglio Compiesse il suo dovere, certo al tocco e mezzo del 21 ottobre leva la mano tremante a salutare l'ammiraglio caduto sul ponte della Ti storia, e beve silenzioso la sua cioto'a di birra, pensando nel cuore i perduti compagni ». Avviato così il suo dire. Morchio ritrae diffusamente, affettuosamente, il profilo del Combi (1S27-1S84Ì, patriota istriano perseguitato dall'Austria, profligo nel 1848 a Genova «· dove collaboro al Corriere MeivantHe. palestra ad altri giovani, e fra essi anche promettenti ingegni, taluno dei quali conseguì onori eminenti ». (Dì questo stesso giornale i* Morchio fu per parecchi anni condirettore). Passa in questa rievocazione anche la figura di Giovanni Torti, il poeta ricordato dal Manzoni pei versi « pochi e valenti » al tempo dei Promessi Sposi, diventati poi troppi e non tutti valenti (come osserva il Pistelli più tardi, l’esule lombardo allora rettore dell· Ateneo genovese. Ma sapera ogni altro contenuto nel volume il discorso che Daniele Morchio pronunziò ?1 18 luglio 1886, inaugurandosi in piazza Corvetto la statua equestre di Vittorio Emanuele II, opera di Francesco Barzaghi e di Luigi Pagani, alla presenza del Re. della Regina, del Duca di Genova (di cui il Morchio era stato precettore) e della Duchessa Isabella : discorso l>en pensato, come richiedevano le circostanze, e ben architettato, e pure non compassato, non gelido, ma acceso d'una grande fiamma d'amor patrio. Comincia con nn Ah Ri go Fu gassa ί 109 tono franco e lealissimo che può a tutta prima stupire: « Sire, le memorie nostre souo repubblicaue. Le antiche tradizioni parlano d’una gente rude, ardita, sobria, indurita alle fatiche, amatrice di libertà^ indomata lungamente tra le sue rupi anche da Koma irresistibile : le storie la mostrano gelosa custode del suo diritto municipale, di fendi trice nel medio evo della civiltà cristiana contro 'a saracina, espugnatrice di Gerusalemme, signora del commercio di Levante dalla ’lana ad Antiochia; navigante temeraria scopre l'occidente africano dalle colonne a Gazòla, al gruppo di Capo Verde rivela un monco celato in grembo allOceano. tenta le solitudini dei mari circumpolari, diffonde ovunque la sua fama per imprese guerresche ; e ne! lungo corso di venti secoli, spazio che vide l’aurora e il tramonto di nazioni assai, dalle più remote origini agli albori del nostro, mantiene sì costante Famore alle istituzioni popo'ari che anche quando, aduggiata dalla fortuna di Carlo V, Italia volge al principato e spira l'ultimo auelito di liberta colla voce di Machiavelli e col sangue di Ferruccio, serba, come l'emula Yinegia, una pallida forma ed il nome almeno del reggimento che l’avea fatta celebrata e potente. E perchè dunque, o Sire, ora i Genovesi non immemori del loro passato, innalzano un monumento ad un re. plaudenti si accalcano intorno alla Maestà A’ostra e alla Rea’e Famiglia? ». Quindi, dopo aver ricordato e applicato al Padre della Patria un'espressione dei Principe del Machiavelli, rammemora con impetuosa foga l’epopea de! n astro Risorgimento, gli esuli, le batta-g*ie. le vittorie, e conclude esaltando il gran Re con queste eloquenti parole : « Ond'è che per salda onestà di propositi, per indole aperta e leale, per altezza d'ingegno politico, per tine discernimento, per valore guerresco e civile. \ it torio Emanuele sarebbe stato in ogni tempo degno di riverenza, di durevoli < noranze e di lunga memoria come i maggiori del!a sua Casa; la fortuna gli offerse l'occasione di superarli tutti, e «li non poter essere superato «la alcuno, che pur Inguauiasse in virtù: poiché, se rari sono i principi che hanno la gloria di fondare una dinastìa, di fondare uuo Stato o «-i estenderne i contini, rarissimi, e sovra ogni altro mor ale privilegiati, sono coloro che hanno la gloria insormontabile di fondare una patria ». L»i minore importanza, rispetto alle precedenti, sono la prolu-. sione sulla geografìa commerciale che il Morchio lesse nella <* Regia Scuola di applicazione per gli studi commercia1 i ■ il 30 novembre 1>>»> e la commemorazione, tenuta, nella stessa sede, il 19 marzo 1£0>1, di Jacopo Virgilio che il 27 settembre 1SS6 era stato chiamato a reggere quella scuola. Le proporzioni di questo discorso non mi consentono ormai di dare — sorvolando su altre scritture di carattere giuridico e letterario, come alcuni densi ricordi storici di diritto marittimo, II ware HO Daniele Morchio e le glorie dell’Italia e la nave — e sorvolando pure sulle relazioni ’ch’egli ebbe con tanti personaggi importanti, uomini politici e letterati, italiani e stranieri, di dare, dicevo, che un rapidissimo cenno del Morchio- poeta, il qual'e in sostanza non è altro che una incarnaziione dell’oratore: voglio dire che gli manca quella potente originalità fantastica che sola coiitrassegna i veri poeti e li distingue dai verseggiatori. Morchio riecheggia più che non crei. Riecheggia, s’intende, da maestro, come poteva fare lui che possedeva una .mirabile educazione letteraria, compiuta e via via affiliatasi sui grandi modelli. Artefice scaltrito egli si rive’a sempre, squisito spesso, qualunque sia il metro sul quale il suo canto si moduli. Del resto, il suo orecchio armonioso si sente già nei saggi di eloquenza di cui s’è parlato. 11 suo bagaglio poetico consiste in due volumetti, uno dalla copertina rosa, 1 ersi y di 192 pagine in sedicesimo, edito a Genova nel 1875 dai Fratelli Pagano, che prima avevano già stampato in opuscolo al cui ni canti spicciolati : l’autore l’ha dedicato, in data 22 marzo di quello stesso ’75, alle due figliole Teresa e Maria (oggi signora Panisi, amorosa conservatrice e illustratrice, fino a ieri, dei molti documenti della vita e del Topera dei suo nobile padre, documenti ora passati, per merito di Arturo Codigno’a, ad arricchire le raccolte di questa prestigiosa Casa· di Giuseppe Mazzini). Il volumetto si fregia del significativo distico foscoliano Non di tesori eredità ma oaldi Sensi e di liberal canne Γesempio e ha una breve affettuosa lettera; raccoglie ventisette componimenti di varia struttura, tre arguti sermoni — uno. Il giornalismo, è dedicato ad Anton Giulio Barrili — dodici sonetti e due traduzioni: una da Byron, l’altra da Longfellow : il celeberrimo Eatcehswr. L’altro volumetto di versi) s’intito'a Senilia e consta di 82 pagine in trentaduesimo, stampato qui a Genova dal Pellas nel 1891. Impossibile, ora, discorrere partitam en te tali poesie. V’ho notato come netti e vigorosi, fra gli altri, due sonetti dal titolo Libellas y rispettivamente del 19 marzo 1870 e dell’8 gennaio dell’anno successivo, dedicati a Giuseppina V. S. (che è certamente la Verdi Strepponi, l’amorosissima compagna del grandissimo Maestro, alla quale il Morchio aveva già mandato un altro sonetto), con l’epigrafe dantesca già usata dal Foscolo per VOrtis: «Libertà vo cercando eh-è si rara.... ». Per (pianto siano anche questi componimenti di cervello più che di fantasia, se così è lecito esprimersi, non mancano di determinazioni efficaci e il primo mi par bello, anche se alquanto oratorio : Non la Baccante ch’alia Senna in riva> Ebbra, di sangue abbeverò le genti; Non la Liberta., a libertà mai viva Che Italia e Francia fe' di sé dolenti; Arrigo Fugassa 111 Né l’alta, altera e violenta Diva Ch’Orto e Occaso al Tarpeo fé1 reverenti; Né l’iìwequeta che tornò captiva De’ tribuni ne’ rei patteggiamenti/ Non amo, no, la garrula pusilla Ch’urla pe’ trivi finché in Corte seggia, Cesari e plebe, e Mario alterna e Siila; Ma la sdegnosa fa'ogni cosa vile Vergine augusta, clic il pensier vagheggia, E che sento nel cor: giusta e gentile. È, come si vede, una libertà che si può amare, che nessuno vieta di amare anche oggi. Per tutta questa ingente somjna (li lavoro dunque, o Signon, inspirato a un alto ideale civile e patriottico, Daniele Morchio si raccomanda al grato ricordo della posterità. Sicché, concludendo, si può dire ch’egli è stato di coloro che moralità lascW'o al mondo : sono parole del sommo poeta che amava, di Dante cantore indimenticabile) di queir ansioso« e coraggioso Ulisse, l’eroe che domina se stesso, incuora i lidi compagni, rompe ogni divieto, varca ogni limite, affronta ogni rischio e nel quale noi, prima come Liguri e poi come Italiani, riconosciamo il simbolo dell’ ardi mento e del valore di cui è contessuta — trama d’oro e ordito- d’acciaio tutta quanta la millenaria storia, di nostra gente: storia che racconta, palpitandone, tutto un folle volo, di bastimenti e di marinai, di pionieri e di conquistatori, dai nostri lidi angusti, pei inari sconfinati, alle prode lontane recinte di palme come da un magico nimbo, per ovunque un Latino, un Italiano ha fatto sostai a piantare, <011 un gesto semplice e sacro come una benedizione, i segni inoscinabili della nostra civiltà vittoriosa. In nome di questa medesima civiltà, che ora, come in antico reca l’impronta del fascio littorio, anche oggi navigano il mare che fu nostro, e tornerà ad essere nostro, le navi che per volontà invitta del Duce tragittano agli approdi d’oltremare le schiere della gioventù fremente d Italia, pronta come sempre, come fummo e facemmo noi uomini delle generazioni della guerra, non ancor dome dagli anni e dagli affanni, a impugnare e ado-prare le armi condro la barbarie che, proterva superstite, non s inchini al diritto di cui Roma nostra fu madre. Arrigo Fugassa Discorso tenuto alVIstituto Mazziniano il 18 maggio 1935-XIII. RELAZIONE TRA GENOVA E ALESSANDRIA NEL SECOLO XIII Genova nel secolo XIII 44Ha.ec genus acre virum.... Adsuetumque malo Ligurem,... Extulit.,, (Virgilio - Georgiche, li, 167 e segg.) La Repubblica di Genova nel Sec. XIII è una del?e più famose contrade d?Europa. (J) Al centro di una lunga costiera marittima, si specchia né! Mediterraneo, e appoggiasi all’Appennino, ha terreno sterile, angusto; ma è quasi alla porta di fertili e vaste provincie; tantoché molti ne dedussero il nome di Janua postole nel tempo della corrotta latinità. I monti che la dividono a tergo dalle ricche pianure lombarde sembrano incurvarsi nel suo confine per dare a lei quel facile accesso che i rigori del verno chiudono altrove. Genova, è tutta marina, tutta figlia del mare, non so1 o nel porto, ma anche nelle soie strade, nei vicoli angusti, e nei marmorei portali, ed anche nei placidi olivi genuflessi sui monti dinanzi alla gloria del mare. La sua storia è ricca di avvenimenti importanti che ebbero influenza assai larga nella sua vita politica e commerciale del Medio Evo, di Totte faziose e famigliar! che portarono lo stato sull’or- lo dell'abisso, di atti virtuosi e di eroismi come di abbiezioni senza nome, intarsiata di rivolte ora demagogiche ora sublimemente patriottiche, quando gloriosa, quando miseramente schiava. Che se è drammatico quel buttarsi della gente genovese di quando in quando nelle braccia dei forestieri, contaminazione così della nobiltà i1) La popolazione di Genova nel Sec. XIII fu calcolata di SCO.000 abitanti èd era in continuo aumento. (G. Serra - La storia dell’antica Liguria e di Genova - Capolago 1836, Vol. I, p. 42) I suoi più estesi confini in terra fermo erano dalla Magra al Varo - (O. Varese - Stor. della Kepubb. di Genova - Genova 1S’35) Però nel 1229 i suoi territori si estendevano solo da Sestri Ponente a Rovereto (tra Zoagli e Chiavari). — (G. Caro - Studien zur Geschichte von Genua - Strassburg 1891) Teresa Κεγειίο 113 che della plebe; è mirabile queTiusorgere con impeto quasi sempre generoso, per rompere ad un tratto le catene che la necessità talvolta, talvolta 3a disperazione dei patrizi aveva fabbricate; e quel-Pandar d’un pugno di gente a prender predominio nel commercio orientale e quel dare di cozzo pressoché continuo c sempre ardimentoso con i re di Aragona, con quei di Francia, con gli Imperatori di Germania, con le Repubbliche italiane e cogli ambiziosi vicini. La· popolazione genovese la troviamo organizzata a Comune prima ancora che le altre città d’Europa scuotessero dal capo la barbarica selvatichezza di cui erano ingombre per le settentrionali invasioni. E mentre in ogni altra città d’Italia tardi si assumono i Consoli e assai presto i Podestà, in Genova accade il contrario : per tempo abbiamo i Consoli ohe erano indizio di rigenerata città. Le elezioni dei Conso’i erano*, però, fonti di terribili contese : gli emissari imperiali, che tendevano a creare in Genova un partito favorevole ai l'impero, fomentavano queste discordie: la parola ghibellino comincia a comparire nei documenti. Sulla fine del Sec. XII vien fatto di segnalare fra· gli avvenimenti che portano sussidio alla storia ìa terza Crociata: la maggior parte della nobiltà, guelfa, di Genova prende la Croce mentre tra i Ghibellini pochi vi partecipano. Quest’ultimi approfittando della lontananza degii avversari, riuscirono con un colpo di stato a fare mutare la forma di governo, ad abolire cioè il Consolato e a· chiamare in potere nn Podestà forestiero (che propriamente doveva prendersi dalle città più nemiche dei guelfi). Però poco giovò questa forma di governo che mirava a impedire Paccedefe delle classi popolari alla.suprema dignità qomunale, evitando in tal modo discordie fra Paristocrazia gelosa dei suoi antichi e recenti diritti e la gente nuova, arricchita· nei commerci e ambiziosa del potere. Questo fatto si manifestava nello stesso· tempo in molti Comuni ’deìl’Itali‘a Settentrionale. Si sperò invano che un Podestà forestiero (però fino al 1217 i Consoli si alternavano ancora con i Podestà) potesse esercitare il potere con giustizia. Da prima in questa nuova forma di governo restarono in funzione i Consoli dei Placiti, cjie erano gli amministratori della· giustizia; in seguito il Podestà assorbì anche quella funzione e autorità a cui nessuno poteva sottrarsi anche richiamandosi a esenzioni imperiali. (x) Migliore sarà il Governo de1 suoi stessi cittadini, nella seconda metà del Sec. XIII, secolo in cui la Repubblica raggiunse l’apogeo della sua potenza. Vero è che mutansi i dominatori: ora Con- (») G. Caro - O. c. - p. 33. 114 Relazioni tra Genova i: Alessandria nel secolo xhi soli ora Podestà, ora Capitani, ma in tutti uno è il disegno e io stimolo di magnificare la Repubblica·, e con la gloria accrescerne la grandezza ; sicché potresti vedere che i suoi fasti e le sue ricchezze divengono maggiori a misura che da una mano trapassa. in un altra, lo Stato d’uno in un altro rimesso grandeggia e cresce ; pei* arcana ragione la personale ambizione è qui congiunta alla pubblica utilità, uè questa da quella si scompagna giammai; tale vicenda di mutazioni invece di nuocere giovano alla Repubblica. Sulla fine del Sec. XII, Genova aderiva come Pisa all’invito di Enrico VI aiutandolo alla conquista della Sicilia. Dopo ìa morte di Tancredi il tentativo riusci felicemente, ma fra Genovesi e Pisani scoppiò violentissima contesa che l'imperatore non riusci a frenare. Conseguito il dominio dell’isola egli non concedeva alle Repubbliche marinare i possessi promessi ; ma Genova, riusciva a rifarsi dei danni subiti, approfittando di poi della minorità di Federico II mercè l’opera di un suo tipico concittadino, il noto Enrico Pescatore conte di Malta cihe occupò Siracusa. Nel frattempo, Genova assodava la sua dominazione sulle due Riviere e specialmente su quella di Ponente, costringendo i feudatari più potenti a riconoscere la sua sovranità : e mirava ad affermarsi ad estendersi nelPintemo oltre l’Apjjennino. Terre Marchionali fra Genova éd Alessandria Genova per la sua posizione è centro non solo commerciale, ma anche politico dei luoghi circostanti. A cominciare dal Sec. XII, la Compagna obbliga i signori delle terre vicine a giurare i suoi patti ; e tutti i cittadini dai sedici ai settant’anni a scriversi nei suoi registri e a prestare servizio militare. Tra il territorio genovese e quello alessandrino avevano il loro condominio i Marchesi del Bosco e quelli del Ponzone. I primi forti guerrièri, si estendevano con i loro possessi dalla sponda destra della Bormida di Spigno, fino a tutto il bacino dell’Erro. I secondi possedevano una vasta zona di territorio, parte del quale trovavasi intorno all’Appennino Ligure in direzione della valle della. Pòlcievera, questo territorio feudale si era ben presto frantumato in piccoli domini, non molto disseparati fra loro : così era uno per intero di là dell Appennino, che passò più tardi in eredità ai Malaspina, un secondo che comprendeva le terre di Parreto e Belfiore un terzo con quasi tutta la regione ligure, del primitivo marchesato che si distinse ancora in particolari giurisdizioni. (x) Π) I. Scova zzi - Fr. Noberasco - Storia di Savona - Savona 192G. V.; I» p. 213. Teresa ΙΙερετίο 115 Questi marchesati costituivano un ostacolo alPamministrazio-ne propria, necessità fu quindi tentare almeno di dare al bilancio un assetto stabile, che però riuscì vano. Stretti da difficoltà finanziari e questi decrepiti feudatari contrassero debiti ed impossibili-tati a solverli, furono costretti a cedere a Comuni e a privati tutti i loro diritti, liberandosi, sia pure in misero modo, dall’onere della signoria. E della condizione dei marchesati in parola, nè approfittavano le potenti città circostanti per estendersi ai loro danni. Così Alessandria molesta i Marchesati per averne cessioni di terre, terre eli cui investe poi i Marchesi stessi facendoli suoi vassalli. Savona, che stava da tempo in agguato, non si lasciò sfuggire 1 occasione di ottenere la signoria di ambiti domini; infatti il 1186 segna atto di vassallaggio dei marchesi di Ponzone a Savona (1) del 1198 quello dei marchesi del Bosco per una loro terra. (2) Con regolari atti di compera, a pocò a poco, con un’arte tutta particolare e quasi sotto forma di dispensare favori, Savona ben seppe spogliare questi feudatari. (3) La città che più approfittava della decadenza delle terre feudali era Genova, che si affermava da prima in Val Polcevera e precisamente a Gavi il di cui territorio gli Alessandrini giuravano di difendere insieme con Montaldo, Ameglio, Pastorana e Ta ssa -rolo a favore del Comune di Genova (4). Ma mentre gli altri Comuni mantengono in genere, con facilità, i possessi acquistati sarà fatale per Genova il dover guerreggiare e questo specialmente con i Comuni Subalpini. Nel 1198, Guido Marchese di Gavi, cospirò insieme con i Tortone-si contro Genova: approfittando della lontananza del castellano Nicola Squarciafico, entrò di nascosto nel Castello. I castellani e i servi lottarono accanitamente, e pur essendo pochi, tale fu l'ardore spiegato che Guido a stento riuscì a fuggire dalle loro mani. Giunta a Genova notizia di questi fatti, il Podestà si affrettava a recarsi a Gavi con alcuni cittadini e fortificato il Castello, imperante sempre la lotta, conquistò quello di Serravalle, cacciando i Tortonesi, la lotta continua ancora, ma la tenacia e l’ardore di battaglia dei Genovesi non venne mai meno. Alcun: Tortonesi, presi in ibattagia, furono condotti a Genova, e tenuti prigionieri, finché soddisfecero la città di tutte le offese. Fu poi assaltato il Ca-steUo di Pali odio il cui castellano, dimenticando il giuramento di fedeltà fatto a Genova, aveva rovinata la strada tradi toriamente e impri- O) I Scoyazzi - Fr. Noberasco - 0. c., V. I, p. 21S. (2) Fjì. Gasparolo - Cartario Alessandrino - Torino 1930 - V. II, p. 19. (J) Ibid. - o. c., p. 22. (4) Lib. Jur., I, 39S; Liber Crucis, Ed. Gasparolo - N. 3S. 116 Relazioni tra Genova e Alessandria nel sècolo xiii gionati i Genovesi. Infine il signor di Palladio si arrese con il Castello che iu munito e custodito per conto del Comune genovese. (1) Quattro anni dopo — 1202 — i Marchesi di Gavi, stanchi di lottare, s'accordavano con il Comune di Genova, concedendogli tutti i possessi ed i diritti, che avevano in Gavi, trarrne la metà del pedaggio, e ne ricevevano in cambio 3200 lire. I Marchesi giuravano fedeltà alla Compagna [a] di Genova, promettendo d: abitare in città, e di non passare i Giovi se non tre volte all’anno, sempre con il Podestà e i consoli, e con essi ritornare a Genova.. (2) In seguito a, questi accordi, il Marchese di Gavi, Alberto fu invitato da! Podestà a venire ad abitare in città colla famiglia, com'era stato pattuito; ma egli non volle sottomettersi e fuggì da Genova e tornato a Gavi riprese le tradizionali consuetudini belliche. Per questo fatto fu privato del pedaggio di Gavi e costretto a pagare una somma annua per la sicurezza dela strada. (3) Nello stesso anno, i Consoli di Genova, posero termine alla guerra che si combatteva coi Marchesi Malaspina per il Castello di Corvana, dando loro 1500 Lire del Comune, ed essi giurarono fedeltà a Genova, donandole il Castello di Cor vara ed il territorio circostante. Ma Corrado Malaspina non mantenne il giuramento promesso, e mandò uomini di Cassana sul poggio Rotondo presso Celasco, per munirlo di castelli e fortificarlo; non ubbidì ai Consoli che gli intimavano di desistere ; per cui il Comune di Genova si trovò obbligato a mandare cavalieri, che assalirono il poggio Rotondo e il castello di Cassana e li conquistarono (4) Dopo queste sconfìtte Corrado con il suo esercito fu costretto a desistere dall'opposizione e fuggì. Un tentativo del 1216 fatto da alcuni per consegnare il Castello a Corrado fallì, infine i Malaspina stanchi di lottare vennero a Genova e si affidarono all’arbitrio del Comune. (5) Così terminava la lunga serie di guerriglie nel’a quale sono evidenti gii spergiuri di questi signori e rifulge il valore dei Genovesi. Nello stesso volgere di anni, anche i possessi territoriali dei del Carretto erano in decadenza: già Savona nel 1192 aveva acqui- i1) Annales Genuenses ■ Ed. 1st. Stor. Italiano - Roma 1901, V. II, p. 74. (a) La Compagna è una associazione di cittadini atta alle armi — che sorge nel sec. XI —. Costituita da principio per un periodo di tempo determinato. due o Quattro acni, mira ad una determinata impresa militare o marittima, e, diviene poi la bse del Comune stesso. È orgnizzata per quartieri con a capo prima i Comites o Comandanti, più tardi, i Consoli. (2ì An. Gen. - Ed. Cit. V. II, p. 123. (3) Ibid. - p. 125. <4) Tbid. - p. 140. (5) An. Gen. Ed. Cit., V. Il, p. 140. Teresa Repet'iO 117 stato dui Marchese Oddone i diritti sul!a castellania di Al bissola (1) ; nel 1214 il Marchese Oddone cedeva a Genova il Castello del Cairo con la sua castellania e il pedaggio di queste terre. I Consoli gli consegnarono in feudo questi territori ed egli giurò nel pubblico Parlamento fedeltà al Comune di Genova (2) ; il giuramento — abitudine dei tempi — non venne osservato, infatti qualche anno dopo il Marchese Oddone dei Del Carretto si schierava in favore di Federico II e Savona nella lotta antigenovese. Non i polo grandi feudatari, ma anche i signori di castelli e di picco’i territori fanno donazioni al Comune di Genova, o ne chiedono l'alleanza. NelPaprile del 1231, i Signori di Castelletto d’Orba si alleano con Genova contro i Marchesi di Gavi e di Parodi (3J un anno dopo Vermiglio di Novi rinunciava al Comune di Genova i suoi diritti sopra una casa in Gavi (4), e vende al Comune un territorio lungo il fiume Lemore. (5) Per i signori feudali è un periodo critico finanziariamente, come ho accennato, e quindi gii accordi e le dedizioni si succedono. Guglielmo Tonso di Lerina, nel 1204, promette fedeltà alla Repubblica e la difesa dei Castelli di Gavi e di Parodi (6) ; due anni dopo Ugolino Grasso di Voltaggio giura ad essa fedeltà per il Castello di Ai me] io. (7) I Monasteri e le Chiese Genovesi, subiscono l'influsso del Comune e 11011 isdeguano, anzi s’adoprano per acquistare possessi nelle terre alessandrine di natura ligure, (s) lrt Genova, ja passione per ii dinamismo territoriale è dunque entrata anche nei conventi. Nello stesso volgere d’anni, Federico II, Re di Sicilia ed eletto Re dei Romani confermava a Genova: « Omnia privilegia concessiones conventiones et dationes que et quas Comuni Janue pre-cedentes impera (ores concesserunt et dederunt arque fecerunt»; riconosceva il possesso della Città sui Castelli di Gavi, Parodi, e Serravalle (9) ; e i! dominio dei Genovesi su tutta la Riviera da Portovencre a Monaco. Scaltrissimo Re, che dopo aver spogliato Genova di ogni privilegio nel regno di Sicilia continuava tuttavia a mostrarsele amici) I. Scovazzi e Fr. Xouerasco - o. c., p. 215. (2) in. Gen., Ed. Cit., V. Il, p. 132. ’ (3) Lib. Jur. - I, 470; A. Ferretto - Documenti Genovesi di *Xovi e Vali« scrivi a - in liSSS:, V. 52 - Pinerolo 1901) - Y. 1, p. 119. (*) Lib. Jur. I, 502; A. Ferretto - o. p., p. 149. (·*) Lib. .Tur. - I, 493; A. Fkrretto - o. c. p., 152. (6» Lib. Jur. - I, 507; A. Ferretto - o. c., p. 157. (7) Ibid. - I, 529; Ibid. - p. 109. (8) a. Ferretto · o. c. p. 130 e segg. (y) Ibid. · p. 203. lis Relazioni tra Genova e Alessandria sel secolo tciii co e a seconda della propria opportunità non era avaro di concessioni e di conferme. Genova, nell’interno, con gli acquisti che era venuta via via facendo, si estendeva lino a Novi, e perciò i suoi territori erano imitimi a quelli di Alessandria — città che con i suoi territori s'incunea ne! terriotorio ligure — questi due Comuni furono da prima in buoni rapporti nel mutuo interesse di difendere i valichi Appenninici, in seguito per ragioni territoriali si generarono rivalità la fame dello spazio è madre della guerra: e la guerra durò per ben sette anni (1224-1231). Alessandria nel Secolo XIII Alessandria, sebbene non avesse la potenza di Genova era tuttavia un Comune nuovo ricco di energia. È noto che nel 1181 fu obbligata ad una formalità di sottomissione a Federico Barbarossa, che la ribattezzava con ii nome augusteo di Cesarea e si riservava la metà delle regalie promettendo di conservarla nel suo dominio diretto (l) ; Enrico VI, non di meno la diede in feudo al· Marchese Bonifacio di Monferrato (2). Prima cura della città fu di riprendere il suo antico nome e questo equivaleva a rivendicare la sua antica situazione di Comune libero, di cui « la sua. stessa fondazione e i! nome richiamavano una rivolta contro l’imperatore ». (3) La necessità della continua difesa, doveva mantenere viva la-solidarietà, che aveva riuniti insieme, per volontà concorde, gii Alessandrini e promuovere lo svolgimento delle energie del nuovo Comune. , In Alessandria nata quando i Comuni erano nel loro fiore la popolazione non era divisa in nobili e popolo; soltanto si era conservata la differenziazione sociale originaria, fatta da un punto di vista economico. Nelle fonti documentarie dell’epoca sono indicati i «milites», i «mercatores», gli « agricultores » infine il popolo minuto formato da artieri e manuali. Tutta la popolazione era sorta come ad una vita nuova, governata da prima a Repubblica con i Consoli, nel 1173 eleggeva per ]a prima volta un Podestà, che temperava l’autorità dei Consoli. Il Podestà, entrando :n carica veniva obbligato ad un solenne giuramento con il quale prometteva anzitutto di difendere !e chiese e la città di Alessandria : (}) Liber Crucis - N. 104; G. Ghilini - Annali di Aleesandria - Alessandria - 1903 - p. 74. (2) Ibid. N. SO. (fi) E. Jordan - Les origines de la domination Angeuine en Italie - Paris 1909 - p. 50. Teresa Repetio 119 « ....Iuro ad Sancta Dei Evangelia salvare, defïendere, et custodii^ omnes ecclesias civitatis, Poderii, sive districtu seu iuri-sditi onis civitatis Alexandriae, et ecclesias ad eas pertinentes et specialiter honorum et statutum majoris ecclesiae.... » (1J Egli doveva lare rigorosamente osservare gli statuti alessandrini « Omnia et singula statuta scriptas ». (2/ La famiglia o meglio, il corpo podestarile, era composto di giudici, scudieri, e soldati; e gli statuti sentenziano « quod aliquis de famiglia potestatis cum aliquo de Alex, non manducet» (3); e ciò naturalmente, draconianamente, mirava a non favorire il formarsi di partiti politici. Il potere legislativo stava nel Consiglio di Credenza, e nel Consiglio Generale, formati dapprima di un piccolo numero di membri, numero che aumenta nel Sec. XIII. Trovo infatti che il primo era costituito di 100 membri tutti di Alessandria, il secondo di un numero maggiore parte della Città e parte del Distretto. Tutti gii ufficia!i del Comune dovevano essere eletti nel Consiglio generale, « ad breves sive ad sortes ». (4) I documenti dell'epoca conservano memoria del fecondo lavoro compiuto da questa organizzazione comunale, al principio del See. XIII, per Pincremento delle forze economiche, per Pestensione territoriale. Negli statuti sono stabiliti i lavori, che si dovevano eseguire per ogni quartiere, per migliorare le strade e favorirne la difesa. (5) Un lungo tratto del territorio alessandrino era finitimo a quel- lo di un gamie feudatàrio: il Marchese Bonifacio di Monferrato. Questi nel lento e generale disfacimento del mondo feudale, manteneva Punita del suo territorio, ed a conservarla vi contribuiva il diritto di primogenitura. Questo Marchesato raggiunse la maggior estensione e potenza nella seconda metà del Sec. XIII, con Guglielmo VII (1254-1292). I Monferrini non vedevano di huon occhio lo sviluppo del nuovo comune di Alessandria : fra signori di territori vicini vi sono sempre delle difficoltà di frontiera. I Marchesi di Monferrato avevano cercato di impedire il sorgere di Alessandria ben scorgendo in essa una futura rivale, una causa di future lotte (6). A dispetto dei Marchesi il nuovo Comune riceveva impulso maggiore al suo (1) .Codex Statutorum magnifice commuuitatis atque Dioecaesis Alexandrinae ·* Art. 1. (2) Ibid. Art. IV. — - (3) Ibid. Art. XII. (4) G. PoccHETTiN0 - Vita interna di Alessandria nel Sec. XIII - Rivista di A»ess ituARE.i - Bonifaz von Monferrat - Berlino 3907, p. 36. \ « 120 Relazi: m tra Genova e Alessandria nel secolo xiii definitivo costituirsi dalla stessa popolazione monf errili a, e più precisamente dai piccoli signori soggetti ai Marchesi, che si ribellavano ad una condizione di cose intollerabile e trascinavano nella trasmigrazione i contadini. Per aiutare la politica comunale nel suo intento di disgregazione del sistema feudale, si cercava far uscire dalle terre dei feudatari i sudditi ed i lavoratori (i); con tale mezzo si aumentava considerevolmente la popolazione del Comune, che portava un potente contributo di braccia ai lavori agricoli ed all*artigianato della città; i nuovi liberi venivano presto ch'amati a pagare le tasse, ed a prestare il servizio militare e chi si fosse rifiutato era punito con multa. (2; Di fronde al Marchese, Alessandria prendeva subito un ben definitivo atteggiamento di opposizione; il Monferrino si affannava con poco successo, a mostrare e a vantare diritti feudali sulla città. Il nuovo Comune di Alessandria, fu invece favorito da Asti. Questa città per le terre che veniva occupando lungo la linea del Tanaro e poco discosto da esso, insidiava l’unità del marchesato; Alessandria sorgeva ad oriente di Asti, sulla sponda opposta del Tanaro, oltre il territorio del Marchese di Monferrato ; dalla posizione delle due città, si vede che se Alessandria avesse assalito il Marchese sulla fronte opposta a quella di Asti, con la mira, di congiungersi con quel Comune attraverso il Monferrato nemico, la continuità del suolo nemico era rotta; e le terre di là del Tanaro isolate sarebbero state facile preda dei due Comuni. Tutte le lotte dell?ultima parte del Sec. XII e delPinizio del Sec. XIII si spiegano con questa tendenza dei due Comuni, nella quale si sommano e si conciliano i loro interessi particolari, con gli sforzi opposti da parte dei marchesi. (3) La guerra di Asti e Alessandria contro il Marchese di Monferrato si iniziava nel 1191 e durava aiternata a vicende di tregua per molti anni : i belligeranti andavano a gara nel procurarsi alleati. f1) Alessandria riusciva facilmente in questo ì-uo proposito, ritenendo come proprio cittadino chiunque fosse venuto ad abitare nel suo territorio; e si fosse sottomesso aUe leggi del comune. (Codex Stat., art. 133). Due uomini legali e uno scriba dovevano inquisire le persone che fossero venute ad abitare ad Alessandria e verificare se avessero regolarizzate le formalità richieste: questi dovevano essere iscritti sul libro che era dato in custodia al notaro del Campanile. Dovevano anche registrarsi gli strumenti dei nuovi venuti; e se qualcuno di questi se ne ritornava via, perdeva ogni privilegio che avesse ottenuto in occasione del cittadinatico. (Codex Stat., Art. 131) (2) A. Iîozzola - Un capitano di guerra e Signore subalpino - in miscellanea di Stor. patr., V. 19 - 1922 - p. 209. (3) A. Bozzola - o. c., p. 270. Teresa Κερετίο 121 Gli Alessandrini e gli Astigiani si accordavano cogli abitanti di Lanerio (i) cl: Cassine e di Canelli, (2) i quali si ripromettevano di mandare aiuto ai Comuni. Da parte loro gli Alessandrini e gli e gli Astigiani promettevano di difendere i nuovi aiieati. Nello stesso volgere di anni, Alessandria estendeva assai i suoi territori : alcuni signori feudali circostanti cedevano ad essa i loro possessi nella speranza di protezione e di difesa. Così al principio, del 1198, Alessandria aveva ottenuto promessa di aiuto dagli abitanti di Lerma (3); e cue anni dopo i Quar-gnentini domandavano la cittadinanza ad Alessandria sottomettendosi alle leggi del Comune. (4) 11 9 Gennaio 1202, i Montaldesi prestavano- fedeltà al Comune di Alessandria, promettendola anche a nome degli abitanti di Vul-tignana, Pontesello e Molonensi. (5) linalmente nell ottobre del 1200 Asti ed Alessandria avevano fatta la pace con il Marchese di Monferrato, ma più d’una x>ace era una tregua, di cui s’erano obbligati all’osservanza fino a-1 Settembre del 1204 (6). [ n accenno alle condizioni economiche sintesi di queste guerriglie appare più che mai necessario. Al principio del Sec. XIII, i Marchesi di Monferrato erano in crisi finanziaria: i contadini, ben a ragione, seminavano poco espe-ri ment a to dmramente che le seminagioni davano pochi frutti per le continue scorrerie degli Astigiani e degli Alessandrini; le strade che attraversavano il Marchesato venivano disertate dai mercanti, diminuendo per logica conseguenza il reddito dei dazi e dei pedaggi; Bonifacio era stato chiamato a capitanare la IV Crociata, cosa certo onorevole, ma dannosa alle finanze dei Marchesi. E questi feudatari stentando a tener fronte nei brevi periodi di pace agli impegni assunti durante la guerra, erano costretti ad alienare terre e a contrarre mutui presso i banchieri dei Comuni, detentori della ricchezza circolante. Di qui un coefficente non trascurabile della feudale decadenza. Prima ancora del 1200 ad Asti, i Marchesi avevano attinto, pare, largamente alle casse dei (banchieri e prestatori. Il Comune di Asti potente e ricco, aveva nei crediti un’arma formidabile per indebolire la potenza del feudatario e per estendere a suo danno il proprio territorio (7). Da quanto ho detto vien latto di pensare che le condizioni finanziarie in cui si trovavano i Marti) Liber Crucis - N. 4ì); Codex Aslensis qui de Malabayla nuncupamur -Horn a, isïo. In atti della li. Accad. dei Lincei, Ser. II, V. Il, N. 542. (2) Codex Astensis, V. Il, N. 417. (•’j Liber Crucis, N. 17. (*) Ibid., Λ'. 44. (ß) ibid., N. r,;: ίβ» Liber Crucis - N. 03. (7) A. Iîozzola - o. c., i>. 271. 122 Relazioni tua Genova e Ai es san orla nel secolo xm chesi di Monferrato fossero la causa delle concessioni di terre che essi facevano ad Alessandria negli anni della suddetta tiegua. (1202.-1204) • I procuratoli del Marchese Bonifacio, nel 1203 investivano successivamente il Comune Alessandrino dei feudi di Sezzè, di Ke-torto, di Carpeneto Superiore, di Carpeneto Inferiore, di Casenuove e di Castelnuovo. (1) Tali concessioni spiacevano ai Monferrini, che aspettavano il momento propizio per ricuperarle, mentre riuscivano molto accette ad Alessandria favorendola nella sua mai sazia tendenza all’espansione territori «al e. E su queste terre feudali in decadenza, Alessandria, come altre possenti città dell'epoca, andava i‘n questi anni estendendo i propri possessi costituendosi a forte Comune. Così nel 1180 essa aveva prestato giuramento di fedeltà al Marchesi del Bosco ricevendone in feudo il territorio del loro Marchesato, con le tene di Ponzano e Maranzana (2)· Tre anni dopo anche Capriata si poneva sorto la tutela degli Aless indrini (3i ; e i Marchesi dei Del Carretto, di Ceva, di ronzone, gravati di varie necessità, si sottomettevano al Comune alessandrino. Alessandria, nel 1180, aveva stretta alleanza con i Tortonesi, con reciproco obbligo di aiutarsi in guerra : dovere fedelmente osservato per molti anni (4). A questa· alleanza il Comune Alessandrino faceva seguire atti di accordi con i Pavesi, e Acquesi ; ed una convenzione con 1 Vercellesi con mutue obbigazioni, in forza delle quali gli acquisti fatti dagli uni dovevano dividersi con gli altri. Nello stesso tempo, otteneva· pure, il Castello di Calosso, quel- lo di Usseccio e la promessa di fedeltà dagli uomini di Montechiaro; e vari territori iri Caneili, Freno, Sessame, Calamandrana Soi-rano e territori circostanti. (5) In queste terre Appenniniche di cui tanto Alessandria ambiva il possesso, verrà ben presto in lotta con una possente rivale: Genova. Sarà fatale al Comune Alessandrino aver avuta nemica la vicina Asti, nella guerra con la forte rivale dell’Appennino : inimicizia originatasi nel 1203, quando i signori di Acquasana prima (6), quelli di Vinchio poi, cedevano agli Alessandrini i loro Castelli (7), (1) Liber Crucis - N. 54 - 59. (2) Ibid. - N. 55. (3) Ibid. - N. 66; G. Ghilini - o. c. 73 p. (4) Ibid. N. 90. (5) Ibid. -iN. 107»; 110; 111; 96; 101; j03. (6‘) Liber Crucis N. 71. (7) Ibid - N. 72. Teresa Repetto 123 su cui Asti, vantava diritti e aveva quindi ragione di ritenersi offesa. Invano, si tentò un accomodamento amichevole fra le due città deferendo le disparate questioni insorte per quei luoghi ad arbitri, che per altro non riuscirono neppure a mettersi d'accordo sui punti da giudicare. Fare che Asti ed Alessandria dopo vari tentativi di accordi venissero in guerra. ( ) Le relazioni fra Asti ed Alessandria inaspritesi in quell’anno, andarono sempre peggiorando, per il possesso di Masio, che esse avevano conquistato insieme nel 1190 ; e dove Asti dopo le prime controversie con Alessandria, andava attivamente estendendo i suoi diritti a. danno della vicina alleata·. Le discordie fra le due città, interposti brevi inter va’li, d ararono fino al 1228 anno in cui per interposizione del Comune di Milano fu fatta tra esse una. stretta lega. In base a tale accordo gli acquisti che Alessandria ed Asti avevano fatti in Canelli, Cal aman-drana, Lanerio e Vinchio dovevano ritenersi da chi li aveva occupati, eccetto le terre, che gli Astigiani avevano ottenute da Ottone dei del Carretto. Si stabiliva, inoltre, che se si facessero ulteriori acquisti in detti territori, tali acquisti dovevano essere comuni aile due città; su altre terre vicine si vietava acquistare diritti; e l’un Comune concedeva all’altro molti privilègi commerciali. ] anta unanimità di concordia, che si era fatta ispiratrice di questi nuovi putti, tanta solennità di promessa, di giuramenti e di pace perpetua, erano già andati in fumo alla metà dei .122ri, in cui nuovamente le due città di Asti e di Alessandria si erano dichiarai a guerra, lotta complicata dalla guerra che Genova aveva in quel versare di tempo con Alessandria. La Guerra fra Genova ed Alessandria - (Prima, fase) Oltre a quanto già ho detto in riguardo all’estensione territoriale di Genova, giova qui il ricordare che nel 1217, aveva ricevuto in donazione dal Marchese Ottone del Bosco le terre di Ovada, Ta7 gliolo, Silvano, Bussigliene e Trisobio (2) e sulla fine dello stesso anno Enrico di Usseccio insieme con i figli cedeva a Genova i suoi diritti su alcuni castelli del Bosco, Novi, Arquata, Capriata, e Monteacuto, « Cum omni honore et districtu et iurisdictione ad faciendum exinde quid-quid voluerit comune Janue ». (3) C1) Codex Astensis, V. II, N. 403. (2) Gr. Gasparolo - Cartario Alessandrino - Alessandria 1930 V III Doc. 373. ’ * (3) A. Ferretto - o. c., Doc. 31G. 124 Relazioni tra Genova e Alessandria nel secolo niii Il 22 Ottobre 1218 Genova otteneva il possesso dell'intero borgo di Capriata offerto dagli ambasciatori di questa stessa Città, (i) Il possesso di questo territorio fu la scintilla, che diede origine a1 la guerra, avendo questa città ricevuto in dono dal Marchese del Bosco i Castelli e le Ville di Capriata in data· 19 Gennaio 1218 (2), quindi Alessandria e Genova venivano a trovarsi in possesso di uno stesso territorio. I Genovesi cercavano comporre i dissidi con Alessandria, nominando arbitri i Comuni amici, ma loro malgrado la guerra scappiava nei 1224. Gli Alessandrini si uniscono ai Tortonesi che volevano acquistare Arquata. E a proposito di Arquata occorre ricordare che tra Genova e Tortona nel 1218 si era convenuto che tutto ciò ch’era oltre la Scrivia spettasse ai Tortonesi e tutto ciò che era al di qua di quel fiume spettasse a Genova, ma l’anno dopo Andrea Marchese di Massa cedeva a Tortona la quarta parte di Arquata, e per contro i Genovesi nel 1223 e nel 1224 acquistavano dai Marchesi di Usseceio e del Bosco tutti i loro diritti sopra la stessa terra. Quest’acquisto insieme alle pretese di Alessandria sopra Capriata fu una delle cause principali della guerra. In aiuto degli Alessandrini e dei Tortonesi venivano i loro alleati, tra questi i Vercellesi e trecento cavalieri di Milano : la guerra era fomentata da· Federico II. In breve tempo gli Alessandrini assediavano Capriata, incominciando a devastare le vigne e i campi, ma il Comune di Genova aveva premunito questo territorio con forti milizie, sicché gli alleati furono costretti a ritirarsi. Avutasi in Genova notizia di questi primi scontri il Podestà — Ansa1 do di Bologna — raccolti per mezzo del banditore i cavalieri e i fanti della città, e con lettere gli abitanti del Distretto Genovese, i vassalli e gli amici radunava in Gavi l’esercito per muovere alla.difesa. (3) Agli Alessandrini bastò l’annuncio dell’arrivo dei Genovesi per abbandonare gli accampamenti, con gli strumenti necessari alle macchine da guerra, « et omnibus impedimentis » e si ritirarono verso Alessandria. Mentre l'esercito genovese — sempre guidato dal Podestà — non si fermava alla difesa di Gavi: assaltava e distruggeva dalle fondamenta il Castello di Montaldo che era tenuto dagli Alessandrini, questi contraccambiarono colla distruzione del Tassarci, mentre i Genovesi trionfanti erano ritornati alla loro città. Gli Alessandrini e i loro alleati incoraggiati da questi facili eventi, tentarono l’assalto d’Arquata-, ma la loro viltà e il loro (i) Ibid. - Doc. 310-320. (2 Ibid. · Doc. 318. (3) Annales Gen. - Ed. Cit. Y. Ill, p. 201. Teresa Repetto 125 poco coraggio appariva, come già altra volta, nel ritirarsi al wo lo annuncio del veniente genovese esercito. Il Podestà di Genova considerati nel suo giusto valore lo svolgersi degli eventi, ritenuto opportuno che bisognava agguerrirsi contro il nemico, imponeva — per unanime voto del consiglio — che tutti i cittadini « deductis settuagenariis infermis et magagnata » pagassero un contributo per continuare la guerra, (l) Ma anche la necessità di posizioni strategiche, di a'leati appariva evidente. 11 Comune di Genova otteneva infatti dai Marchesi del Bosco, oitre la conferma delle donazioni del 1217, già accennate, i nuovi territori di Ovada (2), Campale (3), Valle d’Orba (4) ed altre utilissime posizioni per l'imminente guerra. I Signori di Mongiardino, cui i Genovesi avevano promesso di difenderli contro Alessandria e Tortona, giuravano di fare « vivam guerram igneam et sangui no1 ent am Hominibus Alexandrie et Terdone et Hominibus eorum districtus in personis et universisi demum aliis personis castris terris et villis... dum non offendant terram et hom'nes Janue et de districts Janue » (5). Dopo questi accordi anche i signori di Casslnelle e Mor&asco, partigiani del Marc&e&e del Bosco, giuravano fedeltà al Comune di Genova. (6) Attraverso i documenti di questi decreti e queste alleanze si scorge quanto fosse sagace la politica dei Genovesi e come essi sapessero domare ed affrettare forti eventi. Anche gli Alessandrini 11011 mancavano di prepararsi al nuovo cimento, alleandosi con.Acqui e rinnovando con Alba la lega del 1203 (7) Le due città avverse erano pronte alla lotta, non occorreva che la scintilla, e la scintilla non mancò. Racconta Pannalista Genovese Bartolomeo Scriba che nel mese di aprile del 1225 un traditore e malefico uomo, Pietrobono di Gavi,-stabilì una tregua con gii Alessandrini e Tortonesi, promettendo ad essi di rimettere 111 loro potere il Borgo di Gavi. Quivi era podestà per il Comune di Genova·, il nobile e prudente uomo, Oberto Advocato; ma» i Genovesi avevano lasciate in consegna le chiavi del borgo di Gavi, non al Podestà, ma a Pietrobono, assai stimato per i suoi numerosi possedimenti. Gli Alessandrini e i Tortonesi alleati, volendo effettuare ciò che con il traditore avevano patteggiato, vennero a Gavi e lo circondarono da ogni parte, ma (1) Annales Gen. V. Ill - Ed. Cit., p. 199. (2) G. Garparolo - 0. c. V. II, N. 420. (3) Ibid - N. 424. (4) Ibid. - N. 427. (5) Ibid. .N. 431 - 432. (6) G. Gasparolo - o. c., V., II, Doc. -435 (7) Ibid. - Docc. 429- 430. 126 Relazdni tra Genova e Alessandria isel secolo niii il luogo era ben custodito, e gli alleati ingannati nella loro imbelle speranza, si ritirarono con disonore, dinanzi alla virile certezza dei difensori, (i) Per la seconda volta Alessandria vedeva deluse le speranze di impossessarsi di terre genovesi con armi e con dolo. Il Podestà di Gavi, Oberto Advocato e quello di Capriata, Pie-trovento assoldarono celatamente alcuni cavalieri ed uniteli ai castellani di Voltaggio, Gavi, Parodi, Capriata ed Arquata, lasciati questi luoghi ben muniti, si volsero al territorio tortonese ; devastarono il borgo di Precipiano portandone via tutta la preda possibile. Ritornati incolumi in Vallo, vennero loro incóntro i Tortonesi insieme ad ottanta cavalieri di Alessandria : aspra fu la lotta ; tre volte i Genovesi affrontarono e volsero in fuga i nemici, con quel tenace ardimento proprio della gente genovese in ogni terra, in ogni evo, in ogni evento. A Gavi per opera di traditori intanto erano sopraggiunti gli Alessandrini e circondarono da ogni parte i Genovesi, ma Pinvitto valore di questi non piegò anche dinanzi al tradimento. Ventisette cavalieri e più di quattrocento fanti rimasero prigionieri dei Genovesi Xello stesso anno 1225, gli Alessandrini ed i Vercellesi combatterono accanita-mente · contro gli Astigiani per il possesso- di Cala-mandrana; e le rappresaglie eseguite al combattimento fomentarono vieppiù la guerra fra Genova ed Alessandria. Il Consiglio del Comune di Genova, sentito il parere del Podestà, radunò in Gavi da parte di diverse e lontane terre un esercito di oltre 1200 uomini — ingente per allora — in armi. Fu assoldato il Conte Tommaso di Savoia, e si convenne ch’egli ad ogni richiesta di Genova dovesse partecipale con 200 uomini, ognuno dei quali avesse tre scudieri; e la rimunerazione era così pattuita: 16 Lire al mese per ogni uomo armato, 50 per i Capitani, e per il Conte si convennero 100 lire, doveva però pensare a sostituire i cavalli perduti od ammalati e le armi,. Venuta l'ora del periglio il Conte fu impossibilitato a partecipare, per malattia, mandava tuttavia gli aiuti promessi. In quest'armata genovese militavano, altresì, Lotterengo Mar-tinengo Bresciano, che era stato Podestà di Genova nel 1221, egli era capo liberale, guidava i suoi 50 cavalieri ben armati in ossequio al Comune genovese ; facevano, inoltre, parte dell’esercito : i Conti di Lavagna, i signori ed i Vassalli di Lunigiana, i Conti di Ventimiglia, Ottone ed Enrico Marchesi di del Carretto, e Ottone di Clavesana; di oltre i Giovi erano intervenuti i Marchesi di Ceva, Guglielmo Marchese del Bosco, quei di Garessio, quelli della valle del C1) Annales Gen. V., Ill, Ed. Cit.L p. 7. Teresa Repetto 127 Tanaro, ed altri Marchesi e castellani, i quali avevano in questi anni giurato fedeltà al Comune di Genova. L’elenco dei militi assoldati in quest’anno e nel passato prova quanto fosse grande lo sforzo dei confederali Lombardi contro Genova, che aveva per sola alleata la Città di Asti e dimostra anche la potenza economica di un Comune, che era in grado di tenere ai propri stipendi il Conte Tommaso di Savoia e parecchi Marchesi e Nobili Signori. In Gavi, attorno al Podestà Brancialeone, si trovò radunato il fiore della nobiltà feudale della Liguria e d'una parte del Piemonte. Mentre Pesercito era in Gavi, il Podestà Brancaleone alla richiesta del Comune di Asti, e pei* decreto del Consiglio, mandava in servizio della città alleata e ad offesa dei nemici 300 cavalieri ben muniti, venti balestrieri a cavallo ed altri 100 a piedi. Tutti questi armati restarono al servizio del Comune di Asti per oltre un mese; arsero moltissime costruzioni degl: Alessandrini e danneggiarono i dintorni della città di Allba, facendo molti prigionieri, che consegnarono agli alleati : nel periodo in cui i Genovesi restarono al servizio degli Astigiani questi non furono in nulla danneggiati. Nel frattempo, moriva l’insigne Podestà Brancaleone, ed il di lui segretario Sigencello (l) era eletto per voto unanime a· farne le veci ; finché l’esercito tornato in Genova si fosse eletto il nuovo Podestà. Intanto, mentre gii Alessandrini ed i loro alleati, radunatesi a Serra vali e, stabilivano di non tralasciare l'assedio di Arquata, una parte dell’esercito di Genova andava alla conquista del castello di Montan ario appartenente ai Tortonesi. L’assedio e il combattimento intorno al castello durava 18 giorni, infine i castellani, stretti dal morso dell'oppressione, consegnarono le armi ed il castello ai Genovesi. L’esercito genovese rimaneva a Gavi per 60 giorni, devastando-molti territori di Alessandria e dei Marchesi del Bosco, e, impossessandosi di tutto ciò che poteva essere asportato. Le popolazioni d’altre Appennino danneggiate nei loro possessi pensarono alla vendetta. Nel mese di Ottobre mentre Jacopo Pie camiglio, uno degli otto nobili del Consiglio Genovese, andava a Gavi per pagare i servienti gli Alessandrini ed i loro alleati gli tesero ogni sorta d’insidie. (i) Questo personaggio clie si trova indicato come Podestà di Genova, in due documenti del Sett, e del Novem. di quest’anno, riferiti nel Lib. Jur., I, 765 - 770; è detto «Dimine Danie» e comparisce nell’anno successivo come Podestà di Marsiglia nel trattato tra questa città e il Conte di Savoja, concluso il 18 Nov. 1226 - G. Cibario Stor. della Monar. di Savoja - Torino 1846, p 28. 128 Relazioni tra G-enova e Alessandria nel secolo mii Ma l'avveduto Genovese con alcune persone del seguito, con mirabile oculatezza-, scopersero i nemici in agguato, alcuni dei quali catturati, furono condotti alle carceri di Genova. I nemici quanto mai infuriati per il latto, meditarono la più grande vendetta : incitarono le popolazioni della Riviera da poco e per poco sottomesse a ribellarsi a Genova. I comuni di Savona e di Albenga clie con 1 aiuto di Genova si erano liberati dal dominio marchi oliale nella sostanza se non nelle apparenze e si governavano con propri magistrati, mal tolleravano le convenzioni colle quali Genova li aveva vincolati sotto1 la sua alta supremazia; e i Marchesi e le popolazioni di oltre Appennino, i di cui territori erano finitimi a quelli di Genova, perchè si vedevano anch'essi ridotti in autorità e potenza dalla metropoli della Liguria, profittavano di ogni occasione per ribellarsi e fare ribellare la Riviera di Ponente. La voce che l’imperatore Federico II, sarebbe dalla Puglia passato in Lombardia con forte esercito, a rialzare le sorti del suo partito e a ristabilire la sua autorità nell alta Italia, indusse Albenga e Savona a col legarsi più intimamente di quanto lo fossero contro Genova; e il Marchese Enrico li dei del Garretto che, il suo largo dominio nella Riviera aveva dovuto restringere negli angusti confini del Marchesato di Finale, per la sopraffazione dei Genovesi, ai quali aveva dovuto giurare fedeltà e assumere Poibbligo di prestare servizio in guerra, sebbene già vecchio, eccitava quei due Comuni ad insorgere pronto a secondarli, insieme ai Marchesi del Bosco, Ponzone e Clavesana. (Continua) Teresa Reietto ARTISTI LIGURI CONTEMPORANEI La VI Mostra Sindacale ligure è stata tenuta anche quest’anno in Genova in un luogo angusto, e l’agglomeramento di opere in esso raccolte lia fatto sentire sempre più viva la necessità di una casa delle Belle Arti. Ma con questo non è detto die il numero» di opere pari a quello di quest’anno, significhi meramente un miglioramento di qualità nel panorama regionale che ci è stato offerto dalla Mostra Sindacale Ligure: anzi il peggioramento nel panorama regiona'e in confronto a .quello* dell'anno scorso è significativo, e quasi· dà ragione a quanto siamo andati dicendo in più di un articolo: il voluto ritorno all'umanità, il desiderio di espressione che attinga· solo alla beUezza della figura umana, la costrizione dell’arte in illogici antecedenti programmatici — e i programmi devono sempre seguire le opere — elimina la fantasia, aumenta la retorica, riduce le possibilità. E quest’anno in Liguria, se non fosse per merito di quei pochi artisti che sono i migliori della regione, iben definiti e concreti nelle loro personali caratteristiche, ci i?i troverebbe a mal agio ne1 definire i risultati della Sindacale. Perchè ad ama Sindacale si deve badare con attenzione, con molta attenzione : attraverso le forze regionali prendono vita quelle nazionali, quelle europee, mondiali; ed ecco perchè siamo assai severi indirettamente colla giuria della Mostra, che volle accettare molte, moltissime opere, quando in realtà, di sei sale, quattro ed anche meno sarebbero· state sufficienti per ospitare un sereno panorama regionale. E perchè di moltissimi artisti si sono accettate magari tre opere. in cui anche l’osservatore più ingenuo ha potuto notare delle differenziazioni notevoli, incrinanti la personalità dev’artista, danneggiando non solo il complesso della sua unità, ma dimostrando altresì ama mancanza di sicure direttive nel?accettazione compiuta dalla giuria, della Mostra? Errore quindi Sell’arti sta e colpa della giuria. Per contrapposto e per nostra fortuna, di molti artisti si è notata quest’anno una felicità di getto nel concepimento del l'opera a cui da tempo 11011 eravamo abituati, e di questo ci rallegriamo certi che i giovani su cui abbiamo posto gli occhi non ci tradiranno. 130 Enrico Terracini Nella prima sa]a troviamo opere varie di pittura, scoltura e Bianco e Nero. La pittrice Emma Negro ci presenta un sentilo paesaggio di San Fruttuoso, a cui manca la gelida cristallinità ed il nitore raggiunti da Domenico Guerrello; o se ii Martinengo realizza i paesaggi con la sua solita sobrietà, un giovane, il \ incelli, rientra negli schemi ben noti di Rousseau il Doganiere, con iorse in meno la mancanza di un vero sentimento primitivo. Chiaro e superficiale il paesaggio della Dominici : notasi ancora un Ritratto della Teresa Manzoni, costruito su reminiscenze prettamente Sai iettane. Esaminiamo il valore delle opere di scultura esposte in questa sala. Il monumento del Raimondi non ci sembra per nul1 a risolto. Se pure possiede un senso di monumeutalità, senso personale e non convincente, in quanto il complesso dei volumi della parte inferiore è senza alcun ritmo, quello ohe ci spiace è l'architettura verticale dell’opera che a metà è incrinata da una vera e propria so’uzione di continuità, senza dire che le varie parti del monumento si differenziano senza fusione e le mani per ora 11011 liauno plastica. Certo il viso di questa Maternità è vivo* e poetico con la sua linea ovale perfetta, col suo senso di umanità trasognata, ma assai più plastico e ricco di accenti mediterranei è il Gavroche. Il Micheletti. da qualche tempo 11011 dà più i segni vigorosi di una volta e questa ci spia-ce veramente ; il giovane Furgoni ha una Testa i cui ritmi fisionomici sono espressi con vigore decadentistico. Dello scultore-orafo Maine si ha un sistematico Gruppo marmo. Nel Bianco e Nero, oltre le acqueforti di A. B. Gagliardo, abbiamo notato F incisiva drammaticità del G. I). Medeghini, e^ se la scoltura del Germano Buzzi non è realizzala i suoi due disegni sono pieni di pathos. Del F. Garibaldi si lia un buon monotipo sfumato e colto con saporoso ritmo chiaroscuro e realizzato con spirito moderne. Il Gherehi è notevole, illustrativo e terso i' monotipo del De Oravero, e un poco superficiale la Nene Poggi. Su tutti peraltro eccelle il savonese De Salvo, i cui disegni rivelano un immaginazione ed un sentimento umanissimi, nonché un senso lieve della dolce commozione formale. Ï0 un segno, in certi tratti matissiano, che risolve con sicurezza di tocco la precedente impostazione grafica. * * *- Nella seconda sala la scultrice Renata Cuneo dimostra di avere assimilato femminilmente gli insegnamenti dei maestri del 500, mentre il giovane Gara venta si esprime con una scultura i cui ritmi 'Artisti liguri contempora sei 131 sono un poco evasivi. In pittimi rileviamo olie il Gargani è un poco disegua1 c: e incerto, il Ohiozza privo di luce ed il Bianchi personale e vivo. li giovane pittore Cuneo sta abbandonando gli schemi del Viani. e dà bene a sperare per un’incisiva forza compositiva, e per esprimersi assai sobriamente colla sua rara discrezione di colore. Il Gambetti delude un poco quest’anno per quanto riguarda il Paesaggio, ed è pieno di aspra pittura traslucida nel San Sebastiano, opera forte e concreta. 11 Diomede è incerto e la sua trasfigurazione paesaggistica non convince; il Collina, che presenta un gruppo di opere fra cui i « Marciatori », costruito sui ben noti schemi del pittore russo Deyneka, offre l’esempio di una pittura un poco schematica, quasi rigida, ove il coire non gioca sufficientemente, ma che pure piace per quel suo gelide- senso di rarefatta cristalJinità plastica. Da ricordare il Cesaratto con nn volitivo Ritratto, ed il Cunio- lo che non vuole abbandonare la sua pennellata senza fusione. Il Rodocanachi ha approfondito il colore, ed alla innata piacevolezza ha aggiunto un senso drammatico di una ricerca tonale, assai lodevole in un artista che ha solcato la medesima strada per tanti anni. Nella giovanissima Delpino spiace l’assenza di una personalità ben definita, mentre si nota una stupefacente assimilazione dei diversi insegnamenti. •K- * * Nella terza sala lo scultore Enrico Cannassi si è impostato su effetti realistici-decorativi in ispecie nel Nudo giacente in cui si possono raccogliere residui culturali risalenti al Mestrovk. Il Ser-vettaz in Primavera si dimostra di un’umanità ancora sconosciuta sino ad oggi, ove l’espressione plastica risente solo di qualche elemento un poco primitivo. Ma di questo scultore occorre sopratutto notare la pienezza dei volumi nell’opera Silenzio cavata fuori da una pietra singolarmente dura, il serpentino. Il giovane pittore Bassano ancora non soddisfa nel Paesaggio, mentre là natura morta è tersa e limpida; e il bolari, seppure possiede poca sostanza pittorica nello sviluppo chiaroscurale del Pae saggio, ha un buon Ritratto, ove colore e forma hanno trovato una soda atmosfera, con qualche reminiscenza della pittura francese ottocentesca. Emanuele Kambaldi ha una bella natura morta, ed una preziosa figura di Ragazzo. Certo la pittura del chiavarese è -una pittura concreta e soda, robusta e drammatica, senza abbandoni a convulsi episodi cromatici, e che si apprezzerebbero ancor più se, in certi momenti, la luce divenisse più lieve e raffinata negli elementi chiaroscurali. Il Baili è disegnale e l’Agostani un poco lieve. Enrico Terracini Oscar Saccorotti ci presenta dei 1 ioti aerei e leggiadri, diafani nella superficie, lirici nell’espressione, ove il colore canta veramente con rara concretezza formale; ed un Paesaggio colto con impeto sostanziale, ove la liricità del colore e della- luce non sapranno mai la grafìa della forma. La Figma, invece, ci sembra lieve e mal impostata, senza vigore, in ispecie nella parte inferiore ove la decorazione prevale. Del Luciano Lombardo si apprezza un colore vivo ed ardito •che si sposa cautamente a forme del migliore espressionismo nordico, e la Teresa Gazzo presenta due compiuti Paesaggi. Libero Yerzetti lui un xVudo e due Paesaggi : il Nudo è ben costruito', plasmato nei volumi, vivo attraverso un colore che palpita, i Paesaggi •i seminano inferiori a quelli dell’anno scorso, ove la personalità del pittore era delineata maggiormente. Santo Gatto presenta una curiosa opera in cui il mestiere prevale, e Candido Grosso rammenta inai amente Francesco Meuzio. lutine occorre parlare di Guido (pulìetti, scultore ligure che si esprime con vigore (li forme maschie, senza abbandoni a decadentismi, la cui scoltura meriterebbe miglior lama di quella che le viene -concessa. Nei due Ritratti il Galletti ha realizzato la miglior virtù dello scultore moderno, e cioè una plastica sobria ove la realtà non trasfigurata risponde in pieno' alla poesia della torma. * ** -Λ- Nella quarta sala M. Ciucci è relativamente concreto, ed il Campagna lia una pennellata rada -3 sfuggente, ove l’espressione talvolta è sicura e talvolta dubitosa. Il Picollc è personale nel Paesaggio, mentre nella Composizione rivela più lo studio che il superamento' dell’accademia; peraltro la Composizione gioca sopra un buon sviluppo cromatico, che potrà dare buoni frutti. Il De Salvo, in pittura, non è così sicuro come nel Bianco e Nero. Viene adesso Eso Peluzzi a cui occorre dare tutta la nostra attenzione. Certo oggi questo pittore sta avviandosi sulla strada' della vera grande arte, ed i suoi Paesaggi si distaccano da quelli di tutti gli altri artisti per un realistico senso della terra e della poesia. Se col Saccorotti ci troviamo di fronte alla lirica pura, quivi, col Peluzzi, siamo di. fronte id un canto ;riei o, ad un canto quasi carducciano. Dasta guardare uno dei due Paesaggi, presentati in questa Mostra, per accorgersi come il senso della terra s’aM vasto fino a noi, con quella superficie densa e profonda, in-iinita, ove il color ocra della terra è impreziosito ila cauti, raffinati colori di una vivezza immed’ata. Autisti liguri contemporanei 133 Il Gambetta è privo di colore, e la sua pittura non si esprime se non attraverso elementi superficiali; ed al vivo impressionispio lucente di Or'anelo Grosso si contrappone il gelido Zennari. Dei fratelli Gagliardo rileviamo un buon Nudo, senza luce peraltro ed impastato qua e là fuggevolmente del Salvatore, mentre-Alberto llelios è sostanzia!ment al Montan ella che ci spiace francamente. Il Passera da Caluso, ripete con minor arte, motivi alla Severini od alla Derain. E dello Schiaf-fini e dei Navarrini si rammentano i nomi per una loro coscienziosa pittura. Il De Albertis, il solerte segretario dei Sindacati Liguri Belle Arti, ha due piccoli bronzi. Enrico Terracini Su una lettera mazziniana ad un supposto Garnier Il Luzio ebbe a pubblicare (\) traeadola dagli Atti di Polizia di Genova pei il 1835 'm’interessante lettera inedita del Mazzini ad un Garnier in cui egli ravvisò il Garnier-Pagès, mentre il Paladino (2) che ne vide altra copia a Napoli restituì al corrispondente del M. il nome di Garnier portato dalla, lettera. Su tale documento, non 'sufficientemente lumeggiato sinora, vale la pena che ci soffermiamo. Anzitutto esso- fu ben largamente diffuse dalla polizia badese alle varie polizie d'Europa per il suo valore eccezionale, che tanto maggiore dovevo apparire a chi non sapesse che i nostri governi avevano purtroppo già informazioni ampie e precise sali* organi zza zione mazziniana, provenienti dalle fonti più competenti e sicure. Altra copia nitidissima ne trovai nello stesso Archivio di Stato di Torino tra le carte del Ministro sardo a Berna per il 1883, pervenutagli dai Canton Ticino al quale era stato inviato dalla polizia badese. Essa è accompagnata da una lettera da Carlsruhe del 12 maggio 1833 a .firma Duscìh diretta Aux landamann et Conseil d’Etat du Canton du Tesin ». Quella polijja aveva la quasi certezza che la lettera a firma Strozzi era dovuta ad « un certain Mazzini le même qui a pubblié a Marseille un journal intitulé la- Giovine Italia et qui d’après des reinseigne-memÎs s-urs se trouve dans ce moment dans le Canton du Tesin » ; dinanzi a progetti che miravano all*« établissement insensé d’une propagande politique qui aurait pour but le renversement des Gouvernements existans » considerava della più alta importanza conoscere a fondo « ces ré’ations d'individus qui se déclarent les ennemis de l’ordre social existant » e pregava le Lor Signorie i Lan-damanni etc. del Cantone di assicurarsi del contenuto della corrispondenza mazziniana e di comunicare poi al governo del Baden (1) Ved. Mazzini carbonaro pag. 44S. (2) Veci. Rassegna stor. Risorgimento, X, p 09. A. Bbusa.no 135 i risultaci « pour jeter du jour sur les menées dont il s agit » (1). Nei sappiamo che il Mazzini allora non si trovava- affatto nel Cantone, dove pur aveva 'nel Ciani e nel Grillenzoni un gruppo di fedelissimi che ne desideravano la presenza già dal tempo del convegno di Monte Ceneri. Dinanzi a questa lettera ed alla richiesta de! Baden il ministro sardo a Berna, Vignet, (2) proponeva al suo governo dì accertarsi a mezzo di persone sicure della presenza del Ma/zzini in Canton Ticino per poterne domandare poi Γestradizione od almeno l’espulsione; invece il conte Harrig· governatore civile della Lombardia metteva' in dubbio la cosa poiché i suoi informatori di Lugano e Bellinzona non lo avevano mai avvertito della comparsa di un « tal pericoloso soggetto ». L’equivoco della polizia sul soggiorno del Mazzhii può esser provenuto' dalle voci contradditorie che circolavano e si facevano circolare da ogni parte sulla-presenza del Genovese: non so se non possa esser nata anche daL recente soggiorno nel Cantone, dove era vissuto in intimità col Grill en zoni ed altri devotissimi uno Strotz, oriunde di San Gallo, dagli italiani detto Strozzi, all ievo del Gril len zoni per la matematica, maestro di tedesco e di musica, conoscitore^ oltre che del francese e del tedesco, del latino e del greco, dotato, secondo l’abate Bonardi «di esimi talenti e giovane virtuoso); ossia, per dirla in linguaggio profano, legato coi nostri da comunanza di aspirazioni e di fede. « Io credevo, scrive da Rover edo al nipote Guglielmo, accendendosi a quel nome il Bonardi, che il suo nome fosse tedesco, Strotz, e tu lo scrivi Strozzi; sareub’egli mai originario d’Italia? Filippo Strozzi, il grande, ^ultimo degli italiani, ti ricordi che condannato a morte dai vecchi tiranni di Firenze pronunziò dal palco ferale quel verso di Virgilio : exoriar e aliquis nostris ex ossi-lus ultor. Finora però vane profezie! Re e Papi fan sempre dell*Italia un sepolcro. Saluta lo Strozzi vivente. » (3) Quanto -al nome del corrispondente del Mazzini se non può essere i! Garnier-Pagès, secondo ogni probabilità non è nemmeno Garnier. Mazzini, dice il Dusch nella lettera citata « à été en correspondance depuis plusieurs années avec Garnier, qui d’après toutes les apparences se sera servi de même d’un nom supposé » : il Mazzini stesso parla di una sua lettera sorpresa ad *un giovane tedesco, il quale poi è il destinatario stesso della lettera se l’arrestato di Carlsruhe secondo i dati polizieschi conformi a quelli fittizi del passaporto era un « Joseph Garnier badois natif de Rastatt ». (1 Ho mantenuto l’ortografia originale. (2) Veci. A. S. Torino 1. c. (3) Dalle carte Bonardi e dalla mia biografia del Bonardi di prossima pubbliczione. 136 Su una lettera mazziniana ad un supposto Garnier Questi doveva, essere uno dei tanti studenti tedeschi, affigliati a società segrete di Germania in istretto* rapporto colla, massoneria e Carboneria riformata del Buonarroti, clie si trovavano dovunque »si cospirasse, in Italia, in Svizzera, in Francia. Ili setta era ovvio che i nom i si mutassero; come il Mazzini aveva assunto quello di Strozzi ed il Buonarroti era allora in Parigi il sig. Key mon t, così sotto il nome di Garnier è lecito pensare un altro nome, tedesco, e lo pseudo Garnier ci interessa come uno dei tanti cforrispondenti tedeschi del Mazzini dei quali si sono perdute le corrispondenze e persino i nomi. Questa nostra lettera ha particolare importanza come uno dei primi sforzi del Mazzini per tradurre in realtà anche a mezzo della Germania il suo sogno di una fraterna federazione di popoli. A far sorger la Giovine Germania darà opera Fanno seguente, dopo Fin-successo della spedizione di Savoia ; come risu ta dalla corrispondenza col Melegari al principio del 1834 egli sperava che la Giovine Polonia avrebbe trascinato la Giovine Germania; nelFaprile erano entrambe attive ed il 1 aprile fu firmata da questi e dai rappresentanti della Giovine Italia la circolare anticarbonica e Fatto di fratellanza porta la data del 15 aprile; ma la Giovine Europa era stata intuita assieme alla Giovine Italia nei mesi di prigionia di Savona : il 'Q'iiIto del Mazzini per Roma (ove la vita era eterna e la morte ignota) lo portava ad attendere dalla terza Roma una terza e più vasta unità ohe doveva parlare « non agli individui ma ai popoli una parola di associazione insegnati*ire ai liberi ed eguali della loro missione quaggiù ». Per realizzare questa unità egli rivolge nei 1832 alla Germania appelli appassionati (come que'lo della Giovane Italia alla Germania ed agli uomini liberi) : il corrispondente del M., comunque lo si voglia chiamare, aveva sentito scaldarsi il cuore da queste parole alla nazione tedesca, aveva chiesto al Mazzini i piani della Giovane Italia per riprodurli in altra associazione analoga in terra tedesca promettendo una traduzione tedesca delPappello del Mazzini ed un progetto di risposta a nome della Germania. I)i questi propositi era stato lieto il Mazzini (« toutes ces petites choses profitent a Ja cause de F Association ») ; non gli mandò però gli statuti della Giovane Italia per precauzione, (ignaro che essi fossero già in possesso delle polizie), adducendo il pretesto che per la Germania dovevano esser concepiti diversa-mente; si marciava, sì, verso la fraternità ma essa non era raggiunta; differenti erano ancora i caratteri, passioni, abitudini dei due popoli; era invece essenziale che la giovinezza fornita essa sola di vigore costanza entusiasmo prendesse in mano i destini dell'umanità; che tutte le giovinezze si intendessero da un capo all* a Uro d’Europa per la costituzione di una glande Federazione europea di repubbliche tra loro consociate il più strettamente pos- A. Beusano 137 sibile. Per i diritti della giovinezza egli dichiara guerra come alla vecchia Europa della Santa Alleanza così alle antiche sette che egli, continuandole, apertamente combàtte e nega appunto per la diffidenza che avevano per i giovani ed i continui impacci che ponevano alla loro· azione: «Avevate — egli ben poteva dire — nel 18-32, una gioventù calda ardita impaziente di azione dalla quale potevate, sapendo, trarre una potenza invincibile però che la gioventù è santa; la gioventù ane'a al sagriticio puro e, per premio, una parola di lode. Che avete fatto per essa?.... » Il 29 aprile egli non aveva ancora conoscenza dell’arresto di Carìsruhe, « Le coise germaniche sono intatte, scriveva al Melegari ; Bade, il Wurtember , 1*Assia, la Baviera renana sono ordinate ma il mal esito di Francoforte ha deciso quei paesi ad attendere un segnale che forse prestissimo potrebbe venire dalla Francia ». Nel maggio, quando è aperta e dichiarata la guerra tra Giovane Italia e le vecchie sette, egli è accorato per le accuse di bonapartismo che gli venivano da parte bonarrotiana proprio quando i suoi più cari morivano a Genova, per la repubblica democratica, ma presentiva pure che gii si sarebbe fatto colpa anche della lettera intercettata : « un giovine tedesco arrestato nel ducato di Bade fu cagione che una lettera segnata Strozzi andasse nel’e mani della polizia che la spedì direttamente a Milano. La lettera dava un piano che mi si. era richiesto vii Giovine Germania, spronava e prometteva che PItalia non sarebbe stata sorda alla chiamata; quando mai tu ne udissi parola» (al. Melegari S. E. I. ep. 1. 1. 0.) ; più tardi tra le voci calunniose ricorda anche quella che « tutti gli arresti di Piemonte derivano da una lettera presa indosso ad un giovane tedesco in Germania, come s’io potessi dar mai nomi o indizi di rilievo ad uno straniero)) (id. lett. GII). Tali voci erano certo calunniose. Egli aveva, comunicato la struttura dell’Associazione come modello per una futura Giovane Germania: « il faudrait que ΓAssociation de la. jeunesse Allemande portât le nom de jeune Allemagne; celle de la jeunesse polonaise je suppose s'appellera, jeune Pologne et ainsi de suite » ma non diede nessun nome. Gli esempi che addusse sono tratti dall'Italia meridionale, non solo, come fu detto, perchè la Giovane Italia vi era particolarmente fiorente sì che di lì il Mazzini si attendeva a buon diritto l’inizio dei moti italici, ma anche per quegli stessi motivi prudenziali per cui rifiutò gli staturi della Giovane Italia ad uno straniero per quanto fratello; gli esempi, privi di ogni indicazione di persona erano dati da nomi di località del Regno, lontanissime da quelle dominate dall’elemento germanico di Austria nel Lombardo Veneto, nomi che nulla di speciale potevano dire alle polizie. 138 Su una lettera mazziniana ad un supposto Garnilr * * *- La lettera sequestrata nel Baden fu un richiamo energico a tutte Je polizie per una maggior vigilanza e poco mancò non avesse conseguenze gravi per alcuni fuorusciti piemontesi in Canton Ticino: Francesco Romagnoli ed il Tubi che dopo l'avvento al trono avevano trovato nel loro esiglio ticinese un po’ di quiete. Erano allora ministri sardo ed austriaco a Berna il Vi-gnet ed il Bombel-les che due anni prima si erano occupaci di questi stessi profughi su istanza del Borsa, uomo d’affari (difficile sempre entrare nella coscienza di un uomo d'affari) a cui resterà sempre però il merito di aver promosso, sia pure con intenti personali, il sorgere della tipografia elvetica di Capolago e di aver largamente aiutato i nostri fuorusciti. Avverto subito che le asserite connivenze del Borsa colle autorità austriache per il salvataggio del Massa, del Tubi, del· Romagnoli, hanno bisognò di maggiori dimostrazioni di quelle date recentemente da uno studioso pur singolarmente benemerito di questo periodo, come dimostro altrove (J). A quanto riferisce il Vignet (17 maggio 33), il Bombelles per incarico dello If artig governatore civile della Lombardia (dimentichi entrambi delle antiche premure del Borsa!) segnalava al ministro sardo i piemontesi rifugiati Romagnoli e Tubi come « servant d'une manière très active les intérêts de la propagande liberale » e domandava se non credesse conveniente reclamarne la espulsione dal Cantone sollecitando' presso il Governo del Re « une démarche simultanée a cet effet ». 11 Vignet non vi era però incline; tali fuorusciti avevano tenuto a lungo una condotta tranquilla ; nel novembre del 1831, su raccomandazione delle Autorità cantonali, era stato lor concesso un passaporto provvisorio; in quel momento in cui si voleva staccare le Autorità del Ticino dal «partito del movimento» non era opportuno rivolger loro domande sgradite relativamente a a des individus tout a fait insignifiant » ed il Bombelles aveva in questo senso riferito allo Hartig. Dopo l’informazione avuta sulla possibile presenza in Canton Ticino del Mazzini gli elementi indicati che al ministro sardo apparivano insignificanti di fronte al grande capo delle agitazioni europee potevano diventare pericolosi se fosse avvenuta « ama riunione di liberali attorno ad un capo così abile»; quindi il Vignet, che non era feroce...., nel caso che il Bombelles avesse rinnovato le sue richieste contro i nostri fuorusciti si sarebbe deciso a scrivere alle Autorità per farsi rinviare i passaporti lor dati nel 1831. Per lor fortuna nulla di questo avvenne. Il Mazzini poco dopo fu a Lugano al convegno indetto dal Ciani per prendere accordi i1) R. Caddeo, Le edizioni di C(ipolago, Bompiani, 1934. A. Bers ano 139 sulla spedizione di Savoia: il Romagnoli, il Massa, il Tubi non vi presero parte. Non insignificanti come li disse il Vignet nè tenuti al guinzaglio da affaristi ligi all’Austria, come recentemente si volle, essi servivano la grainde causa comune con fede ardente sì clie l’Austria ne chiedeva l’espulsione, diffondendo in Italia opere da loro edite, specie le grandi pubblicazioni storiche del Sismondi e del Sarpi a quelle storie di Carlo Botta, contrastate nel Cantone da altri fuorusciti per avversione di romantici od antipatie demagogiche, care però sempre in Piemonte ad antichi giacobini e ai nuovi cospiratori, quelle storie che .Andrea 'Vochieri segnalava ai nuovi adepti della Giovine Italia*. A. Bersano SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE DELLA CORSICA (Continuazione - vedi numeri precedenti) CORSO RAFFAELE — Per il folklore della Corsica, in II Folklore Italiano, 1925, (Ann. I), pagg. ^18-ol9. [Invita allo studio del folklore corso, simile all'italiano, notando che è stato studiato solo nella Revue des traditions populaires] DANSE (Une) Historique : La Moresca, in Revue de la Corse, 192ß, (XIV). pagg 143-149. ERRERA CARLO I Corsi e la Corsica alla fine del sec. XV (da due epistole di Antonio Fiani in Archiv. Stor. Italiano (1891), Serie V, Tom. VII, pagg. 390-400 [Costume del popolo corso]. [FERRACCI — L’affaiire de Ventiiegni, in Revue de la Corse, 1923, (IV), pagg. 148-149. [Traduzione riferentesi alle incursioni saracene]. FILIPPI JULIE — Contes de l’île de Corse, in Rèvue des traditions populaires. Paris, 1906, pagg. 399-400; pagg. 456-462. FILIPPI JULIE — Coutumes et Croyances de la Corse, in Revue des Traditions populaires, Paris, 1907, pagg. 202. ΙΊΙΊΡΡΙ JULIE — La légende du prête qui vient dire la messe à minuit en Corse, (VII) in Revue des Traditions populaires. Paris, 1907, pagg.. 15-16. FILIPPI I. M. — Recueil de sentences et dictons usités en Corse avec traduction et lexique par I. M. Filippi. Paris, Bonchy et C.ia, 1906, 16.o, pagg. 43. FOLK-LONGS — (The) of Itaiy — Speciraëns, with translations and notes, from coch province: and prefatory treatise by Miss. R. H. Busk, author of «The Folklore of Rome»... The specimens of the canzuni and ciuri of Sicily have been selected... by Dr. Giuseppe Pitré. London, Swan Sonnenschein (Lowrey av Co) 1887, 16.0, pag. VIII, 290. GHAN'AL EDOUARD — Voyages en Corse, descriptions, récits, légendes par Edouard Ghanal. Paris, Gedalge, 1889, 8° gr. [Descrizioni fedeli, leggende atte a rischiarare il carattere nazionale]. MALASPINA AMBROGIO — La Biscia meurtière et les ruines dOstriconi, in Revue de la Corse, 1920, . (I) pagg. 135-137. MATTEI ANTOINE — Prcvej/bi, detti e massime corse. Proverbes, Locutions, et Maximes de la Corse, Précédés d'uue étude sur le dialecte de cette. Ile adressé à S. A. I. le princes Louis-Lucien Bonaparte, par le Docteur.... Paris, Maisonneuve et C.ie, Libr. Ed. Sceaux* Tip. E. Depée 1867, 16% pagg. XXXI - 180. •Renato Giardelli 141 NATALI .T. B. Les jours prêtés, in Revue de la Corse, 1923, IV, pagg. *25-30. [Leggende] ORTOLLI JËAN BAPTISTE FRÉDÉRIC — Croyances populaires de la Corse, in La Tradition, Ann. I, (1887), n. 2, pagg·. 4-1-50. (Paris, Mai) 8°. [Streghe, stregonerie, malocchio] ORTOLI JEAN BAPTISTE FRÉDÉRIC — Les Contes populaires de l’île de Corse par J. B. Frédéric Ortoli. Paris, Maison neuve et C.ie, Ed. Rouen, Cagnard, 1883, 16®, pagg. VII-379. «Les Lettérature populaires. Tom, XVI. ORTOLI JEAN BAPTISTE FRÉDÉRIC — Scenes de Carnaval. Ile de Corse, in Revue des traditions populaires. Anno I, (188G) n. 3, pagg. 75-80. ORTOLI ANTONINE LUCIEN — Un conteur corse, ân Revue des Traditions populaires, Anno I, (1886) n. 8-, pagg. 221-224. PER un poverbio : A gola forte a Tunisi, in II Folklore Italiano, Napoli, I>ic. 1925. PINELLI ADOLPHE — Une légende corse, précédée d’un aper'-u sur le régime féodale et les moeurs de ce pays. Ajaccio, Impr. Pompeiani, 1878, 16°. ROCCA PIERRE — Pruverbj, Massime e Detti Corsi Ajacciu, «A Muvra» 1921, 16°, pagg. 28· SALVADORI JEAN MARE — L’âme corse: Contes, Légendes et vieux dictons de ’île de beauté. Avignon, Aubanel Fr. (192-.3)), 12', pagg. 116. Ree. Revue de la Corse, 1926, pagg. 204-205. [Vi è anche l’inno «Dio vi salvi Regina» e quello «Ajò tutti fratelli ch’è l’ora d'ernià schioppi» del XVIII see.] SALVADORI JEAN MARC. — Quandu era vivu (Vieux dictons), in Revue de la Corse, 1927. STRAFFORELLO GUSTAVO — Il male che i proverbi han detto delle donne, in La Civiltà Italiana, Ann. I, n. 3, pagg. 46-47, Firenze, 15 Gennaio, 1865. [Riferisce alcuni proverai corsi] TONELLI FILIPPO — Veglia di famiglia : Ricordi di Corsica, in Secolo, Milano 1888, (Anno XXIII) n. 8162, 24-25 Dicembre. ZEVAC D. A. — Le lac de la fée: Légende corse, in Revue de traditions populaires, Tom. V, (Ann, λ'), η. 11, pagg. 692-693, Paris 15 Novembre 1890. Biografìe Generali ANNUAIRE Général des Corses rédigé par M. Jean Doria. Paris, chez l’auteur (1925) 8·, pagg. 43. Ree. Revue de la Corse, 1926, (VII) pag. 4i. BOREL D HATJTEllIVE — Histoire de la noblesse de Corse, in Annuaire (L’) de la Noblesse de Corse. Paris 1849. BOREL D’HAUTERIVE (André) — Notice historique sur la noblesse de Corse et la maison Bonaparte, in Revue historique de lu noblesse. (1841, I pagg. 195-214; pagg. 343-48. COLONNA DE CESARI ROCCA (Raoul) — Sources du nobilaire de l’île de Corse, documents ■officiels in Annuaire héraldique de la France, 1892, V, pagg. 130-138 COLONNA DF. CESARI ROCCA — Armorial Corse. Paris, Jouve, 1S92, 16e, XXXVI, pagg. 80. [La prima importante opera di araldica corsica moderna; tentativo audace di cui i moderni studi hanno precisato particolari e quindi da consultarsi prudentemente, ma sempre importante] · 142 Saggio di una Bibliografia generale sulla Corsica DIONISIO (P.) Genovese — Biblioteca Scriptorum Ordinis Minorum S. Fraucisci, Cappuccinorum a Dionisio Genuensi euisdem instituti concionatore contesta. Genuae, Ex typographia Johannis Baptistae Scionici, 1691, HERMITF (L’) DE SOULIERS - J. B. Ï)IT TRISTAN) — L’Italie française ou les eloges généalogiques et historiques des princes, seigneurs et grands capitaines de ce pays, affec-tionez à la couronne de France, ensemble leurs armes gravées et blasonnées. Paris, Sébastian Martin, 1664, 4°. HERMITE (L*) DE SOULIERS DIT TRISTAN — La Ligurie française contenant les eloges et les généalogies des Princes, Seigneurs et Grands personnages issu de Testât de Gênes lequels ont esté affectionnés à la couronne de France ensemble leurs armes.... par Messer Jean Baptiste l’IIermite de Souliers, Aarles, François Mesnier, 1648-1657. \ HERMITE (L’) DE SOULIERS -- Les Corses français, in Bull. Soc. Hist. Corse, 1881, (I), 2, 3, 4, 5. OLDOINO AUGUSTINO — Atenaeum Ligusticum seu Syllabus Scriptorum Ligurum nec non Sarzanienisium ac Giruensium Reipublicae Genuensis subditorum ab Agostino Oldoino S. I. Perusiae, Tip. Vescovile, 1680. Cristoforo Colombo CAPIFALI PIERRE — Christophe Colomb Corse et Français, in Revue de la Cors1922, (III), pagg. 114-125* CASABIAXCA (ABBÉ) — Le berceau de Christophe Colornb et la Corse, in Revue du Monde Catholique, 1889, 1 juillet, pag. 51. « CAS ABI ANC A — Le -oerceau de Christophe Colomb devant l’institut de France. Paris, 1890. CASANOVA DE PIOGGIOLA (ÀBBÉ MARTIN) — La vérité sur l’origine et la patrie de Christophe Colomb Bastia, 1980, 8°; Bastia, Ollagnier, 1881, 16*, pag. 167. Rec. Harisse in Revue Critique d’histoire et de littérature, 1883, I, pag* 487. [Afferma per primo l’origine calvese di Colombo] COLONNA DE CESARI ROCCA — La véritable origine de Christophe Colomb, in Revue de la Corse, 1922, (III), pagg. 1*14. COLONNA DE CEjSARI ROCCA — Fernand Colomb et les Histoire, in Revue de la Corse, 1922, (IIÏ), pagg. 78-81. CORBANI PAUL — Christophe Colomb,. Corse: Histoires patriotiques Nouvelles et Contes. Paris, Libr. Artistique et Littéraire, 1888, 8e, pagg. XXIII - 281. CRISTOFORO COLOMBO fu di origine corsa? in Marzocco, 16 Ott. 1921. [Rec. in Revue hebdomadaire di Pierre Capifali a proposito di un libro sull'argomento] DE SIMONI CORNELIO — Cristoforo Colombo è egli nato in Calvi di Coreica, in Giornale Licuetico di Archeologia e Storia, 1S77, IV, pagg. 23-31. DE SIMON! — Colombo e la Corsica, in Giornale Ligustico, 1889, (XVI), pagg. 470-475. Genova, 1889, 8°. GRAZIANI — Christophe Colomb et la Corse, in Revue de la Corse, 1922, (III; pagg. 40-49. li ΕΝ ΑΤΌ GIARDELLI 143 BARRISSE HENRY — Christophe Colomb et la Corse: Observations sur un décret récent du gouvernement français. Paris, Leroux Ed. (Le Puy Murchéssous) (1883, 8% pagg. 10. [Confuta Casanova] HA11RISSE HEN’RY (SEJUS) — L’origine de Christophe Colomb par Sejus. foi Giornale Ligustico, XIII, pag. 289. Rec. in Revue historique, XXIX, pag. 310; in Reçue Critique d’histoire et littérature, Ann. 1385 vol 2, pag. 431. HARISSE HENRY — Christophe Colomb, les Corses et le gouvernement français. 1) Mémoire lue à l’Académie des Inscriptions et Belles Lettres le 14 Février 1890. 2) Recens, in Giornale Ligustico XVII, 18S9 p. 240, e in Revue Critique d'histoire et littérature, 1890, 1, pag. 178, I. PERETTI — Juicio critico de la obra «Christophe Colomb» Français, Corse et Calvais par l'abbé I. P., in Revue des Questions Srientiphiques. Bruxelles, Ann. XIII, (1889). LIVI G. — Cristoforo Colombo è Corso?, in Illustrazione Italiana 1890. (XVII), n, 13. PATRIA (La) corsa de Cristobai Colon, in EI Archivo Rivista de Cicncias historicas, 1891, (V), li. 2. PERETTI J. — Christophe Colomb, Français, Corse et Calvais. 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COLLECTANEA Napoleonica being a Catalogue of the Collection of Autographs, Historical Documents, Broadsides, Caricatures Drawings Majs Music, Portraits, Naval an-J Military Costumes Plates, Battle Scenes, Views, relating to Napoleon I and his times 1769-1821, formed by Broadley. London, Darnell, 190i, S°, pagg. 166. COLONNA DE CESARI ROCCA — Le nid de l’aigle: Napoléon, sa patrie, son foyer, la race, d’après des documents inédits. Paris, Librerie Universelle, Jouve Impr. 1:»05, 16°, pagg. 314. [Studio sull’ambiente e la famiglia cîi Napoleone;, confuta Masson: notizie che non si trovano altrove] COLONNA DE CESARI ROCCA — Sui Bonaparte prima di Napoleone. Parigi, 1899, 8°, [Opera 'buena] DÉPREZ — Les origines républicaines de Bonaparte : Le mémoire du Capitaine d’artillerie Napoléon sur !a Corse. 1793, in Revue historique, 1S08, (XCVII), pagg. SlC-'^'ß. DES ARMOISES — Avant la gloire: Napoléon enfant: Napoléon et ses compatriotes. Paris, L.br. illustrée, 1898, 18°. 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NASICA — Mémoires sur l’enfance et la jeunesse de Napoléeon jusqu* à l'âge de ving-trois ans: précédés d’une notice historique sur son père dédiés à Son A. L le Prince président. Paris, Ledoyen, 1852, 8°. Rec. in Le Spectateur militaire, 1852, NORWOOD JOVN’G — The growth of Napoléon. New York. Dutton a C. 1910. [Notizie sulla famiglia, la puerizia e il periodo in cui visse in Corsica]. Ree. Rivista Storica, Sez. IV, 1911, Ann. 28, pàgg. 478-179. ORDIONI — Napoléon Bonaparte et !e Code C;vil, in He vite de la Corse, 1923, (Ann IV), pagg. 97-100. PATRIOTISME (Le) corse du lieutenant Napoléon Bonaparte, 1785 1789, in Cosmopolis, 1898, Vol. 9-10. PETRA (De) — Le origini di Napoleone. Memoria. Napoli, Tessitore, 1903. 4°, pagg. 30. PÏCHEVIN — Bibliographie Napoléouiénne in L'Intermédiaire des Chercheurs et corieux. Paris, 190G, 1C Ott. col 533; 20 Ott. col 597. RAJNA — L’etimologia e la storia arcaica del nome Napoleone, in Archiv. Stor. 1991 (Tom. VII), pagg. 89-116. 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Gioachino Volpò comprende una cospicua raccolta di relazioni diplomatiche di ambasciatori italiani sulle corti estere in un momento particolarmente grave e importante della storia europea, quando ii rapporto e l’equilibrio tra g!i stati mutò profondamente per l'intervento inglese nel Mediterraneo, il decadere della Spagna e il sorgere del conflitto austro-borbonico al posto del precedente contrasto fraiioo-asburgo. Qual’è l’atteggiamento degli Stati italiani in quella situazione storica, quale il loro reagire al mutare delle preesistenti condizioni, quale la difesa dei loro interessi e la visione delle necessità future? Λ queste domande cerca di rispondere Carlo Morandi interrogando e facendo parlare i rappresentanti di quegli Stati, i diplomatici osservatori delle corti estere e delle loro- azioni e relatori ai propri governi di quanto hanno visto ed operato : e le relazioni sono poi integralmente riportale. Quattro ambasciatori sabaudi, due veneti, cinque genovesi e-spougono così tra il 1693 e il 1713, nel periodo cioè che immediatamente precede e accompagna tutta la durata della guerra di successione Spagnola, quanto hanno visto e osservato. Colpisce subito it fatto . he il maggior numero di quelle relazioni appartiene a diplomatici genovesi; coni’è naturale, c’è già in questo fatto della scelta un giudizio di merito perchè l'editore ha pubblicato non tutte le relazioni vedute nel corso delle sue ricerche ma quelle che gli sono apparse per diversi motivi più notevoli. E tanto più il fatto appare importante in quanto il Morandi è notoriamente studioso serio, indagatore paziente e acuto ricostruttore, di particolare riconosciuta competenza nel periodo storie» al quale le relazioni si riferiscono. Durante le sue ricerche, egli ha detto, 148 Rassegna 1 Uuliografica i documenti genovesi spino quelli che gli hanno dato le maggiori soddisfazioni. Ma la soddisfazione non è soltanto sua. l-Tno dei luoghi comuni più diffusi e più radicati tra gli studiosi in genere e, quel che è più caratteristico, tra i genovesi in ispecie, è la sva’utazione del governo di Genova dei secoli XVII e XVIli, ritenuto apatico, inerte incapace, spesso anche vile per dimore <> per incuria. Ebbene, la storia genovese di quei due secoli ha diritto a un esame più oggettivo, più approfondito ed equanime, fuori dalle frasi fatte e dai giudici convenzionali ripetuti per abitudine e per un puntiglio che vuol essere spregiudicato ed è soltanto caparbio. Non che debbano venirne, si comprende, meravigliosi capovolgimenti o affermazioni di eroici atteggiamenti o di corruschi bagliori. Genova era un piccolo Stato, anche se orni cospicui interessi mercantili e finanziari, pressato e minacciato dai grandi Stati vicini ; ma. non è giusto che la realtà sia presentata anche più umile e dimessa di quanto sia stata. Il recente studio di Annibaie IJozzola sulle conseguenze della capitolazione del 1T4G; la dimostrazione testé ribadita dal Pandiani e che nessuna chiacchiera petulante e pretensiosa vale a smantellare, sull’atteggiamento della nobiltà di governo nelle giornate del glorioso dicembre, il volume del Nurra sulla neutralità della repubblica tra il 1792 e il 96, anche se dovute a quelle che taluno chiama con signorile eleganza la genìa degli spulciatoli di archivio, sono acquisizioni per la verità storica e scientifica che valgono ben più dei fuochi d’artificio verbali, dei funambolismi dialettici, delle vanitose chiacchiere da salotto. Quando or non è molto la Società Ligure di Storia Patria pubblicò un elenco dei diplomatici genovesi e celle loro corrispondenze e relazioni, un cultore appassionato e scrittore geniale e vivace di storia ligure ebbe a dice che non ne valeva la pena perchè quei diplomatici sono privi di importanza. S’ingannava e ripeteva, forse inconsciamente, un luogo comune; e questo in uno spirito vivo e acuto rincresce. A confermarne invece il valore viene ora il lavoro del Morandi : e speriamo che non sia detto- anche lui un foresto che si occupa di affari che non lo riguardano. Delie cinque relazioni ch’egli pubblica e commenta, due si riferiscono alla Spagina (di Francesco De Mari e Ambrogio Imperiale, 1693 e ΓΓ01), una alla Francia (di Negrone Rivarola, 1705), una all’Inghilterra (di Giovanni Antonio Giustiniani, ÌG98) ; nell’ultima o più importante di tut*x\ Benedetto Male riferisce sulla sua duplice missione in Inghilterra e in Olanda tra il 1707 e il 1710. Già in uno studio precedente, nella- Rivista Storica Italiana (a. 1933, pag. G26) il Morandi aveva scritto: <· 1 diplomatici genovesi furono tra gli osservatori contemporanei quelli che meglio Hasseg λα Bibliografica 14g videro e seguirono il gioco (lei contrasti tra Londra e l’Aja. T'n por perche inclinati e avvezzi a· scorgere l’aspetto economico di un movimento politico, a vagliarne i motivi di rivalità e di concorrenza commerciale e politica, un po’ perchè la stessa repubblica di Genova era direttamente interessata ag'i spostamenti dell’equi li brio mediterraneo ». bell’introduzione del nuovo volume questi concetti sono illustrati e ampiamente documentati con Pesame intrinseco delle relazioni, poi integralmente riferite. La rapida marcia inglese col suo intervento nel Mediterraneo e la crisi spagnuola compromettono l’avvenire di Genova. Perciò le mete deUa diplomazia della repubblica sono sopratutto Madrid e Londra. Là si trattava di difendere interessi e privilegi pubblici e privati acquisiti da secoli, qui di bilanciare e neutraliizzare l’influenza della po’itida piemontese più abile e pronta. È un altro lato del costante duello tra i due Stati vicini. Indubbiamente più forte, anche nel rispetto diplomatico, il sabaude» che ha per sè e rappresenta l’avvenire; ma Genova non si accascia inerte, tenta* di reagire, non vuole essere considerata come entità trascurabile o soltanto pedina nel gioco altrui della politica italiana e mediterranea. Mentre la diplomazia sabauda è mossa da intenti preva lente-niente politici, nella genovese predomina la finalità economica; ma finisce anch’essa con l’adempiere una funzione squisitamente politica e col dover scendere sul comune terreno della lotta·. « Anzi è proprio la ragione economica che la costringe in un conflitto europeo dove sono 111 gioco non solo livaiità dinastiche, ma forze eco nomiche e mire di predominio commerciale, colonia1«, finanziario, ad affinare le proprie armi politiche, ari unire dalla ristretta sfera dei rapporti consueti, a far udire 'a propria voce in difesa di un ordine di cose minacciato dal rapido incalzare degli avvenimenti, dalla crisi della monarchia di Spagna, daPo stabilirsi dell’Inghilterra nel Mediterraneo, dalle aspirazioni snnaude sostenute e rese minacciose dall’aiuto britannico». In questo sforzo, conchiude Carlo Morandi, la diplomazia ligure si rinnova, e progredisce nella quantità, e nella qualità dei suoi uomini, fi vero che 11031 giungerà a costituire un organismo saldo, duraturo, pieno d'avvenire come quello.sabaudo, ma la ripresa e il miglioramento delPattivHà intemazionale di Genova in quel momento è un fatto, anche se transitorio, evidente e innegabile. Ma uno Stato che ha una diplomazia abile e attiva e nutre disegni di vigorosa ripresa non è del tutto ignaro e decrepito. Lìe-vandosi dalPindagine documentaria a visioni di largo respiro, inserendo la vita e la storia di Genova nel pieno del gioco internazionale, lo studio del Morandi c,i permette una conclusione e conioria una persuasione. I governanti e gli uomini politici della Genova ISO Rassegna Bibliografica settecentesca non erano dunque tutti e soltanto quell’accolta di' mummie o di ridicoli fantocci che qualcuno ha voluto rappresentare. Non tanto pietosamente debole e vilmente gretta la repubblica se con la> sua ripresa mercantile e finanziaria riuscì a infastidire se non a preoccupare la. potenza inglese; come poco prima con la rinnovata attività orientale aveva irritato il Ite Sole sino a indurlo a quel prepotente bombardamento che taluno, liero e geloso difensore delle tradizioni, ma storico di sbadate amnesie, ha addi ri tura attribuito a Luigi XV « ne'la prima metà del Settecento e in piena decadenze della repubblica oligarchica »! Vito Vitale D. Guglielmo Salve, L’«Operari·ι$ » del Porto < del Molo di Genova. Architetto o amministratore?, Genova, Fratelli Pagano, s. d. (ma 1934), pp. 31. Che il vocabolo operarius non indichi architetto, artifice, costruttore insomnia, ma abbia un valore e un significato amministrativo mi sembra che il P. Salvi abbia, pienamente dimostrato. l>li argomenti sono storici, giuridici, linguistici; il Salvi, che è un appassionato ricercatore di documenti, ne ha studiati e raccolti in buon numero ed effettivamente non mi pare possa cader dubbio sul significato medievale delle espressioni opera e operarius. Chi ha pratica di atti notarili del medio evo sa, per esempio, come nei testaménti si indichino sempre numerosi legati alle opere «Ielle chiese ; se il testatore è facoltoso le chiese nominate sono molte, tutte o quasi quelle del luogo ove il testamento è redatto, e non è supponibile che tutte quel'e chiese, come dice giustamente il Sai-· vi, fossero sempre in costruzione, anzi molte volte risulta proprio il contrario. L’espressione significa perciò amministrazione o, con termine moderno, fabbriceria. Pall’o/;era i! significato si estende naturalmente alVolperàrin* e che questo termirie debba esser preso nel valore di amministratore può essere confermato dal fatto che ancora oggi, massime in Toscana, gli economi di istituzioni, collegi, opere pie e simili sono chiamati operai. Stabilito il valore generale dell'espressione, il P. Salvi ne ricava la conclusione cht< Frate ollverio, optìariux del Palazzo di San Giorgio e Fraie Filippo e Marino Loccanegra del porto e del molo non siano stati architetti, costruttori, artefici ma amministratori che dovevano curare ?a conservazione o anche i lavori necessari a quelle opere. Qui l’interpretazione urta contro una inveterata tradizione erudita; ma se si ammette hi premessa — e mi pare non possa esservi dubbio in proposito perchè gli argomenti documentati e linguistici sono in favore dell’identificazione dell opera ilassegχλ Bibliografica 151 rhis con Inumili lustratore — bisoguia accettare anche la conseguenza, tanto pin che nessun argomento probatorio e documentario attesta che Frate Oliverio, Frate Filippo e Marino Boccanegra fossero architetti e costruttori nò la famosa lapide del Palazzo di S. Giorgio porta necessariamente alla interpretazione tradizionale. Non sarà del resto il primo caso nel quale una notizia o tradizione generalmente accolta appaia suscettibile di revisione e, anche se possa dolere di abbandonare opinioni radicate, 11011 fa torto aa alcuno accogliere le nuove conclusioni e dimostrazioni se appaiano ragionate e fondate, ispirate sopra tutto e so’tanto all’amore e alla ricerca della verità. Questo vogliamo credere sia stato l’intento del P. Salvi nella sua ricerca che è interessante ed acuta; sia lecito dire tuttavia che sarebbe stato proferibile, per la stessa efficacia e persuasione delle sue conclusioni, egli 11011 avesse dato costantemente impressione di combattere contro qualcuno e di investire chi prima di lui ha sostenuto interpretazioni e tesi diverse; anche chi concorda nelle sue conclusioni trova /eccessivo quei costante atteggiamento del polemista che sembra perpetua niante qwwrens quem devoret. Vito Vitata Giuseite Agnelli, La battaglia al ponte di Lodi e la settimana lodi gi, e il precedente e il seguente risonanti delle grandi imprese militari, il passaggio del Po e la battaglia al ponte dell’Adda, il contrasto è rilevante. Meglio i due elementi si fondono nei capitoli successivi che seguono giorno per giorno la settimana lodigiana· e recano luce di interessanti particolari sulla vita dell’esercito e della città in quei giorni, sulle violenti contribuzioni e le audaci rapine da un lato e i tentativi di resistenza dall’aTtro che mettono capo alle insurrezioni del basso lodigia-no e di Pavia. L’autore è tratto a porre Lodi al centro degli avvenimenti ed è naturale; del resto è anche vero che la battaglia dell’Adda ha dato al Bonaparte intera la visione che la coscienza dell’opera propria e della propria fortuna e la sicurezza del suo atteggiamento d'indipendenza di fronte al Direttorio. Questo momento d’importanza» capitale nella vita napoleonica è qui minutamente narrato con larghezza d’indagini e con abbondanza persino pletorica di notizie e di particolari. Libro serio a ogni modo e coscienzioso, spesso interessante e divertente, composto con. fervido amore all’argomento e nel quale sarebbe pedanteria rilevare alcune in esattezze. Per restare nel nostro campo in un eventuale seconda edizione, l’autore vorrà rivedere sulla luce di più recenti studi quanto dicie a proposito della repubblica di Genova (pag. 26) e correggere il nome del famigerato Saliceti che era· Cristoforo o piuttosto Antonio Cristo-foro, non Tommaso. Ma Genova ha fatto ben di peggio, gli ha dedicato una strada addirittura! E in recenti opere di grande pretesa, che di Genova- si occupano di proposito con disinvolte affermazioni bibji.ografiohe, ci sarebbero ben altre mende che queste da rilevare. Vito Vitale APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA Studi e scritti su G. Mazzini pubblicati all* estero A. P. Rimoldi, Giuseppe Mazzini, (Γ. Cavour, G. Garibaldi, Vittorio Emanuele H G Manin in «Giornale d’Italia», Sidney, 21 novembre 1934. E’ la continuazione del saggio già segnalato. --> Mozzini, in « Tribuna italiana », Detroit Michigan, 18 gennaio 1935. Succinta rievocazione della figura di G. Mazzini. --) Profelia Lui Mazzini, in « Universul », Bucarest, 25 gennaio 1935. L’effemeride rumena ripubblica, commentandolo, un pensiero di Mazzini sulla funzione storica delJa Romania. Renée de Saussine, Le nouveau musée du Risorgimento a Gênes la Superbe in « Le Figaro illustré » Parigi, gennaio 1935. IVa. illustra la nuova sistemazione del Museo dei Risorgimento di Genova nell’istituto Mazziniano e conclude : « A Gênes devait naître celui qui du souffle » animatore dello glorie antiche « ferait le braiser de l’indépendance Italienne: Giuseppe " Mazzini. O’est sa maison, située dans imo des rues principales de Gênes: la via I.omellini, que M. Mussolini a souhaité comme Musée du Risorgimento, comme emblème de tous les actes d’héroïsme, souvent étroitement unis à 1 Histoire de France, qui se sont déroulés à Gênes au cours des siècles derniers. L’on ne saurait assez louer le professeur Codignola, directeur du musée, pour la sobriété et ïe sens artistiques de cette rétrospective ». L’articolo fu in parte ripubblicato dal «Messaggero» di Roma dei 4 febbraio e dal «Secolo XIX/> di' Genova del 5 febbraio e dalla «Rassegna storica del Risorgimento» di Roma del marzo 1935. —: > H pensiero di Giuseppi». Mazzini, in 0 II Giornale d’Oriente », Alessandria d’Egitto, 21 febbraio 1935. Ampio resoconto di una conferenza tenuta dal prof, Seiaky il 20 febbraio ad Alessandra d’Egitto sul «Pensiero politico italiano dal Risorgimento al Fascismo», con particolare riferimento alla dottrina dei Mazzini. F. Gentili di Giuseppe, Lettere inedite \del Mazzini in francese, in «Dante», Parigi, febbraio 1935. Il G. fa precedere un breve commento a tre documenti mazziniani inediti che rende noti : una pagina risalente rii tempi della «tempesta del dubbio», di eccezionale importanza ; due lettere al Kemble del 10 giugno 183S e del 6 luglio 1841, riferentisi ad un suo articolo sul Lamartine, ad altro sul Carlyle e alla nuova edizione della Divina Commedia illustrata, dal Foscolo. 154 Biblioo rafia M a zzi nia n a la pubblicazione è ^tata segnalata dalla «Sora» di Milano del C marzo; dal «Popolo «li Trieste» del marzo; dal «Lavoro* di Genova, dall*«Agenzia Letterario Artistica» di Roma; dal «Popolo di Brescia»; da «La Tribuna» di Roma e da «Il Matt no» di Napoli dell S marzo; da «Il popolo di Lunigiana» de La Spezia del 10 marzo; da «La Forgia» di Napoli del marzo 1935. __j Giuseppe Mazzini fondatore di civiltà, in «Voce d’Italia», Lima, 7 marzo 1935. Articolo commemorativo nell*anniversario della morte. Anche nel «Giornale d Italia» dì Buenos Aires del 10 marzo si commemora l’Apostolo. --, Lettere inedite di Mazzini in francese, in « Il Giornale d’Oriente », Ales·? sandria d’Egitto, 14 marzo 1955 Si dà l’annuncio delle lettere pubblicate dal Gentili, già segnalate. --, For Seniti ar Siden, in « At'tentospoten », Stoccolma, Oslo, 30 marzo 1935. Nota commemorativa neiranniversario della morte dell’Apostolo ---, La fondazione dell'istituto Mazziniano a Genova, in « O Balilla», Buenos Aires, marzo-aprile 1935. Si ripubblica in parte la monografia di A, Codigliela : L'istituto mazziniano, facendola seguire dal seguente invito : « Non dimenticate, o genovesi ed italiani che scendete a Genova per recarvi in Italia, di visitare l’istituto Mazziniano di cui il governo di Roma ha voluto dotare la nostra città ad esaltazione del suo più grande figlio, ad edificazione e monito ai nostri contempoianei e posteli acciocché non perdano il culto »Ielle patrie memorie » Benvenuto Cellini, Il comitato mazziniano a Malta, m «Malta», Malta 3 maggio 1935. II C. usufruendo di numerose particolari ricerche compiute in questi ultimi' anni ncos ruisc l’attività del comitato italiano di Malta e l’opera in esso svolta da ben noti mazziniani. Opere e scritti su G. Mazzini pubblicati in Italia Giuseppe Mazzini, Scritti editi ed inediti, voli. LXV, LXVI. Si continua la pubblicazione degli scritti dell’Apostolo, curati dalla R.a Commissione per l’edizione nazionale. Questi due volumi che si riferiscono ad anni tanto agitati e gloriosi (1859-1800) sono <1 un’importanza eccezionale. lì primo, 38.0 dell’epistolario, contiene le letztere dettate dal agosto al dicembre 1859; il secondo, 23.o -lai Scritti politici contiene quarantuno articoli dettati dal 24 febbraio 18G0 al 15 gennaio 1801. Un’ampia recensione dei due volumi è stata fatta da F. E. Morando nel «Conifere Λ er cantile* di Genova del fi e 21 febbraio 1935. Renato Soriga, Una lettera di Giuseppe Mazzini ai « dissidenti » lombardi dei 1853 in «Bollettino della Società pavese di storia patria», fase. I-IV, 1934· Il S, con la sagacia che lo distingue, commenta — rendendola nota — una lettera inedita del Mazzini ad uno dei più noti inodorati appartenenti al gruppo del «Crepuscolo», Attilio de Luigi, risalente al 26 aprile 1853. In questa sua vibrantissima difesa l’Apostolo con accorato accento riassume le cause deil’insuccesso della sommossa del 0 febbraio 18.)3, ponendo sotto accusa, a sua volta, gli scismatici del così detto gruppo dei fusionisti. Bibliografia Mazziniana 155 IvEGbo Scgdro, Mazzini, (sintesi spirituale), Treviso, Tip. Crivellar!, 1935. L· lo scritto di un giovane entusiasta, sorretto da un lirismo, lontano però da ogni interpretazione critica. La monografia i> stata recensita da « Il Gazzettino » di Venezia del 20 febbraio e dal « Corriere padano » di Ferrara del il marzo 1935. » LniGi Salvatorelli, Il pensiero politico italiano dal 1700 al· 1870, Torino, Einaudi, 1935. AjI Mazzoni è dedicato il cap. Vi Studio acuto e sagace. Alfonso Abruzzese, I primi rapporli tra Mazzini c Manin, in « Ateneo Veneto », Venezia, febbraio 1935. L’A., col sussidio di documenti conservati ueli’archivio del Museo Correr, riprende in esame i rapporti interporsi fra il Mazzini, il Manin ed il Tommaseo nil 1848, correggendo non poch*» affermazioni degli studiosi che si sono occupati sino ad ora dell’argoment o. Ersilio Michel, Giuseppe Mazzini a Livorno, in «Liburni Civitas», Livorno, fase. Ili, 1935. Su nuovi documenti tratti dagli archivi di Scato e civico, di Firenze e Livorno, e da diari dello Scarpellini e del Vivo'.i, lo. brevi apparizioni fatte dall'Apostolo nelia città toscana negli anni 1830, 1849, 1871, sono rievocate, accrescendo le notizie già conosciute sull’argomento. Guido Mazzoni, Un documento fiazziniano per la federazione delVItalia, in « Archivio storico italiano », Firenze, vol. XXII, disp. IV, 1935. Il M. pubblica uno scritto politico risalente ai primi anni della Giovine Italia, parafrasi dell'istruzione generale per gli affratellati nella Giovine Italia, illustrandone le affinità e le divergenze. Agostino- Savelli, Una lettera di Giambattista Ruffìni a Giuseppe Mazzini del 3 aprie 1848, in «Annali della Scuola Superiore Normale di Pisa», ottobre 1034. Il S. pubblica una lettera inedita di G. B. Ruffini, con una postilla del Mazzini, a Giuseppe Malmusi scritta il 3 prile 1848 da Mulhouse, commentandola con esauriente e ampia illustrazione. Marcella Levi della Vida, Maurizio Ouadrio dal i860 alla morte, in « Nuova rivista storica », Napoli, novembre-dicembre 1934. La figura del fedele seguace dell’Apostolo, r.vive in questa monografia, nella qual© sono rese note numerose sue lettore inedite, sagacemente commentate. Ulderico Barengo, La morie di Giuseppe Mazzini, in « Rivista dei Carabinieri Reali », Roma, novembre-dicembre 1934. Il maggiore Barengo pubblica i dispacci del capitano Romano dei Carabinieri, di stanza a Pisa, sull’arrivo, la permanenza e la morte dall ’Apostolo. Da essi risulta che il Mazzini, giungendo a Pisa, assunse il nome di Giorgio Brünn e non di Giorgio Brown; che la sua presenza, ’ sotto nome celato, in un primo tempo ni sospettata- dalle autorità politiche, le quali però prima ancora della morte vennero a conoscenza del vero. Adoifo Omodeo, Mazzini e Cavout, in «Critica», Napoli, 20 gennaio 1935. LO. prosegue le sue ottime acute note critiche alla teoria do’ Risorgimento c le continua nei fami coli del' 20 marzo e 20 maggio della stessa rassegna. 156 Bibliografi* Mazziniana Gian Luigi Mercuri, Mazzini e il popolo italiano, in « L’Italia giovane » Bologna, marzo »935. Ottime* saggio, «Mazzini fu sempre e anzitutto ui pensatore. Concepito un sistema cui fu fedele tutta la vita spese tutta la vita per attuarlo. Chiedere a lui una pratica ebe fosse contraria all’idea, era chiedere l’impossibile, :11a lutto ciò perchè in tale idea era la verità illuminatrice, di quella pratica, non per una caparbietà scrocca » Lo scritto è in continuazione. Arturo Codignola, Il credo di Mazzini, in « Genova », aprile 1935. Si ripubblica integralmente il discorso tenuto da Arturo Codignola nel salone dell’I-stitato mazziniano di Genova, iniziando un corso di conferenze su « Uomini ed idee dei Risorgimento ». promosso dal Comitato di Genova della Società Nazionale per la Storia del Risorgiménto. Lo stesso discorso è ripubblicato da «La Nuova Italia» di Firenze nel fase. 20 aprile-20 maggio 1925. Piero Misciatelli, Il parlilo repubblicano nel 1857, in « Nuova Antologia », Roma, 16 maggio 1935. Il M. pubblica integrabnente un documento assai importante di Antonio Mordini, che il Rosi già da tempo aveva fatto conoscere in parte. Si tratta di un;» lunga lettera, nella quale, dopo la gloriosa tragica fine della spedizione di i>apri, si riesamina l’opportunità di perseguire, ai fini della nostra rigenerazione politica, sulla strada propugnata dal Mazzini. E’ un singolare documento che illumina la grave crisi passata dalla parte più estrema dei mazziniani in un momento in cui la fede del Maestro non fu profondamente turbata. Una parte del documento è stata ripubblicata nel «Giornale di Genova» del 1G maggio e da «L’Opinione» de La Spezia del 20 maggio 1935. Articoli vari in Riviste e Giornali — —y L'Istituto mazziniano, in «Rassegna storica del Risorgimento», novembre e dicembre 1934. E’ segnalata la monografia già ricordata, con le seguenti parole : «Non semplice yuida dei nuovi ambienti nei quali ha trovato degna sede l’istituto mazziniano di Genova, ma viva e intelligente rievocazione di uomini, monumenti e aspetti notevoli della storia d Italia dal 1746 al 1918 sulla scorta dei ricchi materiali raccolti ed ordinati dal nostro Codignola nel suo bel Museo ». Remo Fedi, Il concetto di rivoluzione e di autorità nel pensiero mazziniano, in « L’idealismo realistico », Roma, novembre-dicembre 1934. Acuto saggio d’interpretazione del pensiero mazziniano. F. Ernesto Morando, Lotte intime di un Grande Spirito, in «‘Camicia Rossa », dicembre 1934. In una pagina vibrante e calda di profonda ammirazione il Morando rievoca il Mazzini dei ni omenti migliori, quando, in un completo abbandono, si confidava colla madre sua. Paolo Rodriguez, Una figlia spirituale di Giuseppe Mazzini, in « Bollettino bibliografico della Sardegna », Iglesias, dicembre 1934. Succinta recensione della monografia di 'Fanuy Manis, già segnalata, La stessa opera è recensita da a. I. nella Nuova rivista storica di Napoli (fase, novembre-dicembre 1934): da un anonimo in «Gruppo d’Azione» di Milano del dicembre ]934), dall’Archiginnasio di Bologna del novembre-dicembre 1934; da Luigi Venturini in «Giornale dell’arte» di Milano (l.o gennaio); Bibliografia Mazziniana 157 dal «Messaggero» di Roma (5 genaaio) ; da L. C. in «Unione Saldar di Cagliari del 17 gennaio; da Alessandro Levi in «Italia ehe scrive·», Roma, cennaiò; da Giulio Provenzal in «Diritti deila Scuola», Roma, 3 febbraio; da «Quadrivio», Roma, 3 febbraio; da «Fede Nuova» Roma, gennaio-febbraio ; da «La parola e il libro» di Milano dell'aprile 1935 Arturo Codignola, L'Istituto mazziniano, in a Genova », dicembre 1934. E l’ultima puntata del saggio già segnalato. Corrado Masi, Un'agiiala commemorazione di Balilla a Genova, nel 1857, in «Rassegna italiana», Roma, dicembre 1934. Il M, rievoca, con ampia documentazione, la commemorazione di Balilla, promossa in Genova nel 1857 dal Mazzini e ne documenta l’importanza notevole, soprattutto per l’ardore con cui, uno dei più fidati ed intelligenti seguaci del Mazzini, F. B. Savi, seppe trasformare la commemorazione in un evento politico assai importante. La monografia viene segnalata od in parte ripubblicata da «I Commentari dell'azi'one ia-scista» di' Roma {1-15 gennaio 1935); dal «Corriere Emiliano» di Parma del 10 gennaio; dalla «Provincia» di Padova dell’ll gennaio e dal «Secolo XIX» «li Genova del 12 gennaio 1935. ---, G. Mazzini a Livorno, in «Rassegna storica del Risorgimento», Roma, novembre-dicembre 1934. Succinta recensione della monografia di E. Michel segnalata. Ff.rruccia Cappi, L’amore di Mazzini e Vamore di Shelley, in « Regime Fascista », Cremona, 5 gennaio 1935. Un parallelo fra le figure dello Sclielley e del Mazzini porgono il destro all’autrice di rievocare con commosso ardore la figura del Genovese, «iniziatore purissimo di un secolo che »iene». —. —, Una nuova biografìa li Giuseppe Mazzini, in « Gazzetta del popolo della sera », Torino, 7 gennaio 1935. Recensione della monografia di Gwilym D. Griffith, tradotta in italiano da Bice Pareto Magliano, con prefazione di Alice Galimberti ,già segnalata. La stessa opera è stata recensita da 7\ (}. in «Graphicus», Torino, ottobre 1934, da Giuseppe Banni in «Popolo biellese» del 10 gennaio : da F. Ernesto Morando in «Corriere Mercantile» di Genova del 16 gennaio ; ancora da Giuseppe Bruni in «Popolo biellese» del 14 febbraio ;. da C. G. Triulzi noi «Lavoro» di Genova dei 10 marzo; da «L’Italia che scrive» di Roma del marzo, da «Camicia Rossa» di Roma dell’aprile e dalla «Stirpe» di Roma del maggio 1935. » Un cimelio mazziniano, in «Scena illustrata», Firenze, 1-15 gennaio 1935. Si pubblica il* fac simile un buono per una lire, delVAlleanza repubblicana universale, firmato dall’Apostolo ; nel commento lo si- data asli inizi della fondazione della Giovine Italia! M. J. Sant uccio, T.a vita amorosa di Mazzini, in « Il resto del Carlino », Bologna, 17 gennaio 1935. Cose d-tic e ridette sugli amori del Genovese. F. Pakonelli, Gilt seppe Mazzini, in «La ricerca psichica», Milano, gennaio 1935. Acuta pagina sulla dottrina religiosa dell’Apostolo. O. De Angelis, Son la Giovine Italia, essi, che viene.... in «Toga Praetexta», Ascoli Piceno, 1.0 febbraio 1935. Disamina crìtica dell’inno secolare a Mazzini di G. Pascoli, 158 ] >ii?liü(jhai ia Mazzi mana Charlie, Una madre sublime, in « Il mattino », Napoli, 2 febbraio 1935. L’a. ripubblica, ampiamente commentandole, due lettere inviate da Adelaide Cairoti nel 1869 a G. Mazzini e nel 1800 al figlio Benedetto. L’articolo è stato ripubblicato dalla «Provìncia di Como» del 15 feb'bra:o e dal «Corriere del Tirreno» di Livorno del 21 febbraio. Antonio Casella - Arturo Codignola, La scissione di Talamone, in a Messaggero », Roma 27 febbraio 1935. Una fra&e pubblicata dal Codignola in un a.’tijolo del 1C febbraio dedicato a Simone Schiaffino nell’effemeride romana, ha suggerito al Casella di richiedere all’autore di illuminarlo sul «preteso increscioso episodio » della scissione di Talamone, ari opera del Brusco Omnis e di pochi altri sedicenti mazziniani II Codignola risponde esaurientemente. Ali, Giuseppe Mazzini e la a Giovane Italia », in « Cultura moderna », Milano, febbraio 1935. Articolo di divulgazione. Bergeret, La bacchetta del rabdomante, in «Gazzetta de Popolo», Torino, 4 marzo 1935. Nella rubrica corrispondenza Berperet sci'·ve, ira l’aJtro : «Solo non mi parli dell’idea «mazziniana». Ossessionate dall’idea, con la maiuscola, Mazzini non e»»be idee, solo immaginazioni. Bisogna credere che non abbia mai veduta una carta etnografica d’Europa; o forse immaginava ebe nei Balcani si conoscessero il sapere e il celf coitroì. L unica effettuazione de!! intcruazio-nalisino nazione le di Mazzini è la danza delle nv-ûoui nel ballo Excehior. O/amai 1 ecpe-rienzi st-< rica dovrebbe aver dimostrato che lo stato nazionale non p'i: esser se non nazionalistico ossia antiliberale. Il superamento della nazione è pensabile, l’idillio delle nazioni noi». Giuseppe Altini, Giuseppe Mazzini, in «Santa Milizia »>, Ravenna, 9 marzo 1935. Articolo commemorativo neH’anniversar'o della mol te. Ah re note, in r.cordo della infaiiSwa data, sono state dettate da Giuseppe Bruni in «Popolo biellese» del 10 gei.uaio; da F. E. Morando in «Corriere Mercantile» di Genova del 1G gennaio; ancora G. Bruni nel «Corriere Padano» di Ferrara ; da «L’Opinione» di Spezia del 10 marzo, della« Gazzetta del Popolo della sera» di Torino dell’ll marzo 1035. --, Mazzini commemorato dal prof. Codignola, in « Lavoro », Genova, 9 marzo 1935· Si dà l'annuncio che Arturo Codignola, destinato dal Podestà di Genova, presidente del Comitato di Genova della Società Nazionale per la Storia del Risorgimento, commemorerà il giorno 17 marzo nella casa, ove ebbe i ìatali il Genovese, l’anniversario della morte, trattando de «Il credo di Mazzini». La stessa notizia fu pubblicata dal «Giornale di Genova» e dal «Secolo XIX» del 9 marzo, dal «Corriere della ■Sera» di Milano dell’ll marzo; dal «Popolo d’Italia» e da «Regime fascista» del 12 marzo e da «Gazzetta Azzurra» di Genova del 17 marzo 1935. _,_f Giuseppe Mazzini a Giuditta Bellerio Sidoli, in «Gazzettino illustrato», Venezia, 13 gennaio, e 10 marzo 1935. Si ripubblicano lettere deU'Apostolo a Giuditta Sidoli. LOsservatore, Mazzini senza idee, in «Regime Fascista», Cremona, 10 marzo 1935. Risposta polemica alla nota di Bergeret, già segnalata. Scrive L Osservatore : «Qualche giorno fa mi è capitato fra mano un giornale, sul quale lessi queste parole. ««Solo n.'n mi »»arli de!l «Idea mazziniana». Ossessionato dall’idea, oon la maiuscola, Mazzini non eobe idee, solo immaginazione». Bibliografia Mazziniana 159 Certamente — per completare il giudizio storico e flosofico su Mazzini — mancava un competente di induscutibile valore. Il competente è, finalmente, apparso e in forma solenne ha pronunziato il suo giudizio. Il Mazzini non è dunque uomo di pensiero — idee non ne lia inai avute — ma solo di immaginazione. In altri termini, uomo di fantasia, uomo di so gui, uomo sen?a concetti. Non c*t* che dire! Il competente, che designo con la maiuscola B — non voglio fargli l’onore di presentarlo con relativo nome e cognome ai lettori, se no potrebbe arrossire per l’inatteso onore, tanta è la sua modestia — potrebbe non si sa mai! — aver ragione ed il suo giudizio — dopo quello, l’ultimo in ordine di tempo, di Gentile — essere definitivo, e.... veridico. Uomo, dunque, di immaginazione! Infatti, e$li sognò, immaginò, fantasticò l’unità e rindipendenza nazionale fino dalla fondazione della Giovine Italia, quando nessuno ci pensava ed erano stati collocati -in soffitta i.,. sognatori dell’epoca napoleonica che l’avevano auspicata! Tanto vero che la sua non era se non immaginazione, sogno, fantasia, chò l'unità e d’indipendenza si aspettano ancora». Arnaldo Cervesato, Maria Mazzini, in « Gazzetta del popolo della Sera », Torino, 31 marzo 1935. Articolo di carattere divulgativo. --, Giuseppe Mazzini fu a Modiglianaf, in «Corriere Padano», Ferrara, 15 marzo 1935. SÏ contesta l’asserzione fatta in una lettera di recente dettata dal vecchio maestro Antonio Valgimigli, che dichiara di aver veduto, quand’era bimbo, in Modigliana Mazzini insieme a Garibaldi e a Gigetto Savorani. E. G ritorna sull’argomento in una breve nota pubblicata nel «Coiriere Padano» del 20 marzo, nella quale rievoca con precisione i luoghi toccati dal Mazzini negli Stati Sardi nel 1856. — —,H credo di Mazzini, in «Piccolo», Genova, 18 marzo 1935. Ampio riassunto del discorso tenuto da Arturo Codignola il 17 giugno nella Casa di Mazzini, trattando de «Il credo di Mazzini», Altri resoconti sono apparsi nel «Giornale di Genova», nel «Lavoro», nel «Corriere della Sera» del 24 marzo ne «La Scuola» di Milano de! 14 aprile e nella «Rassegna storica del Risorgimento» di Roma dell’aprile 1935. Antonio Monti, Letleic inedite di Giuditta Sidoli, in «Coniere della Sera», Milano, 26 marzo 1935. Il M., con accurato commento, rende noti vari brani di lettere della Sidoli ai figli Elvira, Corinna ed Achille, dal 1833 al 1852. Importanti sopratutto sono quelle scritte mentre la patriota milanese era col Mazzini in Isvizzera. L’articolo del Monti suggerisce acute considerazioni a «L’Osservatore», in una nota pubblicata in Regime fasciata del 30 marzo, 1al titolo: «Madre, sopratutto». Giulio Cesare Mengozzj, A proposito di una lettera di Giuseppe Mazzini, in « Rassegna storica del Risorgimento », Roma, marzo 1935. Un affrettato giudizio del Ciravegna sul corrispondente di Marzini, espresso nel render nota una lettera inedita dell'Apostolo, già da noi segnalata, dà modo all’a. di chiarire chi fu Giovanni Ettore Mengozzi. Feudinando Martini, La morte di Giuseppe Mazzini, in a Camicia Rossa », Roma, marzo 1935. Giuseppe Font ero shì ripubblica vìi ri articoli «’el Mart ni apparsi ne II FaujuUa' e nella Nazione 1 11 ed il 14 marzo, 1872, n»*i quali trovaiisi notizie precisi* sulla morte dell’Apo-stolo. Il Fon ter ossi fa precedere li pubbli azione da un sobrio commento. L’articolo fu ripubblicato dal «Corriere Mercantile» di Genova del 18 maggio 1935. 160 Bibliografia Mazziniana P. Pantalf.o, Ljazione profetica di un esule vaso i piccoli italiani, in « Regime Fascista », Cremona, 7 aprile 1935. L’a. rievoca l’appassionata e redditizia attività svolta da Mazzini in Inghilterra assistendo i piccoli italiani e gli operai nostri, che colà si trovavano alla mercè degli stranieri. Giuseppe Bruni, Profili mazziniani, in a Popolo biellese », 6 maggio 1935. Profilo dell’Apostolo di carattere divulgativo. Direttore responsabile : ARTURO CODIGNOLA ANONIMA INDUSTRIE POLIGRAFICHE NAVA - BERGAMO ALCUNI GIUDIZI SULLA PRODUZIONE ARTISTICA DELLO STABILIMENTO ARTI GRAFICHE BOZZO & COCCARELLO - GENOVA Il Cardinale CARLO DALMAZIO MINORETTI, Arcivescovo di Genova: « ....la artistica c splendida riproduzione.... farà bella figura nella sala del· « I'Arcivescovado e resterà testimonio.... dell'abilità degli autori ». S. E. VJVORIO, Prefetto di Genova : a La riproduzione della tela di Bernardo Strozzi è veramente opera d'arte gra-« fica pienamente riuscita, e fa onore allo Stabilimento che adempie a un a nobilissimo compito, facendo conoscere i capolavori del pennello genovese ». S. E. MORMINO, Prefetto di Genova : « ....voglio esprimere il mio vivo compiacimento per la perfetta riproduzione « (di un quadro di Nicolò Barabino), in tutto degna delle nobili tradizioni a dell'arte grafica italiana ». Senatore PIETRO SITTA, Rettore dell’Università di Ferrara : « ....La prego rendersi interprete dei miei sentimenti di felicitazione verso i a bravissimi esecutori per il loro lavoro degno dell*originale ». Senatore Ing. EUGENIO BROCCARDI : 44 BH4I MAH· ΙΙΚϊβι ia4t®ttB4IBMB MB Μ·4ΙΒ4*β·4β4*·Ηβ.··Μβ Η·Ι IS1IBIISM Bll ΒΙΙβΜ β Mai Ιβ IΙβ MB II ·Ι ΙβΙΙβ I ΙβΙΙ·4Ι BIIΒ J JSfostre Edizioni : POESIE IN DIALETTO GENOVESE di Martin Piaggio \5. edizione, curata da Giulio Gatti - Prefazione di L. A* Cervetto . . . · · L· 1 ö. LA CUCINIERA GENOVESE di Gio. Batta e Giovanni padre e figlio Ratto — 1 2 Edizione — Prefazione di Carlo Panseri ...-·· L. *5.· ANNUARIO GENOVESE FRATELLI PAGANO Guida di Genova e Provincia (Lunario del Signor Regina) 1 15* edizione .... L. 30.· a usu ■>»««■ «»■«·■ naxa«··« fetianaiiBiiBiiaiiBiiBiiaii an aliane mb nana iiBiiB ni SOMMARIO. / G. Caraci - Fantasie e resipiscenze in tema di scoperte precolombiane· ~ Mario Grossi - Un conte rivoluzionario maestro di Giosuè Carducci -Teresa Repetto - Relazioni tra Genova e Alessandria nel secolo XII -Antonio Giusti - Appunti di dialetto Ligure ~ Renato Giardelli - Sag-gio di una bibliografia Generale della Corsica - RASSEGNA BIBLIOGRAFICA : Mario Ckiaudano e Mattia Moresco, Il cartolare dì GtO-vanni Scriba (Vito Vitale) Augusto de Benedetti, Poesie sugli animali nella lirica di ogni letteratura (Luigi cMendez) - Italo Scovazzi, 'Vincenzo Gioberti e il Cattolicesimo liberale a Savona (a.c.) ~ Vito Vitale, Il contributo della Società Ligure alla cultura storica nazionale (Um.) - SPIGOLATURE E NOTIZIE (Giuseppe Bisogni) Anno XI 1935 XIV Fascicolo III. Luglio-Settembre GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Direttore: ARTURO CODIGNOLA Comitato di Redazione : Carlo Bornate - Pietro Nurra - Vito A. Vitale Fantasie e resipiscenze in tema di scoperte precolombiane Fra le tante forme di pseudocritica con le quali si è cercato e si cerca tuttora di inficiare la priorità delia scoperta di Colombo, quella di rimettere ogni tanto a galla qualcuna delle malnote o ignote o immaginarie imprese dei presunti precursori, gonfiandola lino a darle parvenza di avvenimento di importanza· storica fonda-mentale, è stata uno dei mezzi più 'spesso messi in opera per riuscire con poca fatica a farsi della pubblicità anclie fuori dalla comune dei lettori, ianto più cliei si è sempre disposti a guardare con simpatia i tentativi diretti a rovesciare od almeno correggere e rettificare quanto ci vie'ne da una lunga tradizione, e specie poi quando si riesca a solleticare in pari tempo orgoglio ed amor proprio nazionale. Ecco perchè, come ebbi altrove occasione di rilevare (*), si fece a suo tempo gran chiasso della tesi, ripetutamente agitata e sostenuta da S. Larsen (2), di una pretesa scoperta dell’America avvenuta una ventina di anni innanzi l’approdo di Colombo. E vero che questa scoperta, per quanto dovuta in sostanza al-Tînizitiva portoghese, andrebbe a beneficio, addirittura, di una.... società di nazioni — vi avrebbero partecipato, con navi danesi, un polacco, un portoghese e due norvegesi, e ognuno, >si noti, con funzioni di primo· piano — ma, purtroppo, al cospicuo' numero di·; ideatori o di capi non corrisponde uguale abbondanza di prove e le attestazioni allegate a sostegno della tesi appaiono anzi cosà coutrad- (]) Cfr. Una pretesa scoperta dell'America ventanni innanzi Colombo, in « Boll. R. Soc. Geogr. Mal. », serie VI, voi. VII (1030), pp. 771 e segg. (2) Più compiutamente nel volume The Discovery of the North America twenty years before Columbus, Copenhagen 1925; ma cfr. anche, di altro autore: Laiîso'ï (M. A.). Did John Scolvus visit Labrador and Newfoundland in or about 1476?, in «Scandinavian Studies» VIII, 3; pp. 81-9, e dello stesso Larsen(S). Nordamerikas Opdalgelse 20 Aar for Columbus, in ’« Geogr. Tidss-krift» 23 (1925), pp. 88-100, e La découverte de VAmérique vingt ans avant Christophe Colomb, in « Journ de la Soc. des Americanistes de Paris » XYII1 (1926), pp. 75-89. 162 G. Garagi dittorie, che, non ostante la buona volontà (anche troppa I) del signor Larsen, la tesi scopre -subito la sua inconsistenza'. Sorprende perciò — anche a prescindere dalla diinosirajziione che di quella inconsistenza è stata offerita, o- m inganno, alcuni anni or sono (1) — con quanta leggerezza si è tatto» posto, in opere pur sotto altri riguardi pregevoli, alla scoperta di questo anacronistico· quartetto di esploratori, che vengono così riportati agli onori della ribalta e imposti all’attenzione degli studiosi (2). Nessuno dei quattro, s'intende, era finora del tutto ignoro, e meno che mai quello Scolvus o Scolvo che per primo il Gonvara (1552) fa giungere sino alle coste del Labrador alia testa di una spedizione di norvegesi, per quanto senza indicazione di data e non certo enumerandolo ira (A) Nello scritto più innanzi citato. ^ (2.» Uno dei più soUeciti ad accogliere la tesi del Larsen fu io Hexmg (R.) Von rätselhaften Ländern, Versunkene. Stätten d-er (ìcscliichte, Munie 1925. pp. 299-302, il quale, oltre a definire « pro ve convincenti le argomentazioni del Larsen, non evitai ad affermare clie già prima del 1472 navi europee si recavano alla foce del S. Lorenzo per esercitarvi la pesca. Lo kœivu , che sarebbe «senza dubbio» un danese, dovette pertanto giungerene ‘ o al più tardi l’anno seguente, in Groenlandia e di li sulle coste del LaoraOor. Dallo Henni g lu storiella passò pari pari al Reparaz (G. de; hijo). -, ^ ile los grandes dCHCubrimienios espaüoles y Portuguese s. Barceloua-Bue Aires 1931, pp. 131-2. che commenta con entusiasmo :« ahora co^^f auQ lector la importancia de estas tentativas precolombinas, la i UL debieron tener er. las ideas del descubridor lColombo che s u ìa * zione Scolvus-Cortereal-Pining-Pothorst! !], y, finalmente, corno se ^191 mando un ambiente favorable a las bnscas bacia Occidente enti e os 1 ses de las islas [il Cortereal dovrebb’essere lo stesso che il - ap governava Terceira], ecc. ecc. » All'amo abboccò anche il signor Dìl-rez (E). Les grandes voyages et Tes grandes découvertes jusqu'à la fin du XVIII.e siècle, m « u . internat, des Sciences historique», IX (1930), p. M*»**™ fl^Wo zione che l’impresa « échoua », Skolp e Joao Vas Corvè Rea (- ) . ' nientedimeno, concepito l’idea di passare dalla Groenlandia alla ma verso ΓAtlantico! E’ vero che lo stesso Déprez fece ammenda, in forma p -vata. de] suo errore, ma sarebbe stato certo preferibile, data anche la qualità dell*Autore che fa da tempo parte della Commissione per lo studio dei grandi viaggi e delle grandi scoperte, in seno al Comitato internazionale di scienze storiche, che il riconoscimento avesse avuto conferma in qualche cosa di pubblico. Tanto, pijù che la notorietà avuta dal romanzo di S1. Larsen e stata tale, che ancor oggi, a detta degli studiosi, la sua « tesi » gode di largo credito nei paesi scandinavi. Cfr. a questo proposito il mio scritto cit. Aggiungo che, anche senza giungere alle esagerazioni del Larsen, non pochi si mostrano disposti a credere in una spedizione precolombiana al Labrador, anzi questa è « thè trend of recent scholarship ». a detta del Borst Manhabt (G). The English Search for a North-west passage in the tim* cf Queen Elizabeth, in «English Commerce and Exploration in the Reign of Elizabeth». Philadelphia, Penn. 1924, p. 7: la sola riserva è che questa spedizione avrebbe avuto luogo fra il 1472 ed il 1481. Fantasie e resipiscenze in tema di scoperte precolombiane 163 i precursori di Colombo (1). Ture, nessuno aveva spinto, come fantastica i! Larsen, Scolvus e compagni sino alle rive del S. Lorenzo: interpretazione tanto strana che, per darle colore di verosimiglianza, il Larsen lia dovuto cercar di puntellarla con tutta una filza d'ipotesi, ognuna delle quali è assunta a valore di prova. Comunque, dei quattro presunti precursori — un Joao Yaz Cor-tereal, e i due pirati norvegesi, se pur son tali, Pining e Pothorst, oltre lo Scolvus — quest’ultimo si direbbe il più degno d’attenzione, sia perche, non astante il mistero che lo circonda, menzionato da fonti meglio1 attendibili, sia perchè, se veramente esistito, è l'unico pel quale si possa ragionevolmente sostenere una qualche partecipazione a imprese che meritino ricordo nella storia delle scoperte, pur non avendo nulla a che vedere, sia detto subito ben chiaro, con la preparazione del viaggio di Colombo. Ê questa la conclusione cui giunge, tirate le somme, chiunque legga attentamente e »senza prevenzione le due brevi note con cui il signor Boleslao Olszewicz, conservatore della Biblioteca universitaria di Varsavia, preannunzia ed anticipa un'opera, di maggior mole destinata a far luce su questa pretesa scoperte, pre-colom-biana (2). Bisogna dar atto subito cihe V Olsz&wicz si è tenuto deliberatamente lontano dalle deformazioni nazionalistiche cui ci hanno abituato, per esempio, gli scrittori spagnuoli e portoghesi contemporanei. Egli comincia infatti col fare piazza pulita, decisamente, deUe molte presunte scoperte precolombiane, dichiarando che dei tentativi compiuti dagli eruditi per renderle verosimili nulla rimane più in piedi, e se s’indugiai a tessere la storia della questione Scolvus, quelito· fa per mostrare come si sia venuta formando, in tempi recenti, la leggenda di un polacco che avrebbe scoperto l’America innanzi Colombo, e come più tardi dalla stessa leggenda si sia cretato un eroe d’origine scandinava. Ohe dello Scolvus primamente ricordato come danese nel globo di Zerbst si sia finito col fare un navigatore polacco, potrebbe sembrar strano, se non riflettessimo quanto era facile passare nelle re- (1)CÌr. Gomara (Fr. Lopez de). Primera y segiinda parte de Ία historia gen,oral de lax Indras, con todo cl deseuorì mento, y eosas notables que hait acaesidio ecc., Çaragaça 1552-3, fol. XX. Su quest’opera e la sua attendibilità, cfr. il mio scritto innanzi citato. (2) Cfr. Olszewtcz (B). Im prétendue découverte de ΓAmérique en 147G (note préliminaire,) m «La Pologne au VII. Congrès International des Sciences Historique», Varsovie 1933; III, pp. 1-13-50; e O Janie z Eolna. domnie-manym polsi dm poprzedniku Kolumba (I. (li Kolno preteso precursore polacco di Colombo, in « Przeglad Geografìczny » XIII (1933), pp. δΐ-'οδ. Il primo scr;tto rappresenta in sostanza la tradizione francese del secondo, che è però un po’ più ampio e contiene alcuni estratti dalle fonti di maggiore importanza* nonché una piccola biblüografia. 164 Ο·. Carici dazioni manoscritte da un originario pilotus a ;polonais. Lai metamorfosi è d’altronde anteriore al 1570, perche già. attestata dal Belle for est (i) : e di qui era anche più facile lasciarsi andare a tessere, come fece circa cent’anni fa il Leiewel (2), il1 romanzo di un Giovanni di Kolno (Skolvus sarebbe nulla più clie la latinizzazione di £ Kolna, ossia « di Kolno ») giunto nel 1776 alle sponde del Labrador (3). Mezzo secolo dopo lo Storm riprendeva però il tema per sostenere che lo »Scolvus doveva essere un norvegese, recatosi in compagnia di Pining e Pothorst sulle coste orientali della Groenlandia: l’impresa avrebbe tuttavia avuto luogo' non nel 1476, ma nel 1194, ed anche per questo non andrebbe annoverata fra i viaggi precolombiani (4). Al 1476 ritornano con lo stesso Scolvus —1 danese o norvegese che sia — Björribo e Nansen, che al principio deil nostro secolo si occuparono con molto profitto di cartografia nordica : il pilota sarebbe stato sempre al servizio di Pining e Pothorst, ma la spedizione non si sarebbe spinta oltre le coste occidentali della- Groenlandia (5). Infine, dopo la tesi del Larsen, ecco quella del signor VlloaJ che sbrigativamente fa dello Scolvus tutt’uno col suo Colombo, o meglio Coloni, cabalano : un Colom-Scolvus, dunque, che fino dal 1477 si sarebbe recato, come pilota della coppia Pining-Pothorst, non solo in Groenlandia, ma addirittura allei An-tille, in un’impresa, non ufficiale, ma non perciò meno autentica e (*) Cfr. Belleforest (F. de). L* Histoire iniverselle du monde contenant Vcntìère description et situation des quatre parties de la terre ecc., ram 1570 (è l’edizione ricordata ûiiU’Olszcwicz; io ho sottocchio quella, pure parigina. del 1577). Quest’opera non va confusa con i più noti Grandes Annales et Histoire générale fie France, Paris 1579 ο con La cosmographie universelle de tout le monde, Paris 1575 dello stesso autore. (2) Cfr. Lelewel (I). Historia geografi i i odJcryé (Storia della geografia e delle scoperte), iu. « PLsmacli pomniejszych geografiezno-historycznyeh », Varsavia 1814, O odkryciu Ameryki prez Jana z Kolna, iìn «Ore dowmlc Naukowy » ir (1S42) e Géographie du moyen âge - Bruxelles 1S52, IV, p. 106. (3) Inutile dire che il Leleicel non allega nessun motivo, nei suoi scritti, della trasformazione del nome dello Scolvus eh’è a base della tesi enuncia.a. Secondo la quale, il misterioso navigatore polacco avrebbe pere-orso nel 14 <4 addirittura lo Stretto di Anian. Il Leleivel aggiunge, anche qui senza darne una sola prova, che la notizia di questa scoperta si sarebbe diffusa presto in Portogallo ed in Spagna e di li ìji tutto il mondo. Nella tavola « Regione et ora per Islandos Groenlandosque saec. X-XIV ( !) lustrata » (di fronte a p. 79 dell’opera sopra citata), lo stesso autore segna Anian in corrispondenza allo Stretto di Hudson, tra la Fox Land ed il C. Wolstenholine, e vi appone la leggenda : « 1176 Joannes Scolnus (sic) de Kolno polionus », sotto la quale è scritto: «1500 Gaspar Coitereal lusitanus ». (4) Cfr. Storm (G). Söfarereh Johannes Scolvus og hans Reise til Laly ador eJler Grönland, in « Hi,sì or. Tidsskrift» 2 R., V (1886), pp. 385-400. (5) Cfr. Nansen (F). Nord i Taakeheim, Oslo 1911 e Björdo, (A. A.). Car- io graphia Groenlandia, in « Meddelelser om Grönland », XLVJ7I (1912). Fantasie f resipiscenze in tema di scoperte precolombiane 165 ricca di conseguenze. Ql) È difficile prevedere dove si arriverà se a queste storie romanzate non si ponga finalmente nn freno salutare, che è quanto dire se non si smontino con spieiato franchezza le funambolesche argomentazioni con cui molti dei più recenti scrittori si divertono a metter contusione nella già intricata, storia dell’epoca delle scoperte. È perciò da salutare con vivo· compiacimento il proposito del signor Olszeicic,c, e prima di tutto il saggio che ne ha dato, dove cerca di ordinare la documentazione relativa alla leggenda dello Scolvus. Sarebbe di cattivo gusto sottolineare qui lei conclusioni enunciate dall’A., perchè esse collimano in sostanza con quelle cui chi scrive era giunto in una sua nota di cinque anni fa ( 2) ; piuttosto è il caso di precisare i termini di qualche divergenza che concerne i particolari, anche se una ulteriore discussione abbia ad essere opportuna dòpo venuto a luce il volume ora annunciato dallo stesso Olszewicz. A quanto è permesso concludere dalle osservazioni finora rese note, vien fatto di pensare che la parte più interessante dello studio intrapreso 'dall’OJszewicz sia quella che riguarda i rapporti tra le varie fonti messe a profitto da coloro cliei si sono occupati della presunta scoperta precolombiana di cui s’è detto innanzi; studio che non sembra, dice il nostro A., essere stato mai fatto in modo completo e soddisfacente. Limitandosi ai documenti principali, vale a dire a quelli che diretta merite o indirettamente alludono allo Sc-olvuis, VOlszeicicz ritiene che tutti discendano in sostanza da tre (x) Cfr. Ulloa (L). Christophe Colo mb catalan. La vraie g&ièse de la Découverte de VAmérique, Paris 1927 e El predescubrimiento hispano-catalan de America en 1477. Xristo ferens Coloni. Fernando el Catolico y la■ Catalunya espaiìola·' Paris 192S. Per ciò che riguarda la consistenza critica delle te*i qui enunciate, è da cfr. la recensione di R. Almagui alla seconda delle due opere in « Boll. ì\. Soc. Geogr. I. tal. »T serie VI, vol. VI (1929), pp. 19S e segg\, e Magnaghi (A). « El Inicuo Vespucio », in « Riv. Geogr, Ital.y>, XXXVI (1929), pp. 101 e‘ segg.. Anche VOlszeicicz nega ogni credito alle strane elucubrazioni dell’Ulloa. (*) Ma sia permesso riferire almeno le parole con cui IOlszewicz (B). La prét&ïdue découverte ecc. cit., pp. 1-19 50 chiude la sua nota: «L’Amerique n’a été découverte ni en 1472 par un Norvégien, ni en 147(5 par un marin, polonais au service du Danemark. L'expédition de 1476 à laquelle avait pris part un personnage nommé Johannes Scolvus, -s’est bornée à visiter les côtes groenlandaises en vue de renouer les relations avec les anciens colonies Scandinaves. Bien que son importance ail été diminuée, on -peut attribuer à ce voyage une certaine influence sur la géographie du XVI.e siècle». L'Olszeicicz si compiace d'« avoir détruit deux légendes: 1·ι léegende de Jon Skolp et la légende de Jean de Kolno », ridacendo l’impresa dello Scolvus alle proporzioni dl uu modesto viaggio dalla Norvegia alla Groenlandia; tuttavia temo che le ammissioni da lui mantenute non sieno! neppur esse giustificate dalla documentazione di cui disponiamo. 166 G. CARACI capostipiti : scritti e carte di Olao Magno (1539-1555) (1), globo di Zerbst (1536) (2) ed una fonte ancora, ignota, certo anteriore al 1570 (3). Da questa discenderebbero così l'accenno inserito dal Belieferest nella sua Bistonde universelle chi monde, come la leggenda accolta dal Wytfliet (4), mentre tanto la lettera di Grip (1551) (5). quanto la notizia di Gomara (1552), per non dir altro, risalirebbero ad Olao Magno (6). I riflessi dell'iscrizione eli’è nel globo del Frisio appaiono più tardi & sono indubbiamente di minore importanza, anche *se del pari utilizzati nelle ricostruzioni più o meno fantastiche di questa strabiliante impresa precolombiana (7). Tutta ei tre i capostipiiji andrebbero ricongiunti infine ad una carta o ad una relazione di viaggio che debbono considerarsi perdute. Indubbiamente, il testo di Olao Magno, la leggenda del globo (*) La prima data corrisponde alla pubblicazione della famosa Charta marina e deH'illustrazione che l’accompagna (cfr. più innanzi), la seconda a quella dell*Historia de gentibus septentrionalibus. (2) La data del 1536 è congetturale; dall’esame del globo si può dedurre solo che questo dovette essere preparato fra il 1534 ed il 1537. Tuttavia non mancano indizi che lamio pensare ad una data di qualche anno anteriore al 1537; cfr. Caraci (G), op. cit., .note 44 e 47. 11 globo, scoperte da W. Kuge, sì conserva nel Gymnasium Franciscum di Zerbst, d’onde il nome sotto il quale è ormai conosciuto. (3) Ai teriore, cioè, all’Histoire del Belief Orest, (4) Cfr. Wyteuet (C). Descriptionis Ptolemaiche augmentum, Loraniii loi)i, p. 1 SS : «Secundum [cioè dopo gli Zeno] detectae huius regionis tulit Johannes Scolvus Polonus, qui anno reparate salutis 1470,.... navigans ultra Norwegian!, Groenland]am, Frislandiainque, Boreale hoc fretum ingressus sub ipso Artico» circulo ad ' Laboratoris hanc terram Estotilandi&mque delatus esk ». Il passo è riferito anche dal Pontanus (J. J.) Rerum dame ai um his oua. Amstelodami 1631, p. 763, di dove è passato allo Horn (G-). llyssea, Luge um Batavorum 1671, p. 355 e più tardi in vari altri scrittori, ivi compreso nostro Coronelli (Atlante Teneto 1691). (5) Γη questa lettera che Earsten Grip, o Grib, borgomastro di Kiel, in dirizza a Cristiano III (1534 59) re di Danimarca, si fanno soiLo i nomi c Pining e Pothorst Pel contenuto del documento, cfr. Caraci (G). op. c , pp. 775-6. Un breve estratto ne dà I’Oi.szewicz (B). 0 Jan le z χίο tia ec . ’(6) Da Olao direttamente discendono le notizie e i cenjii che si nella Historia general de las Indias dell Oviedo (15oi), nel s ai io>i1 de Santa Cruz (1300) nell’Appendice alla .Cosmographia Λ i G e ir ma, (1584), ecc.; dal Gomara, quelli della Cosmografia del Girava JKSbfc w Hakluyt (Discourse 011 western planting ecc .1584), della Historia dello ^ rer a (1001) ecc.; cfr Olszewicz (B). Op. cit., pp. 57 e segg. (7 ) Il 'NaviSen per primo richiamò l’attenzione sopra un docume lt . glese del 1575, di cui IOlszewioz (B). Op. cit., p. 03 riferisce un brevissimo, estratto; in questo si fa giungere il danese Scolvus all estremità “tieni naie del solido fretum trium patrum (the narrow stroit), nel 14<0, ma ο » precisare di quali regioni si parli. Ritengo si sia esagerata grnndemen^ i importanza di questa notizia, che è mera derivazione dalla legg 1 nel globo dl Zerbst. Fantasie e resipiscenze in tema di scoperte precolombiane 167 di Zerbst e l’estratto iì^W Histoire del Belief ovest presentano differenze tali, . XXXIX. Parrebbe che questa dovesse essere l'equivalente italiano della « Kurze Auslegung » sopra ricordata, ma dal passo riferito si ricavano differenze di un certo peso. Il libretto costituisce comunque un commento alla Charta marina di Olao, anzi ne chiarisce in più luoghi/ l’uso e il significato. (2).C£r. 77istoria de gentibus septentrionalibus, Romae, de Viottis, 1555 /p. 69). Ÿj questa la prima edizione dell’opera; le va unita una carta delle regioni settentrionali, che non dev’essere confusa, però, con quella ricordata nella nota precedente; cfr. Caraci (G). Op.cit. Fantasie e resipiscenze in tema di scoperte precolombiane 169 spedizione dovesse necessariamente aver partecipato, anclie lo Scolvus. E in ogni caso, nò questa partecipazione è attestata da 01aot nò il 1476 come* anno deilPimpresa può ricavarsi dal testo o» dalla carta di lui. Al contrario, la riunione dei tre personaggi è fatica di moderni : nessuna delle fonti chiamate in causa dall’Olszewicz o da coloro che lo hanno preceduto ne conserva traccia, e 11011 può essere puro caso se anche la lettera del Gfip — che ha formato la delizia del Larsen , ma che resta ancora assai dubbio se possa andar unita col testo di Olao nelPalibero genealogico di quelle tonti — manca di qualunque accenno al nome dello Scolvus. Meno che mal ammissibile è che il passo del Gomara relativo a questo personaggio derivi da Òlaot come appai* chiaro' anche dalla semplice circostanza che, mentre il secondo si riferisce alla Groenlandia, il primo nomina, senza possibili equivoci il Labrador, e la-spedizione norvegese dello Scolvus distingue in tono perentorio da quelle bretoni e danesi, che avrebbero attinto la stessa meta. Nè gran peso ha il l’atto che il Gomara conoscesse personalmente Olao e da lui potesse raccogliere notizie sui paesi settentrionali e sulla passibilità di navigare direttamente dalla Norvegia alla Cina (1) A larlo apposta, la pubblicazione delV Historia generai de las Indiae è di tre anni anteriore a quella della Historia de gentïbus septentrionalibus, e sarebbe davvero strano che Olao avesse riservato alle sue conversazioni private dei particolari di una certa importanza che invece mancano ai suoi scritti. Anche senza entrare qui di nuovo in discussione sulla attendibilità dello storico spaglinolo, 11011 si riesce a vedere perchè l’accenno che egli fa allo Scolvus abbia a risalir ad Olao, che dello Scolvus non parla mai; e ci sembra perciò arbitraria la filiazione in questo senso aisserita dall’Olszcwicz. In ogni caso, nò Olao nò Gomara ci riportano al 1476, che secondo il nostro autore è invece indubbiamente l’anno in cui ebbe luogo la spedizione comandata da Pining e Pothorst. In conclusione, il testo di Olao Magno, la lettera del borgomastro Grip e l’estratto di Gomara non solo derivano da t**e fonti diverse, ma _ quel che più preme — ci riportano ad avvenimenti (il Secondo fa rilevare IOlszewicz (B). Oj>. cit., p. 56. Si potrebbe osservare a questo proposito die Olao l’u per lunghi anni n Ha »mu — dove posse> deva due case e morì nel 1577 — frequento lido gli ambienti, religiosi ed eru diti, ma in nessun’opera che porta traccia di lui si trova accenno ad una pretesa scoperta precolombiana od anche solo allo strombazzato viaggio del- lo Scolvus. · - . _ .. , tjuantc al domava, non si esclude potesse aver avuto nuormazoiu dalla viva voce dell'illusore prelato svedese, ma, so così è — cosa d’altronde an- corji da dimostrare _ non ne segue senz'altro che tutto quanto riferisce lo scrittore spagnuolo sulle regioni settentrionali discenda da olao. 170 G. CARACI diversi, avvenimenti che non è permesso confondere, almeno Uno a quando non si abbiano dati nuovi che consentano di collocare lo Scolvus in compagnia dei due pirati-ammiragli. A rigoie, neppuie i due primi documenti lasciano persuasi si tratti delle stesse persone ; ma quanto al terzo, nulla ce die autorizzi a vedervi una qualunque connessione coi precedenti, anche senza tener conto de fatto che solo Olao azzarda una data, e questa stessa in via ap- 1 )rossimativa. „ . N Nota a rasione VOJsze iriez che il Belieferest c ü pnmo ji lai polacco lo Scolvus. nel che è seguito subito da! Wytfliet (1;»9<) : se ne deve dedurre l’esistenza di una fonte perduta a cui far risalire la trasformazione? Può darei, ma bisogna aggiungere che la cosa, ba scarso interesse per ciò che s’attiene al contenuto storico delia leggenda. Molto più importante è not,are che questa, m quanto pie-tende creare una spedizione precolombiana, poggia solo su attestati di „nasi cent'anni più tardi della spedizione stessa: prescindendo infatti dal Gomma·, che non precisa alcuna data, il primo che contrapponga esplicitamente lo Scolvus a Colombo ed_ a V espucci e appunto il Belief ovest, la cui opera apparve nel 1»»0 (l).Ler innanzi, il g'obo di Zerbst segnala solo l’arrivo di un danese Joannes Scolvus ai Quii populi, collocati presso il fretum ore iciim, che e a \'E della Hacealeanim regio, mentre tanto Ohio Magno quanto la lettera di Grip si richiamano all’attività di Pining e Pothorst sulla-costa orientale della Groenlandia, senz’altro aggiungere che postuli necessariamente la partecipazione o la presenza dello ^eoUus. Afferma VOIszewicz che di ma spedizione Pmmg-lothoist ne mari .settentrionali non si può revocare in clubbio 1 autentici a e che questa spedizione dovette aver luogo certamente ne - » ' ’>-)· Suo scopo sarebbe stato quello di ricercare forse la via delle per il nord, ma innanzi tutto le tracce delle antiche colonie sci dinave che almeno sino ag'i ultimi del see. X\ potevano neon (i) l'n'analisi critica deUle opere (lei Belieferest dev’essere ancora fatta. La sua Cosmographie universelle va usata con molta prudenza, come può vedersi da quanto riguarda altre regioni dell'abitabile, per le quali la sua com pilazione, frettolosa e disordinata, rimane, ili sostanza, .alcun e a a zinne medievale; cfr. Caraci (G). Il nadre Molle, Ricci (1522-1010. e la sua opera geoerafica, in « Kiv. Geogr Hal. » XXX (l.L.>), pp. I·* 1 '■"· Come storico poi, H Bcileforest ;· giudicato mancante di critica, e più notevole ,-er la copia dei materiali nuovi onde ha arricchito. 1 suoi massicci volumi, ehe non per l'acribia dimostrata nel farne uso; cfr 1 cete« . Histoire de l’historiographie moderne (trad. E. Jeanmaire), Paris* .r , l>. < . (*) Anche questo può essere vero, rea, con la documentazione finora nota non appare irrefutabilmente vero. Meno che mai sicura e, poi, la data da assegnare alla pretesa spedizione. Fantasie e resipiscenze in tema di scoperte i'recolomdiane 171 scersi nella Groenlandia (l). La spedizione -avrebbe toccato la costa orientale di questo paese* (e forse anche quel'a occidentale), venendo in contatto con »’li Eschimesi (2), ma senza riuscirei a stabilire con essi rapporti regolari e duraturi, non ostante che Pining e Po-thorst sieno colà ritornati forse un’altra volta. Ora tutto ciò è possibile, sebbene, alio stato attuale) delle nostre conoscenza, ancora largamente congetturale; quel che invece non si può in alcun modo ammettere è che sulla stessa scia si abbia ad inserire lo Scolvus, di cui lo stesso Olszewicz è costretto a confessare che non conosciamo ancora nò il nome, nò Porigine, nè alcun elemento biografico atto a definirne in qualche modo la personalità (3). II. solo documento che lo riguardi cui si poissa prestar lede — almeno fino a un certo punto — è la secca, lapidaria iscrizione di Zerbst, da cui derivano, a distanza di tempo, tutte le altre attestazioni, e meglio si potrebbe dire ripetizioni ed alterazioni, che sono state strombazzate dai soliti storici-romanzatori. Dove giunse, se pur esistette, questo misterioso navigatore? Nè il globo di Zerbst nò le altre fonti che lo continuano ci aiutano a risolvere sicuramente il problema. L’analisi, altrove fatta, della genesi di questo particolare cartografico, prova, o m’illudo, la contaminazione di elementi diversi, reali e fantastici, che non mi pare si possano sicuramente discriminare e controllare. Ma una cosa rimane comunque certa: che si può tutt’al più aver a che fare con le coste orientali della Groenlandia e non, in ogni caso, con territori del Nuovo Mondo. Questo ò tutto ciò che di certo si ricava dallo studio delle fonti : il resto appartiene al campo delle ipotesi o delle favole, con le quali non si costruisce, o non si dovrebbe costruire, la storia. G. Caraci O) Tosi ugualmente ipotetica; ipotetica al cubo, per ciò che riguarda l’intendi mento accennato in via dubitativa. (2) Lo studio della genesi della leggenda inserita nel globo di Zerbst non deve essere qui ripetuto; mi sia lecito rimandare al mio precedente saggio, pp. 78S e segg., dove si concludeva giìi che, se pure vi fu una spedizione guidata dallo Scolvus, questa non potè oltrepassare, oom ogni verisimiglianza, le coste orientali della Groenlandia. E nemmeno ci dovrebb’essere bisogno di ribadire quanto si sa sulla frequente confusione che le carte del sec. XVI (e non di questo soltanto) fanno tra Groenlandia e Labrador. (3) Quanto al nome POlszewicz (I».). Op. cit., pp. 59-60, conclude che la sola grafia corretta è quella latina «li Scolvus; quanto alla nazionalità, che se ne deve escludere quella polacca, per ammettere come più probabile una scandinava (norvegese). Si avrebbe così uno Skolv, o Stolvon, o piuttosto Jon Skolp; ma l’autore si affretta ad aggiungere che « lino ad ora non si ha alcuna prova decisiva che permetta di determinare sicuramente questo pun'.o ». Circa i dati biografici, nè meno ΓOlszewics è riuscito a rintracciarne uno solo. Un conte rivoluzionario maestro di Giosue Carducci Il poeta Giovanni Fantoni, più .noto sotto il nome arcadico di Labindo, era nato il 27 Gennaio 1755, quarto tiglio del conte Ludovico Antonio, in Fivizzano. La sua famiglia vantava origini da Firenze, a cui aveva dato nel XV e XVI secolo alcuni priori; un Giovanni Fant one, antenato del Poeta, si era rifugiato, come ghibellino, in Lunigiana nella prima metà del 500. Madre era una marchesa De Silva della Banditella, e nonna una contessa Pandolfini; apparteneva, cioè, ad un ceppo di tradizioni gentilizie. Di Fivizzano, caratteristica cittadina lunigianese, già feudo imperiale dei Malaspina di Yerrucola ed allora vicariato della Toscana, i Fantoni erano la più cospicua famiglia con parentele e amicizie nei principali stati italiani. Appunto perchè appartenente a famiglia nobile, fornita di un notevole patrimonio, Giovanni Fantoni, quarto ed ultimo tìglio, era stato destinato dal padre a diventare monaco, o legale o impiegato: in altri termini all’esercizio di una attività che gli permettesse di vivere indipendente senza incidere sul patrimonio avito destinato al primogenito propagatore del nome. Ma, contro ogni previsione ottimistica dei suoi, egli aveva ben presto rivelato un carattere non precisamente docile come si sperava. Nel Monastero di S. Scolastica in Subiaco, dove avrebbe dovuto adattarsi a- vestire Pabito benedettino, quei buoni Padri furono costretti a farlo richiamare dai genitori; nel collegio Nazzareno di Koma lu tanto irrequieto da costringere i suoi maestri a tenerlo cost,antemente isolato in mezzo alla scuola. Anche i tentativi di impiego non furono brillanti: a 17 anni aveva ottenuto un posto come apprendista nePa Segreteria di Stato in Firenze, ma dovette alle influenti amicizie paterne se gli fu risparmiata la vergogna di esserne cacciato via. Poiché gli sembrava di avere maggiore trasporto per la carriera militare, ottenne di vestire in Livorno la divisa dei cadetti, che depose, dopo un anno, sotto pretesto della salute malferma, ma, in realtà, perchè troppo pesante. Per raccomandazione dello zio materno Andrea De Silva, aiutante di S. M. Vittorio Amedeo di Savoia, io troviamo nel 1776 in Torino con il grado di sottotenente nel Reggimento di Fanteria straniera di Chablais. Però ben presto dovette lasciare Torino per Genova: I Mario Grossi 173 contro tutti i regolamenti militari aveva creduto di poter sfidare a duello un suo superiore con il quale era venuto a diverbio e, naturalmente, gli erano state imposte le dimissioni. Ma se nella carriera militare si era arrestato», allora·, al grado di sottotenente, e non poteva vantarsi di aver preso garte a fatti d'arme, oltre un attacco subito da alcuni malviventi del Bosco di Alessandria, egli saliva ben più rapidamente in fama come poeta. Aveva cominciato' a scrivere versi a 15 anni, sotto la guida benevola del Padre Fasce e del Padre Godard nel collegi-o Nazzareno, e, ben presto, usciti) dal collegio, le sue poesie avevano trovato ammiratori nelle allegre e spensierate brigate di amici e di amiche : in Firenze aveva avuto Γonere di essere iscritto alla Accademia degli Apatisti (1773), e, in Torino (1776), quello .ancora più ambito della concessione della patente di Pastore di. Arcadia, in cui entrò con il nome di Labindo Arsinoetico. Compagni Lino dalla prima giovinezza della sua Musa scapigliata e spensierata erano i debita, che egli contraeva allegramente nei suoi innumerevoli soggiorni, e per cui fu anche arrestato a Torino. Proprio in tale! circostanza un ammiratore di eccezione, -un calzolaio, si offerse di far fronte ai creditori, ma il Poeta nobilmente rifiutò; d’altra parte, anche allora come in altre occasioni, intervenne il Padrei, sempre indulgente, a liberarlo. Ma se le preoccupazioni finanziarie gli amareggiavano la vita, i divertimenti e gli amori a Fireuze come a Fivizzano, a Torino, a Genova o a Napoli, città tutte in cui andava peregrinando, venivano a ristabilire un ceL*to bilancio equilibratore. Egli non disdegnava di trascorrere dalle frivole avventure in veste di cicisbeo con le nobili dame genovesi a quelle più gravi di conseguenze con una povera domestica di Fivizzano. A Napoli, dove si era recato al seguito di quella Corte per impiegarsi convenientemente, s’innamorò di una bella viennese camerista al servizio della Regina, certa Grapllt, la cui morte immatura egli pianse sinceramente. Due volte parve periino sul punto di ammogliarsi. In una curiosa denuncia anonima_biglietto di calice — egli è descritto in Genova nel 1779 « di maniere seducentit onde è idolamato dai giovani tuoi content-paratici, ed anche dalle dame le più stordite, colle quali usa carezze inusitate \presso di noi, e condannante da virtuosi. Le sue massime sono perniciose e contrarie alla buona morale. Queste tanto più si bevono facilmente, quanto essendo legate in versi leggiadri, e lascivi, avendo un genio e talenti straordinari per la poesia. Si è quasi stabilito qui, ma essendo riMwttissimo 'Welle sue finanze si fa impre-81 ai danari dagli amici. La religione, i costumi e la costui conversazione, meritano di essere osservati da V 1 . SS. Scr.nie/ acciò non venga infestata la nostra Gioventù, che pur troppo inclina al male in \gran parto). 174 ITX CONTE RIVOLUZIONARIO, MAESTRO DI GlOSUÈ CARDUCCI Nel 1796, discesi i Francesi in Italia, e, appiccato quei colossale incendio di idee che tutti sanno all'Europa, anche Giovanni Fan toni dimentica amori e divertimenti per diventare un ispido democratico filosofeggi an te e gettarsi a corpo· perduto nei primi moti di Reggio, Modena e Bologna. La metamorfosi improvvisa di questo conte scavezzacollo, lino ad allora protetto e laudatore di Principi e di I\e, non poteva non destare stupore; la famiglia, ligia· al paterno Governo del Granduca di Toscana, si scandalizzò e lo accusò di tradimento verso la propria classe. 11 Fantoni, infatti, aveva vissuto la sua vita di intellettuale insoddisfatto di sè e degii altri, ora qua- ora là, in qualcheduna tra le piccole Italie che si accanivano e si contendevano a spinte e ad nrtoni un cantuccio delfa Penisola. Era in rapporti di stretta amicizia con Carlo Emanuele Malaspina, marchese di quel guscio di noce che era il feudo di Fosdi-novo, e aveva goduto della sua fraterna ospitalità nel severo castel- lo avito e nella deliziosa villa di Caniparola. Conosceva, attraverso le innumerevoli frontiere tante volte varcate, i suoi protettori il Granduca di Toscana, il Re di Napoli, il Re di Sardegna, a cui aveva reso omaggio di inni per i beneiici ricevuti. L'Italia, la grande Patria, viveva, soltanto nei classici da Virgilio a Machiavelli. Anche l'Al fieri, che proprio allora tuonava contro i tiranni, invocando la libertà, veniva ascoltato come un abile declamatore senza soverchi timori nei principi e senza troppi entusiasmi nel popolo. Sì, era bello il sogno di una Italia, licostituita a nazione tra le Alpi e il mare, ma appariva come una utopia da relegarsi tra le esercitazioni retoriche nei canti dei poeti. Chi poteva, infatti, prevedere che, all'improvviso — e proprio nel secolo dei minuetti —, si sarebbe sferrata una delle più violente burrasche della storia, capace di far crollare dinastie secolari, e di minacciare come la fiamma di un vorticoso incendio nomini e cose? Il Fantoni fu tra i primi che, nel fiorire delle più audaci speranze, unitamente a tutti gli uomini di intelletto e di cuore, dimenticò il suo interesse egoistico e quello dei suoi protettori granduchi, principi e re, e indossò la divisa della rivoluzione. E che egli prendesse sul serio, si preoccupasse e si adoperasse perchè la Patria non solo risorgesse, ma fosse degna del suo grande passato, è dimostrato dalle sue idee educative, ritenute allora stra^ vaganti e che hanno invece, oggi, uno strano sapore di attualità. In nna sua opera inedita si leggono precetti come questi: « ....L educazione dei figli giunti al7a puerizia deve essere ceduta dai genitori alla Patria. ... Divenuti questi nomini, e cittadini, appartengono d'ali ora in \ poi totalmente alla Patria.... Ciascuno formato uomo, o cittadino, ha il delito di ammogliarsi, o maritarsi, di procacciare la sussistenza a se stesso, ed alla sua famiglia, e di difendere la Mario Grossi Patria.... Ogni figlio all'età di otto anni sarà presentato dai suoi genitori alle scuole primarie.... » In Modèlla, — poiché riteneva che i giovani dovessero amare ΓItalia imparando a difenderla —, radunò una grande quantità di ragazzi, li armò di lucili di legno e li battezzò il « Reggimento.della Speranza ». Per essi scrisse un inno che divenne famoso: « Ora, siam piccoli — rwi cresceremo » clie potrebbe essere cantato anche oggi dai nostri Balilla. Le piazze di diverse città acclamarono allora· in lui il brillante e focoso oratore rivoluzionario. Oppostosi all'annessione del Piemonte alla Francia, fu imprigionato a Torino e di là condotto a Grenoble. Riuscì a sedurre i carcerieri con una traduzione italiana dell’inno all''Essere Supremo e lo troviamo nel. 1799 capitano aggiunto presso lo stato maggiore di Joubert., Generalissimo delPesercito francese in Italia, e, in Genova, insieme con Ugo Foscolo agli ordini di M assena per tutto il tempii di quel memorabile blocco. Ma oramai egli sente la stanchezza della vita militare e nel 1800, accetta con entusiasmo la nomina di professore di eloquenza e Belle lettere alPUniversità di Pisa, ove le sue lezioni divennero affollatissime. Si occupò, perfino, in Massa, e forse perdette il suo tempo, attorno ad una sxìecie di lanterna magica di sua invenzione da cui si riprometteva eccezionali vantaggi didattici. Disgiuntosi anche lo stato di Massa e Carrara, dal Regno Italico, il cui nome gli erra particolarmente caro, e oramai deluse tutte le sue speranze politiche, decise di tornare ai suoi lavori letterari. Ma, recatosi a Fivizzano, con l’intenzione di proseguire il viaggio per recarsi presso Modena nella villa ospitale di un amico, fu colpito da una febbre improvvisa che lo uccise iL 1° Novembre del 1S07 a 52 anni. -A * Già durante la sua vita innumerevoli erano stati gli ammiratori: tra questi anche uomini di eccezione. Vittorio Alfieri, non facile agli elogi, aveva scritto: Ricca vena instancabile Pari alla tua, Famtonit oh deh mi a ressi! Per cui tu, Etrusco Ora:iot Al Yenosimo emuli carmi infissi. E lo stesso Alfieri, in una lettera, così esprimeva : « ....Che certo le Odi sue massimamente si bramerebbero da tutti gli amatori di Poesia scolpite -nell'oro. nonché stampate dal dotto ed accurato Jiodoni.... » Complimento, se si vuole, ma che precisa assai bene le qualità di questa poesia, che è quasi una fusione di delicata minia- 176 Un CONTE RIVOLUZIONA LUO, MAESTRO DI GlOSUÈ CARDUCCI tura e di aggraziata musicalità. 11 Cerrettii lo salutò erede di Grazio. Il Tommaseo, più tardi, a qualcuno clie voleva, nel Belgio» raccogliere le :nigliori cose* degli italiani « moderni », suggeiiva di scegliere anche il Fantoni. « Molta passione, molt’estro, molta vivezza d’immagini, quantunque poca o nessuna originalità » sintetizzerà Ugo Foscolo. Ma già Melchiorre Cesarotti, parlando di alcuni tentati\i di tradurre ^Orazio, aveva individuato il merito principale del Fan-toni nella riproduzione di vari metri latini e così si era espi esso. « Questa Ode (la XII del Libro 1) clic è una dette più celebri di Ora-zio ha per cagiomc dei metro una certa rapidità c un concitamento militare, clic quadra mirabilmente al soggetto. Io volli far prova se potessi conservane questa qualità trasportandola nella lingua italiana collo stesso numero; prova dalia quale mi sarei astenuto ò*e mi fossero giunte prima nelle mani le felicissime odi di metto, e di stile [perfettamente oraziano del mio gentilissimo amico Xig. Conte Fantoni ». Veramente Finiitazione della metrica latina non era nuo\ a in Italia. I primi tentativi risalgono, infatti, al 500 ; ina poiché si erano volute adottare le regole quantitative delle sillabe lunghe e breAi estranee e non avvertibili ai nostri orecchi, erano tallitéi. Comunque sulla traccia di alcuni esempi, solo eccezionalmente felici, e quasi sempre trattati come esercitazioni sulle possibilità della nostra lingua (Chiabrera, Campanella, Filippini, Kolli. Corazza) il Fautoni curò in modo particolare la combinazione di versi italiani già esistenti allo scopo di riprodurre l'accento della metrica oraziana così come appare a chi nulla sappia delle arsi e delle tesi del \erso latino. Malgrado tale felice innovazione ed il successo delle sue odi, di cui si seguirono diverse edizioni, la notte del silenzio avrebbe forse ormai annebbiato il ricordo di questo poeta lunigianese, se Giosuè Carducci non lo avesse più volt? nominato tra i lirici notevoli del 700, e non si fosse appassionato, egli pure, ai tentativi di metrica oraziana. Inspirandosi ai Fantoni, ed anche, a fortunati esempi tedeschi e inglesi, il Carducci imitò, tentò di rendere, e qualche volta rese in modo impeccabile —, i nove ritmi delle odi che chiamò barbare. Dal Fantoni, oltre il metodo di riprodurre con versi ed accenti italiani i ritmi latini, ricavò» ad esempio, integralmente la prima parte della strofe alcaica : (Orazio) S urne est bibendum, mine pttfe libero Pulsanda tellus, nunc Saliaribus.... (Fantoni) Sassau, dei forti prole magnanima 1*0, non morranno quei versi lirici. Mario Grossi 177 (Carducci) Sì, come fiocchi di fumo candido tenui sfilando passem le nuvole. I due ultimi versi furono, invece, modificati dal Carducci che tornò con una felice variante al Chiabrera. Ma nessuna differenza, di ritmo è possibile rilevare tra queste strofe asclepiadee : (Orazio) Dianam tenerae dicite virgines, Intonsum, inceri, dicite Cynthium Lato nam q ue $ up t e m o Dildctam penitus Io vi. (Fantoni) Coûta, a che giovano sospiri e lagrimet S’olire la stigià sponda inoAiKhbUe Priego mortai non giunge a Pluto inesorabile? (Carducci) Ecco, ed il memore ponte dilungasi: cede l’aereo de gli archi slancio, e al liquido s agguaglia pian che allungasi e mormora. oppure tra queste saffiche: (Fantoni) Pende la notte.: I cavi bronzi io setito I/ora che fugge replicar sonanti; Scossa la porta stride agl’incostanti Buffi del vento. (Fantoni) Fugge Vautunno. Spoglia le frementi Selve dicembre di canute fronde* Tornati lottando a dominar su l'Onde Protervi i venti. (Carducci) Ombra dì un fiore è la beltà, su cui bianca farfalla poesia volteggia : eco di tromba che si perde a valle è la potenza. Ê curioso notare quanto diverso fosse il movente di queste creazioni metriche nei due poeti: nel Fantoni la passione per i classici e, in special modo, per Orazio lo induce a tentarne la imitazione, valendosi di versi italiani già noti e usati : è quindi un ritorno verso il passato. Nel Carducci vi è, al contrario, il desiderio di nuove forme più agili, più libere, senza vincoli di rime per « pensieri e 178 Un conte rivoluzionario, maestro di Giosuè Carducci sentimenti diversi di quelli degli altri poeti italiani » e perché pen-sa die « la nuova forma mètrica » sia « m&no discordante dalla forma con cui quei pensieri si andavano determinando nella mente». Sembra quasi che egli presenta nell’aria quella febbre di i innen a-meut/0 e di giovinezza che porterà anche tra noi le teorie nuove, da cui dovranno sorgere gli esempi classici del D Annunzio o riv olu-zionari dei futuristi. E intonazione quasi rivoluzionaria parve λοΙθι dare anche il Carducci alle sue nuove odi, il cui primo verso proclama : « Odio l'usata poesia.... » in realtà la poesia barbara del Carducci, malgrado i primi tempestosi consensi e gli entusiasmi successivi, è rimasta un tentativo quasi isolato, anche se tra i pochi seguaci si deve porre Gabriele D’Annunzio nelle deliziose liriche della adolescenza, e in qnelle mirabili « Elegie Romane » troppo poco note per la loro suggestiva bellezza. Ciò non toglie che le odi barbare del Carducci si siano innestate nel tronco glorioso della poesia italiana, e, alcune, si pongano degnamente tra le migliori dell'ottocento. Ma tra tutti i ritjni barbari uno solo ha dimostrato vita particolarmente robusta ed c la strofe saffica che il Carducci ha trovato, insieme con Pasclepia-dea, perfetta, tra le imitazioni dei metri oraziani del Fantoni. Il D'Annunzio della maturità, 11 Pascoli, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, — tra i maggiori — e quasi tutti i poeti viventi se ne sono valsi, ritornando, però, all’uso della rima. D’altra parte se principale merito del Fantoni è quello di aver indicato la via per riprodurre, secondo l’indole della nostra lingua, gli antichi metri, di cui ha fornito perfetti esempi, è ingiusto dimenticare altri pregi notevoli, della sua Musa. Primo fra tutti e, nella sua età, se non unico certo raro, quello di aver precorso i sentimento patriottico e, pertino, unitario. Cosi egli invocava l’Italia : Squarcia le vesti dell'obbrobriof al crine I/elmo riponi, al sen d’usbergo, destati Dal lungo sonnot e su le veite alpine Alla difesa ed ai trionfi apprestati. Ed anche: Madre feconda di biade e d'uomini Italiaβ salve____ Vittrice, assidili Sovra le tombe gravi Della gloria degli avi. E così pure ammoniva gli Italiani : Mario Grossi 179 aS'c d'un lungo servizio, Per gli altri amari, a voi $On dolci i frutti, Possenti almen nel vizio, Siate servi d’un solo e non di tutti. Sono frequenti Je liriche di squisita fattura come, ad esempio, quella composta nel 1787 sullo stato dell’Europa che incomincia: Cadde Vergennes; del Germano Impero L\eroe vecchiezza nella tomba spinse : Pace smarrita ouoprì il volto e cins\e Marte il cimiero. Mentre è impetuosa come la sua anima e tra le più notevoli per ispirazione classica la sferzante saffica, che egli compose contro alcuni critici malevoli : Mevii tede te: mi balena in viso del Dio di Pindo il provocato\ sdegno. Empi tremate: chi deride è degno D’esser deriso. Altro merito del Fantoni è la musicalità del verso sempre impeccable e perfetto. Sembra· che egli si sforzi a essere intonato all’Italia in cui vive e di cui è parte, tutta protesa nella febbre di gestazione da cui è appena sorta, o sta sorgendo, la musica in tutte le sue molteplici espressioni. Egli stesso, certo soprava lutando la sua opera, così parlava dei propii versi : Invano il Tempo tenterà di spargerli D’edace polve e di secreto orrore, Sacri all’Italia un dì, più grandi, e al merito, Vivranno eterni, e spireranno amore. Ma per giungere ad essere uno dei grandi poeti dell’età sua — che ebbe tra i maggiori ΓAlfieri, il Parini, il Foscolo ed il Monti, — gli mancò la necessaria robustezza dell’ingegno. Nocque pure alle sue pregevoli ed innate qualità di artista la vit perdita per la povera mucca del suo vitellino « Brunotto ». Il macellaio lo porta via— « Sen va dunque il brunotto sopra quel vecchio cario Che stride, la catena al collo. E la pianura Tosto i trabalzi intendonsi della vettura piena.... Oh! il povero brunotto! Ei non à per difendersi Che la voce piangente ed i suoi occhi ingenui! Tutti va a visitare gli angoli della stalla, Gemet quel >posto lecca ove il vitel posava, Poscia il fien saporito e novello rifiuta.... Nel Circo (riconoscenza di belva) di Augusto de Benedetti : « Ricordi? » È giunto Cesare ed ha l’estro Oggi d’offrirsi un ludo! 0 gladiatori li assegna Bibliografica 211 Olàt date 'principio ». U dal silvestro Speco ruggendo balzano già fuori Tigri e leoni sitibondi in atto : L’un sull'altro s’avventati come lori/.... Quando entrano i cristiani, le belve si arrestano, ma poi si lanciano contro le vittime. Ma uri leone osserva una vittima e riconosce in essa uno schiavo (Androcio) ed invece di sbranarlo gli lambisce le mani. « Rammemorando il beneficio antico.... La parte del libro — che abbiamo sfogliato con vero raccoglimento — dedicata ai « disprezzati » ci trasporta in un mondo lontano, fra esseri che palpitano nei ghiacciai, su altare di monti eccelsi, nelle foreste selvatiche e ci riporta poi vicini, fra erbosi ed aridi sentieri, in paludi e su tra gli alberi pieni di ombra e maestosi, agitati da un soffio di intenso mistero. Natura, madre sovrana di tutte le creature dell’universo, nascondi pietosamente la mestizia ed il dolore degli esseri che soffrono, sorridi alla bellezza del mistico mondo che mormora un linguaggio che è pieno di generose espressioni che non tutti però comprendono. Accarezza chi è in pena, incuti fede e forza in chi è in disperazione e muore. La parabola della tua potenza è grandiosamente superba. Tu sola, o Natura, dea suprema di tutto, regina del passato e fata deU'avvenire, tu sola puoi ridare la viltà a chi sta per spegnersi e tu sola puoi modificare le Leggi che hai impresse alla Terra ed ai viventi. Tutti dipendono da Te, poiché sei Tu che hai creato la vita e la Morte ed hai innalzato sul mondo Finfinito1 mistero della Gènesi. Ma il cuore non si trasforma ed è sempre lo stesso, mosso da una forza sublime che Tu hai diffuso col tuo ritmo eterno. Non si spegne perchè è etere, calore, energia, vastità. Ed ha un solo ed unico nome : Amore. E per il senso celestiale dell’amore, per i cuori che non si trasformano, cjhe rimangono sempre uguali, tu devi rinvigorire' la magnifica potenza della Fede. Soltanto allora le creature saranno rispettate ed amate. Nella categoria dei « Perseguitati » rileviamo : «I delfini» di N. Stefenßlli e Angusto de Benedetti; 212 Rassegna Bibliografica <( Alto silenzio : scrivo la la nave Sui corruschi d'argento flutti stàncM Del plenilunio sotto il vel soave.... E giuocano delfini al chiar di luna Intorno a l'ampia casa misteriosa Che fen)liß l'acqua colla ,prora bruna.... Son· delfini che vogliono cantare In lor favella, dolcç melodia.... Chi fra lor pensa ad un agguato vile? May ohimè, premeditando, ecco che spia Con la fiocina, pronto. Vuomo ostile! piangono i pesci la ferocia umana.... v Nei « Fantastici ». « La Giraffa» di Augusto de Benedetti: « Protende a Vinfinito il lungo collo Quwl freccia incline verso il fulvio cielo. Quando, a notte, corcata nel lunare Solco, pace respira fra le alte ombre.... «I Pinguini» di Mario G area: « Con gli sparati immacolati e bianchi Marsina aperia, a inchini lenti e uguali Piegano il capo e lasciato lungo i fianchi Penzolar come moncherini Vali— «Il Cigno » di Sully PrudhOmme : (Statua diafana die sfiora l’acquai come la spada candida di nna calla e come il pètalo di una rosa caduta sul lago triste e morto. Quanti e quanti poeti hanno· decantato la tua linea tagliente e gentile e1 come tu rimani sempre nella mente di ogni sognatore, simbolo di una sirena incantevole che non esiste, riflesso di uno specchio fatato che accompagna la tua sfinge deliziosa ed imponente·) « Lo splendor d7 una sera di laltte e di viole Sotto Vaia il bel capo, infra due firmamenti Dorme> fra diamanti quale un vaso (1 a/t'gento. «La Farfalla» di A. De Lamartine: . « Nascer a primavera, morir come le rose Di zeffiro su Vali in puro del librarsi.... » Abbiamo girato 3,'ultima pagina del volume e dopo tanta bel- Rassegna Bibliografica 213 lezza di sentimenti, dopo tutte queste reminiscenze sante di uomini nobili, clie lianno amato, profondamente amato esseri di continenti diversi, di forme differenti e svariate, abbiamo compreso che in fondo gli uomini non sono cattivi. Cattivi sono gli istinti che li dominano e odiosa è Γincoscienza. Occorre modificare questi istinti e togliere la cortina che oscura gli animi. Illuminiamo gli spiriti, accendiamo la fiamma della, bontà nei cuori privi di calore, rinforziamo il senso dell’amore per tutto quello che è bello, puro, naturale. Da- tale soavità di intendimenti e di sentire, scaturirà la nostra dolce vittoria. Essa non può mancare, perchè la fonte alla quale, noi zoofili, attingiamo il nostro entusiasmo e la nostra fede, è fulgidissima. Essa proviene dai cuore ed ha un nome angelico : La Pietà. Luigi Mendez Italo Scovazzi, Vincenzo Gioberti e il Cattolicesimo liberale a t$a- vona, in « Atti della R. Deputazione (li storia patria per la Liguria », vol. XVII, Savona, 1935. La monografìa dello Scovazzi ci dà più di quanto non promette il titolo, trovandosi in essa dettata sinteticamente, con opportuno corredo bibliografico, la storia del moto riformista savonese prequarantottesco, sino ad óra non studiata di proposito. Con buon metodo e sicura dottrina vi si rievoca l’opera esplicata da ecclesiastici mon alieni da novità e da liberali moderati mediante l’istituzione di nuove scuole, dagli asili a quelle superiori e commerciali artistiche industriali; moto rinnovatore, che al momento opportuno permise allo Stato Sardo d'essere meglio preparato al ponderoso compito che eventi estranei, ma più volontà di popolo gli affidarono, mettendolo a capo dell’italiano risorgimento. Questo peculiare aspetto della storia nostra recente, ricolle-gantesi sotto molti aspetti, al moto prettamente nostrano del secolo precedente — pur non essendo estraneo a quello svolgentesi ■contemporaneamente in Europa — era stato già studiatp nel suo evolversi (per limitarci agli Stati Sardi) nel Piemonte, nella Lunigiana, in Genova ed anche in Chiavari. Soltanto sul Savonese ancora non s'era portata un’indagine accurata e sagace, tale cioè da inquadrare nel momento storico in cui si svolse, l’attività di uomini quali Agostino De Mari, Benedetto Rose!li e soprani tto Giovanni Solari, esponenti di quella meravigliosa primavera di spiriti che fu la prima metà deirottocento, ricca di fermenti che più tardi germoglieranno 214 Rassegna Bibliografica rigogliosi in un meriggio sfolgorante. Savona non isfugge, né poteva, alla crisi formativa di una- nuova coscienza, di quella restaurazione interiore clie sorge ovunque in Europa, ma in particolar modo in Italia, dopo 1’epopea napoleonica, nata dai principi della rivoluzione francese, travolta quindi dalle esigenze stesse da cui eira sorta. Dopo il trionfo del razionalismo più arido, seguito alla proclama/ione dei diritti dell’uomo e, nonostante le apparenze contrarie, tornato ad imperare con la restaurazione, linfe vitali, sorte da esigenze insopprimibili, espressioni di una nuova potente vita interiore, incominciarono a circolare assumendo nomi vari che lo storico indicherà con le parole giansenismo, cattolicesimo liberale, spirit/ualismo, alimentando gli spiriti e preparando nel silenzio e nel sacrifizio d ogni ora la nuova coscienza che, quando sarà matura, darà F impressione, e non solo di poeti, di un miracoloso risveglio del popolo nostro. In realtà, però, non era miracoloso ; ché la storia ignora i miracoli: se ci si sofferma a considerare — limitandosi qui all'argomento preso in esame_ l’opera svolta per decenni da uomini come Giovanni Solari, Stefano de Gregori, Francesco Pizzorno, Agostino Muraglia e quella meno visibile ma non perciò meno profonda compiuta dagli Scolopi in Savona, non ci si stupirà di trovar più tardi fra i loro discepoli uomini che saranno deigni rappresentanti della loro età : basti ricordare che in questa* fucina- si formarono Goffredo Mameli, Giuseppe Elia Benza, Giuseppe Cesare Abba, Anton Giulio Barrili, Paolo Boselli. w # •X’ Merito precipuo dello Scovazzi, del quale dobbiamo essergli grati, è stato quello d'indagare come sorse e si sviluppò, in questi anni quello ch’egli chiama il cattolicesimo liberate nel Savonese, ma che in realtà, si identifica con la nuova coscienza liberale, che accoglierà al momento propizio, con un frenetico entusiasmo la dottrina gio-bertiana, non in quanto tale, ma per ciò che rappresentava: il ridestarsi di una forza cosciente di sé. E sarà questa forza che armerà infatti nel 1848 il braccio di Luigi Corsi e dei suoi volontari; che darà a Pietro Giuria gli strali per le buone battaglie; che più tardi, con altri intenti ed in altro clima storico, metterà sull arengo Anton Giulio Barrili e Giuseppe Saredo. Con la scorta della monografia dello Scovazzi sarà ormai agevole seguire questa palingenesi, dalla creazione dei primi asili infantili in Savona alla scapigliata irruenza di Pietro Sbarbaro attraverso l’opera dei religiosi (in particolar modo del Solari, il corrispondente del Gioberti, al quale forni per il Savonese elementi che servirono al grande filosofo torinese per un capitolo del Gesuita moderno non altrimenti di quanto aveva fatto per Genova, Vincenzo Rassegna Bijjliografica 215 Ricci) di editori quali L. Samibolino e L. Prudenti, e di pubblicisti che sui giornali Popolano Ligure e Colombo combatterono non poche battaglie pei; ridestare nei concittadini una coscienza civica invero mai del tutto spenta. Dopo· questo esplicito riconoscimento dell’importanza dell’opera presa in esame, ci sia concesso osservare che l’influenza giansenistica sulla formazione di questa nuova coscienza, è qui dallo Scovazzi piuttosto affermata che dimostrata: si sarebbe preferito al posto eli certe punte polemiche sull’interpretazione della dottrina giansenistica un più profondo esame sull’opera svolta dai singoli sacerdoti, tinti di quella pece, e sulla efficacia della loro propaganda precisamente nel Savonese. Compito forse ingrato, certo più modesto, ma che indubbiamente sarebbe stato più meritorio. a. G. Y ito Vitale, « II contributo della Società Ligure alla cultura storica nazionale » in Atti della Società Ligure di Storia Patria - Λ ol. LXIV - Genova, 1935. Vito Vitale espone in rapida sintesi, ed efficacemente lumeggiandole, le opere degli studiosi liguri, fondamentali peæ ja cultura , storica del nostro paese, venute in luce dalla fondazione del sodalizio (1858) ai nostri giorni. Fatica davvero non agevole, se si pensi alla non superficiale cultura e spesso anche all’erudizione necessaria a chi si accinga a fare un sia pur lieve esame critico delle opere di cultori di storia che si occuparono di indagare e porre in luce ogni aspetto della multiforme vita dei Liguri, così poco nota nei secoli precedenti. Prendendo le mosse dagli inizi della Società e procedendo in ordine cronologico, egli ha saputo creare di tutta l’attività dei soci una visione d’insieme, lumeggiata; nei punti principali, dalla ricchezza delle osservazioni, dalPacuteziza dei collegamenti, dal tesoro insomma di una dotti-ina che si rivela qui come la forza che cojn-pleta ed anima tutto ciò che tocca. 11 bilancio è soddisfacente. In 70 anni di vita la Società ha pubblicato 03 volumi di Atti per lo studio della storia dell’antica Repubblica di Genova, tre volumi di una seconda serie dedicata al Risorgimento, ed alteri volumi non compresi in nessuna serie particolare, tra cui è specialmente notevole l’edizione degli scritti di Goffredo Mameli per cura di A. G. Barrili e il volume di Orlando Grosso e Giuseppe Pessagno sul Palazzo del Comune. Quelli che più interessano sono naturalmente gli Atti, che raccolgono opere di archeologia, di geografia storica, di numismatica, di arte, di storia del diritto, delle scienze e della cultura in genere e 215 Rassegna Bibliografica clie per la materia possono· essere divisi in due gruppi : 1) uno di fonti e documenti, olle vuol fornire agli studiosi un materiale di consultatone e ricostruzione; 2) l’altro comprendente studi e monografìe, compiuti appunto su quella documentazione, e su alti a presa dagli archivi genovesi. Ta-lora gli studi hanno sodo caiatteie locale; qualche volta invece trascendono la regione e rappresentano un vero contributo alla cultura nazionale, corn’d, per esempio, l'opera di Arturo Issel di straordinaria importanza per la soluzione del problema dell’origine dei liguri dandoci notizie sui loro caratteri tisici, sui costumi e sulla provenienza: prima di lui si erano occupati di argomenti anàloghi, solo per vari rami dei liguri, Gaetano Poggi e Gerolamo Rossi. Dell'età romana abbiamo le iscrizioni raccolte ed illustrate da Angelo Sanguineri, mentre Marcello Remondini pubblicò le medievali, che essendo per lo più sepolcrali o religiose, olirono dati per la storia del cristianesimo in Liguria, trattata da Arturo Ferretto, Tommaso Belgrano pubblicò, illustrandoli, una larga raccolta di documenti relativi alla Curia Arcivescovile di Genova, e altri si occupò di S. Siro, e di Iacopo da Yaragine; l’opera più cospicua in questo campo sono i regesti di lettere pontificie fino a Innocenzo III che Cornelio Desimoni. uno dei più insigni studiosi della storiogia-fìa ligure, pubblicò, completando e correggendo talora le notizie di raccolte anteriori. Gli Atti sono particolarmente ricchi di mono-graiie sul medioevo: ma l'opera più importante su l’alto medioevo è lo studio « Sulle Marche d’Italia e sulle loro diraniazioni in Marchesati » del Desimoni. Egli, sviluppando una ipotesi messa innanzi dal Muratori studia l'origine delle Marche sorte nella parte occidentale d’Italia tra i secoli IX e X ed enuncia una teoria che ha notevolmente influenzato l'indirizzo degli studi intorno al sorg eie del Comune e specialmente intorno al formarsi della teoria sull uligine del Comune, cui già aveva accennato precedentemente il moni in altra opera, quando aveva indicato nell associazione dei discendenti della famiglia viscontile l’embrione della « Compagna » che è poi il Comune. Il Belgrano ribadì quest’opinione in un'opera che con quelle del Desimoni è anche oggi fon da mentale per chi coglia tornare sulla dibattuta, ma non risoluta questione. La storia generale delle istituzioni giuridiche e della λ ita ìeli-giosa ed economica del medioevo ha avuto notevolissimo contributo dalla pubblicazione del codice Pelavicino dell’Archivio Capitolare delia Cattedra di Sarzana pubblicata da Lupo Gentile. Benemerenza particolare della Società i l’avere pubblicato la cronaca/ inedita della la Crociata scritta da Caffaro, primo cronista laico del Medioevo e iniziatore degli Annali, traendola dal Codice parigino, che servì di base alla la edizione italiana integrale degli Annali, che, Rassegna Biblioghafica 217 •quantunque edita dall'istituto Storic o Italiano, fu però iniziata dai Belffrano e dal Desimoni e continuata da un terzo· socio, Cesare Im- Yènne pubblicata a cura del socio Vincenzo Promis la continuazione della cronaca del beato Vescovo Iacopo da Yaragine e ]a cronaca francese del patrizio genovese Alessandro Saivago, che ha particolare importanza, perchè vi sono esposte le vicende di Genova nei primi del cinquecento', le quali toccando in modo speciale i rapporti della repubblica con Luigi XII di Francia, interessano la storia generale di quel periodo. Ancora dobbiamo ripetere i nomi degli infaticabili studiosi Bel grano, Desimoni e quel- lo di Achille Neri, quando vogliamo accennare alle poesie storiche del. sec. XV e XVI riferentiisi spesso alle relazioni di Genova con altri Stati italiani. Tra essi merita particolare attenzione una edita dal Bel grano « Frammento di poemetto sincrono1 sulla- conquista di Almeria nel 11-17 » perchè ci riporta ai secoli XII e XIII che sono l’età eroica non soìo di Genova, ina di t/utta la civiltà italica medievale. Più che larghe monografie e studi riassuntivi sul medioevo di cui anzi si lamenta la- mancanza, abbiamo sillogi documentarie di grande valore, quali il Codice Diplomatico delle relazioni tra la Liguria, la Toscana, la Lunigiana ai tempi di Dante, dovuto alla indefessa operosità di Arturo Ferretto. L’opera raccoglie ben 1935 documenti; l’altra, dello stesso* autore, «Liber Magistri Salmonis Sacri Palatii notarii 1222-122G » è preziosissima miniera cui potrebbe attingere chi volesse darci un quadro di vita privata dugen-tesca, di cui « La vita privata dei Genovesi » del Bel grano stesso è solo un breve saggio. Naturalmente anche del commercio, della navigazione, dell’espansione commerciale si occupano gli Atti, sebbene manchino opere ricostruttive: fa onorevole eccezione il lavoro del Sieveking « Studio sulle finanze genovesi nel medioevo » e lo studio del Casa-retto· sulla moneta genovese nei secoli XII e XIII. Non è trascurata nemmeno la storia delle colonie che vanta il. « Codice Diplomatico delle colonie sauro-liguri di Amedeo Vigna, opera importantissima, elio si occupa dei rapporti fra i Turchi e i popoli occidentali specialmente dopo la caduta di Costantinopoli, e lo studio di Francesco Podestà « L’isola di Tabarca e le pescherie di corallo nel mare circostante », che tratta dell’ultima colonia genovese e dei suoi rapporti con la Spagna e la Francia, desiderosa di togliere a Genova il commercio così redditizio del corallo. Ma sopra tutto nella scienza nautica e cartografica l'opera della Società Ligure è degna di lode. Dalla pubblicazione ed illustrazione delPAtiante idrografico Luxoro, dovute al Belgrano e al Desimoni, allo studio delle carte nautiche e degli opuscoli dello Scotto; da un •esame generale della cartografia nautica italiana nel medioevo ad 218 Rassegna B i r, l i o g β λ f i c λ un intero volume dedicato ai navigatori ed ammiragli, è tutto· un fiorire di studi, di 'biografie, di opere ohe hanno grandissima importanza per la storia della scienza nautica. 1] singolarei però che mentre nel. volume hanno larga parte i Vivaldi, il Caboto ed altri, di Cristoforo Colombo si parla in opere relativamente di scarsa importanza, se se ne eccettui le « Questioni Colombiane » dei Pessagno ; non si deve però dimenticare che proprio il Belgrano e il Desimoni furono in gran parte gli autori di q-uella « Raccolta Co’ombiana » che è la base fondamentale di tutti gli studi su Colombo. Anche la letteratura lia un certo luogo negli Atti : di studiare opere letterarie ili contenuto storico o di indagare sugli umanisti, che anche in Liguria non mancarono, si sono· occupati Antonio Ceruti e Γ. L. Mannucci. La storia politica, che segue da· vicino le vicende dei vari Stati, ci dà molti importanti studi sulla fine del 400 e del. 500, come, per citare uno dei più notevoli, i « Documents pour l’histoire de l'établissement de la domination française fi Gênes (1498-1500) di Leone Pellissier, e lo studio di G. Calligaris su Carlo di Savoia e i torbidi genovesi del 1506-1507. Di Andrea Doria, che pure è figura di primo piano nella storia ligure del sec. XVI, manca una vera biografia, mentre non fanno difetto contributi anche di una certa importanza. Merita di essere posta in particolare rilievo un’opera singolare, unica nel suo genere, dovuta al Vitale « Diplomatici e Consoli della Repubblica di Genova » contenente, oltre l'elenco di essi, le indicazioni archivisriclie delle istruzioni avute dal governo, delle corrispondenze tra loro e il governo stesso, notizie tutte che fauna dell1 opera uno strumento di lavoro preziosissimo per chi voglia indagare le relazioni tra Genova e gli Stati italiani ed eturopei. Sulla fine del 7C0 il contributo degli Atti è davvero insigne: basta ricordare l'opera di Pietro Nurra « La coalizione europea contro la repubblica di Genova (1793-17%) » che rivela la line diplomatica di Genova intenta a conservare la neutralità tra la Francia rivoluzionaria e le Potenze coalizzate. Sulla trasformatone di Genova in re-pubi dica democratica e sulla restaurazione del 1814 abbiamo un notevole studio nelle «Memorie» di Gerolamo Serra, mentre manca per la Liguria un’opera riassuntiva delle vicende degli ultimi del ’700 e primi dell’ '&00, eccettuata la biografia del Vitale su Onofrio Scassi, fondamentale per le vicende di Genova e della Liguria durante la repubblica democratica, J’età napoleonica, il passaggio al dominio dei Savoia; studio, questo, che prende, come argomento, il primo volume della serie del Risorgimento iniziata nel 1923, in cui Franco Ridella, parlando de « La vita e i tempi di Cesare Cabella » riallaccia la vita genovese agli eventi e alle figure della vita italiana contemporanea. Gli alt/ri due volumi della stessa serie curati da Ar- Rassegna Bibliografica 219 turo Codignola, contengono lei lettere dall'esilio dei fratelli Ruffini : materia di per sè interessante, ma resa assai più viva dall’essere inquadrata nella storia del tempo- da due dottei introduzioni, Puna su l’opera e gl’intenti letterari e politici del primo cenacolo mazziniano, l’altra su « Mazzini alla ricerca di -una fede ed il dramma dei fratelli Ruffini ». Da questa rapida sintesi, il contributo del glorioso sodalizio alla cultura storica nazionale, balza evidente. Il bilancio è stato opportuno e nessuno meglio del Vitale, ben conosciuto in Italia e non soltanto, ai nostri lettori, poteva farlo, all’iniaio di una nuova vita ora apertasi al sodalizio col recente ordinamento degli studi storici italiani. L. M. SPIGOLATURE E NOTIZIE STORIA MEDIOEVALE S. Caterina da Siena. Giuseppe Galbiati : Caterina (la Siena e Gregorio. 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C.: Genova segreta - La chiesa dei chirurghi e dei barbieri in «Il Giornale di Genova», G Luglio 1935; Genova scomparsa - La tr’.ßte chiesa di Capo Faro in « Il Giornale di Genova », 18 Luglio 1935; Tradizioni di Genova vecchia -Gli ex voto del Crocifìsso di Castello in « Il Giornale di Genova », 30 Luglio» 1935L - Karaban: Nella Genova del ’G00 - Un fattaccio in Piazza Banchi in « Il Giornale di Genova », .17 Luglio 1935 - Fasti e Memorie di un vecchio teatro cittadino in «Il Giornale di Genova», 19 Settembre 1935. - Leoncello d’Acquavita : Acquasanta in « Il Secolo XIX », 25 Luglio 1935. - Mauro Save-riano: Villeggiatura alle porte della città . Sant9Eusebio, Svizzera genovese in « Il Giornale di Genova », 2 Agosto 1935. - F. E. Morando : La regione di Sant'Andrea in «Il Corriere Mercantile», 10-13-10-23 Agosto 1935. - G. M.: Nella culla di Genova Marinara - Croce e Grifo e la storia delle tre torri in «11 Corriere Mercantile», 12 Agosto 1935. - Vito Damaseli! : ina notte in mare con la lampara in «Il Corriere Mercantile», 13 Agosto 1935. - Marbet: Genova dagli abbaini in «Il Lavoro»., 14 Settembre 1935. - San Pantaleo in «Il Lavoro», 8 Settembre 1935. - Marcus de Rubris: Genova lontana in «Il Lavoro», 17 Agosto 1935 · - Carcos : Nella Genova vetusta - Guen'igUe fanciullesche fra i rioni in « Il Corriere Mercantile », 17 Agosto 1935. - A. V. P. : Angoli romiti della grande Genova, in « Il Corriere Mercantile », 28 Agosto 1935. N. P.: Le cinque meraviglie di Becco in «Il Lavoro», S Settembre 1935. - Stefano Rebaudi: Usi e costumi di Liguria - Tradizioni folcloristi-che di Castel Vittorio (Imperia) in «IL Corriere Mercantile», 9-21 Settembre 1935. - Anonimo: Genova nostra di Costanzo Carbone in «Il Giornale di Genova », 13 Giugno 1935 - Canti genovesi in « 11 Giornale di Genova », 14 Giugno 193,5 - Pontedecimo agreste in « Il Lavoro », 18 Agosto 1935 - Curiosità genovesi de 1 ’000 - Le Galleghe in « Il Secolo XIX », 2d Agosto 1935. - I quartieri di Genova antica in «Il Lavoro»; 22 Agosto 1935. OïTtSEprE Bisogni I NOSTRI MORTI ANTONIO CANEPA Gli amici e specialmente gli studiosi di storia ligure hanno· appreso con vivo dolore la notizia della morte di Antonio Canepa, avvenuta in San Remo il 30 Giugno. La bontà dell’animo, Ja rettitudine della vita, la fermezza del carattere, l’affabilità e l’operosità, di cui diede prove indiscutibili, conciliarono ad Antonio Canepa l’affetto e la stima di quanti ebbero la fortuna di conoscerlo. Insegnò per quarantanni nelle scuole medie, dapprima nel R. Ginnasio di Tempio, poi nei RR. Lied di Cuneo e di Sanremo, e nell/esercizio di questa missione portò la fede e l'entusiasmo che sono il segno infallibile della vocazione. Le cure deir insegnamento non lo distolsero da’ suoi studi prediletti. Coltivò con onore gli studi danteschi, come provano le Ricerche sulla Beatrice di Dante e il Commento al paradiso ; ma da un decennio si era dedicato alla storia della Liguria occidentale e in particolare della sua diletto Sanremo. Nei saggi che Egli diede sulla « Villa Matntiana» S’ul « Castrum Sancti Romuli » e su altre questioni relative alla storia di Sanremo, dimostrò insieme con una larga e sicura conoscenza delle fonti, una singolare perspicacia nel penetrare e risolvere questioni complicate ed astruse. Mentire attendeva a raccogliere e coordinare il frutto della sua lunga e solida preparazione in una Storia di Sanremo, che avrebbe chiarito e rettificato molti punti conti oversi, la morte inesorabile lo rapì all'afïetto de’ suoi cari e al progresso degli studi. La bibliografia del compianto studioso sino al 1932 si trova nell’estratto dell’articolo « Un poeta sanremese dell’ottocento » apparso nel fascicolo III del Giornale storico e letterario della Liguria del 1932· O. B. Per disposizione generale del Ministero per la Stampa e la Propaganda, riduciamo da questo fascicolo il numero delle pagine della rivista. Direttore responsa bile : A R T U R Q C O PIGNOLA_____ ANONIMA INDUSTRIE POLIGRAFICHE NAVA - BERGAMO ALCUNI GIUDIZI SULLA PRODUZIONE ARTISTICA DELLO STABILIMENTO ARTI GRAFICHE BOZZO &z COCCARELLO - GENOVA Il Cardinale CARLO DALMAZIO MINORETTI, Arcivescovo di Genova: « ____la artistica c splendida riproduzione.... farà bella figura nella sala délai VArcivescovado e resterà testimonio.... dell’abilità degli autori ». S. E. VJVORIO, Prefetto di Genova: « La riprodtiziune della tela di Bernardo Strozzi è veramente opera d’arte grate fica pienamente riuscita, e fa onore allo Stabilimento che adempie a un a nobilissimo compito, facendo conoscere i capolavori del pennello genovese ». S. E. MORMINO, Prefetto di Genova: Spezia ABBONAMENTO ANNUO : per ΓItalia Lire 30 - per Testerò Lire 60 Un fascicolo separato Lire ^?óO Doppio Lire ί ó DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE : ÇçenoVct, Via X^omellim, 2* (Casa X^ax^iini) / Conto Corrente con la Posta ANNO XI ~ 1 53ó ~ XIII Fascicolo IV - Ottobre-Dicembre GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA I PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE Direttore : ARTURO CODIGNOLA f Direzione e Amministrazione GENOVA, Via Lomellini, 21 (Casa Mazzini) ’ΗΜΙ·ΙΙΒΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·1Ι·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ··Ι·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·(Ι·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ····ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·|Ι·|Ι·|Ι·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·,Ι·|Ι·Μ·Ι|·ΙΙ·ΙΙ·Ι- ΙΙ·ΙΙ·Μ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·1Ι·ΙΙ·ΙΙΗΙΙ·»Ι·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·Μ·Π·Η·Η·»Ι·Μ·Μ·«>·Μ·Χ»^^«·»Ι·Κ<««Ι·Μ·^1»·>*»η·Μ·Μ»»Ι>1Τ»ΤΤ·^Μ·»^Η·Η·1Ι·Ι>·Η·ΙΙ·Η·4^Η·>»1 FRATELLI PAGANO TIPOGRAFI EDITORI - 5. A. Via Monticelli, 1 1 - GENOVA - Telefono 02004 .ιΐ-.Ι·Ι«υ·ΙΙ·ΐΙ·ΙΙ·ΙΙ·Μ·ΙΙ·ΙΙ·Μ·Ί,·|Ι«»Ι·Κ·|Ι·Ι|||,Ι·ΙΙ·1 Ι·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙϋ>·ΙΙ·Μ·ίΙ·ΙΙ·Π·Π·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ··Ι·Π·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·>Ι·ΙΙ·Π·ΐΙ JSfosfrt Edizioni : POESIE IN DIALETTO GENOVESE di Martin Piaggio ó. edizione, curata da Oiulio Gatti - Prefazione di L. A. Cervetto . . · · · L. 1 ó LA CUCINIERA GENOVESE di Gio. Batta e Giovanni padre e figlio Ratto - 12* edizione - Prefazione di Carlo Panseri · ^ ■> ANNUARIO GENOVESE FRATELLI PAGANO Guida di Genova e Provincia (Lunario del Signor Regina) 1 1 £>a edizione . - · · L· <30 IIIIIHIIIWHIIH ttWKUHflHI Μ·Η·Μ· |(βΜρΙΙβ<^»,»Η««Ι«Η«ΗΗΙ«^ΗΗ«Η.Μ««Η«*Μ««.Η·Ι..Ι.·..·..·«·Μ·.Ι..Ι·«·Η».................. SOMMARIO Mario Oliveri, Un rimatore genovese del Settecento - P. Guglielmo Salvi, Le '‘‘vere" origini del Jinale - Teresa Repetto, Relazioni tra Genova e Alessandria nel secolo XII - Roberto Mazzetti, G. B. ‘Passerini e Vincenzo Gioberti - Renato Giardelli, Saggio di una bibliografia Generale della Corsica - RASSEGNA BIBLIOGRAFICA, Ermanno Dervieux, L'opera cinquantenaria della R. Deputazione di storia patria di ’Torino (M. Celle) - Tito Rosina, Jederigo Tozzi (Enrico Terracini) Ermanno Amicucci. G. B. Bottero, giornalista del Risorgimento (Enrico Terracini) - ‘‘L’annuario del R· Liceo-Ginnasio C. Colombo,, (cM. Celle) SPIGOLATURE E NOTIZIE, (Giuseppe ‘Bisogni) APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA. Anno XI 1935 XIV Fascicolo IV. Ottobre-Dicembre Direttore: ARTURO CODIGNOLA Comitato di Redazione : Carlo Boriiate - Pietro Nurra - Vito A. Vitale Un rimatore genovese del Settecento: GEROLAMO GASTALDI G. Baretti, nel P apera sua « GP Itali ani » rammentava con onoro tra gli arcadi genovesi, accanto al Negroni, al Viale, al Celesia e al Pizzorno, anche G. Gastaldi. Fu probabilmente questa menzione del Baretti, anche se nessuno lo ha mai confessato, che indusse qualche studioso del 700 a mettere in luce questi nomi oscuri. Il Bertana p. es. in uno studio Sull’Arcadia ligure, che poi raccolse nel volume « In Arcadia » (2), mercè alcune note procurategli da Achille Neri, dava un profilo più che sufficiente del Viale. Lo stesso Neri, rovistando tra gli archivi liguri, raccolse buona copia di notizie per tracciare un medaglione del Gastaldi, che pubblicò nel Giornale Ligustico sotto il titolo : « Un corrispondente genovese • del Voltaire ». (:i) Ma lo studio del Neri, pur accennando con lode all’opera poetica del G. (4), non la prese di proposito in esame. Pertanto noi qui ne riassumeremo brevemente la vita, non solo per inquadrarlo, ma per correggere pure qualche inesattezza del N. e aggiungere alcune notizie sfuggite aPa diligenza sua o sopraggiunte dopo che il suo studio era stato pubblicato rimandando al Giornale Ligustico per la. completa biografia. * # # G. Gastaldi nacque in Alassio, nella Liguria Occidentale, da famiglia aristocratica, ascritta alla nobiltà genovese nel 1655 (5). (J) Opere, Milano, I. VI, c. Vili, p. 90, nota. (2) Napoli, Ferrell a, 1909, pp. 4-10-09. *--> (3) a. IS84, pp. 442-63. (*) Dice infatti di lui : « era di gusto fine e di feconda ma regolata immaginazione. Le sue liriche Fono in generale di argomento amoroso, e spirano una dolce soavità, sebbene non vadano immuni da alcuni vizi di forma, nè cadono nel manierato e nel floscio, come moltissime dei poeti di quel tempo» (p. 445). Giudizio, come vedremo, non certo troppo rispondente alla verità. (5) Non si riesce a capire dove mai il N., pur così diligente ricercatore, abbia trovato la notizia che il G. sia oriuudo di Taggia. Questo errore è grave per il fatto che dimostra non avere il N. consultato gli storici letterari liguri. Lo Spotorno infatti nella sua nota opera (vol. V p. 77) lo dice espressamente di Alassio; cosi pure il Casalis (Diz. stor.-geogr. ecc. vol. I, sotto « Alassio », spec. p. 119). Forse Terrore deriva dal fatto che la famiglia G. si trapiantò in varie città della Liguria, fra cui Taggia: di qui l’abbaglio. 226 Un rimatore genovese del Settecento: Gerolamo Gastaldi L'anno preciso non mi è stato possibile ricavarlo nemmeno da altre fonti, oltre che dallo studio citato ; ma certo è dei primi del 1700. Egli era di famiglia profondamente religiosa: difatti essa aveva avuto, tra gli altri, un Gian Tommaso λ escovo di 131 ugnato (104:0-52), che diede alla luce opere teologiche, che ottennero l’approvazione dei dotti; ed un predicatore, il padre Domenico, che i contemporanei dicono insigne. ( 1 ) Del nostro Gerolamo poi, il Manno (2) ricorda anche un « Discorso teologico-canonico-politico· », riguardante la missione di Mons. Cesare Crescenzio De Angelis in Corsica, in qualità di visitatore apostolico; discorso però che io non ho trovato citato da nessun altio. Nella famiglia erano in onore gli studi specialmente di giurisprudenza: tra gli altri, abbiamo un Francesco G. il quale fu anche ambasciatore di Genova presso Luigi XIII nel 1010; ed erano pure coltivate le lettere, poiché si ebbero dei verseggiatoli latini « di vaglia». (3) Il Gastaldi continuò le tradizioni della famiglia: si laureò in giurisprudenza e si avviò per quella carriera, che do\ θυ a poi pei-correre così splendidamente e onoratamente; ma. pur in mezzo al e sue occupazioni, non tralasciò mai gli studi letterari, di che gli u fatto perfino un non tanto velato rimprovero da parte della « Giunta dei Contini », una specie di consulta per le relazioni cogli stati esteri. Difatti, proposto nel ’53 come ambasciatore della Repubblica presso la Corte di Torino, questa Giunta, pur approvando l’uomo per le sue doti insigni, gli moveva appunto il rimprovero di esseie « to distratto da altri studi poco profittevoli e molto alieni dal Ministero » : i quali studi sono appunto, sebbene il N. non se lo sia — cosa strana — domandato, quelli letterari, di cui era, più che appassionato, cultore esso stesso, traduttore cioè e poeta. Eletto l’anno dopo, il G. non presentava che il 18! dicembre al re le sue credenziali. Nel nuovo ufficio il nostro rivelò tutto acume, tutta la valentìa diplomatica di cui era capace, sicché iu conservato in carica per ben 12 anni: fino al ’00. A Torino ebbe molti e sinceri amici, non solo tra il corpo dei diplomatici, ma anche tra famiglie private; soprattutto pero fu in amicizia col marchese Caracciolo, ministro del re di apo ì, e con l’ambasciatore del re di Francia, marchese di Cbauvelin, che aveva conosciuto a Genova. Anzi, mentre si trovava in patria, nei ritrovi C1) Casalis, op. cit. p. 119. ) (2) Bibliografia VI, n. 27, 419. (3) Neri, op. cit. p. 466. Mario Oijveri 227 di casa Dm-amo (1), avendo tradotto due tragedie del Voltaire, 1’Alzile e Ja Mort de César, — oltre che la «Madre confidente» del Marivaux e^ « Les quatres parties du jour » del Du Bernis, — s’indusse, grazie appunto agli incitamenti dello Chanvelin, amico del Λ oltaire, ad inviare al tragico francese la traduzione dell’Alzdra, accompagnandola con un lettera, in cui discorre con competenza e con garbo del teatro francese ed italiano. Il Voltaire si degnò di rispondere con un’altra lettera : essa, che si leggeva mutila nello studio del N. e nell’introduzione alle sue poesie (di cui parleremo), fu alcuni anni dopo data alla luce per intero da F. Patetta. (2) La lettera del Voltaire è un po' adulatoria, e la traduzione, pur essendo accurata e fedele, è mefdiocre. Essa difatti , s’inizia nientemeno che con queste parole : « Si vous vous amusez à laiie des tragédies, je vous demande 1a- préférence, pour en être le Traducteur, λ otre styl est si naturel et si facile, qu’on croira quelque jour, que c est vous qui avez inventé l’Alzire, et que moi qui ai eu 1 honneur de vous traduire»; più oltre poi lo loda di saper parlare del teatro francese ed italiano da vero maestro. In queste parole io non trovo affatto quel sapore di canzonatura che vi trovava L. Ferrari (3). Difatti, siamo noi che giudichiamo, e a ragione, la traduzione mediocre, ma il V. avrà benissimo potuto apprezzarla più di quanto lo possiamo fare noi. Adulazione quindi sì, canzonatura no. A riprova di questo possiamo citare le parole che lo stesso V. scriveva, quasi letteralmente eguali, all’amico Chauve-lin: « ...il (cioè il G.) me traduit d’un styl si facile, si naturel, si élégant, qu'on croira quelque jour que c’est lui qui a fait l’Alzire, et que c est» moi qui suis son traducteur. Je le remercie tant que je peux ». Ora, è naturale che se ci fosse stata canzonatura, il canzonato sarebbe stato anche l’amico Chauvelin. Lna terza prova l’abbiamo ancora in una lettera del dicembre dello stesso- anno, là dove il V. scrive allo Ch. « Je supplice V. E. de vouloir bien dire à M. Gastaldi combien je l’estime, j'ose même dire, combien je 1 aime » (4). Da questo si capisco senz'altro che 0) Per avere un’idea di quello che fosse Casa Durazzo, si veda Neri* Costumanze c sollazzile nova, sordo-muti 1SS9, p. 700 sgg. Basti dire qui che si recitavano in quella casa «alcune delle migliori tragedie francesi tradotte, come l’Ifigenia, il Mitridate e PAndromaca del Racine, recate in verso italiano da G. B. Hiccheri », Si recitò pure Radamisto e Zenobia di Crebillon tradotti in versi dal Frugoni. E poi ancora l’Atalia del Racine e il Pirro del Crebillon. Per la famiglia Durazzo si può anche vedere: Frugoni, Opere V 331; X, 78. <2) Lettera del Vt a G. G. in Studi stor. e giurid. per nozze Prafó-Pozzu Asti, Brignolo, 1914, pp. 23-31. (3) « Le traduzioni italiane del teatro tragico francese nei sec. XVII XVIII ». Saggio bibliogr. di L. F. (Paris, Champion 1925, pp. 19-20) (4) Oeuvres, Paris, Hachette XXXVIII, 396. 228 Un rimatore genovese del Settecento : Gerolamo Gastaldi non si scrive così, due mesi dopo, a proposito di uno che si stima appena appena, anche se amico di un amico. Eran già 12 anni (.1754-66) che il G. si provava a Torino, quando venne a morire a Genova uno dei segretari della Repubblica; e il nostro, animato più che da speranza, da grande fiducia di poter ottener quell’ufficio stabile, almeno come ricompensa dei meriti suoi, si recò a. Genova per prepararsi il terreno propizio. Ma si oppose alla sua aspirazione, o meglio gli fu opposto da alcuni potenti invidiosi, un uomo oscuro, non solo senza le qualità· del G., ma pur senza quelle necessarie ad un tale ufficio. Il G., che già cominciava a sentire il peso degli anni e voleva assolutamente ritirarsi in patria, dovette, se volle ottenere il posto, sborsare all’avversario una non indifferente somma di danaro : lire ottomila. Questa fu una spina, che gli rimase conficcata in cuore; tanto1 che noi ne sentiremo ancora il profondo dolore e giusto risentimento nel saio Testamento Politico, di cui riporteremo qualche brano, sia per far vedere il grande carattere dell’uomo, come anche per dare un saggio della prosa del nostro, che non sembra del secolo, tant’è viva. Fu il primo quello e fu Punico atto meno degno della sua vita pubblica; e il piccolo fallo la sua dignitosa coscienza e netta la portò come un rimorso per tutta la vita. Rimase sei anni come Segretario di Stato, fino cioè al 1772, anno in cui moriva, quasi improvvisamente. Difatti, noi troviamo la sua* firma ancora il 9 marzo nei pubblici decreti : il 16 dePo stesso mese non era già più. L'anno prima aveva composto il suo Testamento Politico : documento importantissimo sia per conoscere più chiaramente Panimo dell’uomo come per la storia della città, a causa dei provvedimenti a cui dette luogo quando fu conosciuto, e per l’uso che se ne fece dai novatori in tempo di rivoluzione. Il Testamento si può leggere, oltre che nello studio del Neri, anche in quello di) Emanuele Celesia ( 1); noi ne citiamo i brani più significativi. « Dopo aver raccomandato il suo spirito al Sommo Essere » (2), e date le opportune disposizioni pei suoi funerali, perchè siano fatti con decoro sì, ma senza quelle sciocche vaniti in uso in tutti i tempi e in tutti i luoghi, manda 1 estremo pensiero ai due esecutori testamentari, suoi intimi, fra cui Pier Paolo Celesia; e con pensiero da gentiluomo e, diciamolo pure, da letterato, prega « l’uno e l’altro a scegliere tra i suoi libri e ìicevere in pegno della sua (i) Nel Testamento confessa pure di non aver potuto ancora interamente pagare agli amici, che gliele avevano imprestate, quelle ottomila lire, che aveva dovuto dare a 11’ avversa rio; e questo — dice — a causa dello «scarso emolumento del segretariato, forse minore a mie mani, senza mia colpa ». (-) Si noti quest’eco delle idee religiose del tempo del cattolicissimo Gastaldi. Mario Ouvert 229 stima e vera amicizia tutti quelli che potessero essere loro grati ». Raccomanda infine alla loro amicizia il sacro impegno di ricordare il saio nome a quegli amici che più ebbe cari, e di cui sa che non si scorderanno mai di lui: Chauvelin, il Caracciolo, il Grisella « che tutti — dice — ho amato sempre e stimato moltis-sijno ; non ardisco contare in questo numero i Cavalieri genovesi, perchè in questo paese P amicizia non si stende oltre certi nomi; e fuori de! libro d’oro, natali, probità, talenti nulla giovano per mettere al coperto d una certa differenza di modi e vocaboli, che offende gli animi delicati. (c II vizio, accompagnato colla nobiltà e colla ricchezza, non è mai posto a conto di demerito, e la violazione delle leggi e- la oppressione non rende gli uomini odiosi, nè gli allontana dalle nobiltà patrie, nè dalle maggiori attenzioni nella società. Un Senatore prepotente, che sarebbe detestato e disprezzato in tutti i paesi dei mondo, ardì un giorno insultarmi con modi villani e con parole ingiuriose; nè la mia· civiltà, per lo meno eguale alla sua, nè i miei costumi e la mia vita onorata mi giovarono punto, per ottenere riparo. Privo de'la protezione delle leggi rimasi abbandonato alla difesa della natura, che mi esponeva a mille pericoli. Presi il partito del disprezzo: fui compatito dai buoni, ma nulla più ; il che ho voluto ricordare per far considerare a chi governa che, se gli stessi cittadini non sono protetti dalle leggi in simili casi, i boschi più selvaggi sono preferibili alla società. « Spero che da tutti quelli che conoscono le leggi della Religione e dell'onore, mi saranno perdonati questi liberi sentimenti nel momento in cui è permessa la libertà. Se si pon freno aPa prepotenza, alla nausea di governare, al sordido desiderio di arricchire, sarà quesf/o un governo felice; in altro modo, i Genovesi infelici al dentro diverranno l'obbrobrio di tutte le colte nazioni». Come si vede, sono notevoli in questo documento, oltre il grido di dolore e di giustizia contro la perfidia e la sfealtà dei singoli privati, che lo hanno offeso- nella sua dignità e dettitudine di uomo, soprattutto importanti, dico, i suoi fieri e liberissimi sentimenti per ciò che riguarda «la prepotenza la nausea di governare, il sordido desiderio di arricchire » dei reggitori genovesi. Acutamente a questo proposito fa osservare il Neri come « la mente del G. muovendo da latti individuali e soggettivi, assurga ad induzioni e conseguenze generali, guardando con lucidezza e dritto intelletto all’avvenire ». Ed era naturale. Il G., prima ambascia tore, poi segretario di Stato, conobbe perfettamente tutti i maneggi, le oscure vie della macchina governativa, ne vide il piccolo bene'e il grande male; e del male conobbe la radice e volle, come uomo onesto e cittadino esemplare, additarla nella sua nudità. È il dritto ze]o dunque che 230 U\ RIMATORE GENOVESE DEL SETTECENTO: GEROLAMO GASTALDI lo anima, lo incita adì adoperare una frusta, che fa davvero sanguinare. E che vedesse bene e cogliesse il punto giusto lo si vedrà più tardi .alcuni anni dopo, quando non fu trovata altra parola migliore che la sua , che potesse servire da strumento contro la prepotente e corrotta oligarchia dominante. Il G. perciò noi lo possiamo veramente considerare « nel novero di quegli uomini che sentivano i tempi nuovi, e senza neppure pensare ad audacie imprudenti, erano ben persuasi che conveniva uscire da uno stato d'infeconda atonia, a iine di non essere trascinati a ruina fatale » ; di quegli uomini cioè, che essendo veramente vissuti, volevano insegnare anche agli altri a veramente vivere. La grande importanza del Testamento fu compresa subito da coloro che eibbero Fincarico di disuggellarlo, e senz'altro ne venne riferito il contenuto al governo, che non si aspettava forse una simile frustata da un suo funzionario. Si ordinò ai « Supremi Sindacatori » che, valendoisi della loro autorità, lo facessero togliere dai protocolli del notaio, che F aveva ricevuto in consegna, e si riponesse nella Cancelleria di Stato ; ma poco dopo, essendosi saputo che ne giravano delle copie, si deliberò fosse rinchiuso F originale nelFArchivio segreto, datone al notaio un semplice estratto con le sole disposizioni d’eredità e di legati, perchè lo conservasse fra i suo atti ad uso di chi ne richiedesse copia o lettura. Ma, nonostante questi immediati e severi provvedimenti, il Governo intese con sorpresa che altre copie di esso giravano in mani private, quei tratti, si capisce, riguardanti direttamente il governo. Fu aperta una discreta inchiesta, nel modo più segreto che si potè : ma neppure questo giovò a nulla, perchè chi aveva fatto il tiro era tanto sagace, e sopratutto tanto influente, da distogliere, se non ogni sospetto, certo ogni tentativo di rappresaglia contro di lui. Si dice infatti che lo stesso incaricato di eseguire F ordine dei Supremi Sindacatori, G. B. Spinola, ne facesse tranquillamente tirare alcune copie, a dispetto di tutti i funzionari più o> meno ze'anti della Repubblica, nientemeno che dagli scrivani della Cancelleria, mentre egli lo leggeva ad alba voce per constatarne Fidentità. Il tiro fu ben condotto e tutti i mezzi adoperati dal Governo non servirono che ad accrescere dapprima tra pochi, poi nel pubblico, la curiosità e il desiderio di conoscere Finteressante documento. La gravità e la giustezza delle accuse, redatte ancora con quel tono mezzo ispirato, che era uscito proprio dal cuore del G., furono riconosciute appieno dagli avversari del regime imperante, disposti a valersene appena si fosse presentata una qualche occasione. Esse facevano impressione, specialmente nelle classi inedie e nel popolo, essendo1 uscite dall*animo d’un uomo, che aveva impersonato l’onestà, e che dalla città tutta era stimato. Inoltre ad esse conferiva un non so che di solenne il fatto che chi le aveva scritte, non Mario Oliveri 231 era più tra i viventi. I novatori sfruttarono anche questo fattore psicologico, fattore che La sempre grandissima importanza special-tie sull’animo del popolo. Afferma intatti il Clavarino che, poco innanzi agli avvenimenti del 1797 (si noti che ben 25 anni erano passati dalla morte del e ancor viveva la sua parola!) ne erano state sparse molte copie a Uno di eccitale il popolo contro il governo oligarchico (1). Il Neri le vide non solo nella Gazzetta Nazionale dello stesso anno·, ma pure riprodotte in appendice ad un curioso libretto uscito in Genova nel 17’98, l’anno successivo. L’uomo dunque era morto, ma ne viveva ancora, come si vede, la nobile memoria non solo tra gli amici, ma perfino nella città, che alla sua parola si era ispirata nel movimento contro il go\ erno prepotente e tirannico. Questo è tutto ciò che sappiamo sulla vita dell'uomo : se non troppo, certo sufficiente per avere un ritratto di quello che fu il diplomatico della Repubblica di Genova. Soltanto sette anni dopo la morte del G., cioè nel 1779, uscivano a Fina1 e Ligure le «uè poesie in due tomi (2) contenenti la traduzione dell’ALzira e della Morte di Cesare del Voltaire, la Madre confidente del, Marivaux e Les quattres parties du jour del Du Ber-nis, e le sue poesie originali. Erano stati l’affetto e la perseveranza degli amici a raccogliere i due tomi, essendo state le sue poesie disperse in case private, in raccolte e chissà mai dove. Infatti non tutto fu trovato. Fu perduta la traduzione della Melania (e fin qui, a dir lai verità, poco male) e un’altra serie di poesie, che si sarebbero pubblicate insieme alla Melania, costituendo il terzo tomo. Quelle che uscirono furono, dedicate dal tipografo Rossi all’amico del poeta, Giacomo Filippo Durazzo, che aveva concesso parecchi componimenti manoscritti, che conservava in casa sua. Le poesie furono edite nella forma originale, secondo i manoscritti — avverte il tipografo — in quanto che se ne conoscevano alcune che, passando da una mano all'altra, erano state un poco alterate (Poesie I, IV). Il che ci dimostra come avessero acquistato una certa popolarità, non so- lo in Genova, ma fuori, essendo stata una anacreontica anche edita a Livorno. Fu anzi questa ìa sola poesia che sia uscita con veste tipografica lui vivo (eccetto naturalmente quel’e encomiastiche) per la sua grande ritenutela, e timidezza direi, di farsi conoscere al pubblico. Il qual fatto ci fa vedere un altro aspetto del carattere di questo nobile uomo, così diverso dai rimatori suoi contemporanei, che non peccavano certo di timideizza nello strombazzare i loro nomi e i più o meno felici parti del loro inge- 0) Annali della Rep. Lig. - Genova, Botto, 1S53, I. 5. (2) G. G, - Poesie, Finale, Rossi, 1779. 232 Un rimatore genovese del Settecento: Gerolamo Gastaldi gno ai quattro venti. Noi ora verremo ad esaminare compiutamente l'opera sua poetica, cercando di mostrare che, se fu un mediocre rimatore, non meritava però, il nostro Gastaldi, di essere cosi completamente dimenticato anche dagli eruditi; ma di ottenere invece nella nostra storia letteraria a'meno quel posticino, che ebbero alcuni del saio tempo, forse meno degni di lui come uomini e come poeti. Del mondo poetico di G. G., quale almeno c’è rimasto, i coniini sono assai ristretti. Per lo spirito e per le forme è interamente uomo del suo tempo, e del suo tempo segue sopratutto -un aspetto, che eube non piccola importanza: il frugoni ano. Partecipe della Colonia. Ligustica d’Arcadia, amico dei vari oigni dircei, che allora ottenevano plauso a Genova, p. es. del Biccheri, (a cui dedicò un sonetto). Si nopio Atteo — che così era stato arcadicamente ribattezzato — condivideva cogli altri pastori l'ammirazione «confinata per il Savonese « Pimmortal Chiabrera » (x), e per il più grande poeta vivente, come veniva ritenuto, il genovese Cornante Eginetico. E l'uno e l’altro naturalmente influirono, o· forse, meglio, il Chiabrera influì attraverso il Frugoni, sulla lirica sua : lirica encomiastica, melica e religiosa. L’atteggiamento chiabreresco-frugoniano si sente specialmente nelle odi encomiastiche a dogi, per nozzei e simili motivi, di cui è zeppa la lirica del tempo (2). L’inizio risonante dell’ode o sonetto che sia, i procedimenti meccanici frugoniani, quell’atteggiamento di essere superiore sprezzante il basso volgo·, noncurante dell’invidia che suol mordere i poeti, l’esaltazione della « lunga d’Eroi serie » e della virtù e di altre simili doti del celebrato, l’assicurazione enfatica dell’immortalità grazie ai propri versi, quelle frasi alti sonanti infine, che non dicon nulla perchè vogliono dir troppo: tutto ciò manifesta il tributo che il G., come del resto tutti i poeti del tempo, pagò al genovese. Era inso-mma il loro canto, —- a cui, più o meno volentieri, si prestavano tutti gli Arcadi, quando qualche avvenimento (incoronazione di dogi, cessazione del governo, nozze, morti ecc.) veniva a mettere in subbuglio la loro pastorale O) In una canzone frugonianissima dice di lui, che «....d’ardente _ fuoco ripieii, s’aperse — nel ciel nuovi sentieri, — e i condottier guerrieri — d’iinmortal fama asperse. .— Primo che seppe trar tutte le Argive — Muse dell’Arno ad abitar le rive ». (Per l’imcoron. di Ag. Viale, stor. II) (2) Si vedano p. es. gli inizi di queste due canzoni: « Vien meco, Urania; io vo’ spiegare i vanni — per disusate vie d’invidia a scorno. — e chiaro incontro agli anni — far nuovo Eroe d’eterna luce adorno» (Ad Ag. Viale); e l’altra : « Al lucid’elmo che mi splende in fronte, — al guardo minaccioso, alla lorica — ravvisatemi pur : d’Ascrea sul monte — sono la Musa del coturno amica » (Al doge G. B. Grimaldi). Mario Ou v eri 233 colonia, — era, dico, il loro canto divenuto qualche cosa di tisöo, come un modello invariabile e sicuro, anzi un vero abito mentale, ché tutti questi facitori di versi derivano da- Cornante, il quale a· sua volta, com'è noto, lo ha derivato dal manierismo dell’enfasi chiabreresea. ( 1 j Ma il G., pur ammiratore del Frugoni, era animo alieno da quanto nel frugonianesimo era in opposizione al suo carattere di uomo. Infatti è degno di nota che in queste sue canzoni egli non va troppo al di là della misura nelle lodi al celebrato: cosa- che fa onore al carattere dell’uomo, se anche non porta giovamento alla sua ispirazione di poeta. L’adulazione, pur nei motivi comuni, non cade inai in certe sfacciataggini di Cornante e di molti imitatori, ma conserva un certo quale equilibrio. Gli è che il G., animo pieno di senso pratico, tutt’altro che guasto dalle oziosità cerebrali dei verseggiatori del tempo, intelletto addestrato e smaliziato dai maneggi diplomatici, non poteva, anche se lo proclamava com'era di rito, illudersi di avere in sè quel «furore divino», quell’inva-samento che veniva dal cielo, come proclamavano ad alta voce, sulle orme dei venerato modello, tutti i rimatori del tempo. Il G. quindi, se scrisse canzoni simili, lo fece probabilmente per necessità (un arcade 11011 poteva rifiutarsi], e non sentendo il tema, era naturale die seguitasse pedissequamente colali che allora tutti proclamavano sovrano: senza contare che era una facilità anche pel nostro, come per tutti, di uscire da questi temi obbligati con onore e insieme con decoro per il celebrato. L’enfasi frugoniana non si limitò però soltanto a1 le poesie encomiastiche, ma disgraziatamente il poeta- la portò pure in qualche canzone religiosa, p. es. in quella « Per S. Caterina da Genova », in cui tentò l’ampia voluta dell’ode: ma questa, infarcita di elementi comuni, di esclamazioni e interrogazioni retoriche, non diventò altro che una delle tante canzoni religiose de1 tempo (2). Abbiamo notato questa poesia perché il poeta- tenterà un’altra volta l’ode ad ampio respiro, e allora, libero dall’influenza del modello, ci darà una canzone degna, come vedremo, di star a pari alle migliori del genere. (Continua) ■ Mario Oliveri 0) V. η questo proposito: Calcàterrì - Poesia frugoniana, Genova, 1920. (2) Si legga p. es. il solo inizio : « Stiasi Apollo in disparte: io non ragiono__oggi co'l volgo de le fole argive, — nè su le verdi rive — del favoloso Pindo io m’incorono — della caduca fronda. Altro spirto, altro foco, — divampando nel seno or mi circonda ecc. ». LE “VERE” ORIGINI DEL FINALE IL Lamboglia, cliei ebbe già a trattare delle « origini » finalesi incidental niente (1), sostenendo una tesi contraria a quanto io scrissi sul medesimo argomento (2), ora torna a parlarne ex professo (3). E' bene vagliare col controllo di una sana critica le sue affermazioni. Prima però di addentrarmi nella materia voglio porre una pregiudiziale. Il giovane scrittore, facendo un processo alle mie intenzioni, bolla con forte invettiva il campanilismo, che riscontra nella Liguria Occidentale ed in modo particolare nel Fi naie se e lo attribuisce anche alle mie pubblicazoni, dicendole disgregatrici della unità romana, che ora quella terra ha trovata nella formazione di un sol comune dei tre Fina’i. Io non capisco veramente cosa albbia a fare tutto ciò con le ricerche storiche che io mi sono proposto. Se sentisse anche lui il bisogno di rintracciale la verità, avrebbe Lauto suo il detto di Cicerone: Fri nifi liistorlci Ιβ&· est no quid falsi (licere wildcat, ne quid veri non audeat y lasciando da. parte le ragioni di opportunità, che potrebbero rivolgersi in comodo di chi, inoltratosi leggermente in una polemica, si sente di non poterla più sostenere. Tantjo più che io non credo i finalesi così irragionevoli, da preferire la soddistazione partigiana, basata sul falso, alla cognizione vera degli eventi, i quali riescono (1) Nino jLamboglia, Le rie Itomene da l fido fi Lodino, in Collana Storica Archeologica della Liguria Occidentale, Vol I, n. 5; e Topografia storica del-VIngomma nell'antichità, in Collana cit. Vol. II, η. 4. L autore vorrebbe dimostrare che Final marina, l’antico Pollupice, sorse dopo 1 invasione romana della Liguria, sparve nel periodo delle scorrerie saraeeniclie, ritornò a vita dopo la scomparsa di queste scorrerie. (2) D. 'Guglielmo Salvi, Per la storia del Finale: Tre quistioni di »Storia Finalese, in Atti della società Ligure di Moria Patria, Vol. LXI, pagg. £3-276. Le tre quistioni sono: Ove si trovava l’antico Cast rum Pia e ? Sull’estrema punta marina del Gottaro, ove ίm>i, ijn suo Luogo, fu fabbricalo dai Genovesi Castelfranco; Quale era in origine il significato del nome Finale? Esso rispondeva al fiume, che divideva i marchesati di Albenga e Savona, poi attribuiio al paese, creatosi, intorno alla caminata e re ti a dal marchese quando dovette abbandonare Savona e Noli; Quando ebbe origine il paese di Finalmariua? Nel 1450, anno in cui distrutto dai genovesi Finale o Borgo di Finale, si diede permesso ai suoi abitanti di fabbricar case alla riva del mare di Finale. (<3) Nino Lamboglia, Il problema delle « orif/ini » finalesi in Bollettino della R Deputazione di storia Patria per (a Liguria - Sezione Inganna e IntimeUa. Alino li, n. 1. 2s ottobre 1935-XIV. In questo lavoro Fautore combatte le mie tre questioni, non ostante che io gli avessi dimostrato errate lo ragioni da lui addotte per sostenere la sua tesi nelFallro mio opuscolo: Suore luci su Finale (con una risposta al Prof. Lamboglia ), Finale Ligure, Editore - Vincenzo Bolla e Figlio, 1 ilo i-XIII. Guglielmo Salvi 235 vanto (li tutta- la comunità unificata, anche se da parte di alcuni di essa debbano costituire una rinunzia a privilegi meschini ed a vanti immeritati, che rappresenterebbero, nel caso, le penne del pavone famoso. Eppoi, se ad altri, come al Lamboglia, è lecito con discutibili vellicamenti solleticare la passione di quei pochi, di gretta mentalità, cui riesce doloroso entrare nell'orbita della storia, perchè si vuol negare a ine il diritto di soddisfare a quelli, che nel racconto dei fatti, che li riguardano, ne ricevono, oltre il resto, giusta soddi-slazione? E’ la verità che bisogna cercare nello studio profondo ed appassionato, solo la verità, nienti’altro che la verità. Appunto per seguire la verità com bario le teorie del Lamboglia, checché lui dica in contrario; e credo di poterle dimostrare o non fondate o false. Appartiene alle teorie non fondate quella che dalla esistenza della pieve allo sbocco della valle del l'ora vorrebbe arguire l’esistenza di un paese e nella fattispecie della Marina di Finale o Finalmarina. Premetto che tutta la prosa racchiusa fra la pag. 7 e 12 non fa altro che riportare la tesi sostenuta dal Gabotto, che io ho citato nei miei lavori precedenti( p). Di nuovo vi è una cosa. Dopo la critica che io aveva fatto alla contradizione evidente tra Lamboglia 11. 1, che ammetteva fra pieve e centro abitato una opposizione inolio frequente, e Lamboglia n. 2, che dall’esistenza della pieve a Finale deduceva resistenza di un paçse, vien fuori Lamboglia n. 3, che, evitando. perchè fuor di luogo, «l’esame di tutta la questione dei rapporti di discendenza storico-giuridica della pie-ve dal pago, e dell'organizzazione stori co-topografica interna del pago stesso », scrive testualmente così : « Mi basti “ricordare che in linea teorica e in determinato condizioni di ambiente — in particolar modo per le zone montane non attratte dall’influenza del fattore commerciale e marittimo _può essere vera la figurazione dei com pit uni e delTa piti·* cristiana primitiva isolata dai nuclei di popolazione del territorio dipendente, nella pratica avvenne quello ' lie era fatale avvenisse: 1 evoluzione interna della vita locale del pago favorì nella maggior parie dei casi il sorgere di un viens maggiore degli altri intorno al compitum » (2). Da questo ragionamento si può dedurre una cosa sola: cioè la difficoltà in cui si dibntte lautore a costituire la pieve, sia pure situata in riva al mare, come movente di attrazione per le popolazioni abituate a vivere lungi da esso; e per questo le dà per aiuto il fattore commerciale e marittimo. Ma il principio, che in generale potrebbe anche esser vero, non il) Tre qu sfioììi e’tt. pag- 128 e 120: Nuore luci citt. pag.'2S. (2) Lamboglia, // iiioblema cit., pag. 11. 236 Le « veri·: » okigem.del Finale può provare 1111 fatto particolare, anche perchè in questo fatto particolare 11011 si riscontrano circostanze comuni agli altri paesi, che dal monte sentirono l’influsso del mare. Noi »sappiamo che Nfdi e Voltri dalla loro sede d’origine situata nelle alture, onde sono protette, vsi trasportarono sulla mariina in epoca molto antica e seguitarono ad esistervi anche durante le incursioni saraceniclie. Se alla marina di Finale fossero scesi gli uomini de 11'entroterra, formandovi un paese·, questo· sarebbe sempre fiorito nella «sua attività e ci avrebbe tramandato 1111 documento di questa sua esistenza e di questa sua attività. Invece nulla. Quando ci appare, la ripa Flnarii è a dipendenza di un altro paese. E i documenti seguitano a dirci che, quando sulla metà del secolo XIII si manifesta una tendenza a fabbricar case in essa, interviene un decreto marchionale a stroncarla, non facendo abbattere ie poche case ivi esistenti, ma proibendo che esse moltiplicandosi formassero- a poco a poco 1111 paese. Dal sin qui detto emerge che la ritirata strategica del nostro autore non si sostiene nella nuova posizione e deve eedetre all’avanzata della verità storica, anche quando consideriamo che le stesse pievi marittime, non solo quindi quelle montane, non importano necessa reamente presso di esse un aggregato di case: caso tipico- la pieve di Voltri. che si trova, fuori de1 paese, a· Palmaro, località anche oggi quasi disabitata. ]STon rimane adunque, seguendo il ragionamento del Lamboglia, che esaminare le vestigi a di questo paese ipotetico: « avanzi di tegoli romani » presso la chiesa plebana, « due anfore olearie, di cui la prima è emersa nella proprietà dell’Istituto delle suore di S. Vincenzo insieme ad una lucerne!ta e a frammenti fittili, la seconda· insieme ad un’altra anfora identica ma subito spezzata nella proprietà Co-smelli » e « tegoli romani a margini rialzati » alle falde marine del Gottaro ad oveist di Castelfranco, infine monete di varia età la più antica del 117 a. C. Questo materiale esiguo è prova, per il Lamboglia, che « gli abitati romani si fossero estesi non sulla riva del mare, allora meno ampia di oggi, ma sulle ultime pendici montane apriche e più sicure che ad essa sovrastavano » (1). Qui, bisogna esclamare, è quistione di gusti; chi si contenta gode. Il Lamboglia è soddisfatto di queste prove; e sia. Credo che altri più positivi e meno prevenuti la debbano pensare diversamente. Ma, comunque, si voleva dimostrare che incorno alla pieve vi erano abitazioni e le abitazioni, caso mai quegli elementi potessero dimostrarle, sono altrove, presso Castelfranco, ove si rinvennero altri residui C1) Lamboglia, Op. cit., pagg. 12 e 13. Gugliklmo Salvi 237 romani (i). A riguardo del l’identif icazione di questo ipotetico paese con il PMlupice nominato nell’itinerario di Antonino, il Lamboglia in quest'ultimo scritto procede più canto e così pure a riguardo dH la prova della sua esistenza nel Finale desunta dai nomi di Poro, e Pici fi. Dopo di aver sostenuto la teoria con molta insistenza, torna sui suoi passi e conchiude che tutto quello che aveva prima affermato è « cosa tanto incerta e poco documentabile, che deve essere lasciata, insieme alia questiona dell’ubicazione delia stazione, nel campo puramente ipotetico » (2). E’ una confessione che mi fa piacere, perchè mi sembra di aver contribuito a procurarla. Ma il Lamboglia non vuole applicare al Finale la teoria del Desimoni sulle terre confinali, nè inerita di essere sforzato a far ciò. A me basti ripetere1 che se il Finale era una terra di confine doveva più o meno risentire della natura di dette terre; altrimenti bisogna o accusare di incompetenza il dotto autore o ammettere che Finale non era.... il Finale. E passo alle quistioni che trovano appoggio su documenti scritti, quindi positivi, sui quali il giovane autore da delle interpretazioni errate. Egli scrive: « Quando, nel corso del secolo XII, il Finale appare la prima volta nei documenti, esso sembra limitato alla valle inferiore del Pora » ; e da questo sembra, deduce che le espressioni : ab Armedano ad Finar del 1140; ab aqua UmßHae usque ad Finar del 1170; ab Armedano usque od Finale del 1174, non specificano affatto' che per Finale s’intenda soltanto il fiume anziché il territorio da esso lambito » (3.) Ciò vuol dire che con quelle espressioni il Lamboglia ammette che si indichi anche il fiume chiamato Finale; è già qualche cosa ; ma egli non prova, come vuol sostenere, che le medesime espressioni vogliano riferirsi ad un territorio, perchè il flumen Fùnarii citato da luì 4), suppone resistenza di un paese chiamato Finale, quando questo paese realmente era in vita nel 1194, e il fiume rimane a designare il limite di confine, come prova, l’altro documento del 1213 : a co- il) Salvi, Nuove luci cit., pagg. 31 e 32. (2) Lamboglia, Op. cit., pag. 10. (3) Lamboglia, Op. cit, pag. 20. L’Autore non riporta altri documenti, che io cito nel mio lavoro, di cui interessantissimo ciuello del 11S0; ab aqua Finarii usque ad a quant Armedani; ab aqua Finarii usque ad aquarn Leronis, per il parallelismo: fiume Finale, fiume Armedano; fiume Finale, fiume Lerone: Tre quistioni cit., pag. 102. (4) Paolo Accame, Instrumenta Episcoporum Albinganensium, a cura di Giovanni Fesce, in Collana cit., Vol. IV, pag. 55. 238 IjE « VERE » ORIGINI DEL FINALE pite Danpcio usque ad Fi narium ( 1 ;). Ma il Lamboglia, contro Je molte prove da me addotte (2), non vuole ammettere che Finarium passa col tempo ad indicare il Burgum Finarii, quando questo fu circondato da mura (3). E’ un’altra incomprensione, proveniente dalla poca conoscenza dell'insieme dei documenti linalesi e anche dei documenti in genere, come potreibbe provare il parallelismo: Burgum· Finarii uguale a Finale; Burgun λ aulì uguale a Noli. Nel caso particolare vi lia di più. Se i marchesi prendono il nome dai luoghi, ove hanno stabilito la loro residenza, cornei è notorio, chiaro appare die la espressione : intra caminatam marchionis Finarii del 1188, ci dice fino ai l'evidenza che Finale è qui il futuro- Borgo di Finale, ove il marchese aveva questa· caminata. D’altronde la ripa Finarii non può essere il Finale se non in un senso molto relativo e in dipendenza del vero Finale, in quanto quella riva apparteneva al paese Finale poi detto Borgo di Finale. Il che diventa molto più evidente, quando pensiamo che la breve pianura, ove sorse il paese Finale, con alle spalle il contrafforte del Becliignolo ed ai lati i due fiumicelli, che, provenienti dalle valli di Feglino e di Calice, la chiudono, unendosi insieme sotto di essa, era un territorio distinto dal tratto di valle, che dal mare corre in su, lungo la riva sinistra del Fora, cui il LamÉoglia vuole attribuire arbitrariamente il nome Finale, e non si capirebbe come il nuovo paese, il cui territorio topograficamente apparteneva a Perti, abbia preso nome da quella porzione di Valle», da cui si distingue. Sono i paesi posti ad una certa distanza dal mare, che danno il nome alle diverse marine, come Albissola e Diano nella nostra stessa Liguria. Questi altri argomenti logici, oltre tutto il resto, ci portano a dire che il paese Finale sorse, quando il marchese vi pose la sua residenza, assumendo1 il nome da quello- del fiume, che gli scorre a· lato. E veniamo alla quistione del Castrum Piae. Il Lamboglia lo pone sul bricco di S. Bernardino, perchè « lassù è ii vero centro difensivo di tutto il Finale » (4). Col medesimo criterio, e certo meno illogico, un altro scrittore lo pose sulle alture del Monte e della Monda. Dico con criterio meno illogico, per il fatto che il Castello di Pia rimaneva almeno nel territorio di Pia, come nel territorio di Orco si trova il Castello di Orco e nel territorio di Perti si trova il Castello di Perti. (Ricordi il Lamboglia la storiella degli (*) Instrumenta citt., pag. 102. Prima
  • iia, ove si dice: «che asegnorandosi de la costa curn quelle bastie che non se podea dubitare de stare a Castelfrancho » ; Tre quistioni citt. pag. 89. 240 Le « VERE » ORIGINI PEL FINALE scagliano sassi sulle navi genovesi, che debbono desistere dal combattimento, allontanandosi e permettendo cosi che il sale fosse scaricato a Finale (1). Questa rocca forte, che si trova a Finale, lia sotto di sè il lido dell’arena ; lia fra le sue mura uomini che scagliano sassi su navi nemiche, mentre altri uomini al di sotto tirano la nave inseguita il più possibile al lido, certo per mezzo di argani e funi : tutto ciò ci fa vedere che la scena descrittaci dall’annalista avvenne in una spiaggia attrezzata per la bisogna: spiaggia che non si può identificare se non nel tratto che sottosta al Castelfranco. Ivi il fatto si ricompone in ogni sua più minuta particolarità e ci dice che il castello, da cui si scagliano pietre, è il Castrum Piae, il Castiglione dei documenti. Al Lamboglia ciò non piace, perchè il monte alto e la rocca forte, secondo lui, van ricercati altrove. Egli scrive: « tutti i Finalesi sanno che il Monte Alto non è il, G otturo nè il Castelfranco, ma la vetta montuosa a levante della Val Pia e che lìocca si chiama tuttora una posizione ben difesa sovrastante alla spiaggia alle falde di esso x (2). Siamo semprei ai ragionamenti artificiosi, con cui si vuole ingannare la buona fede altrui. Tutjti i Finalesi -sanno1 che vi è un solo Monte Alto nel loro paese. Si trova sulla linea dei Settepani. A Pia vi è una frazione chiamata il Monte, non Monte Alto. La punta di S. Donato è detta comunemente Rocca, ina non può confondersi, con la rocca valida dell’annalista, che io ho tradotta rocca forte. L’aggettivo sta lì a distinguerla dalle altre rocche, che esistevano nel Finalese. Di più a S. Donato esisteva non un castello, ma una semplice torre di vedetta per fare segnali; S. Donato non ha sotto di sè un lido di arena, in cui si possa tirare una nave; S. Donato non si presta all’operazione di scaricare sale a Finale; S. Donato non è luogo in cui si potessero trovare il marchese e cavalieri ed uomini molti di Finale, per venire in aiuto, ai momento, ad una nave inseguita. Chi vede anche oggi quel capo, che sprofonda le sue radici a picco nel mare, con ad oriente una frastagliata scogliera e ad occi- (1) Salvi, Tre quistioni cit., pag. 91. (2) Lamboglia, Op. cit.. pag. 24, Va rilevata.qui ìa leggerezza, per non dire altro, con cui ragiona il Lamboglia quando «. con tutta la miglior volontà» crede inammissibile «che il termine Castiglione, accrescitivo di «camello», possa essere stato applicato, anziché all'altura su cui sorgeva un castello, a* un contrafforte lungo parecchi chilometri» (Op. cit. pag. 23). Per far scomparire i parecchi chilometri (vero mulino a vento di donchisciottesca memoria) e far restare la verità bastava leggere il trafiletto citato a piè di pagina, ove si dice che i genovesi- collocarunt firmaruntque Casini in Castellionis podio prope cas rum l'ranoum ed ivi, cioè sul poggio di Castiglione, presso Castelfranco, eressero la prima bastia, luogo corrispondente alla tenuta Galasso. Era quistione di occhi, non di ingegno, non di raziocinio: la cosa inammissibile era evidente dal documento ! Guglielmo Salvi 241 dente un dirupo altissimo e qua^i impervio, e considera che la strada-che corre lungo il mare fu aperta da Napoleone (prima altra strada> tuttora esistente, si inerpicava su in alto, fra il verde degli ulivi, senza avere comunicazione col mare sottostante), può comprendere quel che io dico, conchiudendo che-, la località fu chiamata rocca per la sua forma naturale, come fu chiamata rocca, nel linguaggio locale, il monte che sovrasta a Perti : Rocca di Per ti, ed altri monti situati altrove: Rocca Carpanea, Rocca del Corno, Rocca degli Uccelli. Ma il Lamboglia non riflette a tutte queste circostanze e, tornando al'a sua idea lissa che il Castrum Pm# dtibba ricercarsi su in alto a S. Bernardino, che aveva — egli dice — tutto attorno delle abitazioni, segue: « Ogni dubbio sull'identità di qutisto nucleo abit-ato, oggi denominato Bricco, con quello da cui trasse origine la famiglia de Castiliono, e col Castrum Pive, e tolto dall’osservare che nel 1204 un tale è promiscuamente chiamato Bellobrunus de Castiliono e Bello-brunus de Pia : si tratte/ chiaramente di una famiglia che dal sicuro rifugio del castello era scesa per svolgere più comodamente i suoi traffici rifiorenti dopo la scomparsa dei Saracèni, al lido del mare; non diversamente da quel Vaca de Castiliono che nel 1245 abitava in ripa Afar is Finarii, cioè alla Marina di Finale » U i. Anche in queste parole si :*ivela il sistema usato dall'autore uei suoi scritti : affermare senza provare. Infatti è gratuita l'osservazio-ioì (he di Castiglione e dì Pia vogliono indicare il prilli.» il Illigo di origine, il secondo quello di residenza. Più audace è il dire che a S. Bernardino vi erano delle abitazioni. Bisognerebbe spiegare come è scomparso [’appellativo di Tasti-glione dato a S. Bernardino o per lo meno far vedere i residui o i documenti, che accennano all’esistenza di abitazioni lassù. Ma quello che non fa il mio contiudittore per sostenere la sua tesi, lo faccio io per sostenere la mia : Castiglione si cambiò in Castello (2) quando al Castrum Piac successe Castelfranco; e le case intorno ad esso sussistevano aL< · ra nel secolo XVII su quell’altura, sulle sue pendici, sul mare; ed abbiamo i nomi delle persone che vi abitavano(3) . Vacca di Castiglione col suo portico sulla spiaggia era uno di questi. Sul fatto conviene insistere per ripetere che Burgum Maris, Burgum Castri franchi e ('asti gl ione erano un solo aggregato di case tanto è vero che quando da Genova si dà il permesso di fabbricare alla Marina di Finale, distrutto il Borgo, si vuole che le nuove costruzioni (1) Lamboglia, Op. cit., pagg. 24 e 25. (2) A di 9 agosto 1615, uua donna della Marina matta si annegò in mare alla rocha et io la portai insino al Castello: Areh. di Finalpia, Libro dei morti, pagina 192. (ii) Arch, di Staio. Genova. Finale, filza 49. 242 LE .« VERE » ORIGINI DEL FINALE stiano tanto distaccate dal mare quanto lo erano le case di (. astel-franco (1). Nè giova ripetere ohe la Marina come paese esisteva fin dal secolo XII, perchè il documento da me riportato sulla *ua origine è troppo esplicito. Più di cento uomini si presentarono in un sol gioi-Do; poco* dopo Γ11 febbraio 1450, ai due commissari inviati dal doge e domandarono terreno per fabbricar case nel borgo nuovo, più non pensando al borgo vecchio'distrutto. Altri ne venivano quotidianamente per lo stesso scopo e tutto il terreno pubblico fu distribuito, restandovi pure; qualche possessione privata (2)? nonché il terreno di Λ ignadonna su oui fu fabbricato nel secolo X\ II. Il documento è confermato dal Filelfo, che, deicrivendo il ritorno di Giovanni dei Carretto al Finale e l’irruzione fatta dai suoi ai lido, dice che esso cominciava a essere abitato : mavis lit tua quod iam coeperat o Finariensibus li abita ri (3). Il Lamboglia vorrebbe lar credere che il Filelfo entra fra i primi in quel movimento campanilistico, che è il suo punto cruciale, ma si sbaglia.Questo autore, sebbene ligio ai marchesi, descrisse la guerra combattuta- da essi contro i genovesi con ammirabile oggettività; della qual cosa sarà prova un mio» studio su Galeotto del Carretto. Ma, anche se questo non fosse, in un fatto di tanta notorietà, quanto è l’esistenza di un paese, egli non poteva mentire. E se è vero che la Marina, come paese, non esisteva prima dei 1451, come si può dire che la compagna umris aveva il suo· centro in essa/ mentre Pia compresa nella stessa compagna esisteva e prosperava; e il Filelfo pone tredici ville intorno al Dorico di Liliale, quante sono le compagne? Per affermare che la Marina, come paese, esisteva con un argomento desunto dal fatto che esisteva la compagna maris, bisognerebbe dimostrare che prima della istituzione delle 13 compagna, oltre quella del Borgo, Pia non vivesse più di vita propria. Il che non si è fatto e non si potrà fare. Con questo mi sembra di aver dimostrata errata la tesi sostenuta dal Lamboglia sulle « origini » finalesi. Ma vi sono nella prosa del nostro scrittore delle affermazioni particolari, che dovevano dar colore alle sue dimostrazioni; e che meritano di essere esaminate. Egli fa rimontare la piève di Finale alla pax romana} perchè «la sua· posizione risponde ad un criterio di comoda centralità, ai vici del territorio pagense e sorge nel luogo a cui faceva logicamente capo, f1) Salvi. Op. cit.. pag. 233. (2) Salvi, Op. cit., pag. 230. (3) Muratori, R. I. S., V. XXIV, col. 1222. Guglielmo Salvi 243 per lo sbocco al mare, la vita interna di tutto il pago » (1) : circostanze queste, che sono comuni a tutte le pievi anche a quelle sorte in epoca posteriore. Determina il confine « del vice comitato e indi del marchesato » alla Caprazoppa, dicendolo topograficamente ovvio e dandone coinè lontana sopravvivenza il noto documento del 1179 : infra episcopatum bavûnae et extra &piscopatimi usque ad Qoram (2), che, citando solo Gorra, esclude la Caprazoppa con Verezzi, su cui il vescovo di Al-benga aveva i suoi diritti: a capite danpeio usque ad Finarium (3), che sarebbe il fiume. Ammette che sia avvenuto un cambiamento di nome al distretto finalere, quando lo vede chiamato nei documenti coll’appellativo di Perti e Pia, interessantissimo quello del 1213: Tabaxio vice-comite Pie et Peiticarumy che lui non riporta ; sebbene confessi che la cosa sia solo possibile e non dimostrabile (4). Supponendo che l'aggettivo Finalis fosse applicato in origine al pago stesso di contine, afferma che tutti i pagi avevano un nome piopiio (.) ; nel qual caso, se fosse vera la teoria, le pievi, emanazioni storiche dei pagi, avrebbero conservato quel nome : il che non è. 1 one la sede riscontile nel Castrum Piae (e non si capisce perchè non nei castelli di Segno, Quiliauo, Perti ed Orco al primo contemporanei) nel secolo XI (6) ; quando cioè Finale dipendeva dal comitato di Noli e dal suo visconte (7). Fa distinzione fra il rector o minister e il cappellanus (8ì dando apertamente a divedere di non conoscere la terminologia dei titoli ecclesiastici nell’antichità : errore questo imperdonabile in uno, che, come il Lamboglia, ha voluto fare una trattazione sulle pievi del-FAlbenganese. Potrei andare avanti con questa enumerazione, ma mi fermo per conchiudere. La precisione, Poggettività, la documentazione, la preparazione necessaria, se sono richieste in uno storico, sono maggiormente richieste in un critico. Ora nel Lamboglia, come abbiam visto, manca tutto questo. In lui affiora ad ogni piè sospinto una affermazione, che promana da un concetto generico, da un possibile, da un forse. (1) Lamboglia, Op. cit., pag. i). (2) Lamboglia, Op. cit., pag. 17, nota 1. (3) Paolo Accame, Op. cit., pag. 55 (4) Lamboglia, Op. cit., pag. 21. (3) Lamboglia, Op. cit., pag. 22. (6) Lamboglia, Op. e pag. cftt. (7) Bernardo Gandoglia, La città di y oli. Savona, Tipografia Berlolotto ed Isotta, 1885, pag. 77. 8) Lamboglia, Op. cit., pag. 14. nota 5. 244 LìE « VERE » ORIGINI DEL FINALE E pensiamo alle parole del poeta : Vie più che indarno da riva si parte, Perchè non torna tal quale ei si muove, Chi x^esca per lo vero e non ha Parte il) Come accoglierà il Lamboglia questo mio scritto? Convinto come è — per porsi in v con tradizione con me anche in questo — che dalla polemica non può scaturire la verità, farà il possibile per non accettare quanto ho detto. Ciò non per tanto io lo invito a riflettere sui documenti, cui mi son riferito; a studiarli, confrontandoli fra loro; e si accorgerà di aver esagerato nello scrivere: « Per noi non dalla polemica che è fatta apposta per velare la mente di astii preconcetti, ma se mai — non sempre! — dalla discussione calma e serena può scaturire la verità » (2). Difatti polemica e discussione si equivalgono (cfr. i vaca boi ari) come zuppa e pan bagnato; e lui stesso dalla polemica- o discussione mia ha imparato almeno ti*e cose: 1) che Castrum Piae poteva esistere sul mare anche con Pimperversare del pericolo saracenico ; 2) che non si trova mai nei documenti una compagna villae maris, ma solo una compagna maris ; 3) che Castelfranco non è quattrocentesco, ma trecentesco (3). Non conviene adunque al Lamboglia porre certi principii, che si rassomiglierebbero a certe sue confutazioni : sarebbero errati (4 ). D. G. Salvi C1) Dante. Paradiso, XIII. 321-23. (2; Lamboglia. Recensione su Nuove Luci, Bollettino cit., pag. 1S4. (3) Salvi, Nuove Luci citt., pag. 79 e 80, 85, 86. (<) Il Lamboglia riconosce che io affilo « tutte le armi della logica e della critica modernamente intesa» (Recensione cit. pag. 185). Mi rincresce molto, ma io non posso dire altrettanto di lui. A riguardo poi della tesi a da lunghi anni preconcetta ed interessata », gli ricordo perché già gliel’ho detto una volta, che la moneta falsa nel regno della storia non corre. Sarebbe troppo puerile confidare sull’ignoranza altrui : ì\ trucco verrebbe presto scoperto. Se la mia tesi resiste a tutti i colpi tirati dal mio avversario, vuol dire che l’interesse e il preconcetto potrebbero trovarsi dall'altra parte. E basta così pel momento. Λ Φ ιΟ'Ι Ο σ' RELAZIONI TRA GENOVA E ALESSANDRI A Genova ed Alessandria dal 1232 al Ì300 Dopo il 1232 i Documenti circa le relazioni politiche tra Genova e Alessandria sono assai scarse. È noto che con sentenza arbitrale del Podestà di Asti Mirano, si concludeva in Sansecondo d'Asti, il 6 Gennaio 1234 una pace poco rassicurante tra Alessandria ed Alba da una parte e Genova e Asti dall-altra». E che fosse poco rassicurante ci è documentato da una dichiarazione del Consiglio Comunale Albese che stabilisce dover il futuro podestà osservare la pace con Asti tranne per quanto concerne la sentenza relativa al possesso di Novello e Mon-chiero, la qual proposta da esso Comune viene respinta. (i) E con l’alleata di Alessandria, Tortona, Genova era già nuovamente in guerra nel 1237 : i Tortonesi con soldati Pavesi si mossero per riedificare il Castello di Arquata: si oppose il Podestà con Pesereito genovese e i nemici furono costretti a retrocedere. L'anno seguente quando la Repubblica venne a lotta con Pim-peratore il numero dei suoi nemici nelPinterno dell’alta Italia aumentò rapidamente : anche gli Alessandrini dopo tanti giuramenti si uniscono al partito imperiale e li troviamo nell'esercito che il vicario di Federico li, Marino da Eboli, conduceva a devastare il territorio genovese al di là dei Giovi. Il potente esercito imperiale, in cui erano armati non solo di Alessandria, ma anche dì Tortona, Pavia, Alba, Asti, Acqui e Cas- NEL SECOLO XIII " Haec genus acre i una Bibliografia generale della Corsica Per VIALE SALVATORE, in Revue de la Corse, 102«, (1), pagg. 184-100. BRNSON _ Journal des derniers momeuts «ie Luc — Antonio Viterbi, tenu par lui même dans la prison de Bastia où il se laissait mourir de fa.in eu 1821, tradui de l'anglais de ΜΕ... par Γ. Paris, précédé de quelques remarques sur la Corse, [ricco repertorio di famiglie corse]. Paris. L. Paris, 1826, 8°. 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Mazzini pubblicati all’estero Adolfo .Saager, Giuseppe Mazzini, Die Tragödie eines ] daeli* ten, Europa, Verlag, Zurigo, 1935. Interpretazione alquanto disinvolta del pensiero e dell’azione di Giuseppe Mazzini, tale anzi da doversi definire una biografia quasi romanzata. , D. R. G., Giuseppe Mazzini in «La favilla», Weimpeg, Mamtoba, marzo 3935. Saggio sul pensiero Religioso di G. Mazzini. Gino Amato, Doveri dell'uomo di Giuseppe Mazzini, in « Voce dei Calabresi », Buenos Aires, 1G luglio 1935. » Succinto riassunto dell’aureo volumetto mazziniano« Giacomo Laini, I grandi ospiti nostri: Giovanni Ruf fini, in «Illustrazione ticinese», 20 luglio 1935.· Il L. rievocando l'esilio svizzero (li G. lìuffini, ricorda i rapporti intercorsi fra gli svizzeri e il Mazzini. Adolfo Saager, Die Tragödie eines idealisten, in « Prägen presse » Praga, 20 agosto 1935. Succinta recensione della biografia mazziniana del Saager, già ricordata. La stessa opera è stata pure segnalata in Praga dal « Pragertagblatt > del 10 ottobre 1935. —_, Abseits von der Reichslculturkammcr. in « Das Neue Tago Buch », Parigi, Amsterdam, 24 agosto 1935. Segnalazione della monografia di Adolfo Saager, già ricordata. ---, Literatur, in «La Hepublique de Strasbourg», Strasburgo, 10 settembre 3935. Succinta segnalazione della monografia sul Mazzini di A, Saager. La stessa opera è stata annunciata da « Ost-Kur er > di Budapest del settembre 1935. — , Literatur, in « Schweiz Mageltallarseiterzeìlung », Berna, 19 ottobre 1935· Succinta recensione della monografia di A. Saager, già segnalata. La stessa opera è pure recensita a Berna nel « Berner Tagwacht » del 20 novembre 1935. ( — —, Italie na 1848. in « Arnhem se he Courant». Amsterdam, 29 ottobre 1935 Succinta recensione di una monografia di G. Das sull’Italia nel 1848, nella quale è posta nel dovuto rilievo l’azione svolta dal Mazz ni nella preparazione della prima guerra dell indipendenza. __, Giuseppe Mazzini in «Neue Zürcher Zeitung» Zurigo, 17 novembre 1935. Segnalazione dello scritto di A. Saager, già ricordato. A Zurigo la stessa opera era già stata 280 1 Bibliografia .Mazziniana recensita ua stelletta nera nel « Journal Suisse «es Commerçants » dell’S novembre li>35. Ancora in lsvizzera la monografìa verrà segnalata a San Galli il 19 novembre dal «St. Gallen Tagblatt». — —, L’InghiUerra e, i f ratelli Hau (Tiara, in « Progresso it aio-americano ». New Jork, 4 novembre 1935. Il giornale rievoca il ben noto episodio della manomissione delle lettere indirizzate al Mazzini dai ί rateili Bandiera, che condessero i generosi patrioti al martirio, « per dare un idea dell’etica di tutti i governi della Gran Bretagna », ____Mazzini e 1 a prima scuola italiana di Londra, in L’Italia nostra», landra, 8 novembre 1935. In occasione dell'inaugurazione nella capitale inglese dell'istituto italiano, si r evocano i fasti della prima scuola nostra colà, fondata ai primi del 1S00 e sorta a prosperità, per opera di Mazzini, com'è noto. Hans Iìoneggeu, Giuseppe Mazzini, in «Neue Zürcher Zeitung» Zurigo, 10 novembre 1935. Ampia disanima critica dell’opera di A. Saager sul Mazzini, già più volte segnalata; alla quale risponde, polemizzando, Breno Bertoni nello stesso giornale il 34 novembre. Arno Schirokaüer, Die Gescheiterten, in «Bund Abend’ Bla'ct », Berna, (> dicembre 1935. ) Lo S. recens:.-ce vari volumi, ira i quali quello su Mazzini di A. Saager, già segnalato. Pk., Eine Mazzini - Biographie, in « Tagesenzeiger », Zurigo-, 7 dicembre 1935. Ampia disanima della monografìa di A. Saager. Opere e studi su G. Mazzini; pubblicati in Italia^ Carlo Guino ÌNIor, Poschiavo e un tentativo mazziniano per Vinsurrezione del 1853. in « Raetia », Milano, gennaio-marzo 1935. Il M. con convincente .-errata critica ricostruisce il tentativo insurrezionale di Poschiavo nel 1853, mettendolo in istretta relazione con i moti di Milano ài queU’auno. Plixio Carli, Augusto Sai nati. Polii ici e critici dell'età moderna, Firenze, Le Monnier, 1935. In questa antologia per le scuole medie superiori sono scelte con sagacia non poche pagine autobiografiche del Mazzini. Armando Lodolini, Iniziative d'Italia, Antologia di scritti classici di Giuseppe Mazzini, Carabba, Lanciano 1935. . E’ una nuova silloge di scritti mazziniani, che viene però ad aggiungersi ad una già forse troppo numerosa compagn a di queste antologie, atte a favorire la pigrizia mentale di chi intende avvicinarsi, e non soltanto a parole, allo spirito dell Apostolo. Giuseppi. Tramarollo, 11 primo quotidiano mazziniano, in «Rassegna storica del Risorgimento», Roma, maggio 1935. Il T. ila un preciso, succinto ragguagl o «?el i r mo loglio quotidiano del Mazzini, uscito a Milano nel 1843: L'Italia del Popolo e, con buoni argomenti, segnala due scritti, ^dubbiamente dell’Apostolo dellTnità, sfuggiti alla Commissione editrice delle opere. Umberto Valente, Lettere inedite di Giuseppe Mazzini ad Andrea Daneri e Antonio tècotto, in «Camicia Rossa», Roma, giugno 1935. 11 V. pubbUca otto lettere iuedite del Mazzini a due suoi .seguaci in Genova: Andrea Caneri ed Antonio Scotto. Le prime quattro inviate al Daneri sono anteriori al 1857 ; le altre I lIItLIOGRAFXA MAZZINIANA 281 .quattro dirette allo Scotto sono posteriori al 1866, Le lettere, come tutte quelle dell’Apostolo dell’unità, sono importanti; il commento invece non è quale si desidererebbe. Adolfo Omodeo, ìsole critiche alla storia del Risorgimento in « Critica » Napoli, 20 luglio 1935. LO. prosegue nel suo ottimo saggio mitico trattando con perspicacia sempre su «Mazzini e Cavour » del Congresso di Parigi e le delusioni dell'olleanza inglese. Luigi Passo’, II generale Antonini, con lettera inedite del Mazzindel Manin, del Tommaseo> ili « Pan » 1 agosto 1935. Eccellente contr.buto alla migliore conoscenza . Giuseppi. Bruni, Profili mazziniani, in « Popolo Biellese », Biella. 24 giugno 1935. Il B. rievoca la figura del Mazzini, soffermandosi ad illustrarne il carattere. Giovanni Citterio, Le idee musicali di Giuseppe Mazzini, in « Provincia di Como », 29 giugno e 1 luglio 11135. Saggio interpretativo della filosofia della musica. Argo, Fede e speranza, in « L’Evangelista », Roma, 26 giugno 1935. L’A. w.eglie la figura del Mazzini, nel mondo laico, come la più alta espressione dell’uomo di fede. « Egli sognò l’Italia libera ed una quando l’Italia - nel lb31 - non era nè libera nè una. Fer essa cospirò, lottò, «offrì, rinunziò alle più care e seducenti gioie. E quando i discepoli si allontanavano da lui, come da un ossessionato inonoideista, egli, amaramente sorridendo, raffermava la incrollabile certezza che il sogno sarebbe un giorno realtà. E realtà divenne. Qucle la ragione profonda di questa certezza? 11 fatto storico che l’Italia era stata una unità sotto l’impero dei Cesari? No. Il fatto ohe esi»a aveva dato al mondo due civiltà, quella romana e quella del Rinascimento? No. 11 fatto che legioni di martiri avevano offerto la Vila per questa Idea? Neanche. La ragione intima, profonda, incrollabile e resistente ad ogni prova, è la fede di Mazzini nel Dio operante nella storia, attraverso e per mezzo degli uomini, attraverso e per mezzo della coscienza dell Umanità. Pi BLI< »GRAFIA MAZZI λ 1A N A 283 d’Italia», Genova, 25 agosto 19·'Γ>. Il Ü. ripubblica quinto il M au ini scrisee sino dal 1871 m la legittimità della espansione coloniale italiana . __, Le letture preferite dalla gioventù ucraina, in a Ordine », < omo, Ji* agosto 1935. La stampa dell’Ucraina sovietica constata < on amare«* che la gioventù ucraina, abban donate le opere di Marx e di Lenin, ritorna ad abbeverare! alle < pere di Krandi stranieri, ira le quali tengono uno dei primi posti quelle del Mazziui. Nino d’Althan, In paese senza nome, in «Il mare nosiro», Milano, luglio-agosto 3 935. Il D’A. riproduci in facsimile la traduzione del messaggio ben noto di Lincoln al Meli .ni del 1853. Giovanni Bertaochi, In margine al centenario carducciano : il /.oda a \ìade*i-mo, in « Vie d’Italia », Milano, agosto. 1935. In questa rievocazione il B. riproduce in l'ac-smile il messaggio di Mazzini inviato da Lugano agli insorti di Venezia il 24 ottobre 1548. VITTORIO MACCHI0B0f Mazzini profeta del Risorgimento indiano, in «11 Mattino », Napoli, 14 settembre 1935 « Il Risorgimento in l'ano è incomprenaifetìe se non >i tien conto d« Ile influenze mazziniane questo è quel che qualunque indiano colto vi dirà ». ('osi inizia il M. il suo ^ag^io, ri« « o di notizie poco note ma che rivelano quale profonda influenza abbia avuto la figura e la dottr-na dell’Apostolo nel risorgimento indiano. Hai 1877 con Surendraneth Haucrjee alle traduzioni nei Doveri dell'Uomo di pochi anni fa. alle innumerevoli vite delFApostolo . più all'influsso d< lu sua dottrina sul vangelo nazionalista degli Indiani ci dà esaurienti dati questo articolo che non esitiamo a segnalare come uno dei p»ù importanti dettati in que>ti aulii sull'influenza »lei.a dottrina mazziniana nel mondo. Vincenzo Pastore, Il dissidio \larj -Mazzini, in «J\ja !», Ascoli P ceno, ir» set tembre 1935. Cose dette e ridette. Innocenzo Cappa, Il αλί arco Visconti » e Mazzini in « Sera », Milano, li* septembre 1935. Il C. rievoca i giudizi in pubblico eli Roma del 22 ottobre. Giuseppe Bruni. Mazzini fu poeta?, in «Popolo biellese», Biella 2G settembre 1935. Alla domanda postasi il B. risponde affermativamente, anche se il Mazzini non è tato « un accozzatore di sillabe metriche ». _» Mazzini e ì compili della civiltà italiana, in « \* Opinion©», La Spezia, .»w settembre 1935. Si ripubblica una pagina mazziniana sul fine comune imposto dalla legjze della Provvidenza all'Italia e si commenta definendola di Biande immediatezza storica. Arnaldo Cervlsato, Dieci lettere inedite di Giuseppe 1 lazzni a fortunato Piandi, in « Vita italiana », Roma, settembre 1935. Il C , rende note, con sobri commenti, die i lettere mazziniane al fraudi risalenti al biennio 1833-1834. 284 lîiuLioc.uun Mazziniana Mamui ir. i n annua proion lamente un ti a, essenzialìmeii»e rei g'o.-a. la sua religiosità è il Mìj'rt· della ua 'pe'Tinza · «irò, p:ù esattamente, e cioè -ua certe*/a. Cosicché nel mentre la esjrTien:,t c up rica «Mentiva eia motosamente -i»ui -„io-no il suo ideale, una esperenza non m/rua ma tra-* endente, confermava »μιe*to ideale e alimentava, di vitale nutr.ineuto, la »ua speranza e la »ua attività, il pensiero c l'azione sua ». --, Ja Provvidenza, in « Gnosi». Torino, gonna io giugno 1133. La riv:*ta ■'.pul l·!.en due pagine u azz niaiie, fatte 1;· prillili il i una lettera diretta dall'Apo-»ti'lo alla madre; »· la -eeonda .»a un'atra a1 Renza, ili cui è co in pen dato il suo concetto della Ptì. i fdi nza. G. G. Triui.zi, se tantotto anni ja a Genova, in o Lavo o », Genova, t» luglio 1935 Il T rievoca i moti mazziniani del li*57 n Genova, non apportando però alcun nuovo contributo alla ci>nos«enza di que* lotti. 1 . Krnfstu Morvndo, Giuseppe Mazzm e Goffri tifi Mameli pw l'azione garibaldina, in « t'» urie re mercantile», Genova, lìo luglio 1935. 11 M. Ulti-tra l’opera »li mediazione pre tata dal Mameli tra Mazzini e Garibaldi nel 1848-49; pi ra sria chiaramente definita dal Codiamola «im· «Tal 1927 nella sua monogratì i su la vita »· .«ii scritti dei Tirteo italiano. I*. Favini.m. ligure rappresenta live del pulsato, in «Regime Fascista ». (’remona. 2T> luglio 1ìKh>. Aii'pia e sagace disanima critica della monografia del Griffith .su Mazzini, giti segnalata. , Il credo di Mazzini, in «Rassegna storica ilei R i sorgi tfien to », Roma, la-glio 1935. E' segnalato il discorso tenuto dal Cod-gnola all'istituto mazziniano il 17 marzo 3936. 4 Maestro di vita, e dei più grandi, il Mazzini per il ('odanola: un Maestro che si riallaccia alla tradizione schiettamente italiana, ad uno storicismo di pretta ispirazione vichiana » --, 22 giugno, in « Fede Nuova », Roma, giugno-iugliio 1925. Breve nota · ommemomtìva nella 13«.« ricorrenza doella nascita di Mazzini, nella quale sou riprodotti vari giudizi sull’Apostolo tratti dalla monografìa del Griffith. I De 1 » i a s i Vitali, Ina figha spirituale di Mazzini, in «Fiamma viva». Mila no, luglio 2935. Succinta re ensione della monografìa di Fanny Manis su Lina Brusco-Onnis, già segnalata. V . Gian Luigi Mercuri, Mazzini e il popolo italiano, in «Italia giovane». Bologna, luglio 1935. Continuazione e fine del buon saggio mazziniano già segnalato. F. Ernesto Morando, Donne mazzinane.Arethusa Milner-Gibson, in «Camicia rossa ». Roma, luglio 1935. E’ uno degli ultimi saggi mazziniani dettati dal valoroso compianto Morando. .— Il dio·annovista, Il barbuto profeta di Treveri, in «L’Opinione», La Spezia, 5 agosto 3935. Acerba nota polemica contro Bergeret che, in un corsivo della ilazzeita del Popolo di Torino ha affermato, con un delizioso candore : * I problemi specifici che Mazzini e Marx si proposer · sono stati sorpassati, gli uni e eli altri dall’esperienza. Ma basta guardarsi attorno per intendere che il generico reai.amo marxista vive nel mondo attuale; dove non è più traccia del generoso teologismo politico mazziniano ». I/A.. fra l'altro, si chiede: « Ed è poi ben sicuro, il Rabdomante, che quella di Mazzini fosse proprio una gener'ca teologia? Abbiamo l'impressone che, di Mazzini, Bergeret conosca ap. pena il nome, o qualche pag netta antologica, a liso di antichi circoli republican. ». Antonio Gancia, La politica coloniale italiana e Giuseppe Mazzini, in «Grido Γ-jhUûgkai ia Mazziniana I/Observatore, La tradizione italiana, in « Regime fascista », 1 ottobre 193Γ». I Imi tt-iiiiuti il al Alazziui jl!a rspuusiune coloniale it alluna vengono sobriamente commentati in una sagace nota dal quoidiauo cremonese. P. Mazzini Car our e la Crimea·, in a Lavoro >», t tobre 1935. Il H., proseguendo nel suo studio su /'/ce nel Iliftorgmento, tratta in questo articolo de fondamentali principii cui si Isp'rarono il Mazzini, il Gioberti ed i moderati. ---, Mazzini soldato, in « Balilla », Roma, .‘Il oitobre 1935. Bene ha fatto l'effemer.de Jell'Opeia Nazionale Balilla a ripubblicare una testimonianza «il Giacomo Medici su le prove date dal Mazzini anche in frangenti militari difficili, per sfatare, almeno nei giovani, certe leggende alunniose ancor oggi in vigore. Scrisse il Medici ricordando la ritirata dopo l'armistiiio Salasco nel 1848: «Un evviva generale acclamava il grande ita liaiio e la legione gli affidava con unanime condenso la sua bandiera Dio r. /‘«polo; la marcia era faticosissima, la pioggia < adeva a torrent’, «τ van o inzup. ati Quo alla pelle. Benché abitua!' ad una vita di studio e mai in grado di far molto moto, durante quelle marce forza! ■ al Mazziui la serenità non venne meno per un istante, e, malgrado i nostri consigli, paventando la sua forza fisica, non volle mai restare indietro, nè lanciare la colonna. Vedendo uno dei più giovani volontari vestito di tela, lo «opri costringendolo a portare il suo tabarro. Giunto a Monza «· sentita la fatale notizia della capitolazione di Milano, e sapendo che un corpo numeroso di cavalli austriaci era stalo spedito contro di noi. Garibaldi, non volendo esporre la piccola banda alla certa morte, diede ordine di concentrarsi, invitandomi colla mia colonna a coprire la ritirata. Sempre inseguita dal nemico e minacciata da forze assai superiori, la colonna n -n ma: vacillò, ma restò compatta e tenne il nemico in iscacco lino all'ultimo. Fu in questa marcia piena di pericoli e di difficoltà che la forza d'animo, l’intrepidità, la decisione, «he Mazzini possiede in alto grado, non mancò mai; anzi, egli ‘Ta l’ammirazione dei più coraggiosi fra noi. La sua presenza, le sue parole, l’esempio del suo coraggio mimava i nostri giovani .^oldat·, che inoltre erano fieri di essergli compagni del pericolo. La sua condotta è stata prova che alle qual tà altissime di un uomo politico ejili aggiunge il coraggio e l'intrepidezza del soldato ». Enrico Bezzi, Ergisto Pezzi, in «Il trentino», Trento, seti ebre-otto*» re 1935. Succinta rievocazione dell'eroe trentino: vi si riproduce in facsimile la lettera scrittagli da Mazzini il 28 novembre 18G4 ___ Mazzini sulla corretta « Fieramosca », in « Rivista di coltura marinara», Roma, settembre-ottobre 1935. E' un capitolo, assai interessante della monografia : « Le cronache natali dell'anno 1670 » ©dita dall’Ufficio storico della R. Marina. 286 IMBLIOGRAFIA ΛT AZZINI ANA Giacomo Emilio Curatolo, L'Inghilterra responsabile della tragioa fine dei fratelli Bandiera, in « Giornale di Genova », 3 novembre 1935. E' ripubblicato l’articolo del Curatolo, apparso nella Nuova Antologia e da noi già segnalato. Lo stesso articolo è stato ripubblicato dalla « Gazzetta del Popolo della sera » di Torino del 6 novembre ; da c Ottobre » di Roma del 7 novembre ; dal « Corriere del Tirreno » ili Livorno, dalla < Vedetta d’Italia » dì Fiume e dal « Popolo di Brescia» dell’8 novembre; da « L’acciaio » di Terni del 9 novembre; dall « Opinione » de La Spezia dell’ll novembre; dalla « Gazzetta di Venezia > del 13 novembre e dalla « Cronaca prealpina » di Varese del 14 novembre 1935. . A. L·., Mazzini e Michele Amari, in « Gazzetta di Messina», 9 novembre 1935. L A., che ha conosciuto l’Amari, formula uo’ipotesi sulle cause che divisero il Mazzini dal-l’Amart ben poco convincente. Si tratterebbe dell’avito repubblicanesimo del liguri contrapposto al monarchismo, altrettanto avito, dei siciliani. Tommaso Faranda, Lo stato nella diversa concezione di Machiavelli e di Mazzini, in « La Gazzetta del Lunedì », Messina, 25 novembre 1935. Il F. si sforza di mettere in rilievo c le sostanziali differenze del pensiero politico dei due grandi italiani » e «la superorità dello stato quale fu concepito da Mazzini su quello concepito da Machiavelli ». Giuseppe Bruni, La poesia della natura in Mazzini, in «Popolo biellese », Biella, 25 novembre 3935. 11 B. cerca, spigolando nell’epistolario del Mazzini, di darci la viva freschezza delle sensazioni provate dall’Apostolo di fronte alla natura. * Direttore responsabile : ARTURO CODIGNOLA ^Società A noidmcTIndustrie Poligrafiche Nava - Bergamo Piazza Baroni INDICE DELL’ANNO 195ó MONOGRAFIE Arturo Codignola, Il credo di Macini .... Pag. 1 Ferruccio Sassi, Evoluzione delle forine politiche lunigia- uesi del sec4»»o XI1 ad XVI ... . . » li> Mario Battistini, Rapporti di Mazzini con democratici del Belgio ....... » 36 Paola Catel, Ancora sul Congresso repubblicano del 30 Aprile 1S48 .......... 54 Vito Vitale, Cristoforo Vincenzo Spinola, e l’innocuo complotto contro la Repubblica Ligure » 81 Maria Ada Ravano, L’educazione militare nella concezione di Gaspare Morardo ...... . » 95 Arrigo Fugassa, Daniele Morchio e le glorie marinare dell’Italia ....... . » ?5 Teresa Repetto, Relazioni tra Genova e Alessandria nel secolo XIII ...... pagg. 112, |18»y 245 Enrico Terracini, Artisti liguri contemporanei . . . » 129 A. Bersano, Su una lettera mazziniana ad un supposto Garnier ...... ...» 134 G. Caraci, Fantasie e resipiscenze in tema di scoperte precolombiane........» 161 Mario Grossi, Un conte rivoluzionario maestro di Giosuè Carducci...... . . . » 172 Antonio Giusti, Appunti di dialetto ligure .... » 193 Mario Oliveri. Un rimatore genovese del settecento: Gerolamo Gastaldi............» 225 Guglielmo Salvi, Le « vere» origini del Finale ...» 234 Roberto Mazzetti, Giambattista Passerini e Vincenzo Gioberti ....... ...» 252 Renato Giardelli, Saggio di una Bibliografia generale della Corsica ...... pagg. 62, 140, 195, 256 I κ es RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Arrigo Solmi, L’idea dell’unità, italiaii v nell’età napoleonica. (Yito Vitale) ..... » 69 Ii.ario Rinieri, I vescovi della Corsica (Adolfo Bassi) . » 72 Carlo Morandi, Relazioni di ambasciatori sabaudi, genovesi e veneti (Vito Vita·1«) . . . . . » 147 D. Guglielmo Salvi, L’« operarius » dei Torto e del Molo di Genova. Architetto o amministratore? (N'ito Vitale) » 15ù Giuseppe Agnelli, La battaglia al ponte di Lodi e la settimana lodigiana di Napoleone Bonaparte 9-15 maggio 179G (Vito Vitale) . » 151 Mario Chiaudano e Mattia Moresco. Il cartolare di Giovanni Scriba (Vito N’itale) ..... » 205 Augusto De· Benedetti, Poesie sugli animali nel’a lirica di ogni letteratura (Luigi Mendezj .... » 200 li alo Soovazzi, Vincenzo Gioberti e il cattolicesimo liberale a Savona (a. c.) . . . . . . . » 213 Vito Vitale, « Il contributo della Società Ligure alla cultura storica nazionale (L. M.) . . . . . » 215 •Ermanno Der vieux, L’opera cinquantenaria della R. Deputazione di storia patria di Torino (M. Celle) . . » 202 Tito Rosina, Federigo Tozzi (Enrico Terracini) . . » 205 «L’Annuario del R. Liceo-Ginnasio C. Colombo» (M. Celle) » 26!) Ermanno Amicucci, G. B. Bottero, giornalista dei Risorgimento (Enrico Terracini) . . . . » 272 IN MEMORIAM Antonio Canepa (C. 1>.) — . . . . . . » 224 Spigolature e Notizie ..... pagg. 77, ^20, 275 Appunti per una bibliografia Mazziniana . . pagg. 153, 279 Indice dell’Anno 1935 ........» 287 ALCUNI GIUDIZI SULLA PRODUZIONE ARTISTICA DELLO STABILIMENTO ARTI GRAFICHE BOZZO &c COCCARELLO - GENOVA Il Cardinale CARLO DALMAZIO MINORETTI, Arcivescovo di Genova: « ____la artistica c splendida riproduzione.... farà bella figura nella sala delft VArcivescovado e resterà testimonio.... dell'abilità degli autori ». S. E. VIVORIO, Prefetto di Genova: « La riproduzione della tela di Bernardo Strozzi è veramente opera d'arte grati fica pienamente riuscita, e fa onore allo Stabilimento che adempie a un « nobilissimo compito, facendo conoscere i capolavori del pennello genovese ». S. E. MOP.MINO, Prefetto di Genova : « ____voglio esprimere il mio vivo compiacimento per la perfetta riproduzione a {di un quadro di Nicolò Barabino), in tutto degna delle nobili tradizioni « dell'arte grafica italiana ». Senatore PIETRO SITTA, Rettore delFUniversità di Ferrara: a ....La prego rendersi interprete dei miei sentimenti di felicitazione verso i « bravissimi esecutori per il loro lavoro degno dell'originale ». Senatore In*;. EUGENIO BROCCARDI : a Ho ammirato la tecnica meravigliosa, il colorito magnificamente riprodotto, a tanto che la riproduzione dà l'illusione completa di avere dinanzi l'originale ». On. Marchese CARLO BOMBRINI, Podestà di Genova : « Le bellissime riproduzioni in fotolitografia di codesta Spett. Ditta, che ìw « molto ammirate, indicano il perfezionamento tecnico di cotesto Stabilimento ». On. Marchese FEDERICO NEGROTTO CAMBIASO : « ....la splendida riproduzione di una tela originale di Bernardo Strozzi, lavoro « artisticamente eseguito, è davvero tale da costituire legittimo motivo di orci. goglio per cotesto Stabilimento di Arti Grafiche ». Comm. Prof. ORLANDO GROSSO, Direttore del Civico Ufficio Belle Arti di Genova : u Mi compiaccio che una Ditta genovese possa dare questi gioielli di lavora-« zione eh* fanno davvero onore alla città e dànno un grande contributo alvi le arti giafiche italiane ». Prof. ALDO RAIMONDI, Direttore del R. Istituto d’Arte di Parma : « Veramente è la prima volta she vedo una Hproduzione del valore della Loro... « La loro opera rappresenta un capolavoro dell'arte grafica ». Cav. UGO A RM AN INO, Roma: a Compiivi ititi, complimenti e complimenti! Avete fatto le cose da gran signore. a La riproduzione è veramente perfetta.... e l'insieme del calendario un pic-a colo capolavoro. Questi non sono complimenti, ma verità ». Il Direttole Tecnico della Società Editrice Internazionale, Torino: « È una riproduzione veramente superba, che fa onore allo Siabilimento Itti gure che l'ha data alla luce ». GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA La pubblicazione esce sotto gli auspici del Municipio e della Regia Università di Genova e del Municipio della Spezia ABBONAMENTO ANNUO : per l’Italia Lire 30 “ per Testerò Lire 60 Un fascicolo separato Lire ^,óO - Doppio Lire 1 ö DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE : ÇçenoVa, Vta Lomellini, 21 (Casa 'Mattini)