Anno XVII - 1941-XIX Fascicolo I - Gennaio-Marzo GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Direttore: ARTURO CODIGNOLA Comitato di redazione : CARLO BORNATE - PIETRO NURRA - VITO A. VITALE DI “ MARFISA D’ESTE CJBO„ E DI UNA SUA GITA A VENEZIA Fra le figure di donne che nel secolo XVI hanno brillato nelle corti marchionali ed hanno contribuito a creare le più fantasiose leggende attorno ai turriti castelli del medio evo, quella di Marfisa d’Este non è certo delle secondarie. La sua vita si svolse in Ferrara presso la corte dei Duchi D’Este (]), suoi congiunti, ed in questo ambiente essa venne presto ad assumere un ruolo preminente per le sue doti di rara bellezza che riuscirono a creare attorno a questa strana figura muliebre un alone di fascino tale da farla signoreggiare su molti uomini, non comuni, del suo tempo. Anche Marfisa, come tutte le grandi bellezze potentate, ha una sua leggenda (2) ; leggenda fatta di romantici amori e di fantastiche crudeltà, ma la storia non si può occupare di certe vociferazioni che, specie nel caso di Marfisa D’Este, appaiono senza fondamento. Marfisa era figlia di Francesco D’Este, Marchese di Massa Lombarda, figlio di Alfonso I e di Lucrezia Borgia e fratello di. Ercole II. Essa era bastarda ma, col crescere degli anni, veniva però legittimata dal pontefice Gregorio XIII, il 28 giugno 1573, e dal Duca Alfonso II, D’Este, il 3 febbraio 1576, presso il quale ultimo veniva raccolta ed educata· alla morte del padre suo. Questi, nel suo testamento, disponeva un lascito dotale di ottantamila scudi alla figlia che affidava alle cure di Eleonora D'E- i1) Gli Este provengono da antichissima famiglia italiana da cui si propagarono le grandi casate dei Malaspina e dei Pallavicino. Essi erano l’unica casa regnante, veramente italiana, governante nella penisola. Cfr. : Muratori, Antichità Estensi. Cfr. : Littà, Famiglie celebri italiane. Parte la. (2) Ezio Flori, Leggenda di Marfisa d'Este, in « Emporium », maggio 1923, vol. LVII, n. 341, pag. 291 e seg. 9 ADOLFO CALEO ste (3) investendola, oltreché della mansione di consigliera, della facoltà di disporre circa il matrimonio della congiunta. Infatti per volere di Eleonora e del padre adottivo, Alfonso II, Marfisa andò in sposa al loro cugino Alfonsino D’Este primogenito del principe Don Alfonso, Marchese di Montecchio, loro zio. Le nozze ebbero luogo il 5 maggio 1578 ma non furono delle più felici per la brevissima vita avuta dal coniuge che veniva a mancare appena tre mesi dopo il matrimonio. Circa l’immatura morte di Alfonsino il Muratori scrive che « vivendo voluto godere con intemperanza del suo matrimonio » (4) egli morì nel dì 1 settembre dello stesso anno lasciando vedova Marfisa. La quasi fulmineità di questa scomparsa lascia però dubbiosi sull’assunto del dotto Muratori, il quale può avere errato, e si è portati a credere che tale morte fosse piuttosto il prodotto di qualche malattia addominale acuta, come ad es. un accesso di peritonite. Donne della vitalità e del fascino di Marfisa rimangono ben poco in stato di vedovanza. Fu presto circuita da ammiratori e le profferte di matrimonio nè si fecero attendere molto, nè scarseggiarono. Già sulla fine del 1579 si parlava delle seconde nozze che dovevano poi unirla con Alderano Cjbo, primogenito di Alberico .1 e di Elisabetta Della Rovere (5) marchesi di Massa di Lunigiana, nozze che per poco non andarono in fumo perchè il Duca di Ferrara voleva che Marfisa scegliesse per nuovo marito il signor Cesare Trotto (6). Ma Alderano, nato il 19 dicembre 1552 ed educato alla Corte di Urbino presso lo zio Duca. Guido TJbaldo, non era del tutto ignoto ed estraneo presso la Corte degli Este e finì col cattivarsi la simpatia di Eleonora, la quale così scriveva di lui, il 9 aprile 1580, alla vigilia delle nozze, al cardinale Luigi : « Ieri sera giunse lo sposo della signora Donna Marfisa il quale fu visto e accettato con molta soddisfazione da tutti ». Scrive lo Sforza (7) che « a dì 22 marzo 1580 il signor Marchese (3) Eleonora D'Este, sorella di Alfonso II e figlia di Ercole II; donna di gran bellezza anch’essa. Le sue grazie fecero si che il grande poeta Torquato Tasso, autore della « Gerusalemme Liberata », se ne invaghisse perdutamente fino a perdere il controllo di sè stesso col darle un bacio in presenza di persone convenute a corte. Alfonso II, in conseguenza di questo gesto di passione incontenuta, fece relegare il Tasso in una « casa dei pazzi » ove rimase alcuni anni. Per Eleonora D’Este vedasi: Vita di Torquato Tasso di A. Solerti, vol. I. (4) Muratori, opera cit., II, p. 339. (5) Sorella del Duca di Urbino. (6) R. Arch. di Stato di Apuania Massa; Lettera di Perseo Cattaneo ad Alberico I, in data 22 dicembre 1579. (7) Cfr. : Sforza G., Cronache di Massa di Lunigiana, edite ed illustrate da G. Sforza. Lucca, Tip. Rocchi, 1882, pag. 62. DI «MARFISA D’ESTE CJBO» E DI UNA SUA GITA A VENEZIA 3 Ill.mo andò a Castelnuovo di Garfagnana per passare a Ferrara e sposare la Ecc.ma sign.ra Marfisa da Este sua consorte; et perchè in quel tempo Massa si trovava bandita per sospetto di peste, convenne che a dettto Castelnuovo facesse otto giorni di quarantina, con tutta la sua corte. « Menò in sua compagnia 30 cavalli con cariaggi, et non ne potette menar di più rispetto a quel sospetto ditto di sopra. « Nostro Signore Iddio gli dia buon viaggio e felicissimo ritorno ». Il matrimonio di Alderano con Marfisa si celebrò il giorno 10 aprile 1580 e fu festeggiato « con spari, feste e giostre e altri bagordi pubblici » secondo i costumi del tempo. Esso fu concluso da Perseo Cattaneo (8) ; nei capitoli figurano la dote della sposa, ascendente a 80 mila scudi d’oro, e l’assegno annuo fatto al marchese Alderano dal padre Alberico I di 5000 scudi d’oro. Antecedentemente al matrimonio Perseo Cattaneo era stato anche incaricato da Alberano dell’acquisto di una filza di perle, valevole più di 2600 scudi, da regalare a Marfisa, perle « che le placcherò assai » (9). Che Marfisa fosse incline ai divertimenti, alla vita spensierata ed ai piaceri lo spiega oltre che il suo temperamento, che la trasporta a porre in evidenza le sue non comuni doti esteriori, un documento inedito, circa una sua gita a Venezia effettuata, dietro suo desiderio espresso al novello sposo, poco tempo dopo l’unione con Alderano. Lo diamo qui in nota (Nota « B »), nel suo testo integrale, ritenendolo interessante per la cronaca del tempo; si tratta di una lettera che un gentiluomo del seguito scrive ad Alberico I in Massa per informarlo minutamente sulla gita. * * * Come è spesso nelle umane cose, dopo un primo periodo di gioie e di vita concorde, non mancarono di profilarsi delle nubi sull’orizzonte famigliare tanto che, sulla scorta dei dati pervenutici, si può dire che anche questo matrimonio non fu troppo felice. Alle prime premure di Alderano subentrarono delle frequenti assenze, mentre altri divertivansi ad accendere la fantasia di Marfisa parlandole di altri amori del marito. (8) Perseo Cattaneo, figlio dello scultore-poeta Danese, fu giureconsulto e il più fidato degli agenti del Principe Alberico 1 che lo adoperò in numerosi « negoziati et ambascerie ». (9) Vedi lettera del 13 dicembre 1597, nel R. Arch. di Stato di Apuania Massa; Arch. Ducale, Busta 305, Carteggio Perseo Cattaneo. 4 ADOLPO CALEO Xel giugno 1580. il marchese Alderano col pretesto di una visita doverosa al Duca di Urbino e al Granduca di Toscana, « disgustati con lui per il suo matrimonio Estense ». partì ila Ferrara e stette assente più di sei mesi, trattenendosi parecchio tempo a Massa, presso i genitori, lasciando sola la sposa. Pare questo il punto cruciale della vita di Marfisa : corteggiata assiduamente da principi e nobili cavalieri, adulata, circuita da uno sciame di ammiratori, non c'è da meravigliarsi se la bella principessa ebbe qualche momento di debolezza (10f). Oltre a questa specie di vicissitudini coniugali si ebbero anche ragioni di dissenso di altra natura. I capitoli matrimoniali, sottoscritti il 30 gennaio 1580. oltre a varie cose di secondaria importanza, stabilivano, come detto innanzi. la dote di Marfisa in ottantamila scudi d'oro, da consegnarsi in tanti beni stabili. II principe Alberico promise d'instituire il figlio Alderano erede dei suoi feudi (ir) e dei beni da lui posseduti in Pisa. Roma. Ferrara, Bologna. Genova, etc*., e di sborsare ai coniugi l'annua pensione di cinquemila scudi d'oro, oltre i frutti della dote che si dovevano liberamente ritirare dai medesimi. Ma siccome il Principe non fu esatto nel pagamento della suddetta partita, così, per ordine del Duca Alfonso di Ferrara, gli fu mossa lite in Firenze, nel 1586, la quale lite però fu subito terminata. con amichevole accordo, il dì 23 dicembre dell'anno istesso, con cui Alberico cedette agli sposi tanti beni dai quali si potesse ritirare Pentrata dei cinquemila scudi d'oro promessi (L->. A testimoniare della bellezza di Marfisa ci sono tramandati due ritratti : uno delPetà infantile, e Taltro dell'anno 1583 quando essa aveva 29 anni, quindi nel pieno della sua floridezza. Tale ritratto, eseguito dal pittore Filippo Paladini, era andato perduto e venne rinvenuto nel 1937 in occasione della Mostra Iconografica Gonzagliesca nel Palazzo Ducale di Mantova, ma non sembra che sia del tutto a mano del Paladini poiché vi si notano ritocchi e influssi fiamminghi. Su questa faccenda dell'effige di Marfisa si innesta una interessantissima gara poetica fra il poeta Torquato Tasso ed un poeta dozzinale delFepoca a nome Giulio Xuti. 10; In « Emporium », loco citato, il Fiori narra di avere osservato in una mostra d’arte un fantasioso quadro raffigurante Marfisa su un cocchio trainato da cavalli bianchi attorniato dagli scheletri dei presunti suoi amanti, eliminati dopo averli posseduti. Ma, aggiunge egli stesso, si tratta di pura leggenda senza fondamento. 11 Essendo Alderano premorto al padre, ereditò in vece sua il feudo di Massa e Carrara il figlio di lui Carlo I. 12 R. Arch. di Stato di Apuania Massa: < Ricordi della famiglia Cjbo ». DI «MARFISA D’ESTE CJBO» E DI UNA SUA GITA A VENEZIA 5 Dei due sonetti del Tasso, scritti a questo soggetto, il primo è il seguente : Saggio pittore, hai colorita in parte la beltà che non ha forma e misura, miracolo del cielo e di natura ch’aduna in Lei ciò che fra mille ei parte; E perde la tua mano ardita e l’arte da così vaga angelica figura; ma quel ch’ella si adombra e quasi oscura avanza il bel de le più dorate carte. E maggior pregio il tuo felice stile ha qui perdendo che vincendo altrove, perchè il seren delle stellanti ciglia e del bel volto sol l’aria gentile tutte l’opere può, tutte le prove e superar ogni altra meraviglia. ìson vogliamo guastare, con dei commenti inadeguati, tale meravigliosa visione poetica e diamo senz’altro l’altro sonetto che ci appare anche più interessante e che fa risaltare in modo ancor più brillante la figura di Marfisa : Questa leggiadra e gloriosa donna di nome altero e di pensier non crudo, non ha per arme già lancia nè scudo, ma trionfa e combatte in treccia e in gonna; e imperiosa d’ogni cor s’indonna con la man bella e col bel capo ignudo del caro velo, onde tra me conchiudo ch’ella sia di valor salda colonna. Pur inerme non è, ma ’l casto petto, lo qual si prende il vano amore a scherno, copre d’un lucidissimo diamante. Or chi ritrar lo puote a l’occhio interno? Qual fabbro a divin opra eletto s’assomigliar il ver fìa che si vante? (13) È certo gran ventura — anche per una donna della levatura di Marfisa — Tessere cantata da poeta di tanta grandezza ! (13) Cfr. Sonetti del Signor Torquato Tasso sopra un ritratto dell'illustrissima e Eccellentissima Signora Donna Marfisa D'Este Cibo Marchesa di Massa, etc. In Fiorenza, MDLXXXIII, appresso Giorgio Marescotti. Di questa rara pubblicazione si conoscono sole tre copie. L’esemplare da noi consultato, grazie alla squisita gentilezza dell’egregio Dott. Pappaianni del R. Arch. dì Stato di Apuania, è custodito presso la R. Biblioteca Palatina di Firenze 6 » ADOLFO CALEO Alla cacciata degli Estensi, nel 1598, Marfisa rimase in Ferrara dove il 11 novembre 1606 le morì il marito che la lasciò sua erede universale, con testamento del 1° di quel mese rogato da* Giacomo Botta. Marfisa D’Este Cjbo fu donna assai prolifica avendo avuto ben otto tìgli. Essi sono: Carlo, primogenito, n. a Ferrara il 18 nov. 1581. Ebbe per compare Massimiliano, Arciduca d’Austria e gli venne imposto il nome di Carlo Francesco. Salì sul trono di Massa e Carrara il 18 gennaio 1623. Fin dal 22 febbraio 1605 aveva sposata Brigida di Giannettino Spinola, genovese, che gli portò in dote 120 mila scudi e lo rese padre di 11 figliuoli : otto maschi e sei femmine. Il 7 febbraio del 1625 ebbe il titolo d’illustrissimo da Ferdinando II per -sé e i suoi discendenti. Ferdinando : nel 1590 fu tenuto a battesimo da Ferdinando I de Medici, Granduca di Toscana. Si fece ordinare sacerdote e fu Cavaliere dell’ordine di Malta. Morì il 28 febbraio 1635 e venne sepolto nel coro della distrutta chiesa di San Pietro, presso il ricco ciborio in marmo da lui fatto scolpire con grande spesa (14). Altri figli furono: Francesco, n. 1584 + 1616. Odoardo, n. 1585 + 1612. Cesare, n. 1587 + 16.... Alessandro, n. 1594 + 1639. Delle femmine una morì in fasce; l’altra. Vittoria (n. a Ferrara nel 1588 + a Massa il 10 ottobre 1635} andò in sposa al Conte Ercole Pepoli di Bologna che il principe Alfonso D’Este fece assas-sinare a Ferrara- nel dicembre del 1617. Marfisa esalò l’ultimo respiro il 16 Agosto 1608 _e venne sepolta in Ferrara nella chiesa di S. Maria della Consolazione. Sulla sua tomba fu posta un’epigrafe aleatoria e il Cardinale Alderano Cjbo, al tempo della sua legazione in Ferrara la fece sostituire dalla seguente: D. O. M. — D. D. Marphisae Estensi Cjbo — qua e — ex aureo Ducum Ferrane sterriate edita gemma — quam a maioribus auserat lucem ausit moribus (u) Matteoni, Guida alle Chiese di Massa Lunese. Massa Carrara, Tip. Ca-gliari, 1880, pag. 38. DI «MARFISA D’ESTE CJBO» E DI UNA SUA GITA A VENEZIA 7 — foemina ingenii viribus eximiis praestans viris — eque — auctoritati nata congenita pietati — heroina — inter vwos degens hos mirantes constituit — & vivis decedens mentes destituit — lapidem exultant,i nunc matri doloris — primogenitus filius — Car olus Massae Princeps — p. m. — Anno MDGXIII. Che Donna Marfisa non lasciasse proprio quella cattiva fama che altri le ha voluto attribuire lo si arguisce anche da quanto a di lei proposito scrisse il Canonico M. A. Guarini (15). (15) Marco Antonio Guarini, Diario di tutte le cose accadute in Ferrara etc. Vol. II, pag. 291. Manoscritto nella Biblioteca Estense di Modena. Nota A) La maggior parte delle notizie del presente scritto sono state attinte presso il R. Arch. di Stato di Apuania Massa, Archivio Ducale, Sala G. Vedi : Carteggio di Alberico Cjbo, busta 229; Carteggio di Perseo Cattaneo, busta 305; Copialettere di Alberico I Cjbo M., registro n. 274; Notizie storiche e genealogiche della famiglia Cjbo, Sec. XIV-XVIII. Nota B) Lettera di Cesare Palma ad Alberico Cjbo: Ill.mo et ecc.mo Signor mio oss.mo, Ragionando alcune sere in palazzo di S. A. di Ferrara di Venezia et delle sue vaghe et rare qualità in presenza della signora Duchessa Eleonora et della Signora Donna Marfisa essendovi anco il Marchese godendo sì bella conversatione fu pregato dalla Signora sua consorte che gli dovesse concedere questo favore di menarla in detta città il giorno della Ascensione ove sì per il poco cammino come anche per la gran comodità di barche per il Po si sarebbe con gran piacere andato; et così astretto il Signor Marchese dalla Signora predetta in presenza di una tal Duchessa gli concesse et promisse menarla non solo a Venezia ma anco dove altro luogo havesse saputo nominare. A Ili 9 di maggio si partirono da Ferrara detti Signori con cento et tre boche fra gentilhuomini et servitori d’altra qualità; quando si partirono fu il lunedì dopo desinare accompagnati da molti cavalieri ferraresi principali et in particulare il Signor Don Alfonso D’Este et Don Cesare suo figliolo strettissimi parenti de l’un et de l’altro fin al Po in luogo lontan di Ferrara quatro miglia dove li burchi di S. A. aspettavano et così si imbarcorno et la prima sera s’andò ad alloggiare in un luogo lontan venti miglia da Ferrara chiamato Crespino del Conte Alfonso Turcho il qual conte si fè trovare in detto luogo con un apparecchio grande et con tanti suoni et balli che con la quantità di Dame di detta Signora et i gentiluomini si fè festa grandissima. Le Dame di dette. Signora erano otto et i gentiluomini di tavola sei et altri d’altra tavola ventuno senza altri servitori bassi i quali ascendevano alla soma di cento et tre. La mattina del martedì a otto hore si partimo per Venetia et tutto il dì in giuochi et canti dentro di detta barca senza smontare in terra s’andò via di longo. A 23 hore e mezzo del predetto giorno si gionse in Venetia, è ben vero che prima che si giùngesse a sei miglia dentro della città il Signor Francesco Pallavicino il quale era andato da prima perchè la barcha gli dava troppo noia venne ad incontrarci con quatro gondole di gentilhuomini genovesi quali ci accompagnorno fin in Canalgrande in casa del Signor Duca Serenissimo di Ferrara il quale ci haveva già prestato il suo palazzo et così incognitamente stettero detti Signori fin alla mattina. Venendo poi la mattina il signor Perseo Cattaneo gentilhuomo del Sign. 8 ADOLFO CALEO (( Partì da questa vita Donna Marfisa D’Este Cjbo con dispiacere di tutta la città, della quale n’era gran protettrice et avocata, tanto che s'avrebbe potuto con giusto titolo chiamar Madre della Patria, Principe uscendo fuora a vedere alcuni suoi amici et partitosi destramente diede nova del arivo di detti Signori per il che si vide subito la casa di detti signori visitata da otto o dieci gentilhuomini venetiani di molta Qualità, fra i quali'vi era il Signor Francesco Moro, il Signor Paolo Lipomani, il Signor Andrea Trono, il Signor Leonardo Zani, il signor Andrea et Pietro Querini, il Signor Alvis delli Angeli i quali per ordinario dal primo fin al ultimo cortegiorno sempre tanto di sera come di mattino et alcune volte restavano a desinare et anco a cena con detto Signore. Si stette insoma nove giorni in detta stupenda città i quali fumo sempre dispensati di andar vedendo diversamente le maravigliose cose che vi erano. Il primo dì si cominciò ad andare vedendo la chiesa di S. Marco cosa assai di importanza sì per la chiesa come anco in quel dì si vide il Duce Serenissimo con tutto il Senato star al vespero della solenne giornata della Ascensa dentro di detta Chiesa e detti signori hebbero luogo differente da tutti l’altri gentilhuomini et gentildonne ordinarie il quale fu una loggia apreso uno dei duoi organi di dove si vedeva assai comodamente et anco con più reputatione all’espedir di detto vespre si vede qui nel aitar maggiore un mondo di reliquie et anco una gran parte del tesoro ove anco vi include una carafìna con molte goccie di sangue di N.S. lesu Christo. Usciti di chiesa s’andò vedendo et caminando un pezzo per la fiera la quale infinita et di diversità di robbe et di gente era assai piena. Il giorno del venerdì poi s’andò a vedere le sale de larmerie che sono di sopra dentro il palazzo di S. Marco dove con molta cortesia di quei signori Deputati ci fu mostrato ogni cosa. - L’altra giornata venendo fu dispensata in un festino dove vi furilo cento quaranta gentildonne et si baiò con detta Signora la quale da tutti quei signori Venetiani fu giudicata la più bella et senza artifìcio il che fu con grandissimo gusto indifferentemente da tutti visto. S’andò poi il giorno appresso che credo fusse la Domenica a messa in San Marco e il signor Perseo andò di sopra a far intendere a Sua Serenità che senza importunarlo s’havesse possuto visitare che il Signor Marchese desiderava andarci et così ottenendosi venero giù doi Clarissimi delli savi de dieci che fu il signor Trepoli (Tiepolo) et un altro signor Contarmi a ricevere il signor Marchese e condurlo su fin da S. A. il quale aspettava con 20 o 25 clarissimi in un salotto assiso pontificalmente e subito in entrar detto signor Marchese di poi fatta la sua reverentia il Duce Ser.mo s’alzò et la-braciò da luna e laltra parte del viso e così subito lo fece sedere apreso la sua persona in maniera che precedeva a tutti li altri Senatori e con facia molto allegra il fè coprire e discorsero insieme un gran pezzo dandogli ra-guaglio del suo viaggio per Venetia e come particularmente desiderava esservi per godere così gran favore da Sua Signoria et da tutti quei altri Signori clarissimi, e così stettero in ragionamenti un quarto d hora e forsi duoi il che finito il detto signor Marchese prese licenza e se ne tornarno a casa acompagnati fin alla porta di palazzo da più di quattro o cinque gentilhuomini principali e poi a casa con la sua conpagnia ordinaria che erano più di trenta gentilhuomini di qualità e con sei gondole si tornò a casa a desinare. Il giorno il detto signor Marchese andò in una camera di Secretaria e si volse far conoscere per gentilhuomo venetiano com’in effetto è e cosi si DI «MARFISA D’ESTE CJBO» E DI UNA SUA GITA A VENEZIA 9 poiché sicomo ella, era rimasta sola reliqua della nobilissima Casa Estense in detta città, si poteva anche dire che in lei si fussero ridotte tutte le nobilissime maniere, la magnificenza e grandezza e trovò in quinterno della nobiltà e giurò con doi testimoni degni di fede lui esser Don Alderano Cjbo Marchese di Carrara e figliolo di Alberico Cjbo, e di Iasebetta Della Rovere Prìncipe di Massa, talché quando si andò la domenica subito di poi desinare in Consiglio vi andò anco il detto Signore e quando entrò in Pallazzo fu ricevuto nel modo predetto da duoi gentilhuomini clarissimi et menato su con gran quantità di gentilhuomini et entrò in Consiglio con la spada alato cosa che non tutti i Principi sogliono ottenere e balottò anco S. E. come gli «altri e diede il suo voto e finito il Consiglio a 22 hore s’andò in una festa a ballare. L’altra giornata poi la Signora Donna Marfisa fu visitata da otto o dieci gentildonne venetiane principale e fu menata in gondola a spasso per il Canal grande dove per la curiosità di veder i forastieri et anco per esservi inesser Giulio da Imola cantante perfetissimo con un leuto in mano cantò tanto bene che si tirava appresso più di cento gondole. Così si passò tutta la giornata. Il dì apresso s’andò poi a vedere il stupendo arsenale di Venetia con tutti i suoi apparecchi e sale de armerie e guidati dai predetti gentilhuomini ci fu mostrato cosa per cosa tutto quanto v’era et Sua Serenità se fè trovare in una sala una, collatione assai delicata di cose dolce et Malvesia di Candia. S’andò vedendo tutto non vi restò cosa da vedere per secreta che fusse stata vista. Se gli mostrò anco un altro dì il tesoro di S. Marco e si vide il dì della Ascensa in galera tutto quell’atto che fece il Duce Serenissimo in Bucintoro con tutti i signori Cl«arissimi. E vide anco la casa meravigliosa di Monsignor Rev.mo Patriarca Grimani dove si vide un apparecchio di statue e de delicature esquisite, vi si vidde anco un furto di Ganimede da Giove in statua di marmo, cosa meravigliosa. E si vide un libro di carta bergamina di mille e cento carte di menia-tura superba in quarto foglio de tutta la vita della gloriosa vergine e. del Signore Nostro Iesu Christo fatta per mano de huomini rari nella pitura con suoi colori che quasi che le figure mostravano di parlare. S’andò anco vedendo un mondo di cose particulari et de giardini delicati sempre in compagnia di gentildonne e gentilhuomini venetiani. Si partì poi un giorno l’ottava della Ascensa e si andò in barca cinque miglia e smontando in terra ferma si trovorno cinque carozze delle quali una era del Signor Pio Enea degli Obizi generale di Colaseralle e luogo tenuto dalla militia della Signoria di Venetia in Padoa, il quale aveva mandato a ricevere detti Signori per alloggiarli in Padoa duoi o tre giorni come fè e così andamo in carozza a Padoa dove il detto signore ci alloggiò principalmente e la signora Leonora Martinenga sua consorte fece 'fare un festino ad instanza di detti signori et finito il festino si andò giù in bellissimo giardino dove s’hebbe una collatione assai suontuosa, e poi fatta la collatione si uscì fuora del giardino dove si videro alcuni gentilhuomini maneggiar cavalli assai garbatamente fra quali ci fu un gentilhuomo che fè andar un cavallo leardo assai bene. Il dì appresso si vide il Santo e la chiesa di S. Giustina con assai et belli et infeniti corpi santi; si andò poi il dì seguente via alla volta di Ferrara et il detto signor Pio Enea diede anco da desinare la mattina nei Ca-taio luogo suo sette miglia lontano da Padoa dove ci andamo per barca et lì ADOLFO CALEO sopratutto quella naturai inclinazione ed amorevolezza verso della città che fu sempre proprio dei suoi Serenissimi Progenitori, poscia che tutti aiutava e favoriva, fusse pur di che qualità e grado si volesse che ella alla sua protettione si raccomandasse ». Adolfo Caleo si vide un stupendo pailazzo fatto sopra una terra di detto Signore con diversi giardini et pitture vaghe. La sera si andò a Rovigo dove si trovò un vescovo di molta qualità gen-tilhuomo ferrarese il quale ci alloggiò assai comodamente et il di appresso poi si andò in Ferrara ove essendo questo per altro per non più infastidirla facendoli riverenza fò fine. i1). In Ferrara alli 20 di Maggio 1580. di V. E. Servitore obbligatissimo MARCO ANTONIO PALMA t1) R. Arch. di Stato di Massa Ap. « Copialettere di Alberico I » (1579-1583). FIBRE DI 0 A MUTO E CERIMONIALE SECENTESCO ( Contin. e fine) XIII. Il mattino seguente il corriere potè essere inviato con due lettere per i Ser.mi Signori. Una del Fereto e del D’Oria informava come il Gaufrido avesse poi comunicato al Cancelliere di aver parlato della supplica della Contrattazione con il Duca, il quale aveva risposto che il Governatore, in seguito alla rimozione del Console e Consigliere, si era proposto di assistere alla Fiera perchè non accadessero disordini ; che se però ciò non era di gradimento dei Trattanti, « essendo venuti liberamente potevano con Pistessa libertà anelarsene a finir la fiera altrove ». Al che il Cancelliere aveva replicato attendersi gli ordini della Repubblica, ma che appunto riteneva già deciso il trasferimento della Contrattazione in altro luogo. E i due Gentiluomini confermavano per proprio conto come effettivamente fosse ormai impossibile concludere la Fiera a Piacenza ; essi attendevano ad ogni modo ordini al riguardo, « massime che — aggiungevano — sono in questi Trattanti va-rj pareri, però tutti dovranno senza replica quietarsi, et prontamente ». Parole ohe attestano la dipendenza assoluta .delle Fiere dal Governo genovese, il quale sempre affermava, energicamente la sua padronanza su di esse. L’altra lettera era di Gio. Domenico Castello che, come Cancelliere, era tenuto per dovere del suo ufficio a riferire al Senato. Egli ripeteva il contenuto del suo colloquio col Gaufrido aggiungendo che, sebbene qualcheduno dei Trattanti avesse avanzato la propo sta di lasciare senz’altro Piacenza, si era ritenuto obbligo di attendere prima le disposizioni di Loro Signorie Ser.me. Faceva inoltre presente che, scadendo in quel dì (9 maggio) l’ottavo e ultimo giorno regolamentare delle Fiere, era necessario che il Senato concedesse una proroga per quel tempo che ritenesse opportuno. La durata normale delle Fiere era infatti di otto giorni, come già si disse, ed i tempi per esse fissati erano di regola improrogabili. Secondo il primo dei Capitoli approvati nel 1595, solo con il concorso di tre quarti dei Trattanti, ossia di coloro che avevano autorità di « mettere il conto » in Fiera, si poteva chiedere al Senato 12 ONORATO PÀSTINE una proroga ai lavori. E se nel 1632 veniva deliberato che, mentre le Fiere si tenevano nel Dominio della Repubblica, potessero esse prolungarsi, senza previo consenso del Senato, per due giorni, nel 1635 si restringeva tale facoltà ad un giorno soltanto* e per circostanze eccezionali ben determinate. Esclusivamente al Senato era poi riservato il diritto di concedere proroghe ulteriori. Il Castello osservava inoltre nella sua lettera che occorreva anche confermare per il luogo dove si sarebbe trasferita la Fiera la validità delle procure (45) già riconosciute per Piacenza. Quanto alla nuova località da designarsi, questa si sarebbe dovuta trovare nel territorio della Repubblica, perchè, data, la ristrettezza del tempo, non sarebbe stato possibile chiedere ed ottenere da altro Stato il privilegio di esercitare guirisdizione e rogare gli atti da parte del Cancelliere. Certo Novi era il luogo più indicato ; però invitava a, considerare se non fosse stato opportuno scegliere Sestri Ponente, dovè i Signori Genovesi con i forestieri avrebbero potuto ad agio stabilire la sede definitiva delle Fiere per F avvenire. Suggeriva ancora di rinnovare l’elezione dei M.ci Fereto e D’Oria a Console e Consigliere. Da ultimo informava che i Signori Milanesi trattanti in Fiera avevano qualche preoccupazione per il trasporto di ventimila scudi in contanti che recavano seco, e per quanto non vi fosse vero pericolo, dato che il viaggio dovevano compierlo tutti insieme, i due Gentiluomini del Magistrato l’avevano incaricato di pregare i Ser.mi Signori, affinchè volessero dare le necessarie disposizioni al Governatore di Novi per l'invio al contine di un certo numero di soldati còrsi che servissero loro di scorta. I Collegi il 10 maggio deliberavano subito una proroga di cinque giorni per condurre a termine la Fiera, la quale doveva immediatamente trasferirsi a Novi; concedevano inoltre quanto era stato richiesto per le procure e la scorta di Còrsi ; non ritenevano invece necessario di rinnovare l’elezione del Magistrato, dal momento che già con altro decreto ne avevano conferito l’autorità alla Contrattazione stessa, autorità che era confermata per Novi. Ordinavano infine di far sapere ai Signori Fiorentini partecipanti alla- Fiera, che, volendo essi passare per Genova, sarebbe stata messa a loro disposizione una galera per essere trasportati a Viareggio o dove meglio gradissero. (45) « Le procure, che si fanno per li Negozj delle Fiere, alcune sono à scuo-dere con limitazione, o senza quitar, e protestare, «altre ancora a dar Bilanci. Altre a spender il nome. Altre a pigliar a cambio somma limitata, e farne la dichiarazione negli atti del Cancelliere della Fiera da chi si è preso il danaro. Altre danno facoltà di dare o non dar Bilancio, e far trapassar in altri le Partite, conforme comoda al Procuratore ». (Peri, IV, 39-40). \ FIERE DI CAMBIO ECC. 13 XIV. Il tutto fu eseguito secondo le decisioni del Senato genovese, ed ebbe in tal modo termine la piccola questione di cerimoniale fra la Repubblica e il Duca, questione che ebbe tuttavia la non lieve conseguenza, dell’abbandono definitivo della Piazza d.i Piacenza per parte delle Fiere « di Besanzone ». Le quali continuarono ancora ad essere così chiamate, sebbene d’ora in avanti si usasse per esse frequentemente la denominazione di « Fiere di Nove », da quella che rimase per lunghi anni la loro sede pressoché costante. E a Novi esse ebbero ancora momenti di grande attività e floridezza per largo movimento d’affari e concorso di numerosi banchieri. Intorno al 1647 il Peri poteva ancora domandarsi : « Non è stimata questa (Genova) fra tutte la pià ricca d’oro e d’argento? Se regnanti voglino proveder a’ loro bisogni, fondar monti, concluder assenti, far qual si voglia provigioni de Danari non se ne fanno i trattati in Genova, o con Genovesi?» (46). Siamo al tempo dell’accennata polemica con il Merenda, la quale rientrava nelle vivaci e secolari discussioni sulla legittimità dei cambi ; ma non si vedeva ora la ragione per cui « tutta la borrasca. (*16) Op. cit., II, 79. Si riassumono alcuni dati relativi ai due secoli presi in esame. Nella massa delle gabelle e dei diritti passati con il 1539 alla gestione del Banco di S Giorgio e da questo concessi sistematicamente in appalto, rientra anche Yintroitus cambiorum (detto sino alla fine del cinquecento: « introitus usurarum et cambiorum »). La tassa del mezzo oer cento colpiva cittadini e forestieri, non compresi dapprima i catalani, per i cambi o mutui contrattati o pagati in Genova. Dati statistici al riguardo furono raccolti da Raffaele Di Tucci {Le imposte nel commercio genovese durante la gestione del Banco di S. Giorgio, in « Giorn. St. lett. della Lig. », 1929, IV, 1930, I-IV) per i periodi dal 1567 al 1586, dal 1597 al 1607 e per gli a. 1665, 1666. Tenuto conto che erano esclusi dalla tassazione gli asientos, specie di titoli del debito pubblico spagnuolo, ma soggetti a negoziazione come lettere di cambio; e che i dati in parola si riferiscono all’importo dell’appalto, il quale doveva lasciare un adeguato margine di utile per spese, rischi, quota-parte di tassa spettante al Banco (« masseria duganae »), le cifre riportate danno una idea soltanto relativa dell’ingente valore delle contrattazioni stipulate nella città. Al 1567 l’appalto della gabella sui cambi è di lire 36109; fra il 1597 e il 1600 esso raggiunge il punto più alto con lire 121229, essendo superato — su 47 voci — soltanto dai carati del mare e diritti incorp. (441008), Riva grossa (170718 mass.), vino (138160), grani (125203 mass.). Uno sbalzo sensibile si registra fra il 1586 (lire 49242) e il 1597 (1. 121229); ma già nel 1590 si afferma che la gabella dei cambi « guadagna grosso » (H. Sieveking, Siitdio sulle finanze genovesi nel Medio Evo, in « Atti Soc. Lig. S. P. », XXXV, 1906). Mentre poi nel 1607 l’appalto è ancora di lire 113506, nel 1665 — periodo già di decadenza — è sceso a lire 3600. Il mancato pagamento degli asientos nel 1575 si ripercuote invece sull’appalto delVintroitus censerie negli anni 1577, 1578, in cui è ridotto a metà circa del gettito consueto, per riequilibrarsi nel 1679, l’anno del trasferimento delle Fiere a Piacenza. Fin dal ’300 l’appaltatore avea pure diritto di aprire la posta privata. 14 ONORATO PASTINE d’alcuni scrittori » venisse « scaricata sopra le iìere di Nove, il frutto de quali è il più tenue, il più incerto, e forse il più giusto delle altre forme che rendono frutto » (47). Tale interesse oscillava infatti, in mezzo a rischi continui, fra il 4 e il 5 % ; mentre allora in altre parti erano riconosciuti legalmente frutti ben superiori. Così quelli dei pubblici depositi in Germania (dal 6 all’8 %), in Francia e Spagna· (8 %), e quelli dei cambi del Regno di Napoli (dal 10 al 12 %) e in Sicilia (12 % e più). Legittima era la mercanzia — lo scudo di marche — dei contratti stipulati nelle Fiere di cambio, e le funzioni di queste erano utili e necessarie all’economia generale. In verità gli stessi attacchi mossi contro le nostre Fiere sono sicuro indice del loro fecondo vigore. Esse cambiavano allora per le Piazze di Genova, Milano, Firenze, Venezia, Roma, Napoli, Palermo, Messina, Lucca, Bologna, Bergamo, Lecce, Bari, Ancona, Siviglia, Valenza, Anversa, Barcellona, Saragozza, Amsterdam, Norimberga·, Vienna, Augusta, Colonia, Amburgo, Londra, Parigi, Sangallo, e per le Fiere di Medina del Campo, Lione, Francoforte, Bolzano. Intorno al 1651 i frutti delle Fiere di Novi erano ridotti* in media all’l % ; ma questa « Dieta introdotta per giovare e facilitare il commercio di tutto l’Universo » era sempre fiorente, dando ad essa ordini « le piazze più famose d’Europa, come appare dalla lista delle piazze che cambiano con le fiere di Nove » (48), che erano ancora presso a poco quelle stesse sopra citate. XV. Si può pensare che i Farnesi e più direttamente i loro sudditi piacentini, che, come vedemmo, avevano fatto altre volte « ponti d’oro » ai banchieri e mercanti genovesi e delle altre città, non fossero per nulla lieti di aver perduto un così cospicuo mercato del denaro. Abbiamo, è vero, udito parole altezzose da parte del Duca Odoardo; tuttavia il suo temperamento e il suo orgoglio, per cui egli anteponeva· il proprio punto anche all’interesse personale e dello Stato, come ci attesta la politica troppo spesso avventata da lui seguita, ci spiegano a sufficienza il suo atteggiamento quasi sprezzante. Ma sotto il successore Ranuccio II, essendo ministro il marchese Pietro Giorgio Lampugnani dopo la tragica fine dell’onnipotente Gaufrido, caduto vittima della spinosa questione di Castro e dell’odio pontificio, si pensò certamente ancora alle vecchie Fiere di cambio di Piacenza. Nel 1651 del loro auspicato ristabilimento nella città padana si (47) Otj cit IT 90 (“) lbid., IH (i frutti di Albaro), 112. FIERE DI CAMBIO ECC. 15 occupava in Genova un agente del Farnese, mentre era intento alla trattazione di altre questioni con la Repubblica (19), sulle quali lo stesso Lampugnani scriveva, proprio a quel Lazzaro Maria D’Oria, che trovammo Consigliere della Fiera nel 1641 a Piacenza. Detto Agente, Bartolomeo Cassinelli, riferendosi alla pratica della tentata mediazione fra Genova e Venezia, aggiungeva al marchese Lampugnani : « L’interesse delle fere, come detto a V. S. Ill.ma resta già aggiustato in questo negozio, s’anderà poi adosso all’altro particolare, et oltre al splendor che n’acquisterà S. A. le conseguenze a suo favore son belle, con un caos d’emergenti » (7 gennaio). Alcuni mesi più tardi (6 maggio) per sollecitale e concludere le diverse pratiche che andavano languendo, il Cassinelli suggeriva l’invio di una lettera al Doge di Genova da parte del Segretario del Farnese, in cui, per quanto riguardava la questione delle Fiere, si informasse che erano in corso trattative per riunirle di nuovo in Piacenza; che la, nazione veneziana «con molto gusto» vi concorreva; e che Sua Altezza avrebbe veduto molto volentieri un tale effetto, « quando se ne soddisfacessero Sue Signorie Ser.me; et alla nation Genovese sarian concessi tutti quelli privilegi et honori che godeva per il passato ». Se pertanto la cosa fosse di gradimento del Governo genovese, si dava ordine al Cassinelli di presentare le necessarie istanze a chi di dovere (so). Come si vede, si parlava ancora degli « antichi onori » : segno che anche il famigerato problema dell’onore « del cappello » era ormai cosa superata nellai mente ducale (51). Comunque il tentativo a nulla approdò e i banchieri liguri non uscirono per le loro contrattazioni dal territorio della Repubblica. XVI. Ma. non tardarono a segnalarsi sintomi di decadenza. Il Peri infatti verso il 1665, parlando delle « nostre fiere di Bisenzone che (49) O. Pastine, Una questione della politica italiana del seicento in Rivi-sta Storica Italiana, 1939, I. (50) Archivio di Stato in Parma, Carteggio farnesiano, Genova, busta 9 (51) Un colpo di mano contro le Fiere di Novi tentò più tardi, còme narra il Benassi (op. cit., pp. 68-70), lo stesso Ranuccio II, quando, dopo più decenni d’interruzione, credette di poter approfittare dello scompiglio determinato in Genova dal recente e terribile bombardamento subito da parte della flotta di Luigi XIV (1684) per far risorgere le Fiere di Piacenza (1685), inducendo pure i Milanesi a non inviare più a Novi il proprio consigliere! Ma anche questo tentativo falisce completamente e si esaurisce pochi anni dopo (1692.) con lo scioglimento della stessa società di affari a cui partecipava il Farnese. Questa breve ripresa delle Fiere piacentine non ha però nulla a che vedere con 1 istituzione della Repubblica, che continuò, se non a prosperare almeno a vivere, spingendo la propria attività nel pieno settecento^ 16 ONORATO PÀSTINE hora si celebrano a Nove », lamentava il diradarsi delle case di negozio per i numerosi fallimenti (s2) e la « freddezza della negoziazione », riconoscendone la causa principale, più che nelle guerre rovinose, nella mancanza del credito per colpa di chi possedeva glandi capitali lasciandoli inoperosi. 'Un tempo — scriveva — « guadagnava chi fidava il suo Danaro; guadagnava, con la propria industria quello al quale era fidato, e l’uno e l’altro si locupletava·: Hora a ninno si fida, ed il Danaro si va consumando ; ne possono aspettarsi solo ruine, alle quali è necessario riparare, e per il privato, e per il pubblico bene ; Ogn’uno lia da pensarvi, e particolarmente que 1, ch’anno le sostanze, e desiderano di conservarle ». ^ E le rovine non erano portate da mancanza di sostanze bensì di credito. Molti, anche ricchi, «per aver gli effetti sparsi, e non potergli restringere nel breve termine, che passa da una nera all altra », mancando loro il credito, erano costretti « a far punto ». Egli, il Peri, aveva sempre difeso e lodato le Fiere ed 1 « ani >1 e gli scudi di marche, ma ora aggiungeva che se le cose continuate « sotto le forme presenti », sarebbe stato _ costretto a «mutar registro», non già perchè potesse variare opinione su quanto era di assoluta giustizia, ma «per detestar la stiratezza presente del negoziare»; della qual cosa avrebbe anzi vou o « s’impiegassero le penne de’ Teologi», come di ciò c ìe riusciva. 1 detrimento a tutti, non senza colpa dei responsabili, cadendo qum il fatto anche sotto la sanzione morale. Per vero la navigazione con il Levante avrebbe costituito una più sana forma di profitto, ma ad essa non si attendeva che coai scarso entusiasmo ; i Governi forestieri ricorrevano sempre e frequentemente al capitale genovese per i loro bisogni; ma eia ques ormai un impiego poco redditizio e non troppo sicuro. Onde U 1 tu consigliava di non « seppellir più danari ne’ Stati de 1 rencepi fo rastieri, che non corrispondono, et a prezzi bassissimi, come 'a r guendo, contentandosi di farli girare sopra le Fiere che gli arroccheranno utile maggiore, et il danaro per li bisogni, che possono sue- cedere, sarâ, sempre pronto » (5**). . Peraltro, non ostante questi lamenti, è da notarsi che proprio in quell’istesso tempo Genova si sforzava di scuotersi e di trovare nuove fonti di vita: così nel 1665 si riusciva a riaccendere i traffici con l’Oriente ottomano. , Le Fiere di cambio liguri continuarono poi a svolgere ancora un’attività secolare, sia pure attraverso le alterne vicende politiche della Repubblica e l’affievolirsi della sua potenzialità economica. ~((«) Molti fallimenti si ebbero pure al principio del 1668 Per le forti per-dite subite da mercanti genovesi nel 1667 a causa delle Piraterie dei corsari (De Mailly, Histoire de la République de Genes, Paris, 174-^j. (53) pERI, op. cit., IV, Prefaz. e pp. 19-20. FIERE DI CAMBIO ECC. 17 A lungo esse rimasero a Novi; ma nel 1708, dopo una sosta a «estri Levante, furono fissate dal Senato a S. Margherita, (love durarono fino alla seconda metà del secolo. E non deve stupire se non vennero addirittura: stabilite in Genova, quando >si ricordi che la Chiesa vietava le cambiali che non fossero emesse per un 1uo<>o diverso da quello dove risiedeva l’emittente. La vitalità di queste Fiere era sempre relativamente notevole e tuttora costituivano esse un centro ed una forza attiva, per l’economia statale, sebbene una supplica del 1711, con la solita esagerazione di tutti i documenti del genere, affermi che la negoziazione fosse « ridotta ormai nella miseria più estrema » (54). Quando nel 1722 si presentò la necessità di riattare le strade acciocché chi dovea a quelle presiedere potesse nel giorno precisò raggiungere per terra — in caso vi fosse stato impedimento per via di mare — il luogo della Fiera, il Magistrato di questa, sollecitando i lavori, rilevava che la mancata puntualità nell’apertura della negoziazione avrebbe cagionato ritardo e confusione « e per conseguenza notabil pregiudizio al commercio publico » (55). Aggiungeremo infine che neppure le discussioni sul diritto creditizio e bancario erano cessate. Esse si agitarono nella seconda meta del seicento, divenendo vivaci in Germania durante la. crisi interna seguita· alla pace di Vestfalia, e continuarono ancora nel se colo XVIII. In Italia scrittori vari, teologi, moralisti, la Sacra Rota cardinali e vescovi nei loro editti sinodali vi parteciparono attivamente. Ma la questione si era andata meglio definendo e fissando secondo una distinzione precisa fra cambi legittimi e cambi illegittimi o palliati. Nel .1750 un teologo anonimo, da più parti sollecitato pubblicava a Roma un libretto sull’argoménto (5e), co] quale ren deva alto omaggio a Papa, Benedetto XIV, che aveva promulgato di recente una nuova e severa bolla sulla spinosa questione Questo scritto, di carattere generale e teorico, in cui troviamo soltanto un (54) Cit. da A. Ferretto, I banchi di cambio a S; Margherita Ligure in II Mare, n. 271, 1913: breve articolo con notizie frammentarie e non semn.e esatte. Quanto all accennato dubbio sullo stabilimento dei banchi di cambio a Pisa, non si tratta di un proposito del Senato genovese, ma piuttosto del timore che colà intendessero riunirsi i Trattanti toscani, che convenivano di solito nelle Fiere liguri. (55) A. R. Scarsella, Annali di S. Margherita Ligure, I, 207. Comunque — ripetiamo — la decisa decadenza di questo’istituto risale alla seconda meta del sec. XVII. Galeazzo Gualdo Priorato (Relatione della Città di Genova e suo Dominio, ( olonia, De la Place, 1668), mentre per le Fiere di Novi (e perciò dopo il 162-1) parla di un giro di denaro fino a 20 milioni di scudi, lo dice poi ridotto verso il 1668 ad appena 4 milioni. (56) Il cambio moderno esaminato nel foro della coscienza. Onera di un teo logo amante del disinganno. Roma, 1750. 18 ONORATO PÀSTINE accenno concreto — e presentato con molto riguardo ad un caso sottoposto dalla Repubblica di Genova alla Congregazione nominata da Urbano Vili nel 1626, distingue appunto nettamente 1 cambi leciti e reali che nelle Fiere avevano il loro corso normale, e 1 cambi secchi o mutui simulati ed usurai, nonché i così detti « obliqui », fittizi essi stessi, come quelli allora invalsi e condannati senz altro da scrittori e autorità ecclesiastiche. Ecco come il nostro ignoto teologo riassume la questione : « Il cambio è tìnto, e secco, quando c ι riceve il danaro a cambio per la tal fiera, o per le tal piazze di Cambio, esibisce, e Consegna lettere di cambio dirette a qualche fiera, o piazza, le quali poi o non si mandano a’ luoghi stabiliti, oppure se si mandano, non hanno effetto, non hanno esecuzione; e come dunque non sarà molto più secco, e molto più tìnto un ( ambio, m cui nè si fanno lettere di Cambio, nè si mandano alle bere, e piazze di cambio, ma unicamente si presenta un’Apoca· [carta appunto in quel tempo frequentemente in uso] che finge una promessa di far cambiare nelle fiere, e nelle piazze la somma ricevuta per mezzo d un pubblico banchiere, alla quale, come si sa, in ni un luogo, m ninna piazza, e da niun Banchiere si darà mai esecuzione.'' ». Evidentemente con simili rilievi non si voleva affatto condannare l’attività propria e legale delle Fiere di cambio. Al contrario si veniva con ciò implicitamente a riconoscere l’utilità delle loro funzioni; le quali, decadute e scomparse le Fiere stesse, verranno assunte da altri più perfetti istituti (57)· Onorato Pastine (”) Si veda, ad esempio, la questione della derivazione dalle Fiere di cambio delle attuali Clearing houses secondo la dottrina del Macleod, riamente valutata. SPUNTI DI LEGISLAZIONE IGIENICO SANITARIA NEGLI STATUTI GENOVESI DEI PADRI DEL COMUNE Coll’instaurarsi dall’autonomia popolare, in seguito alla caduta del dominio feudale creato dalla dominazione carolingia, si perviene in Genova alla costituzione delle Compagne, associazioni di cittadini rette in mutua assistenza coll’intento di difendersi dai soprusi e dalle vessazioni del nemico. Tali Compagne? che sorsero capitanate da Consoli, nei vari quartieri cittadini, tiorirono numerose e godettero di perfetta autonomia ùno al 1217 anno in cui si giunse alla elezione del Podestà, cui seguirono i Capitani del Popolo (1257), poi i Dogi a vita (1339, e finalmente, dopo la. riforma di Andrea Doria del 1528, i Dogi biennali clie giunsero fino al 1797. L’amministrazione era in un primo tempo tenuta dai Consoli delle Compagne poi, colla creazione di una vera gerarchia preposta al governo della Repubblica, sorse la necessità di formare, per ogni branca, dell’amministrazione, un apposito ufficio ossia Magistrato che provvedesse di competenza (*). Tale è appunto l’origine dei vari Magistrati: quello dei Padri del Comune, originariamente dei Salvatores Portus et moduli so-praintendeva d’ordinario alla sorveglianza del porto, alla manutenzione e restauri dell’acquedotto cittadino e delle cisterne, delle strade, si incaricava di tutelare le Corporazioni d’arti e mestieri della città e controllava le proprietà della Repubblica sparse in tutto il dominio (2). Sotto molti punti di vista, gran parte dell’attività di questo Magistrato aveva, stretta attinenza con l’igiene e la polizia e ben a ragione si può pensare che, col Magistrato di Sanità, esso sia stato l’antenato degli attuali uffici comunali d’igiene. Dapprima due, poi (!) Per quanto si riferisce alle trasformazioni avvenute nella compagine amministrativa del governo della Repubblica di Genova, si veda quanto espone il Pallavicino nella Descrizione di Getwva c del Genoves.ato; si consulti inoltre: Donaver, Stoì'ia della Repubblica di Genova, ed A. Boscassi, Il Magistrato dei Padri del Cornuti# Conservatori del porto e dei moli. (2) V. Boscassi, op. cit. 20 GIOVANNI PESCE tre cittadini lo componevano : essi duravano in carica un anno e mezzo e la loro sostituzione avveniva, non in blocco, ma singolarmente; in seguito il loro numero giunse a quattro, a cinque, a dieci. Lo statuto dei Padri del Comune, di cui si l‘a parola in questo scritto, comprende i vari provvedimenti del Magistrato che dovevano servire di norma agli Amministratori ed ai Cancellieri nell’esercizio delle loro ordinarie funzioni. A quei tempi, quanto rientra grosso modo nell’ambito dell igiene e della polizia, non faceva parte del campo d’azione del Magistrato di Sanità al quale, come del resto ho trattato in altro lavoro (3), competevano esclusivamente i servizi di sorveglianza sull'andamento delle epidemie e sulle malattie contagiose. Ecco dunque i Padri del Comune, ossia i preposti alla tutela della città e del porto, che avevano in cura i lavori di manutenzione delle strade, degli acquedotti e dell’igiene edilizia, non solo perchè ne sorvegliassero l’efficienza-, ma anche perchè si prodigassero in quanto potesse venire in aiuto del miglioramento igienico dei vari servizi stessi. La trascrizione delle leggi che tutelano la polizia urbana, negli statuti liguri datano, senza eccezione, dai più lontani tempi del medioevo (4ì e non si esagera quando si afferma che non vi è Statuto comunale o legge feudale che non faccia qua e là menzione di tali regolamenti (5) : Negli statuti dei Padri del Comune, del secolo XV, editi per la prima volta dal Bel grano nel 188G, numerosi documenti trattano ampiamente la questione e sono senza dubbio del massimo interesse perchè dimostrano nell’insieme e nei particolari quali conoscenze si avessero in materia. * * * Le leggi che si occupano della tutela e del controllo igienico della città non sono raccolte in un unico capitolo o in una serie raggruppata con qualche criterio ma, forse anche per la disposizione fino ad un certo punto cronologica dei capiverso, si trovano sparse qua e là nel codice e sono trascritte parte in latino e parte in italiano. In altro lavoro del genere (6) ho tracciato in linea di massima (3) V. G. Pesce, Il Magistrato di Sanità nella Repubblica di Genova. Genova, Riv. Mun., 1937, n. 10. (4) G. Rossi, Gli Statuti deTla Liguria, in « Atti della Soc. Lig. di storia Patria » vol. XIV, introduzione e testo. Descrizione di Genova ecc., cit., parte III. Nella parte compilata da P. Torre si fa cenno delle forme più antiche di Statuti mcdioevali genovesi a partire dal privilegio di Berengario ed Adalberto ottenuto nell’anno 958. (5) Vedi gli statuti citati nella pub. di G. Rossi; P. Accame, Gli statuti di Albmga del 1288, del 1350, ecc. (6) G. Pesce, Documenti sull’acquedotto Civico di Genova, in Giorn. Stor. e Leti, della Liguria, 1940, η. 1. SPUNTI DI LEGISLAZIONE ECC. 21 quanto i Padri del Comune avevano fatto per la tutela dell’acquedotto Civico, la cui manutenzione ha sempre preoccupato, dall’alto medioevo al secolo scorso, le amministrazioni che ressero il governo della Repubblica di Genova. Nel nostro Statato ben ventotto capitoli si riferiscono all’acquedotto civico (7), il quale veniva così a trovarsi salvaguardato contro possibili manomissioni. Ogaii capitolo che si occupa dell’argomento, tratta sempre sommariamente quanto si doveva osservare per la tutela dell’acquedotto, poi riporta l’argomento specifico per il quale è stato emesso. Talvolta per non consentire la costruzione di muri od impedimenti del genere presso la conduttura principale, tale altra per vietare l’inutile spreco d’acqua con l’erogazione a mezzo di « bronzini » (*) non autorizzati, o finalmente, ed è questa la evenienza più frequente, per provvedere a lavori di riparazione e di restauro. Nè l’opera dei Padri del Comune si arresta, in materia di approvvigionamento di acqua, alle leggi promulgate per l’acquedotto civico: altre sorgenti idriche sono ricordate nella raccolta: come l’acqua del pozzo di San Siro per la quale nel 1582 si stanzia una somma già riservata per il Civico (9), per approntarne le condutture fino in piazza Fossatello ed al ponte Calvi (10) ; parimente, il 30 giugno 1578 si provvede alla manutenzione dell’acquedotto che trasporta l’acqua dalla «Fonte Morosa»4n Soziglia riattandone la conduttura e sistemando gli « sportelli » in* modo che questi ultimi non si potessero facilmente scoperchiare (n). Anche le acque di rifiuto sono oggetto di provvedimento : uno dei tanti documenti parla ad esempio dell’acqua, di Carbonara (12). In esso viene fatto espresso divieto a chiunque di chiudere con qualsiasi mezzo i fori praticati lungo la via di Carbonara e l’atto specifica « nella strada che è sopra la chiesa di Santa Agnese », al fine di convogliare le acque negli appositi condotti ed impedire che scorrano sulla via. Qui si parla non già di acqua potabile, ma di quella che dal ruscello di Carbonara scorreva liberamente nella strada, diretta verso il porto. E con questo provvedimento entrano in funzione proprio i Padri del Comune, Salvatores portus et moduli i quali, nella loro (7) C. Desimoni, Statuto dei Padri del Comune. Genova. 1886. Sono, nell’ordine dei documenti, i numeri : 3, 28, 40. 66, 67, 78, 108 110 111 112 113 130, 136, 145, 149, lfìO, 164, 176, 202, 204, 221, 227, 232, 247, 250, 283, 285, 2M.’ ’ (8) Nel glossario compilato dal Desimoni (op. ait.), Bronziiwm = chiave dell’acqua, oggi comunemente robinetto. (9) Desimoni, op. cit., doc. n. 226. (10) Doc. cit. alla nota preced. « .... prò conducendo aquam putei Sancti Siri in platea Fossatelli et ad pontem Calvorum ». (11) Desimoni, op. cit., doc. n. 264. (12) Desimoni, op. cit., doc. n. 15: «De foraminibus de Carbonara ex quibus aqua deffluit non claudendis ». 22 GIOVANNI PESCE mansione di preposti alla sorveglianza del porto, miravano, è vero, ad impedire l’afflusso di acqua nel territorio portuale eia una via diversa dalle condutture sotterranee die escludevano l’immissione di materiale di riempimento (pietrisco, ecc.,r', ma' nello stesso tempo eliminava l’inconveniente per cui sostanze di rifiuto, normalmente raccoltesi nelle strade, potessero inquinare lo specchio acqueo antistante alla città. . Altro provvedimento, citato alla data del 12 luglio b>0- ( ), si occupa delPabbeveratoio di S. Lazzaro. 11 documento cita appunto nei pressi di S. Lazzaro la esistenza di una antica vasca che ι ον eva servire per U beveraggio dei quadrupedi: «... prope Sanctum Lazarum aquam in locum ordinatum ad aquandas et potandas equitaturas, cuius rei apparent vestigia ». II collegio degli Anziani, in forza del presente atto stabilisce, ne-l’occasione dell’arrivo in quell’anno di Luigi XII re di Francia e Signore di Genova, di far riattare questo abbeveratoio e con esso le strade circonvicine e le condutture che vi trasportano l’acqua, affinchè le vie attigue non fossero invase da pozzanghere o da altro che ne rendesse scomodo il transito. . Troviamo ancora alla data del -1 luglio 1585 i Padri del Comune che si riuniscono per deliberare lo stanziamento di 30 mila lire per la costruzione della cisterna di Sarzano (■“). . Vediamo ora quali erano le altre attribuzioni dei Padri del Comune sempre in materia igienico sanitaria. I provvedimenti riferentisi al a pulizia delle strade e delle piazze, che per i piccoli comuni, quand non erano oggetto di precise disposizioni statutarie, facevano par delle norme che ogni Podestà dava alla popolazione unitamente al saluto che alla stessa rivolgeva all’atto dell’assunzione m carica ( ), trovano in questi statuti alcuni capoversi che contengono precise di- sposizioni (16). . _ _i , , . · Nei primi capitoli si raccomanda la pulizia delle strade e dei - coli della città e borgate: la preoccupazione dei Salvatores portus et ' (1*) Desimoni, op. on., tìoc. n. 104. « De beveratoio et àqua^Sanctì.La-zar!, et de tabulatis et bancis levandis occasione .dveT.tus regie M^esn.t.s ». (>11 DesiM' ni op. «t., doc. η. 240: « Tx>tum pro cisterna Sarzani (i5 G' Pesce, Il saluto del Podestà, in fìazze-tta di Lamio 25 luglio.1936. Nel die riportato nello studio, il Podestà di Toirano che ficio nel 1672 ingiungeva, come erano stati soliti fare 1 p . « che nessuno gettasse dalle finestre in strada pubblica del borgo alcuna ìm monditia ™ ac^ua brutta, nè altra sorte di bruttura, sotto pena dfi soldi nono ma, ul pi*· «otto ammoniva gli abitanti che facessero «fra n SÎe il S3 dicef.ttï accomodare quelle strade vicine ™ “ro «««sioal e tarer iati» le sie.se nettare , a ■o|«. “ mai κ..™ che ner esse si possa comodamente passare con bestie come senza » iTolom S S. Oltre ai doc. ricordati, si vedano quelli riferenti^ alla buona manutenzione delle strade e gli altri che seguono, riportati pi avanti in questo studio. SPUNTI DI LEGISLAZIONE ECC. 23 moduli intanto era quella di impedire che la pioggia convogliasse in porto i materiali di rifiuto e le deiezioni raccolte nelle strade (lr) e nello stesso tempo che le medesime fossero permanentemente pulite a spese dei responsabili. Il 22 gennaio 1460 i Padri del Comune ottenevano dal Governatore di Genova di poter eleggere chi si occupasse della nettezza delle strade cittadine (18) : La retribuzione sarebbe stata corrisposta dai Padri del Comune finché essi restavano in carica. Il documento che negli atti porta il numero 210 contiene norme sulla ubicazione e costruzione dei camini per F allontanamento del fumo dalle abitazioni e dalle officine (19). Chiunque avrà fatto costruire un camino — riporta Patto — attraverso il quale farà defluire fumo che possa in qualche modo nuocere ai vicini, dovrà, senza alcun indugio, demolirlo e ricostruirlo in altro luogo più conveniente e meno dannoso, a giudizio anche del Magistrato competente, pena cinquanta lire genovesi. Altre numerose scritture si riferiscono ad opere di riattamento e di miglioria delle strade che spesso troviamo sconvolte per le battaglie in esse combattute (20), o per edifici rovinati le cui macerie ostruivano il passaggio. Quindi precise norme per il riordiuamento e qualche volta per la pavimentazione, alle cui spese contribuivano, come riferisce una nota del 25 gennaio 1588, quanti beneficiavano del provvedimento (21<). Nei riguardi dei medici che professavano in Genova Parte salutare, gli Statuti vietavano ad essi di soffermarsi nelle farmacie óltre il necessario obbligandoli a non accettare ricompense di sorta dai farmacisti ( !) (22). (17) DESIMONI, op. cit., doc. η. 15 cit. : « ita quod aqua illa defluat libere, nec destruat illam viam, et ne laetus illius vie decurrat in portum ». (is) Desimoni, op. cit., doc. η. 27: « De potestate elligendi virum ad vicos civitatis mundandos et nitidos tenendos ». (19) Desimoni, op. cit., doc. η. 210: «De fumo nocivo». (20) desimoni, op. cit., doc. n. 254: « De strationibus viarum » ed altri del genere. (21) Vedi doc. cit. alla nota precedente. (22) desimoni, op. cit., doc. n. 107 : « Medici non participent in Officinis Aromatiorum neque ab eis salarientur nec dona accipient », ed altri del genere. Il documento ricorda provvedimenti promulgati per il passato sullo stesso argomento. Chi ha compilato Tatto, ricorda l’inefficacia delle precedenti sanzioni e constata che l’inconveniente persisteva forse perchè era troppo allettante il promettere un mutuo accordo « inter medicos et aromatarios », che erano soliti « lucri cupidine tali laqueo involvi ». Dello stesso argomento sono le affermazioni riportate dagli Statuti veneti del 1258, riferiti in frammento in uno studio di A. Dei. Bue sulle Condotte mediche in Italia; è interessante, in (ali statuti, il passo seguente che ha moltissimi punti di contatto col nostro documento : a Item non habebo societatem eum aliquo apothecatio 24 GIOVANNI PESCE Uno speciale articolo poi sanciva per i medici appartenenti alla razza ebraica l’obbligo di portare appuntato sul petto, ben visibile, un contrassegno formato da un tondo di stoffa gialla (23). Gli statuti raccomandavano ancora agli studiosi di tutto lo Stato, di venire ad addottorarsi in Genova la cui Università, per i privilegi ottenuti, era meglio delle altre in grado di conferire l’abilitazione all’esercizio dell’arte sanitaria. * * * Questi in transunto i documenti che rientrano nel vasto capitolo della legislazione sanitaria : nessun cenno a quanto si riferisce alla profilassi delle epidemie, che pur afflissero l’umanità, si può dire ininterrottamente, nei secoli passati. Si potrà a tutta prima obbiettare che le leggi commentate rientravano nell’orbita di attività di uno dei tanti Magistrati della Repubblica di Genova, che avevano funzioni direttive ed esecutive limitate agli affali di loro competenza. Gli Statuti in parola pertanto non conterrebbero, perchè estranei alla loro partita, argomenti che erano invece di capitale importanza per altri dicasteri, come ad esempio, nel nostro caso, per il Magistrato di Sanità, che devolveva appunto la sua attività alla tutela della salute pubblica. Questo Magistrato però si serviva non già. di uno statuto organicamente composto e tale da garantire sotto ogni aspetto una buona attività ispettiva, ma di leggi isolate che venivano di volta in volta promulgate quando il bisogno lo richiedeva (24). Essendo molto scarse le conoscenze sull’etiologia e sul decorso delle malattie trasmissibili per contagio, il Magistrato si limitava esclusivamente ad intervenire nei casi in cui esisteva un chiaro e netto rapporto tra malattia e possibilità di diffusione della medesima. Gli altri provvedimenti che per la loro natura lascerebbero intravedere qualche attinenza con l’igiene, in realtà venivano il più delle volte tradotti in atto non già con Tintendimento^ di tener lontane le malattie e nemmeno col proposito di valutare l’elemento salute, ma spesso per ottenere altri scopi : valga d'esempio il documento più sopra citato in cui si raccomanda di non ostruire le tubature di raccolta dell’acqua che giunge da Carbonara, in via silicet quod habeam portionem lucri medicinarum quae venduntur pro me in statione apothecarii : et quod nullus apotliecarius audeat dare salarium alicui medico pro quo utatur in statione sua et faciat vendere medicinas suas ». È da notare che al principio del documento, i compilatori affermano di averlo scritto facendo tesoro di altro più antico. (23) Desimoni, op. et., doc. η. 97: «quod Iudei portent signum panni ialni in pectore ». i24) Vedi Archivio di Stato di Genova, Lettere al Senato. Si parla continuamente in esse di Leggi e grida promulgate dal Magistrato di Sanità. SPUNTI DI LEGISLAZIONE ECC. 25 Sant Agnese : se fosse stata convogliata attraverso tale strada, 1 acqua di rifiuto trasportava in porto sostanze diverse miste a pietrisco che trovava lungo il percorso, ed avrebbe creato la possibilità di versare materiale di riempimento che ostruiva l’approdo alle navi: di qui il solerte interessamento dei Padri del Comune, quali Salvatores portus et moduli. Nel loro insieme tuttavia i documenti citati, quantunque non formino che una piccola parte degli Statuti dei Padri del Comune, costituiscono tuttavia un interessante elemento atto a dimostrare con molta evidenza come già nei* secoli XV e XVI la legislazione sanitaria avesse messo salde radici nel campo amministrativo dello Stato. Giovanni Pesce ROM AN 7,OTTO DELLA NIELLA CAPITANO DI VENTURA Fra i capitani eli ventura che fiorirono nell’Italia Settentrionale non è da dimenticarsi Ramazzotto o Romanzotto Corradengo della Niella (*), che visse tra la line del secolo XIV e il principio del XV. Il Verzellino (2), noto cronista savonese del seicento, lo chiama « capitano d’esercito» e «capitano di molto valore». X^a sua memoria merita di essere qui brevemente ricordata. La Famiglia Corradengo era originaria di Niella Tànaro, piccolo comune sulla sinistra del Tànaro, terra già appartenente al Marchesato di Ceva, e della quale i Corradengo furono signori dal XII al XVI secolo. Secondo ogni probabilità deve essere stata una di quelle famiglie che capeggiarono la rivolta contro i Saraceni e dominarono poi, contemporaneamente agli Aleramici, le terre liberate. Trasferitasi a Savona, vi prese il nome di Corradengo Niella. Della sua nobiltà fa testimonianza un Corradengo Rolando di Niella Tànaro, detto noì)iMf vvr, che nel 1327 viene investito in retto e nobile feudo delle decime di Castelletto e di qualche altra terra dal Vescovo di Acqui Oddone (,3). Ne sono pure testimonianza le \aiie investiture di Niella ai Corradengo come feudo antico e paterno della famiglia, ricordate, sino al secolo ΧΛ , dal Verzellino e la lapide del duomo di Savona che ricorda l’ultimo dei Corradengo, il Il nome di Honianzotto della Niella compare anche sotto queste forme: il Mella (De Monti), Rarnazotto eli Lamella (Galli e Valeri), Rarnazotto De Me Ila, il Mella, Ramazzotto ( otradenghi di Mella o, piuttosto, di Niella, Ramazzotto, Rarnazotto di Mella (Gabotto). Il predicato di Lamella non ci meraviglia affatto, se ancora in alcune carte geografiche del sec. XVII la località di Niella Tàrtaro è segnata con le diciture: Lamela, La meta. Cfr. G. Rosso, La vane del Tànaro, in „ Bibl. Soc. St. Subalp. », voi. 119, Torino, 1930. Questo errore intanto ci conferma che il paese originario del capitano non fu, caso mai, Mella Relbo, ma Mella Tànaro. Il predicato della Niella è quello più conforme al dialetto e all’uso italiano locale; il nome Romanzotto è più latino, e perciò noi ci atteniamo alla, forma adottata nel titolo del nostro lavoro : Ro- manzotto della Niella. 2) G. V. Verzellino, Delle memorie particolari e specialmente degli uomini ili astri della città di Savona. Savona, Bertolotto e Isotta, 1885-891. (3) G. Casalis, Dizionario geogr. st. statisi, ecc. degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino, 1833-56. romanzotto della nìella capitano di ventura 27 sacerdote Francesco, morto nel 1671, come appartenente ai conti di Niella: ex comitibus Nielle. Come questa famiglia si sia trasferita a Savona, è facile spiegarci se esaminiamo le relazioni vivissime che Savona ebbe sempre con le terre d’oltre Appennino (4). Il Piemonte occidentale infatti rappresentò sempre pei* Savona il suo retroterra naturale e le* vie che la unirono a quella regione furono sempre arterie di grande traffico non solo di merci, ma di scambi di persone (5), cosicché in tutto il rifiorire della vita politica ed economica di Savona molta gente piemontese viene a trovarsi in quella città, persino tra i Consoli, tra gli Anziani, tra i Consiglieri e tra i funzionari del Comune. Questa gente proviene da tutti i paesi delle Langhe e del Monferrato, e persino da Novara, Chieri, Carmagnola, Sai uzzo, Cuneo, Mondovì, Alessandria. I niellesi di allora, come quelli di tempi più recenti, emigravano volentieri e dovettero perciò accorrere numerosi verso l’emporio marittimo di Savona, tanto che due famiglie niellesi si trapiantarono addirittura colà: quella dei Del Piano (6) e quella dei Corradengo. Questi, raggiunsero in Savona cariche importanti (7) ; il loro ultimo rappresentante fu il sacerdote Francesco Corradengo Niella, che morì, come si disse, nel 1671, lasciando alla sua città cospicue rendite. Non è qui il caso di rifare la storia delle compagnie di ventura ; è però bene, per far conoscere l’ambiente nel quale dovette passare la sua giovinezza il nostro Romanzotto, ricordare che i suoi tempi furono i più propizi .per queste compagnie nel Piemonte. Negli ultimi decenni del secolo XIV numerosissimi vi erano i signori, e di varia potenza: il Conte di Savoia, il principe di Acaìa, i marchesi (4) F. Noberasco, / rapporti fra Savona e l'oltre Giogo dagli antichi tempi alla perdita, della sua libertà, in « Gazzetta di Genova », a. LXXXY, mi. 7, S, 9. (5) G. Rosso, Le vie di comunicazione della Liguria e la loro funzione storica, in « Atti Soc. Lig. di Se. e Lett. », Genova, vol. II, fase. 4, 1932. (6) Un Antonio Del Piano era capitano di nave nel 1376; un Giovanni era Anziano del Comune nel 1390; un altro Giovanni era ambasciatore del Comune nel 1414. F. Noberasco, op. citata. Un Oberto de planonielle fu Anziano del Comune e presente all’atto di sottomissione di Savona al duca d’Orléans nel 1394, doc. 7 in Jarry, opera che citeremo tra poco. (7) Un Giacomo Corradengo Niella fu Vescovo di Savona dal 1305 al 1318; un Pietro Niella fu cavaliere di Gerusalemme e capitano di nave e morì a Rodi nel 1522 combattendo eroicamente contro i Turchi; un Domenico Niella fu nel 1526 Priore degli Anziani; un Antonio Niella figura tra i dodici ambasciatori mandati da Savona a Genova nel 1526 per trattare della sottomissione della città. Per quanto riguarda i Corradengo Niella a Savona vedi, oltre le operè citate· del Verzellino e del Noberasco, A. Abate, Cronache savonesi dal 1500 al 1570, Savona, D. Bertolotto e C., 1897; V. Pongiglione, Le carte delVArchivio Capitolare di Savona, Savona, A. Ricci, 1913. 28 GIUSEPPE ROSSO del Monferrato, di Saluzzo e di Ceva, gli Angioini e ima lunga schiera di minori sino agli ultimi contni del Canavese. Tutti poi erano in lotta fra di loro e le continue guerre portavano con sè spese enormi, devastazioni, incendi, rappresaglie che si ripercuotevano sulle misere popolazioni costrette ad abbandonare i campi e ogni forma di industria e di commercio. Era naturale allora che tutti quelli che non avevano o non sapevano che fare si raccogliessero in compagnie, anche piccolissime, perfino di due uomini, e si portassero al soldo dei vari signori. Si assicuravano così la paga ed il bottino e avevano per di più la speranza di far carriera ; le loro scorrerie erano non solo tollerate, ma diventavano ad un certo momento di giusto diritto, e le popolazioni atterrite le subivano rassegnate. Dato dunque questo ambiente guerriero, nessuna meraviglia se il Corradengo della Niella, forte della nobiltà del suo casato e di una certa prosperità, volle comandare una compagnia di ventura, con la speranza di farsi un giorno condottiero di fama. E siccome non lo vedremo quasi mai disgiunto da Facino Cane, possiamo pensare che si allevò alla sua· scuola. Nessuna scuola poteva essere migliore di quella che continuava le tradizioni militaresche di Ottone di Brunswick, capitano generale del Monferrato prima del 1372. Non abbiamo documenti che ci attestino che Romanzotto campeggiasse con Facino, quando questi, prese parte a fatti d’arme nel regno di Napoli (1381-1385), ma egli doveva già essere ben conosciuto al campo di Gian Galeazzo Visconti nella guerra visconteo-tìorentina (1390-1391), giacché il 10 aprile 1392 Gian Galeazzo ordinò al podestà di Pavia di impedire a Romanzotto e a Macarino Provana, che assoldavano armati nei ditorni di Crema e di Cremona, di recarsi ad partes Pedemontium (8). Si tratta qui della invasione del Canavese operata da Facino Cane (1391-1394) ; Galeazzo, che aveva già licenziato le compagnie di Bernono Guttua-rio e di Romanzetto, per quanto offeso coi Savoia e gli Acaia, che non avevano impedito il passo agli Armagnacchi, venturieri francesi reduci da altre imprese, non voleva spingere'però le cose molto oltre e disapprovava, almeno apparentemente, l’invasione stessa. Il Guttuario e il Romanzotto non lasciano capire bene se si dirigono verso il Canavese o verso il Piemonte meridionale, ma il nome di Romanzotto è già importante, se egli si trova presente, insieme ad hì Per quanto riguarda Romanzotto in Piemonte, vedi: E. Galli, Facino Cane e le (juerre guelfo-ghibelline nell'Italia settentrionale, Arch. St. Lomb., serie III, anno XXIV, 1897; F. Gabotto, Gli ultimi principi d'Acaia e la politica subalpina dal 1383 al 1407, Torino, Fratelli Bocca, 1898. Per quanto riguarda più propriamente Facino Cane, vedi N. Valeri, La vita di Facino Cane, Torino, Soc. Sub. Ed., 1940; G. Valsesia, Beatrice di Tenda, Genova, E. Degli Orfini, 1935; M. Granata, Facino Cane, Torino, Paravia, 1936. ROMANZOTTO DELLA NIELLA CAPITANO DI VENTURA 29 Aimonette Richard, capitano di Cherasco, alla tregua stabilita in Asti il 23 agosto 1394, tra i rappresentanti di Acaia e Saluzzo, gli ambasciatori viscontei e il rappresentante monferrino (9). Roman -zotto è qui in relazione col Duca d’Orléans ; la« tregua è il preludio di gravi fatti, che vedremo più avanti. Il nome di Romanzotto della Niella compare poi per tutto il periodo delle lotte che, verso la fine del sec. XIV, Savona dovette sostenere per assicurarsi il possesso del Segno, castello importante, perchè dominava la rada di Vado, e nel quale egli aveva delle grandi proprietà (10). In quel tempo, tanto le terre del Segno, quanto quelle di Vado e di Quigliano, erano contestate tra Savona e Noli (ll). Il comune di Noli era aiutato da Genova, che mirava anche essa a sottomettere Vado per meglio tenere a freno la rivale Savona. Questa finalmente deve mobilitare contro i ribelli le milizie comunali e affidarne il comando al condottiero astigiano Matteo Scarampi. Nel 1393 lo Scarampi esce in campo ed incendia Vado e Noli. Nell’autunno di quell’anno si mettono a capo dei ribelli Galeotto del Carretto e Romanzotto della Niella e, come ricorda un notaio citato dal Poggi, fuerunt in posse Saone et multa dampna fecerunt de prexoneril in n. SO parvos et magnos ecc. Le bande armate di Romanzotto vsi trovavano poi sole a difendere il castello del Segno, quand’eceo il doge di Genova mettersi palesemente dalla parte dei ribelli. La scintilla divampa allora in un grande incendio, perchè già i messi del duca d’Orléans cercavano di indurre Savona a darsi allo straniero, come rappresaglia alla città rivale. Come è noto, frequentissime erano in Genova le lotte intestine e già una patte dei Genovesi pensava se non fosse meglio darsi in balìa di una potenza straniera. Non nascondevano. allora le loro mire su Genova Gian Galeazzo Visconti e suo genero il principe Luigi duca d’Orléans, signore di Asti e fratello di Carlo VI, re di Francia, che gii aristocratici di Genova avrebbero preferito per signore. Ai disegni francesi giovò non poco la rivalità* fra Genova e (9) Àrch. St. Torino, Monferr. Marches., Mazzo VII. Confi·. G. Della Chiesa, Cron. di Saluzzo, in M.h.p., Script., Ili, 1041. • (lü) Per tutto il periodo che riguarda Romanzotto a Savona e nella Repubblica di Genova, vedi, oltre alle storie di Genova, i citati Verzellino, Abate, Galli, Gabotto, e A. M. De Monti, Compendio di memorie historiche della città di Savona, Roma, Marc’Antonio e Orazio Campana, 1697; V. Poggi, Cronotassi di Savona, Mise, di St. Ita!., serie III, T. XVI, 1913; E. Jarry, Les origines de la domination française à Gènes (1392-1402), Paris, A. Picard et fils, 1896; G. Filippi, Studi di storia ligure, Roma, Soc. Ed. Dante Alighieri, 1897; I. Sco-Vazzi e F. Noberasco, Storia di Savona, Savona, Tip. Ital., 1927. f11) B. Gandoglia, Savona e Noli nel Medio Evo, in « Atti e Meni. Soc. St. Savonese », vol. I; G. Salvi, Galeotto 1 Del Carretto Marchese di Finale e la Repubblica, di Genova, in « Atti R. Dep. St. Patria per la Lig. », vol. II, Genova, 1937. 30 GIUPEPPE ROSSO Savona, che accoglieva i fuorusciti genovesi. I nobili di Genova» intanto avevano fatto offerte al re di Francia e il duca dOrléans si era assunto il compito di occupare i territori della Repubblica cominciando da Savona, dove 1111 partito giovane, sicuro che da un momento all’altro sarebbe tornato al dogato Antoniotto Adorno, nerissimo nemico delle libertà savonesi, propendeva per la cessione della città ai francesi. A dirigere tutta l’impresa, il duca d’Orléans nominò Enguerrand VII de Coucy e il marchese Carlo Del Carretto fece omaggio al duca dei suoi feudi nelle valli della Neva e della Pennavdira. Quando poi il 3 settembre 1394 risalì al dogato Antoniotto Adorno, gii eventi precipitarono. Primo atto del Coucy fu quello di assoldare Romanzotto della Niella coi suoi 350 cavalli, l'altro condottiero savonese Ottone Rusca con 200, Bertolino da Verona e il capitano Facino Cane con 160 lance, cioè 400 uomini a cavallo. L’esercito del Coucy, al quale si aggiungevano le bande di Amedeo de Miribel, Jean de Puis, Bertolino da Verona e quella degli Armagnacchi con le Bourc de Ver-duzan, Garsic de Frespailles, Jean de Dai 11, Huguenin de Marmi-gnac, Motin de Foujolles, Armand de Campane, contava 419 lance (1257 armati e balestrieri a cavallo) e 191 arcieri : in totale circa 3800 uomini. Questi uomini erano concentrati a Cherasco e ad Asti ; Romanzotto a Villafranca. Le bande alzarono la bandiera azzurra coi fiordalisi d’oro e la fascia d’argento. Per avere libere le vie su Savona, si conclusero alleanze coi Savoia, coi Visconti, col principe d’Acaia e coi marchesi di Saluzzo e del Monferrato; Giorgio e Antonio Del Carretto aggiunsero l’omaggio della valle di Arroscia e di Clavesana. Savona, ormai stretta in un cerchio di ferro, scende a trattative col Coucy, ma, per timore di vendette da parte di Genova per la sua dedizione, pone per condizione che le truppe orleaniste si affaccino minacciose al colle di Cadibona. Non si desiderava altro : si muove il 22 ottobre l’esercito orleanista, il 7 novembre è a Ceva, il 9 novembre a Càrcare, di dove gli Armagnacchi si spingono a Cadibona e scendono nella pianura di Savona, devastando ogni luogo. Nel frattempo Romanzotto è già ad Albenga, dove il 20 novembre firma la quitanza dei mille fiorini portatigli da Carlo Del Carretto e formanti la sua paga di un mese. L’azione fu così svelta che il 1< novembre 1394 Savona è costretta a capitolare (12). Il Coucy però conduceva nel frattempo negoziati con Genova, lasciandole sperare la restituzione di Savona, qualora si fosse sottomessa al duca, e nello stesso tempo preparava il blocco di Genova alleandosi coi suoi nemici. L’Adorno capisce allora di essere giocato, (12 ironia della sorte: è presente all’atto un Battista Corradengo. Jarry, op. cit., doc. VII. ROMANZOTTO DELLA NIELLA CAPITANO DI VENTURA 31 cambia tattica, si rivolge direttamente al re Carlo VI, e tira dalla parte sua il condottiero Romanzotto. I due uomini avevano provato le stesse delusioni, ed ora si accanivano con lo stesso odio contro Savona. Due còmpiti si presentano al Romanzotto: sottomettere definitivamente la valle di Arroscia difesa dalle milizie rimaste fedeli al Coucy e poi piombare su Savona. Il primo di questi còmpiti è adempiuto con marcie e contromarcie fulminee, tantoché per i primi mesi del 1395 sono continue le domande di aiuto che i difensori della valle mandano al Coucy. C’est la nouvelle de ses allées et venues et de ses préparatifs guerriers qui inquiétait Rusco et les Del Carretto dans le vai d’Arroscia tout voisin d’Albenga (13). Il Coucy, di fronte ad un’azione che procede « con tale risolutezza (14) », ricorre dapprima per aiuto al marchese di Ceva, poi manda addirittura nella valle Pierre de la Vieuville coi suoi Armagnacchi. Succede però un colpo di scena: ai primi di marzo 1395 Carlo VI accetta di farsi signore di Genova, e il duca d’Orléans gii cede tutte le conquiste da lui fatte in Liguria. Ë tempo per il Coucy di rafforzare Savona; è tempo per 1’Adorno e Romanzotto di impadronirsene con un audace colpo di mano. Romanzotto infatti abbandona l’impresa di Albenga e si avvicina a Savona facendo sollevare le popolazioni di Vado, del Segno e di Quigliano e attirando a sè alcuni savonesi. Gli muove contro Matteo Scarampi, ma Romanzotto si chiude nel castello del Segno e lo Scarampi ripiega in Savona. La città si trova assediata dalla parte di terra dai soldati di Romanzotto e di Facino Cane, che, fa- ora causa comune con Romanzotto e campeggia presso Albis-sola, e dalla parte di mare ove sono ancorate le galere dell’Adorno. L’assedio a cui Romanzotto sottopone Savona è quanto mai terribile, giacché egli taglia ogni comunicazione col colle di Cadibona. Con la sua gente poi « accresciuta di quei contadini, e altri fuorusciti e mal contenti, e altri vaghi di preda, il Niella diede il sacco a questi Borghi, e le fiamme a molti edifici, particolarmente a quelli dei suoi emuli a’ quali incendiò tutte le ville e i poderi: fece prigioni de’ cittadini e li costrinse con ogni Crudeltà a redimersi con gran prezzo. Tutta una estate si tenne sì doloroso assedio (15) », che Romanzotto dovette togliere, quando, da parte sua, lo tolse anche Γ Adorno, intimorito dal ravvicinarsi del Coucy. L’Orléans cedeva, in sèguito, al re i suoi diritti su Savona, e questa, nell’aprile 1397, faceva pace con Genova sottomessa ai francesi. (Continua) Giuseppe Rosso (13) jarry, op. cit., pag. 123. (14) E. Galli, op. cit. (15) A. M. De Monti, op. cit., pag. 105. DISCUSSIONI E COMMENTI SOPRA UNA LAPIDE ROMANA ED UN CONFINE Un giovane e fecondo scrittore di cose nostre, nella sua recensione ad una monografia pubblicata a Firenze nel 1933 (la Mario Lopez Pegna sopra Una colonia romana delia Liguria occidentale, raccomanda agli storiografi locali un po’ meno di faciloneria, ed un po’ più di discernimento critico e di' equilibrato giudizio di una certa visione generale dei fatti storici, lamentando la deficienza del metodo e la imperfetta conoscenza dei documenti e « sopratutto abbondanza di tesi, preconcette da difendere, imposte dal campanilismo, sempre imperante (*). Sottoscriviamo pienamente a queste norme, aggiungendo la raccomandazione di una maggiore serenità nella trattazione delle proprie tesi, con maggior riguardo alle tesi altrui, anche se non fossero precisamente conformi alle nostre. Senonchè non sempre questo metodo, è stato seguito dai nostri storiografi, come ci proponiamo di dimostrare nei seguenti rilievi. I. Bussana lia la fortuna di possedere, nel suo territorio, la seguente epigrafe, che trovavasi murata sopra l’architrave della porta del* l’antico fortilizio, detto deir Alma, situato in territorio di Bussana, della quale noi (e non il Barocelli, come afferma il prof. Lambo-glia), abbiamo pubblicato per i primi il facsimile (2). VICTORIAE AETER NI-IMVICTI-IOVIS OPTIMI-MAXIMI-M. VAL. CAMINAS-CASTELLI RESTI TUTOR AUTOIYCUS Quest’epigrafe, raccolta in modo imperfetto nelle schede del Gu-stavino, venne dal Muratori inserita nel suo: Thesaurus, Classe I.a (*) v. Prof. Nino Lamboglia, in Bollettino della Società Storico-Archeologica inganna e Intemelia, arino I, n. 1-2, 1934-XII, pag. 109. (2) Divagazioni sovra una antichissima lapide. Studio dell’avv. Vincenzo Donetti, edito a Sanremo, dalla Tip. Vacchieri nel 1932-XI. DISCUSSIONI E COMMENTI 33 al η. 11, pag·. XCI, con questa osservazione: Aliquid exoticum in ista hahes. Insigni archeologi, anteriori e posteriori al Muratori, quali il Padre Calvi, il Canonico Lotti, il Navone, il Bertolotti, il Rossi, e sopra tutti il Mommsen, il Dessau e molti altri che esaminarono tale epigrafe, la ritennero autentica, mentre altri, fra cui il canonico Sanguineti, il Celesia, l’Accame ed il Reghezza, basandosi sull’autorità del Muratori, senza averla mai veduta, la giudicarono invece spuria. Fra i primi vi fu anche un autorevole, per quanto modesto scrittore, il Prof. Tommaso Viano di Montalto Ligure, il quale nel 1841 scrisse quattro lettere al conte di Cessole, allora presidente del Senato di Nizza, le quali però vennero pubblicate soltanto nel dicembre del 1S63 nel settimanale « Liguria », illustranti favorevolmente la contrastata epigrafe. Non l’avesse mai fatto ! Tali lettere provocarono il sacro sdegno del focoso Canonico Prof. Angelo Sanguineti, il quale, illustrando nel 1864 le Iscrizioni ramane della, Liguria, con una violenza di linguaggio poco cortese, e veramente insospettata in uno scrittore di tanta levatura, investe la nostra epigrafe, edi i sostenitori della sua autenticità e vetustà, chiamandoli addirittura, sciocchi! (3). Ma, non ostante l’anatema del Can. Sanguineti, noi ci siamo schierati, e perseveriamo, con gli assertori della autenticità e della vetustà dell’epigrafe, sostenendo anche la sua relazione col fatto d’armi avvenuto nell’anno 572 di Roma, 181 av. C., nel quale i romani guidati da L. Paolo Emilio sconfissero i Liguri, narrato da Tito Livio nel libro XL delle sue storie, come riteniamo di avere esaurientemente dimostrato in apposito nostro studio i4). Senonchè le nostre povere fatiche non valsero a convincere il Prof. Nino Lamboglia, il quale lamenta la mancanza di una completa sintesi della storia di Taggia, per la disgraziata circostanza « che alla radice di ogni valutazione al riguardo sta una famosa epigrafe, che documenterebbe l’esistenza di un castello in riva al mare presso Arma, restaurato da un M. Val(erius) Caminas; epigrafe della quale io — non pel primo del resto — credo di avere dimostrato che è una misura di elementare prudenza considerare spu-ria.... » (5). (3) .Iscrizioni romane della Liguria raccolte ed illustrate dal Can. Prof. Angelo Sanguineti, in Atti dalla Società Ligure di Storia Patria vol III pag. 172-174. (4) v. ut supra: Divagazioni sopra uriantichissima lapide, ecc. (5) Topografia Storica delVIngaunia, in Collana Storico-Archeologica della Liguria occidentale, anno 1933, vol. II, n. 4, pag. 108; e Bollettino della Società Storica-Archeologica Ingauna ed Intemelia, anno I, gennaio-giugno 1934 pag. 110-112. 34 DISCUSSIONI E COMMENTI Ecco dunque la tesi del Prof. Lambogiia: « bisogna toglieie 1 e- pigrafe per non avere inciampi ». e E per dimostrare tale sua tesi, egli richiama le ragioni già svolte dal' Can. Sanguineti, aggiungendone qualche altra, tutte egualmente infondate, che possono così riassumersi. A) La rassomiglianza delle lettere dell’epigrafe con quelle della lapide, che i Taggiaschi le hanno sovrapposta nel 1565 (allorché tu trovata l’epigrafe stessa) dà a sospettare che le due iscrizioni siano state scolpite dallo stesso scalpellino. _ _ Ma il sospetto del Lambogiia è strano e ingiustificato perche tutto fondato sul fatto che egli non ha mai vedute le due epigrafi, altrimenti avrebbe riscontrato cìhe esse appaiono scolpite sopra una pietra, e con lettere assai diverse l’una dall’altra. La « Victoriae Aeterni » è scolpita sopra una pietra durissima e di grana finissima, tantoché non è stata menomamente intaccata dil la salsedine; ed i suoi caratteri sono perfettamente uguali a quelli della tavola di bronzo contenente il « Senatusconsulto dei Baccanali il cui facsimile è stato pubblicato dal Drachemborcli e dal Paleno, a quelli delle epigrafi poste sulla tomba dei Scipioni a quelli della tavola di Polcevera, il cui facsimile è stato pubblicato dal Can. Sanguineti (6), nonché a quelli delle « Tabulais Aeracleenses » illustrate, con facsimile, dal Marzocchi nel 1751; il che prova che tutte queste epigrafi sono quasi coeve ; mentre invece la epigrafe dei Taggiaschi, che trovasi scolpita sopra una lastra di marmo statuario di Carrara, è tutta corrosa dalla salsedine ; ed i suoi caratteri souo della più bella, regolare, nitida ed elegante forma della scrittura del Rinascimento. Dunque le due epigrafi, che il Lambogiia non ha mai esaminate de visu, non possono essere, e non sono, state scolpite nello stesso tempo, e tanto meno dallo stesso scalpellino. Bì Una· seconda impugnativa di falsità dell’epigrafe « Victoriae Aeterni », il Prof. Lambogiia basa sulla analisi del di lei contenuto, che dice assurdo, sia per la attribuzione della vittoria a Giove, sia per la ampollosità dello stile inusitato nelle epigrafi del tempo, sia perchè non v’è traccia nella storia dell’impero romano di una battaglia avvenuta nei dintorni di Taggia, sia perchè il cognome di «Caminas» trovasi per la prima volta nella epigrafia romana, sia iter la stranezza del nome « Autoiycus », che chiude l'iscrizione, sia perchè nessuna traccia di un castello romano si riscontra nella regione, vicino al mare. m .. Trattasi evidentemente di apprezzamenti soggettivi, già tatti (lai Cari. Sanguineti, i quali non hanno alcuna consistenza storica. Ad ognuna di queste osservazioni rispondiamo che, l’epigrafe non si nfe- («) Della tavola di Polcevera, in Atti della Società Ligure di Stona Pa-tria, vol. Ili, pag. 357. DISCUSSIONI E COMMENTI 35 risce ad una vittoria ottenuta in una guerra civile durante l’impero romano, ma bensì alla vittoria ottenuta dai Romani contro i Liguri nell’anno 181 av. C., dovuta in gran parte a Marco Valerio Carni-nate; che lapidi con dediche a Giove Ottimo Massimo, se ne trovano a centinaia (confrontare il Mommsen) ; che il cognome di « Caminas » è stato attribuito al suddetto Marco Valerio per le sue qualità, personali, come era consuetudine presso i Romani ; e poco conta che tale cognome non si trovi altrove, giacché moltissime sono le lapidi che contengono cognomi ignoti ; e molte, anzi, proprio con dei Marco Valerio, come questa in questione (confrontare il Dessaui: che la parola « Autoiycus » non si riferisce a persona, ma a cosa, trattandosi di una parola greca composta da « autós » ed « Yc.us »' « di sua iniziativa », « a sue spese » ; o, come argomentò il compianto nostro amico Prof. Avv. Giuseppe Amadeo, composta da autós ed oìkos « per sua casa » ; ossia, : ricostruì il castello per sua abitazione : infine che è tuttora viva nei nostri paesi la tradizione di una battaglia avvenuta tra i Romani ed i Liguri nella valle di Taggia, e perchè vi sono documenti e rovine, che attestano della esistenza del castello romano nel luogo, dove nel 1562 venne rinvenuta l’epigrafe (7). C) Un ultimo argomento cóntro la autenticità e vetustà della lapide, già accennato dal Can. Sanguineti, viene, poco felicemente, sfruttato dal Prof. Lambogiia. Esso si riferisce alla cronaca del Padre Calvi del 1622, il quale, nella solitudine della sua cella, ha inventata una favola (8) che il Prof. Lambogiia, scambiandola per verità evangelica, accetta ciecamente, senza qui fare obiezioni: la lapide è una falsificazione dei frati domenicani di Taggia che, per difendersi dalle incursioni dei Saraceni, radunarono il popolo e, col priore in testa, fecero una processione lino al mare, per costruirvi una, foltezza. Qui avevano i frati seppellita la lapide qualche giorno prima, sicché, appena cominciati i lavori per le fondamenta del fortino, l’iscrizione venne alla luce. Tutto ciò (chi ci penserebbe?) per incoraggiare il popolo a lavorare! Ma a parte il fatto che al popolo poco importava una lapide latina, e che il trucco dei frati sarebbe fallito (e perciò credo non l'abbiano neppur tentato), come mai la. giudicarono « Mirae Vetustatis » se invece era stata scolpita poco prima? Erano proprio tutti scemi ») v. Sacro e vago giardinello della Diocesi di Albenga. Relazione fatta da Can. Ambrogio Paneri d’ordine del Vescovo Pier Francesco Costa dal 16»* al 1653, ms. esistente nell’archivio capitolare di Albenga, vol. Ili,· pag. oli. Pubblichiamo volentieri queste interessanti note polemiche, anche se il tono talora meno sereno e gli argomenti eccessivi possono apparire in contrasto con quanto dell attività archeologica c storica del Lambogiia ha diffusamente scritto, ed ancora in questo stesso fascicolo scrive, il nostro “Giornale,,. Solo teniamo a rilevare — senza entrare per ora in polemica su questioni particolari, del resto non nuove alle discussioni ed opinabilissime — come quella baldanza giovanile e quell’entusiasmo per le proprie scoperte ed intuizioni che fa talora velo nel L. all’obiettività e completezza dell’indagine critica, e che noi stessi già in lui notavamo, non possono esimerci dal ritenere ch’egli abbia meritato, in modo notevole, dei nostri studi di antichità. __ , ^ . d. K. COMUNICAZIONI DELLA R. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA Il Ministero dell’Educazione Nazionale (Giunta Centrale degli Studi Storici) ha approvato la relazione sull’attività svolta dalla Deputazione nell’anno XVIII e il bilancio consuntivo. Il Consiglio Direttivo è lieto di comunicare che la Direzione delle Missioni Scientifiche’ Italiane in Levante e la Reale Accademia d’Italia_- per autorevole interessamento dell’Accademico Eccellenza Prof. Roberto Paribeni — hanno deliberato di contribuire rispettivamente con L. 5.000 e 2.500'per il volume che la Deputazione sta preparando intorno alle lapidi genovesi della chiesa dei Santi Paolo e Domenico in Costantinopoli. La Deputazione invia un fervido augurale saluto ai suoi soci che servono la Patria in armi, in attesa di salutarli, fieri del dovere compiuto, dopo l’immancabile vittoria. Il Consiglio Direttivo è lieto di annoverare tra i nuovi Soci il Dott. Giuseppe Pierucci, il prof. Costantino Panigada, il rag. Adriarto Venzano e il sig. Alberto Costanzo. Ai Soci scomparsi Rag. Michele Bruzzone, per molti anni appartenente al Consiglio Direttivo della Società Ligure di Storia Patria, avv. Carlo Mario Brunetti, geniale cultore di studi storici, letterari, araldici, al march. Alessandro Pallavicino, march. Luigi Spinola di Lerma, march. Lodovico Gavotti fu Raffaele un saluto di commosso rimpianto e di profondo cordoglio del Consiglio Direttivo e di tutti i Soci. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA P. Leodegario Picanyol S. P., Gli Scolopi nell’Università di Genova. Monografìa storica, Roma, P. P. Scolopi di S. Pantaleo, 1940. In occasione di questo nuovo scritto, vogliamo segnalare l’attività svolta nel corso di alcuni anni dal P. Leodegario Picanyol, archivista generale delle Scuole Pie, resosi benemerito nel campo degli studii storici e bibliografici intorno all’Ordine delle Scuole Pie, nei quali è divenuto, mercè alla sua tenacia ed indefessa operosità, una delle persone più competenti. Benché nativo spagnuolo (dalla Catalogna, in quel di Barcellona), ci appare in tutti i suoi scritti clie riguardano l’Italia, di spirito nettamente italiano, a segno che ben può dirsi aver egli fatto della nostra Italia, che conosce perfettamente e la cui lingua possiede e scrive a meraviglia, la sua seconda, patria. Dimorante da molti anni in Roma, presso la Casa Generalizia delle Scuole Pie in S. Pantaleo, cominciò la sua attività di pubblicista soprattutto nel 1932, quando cioè intraprese la pubblicazione della rivista ufficiale dell’istituto : Ephemeridas Cal&sanctianae, che ora è già entrata nel 10° anno di vita. In siffatta pubblicazione trovansi notizie di ogni genere che interessano gli scolopi di Liguria, e soprattutto elogi necrologici e notizie di cronaca· delle singole case. Da segnalarsi in particolare uno studio ivi pubblicato nel 1932 dal suddetto P. Picanyol intorno agli archivi e biblioteche delle case scolopiche liguri. Creazione tutta ideata dal P. Picanyol fu la cosidetta « Parva Bibliotheca, Galasanctiana », sorta nel 1933 e che, coi suoi sei fascicoli annui in cui si alternano le monografie coi bollettini bibliografici, costituisce una vera miniera di notizie storiche e bio-bibliografiche sulle Scuole Pie. « Parva Bibliotheca » durò tre anni, nei quali vennero pubblicati 18 fascicoli quanto mai interessanti, riuniti poi in un solo volume con indice particolareggiato di tutte le materie. Nei suddetti fascicoli trovasi una infinità di notizie relative a scolopi liguri ed alle case scolopiche di quella importante Provincia. I bollettini bibliografici pubblicati furono otto, tutti di grande interesse. Tra le monografie che specialmente riguardano la· Liguria, dobbiamo citare il fascicolo sul Gagliuffi e quell’altro sul P. Massimiliano Ricca e il suo elogio sul grande navigatore della Lunigiana Marchese Alessandro Malaspina. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 41 Ί Nel 1936 il P. Picanyol fece un completo rimaneggiamento, rimasto poi definitivo, di quella sua prediletta ed interessante pubblicazione. A partire da quell’anno, non si ebbero più sei piccoli fascicoli annui, ma. tre, per così dire, quaderni di studi: uno esce in marzo, ed lia per titolo Archivum Scholatwn Piarum; scritto in latino, tratta principalmente argomenti che interessano la vita interna dell’Ordine. Nell’Archivum vien pubblicata la, bella raccolta dei Capitoli Generali delle Scuole Pie. In giugno e in dicembre vede la luce, invece, un altro nutrito fascicolo in italiano, dal titolo Rosse-gita di storia e biblioffrafia scolo pica, che porta un notevole contributo agli studi storici e bibliografici sulle Scuole Pie, specie di quelle d’Italia. Finora son usciti ben otto fascicoli di 64 fìtte pagine cia; scuno, con innumei^voli notizie di carattere storico, biografico e bibliografico. Tra gli studi più interessanti che vi sono comparsi, vanno segnalati quelli sul Collegio Calasanzio di Roma, sul fisico piemontese lo scolopio Carlo Barletti, e ultimamente sugli Scolopi nella Università di Genova. Nè l’attività del P. Picanyol si limita a queste due poderose collezioni di riviste, di cui abbiamo dato cenno, chè ha dato anche alla luce altri volumi a sè, tra i quali segnaliamo, in quanto possono interessare la Liguria, i seguenti : Brevis Conspectus Storico-Statist i -eus Ordinis Scholarum Piarum (Roma, 1932); Un educatore insigne: Il P. Urbano Appendini delle Scuole Pie (Roma, 1935) ; Inventarium Magni Tabularii Ordinis Scholarum Piarum P. Leodegarii Picanyol cura editum (Roma, 1937), opera quest’ultima interessantissima, perchè rispecchia, la nuova e scientifica ordinazione data da lui all’importante Archivio generalizio delle Scuole Pie. La nuova opera che ci ha dato lo spunto a questa rapida rassegna degli scritti principali del P. Picanyol, riguardanti la Liguria, è un volumetto di 136 pagg., quarto della serie CaJa^anctiades scientiarum cultores · che a sua volta è parte della notevole collana Monumenta Historica Scholarum Piarum. Precede un’introduzione in cui l’A. mette in rilievo la benemerita opera dei PP. Scolopi nel campo dell’insegnamento, attestata dal gran numero di nomi di Padri che raggiunsero la celebrità nel campo di ogni disciplina. Passando poi a parlare del poderoso contributo dato all’educazione genovese dagli Scolopi, comincia il lavoro trattando di quei Padri nominati professori dell’Ateneo di Genova, nel sec. XVIII : cioè: i letterati Clemente Fasce (n. a Genova, 1725-1793); Celestino Massucco (n. a Cadice da famiglia genovese, 1748-1830); Pier Nicolò delle Piane (n. a Genova, 1745-1819) ; Giuseppe Gregorio Solari (n. a Chiavari, 1737-1814) ; Faustino Gagliuffi (n. a Ragusa, in Dalmazia, 1765-1834) poeta latino notissimo anche per le sue improvvisazioni ; e i fisici e matematici : Glicerio Sanxay (n. a Genova, 1736-1806) finora quasi ignoto per quel che riguarda la sua vita; Domenico Scribanis (n. a 42 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Chiavari, 1761-1S36); Giovan Francesco Muzio (n. a Sestri Levante, 1742-1809); Michele Alberto Bancalari (n. a Chiavari, 1805-1864) amico del Mazzini, noto, per le sue scoperte, allo scienziato Farady; e Lorenzo Isnardi (n. a Savona, 1802-1863) che per un decennio fu Rettore dell’Unversità stessa. A costoro ΓΑ. aggiunge notizie su Francesco Pizzorno (u. a Genova, 1815-1898) che fu « Dottore aggregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia » dell*Università stessa. La rinomanza dei nomi e la fama dei personaggi trattati è tale che potremmo anche domandarci come mai nessuno fino ad oggi avesse ancora fatto diligenti ricerche su quegli illustri uomini che appaiono tanto spesso, ma non ben definiti, nella storia dell’erudizione genovese; forse la difficoltà di radunare notizie su tale argomento troppo a lungo trascurato, trattenne qualche studioso. Di ognuno il Pica nyol raccoglie, con rara pazienza, notizie biografiche accuratissime, indicando per ognuno le fonti edite ed inedite da cui attinge e dandoci Pelenco delle opere a stampa. Per alcuni riporta anche brani di opere inedite, che meglio illuminano le figure dei Padri trattati, i quali, possiamo dire colPA., furono, specialmente nell’epoca prenapoleonica, tra i maggiori esponenti della cultura genovese. Per l’opera svolta, per l’interesse £ l’amore dimostrato verso la Liguria, non ci resta che ringraziare l’intelligente autore. Nilo Calvini Alessandro Giribaldi, / Canti del Prigionieri e altre liriche. PrÇ· sentazione di Adelchi Baratono. Genova. Emiliano degli Orfini. 16°, pp. 128. Difficile compito per me cresciuto a severi studi eruditi in questi ultimi lustri, parlare di un poeta antico negli anni, e di un dramma remoto, su cui si era disteso ormai pietoso l’oblio. Nè mi ci attenterei se mi ci legasse solo arido ufficio di recensore, e non anche profonda umana simpatia per il doloroso eroe di queste pagine, e commossa gioia per l’inopinato cadere dell’ombra· che velava l’austera serenità di Colei che compie oggi il religioso ufficio di rinnovare, per una superiore carità d’arte, un ricordo acerbissimo. Il lungo silenzio che ha avvolto per molti anni il nome e l’opera di Alessandro Giribaldi ci obbligherebbe a dire qualcosa di lui, delle sue prime esperienze letterarie, e poi del fosco dramma di una sera di agosto del lontano 1903, che fatalmente e per sempre stroncava la fortuna poetica del giovane esuberante e generoso, ridotto alla prigione e al silenzio. Dovrei, poveramente, raccontare, stretto da angoscia, ciò che con commossa intelligenza fa rivivere, nella « Presentazione », Adelchi Baratono : un cenacolo di artisti giovani 43 e spensierati, felice coloritura di ambiente della Genova fine Ottocento ; una cupa, disperante tragedia. Si leggano quelle pagine: il dramma di quella sera ci si scolpisce nel cuore, temperata la sua crudezza dalla distanza. « È vivo in me il ricordo di quei giorni listati a lutto ; la disperazione ,di mio fratello, il compianto di tutti. Nessuno inveì contro il vivo, nè contro il morto; a tutti quello sembrò l’eguale strazio di due famiglie, l’ugual fine di due giovani speranze, di cui l’uno giaceva, muta spoglia, nella tomba dei morti, l'altro, invocante ogni dì la morte, nella tomba dei vivi ». (p. 19). Già prima di scorrere le liriche questa rievocazione penetrata di fine senso critico e soffusa di un delicato lirismo, ci avvince. La ragione dell’opera è forse qui, tutta qui; e ne ricerca il motivo con chiara coscienza il Baratono stesso iti una di quelle sue frasi incisive, che tolgono a noi la facoltà (li esprimerci con nostre parole: Γopera « non comporta discussioni critiche, ma un semplice rito », è una testimonianza. «Noi chiamiamo il poeta, e dai Canti del prigioniera più spesso risponde l’uomo ». Sotto questa luce essi sono una lettura piena del più vivo interesse, anche se spesso manca 1’« arte pura ». Invero riuscirebbe difficile formulare un giudizio definitivo sulla poesia di Giribaldi, così varia nella ispirazione, nei ritmi, nel grado di perfezione. Solo poche volte ci si offre una completa aderenza della forma all’ispirazione lirica; c’è una costante aspirazione alla, perfezione formale carducciana, che spesso si contiene in una fredda ricercatezza stilistica; ma la nostalgica espressione di dolore che risponde alla intima malinconia del poeta, lo risospinge nelle in certezze del decadentismo di moda. Del resto, anche in questo campo strettamente critico, vano è tentare di aggiunger parola a quanto ci ha detto il Baratono, cui nòn è sfuggita l’incontentatibilità della coscienza poetica del Giribaldi, e che ha saputo porre, dominando l’affetto, rigidamente i limiti dell’arte di lui. Di questa insufficienza espressiva, per cui quasi non c’è lirica che non esaurisca la sua ispirazione entro il breve volgere di pochi versi, sono soprattutto esempio i « Canti del Prigioniero », in cui spesso manca l’animo all'uomo di insister nel canto. Così nella lirica « quando, giovine atleta », una delle più delicate e forti e sincere del prigioniero, lo spunto felicissimo (Io non ti conoscevo — io che vivea di canti.... E non ti offesi mai! — Tu ti avventasti a me; — ti avventasti: perchè? — Perchè tu non lo sai!), torna poi su se stesso, nella vana ricerca di una chiusa: e rimane un frammento. Ma anche nei Disiccta, poesie per gran parte anteriori alla prigionia, (pii opportunamente raccolte da Angelo Barile, rare volte una poesia procede agile, come uscita di getto, senza stanchezze. Ricordo peraltro « Su l’alba», pervasa di una squisita leggiadria e « Le Formiche », dove un alito di contenuta sensualità guida il poeta ad 44 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA audacie insolite, e le immagini sgorgano in una immediatezza incantata. A queste fa riscontro per levità di toni e chiarezza di composizione, tra le dolorose soprattutto « Rintocchi », in cui il prigioniero dal chiuso carcere evade verso le libere spaziosità del suo mare sulle ali armoniose della campana. Questa poesia è segno di una sensibilità nuova, affinatasi nel dolore, che è la vera anima poetica di Giribaldi, e prima 11011 aveva avuto ancor modo forse di riconoscersi e di manifestarsi interamente. Non che tutta essa nasca dalla grande sventura, ehè noi la avvertiamo già prima, in una non ben definita malinconia» di cui Giri-baldi par compiacersi: e tra l’altro, in « Confidenze all’amico », la prima lirica dei Disiecta> ove, pur attraverso « sogni lunatici » (« Follie che di sfuggita rispecchiano la vita ») di un prete impiccato, di una vergine bianca su un cigno, di educande e di bambole, di un asino cieco al guindo, e di un gatto pigro, narrati in versi aspri ed arguti, il poeta persegue l’ideale « di un mondo che non è ». Ala certo è nella prigione che il canto si fa più cupo e più sconsolato. Reso sensibilissimo ad ogni ombra che lo impaura, ogni più sozzo ed immondo essere gli suggerisce motivo all’effusione della sua amarezza (« Il ragno » « Le mosche— »). In « Tormento » il « maledetto vipistrello » succhia dal petto del poeta « il sangue che nutrì l’alto ideale — di gloria e di grandezza », e poi l’incubo si incupisce in una disperata e sarcastica invocazione alla morte, la « fatai signora » di un altro accorato lamento (« Per un prigioniero suicida»), che «eco fa d’un cachinno al suo pregare ». C’è insomma nel poeta prigioniero un’amarezza nuova, irta qua e là di quell’aere ironia che aleggerà intorno a lui, forse, per tutta la vita, e oltre la vita nel suo mondo raccolto, dopo che la sventura avrà stroncato al cigno le ali. È un ondeggiare incerto tra il lirismo del vate puro di cuore e la risata beffarda dell’uomo vinto da un cieco destino, che ogni qualvolta si attenda alla poesia di cui sente prepotente l’impulso, prova come un disgusto a trattare quasi per gioco quella retorica che è pur strumento necessario della espressione lirica, ma ora fa così stridente contrasto con la reale miseria dell’oggi, e con la morte spirituale di sempre. E così ancora si capisce l’imperfezione artistica di questi canti, in cui, per altri rispetti, sentiamo, e per la prima volta, il poeta vero. Una poesia particola7*mente meriterebbe al riguardo, un più intimo esame, ^ per la sua ricchezza e bellezza : « Sciame di lucciole », una confessione artistica tanto più commovente e vera, perchè non nasce da distillazione a freddo di pensieri e di immagini, ma dall’angoscia dell'anima, dal tumulto dei sentimenti, da 11 '^esitazione del vinto a più toccar di poesia, quasi consolazione, ormai vieta per lui, tanto caduto. Eppure, e noi ci sentiamo gioire il cuore nello scoprirlo in que RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 45 ste pagine stesse. Giribaldi non si è lasciato abbattere, sotto il peso della sventura, dalla disperazione, e si è affissato a questo raggio di luce, la poesia, per liberarsi dall’affanno greve, per evadere dalla sua disperante solitudine, dal suo ingiusto destino. Intuiamo prepotente nei versi un’ansia di gioia, di serenità, di abbandono alla vita, che nulla vale a soffocare nell’intimo cuore. Il Male si è avventato su lui, lo ha travolto, ma senz’ombra di colpa: non poteva schiantarlo. Se l’uomo non avrà più la forza — meglio, la vanità — di ritornare alla pura poesia della sua gioconda giovinezza, egli non rinuncierà ad una giusta vita di serenità e di lavoro. Quella mesta ansia di vita l’avvertiamo già, tra i « Canti » nel saluto dell’augello gentile che si posa sulla finestra (« Piccolo cantore »), nel conforto delle lucciole, piccoli muti compagni di una solitudine immensa, nell’aspirazione a una Fede, nel nobile canto elevato con vastità di toni alla stella Esperò, nel fanciullesco gioire per aver carpito, una notte, attraverso il breve pertugio della sua cella, « le stelline — che coronano la torre » del castello Mackenzie. Della pace raggiunta nel porto della vita dopo la paurosa tempesta, c’è un solo segno, pur nobilisimo e mesto, il canto di congedo « Ad Attilia », all'eletta confortatrice del· suo dolore, che ha fatto proprio l’amaro disinganno del poeta, rendendogli « per affanno amore », senza chieder di più ; e che oggi ancora compie devotamente, il suo atto di generosa pietà, ridonandoci, con l’uomo, il poeta. Teofilo Ossian De Negri Umberto Biscottini, Introduzione alla Corsica. Collezione. « Civiltà italiana nel Mondo » della Società Nazionale « Dante Alighieri », Róma, 1940, 24°, pp. 112. Veramente felice è il titolo di questo libriccino che in un momento quanto mai opportuno il Biscottini offre al lettore italiano, sotto gli auspici della benemerita « Dante Alighieri ». Non troviamo qui ampia ed erudita cronaca di avvenimenti storici, o dotte, disquisizioni linguistiche od etnografiche, ma una visione panoramica, bene informata e sobria della vita còrsa nei suoi più vari, aspetti, anche linguistici ed etnici, dalla più remota preistoria al medioevo e ad oggi, anzi ad un imminente e felice domani, sempre presente alla viva intelligenza dell’autore, quando l’isola selvaggia e bella tornerà a quella terra che fu nei secoli migliori della sua esistenza ralimentatriee della sua passione, della sua civiltà, della sua arte. Il Biscottini, in questo suo conversare nobile e concettoso non intende davvero offrire al largo pubblico soltanto una prima sommaria informazione sulla storia, e la vita della Corsica, che anzi quel suo procedere quasi per cenni e per giudizi presuppone una} 46 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA non scarsa cultura generale ; e tutti che si appassionano ai vitali problemi della nostra nazione, oggi chiamata a più alti destini, troveranno qui una introspezione, per così dire, vivissima, dell’anima còrsa,, attraverso le sue tormentate vicende. È una immagine reale, sincera, della Corsica quale è, quale fu veramente, lirica e selvaggia, sempre contesa tra gli imperialismi più contrastanti e sempre ribelle a tutti i conquistatola stranieri, intesi piò che a incivilirla, a sfruttarla nelle sue non grandi risorse naturali, o in funzione di baluardo del continente contro le aggressioni piratesche dal mare. Ed è per la franchezza nel rilevare le colpe di Pisa e, soprattutto, di Genova, che lo scrittore ci piace, proprio in un’opera di attualità, che vuol contraddire alle tante scritture tendenziose che han così spesso, fino a ieri, ispirate da fuori, falsato la storia. Gli è che essa si ispira a severi studi e a rigidi principi di realismo e di probità scientifica, dinanzi ai quali sarebbe vana la retorica propria dei libelli polemici, timorosi che la verità possa comunque arrestare il destino. Del resto, pur non potendo, e non volendo, soddisfare ogni curiosità, oggi più che legittima, il volumetto raccoglie l’essenziale, pone, in una perspicua premessa, i suoi limiti, e definisce i suoi fini, raccoglie in appendice una informata notizia critica delle fonti e degli studi fondamentali. Chi voglia approfondire l’argomento sa dove ricorrere. Qui tutto vien valutato in blocco, sotto un unico punto di vista: che è personale, e talora anche discutibile; ma onesto sempre. Largo sviluppo ha naturalmente, pur nella essenzialità dell’esposto, ciò che per noi ha maggior interesse: il dominio genovese nel- , l’isola. Senza voler riesporre qui cose del resto largamente note, ci limiteremo a rilevare il tono alquanto severo con <*ui l’autore giudica le cose di casa nostra; ci appare come una sciagura per 1 isola la sottrazione violenta di questo dominio alla influenza pisana, operata da Genova sotto l’incubo della minaccia aragonese, che tende a soffocare la potenza della Repubblica, già in crisi. Ma non si disconoscono d’altra parte i meriti grandi del Banco di San Giorgio nella sua amministrazione intesa soprattutto a fini economici e per nulla ideali, sì da provocare le più fiere reazioni negli isolani, ma certo illuminata e oltremodo proficua al benessere materiale dell’isola. E soprattutto non si eccede nell’imputare a Genova la colpa di una cessione, che era piuttosto il frutto di una politica realistica e saggia, per una repubblica che aveva ormai perso la sua ragione di essere come impero marittimo e nella Corsica, oggetto delie invide aspirazioni imperialistiche di Francia, Austria e Inghilteiia, sentiva soltanto un onere reso insopportabile dall’insofferenza esasperata dei còrsi per ogni dominio. E del resto la cessione ci vien presentata opportunamente come l’ultimo atto ufficiale che san- RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 47 ziona un trapasso che la subdola e insinuante politica d’oltralpe aveva da- lunga mano preparato. Ma queste sono, comunque, cose passate. Altre vicende si sono susseguite nell’isola sventurata. Noi oggi le rievochiamo non per rimpiangerle o per rammaricarcene, ma solo per essere più coscienti del nostro compito di domani, che « nel quadro delle riconquiste mediterranee, la Corsica avrà il suo assetto, la sua pace e la sua libertà ». Teofilo Ossian De Negri Altre pubblicazioni su N. Paganini. s. Umberto V. Cavassa, Le miserie di un grande artista. « Il Lavoro ». Genova, 23 marzo 1940-XVIII. Ampia ed acuta recensione dell’interessante saggio: « Il Calvario di Paganini» di Pietro Beni. Mario Pedemonte, Violinisti genovesi ■ prepaganiniani, «Rassegna Dorica ». Roma, 25 maggio 1940-XVIII. Riassunto della remota e brillante ti-adizione della scuola violinistica genovese dove insegnarono Nazario Novella, Fabrizio Frassinelli, Luigi Fratti ni, Giovanni Borra, Emanuele Basso, Giuseppe Vaccari, Giovanni Pedevilla, Giacomo Costa. Dott. S. I. Lu in, Ricordo di Paganini. « Rassegna Dorica ». Roma. 25 maggio 1940-XVIII. Concisa esposizione di episodi noti. Maria Tibaldi Chiesa, Magia, di Paganini. « Corriere del Tirreno ». Livorno, 11 giugno 1940-XVIII. Garbata rievocazione di aneddoti conosciuti. Lo stesso articolo è stato riprodotto su : « Brennero ». Trento, 13 giugno 1940: su «Calabria Fascista». Cosenza, 11 settembre 1940-XVIII. Mario Ferrarini, Paganini, la Regia Orchestra di Parma e i suoi Direttori. Estratto da « Aurea Parma ». Fascicoli III, IV, V, 1940-XVIII. Breve cronistoria dell Orchestra parmensi dal 1792 al 1870. Mario Ferrarini, L’Orchestra di Paganini c i Direttori del suo tempo. « Musica d’oggi ». Milano, giugno 1940-XVIII. Afferma che Niccolò Paganini lui iniziato la vera arte del direttore d’orchestra. Gino Bellincioni, Paganini nel mito e nella realtà. « Il Lavoro Fascista». Roma, 10 giugno 1940-XVIII. Argute considerazioni su ' notizie conosciute. Andrea Della Corte, Caratteri dell'vomo Paganini, « Rassegna· Musicale». Torino, luglio 19±0-XVIII. Analisi delle lettere pagani nia ne, pubblicate dal Codignola, per mettere in evidenza l'insistente uso di alcuni aggettivi. Elio Balestrerà II Mago Pagatimi nella vita c nella leggenda. 48 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA « Corriere Padano ». Ferrara, 29 settembre 1940-XVIII. Minuscola rassegna di pochi episodi notissimi. Mario Pedemonte, Niccolò Paganini e il suo tempo. « Rassegna Dorica ». Roma, 25 ottobre 1940-XVIII. Appassionata esaltazione delPitalianità di Paganini, che più e meglio d’ogni altro musicista del suo tempo ha saputo diffondere nel nostro popolo l’orgoglio di essere e di sentirsi italiano. Antonio Carpi, I fasti italiani del violino. « Bollettino mensile di vita e di cultura musicale ». Milano, ottobre e novembre 1940-XVIII-XIX. Ampia recensione del libro della Tibaldi Chiesa. Μ. P. APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA Scritti su G· Aiazzini pubblicati all’estero Marco D. Balabanov, Mazzini e la Bulgaria, in «Vita Bulgarà », Sofìa, 17 ottobre 1940. Contiene la relazione di un colloquio che ebbe con Giuseppe Mazzini nel 1869, in Londra, Marco Malabanov, politico e scrittore bulgaro, morto nel 1921. Scritto interessante e suggestivo, per il modo con cui l’A. tratteggia la figura dell’Agitatore genovese, per i giudizi da costui pronuncia-ti sulla Bulgaria allora oppressa· dal giogo turco e per le parole' d’incoraggfa-mento e di fede, che il Mazzini ebbe per i patrioti bulgari sorti a lottare pe. dettero — nel periodo del Romanticismo — Alessandro Manzoni e Giuseppe Mazzini. Orsola Nemi, Scià Main. in « Corriere Mercantile », Genova, 1° ottobre 1940. Recensione del libro di Ita:.aCremona Coz/.olino, Maria Mazzini e il suo carteggio. Recensioni di questo volume si trovano anche in altri giornali fra cui in «Italia che scrive», Roma·, agosto-settembre 1940. *" Giulio Cipollone, La religiosità dì Giuseppe Mazzini, in « Il Solco », Teramo, ò ottobre 1940. Non è un esame della concezione religiosa, di G. Mazzini, ma la semplice asserzione della ^ua religiosità, con citazioni di qualche brano assai noto tolto dagli scritti dell’Apostolo e di una lettera di Giorgina Saffi del 6 maggio 1890 diretta al Prof. Toma^elli, della quale 1Ά. è in possesso. . Fernando Porfiri, Mazzini, in « Grido d’Italia », Genova, 15 ottobre 1940. Nello studiare la genesi dell'attuale rivoluzione europea, l’A. proclama Mazzini il veggente di questa rivoluzione emancipatrice, i cui presagi — Secondo il suo giudizio — si sarebbero avverati per l’Italia col 1922, per l’Europa col 1940. m. p., Mario De Candiii il tenore patriota. in « Unione Sarda », 18 ottobre 1940. Si traccia brevemente la vita avventurosa del tenore «Mario*, notissimo patriota e fervente seguace di Mazzini, col quale ebbe anche rapporti personali. Elio Ruffo, La Giovane Italia, in Calabria, in « Messaggero », 23 ottobre 1940. Sulla scorta specialmente de: lavori del Visalli; Lotta e martirio del popolo calabrese; I calabresi nel Risorgimento italiano, del Settembrini e di altri, l’A. rievoca il carattere e l’azione della «Giovane Italia» in Calabria, nel periodo del nostro Risorgimento. Per quanto ormai l’espressione sia nell’uso comune, ci permettiamo di rilevare che l’associazione fondata da G. Mazzini fu chiamata da lui «Giovine Italia» anziché «Giovane Italia». Filippo Anselmo, Il monumento a Mazzini inaugurato a Buenos Ayres nel 1878, in « Corriere Mercantile », Genova, 29 ottobre 1940. Lo scrittore, consigliere della Camera di Commercio Italo-Argentina in Genova e già emigrato italiano a Buenos Ayres, trae argomento da un articolo di Giuseppe Valentini, comparso nella «Gazzetta del Popolo» e riassunto nel «Corriere Mercantile» del 19 ottobre 1940. per confutarne alcune asserzioni c per mettere in luce l’opera d’italianità spiedata a Buenos Ayres dai nostri emigrati, fr* i quali vivissimo fu il culto c Giuseppe Mazzini, tenuto acceso da nobili patrioti fin dal periodo del Risorgimento. Tra questi sorse «L’Alleanza repubblicana universale», sodalizio presieduto dall’emigrato romagnolo Marino Franeini, già deputato alla Costituente Romana e fedele discepolo dell’Apostolo. Giuseppe Mazzini, Lettere slave, con prefazione di Fabrizio Canfora, in « Italia che scrive », Roma, ottobre 1940. Breve relazione del volumetto pubblicato dal Laiterza, di cui si fa cenno nel fase. I, 1940, di questo «Giornale». APPUNTI 53 Emilia Morelli, Mazzini a Gaeta, in « Rassegna Storica del Risorgimento », Roma, ottobre 1940. Si danno alcune interessanti notizie sulla prigionia di G. Mazzini a Gaeta, desunte dalle carte del Prefetto di Caserta e del Comandante del Forte di Gaeta, conservate nel-ΓArchivio del Museo centrale del Risorgimento. ***, Una lettera inedita di Giuseppe Mazzini a due cremonesi, in a Regime Fascista. », 30 ottobre 1&40. ? un' lettera assai importante indirizzata ai fratelli Formenti patrioti cremonesi, uno dei quali prese parte alle cinque giornate di Milano, riparando poi nella Svizzera a Lugano, dove conobbe Mazzini. 11 fratello Francesco visse cospirando a Torino. Lai lettera è del 15 novembre 1848 e rivela, pur dopo la disfatta di Custoza, la fede incrollabile di Mazzini nel riscatto della patria». Vi si danno istruzioni per organizzare la riscossa e tenere accesi gli spiriti. Remo Fedi, L'Intolleranza, in « L’Idealismo realistico », Roma, novembre 1940. Trattando dell’intolleranza dal punto di vista filosofico, l’A. ricorda il concetto che* ne ebbe Giuseppe Mazzini, del quale cita uno scritto, tratto da un articolo della «Roma del Popolo». Adlc, La. madre di Mazzini, in « Nuovo Giornale », Firenze, 2 novembre 1940. L’articolista- desume dall’opera di Riccardo Wichterich «Giuseppe Mazzini», di cui fa la recensione, la figura della madre dell'apostolo, riportando vari passi del biografo tedesco. Vincenzo Mijsella, Giacinto Br uzze si eroe del volontarismo italiano, in « Mes-. saggerò », Roma, 6 novembre 1940. Commosso profilo dell’eroico garibaldino, fedele seguace di Mazzini, che seguì nell’esilio e di cui secondò ogni iniziativa insurrezionale. Gaetano Ροτγινο, La. carta, del Carnaro di Tommaso Mirabella, in « u popolo di Roma », Roma, 14 novembre 1940. Recensione dell’opera indicata, in cui ΓΑ. studia, la legislazione data da G. D’Annunzio a Fiume italiana, e vedendo chiari indizi dell’idea sindacale nelle grandi figure del nostro Risorgimento, definisce la posizione di G. Mazzini di fronte alla soluzione dei problemi del lavoro. Silvestro Prestifilippo, La personalità di Mazzini, in a Grido d’Italia », Genova, 5 novembre, 1940. Contiene giudizi originali non forse completamente accettabili, ma improntati a una profonda comprensione delTanima di G. Mazzini. Titta Madia, L'elmo di Scipio, in « Popolo d’Italia », Milano, 12 novembre 1940. Non possiamo non rilevare che nel brevissimo accenno r» Mazzini, l'articolista cade in un giudizio assolutamente errato, affermando che Mazzini antepose la repubblica all'unità, mentre nessuno ignora ormai che l’unità fu la bese del suo programma politico. Umberto Riparbelli, Una nota stonala sa Mazzini, in « Grido d’Italia », Genova, 30 novembre 1940. Si confuta assai vivacemente rr.fferniazione accennata ed altre contenute nell’articolo predetto. Nino Saverio Basaglia, Mazzini e l'eroismo fascista, in < Gazzetta dell’Emi-lia », Modano 2 dicembre 1940. È un’altra confutazione allo scritto de' Madia, mentre il precedente artic anelerò mettesse quando la lotta contro la sovranità imperiale accelero i^tempi^un rapido eseguirsi di avvenimenti, non certo improvvr- sati, che sbocciassero nella libertà comunale. „ . a Per noi dunque la pace di Costanza non e un punto Potenza ma quasi un termine di arrivo ; ci accingiamo qui .1 /3\ r τ?οςςτ Storia di VenUmiglia. Torino, 1857 (I ediz.) pag. 52. U Bi5 « cJL * 1» *»■ «»>■ socm,.. a. X (1890), pagg. 298 e segg. ( (5) DENiNA, Delle rivoluzioni d’Itaha, L. X, cap. o. (6) G. ROSSI, Gli Statuti della Liguria m A.S.L.S.P. (.Atti della „ . di Storia Patria) vol. XIV, rispettivamente * ’ ToAn nàee 101 e segg- (?) F. Scoplis, storia della legislazione ital., forino, 1840, pagg. \ COMUNI RURALI NELLA LIGURIA OCCIDENTALE 59 sec i precedenti il germe, sia pur quasi latente ma certamente esisti o, c-lie permise al comune rurale di completarsi contemporaneamente a. quello cittadino e spesso anzi prima di questo (s). 2) Principali teorie di scrittori precedenti. - Varie sono le opinioni di coloro die si accinsero a questa ricerca per territori geograficamente diversi da quello da noi esaminato, ma di opportuno esame, sia perchè trattato molto più ampiamente di quanto stiamo per tare noi, sia perchè il loro studio non è limitato strettamente a singole regioni. Accenneremo però soltanto alle principali. Vollero alcuni (·) che il comune (1U) non sia altro che una continuazione dell’organizzazione romana, specialmente del municipio che ne sarebbe l’origine. Ma chi sostiene questa teoria deve dimostrare che le istituzioni romane si sono mantenute vive durante le invasioni barbariche (nel 641 Rotari devastò Ja Liguria) durante le incursioni dei saraceni, che determinarono spostamenti di moltissimi uomini dalla costa, alle montagne, durante il dominio di Carlo Ma gno, ecc., elementi tutti che sconvolsero l’ordinamento di Roma i*11) · la qual dimostrazione è tutt’altro che facile; possiamo al contrariò affermare che dopo tanti rovesci saccheggi e spopolamenti le istituzioni romane non potevano sussistere. Ed è da, escludere una reminiscenza o una ripresa dovuta a dotti studi che riallacciassero quell epoca feudale alla Romanità poiché in quelle terre l’i°noranza era assai profonda: gli stessi conti di Ventimiglia non sanno far neppure la propria firma. Troviamo è vero, alcuni documenti in cui vi sono affermazioni di persone che dichiarano di vivere secondo la legge romana: così attestano, nell’anno 1077, i due conti Ottone e Corrado (12) ; ed in altro documento del 1177 i consoli di Ventimiglia fanno la’ stessa dichiarazione; anche ad Albenga, nel 1131, un certo Baldo dice di / (8) Questo fu dimostrato con molti documenti da R Cvggese Jntnrr,* ni l’origine dei Comuni rurali in Italia, in Riv. Iti ai Soc â pagg. 178 e segg. e Classi e Comuni, rurali nel medio evo italiano Firenze 1907 ·) Tra costoro: !.. M. Hartmann, Zur WirtschaftsgescZte ita^nTL· W*nM«telalter Gotha, ÌÌKM. Sclopis F„ Storia, della legislaeìoJTliaZ cit., pag. 120 c segg. Questa e anche 1 opinione di G. Doneaud od cit l'\ è un po troppo sicuro : senza quasi dimostrazione e con pochi documenti afferma ad es. (pag 14) : «ciò avvenne per l'esistenza tra noi del Municipio romano, al quale debbono tutta la loro origine i Comuni, e di cui in vero non sono che una seconda fase ». vero non (ln) Ogni qual volta parliamo di comune sottintendiamo rurale. (Il) Già il Solmi, Le associazioni in Italia avanti le origini del comune Modena 1898 pag. 50 e segg., dimostrò che scomparve il Munici^o ornano ai tempo della dominazione barbarica. nS2)sl<0S-^ 8t0rÌa dÌ Ventim^· Torino, 1857 (I ediz.) rispettivamente P‘*&8· e o4. 60 NILO CALVINI vivere « lege romana » (13) e così nel 1143 (14*) ; a San Romolo, nel 1225, i consoli giurano di amministrare la giustizia « secundum leges ro-ruanas et capitula loci S. Romuli » (15). Ma. queste sono evidentemente formule usate per tradizione eccezionalmente sopravvissute, ormai però non corrispondenti alla realtà, anzi vuote di significato che non permettono di affermare che esistessero ancora leggi e costumi romani ; i documenti rivelano un sistema* di vita barbarica di cui c’è il riflesso nelle leggi. Abbiamo prove sicure di giudizi> di Dio nonostante l’opinione contraria del Serra (16), che evidentemente non fu a conoscenza dei seguenti documenti : nei capitoli « de incendis et gastis » e « de furto bestiarum quattuor pedum » degli Statuti di Apricale del 1267, si legge che il ladro che si dichiara innocente può prendere un ferro rovente in mano e portarlo per uno spazio di nove piedi: se non si brucerà le mani sarà ritenuto innocente (17). E non è questo un caso sporadico: gli Statuti di Cosio, Mendatica e i ontegrosso, del 1297 (18), vietando questi giudizi di Dio per decidere sui casi dubbi di reato, ci fanno conoscere che le ordalie erano ancora praticate; sappiamo anche che nel 1209 il Vescovo di Albenga, Oberto, fa giustiziare un suddito perchè avendo tentato di dimostrare la propria innocenza col ferro rovente si era invece brucia e le mani (19). . . Perfino la legge romana, che pure aveva lasciate ovunque prò on dissime tracce fu corrotta dall’elemento barbarico nella Liguiia occidentale; abbiamo perciò motivo di credere a maggior ragione che il sistema politico-amministrativo sia stato abbattuto e sia scomparso, rendendo perciò debolissima, se non nulla, l'influenza nella formazione del Comune. . . A Parlarono altri di diplomi ottoniani (20) ma questa ipotesi può essere da noi scartata non trovando traccia di ripercussione nella (is) rossi, Storia dii Alberga, Albenga, 1870, pag. 125. _ p n (i4) p. Accame, Instrumenta Episcoporum Amuganensvum, m « Collana Stor. Archeologica della Lig. Occ.^», vol. IV, pag. 63. (is) Liber lurUim, T. 1, col. 755. _ . (16) G. Serra, Stona dell’antica Liguria, Torino, ISo . rp (17) « Si ille qui appellatus fuerit, voluerit levare ferrumcalidum et fer novem pedes possit dictum ferrum levare, si vero se coquent, cadat m bann Z'etatfdaE si non coquent absolvatur». Rossi, Storia di Dolceacqua, Π (ΐ QuesU Statuti furono pubblicati Jal Rossi nell’appendice agli Statuti liguri, in A S.L.S.P., vol. XIV. Il cap. Vili dice: «.aliqua Persona caste lane Cuxii non possit produci ad ferrum calidum levare » e il IX · « ® foritanus, non possit ducere aliquam personam castellarne Cuxn ad calidum levare» ed espressione simile è contenuta nel capitolo X. (i9) rossi, Storia di Albenga, cit., pag. 214. Il Calenda de Tavani, Patrizi e Popolani nel medio evo nella Liguria occidentale (Irani, Vecchi, pag. 12 ) •dimostra di conoscere solo l’esempio di Apricale. (2°) F. Scoplis, St. della legisl., cit., Origini, pag. 1 zi. COMUNI RURALI NELLA LIGURIA OCCIDENTALE 61 Liguria occidentale tli (letti diplomi ; non mi pare attendibile la tradizione raccolta da molti scrittori di memorie storiche che agli Ottoni si debba l’istituzione di sette marchesati liguri, creati peri sette figli di Adelasia, figlia di Ottone III (fi, confondendo con un’altra. Adelasia del secolo seguente. Vollero altri che il comune rurale nascesse dalla parrocchia (22), della quale il Comune non sarebbe che una trasformazione dei suoi organi amministrativi, lentamente formati durante il feudalesimo. Ma nella Liguria occidentale non abbiamo esempi di stretta collaborazione fra il popolo e il parroco, o comunque di organizzazione che possa costituire un precedente al Comune: solamente in alcuni documenti si parla del vescovo di Ventiniiglia che insieme al parroco prende parte alla discussione per la divisione del territorio (23ì : qualche volta è il vescovo che si unisce ai consoli per i placiti (24) ma non si parla, di unioni di parrocchiani per discutere, presente il parroco, i problemi riguardanti un intero paese; v’è solo l’intervento di un vescovo che fa da paciere e giudice imparziale. Il fatto poi che le adunanze spesso si facciano al suono della campana e in chiesa (25) non dimostra nulla ; il popolo della campagna vi si adunava perchè non aveva altro locale adatto e così comodo; la chiesa infatti sorgeva per lo più al centro del paese. Neppure si può intendere che la parrocchia abbia servito da modello al Comune per- (21) G. M. Pira, Storia, della città e principato di Oneglia Genova 1847 vol. I, pagg. 150 e 160. ' ’ ' PA1-MIKRI’ />enH antichi comuni rurali ed in special quelli dell’Appennino Bolognese, in « Atti della R. Deputazione di Storia Patria Der le Romagne », S. Ili, vol. XVI, 1898. Imbart de la Tour, Les paroisses rurales dams l ancienne France, in Revue Historique, 1S96 e segg. N. Tamassia Chiesa e Popolo, Note per la storia dell’Italia, precomunale, in Archivio Giuridici, N. S., voi. VII, 1901. ^ninaico, (23) Avvenne in Ventiniiglia nel 1177. Rossi, St. di eVntimiglia, Torino 1857 (I. ediz.), pag. 53. (24) Rossi, St. di VentimìgMa. Oneglia, Ghilini, 1888 (II ediz) na°-e i3 97. 401. Il Gioffredo, Storia delle Alpi Marittime, pag. 446, cita alcuni documenti da cui risulta l’intervento del vescovo coi consoli di Ventimi-lia -il 23 marzo 1169 il vescovo Stefano, presenti i consoli, mette pace tra* -lì nomini di Tenda e Saorgio. Nel gennaio del 1177 ancora il vescovo e i consoli di Ventimglia pronunciano una sentenza per comporre una lite tra i monaci Benedettini di S. Michele ed il canonico della cattedrale. (Rossi, St. di Feut.. II ediz., cit., pag. o3, e il u l letti lì fl,e la, Société Niçoise des sciences naturelles et historiques, 1878, pag. 86). Infine nel luglio del 1177 ancora il vescovo Stefano coi consoli di Ventiniiglia decid-e una lite tra l’abate di Lerico e il comune di Ventimiglia. (Rossi, St. di Vent., n ediz., cit., pag. 53- Arch St Ital., 1871, n. 62, pag. 25). (25) A Porto Maurizio, secondo il Donaudi, Storia di Porto Maurizio dai tempi anteriori al comune fino all’anno 1S00, Porto Maurizio, 1889 pag~ 39 si tenevano sempre nella Chiesa di S. Maurizio; ad Apricele nella chiesa di S Maria d’Alba. Rossi, St. di Dolceacqui, II ediz., cit., pag. 54, ecc. 62 NILO CALVINI ché, oltre al trovare ben pochi punti di uguaglianza nelle due organizzazioni, credo che ben poche parrocchie fossero formate quando spuntò il Comune: Punica conosciuta è quella di Albenga che risulta reggersi quale parrocchia autonoma nel 1098 con a capo 4 mo<- naci benedettini (26). Vi fu chi sostenne la teoria delle origini signorili (27) secondo la quale il Comune si sarebbe formato dalla suddivisione delle antiche consorterie feudali, «dallo sminuzzarsi dell autorità del feudo o dell’autorità del procuratore della città tra i membri della famiglia signorile o procuratoria moltiplicatisi, col passar delle generazioni, ma rimasti uniti nel condominio o nell’esercizio dell’ufficio » (*«). Questa teoria però, benché risponda a qualche caso, è in contraddizione con molti altri, anzi incontra numerose difficoltà già messe in chiaro dal Volpe (29). . Sostennero infine altri che il Comune non è che al derivato delle viciniae (30) e da i vici dell’epoca, romana; ma anche questa ipotesi mi pare non riferibile alla Liguria occidentale, non trovando nei documenti indizi che permettono sospettare resti di viciniae. si stettero le divisioni di paesi in quartieri (31), terzieri ), ecc., come a Ventimiglia e a Porto Maurizio, ma innanzi tutto è una suddivisione tarda, poi non corrisponde al tipo delle vicfoiiae come quel e di Bergamo (33), Cremona (34), Siena (35), ecc., dove ognuna aveva i propri consoli che riscuotevano per proprio conto le tasse ecc. Oio, come si comprende, è difficile che avvenisse in un piccolo paese ; e certamente molto modesti erano quasi tutti i paeselli della Liguria (26) N. Lamboglia, Le più antiche carte dell3Archivio Storico Inganeo, in Riv. lnganea e Intemelia, a. Ili, n. 1-2, pag. 102. (27) p, Gabotto, L’origine signorile dei Comuni, m Boll. Sto?. buo., lVHJd. (28) p. Ecidi, La St. Medioevale, Roma, 1922, pag .51. ^ (29) g Volpe, Una nuova teoria sulle origini del Comune, in Arch. St. It., 1904, fase. Il; e in Medio Evo Ital., Vallecchi, Firenze, M28 pag. 43 e segg. (30) g Luzzvtto, Viciniae e Comuni, m Rivista Ital. di Soc., a. All, l. ·, oaeir 371 e sess Podrecca V., Elementi costitutivi del Comune rurale primi-rno'in Riv. mi. di social., a. X, 1906. pagg. 377-396; riassunto da un altro lavoro dello stesso Autore. Andrioh G. L., Intorno all origine del Comune in Riv It. ili S'oc., a. YTII, 1904, pagg. 637-665; riassunto delle Note sui commi rurali bellunesi dello stesso A., pubblicate nell 'Ateneo eneto, n' ^Ventimiglia era divisa in quattro quartieri : Campo, Borgo, Lago. e Castello In quest’ultimo v’era la cattedrale, il palazzo Episcopale, il battistero la canonica e il castello dei conti. Racchiudeva anche la contrada dei Giudici dal nome della potente famiglia ventimigliese, contrada però nominata per la prima volta in un documento del 1288. Ved. Rossi, St. di Venti- rnigm, cit., I ediz., pag. 85 e segg. rwrfo (32) Porto Maurizio era divisa nei tre terzieri di S. Maurizio, S Giorgio o Torazza, e S. Tommaso o Dolcedo. Ved. Donaudi op. cit., pag . S. >3) A Mazzi, Le Vicmie di Bergamo, Bergamo, 1884, pag. 7, 32. (34) L; Astegiano, Codice diplomatico cremonese, in M. H. P., Tomo XXU, r’at»*) L. Zdekauer, Il costituto del Comune di Siena. Milano, 1897, pag. XLV. COMUNI RURALI NELLA LIGURIA OCCIDENTALE 63 occidentale molti dei quali si formarono proprio nei sec. X e XI. Credo infatti che Y origine della quasi totalità di essi risalga a questi secoli in cui i conti feudatari divenuti potenti e numerosi cominciarono a costruire in adatte località i loro castelli, la fondazione dei quali « traeva seco la costruzione d’un miserabile villaggio ove all’ombra del palazzo, raccoglievansi gli uomini il cui lavoro era necessario al padrone », teoria già espressa dal Sismondi (36). In questi gruppi di case erano però possibili (e i documenti ce ne rendono certi), riunioni e leghe tra le famiglie (37) o anche di uomini appartenenti a diverse famiglie stretti insieme da patti, per tutelare meglio e far progredire i propri interessi. 3) Prima origine: necessità e bisogno. - L’interesse era economico, quello di aiutarsi in tanto squallore; quelle riunioni nascevano dall’impellente necessità di coordinare gli sforzi per fecondare quelle terre orrendamente devastate e da tempo abbandonate. Questi contratti di lavoro li vediamo infatti sorgere quando i Seraceni furono scacciati da Frassineto dopo che ebbero saccheggiato, per quasi un secolo, le nostre terre (38). I miseri abitanti, usciti dai loro nascondigli, aiutati da pochi, discesi dai monti dove da anni stavano rifugiati, si radunano, scelgono vasti territori da coltivare, ora che è scomparso Fincubo di essere oggetto di preda, si stringono in società per aiutarsi a vicenda e cominciano, forse inconsapevolmente, quel lavorio, di organizzazione e di aiuto reciproco che darà come splendido risultato la formazione del paese a Comune e infonderà negli uomini quel mirabile amore per la libertà che fu sempre il vanto degli Italiani. Nessuna reminiscenza o ammirazione per Roma, nessuna idea grandiosa; quei poveri contadini si organizzano, si radunano, si associano per poter vivere meno desolatamente. Questa è la tesi che vogliamo sostenere ricercando la prima origine dei Comuni rurali della Liguria occidentale; esaminiamo i documenti rimasti. 4) Le prime unioni. - Nel mese di marzo del 979 (39), il vescovo Teodolfo (40) concede un tratto di terra, appartenente alla chiesa· (36) St. della caduta delVimpero romano. Milano, 1S3G, cap. XVIII. (37) In S. Romolo esistevano le famiglie dei Premartini, Riculfenghi e Paolenghi che costituivano vere società. L. T. Belgrano, Illustrazione del registro arcivescovile, in A.S.L.S.P., vol. II. I Premartini, ad es., in un documento del dicembre del 1104 tono detti debitori, considerati come una sola grande famiglia, all’arcivescovo di Genova. Liber lurium, T. II, col. 14. (38) Liber lurium, T. I, col. 7. (39) Liber lurium, vol. I, col. 4 e G; BelgKano,111. eco·, cit., paçg. 33S, 423, 469 e segg. A. Calvini, Bustina, in Eco del Santuario di Bussana, a. I e segg. C. Canepa, Illustrazione di antichi documenti, in Bollettino della Soc. St. Arch. Inganna, a. I, 1934, n. 1-2, pag·. 21 e segg. (40) per i contatti che i vescovi ebbero col popolo alcuni vollero dimostrare che per certe regioni questi furono il germe del comune rurale. Cfr. per es., 64 NILO CALVINI di Genova, ma; situato nel contado di Ventiniiglia, nelle ville matuziana e tabiese, a numerose famiglie le quali si assumono 1 obbligo di coltivare quel territorio. 'Un secondo contratto (41jì quasi uguale vien poi fatto, circa nello stesso tempo e quasi dalle stesse persone (42). Non è forse questa una riunione di famiglie che lavorano insieme per il loro stesso interesse, un primo indizio del glande e lento movimento che portò gli abitanti di ogni città e di ogni paese ad una stretta collaborazione? Ü il popolo che, spinto dal bisogno si organizza. Sebbene siano scarsi i documenti pervenutici, simili riunioni furono invece probabilmente numerose: il popolo aveva bisogno di radunarsi per meglio tutelare i propri interessi e difenderli contro l’invadenza dei feudatarii, o degli abitanti dei paesi limiti oli. Le riunioni si fanno sempre più frequenti, i problemi sono molti e tutto è da fare : alcune terre sono in preda allo squallore e alla miseria ; altre, se più fortunate non essendo state devastate, non godono certo di floridezza, che non traspare da nessun documento. Le radunanze vengono ad essere come una cosa necessaria e si ripetono spesso; i componenti, gruppi di uomini attivi, tutti stretti dai medesimi ideali ed interessi, si sentono compagni; per questo^ quelle società sono spesso chiamate « Costume » o « Compagne » ( ). La Compagna, a mio giudizio, perciò, non è la nascita del Comune, come vollero alcuni (44), ma fase dello svolgimento graduale del lavorio di associazioni che portò al Comune : è il battesimo e l’ordinamento delle riunioni che già esistevano anche molti anni prima che venissero così chiamate. e _ . ^ Con questo nome le vediamo apparire nei vari paesi; e dai do cumenti comprendiamo che presto divennero forti accogliendo e radunando i migliori cittadini. Alcuni studiosi fecero ricerche sui motivi che le resero potenti ; e molti sono gli studi che ne spiegano, m diversi modi l’origine (45). Leo, Geschichte der italianischen Stade lis zum Ankmft Icmser Ρζ^&τίοΐι I in Italien, Hamburg, 1824. A. Mazzi, Studi bergamenst. Bergamo, 3.888,QQec^;_ (4i) Documenti analoghi li troviamo stipulati anche altrove : nel 939, l a bate di S. Vincenzo a Volturno concede a 20 uomini di abitare per < nel luogo detto OJiveto, affinchè vi lavorino. (G. Luzzatto in rassega ana- litica dell’opera del Caggese, in Bto>. It. di Soc., 1907, pag. o67) U^ua a Monte Cassino, verso il 988, una trentina di coloni presero in affitto un tei ritorio del monastero di quella città, allo scopo di coltivarlo, (tv. ^0C(42)19^)‘alcune regioni questi contratti furono numerosi. Cfr. Tamassia, Chiesa e Popolo, note per la storca d)’Italia, cit., pagg· 300-322. (43) Pare che le Costume preesistessero alle Compagne, anzi, ne tossero l’origine. Rossi, St. di Dolceacqua, cit., I ediz., pag. 45. (44) g. Serra, St. délVantica Ligw~ia, cit., vol. Γ, lib. IX ; e Coatti τα-tuti dei Mercanti di Roma, Roma, 1887 ; a pag. V dice senz altro . « o muni non ebbero altra origine che dal commercio e dalle associazioni o compagnie commerciali ». . (45) Cfr. V. Vitale, GU s.tudi di storia ligure 'nell ulti/mo ven\te<&nto, in Arch. St. Ital., 1938, fase. I, pagg. 102-123. COMUNI RURALI NELLA LIGURIA OCCIDENTALE 65 5) Le Compagne. - Secondo il De Simoni (*6) la Compagna genovese sarebbe stata originata· dall’insieme dei discendenti dei visconti ; alcuni, seguendo questa teoria. insistettero perciò sulle origini signorili della Compagna (47j. Altri, come il Cibrario, Γlieve e il Lastig videro nella Compagna una gilda o associazione di mercanti, mentre il Manfroni conciliò le cose dicendo che i componenti della Compagna, nobili in origine, divennero mercanti poi. Il Lattes (4S) la ritenne una associazione quasi militare pei- tutte le peisone dai sedici ai 70 anni. Buona l’opinione secondo la quale facevano parte della Compagna i Visconti che volevano sottrarsi al dominio marchionale e i cittadini liberi dai vincoli di vassallaggio (49). Per la Liguria occidentale in modo particolare, manca ancora uno studio completo (50ì. Tuttavia dall’esame dei documenti risulta, ciò che a noi soprattutto interessa, che erano società d’uomini che riunivano le proprie forze per salvaguardare i loro interessi: avevano logge dove tenevano le radunanze, e i propri giudici che amministravano la giustizia secondo le loro leggi (51) ; gli iscritti sovente pagavano un tributo per costituire fondi sociali (52). Vi prendevano parte tutti quelli che avevano interessi da tutelare: erano commercianti (53), pescatori, agricoltori e navigatori, come vediamo in Oneglia (54), pastori, come vediamo in Apricale (55), a, volte poi avevano proprio uno scopo politico, come a Ventimiglia, dove eb- (**) Sul frammento di Breve Genovese, scoperto a Nizza, in A S L S P vol. I, pag. 91. (47) C. Imperiale, Çaffaro e i suoi tempi. Torino, 1894 Ianuensis (A. Pesce) Il Conte Marchese Obertoin A Campagna, nov. 1928. Il Visconte Mo, ibid., febbraio 1929. Dal Municipio al Comune signorile (sotto la sigla X, ma di A. P.). La nobiltà genovese, in Nuovo Cittadino. 24 ott. 1934 20 febbraio 1935. A. Pesce, OsservaziorM storico-giuri diche sul Comune signorile di Rossiglione Inferiore, in Riv. di St. Arte e Arch. della Prov. di Alessandria S. Ili, 1919, fase. XI. (48) A. IvATTEs, La Compagna e il Comune in Genova, 31 ottobre 1923. (49) y. vitale, Genova nel sec. XII, in Annuario del R. Liceo Ginn C Colombo, 1923-24; e l’articolo Compagna de\V Enciclopedia Italiano \nche il Doneaud, Sulle origini del comune, cit., insiste a lungo su questa teoria riportando anche qualche documento. (50) Solo il Donaudi ne trattò, ma di passaggio, nel suo vol. cit. Sulle origini dei Comuni; ed anche nel Saggio sopra il commercio e la navigazione dei Genovesi nel M. E., Oneglia, 18S3. (51) Il Doneaud, St. di Porto Maurizio, cit., pag. 23, esclude che i consoli esercitassero la giustizia e sostiene che abbiano avuto questo diritto solo quando fu eletto il podestà; ma non cita documenti. (52) DONAUDI, op. cit., pagg. 16 e segg. e C. CantCt, St. della città e Diocesi di Como, T. 1, pag. 161. Rossi, St. di S. Remo, ivi, 1867, pag. 106. (53) Liber Iurium, col. 667 « et pecunie deposite vel companie facte ante guerram vicissim debeant saivari ». Cfr. anche Rossi. St. di Vent.. I ed cit pag. 87. (54) Calenda de Ta vani, Patrizi, ecc., cit., vol. II, pag. 58. Il Tavani non fa che riassumere i libri precedenti specialmente quelli del Rossi. (55) Rossi, St. di Dolceacqua, cit., I ed., pag. 57. 66 NILO CALVINI liero tanta importanza che gli stessi conti furono costretti a giurarle fedeltà. Così, ad esempio, fa il conte Ottone, nel 118o : promette che: «quando Compagna Ventimilii rennovabitur si a consulibus viutimilii fuerit requisitum idem iuramentum ego et filli mei rennovabimus » (56ì. Alle prime riunioni di poche persone che si adunavano alla buona, forse su di una piazza, seguono^ radunanze di forti nuclei comprendenti la maggioranza, degli uomini di un paese, che vogliono essere-ascoltati. _ . È tutta una. generazione che si organizza e si agita, il vecchio sistema feudale decade ed agonizza. 6) I consoli. - Contemporaneamente alle primissime riunioni popolari, o immediatamente dopo, si sente la necessità che qualcuno degli organizzanti si elevi sugli altri, forse neppure a comandare, ma almeno a coordinare gli sforzi di tutti per evitare dannosi dissensi e dispersioni di energie. Tutti avranno ceduto volentieri a quei pochi uomini quel minimo di autorità necessaria, perche ne a\ ranno compresa la convenienza e avranno avuta la massima fiducia in quei nuovi capi che erano legati a. loro dagli stessi motivi d interesse. ^ Dapprima sarà stato uno che o un po’ più intelligente od istruito, avrà preso da solo l’iniziativa di condurre avanti la pratica, e si sarà così trovato il capo, quasi senza accorgersene; il suo nome nel documento non compare quindi distinto da quello degli altri, e nem meno gli sarà stata riconosciuta grande autorità. Ma poi m riunioni più numerose e frequenti, o per questioni più delicate, sorgendo magari discussioni tra i radunati, si sarà dimostrato indispensabile uno 0 più capi, scelti naturalmente tra gli organizzandi stessi, i qua i essendo appositamente eletti cominciarono a distinguersi, a firmare per 1 primi gli atti e ad assumere l’autoritario titolo di « consules ». Un documento molto importante di questo periodo era conservato ne -l’archivio comunale di Apricale ; era una pergamena del 4 ottobre del 101(3 in cui si diceva che Filippo conte di Ventimiglia stipulo una convenzione con i consoli di Apricale. Pergamena purtroppo perduta (ne resta il regesto in un antico inventario) ma. di grande importanza attestando l’esistenza dei consoli, forse della Compagna di pastori ad Apricale, fin dal 1016. Ecco quanto dice a questo prò-posito l’inventario stesso: «Altra continente ed inscritta 1016, die 14 8bris. Conventiones ciini Domino comite Philippo et potestate Consulum Apricalis » (57)· _ , , Se non vi è errore di data questa è una delle più antiche testimonianze di consoli in Italia : il Balbo (oS ) dice che i primi consoli (56) Liber Ianum, T. I, col. 326. _ _ ,. ηΛ7 (57) L’inventario è riportato nei docc. d’appendice dal Rossi, St. di voi ceacqua, cit., I ed., pag. 226. . ^Ooo ολ (58) Appunti per la storia delle città It&lw/ne, Torino, 183o, pag. o4. COMUNI RURALI NELLA LIGURIA OCCIDENTALE 67 turano delPanno 1017. Comunque da tutto questo una cosa emerge •chiara : che nei secoli X e XI, forse per l’abbandono, lo squallore, la necessità, insomma, gli uomini cominciarono ad organizzarsi per poter vivere ed ottenere colle buone o colle cattive il mezzo per alleviare le loro miserie. Sicché nei secoli XI e XII, cioè quasi contemporaneamente e subito dopo al sorgere delle organizzazioni, sono numerose le donazioni di terre da parte dei latifondisti, le concessioni di franchige, i contratti di alleanze. 7) Prime espressioni e primi risultati della volontà popolare. -Di donazioni abbiamo già visto quella del vescovo Teodolfo nel 979 che oltre al rivelarci lo stato di miseria ìli cui era prostrata la popolazione della Liguria occidentale ci dà una prima prova dell’organizzazione del popolo per rimediare alle proprie condizioni disastrose; citiamo qui ancora alcune di tali concessioni. Nel 1002, secondo il Gioffredo (59), gli abitanti di Tenda, Saorgio e Briga* stipulano una convenzione col marchese Arduino (60) ottenendo delle franchige ratificate poi forse nel 1038, da Corrado ed Ottone, conti di Ventimiglia (61) ; nel 1045 il vescovo Tommaso regala al parente Rinaldo alcune sue terre (62). E con atto del 25 gennaio 1098 Guglielmo del fu Oberto di Casanova e Fnlcone del fu Aenoldo di Ligo, comprano tutti i possedimenti che la Chiesa di S. Maria in fontibus aveva in Val Lerone; siccome il territorio è vasto è presumibile che i due acquirenti acquistassero per numerose altre persone non nominate nell’atto, comunque « rappresentano tutto un movimento di nascita della vita agricola e dell’economia terriera in quella zona » (63). L’agricoltura rifiorisce, specialmente per opera dei Benedettini che, sebbene non siano più a Taggia nel secolo XI e XII, hanno molta importanza, (59) Gioffredo, St. delle Alpi Marittime, cit., pag. 308 e Rossi, St. di Ventimiglia, cit. II ed., pag. 39. (60) Il Gioffredo crede che si tratti del marchese d’Ivrea, re d’Italia ma più probabilmente, come già disse il Cais de Pierias (I conti di Ventimiglia. in Miscellanea della storia Italiana, voi. 23, pag. 24), si tratta del marchese Ardoino di Susa, perchè i paesi su nominati dipendevano dalla Marca di valle Susa e Torino. (61) Nei paesi di montagna si manifestano sentimenti di libertà prima che nei paesi in riva al mare, come già sostenne il Cibhario. Secondo questi (Operette e frammenti storici, Firenze, Le Monnier, 1856, pag. 54) le franchige sarebbero state concesse da prima ai soli iscritti alle Costume; quindi si sarebbero estesi agli altri; noi però non trovammo documenti in proposito (62) gioffredo, op. cit., pag. 341; Rossi, St. di Vent., II ed., pag. 93. Il Gtoffredo cita un documento dell’archivio del Monastero di Lerino, al quale, nel 1001, queste terre furono donate dallo stesso Rinaldo. Il Rossi’crede che questi abbia tratto origine il Podium Rainaldi, l’attuale paese di Perinaldo. (63) Come già disse N. Lamboglia, illustrando il documento stesso. Cfr. Riv. Inganna, a. III, η. 1 e 2, Bordighera, 1937, pag. 104. 6S NILO CALVINI specialmente col monastero di Lerino che aveva dei beni in molti paesi, lino alle valli di Porto Maurizio e di Oneglia. Nel 1119 Prelà dona la sua Chiesa di S. Martino a quei Benedettini, che in tale epoca avevano dei beni anche in Chiusanico (61). In San Romolo vengono anche fatte delle concessioni : sono in favore non di tutti gli abitanti, ma, cosa da notare, solamente ai Pre-martini ossia ai discendenti di prete Martino che evidentemente erano riusciti a formare un gruppo a sè. Costoro erano esentati dal pagamento di ogni gabella ; benefizi simili furono poi concessi anche ai discendenti di un certo Paolo (i Paolengi) e di un certo Ricolfo (Ri-culfengi) i65). Nel 1124 i componenti di queste tre famiglie erano così numerosi che quei privilegi furono limitati ai veri discendenti diretti (66) piir mantenendoli sempre : ad es. gli Statuti prescrivevano con apposito capitolo, che i Premartini dovevano maù tenere i propri diritti, che infatti durarono fino al 1753, anno in cui S. Remo cadde sotto la dominazione genovese. Ecco dunque che nel secolo XII lo spirito d indipendenza si rafforza ; le famiglie si raggruppano, sempre spinte dalla dura necessità, e ottengono qualche primo vantaggio. Siamo ancora ben lontani dal governo comunale ; ma- un primo nucleo, anche piccolo, è formato. Alla singola famiglia stretta in società si sostituisce adagio adagio l’intero paese che assume l’aspetto di una numerosissima ma unica famiglia, i membri della quale, sebbene di casato diverso, hanno tutti le medesime «ispirazioni : poter vivere meno disagiatamente. Le Compagne trionfano e favoriscono questa unione; dallo scopo di difesa per cui eia-no costituite si passa ora ad un gradino più avanti, a quello di offesa ; si è ormai consapevoli della propria forza, il feudatario lo sa. A nulla gli giova resistere, anzi, siccome le sue forze vecchie e cadenti sono ormai più deboli di quelle nuove energie in cammino verso l'avvenire, al signore giova cedere: purché gli lavorino le terre, gli paghino ancora qualche decima, non gli abbattano il suo prestigio, concede franchige amichevolmente; se può cerca ricevere del denaro in compenso ; se non può, si mostra generoso e finge di donarle magnanimamente. Si crea così degli amici, delle riconoscenze che gli possano giovare: i tempi sono cambiati, fpiesta e oi mai Tunica via per mantenere intatto il suo prestigio, anzi aumentarlo un poco facendo parlare bene di se ostentando principi di ge nerosità, compassione, altruismo. Non erano mancati i movimenti e i segni di irrequietezza, nei quali noi scorgiamo i frutti delle prime macchinazioni del popolo (·«) G. M. Pira, St. di Oneglia, ecc., cit., pag. 163. (•5) rossi, St. di S. Remo, cit., pajç. ίΜ. (e*) liber /urium. T. I, col. 20; Rossi. St. di S. Remo, cit., pag. 203. COMUNI RURALI NELLA LIGURIA OCCIDENTALE 69 di un intero paese. I primi documenti sono solo affermazioni della volontà popolare (67) : questo elemento prima, trascurato comincia ad apparire nei documenti : o rappresentato dai consoli, o partecipante lui stesso con buon numero di uomini, capi famiglia. Un documento del luglio del 1110 c’informa che il parroco di 8. Lorenzo, Villano, e i consoli di Genova, andavano dal conte Oberto di Ventiniiglia, ed alcuni giudici, affinchè decidessero una lite sorta con gli uomini di S. Romolo, che non volevano più pagare alcune decime. Si apprende pure che i Sanromolesi avevano i propri consoli e che facevano parte della Compagna genovese: «ostendit inde iam dictus praepositus (Villanus) quod consules Sancti Romuli venerunt Ianuam et intraverunt in societate ianuensium » i68). Ai Sanremolesi viene dato torto; ma non disarmano. Nel luglio del 1124 a S. Romolo, sotto un noce, si adunavano Sigfrido, vescovo di Genova, il conte Oberto di Ventiniiglia, molti rappresentanti genovesi e ventimigliesi, forse il seguito del vescovo e del conte « in presentia tocius populi sancti romuli ». Per decidere la lite col parroco Villano, vengono scelti « XII homines sancti romuli, per consilium et voluntatem tocius populi qui ibi aderant » (69) per giurare i patti stabiliti. Importa inoltre notare che di costoro solamente sette restano, mentre cinque si ritirano e non vogliono firmare il lodo. Ciò, come già osservò il Canepa (70), attesta che « la fazione dei Sanromolesi che seguivano le parti del vescovo, si era ridotta a ben pochi individui, perchè era sorto 1111 malcontento generale, che aveva fatto ingrossare le file dei sostenitori dell’autonomia del comune Sanro-molese ». Dunque è il popolo che comanda e che comincia a fare quasi quello che vuole: anche condannato non paga più i tributi: (67) Il Doneaud, Sulle origini del Comune, ecc., cit., pag. 34 e 35, dice che il comune si disse anche università, perchè risultava composto di più classi di persone, le quali insieme avevano giurato i capitoli della difesa reciproca e della vita a comune. E popolo, si dissero i componenti tutti insieme questa università, fossero essi nobili, maggiorenti, o plebei od a qualunque grado appartenessero. Sicché comune ed università era il nome dato all’associazione, e popolo quello dei membri componenti la stessa. Ma nella quasi totalità dei paesi da noi esaminati, non vediamo i cittadini distinti in classi; eppure, sebbene appartenenti ad una sola classe sociale, gli uomini nel paese si chiamano collettivamente popolo; senza dover ammettere le più classi, delle quali, abbiamo scarsi cenni ed in pochi documenti, solo verso la metà del sec. XIII, poiché non è da considerare come una classe più elevata il gruppo dei due o più consoli e funzionari che reggono il paese. (68) L/tber lurium, T. Ï, col. li) e 20. Di questo documento trovai copia in una pergamena all’A. S. G. Busta Paesi n. 359. La pergamena (cm. 20 x 27) è un po’ sbiadita ma leggibile. V. anche Rossi, St. di S. Remo, cit., pag. 102. Annali del cartello di S. Remo, ms. Berio, all’anno 1113. 11 Canepa. Illustrazione, ecc., cit., riporta il doc. al 1123. (69) Liber lurium, T. I, col. 26 e 27. Rossi. St. di S. Remo, cit., pag. 103. (70) Illusili rione, ecc. cit., pag. 66. 70 NILO CALVINI ηn documento dell’ottobre «lei 1153 attesta che la lite con S. Lorenzo‘di Genova, per le decime continua ancora (71) e non è terminata neppure nel 1171 (72). Nel 1130 Genova, che tendeva al predominio su almeno tutta la riviera ligure, riesce a fare giurare fedeltà a sè, alcuni paesi della Liguria occidentale, quali Bajardo e Poipino (73) : questo giuramento viene prestato direttamente dagli uomini dei due paesi che evidentemente non erano più soggetti al conte di Ventimiglia che giura solo per Sanromolo (74). Sanromolo, il 26 agosto del 1143 formava già una propria Compagna col proprio « breviarium », con i consoli in numero di quattro: Trencherio, Fulcone Gioffredo, l’Arcidiacono 1*rustico e Obber-to Notaio: costoro prestano giuramento di restare in carica un anno, cominciando dal 15 agosto, festa dell’Assunta; giurano di adoperarsi per punire, secondo il loro criterio (forse non esistevano ancora gli Statuti) coloro che, trasgredivano gli ordini, in quello che si riferisce al Comune, e quelli che non aderivano alla Compagna entro quindici giorni da quando venivano invitati ad entrarvi; giurano anche di ripartire in modo equo le quote che ognuno deve pagare per le spese di carattere pubblico, ecc. II comune Sanromolese si regge dunqune praticamente da sè, benché sotto il controllo teorico dell’arcivescovo Siro II che viene sempre ricordato col massimo rispetto, e che tanto brigò pei ìiot-tenere i molti suoi diritti perduti dai predecessori, sotto i colpi del nuovo spirito di libertà e ribellione al dominio. Ma Sanromolo, sebbene sia tra le terre dove più precocemente si (7*) Liber lurìum, T. I, col. 100. («) La lite tra Sanromolo e pii arcivescovi genovesi è assai completamente riassunta dal Canepa, Illustrazione, cit., pagg. 4f> e segg. . V*) A proposito di Poipino molte sono le discussioni degli storici. 1er eliminarne qualcuna, bisogna cominciare col mettere in chiaro che v erano due località con questo nomo: l'una a levante, l’altra a ponente di Ventimiglia. Quella a ponente coincide circa con l'attuale territorio di Mentone; ce lo conferma un documento che esamineremo tra breve in cui, insieme a Poipino, son nominate Roccabruna. Gorbio e Castellerò, località appunto vicino a Mentone. Inoltre ii Santuario dell’Annunziata, che sorge a venti minuti di cammino da Mentone è tuttora chiamato (e lo fu sempre nei secoli scorsi) a Santuario di Pépin ■. Γη atto del 1177. nel quale Ottone, conte di Ventimiglia. dichiara di Ipossedere il Podium Pini, ci fa pensare che quel colle fosse i>oi chiamato Moiis. Otonis, quindi Montone e da ultimo Mentone. Ma lasciamo la etimologia nel campo dell'ipotesi. L’altro Podium Pini o Poypini ad oriente di Ventimiglia, è forse meno identificabile: il Rossi (Gli Statuti della Liguria, pag. ir,2) vuole individuarlo col paese di Pigna; il Semkria (Secoli Cristiani tirila Liguria, vol. II. pag. 590) e il Canepa (Illustrazione, ecc., cit., pag. a) • redono si tratti di una località presso Col di Rodi dovi* restano rovine di «ostruzione e il nome di Capo Pino; questa è anche la nostra opinione. 11 documento su cit. ni riferisce evidentemente al Poipino a levante di Ventimiglia^ |74, cakfaiio, ad annum, Canepa, Illustrazione, ecc., cit., pag. 67. COMUNI RUKALI NELLA LIGURIA OCCIDENTALE 71 svilupparono i germi del Comune, 11011 fu l’unico che cominciò a dimostrare, nella prima, metà del XII secolo, una volontà ferma e forte di popolo. Eccone alcuni ajtri esempi. In un documento del giugno del 1132, si legge che alcuni ambasciatori di Narbonne, giuntt a Genova per comporre dei dissidii, promettono che gli impegni assunti saranno mantenuti dai consoli e dal popolo, i quali sono nominati insieme all’arcivescovo di Narbonne, Arnaldo, e al visconte Aimerico, come padroni di Narbonne (75). !Nel giugno del 1140 Manfredo, Ugo, Anseimo, Enrico ed Ottone, figli del marchese Bonifacio, fanno «lei patti coi consoli genovesi, per ricuperare i loro diritti sul contado di Ventiniiglia che evidentemente si era ribellato alla loro autorità, impedendo la volontà popolare (76). I consoli di Genova,, nel novembre del 1143 giurano « hominibus sancti egidii, coram consule eorum, guiscardo, ..... quod idem populus ianuensis salvabit homines santi egidii, et res ipsorum a vi-gintimilio usque ad portum veneris » (”). Anche a S. Egidio adunque comandano il console e il popolo. Nello stesso 1143* come già dimostrò il Cais de Pierlas (7lVì, cominciò il Governo comunale "in Nizza, che nel 1146 era governata da sei consoli, che però l’anno seguente si riducevano a quattro. Pure Λ entimiglia partecipa a questo movimento d’evoluzione e il popolo comincia ad imporre la sua volontà: nel 1147 e 1148 i Ventimigliesi combattono valorosamente a fianco di Genova nella conquista di Almeria e di Tortosa ; perciò nel 1149 i consoli genovesi deliberarono « quod homines vigitimilienses deide ΙϊΙιβιηηΓ habeant potestatem vendendi et emendi » (75|. Questa, è vero, è una ricompensa data da Genova e non ottenuta dalla volontà diretta del popolo, ma è significativo il fatto che il documento si rivolga agli « homines vigintimilienses » che rappresentano evidentemente il governo della città e che in quello stesso documento siano nominati i consoli (sono i primi di cui ci giunse il nome: Guglielmo Borsa, Oberto Trentamoggia, Raimondo Doria ed Ugo Curto)! quali forse a nome del popolo ventimigliese sollecitarono a Genova il ri-conoscimento delle loro gloriose imprese. Nel 1152, in occasione di una lite tra Adalberto, priore del monastero di San Michele di Ventiniiglia, e Ventiniiglia stessa viene emessa una sentenza nella quale si legge che Adalberto protestò (75) Liber lurium, T. I, col. 39. (7β) Liber I uri uni, T. I, col. 70. (77) Liber lu riunì, T. I, col. 86. (78) cais de Pierlas, Le XI Siècle fimus les Alpes Maritimes, in Memorie della R. Acc. delle Scienze di Torino, serie II, voi. 39, parc .“,70 e serc (7β) JAber lurium, T. I, col. 140. ‘ NILO CALVINI <( adversus comune de Vintiniilia » (80), chiaro esempio che chi rappresentava la città non era più il conte. È molto probabilmente del 1150 (S1) una bolla del papa Eugenio 111 colla quale il Sommo Pontefice conferma alla Chiesa· genovese il godimento di tutti i redditi e di tutte le decime. È chiaro che questa conferma fu sollecitata dalParcivescovo di Genova, biro II, che si vedeva sempre in difficoltà appunto perchè « era diventata generale nelle due riviere l’opposizione al pagamento delle decime» (82). E lo stesso Siro II che tanta attività aveva spiegato per fregiarsi, nel 1143, del titolo di Dominus et Comes, è costretto, nel 1153, a deporlo per assumere quello più modesto di Tutor et Defensor. Anche nei paesi montani si nota il medesimo affermarsi della volontà popolare: Guido Guerra, conte di Ventiniiglia, il 30 luglio 1157, giura fedeltà a Genova pei* i beni che ha venduti e dei quali medesimi è stato investito quale vassallo e chiama a giurare fedeltà gruppi di capi famiglia di Poipino (Mentono;·, Penna (Piena), Ce-speel (Sospello) e Roccabruna, i quali evidentemente rappresentano i rispettivi paesi (83). Il fatto poi stesso che i conti di Ventiniiglia, come risulta da molti documenti, vendessero i loro diritti al Comune di Genova, può anche voler significare che detti conti avessero ormai perduta la loro autorità e cercassero di ottenere 1 ultimo utile vendendo i diritti che a loro non rendevano ormai più che poco onore. 8) Risultati dell'autorità popolare. - Accanto a questi documenti, in cui l’autorità popolare comincia ad avere molta importanza, troviamo altri dai quali risulta che i sudditi cominciano ad approfittare un poco di questa loro potenza : continuano a non pagare più le decime, resistendo anche alle minacce del signore che spesso intenta i’jnglii processi contro quei ribelli. Costoro a volte non sono che uno o pochi individui, come quel Pietro Rullino di Sanromolo, che ave\a iesistito, non pagando, prima a Siro II, poi al successore Ugone, arcivescovi di Genova (M) ; a volte invece i ribelli sono numerosi componenti di uno stesso casato, come i Premartmi che già nel 1123 avevano dato luogo a questioni contro il vescovo di Genova Sigfrido, e nel 1164 riaccendevano la lite contro l’arcivescovo Ugone (85)· A volte poi sono membri di diverse famiglie che costituiscono ma- <*°) Il doc. è pubblicato dal Cais de Pierlas, / Conti di Ventimiglia, ecc., cit.. pag. 117. (»*) Registro della Curia Are., in A.S-L.S.P., vol. II, pag. 4o4. (·*) Canepa, Illustrazionet ecc., cit.. pag. 83. Liber lurium, T. I, col. 19S. Liber lurium, T. I, col. 217. i»s) Liber lurium, T. II, col. 14. COMUNI RURALI NELLA LIGURIA OCCIDENTALE 73 gari quasi un intero paese : così ad esempio accadde per Bussana : possedeva questo paese molti beni al di là del torrente Armea, verso Sanromolo ; venuto a lite con questo, nel 1164, si tenne in Sanromolo stesso la discussione per decidere la vertenza, ma molti Bus-sanesi non si presentarono neppure, mentre altri abbandonarono sdegnosamente l’aula disprezzando l’autorità genovese che s’intrometteva nella discussione (86). Nell’aprile del 1166 Albenga, Portomaurizio, Diano, Sanromolo e Ventimiglia, che avevano ciascuna i propri consoli, sembra che dispongano di quasi completa .autonomia e siano ancora fuori dall’influenza genovese : un documento di tale anno, stipulato tra i consoli di Genova e quelli di Roma, fa comprendere che dette località facevano quanto il popolo, rappresentato dai consoli, decideva: «Si Consules Albingaunae, Portus Mauricii, Diani, Santi Romuli et Ventimila nobis et hominibus nostri districtus iuraverint pacem.... 'eis pariter pacem tenebimus » (87). Un documento del 22 aprile 1174 informandoci d’un patto tra il marchese Bonifacio di Clavesana e i consoli e gli uomini di Albenga ci rivela come questa città.in detto anno godesse già di una certa libertà, sebbene larvata dalla sottomissione dei consoli a quel marchese. Il 10 gennaio 1179 i rappresentanti di Albenga e di Bagnasco stipulano un trattato col quale si perdonano a vicenda le offese; altro analogo documento fu redatto il 13 settembre 1181 sempre tra il popolo, rappresentato dai consoli, di Albenga con quelli dell’alpestre Bajardo; anche in questi paesi è il popolo che fa sentire la propria volontà e che è ormai riuscito a rendersi indipendente (S8>. Da notare come in questi ed in altri documenti, coi quali si perdonano le offese il popolo dei paesi si promette vicendevole aiuto in caso di bisogno: questo rivela anche come quei comuni appena formati e perciò deboli se presi separatamente, cercassero di mantenere la libertà, finalmente ottenuta, coll’aiuto reciproco. Nel 1186 Ventimiglia pare già praticamente libera: un atto di tale anno compilato nella Chiesa della B. V. Maria, col quale si v giura di mantenere i patti sanciti con Genova, ci informa che prestarono giuramento i consoli e gli uomini di Ventimiglia dei quali v’è un lungo elenco di nomi ; costoro dunque sono a capo della città ed hanno la responsabilità di quanto avviene (8V Siamo ormai ben (ββ) Liber lurìum, T. I, coi. 218; e Canepa, Illustrazione, ecc., cit., a. II, u. 1. pag. 32 dove si parla anche dei due documenti precedentemente citati! (87) Monumenta Historiae Patriae, chart. vol. li, eoi. 09s. (88) Questi tre documenti, che credo inediti e ignoti. sono su tre pergamene del A.G.S. Buetìe Paesi, n. 341. (8β) Questo documento lo credo pure inedito ed ignoto: ne rinvenni una copia, appartenente al più tardi, al sec. XV, nell’A.S.G. Buste Paesi, n. 364. È cartaceo, con. 10x31 di ÌT. 8 di cui pii ultimi quattro in bianco. 74 NILO CALVINI lontani dal giorno in cui giurava solo il conte all insaputa dei suoi uomini; e l’8 settembre 1198 sono nuovamente gli uomini di Venti-miglia die prestano giuramento di convenzioni (J,))· 9) Frwnchige e libertà assoluta. - Già accanto a questi documenti che rivelano i sintomi del movimento verso l'indipendenza, anche se Tesito non è sempre positivo, ma specialmente negli anni che seguono, abbiamo testimonianze di risultati concreti ottenuti : diminuzione o abolizione di gabelle, franchige, libertà, ecc. Λ entimiglia, già lo vedemmo, nel 1149, aveva ottenuta, l’esenzione del pagamento di alcuni dazi; anche l’alpestro paese di Ceriana ottiene analoga concessione fin dal 1151 (91) ; e il 9 giugno del llo6, biro arcivescovo di Genova, concede a Giovanni Pericolo e Gandollo lcio, bastardo e Gandolfo Ausago «et omnibus hominibus de ciliana. mores et consuetudines » e il permesso di poter « in territorio de ci- liana, boscare, venare, adaquare » (®2). . _. , Nel 1152 Ottone, figlio di Oberto, conte di Ventiniiglia concede delle franchige ai suoi sudditi della valle del Maro ( ) ? il - a&° sto 1154 l’arcivescovo di Genova Siro concede a perpetuo livello a Pietro Rolando, a Pietro Maggiore, all’arcidiacono Simmelo, ad Oberto Cutello e a Bongiovanni Odezone « consulibus sancti l\o-muli atque per istos universaliter toti comuni sancti Romuli », la terza parte del monte della Valle (94). η?Ί*7νι Il 18 febbraio 1159 AlSfenga ottiene un diploma favorevole ali peratore Federico Barbarossa ; v’è da notare come in quell’anno appaia aia formato il comune albenganese retto dal primo podestà. Ottone Margherio da Corvasana ; mentre in un documento di poco posteriore («lei 13 novembre 1178) contenente la convenzione di pace tra il comune di Albenga e quello di Pisa, siano nominati solo i con- soli quali rettori della città. . Nel 1161 è Portomaurizio che sborsando una somma si libe < dal governo dei marchesi di Clavesana (9i) : con ugual mezzo, o (90) Anche questo documento è inedito ed ignoto. In A.S.G. Buste Paesi n. 364. È una copia cartacea di cm. 32x31, scritta su tre colonne · ^ (e1) L’Anastasio, Dissertazione circa il sommo impeto · ottobre senza anno e senza luogo di stampa, pag. 46 cita un documento del 25 ottobre 1255 che conferma quanto abbiamo detto. Il Rossi (St. Sanremo, cit., p ^ n 2) dice sen™ spigarne il motivo, che il doc. risale ad un centinaio d anni innanzi alla data riferita. # A ~ ^ T*ncta (92) Liber lurium, T. I, col. 188. Ne rinvenni 1 originale m A.S.G. Bu.t< Pnp«5i n m Tl testo del L. I. ha una breve lacuna. (93) Pira,* St. della città e Principato d’Oneglia, Genova, Ferrando, le. i* V0'(Jj merfurìum, T. II. col. 3. Ne rinvenni l’originale in A.S.G. Busta ratA KoSÌ; Gli Statuti dello Uf/uria, cit.. pag. 154. Il Figari, Saggi Cronologici, cit., pag. 10. dice trattarsi del march. Tagliaferro di Clavesana, COMUNI RURALI NELLA LIGURIA OCCIDENTALE 75 anche solo per essersi guadagnata benevolenza e simpatia, riescono pure ad emanciparsi singoli uomini, che, servi della gleba, erano prima reputati cose di proprietà del signore (9tJ). Nel 1170 Diano costringe i suoi padroni Guglielmo e Bonifacio di (_ lavesana a firmare una convenzione colla quale promettono di non costruire più castelli « ab aqua Uneliae usque ad Finar » ; nel-1 ottobre poi del 1172 Bonifacio divide il proprio territorio agli uomini di piano, riservandosi solo il luogo di Evigno concedendo il diritto di eleggere i consoli e di amministrare la giustizia anche sugli uomini di Cervo ; e pochi giorni dopo riconferma tale atto; nuove concessioni i Dianesi le ottengono poi nel 1175; ed infine nel 1177, seguendo l’esempio di Porto Maurizio, Diano sborsa lire 3000 in oro e si riscatta, completamente dai Clavesana ottenendo anche il castello di Evigno e i luoghi dipendenti (97). Nel 1176, il 6 gennaio, Ildefonso, re d’Aragona e marchese di Provenza, concedeva pure una carta di franchigia agli abitanti di Teglia, permettendo Iolo di reggersi coi consoli (98ì. Lo stesso Ildefonso di Aragona nel giugno del medesimo anno faceva una ancora più ampia concessione agli uomini di Nizza : « donamus, laudamus, concedimus, confirmamus consulatum cum omnibus justiciis ec sententiis, tam in criminalibus quam in pecuniariis seu civilibus causis, et eligendi auctoritate sua consules, potestatem in perpetuum damus ». Adunque piena libertà in perpetuo di reggersi col consoli o col podestà. Venivano poi confermate anche le loro « consuetudines et ii sus quos quasve usque nunc habuerunt », che diedero poi l’origine agli Statuti. Nizza adunque nel 1176 era già un comune libero ("). Ventimiglia nel luglio del 1177 otteneva concessioni e libertà dal conte Guido Guerra che con 100 cittadini ventimigliesi si era mentre il Pira (vol. I, pag. 172) sostiene che si tratta di Bonifacio di Clavesana. (Q6) Citiamo qui solo quella pubblicata da S. Pivano. Urea emancipa rione fli servì della prega, A. 1162, in BiU. d. Soc. St. Sul·., voi. 10, pag 115 che è convenientemente illustrata. Cfr. anche G. Arias, Il sistema della costituzione economica e sociale italiana nell9età dei comuni, Torino, 1905, pag. 2C6. (97) Su questi doc. fu già scritto qualcosa ma il modo è incompleto poiché nessun scrittore forse li ebbe sottocchio tutti cinque. Il conte di S quintino (Osservazioni critiche, Torino, 1851, pag. 225) parla solo del doc. del 1170; il Rossi (La Valle di Diano e i suoi antichi Statuti, Torino 1900 pag. 21; St. di Albenga, cit., pag. 101; Gli statuti della lig.. cit.. pagg 195 e segg.) dimostra non conoscere il documento del 1175. Questo lo lessi a pag 14 di un codice diplomatico, forse il primo che sia stato pubblicato in Lig. edito a Genova nel 11S4, intitolato : « Dianesium Couventiones cum Genuensibus contracta ». Dei due docc. del 1172, di quello del 1175 e di quello del 1177 trovai manoscritta una copia nella Bibl. Un. di Genova. Ms. B-VIII-20, ff. 74 e se°-g. con molte varianti in nota. · «? - (98) gioffredo. St. delle Alpi Marittime, cit., pag. 454. (99) rossi, Gli statuti della Liguria, cit., pag. 187. 76 NILO CALVINI recato a firmare la. tregua di Venezia tra il Papa Alessandro III e l’imperatore Federico Barbarossa, dalla parte del quale si schierarono i Ventimigliesi per poter resistere all’invadenza di Genova (ιυ0)· L'alpestre paese di Penna (Piena.) nel giugno del 1178 chiedeva ed otteneva dai consoli di Ventimiglia, di poter lavorare le terre denominate Matogna, Campi e Libri. Questo documento ci fa anche conoscere l’ormai ottenuta indipendenza del comune di Ventimiglia, giacché sono i consoli e non i conti che dicono « damus et concedimus hominibus castri Penne quod possitis laborare» (x° ). Nel 1182 alcune concessioni Noli le ottiene da Enrico Guercio, marchese di Savona, tra le altre quella di fortificare il castello e le mura del paese. E al 1 ottobre dello stesso anno Linguilia (Lingue-g] ietta) ottiene di essere esentata dai dazi sul vino e viene dichiarata libera « et quod homines Vinguilie habeant cie cetero plenam et omnimodam facultatem elligendi et habendi singulis annis ex se ipsis, consulatum » (102). Con atto del 4 aprile 1187, Lanterio, vescovo di Albenga, dona alcune sue terre a Vassallo, a Bergògno e a Pietro Bernardo ( ). In un atto dell’ll aprile 1225 si dichiara che il conte Odone di ventimiglia aveva stipulato molti anni prima di tale data, una comen-zione con gli uomini di Bajardo, convenzione che viene appunto iinnovata nel 1225 (104). . Crediamo che questi esempi possano bastare a dimostrare, come già affermammo, che le prime riunioni furono create allo scopo di difesa dei propri interessi, o per alleviare la propria misena, poi cominciarono i raggruppamenti di famiglie (quelli dei Premartim, dei Ricolfenghi e dei Paolenghi) ; poi ancora quelli più numerosi e frequenti delle Compagne. A questo stadio primitivo di organizzazione parziale, facendosi strada il popolo con la sua volontà e coi suo spirito di libertà innato, seguì l’organizzazione di interi paesi, che consci della propria forza riuscirono a scuotere il capo liberandosi dalle numerose taglie, dazi, decime, ecc., imposte dai loro si- ' Nè sono casi sporadici perchè, come risulta, dai documenti citati, questa graduale rivoluzione avviene quasi contemporaneamente m (loo) rossi, St'. di Dolceacqm, II ed., cit.. pag. 41. (ιοί) rossi, St. di Dolceacqua, cit., II edìz., pag. 42 e pag. 101. (102), Liber lurium, T. I, col. 321. (103) p. Accame, Instrumenta episcoporum Albwganensum, m Collana borico-Archeologica della Liguria> occidentale, vol. IV, 1935, XXXV; (104) L’atto è pubblicato da D. Scarella, Una, esenzione tra il conte Oba io di Ventimiglia e i St. tria per la Liguria, Fez. Ingaun-a e Intemelia, a. II, . ·λ>ο, n. . Lo Scarella dice che «questi atti contengono i pruni elementi onde presero origine e forma i comuni del medio evo ». Ma per conferma età tre docc. del .sec. XIII, di quando cioè il comune era già formato. COMUNI RURALI NELLA LIGURIA OCCIDENTALE 77 luoghi diversi, e in tutta la Liguria occidentale, da Albenga a Nizza, sia nei paesi in riva al mare sia in quelli sparsi sulle montagne. Quelli citati però sono quasi tutti esempi di affrancazioni ottetenute colle buone maniere o con metodo che potrebbe quasi sembrare vantaggioso per il signore come quello del compenso sborsato dai sudditi. Ma alla fine del sec. XII e soprattutto nel XIII, le associazioni di uomini liberi sono ormai compiute e collaudate da buoni risultati. Non solo perciò si continuano e si rafforzano più che sia possibile, ma c’è anche il tentativo di sfrattare maggiormente questo nuovo stato di cose vantaggioso per il popolo. Ottenuta l’esenzione dai pili gravosi tributi e molte agevolazioni per la vita economica, gli abitanti dei vari paesi che ancora non sono del tutto liberi cominciano a pretendere l’assoluta indipendenza. Alcune volte, come s’è visto, questa era già stata praticamente ottenuta, però anche in questi casi rimaneva ancora qualche parvenza, di soggezione al signore, come formule di giuramento di fedeltà, ecc., che ricordavano l’antico vassallaggio. Ora anche questa semplice formalità di sudditanza, comincia a pesare e si cerca di farla scomparire; quei paesi poi che sono ancora sottomessi al feudatario vedendo la miglior condizione degli altri già liberi, sono ancora più decisi e smaniosi, tutti insomma concentrano gli sforzi al fine di togliere anche gli ultimi resti di sudditanza. Il padrone che già mal voloutieri aveva accondisceso alle prime concessioni, tenta allora con tutte le sue forze di resistere a queste nuove pretese tanto più che gli tolgono le ultime illusioni di essere un potente. Gli organizzati però non cedono ; se non possono ottenere qualcosa con le buone esperimentano il metodo della forza, che è nelle loro mani; a questa l’antico signore può opporre poco più che una imbelle autorità o tradizione di antenati illustri. I primi tentativi non sono forse molto fortunati, tanto più quando chi domina in paese non è un signorotto locale ma sono i consoli di un altro paese o di una città, come accadde a Porto Maurizio che nel 1184 tentò sottrarsi all’influenza genovese senza però riuscirvi (10S'). Ma i buoni risultati cominciano presto : specialmente quando vi è da combattere un solo signorotto. Un esempio molto significativo di questo stadio l’offre la storia di Ventimiglia. Qui il conte Ottone, fratello di Guido Guerra che molte concessioni aveva elargito al popolo ventimigliese, tenta ristabilire gli antichi diritti e privilegi nel 1184, quando diviene lui il signore di Ventimiglia, essendo morto (ms) Donaudi, St. di P. Maurizio, cit., pag. 75. Il fatto però è narrato da Ottobono S-criba. 78 Guido Guerra. Ma il popolo memore dei sacrifici compiuti per arrivare alla tanta sospirata libertà, memore della grave condizione in cui era per le eccessive tasse, non intendeva affatto perdere quanto aveva ottenuto: i consoli Roderico Borsa e Gandolfo Cassolo adunano, al suono delle campane, presso la bandiera del Comune, il popolo armato che muove tosto contro i castelli di Roccabruna e Sant’Agnes dove si erano rifugiati il conte e i suoi. Dopo varie vicende guerresche lo costringono, P8 settembre del 1185, a venire a miti patti, anzi a giurare fra Paltro « pacem vero in personis et rebus per me et fìlios meos vintimiliensibus reddo, et eam illibatam observare promitto » (l06). Mediatori della pace furono i Genovesi che da qualche anno cercavano intromettersi in tutte le cose della Liguria occidentale (107). Vi sono però esempi di riscossa da parte di feudatari spodestati, il popolo di Albenga è sopraffatto dal signorotto : i Clavesana erano stati privati dei loro previlegi probabilmente fin dal IloO in occasione della discesa di Federico Barbarossa in Italia- Albenga c κ parteggiava con lui ottenne col suo appoggio, quale ricompensa·, molte esenzioni. Ma il 19 dicembre del 1192 (10S) Bonifacio di Clavesana volendo ristabilire i suoi diritti si allea segretamente coi Genovesi in lotta contro Albenga, promettendo loro metà del fodro quando riuscirà a riscuoterlo sulla marca Albingànese : da Pietra fino al torrente Armea, a ponente di Bussana (103ì. Albenga temendo la peggio è costretta a far pace con Genova e con lei molte altre cittadine e paesi liguri cominciano a subirne l’influsso e spesso il diletto io minio. Il marchese-Bonifacio riesce’così, com’era sancito nel patto d’alleanza, a. ricuperare le sue antiche prerogative. I casi però in cui il feudatario vince non sono frequenti ; comunque la sua riscossa è di breve durata; il popolo in una prossima controffensiva si libera nuovamente ; al più si viene a patti, come accadde appunto alla stessa Albenga : ivi dopo quanto abbiamo ora esposto il marchese Bonifacio fu sempre molestato dai consoli, finche, il 20 giugno 1196, s’interposero tra le due parti avverse il vescovo di Albenga Airoldo e Filippo Cavnurco, console di Genova, che riuscirono a comporre amichevolmente la lite che era nuovamente sorta (me) rossi, St. di Ventimiglia, cit., I ediz., pag. 55 e segg.; TJber fu riunì. T I col 227 II Rossi, St. di Dolceaqua, II ediz., cit., pag. 192, riporta u> documento di anno incerto, forse del 1185 o 1186, in cui il conte Oberto la-menta i gravissimi danni subiti nella guerra. (i°7) Liber Juriwm, T. I, col. 327. β τ»„β*0 flos) Uber Jurium, T. I, col. 403. L’originale lo trovai nell A.S.G-., Busie Paesi n 34ò (109) Non credo qui utile ripetere nulla sulle marche di quanto già a lungo e completamente ebbe a scrivere Cornelio De Simoni nella sua conosciuta opera sulle Marche d’Italia, edita negli A.S.L.S.P., vol. XXVIII. COMUNI RURALI NELLA LIGURIA OCCIDENTALE 79 specialmente a causa della proprietà, della vendita· del castello e della giurisdizione sugli uomini di Cervo (110). In questo ambiente saturo di ideali di libertà, di rivolta e di lotta contro i prepotenti, e proprio in questi anni giùnge la notizia della pace di Costanza ; tenendo presente quanto abbiamo ora riferito è facile capire come quella vittoria dei comuni sull’imperatore Federico, si innestasse proprio negli avvenimenti liguri che si trovano perciò inquadrati, sebbene non ne avessero forse la sensazione, nel grande movimento di ascesa nazionale. La lotta per molti paesi prosegue ancora. Lungi però dell’atte-nuarsi pare crescere di violenza poiché tutti aspirano a pervenire a quei risultati già da altri conseguiti. Il metodo della forza è ormai quello che ha il soppravvento ; pochi sono ormai i feudatari che ancora resistono ed anche questi ultimi cadono : pipressa ottiene la libertà da Oberto, conte di Ventimiglia nel 1215 (1U) ; Doleeacqua scacciava a. furia di popolo, con grande scorno, il conte Oberto, nel 1232 e gli permetteva il ritorno solo dopo mojte promesse (112) ; Mon-talto si liberava nel 1241 ; Badalucco nel 1245 (113) ; Apricale nel 1249 mandava via il conte Guglielmo che poteva rientrarvi solo dopo aver permesso agli abitanti di governarsi da soli con le loro leggi, e dopo aver giurato la Compagna (114ì ; Lamènone si liberava nel 1258 (115ì ; e Velenco potrebbe proseguire ancora. 10) Benessere della libertà. - La vittoria comunale si veniva così allargando di paese in paese e spesso contemporaneamente; la formazione degli Statuti suggella la vittoria raggiunta : il popolo da servo è divenuto sovrano. Un senso di soddisfazione e di benessere, sia pur contristato ogni tanto da inevitabili guerricciole, si diffonde nei travagliati animi: conscio e soddisfatto della propria potenza, vedendo finalmente dimi-minuito il peso delle decime, dei dazi e delle imposte il popolo ha più coraggio e più iniziativa : Ja vita si ridesta, l’agricoltura· e il commercio ricevono un nuovo e forte impulso; sorgono numerosi centri commerciali, si comprano dai latifondisti terre incolte per renderle produttive, gli stessi ex-signori le vendono volentieri per agevolare questa rinascita : così ad esempio fa il vescovo di Albenga (l16). A (110) Questo doc., che credo inedito, lo trovai nell’A.S.G., Buste Paesi, n. 346. (ni) Il Rossi (St. di Ventimiglia, cit., I ediz., pag. 90) citando questo documento lo dice nell’Archivio Reale di Torino; io ue rinvenni una copia su pergamena nell’A.S.G., Buste Paesi, n. 346. (112) G. Rossi, St. di Ventimiglia, cit., I ediz., pag. 91. (113) G. Rossi, Gli Statuti della Liguria, cit., pag. 35. (114) G. Rossi, St. di Dolceacqua, II ediz., cit., pagg. 43 e 194. (us) G. Rossi, Gli Statuti della Liguri#, cit., pag. 125. (ne) Sono frequenti i documenti; cfr. ad es. quelli del 1143 pubblicati dal-ΓAccame, Instrumenta, ecc., cit., doc. XLV e XLIII. 80 NILO CALVINI ciò contribuirono anche cause straordinarie: i Templari, ad es., che vanno diffondendosi anche in Liguria occidentale, partecipano pure essi a questo rinnovamento agricolo acquistando terreni incolti (117), diminuendo il latifondismo, aumentando ed incoraggiando la produzione. Si costruiscono mulini, si arginano i fiumi, si incanalano le acque: ad Albenga ad esempio, con atto d£l 25 agosto 1175 (118), si permette la. costruzione d’un mulino, presso alla città, al mugnaio Bai-mondo; nello stesso documento è nominato un ospedale che evidentemente già sorgeva ; benefica, istituzione che rivela il sentimento di amor fraterno e sviluppo di civiltà,, che vediamo diffondersi anche altrove, prima e dopo tale anno : S. Komolo costruisce il proprio nel 1136; Taggia nel 1212, e circa a quegli stessi anni risale la fondazione degli ospedali dei paesi vicini. Da un documento del 30 agosto 1199 appare che in Porto Maurizio si svolgeva in tale giorno un grande mercato dove affluivano gli abitanti di molti paesi dei dintorni ; documenti di vendite di terreni, ricevute di pagamenti, ecc. sono assai frequenti (119) ; una lunga convenzione fu stipulata, Γ11 luglio 1210, tra i consoli di Albenga e i consignori di Garessio e Codeano, in sèguito alla quale costoro si obbligano di far transitare legname attraverso il Saccarello secondo tariffe e modalità fissate (120). Cosio il 26 maggio 1207 (121) stipula dei patti con Pornassio e Tenda per fissare i limiti dei pascoli e dei boschi ; vendite di boschi a Cosio e a Montegrosso ci son rese note da. documenti del 1250, 11 e 16 dicembre, e del 1252 17 aprile (122) ; Oneglia al principio del sec. XIII ottiene di poter, ogni anno, nel giorno della festa di Ogni Santi, tenere una fiera che per quell’epoca era una· cosa di grandissima importanza (123). Tralasciamo altri esempi. Tutto questo denota come il regime cojnunale abbia ridestato, in ogni campo, le attività; con un regime che dava sicurezza e fiducia, tutto l’andamento della vita, cambia e migliora, molte cose nascono, altre si rinnovano ; le iniziative private si moltiplicano facendo presto sentire i benefìci effetti. Dopo due secoli di lotte, a quel lembo di terra, questi buoni risultati non potevano mancare. Nilo Calvini (117) P. Accame, 'Notizie e doc. inediti sui templari e Gerosolimitani in Liguria, Finalborgo, 1902; a pag. 37 e segg. vi sono alcuni docc. del 1143, 1144, 1145, 1167, ecc., che dimostrano quanto abbiamo su riferito. (118) L’originale di questo doc. è in una pergamena conservata nell’A.S.G., Buste Paesi, n. 341 e lo credo ancora inedito. (119) Nell’A.S.G., Buste Paesi, n. 341, ne rinvenni alcune che si riferiscono ad Albenga, degli anni 1181, 1203, 1217, 1222 19 agosto, 1222 14 dicembre, 1223 ecc. Sono forse tutte inedite ed ignote. Nella Busta n. 357 ve n’è una che si riferisce a Prelà del 15 gennaio 1205. (12°) A.S.G., Buste Paesi, n. 341. (121) A.S.G., Buste Paesi, n. 346. (122) A.S.G., Buste Paesi, n. 346. (123) piRA; st. di Oneglia, cit., vol. I, pag. 177. ROMANZOTTO DELLA NIELLA CAPITANO DI VENTURA (Contin. e fine) Quando i messi dei savonesi, dopo avere trattato della pace, parlarono al governatore francese di Genova dei danni sofferti, per esserne risarciti, li fecero ammontare a 100 mila fiorini, più 11 mila fiorini estorti ai cittadini savonesi fatti prigionieri. Parlarono essi di tagli di alberi e di vigneti, di furti di frutta, di vino, di mobili, d’incendi e devastazioni di case et maxime tempore invasionis territorii ejusdem communis invasi per Ramazotum de Niella, cum ejus societate et comitiva, qui invasit -territorium Saone.... necnon etiam tempore obsidionis ejusdem civitatis ohsese per Facinum Canem et dictum Ramazothum de Niella cum ejus societate et comitiva, qui, durante dicta guerra, hostiliter invaserunt territorium et districtum dicte civitatis Saone.... cujus quidem invasionis causa ac tempore dicte invasionis dictus Ramazotus et socii, ultra dicta dampna, incendia et robarias, violenter ceperunt plures et diversos Saonenses quos ad rechatum et redemptionem impulsserunt..... (1G). Anche i Genovesi chiesero a lor volta il risarcimento di danni, inferti da quei di Savona e la sentenza fu poi di remissione reciproca dei danni stessi (17). Non sappiamo con precisione quali fossero le cagioni di tanto odio da parte di Romanzotto verso Savona. Una frase del De Monti (18) relativa ai danni sofferti dalle proprietà di Romanzotto in quel di Segno ci è parsa tuttavia significativa : « attribuì (Romanzotto) non agli eventi della guerra, ma all’altrui invidia* e malitia! le proprie rovine, perilchè a vendicarsene riaccese un gran fuoco di discordie». Si tratterebbe, così, più che. di vendetta per danni sofferti, di odio di parte, comune allora a tutti « quei che un muro ed una fossa serra ». Ma c’è poi un momento in cui la sua figura grandeggia e ci fa ricordare quella del Farinata dantesco. Nel gen (16) JARRY, ov. Citdoc. XXX. (17) JARRY, op. cit.y doc. XXXII. (18) A. M. De Monti, ov. cit., pag. 104. 82 GIUSEPPE ROSSO naio 1398 infatti un’ambasciata savonese si recò a Genova per trattare della riconciliazione di Savona con Romanzotto, riconciliazione che avvenne più tardi mediante il pagamento da parte del condottiero di 11 mila fiorini, la somma cioè delle taglie che egli aveva imposto ai savonesi prigionieri (19). Ben altre visioni di campi devastati e di borghi rovinati dovevano avere impressionato la sua mente, tanto da fargli desiderare che il suo bastone di comando non grondasse almeno delle lacrime e del sangue dei suoi concittadini ! « Si ritrovò anche il detto capitano Romanzotto in altre fazioni d’altri luoghi ed imprese con esso Faccino (20) » ; e qui appunto ci riattaccheremo alla tregua del 1391 tra il marchese del Monferrato e i signori di Savoia. I rapporti che correvano fra loro dopo questa tregua parevano ufficialmente buoni, ma in realtà erano molto tesi. Da una parte il marchese del Monferrato non aveva intieramente rinunciato al Canavese, dall’altro il principe di Acaia gli dava sempre occasione di lagnanze, tanto più ora che aveva acconsentito che si fermassero in Piemonte gli Armagnacchi per una certa spedizione che egli voleva fare in Grecia. Nascono dunque altre lotte monferrino-savoiarde (1396-97 e 1399-40). Le scorrerie degli Armagnacchi nel territorio di Mondovì, ed in altre terre sulle quali il marchese Teodoro II accampava diritti, fecero sì che questi ruppe le ostilità e sguinzagliò, nel gennaio 1396, nel Chierese Facino Cane, che aveva assoldato. Tutto il Piemonte è un incendio di guerra. Il 27 giugno giunge notizia a Torino che Facino Cane, Frate Carlo di Busca e Romanzotto avevano oltrepassato il Po per offendere il territorio di Acaia. L’esercito di Facino ammonta a 3000 cavalli. Le truppe dei condottieri muovono su Mondovì, che si dice voglia darsi al principe Amedeo, per prevenire quelle savoiarde e fanno scorrerie in molti luoghi (21). Il principe di Acaia ha potuto intanto radunare 4000 uomini, fracui molti Armagnacchi, e, mentre pareva che le compagnie di ventura dovessero spegnere qualsiasi fiamma di idealità, sono nel suo esercito molti cavalieri e scudieri savoiardi, venuti al suo servizio gratuitamente per cinque mesi, larghi contingenti comunali e una schiera di volontari saviglianesi, non da altro spinti che dall’amor di patria e della dinastia. Con queste schiere il principe muove su Mondovì e occupa i luoghi circostanti. Il 12 luglio Mondovì si dà al principe, che ne manda sùbito la notizia al conte di Savoia. C19) Vedi G. V. Verzellino, op. cit., pag. 276, che assegna l’ambasciata al 1397; A. M. De Monti, op. cit., pag. 107, che attribuisce erroneamente i negoziati al Calleville, il quale fu governatore di Genova soltanto dal settembre 1398; Jarry, op. cit., pag. 256, n. 1. (20) G. V. VERZELLINO, op. cit., pag. 275. (21) Benvenuti S. Georgii, Historia Montis ferrati, in Muratori, R. I. S., XXXIII, 645 B. ROMANZOTTO DELLA NIELLA CAPITANO DI VENTURA 83 « Dalla nostra villa (li Osasco » aveva scritto insolentemente Teodoro II al principe, dopo l’occupazione del luogo; «dalla nostra» città di Monteregale » gli rispose il principe dopo Poceupazione di Mondovì (22). E invero questo fu un colpo terribile per il monfer-rino che non potè più riprendere quella città nonostante l’occupa-zione temporanea di Carassone e di Vico nel settembre successivo (23). La guerra continua ancora tanto che^Romanzotto è mandato nel giugno 1397 ancora una volta, insieme al Cane, nel Canavese (24), e le ostilità cesseranno poi col compromesso del 3 luglio firmato a Pavia. Le marcie repentine dei condottieri in questa fazione ci dicono quale fosse la loro tattica: punte improvvise qua e là, more predondco, come dicevano i cliieresi. « Sotto la sua direzione, ricorda il Poggi a proposito del Romanzotto contro Savona, i rivoltosi si organizzarono in squadriglie volanti, sempre all’agguato nei terreni rotti o coperti, mai a portata di balestra in rasa campagna, inquietando e molestando senza posa le milizie del Comune, senza mai impegnarsi con queste in combattimenti decisivi ». A quale stato di miseria fossero ridotte le campagne piemontesi è facile immaginare. Seguiamo ora il nostro capitano in un altro campo di operazioni. Facino Cane aveva abbandonato il Canavese nel settembre 1397, quando fu chiamato dal Visconti, che, in guerra col principe di Mantova, si affannava a ricostituire un esercito dopo la disfatta che le sue truppe avevano subito per opera del principe stesso. Il Cane corre nel bresciano e si unisce alle compagnie di Giacomo Dal Verme, di Alberico da Barbiano e di altri condottieri. I Gataro (25) non ci ricordano il nome di Romanzotto, ma noi possiamo essere sicuri che prese parte alla battaglia vittoriosa di Borgoforte (28 ottobre 1397), perchè il Chronicon Bcrgomense (26), ricordandolo cum una maxima quantitate lancearum e cum sua brigata> nel giugno 1398, nelle campagne bergamasche, ci fa pensare che egli sia stato uno degli uomini d’arme mandati dal Visconti, nel febbraio 1398, nel Bergamasco, per sedarvi le lotte fra Guelfi e Ghibellini. Niente però di strano che tenesse soldati anche in Piemonte. Comunque, sino al giugno 1398 tacciono i documenti sulla attività del Romanzotto. Deve essere stata decisa, in quest’epoca, come abbiamo già detto, la sua riconciliazione con Savona. (22) D. Machanei, Epitome historicae novem ducum sabaudorum, I, 4, Μ. h. p. Script. I. (23) Grassi, Cronaca anonima del Monteregale, in « Memorie istoriche della Chiesa vescovile del Monteregale in Piemonte », Torino, 1789, pag. 207. (24) I. Ghiron, Della vita e delle militari imprese di Facino Cane, in « Arch. St. Lombardo », anno IV, 1877, doc. IX. (25) A. e G. Gataro, Ist. padovana, in Muratori, R. I. S., XVII. (26) Chronicon Bergomense, in Muratori, R. I. S., XVI, 909 C. e segg. 84 Ma anche in questo mese egli combatte nel Canavese. Qui i nemici di Savoia, con a capo il frate Luchino di San Giorgio, ordiscono una congiura (27) per occupare di sorpresa il castello e il luogo di Rivarolo, proprio nella notte in cui vi sarebbero arrivati Amedeo di Acaia e il suo ministro Amedeo di Challant. Quando parve tutto pronto, fu avviata verso il Canavese una grande compagnia : i documenti accennano a magna gens____ et erant Ramatoti de la Niella (28). La congiura non sortì il suo effetto, perchè sventata· in tempo, ma in questa occasione si potè vedere che Romanzotto agiva già per conto suo con una grossa compagnia. - Egli era diventata dunque un condottiero, un contestabile, come allora si diceva. Per tutto il 1398, al servizio del Monferrato, scorrazza per il Piemonte : il 24 luglio è nel Monferrato, il 24 novembre è di nuovo nel Canavese. Come si vede, siamo al principio di una nuova lotta monfer-rino-savoiarda. Mentre infatti si combatteva intorno a Mantova, Teodoro II attendeva che il Visconti desse il responso per la soluzione delle sue questioni col rivale principe di Acaia. Il responso venne il 30 gennaio 1399 : tra le altre decisioni, vi era questa, che Mondovì e Torino ritornassero al Monferrato. Proteste da parte del principe, e nuova guerra. Il marchese riordinò il suo esercito, riprese al suo soldo Facino Cane, assediò Mondovì et cremavit multa mona ,(29). Le sue truppe occuparono molte terre, tra le quali S. Albano, et illa/m sacamanaverunt. Interviene Amedeo Vili, che induce i combattenti alla tregua del 17 ottobre 1399. Siccome però le questioni principali sono rimesse al duca di Borgogna, la lotta non cessa ancora, e così sulle misere campagne del Piemonte continuano a imperversare Armagnacchi da una parte e venturieri italiani dall'altra. Romanzotto non doveva essere frattanto lontano, se nel 1399 i fiorentini, poiché le faccende politiche italiane andavano di nuovo intorbidandosi, possono spargere ad arte la voce che il duca d Orléans si sarebbe mosso verso il reame napoletano con Paiuto dello suocero e 6000 soldati a cavallo alle dipendenze di Facinoi Cane, Ot-tobon Terzo e Romanzotto (30). Da quel momento non si parla più di Romanzotto. In Piemonte c’erano ancora gli Armagnacchi. Contro di essi nel marzo del 1400 fu mobilitato l’esercito di Savigliano, il quale doveva andare, ol-trecchè verso Cervasca, tenuta dagli Armagnacchi, anche a Niella, ma se per combattervi qualche partita di venturieri dell’altra terra, (27) F. Gabotto, Gli ultimi principi di Acaia, op. cit., pag. 339. (28) Arch. Camer. di Torino, Conto Gastell. Rivar., Rot. 1396-1401, in Gabotto, op. cit., pag. 339. (29) Grassi, op. cit., II, pag. 207. (30) F. Gabotto, Gli ultimi principi di Acaia, op. cit., pag. 417. romanzotto della niella capitano di ventura 85 o per le discordie rinascenti fra i marchesi di Ceva, si ignora (31). In queste terre e in quelle del Monferrato faceva scorrerie il capitano di ventura Lucemburgo, dei marchesi di Ceva, e consignore di Niella e Carrù (32). Queste notizie ci fanno pensare che Romanzotto si sia forse portato a combattere nelle terre del marchesato di Ceva, più vicine a Savona, e di una delle quali la sua famiglia aveva il titolo signorile. O forse, già anziano, avrà preferito ritirarsi a vita privata nelle sue possessioni del Segno, o lungo le rive del sonante fiume, all’ombra della torre feudale, nella quiete campestre di Niella Tànaro, culla dei suoi avi. La tradizione militare continuò ancora nella sua famiglia, perchè nel secolo XVI vedremo un suo nipote ucciso presso Firenze dalle milizie del condottiero Cesare Maggi (33), mentre combatte tra le file del principe di Orange. Giuseppe Rosso (31) F. Gabotto, ov. cit., pag. 389. (3?) A. Michelotti, Storia di Mondovì. Mondovì, Soc. Tip. Ed. Monregalese 1921, pag. 123. (33) L. Contile, La historia de fatti di Cesare Maggi da Navoli. Pavia, G. Bar-toli. 1564, j>ag. 63 e 65. LA POESIA RELIGIOSA DELL’ANONIMO GENOVESE APPUNTI ED OSSERVAZIONI Poco nota e meno studiata è stata finora la poesia dell’Anonimo genovese del see. XIII-XIV, che in un mio lavoro non esitai a chiamare Poeta della borghesia di Genova, per quanto di lui già dissi (v). Fatta eccezione, infatti, per le sue poesie a carattere politico-sto-rìco, che per le prime e da più furono trattate, certamente le più note, gran parte della rimanente sua copiosa produzione, e in sj>e-cial modo le rime religiose e didattico-religiose, ancora attende di esser degnamente studiata e di esser portata in più giusta luce. 11 Lagomaggiore e il Parodi pubblicarono le centoquarantasette composizioni poetiche volgari di quest’Anonimo (2), ma fra i pochissimi che di lui si occuparono, solo il Mannucci ci ha dato uno studio troppo generico e assai poco profondo (3), nè esiste ancora un trattato completo che analizzi le singole parti e compenetri i molteplici aspetti di questa poesia, la quale meriterebbe paziente e profondo studio. Quale modesto contributo, dunque, alla futura opera che auspichiamo sorga presto ad illuminare completamente la figura di questo nostro interessante dugentista, si accolgano queste mie osservazioni. Lasciando da parte le Rime di altro genere, mi occuperò qui esclusivamente di quelle religiose volgari e latine, contenute nel cod. Moliino ; studierò dapprima le composizioni poetiche- volgari che precedono le latine, le uniche che seguano un ordine logico nella raccolta, perchè tutte a carattere religioso, fatta eccezione per PV1II, qui sicuramente interpolata per errore di trascrizione. I1) L'Anonimo genovese, vocia della borghesia di Genova fra il sec. ΧΙΙΙ-ΧΊλ, in « Giornale Storico e Letterario della Liguria », an. 1940, fase. II. (2) Archivio glottologico italiano, vol. II e X. Si segnano con ri. le rime pubblicate dal Lagomaggiore, con rp. quelle pubblicate dal Parodi. (3) VAnonimo genovese e la sua raccolta di rime. Genova, 1904. la poesia religiosa dell’anonimo GENOVESE 87 RIME RELIGIOSE VOLGARI Dopo aver premesse brevi notizie sulla versificazione e sul tipo di \o gare adottato dall’Anonimo passerò ad analizzare le Rime stesse. Osservando brevemente il modo di versificare del nostro Poeta, è evidente la ricca varietà di rima, già minutamente studiata dal Parodi, il quale, considerando le principali norme ritmiche delle vocali contenute nelle parole, dal genovese usate a formar la rima, sciisse . « il simpatico e fecondo poeta di ri e rp mostra nel trattamento delle vocali in rima siffatto rigore, che ben appare com’egli fosse in questo seguace della scuola provenzale, così ben rappresentata nella sua Liguria da valenti cultori» (4). Il Mannucci, al contrario, dopo aver raccolto ed elencato tutte le specie diverse di rima che compaiono nelle poesie volgari dell’Anonimo, concluse dicendo che « nulla di spiccatamente provenzale si può trovare nella prosodia del Nostro. Io non credo che così decisamente si possano smentire le autorevoli e dotte parole del Parodi, perchè, oltre alle piove scientifiche da lui forniteci, è abbastanza ovvio che appunto tra i poeti provenzali noi possiamo, risalendo alle origini prosodi-che della poesia neolatina, trovare impiegate quelle diverse specie di rima, con le quali anche questo nostro rimatore, volendo forse fare sfoggio d'una certa eleganza, rompeva la monotonia del suo verso pressoché sempre uguale. È assai probabile, quindi, che proprio alla lirica dei trovatori, così raffinata e complessa, abbia l’A-nonimo, sia pur inconsciamente, attinto per la sua varietà di rima. E tanto è vero che il Genovese fu seguace, quanto alla rima, dei poeti provenzali e provenzaleggianti, che, come lo stesso Mannucci osservò, mantenne nei suoi componimenti entrambe le qualità tronche, (o maschili) e piane (o femminili) di essa, usando in qualche caso rime tutte tronche, in qualche altro rime tutte piane, in altre composizioni ancora promiscuamente alternate, ma nella maggior parte alternate con ordine fìsso e determinato nella strofa, dandoci così prova di una maggior perfezione raggiunta, che fa pensare come le « coblas doblas » delle poesie trovadoriche possano aver costituito per la rima del Nostro un valido modello. Quasi nullo e certamente trascurabile è invece l’influsso che 1 arte raffinata ed elegante di Provenza esercitò sulla qualità dei versi delFAnonimo, il quale, si presenta in ciò rozzo e monotono per l’uso quasi esclusivo del novenario e dell’ottonario, eccezione fatta per qualche sola e rara composizione come per la ri CXXIX, che presenta alternati senari e settenari, e per la ri. CYI di tutti sena ri. Nessuna traccia dell’amabile giuoco di combinazione dei versi (4) Studi liguri, in « Arch. glott. ital. », vol. XII, pag. 100 ss. 88 ANDREINA D AGLIO varii nella strofa, usato con tanta arte e frequenza dai provenzali. Per lo più nelle rime genovesi si alternano ottonari e novenari senz’ordine fisso, e non è possibile, data anche la scorretezza della trascrizione, non ancora emendata da studio critico, stabilire alcuno schema metrico, oltrepassando numerosi versi la misura ordinaria, e molti altri non raggiungendola affatto. Inutile dire poi che l’elisione e lo iato, l’assimilazione o la dissociazione delle vocali dei dittonghi, sono anche nel nostro rimatore usate con libertà, come in tutti i poemetti didattici e religiosi del tempo, ricevendo norma in genere soltanto dalla misura del verso. A questo gruppo, in verità assai preponderante, ascriveremo le più numerose delle composizioni che prendiamo a considerare. Solo in rari casi di tutta la raccolta, tenendo conto naturalmente delle probabili corruzioni, credo di. poter ravvisare un certo schema di combinazione. Così nella breve composizione ii. XIII noto l’inizio costituito da tre versi tutti ottonari, seguito da un verso settenario e da un ottonario alternati. Nè mancano pure composizioni a tipo diverso unico, come le ii. X, XI, di tutti ottonari. Bisogna dunque ammettere che l’uso del verso sia al Nostro derivato direttamente dalla tradizione poetica esclusivamente popolareggiante, per assoluta mancanza nel Genovese di ogni esattezza e varietà elegante, propria dei lirici provenzali. Da ciò dedurrei che il Poeta, senza voler seguire con determinato e dotto proposito una scuola nella sua versificazione, sia stato attratto dall’uso popolare iij genere per la composizione della sua poesia, ma rimase più di altri sensibile alla variazione della rima, per l’uso assai frequente di essa, udita dai provenzali e pròvenzaleggianti, in Genova e nella Liguria, più ancora che in altre parti d’Italia allora frequenti, rima che al nostro non troppo dotto poeta, riuscì di più facile imitazióne. * * -x* Non intendo ora intraprendere un’esame completo e profondo del volgare genovese in cui furono scritte le Rime, esame che richiederebbe maggior competenza in materia e una completa revisione dell’opera, mentre è mia intenzione soffermarmi unicamente su quelle composizioni che dissi, onde mi limiterò solamente a talune osservazioni che bastino a determinare il carattere della lingua usata dal Poeta. Ohe il volgare genovese, ai tempi dell’Anonimo si trovasse in quella fase caratteristica di passaggio e di formazione, per cui dalla base latina dalla quale esso muoveva, veniva acquistando, e in parte già aveva acquistato, o per inclinazione linguistica propria, o per influsso esterno, tutte quelle alterazioni caratteristiche che, passibili di ulteriore sviluppo, l’indirizzavano all’aspetto della \ I la poesia religiosa dell’anonimo genovese 89 sua torma moderna, è cosa facilmente accertabile da un rapido esame degli studi glottologici del Flèchia e del Parodi (5). Ossei· vanno, intatti, ]a grafia, la fonetica, e la morfologia dell’antico dimostrare subito come in esso s’incontrino le * 1 T C|° *·’ ?■ mcertezze e 'e incoerenze comuni più o meno a tutti 1 ,T- (1 (lllel1 età che, (li nascita recente, muovevano incerti ad assumere or l’una or l’altra forma, quando non usavano forme vane per una medesima espressione. Ricorderò poi solamente, ciò che gli studi sopra accennati ampiamente dimostrano,' come il volgare di Genova fosse uno dei più interessanti e caratteristici per gli influssi linguistici acquisiti da . Roma gnosi, la grande iutluenza su quello «li Giuseppe Mazzini : forse piti grande ancora di quella che indubbiamente ha esercitato più tardi Mil Mazzini il contempora neo Lamennais. < 'hi* se si volesse dubitare di una diretta influenza, non si potrebbe a meno di rico· noscere una singolare coincidenza. Cosi noi troviamo nell’uno e nell’altro il concetto del progresso e del perielionamento indefinito, che il f’ondorcet modestamente at* tri Imi va al Tnrgot ; ma rhe Indubbiamente ebbe da lui maggiore sviluppo; eri anche la distinzione del progresso o «sviluppo «» perfezionamento moral· , economico, politico, s’incontra in Condorcet non meno che in Mazzini. Ix> stesso e a dirsi quanto alla concezione delle fasi del progresso umano (In Mazzini epoche) e la chiusura ed apertura dei periodi. ed il valore in tal senso della Rivoluzione franrexp e l'importanza della dichiarazione dei diritti dell'uomo, e la ront rapposizione dei doveri e la fine dell individualismo. Noi troviamo in Condorcet (·) la proposizione: «Toute préro· ffotirr λ h ppone un devoir, et ne doit fit re Çii un moi/*n de l*' tnieitJ* remplir, pour la plus grande utilité de cetix qui ne sont qu'hommes et citojren* * rhe é una proposizione mazziniana. Ma nel rampo strettamente politico le coincidenze sono sempre pili preciae. Nel piano di costituzione (’>, come già in altri scritti si trova la preferenza alla repubblica in confronto della forma monarchica (*): 1 Tomo \IV cieirediztone di Brunswig, \m s Tomo Vili ‘ td ilimoMrnxione a pai? 1.V* MAZZINI E CONDORCET 95 la preferenza per l’unità in confronto della forma federale o confederativa ; la preferenza per un’unica assemblea legislativa e l’avversione al sistema (inglese) delle due Camere. Infine prima, del Mazzini il Gondorcet (4) è campione dell’emancipazione della donna o meglio della parità di diritto (eguaglianza di diritti fra i due sessi). E finalmente, ancora in Condorcet (5) la contrapposizione del di ritto e dell’interesse dei popoli in confronto di quella dei principi: compreso il diritto di rivoluzione e di guerra. « Quand un prince cherche à opprimer la liberté d’un peuple étranger, par la fraude ou par la violence, certes ce peuple a le droit de lui faire la guerre ». F. L. <*) Tomo Vili a pai?. 561-569. (5) Condorcet. t. 18, pag. 143. DI UN PRESUNTO RAPPORTO FK A GENOVA E LA TURCHIA NEL SETTECENTO (LA SVISTA DI UNO STORICO) Lo storico fu un Maestro : Camillo Manfroni. La svista a cui alludiamo portò l’insigne uomo a fornirci come positiva una notizia priva di ogni fondamento. La notizia fu legittimamente accolta, data l'autorità dello studioso, e l’errore rimase. In un mio precedente lavoro, parlando indirettamente di relazioni fra la Repubblica di Genova è l'impero ottomano nei secoli XVII e XVIII, non accennai affatto alla notizia in parola, e già in questo silenzio era implicito il ripudio di essa. Ma poiché ancora la vidi comparire, ad esempio, in un ottimo studio su Genova nella prima metà dell’ottocento, pubblicato negli « Atti della R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria », credo opportuno mostrarne apertamente l’inconsistenza, in modo che l’errore non debba essere più ripetuto. Come è noto, alcuni decenni or sono, due valorosi cultori della storia patria, il Can. Angelo Sanguineti e il Prof. Gerolamo Berto-lotto, si erano successivamente accinti alla compilazione di 1111 co-ilice diplomatico genovese-bizantino. La loro opera fu troncata dalla morte che li tolse sventuratamente agli studi. Ad ogni modo una raccolta voluminosa ed importante di documenti, collazionati sulle carte di Archivio dal Sanguineti, con la traduzione latina delle pergamene greche, e numerose correzioni apportate agli « Acta Graeca » di Miklosich e Mueller, uscì, dopo la revisione del Bertolotto, negli « Atti della Società Ligure di Storia Patria » i1). Ma poiché i due benemeriti studiosi non ebbero la possibilità di accompagnare, secondo il loro proposito, la pubblicazone dei documenti con un adeguato saggio illustrativo, fu affidato tale incarico a Camillo Manfroni. Questi diede quindi alle stampe negli « Atti » stessi un ampio ed interessante studio su Le relazioni fra Genova, Γimpero bizantino e i Turchi (*), illustrando; per il periodo fino al 1453, i documenti i1) Nuova serie di documenti sulle relazioni di Genova coll'Impero Bizantino raccolti dal Cari. A. Sanguineti e pubblicati con molte aggiunte dal Prof. G. Bertolotto, in « Atti della Soc. Lig. S. P. », vol. XXVIII, fase. II, 1897. (2) Vol. XXVIII, fase. Ili, 1898, seguito dall’Appendice, 1902: Ìndice onomastico e tovouraflco dei fase. II e 111 del vol. XXVIII degli « Atti S. L. S. P. » (compilato da E. Pandiani). D1 UN prESUNTO RAPPORTO FRA GENOVA E LA TURCHIA ί)7 già pubblicati ed altri ancora non compresi nella raccolta Sàngui neti-Bertolotto, dei quali ultimi aggiunse in appendice soltanto redizione ciitica del Trattato di Ninfeo (1261,). A questo fece poi seguire una serie di documenti relativi ai rapporti di Genova con Costantinopoli nel cinquecento e precisamente alle trattative diplomatiche degli anni 1556-58 riguardanti cioè i due viaggi di Francesco De l·ranchi (Tortolino) con il console Nicolò Grillo e le legazioni alla flotta ottomana di Francesco Costa. bulla scorta di questi documenti il Manfroni tracciò pure nelle sue linee essenziali la storia delle relazióni di Genova con i Turchi nel X\ I secolo; inoltre, più rapidamente e con qualche lacuna, ricordò i rapporti dei secoli XVII-XVIII, per i quali vari dócumenti erano stati già resi noti dal Canale (3), chiudendo infine il suo lavoro con la seguente notizia del tutto nuova: «Finita la guerra (quella austro-veneto-turca terminata nel 1718) le trattative furono riprese, pi-cìiè nel 17J/5, allorché Genova abbracciò una politica di recisa oppa sis ione ali'Austria e favorevole alla Francia, questa potenza si adoperò per ottenere ai Genovesi la rinnovazione del trattato del 1666 e riuscì a concludere un nuovo trattato turco-genovese, che era quasi identico a quello stipulato dal Durazzo » (4). Di tale informazione, circostanziata anche dal fatto dell’aiuto che la Francia avrebbe prestato alla Repubblica per il raggiungi-mento dei suoi tini, il nostro storico, sempre tanto -scrupoloso nella documentazione dei suoi studi eruditi ed acuti, anche se non in ogni caso del tutto scevro da suggestioni particolari, indica pure la fonte in un manoscritto della R. Biblioteca Universitaria di Genova (5). 11 cenno del Manfroni era tuttavia assai scarno, in modo da poter far credere che altrettale fosse la sua fonte. Pertanto il desiderio di conoscere più precisamente i particolari e le ragioni dell’asserito rapporto di Genova con Costantinopoli nel 1745, m’indusse a intraprendere ricerche al riguardo; e poiché mancava sull’argomento oçni relazione a stampa, pensai d’interrogare le carte dell’Archivio "di Stato, essendo questa la via più sicura da seguire. Ora, esaminata- particolarmente tutta la corrispondenza diplomatica coir Impero del Gran Signore, nonché altra categoria sui rapporti con l’oriente; visti pure gli incartamenti della Giunta del Traffico, nulla risultò intorno al fatto di cui parla il Manfroni. Dopo tali ricerche, si radicava in me la convinzione che non sussistesse menomamente il supposto avvenimento del 1745; e in verità non sembrava verosimile che nessuna traccia di esso fosse rimasta (3) M. G. Canale, Della Crimea, ecc., Genova, 1855. (4) Op. cit.y p. 786. (5) Alla segnatura B-V-32. 98 ONORATO PÀST1NE nei documenti del tempo a noi pervenuti e conservati in categorie diverse del materiale di Archivio. Ad ogni modo restava ancora da prendere nuova visione del codice già consultato dal Manfroni per risolvere ed eliminare ogni incertezza. Ora l'esame di detto manoscritto non soltanto mi portò a riconfermare Tinesistenza del fatto ricercato, ma mi mise pure in grado di decifrare, come credo, la genesi di quello che va considerato un errore abbastanza banale. Ed ecco come. Il codice della Biblioteca Universitaria sopra indicato contiene, fra Paltro, un firmano del Gran Signore che rinnova e sanziona certi Capitoli concessi alla Repubblica di Genova per il privilegio del commercio con l’impero ottomano. 11 preambolo del firmano, nel suo stile immaginoso, così è concepito, secondo la traduzione del manoscritto : « Per l'onnipotenza eterna Divina, e per le grazie infinite di Domine Dio ; Io che sono il Sultano dei Sultani del mondo, e la colonna dei Cacani del tempo che do la Corona ai Sovrani del secolo il Sultano Acmet kan tiglio del Sultano Mohamet han figlio del Sultano Ibrain han ringrazio Dio della sua infinita grazia di aver fatto la mia sublime fortunata porta il rifugio dei Sultani i primi nobili, e rasilo dei Cacani, ecc. ». « In conseguenza di questo in tempo fortunato, che il nostro glorioso Padre sultano Mahomet Can-han che sede nel Paradiso (che Dio lo risvegli nelle vittorie del Paradiso) è stato dato ai Genovesi un trattato Imperiale contenente 22 articoli di stipulazioni pacifiche in vigore del quale venivano ambasciatori loro alla porta fortunata nostra venivano e andavano i mercanti e osservavano le stipulazioni della buona armonia. Avendo cessato questi vantaggi da qualche tempo in qua di Legazioni, e di commercio dalla parte della nostra sublime porta per causa di alcuni forti eccessi provenuti dagli accidenti del tempo, il glorioso tra i Prencipi grandi che credono ili Giesiì il rifugio de Principi magnifici Cristiani, il moderatore degli affari delle Repubbliche nazarene il Duce della Republica di Genova. ed il Senato (la fine de quali sia fortunata) si sono rifugiati da qualche tempo in qua per uomini di confidenza alla nostra sublime porta, e ci hanno domandato la permissione di mandare dei Inviati, questa permissione essendo stata graziosamente accordata, e venuto per parte loro per rinnovare Pabito dell’antico patto, e per rafer-mare i fondamenti del durabile accordo dei nobili stimatissimi, e fedelissimi loro il modello de Principi Cristiani Angelo Giovo, come ambasciatore, che ha portato una lettera sincera, ecc. ». « Questa supplica loro è stata accettata dalla presenza nostra le-tissima Imperiale, e l’Ambasciatore sopradetto avendo terminato i doveri della sua ambasciata l’abbiamo reso partecipe delle nostre DI UN PRESUNTO RAPPORTO FRA GENOVA E LA TURCHIA 99 grazie e regali Reali, abbiamo permesso, che risieda come gli Ambasciatori dei Re amici alla nostra Sublime Porta e abbiamo uscito (sic) un firmano eccelso firmato di nostro pugno accioche siano rino-yati e confermati gli articoli delle condizioni, stipulazioni, ed obbligazioni contenuti nel trattato dato di tempo [di Mohamet] nostro Padre defunto e così è uscito al giorno 21 del mese Sciaban dell’anno 1124 questo trattato Imperiale glorioso nobilitato, ed illustrato per la firma risplendente nostra e contenente 22 articoli che seguono, ecc. ». Il documento è preceduto inoltre da una nota che dice: « N. B. : La data del 1124 è data araba delP,Egira e corrisponde neH’era cristiana al 1745 in 1746 ». Ora non si capisce come il Manfroni non abbia osservato diverse cose. Ohe innanzi tutto il Sultano Ahmed III regnò dal 1703 al 1730 ed era appunto figlio di Maometto IV (1648-87), che concesse nel 166C alla Repubblica di Genova, per mezzo dell’ambasciatore Agostino Durazzo, le Capitolazioni confermate da Ahmed III nel 1712, quando si recò a Costantinopoli e vi fu solennemente accolto l’ambasciatore genovese Angelo Giovo, menzionato nel documento riportato, ma non dal Manfroni nel suo studio. Evidentemente il nostro documento è quindi del 1712, in quanto non vi è nessuna conferma da parte di Osman III, sultano nel 1745. A questa constatazione molto evidente parrebbe tuttavia opporsi la noticina sopra indicata. Chi l’ha aggiunta al testo ebbe certo il lodevole proposito di facilitare il computo e l’intelligenza della data, e si deve essergliene grati per la buona intenzione. Egli all’anno dell'era musulmana 1124 ha aggiunto i 622 anni dell’era cristiana che precedono l’egira ed ha ottenuto così la data del « 1745 in ’46 » offerta già bella e approntata al lettore.... un po’ distratto. E bisogna confessare che tale fosse il Manfroni nel momento in cui consultò il codice, se è vero — come pare — che sulla nota predetta egli fondasse la notizia fornitaci. Senza dubbio sbadatamente sfuggì al valente storico Terrore del computò; clìè certo egli sapeva benissimo come il calendario maomettano non sia a base solare ma lunare: come l’anno dei mussulmani consti di 354 giorni, 8 ore, 48 minuti e 33 secondi, e sia diviso in 12 mesi lunari di 29 o 30 giorni, venendo regolata la differenza oraria annuale entro un ciclo di 30 anni lunari, di cui undici di giorni 355. Il mese di Schanban (ottavo nel calendario mussulmanO() dell’anno 1124 corrisponde quindi al settembre 1712 : e noi sappiamo infatti da altra fonte che il 27 settembre di detto anno il Gran Signore riceveva con solennità in Costantinopoli il Mag.co Angelo Giovo, consegnandogli le Capitolazioni firmate di suo pugno. Il Giovo, poi, pochi anni dopo, nell’ottobre del 1715, dovette in 100 ONORATO PÀ8TINE inalo modo abbandonare la capitale turca e farsene ritorno a Genova, essendo questa accusata dal Sultano — e non senza fondamento — di aver permesso che suoi cittadini fornissero aiuti a Venezia nuovamente in guerra con l’impeto ottomano. Pertanto, dopo questo anno 1715 non si ha ricordo di altra regolare ripresa di rapporti commerciali con la Turchia e di Capitola zioni concesse o confermate in proposito. Cade così completamente la notizia del Manfroni relativa al 1745, uè pare possano rimanere ulteriori duhhi al riguardo. Kd ora, insieme con la conclusione a cui siamo «giunti, un insegnamento potremmo a un punto ricavare da quanto abbiamo sopra esposto. Si sa che i modi di intendere e di fare la storia (o meglio di contribuire al complessi» lavoro storiografico) sono diversi e tutti, entro certi limiti, rispettabili, specie per quanto si riferisca a distribuzione di compiti o a interessi particolarmente sentiti. Ma ci >ono principi su cui ognuno che «li storia si occupi dovrebbe sempre convenire. I no è «jnello che riguarda l'importanza «lei documento nella rappresentazione non fantastica, sebliene sempre spirituale, «leiracca-diiueuto umano, e il valore «lei dato concreto e p«isitivo per la più chiara e adeguata visione e coni prensione «lei processo storico. Senza voler «pii esaminare che non sarebbe questo il luogo per vitTatti «liscorsi la dottrina «li uno dei nostri maggiori pensatori viventi, « he fa delPoggetto immediato dello storico un trascendente extrasoggettivo «li essenza divina e distingue idealmente nella storia il momento ilei l«»g«» astratto (storiografia), e quello «lei l«»go concreto (filosofia «Iella storia o storia filosofica), rileveremo piuttosto * ome «*£li, non diversamente da un altro eminente filosofo, restauratore dell'idealismo moderno, biasimi la «* ten«lenza a filosofare a vuoto, nulla «‘tirando i fatti » per parte «lei pretesi <* spiriti forti dei filosofanti *» rhe si occupano «li storia, iiouchi'* la «« superbia o albagia. con cui, special mente dai giovani, «>ggi si ostenta spesso il più alto dispregio della erudizione » (·). Così affermando, questo nostro valente pensatore ba perfettamente ragione. L'erudizione e la documentazione oculata e precisa* a prescindere da ogni esagerazione, non sono cose da prendere a gabbo. E la nostra esposizione — pur non trattandosi nel raso esa-mimito che «li un semplice errore materiale e non già «li deficienza interpretativa — può «’i«» non «li men«> c«mfermarci nella necessità dell'uso sistematico e scrupoloso del documento; «li quel documento la cui ricerca costa tanta e non sempre gradita fatica. * «»imi\\l «,intuì I.'ovqcUo (Iella florin, in Giornale critico ficlla filo- * Italiana ·. 1937. V. 317 318. DI UN PRESUNTO RAPPORTO FRA GENOVA E LA TURCHIA 101 Ci mostra inoltre quanta sia opportuna — cosa invece spesso sdegnata — la citazione esatta della fonte adoperata, il cui controllo, sempre aperto, possa impedire, a noi e agli altri, di ricamare e vaneggiare, senza volerlo, su dati poco consistenti o addirittura falsi. Se, di fatto, ad uno studioso di così alto valore, ad un indagatore così diligente ed acuti) degli avvenimenti storici, ad un signore del documento quale fu il Manfroni, è stato possibile cadere in un errore piuttosto ingenuo come quello rilevato, che cosa non potrebbe avvenire a chi sia di tanto meno esperto ed avveduto di lui, e disprezzi « ex professo » ogni ricerca originale o verifica di fonti e vada Annaspando in costruzioni più o meno cervellotiche e campate in uria? On< >RAT0 1 )À STI NE DIALETTO LIGURE Note Etimologiche 1. Traina. Cfr. Caffaro (.lumi/i Genovesi, vol. I ed. Bel grano, Genova IsìHi, p. 121) in truina sepulcri, e altrove, ina forse erroneamente, in triuna sepulcri (p 129), I traduttori (cfr. Annali Genovesi, vol. I Caffaro, traduzioni di C Rocca taglia ta Ceecartii e di G. Mollicone, Genova 1923, p. 160) rendono il vocabolo per tribuna », derivandolo da tribunal. Ma forse il vocabolo c un antico gallicismo, che è sfuggito alla diligenza di R. Bezzola (Abbozzo di una storia dei gallicismi italiani nei primi secoli, Heidelberg 1925), ed ha la una origine nell’afr. traine (cfr. REW ·Inulina) «tromba»; così che il lignificato di «volta, abside », quale si trova in G. Rossi (Glossario Medioe-rale Ligure. Torino 1896, p. 101, s.v. Troyn a), sembra il più giusto. 2. Nel Carme di Ursone si legge (752 ed. Graziani) : litore firmatur puppi démina paroma. A proposito dell’ultimo vocabolo, l*editore scrive (Vittoria de' Genovesi sopra Varmata di Federico II, Carme di Ursone.... illustrato e volto tu italiano da P. Gio. Battista Graziani, Genova 1857. p. 110): « leggo col testo paroma, vocabolo nostro, benché di bassa latinità, vivo ancora nel nostro dialetto, quantunque raccorciato in poma e pur di genere femminino». Debbo confessare che non riuscii a trovare in nessun vocabolario la parola poma. Penso che invece di paroma si debba legger pai orna, quale si trova nel Rossi (p. 74). il quale cita Belgrano. Documenti, p. 240: « man^anaro uno, palomi* duabus. pantena. troca una rum mantelletis » e spiega il vocabolo così: < conia con rotella, entro alla quale passano gli amanti dell antenna »; cfr. il catalano /taloma « an der Mitte der Hahe befestigtes Tati » (REW 6181* palumbus. 3. L’antico genovese fizema con probabile significato di «caldo erotico» ha. come ben vide il Parodi (AGL XV pag. 61), il senso fondamentale di • enfiagione (morale) ». E allora la sua derivazione evidente ò dal greco e cioè da quella stessa voce che erroneamente il I obler (cfr. REW 8092) attribuiva all*italiano fisima. 4. L’antico genovese avogollo «cieco* che il Parodi (AGI X\ p. 4K) con dubitanza fa derivare dal francese (cfr. od. aveugle), credo invece provenga direttamente da un *abocullus (cfr. REW 33 aboculis e G. Devoto, Storia della lingua di noma, Bologna 1940, p. 253 * ab oculis che è alla baso del francese 4' riposa, attraverso una tradizione di tecnicismo modico» sul greco é*’ òfi|ifff«vv ·). allo stesso modo che l'odierno pe i g u 11 il deriva da ·pediculi us (dr. Parodi AGI XVI 141, REW 6351). DIALETTO LIGURE 103 5. Il Bertoni (Profilo linguistico d'Italia, Modena 1940, p. 28) scrive: «resti del verbo fieri si lianno.... nell'imperf. sogg. di « essere» a Genova: fisse [per fise] ». Ma questo è evidentemente un errore. Che l’imperfetto congiuntivo a poco a poco abbia fatto posto al più che perfetto, è cosa nota (cfr. C. H. Grandgent, Introduzione allo studio del latino volgare, Milano 1914, p. 71; Stolz-Schrnalz-Leumann-Hofmann, Lateinische Grammatik, München 1928, p. 562; ecc.). Ora il gen. fise deriva, con dileguo dell’u, dal più comune (almeno nelle parlate della Riviera) fui se, cfr. fiàimu da fuiSimu. Gli odierni f lise e f ύ δ i m u son forse italianismi. 6. 8 k a r k a o calcare con forza » ; per es. a Cogo leto skark e m w i e. Da * excalcare (cfr. exculcare in Cesare Bell. Gali. VII 73,7). Antonio Giusti Note toponomastiche e lessicali genovesi. 1. — Altare (dial. Artà) ni. — Assai probabilmente della medesima origine dell 'Altare (scoglio) del Lago di Garda, connesso, come già suppose I’Olivieri ( Toponom. lomb., 75-76), con l'accezione di a altura, roccia » che il Terracini (Atti del IX Congresso Geogr., 1924, II, 327) segnalava sulla voce altare, di origine celto-ligure, delle Alpi occidentali. 2. Amelia (dial. AmSga) ni. — Risponde molto limpidamente a ♦Lami c u I a , da lama e bassura paludosa » da cui Tant, polesano lama a palude, acqua stagnante » e il chioggiotto Innuba « fossa». Numerosi sono i nomi locali, segnatamente veneti, lombardi e toscani facenti capo alla medesima base (cfr. Olivieri, Toponom. veneta, 271; Toponom. lomb., 76; Pieri, Topolioni, della valle dell'Arno, 314). 3. — Arzéno (dial. Arzen), ni. — Tre località della prov. di Imperia e una di quella di Genova portano questo nome. Vien da pensare al lat.-etr. A rgen ili s (cfr. Schulze, Latein. Eigennamen, 126) o aU’etrusco Arge n a, circa il quale vedasi: Pieri, Topon. dell'Arno, 19 e Olivieri, Toponom. lomb.9 80. 4. — A rcola (dial. Arcua) ni. — Risponde normalmente alla base a re u -la, dimin. di arca , quando non fosse diminutivo di arx « rocca », Cfr. il lomb. Arcare — Arculae in Olivieri, Top. lomb80. 5. - A veggio (dial. A vezzu) ni. — Potrebbe rispondere così a * 1 a p i -deu (da cui, seeondo il Parodi, il gen. lavezzn) come a ♦labidiu da labes, a cui mettono oapo numerosi toponimi lombardi (cfr. Oijvieri. 83), veneti (Olivieri, Topon. veti., 269) e toscani (cfr. Pieri, Tojion. delia valle dell'Ama, 151). 104 GIUSEPPfc FLECHI Λ 6. — Briscata (dial. Briscà), ni. — Due località presso Sestri Ponente portano questo nome. Probabilmente da brisca « sorta d’erba che si adopera nello spalmare i pavimenti » (Casaccia); il qual brisca corrisponderà al tose, brusca « equisetum sylvaticum » (cfr. Targioni Tozzetti, Dizion. Botanico. I, 19). La stessa origine deve attribuirsi al lomb. Bruschera (Como), sfuggito alla diligenza deHOLiviERi. 7. — Bussana, ni. — Risponde assai bene, mediante la discrezione della sillaba iniziale, ad * Aebutiana dal gentilizio Aebutius, attestato delle iscrizioni latine del Piemonte (cfr. C. Promis, Storia di Torino antica, p. 39). 8. — lóccu «stupido, scemo, idiota». Benché manchi ai dizionari genovesi, è voce assai comune nella Riviera di levante e non è estranea al toscano (p. es. al pistoiese), cui fa riscontro lo sp. loco e il port, louco. Con tutto il rispetto dovutogli, non trovo giustificate le ragioni addotte dal Migliorini (Dal nome 'proprio al nome comune, p. 143) per accogliere la base Glaucus proposta dal Muret e accettata dal Menéndes Pidal ma respinto dal Thomas, dal Meyer-Lübke, dallo Spitzer, dal Rohlfs e dell’ETT-mayer che preferiscono l’etimo dieziano da a 1 u c u s (ulueus), « allocco ». Il ven. oco sarà invece nulPaltro che il maschile di oca, usato nella medesima accezione di « stupido, scemo ». 9. — g i 1 e c c u « farsetto ». Il Cas accia, Diz. gen. ital., 2a ediz., 1876, p. 409, scrive: « Vien dalla voce tose, giulecco i1), specie di veste antica degli schiavi e galeotti ». Non dal toscano deriva il gen. gileccu; ma col toscano deriva dal turco yelek, che ha dato lo sp. gileco, con cui, anziché col nome proprio fr. Gilles (= Aegidi us) è pur connesso il fr. gilet (genov. gilè) « corpetto, panciotto » secondo ha dimostrato lo Schuchard citato dal Migliorini (Dal nom>e proprio al nome comune, p. 175). Nella stessa guisa, dall’or, al - gub b ah derivano l’it. giubba e il fr. jupe. 10. — giacché « farsetto, giacca, giubba ». - · Come il fr. jaque e jaquette, il terl. jacke e Tingi, jack, jacket deriva, come già vide a suo tempo il Duc ange, dal nome di Jacques Bonhomme, che fu capo della sollevazione militare dei contadini (detta jacquerie) contro la nobiltà, avvenuta nell Ile-de-France nel 1358. Appena occorre avvertire che la stessa origine hanno le voci italiane giaco e giacca. 11^ _s a 1 i η « saliera ». È un bel continuatore dal lat. salinum « vas in quo sal reponitur » (Forcellini), che non trovo registrato nei lessici romanzi del Korting e del Meyer-Lübke. Sono noti i versi di Orazio (Garm., II, 15,14) : vivitur parvo bene, cui paternum splendet in mensa tenui salinum : (l) Giulecco e giulecca sono voci fuori uso in Toscana e s’incontrano, la prima nelle Satire del Menzint, la seconda nel Malmantile del Lippt. DIALETTO LIGURE 105 -125. Lodando la parte archeologica, pone qualche riserva ’su particolarità storico-giuridiche, κ [E. Curotto, Liguria Antica, 1940]. A. Cappellini, « Genova », 1940, XI-XII, 38-40. P. Fraccaro, Athenaeum 1941 i l^o-PT Pur riconoscendo qualche utilità al lavoro, rileva una sèrie di’ inesattezze veramente deprecabili in un’edizione di -tanta autorità. MEDIOEVALÈ. E. Nasalli Rocca, Studi storici sulle condizioni giuridiche del Contado, con particolare riguardo alle regioni piacentina e parmigiana. Piacenza 1941 8°, pp. XVI-250. Rielaborazione e raccolta con aggiunta di alcuni capitoli e di un indice accuratissimo, di studi storico-giuridici, apparsi già in « Boll. Stor. Piacentino » ed interessanti anche il territorio appenninico U. Dorini, Un grande feudatario del Trecento: Spinetta Malaspina. Firenze 1940, 16°, pp. VIII, 562. Cfr. A. Mancini, in Annali Scuola Norm. Sup., Pisa! 1940, IV, 274-276. κ Per gli studi di P. Poggi, Cronotassi dei.... Magistrati, di Savona e F. Noberasco, L'Anno ecclesiastico in Savona e Le Pergamena dell'Archivio Comunale di Savona pubblicati negli Atti della Sezione Savonese della Deputaz. di S. P., cfr. in questo stesso fascicolo la ree di N. Calvini. N. Calvini, Gli statuti inediti dell'erbatico dì Ventimiglia (1303). RII 1941 I, 49-64. Cfr. Rass. Bibliografica. G. Mandich, Delle fiere genovesi di cambi particolarmente studiate come mercati periodici del credito. Riv. storia economica, 1939, 257-276. Severa 122 SPIGOLATURE E NOTIZIE indagine sul fondamento della classica opera del genovese Gian Domenico Peri, del 1682. X Delle fiere di cambi suddette, e in generale dell’attività bancaria del medioevo in Italia e spec. a Genova e a Venezia, tratta anche E. A. Vogel, Der Giralverkehr in dea oberitalienzsçhen and den deulschen Handelszentren bis zum ausgehenden Mittelalter, in \ ierlj f. Social u. Wirtschaftgeschichte, 1938, 1-9. Cfr. RSI, 1940, 1, 145, ove anche si accenna allo studio di κ A. E. Sayous, Le capitalisme commercial e financier dans les pays chrétiens de la Méditerranée occidentale depuis la première croisade jusqu'à la fin du moyen âge. Vierlj. cit., 1936, 270-295. C. M. Brunetti, I Castelli di Godano, Bolano e Montebello. Atti Soc. Lig. Se. e Lettere, 1940, 267-291. κ Lo stesso, l castelli di. Morbello e di Pon-zone. Boll. Istituto Stor. e di Cultura Arma Genio, 1940, XII, 41-54. Notizie araldiche, vicende feudali, descrizione di monumenti e di opere, l· rammenti di quel secondo volume sui Castelli Liguri che è lecito attendersi pubblicato in memoria dello studioso scomparso. U. Formentini, Il Monastero regio di S. Giovanni di Pontremoli. G. Mont., quad. 53, 1940, 8°, pp. 10. Importante lavoro, per cui rimandiamo ad una prossima nota, κ G. Micheli, Possessi dell'Abbazia delVAulla nel Valta-rese. « Il Campanone », Almanacco pontremolese, 1940, pp. 4. Albareto e altre località’* su un doc. inedito del Registrimi Magnum, a. 1218. K G. Mari otti, La strada Francesca di Monte Bordone e V ospedale di S. Benedetto di Montelungo, (i. Mont., quad. 59, 1940, pp. 20. Apporti essenziali, anche se rimasti incompiuti, a. risolvere un problema storico particolarmente caro all’eminente studioso. Recensioni. E. Nasalli Rocca, in Arch. Stor. Parmense, 1939 (ma 1940) IV, 1.97-198 mette in chiara evidenza l’importanza, anche per le relazioni Genova-Piacenza-Parma, dello studio di F. Sassi, Riviera di Levante e Lunipiana nella politica navale genovese dopo lo sfacelo della Marca, pubblicato in Giorn., 1937-1938. v MODERNA. G. Pesce, Misure di profilassi contro la peste in Liguria nei secoli XVI e XVII. «Genova», 1941, IV, 5-11. Provvidenze sanitarie della Repubblica contro la peste, spec. nel 1576 e interdizione del territorio del Marchesato di Finale, su docc. degli archivi di Genova e di Tolgano. Ί A. Agnelli, Il saccheggio di Genova del 1522. Sec., 16-1I-19*!. ^ G. S., ^eiiere di Andrea D’Oria e di re di Francia alVufficio di S. Giorgio. NC, 1, li e Telegrafo, ed. Corsica, 19, II, 1941. Riprodotte da un catalogo di vendita londinese. 3* L. Ferretti, Il dramma dei Freschi Sec., 2, I. Cenni ai mistero che grava sulla tragedia di Gian Luigi. * ra, Due bombardarnenti navali degli antichi tempi. Lav., 13, III. Quelli francese del ^ ed inglese del 1800, a proposito del nuovo del 9 febbraio. Cfr. E. Chiosso , in Sec., 9, V. X ra, La pena di morte agli accaparratori durante I asseawjji Genova. Lav., 28-XII-1940. * A. Taro, Balilla e la sassata che passò nella storia. Lav. 5-XII-1940. Vicende del monumento di Portoria (in occasione delle celebrazioni centenarie), κ L. Costa, Commenti a una jnsliΊ rc Pier Luigi canevari patrizio genovese. G. di G., 9, IV. Luogotenente generale delle truppe liguri alla Scoffera nel 1746. * Lo stesso, Un ricco genovese. (i. di G. 8. III. Ansaldo Grimaldi, munifico patrizio del .>00. Don G. Salvi, Nella sacra inquisizione di Genova. Una sentenza assolutoria (del 1495) NC, 31-1-1941. ^ Come Genova arrivò a: fabbricare le sue nuove SPIGOLATURE E NOTIZIE 123 mura. NC, 13, 26 III, -23 IV. Progetti ed esecuzione, con pubblicazione di numerosissimi dati. Per altri scritti del G. S. cfr. oltre « Mistica ed Ecclesiastica » . R. Dasso, L'Ambasceria del Marchese Stefano Rivarola in Russia. Atti Soc. Econ. Chiavari, 1940 (ma 1941), 23-49. Di famiglia chiavarese dal sec. XV; ambasciatore della Serenissima Repubblica presso Catterina II di Russia, dal 1783 al 1785, lasciò in proposito lettere e una inter. Relazione. S. Rebau di, li festone dei Giustiniani. « Genova», 1941, II, 3-20. Ricostruito e seguito attraverso la stampa contemporanea; notizie sul Palazzo Giustiniani « del Festone » in Via S. Bernardo. C. Bìsi [cab], Belle e cortesi donne di Genova. Lav., 4-XII-1940, sulla moda femminile in Genova dal ’200 al ’600. 3C Nella Genova del '600 e del '700. Severe sanzioni contro il lusso delle donne. Lav., 8 e 14-1-1941. Raccolta di notizie inter. e curiose. 3* Tito da Ottone, Decreti sinodali sul ballo. NC, 7-II1-1941. A Savona, nel sec. XVIII, con docc. κ N. Bozzano, Tra storia e pettegolezzo nella vita genovese. Lav., 9-XII-1940. Antonietta Gallèra Costa, dama brillante nei salotti genovesi, tra ’700 e ’800. CONTEMPORANEA. E. Codignola, 1 giansenisti liguri e I'educazione. « Argomenti », I, 1941, ni, 1-1.2. Premesse alcune acute osservazioni sul valore spirituale’e sociale del giansenismo, l’A. tratta dei giansenisti liguri, rifugiatisi nella educazione dopo falliti i tentativi di rinnovamento nel campo ecclesiastico e politico’ (Primizia di un’opera maggiore di prossima pubblicazione). Napoleonica. Lo Çappetti, André Masséna tient le camp jle la Fougasse d'août à novembre 1793. Revens, 1939. 3* A. Masséna commande Vaile gauche de VArrnée d'Italie, 1939. Notevoli studi, anche su docc. inediti. Cfr. Fert, 1940, I 58 sg X A. Biancotti, Cosseria e la campagna di guerra dal 1793 al 1796. Torino. 1940, pp. 282. 2* P. F. Ferraironi, Episodi militari della guerra del 1794 sulle montagne di Triora (Imperia). Roma, 1940, pp. 43. A. Sisto, Dei feudi imperiali della famiglia Doria Pamphili Landi durante il periodo napoleonico e la restaurazione. BSBS, 1940, II, 190-220. La costituzione doriana dei feudi di Torriglia, S. Stefano, Ottone, Carrega, Gabella Garbagna.... dal ’500 alla loro annessione alla Repubblica Ligure e poi allo Stato Sabaudo; su docc. dell’archivio della famiglia. G. Marietti, Gli antenati di Napoleone Ronaparte. Echi e Commenti, 5-IX-1940 506-508. Sui vari rami della famiglia, nelle varie regioni d’Italia P \ CONTI, Napoleone I e la Lunigiana. Spezia, 2-VII-1940. Eponimi e omonimi dei Bonaparte in L. Λ M. De Marco, Pio VII, Elisa Ronaparte e Camillo Borghese ospiti di Chiavari. Atti Soc. Econ. Chiavari, 1940, 41-46. Notiziole curiose. RISORGIMENTO. A. Monti, Gli studi di storia del Risorgimento negli ultimi 100 anni « Un secolo di progresso scientifico ». Roma, SIPS, 269-294. Bibliografìa ragionata L. Bulferetti, La Restaurazione in Italia negli studi delVultimo ventennio RSI, 1940, IV,, 523-575. Sull’annessione di Genova al Piemonte e la bibliografìa relativa, cfr. pag. 533 sgg. E. B. di Santafiora, La fregata «Il Commercio di, Genova » e la spedizione contro Tripoli nel 1825. CM, 7-IV-1941. 124 SPIGOLATURE E NOTIZIE Cam, Entusiasmi savonesi nelle prime lotte del Risorgimento. Sec., 8-V-194J. B. Biancini, Felice Romani e la « Gazzetta Piemontese ». Lav., 30-XII-194G. Il R. è chiamato a dirigere, nel 1843, la G. P.. * O. Nemi, Un giornalista romantico (F. Romani). G. di G., 23 I. f . N. Rodolico, Come il tricolore divenne la nostra bandiera. L'azione degli studenti genovesi. Annali Univ. d’Italia, 1940, V, 460-468. Il 10 dicembre 1847, ed il riscatto di Genova dalla tradizione antipiemontese, nel nuovo simbolo « nazionale » che ess«a prepotentemente contribuisce ad imporre a Carlo Alberto esitante. . C. Spellanzon, Raffaele Rubattino e un suo copialettere del '48. Giorn^ d Italia, ll-VII-1940. Difende, contro A. Romano (per cui vedi oltre, pag. 147) la tesi di A. Codignola di un R. politico. ... 0 ττ A. Varaldo, Sui margini della Storia. Dieci milioni. Stampa Sera, 04-11-1941. Il Gen. Rolando, finanziato da banchieri genovesi, offre a Napoleone, all’Elba, la corona d’Italia. K La tartana di Padron Domenico. Ibid., 7-X1I-1940. Lamarmora, C. Balbo, Domenico Garibaldi e il giovinetto Peppino nel 1820. 3i Lo scagno ingrandito. Ibid., 18-111-1941. Un tipico ambiente genovese dopo l’annessione e al tempo dei primi moti mazziniani. A Un attore contro Alfonso Lamarmora, all'assedio di Genova del 1849. Ibid., 9-VI-1941. Il capocomico Alessandro Morelli nella rivoluzione antisavoiarda di Genova. * Il parere di un uomo che meritava di essere ascoltato. Ibid., 28-111-1941. La « conversione » monarchica dei mazziniani nel decennio della preparazione. — In questi bozzetti piacevolissimi e arguti, la storia forse è appena sfiorata, ma l’ambientazione è efficacissima e viva la rappresentazione. M. Arduino, Dove squillò la prima volta Virino di Mameli. St. Sera, 7-XII-1940. A Torino, nel palazzotto di Via Rossini nel 1847. Cfr. 5* C. Rossi. Mattino 111., 31-111-41. Di M. parla anche 3* M. Succo, La poesia religiosa del Risorgivi. Milano, 1940, pp. 584. ' G. Castelli, Gli ospedali italiani nell'epoca del Risorgimento. L Ospedale Maggiore, Milano, 1941. A. Bertani e l’organizzazione degli ospedali a Roma nel ’49; particolari sulla morte di Mameli e la ferita ai N. Bixio. A. Codignola, Le congiure di Cavour. Lav., l-V-1941. 3* Cavour, la guerra di Crimea e l'Inghilterra. Lav., 8-II-1941. X Un aneddoto genovese del Conte di Cavour. Lav., 15-IV-1941. Astuta mossa diplomatica per «far chiedere » al Piemonte l’intervento in Crimea, maturata nei giorni della inaugurazione della linea dei Giovi, nel 1854. 3* C. Roncati, II « Croesus » e le sorelle Avegno. Sec., 27-11-1941 e cfr. « Liguria », 1941 IV. Il sacrifìcio di queste donne di S. Fruttuoso, nel salvataggio dei naufraghi di quel traspoito inglese P. A. Conti, Il Re Galantuomo alla Spezia nel 1853. MAL Capellini, 1938 (ma 1941), 27-40. La visita e il soggiorno dei Sovrani e gli incidenti material·, e diplomatici che ad essa furon legati. CA r* C. De Biase Mire francesi alla Liguria e alla Sardegna negli anni 1860-61. Camicia Rossa, 1941, II, 31-38, in continuaz. La subdola azione francese per annettere tutta la provincia napoleonica di Nizza, · e cioè anche la Contea di Ventimiglia con S. Remo ed Oneglia. Trattative diplomatiche e reazione dell’opinione pubblica italiana. 3* G. A. Castellani, Le losche mire di Napoleone III ai danni dell'Italia. Corr. Adriatico, 9-X-1941. Corr. Emiliano. 18-XII, e altrove. 'G. Garibaldi. A. Valori, Garibaldi. Coll. Grandi Ital., Utet, Torino, 1941. Cfr. S. Rosati. Rass. Ital 1941, III, 158 sg.; G. Bellonci. Giorn. d’Italia, 2-III-1941; Panfilo, Un G. fuori del mito. Corr. d. Sera, 25-III; C. M. Lav., 28-111; U. Guglielmotti. SPIGOLATURE E NOTIZIE 125 Tribuna, 12-IV; A. Amante. Prov. di Bolzano, 10-V; U. D’Andrea. Radio Corriere, 18-V. S. Zavatti, Appunti per una bibliografia garibaldina. Cam. Rossa, 1941-11, 41 sg. Questa prima puntata raccoglie gli scritti su La Romagna nei suoi rapporti con G. Hans Geissler, Garibaldis propagandistischer Kampf. um die òffentliche Mei-nung in Italien. Wurtzburg, 1939. Cfr. F. F., in « Il Giornalismo », Udine, 1940, Χ-ΧΙΙ, 111-12*4, il quale riassume l’indagine del Geissler sull’importanza assegnata dal G. -alla propaganda giornalistica con una rassegna del giornalismo garibaldino. H. Nelson Gay, L'offerta di Lincoln, d'un comando a G. Chiarimento d'una questione storica, discussa. Rass. Ital., 1940, XII, 687-703. Trattative per un intervento di G. a fianco dei « nordisti » in un momento crìtico della guerra civile americana; su docc. inediti; nota postuma, da un voi. di saggi di recente adizione. Cfr. cpr, in Corr. d. Sera, 11-11-1941, e G. Descalzo, 6’ e le Americhe. Pop. d’Italia, 10-V-1941. A. Monti, Il pensiero di G. su Vittorio Emanuele II. N. Antol., 1941, 1, Vi, 219-229. Visione di insieme dei rapporti tra i due grandi, e acuto esame delle ragioni psicologiche che favorirono il loro provvidenziale accordo, anche nel contrasto talora delle energie più poderose e intelligenti. (Cavour e la spedizione dei Mille, con una lettera di Crispi, del 1898). G. Antonucci, Lettere di G. « Bergomum », 1941, III, 19-35. Brevi lettere da vari archivi, κ U. Oxilia, Lettere inedite di G. a un dottore di Chiavari che gli fu caro. G. di G., 16-VI-1941. Dal Varignano ,dalla Spezia, da Pisa etc. tra il ’62 e il ’77, le più per la cura della ferita d’Aspromonte. Prandina! medico garibaldino, che sarà poi esecutore testamentario designato da G. per la cremazione della sua salma. X R. Bacchetta, Memorie garibaldine e del Risorgimento. Un secolo di storia in una casa. Tribuna, 8-III-1941. Tra gli innumerevoli scritti recenti su G. spigoliamo ancora i seguenti, meno generici o di interesse più specificam, ligure. C. De Biase, Le cittadinanze onorarie conferite a G. Cam. Rossa, 1940 n 3 62-64. Atti di conferimento e lettere di accettazione, κ C. Cesari, Da Tan-geri a Caprera. Ibid., Ili, 60-61. X A. Monti, G. uomo mediterraneo. Ibid., I, 8-10. Le imprese marinare di G. e il perpetuarsi della tradizione garibaldina. « A. Luchini, G. Un giudizio tedesco attuale (di H. Geissler). Un discorso in nizzardo (del ’59; affermazione recisa dell’italianità di Nizza'. Ibid., 1941, IV, 75-77. » I. Cappa, G. e Verdi. La Sera, 31-V-1940. Accostamenti spirituali. X D. Bertone, G. G. e gli imperiesi. « Liguria » V-VI 1941 E. B. Cuneo, E. B. Gastaldi ed altri. E. Fabietti, G. e Nizza. Le vie del Mondo, 1940, VIII, 705-720. La passione di G. per Nizza all’epoca della cessione; su docc. editi ed inediti. G. Ardens, Tappe garibaldine a Nizza. Giorn. di Poi. e Letterat 1940 X-XII 539-548. I varii soggiorni di G. a Nizza, κ O. F. Tencajoli, La'casa di G a Nizza. Cam. Rossa, 1941, II, 29-30. La casa natale di G., ora distrutta ’ed iscrizioni, ora al Museo Masséna. Cfr. anche: E. Zocaro. 111. del Popolo, 29-XII-1940 e 4-1-1941. Λ La madre di G. sposò a Nizza? Stampa Sera 15-VI-1940. 3* L. Volta, Nizza e G. Il Popolo, Brescia, 12-XII-1940. I sentimenti di G. per la città natale. * R. Garibaldi, I moti di Nizza e reiezione di G, Il Popolo di Roma, 1940, n. 168. K O. Danese, Il testamento di G. Telegrafo, n. 132, etc. etc. Cfr. in proposito anche la sezione su Nizza. Spedizione dei Mille. Aspromonte. Mentana. G. Maraldi, La spedizione dei Mille e l'opera di Agostino Bertanì. Palermo 1940. Cfr. G. Semprini. G. di G., 22-V-1941. Indagine accurata, su fonti archivistiche inedite. Il Bertani, preciso e tenace, fu il coordinatore, da Ge- 126 spigolature e νοτγζιε nova, di tutte le forze per alimentare il corpo di spedizione, il che fu uno dei primissimi coefficienti della riuscita. F. Palamenghi-Crispi, I Mille e la partecipazione di Crispi. Costruire, 1941, V, 32-35. Audacia di C., « mente della spedizione garibaldina », di fronte -alle esitazioni di G. a Quarto, ed in Sicilia. κ ra, La partenza dei Mille da Quarto. Bianca Rebizzo amica di Cavour e Rubattino. Lav., 6-V-1941. Induzioni, non in tutto sicure, sulla parte che Bianca Rebizzo, intima di Ru-battino, avrebbe avuto nell’affare dei piroscafi « rapinati » da N. Bixio per i Mille. * A. Codignola, Gli Inglesi e un episodio dell'impresa dei Mille. Lav., 19-X11-1940. Gli inglesi, a Marsala, non protessero lo sbarco di G., ma.... i privati interessi dei mercanti inglesi di vino. Dimostrazione documentata ed arguta. κ * Il preteso aiuto inglese alla spediz. dei M. Resto del Carlino, 20-IV-1940. κ G. Bandini, La spedizione dei M. e il ministro inglese a Napoli. Giorn. d’Italia, 7-II-1941. I veri sentimenti . dell’Eniot, verso l’Italia, nel 1860, su fonti autobiografiche e contro la tendenziosa interpretazione del Trèvelyan. U. Barengo, G. a Caprera dopo Aspromonte. Fert., 1940, IV, 237-249. Con larga appendice di docc. dell*Arch. Stor. dei Carabinieri Reali. G. A. Castellani, Dopo Mentana. Una pagina romantica del 1867. Cam. Rossa, 1941, IV, 86-88. La contessa Eloisa Bideschini a Roma in delicatissima missione, per la liberazione di G., su fonti in parte inedite. κ R. Corselli, Mentana. Ibid., 1940, III, 54-57. Notizie. A proposito deli'erezione di Villa Spinola a Quarto a Monumento nazionale. (Cfr. i giorn. cittadini del 7, 8 e 9, IL 1941) rievocano le febbrili giornate che precedettero il 5 maggio, κ erre. Stampa, Sera, 10-11-1941. A. Boni, Milizia Fascista, 23-111-1941. . Sulla casa Camozzi allo Zerbino, ove il 31-XII-1858, nacque 1 inno di G., e sì preparò la spedizione dei Mille, cfr. κ C. Rossi, in Mattino 111., /-I 9* . L. A., in Corr. d. Sera, 3-V-1941. ra, in Lav., ll-VI-1941. Garibaldini - Nino Bixio. G. Antonucci, Due lettere di N. Bixio. « Bergomum », 1940, I 48 sg. a F. NulM 1860 e 1863. κ Μ. M. Ravenna, Il testamento di N. B. « Genova », 1941, ili, 39-44 fac-simile e trascrizione, con sommario commento, κ G. Terranova, Vita irrequieta, di N. B. G. di G., IV, 1941 ed in innumerevoli altri giornali. Rapido quadro della vita. N. Bozzano, Sirtori. Bologna, 1940, pp. 282. V Lo nati La preparazione delle Noterelle di Giuseppe Cesare Αψα. Lettura. ‘ Commentari Ateneo di Brescia, 1939 (ma 1940) 173-196. Analisi psicologica e letteraria delle Noterelìe, inserite nel quadro dell’Abba uomo e scrittore. Cfr. anche κ G. S. Ferrata, Per la lettura delle « Noterelle ». Domani (Il Ventuno). Roma, 12-V-1941. G I/) Curzio, Il garibaldino C. Abba. Giorn. di Sicilia, 4-\ 1-1941. U. Degli Uberti, Lo spirito volontaristico nelle tradizioni italiane. Riv. di cultura marinara, 1941, I, 77-107. Insistè naturalmente sul volontarismo garibaldino. κ p. Sticotti, Dal diario di un garibaldino. La Porta Orientale. Trieste 1941 I 18-33. Inter. riassunto del diario di Rodolfo Donaggio, triestino volontario del ’66 nel Trentino, κ * Com,e e dove nacque il battaglione dei carabinieri genovesi. Sec., 11-111-1941. Da memorie manoscritti di L. E. Dellopiane. κ L. Marchetti, Il poeta dell'inno di Garibaldi. Corr. Tirreno, ll-X-1940. SPIGOLATURE E NOTIZIE 127 Varie. M. Giuliani, Tentativi annessionisti del Ponlr emoles e alla Provincia di Parma. G. Mont., 1940, n. 3. κ T. Marchi, Stefano Massari e la Lunigiana parmense. Ibid., 1941, nn. 1 e 2 e quad. n. 65. Il M. Commissario straordinario del governo Sardo dopo l’annessione'al Piemonte del 1859. H P. Ferrari, / moti lunigianesi del 1847. G. Mont., quad. n. 68, pp. 56. Vasta ed esauriente trattazione, su ricche fonti, a compimento di altro studio anteriore. (Storia Lunigianese, Bibliot. G. Mont., n. 154). 3* Lo stesso, Ricordi, Pon-tremolesi del Risorgim,ento. Un seminarista in camicia rossa. Quad. del Corr. Apuano n. 4 Teodoro Reghini (ed altri pontreinolesi) partecipe della spedizione Cosenz. 3i * Un pontremolese del Risorgimento. Enrico Bui-tini. Corriere Apuano, 15-11-1941. 3* P. Ferrari, Lunigiana dell'ottocento, il P. Giuseppe Cimati, delle Scuole Pie. Corr. Lunense, 1941, n. 15. 3* A. Calco, Una cerimonia religiosa a Pontremoli (1814). G. Mont., 15-XI-1940. G. De Biase, A. Crispo, G. Binello nei loro importanti lavori sulle ferrovie nel Risorgimento, suggeriti dalle ricorrenze céntenarie e di cui si è largamente occupata la stampa. (Cfr. per il De Biase. Giorn. 1940, IV, 1% sg.), trattano tutti di questioni anche interessanti la vita economica politica e sociale genovese. Sempre in tema di ferrovie cfr. ancora 3i S. Rebaudi, La inaugurazione della prima linea ferroviaria a Genova '(dei Giovi) e La seconda l. f. a Genova. (Genova-Voltri). CM, 21-1V e 12-V-1941. f- Recensioni e Polemiche. [A. Codignola, R. Rubattìno, 1938]. Alla men serena e obbiettiva ree. di A. Romano in RSI, 1940, I, replica il C. sulla stessa RSI, 1940, III, 454-458, smascherando la leggerezza con cui lo si accusava a sua volta di « integrazione romanzesca ». La controreplica del Romano apparve alla Redazione della Rivista tanto verbosa da consigliarne una pubblicazione rapidamente riassuntiva [A. Codignola, Anna Giustiniani, 1940]. Attraverso i molteplici scritti che il lavoro del C. continua a suscitare, sempre più si delinea un .certo sapor di polemica, nel contrasto dei giudizi e delle impressioni, non sul valore dello studio, ma sulla personalità dei « protagonisti ». Così R. I. Caro, Rivale di Cavour e di Mameli. I. Il marchese Giustiniani e la moglie ribellp. Stampa Ser-a, 22-1-1941, si compiace di accentuare la cattiva luce in cui il C. stesso aveva posto il Marchese, e in un secondo articolo: Come a Geronima Ferretti fu imposto il matrimonio col Marchese G. Ibid., 27-1, aggiunge elementi all’accusa narrandoci brillantemente il dramma romantico* dell’innamorato Mameli. Al contrario C. Spellanzon. Popolo di Roma, 7-III- 1941, non pare gradire tale giudizio. E a lui fa eco in una sobria ma efficacissima nota, piena di buon senso e di misurata dottrina, C. Panigada, in La Nuova Italia, 1941, V, 145 sg. — C. M., in Primato, 1-II-1941, dimostra una diffidenza istintiva per gli epistolari di amore, ma lo ribatte un anonimo, in Telegrafo, lo-l 1-1941, che conchiude alla grande importanza anche di queste indagini che stanno quasi in margine alla storia S Pre-stifilippo, in Grido d’Italia, 30-VI-1941, più che giudicar l’opera, si esalta in una contemplazione mistica di Nini Giustiniani trosumanata da Amore, che rimane piuttosto lontana dal carattere severamente critico del libro* Buone analisi psicologiche di M. Magni, in Solco Fascista, 23-11-1941. M* Ragazzi, in La Festa, 29-VI-1941, preoccupata della religiosità di Nina, e ancora L. Bocchi, in Diritti della scuola, 20-111-1941. Note informative e critiche perspicue nella loro sobrietà, di E. Michel. Ics, 1941, I, 35; * in L’Archiginnasio, nn. 4-6, 1940, 307 sg. E. Morelli, RSR, XI-XII, 1940, 1050 sg., particolarmente aderente allo spirito dell’opera e dell’autore. Cfr. ancora ér 128 SPIGOLATURE E NOTIZIE F. GiSMONDi, Quadrivio, 6-X-1940. P. Aletino, Regime Fase., 6-II-1941. E. L., in Vita Femminile, Milano, IV-1941. Cita occasionalmente l’opera come « magistrale » M. Viterbo, Cavour e l'Inghilterra. Gazz. del Mezzogiorno, 16-111-1941. [E. Guglielmino, Genova dal 1814 al 1849, 1940]. Cfr. R. Ciasca, RSI, 1941, I, 113-118. A. Cappellini. « Genova », 1941, IV, 34 sg. [E. Morelli, Epistolario di Nino Bixio, 1939]. L’opera continua ad aver larga eco di critica ed a suggerire spunti interessanti. Cfr., tra le recensioni, quelle di: C. Morandi, Civiltà Fase., 1940, I; A. Monti, Corr. d. Sera, 22-VI-1940; G. Falzone, Corr. di Napoli, 22-111-1940; P. Fortini, Italia Marinara, 1940, III; P. Della Torre, Oss. Rom., 25-IX-1940; A. Romano, in Oggi, 15-11-1941; e, tra tutte notevole, quella di A. OLmodeo]. La Critica, 1941, II, 108-110. Cfr. anche Si G. Paoli, La gesta garibaldina del 1860 nelle lettere di Nino Bixio alla moglie. Giorn. di Sicilia, 25-111-1941. K O. Danese, La moglie di Bixio. Telegrafo, 19-XII-1940. [G. A. Castellani, Garibaldi, la Francia e il Mediterraneo, 1940]. Tra gli innumerevoli scritti suggeriti da questo lavoro di attualità, ricordiamo alcuni apparsi sui quotidiani più diffusi : G. Gennarini, Meridiano di Roma, 19-1-1941; * Pop. d’Italia, 24-XII-1940; * Corr. d. Sera, 26-XII-1940. [C. Agrati, Giuseppe Sirtori « il primo dei Mille », 1940]. Cfr. G. Ferretti, N. Antol., 16-1-1941, 197 sg.; E. Morelli, RSR, 1941, III, 428 sg.; T. Battaglini, Ics, 1940 XI-XII, 292; G. Molteni, L’Italia, Milano, 13-XII-1940. LL. Venturini, Luigi Corvetto...., 1940]. Cfr. S. Rosati, Rass. Ital., 1940, IV, 228; L. B., RSI, 1940, IV, 626; P. Romano, RSR, 1941, II, £74-276; V. Vitale, Nuova Italia, 1941, IV, 103-106. Tutti in generale rilevano una certa esuberanza nella stesura dell’opera, in confronto della limitatezza degli elementi documentari nuovi la cui pubblicazione ha determinato il lavoro. CORSICA. Opere generali. Per la bibliografìa generale, oltre gli accuratissimi spogli di ASC, cfr. « F. De Bellis, Idee sulla C. Telegrafo ed. Corsica, 8-1-1941. Orientamenti attuali degli studi corsi in Italia. Per un orientamento generale. A U. Biscottini, Introduzione alla C., 1940, per cui cfr. T. O. De Negri, Giorn., 194L 45 sg.; M. Ciravegna, RSR, 1941, III, 433-435, etc. Autori vari, La C. nella sua italianità. Ediz. di « Mediterranea », Cagliari, 1940, pp. 246. Interessano particolarmente i rapporti con Genova gli studi di C. Aru sull’arte, di E. Passamonti sulla politica francese per l’annessione, di E. Michel sul quinquennio dopo Pontenuovo, e soprattutti quello di C. Bornate, Il governo genovese in C. fu proprio nefasto9 che mette nel più chiaro rilievo le benemerenze di Genova in C., pur non negandone le man* chevolezze. Cfr. le recensioni di G. Caraci, ASC, 1940, III, 372-375; G. Falzone, RSR, 1941, II, 273 sg.; R. Ciasca, RSI, 1941, I, 119-122. Sulle relazioni etniche, demografiche e culturali con la Liguria, cfr. spec. Λ. M. C. Ascari, ASC, 1940, II, 227-235, che, recensendo lavori francesi non recentissimi, ribadisce i suoi concetti già ampiamente svolti in L'aspetto etnico della C., ASC, 1939 (di cui cfr. un ampio riassunto di G. Isnardi, in Boll. Soc. Geogr. It., 1941, II, 136-141), sull’originario popolamento ligure della C., l’opera di Pisa e di Genova come contributo alla razza e alla vita dell’isola, l’opera urbanistica della Serenissima. Sulle popolazioni primitive cfr. anche gli studi generali di 3* A. Filippini, in CAM, 1940, I, 94-105, e * S. Mazzilli, Ibid., II, 121-131. L’evoluzione etnica dell’isola a partire dal medioevo ha trovato un illustratore diligentissimo in X F. Borlandi. Per la storia della popolazione della C.y SPIGOLATURE E NOTIZIE 129 Milano, ISPI, 1940, p'p. 206, che raccoglie e rielabora una serie di studi già apparsi in ASC, 1940, I, III e IV. L’indagine si vale largamente di fonti documentarie genovesi, e comprova la favorevole azione anche di Genova sulle alterne vicende di sviluppo e declino della popolazione corsa fino all’annessione francese. Sugli elementi genovesi e liguri dei parlari di C. (a Bonifacio) cfr. per tutti X G. Bottiglioni, Caratteri etnico-linguistici delia C. Boll. Soc. Geog. It., 1941, V, 233-244, e nel voi. miscellaneo cit. Per la penetrazione genovese, cfr. ancora κ M. Zocca, Uarchitettura còrsa nei più recenti studi italiani. Palladio, 1940, 199-208, che, in base a precedenti lavori di C. Aru e O. F. Tencaioli studia gli influssi genovesi sull’arte di Bonifacio prima, e poi di tutta l’isola, nonché la creazione per opera del Banco di S. Giorgio, della difesa « torreggiana » dell’isola, mirabilmente coordinata ed anche artisticamente ambientata, κ N. Calvini, Pesi e misure di Bonifacio. ASC, 1940, IV, 514 sg. Quadro delle corrispondenze dei valori. Accennano necessariamente a Genova, ma in modo generico e non sempre bene informati, guanti si occupano oggi della « questione corsa » in infinite riviste e giornali, dei quali ricorderemo qui solo i principalissimi: κ A. F. Filippini* in Politica, 1940, IV, 279-306. X S. Mazzilli, N. Antol., 16-VI-1940 e CAM, 1940, I, 31-45. κ G. B. F., in Relazioni Internaz., 1940, n. 24. X G. Savelli, La Stirpe, 1940, n. 6, nonché l’anonimo opuscolo κ * « Corsica » edito dalla « Dante Alighieri », Roma, 1940, pp. 32. Studi particolari. C. Bornate, Genova e C. alla fine del Medio Evo. Con prefaz. di G. Volpe, Milano, ISPI, 1940. Cfr. V. Vitale, S. Giorgio in C., G. di G., l-IV-1941; F. Co-gnasso, Telegrafo ed. C., 14-V-1941. C. Bornate, Vercellesi in C. al servizio del Banco di S. Giorgio. ASC, 1940, IV, 491-497. Con docc. inediti. A. Pesce, Un disegno del governo genovese per riconquistare la Sardegna. ASC, 1940, III, 348-50. Lettere e docc. genovesi circa un piano di riconquista della Sardegna durante le lotte tra Angioini e Aragonesi. P. B., Chronique de la vieille Corse, in Petit Bastiais, 1940, passim. (Cfr. spigolature in ASC, II e III, 1940). In una ricca serie di articoli, l’A. tratta di nobili genovesi e particolarmente di un Assereto, di Campofregoso, di Adorno e di Doria, che operarono in C.. come governatori o magistrati. N. Calvini, I Corsi a Cervo di Imperia, ASC, 1940, II, 217. Mercenari al servizio del Re di Sardegna nella guerra del 1625. κ F. Curato, Di una pretesa congiura del 1681 per dare la C. a,Ila Francia. ASC, 1940, II, 206-9 di un tal Bartolomeo Cutio, bergamasco. G. Oreste, La prima insurrezione còrsa del sec. XVIII. ASC ,1940, III, 292-315, IV, 393-430. Prosecuzione dell’importante lavoro già da noi * annunciato! Giorn., 1940, IV, 206. κ F. G., Le armi di S. Leonardo chiuse nel suo armadietto. Telegrafo, ed. C., 7-V. κ i. Rinieri, S. Leonardo in C. Ibid., 4-Vi. Sull’opera di evangelizzazione, nonché politica in favore di Genova, del P. Leonardo da Porto Maurizio, in C. nella seconda metà del sec. XVIII. E. Rota, Pasquale Paoli. Coll. Grandi Italiani. Utet, Torino, 1941, pp. 197. P. B., Bibliographie de la « Giustificazione ». Petit Bastiais, 28-11-1940. Libelli e pubblicazioni polemiche tra il 1729 e il 1768 prò e contro Genova nei suoi rapporti con la C. X R. Emmanuelli, La responsabilité de Gènes dans Vassassinat de Gaffori. Marseille-Matin, ed. Corse, 17-111-1940. Riassume oggettivamente uno studio di G. S. Lorenzini, in ASC. κ A. Pescio, Francesi in C., no! Telegrafo, ed. C., 30-X-1940. A prop. di G. Giacomo Grimaldi, commissario in C. dal 1751 al 1754. X D. Spadoni, Segrete trattative di Genova col Paoli tentate per mezzo d'un prete Gavi. ASC, 1940, II, 215-217. Lettere 130 SPIGOLATURE E NOTIZIE del Paoli dell’autunno 1767. κ M. Giani, La guerra dì corsa fra Genovesi e Còrsi sulle acque di Livorno (1767-1768). Boll. Stor. Livorn., 1940, IV, 243-259. Complesse vicende di corsari corsi al soldo del Paoli contro navi genovesi nelle acque toscane. κ N. Calvini, Intorno allo sbarco dei Còrsi in Capraia (1767). Ibid., 1940, IV, 228 sg. Brevi notizie documentate, κ C. A. Vi anello, Una relazione sulla C. del 1767. ASC, 1940, II, 178-201. Di un viaggiatore anonimo inglese. Riproduzione del doc. con breve introduzione. N. Calvini, Controversia- franco-genovese ver la restituzione delle artiglierie della C. (1769-1771). ASC, 1940, IV, 303-506. Su docc. dell*Archivio di Stato di Genova. κ M. Moresco, La Corsica e VAssemblea Nazionale francese. Popolo d’Italia, 19-VII-1940. NIZZA. Opere generali e sull’italianità di Nizza. La vastissima produzione su N., troppo spesso di occasione, generalmente si rifa alla monografìa deH’AMicucci (cfr. G. Puppo, in Arch. St. Nizza, e Savoia, 1, 7-10), il quale continua nella sua propaganda per l’italianità di N. con articoli ed opuscoli varii (in Civ. Fascista, 1940, VI; 111. Ital., 25-VII1-1940; Λ. Italiana, Torino, 1941, 8°, pp. 40). Ricordiamo tra i tanti κ * Nizza della « Dante Alighieri », Roma, 1941, pp. 42. κ L. Susani, Il Varo naturale confine occidentale e N. città italiana. Fert., 1940, II, 131-140. κ Ρ. De Bella, Geostoria di N. italiana. Milizia, fascista, 1940 n. 37. κ L. Balestrerà Italianità rii .V. Eco della Riviera, 31·-VI-1940 (sulla ligusticità di X. in base alle carte delle Gallerie Vaticane del sec. XVI). κ E. M. Gray, Nicea Fidelis. Popolo, Pavia, 9-II1-1941. Studi particolari. Com. Octobon, Le sepolture d'Irougue, commune de Ilonse (Alpes Maritimes). Nice histor., 1940, II, 57-69. E. Beri, Les mots niçois dans les Statuts de Nice. Ibid., 1940, II, 70-80. Su docc. italiani dei secc. XVI-XVII. I. Pastoris, Etude sur les anciens règlements de Sospel. I. Le livre rouge, etc. Ibid., 1940, II, 41-56. F. Cognasso, La· dedizione di N. alla casa di Savoia. Arcti. Stor. X. e Saw, 1940, I, 3-6. κ E. Deleatto, Nizza ai Savoia (Caterina Segurana). Gazz. Pop. Sera, 19-VII-1940. κ Arpi, Caterina Segufana. 11 Popolo, Pavia, 9-III-1941. S. di Pamparato, L'occupazione francese di N. del 1691. (Secondo documenti del R. Archivio di Stato di Torino). Fert., 1940, II, 89-106. Continua una vasta ricerca, intrapresa da anni, κ P. Canestrier, Pourquoi T.ouis XIV fì,t-il occuper le Comté de Nice en 1691. Nice hist., 1940, II, 35-40. ^ Lo stesso, La campagne de 1691 dans les montagnes du comté de N. Ibid., 119-124. X H. L. Robino, Sceaux de Louis XVI comte de N. Ibid., 133 sg. L. L. La difesa e la capitolazione della piazzaforte di Villafranca Marittima nel 1705. Boll. Ist. Stor; e di Cultura Arma Genio, 1940, 73-80. Riporta la relazione della suddetta difesa, già edita da C. A. Roero m Cortanze, in Giorn., 1940, III, 136 sg. con l’integrazione dei termini tecnici e topografici là non decifrati, alcune noté e una pianta della rada, κ A. Cane, TJn convoi de condamnés au bagne de Villefranche en 1788. Fert, 1940, I, 35-39. Ergastolani, tradotti qui da Torino, liberati poi dalla rivoluzione del ’92. V. Adami, Alcuni documenti sulV occupazione francese di N. nel periodo rivoluzionario. Fert., 1940, II, 107-129. Importanti docc., relazioni e decreti, da un archivio privato di Como, κ L. Imbert, La Planargia commandant gè- SPIGOLATURE E notizie 131 iiéral du Comte de N.t et les émigrés français en 17.92. Nice hist., 1940, I, 15-34. X G. Blondeau, La retraite des troupes sardes de N. en septembre 1792. Ibid., II, 81 sg. in continuaz. κ F. Graziello, Fêtes officielles du Premier Empire dans les Alpes Maritimes, /bid., II, 127432. G. Decio, La difesa di N. nel 1815. (Rapporto del generale Luigi Cachevano d'Osasco, governatore di quella città). Boll. Dep. St. P., Sez. Novara, 1940, IV, 192-203. Pubblicazione del rapporto suddetto e dello Schema di armistizio concordato tra il dOsasco ed il Maresciallo Brune e non confermato da Re Vittorio Emanuele 1, dagli archivi della famiglia Cacherano in Osasco. O. F. Tencaioli, Carlo Alberto « Conte di Barge » a un santuario presso V. Tribuna, 1940, n. 148. Cfr. anche S. Rebaudi, Il Santuario di N. S. del Laghetto. CM, 9-V1-1941. Presso la Turbia, veneratissimo dai Re sabaudi, e visitato in ultimo da C. Alberto, sulla via dell’esilio. A. Codignola, Un poco noto plebiscito nizzardo nel 1860. Cam. Rossa, 1941, I, 8-9. Emigrazione di nizzardi in città del Regno, e spec. a Genova, per conservare · la cittadinanza italiana, conforme ad una clausola del trattato di cessione, ed un veramente libero plebiscito di marinai nizzardi, assenti dalla città il 15-IV-1860, il quale fu per la stragrande maggioranza favorevole all’Italia. Su docc. dell’Archivio Mazziniano. F. Cataluccio, La politica prussiana nella questione di S. e Savoia (Gennaio-Aprile 1860). RSI. 1940, I, 49-65. Su docc. dell*Archivio di Stato di Berlino. La Prussia fu ostile alla cessione, per ragioni legate alla propria politica antifrancese. R. R. Petitto, La cessione di N. e S. in un opuscolo del 1860 del Conte Clemente. Solaro della, Margherita. Fert., 1940, III, 209-216. κ A. Monti, Un documento inedito sulla caduta di N. sotto i francesi., Cam. Rossa, 1941, l, 12 sg. Relazione di un Sergente Maggiore del Reggimento Lombardo, conservata al Museo dei Risorgimento di Milano. κ A. Faleschini, La cessione di, N. e S. nella cronaca di un contemporaneo. Ce fastu? Boll. Soc. Filoi. Friulana, 1940 ,11, 91-95. Appunti di diario, redatti a Vienna dall’abate Crist di Osoppo, dal 28-1 al 29-IV-1860. κ P. Leone, L'Inghilterra e la cessione di N. e S. Resto del Carlino, 20-II-194Ó. A. M. Pizz agalli, 24-29 maggio 1860. Dolore e proteste per la cessione di \. e S. alla Francia. La Lettura, 1940, XII. Sul dibattito al Parlamento Subalpino per la discussione del trattato del ’59. Tra i moltissimi che insistono su questo tema, cfr. κ F. Salata, N. tra Garibaldi e Cavour. {Un discorso non pronunciato e altri docc. inediti). Storia e Politica Internazionale, 1940, II. X P. Picca, Garibaldi e la cessione di N. Cam. Rossa, 1941, II, 26 sg. X * N. e VItalia. Una lettera inedita del Conte di Cavour al ministro Vincenzo Ricci. Corr. Padano, 12-11-1941. κ L. Marchetti, Cavour e Garibaldi e altre personalità italiane. La provincia d’Aosta, 30-1-1941. Spunti polemici dal « Fischietto », giornale umoristico uscito a Torino tra il *y6Q e il ’61. L. Imbert, Nice à la France. La formation et l'organisation du Département des Alpes Maritimes en 1860, Nice histor., 1940, II, 97 sg. κ G. Ardens, I.'e-migrazione nizzarda nel periodo 1860-1873. Fert., 1940, Ιΐ-ΙΙΙ, 141-149. Sull’opera dei comitati italiani per la redenzione di N., fino al trionfo in N. stessa, del partito nazionalista, nel ’70. Cfr. κ Lo stesso, Gli ultimi difensori di N. Cam. Rossa, 1941, I, 2-4. Ove si parla anche della partecipazione, tino a un certo momento, di Garibaldi all’opera di quei comitati, κ G. Peroni, 1 tre anni tragici di N. la fedele {1870, '71, '72). Arch. Sto?· N. e S., 1940, II. O. F. Tencajoli, Giovan Paolo Lasca,ris di Castellar, Gran Maestro dei Sovrano Militare Ordine di Malta. Fert., 1940, III, 217-236. La residenza debordine a Villafranca e Nizza nel ’50Q e l’attività nell’ordine stesso nei secoli successivi della famiglia L., ventimigliese e nizzarda, κ A. Cane, La commu- 132 SPIGOLATURE E NOTIZIE nauté de Ville franche et les Capucins de Nice. Arm an ac Nissart, 1940. 3€ B. M. Castelli, Qualche notizia su un famoso medico nizzardo a Milano nç% secolo XV11. Fert., 1940, I, 54-58 (con docc.). * D. C. .Eula, G. B. Bottero, il grande italiano di N. Arch. St. N. e Savoia, 1940, I, 19-22. 3* Lo stesso, G. Garibaldi e G. B. Bottero. Cam. Rossa, 1941, I, 15-16. * G. Ardens, Notizie inedite sulla vita di Giuseppe André. Fert., 1940, I, 41-52. Compiuto profilo biografico del giornalista, agitatore dell’irredentismo nizzardo dopo l’annessione. H O. F. Tencajoli, Giuseppe Bres, patriota nizzardo. Cam. Rossa, 1941, IV, 78-80. Perspicua presentazione di questa nobile figura di lavoratore e patriota nizzardo, cui si devono accuratissime indagini di storia e d’arte della sua terra. X G. De Orestis, I nizzardi e il Risorgimento italiano. Ibid., 1941, I, 10-12. (Garibaldi, Bottero, De Forestis, Laurenti,' Robaudi, Ribotti....). X G. Ardens, Mentone nel Risorgimento. Il Mediterraneo, Roma, 7-IX-1940. X G. Traglia, N. e i grandi italiani. Cam. Rossa, 1941, II, 28-29. Verdi e l’italianità di N.... Notizie. Attivissima è,stata, dopo i grandi avvenimenti del giugno 1940, l’opera di propaganda dei Gruppi di Azione Nizzarda, che hanno oggi ^assunto a loro organo ufficiale il periodico garibaldino « Camicia Rossa » (ma cfr. anche le ricche rassegne in Fert, 1940) mentre le sezioni curano spesso intere pagine di quotidiani. Le manifestazioni indette dai Gruppi hanno avuto larghissima eco di stampa, sia per la celebrazione della «*Giornata di Nizza » (30 aprile), sia nella ricorrenza anniversaria della morte di Garibaldi (2 giugno). Cfr. particolarm. M. Canavesi, in Lav., 2, VI. Per la narrativa ricordiamo * G. Traglia, Sulla strada di N., S. Remo, 1940,pp. 190. .GENOVA MARINARA. Μ. M. Ravenna, Dalle carte nautiche medioevali al moderno portolano. « Genova », 1940, XI-XII, 30-32, con ili. « U. Levrero, La carta nautica di Giacomo Maggiolo alla Berio. Ibid., 1941, IV, 25 sg. Riproduzione e descrizione del noto cimelio cartografico. S. B., Ricordi portuali. CM, passim. L’A. prosegue nei suoi ^spunti di storia e di ambiente, dettati da antica esperienza. Ricordiamo, tra i molti: I pescatori della « Marina » e lo scoglio Campana, 28, V; Visioni fantastiche del nostro porto durante i festeggiamenti « Colombiani », 10, VI. N. Cuneo, Storia delVemigrazione italiana in Argentina, 1810-1870, Milano, Garzanti, 1941, pp. 387. Sul volume, che, per necessità di oggetto e particolare consonanza affettiva dell’A. considera con larga preferenza çose e persone di Liguria. Cfr. Μ. M. Martini, G. di G., 3-1-1941; F. Anselmo, CM, 29-1; U. V. Cavassa, Lav., 21-11; R. Degli Esposti, Sec., 8-III; Gio. Bono Ferrari, Il Mare, l-II: * Rass. Monetaria, 1941, V, 378, e l’interessante spunto di κ V. Vitale, Genovesi alla Boca. G. di G., 9, III. Μ. Vinelli, Carlo forte. Aspetti di un esperimento di colonizzazione in Sardegna. Boll. Soc. Geogr. Ital., 1941, I, 28-37. Una caratteristica colonia, fondata, nel 1738, auspice la politica sabauda, da liguri (pegliesi) profughi da Tabarca, sua mirabile fioritura e sua virtù conservatrice delle originarie caratteristiche di lingua e di costumi. O. Belsito Prini, Una confraternita ligure a. Roma. « Genova », 1941, III, 45-47. La Compagnia o Confraternita di S. Giovanni Battista, in Trastevere, fondata pei· munificenza di Meliadi^ce Cicala, sul finire del MOO. Sullo stesso argomento cfr. K A. Devoto, S. Giov. dei Genovesi a Roma. Il Mare, 1 e 8-II-1940. * Antiche monete genovesi scoperte nel porto di Sousse. NC, 25-IV-1941. Si riporta (donde?) uno scritto anonimo, che all’utile notizia del ritrovamento SPIGOLATURE E NOTIZIE 133 di cinque monete della fine del ’600, fa seguire considerazioni puerili, corrette in modo sbrigativo da una nota del giornale stesso. κ Sui genovesi nel Mediterraneo, a prop. della giornata degli italiani nel mondo, cfr. κ R. TOSATTI. CM, 17-V. κ B. Minoletti. G. di G., 17-V. NAVIGATORI ED ESPLORATORI. A. Magnaghi, Il tentativo di viaggio transatlantico dei fratelli Vivaldi (1291) secondo un recente giudizio portoghese. Atti Acc. Scienze, Torino, 1940, 317-363. L’A. in aspra polemica con un detrattore portoghese della grandezza dei Vivaldi, ribadisce con dovizia di argomenti e di parole la propria tesi, fondata peraltro essenzialmente su una incerta frase del cronista Jacopo Doria. κ ra, Ugolino Vivaldi: più grande di Colombo. Lav., 25-111-1941. G. Bono Ferrari, L'epoca eroica della vela. « Genova », 1940, pp. 800. Per questa poderosa sintesi di cui altri parla in questo stesso Giornale, cfr. R. Majolo, « Liguria », 1941, I, 32.; U. Razeto, G. di G., 20-ΧΙΙ-1940; G. B. Sanguineti, Grido d’Italia, 30-XII-1940; L. De Simoni. NC, 7-1-1941; Nauta, CM, 16-1; G. Descalzo, Pop. d’It., 20-1; U. V. Cavassa, Lav., 25-V, etc. Di fronte a tale opera si perdono come nel mare gli sporadici contributi che ancora arrecarono, alla conoscenza della marineria genovese, il κ Cap. G. E. Massa, in CM, 24-11, 4-III, 12-IV, 15-V, 1941. κ L. De Simoni, in « Genova », 1941, IV, 31 sg., e NC, 16-111, 22-V, 12-VI. κ ernes, Sec., 8-VI. κ * Luigi Massa d'Albertis, Vesploratore della Nuova Guinea. Sec., 22-111. κ ra, Francesco Gattiluso, navigatore, mercante e conquistatore di imperi. Lav., 17-VI. Colombiana. P. Revelli, C. viaggio e lettere di C. C'. (1493-1504). A cura di R. C., Milano, Bompiani, 1941, pp. 400. S. P. Panunzio, Genio mistico di C. Lav., 20-11-1941. Pensosa sintesi della personalità di C., a proposito del « Giornale di bordo » pubblicato dal Caddeo nel 1939. G. Monleone, Le molteplici « parentele » italiane attribuite a C. C. « Genova », 1940, X, 3-12. Particolarmente su quelle di Cuccaro, di Cogoleto, di Pra-dello e di Chiusanico, di cui l’A. competentissimo studia gli alberi genealogici, pur riaffermandone l’inconsistenza, nei confronti di quella genovese. C. E. Branchi, La vera data della scoperta dell1 America. Rinascita, 1941, n. 17, 3-44. Cfr. ASI, 1940, Itl-IV, 168. Sarebbe il 13 ottobre, corretta da Las Casas per superstizione. Cfr. sullo stesso argomento. * Sec., 6-IV * Lav 29-V. P. Poggi, TJna casa dei Colombo ricercata e individuata. Emporium, 1940, III, 144-146. La vita dei C. a Savona nella seconda metà del ’400, secondo docc! d’archivio, a prop. della casa di Domenico C., a Vaicalda, su cui è stata recentemente apposta una lapide commemorativa. S. Rebaudi, Un divìnto sin qui sconosciuto di Gabriele Castagnola, ispirato a « C. C. giovinetto ». « Genova », 1940, X,' 13-15 e CM, 27-V-1941. * La data di nascita di C. C. Sec., 4 e 6 IV. Breve polemichetta su vecchi docc. X A. Gismondi, Le confessioni di C. C·. NC, 21-V. Recensione. [P. Revelli, C. C. e la scuola cartografica genovese, 1938]. Cfr. G. Rosso, RSI, 1940, I, 94-97. Prudente, quasi timida difesa del maestro contro le accuse della critica e più specialmente contro l’insolente stroncatura del Magnaghi. 134 SPIGOLATURE E NOTIZIE MISTICA ED ECCLESIASTICA. F. M. Rossi, S. Siro, il grande vescovo genovese, dominatore di un mostruoso basilisco, (i. di G., 14,IV, storia e leggenda. X Eoika, Il 2 maggio del 325 a Genova. NC, 3-V. Su S. Valentino, antichissimo vescovo genovese. X .S. Giovanni' Bono, vescovo di Milano nel sec. VII, ebbe il titolo di Arcivescovo? NC, 19-1. Dotta discussione su questo santo genovese. G. Salvi, Papa Urbano VI a Genova. NC, 23-1. Nel dedalo delle pievi liguri. Loano o Tonano-, 8-11, con note sulla costituzione primitiva delle pievi. Genova in sede arcivescovile vacante. Da Giacomo Fie schi a Pileo di Marini, 27-11, con ricca messe di notizie erudite. I fasti di un vescovo di Noli, 4-II1, Corrado Chiavica, nel 1396 durante lo scisma. S. Maria della Costa a Sestri Ponente. Una bella chiesa cinquecentesca, 5-VI. Altri scritti trattano più genericamente deWOrdine benedettino e della sua diffusione in Liguria. NC, 9 e 15-11, 21-111, 6-IV, 16-V. X S. Rebaudi, S. Francesco ed i primi francescani in Liguria. CM, 23-V. Il Cari. L. Mussi continua in NC la serie delle sue note storico-artistiche apuane. Tra le altre: Un grande vescovo di Limi. Enrico da Fucecchio • (sec. Ili), 11-11. Eleonora Malaspinà Fiesclii nel Duomo di Apuania, 14-1II. Gli avanzi di Massa Picta, 19-IV. E cfr. 26-1, 20 e 24-V, 15-VI. G. P. Podestà, Una mistica genovese del '500. Battistina V ernazza. « Genova », 1940, XI-XII, 11-20. La vita, l’opera dottrinale e soprattutto Farte negli scritti della V. (ì. Badino, Caterina da Genova « infermiera » eroica e sublime. NC, 11-V. Propone di far proclamare la Santa genovese protettrice delle infermiere. Ribadiscono la proposta: F. Steno, in Sec., 22-V, e un Anonimo* in CM, 12-λ. Sulla Santa, ancora X S. R., in CM, 27-1. A. Passaggi, Genova, città di Maria. S.S. G. di G., 9-XII-1940. Sulle due versioni circa le origini della regalità della Repubblica genovese. In occasione della solenne riconsacrazione della città — 25-111 — riprendono l’argomento in ampie cronache tutti i giornali cittadini. Tito da Ottone, Il centenario di un illustre prelato genovese, Agostino Maria De Mari, «Liguria», 1940, XII, 28-30. Vescovo di Savona, morto nel 1840 dopo un episcopato operosissimo. X [Mons. Boccoleri] La Chiesa chiava-rese e il suo primo vescovo. NC, 17-1. Dal discorso pronunciato per le onoranze tributate ai fondatori della diocesi. X F. M. Sala, Padre Giovanni Semeria, barnabita, Torino, 1941, pp. 256. Cfr. NC, 18-1II. Biografia condotta essenzialmente sui documenti e gli scritti autobiografici, e pubblicata per il decennale della morte; il quale fu celebrato solennemente il 15-111, destando una larga eco di stampa. Cfr. F. Costa, G. di G., lo-III. F. Steno, Sec., -16-111, 4-V. C. Tizio, NC, 15-111. GENOVA E LIGURIA. E. Cozzani, Genova. L’Eroica, quadd. 269-270 (1941) 3-11, riprodotto in « Liguria », 1941 III-IV, 1 sg., e CM, 14/15, 16-IV. « Inno di un poeta ligure alla poesia della Liguria ». M. G. Celle, Genova in un poemetto del Cinquecento. Sec., 7-III-1941. Il poemetto in esametri « Genua », di un Giovanni Maria Cattaneo, novarese. X G. Balestrerà Visioni e ricordi liguri negli scritti di Wagner. « Liguria », 1940, XIII. 13-15. X A. Taro, Federico Nietzsche a Salita Battistine. Lav., 17-XIM940. Da lettere del N. X O. Danese, Fascino di Liguria su tre ingegni tedeschi. Lav., 28-IV. Wagner, Nietzsche, Platen. A. U. Gargani, Vagabondaggi autunnali, « Genova », 1941, I, 25-27. X A. ROTk Le voci di Porta Soprana. Ibid., 1941, V, 5-8. SPIGOLATURE E NOTIZIE 135 A. Meluschi, Ritratto di Genova. « Liguria», 1941, 1, *23-24. Ripete ridotta la •pagina su Genova, già pubblicata in quella lunga serie, Guida sentimentale della Liguria con la quale il line scrittore percorre tutta la regione nella sua bellezza e nella sua intima vita. Cfr. per gli articoli in continuazione Ui quelli già da noi annunciati (Giorn., 1940, IV, 211) Lav 13 e 20X11-1940, 3 e 29-1-1941. 19-11, 12 e 20-111, 23-VI. Inoltre: Ritmilo di Savona. «Liguria », 1941, V-VI; Fede nei Liguri. Avvenire d’Italia, 19-XII-1940, ed altri scritti in altri giornali. Cosi questa meditata visione di tutta la’ nostra terra si avvia al suo compimento. 1. Scovazzi-F. Noberasco, Savona nei secoli. G. di G., ed. Savona, dal 15-11 al i!. λ (:hiara visione storica, daH’anticliità all’oggi, scritta dagli sto- rici « ufficiali ,, della città, κ E. Cozzani, Vinesauribile Liguria. Spotorno. \ie d’Itaha, 1940, VII, 766 sg. κ L. De Simoni, Noli, la città fedelissima. NC, 3U-I-1943. X E. Cavalli, Il castello dei Doria a Loano. Sec. Savona 4-V κ Lì) stesso, Albenga e il suo antico porto. Ibid., 20-V. κ D. Bertone, Dolceacqua. - Liguria », 1940, XII, 16 sg e 1941, I, 37-39. Con divagazioni preistorico-lin-guistiche discutibili e notizie storiche malcerte e affastellate. E. A. M. P., Il Monte di Portofino. Annuario 1938 e 1939 dell’Ente Autonomo del M. di P., Genova, 1940. Tra le memorie scientifiche: A. Cappellini S Fruttuoso di Capodimonte. T. A. Buoninsegni, Vallata di Sori. « Genova », 1940, XI-XII, 41-44. X A. Ron-callo, A S. Fruttuoso presso la tomba dei Doria. Ibid., 44-46. κ Lo stesso Sosta a Camo g li, nido di naviganti. Ibid., 1941, IV, 21-24. κ Di Camo g li centro mannaro ed angolo pittoresco, parlano ancora G. A. Bandini, in G. di G., 3-V-1941. R. Maioli, in « Liguria », 1940, XI-XII, 31 sg, e « Il Mare » 1941 passim. B. Zagarrio, in Lav., 16-111. κ. L. De Simoni, Zoagli. « Liguria »1940 XII, 6 sg. X Lo stesso, S. Margherita, canto di poeti, tavolozza di, vittori NC, 3-IV-1941. X G. Descalzo, La patria di Luca Cam.biaso. « Liguria » 1941 V-VI, 10-12. Moneglia. κ u. Formentini, Diassa. Corr. Lunense, nn. varii’ maggio 1941. Notizie storico-artistiche, dallo studio Comùhitas Biascia e edito in « La Spezia », 1939, già da noi annunciato, κ u. Ferraris Invito a Porto venere. Contemporanea, quad. XXXIII, 1941. G. Fontana, ^ Rezzo aglio e Val d'Avefo. Cenni storici ed episodi. Rapallo 1940 pp. 247. Si A. De Micheli, L'Abbazia di Rivalla Scrivia. Vie d’Italia 1941 V, .591 sg. Brevi note, κ * s. Alaria della- Pieve a Molare. NC, 16, IV. κ d’ Leoncini, Storia di Capoligure. Campoligure, a cura della Parrocchia 1941 Ordinata raccolta di notizie. ARTI FIGURATIVE ARCHITETTURA E RESTAURI. L. Crema, Gli itali ani e Varchitettura militare. Palladio, 1941, li 87-94 Esaminando, nella serie: L'opera del genio italiano all'estero,\l voi. di'L \ Maggiorotti, Architetti e architetture miliari. I. Medioevo] parla insistentemente dell’attività di tecnici genovesi. Eoika. La grande scalinata frontale, e: Gradinate a S. Lorenzo NC 27-XII- 1940 e 1-1-1941. Precisazioni di storia e di architettura sulla scorta defdocc. 0. Dazzi, L'ab badia di Santo Andrea di Cornigliano Ligure. Arte Cristiana 1940, VII, 97-99, con 6 ili. Breve relazione del restauro del monumento, meravigliosamente ambientato dagli artisti inconsci d’un tempo, e malauguratamente sciupato, sia pure per inderogabili necessità tecniche, nelle' sue proporzioni interne dai preoccupati restauratori di oggi, κ A. Cappellini, La basilica dei Fieschi in Cogorno. « Genova », 1941, 1, 21-24. Descrizione e 136 SPIGOLATURE E NOTIZIE disegni. K L. De Simoni, Il Santo dei Cavalieri e la sua chiesa in Genova. « Genova», 1940, XI-XII, 33-37. κ Lo stesso, La Chiesa del SS. Sacramento. NC, 8-VI-1941. . w ■U. Martini, Il restauro della Chiesa e degli affreschi di S. Martino ai laggia. RII, 1941, I, 39-48. Vedi Rass. Bibliografica. . A. Rava, Rilievo dei monumenti. La Chiesa di S. Colombano in Bobbio. Palladio, 1941, II, 74-77, 8 ili. Sulle origini e le varie fasi di sviluppo dell’insigne edifìcio, nonché sui restauri del 1910, dall’opera base di E. Balducci, del 1936. Notizie e spunti. * Restauri del Palazzo Vecchio del Comune. Le Arti, 1940, III, 215 sg. Nella relazione sui recenti restauri, si dimentica, accanto all opera di C. Ceschi, quella di O. Grosso. κ A. Podestà, Il progetto di restauro di S. Maria del Prato. Emporium, 1940, XI, '255 sg. Relazione esauriente dei primi studi di Ç. Ceschi per il restauro di questo monumento del XII sec. che sembra avvalorare l’ipotesi di anticipate influenze gotiche in Liguria. A L. Andreoli, Il nuovo volto delVantica chiesa di Sturla. G. di G., 7-III-1941. Progetto di restauro. κ * Sui restauri di S. Fedele di Albenga, del sec. XI e sulla scoperta di un antico affresco, cfr. « Liguria », 1940, XI-XII, 47. κ Sul restauro del campanile di S. Siro in Sanremo, cfr. A. Podestà, in Emporium, 1940, X, 201 sg. R. A. Squadrilli, La cittadella dei morti nella valle (sic) di Staglieno. Oss. Rom., 1-II1. Considerazioni forse imprecise, ma non aberranti, sulla sontuosità fredda e per nulla mistica del celebre Camposanto. Replica vivacemente, con alquanta intransigenza. κ dld, Il Cimitero di Staglieno visto da lontano, in NC, 8-III. PITTURA, SCULTURA, ARTI MINORI. M. Bonzi, Il Mulinar etto. Savona, 1939, pp. 9. Il genovese Giov. M. Delle Piane. * Un Langetti. L’Arte, 1940, I. 32 sg., 1 tav. κ Una Madonna di Filippo Mazzola. L’Arte, 1940, III, 115, 1 tav. Rigoroso esame morfologico di un flore della tavolozza del padre del Parmigianino. κ Peliegro Piola. « Liguria », 1940, X-XI, 3-8, 7 ili. Rivendicazione dell’originalità artistica del 1 ., pur nella breve tragica vita. Sobria inquadratura dell’artista nel contrasto delle scuole pittoriche genovesi nel primo ’600. κ Il Tavella. « Liguria », 1941, III-IV, 9 ili. Giusta valorizzazione del poco noto paesista genovese, che riassume in sè varie tendenze. Queste compiute monografìe di pittori genovesi, corredate di un ricco apparato critico e museografìco, oggi estratte in opuscoli, costituiscono una eccellente collana. E. Zanzi, La scuola pittorica nizzarda e Varte italiana dei Brea. Arch. Stor. di Nizza e Savoia, 1940, II. κ * La scuola ligure-nizzarda. NC, 28-11 e l-III, 1941. Zibaldone di notizie, anche interessanti, ma incondite. O. Grosso, Angelo Balbi. « Genova », 1940, XI-XII, 21-29. Cenno all’artista scomparso, con riproduzione di opere pittoriche e di un saggio critico su Eugenio Olivari, Pittore. κ D. Dini, Angelo Vernazza, pittore, 1869-1937. Il Mare, 3-V-1941, e sullo stesso cfr. κ C. Gigli Molinam, in CM, 6-V. A 'Luigi Gai-notti. Nel primo anniversario della morte. Cfr. NC, 3-VI; G. di G., 4-vi, Sec 5-VI * Omaggio di ceramisti a N. S. della: Misericordia. « Liguria », 1940, XII, 1^-23· Inter. illustrazione di lavori di ceramica artistica dal ’500 al 900, usciti dalle officine di Albissola, dal 4° volumetto della « Collana di studi sulla ceramica di Albissola ». κ L. Andreoli, L1 origine dell arte vetraria i tare. G. di G., 10-V. Risale al'medioevo. SPIGOLATURE E NOTIZIE MUSEI, MOSTRE. 137 A'7 1!™frp,rovinciale di Pittura e'scultura. A questa importante rasse- liguie hanno dedicato scritti tutti i critici d’arte dei uuoti dumi, e segna amente. X M. Rtizzou] in CM, 11, 16, 18, 25le 4-11; Riva eVn P fri’ i e ; ANG[ELINI] in Lav., il e 26-1; A. Podestà, in Sec ll-i e 5-11 e in Emponum, 1941, III, 146-1«; E. Balestreri in NC 23-1 Fi J I. 7-10; T. A. Boninsegni. in « Genova 1941 II MA U Gargani, m Lav., 10-1-1941. ’ u* DeLn^Ur· al!a * U1 Mostra Nazionale del Sindacato Fascista Delle Arti a Mi ^, Ì J,Ì,1Ilter.eSSar0n0 Pal™enti. Riva, G. di G., 26-V e 21-VI e CM 3-VI È Balestrieri, NC, 21-VI e « Liguria », 1941 V-VI. Ang lav ίί-,ιο ■ ’ ηΡΐί^ν1αΐ>·Θ del}? numerose e interessanti mostre personali, che si tennero* ^trn gfllfne Clttadine. Merita però una citazione particolare la Mo stra delle antiche stop e genovesi dal secolo XV al secolo XIX, iAausurata 31-V ma di cui si è occupata molto tempestivamente la stamna ron in 7nî*u * indagini storiche sull’origine dell’industria ligure dei velluti a Zoagli ed a Genova. Cfr. L. Andreoli, G. di G 25-Xli-i94o p 99 vi Λ , / Anto1·» teristico; A. Pinghelli, G. di G., 18-1 ! Sfa ,? 94Ϊ TaSTMnnf* Ics, 1941, I, 27, con qualche riserva. Krimer Lav M rLFt!T’ 20-V. Con quest’opera il D. si è definitivamente affermato fn Sa lette ratura marinaresca, di cui egli stesso ha chiara conoscenza cnS c r » G. Descalzo, Letteratura marinaresca. G. di G 11-v C. Carbone, Artisti genovesi. Genova 1940 fnrin^ colarmele sulla famiglia dei So Cfr. G B GaTaSi C guria», 1940, XII, 31 (anche su precedenti lavori dfl a) ^ 'U' 138 SPIGOLATURE E NOTIZIE R. Giazotto, II melodramma a Genova nei secoli XVII e XVIII■ Genova, 1941. U. V. Cavassa, Quando cantava la « bastardina », Lav., 5-VI. Μ. 1 edemonte, Sec. 8-VI. G. Balestrerà Dalla scuola del Maestro Antonio Costa alla « Casa di Paga-nini ». « Liguria », 1940, XXI, 17-21. Oltre un secolo di vita musicale genovese attraverso le complesse vicende del massimo nostro istituto; a proposito della sua regifìcazione, per cui cfr. R. Giazotto, Sec. 19-vi. ra, Un costruttore del teatro italiano. Daniele Chiarella. Lav., 9-1. Aneddoti quasi piccanti su questo caratteristico lavoratore genovese, λ L· canesi, Romualdo Mar eneo e i grandi balli dell'ultimo ottocento. Sec., -±-111. Non celebre compositore di balli celebri, novese e genovese; nel centenario della nascita G. Monleone, Le dimore genovesi di Giusewe Verdi e la creazione dell « Aida ». «Genova», 1941, I, 3-11. Diligentissima indagine, che, come di consueto, fa punto sulla questione. 3* M. G. Celle, Ricordo di Verdi a Genova. « Genova », Ibid., 12-20. Chiara rassegna. X G. Balestrerà Verdi a Genova. « Liguria », 1941, I, 11-15. Dai soggiorni del Maestro nella Superba,, el «Simon Boccanegra ». Cfr. dello stesso. NC, 28-1, 6-II, l-III. * bui soggiorno di Verdi a Genova e in occasione della posa dì una lapm# a villa Sauli in Carignano, cfr. ancora ra, Lav., 27-1. X C. Carcos, CM, Ji- . ·. Giazotto, Sec., 26-1 (particolarmente notevole). X * Verdi e gli accordatoli genovesi. Sec., 31-1. X R. Tosatti, G. di G., 27 e 28-1. E. Canesi, Sec., 28-1. G. Balestrerà 'II Mare, 15-11. Ί Sullo « Stendardo di S. Giorgio », opera nuova del M Pe^oallo e su sue soggetto genovese, scrivono, rifacendosi alle fonti storiche, ' . r li it’ in Lav., 9-1II, e genericamente tutti i critici musicali dei Oiornali tadini. ETNOGRAFIA E FOLCLORE. u. Formentini, Note sull'architettura rustica nella Liguria Orieniale. E^ da Lares, 1940, n. 2, pp. 6 e 8 tv. f.t. Originali ed acute osservaziom un materiale di studio interessante e nuovo. * V. Aerosi Un pastificio di cento anni fa. Estr. da « Le industrie dei cerea ι », · Materiale di Naz. Fase. Industr. Mugnai, etc., n. 5, 1941, pp. 16, '?on Dolcedo (Liguria Occid.), studiato alla luce di docc. che nsalgono al 1794. S. Rebaudi, Gli oculisti-girovaghi a Genova e una operazione J MgJ nel solone del ridotto del Carlo Felice. « 23'2β· Giacomo Doria, Ernesto Rayper Giovanni «si o. e'iToVo n?vr;”-esui r·™·* liaure ΝΓ 1 vt t n*Λιϊ ■'a- a,·' Un grande botanico Cuori commercio ' 10 : da Una inter' mon°grafia, edita P. Muttini, Santo Filippo Bignone. NC, 1-V e Strenna dei PP. Barnabiti, 1940. R'nnNI79RSrnn DhGLI· STUDI- DI GEN°VA’ Guida ^'Università. Genova 1940 PP. 72. Con brevi cenni introduttivi sulla storia dell’Università e àlrtl i TV1 Nrnt^en0Vf?" fi, Puattro secoli di vita di un collegio genovese Lav 4-1V. Notizie affastellate, ma inter., sulle alterne vicende degli istituti « A^ccT’ fln° aUa ri0rganizzazi0-· relativamente recente, delPI- Direttore responsabile: ARTURO CODIGNOLA Stabilimento Tipografico L. CAPPELLI - Rocca S. Casciano, 1941-XIX Anno XVII - 1941-XX Fascicolo IV - Ottobre-Dicembre GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA Direttore: ARTURO CODINOLA Comitato di redazione : CARLO BORNATE - PIETRO NURRA - VITO A. VITALE ANTICA LIGURIA NOTE DI ARCHEOLOGIA E DI STORIA LIGURE Da alcuni anni si è rinnovato tra gli studiosi l’interesse per la Liguria antica, in contributi di diverso valore e misura, dei quali il nostro Giornale non lia mancato quasi mai di dar relazione in recensioni critiche od anche in semplici appunti. Ma ora il fatto che in argomento sono uscite alcune pubblicazioni veramente importanti ci suggerisce di riferirne in modo più organico. La storia di Genova antica è, si può dir, cosa nuova. Da poco tempo soltanto essa si viene intessendo, entro una ristretta cerchia di cultori, sempre più sistematicamente. E viene così assumendo, attraverso le successive esperienze ed il vaglio della critica, la sua consistenza, la sua realtà. Può darsi che in questa tessitura ordinata della nostra vita antichissima, dalle età primordiali ai secoli di Roma, e non meno alle nuove età « primitive » del Medio Evo barbarico, ci sia dell’arbitrario^ fondato su ipotesi magari plausibili, ma ipotesi sempre, che pur vengono ad assumere, anche in virtù della pubblicazione stessa, un loro valore di verità, che domani, mutati gli orienta menti della critica, potrà riapparire men valida. Ma non importa: a poco a poco la verità si farà strada, anche e proprio nel tentativo paziente- di confermare o distruggere una ipotesi precedente ; e non è quindi onesto rinunciare alla critica, anche quando potesse apparire eccessiva. E ci conforta nel nostro assunto la speranza che la nostra ingrata fatica potrà ancor essere, come già è stata altra volta, non inutile. Tra le opere'cui ci riferiamo, due, la Liguria Romana di Nino Lam-boglia, e la Liguria Antica di Ernesto Curotto, sono già note ai nostri lettori. Di diverso valore, perchè di diversissimo intento, rimangono comunque fondamentali, l'ima come prima esposizione si- 142 TEOFILO OSSIAN DE NEGRI stematica di un materiale topografico e archeologico in buona parte inedito, condotta con criterio e passione, l'altra come visione di insieme e repertorio specialmente della tradizione letteraria, al quale d’ora innanzi in Italia converrà comunque ricorrere, almeno per la parte romana, per ogni riferimento alle fonti. Oggi però intendo soffermarmi su alcune importanti pubblicazioni sistematiche del Hakocelli pei* la preistoria, sulla nuova monumentale Liguria Antica del Lamboglia, edita dall’istituto per la Storia di Genova, e su una ricchissima serie di studi particolari «lei Formentini, che trattano in prevalenza <1 i problemi altomedioevali in rapporto con uli ordinamenti giuridici e topografici delle etò precedenti, e che pur essendo dispersi in riviste e giornali spesso difficilmente accessibili al comune lettore, costituiscono nel loro insieme uno degli apporti più importanti ed originali alla conoscenza della Liguria Orientale nel suo ambiente storico, in questi ultimi anni. Per cogliere le linee e le forme della romanizzazione in Liguiia sulla scorta del precedente lavoro del Lamboglia, tracciavo altra volta un quadro geografico e storico della Liguria cui converrà ancora riferirsi quando si vogliano indagare gli avvicendamenti delle genti e delle civiltà nella nostra tormentatissima terra. Il senso delPambiente può essere piò o meno avvertito dagli studiosi, e perciò più o meno coscientemente posto a base del loro sistema e della loro ricerca. Il fattore geografico però eserc ita sempre il suo peso, in modo più appariscente, ed è ovvio, nelle età a vita primitiva, preistoriche ed altomedievali: ma non meno in quelle evolute, che paiono disprezzare la necessitò naturale e dominarla, e imece ne sono a maggior ragione dominate. Di questo fattore tengono di necessità massimo conto gli studiosi costretti a procedei e ti«i le incerte memorie stratigrafiche e monumentali, col metodo quasi naturalistico preistorico ; ma allora un po tutt i gli studiosi dell'antichità ligure, che anche al l’ombra di Roma, entro il sistema a larghe maglie di strade e di municipi, permane 1111 mondo essenzialmente primitivo. Questa convinzione si è radicata in me soprattutto dallesame diretto, attuale, della nostra regione, nella sua vita essenziale: ed è pertanto sotto questa luce particolare che mi propongo di esaminare il metodo e le conclusioni dei tre autori. • Nello sfondo del nostro lavoro saranno naturalmente anche molti altri • ontribut). dispersi nelle pubblicazioni periodiche, che meriterebbero un esame -.11,1-. che va!** a valutarne la sostanziale utilità meglio che i rapidi dt'organiri cenni con mi li annotiamo nelle nostre « Spigolature ». Ma dire per ora adeguatamente di tutti esorbita dalla capacità di «mesta nostra rassegna. 1 * Giornale St. Leti. Lig. ·, XV, 1039, pag. 236 se#K· ANTICA LIGURIA 148 Di questo senso naturalistico e geografico è profondamente permeata l’opera del Barocelli (2), paletnologo, e perciò essenzialmente naturalista, anche se per personale capacità di allargare il quadro della sua visione, non evita le ricerche archeologiche e storiche. Studioso di temperamento oltremodo modesto, tratta il suo tema con semplicità inappariscente, e riesce particolarmente utile e chiaro per una costante aderenza alla realtà e per una conoscenza personale dei fatti e dei materiali oltremodo sicura. Paletnologo, opportunamente accenna (pag. 28) al pericolo dell’attenersi troppo fedelmente alle fonti letterarie, quando non trovino chiaro riscontro nella facies culturale archeologicamente riconosciuta ; realista, ricerca il documento, il monumento genuino e irrefutabile, quasi direi palpabile, rifuggendo da pure ricostruzioni logiche, magari seducenti, ma a volte, e in questa materia soprattutto, ingannevoli e malsicure. Il lavoro che oggi consideriamo ha un interesse ligure preminente, chè la regione studiata, nel suo aspetto preistorico, può dirsi interamente ligure, fi una rapida rassegna, tracciata senza pretese di completezza, ma senza trascurare nessuno dei problemi essenziali, della preistoria e della protostoria in Liguria. Nata come « Relazione » alla riunione annuale della Società Italiana per il Progresso delle Scienze del 1939, in Pisa, ha la agilità e la freschezza ili tal genere di lavori, ma non è priva di un suo valore (2) Piero Barocelli. Tradizione etìlica e realtà culturale del Piemonte e della Liguria, prima della unificazione auguslea. Estr. dal vol. V delle « Relazioni >. della XXVIII Riunione della SI PS, Pisa 1939, 4°, pp. 63, Roma 1940 Il Barocelli meriterebbe più ampio discorso, oltre che per questa monografìa riassuntiva, per i molti e notevoli lavori che egli è venuto dedicando alla Liguria, unitamente al Piemonte, durante i molti anni in cui egli resse l Estr. dal voi. 4° delle « Relazioni » della S1PS. Roma, 1940, in cui l’A. riprende un’antica tradizione di museogratia, utilissima in un campo strettamente documentario. 144 TEÓF1LO OSSIAN DE NEGRI sostanziale, giacché l'autore, informatissimo sempre «li tutta la prò dazione critica e scientifica in argomento, se rie vale con franca indipendenza, cogliendo anzi ogni occasione, anche velatamente e signorilmente polemica, per ribadire concetti affermati tante volte durante la sua diuturna fatica. Senza addentrarci nel vivo del quadro,che tanto varrebbe rifarlo, accenno qui solo preliminarmente all'utilità ed importanza di questa periodica messa a punto dei nostri studi, riserbandomi di attingere largamente fatti ed opinioni dal chiarissimo Autore per le discussioni che seguiranno (3). Profondamente diverso, antitetico quasi, è il temperamento del Lamboglia, «lei quale del resto ci occorre esaminare un opera che è ben altra da quella del Barocelli per intenti, metodo, vastità e novità di ricerca i‘i. La preistoria, il cui metodo è, come si è detto. Mia Liguria il B , forse più che in ogni altro suo studio di carattere generale, fa parte larghissima, accennando largamente tra I altro ai problemi di M Bego e delle Stele lunigianesi per cui cfr. dello stesso due note recenti molto perspicue. Incisioni rupestri alpine e stiline menhirs, in « Boll. Paletn. Ita! *, 1034. pag 154 segg. e (oneriti religiosi delle aeriti mediterra-nre >ul finire tirila ririlhì tiri bronzo e aQli inizi di lineila del ferro, in « Ru. Ing. Int. ». HI. mi. 3/4, 1938. pag. 43 segg. e della penetrazione della civiltà di Golasecca nel vari settori di Liguria, della presunta infiltrazione etnisca, e della conquista romana. Me soprattutto insiste, dato il carattere sintetico e non descrittivo della trattazione, sul problema etnico ligrure, che ci interessa in modo particolare. ‘ Nino Iamboglia, La Liguria Ani tra. Dal I Voi. della « Stona ut Genova » dall, origini al Irmpo nostro, edito dall Istituto ver la Storia di Genova diretto da Maio Maria Martini, Milano. Garzanti, 1941, 4°, pp. 340. Il Volume comprende inoltre alcune Monografie di cui non l· nui il caso di discutere la opportunità . dettate da Maestri, che. ciascuna per se, meritano una particolare menzione, anche se. non ostante il nome, forse anzi appunto per la eccellenza di questo, può apparire meno organica la oio correlazione. . . . . . In realtà i tre brevi scritti, pur con i loro indiscutibili pregi intrinseci, vino ojtremodo dissimili tra loro, rispecchiando tra personalità di studiosi che non si potevano certo ridurre ad una norma. E ciò è bene, per la serietà dei contributi, anche se non si realizza quella perfetta corrispondenza di metodi. di vedute che gli ordinatori dell’opera si ri promettevano. Gaetano Rovereto con La Liguria geologica pagg. 343/359) traccia « un capitolo di vrra geologia, che riassume quanto ha pensato e quanto ha fatto in questo rampo, m coordinamento con gli altri, per la illustrazione della sua terra . pag .UYi e riesce ad un esame della zolla ligure sobrio e personalissimo, . h egli desume essenzialmente dalla personale esperienza, riassunta, dopo una vita di Intense ricerche e di studi, nella poderosa opera omonima, cui costantemente ed unicamente si riferisce, già recensita in questo « Giornale » fi inno, \vi. 1940, pag (0 seg Paolo Revelli. La Liguria geografica, pagg. 301/381. il H., temperamento vquisitamente umanistico, trascorre rapidamente dalla terra che ha percorso e indagato in ogni suo recesso, alle biblioteche e agli archivi, ili cui conosce tutti I segreti. E così in virtù della personale conoscenza, e soprattutto fa- ANTICA LIGURIA 145 essenzialmente naturalistico, fa qui solo da sfondo al gran quadro della storia antica della Liguria tino all’impero Romano. Ed il L. è, ed è giusto che sia, fondamentalmente archeologo e storico, sicché a buon diritto dà massima importanza alle fonti monumentali e letterarie, vagliandole ed integrandole con quegli accostamenti e quelle induzioni che sono la virtù dello storico. Di quelli che sono i tini della collezione di cui questo costituisce il primo volume, e dei pregi e, relativi, difetti dell’edizione, ho già detto altrove (5). Qui mi limiterò a rilevare che l’istituto per la Stòria di Genova, riservando un intero volume alla storia antica ha il merito (li aver reso possibile che per la prima volta forse si costituisse una esposizione scientificamente sicura e al tempo stesso organica e solidamente informativa per quella età fino a ieri inaccessibile agli studiosi non particolarmente iniziati. Anche del valore (li Nino Lambogiia abbiamo già a lungo parlato in queste stesse pagine (6), e ultimamente nella relazione accennata, nè qui è il caso di insisterci, volendo piuttosto procedere a considerazioni più sostanziali. Or son due anni, preannunciando appunto l’opera odierna, au- cendo parlare gli autori antichi e modèrni, traccia una « geografìa della storia ligure » da cui l’immagine della Liguria geografica forse non balza viv volume ridia Storia ». che con gradimento vivo da questi cenni arguisco che possa convalidare la mia modesta opinione. In attesa di quanto dira il I*ormen-tini non riprendo l’interessante argomento, limitandomi a ricordare, accanto alIVsempio rii Pompei, addotto dal L. a comprova della sua nuova soluzioni/. aneli»* (jnello di Bologna etnisca e romana, tanto più vicina al caso re^tro i * r ptà »· per «ostituzione etnica e d'ambiente. Cfr. P. Ducati, Storia di Bologna, cap. VI, pag. 194 e segg. ANTICA LIGURIA 149 illustrativa di carte che qui nei* forza di cose, fa in gran parte difetto. Sulla seconda sezione, la più suggestiva e più nuova che investe il problema, etuico e linguistico ligure, non mi soffermo per ora, pur rilevando che essa più d’ogni altra risponde al criterio della pubblicazione, severa ma informativa, in cui si richiede di divulgare, evitando gli errori, quel che nella tradizione c’è di comunque attendibile, anche se non ancora tutto passato al vaglio della critica pili severa. Senonchè il L., che qui come per le età litiche poteva limitarsi ad esporre i pochi elementi sicuri tra le molte ipotesi malfide, lasciando sospeso un giudizio difficilissimo, h;» voluto invece, ancora una volta, darci una visione organica e personale dei molteplici aspetti del problema, pur riconoscendo egli stesso esplicitamente anche qui la provvisorietà di certe sue conclusioni « conciliative » ; cosicché non solo affiorano spesso in questo capitolo ipotesi ardite e meritevoli di discussione, ma lo storico le propone e le affronta come tali ; e ci toccherà riprenderle in esame nella seconda parte di queste note. Per eoneliiudere queste osservazioni generali sul metodo e sul temperamento del L. mi sia permesso riprendere un rilievo già fatto nella recensione citata, per constatare quanto sia profittevole, in un'opera destinata al gran pubblico, il principio di rivivere i fatti antichi, conipatibilmente con il rispetto della verità, secondo i sentimenti dell oggi. Già ho rilevato come preoccupazione costante, quasi motivo conduttore, del L. sia di cogliere attraverso le vicende più antiche Vcthnos ligure nel suo costituirsi, dall’era neolitica all'oggi. Ma non meno dell’cthnos interessa il L. quella che chiamerò la personalità storica, la coscienza « nazionale » della Liguria ed anche la sua precisa configurazione geografica in quanto si riflette, naturalmente, suH'intima coscienza della « nazione ». Ora questa personalità si rispecchia principalmente in due fatti: l’antitesi celto-ligure, in cui si plasma in epoca protostorica la realtà etnica ligure e si prepara la funzione storica di una Liguria baluardo d Italia contro il ('citisino fino in età romana; e di questo interes santissimo tema ho già parlato in queste pagine; e la confinatone della Liguria prima, e poi, con Cesare ed Augusto, d’Italia verso la Gallia a occidente. È un motivo che affiora con insistenza, e avviva a volte pagine irte di fatti e quasi massicce, rendendole per sino ghiotte e piccanti. Già nel paleolitico si denuncia un iato con l’industria francese, e il Mustieriano di Ventimiglia è coevo col più arcaico chelleano «li Francia, accordandosi invece con i giacimenti conformi della penisola ; sicché « si è sottilmente osservato che la Liguria occidentale può definirsi italiana fin dalla più lontana preistoria » (pag. 10). Per la successiva faeirs Grimaldiana, la cui area si stende fino alla Sicilia con caratteri di omogeneità rigorosa, Men* 150 TEOFILO OSSIAN t>E NEGRI ton e e Monaco rappresentano l’estremo limite occidentale; nè questa differenziazione viene a mancare, pur col passar dei millennii, come conferma la relativa precocità del nostro mesolitico a microbulini, e, dopo Γoscuro periodo neolitico, caratteristicamente attardato rispetto alla coeva civiltà delle aree adiacenti, l’età dei metalli, quando in modo sempre più netto il Varo e le Alpi seminano « costituire una barriera, attraverso la quale influenze e contatti etnico culturali filtravano sì ampiamente, ma non potevano pas>are con frequenza nè con libeftà »> (pag. 59). E potremmo continuare. Quando nel lis a.C., con la costituzione della Provincia Xarbonese, venne fissato al Varo il limite della Gallia ( isalpina, non si fece che sanzionare una condizione di fatto che perdurava, per così «lire, da sempre. A dire il vero il dualismo limitaneo di cui il L. stesso e il Pormeli tini, hanno studiato in acuti lavori gli aspetti e le presumibili < ause, non ci consente neanche per questa zona di stabilire con inderogabile certezza un confine che possa denominarsi sotto ogni rispetto quello romano d’Italia lungo la Cornice Mediterranea; ma è comunque chiarissimo che nel concetto degli amministratori- romani, Cesare e Augusto, che costituirono alla soglia d Italia tutta una serie di minuscole provincie equestri, in realta principati semi autonomi, accavallati sui due versanti della montagna, come le Alprs Maritimae sulle due sponde del Naro, non 1 assurdo ed inconsistente contint» della Turbia, ove si innalza il 1 roteo per la \il* tori a sui popoli alpini, come neanche il piede delle Alpi verso la pianura padana, ove pure si stende la linea delle stazioni della ijti mlrmi rifi ma (} allia nim, ciré come la nostra dogana, bensì tutta la massa alpina fino ai suoi limiti occidentali, doveva costituire come una fascia di «copertura » d Italia, parte integrante, anche >e amministrativamente quasi autonoma, del suo sistema difensi\o. Vediamo in altri termini in questo fatto accennato, ed applicato su vasta linea, con profondo senso realistico, un criterio limitaneo rispondente a necessità naturali; e lo ritroveremo infatti anche nel sistema limitanei» bizantino della « Maritima » contro i Longobardi, come in ogni sistema naturale che si appoggi ad una catena di montagne : in relazione sempre con quella profonda separazione etnica, economica, e comunque civile, che si riscontra non tra versante e versante di una stessa catena montuosa, ina tra il complesso montano ed il piano. Γηο dei rilievi più interessanti che ci è dato «li fare sul luminoso quadro della romanizzazione in Liguria è il progressivo isolamento della zona orientale, tra la grande Julia Auffiwtd, che da Piacenza perviene al Varo, sviluppandosi da Tortomi in una vasta rete di altie ANTICA LIGURIA 151 vie che penetrano quasi ogni angolo della Liguria mediterranea tra Po, Alpi e Appennini, frequente di municipi la cui funzione civilizzatrice è progressiva ed intensa, e la litoranea da Pisa e Lucca e Limi a Genova e Vado. Di questo vasto cuneo « dimenticato » dalla grande colonizzazione romana, vertice a Occidente è Genova, a capo della Postumia. Il confine della IX Regione augustea, il cui carattere artificioso è oramai generalmente ammesso (9), tra Trebbia e Magra quasi si smarrisce tra le convulse montagne distribuendo capricciosamente tra distinte regioni, Liguria, Emilia, Etruria, i municipi che si assiepano e si incontrano nella zona e i cui limiti territoriali non rispetta, conforme a una norma esemplata in particolare dallo stesso Lamboglia (10). fc un territorio essenzialmente ligure. Di fatto le singole civitates montane tendono anche qui sempre più ad orientarsi verso fertili e ricche zone extra liguri, Veleia verso l’Emilia, Limi e Lucca verso l’Etruria. Ma il processo è lento e tardivo; nella sostanza il complesso territoriale così circoscritto permane tenacemente ed unitariamente legato alla sua liguricità primitiva, quasi si estrania dalla Liguria Romana, il cui orientamento in funzione della colonizzazione gallica è chiaramente definito da quella configurazione itineraria, e risponde a condizioni di vita anteriori che permangono quasi immutate sotto il velo della romanizzazione, e si riaffermano nei bassi tempi imperiali e nelle età barbariche, quando il contado torna a prevalere sulla economia cittadina. Allo studio di questo settore particolare della Liguria nell’an-tichità, per lo sviluppo del quale il Lamboglia, distratto dalla va stità del suo tema, non ci offre elementi adeguati, dedica grandis sima parte della sua attività erudita e del suo acume critico Ubaldo Formbntini. Dalle pagine dell’insigne studioso lunigianese la realtà storica di questa unità territoriale emerge particolarmente efficace, nel determinare la vita delle genti che vi si sono avvicendate sin dalla preistoria. Rinasce il vecchio problema, affacciato già dalPIssel per le età litiche, di una opposizione tra Liguria di Le vante e Liguria di Ponente. Ora se questa opposizione in base so prattutto ai dati recentemente illustrati dal Monaco per Bedonia, non pare potersi ulteriormente sostenere (ll), certo almeno per l’età (9) Cfr. per tutti N. Lamboglia, La « descriptio Ibaliae » augustea. « Atti V Con^r. Naz. Studi Romani », Roma, 1940, che riprende con qualche correzione l'argomento accennato in « Liguria Romana ». pag. 24 sKg. (Cfr. per qualche limitazione e chiarimento P. Fraccaro, in « Athenaeum ». liHi, 122 sgg.). fc in massima l’opinione anche del Formi-mini; cfr. < A. S. Parili. », 19*2'.*, pag. 260. (,0) V Lamboglia, Il dualismo limitaneo nell'organizzazione territoriale dclVìldtia Romana. « Atti IV Conpr. Studi Romani », Roma, 1938. (n) (i. Monaco, in « Πρ », 1940. Ma la proposizione generale di tale principio, fatta in rapporto alla pubblicazione di una prima serie litica impor- TEOFILO OSSIAN DE NEGRI meno antica ohe giìi si lega e si confonde, nel suo finire particolarmente attardato tra le nostre montagne, con le prime epoche storiche, l'età «lei ferro, essa risulta lino ad oggi evidente, non ostante qual-che opinione in et intra rio (l2). Ed è comunque vero che, da 1111 pun- i ; » 111 « * sii inamente localizzata nei nostro settore montano, non ha ancora avuto adeguato svolgimento. Anche il I*amboglia pare accostarsi a questa opinione sia per il neolitico che per l’età del bronzo (« Liguria Antica », pag. 36 «· patf. iil segg.). Effettivamente il Patroni, e soprattutto, alla sua scuola, Pia Laniosa /.imbotti in molti studi recenti, condotti con larghe vedute sul materiale raccolto su una vastissima area, ma non propriamente nella zona montana che ci interessa, riconobbero la vasta uniformità ili tali facies cultu-- ih. plausibilissima del resto, data la povertà e genericità degli elementi di >tudk>. Non discutiamo questi problemi, fondati essenzialmente sul confronto «li industrie proprie di perìodi ed aree vastissime, limitandoci all’aspetto geo-sinrico, e cioè, attuale » di esso, da cui potrà eventualmente proiettarsi luce anche sulle età preistoriche. Questa tesi di una opposizione, per intensità di stanziamenti e per distinzione di facies, della civiltà del ferro tra le due zone liguri, confermavo io stesso anni addietro, sull’autoritn del Barocelli, a proposito del nuovo ritrovamento di \ albrevenna I O. DE Negri, i’na tomba preromana scoperta Yatbrvmim Hiv Ing. Int.-, IH. 19:*7 (ma 1938), n. 3-4, pagg. 81/104). Oli ind’anchc . 011 la Banti, Limi, pag. *1 e col Lamboglia, !.. A., pag. 107, si » ·»»· concludere alla pura casualità del silenzio, lino a ieri, della Liguria occidentale, rbe parrebbe tra l’altro confermata dall’inllttirsi, in questi ultimi inni, dei ritrovamenti almeno nel cuneese Pornassio, Chiusa ili 1*6510, Scarnali^, e da ultimo Boves: cfr. C. CabdI’CCI. R. Ing. Int. », V, 1940, 149 sgg.) non sarebbe meno evidente e significativa la estrema rarita di tali repeiti stillo sfondo fondamentalmente neolitico della Liguria d’Occidente, nei confronti dì quella di Levante, ove tutto l'acrocoro montagnoso appare pene-ircinto, tino ai suoi margini Genova, Valbrevenna, Savignone, Li-l*arua dalle tombe ad incinerazione. Sicché il BAROCELLI, Tradizione etnica, pag sgg., t* spec. pag. 57 nota 56 ribadisce la sua opinione ili una limita-Eione llla Sesia - alla Scrivi 1 della civiltà di imla^n-ra . ijualmique P°>-'1 on·ic il valore crìtico degli accostamenti tipologici tentati, sarebbe utilissima alla nostra tesi deirisokuneiito della Liguria Orientale, 1 argomentazione accennata spesso dal Kormentini t'.fr. Questioni di archeologia luncnse , ivt I9S3, pag 108; ti origini di Genova - il Comune di Oenova ·. M. Tombe preromane m Lunigiarui « R. Ing. Int. », V. pa*r iy> segg.; e cfr. oggi Lambogih. I.ig. ini., pag. 61 . ma non mai "Volta a fondo, di uno stretto rapporto delle più antiche tombe a incinerazione liguri con le stazioni di transizione dal bronzo del Modenese (Bi-smnntova Ove fosse possibile stabilire anche un rapporto tra questa cronologìa anticipata delle tombe e la teorie di una persistenza delle stele lunigtanesi dalle più antiche dì età enea a quelle dell’età protostorica, ne verrebbe anche confermata la teoria di una radicata continuità di genti di costumi -mi nostro isolato, utilissime alla soluzione tlel grave problema etnico, di cui in seguito. Senonchè per l'accostamento tra le due età di e ti) sopra, come ben notava il Γ , manca ancora uno studio sistematico, e ·! " allungo io, e malgrado il ritrovamento rii /eri, una sufficiente docu •m utazione archeologica che ne consenta la conferma. Iv al tempo stesso per pari* mia debbo riconoscere, e colgo volentieri l’occasione di correggere una pa 100, nota 2 - be non >1 può tenia/··. ■ noli ha senso, 1111 accostamento tipologico diretto tra suppellettile enea di Zerba. in Val Trebbia, e di Loto, presso Sestri Levante, e quella delle tombe recenti dell’epoca del ferro. ANTICA LIGURIA 153 to di vista che chiamerò più che geografico o geomorfologico, geostorico, per usare una felice espressione novissima, essa rinasce e si impone, quando noi mettiamo a collaborazione ogni elemento e cerchiamo così di ricostruire la vera e più completa facies naturalistica e culturale della regione in sè. Noi non abbiamo pelle età antiche le prove archeologiche o storiche sicure del peso che questa unità caratteristicamente montana può aver esercitato tra l’altro sul fatto della costituzione dell’oppido genovese; ma Pesame dei rapporti delFentroterra con la Genova medioevale è utile a chiarir molti punti ancora oscuri dell’antichità (’13). Per questo ritengo opportuno, al centro della nostra esposizione, insistere su questo fatto, che ci apre la via a proiettare sulla storia dell’età antica, che più particolarmente ci interessa, il frutto delle ricerche sulle età più recenti, E questo anche ci aiuterà a tentare di risolvere alcuni problemi più gravi, specie di carattere etnico culturale, che la lettura del Lambogiia ci aveva lasciato sospesi. Non è mio compito tracciare compiutamente questo quadro geostorico. il che esorbita dalle finalità di queste note (ir). Per quel (13) Ma vedi l’acutissima ricostruzione delle origini deil’oppido per il sine-cismo gemiate, al limite della nostra zone incinerante, in piena età del ferro, in Formentini, Le Origini di Genova, cit. (14) Ho io stesso altra volta (Yalbrevenna, cit., cfr. spec. pag. 82 n.»l e pag. 102 n. 2) accennato al complesso problema tracciandone le linee per il settore che fa capo all’Antola. e raccogliendo la bibliografìa essenziale per uno sviluppo del tema. Sarebbe facile scoprire le ragioni prime di questa unità geomorfologica e geostorica nella omogeneità di tutto il massiccio, essenzialmente costituito da una zona di calcari eocenici, variamente corrugati ed incisi, estesa tra la massa allotropa del « gruppo di Voltri » a occidente e l’Appennino tosco-emiliano a levante. (Cfr. G. Rovereto, Liguria Geologica, Genova, 1939 e ora in Storia di Genova, vol. 1, cit.). Ma qui non insisto, limitandomi a rinviare per ora ai magistrali studi di Manfredo Giuliani che ha svolto con vero amore l’indagine definendo i caratteri del territorio racchiuso nel quadrilatero Genova-Piacenza-Parma-La Spezia, soprattutto da un punto di vista topografico, storico ed etnografico, confortato nella sua ricostruzione dal molto materiale documentario raccolto, per le diverse età storiche, dai numerosi studiosi lunigianesi e parmensi, che si propongono lo studio della regione sotto ogni aspetto, etnografico, storico, linguistico e paesistico, dal Form enti ni stesso, a Pietro Ferrari, al compianto Giovanni Ma-riotti, a Giuseppe Micheli; e, tra i piacentini, al Nasalli Rocca e a Stefano Fermi, per ricordare solo alcuni dei maggiori ed i coordinatori del lavoro, che nelle sue estremità capillari annovera, attorno all’agile periodico dal sintomatico titolo « La Giovane Montagna », anche studiosi paesani e parroci di ogni angolo di questa terra. Cfr. soprattutto, del Giuliani, L'Appen-nino jmrmensc-poìitrcmolcsc, Parma, 1929 c Note di topografìa antica e medievale del Ponlremolese. « ASParm. », XXXV, 107/134, nonché i resoconti dell'importante inchiesta fonetico-lesstcale-folcloristica promossa dal Giuliani stesso, pubblicati dalla « Giovane Montagna » e di cui cfr. una relazione sommaria in « ASParm. », 1931, pagg. XXI e seg. Una'simile indagine folcloristica e linguistica non ha fine in sè, ma tende ad applicare queste discipline alla indagine storica di periodi remoti od incerti dove non soccorre 154 TEOFILO OSSIAN I>E NEGRI c*lie riguarda Finterà Liguria, basti un rilievo preliminare, indisi utibile; qualunque possa essere stata, nei vari momenti storici, razione esercitata «la fattori per così «lire esterni (come l’ordinamento della viabilità, militare e commerciale, romana-, sulla Liguria interna ed occidentale, o il predominio marittimo del comune genovese lungo le due Riviere), la vita ligure si presenta naturalmente, e perciò costantemente, orientata in senso trasversale alla nitena montuosa, in modo che la fascia litoranea è sempre legata al suo immediato entroterra, oltre i valichi alpini o appenninici, fino al margine del corrugamento montuoso, verso la pianura padana. Ora a ponente, lungo le direttrici di valichi facili e vallate aperte verso il piano, si costituiscono unità geografiche ed etniche distinte, che trovano ciascuna il suo sbocco in un centro marittimo autonomo; a levante invece, sulla più raccolta banda litoranea convergono i non vasti bacini delle alte valli oltregiogo, le (juali, dovendo i fiumi aprirsi il passo per gole impervie verso la « foce » in pianura, restano in generale molto più isolate da questa che dal mare, t* h conglobano in una tipica unità multipla montana, desìi-nata, nel suo isolamento, alle più svariate vicende. La ricostruzione • li questa unità risponde ad un insieme di fatti oltremodo complessi, ma >i risolve in definitiva, da un punto di vista geostorico o antropico, in un sistema di relazioni, che e quanto dire di strade. Di qui la preoccupazione quasi costante degli studiosi regionali, di rintracciare stilla scorta dei reperti archeologici e toponomastici, dei dati ili archivio e di topografia attuale, e delle induzioni logi- I he, l'allineamento e la rete di questa viabilità, varia secondo i bisogni delle civiltà differenti, ma costantemente legata a determinati principi che possono esseri* addotti in funzione di leggi. Di qui ancora il metodo prevalentemente topografico di molti studi del F. stesso che di quelFaspetto unitario della regione ci dà soprattutto, con gli altri studiosi lunigianesi, la conferma che si desume dalla vicenda storica romano-bizantina e niedioevale; e tale conferma è tanto più convincente e sicura, in quanto i lavori di lui sono spesso un modello di metodo, ed offrono una larghezza di vedute ed una ricchezza di dati anche disparatissimi, i quali raramente è consentito riscontrare nelFopera di uno studioso. Del Formentini, già condirettore del « Giornale » che ha pubblicato alcuni dei suoi più notevoli studi, non si parla da tempo la Iure di documenti e monumenti, e meriterebbe di essere estesa al territorio più propriamente genovese, fin ora, si può dire, inesplorato. Sull'abita-/jofif* rustie a. che conserve in tutta la zona caratteristiche veramente arcaiche, n ha a· < orinato recèntemente il Fubmfntini in una delle sue consuete acu-u-irn· note [\ot· sull 'architettura rustica nella Liguria Orientale * Lares », vi, li e 7 sto io stinse preparando una comunicazione ispirata appunto da «piella ilei Formentini. ANTICA LIGURIA 155 su queste pagine, nè egli vi ha scritto da anni. 11 poco spazio ci vieta di riprendere in esame ordinatamente anche solo i lavori essenziali o più recenti, per dare dell’opera sua, tino ad oggi così frammentaria e dispersa, e mal raggiungibile dagli studiosi, una notizia adeguata. Ma non mancheremo comunque, riprendendo queste note, e prima di procedere all’esame di questioni particolari, di dare di essi una notizia sufficiente, specie sotto il punto di vista topografico accennato, in attesa di quella sintesi, il secondo volume della « Stoiia di Genova » che l’interesse di questi preziosi frammenti ci fa attendere con particolare desiderio (15). Teofilo Ossian I)e Negri (15) Veraniente tra gli scritti del F. non mancano alcune opere di insieme, di storia e d’arte lunigianese: opere severamente informate, anche nel loro carattere eminentemente divulgativo. (Cfr. specialmente: La Spezia e la sua Provincia, -a cura di U. F. e T. Valenti, La Spezia, 1924; Cenni, storici sulla Provincia della Spezia, in « Provincia della Spezia », La Spezia, 1928); ma esse sono ben lungi dal costituire l’opera più rappresentativa di lui, pur denunciando sempre la sua inconfondibile tempra che si prodiga solitamente in studi acutissimi, penetranti, soprattutto legati a costituire una catena che va facendosi ogni anno sempre più completa e più sistematica, sulla Lunigiana, e poi su tutta la Liguria di levante, ch’egli viene guadagnando di ricerca in ricerca, trascinato dal « fatto » o dal documento come un segugio in traccia. Oltre questo termine egli, ch’io sappia, non si è avventurato mai, fedele alla terra ch’egli pazientemente percorre con personale fatica. Ma alcune volte, indirettamente toccando problemi della Liguria ponentina ha dato limpido saggio della sicurezza e della maturità del suo sistema che può essere facilmente esteso a valutare e comporre la storia alto-medioevale di tutta la regione. Cfr. spec. una ree. a Lamboglia, Topografìa storica del Finga unto. nell'antichità, in < Giorn. », X. 1934, pagg. 42/49; e Scvl-viro longobarde la VentimUiìia]. « R. Ing. Int. », II, 1936, pagg. 274/284. Più che legittima è pertanto l’attesa di questo volume che si presenta come una autentica novità, sia per l’autore, che dovrà qui non più soltanto cimentarsi col documento da costringere a rivelare i suoi segreti, ma svolgere organicamente e pianamente la storia, sia per la materia, che abbraccerà Genova e la Liguria tutta, per un’età per la quale, a tacere di opere ormai invecchiate, oggi non abbi a m nulla. LA POESIA BELIGIOSA DELL’ANONIMO GENONTSSE APPUNTI ED OSSERVAZIONI (Continuazione) \ Non sviv/Ai esitazione, quindi, potrò a questo proposito affermare che granile affinità presentano le Rime di questo secondo gruppo, con le corrispondenti narrazioni in prosa della vita dei rispettivi Santi, ed anche con quelle offerteci dalla « Leggenda», potendosi anzi specialmente alcune di esse definire delle vere piccole agiografie in rima, e quasi un poetico riassunto delle pagine del grande arcivescovo genovese, aU’Anoninio contemporaneo. Palese esempio di ciò è la ri. I, acefala nella raccolta, della quale possediamo, il* >eguito al rincresci osa lacuna dei primi cinque fogli del manoscritto, solamente trentasei versi sulPistituzione della festa religiosa della Natività della Vergine. L’episodio frammentorio, contenuto in questo Imi no pervenutoci, è chiaramente ricalcato su quello narrato nella prosa latina del beato Jacopo Da Varazze « de nativitate beatae .Mariae Virginis *» mediante la quale è possibile pure reintegrare l'esposizione del fatto. La narrazione acefala del Nostro s inizia dalle corrispondenti parole del Da Varazze— « divinum recepit re-sjMinsum.... » (7) quando cioè per divino comando viene intimato a quel « quidam vir sanctus» tradotto dal Poeta al v. II «quelo santo omo » di divulgare ai fedeli le sue celestiali visioni, secondo le quali il cielo tutto voleva che quel giorno fosse consacrato alla .Natività della Vergine, episodio questo che lo stesso Da \ a razze dice tolto da Giovanni di Reietti. La poesia del Genovese, che segue passo passo tale narrazione, chiude l'episodio col medesimo accenno a Papa Innocenzo IN' genovese, pontefice nel L243, istitutore delimitavano, accenno aggiunto alla tradizione dell episodio dal beato Jacopo. Meno chiaramente risulta quale potè essere la fonte «Iella ri. III. pur essa intitolata « de nativitate beatae Mariae λ irginis » ma non 7 Leggenda aurea. Th. Groesse, 2* ediz. Lipsia. 1850, cap. CXXX, pag. 590 ss. LA POESIA RELIGIOSA DELL’ANONIMO GENOVESE 157 crederei di esser molto lontana dalla verità se pensassi che pure questa fosse ispirata dalla lettura di una corrispondente prosa latina. Mi viene anzi sospetto, (naturalmente fin qui incontrollabile, perchè occorrerebbe poter confrontare una copia più ordinata e meno lacunosa di quella dataci da quest’unico manoscritto del cod. Mollino), che nell ^originale la ri. I e la ri. Ili formassero una sola composizióne, dato che esse trattano il medesimo argomento, e ben si addirebbe che la ri. 1 costituisse la parte finale di essa. Anche l’inizio della ri. Ili con quel.... «ben fosti veraxe manna....» non soddisfa, e sembra piuttosto frase che chiuda un concetto precedentemente esposto, anziché lo inizi. Con questa disposizione d’argomenti ci si accosterebbe sempre più alla prosa latina del Da Va-razze, che potè servire probabilmente di guida al Nostro per la sua composizione. Ohe l’Anonimo, del resto, attingesse, ampiamente e direttamente o dalla Leggenda. Aurea, o da trattati e raccolte latine simili di quel tempo, risulta palese anche da altre sue composizioni, come dalla ri. LVI, il cui esempio della conversione di Pietro Telonario è dal Poeta attinto e tradotto fedelmente in rima volgare, quasi alla lettera, dalla vita di s. Oiovanni Klemosiniere, vita che troviamo assai divulgata negli scritti agiografici del sec. XIII e che compare, sia nell’opera basilare della vita dei SS. Padri, sia in quella già accennata del Da Vai-azze, fc noto, infatti, come anche i più dotti di questi medioevali, senza farne di ciò una colpa propria del Nostro, ben poco creassero, in genere, di originale, e si limitassero per lo più solo a raccogliere e a compilare quanto la ricca tradizione più antica, già aveva creato ed offriva al rassettata curiosità aneddotica dei loro contemporanei. Quasi le medesime osservazioni, circa la probabile fonte a cui possa essersi ispirato l’Anonimo, potremmo fare per la r. II « de beata Margherita ». Anche questo fu un tema assai popolare in ogni letteratura del tempo, trattato diffusamente in versi e in prosa, argomento preferito pure per la composizione di veri poemetti, come quelli fornitici dalle otto versioni francesi più note in rima, tutte anteriori al sec. XIV. Lo stesso Da Varazze nell’esporci la vita leg gendaria della Santa, che egli dice di aver letta fra gli scritti di «Theotimus vir eruditus», lascia intravedere, là dove, accennando alle tradizioni divergenti sulla lotta della Santa col drago (8) biasima alcune come apocrife e infondate, di aver avuto presenti narrazioni varie. Ciò basta 'a noi per affermare che il Genovese aveva certamente su tale argomento tanta materia, da non dovervi mettere pur qui nulla di suo, se non la consueta fatica di raccogliere e coordinare i fatti più salienti di questa leggenda, atti a formare una (*} ()j>. cit.. cap. XCIII, pag. 402. 158 ANDREINA DAGLIO breve composizione. Anche nella disposizione dei concetti possiamo dire che la tradizione agiografica dava leggi ^1 Poeta, il quale inizia la composizione riassumendo nei primi dodici versi l’elogio delle doti tìsiche e spirituali della Santa, accenna dal v. 13 al 28 alla disputa «Iella fanciulla col prefetto Olybrio che, innamorato della sua bellezza e volendola far sua, l’incitava ad abbandonare la religione di ('listo, mentre ella strenuamente la difendeva e la propugnava, disputa qui solo molto brevemente accennata ; dal v. 29 al 42 prosegue l’argomento della prigionia, della lotta col drago, dei vari tormenti ai quali fu sottoposta la Santa, miracolosamente salvata da Dio, ed iutine il suo decollamento. Dal v. 43 al 54 non manca pur nel Nostro il ricordo della preghiera innalzata a Dio dalla martire prima «li morire, preghiera che menziona pure il Da \ a razze e che costituisce uno dei punti più belli, pieni di mistica semplicità lirica, di devoto entusiasmo dei poemetti francesi sopranoini nati. Nel Genovese nulla invece che si elevi più su di un semplice accenno riassuntivo, nessun impeto d'ispirazione sincera e sentita, la solita monotona freddezza. Perfettamente dello stesso stampò di questa si presenta la composizione ri. V «ad sanctam Luciani » sicché si potrebbero esse definire veramente le due composizioni gemelle di questa raccolta. Affini le probabili fonti d’ispirazione, procedenti dalle numerose leggende agiogra fiche riguardanti la Santa, diffuse allora oralmente^ e pei iscritto in mille guise; identico il processo compositivo e l'abilità del Poeta. <’iii volesse avere una conoscenze più ampie delle» narrazione offertaci dal Poeta, non avrebbe che leggere le corrispondenti pagine della prosa latina della Leggenda, che possono benissimo servire da commento alla composizione del Nostro. ( osi il dialogo di Pescamo con la Santa. dairAnonimo appena adombrato, è nella prose diffusamente trattato, e lo stesso si osservi per laminiceli e il martirio narrati nel Da Varazze con più ricchezza di pai-ficolari. Assai poco di nuovo si può dire per la composizione ri. Ιλ «ad sanctum Petrum» pur essa argomento non originale ilei Poeta, del quale, se pur in minor misura e meno direttamente, possiamo trovare una eco nel cap. (’X « de sancto Pet ιό ad \ incula» della Leggenda. Interessantissima, invece, sopratutto per lo studio delle fonti, a cui possa aver attinto PAnouimo, è la lunga composizione in rima ri. XII « ile sancta Catelina virgine » la santa Patrona dellOrato-rio al quale, come è noto, era iscritto il Nostro. Il Poeta ci offre qui la storia completa e particolareggiata della conversione e del martirio della Santa, dandoci un nuovo esempio di elaborazione ita- la POESIA RELIGIOSA DELIBA NONIMO GENOVESE 159 liana di questa leggenda (9), non meno «Ielle altre diffusa nelle redazioni in verso e in prosa d’Italia e di Francia di quell’età. Lui leggenda completa di S. Caterina consta della conversione e della passione, e si potrebbe aggiungere ancora secondo taluni, della nascita, la cui leggenda si sviluppò certamente dopo quella della conversione. Non direi, però, col Mannucci che di quelle due parti (conversione e passione) si possa ritenere la prima « popolare», la seconda « dottrinale », mentre definirei invece con termine più appropriato la passione, come parte più antica della leggenda, la conversione, come parte più recente, nata a completare la leggenda stessa. Infatti è risaputo che le prime notizie intorno alla santa Alessandrina ci vengono dalla narrazione di Metafraste, scrittore bizantino del secolo X, il quale parla esclusivamente della passione e nulla ci dice della conversione. Ë un problema ancora insoluto il decidere quale possa essere stata la prima fonte della leggenda relativa alla conversione, se essa cioè ci venga dall’Oriente per mezzo di qualche codice a noi ignoto, oppure sia stata una elaborazione sorta in Europa, in seguito all’importazione del culto della Santa durante le Crociate. Da notare altresì che la leggenda stessa ha avuto una larga diffusione in (piasi tutte le nazioni di Europa: cosicché, oltre ìe leggende italiane e francesi, abbiamo quella tedesca, la olandese, ìa inglese, la ungherese, ecc. ; onde è chiaro die per imo studio completo «Ielle origini della leggenda e delle sue prime fonti occorre tener conto delle pubblicazioni relative a tutte queste versioni. Tra esse merita uno speciale rilievo il poderoso studio dello scrittore ungherese Katona, il quale in un volume sulla leggenda di S Caterina, edito a Budapest nel 1903 (■«) a cura dell’Accademia d’Ungheria, oltre ad un interessante studio comparativo delle più antiche redazioni italiane e francesi, pubblica tre versioni latine complete della leggenda, ricavate da codici delle biblioteche di Cracovia, Budapest e Monaco di Baviera. Tra le conclusioni, cui arriva il Katona nel suo studio, ignorato completamente dal Mannucci (che scrisse un anno dopo) e quindi dal dOttone, vi è questa contro i! V'arnhagen, che la redazione francese è anteriore alla veronese (°) Recentemente i* stata ripubblicata da P. Tito da Ottone, ο M c in La Leggenda di Santa < aterina Vergine <· Martire di Alessandria (Genova Tip Derelitti, 1040). Duole che in uno studio diretto a raccogliere le peculiarità genovesi del culto e della leggenda della Santa Alessandrina, non sia neppur citato il volgarizzamento genovese della Passio (ricalcato sicuramente sulla Lcf/genda Aurea), clic trovasi in un prezioso codice agiografico della Biblioteca delle Missioni Urbane di S. Carlo, di Genova. La pubblicazione di tale volgarizzamento sarebbe stato certamente molto più adatta, nel volume del P. da Ottone, che non quella del volgarizzamento toscano già edito dal Levasti (I0) Katona. Lajos, Alexandrin Szent Katalin Legendùja Kòztpliorì irodai-munkban. Budapest, 1903. 160 ANDREINA BAGLIO e che ambedue provengono da un codice latino sconosciuto, il che del resto si ricava dalla stessa versione francese, nella quale dice il poeta, come giù notò lo Knust, di avere attinte le sue notizie in un Passionale della chiesa di S. Silvestro in Roma. Stando cosi le cose, e benché non si possa ancora assolutamente sentenziare sulla priorità o meno della redazione veronese su quella genovese deirAnonimo, è ovvio che la fonte di ambedue dev’essere stata la stessa, dato anche che esse si accordano fra loro in alcuni particolari, e quindi che verrebbe a mancare nell’Anonimo 11011 solo originalità d’argomento, ma anche quella peculiarità che gli si vor-rebln* da taluni attribuire di essere stato il primo a unire in 1111 unico componimento le due parti della leggenda. (Vegli possa tuttavia aver unite, in questa sua composizione, doc* parti separate della ·« conversio » e «Iella « passio » non sarebbe completamente da escludersi, se si nota il modo come il Poeta innesta la seconda alla prima; ma si tratterebbe qui non di priorità «lì fusione, ma di semplice inabilità personale nel Coperà ria. Mi sembra, infatti, ch’egli non sappia eliminare qualche ripetizione che nuoce all’unità artistica del componimento. Così, le lodi invocative alla Santa, invocazione iniziale comune di tutte* le agiografie, espresse liti dal primo introdursi nel l'argomento, vengono ripetute con paroi·* talora diverse, ma pressocdiè medesime nella sostanza, la do\e «•gli invita i suoi ascoltatori a udire « Γ istoria chi ven a presso ». (t)A il Poeta aveva detto, per esempio, che la Santa era «li «liciotto anni, figlia di re Costo, e ni celebre in dottrina «* bellezza ecc— tutte «os«* rese note antecedentemente al lettore e quindi non necessarie nel preambolo della iuirnizione seguente. Il <»eno\ese^ potrebbe, del resto, a quel ch’io penso, aver avuto «ott occhio, all atto della sua composizione piti testi o un unico testo riproducente già completa la leggenda, divisa in capitoli secondo gli argomenti, divisione di cui egli non seppe forse far completamente scoinpaiiie le tracce, quando restringeva i concetti mettendoli in versi in un unico componi mento, come altri poeti meglio riuscirono. Esaminando sempre la versificazione del Nostro, non trovo, infine, come si possa affermare col P. «l’Ottone che vi sono « caratteri «li pretta genovesità ». Dove trova «*gli che la» redazione del genovese a assume una proporzione, 1111 colorito e un senso così realisticamente genovese »? (**) Tutti sono «I accorilo nell affermare che ΓAnonimo è spiccatamente genovese nelle rime didattico-civili, storiche e in qualche altra, ma quanto al voler trovare la genovesi tà nelle rime religiose, direi al contrario, dopo questo mio studio, che il Poeta perde proprio in esse la sua personalità. Anche nella com^ positione ili S. Caterina non saprei dove notarla, a meno che si 11 Op. rii., pag. 44, 45. LA POESIA RELIGIOSA DELL*ANONIMO GENOVESE 161 voglia intendere per tale genovesità, il semplice fatto di averla scritta. l’Anonimo in genovese e di rivolgersi con essa al suo popolo. Ma altro è usare nella poesia il linguaggio volgare, altro mostrare i caratteri peculiari del genovese. Consideriamo ora la composizione ri. XVI, il « Planctus Beatac Mariae Virginis » ispirato al « Tractatus de planctu Beatae Mariae » dai più attribuito, e dal Nostro stesso, a S. Bernardo di Chia-ravalle, vissuto tra il 1091 e il 1153. Questo Tractatus fu certamente assai letto e conosciuto nel medioevo, poiché servì indubbiamente da fonte a numerosissime versificazioni italiane, nonché ad alcune francesi e provenzali, e fu pure volgarizzato in prosa. Anche per questo Planctus dirò che ben poco di originale si deve attribuire al Poeta, essendo esso una specie di riassunto in versi, a volte molto conciso, e a volte più particolareggiato, e molto simile persino nelle parole, alla prosa latina che servì, da fonte. Tutto il lavoro del nostro Genovese si limita a restringere alcuni concetti più estesi e lungamente trattati nella prosa, o qualche volta ad escluderli; ad accoglierne altri quasi integralmente, o a modificarli con qualche consimile espressione. La medesima abilità compositiva, ed il medesimo modo di versificare, già notato nelle altre sue Rime. 1 versi 1-40 del Nostro s’ispirano alla bellissima prolusione con cui Fautore del Tractatus inizia, il Plancius, invitando i fedeli a piangere con lui la Passione di N. S. Gesù Cristo e i dolori della celeste Madre. Ma i versi del Poeta non hanno nè la finezza, nè la profondità delle belle espressioni di questa prosa e avvicinandosi qua e là nel concetto, solo in alcuni luoghi conservano corrispondenze più dirette. Dal v. 40 al v. 473 è contenuto il Planctus della Vergine narrato, come nella prosa omonima, dalla Madonna stessa allo scrittore, nel quale si riferiscono tutti gli episodi della Via Crucis della Crocefissione e della Deposizione. La corrispondenza quasi diretta nei versi del Nostro con la narrazione del Tractatus, si riscontra massimamente nei particolari narrativi di questi episodi, mentre nella parte lirica di effusione del pianto della Vergine, ove la prosa si dilunga ad esprìmere tutta la profondità del dolore, il Poeta genovese ama per lo più restringere i concetti, accettandone solo i principali, raccogliendo e mettendo insieme e a volte abbastanza abilmente, quasi lavoro di paziente mosaico, le frasi più caratteristiche. Manca completamente nella composizione dell’Ano-nimo la risposta bellissima e nobilissima di Cristo alla Madre, con cui la consola facendole riflettere che la sua morte è voluta dal Padre, le ricorda la sua missione nel mondo, e concludendo afferma che la morte di uno darà la vita a tutti. Concetti e parole profonde che S. Bernardo scrive, ed il Genovese invece tralascia. ,2) Cfr. W. Mushackk, I Hprovenzalischcn Maricnklaoe. Pes. ìli jahrunderts, in « Romanische Bibliotek », 1921. Halle, vol. IV. ANDREINA MAGLIO lo credo che questo ci riveli appunto la maggior difficoltà incontrata «lai Poeta nel mettere in versi parole e concetti astratti, difficoltà che noi 11011 rileviamo in altri Planctus, pur da questa prosa derivati. La versificazione provenzale (12), ad esempio, è molto più fedele al Tractatus e mantiene maggior equilibrio nelle sue piirti sia liriche che narrative. Al v. 474 ha inizio la preghiera finale con cui {'Anonimo chiude anche il Planctus, preghiera che troviamo pure nella prosa latina in questione, ma qui espressa in pochi versi ed in modo del tutto libero, sicché potremo definirla tutta diversa da quella della fonte, menti**essa è assai simile, avente persino i medesimi concetti di chiusura finale, a quelle con cui il Poeta termina solitamente altre sue Rime. Anche per questo Planctus, dunque, si potrà affermare la completa mancanza originale «li concezione e la mediocrità della composizione. La stessa critica, o quasi, finora fatta per le composizioni del 11 gruppo, si potrà estendere a quelle del terzo, che dissi trattarsi di parafrasi. La ri. VI è realmente una parafrasi della preghiera cristiana del Miscrm, del salmo 50 di David. Il Poeta, quasi con le stesse parole del Salmista, solamente dove più, dove meno liberamente ampliate, invoca, pentito dei peccati e commosso, la misericordia ed il perdono dalPAltissimo. Ho confrontato passo passo la composizione volgare del Geno-vese con i corrispondenti versetti del Salmo. Identico è il susseguirsi dei concetti nel loro svolgimento e persino assai spesso nell'espressione. Solo qualche ampliamento libero qua e là senza 1111 ordine fisso nelle strofe, come invece noteremo nella composizione latina Vili, ove ogni verso del Salmo parafrasato, occupa il quarto verso; tal chè si potrebbe anche chiamare questa composizione poetica una versione libera in volgare del detto Salmo. La novità qui introdotta riguarda l'intromissione — dal v. 45 all 80 — della spiegazione delle virtù delPisopo e della neve, dedotta da altri scrittori ecclesiastici e probabilmente da S. Gregorio, ricordo suscitato al Poeta dal versetto S" del Salmo: Asperges me hi/ssopo et mundabor: lu rati tu me rt super ni rem tlcalhabor »». Al v. 81 si riprende la parafrasi del Salmo che negli ultimi quattro versi termina con quella breve preghiera del Gloria. Li composizione ri. XIV ci offre una lunga parafrasi dei dieci comandamenti, la quale può unirsi alla serie delle altre numerose versificazioni italiane e straniere su tale argomento. K interessante osservare che la forma compositiva ed espressiva di questa parafrasi genovese ha molta affinità con quella comunemente usata dalle prose dei trattati contenuti in quelle raccolte medioevali dette 1 Summae ». L’Anonimo procede, infatti, con quella famigliarità narrativa, amante di porre alla considerazione del let V i LA POESIA RELIGIOSA DELL’ANONIMO GENOVESE 163 tore e
  • libe in Francia ed in Provenza, prima ancora che in Italia. In Provenni ricordiamo che fra gli stessi poeti trovadofici della poesia d’amore cortese, quasi completamente aliena dal sentimento sacro, sorse la lirica religiosa, opera a volte sincera e spontanea di trovadori convertiti, opera a volte fredda e convenzionale, ma sempre creata da un unico scopo, quello ili voler rivestire anche questo tipo di poesia delle forme poetiche dell’arte e di perpetuarla. Ecco jMTchè noi troviamo in Provenza esempi bellissimi persino «li Albe religio**, in cui il soggetto profano si trasforma in un canto liturgico del mattino, in alba simbolica; ecco perchè anche tra i poeti francesi di lingua d’oil. che gareggiavano, nel comporre artistiche LA POESIA RELIGIOSA DELL’ANONIMO GENOVESE 165 preghiere, inni e parafrasi delle orazioni ecclesiastiche, con i poeti occitanici, noi troviamo persino un’originale pastorella religiosa attribuita-a Gautier de Conci, e dagli uni e dagli altri la Vergine, tema preferito di tutti i lirici religiosi, è a volte ancor invocata con la forma d’arte e lo spirito derivato dalla poesia liturgica cristiana, a volte invece con la forma d’arte e lo spirito della poesia profana cortese che, umanizzando il divino trasformava la Madonna in una dama, e accostava la devozione dell’orante alla fedeltà del cavaliere. Neppure sotto questo riguardo, con la lirica trovadorica religiosa italiana, in Liguria stessa così nobilmente rappresentata dall’elegante Lanfranco Cigala, ha rapporti la lirica del Nostro, troppo semplice, primitiva, rozza per potersi dire influita da quella che, al contrario, si mostra sempre raffinata, aristocratica e dotta. La poesia religiosa del Genovese è quindi indipendente da ogni artistica imitazione; con essa il suo cantore non s’inserisce in un determinato numero <1 i poeti, seguenti uno speciale indirizzo, ma so- lo si rende utile al popolo, a quel suo popolo che più facilmente poteva apprendere ed ascoltare quelle pie preghiere o quelle sacre narrazioni dalla bocca di un suo rimatore, che usava facili modi espressivi ed il suo stesso linguaggio, anziché dalla lettura delle pagine latine dei dotti, o dai versi dei poeti francesi e provenzali, sopratutto di quelli che comunemente non componevano per il volgo. (Continua) Andreina Daglio » UN BASSORILIEVO DI AGOSTINO DI DUCCIO A lJON TREMOLI Sul terzo altare a sinistra «li ehi entra nella chiesa «li S. Fran-••esco ili Pont remoli si ammira un’opera «li scultura «li rara bellezza, elie rapi»resenta la Madonna eoi Bambino. Si compone «li ilue pezzi : «li un bassorilievo, in marmo bianco, della Vergine, in mezza figura, seduta su «li uno scanno «lei «piale si vede il ricco bracciale «li sinistra; e «li una figura, pure in marino, «lei Bambino, nudo, adagiato- su alcuni euseini, scolpito in tutto tondo, pezzo posto orizzontalmente alla base del primo, sulla mensola della nicchia, alla quale si trova unito con arpioni «li rame. I«a Madonna» è delicatamente modellata, con facilità ed eleganza, rilevata, con grande pastosità, levigata e lustra, su un fondo verde scuro «li Prati». Mirabile la testa, un po’ inclinata a destra, coperta ilei manto e «li un lieve velo, ricadenti in morbide pieghe, che lasciano scoperti i capelli, spartiti sulla fronte e leggiadramente ondulati. Il viso giovanile, «li un ovale «li purissima linea, squisitamente lavorato, è pieno di graziai serena. Le mani eleganti, dalle dita lunghe, tini, curvate, si staccano in tutti rilievo: la dritta stringe al petto 1111 libro chiuso: l’altra, distesa, sta in atto «li accennare al flambino, al quale pure paiono rivolti gli occhi 1111 poco abl»i ssa ti. I na cornice, terminata a centina, contornai Piiumagine, e su «li essa si ammira una serie «li mirabili testine «li angeli, con le ali ripiegate a serto, che aggiungono, con la varietà delle posizioni, delle fìsonomic, «lei sorrisi, nuova grazia al Patto gentile della Vergine. II Bambino, invece, anche per la di versai qualità del marmo, pare quasi nn’aggiunta d'altra mano, d'esecuzione impacciata, «li 1111 realismo ingenuo nei particolari, osservati, certo, con molta delicatezza, ma espressi senza agilità e«l eleganza. La pregevole opera «Parte, per quanto apprezzata, 11011 aveva nel passato, attirato, come meritava, l’attenzione degli studiosi. Non ricordata» dai cronisti, fu trascurata non solo dagli scrittori «li erudizione locale come X. M. Bologna, Kepetti, Sforza e. UN BASSORILIEVO DI AGOSTINO DI DUCCIO A PONTREMOLI 167 recentemente, P. Ferrari, ma dagli stessi cultori di studi d'arte quali il Gargiolli e il Campori : anche Pietro Bologna, nel suo amoroso volume dedicato alle cose d’arte pontremolesi, non scrive altro di questo marmo se non che è un’opera pregevolissima d’ignoto scultore del -sec. XV (*). L’attribuzione del marino allo scultore fiorentino Agostino di Antonio di Duccio (1418 +tra il 1481 e 98) si deve al cav. Guido Carocci, il quale come Ispettore dei Monumenti, lo descrisse nella scheda dell’ufficio regionale per la Conservazione dei Monumenti, compilata il 15 luglio del 1895, e ne mise in evidenza il notevole valore artistico e la rarità, e, successivamente, nel 1897. curò che ne fosse rinforzata la muratura (a). Nè Tatt ri Unzione fu più discussa, ricordando i tratti più originali della scultura alcuni dei ben noti caratteri dell’arte di Duccio, quali le curve delle pièghe delle vesti, le forme eleganti delle mani, gli attggiamenti delle testine degli angeli, ecc. La stessa apparente sconcordanza tra lo stile del bassorilievo e quello della statua del Bambino ne può, anzi, essere una conferma, perchè, secondo ha dimostrato il Venturi, nel tutto tondo Agostino perdeva la spigliatezza e l’eleganza che gli erano così facili nel bassorilievo, come si può, p. es., osservare nella statua del S. Geminiano di Modena, dove, specie nel viso, è evidente l’impaccio dell’esecuzione, e nelle statue dei santi delle edicole nella facciata di S. Bernardino di Perugia (*). Ma sebbene in tal modo il marmo venisse messo in luce come una delle più belle opere di quel singolarissimo artista che ha lasciato le sue sculture più caratteristiche nella chiesa di S. Bernardino di Perugia e specialmente nel tempio malatestiano di Rimini, e delle pochissime che si possono ammirare fuori di quelle due città tuttavia continuò a rimanere così poco conosciuto eia non essere neppure ricordato, 11 anni dopo la compilazione della scheda, nel VI volume della storia dell’arte di Adolfo Venturi, dove, nel cap. IV dedicato ai donatelliani, tante belle pagine trattano, con spirito di rivendicazione, della vita e delle opere di Agostino di Duccio. Tali dimenticanze venivano messe in evidenza da Giovanni Pog- (!i Pietro Boi/Kìna, Artisti e cose d'arto e di storia pontremolesi, Firenze, 1898, p. 56. Per la bibliografìa degli altri autori citati si rimanda, per brevità, all’importante voi. di Pietro Ferrari, La chiesa e il Convento di S. Francesco di Pontremoli, Pontremoli, 1926, passim, specialmente nelle note. (2) Intorno ad \postino di Antonio di Duccio cfr. Adolfo Venturi, la scultura del quattrocento, Milano. 1908, pp. 388406. 11 .Carocci compilò la scheda descrittiva del boss. quale Π. Ispettore dei Monumenti e Scavi della Sovrintendenza di Firenze, il 15 luglio 1895, scheda che si trova ora presso la « R. Sovrintendenza ai monumenti «li Pisa. (3 Cfr. Venturi, op. cit., pp. 301-2 e 402; e G. Bertoni, Atlante Storico artistico del lumino di Modena, Modena, 1921, p. XXI. n. 3. 170 MANFREDO GIULIANI della sua casa, oggetti d’arte, libri, quadri e sculture: non vi sarebbe perciò nulla di inverosimile nel supporre che egli abbia ordinata o acquistata la Madonna a Firenze, o durante o dopo la costruzione della cappella. Per le sue mansioni di diplomatico, aveva frequenti necessità di fermarsi a Firenze, che era uno dei più importanti centri politici italiani, dove appunto aveva fatto acquisto di una casa, e dove si ha notizia che si trovasse nel 1446-50, nel -53, nel ’54 e nel ’55-70 (8). Ma tale ipotesi, se può trovare qualche fondamento di verosimiglianza nelle ricordate circostanze e, specie, nel rincontro di certe date, non può dall'altra parte essere rincalzata da prove specifiche, dirette o anche indirette, perchè, come si è detto, manca ogni sorta di ricordi, remoti o recenti, relativi al marmo, alle sue vicende e alle ragioni della sua presente situazione (9). Con maggiore sicurezza, invece, si può tentare una più accurata determinazione della attribuzione della scultura, mediante l’esame e la valutazione accurata di ogni elemento che possa concorrere a fissare, se non proprio la data, almeno il periodo presumibile della sua esecuzione. Il Poggi, nello scritto citato, ritiene che il bassorilievo si possa assegnare al periodo giovanile dell’arte di Agostino, anteriore alla sua andata a Bologna, dove, come è noto, lo scultore fiorentino si recò nel 1463 per eseguirvi il modello della facciata di S. Petronio. Ma è una indicazione un po’ troppo indeterminata, e bisogna risalire anche al di là del 1447, e, cioè, a prima dei lavori nel tempio malatestiano di Rimini, che fu decisivo, per l’influenze subite e Fesperienze tentate, allo sviluppo di certe caratteristiche dell’arte di Agostino, e ritornare al periodo veramente giovanile, fiorentino, se non si vuole rimettere in discussione l’attribuzione. Infatti se il bassorilievo di Pontremoli ricorda alcuni elementi stilistici delle sculture di Rimini e di Perugia, manca poi dei loro tratti più caratteristici, e, cioè, di quello spirito classico, di quell'estro di paganità, di quella vivacità (li influenze neoattiche, che rendon inconfondibili le figure di Rimini, nelle quali i movimenti dei veli e le agitate curve delle linee hanno fatto pensare, come osservò acutamente il Venturi, ad una anticipazione di esuberanze secentesche, che trovarono limiti e freni nel gusto del rinascimento. Ma poiché la scultura di Pontremoli è già lontana dalle sculture di Modena (1438-35), si può perciò pensare a collocarne l’esecuzione 8) Cfr. P. Ferrari, Inventari di oggetti appartenenti a N. T r incadi ni y nel (nomale Storico della Lunigiana », A. VI, specialmente a pp. 106-8-11 e passim. (9) Si accenna al marmo, come esistente all’altare della Visitazione, dove tutt’ora si trova, in un inventario della Chiesa, del 1716, con queste parole : Quadro con la Vergine e il Bambino Gesù di rilievo » (Cfr. Bologna, op. cit., p. 59;. 9 UN BASSORILIEVO DI AGOSTINO DI DUCCIO A PONTREMOLI 171 tra questa data e quella dei lavori di Rimini, 1447, tra i 25 e i 30 anni della vita di Agostino, periodo che comprende il tempo del soggiorno di Firenze e della fuga a Venezia, dove si recò nel 1440, quando lu cacciato col fratello Cosimo dalla città nativa. Il Venturi, esaminando, a proposito di Donatella e dei Donatelliani a Venezia, gli angioli del noto paliotto dell’altare della chiesa dei SS. Gervasio e Protasio, ripensava alla mano di Agostino, e notava appunto che l’arte ducciana di questo periodo, rispetto al periodo successivo di piena maturità dove prevale lo spirito del rinascimento, è ancora primitiva pei· maggior equilibrio e maggior misura nell’ondeggiamento dei veli (,0). Anche nel bassorilievo di Pontremoli si. notano gli stessi caratteri di semplicità, di equilibrio e misura nel trattamento delle pieghe delle vesti, e, inoltre, elementi arcaici, come gli effetti pittorici ottenuti con la commistione di marmi, quali il fondo verde di Prato sul quale spicca il bianco levigato rilievo, e la coloritura degli occhi (n). Che se tratti di sincerità primitiva, atteggiamenti fiorentini, elementi arcaici, perfino qualche movimento gotico ritornano anche nelle opere della maturità di Duccio, tanto che dal Venturi sono stati rilevati anche nelle sculture dell’altare di S. Domenico di Perugia (lavorate dal ’59 in poi), e nella Madonna col bambino e angeli del Museo Nazionale di Firenze (’G6), tuttavia essi sono sempre associati a stilizzazioni neoattiche, cioè ad elementi di maniera comparsi fissatisi dopo la nuova esperienza stilistica di Rimini. Ora, il carattere distintivo della Madonna di Pontremoli è appunto l’assenza di tali elementi di maniera: vi si ritrova, invece, lo spirito ancora tutto fiorentino con una grazia primitiva di espressione che non si riscontra più nelle altre opere di Agostino. Çon molta finezza di osservazione il Carocci notava l’ecceziona-lità di quest’opera rispetto all’arte ducciana, eccezionalità che, qualora non si spieghi come dovuta a un’ora straordinaria di grazia nel felice momento di conclusione del periodo giovanile del Duccio, potrebbe far sorgere qualche dubbio che si tratti di opera sua : il critico fiorentino, infatti, nel descrivere il marmo, notava che la testa della Madonna « è di una bellezza e di un pregio di modella- (i0) Venturi, op. cit., p. 469. (n) Il fondo verde di Prato, a quanto si può vedere osservando le sgretolatine, non pare veramente di marmo, ma di formelle commesse di una. sorta di stucco. Come è noto, Agostino, oltre che in marmo, lavorava anche in terracotta e in stucco. Le fotografìe, che si pubblicano col gentile consenso dell’autore, sono abilissima opera del signor Agostino Orioli di Pontremoli, che molto ingegnosamente è riuscito a cogliere nitidamente la sigla sul bracciale del polso della sinistra della Vergine. 172 MANFREDO GIULIANI zione e di esecuzione che vince, per vero dire, ogni altra opera dì quell’artista ». Ma l’attento esame di ogni parte del marmo inette in evidenza un particolare che potrebbe aggiungere una prova oggettiva tale da rimuovere ogni dubbio sulla attribuzione. I polsi della Madonna sono cinti da bracciali sui quali corrono .alcuni segni in forma di fregio. Nel bracciale del polso della mano sinistra questi segni si presentano in modo più rilevato e netto, tanto*che, esaminati da vicino, fanno pensare ad una sigla. Il gruppo dei segni centrali del fregio, che pare messo intenzionalmente in evidenza, si presenta come un nesso di tre lettere, di forma un pò arbitrario e goticheggiante, che compongono un AVG. Lo scultore fiorentino era solito firmarsi col suo nome latinizzato in vari modi: Opus Angustimi fiorentini lapicidae, ovvero Augustinus de Florentia,, od anche, semplicemente, A.F. Non sarebbe dunque affatto strano che avesse incluso nel bracciale, a guisa di fregio, l’abbreviatura del suo nome. Espedienti simili non sono davvero insoliti nelle firme degli scultori e pittori. Le decorazioni degli orli delle vesti con fregi che sembrano lettere è un motivo non infrequente nelle sculture dello stesso Agostino, e specialmente in quelle di Rimini, nelle quali, evidente effetto delle influenze ellenistiche, i segni che, nella seul tura di Pontremoli, hanno tratti di lettere goticheggianti, prendono, invece, l’apparenza di lettere greche, come, del resto, si è tentato di dimostrare. Una delle figure di Rimini la Rettorica, mostra appunto nelle vesti un particolare che richiama quello della Madonna di Pontremoli, giacché nell’orlo delle maniche porta alcuni fregi in forma di lettere. Ma se di questa maniera di fregi Agostino abbia inteso di valersene ingegnosamente per comporre iscrizioni, come è stato sostenuto, e, nel caso della Madonna di Pontremoli, per tracciare, come pare, la sua sigla, potranno decidere gli intendenti. Manfredo Giuliani I DANNI CAUSATI ALL’ARCHIVIO DI STATO DI GENOVA DAL BOMBARDAMENTO NAVALE INGLESE DEL 9-2-1941-XIX Gli archivi genovesi già così duramente provati nel corso (lei secoli da guerre, sommosse, incendi e asportazioni, e specialmente dal bombardamento francese del 1684, che danneggiò in partico-laie I Archivio notarile, non sono stati risparmiati dal bombarda -mento navale inglese del 9 febbraio scorso, durante il quale è stato colpito in pieno PArchivio di Stato nella sua vecchia sede del Pa-lazzetto Criminale da un proiettile da 381, che, abbattutosi sulla parte più elevata dell’edificio, la così detta torretta, scoppiava producendo larghi squarci nei muri e facendo crollare parte del tetto, i soffitti di parecchie stanze e l’intera scala della torretta alta otto piani. Danni rilevantissimi che sono in corso di avviata riparazione per l’opera pronta e solerte del Genio Civile. Quanto ai danni subiti dalle carte, anzitutto è a dirsi che fortunatamente essi, rispetto alla gravità del colpo ed alla vastità del danno arrecato all’edificio, furono relativamente circoscritti, perchè dei locali colpiti quelli che erano adibiti alla conservazione degli atti e nei quali filze e volumi andarono anch’essi travolti nella rovina sfasciandosi in gran parte e riducendosi a mucchi di carte che, assieme alle superstiti filze e volumi, sono state tutte accuratamente ricuperate e vengono ora gradualmente ricomposte, furono soltanto tre e precisamente due stanze e i vani della scala interna della predetta torretta. Circa la natura e l’importanza delle serie d’archivio in tal modo colpite e l’entità dei rispettivi danni è da osservarsi che delle due predette stanze conteneva l’una atti (escluse le sentenze conservate in volumi a parte altrove) di cause civili, dei quali se non le intere buste sono rimasti integri nella maggior parte i rispettivi fascicoli, del Senato o Corte d’appello di Genova della prima metà del secolo scorso, per loro natura di prevalente e limitato interesse pratico-giuridico superato anch’esso del resto iu gran parte dal \ ITI » DANNI CAUSATI ALL*ARCHIVIO DI STATO DI GENOVA ECC. decorso ilei tempo, mentre nell'altra stanza si conservava un vasto complesso di carte, risalenti al secolo X\ , di provenienza «la lami glie genovesi esercenti nella maggioranza traffici e commerci, da open* pie e da enti religiosi (chiese e monasteri) e costituite prevalentemente da libri di amministrazione, scritture contabili e da altre evidenze e carte patrimoniali, le quali in complesso comprendevano circa 2000 filze e volumi di cui fortunatamente sono stati ritrovati illesi oltre la metà. All epoca alquanto più remota risale il materiale archivistico «he si trovava collocato nell'ultimo dei predetti tri* ambienti, perché, oltre alla serie degli atti dei Consoli della Ragione e dei Collegi ilei Notei, dei Dottori e dei Causidici dei secoli X\ 1-X\ III ricuperate quasi integralmente, comprendeva anche 1 importante^ e vasta meco)ta di 191 buste e filze dei così detti « Notai ignoti », risalente alla fine del secolo \II e così chiamata perdu· costituita dalle ricuperate e ricomposti* carte e togli di quei registri e filze notarili che nel «‘orso ilei setoli erano stati per varie vicende e specie in conseguenza del ricordato bombardamento francese del 10S4, tal-utente scomposti e danneggiati da non potersi più identificarne lo scrittori*. I>i tale preziosa raccolta, che |h*i* iiii fatale ritorno storico, è stata così «li nuovo colpita, la parte piti antica era stata pero posta al sicuro fuori dWrchivio fin dal principio «Iella guerra e di quella rimastavi e travolta nella rovina solfatiti» un certo numero «li li tee «lei secolo \ IV risultali*» ma fica liti, ma si spera^ di Isterie ricostituire con le carte e i f«»gli in gran parte ricuperati. F. P. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Carlo Bornate, Genova e Corsica alla fine del medio ero, con prefazione di Gioacchino Volpe, Istituto per gli studi di politica internazionale, 1940. Fare la storia di un popolo non vuol dire soltanto approfondire lo studio di avvenimenti, episodi, personaggi che in essa più emergono fermando maggiormente la nostra attenzione. Figure minori, periodi meno appariscenti hanno pure valore ed importanza per la più sicura e precisa comprensione storica, anche se questa, per avventura, non ne guadagni in prospettive impensate e non ne esca illuminata da nuove luci rivelatrici. Questo si può osservare a proposito del recente libro di Carlo Bornate sulla Corsica. Libro obbiettivo coscienzioso equilibrato. Equilibrato nei giudizi spassionati e nella trattazione, che ci nasconde sotto la sua scorrevolezza un lavoro non facile di scelta, di coordinamento, di elaborazione, quale TAutore ha dovuto compiere per dare ordine e forma alla congerie confusa di fatti da lui tratti pazientemente da innumerevoli documenti di archivio. Il libro ha piena aderenza alla realtà della vita che ritrae e perciò è anche interessante; e quella stessa non infrequente citazione dal documento, lungi dal pesare, dà all’esposizione un sapore di verità ed un senso di fedele rispecchiamento. Il Boriiate tratta dunque di un periodo di storia còrsa su cui cronisti e studiosi non hanno scritto che poche righe, ricavando egli tutte le notizie direttamente da otto voluminosi registri del-l'Archivio di Stato in Genova contenenti la corrispondenza del Γ« Officili in super rebus Corsice». (Ìli anni a cui si riferiscono le sue ricerche sono quelli clic» vanno dal 1490 al 1500. La Coreica era ritornata dal 1483 sotto il governo del Banco di S. Giorgio. Gian Paolo da Leca dopo la sua nuova ribellione si era rifugiato in Sardegna (1480) e l’isola era stata pacificata dal Commissario Ambrogio Dinegro e dal capitano generale Filippino Fieschi. Al di là dei monti era rimasto nella terra dei Signori, e fra essi il più potente, Ranuccio della Rocca, ambizioso, vivamente contrastante con Alfonso di Ornano, in ubbidienza sempre precaria al dominio del Banco, che diffidente lo blandiva pur spiando ogni sua mossa. 176 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Non era questa‘però la sola preoccupazione dei Protettori di K. Giorgio, la cui politica tendeva sinceramente ad assicurare la tranquillità delle popolazioni e la sicurezza del dominio contro tante insidie interne ed esterne. Opera non facile per se stessa ; ma resa anche più ardua dalla mancanza di continuità nell’azione esecutiva per il frequente avvicendarsi delle cariche tutte, dal Governatore ai podestà e agli uffici minori. A tale inconveniente, connaturato con la struttura stessa dello Stato repubblicano, riparava in parte il Banco con l’istituzione dell’« Ufficio per gli affari di Corsica » (1440), destinato a mantenere una più efficace unità d’indirizzo. Le competizioni e le rivalità sempre rinascenti, le mene dei fuorusciti, gli assalti dei pirati, i disordini religiosi con la relativa corsa all’accaparramento dei benefici ed i litigi per decime e dispense, la rozzezza e la povertà della vita isolana, erano altrettanti problemi forse superiori secondo l’Autore alla capacità politica di mercanti che, anche se 11011 privi di energia e di buona volontà, finivano per 11011 essere in grado di giungere a radicali soluzioni. All’azione del potere centrale due elementi essenziali di collaborazione venivano meno : quello morale ecclesiastico, vivendo i vescovi lontani dalle diocesi ed essendo il clero corrotto ed incurante; e l’altro di più diretto rapporto costituito dai vari funzionari 11011 sempre all’altezza del loro compito per correttezza e capacità, 11011 ostante richiami, sindacamenti e sanzioni. Tipica figura di affarista, ad esempio, fu Domenico Negrone, prima Commissario e poi deposto dall’ufficio, cittadino privato, suocero di Vincentelld d’Istria», avido affittuario del vescovato di Aiaccio, intrigante senza scrupoli, più volte in questo periodo oggetto di riprovazione da parte di S. Giorgio, finché verrà espulso dall isola. La solerzia del Governo è comunque innegabile. Fra le sue precipue cure vi era quella della difesa militare, per cui si muniscono le fortificazioni esistenti e si costruiscono il nuovo castello di Cahi e la fortezza di Aiaccio. Neppure era tralasciato ogni sforzo perchè fosse assicurata all’isola buona amministrazione e giustizia pionta ed imparziale per il suo maggior benessere. Tuttavia sempre nuove ragioni di inquietudine sorgevano, 111-fiuendo su «li esse anche gli avvenimenti estèrni di straordinaria importanza. Così la venuta di Carlo Vili in Italia fece nascere folti Umori 'Ίη· anche la Corsica potesse essere turbata. Gian Paolo da Leca costituiva dalla Sardegna una continua minaccia e i fuorusciti còrsi e genovesi al servizio di Alfonso II di Napoli avrebbeio senza dùbbio cercato di approfittare della guerra imminente per il raggiungimento dei loro fini. Genova, quartier generale dell’armata francese, era divenuta un perno della lotta. Si temeva che la flotta napoletana muovesse contro l’isola; essa venne invece a Portove-nere; più tardi fu a Rapallo e sbarcò milizie con i fuorusciti geno- RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 177 vesi, che furono affrontati e vittoriosamente respinti, mentre lo svolgimento ulteriore della spedizione francese allontanava definitivamente il pericolo dalla Corsica. Ma qui le discordie interne ripullulavano incessantemente e più gravi quelle fra le case della Rocca e d’Istria e fra Ranuccio e Al- • fonso dOrnano. Il governo del Banco, sempre animato da buone intenzioni, cercava come meglio poteva e secondo le circostanze glielo permettevano, di ricorrere ad atti ora di energia ora di indulgenza per dominare la situazione sempre difficile ed intricata. Nel novembre 1494 accorda il rientro nell’isola a Guglielmo d’Or-nano, il Bastardelle ; ed ecco poco dopo, con la connivenza di costui e per opera dei bastardi di Yincentello di Bozi, l’assassinio di Alfonso dOrnano, fedele feudatario, della cui famiglia S. Giorgio assume la tutela proponendosi la punizione dei colpevoli. Yincentello si affretta a professarsi innocente ; Ranuccio della Rocca per contro non può celare la sua soddisfazione, ma finirà per mostrare il proprio ravvedimento riconciliandosi con Yincentello d’Istria ed accogliendo, peraltro con poca sincerità, le sollecitazioni contro i ribelli Ciamannacci, rientrati furtivamente in Corsica a dispetto del governo. Assiduo sempre l’intervento dei Protettori in tutte le questioni vitali dell’isola. Abusi vengono combattuti ovunque*: nel campo ecclesiastico, dove la politica del Banco mira ad assicurare ai Genovesi i vescovati ed ai Còrsi fedeli tutti gli altri benefìci; nel campo economico con i provvedimenti, ad esempio, per il commercio del grano e per la· pesca del corallo, che tanta importanza assume mentre in Genova l’arte dei corallieri ottiene riconoscimento ufficiale; nel campo amministrativo mediante il controllo, spesso purtroppo con risultati insufficienti, sull’opera dei vari funzionari. Anche i propositi contro i ribelli vorrebbero essere severi; ma i Protettori finiscono per cedere forzati anche dai grandi avvenimenti politici del tempo (formazione della lega contro Carlo VIII, battaglia di Fornovo) ; mentre d’altra parte l’indulto generoso verso i Ciamannacci favorisce la sottomissione di altri insorti, senza però che si risolva il problema dei fuorusciti dei banditi e di molti altri disordini interni. Se infatti i Protettori nel 1496 venivano rallegrati dal ricupero di Sarzana, amarezze continuavano ad avere dalla Corsica : risse, gare per i benefici, lentezza nei giudizi, sentenze non eseguite, ricorsi. Ma è pur evidente la loro ferina volontà di ristabilire l’ordine, la pace, l’autorità del governo. Ecco quindi la pronta revisione dei «Capitoli» del 1453; le rinnovate misure per la difesa dell’isola·; le eterne minacce per le non meno persistenti malefatte di Domenico Negrone; la lunga pratica del sindacamento che il nuovo / 178 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Governatore, il giureconsulto Raffaele Oddone, con i sindacatori genovesi e còrsi conducono contro l’amministrazione precedetne, sia pure con eccessiva fiacchezza e non troppa soddisfazione dei Protettori. Una delle piaghe più sconce che S. Giorgio cercò invano di sanare, rimaneva quella dei benefici ecclesiastici, che il Banco voleva riservati ai Còrsi suoi amici, e a cui caporali del l’isola, prelati forestieri e ufficiali del governo, fra cui talvolta persino il Governatore, aspiravano in gara per propri congiunti, piaga che si confondeva con quella del clero còrso avido, ignorante, rissoso. Così pure mali insanabili erano quello dei pirati, favoriti dalle vicende della guerra nonché da qualche signorotto come Giacomo da Mare di Capocorso: e l’altro ancor più grave dei banditi. Soffocare ogni moto interno di ribellione voleva dire anche non dar esca ai tentativi d'invasione di Giovali Paolo da Leea sempre minacciante dalla Sardegna : ma occorreva a tal uopo disporre del concorso dei diversi feudatari, le cui risse e discordie bisognava pertanto con ogni studio placare. Concessioni, blandizie, onori non furono verso di essi risparmiati anche durante loro visite in Genova. Intanto una richiesta avuta di assoldare milizie in Corsica era parsa una buona occasione per liberarsi di molti banditi: se-nonche rientrati questi dopo pochi giorni dalla loro partenza, se ne ordinava di nuovo la cattura, mentre risorgeva la voce di un probabile sbarco di Giova 11 Paolo. Nel continuo tumulto della vita còrsa il Banco disponeva di forze inadeguate a sostegno della sua difficile opera organizzativa : ne derivavano così inevitabili inconvenienti, da cui « la leggenda della tirannia genovese » riceveva impulso e credito. « Non si può affermare — scrive giustamente il Bornate — che il governo fosse totalmente scevro di colpa, ma colpa del governo era di non essere forte e capace di far rispettare le leggi » : e l’affermazione compro va con i fatti. Debolezza di forze e debolezza di uomini. Tanto è vero che per contro la risoluta attività di Nicolò Lomellino, Governatore dei 1497 98, diede ottimi frutti per la pacificazione dell’isola, sebbene 11011 fosse purtroppo coadiuvato dal luogotenente dell’« ultramon-tes », Barnaba di S. Biagio, che, privo di energia, si lasciava dominare dagli spregiudicati Còrsi che gli stavano attorno, trascinandolo ad errori e scorrettezze ed alla tolleranza di soprusi e violenze. In simili casi i Protettori erano sempre pronti ai richiami ai biasimi ai consigli, ma « una maggiore energia e maggior prontezza nel dare esecuzione alle minacce avrebbero avuto conseguenze salutari ». Il decennio di storia còrsa studiato dal Bornate si apre dopo la fallita insurrezione di Gian Paolo da Leea e si chiude con il suo RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 179 ritorno in Sardegna in seguito al nuovo vano tentativo di sollevare risola. Lo sbarco di Gian Paolo, minacciato tante, volte negli anni precedenti, era avvenuto clandestinamente con cinque seguaci nell’agosto 1498 ed aveva suscitato l’apprensione del governo che fu pronto a correre ai ripari. Sollecitato per mezzo del Governatore il concorso dei caporali fedeli: stimolato quello dei feudatari, fra cui Ranuccio della Rocca, il più potente e il più enigmatico; si decise l’invio di duecento soldati con il Commissario Ambrogio Dinegro considerato l’unico uomo adatto alla bisogna, mentre si provvedeva alla sorveglianza delle coste per impedire l’affluire nell’isola di altri profughi dalla Toscana e dallo Stato pontifìcio. Qui cade il tentativo da parte dei Protettori di far avvelenare ;i Napoli un figlio del ribelle : uno di quegli episodi che furono sfruttati da scrittori antichi e moderni per condannare in blocco la polilitica genovese in Corsica, ma che il Bornate riconduce a giusta valutazione, sia negando la legittimità di una eccessiva generalizzazione, sia considerando la portata del fatto in rapporto alle idee ed ai sistemi dell’epoca. « Questo si può affermare — aggiunge ancora ΓAutore — circa l’esecrata ferocia dei Genovesi, che se essi avessero proprio voluto liberarsi per sempre di un avversario pericoloso. non avrebbero incontrato difficoltà insormontabili». . Gian Paolo da Leca non aveva raccolto intorno a se nell'isola quel sèguito in cui sperava, ed aveva finito per trovare asilo nella casa dello stesso Ranuccio della Rocca. La notizia era pervenuta ai Protettori che dovettero · dissimularne la conoscenza, premendo sommamente ad essi di non pregiudicare le relazioni in apparenza cordiali esistenti con quest'ultimo potente feudatario. Per tenerselo amico avevano anzi cercato di rimuovere ogni ragione di malcontento per lui : così, di fronte alle continue molestie del famigerato Domenico Xegrone questi veniva finalmente espulso dalPisola. Ma trattative si svolgevano intanto con Gian Paolo, in seguito alle quali il ribelle se ne ritornava in Sardegna, da dove scriveva all'Ufficio di S. Giorgio protestandosene « devotissimo » Î Se poi — conclude il Bornate — l'arrendevolezza dei Protetori si volesse ascrivere all’influenza di Ranuccio, ciò confermerebbe che il governo « potrà essere tacciato di debolezza, non di prepotenza e tanto-meno di tirannia ». Questo molto sommariamente il contenuto dello studio del Bornate. Una sintetica impressione? A prescindere dai diversi aspetti delle mutevoli contingenti situazioni, tre sono, a nostro avviso i termini e gli elementi fonda-mentali del problema storico della Corsica fino al 1768: 1° i difetti in parte inevitabili della amministrazione genovese: 2 le respon- I 180 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA sabilità e le naturali manchevolezze del popolo còrso ; 3° gli intrighi e le funeste influenze esterne e specialmente delle grandi Potenze straniere. Il terzo fattore, che avrà pieno sviluppo specialmente nel XVIII secolo, non agisce nel periodo che è oggetto del libro esaminato: ina i primi due ci si presentano in esso chiaramente nelle loro caratteristiche essenziali. Senza cadere nella ingenuità antistorica di volerci rappresentare un fantastica Corsica attraverso ipotetiche vicende diveree da quelle che la sua concreta evoluzione, sempre in atto, ci attesta, la nostra impressione si può riassumere in una breve considerazione: che cioè il più saggio dei reggitori avrebbe trovato in ogni tempo nel governo della Corsica filo da torcere e difficoltà non lievi con risultati forse non molto dissimili. Ma qualunque possa essere la valutazione (lei lettore, aggiungeremo che se egli vuol ricavare dall’ottimo lavoro del Bornate un suo proprio giudizio che sarà tanto più chiaro quanto più verrà convalidato dai fatti, nessuna delle trecento pagine del volume dovrà essere eliminata, nessuno dei molti episodi potrà giudicarsi superfluo. Onorato Pastine Riccardo Wichterich, Giuseppe Mozzini il Profeta della Nuova Italia. Garzanti Editore, 1910, pp. 280. « Chi sperasse di trovare nell’opera del Wichterich qualche rivelazione sulla vita di Giuseppe Mazzini, sia per quel che concerne le vicende individuali sia riguardo all’attività politica di lui, rimarrebbe certamente deluso. L’A. infatti non si è accinto alla ricerca di documenti inediti che gettassero nuova luce su qualche lato di quella multiforme prodigiosa esistenza, svelandone particolari ignorati o modificandone altri già noti. Nè questo era forse da proporsi in un lavoro di mole modesta e di carattere divulgativi : chè lo scopo del Wichterich, nel trattare l’argomento prescelto, era — come egli stesso dichiara nella prefazione — di far conoscere il Grande Italiano, « noto a ben pochi tedeschi », ai propri connazionali, spinto a ciò dal ricordo degli anni giovanili trascorsi in Italia, quando egli udì per la prima volta il nome di quel Maz zini, morto fuori della legge, misconosciuto, che riviveva appunto nel Panimo di quei giovani. « Noto a ben pochi tedeschi », afferma il Wichterich, forse per lo scarso numero delle pubblicazioni comparse in Germania sull’Apostolo, sebbene accanto al lavoro del Vossler - Mazzinis Politische Deuken und Wollen im den geistigen Strò-mungen seiner Treit », citato anche dal Nostro, qualche altro si RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 181 possa aggiungere, come lo studio di A. von Schack « Joseph Mazzini und die italienische Eircheit, che fu tradotto in italiano da Giulio Canèstrelli. Nel compilare il presente lavoro, per quanto nella bibliografia il Wichterich metta in prima linea gli scritti di Mazzini (edizione nazionale), non ci sembra che si sia poggiato prevai en temene sull’esame diretta di essi ; che i passi riportati integralmente, o nel loro contenuto, sono quelli generalmente noti e si riscontrano per 10 più anche negli autori che il Nostro prende come guida. E diciamo subito — in seguito al controllo fra i vari testi — che le due opere, sulle quali l’A. principalmente si basò, sono: per la parte riguardante i primi anni dell’Apostolo, la sua educazione e i suoi studi, parte che comprende solo pochi capitoli, « La Giovinezza di G. Mazzini » di Arturo Codignola, e per il resto del lavoro, « Mazzini » di Bolton King. Quest’ultimo autore segue anche nell’impostazione generale dell’opera, chè anch’egli, come il Bolton King, inquadra via via la vita dell’Apostolo negli avvenimenti politici d’Italia e, narrando l’atteggiamento dell’Agitatore genovese di fronte ad essi, si sofferma tratto tratto a dare un giudizio sull’operato di lui e sui moventi che lo determinarono. Così accompagna il Mazzini, dopo i primi anni trascorsi in patria nella lunga, dolorosa via dell’esilio, ne descrive i fugaci ritorni, l’ansia del perpetuo cospirare, fino all’ultimo tentativo che gli valse la carcere nella fortezza di Gaeta: «l’altro polo» — come egli scrisse — della sua vita. Ma, pur seguendo il Bolton King con molta fedeltà, tanto da parafrasarne — a volte — le espressioni o da ripeterle letteralmente, se ne allontana spesso nei giudizi, portandovi un’impronta originale. Il Wichterich si rivela in questo più obiettivo del biografo inglese, o piuttosto, mostra di intender meglio il processo di formazione del pensiero del Mozzini, di penetrarne più addentro i moti dell’anima. Ciò vale anche per alcuni episodi non riguardanti direttamente la vita dell’Apostolo, ma sempre nell’orbita della sua azione politica. Così, nell’apprezzamento che dà il King intorno ai fratelli Bandiera e al loro infelice, ma generoso tentativo, si differenzia immensamente dal Wichterich, anche per quel che si riferisce agli effetti della sommossa, di cui scrive « L’episodio dei Bandiera non ebbe altro risultato che di lasciare la Giovine Italia con meno amici ancora di prima » (pag. 113 op. cit.). Mentre il Wichterich, tratteggiato con calore di sentimento il generoso olocausto, che il King invece freddamente riferisce, è preso dalla stessa fede del Mazzini, nel valutarne le conseguenze: « Il loro sangue imbeve 11 terreno della nuova Italia e lo feconda » (pag. 135). In un altro punto saliente, i due biografi si allontanano nei giudizi: nel valutare l’atteggiamento del Mazzini di fronte al partito liberale e all'avvento di Pio IX: « Tutta la sua condotta in questo periodo — 182 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA si esprime il King — manca di sincerità, essendo troppo subordinata ad intenti reconditi e troppo affine a quella « sostituzione del Machiavelli a Dante » ch'ei condannava tanto spietatamente nei moderati » (pag. 117). Osservazione chè il Wichterich accetta — in parte — per quel che si riferisce a Pio IX e alla famosa lettera di Mazzini, mentre per il comportamento generale dell'Apostolo nel prevalere delle tendenze moderate, afferma che il credo di lui rimane il medesimo pur con qualche concessione alle circostanze, poiché Mazzini al tema della forma dello stato prepone quello dell'unità. Così lo scrittore tedesco mostra di comprendere la saldezza e la coerenza del programma politico mazziniano e coglie e mette in evidenza — « ciò che difficilmente, egli dice, s’incontra negli uomini dediti alla vita pubblica » — l’armonica fusione dei principi predicati dal Maestro coi sentimenti e le azioni di lui. E con frase profondamente significativa, dice di Mazzini.... « colui che ha pn-(ìicato con l’esempio (pag. 112-113) ». Uno dei passi più interessanti, in cui si rivela questa comprensione, è quello nel quale l’A. confuta lo storico cattolico tedesco Kraus, che, nell’opera sul Cavour, lancia accuse acri ed avventate contro il Mazzini, riguardanti razione da lui esplicata, durante la breve esistenza della repubblica Romana : giudizio che, al dire del Wichterich, generò in Germania un concetto interamente errato intorno a Mazzini. Il Nostro cerca di mettere in giusta luce gli avvenimenti e tratteggia, con vivezza di colorito, quella che fu una delle pagine più belle della vita· del Grande. (Vedi i capitoli « Dittatore della repubblica Romana » e « La repubblica Romana muore protestando »). Fu rilevato e dall’editore italiano, nella breve postilla all’accurata ed elegante pubblicazione, e da qualche altro recensore, che nell’opera del Wichterich, si riscontrano — qua e Ih — inesattezze e lacune. Alle osservazioni già fatte, sul nome di Filippo Strozzi, sulla teoria del pugnale, sui rapporti col Kossuth, e poche altre, ci permettiamo di aggiungere ancora qualche considerazione, secondo noi, di non minore rilievo. L’A. è confuso, incerto e contradditorio, allorché parla delle origini della Carboneria e del carattere della setta ; il postulato repubblicano di Mazzini fa solo scaturire il Wichterich dall’esperienza del presente e dalla tradizione della celeberrima> antica Repubblica Romana (pag. 57), trascurando il fattore importantisimo — a parer nostro — deirintlusso della famiglia e della città natale. Nel parlare poi della costituzione della Repubblica Romana, del lavorio di preparazione, non nomina neppure, come del resto anche il King, quello che ne fu l’artefice più appassionato, pur agendo sotto l’impulso del Maestro, Goffredo Mameli. Di fronte alla morte eroica del poeta soldato, i cui resti sono assurti ora alla gloria del Giani colo, annota soltanto il nome. Fu invece deplorato che in questo li- RASSEGNA BIBLIOGRAFICA 183 bro tedesco non si parli del rincontro tra il Nietzsche e il Mazzini, nel comune passaggio attraverso le Alpi: deplorazione non priva di valore, ma noi avremmo desiderato anche che il Wichterich avesse trattato dei rapporti tra l’Italia e la Germania, secondo il pensiero del Grande Agitatore, mentre soltanto di volo accenna all’alleanza strategica progettata da Mazzini tra Italia e Prussia, ai suoi contatti col Bismarck. L’argomento avrebbe arricchito il volume di una pagina meno nota e interessante e a maggior ragione il Wichte-ricli avrebbe potuto chiamare il Mazzini « Profeta della nuova Italia » ; egli che secondo il concetto del Gentile, al quale si attiene nell’ultimo capitolo del lavoro (Due generazioni più tardi), vede nell’idealismo mazziniano, rifiorito negli anni che precedettero la guerra mondiale,· la preparazione all’avvento dell’ordine nuovo che regge ora PItalia. E velina Rinaldi I APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA MAZZINIANA Scritti su G· JMazzini pubblicati all’estero Pino Bernasconi, Colloquio con Mazzini, in « L’Azione », Lugano, 25 Juil 1941. Relazione del primo volume dell’Opera Omnia di G. Mazzini, edito dal Rizzoli, Milano. L’A. trova in questo volume un « Mazzini iniziale, ancora letterario e decisamente intriso di Foscolo» e vi riscontra a in sintesi» i punti centrali del suo sistema. Lavinia Mazzucchetti und D.r Adelheide Lokner, Die Schweìz und Italien Kulturbezieliungen aus zwei aus zwei Jahrhunderten, 1941. Benziger Verlag-Einsiedeln Ztirich-Kòln. Opera di vasta mole illustrante le relazioni fra Svizzera e Italia nei secoli XVTII e XIX, nel campo delle lettere, delle scienze, delle arti, della politica, della pedagogia·. In detto la-lavoro si dà ampia parte al soggiorno di Giuseppe Mazzini nella Svizzera. Avv. Fausto Pedrotta, Giuseppe Mazzini e la Giovine Svizzera alla luce di documenti inediti, in « Bollettino Storico della Svizzera Italiana », Bellin-zona, Lugl.-Sett., 1941. L’A. pubblica alcuni documenti inediti intorno all’istituzione della « Giovine Svizzera», illustrandoli brevemente. I documenti — di evidente importanza — sono tratti dall’archivio privato dell’Avv. Cario Battagiini di Lugano. Gherardo Marone, Mazzini. Europa, in « La Nacion », Buenos Aires, 11 Fev., 1941. L’Articolista espone i concetti mazziniani intorno sid un nuovo ordinamento europeo, del quale afferma che «ancora oggi merita di essere meditato con fede». Opere e scritti su G· Agazzini pubblicati in Italia Giuseppe ,Mazzini, Scritti Editi ed Inediti. Edizione Nazionale, Imola, Galeati, 1940. Volume LXXXIX (LVI dell’Epistolario). Appendice (volume IV Epistolario). Il primo volume va dal 4 febbraio 1870 all’agosto dello stesso anno: il secondo contiene lettere dal 13 gennaio 1848 al 24 maggio 1&54. Volume XC Epistolario dall'agosto 1870 al marzo 1871. Raimondo Crico Pina, Mazzini, Vallardi, Milano, 1940, in 16°, pagg. 177. É sinteticamente tratteggiata l’opera, di G. Mazzini, inquadrandone la figura nell età gloriosa del Risorgimento. Duilio Presutti, L'incontro di un grande abruzzese con Giuseppe Mazzini, Parma, Donati, 1941, pp. 18. L. 6. È illustrato l’incontro dell’archeologo e letterato abruzzese Felice Bernabei, con Giuseppe Mazzini, avvenuto nel 18G2. APPUNTI 185 Bozzoni Guido, La critica del federalismo in Giuseppe Mazzini, Pisa, Nistri-Lischi, 1941, pp. 63. L. 6. Esame della concezione unitaria mazziniana, di fronte al federalismo e ai suoi sostenitori. Ciardo M., Uomini ed epoche. Cesare nel mondo antico. Mazzini nel dramma di un secolo, Terni, Alterocca, 1941, pp. 115. L. 12. Giuseppe Bianchi, Musica e Dante nel pensiero di Giuseppe Mazzini. Ed. SIA, Bologna, in collana « Saggi, Studi, Documenti *». Raccolta di articoli pubblicati in vari giornali dell’Autore, elle presentano tuttavia un certo concatenamento fra loro e contengono accostamenti, non sempre originali, fra il grande Poeta e 1 Apostolo Genovese, sia per quel che concerne la- loro vita, sia in merito alle loro concezioni politiche. Luigi Salvatorelli, Il pensiero politico italiano dal 1700 al· 1870. Ed. Giulio Einaudi, Torino, pp. 380. L. 25. Contiene capitoli interessanti sul pensiero politico di Mazzini e di Cavour. Giuseppe Ardau, Giuseppe Mazzini, apostolo dell'unità italiana. Casa Ed. Ce-schina, Milano, 1941, pagg. 440. L. 30. L A. ag'giunge ora ai volumi precedenti su Francesco Crispi, Vittorio Emanuele II, sul Re di Roma e su Letizia Bonaparte questo studio su Giuseppe Mazzini, sul qaale ci ripromettiamo di ritornare. Mario Menghini, Lettere inedite di Giuseppe Mazzini e Giacomo Ciani, in «Archivio Storico della Svizzera Italiana», Roma, marzo 1941. Sono quattro lettere da Londra del 1843, conservate nel fondo Ciani, recentemente passato al Museo del Risorgimento di Milano. Aocompagna le lettere una nota che ne illustra il contenuto, nellaj quale si tratteggia anche brevemente la figura di Giacomo Ciani e si accenna ai suoi rapporti con Giuseppe Mazzini. A. Gustarelli, G. Mazzini. A. ValLardi, Milano, 1941. Profilo di G. Mazzini compreso nella collana dei « 'Quaderni di analisi letteraria ». Un autografo mazziniano conservato da un cremonese, in « Regime Fascista », Cremona, 11 settembre 1941. L’articolista pubblica, ampiamente illustrandola, una lettera, inedita diretta al conte Lorenzo Festi, paltriota trentino rifugiato a Parigi, da Giuseppe Mazzini, allorché, nel ’48, preparava febbrilmente a· Lugano un moto in Val d’Intelvi. L’autografo fu conservato da un Cremonese, amico del Festi, di cui si ta-ce il nome. Articoli vari in Riviste e Giornali Eldo Chiericoni, Ritorno antimarxista, in « Sentinella Fascista », Livorno, 22 febbraio 1941. L’A., nel richiamare i principi di Mazzini, esaltanti, di fronte alla dottrina di C. Marx, i valori spirituali della vita, rileva ohe tanto il fascismo oome il mazzinianesimo hanno reagito contro il materialismo storico, base del socialismo scientifico o marxista. Alessandro Luzio, Incontri: Mazzini e Nietzsche, in « Il Libro Italiano », Roma, gennaio-febbraio, 1941. Interessante rievocazione di un incontro tra Federico Nietzsohe e Giuseppe Mazzini, avvenuto nel 1871, in un viaggio attraverso la· Svizzera, nell’ultima venuta dell’Apostolo in Italia. Vedi anche «Corriere della Sera», 1 settembre 1940. 186 appunti Ludovico Barattini, *Cronologie mazziniane, in « Grido d’Italia », Genova 28. febbraio 1941. É un vero e proprio elenco cronologico degli avvenimenti principali riguardanti la vita di G. Mazzini, nel quale ΓΑ. cade in alcune inesattezze di facile rilievo. Vincenzo Filippone, Mazzini e la missione dell'Italia nella nuova Europa, in " Provincia di Bolzano», 7 marzo 1941. Si richiamano, con opportune citazioni di p'assi tolti dagli scritti di G. Mazzini, i concetti dell’Apostolo intorno alla missione dell’Italia nell’Europa, con speciale riguardo a-i suoi rapporti coi popoli Balcanici. Armando Lodolini, La spedizione di Savoia iniziatrice dell'unità italiana, in « Lavoro Fascista», Roma, 11 marzo 1941. Articolo interessante sulla spedizione mazziniana del ’34, in cui l’A. dà notiziai di alcuni quadernetti, che completano le carte inedite di Maurizio Quadrio, relativi all'importante avvenimento, del quale il patriota valtellinese si proponeva forse di scriver la storia. Armando Lodolini, Apatia inglese e profezie mazziniane nelle carte di Quadrio, in « Lavoro Fascista », Roma, 22 marzo 1941. Si basa, come il precedente, sui quadernetti del Quadrio, e prende in esame quelli che si riferiscono alla spedizione in Crimea, preludente l’alleanza italo-francese e la successiva guerra del '59. I documenti riflettono le idee dei Mazziniani, di fronte a tali avvenimenti e specialmente ^l'atteggiamento dell’Inghilterra. Armando Lodolini, Dal sogno di Mazzini al martirio di Lincoln, in « Maglio », Torino, 12 marzo 1941. Contiene acute osservazioni sui principi che ispirarono la «Giovine Europa» di Giuseppe Mazzini e dà una giusta valutazione di questo tentativo di ^movimento europeo sognato daj-l’Apostolo. Gli stessi concetti l’A. ripete in altro articolo La· Rivoluzione Italiana e l'Unità Europea, in· «Gerarchie», Milano, agosto, .1941. R. R., Temi Sismondiani, in «Argomenti », Firenze, marzo 1941. L’A. espone importanti considerazioni sui rapporti tra il Sismondi e il Mazzini, prendendo in esame i punti di contatto e i contrasti esistenti fra questi due grandi spiriti, sue-cialmente per quel che concerne le loro concezioni religiose. 11 lavoro si basa sull’Epistolario del Sismondi vol. Ili, raccolto a cura· di Carlo Pellegrini. Cesare Spellanzon, Un Mazziniano Lombardo, in « Popolo di Roma », 19 marzo, 1941. Ampia relazione di un recente lavoro di Alessandro Cutolo su Gaspare Ordono de Rosale*. patrizio milanese, grande di Spagna, che divenne fratello spirituale di Giuseppe Mazzini. Vincenzo Filippone, Mazzini e la missione coloniale italiana, in « Provincia di Bolzano », 2 aprile 1941. .... L’A., con citazioni tolte dagli scritti dell’Apostolo, esamina il programma mazziniano di espansione coloniale italiani?, in Africa e in Asia, mettendolo· in relazione con le conquiste posteriori e con la lotta attuale. Articolo che completa, altri già pubblicati dall A. nello stesso giornale sulle dottrine religiose, morali, sociali e politiche del Mazzini e da noi, via via, ricordati. Lo stesso articolo è riportato in «Popolo di Brescia», Brescia, 4 aprile 1941 e in «Corriere Adriatico», Ancona, 5 aprile 1941. Guido Mazzoni, Giovanna Carlyle e il Mazzini, in « Secolo XIX », Genova, 12 aprile 1941. 11 libro di Itala' Cremona Cozzolino su Maria Mazzini, uscito nella seconda edizione della <■ Nuova Italia», offre occasione all’A. di lumeggiare la figura di Giovanna Carlyle neK suoi rapporti col marito e con Giuseppe Mazzini, basandosi, per questo riguardo, su due lettere APPUNTI 187 inedite, che la Cremona (Jozzolino pubblica, dirette dalla Carlyle alla madre del Grande Genovese. Dalle lettere citate, come da alcune parole del Mazzini alla> madre, emerge indiscussa la grandezza morale Sell*Apostolo. 1, articolo è liportato anche in «Il Messaggero», Roma, 13 aprile 1941. a. Q., Mazzini il problème% sociale,'in « 11 settimanale », Roma, 19 aprile 1941. Prospetta il problema sociale dal punto di vista di G. Mazzini, sostenitore — contro il comun smo del diritto di proprietà conseguenza del lavoro, che rappresenta, per l’Apostolo «l’attività del corpo, dell’organismo, .come il pensiero rappresenta quello dell’anima ». Nelle concezioni sociali dell’Apostolo l’A. vede un’anticipazione del corporativismo attuale. Bruno Franchi, Mazzini, Kóssùth e razione dalmata, in « Il Messaggero », Roma, 6 maggio 1941. Studio interessante ed accurato, in cui, messa in rilievo l’importanza politico-geografica della Dalmazia riconosciuta" dal Kossuth per l’attuazione dei comuni ideali di libertà dell’Italia e dell’Ungheria, si esamina l’azione svoltasi nella penisola Balcanica, dal 1835 in poi, per oltre un decennio, rivolta a sostenere la lotta, che i due grandi patrioti avevano ingaggiata contro l’oppressore dei loro popoli. / * G. p., Un profetico giudizio di Mazzini, In « Lavoro », Genova, 11 maggio 1941. Si riporta la lettera, di G. Mazzini da Londra a Elia Benza. in data del 7 marzo 1839, là dove si contiene il giudizio del Grande Esule su l’Inghilterra e su gl’inglesi. Arturo Codi G no la, Mazzini e Orsini, in « Popoli » Milano, 15 maggio 1941. Dando relazióne di una. copia delle «Memorie» di Felice Orsini, postillata dall’Apostolo genovese, il Codignola si sofferma sulle ingiuriose accuse lanciate dall’autore delle «Memorie» contro Giuseppe Mazzini. Indaga, le «ause di questo atteggiamento ingiusto del patriota romagnolo, di fronte alle intemperanze del quale, si erge «alta e pura» la figura del Mazzini. Gaetano Falzone,. Spiriti Europei. Giuseppe Mazzini, in « Europa Fascista », '04 maggio 1941. L’A., pur ammettendo la profonda italianità di Giuseppe Mazzini, riconosce in lui «uno spirito europeo», pronto sd accogliere voci, fermenti, speranze di altri popoli, per l’edificazione di una libera Europa. Articolo riportato anche in «Grido d’Italia», Genova, 15 giugno 1941. Il vecchio amico, Il movimento verso l'unità e Giuseppe Mazzini, in « La Diana scolastica », Bologna, 31 maggio 1941. Articolo di carattere scolastico, in cui si mette in evidenza l’opera spiegata dal Mazzini per il risorgimento politico e morale d’Italiai. Si cade nella solita — ormai comune — inesattezza, già da noi rilevata, di chiamare Giovane Italia anziché Giovine Italia, come egli la definì, l'associazione fondata dall’Apostolo. Adriano Ponci, Ricordi Mazziniani, in « Popolo di Romagna », Forlì, 14 giugno, J 941. Una vecchia, umile donna, un tempo nutrice in casa Rosselli-Natlian, dove conobbe il Mazzini e fu presente alla sua morte, rievoca alcuni lontani ricordi personali dell’Agitatore Genovese. Giuseppe VILLAROEL, La maschera di Giuseppe Mazzini, in « Regime Fascista », Cremona, 21 giugno 1941. Descrizione dei cimeli del Mazzini conservate nella casa natale di lui, ora sede dell’istituto Mazziniano. L’articolista si sofferma,· specialmente sulla cassa mortuaria, ohe accolse la salma dell’Apostolo, durante il trasporto da Pisa a Genova e sulla maschera del Mazzini, 'die egli dice rivelante «qualche cosa di mistico e di sovrumano». 188 APPUNTI Giuseppe Tarozzi, Kant e Mazzini, in « Grido d’Italia », Genova, 30 giugno 1941. Articolo già pubblicato anche in « Regime Fascista », Cremona, 29 aprile 1941 Prendendo in esame l’idea del dovere, di cui Kant e Mazzini si fecero apostoli, l’A. nota la differenza di concezione fra i due pensatori, concludendo clie nel Mazzini a il dovere diventa quello clie in Kant non potè diventare, cioè non solo una· legge di libertà, ma anche una legge di amore». Emilia Castiglione Morelli, Mazzini e la polizia napoletana, in « Rassegna Storica del Risorgimento », maggio-giugno 1941 (la parte), luglio-agosto 1941 (2a parte). Studio accurato e interessante, .basato su documenti, intorno all’oculata vigilanza esplicata dalla polizia borbonica su Mazzini e l’attività mazziniana, nel regno di Napoli, dopo il sorgere della « Giovine Itsilia». I documenti sono- tratti dall’archivio di stato di Napoli e il lavoro arriva fino al fallito tentativo del Pisacane nel 1857. ***, Γη Padre scolopico di Chiavari e le sue relazioni con Mazzini, in « Il Lavoro Fascista », Roma, 3 luglio 1941. Recensione dell’opera di Padre Ledegario Picanyol «Gli Scolopi dell Università di Genova», nella quatie si tratteggia la figura di Michele Alberto Bancalari di Chiavari, che fu in in intimi rapporti con Giuseppe Mazzini, pei quali ebbe a subire persecuzioni da parte dei superiori e confratelli. Antonio Bruers, Anticipazioni dell’Asse in un episodio mazziniano, in « 11 Lavoro Fascista », Roma, 3 luglio 1941. . . Nell'S6o volume degli «Scritti mazziniani», l’A. segue le vicende dei contatti di Mazzini col governo Prussiano, soffermandosi su un a memorandum» dell’aprile 1868, elaborato dalla .cancelleria prussiana. In esso si sostiene la necessità «di una mutua utilità e di una cordiale amicizia tra l’Italia e la Germania». ra, II ritorno di Mazzini a Genova dopo ventisei anni di esilio, in « Lavoro », Genova, 10 luglio 1941. , 1+ , . n11o Si tratta del soggiorno di Mazzini in Genova, nel 1856, quando, abilmente occultandosi polizia, organizzava il moto insurrezionale nella Lunigiana. G. B. Boero, La famiglia Mazzini secondo il censimento napoleonico del 1908, in «Genova», Genova, luglio 1941. . . . Dall’archivio storico di stato civile conservato nell*.Istituto Mazziniano» in Genova, 1 A. desume le genealogie delle famiglie Mazzini e Drago. Articolo pubblicato anche in a Corriere Mercantile», Genova, 18 agosto 1941. Vincenzo Paltrinieri, Mazzini e l'Inghilterra, in « Rassegna di Cultura Mi- «. .· μ-». »«*««- - -* colare evidenza il controllo esercitato dal governo inglese sulla sua persona e sui suoi atti. Articolo riportato anche in «Minerva», Torino, 31 ottobre 1941. Elvira Clain, Mazzini e i romeni, in « Rassegna Nazionale », Roma, ago- Interessante articolo intorno ai tentativi mazziniani, miranti a una collaborazione italo-ro-mena per l’emancipazione dei due popoli, ed ai rapporti che ebbe il Mazzini con 1 più emi nenti patrioti di Romania. Gaetano I’alzone, Italia e Germania nel Risorgimento, in « Costruire », ago- Nel prtl'deft in esame l’atteggiamento di G. Mazzini di fronte alla Germania, l’A risaie agli studi filosofici giovanili dcll’Apostolo, cbe lo portarono a prediligere i pensatori APPUNTI 189 dell’idealismo tedesco. Fra questi il Fichte — secondo il Falzone -» influì sulle concezioni del grande Italiano, pe.r ciò che concerne i rappòrti tra l’Italia e la Germania, portate ad una necessaria collaborazione per la comunanza degl’ideali da raggiungere. Chiude l’articolo il noto -proclama mazziniano· diretto al popolo tedesco a nome della Giovine Italia. Giuseppe Fonterossi, Sfortunato tentativo commerciale di Giuseppe Mazzini neWesilio di Londra, in « Popolo di Roma », 1 settembre 1041. Attraverso il carteggio di Giuseppe Mazzini e i suoi compagni, i fratelli Ruffini e Angelo Usiglio, l’A. ricostruisce le vicende dei tentativi commerciali ideati dall’Apostolo nei primi tristissimi anni della sua dimora in Londra; tentativi che vanno dal 1638 alla fine del 1839 e che iuron sospesi per l'esito sfortunato al quale approdarono. t I, L'Indicatore Genovese di Giuseppe Mazzini, in « Corriere Mercantile », Genova, 12 settembre 1941. Si danno alcune brevi notizie intorno al giornale, in cui il Mazzini fece le sue prime armi, notizie tratte da un fascicolo della «Nuova Antologia» di cinquantanni fa. 1 Ada Sestan, La Giovane Italia, in « Piccolo », Trieste, 2 ottobre 1941. Articolo slegato e superficiale in cui, dal primo incontro tra il Mazzini e Garibaldi a Marsiglia con l’adesione di questi alla «Giovine Italia» (non Giovane come ripetutamente si esprime l’autrice) si arriva alla giornata di Mentana del 1867. Per gli apprezzamenti sull’Apo-stolo, si legge tra l’altro «.... non diffuse molte idee nè originali, nè tali da rigenerare l’Italia, ma fu chiaro, tutto calore e poesia, suscitando l’amor di patria, l’odio contro lo straniero.... ». Vincenzo Paltrinieri, L'assetto balcanico nel pensiero di Giuseppe Mazzini, in « Popoli », Milano, 15 ottobre 1941. NeH’esaminare il piano concepito da Mazzini di una confederazione di stati Balcanici, l’A. si basa specialmente sulle, lettere che il Mazzini stesso diresse al patriota polacco Mariano liangiewiecz sulla fine del 1865 e nel 1866, lettere conservate oggi nell’Archivio Storico del Risorgimento. Lo studio dei rapporti tra l’Apostolo e il Langiewiecz rende assai interessante l’articolo. **\ I Cremonesi nell'epistolario mazziniano, in «Regime Fascista», 8 novembre 1941. Dopo un’introduzione generica sulla propaganda mazziniana nel Cremonese, l’articolista tratteggia brevemente la figura di Antonio Binda, ricordato nelle lettere Mazzini di cui fu fervente seguace, partecipando anche alla difesa, della repubblica Romana. Col. Ulderico Barengo, Mazzini a Gaeta nel 1870, in « Rivista dei Carabinieri Reali », Roma, settembre-ottobre 1941. L’articolo contiene nuove ed interessanti notizie sull’arresto del Mazzini nel ’70 e sulla prigionia a Gaeta ed è -'corredato di alcuni documenti inediti tratti dal museo centrale del Risorgimento in Roma, dei quali ha già dato notizia Emilia Morelli nella sua» nota sullo stesso argomento pubblicata in «Rassegna Storica del Risorgimento», ottobre 194Q. Laber, Il pensiero politico italiano dal 1700 al 1870, in « Comando », Roma, 1941. Nel fare la recensione dell’opera» del Salvatorelli, l'articolista si sofferma a confutare i giudizi che dà l’Autore intorno a Giuseppe Mazzini e ai prinoipi da lui sostenuti. Maria Teresa Mandalari, Riccardo Vichterich, Giuseppe Mazzini, il profeta della nuova Italia, in « Nuova Italia », ottobre-novembre 1941. Estesa recensione dell’opera suddetta. 190 APPUNTI Postilla 11 sessiintanovesimo anniversario della morte di Giuseppe Mazzini fu celebrato anche quest’anno, pur con l’austerità richiesta dall'attuale momento storico. Nella città che dette i natali ε·1 Grande, fu reso omaggio alla tomba di Staglieno, e nella casa dell’Apostolo, ora sede dell'istituto Mazziniano, a cura del Comitato genovese del R. Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, l’avv.to Fabio Danè ha periato ai numerosi convenuti sul tema «Giuseppe Mazzini e l’ora presente». Analoghe commemorazioni furon tenute in altre città d’Italia Sempre nello stesso «Istituto Mazziniano», il 3 aprile successivo, la Prof. Leila Pacchi ha tenuto una conferenza sul tema «Mazzini e la musica nel Risorgimento». La conferenza è riportata per intero in «Grido d’Italia», Genov* 15 maggio 1941. Sono comparsi in vari giornali articoli sulla progettata demolizione in Savona della fortezza che accolse prigioniero, nel 1831. Giuseppe Mazzini, nella quale FApostolo concepì il primo disegno della «Giovine Italia». Facciamo voti che venga almeno risparmiata la cella dell’Agitatore Genovese e conservata· al culto degl’italiani.· Nell’opera postuma «Storia nostra» di Cesare Pascarella, che ora vede la luce a cura della Reale Accademia d’Italia, sono compresi alcuni sonetti su Giuseppe Mazzini, nei quali ripostolo è — per il poeta — il sole che simboleggia il risveglio d’Italia. All’Archiginnasio di Bologna sono stati donati due carteggi appartenenti alla famiglia» Bac-obelli, uno dei quali contiene 94 lettere originali di Giuseppe Mazzini. Il ricco materiale è a» disposizione degli studiosi. Fra i numerosissimi articoli pubblicati in occasione del centenario della nascita di Ferdinando Martini, notevole è quello di Leo Pestelli, inserito nella ■ Statmpa-Sera^» di Torino, il 18 ottobre 1941. in cui si rievocano l’ultimo celtto soggiorno di Mazzini in Pisa e la di Ini morte, avvenuta· quando il Martini insegnava alla «Scuola Normale» in quella città. Il contegno tenuto da Martini, in tale circostanza, gli valse la riprovazione del Prefetto, il ohe indussi- il Martini stesso a dare le sue dimissioni dall’insegnamento. Per la caduta di Taganrog in mano dei Tedeschi, qualche articolista ha ricordato il noto episodio di Giuseppe Gtfibaldi, quando, nell’umile osteria di quel porto, udì per la prima parlare dell'apostolo di Giuseppe Mazzini e della «Giovine Italia^· E velina Rinaldi I NOSTRI LUTTI FILIPPO NOBERASCO Il 17 dicembre 1941 è deceduto a Dego il comm. prof. F. Noberasco, membro della R. Deput. di St. Pati·, per la Liguria e Presidente della Sezione di Savona. Era nato a Savona PII marzo 1883 da antica e onorata famiglia ligure. Fin da quando studiava Lettere alPUniversità di Genova, militò nell Azione Cattolica e spese una buona parte delle sue energie giovanili per la difesa e propagazione dei suoi ideali di sincero e fervente Cattolico, ai quali tenne fede sino alla morte. È del 1906 il suo lavoro sul pensiero di P. Giuria ; ma solo poco prima della guerra 1914-1918 rivelò appieno la sua passione per gli studi di storia municipale. Da allora la sua vita migliore, gli ultimi trenta anni di una laboriosissima vita, furono — si può dire — un continuo colloquio con gli spiriti trapasati di questa gente ligure e con i più nobili spiriti viventi : nobiltà di amore, di devozione ai padri antichi, di attaccamento quasi carnale al suolo, al mare, ai palazzi, alle strade : onde non fu soltanto uno storico (lotto, ma anche una guida per tutti, paziente e sicura. Dopo la morte di V. Poggi e di A. Bruno e la dispersione di altri studiosi, parve tramontare la storiografia savonese con la gloriosa Società Storica fondata nel 1885. Al Noberasco specialmente si deve se la Società rinacque nel 1010 sotto il nome di Società Savonese di Storia Patriay la cui attività è ora attestata da 23 volumi di Atti. Allora la gente aveva altro da pensare e da fare, presa com’era nel tormento della prima guerra mondiale; e, dopo la guerra, anni e anni di ansie e travagli. Eppure Noberasco, con straordinaria perseveranza, solo ormai nella lizza, disdeguado facili guadagni e non men facili plausi, potè raccogliere attorno a sè un buon gruppo di lettori e ammiratori di ogni classe sociale. E come sapeva toccare il cuore della più umile gente! Gazzette provinciali, grandi giornali quotidiani, riviste, bollettini vari, pubblicazioni d’occasione, conversazioni, di tutto sapeva valersi, e da maestro, pei* educare ed illuminare i concittadini, per richiamarli alle glorie degli avi, per illustrare vicende, monumenti, costumi delle età passate. A parecchie centinaia assommano i suoi scritti, tutti succosi e in qualche modo utili, anche quelli che recano più evidente nota di 192 FILIPPO NOBERASCO frammentario, di provvisorio, di occasionale. La sua bibliografìa completa, ck’Egli stesso curò pei* il Dervieux (L’Opera del 2° Cinquantenario della R. Depu. S. P., Torino, 1933, pag. 383-390) comprende sciiti dal 1905 al 1933 ; ma alcune delle sue opere migliori sono di quest’ultimi otto anni. La pubblicazione del regesto delle Pergamene dell’Archivio Savonese, di Statuti delle Arti, i lavori sul porto di Savona, sui commerci, le industrie e le confraternite savonesi nel M. E., sul Santuario di X. S. di Misericordia, sugli Artisti e Artigiani savonesi, sul giornalismo savonese, sulla vita di Savona nell Ottocento, sul folklore savonese, sull’onomastica e toponomastica· savonese, daranno sempre alimento agli studi di storia ligure. In collaborazione con F. Bruno illustrò con importanti documenti il crepuscolo della libertà savonese; con I. Scovazzi diede la più completa storia di Savona, e rese nota runica importante cronaca contemporanea di Savona durante la rivoluzione democratica e l’impero napoleonico; con lo stesso Scovazzi e con C. Migliardi pubblicò tre volumi di statuti corporativi. Savona e la Liguria hanno perduto con Lui uno dei tigli più rappresentativi e più affezionati. Con degne onoranze il Municipio patrio ha voluto che la salma riposi nel Famedio di Zinola. Italo Scovazzi INDICE DELL' ANNATA 1941 MONOGRAFIE Adolfo Caleo, Di “ Marfisa, d'Este Cybo ,, e di una sua gita a V enezia...................................................Pag. 1 Onorato Pastine, Fiere di Cambio e cerimoniale secentesco (cont. e fine) 11 Giovanni Pesce, Spunti di legislazione igienico sanitaria negli statuti genovesi dei Padri del Comune............................................................19 Giuseppe Rosso, Romanzotto della Niella capitano di ventura...... 26, 81 Nilo Calvini, Formazione di comuni rurali nella Liguria Occidentale 57 Andreina Daglio, La poesia religiosa dell'Anonimo genovese........ 86, 156 F. L. Mazzini e Condorcet................................................................................94 Onorato Pastine, Di un presunto rapporto fra Genova e la Turchia nel settecento.......;....................................................................................96 Antonio Giusti - Giuseppe Flechia, Dialetto ligure..........................102 Teofilo Ossian E*e Negri, L'antica Liguria......................................141 Manfredo Giuliani, Un bassorilievo di Agostino di Duccio a Pontremoli 166 DISCUSSIONI COMMENTI VARIETÀ Sopra una lapide romana ed nn confine ( Vincenzo Dònetti)..................32 Comunicazioni della R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria 39 I danni causati all’Archivio di Stato di Genova dal bombardamento navale inglese del 9 - 2 - 1941 - XIX........................................................173 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA P. Leodegario Picanyol S. P., Gli Scolopi nell’Università di Genova (Nilo Calvini)..................................................................................................40 Alessandro Giribaldi, I Canti del Prigioniero e altre liriche (Teo- filo Ossian de Negri)......................................................................................42 Umberto Biscottini, Introduzione alla Corsica (Teofilo Ossian De Negri) ................................................................................................................45 Altre pubblicazioni su N. Paganini (M. P.)..............................................47 Appunti per una bibliografìa mazziniana (Evelina Rinaldi)......... 49, 184 L’opera storica del P. Francesco Ferraironi (Nilo Calvini)....................109 Rivista Ingauna e Intemelia (Teofilo Ossian De Negri)..........................Ili Remo Giazotto, Il melodramma a Genova nei secoli XVII e XVIII (Mario Pedemonte)........................................................................................113 194 R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria (Nilo Calvini)..........115 Gio. Bono Ferrari, L’epoca eroica della Vela. Capitani e bastimenti di Genova e della riviera di Ponente nel sec. XIX. (Nilo Calvini) 117 Spigolature e Notizie - Appunti per una bibliografìa generale di storia e di cultura ligure (Teofilo Ossian De Negri)........................119 Cablo Bornate, Genova e Corsica alla fine del medio evo (Onorato Pastine)..........................................................................................................175 Riccardo Wichterich, Giuseppe Mazzini il Profeta della nuova Italia (Evelina Rinaldi)............;....................................................180 I NOSTRI LUTTI Filippo Noberasco, (Italo Scovazzi)............................. 191 Direttore responsabile : ARTURO CODIGNOLA Stabilimento Tipografico L. CAPPELLI - Rocca S. Casciano, 1U41-XX