ANNO X - 155 4 XII Fascicolo I — Gennaio-Marzo GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Fondato da ACHILLE NERI e UBALDO MAZZINI Pubblicazione Trimestrale NUOVA SERIE diretta da Arturo Codignola e Ubaldo Formentini Direzione e Amministrazione GENOVA, Palazzo Rosso, Via Garibaldi, 1 Ô FRATELLI PAGANO TIPOGRAFI EDITORI - S. A. VIA MONTICELLI, JJ - GENOVA - TELEFONO 52004 I I Nostre Edizioni : POESIE IN DIALETTO GENOVESE di Martin Piaggio «5° edizione, curata da Giulio Gatti - Prefazione di L. A. Cervetto . . . . * . L. 1 Ö. LA CUCINIERA GENOVESE di Gio Batta e Giovanni padre e figlio Ratto - 12° edizione - Prefazione di Carlo Panseri . \ . . . L. ô. ANNUARIO GENOVESE FRATELLI PAGANO Guida di Genova e Provincia (Lunario del Signor Regina) 1 19° edizione . . . . , L. óO. SOMMARIO Adolfo Bassi, II delatore di Garibaldi — Ubaldo Formentini. Scoperte archeologiche nella città di Luni — VARIETA* : Evelina Rinaldi, Autografi di Silvio Pellico - Nino Lamboglia, Notiziario di archeologia e storia dell’arte ligure — Renato Giardelli, Saggio di una bibliografia generale della Corsica — RASSEGNA BIBLIOGRAFICA : Nino Lam-boglia, Topografia storica delfìngaunia nell* antichità (Ubaldo Formen tini) — Orlando Grosso - Giuseppe Pessagno, Il Palazzo del Comune (Carlo Bornate) — Italo Sco vezzi. Vittorio Poggi nel primo centenario della nascita (Carlo Borna(e) — Pietro Nurra, La coalizione europea contro la Repubblica di Genova (Giuseppe Pessagno) — Costantino Solvi, Carlo Emanuele II e la guerra contro Genova delfanno 1672 (Vito Vitale) - SPIGOLATURE e NOTIZIE - APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA Μ' ' IL DELATORE DI GARIBALDI NEL CENTENARIO DELLA FALLITA RIVOLUZIONE DI GENOVA, DEL 4 FEBBRAIO 1Ô54 Vico _del Campanaro fu un vicolo ormai scomparso della veccha Genova: che procedeva serpeggiando, stretto e scuro, fra le case Più alte del centro della Città, posto fra via Giulia (l’odierna via XX Settembre) e vico dritto Ponticello ; e clie sboccava in vico Torbido con un casone sulla manca, alto di ben undici pian:, precursore inconsapevole degli odierni grattacieli e oggetto di curiosità per genovesi e forestiera II nome di «campanaro» che farebbe pensare a qualche umile sagrestano addetto a tale -ufficio e abitante in quel vicolo, era dovuto invece al casato dei Campanari (nel cinquecento era detto car.rogio dei Campanari) lì abitanti e dediti all'arte dei lanari, dei tessitori e dei venditori di panni, come i lavoratori del vicino Borgo Lanaioli. (1) All'inizio del 1834 abitavano in questo vicolo, al N. 64, proprietà della famiglia Borzino, i fratelli Crovo : il Reverendo ^don Ambrogio di 44 ann? e Andrea di 30 (2), impiegato come sottosegretario al Tribunale di Prefettura di prima classe, di cui erano prefetto il senatore Giovanni Stefano Orengo, e vice prefetto Bernardo Ruffini, il padre de’ martiri famosi. I Crovo erano provinciali di Canevaro o Canevaie, (*) frazione del paesello di Correglia presso Chiavari, dove vivevano i genitori Giovanni Agostino e Giulia Oneto, lavorando la loro terra. Ma sperano impoveriti per far studiare i figl1, dopo un po’ di Seminario. (M Francesco Podestà - Il colle di S. Andrea (Atti Soc. Lig. di St. Patria; 1901, pagg. 1G7 e ss. (2) Questi e tutti gli altri dati biografici e di famiglia, non contenuti nel processo, sono, come si diirà, dedotti dai documenti dell’Archivio Parrocchiale di S. Stefano, di Genova. Invece tutte le notizie generali d’indole amministrativa, qui e altrove riferite, sono desunte dall’ufticiale Calendario (letterale pe' KR. Stati Sardi - Torino, Gius. Pomba 1834 (pagg. 81, 129, K»f» e ss) e dei Calendari immediatamente precedenti (il lo è del 1S24) e seguenti. (3) Questo nome lo troviamo storpiato nel processo nelle forme Conciale e persino Concave dagli amanuensi. La parrocchia di S. Stefano ha Canevaro. Le carie dello Stato Maggiore hanno Canevaie, ma forma migliore ò Canevaro, dal dialetto Canevà. 2 Adolfo Bassi Il primo di essi Biagio, nato nel 1788, ottenne U titolo di chirurgo; il secondo, nato nel 1790, fu prete; il terzo, Andrea, nato nel 1<98, era stato avviato al notariato, ma non potè o non seppe conquistarne il titolo; il quarto, Giovanni, nato nel 1806, fu contadino come il padre e si accasò nel 1838 a Canevaro. Passata la bufera della Rivoluzione e dell'impero, i due prijoii figli, quando le cose parvero acquietarsi, vennero nel 1817 a stabilirsi a Genova, nella speranza di far fortuna. Abitavano tre camerette al quarto piano. Sul pianerottolo, un altro allog-getto ; sopra di loro, l'ultimo colla terrazza: nelle nove povere abitazioni stavano operai e professionisti; di giorno per la scala un vo ciar di bimbi e un incrocio di pettegolezzi fejnm/nili· Ma i due Crovo non venivano a c;asa che per dormire. Nel 1821 si aggiunse loro un giovane studente, il fratello Andrea, che faceva pure lo scrivano presso un notaio. Nel 1822 il chirurgo s: allontanò dai fratelli e prese stanza in Portoria, in casa Gazzolo. Don Ambrogio e Andrea rimasero insieme : e durante Panno questi riuscì ad impiegarsi nella Prefettura, ove col passar del tempo divenne sottosegretario, con uno stipendio di poco più che L. 1200 annue. A 26 anni è orma’; a posto: fa conoscenze, a »l’ufficio e in trattoria, si permette persino il lusso di studiare la scherma. Dieci anni passano monotoni per i due fratelli, e i torbidi dal 1831 al 33 non li toccano. L'epilogo della così detta rivoluzione garibaldina- in Genova, del 4 febbraio 1834, era ormai superato, dopo gli arresti tumultuari dal 4 al 6 febbraio e dopo le vane perquisizioni nelle case dei latitanti, quando la sera del 15 accadde in casa Crovo alcunché di insolito. I vicini con appassionata curiosità osservano che il sottosegretario di Prefettura è rientrato in casa agitatissimo; che ha rimestato affannosapiente carte, e vi è chi dice di averlo veduto (ma come potè vedere?» buttar carte in un buco ignobi.e della casa e affondarle con un bastone. E Ja mattina successiva, domenica 1G febbraio, hanno la prova evidente che i loro sospetti sono giustificati, poiché malgrado 1 ora antelucana vedono uscire tra due b rri il signor sottosegretario, c e andò a finire nelle carceri di S. Giorgio. E coinè non bastasse, a notte fatta esce di casa anche il reverendo, ma quale nessuno se lo immagina : nè più nè meno che travestito da « uomo » ! Chi 1 avreb e mai detto di persone così rispettabili? * * * E per quattordici lunghissimi giorni e altrettante notti eterne si lascia ii prigioniero a mulinare, senza rivolgergli parola. Intanto la polizia non sta colle mani in mano. Nella casa vuota dei Crovo viene demolito quel tal condotto ed è compiuto delicatamente il salvataggio delie carte immessevi, e fatta lo loro purificazione. Dopo Il Delatore di Garibaldi nel Centenario della fallita Rivoluzione ecü. 3 di che esse passano pei* le mani delle Eccellenze, con ima certa ossequiosa premura, nello stabilire a chi tocchi l’onore (li svolgerle per primo. Sono sedie5, documenti, tra vecchi e nuovi (avuti per quella via e per altra), vari di formato e di colore: bianchi, gialli, rossi, che 1 Uditore di guerra in Genova (con grado e onori di Uditore generale; cav. Domenico .Rati Opkzoni riceve in consegna il 20 feb braio, e ne riferisce al Governatore, marchese Filippo Paulucci : vi è pure « il cosidetto ordine del giorno, scritto in carta gialla, colla annessa cartella contenente dei ricordi che s’, suppongono stati rinvenuti e presi nelle tasche dell’abito del Gio. Battista· Caorsi, detto il Tognella » (*). Si crede che il Crovo li abbia scritti e si vuol farne la perizia- calligrafica- Il lij'o conduttore delle indagini è stato dato da tre lettere che proprio il. giorno sabato 15 febbraio sono state rinvenute in ufficio nella scrivania del sottosegretario della Prefettura e con una rapidità incredibile son giunte nelle inani' dell’Uditore di guerra: esse nel loro linguaggio misterioso destarono la curiosità di lui e lo indussero aìrimmediato arresto del Crovo, mentre gli suscitavano in cuore la fervida speranza di scoprire finalmente la vera fonte della recente congiura. Infatti i primi risultati dell’inchiesta sulla fallita insurrezione di Genova· del 4 febbraio ’34 erano stati delusori. La sera stessa di quel giorno gli. « arresti in massa » dei congiurati s Ver a no ridotti a quello di due uomini, usciti da una bettola: l'uno, il Parodi, brillo; l’altro, il Daluz, ubbriaco fradicio, che non capiva una parola di genovese e parlava a casaccio una lingua ignota, che si seppe po essere il portoghese. La mattina del 5 si era colto nel letto dijina locanda un marinaio dall’aspetto tutt’altro che intelligente : gran naso e fronte stretta in un viso butterato e olivastro, su -un corpo tozzo e corto : e di apparenza ammalato. In quel momento era ancora pfcn di sonno e coi funr. di parecchie bevute recenti : il Mu-tru. Poi (su dicerie sorte il 6 di trafugamenti di armi) si arrestano successivamente parecchi facchini, che denunziano il Caorsi, ?i quale però è già scomparso Γ8, e si sequestrano infine tre casse di armi. (i) Quasi tutti questi documenti fanno parte di due incarti dell Archivio (li Stato di Torino: «Processi politici 1834. Cartella III, 4 » e « 1£35, Gab-netto di Polizia, Genova, Cartella I», già esaminati e studiati da parecchi studiosi. Il primo a darne notizia fu Alessandro Luzio in un articolo della «Lettura» del febbraio 1910, ripubblicato in vari volumi del Luz'o stesso. L'ultimo studioso fu il chiaro prof. Eugenio Passamonti. autore dell importante volume suii processi del 1S33 (Le Mounier, 1030) e che promette per l’anno 1034 un volume presso il Le Monnier sui moti del 1834, in cui pu > blicherà, a quanto mi disse, i documenti del processo. L’articolo presente fa parte di una serie di ricerche ui.ziate da ine nel 1916, raccolte in un volume compiuto da tempo e di prossima pubblicazione, che riguardano la vita marinara di Giuseppe Garibaldi, la sua iniziazione mazziniana e la parte che.ebbe nel tentativo di rivoluzione del 4 febbraio 4 Adolfo Bassi In ultimo si arresta un garzone libraio di IS anni, il Canale, senza uu quattrino (come tutti gli altri) e chiacchierone, che blatera assai più eh«? non sappia, esaltandosi ed esagerando se pur non inventa. Dei peggio indiziati — un Garibaldi, un Mascarell·, un Caorsi — nessuna traccia, per quanto affannosamente ricercati per tutti gli Stati Sardi e specialmente ai contini. Insemina, non s! era risalito ad alcun grande colpevole, nè tanto meno ad alcuna prova che rivelasse una larga trama, una vasta organizzazione, pur avendone 1111 sospetto assai simile alla certezza, che vi fosse un nesso trai i'invas agosto '33 e graziato per le importanti rivelazioni fatte- Il Crovo risponde affermativamente: fu spesso suo compagno di locanda e gl·, prestò vari libri, per un libro che il Tiauavia stava scrivendo, quando lo conobbe : 6 Adolfo Bassi uu/opera. crede, militare (1). Richiesto se gli prestò anche dei de-naro, risponde: Si, 80 franchi, che il Pianavia gli aveva rich'esto per alida re in Piemonte. Anzi è ancora in credito di L. 40 : non sono dunque che rapporti di denaro ! E perchè il Viacava, accennando ai detenuti di Alessandria, dice: « quei marchesi » senza individuarli? 11 Crovo crede sia una semplice curiosità. Trattasi, come sì sa, dei marchesi Giacomo Balbi Pioverà e Damaso Pareto, confinati dopo la debita sottomissione il 17 dicembre '33 l'uno a Pioverà, l’altro a Gavi; dei fratelli mar-confinati il 20 ad Albissola ; e del Domenico Mari.chesi Nicolò e marchese Massimiliano Spinola confinato il -9 a Tassarolo : tutti compromessi nei moti ilei '33. La notizia di queste sottomissioni e di questi confini, fatti alla chetichella, si era sparsa lenta e confusa fuori dello Stato. Nulla di stiano che dopo più di un mese a Milano si desiderassero maggiori dettagli. Il primo lunghiss mo interrogatorio è terminato, e iì Crovo, benché senta che altre prove lo attendano, essendo ancora in sospeso parecchie incognite, parte trepidante, ma colla vaga speranza di esserne uscito in complesso abbastanza bene. L'uditore di guerra batte il ferro mentre è caldo. 11 domani 3 marzo si fa ricondurre davanti il Crovo e gii eh ede subito a che viaggio alluse all'inizio del primo interrogatorio. (-) Ad un viaggio con un tale Cernusclii, raffinatore di zuccheri a Milano con «corrispondenze» a Bergamo, Brescia, Lodi. Il Rati Opizzoni, accorgendosi dalla pronta risposta che 1 altro è preparato, vuol disorientarlo con un'altra domanda: Perchè nei lugl o 21 pie se un passaporto per Trieste? Perchè cauzionano per L. 2000 di un tal Antonio Lagojnarsino, il quale eia stato colto a contraban ai tabacco: onde egli era perseguitato come complice. Ma andò solo sino a Livorno, perchè, salito al trono Carlo I-elice, egli fu compreso nell'indulto (band to il 30 settembre '21) e tornò a Genova. Dov è 1 Viacava?... Crede sia a Milano... — E dove si trovava col Pianavia? A mangiare, a volte, insieme nella Trattoria Milanese. Quegli è l'unico dei detenuti di Alessandria che egli conoboe: deoli altri seppe soltanto che erano stati liberati. — Che amici ha ora? Nessuno in particolare: v'è l'avv. Morelli: ma da due anni non lo frequenta più, benché arnie5 dall'infanzia : vi sono un Tagliabue negoziante di Como, e un piemontese Cavigliotti, impiegato presso uu negoziante in Piazza della Posta Vecch a, che lia un i rate o a\ - vocato a Torino. . Conobbe costui casualmente a Milano, mentre era con 1 avvocato Magioncalda e la fami gl· a di lui, torinesi, che gli dissero di esser stati depredati, mentre andavano per le poste. (1) Sono le «Ricreazioni di un militare», ma non è opera strategica. M pose mano anche Agostino Rufüni. (2) Arch. Stato - Torino - Ivi - Secondo esame. Il Delatore di Garibaldi nel Centenario della fallita Rivoluzione eco. 7 E dopo tante divagazioni si ritorna a parlare del Viacava, argomento principale dell'inchiesta, i rapporti col quale esporremo ordinatamente, attraverso i guizzi, dell’interrogatorio. Andrea Viaca/va era un agiato signore di Voltri, ammogliato : ma, colpito da monomania, si lagnava continuamente della salute perduta e degli amici che Vabbandonavano. L aveva conosciuto per irçezzo di suo fratello chirurgo, e s’erano un ti per simpatia reciproca. Nell'ottobre e nel novembre ’32, invitato insistentemente dal Viacava, era stato suo ospite a Voltri, e nel dicembre '33, poiché il male si aggravava, s’er a dec’so ad accompagnarlo a Milano per intraprendere una cura. (Disinteresse ed affetto meravigl’osi, se il Giovo lasciò impieghi e comodi neila stagione più ingrata, per accompagnare un malato fastidioso ed esigente). Aveva chiesto un mese di permesso, all’ufficio, e s’era fatto fare il passaporto per Milano. Partirono il 4 dicembre e alloggiarono a Milano da un tal Carlo Tadeo Un vecchio capitano della Marina Mercantile Sarda, Bollo, che aveva un figliuolo pazzo al manicomio di Milano, aveva inviato per posta una lettera di presentazione al dott. Cer-nuschij (è diventato dottore?): eli qui la conoscenza colla famiglia Cernusclii, le gite in comune (una a visitare il tiglio del Bollo), le presentazioni ad a pi ici ed amiche, i progetti di viaggio per svagare il nevrastenico (come d:remino oggi) e la decisione di accompagnarlo sino a Venezia. Ma prima il Crovo, per essere in regola colla polizia, stabilisce rientrare negl·) Stati Sardi a far vistare a Voghera il suo passaporto per l'arnia e Bologna, cioè per altri tre stati : i due ducati e le legazioni. Nel viaggio intrapreso dopo Natale, sempre colla preoccupazione dell’ufficio lasciato, va a Voghera per un giorno; poi, passato il confine, a Piacenza per quattro, poi a Parma per uno. (ini la polizia gli rifiuta il passaporto per Bologna, perchè non vistato dal consolò papale, ma glielo rilascia per Mantova. Allora affitta una vettura per Mantova..... e trovato un gruppo di amici — due servi di Ospedaletti e un vetturale (che razza di amici!) — con loro se ne torna a Genova. Lo strano è che egli faceva tanti viaggi, a casacc’o e con grave strapazzo, a spese del Viacava (anche ai disinteresse vi è un l'anite). Questi, datigli a Milano 100 luigi d’oro, s’era messo a piangere e a disperarsi, quando il Crovo aveva tentato di rifiutarli, e a protestare che tutti lo abbandonavano. Per calmarlo, s’era tenuto il denaro e l’aveva speso. Gli rimasero 40 luigi, che contava restituire all'ajnico recandosi a Milano pel Carnevalone. Durante il viaggio aveva scritto parecchie volte alFamico per confortarlo e ne aveva ree vu to lettere: in una il Viacava gli diceva che la polizia milanese gli aveva rifiutato il visto per Piacenza, saluto che intendeva raggiungere il Crovo. Vi sarebbero state da fare parecchie obiezioni a questo rac- 8 Adolfo Bassi conto: ΓUditore si accontentò di chiedere perchè a Parma aveva mutato improvvisamente "/dea ed erasene tornato a Genova. Per timore di noie dalla polizia, risponde imbarazzato il Crovo, e perchè sprovvisto di abiti per viaggiare. ... Aveva fatto economie, si capisce per non abusar deli’anr’co. Da Voghera a Parnva aveva viaggiato un po' in diligènza, un po’ in vettura. (Ma questo mezzo, notisi, costava allora assai più). L’Uditore si accontenta anche di queste risposte e riprende le domande sconcertanti. Conosce qualcuno a Cogoleto? No. Neppure Γarciprete? No. E a Livorno? Il suo locandiere dei’ 21, il Tutti, che gli scrisse ancora nel ’25 - ’26 e cui egli nel '32 indirizzò una signora. E a Sestri Levante? Solo un certo Antonio Ugazzi, prò prietario, che capita a volte da lui, a Genova. Fu mai in Francia? No. Vi ha amici? No. E conosce qualcuno a Frejus? No... e poco dopo, ripensandovi, aggiunge che due o tre anni fa ricevette una lettera, scritta a Genova, ma datata da Frejus, da un certo Raimondo Doria. Nome pericoloso che l’Uditore non pare not*^ affatto: eppure è l'iniziatore carbonaro, e il delatore, di Giuseppe Mazzini. Perchè tiene nel portafoglio un ritratto? È di Salvatore Ber-tolott;, morto a Genova nel 1S2G. Lo conobbe a Genova tra il 1818 e il ’22, che era già ionpiegato e posava a letterato. Non ne conosceva il padre, ma condotto presso costui dal fratello chirurgo, lo assistette nella sua ultima malattia e nella morte, e si occupò de’ suoi funerali. Fu in questa occasione che si appropriò del ritratto del tiglio — una picroia miniatura — che trovò per casa. E, quando fu arrestato, chi vi era in casa? Solo suo fratello prete. Dica ora se conobbe Lorenzo Boggiano. Si: sin da ragaiz-zo, e lo frequentò come vicino di casa. Quando poi nel 25 il Bogg ano andò a stare in Oregina, si rividero raramente. Nel '29 s’ ritrovarono per qualche tempo, perchè aveva incaricato l’amico di cercargli una stanza in Oregina, quasi viLegg’atura ne' mesi caldi. Ma il Boggiano non riuscì: la trovò egli stesso e vi andò a dorm’re ogni sera tra l’agosto e l’ottobre. In questo periodo quattro o cinque volte fu dall/amico. E più rari furono gli incontri dal '30 al '32, quando il Boggiano morì in Oregina (fu detto») avvelenato. In quell’occasione il Crovo si recò d’ufficio lassù per raccogliere le testimoniali. Ma perchè diradò le visite negli ultimi anni? Perchè prima il Boggiano, povero, era un buon compagno. Mortogli la madre nel ’24, quand’egli aveva 32 anni ebbe la ricca eredità materna-, benché dimezzata (la madre, conoscendo il tiglio, ne aveva lasciata metà alla moglie di lui) e cominciò a scialacquare ‘1 denaro in allegre compagnie. Da buon amico il Crovo invano lo ammonì; poi lo lasciò. E il Boggiano, giù per la china!, fece debiti e fu interdetto, benché quarantenne. Il Delatore Dr Garibaldi nei, Centenario della fallita Rivoluzione ecc. 9 Però non approfittò mai dell'amico? 11 Crovo confessa che ebbe da lui prestiti in denaro, che gli restituì puntualmente. A sua volta gii imprestò L. 490, che non gli furono restituite· Il Boggiano, non avendo denaro, gli promise la sua biblioteca : ma poi cominciò a venderne alla spicciolata libri, e trovandola così svalutata, il Crovo non se ne contentò più..... e il debito rimase. Il risultato di questo secondo interrogatorio fu disastroso pel Crovo, il quale ormai sapeva quello che lo attendeva. Eg.i, rotto ai; sistemi di procedura, s’era convnto che il Rati Opizzoni, nella sua inchiesta precedente gli interrogatori, aveva avuto tarde ma complete informazioni sul suo passato e possedeva documenti schiaccianti contro di lui. Si spiega così la sua inabile difesa, di chi a cerchi v lmente spostare la morte di lui al ’32 mentre avvenne nel fatale giugno del ’33, per tentare di allontanare da sé il sospetto che egli fosse implicato nella congiura. E aggiungendo viltà a viltà, fa osservare che egli lo videi morto, ma per dovere d’ufficio..... Invano. (Egli si sente c'rcon dato dal sospetto e le prove si accumulano contro di lui. Perchè è andato a Livorno del ’21? Lo si crede in rapporti col Guerrazzi e (1) G. Faldella - I Fratelli Ruffini - Storia della Giovine Italia - Torino, Roux Frassati 1807, pag. 135. (2) F. Donaver - Vita di Giuseppe Mazzini - Firenze, Successori Le Mounier, 1903, pag. 120. ... Giov. Ruffini - Lorenzo Benonì (trad. G. Rigutini) - Milano, Trevisim, 3a ediz., s. d. Cap. XXXIII, pag. 369. 10 Adolfo Bassi glielo (Tiranno tosto apertamente. Andò in Francia? No. Fu a Co· go'eto? Ne conobbe l'arciprete? Domanda oscura : ma certo costui, se fu sospettato gravemente, riuscì a scagionarsi. Infatti trovo che egli era il sacerdote Antonio Saccarello, arciprete di Cogoleto da prima del 1825 e rimastovi sino alla morte, nel 1S38 (*). È probab le (ihe la domanda del Rati Opizzoni; fosse tendenziosa e che si dubitasse delle opinioni del vecch’o parroco e de’ suoi amici : nu\ o i sospetti erano infondati, o U sviò, o mostrò un sincero ravvedimento, cosicché fu mantenuto nel suo ufficio. Anche Sestri Levante è un covo mazziniano e l’Uditore chiede all/inquisito se vi; ha amici. Insamma: i nuclei sospettati o reali delle congreghe mazziniane liguri sono ricordati, perchè il Crovo risponda se vi praticò : e le risposte negative, accolte in silenzio sprezzante, si sente che non son credute. La volubilità stessa delle domande, volutamente non approfondite, mostra che si è certi della sua colpa e della gravità di essa. Ma la traccia più nera è data dall’ultimo viaggio, intrapreso in una stagione non fatta per viaggi di diporto, lasciando l’impiego nell'epoca meno opportuna per le licenze, in un anno rivoluzionario e in un mese tutto congiure. E che viaggio incoerente ! In un disordine d* mete, spiegate con pretesti puerili : fatto a spese di un amico ammalato, che non si dovrebbe abbandonare, per non offenderne la morbosa delicatezza e il cui denaro dovrebbe essere sacro : un amico, del quale si hanno lettere recent ssime che mostrano1 l’intelligenza non di un nevrastenico, ma di un astutissimo dissimulatore del suo pensiero..... Al termine del suo secondo interrogatorio, apparentemente calmo e cortese, senz'ombra di contraditto rio, ma pieno di incognite minacciose, il Crovo viene ricondotto estenuato e sconvolto nella sua cella del Palazzetto. * Ve * Non gli si dà respiro. Il domani 4 marzo (2) è ricondotto al terzo esame davanti al Rati Opizzoni, che l’interroga subito sul suo viaggio a Milano col Yiacava. Chi vide là? Un medico, il Cernuschi, che aveva tre tigli in collegio a Monza. Anzi quand'egli lasciò il, Alacava a Milano, :d Cernuschi lo condusse a Monza in una gita, in cui quegli scrisse essersi divertito assai. Ora per comprendere quanto fosse compromettente il nome del Cernuschi, basti sapere che costui, raffinatore di zuccheri e a tempo perso, pare, anche medico, fu carbonaro d'antica data, indi repubblicano mazziniano : noto perciò alla polizia austriaca, benché non (1) Calendario Generale pe’ Regi Stati pel li-34 - Torino, Pomba, 1S34, pag. 137. Vedi pure gli altri Calendari sino al 1838 e 1839. (2) Arch. Stato Torino - Loco cWato, 3o esame. Il Delatore di Garibaldi nel Centenario della fallita Rivoluzione ecc. 11 alla storia del nostro Risorgimento, poiché mori ancor giovine verso il 1835, quando due dei tre figli di lui erano ancora agli studi presso i Barnabiti a Monza. 11 maggiore d' essi, Enrico, nato nel 1821, e alla morte del padre già iscritto all’Università di Pavia, essendo primogenito d’una famiglia numerosa, interrompe gli studi e continua l’azenda paterna. Ma appena può, sull’esempio paterno, alterna studi a lavoro e finisce col prender la laurea in legge : intanto partecipa al movimento liberale e diventa fervente repubblicano federalista, e verso il 1848 adotta un bizzarro costume da montagnardo che lo fa soprannominare « il. piccolo Pobespierre » ed è uno degli eroi delle Cinque G:ornate. ( 1 ) Ma torniamo al Crovo, il quale, continuando 1 interrogatorio, risponde che, partendo da Milano, affidò il Viacava ad un tau Paceini genovese. Fa tutti questi nomi, costrettovi dagli accenni ad essi nella corrispondenza e cercando dare l’apparenza i>iù innocente alle sue relazioni con questi sospetti rivoluzionari. E a Milano che case frequentò? Nessuna: solo negli ultimi g orni quella del Casanova. Ed è strano che qui vi sia una conversazione di varie signore genovesi, in cui egli è ben accetto subito, e ricordato dopo : tanto che il V acava nelle sue lettere associa alla richiesta di notizie de’ marchesi: liberati di Alessandria il saluto ? il ricordo di queste dame, che parlano a lungo di lui. Ci vuol poco a comprendere che queste « dame» non sono altro che profugh maz zìnianO liguri, ospiti dei lombardi, i quali nel dicembre 33 haniv) stabilito accordi col Crovo, messo della congrega genovese, per it movimento imminente. Il finanziatore ligure Viacava è un prestanome, e cade il castello ridìcolo della malattia di lui e della^ de\o zione eccessiva mente fraterna del Crovo, che per assistere lamico lascia ufficio e impegni in quel per odo di attività mazziniana, cosi sorvegliata dalle polizie austriaca e sarda, per mettersi a contatto con persone più che sospette. Da «Emilia» in giù quanti mazzi niani sono divenute donne nell’ingenua astuzia, epistolare loio. Vi è poi la questione del viaggio di ritorno oltremodo sintomatica. Perchè il Crovo, partito da Genova il 5 dicembre, preoccupato a Natale dal pensièro di rientrare nel Regno Sardo poiché sp'ira il suo permesso di un mese, parte da Milano soltanto il 4 gennaio pei giungere a Voghera il 5? E perchè, appena giunto, si fa vistare due volte il passaporto, la prima volta per Genova, la seconaa per Bo-logna9 Perchè (dice) appena sceso di diligenza mando all uffic o i cameriere, che chiese il visto per Genova: poi egli in persona teoe correggere Bologna..... Ma non voleva tornare a Geno\a. E affretta il ritorno a due passi dalla meta, passando per Bologna. E il domani parte per Piacenza, ove si ferma per quattro giorni. Mettiamo mio di viaggio e quattro di permanenza nel ducato di ~ÖjTngelo Monti Biografia di Enrico Cernuschi ^ «Di^ionario del Risorgimento Nazionale » a cura di M. Rosi, Milano, Vallaidi, 1930, Noi. I. Maria Luisa: si giunge al 10 gennaio. Ritorna? Ma no! Riparte per Parma IMI, e si ferma colà un giorno, il 12. E di qui chiede il passaporto.^ Per Genova, a permesso scaduto dal 4? Mai più! Per Bologna·. E poiché glielo negano, mancandovi il visto del console pon-tificio, e glielo danno invece per Mantova, egli dapprima impegna un posto in diligenza per Mantova e poi..... riprende la via di Genova, col pretesto della famosa compagnia trovata. La verità emerge da tante menzogne. Egl è un emissario della Congrega Genovese, mandato in giro per raccogliere sussidi in denaro e garanzie di aiuti. La ragione per cui il Crovo non va a Bologna. è che a Parma è informato che la Congrega Bolognese è as-sol inamente contraria alla spedizione in Savoia (i) e ad ogni· tentativo di insurrezioni, dopo le tristi esperienze proprie del '31 e le piemontesi del ’33. Da quel lato, dunque, nulla da fare E a Mantova .non g.i importa andare, visto che le not Me di questo centro, aneli esse sfavorevoli, gli vengono da Milano Giunge a> Genova verso il 15 gennaio, dimenticando che ha lasciato il Viacava a Milano in attesa di lui per andare a Venez a, mentre questi gli scrive che non ottenne il visto per Λ oghera, quando gli sfuggì che intendeva raggiungere il Crovo. E il Crovo dopo queste meschine spiegazioni si eontrad.ee spiegando che il Viacava non volle raggiungerlo a Voghe-ia, perchè temeva che il Crovo volesse condurre lui ammalato presso 1 intendente di Mortara, amico personale del Viacava. Trovo che costui è Gio. Battista Noli, intendente di seconda classe per la X che comincia: «Quei fatti...» e termina : «...il consesso si diparte». E il verbale di una seduta di congrega? Pare. Il Crovo (e mente) dice che è una copia da lui fatta di scritti altrui, dat gli a Milano e che non sa che cosa riguardino. Queste e altre carte gli furono date da un comico, detto Nardi, e avendole trovate curiose, gliele richiese e quegli gliele regalò Ma come conobbe il Nardi? In un caffè a M:lano, mentre stava leggendo «una di quelle carte. Chiacchierando seppe che quel comico era stato anche a Genova e così entrarono in relazione. Passano all·*accusato le carte N. 12-13 14 ed egli le riconosce come facezie scritte da lui stesso in momenti d ozio. Scherzare su argomenti politici e scriverne facezie è giocare col fuoco. Perchè buttò nel gabinetto anche le lettere del λ ’ acava ì— ( osi ! perchè capitategli per le mani. (Altre lettere, non quelle lasciate all· ufficio). Più meschine giust:ficazioni non è possibile addurre. Si tema· far sparire per gioco carte che si sanno pericolose alla vigilia del temuto arresto? — E buttò nello stesso luogo altre carte, oltre quelle sequestrate? — Forse; non sa. (continua) Adolfo Bassi SCOPERTE ARCHEOLOGICHE NELLA CTTA’ DI LUNI Nell'estate 1932, il contadino Giacojnelli Emanuele, nelTesegui-re lavori agricoli in fondo « la Marmora », circa 500 metri a ponente, fuori le mura della città di Luni, ritrovava copiosi elementi dnn mausoleo e d’.un attiguo sepolcreto ad incinerazione, che raccoglieva e in parte trasportava nella propria abitazione. Avvertito con molto ritardo dallo stesso scopritore, ho potuto V sitare il detto materiale archeologico, che, in seguito, per cortese concessione della R. Soprintendenza alle Antichità dell’Etruria, è stato trasportato nel Museo Civico della Spezia. T\ risultato dall'esame del materiale e dalle informazioni) assunte, (iheì il detto Giacomelli, nello scavare una fossa nella località indicata, incontrava, alla profondità di circa un metro, un grosso nodulo di muratura ad emplecton : demolito questo, scoperse, immurata nello spessore, un’urna cinerara in marmo di forma rettangolare, con peducci e con coperchio a doppio spiovente, de'le seguenti dimensioni: base m. 0,40x0,30; altezza m. 0,21. L'urna è anepigrafa. Contiene un conglomerato di ceneri, molto indurito, nel quale si riconosciono ossa combuste, senza alcuna· suppellettile. Il Giacomelli, dopo questa scoperta, ha creduto di allargare lo scavo nel territorio circostante, rinvenendo, a poca profondità, copiosi frammenti e pezzi di marmo di grandi dimens’oni i quali non si sa se formassero il paramento del sepolcro predetto, o di altro prossimo. Fra questi marmi, di cui la maggior parte sono pezzi sagomati ììl forma di basamenti e cornici, con frammenti di colonne in bardiglio, un acroterio, un frontone trango’.are con rosone, fu ritrovato un latercolo di circa cm. 25x30, spezzato ai lati con la seguente iscrizione : VERGIL I O . C L A RO.PRAE SELENE . F Scoperte archeolooiche nella città di Luni 15 Nonostante le spezzature ai margini, sembra che la parte in scritta della lapide s a integra, giacche facilmente la iscrizione si legge: Vergilio . Claro . prae, (fecto) . Selene . f (illa). Resto però alquanto in dubbio sull’ultima lettera che veramente appare un P, da leggersi posuit. Ma la lapide è intersecata da numerosi segni accidentali, ed è possib le pensare che uno di questi tratti abbia riunito le aste trasversali della lettera F ; d’altra parte, l’indicazione del rapporto di parentela fra il deposto e il dedicante sembra ri-richiesto dal carattere dell*iscrizione e dalla consuetudine epigrafica. 11 nome Vergilius appartiene ad un noto gentilicio romano. La mancanza del prenome, della paternità, è di altri elementi rituali nell’epigrafia classica, ed anche, a mio giudizio, la forma delle lettere, denunciano un titolo della Bassa Romanità. A distanza di m. 1,50 circa dal muro, disposte a semicerchio, il Giacomellli ha ritrovato alcune tombe a sezione triango.are. formate di tegoloni a margini rialzati, con ossuari fittili, unguentari e molti frammenti di ferro, assai corrosi, che però non rappresentano armi, ma forse strumenti da lavoro. La maggior parte di questo materiale è stato disperso dallo scopritore, il quale afferma che le. olle fìttili si sono sfasciate al contatto delle man'·. Rimane solo una di queste olle, di tipo comune, contenente un conglomerato di cenere, con ossa combuste. Nella località del rinvenimento non ho potuto ricuperare nessuno degli elementi trascurati e dispersi dallo scopritore, a-1.’ lifuo ri di qualche unguentario in vetro e frammenti di ferro. Dalle osservazioni topografiche fatte sul luogo, risulta che il monumento in questione sorgeva a: margini d'una strada, uscente dal lato ovest della città, le cui tracce, secondo le notizie assunte, sono state ritrovate in più punti durante scavi occasionaci : la strada rappresenta il prolungamento del demmanus m&vimus. In prossimità del luogo dell'odierna scoperta, molt* anni addietro fu ritrovato un monumento simile, di cui avanza un pezzo di frontone, con la figura mutila d'un serpente alato, nel Museo Fabbricotti, a Carrara. * * * Nell’aprile 1932, im occasione di lavori stradali ordinati dal Comune di Ortonovo, alcuni operai ritrovarono, presso le macerie che si suppone appartengano alle Terme della città, diversi frammenti di marmo lavorato. ^ Venuta la notiz'a del ritrovamento a conoscenza del Gr. Uff. O. A. Fabbricotti, questi, lodevolmente, fece riporre gli oggetti presso un suo colono, dandone cortese annunzio. Gli oggetti ritrovati fra le macerie rappresentano indubbiamen te relitti degli scavi regolari eseguiti a pit riprese nel sito. Non è 16 postsi bile pertanto nessuna determinazione dello strato aroheologico a cui appartengono. Si tratta di quattro piccoli frammenti marmorei. sagomati a cornice, senza particolare interesse, uno dei quali deve ritenersi parte dun fregio inscritto: vi si leggono infatti le lettere I LIA. .Maggior attenzione merita un frammento di marmo a forma cilindrica, arrotondato per fluitazione, il quale mostra tre protuberanze che sembrano corrispondere ai seni e al sesso. Esso ha qualche rapporto con le altre pietre sessualizzate, di carattere preisto rico, similmente scavate nel perimetro della città, ed esistenti nel Museo Fabbricotti (illustrate da O. A. Fabbriconi, in volume ms., esistente in lopia presso la B. C. della Spezia-, a pp. 304 riprodotte in tavola fotografica a p. 320). Il nuovo documento è tuttavia un saggio di scultura molto più informe delle precedenti, g'acchè, all'in-iuori dei supposti simboli sessuali, non reca nessuna altra traccia di raffigurazione umana. È inutile soggiungere che l’indcazione della scultura come cime- lio preistorico resta assai dubitativa, data ìa mancanza di dati stra ti grafici, mentre non si può stabilire alcun diretto rapporto fra questo gruppo d! pietre sessualizzate e le note statue-stele della Luni-giana. Ubaldo Formentini V ARIETA' Autografi di Silvio Pellico Sono più di quaranta lettere — di ina no del Martire dello Spielberg — appartenenti al triste e pur calmo periodo della sua vita, quando il Pellico esercitava il modesto ufficio di segretario della .Marchesa di Barolo. La nob ile, pia Signora, tutta presa delle opere di carità, aveva nel poeta di Saluzzo un intelligente, attivo coadiutore, per quanto i patimenti sofferti ne avessero ormai logorata la sempre gracile costituzione. Per questo, egli aveva riliutato alili più elevati e più proficui incarichi, contentandosi di curare, con gl’interessi di casa Barolo, anche quelli della sorella Giuseppina, superiora delle Rosine in Cliieri, l'unica superstite della famiglia, che raccolse Γultimo respiro del Martire. La Marchesa Barolo — essa pure malferma di salute — incaricava il Pellico di mille incombenze, e più frequente era la corrispondenza, (piando ella si ritirava sul colle di Vigna a villeggiare, pur non tralasciando le sue opere di pi-età·, lx* lettere del Pellico — tuttora inedite — sono appunto scritte dalla Vigna, per incarico di lei, e dirette a Torino al Sig. Carlo Marchis, intendente della Marchesa. Sono ora appartenenti ar suoi nipoti Mario e Ugo Marchis, che le conservano gelosamente, con altri ri cordai del Pellico, e che ebbero la cortesia di farcele esaminare. Per quanto non portino che uno scarso contributo alle notizie riguardanti. la vita del Pellico, hanno tuttavia importanza come auto-grati del Martire e valgono altresì a lumeggiare la multiforme attività benefica della Marchesa di Barolo, efficacemente tratteggiata dalla Borsarelli, nel suo recente studio inserito nel « Risorgimento Italiano» del Prof. A. Colombo, (*) Nella nostra raccolta, accanto agli autografi del Pellico, si conserva pure una lettera della sorella Giuseppina al Marchis, nella quale ella pietosamente chiede un piccolo disegno, riproducente il monumento del suo povero fratello. La lettera è del 21 febbraio 1851, quando non ancora era trascorso un mese, da che ΓAutore delie « M ie Prigioni » aveva chiuso la sua penosa esistenza. Evelina Rinaldi (i) Rosa Maria Borsarelli «La Marchesa Giulia di Barolo e lo opero ns-sistouziali in Piemonte nel Risorgimento» in II Risorgimento Italiano ■ Fase: I-IIP 3 0:^3. NOTIZIARIO DI ARCHEOLOGIA E STORIA DELL’ARTE LIGURE Imperia. — Ancora inediti (') sono i particolari della .scoperta dei resti di ponte romano presso la tote de. torrente Prillo, avvenuta· nell’estate del li)31 per merito del « Comitato per le ricerche di storia naturale e archeologia del Museo Civico » di Imperia, diretto dal dott. l'arlo Gentile. Ili occas one di lavori che le r *?rrv/\ie dello Stato stavano eseguendo in riva al mare all’e-nemità occidentale di borgo Prino < ini peria ‘Porto Maurizio, presso la cappelletti di S. Lucia, per proteggere mediante una gettata di scogli la «trada l’errata dall’erosione niarina, fu segnalata al suddetto dott. Gentile e all’ispettore onorario alle Antich'tà di Imperia L. Lagorie la presenza di antiche opere murarie sommerse fra le ghiaie del lido. Furono prise immediate disposizioni perchè i ruderi fossero salvaguardati dalia prosecuzione della gettata, e oppoituui sa sgi di scavo eseguii a varie riprese misero in chiaro !e loro caratteristiche. Essendo i resti continuamente battuti dalle onde in tempo «li alta marea e solo che il mare sia leggermente mosso, non fu possili le evitare che le parti rimesse di volta in volta alla luce non venissero in breve tempo uno vaiqente ostruite dalla ghiaia. Le fotografie ed i rilievi subito ese guiti permettono in ogni modo d* farsi un*idea precisa della loro destinazione. Si tratta dello spallone occidentale di un ponte romano simile a quelli del tipo già noto attraverso vari altri esemplari della Riviera di ponente (2), con un tratto de* muri di sostegno della rampa d'accesso al ponte stesso. Lo spallone, a pianta rettangolare, misura m. 1,02 nel senso trasversale alla direzione della via e ni. 1 nel senso longitudinale. È
  • .\no in l ie liguri e romane tra Vado e Ventimiglia («Collana Stor. Archeol. d L mi ria occidentale», vol I, n. 5), 1032. p. 1*8. (2) Cioè i sei ponti di Quazzola a monte di Vada Xabatia, i cinqui' di >1 Ponei nel Fin al ese e i due a lenente di Loano. Cfr. il cit. studio Vie liguri ( romami ecc., p. 41 e segg. Notiziario di Archeologia e Storia dell’arte ligure 19 te calce e pietrame locale stratificati e comprassi in modo da formare un co ligi ornerà to tenacissimo, e con rivestimento in piccole pietre d; a-ren.aria spaccate con una certa regolarità a superficie rettangolare e disposte a foggia di opus pseudoisodo/nuni : modo di costruzione comune in Liguria e ncvle provinole occidentali/ dellimpero, come è ormai noto, per le costruzioni de’ primi secoli dell'impero. Il rilievo che presento, dovuto al signor Renato I>ulbecco, mostra bene le particolarità della sua struttura interna. Il piledritto consta in realtà di due corpi distinti addossati Γιιno all'altro e fortemente cementati, larghi rispettivamente 111. 1,51 e ni. 2,40. A quello fondamentale di. destra, che ha traccia dell'inizio dell’arcata, si connettono i due muri esterni sostenenti la rampa di accesso. Quello di sinistra è invece racchiuso nell'interno di questi, per una lunghezza di metri 4,10, e rappresenta un’opera di rinforzo destinata sia ad accrescere la forza, di resistenza, dello spallone, sia a consolidare il fondo stradale nella parte più vicina ai viadotto. Anche la fronte del pio-dritto destinata a rimanere interrata sotto il piano stradale e rivestita del paramento in regolari blocchetti, ciò che denota vieppiù l'accuratezza tecnica della costruzione. L’inizio dell'arcata, che aveva la sua imposta occidentale sui piedritto, è ancora conservato per un’altezza di m. 0,70, calcolati sulla curva in tra dossale. Questa è concentrica con quella esti adossa le. ed è sufficiente a mostrare che l'arco non era ribassato, ma costituiva un sem cerchio perfetto come in tutti gli altri ponti simili, del diametro di ni. 3,50. L'arcata era costituita da un duplice anello di quadrelloni parallelepipedi, con la faccia minore verticale regolarmente squadrata all'esterno, e lo facce rimanenti, non visibili, appena sbozzate; essa aveva uno spessore di 111. 1.20. L’imposta dell’arco è all esatto livello marino, ed è segnata da una piccola risega. Al di sotto di questa Io scavo fu continuato, con notevole difficoltà, sino a 111. 1,00 sotto il livello del mare. Si accertò che la muratura in piccolo apparato continua regolarmente verso la base per tutto il tratto esplorato. Allo spallone si collegano, come già ho detto, i due muri d: sostegni/ laterali della v a, evidentemente crollati nella parte superiore per un'altezza di almeno 2 metri. Sono spessi ni. 0,!M, in opera a sacco con paramento a piccoli blocchetti regolarmeli tes sbozzati su ambe le fronti. In mezzo ad essi è un riempimento terroso misto a pietrisco e a detriti laterizi, al di sopra del quale si elevava la sede stradale. La presenza dei muri di sostegno fu accertata per una lunghezza di 12 metri, ma la ghiaia li ostruì subito quas:i completamente. Poiché tuttavia, la linea di spiaggia si allontana qui gradatamente dalla dilezione della sì 1 ària. lasciando libero, dove cor reva la prosecuzione·di questa verso ponente, un pViolo spazio co pei to di terra vegetale, lo scavo potrebbe essere proseguito in que- 20 fig. 3 — Chiesuola cimiteriale di Albenoa (dopo i primi scavi) Notiziario di Archeologia f. Storia dell’arte ligure 21 «l'area, onde verifica-re per quale lunghezza si estenda il regolare rivestimento in piccolo apparato ed eventualmente mettere in luce qualche più precisa caratteristica della via stessa, l1 ). Potrà così rimanere in parte visi Irle qui, dove più non arriva la ghiaia marina uno dei più notevoli avanzi della viabilità romana nella Riviera di ponente. La considerevole larghezza della via e del ponte e il tipo architettonico di questo inducono a datare la costruzione di una cosi solida opera di munitio al rifacimento adrianeo della via Julia Augusta, avvenuto nella prima metà del II secolo (2) : infatti il tipo del paramento, in blocchetti rettangolari i cui lati hanno proporzioni medie di 2:1, la forma dell'arcata, le dimensioni in genere delle varie parti architettoniche assegnano rigorosamente ii ponte di vai Prino alla medesima epoca dei ponti già citati di vai Quazzola, del Finalese, di Loauo. Dal punto di vista geomorfologico, il nuovo resto di ponte interviene a provare la maniera evidentissima che dall’epoca romana ad oggi Fazione erosiva del mare ha contribuito, in questo tratto del litorale, a spostare sensibilmente la linea costiera verso Pinterno. Probabilmente la via romana correva qui, trattandosi di regione pianeggiante, sicura dalle mareggiate a parecchie decine di metri dal mare. Ma quale la ragion© dell’esistenza di un ponte in questa località, dato che la foce del torrente Prino è oggi« circa 200 metri più a ponente? H dott. Gentile ha formulato l'ipotesi che fosse qui in origine la foce del Prino, trovando di ciò la riprova in tracce di opere murarie medievali emergenti a monte della strada ferrata in direzione del supposto letto primitivo, le quali potrebbero appartenere ad un argine. In tal caso bisognerebbe pensare che il ponte avesse almeno due, e forse anche tre arcate. Ma non si può dimenticare che tutti gli altri ponti di egual tipo sinora noti nella Riviera appaiono costruiti su riivi di modestissima portata e hanno una sola arcata, rivelando il carattere di opere di completamento volte ad assicurare il comodo passaggio di corsi d'acqua per cui bastava in origine un semplice assito di legno. Non è perciò neppure da escludersi, sinché non intervengano più positivi elementi geologici a sciogliere la questione, che il ponte servisse anche qui a passare un ruscelletto affatto secondario, quello stesso che ora si vede, quasi sempreasciutto, una trentina eli metri a ponente. (!) Non è infatti verosimile che la via Giulia Augusta possedesse cosi accurati ripari in tutta la sua lunghezza : essi sono propri dei tratti nelle immediate vicinanze dei vari ponti (così ad es. nel Finalese). (2) La via di Augusto era infatti assai più stretta, ed il tipo delle sue opere pontuarie ci è dato dal ponte lungo di Albenga, di caratteristiche affatto diverse. Cfr. il cit. studio Vie liguri eco. 22 Nixo Lamboglia Per quanto riguarda il tracciato della via romana, il ponte di vai Prino prova definitivamente, come ha già rilevato il Giordano, cIiq esso correva, in questo tratto della costa, vicinissimo al lido, e non, come si era altre volte sostenuto, a parecchi chilometri di distanza da esso. Anche qui la via maestra medievale ricalcava dunque le orme di quella costruita da Augusto. Andora. — Il 23 febbraio 1933 - XI, in località Binello presso la Marina d’Andora, sulle ultime pendei occidentali di capo Mele, il colono Giacomo Pottero mise in luce, durante lavori agricoli per rimpianto di una carciofaia, un sarcofago monolitico con coperchio a tettuccio, scavato assai rozzamente in un blocco di conglomerato calcareo finalese. Esso giaceva alla profondità di circa jn. 1,30 dal suolo attuale ; il coperchio, la cui estremità superiore era a pcco più di 50 cm. di profondità, fu inavvertitamente spezzato all'inizio dello scavo, e so- lo in parte fu possibile ricomporlo. Dentro il sarcofago erano resti umair appartenenti a diversi individui : si riconobbero avanzi di almeno G crani. Altri frammenti ossei furono rinvenuti sparsi nel suolo immediatamente vicino; ciò proverebbe, in relazione col fatto che uno degli angoli del coperchio risulta spezzato per rottura antica, che la tomba era già stata manomessa. Il sarcofago, anepigrafe, misura esternamente m. 2 in lungliez za e in. 0.75 i*i larghezza; l'altezza compreso il coperchio, è di 75 cm. È del tipo (caratterizzato dal coperchio a tettuccio con acroteri agl'· angoli e dall1 uso della pietra del Finale) già noto attraverso vari altri esemplari della Liguria : sei identici già se ne conservano nel Cicivo Mufceo Inganno ad Albenga; altri ne es’’s tono a Noli, a fianco della chiesa di S. Paragono; uno si conserva persino alla Spe&ia, nel Civico 7\Iuseo. La rozzezza della lavorazione, la destinazione stessa all” interra mento riportano ad epoca di decadenza e probabilmente} di nsiciirezza pei resti degli estinti : il V o VI secolo, se non addirittura l’alto medioevo (1 ). In tutti si raccolsero resti ai ma ni appartenenti a pivi individui, sicché pare che la destinazione ad ossario sia or ginaria. non frutto di posteriore riutilizza'ione : anche questa caratteristica riporta ai secoli del profondo medio evo e del- 1 età paleocristiana. Accanto al sarcofago furono raccolti frammenti di vari tegoloni romani a margini rialzati privi di bo lo, tra cui due ricomponibili, di embrici ed altri fittili : anche quésto materiale appartenente forse ad una tomba manomessa e distrutta. (J) Per più ampàe notizie generali al riguardo cfr. ora il mio studio Per l'urchcolonia rii Albimjaunum, in «Coll. Stor. Archeol. d. Lig. Occ.d.», 101)4, N. S’., vol. I, p. La chiesuola cimiteriale di Albenoa (a scavi ultimati). 24 Nino Lamboglia Ad eguale profondità e a qualche metro di distanza venne in luce successivamente, durante la prosecuzione dei lavori agricoli, •un cejìtiinionale di Costanza Gallo, coniato a 8ER(dicafy (Dacia). Tutto il materiale rinvenuto fu donato dalla proprietaria del fondo Maria Koveraro ved. Oraviotto, consenziente la R. Sovrain-tendenza alle Antichità, al Civico Museo Inganno di Albenga. Il sarcofago, ridotto in pezzi per Γimperizia di chi lo estrasse dallo scavo e per le peripezie subite prima che venisse deciso il suo trasferimento ad Albenga, fu dovuto ricomporre con molta fatica, non coronata totalmente da successo, a cura delia direzione del Museo». Albenga. — Era stata recentemente segnalata dal .Barocelli i1) la presenza di un frammento di epigrafe romana marmorea murato nel vano di una finestretta· cieca aperta sul lato destro della cattedrale di S. Michele li Albenga, la cui costruzione risale da questa parte al secolo XII. Allo scopo di leggere l’intera iscrizione, di cui erano visibili solo alcune lettere inintelliggibili in sette righe sovrapposte, la Soc'età Storico-Archeologica Inganna, d’accordo con la R. Sovra intendenza alle Antichità, promosse nello scorso ottobre l’estrazione del marmo. Riconobbi trattarsi di due distinti frammenti ep:grafici, che erano stati arrotondati sui margini per formare la cornice nterna del vano suddetto e incastrati a disposizione verticale l’uno sopra l'altro fra la fronte interna e 1 esterna della muratura in pietra da taglio. 11 frammento superiore, che è quello le cui lettere erano in parte visibili dall'esterno, mentre l’altro aveva la fronte volta verso 1 interno del muro, apparteneva evidentemente ad un iscriz one paleo-cristiana, in marmo bianco^ purtroppo assai mutila. Misura cm. (j4 di altezza, cm. 22 di larghezza, ed ha uno spessore di cm. 9 ; oltre ad essere* stato spezzato verticalmente ai due lati ed arrotondato sui margini, era stato scalpellato anche per qualche cent/metro sulla parte inferiore della fronte, con l’asportazione di parecchie lettere. Ben poco di’ più di quel che era già visibile vi si è perciò potuto leggere: MNV E D I C S E P S NCT M . F I P (?) F (?) P (?) (1) Iscrizioni romane della Liguria occidentale inedite o poco note, in Mem. Accad. d. Scienze di Torino, 1032, p. 35 nota. Notiziario di Archeologia e Storia dell’arte ligure 25 Siamo, come è evidente, in condizioni disperate per l’interpretazione. L'unica parola sicura è l’iEP(iscopMi)S della terza linea, che aveva certo prima di sè il nome del vescovo stesso, rappresentato ancora dalai finale u] S ; e la linea seguente recava forse il comune attributo di sa] NOT [■issimus. Qualora la seconda linea debba leggersi d] EDIC [avitf come per probabile, l’iscrizione sarebbe stata non funeraria, ma dedicatoria. Oscuro sinora ’il significato delle tre lettere MNV nella prima linea, che in tal caso avrebbe dovuto contenere il nojne del l'oggetto della dedica. Paleograficamente Γiscrizione è attribu’bile al secolo V d. C.; notevole la forma dell’V, che risente in modo caratteristico l’influsso della scrittura onciale. Il vescovo ricordato nell’iscrizione era certo uno dei primi dell# diocesi1 albingaunense. Il secondo frammento estratto, in pietra marmorea griglio scura, (cm. 70x35) appartiene invece ad un'epigrafe dei migliori tempi dell’impero, in lettere quadrate alte cm. 7 attribuibili al I ο II secolo d. O. Ne è conservata una sola linea, in senso longitudinale, con le parole EHENNI. FE Si scorge inoltre sull’orlo sinistro fratturato il regolare semicerchio lascialo dalla parte superiore di un P, sicché la prima parola è con sicurezza Perenni. Qualora si trattasse di epigrafe funeraria, l’interpretazione probabile sarebbe [D(is) M(anibus)] perenni Fe[licìS]. Ma il fatto che sovrasti alla linea conservata una cornice a semplice 1’’stello largo cm· 8,5 in maniera che il D(\is) M(ani-bus) non poteva trovar posto in una linea precedente, e più ancora l’osservare che lo spessore della pietra (cm. 9) decresce lievemente verso l’alto, fa dubitare che essa appartenga piuttosto alla decorazione di qualche monumento; ed in tal caso si potrebbe meglio leggere pevenni felicitate]. Entrambi i frammenti sono stati trasferiti nel Civico Museo Inganno. * * * Pure ad iniziativa della Società Storico-Archeologica In gauna si erano iniziati nel novembre scorso i lavori per la rimozione ed il trasferimento nel Museo dell'epigrafe funeraria romana da tempo murata all’esterno del campanile della chiesa di S. Maria in fontibus in Albenga (*). Dopo i primi scostamenti riconobbi però (i) C. I. L., V, 7791: M VIBULLIO P F PVB PROCVLO CORSELIA Q p PROCULA MATER FILIO OPTIMO QVI VIXIT A XVII 26 Nixo Lamboglîa trattarsi non di una semplice tavola marmorea iscritta, ma di un vero e proprio altare iunerario alto m. 0,^2, largo m. 0.72 e profondo m. 0.50. Esso, ritrovato al principio del secolo XYll durante i lavor di costruzione del campanile stesso, era stato usato sul posto come pietra angolare di questo, e si era risparmiata all'intonaco so- lo la fronte iscritta. Riapparve ora in J.uce la cornice, del solito tipo a doppio listello e gola rovescia, la. quale circondava non solo la fronte iscritta, ma anche nquadrava l<* due fronti laterali, prive di ogni altro motivo ornamentale. La parte posteriore invece, non lavorata, doveva chiaramente essere Infissa nel suolo o entro un muro. Poiché la rimozione del cippo avrebbe richiesto una forte spesa e robuste opere di m stegno per a ss’curar;* la stati* a del campanile, la Società rinunciò al suo trasferimento nel Musco c curò che fosse ripulita e protetta da un i cornice la parte emessa allo scoperto. * * * Il 21 novembre 1933X11 il Podestà di Albenga comm. avv. Luigi ('osta promosse, dietro informazioni da me raccolte, il sequestro di tre anfore vinarie romane che s <» i> anni or sono al- cuni pescator* locali avevano estratto durante la pesca da! fondo del mare antistante ad All tenga, sen a sporgerne regolar* denuncia. La precisa posizione del ritrovamento c. stando alle notizie dei pe- Notiziario di Archeologia e Storia dei l‘arte ligure 27 scatari, a circa 1400 metili dalla riva, all altezza della località Burrone (antica foce del Onta), dove la profondità è di circa 40 metr*. Le anfore, di tipo e dimensioni identiche, sono di forma Dresse! (.;, alte ni. 1,19, a co.lo di notevole altezza (m. 0,40), con anse ripiegate parallelamente al collo, a pancia poco espansa (diametro in. 0,27, ed a spalla terminante con un aago io quasi retto. 80110 in argiLa d’impasto giallognolo, con striature nerastre neH’inter-110. La lunga permanenza sin fondo marino ha valso a ricoprirle let tei alni ente di incrostazioni dii molluschi·, ciò che rende il loro aspetto assa pittoresco; non è però possibile accertare se fossero o no munite di bollo. Dalle a il er inazioni dei pescatori parrebbe dedursi che nella stessa località giaciano sul fondo altre anfore di egual tipo. Si tratta quasi certamente dei relitti d: una nave oneraria naufragata. La R. ìr’ovra 11 tendenza alle Antichità acconsentì che le anfore, proprietà dello Stato, siano conservate in deposito nel Civiso Museo Inganno. * ~ * Dallo scorso novembre 1933-XII ha avuto inizio la campagna di scavi, promossa dalla Società Stormo-Archeologica Inganni., col valido concorso del Comune di Albenga, per la valorizzazione delia zona archeologica del monte di s. Martino: ivi affiorano infatti numerosi resti di costruzioni medievali e sopratutto romane che, rimessi totalmente alla luce, permetteranno la formazione di una vera e propria /'atteggiata archeologica lungo il percorso della via Giulia Augusta tra Albenga e Alaselo, ed aggiungeranno alla reg’one una non piccola attrattiva turistica. I primi ruderi scoperti, proprio aK'inizio della via mulattiera che sale al «Monte», appartengono ad una chiesuola (basilica (*) cemeteriale dell’alto medio evo, che giaceva interrata sotto 1 piano della strada stessa e di cui si ignorava affatto l'esistenza I lavori avevano già avuto inizio ai primi di ottobre con carat tere di sempl ce assaggio: dovendo espletare i rilievi per la compilazione deila carta archeologica del centro urbano albingaunense, avevo fatto eseguire da un operaio un piccolo scavo accanto ad 1111 rudere murario di cui affiorava per breve tratto l’estremità superiore a fianco della mulattiera. Risultò che il muro, solidamente addossato ad una parete rocciosa, aveva uno spessore d‘ m. 1.41) e una lunghezza di 111 .11, in direzione est-ovest, e terminava ad oriente cou 1111 semicerchio di cui era conservato 1111 breve tratto. Γ110 strato di intonaco rivestiva la muratura, impedendo di osservarne 0) C. I. L., XV, tav. II. (2 è superfluo richiamare il preciso significato di «cappella» «chiesa non parrocchiale», che il termine basilica aveva acquistato nell'alto medio evo, in antitesi a quello primitivo ed attuale. I Nino Lamboolia Livello Mare. fio. 5 — Resti di ponte romano presso Imperia (rilievo di R. Dulbecco) Notiziario di Archeologia e Storia dell'arte ligure 29 le caratteristiche 'nterne; il notevole spessore, la compattezza del muro e la presenza di riseghe alla base inducevano a supporlo di età romana ({'). La iig. :> documenta lo stato dei lavori dopo questo· primo assaggio. Avvertii sub’to della cosa il comm. prof. Gioacchino Mancini, Sopra-intendente alle Antichità per il Piemonte e la Liguria il quale mi autorizzò a proseguire lo scavo, ove se ne avessero tempo e mezzi. Il Podestà di Albenga avv. Costa, conscio dell’importanza delle ricerche, mise liberamente a disposiz’one la man© d'opera necessaria; i soci Ernesto Yazio, Mario Menegazzo e Y'ttorio Fiori volonterosamente offersero la loro collaborazione alternandosi nell’assidua assistenza ai lavori; ed ai p ri ini di novembre gli scavi furono ripresi, con lo scopo sistematico di mettere in evidenza tutti i ru deri superstiti e di accertare la destinazione deli-edifìcio a cui appartenevano. Poiché dalla curva del muro absidale appariva chiaro che la costruzione aveva un tempo occupato l'intera area della via mulattiera (2), occorreva anzitutto provvedere alla deviazione di quest ultima prima di sterrare 1Jinterno. Ciò fu reso facile dal fatto che il breve tratto di terreno incolto sottostante alla mulattiera sino alla carrozzabile Albenga-Villauova era di proprietà comunale. Con la terra di mano in .mano estratta fu possibile formare quivi un nuovo piano stradale, e nello stesso tempo si vennero rapidamente scoprendo le fondamenta del muro che correva parallelamente al primo, ad una distanza di circa m. 5. Alla metà di dicembre lo scoprimento di tutti i ruderi era terni'nato, e l’ing. Francesco Cardani poteva gentilmente rilevarne Paccurata planimetria che riproduco qui. 11 Comune di Albenga provvedeva successivamente a munirli di una cinta protettiva e di una targa ind:catrice. Il carattere sacro dell’edificio apparve subito chiaro non appena si scoprirono le tombe iì ancheggi anti il muro settentrionale; nello stesso tempo, scoperta una più larga superficie muraria, si dovette escludere, per la datazione, l’età romana, apparendo i muri in materiale informe ed in calce assai scadente. Fu vana ogni ricerca d’archivio volta a trovare il ricordo dell’esistenza di -una cappella in questa località nei secoli passati. L’ nterramento ha evidentemente origine antica, e la demolizione della chiesa avvenne forse (M Come tale no Ilo fatto cenno ne£Tillustrazione della carta archeologica suddetta, pubblicata nella mia Topografia storica dell'lngauìiia néWjìntl· eh ita («Collana Stor. Arch, della Lig. Occid.», II, 1983, n. 4; app. II, n. 13). (2) tenga presente che il primo tratto deila mulattiera è di origine recente, poiché il tronco più antico dall’abbazia di 8. Martino scendeva diritto al plano più a nord, passando accosto alle rovine di S’. Calocero. Così si spiega la sovrapposizione della via alla chiesa abbandonata. 30 Nino Lamboglia nei primi secoli del secondo millennio (l). Certamente la sua costruzione risale all alto med o evo, e non rimane che a rilevarne le cai:atteristiche architettoniche, senza che sia possibile fissare una data più precisa e conoscere Γintitolazione e il significato della chiesuola. ( ome per la maggior parte delle costruz oni romane e medie-\ali del monte di S. Martino, la posizione era stata scelta in modo che le fondazioni dei muri potessero appoggiarsi direttamente sulla ìoccia. La sezione trasversale annessa al rilievo mostra bene l’andamento del pendio rocc oso in questo punto. Esso permetteva di basare il 111111*0 meridionale ad un'altezza- maggiore di quello settentrionale, e di addossarlo in parte alla viva roccia, con notevole vantaggio per la solidità dell insieme. Questo criterio fu anzi sirnto al- 1 estrerno col ridurre in parte lo spessore del. muro di fondazione ad uno spessore minimo là dove il banco di roccia si presentava alquanto prominente. Ne consegue che tale muro, oggv superstite per un altezza massima di m. le lungo m. 10,90, riduce il suo spessore da un massimo di m. 1,4-0 a 11'estremità superiore ad appena 20 cm. nel centro, e si riallarga inferiormente sino all’innesto del muro absidale. Γ1 muro laterale opposto, largo m. 0,70, insiste naturalmente su un piano p iù basso ; dato il maggior peso che esso doveva sostenere, fu munito per una metà di un rinforzo costituito da un contrafforte esterno largo m. 1,20 e lungo m. 1.30, prolungatesi verso est in un secondo tratto di muro aderente all’altro. Oggi tale muro è raso quasi alle fondamenta. La metà ovest del muro non aveva invece potuto esser munita di rinforzi perchè i costruttori vollero addossare qui alle fondamenta, *:n muratura assai scadente e con poco legamento di calce, due tombe-ossario rettangolari, profonde m. 1,10 e col fondo costituito dalla stessa roccia di fondazione. Esse, non disposte su un linea orizzontale, sono lunghe rispettivamente m. 2,05 e m. 2.08; contenevano Puna resti di 4 cadaveri, l’altra di 6, tutti sovrapposto senza alcuna divisione l’uno dall’altro. Le tombe dovevano essere chiuse in origine da lastre non lavorate di pietra locale, poi sprofondate nel l’interno delle tombe stesse, che si riempirono di infiltrazioni terrose. Kestv di inumati si rinvennero pure, fra la nuda terra, nell’angusto vano tra il contrafforte e la tomba orientale, a fianco del lato nord del contrafforte stesso e del muro di rinforzo adiacente, e finalmente attorno al semicerchio dell’ abside. 0) Nessuna traccia di costruzione appare più in tale luogo nella pianta topografica assai accurata della regione albenganese di Matteo Vinzoni, dell’anno 1751, dell'Archivio di Stato di Genova, che ora si può vedere pubblicata da 1\ ‘Revelli : Le carte del R. Archivio di Stato di Genova e il problemi della bonifica integrale m Liguria - Pavia, Fusi, 1932. 32 Nixo Làmboglia La chiesuola, ad una sola nave, lia proporzioni assai irregolari: i muri laterali lianno lunghezza diseguale (m. 10,25 e ni. 10,30) e non sono perfettamente parallel·, cosicché ali-ingresso la nave era larga internamente ni. 84,30, e aU'estremità superiore m 4,50. Terminava con una piccola abside semicircolare, volta rigorosamente ad oriente, il cui muro perimetrale aveva riseghe interne. Era coperta probabilmente de un tetto di embrici, gran copa dei quali si rinvenne nello strato sovrasteste al pavimento stesso della chiesa : i frammenti di tegoloni romani a margini rialzati rappresentano certamente materiale di rimpiego. Era nuda d\ qualsiasi ornamento, se non si voglia ravvisarne l'indizio in un piccolo frammento di capitello in pietra locale assa; rusticamente lavorato ed arieggiante Io stile composito, rinvenuto tra il terreno di riempimento della prima tomba : ma esso potrebbe semplicemente appartenere al terreno di riporto. Tra i frammenti del muro laterale destro crollato si rinvennero pezze di intonaco con traccia di pitture di tecnica assai rozza e di tinta uniforme (rossastra, gialla o azzurra), a disegni geometrici. Il pavimento, in un battume assai poco consistente e reso vieppiù friabile dalFumid’tà del sottosuo.o, fu rinvenuto a tratti alla profondità di circa un metro dal piano dell antica mulattiera; era leggermente inclinato da ovest a est, secondo 1 inclinazione del pendìo. Fu esplorato per un breve tratto lo strato sottostante al pavimento. Vi fu trovata una discreta quantità di framjnenti fittili romani, ridotti però la più parte in frantumi, ed un manufatto probabilmente preromano in terracotta non tornita. i1)* Nessuna traccia della porta, all infuori dei cardini rinvenuti fra le macerie del muro crollato : il muro di facciata e ridotto alle fondazioni e quà e là lascia appai* re la viva roccia su cui è basato; è spesso m. 0,65. Al di sopra del pavimento, due sole sopraelevazioni : un blocco in muratura con intonaco, a p anta rettangolare, emergente ora solo ni. 0,30, che, posto a sinistra delPingresso, serviva forse da sostegno all'acquasantiera ; ed un muretto trasversale in pietrame in forme e calce friabilissima che separava l'abside dalla nave. Sebbene se ne veda più un tratto solo nel centro, è facile avvertire che esso si congiungeva al muro laterale destro senza alcuna interruzione, poiché l’attacco di esso al muro è ancor segnato dal cessar dell'intonaco di questo. Non sarebbe possibile dire se eguale situazione si riscontrasse dalla parte opposta : mi tale caso 1 abside sarebbe stata divisa organicamente dalla nave, e per penetrare in essa sarebbe stata necessaria· un’entrata laterale distinta dalla principale. L'ho descritto nel cit. studio Per Γ archeologia di Albingmmum, «Col lana storico archeologica della Liguria occidentale») 1934. vol. I. Notiziario di Archeologia e Storia dell’arte lioure 33 Nessun indizio utile ad una esatta valutazione cronologica è emerso dagli scav' ; ed è quindi non poco malagevole emettere un giudizio a tale proposito. Certo la rozzessa della costruzione, la presenza dei contrafforti, il modo dell*inumazione ad ossario, la disposizione stessa dell’abside volta esattamente ad oriente alludono ai secoli più profondi del medio evo, e l'attribuzione della chiesa al prijno millennio si può affermare come cosa sicura. Qualora fosse accertato che il muro divisorio della nave del l’abside non avesse assolutamente traccia d’ingresso, si potrebbe istituire un confronto con la chiesa d: S. Marco a Luni (r) e in genere con quelle deir^poca bizantina o longobarda in cui il transetto è organicamente separato dalla nave, giusta le prescrizioni del rito cristiano primitivo. Comunque si trattava di una piccola cappella esterna alla città, col carattere forse dìi statio adibita alle funzioni del culto solo in occasione di processioni o determinate festività. La presenza di un numero l’imitato di sepolture attorno ad essa fa pensare che la sua costruzione abbia avuto un'origine privata, e le tombe appartengano ad una medesima famiglia. Nino Lamdoglia (i) Cfr. Formkntim : Introduzione alia storia ed all’archeologia cristiana di Luni, iu «Mem. Accad Luu. G. Cappellini», 192S; p. 35. SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE SULLA CORSICA (,) GIUSTIFICAZIONE della Rivoluzione di Corsica combattuta dalle riflessioni di un genovese e difesa dalle Osservazioni di un corso, Corte, Sebastiano Batini, 1764 pagg. XIl-60»-12 4 carte geogr. [attr. a Salvini] ® GRASSI ALEXANDRE — Etude du caractère de. Pascal Paoli d’après sa correspondance. Bastia, 1866, So, pagg. 67. GRAVINA MANFREDI — Teodoro 1. Re di Corsica; Come i Franchi vennero in possesso dell’isola italiana, in Rassegna Italiana Politica Lett, e Artistica di Tomaso Sillani, 1926, pagg. 271-2S0; pagg. 298-305. GRAZIANI Γ. — Mailleboike et l’insurrection corse 1739-1742 - Thèse de l’école des Chartres. Maçon, Protat, 1909. GRAZIANI — L'acte de baptême de P. Paoli, in Petit Bastiais, 18-19 Oct. 1926. GCELFUCCI BONFIGLIO — Memorie per servire alla storia delle Rivoluzioni di Corsica dal 1729 al 1764 publiés par les freres Lucci an a et M. Ollagnier, in Bull. Soc. Hist. Corse, 18S2, (18), pagg. 1-112; (20), pagg. 113-232. GUIBERT — Opérations militaires de la reduction de la Corse, in Bull. Soc. Hist. Corse, 2 trim, 1913. GUIDI ANGELO FLAVIO — Teodoro I, Re della Corsica Italiana, in 11 Secolo XIX, Genova, 5 Gennaio J.928. HISTOIRE des revolutions de Tile de Corse et de l’élévation de Theodore I sur le trone. La Haye, chez Pierre Paupie, 1738, 16% pagg. 324. Ree. Giafferi, in Rev. de la Cors^, 1924, (\), pagg. 113-118, [attr. von Wittelieb] HISTORY of Theodore I, King of Corsica; A general Account of the island of Corsica ^ith authentic Memoirs of Baron de Neuhoff. [London, 1843?] IMPERI Germanici jus ac possessio in Genua Ligustica eiusque d.tiouibus a primis originibus usque huc repetita ac vindicata fide monimentorum tum impressorum tum anecdota-rum praecipuo quorum codicillus adjectus est additis tabulis aeneis ac ind.ee. Han-noverae, apud Nicolai Forsteri et Filii Haeredis, 1751. [Sostiene che la Corsica è posseduta da Genova come feudo dell'imperatore. È opera probabilmente di Enr.co Cbn-stiano de Senckenberg, come rilevo da nota ms sul volume. Ha un codicillus-Monu- (1) Contin. Vedi numeri precedenti. Saggio di una Bibliografia generale sulla Corsica 35 inentorura imperii ius et possessionem in Genua illustrantium. Sostiene che Genova deve restare sub tutela aquilae (imperi) e allora fiorirà e non avrà da combattore la Corsica.] IMPORTANT (The) advantages to the Power, trade, and navigation of the Great Britain, that would result from our Protection of Corsica : and noless fatal and unavoidable consequences of our permetting France to Keep possession of that island : seth forth in five letters adressed to the Right Hon. the Earl of Ch... m. Cy a nephew to the late John Trencliard Esq. author of Cato ’s letters. London, Brown,. 1768, 80. JAUSSIN — Mémoires historiques, militaires et politiques sur les principaux événements arrivés dans l'isle et Royaume de Corse depuis le commencement de l’année 1738 jusqu'à la fin de l’année 1741 avec l’histoire naturelle de ce Pais là... et diverses remarques curieuses touchant l’origine des peuples qui l'habitent. Le tout enrichi d'une carte nouvelle de l’isle de Corse et dédié par Robert de \augondy à M. Le Comte de Maillebois. Lausanne, Bousquet, 1748-1749, pagg. XXX, 591, 004 [Addetto alla spedizione francese tiene un diario degli avvenimenti di cui fu spettatore oculare dal 1738 al 1741. Studia la Stor. Naturale di Corsica.] JOLLIVET — Un roi de Corse en XVIII siècle, d’après les nouveaux documents, in Revue du Monde latin, 1889. KLOSE C. L. — Leben Pascal Paoli ’s Oberhauptes der Corsen. Brunswick, 1853-1854, 2 vol. S°, con ritratto, [condotta sulle lettere del Tommaseo.] LALLEMENT L. — L’expédition de Corse 1769. Vannes, Impr. Galles, 1890. [Nulla di nuovo salvo la corrispondenza inedita di uu soldato di nome Haly che prese parte alla spedizione. Pubblica solo due lettere invece di dare in extenso la corrispondenza] LENCHÈRES — Journal des Campagnes de 176S et 1769 eu Corse par le chevalier de Lenchè-res, in Bull. Uist. de la Corse, 1SS9, (Ann. IX), fase. 103-106, pagg. 3S3-474. [Vedi Mémoires sur les campagnes... par Mariotti] LENCISA F. — Pasquale Paoli e la Guerra in Corsica : 1729-1769, Milano, Vallardi, 1890, 8°, pagg. 190. G B LE GLAY A. — Une mission delicate. Les cas d’un ambassadeur génois à Florence, in Revue d'histoire diplomatique, 1897, XI. [Ordine della Repubbl. di Genova all’ambasciatore Agostino Viale di far assassinare a Firenze Teodoro, (1743)] LE GLAY — Histoire de la Conquête de la Corse par les Français: La Corse pendant la guerre de la succession d'Autriche. Monaco-Paris, 8°, pagg. 268, Impr. de Monaco-Paris, Li-br. Picardet, 1912, 8°, pagg. 267. [È il risultato di lunghe ricerche d’archivio. Studia i tentativi sardi, inglesi e austriaci per impadronirsi della Corsica durante la guerra di successane d'Austria, pagg. XII, 267, in Mémoires et Documents historiques publiés par ordre de S. A. S. Le Prince Albert 1 de Monaco, Rec. Gorrini, in Archiv. Stor., 1913, (71), pagg. 226, 231.Rec. in Bull. Soc. Hist. Corse, 1913, (Ann. 33), fase. 352-54, pagg. 123-128 (per Ambrosi). Revue Historique CXIII. 379: CXIV 326] LE GLAY ANDRÉ — Theodore de Neuhoff, roi de Corse. Monaco, Impr. de Monaco-Paris, Libr. Picard, 1907, 8°, pagg. XII, 447, in Mémoires et Documents historiques pubVés par ordre de S. A. S. Le Prince Albert I de Monaco, istoria precisa di questo avventuriero e degli intrichi che si connettono al suo intervento, condotta su una serie di documenti esstenti in vari archivi di Europa e sulle fonti stampate tradizionali. Ree. Paolo Negri, in Riv. Storica, 1911, (Voi. 28), Ser. IV, pagg. 17, 19. Ree. in Bull. Soc. Hist. Corse 1913, (Ann. 33), numero 352-154, pagg. 115-122, Ree. Nolva, in Revue d'Italie, 190S, (V); Rec. Cavaglieri, in Archiv. Stor, \90S, (41), pagg. 458-459.] 36 Renato Oiardelli LETTERA d’incerto autore in cui si espongono e si confutano le pretese ragioni l municipio d’Albenga si circonscrive nel versante marittimo, a levante e a ponente, fra i limiti municipali di Vada Sabatici e Albi-uni Intemelium, nella linea montana, fra quelli dei munic’pi e respublicae di Alba Pompeia, Augusta Bagiennorum, Pedo. Il confine coi Sabazì si pone assai facilmente nel territorio finalese, sulla base delle posteriori circoscrizioni diocesane e comitati. Il L. trova una bella prova, per retrodatare ad una alta antichità questa confìnazione, nel tipo territoriale della pieve del Finale (considerata come ctontinuazione d’una forma pagi) ; essa Invade il territorio di due municipi, come di frequente si verifica peli'Alta Italia, sulPesempio dei pagi di confine descritti nella Tavola di Veleja. I termini cogli Intemeli furono spostati, fin dàlPAlto Medio Evo, forse dal c’r coscriver si, a cavaliere dei due municipi, di una entità territoriale indipendente, il bizantino kastron Tabi a ; con copia d'argomenti, che non è possibile r’assumere in breve discorso, VA. pone i termini municipali in coincidenza con quelli del Comitato, sul corso dell Armèa, anziché sui più ampi confini della diocesi albingauna, includente la plebs Matuciana (S. Remo). Risalendo al crinale dei monti), il confine fra gli Ingauni e gli Intemeli trova una netta determinazione geografica mantenutasi nei confini diocesani, con un prezioso documento toponomastico nella voce Monte Pèrtega, tuttora vivente. Nel-Poltregiogo, la d'stribuzione del materiale epigrafico romano segna un confine abbastanza sìculo, contrapponendo titoli della tribù Po-blilicù (Albenga) ad altri della tribù Camllia (Alba, Anglista Bagiennorumr) : se non si suppone, cojne ha fatto, senza prove, il Ga-botto, resistenza di un municipio romano corr’spondente a Ceva, 44 Rassegna Bibliografica da iscriversi ipoteticamente alle tribù Pohlilìdj bisogna ritenere che il municipio alb’iigauno scendesse ben addentro nella valle del Ta-naro e nel versante di Mondovì, tin a breve distanza da questo centro. Ciò sarebbe confermato dalla corretta lettura (l’un noto passo dì Plinio, dal quale dovremmo ricavare che il territorio dei Ligures Montani, confinanti e nemic:' degli Ingauni, sarebbe stato attribuito a questo municipio, mediante assegnazioni successive, col procedere della conquista romana nel territorio. Posso suffragare la tesi del L. con l’esempio del municipio di Lucca, il quale presenta una simile espansione ultramontana, per 1111 simile procedimento di aggregazione. Come poi il territorio transalpino di Albenga, sia stato incluso nei confini di Alba e di Asti, IVA. spiega ottimamente quale conseguenza dell'invasione longobardica e del formarsi d’una contrapposta linea militare bizantina. Nello stabilire la costituzione pagense, PA. si è trovato nelle più gravi difficoltà, mancando, per la diocesi d’Albenga, qualsiasi documentazione dell’antico ordinamento plebano. Tuttavia egli ci offre un quadro dei pagi assai soddisfacente, nel quale, in gran parte, trovano conferma criteri giuridico-topografìci me»ssi in luce dalla dottrina più recente. Dopo aver determinato la continuità della città romana, ricostruita da Costanzo nel V secolo, nella città medievale e moderna, PA. ritrova, in primo luogo, sulle tracce della pieve cittadina, i limit: del pagus civitatis. La pieve limitanea del Finale (il cui c&poluogo, in corrispondenza con la misteriosa Pollu-pice, si dovrebbe però situare :oi territorio sabazio), quelle, più o meno esattamente restituibili, di Loano, Andorra, Diano, Oneglia, S. Maria di Piani, Taggia, ind'cherebbero i pagi rivieraschi; quelle interne di Testico, Maro, Teco continuerebbero antiche organizzazioni agrarie delle tribù liguri, (ili stessi cr’teri si verificano anche nei pagi oltremontani, sopravviventi nelle pievi di Calizzano, Garresio, Pievetta, e nel vasto ambito di Ceva, il cui! titolo piebanale possiamo restituire sulla base di più recenti circoscrizioni ecclesiastiche. I pagi limitanei, divisi fra il municipio d’Albenga e quelli di Alba e Augusta Bugiennoruni (rimanendo incerto il confine con Pe-do), sarebbero indicati, con assai probabile coincidenza dei capo-luoghi plebani coi capoluoghi pagens % dalle pievi di Carazzone (vicus Paginas) e di S. Pietro in Vico, presso M011 dovi. Molto opportuna, per la storia dell’Ingaunia nell’Alto Medio Evo, è la riabilitazione fatta dal L. (a proposito della configurazione nelle plebes di Loano, Cai,zzano, Garresio), della famosa cronaca di S. Pietro 111 Varatella. Possiamo ammettere, infatti, che il cronografo, (a parte il racconto leggendario della venuta di S. Pietro abbia attinto ad un perduto cartario delΓAbbazia, nel descrivere i possedimenti- di questa, senza sapere, peraltro, s’egli abbia avuto sott’occhio un autentico diploma di Carlo Magno, e documenti Rassegna Bibliografica 45 posteriori, nei quali una donazione carolingia fosse soltanto· richiamata. Invero, il ricordo de. Uccjnum Italicum e la voce basii ca, nel signiliCiito di chiesa 11011 battesijnale, notati dal L., si trovano pure correntemente in documenti del seco.o XL; quanto all ordinamento pagense, riflesso nella cronaca, può aver sopravissuto anche molto più tardi, sebbene di data molto antica sembri il riferimento alla pieve di Loano. Ma ad una età assa i vicina a Carlo Mag’no c i richiamano, a parer mio, l'indicazione fatta dalla cronaca, di una vasta tenuta regia nel.a valle di Tornino (*) e la formula della ces s one a quoique milliaria per toi um in circu itu, ricorrente in ter mini analoghi in diplomi1 longobardici di Bobbio. Immensi predi a pistri della corona longobardica, provenienti da antichi aomp^cm e bona publica> munic’pali, esistevano infatti lungo tutto 1 Apennino Ligure, dagli ultimi dinasti longobardi e poi da Carlo Magno e ai suoi immediati successori frazionati e dispensati ^n massima parte, a monasteri (3). E del desistenza· d’una. corte regia carolingia, nella valle di Taidano, nn è dato portare precisa notizia con due document': del secolo IX. i quali confermano anche il toponimo Palmada inscritto nella cronaca e perduto da tempo ΐιηmemorabile. Il primo è un diploma di Ludovico il imperatore alla moglie Angelberga, dato il 25 .maggio 869, contenente cessione di molte corti, in vari comitati, fra cui: Palmata hi Albingauno (3); il secondo è un atto ). (-) V. in proposito il mio studio: Turris, U comitato torresano ecc. j.u ASPAlt XXIX. Quanto allo donazioni di tenute liguri a monasteri, da parte di re longobardi, si not .‘no, a Levante, la corte dell* Alpe piana e a Ponente la corte di Diano cedute da Luitprando al mon. di ». Pietro in Ciel d Oro di Pavia, come risulta da un -posteriore diploma di Corrado II, del lOdd CΜηρί, 596). Carlo Magno, poi, durante l'assedio di Pavia, nel ricevere, al campo, la sottom .ssione dei primati laici ed ecclesiastici del Regno, faceva a questa larga distribuzione dei beni della Corona longobardica. Così, ad es. l’abate Gu; ni baldo di Bobbio ebbe, nella Riviera di Levante, il 5 S^gno <<*, la selva di Wm'elungo e VAI ve Adra (Cipolla, (od. dipi, del Mon. di S Colombano di Bobbio, I. pp. 12K ss.), e l’abate di Brugnato, forse nella stessa data, la selv;. Acaro, nel prossimo giogo ligure. Ritengo che nelle stesse circostanze fosse beneficata l’abbazia di S. Pietro in Yaratella. Il che mi farebbe pensare - contrariamente alla tanto dibattuta notizia contenuta dalla l ro-naca — che questo monastero, anziché essere fondato da Carlo, fosse sorto in età longobardica nel raggio di quella amplissima colonizzazione monastica di Bobbio che diede origine a molte abbazie liguri similmente intitolate a S. Pietro, come Precipiano, Savignone, Brugnato ecc. (3) Renassi, Codice diplomatico ilarmente, Parma, 1910, I, p. 12Î; Böhmer, Heg. Im p. y 1, 1211. 46 Rassegna Bibliografica di donazione di Ermengarda, figlia dei precedenti, fatta il 30 novembre 890, al Monastero di S. Sisto in Piacenza, nel quale riappare la stessa corte: seu in comitatu Albiganense, partibus Mariti-me in loco ubi dicitur Palmate C1 ). Riesce facile supporre che dalla corte regia di Palmata fossero stati distaccati in precedenza i beni che, secondo la cronaca in discussione, Carlo Magno avrebbe assegnati a lì'Abbazia di S. Pietro in Varatella. Volentieri, per amore della materia, m'indugio sull'ultimo capitolo della monografia del L., nel quale, sia pure in brevi tratti, egli determina l’organizzazone lipiitanea bizantina sul fronte montano del municipio d’Albenga. Concordo con FA. nel ritenere assai probabile che il constituit Ligures dell'epigrafe di Costanzo alluda al nuovo ordinamento territoriale che diede origine alle prov’.ncie Alpes Cottieae e Alpes Apenninae e che l'istituzione dii queste provincie sia stata nei più stretti rapporti con l'organizzazione della lìnea che i Bizantini utilizzarono poi, nella lotta contro i Longobardi, ma non poterono certo aver improvvisata. Circa i confini di queste provincie, credo però opportuna una precisazione : se il Gabotto non si fosse lasciato fuorviare dal Gaudenzi nel fissare in modo del tutto arbitrario i limiti della provincia Alpes Apenninae (2), avrebbe visto come questa e la provincia Alpes Cottiae seguissero esattamente la linea fortificata che da Susa ad Urbino, sui dors« delle Alpi e dell'Appennino, copriva le più vitali comunicazioni occidentali dell'impero e le vie d’accesso alla stessa capitale. Volendo riferirci al solo tratto albingauno, poss’amo supporre che le difese avanzate della linea si spingessero, nel versante padano, sulle ultime propaggini delle Alpi e dell’Appennino, indipendentemente dai contini municipali ; giacché sappiamo die per costituire un terr’torio legato mi litarmente e giuridicamente al limes, furono staccati da molti municipi della Liguria, dell’Emil'a, della Tuscia, della Flaminia, della Valeria, frazioni più o meno vaste che acquistarono autonomia amministrativa come distretti militari (castra). Può darsi che, nella pianura del Po, le linee di copertura corrispondenti ad Albenga crollassero già col primo urto dei Longobardi. Ma l’avanzata veramente anormale di Asti a ridosso delle Alpi Marittime, mi fa supporre che la maggior parte dei castelli oltramontani dipendenti dal comes d'Albenga abbia resistito fino al periodo dell’interregno (574- C1) Campi, His. ecc. di Piacenza, Piacenza, 1051, I, p. 482. Questo documento sembrami convalidare anche la tanto discussa sopravvivenza, come pars regni, della bizantina Provinola Maritima Italorum. (2) Gaudenzi, Il monastero di NonaMola ecc. in Boll, deir 1st. St. Ital., XXI, pp. 113 ss. : Gabotto, Storia dell’Italia Occidentale, II, p. 589. Per una diversa identificazione dei confini delle Alpes Apenninae, cfr. la bibliografia da me citata in: Itinerari iRedievali (via quam Bardum dicunt), in Mem. delVAcc. lun. di Scienze G. Oapellim, XIII-I, 1933. Rassegna Bibliografica 47 584). Si conoscono, in questo tempo, le lotte reciproche e le espansioni di alcuni ducati dell·alta Italia, a danno di altri, o delle nrnori judiciariae longobardiche, o dei Bizantini. Il duca di Lodi venne fin nella valle della Scrivia, a poca distanza da Genova, il duca di Piacenza si spinse nell'ex territorio municipale di Λ eleia, Lucca, Li-barna, debellando i baluardi bizantini di Castell’Arquato e forse di Medianum e Torresana. Suppongo che il duca d*Asti (del quale conosciamo. le scorrerie nel territorio dei Franchi), abbia fatto altrettanto verso Albenga. Le conquiste ducali furono po i annullate, o ridotte, con la restaurazione della monarchia, ina la giurisdizione dio cesana, in quanto si era conformata all’espansione dei ducati,^ non fu rimossa : per la tendenza dei vescovati ad espandersi nei limiti dei ducati, vedi ancora l’esempio· di Lucca. Più difficile è dare una simile spiegazione per l’espansione al-bese in territorio albingauno, giacché 11011 sembra che Alba abbia avuto un duca ; pur senza tener conto della tesi sostenuta da alcuno che una linea coprente Libarna, Acqua, Alba, Pollenzo, fosse lungamente tenuta dai Bisantini C1). Comunque, possiamo sempre sup porre che il medievale comitato di Diano (corrispondente ad Alba) venisse da un castaldato longobardico, sorto in seguito ad una in-datab:le conquista regia. In conclusione, se anche non in tutto è spiegabile storicamente la sostituzione, oltre giogo, di Asti ed Alba ad Albenga, per quanto riguarda la confìnazione di questo municipio nell Età romana, i dati topo-epigrafici allo'stato degli atti sono perentori ; ed in questo vengo a concordare con ΓΑ. Giorgio Cipro, nei primi del secolo VII. non nomina fra le città e i castelli b:zantini delle due Riviere, neppure Albenga; ma noi sappiamo quanto sia imperfetta, nel testo rimastoci, questa compilazioné. Non ci sorprende quindi leggere nella lista dei castelli dell'Annonaria (Ravenna!, anziché in quella dell 'Urbicaria, con Ventimiglia, Genova, Limi, il nome astron Taira, che tutti identificano con Taggia·, supposto uno spostamento nelle colonne dei nomi. Ara- (i) Gabotto, Per la- storia di Tortona dell età del Comune, in BSS'S, ΧΟΛ Ι-Ι, p. 32; questa teoria basa sul presupposto erroneo che Paolo Diacono, ο meglio la sua fonte, nel descriver la provincia Alpes Cottiae, si riferisca allo stato d’essa nel periodo bizantino; nè il G. nè altri hanno notato che sotto i Bizantini una circoscrizione Alpes Cottiae più non esisteva, secondo la testimonianza, in questo precisa e categorica, di Giorgio Cipro; ifnfatti rileviamo da questo scrittore che i frammenti di quella provincia, con altri delle Alpes Apennvnae e della Tuscia, erano stat^ sottoposti direttamente al Praefectus Urbi; ed erano governati, secondo una concordante notizia di S. Gregorio Magno, da un vices agens, residente a Genova. Alla tesi qui combattuta reca un debole aiuto la scoperta d’una fortezza di tardo tipo romano a Silvano d’Orba (Campora, Di un rudere nel Comune di Silvano in Val d’Orba, in Bsbs, XVI, p. ]13 ss), giacché è sempre da vedersi se questa fortezza sia stata, o no, utilizzata dai Bizantini. 48 Rassegna Bibliografica messo questo errore, non riesce difficile vedere nel successivo kàstron Baraktclia (non identificabile nella provincia ravennate) il nome di un castello più o meno prossimo a Taggia, e prec samente 1111 omonimo del fiume Varateli a, come sembra alla lettera. II L. discute con vari argomenti storici, topografici e diplomatici questa interessante questione e conclude, rettamente, a parer mio, colPidentifìcare il casi rum in questione con Toirano. Più deboli sono gli argomenti addotti a riguardo del supposto pastello (li Giustenice. In linea generale, si desidera Γ identificazione di un sistema di baluardi più approssimato ai crinali ed ai validi alpini, ed a questo proposito mi sembra die con buoni indizi si possa situare un centro castrense nell’alta valle delPArroscia, il cui sbarramento, per evidenti ragioni strategiche, appare mpresciudibile nel sistema limitaneo. Ora appunto dalla identificazione dei confini pagensi di Pieve di Teco, fatta dal L., ricavo la ripetuta testimonianza della voce « B a sèrga », cioè basilica, la quale sembra non sia in significato di battesimale, visto che le rispettive parrocch’e sono tardissime. Il significato allusivo alla costituzione territoriale-militare del kàstron bizantino, terra basilica, posto in luce da me e da altri, torna a proposito, sovratutto tenendo conto di una concorrente prova, rfavata dal nome stesso del pago, Teco, nel quale sembra doversi leggere Teìchos, cioè, secondo la nomenclatura militare greco-bizantina, fortezza (i). Hol fissali distretti limitanei bizantini prendono un simile nome generico, come F ulaktérion, (Suriano, o Fi [lattiera, in Λ al di Magra), Turres (Borgotaro), fines Castellani. (CastelPArquato), Castrum 17 et us (Piazza al Serchio), kcùstron Nóbo (Oastelnuovo di Garfagnana?) ecc. Assai buoni e meritevoli di un largo commento sono i rilievi del L·. circa le probabili origini bizantine di Porto Maurizio. Ecco in breve le mie note in proposito. In generale, nelle due Riviere, i Romani mantennero gli impunti portuali liguri alle foci dei fiumi: la voce fluvius nell*Itinerario Marittimo, e talvolta anche in Plinio, lia questo significato (2). Ma i porti fluviali della Liguria erano inai- ci) Per la continuazione della classica voce teìchos nel vocabolario militare bizantino, v. le vv. teichistés, teichiótes, teichomachikòs ecc. in Sophocles, Greek Lexicon of the Roman and Byzantine Periods, New York-Leipzig, 1890, p. 1072. (2) Molti centri pagensi del territorio di Albenga. come Andorra, Diano, Piani, Taggia, si trovano nella situazione tipica d'un castello ligure preistorico in relazione con un approdo fluviale. Ritengo che questi e simili capi-luoghi liguri abbiano continuato a vivere in età romana con la loro antica funzione di centri commerciali orientati ai valichi alpini. I Romani non monopolizzarono il commercio locale. Organizzarono le stazioni marittime col solo scopo di garantire la navigazione di lungo corso. Può darsi, come testimonia la situazione della pieve di Loano, e, incertamente, la presenza di supposte matrici in corrispondenza con Lucus Bormani e Costa Bellenge, ch^ Rassegna Bibliografica 49 sicuri e precari (secondo calcoli moderni, potrebbero ritenersi praticabili poco più della metà della giornata dell’anno) : per la sicurezza della navigazione dovevano essere collocati con porti naturali di rifugio. A questa funzione corrispondevano, in età romana, p. es. Portovenere in relazione col porto fluv:ale di Luni (.fluvius Macra, nelP/. M.), Portus Delplüni, Varigotti, ecc. Sembra die i Bizantini, sia per sopravvenuta esigenza di difesa marittima·, dopo la comparsa degli Arabi, sia per provvedere in modo s icuro ai rincalzi e ai rifornimenti del limes terrestre, abbiamo organizzato e munito questi porti, di rifugio, nei qual forse stanziava permanentemente una divisione della flotta. Così sorgono a preminente funzione militare e marittima Portovenere, Varigotti, e così anche, molto probabilmente, sorge Porto Maurizio, (i) Come si vede, nel trattare esaurientemente il suo tema, il L. ha toccato con ottimi criteri metodologici, vari problemi generali attinenti alla demografia ligure nell’Antichità, alPordinamento giuridico territoriale del pago e della pieve, alla continuità degli ordinamenti preistorici nelle posteriori aggregazioni romane e alto-medie vali, venendo, infine, a portare un notevole contributo alla storia così oscura e interessante della Liguria bizantina. Dal punto di v;sta particolare della storia e dell'archeologi a ingauna, il suo studio ci presenta un quadro municipale suscettibile di vasti approfondimenti nei particolari, ma chiaro, coerente e pressoché definitivo, da inscriversi nella forma Italiae delPAntichità. Ubaldo Formentoni Orlando Grosso - Giuseppe Pessagno, il Falazzo del Comune di Genova, Edito a cura della Società Ligure di Storia Patria, Genova, 1933. Ohi osserva il Palazzo Ducale nei suoi diversi aspetti, immagina che un edificio così vario e complesso debba avere una storia molto le prime comunità cristiane siano sorte nelle stazioni itinerarie romane; se, delle molteplici leggende che si riferiscono a San Siro, vogliamo dare una spiegazione generale nel senso che esse alludano ail'attività missionaria di mercanti siriaci, ne avremmo una conferma nella localizzazione di queste leggende appunto a Costa Bellenae, e a Lucas Bonnmi (qui tenendo conto della supposta priorità della chiesa di S. Siro). Venuta meno l'organizzazione romana, le pievi, spostandosi verso l’interno delle valli, si uniformarono al superstite ordinamento demo-topografico indigeno. (1) È probabile, come sostiene con buoni argomenti linguistici il L. che VItinerarium Maritimam .sia stato aggiornato in tempo posteriore alla sua compilazione; in ogni modo, la menzione di Portomaurizio, secondo la genealogia dei codici stabilita dal Kubitschek e dal Cunz, risale al testo più antico che è del secolo VII, appunto al periodo corrispondente alla dominazione bizantina sulle due Piviere. 50 Rassegna Bibliografica interessante, ma non riesce a farsi un'idea, neppure approssimativa, della realtà. Testimone secolare delle vicende di una tra le pili irrequiete città italiane, esso ci ripercuote, per così dire, la eco lontana di tronfi e di sconfitte, di lotte fratricide e di dominazioni straniere, di ribellioni fulminee e di sottomissioni cruente ; lino a che, subentrato al tumulto delle passioni il rilassamento e la stanchezza generale, e consolidatosi in Italia il predominio della bpagna, il Palazzo Ducale rimane per circa tre secoli la sede relativamente tranquilla dei Dogi biennali. Ma il libro non si occupa di questo. Gli Autori s* sono proposti di scrivere la storia del Palazzo, dei muri, cioè, e delle pietre, non degli uomini che l’hanno, secondo i casi, occupato od abitato, non delle passioni, che si sono1 scatenate in esso e pev esso. 11 proposito è stato mantenuto fino allo scrupolo : gli Autori hanno saputo resistere a tutte le tentazioni; (e non devono essere state poche: di rompere la consegna, Tuttavia, pur entro limiti così rigorosamente segnati e rispettati, quanta λ a-rietù di dati e di fatti, quanta ricchezza di osservaz’loni ! Sorto nel 1291 per volere di Oberto e di Corrado D’Oria, il Palazzo subì trasformazioni, adattamenti; ampliamenti in varie ii-prese, di cu;| i principali ebbero luogo nel 1388 al tempo di Anto-niotto I Adorno, nel 1539, quando fu alzata la Torre per collocarvi la campana. verso la fine del secolo XVI e i primi decenni del XVII per opera delParehitetto Yannone, il quale, collegando con singolare perizia i diversi edifizi esistenti, li ridusse a quella forma che conservarono quasi inalterata fino alla metà del secolo passato. Anche volendo fare, è impossibile riassumere in pochi periodi un’opera densa d; ciati e di fatti come quella di cui discorriamo. Chi desidera conoscere la storia del Palazzo del Connine di Genova (leve leggere il libro, e chi ne comincia la lettura, andrà certamente fino alla fine. I due Autori trattano l’argomento con tale competenza e maestria che incatenano il lettore e non lo lasciano, se non quando sono giunti al termine dell*interessante ed istruttivo pellegr 11 aggio. Dopo avei dato in sintesi, nel primo capitolo, la storia del Palazzo, essi trattano successivamente del Palazzo del Comune e del Palazzo Ducale nelle vedute di Genova, delle origini del Palazzo del Comune (1291-1298), della Torre del Popolo, dei primi rfacimenti nei secoli XIV e XV, del Palazzo cinquecentesco, della fabbrica del \ annone e del Talazzotto Criminale. II Grosso ed il Pessagno erano, senza dubbio, i meglio indicati per un lavoro di tal genere : il prmo per avere diretto con vivo amore e con intelletto d’arte i restauri predisposti dal Podestà di Genova, Sen. Eugenio Broccardi, mercè i quali il Palazzo-, liberato1 da goffe sovrastrutture che lo deturpavano, ha ripreso in parte l’aspetto dei tempi miglior*; il secondo per avere con pazienza, costanza ed intelligenza non comuni ricercato negli Archivi e nelle Biblioteche una ’Rassegna Bibliografica 51 gran, parte dei documenti, riferentisi direttamente o indirettamente alle vicende del Palazzo dalle origini fino alla metà del secolo XIX. In questo modo, completando l’uno l’opera dell’altro, essi hanno esaminato e studiato le fondamenta, i sotterranei, gli ambienti, i muri, le scale, le finestre, sfruttando tutti gli indizi per individuare gli elementi originari e quelli aggiunti e per stabilire l’aspetto e la destinazione delle parti, che concorsero a formare l’insieme del Palazzo nei diversi periodi del secolare svolgimento della vita genovese. Nè gli Autori s,:j sono accontentati di dare, fin dove è stato possibile, la storia· esatta dei rifacimenti e delle aggiunte, ma hanno illustrato ogni modificazione con l’indicazione dei documenti: atti notarili, deliberazioni governative, registri di spese, documenti finanziari, suppliche di cittadini, concessioni di vario genere eco. ecc., in modo da. fornire al. lettore più esigente la motivazione e Io scopo di tutte le modificazioni e di tutte e riparazioni eseguite nel corso dei secoli. Non perchè intenda portar vasi a Samo, ina per dimostrare il vivo interesse che mi ha fatto cercale il dotto volume, aggiungerò due osservazioni. A pag. 97 si parla di un documento del 1593, nel quale si precisa per la prima volta le designazioni « d’inverno » e « d’estate » ai due ambienti. E risulta per di più che queile due sale si erano « fatte » in quegli anni. Può darsi che in quell’occasione siano state fatte o adattate due sale per le r unioni estive ed invernali, ma di una sala per le riunioni d’inverno, si parla un secolo prima. In un do-uumento dell’8 .marzo 1193 si legge : « Acta sunt hec Ianue ì£l palatio publico in eo conclavi quod orientem solem respicit ubi consilia hiberno tempore celebrantur» Diversor. Gomm. Ianue, cDnni 1493-1494, F. 50; in altri due degli 11 e 14 aprile 1502 è detto pure « Actum Ianue in palatio communis videlicet in ea camera in qua senatus hiberno tempore haberi solet » ; « Actum Ianue in ea camera in qua hieme. M.cus senatus congregatur » Diversor. Comm. Ianue, a'nno 1502, F. 58'. E ancora, sotto la data 28 gennaio 1513 trovo « Actum lamie in palacio communis in ea sala in qua hiemis tempore haberi senatus consuevit » Diversor. Comm. Ianue, anno 1513, F. 75. Come si vede, non si tratta qui di riunioni occasionali, ma di consuetudine. A pag. 115 si parla- di un ((ipotetico giardino». Che nel Palazzo esistesse un giardino, nel quale si tenevano le riunioni estive, risulta da prove non dubbie : « Acta sunt hec Ianue in viridario solatii in angulo in quo officium officiare consuevit», 28 luglio 1512. Diversor. Commi lamie, anno 1512, F. 74; «Actum Ianue in pallatio Ex.si Communis videlicet in ortulo sive pomerio solatii ipsius palatii», 9 agosto 1512, Diversor, Comm. Ianue, anno 1512, F. 73. Come giustamente osservano gli Autori, i documenti che si 52 Ή-àssegna Bibliografica riferiscono al Palazzo e alle parti di esso sono innumerevoli e spars1 in mille categorie diverse. Si può sejnpre sperare clie λ enga alla luce qualche nuova indicazione, che valga a risolvere i pochi dubbi, che ancora attendono soluzione. È certo, però che i· lineamenti fondamentali della storia del Palazzo sono oramai acquisiti alla scienza, e che le scoperte future potranno precisare qualche particolare, ma non infirmare il contenuto di quest’opera degna, sotto ogni rispetto, della massima considerazione. G. Bqrnatb Italo Scovazzi, Vittorio Poggi (1833-1911) - Nel primo centenario della sua nascita. .Rassegna della Provincia di Savona, Dicembre 1933-XII. Il nome di Vittorio Poggi era noto agli studiosi di stona ligure, ma non altrettanto note erano le vicende della sua vita, prima cjie lo Scovazzi ne trace asse questo pregevole e simpatico profilo biografico. Nato a Torino da famiglia oriunda di Alfjsola il Poggi crebbe a Savona, dove la .madre si era stabilita dopo la morte del marito. Giovinetto frequentò le scuole degli Scolopi ed ebbe condiscepoli Pietro Sbarbaro, Leopoldo e Giacinto Marenco, Gaspare Buffa, Giuseppe Saredo, Anton Giulio Barrili. Paolo Boselli ed a -tri preclari ingegni, clie si segnalarono nella politica, nelle tere e nell· esercizio delle professioni liberali Si elaboravano in que-gli anni, i programmi del nostro Risorgimento. Gioberti e Mazzini esaltavano la gioventù studiosa, accendendola di sacro entusiasmo per la causa della libertà, delTind'pendenza e dell unita d Italia. Mezzi efficaci per agitare le nuove idee erano le associazioni e la stampa: i giovani, dotati di intelligenza vivace e animati da passione ardente, trovavano nelle associazioni e nella stampa il campo della loro attività. . Noi troviamo il Poggi tra i fondatori della Società eh culto Dan- tesco nel 1856, lo troviamo tra i collaboratori prima del giornale monarchico-liberale il Saggiatore, po:, del Diario Savonese, nell or-bita della Società Nazionale Italiana. Nel 1858 il Poggi era stabilito a Genova, ove fondò e diresse, con T'aiuto di G, Care-assi, il giornale S. Giorgio con programma monarclr co - unitario, divenuto poco dopo La Λ azione. Quei giovani usi a battagliar con la penna, nel 1SÌ59 andarono a combattere contro l'Austria, arruolandosi chi nell’esercito regolare, dii nei Cacciatori delle Alpi. Terminata la guerra, Vittorio Poggi continuò a servire nell’esercito : fece la campagna del I860 e quella del Brigantaggio e r’mase in servizio fino al 1890. I doveri de.l L fficio uon gli impedirono di dedicarsi agli studi, anzi il soggiorno nelle \aiie ÏIassegna Bibliografica 53 regioni d’Italia gli porse occasione di approfondarsi nell'etruscolo-gia e nell'archeologia classica. Non dimenticò mai la sua patria di adozione: nel 188*5 concorse con P. Boselli e altri valentuomini a fondare la Società Storica Savonese, illustrò degnamente la storia locale, che intese nel senso più alto e nobile come contributo alla storia nazionale. Il Poggi fu un lavoratore instancabile (115 pubblicazioni', un nobile carattere, un cittadino esemplare. Di Lui lo Scovazzi ha trattato con serenità, con obbiettività, con sentimento vivo e profondo, e ci lia dato· un profilo biografico degno di essere additato come un modello del genere. O. Boenatb Pietro Nurra, La coalizione europea contro la Repubblica di Genova, Genova, Soc. Ligure di Storia Patria, 1933. Con « La Coalizione europea contro la Repubblica di Genova » Pietro Nurra riprende, in certo modo, argomenti trattati nella sua introduzione alla «Memoria» del Serra. L’A. mostra di sentire profondamente tutto l’interesse e tutta l’importanza del periodo storico che intercorre fra queste due date: 1797 -1815. Epoca ben definita da avvenimenti che fanno parte della storia mondiale ed accomunano con questa la storia locale senza però assorbirla. Ma una vera storia della Repubblica Democratica e dell Impero a Genova, non esiste ancora: essa è allo stato di formazione e i primi elementi raccolti ci hanno dato finora delle monografie. Non si può infatti considerare come storia l’opera — che ha fama di « classico » del Clavarino —, scritta con l’intento di valorizzare F« ancien régime ». Essa non ha nemmeno il merito della.contemporaneità, che farebbe forse scusare, come in altre del genere, certi spunti di partigianeria. Infine il fondo «storico» del Clavarino, se si astrae dalle divagazioni e dalle declamazioni, s:j riduce alla pubblicazione di « pezzi » ufficiali reperibili nella stampa dell'epoca, e specialmente nella « Gazzetta di Genova ». Il campo per la futura costruzione appare dunque interamente libero: non c’è bisogno di ricorrere a demolizioni. Le impalcature dell’edfâzio si possono considerare come stabilite e il primo materiale approntato. Una parte di esso è stato anche elaborata. * * * In questo « Saggio Storico», Pietro Nurra ha raccolto, selezionato e coordinato fonti inedite e originali contenute in una Collezione di Manoscritti della Biblioteca Universitaria. L’A. non si è limitato alla pubblicazione dei documenti ma li 54 ’.Rassegna Bibliografica ha sottoposti alla critica e al confronto : ha quindi proceduto scientificamente, e la sua contribuzione allo studio storco generale di cui parlammo, possiede valore assoluto e definitivo, relativamente alle questioni trattate. Uno studio, che ha anche carattere di introduzione, occupa il primo Capitolo : Tramonto delia Oligarchia Genovese. Soggetto già diversamente e in varia misura trattato da altri. Ma PA. ha il merito di definire chiaramente? gli elementi disgregatori delle vecchie tradizioni politiche vigenti da secoli nella Repubblica « di Andrea Boria ». Vediamo, documentata, la condizione della nobiltà pavera, o di quella di secondo rango, come si diceva a quei tempi, in confronto colle condizioni della borghesia e delle diverse caste che la componevano. Infine è anche ampiamente illustrato l’insieme delle « Società segrete » Massoni, Giansenisti età Era ben difficile individuare la specie dal nomç perchè i nomi nei documenti non sono spesso adoperati per designare esattamente la qualità. Così nei numerosissimi « biglietti di calice » studiati e pubblicati dal Belgrano fino al Levati, le qualifiche risultano anche a prima vista, contradditorie . si chiamavano Ginevrini, ad esempio i banchieri francesi e non si faceva quasi differenza fra Giacobini e Massoni e fra Massoni ed Eretici. Questa tendenza alla confusione, tendenza rivelatrice, è quella che si riscontra nel Clavarino. Anzi il Clavarino semplifica ancora le cose: Francese, per lui riassume: eretico, massone, giacobino e... altro. Ora, per confermare il giudizio espresso da noi, osserveremo che tali confusioni, volute sempre, potevano spiegarsi ili contemporanei*, ma non depongono certo in favore della serietà di uno storico che scriveva di avvenimenti già distanti un mezzo secolo. Comunque, le risultanze precise dei documenti pubblicati dal Nurra non permettono dubbi sulla qualità di persone che ebbero allora e dopo, grande parte nella storia genovese : Gaspare Sauli e Gian Carlo Serra rimangono perfettamente definiti e inquadrati nella loro attività politica: il Serra, figura di prim ordine fino dagli inizii/ come personiificazione dell’« esprit nouveau » da lui incarnato nell'educazione francese, a Parigi e nella consuetudine con uomini cospicui della Rivoluzione. Una lettera del Serra, sopratutto è significativa. I limiti imposti a uno studio come questo impediscono di riportarne qualche estratto. Ma, d’altra parte tutte le righe contano in questo scritto: gli acoenni, pieni d'odio, al Re di Sardegna l’esaltazione delle Armate Repubblicane e i progetti di coalizione dei Popoli Liberi contro le coalizioni dei Despoti di tutto il mondo. Motivi, si potrà osservare, frusti, perchè forse di essi si è troppo abusato. Ma nella lettera del Serra questi sentimenti respi- ïlassegna Bibliografica 55 rano una freschezza quasi ingenua e il loro impeto è ancora travolgente. È sopratutto tipica la confessione che un Aristocratico fa ai suoi concittadini, sponeva — nella sua esistenza : esistenza di razza, prescindendo dalla forma di reggimento politico. La divisione delle tendenze pol'ti -che in seno ai membri del Governo aveva un fondamento morale abbastanza profondo per non ammettere conc liazioni. Perciò le cose precipitarono fatalmente. Ma il dipingere la caduta della vecch ia Repubblica Aristocratica come fatto dovuto alla ignavia del suo Governo e alla violenza di una plebaglia prezzolata, è manifestamente un errore dal punto di vista storico, e, aggiungeremo, un errore di buon senso. *· # * Nel capitolo seguente: Genova contro {/li AjiglQ-Piemontesi, la politica direttamente ispirata dal Re di Sardegna e interpretata dai suoi emissari nella più svariata maniera-, è esposta ordinatamente e regionalmente. Solo utilizzando i dati documentari come PA. ne (là qui l’esempio, potremo — in questo e in altri casi — risolvere le contraddizioni che abbondano negli storici uso Clavarino. La penultima fase dell’esistenza della vecchia Repubblica appare in queste pagine — come dovette essere — estremamente laboriosa. I Genovesi avevano Γintuizione netta « che fosse il Piemonte a .muovere il braccio dell’Inghilterra». E compaiono le prime connivenze del « Gabinetto di Torino » con quel famigerato « Generale » Assereto che già allora «lavorava molto per. mettere la Ser.ma Rett pubblica; fra due fuochi. Le maggiori speranze di esso sono fonda- « te sulla speranza che la Francia dichiari la guerra..... e si procuria « con ogni mezzo di coadiuvare che ciò segua, affinchè la Ser.ma « Repubblica sia obbligata a difendersi, nè siavi luogo a verun trat-« tato ». Singolare rivelazione sull’attività delPmdividuo che ott’anni dolio, simulando parteggiare per la Francia e Massena, vestiva alternativamente l'uniforme repubblicana in città, e l’imperiale al coniine, e conduoeva poi durante i due «blocchi» 1800 e 1813, ama· guerriglia in favore del partito dell’ordine, con metodi speciali che lasciarono tristi ricordi nelle nostre popolazioni di campagna, delle Rassegna Bibliografica 57 quali si proclamava « difensore » ! Questo particolare sull’Assereto è tip'co come molti altri. Noi veniamo a conoscere sicuramente il carattere degli individui e le circostanze in cui questo carattere si esplicava, il che è ben diverso e ben preferibile al conoscere notizie e fatti incoerenti per quanto documentariamente stabiliti. Ora abbiamo già notato nella trattazione del Nurra che il diligente criterio di scelta e di coordinazione dei documenti è costante. La politica degli Inglesi finì per esasperare i Genovesi mentre gli; emissarii del He di Sardegna si ritiravano in ombra lasciando in ballo i potenti Alleati. A Ponte Reale scoppiò un incidente gravissimo: e in esso troviamo ancora, non la plebaglia, ma i migliori nomi dell’Aristocrazia ad inveire contro le inframettenze e le prepotenze della Coalizione. Infatti erano un Pinelli e un Gentile, e molti borghesi, quelli che gridavano : Birbante e altre espressioni poco parlamentarli al Console Inglese e agli Ufficiali del Capitano Sutherland. Furono queste le prime avvisaglie di una lotta aperta che cominciò ad esplicarsi con mi suile restrittive della navigazione e del soggiorno nei Porti liguri per la Nazione Inglese. In città, i residenti francesi 11011 avevano ormai più bisogno di «preparare Fambiente». Il lavoro preliminare era già compiuto. E i diversi comitati di « Patrioti » alcuni dei quali miravano, com’è no to airUn'tà d’Italia, composti di molti borghesi e qualche nobile e in piccola parte di elementi stranieri, ma in nessun caso, di « plebaglia» pensavano a far la guardia sulle iniziative degli emissari Piemontesi, ormai ridotti ad affiggere manifesti «nei botteghini, da «persone incognite che velocemente correvano». Il tipo di questi manifesti è quello che ricorda « la religione distrutta, gli Altari atterrati, i misteri profanat1·, i Preti trucidati...» insomma tutta la solita letteratura d’oeicasione. Ed erano» invariabilmente sottoscritti da un genovese vero amico della Religione e dejla Patria. Tutte queste vicende sono esposte in sintesi, con un giusto equ‘-librio in modo da dare la sensazione esatta del precipitare degli avvenimenti. Sono come le linee essenziali di 1111 disegno dal vero che dovranno servire d- trama per la compostone di un quadro completo. 4r * #■ L'esame delle relazioni sempre più strette fra Genova e Francia· e lo studio minuto sull’opera dei Residenti occupano i due ultimi capitoli, con la conclusione di tutto lo studio. Tilly, Boccardi, direttamente e sullo sfondo molti nomi del Comitato di Salute Pubblica, Carnot, Barrère, ritornano spesso in queste pagine e danno la chiave di molti fatti e molti particolari, noti, ma non perfettamente spiegati fin'ora. La seconda parte dello studio continua in appendice una serie di 58 ^Rassegna Bibliografica documenti e un elenco d;# nomi e soggetti, in relazione anche con le note di ogni capitolo. Citazioni, documentazioni e bibliografia non sono qui da considerarsi come ingredienti di forma. Esse significano chiaramente che la conoscenza profonda dei testi è indispensabile a tutti coloro (die vogliono occuparsi di questo periodo storico, tanto complesso e così imperfettamente noto. Abbiamo riassunto in questo rapido resoconto il contributo, veramente notevole, effettuato dal Nurra, agli studi storici del periodo « rivoluzionar' o » per Genova. Se in alcuni punti ci siamo attardati airanalisi, è perchè abbiamo seguito la nostra indole di studiosi per i quali certi fatti presentano maggior interesse in confronto d;i altri. Ma ΓΑ. stesso sembra convenire con noi in queste preferenze. È evidente, dalla sua trattazione, che certi particolari — anche se conosciuti — avevano bisogno di nuova luce e di preciso ambientamento. Giuseppe Pessagno Ten. Col. Costantino Salvi, Cario Emanuele II e la guerra contro Genova dell'anno 1672; Roma, Ufficio Storico del Comando del Corpo di Stato Maggiore, 1933-XI, pp. 135. Si raccomanda la lettura di questo studio all'autore di un recente — lodatissimo e ferocemente campanilista — libro di argomento genovese nel quale a pag. 11 (n. 12) si parla di una lotta di Carlo Emanuele li con Genova nel 1662 e a pag. 14 (n. 181), di una guerra contro il Duca di Savoia Vittorio Amedeo II nel 1672·. Potrà apprendervi, quel che qualunque foresto sa ; che ìa guerra è stata una sola: nel 1672, con Carlo Emanuele II. Questa guerra studia appunto il Salvi considerandola e seguendola, massime nel suo svolgimento militare, analizzandone le cause ma sopra tutto le operazioni militari con occhio e giudizio di tecnico e accompagnando l’esposizione con ottime carte che aiutano il lettore a seguire le operazioni. Dalla occupazione del Ponte di Nava, importantissimo nodo che ha avuto sempre, sino alla guerriccio-la del 1798, un’importanza captale nelle azioni svoltesi sulPAppennino Ligure, a tutti i combattimenti da Briga e Per inaldo, a One-glia, a Ovada e Sassello, tutta la guerra è seguita nelle varie fasi e negli sviluppi successivi, a volta favorevoli alle due partii e in cui da un lato e daPaltro furono notevoli la resistenza tenace e l'ardimento offensivo e frequenti gli atti di valore e di eroismo. Sarebbe imperdonabile leggerezza e presunzione da parte di un incompetente voler recare giudizio sullo studio dal punto di vista tecnico e militare. Storicamente, mi pare che la voluta difesa del-l’inLziativa di' Carlo Emaiiuçle sia, anche contro il parere di storici piemontesi non sospetti, un po’ forzata ed eccessiva. Ma dice bene ’ft a ssegna Bibliografica 59 il Salvi, si è trattato di uno, e anzi dei più rilevanti, episodi della lotta d;) opposti interessi tra i due vicini; da un lato le mire espan-sioniste e imperialiste piemontesi derivate da ragioni politiche ed economiche, dall’altro la difesa disperata e caparb ia di Genova decisa a non lasciarsi sopraffare e a non cedere all’avversar o·, più che già non avesse, l'agognato paesaggio al mare. E questo spiega anche alcuni, atteggiamenti che possono apparire irriflessivi o provocatori da un lato e dall’altro. È uno stato dii costante tensione e di sospettosa gelosia nel quale le ombre prendono corpo e le armi, a così d’re, sparano da sè. Forse è un po’ prevenire i tempi riaffermare che la guerra del 1672 «rappresenta il più eloquente dell’ininterrotto succedersi di sforzi di Casa Savoia per fare del Piemonte e di, Genova una sola terra con comunanza di ideali e di interessi, come comune era Γ idioma gentile» (p. 135); piuttosto è un significativo esempio del broglio di espansione contenuta nella famosa politica del carciofo. Verissimo che il Congresso di Vienna accogliendo Pantica aspirazione gettava senza volerlo le basi di una Nazione grande e potente perchè autorizzava nuove alte mire di espansione del Piemonte, e lo aveva con acuta preveggenza predetto ai diplomatici del (ingresso Antonio Brignole Sale. GL’informazione del Salvi è sempre larga e sicura; rilevare qualche piccola svista sarebbe pedanteria. Solo non ripeterei che il Conte Rosso fosse morto di veleno. È una leggenda ormai sicuramente e abbondantemente sfatata. Non ignoro che c'è chi vorrebbe che le tradizioni non si toccassero mai ; ma ci vuol pazienza ; quando sono provate false bisogna rassegnarsi, a lasciarle cadere. Tornando al Salvi, fonte principale del suo studio è la narrazione del Marana sulla congiura Della Torre e sulla guerra che ne seguì, integrata dalla storia militare del Saluces e dagli storici genovesi, dai biografi e dalle memorie di Carlo Emanuele. Certo, sarebbe stato utile l’uso anche delle fonti· documentarie molto numerose nell’Archivio di Genova e indubbiamente anche in quello di Torino. Non so se avrebbero molto lumeggiato l’aspetto militare — quel- lo che in realtà aveva per Γautore la maggiore importanza — ma un’accurata indagine archivistica potrebbe ohiarire l’aspetto politico del conflitto e anche la congiura di Raffaele Deila Torre per la quale il racconto del Marana dovrebbe essere controllato sulla base di documenti non unilaterali. Conchiudendo, l'opera del Col. Salvi è un buon saggio degli studi di storia militare che s>i vanno pubblicando dairUflìc’o Storico dello Stato Maggiore. Vito Vitale *Spigolatuke e Notizie Su «La Chiesa Dell’Ospedale S. Martino» scrive nella Rivista Municipale «Genova» del dicembre 1983 Antonio Cappellini. * * * In «Genova» Rivista Municipale del dicembre 1933 Mario Celle scrive su «Il Palazzo del Comune di Genova» muovendo dal recente volume in argomento di Grosso e Pessagno del quale riassume il contenuto raccordandolo alla storia del glorioso Comune. * * * Orlando Grosso nel numero di dicembre 1933 di «Genova» Rivista Municipale scrive su «Il combattimento del Renard ed una lettera di Charles Bandin» Il brick Renard era stato varato nel Cantiere della Foce a Genova. * * * A firma S. e col titolo: «Balilla» è pubblicato in «Giornale di Genova» del 2 gennaio 1934 un’ampia recensione del volume di Franco Ridella sull’eroico giovinetto di Portoria. * * * Micco Spadaro nel suo scritto «Cucina genovese» pubblicato in «Secolo XIX» del 2 gennaio 1934 ricorda il cosidetto «Sucido», un oste conosciuto ed apprezzato da Garibaldi, Barrili ed altri, specialista nelle vivande tipiche genovesi. Il suo vero nome era Bartolomeo Filipperi, patriota trasteverino emigrato, perchè perseguitato dalla polizia papale a Genova dove aveva aperta una trattoria che poi, rientrato a Roma dopo il 70, esercì nella capitale. * * * Lo scritto « L’Apostolo del Nome di Gesù nelle Riviere d’oro» di Fra Ginepro ricorda la dimora di S'. Bernardino da Siena in molti paesi della Riviera di Ponente. L’articolo è pubblicato in «Nuovo Cittadino» del 2 gennaio 1934. * * * Su «Alessandro Manzoni a Cornigliano» scrive a. b. c. in «Lavoro» del 3 gennaio 1934. * * * G. Cosi antim in «Secolo XIX» del 3 gennaio 1934 ritesse la storia deir Abbazia di «S. Nicolò del Boschetto» presso Rivarolo. * * * In «Corriere Mercantile» del 3 gennaio 1934 Orlando Grosso scrive su «La stampa dei méseri». L’A. ricostruisce la tecnica della fabbricazione di Questo tipico indumento femminile genovese. Spigolaturf e Notizie 61 * * * Una breve rassegna di «Poesia dialettale» pubblica Elio Rava in «Nuovo Cittadino» del 4 gennaio 1934. * * * In «'Nuovo Cittadino» del 4 gennaio 1934 Chigi Negri scrive su «Il grande Museo Archeologico Ligure nei le sue intricate vicende passate e presenti». * * * Il «Corriere Mercantile» del 9 gennaio 1934 pubblica, anonimo, un articolo dal titolo : «Fra ex-voto e miracoli in S. M. di Castello». Gran parte di storia ed accenni folkloristici sono ricordati colle memorie che il vetusto tempio genovese racchiude. * * * Su «La guerra d’un Maresciallo di Francia nelle Alpi Marittime» scrive Umberto V. Cavassa in «Lavoro» dell’ll gennaio 1934. Trattasi di Francesco Des Marets marchese di Maillebois e il Cavassa attinge per celebrarne le gesta allo studio pubblicato di recente dal Generale Guido Foggi. * * * Di «Federico Delpino» insigne biologo chiavarese del secolo scorso, scrive Luigi, Zürcher in «Nuovo Cittadino» dell’ll gennaio 1934. * * * Anche il «Secolo XIX» nel suo numero dell'll gennaio 1934 pubblica a iirina N. B. una notevole recnsione del volume recente di Grosso e Pessagno su «Il Palazzo del Comune di Genova». * * * Ad «Antonio Franchi» (noto pseudonimo del filosofo pugliese Cristoforo Bon a y ino) dedica un lungo articolo G io. Olivari im «Nuovo Cittadino» del 13 gennaio 1934. * * * Un diffuso giornale francese ha stampato recentemente: «Dov’è nato Colombo?». Il giornale «Il Nuovo Cittadino» rileva in un suo breve scritto: «Cristoforo Colombo» la inanità del dubbio che sembra ancora affliggere certi stranieri sulla genovesità del Grande, dopo la esauriente pubblicazione edita dal Comune di Genova a documentarla nel modo più perentorio. Lo scritto anonimo, breve ma forte, è pubblicato nel numero del 14 gennaio 1934. * * * Su «La Grotta-Santuario di S. Lucia presso Toirano» scrive, specialmente dal punto di vista geologico, Alessandro Brian in «Nuovo Cittadino» del 14 gennaio 1934. * * * Lo scritto «I grandi colonizzatori del Levante» pubblicato da A. AI. Livi in «Secolo XIX» del 16 gennaio 1934 dà occasione all’autore di rilevare l’attività dei genovesi e le opere che crearono nelle colonie levantine, specialmente la «Maona» di Scio. y * ♦ * D. Guglielmo Salvi esamina in «Secolo XIX» del 16 gennaio 1934 uno studio sui Benedettini in riviera di Ponente del Prof. Giordano muovendo obbiezioni specialmente su «L’origine dei Benedettini in Liguria». 62 SPIGOLATÜRF F NOTIZIE * * * Su «L’Ode del Foscolo ad una dama genovese» scrive JS'inQ Cruvetto in «Corriere Mercantile» del 17 gennaio 1934. * * * In «Giornale di Genova» del 1S gennaio 1934 Oigi Xegri prende occasione dal recente volume di Franco Ridella sull’eroe giovinetto di Portoria facendo voti «Per una degna celebrazione del secondo centenario di Balilla». Lo scritto è ricco di rilievi storici sull'avvenimento ricollegato al movimento odierno della rinnovazione giovanile ad opera del Fascismo. * * * J^araban scrive in «Giornale di Genova» del 19 gennaio 1934 una pagina viva di folklore genovese sotto il titolo : «I portatori di Cristi» nelle processioni più caratteristi che e nelle Casaccie. * * * P. Ila rio Bin ieri recensisce in «Nuovo Cittadino» del 20 gennaio 1934 il recente volume di Pietro Nurra, sotto il titolo «Sugli ultimi oasi della Repu bellica di Genova». * * * In «Secolo XIX» del 21 gennaio 1934 Sigma scrive di «Alba coralli Camoz-zi» evocando la sera del 31 dicembre 1S5S in cui nella casa Camozzi allo Zerbino fu suonato per la prima volta l’inno del Mercantini con musica di Alessio Olivieri. La Camozzi è anche nota a Genova per aver aperto un Collegio in Albaro che aveva il nome di «Collegio Coralli». * * * Un articolo anonimo in «Giornale di Genova» del 21 gennaio 1934 col titolo «Le strade degli umili» conduce il lettore in vicoletti della vecchia Genova, qualcuno da poco scomparso per riforma edilizia, facendogli vedere bot-tegucce ora sparite e tipici aspetti della vita cittadina d*un tempo. * * * A lirina a. in ((Lavoro» del 21 gennaio 1934 è recensito ampiamente il volume di Pietro Nurra col titolo : ((La vecchia Repubblica di Genova tra la Francia rivoluzionaria e la coalizione». * * * fUno scritto anonimo in «Secolo XIX» del 24 gennaio 1934 recensisce sotto il titolo ((La CA5A e la famiglia di Baulla» il recente volume che Franco Ridella ha consacrato a stabüire la identità del «ragazzo della sassata» con Giambattista Perasso di Portoria. ♦ * * In «Corriere Mercantile» del 25 gennaio 1934 Leonida Balestrerà scrivendo di ((Principesse italiane nella storla d’altri paesi» ricorda, tracciando il profilo di Valentina Visconti sposa a Pierino di Lusignano re di Cipro, un epi sodio dell’antagonismo tra Veneziani e Genovesi tra i quali e’accese una zuffa per ragioni di precedenza durante le cenmonie per V incoronazione di questo sovrano. • · ♦ In «Giornale di Genova» del 26 gennaio 1934 Alberto Lumbroso racconta «Come e ferchè Genova cedette la Corsica a Luigi XV». Spigolaturf e Notizie 63 * * ¥ TJjjo Oailia pubblica in «Giornale di Genova» del 27 gennaio 1934 un articolo col titolo : «Garibaldi antiparlamentarista». * * * In «Secolo XIX» del 27 gennaio 1934 e sotto il titolo «Risposte ad una critica» Ludovico Giordano replica alle osservazioni che D. Guglielmo Salvi moveva ad uno scritto del Giordano pubblicato in «Secolo XIX» del 16 stesso mese sotto Π titolo «I Benedettini in 'Liguria». * * * 11 «Corriere della Sera» del 28 gennaio 1934 pubblica (a firma Cesare Meano) un articolo su «Gli antichi barbi del Porto» cioè su gli antichi barcaioli genovesi addetti al servizio portuale, ricordandone la storia, le costituzioni, i privilegi. * * * Karaban scrive in «Giornale di Genova» del 28 gennaio 1934 un articolo di folklore genovese sotto U titolo <«L*armadio dei cimelì» ove ricorda cose e persone tipiche del piccolo commercio genovese ora da tempo scomparsi. * * * Fav. scrive in «Giornale di Genova» del 31 gennaio 1934 su «Centinaia di lettere inedite di Nicolò Paganini» che saranno presto pubblicate a cura di una speciale Commissione di studiosi eletta dal Podestà di Genova. * * * D’un fuoruscito genovese, Gio. Paolo Balbi, scrive stella nera ne «11 Raccoglitore Ligure» del 31 gennaio 1934 sotto il titolo: «Da arciduca... a ciooco-lattaio». * * * Ne «Il Raccoglitore Ligure» del 31 gennaio 1934 Mario Bonzi dà conto di «Un Guido Reni inedito» nel Palazzo Durazzo a Porta Vacca. * * * Su cL’EX convento di Santa Maria delij; Grazie e la Ven. Battistina Yer-nazza» scrive il Sac. Prof. Antonio Costa ne «Il Raccoglitore Ligure» del 31 gennaio 1934, del 28 febbraio e del 31 Marzo. * * * Umberto V. Cavassa ne «Il Raccoglitore Ligure» del 31 gennaio 1934 racconta de «Il Barberotto Innamorato». Il barberotto (praticamente chirurgo) è un certo Gandolfo del quale ΓΑ. narra un'avventura verso la fine del see. 17<>. * * * «Il Raccoglitore Ligure» del 31 gennaio 1934 pubblica un articolo del compianto Giuseppe PortigHotti dal titolo «I Condottieri». Lo scritto è in continuazione. * * * Sotto il titolo «Il culto eroico dei genovesi per il Poverello di Assisi» Il numero di gennaio della rivista «Genova» pubblica il discorso pronunciato da Arnaldo Forbieri a Genova nel maggio 1927 chiudendo il ciclo delle celebrazioni francescane genovesi. * * * Orlando Grosso inizia in «Genova» del gennaio 1934 riüustrazione de 64 Spigolaturf e Notizie «Gli affreschi dei Palazzi e delle chiese genovesii». 11 primo studio è dedicato a «Tre frescanti di soggetti storici nel Palazzo del Comune». * * * «Genova» di gennaio 1934 pubblica una recensione, dovuta ad Antonio Cappellini, del volume, di recente edito, di Franco Ridella « Balilla ». * * * Nel fascicolo di gennaio 1934 de «Il Mondo Classico» Mario G. Celle fa una diligente disamina di «L’ecloga iv di Virgilio in ijna Epistola dell’umanista Jacopo Bracelli». Il Bracelli fu cancelliere della Repubblica Genovese e lo studio accurato interessa l'antica letteratura nostra. * * * Un articolo bene informato sul folklore genovese è quello di Cesare M ea-no in «Corriere della Sera» del 2 febbraio 1934 col titolo: «I Calafati e la "loro Santa». * * * Lo scritto di giorim in «Giornale di Genova» del 3 febbraio 1934 dal titolo «Strade e animali» offre curiosi spunti di toponomastica interessanti vicoli e piazze di Genova vecchia. * * * Giovanni Petraceone dà conto in «Corriere Mercantile» del 3 febbraio 1934 dVÜNA misteriosa visita di Cagliostro a Genova». * * * Una pagina folkloristica scrive un anonimo in «Giornale di Genova» La «Giovine Italici) e la «Giovine Serbia» nel pensiero di Giuseppe Mazzini, in «Messaggero degli Italiani», Costantinopoli, 18 gennaio 1934. La. rievoca la lotta combattuta dal Mazzini a favore delle nazionalità oppresse nella penisola balcanica ed illustra i rapporti che l’Apostolo ebbe con Vladimiro Jovanovich, uno dei più eminenti uomini politici della Serbia. Con nuovi documenti l’autore dimostra inoltre che l’associazione Giovine Serbia è stata fondata ispirandosi ai fondamentali principi della Giorine Italia. --i Giuseppe Mazzini, in «Butul», Stambul, Gennaio 1934. Succinta notizia sulla dottrina e sulla figura del Mazzini. Paul Tapponxœiî, Roeambolesque expédition Mazzini-Ra inorino in «L'Echo de la Loire», Nantes, 5 febbraio 1934. La spedizione mazziniana in Savoia del febbraio 1S34 dà occasione al T. di rievocare il momento storico in cui eb"oe luogo».le figure di Carlo Alberto e del Mazzini e la dottrina della Giovine Italia. Corrado Masi, Mazzini, Raffo e Fredriani, in «Unione»), Tunisi, 5 marzo 1934. Alla strenua lotta per la difesa della nostra nazionalità in Tunisia non fu estraneo il Mazzini, il quale ebbe nella capitale del Regno suoi fidati emissari, fra cu» il Masi rievoca succintamente il Raffo di Chiavarl ed il genovese Gaetano Frediani, esule dopo i fatti del ’33. Ugo d’Andrea, Compiti di una nuova borghesia, in «Unione>>, Tunisi, 2 febbraio 1934. Saggio sul corporativismo. Vi si trova, un cenno illustrativo dei legami fra il solidarismo del Mazzini ed il sindacalismo fascista. Opere e studi su G. Mazzini pubblicati in Italia Leonetto Cipriani, Avventure della mia vita, Bologna, Zanichelli, 1934. Questa figura, tanto discussa, ci si presenta ora in tutta la sua luce attraverso queste memorie che Leonardo Mordini ha già fatto conoscere nella «Nuova Antologia». Il violento corso fu assai aspramente giudicato non solo dal Mazzini ma anche dai critici storici eereni, per quanto fece nella Romagna dopo Villafranca, e non ci si stupisce perciò che egli definisca l'Apostolo «un cervello malato, che non seppe mai far nulla Bibliografia Mazziniana 73 fuorché accatastare vittime e martiri, come fece in Isvizzera, in Calabria, a Milano, e tante altre volte, e sempre lui assente!». Ernesta Pelizza Marangoni, PìcqoIo mondo garibaldino - Dorma Alita Coralli Camozzi - La sua famiglia - I suoi amici, Milano Soc. Ed. Dante Alighieri, 1934.“ Appassionata rievocazione di un piccolo mondo non soltanto garibaldino ma anche mazziniano. Donna Alba Coralli-Camozzi, una fervente mazziniana, che molto operò per tradurre in atto gli ideali del Maestro, rivive in queste semplici e calde pagine. Luigi Salvatorelli, Hazzimi e Cavour, in «Cultura», Milano, ottobre 1933. La fortuita coincidenza della pubblicazione testé avvenuta dei Carteggi cavouriani e degli Scritti mazziniani risalenti alla vigilia della proclamazione del Regno d’Italia, ha indotto il S. a riprendere in esame i punti di dissenso e quelli di accordo, che divisero ed unirono, nel pensiero e nelFazione, il Mazzini ed il Cavour. L’esegesi critica è acuta e sagace anche se non si può accoglierla senza riserve nella sua integrità. Eugenio Passamonti, I Polacchi e la spedizione mazziniana mila Savoia del 1834, in «Rassegna storica del Risorgimento», Roma, aprile-giugno 1933. Il Passamonti reca yn notevole contributo alla storia della tentata invasione della Savoia nel '34 da parte del Mazzini, usufruendo dei documenti conservati nell’Archivio di Stato di Torino. Porta inoltre nuova luce sull’effettiva partecipazione dei polacchi e sulle complicazioni diplomatiche tra la Svizzera e la Francia, seguite all’internamento dei polacchi stessi nel territorio elvetico. Luisa Gasparini, Una nuova fonte di documenti sul movimenta mazziniano nei rapporti coi patrioti inglesi, e specialmente coni G. I. Holyoake; in «Rassegna storica del Risorgimento», Roma, ottobre-dicembre 1933. La Gasparini dà notizia, corredata da un elenco, di un fondo di documenti mazziniani — comprese numerose lettere autografe dell’Apostolo — che si trovano in una parte delle carte di G. I. Eolyoake, testé acquistate dal Museo del Risorgimento di Milano. I documenti si riferiscono al periodo 1S52-18G6. Angelo Ravenni, Nel centenario della concessione della prima medaglia d’oro al valor militare, in «Bollettino deirufficio storico dello Stato Maggiore del R. Esercito», Roma, 5 gennaio 1934. L'a. rievocando la figura di G. B. Scapaccino ha modo di illustrare, anche con documenti inediti tratti dall'Archivio di Stato dì Torino, le vicende del tentativo d’invasione nella Savoia compiuto dal Mazzini un secolo fa. Remo Fedi 11 teologismo sosiale-etico-religioso di Giuseppe Mazzinit in «L’idealismo realistico», Roma, gennaio 1934. Il Fedi riesamina — senza apportarvi in verità nessun nuovo serio contributo di esegesi critica — i rapporti che intercorrono nella dottrina mazziniana tra «persona, nazione, umanità, Dio». --, Preziosa lettera di Mazzini donata al Museo del Risorgimento, in «Sera», Milano, 21 febbraio 1934. Si dà notizia del dono fatto dal Signor Severo Cappellini al Museo del Risorgimento di Milano della nota lettera con cui il Mazzini chiese il 21 novembre 1S49 al dottor Conneau dì interessarsi per la liberazione di Enrico Cernuschi. --, Importanti documenti donati al Museo bergamasca del Risorgimento, in «Corriere della Sera», Milano, 22 febbraio 1934. Fra i documenti (he qui ci importa segnalare son di particolare importanza tre lettere di 74 Bibliografia Mazziniana .Mazzini, la prima del 27 marzo 1809, diretta ai membri della Società del Ticino, la seconda del 30 aprile 1803 a F.rgisto Bezzi e la terza del 20 giugno 1803 pure diretta al Bezzi. Queste ultime si riferiscono al movimento da crearsi per la liberazione del trentino. I. Gobessi, Mazzini profeta, del Wagnerismo, in ((Rassegna dorica», Roma, 20 febbraio 1934. Il G. in un sagace saggio sostiene e con fondatezza che il Mazzini anticipò non poche «vedute e concezioni caratteristiche del wagnerismo». Gioachino Volpe, Alfredo Oriani storico, in «Santa Milizia», Ravenna, 24 febbraio 1934. L’effemeride offre un ampio riassunto dell’orazione tenuta dal \ olpe al Teatro Alighieri di Ravenna, inaugurando le onoranze nazionali ad Alfredo Driani. I>opo aver illustrato con la consueta sagacia le condizioni dell’Italia al tempo dell’Oriani e la peculiare figura dello scrittore romagnolo, il Volpe ha qùesto accenno all’Apostolo : «Tutto questo saliva su in Oriani da radici profonde, dalla educazione letteraria, dai ricordi del Risorgimento, da Gioberti e da Mazzini. Mazzini aveva concepito il Risorgimento come una nuova civiltà italiana; una nuova parola che sola poteva giustificare e consacrare la rivoluzione; aveva ammonito gli italiani su tale necessità; aveva battuto sulla santità dei valori dello spirito per fronteggiare l’avanzante materialismo socialista. Solo che in Oriani è un più vivo senso della storia, uua più salda e chiara coscienza della storia d’Italia, una maggior concretezza nel modo di sentire i valori di libertà, dovere, umanità, patria, nazione, ai quali si dà una nuova e più larga virtù animatrice nel quadro della vita nazionale italiana». Domenico Apicella, Orisi economica e crisi spirituale, in «Nuovo diritto italico», Roma, 25 febbrao 1934. In una acuta disanima l’a. indaga le cause profonde del turbamento da cui è sconvolto il mondo, e conclude additando la salvezza nel ritorno agfó ideali del Mazzini. «Giuseppe Mazzini — scriVe — segnacolo in vessillo, sommo faro di luce immortale, in un suo scritto sulla missione dell’arte ammoniva : «I vizi che dai tempi di Carlo V in poi, deturparono e fecero impotente al bene ed indegna della terra italiana la nostra letteratura sono molti... Ma i principali o meglio le sorgenti di tutti, stanno nell’aver noi da tempo, e salve rare eccezioni, separata la letteratura dalla vita della Nazione e dall’ideale Italiano, per cacciarlo sulle orme di scuole, antiche o moderne, Greche o Francesi, straniere ai nostri ricordi ed alle nostre aspirazioni... E sotto l’azione dissol-vitrice del Materialismo e delle altre cagioni indicate, la Letteratura sparì, la Poesia italiana si spense. Ben rimasero letterati e poeti, ma isolato dalla Nazione, senza concetti generali predominanti, ascoltati unicamente da un ristretto pubblico di altri letterati, dai loro mecenati e dalle loro accademie. L’Italia vide scrittori di pedanterie erudite, su reliquie d’antichità o su varianti di versi classici, senza una parola che connettesse quei lavori alla vita italiana nel passato, e commenti senza flue intorno all’Alighieri, e ad altri nostri Grandi, senza una sola allusione alle loro profezìe della nostra vita avvenire». Oggi, con questi ricordi di magistrali ammonimenti, ravviviamo la fede nell’ideale, lievito sublime e reale dell’avvenrre dei popoli». Giuseppe Cetrangolo, Il valore politico delVopera Mazziniana, in «Italia giovane», Bologna, 28 febbraio 1934. Il titolo promette più di quanto l'autore dà : il suo è infatti un tentativo di interpretazione troppo fuori d’ogni realtà. Ci sia sufficiente riportare qui una asserzione che ."ta come pietra basilare dell’edificio che il critico ha cercato di costruire : «Tra Monarchia e Repubblica non esistevano per lui le cioè per il Mazzini] divergenza degne di rilievo I». Bibliografia Mazziniana 75 Eugenio Passamonti, Giuseppe Garibaldi e il moto genovese del 4 febbraio 1834 secondo gli atti processuali, in ((Camicia Rossa», Roma, febbraio 1934. Il Passamonti col sussidio dei documenti conservati nell’Archlvio di Stato di Torino, non soltanto porta nuova luce sul movimento insurrezionale organizzato dal Mazzini su vasta scala, ma anche sulle intese intercorse fra l’Apostolo e Giuseppe Garibaldi. Pietro d’Ambrosio, Il valore storico della qonc ili azione, in «Giornale di politica e di Letteratura» Roma, gennaio-febbraio 1934. In questo saggio si trovano pagine degne di rilievo dedicate al pensiero religioso del Mazzini. Articoli vari in Riviste e Giornali A. Barila, Vita di Mazzini, in «Ricerche filosofiche», Messina, luglio-dicembre 1933. Il B. prende in esame la monografia dell’Errera più volte segnalata e, dopo averne elogiato la coscienziosità e lo scrupolo storico di ricostruzione, incolpa l'autrice di non aver indagato il «non troppo chiaro pensiero e le varie attività della vita agitata e battagliera» del Mazzini. L’a. conclude : «Il pericolo maggiore che può derivare da un'opera come questa, a cui non mancano innegabili pregi di diligenza e di garbo, è quella di darci una figura del Mazzini deformata, non rispondente alla sua realtà storica, incompleta e mutilata proprio in quello che è il suo merito principale e la sua originalità più profonda. Ecco perchè non sappiamo dire una parola di lode piena a questa «Vita di Mazzini», che pure, come excursus della vita del Grande, è forse il più completo e il più chiaro fra quanti finora ne sono apparsi». Bruno Chiesa, La Tanzvna, villa di Mazzini, in «Campione», Como, dicembre 1933. La villa ed il suo proprietario Abbondio Chioliva son rievocati dal Chiesa, il quale ricorda come Mazzini vi sia stato ospite e quivi sia vissuto «preparando i destini della patria». —, Mazziwi in pillole, in «Roma fascista», Roma, 31 dicembre 1933. L’effemeride romana pubblica la circolare che il Capo della Comunità mazziniana ha inviato a cultori di studi mazziniani per una ristampa parziale dei Doveri dell'Uomo del Mazzini. La giustificazione, che il Riparbelli si crede in dovere di dare, per l’arbitrio che si prende di dare l’opera «in pillole», è da lui stesso esposta in tal modo : «Abbiamo detto «alcuni capitoli» e non tutti, perchè, se le pagine dell’auro (sic) libriccino del Maestro hanno forma e sostanza d’immortalità come quelle Agli operai italiani, Dio, La legge, Doveri verso la patria, Doveri verso la famiglia, Doveri verso se stessi, le altre l’hanno perduta, attraverso le elaborazioni ulteriori del pensiero italiano ed europeo o attraverso l'interpretazione e realizzazione fascista». Vedasi il commento che a tale circolare fa Camicia Rossa del gennaio 1934, a suo luogo segnalato. --, Celebrazione Wagneriana, in dYAmbrosiano», Milano, 2 gennaio 1934. Resoconto della confeienza tenuta iu M!>an il giorno precedente da E. A. Marescottl, il quale prima di edebrure Wagner, «p”ospettò In rapida sintesi il pensiero di Mazzini sulla musica, affermando cl.e a ua recolo di distanza la meta indicata dal filosofo ligure all’arte musicale è ancor lungi dall’essere raggiunta». Un ampio riassunto della conferenza fu pure pubblicato dal «Grido d'Italia» di Genova del 28 gennaio 1034. 76 Bibliografia Mazziniana A. Rota, Il figlio di Giuseppe Mazzini, in «Stampa» Torino, 8 gennaio 1934. Anche i centenari della nascita di pargoli morti appena nati sì celebrano! Il Rota, cogliendo questa occasione, divaga sul figlio che l’Apostolo elVbe dalla Sidoli, sul quale ben poco si sa. A. G. L·., Una «Società delle Nazioni» in myii&tura, in «Lavoro», Gènova, 10 gennaio 1934. Succinta rievocazione del centenario della fondazione della Giovine Europa. avvenuta in Berna il 15 aprile 1834, Fra Ginepro, Sacerdoti della. Famiglia Ruf fini, in «Nuovo Cittadino» Genova, 12 gennaio 1934. Scrive l’a. : «Finale Ligure ha in questi giorni commemorato i Fratelli Ruffini — Jacopo, Giovanni e Agostino —, fìualesi da parte di padre: l’avvocato Bernardo di cui Mazzini elogiava l’integrità come magistrato, la condotta come padre, l’affezione come sposo, la costanza come amico, le aspirazioni e la schiettezza come cittadino. Iniziatore della patriottica cerimonia che c culminata nella inaugurazione di una lapide alla casa avita dei Ruffini e in un discorso ufficiale tenuto dal Direttore del Museo del Risorgimento di Genova, l’amico Codignola, è stato l’altro buon amico, l’avvocato Franco Pertica. A lui va dato ampio elogio, perchè ha messo in rilievo l’origine iinalese dei patrioti del Trentatrè (cosa che nessuno lino ad oggi aveva fatta; nè gli storici della «Giovine Italia», nè il quasi concittadino poeta e romanziere A. G. Barrili, autore della lapide ai Fratelli Ruffini ueJla casa natia di Genova, in via delle Grazie); e perchè ha portato luce e chiarezza sulla storia del nobile casato.» Fra Ginepro è incorso in una dimenticanza involontaria; egli che conosce bene la monografia di A. Codignola su il Padre dei Ruffini non ricordò che sino dal giugno 1922 si trova in tale scritto documentata la nascita di Bernardo Ruffiui, avvenuta in Finale Marina il 16 agosto 1766. Unicuique suum! (Vol.) Iaicì italiane in Polonia, in «Corriere della Sera, Milano, 18 gennaio 1934. Ampio resoconto del discorso tenuto a Poznan da G. Bastianini, ambasciatore d Italia in Polonia, in occasione della solenne celebrazione ariostesca. Il Bastianini rievocò i legami di solidarietà che uniscono gli italiani ai Polacchi attraverso i secoli e si soffermò ad illustrare l’opera compiuta dal Mazzini dall inizir del suo apostolato sino agli anni più tardi, per vieppiù stringere i due popoli. Ugo d’Andrea, Compiti di una nuova borghesia, in «Il Giornale d’Italia», Roma, 2G gennaio 1934. È l’articolo già segnalato negli Appunti contenuti in questo fascicolo, nella rubrica Opere e studi su G. Mazzini pubblicato all’estero. Alberto Manzi, Piccolo mondo garibaldino, in «Il nuovo Stato», Roma, 20 gennaio 1934. Ampia recensione della monografia di E. Pelizza Marangoui, già segnalata. Armando Tosti, Guardiamo a Staglienel in «Costruire», Roma, gennaio 1934. Appassionata rivendicazione della sempre attuale vitalità del verbo mazziniano. «La grandezza di Mazzini — scrive — sta sopra tutto nel durare e nel patire. A Lui non è concesso, come a Garibaldi, di identificare il proprio eogno con la realtà sfavillante di uria impresa di' guerra fortunata e gloriosa. Egli non è il guerriero che riposa dopo la vittoria delle armi. E non è il politico che, con una- combinazione Bibliografia Mazziniana 77 diplomatica, trionfa dei propri avversari, come Cavour. Anche Mazzini sovrasta alle circostanze, ma non le domina. E soffre di spirito e si sente avulso a forza dalla materia, per entro la quale vorrebbe spirare l’alito rigeneratore delia vita. Ricordarsi di Mazzini vuol dire risoffrire con Lui il dolore della sua anima combattuta': la sua commemorazione è un rito mesto e solenne, la sua memoria appartiene alla religione del dolore umano», Niger, 11 vaticinio di Mazzini e la veggenza di C. Benso di Cavour, in «Camera di Commercio italo romena in Genova», Genova, gennaio 1934. L’a. nel 75’ anniversario della costituzione a nazione della Romania r.evoca quanto apporto dette a tale evento storico l’opera indefessa del Mazzini e com esso sia pure stato favorito dal Cavour. --j Classici del liberalismo e del socialismo, in «Italia che scrive», Koma, gennaio 1934. L’effemeride del Formiggini annuncia una nuova collezione, emanazione della Scuola di Scienze Corporative di Pisa, diretta dal Bottai, che conterrà scritti preceduti da introduzioni critiche e commenti analitici dei maggiori scrittori del secolo scorso che trattarono di scienze economiche. Gli scritti del Mazzini saranno raccolti e commentati da Ugo Spirito. --1 Finalmente!, in «Camicia Rossa», Roma, gennaio 1934. A proposito della pubblicazione dei Doveri deU'TJomo del Mazzini somministrata «in pillole» per pubblica sottoscrizione dalla Comunità mazziniana, l’effemeride romana scrive : «Abbiamo sott’occhio copia di una circolare diffusa dalla Comunità Mazziniana Nazionale allo scopo di raccogliere fondi per la pubblicazione in opuscolo di «alcuni capitoli» dei Doveri dell’ZJomo di Mazzini. Perchè la Comunità Mazziniana S'azionale vuol pubblicare e diffondere soltanto alcuni capitoli del celebre libretto? Ecco qua ce ilo spiega il signor Riparbelli Umberto, Capo responsabile (che cosa c’è da ridere?) della suddetta Comunità : Abbiamo detto «alcuni capitoli» e non tutti, perchè, se le pagine dell’auro (sic) libriccino del Maestro hanno forma é sostanza d’immortalità come quelle Agli Operai Italiani, Dio, La Legge, Doveri verso la Patria, Doveri verso la famiglia, Doveri verso se stessi, le altre l’hanno perduta, attraverso le elaborazioni ulteriori del pensiero italiano ed europeo o attraverso l’interpretazione e realizzazione fascista. Finalmente! Era l’ora che qualcuno rivedesse gli scritti di Mazzini, espuutaudo tutto quello che ha perduto «forma e sostanza d’immortalità». "Olii dice che una Regia Commissione, presieduta dal Ministro dell’Educazione Nazionale, sta pubblicando da anni gli scritti politici e letterari, nonché l’epistolario di Mazzini, senza menomamente curarsi di sopprimere quelle parti, che a detta del Capo responsabile (non ricominciamo, eh!) della Comunità Mazziniana Nazionale sono fuori tempo, e cioè hanno perduto «forma e sostanza d’immortalità»? Chi è queH’imbecille, che ha gettato il ridicolo sulle istorie dettate ad uso del Delfino? Il signor Riparbelli ha ragione. È così che bisogna fare, se si vuol giungere davvero — come dice la circolare — «a influenzare una vasta regione d’intelletti». Bravo signor Riparbelli!» --1 Due uomini e due programmi (Garibaldi e Cavour nel 1860), in «Camicia Rossa», Roma, gennaio 1934. L’effemeride romana ripubblica il programma dettato nell’ottobre del 1860 al Mazzini per il Popolo d’Italia di Napoli, che verrà tra poco pubblicato negli Scritti dell'edizione nazionale. È una pagina assai importante che indure — e con ragione — i redattori della Camicia Rossa ad affermare «che la storia senza veli dei rapporti fra Garibaldi e Mazzini, specialmente nel 1860, non è soltanto da fare, ma addirittura da rifare». 78 Bibliografia Mazziniana Franzero, L'ambasciatore Grandi tra i mille bambini della Colonia italiana dì Londra, in «Il Piccolo», Roma, 1 febbraio 1934. Si segnala con vivo compiacimento il grande sviluppo preso ora dalla scuola italiaua di Londra fondata nel 1841 nel quartiere di Clerkenwell da Giuseppe Mazzini, il quale aveva ben «sentito che la lìngua, soltanto la lingua poteva salvare il senso della patria abbandonata negli emigrati e nei loro figli nati in terra straniera». A. G., Il tradimento del corso Boccliecianipe alla luce di un nuovo documento storico, in «Telegrafo» Livorno, 2 febbraio 1934. L'a. riassume ampiamente la monografia di E. Michel già segnalata; ed altrettanto fanno «La Tribuna» di Roma, il «Corriere Padano» di Ferrara del 13 marzo e la «Provincia dì Bolzano» del 14 marzo 1934. Cristoforo Buggeri, L’arte fascista, in «Popolo di Trapani», Trapani, 3 febbraio 1934. Il R. sostiene che anche in arte oggi si defaba ritornare alla concezione del Mazzini. «I compiti dell’arte — scrive — furono tracciati per gl’italiani da Giuseppe Mazzini sin dal 1827. Ora, dopo cento e più anni, riecheggia il suo grido ai giovani : «La vostra è la più grande di tutte le missioni terrestri. Siate grandi com essa. Voi siete chiamati a-Ί un’opera emulatrico delle opere di Dio : La creazione di un popolo». E comandava che l’Arte avesse un fine nationale, religioso, sociale, condannando in modo definitivo la formola atea ed antitaliana l’arte per l’arte». a. s. Le alte passioni umane di Giuseppe Mazzini, in «L’Opinione», La Spezia, 5 febbraio 1934. Cose dette e stradette intorno agli amori dell’Apostolo, nonostante che 1 autore inizi la sua prosa affermando che «uno dei lati meno conosciuti e meno studiati della vita di G. Mazzini, sia quello che si riferisce ai suoi amori». Noi punge invece il sospetto che in tali tristi condizioni si trovi ancóra il pensiero di lui. Canonico Mussi, Il convento dei Minori Cappuccini a Massa Carrara, in «Nuovo Cittadino», Genova, 7 febbraio 1934. Appunti sul convento indicato nel titolo. Scrive, fra l’altro, l'a. : «Si dice, ma mancano i relativi documenti, che in abito di cappuccino e con una finta e folta barba ivi dormisse [nel Convento] anche Giuseppe Mazzini, il quale in altra circostanza vestito da operaio addette al lavoro delle pelli da cuoio, ebbe a fermarsi per alcuni giorni e sempre nascosto alla polirla italiana, nella ridente villa che i Nardini posseggono nella frazione di Castagnola nei pressi di Massa». --, Mazzini e il Fascismo, in «Piccolo della Sera», Trieste 16 febbraio 1934. Breve annuncio editoriale della monografia di N. Mezzetti, già segnalata. Giuseppe Bruni, Curiosi episodi di reclutamento jja ribaldino nella battaglia per Vunità in «Popolo Biellese», Biella, 15 febbraio 1934. L’a. rievoca l’opera di Mazzini e di Garibaldi a prò della rivoluzione italiana, da \ »Ila-franca alla spedizione dei mille a Quarto. Miles, Mazzini in Savoia nel 1834, in «L/Opinione», La Spezia, 19 febbraio 1934. Succinta rievocazione del tentativo d’invasione in Savoia, compiuto dal Mazzini con pochi seguaci nel febbraio del 1834. --, Doni pervenuti ai civici Musei, in «Popolo di Lecco», 24 febbraio 1984. Fra i doni pervenuti è pure ricordato un autografo del Mazzini. Biblioorafia Mazziniana 79 --, Una conferenza su Mazzini, in «Gazzetta del Mezzogiorno», Bari, 24 febbraio 1934. Si dà il resoconto della conferenza tenuta a Lucera nella sede del Comitato della Dante Alighieri dal prof. Mario Ciardo che trattò di Mazzini ed il dramma religioso politico del secolo XIX, La stessa conferenza il Ciardo tenne il 25 febbraio a Foggia. Omar Preite, Giuditta Sidoli, in «Grido d’Italia », Genova, 25 febbraio 1934. Cose dette e stradette suLla compagna tanto adorata dall’Apostolo. Clara Ascenzi, Amiche e fautrici inglesi nell'esilio dì G. Mazzini, in «Rassegna Nazionale», Roma, febbraio 1934. E’ la prima puntata di una monografia che ha carattere divulgativo. Gino Tomajoli, Le dimostrazioni politiche padovane del 1862-63 nelle carte della polizia austriaca, in «Padova», Padova, febbraio 1934. Gol sussidio di nuovi documenti rintracciati nell’Archivio di Stato di Venezia, la. ci illustra l’opera di infiltrazione che il «Partito d’Azione» del Mazzini era riuscito a compiere anche in Padova. --, Giovanni Pianori contro Napoleone III in «Pan», Milano, 1 marzo 1934. Succinta nota sulla monografia dello Zame, già segnalata. Scrive l’a. «P. Zama vuol riabilitare G. Pianori, l’attentatore alla vita di Napoleone III ; diciamo meglio, si propone di nobilitare il gesto di lui, ponendolo sul piano di quello compiuto più tardi da Felice Orsini contro lo stesso Imperatore, Identica spinta pol.tica al delitto, probabile (per lo Zama è certezza) connivenza del Mazzini e di altri patriotti nella preparazione dell’attentato. E sta bene : purché non siano dimenticati i precedenti personali dei due : la passione uatriottica esasperata nell’Orsim fino allo spaisimo e che si conchiude con la lettera famosa ; il passato burrascoso e il se dimento di odio personale del Pianori, che finiscono in un mutismo agghiacciante.» L'osservatore, Appunti e spiniti, in «Regime fascista», Cremona, 11 marzo 1934. «Mazzini non è morto. Muoiono gli uomini che hanno creato per il tempo, non quelli che hanno creatc per l’eternità. Spariscono e scendono nell'oblio gli uomini che hanno fatto della cronaca e non della Storia. Tramontano nel tempo gli uomini che hanno limitato il loro sguardo al momento che fugge e non l’hanno fissato lontano, sugli inesplorati orizzonti1 dell’avvenire! Non v è — dal ’72 ad oggi — momento in cui Mazzini non sia stato presente allo spirito degli italiani e anche degli stranieri. I/azione interventista risalì a Mazzini, ignorato, dimenticato... superato, e l’animo col quale i combattenti affrontarono la guerra e pensarono i fini della guerra — come risulta dai Diari e dagli Epistolari — era animo schiettamente mazziniano, e nella trincea, Egli si era trausustanziato nel pane quotidiano, come aveva esperiinentato Mussolini, di quanti dovevano con animo forte soffrire e morire. Il dovere e il sacrificio apparvero e furono sentiti come necessità morali al servizio di una grande idea. E il dopo guerra fu presente nella coscienza di tutti quegli italiani i quali sentirono che la Patria ò una realtià sacra, un elemento indispensabile alla evoluzione dell’Umanità Ed oggi Egli è nell’augoacia di questa Umanità che disperatamente cerca una via di li berazione, una via di uscita. Non ha Egli concepito la Comunità degli uomini come un organismo vivente e solidale, che concorde deve marciare alla conquista della più alta Spiritualità?» --f X Marzo, in «La buona guida dello stiulente di Scuole Medie» Milano, 1° marzo 1934. Nella ricorrenza del sessantaduesimo anniversario della morte dell* Apostolo, egli è qui 80 Bibliografia Mazziniana ricordato ai piovani. Note commemorative sono state pure pubblicate da <11 Quaderno mensile» pure di Milano del 1° marzo, dal «Gazzettino» di Venezia del 2 marzo; da «Corriere di Napoli» e dal «Roma» di Napoli del 7 marzo; dal «Corriere Mercantile» di Genova del 9 e del 10 marzo; dal «Popolo d’Italia» di Milano del 9, 10, 11 marzo; dal «Corriere della Sera» di Milano dell’8 e 9 marzo; dal «Secolo XIX» di Genova del 9, 10, 11 e 14 marzo, dal «Giornale di Genova» del 9, 10 e 11 marzo; dal «Grido d’Italia» di Genova del 10 marzo; dal «.Lavoro» di Genova del 10, 11 e 10 marzo; dal «Telegrafo» di Livorno dell’ll e 13 marzo; del «Gazzettino» di Venezia, dall’«Ora» di Palermo, dal «Nuovo Giornale di Firenze, da «Maremma» di Grosseto, dall’«Arena» di Verona, dalla «Vedetta fascista» di Venezia, dal «Corriere del Tirreno» di Livorno, dalla «Voce di Bergamo», dalla «Gazzetta Azzurra» di Genova dai 10 marzo; da «Il Resto del Carlino» di Bologna, dal «Grido d'Italia» di Genova, dal «Nuovo Cittadino» di Genova, dalla «Nuova scuola italiana» di Firenze, dall’«Idea fascista» di Pisa, dal «Gazzettino» di Venezia dell’ll marzo, da «Il Mattino» di Napoli del 13 marzo, dal «Giornale d’Italia» di Roma del 15 marzo, dalla «Sentinella fascista» di Livorno del 17 marzo e da «Scuola» di Milano del 18 marzo. Orlando Danese, Mazzini, gli operai e la Patria, in «L’Opinione», Spezia, 12 marzo 1934. Il . compianto pubblicista rivive in questa appassionata rievocazione del pensiero sociale dell’Apostolo. Landò Ferretti, Mazzini secondo De Sanctis, in «Il Mattino», Napoli, 17 marzo 1934. L’a. attraverso un’acuta disanima, illustra il valore e l’importanza dell’interpretazione desanctisiana del Mazzini, che è stata — secondo lui — precorritrice dei tempi. — —, Mazzini nella mirabile rievocazione del Sen. Innocenzo Cappa, in «Grido d’Italia», Genova, 25 marzo 1934. Si pubblica il discorso tenuto dal Cappa in Milano nella sede della Comunità mazziniana la sera del 10 marzo 1934. L'argomento trattato fu il seguente: G. Mazzini e lo Stato corporativo. Lorenzo Viani, Mazzini e un poeta mazziniano, in «Corriere della Sera», Milano, 20 marzo 1934. Il poeta mazziniano è Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, che il V. rievoca, attraverso ricordi personali. " Direttore Responsàbile : UBALDO ForMENTINI S-A- INDUSTRIE POLIGRAFICHE NAVA - BERGAMO - MILANO - GENOVA ALCUNI GIUDIZI SULLA PRODUZIONE ARTISTICA DELLO STABILIMENTO ARTI GRAFICHE BOZZO &c COCCARELLO - GENOVA Il Cardinale CARLO DALMAZIO MTNOKETTI, Arcivescovo di Genova: « ..... la artistica e splendida riproduzione ..... farà beila figura nella sala del- « VArcivescovado e resterà testimonio ..... dell9abilità degli autori ». S. E. V IVOR IO, Prefetto di Genova : « La riproduzione della tela, di Bernardo Strozzi è veramente opera d’arte « grafica pienamente riuscita, e fa onore allo Stabilimento che adempie a un ce nobilissimo compito, facendo conoscere i capolavori dei pennello genovese ». S. E. MOEMINO, Prefetto di Genova : « ..... voglio esprimere il mio vivo compiacimento per la perfetta riproduzione ce (di un quadro di Nicolò Barabino), in tutto degna delle 'nobili tradizioni « delVarte grafica italiana ». Senatore PIETRO SITTA, Rettore dell’Università di iFerrara: ce ..... La prego rendersi interprete dei miei sentimenti di felicitazione verso i « bravissimi esecutori par il loro lavoro degno dell'originale ». Senatore Ing. EUGENIO BROCCA'RDI : « Ho ammirato la tecnica merartiglio sa, il colorito magnificamente riprodotto, « tanto che la riproduzione dà Villusione completa di avere dina/nzi Voriginale ». On. Marchese CARLO BOMBRINI, Podestà di Genova : « Le bellissime riproduzioni in fotolitografia di codesta Spett. Ditta, che ho (c molto ammirate, indicano il perfezionamento tecnico dÀ cotesto Stabilimento ». Oil Marchese FEDERICO NEGROTTO CAMBIASO : « .... la splendida riproduzione di una tela originale di Bernardo Strozzi, a lavoro artisticamente eseguito, è davvero tale da costituire legittimo motivo « di orgoglio per cotesto Stabilimento di Arti Grafiche ». Comm. Prof. ORLANDO GROSSO, Direttore del Civico Ufficio Belle Arti di Genova : « Mi compiaccio che una Dilla genovese possa dare questi gioielli di lavora-« zione che fanno davvero onore alla città e dànno un gravide contributo alce le arti grafiche italiane ». Prof. ALDO RAIMONDI, Direttore dei ït. Istituto d’Arte di Parma: « Veramente è la prima volta che vedo una riproduzione del valore della « Loro..... La loro opera rappresenta un capolavoro delVarte grafica ». Cav. UGO ARMANINO, Roma: « Complimenti, complimenti e complimenti! Avete fatto le cose da gran signore. « La riproduzione è veramente perfetta..... e Vinsieme del calendario un picee colo capolavoro. Questi non sono complimenti, ma venta ». Il Direttore Tecnico della Società Editrice Internazionale, Torino: « Ë una riproduzione veramente superba, che fa onore allo Stabilimento lice gure che l'ha data alla luce ». GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA COMITATO DI REDAZIONE! GIUSEPPE PESSAGNO, PIETRO NURRA, VITO A. VITALE La pubblicazione esce sotto gli auspici del Municipio e della Regia Università di Genova e del Municipio della Spezia DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE : GfenoVa, Paiatto Rosso, Via G; aril· al ài, iS CONDIZIONI DI ABBONAMENTO II Giornale si pubblicò a Genova in Fascicoli trimestrali. Ogni Fascicolo coni iene scritti originali, recensioni, spigolaturey notizie ed appunti per una bibliograßa Mazziniana ABBONAMENTO ANNUO per Γ Italia L. <30 - per Γ Estero L. 60 Un fascicolo separato L. O — Doppio Lire 1 ó ^ Conto Corrente con la Posta ANNO X ~ 1 .95 4-XII Fascicoli II e III - Aprile-Settembre GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA fondato da ACHILLE NERI e UBALDO MAZZINI Pubblicazione Trimestrale NUOVA SERIE diretta da Arturo CocLignola e Ubaldo Formentini Direzione e Amministrazione GENOVA, Via Lomeliini, 21 (Casa Mazzini) ^aiiaitaiiaiiBiiaiiatiaiiBiiaitauBiiBiiBiiaiiBiiBiiBitauBitaitBitaiiBiianBUBMaiiaiiBiiaiiatiBiiBiiaiiBiiaiiaiiBiiBiiaiiaitaiiBiiBiiBiiaiiBiiBiiBiiBnaiiBiiaiiBiiaiiaiiaiiatia' i FRATELLI PAGANO 1 TIPOGRAFI EDITORI - S. A. Ï VIA MONTICELLI, U - GENOVA - TELEFONO 52004 ■ ■ iailBllBIIBIIBIiaiieilBUBIiaiV*MBUB»*B»»BMBIIB«B*»BUBUB*IBIiaUBnBliailBMB»IBHa4iai»B«tauauaM»IIBIIBHBnBIIBIIBIIBIIBJIBIIBIIBIIBMaiIBIIBIIBI ■ - 1 ■ s ■ m l JSfosirc Edis ioni : s ii i POESIE IN DIALETTO GENOVESE di Martin Piaggio = \5a edizione, curata da Giulio Gatti - Prefazione di = L. A. Cervetto . . . . « · · L. 1 ó.—■ ■ jj LA CUCINIEKA GENOVESE di Gio Batta e Giovanni I padre e figlio Ratto - 1 2a edizione - Prefazione = di Carlo Panseri .....· L. ó.· * ■ I ANNUARIO GENOVESE FRATELLI PAGANO = Guida di Genova e Provincia (L unario del Signor I Regina) 1 1.9a edizione ..... L. 30.· - ■ ■ %,..„B».B..a,....a..BnB..BU.UB..a..«Ì««l.B...».I.Bl»...ÌUBUB.....BUB..B«B.....BI.B«.anB..a«a.l...aUBUB..BH..l.«.1«i«U«.a..B»,B««IBR*~««l*eU.«.«U·!.·, - SOMMARIO - Emilio Pandiani, Ancora suiï insurrezione genovese del 1746 e sul “Balilla» — Adolfo Bassi, Il delatore di Garibaldi (confin. e fine) — Giuseppe Pessagno, Due ritratti Colombiani. — Antonietta Bram~ bilia. Carta archeologica della Liguria. — M. Mazzifelli, Su di un documento riferentesi al culto romano per 1 acquai Onorato Pastine. Genova e gli ultimi Appiani. — G. B. Bianchi* Sul gentilizio dei Bianchi d’Erberia. — Renafo Giardelli. Saggio di una bibliografia generale sulla Corsica — DISCUSSIONI E COMMENTI: Mario Lopes Pegna - Carlo Boriiate, Ancora su una colonia romana della Liguria occidentale. - RASSEGNA BIBLIOGRAFICA : Vito Vitale, Diplomatici e Consoli della Repubblica di Genova (Pietro Nurra). Romolo Quazza, Mantova attraverso i secoli (Carlo Bornate). — Rosario Russo. La ribellione di Sampiero Corso. — P· Ilario Rinieri, Lo vera figura storico di Sampiero Corso. — Rosario Russo, La ribellione di Sampiero e la penetrazione francese nella Corsico (Vito Vi iole) — Tito Rosina. D'Annunzio e la poesio di Garibaldi (Enrico Terracini). - SPIGOLATURE E NOTIZIE. - APPUNTI PER UNA BIBLIO- GRAFIA MAZZINIANA. !βιΙΒΙΙΒΙΙΒΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·1!ΒΙΙ·ΙΙ·Μ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·Η·Ι1ΒΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·Μ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ«ΙΙ·Μ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙΒΙΙΒΙ!·Ι Itti·mil·. ANCORA SULL’ INSURREZIONE GENOVESE DEL 1746 E SUL "BALILLA,, Il Prof. Franco Eid ella lia pubblicato testé un volume col titolo : « BaJilùa » ed il sottotitolo: «Gian Battista Perasso sopranominato Balilla, eroe popolare genovese, identificato nella tradizione e nella storia, con documenti editi ed inediti » a cura della Cassa di Risparmio e Monte di Pietà di Genova. 11 volume, di quasi 400 pagine, è diviso in due parti : nella prima è tracciata la storia della Repubblica di Genova dal Trattato di Worms (17-13) alla cacciata degli Austriaci da Genova nel dicembre del 174G, con una importante appendice critica di 50 pagine che ha per titolo : « Non il Governo, ma i Patrizi popolari e altri forti cittadini cooperarono segretamente al moto e alla vitto ria del popolo nel dicembre del 1746»; nella seconda, dopo ampi cenni storico-critici sul Balilla e sulla sua famiglia e sulle cause che iu dussero gli storici a tacerne il nome, l'autore si addentra nella « questione Balilla » facendone la storia e dimostrando che iJ fanciullo famoso si chiamava G. B. Perasso e nacque in Portoria. Poiché è evidente che la prima parte è diretta a vanificare una nra dimostrazione della occulta partecipazione del Governo alla cacciata degli Austriaci da Genova, e la seconda vuole dimostrare ciò che io, con molti altri; posi in dubbio, e cioè che il « divino monello » si chiamasse Balilla e avesse nome Perasso, mi sia permesso di difendermi. Già nella prefazione e nel testo della mia opera (*) provai che tutte le Corti d’Europa furono unanimi nel credere, subito dopo la sollevazione del 174G, che il Governo genovese non fosse stato estraneo ad essa, che Paresse aiutata sotterraneamente, come dissero i diplomatici francesi; già il Voltaire nel suo «Précis du siècle de Louis XV » (cap. 21), parlando della sollevazione genovese, dichiarava che alcuni Senatori avevano sobillato il popolo alla r:scossa e che durante la sollevazione v'erano dei capi, ma scelti dal Senato e tra essi non ve ne fu uno ciapace di usurpare a lungo l’autorità. (i) D. P.ANDiANi, J.a cacciata degli Austriaci da Genova nell9anno 1746, Torino, 1923, in Misoellanca di Storia Italiana S. Ill, T. xx (LI dellçi Raccolta). - 82 Emilio Pandiaxi Ma lasciamo da parte queste testimonianze di contemporanei e leggiamo l'opera del Ridella. Nella introduzione egli mette a paragone gli storici die vissero in quegli anni e dà la palma all'Aecinelli, ponendo in cattiva luce £ lanciando sospetti di parzialità. sul Buon am; ci. Ammettiamo che quest’ultimo sia sta*o partigiano del Governo, ma bisognerà che il Ridella ammetta che l'Ac-cinelli lo fu del popolo. Ci paiono ingiuste certe osservazioni sul Governo di Venezia (pag. 5) e certe accuse al Buonaniicì (pag. 37), ma procediamo speditamente. Scoppiata la guerra per la successione austriaca, la Regina Maria Teresa firma un trattato con Carlo Emanuele III, Re di Sardegna, promettendogli per la fine della guerra la cessione del Marchesato di Finale in Liguria. A questa· notizia il Governo genovese, per salvaguardare il suo territorio, decide (a. 1745) di allearsi con gli avversari dell Austria, cioè Francia, Spagna, Regno di Napoli, ed entra in guerra. Per il Ridella il Governo genovese ha sempre pa-ura. Dunque il Governo patrzio «che viveva di paura» (pag. 51), sia. pure con paura si ingaggia in una guerra, il che è una bella prova di paura. I Gallo-Ispani profittano della alleanza genovese per passare con i loro eserciti per la Liguria, ed invadono la Lombardia, ma nell'anno 1746 riportano alcuni rovesci e, non tanto per essi, quanto per la mutata politica del nuovo Re di Spagna, Ferdinando VI, hanno l'ordine di ritirarsi in Liguria e di qui riparare in Fra.ncia. Naturalmente questa ultima* misura è tenuta segretiss’ma. L esercito Gallo-Ispano si ritira verso la Bocchetta, passo dell Appennino dal quale si scende nella valle della Polcevera. II Governo genovese, sorpreso da questa manovra chiede ai generali alleati se difenderanno la Repubblica. Essi lo assicurano, ma al primo scontro sulla Bocchetta con gli Austriaci (1 settembre), si ritirano verso Pontedecimo. Dapprima dicono che vi si sosterranno, ma poche ore dopo sfilano verso Genova. Parlano di fare un campo fortificato tra Fegino e le mura di Genova, danno anzi ordini per approntare le artiglierie, ma intanto imbarcano i loro bagag i in Sampierdarena, mentre i loro battaglioni si avviano verso Sa\ona. All’alba del 3 settembre un patrizio genovese, inviato dal (governo a protestare presso il Quartiere Generale alleato, sapeva c e esso era partito da Sestri Ponente prima della mezzanotte e che l’esercito si ritirava in gran fretta verso Siivona, mentre gli u striaci si avanzavano verso Genova. Il 4 settembre il Governo genovese apriva trattative con gli invasori. Il generale march. Anttfniotto Botta-Adorno, comandante supremo dell'esercito austriaco, accorso il 5 settembie per assu mere le negoziazioni, respingeva ogni tentativo degli Incaricati genovesi di prendere tempo, comunicando loro le condizioni di resa Ancora sull'insurrezione Genovese del 1740 83 della città e dicendo che avrebbe atteso le decisioni del Governo lino alle ore 21 del giorno seguente (6 settembre); dopo quell’ora se la città non avesse accettato i patti, egli avrebbe riprese le ostilità! La capitolazione era durissima, eppure il Governo la accettò. Perché la citta non aveva resistito con le armi, perchè aveva ceduto a patti onerosi? La Repubblica di Genova, dice lo stesso Ridelln. (pag. 8; usando un paragone manzoniano « è nelle condizioni di un vaso di terracotta·, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro». Continuiamo il paragone. Questo vaso di coccio si mette in mezzo a vasi di ferro (gli alleati) perchè lo sostengano e lo difendano. Quando questi Io abbandonano ed esso si trova di fronte ad un vaso di ferro che vuole scontrarsi con lui, il vaso di coccio cerca tutti i mezzi di evitare la frattura. Si noti che i fatti narrati si svolsero, si può dire, in poche ore. Gli alleati tradiscono ; un esercito nemico è alle porte. I generali nemici, che sanno il valore della sorpresa, impongono una decisione immediata : « o prendere, o lasc are ». Il Governo è colto dall'affanno di decidere. Le milizie in città sono poche e poco valide; la magnifica cinta murale non ha gli approntamenti necessari, salvo che in piccola parte. Organizzare la difesa d’una c’ttà con milizie cittadine, inesperte, per la quasi totalità, di arte militare, non è cosa possibile nel limite di poche ore. 11 capo delle armi, generale conte De Cecile, interrogato sulla possibilità difensiva di Genova, risponde che la condizione delle fortificazioni è mediocre, la guarnigione esigua, dubbia la fermezza-delie truppe irregolari. Mentre si stava trattando della resa-, l’esercito austriaco, sorpreso nel greto della Polcevera da una improvvisa furia di acque, dopo un violento temporale, ebbe qualche ora di panico e di confusione, e perciò parve ad alcuni genovesi che si dovesse afferrare l'occasione, l’attimo fuggente, per infiggergli ur. grave rovescio, ma sarebbe occorsa la decisione fulminea di un grande Generale, non di un consesso di illustri, ma troppo prudenti patrizi. E del resto chi garantiva il successo della audace sortita? Prima di prendere decisioni di tal fatta, un governo, qualunque governo, soppesa il pro e il contro, e nel frattempo l'occasione è fuggita. Dice il Ridella che il nemico non aveva forze così preponderanti da non poter tentare di res:stergli. Egli sa ebe, dai conti che ho fatto s-u documenti», i Genovesi erano poco più di tremila, gli Austriaci poco meno di ottomila- È vero che i Genovesi disponevano della splendida cerchia di mura, ma essa è di tale amp’ezza che occorrono assai pili di tremila uomini per una. valida difesa. Inoltre era-logico valutare l'esercito austriaco maggiore di quanto fosse in 84 Emilio Pandtani verità, perchè di fronte ad esso si erano ritirati gli eserciti gallo-ispani. Ma, si aggiunge, il Governo avrebbe dovuto avere maggiore fiducia nel suo popolo, poiché la sollevazione del 5 dicembre provò cosa fosse capace di fare. Bisogna però domandarsi se il popolo genovese avesse nei primi di settembre la stessa fiera animosità contro gli Austriaci, che dimostrò nei primi di dicembre. Cosa avrà pensato la maggioranza del popolo genovese alla notizia dell'arrivo degli Austriaci a Sajnpierdurena? Essa avrà imprecato certamente contro i Gallo-Ispani che se ne erano andati senza lasciare una guarnitone in Genova, contro il Governo che aveva condotto la Repubblica a quel frangente : poi avrà soggiunto : Chi ha voluto questo malanno, cerchi di rimediarvi. Ci sono i soldati, ci sono i generali; ci pensino loro. Le scottature delle contr buzioni, l'insolenza, la prepotenza e le ingiurie dello straniero vennero dopo e furono mirabile lievito, che fece fermentare e traboccare Tira e sviluppare il magnifico slancio dei popolani genovesi. Il Governo dunque, piuttosto ohe lanciarsi in un'avventura eroica, preferì trattare e, sotto la ferrea pressione del nemico, il quale minacciava di mettere a sacco, a ferro e a fuoco la città, accettò patti durissimi. Per brevità non li esporremo. Ricorderemo- soltanto che il primo articolo diceva : « Le porte della città di Genova saranno consegnate aH'esereito imperiale » ed invece il Botta si accontentò per il mopiento (disse così) della Porta della Lanterna, poi, visto che v'era una seconda cinta di mura, fece occupare anche la Porta di San Tommaso, ma lasciò tutte le altre porte alla guardia delle milizie genovesi, prigioniere sulla parola, tuttavia sempre provviste di armi. L'articolo terzo diceva: «L'artiglieria, le armi, le munizioni da guerra e da bocca saranno consegnate » ; invece, soltanto due mesi dopo, furono richieste le artigl’erie. Malgrado l'articolo sei parecchi individui delle truppe Franco Ispano-Napoletane, ancora in Genova, che dovevano arrendersi agli Austriaci, comparvero perfettamente liberi durante la sollevazione. Durante i tre mesi dal settembre al novembre entrarono in città, per ordine del Botta, soltanto gli ufficiali generali, quelli di Stato Maggiore e quelli muniti di un biglietto del Botta ; Fesercito rimase a Sampierdarena ; è tuttavia probabile che vi sia stata qualche infiltrazione di soldati, penetrati con qualche pretesto, o anche di nascosto. Sicché quei patti durissimi furono fatti valere soltanto in parte. È vero che il Generale austriaco non insistette su essi perchè intendeva smungere la Repubblica in altra man;era, con le famose Ancorasull’insurrezione Genovese del 1746 85 contribuzioni, imposte poco dopo dal Cotek, ma intanto egli aveva rinunciato alla possibile conquista della città, aveva lasciata inai-terata la sovranità della Repubblica, aveva lasciato ad essa il suo governo con tutte le sue milizie, che avrebbero dovuto, come prigioniere, essere disarmate, mentre rimasero in piena efficienza, ed aveva così, inavvertitamente, dato alla Repubblica la possibilità di potersi vendicare. Quarantotto ore dopo la capitolazione (cioè F8 settembre) il maresciallo conte di Cotek, imponeva a Genova la contribuzione gravissima di tre milioni di genovine (forse una trentina di milioni delle nostre lire) da pagarsi in tre rate ; cioè un milione entro 48 ore, un secondo entro otto giorni ed il terzo entro quindici, con la minaccia di fuoco, ferro e sacco in caso di « mancamento de’ pagamenti di sopra accennati ». Il primo milione fu pagato puntualmente, ma. ben presto, si inizia da parte del Governo il proposito, che diviene sempre più risoluto, di resistere alle pretese del nemico· Il secondo milione viene pagato a rilento, con lunga serie di trattative, rimandando il versamento delle quote, che sono distribuite nei due mesi di ottobre e novembre. Il Cotek insiste con petulanza ; il Botta lo aiuta con la sua abi li ta diplomatica, ma il Governo genovese si irrigidisce sempre più e rimanda i pagamenti, finché il 2 novembre i deputati genovesi, pur non avendo ancora versato cbe parte del secondo milione dichiarano al Cotek che la Repubblica è « nella più assoluta impossibilità di e if et t uare altri pagamenti oltre quelli del secondo milione ». La situazione va peggiorando perchè corre voce che il Botta, dovendo inviare artiglierie all'esercito austriaco, nella Riviera di Ponente, pensi di valersi di quelle genovesi. Il Doge riferisce al Minor Consiglio le intenzioni del Botta e propone che se le artiglierie verranno richieste, pur non potendo opporsi alla requisizione, s; cerchi di ostacolarla. Il 21 novembre il Botta domanda al Governo una parte delle artiglierie genovesi, promettendo di restituirle e chiede che gli siano facilitate le operazioni della « estrazione » e dell'imbarco di esse. Il Governo ritinta il proprio consenso e protesta contro (ale richiesta. Intanto il Cotek, riscosse altre trecentomile genovine, che erano una quota parte del secondo milione, dichiara il 29 novembre di non poter condonare alla Repubblica le restanti cento mila con le quali si sarebbe chiuso il pagamento del secondo milione, e tissa in duecentomila fiorini « l'equivalente delli magazzeni delle provvigioni da bocca, in Genova rilasciate». Inf ne il 30 novembre invia un'ultima violentissima intimazione nella quale toglie ogni speranza ai genovesi circa il « rilascio del terzo milione di contribuzione » chiede 86 Emilio Γλχοιλλι entro 4S ore « le restanti centomila genovine in saldo del secondo milione, ed infine domanda un altro milione (li genovine per il mantenimento delle truppe austriache nei quartieri d’inverno. Tutto ciò doveva essere eseguito integrai mente perchè se non si fosse obbedito, il generale Botta sarebbe passato, « senza il minimo ritardo alla esecuzione di quelli espedienti che gli sono prescritti ». Alla lettura di questa intimazione, nella seduta del 1° dicembre, tutti i Senatori, eccetto Gian Carlo Brignole, decidono di rifiutare qualsiasi altra contribuzione e convengono di fare conoscere pubblicamente la politica seguita dal Governo e le violenze, le minacce, le esorbitanti pretese alle quali esso era stato ed era sottoposto, perchè il popolo non creda che gli atti già compiuti e quelli che fossero per compiersi dipendano dalla debolezza e dalla remissività del Governo. 11 due dicembre v’è un'ampia discussione sugli argomenti che i membri del Governo avrebbero potuto svolgere per informare i cittadini « coll'avvertenza che i mentovati discorsi s ano tenuti in occasioni naturali e senza far comprendere che siasi preso adesso dal Governo la risoluzione di palesarli ». Malgrado che alcuni dei Senatori si dichiarino nettamente contrari ed alcuni altri facciano presenti i pericoli cui si va incontro, la maggioranza approva la proposta di togliere il segreto sui negoziati ed in tal modo la popolazione è informata dai suoi reggitori delle gravi pretese austriache e del proposito del Governo di respingerle. Il 3 dicembre i deputati della Repubblica recano al Cotek la-risposta alla sua ultima intimazione (quella del 30 novembre), risposta che è netto rifiuto ad ogni altra contribuzione. Il Botta, informato della cosa, esprime il dubbio che 1 Genovesi non abbiano esatta cognizione del grave pericolo al quale vanno incontro, poiché l'esecuzione militare « recherà tale desolazione quale niuno se la saprebbe figurare ». I deputati, senza dare segno di emozione, gli rispondono molto freddamente che il governo austriaco chiede cosa umanamente impossibile e che la violenza usata dalla Casa d Austria produrrà tristissima impressione in tutto il mondo. Il Botto, da buon negoziatore, insiste sulla convenienza della Repubblica di rassegnarsi ad una grave perdita della sua ricchezza, e· della sua potenza, piuttosto che affrontare il rischio di una imposizione a niano armata ; poi « per mostrarsi discreto » suggerisce che si paghino subito i centomila scudi, cioè l’ultima rata del secondo milione, perchè ciò potrebbe servire di merito come parzia.e adempimento di cosa convenuta ; ma, visto che i deputat’ non erano disposti a cedere, finisce col dire che vuole assumersi la responsabilità di concedere altre quarantotto ore al Governo per decidere !a questione. Nel dire ciò, si rivolge al conte di Cotek, quasi per chiederne Ancora sull’insurrezione Genovese del 174G 87 il consenso; questi non dice parola; i deputati tacciono ed allora Ü Botta alzatosi, replica con fare amichevole e quasi di protezione che attenderà i deputati per il lunedì mattina (5 dicembre). ,Questi, pur osservando « quanto fosse poco lontano il sabato dal lunedì», ►salutano il marchese e partono. Già dal 26 novembre il Botta aveva mandato a prendere possesso della Batteria di S. Benigno, ordinando che se ne puntassero le bocche da fuoco sulla città; nei giorni tre e quattro dicembre ufficiali austriaci avevano ispezionato i vari posti di guardia della città, chiedendo agli ufficiali genovesi il numero dei soldati, lasciando capire c he presto sarebbero stati sostituiti da truppe austriache. Altri ufficiali erano entrati burbanzasamente nella Darsena, ove, fatta aprire a forza la porta del magazzino delle palle da cannone avevano riconosciuto il calibro dei proiettili. La sera dei quattro, un capitano tedesco affermò al capitano Tallone che il giorno dopo (5 dicembre) dovevano entrare in città sei battaglioni (circa quattromila uomini) al copiando di due generali. Tutto ciò gettava l’allarme nella città e faceva temere prossima l’occupazione di Genova, e tuttavia la mattina del 5 dicembre G. B. Grimaldi e Cesare Cattaneo si recavano dal Botta a riconfermargli la ferma intenzione del Governo di non cedere in alcun punto alle imposizioni austriache. 11 Botta «con atteggiamento altrettanto deciso », li invitò a ben ponderare sulla gravità di una simile deliberazione, e si studiò di nuovo di convincerli che la migliore soluzione fosse quella di cedere. I deputati si mostrarono irremovibili. Ciò accadeva nei mattino del 5 dicembre in Sampierdarena ; nel tardo pomeriggio accadeva il famoso fatto in Portoria. È giunto il momento di domandarsi : Ciò che abbiamo esposto sulla scorta di documenti sicuri è prova che siamo di fronte ad un Governo debole, pauroso, pusillanime, come afferma sempre il Ridella, o non è la- chiara testimonianza che il Governo, pur avendo ceduto in un primo tempo alla violenza, seppe rapidamente riprendersi e giunse infine a respingere ogni trattativa con il nemico? È possibile che questo Governo che ha detto risolutamente no al nemico e sa perfettamente a quali rischi espone la città con tale rifiuto, questo Governo che ha visto puntare i cannoni della batteria di San Benigno contro la città e non ha esitato a ripetere risolutamente: no al Botta ed al Cotek, è possibile che non provi una grande gioia, quando gli giungono le notizie del moto di Portoria, vedendo in esso la prova che il popolo s'è desto e che il nemico è virtualmente sconfitto? Noi abbiamo per fortuna tra le carte dell'Archivio di Stato i verbali delle sedute tenute dal Minor Consiglio insieme ai Senatori 88 Emilio Pändiaxi ed al Doge in quei momenti gravissimi per la città. È bene che li scorriamo per assistere alla discussione di questo Governo così maltrattato e vituperato. Il verbale è scritto currenti calammot durante l’assemblea stessa, dal Segretario, ed è perciò molto scorretto nella forma, ma esatto nella sostanza, perchè ratveoglie dalla viva voce degli oratori la loro schietta opinione. Nell'assemblea del giorno 5, tenutasi poco prima del fatto di Portoria, anzi probabilmente nello stesso tempo in cui avveniva lo storco incidente del mortaio, i membri del Minor Consiglio· parlavano della situazione della Repubblica. Matteo Franzoni diceva : « La palesazione seguita delle nuove domande (e cioè : l'avere permesso ai membri del Governo di palesare le enormi pretese degli Austriaci) ha portato il buon effetto nella città di compatire il Ser.mo Governo e Γorrore contro i Tedeschi e di voler tutti unanimi conservare la città e la libertà ». Consiglia di dare ordini agli ufficiali di guardia dei posti di ιαοη palesare nulla agli Austriaci che facessero domande e che « non si appartino dal compiere al loro debito con difenderli ». Infine: « armarsi di costanza e non abbandonare il Governo ». Il secondo oratore, G:an Carlo Brignole è evidentemente un timido: «pone in tutto l'orrido aspetto le esecuzioni militari», perciò accederebbe a sottoporsi a qualche capitazione, e anche a qualche discorso sul quarto milione, piuttosto che alle esecuzioni. Il terzo oratore, Gian Domenico Spinola discute la proposta del Franzoni circa il diritto che avrebbero le milizie di difendere i posti (s’intende sparare contro gli Austriaci) perchè, secondo la capitolazione. sono considerate prigioniere di guerra e consiglia di munire i posti « invece di ufficiali, con capitani de’ scelti e con cittadini, e difenderli» (cioè sostituire gli ufficiali delle milizie, che erano stranieri, con capitani dei « scelti » che erano Patrizi genovesi, togliere le milizie e porvi chi poteva, libero da ogni giuramento, difendere i posti anche con le armi). Rispondendo al Brignole, egli dice : « Non si deve promettere niente (al Botta) ; già troppo si è fatto : protestare anzi, e per Poccupazione indebita di porte e posti circonvicini (perchè gli Austriaci, dalle alture di San Benigno, muovevano alla occupazione delle mura verso il monte Peraldo) e per le artiglierie, ma mettere le proteste in iscritto ». Tali erano i propositi enunciati dal Minor Consiglio proprio mentre avveniva l'improvvisa vampata della folla presso il mortaio affondato in Portoria. Salvo le deboli proposte del Brignole, le altre non parlavano chiaramente di resistenza a mano armata? Di vera e propria entrata in guerra? E che altro poteva aspettarsi il Governo dopo aver rifiutato ogni accomodamento con il nemico? Ancora sull’insurrezione Genovese del .1740 89 Il verbale delFadunanza risulta incompleto, e ciò è dovuto quasi certamente alla notizia giunta a Palazzo del tumulto di Portoria. Che avrebbe dovuto fare il Governo secondo il Ridella? Scendere fra il popolo, rompere ogni relazione con gli Austriaci, unire le proprie milizie alla folla che urlava : armi ! armi ! davanti al Palazzo, ed entrare immediatamente in guerra. Idea eroica, che il Governo non seguì· Perchè? Si può congetturare che il fatto nuovo ed inaspettato della insurrezione popolare scompigliò i piani del Governo : esso pensava ad una resistenza agli Austriaci inquadrata da lui, con sue milizie, e con sue? direttive; una resistenza che doveva aspettare le mosse del nemico contrastargli secondo· le circostanze. Invece il magnifico slancio, la superba ventata di rivolta del popolo genovese gli tolgono baldanzosamente di mano la iniziativa dell'azione e procedono senz’altro all’offensiva. Ma entriamo nell'animo dei governanti in quel momento. Potevano essi fidarsi di. questa improvvisa esplosione popolare, o non dovevano dubitare che il popolino, pur rovente contro la prepotenza degli Austriaci, abbandonasse la partita nel volgere di poche ore? È facile dire oggi che il Governo ebbe torto in quella sera del 5 dicembre, ma è anche comprensibile che allora, nel primo momento, il Governo non si fidasse e mandasse suoi deputati al Botta per narrargli l’incidente, riversandone la colpa sula brutalità dei soldati, ed anche per ottenere dal Botta che « non si proseguisse per adesso il trasporto della artiglieria, quale, se seguisse adesso e si vedesse dal Popolo già commosso, potriano seguire degli incidenti disgustosi senza colpa del Governo ». Probabilmente il saggio consiglio giunse al Botta quando già cento granatieri erano avviati verso Genova a riprendere il mortaio, e del resto, anche se gli fosse giunto in tempo, è certo che egli non lo avrebbe accettato. to noto ciò che avvenne quando i cento granatieri furono giunti all'angolo fra Via Lomellini e Via San Luca Una terribile grandi- ì nata di sassi ne scompigliò le file e costrinse i granatieri a ripiegare e poi a fuggire in disordine per le vie che conducevano alla porta di San Tommaso. f: una nuova vittoria del popolo, che lo inorgoglisce, lo entusiasma, lo incoraggia, ed ancora una volta esso corre dinanzi al Palazzo del Governo clredendo con grandi grida: armi! armi! 11 cancello è chiuso, la guardia rinforzata, nessuno risponde. Alcuni animosi tentano eli penetrare con scale a pioli nella Armeria del Palazzo, ma accorre un ufficiale con una pattuglia e fa ritirare e bui tare a terra le scale. Allora la folla si sparge per la città e, divisasi in squadriglie, si impossessa dei fucili nei posti di guardia, fa piazza pulita ne ile 90 Emilio Γλχοιλμ botteghe degli armaioli. Il generale Stefano l)e Mari riferisce al Governo che una squadriglia di paesani ha portato via cinque schioppi al posto di guardia sotto la Loggia di Banchi e che hanno fatto sapere per mezzo di un prete che « i 5 fucili saranno ben custoditi e restituiti a suo tempo, 11011 essendo stati presi che per la difesa del Principe». In Sa r za no un gran numero di paesani hanno forzato il magazzino del Reggimento Creder, asportando più di cento fucili ; al Castellacelo hanno rotto« la porta di una polveriera e preso la polvere ; introdottisi « furiosamente » 111 casa di Nicolò Cavagnaro, hanno asportato duecento fucili del reggimento Falcone. Ciò riferisce il generale De Mari, senza un commento'. I soldati addetti ai posti, ai magazzini, alle polveriere si sono lasciati portar via fucili e munizioni senza un conflitto, senza sparare un colpo di fucile. II De Mari ha avvertito anche nel suo rapporto : « Il posto della Mala paga è assediato, vogliono le armi » ; poco dopo i popolani si impossessano di alcuni cannoni presso la Malapaga, ed hanno anche polvere e proiettili. Sicché il Gos*erno, pur avvertito dal suo Generale, si lascia portar via anche i cannoni senza far motto. Non si può dunque resistere a questi violenti sollevati? Strano però che essi abbiano tentato di .suonare campane a storno, ma è bastato un ordine del Governo perchè ciò non accadesse ; hanno tentato di entrare nell'Armeria ma è bastato un ufficiale con una pattuglia per farli desistere dal progetto. Dunque, quando vuole, il Governo si fa rispettare ! Seguiamo questa folla improvvisamente armata Essa si dirige verso la Porta di S. Tommaso tenuta dagli Austriaci ed inizia un vivacissimo scambio di fucilate con essi. Gli Austriaci, risalendo le mura, tentano di prendere al rovescio gli assalitori. Questi occupano alcune case di fronte ad essi, ma sono respinti verso Via Balbi, e gli Austriaci piazzano un cannone che spazza la via. I popolani oppongono a loro volta un cannone. La mischia si trasforma in battaglia e si sente la necessità di un comando, di una direzione di persone esperte, ed allora si forma in gran fretta un quartiere generale del popolo, di cui sono capi Tommaso Assere to," Carlo Bava, G. B. Ottone ed altri. Per tutto iD giorno v’è un'alterna vicenda di eventi favorevoli ora agli uni, ora agli altri, tinche sopraggiunge la notte, durante la quale Cittadini ed Austriaci si rafforzano nelle loro posizioni e prò curano di occupare posti più favorevoli per il domani. Qui sorge la domanda : il Governo prese parte alla lotta? Apparentemente no. Leggiamo cosa scrive il prof. Ridella (pag. 155) circa la costituzione del Quartiere Generale del Popolo. « ...- la minoranza, non meno che la maggioranza dei Collegi e Ancora sull’insurrezione Genovese del 1746 91 del Minor Consiglio e con essi tutta in genere la nobiltà, non esclusa la borghesia-, dovevano desiderare che la direzione del popolo armato fosse affidata a uomini di loro liducia che ne vig lasserò la condotta e lo mantenessero· disciplinato e ubbidiente alle leggi della Repubblica. Parve dunque che ai desideri così della Signoria, come del popolo potesse rispondere Tommaso Assere to copie quello che apparteneva ad onorata borghesia, avendo dato prova di valore in altre fazioni di guerra». Dunque, riepilogando, il Governo, tutto il Governo, poi tutta in genere la nobiltà, non esclusa la borghesia, desiderano che alla direzione del popolo armato siano uomini di loro fiduc'a. Perciò viene eletto Tommaso Assereto. Vale a dire, se 11011 andiamo errati, che nello stesso sei dicembre, agli inizi della lotta con gli Austriaci, iL-G-Overno prese parte alla elezione del capo del Quartiere genera'e del Popolo. Del resto, ulie egli fosse ίιιι mandatario del Governo viene provato da un rapporto del Magistrato della Guerra, nel q\iale, dopo aver riconosciuto l’Assereto come « uno dei capi principali che animasse il popolo ad intraprendere e proseguire ciò che cosi felicemente ò accaduto» si ricorda << la ^ubord; nazione che in tutte le operazioni si studiò di mantenere verso il Governo Serenissimo, a cui minutajnente ragguagliava ogni cosa e chiedeva come doveva re. golarsi per secondare la di lui intenzione; come così attestano alcuni Magnifici Patrizi, i quali hanno avuto occasione di esserne intieramente informati ». . Accanto all'Assereto nella direzione del Quartiere generale^ tu Carlo Bava, Egli e PAssereto furono arrestati, il 28 dicembre 1746, dai popolani stessi, per accusa di malversazione di pubblico denaro. e condotti nella Torre del Palazzo. Il Governo li fece processare da una commissione di patrizi che, tenendo conto dei meriti dei due imputati nelle giornate della cacciata, li assolse da ogni accusa. . Infine furono gratificati del grado di Colonnello ne.la milizia della Repubblica e tenuti sempre in buon conto dal Governo. Tutto ciò dice il Ridella, « d: mostra la parziale condiscendenza della Signoria vèrso di loro » e noi non aggiungiamo altro. Terzo fra gii eletti del Quartiere generale del popolo fu G. B. Ottone clic più tardi, nel 1748, per ottenere dal Governo un piccolo 'ufficio presentò una relazione di quanto egli aveva comp uto in pro della Patria e da questa relazione, pubblicata nel mio volume, ri sulta, secondo me, h\ velata assistenza del Governo lm dal primo giorno della sollevazione. # Un altro narratore delle vicende (li queste prime giornate fu il mediatore Nicolò Rolla ed il suo racconto (da me pubblicato) coniormerebbe la segreta intesa del Governo con il popolo, ma il Rolla non e molto stimato dal KidelMpag. 81 n. 3) che lo giudica un vanitoso 92 Emilio Paxdiaxi ed im chiaccherone ; tuttavia è da ricordare che la sua narrazione, presentata anch'essa al Governo per ottenere un compenso alle sue fatiche ed ai suoi meriti è attestata come veritiera da ben dodici fiiTOe autenticate da un notaro e tra esse troviamo la firma di Ettore Fiesclii, di un prete, di due tenenti, di un maggiore, di. due colonnelli, che sono Domenico De Franchi ed il Marchelli ben noto per avere preso parte attiva nelle giornate genovesi, infine di Gian Giorgio Zoagli, Bernardo Richieri, Federico De Franchi ecc. Non intendo fermarmi sulle testimonianze di questi due narratori ; credo che valga assai più Tesarne dei verbali della seduta del Minor Consiglio di quel giorno. Insisto nel far notare che questi verbali sono la espressione genuina ed immediata dei sentimenti del Minor Consiglio, a poche ore di distanza, anzi spesso contemporaneamente agli avvenimenti; sono parole colte dal Segretario nel momento in cui erano pronunciate e perciò ne risulta un periodare spezzato, contorto, ma efficac:ssimo. Apre la serie dei discorsi il Magnifico Matteo Franzoni che. pone subito il dilemma : « o sedare la commozione » (sommossa) CLjlar-vi qualche direzione. Da quanto dice appare evidente la sua simpatia per il secondo corno del d;lemma, poiché propone di armare delle Compagnie Urbane comandate da Patrizi o da altre persone del-rOrdine non ascritto, ma non sapendo ancora come la pensino i Colleghi « si risalva di sentir altri per dedurne il proprio sentimento ». Il secondo oratore. Gius. Maria Brignole, è anch'egli indeciso. Osserva che il popolo é persuaso che il Governo si sia opposto « che si porti via Partigliela », e circa la sollevazione propone di tenere « in speranza » il popolo, guarnire i posti con la direzione di soggetti (sudditi) in qualità di Capi e se il Botta non vorrà desistere dal disegno di requisire le artiglierie « è segno che vuole il sacrificio e perciò devesi prendere le misure per non restare sacrificati ». Il terzo oratore, Gian Domenico Spinola avverte che i Tedeschi si, sono avanzati per prendere il posto della Darsena, ne sono stati cacciati dal popolo ed osserva che « se il Botta non si quieta, lascierebbe la br’glia al popolo; che se si ha da risolvere si faccia presto e godere della congiuntura ; ma fare il tutto con ordine e persone che sappiano e parlare e agire ». Circa il dare le armi al popolo « se viene l’occasione lasciare che se le prendino». Infine fa notare che « non v'è denaro, che tutti potrebbero sovvenire, ed egli offerisce L. 1000 e ne dà la parola al M. Segretario». Sorge a parlare Giacomo Lomellino e dice che il popolo « ha tante arme che bastano per non ubbidire, ma non per far bene». In quel momento giunge notiz a che la folla è corsa all assalto della porta di S. Tommaso ed allora il Lomellino, riferendo la notizia, esorta a provvedere, barricare le strade e « chiamare i Bisagnini ». Accora sull'insurrezione Genovese del 1746 L’assemblea si anima. Giuseppe Brignole esclama: « se la cosa ù rotta, expzdit pro bono pubblico sostenere il calore della gente che è animata, essendosi sbarazzata. Far occupare le alture e poi campane a martello». Ed ecco Matteo Franzone, il primo oratore, ri prende la parola ed esclama: «ora tutto ù cambiato.... bisogna dunque aiutare il popolo... convien far capire nel sortire dal Consiglio che si è risoluto di ass;stere». La discussione si accalora sempre più. Giacomo Veneroso domanda cosa si debba dire al popolo. Giacomo Lomellino propone di dare un comando a Paolo Zerbi che « ha saputo prendere la Bastia ». Si propone di far suonare campana a martello nelle due valli, ma la proposta non è accettata. Sorge a parlare Frane. Maria Grimaldi, che rappresenta la parte più timorosa e meno decisa del Consiglio. Egli popone di « non dar direzione al popolo, ma lasciar- lo fare; rispondere a Botta, che ha acceso questo fuoco, che il Governo deve soffocarlo, ma che esso non d:a innovazioni, altrimenti sarà esso responsabile, mentre nemmeno il Governo può mostrarsi suo aderente per 11011 essere esso stesso rovinato » ; ma subito Giuseppe Brignole ripresenta ïa proposta di suonare campana martello, « che Botta dovrà stare in guardia e il popolo potrà sfogarsi ». Replica Franc. M. Grimaldi che sarebbe bene « mandare qualche pichetto con iiliziale discreto per sedare e persuadere il popolo a quietarsi ; che seûTJVnc ciò non porterà benefizio, pure farà quello di potersi sempre dire a Botta che si son fatte tutte le parti ». La proposta messa ai voti non è accettata. Allora il Grimaldi propone di scrivere al Botta che si pensa di calmare il popolo, ma è necessario che il Botta « non faccia alcun movimento ». 11 Franzone consiglia di incaricare F. M. Grimaldi della stesura del biglietto per il Botta e la proposta è accettata. Ma è pure accettata, si noti, la proposta di «levare dal segreto», cdoè rendere pubblica la lettera al Botta. L'assemblea si chiude con la deliberazione di radunarsi una seconda volta nel pomeriggio. Non occorrono commenti al orbale suddetto per dimostrare la volontà dell'assemblea di aiutare la sommossa popolare, pia. il Ri-delia, per dimostrare il contrario, mette in gran luce sei ordinanze emanate in quel giorno dai Ser.mi Collegi, che paiono contrastare a quanto si era detto nella seduta già accennata. Delle sei ordinanze, due appaiono date prima della seduta. La prima ingiunge ai Parroci di invigilare perchè nessuno entri nei campanili i>er dare campana a martello; la seconda ordina alla guardia del Palazzo di impedire Γingresso alla Armeria. Delle altre quattro la prima invita i marescialli di campo Escher e Sicker di provvedere a misure di sicurezza per evitare « i gravissimi inconvenienti che possono temersi da 1111 popolo commosso » ; la seconda ordina di rinforzare la guardia del Palazzo, riunire in due o tie luoghi la truppa che è in 94 Emilio Γλχμλνι Genova per valersene in « quelle occorrenze fossero forzose nelle presenti circostanze)) e studiare se, «senza contravvenire gli accordi fatti col Generale austriaco, si possano formare barricate per impedire il maggior disastro della città»; la terza ordina ad un Colonnello e a due Maggiori di recarsi il domani, alla punta del giorno, in giro per la città e particolarmente nei dintorni della Porta San Tommaso per d:stogliere il popolo da ulteriori attentati, ma, si noti bene, «con quelle avvertenze che, a tenore dei discorsi del Circolo Ser.mo comuniclierà iSua Serenità » ; la quarta invita i Consoli nel-v le Arti di persuadere i loro artigiani a non commettere ostilità contro la Porta di S. Tomaso. Alcuni di questi ordini furono certamente eseguiti ; ad es. quel- lo di non suonare campana a martello, quello di impedire 1 accesso alla Armeria e probabilmente quello del rinforzo alla guardia del Palazzo, ma circa le misure per frenare «la commozione del popo. lo » abb:amo una lettera dei due Marescialli che confessano 1 impossibilità di opporvisi e propongono di avvertire il Botta « che il Governo, lontano dall'avere alcuna inano in ciò die succede, ne prova tutto il dispiacere senza poter rimediare» insinuando al Botta di «fare qualche trattato da proporsi al popolo, copie quello di evacuare la città, di non pigliare più artiglieria, nè mettere più impo- s:zioni ». . . Non pare strana, in una· lettera di due Marescialli, la necessita di confermare che il Governo era « lontano dall’avere alcuna mano in ciò che succedeva»? e _ Ma tornando agli ordini tanto criticati, osserveremo che soltanto gli ultimi due hanno importanza contro il popolo. Furono essi eseguiti? Non ne abbiamo la prova. E anche se furono eseguiti, ciò fu fatto con impegno, oppure non fu una semplice finzione? Mi si conceda un esempio: quando il generale Garibaldi si preparava a passare lo stretto di Messina per marciare contro Napoli, il He Λ ìt-torio Emanuele II gli inviò una lettera ordinandogli di non passare 10 stretto, ina in una lettera confidenziale gli scrisse di fare quanto gli paresse più opportuno. Non sarebbe qui successa la stessa cosa. E se persino PAccinelli non ne fa cenno nella sua Storia, è assai dubbio che essi siano stati eseguiti, specialmente quello degli ufficiali cjhe dovevano recarsi a distogliere il popolo dal combattere, perchè è da ricordare che essi dovevano recarsi alla punta del gior· no seguente « con quelle avvertenze che, a tenore dei discorsi del Circolo Serenissimo, comunicherà Sua Serenità » cioè dopo quanto fosse stato deliberato nel x)omeriggio, e dopo un abboccamento con 11 Doge, che il Ridella stesso stima favorevole ai sollevati- E non sera g;à detto nella seduta mattutina: «Che sebbene ciò non porterà benefìcio, pure farà quello di potersi sempre dire a Botta che si son fatte tutte le parti » ? Ancora sull’insurrezione Genovese del 1740 95 In ogni modo leggiamo il verbale della seconda seduta del Minor Consiglio. In quella· sera del (> dicembre appare evidente Γincertezza dei Consiglieri sidl'andamento della sollevazione ed il timore che.gli insorti abbiano ad abbandonare la partita. Il primo oratore, Giacomo Lomellino, non sa cosa potrà succedere nella notte e vorrebbe che si facesse qualcosa per tenere il popolo alle sue posizioni. Osserva « che se si fossero fatte le barricate il popolo non si sarebbe avanzato di più ». Giovanni Scaglia consiglia di quietare il popolo, ina non dissipalo, perchè « i Tedeschi potrebbero venire osservando che più non v’è ostacolo » ; che il popolo « continuando dosi senza regola si disperderà » e vorrebbe che « per mezzo di qualche soggetto, d’ordine di Lor SS. Ser.me, senza che apparisse pubblica ingerenza, si (lasse (sic) allo stesso qualche ordine... non più far disordine, ma stare sulla semplice guardia... pane e vino che sia alle stapole e che si distribuisca anche senza pa-gapiento— quietare il popolo, regolarlo, e non toglier loi dai posti». Giuseppe Brignole raccomanda, anch’egli, che si regoli la distribuzione del pane, osserva che il popolo, essendo senza regola, si dissiperà, ed agg:unge queste parole che sono veramente rivela-trffli : « Sa benissimo che non deve, comparire opera del Governo e sa che queste sale spandono » (cioè che il segreto delle deliberazioni del Governo non può essere facilmente mantenuta. Dall’insieme dei discorsi appare evidente il timore che la sollevazione non riesca nei suoi intenti. Ë noto invece che il popolo seppe mantenersi sulle posizioni conquistate e che il giorno 7 allargò le sue conquiste occupando anche le mura· e le porte dal lato della Valle del Bisagno, ma, pur lasciando da parte la narrazione di Nicolò Rolla, che comproverebbe l’ingerenza diretta del Governo nella azione popolare verso Torta Pila e Porta Romana, fondandoci soltanto sui rapporti del generale Stefano De Mari al Governo, appare evidente che'le milizie regolari genovesi ebbero l'ordine di non far fuoco sui popolari e di ritirarsi, dopo la occupazione degli irregolari, verso il Palazzo. È vero che, nello stesso tempo, il patrizio Agostino Ayrolo. salvava un battaglione austriaco in Albaro, facendolo acquartierare in alcuni palazzi, negando alla folla di impadronirsi degli Austriaci, ma ciò è spiegabile colla politica del Governo di non apparire pubblicamente fautore della sollevazione. In conclusane, la sera del 7 dicembre la situazione appariva assai critica perchè « il popolo non è in quel gran numero che si crede per poter resistere» ed appare «già stanco ed incapace a difendersi nonché ad attaccare, tanto più che non si vede rinforzato dalla maggior parte di Genova, anche di popolo minuto che sta a vedere ». Il Governo aveva mandato anche in quella mattana due suoi 96 Emilio Pàndiani deputati al Botta per riferirgli circa la sollevazione, ed il Generale aveva posto il quesito che, o il Governo aveva parte nella sollevazione o no, ed in questo caso poteva eou le proprie truppe porre freno ai tumultuanti, ohe se queste non fossero sufficienti, avrebbero provveduto egli stesso con le sue ed aveva insistito sulla necessità della azione del Governo genovese contro i sollevati; ma gli si era risposto « che la Repubblica non avrebbe mai voltato1 contro i propri sudditi le armi che erano destinate soltanto alla loro difesa» (p. 133). Nei discorsi del Minor Consiglio di quel giorno* appare evidente l'incertezza del Governo sulla politica da seguire. In città regnava la confusione ; il popolo combatteva per la libertà, ma la gentaglia profittava del disordine per svaligiare i negozi e commettere furti ; il popolo colto e quello bottegaio erano incerti se dare man forte alla plebe, non vedendo ancora chiaramente se il Governo la sor reggesse; perciò i Senatori, pur convenendo di non ricorrere alla forza, pensavano se non fosse miglior consiglio quietare la folla e distoglierla dal continuare la lotta, Durante la discussione giungevano notizie dei progressi dei sollevati verso la Valle del Bisagno, avendo occupato la porta della Pila, ed allora qualche Senatore, preso dall'entusiasmo, esclamava: « Il Governo è in mezzo, dunque non ha elezione, ma coadiuvare». Domenico Spinola consigliava: « Si facci sonar campana a martello e così potrà patteggiarsi con Botta ». Giovanni Scaglia osservava « Che non bisogna così presto rallegrarsi', ma andar con destrezza». Matteo Frantone avvertiva « che i tedeschi han possesso delle muragliette : dunque rompere subito». A tali proposte il Governo rispondeva « che secondo le notizie si daranno le provvidenze; che per sonar campana sarebbe troppo rovinoso». Ciò vale come dire che si accettavano i consigli, tranne quello di sonare a martello. Durante il Consiglio si leggeva una Memoria nella quale, dopo aver dato notizie sulla pochezza delle forze dei sollevati, si lanciava questa proposta: «Per ovviare maggiori disordini bisognerebbe andarvi al riparo con una nuova maniera » la quale servirebbe anche « per persuadere tutto il mondo a credere che il Sr.niO' Governo non vede volentieri il presente tumulto» (si osservi la frase: «persuadere tutto il mondo a) credere che» etc., 11011 «persuadere tutto il mondo che ecc. »). La maniera consisteva nel consigliare il popolo a proporre un armistizio con gli Austriaci ; « in caso non vi si riesca, servirà per coonestazione del Sei".ino Governo ». Si era giunti a quel punto critico che hanno quasi tutte le sollevazioni, nel quale i combattenti sentono la necessità di raccogliersi per deliberare se si possa 0 no continuare la lotta; la mattina delT8 dicembre, i popolani combattenti contro la porta di San Tomaso si abboccano coi parlamentari austriaci e concludono una Ancora sull’ixsuhrezione Genovese del 174G 97 sospensione d’armi per tre ore, ma poi la sospensione è prorogata per il resto del giorno e la notte seguente. Si iniziano trattative con gli Austriaci, essendo intermediario il Principe Doria. Questi si reca nel pomeriggio a Palazzo per trattare a nome del Botta, jna il Doge gli dich:ara che « non poteva entrare in trattato veruno, restando dal canto suo nel proposito di osservare le capitolazioni » e per conseguenza il Doria si rivolge direttamente ai Capi della plebe, essendo questa ormai totalmente sfuggita di mano al Governo. Questo punto che potrebbe servire magnificamente al Rrdella per sostenere la neutralità del Governo durante la sollevazione del popolo genovese, è invece il punto in cui esso stesso confessa la segreta. intesa non del Governo, ohibò, ma del Capo del Governo, corf i sollevati. Occorre premettere cjhe il Ridella ha sempre a riguardo del Doge Gian Francesco Brignole parole di rispetto e di ammirazione, ed ha persino accennato ad una probabile elargizione di denaro latta privatamente da lui ai sollevati nel primo giorno della sommossa (p. 93). Qui egli esclama: «Così doveva rispondere chi, come Doge, doveva ppresentare i propositi e i sentimenti del Senato a cui pre siedeva, ina come poteva il genoroso petto di Gian Francesco Bri gnole Saie abbandonare le sorti della Patria alle pratiche di un Principe che si teneva il Generale nemico ospite riverito ed onorato nel proprio Palazzo»? ecc. ecc. «Xon v’era più da dubitare nè da indugiare. Il Doge cedeva il luogo al cittadino e di nascosto per mezzo di uomini fidati.... fece avvisare il popolo che non credesse troppo al nemico e non accettasse condizione alcuna se prima e subito non gli si dessero positive guarentigie di restituita-libertà» (p. 14G). In conclusione, il Ridella confessa che il Doge avvertì il popolo di non cedere, ma ciò fece come cittadino, non come Doge...· « contravvenne al mandato Senatorio, ma scongiurò il per'-colo di una pace ingannatrice, sventò le insidie del nemico e cooperò alla vittoria popolare». Continua il Ridella: «Avrebbe egli ricorso a questi mezzi obliqui se non vi fosse stato costretto dalia deplorevole ostinazione del Senato? Ostinazione deplorevole perchè... il Governo... persisteva nel proposito di reprimere e rendere nuUo il generoso moto del popolo che aveva impugnato le armi per la salvezza della Patria » (p. 147). Vale a dire che il Brignole, come cittadino incitava il popolo a continuare la guerra, come Capo del Governo intendeva reprimere il generoso moto. Curioso sdoppiamento di un Doge che, vedendo il bene del suo popolo, accetta le idee di una maggioranza che ne voleva il danno- Ma vi sono altre prove, in quel giorno, di connine -'ntesa tra 98 Emilio Pandiani Governo e popolo. Y'è un biglietto del patrizio Gian Domenico Spinola nel quale egli avverte il Segretario dei Ser.mi Collegi dei consigli· clie egli ha dato al popolo circa il modo di trattare con i Botta e vi è pure una serie di avvertenze per i Collegi Ser.nu ed in calce al documento è scritto ebe « il corpo nobile 11011 deve tare alcuna mossa, nè prendere alcuna ingerenza ed unicamente staie .1 sentire le proposizioni [che] saranno fatte dal nemico, alle qua 1 proposizioni dovrà sempre rispondere il popolo, istruito sempie oc (■ultamente dalla nobiltà ». Il Ridella gioca sulla parola « nobiltà », distaccandola dal Governo, ma il solo fatto che lo Spinola indirizzava il biglietto al Segretario dei Collegi è chiara prova dell’accordo tra Governo e popolo Y’è pure nello stesso giorno la missione del padre Λ ìsetti a generale Botta, la lettera di rapporto circa questo colloquio da parte del Visetti al Doge, ed unito ad essa il famoso biglietto : « lo scrivo a Y. S. (il Doge·) per l'amore del pubblico bene. Se il marchese Botta non promette in maniera che egli non possa negare di a\er promesso, Yostra Serenità non gli creda· punto e non solo lasci, operare la moltitudine, ma, almeno secreta mesate, cooperi alla connine difesa. Faccia protestare al Nemico (che egli è tale) che asso Altamente i Signori non possono più impedire: e creda che il darg;i tempo è un armarlo di più». Il ideila vede in questo biglietto la-prova che il Doge e i Collegi non avevano mai cooperato alla comune difesa, perchè, osserva, il Visetti non avrebbe mai ardito rivolgergli una raccomandazione così grave se la condotta d » e dei Collegi non gliene avesse dato giusto motivo. Ed aggiu „ -«Non si raccomanda che si faccia se non ciò che ancoia non s Rispondo che il «lasci operare la moltitudine» e « almeno se-eretamente cooperi adla comune difesa» può intendersi con|® continuazione di opera già in atto. Infatti, il « faccia P10 " ‘ al Nemico che i Signori non possono più impedire» si riferisce un fatto che il Governo aveva già dichiarato dal principio 1 sollevazione. . . Ti Passiamo al 9 dicembre, trascorso ancora in trattative, u - della, esponendo l’opera del Governo, -usa l'artificio dl. s?r'°la sulle fiere proposte enunciate neäl'aula del Minor Consiglio esporre invece ampiamente la lettera (fu 1 ultima) che 11 ^ ,Ί·ι ° viò al Marchese Botta. Tralascerei, per economia, di riferire s pure in succinto, il verbale della seduta del 9 dicembre se esso non contenesse altre documentazioni dell’intervento del Governo alla sollevazione. Il primo oratore Giacomo Lomellmo osserva che « si può dar prova di come (Ί Governo) non siasi ingenio Ml moto lasciando che senza; serare s'impadronissero (gli insorti) delle m raglie » (cioè delle mura dall lato della Yalle del Bisagno) Che « bi- Ancora sull’insurrezione Genovese del 174G 99 sogna dar mano al popolo e favorirli con i Capi, ma sempre nascostamente ; fare ma senza parlare >v. Gian Domenico Spinola domanda « perchè s'& fatta la tregua, e perchè i Collegi vi si ingeriscono » e raccoirçanda « che si dia guida al popolo, pane, denaro ». Giuseppe Brignole conferma '«che stando fermo non debba essere pubblica ingerenza palesementet vi deve essere tacita... che questa è un’occasione in cui si può ricuperare l’onore perduto e che devesi dal Governo animare tale impulso... perchè non si può più tornare indietro nello stato delle cose». È pur vero che Gian Domenico Spinola si lagna che le Signorie Serenissime tacciono le loro intenzioni e protesta non essere giusto « che se ne vada il Minor Consiglio allo scuro » ma il Go verno sapeva pure che « queste sale spandono» e che bisogna «fare, ma senza parlare». Basti il fatto che in quel giorno le porte dell’Arsenale, scrive il Goudar, si erano aperte come d'incanto non appena il popolo aveva accennato a penetrarvi ed esso aveva potuto prendere le armi e le munizioni occorrenti, e le catene per sbarrare le vie presso la porta di S. Tommaso. Ma il Ridella che ha speso due righe per la seduta del Minor Consiglio, spende una pagina per mettere bene in v^sta la lettera del Governo genovese al Botta, in quella sera. È certamente una lettera miserevole, piagnucolosa, indegna di un Governo, ma è dovuta albi tortuosa politica seguita sino allora. In essa il Governo si lagna defcla sua impotenza di fronte a:J sollevati e dichiara di temere persino di essere rovesciato da parte di essi. Il Ridella, dopo averla riferita, «ommenta: «confessione sincerissima di fatti verissimi, che piovano un ultima volta la verità da noi proposta alla considerazione dei lettori ». Io domando se si debba dare aflidamendo ad una lettera scritta ad un Nemico epperciò redatta in modo da fargli credere quanto si aveva interesse che egli credesse; mentre nello stesso giorno l’aoila del minor Consiglio risuonava di fiere proposte che il Ridella pensa bene di tacere. Non è qui luogo per diffonderci sulla magnifica giornata del 10 dicembre, nella quale avvenne la definitiva vittoria del Genovesi, affermare l'assoluta assenza del Governo, è necessario che anche noi lo esaminiamo. Il Ridella osserva che nella mattina del 10 dicembre, giorno in cui si decidevano le sorti della nostra Repubblica, e un aiuto negato o ritardato poteva essere causa della nostra totale rovina, neppure aillora il Governo volle si dessero armi dell’Armeria, ma « essendosi precedentemente insinuati nel pubblico Palazzo alla sfilata molti popolari, questi, nonostante le guar die, spezzarono le porte deir Armeria e si provvidero di archibugi, pistole ed altre armi ». 100 9 Emilio Pandiaxi Vale a dire, osserviamo noi, che il Governo in casa propria, anzi nel cuore del Palazzo, poiché l’Armeria era allo stesso piano delle aule Consigliar^ malgrado le guardie e l'enorme apparato di forza che ha così ben descritto il Ridella in altro luogo, non riuscì ad impedire P ingresso all’Armeria. Strano che questo popolo, entrato di soppiattof per l’unica porta d'ingresso del Palazzo, ben munita, di sentinelle, sia passato inosservato in me/zzo alle milizie raccolte nel cortile del Palazzo, sia salito al piano superiore e non abbia trovato resistenza eccetto che nel legno della poi'ta dell’Armeria·; strano che durante questa irruzione il Doge non sia fuggito dal Palazzo, ohe i Cancellieri abbiano continuato il loro lavoro, che la ruota governativa abbia continuato a muoversi, tanto che poche ore dopo il giovane Carbone si presentava al Doge per consegnargli le chiavi della porta di S. Tommaso pronunciando parole forse ardite, ma che indicavano il_ riconoscimento da parte del ^popolo^ della autorità del^Berera^o. Strano ancora che "un Uôge quale neirs dicembre aveva così Bene consigl iato i popolani a nou .fidarsi del nemico, ora non li assistesse nell’ultima prova del loro valore. È ormai tempo di leggere e commentare il riepilogo che il Ri della pone a conclusione del suo lungo argomentare. Egli dunque conclude : 1) « che il Governo rimase sempre fino a tutto il 10 dicembre 1746 spettatoιγ neutrale nel conflitto tra H popolo genovese e la gente austriaca ». Sarebbe inutile fare osservazioni a questa prima conclusione, perchè, subito dopo, il Ridella nega che il Governo sia stato neutrale, ed afferma anzi che si oppose alla sollevazione; si può tuttavia porre una pregiudiziale : se paia possibile che, quando la Pairia sia in pericolo, ed il popolo combatta per essa, possa il suo Governo, perchè composto di superbi- nobili, assistere indifferente alla lotta. 2) « che volendo nello, stesso tempo serjiar fede alla firmata capitolazióne\ e ottenere dal Semico per via: di pacifici negoziati condizioni comportabili di pace, dimenticata la neutralità, tentò fino aWultimo di reprimere o rendere vani i generosi sforzi del popolo ogni vòlta che questi si opponevano agli inconsulti disegni della sua pawra*». Osservo che la prima parte del periodo è giusta, la seconda è falsa perchè nulla prova che il Governo abbia represso o resi vani i generosi sforzi del popolo. Il Ridella sarà certamente d’accordo con me che, se il Governo avesse realmente voluto reprimere la sollevazione, non gliene sarebbero mancati i mezzi, usando delle armi dei suoi soldati e imprigionando i più focosi fautori della sol-levaz'one; e neppure rese vani, i generosi sforzi del popolo perchè Ancora suli/insurrezìone Genovese del 1746 101 le sei famoso ordinanze sulle quali poggia l’argomentazione del Ridella appaiono d'una efficacia irrilevante; che se io si vuole accusare di non aver dato armi ai sollevati, gli episodi dal 0 al 10 dicembre provaiia che il popolo non ebbe alcun impedimento a rifornirsi ■di fucili, di polvere, e persino di cannoni e clie non avrebbe potuto far ciò senza la benevola acquiescenza del Governo. 3) . « che non risulta da documento alouno che e[rjli abbia mai presia\to la)luto alla insurrezione del dicembre, cosa troppo pericolosa e contraria alla sua) tremante fiacchezza senile; contraria al suo preconcetto disegno di patteggiata pace; contraria agli interessi che legavano la> maggioranza ailla caicsa austriaca; contraria finalmente ai molti ed inoppugnabili documenti dai quaSli risulta che ecfli pdr acquistar inerito d/i fedeltà presso il Generale Botta e le truppe tedesche, non d/ubitò di porre ad imminente pericolo la libertà e la: vita della Repubblica)). Rispondo : 1) che documenti i quali provino che il Governo abbia prestato aiuto alla insurrezione ve ne sono pochi, ma bastano a provarlo; 2) che Vinsurrezione fosse contraria alla tremante fiacchezza senile del Governo è inesatto perchè non tutti i Senatori erano vecchi e non tutti i vecchi sono fiacchi (ad es. il prof. Ridella) ; 3) che l'insurrezione fosse contraria al suo precon cetto disegno di patteggiata pace non ha· valore poiché evidentemente, dopo la guerra, deve venire per forza la pace; 4) che fosse contraria agli ^'interessi che legavano la maggioranza alla causa austriaca può darsi, ma questa famosa maggioranza era già andata contro i propri interessi alleandosi con la Francia e la Spagna, in guerra coll/Austria; 5i che fosse contraria finalmente al desiderio del Governo di acquistare merito di fronte al Botta, anche se ciò ponesse in imminente pericolo la libertà e la vita della Repubblica è un atto di accusa così contrario ad ogni legge di natura che cì pare inutile confutarlo. 4) « che nessuna ragiomc poteva muovere il Governo a favorire segretamente l'insurrezione. sia perchè il popolo a/rdeva di risolvere la questione con le anni, e se per tre mesi tollerò e indugiò, questo avvenne perchè dovette aspettar di vedere a qual fine riuscissero le trattative del Governo col Generale austriaco; sia perchè a favorire segretamente il moto popolare provvedeva già ef-ficacernenle il forte nucleo della Minoranza del Corpo governante coadiuvata daWopera della miglior nobiltà c bor.yhe.siq cittadina ». Rispondo che Governo e Popolo avevano la stessa ragione di agiire contro gli Austriaci e che un popolo il quale prenda le armi quando l'opera del suo Governo non lo soddisfi, per prima cosa rovescia il Governo stesso ; alla seconda parte rispondo osservando che il Ridella è dunque d'accordo con me circa all’efficace soccorso di un forte nucleo dei nobili partecipi del Governo; ma occorre 102 Emilio Pandiam ricordare che la nobiltà addetta al Governo doveva essere ossequente alla volontà del Doge in ogni atto della sua vita e basterebbe l'esempio di Gian Francesco Brignole, che, dopo il suo dogato, dovette chiedere al Governo licenza di accettare (nientemeno!) la dedica della storia di Gius. M.a Mecatti; ma v’è un altro episodio poco noto, che indica l'ossequenza dei Patrizi al Governo, anche durante la sollevazione. Quando Gian Domenico Spinola fu incaricato di dirìgere i negoziati dei popolani con gli Austriaci, nelle sue Avvertenze ai Collegi Ser.mi (8 dicejnbre 1746) aveva premura di notare : « Nel passare un carro di JBotta con sua. cassa giubba e calzoni, verso P Acqua verde, disse Gio. Dom.co Spinola (cioè la scrivente) : Sua Serenità Botta, se Vita fatta nei calzoni » il che si previene per il caso che a Sua Serenità e i Collegi Ser.mi fosse stato riferito da qualche maligno, omesso la parola « Botta ». Kepi-sodio serve per indicare quanto oculato rispetto dovessero avere tutti i nobili del Governo, specialmente durante le loro funzioni. 5) « che se alcuna influenza il Governo 'esercitò swl popolo in questa occasioneessa fu diretta non ad eccitarlo ed accenderlo , ma a fregiarlo e distoglierlo dai suoi generosi propositi ». Rispondo esser vero che il Governo non cercò di eccitare il po polo poiché esso era già abbastanza acceso, ma procurò invece di regolarne il mirabile slancio, senza mai distoglierlo dai suoi generosi propositi- 6) « Infine : che non aVa maggioranza imperante del Corpo Governativo, che nell'esercizio del suo potere esecutivo prende abusivamente ·il nome collettivo di Governo, va dato merito d'aver rap-presentato, sostenuto e favorito, in Consiglio e fuori, la parte e i sentimenti del popolo e di quella generosa nobiltà e borghesia che col i\opolo oonsen^iva e collaborava, ma alla sola minoranza troppe volte dalla maggiorana contraddetta e nefle sue animose proposte quasi sempre HßSpinta ». Rispondo che in conclusione il Ridella finisce coH’ammettere la partecipazione alla sollevazione di parte della borghesia, della migliore nobiltà e della minoranza del Governo ; ma a questo punto Egli vuole sia notato che la maggioranza del Governo, cioè il Governo stesso, abbia osteggiato continuamente la sollevazione. Il Ridella ha dichiarato che il Doge fu favorevole, almeno come cittadino, alla sollevazione. Dunque il Capo del Governo e la minoranza del Governo furono favorevoli alla sollevazione. Chi: restò contrario ad essa? La maggioranza. Il Ridella sa dirci da chi e da quanti Senatori essa- fosse composta? egli confessa di non saperlo ed io potrei aiutarlo dandogli il nome di Gian Carlo Bugnole che, nella seduta del 5 dicembre, appare contrario ad assecondare il moïo della plebe, ma dopo quella assemblea non parla più. Si potrebbe anche porre fra i tiepidi Frane. M.a Grimaldi che nei Consigli del Ancora sull’insurrezione Genovese del 1740 103 G e 7 dicembre dimostra qualche timore della plebe; eccetto questi due, tutti gli oratori del Minor Consiglio sono favorevoli a soccorrere iL popolo in armi. Dov’è questa maggioranza che si oppone alla sollevazione? Non ne udiamo la voce. Ma osserva il Ridella, ne vediamo i fatti. Quali? Tolti via i sei famosi decreti dei quali due soli interessano il popolo e non si sa se o come furono eseguiti, non restano che i rapporti, cioè le lettere con il Botta. Quale valore esse hanno, ai danni della sollevazione? Siamo d’accordo che la politica del Governo in questa occasione fu tortuosa e anche troppo prudente, ma è difficile giudicare con esattezza un tempo, un ambiente, un regime, cosfì diversi e lontani da noi. Tornando alla famosa maggioranza, in primo luogo non sappiamo se essa fu proprio superiore di: numero ai sostenitori della sollevazione, ma pure ammettendo che essa fosse una maggioranza, è evidente che non impedì l'opera del Doge e della così detta minoranza in favore dei popolani ed allora essa, se anche fu maggioranza di nome, divenne minoranza di1 fatto. Del resto il Governo genovese di quel tempo non era nè poteva essere un Governo di semidei infallibili. Era un Governo come tutti gli altri, con le sue buone qualità ed i suoi difetti ; nessuno dei suoi Membri si era posto il problema che il Ridella crede debbano porsi coloro die siano chiamati a dirigere i pubblici) uffici, cioè se siano o no degni dell'incarico (p. 68) ; tutti, a questo mondo, credono che sarebbero capaci di governare meglio di chi è al potere. L’uomo della strada vede spesso con acume i difetti del Governo, ma se fosse al potere compirebbe all'incirca le stesse cose, percjiè avrebbe una visione diversa ed una necessità politica diversa da quella di chi è al di fuori ed ignora 1 intreccio di interessi che si annodano col potei e. Nell’anno 174G il Governo genovese, che aveva per necessità affrontato la guerra contro l’Austria, fu sorpreso dall’improvviso arrivo degli Austriaci sotto le mura di Genova· La subitaneità dell’evento lo colse impreparato. Accettò patti, gravissimi, ma subito dopo tentò tutte le vie per sottrarvisi. Nei primi giorni di dicembre s'impuntò risolutamente nel rifiutare qualsiasi altra impos ^ione degli Austriaci. La sollevazione del 5 dicembre gli venne mira colosamente in soccorso. Poteva il Governo rifiutare 1 aiuto del popolo, che gli giungeva cosi opportuno? Evidentemente no. Ma il Governo non poteva, nei primi giorni, sapere se la sollevazione popolare avrebbe resistito alla pressione austriaca epperciò, pur soccorrendola segretamente, volle tenersi in rapporti con il nemico, per potere trattare ancora, in caso di. insuccesso. Fece male? Per noi, che conosciamo i fatti successivi, ebbe torto, ma il Governo del tempo non poteva sapere quanto sarebbe avvenuto. Passati i primi due giorni di incertezza, (piando con l’armistizio dell'otto dicembre tu evidente che gli Austriaci erauo incapaci a soffocare la rivolta. 104 Emilio Paxdiam l/opera del Governo genovese appare più risoluta, sebbene dispiaccia a noi lontani l'ipocrisia d'inviare ancora una lettera menzognera al Botta. Frutto questo di quella che il Ridella chiama maggioranza e che noi invece crediamo gruppo sparuto di Senatori troppo timidi o troppo diplomatici, ma se guardiamo agli effetti, che questa ed altre precedenti lettere ebbero sui fatti della sollevazione, essi ci appaiono affatto nulli come vana schermaglia tra il Governo e<ì iil Botta. La figura del Governo genovese di quel tempo non fu certamente eroica; eroico fu il popolo che volontariamente disperatamente corse a combatterò contro il Nemico sprezzante e altezzoso; bellissimo lo slancio generoso di questo popolo che disabituato alle armi, s'improvvisò valoroso combattente. Nessuno nega a lui la gloria d’i avere vinto nelle famose giornate dal 5 al 10 dicembre, ma ò ingiusto negare al Governo« patrizio la compartecipazione, sia pure nascosta, al moto popolare ed è questa piccola, minore gloria che abbiamo voluto in qualche modo riscattare a maggior merito della gente genovese. * * * La seconda parte dell'opera contiene «Cenni stor’co-critici sul Balilla e sulla sua famiglia, e cause che indussero gli storici a tacerne il nome». L’Autore ha già affermato nella prima parte dell’opera (p. 87) che il ragazzo il quale lanciò il primo sasso contro gli Austriaci aveva nome Giambattista Perasso ed era sopranominato Balilla; perciò offre in questa seconda parte; ampie notizie sulla sua famiglia. Sappiamo così, che Anton:o Maria Perasso abitante in vico del-ΓΟlivella, tintore di seta, console per sei volte della sua Arte, unitosi in matrimonio con Maria Antonia Parodi, ebbe il 26 ottobre 1735 un un primo figlio, che chiamò Gian Battista. Έ la tradizione aggiunge che ebbe il sopranome di Balilla. Questo giovane figlio del Perasso si dimostrò precoce anche nel suo matrimonio, poiché non aveva ancora compiuto 18 anni, quando si invaghì di Francesca Maria Contini, che aveva sette anni e sette mesi più di lui, e la domandò in sposa. Suo padre si oppose, ricorse alla Curia Arcivescovile perohè il matrimonio non fosse concesso, ma il ricorso fu respinto ed il giovine potè sposarsi il 3 luglio 1753- Il matrimonio fu effettuato alla chetichella, di sera, circa la seconda ora di notte, non in chiesa, ma nell’atrio del convento dei Padri Teatini, ed uno dei testimoni fu appunto un monaco della Casa stessa. Erano assenti i parenti delle due famiglie. Per completare le notizie della vita di G. B. Perasso, diremo che egli esercitò l'arte paterna della tintura della seta, ebbe nove figli, fu con- Ancora suli/jnsûrrezione Genovese del .1740 105 sole dell arte sua nel 1776, morì il 30 settembre 1781, avendo qua si raggiunto i 40 anni. 11 Ridella si affretta a dimostrare che il fanciullo lanciatore della prima pietra, non fu un inconscio promotore della sollevazione di Portoria, ma compì l'atto, avendo piena coscienza di iniziare una battaglia contro gli oppressori di Genova, perchè egli aveva già udito più volte il proposito dei popolani di Portoria· di impedire colla forza la requisizione delle artiglierie. Perciò, colta la occasione, prese arditamente l’iniziativa dell’attacco' e, aggiunge il Ridella, la prova che vi fosse già una salda preparatone appare dal fatto che i sassi erano già raccolti e, subito dopo la sassaiolata, i popolani si unirono malgrado il buio, la notte, la pioggia e corsero al Palazzo del Governo per chiedere arnri. I popolani di Portoria vollero festeggiare (8 gennaio 1747) la cacciata austriaca e riportarono trionfalmente il mortaio al suo posto, alla Gava di. Ca-rignano ; tra le bandiere stava sul carro trionfale quel « regazzo che fu l'autore delle sassate». Il Ridella sostiene fermamente F opinione della pena coscienza, diremo politica, del fanciullo perchè ciò gli serve a spiegare il silenzio che per un secolo intero circondò il suo nome, essendo noto che soltanto nel 1845 comparve neWOmnibus Almanacco Ligure pel 1845 la notizia che l’autore della prima sassata di Portoria sì chiamava Perasso. Il Ridella distingue in questo secolo di silenzio storico, due periodi : il primo, dalla insurrezione fino al 1815 ; il secondo, da quest’anno tino al 1845, e sostiene che nel primo periodo si tacque il nome del giovinetto « per non espórre a pericolo il valoroso a cui la Patria doveva il principio della sua liberazione» e per sottrarre la Repubblica dal pericolo di dovere punire il fanciullo quando « variando la fortuna fossero venuti in proposito1 ordini o sollecitazioni segrete o palesi dal Governo austriaco, che nel nostro Senato contava aderenti e fautori, e che pareva non sapesse mai darsi pace finché non avesse vendicato l’insulto di una vile ciur-ììiaiglia ». E aggiunge: « Prudenza politica, carità cristiana, riconoscenza cittadina dovevano obbligare non solo la· Signoria e gli storici, ma i Genovesi tutti a salvare da prevedibile castigo il fanciullo » che era stato causa della vergognosa fuga degli Austriaci. 'Le ragioni addotte dal Ridella sul silenzio di questo primo periodo (1747-1815) non mi paiono convincenti. Come avrebbe fatto il Governo di Genova a nascondere al Governo austriaco il nome del ragazzo di Portoria, se, come assevera il Ridella, tutta Genova conosceva questo piccolo eroe? Il segreto di una città non è più un segreto. Le numerose spie che, a confessione del Ridella, agivano in Genova, a favore dell’Austria, avrebbero facilmente potuto comu- 106 Emilio Pan dia μ niedre il nome del fanciullo alla Corte austriaca. D'altra parte sarebbe stato assai strano, per non dire inumano, e contrario ad ogni legge di civiltà, che gli Austriaci! volessero far pagare il ho della loro sconfìtta ad un fanciullo di appena 11 anni che poteva credersi autore inconscio di una sollevazione, come il suo atto poteva „ essere giudicato preterintenzionale, e neppure poteva essere perseguibile, quando fosse cresciuto d'età, per un fatto* commesso essendo minorenne. È forse più credibile che la nobiltà genovese non abbia voluto, per ragioni di casta, porre troppo in evidenza l’ardire di questo popolano che, osservò giustamente Sebastiano Vallebona, fu ritenuto « come un ragazzo imprudente, il quale iniziò un moto popolare, terribile nelle sue conseguenze se non riusciva, e che misero implicava un rimprovero al Governo per avere accettato la ontosa capitolazione del Botta». Può anche credersi che la famiglia del ragazzo, dati i tempi e le circostanze, non abbia voluto, s:a per modestia di famiglia popolana, sia per lo spirito positivo, serio e rude del popolo genovese, che non ama far parlare di sè, porre sulla ribalta della fama il suo piccolo eroe. Pare piti strano il silenzio degli storici· Per gli storici genovesi si può addurre, con molte riserve, l'ipotesi che il Governo abbia messo il veto sul nome del fanciullo, non per difenderlo contro F Austria, ma piuttosto per non creare una gloria popolana. C-ò può servire per spiegare il silenzio nelle opere storiche date alle stampe, e perciò soggette alla censura, ma non spiega come nei documenti di quel tempo, che stettero chiusi nelle scrivanie e nelle cassapanche per più di un secolo, e furono pubblicati soltanto nell'ultima metà del secolo scorso e nei prinii anni del nostro, nessuno si sia presa la pena di ricordare il nome di Balilla. Anche nel « Bellum Genuense», poema che dalla tine del v700 rimase manoscritto sino al secolo XX, l'autore pose al fanciullo un nome burlesco, che voleva indicare soltanto un bambino, un piccolino, un buono a niente che pure seppe fare un miracolo. Passando agli storici non genovesi e perciò indipendenti del Governo genovese, come avvenne che nessuno, narrando il famoso episodio, scrisse il nome di Balilla? Come mai il Muratori, il grande Muratori, contemporaneo agli avvenimenti:, bene informato dagli amici genovesi dei fatti di Genova, non si curò, egli, il grande storico, d;) chiedere come si chiamasse il fanciullo? Fu anche qui una congiura del silenzio per salvare la vita del « divino monello »? Con buona pace del Ridella io credo che abbia ragione il chiarissimo Achille Neri nell'affermare che l'atto del Balilla « venne allora cons’derato come occasionale e fortuito » e solo più tardi e giustamente apparve come la piccola scintilla che provocò la grande esplosione della collera popolare. Ancora sull’insürrkzione Genovese del 1740 107 Il ragazzo rimase una gloria locale, del sestiere, e perciò gli storici posteriori che ne cercarono il nome nei documenti di Archivio, non trovando alcuna notizia, dubitarono della voce popolare. Più convincenti sono le ragioni del silenzio sul nome dell’eroe portoriano nel periodo dal 1815 al 1845. Infatti, la severa censura dei Governi reazionari succeduti al periodo napoleonico, impedì ogn\- ricordo di lotte per la liberta e vigilò rigorosamente che si agitassero idee contrarie aU’assolutismo. Quando Carlo Alberto, conscio dei tempi nuovi, risolse di mettersi a capo del movimento unitario italiano, allora fu concesso di ricordare gli episodi esaltanti la lotta per la libertà, e il 2 gennaio ]848 Goffredo Mameli esclamava in un suo discorso ai; patrioti genovesi che: «cento anni silenziosi erano passât11» dal fatto di Portoria : « o di vero chi avrebbe potuto parlarne? e chi, potendo, 1 a-vrebbe voluto? ». Queste parole del Mameli sono rivelatrici. Fili qui l’argomentazione oirca il silenzio della storia è proceduta abbastanza bene, ma il Ridella vede la necessita di provare che « la memoria e la tradizione di Balilla si conservo sempre λ i -va nel popolo durante la seconda metà del sec. XVIII e presenta cinque « gravi » documenta che testimonierebbero il ricordo di Balilla. Il primo consiste nella « Relazione anonimia dell occoi so in Genova in occasione del tumulto \.o\)olare che ne ha scacciato gli austriaci ». In essa si parla di « quel regazzo che fu l’autore delle sassate»; non è detto però come si chiami. La seconda testimonianza è il quadro del pittore G. Comotto, contemporaneo agli avvenimenti, nel quale è dipinto il ragazzo protagonista del fatto di Portoria ; anche qui vediamo il fanciullo, ma nulla prova che si chiami Balilla. Il terzo documento consiste in un sonetto di G. Gallino ove si parla di «un tresto de garçon», ma non se ne dice il nome· Il quarto consiste nel noto verso della Gerusalemme 1 Aerata, tradotto scherzevolmente in genovese da Gian Agost. Gastal di, che dice: « Se un de voiatri fa feura 1 anghilla sò dì se le ro Gioppo o pù Balilla » Al quale verso segue una nota del Gastaldi che spiega : « Due del popolo che hanno mostrato coraggio nella guerra del 1T4G ». Questa notizia è certamente molto importante, ma se prendes-simo una persona ignara della storia e le chiedessimo chi crede che fosse Balilla, essa risponderebbe sicuramente che si tratta di un bravo popolano che combattè valorosamente nella guerra, e non penserebbe ad un fanciullo di undici anni che lanciò un sasso Per corroborare questa opinione, vi sarebbe la notizia·, data da Achille Neri che in quei tempi vi era tra i soldati « scelti » genovesi·, un Andrea Podestà detto Balilla, che potrebbe anche essere quello ci- 103 Emilio Pandiaxi tato dal Gastaldi. IL Ridella,, per impugnare'la notizia del Neri, .afferma che « dell’esistenza del Balilla Gk B. Perasso e del suo « Che Vinse?)) esiste il documento validissimo di una tradizione», ma qui crediamo che si sia lasciato trascinare dalla foga della difesa, perchè una tradizione non è un documento1; vi è con: tradd;'Zione nei termini. Il dizionario di P. Pedrocchi, alla voce: Tradizione, dice: «Memoria di fatti non venuta a noi per documenti del tempo». Il Ridella· continua nella difesa contro il Neri asserendo che la tradizione del Balilla è confermata dalla testimonianza del pr'mo documento in cui si. parla del « regazzo che fu Fautore delle sassate » (ma non di Balilla) e che la tradizione e il detto documento si integrano mirabilmente. Confesso di non capire come essi pos sano dimostrare errata la supposizione del Neri. Il quinto documento consiste nella frase : « Che Vinse? » riferita nella Storia di Genova del Bastide (a. 1795) ma anche qui non è detto come sj chiamasse il fanciullo che la pronunciò. Sulla testimonianza del pittore bolognese Emilio Busi, che nel 1838, dopo essere stato in Portoria, ritrasse sulla tela la sollevar zione genovese chiedo al Ridella: chi pose sotto al quadro il nome di Balilla. Il Busi o Luigi Asioli? Fin qui le argomentazioni del Ridella ci hanno solamente dimostrata la esistenza del ragazzo, e nessuno, eccetto il Donavex, la ha mai negata (]) ; ci hanno poi asserita la probabilità che il ragazzo si chiamasse Balilla, ma· non ci hanno provato eiie egli si chiamasse G. B. Perasso Nel 1845 compare, per la prijna volta, la notizia che il Balilla si chiamava Perasso; nel 1846 l'intero nome: G. B. Perasso detto il Balilla appare in un libretto intitolato: «7Z centenario 1846-47 ». Nel 1847 si pubblicano brevi Cenni Storici intorno a Balilla ; nello stesso anno Goffredo Mameli eterna il nome ed il gesto di Balilla nei suoi cauti. Nel 1851 G. Olivieri, di Montoggio, Bibliotecario della Civica Beno, nella seconda edizione del suo Dizionario Ge novese, alla voce «insà», cita il «Che Vinse?)) di Ballila ed afferma che il Perasso nacque in Montoggio nella. frazione Pratolongo. In un colloquio don il prof. L. T. Belgrano, afferma di avere attinte queste notizie dal defunto prete Minaglia, che aveva conosciuto il Balilla, C1) L’esistenza del «ragazzo» è inoltre confermata da una testimonianza, può dirsi, oculare. Il veneziano Cavalli in un dispaccio del 13 gennaio 1747, afferma di aver veduto un manifesto nel quale era detto che « la prima mano, onde il grande incendio s’accese, fu quella di un picciol ragazzo, qual diè di piglio ad un sasso e lanciollo contro un ufficiale tedesco » (Ved. A. Bozzola, La controversia austro-sarda sulla capitolazione di Genova del (> settembre 174G. Estratto dal Bollettino storico-bibliografico-subalpino, Torino, 1934,‘ pagina. 33. Ancora su li/insurrezione Genovese del 174C 1C9 Altro testimonio, secondo in ordine di tempo, _n\a primo per inerito, è l’avv. Cesare Cabella, il quale avendo in casa sua una Nicoletta Perasso, che si diclr arava nipote per parte di figlio del Balilla, potè raccogliere notizie biografiche intorno alla famiglia di Nicoletta, sulle quali compilò un primo albero genealogico de^ Perasso. È opportuno ricordare che la Nicoletta Perasso aveva una sorella, Francesca, sposata in Rollero. Ma a questo punto cominciano a venir fuori i profittatori della gloria di Balilla. In occasione della famosa festa processionale ad Oregina, nel 10 dicembre 1S47, è fatta una colletta a beneficio di, un vecchio di Portoria che afferma essere cugino del Balilla e poco dopo si scopre che è bugiardo; per giustizia si offre il provento della colletta al vero nipote, il cittadino G· p. Giuseppe Perasso, che però rifiuta cortesemente di accettare somma alcuna;. In quello stesso tempo Cesare Cabella si presenta con l’albero genealogico dei Perasso, fa conoscere le condizioni, economiche tristissime di Nicoletta e di Francesca Perasso e le addita alla generosità de Comune. Intanto compaiono altri competitori alla gloria del primo sasso: nel 1871 un Can. Spigno assevera che Fattore iniziale della rivolta è un Giuseppe Vaco&ro; altri affermano che il famoso ragazzo fu un giovane calzolaio di Portoria; assai più tardi si viene a sapere che un'anonima spia austriaca aveva scritto che Fatto di Portoria era dovuto a sjeta un pocu che vengo mia no portato· una ban « diera lo presa in mano mi sono miso a gridare adiamo avanti « altro nun dico che il popolo lu sa - A dio a tuti... » Questo strano documento parve a molti, e pare anche al Ridella, apocrifo, ed è opinione generale che sia stato composto da un buon prete, fanatico dell’epopea balilliana, Pasquale Antonio Sber-toli. Il Ridella afferma che questo documento fu riportato dal giornale 0 Balilla del 2 ottobre 1881, ma io lo ritrovo anche prima in un opuscoletto: 0 ΒαΊΜα, strenna popolare pe-o 1869, Zena, Stampala do commercio, 1868; ove è scritto (p. 39-40): «O gloroso avvenimento do giorno 5 Dexembre 1746 o se treuva deserito in unn-a scritùa c/he Fanno 1848 a se conservava in t'unn a scatoeta de chèuio clai Nicolla. Bisio, vegio bancà, de Portoia, da quae se ne credde auto o maeximo Balilla. Questa scrittùa a l’è staeta pubblicà in t’un opuscolo stampòu da Casamara ne-o 1848, dove se leze: (se- 110 Emilio Pandi λν i guono le parole del foglietto). Questa scrittila perù, segondo afferma Giambattista Giuseppe! Perasso, nevo do Balilla a sai va staeta inventi da quelli che ne-o 1848 se spncciavan pe parenti do Balilla ». Come vede il prof. Ridella, qui cL sono notizie che complicano ancora di più la storia del biglietto. È inutile fermarsi sull'esame critico dello pseudo autografo, perchè anche il Ridella lo stima « documento per sè nullo ». Io aggiungerei; che la narraz;one del fatto è di una rozzezza inverosimile in un figlio di tintore che doveva avere una discreta istruzione, e diventò console della sua arte Un contadino delle nostre montagne sarebbe capace di scrivere un racconto delle sue gesta con maggiore perspicuità. A questo punto chiedo al Ridella se non è da perdonare lo stuccoso che, posto tra i finti nipoti del Balilla, gli assertori essere il Balilla un Vaccaro, o un calzolaio, gli scrittori di documenti falsi, e coloro che si affermano veri discendenti di G_.. B. Perasso, non rimanga perplesso circa la autenticità, non del latto, ma dell autore di esso. Tanto p\ù, che appena chiusa la questione circa il Perasso, sorge l'altra se il Balilla sia nato a Montoggio o in Portoria^. I primi assertori del Perasso, cioè i Gabella, i Minaglia, gli Olivieri affermano che è d;> Montoggio; lo afferma anche la Nicoletta Perasso. Ma ec(to sorgere altri che asseriscono il Perasso essere di Genova ; ecco la Francesca Perasso in Rollero, sorella di Nicoletta·, che afferma (pag. 292) che G. B. Perasso non nacque a Montoggio ma a Genova. D'altro lato lo stesso Ridella scrive (pag. 278) « che oggi ancora in Genova molti credono che il Balilla sia di Montoggio», sicché egli stesso si trova di fronte.a due tradizioni op poste e deve dimostrare che una di esse è errata. Allora egli dichiara : « Chi studia la storia sa quanto tempo e quanti sforzi occorrano per estirpare una credenza già radicata e passata in tradizione (pag. 227) » ; così pure aggiunge (p. 292[> « tanto può un errore inveterato passato in tradizione ! » cioè ammette che vi siano tradizioni vere e tradizioni errate, e la tradizione non è dunque un documento validissimo come affermava il Ridella (pag. 240), ma è soltanto una affermazione che può essere giusta oggi, falsa domani; giusta per alcuni, falsa per altri, cioè una οχήηίοηβ, non una verità sicura, e perchè la tradizione diventi storia occorre che essa sia convalidata da documenti. Naturalmente è per lui errata l'opinione che il Perasso sia di Montoggio, ma la <1 knostrazione è, in certi punti, poco persuasiva. Ad esempio egli afferma che il G· B. Perasso di Montoggio non era sopranominato Balilla, perche questo sopranome non gli fu rimposto dalla famiglia (p. 291* L· come può attestarlo? Il Gabella e il Minaglia lo affermano; ma il Ridella suppone che fossero essi ad aggiungere il famoso sopranome. Ancora sull ’insu rìiezione Genovese del 1740 111 E come può provarlo? Egli stesso riferisce (pag. 292) che la Giunta Municipale di Montaggio attestò che il G. B. Perasso d:i Mon· toggio fu « il sopranominato Balilla » sicché può presumersi che cosi fosse chiamato quello di Montoggio. Ma, afferma il Ridella (pag. 291) : « quando si dice* che Genova conservò sempre viiva la memoria del suo Balilla, si. cita una storica verità». «Conviene però avvertire che se tutta Genova conosceva e ripeteva questo nome non tutta Genova sapeva che il Balilla avesse nome Gian Battista Perasso, anzi molti lo ignoravano : tuttavia il nome, il sopranome erano conosciutissimi in Portoria, sopratutto dai tintori, dove si conservarono per tradizione, fino ai nostri giorni ». Finché il Ridella ci dà queste affermazioni indimostrate, sorge sempre la tentazione di chiedergli una prova dii quanto egli afferma; ma., eliminando queste ambiguità, egli ha trovato anche buone argomentazioni per provare che il Balilla sia nato in Genova. E finalmente le testimonianze che abbiamo chieste e attese, dopo tante e tante pagine, arridano proprio alla tine del grosso volume. Yi sono infatti le deliberazioni degli Amministratoli del. no stro Comune a favore dei discendenti della famiglia portoriana Perasso e gli atti di una Commissione Municipale del ISSI per la commemorazione centenaria della morte del Balilla. Sono invitati a far parte di questa commissione gli illustri cittadini: prof. A. G. Barrili, avv. Cornelio De Simoni, prof. L. T. Belgrano ed il march. M. Staglieno. 11 Barrili risulta· assente in tutte le sedute. Riassumendo le vicende di questa commissione notiamo che l’illustre avv. De Simoni, onore e vanto dell’Archivio di Stato di Genova, riferisce che t-utte le ricerche per rinvenire nell'Archivio qualche notizia sul Balilla sono riuscite vane e perciò : « dove manca il sussidio della storia, conviene appigliarsi alla tradizione ». I comm. prof. L. T. Belgrano, investigatore infaticabile della Storia genovese, dichiara che le ricerche per rünvenire traccia della concessione fatta dal Governo al Perasso di uno spacc:o di vino, sono riuscite vane. Il marchese M· Staglieno, chiarissimo storico genovese, esprime il dubbio « se il Perasso debba credersi il Balilla». Fin quii, dunque, le persone più colte delle vicende storiche di Genova esprimono i loro dubbi, ma il consigliere municipale Rolla (p. 302) afferma la certezza che il Perasso fosse il Balilla «basandosi sulla costante tradizione corsa nella sua famiglia », e sopra quanto aveva udito da un certo Pagano. Il De Simoni « per rannodare la tradizione alla storia », propone di chiamare il signor Emanuele Becchi e qualche altro anziano di Portoria perchè depongano le notiz ie conosciute sul Balilla· 11 sig. Becchi riferisce (pag. 304) d’avere sentito più volte dal suo nonno, che il Balilla era di KXIILIO Γλνοιλμ Genova o timore. Altri popolani assicurano essere il Balilla un Perasso oriundo di Montoggio. Malgrado le dissonanze delle deposizioni, la Commissione conclude uella seduta del 2ì> luglio 1881 che. pur avendo una precedente commissione nei 1SG5 affermato che il Perasso era di Montoggio, si è ora potuto assodare che il Balilla era genovese. Letta infine ipag. 30S) una dichiarazione di Francesco Bregaro di avere sempre inteso dire dai suoi avi che il Balilla fosse G. B. Perasso e che apparteneva all’arte dei tintori, l'avvocato De Si-moni afferma nche se in principio ebbe ad esprimere dei dubbi, oggi mai. dopo tante test moniauze e discussioni sulla persona del Balilla, egli è indotto nel riconoscerlo nel G. 11. Perasso di Antonio, nato in Genova, e conchiude potersi stabilire la quasi certezza che il fatto di Portoria è da attribuiti a questo, non a quello di Montoggio ». lnfiue, nell*anno l'ÌS- il Cav. Sebastiano Yallebona raccoglie dal s>ig G. B. Giuseppe Perasso, residente alla Spezia, una attestazio ne tpag. nella quale il sìg. Perasso, nato il *27 novembre 1800 a Genova «Parrocchia di S. Stefano, attcsta mil suo onore che il suo nonno G. B Perasso detto Ballila era « quel desso che ancora fanciullo in Portoria il 5 dicembre l74tf pronunciò il famoso Che r*n#cf e con un tiro di sasso contro i soldati tedeschi cominciò quella guerra popolare che è tanto famosa nella Storia ». La lettera continua: «* K tanto attesto perchè così appres dai miei antenati e parenti che ben conoscevano il tutto come testimoni coevi, sicché nella nostra famiglia era assai venerato ç stimato il Padre ed Avo Gian Battista detto Balilla, per quel suo memorando fatto; sebbene esrli e noi tutt: siamo sempre stati alieni dal menarne vanto, e farsi assegnare mercedi o ricompensa ; avendo sempre cavati i mezzi di una onesta agiatezza dalla industria e dal lavoro». Il Vallebona stesso aggiunge: «è tradizione in tutta Portoria e tutti i vecchi ne fanno testimonianza per detto dei loro pa dri. testimoni coevi, che il ragazzo famoso era detto volgarmente Balilla e si chiamava G. B. ferano tiglio di Antonio, e mostrano il luogo dove lavorava, la via che ria adulto abitò, la casa dove morì. E questa testimonianza del 1846... era fatta da: più vecchi portoriani, specialmente tintori, per scienza propria perché personalmente avevano conosciuto il Perassot essendo egli m°rto nel 1781 »· Il Kidella aggiunge anche altre private testifnnmianze da Ini raccolte nell amb^ente genovese, eil infine esamina la questione ba-lilliana dal 1881 ai giorni nostri. Omettiamo le «Tifiche del Kidella ad altri scrittori sull'argo* mento e veniamo alle osservazioni circa la Relazione del Près dente della Società Ligure di Storia Patria, comm. Luigi Yolpicella, ad una richiesta fattagli dal Ministro deila Pubblica Istruz one sulla vali- A Mt »UÀ ^ i* ll'ix s i luti.zioxE Genovese eux 174« 113 dit a della tradizione del Balilla. Le osservazioni sono in parte giuste in parte errate, ma poiché sono le stesse che abbiamo già esani nate in altre occasioni, non occorre qui ri presentarle. É perù doloroso che Fautore di questo ponderoso volume abbia finita la sua opera con parole che non paiono scritte da lui, così colto e cortese. A pag. 374, prendendo occasione dalle risposte del Volpicela intorno a Balilla, il ltidella esprime il desiderio suo e di parecchi consoci della Società Ligure di Storia Patria « che alla Presidenza della Società venga sempre eletto un dotto genovese o ligure » (il comm. Volpicella è napoletano), perchè « Genova che fu prima maestra all'Italia di storiche istituzioni, e che in presente. come sempre in passato, vantasi ricca di uomini per dottrna preclari, non ubbia a parere ridotta a tale penuria li cultura da dover ricorrere per aiuto a uomini d'altri paesi ». Si noti che il dwiilerio del Kidella e dei « parecchi consoci » era già esaudito due ann: prima che uscisse il volume « Balilla ». Si pensi alla »Od ditti azione degli « uomini d'altri paesi» nel vedersi cosi trattati di fronte ad « uomini fier dottrina preclari»; si lascerà ad ogni buon iuteud tore la cura di pesare le parole suddette; gli si chiederà poi m* non paiano una patente di insufficienza e, diciamo pare, di asinità, |«*r i foretti studiosi di storia genovese. E vero che l‘a ut ore, che conosce assai l«*ne il distingué frequentir. vuole :| pag. 373 distinguere fra il Volpicella presidente e il Volpicella egreg o studioso; e vero che a pag. 384 fa una cernita tra gli studiosi « non genoreni » e li dichiara «benemeriti illustratori della Storia genovese » ma « solo vuol osservare che quei po* diissimi di e*s* che trattando la questione di Balilla non poterono guardarsi dal deplorato errore, se fossero nati in Genova, l’avrebbero forse evitato perete, fa d’uopo dirlo? chi è nato in un paese, da schiatta paesana del luogo ed ivi a lungo vissuto possiede per tradizione domestVa e cittadina, per consuetudine quotidiana di luoghi e di uomini, notizie e memorie intorno ai fatti ivi accaduti, rthe naturalmente non può possedere ehi è nato altrove». Benissimo, e^rreg o prof. Ridella; ma »rusi, il Itonaver, il Parodi, lo Stagi ieno. il Belgrano, non erano forse genovesi? E non Le pare che certe osservazioni siano fuori di luogo e di temjro ora che «i bimbi d’Italia si chinman Balilla»? Èceitocosa mirabileoheun docente di Letteratura italiana, che come tale percorse le regioni d’Italia e non fu considerato mai « uomo d’altri paesi *►. perchè era Italiano, e studiò degnamente il Leopardi e nejcwin Kecanatese gli* osservò che egli era « uomo d’altri paesi », e conciò j>er le feste il signor Ranieri amico del Leopardi e nessun napoletano, credo, si sdegnò contro di lui, tornato in Genova abbia 114 Emilio Pandi axi ripreso Γanilina di un amico popolano genovese e lottando per il suo Balilla, abbia trovato clie solo i Genovesi potevano parlarne. Ho letto recentemente che il siciliano Michele Amari, nel IS16O, rifiutò l’ufficio di Storiografo della Sicilia, osservando che nell’Italia unita tutti, gli storici erano storici di tutta l’Italia (« Corriere della Sera», 21 febbraio 1934-XII, in «Storico italiano» di Politilo). Ecco un esempio che sottopongo alla meditazione del prof. Ridella. Riassumendo quanto fu detto in queste pagine osservo al Ridella che egli, pur usando largamente i documenti raccolti daH’in-fati,cabile e dottissimo prof. Achille Neri, da lui donatimi e da me pubblicati, 11e lia svisato il contenuto. Io. per quanto lio esposto nelle pagine precedenti, sostengo : 1) Clie il Governo genovese vide con soddisfazione il moto popolare, perchè lo soccorreva nel momento assai critico della rottura delle trattative con gli Austriaci. 2) Che esso non si oppose alla requisizione di fucili polvere, cannoni, proiettili da parte dei sollevati e aiutò con denaro e viveri gli insorti- 3) Che dette loro uomini esperti per dirigerli fin dal primo giorno e, in seguito, incaricò nobili addetti al Governo di consigliarli1 e guidarli nelle trattative con gli Austriaci. 4) Che dette alle proprie milizie Γordine di non ostacolare, anzi di assecondare le operazioni degli insorti. 5) Che i verbali delle adunanze del Governo, in quei gì orni, dicono esplicitamente la sua partecipazione alla sollevazione. Per quanto riguarda la seconda parte deli-opera, che si riferisce al Balilla, osservo : lì Che l’attestazione del sig. G. B. Giuseppe Perasso circa il proprio avo, è molto importante, sia per la rispettabilità del cittadino, sia perchè il sig. G. B. Giuseppe Perasso appare già nel 1847 come assertore della propria- discendenza dal Balilla, e come tale è riconosciuto dai suoi concittadini. 2) Che le testimonianze del sig. Rolla e dei portoriani, chiamati dalla Commissione Municipale del 1881, pur non essendo concordi circa il luogo di nascita del Balilla, si accordano nel confermare che il Balilla era G. B. Perasso. 3) Che Pesame critico della Commissione suddetta ha chiarito che G. B. Perasso era nato in Portoria, e le parole dell’illustre stoiico Cornelio De Simoni, comprovanti una sua interna lotta di pensiero, risolta con la affermazione della quasi certezza che G. B· Ancora sull’insurhezioxe Genovese del 174G 115 Perasso di Antonio, nato in Genova, fosse proprio il Balilla, sono •arra sicura della serietà del lavoro fatto dalla Commissione. 44 Che il Kidella, per conto suo, ha spiegato l’equivoco del O. B. Perasso di Montoggio ed lia portato buone argomentazioni (v. pag. 372) circa la validità della tradizione di Balilla. In conclusione credo che si possa accettare la tradizione del Balilla, tenendo però presente die le tradizioni non sono mai totalmente sicure, come ha provato· il prof. Kidella (pagg. 277, 278 e spec*. 292) ; nel caso attuale v'è la importante dichiarazione del sig. G. B. Giuseppe Perasso che è certo degna di rispetto, e sarebbe definitiva se non avesse il leggero difetto di essere dettata da persona, mi si perdoni la parola, interessata, che è parte in causa. Esposti questi dubbi, credo si possa accettare la dichiarazione del dottissimo Desimoni affermante la quasi certezza che G. B. Perasso di Antonio, nato in Genova sia il famoso Balilla. Emilio Pandiaxi IL DELATORE DI GARIBALDI NEL CENTENARIO DELLA FALLITA RIVOLUZIONE DI GENOVA, DEL 4 FEBBRAIO 1&34 ( Continuazione - vec/i numero precedente) Lasciato Milano, scrisse al Viacava più volte· Gli scrisse da Casteggio, c'oè dalla prima tappa appena passato il confine? »Si (il 4 o 5). E le lettere elei Viacava sono autografe? Si, fuorché una scritta [egli crede) dal Paccini e firjnata dal Viacava. Ed ora gli si contestano varie frasi nelle lettere del Viacava sequestrategli. Ma perchè costui scrive: «dalla.....» e pulitini e non mette: polizia? Perchè « P. » itnvece di 'Piacenza, ((amico» invece del nome di esso? Perchè, risponde il Crovo, entrambi erano allarmati dal contegno della polizia di Milano. E dà altre miserevoli risposte, o tace addirittura, invece di spiegare varie frasi enigmatiche delle lettere del Viacava : «.....per di meno sapessero le prese misura di giungervi»; « e perciò dovei deporre.·... » sino a «.....se avrò le mie carte ». E che significa Γabbreviazione : « dalla parte di M.»? Risponda: di Mantova! Nè migliori schiarimenti dà dei brani : <;.....ignorando ancora, non avendo, nè potendo adottare il tragitto dell'amico medesimo sul timore di non riuscirvi » ; « Mi giunge qolla Posta la prima vostra da Casteggio ; dietro quanto addietro vi dissi sabato· e domenica [11 e 12 gennaio] il Cernuschi conta di essere a Mantova, ove potete rivolgervi da B. per incontrarlo colPamido». (Risposta: B. tsairebbe Bologna, l’amico il Cernuschi. Ma l'altro personaggio?) «.....o per lo meno scriverle per nuove concordanze, meno chè non abbiate prese altre misure, ün vista che martedì [7 genn.] non vedeste comparire chi attendete a P. » Il Crovo si limita a dire che P. significa Piacenza. A che alluda tutto il carteggio anche da queste poche frasi monche appare ormai evidente senza bisogno che 1’ Uditore di Guerra sii debba dar la pena di metterlo ?(n luce. Il Viacava è tutt’altro che un ammalato, ma un complice e uno dei capi liguri, che insieme li, Delatore di Garibaldi nel Centenario della fallita Rivoluzione ecc. 117 alle dame genovesi (i profughi mazziniani) concertano col Cernu-schi e la congrega milanese, ed estendono l’opera loro« a tutta la Lombardia e l'Emilia. Il Crovo è un emissario andato a tutto suo rischio a raccoglier fondi per la rivoluzione. Commette l’imprudenza maggiore di conservare tutte queste carte, egli che, vivendo negli ambienti della giustizia, sa più di ogni altro quanto siano pericolose. Partecipa alla diretta preparazione del moto (per quanto il Rati Opizzoni, non glielo contesiti), trovandosi a contatto col Caor-si per raccogliere le armi, con Garibaldi per finanziarne l’opera. Egli è probabilmente quel signore alto e magro, dalla figura distinta, che appare qualche volta alla locanda della Marina, ritrovo degli amici di Garibaldi, e al famoso pranzo nella trattoria del Frattino il sabato 1 febbraio. 11 silenzio dell’Uditore lo schiaccia. Questi gli presenta infine il fascicoletto ]Sr. 1G. È una copia a mano della « lettera a Cario Alberto » del 1831, copia fatta, come appare dalla scrittura, da due persone diverse. I)a chi l’ebbe? Dal console di Toscana in Genova, Fedele Quaglia, che gli passò per curiosità (?) la copia. L'originale il console lo mandò al Granduca di Toscana. Il Crovo, sconvolto, riconosce senz’altro in massa tutti gli altri documenti sequestratigli e ritorna in guardina/. * ·» * A questo punto scompare negli atti processuali ogni traccia di Andrea Crovo e il suo nome non lo si ritrova più che nella sentenza di assoluzione — per lui solo — per inesistenza, di reato. E tocca a noi fare un salto di sorpresa, dopo quanto sappiamo, poiché sarebbe bastato una piccola parte delle deposizioni di lui per farlo condannare a morte ignominiosa. Per molto meno la pijù. parte delle vittime del ’33 e del '34 subirono l'estremo supplizio. Che è avvenuto? Il Crovo dal 3 al 4 marzo passò la. notte più infernale della sua vita; pensò ai casi suoi e al mattino chiese di essere condotto davanti all’Uditore, che, sicuro del fatto suo, lo attendeva al varco. Che cosa disse? Non si sa; ma certo comprò la salvezza, col tradimento più nero. 'In compenso scampò alla fucilazione ed ebbe la-promessa, che il Pati Opizzoni mantenne lealmente, di non essere sottoposto ad alcun confronto. Le carte in cui sono deposte le sue delazioni, coi documenti relativi, furono stralciate dal processo. Solo a questo modo si sp’ega come il suo nome scompaia dal processo e il suo tradimento sia rimasto ignorato, pare, anche ai fratelli. Egli svelò tutto quanto sapeva sul moto fallito eli Genova, sulla organizzazione di esso, sulle relazioni colle Congreghe Lombarde ed 'Emiliane, sui nomi dei fratelli di esse, che avevano forni- lis Adolfo Bassi to il denaro per il moto e avevano promesso di accorrere in armi appena dilagasse la rivoluzione in Piemonte. Al suo ritorno a Genova passa una parte del denaro a Garibaldi, ohe nella seconda metà di gennaio comincia a spenderlo in armi e in corruzioni. Egli non è il capo, ma runico clie tenta agire nella vasta organizzazione del complotto. Tra i documenti scomparsi sono quelli clie contengono il piano della progettata rivoluzione per la sera del 4 febbraio. Piano assai più ampio di quanto sia risultato sùn qui. I focolari di insurrezione dovevano essere cinque, dal Porto (ove si mirava alPArsenale e alla Darsena) al forte S. Giorg'o, alla Caserma; dei Carabinieri in piazza Sarzana, ai forti delle mura. Cinque squadre separate (li circa trecento uomini, ciascuna dovevano agire simultaneamente. Si doveva entrar nelle prigioni?, liberare gli arrestati per armarli e servirsene. Il Comando supremo si stabiliva in piazza Carlo Felice. Fra tante carte scomparse è scampato Vordine di azione per la squadra di Garibaldi, scritto su un foglio giallo (i colori giallo, bianco, rosso servivano a distinguere le squadre e i rispettivi mandati),: f1) « Corpo di S. Andrea. 1) Eseguire l'operazione colla massima celerità- 2) Appena armati, introdurrei tutti gli sprigionati sul piano di S. Andrea. Ivi aspettare un avviso per muoversi. 3) Dal piano medesimo di S. Andrea esplorare il convento di S. Ambrogio e se si offre l'occasione di fare un colpo di mano là dentro, farlo. 4) Frenare gli sprigionati col massimo rigore, onde non si sbandino e commettano ruberie. 5) Non far fuoco senza necessità : una scarica fuori proposito può irritare gli animi pronti a conciliarsi*. G) L’ora, la parola d’ordine e i segni per gli aiutanti saranno comunicati a voce. 7) L'orologio di S. Lorenzo è quello che dà regola. 8) Spedire per qualunque bisogno sotto i portici del Teatro Nuovo, ov'è stabilito lo Stato Generale. 9) Gridare viva la repubblica! Viva PItalia! Introdursi potendo a suonare campana a martello: chiamare all’armi i cittadini, ecc.... ecc..·. 10) Dalla rapidità dipende la vittoria. Vittoria Vittoria! 11 Comitato segreto di Genova. » (1) Nella solita cartella III dei Processi politici 1834 : volume III. pag. 10. Fu già pubblicato dal Passamonti in una nota del suo « Un amico della fanciullezza di Goffredo Mameli» a pag. 07 «La nuova Italia; Venezia, s. d-119271 ». Il Delatore di Garibaldi nel Centenario della fallita Riyìluzione ecc. 119 E della vittoria si era certi..... il male fu che solo la squadra di Garibaldi si mosse; anzi di essa non piiù di cinque persone. Garibaldi, il Mutru, il Caoim, il Parodi, il Daluz. Tutti gli altri non diedero segno di vita e non vi fu fra di essi un solo compro-messo. Questo, o meglio quanto riguardava Garibaldi e il suo gruppo, svesciò il Crovo, dichiarando di ignorare quanto riguardava gli altri. Ed è probabile che egli lo ignorasse in realtà, perchè i mandati in tali azioni si fraz;onavanoi impedendo che i fratelli si riconoscessero a vicenda, se 11011 per i segnali di setta, comunicati all’ultimo momento, e cosi, in caso di arresto, fossero più difficili le delazioni. Il fatto è che *1 Ratiì Opizzoni nulla ricavò sul conto delle altre squadre : difatti la sentenza imperversò sui responsabili della squadra garibaldina, messisi in salvo : Garibaldi, il Mascarelli e il Caorsi· Non è da credere con ciò che il Crovo sia stato peggiore degli altri delatori. Fu anz; generoso a lungo: audace nell*iscriversi giovanissimo tra i carbonari nel '21 ; costante, in età più matura, nel passare al mazzinianesimo : dal ’23 fu amico fedele del Gavotti, pel cui tramite forse giunse ai fratelli Ruffini e al Pianavia Vivaldi, di cui finanziò il viaggio a Torino per conto della setta. Ma con tutta probabilità si abituò a dissimulare in ufficio i suoi sentimenti con una ossequiosità impeccabile verso i superiori, che lo rese insospettabile e gli permise di esser utile ai fratelli. Io credo che egli sia stato queU’impiegato di prefettura che avvisava i compagni de’ mandati di arresto che si spiccavano contro di loro, e spesso a tempo. Nel «Lorenzo penoni» vi sono accenni a queste fonti segrete di informazioni. Mostrò ancora la sua fede, dando prova di bontà e di audacia, nel soccorrere egli solo il Gavotti prigioniero e infermo. Si acquistò così la fiducia piena della Congrega. Genovese, che gli affidò il mandato di trattare colle Sorelle Lombarde nel di-cejnbre '33 e gennaio ’34, nelPimminenza della »spedizione di Savoia. In questa occasione si compromette gravemente, ma per caso non è scoperto subito neppure questa volta. La lunga impunità lo rende imprudente. Il 19 febbraio commette l’errore di leggere ad alta voce un brano della lettera del Viacava in ufficio e di lasciar questa con le altre lettere nel cassetto. Esse scompaiono il giorno stesso. Egli perde la testa e cerca far sparire ogni altra traccia accusatrice· Ormai, è sulla china fatale. Il Rati Opizzoni è padrone di lui. Senza paroioni, senza violenza, anzi con una certa generosa incuranza di non andar a fondo di alcuna inchiesta spinosa, ma lasciando capire che sa tutto, mette il Crovo iu un orgasmo insopportabile, gli Rifonde la certezza che per lu:i è finita. L'esempio del- 120 Adolfo Bassi Γamico Pianavia lo ossessiona- E subito dopo il terzo interrogato-rio trad/soe. Tradisce dal 4 marzo al 3 giugno '33 per salvarsi, senza resipiscenza : solo con un nuovo terrore : la vendetta dei fratelli. Appena uscito di carcere e cacciato dalFimpiego, il Crovo, nell'impossibilità di vivere a Genova e sotto Fincubo della vendetta non può procurarsi lavoro e supplica tosto dal Governatore clie gli sia concesso un passaporto per l'estero. Vorrebbe stabilirsi a Napoli per vedere se può vivere inosservato e dimenticato in quel centro, non ancora conquistato dal mazzinianesimo. Il Governatore glielo rifiuta : glielo concede solo per Smirne. Il Crovo parte subito. Giunto a Napoli tenta fermarvi si, ma è tosto arrestato nel giugno stesso ’34. Si chiedono informazioni sull'essere suo per via diplomatica, tra i Governi dei due Stati. Da Torino si risponde che egli è >un sorvegliato della polizia e che il suo passaporto gli permette di fermarsi solo a Smirne : una specie di confino. E poco dopo è imbarcato e va a finire da rinnegato in Oriente, forse roso dai rimorsi e maledicendo la vita piena di ansie e eli vergogna, che ha comprato colia viltà e il tradimento : rimpiangendo la bella morte, che non ha saputo affrontare. * * * Eppure i fratelli ignorarono l’opera· di Giuda del Crovo : egli ancor oggi è considerato nel suo paese come un martire scampato per miracolo alla pena. Perchè nuila si seppe del suo tradimento? Per varie ragioni. Perchè egli si salvaguardò, ponendo per condizione alle delazioni che non dovesse subire alcun confronto. Perchè dopo il suo arresto egli non provocò nuovi arresti. Perchè gli arrestati non ebbero peggiorata la loro posizione. Perchè i tre fuggitivi, gli unici condannati a morte, nulla seppero delle cause deJa loro condanna, se non ciò che diceva loro la coscienza. Perchè i tre condannati! scompaiono ; del Maccarelli e del Caorsi non si sa più nulla affatto: Garibaldi ripara in America e riappare nel ’48 in un fulgore che cancella la sua condanna antica. Perchè inoltre il Crovo (anello di congiunzione tra i fratelli, appartenenti alla borghes a di Genova e di fuori), da un lato i militari, i popolani del porto e i marinai dall’altro) scompare: e con lui scompare ogni contatto fra questi elementi cosi disparati e ignoti a viqenda. Del resto Fazione delle delazioni di Cristini, Bonfiglio e De Medici (i tre militari entrati nella congiura coll intenzione di tradire, con Fautorizzazione de’ loro capi), e quelle dei tanti delatori che per sventura infestarono le fila mazziniane e tanto le nocquero, resero quasi inavvertita la delazione del Crovo. E la sua assoluz ione? Potè sembrare F effetto di una abilissima difesa, che non peggiorò le condizioni degli arrestati, dal momento Ll Delatore di Garibaldi nel Centenario della fallita Rivoluzione ecc. 121 clie furono tutti assolti — e in verità nessuno di essi appariva seriamente colpevole e conscio, e le denunzie del Cristini e del Bonfi-giio ricadevano tutte su Garibaldi, il Caorsi e il Mascarelli. Gli arrestati erano facchini analfabeti, marinai o ubbriaconi, irresponsabili : e ad immaginarli in azione 11011 erano che dei poveri untorelli. Se qualcuno potè dubitare di lui, furono il Viacava, il Casanova, il Cernusclii, quando lo seppero assolto. Ma d'altra parte non si accorsero di essere sorvegliati più di prima dalla polizia austriaca, nè apparve denunciata l’opera loro e delie Congreghe dell Italia Settentrionale che erano entrate in rapporti col Crovo, nel caos reazionario che tenne dietro alla spedizione di Savoia. A Genova, sgominati e dispersi i Mazziniani, nessuno rimase a ricordare il Crovo e ad infamarne la memoria. In via del Campanaro, passato lo spavento, ritornò nel *34 il reverendo Ambrogio, ohe da solo riprese la vita di prima. Che ne avvenne di Andrea? A Snrrne andò certo, ma non vi si stabilì e forse andò errando per l’Europa, procurandosi a stento un duro pane, e avvicinandosi alla terra natale. Ma esplorando gli « Stati delle anime » (l) della Parrocchia di S. Stefano, ebbi la sorpresa di scoprire che dopo -undici anni di esilio infame, in cui avrà sfuggito ogni contatto coi compagni di fede traditi per paura se 11011 per vergogna, ebbe l'audacia di rientrare in Genova e risalire nell’antica abitazione, sul finire del 1845. Pare che il tacito esilio scadesse dopo dieci anni nel giugno del 1844. In realtà egli non era un proscritto politico, ma un «assolto per inesistenza di reato », e il suo ritorno è anteriore alle riforme al-bertine. Andò prima per qualche tempo a Canevaro per tastar terreno? Forse. Questo è certo che all’inizio dei 184G è in Genova presso il fratello sacerdote ed esercita il mestiere di mediatore per più anni. Il 1851 è l’ultimo in cui è ricordato. Probabilmente muore entro Panno (non in quella casa, forse a Canevaro) a 53 anni, logorato dalla sua vita tormentata e vergognosa. E dei fratelli che fu? Il Chirurgo Biagio, che stava in Portoria, ottiene, proprio nel fatale 1834, di esser nominato chirurgo delle Carceri, dopo l'esilio del fratello, e lo fu sino alla morte che lo colse Γ8 gennaio 1847 a 59 anni (J) Il reverendo nel 1850 ospitò presso di sè per farlo studiare il nipotino d; 11 anni Agostino, figlio del quarto fratello Giovanni. Egli rimase col vecchio zio sino al 1859, poi partì per la guerra d’indipendenza ed è da credere che abbia riscattato in parte le colpe dello zr.o. Don Ambrogio morì nel 1865, a 75 anni. (ì) Archivio Parrfàéchiale di S. Stefano, Genova. Stati delle Anime per gli anni 1S4G a 1851. Ricordisi che gli Stati si compilavano annualmente nella quaresima . ·%τ ™ » , . . (2) Registro dei morti (1863-1880) e atti di morte 1841, N. u27 · Archivio Parrocchiale di S. Stefano, Genova. 122 Adolfo Bassi Cm terminò Tonta dei Crovo: e l’amnistia di Carlo Alberto cancello le ultime conseguenze del moto del ‘34 e dei precedenti, col pçimettere il r. torno in Italia di Garibaldi e di tutti gii esuli politici. Ma già nel maggio ’34 aveva paralizzato la delazione di Andrea Crovo la saggia indulgenza di Carlo Alberto, che non volle risalire dall innocuo sogno di ribell’one genovese, nata morta, alle remote inarrivabili connivenze « straniere », delle altre regioni italiane. I mazziniani del Regno erano sgominati. L’azione in& Sa-^ oia (e su questa le delazioni del Crovo nulla avevano aggiunto di nuovo) era, anch’essa, miseramente fallita e s’era. chiusa con la condanna a morte di due ribelli colti colle armi in mano . Ma era terminata pure con larghi premi : dall'istituzione della meda-g ia d 01*0 al valor militare, assegnata al carabiniere Scapaccino pei pi imo, con distinzioni e premi di altri e la proclamazione della riconosciuta fedeltà delle truppe. Insomnia l'azione dei Re fu più di premio ai buoni che di castigo ai malvagi. (E quali ne furono le conseguenze? Rispetto agli inquisiti di Genova la portata del tradimento fu minima, poco o nulla aggiungendo a quanto le autorità sapevano. La responsabilità di Garibaldi, organizzatore e profugo, risulta da tutto il processo. Quella del Caorsi, altro profugo, il raccoglitore di tre casse d’armi per la progettata rivoluzione e che furono sequestrate, evidente. Più oscura è quella del Mascarelli, venuto a Genova per dar gli esami da capitano di gran cabotaggio e già partito da Genova il 28 gennaio, prima del moto, per Nizza e di lì per ignota destinazione : a meno che unica colpa sia la sua intrinsechezza con Garibaldi. Ma questi sono i tre contumaci, soli condannati a morte. Tutti gli altri accusati e prigionieri sono assolti perchè non convinti di colpa. Il solo Crovo fu « assolto per inesistenza di reato ». Processo tuttavia prezioso, perchè ci dà, ora per la prima volta, la trama della rivoluzione ·η Genova pel febbraio *34, che ha nuclei: Marsiglia, Ginevra, Milano : e per quest'ultima i personaggi principali : il Yiaca-va, il Cernuschi e il Crovo. La sentenza, in apparenza assai mite, non rispose che a giustizia per tutti gli arrestati, fuorché pel delatore, il più colpevole di tutti- Perchè dunque si disse che di fronte alla mitezza del giudizio 1 opinione pubblica e specie quella militare insorse? E perchè si agg unse (quello che è vero) che il Re Carlo Alberto volle vedere gli atti del processo, e fu egli appunto che proibì si procedesse più oltre? Egli senza dubb’o meditò sulle delazioni del Crovo, che per nulla avevano alterato le linee del processo, ma che avevano ben altra importanza sotto un altro punto di vista, perchè mostravano la. vasta organizzazione mazziniana fuori del Regno Sardo, in Italia, e testimoniavano che il movimento era di tutta la coscienza italiana, Il Delatore di Garibaldi nel Centenario della fallita Rivoluzione 123 non di un solo nucleo di malcontenti e di ambiziosi; e mettevano nelle carte della poUzia nomi di tanti compromessi nazionali, ma profughi e inafferrabili, e di tanti stranieri (i milanesi, gli emiliani erano allora, per Torino, stranieri». E il procedere contro di essi costituiva· una dicjliiarazione di impotenza. Meglio tenerli in nota, sorvegliarli nel Regno e farli sorvegliare dalla poliz'a austriaca e dalle polizie dipendenti da essa negli Stati Italiani. Così si avevano in mano per Γavvenire le fila dei congiurati e si disponeva di un mezzo di più per sorvegliarli, senza che essi lo sospettassero, per arrestarli appena varcassero il confine, se lo osassero. Quindi la decisione di Carlo Alberto di non farne più nulla, cioè di non intrapprendere nuovi processi, risponde al più elementare buon senso. E il declinare da allora dei mazzinianesimo d’azione segna forse Γinizio, sin d'allora, della nuova coscienza italiana che mira all’unità per vie più larghe e sicure. Ed è s’ntomatico che Garibaldi, il condannato a morte del *34, ritornerà campione della libertà nostra a guidare le nuove schiere, non più come ribelle, sui campi aperti di battagl:a per l’Italia una. Adolfo Bassi NOTA — Mentre questo articolo era in stamperia, il prof, Eugenio Passamonti pubblicò un dotto suo studio su « Giuseppe Garibaldi e il moto genovese del 4 febbraio 1S34 secondo di atti processuali » in « Camicia Rossa » (Roma, Anno X, N. 2) del febbraio 1934. In esso si accenna in tre punti al Crovo : egli è posto a capo degli « intellettuali dirigenti » : egli dii « lo schema della definitiva organizzazione » : egli manda a Garibaldi i nomi di due sot-t'ufficiali da ricercare e probabilmente adescatoli al moto. DUE RITRATTI COLOMBIANI L’iconografìa colombiana è stata studiata per la prima volta con criterio scientifico solo una quarantina d'anni fa, da Achille Neri. (/) Non si possono considerare come lavori scientifici monografie, articoli a tesi comparsi prima e anche dopo l'opera del Neri, perchè mancanti della base necessaria: il confronto èia critica estesi a tutto il materiale raccolto- e classificato. Per rintelligenza· di ciò che abbiamo a dire in queste pagine è sufficiente risalire alle conclusioni del Neri e partire da esse come da un punto fermo. 1 ritratti di Colombo si riducono fondamentalmente — esclusi gli aprocriti — a due tipi : quello « del Giovio » e quello « del Capriolo ». Ne derivano numerosi gruppi in cui si possono classificare tutti i soggetti noti. L'« archetipo » sarebbe il gioviano, 1‘amica figurazione che per testimonianze documentane risalga ai tempi dello Scopritore, largamente considerati. E* poi da escludere che alcun ritratto sia stato eseguito direttamente dall’originale. Le prove di questa affermazione sono giù state esposte dall’illustre Harrisse: per noi fanno testo : spetta agli eventuali contradditori distruggerle documentariamente. Non ci occupiamo qui della quistione perchè essa non tocca diretta-mente il nostro studio. * * * Fra· i derivati del primo tipo, il «gioviano». Achille Neri pone un ritratto assai noto ai Genovesi: quello posseduto dalla Famigia De Ferrari, e 1111 altro proveniente dalla Raccolta di Ambras, cu stodito (1S94ì a Vienna. A scanso di fastidiose circonlocuzioni e riferendoci alle figure qui inserite designeremo i due ritratti rispettivamente con (I) e (II). Per l‘(I), notava il Neri, come la «rassomiglianza con l'archetipo risulti evidente»; pel (II) osservava «la parentela col tipo gioviano non è cosi prossima..... perchè l’artista ha seguito in parte la sua fantasia.....tanto neiratteggiamento del viso come nel vestimento.... ». (l) Raccolta Colombiana P. LI. Voi. III. Due κιτκλττι colombiani 125 Mentre il Neri, per il «no intento di classifica, pone in evidenza le concordanze, noi dobbiamo valutare le divergenze. Esaminando l’insieme dell'(I) possiamo facilmente constatare clie 1 uomo ivi rappresentato pure richiamando certe linee dell ui-elietipo gioviano, appare indiscutibilmente più giovane specialmente nella conservazione della capigliatura. Il costum.e di cui è rivestito non ha nulla del noto abbigliamento colombiano: giubbone a pieghe e o-abbano, foggia quattrocentesca; ma corrisponde perfettamente a quella in uso nella prima metà del secolo seguente. E’ un costume di parata come lo dimostra il « gorgierino d’arme» e iL bastone di comando che la figura tiene poggiato sul fianco. La spada non si può farla rimontare alla fine del quattrocento perchè rivela forme cinquecentesche assai progredite. Lo sfondo, una figurazione di isole intersecate da canali, presenta galeoni cinquecenteschi anziché caravelle. Infine le armi araldiche dei Colombo accollate a quelle di tepa-gna avvicinano la «sigla» dell'almirante, ma alterata. Il titolo del dipinto è XROF. COLUMB. La forma di questa sottoscrizione contraddice alle precise disposizioni testamentarie dell'Ammiraglio e alla grafia corrente da lui adottata: sigle complete e disposte in un d-ato ordine e sottoscrizione: XRO FERENS. In una effigie originale dello Scopritore, proveuieute dalla Spagna, il nome dovrebbe essere ortografato COLON anziché COLLMBUS. Abbiamo esposti fin qui dati di fatto dei quali bisogna tener conto. Ritornando ora alle affinità con l’archetipo gioviano, ammettiamo col Neri certi lineamenti concordanti; l'arco delle occhiaie e l'ovale allungato del viso e, aggiungiamo, la forma latina COLUMBUS. Sulla provenienza di questo dipinto sappiamo — circostanza che ha il suo peso — che essa deriva in origine dalla Famiglia λ e-neroso. E contemporaneamente a questo elemento ne possediamo un altro: ai Veneroso erano pervenute memorie «colombiane» da una erede dei Gallo. In definitiva V (1) può essere stato posseduto dalla famiglia di quell’Antonio Gallo, Cancelliere di S. Giorgio, protettore amico e corrispondente di tre generazioni dei Colombo : Domenico, Cristoforo, e Diego. Ne potrebbe derivare legittimamente questa conclusione: Il «Colombo» dell’(I) è una figurazione dello Scopritore, eseguita in data assai posteriore alla sua morte; la somiglianza con l'archetipo gioviano esiste ma con deformazioni essenziali. Il costume è anacronistico. La sigla, alterata. Alcuni particolari del fondo non corrispondenti. Il « titolo » espresso con grafia discordante dalTordinaria. 11 ritratto verrebbe quindi ad avere un valore storico e documentario assai mediocre. 126 Giuseppe Pessagno RITRATTO DI COLOMBO appartenente alla Famiglia De Ferraris di Genova (I) Non crediamo però che questa conclusione, per quanto ammissibile, sia necessaria,, in senso assoluto. Se noi astraessimo dalla necessità che 1’ (I. rappresenti CRISTOFORO COLOMBO, e cioè se ci liberassimo dalla designazione tassativa che accompagna la sigla, una ipotesi di natura e conseguenze ben diverse, potrebbe sostituire la prima : Se noi astraessimo dalla necessità che l’(I) rappresenti dell’ Almirante e di Felipa Moniz y Perestrello sua moglie. La· data di nascita di Diego oscilla fra il 1480 e PSÜ; e si vuole avvenuta a Puerto Santo. Diego succedette a suo padre nella carica di Almirante Mayor e la esercitò attivamente fino alla morte (1520). Se si ammette che il personaggio rappresentato nelP(I) sia Diego Colombo, secondo Ammiraglio delle Indie, allora si spiega ini- Due ritratti colombiani 127 mediatamente Ja vaga rassomiglianza con lo Scopritore, dovuta non airignoranza o all’imperizia dell'artista, ma a un fatto naturale. Diego Colombo assomigliava al padre o almeno ne ricordava certe caratteristiche « Fué persona de grande estatina, corno su Padre, gentilhombre, j los miembres bien proporcionados- el rostro luengo. y la cabeza empinada.... (Las Casas Hist, de las Tndias Γ/2 T/3 *237) ». L*attribuzione di soggetto dell’(I) è ancora suffragata dall’esame del costume prettamente cinquecentesco e non di transizione dal XV al XVI secolo. Si ha la sensazione precisa che questo « genti-lliombre » rappresentato quasi ostentando le sue insegne di comando, sia un tutto omogeneo, 11011 un adattamento postumo. Ora, Cristoforo Colojnbo non si acclimatò mai perfettamente alla sua rapida e prodigiosa fortuna : le figurazioni più attendibili ce lo mostrano in umile aspetto indossando il costume dei navigatori di cui il « Cabano » era la caratteristica saliente. Nell’(I·, ripetiamo, il costume di parata è omogeneo e corrisponde di più alla evoluzione naturale che l’eredità nella carica doveva aver operato nel tìglio dell’Almirante. Anche lo sfondo, una porzione di globo figurante le Nuove Indie solcata da. squadriglie di galeoni sembra richiamare le imprese Governatoriali di Diego anziché quelle marinare del Primo Ammiraglio. De armi araldiche sono perfettatinente giustificate come la sigla famigliare ed ereditaria. E veniamo finalmente al «titolo» del dipinto: nella nostra ipo tesi esso sarebbe stato risportato, in· data più recente, e in Italia. Naturalmente questo è il punto delicato della quistione. Occorrerebbe un «saggio» dell’originale sul luogo· della eventuale sovrapposizione. Forse verrebbero in luce particolari interessanti. Xoi non conosciamo l’originale se 11011 per riproduzione fotografica, e quindi, oltre la « linea » non possediamo elementi di giudizio, Restano a spiegare le ragioni di provenienza· deH'(I) sempre in ordine alla nostra ipotesi e la sostituzione a Diego di Cristoforo Colombo. Non sarà cosa molto difficile. Sappiamo che i Veneroso ereditarono da una Gallo, nipote o pronipote del Cancelliere, un quadro di « soggetto colombiano » La navigazione di Colombo. Sarebbe questa la origine dell’(I)? Forse, a patto che « la navigazione di Colombo » 11011 sia; presa in senso assoluto. Perchè allora si tratterebbe di un dipinto aneddottico, ora scomparso, e non del quadro ancora conservato. Potrebbe anche trattarsi di 1111 equivoco, per parte del Notaro, fra un lavoro letterario di Antonio Gallo « De navigatione Columbi » e l’effige colombiana. Quanto alla probabilità che il Gallo 0 i suoi eredi immediati conservassero un ricordo di Diego, essa è indiscutibile. Nel 1502 Anto- 128 Giuseppe Fess.ygng nio Gallo fu in corrispondenza più diretta con Diego clie non con l'Alniirante. Le « minute » ancora visibili nel Registro di Cancelleria del Banco di S. Giorgio, lo attestano. In tutto l'affare del « lascito di Colombo » il Gallo lui avuto una parte personale mentre si ha la» sensazione che il Banco, abbia negletto in certo modo le profferte.· Inoltre, prima del 1506, Diego poteva parer designato, eventual· mente, per quella rappresentanza del « lignage » che lo Scopritore voleva si stabilisse nella sua Patria. E quindi verisimile che un ritratto di Diego sia pervenuto a Genova e in questo caso non poteva toccare se non ai Gallo. Il Cancelliere e i suoi immediati successori avrebbero conservato il cimelio intatto. In un'secondo tempo, quando il nome di Colombo ebbe un rinnovo di attualità — cioè all’epoca del « pleyto » in. torno al 1570 — il cambiamento di titolo potè avvenire. Oppure il titolo può essere una aggiunta del XVII secolo in casa Veneroso.... Come si vede, su questo punto le ipotesi si moltiplicano, ma non teniamo affatto a prolugarle. L'attribuzione di soggetto che abbiamo prospettato sembra a noi risolvere la quistione e salvare il valore storico del quadro. Esso invece sarebbe inevitabilmente intaccato dalle sconcordanze e dagli anacronismi che sussisterebbero nel caso si tenesse fermo ciò che il titolo precisa. * * * Se il ritratto di cui ci siamo occupati appartiene ((relativamente » al tipo gioviano, questa relatività si accentua immensamente per il (II). A prima vista si giudicherebbe per un apocrifo: nè Fin· sieme dei lineamesti, nè il costume, nè lo sfondo hanno il minimo carattere colombiano salvo la divisa iscritta in uno scudo all’angolo inferiore destro. E lo stemma della banderuola non è quello dei Colombo ma di Spagna. t; evidente che il Neri, per mantenere questo soggetto nell'orbita della sua classifica, deve aver valutato degli indizi « imponderabili». Questa è per noi l'espressione appropriata. L'uomo della «Raccolta d,’Ambras » alto, quasi obeso, porta un abito a tunica, lungo, a pieghe, e una sopraveste di broccato a rilievi, ornata di pelliccia colle maniche amplissime e cadenti; costume difficilmente precisabile, ma vagamente « clericale », come del resto Paspetto e il contegno del personaggio. Come dunque — nel caso di un ritratto apocrifo dello Scopritore — si sarebbe potuto pensare a travestirlo in tal modo? E, per contro, se il soggetto rappresentava tutt’altra persona, perchè decorarlo con la divisa delFAlmirante? Lo scudo infine reca una figura di nave secentesca e l’ortografia spagnuola è inesatta. Due ritratti colombiani 129 Come si vede, qualunque giudizio si voglia· adottare in proposito, le contraddizioni essenziali sono inevitabili. * * * Anclie in questo caso però, la sostituzione di un nome risolverebbe ogni difficoltà. RITRATTO DI COLOMBO della Raccolta d'Ambras (Π) Intanto il (II) non porta alcuna designazione di titolo e lascia quindi maggior libertà di attribuzione. Se invece di un Cristoforo Colombo, di certo apocrifo, volessimo riconoscere nel soggetto del 130 Giuseppe Pes sag .\ o quadro (II) DON FERNANDO COLON, figlio dello Scopritore e di Beatrice Henriquez, non ci allontaneremo dal vero. Di Don Fernando si conoscono le caratteristiche generali somatiche: era alto e corpulento. Nel suo testamento Don Fernando ordinava che sulla sua tomba, a livello del pavimento della Cattedrale di Siviglia, si disegnasse un rettangolo di «dos varas τ dos dedos de 1-uengo» per «una vara j un dedo» di larghezza (*) perhè, egli teneva a far sapere che tale era la· precisa « estatura de mi persona ». Le proporzioni somatiche del personaggio erano superiori alle normali. È poi nota l’inclinazione vivissima di Don Fernando per gli studi e la vita ecclesiastica. Egli non fu mai regolarmente « ordinato » ma passava la sua vita, a Siviglia, nel quartiere della meravigliosa Cattedrale, insieme ai Canonici del Capitolo. Ancora oggi la memoria di Don Fernando vive nelle sale della Biblioteca Colombina che egli ha fondato. Tutti sanno che Don Fernando* fu viaggiatore, storico, esperto di cosmografia e navigazione, poeta, bibliofilo e amatore d’oggetti d'arte. Qualcuna di queste sue caratteristiche servirebbe a spiegare· nel (II) la presenza del globo, sormontato dalla bandiera di Spagna. Don Fernando, precisiamo, fu esperto di Carlo V per questioni geografiche e navali. L’abito talare si spiega naturalmente. Infine certe caratteristiche somatiche rispondono esattamente a quelle note per la disposizione testamentaria citata. Ma c'è di più: si sa che Fernando Colombo si era fatto ritrattare e che la sua effigie esisteva ancona nel 1592. Argote de Molina, l’autore di un manoscritto : Aparato a la Historia de Scvilla dice « su retrato se vè en mi estudio». Come si può identificare il ritratto della collezione di Ambras con quello del 1592? Forse, più facilmente di quanto parrebbe. La Collezione di quadri manoscritti, oggetti d'arte, armature preziose, nota sotto questa designazione, proveniva in parte dal « guardaniobile » di Carlo V e di famiglie principesche d’Austria. Nulla di improbabile che il ritratto di Don Fernanda abbia fatto parte di tali provenienze, come cimelio storico e ricordo di un personaggio che aveva molto contato a Corte. Lo scudo con la divisa è certamente di data posteriore. L’ortografia è errata e i caratteri della nave secenteschi. L'aggiunta può datare dalla permanenza del quadro nella Collezione Ambras. * * * Abbiamo tenuto ad esporre qui semplicemente una serie di induzioni che l’esame dei due cimeli colombiani ci ha suggerita. Il pro- 0) Queste misure corrispoDdono a m. 1,95 per m. 1,00. Due ritratti colombiani 131 blema è stato posto, e la soluzione accennata. Ma per definirla esaurientemente abbisognerebbero mezzi d’indagine clie non possediamo, e non terremmo d’altronde ad esperire anche potendo. Sarebbe indispensabile la conoscenza e l'esame sistematico degli originali per determinare le eventuali sovrapposizioni e aggiunte. Bisognerebbe inoltre accrescere — con laboriose ricerche — la documentazione della provenienza e degli spostamenti elei due dipinti. E special-mente pel (II) tentare di rintracciarne resistenza fra Ja suppellettile di Carlo V e successori in certi inventari illustrati con preziose miniature che abbiamo potuto ammirare all’« Armeria » di Madrid· Sarebbe ancora necessaria in ultimo, la ricerca, la classifica e il controllo critico dei ritratti di DIEGO e di FERNANDO. Del primo abbiamo constatato qualche esemplare a Siviglia e a Madrid. Dell’altro crediamo non esistano copie o per lo meno non siano state identificate. Tutto un lavoro questo, che richiederebbe tempo e fatica più di quanto lo meriti un risultato problematico. Ad ogni modo abbandoniamo il compito ai volenterosi — che abbondano — per definire questa, molto secondaria, fra le quistioni colombiane. Genova, Giugno 1934. Giuseppe Pessagno CARTA ARCHEOLOGICA DELLA LIGURIA Negli anni 1928 e 1929 furono pubblicati i fogli 95, 96 e 102 della Carta Arlieologica d’Italia, fogli riguardanti precisamente i territori di San Remo/Spezia e Massa Carrara. Poiché non ne fu data ancora notizia sopra questo giornale, e poiché si tratta di argomento importantissimo per lo studio della storia ligure, potrà riuscire interessante la segnalazione di questa Carta; segnalazione che giunge un poco in ritardo, ma sempre può dirsi attuale, perchè i fogli riguardanti gli altri territori liguri non sono ancora stati pubblicati. Mentre spontaneo si forma l’augurio che presto essi vengane a completare il quadro archeologico· della regione ligustica·, è oggi dovere gradito quello di indicare e raccomandare agli studiosi liguri tale pubblicazione, importante per tutte le regioni italiane, ma importantissima certo per la Liguria. Essa infatti viene a colmale una vera lacuna nella paletnologia della nostra regione, ricca di fondamentale materiale preistorico ripetutajnente illustrato, ma ancora priva di carte riassumenti i molti scavi ed i molti studi fatti in proposito. Questi fogli' inoltre hanno il merito di soddisfare linai-mente un voto espresso dal Prof.- Arturo Issel, fondatore illustre della paletnologia lignre, il quale, poco tempo prima di morire, nel « Supplemento alla Liguria Preistorica » incitava i giovani alla continuazione degli studi paietnologici liguri, dando appunto consigli e facendo proposte per la composizione di una Carta Archeologica. I tre fogli citati sono compilati sopra la Carta d’ Italia al 100.000 dell’istituto Geografico Militare; risultano quindi molto chiarì e particolareggiati, con specifiche determina-zioni delle località e dei ritrovamenti. Completa può dirsi la segnalazione di questi e completa la descrizione che dei singoli reperti è fatta nel testo annesso al foglio; ogni fonte di notizie liguri deve certamente essere stata esaminata fin dagli inizi; inoltre ad aumentare il pregio, non mancano le segnalazioni di alcuni reperti ancora inediti. Ben distinti sono i segni convezionali, in modo che la lettura della Carta risulta facile e chiara. Anzitutto appare con evidenza il fenomeno strano della grande scarsezza di un Paleolitico ligure, a prescindere dalla stazione dei A N Ί ΟΝ IETTA BkAMIìIL LA 133 Balzi Rossi, scarsezza che si contrappone all’abbondanza del Neolitico e delFEneolitico. La distinzione fra questi ultimi due periodi è mantenuta ed osservata ; a questo proposito si potrebbe obbiettare che tale distinzione, per le nostre regioni, tende oggi a scomparire; la questione però, potrà venire meglio discussa quando, nel foglio del Savonese, saranno siate descritte le principali ed essenziali caverne rappresentanti il Neolitico ligure. Passando al Bronzo, chiaramente possiamo* constatare sopra la Carta la scarsezza, anzi, possiamo dire, la mancanza di questa età nella Liguria, mancanza, contrastante con l’abbondanza del precedente Neolitico; l'errore di chi vuole parlare di un’età del bronzo in Liguria risulta in modo evidente dalla Carta confermando quanto già io dissi in una recente pubblicazione. Il Ferro appare ben chiaro nella sua abbondanza ed estensione; le varie fogge (li tojnbe sono minutamente descritte e con facilità può esserne seguita la successiva evoluzione. Alle molte tombe a cremazione segnalate potremmo aggiungere, perchè non ricordato nella Carta, il sepolcreto a inumazione di Genicciola, durato forse sino al II secolo d. O., importante appunto per il tipo eccezionale delle sue sepolture. Quanto alla distinzione fra I e li età del ferro, alle toiqbe già segnalate come proprie del primo periodo potrebbe venire aggiunta anche quella di S. Romano, toanba che presenta la primitiva fi bulla ad arco semplice. Un’ultima osservazione desidero fare infine, osservazione che vuol ricordare insieme uno dei consigli lasciati dal Prof. Issel intorno alla progettata Carta : un carattere certo maggiore di completezza potrebbe ad essa venire apportato dalla segnalazione degli abitati romani, come spesso è stato fatto nelle più importanti Carte archeologiche. L'epoca romana si sovrappone infatti nella nostra regione, senza discontinuità, all’ultima età del ferro, e molto spesso i maggiori accentramenti di tombe sono vicini al successivo centro romano, come può venire riscontrato, consultando la Tavola Peutin-geriana. E se talvolta questa corrispondenza sembra mancare potrebbe essere utile consultare e magari segnare nella Carta la posizione delle più antiche Pievi medioevali, tanto caratteristiche nella nostra Liguria e sorte generalmente presso i primitivi pagi liguri-romani, pagi non segnalati nella predetta Tavola. Quasi accanto ad ogni ritrovamento di tombe potrebbe allora venire segnata sopra la Carta una croce, indicante l'antica Pieve, croce che, di conseguenza, potrebbe servire ugualmente per indicare la presenza del pagus romano. Anche nei reperti archeologici della Liguria si ripete infatti quella successione storica che caratterizza i paesi di buona parte d'Europa : civiltà primitiva Koma, Cristianesimo. Antonietta Brambilla Su di un documento riferentesi al culto romano per Γ acqua ^ Sono notevolmente rari i segni attendibili, che stanno a documentare come dapprima le più elementari norme di pubblica igiene siano derivate da concetti essenzialmente religiosi. Quello attestante il culto per l’acqua potabile, in Lunig’iana, è stato ritrovato a Carrara e rimonta indubbiamente ad epoca anteriore al sorgere dei pubblici serviizii per la protezione delle acque; prijna cioè che s.i disciplinassero le condutture nell’Urbe e che si, stabilissero nel dominio Romano puhMici ufficp per la vigilanza agli acquedotti, di cui principalissimi furòno quello di Alatri? il Gallico con tubazione in piombo e impiego di sifoni ed il Partenopeo1 di cui il maggiore tronco si prolungava sino al Capo Miseno per approvvigionare la flotta, attraverso la wÂTabïle piscina di Bâcoli. E tanto più significativo è il segno ri-trovato, in quanto non vi è traccia di conduttura ed ancor meno di acquedotto nel Carrarese. Esso consiste in quel cippo già studiato dal Mazzi ni (2), scoperto nel 1921, un chilometro a settentrione dalla Città, sulla sponda del Cari-ione, nel punto dove la lizza di Miseglia si unisce con la via Carrione, in località detta «Canalie », propriamente in un sito dove l’acqua fluisce da cinque grosse polle. Fu quivi ritrovata una piccola edicola risultante da vari blocchetti di marino bianco squadrato, formante nel centro una nicchia per contenere un’oretta votiva, pure marmorea, con cimasa e base, e con iscrizione dedicatoria sulla fronte a scrittura sciatta, ma con caratteii di forma antica. Sia per il laconismo della dedica e sia per la forma arcaica di un cognome si ritenne giustamente che dovesse rimontare al primo secolo a. C., epoca che coincide con 1 inizio dell’attività Romana nelle cave dei marmi di Luni, che son queste di Carrara, p) (1) L’istesso argomento ha dato materia all’opuscolo a L'acqua dei marmi ritenuta potabile fin dall'epoca Romana - Carrara 1st. Ed. Fascista 1931. (2) u. Mazzini, a Sul Culto Romano dell'Acqua a Carrara » - Giornale storico delia Lunigiana A. XII Fase. III. ^ (3) Pare che prima ad introdurre in Koma il marmo di Carrara >ia stato il Cav. Mamurra vissuto nel 1° secolo a. C. (Plinio Hist. Lib. <-»(> Cap. Ο»). SU DI UN DOCUMENTO RIFERENTESI AL CULTO ROMANO PER L'ACQuA 135 L’iscrizione è suddivisa in due parti, di cui la seconda scolpita sul plinto della base S A C R V M NYMPHIS A TΠΕΝΙΟ CAESNYN.P Ο V M S V I S S Y B C V R A T. A V M AMEIOIMNI il Mazzini spiegò letteralmente: « Sacrum Nynphis, Atlienio Caesnun [ius] p [osuit] cum suis -Sub cura T [iti] Aum [i] Ameicimmi ». Parve facile, per non dire naturale, ritenere die essa stesse a ricordare come Athenio Cesnunio ed i suoi avessero dedicata quella piccola ara alle N'tnfe essendo cura'tor aquarum Tito Aumo Amei-cimno. Circostanza questa che il Mazzini dedusse senz altro dall'allocuzione « sui) cura ». Se pero ci addentriamo nella questione ciò non può ritenersi esatto, non potendo certamente quell iscrizione riferirsi ad un ufficio di vigilanza' non ancora costituito. Risulta infatti accertato che la carica di Curator, come pubblico ufficiane, fu istituita in seguito alla costruzione dei maggiori acquedotti delFUrbe, circostanza che si deduce da precisazioni storiche. Prima del 312 a. C. invano si cercherebbe in Ron^a un qualsiasi seguo che stesse a significare az/one di pubblica tutela sulle acque potabili. E diciamo a cominciare dal suddetto anno, poiché venne in esso portato a compimento da Claudio il Cieco, il prijno grande acquedotto, avendo s‘no a queir epoca i Quiriti fatto uso di acque attinte dal Tevere o da pozzi comuni. Devono quindi passare 40 anni perchè ne sorga un secondo, quello di M. Curio Dentato, e ne devono passare altri 127 perchè giunga in Roma ΓAcqua· Marcia, attraverso quelle condutture che stanno a segnare il maggior trionfo dell'ingegneria sanitaßVa durante la Repubblica. Infatti quell’acqua scaturiva da numerose sorgenti, a 3G miglia da Roma, presso la Via Valeria, e Quinto Marcio Re, Pretore, ebbe ordine di allacciarle tutte e incanalarle insieme. Fu così che i Quiriti ebbero un'acqua abbondantissima e pura, salita iu tale pregio da essere ritenuta sacra e destinata tutta a solo uso potabile : « ut in primfs potiti tota serviret ». Altri acquedotti vennero costruiti in seguito ed è anche celebre quello dei Censori Cepione e Cassio Longino, ultimato nel 12G a. C. Ora in tutta l'Età Repubblicana esistevano sì i Cumton scelti fra i Censori, ma essi erano in Roma e uon fuori dell Urbg e costituivano veri e propri Collegi, poiché eccezionalmente la tutela 136 M. Mazzitelli delle acque venne affidata ad un solo individuo. Bisogna invece venire all’Età Imperiale perché la carica assuma carattere di vera e propria Magistratura, poiché allora viene conferita a personaggi altolocati, ex Consoli, senza fìssa durata. Quando però ciò accade gli acquedotti in Roma sono di già nove ed è Agrippa che istituisce, a spese dello Stato, un pubblico servizio ben disciplinato con la creazione di una « Pubblica Familia Aquaria » ; servizio che assume di poi maggiore importanza quando gli acquedotti, in numero di quattordici, disposti a raggiera intorno a lÌoma, raggiungono la portata complessiva di oltre un milione di me., sicché ogni Quirito può godere di 800 litri di acqua pro àie. Ma è da notare che va maturando allora il pubbl ico diritto all’uso dèU'acqua, mediante quella particolare legislazione sugli acquedotti in virtù della quale ogni cittadino può servirsi delle pubbliche acque nella misura occorrente ai suoi bisogni. Tanto vero che pubbliche divengon presto tutte le acque (flumina perennia), cosicché occorre portar vigilanza fuori dell* Urbe, in tutte le Provincie conquistate, dove si vanno man piano costruendo acquedotti assai importanti siccome quello di Pozzuoli, cui abbiamo accennato. Vengono di conseguenza a costituirsi allora veri e propri corpi di vigilanza ben disciplinati, d'importanza statale e di nomina imperiale : due Lettori ed a loro seguito due pubblici servi, un architetto, disegnatori, archivisti, messi e banditori. Anzi sotto Claudio si costituì la Familia Caesaris, con a capo un Procurator, composta di 460 schiavi.: controllori, guardiani di pubbliche fonti, ispettori, tagliatori di strade, scavatori ed altri operai del genere. Corpo questo, mantenuto, anziché dal pubblico erario, dalla Casa stessa dell'imperatore per le sue Province. Finalmente non si sa bene se si debba a Diocleziano o a Costantino aver posta l’alta carica in mano ai Senatori Consolari (Consulares aquarum), con ampie funzioni tecniche e administrative, per essere di già stato fatto imperioso divieto ai cittadini di addossare agli acquedotti, case, sepolcri, cippi e neppure alberi. Fu allora che si costituirono nelle città maggiori dell'impero importanti dicasteri stabili di vigilanza (Statio aquarum), dove prese residenza il Trihunus aquarum. Ora è mai possibile supporre che un Curator aquarum, con veste di Pubblico Ufficiale abbia potuto risiedere nella zona delle cave, dove l’escavazione doveva essere ai suoi primordi, quanta bastava per l'utilizzazione del marmo locale, in sost ituzione di quel- lo che in magna' copia affluiva dalla Grecia? Si pensi che in quel tempo detta carica era unicamente nell'Urbe e per giunta allo stato nascente. E allora perchè a «Sul· cura)) posto non già nel colpo dell'iscrizione, come d’i solito, ma sul plinto della base, non devesi dare più semplice, per non dire più appropriata interpretazione ,di stare cioè a indicare o il nome del personaggio che permise l’erez'one dell'.edicola in quel luogo, o quello del costruttoie SU DI UN DOCUMENTO Rli-'EREXTESI AL CULTO ROMANO PER L’aCQuA 137 ■dell*Ara, ο quello di chi avesse esplicato il mandato votivo ricevuto da Athenio? Clié se realmente Tito A nino Ameicimno avesse avuto l Ufßcio di Curator per le acque locali, l'indicazione sarebbe stata più propra, darla con un ablativo assoluto, anziché ((on un genitivo che esprime altro concetto. Non è poi a dire che. quel « Sub e ara » possa rapportarsi alla presenza in Luni di un Pubblico Magistrato con giurisdizione regionale, poiché se questa città fosse stata di già costituita come Municipio avrebbe avuto nella sua magistratura ordinaria chi, avendo cura di tutto, non avrebbe potuto esimersi daL·’obbligo di custodire le acque. (Luni invece raggiunse il suo sviluppo in avanzata epoca Imperiale e fu tale la sua importanza da doversi ritenere che debba aver avuto, anche a questo riguardo, forme impiegatizie di rango superiore, tanto più che si sono rinvenuti, mediante gli scavi del Fabbricotti, elementi che stanno ad attestare resistenza di una estesa e completa rete di distribuzione, in piombo, dell'acqua potabile. Con ciò non s'intende affatto sminuire l’importanza del seguo ritrovato, anzi si pone in maggior evidenza il suo valore, stando osso a rappresentare una delle documentazioni più dimostrative del Culto Romano per le acque potabili, antecedente ai primi editti di tutela. L'edicola con l'Ara votiva, ripetiamo, è stata ritrovata là dove è tutto un gruppo di. copiose sorgenti, limpide e fresche, precisamente all’imbocco dei canali che menano alle cave di Colonnata e a quelle di Fantiscritti, dove Aronte trovò la sua spelonca per ricercar presagi nelle stelle : tutte cave antiche, nelle quali si rinvengono ancora i segni della maniera usata dai Romani per 1 estra zione dei marmi. S'intende dire delle famose tagliate. Due speroni di monti, costituiti da rocce marmoree iìn dalla base seendon di contro nelle « Canalie » località solitaria e piena çp ombre suggestive : quello del M. Croce da cui scaturiscono, in opposti versanti, le acque del Pero e quelle di Ratto, e lo sperone di M. Costa dove, nel versante di Colonnata, lungo il Carrione, affiorano le cinque polle, cui abbiamo accennato, mentre dal lato opposto, quasi di fronte alle sorgenti del Pero, sgorga, in caverne, l'acqua Martana, forse così chiamata per onorare il forte Dio guerriero. Acque tutte pressoché uguali sia per stato batterico, che pei* uostituzione chimica; tali anzi da essere considerate oggi le più pre giate di tutta la regione e poste fra le prime della penisola, pur filtrando attraverso spessissimi gacimenti marmorei, estesi per 800 ettaii: fatto a noi noto soltanto oggi per averle poste in uso, mentre tutto fa supporre che non dovettero essere diversamente apprezzare nella remota epoca Romana. L'edicola con 1 iscrizione eia stata infatti collocata tra le polle che prime si incontrano venendo da Colonnata, dove indubbiamente fu una Colonia Romana di cavatori. Ed è notevole il fatto che le acque che affluiscono da tali polle hanno profondità tale da non risentire affatto l influenza estei 13S M. Mazzitelli na, essendo d'inverno tiepide, per quanto fresche d'estate. Caratteristiche. queste assai apprezzate dagli anticihi che davano preferenza alle acque ipogee, sorgenti in regioni elevate e che si presentavano nell’estate fresche e tiepide d'inverno. Ora un altare posto in tal luogo sta certamente ad affermare il rispetto dovuto alle sorgenti, tanto più che in esse s'impersonavano le stesse divinità onorate. EdL in proposito il Corsini fa giustamente osservare che mancar di rispetto a cosi fatte acque, sarebbe stato alienarsi la protezione benefica delle Dive, sicché deve presumersi che le stesse abitudini contratte fin dall’infanzia di portare omaggi di fiori e di doni campestri s-u di un'.Ara votiva servissero in effetti a contrarre la buona abitudine di riguardare cpme cosa sacra l'acqua. Nel nostro caso dovevano poi essere le Naiadi le protettrici del luogo, esse che, coronate di perle, reggendo conchiglie e vasi, riversavano perennemente l’acqua nelle fonti, in cui si rispecchiava tutto il loro candore. Il luogo era perciò velato da fitta boscaglia, e protetto da Silvano Santo quando in sull'vAra si propinavano offerte incruenti di latte, di miele e di ghirlande. A testimoniarlo sta in effetti un'altra iscrizione scolp;ta su di un cippo marmoreo di dimensioni, maggiori, ritrovato nella stessa località ed oggi posto in serbo nel Museo Fabbricotti. L'iscrizione è alqianto corrosa dal tempo, ma è ben decifrabile, tanto da poterla qui riportare tutta integralmente: PROSALY Ο X Y N N I O IL L O N I FAMIL E I V S ET S Y SILVANO S S A C R V M P O S V I T A N T o NI V s 8. P. R. Vero è che l'edicola eretta in onore delle Ninfe non presentava importanza per le sue dimensioni, risultando alta appena m. 1,40, larga mezzo metro e non di più profonda, tanto da custodire l'Ara, che a sua volta è ben minuscola, per avere soli 27 cm. di altezza e 10 di larghezza ; ma è anche r*saputo che presso i Romani ogni Ara, come ogni Tempio, doveva essere proporzionata all’estensione del Culto, al numero delle Divinità cui era dedicata e più ancora al rango cui le Divinità stesse appartenevano (Vitrurio). Ora quanto poteva mai essere esteso il culto di queste acque se SU DI UN DOCUMENTO R1FERENTESI AL CULTO ROMANO PER L’ACQUA 139 qui non vi era che un semplice manipolo di marmorariii con quei pochi riquadratoli e segatori elle occorrevano al citato lavoro? Tutta gente radunata in poche case sotto Miseglia e là dove è oggi il rione di Vezzala ,in cui si rinvennero Tombe Romane, avendo questi nuclei dato origine alla Civitas Carrariae. Ma quand'anche fosse stato qui tutto un popolo di lavoratori, quale grande importanza potevano ave.re le Ninfe, modeste figlie di Teti, divinità subalterne, al paragone delle maggiori, sorte dalla mente di Giove o capaci all’atto della nascita di incatenare al fondo del mare la terra galleggiante che li dava al sole? Non furono mai infatti innalzati grandi templi alle Ninfe, ma piccoli altari, nascosti spesso in grotte naturali. Tutte le Divinità però, quali che fossero, esigevano in ogni caso più che rispetto, devozione : basta perciò aver rintracciato qui l’esistenza di un;Afa sacra alle Ninfe e posta da presso alle sorgenti, per poter ritenere che le acque scaturenti tra i marmi siano state ritenute 'potabili, fin dairepoca Romana e rese sacre per assicurarne la protezione senza vigilanza. Quindi, concludendo, in considerazione di quanto è stato detto, si può ritenere che l'epigrafe ritrovata a Carrara, stia a documentare il culto Romano per l’acqua potabile, antecedente agli editti per l'obbligatorio rispetto. Ciò contrariamente all interpretaz one datasi, la quale ammettendo qui la residenza del Curatorf sarebbe per lo meno da considerare anacronistica, poiché tale carica in quell’epoca esisteva soltanto nell’Urbe. Con questo non s'mtende fare appunto di sorta e neppure comunque muover ortica all'interpretazione del Mazzini, archeologo di indiscusso valore per competenza, poiché egli dal suo punto di vista diede la spiegazione letterale che doveva al contenuto epigrafico. Si cerca invece di dare l’interpretazione storica che merita al LO.ro documento y stando esso, come bene intrav'de il Torsini, ad attestare ancora una volta, e assai eloquentemente, il concetto ormai assodato che le norme igieniche prima di essere sanzionate nelle Leggi Civili, abbiano trovato fondamento, come precetti, nelle pratiche religiose, più o meno comuni a tutti i popoli della terra, che hanno lasciato traccia di sé nell’evoluzione della Civiltà. Prof. M. Mazzitelli Genova e gli ultimi Appiani I GENOVA E GLI APPIANI FINO ALLA SIGNORIA DI JACOPO VI. Λ erso le terre della Lunigiana e della Versilia la repubblica di Genova svolse un azione secolare di penetrazione in antag’onismo con Pisa, Lucca e specialmente Firenze, che, stabilitasi nel XV secolo in Λ al eli Magra, osteggiò sempre le ambiziose aspirazioni genovesi, arginandone ogni tentativo di espansione in quelle parti. L· anche verso altri punti della Toscana, che presentavano par ticolare interesse marittimo, si rivolgeva l'attenzione della repubblica di S. Giorgio. Così, fra il Χλ e il XVI secolo, essa tenne, perdette e vanamente tentò di ricuperare Livorno, quasi prevedendo il fortunato sviluppo a cui era destinato il piccolo scalo toscano ; così non allontanò mai del tutto il vigile sguardo dalle sorti di Piombino e dell’isola d’Elba. E come nel principato poi ducato di Massa la famiglia ligure dei Cibo valse a mantenere con la repubblica quei rapporti amichevoli, che certo favorirono più tardi il tentativo di acquisto del piccolo Stato, fatto al principio del settecento con la condiscendenza dell ultimo principe di quel casato, il duca Alderano (*) ; così i Genovesi, attraverso le parentele strette dagli Appiani con la nobiltà della Dominante, ebbero agio di intromettersi più o meno dilettamente ed efficacemente nelle faccende dello Stato piombinese, cercando, finché almeno fu loro possibile, di controbilanciare e neutralizzare l'influenza fiorentina, sempre attiva ed ostile. Subito che Gherardo d'Appiano, venduta Pisa a Gian Galeazzo λ isconti, consolidò, nel 1399, la signoria della sua famiglia in Piombino, Suvereto, Buriana, Scarlino. Vignale, Populonia e nell’isola d’Elba, ecco (1401) la spedizione punitiva dei Lomellino contro quel signore corsaro e protettore dei pirati catalani, gran nemici di Ge- (M Ne parlai in Genova e Massa nella politica mediterranea del primo Settecento («.Giornale storico e letter, della Liguria», li>27, fase. 2, 3). Genova e gli ultimi Appiani HI nova, accolti in sicurtà nel porto di Piombino, perchè meglio potessero intralciare i commerci delle navi liguri; spedizione che era stata da ultimo provocata dall’arresto, per parte deir Appiano, di Andrea Lome]lino, costretto a forte riscatto. (1) L^'impresa dei Genovesi falliva; Gherardo si dava in «raccoman-digia » a Firenze (1403) e, alla sua morte, la moglie, donna Paola Colonna, rinnovava tale atto nel 1405 per il tìglio Jacopo II, alleandosi poscia in perpetuo con quella repubblica. Questa dedizione a Firenze poteva vieppiù accendere le opposizioni dei Genovesi; onde la reggente di Piombino credette di rafforzare la posizione della sua famiglia, facendo sposare il figlio Jacopo II a Donella di Luca Fieschi. Tale matrimonio segna evidentemente un mutamento di politica. Infatti nella guerra del 1430 tra Firenze e Lucca, il signore di Piombino si schierava contro la prima città; senonchè nel 1440 si vedeva ancora costretto ad invocare e riconoscere la protezione fìorentina.12 ) Mentre il giovane principe va spegnendosi, la madre, Paola Colonna-, conduce vittoriosamente la guerra contro il pretendente alla successione, il cognato Emanuele d?Appiano, e assicura il dominio alla figlia Caterina sposata a Rinaldo Orsini. L’influenza genovese si fa sentire notevolmente in questo periodo. Ambasciatore di Rinaldo Orsini per la conclusione della pace con il bey di Tunisi, col quale erano sorti aspri contrasti, fu il genovese Clemente Cicero, mentre il fratello suo Simone (3) tenne per qualche tempo l'ufficio di console di Piombino presso quel sovrano (1444). Morta donna Paola Colonna, POrsini e Caterina Appiani, riconosciuti signori di Piombino (1445), ricevono aiuti contro le armi di Alfonso il Magnanimo dai Fiorentini, che rinnovano, a pace conclusa, la « raccomandigia » alla signora di Piombino, essendo il marito suo perito di peste (1450). Caterina Appiani, esautorata e debole, si ritirava intanto a Scarlino, dove nel gennaio del 1451 s'ammalava gravemente, mentre nello Stato pullulavano fermenti e agitazioni. Genova, Firenze e Siena intervenivano. Esisteva colà anche un partito favorevole ai Genovesi, che pertanto inviavano - ambasciatore Giorgio Grillò, le cui tratta- (1) R. PiAiTOLi, La spedizione dei Lomellino contro il Principato di Gherardo d'Appiano, in « Giorn. storico e letter, della Liguria», 1931, fase. 1. (2) Per questi o per gli altri avvenimenti della storia generale di Piombino vedasi specialmente : Licurgo Cappelletti, Storia della città c stato di Piombino dalle cugini fino all a. 1S14, Livorno, Giusti, 189Ï. (3) Clemente Cicero con Simone ed altri nel 1451 assumevano in appalto-le pescherie di’ corallo di Marsacares nel mare di Tunisi. 142 Onorato Pastine ti ve venivano però interrotte dalla morte di Caterina e dal pronto riconoscimento, come signore, di Emmanuele (ΓAppiano da parte del Consiglio degli Anziani con l’approvazione dei Fiorentini e Senesi. (1) Emmanuele sposò nel 1454 Battistina, sorella del doge di Genova Pietro. I Fregoso, il cui figlio Battista (che sarà egli pure più tardi doge della repubblica) trovava nel 1457 rifugio presso la zia a Piombino, essendo esule a causa delle perenni agitazioni cittadine. (2) Tuttavia l’Appiano fu amico di Firenze, al cui soldo servì fedelmente. Per contro è presumibile che quei mercanti italiani, che in questo/ stesso tempo (1454) eccitarono contro di lui e i Piom-binesi il bey di Tunisi, fossero in gran parte, se non esclusivamente, genovesi. Comunque il tiglio di Emmanuele. Jacopo III, continuò la buona intesa con Firenze, e più tardi ancora il nipote, Jacopo IV, accoglieva — sebbene con pieno insuccesso — le richieste d’aiuto dei Corsi ribelli a Genova (1483), mentre successivamente passava agli stipendi di Siena e di Firenze. Ma assediata Piombino dalle armi del duca Valentino (1501), Jacopo IV, che aveva avuti aiuti dai Genovesi e dai Fiorentini, si vide costretto a rifugiarsi nella· capitale ligure col pensiero di indurre quella repubblica a comperare il suo Stato, e vanamente sperando nella protezione della Francia, a cui Genova era soggetta. Il Casoni (3) afferma che l’Appiano fu consigliato a ciò dal cugino Girolamo Spinola, e che il Senato ne scrisse al Re di Francia e gl’inviò Bartolomeo Senarega «perchè facesse conoscere a S. M. di quanta conseguenza fosse quello Stato, così per lo commercio, e per ìo dominio del mare, come per tenere in freno Pincostanza de’ Fiorentini». Lo stesso Jacopo IV si recò a tal uopo in Francia, ma il re si trovava in tali grosse faccende che nulla si concluse. (4 \ Son questi gli anni in cui anche Pisa, in guerra con Firenze, si offriva inutilmente a Genova (1505). Le lotte intestine e la conseguente dominazione straniera toglievano a questa città la possibilità di così importanti acquisti. Ritornato intanto fra il· suo popolo, il signore di Piombino si poneva sotto la tutela di Ferdinando il Cattolico, al cui aiuto ricorreva quando nel 1505 egli temette un attacco dei Genovesi. (x) A. Pesce, Un tentativo della Repubblica di Genova per acquistare lo Rtato di Piombino in « Archivio Storico Italiano », disp. I, 1913. i2) P. L·. Iævati, Dogi perpetui di Genova, 1339-1528, p. 44G. (3) Annali della Repubblica di Genova, libro I. (4) Il Giustiniani (Annali della Rep. di Genova) dice che detta compera << non dispiaceva al Re, ancorché in palese dimostrasse il contrario per non offendere il Papa Alessandro, del quale a quelli tempi, bisognava ». Genova e gli ultimi Appiani 143 Caduta la repubblica fiorentina e consolidatosi il principato dei Medici in Firenze, Cosimo I iniziò un'opera insistente e tenace per impadronirsi dello Stato piombinese, coonestando le sue mire col pericolo del Turco, alleato del re Cristianissimo. Ad una proposta di permuta, dopo qualche esitazione non volle aderire Jacopo Y, il quale vedeva con diffidenza le opere militari che il duca faceva compiere in Piombino stesso contro il corsaro Barbarossa con l’autorizzazione imperiale. Cosimo I aspirava apertamente al possesso di Piombino e dell’Elba, e Genova, che temeva potesse di qui stendere le avide mani anche sulla Corsica, era nettamente avversa a questi suoi intrighi, influendo in tal senso sull'animo di Carlo V. Il ripetuto tentativo di Cosimo di ottenere lo Stato di Piombino al tempo di Jacopo V, si rinnovò con maggior insistenza dopo che egli lasciò la signoria alla vedova Elena Salvi ati, reggente per il figlio Jacoi>o VI. Ma nulla valse a far piegare questa energica donna, sostenuta del resto dagli stessi Piombinesi, che preferivano rimanere sotto la dinastia degli Appiani. Carlo Y frattanto·, urtato dalla fiera resistenza della reggente, affidava la difesa dell’isola d’Elba- contro le eterne minacce turcofrancesi a Cosimo I, che subito s'accingeva alla fortificazione del Ferraio e alla fondazione della nuova città, che da lui avrebbe dovuto prendere il nome di Cosmopoli. Il dispetto dei Genovesi per questi fatti fu immenso, e dice il Cappelletti che i loro prolusiti di ricorrere alla forza delle armi contro il duca vennero a stento frenati da Andrea D’Oria. A Carlo V essi offrivano intanto quanto denaro desiderasse per ottener l’isola, d'Elba, e incoraggiavano anche con mezzi finanziari donna E-lena e il giovane Jacopo VI a respingere ogni pressione dell’imperatore o del duca, sostenuti in ciò dallo stesso confessore di Carlo Y, avverso a Cosimo. Il Casoni (j ) ricorda che per le sollecitazioni della stessa reggente, la repubblica inviava espressamente a Carlo V Cipriano Pallavicino per opporsi alle ambizioni del Medici; ma nulla otteneva. Non ostante i rifiuti formali degli Appiani, lo Stato piombinese veniva consegnato al duca di Toscana il 22 giugno 151S, e inutili furono le ultime resistenze di donna Elena, che col figlio dovette rifugiarsi a Genova, ponendosi sotto la tutela di quella repubblica. Il Medici e Genova si trovavano così apertamente di fronte, deciso il primo ad annettersi senz’altro il dominio degli Appiani, e mirando la repubblica ad evitare almeno che un tale pericoloso ingrandimento di Firenze dovesse realizzarsi. Ed ecco quindi la casa Appiani entrare da questo momento netta - (i) Op. cit., ì. V 144 Onorato Pasti ne mente nell’orbita dell'influenza genovese. Adamo Centurione, in quel tempo illustre ed autorevole personaggio della repubblica, recandosi presso Carlo V per importanti faccende politiche, aveva avuto pure incarico di sostenere la causa di Jacopo VI, che era poi anche quella di Genova, e lo stesso giovane signore veniva indotto a portarsi con alcuni nobili genovesi al cospetto dell'ijnperatore per lagnarsi dell'ingiusta spogliazione subita. Il risultato di tutte queste pratiche, nelle quali la repubblica di S. Giorgio aveva avuto gran parte, si fu che Carlo V diede ordine a don Diego di Mendoza di intimare a Cosimo I la restituzione del feudo, il quale non doveva essere assegnato, se non fosse stato prima determinato definitivamente il compenso per la permuta decretata. Tuttavia rimanevano a Cosimo le fortificazioni di rortoferraio con sommo rammarico dei Genovesi, che inutilmente tentarono ogni mezzo per far togliere al duca anche l'isola d’Elba, come quella che aveva per essi la massima importanza e rappresentava il maggiore pericolo. Respinta sdegnosamente dal duca di Firenze una proposta avanzata. dai suoi nemici, consiglieri dell'imperatore, di consegnare il feudo di Piombino ad una terza persona, dando alPAppiani l’adeguato compenso e a Cosimo, per i crediti che aveva verso Carlo V, il danaro da ricavarsi da Genova, parve che le mire del duca potessero essere finalmente appagate. Favoriva l'accordo la morte di donna Elena avvenuta in Genova* (1552). La guerra divampava ancora in Europa, e Carlo Λ affidava «il Medici, a titolo di difesa e deposito, lo Stato piombinese, senza che il giovane Jacopo VI, di fronte alle minacce dei Turchi, potesse elevare proteste; tanto più che Cosimo, con apposito patto, s’impegnava alla restituzione del dominio da effettuarsi « a suo tempo ». Intanto Jacopo VI, che del resto anche in seguito parve mostrare sempre una chiara propensione per Firenze, era stato nominato capitano delle galere toscane. Mentre ovunque si combatte, in Italia Genova ritoglie la Corsica ai Francesi e Cosimo si dà tutto all'impresa di Siena, che porta (3 luglio 1557· alla sistemazione definitiva della Toscana con la restituzione di Piombino a Jacopo VI, la formazione degli Stati dei Presidi e l'assegnazione al Medici di Siena e Portoferraio, dietro rinuncia dei suoi crediti verso FiMppo II e PAppiani; il quale, trovandosi allora in Inghilterra, firmava col re di Spagua il trattato di Londra per la parte che lo riguardava (20 maggio 1557). Dopo dieci anni, Jacopo VI il 1° agosto 1550 rientrava così in possesso degli aviti domini; ma ben poco durò l’accordo coi suoi popoli, che molto ebbero a lagnarsi del suo governo dispotico e della burbanza e malevolenza mostrate verso i sudditi. Nell'aprile del 1562 il popolo, geloso delle proprie franchigie, insorge; viene assas- Genova e gli ultimi Appiani 145 sinato il colonnello Cima, tristo consigliere del principe, che, adiratissimo, ripara segretamente a Genova. Qui rimaneva però poco tempo e se ne andava a Firenze, facendo nel frattempo arrestare a Livorno, d’accordo con gli ufficiali ducali, due degli ambasciatori degli Anziani di Piombino, da lui accolti poco prima con simulata benevolenza in Genova. L’intervento di Filippo II riconciliava apparentemente Jacopo YI con i suoi sudditi. Visitò egli in quello stesso anno( 1562) lo Stato, non volendo però entrare nella capitale ; si ritrasse quindi nuovamente a Firenze, nè più fece ritorno, in seguito, nei suoi domini. All'avversione verso i Piombinesi si congiungeva la sua dedizione al Medici, che naturalmente lo allontanava da Genova. Cosimo lo eleggeva intanto generale di tutte lstrationi, clie quelle ci han fatto, non si cancellerà mai daPaninii nostri nè la memoria ne’ il desiderio di mostrarceli grati, et qui quanto più veramente possono ne la gratia di VY. SS. Ill.me ci raccomandiamo ». Della buona corrispondenza che continuò fra VAppiani e Genova è testimone anche la forma particolarmente cortese delle lettere scambiate Fanno seguente 1575, dietro Ja richiesta del Signore di Piombino di poter «estrarre» due cavalli per suo uso dalla Corsica. Egli riconosceva veramente che al desiderio suo che aveva, « sempre havuto di far qualche gran cosa à servitio » delle Loro SS. Ill.me, non aveva potuto fino allora soddisfare, « per mancamento di suggetto », se non « con Ja memoria » ; tuttavia voleva col chiedere nuove grazie « far maggiori li obblighi » suoi. ‘E a questa lettera del 22 luglio il governo genovese rispondeva nello stesso mese annunciando di aver subito dato ordine che i cavalli venissero inviati completamente liberi di ogni gravezza, come per le cose che si spedivano per conto della repubblica, aggiungendo i-noltre: «et V. S. 111.ina sia certa che in tutte le sue occorrenze sarà sempre da noi abbracciata- con quella amorevolezza, alla quale conosciamo esser lei inclinata verso la Rep.ca del che le habbiam obbligo et ne teniremo memoria ». E alle «molte amorevolezze e cortesie » usategli dall’eccelsa repubblica si riferiva in una istanza del 20 maggio 1576, con la quale ricorreva ai Signori genovesi « come a amorevolissimi padri », perchè lo appoggiassero in certa causa con un Centuriore, di cui non m’indugerò qui a parlare per non dilungarmi troppo. Ricorderò piuttosto, per ora, che in altra sua lettera del 27 agosto, lagnandosi col governo della repubblica perchè la faccenda che tanto gli premeva non procedesse secondo giustizia e il suo desiderio, rivolgeva aspri rimproveri al Centurione, aggiungendo : «ch’io non mi tengo meno amorevole cittadino di quello, che faccia egli». Attestazione di filiale devozione che anche qualche mese prima (10 giugno 1576) aveva rinnovato e confermato in una lieta circostanza, ìa presa di possesso dello Stato di Piombino da parte del figlio Alessandro. Dopo più di un anno dacché era stata inoltrata la pratica, S. M. Cattolica aveva finalmente riconosciuto Alessandro come vero e legittimo successore di Jacopo VI; e dieci giorni prima che il giovane principe facesse il suo ingresso solenne nella piccola capitale, si affrettava il padre suo a darne da Pisa annuncio ufficiale alla repubblica : «à fine — scriveva — che send’informate de molti re-spetti, per i quali mio figlio deve desiderar di servirle, possino hora, et si havverrà maggior campo, credere di sempre trovare in lui più accesa la voluntà, et d’haver la medesima authorità sopra le cose sue, che hanno di quelle de altri lor Cittadini. Egli se ne va Onorato PAstin e 151 à Piombino à tener conto del suo Stato, et io resto qui buon servitore di VV. SS. 111.me alle quali bacio le mani,et desidero felicità ». Pronta e paternamente affettuosa fu la risposta del Duce e dei Collegi ad Jaeopo per esprimere la propria «contentezza» e il «gaudio infinito» e 1’« allegrezza grande» che sentivano «dei suoi contenti » per la « confirmatione fatta — essi scrivevano — a favore del S.or Alessandro per essere tanto congionto con la nostra Repubblica d’amore et d’inclinatione quanto è V. S. Ill.ma si ancor per esserne particolarmente figlio, della grandezza del quale noi sentiamo quel gusto, che si sente della prosperità de cari et amorevoli figliuoli si come è il S.or Alessandro della nostra Rep.ca ». In questa stessa lettera (30 giugno) e in altra del 10 settembre (i) gli davano poi premurose assicurazioni riguardo aD’invocato intervento nell’affare Centurione. Inoltre, due giorni dopo il suo ingresso a Piombino, lo stesso Alessandro ne informava il governo genovese, che se ne congratu-ava caldamente con lui (6 luglio). (2) Quanto durò Ita· permanenza di Alessandro in Piombino? Il Cappelletti, dopo aver parlato della morte di Jacopo VI (1585), afferma che il nuovo principe « stava a Piombino appena uno o due mesi dell'anno, e il rimanente passava a Genova» (3), ma non dice da quando questo sistema durasse, e, in genere nulla ci fa sapere dei rapporti anteriori di Alessandro con la· repubblica. Ora è interessante apprendere da una lettera di Jacopo VI come il figlio, evidentemente per suo suggerimento, decidesse di stabilirsi in Genova,; nel 1583. La lettera porta la data del 26 luglio da Marasca e suona così: « Ser.mo Duce, et Ilï.mi Sig.ri — Del conto, che la Ser.tà et SS. VV. 111.me lià tenuto, et tengono della persona mia. et di quella di Alessandro mio figlio, ne resto io tanto obbligato alla molta cortesia, et bontà loro, che non sapendo con che (!) A. S. Gl·., Litterarum, Reg. n. g. 75-1S51 (1576). (2) Ibidem. — Ecco il testo : « All’111.mo big. Alessandro Aragona Appiano. 111.mo S'ig. Si rallegriamo sommamente et si congratuliamo con V. S. Ill.ma che ella habbia preso possesso del Stato di Piombino come ci scrive per la sua de 22 del passata, et sebene Γamorevolezza, et stretta congiontione che è sempre stata tra la nostra Rep.ca et rill.ma sua casa, et particolarmente l'inclina tione dei S.or suo padre, sono da se soff Scienti cagioni a spingerci a ciò, nondimeno V. S. Ill.ma figlio della Rep.ca fa che sentiamo delle sue prosperità quel l'istesso contento che sentiamo delle proprie, riputando proprie quelle de figli) tanto amorevoli et tanto principali quanto è lei, la quale si presuponghi pur di noi tutto ciò che si può sperare dall*amor paterno et fra-tanto slamo· certissimi che dal suo governo il mondo conoscerà quanto bon giu-dicio habbia havuto il S.or suo padre et quanto lei non solamente cammini dietro alle virtù paterne, ma si sforzi se fussi possibile d’avanzarle. Dio nastro S'ignore la prosperi. Da Genova il 6 di luglio 1570». (3) Op. cit., p. 257. 152 Onorato Pastine ■sorte di effetti satisfare, come dovrei, à quello, che mi conviene, satisfarò, come posso, con un’ardentissimo desiderio di servirli sempre; et accio che la Ser.tà et SS. VV. Ill.me meglio conoschino la prontezza dell'animo d’amendui noi, s’è risoluto esso Alessandro %\ì venire ad habitare à Genova, et presupposto fermissime di demostrarsi del continuo per obsequente figlio et servitore di quella Repubblica, dalla quale io m’assicuro, che sarà aggradita questa deinostratione d'affettione et voluntà. Resta solo che offerendomi di nuovo alla Ser.tà et SS. VY. 111.ma per quanto vaglio in servitore loro, li preghi dal S.ré Iddio ogni contentezza, et maggio!· prosperità, et me li raccomandi in gratia». Continuava e si faceva in tal modo più intima e cordiale l’intesa con gli Appiani. E vediamo poco dopo Alessandro interessarsi, per incarico del padre, della restituzione di due còrsi per errore consegnati alle galee genovesi dal Vicario di Piombino (*), al che sollecitamente condiscendeva la repubblica. (2) A sua volta questa, l’anno seguente 1584, si rivolgeva al principe di Piombino per ottenere che fossero restituite ai patroni A-lessandro di Sestri e Pietro Raggio di Rapallo, merci e barche, che erano state saccheggiate dai Turchi presso le terre di suo dominio ed ivi poscia condotte. (3) La risposta dell’Appiani non si fece attendere molti giorni. E’ questa l’ultima sua lettera a Genova e comincia : « L’essere io stato nelle parti di Piombino, quando in quei Mari furono svaligiate le barche...; et l’ha ver ordinato a’ miei Ministri, che le restituischi-no a Padroni, ò, sui legittimi procuratori, fanno ch'io non sento quel dispiacere ch’io sentirei s’io ne fussi stato assente, e non ne sapessi più di quello me ne scrivono la Ser.tà et SS. VV: Ill.me». Così scriveva il 9 febbraio 1584 dalla sua villa di Ghezzano, prsso Pisa, dove aveva posto la sua dimora fin dal 1574 e dove morì un anno dopo. Ma tutta questa corrispondenza e in particolare la deliberazione presa da Jacopo VI e comunicata al governo genovese con la riportata lettera del 26 luglio 1583, ci confermano nell’opinione già espressa che fosse proprio suo preciso intendimento di mettere il figlio e lo Stato suo sotto la tutela della repubblica, quasi ad assicurarli contro le mene dei granduchi ben temibili ed aperte. E la « disposta voluntà » del padre verso la repubblica stessa (x) A. S. G., Lettere Principi, marzo 14; lettere di Appiano \TI del 20 settembre e 2S ottobre 1583. (2) Ib., Litterarum, Reg. n. g. 85-1801 (1582 85), lettera del governo ad Appiano VI del 15 ottobre 1583. (3) Ibidem, lettere del 29 gennaio e 3 febbraio 1584. Genova e c.lt ultimi Appiani 153 è ricordata espressamente nella lettera, con cui Alessandro partecipava la sria successione nello Stato piombinese. (]) Certo l'avversione di quest’ultimo al Medici si manifestò subito alla morte del padre, quando si rifiutò di concludere i patti, che già stavano per essere firmati da Jacopo VI, riguardanti la cessione di Pianosa e Montecristo a Francesco I, non rispondendo neppure alla lettera di quest ’ultimo, che lo invitava a fortificare almeno le due isole contro i barbareschi, e respingendo ogni ulteriore accordo. L’atteggiamento* di Alessandro era evidentemente conforme ai desideri di Genova, ma altresì a quelli della Spagna. E una duplice influenza genovese e spagnola sul giovane signore si spiega col fatto che egli, fin dal 1580, si era unito in matrimonio con Isabella, figlia di don Pietro di Mendoza conte di Binasco, ambasciatore del re Cattolica in Genova; forse non ultima ragione questa, per cui qualche anno dopo egli fissava la sua dimora nella Dominante. Morto Jacopo VI il 16 maggio 1585, (2) Alessandro si recava a prendere possesso definitivo· dello Stato, ritornandosene tosto· a Genova nella sua casa di Carignano. I libri dei Cerimoniali1 della repubblica ci ricordano, sotto lo stesso- anno, che il Governo in detta circostanza si affrettò a fargli la visita di rito: «Per lo Sr. Aless:0 d’Apiano Sr. di Piombino. -1585 - Essendo ritornato a Genova doppo l’haver preso il possesso del stato paterno per la morte del Sr. Giacomo suo Padre furono mandati quattro Gentilliuomini in nome pubblico a visitarlo in sua casa rallegrarsi della sua venuta farle doglienza della morte del Padre et congratularse della quieta possessione havuta del stato paterno, fu trattato seco con titolo d’IJl.mo ». (3) Ma la benevolenza· della repubblica verso Alessandro fu mal compensata dal contegno ch’egli tenne, dopo che si fu stabilito in Genova. Forte dell'appoggio dell’ambasciatore spagnuolo, suo suocero, (!) A. S. G.. Lettere Principi, marzo 14 — « Seréniss et Ill.mi Sig.ri — Haraimo la Ser.tà et SS. VV. Ill.me potuto sapere prima (l'oggi la non aspettata morte del sig. mio Padre, che sia in Cielo: giacile successe la notte del 10. Et io le prego à scusarmi, se notato m’havessero di così tardo avviso, et compatirmi, che vi ha impedito oltra Tessere restato stordito da così grave colpo, riiaver liavuto à procurare, lo stabilimento delle cose dello stato, et ad occuparmi) per ciò continuamente secondo il bisogno. Nel resto sapendo la dispoeta voi unta di esso sig. mio Padre verso cotesta Sereniss.a Repub.a piglio à debito di successione di continovarla, et di accrescerla con vivi effetti à mio potere, dove mi comanderà sempre; et. alla Ser.tà et SS. VV. Ill.me desideroso in particolare far comodo et servitio, bacio le mani: che Dio N. S. le pro--speri et me consoli. Da Piombino li 29 di maggio 15S5. Della Ser.tà et SS. VV. Ill.me — Servitor aff ino. Il Sig.r di Piombino ». (2) Il Cappelletti dà la data del 15 maggio; dalla lettera di Alessandro sopra riportata risulterebbe invece il 10. (3) Archivio di Stato in Genova, Gerepiomarum. Reg n. 473 B, carte 89. 154 Onorato Pàs uni·; e cedendo fórse anche alla sua natura di signorotto insolente nonché al clima storico dell’epoca·, l’Appiani si abbandonava spesso e volentieri ad atti di violenza, fiducioso dell'impunità che la debolezza del Governo lasciava sperare. Non si trattava per vero di un fatto eccezionale ed isolato, che il male era allora universalmente lamentato. Il Roccatagliata, sotto 1 a. 1584, biasimando l'inerzia del Senato verso i potenti che commettevano soprusi, narra che « nè meno si movè [il Senato] per il caso di Alessandro tiglio del signor di Piombino (egli era allora luogotenente per il padre Jacopo VI), il quale un giorno fatto venire a sè un certo giovinetto che si era partito di Firenze dal servizio di Giacomo λ ivaldo e venuto a Genova, il ritenne alcuni giorni prigione in sua casa, e ciò fece perchè era questo giovine stato incolpato» d aver voluto avvelenare il Vivaldo ad istanza di Ottavio Cattaneo, con tutto che da questa colpa intieramente fosse stato assoluto : ed a ciò si mosse solamente l’Alessandro· per l'aderenza che avea col Vivaldo. Queste ed altre insolenze erano tanto più detestate dall'universale, quanto che alcuni delitti commessi da povera gente, erano severamente castigati.» (j) Ancora più avanti l'annalista, trattando degli avvenimenti dell'anno seguente, aggiunge : « Andavasi in questi giorni commettendo de gravi delitti, i quali non erano generalmente castigati, massime quando dipendevano da persone grandi. » E di nuovo egli ci ricorda Alessandro; il quale era forse appena tornato' da Piombino,, quando nella prima metà dell'agosto 158ο « vicino alla sua casa di Carignano, fece bastonare un artefice per avergli domandato certa mercede, il quale perciò fu ridotto all’estremo della vita. » (2) Ma un fatto anche più grave accadde l'anno seguente. Ascoltiamo come ce lo espone il nostro annalista, contemporaneo a quegli avvenimenti, giustamente disgustato del come in quei tempi « si camminava nelle cose del Governo » e « ancora veniva per lo più calpestata la giustizia.» (3) In doge (Ambrogio Di Negro) altero ed incurante; senatori che «11011 attendevano ad altro che a soddisfare gli appetiti loro »; Genova all’arbitrio del principe Giannandrea Doria ormai inviso all'universale: nessuna meraviglia che i grandi si comportassero in modo insolente senza timore di alcuna sanzione. Scrive dunque il Roccatagliata (4): «Allora occorse che il signor Principe di Piombino, seguitato da una squadra d'uomini armati, 111 tempo di notte assalendo la corte con archibugiate, man- 0) Antonio Koccataguata, Annali della Repubblica di Genova dall a. 1585 all'a. 1007, libro II, Genova, V. Canepaj 1873, pag. 42. (2) Ibid, , pag. 59. (3) Ibid., pag. £2. (4) IbiM, pp. 83-85. Genova e gli ultimi Appiani 155 darono a terra due birri. Ciò egli fece con pensiero di torre dal inondo il capitano, ed in questa maniera prender vendetta di lui per averli alquanti giorni prima fatti prigioni con armi1 quattro de’ suoi uomini, i quali mentre die erano condotti alle carceri, il detto signor di Piombino, instantemente glieli richiese, quali non potò ottenere dal bargello. La Rota interrogò il bargello e i suoi birri sopra il fatto, e perchè alcuni di loro ambiguamente parlando dissero in modo di dubitare, come che parve loro di aver conosciuti gli' uomini del signor di Piombino, e sopra ciò desiderando i giudici criminali) di favorire la causa quanto potevano, soggiunsero a que' ministri, come era possibile che li avessero conosciuti, essendo ciò seguito nella oscurità della notte. Essi stimando sincera l’interrogazione della Rota, indottisi a temere di loro medesimi, spiegarono la mera verità, e sinceramente si lasciarono intendere di aver tutti quelli uomini del sig. di Piombino appieno ben conosciuti, e diedero segni tali che la Rota si risolse riferire al Senato di aver posto in chiaro il delitto, ed essere il detto signore colpevole di questo misfatto. Sopra di ciò il Senato tenne molti e lunghi discorsi, e non ostante che alcuni de’ Senatori, tra’ quali Francesco Chiàvari, Giovanni Battista Gentile, e Cosmo Monsia, fossero di parere di procedere contro di lui e de’ suoi con tutti i termini della giustizia convenienti e con tutti i mezzi possibili per castigarli severamente secondo la qualità del delitto, e se ne lasciarono apertamente intendere, ed essendo detto signore aiutato d&U’Ambasciatore cattolico suo suocero, non si ristrinse tutto quel giorno altro, solo che si fece intendere alla Rota che provvedesse secondo i termini della giustizia. La Rota subito avuta la commissione, diede cattura contro di detto signore, ed a questo effetto dovendo andare in sua casa, e parendo loro di non aver forze sufficienti, richiesero ai Duce una banda di soldati Tedeschi per lor difesa, ma egli non risolse di dargliela senza il consenso del Senato, il quale tantosto che fu congregato si diede la commissione. Fra questo mentre l’Ainbasciatore, il quale come si può credere che intomo a questo· avesse piena contezza d’ogni cosa e che si andasse al possibile informando di tutti i particolari, mandò ad offrire alla Rota di far presentare quel signore suo genero, e insieme ad esso tutti gli uomini della sua corte, per la qual cosa i giudici trattennero i bargelli sino a nuovo ordine in tempo appunto che i Tedeschi erano pronti, e che si doveva partir di compagnia con gli altri ministri. Questo lento e freddo procedere del Senato e della Rota intorno a questa causa diede assai che dire à cittadini, quali perciò ne levarono un grande mormorio, lamentandosi specialmente del Duce, per non aveu egli di tutta prima che si favellò di questo particolare, voluto acconsentire che si deliberasse cosa 156 Onorato Pastine alcuna, scusandosi di non aver per allora potuto risolvere e dichiarare il suo parere. H principe Gio. Andrea Doria mosso dalla fama di questa novità, ritrovandosi un giorno in copipagnia del Duce θ molti' Senatori e con alcuni cittadini di gravità, non potè a meno di non lasciarsi con essi loro intendere 11011 essere di ragione, anzi esser cosa mal fatta, che si lasciasse passar senza· castigo un tanto delitto, esclamando fortemente e rammaricandosi molto di questo misfatto. Per la qual cosa ravvedutosi iì Senato, non stimando più tanto l’autorità dell'Ambasciatore cattolico, subito decretò, fornito che avesse la Rota il processo, di bandire dalla città e dominio della Repubblica il detto signore, con aggiungergli il termine di quattro giorni di tempo a partirsi dalla città dopo l’intimazione, con la compiimi zione della morte ancora. Questa azione del Doria piacque sommamente a’ cittadini, quali perciò dimenticandosi le passate cose e quasi avendole gettate dietro le spalle, cominciarono a lodar l’azione che aveva fatto, e stimandolo molto affezionato alla patria. » In vero il principe D’Oria pensò ben presto a perdere, con le sue pretese, Γeffimera ((grazia» acquistatasi presso il popolo; ma intanto questa volta fu giocoforza che l’Appiani se ne partisse da Genova. Prima di abbandonare la città egli rivolgeva però ai Ser.mi Signori una lettera (J). in cui si dichiarava candidamente innocente, protestando tutto il suo filiale attaccamento per la repubblica. « Prontissimo — egli scriveva al Ser.ino Duce e agli 111.mi S.ri Governatori e Procuratori — prontissimo son sempre stato à spendere le facilità e stato mio e la vita stessa in servitio e mantenimento della Ser.ma Repubblica e lontanissimo di pensiero da ogni cosa che la possa offendere; onde gran disavventura è stata la mia, che non solo non sia stato conosciuto questo mio affetto; ma habbia in loro partorito contrario effetto...». E tiene a dichiarare che egli pure è « originariamente uno dei cittadini et inclinatissimo, alla patria sua al pari di ogni altro » ; e se ora s'incluce a partire, si ■è (( per ischivare maggiore inconveniente », e prima ancora « per obbedire » le Signorie Loro, « restando con desiderio di poter servire alle occasioni e con gli effetti » alla Ser.ma Repubblica. Alessandro, avverso al granduca, che rappresentava per lui un assai grave pericolo; per nulla sicuro delle intenzioni di S'. M. Cattolica, mentre un presidio spagnuolo stanziava in Piombino ; era naturale che — a prescindere dalle ragioni di parentela e dalle particolari condizioni di famiglia — si appoggiasse a Genova. (i) 11 documento originale si trova nell’ARcmvio di Stato in Genova, Collegi Diversorum, filza n. 15. Alla Ambrosiana di Milano (D. 129, Inf) esiste un esemplare della lettera, come rilevo da una copia, non molto corretta di là ricavata ed esistente presso la « Società ligure di storia patria ». Genova e gli ultimi Λ γριάν i 157 La repubblica, dal canto suo, aveva tutto (la temere da parte del Medici, ma non meno la spaventava l’invadenza della Spagna. Non avrebbe voluto nò l’uno nè l’altra a Piombino e tanto meno all’Elba. Purtroppo s’era lasciata sfuggire a suo tempo la possibilità di comperare quell’isola preziosa e allorché Cosimo I ottenne di fortificare Portoferraio, essa ne fu, coinè vedemmo, esasperata. Ma ancor più sarà amareggiata quando più tardi (1603) Filippo III delibererà la fortificazione di Longone con la mira evidente d’impadronirsi dell’isola intera. Il danno colpiva tutti gli Stati italiani, e Genova temeva per la Corsica e per la sua indipendenza. Saranno quelli gli anni in cui la repubblica, contro le eccessive pretese spagnuole innalzerà la fortezza di Santa Maria nel golfo della Spezia; e gli ambasciatori genovesi a Roma faranno affronto a quello di Spagna con le loro cordialità verso il ministro francese; e gli elettori del Minor Consiglio non vi ammetteranno « alcuni di quelli che avevano le croci, ossia che erano cavalieri del Re di Spagna» (*) (1605); e il governa’ tore Raffaele Giustiniani intimerà alle galere spagnuole di lasciare le acque di Savona, minacciando di gettarle a fondo (1606- (2) : atteggiamenti che ben contrastano con quell'obbrobrioso servilismo genovese verso il re Cattolico, che è uno degli svariati luoghi comuni in materia di storia ligure, pur meritevole di essere riveduto, vagliato e ricondotto nei suoi giusti termini. Se dunque gli interessi genovesi, riguardo lo Stato degli Appiani, erano contrari a quelli toscani e spagnuoli, e dal momento che un’azione diretta della repubblica era ormai pressoché impossibile, s’intende come essa avesse convenienza a sostenere il signore di Piombino. Ciò potrebbe spiegare in parte l’atteggiamento incerto e indolente del Doge, del Senato e della Rota criminale genovese di fronte all'atto di violenza compiuto da Alessandro, secondo quanto narra il Roccatagliata; e dico soltanto «in parte», perchè, come già riscontrammo, i delitti in quei tempi si noveravano con troppa frequenza, e sistematica era la debolezza dell'autorità verso i potenti. Si aggiunga inoltre che, d’altra parte, la sola protezione dell’ambasciatore di Spagna basterebbe a darci ragione del contegno dei magistrati genovesi. Comunque il signore di Piombino si dichiarava « innocentissimo », e il vedersi pur non di meno colpito era appunto ciò che gli aveva «penetrato maggiormente l’alma». Negava dunque il fatto o meglio la sua complicità in esso ; e certo nessuna « maggior giustificatione si poteva desiderare — egli scriveva — quanto che (1) Roccatagliata, op. cit, p. 59. (2) Ibid., p. Co. 158 Onorato Pastine liavendo io in casa mia più di 80 persone, da tutte quelle poteano chiarirsi, ch’io la notte del disastro seguito fussi continuamente in casa, nè di quella in modo alcuno mi partissi’ giamai ! Anzi che esaminandosi molti marinari, et altri, che quella notte giunsero persone da Piombino, le quali doppo lo sbarco, venendo a casa mia per strada s’incontrorno col bargello à sorte, si' saria levata, e si leva ogni inala opinione ch'io pure ne potessi haver havuta alcuna, benché minima notizia. » Ma ciò che lo aveva sorpreso e colpito fortemente era stato lo strano e irregolare procedere del governo, il quale « senza alcuno demerito » suo — diceva lui — e senza che si trattasse a suo carico di delitto di lesa Maestà, nè che vi fosse « accusa alcuna de particolari », ed ancora «senza aspettar conclusione di processo1 nè giù-stificatione della innocentia » sua, aveva repentinamente emesso decreto di espulsione. E dal documento meglio conosciamo i termini della delibera zione, la quale stabiliva, che qual si fosse « il giuditio della Ruota Criminale», egli restasse «bandito e privo di potei- ottener ristoro alcuno se non con intervento dei Ser.mi Collegij e Minor Consiglio con li quattro quinti dei voti favorevoli, cosa non mai pit vista, nè udita ; e — continua lo scrivente — s’io non m’inganno, con eccessivo rigore contro le leggi humane e divine, contro la giustitia, contro il ben pubblico, e contra le conscienze loro ». Quali dunque potevano essere la ragione e il movente di tanta rigorosa avversione? Sicuro della sua innocenza, Alessandro aveva ben risoluto di presentarsi subito dopo iL fatto e prima ancora di essere citato; ma era stato consigliato di attendere «i termini assegnati dallo statuto », chè « fra tanto si sarebbero schifate le prime impressioni. » Ma ora che si procedeva « in questa guisa » contro di lui, con qual ragione poteva egli farlo? « Con qual animo — esclama — do vero io presentarmi con liaver dal seguito fin hora molta sicurezza, che indebitamente patirà la persona mia mille indignità, e straordinarie resolutioni, che sariano anco fomentate da molti particolari che, di ciò pirlano! I quali se benei rimirassero l’attioni loro, baerebbero ben da tacere e lassar che la Ruota da sè facesse i giuditij suoi secondo la disposition delle leggi. » Ecco quindi la vera causa di tanto rigore! Dal Roccatagliata sappiamo infatti che nel Senato si erano tenuti « molti e lunghi discorsi» sull'accaduto e che «alcuni de’ Senatori, tra' quali F. Chiavari, G. 1>. Gentile e Cosmo Monsia » si erano· dichiarati nel senso che si procedesse « contro di lui e de’ suoi con tutti i termini della giustizia convenienti e con tutti i mezzi possibili per castigarli severamente secondo la qualità del delitto », ed anzi di questa loro opinione si erano lasciati « apertamente intendere ». Ma ciò che aveva rotto gli indugi e mutato prontamente la si- Genova e gli ultimi Appiani 159 inazione favorevole all’accusato, era stato l’intervento del principe Gio. Andrea D'Oria, il quale aveva affermato «esser cosa mal fatta, clie si lasciasse passar senza castigo un tanto delitto, esclamando fortemente e rammaricandosi molto di questo misfatto ». Al D’Oria e ai suoi fautori si riferiva evidentemente F Appiani accennando a quei « particolari », che avevano « fomentate » le risoluzioni del governo e che, riguardando alle proprie azioni, avrebbero ben dovuto tacere. E già fin dal principio della sua autodifesa, egli aveva asserito che il «decreto· rigorosissimo» che lo costringeva a partire dalla città per altra cagione 11011 era stato « forse» promulgato che «per sola ambitione ed oggetti particolari altrui ». Quali motivi, quali « oggetti particolari » spingessero il D’Oria contro l’Appiani non potremmo con sicurezza indicare. Forse potevano esserci ragioni personali e private; ma guardando la cosa dal punto di vista politico, notiamo che non doveva sussistale una piena concordanza di vedute fra Alessandro e Giannandrea, almeno per quanto si riferiva allo Stato di Piombino. Già rilevammo che gli interessi dell’Appiani 11011 collimavano punto con le aspirazioni spagnuole. È vero che , anche nella presente difficile circostanza, egli aveva avuto l'appoggio caldo ed efficace di don Pietro di Mendoza, come si vede chiaramente dall’esposizione del Roccatagliata ; ina siffatto appoggio il Mendoza gli prestava senza dubbio non già come ambasciatore di Spagna, sib-bene come suocero suo, per quanto Genova naturalmente rispettasse e temesse in lui 11011 il parente dell’Appiani, ma appunto l’ambasciatore : per Puno la cosa era -un affare di famiglia, per l'altra si trattava di una convenienza politica. D’altra parte il vero rappresentante degli interessi spaglinoli al riguardo era piuttosto Giannandrea D’Oria, il capitano generale dell’armata di S. M. Cattolica. Don Pietro mirava sovratutto alla conservazione e al consolidamento del dominio di suo genero ; anzi i Mendoza fra pochi anni cercheranno di assicurale addirittura alla propria famiglia quella signoria a scapito degli stessi Appiani, donde le aspre recriminazioni ed accuse di Alamanno, fratello di Alessandro·, al pontefice Clemente Vili, le quali 11011 impediranno però l’avvento al potere di don Giorgio di Mendoza sposo della figlia dello stesso Alessandro. Ma il principe D’Oria badava unicamente al vantaggio del re. Egli, come Alessandro Appiani, si opponeva al Medici; ma in fondo con fini diversi. Fu il D’Oria che già a Filippo II propose invano la costruzione della fortezza di Longone; quando poi, morto questo re (1598), il granduca Ferdinando I si accostava alla Francia mediante il matrimonio di Maria de’ Medici con Enrico IV, e la Spagna di conseguenza si affrettava a rafforzare i suoi presidi in Italia 160 Ονοκλτχ» PisTiM compreso quello di Piombino. l'ammiraglio genovese fu pronto ad armare buon numero di galere per una spedizione, che tosto si eredette dovesse essere diretta contro i possessi granducali del l'Elba. Avendo poi cessato di vivere nel frattempo (1603) in Genova l'ultimo Appiani, il giovane Jacopo VII, la Spagna parve decisa aiPoccupazione di tutto lo Stato pioiubinese, noncurante degli stessi diritti imperiali, dando subito opera alla fortitica&ione di Longone. Onde il granduca vivamente lagnandosene con Filippo 111, affermava «die era già noto a tutti esser questo un progetto del Doria, unicamente immaginato j»er fargli dispetto». (l) Si comprende quindi come il Mettici si dilettasse di far spiare in Genova il principe Giannandrea per saperne « i segreti » e probabilmente non già come mostra di credere il Hoccaiagliata — perché « spinto più dalla curiosità che per altro line che si avesse®. (2) Orto non meno che »lai IVOria il Medici era detestato da 11’Appiani e dal Governo genovese; ma con tutto ciò, ripeto, i punti di vista non coincidevano affatto. Nessuna meraviglia dunque che il Principe si palesasse ostile al signor di Piombino. E neppure verso la patria sua egli mostrava quel favore, che le avrebbe dovuto come Agito. Il Hocca tagliata, che afferma di parlare per dovere ili ufficio e amore ili verità, ue inquadra la figura nella cornice un po’ fosca del suo tempo i3) con pennellate punto luminose e lusinghiere : il tutto sia pure con qualche esagerandone di colorito. Sotto Fauno 1.>S4 eirli riferisce che il Principe · andava porgendo occasione a qualche disgusti quali ‘o resero all’universale odioso.» Cosi infatti ce lo dipiuge: * Egli *i stimava fuolto per la magni licenza del Fa Halyard ieri Tedeschi, che teneva a cauto |>er guardia della sua persona, e un giorno fra gli altri entrò nella città accompagnato da essi e da staffieri e paggi, quali tutti sfavano col cappello in mano, dei quali ve n'era molta copia, a tale che avea più sembiante di Principe trionfante e vittorioso, che di privato cittadino genovese. Questo modo di procedere andava in qualche parte sturbando li animi deeli altri cittadini, ma poco si sarebl** in Genova di ciò curato, se in appresso poi non avesse più presto dimostrata la sua alterigia con gli effetti che con le apparenza, perchè con le occasioni dava disgusto al pubblico e al privato». i4) <») CAprajjsm. «p. cit.. p 2^ (sl ItoooimUitA, Annali ctt. a 13M, p 213 (*| u quest' t**mpi divennero con le ricche»*, e li agi a ^sn»» corrotti li Μ» unii Inni del GcDoTcìkit e in («rtimlere della nranta gioventù» ebe non si attendeva ad altro ck ai gtoochi. lolaai, fraodme. e wil, per* nkioiet jK-irto V p)v na delle città e regni» a tal che »bandita affatto la Tiriti, IMO ni dava luogo nd altro cb*> alle insolco»?, ingiurie. per**cuxioni ed iniquità. onde la giustizia «a tale si ridUfsero ie we de’ Genovesi) #i «torceva con |»ora dignità del pubblico, auxi veniva ad e»#ere iniquamente calpestata» non svendo la doruta uMirn» · fRocf %tiomata, p. 30|. i*l It«»* AYiOLUti, Annali, p. .T». E 1 accusa è ribadita; accusa di non comportarsi verso la patria secondo il dovere: « perseverava in Genova rodio universale de' cittadini verso del Doria, perchè non solo appresso de’ mezzani, ma ile* più inferiori, era in opinione ch'egli non estimasse la Repubblica, e che nelle occorrenze porgesse occasione di disgusti e pregiudizi!, ed appresso de* grandi non solo per le cagioni di sopra narrate, nui perchè anco nelle occorrenze li andava oltraggiando. ingiuriosamente ». (ij K ancora sotto l’anno successivo (1585) è confermato che « per la sua rigorosa maniera di procedere che teneva, non se gli ammetteva in guisa veruna ninna delle ingiurie che al pubblico e al privato faceva, con tutto eli Vi tingesse d’esser amoroso cittadino della sua patria, ili modo che pareva ch’egli facesse a bello studio nasceri· occasioni di contese, eziandio tra lui e 1’is tessa Kepuhbli-ca » (2). Egli non si peritava di pronunciare parole «contro il decoro e reputazione della Repubblica, anzi in molto dispregio e bia-smo di essa ·*. K « Γ uni versa le parere dei più » era che un siffatto contegno « avesse molta più profonda radice di quello che in apparenza dimostrasse, e elle la niente del Doria fossa diversa da quello che pareva nel l'esteriore delle sue parole»: s'intende delle parole di affetto verso la patria. K si osservava, a sostegno di questa opinione, « he mentre « in tempi ili maggiori bisogni » il Doria «non aveva mai potuto ottenere lo stendardo», dopo che don Giovanni Idiaqticz <■ *i ritrovi» alle orecchie del Ke ·>. per mezzo suo aveva subito avuto quanto desiderava in un momento, per di più, in cui nessuna impresa era imminente e inoltre in pregiudizio « a molti principali spaglinoli » più meritevoli. E si ricordava ehe lldia-quez. uomo accorto e pratico degli timori de* Genovesi e in segreto maraffetto albi Repubblica», era quegli che «aveva usate tutte le astuzie e tentato tutte le vie penile in Genova i cittadini non si ac cordassero, acciocché la Repubblica andasse in mano del He ». (3) Si comprende quindi come rintervento del Principe nell affare dell*Appiani stupisse non poco il popolo e. suscitando ammirazione, facesso di meli tican* ambe «le passate cose» quasi gettandole «dietro le spalle », e come ognuno ne lodasse· l'azione, « stimandolo molto affezionato alla patria a. Se noti per lui. |h*i il popolo la su i « azione » assumeva un valore politico. 11 nostro annalista mette in rilievo l’opera svolta dal Mendoza ; e il « lento e freddo procedere » del Senato, della Roto Ibid., p. 42 /ftjivATAO li \ τι, Animi!, a. ir»sr». p. 44. (*i ih *i , pp. 46. Γ»7 Ni rlivtnla che Gian Andrea 1 t'Orla era stato ca|K) «loi nobili n Giovanni d'Austria a nuiovi’iv f¥*n Tannata <11 Hpatma rvaitr«» la pairia (17)75), senipr*·* sos|h*Uo al poi*>|<» come fautoie «Ielle amblKionl spajcniuole. 162 Ονοβατο Pastini: ta e del Duce stesso si poteva ben spiegare « essendo detto signore aiutato dall'Ambasciatore cattolico suq suocero ». Ma di fronte al Dona il Senato « si ravvede » e « non stimando più tanto l'autorità dell'Ambasciai ore», muta «subito» atteggiamento. Veramente, ben altro potere aveva il Principe, il quale, « camminando per il suo usato sentiero, senza intoppo veruno andava· guidando in Genova le cose a suo modo » (1J.. ed anzi appunto « una buona parte della sua grandezza appresso del Re. dipendeva dal condurre le cose di Genova ovunque ei voleva » (2)· In fondo il Mendoza si trovava ai suoi cenni. Ciò vediamo, pei* citare un esempio, quando un giorno del 1595, essendo il Mendoza montato su tutte le furie con i Ser.pii Collegi pei* certa faccenda che non gli garbava, il segretario subito inviato al Principe in Loano, trovò che egli già era stato informato di tutto e si ebbe dal Doria stesso in risposta «che i due Collegi non dubitassero punto che l’Amba-sciatore o altri ne scrivessero al Re senza sua saputa». (3) Il Principe era e si sentiva onnipotente e nel suo orgoglio forse si sarà compiaciuto talvolta di far pesare questa sua potenza anche sull’ambasciatore. Potevano quindi esserci, dicevamo, motivi privati e personali neirintervento contro Alessandro Appiani e il suocero suo; non ve n'erano di carattere politico, se non forse 1 a-bilità di una mossa per acquistarsi — egli che « s'infingeva d esser amoroso cittadino della sua patria » — un po' di popolarità. E fu così. Il significato politico alla sua mossa lo diede il popolo. Sembrava strano ma insieme confortante che il Principe spendesse una volta tanto la sua soverchiante autorità contro un audace, che impunemente abusava della propria forza e della debolezza altrui, sicuro delle molte aderenze e della protezione di chi rappresentala una nazione, che ormai troppo pesava sull'indipendenza della repubblica. Vi era in Genova una corrente antispagnuola e perciò antido-riana : il Roccatagliata ne condivideva certo le idee. Non si osa\a toccare il DOria per non offendere la Spagna. Molti che sembrai la «tenessero dalla sua», ciò facevano «per non opporsi alla appassionata volontà di lui. in maniera che avessero a perdere la pugna contro di esso» (4); la «malevolenza» di tutti, poi, non si dimostrava in pubblico, ma s'andava tenendo nascosta dentro il petto » {5). Costoro credettero per un momento che il Principe si rivelasse veramente « molto affezionato alla patria »; ma fu una bme illusione. E fu pure un equivoco: chè l’opposizione del DOria ad U) Roccatagliata, a. 1585, p. 50. (2) Ibid., p. 58. (3) Jhid , pp- 191-192. (*) Ibid., a. 1585, p. 45. (5) Jhid., p 50. Genova e gli ultimi Appiani 163 Alessandro non era· affatto a lui suggerita da ostilità verso la Spagna. Il significato politico, nel senso qui dichiarato, che molti diedero a questo episodio, appare tuttavia anche dal seguito degli avvenimenti. Ecco infatti il D’Oria perdere immediatamente la· momentanea «grazia del popolo» (J) appunto per una questione politica: il saluto aide sue galere, preteso con la violenza da quelle della· repubblica. E dopo che nel 1G01 (2) il Principe ebbe presa licenza dal re Cattolico (pur conservando sempre grande prestigio e autorità, tanto clic lo vediamo nel 1G05 intermediario fra il Ser.mo Senato e il conte di Puentes), ecco accentuarsi a Genova la resistenza antispagnuola, a cui già accennammo. Ed è così che sentiamo il nostro annalista esclamare con vivo rammarico, chiudendo la cronistoria del 1605: «Ma se allora i Genovesi avessero seguito il parere del Gran Duca di Toscana sarebbero sino d’allora appigliati a miglior partito, perciocché egli col disgusto che stimava dover seguire tra la Repubblica ed i .ministri Spagnuoli, e della mala soddisfazione che di loro aveva il Doria, prese occasione di scrivere av Genovesi, ed a trattare con loro di quello importasse che essi far dovessero per mantenimento della Repubblica e per difesa degli stati loro. » (3) Ma chi nel 15S0 11011 ebbe davvero da lodarsi dell· impensato amor patrio del principe DOria fu Alessandro Appiani, che, come vedemmo, dovette affrettarsi ad abbandonare Genova. Egli se ne partiva assicurando che le Loro Signorie avrebbero potuto chiarirsi « da loro stesse et anche da i libri criminali », che si potevano «rivoltare», essere egli « cavai iero d’honora te attioni ». E la sua innocenza sarebbe ben stato in grado di dimostrarla « facilissima-niente», se non gli avessero « troncata la strada» a ciò fare in giudizio; ad ogni modo sarebbe sempre pronto a chiarirla, ove si procedesse verso di lui « con i dovuti termini ». Ma poiché non si era voluto neppure sentirlo, giudicava che da lui non si intendesse di richiedere altra soddisfazione che quella della sua partenza; ciò che egli faceva, sebbene della «dispositione delle nuove leggi» fosse vietato alle Signorie Loro di procedere con lui in siffatta jnaniera. E nel chiudere la sua autodifesa, aggiungeva un’ultima dichiarazione, che suonava quasi minaccia. Poiché — scriveva — 11011 mi si permette di «giustificar la causa, io per difesa mia me 11e reclamo e reclamerò in qualsivogli tempo dinanzi à chi più mi converrà di farlo, dicendole che essendo io in tal maniera oppresso, e forzato, ]’assentia mia 11011 mi farà alcun pregiuditio, nè Tesser la causa senza difesa, sarà per altro., se 0) Roocatagi.iata, a. 1586, p. 86. (2) Dopo l’infelice spedizione di Algeri. (3) Rocca tao li ata , a. 1005. p. 200. 164 Onorato Pastine non per essermi impedito di poterlo fare, e che insomma ogni pre-giuditio seguito e elle sia per seguire contro di me per le sudette· rapinili resterà nullo e di nìmi momento. » III L'ASSASSINIO DI ALESSANDRO APPIANI IN PIOMBINO E IL RITORNO A GENOVA DI ISABELLA MENDOZA. Non risulta clie Alessandro Appiani, nei pochi anni che sopravvisse alla sua partenza da Genovaj facesse mai alcun passo presso chicchessia contro il decreto della repubblica a lui ostile. Egli rientrò chetamente a Piombino ed ivi si stabili con la famiglia : avvenimento straordinario per quelle popolazioni, che da tanto tempo desideravano di avere vicino il proprio signore. Il Cappelletti nella sua Storia scrive a questo punto che « il signore di Piombino, sollecitato dai Padri Anziani e dal Consiglio Generale, erasi finalmente recato ad abitare la sua capitale insieme alla moglie ed ai figli.» (i.) Noi che conosciajno Γepisodio di Genova ora esaminato — episodio ;i cui non accenna lo storico di Piombino — sappiamo quale fosse la vera ragione di questa improvvisa dimostrazione d'affetto delPAppiani per i suoi sudditi ! Proprio allora il granduca Francesco I, sempre fisso nel voler impadronirsi delle isole di Pianosa e Mon tee risto, si era rivolto all'imperatore Rodolfo II. che ne scrisse infatti ad Alessandro senza però che questi recedesse dal suo precedente rifiuto. Tuttavia. Tanno seguente, salito al trono Ferdinando I (19 ottobre 1587), gli Anziani di Piombino gli inviarono le proprie congratulazioni ; il che fecero — osserva il Cappelletti — «forse istigati dal loro signore, il quale amava trovarsi in buoni termini col nuovo granduca » (2) ; probabile effetto anche — potremmo aggiungere noi — dei rallentati rapporti con Genova per i casi recenti. Non si vogliono qui riesaminare le cause e le circostanze che portarono alla congiura, della quale rimase vittima Alessandro Appiani. Le accuse di tirannide e di libertinaggio furono già opportunamente vagliate, come pure vennero messi in rilievo i dissapori fra i coniugi e le responsabilità, anzi la colpevolezza della* moglie dell ’assassi nato. (3) I veri tiranni di Piombino erano Isabella Mendoza e. in intima relazione con lei. l'ambizioso e facinoroso comandante del presidio spagnuolo, don Felis d’Aragona, che mirava forse a pro- 0) Op. cit., p. 201. (*) Op. cit., p. 261. (3) Teresa Smali, La morte di Alessandro Appiani principe di Piombino> Belluno, Tip. P. Fracchia, 1901. Genova e oli ultimi Appiani 165 pararsi astutamente la successione al dominio piombinese, facendo apparire una sollevazione di popolo, quella che non fu se non una losca congiura di palazzo, anche se l'assassinio venne poi consumato sulla pubblica via. Tralasciando i particolari della tragedia, ricorderemo soltanto, per quanto ci riguarda, che, spento Alessandro, nel Consiglio generale di Piombino fu messa innanzi la eventuale successione del granduca di Toscana e della repubblica di Venezia ; ma non si accennò a Genova, che non aveva fautori nè possibilità di accampare aspirazioni. Intanto il comandante spaglinolo, don Felice, in pieno accordo con i tristi congiurati ed esecutori del delitto, accortamente aveva liuto di cedere alla volontà dei popolo, assumendo il governo in nome del Re Cattolico, probabilmente con la speranza di poter ottenere un giorno egli stesso il feudo vacante. Si afferma che egli, a tale scopo, richiedesse in matrimonio la vedova dell·'Appiani, ma che il padre di questa, don Pedro di Mendoza, da Genova sdegnosamente respingesse la domanda. Presso costui intanto si accingeva a riparare la vedova valendosi di una galera del granduca. Si parlò, in proposito, di « delicatezza » e di « slancio cavalleresco » di Ferdinando I, che sarebbe stato convinto dell'innocenza di Isabella. Il documento 11 di carattere informativo, pubblicato dalia Smali (pag. 3G) e tratto dagli Archivi di Firenze, fu verosimilmente noto nel suo contenuto al granduca, ed esso rivela in pieno la colpa di Isabella e di don Felice d’Aragona. E il documento venne certamente steso quando ancora Isabella trovavasi a Piombino, prima del suo trasferimento a Genova, tra la line di settembre, dunque, e la metà di novembre. « Non si può negare — vj si legge infatti — che doppo questo fatto la Signora fu sovvenuta di denari da Don Felis e che ella lece e fece fare dal figliolo tutto quel che D. Felis volse sempre». E si aggiunge che « ultimamente perche duo terzi del popolo sQjio per la memoria del Sig.re et hanno in abominatione il fatto», don Felice e i congiurati avevano voluto che il popolo tutto giurasse di aver ammazzato il signore, e a tal fine avevano mandato « per le strade a raccorre putti e giovinacci» per far numero in Consiglio e ottenere che si votasse, anche con le minacce, quel che essi volevano. Se il fatto accadde «ultimamente», dovevano quindi essere trascorsi altri avvenimenti dopo il giorno del delitto; mentre, d'altra parte, la città era ancora sotto l’incubo dei congiurati, i quali «armati di pistole fanno fare ognuno a modo loro et dicono che vogliono spegnere tutti li fautori del Sig.re et della sua razza. » (]) (OSmali, opusc. cit., pp. 41-42. — Questo a ultimamente » esclude pure che detto consiglio di «putti» e (li «giovinacci » si debba identificare con quello del giorno stesso del misfatto, di cui parla il documento III riprodotto dalla Smali, come essa mostra di credere a pag. 166 Onorato Pastine Credo che donna Isabella, la quale detestò sempre i Piombi-nesi e non fu mai amata da essi, temesse, più clie i congiuratir quei « due terzi del popolo » che, conoscendo il contegno e la responsabilità di lei e del comandante spagnuolo, rimpiangevano il signore, certo un po’ scapestrato e qualche volta violento, ma, a quanto pare, da molti ben voluto perchè « affabile col popolo minuto, e al tempo stesso generoso e munilico. » ( i ) Quanto poi al granduca, che non aveva per nulla abbandonate le sue mire su Piombino e specie sull’Elba, come mostrarono gli avvenimenti successivi, penso che ascoltasse, oltre e più che i suoi nobili sensi cavallereschi, il proprio interesse. Don Felice aveva fatto proclamare la signoria del re di Spagna, sia pure con secondi lini; e questo non dovette piacere troppo a Isabella, che pensò di rifugiarsi a Genova, valendosi dei compiacenti servigi di Ferdinando 1, il quale allontanava cosi con la signora l'erede del feudo. E se poi egli stesso s'interpose nella faccenda inviando a Madrid Alfonso Appiani, zio dell'ucciso, affinchè Jacopo VII venisse reintegrato nei domini paterni, ciò si fu appunto di fronte al pericolo assai maggiore di un consolidamento della dominazione spagnuola; tanto più che don Felice 11011 aveva tenuto nessun conto dell’intervento imperiale, e il governo di Spagna pareva impassibile di fronte ;ì sì gravi avvenimenti, lasciando trascorrere lungo tempo senza nessun provvedimento. Quanto durò questo inqualitìcabile assenteismo spagnuolo? Qui ci vien fatto di aggiungere qualche osservazione anche sulla data del delitto. Sul luogo ove esso si svolse, venne già in quel tempo collocata una pietra, e a questa, soltanto verso la tine del XIX secolo, si sovrappose a ricordo una lapide con la data del 20 settembre 1590. Fu osservato che l'indicazione del giorno è errata, essendo avvenuto l’omicidio il 2$ settembre; ma l’anno è ripetuto e confermato d;; tutti gli storici, tranne il Repetti, (2) che dà Tanno 1589. Ora documenti dell’Archivio di Stato genovese ci forniscono appunto quest’ultima data. I no di essi è Patto inserito nel primo degli importantissimi libri dei Cerimoniali della repubblica. Per convincersi della sicurezza della data del documento in parola, occorrerà aver presente il valore di questo materiale d'archivio. Il libro dei Cerimoniali che c'interessa è il pruno dei nove che vanno dal 1588 al 2 maggio 1797, fino alla vigilia cioè della caduta della repubblica aristocratica. Essi sono preceduti da altro , fase. 2°. (2) I/ordine è osservato rigorosamente i>er i mesi; qualche lieve e raro spostamento si nota solo nei giorni. 168 Onorati) Pastine « Giovedì 16 di novembre del 89 essendo con una galera del Ser.mo Gran Duca di Tlioscana giolito à Genova la Moglie dell'111.mo Sig.r Alessandro Sig.r di Piombino di felice piemoria et figlia . G. ecc. ». (2) / rapporti marittimi e commercimi (loi Genovesi col Principato erano frequenti. A Piombino la repubblica aveva un proprio consolato. In questi tempi, e precisamente nel 1588, già «da anni in qua » teneva ufficio di console « per la nazion genovese» Giacomo Antonio di Mariotto. Ce 1·» dice una supplica di molti «patroni <ìi barche» genovesi, i quali, rilevando eli«*, come risultava da numerose testimonianze convalidate dai Trio-ri. dagli Anziani e dal Consiglio del ]>opolo di Piombino, il detto console «per la corpulenza decrepita et. jtodagra col stare
  • novembre 1588, il Paganuccio. dopo clic erano stati «ben certificati» della sua « Integrità, sufficienza e valore» nonché « deiramore » che egli portava alla «nazione» genovese. (A. S. G., (limita di marina, Consoli, filza 1). 170 Onorato pastine il detto Amb. Mendoza fussi stretto di casa massime con ha-ver seco la famiglia del S.r di Piombino suo genero si è operato che ne luibbi una quale egli molto desiderava, e di lire mille seicento annue che della nostra camera si pagavano per la pigione si è cresciuto la somma in dua milla lire pur annue e vero che perche la casa p.ta con casetta e giardino harà anche da servir per Phabitatione della detta fameglia di suo genero si dovrà per detta famiglia sodisfare quello che per pigione merita di più delle dua milla lire, che così è stato concluso d'accordo col detto Don Pietro. » (]) Questa lettera, alla quale qui sopra accennai, è del 20 agosto 1590; il che prova quindi che Passassimo di Alessandro non potè accadere nel settembre di quell'anno, ma che risale al 1589, come già venne dimostrato. A Piombino intanto don Felice dJAragona spadroneggiava, mentre la Spagna nicchiava, rimanendo come perplessa in mezzo alle diffidenze del granduca e dell’impero, con un procedere che appare ancor più inesplicabilmente lento, se teniamo conto dello spostamento di data sopra accertato. Ai nostri fini ci limiteremo a ricordare che. arrestati finalmente e puniti dagli spagnuoli i colpevoli, don Diego Ferrer, inviato da Genova per parte di Isabella e del padre suo, prendeva in consegna lo Srato di Piombino in nome del fanciullo Cosimo Jacopo Appiani (Jacopo VII), figlio dello spento signore (G aprile 1591). E il 18 aprile dello stesso anno quattro ambasciatori del Consiglio generale di Piombino giuravano in Genova fedeltà in nome del popolo ai detti signori e a Oriettina Fieschi, madre di Alessandro. Così gli Appiani si stabilivano <11 nuovo in Genova, nè valsero le ripetute preghiere e ambascerie dei Piombinesi per indurli a trasferirsi nel loro dominio, mostrandosi talvolta donna Isabella persino aspra e superba nelle sue ripulse. Intanto nel 1594 l'imperatore Rodolfo II elevava con suo diploma lo Stato di Piombino al grado di principato imperiale ; atto, questo, che voleva essere una riaffermazione dei diritti del l’impero su quel feudo di fronte alle pretese spagnuole. E sul feudo stesso teneva sempre gli occhi ben fissi Ferdinando I di Toscana. Jacopo VII eia malaticcio e poteva spegnersi senza eredi; Rodolfo II aveva bisogno di denaro; e il Medici, spedendogli centomila scudi con offerte di milizie contro il Turco, si ebbe la promessa del rinvestitura del dominio degli Appiani in caso di devoluzione alFijnpero (1594). Di rimando Jacopo VII da Genova vietava che qualunque forestiero potesse acquistare nei suoi domini beni stabili ; editto certo suggerito dalla madre Isabella, la quale, sebbene specialmente dopo 01) ». , . (·■<) « Visita fatta airill.ino S.r Prjncii>e di Piombino a !> di magg.o del l(iM e sua venuta — l’u visitato da due GentirUuoinlnl in nome publico eou rallevanti de la sua salva giunta, e s, gii fecero pubbliche offerte, e furono gli SS ri G'Ulio Rovere, et Angelo Luisio Riyarola, e poi vene à vultar il Sor.ino con gli due 111 ini di Casa.» — A. S. G, Ccrcmon-anun, libro -, carte 249 r. 172 Onorato Pastine in vincolo di parentela con altra nobile e. potente famiglia genovese. Inline, a distanza di due o tre mesi, la sorella Isabella sposava (5 agosto 1002) lo zio don Giorgio di Mendo^a conte di Binasco. Avvenimenti, staremmo per dire, precipitati, e che maggiormente fermano la nostra attenzione in quanto seguiti immediatamente da un fatto non meno sorprendente. Celebrati i due matrimoni, nella seconda metà d’ottobre la «Principessa Madre» si recava sola, quasi in fretta, a Piombino, dopo ben oltre dodici anni di volontaria lontananza, come se andasse per la realizzazione di un piano meditato. Vi ritornava piena delle migliori intenzioni, benevola, disposta a perdonare (!) a tutti, e arrogandosi anche il diritto di accordare munifiche concessioni, quasi fosse essa il principe. Ma alla line dello stesso anno eccola di nuovo a Genova, chiamata dalle aggiravate condizioni del tiglio Jacopo VII, che si spegneva di fatto, a non ancora 22 anni, il 1Γ> gennaio 1603. Il libro dei Cerimoniali genovesi non conservano traccia di questi ultimi avvenimenti ; il Governo era forse assorto nell’attesa del nuovo ambasciatore di Spagna, « Giovanni de Vives valentiano cavaliere di Calatrava». che veniya visitato ufficialmente il 13 febbraio 1GG3. ((Jeremoniwruììi, lib. I). Eppure la morte di Jacopo VII, ultimo della discendenza diretta degli Appiani, suscitava un nuovo vespaio. Da una parte in Piombino gli Anziani, che non amavano Isabella nè volevano si gnoria straniera, riconoscevano come principe Carlo d'Aragona-Appiani, liglio di quello Sforza che già era stato competitore di Alessandro : dall'altra Ferdinando I di Toscana alimentava le sue ambizioni in contrasto con la Spagna. I dissapori e le diffidenze erano già cominciate poco prima, come vedemmo, per Γaccostamento del Medici a Francia ; ora si acuivano per la questione di Piombino. Effimero fu il trionfo di Carlo Appiani, chè ben tosto gli Spaglinoli prendevano incontrastato possesso del dominio in nome di S. M. Cattolica. Ma ecco il granduca agitarsi, rammentare all’imperatore la promessa del 1594, offrirgli altro denaro, spingendolo ad inviare suoi commissari a Piombino, dove però, con suo scorno, venivano respinti dal comandante del presidio spagnuolo, mentre il viceré di Napoli provvedeva alla costruzione della fortezza di Longone, secondo la vecchia proposta del principe DOria, e con grandi preoccupazioni di tutti, compresa la repubblica di Genova. Ma Isabella doveva anche questa volta trionfare. Se dopo la morte di Alessandro oltre un anno e mezzo (secondo Ί nostro computo) si fece attendere il riconoscimento di Jacopo VII, questa volta passarono ben otto anni dalla morte del giovane principe prima che la « Principessa Madre » riuscisse a far mettere in jh»·sesso della Genova e gli ultimi Appiam 173 figlia, Isabella contessa di Binascoi, e del genero e fratello, don Giorgio di Mendozii, lo Stato piombinese. Il che avvenne appunto il 31 ottobre del 1011 con grande dispetto del nuovo granduca Cosimo II, che aveva calorosamente continuata la politica paterna nei riguardi di quel principato; e lo stesso don Diego Ferrer che nel 1591 aveva preso possesso dello Stato per Jacopo VII ora — nuovamente inviato da Genova — lo riceveva in consegna per la sorella di quel defunto principe con l’approvazione della Spagna e dell’impero. A Genova, poi, fu subito spedita dal Consiglio generale apposita ambasceria, che rendesse omaggio ai nuovi principi. (j) Il piano della scaltra e intelligente vedova di Alessandro era così realizzato: i Mendoza divenivano signori di Piombino. Ma il popolo non tutto si acconciò a tale destino e si scisse nei due partiti dei «Neri» e dei «Bigi», tra fautori di Isabella, cioè, e di Carlo Appiani. L’intervento degli spagnuoli pacificò infine gli animi col riconoscimento universale della contessa di Binasco. La «Principessa Madre» poteva ormai chiudere gli occhi in pace; essa, che fin dal novembre del 1011 era accorsa, sola, da Genova a Piombino, ivi moriva infatti il li) novembre 1013. L1« Eccellenza Padrona» e il consorte nel frattempo se n'erano rimasti nella Dominante, nè si mossero che alla morte di Isabella dietro ripetuti inviti dei Piombinosi, che li poterono finalmente accogliere nella loro capitale il 10 aprile 1014 con le più vive dimostrazioni di devozione. Potrebbe sembrare strano che negli anni torbidi dei contrasti civili dello Stato di Piombino (1011-1013) soltanto la vecchia ed energica Isabella si trovasse colà a tutelare gli interessi e l'autorità delia figlia e del fratello. Ma il libro dei Cerimoniali della repubblica anche (pii ci sovviene, facendoci conoscere che il conte di Binasco, don Giorgio Mendoza, si recò almeno una volta nel 1012 (cioè nel periodo culminante delle discordie) da Genova a Piombino. Così ci viene infatti ricordata la « visita aU’IU.mo S.r Principe di Piombino à 20 di Giugno del 1012»: «Tornato di Piombino alla Città, et avvisatone il in.0 di Cer.e il Sei*.ino Senato lo fece visitare da due gentil li uomini, che furono gli SS.ri Stefano Spinola et Stefano Pasqua, et se li fecero pubbliche offerte e poi venne a S. Ser.tà a render la visita. » (2) La stessa fonte ci informa pure che il conte di Binasco, poco dopo il suo arrivo da Piombino, si recava in Ispagna, donde faceva O) Doveva puro ossequiare donna Vittoria, figlia naturale di Alessandro, sposa del nobil uomo Vincenzo Ferrari, felicitandola per la nascita del figlio,-marchese di Populonia. (2) A. S. G.. Ceremoniarum, lib. I, carte 389 v. 174 Onorato Pasti nk ritorno a Genova il 4 febbraio 1013 visitato solennemente dai magistrati della repubblica accompagnati dal maestro delle cerimonie e da «tedeschi» e traghetti. (J 11 viaggio era avvenuto probabilmente anche in rapporto alla situazione dello Stato di Piombino, dove frattanto, intervenute le milizie spagnuole contro le terre ribelli di Suvereto e di Scarlino, nel settembre di quello stesso anno ritornava, come si disse, la pace. Il compito trattamento della Serenissima verso don Giorgio sta a dimostrare come egli potesse contare sul riconoscimento e sull’appoggio della repubblica genovese, ciò di cui forse ebbe a giocarsi durante i Lunghi anni di lotte prima e dopo il 31 ottobre 1011. Xou potrei dire se i Rinasco, dopo le accoglienze ricevute nel 1011:, si stabilissero definitivamente nella loro capitale; certo sappiamo che al principio del 1G18 il marchese Gio. Francesco Bri-gnole — Sale, allora senatore e procuratore camerale e più tardi doge nel 1635-37, otteneva dal governo il permesso di recarsi a Piombino per tenere a battesimo il figlio di Isabella Appiani. (2) Risulta tuttavia che Don Giorgio moriva a Genova il 14 ottobre 1618 e che la Comunità di Piombino, per mezzo di. un’ambasceria appositamente inviata, ancora supplicava la vedova Isabella perchè da quella città volesse ritornare nel suo dominio. Ma anche questa volta sorsero a contrastarsi vari competitori : i Mendoza, gli Appiani, Cosimo II e, dopo la sua morte (1021), il figlio Ferdinando II di Toscana. La Spagna contro tutti aspirava sempre più ad impadronirsi del principato, richiedendone insistentemente rinvestitura all’imperatore. Intanto Isabella, che già fin dal 1619 era stata minacciata da Madrid di venir spossessata del feudo e si trovava circondata da tante opposizioni, si decideva a unirsi in matrimonio col duca di Bracciano, Paolo Giordano Orsini, ricevendo in Genova, dove si trovava pure lo stesso Orsini, un’ambasceria dei Piombi n es i latrice di auguri e di doni (1021). Due anni dopo (1023) Filippo IV di Spagna, che aveva ottenuta l'investitura dall’imperatore, faceva prendere possesso del feudo in suo nome, concedendolo poi nel 1020 a Belisario figlio di Carlo Appiani, riconosciuto come legittimo erede con grande gioia dei Piombinesi. O) « Visita fatta airi 11.mo Sig.r di Piojnbino nel suo ritorno di Spagna, a 4 di feb.ro del 1G13. _ Tornato S. S. IlLma di Spagna con buona salute, il Ser.mo Senato mandò à visitarlo, et. à rallegrarsene con due Gentil buo-mini, che furono gli SS.ri Gio. Batta Sfjuarciafico, et Gaspar Basadone con m* di- Cer.e Tbedeschi et Traghetti, e poi venne da S. Ser.tà e tutto passò bene. » — A. S. G., Oer emoni arum, Jib. I, carte 390. (2) P. Jj. Iævatt, Dogi biennali di Genova dal 1528 al 1G99, parte li, p. 20. Genova e gli ultimi Appiani 175 Ma· Belisario trovò l’impensata ostilità del Viceré di Napoli, il duca d'Alba, il quale, contro la stessa volontà del re di Spagna e dell''imperatore condusse le cose così lentamente che soltanto il 1° aprile 1028 Isabella Appiani Orsini era dichiarata definitivamente deposta dal governo e lo Stato veniva afiìdato ad un reggente. Complicate vicende attraversò la questione della investitura di Belisario Appiani, sostenuto anche dai fratelli Annibale e Orazio; ma non avendo da ultimo trovato la somma necessaria per pagare il laudemio all’impero, essi si videro per sempre privati di ogni diritto sul feudo di Piombino (1033). «Così — scrive il Cappelletti (j) — furono esclusi dalla sovranità dello stato piombinese i tre fratelli Appiani, la cui famiglia lo aveva posseduto per più di duecento anni ; e lo perdettero dopo aver litigato per circa sei lustri, e dopo avervi consumate quasi tutte le loro sostanze. » L'ultimo rampollo degli Appiani che effettivamente regnò su quel principato, fu dunque Isabella, la figlia di Alessandro. Toccava a don Niccolò Ludovisi, principe di Venosa, marito di Polissena Mendoza-Appiani d’Aragona, figliuola della stessa Isabella e dei defunto conte di Binasco, iniziare (1034) — dietro pagamento di un milione di fiorini alla Camera aulica — la* nuova dinastia principesca di Piombino. Il granducato di Toscana doveva attendere ancora molti anni e straordinarie vicende prima di poter annettersi quei domini, ai quali aspirò per lunghi secoli; a Genova, che aveva ospitato l’ultima famiglia regnante degli Appiani, non rimase che limitare la sua attività verso quelle terre a sporadici rapporti di mercanti. Onorato Pastine (i) Or», cit., pag. 324. SUL GENTILIZIO DEI BIANCHI D’ERBERIA Alcune ricerche eseguite fra gli antici, documenti riportati dagli Storici che si sono occupati delle vicende medioevali di scrittori Emiliani, Lucchesi e di Lunigiai, mi hanno permesso di rintracciarne alcuni, riguardanti gli autori di quel gentilizio feudale che prende il nome dai Bianchi d* Erberia e che ebbe il suo periodo di notorietà fra F3Q° e il XIII0 secolo, che ritengo possano condurre a nuove congetture sulTorigine del gentilizio stesso. Il Prof. L~. Formentini che per il primo ha scritto intorno a questo gentilizio (1) studiandone la formazione, lo sviluppo, i rapporti con la stirpe Matildica e con i vari « Domini » che hanno signoreggiato in Lunigiana, Garfagnana e nella linit ma Emilia, ne ha riconosciuto quale capo-stipite quel Rodolfo di Casola che intorno all'anno 1055 fa un compromesso col Vescovo di !Luni, Guido, per incastellare le Pieve di Soliera. Nell’atto (2) erano nominati anche i figli di Rodolfo, Ghislecione, Rodolfo, Gandolfo. Questa era anche Tunica notizia sicura che si avesse di questi quattro personaggi ; so- lo si sapeva che erano legati da parentela con i primi Erberia, Gerardo Guido e Uguccione, che si dichiaravano « Rodulti nepotes ». (3) Ora un documento riportato dalPUghetti nel voi. 3° della sua « Italia Sacra » Serie dei \~escovi di Reggio, pag. Ü82 coll. 1° e 2° ci fa ritrovare il Rodolfo di Casola fra i « fedeli » del Vescovo Vol-maro. L’atto, col quale questi conferma la donazione di una cor-ticella sita nella Pieve di S. Michele Arcangelo alTAbbadessa Liuz-za del Monastero di S. Tomaso, già concessa dal suo predecessore Adalberto, è stipulato Tanno 1003 « proeenti hus nostris fidelibus fcome dice il Vescovo) scilicet archi presbitero et archidiacouo et reliquo clero nostrae Ecclesiae·... (U) berte Comite et Rodulfo de Casule et pluribus aliis ». (1) U. Formentini - Γη* podesteria consortile nei Sec. XILXIII - Le terre dei Bianchi in G. S. L. XII - Sulle origini e sulla costituitone di un grande gentilizio feudale - Voi. LUI degli Atti della S. L. S. P. (2) Codice Pelavicino * Regesto Lupo Gentile, pag. 46 doc. 31. (3) A. 1106 - Muratori A. I. Vol. V. 78-80. Sul gentilizio dei Bianchi d’Erberia 177 Firmano il Vescovo, gli Ecclesiastici, Uberto Conte ma non il Rodolfo. Anche il Ίimbocchi nel IV70 voi. delle «Storie Modenesi», pag-98, cita, senza però riportarlo, questo documento· il Muratori invece lo dà per esteso nel II0 voi. delle A. I. coll. 779-780. Per quanto concerne i figli del Casolano, riterrei identificabile il Gliislecione con Γ omonimo « Gissicionis filius q. Rodili fi » che nel 1071 è teste nell offerta fatta dalla Contessa Beatrice al Monastero di Fraspi-noro, di alcuni beni, fra i quali Carpinete, e con lui »sono testi Ar-dinghi e Rolandinghi il) e gli altri due rispettivamente nel Rodolfo di Dallo e nel Gandolfo di Camurciana che nel 1000-1095 presenziano alla donazione fatta da Uberto e Arduino, Conti Parmensi, al Monastero di Polirone. (2) Il Rodolfo di Dallo, probabile fondatore della stirpe omonima ritenuta sino ad ora (3) da Rain ieri di Vallisneria, sarebbe lo stesso che con il predicato di G.irfagnana (\ figura padie del Rolando Capitano che nel 1097 è fra i donatoli del Monastero di Po-lirone assieme a Guido e Uguccione d'Erbeiia. (Tiraboschi o. c. Diplomatico pag. 60) (» il Gandolfo Favo o il padre del Gerardo di Camurciana che nel 1188, con Gerardo di Carpineto ed altri è teste al placito di Federico 1°. che sancisce la pace fra il Monastero di Polirone <* Guido, Malerba e Rodolfino da Panzano (Muratoli A. M. E. voi· 1° pag. 603'. Il fatto che Rodolfo di Casola, nell’atto del 1003 sia chiamato « fedele » del Vescovo di Reggio non starebbe forse a significare che da questa Curia sia venuta, attraverso qualche donazione a titolo di feudo, l’origine d« i possessi Emiliani dei Casolani, prima ancora di una sub nfeudazione Matildica, dato che essa Curia vantava da tempo autorità e potere proprio sui territori che in seguito faran parte del patrimonio dei Bianchi e Consorti, cioè. Erberia, Nasseta, Panzano? Non solo, ma la lettura di altri documenti anteriori al Casolano e riguardanti sempre la curia Reggiana, mi hanno fatto supporre die diversa possa essere anche l'origine del gen tilizio Luniganese, da quella comunemente riconosciuta (5)t come figliazione dH gruppo Attonide Matiìd?co. Invero, in un atto stipulato in Reggio nell'aprile ’945 («) 11-dorino, messo di Γ^ο e Lotario Re, arbitro nella causa vertente fra (1) Fiorentini . Memorie di Matildo * Vol. II, Diplomatico. (2) Bocchini · Storia del Monastero di Polirone · \ol, I. (3) V. Formentini (o.e.). (4) Idem * Promiscuité nel predicati di origine per i Nobili che cercano di penetrare in territori ai di fuori dei loro «oggetti e vantarne poi diritti di possesso · Muratori A. I. Voi. IV 807-808, (5) U. Formentini (o.c.)· (6) Muratori · A. M. E. Vol. I. pag. 463 e segg. 178 G. B. Bianchi il Vescovo Aribaldo di Reggio e Rodolfo del fu ( onte I111*000, circa il possesso di una capp alletta cotruita in onore di S. Martino « in loco et fundo Herbariae », sancisce c he essa cappelletta, con le sue pertinenze, appartenga a detto Rodolfo, che aveva dichiarato osseine stato il padre suo in possesso da oltre 30 anni. Infatti il Conte Unroco, figlio di Suppone Marchese di Spoleto e vassallo e consigliere dell'imperatore Ludovico 11°, già n^l 91o aveva ottenuto il possesso di quella cappella li) e precedentemente, nell'anno '890, da Berengario 1° che lo chiama « consanguineo » gli erano state confermate le corti di Fellina e Malliano nel Gastal ato di Bismantova (2) territorio che figurerà in seguito ira i possessi della casa dei Dallo che sappiamo imparentati con gli Erberia. (3) Altra notizia del Supponide Rodolfo, e col titolo di Conte, troviamo all’anno '964, quando, assieme a un Guido, a un Boso e altri figura presente al placito tenuto in Lucca da Oberto Marchese e Conte del S. P., con cui si decideva in favore del Vescovo di Reggio circa il possesso della Corte di Nasseta (4), Corte che nel 10 o è riconfermata al Monastero di S. Prospero di Reggio (5)* ne 1 è oggetto di compromesso fra Bernardo del fu I go da Panzano ( 1 tro feudo posteriore degli Erberia) e Gualberto Abate di S. 10 spero, che precedente ne aveva fatto controversia in presenza < e a Contessa Matilde («) e nel 1104 è rinunciata da Ottone Bianco « prò remedio animae meae et pro rogatum Basonix ... suorum tiatiuum etc. » (7). E questo Boso, nel 1106, lo troveremo fra i Peroni ae Monastero del Monte dei Bianchi insieme ai nepoti di Rodono a Casola, consorte e parente degli Erbelia. Γη Rodolfo (chiamato nepote di Sassone o Suppone) e un Boi troviamo pure presenti al placito tenuto, nel 9<0, in Chiasso (* ie* zo) a favore del Vescovo di S· Fiora. (8) ♦ # * Ê forse errata la ruia supposizione, sorta da quanto ho riportato che l'origine dei Caeolani-Erberia, sia da lia accia < una discendenza Supponide? La concomitanza di luoghi e n°nu ^_ -beria-ΐίasseta, Bismantova, Rodolfo, Boso) che si riscontrano po, i successivi atti degli Erberia e Consort1 mi la litenere c e n (1) Tira boschi - Memorie Modenesi- Vol. I. pag. 68-64. (2) Tiraooschi (o.c.) Diplomatico doc. 48. , , «,,o (3) La Corte di Feli na appartenne poi alla C.ssa Matilde che sul finire del» età sua. rassegnò alla chiesa di Canossa Muratori A. h · Vol. I pag. 571. (4) Tiraboschi (ox.) doc. 107, pag. 130. (5) Tiraboschi (o.c.) \ol. II doc. pog. 41. (6) Bacchlni (o.c.) (7) Muratori - A. E. Voi I Cap XXVIII. <β)Muratori - A. Μ. E Sul OENTiLizio dei Bianchi d’Erberia 179 il Muratori (A. E. Tomo 1° pag. 158) clie « negli antichi secoli era « uso rinnovare o ricreare nei tigli i nomi degli avoli o degli zii e sia quella del possesso degli stessi territori. « talvolta del padre stesso. Ciò è manifesto per infiniti esempi, e « tale osservanza·, unita ad altre circostanze suol servire e può ser-« vire assaissimo per indagare e scoprire la connessione genealogica <( delle persone e delle famiglie ». Ed io ritengo che fra le « altre circostanze » importantissima sia quella del possesso degli tessi territori. Non può pregiudicare il fatto che i Supponidi godessero del titolo di Conte, quando si ricordi che nel X° secolo detto titolo non era ancora ereditario ma « si soleva concedere vita naturai durante « aiTinvestito, a guisa dei Vescovadi..... salvo la facoltà dell'Impe- « ratore di riconfermare nei tigli meritevoli la dignità del padre ». (1) Lascio in ogni modo, allo storico, che tale non ò il mio mestiere, il decidere se le mie supposizioni sono attendibili o meno. Mi terrò pago se queste modeste note potranno riuscire di qualche utilità agli studiosi che si interessano delle cose di Lunigiana antica. G. B. Bianchi (1) Muratori A. M. t. Vol. I rag. « SAGGIO DI UNA BIBLIOGRAFIA GENERALE SÜ.LLA CORSICA (Continuazione - vedi numeri precedenti) Periodo storico francese (1769-1816) ▲DRESSE h M. Joseph Maj a Beljinlere, ciiie er mun.cipal de la ville de Bastia. ($ juin 1791>. Par«, Pain, Js. d,] S. Paris X AÏ*RE>>E <1·* U S. xitté drs aons de la liberté et de Γégalité de Bastia aux sociétés populaires de Marseilles. Took» et Ske, (SS Mai 1793), la. a. t-î, V. Bibl. Nat. ADRE>>K t-nrrji .ne ùu Dcpute i eot de la Cors« à l'AsS-mbiée nationale, in Journal l nitersd ** Rrtolutiong «Se# rofnmmt*, 1791. *7 juillet, a. 612. Buon. ADRE>> a the subject of the la!«- union with Great Britain. 17ää. Britli- AMBROSI — La Corse peadaat îe période révolutionnaire de 175&-1799. BmìL Sor. kitt. 1**, in. 413-416, 417-4±©1. ARMER. — Souveai» i'Ajatc o : «Baerà tes arrivée* dans cette ville pendant le séjour d« Boaaparte à nod retour d'Egypte. Geaèïe, Im», 1 i. 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Studia la »Spedizione di San e gna a cui prese parte Napoleone, l’occupazione inglese, l’acquisto dell isola per opera del generale Gentile. Documenti ufficiali. Tom. II - Rottura di Paoli con la Convenzione.] PIÈCES et Documents divers pour servir à l’histoire de la Corse pendant les a“*1Le* 1 1791 recueillis et publiés par M. l'abbé Letteron, in Bull. Soc. Hist. Corse, XIV, ( b. ), fase. 159-162, pagg XI1-33S PIETRI (Ange de) — Réponse ît M. Chateaubriand. Paris, Michaud, 1814, S , _ [Sulla necessità, di sostenere i Borboni.] POLA Sebastiano — I moti delle Campagne di Sardegna dal 1793 al 1802, Sassari, Stamp-L. I. S. 1903, 2 vol. pagg. XXV, 226; 208. Ree. Michel. Archiv. Stor. i orfica, 1925, (I), pagg. 117-118. [Moti del 1802 in Sardegna, preparativi d’mvasione de l’isola da parte delia Corsica: favori del governo di Francia a quel tentativo.] ‘POMPEI P — Corps législatif — Conseil des ane.eus Opinion de 1. Pompei résolution du Conseil des Cinq-Cents, relative aux ...délimitées dues aux Corse3 re-fugiés. Paris, Impr. Nationale, [1798], Pluviôse, ann. M, 8- publiés par M. l’abbé Letterou, il. Bull. Soc. Hist, de la Corse, (XI), 1^1’ PROCÈS — Verbaux des Séances du Parlement Au;élo-Corse du / e\r. a 120-131, pagg. 1-500; (XII), 1892, fase. 141-142, pagg. SG.l-739. PROCESSO verbale dell'assemblea generale di Corsica, tenuta in Corte .1 10 < „.or guenti di giugno 1794. Corte, Stamp, del Governo d. Cors.ca [1,94], 4. pagg. Rev. Muf.elli, in /1 ·«, M gennaio 1927. . , \ Renato Giardelli \continua) Discussioni e Commenti Ancora su uUna colonia romana della Liguria occidentale,. la r Chiedo venia se mi permetto abusare della Λ ostra cortesia con ... richiesta di pubblicazione della presente breve nota, che non rappresenta un'autodifesa, della quale non sento affatto il bisogno, bensì una precisazione. L'EgT. Prof. Boriiate, recensendo il mio studio «ina Colonia Komana della Liguria Occidentale », ha creduto di dover rilevare alcune inesattezze storico-geografiche; inesattezze che mi sembla op-portuno dover chiarire al precipuo scopo di rendere meglio edotti sull’argomento gli studiosi di archeologia ligure ed anche perchè a me non appaiono tutte tali. 1. _ Il Prof. Boriiate non ammette si possa· determinare il contine tra Liguri ingauni ed Intemeli nel « Tavia Fluvius ». La ragione essenziale del suo convincimento è data da affermazioni di G. Rossi e di E. Pais, i quali negano, senza per altro documentare il loro presupposto, che q-uello possa essere il contine delle due popolazioni. Il Rossi stabilisce questo contine al Torrente Impero, presso Oneglia, senza fornire alcuna prova- o indizio atti a confettiate a sua tesi, assolutamente campata in aria. Il Pais porta addiiittma il confine « oltre Savona, ossia sino al limite di Genua». E il territorio dei Sabazi, di cui parla Plinio, dove va a finire, In questo Vipse clixit 11011 regge, nè può far testo alcuno, ui riconoscendo che la documentazione da me portata può apparire insufficiente a chi la esamini senza quella elasticità intellettuale necessaria, insisto nella mia tesi e riaffermo la mia convinzione 111 merito al contine rappresentato dalla Fiipnava (li languì. Evidenti ragioni di opportunità (lo spazio è tesoro) mi vietano di estrinsecare il meccanismo razionale delle congetture scientifiche da me adottate. Dirò solo che, volendo escludere il confine rappresentato dal « Tavia Fluvius », si dovrà, per legittima conseguenza, escludere pure gli altri confini da me stabiliti, e cioè le Alpi ( ui bia) la Fiumara di Finale Ligure, il Torrente Teiro, ecc. Lo si potrà fare negando una ponderata affermazione. Ma non si potranno certo sostituire con la Roia, la Merula, il Polceveia e il Bisagno ; nè con il Porto Maurizio 0 il Torrente Impero. E allora? Allora continueremo così, gli uni a costruire gli altri a demolire per l’amore della contraddizione. Ancora su « Una colonia romana della Liguria occidentale» 187 2. — Affermo (li 11011 aver inai letto la pubblicazione « I Liguri Intemeli » di G. Rossi, contenuta· negli « Atti della Società Ligure di Storia Patria ». Se ciò fosse l'avrei inclusa, con le altre opere dell suddetto studioso, nel copioso elenco bibliografico che chiude il mio volume: non sono uso a spennare i pavoni. Per altra via a risultato assai più preciso e documentato sono giunto. E ciò appare evidente a chi consideri le diverse congetture e le conclusioni tratte dal Prof. Rovssi e dal sottoscritto. 3. — Annea colonia non fu mai un grande centro della Liguria marittima; non ho mai avuto la pretesa di collocarla tra le citta eminenti delki regione. A pag. 153 si può leggere: «Accanto alla fiorente Taggia la minuscola Arnica colonia visse modestamente e serenamente. Gli irrequieti ribelli Liguri dimenticarono le battaglie e le offese: amiti tutti nel nome di Roma imperiale, vinti e vincitori lavorarono guardando al simbolo glorioso della potenza e della volontà, al Fascio dei Littori ». Il Rossi parla di una colonia Pproiana che non è inai esistila ed il Prof. Bornate sembra giurarci su. Ma, dunque, che solo alcuni privilegiati scrittori abbiano il dono della repentina altrui credulità? 4. — « i soldati romani si stabilirono alla base della collina, tra il Colle dei Castelletti ed il torrente » ho scritto a pag. 153 « e cominciarono a costruire le loro abitazioni sopra la strada romana ». Conferjno e riaffermo. 11 documento aitato non si riferisce, come il Prof. Bornate ha creduto, al luogo della fabbrica, ma bensì alla strada romana, che passava di lì, come si può vedere dalla documentazione riportata. Se la strada romana esisteva nel 1433, a più forte ragione doveva esistere nel l.o secolo dopo Cristo. 5. — Le etimologie che all’Egr. Prof. Bornate sembrano poco ortodosse non sono sviste, come Egli ha la bontà d’ammettere, ma-frutto di paziente e, mi si permetta l’immodestia, intelligente lavoro d*indagine filologica. Delle sviste ce ne sono, l’ammetto ben volentieri, come quel Doge Filippo di Cleves, che in realtà è Governatore di Genova· (vedasi il Documento X, a pag. 203) ; la data della batta glia di Novara e un « il » di più a quel promontorio che vide la vittoria di Ottaviano. Ringrazio dell’ospitalità e deferenteniente saluto. Mario Lopes Pogna Firenze, 7 Maggio 193A-XII. Postilla Nello stendere le quattro paginette di recensione del volume del Sig. Mario Lopes Pegno, ho cercato di essere, secondo la mia costante abitudine, in tutto e per tutto obbiettivo, studiandomi di at tenuare certi punti, nei quali il giudizio avrebbe potuto sembrare 188 Lopes - Bokwvte aspro, ed usando forma non solo corretta, ina cortese nei riguardi dell'Autore. Tutto questo 11011 è valso a proteggermi dalle frecciate del prelodato Autore insoddisfatto, il quale, non per difendersi, perchè non ne sente il bisogno, ma per maggior niente precisare ha scritto la lettera surriferita. Non so, se qualche lettore intelligente e perspicace troverà qui sopra le maggiori precisazioni promesse; quanto a me, non ci ho trovato altro che un tono polemico e aggressivo. 1. — Ho detto nella recensione: «È proprio vero che il Tavia fluvius era il contine dei Liguri Intemeli ed Inganni? L’A. rimanda la dimostrazione ad uno dei capitoli seguenti; e in quel capitolo riferisce un passo di un documento del secolo XII, nel quale si parla del contine orientale della Contea di Ventimiglia (pag. 102) : a questo fa seguire altri documenti di età posteriore. Con tutta la buona volontà di questo mondo, non posso ammettere come Sufficient# una tale documentazione : altro è il confine orientale dePa Contea di Ventimiglia nel secolo XII, altro è il confine del territorio degli Intemeli e degli Inganni prima e dopo la conquista romana ». Su questo punto credo di essere stato esplicito e di non essere stato frainteso. In via subordinata, solo per dimostrare la difficoltà e qua^i l'impossibilità di determinare, a tanta distanza di tempo, contini precisi (ammesso che confini precisi esistessero·) citavo la testimonianza di due scrittori: uno. autorevole per aver dedicato la .maggior parte della sua vita îülo studio dei problemi storici della Liguria occidentale, il quale pone il confine tra Ingauni ed Untemeli in luogo diverso da quello indicato dal Lopes' Pegna; l'altro, storico
  • 2) scrive che « Silìa..... propo.se e stabilì di dare le colonie in ricompensa ai soldati.....» Ora se si considera che Siila morì circa 16 anni prima che C. Giulio Cesare Ottaviano Augusto nascesse e che proprio da Siila oltre 150.000 soldati congedati ebbero terre principalmente nel Sannio, nella Campania e neirEtruria, qual conto si deve fare dell’esattezza storica di un Autore. il quale scrive che al tempo di Augusto *i cojnincio ti dominai retero ni la terra da coltivare? Passando dal generale al particolare, il Lopes Pegna scrive che in Liguria.....dO[o la vittoria ed il parziale spopolamento, bisognava confluire dei colon'· eoe. Ora siccome il punto di partenza di tutto questo ragionamento è «Molti anni dopo che l'imperatore Augusto ecc.». il lettore si attenderebbe una prova che quei tali coloni furono trasferiti nella Liguria occidentale al tempo di Augusto, invece..... l'Autore cita in nota, un passo di Tito Livio (XLI, 13, non XL, 17 come cita il Lopez), nel (piale si parhj di 2000 coloni trasferiti a Lu ni nel ITT a. Cr. E dopo questo po’ ili confusione 1 A. continua iinpei-t erri to: «Così, veiso la line del 1° secolo, (??!!) il Senato cominciò (sic!) a dispensare ai veterani lotti di terreno ecc. ecc.». Con tale argomentazione, cojne ognun vede molto loyioa e persuasiva. 1 A. intende provare inoppugnabilmente la fondazione di Arnwa coloni** · e mostra di adornllarsi, perché ci sono dei testardi che non vogliono credere alle sue par ode. Che poi, non sia mai esistita neppure la colonia Porcia no y di cui parla Gerolamo Bossi, può anche dorsi; ma che io sembri giurarci #u è una trovata, di cui lascio la paternità al Signor Lopes Pegna. Chi comprende Pitaliano, sa che, avendo io scritto « Il Rossi a pag. ΓίΟ e Γ>Γ> «lice ecc. », lascio 1 onore e 1 onere dell’affermazione al Rossi e non intendo partecipare ne ai meriti nè ai demeriti di quello scrittore. 4. — Dopo quel che ho detto di sopra, è inutile che io ripeta che in materia tanto controversa, e relativamente a fatti cosi lontani, è un po’ esagerata la pretesa dell’autore di essere creduto sulla· parola. Se il Sig. Lopes l’equa fosse stato presente alla fondazione di Xrmca colonia, si potrebbe, per 1111 riguardo personale, prestar fede alle sue parole; ma siccome si ha ragione di dubitare che egli Ancora su «Una colonia romana dklla Liguria occidentale» si sia trovato presente a quella cerimonia, se non cita testimoni degni di fede, bisognerà che si rassegni alla credulità o all’incredulità dei lettori. Quanto a lui, affermi e riaffermi pure: è logico, che egli si mostri costante nelle sue idee. 5. — Veniamo, lilialmente, alle etimologie. Mi sono accontentato di definirle poco ortodosse e credo con ciò di aver dato prova di molta moderazione. Ora PA. protesta che esse sono frutto di paziente e.... intelligente lavoro d'indugine filologica. Le etimologie a cui volevo accennare sono le seguenti : pag. 21», nota 1, « Ormea è corruzione di Bomana ». pag. 38, « Taggia deve al greco gca (terra) la sua origine.....». pag. :U, υ rolupece (in nota: Da poli) = molto e peiein = scardassare) ». pag. 00, nota 2. « Nel medio evo il suo nome si cambiò in \ a-ragine - luogo dove si varano le navi ». che ormai e roméa siano corrruzione di romana fu ripetuto da 1\ Accame nelFarticolo intitolato: La da Aurelio ed il Polla-pixx nel territorio d Pietra Ligure: «E ninno v'ha, studioso della materia, il quale ignori che ornua e ronua sono corruzione ili romana·, e che si dava il nome di conno alle strade tradizionali romane ». (( Ir. domale ligusticot anno XVI (1889) pag. 245). Può darsi che sia così: io, però, non ci giuro su. Altra cosa è ria )oni(a, altra è Ormea, nome proprio di città: resta sempre da spiegare come da un aggettivo sia derivato un nome proprio, e perchè a quel luogo soltanto sia stata attribuita una qualità, che poteva competere a mille luoghi diversi. Più semplice, mi pare, e più logico far derivare Ormea da Vlméa (Ulmcta-Ulmca-Urfuea-Ormeki) come si trova nei documenti medioevali e come scrive ripetutamente il Giustiniani (Annali delia JtepitWim di Genova, vol. I. pag. 2$i, 35). Per Taggia, il Lopes Pegna dà questa spiegazione: « Taggia deve al greco gca (terra) la sua origine (i coloni fo-cesi approdarono certo, e più volte, all’ampia foce del Tavia fluvius e chiamando gca il piano «love l’antica Tabia sorgeva, provocarono l’adozione di quel vocabolo, leggermente modificato, per designare il paese da parte degli stessi abitatori). Come, quando, in (piali circostanze i Focesi siano sbarcati alla foce del fiume Taviat perchè abbiano usato quel nojne, che nella loro lingua indicava tutto il globo terracqueo per designare una minima particella del medesimo, sono cose di nessuna importanza per il Lopes Pegna. Quali siano i mutamenti fonetici, in virtù dei quali gca diventa Taggia, 1 A. non perde il tempo a dimostrale, perchè la cosa è chiara come il sole: si tratta di leggère .modificazioni ! Anche Petimo’ogia di Polupece è per il Lopes Pegna afflitto di paziente e..... intelligente lavoro di indagini' filologica ». È un 192 Lopes - Borxatc vero peccato che egli abbia sciupato la sua pazienza e la sua intelligenza pei scoprire cose, che sono note da un secolo ! Ne vuole la prova: eccola. « Descritto il percorso della strada, vediamo che cosa sia questo specioso Polìupice, che Vltinemcio lissa a dodici miglia da \ado e ad otto miglia da Albenga. 11 Serra (Storia deir Antica Ligìiua i- di (i cuoca, Capolago, 1835, vol. I, pag. 00) fa derivare la parola Polìupice dal greco, polii (molto) e pelcheln (scardassare) ; e vuole che Polìupice come pure Andora, traessero la loro origine e fondazione el resto non si comprende perché in nome della tradizione dovrebbe essere interdetta ogni revisione della figura di Sampiero. La tradizione è essa stessa un fatto storico, e di grande significato e importanza, tale perciò da dover essere debitamente valutato, ma non da costituire un giudizio definitivo e immutabile. E anche sul modo onde la tradizione si è formata sarà lecito indagare. Che poi la ricostruzione o la revisione siano soddisfacenti è altra questione, che va giudicata con elementi puramente intrinseci. A sua volta il Venturini accusa il Russo di passione, la passione di giustificare anzi esaltar Genova e svalutare i Corsi. « È un rivolo sottile di passionalità coperto sotterraneo quasi, che percorre il volume e in ultimo sgorga a imporsi a tutta la grandiosa vicenda. Genova era nella giustizia e i Corsi erano nel torto I E allora, passione per passione, io dò ragione ai Corsi e condanno ancora Genova. con\e la si condannò ai suoi tempi ». Segue una requisitoria che più violenta e feroce non l'avrebbe fatta uno dei ribelli del secolo XVIII, con un iroso rancore antigenovese che sembra rinnovare antichi odi regionali e cbe non è compensato e nobilitato dal rammarico che le colpe di Genova « impedirono ai Corsi di essere uniti agli altri fratelli italiani nella radiosa rinascita della Nazione ». . Colpe veramente inespiabili queste di Genova, se servono di arnia e di puntello agli storici corsi francofili e a quelli di opposte tendenze: colpe tanto gravi, afferma il Venturini, da far perdere ai Corsi (già. quelli del secolo XVI e successivi) il lume della ragione e da ispirare un odio acerrimo, indistruttibile contro Genova, che, se non erriamo, è pure parte e non ultima d’Italia. Degli strani effetti di questo cieco odio può essere sintomo significativo. anche senza volerne generalizzare la piccola importanza il curioso svarione di uno storico di Sampiero. F. M. Costa di Ba-stelica (Aiaccio, 1905), che non vedo citato e usufruito dal Russo nè dal Rinieri e che avrebbe potuto essere tenuto presente perchè fondato sui cronisti fiancesi contemporanei. Narra dunque scandalizzato il Costa che una delle torture preterite dagli ufficiali genovesi di Corsica consisteva nell'impiego di « poix fondue ingurgitée de force, à Faide d'une aiguière, ou de tout autre instrumente semblable ». Peccato che il documento da cui è tratta Fatroee notizia parli di pecka che andava tradotta in pezza e non in pece, e, senza le frangie esplicative dello storico, contenga proprio il consiglio di sostituire un mezzo più blando di indagine allo straziante tormento della corda 1 Era naturale che questa condanna assoluta della condotta genovese in Corsica, argomento principe della storiografia franco- Rassegna Bibliografica 201 corsa — anche se il Venturini appartenga a tutt’altra corrente — dovesse prima o poi essere assoggettata a un giudizio d’appello e che questo avesse a base la documentazione che l'altra corrente ha trascurato, la documentazione dell’archivio genovese, per ragioni intuitive, ricchissima. Può essere benissimo che, copie contrapposto e per l’origine stessa di questa documentazione, il ricercatore ecceda nelle conclusioni — ed è avvenuto talvolta anche al Russo — ma questo desiderio di udire anche l’altra parte è naturale e legittimo e — se pur è lecito fermarsi su queste antipatiche superatissime distinzioni — è stato sentito soprattutto da studiosi non genovesi. Esempio tipico Carlo Bornate, che da anni dissoda un terreno inesplorato, sventrando cooi certosina pazienza p con diligenza insuperabile montagne di documenti tra la fine del XV e il principio del XVI secolo, e riassume le sue minute indagini in una serie di studi che vanno comparendo nell’Archivio Storico di Corsica. Pacato, misurato, scrupoloso, il Bornate non può essere certo gabellato come un ricercatore tendenzioso, passionale, a tesi preconcette; e il giudizio che orinai traspare sul governo del Banco di S. Giorgio in Corsica è diverso dal consueto e tradizionale. Xon privo di errori e di colpe, certamente; ma neppure sempre e soltanto esoso, struttatore o incurante della giustizia, nè sempre oggetto di odio se non infrequenti, pur tra le contese e le ribellioni dei capi, sono le dichiarazioni di lealismo e i fiduciosi ricorsi al governo centrale. Se ogni periodo storico potrà essere cosi scrupolosamente indagato su documenti genuini, non ripetuto suPe tradizioni ebe regolarmente si ricopiano, si potrà avere una revisione generale della storia di Corsica e sì potranno accettare, quali che ne scaturiscano, le conclusioni. Anche a proposito del famoso odio degli isolani, che è poi almeno per molto tempo, l'odio dei capi rissosi e insofferenti. « Genova non fu che esosa per i Corsi — dice Venturini — e non si diede mai la briga di persuaderli del contrario. Quel molto di bene materiale che pure Genova fece alla Corsica parve sempre agli isolani che lo facesse per suo esclusivo vantaggio e in esso videro sempre una ingiustizia ». Anche nel secolo XVI? Temo veramente che in questo giudizio sia riportata troppo indietro nel tempo una concezione moderna. D'altra parte si tratta proprio e solo d incapacità genovese? E il carattere corso, quale appare da secoli di storia, non conta per nulla? Un corso ribelle pentito, in una supplica alla Signoria, riferita dal Russo, definisce da intenditore la sua gente: « Voi sapete che noi Corsi siamo uomini de inimicitie e sempre faremo disastri ». Nessuno vorrà asserire che il dominio genovese nell isola sia stato l’ideale dei governi, che 11011 ci siano stati, e frequentemente, governatori e funzionari rapaci ed esosi; che non si siano esercì- 202 'R A SSEGNA B τ RI.1 OG RAL ICA tate repressioni fieramente rigorose. La Corsica rappresentò senza dubbio una riserva di utiici e una fonte di guadagno, non sempre legittima, specialmente per la minore nobiltà cittadina. Ma da questo air incapa cita e· al mal governo sistematico ci corre. E se il Banco e la Signoria sono apparsi spesso deboli di fronte a funzionari e governatori dannazione contrastante con le direttive del Governo, non vuol dire che essi fossero indifferenti alla prosperità materiale e morale dell’isola ; anzi i documenti provano il contrario. Allora si dice che questi benefìzi sembravano) fatti nel solo interesse della Repubblica e che il dominio appariva 111Γingiustizia. Bisognerebbe provare che questa fosse l’impressione dominante nella maggioranza della popolazione anche nel secolo XVI e, per un esempio, la lettera della comunità di Sarrena, che ricusa di associarsi a Sampiero non lo fa ritenere. Se il Banco e la Signoria cercavano di reprimere l'autorità dei signori e dei capotali facinorosi e prepotenti, facevano una politica seguita anche dagli altri Stati e che non può essere giudicata come oppressiva, quando contemporaneamente si tentava, anche se invano, di legare i Corsi al patrio suolo col lavoro, di portare la moralità nel clero, di cercar di diminuire le uccisioni e le vendette private. Anche P. Rinieri, che parte in guerra contro il Russo armando di una formidabile dottrina e di una consumata esperienza di studioso la sua convinzione e la sua. passione corsa tradizionale, ripete le consuete accuse, estese al periodo che precede l’insurrezione di Sampiero. Ma, trascinato dalla foga irruente, non colpisce il bersaglio e commette, anche nelle citazioni e nelle fonti, non lievi errori che al contraddittore è facile cogliere e rilevare ; sicché è questa una delle parti in cui la replica del Russo riesce più efficace e persuasiva, sino a provare che alcuni storici citati dal dotto Padre come assertori di quelli ch'egli chiama « aggravamenti » di Genova in Corsica avevano detto tutt’altra cosa. La critica del P. Rinieri avrebbe potuto essere più efficace se fosse stata più moderata e serena. Gli storici si dividono nettamente per lui in due categorie: attendibili e meritevoli di ogni lode se contro Genova, di nessun valore e poco meno che cattivi soggetti nel caso opposto ; e giudizio analogo si porta sulle fonti documentarie. Così non è risparmiato, col Russo, il card. Cicala che ha fornito all'opera, incriminata una vasta documentazione, e sono levati alle stesse il Livi per la sua opera su Cosimo I e la Corsica, e il Filippini per la sua nota storia corsa. Il Filippini, del quale nessuno si sogna di negare l'importanza, è attendibile e si può dire infallibile perchè sacerdote e contemporaneo; giudizio che, dato così assolutamente, ha lo stesso valore di quello del prete genovese Accinelli del secolo XVIII, secondo il quale « il Filippini autore corso lia troppo di parzialità per i suoi Patrioti, la sua storia è piena di falsità e di ro- 'Rassegna Bibliografica 203 manzerie... ». Si comprende perciò la vivacità del Russo nella risposta, ma si comprende anche quanto sia difficile parlare serenamente in una questione agitata da così fieri contrasti. Due elementi di fatto devono essere tenuti presenti nel valutare le accuse contro la. Repiibblique de mauvaAse vie. L’insofferenza cronica e riottosa di alcuni elementi della popolazione provocava sin dal 1200’ (quando era troppo presto- per poter accusare Genova di non aver saputo educare i Corsi) il malumore dell’annalista Jacopo Doria, e ad essa è dovuto se i torbidi dell’isola non sempre furono esplosione spontanea del malcontento popolare, ma spesso sbocco di artificióso lavorio di feudatari e di signorotti, di faziosi e di ambiziosi, speculatori dello spirito instabile della massa. A ciò si aggiunge che l’esterna suggestione soffiava nel fuoco delle ribellioni eccitandole e rinvigorendole con promesse e speranze, talora anche con aiuti coperti o palesi. Perchè non occorre ricordare clie la Corsica rappresentò una pedina molto importante nel gioco diplomatico delle grandi Potenze in lotta per il predominio' del Tirreno, e quindi del Mediterraneo; cosicché il problema delle relazioni tra Genova e la Corsica si risolve nel mantenimento di un equilibrio costituito o nel suo spostamento a vantaggio di qualche potenza e a danno perciò, di qualche altra. Il Russo ha visto· la rivolta di Sampiero appunto in questo quadro di politica internazionale togliendole come causa unica e fondamentale Podio generale e inestinguibile per il malgoverno di Genova; togliendole quindi anche il carattere di lotta mortale di tutto un popolo per l’indipendenza e la libertà sotto un leggendario eroe nazionale, che le è attribuito dagli storici corsi. Per quelli invece l’intervento esterno militare e diplomatico ha piuttosto un valore secondario e accidentale e il ricorso alla Francia è un estremo rimedio pur di non ritornare sotto Genova. Dalla posizione iniziale diversa la diversità delle conclusioni; ma non mi pare sia una colpa nè un errore aver impostato più largamente il problema e aver dato più vasto respiro alla trattazione. Durante l’ultimo periodo della lotta con la casa d’Austria, dice duque il Russo, Enrico il per colpire in punto particolarmente sensibile la potenza ispano»-genovese e costituire una base nel Tirreno imprende una spedizione in Corsica, consigliere Sampiero di Bastelica, ribelle a Genova. La lotta si accende néfPisola che insorge e vi sbarcano Turchi e Francesi; la guerra dura dal 1553 al '59. La pace di Cateau Cambrésis lascia l’isola a Genova alleata della Spagna. Amara delusione e cocente umiliazione per la Francia, che perde la sperata importantissima base contro la rivale. Ma la condizione contenuta nel trattato, che Genova debba concedere generale perdono agli insorti, fa della Francia la protettrice dei Corsi, o piuttosto· dei Corsi ribelli, e costituisce un legame invisibile ina 204 li ASSËGΝΛ BllìL IOGRAI ICA reale tra questi e la Monarchia Francesi alla quale offre un appiglio per intromettersi nelle vicende dell'isola. Umiliata dalla sconfìtta e pur non disposta a una rivincita, la Francia, nell’impossibilità di riprendere, anche per le condizioni interne e le lotte religiose, la guerra con la Spagna, favorisce sottomano la rivolta e trova uno strumento in Sampiero. Soldato valoroso certamente il discepolo di Giovanni dalle Bande Nere, uomo di fiere passioni, animato da motivi personali di profondo rancore contro la Repubblica, ostinato suscitatore di nemici contro Genova anche tra gente non sempre in ansia di ribellione come pur erano molti dei Corsi. Capo dei francesi tra il 1557 e il '59, in rapporto diretto, anche dopo la pace, con la Francia, cui offre l’isola durante la nuova insurrezione, è naturale che Sampiero sia salutato come il primo Corso francese dagli storici francesi o corso-francesi per i quali è merito precipuo della Francia l'aver liberato la Corsica dalla tirannide genovese. Un po' più strano sarebbe, se non ci fosse di mezzo quel tale risentimento antigenovese, che sia salutato e venerato eroe dell'indipendenza isolana, nonostante queirinvito e quelPatteggiamento. anche dagli altri e accostato a Pasquale Paoli che combattè Genova ma anche la Francia. Era prevedibile che dovesse destare profonda reazione uuMmma* gine di Sampiero tanto diversa dalla tradizionale, di un avventuriero non mosso da idealità nel suo odio terribile ma da passioni e rancori personali, pronto, pur di vendicarsi di Genova, ad offrire il proprio paese un po’ a tutti, tenendo in costante riserva la minaccia del Turco, nemico della Cristianità. Tanto più stridente il contrasto se si tien conto che al P. Rinieri il Sampiero della tradizione appare molto inferiore alla realtà, che «la sua figura storica gli si presenta pura e libera da quella patina di barbarie onde gli avevano oscurato il volto», che lo vede dotato di un senso diplomatico di prim’ordine, di senso morale e religioso singolare, tale in somma per potenza di senno, per valore di persona, per scienza di guerra, per prudenza e per astuzia da non avere al suo tempo chi lo superasse. E altrove ripete che « Sampiero sempre giganteggiava, solo contro Genova e Spagna ». Eterna difficoltà della storia e della vita. La medesima figura può essere vista sotto luci assolutamente opposte. Tentare di assidersi arbitro sarebbe impresa vana e stoltamente presuntuosa; tuttavia il lettore non può sottrarsi all’impressione che il paladino esageri un poco, trascinato dalla sua ammirazione e dallo spirito polemico, e sopra tutto non sia sereno. Quel povero Cardinal Cicala nei giudizi dei critico fa proprio la parte del servo sciocco; privo di ogni autorità in Curia, non sa che far suoi i passionali giudizi genovesi ed ha a sua giustificazione soltanto il proprio amor patrio. Il Russo ha facile giuoco a mostrare che il cardinale aveva Rassegna IUhliograkjca 205 coperto 'uffici di grande importanza e godeva alla corte pontificia di largo credito. Le parole aspre e violente del Cicala e della Signoria contro Sampiero saranno dettate da passione e avversione politica, ma le notizie di fatto che risultano dal suo carteggio non sono per questo meno importanti nè le informazioni sugli atteggiamenti della corte pontificia, il sistema di svalutare la fonte avversaria è troppo noto e facile, e in questo caso non mi pare sia riuscito. Ed è abilità curialesca quella di veder tutto roseo da un lato e tutto nero dall’altro. Ciò che lui fatto la Signoria è sempre turpe, ciò che ha fatto Sampiero sempre meritorio. Sampiero uccide persino la moglie sospettandolo di accordi coi genovesi ed è scusabile perchè è mosso da passione politica, 11011 da motivo di crudeltà; e poi non è il solo esempio del tempo. Ma se Genova tenta di liberarsi in ogni modo il Sampiero, anche coi sicari, è crudele e immorale, e 11011 trova alcuna giustificazione nei costumi e nei sistemi politici contemporanei. Così si dica delle stragi e delle vendette della lunga guerra, atroci se compiute da Stefano Doria e dagli altri genovesi, giusti ticate se provenienti da Sampiero e dai Corsi. P. Rinieri accusa il Russo di fare Poppo®0 e non ha tutti i torti ; ma la sua accusa si spunta quand’egli inverte il giudizio. Così avviene che le esagerazioni e il partito preso tolgono il valore alle critiche che pur potevano essere rivolte allo studioso. Il quale, sebbene riconosca una certa grandezza all’atteggiamento di Sampiero, ne sminuisce indubbiamente la figura. Quell’odio che ossessiona il ribelle ha una terribilità tragica che impone; quel suo cercare aiuti da ogni parte pur di soddisfare la vendetta è qualche cosa di diverso da un gesto di avventuriero. C'è una passione, e terribile, nel suo animo» che 11e è invaso e accecato; e, problema più psicologio· che storico, olii può dire sino a qual punto quella sete di vendetta si presentasse a lui stesso come un disperato- amore della sua terra? Quando il Russo dice nella sua risposta a P. Rinieri che Sani-piero aprì la Corsica ai Francesi, dice cosa giustissima e per Genova e le vicende future d’Italia gravissima ; ma bisognerà giudicare quegli eventi nell’ambiente e nella concezione del sec. XYI, tanto diversa dalla nostra e tanto facile all’appoggio e al ricorso allo straniero, fosse la Francia o la Spagna. Ma che d’altra parte tutti i Corsi bruciassero dal desiderio- di darsi alla Francia è affatto arbitrario e il Russo lo prova all’evidenza. E neppure si può dire che avessero cocente aspirazione alla dominazione medicea, come ha sostenuto Giovanni Livi, anche lui, a riprova della sua tesi, calcando la mano sulle feroci colpe della Repubblica, Certo nella ricerca di un aiuto e di un signore purché fosse da sostituire a Genova, e poiché la Francia 11011 poteva apertamente compromettersi senza riprendere la guerra con la Spagna, Sampiero offrì il dominio a 206 Rassegna Bibliografica Cosimo I di Toscana che sarebbe stato lietissimo di accettarlo, per liberare, si capisce, i Corsi dalla tirannide genovese. La documentazione del Livi, dice bene il Russo, è insufficiente e unilaterale per aver trascurato l'archivio genovese. Sarebbe eccessivo e pedantesco rilevare che il recente storico, il quale vi ha tatto così larghe e ampie ricerche — veramente le prime ricerche in profondità che siano state fatte in proposito — avrebbe potuto tentare anche qualche 1011 do trascurato come di .minore importanza : credo che la corrispondenza diplomatica coi rappresentanti della Repubblica a Firenze, per quanto lacunosa e frammentaria, avrebbe potuto fornire qualche notizia, come quella con l’agente Sauli a Madrid solo parzialmente riferita dal Marini nel Bulletin de la Corse. Comunque è certo che il veto spagnolo troncò le trattative tra Sampiero e Co simo, e uno degli argomenti più forti addotti da Filippo li fu che la stessa offerta era stata fatta al Papa.. Tutto quanto si riferisce alle trattative con Pio IV è veramente nuovo e importante e mi pare che il P. Rinieri abbia torto di non volerlo riconoscere e di scoprire in 1111 registro dell'Archivio Vaticano le lettere del Nunzio a Parigi, Santacroce, che il Russo aveva letto 111 un altro codice e almeno in parte adoperato. Il Santacroce, nel proposito di impedire un conflitto Spagna-Francia per la Corsica e di por line alla guerra feroce tra Genova e Sampiero, propone la cessione dell’isola alla Santa Sede. Proposta partita da Sampiero secondo il Nunzio, il quale non dimostra un soverchio acume ammettendo che Genova e Spagna possono adattarsi a una tale soluzione e P. Rinieri, che ne è grande ammiratore, si dimostra contrariato quando il Santacroce, ricevuto Lordine di lasciar cadere la faccenda, scrive: «io lio qualche congettura che costoro diano la baia a tutti, quando dicono che quell’isola vorriano fosse o di S. S. o d‘altri e che il disegno loro sia di conservarla per se, e dar tale aiuto a Sampiero che vi si possa mantenere ». u Eppure, aggiunge il critico, sopra una congettura cosiffatta, il prof. Russo edifica buona parte della sua tesi contro la Francia e contro Sampiero ! ». Non sopra quella soltanto in verità, ma su tutto il complesso giuooo diplomatico della Francia. Certo è tuttavia che questo atteggiamento francese, e in '{»articolar modo ili Caterina, per il quale l'offerta al Papa sarebbe stata soltanto una manovra temporanea per far passare poi definitivamente l’isola alla Francia, appare prospettato con abile dialettica ma è privo di prove decisive. in tale materia naturalmente difficilissime, e avrebbe bisogno di più ampia documentazione. Trattandosi di un cosi complesso giuoco e di tanto vasta rete di interessi intorno al conflitto che si combatteva nell’isola, l’esplorazione per quanto diligente e fruttuosa degli archivi genovesi e del Vaticano dovrebbe trovare controllo 4? conferma in risultati provenienti dagli archivi di Parigi, se non ft ASSEG ΝΑ I > I Bl.l üG RAFICA 207 anche di Simancas. Ed è da. augurare che le ricerche alle quali il Russo si accinge in Francia rischiarino i punti ancora oscuri o dubbi. Il Papa, adunque, dopo qualche indecisione 11011 si lasciò trascinare in un’avventura pericolosa. Dietro Genova c’era la Spagna in atteggiamento più di sorvegliante attesa e di aiuto diplomatico che di immediato intervento efficace; la Spagna protettrice greve, amica pesante, come può essere il più forte verso il più debole, non però signora come dice P. Kinieri. La Genova del 500 è molto più indipendente e dignitosa che la tradizione non dica ; e non sarà difficile dimostrarlo. Ora al Pontefice 11011 conveniva accrescere la già esistente tensione di rapporti con la Spagna, quando Turchi e Barbareschi, anch'essi in ottimi rapporti con la Francia, minacciavano i piari, e mentre Genova, sempre ossequiente e devota alla Chiesa Romana, anche tra i pericoli del l’insurrezione corsa, continuava a prendere parte alle spedizioni contro gl’infedeli. Anche a proposito della minaccia turca c'è assoluta disformità di giudizi tra il Russo e il suo critico che tende a svalutare quel pericolo, naturalmente per non aggravare la responsabilità di Sampietro e anche l'importanza internazionale delle vicende di Corsica. Secondo lui le invocazioni di Sampiero ai Turchi non apparirebbero a Genova e al Papa 1111 pericolo per la cristianità. Ma la minaccia esisteva realmente così nel 1505, durante la spedizione di Solimano a Malta, come nella primavera del 07, quando la Francia invocava ancora l'intervento turco. Anzi questa parte della connessione tra le vicende della Corsica e gli atteggiamenti del Papato e della Francia nei riguardi dei Turchi è tra le più efficaci e convincenti del libro del Russo. Fallita l'impresa turca di Malta e non avverata la nuova minaccia del 1507, la guerra in Corsica si riduce a un’atroce lotta di sterminio tra le due parti, sebbene Genova si affretti più volte a promesse di pace. Essa ha la sensazione che la rivolta, fallita ogni speranza esterna, si affievolisce. Già nella consulta di Bozio nel 1565, dalla quale è uscito l’invito a Solimano, alcuni sono apparsi titubanti, desiderosi di pace. Naturalmente Genova in tutti i modi palesi o coperti favorisce questa tendenza per isolare Sampiero, ma non accetta le interessate mediazioni francesi per non rinnovare l'orrore del trattato precedente. I ribelli sono scontortati e divisi dalle risorte fazioni; cominciano le defezioni cui Sampiero reagisce ferocemente. Egli si difende in tutti i modi e anche Genova si difende in tutti i modi. Sampiero fa uccidere non solo i traditori, ma le famiglie . le mogli e i bambini; Genova lo circuisce, gli .moltiplica le taglie, fa dei veri mandati di assassinio. E tutto ciò andrà giudicato con criteri di tempi nei quali questi erano metodi consueti. Persino nel 7 il mite Goldoni, console genovese a Venezia, per aver data la supposta notizia della presenza colà del famoso re Teodoro, si vide capitare una proposta del genere, pre- 208 ϊίassegna Bibliografica vio, s'intende, parere favorevole dei teologi della repubblica. E Campiere è ucciso· da un gruppo di corsi accordatisi con Genova ; il tìglio. dopo breve resistenza, cede alla nuova politica di pacificazione subito instaurata dalla repubblica appena scomparso il pericolo maggiore. Esausta, spossata, risola tornava in pieno possesso di Genova > stanca auch'essa ed economicamente esaurita dulia terribile lotta. Quale in seguito la sua azione di governo, diranno gli ulteriori studi del Russo. Accanto airesaurimento e alle ragioni permanenti insite nel carattere stesso degli abitanti, due gravi eleinemi oi debolezza rimasero a minacciare il dominio genovese nell’isola, Pin-tromissione costante di Roma a favore delPelemento ecclesiastico anche se meno degno, irriducibilmente violento e riottoso (gli studi clie sul clero corso P. Rinieri va pubblicando nelPArcli. St. di Corsica, attinti a fonti ecclesiastiche ed encomiastiche, sono suscettibili di profonde revisioni) ; e 1* aspirazione francese a intervenire sotto qualunque forma nelPisola, aspirazione che doveva farsi sempre più pericolosa col declinare della potenza spagnuola. Riassumendo e concludendo, allo studio del Russo, pur con le riserve e le limitazioni sopra indicate, mi pare non si possano negare alcuni meriti fondamentali e un intrinseco valore per aver inserito la ribellione di Sampiero e il suo duello con la Repubblica nella grande politica mediterranea illuminandolo come 1111 momento del conflitto franco-spagnolo e 1111 episodio della difesa della cristianità contro i Turchi ; per aver contribuito con probatoria efficacia a mettere 111 giusta luce le tradizionali e interessate accuse di ferocia e di esosità rivolte al governo genovese in Corsica; per aver luminosamente provato che per quattro anni Genova, col solo aiuto morale e diplomatico della Spagna, non tradottosi che in misura insignificante in aiuto effettivo e armato, resistette alPinsurreizione dell'isola e alle oscure minaccie di complicati maneggi diplomatici, dando prova di vitalità e di forza, di sicura e alPoccorrenza infles-sibile severità ma anche di saggia clemenza e di opportuno ricorso ai mezzi pacifici, appena la situazione lo permettesse. La revisione del giudizio stereotipato sul puro immenso generoso eroe nazionale e sulla crudele imbelle e vile Repubblica, ripetuto 1111 po’ per pigra indolenza un po' per diversi ma concordanti interessi, può essere talvolta condotta con eccessive conclusioni o con esuberante passionalità ma ha il merito di porre per la prijna.' volta il problema storico della Corsieri e dei suoi rapporti con Genova sopra una seria ampia coscienziosa documentazione archivistica. sottraendolo alle ripetute convenzionali declamazioni e alle viete astiose polemiche regionali. Υιτο Vitale (Dalla Rivista Storica Italiana, Torino, Sez. IV, vol. V, fascicolo III). 'Rassegna Bibliografica 209 Tito Rosina, D ' Annunzio e la poesia di Garibaldi. Emiliano degli Orfini, Genova, 1933. Fu vera gloria? Urge la domanda nei riflessi di Gabriele D’Annunzio, urge se non ^Ltro per affermare le qualità migliori e più perspicue della sua medesima arte che, oggi, viene rifiutata d^i taluni delle giovani generazioni, che mostrano di non preoccuparsi, però, di stabilire se il meglio di questa· arte non rimarrà per sempre, realizzata come è da un senso inconfondibile del mestiere (rammentate il giudizio di Renato Serra?) ed animata, insieme, da una genuina sostanza vitale. Se nondimeno gli scrittori e gli artisti d’oggi respingono a grande voce l’influsso dannunziano, corrosivo sotto vari aspetti, alcuni giovani critici, sulle orme del Croce, del Borgese, e del Gargiulo, rinnovando magari la sistemazione poetico-culturale dell’argomento sulla base di fonti più accreditate e più certe, cercano di dare, sostanzialmente, un segno manifesto della grandezza di questa arte dannunziana, oggi così diffamata e che gode così poco* favore presso i giovani. Inoltre, alcuni critici hanno cercato con fervore acuto il metodo le «fonti» su cui s’appoggerebbe Farte di Gabriele D’Annunzio. Colla critica metodologica, condotta sulle fonti, la realtà di un artista si afferma in modo indiretto assai più che con la critica puramente estetica: se questa può lasciarsi trascinare a guardar anche alla tendenza, più che alla sostanza (pensiamo a molta letteratura moderna, lodata o respinta più per le varie tendenze che per una concreta e soda reatà artistica',; colla critica metodologica, colla ricerca acuta delle fonti che hanno influito sull’opera, collo scarnire 10 scheletro che è base all’opera, si ha modo di isolare quel tanto, quel fondo intuitivo e concettuale a un tempo che, sotto la « veste » formale, è sostanza di un’arte, è già arte trasfigurata dal fuoco creatore del poeta. Con una critica metodologica non si può badare ad un’arte di tendenza, ad un'arte non sostanziata e realizzata sul· specie poësis. E questa viene delineata nei termini critici più sottili quando, copie 11 Capasso bene afferma nella prefazione, il critico sa unire i migliori fruiti, ottenuti da un'acuta ricerca .ntensamente condotti sulle fonti, con una fine critica estetica, rivelata dalla piena comprensione di quale fu l’anima dell'aitista nell’accingersi ad un’opera poetica che poi rimase interrotta, parimente a La Canzone di Legnano del Carducci. * * * Il Rosina, già noto nel campo degli studi dannunziani e messosi in luce con un’opera erudita sulle fonti de Le Città del Silenzio, oggi ci appare, con questo volume dedicato al carme del D'Annunzio su Garibaldi, assai più nutrito quanto ad estetica. 210 Rassegna Bibliografica A parte il fatto di una diligentissima ricerca che talvolta raggiunge il puntiglio, acuta è la disamina di certi apporti colturali che troppo affiorano nella poesia dannunziana; a parte il fatto di portare sotto nuova luce o rivelare alcuni curiosi aspetti di una critica pronta a cogliere tutte le « plagiarie » espressioni del carjne, senza precisare peraltro quale fosse rapporto personale di un’arte animata dal sacro soffio della poesia-, sta invero che agli occhi del Rosina, alla sua sistemazione critica di un’opera che non è tra le migliori di Gabriele D’Annunzio, si è rivelato man mano il vero « concetto » che anima la poesia dannunziana su Garibaldi. Quivi l'estetica del Rosina ha fatto buona prova; e, anche se non viene detto espicitamente, attraverso questo sistematico riferimento alle fonti più svariate, dagli articoli colturali alle critiche giornalistiche dell'epoca, dalle lettere ai discorsi mal noti del Poeta, appare come il Condottiero Giuseppe Garibaldi animasse di un reale fuoco vivificatore Puomcn D’Annunzio. L'uomo D’Annunzio guardava alll’uomo Garibaldi, sentiva scorrere in lui il sangue ardente dell’Eroe, perciò cercava di celebrare in poesia la vita eroica del Condottiero che gli appariva come un modello umano mirabile. Ma proprio la celebrazione in poesia di condottieri e di eroi, di santi e di superuomini, e tutta la poesia che celebra le glorie patrie, che per se stessa rasenta l’eloquenza, è estremamente difficile. Troppe volte è tentata dall Oratoria, o soffocata da un apporto colturale, che per la sua stessa natura non può eliminare ; troppe volte non si eleva al di sopra della celebrazione in versi che rimangono metrici, che si possono scandire, ma che non si mutano in poesia . Ed ecco che il Rosina riesce a chiarire quale fu l'apporto j>erso-nale dannunziano nella celebrazione Garibaldina, quando accada che il Poeta riesca a sublimare, attraverso una lirica rappresentazione, dovuta alla originale fantasia creatrice, il mito delPazione Garibaldina. Quando? Quando. Garibaldi è sentito come un uomo primitivo, vicino alla natura. Ma si veda il libro del Rosina, e il consenso che gli attesta il prefatore. L’opera deli Rosina ha un suo particolare valore non tanto per l’argomento, quanto per il metodo. Attraverso la sua attenta disamina si ha campo di vedere quale fu la vera sostanza lirica di un’opera dannunziana. Attraverso Pesame del Rosina si ha maniera di affermare come la critica metodologica si riveli sostanziosa e nutrita, sposata come è ad un rilievo estetico di primo ordine, a una fina preparazione concettuale. Inoltre l’opera del Rosina offre buona occasione di affermare, a tutti i giovani negatori dell’arte dannunziana, che oramai il poeta è coUocato in una: posizione storica, ha il suo posto fissato, nella letteratura nazionale.... Ma questo è un lungo discorso. Enrico Terracini. Spigolature e Notizie « Il problema di Tunisi nella vita italiana di ikri e di oggi » è esaminalo da Ari uro Codignola in una conferenza tenuta I’ll gennaio 1934 a Genova e pubblicata nel fascicolo marzo-aprile 1934 della « Rassegna storica del Risorgimento » di Roma. * * * Il Palazzo De Ferrari Galliera », ora sede del Banco di Roma, è illustrato nella sua storia e nelle opere d'arte in esso contenute, da Domenico Castagna, nel fascicolo di gennaio 1034 di «Contemporanea». * * * « Il restauro di S'an Lorenzo » e « La Galleria Cristoforo Colombo » sono gli argomenti trattati1 rispettivamente da Valentino Gavi e da Antonio Cappellini in « Emporium » di febbraio 1934. * * * Uno scritto di Antonio Cappellini su «L’Abbazia di San Gerolamo di Quarto» è pubblicato dalla rivista «Genova» di marzo 1934. * * * « Due lettere di Lorenzo Bartolini » conservate nell’Arcliivio Civico, sono pubblicate da Orlando Grosso nel fascicolo di marzo 1934 della Rivista «Genova». * * * Vittorio Giglio pubblica nel «Secolo XIX» del 3 aprile 1934 uno studio su « Genova e l’impero d’Austria alla fine del XVIII secolo ». * * * « Un prelato ligure alla Corte di Napoleone » è il titolo di uno scritto di G. battista Natali pubblicato nel « Corriere Mercantile » del 4 Aprile 1934. Sii tratta di Mons. Giuseppe Spina, sarzanese. Cardinale ed Arcivescovo di Genova. * * * L'articolo di Giuseppe Rosso « Le bellezze di Genova- in una guida del settecento » già pubblicato nella rivista « Genova » è riprodotto dal « Corriere Mercantile» del 4 aprile 1934. * * * «'La chiesa dell’ospedale » e le opere d’arte clie vi sono contenute, sono •descritte in un articolo anonimo apparso nel « Secolo XIX » del 5 aprile 1934. * * * Giova)nnl Descalzo scrive in « Corriere Mercantile » del 5 aprile 1934, di « Pontremoli » e della sua storia. * * * Il «Giornale di Genova» del 5 aprile 1934 pubblica uno scritto di Aro su « Il Signore che dichiarò la guerra all’Austria ». Con altri episodi rife-rentisi alla campagna garibaldina del 1S59 si narra di sir John Beard che combattè da valoroso a Varese. 212 Spigolature e Notizie * * * £. B. scrive in «Corriere Mercantile del 7 aprile 1934 de «La messaggera, OSSIA DEL VECCHIO SISTEMA PER SALPARE LE ANCORE )) liel porto di GOllOVa. * * * Marbet nel «Lavoro» movendo dalla proposta, recentemente lanciata,, di erigere un ricordo marmoreo a Ceccardo Roccatagliata Ceccardi] e di pubblicare le sue opere complete, il 7 aprile 1934 rievoca ricordi dello scomparso poeta nell*articolo « Chiaroscuri ceccardiani ». * * * Il « Nuovo Cittadino » dell’S aprile 1934 pubblica uno scritto di Lazzaro De Simoni su «Le ceneri di San Giovanni Battista in un fosco tramonto del 1G40 )). * * * Intorno alle « Lettere da Parigi » del 1772 del diplomatico genovese Cristoforo Vincenzo Spinola scrive Vito Vitale nel « Giornale di Genova » del 10 aprile 1934. * * * In Macchine e previdenza S. B. rievoca nel «Corriere Mercantile» dell'Jl aprile 1934 le trasformazioni che si sono succedute nel porto di Genova in questi ultimi anni. * * * F. E. Morando in « I genovesi alla « Cronaca Bizantina » edito in « Corriere Mercantile» del lo e del 30 aprile 1934, lia gustosi' aneddoti sulla notissima rivista romana alla quale collaborarono i genovesi Barrili, Gandolint Remigio Zena. * * * In «Corriere Mercantile» del 13 aprile 1934 G ino Massano ricorda alcune « Memorie genovesi nella toponomastica di Roma ». * * * « San Giorgio dei Genovesi » è il t^oLo di uno scritto di Lazzaro De Si-moni apparso nel « Nuovo Cittadino » del 21 aprile 1934. * * * In « Spurio Lucrezio » pubblicato in « Giornale di Genova » il 21 aprile 1934 Vito Vitale parla della romanità di Genova e della opportunità di innalzare una statua bronzea al ricostruttore della Superba. * * * « Una moneta da Santa Croce in Portoria » è descritta da Lazzaro De Si-moni ne «Il Nuovo Cittadino» del 27 aprile 1934. * if if Il « Corriere Mercantile » del 27 aprile 1934 pubblica uno scritto anonimo in cui si recensisce il volumetto di C. Carbone, di recente apparso, «Con g lardino e gioco da bocce». * * * Sotto il titolo « Un centenario non celebrato » p. t. tesse, sulla scorta del noto libro del Lauvergne, la biografia di Giuseppe Bavastro, tipica fi" gura di corsaro genovese durante ΓImpero. L'articolo è pubblicato ne « II Nuovo Cittadino » del 2S aprile 1934. Spigolati:κγ n Notizie 213 Di «Oberdan» scrive, commemorando l’eroe triestino, Alfredo Al aardi in « Giornale di Genova » del 29 aprile 1034. * * * «Giacomo Bove», nei lo centenario della sua nascita, è rievocato da Francesco Gemei nel « Giornale di Genova » del 20 apriàe 1034. * * * in « Genova » di aprile 1934 è pubblicata la relazione di Orlando Grosso e di Guglielmo De Angelis d'Ossat su « Il restauro della facciata della •chiesa di San Matteo ». * * * A- Pesce Maineri continua in « Genova » l’illustrazione delle iscrizioni provenienti da chiese e palazzi demoliti e recentemente ordinate nel restaurato tempio di S\ Agostino. L’articolo pubblicalo nel fascicolo di aprile 3034 tratta delle «Iscrizione di San Domenico». * * * « Un quadro del Palazzo Mari », di scuola del Caravaggio, è descritto da Mario Bonzi in «Il Raccoglitore Ligure» di aprile 1034. * * * Di « J|ES>iE Wjiite Mario a Genova nel 1S57 » scrive Stefano Rtbauài su « Il Raccoglitore Ligure » di aprile 1034. « * * l'ndclio Levrero, giovandosi di alcune lettere inedite, scrive in «Il Raccoglitore Ligure » dell'aprile 1034 di « Un particolare sconosciutodella vita di Andrea Tagliafichi ». * * * Ricorrendo il centenario della pubblicazione del Magazzino Pittorico Universo le Stella Nera tesse su « Il Raccoglitore Ligure » di aprile 1034 la storca di quello che fu «Il primo giornale illustrato genovese». * *· * « Una gita in barca di 10(> anni fa » a cui presero parte, fra altri, Felice Homani, G. B. Spotorno, Vincenzo Bellini e Michele C’anzio, è descritta da U. V. Cavassa in « Il Raccoglitore Ligure » di aprile 1034 traendone lo spunto da un bel dipinto del Migliara. * * * « Il Raccoglitore Ligure » di aprile 1934 pubblica uno scritto del com-yìanto Giuseppe Portiglioitì su «L’archiatra di un papa genovese ».E’ il card. PonzetH c*he fu medico di corte di Innocenzo Cybo. * * * Orlando 'Grosso illustra in « Emporium » di aprile 1034 le pregevoli opere il’arte recentemente riordinate da F. S. Mosso nel Palazzo dello Spedale di S. Martino scrivendo su « La Pinacoteca ed il Museo dello Spedale di Genova » * * * In «Saccheggio di un plico prezioso» Emanuele Canesi scrive di Giambattista Vallebona, nota figura di genovese, in « Giornale di Genova » del l.o maggio 1034. * * * « Ma ssena e Marbot nel blocco di Genova » è l’argomento dì uno scritto 214 Spigolature f Notizie dii Giuseppe Pcssagno già pubblicato in «Le opere e i giorni», apparso in « Nuovo Cittadino » del 4 maggio 1934. * * « « Denominazioni di strade ed antichi ricordi genovesi » sono rievocati in uno scritto di Attilio Accame pubblicato dal « Giornale di Genova » il 4 maggio 1934. ' * * * «La città più meridionale della Liguria» (Ventimiglia) è illustrata da Giuseppe Foches in «Corriere Mercantile» deiril maggio 1934. * * * De « La chieda di San Vito », che sorgeva nella località omonima in Al-baro, scrive Lazzaro De Si moni nel «Nuovo Cittadino» dell'll maggio 1934. * * * Emilio Penco rievoca in «Il Nuovo Cittadino» dell'S maggio 1934 «Λιν-cenzo Monti e le sue pa7Zie repubblicane». Lo scritto è continuato nello stesso giornale FU maggio. » * * In «Città turrite» di Arturo Delìepiane pubblicato dal «Lavoro» dell 11 maggio 1934 sono descritte le torri cinquecentesche esistenti in Sampierdarena. * * * Rievocando in «Lavoro» del 13 maggio 1934 la vecchia stazione marittima al ponte Federico Guglielmo, ora dei Mille, Filippo Anseimo descrive quella oggi esistente e fa voti perchè in essa sia trasferito il Museo Navale. * * * In «Il Secolo XIX» del 15 maggio 1934 S. scrive di « Genova cateriniana ». * * * « I restauri alla facciata dell’Addazia deglt Ammiragli », recentemente iniziati, sono illustrati da Mario Lazzi in «Nuovo Cittadino» del 16 maggio 1934. * * * Alcuni ricordi storici pubblica Lazzaro De Simoni nello scritto « Con i ca-vaueri del Santo Sepolcro » pubblicato in «Nuovo Cittadino» del 10 maggio 19o4. * * * In «Il Corriere Mercantile» del 1S maggio uno scritto anonimo recensisce pubblicazioni sulla Liguria fra cui « Origini Italiche Testimonianze Storiche sull'esistenza di Roma e Genova prerumulee » di Giulio Miscosi e «Castel Vittorio gl\ Castelfranco» di Stefano Rehaudi. * * * Kfiraban narra nel «Giornale di Genova» del 1S maggio 1934 di « Uno storico colloquio fra Carlo Bombrini e Cavour », alla vigilia della guerra del ?59. * * * Su «La Petaccia prigione natante» nel porto di Genova, scrive S. B-in «Corriere Mercantile» del 19 maggio 1934. * * w Di «Petrarca, apostolo di pace tra i genovesi » scrive Mario Conti nel «Lavoro» del 19 maggio 1934. Spigolatura e Notizie 215 * * * Ricordando i primi scavi ivi condotti Angelo Saglietto scrive in « Il all Secolo XIX» del 20 maggio 1034 de «La verità sulla Caverna Bertram ». * * * In «Corriere Mercantile» del 21 maggio 1034 Ligustino Ponentino scrive su «Il Paese degli Amaretti» trattando di Sassello e della caratteristica industria del paese ligure. * * * In uno scritto di L. M. Levati pubblicato dal «Corriere Mercantile» del 22 maggio 1034 si tratta de «I primordi del giornalismo a Genova» risalendo al primo giornale edito nel 1Ö34. * * * Una lunga necrologia di F. M. Zandrino, recentemente scomparso, è pubblicata dal (Lavoro» del 23 maggio 1934. * * * Brevi note storiche su « I martiri di Parenzo » pubblica Lazzaro De dimoti i in «Nuovo Cittadino», del 26 maggio 1934 prendendo lo spunto dai festeggiamenti compiuti per la traslazione delle reliquie dei Santi Mauro ed Eleuterio a Parenzo. * * * Sotto il titolo «Il vincitore di Napoleone» apparso in «Giornale di Genova» del 29 maggio 1934, Vito Vitale esamina criticamente il recente volume di Philipp Guedalla su Wellington. * * * « L'abbazia trecentesca di San Gerolamo di Quarto, restaurata » è illustrata, nelle sue origini e nelle opere d’arte ivi conservate, da Antonio Cap-pelliììi nell’«Emporium» di maggio 1934. * * * «La città universitaria di San Martino» è il titolo di un art colo del Senatore M. Moresco pubblicato dalla rivista «Genova» nel fascicolo di maggio 1934. ^ * * * Orlarlio Grosso nei fascicolo di maggio 1934 della rivista «Oenova descrive « La cabina dell’ufficiale nelle navi del principio del secolo XIX ». * * * La conferenza tenuta da Salvatore Magri al Rotary Club di Genova su «Cristoforo Colombo ed il Banco di San Giorgio» è pubblicata dalla rni^ta «Genova» del maggio 1934. * * * Mario Bonzi pubblica su «Il Raccoglitore Ligure» di maggio 1934 «Ina pastorale del Sestri », illustrando un dipinto dell’ottimo nostro pittore Antonio Travi. * * * «La Marina Genovese nel 1793 - Crocere - Corsari - L’affare della Modeste» sono gli argomenti trattati da Giuseppe Pessagno in uno scritto pubblicato da «Il Raccoglitore Ligure» di maggio 1934. ♦ * * « L'atterramento della statua di Napoleone all'Acquaverde » è rievocata da Tomaso Pastorino, sulla scorta di un disegno inedito, in «Il Raccoglitore Ligure» di maggio 1934. · 216 Spigolature e Notizie * ψ V «Il R accogli tore Ligure di maggio 103-4 pubbìijca uno scritto del compianto Giuseppe Purtìglìotti su « Lo spedale degli Incurabili o Sped aletto ». * * * Un contributo allo studio della mistica ligure porta P. Umile da Genova in «Il Raccoglitore ligure» di maggio 1934 con lo scritto « Maria Vittoria De 'ForXari Strata nelle sue pagine autobiografiche». * * * Nello scritto di Erre « Una requisitoria perduta », pubblicato in «Corriere Mercantile» del giugno 1934, si dimostra essere stato il conte di M.rabeau uno dei primi a mettere in circolazione il severo giudizio sul cattivo governo dei Genovesi in Corsica, oggi in gran parte sfatato. * * * « La casa di Agrippa in Piazza Cavour» è il tema di uno scritto di Giulio MiiCosi pubblicato in «Corriere Mercantile» del 5 giugno 1934. * * * In un lungo articolo pubblicato sai «Corriere Mercantile» del 5 giugno 1934.KEmmc descrive minutamente il «Museo della Λ illetta » ed il prezioso materiale ivi conservato. * * * « Dalla necropoli arcaica di Via Giulia ai prossimi scavi di Morcento » è il titolo di uno scritto di G. M. pubblicato dal «Giornale di Genova» del t> giugno 1934. * * * F; Di « Giuseppe Elia Bensa » scrive L. in «Lavoro» del 7 giugno 1934 tessendone la biografia. * * * Un « Viaggio sentimentale attraverso la città » con Lazzaro De Simoni ΐιι compiuto dai lettori del «Il Nuovo Cittadino» il 7 giugno 1 * * * Uno scritto di Renzo Ricciardi su i « Genovesi a Napoli » è pubblicato dal «Giornale di Genova» dell’8 giugno 1934. * * * Uno scritto anonimo pubblicato nei giornali cittadini del 10 S1U^° ^ illustra il materiale contenuto nel «Museo dell* Villetta» inaugura o stesso giorno. Il Museo raccoglie ricordi di etnografia, topografia e sto a k novese del sec. XVIII e XIX. * * * « L'Ultimo dei Mille» (Egisto Sivelli) è intervistato da Flavia Meno in un articolo pubblicato da «Il secolo XIX» del giugno 19o4. * * * Cario Zo lezzi scrive nel «Lavoro» del 14 giugno 1934 di « Brugnato e:la fiera DI San Lazzaro » dando brevi cenni storici di questa piccola citta lpos ai confini della Liguria occidenta.e. * * * G. M. Ferrari rievoca in «Corriere Mercantile» del 10 giugno 1934 la figura politica e storica di «Paolo Boselli ». Spigolature e Notizie 217 * * * Pietro Laura scrivo in «Il Secolo XIX » del 17 giugno « Sulle origini di Genova». I/artìcolo è continuato nei numeri dello stesso giornale del 20 e del 24 giugno. ♦ * * li «Nuovo Cittadino» del 17 giugno 1934 pubblica uno scritto inedito di Cecoardo /toccai agliata Peccar di· offerto al Comando della Brigata L guria nell’ottobre del 1917. * * * Il «Nuovo Cittadino» pubblica il 17 giugno 1934 la recensione dell’opera « Ckistofoko Colombo Documenti e prove della sua appartenenza a Genova» già apparsa sulla «Civiltà Cattolica». * * * G. C. esamina in «Nuovo Cittadino» del 19 giugno i «Toponimi di Val BiSagno » con interessanti note. * * * ih M. nello scritto, pubblicato dal «Corriere Mercantile» del 21 giugno 1934, « Alla ricerca di una medaglia storica » tratta di una medaglia d'argento fatta coniare dalla Repubblica c«i Genova nel 1(>2G per commemorare la inaugurazione dei lavori di costruzione della nuova cinta muraria della citta. La medaglia si ritiene trovarsi oggi nelle vetrine del' Kensington Museum di Londra. * * * De « La carità di Maurizio Dufour » scrive Λ a tale Mario Luffßro in «Nuovo Cittadino» del 21 giugno 1934. * * * 11 «Corriere Mercantile» del 22 g-jugno ripubblica l’articolo di R. Giorgi de Pons pubblicato dalla «Rassegna Italiana» « Contro i denigratori della italianissima gloria di Colombo ». * * * «Il Palazzo Centurione in Sampierdarena » è descritto nelle sue vicende storielle da Vittoria SI ranco in «Corriere Mercantile» del 24 giugno 1934. * * * X in «Corriere Mercantile» del 25 giugno 1934 toglie « Dalle vecchie ( arte genovesi» ricordi storici su il Sacro Catino, la Società dei Ciechi,, ecc. * * * Il «Corriere Mercantile» del 2(> giugno 1934 pubblica uno scritto di F. F. Morando su «Pregiudizi ed errori sull'idioma genovese». * * * Di « Genova antica » scrive Renzo Bacoino in «Giornale ai Genova » del 2c, giugno 1934 recensendo il recènte volume di G. Miscosi « Testimonianze storiche su Roma e Genova prerumulee». * * * In «Un processo ri» alto tradimento» Vito Vitale ricorda nel «Giornale di Genova» del 2!) giugno 1i>34 l’opera svolta a Parigi nel giugno 17i>7 dai genovesi Vincenzo Spinola e Stefano Rivarola. * * * Di « Tradizioni e problemi artistici genovesi» scrive Arturo Delle Piane 218 Spigolature e Notizie nel «Lavoro» del 30 giugno 1934 con particolare riferimento alla scultura in legno, ed ai suoi maggiori artisti. * * * Stella Nera rievoca in «Il Raccoglitore Ligure» del giugno 1934 i «Detti E FATTI MEMORABILI DI PIETRO ΓANTONI, BOJA ». * * * « Un’anconietta della Bottega di Giovanni Ma zone », conservata nella pinacoteca civica di Palazzo Bianco, è illustrata da Mano Bonzi in «Il Raccoglitore Ligure» del giugno 1934. * * * P. Vmile da Genova tratta su «11 Raccoglitore Ligure» del giugno 1934 di «Francesco Peretti (Sisto V) predicatore di Genova». * * * Le « Poste ed itinerari nella Genova del Seicento» sono tracciati dal Sac. Antonio Cosi a nel «Il Raccoglitore Ligure» del giugno 1934. * * * «Il Raccoglitore Ligure» di giugno 1934 ripubblica lo scritto iu continuazione di Giuseppe Portigliotti «Una tragedia famigliare nel 1792». Trattasi dell'uccisione del march. Pietro Durazzo avvenuta per mano del figlio Stefano nella Villa di San Fruttuoso. * * * Il volume dii Vito Vitale « Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova » è recensito nella rivista «Genova» del giugno 1934. * * * «Il palazzo delia R. Università » e le opere d’arte che contiene formano Targomento di uno scritto di Domenico Castagna pubblicato da «Contempo ranea» di giugno 1934. « * * Luigi Costa nello scritto « L'eroico sacrificio di una donna di Porto:· i-no » pubblicato dal «Giornale di Genova» del l.o luglio 1934 rievoca il gene roso atto delle sorelle Avegno. * * * «Orme di Genovesi nel Mondo» è il titolo di uno scritto di P. da Varazze pubblicato sul «Nuovo Cittadino» del 4 luglio e continuato i -> e 1Ί1 luglio 1934. * * * Orsini de’ Mari scrive in «Giornale di Genova» del 5 luglio 1934 di « Un romanzo giovanile del grande Còrso ». * * * Sul «Giornale di Genova» del 10 luglio 1934 Vito λ itale pubblica un sag gio su « Il notaio diplomatico » in cui parla di Francesco Massuccone e dell a -tività politica da lui svolta a Parigi dal 1789 al 179S. * * * Gr C. scrive sul «Nuovo Cittadino» del 12 luglio 1934 degli «Investigatori delle origini di Genova» con particolare accenno alle opere del loggia del Miscosi ed a quella, di imminente pubblicazione, di Pietro Laura. τ Spigolature e Notizie __219 * * * Il «Corriere Mercantile» del 14 luglio 1034 pubblica uno scritto di F. Ignorando « Il moto di Genova del 1849 e la daga di Alessio Pasini » prendendo lo spunto dal dono della daga stessa fatto ai! Istituto Mazziniano da Francesco Pasini. I.'articolo à continuato il giorno 20 luglio. ajì * * «La chiesa di San Giovanni il Vecchio è descritta da Lazzaro De Simoni nel «Nuovo Cittadino» del 17 luglio 1934. L’articolo provoca uno scritto di o. L., pubblicato il giorno 22. # * * 1,1 « Ta ciiifsa di Pompeo Magno e quella di Secondo Pompeo «. -Inscrive nel «Corriere Mercantile» del 21 luglio 1934 su vestigia di Genova romana oggi scomparse. * * * In « Note e rilievi iconografici sulla chiesa di San Tommaso » pubblicato del «Nuovo Cittadino» del 22-7-1934, Lazzaro De Simoni accenna alle molte vedute della demolita chiesa che sono conservate nel Museo della -Villetta Di Negro. * * * Nel (( Lavoro » del 25 luglio 1934 Filippo Anselmo traccia il profilo del «Capitano Augusto Tortello» figura di vecchio ligure oggi dimenticato. * * * Arturo Dellcpiaue scrive sul «Lavoro» del 20 luglio 1934 di «Santa Maria della Costa e la casa dei degola sopra Sestri Ponente ». * * * Vito Vitale nel «Giornale di Genova» del 27 luglio 1934 sotto il titolo «Revisione in aito» recensisce il recente volumetto di R. Di Tucci «Il Cardinale G. Bentivoglio e i suoi rapporti con la Repubblica di Genova ». * * * Q. M. ricorda sul « Corriere Mercantile » del 31 luglio 1934 « La prima strada ferrata inaugurata a Genova nel 1854». * * * In «Cappelle altari e tombe» A. Pesce Maineri illustra, sulla livista « Genova » del luglio 1934, le insegne delle « arti » a Genova. # * * «L’ultimo dei Mille» (Egisto Sivelli è il titolo di uno scritto di A. Ce\ jdignola pubblicato sulla rivista « Genova » del luglio 19o4. * * * Il volume di Giovanni Cipollina « Cenni critico storici su Kivarolo » è recensito da Antonio Cappellini nella rivista «Genova» del luglio 1934. * * * Sulla scorta di una relazione manoscritta contemporanea Orlando Grosso descrive, nel «Raccoglitore Ligure» del luglio 1934, «I viaggi in America nel 1824 ». i 220 Spigolatura e Notizie * * $ Mario Grossi scrive sul « Raccoglitore Ligure » di luglio 1934 di « Ugolino Vivaldi e il canto xxvi dell*Inferno » * * * Sul g Raccoglitore Ligure» di luglio 1934 il Sac. Antonio Costa inizia la pubblicazione di «Spigolature dai Registri Parrocchiali della citta* di Genova». * * * I « Costumi delle Monache del sec. xv in Genova » sono descritti da P. Umile da Genova nel fascicolo di luglio 1934 del «Raccoglitore Ligure». * * * « La cinta (delle mura di Genova) dellolgiati » e le sue vicende storielle è il titolo dì uno scritto di U Zaccanii Merli pubblicato nel «Raccoglitore Ligure » del luglio 1934. * * * «L'oligarchia genovese» offre lo spunto a «Stella Vera» per un arguto scritto apparso sul « Raccoglitore Ligure » di luglio 1934. s * * Nell'articolo « Memorie Domenicane » di Gotifredo apparso sul « Nuovo Cittadino» del 4 agosto 1934 si accenna alle relazioni che Genova ebbe con l'ordine. * * * Le « Glorie olivetanE di Liguria » sono rievocate il 4 agosto 1934 da P. Don Ramiro M. Capra sul «Nuovo Cittadino». * « * II volume «Domina Maris » di Amedeo Pescio è recensito da Lu.r sul « Lavoro » del 4 agosto 1934. * V* Il «Nuovo Cittad.no» dell'S agosto 1934 pubblica un articolo di G. C. «Fra i toponimi della valle di Reoco» a cui fa seguito F. Terrile 111 dello stesso mese in « A proposito di toponimi della valle di Recco » rettificando ed aggiungendo. * * * Togliendo «Dalle carte genovesi » sul «Corriere Mercantile» dell S agosto 1934v X scrive delle Grida per la proibizione dei petardi, delle Caponerie, della Spesa per le forche, ecc. * * * « Genova e Napoli nei loro aspetti folkloristioi » sono presentate da G. M. sul «Giornale di Genova» dell'S agosto 1934. * * * Gjoy Oli va ri scrive nel «Nuovo Cittadino» del 9 agosto 1934 de coppa del Graal nel duomo di Genova» ritessendone la storia sino al 13-Λ. * * * Il «Lavoro» del 9 agosto 1934 pubblica lo scritto ài Filippo Anseimo «Profili DI VECCHI NAVIGANTI E TRANSATLANTICI DI UN TEMPO)). * * * Nel «Corriere Mercantile del 10 agosto 1934 Erre scrive su «Il Carducci a Genova ». Spigolature e Notizie * * * II « Secolo XIX » del 17, agosto 1934 pubblica un saggio dell’opera di 11. Di Tucci su « Il genovese Antonio Mali-ante primo viaggiatore europeo nell’àfrica occidentale ». * s r Brevi notizie storiche sulla vetusta abbazia di «San Bartolomeo del Fossato» pubblica Enrica Bruzzone sul «Lavoro» del 17 agosto 1934. * * * « Il soggiorno genovese di un antipapa (Benedetto XIII) nel sec. xv » e l'opera diplomatica svolta nella nostia città, sono esaminate da E. Montczemolo nello scritto pubblicato dal « Lavoro » del 17 agosto 1934. * * * Edoardo Parodi scrive sul «Lavoro» del 18 agosto 1934 di «Val Chiara va-gna » nell’antichità. * * * «Un anonimo affresco dei primi del *500» esistente nella chiesetta di San Rocco sul monte Gazzo a Genova Sestri è pubblicato da Arturo DetLcpiane sul «Nuovo Cittadino » del 19 agosto 1934. * * * Il « Lavoro » del 22 agosto 1934 pubblica « Appunti su Nicolò Paganini » raccofti da Giiiliflno Balestrieri, che fa nascere l’artista genovese nel 1784! * * * Dal «Lavoro» del 20 agosto 1934 E. Danovaro scrive su «Camillo Sivo-rI » gloria genovese. * * * Un delizioso quadretto della vita genovese dell’ottocento è descritto dal Sac. Eugenio Badino nello scritto « Andemmo a-a Guardia » pubblicato nel « Nuovo Cittadino » del 27 agosto 1934. * * * 8. F. nel « Corriere Mercantile » del 27 agosto 1934, sotto il titolo « Sproporzioni imperiali » descrive episodi del soggiorno di Napoleone all’Elba. * * * Di « Giovanni Carbone », uno degli eroi del molo di Genova del 1740, scrive y ino Pastore sul « Lavoro» del 29 agosto 1934. * « * F. scrive nel «Nuovo Cittadino» del 30 agosto 1934 interessanti note storiche sull’« Incendio del Castello li Varese ». * * * Il Can. Giorgio Berardi trattando « Intorno a un vetusto Oratorio » descrive sul o Nuovo Cittadino » del 31 agosto 1933, i pregi storici ed artistici dell’oratorio di San G. Battista sulle sponde dell’Arroscia. * * * launensis rievoca sul « Corriere Mercantile » dei 31 agosto 1934 le « Fabbriche di corazze per galee a Voltaggio nel sec. xv ». t- $ * Mario Bonzi pubblica sul «Raccoglitore Ligure» di agosto-settembre 1934 un « Ritratto del Carbone » appartenente ad una quadreria privata genovese. 222 Spigolature e Notizie * * X « Il nuovo Museo della Villetta » è descritto da Cesare Mwchisio nel fascicolo dì agosto 1938 della rivista « Genova ». * * * Ancora nello stesso fascicolo della rivista «Genova» .IfnWo G. Celle scrive de «La Biblioteca Universitaria e la sua nuova sede». * * * ,7. r. »i. tratta sempre nello stesso fascicolo della rivista «Genova» del «IÌTvécchio Paterano F. il piccolo Cottolengo » dando brevi cenni l'istituto genovese di beneficenza . * * * «u bottega di Feuce Morando » e le vicende politiche ,lel novese sono sagacemente illustrate da 1 ito Vitale sul « Raccoglitore Ligure di agosto-settembre 1934. * * * Mario Grossi ritorna a trattare sul .. Raccoglitore ^ure» di^ tembre 1034 del «Segreto di Nicolò Paganti », facendo auch egli nascere l'Orfeo genovese nel '7S4. fi ΓΧ DOCUMENTO INEDITO DI PROFESSIONE MONASTTCA ^L l PUtolì^^ da Γ. Tmile >la Genova sul « Raccoglitore Ligure» di > E' l atto di professione religiosa di Battistina Vemazza. ♦ * * Il « ϊί accogli tore Ligure» di agost^setteinbre 10^^bbll^^^»SCritt postumo del compianto Giuseppe Portighottt su «La lebbra a * * * Sul «Giornale dì Genova» del l.o settembre 1934 TVo ^°itana il giogo dei barbari * trarta del formarsi della co*e c ^ Dii‘eorsi suUa nel periodo napoleonico riferendosi al volume di A. ·- lm storia d'Italia ». F. E. Morando scrive sul «Corriere Mercantile» del 4 settembre 19^4 de « Il Carducci a Genova ». La breve vira del « Teatro Adelaide Ristori in Sampierdaren a » è settembre in uno scritto i>ostuino di Urbano pubblicato dal «Lavoro» e 1934. $ ^ * Alcuni «Toponimi genovesi» sono studiati da G. C. sul «Nuovo Citta dino » del G settembre 1934. * * * V sulla scorta dì « Vecchie carte genovesi » scrive sul ( far- tile » del β settembre 1934, dell'arte de: profumieri, di un pnvile^^o < macisti, ecc., ecc., illustrando episodi della Genova negli scorsi * * * Aldo Moiinari descrive sul « Lavoro » del 6 settembre 19..4 « Un antico ba LU ARDO GENOVESE IN TERRA PIEMONTESE » iTaSSOrolo). * * * In « Corriere Mercantile » del 7 settembre 1934 F. E. Morando rievoca una pagina di storia trattando di e Garibaldi il ministro Pinelli e un ort soo Spigolature e Notizie 223 genovese». I/opuscolo, rarissimo, porta il titolo «Intrighi del Ministro pi nell i contro Garibaldi ». * * * Il «Corriere Mercantile» del 14 settembre 1934 pubblica uno scritto anonimo su « Iæ tre principali razze liguri ». * * * Il fascicolo del 1G settembre 1934 dell'« Illustrazione Italiana », dedicato pressoché totalmente a Genova contiene i seguenti scritti, tutti corredati da un buon numero di riproduzioni fotografiche : Cesare MatOhisio : Genova Fascista, in cui sono illustrate le opere pubbliche erette nella città nel l.o decennio del Fascismo: Ugo yehbia: Genova ed il suo grandioso sviluppo 'Giuseppe Pini: La camionale Genova-Serra valle Scrivia. Chiude il fascicolo « Vecciua Genova» di Giuseppe Morazzoni che illustra le collezioni radunate nel Museo della Villetta. * « * Sul « Corriere Mercantile » del 1S settembre e del 3 ottobre 1934 F. E. Morando ricorda il giornalista garibaldino « Achille Bizzoni a Genova ». * * * «Aspetti e caratteristiche dell'architettura rustica nell'entroterra ligure» sono esaminati da Arturo Delìepiane nello scritto pubblicato dal «Lavoro » il 22 settembre 1934. * * * Nel «Secolo XIX» del 27 settembre 1934 Baccio Garons ino scrive de «Le PRIME AMBASCERIE DEI GENOVESI AL MAROCCO ». * * * « Il Presepio di Antonio Semino » esistente a Savona nella chiesa di San Domenico» è illustrato da Mario Bonzi sulla rivista «-Genova» di settembre 1934. * * * Nel «Secolo XIX» del 27 settembre 1934 Baccio Garossino scrive de «Le Domenico » è illustrato da Mario Bonzi sulla rivista « Genova » di settem-della rivista « Genova ». 1 i J I I APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA Studi e scritti su G. Mazzini pubblicati all’estero I. Pommier, A propos d'un centenaire romantique, in «Revue des Cours et conferences», Parigi, 30 aprile 1934. Il centenario che si rievoca è quello di Lélia; che qui non sì segnalerebbe se, a proposito della Cristina Beigioioso, l a. non cadesse in un grossolano errore. Scrive il Pommier: «1831: c'esc la date de fondation de la Jeune Italie. Né comme Christine en 1808, et comme elle réfugié en France eu 1S31, Mazzini veut l’unité de ΓItalie ecc. ecc. » — —, Mazzini, home to l)c italiana slirine, in «L?Osservatore», Philadelphia* 19 maggio 1934. Si dà l'annuncio del restauro della casa Mazzini e della creazione dell'istituto mazziniano-in Genova. --, Mazzini, le grand patriote italien, va avoir son musée, in «Le Canadà», Montreal, 21 maggio 1934. Si dà l'annuncio deU’imm inente inauuurazione dell’istituto mazziniano in Genova nella casa ove il grande Educatore ebbe i natali. — —, The founder of modem Italy, in «Isle of Ely Advertiser», Londra, 23 maggio 1934. L'a., dopo aver passato in rassegna l'opera dei più grandi fattori del Risorgimento, afferma che l’unico il quale possa esser considerato il vero fondatore della nuova Italia è il Mazzini. --, Giuseppe Mazzini commemorato a Genova, in «Unione», Tunisi, 23 giugno 1934. Succinta notizia sulla cerimonia avvenuta il 22 giugno in Genova, inaugurandosi 1 Istituto mazziniano nella casa Mazzini restaurata. — —, I/ anniversario della nascita di Mazzini solenne nient e commemorato a Genova-, in «Il mattino d’Italia», Buenos Aires, 23 giugno 1934. Ampio resoconto della cerimonia avvenuta in Genova nella casa Mazzini il 22 giugno 3934. — —, LyInstitut Mazzinien à Gênes, in Æ’Eclaireur du Soir», Nice, 24 giu- gno 1934. Dà la notizia dell’inaugurazione in Genova dell’istituto mazziniano. Bibliografia Mazziniana 225 —, L'Italia onora, C. Mazzini, in «Progresso Italo -America no » New York, 21 giugno 1034. Resoconto della cerimonia inaugurale dell'istituto mazziniano. Il foglio italo-amejricano «ilferma erser stato preso testé il provvedimento di dichiarare monumento nazionale la casa ove nacque Mazzini, mentre esso risale al 1925. --, La cusa ore nacque Mazzini dichiarata monumento nazionale, in «Stella», Pittsburgh, 2!) giugno 1934. L effemeiide nel dare notizia della cerimonia avvenuta in Genova il 22 giugno ricade nella inesattezza contenuta nella nota apparsa in « Progresso Ita !*o-Americano » del 21 giugno, ’ casa natale di Mazzini trasformata in Musco del Risorgimento, in «Squilla italica», Berna, 30 giugno 1934. Amp o commento aLl’iuiz ativa di trasformare in efficiente opera di cultura con la creazione dell’istituto mazziniano, la casa ove ΓEducatore ebbe i natali. — —, La casa di Mazzini, in «Italia» Montreal, 30 giugno 1934. Succinta notizia sulla riattata cara Mazzini. --, Anniversario mazziniano, in «L'Eco d’Italia», Casablanca, 30 giugno 1934. Ancora sulla inaugurazione dell'htituto mazziniano. — —, Dono di documenti autografi di Mazzini all'istituto Mazziniano, in «Il Mattino d'Italia», Buenos Aires, 0 luglio 1934. Si dà notizia del dono fatto dalla Signora Degola all'istituto di due importanti autografi dell’apostolo. G. B. Schiavo, I omini e governi di fronte alla Questione Romana, in «Unione», Tunisi, 4 luglio 1934. L a. r.esamina storicamente le vi en le che condussero ai patti laterancnsi, soffermandosi ad illustrare i rapporti intercorsi fra il Papato c la repubblica romana del 1819, ed in particola-e l’opera svolta in tali frangenti dal Mazzini. I. L. Marcelle, Le 9Ge anni versa tre de 1 exécution de deu.r patriotes italiens: les frères Bandiera, in «L'Ordre», Parigi, 23 luglio 1934. Il sacr.ficio eroico dei Bandiera viene ricordato con commosse parole dall’a., che esalta anche la figura del loro maestro : il Mazzini. , Ein Mazzini - Institut in Genua, in «Angriff», Berlino, 27 luglio 1934. Succ’nta notizia nill’Istituto n azziniano. Rosalie Castellana, G. Mazzini conceived Idea of dations' League to Attain Universal Peace, in «Progresso Italo Americano», New York, 27 maggio. 17 giugn·),-24 giugno, 1 luglio, 8 luglio, 12 e 1£) agosto 1934. Articolo di uigativo &u'la do tr na dell’Apostolo. D. F.. Mazzini a Londra, in «T/Italia nostra», Londra, 10 agosto 1934. Si ripubbli.a l’articolo apparso in «Gente nostra» il 19 luglio, già segnalato. 226 Bibliografia Mazziniana --, Lw Sezione d'Insiarnhiil del Partito d'azione di Mazzini, m una circolare del 1S57, in (di Messaggero degli Italiani», Pera, 23 agosto 1934. E’ pubblicato un messaggio scritto dal Mazzini subito dopo il sacrificio del Pisacaue nell’ottobre del 1857: l'Apostalo con Γindomabile energia a lui caratteristica riprende l’opera di propaganda e di persuasione onde in tutti i punti del continente si raccolgano mezzi per portare a compimento il grande evento del secolo scorso : l'indi-ptndenza della nostra Razione. Enrico Discoli, Tre piccoli amici inglesi delVesule italiano, in «L’Italia nostra», Londra. 7 settembre 1934. Ricordi della tenerezza che il Mazzini ebbe in Loudra per tre bimbi di Tomaso Milner Gibson, vengono qui rievocati con commosso accento : letterine scritte ad essi dal-Γ Apostolo rendono il saggio assai interessante. Opere e studi su G* Mazzini publicati in Italia Giuseppe Mazzini, Scritti edili ed inediti, volumi LXV, LXVI, Imola, Galeati, 1933. Prosegue la pubblù azione degli scritta mazziniani nelFedizione nazionale. Questi due volumi, il primo contenente l'epistolario dal 22 agosto al dicembre 1859 ed il seondo gli scritti politici dal febbraio del 18G0 al 15 gennaio 1861, sono di singolare valore, essendo stati dettati dal grande Educatore in un periodo fortunoso della storia del nostro Risorgimento, ricco di contrasti e di gloria, durante il quale il genio del Mazzini sfolgora nel suo pieno splendore. Un plauso al Menghini che curò anche queste pagine con la consueta sagacia. Giovanni Gentile, Mazzini e la nuova Italia, Roma, Istituto (Fascista di Cultura, 1934. L'orazione tenuta dal Geutile all’inaugurazione dell'istituto Mazziniano in Genova il 2-giugno costituisce una mirabile sintesi del pensiero delFApostolo, del quale è pure tracciato un vigoroso profilo. La figura del Mazzini è finalmente collo ata su un piedestallo degno di lui . erot, missionario, profeta. Giuseppe Mazzini, Scritti scelti, a cura di A. Omodeo, Milano, Mondadori, 1934. Assai numerose sono le antologie mazziniane, ma poche, come questa, iiescono a darci sua figura senza deformazioni sensibili. Giuseppe Micheli, I corrispondenti parmensi di Giuseppe Mazzini, in «Aurea Parma», Parma, nuova serie N. 70, 1934. L’autore pubblica, sagacemente illustrandole, tre lettere inedite del Mazzini a Giuseppe Valenti del 29 novembre, 10 dicembre- 1859 e 9 maggio 1860 corredandole con notizie biografiche sullo stesso \ aleuti e su Luigi terrari. Michele Romano, Vincenzo Cuoco nella storia del pensiero e dell'unità d'ita-l'a, Firenze, La Nuova Italia, 1934. In questa notevule ope a è sagacemente indagato quanto il pensiero del Cuoco abbia influito suH’orientamento delle più grandi figure di pensatori e di patrioti rei scorso fra le quali, in modo particolare, si deve annoverare il Mazzini. Bibliografia Mazziniana 227 Nunzio Vaooalluzzo, Dante esule, Catania, Studio Editoriale moderno, 1934. Le ultime pagine di questa monografia son dedicate alla influenza che Dante ebbe sui più alti spiriti del nostro Risorgimento, ed in particolar modo sul Mazzini, di* Fa., afferma d’esser il più vicino all’austero Poeta. « Dante e Mazzini! Tra questi due Esuli — scrive —, che si rispondono alla distanza di sei secoli, si racchiude la storia dell'Italia nuova; tra questi due Esuli, che furono i più italiani fra gli italiani; che alla serva Italia guardarono con occhio mesto di perenne mestizia, col volto che giammai non rise, ma pur soffuso dalla speranza della futura immancabile liberazione ». Un Mazziniano, In onore di Giuseppe Mazzini, Numero Unico, Bologna, 1934. Il « vecchio discepolo di Mazzini », come si qualifica l’anonimo autore, rievoca con commosso ardore « in forma popolare, per sommi capi, i di lui più importanti pensieri, onde si possa maggiormente conoscere ed apprezzare le sue azïoni ed i suoi insegnamenti », Luisa Bazzocciii, L'esìlio a Malta di Tommaso Zauli Sajani in ((Archivio Storico di Malta», dicembre 1933. L’opera del patriota romagnolo esplicata a Malta dopo il 1836, in particolar modo nel-Γeffemeride Mediterraneo, re non è d'i pretta ispirazione mazziniana, si alimenta, come dimostra l’a., agli stessi ideali e parte dalle identiche premesse. E’ il Mazzini che fa pubblicare nel Morning Chronique un articolo del Sajani su « Il Governo inglese a Malta e gli esuli italiani ». Arturo Codignola, Il sacrario mazziniano, in «Genova», Genova, giugno 1934. In occasione della inaugurazione cell’lstituto mazziniano l’a. iliust a rii intenti che hanno diretto i lavori di restauro della casa ove ebbe i natali il Mazzini, corredando le decisioni prese con un'abbondante documentazione. Nando Ballo, Critica musicale nell'ottocento, in «Rassegna musicale», Torino, agosto, 1934. Sagace analisi dei principi estetici espressi dall'Apostolo delTUnità nel suo saggio sulla Filosofia della musica. Articoli vari in Riviste e Giornali Felice Scolari, Filippo Caronti, in «Provincia» di Como», Como, 10 giugno 1934. Del Caronti è qui tracciato un vigoroso profilo che è pure corredato da notizie abbondanti sul prezioso collaboratore del Mazzini. __, Per l'istituto Mazziniano, in «Il grido d'Italia», Genova, 10 giugno 1934. Si dà l’annunzio dell'inaugurazione dell'istituto mazziniano, che av >errà il 22 gnigno nella casa ove ΓApostolo vide la luce. a. c., La vita e le opere (li Luigi Orlando, in «Telegrafo», Livorno, 15 giù· gl io 1934. Succinto profilo del patriota palermitano, che fu tra i primi aderenti della Giovine Italia, Bibliografia Mazziniana Làzsló Spezzaferri, Magner c Mazzini, in «Idee e musiche contemporanee», Piacenza, 39 giugno 1934. L a. ai trova d accordo con Igino Gobessi, il quale, nella Rassegna dorica del febbraio 1981, in un .n titolo già segnalai^ rivendicò al Mazzini «se non addirittira la priorità del pens ero λ\ agner ano, il non trascurabile merito di essere stato un acuto e coraggioso propugnatore di quelle idealità artistiche che solo molti anni dopo dovevano essere accolte e realizzate da Riccardo Wagner e dai suoi successori » , In documento sulla· ricognizione della salma dell'Apostolo, in «Secolo XIX)), Genova, 20 giugno 1934. Leileme"ide genovese pubblica il verbale, sulla ricognizione dilla salma di Mazzini redatto in Genova Γ11 marzo 1874 dal notaio Giovanni Gaetano Gambaro F. Ernesto Morando, La casa di Giuseppe Mazzini, in «Corriere Mercantile»» Genova, 20 giugno 1934. I! Morando, nell imminenza dePa inaugurazione dell'istituto mazziniano traccia con mai-maestra la stor.a dell edificio, che ebbe la ventura di ospitare i genitori dell’Apostolo, quand egli vide la luce: ricorda ed illustra quanta suppellettile archivistica e bibliografica vien o:a ivi i accolta e conclude rivolgendo « un pensiero di riconoscenza a quanti estinti e vivi, si adoperarono affinchè il nobilissimo concetto si traducesse nella pienezza del fatto ». --> L'inriugurazione delVlstituto Mazziniano, in «Corriere Mercantile», Genova. 21 giugno 1934. La notizia dell’evento atteso da tanto tempo, e finalmente tradotto in atto per la volontà del Luce e cella città di Genova, con l'opera temi e di Arturo Codiguola che ne fu l'ordinatore, è annunciata c aH’efferr.eride genovese, la quale ricorda che l’istituto mazziniano nella restaurata casa Mazzini vere à inaugurato il 22 giugno — ann versano de’.la nascita dell’Apostolo — con un’orazione di Giovanni Gentile e con la parteci pazione del Governo nella persona dell’Ammiraglio' Cava nari. La notizia fu d ffusa da «L’Ambrosiano» di Milano del 20 e 22 giugno, dal «Giornale di Genova» del 20 e 21 giugno, c’al «Corriere della Sera» di Milano, dal «Regi’ire Fascista» di Cremona, y dal «Coiv.e e Padano» di Ferrara dello stesso giorno. Lo stesso annuncio il 22 giugno è stato dato dalla «Nazione» di Firenze, dalla «Provincia di Bolzano», dal «Giornale di Geno a», dal «Nuovo Giornale» di' Firenze, dalla «Vedetta Fascista» di Vicenza, «lai «Gazzettino» di Venezia, dal «Regime Fascista» di Cremona. ---, La solatine celebrazione mazziniana nclVanniversarlo della nascila del Grande, in «Corriere Mercantile», Genova, 22 giugno 1934. Ampio resoconto della cerimonia inaugurale deirisV.tutd Mazzin'auo. Il foglio genovese pubblica un largo r assunto del discorso del Podestà di Genova Onorevole Marchese Bombrini, ed integralmente il discorso di S. E, Cavagna/ri» e l’orazione di Giovanni Gentile. Ampi resoconti dell’eveuto furono dati anche ne lo stesso giorno dalla «Sera» e dall’«Ambrosiano» di Milano, dalla «Provincia» dì Padova, e uel giorno successivo da «Il Mattino» di *Napoli, dal «Messaggero» di Rodi, dal «Telegraf«·» di Livorno, dal «Popo;o di Roma», dal «Popolo di Trieste», da «La Tribuna» di Roma, dal «Piccolo» di Trieste, dalla «Gazzetta dell Emilia» di Modena, dalla «Vedetta d Italia» di F.ume, dalla «Cronaca prealpina» di Varese, dal «Corriere Istriano» di Pola, dalla «Gazzetta» di Messina, dalla «SOampa della Sera», dalla «Sentinella d’Italia» di Cuneo, dal «Coir.ere Padane» di Ferrara, dal «Tevere» di Roma, dal «Veneto» di Padova, dal «Nuovo G’.or-nale» di Firenze, dal «h’ole» di Milano, dal «Popolo di Brescia» cal «Corriere della Sera» -lai «Popolo d’Italia» dall’eltaPa» di Milano, dalia «Gazzetta del Popolo e dalla Bibliografia Mazziniana 229 Stampa» di Torino, da «Il Resto del Carlino» di Bologna, dal «Gazzettino» di Venezia, da «Il Lavoro», il «.Giornale di Genova», il «Secolo XIX», il «Nuovo Oittad no» di Genova. Ne fecero inoltro un cenno «Il Giorna’e d’Ital.’a» di Roma, il «Piccolo» di Trieste, la «Gazzetta Azzurra» dii Genova del 21 giugno; 1 «Ora» di Palermo c il «Quotidiano Eritreo» del ΓAsmara dal 20 fciugno; il «Brennero» rii Tie.ilo, 1 «Azione cattolica» di Regno Emilia, il «Nuovo go:naie» di Piacenza del 29 giugno; gli «Annali del Fascismo» di Napoli nel fascicolo di gl’ugno; Γ till nitrazione It alami» ci .Vilauo del l.o luglio e «Cirenaica» di Bengasi del 4 luglio. Ettore Zu ni no, Ina pagina rii storia mazzilana : Le mene di Mazzini a, Torino, iii «‘Lavoro)), Genova, 22 giugno 1934. Lo Z. ripubblica un articolo apparso ne La campana di Torino del 28 apr.le 1853, nel quale si denunciano i i ericolosi i ropositi rivoluzionari dell’Apostolo. L’a. commenta: «Amie e dis .eruzioni di reazlojari quest?, che non valsero ad intralciare ne l'opera feconda di Giusep. e Mazz'ni, nè il cammino della Patria sulla via delluLi.à, dell’indipendenza della libertà, poi die il sogno neoguelfo g'obertiano era tramontato. Ogf.i, meni-re Genova madre innalza un nfpnu.i ento duraturo al suo grande figlio, eternandone degnamente la dimora avita dov’Egli vide la prima luce, questo icrtto ci riporta ai giorni lontani in cui il patriota ed ii i ospi-atore, esule infaticato, andava accendendo i fuochi che diedero poi le vampate del 1SÖ9 e 1800 e poi, e p'ù... » Ezio Pisani, Il monumento creilo da Genova al suo grande figlio. Documenti e ricordi, sulV avvenimento, in «Secolo XIX», Genova, 23 giugno 1934. L’a. rievo a da dii partì l’iniziativa di innalzare un monumento a Mazzini ne«lia sua città natale e come essa venne tradotta in atto. I/Osservatore, Appunti e spunti, in («Regime Fascista», Cremona, 23 giugno 1934. Il mou.to ci1: Foscolo — scrive l'a. — 1 talloni io vi esorto aììe storie, non è andato perduto. « ieri, ricorrendo l'anniversario della nascita di y azzini, è stato solennemente inaugurato risiiti:(o Mazziniano, che ha la sua see.e nella Casa di Via Lomeliina a Genova, ove il Giarde ebbe i natali. Si deve al personale interessa mento del Duce se questa casa — della quale una parte soltanto era stata acquistata dal C.'rcolo Mazzini, in cui avevano trovata degna sede i cimeli dell’Apostolo, e poi da esso donata al Comune — non è andata a finire n mana a degli speculatori ma è stata acquistata dal Connine pe, a risolvere insomma la fede in ragione, che è comune ai grandi dottori deila Chiesa, da Scoto Erigena a Tomaso d’Aquiuo. > --, Videa dell*Unità ìieUl'Italia meridionale, in «Popolo di Roma», 11 agosto 1934. Rapida sintesi dello sviluppo dell'idea unitaria nell'Italia meridionale e de' suoi propugnatori dalla fine del sec. XVIII ai fratelli Bandiera. In questo articolo l’effemeride romana annuncia la rievocazione del sacrificio dei Bau diera attraverso pagine mazziniane : la pubblicazione dell'opuscolo ben nolo venne infatti iniziato nel fascicolo del 12 e proseguito sino al fascicolo del 24 agosto. Ferruccio Cappi. Bimb' nell'esilio di Giuseppe Mazzini, in «Regime Fascista», Cremona, 31 agosto 1934. Attraverso l’epistolario mazziniano l'a. rintraccia- non pochi episodi gentili nella vita dell’Apostolo, la cui predilezione per i bimbi è ben nota. Giovanni Gentile, Mazzini r con ìioi, in «Camicia rossa», Roma, agosto 3934. La rivista garibaldina ripubbiica l'ultima parte dell'orazione tenuta a Geno a dal vien tile inaugurando l'istituto mazziniano. Carlo Corpié, Mazzini - Scritti scelti, in «L'Universale», Firenze, agosto 1934. Succinta recensione dellantologia n azzin’ana, a tura dell On.odeo, già segnalata. Direttore Responsàbile : UBALDO FoRMENTINI S. A. INDUSTRIE POLIGRAFICHE NAVA — BERGAMO — MILANO ALCUNI GIUDIZI SULLA PRODUZIONE ARTISTICA DELLO STABILIMENTO ARTI GRAFICHE BOZZO &c COCCARELLO - GENOVA Il Cardinale CARLO DALMAZIO MINOBJETTI, Arcivescovo di Genova : « ..... la artistica e splendida riproduzione ..... farà bella figura nella sala del- « VArcivescovado e resterà testimonio ..... dell’abilità degli autori ». S. E. VIVORIO, Prefetto di Genova: a La riproduzione della tela di Bernardo Strozzi è veramente opera d'arte « grafica pienamente riuscita, e fa onore allo Stabilimento che adempie a un « nobilissimo compito, facendo conoscere i capolavori del pennello genovese ». S. E. MGRMINO, Prefetto di Genova : « ..... voglio esprimere il mio vivo compiacimento per la perfetta riproduzione « (di un quadro di Nicolò Barabino), in tutto degna delle nobili tradizioni « dell'arte grafica italiana ». Senatore PIETRO SITTA, Rettore dell’Università di Ferrara: « ..... La prege rendersi interjjrete dei miei sentimenti di felicitazione verso i « bravissimi esecutori per il loro lavoro degno dell’originale ». Senatore Ing. EUGENIO BROCCARDI : « Ho ammirato la tecnica meravigliosa, il colorito magnificamente riprodotto, « tanto che la riproduzione dà Villusione completa di avere dinanzi Voriginale ». On. Marchese CARLO BOMBRINI, Podestà di Genova : « Le bellissime riproduzioni in fotolitografia di codesta Spett. Ditta, che ho « molto ammirate, indicano il perfezionamento tecnico di cotesto Stabilimento ». Oa. Marchese FEDERICO NEGROTTO CAMBIASO : « .... la splendida riproduzione di una tela originale di Bernardo Strozzi, a lavoro artisticamente eseguito, è davvero tale da costituire legittimo motivo « di orgoglio per cotesto Stabilimento di Arti Grafiche ». Comm. Prof. ORLANDO GROSSO, Direttore del Civico Ufficio Belle Arti di Genova : « Mi compiaccio che una Ditta genovese possa dare questi gioielli di lavorata zione che fanno davvero onore alla città e dànno tin grande contributo αία le arti grafiche italiane ». Prof. ALDO RAIMONDI, Direttore dei R. Istituto d’Arte di Parma : « Veramente è la prima volta che vede una riproduzione del valore della « Loro..... La loro opera rappresenta un capolavoro delVarte grafica ». Cav. UGO ARMANINO, Roma: a Complimenti, complimenti e complimenti! Avete fatto le cose da gran signore. « La riproduzione è veramente perfetta..... e l'insieme del calendario un picei colo capolavoro. Questi non sono complimenti, ma verità ». Il Direttore Tecnico della Società Editrice Internazionale, Torino: « Ê una riproduzione veramente superba, che fa onore allo Stabilimento li-« gure che l'ha data alla luce ». GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA COMITATO DI REDAZIONE : GIUSEPPE PESSAGNO, PIETRO NURRA, VITO A. VITALE La pubblicazione esce sotto gli auspici del Municipio e della Regia Università di Genova e del Municipio della Spezia DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE j GfenjVa, Via JLomellint, Zt (Casa ibiaxuini) CONDIZIONI D’ABBONAMENTO : //Giornate si pubblica a Genova, in fascicoli trimestrali. Ogni fascicolo contiene scriffi, originali, recensioni, spigolature, notizie ed appunti per uno bibliografia mazziniana. ABBONAMENTO ANNUO per l'Italia L. 50 - per Γ Estero L. 60 Un fascicolo separato Lire 7 .óQ - Doppio Lire 1 ó Conto Corrente con la Posta mmÊmimÊÊÊÊÊKaÊaÊmÊÊÊÊfmÊÊÊÊÊimMMÊÊmmmMÊmamaÊÊmËÊÊÊÊÊmÊmÊÊmmimÊÊÊBÊKmÊÊÊÊBÊÊÊiÊÊimmm ANNO X - 1.9 5 4-XIII Fascicolo IV - Ottobre-Dicembre GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA fondato da ACHILLE NERI e UBALDO MAZZINI Pubblicazione Trimestrale NUOVA SERIE diretta da Arturo Codignola e Ubaldo Formentini Direzione e Amministrazione GENOVA, Via Lomellini, 21 (Casa Mazzini) FRATELLI PAGANO TIPOGRAFI EDITORI - S. A. VIA MONTICELLI, U - GENOVA - TELEFONO 52004 Ι·ι|·ΙΙ·ΙΙ·ΐΙ·Ι1·Π·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·<»«ΙΙ·ΐΙ·ΙΙ·ιΙ·Ιι·Ι|·Ιι·||·Ι|·ι|·|ΐ·ΗβΙ(·Ι1·Η·Ι1·Ι1·ϋΑΙΙ·Μ·!ΐ·ΐΙ··Ι·ΙΙ·ΙΙ·Ι<βΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΙ·!ΐ·ΙΙ·ΐΐ·Μ·ΙΙ·ΙΙ·ΙΜΙ JSfcstrc Edizioni : POESIE IN DIALETTO GENOVESE di Martin Piaggio \5a edizione, curata da Giulio Gatti - Prefazione di L. A. Cervetto . . . . . . . L. 1 ó.-— LA CUCINIERA GENOVESE di Gio Batta e Giovanni padre e figlio Ratto - 1 2* edizione - Prefazione di Carlo Panseri ...... L. v5.— ANNUARIO GENOVESE FRATELLI PAGANO Guida di Genova e Provincia (Lunario del Signor Regina) 1 1,9a edizione , L. 30.— SOMMARIO Ferruccio Sassi, L' evoluzione delle forme politiche lunigiänesi dûl secolo XII al XVI — Maria Signorile, L'arte della ceramica a Sa-vom e A Ibis so la — DISCUSSIONI E COMMENTI : Arturo Codi-gnola, Del ficcanaso et de quibusdam aliis — Renato Giardelli, Saggio di una Bibliografia generale sulla Corsica — RASSEGNA BIBLIOGRAFICA : Annibale Bozzola, La controversia austro sarda sulla capitolazione del 6 Settembre 1746 (Vito Vitale) — Bollettino della So-città Archeologica Ingaunia e Intemelia (Emilio Pandiani) — Guido Astuti, Origini e svolgimento storico della commenda sino al secolo XIII (A. T* Codignola) Riccardo Bacehelli, Mal d Africa (Enrico Terragni) - SPIGOLATURE E NOTIZIE — APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA. EVOLUZIONE DELLE FORME POLITICHE LUNIGIANESI DEL SECOLO XII AL XVI Fra le nobili e compite dame che il perigordino Guglielmo de la Tor introduce nella sua « Tre#?) a comporre il dissidio scoppiato — grazie ad Americo di Pegulhan — tra Selvaggia e l>ea-trice figlie di Corrado « l’antico », fa la sua comparsa, con donne che vengon da Luni, Aquilina di Sarzana. Ed essa pure, al pari di tuttel le altre ricordate nella tenzone, è perfettamente in grado — ci assicura il poeta — di assumere e portare a compimento Fin-carico.. Chi fosse nella sua realtà lisica la bella Aquilina, ben poco ci interessa· sapere. È di maggior interesse per noi porre nel debito risalto la figura morale, intellettuale di questa gentildonna sarza-ne.se, che nel turrito borgo coltivava « gentilezza e cortesia » : di sicuro, non nella corte dei Vescovi dove mal si sarebbero adattati i « lais » e le canzoni della lirica amatoria, ma tutt al più avrebbero potuto essere ascoltati — se \i si fosse trovato un cantore — i « sirventesi )) esaltanti le non remote guerre antimperiali od anche le più modeste lotte «contro i finitimi Marchesi. Siamo circa il 1220, e solo da pochi decenni i raffinaci costumi di corte avrebbero cominciato a farsi strada — secondo si vuole — fra i discendenti di Oberto di Luni. Doppiamente interessante perciò la figura di Aquilina : forse una fra le prime o forse meglio una fra le poche gentildonne borghigiane — prime ed ultime insieme — che sapessero apprezzare quel che di buono poteva produrre il fiorire della cavalleria provenzale; tipica rappresentante quindi di -un breve periodo di transizione — se non erro, non ben rilevato dai nostri storici —, di un mondo a tendenze cavalleresche da poco sorto e già volgente al tramonto, non troppo ben visto per lo spirito animatore, ed anzi politicamente avversato per ben legittima diffidenza, dalFautorità vescovile, ed osteggiato insieme da un sordo clamore di folle preise dal travaglio politico e da esso sospinte su una via di riforme. « Joi e deport.... » : ma anche a volere, poco tempo davvero restava da 234 Ferruccio Sassi dedicare alle giocose fantasie trovadoriclie, od anclie alla lettura dei codici in cui Carlo o Alessandro o Arturo compivano seri e compunti le loro imprese, ritratti in pose irreali svelanti nei dettagli lo sforzo deir artista di sottrarsi alF influsso ed al pencolo delle stilizzazioni. Allorquando questo semplice bagliore di vita cavalleresca si sprigionava di tra le mura della ferrigna· città· λ esco\ ί le, risuonava ancora per le vie Peco dei tumulti clie il lodo arbitrale di Bandino Gaetani aveva pel momento composto e sedato. Eppure anche così esso basta a rendere ancora· più vivi e più drammatici i contrasti politici da cui era agitata la Lunigiana. Tutto vi è in ritardo, allora. Tardi si insinua nel l’alta classe feudale il desiderio di conquista d’un primato d’intelletto e di bel costume, die con i nomi di un Moroello o di donna Caracosa, ci un Corrado o di una Maria di Oramala, avvolga in una vaga aureola i numerosi manieri e quasi per essa celi agli occhi delle masse il rapido incalzare d'un moto di decadenza politica. Troppo tardi questo stesso desiderio di ascesa ideale penetrava nelle classi magnatizie non allevate all’ombra del potere dei Marchesi. Mentre di fronte a costoro e di fronte al Vescovo-Conte si ergeva minacciosa l'idea comunale, nata tardi o per lo meno risvegliatasi tardi an-cli’essa, ma appunto per questo agitata da un più veemente vento di fronda che *le influenze extra-lunensi contribuivano a ingagliai-dire, e da cui le generazioni erano spronate in rapida- corsa \erso mete ancora lontane con una. smania febbrile dì agire, di realizzare, di costruire. Le prime avvisaglie si erano avute sin dal secolo precedente, e ne è testimone la cura posta dai Vescovi nel riparare le opere fortificatorie esistenti e nel crearne delle nuove ; siano esse i castelli della mpntagna od anche solo case o torri fortificate come ad esempio quella tuttora esistente che eleva il grigiore della pietra sulle λβκΐί cortine del piano· di Ceparana. Da Pontremoli senza dubbio eiano scese, le nuove idee, trasportate dalle acque della Magra, dal grecale appenninico, vantate dai mercanti pontremolesi sulle piazze dei borghi nelle ricorrenti fiere, e diffuse da essi e dagli artieri che, particolarmente dopo gli accordi del 1153, percorrevano abbastanza numerosi le strade confluenti nella via Aurelia diretti al grande emporio genovese : alla città cioè dove le compresse energie del lontano centro lunigianese potevano trovare tranquillo e pacifico sbocco. Era forse proprio questa possibilità di sviluppo e di agiatezza che aveva ritardato notevolmente un'azione politica pontremolese in Lunilgiana. Ma i tempi si erano fatti più burrascosi ; non era così relativamente facile custodire il principio dell’autonomia : si riversavano in Lunigiana i Marchesi, risospinti dai Comuni padani; dietro di loro, in caccia, irrompevano sempre più numerose le scorribande piacentine e soprattutto parmensi. Il tutto generato, e poi Evoluzione delle ι-orme politichj: lim giambi dal secolo χπ /„l xvi 235 J ìammischiato in 1111 viluppo di interessi, dalle grandi vicende della politica italiana, in un certo senso si potrebbe anche dire centroeuropea. Non vogliamo ripetere cose arcinote, ma è necessario un breve riassunto per vedere meglio i nessi che legano fra loro le tappe piincipali del cammino percorso dall’idea comunale in Lunigiana, posto che — come abbiamo premesso — più che di realizzazioni eiiettuate dobbiamo parlare di aspirazioni, di movimenti ideali. .Molto cammino si era fatto dall’anno 1163, quando il diploma del Barbarossa ai Sarzanesi prescriveva che nessuna torre o altra difesa tosse elevata nel borgo se non per comune utilità del borgo stesso, accennando così all’esistenza d'un vago, imprecisato vincolo che avrebbe dovuto legare in unico fascio tutte le energie e tutte le volontà— naturalmente — sottinteso — per il precipuo vantaggio «dell Impero. E molto· cammino in breve tempo. lappa importantissima quella del 1170, che ci mostra il collegio consolare organo di governo il cui consiglio è obbligatorio pel Vescovo, e regola i rapporti fiscali tra l'autorità politica (Vescovo) e l’autorità'amministrativa (Cornarne), la quale ultima tende sin d’al-lora a chiarire che l’una e l’altra sono vincolate da un mutuo giuramento, che cioè anche il Comune — entità giuridica a se — può come somma dei singoli averè una volontà propriamente diversa da quella del signore politico, ed una propria facoltà di impegnarsi. Il Volpe (*) trova,- «curiosa» la situazione creatasi, per la quale nel ’200 i Vescovi rivendicheranno di fronte agli Imperatori la. validità della sottomissione alla Curia prestata da uomini dell'impero desumendo la valida dedizione dalla assoluta libertà da altri, la servitù di allora da una preesistente antica libertà. Ma tutto ciò sembrerebbe essere invece pienamente logico. Da questo punto di partenza, le due entità — appena contenuta l’una dall’altra — battono vie diverse, ma parallele: i bisogni dell'ima non saranno i medesimi di quelPaltra, ma sono dì identica natura ; gli scopi che entrambe perseguono non potranno mai coincidere se non con un totale assorbimento delFuna nell’altra, ma in definitiva questi due scopi appariscono come una mèta unica nella sostanza. Ed ecco, in singolare e non casuale concomitanza di tempo, la « tregua de Lunexana » del 1173 — della quale ho posto in rilievo in altro studio le caratteristiche schiettamente politiche (2) — che dà forma certa e documentaria a quei nessi velati e indiretti cui accennavamo, le basi prime di una propaganda politica. Questo momento è particolarmente interessante perciò per la storia di tutta la Lunigiana : attorno alle modeste figure di quelli che sono apparente- (J) «Lunigiana Medievale» Firenze, La Voce, 1923 pagg. SG-7. (2) « Treguani ile Lunexana » in Giorn. Stor. e Lett, della Liguria, 1933, II 236 Fekkuccio Sassi mente i protagonisti principali del conflitto, crediamo scorgere uno degli ultimi episodi di lotta collettiva tra feudatari e comuni. Se da 1Γesame dei singoli episodi isolati risaliamo a un quadro di assieme, non potremo intatti 11011 ricollegare il moto insurrezionale del Comune di Pontremoli, e delle classi nobiliari inferiori, alla levata di scudi contro Genova tentata pochi mesi avanti, ed allora aurora in corso, dai Marchesi, dai Fieschi e dai loro collegati nella Riviera di Levante. Con l’elemento indigeno, prettamente lunigianese, interferisce l’elemento estraneo — il Comune di Genova —: è una lega di entità politiche autonome ohe attrae a sè il non trascurabile elemento di forza costituito dalla piccola nobiltà rurale, già provveduto di discreti mezzi finanziari e di quella grande risorsa che è l’elemento uomo addestrato alla milizia e sospinto da speranze ed ambizioni. Classe che, quando poco dopo perverrà ad attrarre dietro di sè le categorie minute, potrà assumere, sia pure temporanea men te, una posizione importante nelle vertenze tra Vescovo e Malaspina. Ma ritorniamo a Sarzana. Abbiamo ricordato con quale anelito i Sarzanesi tendessero alla completa autonomia, e sappiamo come delle lotte conseguenti fosse intessuta tutta Ja storia del borgo nel secolo XIII. Le lezioni avute dai loro· maestri avevano dato davvero i loro frutti I Gli allievi, gli apprendisti del 11G3, avevano ben assimilato le istruzioni ricevute, ed evidentemente sia essi che i loro tìgli avevano dato un istruttivo sguardo anche alla storia retrospettiva. Come proprio l’impero aveva pensato ad elevarne la dignità al grado di Comune, così proprio l'autorità vescovile aveva loro additato la via da seguire per edificare su larga base il potere politico e la floridezza economica. Xel giugno del 1198, pendente la minaccia d'una nuova guerra, il Vescovo accorda « iure feudi» al Comune del borgo e del castello di Sarzana l’uso dei boschi e dei pascoli — eccettuati i suoi propri — dal mare alla montagna fosdinovese e dall’Avenza in λ al proprio casato alle fortune del guelfo leone, si svincola almeno pelimi certo periodo dalle Forche Caudine della politica generale. uomo di parte scompare, non tanto per far posto al capoparte, d quale non v’è alcun bisogno, ma per istabilu-e per propiio co t« proprie fortune. L’origine partigiana si fa dunque sentire solu to agli inizi e nell’ultimo periodo, quando un valido aiuto tiatto dai «partigiani» è necessario per conservare la posizione: ed e aloni che sotto le insegne del Fieschi si radunano m buon numero a La Spezia i fuorusciti genovesi. Nel periodo più vitale della signoria, questa è perciò basata soprattutto sull’elemento locale, sulle forze tratte dal sistema feudale: è questo che fornisce 1 e emento uomo sul quale si basa l'organizzazione territoriale, e costituisce cosi la vera spina dorsale della signoria. Ciò era possibile solo, m quanto, come discendente dei Conti di Lavagna, come Yicedommo del Λ e-scovo di Brugnato, come rilevatore su vasta scala di diritti già spettanti ad altri consorzi signorili (specialmente dei signori di \ ezzano), il Conte Nicolò poteva realmente apparile alle popolazioni come il solo e vero signore della zona. Il signore, ingenovesato dalle vicende della «compagna», non più «indigeno» per recenti origini, poteva riapparire tale ricollegando i nuovi ai remoti ereditari diritti. La vastità dei domini gli poteva anche consentire il tramutamento dei suoi fedeli da una zona all’altra, dall’Appennmo al mare. Azione dunque nel complesso, essenzialmente ed esclusivamente feudale, ed aWiungo, ricopiante fedelmente negli estremi limiti di espan-sinne "meridionale e orientale quelli che, trattando di altro argomento, avevo ritenuto poter indicare corne i imiti di espansione del ceppo dei Couti di Lavagna ('). Quando la signoria cad- ~T)- « Il Comitatulus di Lavagna etc. » in Meni. dell’Accad. Lunig. G. i ap-pellini, XII-2L XIII-1 240 Ferruccio Sassi (le, il dominio del Fieschi si estendeva su Pontrèmoli e forse si ricollegava di là attraverso i monti di Calice alla zona di Madrigna-110, di Yezzano, della pianura ad occidente della confluenza Λ ara-Magra. Ma lai signoria Fiesca poteva realmente avere una vitalità propria? Non da oggi soltanto, perché un’organizzazione politica possa sussistere, è necessario che la forza delle armi sia sostenuta anzitutto da una forza ideale che le armi stesse diriga, in secondo luogo da un complesso di fattori materiali od economici. Ë necessaria una breve disamina della Lunigiana ad occidente de'lla Magra· Possiamo distinguervi varie zone seguendo il criterio discriminante della diversa organizzazione sociale : I) Una zona di effettivo diretto dominio genovese estendentesi sulla riviera con forti punti d’-appoggio oltre la catena costiera, principalmente in Carpena ed in Corvara, organizzata in comuni amministrativi rurali, e comprendente: a) territori di antica dominazione feudale in cui il consorzio signorile costituisce, in un certo momento storico « comune » con il « populus » quale conseguenza della definizione del diritto di proprietà sul suolo (*) : t:ene il primato in questa zona, per importanza commerciale e demografica, il comune di Levanto ; Z>) territori acquisiti con le armi o con trattati, in cui il Comune genovese si presenta come Punico legittimo erede dei diritti ]»olitici dei consorzi signorili, ed ha organizzato il comune locale alFinfuori di questi cercandone la base unicamente nel « populus » e assegnandovi podestà o consoli, scrivani, ufficiali in genere in forza di quelli che il Solini definisce « diritti sovrani nell'ambito dell'autonomia (2) ». II) Una zona su cui ii dominio genovese è soltanto indiretto, in quanto cioè il feudatario, od il consorzio feudale, ha giurato la compagna » pur seguitando a godere diritti giurisdizionali che non soltanto non sono d’un tratto abrogati ed assorbiti (la « ratio feu-dorum » contempla anche i membri dei consortili radicati nella· prima zona), ma che invece sono rimasti esclusivo retaggio dei domini con esclusione del « populus » : talora con traccio e reminescenze tardive dell’alta giurisdizionale marchionale, soggette a graduale eliminazione. Così, ad esempio, ancora nei 1229 si ricordano i diritti dei Marchesi di Massa sul Castello di Polverara: il 20 marzo di quell’anno, Bertolotto da Yernazza vende ai fratelli Lanfranco, Pietro, Simone e Guglielmo Vento le sue ragioni sul detto castello, (1) Cfr. Formentini, Conciliaboli', Pievi e Corti .nella Riviera di Levante, La Spezia 1920, pag. 82. (2) Solmi, 11 Comune nella Storia del diritto, Soc. Ed. Libraria, Milano, 1922. Evoluzione dkllk forme politiche lumc.iane>i dal secolo xii al xvi 241 obbligandosi a difendere i compratori contro chiunque, eccezion fatta pei* i nominati marchesi, (i) Questa seconda zona comprendeva, nell’alta e media Vara, parte delle terre costituenti il Vescovado di Brugnato, e più a mezzogiorno il massiccio montuoso sorgente tra il Golfo della Spezia, Ja catena, costiera e il basso corso della Vara fra Padivarma e Yezzano. Ora, quali conseguenze poteva produrre la formazione d’una Signoria iiesca su territori nei quali ancora persistevano tante differenze rispecchiate, anzi provocate, dalla varia composizione sociale? Il Connine genovese, per la stessa ragione politica che ne giustificava resistenza, aveva già certamente introdotto molti e validi principi riformatori, che dovevano gradualmente incidere sulle differenze giuridiche ed economiche: spesso, su quelle, per mezzo di queste. L’apertura delle barriere 1 imitatrici del movimento emigratorio temporaneo e permanente, o quasi, susseguente all’ingresso dei feudatari nella « compagna » per cui era concesso agli uomini dei consorzi signorili di stabilirsi altrove ed esercitarvi liberamente ogni torma di attività (2), aveva condotto nel corso di un secolo alla formazione di mi ceto economicamente florido, talora di una vera e j)ropria piutoerazia. Troviamo così (coan’è noto) numerosi Lunigianesi _ professionisti, commercianti, od anche artigiani — stabiliti nei fondachi del Levante o -d’Africa-, od in procinto di recarsi colà re-( .indo accanto «ai ferri del mestiere» somme più o meno rilevanti da impegnare per conto di terzi in attività commerciali od industriali. Ne vediamo alcuni arricchitisi al punto di poter gestire azien-de in proprio, e ad esempio' in atto di acquistare coi. soli loro mezzi navi 'di vario tipo e persino galee del valore di ben 500 lire genovesi (3) : e per converso, Armanno qm. Corrado (lei Signori di Tassano aspirare nel 1270 al modesto ufficio di scrivano dei Consoli di Ira-mura (4). È lo stato moderno che ci mostra un’altra delle linee fondamentali, ancor grezze, del suo edificio, con l’assorbimento persino dei membri della· vecchia aristocrazia nelle fila della burocrazia non più soltanto ed esclusivamente borghese. È il dissolvimento dei vecchi consorzi ormai in piena· crisi economica conseguente alla creazione di un interesse comune — a base più larga _ con fondamento nella ricchezza mobiliare, in sostituzione di un interesse in tutto o prevalentemente « dominicale » basato prima sui demanio poi sulla proprietà fondiaria. Dopo tutto, il primo passo sulla nuova via era stato fatto precisamente dai membri dei con- C1) Ferretto, Codice diplomatico delle relazioni tra la Liguria, la Luni-g-ana e la Toscana al tempo di Dante, in Atti Soc. Ligure di Storia Patria vol. XXXI, 2. pag. 3. (“) Lib. Jur. passim. (s) Ferreito, op. cit.. passim. (i) Ib: 1, pag. 208. sorzi signorili in cerea di nuove terre sulle quali sviluppare la pio-pria· attività economica all’iniuori di ojìui funzione politica. (, ) Questo vario modo di Comportarsi delle classi sociali ci mostia ad un tempo la fondamentale costituzione economica della regione. Di questa lia formato oggetto un mio precedente studio (-), delle conclusioni del quale basterà riportare un semplice cenno per Ja parte clie può oggi interessarci. B'è detto che la libertà di emigrazione aveva prodotto la formazione di capitali e di più o meno rilevanti fortune in zone coni-pletamente estranee alla Lunigiana, alla quale una parte soltanto dei beni prodotti ritornava per esservi investita in immobili, con conseguenti oneri di natura reale, e con totale esclusione di oneri personali. Mentre d’altro lato mancava una qualsiasi forma di organizzazione del lavoro e della produzione locali, mancava altresì Ta possibilità di vita per un'attività creditizia anche modesta, tanto che .spesso gli stessi membri delle maggiori stirpi ricorrevano pei ai fronte a loro momentanei impegni al mercato genovese. Naturalmente una tale sfavorevole situazione si ripercuoteva anche sulla qualità del « lavoro » degli artieri locali, che, eccettuate forse per alcune case signorili (ma si trattava senza dubbio di acquisti eseguiti fuori), non pare potesse avere alcuna pretesa d’arte. Se anche entrassimo nella casa di qualche benestante possidente dei più ragguardevoli _ ad esempio di quel Yivario di Alegrino da Vernazza i cui figli e nipoti tessono l’inventario dei beni al cospetto del 1 oclesta Filippo de Volta e dei due notai vernatesi Federico e Corrado ( ) vi troveremmo arredi ed utensili numerosi ma semplicissimi e non uno di valore o di pregio: « ....lectum unum cum linteaminibus duo-bus, saclioiio uno, culcitram unam, cossino uno et cohopeiton uno ». Notiamo in definitiva una sensibile contrazione delle toize economiche pur necessarie — non occorre però sopravalutarne Ja importanza — ai fini d’unazione politica, e una notevole lezione dell’elemento «uomo » sia di per sè stesso considerato ai fini militari come entità numerica, sia per l’apporto di opere e di redditi che ne derivavano in base ai concetti fiscali dell'epoca. L interiori a dell’ente po'itico era già dagli inizi manifesta, E d’altra parte era anche evidente l’assenza nelle popolazioni d’ima qualsiasi ragione ideale a sostenere con le armi il provvisorio signore ; la costituzione della signoria doveva avere, se mai, arrecato non poco sbalordimento nelle popolazioni e, se 11011 proprio alimentato qua e a qualche corrente ostile, per lo meno non iloveui a\eie appei 1 convinto. "77, Cfr. Fon mentisi, „1». cit., ed il mio studio citato « Il Comitatulus Ì931» IJ§j (3) Ferkotio, op. cit. II, pag. 77. KVOLUZIO.NL delle FÓRME POLITICHE LUNIGIANES1 DAL .»EOOLO XII AL XVI 243 In un campo razione della signoria lì esca poteva riuscire ruta. ed utile, in quanto apportava elementi chiariiicatori nel complicato tessuto dei rapporti sociali. L’organizzazione comunale, nella Lunigiana soggetta al dominio o all'influenza genovese, trovava la-ragione della sua vitalità nella trasformazione impressa ai rapporti intercorrenti tra gli elementi costitutivi del Comune — romano, feudale, cristiano — mediante la creazione d’un interesse comune assorbente in parte, in parte sovrastante agli interessi dei singoli gruppi o raggruppamenti sociali preesistenti. Interesse sovrastante che trovava la sua principale manifestazione economica nella creazione d’una finanza locale, cui erano devoluti i diritti di regalia, propri un tempo delle classi feudali; diritto di pesa e misura, diritti sul suolo, diritti di escavazione nelle miniere etc. (*) V’era dunque in atto uu progressivo livellamento giuridico - economico delle classi sociali, che realizzava la sua più efficace espressione nella « ratio feudorum » : nella carta- cioè, con la quale il Comune politico di Genova incamerava i diritti giurisdizionali di natura feudale a vantaggio delle comunità singole del contado, trasformando i diritti politici in assegni vitalizi, vale a dire in un bene economico. L’azione della signoria fliesca è in questo campo continuatrice diretta dell’opera svolta dal Comune Genovese, in quanto progressivamente assorbe nella nuova entità politica* ed elimina, i diritti e i poteri giurisdizionali dei consorzi signorili sopravviventi nella zona strappata alla metropoli ligure. Ne è prova la sostituzione dei gastaldi signorili — veri funzionari del Conte Nicolò investiti di poteri amministrativi e di polizia, forse anche militari e di bassa giurisdizione — ai membri della minore aristocrazia fendale. Anche là dove l’organizzazione comunale aveva compiuto più celeri passi, ed era entrata nello stadio più evoluto della ben nota duplicazione « comune dei signori » e « comune del popolo », l’avvenuta sostituzione del funzionario al consorzio signorile è indice sicuro· della nuova costituzione politica. Due vie restavano quindi a seguire per poter consolidare il nuovo stato di cose: o avviare una politica di intese e alleanze con gli altri enti politici della Lunigiana — irrealizizabile per i 11011 infondati sospetti della curia, dei Marchesi e di Pontremoli, e che d’altra parte mal si conciliava con uno spirito egemonico ed espansionista — o allargare le basi con la forza sino alla riconquista, sotto nuova veste, delle sedi tradizionali dei Conti di Lavagna e al dominio di territori ad economia funzionalmente diversa, e quantitativamente integrante, da quella della zona già acquisita in Luni- 0) V. per quest’ultima voce mi atto 3 giugno 1277 (Ferretto, op. cit. p. 153-4) col quale i sindaci e gli uomini di Ponzò affittano ad alcuni imprenditori bergamaschi e fiorentini il monte « Leca » in occasione « argenterie que facere intendunt in dicto monte ». 244 Ferruccio Sassi giana. Ma questa seconda via, che fu la prescelta e le cui vicende negative sono a memoria di ognuno, già esula dal campo della storia lunigianese e si inquadra piuttosto nella grande lotta delle maggiori famiglie non tanto contro il Comune di Genova quanto per la conquista del Comune stesso. L’ARTE DELLA CERAMICA A SAVONA E ALBISSOLA Una fiamma guizza nella fornace rozza, divampa crepitando, un uomo la vigila, rattizza, la domina, attento, lesto-, sicuro. È questa l’ora della trepidazione, anzi dell’ansia, per l’artista clie a quella fiamma affida la sua creatura. Essa dall’abbraccio'igneo può essergli resa segnata dall’impronta immortale della bellezza, o irosamente devastata, senza rimedio. 11 fuoco distruttore, il fuoco vivificatore.... L'opera dell'uomo, per divenire perfetta, deve passare attraverso questo sacrificio purificatore, attraverso il tocco dell’artista ai-dente. Sotto il suo alito la terra inolio si fa compatta e soda, lo smalto s’incorpora all’argilla, il colore acquista una mirabile vita e aderisce, lucente carezza, alle forme tornite: l’opera ritorna gioiosamente alla luce, creatura di terra di fuoco e d’amore, completa e bella. Ma a volte, quasi con capriccioso disdegno, il fuoco· si rifiuta all'unione armoniosa; anzi irosamente ferisce ciò che gli è offerto, deturpa tinte e disegni, incrina, beffeggia, rovina. È quest’ora drammatica che caratterizza e umanizza l’arte del ceramista; un’arte in cui al fervore della creazione va sempre unita una segreta trepidazione. Sentimento che fa la mano ancor più teneramente amorosa, l’occhio vigile; tutta l'attenzione desta di evitare il pericolo, e la mente indugia in minuziose ricerche e l'esecuzione si fa più accurata nello sforzo di vincere l’insidioso nemico. Quando; l’artista ria tia le mani il suo ((pezzo» uscito dalla fornace, e lo guarda, e lo pulpa·, lo ammira· e riconosce l’opera sua nella nuova veste di bellezza, quasi padre che nel giovane gagliardo riconosce il tiglio lasciato bambino, l’ansia contenuta si scioglie in lui in un impeto di gioia, di orgoglio, di commozione. Egli rivede nella realtà quella coppa, quel piatto, quell’anfora quale l’aveva intravista nel lampeggiare dell’idea, che appassionatamente lia cercato di trasfondere nella materia informe ed incolore. Ila piegato la terra obbediente ad esprimere Li forma vagheggiata dalla fantasia; e con lo smalto e col colore ha tradotto su quella forma d’argilla l’iradiata armonia dei suoi sogni. Ora Popera gli sorride per- 246 Maria Signorile fetta venendo dal bacio del fuoco, trasfigurata come una fanciulla dal primo bacio d'amore. Arte bella e· gagliarda, nella quale è ispirazione, ricerca, lotta ; che dà momenti di prova e di amaro sconforto, ma più spesso dona la virile gioia della vittoria. È scultura, è pittura ed è scienza; richiede nell’artista· esaltazione creativa e pazienza certosina; agile fantasia e dura tenacia; amore, acume, ostinazione. Arte che risponde meravigliosamente « allo spirito e alla genialità » (/) della razza italica, che ama la terra e gioisce del colore. In ogni parte d’Italia, infatti, fiorisce, spesso da secoli, 1 industria dei majolicari e dei ceramisti. Dalla magica bottega dei Della Robbia, la bell’arte si diffonde, si che la Rinascita la trova nel fiore. Formano Γammirazione di tutta Europa le eccellenti cose di Faenza, mai superate; gli smalti dorati o madreperlacei di Deruta ; il tenue oro e il rubino iridescente di Mastro Giorgio da Gubbio, la colorita trasparenza delle ceramiche pesaresi, le riproduzioni raffaellesche di Xanto Avelli da Milano e le popolate opere dei Fontana, le maioliche veneziane di gusto orientale e quelle sicule dalla splendente e ariosa eleganzai araba ; e altre, altre ancora uscite dalle fabbriche fiorenti in Piemonte, Lombardia, Romagna, Abruzzo.... JÈ questo il tempo in cui acquistano fama le maioliche liguri di Genova e specialmente oi Savona e Albissola. A chi entra oggi in Albissola, si presenta lo spettacolo colorito delle vetrine che si affacciano qua e là ai due lati della via Amelia, fiorite di ceramiche di tutte le fogge, di tutti i colori, dai gusti piti variati. A questo paesino, che vive del suo mare e dell’arte della sua gente, tocca ora l’onore, cli’è anche un onere, di continuare ad un tempo la· tradizione ceramica propria e quella di Savona, in cui si può dire che l’arte figulina si sia spenta, dopo secoli di fama. Quella casa antica, cui si arriva attraverso un intersecarsi di viuzze, è una fabbrica di ceramiche, forse la più notevole del luogo. Qui lavorano, cuociono la terra alla maniera antica: una lavorazione amorosa, attenta e primitiva, in cui la meccanica moderna non ha portato l’automatica precisione delle sue macchine. Qui l’uomo è veramente l'artefice e F artista, e il fuoco è il vero dominatore. Nelle stanzette basse e rozze del pianterreno è ammonticchiata la materia prima, la terra buona, la terra fida. È giallastra e molle, una cosa amorfa e untuosa·; argilla mista a tufo. Terra del luogo, ricchezza del paese; ali e pare stia lì impaziente di assumere la forma e la vita per le quali è fatta. Torno torno, delle vasche clove la terra macera nell’acqua, per ore e giorni purificandosi; poi il fiore (1) Giuseppe Marangoni, Le arti del f uoco, ne\Y Enciclopedia delie moderne arti decorative italiane. L’Arte della Ceramica a Savona i·: A lui.-sola 247 ne è raccolto ed esposto alla benefica carezza cel sole, trasforjna-trice: asciugando, lasciando l’acqua clie la impregnava, la materia diventa plastica, sì che la mano del conoscitore, al tocco, la sente pronta per l'opera più bella : la tornitura. Chi non ha visto un artefice al tornio, 11011 può immaginare quanto il suo lavoro sia affascinante e nobile nella sua nuda semplicità. Lo strumento, nella sua essenza, è rimasto intatto nel trascorrere dei secoli e fa pensare agli antichi vasai egizi, fenici ed ateniesi. L’uomo seduto su di 1111 seggiolino alto a fianco della- sua ruota, 11011 appartiene a nessun tempo in particolare, non ha sentito il progresso, è ancora la figura dominante del quadro, l'intelligenza, la forza, la capacità. Chi lo guarda curvarsi appassionatamente al suo lavoro, trova in quella figura un'espressione semplice e superba della dignità umana, È 1111 lavoro materiale, di agilità e di resistenza, ma guidato da una spiritualità vigile, e commossa, che trasforma i! giuoco dei muscoli in armoniosa opera creativa. Nel colpo di piede, che a volta a volta dà impulso alla ruota, e la frena e ne regola il moto, 11011 vi è nulla di meccanico, bensì una segreta armonia, una visibile e pur immateriale alleanza coll'opera della mano che lavora la terra nel sito vorticoso girare. In quella mano è concentrata tutta la vita dell’artefice: la. manica rimboccata lascia mulo sino al gomito il braccio, sul quale si disegnano i muscoli seguendo il moto e lo sforzo delle dita, e le dita acquistano al contatto della terra amata una sensibilità amorosa, una rapidità attenta, una levità agile, una forza intelligente, sotto la quale la materia informe si anima, eleva, vivifica. L'uomo ha posto sul tornio 1111 piccolo ammasso di argilla inumidita, lia messo in moto la ruota, e l'argilla passa e ripassa, girando, tra le sue inaili; la pressione delle palme aumenta a poco a. poco, dolcemente, e quella « cosa » informe, seguendo i! contatto volitivo trasformatore, diviene una specie di colonnetta ; e da questa all’improvviso fiorisce, sotto il deciso tocco creatore, l'anfora, la coppa, tutta una miriade di vaghissime forme. L'artefice sorride sollevando l’opera del tornio e l'occhio gli brilla mentre segue carezzevole le linee sbocciate sotto la sua mano. L'uomo formato dal suo Dio nella terra, sente in questa un’affinità, misteriosa col proprio essere; sa che il modellare l'argilla è l'opera umana che ha più sentore divino. Tra la terra e la mano vi è una specie di comprensione amorosa, per cui quella si piega docile al volere che da questa irraggia, accogliendo 111 sè con la forma 1111 po' della vita del suo fattore. E quel che entusiasma di più è il fatto che quest'opera delicata; e meravigliosa è affidata agli umili, alla gente del popolo che dimostra di possedere un’arte innata, discesa di padre in figlio. Dopo la tornitura, l'oggetto è posto ad asciugare e finalmente 248 ΜλΚΙ.Υ SliïNÜKlL·’·. messo nella « muffola » per la ])rinia cottura. La muffola consta della fornace e di tre camere che la sovrastano, Luna sopra l'altra. La prima· viene chiusa accuratamente durante la cottura in modo che non vi penetri fiamma nè fumo; le fiamme ne lambiscono solo esternamente le pareti laterali e poi si slanciano su, verso il camino, passando attraverso agli altri due vani. Qui cuociono gii oggetti appena fatti al tornio che a questi non nuoce il venire affumicati ; mentre la camera bassa è riservata agli oggetti giù biscottati (cioè passati attraverso la prima cottura) e già smaltati e dipinti, i quali hanno bisogno di accortissime cure per non venire sciupati dal fuoco. I riguardi, gli accorgimenti, le trovate per salvarli dalla rovina sono tanti e pieni di acume: rivelano l'ansia amorosa dell'artista per la sorte della sua creatura. II « biscotto » esce dalla muffola arido, come polveroso di una tinta rosso - giallastra e giunge finalmente nelle mani del pittore, per avere dall'artista del colore un secondo e più splendido battesimo di bellezza. » La pittura si unisce alla plastica veste la forma armoniosa, di armoniosi colori, di ispirati e vaghi disegni che accompagnano ili una sinfonia iridescente le linee del pezzo; e le nozze delle due arti vengono celebrate nel fuoco, che fonde terra, tinte e smalto sì che ne nasce il capolavoro. Veri capolavori escono dalle fornaci, quando la fabbrica possiede vasai capaci e sensibili (e questo non è dilli« die), ma special menti* quando vi lavori alla decorazione un vero artista. A lui spetta la creazione di quei « pezzi unici » che vanno per le mostre e per il inondo a creare la fama del loro luogo di origine e sono subito riconosciuti dagli amatori e dal pubblico, perchè recano l’impronta dell’arte. La produzione in serie è invece affidata a donne, per lo più giovani, che abbiano un certo talento e un certo buon gusto. Quanto al metodo, vi sono due tipi di ceramica. Si può usare la vernice ossido di stagno, e allora l'oggetto viene verniciato a tul- io e poi dipinto ; secondo certe regole nate dal l'esperienza, perche le tinte variano su questo smalto sotto Fazione del calore. Oppure la pittura può essere applicata direttamente sul biscotto e poi verniciata in ossido di piombo trasparente. Tutta quest’opera geniale, paziente, amorosa, è coronata o distrutta dalla seconda prova del fuoco. Là, vicino a quella rozza fornace in mattoni refrattari, l’artista ed i suoi collaboratori passano momenti di inquietudine ansiosa : e di tiionio, quando la loro geniale fatica diviene vittoria. I pezzi finiti sfornati quando la nini-foli si è raffreddata, vanno ad allinearsi in uno stanzone tappezzato di scaffali, in attesa di sparpagliarsi per le vetrine, per Je case e per i musei. Mirabile raccolta di cose belle, alcune incantevoli : ci sono espres- L'Arte della Ceramica a Savona e Aliiissola 249 sioni genuine e nuove di arte moderna, accanto ad imitazioni accurate ed intelligenti dell’antico : sì che è possibile rifare dal vero la storia della ceramica che tin dalla Rinascenza ha fatto conoscere Savona ed Al bissola. Ilo visto con interesse, nel Museo Savonese, dei relitti di terraglie fatte a mano suìPalba della storia : sono oggetti rozzi e maltrattati dai secoli, ma recano nella forma primitiva una specie di eleganza inconscia e nobile. Sono nude, dall’impasto rozzo e bruciacchiato qua e là, ma vi si scorge il lavoro di una mano amorosa che le ha improntate di una semplice bellezza; e ci pare di vedere quegli uomini, nella loro virilità un po’ ferina, costringere colla nuda mano la creta nelle forme volute dalle necessità, della vita e metterla a cuocere sotto la brace della fiammata cilie si va smorzando. La natura è stata la maestra, la natura hai dato il fuoco e la terra che si può plasmare e che s'indurisce nel fuoco, l’argilla che abbonda nelle nostre colline declinanti sul mare; la natura ha dato ancora alla nostra gente l'amore ;] questa terra e il senso del bello : e dall’unione dei due sentimenti è nata l’arte della ceramica. Nei secoli remoti, dunque, i Liguri si sono sentiti istintivamente attratti all’opera geniale, e col tempo si è sviluppata una vera industria artistica. Certo fioriva già nel 1200. Ma della produzione di quell’epoca sono andati perduti esemplari e notizie, se escludiamo alcune note assai generiche e sporadiche negli atti di un Notaio Uberto. Anche i secoli XIV0 e XV° in genere sono stati trascurati dai nostri amatori storiografi (ad esempio dall’Alizieri, dal Vignola e dal Verzellino); ma il Prof. Filippo N.oberasco nella sua amorosa e lucida rievocazione della Ceramica Savonese ha voluto guardare anche in quest’epoca nebbiosa. Così ha potuto dirci che già in vari atti notarili del 300, e nei Contracta fornaciarum (1364) e negli Statuta Antiquissima Saonae (anteriori al 1364) è il documento dell 'importanza acquistata dalle nostre fabbriche e del loro sviluppo, così avanzato da esigere una sistemazione legislativa delle maestranze. ]·: di questo tempo il primo nome di fabbricante giunto sino a noi : Antonio Astolfo; e lo accompagna la fama di eccellente. Siamo al MOQ. Nella Toscana senza pace, cresce Podio* e crésce il dolore e, per un misterioso destino compensatore, su quella terra insanguinata è fiorita la prodigiosa consolatrice arte della Rinascenza. Artisti fuggiaschi da Pisa e Livorno recano nella nostra citta» ospitale la· visione delle soavi Madonne robbiane, sorridenti, bianche, mistiche e luminose, dagli sfondi azzurri appare la dolcezza infantile e spirituale dei loro (ìesù Bambini, la gaiezza policromia (h Ile corolle dei fiori e di frutti. La grazia della Rinascenza toscana 250 Maui λ Signorile adorna le opere di questi esuli che acquistano subito fama e ialino scuola. I>e quadrelle, i fregi e i vasi dì Lorenzo Nico, pisano, e
  • ertolomeo Paolo (il ( asa) e Collo Petri, e tra i pisani, oltre il Nico, Antonio di Giuliano di Paio. L'emulazione e l'influsso dei toscani suscita fra i nostri artisti dei buoni maestri, come i fratelli Onofris, Gasperi no Scotto e Antonio Ferrerò: ma la palma rimane agli esuli. L’artista che ci accompagna ci mostra una pila di mattonelle vagamente disegnate e colorite : sono imitazioni dei « Laggioni » che nei ’500 formavano il nucleo principale della produzione ceramica di Savona ed Albissola (unite sino al 1553). Queste quadrelle dagli ornati armoniosi, or monocromi or policromi, vestivano della loro lucente ricchezza i palazzi dei Signori, in gara, di raffinatezza; e specialmente era uso tappezzarne i porti cati, che ne erano resi ad mi tempo sontuosi ed accoglienti. Uno di questi superbi ingressi è stato distrutto col palazzo Pavese; restano a testimoniare l'eccellenza di tali opere i porticati dei palazzi Verzellino e Yaccinoli vere gemme di buon gusto che si rivelano improvvisamente a chi si aggira per gli antichi vicoletti bui di Savona, nei paraggi del porto. Ornati discreti e pur vaghissimi formavano i loggioni nelle chiese, nelle cappelle e persino all'esterno dei campanili. Genova, Savona, possiamo dire tutto la Liguria, ne erano adorne. E non solo per rivestimento servivano le mattonelle, ma a poco a poco si riunirono a formare ligure, scene, veri quadri, special-niente di soggetto religioso, nei quadri si vede l’influsso delle scuole di pittura, di Venezia e dell’Emilia. La Natività della parrocchia-le in Albissola Marina è appunto un grande quadro di ceramica, bello e degno della felina che l’ha fatto dichiarare Munumento nazionale. Raccolti in gruppo la Sacra Famiglia e i pastori adoranti e due figure di vecchi eremiti, formano il primo piano; dietro di loro si distende nella lontananza, vivo e dolce, un paesaggio alberato, che dilegua nella luminosità di un orizzonte azzurrino; sulla scena domina, tra nubi ed angeli, la figura del Creatore, a braccia aperte, benedicente. Qualche deficenza nell’anatomia è compensata d illa maestà che spira da tutta l’opera e dai pregi genuini eh'essa riunisce in se: gli atteggiamenti vari e spontanei l’espressione dei volti, semplice e profonda, il movimento, il colore____ Il colore specialmente costituisce la bellezza del quadro: l’incarnato roseo e tenero di Gesù Bambino, che con mossa deliziosamente infantile tiene in bocca il piccolo dito; il pallore sereno della Madonna, i volti abbronzati degli L'Arte della Ceramica a Savoxa e Aliissola 251 adoranti, e Pazizurro qhe sforna, nel bianco del manto della Vergine; i gialli di ogni tono, i marroni cupi e dolci*, i verdi teneri e scuri, il biancore or candido- or grigiastra delle nubi, e Je tenui sinfonie coloristiche dello sfondo... È una festa, una dovizia, un’armonia cromatica. che dà vera gioia agli occhi e un senso pacato di gaiezza. Da un lato è scritto « Fatto in Albissola nel 1576 per inano di Agostino.... Geromino Urbinato la dipinse ». Agostino Salomone, completano gli studiosi, colmando Ja lacuna che pare sia dovuta è*i una mano dispettosa. La tecnica si rivela ormai sicura e perfetta, e la capacità e il buon gusto degli artisti, sono riusciti a dare una vera bellezza a quest’opera ricca di difficoltà, perchè si propone di gareggiare con la pittura; intento assai rischioso e non conforme alla natura e agli scopi essenziali della ceramica. Albissola ascende in fama: è pure assai nominato nell’arte Benedetto Scotto, e presto i Conrado di Albissola andranno a fondare la fabbrica di Sevère. L’organizzazione degli addetti all’arte si fa completa e definitiva nei Capitolari della Corporazione figulina, improntati profondamente dallo spirito della nostra gente, spirito ad uno tempo mistico e pratico. Infatti questa legislazione ha carattere religioso, della religiosità semplice e schietta che è propria della Liguria: l'arte lia il suo patrono S. Antonio da Padova; gli associati si riuniscono ogni prima domenica del mese ad ascoltare la Messa perchè il loro lavoro sia benedetto. Γη vivo senso di umanità si accompagna a quello della fede e si riassume nei doveri di pietà verso i compagni defunti. D’altra parte, le mancanze sono punite con sanzioni apparentemente grette invero però improntate a un solido senso di realtà, tutto ligure: i colpevoli sono multati in denaro. Pare che il metodo fosse efficacissimo. L’arte era dunque considerata non solo una cosa bella, ma anche sommamente seria, che assorbiva ed asserviva completamente la vita di chi si dedicava a lei. E per divenire veri majolicari era necessario un tirocinio severo e paziente, una preparazione amorosa e dura nelle botteghe e nelle fabbriche nelle quali il fanciullo diveniva uomo e l’aspirante diveniva maestro: buon costume che si usava per tutte le arti, in un tempo in cui al Parte gli uomini si accostavano umili, con venerazione. Ora ammiriamo un gruppo di anfore, vasi, boccali, che fiorisce di bianco e turchino un angolo dello standone. Sono imitazioni dell·« antico Savona » la maiolica monocroma del 1600, quella che il Torteroli chiama «Ja più nobile e pregiata ». Mi dicono subito che Pimitazione, per quanto amorosamente e pazientemente studiata, non ha mai potuto raggiungere le qualità 252 Maria Signorile degli originali, che si meritano la lode poetica (li Francesco Redi. (*) A questo secolo danno nome i Guidobono. 11 Padre Antonio, fu ceramista così rinomato, che i Savoia lo vollero «alia loro Corte ; I suoi tre iìgii furono tutti artisti come lui. Ma certo il più grande fu Bartolomeo « il prete » esemplare, dalle cui mani sbocciarono, in una vita non lunga, cose ridenti d'immortale bellezza, stupore e delizia per gli occhi degli uomini. La tradizione vuole che andasse a piedi sino a Parma in paziente e ardente pellegrinaggio d'amore, i\ studiare con venerazione il disegno e la magia del chiaroscuro, nel Correggio, e poi la festosa grazia del Reni, e il colore dei Veneziani. Di tanto splendore la sua arte si nutrì, s'inebbriò; egli divenne buon pittore e specialmente insigne ceramista. E come se intorno ai bacini, ai vasi, alle anfore, disegnati con maestria leggiadra, fossero scese carezze iridate di luce; tanta è la leggerezza quasi aerea delle tinte e la grazia con cui esse si sposano alla forma. Le corti e i palazzi andavano superbi di queste opere, e ora le conservano gelosamente i Musei, non solo d'Italia, ma di Nizza, di Kensington, e il Louvre. Anche il Museo di Savona ha questa rara fortuna : conserva la ricca e deliziosa collezione dei vasi fatti dal Guidobono per la spezieria delFOspedale di S. Paolo, nel 1GG6. Ve n'è Tina miriade di tutte le fogge e di tutte le dimensioni, in « antico Savona », con la scritta latina. Sono tutti di un'eleganza magnifica nella semplicità armoniosa delle tinte ; ma specialmente belle sono due anfore grandi, dal ventre leggermente ricurvo, ma slanciate, che si allargano alla bocca appoggiata con grazia a due semplici manici. Vi sono raffigurate scene della vita del Santo e specialmente la figura di questo è tracciata con una agilità di pennello meravigliosa, con una sicurezza stupenda e con deliziosa semplicità. Non una laccata, non un ritocco; con poche linee il pittore ha ottenuto l'espressione, la maestà, il moto, Pannonia. Tutt'intorno è un delicatissimo sbocciare di fiorellini d'un turchino lieve e pur intenso sul fondo d’un bianco particolare, direi quasi iridato, che ha sentore di azzurro, verde e giallo pallidissimi. Uno dei vasi è anche rallegrato da una corona di putti, stupendi nella loro ingenuità e negli atteggiamenti armoniosi. Non solo le tinte sono rimaste un segreto per noi, ma inimitabile è stata anche la leggerezza di questi capolavori, clic furono una* vera gloria per Savona. Secolo d'oro per la cittadina ligure, il Ό00 : in Italia e fuori andavano a mba le bellissime ceramiche nostre, e destavano con l’ammirazione il desiderio di emularle; i nostri maiolicali trapiantarono l’arte a Nevére, poi in Germania (( Ir. Alizieri) e in tine un levantino la recò tra gli splendori di Venezia. (1) Cfr. F. Ήei*i, Chiose al Bacco in Totcnna. T/Arte della Ceramica a Savona e Albissola 253 Siamo giunti cosi al. ’7(J0, caratterizzato dall'alta gara tra le fabbriche del Chiodo e del Levantino. .Mi mostrano un piatto monocromo, in tinte rosate, in mezzo al quale si disegna la figuretta umoristica d’un Pulcinella musico, contornata da un fregio leggero e simpatico; è l’imitazione del teina preferito da Agostino Batti, pittore fecondo ed eccellente ceramista settecentesco, abile, brioso, giocondo. Ancora oggi trovano favore le riproduzioni dei inonocroiui dei Batti (che vanno sotto il nome di Mile levantino) specialmente il rosa, dalle sfumature calde e delicate, e il verde che va dal color delle foglie nuove a una tinta cupa e pur ancora vivissima. Anche il Brusco e il Croce, pittori di buona fama, dipinsero maioliche per il Levantino, ma purtroppo non è possibile assegnar loro, con sicurezza, nessuna delle opere di quel periodo. In gaia colla fabbrica del Levantino fu quella, pure famosa, del ( hiodo ed ebbe come pittore ricco, colorito, festevole, Francesco Ampregnani, che oppose alla signorilità dei monocromi del Batti la· gamma gaia e delicata delle sue policromie sfumate, tutte disegnate a liori ed animali. Un interesse particolare ha l’opena di Gian Tomaso Tortoreli, che nella lunghissima vita· serbò una candida fedeltà a due amori : la sua arte e la sua Savona. Questa non volle abbandonare benché lo chiamassero a lavorare all'estero dove era giunta la sua fama ; quella ebbe come consolatrice nello strano isolamento in cui lo imprigionava il suo ni«ale, la sordità. 11 suo orecchio era chiuso ad ogni suono; ed egli quasi per consolarsi componeva col pennello armonie che coglieva con occhi ansiosi e donava alla gioia altrui. Sono paesaggi idilliaci, sono « bambocciate » arcadiche, in cui tutto è spontaneità e leggiadria ; scenette campestri, grappi di figurine aggraziate, spesso danzanti, cose fragili e ridenti. 11 Torteroli e il Brusco lavorarono in un secondo tempo col Boselli, altro notissimo fabbricante. Aveva una compagna bella ed artista, il Boselli, e i migliori pittori di Liguria come collaboratori, sicché opere superbe uscirono dalla sua fabbrica, caratterizzate da una bellezza aristocratica; ed egli divenne il ceramista dei patrizi e delle corti. Ad un senso vivissimo dell’arte univa una sapiente praticità e un tenace ardire; e pregiato, oltre che in tutta Italia anche all’estero. A Savona il Boselli è famoso specialmente pel suo Tempietto. che ora è stato amorosamente restaurato e ricomposto in un giardinetto vicino al mare; e intorno all’edificio esagono che vigilò il riposo di Napoleone, si affaccendano i bimbi nei loro giuochi. È be1- lo il Tempietto: tutto in ceramica meno la cupola emisferica d'ardesia, sorretto dalle sue sei colonnine che sorreggono a pilastri la 254 Maria Signorile loro grazili esile e sbocciano in alto in deliziosi capitelli conici. Γ11 fregio corre tutto all'intorno, e vi spiccano alate ligure di grifoni bianchi agilissimi, sul fondo azzurro quasi cupo e lucente. Sul da vanti, tra le personificazioni di Genova e dell'arte, è scritta la data : 17(j(3. E (lavanti al tempietto si allunga umi specie di terrazzo, disegnato da pilastri e sui (piali sorridono medaglioni e motivi in ceramica, abbracciati dai rampicanti. La competizione artistica tra il Lose Ili e Giuseppe Kobatto, lunga e vivissima, si concluse con un arScordo tra i due fabbricanti, auspice i! Senato Genovese; e dalla collaborazione dei due artisti nacquero cose ammirate. £ famoso, tra l'altro, un piatto a soggetto mitologico, lì rapimento di Proserp.ua, che fu stimato degno dono pel Senato Veneto. Continuarono l'opera del Boselli, senza raggiungerne i! valore, il F er 1*0 e il Degrossi, mentre il Kobatto ebbe a continuatore Seii-iino Bartoli, che trovò in Felice Giordano un ottimo pittore di soggetti mitologici e sacri. £ Fautore di bellissimi vasi di spezieria per le Teresiane Scalze. Sul principio del secolo XIX l'arte ceramica nostra non ha più la genuina bellezza di un tempo, ma è pur sempre di fama europea, e il commercio dei suoi prodotti è stranamente florido. Benché in genere l'imitazione di cose straniere domini nelle nostre fabbriche e l'inventiva e l’originalità si perdano via via nell’abitudine di rifare freddamente l’antico, le fabbriche del Marcellaro, del Folco e del Ricci lavorano attivamente, espongono con successo, vendono in Italia e all’estero. Il Ricci, con esito assai felice, ottiene la collaborazione di An tonio Brilla. Apprezzai ti ssi me furono le ceramiche di questo scultore e specialmente le zuppiere, disputate tra le corti e le case patrizie; il re d'Italia, Umberto, e l’imperatore d’Austria furono tra gli acquirenti (’) I na bella zuppiera barocca è nel Museo di Snvona. Ma ancora più bella è un'altra, monumentale, che i Savonesi donarono al Duce, è modellata e dipinta con gusto classico, in un stile che sa di Rinascimento, assai sobrio ed elegante; sul coperchio è raffigurato il trionfo della ceramica e, tutto intorno, sbocciano in rilievo gruppi di ninfee di fauni, dal modellato superbo nella sua fresca legg.adria. Tna brava pittrice savonese, Veronica Murialdo, lavorò nella fabbrica Musso, che nel suo periodo più fortunato fu paragonata alla Richard (Cfr. Corona). L'ultima fabbrica di Savona che gode fama europea fu quella dei Tambuscio e Quaglino, che arrivarono persino ad aprire una (.1) Cfr. F. Nof-Ehasso, Jm ceramica Hatoiictc. I/Arte della Ceka mica a Savona e Albissola 255 scuola di ceramica ed ebbero momenti di vero successo ; 111:1 la loro era ]>iiì imitazione accorta che arte originale, e perciò non aveva in sè vera l'orza vitale. Così, a poco a poco, caddero e scomparvero anche Je ultime faville di quella superba fiamma generatrice di bellezza ch’era stata; la nostra ceramica, e Parte della terra in Albissola si ridusse (per dirla secondo la sorridente maniera del Vergani) « all’umiltà quotidiana della pignatta ». Anni di abbandono, sterili, con la tristezza del rimpianto, col desiderio di una rinascita celato nell’imitazione, con una tìnta indifferenza, che era in realtà dolore e speranza. Finalmente, in quell’oscuramento, apparve il primo barlume della aurora. Come il vecchio tronco rugoso e spoglio, dopo il triste riposo invernale, tutto ad un tratto, al primo alitar di primavera, getta dalla scorza rude e secca un tenerissimo germoglio, meraviglia di vita e di giovinezza su la massa scabrosa ed inerte; e il germoglio via via si allunga, si distende, si rassoda, intensifica il suo verde, e nasce il ramo frondoso ; così all’antica tradizione di bellezza che sembrava ormai spenta, sboccia l’arte nuova, sua figlia. Sul primo ’900, quasi timidamente, alcune fornaci ricominciano a fumare, portando una nota di più laboriosa letizia nel bei paesino ligure. Ma la ruggine dell'abbandono ostacola- al principio il lavoro; gli inizi sono faticosi, incerti, spesso sconfortanti ; l’arte pare non voglia più porre il suo suggello su queste opere. Finché la· terra risente finalmente la mano dell’artista, e il colore e il fuoco trovano ancora dei maestri. I primi furono Mario Gambetta e Giuseppe Mazzotti. Per risollevare con 1111 colpo d'ala l’arte rinascente, che minacciava di stagnare e di tornare a morire nella miseria dei tentativi senz'anima, il pittore Gambetta diede alle fornaci dei pezzi in cui era arte, passione, certezza, volontà c pazienza. Alla prodigiosa· capacità nel disegno, nel colore, nella scultura, unì la tenacia laboriosa e l’ingegnosità inesauribile del ricercatore. Da questo connubio dell’arte con la scienza le sue opere acquistano un sapore particolare: sono cose altamente fantastiche e scienti licamente reali, accomunano cioè e fondano le due tendenze care al nostro tempo, che ama accostare Pala immateriale della pura· poesia al volto deciso e severo della scienza. Le triennali hanno segnato il crescente trionfo del ceramista in sicura ed amorosa ascesa. Le deliziose statuette turchine presentate all’ultima mostra di Monza hanno accresciuto La predilezione del pubblico verso di lui. Ma un’opera particolarmente, tra la produzione varia ed ardita, rivela la sua forza e la sua duttilità : è la Cappella Parile nel Cam-posanìo di Λ ìbissola Marina. 256 Maria Signorile Sull’altare si leva austero, e pur luminoso, 1111 trittico ; riquadrato in ardesia, con linee di nuda semplicità, reca al centro una grande figurazione in ceramica di Gesù Crocifisso e delle pie Donne ai piedi della croce raccolte in un quadro, tutto dolore e tutto fede: ai lati, in sei quadrelle per parte, sono rappresentate le tappe della A ia Crucis. Lo sfondo dorato, inciso a fuoco, quasi a dare l’impressione del mosaico, da chiarissimo che è verso il basso dei quadri, s'incupisce via via verso l’alto, e su di esso spiccano, in un coro di tinte ricche e pur contenute, le figure piene di vita. L'insieme è animato e ad un tempo severo, con quella sua concessione nella moderna e festosa policromia temperate dalla cornice di ardesia scura; '’aurea luminosità del fondo e delle aureole accresce il senso di mistica religiosità: è come se il gioioso canto dell'arte si facesse volontariamente sommesso e solenne nella casa della Morte. Da secoli la ceramica «ima i soggetti sacri, e da noi questa è una cara tradizione cui neppure gli artisti modernissimi hanno voluto mancare. Così, nella fornace di Giuseppe Mazzotti, il decano dei ceramisti albissolesi, nascono accanto alle ardite fantasie futuriste dei suoi tigli e dei loro collaboratori, le belle effigi di Madonne, di Angeli e di Santi, che nei nostri paesi sono messe a portare un sorriso benedicente sulle soglie delle case e a capo dei letti. Ail’originalità e all’ordinamento dei nuovi indirizzi dati alla produzione Mazzotti si unisce l’amore per la rievocazione qunsi nostalgica dell'antico, interpretato con intelligente fedeltà. La vetrina di questi ceramisti è come un fantastico giardino nel quale una mano d'artista bizzarro e sapiente abbia raccolto, in armonia di contrasti, i fiori dei più diversi paesi. Ecco 1111 vaso futurista di Torido Mazzotti, che, nella sua lucentezza senza fregi e senza disegni, nell'eleganza quasi rigida della forma, sembra una bella creazione meccanica animata dal soffio della fantasia. E, lì accanto, 1111 grande vaso bianco e turchino; a tre mascheroni, uno di quegli stupendi vasi da farmacia a scene mitologiche e putti, imitazione scrupolosa e preziosa dei capolavori seicenteschi. Ecco un tondo a soggetto sacro: dentro il bordo circolare, disadorno, è disegnato su fondo chiaro un bel S. Giorgio nel l'atto di uccidere il drago: e il disegno è, nella sua netta semplicità, una meraviglia di abilità e di grazia. E ancora un’anfora alta e snella, dal piede sottile, e poi, verso l’alto, via via più fiorente in una curva armoniosa, che si serra all’improvviso, alla bocca, in un orlo tondo. La tinta susciti! nella mente l’immagine d’una fiammata: infatti al fondo, sul piedestallo scuro, l’anfora si colora in un rosso a bagliori giallastri che, salendo, sfuma in tinte sempre rossastre ma sempre più scure, sino a divenire del grigiore cupo del fumo. L'Arte della Ceramica a Savona e Alixssola 257 Lì accanto è mi piatto di Tullio cTAlbissola, tutto una sinfonia di eliche vorticanti, di scorci variopinti di areoplani, tra getti di luce: breve strofa colorata inneggiante alle conquiste umane nel cielo. Della ditta, nella quale, accanto al vecchio Mazzotti, lavorano i tigli ed altri artisti audacissimi e noti (Strada Munari, Fillia, ecc.), hanno parlato critici come Marinetti e Ojetti; e il loro interessamento di per sè è testimonianza dell’approvazione che ricevono questi prodotti; consenso, bisogna dire, che è vivo sopratutto tra certe classi colte e cioè tra i fautori o i simpatizzanti del futurismo. Perchè l'ardimento di certe concezioni disturba i tradizionalisti, e in genere è accolto* con diffidenza, o almeno con riserbo, dalla massa del pubblico, non ancora decisamente orientato verso le nuove tendenze. È vero che, a volte, in questo campo si hanno eccessi, errori di gusto, deviamenti di fantasia; ed è naturale, trattandosi di esperienze nuove ed ardue; ma 11011 bisogna confondere gli scarti con il fiore della produzione, cioè con quelle opere in cui c'è con l'originalità, un vero (ardore di fantasia e un vero amore per l'arte. Il pubblico ammira con più pacata gioia 1’opera di due altri ceramisti, che dirigono le note fabbriche « Fenice » e « Casa dell’Arte » : il Trucco e il De Salvo. A loro bene si adatta l’elogia che Guido Marangoni (x)< fa dei moderni ceramisti italiani, in genere: essi concepiscono l'imitazione dell'antico solo come continua trasformazione e raffinamento e, con animo tutto moderno, sposano alla scienza* chimica la loro arte, tutta ispirata al ((sentimento estetico» del nostro tempo. Entrambi sono maghi dello smalto, sono- artisti e sono ricercatori; e, insieme con la passione pel loro lavoro, hanno il concetto ben chiaro e giusto di quel che è la «ceramica» e delle qualità richieste nel ceramista.’ Forma, decorazione cromatica, smalto, sono usati in unione e proporzione armoniosa, sì che il disegno e il colore divengono in inltà una aderente e mirabile veste sulla terra modellata: veste eli? però lascia libero respiro alla bellezza dello sfondo smaltato. La Casa dell’Arte, che vive dal li >19, ha due rare fortune: quella di appartenere ai Signori Barile, animati da uno squisito senso di mecenatismo intelligente, e di avere nel De Salvo un vero artista e -un vero ceramista. Le Triennali e altre mostre lo hanno fat-ΐ > ammirare, riconoscere e /affermare. Ma chi lo ha visto al suo lavoro può dire di lui ancora qualche cosa, anche se tanti giornali ne hanno parlato con tanto laudativo interesse; può dire che lavora con l'anima, in una ricerca insonne di superamento, che è la caratteristica spirituale dell'artista. (1) CJ. Marangoni, ì.c arti del fuoco. 258 Maria Signoiuiv: E artista è nel tornire, nel modellare, nel colorire ; le sue cose hanno il dono consolatore delia bellezza, perch'egli ama la sua- arte e ne ama la materia, la terra mo1 le ed obbediente e la tavolozza iridata. Con amorosa fantasia piega la sua argilla a fiorire in anfore, boccali, orenioli, vasi, tazze in ogni sorta di forme, tutte ondulazioni orizzontali, in rilievo, portano spesso uiranimazione di luci ed ombre sulla classica semplicità del pezzo; e alla sobrietà calda dell’insieme contribuiscono la decorazione e gli smalti. La decorazione è personalissima, decisa, moderna: generalmente scura, spicca sui fondi (l’una chiarità minutamente chiazzata, ed è rara, piccola, sparsa. Un serpentello attorno, una sintetica caravella, un pesciolino che guizza sulPondeggiare di tre righette sovrapposte, un tridente, cavallucci e stelle inaline.... Ê la natura che ispira. Inesauribile fonte di bellezza, miniera di colorate armonie. Si direbbe che quella meravigliosa ricchezza di tinte sia passata nelle opere di Giambattista De Salvo, con tutta la sua freschezza fatata. Varietà inesauribile, sfumare delicatissimo di tinte, toni pallidissimi e cupi, gamme pacate o ardenti, iridescenze picchiettature, fosforescenze. E che cosa deliziosa, queste vernici ! Di lontano, hanno un'apparenza ruvida e scabrosa, e al tatto· sono vellutate come una. pesca. Laboriose e appassionate, tenaci ricerche hanno portato il De Salvo al ritrovamento dei suoi smalti, e ne parla con orgoglio. Quante ansie, quanta intelligènte pazienza, quanta ingegnosità perspicace per ogni conquista. A volte persino, un errore, persino un cattivo scherzo del fuoco, rivela all’occhio scrutatore dell’artista una nuova via, un i nuova bellezza : così, da piccole bolle formatesi nello smalto e scoppiate dal calore del forno, lia saputo ricavare certe fosforescenze microscopiche che sembrano impoi-, verare (Poro gii sfondi cupi. Chi ha visto .all’ultima Triennale la « Donna col gatto » e alcune -quadrelle, ha riconosciuto in questo ceramista anche il buon scultore. E, a proposito di quadrelle, mi piace citarne una che a me pare così rappresentativa- e così personale: Va Ecce Homo ». Vi è dipinta solo la- testa del Salvatore, in un predominare di color terrigno e marrone, con pochissimi tratti. Vi è un abbandono profondo nelle palpebre chiuse e special-mente nella posizione delle labbra. Gli occhi s’infossano nell’ombra. Spicca la nera corona di grosse spine; la barba e la capigliatura- sono rese con pochi tratti semplici di giallo e marrone scuro, in doloroso disordine. L’incarnato bruno conserva una tenera trasparenza rosea; è scabroso; due righe diritte scavano le rughe ai lati del1 a bocca. Non c'è bellezza, ma espressione, macerazione, divina maestà nella Morte. L'Arte della Ceramica a Savona e Ali is .-oli E mi ardimento, è mia bella affermazione, perchè questo piccolo quadro ceramico, che non ha il difetto 0 soci. Qualora tale numero si accresca l'aumento sarà corrisposto in ragione di L. 10 per ogni socio. Saranno inoltre a carico della Società le spese di preparazione dei cliches illustranti gli articoli presentati dalla Società stessa. La prego pertanto di esaminare la possibilità di addivenire allo accordo su questa base, onde le trattative abbiano felice risultato. Il condirettore della Rivista nominato dalla Presidenza sarebbe naturalmente il prof. Nino Lamboglia. La partecipazione alla Direzione del Giornale è stata ritenuta dalPassemblea una garanzia» indispensabile all'equa distribuzione dei compiti che la rivista deve assolvere. Gradirei ricevere una risposta prima· di domenica prossima onde presentare raccordo concluso alla prima seduta del nuovo Consiglio direttivo. » Non tardai, naturalmente, a rispondere; ed il marzo misi la questione nei suoi precisi termini con queste parole: « Ilo il piacere di comunicarle in risposta alla sua del -0 con*, che sono assai lusingato che la Soc. Storico - Archeologica Ingauna abbia favorevolmente accollo la proposta di partecipazione alla pubblicazione del Giornale Storico e Letterario della Liguria. Mi occorre però rettificare la frass inesatta « si tratta di partecipazione della Società alla pubblicazione », perchè il Giornale si è offerto soltanto di ospitare il risultato dell’attività scientifica del sodalizio che ella tanto onorevolmente presiede. Il Giornale Storico e Letterario della Liguria ha settantanni di vita con questo titolo ma in realtà la sua data di nascita risale Dìsl ficcanaso « et de quibusdam aliis» 263 al 1828, ed è quindi forse la più antica Rivista d’Italia. Ed oggi non lia bisogno· di mendicare l'aiuto di nessuno. Forse Ella ignora elio io ne sono il proprietario e nominalmente il condirettore, di latto però runico direttore perchè F amico Formentini, come sa il prof. Lambogiia, non se ne occupa molto, soverchiamente occupato coin’è nelle sue alte mansioni scientifiche. Detto questo per debito di lealtà, mi preme di mettere in chiaro i precedenti che hanno dettato le sue proposte, le quali già con mia grande sorpresa e non le nascondo, con viva deplorazione, ho vedute date in pasto al pubblico e A MIA INSAPUTA, sul giornale il Lavoro del 20 cori·, u. s. Quando io partecipai alla seduta della Soc. Storico - Archeologica nel dicembre u. s., tanto cortesemente invitato dalla S. V., credendo di comprendere dallo svolgimento della discussione che a codesta Società mancasse un mezzo di divulgazione degli studi di Archeologia dissi che la mia Rivista avrebbe potuto ospitarli ben volentieri nelle sue colonne. Infatti, avendo essa collaboratori nella riviera di levante e in Lunigiana, a S. Remo e ad Imperia (il prof. Canepa, il prof. Lagorio, ecc.) sarebbe stato certo bene averli anche in Albenga. Successivamente il prof. Lambogiia venne da me a chiedermi se io ero disposto a pubblicare i verbali della Società: risposi che nulla si opponeva a. tale desiderio: solo volevo sapere quale contributo avrebbe portato all’amministrazione della Rivista; e cioè su quanti abbonati si potesse fave assegnamento. Non nascosi al prof. Lambogiia· che avrei desiderato che la Società si uniformasse a quanto fa la R. biblioteca Universitaria di Genova, La quale dà un contributo di. L. :>U1)() per avere 100 copie della Rivista, delle quali dispone come crede — io so però per cambi — e ciò per semplicità animili i-st rat iva data la pieila ìidnci.a che io ho nel prof. Nurra. Mi giunse poco dopo una lettera della S. V. in cui mi si chiedeva nientemento che di cambiare il titolo alla Rivista, di metterla sotto gli auspici di codesta Società e mi si imponeva un condirettore ed altre richieste, il tutto per F offerta di L. 1500 per 150 copie. In realtà soltanto per la simpatia che ho per il prof. Lambogiia. accettai di continuare nelle trattative, ma non nascondo che già da quel momento avevo capito che ben difficilmente ci saiemmo potuti intendere. Non risposi quindi alla lettera; ma al prof. Lambogiia, ritornato, dissi che non facevo questione di denaro, ma semplicemente di coltura; ero ben disposto a metter lui, come studioso nel Comitato di Redazione in ottima compagnia ; e avrei messo la Rivista anche sotto gli auspici della Società Storico -Archeologica Inganna ; e mi sarei pure accontentato di diminuire come non ho mai fatto a nessuno, le (piote di abbonamento, sempre che la Società si fosse impegnata per un determinato numero di soci. L'accordo sembrava raggiunto su un 264 Arturo Codignola impégno base di codesta- Società per .100 copie col corrispettivo di L. 1.500 annue e cioè col 50% di ribasso. Le proposte contenute nella sua ultima in *un punto mi seminano di una gravità che non posso non rilevare « la partecipazione alla Direzione del Giornale è stata ritenuta dalPassemblea tm,a garanzia indispensabile all’equa distribuzione dei compiti che la Rivista assolve ». Credo che Pingiuria- contenuta in queste parole tradisca il pensiero dell'assemblea, perché se essa ne fosse invece la fedele espressione, avrei saputo, se presente, rintuzzarla nel modo dovuto. Io soltanto sono il giudice di quello che si pubblica nella mia Rivista e credo che una mia promessa sia sufliciente garanzia. Concludo : se codesta Società crede di inviare articoli, verbali, ecc. alla Rivista alle condizioni suddette, la Direzione sarà lieta — fermo restando quanto sopra eletto — di accoglierli. Sarà poi dato un posto nella redazione della stessa a un vostro socio designato, sempre che codesta Società si impegni, di fronte alPAmministra-zione di contribuire come Genova e La Spezia alle spese della stampa. » Copia di queste due lettere credetti mio preciso dovere di renderle note lo stesso giorno « per conoscenza ed edificazione » al prof. Raffaele Di Tucci, il quale il 2(3 marzo rispondeva così : « Sono stato presente all1 assemblea della Ingaunia, ed ho espresso il mio parere sul collegamento fra il Giornale Storico ed essa. IL j)arere era, nella sostanza, quello che il Presidente le ha riferito, con la lettera di dui mi favorisce la copia·. Di froaite alla freddezza di un gruppo di soci, ho creduto che fosse un bene alleare con una delle più «antiche Riviste d’Italia una società giovanissima e fiorente, con quelle condizioni che mi parevano non solo eque, ma già, in via di massima, concordate. Ilo* pure suggerito, per valorizzare meglio, nei confronti delPIngaunia, il collegamento, di proporre un condirettore al Giornale nella persona del Lamboglia. Detto questo, sento il dovere di assicurarla nel modo più categorico che nessuno, nell'assemblea o fuori, lia mai avuto la più lontana intenzione ài recarle ingiuria, anzi, alle mie affettuose e giuste parole di lode per lei, ho avuto il più incondizionato consenso. Devo pertanto dirle, con la franchezza che ritengo necessaria ad ogni buona amicizia, che 1 ’interpretazione da lei (luta ad una frase non felice del Presidente addolora profondamente tutti i soci del-l’Ingaunia e in particolare il suo....» ecc. ecc. La risposta era tale da richiedere un chiarimento, ciò che feci il 31 marzo successivo in questi termini : « Sono veramente dolente ohe l’interpretazione da me data ad una frase « non felice », convella scrive, del Presidente della So- Del ficcanaso « et de quibusdam aliis » 265 cietà Ingaunia, rabbia addolorata, ina in realtà io debbo constatare clie le sue dichiarazioni solo in parte concordano con quanto è apparso nel giornale 11 Lavoro del 20 u. s., anzi ih qualche punto smentiscono la sua asserzione che la frase del Presidente sia stata « non felice ». Ella infatti scrive d’aver suggerito per valorizzare meglio, nei confronti della Ingaunia, il collegamento, di proporre ol. 19, Fase. 106, pag. 275. [Periodo in cui la Coröica cade sotto il dominio della Francia. Esame della situazione politica in quel tempo. Avvenimenti dal 1769 ad oggi : tratteggia le condiz. della Corsica dopo la conquista francese: omertà, malavita, tratti d’interesse elevati. La Corsica segue l’Italia fino al ’70 poi la politica francese la devia nel regionalismo. Estr. formato di 3 articoli editi in Nuova Ani. 1923, (CCXVII), 16 Nov. ; Archiv. Stor. di Corsica, 1925, pagg. 44, segg. 125-169. Saggio di una Bi.ìliografia generale sulla Cor» ica 273 Enfi di Cultura ALMANACCO reale di Corsica dell’amio 1750. Bastia, Stamp. Accademia del Vagabondi, 1750. AMBROSI — Le Musée Corse de Bastia, in Revue de la Corse, 1923, (IV), pagg. XIX-XX. INaturale, preistorico e numismatico] AMBROSI Le Musée Corse, io Revue des Études anciennes, Oct.-Dic. 1912, pagg, 402. CLARETIE Léo — Bastia Littéraire en 1750, in Revue de la Corse, 1922, (III), pagg. 166*169. FRANCESCHINI Emile — Un théâtre français sous la Restauration, in Revue de la Corse, 1922, (III) pagg. 53.59. CALEAZZINI Études sur les anciennes Sociétés littéraires de Bastia, in Dull. Soc. Hist» Corse, 1881, (1), η. 1 LETTERON — Les Sociétés Savantes à Bastia, in Bull. Soc. Hist. 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Bastia, Batini, (s. d.) 8°- Aj CAHIER des charges clauses et conditions générales sur les quelles il sera procède aux adiu-dications de la subvention en nature de fruits dans les pièves et communant-és de l’île de Corse pour les trois années qui commenceront au l’Avril 1782. Bastia, Ba-tini pagg. 30. CALMÈTES — Étude historique sur l'administration de la justice en Corse depuis les tempe anciens justqui à nos jours. Bastia, Fabiani, 1858, 2* Ediz. 1859, 8*, CALMÈTES — Inauguration du nouveau palais de justice de Bastia. Bastia, Impr. Fabiani,, 1858, pagg. 8. [Fondazione di una Corte d'ì Giurisprudenza ad opera di’ Paoli] CALMÈTES — Etude historique sur l’administration de la justice en Corse depuis les temps anciens.... Discours prononcé par M. Calmètes. Bastia, Fabiani, 1858, 8°. CANEPA Màrîo — La civiltà dei benefìci in Sardegna e una carta reale a favore di un corso, in Arch. stor. di Corsica, 1927, (III), pag. 134-143. [Illustra un privilegio di Vittorio Emanuele I (1786) a un sacerdote corso per potere ottenere benefìci ecclesiastici in Sardegna, riservati agli isolani fino dal tempo degli Aragonesi. (1554)] CAPITOLI concessi dal duca Galeazzo Sforza ai Corsi nel 1468, in Bull. Soc. Hist. et nat. de la Corse, 1883, (II), pagg. 634*660. CAPITULA Corsorum avec additions et modifications et la liste des habitants de la ter~e des Commune qui adhérèrent aux C. C., in Bull. Soc. Scient de la Corse (1881-2), 263. R. S. III, 351. CASALE — Consideration sur le jury envisagé dans ses rapports généraux avec la France et principalment dans son application au département de la Corse. Discours pro-nuncé par M. Casale... president du Conseil général de la Corse, Session, 1842. Bastia, Fabiani, 1842, 8°, B«*"· CLEMENTE XII PP — Bulla 24 Gennaio 1740 con cui si limita sia in Genova che in Corsica il valore del Privilegi nei casi di omicidfo. Genova, Stamperia dei Fanciulli. F CODE — Corse avec la traduction en italien. Paris, 1778, 4°, 3 voll. CODE corse — Recueil des.décrets et lois sou l’ançien régime, 15 voll., pubbiic chez Batini a Bastia, Ved. Collection des décrets. COLLECTION des décrets et lois pour faire suite au Code corse, publié par ordre du département nel 1791, chez Batini, a Bastia, 12 voll. Code Corse, (Continua) Renato Giardelli Rassegna Bibliografica Annibale Bozzola, La controversia aMStro-swrßa sulla capitolazione di Genova del 6 Settembre 174G - Estratto dal Bollettino Storico Bibliografico Subalpino, ]ST. 1-4 (XXXVI-, 1934-XII. La capitolazione di Genova del 6 settembre 1746, considerata per lo più dagli storici genovesi come una prova· dell’ignominiosa viltà dei nobili dominanti al re di Sardegna Carlo Emanuele III sembrava troppo mite e generosa. Egli vedeva· che, nonostante gli articoli della capitolazione, le truppe della repubblica non erano punto prigioniere, che conservavano le armi, che facevano, come prima, il servizio ordinario di guardia; al maggior numero delle porte della città e agli altri luoghi, che infine attendevano alle loro mansioni liberamente, in vista delle truppe imperiali e di concerto con esse. Ne ricavava la conclusione che una tale libertà e confidenza reciproca significavano che la pace e l’amicizia erano* ristabilite tra Austria e Genova, che la repubblica non era più riguardata come nemica e che v’era dunque stato tra le due parti un qualche accomodamento. Il re indovinava o almeno si avvicinava molto al vero quando si diceva persuaso che certamente i genovesi avevano chiesto agli austriaci come una grazia di essere dispensati dal fare il minimo atto di sottomissione a lui e di non nominarlo neppure nella convenzione. Infatti, fra le istruzioni che il governo di Genova aveva dato ai suoi parlamentari c7era stata» quella di conchiudere prima che arrivasse il re sardo a chiedere qualchecosa per parte sua e di instare perchè il comando austriaco s’impegnasse a far sospendere le ostilità dal suo alleato e a far evacuare, alla conclusione della pace, il territorio della repubblica. Questo punto che era già stato- messo chiaramente in luce dal Pandiani nel suo noto studio sulla cacciata degli Austriacji da Genova è ora nuovamente illuminato e corroborato di nuove prove e nuove testimonianze dalle ricerche del Bozzola che costituiscono un ottimo saggio di storia diplomatica, illustrano un particolare ignorato sui rapporti fra ΓAustria e il regno di Sardegna mai troppo cordiali neanche in regime di alleanza nè, specie da parte austriaca, Rassegna Bibliografica 279 pienamente sinceri, e recano nuovi contributi alla conoscenza delle condizioni politiche di Genova in quel fortunato momento nel quale si svolse l’episodio più popolarmente celebre della sua storia. Ë naturale che gli storici genovesi abbiano rivolto la loro attenzione in particolare al fatto interno dell’insurrezione e al gesto che ne fu scintilla iniziale; ma sviscerato ormai in ogni suo particolare quell’avvenimento, caro al cuore e al ricordo non solo di ogni genovese ma di ogni italiano, è opportuno per una più vasta comprensione storica non isolarlo dall’ambiente nel quale si compì, ma inserire più profondamente tutte le vicende di Genova tra il trattato di Worms e quello di Aquisgrana nel più ampio quadro della politica contemporanea, delle mutevoli situazioni e dei vari atteggiamenti degli alleati e dei nemici della repubblica. A questa più larga conoscenza, che diventa perciò più ampia e sicura comprensione, lo studio del Bozzola reca contributi assai notevoli. La resai e la capitolazione di Genova non rappresentano un gesto eroico dell’aristocrazia del governo· certamente ; ma, abbandonata dagli alleati, con 1;esercito austriaco alle porte e con la [ire-occupazione assillante del nemico tradizionale e più temuto, doveva sembrare opportuno accordarsi con l’uno anche a gravose condizioni pur di evitare l’altro. 11 dissidio' ormai secolare tra Genova 33 in 8 pp. 139) Fra gli innumerevoli problemi, in tutto o in parte ancora in-soluti, di cui è ricca la storia del nostro diritto, uno dei p'iù ardui, e perciò anche dei più dibattuti, è quello che si riferisce all'origine storica, alla struttura ed alla natura giuridica della commenda o societas maris. Ë essa un negozio, in forza del quale uno υ più capitalisti (si antes) commettono a un terzo (trafitador), di sdito commerciante o proprietario di nave, una certa quantità di danaro o di merci perchè, il tractator ne faccia oggetto di. scambio attra\ei so- il traffico marittimo e procuri quindi un lucro a se stesso ed ai sovventori. Ma accanto al caso in cui il capitale viene conferito unilateralmente dagli stanies, vi è quello di conferimento bilaterale da capitale (a cui dunque partecipa anche il tractator). Seconda la dottrina dominante, ognuna delle maggiori citta marittime italiane del Medio Evo possiede un proprio tipo dii commenda, che adempie a una simile funzione. E ciascuno di questi tipi si sdoppia poi in due forme ben distinte a seconda che il conferimento di capatale, sia bilaterale o unilaterale (a Venezia le due forme sarebbero comprese nell'amico nome di colleyantia·, a Genova avverrebbero invece denominazioni distinte e cioè, rispettivamente: societas maris c accomandalo). Sono questi i due poli intorno a quali si concentra dapprima l’attenzione dell’A. ; dopo aver precisato, in una solida e sobria- introduzione i punti di partenza, l'oggetto i limiti della sua ricetta. Rassegna Bibliografica 285 Secondo Γopinione del Lasting e del ('essi, i vari tipi di commenda che si riscontrano nei diversi centri dei traffico marittimo italiano del Medio Evo (Genova - Venezia - Pisa ecc.) sarebbero nettamente d:stinti fra loro, per origine e per natura giuridica. Senoncliè, l'esame del contenuto delle formule relative alla Commenda, usate nei documenti genovesi e in quelli veneti, si rileva che l'istituto è identico nei due centri; e identica deve anche essere dovunque la sua •origine storica. Da respingersi dunque l'ipotesi del Cessi, che la « col legantia » veneta sii sla svolta dal foen-us nauticum la coni menda genovese dal deposito irregolare, e che le altre forme rappresentino un termine medio svolto dalla società*; da respingersi anche la tesi da altri sostenuta, che l'istituto, sorto in un determinato luogo si sia poi diifuso per recezione. Esso, afferma PA. è un istituto proprio del diritto marittimo: e non può non avere perciò l'uniformità e l’universalità che è propria dei rapporti di diritto marittimo: del resto, la storia della attività commerciale nei bacino del mediterraneo ci rivela che i traffici, anche nei secoli più oscuri «dopo la mduta dell'impero, si sono sempre svolti secondo determinate correnti sulla base di un fondo comune di consuetudini giuridiche, marittime e commerciali. Premesso dunque che l'istituto appare unico in tutto il bacino del Mediterraneo, rimane da vedere se abbia un riscontro nelle fonti la teoria dominante, per la quale in ogni centro si presenterebbero due forme ben individualizizate e distinte di commenda: quella con conferimento unilateral e quella con conferimento bilaterale di capitale. La dottrina, su ogni altro punto discorde, sembra aver raggiunto un accordo sulle due seguenti proposizioni: 1) la commenda con •conferimento unilaterale ha preceduto cronologicamente l’altra forma; 2) nella societas maris, a differenza delVaccomandaiio, si forma un capitale sociale e si istituisce una comunione di rischi e di utili. Quest’ultima conclusione è sostanzialmente accolta, per quanto con incertezze e notevoli divergenze, da quasi tutti gli scrittori che si sono occupati del problema : il Cessi, il Bosco, il Silberschmidt, il Lästig: il quale ultimo, mentre vede nelYaecomandatio una società unilaterale di lavoro (locatio conductio operarum, od operix), ravvisa nella societas maris i caratteri di una società reciproca. Ma neppure siffatte affermazioni trovano conferma nelle fonti. Pur prescindendo dalle fonti venete, dove anche formalmente la col legantia, sia con conferimento unilaterale sia con conferimento bilaterale di capitale, appare istituto unico, non sembra che la tradizionale distinzione abbia ragione di esistere neppure nelle fonti genovesi : dove appare la sostanziale identità dei requisiti formali ed essenziali dei due contratti. Per arrivare a questa conclusione, PA., con lodevole rigore scientifico, prende in esame i tre elementi che caratterizzerebbero la socie- 286 Rassegna Bibliografica tas, mentre 11011 si riscontrerebbero nell’acconcindatio : patrimonio sociale, comunione di rischi, comunione di utili. Quanto al primo elemento·, è vero che un fondo è tenuto distinto, ma questo ematici e è comune anche al \' acconta ndat io ed è giustificato unicamente dalla necessità di determinare esattamente lucri e perdite; le disposizioni contenute nel Constitutum us its pisano, se rettamente interpretate, sono la migliore riprova della affermazione delFA. Neppure la comunione di rischi è 1111 elemento proprio della società# maris: è essa piuttosto un carattere comune a tutte le forme di partecipazione capitalistica all'impresa marittima, ivi compresa il foenus nauticum e 1 accomandalo. Per quanto riguarda intine la communio proficui, FA. dimostra brillantemente come, a questo proposito, unico sia il concetto applicato nelle due forme di commenda: se neWacco mandat io spetta al tnsctator so'o un quarto dei lucri, mentre nella soyietas glie ne spetta la metà, ciò è dovuto al latto, che in quest ultima, egli è anche un capitalista, e perciò gli spetta una quota supplementare dei guadagni. Circa la priorità cronologica fra le due forme, è da ritenersi che esse siano coeve : ma è certo che, nel periodo più antico, fu di gran lunga più diffusa la forma con conferimento bilaterale, che presentava assai maggiori garanzie al capitalista. Accertata così l’unità della commenda in tutto il bacino dei Mediterraneo e la comune struttura giuridica dell’aQCOìnanctat.'o e della societas matts, FA. si addentra nel cuore del suo terna, dedicando il III capitolo del suo lavoro alla natura giuridica della commenda. Nel dibattito che investe tutto l’istituto, ò questo il punto maggiormente conteso. Contro la teoria del Lästig, che vedeva nell’istituto un rapporto institorio (l. c. operis od operatimi), teoria integrata storicamente dal Weber, d.al Bosco e dalFArcangeM, già il S:'lberSchmidt e lo Sdiupfer avevano opposto il carattere reale dell’istituto e la sua funzione essenziale di impiego di capitale. Ma 1111 nuovo argomento, e veramente decisivo, porta qui FA. contro la tesi del Lästig: il passaggio al tractator della proprietà delle cose a lui affidate dallo stans. Che questo si verifichi in effetti FA. lo dimostra con grande ricchezza di prove: basti considerare che spetta al capitalista un diritto di pegno sulla nave e sulle merci consegnate D'altra parte, l’interpretazione del contratto quale semplice rapporto institorio, urta anche contro la posizione del tractator, che non appare un semplice conductor, ma il vero dominis neyotli (gli elementi che dimostrano la sua autonomia di fronte alla s;an& sono numerosi e notevoli: partecipazione ai, lucri dell’impresa, piena indipendenza nella gestione economica dei capitali accomandati, prescrizione brevissima dei diritti dell’accomandante, rapporti, esterni). Donde risulta illuminata· in pieno la funzione caratteristica dell'istituto : impiego di capitali; e inaccettabile la teglia del Lästig. I na seconda teoria vede nella commenda (e particolarmente quella· con conferimento bilaterale di capitale) una società# pecunia opera. In verità, il concetto appare non ben determinato in coloro stessi che lo affermano (per esempio il Ciccaglione e lo Hcliupfer): so’o il Bosco e il Gessi vedono nella forma ibilaterale una vera e propria società. Concepito l’istituto in tal senso, si aggiunge che la sua origine dovrebbe ricercarsi nel divieto canonico delle usure: ma pur prescindendo da ciò (che può facilmente dimostrarsi la irrilevunza di quel divieto), è tuttavia evidente l'erroneità d el Γ i de n ti fic az ione commenda-società. Non soltanto, per diritto Romano fattispecie con contenuto economico simile a quello della commenda (per es. peculio) non rientrano nel concetto di societas; ma il contratto di commenda si mostra con quel concetto incompatibile, mentre appare assai vicino alla societas romain un altro istituto, la societas oti invicem} che si/ distingue però nettamente dalla commenda. Escluso adunque che la commenda possa farsi rientrare nella societas romana (contratto di natura personale, e 11011 reale; che si risolve ip&o iure con la morte di uno dei soci, mentre non altrettanto accade per la commenda, ecc. ecc.), deve anche escludersi che essa rappresenti. una forma di sodetas medioevale : la quale infatti, sorta per evoluzione della società romana, presenta due caratteristici elementi : la formazione di «un patrimonio sociale e la responsabilità solidale fra i soci: e sono appunto questi elementi che mancano nella commenda. Una terza teoria finalmente vede nella commenda una figura ibrida, una forma capace di diversi contenuti, un contratto sui generis non definibile nè economicamente nè giuridicamente. Questa posizione, assunta prima dal Silberschmidt, e poi dallo Schupfer, ebbe indirettamente larga influenza anche suglii altri studiosi della commenda, i quali infatti le hanno attribuito diverse funzioni, accostandola ad altri istituti profondamente diversi (società, mandato, deposito ìriejgolare, deposito irregolare, contractus aesthnatoriuS). Ma, e già nel periodo più antico l'istituto si presenta ben delineato e definito, e arbitrarli appaiono gli accostamenti che se ne sono fatti. Notevoli, indubbiamente, le analogie, dall’A. stesso riscontrate, fra commenda e deposito irregolare : il quale — come è noto — adempiva- in effetti alle funzioni di mutuo, e perciò appunto si ravvicina sostanzialmente alla commenda ; ma ciò nonostante 11011 può questa considerarsene dirotta derivazione, poiché il deposito irregolare non adempiva alla funzione di impiego dei capitali neJ commercio marittimo (rera a tal line un apposito istituto: il foc-nus nauticum■}., che è funzione tipica della commenda; può diasi piuttosto che derivi dal deposito irregolare la commenda presso ban- 288 Rassegna Bibliografica diicri, clie è per altro cosa ben diversa dalla commenda maritti nia. L’A. pertanto, riprendendo e svolgendo un concetto già accennato dal Goldschmidt e dal Caroselli, afferma la natura essenzialmente i'enei a tizia del l'isti tuto. Rimane ancora un problema :che è quello che si riferisce alle origini dell'istituto. Di tutti gli studiosi che si sono· occupati della questione, il solo Goldschmidt ha accennato a una derivazione di esso dal foenus nauticum : gii altri negano che gli corrisponda orno speciale istituto dell'antichità. L'A., nell'approfondire il problema, ha fatto tesoro dei risultati di alcune recenti ricerche (quali, per es. quella del Segrè, relativamente alla recezione di istituti giuri-diclii orientali nell'Occidente medioevale): la partecipazione capitalistica ad imprese di mare era attuata nell’antichità nePe forme di società per l’esercizio di singoli, navi o società di armatori; di peculio; di prestito marittimo (foenus nauticum). Esclusa — come abbiamo visto — la derivazione della commenda dalle due prime fonti (ed esclusa anche — data la difficoltà e quasi impossibilità dell’indagine — quella del tapputum dell’antico diritto babilonese) rimane da esaminare la terza possibilità. L'A., sulla base dei risultati raggiunti dal Paoli nei suoi Studi, di ilirilto mitico, traccia una netta distinzione tra mutuo ordinario e fofinus nauticum, dimostrando le sostanziali diversità dei due istituti, diversità che si riassumono nel line proprio di quest’ultimo : la speculazione commerciale. Ora, fra i caratteri del prestito marittimo e quelli della commenda è facile riscontrare una vera identità : un'uaiva differenza è quella relativa alla corresponsione degli interessi dovuti al capitalista: infatti, mentre nei foenus muticum è dovuta allo stans una percentuale ]»redeterminata sul capitale mutuato. nella commenda gli spetta una parte dei lucri derivanti, dalle operazioni di scambio. Ma ΓΛ. con brillantissima ed acuta analisi supera anche quest‘ulti ma oilìicoltà, dimostrando come proprio l'unica differenza- che si riscontra fra i due istituti sia dovuta a una particolare evoluzione, prodotta dalle speciali condizioni del commercio e del traffico marittimo nell'alto Medio Evo, in forza della quale il foenus houteum si è trasferito in commenda. Il ponte di passaggio è rappresentato dalla Lrcokoinoia. Questo sviluppo storico c confermato da quello successivo, che si verifica a partire dal secolo XIII: con le migliorate condizioni dei traffici e dei commerci, si ripresentano le condizioni più propizie per lo sviluppo del foenus nauticum: e perciò a questo istituto — che nei secoli precedenti era stato sapraffatto dalla commenda, pur continuando a coesistere parallelamente ad essa — si riaccosta ora alla commenda, fino a fondenis; del tutto: esso ritorna cosi alla fonte donde, in particolari condizioni storiche, era sgorgata. Le conclusioni a cui, attraverso questo bellissimo saggio, pervie- Rassegna Bibliogràfica* 289 ne l’Astuti, anche se non in ogni parte definitive, rappresentano — come si vede — una pietra miliare nella storia della commenda. Il lavoro è condotto con severo rigore scientifico e grande ricchezza di informazioni. Particolarmente importante è la constatazione che, pur muovendo da nn punto di partenza diversissimo, eg’i è pervenuto alle medesimi conclusioni cui è giunto il Paoli nel suo geniale .studio sul Prestito marittimo nel diritto attico : il che è ancora una riprova, (se pur ce ne fosse bisogno) della fondatezza di' quelle conclusioni. A. T. Codignola Riccardo Bacchelli - Mal d’Africa - Ed. Treves, 1935 - L. 12. Amor di gloria militare e di conquista imperialistica, desiderio vivo di far raggiungere nuovi confini ajla -scienza·, senso mistico déliai civiltà e di portare il giusto verbo del vero Dio, illuminarono gli spiriti dei bianchi dell’ultima ’800. Forse in realtà fu semplice desiderio di avventura, fu l’ultima Tliule romantica di portare oltre Γinesprimibile ansila, la gioia romanticissima di scoprire terre nuo-He, di rivelarle agli uomini, di dir loro che c’erano ancora nuove foreste, nuovi deserti, meravigliosi fiumi, magiche montagne. Fu il vero « mal du siècle », e gli spiriti dell’800 lo sentirono come vera vita, come poesia, come religione. Fu il mal cVAfrica... Era un male questo peggio di un morbo, e lievitava ardente nel lingue della gioventù europea in quello scorcio- dell’800. Il Continente Nero non rivelava nulla dei suoi misteri le sue foreste erano impenetrabili, il corso dei suoi fiumi non atto alla navigazione, i deserti pietrosi ed assolati uccidevano gli uomini bianchi. Ma la morte non poteva contro la febbre che s’alzava sottile e magica da quella terra, a far richiamo, a ridurre gli uomini schiavi della Sfinge africana. Mal d'Africa si chiamava. Ed era il richiamo di quella terra oscura e tenebrosa a dar sferza agli uomini, a tendere loro lo sguardo, ad acuire loro la niente, il cuore. Sostavano per anni nelle plaghe africane, molti morivano, qualcuno tornava. Per anui i popoli europei erano nella più completa ignoranza della loio vita, delle loro gesta. Le terre sconosciute creavano intralci ed agguati ed essi, i bianchi dell’SOO, dovevano combattere, avanzare, magari ritirarsi, ma poi continuare sulla strada che l'Europa tracciava fieramente nelle j»biglie sconosciute. Erano esploratori e geografi, uomini d'armi e missionari, avventurieri e anti-schiavisti, scienziati; e dovevano rilevare la vastità e la ricchezza del Continente Nero, l'ombra della c’vihà più sorda ai tentativi di luce, portata anche con la, forza delle armi. Il Bianco incontrò la morte e la sconfitta. Non valse a trattenere la sun azione. Il mal d-Africa· era atroce, peggio 290 E asseg na Bibli ografica di un morbo letale: anche quando i tentativi fallivano, anche quando sgomenti glii nomini bianchi tornavano indietro, ecco che sordo e potente, oscuro e lancinante, si alzava il richiamo della misteriosa terra africana. E gli uomini dell’SOO abbandonavano casa, famiglia, patria, «abbandonavano le loro faccende d’amore e di vita^ riprendevano la strada verso il Congo e il Nilo,verso il fiume delle Gazzelle e l’Uebi Scebeli, verso i confluenti dei fiumi torrenziali. Il richiamo della terra (.1*Africa era lancinante ed acuto. Ma se la vita o l’oscura miseria degli uomini li costringeva ad abbandonare i loro tentativi arditi quant’altri mai, se la Patria li richiamava dicendo loro che il compito era finito·, ecco che nella tranquilla vita condotta all’ombra della civiltà europea, il mal d’Africa saliva a pungere, ad agitare la loro stanca vita. Dopo l’azione, Ja morte. Salivano i sogna e le memorie, saliva la figura di Stanley ■— Buia Matari — Frangitor di rocce, saliva la figura di Emin Bey — ebreo tedesco levantini^)tosi e misterioso come le terre che lo videro ideale sovrano — salivano i sogni e le vecchie sempre fresche avventure. Allora il sangue pur vecchio, il corpo intristito dagli anni avrebbe voluto partire per dar mano alle armi, per combattere ancora coai-tro i vecchi nemici, contro il re Caprega, contro Cabaca, Macàma. Poi la morte lenta metteva pace e tregua. Grandi esploratori quelli che viaggiarono PAfrica, allora, grandi come nessuno può credere. Foreste tenebrose e pantana infidi, piaggi© torrenziali e morbi pestiferi frantumavano il fisico, ma non il coraggio, lo spirito, lo stile della loro vita. All’azione degli elementi materiali, i bianchi dell’SOO contrapponevano l’azione viva del loro spirito. Azione rude ed inumana talvolta, ma sempre aspra ed audace: l’uomo si trasformava in fatto, meglio, in poesia. Il -Ni- lo e il Congo soggiacevano alle forze degli uomini bianchi, alla loro azione. Azione viva e fattiva: anche le parole erano azione. Azione viva e fattiva. E qual poeta può cantare con miglior forza, con vera poesia, l’incontro di Stanley con Livingstone? Forse l’imperialista Kipling, ina non con simile universale canto di solitudine e d’immensa audacia. Ecco i due bianchi nel centro dell’A-frica. L’Europa non spera più nell’incontro di Livingstone, non sa nul'a e crede che pure Stanley si sia perduto, sia morto* forse. F Stanley parla, il Frangitor di Rocce h:i poche parole ‘quando ritrova Livingstone. Xon ha fremiti nel volto, nè commozione. Solo gii occhi gli scintillano. Ila camminato mesi, ha combattuto contro selvaggi e cannibali, si è ribellato alle malattie, ia disperazione più sorda lo ha sorpreso più di una volta. Ed ora che ritrova il grande viaggiatore Livingstone. Stanley si rivela inglese, asciutto e forte. Dice : « Mr. Livingstone I presume? » « Yes ». Ed in queste parole sarà tutto rincontro fra i due Monchi rappresentanti della civiltà. Rassegna Bibliografica 291 Viaggiatori d’Europa, di tutta· l’Europa. Francesi, inglesi, tedeschi, italiani, belgi. Ugnò bianco audace e di spirito accorreva ne 11’Africa. Ture in quello* scorcio ultimo dell'800, in quegli anni di assestamento interno· della Italia una, fra tanti rappresentanti (delle nazioni europee, si rivelavano a glifi occhi dell’imparziale osservatore le grandi differenze che intercorrevano fra i viaggiatori ira-Ulani e quelli della terra d’Inghilterra e di Francia. Se, in questi ultimi, la coscienza della propria nazione imperialista prevaleva sulla ricerca dell’avventuroso e della terra nuova, sicché .alla base di o>gni loro iniziativa si deve vedere in realtà il senso concreto e politico della conquista, od anzi meglio il senso imperialistico- di estrema fiducia nei destini della loro patria, il mal d’Africa aveva altra causa ed altra origine nei viaggiatori italiani. Ein un mal d’Africa sottilmente romantico, era un male da innamorati del nuovo e della novità: il senso dell’impero non si era ancora formato nelle coscienze italiane. E forse in questo viaggiare lungo i corsi del Nilo e del Congo, lungo le «sponde del Lago Alberto, in questo studiare i bacini idrografici, in questo combattere contro lo schiavismo, gli Italiani di allora vedevano, ancor più che il desiderio di scoprire terre nuove, un semplice proseguimento delle battaglie del Risorgimento, un sogno romanticissimo e bello. Non si occupavano di contingenze più pratiche e più utili. Il loro disinteresse è meraviglioso, ’a loro adone è illuminata da un semplice, sano desiderio d’avventure, forse da un senso vivo di italianità in relazione al fatto vii far vedere al mondo che i figli della Nazione che si era andata formando pochi anni prima, non erano da meno degli altri. Nulla di più. Secondo noi è tutta qui la differenza zi one fra l’esplorazione italiana e quella condotta da figli di altri popoli. L’azione dei. viaggiatori italiani resta solamente individua1 e e bellissima, senza relazione coi problemi vasti degli» imperi coloniali africani, e l’individualità di quegli italiani che ebbero occasione di vivere accanto al Gordon pcecià, grande anti-schiavista ed accanto agli Stanley, è individualità senz’altro romanzesca ed agitata dal più forte nembo di passione. Dagli Italiani, viaggiatori d’Africa, non vengono concepiti problemi politici e coloniali, concretati rapporti coi He di quella terra, che avrebbero potuto lare sostanza a nostre vitali colonie nell’interno dell’Africa : pure, con tutto ciò, gli Italiani in Africa erano uomini che mettevano in pnitica tutte le loro immense possibilità d’adattamento, le loro qualità superbe. Primo fra tutti il vecchio di Rovigo, Giovanni Miani, morto sul Fiume della Montagna ; ma Gordon pascià che dice a Gessi pascià, che fece la campagna di Crimea, che fu all’assedio di Venezia e Cacciatore delle Alpi con Garibaldi, 292 Rassegna Bibliografica che lece la guerra con Solimano e che morì il 22 Aprile del 1881 dopo una vita fantasticamente gloriosa e tutt’azione, « Peccato che non siate inglese » non è significativo e non fa comprendere quanto gli Italiani abbiano valso nell’Afifca? Avevano lo sprezzo della morte ed un coraggio temerario; si buttavano allo sbaraglio, e riuscivano; riuscivano h\ dove agli inglesi, ai grandi inglesi tigli di angeli e coraggiosi per definizione, sarebbe stata riservata sorte malfida ed insana. Sì, alla vita degli Emiliani e dei Messédaglia, che al sogno romantico deiravventura nuovul Tonte Lungo», romanzo storico che un giorno meriterebbe essere esaminato partita-niente per certi rilievi storico-politici di primo ordine, andasse periino a consultare le cronache del tempo sulle condizioni metereologiche d’allora). Ne «11 Diavolo al Tonte Lungo» si parlava della vita e delle vicende dei primi socialisti italiani, del Cafiero, di Andrea Costa e dell'agitatore russo Michele Bakunine, attorno agli anni 1873-75. Argomento serio e importante che il Bacchelli risolse in mirabile modo, pur abbondando di elementi storici, non fusi armonicamente con l'elemento romanzesco, come si lia ag\o di rilevare ad una prima· lettura di questo forte romanzo. Nel saggio» storico « La congiura di Don Giulio d'Este », a cui Giovanni Gentile dedicò un'intelligente e commossa recensione, il Bacchelli realizzava opera di puro storico. Ed ora dopo la parentesi del romanzo contemporaneo « Oggi domani e mai » in cui Bacchelli al contatto coi fenomeni sociali della nostra· epoca non sviluppò appieno quelle sue rare qualità di moi a-lista una la storia dei contemporanei è sempre la più difficile a ri levare, nel suo tracciato scheletrico denso di passioni e di pensiero) lo scrittore è ritornato alla storia, ha dedicato la sua attività al mal d'Africa di quegli italiani pazienti costruttori, creatori di un mito, ed avventurosamente romantici. Di certo In serietà innata del Bacchelli qui fa buona prova, e le avventure del lombardo Casati hanno onoratamente la qualifica
  • ottobre 1034. • * * Sul «Corriere Mercantile» del i) ottobre 1034 G. Mìscosi scrive de «La PRIMA CHIESA DEI SANTI NaZARIO E CELSO SUL LITORALE DI ALBARO ». * * * Lo stesso giornale pubblica il capitolo di Camillo Maufroui « L alterna fortuna delle NOSTRE citt.v italiane» in Levante, estratto dal volume « L Italia ed il Levante », edito dalla « Rassegna Italiana ». ♦ * * La fi pura di «Paolo da Novi, Doge» e la sua tragica fine sono descritte sul «Lavoro» delLTl ottobre 19:j4 da .iWu Molinaii. * * * Di ronzone «Un antico feudo della ÏUspuihiiAca geno\et-e »,^ scrne Adah pisa Via zzi Pesto sul «Corriere Mercantile» dolili ottobre 19o4. * * ♦ Uno scritto anonimo pubblicato sul « Nuovo Cittadino » del 12 ottobre Spigolature e Notizie 297 4 . . hrevi cenni storici sul « Codice di Sarezzano », pregevole cimelio miniato risalente al IV ο V secolb, che è stato di recente restituito alla parrocchia (li Sarezzano dalla quale era stato asportato sessantanni fa. * * * A'pio Pastore, sul «Lavoro » tlel 32 ottobre 1934, illustra come «Banchieri genovesi in Spagna fornirono le caravelle al grande navigatore ». * * * Dk .« 7 Santi Protettori dcgli Atigiani genovesi » scrive Giulio Jliscosi sul « Corriere Mercantile» del 32 ottobre 1934. * * * « I viaggi transoceanici di un secolo fa » sono descritti da A. Serrato sul « Corriere Mercantile » del 13 ottobre 1934. * * * Lazzaro De Simoni nel «Nuovo Cittadino» del 17 ottobre 1934 scrive fu « chiesa di San Luca d’Albaro », demolita nello scorso secoLo, e ne illustra le vicende storiche e religiose. * * * A proposito della auspicata prosecuzione della pubblicazi/one degli Annali di Calf aro e dei suoi continuatori, il «Secolo XIX» dei 17 ottobre 1934 pubblica sotto il titolo « Jacopo da Va rag ine », una intervista di Mario De 1 cechi con Giovanni Monleone, editore degli annali. * * * Il caratteristico paesello di « Fraconalto » e le sue vicende storiche, sono l'argomento di uno scritto di Arturo Dellepiane apparso sul «Lavoro» del 1S ottobre 1934. * * * Sotto il titolo «Il generai^ a Caprera» Daisy di Carpenetto pubblica sul « Secolo XIX » del! 1S ottobre 1934, tre lettere dii Garibaldi al Coltelletti, tratte dall archivio della famiglia omonima. * * * Il «Corriere Mercantile» del 1S ottobre 1934 pubblica uno scritto di ?*4. * * * « Il Raccoglitore Ligure » di ottobre 1934 pubblica uno) scritto di ,Venturi in cui sono illustrati alcuni «Quadri di Lodovico Carracci, m bui Reni e del Magnasco esistenti in una collezione privata genose.^e». o to è corredato da tre buone riproduzioni fotografiche. Nello stesso numero del «Raccoglitore» Padre Ornile da por£ un nuovo contributo allo studio della mistica ligure con o ceìibbe 1740 - La testimonianza giubata del P. Candido Giuss · * * Su «La cumpagnia de Bonasolla» scrive nel «Raccoglitoie Ligure Ottobre 1934, Orlando Grosso. * * * Antonio Costa continua sul « Ka^litore pubblicazione delle «Spigolature dai Registri _ estrae interessanti! note, cando lo scritto alla parrocchia di San Tommaso da cui estrae interessa Di Giuseppe Portion è lo «Raccoglitore Ligure» in cui è descritta « La morte dante », avvenuta in Genova il 14 dicembre del 1311. * * Purü nel « Raccoglitore Ligure » di ottobre^ Sn opere di Luca Gambiaso ». Le due , Voltaggio e «Sacra Famiglia» Bartolomeo» nella chiesa /%.°*ΡΡ^|^ο1ο è stato ripubblicato dal « Nuo-nella Villa Gropallo allo Zerbino. L aiticelo e «a vo Cittadino » il l.o novembre. Edoardo Parodi scrive sul «Lavoro» del 2 novembre 1934 della « Val Cantarena » (Sestri Ponente) risalendo le remote origini. * * * ^ ™ o novembre 1934 Vito Vitale nello scritto «LA œU“Revoca ?Γfesco episodio della congiura dei Zieschi, Spigolature e Notizie 299 * * * Tutti i giornali cittadini del 3 novembre 1034, dando l’annuncio della ■scomparsa dell ultijno dei Mille, Egisto Sivelli, ne tessono la biografia. * * * Interessanti note su « I Capitanati di Sestri e Cornigliano » pubblica G. Tubino sul « Secolo XIX » del 4 novembre 1934. * * * Sul « Lavoro » del G novembre 1934 « Stella Sera » sotto il titolo « L’Ultimo )> scrive commosse parole su Egisto Sivelli. * * * Il « Corriere Mercantile» del 0 novembre 1934 pubblica uno scritto di irjiilio Aliscosi su « I Santi Patroni degli Artigiani genovesi e quelli degli Esercenti ». * * ψ Uno scritto anonimo recensisce sul « Nuovo Cittadino » del 7 novembre 1934, la seconda edizione del volume « Balilla » di Franco Ridella dando ampia giustificazione delle aggiunte introdotte. * * * In « La papalina di Paganini » Qaraban sul « Giornale di Genova » del 7 novembre 1934 accenna a cimeli appartenuti al sommo violinista, ora della baronessa Paganini. * * * Lux nello scritto «Un astronomo francese del Settecento a Genova», pubblicato dal « Lavoro » dell’S novembre 1934, riporta le impressioni, notissime, di G. G. Lalande clie fu ospite della Superba nel 1765. * * * « La chiesa della Madre di Dio » è il tema di un articolo di Lazzaro De •Simoni pubblicato sul « Nuovo Cittadino » del 9 novembre 1934. * * * « I «ronchi» ed una grida del 1755 » è il titolo di un breve scritto di G. C. pubblicato sul «Nuovo Cittadino» del 10 novembre 1934. La grida è di G. A. D’Oria e sii riferisce ai disciplinamento del taglio degli sterpi. * * » « Arte e Storia a San Michele ni Pagana » sono1 descritte da Luigi Costa sul « Corriere Mercantile » del 13 novembre 1934. * * * Proseguendo l’illustrazione dei monumenti religiosi di Genova, oggi scomparsi, Lazzaro De Simoni descrive sul « Nuovo Cittadino » del 14 novembre 1934 « La chiesa di Capo Santa Chiara ». * * * Piero Radmondi sul «Lavoro» del 14 novembre 1934 illustra «Uno schedario dannunziano - Il poeta e Genova ». Lo schedario, opera di Tito Rosina, consta di circa quattromila schede suddivise in due parti, per soggetto e per autore. * * * Sul « Nuovo Cittadino » del 10 novembre 1934 Fra Ginepro illustra le sedici lunette affrescate da Ludovico Brea, recentemente venute in luce, nella Tolta della grandiosa biblioteca dei Predicatori nel Convento dei Domeni- 300 SPiGOLATURr e Notizie cani a Taggia. Loi scritto porta il titolo « Un tutore che lavorava gratis et amore Dei ». * * * Nel « Corriere Mercantile » del 20 novembre 1034, G. M. scrive de « Le Casaccie e Santa Sabina », accennando alla vecchia chiesa recentemente soppressa ed adibita ad uso civile. * * * Giovanni Carraro espone sul «Nuovo Cittadino» del 21 novembre il suo criterio per quanto riguarda « Toponomastica e dialetti ». * * * Art uva Dcllepiane, .sul «Lavorol» del 21 novembre 1034, scrive de «La porta del Molo Vecchio », accennando alle sue attuali precarie condizioni ed invocandone il ripristino allo antico splendore. * ψ * De « La marina velica in Liguria nella seconda metà Dell’Ottocento » tratta Tomaso Grò palio sul « Secolo XIX » del 22 novembre 1934. * * * Sul « Corriere Mercantile » del 22 novembre 1934 F. E. Morando scrive de « L'edizione nazionale degli scritti di G. Garibaldi ». * rfe * «La chiesa di Santa Giusta», già sorgente nei pressi dell’attuale Via Lavinia in Albaro, ora demolita, è descritta da Lazzaro Oc Simoni nel « Nuovo Cittadino » del 24 novembre 1034. * * * Sul «Corriere Mercantile» del 27 novembre 1934 ß. B., sotto il titolo «La Veloce», ricorda le origini/ e la vita di questa vecchia compagnia genovese di navigazione. * * * Carlo Bezzi in « Una visita All’Albergo dei Poveri », pubblicato dal « Nuovo Cittadino» del 28 novembre 1934, descrive le opere d’arte che sono cou-servate nell'*nsigne monumento cittadino. * * * L’opera recente di Alfredo Schiaffini « Tradizione e poesia » è ampiamente recensita da Mario Puppo sul «Nuovo Cittadino» del 2S novembre 1034. * * * «11 Corriere Mercantile» del 24 novembre 1934 pubblica uno scrittoi di Cesare Imperiali di Sant’Angelo su «Genovesi in Oriente». * * * Di «Gerolamo Boccardo», precursore dell'idea coloniale, scrive G. P. Bi ilazzi sul « Giornale di Genova » del 2S novembre 1934. * * * « Il Raccoglitore Ligure » di Novembre 1934 pubblica un ampio scritto di Antonio Costa su «Delitti e pene» a Genova nel secolo XVII. * * * «In aLcone epigrafi tombali Dfx PERIODO romantico», esistenti nella chiesa dei Cappuccini a Genova, scrive P. Umile da Genova sul «Raccoglitore Li-gure » di novembre 1034. Spigolature f; Notizie 301 « Una Deposizione di Agostino Bombelli da Valenza », conservata nell’oratorio della Misericordia in Genova, è illustrata da Mario Bonzi sul «Raccoglitore Ligure » di novembre 1934. Lo scritto è ripubblicato sul « Nuovo Cittadino » del 12 dicembre 1934. * * * Lo stesso numero del «Raccoglitore Ligure» rende noto uno scritto di Giuseppe Portigliotti « Sangue di Fieschi : Giulia Gonzaga ». * * * Pure nel «Raccoglitore» di novembre 1934 Arturo Dcllepiane illustra « Le miniature dei corali di Santa Maria della Costa di Genova Sestbi ». * * * « La chiesa di San Pietro in Quinto al Mare » è ampiamente illustrata da Antonio Cappellini sulla rivista «Genova» di novembre 1934. * * * Nel numero di novembre 1934 della rivista «Genova» (J. P. B igeizzi descrive « Un prezioso corale del Dugento », conservato nel convento di Santa Maria di Castello. * * * La rivista « Genova » di novembre 1934 pubblica brevi notizie biografiche di Egisto Sivelli luogotenente ed ultimo superstite della schiera dei Mille deceduto in Genova il l.o novembre a 91 anni. * * # Arturo Coclu/nola riferisce, nel fascicolo di novembre 1934 della Rivista « Genova »-sui lavori de «Il XXII Congresso della Società del Risorgimento Italiano ». Il congresso è stato tenuto in Sardegna ed a tutti i partecipanti stato offerto in omaggio il volumetto, edito a cura del Comune di Genov a, che illustra ampiamente l'istituto Mazziniano e la sua sistemazione. * * * Il « Giornale di Genova » del 30 novembre 1934 pubblica lo scritto di Ad nano Grande y già edito in «Nuova Antologia»: «Ritratto di Genova». * * * Nel fascicolo di novembre della « Rassegna della Provincia di Savona » Tengono rievocate da Italo Beo razzi « Confidenze giovanili di Pietro Sbarbaro », tratte da lettere inedite a Vittorio PMggi. * * * Nel fascicolo settembre - ottobre della Revue de la Corse il generale Colonna de Giovellvna tratta de «La prise ee Capri» e J. Carabi rievoca «Le roi Théodore à Venise ». i*. * * * Lazzaro De Si moni descrive sul «Nuovol Cittadino» del 4 dicembre 1934 « La chiesa di Santa Margherita della Rocchetta », già sorgente nell’insenatura alle falde dij Carignano verso la Marina dei Servi. La chiesa, ancora esistente nel suo fabbricato, è oggi adibita ad usi civili. * * * Il « Corriere Mercantile » del 4 dicembre 1934 pubblica sotto il titolo «Napoleone a Genova nel 1805» un capitolo del Volume di A. Lumbroso recentemente edito,: «Napoleone e il Mediterraneo». * * * Fra Caldino in « Gioiìxausmo dslla Riviera ni Ponente», pubblicato sul 302 Spigolature e Notizie « Nuovo Cittadino» del 5 dicembre 1034, accenna ai periodici editi trentanni fa nella riviera occidentale. * * * Uno scritto anonimo recensisce sul « Secolo XIX » del 5 dicembre 1934 il volume « Balilla » di Franco Ή ideila. * * * «Alcune lettere inedite di un eroe genovese : Carlo Mosto» sono pubbli-cate da L. Aj/nfoglio^sul « Corriere Mercantile » del 5 dicembre 1934. * * * >. c. sul « be colo XIX» dell S dicembre 1934 rinnova la proposta di restaurare il « Teatro del Falcone », dando brevi cenni storici di quella che fu un giorno una magnifica sala di spettacoli. * * * In «Lavoro» del 12 dicembre 1934 Lux scrive su «Genova Doro la restaurazione vista DA UN viaggiatore franco-elvetico». Il viaggiatore è Luigi Si-mond che iu a Genova nel ISIS. * * * J.jnanUno recensisce sul «Nuovo Cittadino» del 14 dicembre 1934 la mo-nograùa di Lugi Chiappe « La storia e la cartografia del Golfo Tigullio ATTRAVERSO I TEMPI ». * * * Di «Alcuni toponimi di Valle Scrivia » tratta Giovanili Carraio sul «Nuot-vo Cittadino » del 15 dicembre 1934. * * * A\. G. Mazzoni nello scritto «Cristoforo Colombo era spagnolo», edito sul « Corriere Mercantile » del 15 dicembre 1934, confuta una recente pubblicazione spagnuola. * * * Curiosi « Aspetti e caratteristiche dell'architettura rustica dell’entro-terra ligure» sono illustrati da Art uro Dcìlepiane sul «Lavoro!» del 19 dicembre 1934. * * * Di « Un dono di Nicolò V alla Pieve di Valllecciiia in Versilia » tratta lo scritto del can. L. Mussi, pubblicato dal «Nuovo Cittadino» del 22 dicembre 1934. * * * L'inizio della stagione teatrale al nostro Carlo Felice offre lo spunto a Stefano Rehaudi per scrivere sul «Corriere Mercantile» deli 24 dicembre 1934 di « Una Francesca da Rimini di due genovesi » (Felice Romani ed Emanuele Borgatta) rappresentata in quel teatro nel 1S37. * * * «Di un Presepio attribuito a L. Fazoio», esistente nella Pinacoteca di Savona ed erroneamente assegnato ad Antonio» Semino, scrive Mario Bonzi sui « Nuovo Cittadino » del 20 dicembre 1934. F. E. Morando in « Un dimenticato Odisseo a Genova » tratta sul « Corriere Mercantile » del 20 dicembre 1934, del Capitano Vincenzo Fondacaro il quale, con un canotto intitolato «Leone dii Caprera», compì la circumnavigazione del globo. Il Morando asserisce che il Fondacaro donò il battello al Museo della Superba mentre il solo cimelio lasciato alla nostra città Spigolature e Notizie 303 dall’intrepido navigatore è la bandiera spagnuola che gli fu consegnata dagli abitanti delle Canarie. * * * Lux in « La rivoluzione genovese del 1740 narrata da Voltaire », sul « La-voro » del 30 dicembre 1934, riesuma quanto si riferisce alpa nostra città ed alla sua pagina gloriosa di storia, nel vioflume «Precis du siècle de Louis XV». * afe * Nel XII fascicolo di « Contemporanea » Domenico Castagna illustra, nella storia e nell’arte, il « Palazzo di San Giorgio ». Lo scritto è corredato da ottime riproduzioni fotografi che. * * * Nello stesso fascicolo di «Contemporanea» uno scritto anonimo descrive brevemente « La Casa di Ser Branca D’Oria » ioi San Matteo. * * * Di Costanzo Carbone è lo scritto «La casa di Nicolò Paganini» pubblicato da « Contemporanea » nel XII fascicolo. * * * Sempre nello stesso fascicolo di « Contemporanea » Car7o JN ardi recensisce il volume di Tito Rosina» «D’Annunzio e la poesia di Garibaldi». ψ * ■ * Nella «Rassegna della provincia di Savona», Italo S co v azzi fa conoscere, ampiamente commentandole « Due inedite poesie giovanili di A. G. Barrili ». * $ * I. Rinieri termina ili suoi scritto su « I Vescovi della Corsica » nel fascicolo dell’«Archivio storico di Corsica» dell’ottobre-dicembre 1934, nel quale Troviamo ancora due ottimi contributi. Il primo di R. Cardarelli che tratta della «Comunanza etnica degli Albani e dei Corsi» ed il secondo! di D. Spadoni intorno all’opera de « Il generale Cervoni e i Corsi nella Repubblica doni intorno all’opera de «Il generale Cervoni e u Corsi nella Repubblica Romana del 179S-1T99 ». Doviziose, come di consueto, le rubriche « Notizie di fonti e documenti » « Varietà », « Questionario » e « Bibliografia ». APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA Studi e scritti su G. Mazzini pubblicati all’estero Giovanni Baoucct, Gli sforici legami di patrioti italiani di Tunisi con uomini del Risorgimento, in «Unione» Tunisi, 20 settembre 1934. L a. nfevocà un precursore dell’espansione coloniale italiana in Tunisia, Gaetano Fedriani ed accenna ai rapporti intercorsi fra lui ed il Mazzini. Gli eredi del patriota genovese consei vano tre documenti dell Apostolo, che dal Ragucci stesso verranno pubblicati nello stesso foglio, come vedremo, il 14 ottobre 1934. Z. Krzemicka. Krystyna Bel pi oso (sic), in « AViek Nowv » Lwow, 24 set-seinbre 1934. Succinto profilo della principessa Beigioioso; si accenna ai suoi rapporti con Mazzini. Noi, La rosa dei venti, in « Il mattino d'Italia », Buenos Aires, 27 settembre 1934. Si confutano non poche asserzioni contenute ?n un’opera sulla massoneria « Internationales Freimaurerlexikon », edita testé da due studiosi austriaici Eugen Lennhoff ed Oscar Ponser, « Noi leggiamo — scrive fra l’altro l’effemeride — che la prima uscita per le vie di Roma dei vessilli massonici avvenne il 7 marzo·. 1872 « nell’accompagnamento ddlla salma di Giuseppe Mazzini alla estrema dimora », mentre tutti sanno che Mazzini (il quale non fu mai regolarmente iscritto alla setta) mori a Pisa e fu sepolto a Genova ». --, Autografi di Mazzini, in «Giornale d’Italia», Buenos Aires settembre 1934. Si dà notizia degli autografi dell'Apostolo recentemente donati all’istituto mazziniano di Genova, giù segnalati. --, Lettere inedite di Giuseppe Mazzini agli Italiani di Tunisi, in «Unione », Tunisi. 14 ottobre 1934. Il llaguccï pubblica due lettere dell’Apostolo a Gaetano Fedriani dell’ll agosto e del 14 novembre 1850 e una del 29 ottobre 1851 al Comitato Nazionale Italiano di Tunisi. I tre documenti sono assai importanti perchè dimostrano come il Mazzini avesse anche colà dei proseliti, dei quali si serviva per la preparazione di moti rivoluzionari nell'Italia meridionale e perchè integrano la raccolta delle lettere del Mazzini al Fedriani, già edite nella edizione nazionale degli Scritti. — —. El partido y la naeion, in « Bandiera Argentina », Buenos Aires, 28 ottobre 1934. L’a. in un saggio critico illustra il concetto della nazione, ispirandosi alla dottrina mazziniana. Bibliografia Mazziniana 305 A. P. Rimoldi, Qiusemc Mazzini, Camillo Cavour, Giuseppe Garibaldi, Vitto* rio Urna miele 11 e Daniele Manin, in «Giornale d’Italia», Sidney, 3, 10, 24, 20, 31 ottobre e 7 novembre 1934. La figura del grande patriota veneto è studiata nel suo tempo e nei rapporti ch'ebbe cou 1 più grandi fattori dell’Pnitìt, non escluso Mazzini. L'articolo è in continuazione. ----, Prossima conferenza su Mazzini ed il Fascismof in «Progresso italo- amerieano », New-York, io novembre 1934. Annuncio della conferenza che tenne Filippo Bocchini a New York Γ11 novembre nella sede del Partito Fascista di quella città. Opere e studi su G. Mazzini pubblicati in Italia Gwilym O. Griffith, Mazzini profeta di una nuova Europa, Bari, Laterza, 1935. E’ la traduzione italiana della ben nota opera del Griffith, già segnalata, a cura di Bice Pareto Ma gUano, preceduta da belle pagine di presentazione dettate da Alice Galimberti. Giovanni Bordiga, Discorsi civili, Venezia, C. Ferrari, 3934. Fra i discorsi qui raccolti nel primo anniversario della morte del Bordiga ne segnaliamo uno nel quale viene rievocata — con sintesi vigorosa — la figura del Mazzini. Armando Lodolini, Congiure mazziniane alla vigilia del 1S59, in «Rassegna Storica del Risorgimento », Roma, luglio-agosto 1934. Vari documenti, appartenuti al Cavour, la maggior parte rapporti di un agente segreto del governo piemontese in Jsvizzera, il barone Alessandro Michaud, riferenti si a presunte congiure mazziniane per sopprimere, alla vigilia della seconda guerra dell'indL pendenza, Vittorio Emanuele li, Pio IX, Cavour ed altri personaggi eminenti, vengono resi noti, ed acutamente illustrati dal Lodolini. Lina Gasparini, Relazioni inedite sui: movi nienti rivoluzionari del 1S57 in Italia iilVareliivio di Stato in Vienna, in «Rassegna storica del Risorgimento », Roma, luglio-agosto 1034. Da copie conservate fra le carte dell’arciduca Massimiliano e edizioni di Capolago, in «Corriere Padano», Ferrara, 10 ottobre 1934. A/ uta disamina della monografia di R. C'addeo su Le edizioni di Capoìago. Riprende ΐη esame ie accuse mosse dall’a. al Daelli, confermando i sospetti del Mazzini, ed afferma che se non si farà prima luce completa sulle accuse mossegli «nessuno può giurare sulla sincerità morale di quest'individuo». Ubaldo Fagioli, Lettere dalla Liguria, in «Corriere ailriatico », Ancona* 32 ottobre 1934. Ampio resoconto di una visita compiuta dall'a. all'istituto mazziniano. Igino -Gobessi, Mazzini poofeta del 1Γagmrismo, in «Rassegna dorica» Roma 20 ottobre 1934. Risposta polemica all'articolo di Spezzaferri, pubblicato in «Idee e musiche contemporance», già segnalato. ___, Mazzini religioso, in «Italia letteraria », Roma, 20 ottobre 1934. Si ripubblica in parte la lettera di Mazzini al Mengozzi, resa nota da Marino Oiravegua e «la noi già segnalata, facendola precedere da questo troppo sommario giudizio: Bibliografia Mazziniana 309 «Per quanto ci sembri che il problema d'una concezione religiosa nonché filosofica vera e propria non esista relativamente al Mazzini, il quale crede in un ideale po-liti'o-sooiale — anch’esso d'altronde, spesso vagante nelle nebbie dell’astrattismo — e ne fece il motivo fecondo della sua opera di apostolo e di suscitatore di energie morali, la lettera appare molto interessante dai punto di vista documentario». —*—, I corrispondenti parmensi di Mazzini, in «Stampa», Torino, 21 ottobre 1934. Succinto annunzio della monografia di Giuseppe Micheli già segnalata. — —, La celebrazione carducciana a Polenta dì Dante. La elevata orazione di Arturo Marpicati, in « Popolo di/ Romagna », Forlì, 23 ottobre 1934. 11 Marpicati nell’esaltazione del Carducci, ha avuto il seguente opportuno spunto polemico: «Non si è forse tentato iu questi ultimi mesi, con iattanza che sbalordisce, e con lavorio di trapani in sordina, non solo «li abbattere Garibaldi, Mazzini, e sopra tutto il Carducci, ma d’iniziare persino una revisione del tradimento crudele di Francesco I\ di Modena, con intenti s’intende apologetici dell'impiccatore di Ciro Menotti?». Corrado Zacciietti Foscolo, Mazzini, De Sanctis, Carducci, in «Aspetti letterari », 'Napoli, 23 ottobre 1934. Per l’a. i nomi ricordati nel titolo apposto aH’articóìo «rappresentano le successive tappe della critica estetica e letteraria in Italia». __, Rispettare la storia, in « Popolo biellese », 2!) ottobre 1934. Si ripubblica, con una calorosa adesione, lo spunto polemico del discorso tenuto dal prof. Marpicati a Polenta esaltando il Carducci. --, L'inaugurazione dell1 Istituto mazziniano a Genova, in «Rassegna storica del Risorgimento », Roma, settembre-ottobre 1934. Resoconto deiriuugurazioue dell’istituto mazziniano avvenuta iu Genova il 22 giugno. Scrive l’autorevole rassegna : «L’Istituto mazziniano, ricco di una compiutissima biblioteca, di un magnifico archivio, di uu’emeroteca e di interessanti raccolte docu-una emeroteca e di una interessante raccolta di cimeli e documenti mazziniani, affidato, con scelta felicissima, alla direzione di Arturo Codignola». — —, L'Istituto mazziniano à Genova, in « Nuova rivista storica», Napoli, lu- glio-ottobre 1934. Si dà notizia della fondazione di questo Istituto «già dotato di una ricc* biblioteca di una. emeroteca e di una interessante raccolta di cimeli e documenti mazziniani, aiB-dato, con scelta felicissima, alla direzione di Arturo Codignola». --, Omaggio a Mazzini, in « Fede nuova », Roma, settembre-ottobre 1934. Si seguala il fascicolo Omaggio a Mazzini dettato da Antonio Gaucia, già ricordato in questi Appunti. Francesco Marengo, Giuseppe Mazzini nella cella di Savon«, in «Cronache savonesi », Savona, ottobre 1934. Il M. continua la Revocazione dei ricordi sul modo col quale il Mazzini passò il b"evo periodo di prigionia nelle carceri savonesi. Arturo Codignola, L'Istituto mazziniano in « Genova », ottobre 1934. È uua guida spirituale del nuovo istituto sborico che trae Ï1 suo nome da quello dell’Apostolo. La mouogrufia è iu continuazione. 310 Bibliografia Mazziniana --, II manifesto realista, in « L’Unilversale », Firenze, IO novembre 1934. Si ristampa il' ben noto manifesto, dal quale qui si trae questo acceuuo all’Apostolo dell’Unità · I banditori dei nuovi principi «vedono nella rivoluzione italiana intrapresa col moto per la libertà e l'unità nazionale, e ora portata al più alto grado e facentesi popolo e spinta sul campo d’Europa dal Fascismo, la premessa necessaria dell’impero umano che realizzerà la Monarchia di Dante e il Concilio di Mazzini». Γ. Pantaleo, Carlo Pisacane e la spedizione di Sapri, in «Regime fascista», Cremona, 1S novembre 1934. Nel giorno in cu2i a Capri s’è inaugurato un ricordo marmoreo a Pisacane, il Pantaleo ha rier/ocato con un vigoroso profilo la figura dell’Eioe che alimentò il suo gran cuore della fiamma dell’apostolo mazziniano. Ernesto Brunetta, L'Italia in Mazzini, in «Corriere Padano», jFerrara, 21 novembre 1934. In rapida sintesi l’a. rievoca la concezione ch’ebbe il Mazzini della missione dell’Italia, in contrasto a quella ch’essa fu nel secolo decorso. --y Cattedra Mazziniana, in « Grido d’Italia », Genova, 25 novembre 3934 Annuncio di due conferenze che vennero tenute in Milano da Claudio Armani e da Luigi Venturini, rispettivamente sugli argomenti : «Pensiero di Mazzini in un vecchio fascista» e «Le confessioni mazziniane di un antico conservatore». Il solitario dei Lupi, Mazzini e il problema adriatico, in « Grido d’Italia », Genova, 25 novembre 1934. Ampia disanima dell’opuscolo «Adriatico nostro», nel quale è ripubblicato il messaggio di Lincoln a M. Melloni. --, Gioberti, Mazzini e Mussolini in una conferenza di Paolo Orano, in « Corriere della Sera », Milano, 25 no\’embre 1934. Resoconto della conferenza, con egual titolo, tenuto dall’Oranò all’istituto fascista di cultura di Padova la sera del 24 novembre 1934. Francesco Marengo, La «Giovane Italia» in «Cronache savonesi», novembre 1934. Articolo di divulgazione dei precetti mazziniani. Arturo Codignola, L'Istituto mazziniano, in «Genova», novembre 1934. E’ la seconda puntata della guida già segnalata. Mercede Mundula, Una figlia spirituale di Mazzini, in «L’Isola», Sassari 4 dicembre 1934. La M. recensisce la recente monografia di Fanny Manis : «Una figlia spirituale di Mazzini (Lina Brusco Onnis)», testé edita dalla Casa Editrice Est di Milano, appassionta biografia della figlia del ben noto mazziniano Vincenzo Brusco Onnis Aldo Luzzati^, Figure del romanticismo mazziniano, in «PiesteV del Carlino», Bologna, S dicembre 1934. L’autore rievoca le figure dei tre fratelli Antonio, Mario ed Alfonso Florian, soffermandosi soprattutto su quest’ultimo, fedele seguace del Mazzini. F> I BLl OG RAFIA MAZZINIA ΝΑ 311 Arrigo Poggioli, Attualità del pensiero economico del Mazzini, in «Santa Milìzia », Ravenna, 8 dicembre 3934. Per l’a. il Mazzini «nella concezione del lavoro è all’avauguardia del pensiero economico moderno e la sua figura si eleva ancora gigante sull'orizzonte luminoso delle idealità sociali». --, Mazzini giornalista, in «La Tribuna», Roma, 11 dicembre 1934. Si dà il resoconto della conferenza dell'eguale titolo, tenuta 'in Ancona il 9 dicembre nel sodalizio «Amici dell’Arte» da Alberto Alessandrini. Alberto Tailetti, I «quaderni fascisti» di Piero Domenichelli, in «Corriere Adriatico », Ancona, 13 dicembre 1934. Si seguala, fra i quaderni fascisti, quello che Armando Lodolini ha dettato, col t.tolo «Vita di Mazzini narrata ai giovani fascisti». Laszlo Spezzaferri, Mazzini profeta del Wagnerismo, in «Idee e musiche contemporanee », Piacenza, 13 dicembre 1934. Ancora in polemica con Iginio Gobessi. A., Idee fondamentali di Giuseppe Mazzini, in «Veneto», Padova, 18 dicembre 1934. Succinto resoconto della conferenza tenuta in Padova il 15 dicembre da Romolo Caggese sul tema : «La rivoluzione unitaria nel pensiero di Giuseppe Mazzini». P. S·., Mazzini e Cavour, in «Lavoro», Genova, 19 dicembre 1934. Ampia e acuta disanima dello studio di Adolfo Omodeo, edito su la Critica, già segnalato. Stanis Ruinas, Funzione delVarte, in «Corriere Adriatico», Ancona, 22 dicembre 1934. La tesi dell’autore è da lui stesso enunciata con queste parole : « Foscolianamente scrivere è sinonimo di combattere. iSicchè speciale missione dell arte è plasmare gli uomini a tradurre il pensiero iu azione, a vivere, beneoperando, nella realtà politica e psicologica della nazione. L’arte fine a se stessa, cioè «l’arte per l’arte» è formula anarchica e atea come la formula politica «ciascuno per sè». Suprema condizione dell’arte e quindi della letteratura, intesa nel significato più alto e più nobile della parola, è partecipare attivamente alla vita del tempo in cui si vive, interrogare — come ammoniva il Mazzini — il pensiero dell'epoca nella nazione *e nell’umanità ». Il Comm. Prof. L'baldo Formentini con la fine dell'anno 1934 lascia al collega Prof. Arturo Codignola la condirezione di questo Giornale, del quale è stato il fondatore. E' superfluo ricordare ai lettori la attività scientifica del Prof. Formentini che, con rammarico, vediamo lasciare la carica non perù la sua preziosa collaborazione. Desideriamo ripetere al nostro collega i nostri più cordiali ringraziamenti per l'opera prestata per rendere sempre più efficiente questa nostra rivista. LA KEDAZIOXE Direttore Responsàbile : ÜBALDO FORMENTINI S. Λ· INDUSTRIE POLIGRAFICHE NAVA - BERGAMO INDICE ANNATA 1954 INDICE DELL’ANNO 1934 MONOGRAFIE Adolfo Bassi - Il delatore di Garibaldi . . . pagg. 1, 116 Ubaldo Formentini - Scoperte archeologiche nella città di Luni ....... peg. 14 Nino Lamboglia - Notiziario di archeologia e storia dell’arte ligure......u 18 Emilio Pandiani - Ancora sull’ insurrezione genovese del Γ£§3 e sul n Balilla υ .... w 81 Giuseppe Pessagno - Due ritratti colombiani . . « 124 Antonietta Brambilla - Carta archeologica della Liguria ........u 132 M. Mazzitelli - Su di un documento riferentesi al culto romano per l’acqua . . . . „ 134 Onorato Pastine - Genova e gli ultimi Appiani . u 140 G. B. Bianchi - Sul gentilizio dei Bianchi di Erberia w 176 Ferruccio Sassi - L’ evoluzione delle forme politiche lunigianesi dal secolo XII al XVI . . u 233 Maria Signorile - L'arte della ceramica a Savona e Albissola.......u 245 Renato Giardelli - Saggio di una bibliografia generale della Corsica .... . pagg· 34, 180, VARIETA’ Evelina Rinaldi - Autografi di Silvio Pellico . . pag. 17 DISCUSSIONI E COMMENTI Mario Lopes Pegna-Carlo Bornate - Ancora su una Colonia romana della Liguria occidentale . , 186 Arturo Codignola - del ficcanaso et de quibusdam aliis „ 261 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Nino Lamboglia - Topografia storica dell' Ingaunia nell'antichità (Ubaldo Formentini) , . pag. 42 Orlando Grosso-Giuseppe Pessagno - Il Palazzo del Comune di Genova (Carlo Bornate) . „ 49 Italo Scovazzi - Vittorio Poggi (Carlo Bornate) . „ 52 Pietro Nurra - La coalizione europea contro la Repubblica di Genova (Giuseppe Pessagno) . „ 53 Costantino Salvi - Carlo Emanuele II e la guerra contro Genova dell'anno 1672 (Vito Vitale) . „ 58 Vito Vitale - Diplomatici e Consoli della Repubbli~ f ca di Genova (Pietro Nurra) . . 195 Romolo Quazza - Mantova attraverso i secoli (Carlo Boiate).......>196 Rosario Russo - La ribellione di Sampiero Corso (Vito Vitale) ....... 199 Ilario Rinieri - La vera figura di Sampiero Corso (Vito Vitale) 199 Rosario Russo - La ribellione di Sampiero e la penetrazione francese nella Corsica (V. Vitale) u 199 Tiro Rosina - D’Annunzio e la poesia di Gai ibaldi (Enrico Terracini) ..... 209 Annibale Bozzola - La controversia austro sarda sulla capitolazione del 6 Settembre 1746 (V. Vitale) ( 278 , Bollettino della Società Archeologica Ingaunia e Intemelia (Emilio Pandiani) . . . 281 Guido Astuti - Origini e svolgimento storico della commenda fino al secolo XIII (A.T. Codignola) 284 Riccardo Bacchelli - Mal d'Africa (Enrico Terracini) υ 289 Spigolature e Notizie......pagg, 60; 211, 296 Appunti per una bibliografia mazziniana .. It 72, 224, 304 Indice dell’anno 1934 ...... 313 ALCUNI GIUDIZI .SULLA PRODUZIONE ARTISTICA DELLO STABILIMENTO ARTI GRAFICHE BOZZO & COCCARELLO - GENOVA Il Cardinale CARLO DALMAZIO MINORETTI, Arcivescovo di Genova : « ____la artistica c splendida riproduzione.... farà bella figura nella sala del- « l* Arcivescovado e resterà testimonio.... dell'abilità degli autori ». S. E. VJVORIO, Prefetto di Genova : a La riproduzione della tela di Bernardo Strozzi è veramente opera d'arie grati fica pienamente riuscita, e fa onore allo Stabilimento che adempie a un « nobilissimo compito, facendo conoscere i capolavori del pennello genovese ». S. E. MORMINO, Prefetto di Genova : « —voglio esprimere il mio vivo compiacimento per la perfetta riproduzione 5