ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA — SERIE DEL RISORGIMENTO — VOLUME V NILO CALVINI IL P. MARTINO NATALI GIANSENISTA LIGI' R E DELL’UNIVERSITÀ’ DI PAVIA GENOVA NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA PALAZZO ROSSO M C M L i\ MARTI M» PREMESSA Una dozzina d'anni or sono per coincidenza con altri studi radunai qualche notizia sulla vita e sulle opere del p. Martino Natali: scolopio ligure, professore per un ventennio all'università pavese (1). Da questa prima e superficiale indagine mi convinsi che il personaggio trattato era di molta importanza, ed avrebbe meritato un lavoro completo tanto più che le pubblicazioni sul giansenismo italiano erano incredibilmente lacunose al riguardo del Natali. Anche gli studiosi che si erano occupati particolarmente del giansenismo di Pavia, dove egli aveva insegnato per un ventennio, lo nominavano raramente e di sfuggita. Fu appunto questa sproporzione tra l'importanza che comprendevo avere questa figura, ed il silenzio e l'indifferenza che lo condannavano, che mi spinse ad approfondire lo studio, risalendo diretta-mente alle fonti. La guerra ed i suoi strascichi mi forzarono a sospendere per circa sei anni il mio lavoro. Quando lo ripresi la situazione era cambiala: una imponente massa di lettere del Natali era stata edita da E. Codignola; il silenzio intorno alla sua figura era già stato interrotto e potevo disporre dì molta nuova materia. Il presente lavoro mantiene però il suo primitivo intendimento : quello di illustrare la figura del Natali nella sua vita e nelle sue opere: ho tralasciato di proposito la discussione e la valutazione delle sue idee. Ho dedicato molte pagine alle sue opere ed alla sua intensa attività letteraria per farne conoscere le idee, e per facilitare il lavoro a chi voleste discuterle. Non spetta a me giudicare se io sia riuscito nell'intento; per me e solo motivo di conforto l'aver lavorato con passione e pazienza in mezzo a tante difficoltà, per contribuire alla conoscenza di questo mio illustre concittadino troppo osteggiato dai contemporanei, troppo i-gnorato dai posteri. N. C. Il) ' Rendevo noti quei pochi appunti, in parte inesatti, su] Corriere Mercantile >) di Genova del 10 maggio 1940. CAPITOLO 1° IL NATALI A ROMA 1° Nascita — 2° A Roma: le Conclusioni-, prime dispute — 3° Ambiente romano; VArchetto — 4° Professore al Nazareno; Tesi De Summo Pontifice; Propositiones Theologicae — 5° Reazione dei domenicani; allontanamento del Natali ad Urbino — 6° Ritorno a Roma; Lettera d'un chierico Regolare. 1 - Nacque a Bussana (Imperia) da Antonio e da Maria Caterina, il 21 dicembre 1730: venne battezzato al domani dal parroco Giovanni Antonio Fenocchio, coi nomi Carlo, Giacomo, Maria, presenti i padrini Giuseppe Garino bussanese e Paimira Maria Gazzano di Sanremo (1). Nulla si sa con certezza sui suoi primi anni di vita : pensiamo che abbia compiuti a Bussana gli studi elementari, poi abbia seguita la comune abitudine, passando alle scuole di Sanremo o entrando ancor fanciullo in qualche seminario o convento. 2 - La prima notizia sicura che abbiamo è che all’età di 19 anni era a Roma, dove, il 21 dicembre 1749, vestiva l’abito degli scolopi per mano del p. rettore Giuseppe Augusto del B. Amedeo. L’anno seguente ancora nella Casa romana rinnovava i voti: in tale occasio- (1) — Ecco le testuali parole dell’atto dì nascita conservato neH’archivio parrocchiale bussanese: « Anno 1730-32 Xbris. Carolus Iacobus Maria, filius Antonii Natalis et Mariae Catherinae iugalium, hodie natus et baptizatus fuit a me Io Antonio Fenochio Praeposito, levantibus Iosepho Garino de hoc loco, et Paimira Gazana de S. Romulo ». •La famiglia di Antonio Natali era composta da: Angela Maria (morta bambina); Carlo Giacomo (il futuro Martino era dunque il primogenito), Giovambattista; Angela Maria; Bianca Maria (morta bambina); Maria Pasqualina; Giacomo Antonio; Matteo e Antonino (morto bambino). La parentela dei Natali in 'Bussana era aumentata proprio in quegli anni; derivava da un unico ceppo stabilitosi in Bussana al principio del secolo XVII0 proveniente da Col-dirodi. Si estinse nel 1926 con una donna: Settimia. Nel ramo dei Natali bus-sanesi sì verificò qualche caso di malattìa mentale. ne, come la regola dell’Ordine prescrive, assumeva il nome religioso di Martinus a Fraesentatione B. Virginis (1). Saltato un anno di scuola per merito di studio, col consenso del-l’onegliese p.'Giuseppe Dulbecco, il 29 novembre 1750 fece solenne professione di fede; nel 1752, sotto la guida del p. Liberato Fassoni, discusse le « Conclusioni », un saggio di fisica che fu apprezzato tanto che i superiori lo fecero stampare dal tipografo romano Zempel, col (1) — Ecco il testo di questo documento, ricopiato dall’originale scritto di pugno dal Natali: (Casa degli scolopi, S. Pantaleo, Roma). Ego Martinus a Praesentatione B. Virginis in saeculo Carolus Jacobus Natalis, Bussanensis, Diocesis Albinganensìs, decimun nonum annum agens facio meam sollemnem Professionem in Religione Clericorum Regularium Pauperum Matris Dei Scholarum Piarum, et voveo Onnipotenti Deo Patri, Filio, et Spiritui Sancto, ac Deiparae semper Virginis Mariae, et tibi P. Matthiae Peri a S. Josepho Praeposito Provinciali, Patre nostro Josepho Augustino a S. Nicolao Praeposito Generali et omnibus successoribus eius legitime eligendis, Paupertatem, Castitatem, et Obedientiam, toto tempore vitae meae, et iuxta eam peculiarem curam circa puerorum eruditionem secundum formam Brevis Pauli V in nostris Constitutionibus contentam. Quam professionem, ac vota, quibuscum que in contraria existentibus quibus nunc libere et integre renuncio, firma, rata et valida senvoer fore et esse volo. In quorum fidem his a me exaratis subscripsi. Romae hac die 29 novembris 1750. Insuper promitto me numquam acturum ne indirecte quidem, ut in aliquam Praelationem, seu Dignitatem eligar, seu promovear. Promitto etiam me numquam curaturum extra Religionem Dignitatem eius, qui mihi praecipere potest, sub poena peccati. Tum si quem sciam aliquid praedictorum duorum curare, vel praetendere, promitto etiam illum, remque totam manifestaturum Religioni, seu eius Praeposito Generali. Vota mea Domino reddam coram omni Populo eius in atriis, Domus Domini, in medio tui Jerusalem. Tum in ipso actu Professionis affirmo mihi lectum et intimatum fuisse Decretum 9 Madii 1718 emanatum de studiorum ratione: « Cum P. P. Capitulares, ecc. » et « Cum congregati PP. Capitulares circa Studiorum et Scientiarum cursum, nec non Scholarum exercitium laudabiliter habendum, antequam voce passiva uti passim, cuius Decreti, vel Decretorum observantiae, et omnibus circumstantiis conditionibus particulis inibi, expressis, quae satis mihi significata et explicata sunt, libentissime assensum praebui. Ego Martinus a Praesentatione B.V. manu propria supra confirmo. Praefatam Profesionem dicta die excepit Pro Patre nostro Generali P. Mathias Peri a S. Josepho. Ego Petrus Antonius a Praesentatione adfui m. pr. Ego Ignatius eb Ascensione adfui m. pr. Supradictus Novitius cl. Martinus a Praesentatione B.M. Virginis in seacu- lo Carolus Jacobus Natalis Bussanensis Dioc. Albinganensìs natus et baptizatus die 21 Xbris 1730 et confirmatus die 27 augusti 1738. Habitum nostrae Religionis suscepit per manus P. Josephi Aug. a B. Amedeo, Rectoris ex commissione P. Paulini a S. Josepho primi Assistentis generalis die 21 Xbris 1749, et dispensante P. nostro Josepho Aug. Dulbecchio a S. Nicolao Praeposito Generali super 2 Probationis anno studiorum causa praemissis SS. exercitiis et scrutiniis ac praestito, ut moris est, juramento de integritate corporis. Facta prius solemni Professione Fidei, emisit suam solemnem Professionem in oratorio privato huius domus Probationis die 29 9bris 1750. Ita est. Remigius a' S. Maria Magdalena Magister Novitiorum manu propria ». titolo: Ex phisica selectas propositiones publicp disputandus proposuit M. Natali (1). Durante gli studi il Natali riveli particolare attitudine per la teologia: gli fu maestro il suo conterraneo G. B. Curio, -impali/zante per l’agostinianesimo e forse anche, per il giansenismo (2). Nel 1754. in una pubblica discussione teologica, presieduta dal p. generale Odoardo Corsini, e presente Finterò capitolo generale del suo ordine, riscosse gli universali applausi, meritandosi subito il posto di lettore di filosofia ad Urbino (3). Questo inizio così clamoroso verso la gloria diede buoni frutti: ad Urbino si distinse per l'intelligenza e l’erudizione; e dopo un anno fu richiamato a Roma per l’insegnamento della teologia nel collegio Nazareno, il massimo istituto scolastico degli scolopi. 3 - Qui crediamo aprire una parentesi per richiamare brevemente alla memoria l’ambiente teologico francese e quello romano di questa epoca, poiché molta influenza esercitò sulla mente di questo giovane studioso ed appassionato di problemi teologici. Molti legami tenevano vincolata Roma alla Francia, centro di diffusione delle idee giansenistiche. In Francia, oltre ad essere ancora in vita le tradizioni della chiesa anglicana, erano più sentite e dibattute le questioni teologiche, essendo propro là che Giansenio e Quesnell avevano dato principio al loro movimento, diffuso con fervente zelo da tanti seguaci. In Francia s’erano iniziate le opposizioni al papato, e le reazioni del 1642 e del 1713 contro le Bolle di Urbano Vili e di Clemente XI. Furono alcuni vescovi francesi che primi si unirono al clero di Utrecht e di Harlem nel sostenere la superiorità del concilio sul papa, con l’idea dell’Appello al conci- di — Cfr. Rassegna Storica e Bibliografica degli Scolopi, Roma. E’ diretta e redatta dal p. Leodegario Picanyol. Il Ms. delle Conclusioni è nell’archivio di S. Pantaleo di Roma. (2) — Nato a Taggia il 18 novembre 1712, morto il 26 agosto 1776. Insegnò a Savona, Albenga, Genova, e dal 1748 a Roma al Collegio Calasanzio. Fu anche esaminatore dei Vescovi delle Diocesi di Velletri, Porto e Palestrìna ed esaminatore del Clero romano. Cfr. Picanyol. L’antico Collegio Calasanzio di Roma, Roma. 1938. pag. 73. (3) — Accenna a questa dimora di Urbino in una lettera ad Andrea Corsini del 20 novembre 1763 quando tornò ad Urbino per la seconda volta. Le lettere del Natali che spesso citerò sono edite nella quasi totalità nella monumentale raccolta curata da E. Codignola, Carteggi di Giansenisti Liguri, Firenze, 1941. Per semplicità tutte le citazioni che farò da questa opera si riferiranno alla pagina dove inizia la lettera, anche se la frase riferita o alla quale si allude fosse nelle pagine seguenti. Quando non è indicato altrimenti, il numero della pagina si riferisce al 1° volume. La lettera su citata è in Codignola. op. cit.„ pag. 3. lio, che diede loro appunto il nome di Appellanti. Costoro non vollero essere considerati eretici e nemici della chiesa, sostennero anzi .1 esser i soli veri cattolici, e si distinsero per la rigidità dei costumi, autorità e probità della loro vita, profondità dei loro studi, amore per la verità; si professarono desiderosi ed ardenti di arrecare del bene alla chiesa, che a loro sembrava decaduta e mal sorretta da un clero scostumato, dedito solo al conseguimento di beni temporali, ignorante in materia religiosa, fino al punto di lasciare aperta la via all’idolatria, alla superstizione, alla eresia. Con queste idee i primi giansenisti francesi bandirono con entusiasmo, una crociata di epurazione e di redenzione, al solo scopo di risollevare la chiesa languente. Uomini, instancabili, dotati di forti ingegni e di cospicui patrimoni, quali Gabriele Dupac, conte di Bel-legarde, ed Agostino Clément di Tremblay, si adoperarono in ogni modo per estendere, approfondire e divulgare queste loro idee, rivoluzionarie allora nel campo spirituale, quanto furono poco tempo dopo rivoluzionarie quelle civili e sociali che sconvolsero l’intera Europa. Distribuirono centinaia e centinaia di libelli e volumi, migliaia di articoli e lettere, dense di raccomandazioni, consigli, segnalazioni di uomini e di libri ecc. non solo in tutta la Francia, ma anche in tutta l’Italia e persino nella sede del papato (1). Oltre che dei patrimoni privati, già molto cospicui, disposero anche di un fondo lasciato da Pietro Nicole appositamente per la diffusione del giansenismo; alla di lui morte, avvenuta nel 1695, esso raggiungeva la somma di L. 40 mila, aumentata poi con altre donazioni fino ad oltre il milione. Larga diffusione venne data alle opere di Antonio Arnad, alle Lettere Provinciali di Biagio Pascal e all’opera di Gian Nicola Hontheim, vescovo di Miriofite De statu Ecclesiae deque legittima potestate Romani Pontificis pubblicato nel 1763 sotto lo pseudonimo di Giustino Febronio. Nello stesso tempo il Sinodo di Utrecht approvava le massime giansenistiche, che, sostenute dagli appellanti, attirarono numerosi seguaci, in tutta l’Italia e anche nella stessa Roma. L’ambiente filogiansenista di Roma si era formato sino dalla fine del seu. XVII, ma si era sviluppato ed aveva acquistata potenza nei primi decenni del sec. XVIII. Nel 1739 Carlo de Brosses visitando Roma era rimasto meravigliato della libertà di parola e di pensiero (1) — E. Dammig. Il movimento giansenista a Roma, Città del Vaticano, 1945, pag. 313 e segg. 11 - in materia di religione, ed il cardinale Passionei affermava che in nessun luogo si poteva parlare liberamente coma a Roma: fino a che qualcuno — egli diceva — non avesse predicato da un pulpito che il papa era un Anticristo, l'inquisizione non sarebbe intervenuta. Ancora il de Brosses precisava che nel clero di Roma erano molti i giansenisti, e che ve n’era anche ira i cardinali, ma solo intenti a discutere se le decisioni del papa ex-cattedra fossero o non fossero infallibili. In realtà però le dispute erano più vaste e profonde, e le attività più complesse: si faceva dell’antigesuitismo spinto, si analizzava la bolla Unigenitus (!) che condannava le dottrine di. Giansenio, si elogiavano i portorealisti, si criticavano i cattivi costumi trionfanti anche in tanta parte del clero rammollito. Il centro di queste radunanze era l'Archetto, cioè il palazzo Corsini dove abitava mons. Giovanni Gaetano Bottari (2). Qui dal terzo decennio del 1700 si adunarono vecchi e giovani antigesuiti e filogiansenisti, che spesso si identificavano, quali il cardinale Neri Corsini. Gherardo Maria Capassi. Gian Francesco Foggini. Antonio Niccolini. Filippo Martini. Antonio Agostino Giorgi, Francesco Saverio Vasquez. e, ad intervalli. Costantino Grimaldi. Ludovico Muratori, Giovanni Lami e per poco tempo Scipione De Ricci (3). Costoro non erano veri giansenisti anzi disapprovavano Tosti nàta opposizione dei giansenisti contro la curia di Roma; ma nemmeno li consideravano eretici e auspicavano la conciliazione tra Roma e (1) — Questa Bolla, uscita a Roma l’8 settembre 1713, segnava la condanna del giansenismo, ma si era fatto il massimo sforzo per non inserirvi nulla che potesse urtare il Clero francese; mai nessuno scritto era stato esaminato per tanto tempo e con tania cautela: i termini perciò erano oggetto di interminabili discussioni. (2) — Nacque a Firenze nel 1686, morì nel 1775. Fu professore di storia ecclesiastica alla Sapienza di Roma, dove ottenne anche l’ufficio di custode della biblioteca Vaticana. Fu stimato come filologo e nominato Accademico della Crusca del cui vocabolario fu il principale compilatore nella sua quarta edizione. Lasciò alcuni scritti sul Decamerone, sul Museo Capitolino ecc. Fu stimato molto in Francia. Le Nouvelles Eccl. del 23 gennaio 1778 pubblicarono un sur. lungo necrologio e parlarono dell’Archetto. (3) — Scipione de Ricci nacque a Firenze nel 1751 e vi morì nel 1810. Eft-trò quindicenne nel Collegio Romano, ma non si fece gesuita, terminando i suoi studi a Pisa. Fu nominato Uditore presso la Nunziatura di Firenze, e nel 1780 vescovo di Pistoia-Prato. In intima amicìzia coi giansenisti italiani ed esteri, fu lavoratore assiduo, nel diffondere per molti anni le idee. Fece chiudere conventi, soppresse ordini regolari, abolì il culto del S. Cuore, introdusse nella sua diocesi il catechismo del Gourlin in sostituzione di quello del Bellarmino, coronando tutta la sua instancabile attività riformatrìce nel Sinodo che tenne a Pistoia nel 1786. La reazione fu però tanto forte che nel 1791 dovette rinunziare al vescovato, e tornare a Firenze; poco dopo la .Bolla pontificia - 12 - Utrecht, schierandosi contro i gesuiti che ne erano i più fieri oppositori (1). La loro attività consisteva specialmente nel favorire la buona e sana morale, traducendo dal francese e divulgando le migliori conferenze sopra la morale tenute da uomini dottissimi, sotto gli auspici di zelanti e illuminati prelati, e raccomandando quelle di Parigi o di Lucon definite piene di buon senso (2). Era una radunanza di uomini amanti di rinnovamento ecclesiastico. desiderosi di pratiche di culto più religiose, di costumi più severi, di dottrina pili profonda. Tutto però veniva tenuto nascosto agli occhi dei più, e oggi solamente. dai loro epistolari, riusciamo a sapere e a conoscere le loro idee innovatrici, la loro instancabile attività, il loro caldo interessamento per le opere dei giansenisti. Studiavano teologia e storia ecclesiastica, combattevano la superstizione, le ricchezze, il potere temporale, scettici verso molti miracoli; ostili contro le affrettate beatificazioni e santificazioni, cercavano di evitare le gravi tempeste che presagivano prossime. Nel frattempo erano cominciati contatti diretti tra Roma e l’Olan-da; noi 1748 il cardinale Corsini entrò in relazioni con Utrecht (3). Il Mésenguy cercava dei sostenitori contro i gesuiti per la sua Dottrina Cristiana e il Bottari lo tenne al corrente di quanto se ne diceva in Roma. Maggiori relazioni si strinsero nel 1757 quando Agostino Clément si recò a Roma per tentare una pacificazione, e vi si fermò a lungo sebbene la morte di Benedetto XIV avesse portalo un allentamento nelle trattative. Tutto questo provocava avversità tra i vari ordini religiosi, acuiva la diversità di dottrina, favoriva le controversie che specialmenti sulla Grazia e sulla Morale erano molto dibattute, generando scissio- Auctorem Fidei condannava gli atti del suo sinodo. Nel 1799 fu arrestato e processato come amico dei Francesi, e visse in gravi dispiaceri fino alla morte. Su di lui: B. Matteucci, Monsignor Scipione dei Ricci. La sua dipendenza della Chiesa scismatica di Utrecht, in. Bull. St. Pistoiese, 1937 — Formazione morale e teologica di Mons. Se. dei Ricci, in Bull. St. Pistoiese 1939 — Scipione dei Ricci, vescovo di Pistoia e Prato e sua attività riformatrice, in Bull. St. Pistoiese 1939. (1) — Sull’attività svolta dai frequentatori dell’Archettetto cfr. R. P a - 1 o z z i , Mons. Giovanni Bottari e il Circolo dei giansenisti romani, in: Annali della R. Scuola Normale Superiore di Pisa, voi. X (1941); e E. D a m -m i g , op. cit., (2) — Lettera del Foggini al Ricasoli del 1769 in N. R o d o 1 i c o , Gli amici e i tempi di Scipione dei Ricci, Firenze, 1920, pag. 18. (3) Cfr. D. de Bellegarde, Histoire abrégée de l'Eglise Mé-tropolitaine de Utrecht, ivi. 1852, terza ediz. pag. 380. IH — -ni, rivalità e atteggiamenti giansenistici. Lo stesso Scipione De Ricci, che nel 1756 si era recato a Roma, era rimasto impressionato per il decadimento morale, le lotte < !< .-vversioni »!>•:-ii intellettuali (1). Il Natali vivendo a Roma conobbe ed apprezzò da studente, frequentò e sostenne da professore, le idee antigesuitiche e filogiansenistiche, cominciando la lotta contro i gesuiti e i domenicani che da allora ebbe sempre avversi (2). Egli che Santo bene prometteva nelle polemiche e nelle pubbliche discussioni, non potè restare estraneo alla lotta, e fu attratto dal circolo degli oratoriani della Chiesa Nuova e deH’Archetto del Bottari, dove fu noto ed apprezzato (3). La partecipò alle discussioni sulla beatificazione del Bellarmino e udì forse le prime censure al di lui catechismo, e cominciò a considerare pericolose per l’autorità dello stato le lezioni del Breviario nell’ufficio di Gregorio VII, delle quali poi, come censore proibirà la stampa a Pavia. Il gruppo dell’Archetto fu ostacolato o direttamente o indirettamente dal papa Clemente XIII che nel novembre del 1760 fece arrestare il tipografo romano Niccolò Pagliarini, che pubblicava il giansenistico Giornale dei Letterati, e aiutava molto il Bottari nell’acquisto e nella diffusione dei libri: nel 1761 proibì il catechismo del Mésen-guy: intanto moriva il Cardinal Passionei, mentre il Bottari perdeva dell’antica energia. Il gruppo dell’Archetto si disperse; ma non ne t morì l’idea; il Natali, non certo solo, ma uno dei più attiivi, ne proseguì l’opera; incoraggiato dai più vecchi amici cominciò il suo attacco aperto contro i gesuiti in difesa dei giansenisti. Risulta infatti che mons. Bartoli, arcivescovo di Nazianzo, il Bottari, e il Foggini, prefetto della Biblioteca Vaticana, più volte avevano incitato il Natali, a tradurre l’opera del Petit-Pied sulla Grazia e sul Libero Arbitrio (4). Venne anche in amicizia di mons. Mario Marefoschi, poi cardinale; dei cardinali Andrea e Neri Corsini, ed entrò al servizio fi r' (1) — D. S i 1 v a g n i , La Corte e la società romana nei secoli XVIII e XIX, Roma, 1884 C. J e m o 1 o , il giansenismo in Italia prima della Rivoluzione, Bari, 1928, pagg. 97-127 e 129-261. (2) — Così scrisse il Natali stesso all’amico del Bellegarde li 20 febbraio l 1780 in Codignola, op. cit., pag. 136. (3) — Ne parla O. Gaetan} che era stato suo scolaro. Damming., op. cit., pag. 166 e segg. (4) — Annali Ecclesiastici del 1783, pag. 149. Il Natali, più tardi, seguì questo consiglio. h - 14 - del cardinale Onoralo Gaetani. tutti noti per la loro avversione ai gesuiti e p?r le loro tendenze verso il giansenismo (1). Questa presa di posizione e la faina acquistata, cominciarono ad impensierire l’ordine degli scolopi. tanto che il p. generale, esortò il Natali a non partecipare a quei convegni, e a non frequentare gli agostiniani. « perchè così si faceva notare per Roma come Giansenista e nemico sfacciato della Corte » (2). Il passare per giansenista era cosa gravissima agli occhi dei nemici: ecco come ne viene ti atteggiata la figura, da un antigiansenista. «Un'uomo che rinfresca e -ostiene gli errori del Calvinismo, e varia, e si ritira, e finge, e mentisce ad ogni tratto. In uomo che si abusa del nome della Chiesa, e ne dà una idea tanto nuova, quanto scismatica. Un nomo che distrugge la Gerarchia; e del primato del papa forma una larva ed uno spettro di servitù. Uno che non rispetta nè Dio, nè la Vergine, nè Santi. Lno che sconvolge, abbatte, atterra la Potestà delle Chiavi, la facoltà delle indulgenze, i meriti infiniti di Gesù Cristo, i suffragi, la frequenza della Comunione, le disposizioni per la Sacramentale Penitenza. Ino che condanna la Disciplina, i Riti, la Liturgia presente consacrata dall’uso di più secoli di tutte le Chiese, cerca introdurne una nuova, e sotto pretesto di zelo per l’antica tende al rovesciamento universale. Accetta costui le Bolle, e le rigetta, appella al Concilio futuro, e si ritratta; dichiarasi del Partito, e si ritira. S avventa contro gli unti del Signore, contro le colonne del Santuario. e smuove e scova dai suoi fondamenti la prima pietra, e tenta aggirarla da forsennato. Guasta il senso delle scritture, attinge acqua dalle sorgenti fangose e putride, e ne asperge la tradizione, il parlar de Padri e preferisce la pretesa dottrina di S. Agostino all’E-\angelio. («somma essere un Giansenista, un uomo superbo, scandaloso, sacrilego, impostore, ipocrita, maldicente, calunniatore, senza legge, senza fede, nemico di Dio, e di tutti gli uomini che non Cl) — Mario Compagnoni Marefoschi nacque a Macerata il 9 settembre 1714; andò a Roma nel settembre 1731 e continuò gli studi presso il Collegio Nazareno di cui era Protettore suo zio. Nel 1740 divenne prelato e fu tra i Referendari dell’una e dell’altra Segnatura. Divenne Cardinale nel 1770. Morì il 23 dicembre 1780. Il card. Gaetani era stato scolaro del Natali. Cfr. Codignola, op. cit., pag. 4, n. 5 e D a m m i g op. cit., pag. 166 e segg. (2) — Codignola, op. cit., pag. 6; Nouvelles Eccl. del 23 gennaio 1778 15 - si danno al Partito, capace di maggiori eccessi averne nè n- brezzo, nè pena » (1). Questo significava, secondo i nemici, re giansenisti: ed il Matali ben lo sapeva, ma il suo animo fiero ed il suo carattere tenace fino alla testardaggine, sincero fino alla violenza, lo spinsero, ben lungi dal soffocare i propri sentimenti, a dimostrare apertamente le proprie idee dichiarando calunniose le accuse, ammirando i giansenisti ed entusiasmandosi sempre più della via intrapresa: rivolse a questo fine il proprio insegnamento, facendo sostenere agli scolari tesi ardite che naturalmente sollevarono malumori, dispute, critiche. Molti nemici insorsero e attaccarono aspramente il Natali, accusandolo anche per le sue tesi sostenute da studente, con tanto successo nel 1751-52. tj - A nulla valse tanto rumore, e se vi fu un risultato, fu quello opposto alle speranze dei suoi nemici: il Natali si difese aggrappandosi ancor più alle nuove teorie; nell’anno scolastico 1758-59 svolse un corso di 509 tesi De Summo Pontifice deque S. Romanae Ecclesiae Cardinalibus dedicate al cardinale Neri Corsini, sostenenti l’infallibilità del papa e la superiorità nei Concili, tesi discusse con calore a fine d’anno, alla presenza anche di lettori domenicani (che pure erano accaniti antigiansenisti) da un suo scolaro: Giovanni Leonardi Galli (2). Nel 1761, sempre proseguendo nella lotta intrapresa, fece sostenere nel collegio Nazareno dai suoi scolari Giovanni Barsanti da S. Antonio (il 15 luglio), da Giorgio Castriota da S. Certaldo (il 23 luglio), da Venceslao Maddalena da S. Nicolò (il 13 agosto), da Giuseppe Beccaria da S. Idelfonso (il 18 agosto) (3), altre 104 tesi, con le quali, sotto 1 apparenza di difendere le verità cattoliche, confutava il Clerc, il Dalleo, il Cudwort, il Barbeyracli. il Piccinnino ed (1) — Notizie Storiche sulla condanna delle cinque proposizioni di Gian-senio e su i caratteri de’ Giansenisti. Assisi, 1789. pag. 185. L’opera è anomina come la maggior parte della produzione dei giansenisti e degli antigiansenisti. (2) — Cfr. Lettera d’un Chierico Regolare delle Scuole Pie, scolaro del P. Martino Natali al P. maestro Mamachi di Scio, teologo casanatense, Cosmopoli, 1766. (3) — Molto spesso gli scolari del Natali si distinsero; il Beccaria divenne Generale dell’Ordine; il Castriota fH autore di varie opere; chi però più di tutti seguì le irrequiete orme del Maestro, fu Alessandro Belloni, che frequentò le lezioni del Natali e poi, fattosi oratoriano « diede scandalo più di tutti con le sue ardite affermazioni nel campo teologico»; (D a m m i g . op. cit., pag. 199). - 16 - altri glossatori di S. Agostino, criticandone aspramente i censori. Contengono richiami acconsenzienti ai commenti del Berti, del padre V'iatore di Coccaglio, ed a Berry e Roncaglia (1), tendenti a dimostrare che può mancare anche la grazia sufficiente. L’editore Zein-pel le pubblicò in un opuscolo di 72 pagine, intitolato: Propositiones Theologicae quas in Collegio Naz. Romae anno MDCCLX1 facta cuilibet argumentandi potestate pubblice propugnarunt Clerici Regulares Sch. Piar. S. Theologicae iurisque Canonici Auditores. La prima edizione di una quarantina di copie andò presto esaurita essendo stata richiesta e diffusa non soltanto in Roma, ma anche altrove: lo stesso editore ne curò nel 1762 una ristampa, con una premessa, di mano del Natali, in cui avvertiva di aver aggiunta la lesi LXIX, tralasciata nella precedente, per consiglio ed istanza di « gravissimi amplissimique Viri ». Essa diceva: « Qua super re significo 1) Tridentinos Praesules non difinivisse, meram attritionem sine inchoata charitate ad gratiam in Sacramento Poenitentae acquirendam sufficienter disponere. 2) Ad obtinendam in eodem Sacramento criminum remissionem non sufficere attritionem ex sola turpitudinis peccati consideratione, ac gehennae formidine elicitam, sed requiri initialem saltem amorem: et amorem hunc non solius spei, quo Deus ut bonus nobis diligitur, .sed Charitatis esse debere. 3) Positionem hanc communem esse apud veteres Scholasticos, eandemque cum Theologicis rationibus, Scripturis, Traditione, et Synodi Tridentine Decretis perfecte congruere, ac tandem proponi frequenter ab Augustino, qui unus, ut in Serm. de Translat. Corporis C. Monicae loquitur Martinus Papa V, am. ium Patrum, Sapientumque ingenia, ac studia exhibet ». Nelle prime tesi esaltava la dottrina di S. Agostino, lo difendeva dalle accuse di contraddizioni e di errori, mossegli da Fausto Clerc, da Giovanni Dalleo; quindi passa a sostenerne alcuni princìpi come quello che Dio non può essere compreso intuitivamente da alcuna creatura con l’intelletto, con la sola luce naturale (tesi X). Si appoggia alle dottrine del Berti, di Natale Alessandro e del Noris. Ini- (1) — L’agostiniano Lorenzo Berti aveva tentato di spiegare in una nuova maniera l’efficacia della grazia che diceva consistere in una dolcezza soprannaturale capace di attrarre la volontà con tal forza da superare quella delle lusinghe del peccato, acauisendo il nome di grazia efficace, distinguendola cosi da quella sufficiente. Il Berti ebbe l’appoggio del Belelli, ma fu attaccato violentemente da due prelati francesi, Saléon e Languet, che lo accusarono di giansenismo; fu però difeso dal papa Benedetto XIV. 17 portante la 54u dove combatto l’opinione del Bellarmino e di Angelo Maria Canali, circa la circoncisione, sostenendo che fu istituita anche per cancellare il peccato originale. La 68° partendo dalla premessa che S. Agostino ascrive al battesimo la remissione dei peccali, compresi quelli che sono commessi dopo iì battesimo, sostiene che egli non favorì 1 eresia dei Novatori che negano il Sacramento della Penitenza, concludendo « Quin Sanctus Doctor indubie concinit Ecclesiae usui. I raditioni Majorum, et SS. Litteris, unde liquet necessariam esse lapsis post Baptismum Confessionem Sacramentalem, in eaque enumeranda omnia et singula peccata laetalia, quorum reminiscuntur ». Subi- lo dopo attacca ancora il Bellarmino ed il Tournely contro l’irrem-missibiliià del peccato. Dalla 73° al 76° compresa, tratta dell'Euca-restia e della Messa, combattendo l’errore calvinista e soprattutto che a questo errore possa aver dato luogo S. Agostino. Ammette che sia possibile offrire la Messa ai Santi ed ai martiri, benché queste» non fosse concesso dalla liturgia dei tempi precedenti al S. Dottore. Dalla 91° alla fi ne si [tarla della grazia, del libero arbitrio e delle altre teorie tanto care ai giansenisti (1). Gli amici esultarono: videro nel Natali un uomo illuminato ed un profondo teologo (2): mentre i nemici allarmati cominciarono a spiare il momento opportuno per abbatterlo, sollevando im clamoroso scandalo. Il giovane impulsivo non tardò infatti a fornire il motivo per far traboccare le ire e fare insorgere numerosi avversari. II 14 settembre 1763 nel Collegio Nazareno il convittore polacco conte Giovanni Michele Lodzniski, sostenne con grandi lodi, una disputa teologica, alla presenza di Giovanni Francesco Albani, protettore della corona di Polonia, di un gran numero di lettori apparte- \ (1) — La 91 aveva forse suscitate discussioni gravi: una nota marginale scritta forse dal Natali stesso sulla copia posseduta dall’Università di Pavia, dice: « Il Cadonici propose delle obbiezioni, ma si guardi il Berti, lib. 12. cap. 9 e 13 ». La tesi diceva: «Culpae originalis poenam esse etiam corporis mortem libenter cum S. Augustino contra Pelagianos, Socinumque profitemur; nam potuit quidem primus homo sibi necem consciscere, sed non erat moriturus, nisi peccasset ». Altrettanto per la tesi 96 che diceva: « Statum nature purae omnino impossibilem cum Viatore a Coccaglio, aliisque Theologis praestantissimis judicamus: cumque totum hic nostrum esse sciamus Augustinum, nullas adversariorum argutationes pertimescimus ». Una nota manoscritta come le precedente avverte: « Dispiacque assai al P. Ricchini quell'omnino, ingiustamente ». Non saprei se il Ricchini avesse fatte difficoltà al momento della discussione o al momento della stampa, perchè era il censore, che aveva approvata la pubblicazione. (2) — Così venne definito negli Annali Eccl. del 9 dicembre 1791, narrando i fatti avvenuti nel 1763. — 5 — 18 — nenti a vari ordini religiosi e di professori della Sapienza (1). In questa discussione si analizzarono e si sostennero 80 tesi del Natali, con le quali si affermava l’insufficienza della Religione naturale per ottenere la giustizia e l'eterna salute; la necessità della fede in un Mediatore per redimerci dal peccato originale; l’autorità dei testi originali della S. Scrittura e della Tradizione, 1 autorità suprema ed infallibile della chiesa, nel definire quali siano i libri sacri e le tradizioni, nel fissarne il vero e legittimo senso, nel dedurne i dogmi della nostra credenza ecc.. Alcune tesi trattavano della rivelazione divina che è contenuta unicamente nella S. Scrittura e nelle tradizioni (tesi 17°); altre sostenevano che dalla S. Scrittura si recavano le dimostrazioni dei dogmi in essa contenuti (tesi 29°); ma che non tutti i dogmi sono ivi contenuti (tesi 30°); che alcuni non sono stati convenientemente spiegati (tesi 31°); che occorre essere cauti in queste interpretazioni (tesi 32°). A.ltre ancora trattavano dell’interpretazione della S. Scrittura o riguardavano la forza della tradizione ecc. La tesi 48° sosteneva che l’infallibilità della chiesa non era limitata ai tempi di Gesù Cristo, ma sarebbe durata quanto il mondo. Dalla 50° alla 55° si dichiarava che la chiesa ha facoltà di derivare i dogmi dalla S. Scrittura e dalla tradizione, attancando l opera dei gesuiti Arduino e Berruyer. Le tesi dalla 65° fino all’ultima erano dilette a impugnare le dottrine del Probabilismo. Nella polemica che ne derivò il Natali ebbe molti sostenitori tra gli anti gesuiti e i giansenisti che Io considerarono il loro esponente; le 80 tesi furono dapprima divulgate in fogli volanti, poi, u-nitamente alle 104 dell’aniio precedente e già edite, furono ripubblicate a Parigi nel 1768, dal Desaint, nella collezione delle tesi più celebri e sensate delle varie città delVEuropa cattolica (2). Ma in maggior numero furono i nemici, che dapprima alzarono un coro di proteste contro il Natali e il Tosetti giudicati « difensori delle quattro proposizioni del clero Gallicano del 1682 (3), poi passarono alla critica violenta: Tommaso Maria Mamachi, domeni. (1) — Diario scolastico, edito in Rassegna Storica, ecc. cit., a. V° (1939)[ (2) — Si trattava di un volume in 8° di pagg. 474. iCfr. Annali Eccl. del 9 dicembre 1791 e del 2 giugno 1792. (3) — D a m m i g , op. cit., pag. 168. -19- cano, (1) disse che quelle tesi contenevano 14 eresie: accusò l’im-tero ordine degli scolopi e il Natali in particolare di aver prese quelle tesi « da Luterò, dai Difensori di Bajo. e dagli Appellanti alla Costituzione Unigenitus », di essere inoltre un Novatore e di aver bevuto a puzzolenti fonti malsane. Il p. Badetti, amico del Mainatili, nell’ottobre seguente, trovandosi a Rieti, profferì parole di biasimo sull'ordine delle Scuole Pie-per le tesi del Natali. Questi fu attaccato per tutta la sua attività: i nemici andarono anche a ripescare certe tesi sostenute nel collegio Nazzareno nel 1751 accusandole di materialismo e di spinozismo (2). 5 - Le proteste e le invettive contro l’assertore delle nuove teoiie non cessarono prima che il Santo Padre ne fosse venuto a conoscenza. Anche i gesuiti denunziarono al papa il Natali accusandolo di sostenere delle tesi « contenenti moltissimi e gravissimi errori in materia di fede » (3). Alla notizia venne data la massima diffusione dagli avversari degli scolopi: il Natali stesso ci informa con dolore di queste voci tendenziose: « Corsero lettere per tutta l’Italia, con le quali si dava ragguaglio che nel Collegio Nazareno si insegnavano dottrine eretiche alla nobile gioventù, e che il Santo Padre era stato costretto a prendere delle forti misure per raffrenare quei Religiosi seminatori di tali dottrine: nè si mancò di fare inserire in varie gazzette questa novella che impegnar dovea la nobiltà d’Italia a ritirare da quel Collegio i suoi figli (4). L’oidine dei domenicani gli rimase sempre avverso e pare abbia preso a combattere i giansenisti cominciando proprio dalle critich' fatte alle tesi sostenute nel Collegio Nazareno nel 1763. Il pontefice si interessò della questione e, dopo aver privato dell'insegnamento il Natali, fece esaminare le tesi da alcuni teologi, tra i quali era il commissario del Santo Uffizio, il domenicano p. Torni, e il consulti) — Nacque nel 1713 nell’isola di Scio e fu Maestro di Palazzo a Roma. Diresse il Giornale Ecclesiastico che sì stampava in quella città. Morì nel giugno del 1792. Pubblicò molte opere: Delle origini ed antichità cristiane; Costumi dei primi Cristiani, .1753-1757; Lettere sulla pretesa filosofia dei moderni increduli, 1770; D,e animabus iusttrrum; Lettere di Filorete sull’ortodossìa di Pa-iafox, 1772 e seguenti. (2) — Lettera di uh Chierico Regolare, ecc. cit., pag. 12 e M a m a c h i , De Animabus, pag. 115, sulle accuse del Mamachi al Natali, cfr. anche le lettere di C. Amaduzzi a G. Bianchi in Bibl. Vat. Ferr. 416 f. 79. (3) — Annali Eccl. del 9 dicembre 1791. (4) — Lettera di un Chierico Regolare, ecc., cit., pag. 30. — 20 — lore p. Neriiii. Furono anche interpellate alcune celebri Università di Europa. Da questi esami risultò che nessun punto era contrario alla fede, anzi il maestro del Palazzo Apostolico, pure domenicano, si dimostrò offeso per quelle consultazioni, dichiarando di avere e-saminate ed approvate le tesi prima della loro pubblicazione e assicurò che se gli venissero ancora sottoposte ne avrebbe di nuovo approvata Ja stampa. 11 7 novembre 1763 il p. generale delle Scuole Pie, Giuseppe Giuria, fu ricevuto da Clemente XIII, ed udì la risposta: «Nella conclusione tenuta sotto il 16 settembre p.p. non esservi cosa alcuna contro la sana dottrina » (1). Si ha però motivo di credere che questo fosse un compromesso per smorzare le ire, calmare gli animi eccitati e far tacere ambe le parti. Il papa infatti aggiunse che « ciono-stante, per degni riguardi, non gradiva che (il Natali) fosse rimesso nella sua cattedra ». L intero ordine degli scolopi ne rimase però incolpato e molti anni dopo in una nobile e paterna lettera un altro p. generale ricordava al Natali questo triste momento in cui l’ordine rischiò « di essere ridotto quasi a nulla » (2). 11 p. generale dovette rimuovere dalla carica il rettore del collegio Nazareo, p. Urbano Tosetti e allontanare il Natali da Roma. Per giustificare questa misura si cercarono dei protesti si cominciò col metterlo in cattiva luce pigliando motivo da qualsiasi fatto: la sera del 22 settembre del 1763, il Natali (già cominciava a circolare la voce che sarebbe stato dimesso da professore del Nazareno (3), giunse a tavola tra gli applausi degli scolari. Il rettore del Nazareno. Giovanni Luca Bandini, suo principale persecutore, ne prese lo spunto per riferire al papa che gli applausi erano stati provocali dal Natali stesso andando appositamente a cena in ritardo per entrare da solo e farsi notare. Preparato il terreno con una ostile campagna di voci ostili, il Natali fu mandato nella odiata Urbino per l’insegnamento della rettorica. (1) — Lettera di un Chierico ecc. cit. pag. 16 e Rassegna di Storia e bibl. cit., 1939, pag. 49. (2) — Lettera del Ramo del 22 novembre 1777, in C o d i g n o 1 a , op, cit., pag. 84. (3) — Forse si sapeva anche che il Natali .sarebbe stato espulso da Roma perchè il Bottari il 24 settembre scriveva che i gesuiti, in lotta contro gli scolopi, « in questa settimana hanno dato un colpo crudele: fatto cacciare con una mera calunnia il più bravo soggetto che avessero in Roma ». (D a m m i g , op. cit., pag. 160, n. 2). — 23. — Nulla gli fu risparmiato affinchè sentisse che si trattava di una punizione e non di un semplice trasferimento e affinchè rompesse definitivamente le relazioni contratte con uomini noti per sentimenti filogiansenistici. fi p. generale Giuseppe Giuria raccomandò a lui partente di non pensare più alla teologia e nascostamente scrisse al p. Giuseppe Allodi, rettore del collegio di Urbino, che ne sorvegliasse le letture teologiche e ne esaminasse i temi. La partenza da Roma gli venne ordinata improvvisamente e senza indugi benché gli fossero stati promessi dal p. provinciale Ber-nardelli due giorni di tempo al fine di sbrigare gli impegni e salutare gli amici. In tanta disgrazia l’unico che sembrò mantenere salda fiducia e non disperò del futuro, fu proprio il Natali, che resse con animo combattivo alla punizione aggravata e resa ancor più cocente dalle calunnie: non cercò di giustificarsi e di difendersi, si preoccupò solamente di far conoscere la verità sui fatti, specialmente per quanto era stato riferito al papa: «Oh se si potesse far costare al Papa — scrive quasi con implorazione — la mia modestia, e non già temerità, come egli crede» (1). Desolato e triste parti da Urbino fece un viaggio noiosissimo tra la nebbia, la pioggia, il vento ed infine anche la neve. Arrivò la sera del 18 novembre 1769: trovò una stanza freddissima, i colleglli nemici o almeno indifferenti, impregnati di molinismo: si senti solo disprezzato; si addolorò di vivere in una città dove mancavano non so- lo gli intellettuali, ma anche i libri. Non si arrese però alla fortuna avversa, il suo carattere battagliero e la sua fermezza nei propositi 10 sostennero nella lotta: scrisse ai suoi potenti amici, al Bottari. al Corsini, e fece intervenire anchey/il Gaetani. e il Ganganelli invocando la loro protezione e pregandoli di inviargli i giornali che parlavano dei fatti che lo riguardavano, per potersi difendere: e comunicò un cifrario segreto per poter avere quelle notizie che gli erano state proibite (2). Gli amici a Roma si interessarono subito dello sventurato Natali ed espressero il loro disappunto al p. generale, il quale 11 26 novembre scrisse al Corsini quasi scusandosi di quanto aveva (1) — Lettera al Bottari del 20 novembre 1763, in Codignola, op. cit. pag. 6. (2) — Lettere del 20 novembre 1763, l’una al card. Andrea Corsini, l’altra sen_ za indirizzo, ma forse al Boitari, in Codignola, op. cit., rispettivamente pagg. 3 e 6; e D a m m i g , op. cit. pag. 231. Cfr. anche la lettera all’A-maduz^i del 12 gennaio 1770 in Appendice. fatto contro il Natali e promettendo di richiamarlo appena possibile: di uguali cose diede assicurazione il Gaetani. Il Natali ad Urbino svolse con dottrina il corso di rettorica nell’anno scolastico 1763-64, e .appena questo fu terminato, i suoi superiori. ligi alle promesse fatte, si interessarono del suo ritorno a Roma e provvidero alla sua sostituzione. Il rettore del collegio di L rbino scriveva infatti il 27 agosto al p. generale: «Mi raccomando poi alla P. V. per il Maestro di Rettorica. Il padre Martino 1 ha fatta molto bene e con molto profitto dei suoi scolari, onde il successore. se non sarà ben capace, vi farà poco buona figura» (I). 6 - Questo ci fa supporre che il Natali sia tornato a Roma appena terminato l’anno scolastico, cioè nell’estate del 1764. Ritrovatosi fra gli amici romani, che lo sostenevano, il Natali credette giunto il momento di poter giustificarsi e reagire contro tante accuse. Scrisse allora la Lettera d'un chierico regolare delle Scuole Pie, scolare del P. M. Natali, al P. Maestro Mamachi, di Scio. Teologo casanatense. che fu pubblicata nel 1766 (2). Nè certo un carattere (1) — Codignola, op. cit., pag. 5, n. 5. (2) — Come luogo di stampa segnò Cosmopoli, fantasioso nome usato sovente nelle opere anonime. Secondo il D a m m i g , op. cit., pag. 188, fu stampata a Lucca. L’attribuzione dell'opera è incerta, ma viene generalmente creduta del Natali. Il M e 1 z i (Dizionario delle opere anonime, Milano 1848), e il Codignola, op. cit., pag. XCVTI, l’attribuiscono al Natali; 1’ H o r a n y i Scriptores Scholarum Piarum, pag. 376, al p. Urbano Tosetti. L’autore scusandosi di non poter mettere il proprio nome al volume perchè da Roma è stato diffuso l’ordine di non polemizzare col Mamachi, appone quale firma della Lettera le seguenti iniziali; F.M.D.S.P. che vorremmo interpretare, restando però nel campo delle ipotesi, Fausto Maroni, delle scuole pie, pensando che il Natali abbia messo queste iniziali non sue per meglio sviare il riconoscimento. Fausto Marone, scolopio, fu nemico del Mamachi, contro il quale lottò nella lite tra il Capitolo di Civita Castellana, difeso appunto dal Marone e quello di Ostia, difeso dal Mamachi. Comunque anche se la firma è quella di uno scolaro, la materia mi pare che sia del Natali: questi dichiarò a-pertamente di aver composto libri con la firma dei propri scolari; inoltre è troppo il compiacimento nel segnalarne la seconda edizione, per essere opera altrui. Infine penso che si riferisca a quest’opera la frase di una lettera che il Natali scrisse al Firmian il 7 febbraio 1773: « quanto finora ho pubblicato l’ho , stampato senza nome » giacché a tale data, escludendo questa Lettera il Natali aveva stampato senza nome, la sola Lettera di un Teolodo della Sacra facoltà di Parigi ecc. troppo poca cosa per giustificare la frase riferita (Codignola, op. cit., pag. 25). Fu ristampata con l’aggiunta di nuove note a Brescia dal Vescovi, nel 1777. Ne parla lo stesso Natali nella lettera al De Bellegarde del 17 luglio 1779, in Codignola, op. cit., pag. 117. L’opera veniva presa in molta considerazione: le Novelle Letterarie dell’agosto del 1766, ne davano notizia dimostrandosi favorevoli al Natali, ed accusando il Mamachi di aver ad arte sconnesse e slegate le tesi dell’avversario. — 23 - battagliero ed impulsivo come quello dei Natali poteva tacere di fronte ai nemici e specialmente contro il Mamachi sebbene gli fosse necessario conservare l’anonimo nascondendosi sotto il nome di uno scolaro. Rifatta brevemente la storia delle 80 tesi, riportandone anche il contenuto, il Natali ribatte alle critiche del Mamachi, difendendosi con calore dalle accuse, e cercando testimonianze e precedenti nelle opere del Concina, del Lessio ecc. ]Nell’opera viene messo particolarmente in cattiva luce il Mamachi, accusato di essersi fatto consegnare del danaro per pubblicare il voi. VI delle sue Antichità cristiane, e di averlo invece adoperato per la pubblicazione del De Animabus iustorum, contro nuovi errori degli scolopi Floriano Dailham ed Angelo Maria Feltri, e del Natali. Ma questi pretesi errori — obbietta il Natali — già da sei anni circolavano attraverso le opere del Concina, del Lami, del Gaz-zaniga, senza che il Mamachi dicesse nulla. Viene inoltre disprezzato per la sua carriera e per il cambiamento di idee, poiché quando aveva avuto l’incarico dal papa Clemente XIV di confutare un libretto gesuitico contro la beatificazione del vescovo Juan Palafox y Mendoza, (autore di una lettera antigesuita) aveva assolto al compito con tanto zelo da attirarsi gli odi dei gesuiti, inoltre si era sempre mostrato sostenitore del catechismo del Mésenguis; ma nel 1760 improvvisamente si era dimostrato seguace dei gesuiti e si era scagliato contro lo stesso catechismo per interessi privati. Anche il p. Dinello, il p. Polidori. il p. Straticò, prima amici del Mamachi, divennero suoi nemici, ed il cardinale Spinelli non lo volle più al suo Palazzo, così pure il ministro spa-gnuolo De Roda e mons. Marefoschi (1). Il tono della Lettera è polemico ed aggressivo, l’autore vi sfoga la propria ira fino a compiacersi pubblicamente del fatto che il Mamachi, cui dà il soprannome di « Teologo a vento », sia stato privalo facendo loro acquistare nuovi significati; ne davano anche notizia le Nouvel-les Eccl. del 13 novembre 1779. Il Natali forse in quest’occasione fu appoggiato anche dal proprio ordine poiché in un diaro scolastico dell’epoca sotto la data del 22 agosto 1766 si segnala la Lettera, ed anche l’articolo delle Novelle Letterarie, mettendo in rilievo con evidente compiacimento che quel giornale aveva giudicata la Lettera « seminata di molti aneddoti, di stile piano e pulito, con raziocinio giusto », ed aveva posto « le tesi in tal lume a favore del Natali, che il P. Mamachi non poteva rispondere altro che parole » (Rassegna, cit., voi. X). (1) J e m o 1 o , Il Giansenismo in Italia, cit., pag. 220. — 24 — della sua cattedra per i suoi « saggi infelici » e debba quindi vivere « in oscurità qual mero Religioso da coro » (1). Non sappiamo con esattezza quale occupazione abbia avuto negli anni immediatamente posteriori al suo ritorno a Roma. Andò anche ai Collegio Germano-Ungarico? Benché non mi sembri probabile, riporto tuttavia una nota del Diario Patrio di L. Fenini, dove si legge che il Tamburini «era a Roma nel Collegio Germano-Ungarico, unitamentee al Prof. Natali e Zolla (sic), ma essendo essi giansenisti i Curiali di Roma gli facevano la guerra ed avevano indotto S. Santità a farli mettere tutti e tre nel Castel di Sant’Angelo; l’Anibasciatore austriaco fece la protesta con S. Santità che questi erano sotto la protezione di S. Maestà l’imperatore e prima voleva scrivere al suo sovrano. La risposta fu che gli scortava fin fuori del- lo stato papalino e tutti e tre furono fatti Professori di Teologia in questa Università (di Pavia) » (2). La semplicità del racconto ci lascia un po’ in dubbio sulla sua verità; di sicuro ci risulta solo che dal 1766 al 1769 fu prefetto delle scuole del collegio Calasanzio (3). Nel giugno del 1769, dopo l’elezione del nuovo pontefice Clemente XIV, per intercessione del p. generale degli scolopi, il Natali ottenne di nuovo l’insegnamento della teologia, ma forse non cominciò neppure le lezioni: il 17 ottobre 1769 il conte Carlo di Firmian (4), plenipotenziario deH’imperatrice Maria Teresa per la Lombardia austriaca, lo invitava a Pavia scrivendogli in questi termini « la stima che ho della dottrina di V. P. Rev.ma ha determinato a proporla alla Corte per una cattedra di Teologia Dom-matiea nell’Università di Pavia, » e fissandogli un onorario annuo di L. 1200. Lo pregava di trasferirsi subito a Milano, essendo pros- (1) — Lettera di un Chierico, cit., pag. 19. (2) — Ms. del Museo Civico di Pavia, voi. II, in P. G u e r r i n i Carteggi Bresciani inediti sulla e i tempi di P. Tamburini, in Bollettino della Soc. Pavese di St. Patria, luglio-dicembre 1927, pag. 248. (3) — Codignola, op. cit., pag. XIX. (4) — Carlo Firmian nacque a Trento il 5 agosto 1718, morì a Milano il 20 luglio 1782. Compiuti gli studi ad Innsbruck, poi a Salisburgo, infine a Leida, abitò molto tempo a Parigi quindi in Olanda occupandosi di studi giansenistici Tornato a Salisburgo terme in casa propria un’accademia. Fece rapida carriera politica, consigliere dell’aulico dicastero di Vienna nel 1740, ministro plenipotenziario a Napoli nel 1752, ministro plenipotenziario nello stato di Milano nel 1759. Fu mecenate e protettore di studiosi più che un uomo di scienza: lasciò 40.000 voi. che arricchirono le biblioteche milanesi. Fu molto amato dai giansenisti: cfr. Annali Eccl. del 23 aprile 1784, e Angelo T. Villa ■Caroli Comitis Firmiani vita, 1783. — 25 — sima I apertura delle scuole, nel caso che « la sua determinazione fosse favorevole all Università che nella sua persona avrebbe fatto acquisto d un soggetto di molto merito» (1). Al Firmian era sta- lo raccomandalo dal cardinale Marefoschi (che già gli aveva raccomandato il padre Fontana). La raccomandazione era stata passata al Senato; il presidente Pertusati aveva fatto opposizione; ma alla fine aveva ceduto alle insistenze del Firmian permettendo cosi la nomina (2). (1) — Codignola op. cit., pag. 9. (2) — Così si rileva da quanto il Cremani, preside della facoltà teologica di Pavia dichiarò a mons. Stefano Rossi in Appunti Storici (Bibl. univ. di Genova, C - IV - 14 - f. 574 e segg.). CAPITOLO II0 IL NATALI A PAVIA 1° All’Università di Pavia; Situazione di quell'Università. — 2° L'Orazione inaugurale e Lettera contro il Tournely. — 3° Nomina a Censore. Critica al catechismo del Bellarmino; la Lettera sopra la morte di G. C. e sua discesa all’inferno; conseguenze e polemiche. — 4° II Sermone di S. Agostino e conseguenti polemiche. — 5° Complexiones Augustinianae; le Lettere sopra il Concilio di Trento. — 6° Lettera contro il Collet; Della Grazia e del libero Arbitrio. — 7° Sentimenti e Preghiere. — 8° Epitome al Veronio e le successive polemiche. — 9° Onori da parte dell’imperatore; malattia e disagi. — 10° Parallelo della Storia degli ebrei con quella dei cristiani; Principi sull'approvazione dei Confessori e Scripturae et patrum doctrina. — 11° Ragionamento sull'astinenza dalle opere servili nei dì festivi: Riflessioni sopra il Breve del S. Pontefice. — 12° La Storia della chiesa di Utrecht e il Dubbio sul centro. — 13° Malattia; tentativo di ritrattazione, morte. 1 - Cominciava per il Natali una più importante e più celebre pagina di vita. L’Università di Pavia, nella seconda metà del sec. XVIII. per interessamento dell’imperatrice Maria Teresa, era stata particolarmente curata, con lo scopo di innalzarla nel prestigio e nella fama. Fu allora che « lo studio di Pavia sorse in tanto grido, che forse alcun altro non fu mai sì famoso in Europa ». (1) La facoltà teologica era stata oggetto di particolari cure ed attenzioni, per essere trasformata in uno strumento che potesse assolvere i compiti cari ed utili al governo austriaco: si volle cioè evitare che i chierici ricevessero l’educazione religiosa e morale dai gesuiti e dai domenicani, o comunque da persone molto ligie alla corte di Roma. (1) — C. Botta, Storia d’Italia dal 1789 al 1814, Capologo, 1837, voi. I, pag. 13. Proprio negli anni in cui il Natati, era allontanato da Roma, veniva presentato ai Supremi Uffici di governo della Lombardia austriaca, in data 9 maggio 1767, uno scritto di Giovanni Bovara, intitolato: « Idea di un piano generale di riforma degli studi ecclesiastici dell Università di Pavia» (1). In esso l'autore, lamentata la varietà degli indirizzi impressi dalle varie scuole che conferivano lauree, e la diversità di idee che generavano dannose dispute, proponeva varie riforme, soprattutto nella facoltà di teologia che doveva comprendere le seguenti cattedre: logica ed arte critica, teologia naturale, filosofia nalurale, filosofia morale, sacra scrittura, istituzioni teologiche e canoniche, teologia dogmatica, morale evangelica, storia ecclesiastica e diritto privato ecclesiastico. Fino ad allora invece erano insegnate nella facoltà teologica: diritto canonico, istituzioni e patristica, storia ecclesiastica, teologia dogmatica, teologia scolastica, e sacra scrittura. Nessuno, secando Ih riforma, poteva conseguire la laurea in teologia se non attraverso questa facoltà che aveva il compito di favorire le mire antipapali austriache. Inoltre per influire sulla formazione morale del nuovo clero, e per rendere frequentatissima quella facoltà fu stabilito che solo coloro che uscivano dall’ateneo di Pavia, potevano aspirare agli ordini maggiori. Il governo austriaco per non provocare reazioni, accettò la riforma con una certa cautela. I teologi innovatori e di maggior fama vennero chiamati a Pavia, e l’università cominciò a funzionare come il più intelligente strumento della politica del governo austriaco, in quel momento in mano all’attivo e dotto ministro principe Kaunitz (2). Questi difendeva incoraggiava, beneficiava i professori di teologia; i quali, lodali, apprezzati, a volte esal- (1) — Bibl. Uìiiv. Pavese, Ms. N. 334. E. Rota, Per la riforma degli Studi ecclesiastici nell’Università Pavese al tempo di Giuseppe II in Boll, della Soc. Pav. di Storia P. a. VII (1907), fase. IV, pag. 402 e segg. Il Bovara divenne poi segretario agli studi della Lombardia e poi Ministro del culto nella Rep. Italiana di Napoleone. (2) — Venceslao Antonio Kaunitz-Rietberg nacque a Vienna il 3 febbraio 1711 e vi morì il 27 giugno 1794. Era di famiglia nobilissima, entrò nel 1755 al servizio dell'imperatore come consigliere aulico, fu ambasciatore a Torino dal 1742 al 1744, e ministro a Bruxelles dal 1744 al 1746, quindi rappresentante imperiale al congresso della pace di Acquisgrana. Fu ambasciatore a Parigi dal 1750 al 1753, cancelliere di stato per la politica estera dal 1753 fin quasi alla sua morte. Fu uno dei più grandi uomini di stato dell’illuminismo, coltissimo, protettore degli studi e delle arti. — 28 — tati, raggiunsero anche l'alta carica di rettori magnifici dell ateneo: negli anni 1778-79 lo fu lo Zola, nel 1782-83 il Tamburini (1). Occorrevano professori che al talento unissero la solidarietà con le dottrine care all'Austria e fossero decisi a lottare contro il papato. Fu allora che il Firmian. niente direttiva dell’Università, conobbe e subito apprezzò la figura del battagliero p. Natali, che già tanto aveva fatto parlare di sè. Il Natali dunque ricevuto l'invito neirottobre del 1769, si recò nel novembre a Milano per parlare al Firmian e ringraziarlo; non avendolo trovato, prosegui subito il viaggio per Pavia. Recava una lettera di benevola presentazione al Firmian, scritta dal p. Francesco Saverio Vasquez (2), generale degli agostiniani, die dichiarava che « quantunque (il Natali) non vesta l'abito di S. Agostino, la sua mente ed il suo cuore sono tanto Agostiniani che io lo reputo uno dei più cari figli del mio SS. Padre, per la cui dottrina ha patito delle fiere persecuzioni... L’assicuro della probità del Religioso e della sua gran perizia nelle materie teologiche» (3). La cattedra di teologia dogmatica, affidata al Natali, era stata tenuta per la prima volta dal p. Francesco Maria Brambati, domenicano, che nel 1718 si era offerto gratuitamente all’insegnamento. Morto il Brambati l’8 aprile 1742, la cattedra era stata affidata al p. Giambattista Colombini, dei conventuali di S. Francesco, che aveva iniziato le lezioni nello stesso 1742, unitamente a quelle di storia ecclesiastica. Nel 1763 i due insegnamenti passarono al p. Gerolamo Maria Risi che li tenne fino al 1769, anno in cui furono (1) — Giuseppe Zola nacque a Concesio, (Brescia) il 28 aprile 1739, morì a Pavia il 5 nov. 1806. Dopo essere stato bibliotecario delia Queriniana a Brescia. insegnò teologìa nel seminario della stessa città, fu quindi a Roma nel Collegio Germano-Ungarico. Nel 1775 fu chiamato a Pavia per insegnare in quell’università Storia Ecclesiastica. Pietro Tamburini nacque a Brescia il 1 gennaio 1737, morì a Pavia il 14 marzo 1827. Ordinato sacerdote a 23 anni, insegnò, nel seminario della sua città, filosofìa e poi teologìa. Avendo pubblicato il De Summa catholicae de Gratia Christi doctrinae praestantia, (Brescia, 1771) opera accusata di eresie, lasciò il seminario e si recò a Roma, dove trovò calorosi amici tra i giansenisti e gli antigesuiti. Il 28 nov. 1778 fu chiamato all’università pavese: fu anche prefetto degli studi del collegio Germanico Ungarico. Fu il promotore del sinodo di Pistoia. Nel 1792 fu dimesso dall’insegnamento, ma con alterne vicende riebbe e lasciò più violte la cattedra fino al 1818, anno in cui ne fu definitivamente privato col tìtolo di professore emerito. (2) — Fr. S. Vasquez partecipò al movimento giansenista con una enciclica del 23 die. 1779, nella quale sosteneva che il giansenismo è un fantasma, senza realtà. Prima di morire fece però una ritrattazione che a Pavia fu tenuta nascosta. (3) — Codignola, op. cit., pag. 10. — 29 — sdoppiati: il Risi continuò quello della storia ecclesiastica, il Natali incominciò quello della teologia dogmatica (1). Fece il suo ingresso mentre tutti gli amici ed i sostenitori, sia dell’università pavese sia del piano di riforma ancora in attesa di attuazione, puntavano su di lui i loro sguardi, e le loro speranze. Scriveva soddisfatto all’amico romano Amaduzzi: «Ho più scolari r-be mi era stato proposto. Non faccio l’ultima figura fra miei colleglli, anzi forse la prima... Comprenderete pertanto la stima, che ho fra questi professori ». Il 27 novembre si iniziò l’anno scolastico, e pensiamo che il Natali abbia cominciato ciuasi subito le lezioni almeno in forma privata (2). * 2-11 giorno 17 marzo doveva pronunziare l'orazione inaugurale, per il pubblico possesso della sua cattedra, ma per la malattia d’un collega fu rinviata all’ll maggio, e diffusa e stampata con dedica a Giuseppe II, a Maria Teresa, e al conte Firmian (3). Il Natali incoraggiando negli studi gli alunni, spiegava il suo programma ed assicurava che avrebbe esposto quanto era veramente cristiano, combattendo le false teorie: sosteneva che non può essere oggetto di fede quanto è noto dalle rivelazioni fatte dopo il tempo degli Apostoli, e da ciò derivava la necessità di conservare intatto il sacro patrimonio dei dogmi cristiani (4). Dimostrava che gli estremi in materia di fede sono viziosi, e che nell’esporre i Dogmi si può peccare in duplice modo: per difetto, credendo troppo poco; e per eccesso, credendo troppo. (1) — Memorie e documenti per servire alla Storia dell’Univiersità di Pavia voi. I, pag. 573. Il Risi continuò l'insegnamento della storia ecclesiastica fino al 1773, anno in cui morì. Fu allora chiamato a sostituirlo lo Zola. (2) — Circa la data dell’inizio delle lezioni del Natali, c’era un po’ di confusione: da una lettera del Natali al Firmian, del 28 novembre 1769 (Codignola op. cit., pag. 11), sembra di capire che egli abbia iniziate le lezioni al giorno prima; viceversa da una ietterà del 13 marzo 1770 (Codignola op. cit., pag. 13) il Natali dice esplicitamente: « reciterò un’orazione sabato 17 corrente per il pubblico possesso della mia cattedra ». Infine l’orazione che fu stampata porta la data dell’ll maggio 1770. Questa confusione è chiarita da quanto scrive all’Amaduzzi con lettera del 21 marzo 1770 in Appendice. (3) — Oratio habita a Martino Natali C. R. Scholarum Piarum in Regio Ticinensi Archigymnasio V idus maias MDCCLXX cum Theologiam Dogmaticam publice docendam susciperet. Pavia Bolzani, (1771) pagg. 21. II ediz. Brescia e Venezia, 1777. (4) — J e m o 1 o , Stato e Chiesa, Torino, 1914, pag. 163; e V i n a s , Index Bio-bibliographicus CC. RR. PP. Matris Dei Scholarum Piarum, Roma, 1908-1911, pag. 283. Terminava lodando Maria Teresa che aveva voluto quell’ateneo, la cui gloria ridondava sugli scolari stessi (1). Se ripetessimo tutte le lodi subito rivolte al nuovo professore ci dilungheremmo troppo: fu riconosciuto come il «primo... il quale diede principio col suo insegnamento e coi suoi scritti ad un felice risorgimento e rinnovamento di studi sani ». Fu lodato per « la maestà del dire, senza affettazione, e la chiarezza nel delucidare ed esporre le più astruse e metafisiche questioni », tanto che divenne grandissimo il concorso alle sue lezioni, l'aula era sempre gremita, molti restavano in piedi o fuori della porta. Fu salutato quale « salvatore e purificatore degli studi ». l’uomo che sapeva abbattere « pregiudizi e le cattive dottrine dei Gesuiti che fino a quel tempo avevano regnato nelle scuole e nel Clero ». Si osservò che tutta l'università fu rinnovata col suo esempio, avendo egli iniziata una nuova corrente di vita più attiva e battagliera, mentre prima del suo arrivo l’Università non era ancora riuscita a far sentire la propria voce, «a far fronte alle scuole contrarie, e scuotere il comune letargo. Chiamatovi però il nostro Professore, ed ascesa che ebbe la cattedra, con tanta dottrina e forza e costanza si pose a combattere sveltamente i perniciosi principi sparsi nelle scuole, sulla Grazia di Gesù Cristo, sulla Morale, sulla Gerarchia, ed a stabilire sodamente ed inculcare animosamente le vere e giuste dottrine, che le cose cangiarono ben tosto d'aspetto. Il concorso alle di lui lezioni, l'applauso del pubblico, la celebrità che se ne sparse dovunque, furono prove ben luminose del trionfo suo in mezzo alla vivezza della teologica guerra ». Fu riconosciuto che «giunto ad una pressoché deserta Università, e trovativi gli studi languenti, e dominanti i pregiudizi, per primo aveva posto mano a ristorarla, a risvegliarvi gli studi, ed a sgombrarne i pregiudizi, si che la vide in breve spazio di tempo, tutta volgersi a migliori speranze, e presto fiorirvi ogni sorta di scienze sacre non meno che di profane » (2). (1) Si riteneva che fosse pubblicata nel 1770, ma dalle lettere del 4 gennaio e 6 marzo 1771, si comprende che fu edita in tale anno. Infatti nella prima il Natali scrive che gli è stato comunicato il permesso di pubblicare la sua Prolusione, e sottopone al Firmian la dedica per l’approvazione. Nella seconda gli annuncia che la Prolusione è stata stampata, ed anzi gliene invia una copia. (Ch. Codignola, op. cit., pag. 15 e 17). Nel 1777 fu ristampata inclusa nella Nuova raccolta di opuscoli scientifici di Venezia, t. XXXI e in appendice alla II ediz. della Lettera d'un chietino ecc, cit.. Brescia, 1777. (2) — Annali Eccl. 9 dicembre 1791. — 31 — Il Natali lieto di poter praticare un giansenismo più aperto, più innovatore, più libero ed ispiratore di nuove idee di chiara libertà si immerse in quest’opera rivoluzionaria e vi si dedicò con tutte le sue forze, spinto e sorretto dal suo ardore giovanile, e dalla vivacità del suo animo. Per prima opera scrisse una critica contro il gesuita Onorato Tournely (1). Finge di rispondere ad un amico che gli aveva chiesto il parere sulla teologia del Tournely, avendo osservato quante copie esistano di questa teologia, ed avendo saputo che verrà ristampata da una delle più note tipografie d’Italia. Il Natali premette una vita del Tournely dimostrandolo lino strumento in mano dei gesuiti: accusandolo di aver sostenuta la parte del falso Arnaud (2) per il compenso di una cattedra di teologia a Douay, del canonicato nella cattedrale di Tounanay, ed infine di una cattedra alla Sorbona. Quindi ne esamina le opere: in generale — ammette il Natali — sono ciliare, precise, dimostrano sufficiente preparazione, ma dense di errori, di artifici e malafede quando tratta della grazia e della carità. Segnala la prima parte di un’opera Tourn<‘ly convinto d'errore e ili malafede in ciò che Ita scritto sulla materia della Grazia stampala nel 1754 e dichiara di attendere le altre parti che verranno in luce appena superate le difficoltà che sono state incontrate per ottenere l'approvazione (3). Il Natali quindi esamina il Trattato sulla grazia del Tournely; ne espone alcune tesi (le azioni umane sono reputate buone anche no sostenute solo dalla grazia: l'amore di Dio non è sorgente di tutte le buone opere; pur senza la grazia l’uomo corrotto ed anche gli infedeli possono compiere molte azioni irreprensibili; le buone azioni sterili verso il cielo sono di bontà morale completa e perfetta) reagendo perchè ammettendole si distruggerebbe il precetto della legge che ci comanda di amare Dio con tutto il cuore, e di non soffrire nel nostro cuore alcun sentimento che non proceda dal suo santo amore. Tutte le nostre azioni anche le più comuni, devono essere riferite alla gloria di Dio, che deve essere il fine tiltimo delle nostre azioni. Respinge le accuse sotto le quali cadrebbero colpiti d'eresia (1) — Nato ad Antibes nel 1658 morto nel 1729. (2) — Su questo fatto cfr. Sainte Beuve, Pori Rcryal, Parigi. 8° ediz. t. V. pag. 464. (3) — Nouvelles Eccl. del 17 luglio 1771. — 32 — anche Arnauld. Nicole, oltre che Giansenio, Saint-Beuve, e tante altre illustri persone. Sostiene che le famose cinque proposizioni non si trovano in effetti nell’opera di Giansenio, tanto è vero che il papa Innocenzo XII ed il clero francese hanno proibito la definizione di giansenista a coloro che non sostengano effettivamente qualcuna delle cinque proposizioni. Parla quindi della dottrina del diletto relativamente vittorioso impostata dal cardinale Noris e dal p. domenicano Massauliè, accettata dalla facoltà di Lovanio, dall’intero ordine agostiniano, e da molti ordini e congregazioni religiose, e sostenuta in tesi celebrate in tutta Europa, anche a Roma. Il Natali conclude che si fa un cattivo servizio a Roma ed all’Italia diffondendo questa teologia, e che anche gli agostiniani e gli altri ordini religiosi che sono intimamente convinti che la dottrina d»\ diletto relativamente vittorioso sia la dottrina che S. Agostino ha stabilito contro i Pelagiani, devono invitare S. Santità a condannare l’opera del Tournely. L opera ebbe larga diffusione: fu subito tradotta in francese e pubblicata sulle Nouvelles Ecclesiastiques (1) con 1 augurio che il Natali raccomandi ai grandi prelati romani di pregare ardentemente il papa di abolire la richiesta di firmare il Formulario, come ancora si chiedeva al clero in Francia e nei Paesi Bassi, per _ giungere alla pace della chiesa ed al trionfo della verità (2). Per la sua attività di scrittore chiaro, preciso e soprattutto deciso nelle convinzioni, salì in somma considerazione: nell’anno scolastico 1771-72, quando doveva spiegare l’opera Praelectiones Theologicae del domenicano Pietro Maria Gazzaniga, al Natali che aveva domandato di poter svolgere il corso sui suoi scritti, come nei due anni precedenti, il direttore della facoltà teologica, Pere-go, ed il Firmian, risposero con la preghiera che egli stesso « conti) — Numeri del 3 e 10 ottobre 1770. (2) — L’opera è intitolata:. Lettera d’un teologo djella Sacra Facoltà di Parigi, ad. un amico Milanese sopra la lettura dei trattati teologici del Tournely. E’ data da Parigi, 20 maggio 1770 e reca come firma: l’Abbé * * *. L’attribuzione era incerta: chi la stimava del SLmioli (Annali Eccl. del 22 giugno 1781) chi del Natali ( M e 1 z i Dizionario, cit.). Il dubbio ora è tolto: il Naitali stesso se ne professa autore nella lettera al De Bellegarde del 25 giugno 1779 (Codignola, op. cit., pag. 106). Se ne professa ancora autore nel suo epistolario dicendo di aver fatto ristampare la Lettera sul Tournely in appendice alla Lettera d’un Chierico, Regolare ecc., (Brescia, 1777) « a vantaggio dei suoi scolari per allontanarli dalla lettura di quel cattivo teologo... Vi si è messo il finto nome di un Dottore di Parigi ad un Amico Milanese e vi sono aggiunte delle note ». (Codignola, op. cit., pag. 113). — 33 — sumato in siffatti sludi, stendesse un corso elie avesse poi a servire per il libro classico nella Università e nelle R. Scuole di Lombardia (1). Non ci risulta però che l’idea sia stata accettata dal Natali, sebbene egli abbia pubblicato, come si vede dalle sue opere, qualche suo corso sul medesimo argomento. 3 - Lungi dallo scansar fatiche, cercò egli stesso lavori ed incombenze: ad esempio il 6 giugno 1771 chiese di essere nominato bibliotecario della biblioteca universitaira che in Pavia doveva essere eretta da Maria Teresa (2). Per allora non ottenne nulla, ma pochi anni dopo, ebbe un’occasione di distinguersi: morto nel 1773 p. Gerolamo Maria Risi, che aveva la carica di censore, il Natali fu scelto a sostituirlo, con l’incarico di sorvegliare che non venissero pubblicate cose che « offendessero il dogma, la morale cristiana, nè fossero contrarie ai prìncipi, ai loro diritti, alla polizia civile e all’onestà dei costumi». Questa carica di fiducia, sebbene non rinumerata, fu molto gradita al Natali, apertamente battagliero e desideroso di un’arma con la quale colpire i nemici e combattere le idee avverse alla sua dottrina. La prova delle sua ferma volontà e del suo attaccamento alle dottrine giansenistiche il Natali la sostenne osando censurare il catechismo del Bellarmino. Si parlerà meglio di questo in altra parte del presente lavoro: qui accenniamo solamente che ne nacque una violenta polemica che interessò non solo tutta l’Italia, ma gran parte dell’Europa, assumendo proporzioni tali da provocare annose discussioni, reazioni e pubblicazioni di alcune opere. Il governo austriaco, allarmato per tanto clamoie, dovette proibire al Natali, di rispondere, permettendogli solo più tardi una difesa, priva però della solita violenza. Nel giugno del 1775 un avvenimento importante per la sua vita, la nomina a vescovo, fu per troncare ogni attività e toglierlo dai suoi posti di professore e di censore. Si può credere che questa elezione sia stata una manovra di Roma per allontanarlo dal suo rivoluzionario insegnamento. Il Natali, infervorato nella lotta bel-larminiana, affezionato alla cattedra che gli permetteva la divul- (1) — Lettera del Firmian del 23 novembre 1771, in Codignola op. cit. pag. 23. (2) — Lettera al Firmian del 6 giugno 1771, in Codignola, op. cit., pag. 17. Il Firmian gli rispondeva il 24 giugno (Codignola, op. cit., pag. 18) che lo avrebbe tenuto presente, ma non risulta se poi gli abbia affidato l'incarico. — 34 — gazione delle sue dottrine, dedito agli studi tanto cari, rifiutò la nomina e continuò la lotta (1). Non potendo agire direttamente pubblicò una: Lettera prima di un lettore di Teologia in Roma sopra la morte di Gesù (■risto e sua discesa all'inferno (2). Questa Lettera trae la sua origine particolarmente dalla censura XIX al catechismo del Bellarmino; dove questo affermava: «Crediamo che la Persona Divina di Cristo con il Corpo stette nel Sepolcro» il Natali aveva sostituito quel crediamo con un semplice e dubitativo diciamo. Questa censura aveva scatenato le ire di molti: il Natali dopo la proibizione di pubblicare la sua difesa, stampò anonima questa Lettera che tratta due questioni: 1) « Se debba credersi come Dogma di Fede, che nella Morte di Cristo non si disgiunge dal Corpo la Persona Divina»; 2) « Se tutti i Fedeli siano obbligati a tenere come un articolo della Credenza Cristiana, che la Persona Divina di (.risto con 1 anima discese allTnferno ». Circa la prima questione dopo aver messa in evidenza l’importanza degli studi sulla grazia, il Natali ammette che moltissimi padri affermano che la Divina Persona fu unita al Corpo, nella morte; ma non tutti; alcuni dicono che Essa fu disunita: S. Epifanio (Haeresi 20, 69); S. Ilario (cap. 33 in Matt. num. 6) ed il monaco Leporio (Libello Emendationis). Anche S. Agostino si dimostra della stessa opinione. Il Natali confessa che preferirebbe la sentenza dei più, ina. per amore di verità, osservando gli antichi testi, deve convincersi del contrario, e formula questo sillogismo: « Due estranei non rimangono uniti fra di loro se tolgasi quel mezzo per cui trovasi uniti. La Divinità in Gesù Cristo era unita al Corpo per mezzo dell’Anima. Dunque nella Morte di Cristo, separandosi l’Anima dal Corpo, con questo non restò più unita la Divinità ». Dai testi antichi passa a citare_i commentatori antichi e moderni in favore e contro alla propria tesi. Si preoccupa poi di sostenere che non sono eretici coloro che la pensano come lui. perchè « un punto, che non ci venga chiaia-mente insegnato nè dalla Sacra Scrittura, nè dalla Tradizione, non può mai essere Dogma di Fede, rispetto a noi, cosicché non abbia- (1) — Lettera al De Bellegarde del 26 giugno 1775, in C o d i g n o 1 a , op. cit., pag. 42. (2) — La Lettera reca in fondo la data del 28 ottobre 1776, ma fu edita l’anno dopo, a Pavia; è di pagg. 160. — 35 — rrio positiva obbligazione di crederlo, se non ei sarà proposto come tale dalla Chiesa» (1). Esamina quindi il problema storicamente, enumerando le teorie e le eresie cui esso ha dato luogo. Nella seconda questione distingue due tesi: 1) Se Cristo sia disceso all’inferno. 2) Se Cristo sia disceso all'inferno con l’Anima. La prima tesi è ammessa come vera dal Natali che però vuol mettere in evidenza che le parole « descendit ud Inferos » mancavano nell’antico Simbolo della chiesa romana e nei più antichi concili. La seconda tesi invece viene decisamente respinta come assurda. Riprende quindi ancora a sostenere che il Limbo, cosi come viene comunemente creduto, non esiste, ed annunciava che quanto prima avrebbe dato alle stampe un’operetta dal titolo De Poena sensus Purmdorum decedentium sine Baptismo (2). La Lettera, secondo quanto il Natali stesso dichiarava all'amico Amaduzzi subito dopo la pubblicazione, altro non era che la prima parte della sua inedita Difesa o apologia « con mutato titolo e tessitura ». Doveva quindi apparire come una rivincita del Natali che si compiaceva di aver risposto alle due più importanti eresie attribuitegli e di « avervi fatto entrare per incidenza quasi tutti quei punti, intorno ai quali mi avevano denunziato con Memoriale al Re di Sardegna e al Papa ». Ma quest’opera anziché lenire il dolore dell’autore con la soddisfazione di vedere diffuse le proprie idee, aumentò il tormento di quell .animo intransigente perchè fu oggetto di aspre critiche da parte un anonimo prete pavese, che pubblicò due opere contro il Natali (3). (1) — In una lettera al De Bellegarde, il Natali ribadiva: «Per difendermi dall’eresia definisco qual sia il vero dogma cattolico, per cui si richiede la definizione della Chiesa chiara, e determinata, mostrando, che le Bolle che condannano in globo dottrine, non sono definizioni costituenti dogmi di fede. E faccio vedere, che vi sono dottrine oscurate nella Chiesa: che però in sè sono di fede: che per fare un articolo di fede non basta che sia insegnato comunemente nella Chiesa, ma deve venire dalla perpetua tradizione, ed insegnarsi dalla Chiesa: e sviluppo altre dottrine, poco accette a Roma, ma vere ». Lettera del 17 luglio 1779 in Codignola, op. cit., pag. 113. (2) — Quest’opers che poi il Natali non pubblicò, è anche annunciata in fine al volume del Sermone di S. Agostino, e nella lettera all’Amaduzzi del 20 giugno 1777, in Appendice. (3) — Una è intitolata: Riflessioni teoloqico-critiche iopra molte censure fatte al Catechismo composto per ordine di Clemente Vili: l'altra: Lettere ad — 36 - Questi rispose sugli Annali Ecclesiastici sostenendo che il prete pavese aveva scritto più per disprezzo ed odio contro di lui che per confutarne le idee, e si consolava facendo notare clic 1 anonimo autore « fa uu sommo onore al p. Natali, paragonando la sua lettera con l'eccellente approvatissima opera della frequente Comunione di Arnaldo » (1). Ma le critiche non erano finite: il p. domenicano Pio Veneroni, con lo pseudonimo di Nervenio Nicomèdano (anagramma di Veneroni domenicano) sotto forma di tre lettere pubblicò una Ariafisi di una lettera del p. Martino Natali, delle scuole Pie. sopra la morte di Gesù Cristo e sua discesa all'inferno. Asti, 1781. A difesa del Natali contro questa Analisi del Veneroni, apparvero tre articoli sugli Annali Ecclesiastici, forse scritti dal Natali stesso, sebbene mascherati da falsa data e attribuiti ad un amico (2)., Nel primo articolo, datato da Tortona, si sottopongono al Veneroni alcune definizioni tolte dal Catechismo romano e gli si chiede se le stima ortodosse dottrine della Chiesa, come il Veneroni aveva già affermato, o se devono considerarsi erronee, come il Natali nella sua lettera le aveva definite. Nel secondo scritto, datato da Genova, si fa una lunga storia dei rapporti tra il Veneroni ed il Natali, il quale aveva osteggiato il domenicano che voleva essere ammesso all’insegnamento dell'università di Pavia. 11 Veneroni allora s’era vendicato accusando il Natali di voler essere il dittatore della teologia, di lasciarsi abbagliare con troppa facilità, di declamare dalla Cattedra contro gli Scolastici; di essere un impostore per i discorsi che fa contro i teologi, e di aver seguito il parere del Petavio, del Garnerio, dell’Her-minier, del Witaffe, ritenendo oscuri due luoghi di S. Epifanio, uno di S. Ambrogio, uno di Leoporio monaco, ecc. Il terzo articolo continua l’esame della Analisi del Nervenio e tratta esclusivamente delle idee del domenicano. Le critiche all’opera del Natali si diffusero: la Lettera doveva essere bruciata a Roma come opera di un eretico; fu sostenuta dal un amico colla quale si pone ad esame un’altra lettera uscita in Pavia, che ha per titolo: Della morte di Gesù Cristo e sua discesa all’inferno, datata: Pavia, 1 aprile 1788; ma come luogo di stampa reca: Parma 1779. Nel proemio, e a pag. 180 delle Riflessioni, è annunciata la Lettera, che evidentemente doveva essere pubblicata dopo le Riflessioni; invece queste uscirono dopo la Lettera, la quale forse aveva a stento ottenuto il permesso di stampa. (1) — Annali Eccl. del 27 aprile 1781. (2) — Annali Eccl. del 14 e 28 settembre e 5 ottobre 1781. — 37 - ministro della corto di Vienna, Francesco conte di ilerzan e Har-ras, e dal Firmian, che dichiarava che avrebbe obbligati tutti i domenicani, giovani e Vecchi, ad andare alla scuola del Natali, o ad uscire dalla Lombardia (1). 1,-11 Natali invece si vantava che il suo libro era stato definito « cattolicissimo » da Vienna e da « moltissimi letterali » di Firenze, di Napoli, di Genova, ed anche di Roma (2) e per rafforzare il proprio punto di vista, pubblicò un Sermone di S. Agostino in cui si tratta della pena de’ fanciulli morti senza battesimo, tradotto dal Latino in volgare, ed illusi rato con varie Annotazioni da G. G. (Pavia, 1778) (3). Richiamandosi ad un brano di S. Agostino, il Natali sostiene che i fanciulli non battezzati: non solo non entreranno nel paradiso, ma avvamperanno nel fuoco eterno, precisando (a pag. 21): «N inno si da-ra mai a credere, che sotto il nome di fuoco eterno, in cui dovranno ardere i Fanciulli non battezzati, intendasi la sola privazione della beatifica visione di Dio, ma si esprime certissimamente quella pena di senso che per tutti i secoli soffriranno i cattivi Adulti ». Commentando le parole di S. Agostino che come « il bambino fu piagato pel fallo altrui », cosi col battesimo « vien risanato per le parole altrui », il Natali soggiunge che perciò il peccato originale è proprio di ciascun uomo, come già sostenne S. Paolo (Roman. V, 12) ed il concilio di Trento (Sess. 5, can 3), e combatte tre opinioni contrarie: 1) che i bambini incapaci di gioire con i sensi siano altrettanto incapaci di soffrire con i sensi: 2) che S. Giovanni * (1) — Lettera al De Bellegarde del 17 luglio 1777, in Codignola. op. cit., pag. 113. Dammig. op. cit., pag, 177. (2) — Secondo il M e 1 z i , Dizionario, cit. a questa Lettera prima il Natali fece seguire una Lettera seconda, pubblicata senza data. (3) — Benché rechi come firma G. G. il Sermone di S. Agostino è senza dubbio del Natali che se ne professa autore scusandosi di aver messo il nome di uno scolaro e di non aver confutato direttamente l’opera dell’oblato milanese per non urtare eccessivamente i segretari e per sviare le ire dei nemici che certo avrebbero elevate molte proteste. (Cfr. lettere al De Bellegarde del 25 giugno e del 7 luglio 1779, in Codignola, op. cit., pag. 196 e 113). Il Natali lamentava altresì, che le sue note, sebbene lodate come « ampie, erudite e fatte per sostenere la vera sentenza », fossero state d’altra parte denunziate aU’Indict. Il Cuccagni in una lettera del 27 febbraio 1779 promette al Molinelli, di informarsi presso il p. Giorgi se l’opera del Natali sia stata messa all’indice e denunziata al tribunale del S. Uffizio. In una lettera successiva del 16 agosto 1780 precisa che l'opera de! Natali è stata assolta, ma non sa se trattasi della Lettera sul Collet o della presente opera. Ma data la su riferita frase del Natali penso che si tratti proprio di questa opera che tanto impensieriva il Natali. Le lettere del Cuccagni, in Codignola, op. cit., pag. 113 n. 2. (Apoc. XVIII, 7) abbia insegnato che debbano essere condannati ai tormenti solo coloro che hanno peccato personalmente; 3) che S. Agostino nel brano di cui sopra, parli solo degli adulti. Il Natali al primo punto risponde che se si ammette quell’opinione, non si potrebbero punire con pene di senso neppure i peccati spirituali, come invece ha insegnato il concilio di Trento (Sess. 14, can 7 cap. 5). Alla seconda risponde che sebbene i fanciulli non abbiano peccato, tuttavia si trovano in questa vita per cagione della colpa originale. Alla terza che effettivamente S. Agostino parla di adulti, ma non esclude i bambini; si può quindi dedurre che la pena sarà in proporzione minore, quanto in costoro fu minore la vanità, il piacere ecc. Sostiene anche (pagg. 60-68) che Adamo meritò più castighi, non la sola morte, e che quelli ricadono non solo su di lui, ma anche sui discendenti; e che perdette pure la giustizia, e la santità. Tutte le varie sofferenze della vita ed anche l’ignoranza, la concupiscenza, la fatica ecc. non sono proprie della natura umana, ma date in pena all uomo pev il peccato originale: la tessa morte non è un termine naturale. Richiamondosi (pag. 78) agli insegnamenti di S. Agostino ed alla Tradizione il Natali insiste che ai fanciulli deve essere somministrato il battesimo prima che arrivino all’uso della ragione; respinge quindi l’accusa di pratica di donnicciuole o di invenzione, lanciata contro coloro che battezzano i neonati. Premesso (pag. 98) che la chiesa non può insegnare nulla contro la fede e contro i costumi, avverte che nella chiesa ci sono dei falsi dottori ed in gran numero: distingue perciò gli insegnamenti fatti nella Chiesa, da quelli fatti dalla Chiesa. Ammette quindi la possibilità di molte dispute anche in seno alla chiesa, ed in attesa che qriesta pronunzi il suo definitivo giudizio, i fedeli devono cercare per conto loro la verità, conservar la pace e l’unità con coloro che la pensano diversamente, essere disposti a sottomettersi al giudizio della chiesa, contribuire sia con preghiere che con la propria autorità ad addivenire ad una pronta decisione. Termina (pagg. 103 e segg) con un tasto delicato per il Natali stesso che aveva avuta una scomunica e tante accuse: consiglia un uso limitato e cauto della scomunica, consolandosi che chi è scomunicale ingiustamente è segretamente coronato da Dio, come attesta S. A-gostino (De Vera Rei. VI. 11). L’intento del libro è puramente polemico: anche questa opera, è uno sfogo all’animo esacerbato del Natali impedito di pubblicare la sua difesa per le censure al Beliarmino, e per di più è una risposta alle critiche mossegli. Infatti il libretto de Poemi sensus parvulorum, citato dal Natali nella sua Lettera sulla morte di Gesù Cristo, e perciò già composto nel 1776, forse aveva circolato manoscritto e era pervenuto nelle mani del curato di S. Stefano in Nosigia che, colla data di Bergamo, nel 1778 aveva pubblicata una Risposta ad un'Opera che sarà data alle stampe col titolo De Poena Sensus Parvulorum. Il De Poena non era uscito, ma il Natali si era sentito troppo insultato per non rispondere, e perciò aveva pubblicato il Sermone con la nota che la Risposta al De Poena è lanlo piena di sciocchezze e di falsità che il Gramegna (cioè il Natali) non aveva neppure creduto necessario rispondere, ma che tuttavia le note del Sermone di S. Agostino che più direttamente confutavano quella Risposta erano state contraddistinte da un asterisco. Quella replica del Natali era così mascherata dall’indifferenza non solo per gettare il disprezzo sull’autore della Risposta, ma anche perchè i « subalterni del governo non avrebbero tollerato » una confutazione diretta poiché il curato di S. Stefano in Nosigia era un allievo degli Oblati, come il Bovara (1). Ma il curato di S. Stefano replicò al Sermone di S. Agostino con una Ristampa della Risposta ad un'Opera che sarà data alle stampe ecc. (Bergamo, 1779) ripietendo quanto già aveva sostenuto nel volume precedente, dipingendo il Natali « come uno che si lusinghi di essere il Capo di S. Chiesa arrogandosi di definire la pena di tali bambini non battezzati ». Il Natali disgustato dichiarò di voler rispondere « anche a questo cattivo libraccio », ma forse il tempo gli mancò, tanto più che un altra critica si aggiungeva a questa: era dovuta all’anonimo prete pavese che aveva pubblicata una Lettera seconda ad un amico, in cui si pongono ad esame alcune note aggiunte al volgarizzamento di un sermone di Sant'Agostino nel quale si tratta della pena dei fanciulli morti senza battesimo (2). L’anonimo prete pavese giustamente suppose che il Natali fosse l’autore delle note, nascosto sotto il finto nome di Gaspare Grarne-gna, perciò con questa sua Lettera si scaglia direttamente contro il (1) — Lettere al De Bellegarde del 25 giugno e del 17 luglio 1779, in Codignola, op. cit., pag. 106 e 113. (2) — Datata da Pavia 30 giugno 1779, e come luogo di stampa: Parma, 1779, pagg. 153. — 40 — Natali, accusandolo di esagerare quando dichiara come di fede cattolica la sentenza che condanna i bambini morti senza battesimo agli stessi supplizi infernali a cui sono condannati gli angeli ribelli ed i peccatori adulti. Al prete pavese, in difesa del Natali, risposero gli Annali Ecclesiastici: l'autore dell‘articolo (che forse è lo stesso Natali) fingendo invece che le note al Sermone siano state effettivamente scritte da G. G. (risolte in Gaspare Gramegna, scolaro del Natali), accusa a sua volta il prete pavese di invenzione asserendo che in nessuna pagina o in nessuna nota il Gramegna sostiene una cosa simile (1). Questa coraggiosa presa di posizione sostenuta da un attaccamento ancor più vivo all'insegnamento della rigidità di costumi ed all'intransigenza di idee provocò dal governo nuove norme che disciplinassero maggiormente lo studio della teologia e delle altre materie universitarie: ogni professore doveva evitare le logomachie e le inutili sottigliezze; per la dogmatica si dovevano fissare i limiti del dogma, mostrare l'ininterrotta tradizione, mettere in evidenza gli errori con semplicità ed ordine e seguire le dottrine di S. Agostino (2). Fu così che insieme alle opere di carattere polemico il Natali mandò alle stampe qualche opera che più pacatamente insegnava quella che a lui pareva la vera dottrina agostiniana. 5 - In primo luogo mettiamo le poderose Complexiones Augustinia-nae de Gratia Dei. (Pavia. Bolzano. 1774-77, voli. 2). L opera completa comprendeva quattro volumi: solo due furono dati alle stampe: il 3.o ed il 4.o rimasero manoscritti, sebbene fossero quasi finiti fin dal 1779. La materia s’era estesa oltre le previsioni dell autore che in un primo disegno del 1773 contava di svolgere in tre volumi gli argomenti intorno ai quali lavorava già da cinque anni: « Questa (opera) non è affatto terminata; — scriveva allora il Natali — ma è quasi totalmente ripulito il 1° volume. I volumi dovranno essere tre. Nel primo e nel secondo io porrò tutto il dottrinale, nel terzo darò la soluzione a tutte le difficoltà. L'argomento è la grazia di Dio. Credo di aver veduto su di questa materia non pochi autori. Ma se l'amor proprio non m’inganna, spero di trattare un tal punto assolutamente secondo il sentimento del grande Santo Agostino ». (1) — Annali Eccl. del 27 aprile 1781. Cfr. anche Memorie e Documenti, ecc. cit., p. I, pag. 577, e Codignola, op. cit., pag. 254 n, 1. (2) — Nouvelles Eccl. del 4 dicembre 1775. __ 41 — Un anno dopo annunciava l’inizio della pubblicazione dell’opera, ma il 15 dicembre 1775 si lamentava di non poterne continuare la slampa per mancanza di soldi, il tomo secondo venne pubblicato nel 1777: inviato alla Corle fu molto apprezzato (1). In una lettera ai li amo., il Natali diceva ancora: « I miei tomi sono stali approvati dai Letterali più celebri, anche in Roma, e la nostra Corte mi ha regalati cirac 100 scudi e mi ha fatto un aumento di salario » (2). Infatti per questa pubblicazione il Natali ottenne 25 gigliati e l’esenzione dal dazio per le copie che dovevano uscire fuori (3). Il te;-zo, rimasto inedito all’università di Pavia, tratta «la materia della natura, efficacità, gratuità ecc. conforme S. Agostino, e nel 4°, dopo aver discorso della Grazia santificante, faccio un trattato De Predestinazione ». Non pubblicò poi questi volumi perchè « sicuro — spiegava egli stesso — che il Governo accondiscendendo al Segretario ed ai miei nemici, mi abbandonerà. E’ necessità d'avere una prudenza sforzata » (4). A queste fece immediatamente seguire le Lettori? al Signor Pietro Poggi Banchieri Cavaliere delVOrdine di Santo Stefano P. (1) — Lettere al Firmian del 7 febbraio 1773; del 4 febbraio 1774; del 15 die. 1775 e del 29 die. 1777 in Codignola, op. cit., pag. 25 32, 75 e 99. Un breve annuncio per la pubblicazione del 1° tomo, é nelle Nouvelle Letterarie del 2 dicembre 1774. (2) — Lettera al Ramo del 16 dicembre 1777, in Codignola, op. ci*., pag. 87. (3) — Codignola, op. cit., pag. 37, n. 1. (4) — Lettera al De Bellegarde del 17 luglio 1779, in Codignola, op. cit., pag. 113. 11 V i n a s parla di proseguimento dell’opera nel 1783, ma dubito che confonda con il volume edito in quell’anno Della Grazia e del Libero arbitrio. Il Natali tornò su quest’argomento con un corso svolto all’università nel 1787, contenente una specie di compendio dei primi due volumi delle Complexiones, e pubblicandolo come terzo volume delle Praelectiones. (Lettera al De Bellegarde del 9 marzo 1787, in Codignola. op. cit., pag. 240). Il IV volume delle Complexiones fornì la materia ai Sentimenti di un Cattolico sulla predestinanzione dei Santi. Il volume manoscritto dell'università pavese consta di 30 capitoli sulla grazia attuale e di 3 sulla grazia abituale. Sono gli appunti presi da Elia De Giardini, scolaro del Natali. Tratta del nome e della divisione della grazia: del primo stato dell’uomo, ossia della grazia dell’uomo innocente: del secondo stato dell'uomo ossia del peccato di Adamo e propagazione sui posteri; del terzo stato dell’uomo ossia della riparazione del peccato; che cosa sia la grazia e in che consista la sua efficacia; come conordi la grazia cristiana con la libertà umana; necessità della grazia per evitare i peccati, per vìncere le tentazioni, per essere perseveranti, per eseguire ogni azione. Termina con un capitolo sulla distribuzione della grazia. Seguono i tre capitoli sulla grazia abituale: sulle disposizioni necessarie alla grazia abituale e sulle proprietà della grazia della santificazione. e M. sopra il Decreto del Concilio di Trento Appartenente alle Sacre Tradizioni (Pavia, 1779). Sono quattro lettere: la prima serve da proemio anche alle altre. Rivolgendosi ad un amico che avrebbe dato motivo all’opera, avendo chiesto all’autore un « Trattato, in cui vi dichiarasse la natura, la certezza, l’autorità, e la necessità delle Sacre Tradizioni », il Natali scrive che accetta volentieri l'incarico poiché «se giungessero gli Eretici ad accordarsi con noi su di questo Dogma, si comporrebbero con facilità quelle tante controversie, che tengonci separati, e metterebbesi fine ad ogni loro errore ». Cita quindi gli autori che trattarono per il passato il medesimo argomento e che ora serviranno di fondamento al presente lavoro. Nella seconda dichiara che « la voce Tradizione, presa in generale, significa qualunque dottrina, che da uno ad un altro sia comunicata, tanto in voce, quanto in iscritto ». Ma « secondo la usanza di parlare ricevuta universalmente, non altro significa, se non quella dottrina, che a viva voce, e non già in iscritto, venga dagli antenati ai loro posteri successivamente tramandata; e sia tal dottrina Sacra, ovvero Profana ». Mette però in guardia che i teologi « considerano il nome di Tradizione in un senso molto più ristretto. Non adoperano essi un tal vocabolo, se non per indicare quei Sacri Insegnamenti, che di bocca in bocca per la serie di molti secoli sonosi propagati nella Chiesa di Dio, » acquistando cosi il nome di Sacro. Nella terza divide le Tradizione Sacre in: 1) Divine, Apostoliche, Ecclesiastiche. 2) Riguardanti la fede, i buoni costumi, ia disciplina della Chiesa. 3) Perpetue, Temporali, Immutabili, Mutabili, Necessarie, Libere. 4) Particolari ed Uni>ersali. Per divine intende la paiola di Dio non scritta, tramandata oralmente dagli Apostoli a noi, escludendo le Sacre scritture. Le divide in due classi: insegnate da Cristo agli Apostoli, ed insegnate dallo Spirito Santo agli Apostoli. Le prime si chiameranno divine, le seconde apostoliche, tra queste ultime porta l’esempio di Maria che sia stata perpetuamente Vergine; che i sacramenti della chiesa siano sette; che siano veramente divini i libri della santa scrittura. Le Ecclesiastiche sono quelle originate da qualche santo Padre: es.: l’osservanza delle feste oltre le domeniche; l’astinenza dalle carni in certi giorni; la buona abitudine di tarsi il segno della croce; di benedire palme, candele, ceneri ecc. Le tradizioni di fede sono quelle che ci propongono di ere- clere qualche dogma di lede divina: cs.: che i fanciulli si possono battezzare prima che arrivino all’uso della ragione: che Maria ha conservala la verginità perpetua; che esattamente sette siano i sacramenti; che non si debbano ribattezzare coloro che sono già stati battezzati dagli eretici; che i vangeli sono non più nè meno di quattro, ecc. Quelle intorno ai costumi sono le prescrizioni delle cwse da fuggirsi o da farsi: venerare le immagini e le reliquie dei santi; prepararsi a ricevere i sacramenti con gli atti delle virtù teologali; Riguardano la disciplina quelle che prescrivono cose opportune ed utili per la chiesa: il digiuno in certi giorni dell’anno; la celebrazione di tre messe il giorno di Natale, ecc. Si chiamano perpetue quelle che devono durar sempre: come il mescolare con qualche porzione d’acqua il vino nel calice. Temporali quelle invece che devono durare solo per qualche tempo. Immutabili, come è ovvio « quelle che non possono cambiarsi in verun conto, benché si mutino le circostanze de’ tempi, luoghi e peisone » Mutabili le altre. E a questo proposito fa osservare che mutò anche qualche tradizione che avrebbe dovuto essere immutabile, come quella di non mangiare carne di animali morti per soffocamento, come prescritto nel concilio gerosolimitano. Tradizioni necessarie quelle comandate sotto precetto: l’osservanza delle feste solenni; l’uso di mescolare l’acqua col vino; il celebrare la Pasqua secondo il ciclo lunare. Libere quelle che indicano pratiche non di precetto: ricevere le ceneri il primo giorno di quaresima, ecc.; Universali quelle che riguardano tutti i fedeli: digiunare la quaresima, ecc.; Particolari quelle che riguardano una o poche chiese: ad es.: il digiuno del sabato per la chiesa di Roma. Nella quarta lettera espone i punti « nei quali gli Eretici discordano dai Cattolici intorno alle Sacre Tradizioni » trattando brevemente delle antiche eresie. Rifiuta e confuta l’opinione del Bellarmino (De verbo Dei non scripto, lib. 4. cap. 8 num. 5) che sostiene che nel sec. XII « siano state rigettate le Tradizioni Sacre da quei fanatici, che da se stessi fastosamente chiamavansi Apostolici ». Il Natali sostiene, citando il sermone LXV cap. 4 di S. Bernardo ed altri scritti sacri, che la controversia vada ristretta alle sole tradizioni dogmatiche, cioè alle divino-apostoliche e mette in evidenza gli errori degli eretici. Premette infine altre lettere per trattare ancora questi tre argomenti: 1) Che la S. Scrittura è regola infallibile di fede, ma non del tutto adeguata sicché in talune materie dobbiamo consul- - 4.4 — tare anche la tradizione divino apostolica. 2) «Che da questa Ira-dizione si ricavano argomenti certissimi ed invincibili, di maniera che bastino a definire e terminare le Dispute circa la Fede'». 3) Che si diano regole infallibili per distinguere le tradizioni divine da quelle che non lo sono (1). 6 - Le opere polemiche, però, ripresero presto il sopravvento nel- 1 animo battagliero del teologo, e in quegli stessi anni di piodi-giosa attività lavorò ad una violenta critica conlro Pietro Colle! e contro l’Habert. La prima opera, che è una feroce critica alle Istituzioni Morali del Collet (2), è divisa in tre parti: la prima comprende la lettera scritta dal Natali all'amico in occasione della ristampa (latta in I o-rino dal Briolo) dell'opera del Collet. In questa lettera (di pagg. • 0) il Natali, all'amico che gli aveva chiesto se le Istituzioni morali « siano veramente buone, e tali da potersene servire di regola nel diffììcìlissimo uffiizio di confessore », risponde che anzi, molte cose sono da correggere. Nella seconda e nella terza parte il Natali traduce e illustra, con molte note, la denuncia che il 21 settembre 1764 molti ecclesiastici della diocesi di Troves presentarono al loro vescovo, segnalando gli. errori del Collet. Vi prende posizione « contro i Ballerini di Verona, relativamente ai due soli amori che riconosce S. Leone, come gli unici principi de" buoni o cattivi costumi, delle buone o malvagie azioni ». Quindi, dopo la dichiarazione di aver poca stima dell Antoi-ne, il Natali censura il Collet, « come quegli che coll autorità del- 1 Antoine scusa apertamente da ogni colpa le dilettazioni che si prendono in pensando a cose disoneste » (3). (1) L’opera è stata recensita con lodi dagli Annali Eccl. del 9 giugno 1780 e dalle Novelle Letterarie, voi. XI col. 295, del 1780. E’ firmata con le iniziali C. B. forse alludendo a Carlo Buonamici pseudonimo altre volte usate dal Natali. Questi se ne professa autore in una lettera al Firmian, chiedendo compensi per le proprie opere; ed in una lettera al De Bellegarde con l’aggiunta « da molti letterati, e Vescovi mi è stato lodato ». La prima è dell’8 dicembre 1779, l’altra del 25 giugno 1779, in Codignola, op. cit., pag. 133 e 106. (2) — Lettere p.d un amico sopra le Istituzioni morali del Collet, Pavia, 1779, pagg. 355. Pietro Collet dell’ordine di S. Lazzaro nacque presso Vendome nel 1693 fu professore e dottore di teologia, e scrisse numerose opere, scagliaondosi spesso contro i Giansenisti che ne criticarono specialmente la Teologia morale (in 17 voli.). Scrisse anche: Istituzioni teologiche ad uso dei Seminari, in 7 voli. Mori il 7 ottobre 1770. (3) — Annali Eccl. del 22 giugno 1781. Segue quindi una parte dove indica ai cristiani la stretta via evangelica e dimostra « essere una larva o chimera il Rigorismo », i quindi incita i buoni teologi e gii illuminati cristiani a convincere i decretalisti che è un onore il difendere i regi diritti. Dopo aver aspramente criticata la Morale del Bonaccina, il Natali combatte la soverchia stima « che hanno alcuni Preti o Regolari verso i maestri di Morale, quali sono i lassi casisti, e verso i Dottori Scolastici che massimamente adottano il Probabilismo, peste dei costumi, e dallo stesso Cicerone col semplice lume della ragione detestalo ». Privatamente poi il Natali aggiungeva ancora del Collet: «oltre il combattere 1 Dogmi del Peccato Originale, della Grazia, del-l’Amor di Dio, ecc. insegna quest’autore delle Proposizioni rilas-satissime sopra la Probabilità sopra i Sacramenti, e sopra tutto il Decalogo. Scusa molti furti con ritrovati nuovi: fa leciti molt. omicidi, e segnatamente alle mogli dà licenza d’uccidere i loro mariti. Insegna ai rei di eludere le interrogazioni dei giudici, e di ingannare i tribunali, e per finirla, riduce quasi a nulla l'obbedienza dovuta a Prìncipi, e libera i sudditi dal pagare i tributi » (1). Ammetteva che gli era costata molta fatica avendo dovuto leggere i nove tomi di cui si compone l’opera del Collet, ma si confortava sperando « che qiiesto suo lavoro potesse riuscire di qualche vantaggio al Pubblico, affine di prevenire i Popoli contro la seduzione, e contro gli errori, che purtroppo oggigiorno si spargono a danno della Religione e dello Stato ». La Lettera del Natali fu molto apprezzata anche all’estero, e pubblicata a Parigi tradotta in francese (2). Il Firmian l’approvò con entusiasmo, mentre il principe di Kaunitz, appena lettala, scrisse allarmato che l’eccessiva violenza usata dal Natali nell’esposizione, poteva sollevare guai (3). Molti infatti si erano sdegnati per questo nuovo scritto del Natali accusando l’autore di aver dette molte eresie: nessun libraio di Piacenza aveva voluto accettarla nella propria libreria (4). (1) — Lettera al Firmian del 6 nov. 1779 in Codignola, op. cit., pag. 128. (2) — Lettera al De Bellegarde del 20 febb. 1780 in Codignola, op. cit., pag. 136. (3) — Lettera del Kaunitz al Firmian del 16 die. 1779 in Codignola, op, cit., pag. 131. (4) — Lettera al De Bellegarde del 20 febb. 1780 in Codignola, op. cit., pag. 136. Il libro reca la firma Carlo Buonamici, ma l’autore è certo il Natali come — 46 — Per agire contro l’Habert, annotò una dissertazione di Nicola Petit-Pied, pubblicata nel 1712 col titolo: De Vingiuste accusation de Jansenisme: plaiente à M. Hàbert » (1). Il Natali, sin da quando era a Roma, aveva già avuto l'incarico di tradurla dal Bartoli, dal Bottari e dal Foggini; la tradusse poi per lui Lisene Tersilia, pseudonimo di Angela Salomoni nata Corsi dei conti di Bosnasco, e il Natali la annotò pubblicandola col titolo: Della Grazia e del Libero Arbitrio. Dissertazione in forma di doglianza contro il Signor Lodovico Hubert, tradotta nell italiana favella da Lisene Tersilia Pastorella Arcade, ed illustratu con varie note dal p. Martino Natali. (Pavia, Galeazzi, 1783 pagg. 252). Il libro era già molto noto, ma con le note del Natali fu più evidente « nel suo genuino aspetto la chimera del Giansenismo e difficilissime questioni, si sciolgono intorno all'efficacia della Grazia, e al potere del nostro libero arbitrio» (2). Il Natali nelle sue note insegna che è gravissimo peccato contro la carità l'accusare uno di eresia quando non lo sia; e che non si può chiamare eretico chi dia un senso cattolico alle cinque proposizioni di Giansenio. Indaga poi quale sia il senso in cui-la Chiesa ha avuto intenzione di condannare le cinque proposizioni. Sostiene che « niuna conclusione teologica può dirsi di fede cattolica, quando non venga per vero Dogma chiaramente ed espressamente proposta dalla Chiesa ». Le più importanti, sono quelle che si riferiscono alla sensibilità della Grazia attuale: « qualunque Volta si trova in noi questa grazia, si fa ella sempre più sentire da noi come un attuale allettamento ed un amore attuale al bene. Perocché anche a mio parere la grazia attuale considerata dalla parte della nostra volontà, non è altro se non allettamento attuale ed un attuale amore della volontà nostra al bene ». « La grazia che dà Iddio a qualcuno, acciò abbia il dono della fede, comparte a quel tale il dono della fede. La grazia che dà risulta da molte lettere e particolarmente da una al De Bellegarde, dove dichiarava: « Stamperò presto contro il Collet per illuminare questo clero in riguardo ad un sì cattivo teologo » Lettera al De Bellegarde del 17 luglio 1779, in Codignola, op. cit., 111. (1) Nato a Blois nel 1635, morto nel 1718. Autore della Theologia dogmatica et moralis (1709-12 voli. 6.) opera che aveva scontentati giansenisti e antigiansenisti. Dei primi prese la difesa il Petit-Pied con l’opuscolo su citato. (2) — Annali Eccl. del 29 agosto 1783. — 47 — iddio ad un fedele perchè voglia il bene, opera in costui la buona volontà al bene. La grazia che ci dà Iddio, affinchè operiamo il bene, produce in noi la stessa buona operazione. La grazia infine, che dà Iddio ai suoi eletti acciò perseverino e si salvino, conferisce ai medesimi la perseveranza e la salute. In una parola, ogni grazia di Gesù Cristo produce sempre quell’effetto, per cui da Dio ci si couferisce ». . Trae quindi le seguenti deduzioni: 1) che quella grazia la quale produce in noi una volontà buona, quantunque ancora piccola c debole., è veramente efficace; 2) che la stessa grazia riguardo alla buona volontà ch’ella in noi produce, ci dà il potere effettivo, ossia il potere insieme con l’atto: cioè a dire. « non solamente fa ella, che noi possiam volere, ma fa, che noi effettivamente vogliamo osservare i comandamenti divini ». Nella nota 37° rettifica un’espressione del Petit-Pied asserendo che « sono in realtà e propriamente efficaci anche quelle grazie, dalle quali eccitansi in noi velleità semplici, oppur piccoli e tenui desideri ». Riguardo all’essenza del libero arbitrio il Natali sostiene il parere dei Teologi Lovaniesi (già citati nel Tom. 2 Complexiones Augustiniane lib. 5 cap. 3 pag. 297), « che sotto il nome di arbitrio essenzialmente libero non deesi intendere altro, fuorché Potentia ad agendum ex cognitione intellectus. Imperciocché siccome ivi io notai con G. Opstraet (Instit. Theolog. Tom. I. 4 de libero arbitrio), ella è dottrina di S. Agostino e comunemente degli altri S.S.P.P. che per libero arbitrio s’intenda la Volontà, per cosa libera s’intenda una cosa volontaria: cosicché sia libero tutto-ciò che è volontario ed ivi sempre si trovi la libertà ove trovasi la volontà ». Il Natali teneva molto alla stampa di questa opera, che riteneva avrebbe dovuto disvellare l’idea del giansenismo eretico; ma nel 1779 quando l’aveva già pronta, non poteva stamparla per mancanza di soldi (1). La stampa potè essere effettuata solo nel 1783: nell’inviare al De Bellegarde due copie dell’opera, una per lui e una per il Cle-ment, lodava all’amico la traduzione fatta dalla «nobilis ac piissima femina » e aggiungeva che le proprie note sarebbero certo piaciute agli amici della verità. Sempre al De Bellegarde qualche tem- (1) — Lettera del Natali al De Bellegarde del 17 luglio 1779, in Codignola, op. cit., pag., 111. — 18 — po dopo il Natali scriveva di aver fatta la traduzione in italiano del Plainte affinchè fosse più facilmente comprensibile anche dalle persone meno istruite (1). 7 - Notiamo del prodigioso in quelFanimo sempre inquieto: negli anni 1782-83 accanto agli aspri lavori di critica talvolta biliosa e acre, il Natali scrive le due opere che maggiormente rivelano un animo entusiasta della preghiera e convinto della buona causa. Sono le opere che più divennero popolari e si diffusero per la loro forza di candida persuasione: esse sono: Sentimenti di un C.attolico sulla Predestinuzione dei Santi, illustrati con note e pubblicati a comune vantaggio dei fedeli dal P. Martino Natali. (Ticino Regia 1*82 pagg. 180); le Preghiere della Chiesa per ottenere da Dio la sua Santa Grazia (Pavia 1783, pagg. 52), ed una Epitome all opera di Francesco Veronio. La prima opera dedicata al ^ ilzecli era già pronta con altri opuscoli nel 1779, ma l'autore aveva incontrato qualche difficoltà nella sua pubblicazione, ne termino quindi la stampa nel 1783. Appena fu .edita fu accolta favorevolmente e si diffuse rapidamente, anche per il fatto di essere scritta in italiano. Contiene un corso che il Natali aveva svolto in latino all’Uni-versità nel 1782 e ritenendo necessario che anche il popolo fosse istruito su questo mistero, l'aveva tradotto per vantaggio dei fedeli (2). Aveva cercato di mantenere la forma più piana e semplice possibile, astenendosi « dalle tante controversie — come dichiara nella prefazione — e sottigliezze inutili, che sogliono in questo luogo tenere occupati gli Scolastici ». (D Dichiarò che avrebbe voluto che le Nouvelles Ecclesiastìques ne palliassero, come effettivamente ne parlarono, e a lungo, senza che lui lo sapesse, nel numero del 17 agosto 1784. Lettere al De Bellegarde del 22 luglio e 27 ottobre 1783, 13 gennaio e 6 settembre 1784, in Codignola, op. cit., pagg. 193, 199, 205, 215. L opera fu anche recensita negli Annali Ecclesiastici del 29 agosto 1783 e nel Progressi dello Spirito umano o sìa Giornale Letterario del 6 agosto 1783 che esaltò l’opera del Natali per aver seguito S. Agostino e non S. Tommaso che pur essendo di lui discepolo « non ha dogmatizzato bene in fatto di Grazia e di Predestinazione ». Le note furono giudicate vere, solide anche da uomini dotti di Roma. (2) Cfr. lettere al De Bellegarde del 17 luglio 1779 del 27 maggio e 19 dicembre 1782 e del 3 gennaio 1784 in Codignola, op. cit., pag. 113, 174, 180 e 205. Il Natali ripete spesso di scrivere per l'utilità dei fedeli, e per questo scopo dichiara di voler tradurre in latino e in italiano molte opere; confronta oltre le lettere ora citate, anche quelle al De Bellegarde, del 25 giugno 1779 e del 20 febbraio 1780, in Codignola, op. cit., pag. 106 e 136. L opera fu molto diffusa ed apprezzata; ne parlarono con entusiastiche lodi gli Annali Eccl. del 5 ottobre 1783; Progressi dello Spirito umano ossia Giornale etterario del 24 dicembre 1783; Nouvelles Eccl. del 9 gennaio 1785. — 49 — I ragionamenti del Natali sono assai ingegnosi: distingue la predestinazione dalla prescienza di Dio perchè quella non può stare senza questa, ma questa senza quella. La predestinazione avrebbe dovuto aver luogo negli uomini come l’ha avuta negli angeli se Adamo avesse perseverato nello stato dell’innocenza, ma persa questa, si differenziò, come è differente la grazia di Dio Creatore, necessaria agli angeli per ricondurli alla gloria, e la grazia di Dio Redentore, necessaria agli uomini per lo stesso fine. Quella è versatile e soggetta al libero arbitrio, quésta è efficace per se medesima, signora del libero arbitrio. Stabi! isce che il mistero della Predestinazione consiste: «nell’arcana profondità dei tesori della Sapienza, e della Scienza di Dio, per cui non potendo noi penetrare nei suoi segreti giudizi, e nelle incomprensibili sue vie, che è quanto a dire nei disegni e nei consigli dell’Altissimo, non possiamo assegnare la vera causa onde Iddio predestini alla Salute uno piuttosto che un altro fra gli uomini, nascendo tutti naturalmente figli dell’ira sua, come dice S. Paolo, figli cioè dell’inferno, figli della vendetta, come chiosa S. Agostino ». In sostanza il Natali dimostra: 1) Che Dio predestinò ai suoi eletti le opere buone e la felicità eterna. 2) Che non è necessaria la distinzione di predestinazione alla Grazia e predestinazione alla gloria. 3) La predestinazione alla gloria precede nei divini decreti la previsione di tutti i meriti, di tutte le buone opere, e della santa perseveranza. 4) La predestinazione gratuita è verità rivelata nella S. Scrittura. 5) Non può dirsi, per coloro che non perseverano nel bene fino alla morte, che sia effetto della loro predestinazione se vengono chiamati alla fede. 6) I peccati commessi dagli eletti non si devono riguardare come effetto della predestinazione divina benché Iddio seguendo i suoi immutabili decreti permetta talora che essi cadano in qualche grave mancamento. 7) La predestinazione è eterna nella sua origine, gratuita nella sua causa, infallibile nei suoi effetti, non comune a tutti gli uomini. Quindi sempre con abbondante (talvolta eccessiva) citazione di frasi tolte da sacre scritture passa a giustificare la condotta che tiene Dio nella riprovazione sia degli angeli che degli uomini dopo aver provveduto al loro demerito. Il permesso del peccato originale non è altro che l’effetto di una provvidenza generale mediante la quale Dio volle manifestare ciò che potesse fare il libero arbitrio. II Natali conclude con quattro argomenti: 1) Nessuno riesce a separarsi dalla massa se non quando nella prescienza di Dio, e — 4 — 50 — conforme ai suoi decreti, viene liberato da tutte le colpe e da tutte le tentazioni. 2) I predestinati sono separati dalla massa di perdizione anche prima della nascita o della conversione. 3) 1 reprovati anche quando vivono bene e santamente non sono considerati fuori della massa di perdizione nè possono divenire eletti. 4) La riprovazione non è solo una privazione della grazia e della gloria, ma è un atto positivo della giustizia di Dio col quale esclude dal Paradiso una moltitudine quasi innumerevole di uomini, rei de! peccato originale e di altre colpe successive e derivate. La seconda opera, è una raccolta di preghiere, precedute da lina lettera (di 16 pagg.) contro i falsi tomisti molinizzanti con la avvertenza che tutti « possono servirsi di questa Raccolta di Preghiere. e recitarla secondo i propri bisogni, c giusta gli interni suggerimenti che la Grazia medesima loro ispirerà ». Il Natali illumina un amico sopra le questioni se « in questo stato di natura corrotta si debba riconoscere una Grazia di Gesù (.risto, la quale diaci il solo potere, solum posse, di fare il bene e di fuggire il male ». I giansenisti rispondevano negativamente. Il Natali per meglio poter influire sull animo dell .unico, ed insegnarli questa verità segue la strada agostiniana: invila a ricorrere alla preghiera. « Date un’occhiata (pag. VI) ai due Libri, che dal S. Dottore furono indirizzati a Prospero e ad llario: uno dei (piali porta il titolo della Predestinazione dei Santi, e I altro Del dono della Perseveranza. In essi troverete che il Santo Vescovo volendo sostenere la necessità, che in ogni momento noi abbiamo della Grazia di Cristo Signor Nostro, e dimostrare al tempo stesso essere tale In forza della Grazia medesima, che non solamente diaci la potenza di volere e di fare il bene, ma ce lo faccia anche volere e fare effettivamente, appigliandosi alle Preghiere della Chiesa, e qual decisiva prova le produsse ». Ha perciò raccolto sessanta delle più antiche preghiere della Chiesa e le ha tradotte quasi letteralmente nella lingua italiana. Per prevenire le critiche aggiunge alla pag. XI « Contuttociò mi credo in dovere di prevenirvi rispetto ad una difficoltà, che vi potrebbe nascere nell'incontrare in alcune preghiere della (hiesa certe espressioni, dalle (piali sembra indicarsi, che da Dio si chiegga puranco quella grazia, la quale ci dà il solo potere di fare il bene. Domandiam per esempio dalla Divina Bontà. ch’KIla faccia si pel nostro Signore Gesù Cristo, che noi possiamo osser- vare con sincerila di cuore il digiuno Quaresimale; che possiam fare lutto ciò che è giusto che giunger possiamo all’eterna salute. Non per questo però dovete immaginarvi che la voce Possiamo la quale leggesi in tali preghiere, voglia significare un semplice potere. Mediante rpiesla voce intendono i fedeli di domandare a Dio un potere congiunto all’atto, ossia quel potere che da S. Agostino nel suo libro de Natura Crazia cap. 42 fu già chiamato Possibilitas simul cum effectu». Seguono poi le sessanta preghiere imploranti la grazia che ci ci fa volere p fare il bene « dandoci Ella medesima la buona volontà. e la buona operazione ». Anche in una lettera al De Bellegarde, parlando di quest’opera, il Natali ritorna sull’argomento: si scaglia contro quei teologi che ritengono erronea l’asserzione di San-t Agostino che « in natura nostra inveniri posse velie, et posse operari honuin atipie a Gralia Christi lesu dari velle, el operari ». Seguono quindi alcune Riflessioni: « La chiesa non domanda già solamente che Iddio rischiari le tenebre del nostro spirito e ci faccia conoscere il bene per farlo ed il male per fuggirlo, se così noi vogliamo, ma Ella prega Dio a darei la forza di adempiere elTettivamente il bene ch’egli ei fa conoscere. La Chiesa non domanda già a Dio solamente la grazia di poter rigettare i cattivi pensieri ...o la grazia di poterci attaccare a lui. di poter essere suoi divoti, e di poterlo servire se vogliamo: ma ella lo prega, che ci allaccili a lui per mezzo di un santo servizio e faccia che la nostra volontà sia a lui interamente soggetta e consacrata e che realmente lo serviamo... La Chiesa non domanda a Dio solamente la Grazia di poterlo amare e temere se noi vogliamo: ma lo prega a fare che noi abbiamo effettivamente questo santo timore ed amore, e che egli lo diffonda e imprjma nei nostri cuori. La Chiesa non domanda a Dio solamente la Grazia di potei piangere i nostri peccati, se vogliamo, ma lo prega di trarre dai nostri indurali cuori lacrime di contrizione... ». L'opera termina con alcune conseguenze: « La chiesa ha sempre creduto che una grazia, la quale 11011 dia si non che la forza di fare il bene e di fuggire il male, quando noi vogliamo, in questo stalo ili corrotta natura non è in nessuna maniera bastante per far l'uno e per fuggire I altro: ma al contrario à sempre creduto, che noi abbiamo bisogno di una grazia, la (piale ci faccia volere anche fare il bene; e parimenti ci faccia voler fuggire e fug gire in realtà il male ». « La Chiesa non ha mai riconosciuto altra grazia necessaria e che basti per fare il bene, se non quella, che dandoci la forza di farlo, ee lo faccia anche fare, ossia clic ci dia la potenza unitamente iili’effetto. come parla S. Agostino: Possibilitatem cum effectu. La Chiesa ha sempre creduto che la Grazia, la quale ci fa volere e fare e che suol chiamarsi efficace per se stessa, è necessaria per qualunque buona azione. Chi sostiene la necessità della Grazia, con cui Dio opera in noi ii volere ed il fare ciò che è bene, sostiene una dottrina, la quale è «.lei pari antica che la Chiesa, perocché tale è stata sempre l’unanime sua credenza. Coloro i quali non seguitano questa dottrina, ma 1 impugnano e 1«. condannano, impugnano e condannano l’antica dottrina della Chiesa e I unanime sua credenza ». Particolarmente per questo volume, e per i Sentimenti di un cattolico, il Natali fu apprezzato per la sua opera di diffusione, persuasione, semplificazione; ed è considerato col Pujati, il volgarizzatore più insigne e più popolare « negli anni della crisi che si abbattè dopo il regime... La preghiera mattutina, proposta ai fedeli da M. Natali, contribuì all’orientamento volitivo dell’anima, avvicinò il pensiero alla possibilità dell’azione» (1). Il Natali stesso fu molto contento della sua opera. Dando notizia al De Bellegarde di averla terminata, dice di aver scritto le preghiere in italiano affinchè siano let- • te e comprese da tutti ovviando all’inconveniente già lamentalo da Scipione De Ricci, che le preghiere in latino non sono sentite dal popolo che le recita (2). (1) — E. Rota, Le origini del Risorgimento italiano, Milano, 1938, p. II, pag. 826. (2) — Una lusinghiera recensione delle Preghiere apparve nelle Nouvelles Eccl. del 9 gennaio 1785 che recavano anche lodi del volume Sentimenti di un Cattolico. Vi si elogiava l’autore «Teologo esatto e profondo », si diceva che le opere « erano alla portata dei fedeli, ed erano lette con molta soddisfazione e frutto ». Di quello delle Preghiere si diceva in particolare che l’autore « parla al cuore e presenta un mezzo sicuro e facile per assicurarsi la fede sulla materia della Grazia ». Gli Annali Eccl. del 20 febbraio 1784, in una recensione del libro dicono che non si può « abbastanza lodare, quanto realmente si merita quest’opera che è scritta col cuore dal Natali, ed ha riscosso applausi universali dai • migliori letterati ». Altra recensione comparve sul Progressi dello Spirito umano ossia Giornale Letterario del 31 marzo 1784. «Questo è un libretto — vi si scriveva — pieno di spirito e di verità, fatto pei veri adoratori, non per coloro che onorano Dio con le labbra, mentre ne stanno lontani col cuore ». Si finge che — 53 — 8 - Alla terza opera di questo periodo lavorò nel gennaio del 1780; costretto a letto a causa d’una lieve indisposizione, compose una Epitome del libro di Francesco Veronio (1), molto apprezzato, ma ancora molto raro. Il Natali dichiarò che era opportuno diffonderlo almeno in epitome nell’interesse dei suoi scolari giacché « stabilisce le regole generali, e poscia ne fa l’applicazione alle particolari proposizioni, che veramente sono di fede, distinguendole dalle altre lasciate tuttavia alla libera disputa di teologi» (2). Vi espone la dottrina dei teologi francesi del sec. XVII, restringendo il più possibile quanto bisogna credere come oggetto di fede. Si sostiene che non siano di fede le rivelazioni fatte dopo i tempi degli apostoli e neppure quelle rivelate ai santi o approvate dai concilii ecumenici. Che nessuna delle decretali dei pontefici (tesi V) contenuta nel corpo del diritto canonico o nei sei libri delle decretali, o nelle Clementine, o nelle Estravaganti, o nessuna delle bolle posteriori è sufficiente fondamento per un articolo di fede. Non è di fede che questa o quella scomunica sia valida (X), che i meriti siano dati de congruo, o de condigno: e che siano provenienti dalla giustizia piuttosto che dalla fedeltà (XI). Circa le indulgenze appellandosi al concilio di Trento (sess.XXV), nega che con le indulgenze si possano rimettere ai peccatori le pene per i peccati; e che le indulgenze giovino ai defunti; che sia di fede alcun giubileo o indulgenza data dai pentefìci o dai concilii o plenaria o particolare per qualsiasi cau- veramente abbia dato occasione al libro un amico del Nateli che letto il volume dei SentirrUenti di un cattolico, « dubitava tuttavia se si possa tenere come certo ed incostratabile ciò che ivi insegna in più luoghi, e segnatamente nel paragr. XXII, cioè, che per ispiegare il vero potere, che abbiamo tutti di osservare i divini comandanemtnti è bastante il potere naturale del nostro libero arbitrio ». (1) — Francesco Veronio nacque in Parigi: si fece gesuita, ma presto si tolse dall’ordine. Fu parroco a Charenton, morì nel 1649. Cercò di convincere e dì convertire gli eretici e specialmente i calvinisti, e scrisse a questo scopo molte opere, le più celebri delle quali sono: Metodo di Controversia, e la Regola della Fede Cattolica. Quest’ultima, molto apprezzata; era stata stampata a Parigi nel 1645 in francese, e poi tradotta in latino. Il Veronio giudica inutili la maggior parte dei volumi scritti tra cattolici e protestanti per controversie affermando che quasi tutti gli autori, compreso il Bellarmino, hanno troppe cose inutili. Una ristampa dell’opera del Veronio fu eseguita a Parigi nel 1768 ed in quell’occasione il Natali ne fece l’Epìtome, che intitolò: Epìtome celeberrimi operis Francisci Veronii De Regula Fidei Catholicae, (Pavia, S. Salvatore, 1780). Fu tradotto ,in italiano nella: Raccolta dì Opuscoli interessanti la Religione. T. II, op. I; e in latino, in II ediz. col titolo Epitome Veronìani operis De regula fidei catholicae ac Propositiones ex theologiae prolegomenis decerptae a Martino Natali in Ticinensi Atheneo Theol. Dogm. P. P. 1786. (2) Lettera al Firmian del 14 gennaio 1780, in Codignola. op. cit.. pag. 134. sa. Altro uguale richiamo al concilio tridentino fa per ciò che dobbiamo credere circa il purgatorio: non è di fede, che il fuoco del purgatorio sia vero e tale propriamente o della medesima specie del nostro (XX). Stilla questione dove sia il purgatorio nulla è ancora stabilito e sebbene in certo modo tutti ammettono che le pene del purgatorio sono maggiori di quelle della vita, tuttavia è dubbio in che modo si intendano. Neppure è di fede cpianlo duri il purgatorio. Circa 1 invocazione dei santi richiamandosi al concilio tridentino (sess. 25). nega che i santi in cielo ascoltino le preghiere loro rivolte dai vivi (X\ II); che anche i santi siano nostri mediatori, che sia necessario invocare i santi e non solo utile e buono. Facendo il solito appello al concilio tridentino nega esser di fede l'adorazione delle immagini dei santi, della trinità ecc. (tesi XVIII) e lo stesso per le reliquie (tesi XIX). La parte più ardita fu quella riguardante 1 Eucarestia (tesi XXI). Ammesso quanto dice il concilio tridentino (sess. 13) conclude che il corpo di Cristo nel simbolo dell’Eucarestia può esser detto corpo spirituale e non corpo animale: « perciò non di fede anzi è falso che il corpo di Cristo nell'Eucarestia è uguale ad un altro corpo ed è cosi grande, grasso, lungo, e largo come in croce ». E falso che il corpo di Cristo si produce o è conservato nell’Eucarestia mediante la consacrazione. E falsissimo che discenda dal cielo all altare come se abbandonasse il cielo e volasse attraverso l'aria. Non è di fede, anzi è bestemmia, dire che il pane nel mistero dell’Eucarestia si trasforma in corpo di Cristo (XXII). Col solito richiamo al concilio tridentino combatte il Dalleo sostenendo che la vera adorazione spetta solo al corpo di Cristo e non anche al Sacramento. Non è di fede che le specie sacramentali, ossia i simboli, siano « adorati molto meno che si venerino col culto della latria, o con culto religioso oppure col medesimo culto con cui si venera Cristo ». Nelle tesi XXIV si afferma che non è di fede che i suffragi dei fedeli giovino ai defunti, e neppure che la messa soddisfi alla pena che le anime purganti devono scontare:.che la messa sia un sacrificio assoluto, e non soltanto commemorativo: è cosa lontanissima dalla fede che il valore di questo sacrificio sia infinito. La tesi XXV era contro il papa e pure una delle più ardite: non è di fede che il papa anche quando parla ex-cathedra sia infallibile e giudice supremo delle discordie, che sia sopra il concilio universale e al di sopra della (.hiesa, possa avere influenza sul potere temporale, o abrogare o e-nicttere leggi di Principi (]). L’Epitome fin dalla prima edizione si diffuse rapidamente e suscito un nutrito coro di polemiche sostenute da numerosi scritti in prò e contro. Il Natali stesso vi intervenne con un lungo articolo anonimo colla falsa data di Ahbiategrasso, pubblicato sugli Annali Ecclesiastici del 2 novembre 1781 (2). Dichiarava di ammirare i professori pavesi che con tanto lume e chiarezza delucidavano le molle verità dogmatiche, e si meravigliava che qualcuno mostrasse « segnatamente contro il chiarissimo p. Natali una egualmente incredibile che irragionevole avversione ». Narrava che in una conferenza di teologi radunati per esaminare l'Epitome, appena si era saputo che era stato compilato dal Natali tutti erano insorti, gridando che non era nep-pur necessario leggerlo perchè senz’altro si poteva definire un ammasso di eresie; poi avevano concluso che tutto era stalo alterato, che neppure una parola era del Veronio, che era una completa finzione del Natali. Ma se l’opera suscitava indignazione tra i nemici, otteneva l'applauso degli amici: su richiesta del De Ricci il Natali tradusse in italiano l'Epitome e premessavi una lettera contenente quanto già aveva detto negli Annali Ecclesiastici, la spedi a Pistoia affinchè la ristampassero nella Raccolta degli Opuscoli interessanti la Religione (3). Assicurava che in tale opuscolo non vi è certamente errore al-cunc, non che l’errore dei Sacramentarj » e che era pronto a difenderla per « servire un Prelato che amava, stimava, venerava infinità-mente la dottrina sua ». Appena si seppe di tale prossima edizione i nemici del Natali protestarono e tentarono di impedirla. Il De Ricci però se ne occupò vivamente; trasmise subito gli scritti del Natali al Banchieri, incaricato di curare la pubblicazione, cercarono di affrettarne la (1) _ Nell’edizione del 1786 seguivano delle proposizioni dai prolegomeni di teologia, soffermandosi sulla natura, divisione e proprietà della teologia, sui luoghi teologici, sulla sacra scrittura, sulla tradizione, S. Padri, e sull’autorità dei teologi. (2) — Lettera al De Ricci del 24 giugno 1783, in Codignola, op. cit.. pag. 191: il Natali si dichiara autore deU’artìcolo. (3) — Questa Raccolta di Opuscoli pubblicata a Pistoia dal Braccali, nel 1783 e segg. fu una delle pubblicazioni che maggiormente irritarono gli anti-giansen.isti: citerò solo l’anonimo autore delle Notizie Storiche sulla condanna delle cinque proposizioni di Giansenio, cit., il quale parlando, pag. 205, di detti Opusocli, preconizzava: « saranno sempre memorandi per l’infamia, e formeranno un monumento immortale ne’ fasti de’ rubelli e felloni ». — 56 — stampa. Ai primi di luglio del 1783 il De Ricci scrivendo al Tamburini non nascondeva la premura per la pubblicazione e annunciava che il secondo tomo della Raccolta con 1 Epitome « uscirà sul fluire di questo mese, essendosi superato, mercè la religione e i lumi del Nostro Sovrano, tutte le Cabale e i raggiri degli emissari di Babilonia » Viceversa subì ancora un po’ di ritardo perchè alla fine di agosto il De Ricci scrivendo ancora al Tamburini prevedeva le ire del Mamachi per il II tomo he sarebbe presto uscito (1). A Firenze si andava dicendo apertamente che la pubblicazione era stata proibita perchè l'Epitome conteneva delle eresie, e si fece molto rumore (2). Appena pubblicato le ire aumentarono e l’indignazione generale si appuntò contro l'Epitome e la Lettera che il Natali vi aveva premessa tanto più che essendo in italiano poteva essere meglio diffusa e compresa. Alcuni teologi, tra i quali Filippino Baldesi, Fabrizio Cellesi, mons. Pietro Martini, il vicario regio di Pistoia, l’auditore Taia, senese, reagirono decisamente per la tesi XXI, circa l’Eucarestia, accusando il Natali di Calvinismo. Questi si difese richiamandosi, al solito, al concilio di Trento, (Sess. 13, can. 8) ed al Bossuet che nella Storia delle Variazioni della Chiesa protestante (L. IV, Num. 6) s’era espresso in analoga maniera. Aggiungeva che la propria Epitome era fedelissima all’originale, tanto che si poteva considerare una versione, e che il Veronio era sempre stato ritenuto cattolico, sia nell’assemblea del clero di Francia del 1645, sia dai vescovi Adriano e Pietro Walemburch che ne avevano inserita l’opera nella propria stampata in Colonia nel 1671, con l’approvazione di Roma. Anche il De Ricci che in un primo momento non aveva voluto dar peso alle critiche pensando « che il valore del compendiatoli era superiore di molto nelle facoltà teologiche a questi critici », in un secondo momento reagì d’accordo col Natali. Ne scrisse il 15 settembre al Tamburini e qualche giorno dopò al Natali stesso, il quale il 1 ottobre gli rispose con la massima agostiniana di non temere perchè « amatori veritatis nullus reprehensor timendus est » (3). (1) — Lettere del De Rìcci al Tamburini del 7 luglio e 25 agosto 1783, in G u e r r i n i , Carteggi bresciani inediti sulla vita e i tempi di P. Tamburini, in Bollettino della Soc. Pavese di St. Patria, 1927, pag. 174, 175 e 177. (2) — Annali Eccl. del 4 giugno 1784 e Giornale Letterario del 4 febbraio 1784. (3) — Lettera al De Ricci del 1 otjobre 1783, in Codignola, op. cit., pag. 197. Per questi fatti e i seguenti cfr. anche G e 1 1 i , Memorie, ecc., cit.. — 57 — Per lo proteste e le repliche del De Ricci e del Natali, il Taia che aveva scritto una filippica pret«ndendo che l'E pilone « rinnovasse gli errori de i Calvinisti», venne dimesso dal suo incarico dal Granduca, che gli ordinò pure di non occuparsi più di stampa Ma anche fuori Toscana le critiche furono aspre: il cardinale Giannetti, arcivescovo di Bologna, scrisse al De Ricci l’il maggio li84, lamentandosi che il Natali nella sua Epitome « più esprime in molti luoghi ciò che non è di fede, che quello che è di fede », deprecando il fatto che il Natali non abbia premesso che il Veronio scriveva più « per richiamare al seno della Chiesa gli eretici che per istruire i fedeli ». Perciò si credeva in « obbligo di rendere almeno ammoniti i sacerdoti perchè cauti fossero per sè e gli altri»; e terminava disapprovando che il Natali rimandasse per ciò che è di fede agli atti del concilio di Trento che non si possono facilmente consultare. (1) Il De Ricci rispose con una lunghissima lettera il 19 giugno 1784, difendendo il Natali richiamandosi alle approvazioni che il Veronio ed il Natali stesso aveva riscosso, sia a Pavia che all’estero. 11 Natali amareggiato per tutte queste controversie sfogò il proprio iroso dolore col caro amico e confidente d’ogni sventura, il De Bellegarde, lamentandosi specialmente dell’arcivescovo Martini (che considerava un traditore, essendo prima amico dei giansenisti) e dei gesuiti-domenicani. Poi si fece mandare una copia di una lettera scritta « dai disprezzatori della verità » che girava anonima in Toscana, e che era violentemente aggressiva contro il Natali. Egli disprezzo l’autore anonimo della lettera, accusandolo di profferire false e calunniose asserzioni e per meglio difendersi pensò di rispondere con un opuscolo sull’Eucarestia. (2) Per allora però non fece nulla, solo nel 1786 ripubblicò l'Epitome in latino rinnovando le proteste e dimostrando come, nonostante tanto accanimento contrario, l'Epitome si fosse diffuso e se ne fosse resa necessaria una nuova edizione. In occasione della ripresa delle polemiche il Natali ricevette dal De Ricci un’altra lettera che circoparte III, pag. 207 e segg. Annali Eccl. del 14 luglio 1780 e Nouvelles Eccl. del 2 aprile 1794, che però, erroneamente parlano del Tamburini anziché del Natali. (1) — A. G e 1 1 i , Memorie, ecc., cit, pag. 353. (2) — Lettera al De Bellegarde del 15 gennaio 1784, in Codignola. op. cit., pag. 205 - 58 — lava in Toscana contro 1 'Epitome (1). Per la seconda volta egli di-ch iarò di voler scrivere un opuscolo in propria difesa « per lucidare e confermare » quanto aveva sostenuto nelle tesi XXI. XXII, XXIII e XXI\ che più di tutte erano oggetto di scandalo. Credeva che lo autore di tale « scrittacelo » fosse il domenicano Barsanti, e commentava « veramente un tal frate ha dato saggio d'esser capace di fare simili pazzie ». ma prometteva di non nominare alcuno e di fare uno scritto più istruttivo che polemico (2). 9 - Questa attività di critico, di letterato, di animatore, innalzò il Natali al sommo della celebrità che naturalmente ridondò sull intera facoltà teologica: Giuseppe li emanò l'ordine che tutte le scuole tenessero come norma la teologia insegnata all’Università di Pavia (3). Immensa gioia provava ogni qualvolta lo stesso imperatore o 1 arciduca Ferdinando si recavano per qualche giorno a Pavia ed andavano ad udire le sue lezioni; come accadde il 26 maggio li83, in occasione della prolusione del benedettino P. Alberti che iniziava 1 insegnamento di Istituzioni canoniche (4). Una volta poi ebbe onori particolari: fu nel febbraio del 1784. quando l'imperatore fece visita ufficiale all’università, e, dopo aver udite varie lezioni chiamò al proprio albergo i cinque professori della facoltà di teologia, coi quali si intrattenne a lungo discutendo sul disegno di abolire i seminari vescovili per crearne uno solo, generale. La discussione passò quindi su questioni teologiche, su Dio. sulla Grazia, sulla Predestinazione, meravigliando i professori per la vastità del sapere, per il fino discernimento con giusti principi e criteri. Quindi il Natali, il Tamburini e lo Zola gli presentarono le loro opere; l’imperatore contraccambiò donando a ciascuno una medaglia d’oro coniata con la propria effigie da una parte, e dall’altra con il motto « Virtute — Lettera al De Ricci del 10 febbraio 1787, in C o d i g n o 1 à , op. cit., pag. 238. Il Codignola, a proposito dell’espressione con la quale il Natali dichiara di aver ricevuto ccpia della lettera che circolava in Toscana contro l’Epitome, rimanda alla lettera del Natali al De Bellegarde del 13 gennaio 1784 dove si parlava pure di uno scritto circolante in Toscana contro l’Epitome. Io penso invece che non sia il medesimo, ma due scritti diversi, l’uno ricevuto dal Natali nel 1784 l’altro nel 1787, perchè mi pare poco probabile che il Natali in due anni così diversi abbia ricevuto lo stesso scritto. (2) -Il Codignola, op. cit., pag. 239 n. 2 a proposito di questo opuscolo cita la Lettera riguardante l’operetta intitolata Epitome ecc. pubblicata nel T. II della Raccolta, cioè nel 1783. Ma non può essere questo opuscolo che il Natali nel 1787 dice di voler ancora scrivere. (3) — Lettera al De Bellegarde del 1 agosto 1782, in Codignola, op. cit., pag. 185. (4) — Memorie e Documenti, cit., t. Ili, pag. 27. — 59 - et exemplo », onore concesso in precedenza solamente allo Spallanzani (1). Ne fu particolarmente lieto il Natali perchè questo riconoscimento smentiva le voci dei nemici che proprio in quei giorni andavano divulgando che l’imperatore, per soddisfare al desiderio del papa Pio VI, l’avrebbe destituito dall’insegnamento (2). Pari gioia provò neH’occuparsi attivamente della fondazione del seminario generale, la cui istituzione largamente caldeggiò perchè sperava di abituare gli animi dei giovani secondo le proprie idee. Vi entrò coinè professore appena fu istituito e vi rimase fino agli ultimi mesi della sua vita che coincisero circa con la soppressione del seminario (3). Ma le gioie si alternarono ai dolori, non solo morali, ma anche fisici; nel dicembre del 1783 gli cominciò un fastidioso disturbo, chiamato allora il « salso »;. fino al marzo 1784 ebbe molte noie da questo malessere, ma potè continuare le lezioni. Nei mesi successivi però il male si aggravò: frequenti mal di capo, pruriti alla testa, al collo poi estesi a tutto il corpo, con « dolori acutissimi e tormenti spasmodici », non lo lasciavano in pace al giorno, ne dormire alla notte. Continuò le lezioni, ma con molto sacrificio. I molti e lunghi rimedi tentati, non gli giovarono, anzi nei mesi di maggio e giugno il male si aggravò, anche per la comparsa di ulceri di cattiva natura, tanto che i medici temettero per la sua vita. Terminato 1 anno scolastico, fu costretto ad un mese di letto: in luglio migliorò e poco dopo partì per la solita villeggiatura di Pecceto, presso Valenza sul Po « collina d’aria perfettissima » dove migliorò sì che in ottobre potè ritornare a Pavia e riprendere il suo normale lavoro, un pò ristabilito anche se non guarito del tutto. L’anno seguente però ebbe un aggravamento della stessa malattia, della quale si lamentava a lungo non tanto per il tormento fisico quanto per la sofferenza morale, dovendo perdere molto tempo per le cure ed essendo costretto ad astenersi dal suo normale lavoro (4). Egli pedi — Questo avvenimento fu strombazzato sui vari giornali; ne parlarono a lungo il Giornale Letterario del 25 febbraio 1784: gli Annali Eccl. nel n. 12 del 1784, e le Nouvelles Eccl. del 2 luglio 1784. (2) — Lettera del Tamburini a Scipione de Ricci del 26 febbraio 1784, in R. Mazzetti, Relazioni tra il Giansenismo Pavese e il Giansenismo Toscano. Miscellanea Pavese, in Biblioteca Soc. Storica Subalpina, Voi. CXXX (1932) pag. 164; Annali Eccl. del 19 marzo 1784. (3) — Annali Eccl. del 9 dicembre 1791. (4) — Lettere al Wilzech e al De Ricci del 23 luglio 1784. e al De Bellegarde del 6 settembre, del 25 ottobre e del 21 marzo 1785, in Codignola op" cit., rispettivamente pag. 213, 214 ,215 .217, 222. Circa la sua villeggiatura — 60 — rò si dichiarava rassegnato ai dolori fisici, e per questi non si lamentava, convinto d’esservi stato condannato per penitenza delle sue tante colpe, e perciò con mirabile slancio religioso, pioprio di un uomo forte e coerente a se stesso, ringraziava 1 Altissimo, (he gli aveva concesso un sì lungo tempo di espiazione (1). Un nuovo inciampo alla sua già stentata vita, amareggiata da tanti contrattempi e dispiaceri, fu per lui il trasferimento da Pavia degli agostiniani. Il Natali, privo di mezzi materiali propri, non esistendo in Pavia case di scolopi, aveva accettato molto volentieii l'ospitalità offertagli dai padri agostiniani, ai quali s era rivolto raccomandato dall'amicizia e dalla stima del p. generale, Francesco Saverio Vasquez, e vi aveva trovato, oltre che una probabile, comunanza di idee, anche ogni indiespensabile conforto materiale senza grave spesa. Ma quando, nel 1785, gli agostiniani di Pavia furono trasferiti a San Pietro Celestino di Milano affinchè nei loro locali di Pavia si potessero sistemare i domenicani (i quali dovevano lasciare il convento fino allora occupato, perchè questo doveva essere adibito a seminario generale) il Natali fu costretto a cambiare dimora, dichiarando apertamente che i nuovi abitatori non gli era no mai piaciuti. Il trasloco però lo preoccupò e lo infastidì assai, prima perchè dovette perdere molto tempo a scapito degli studi p< r trovare una casa che gli fosse comoda, cioè vicino all università, poi perchè il trasporto dei suoi numerosi libri gli costò fatica e denaro, infine perchè avrebbe dovuto da allora aumentare le spese del \itto e delFalloggio, pur ricevendo solo 100 lire al mese di stipendio, co me quei professori ecclesiastici che abitavano la casa del loio or dine (2). a Pecceto possiamo aggiungere che il Natali forse ogni anno all est:|tfL cava in campagna, specialmente a Pecceto come risulta dalle lettere al e legarde del 4 settembre 1785. e al Wilzech del 1 aprile 1786, inCodigno a, op. cit., 227 e 236. (1) — Lettera al De Ricci del 23 luglio 1784, in Codignola, op. cit., pag. 214 (2) Lettere al Firmian del 6 giugno 1771, 28 dicembre 1772, 7 febbraio 1793, 3 genaio 1775; al Wilzech del 29 giugno 1785 e al De Bellegarde del 4 settembre 1785, in Codignola, op. cit., rispettivamente pag. 17, 24, 25. 36. 224 e 227. Il Wilzech, al quale il Natali si raccomandava per avere un aumento di stipendio a L. 300 mensili per vitto e alloggio come i suoi colleghi, rispondeva il 16 luglio promettendo aiuto (Codignola, op. cit., pag. 225). Il Natali fece molte richieste di aumento di stipendio (anche il Cremani (Appunti Storici, cit.) ammetteva la povertà del Natali e ammirava la sua vita modesta); non nascondeva la propria condizione povera e si raccomandava di essere con- — 61 — Le traversie per la camera si protrassero a lungo, tormentando più del necessario il suo animo irascibile e sospettoso. Alla fine si sistemò presso la « nobile ed egregia » famiglia dei Salomoni, governata con « molta attenzione, cura e pietà dalla illustre signora moglie di Egidio Salomoni», il quale da tre anni era cieco (1). Ma qui Cominciavano per il Natali altri guai: il capo famiglia aveva avuto in precedenza altre due mogli; i parenti delle mogli morte insinuavano che la terza moglie, vivente, male amministrasse il patrimonio. Nascevano cosi sovente liti e discordie nelle quali fu coinvolto, con alcune malignità, anche il Natali, che protestò di essersi invece adoperato per sedare i malumori e calmare gli animi. Alla fine, angustiato da litigi quasi giornalieri, il Natali nell’aprile 1787, si interessò per cambiare casa, con ulteriore sacrificio di denaro, di cui già tanto scarseggiava, e di tempo. « Euh dolendam rerum mearum seriein » esclama desolato, rammaricandosi col De Bellegarde perchè la compilazione della Storia della Chiesa di Utrecht procedeva lentamente. (2) Pensò allora di andare ad abitare nella casa che era siderato come un professore che viva completamente a proprie spese non in un convento. Chiese spesso che gli venissero concesse ricompense per i libri che pubblicava, e per i quali doveva sostenere forti spese, e si lamentava spesso che la mancanza di denaro lo costringesse a non pubblicare opere che aveva già compilate, e a non acquistare libri che gli avrebbero fatto piacere. Faceva presente che lavorava molto come Censore, senza alun compenso, quindi per risollevare la sua condizione economica invocava che lo si tenesse presente qualora si dovesse assegnare qualche incarico remunerativo. L’aumento a L. 300 di stipendio per il vitto e l’alloggio, come ai colleghi, dopo averlo ancora ripetutamente chiesto (cfr. lettere al Wilzech del 15 e 26 maggio 1786, in Codignola, op. cit., pag. 237 e 38) lo ottenne col Decreto della Commissione Ecclesiastica del 19 maggio 1786, insieme a 10 zecchini per le spese di trasporto dei libri in occasione del trasloco di casa. Anche questo speciale contributo era stato ripetutamente chiesto (cfr. ad es. lettera al Wilzech del 1 aprile 1786, in Codignola, op. cit., pag. 236). Confessava poi che doveva fare più fatica a stampare le sue opere che a comporle: era sicuro che col tempo i suoi scritti gli avrebbero fruttato, ma sosteneva di aver bisogno di denaro subito (lettera al Wilzech del 26 febbraio 1788, in Codignola, op. cit., pag. 244). Il Wilzech in risposta a tutto ciò, si accontentò di promettere aiuto (lettera del Wilzech del 28 febbraio 1788, in Codignola, op. cit., pag.244) (1) — Gli accenni che il Natali fa alla pietà, grande ingeno e religiosità della nobile Salomoni, mi fanno supporre, che si debba identificare questa nobile signora con la Lisene Tersilia che per il Natali tradusse il volume: Della Grazia e del Libero arbitrio, e il Parallelo della storia degli Ebrei con quella dei Cristiani. Lisene era appunto il nome arcade della contessa Angiola Saio-moni. D’altra parte negli Appunti del Cremani si dice che il Natali abitava presso uno stampatore di Pavia, la cui moglie era superiore ad ogni eccezione. Appunti Storici, cit. 574. (2) — Lettera al De Bellegarde del 15 marzo 1787, in Codignola, op. cit., pag. 240. - 62 — stata del canonico Finardi. poi delFOspedale Maggiore di Pavia; ma l’amministratore, marchese Molassina, non voleva darla in allitto se non mediante pubblica asta. Solo nel • luglio del 178. con I intervento del Wilzech, il Natali potè trasferirvisi ed avere cosi una casa vicina all’università, comoda per sè e per i suoi scolari che numerosi frequentavano la sua abitazione, dove egli dirigeva una accademia di una trentina di persone (1). Queste seccature, che la vita a tutti offre in abbondanza, ma che il Natali non sapeva sopportare con calma, lo tacevano spes-o uscire dalle staffe ed erano causa di lunghe lamentele coi suoi amiri. Crediamo anzi che queste angustie, profondamente sentite e tollerate, gli abbiano procurati tanti malesseri fisici e 1 abbiano dotto ad una immatura fine. 10 - Benché in mezzo a tanti guai non smise di lavorare, ma I' sue opere sembrano risentire di questa oppressione. In quegli anni, c io sono gli ultimi della sua travagliata esistenza, escono due cate,, di opere, che possiamo distinguere anche cronologicamente, l già pronte da anni, più serene, per lo più traduzioni corredate da note; e quelle invece composte proprio in quell ultimo tor periodo, più violente, rivoluzionarie, settarie. Appartengono ^ P ^ mo gruppo: il Parallelo della st-oria degli ebrei con que ^ stiani. tradotto da Lisene Tersilia pastorella arcade ed illusi varie note dal padre Martino Natali, O. S. P. L'opera scritta in francese e stampata nel 1<23 dall abate Gio vanni B. d’Etémare era giudicata « densa di erudizione e di lumi 11 Natali, che da anni si era dichiarato per il parere di Duguet in torno al ritorno degli Ebrei alla Chiesa, come già aveva accennato nelle Lettere sopra il Decreto del Concilio di Trento, 1 aveva con e data di note (2). (1) — Lettere al De Bellegarde del 9 marzo 1787 e al Wilzech del 22 giugno 1787, in Codignola, op. cit., pag. 240 e 243. (2) — Lettera al De Bellegarde, del 25 giugno 1779, in Codignola. op. cit., pag. 106. Giovanni Battista Lesesne de Meuilles d’Etemare (1682-1770) studiò teologia presso gli Oratoriani sotto la direzione del Duguet. Disse la prima messa a Port Royal des Champes nel 1709. Collaborò in vari scritti; nel 1725 fu inviato a Roma per tentare una pacificazione con la Chiesa francese. Visse poi ad Auxerre ed infine passò 25 anni a Rhynwick. E’ l’autore di cinque volumi Caiechisme historique et dogmatiqiie sur les contestations qui agitent maintenant l’Eglise » (Haye 1729).. L’opuscolo francese intitolato « Parallele a-bregé de l’Histoire du Peuple d’Israel e de l’Histoire de l’Eglise » aveva colpito il Natali, che però non ne conosceva l’autore. Chiese infatti al De Bellegarde se fosse del Boudet o di altro teologo esprimendo anche il timore che il pa- 63 - L’aulore si proponeva di fissare l'attenzione sulla saggezza elle Dio fa risplendere nel governo del suo popolo, oltre che sui principi che la S. Scrittura ci fornisce negli avvenimenti narrati. « per istruirci e guidarci nei casi simili ed insegnarci a distinguere le regole dagli abusi ». 11 d Eternare s’era valso delle spiegazioni che il Duguet nel 1710 e anni seguenti, aveva dato a un gruppo di monaci sulle Profezie del Vecchio e Nuovo Testamento, sulla futura conversione degli Ebrei sulle cause e gli effetti d’un avvenimento così consolante per la chiesa. La traduzione è ancora di Lisene Tersilia ed è completata da sessanta note del P. Natali. I giansenisti acclamarono l’autore « uomo tanto scienziato e più che celebre nella Repubblica delle Lettere » che metteva in luce con quest’opera « gli intrighi dei Cu-rialisti Romani e dei loro fantasmi (1). Anche i giansenisti francesi i'apprezzarono e la richiesero all’autore (2). L’anno seguente usciva un’altra traduzione dal francese: Prin-dpi sulla approvazione dei Confessori (Pavia, 1788, pagg. 70). Il Natali traduce, corredandolo di note, un volumetto del Maul-trot: Principes sur Vapprobation des Confesseurs. Questo volumetto francese, riduzione delle due opere del Moultrot: Dissertation sur Vapprobation des Confesseurs inlroduite par le Concile de Trente (s. 1. 1783) ed Examen du decret du Concile de Trente sur l'appro-bation des Confesseurs (s. 1. 1784), era stato già recensito dal Natali che ne aveva parlato a lungo sugli Annali Ecclesiast ici (3). rallelo non fosse continuato fino ai suoi giorni, ma si fermasse al secolo XVI. cioè è San Carlo Borromeo. Fregava il De Bellegarde di inviargli l’eventuale continuazione con tutte le possibili notizie. L’amico gli mandò subito il nome dell'autore del Parallelo. e le altre notizie e opuscoli sull’argomento. Lettera del 22 giugno e 4 settembre 1785, in Codignola, op. cit., pag. 225 e 227. (1) — Annali Eccles. del 19 maggio 1786. La questione del ritorno degli E-brei alla Chiesa era dibattuta anche in Italia: un benedettino di Monte Cassino, dopo aver tradotto molte opere del Duguet, richiamandosi alla di lui dottrina, aveva pubblicato a Brescia nel 1772 un volume sul Ritorno degli Ebrei alla Chiesa. Contro quest’opera aveva scritto il Mozzi una lettera stampata a Lucca nel 1777; e il benedettino aveva ribattuto con un articolo da Venezia edito nelle Nouvelles Eccl. del 14 febbraio 1777. (2) — Lettera al De Bellegarde del 4 settembre 1785, in Codignola, op. cit., pag. 227 e Nouvelles Eccl. del 30 gennaio 1787. (3) — Numeri del 16 e 23 dicembre 1785. — 61 « Risale — egli scriveva — fino alla sorgente della potestà di •assolvere; distingue la giurisdizione ordinaria e delegaliva che l’una e 1 altra è nel tempo stesso necessaria e sufficiente per la validità delle assoluzioni » ( 1). La divisione della terra, sebbene non fatta da Gesù Cristo, è tuttavia necessaria per conservare ai ministri di Dio i loro diritti. I parroci hanno il diritto di delegare e perciò prendere per cooperatore qualunque sacerdote, anche se non approvato dal vescovo: perciò da loro viene il potere che esercitano i preti che non sono parroci. L’approvazione dei vescovi non è la sorgente della potestà, ma é una testimonianza di capacità. 11 vescovo quindi può essere costretto ad accordare l’approvazione a chi la merita; non può limitarlo nè nel tempo uè nel luogo; non può revocarlo che per gravi motivi, e deve darne spiegazioni; i sacerdoti possono confessare anche senza approvazione quando la negativa del vescovo si fonda su un errore di diritto; e i parroci, se necessita posson confessare anche fuori della loro parrocchia. Usciva contemporaneamente a questi opuscoli una grandiosa opera dottrinaria frutto di corsi universitari. Erano le: Scripturae et patrum doctrina, de Deo eiusque attributis, seu praelectionum theologicarum. Martini Natali, clerici regularis scholarum piarum in tici-nensi academia. theologicorum dogmatum pubblici professori ad u-sum suorum auditorum. (Voli. 3. Ticini Regii. 1787-1788) (2). (1) — L’opuscolo in francese era stato passato al Natali dallo Zola; nel 1785 l’aveva già tradotto e annotato e pensava di pubblicarlo al più presto. Non ne conosceva l’autore, ma lo lodava, come risulta da una lettera al De Bellegarde del 20 febbraio 1786, (Codignola, op. cit., pag. 231). La pubblicazione dell’opuscolo, che uscì anonimo, avvenne solo nel 1788, forse in seguito al consiglio del De Ricci che scrisse al Natali di tradurre in italiano qualche trattato dei Padri, onde istruire la gente sull’argomento della confessione (Lettera del 10 febbraio 1787, in Codignola, op. cit., pag. 238). Appena si seppe della pubblicazione di quest’opuscolo, cominciarono le critiche rivolte però più al Natali che al Maultrot: gli Annali Ecclesiastici del 4 aprile 1788 narrano che mentre era ancora in corso di stampa, un ecclesiastico dichiarò che quello era un Jìbro inutile contenente asserzioni non sostenute nè comprovate, « che insegnava falsità, non il buon metodo per fare una buona confessione ». Interrogato questo ecclesiastico sulle asserzioni incriminate, egli confessò di non conoscere ancora il libro, ma di poterlo già criticare conoscendo il Natali. Una ostile recensione del Giornale Ecclesiastico, del 12 aprile del 17788 concludeva: «Si poteva sentire un Assunto il più ardito, il più temerario, il più ingiurioso alla potestà vescovile, il più distruttivo dell’Ordine Gerarchico? ». La esaltarono le Nouvelles Eccles. del 1788 N. 19. (2) — Nel 1786 fu pubblicato il III tomo; nel 1787 uscì il I; nel 1788 il II e nel 1789 l’appendice al II intitolata Die Deo Creatore. Nel I e nel 11 volume, che hanno rispettivamente per sottotilo De Deu eiusque attributis e De SS. Trinitate, l’autore confuta il concetto del Molina dì una a scienza media», ammette che la predestinazione di coloro che si salveranno alla grazia e alla gloria sia anteriore alla creazione del mondo; sostiene che si deve amare solo Dio per sè, le altre cose in lui e per lui. Nel ju svolge le prelazioni sull’esistenza, unità, bontà, bellezza, santità, miscredenza, giustizia, scienza, volontà, provvidenza di Dio. Nel terzo volume, che ha per sottotitolo « S. Augustini doctri~ na de Gratia Dei» (1), sostiene che i bambini morti senza battesimo non andranno al Limbo, ma saranno costretti al fuoco eterno (cfr. voi. Ili, pag. 105); che la grazia di Dio è il primo moto indispensabile alla salvezza dell’uomo; da quella provengono le possibilità della preghiera, dell’amore verso Dio, la fede in Lui; senza la grazia nulla ci è lecito: nemmeno la conoscenza delle scienze matematiche e fisiche. Essa è sempre efficace, ed esclude la grazia sufficiente degli scolastici. Tutti possiamo e dobbiamo ubbidire ai precetti di Dio. La nostra volontà senza l’aiuto della grazia, è libera soltanto per il male, mentre il libero arbitrio sarebbe veramente tale, se l’uomo non peccasse; è libera dalla giustizia quando pecca, libera dal peccato allorché è diretta al bene. La nostra vera libertà non è quella priva di grazia cioè rivolta al male, ma quella intrisa di grazia e perciò rivolta al bene. Tutta l’opera è in latino e fu composta allorché fu comandato ai professori di non dettare i corsi che andavano svolgendo, ma di scegliere un classico, o dare alle stampe i propri corsi. Il Natali scelse questa via e pubblicò il corso sulla Grazia, dichiarando di « credere di avervi trasfuso il pensiero di S. Agostino ». L’opera non presenta molta originalità, ma rispecchia il comune pensiero dei più accesi giansenisti. Il volume III è un compendio dei due volumi « Complexiones Augustinianae » e di altri scritti del Natali ancora inediti (2). (1) — Lo J emolo, II Giansenismo in Italia, cit. pag. 345, ne parla come di un volume a parte; in verità, sebbene sìa il III delle « Scripturae » per l’argomento trattato, per essere uscito prima degli altri, con titolo diverso, può essere considerato a sè. (2) — Lettera al De Bellegarde del 9 marzo 1787, in Codignola, op. cit., pag. 240. i — 5 - 66 — In appendice a quest’opera il Natali pubblicava un opuscolo. Ue Dea Creatore rerum universarum (Ticini Regia, 1<89, Paeg* ‘M) (1) nel quale sostiene che quando il Vecchio Testamento palla di anni, si tratta veramente di anni, che il Paradiso terrestie è lealmente esistito; che quanto la Genesi ci tramanda sulla creazione di Èva. è verità assoluta; che Elia precederà il ritorno di Enoch, e si occupa del problema circa il tempo della conversione degli E-brei. Sostiene anche l'eternità delle pene e la spiritualità dell anima. 11 - Appartengono invece al secondo gruppo quelle più arditamente nuove, nelle quali il pensiero, sempre più personale, tende a nuovi orizzonti. Esse sono: Ragionamento sulla astinenza dalle opere salili nei dì festivi, (Pavia, 1787, pagg. 264) (2). Sostiene 1 autore eht i Cristiani non sono per alcuna legge, nè divina, nè ecclesiastica uni \ersale, obbligati ad astenersi dalle opere servili nei giorni di està, e che l'astinenza è un avanzo di giudaismo e di gentilesimo. Tali legge era stata ordinata da Dio agli Ebrei prima del tempo di Mosè e solo per i seguenti fini propri a quel popolo: 1) per stabilire tra Dio e gli Ebrei una speciale alleanza che fosse come una carattensti ea che li distinguesse da tutte le altre nazioni; 2) a perpetua memo ria della liberazione della schiavitù d’Egitto; 3) per sradicare il culto degli idoli, ricordando la creazione e il riposo del sabato. Ma questi motivi hanno perso il loro valore: perchè molti altii segni già ri distinguono dai Gentili e dagli eretici; perchè noi non siamo mai stati soggetti agli Egiziani; perchè recitando il Crfdo (1) — Era composto sin dal 1775, come risulta da una lettera al Fiimian, in Codignola, op. cit., pag. 75. .. (2) — C’è qualche incertezza sull’autore della presente opera che: reca_ i nome di Pio Costa e non quello del Natali. Ma se teniamo presente a i del Natali di nascondersi sotto il nome degli scolari più affezionati, a neces di non crearsi più nemici, la stanchezza per le tante critiche (tutte ques e s • ultime opere sono anonime) ci sarà facile credere che sia proprio opera sua. Costa gli fu fedelissimo fino all’ultimo, specialmente durante la sua grave e un ga malattia, e meglio di qualunque altro scolaro potè impersonare le idee e maestro. Al Natali attribuì quest’opera il M e 1 z i (non so in base a quali ocu menti, ma come già osservai per altri casi, si dimostra sempre bene infoi ma o sul Natali); ma la fonte che più mi convinse sono gli appunti del Cremani sen ti a mons. Stefano Rossi, che ci testimoniano questa paternità aggiungendo c e l’opera fece molto rumore e che si cercò di fargliela ritrattare in punto di mor e (Bibl. Univ. Appunti cit.). Rispose da Roma l'abate Bertalazone, ed a sua volta replicò il Natali, ancoia sotto il nome del Costa con le Osservazioni sulla Dissertazixme stampata in Roma sotto il nome del sig. cibate Bertalazone sull’antichità del precetto di astenersi dalle opere servili nei giorni di festa. Pavia, 1788. Per l’opera del Natali, cfr. Annali Eccl. del 17 agosto 1787, per quella del Bertalazone cfr. Giornale Eccl. del 26 luglio 1788 e segg. - 67 — confessiamo ogni giorno che Dio è il Creatore; perchè con la resurrezione di Cristo fummo liberati dalla schiavitù del peccato, ed essendo questa liberazione spirituale, conviene solennizzare spiritual-mente la domenica, non materialmente con l’astensione dal lavoro. E incalza (pag. 168) « Per ultima maggior riprova di tutto quanto linora fu detto, scorgesi pure ne’ migliori Teologi, che in vista delle addotte autorità de’ Padri, e particolarmente d’alcuni testi da me citati di S. Agostino, e sulla scorta quindi di S. Tommaso, e di S. Antonino, di S. Bonaventura, e del Romano Catechismo, riconoscono pure anch’essi, che il riposo, ossia la cessazione dal lavoro agli Ebrei ordinata per la santificazione dei loro Sabati era una figura, e un simbolo della quiete, che apportar doveva Cristo agli uomini colla sua redenzione; che era un’ombra rappresentativa della quiete spirituale dell’anima Cristiana in Dio, sì in questa, che nella futura vita del Cielo. Riconoscono pure anch'essi. che l’astinenza dalle opere servili letteralmente agli Ebrei prescritta in festa, si deve spiritualmente intendere da’ Cristiani per l’astinenza dai peccati; da cui rettamente ne deducono, che i peccati dai Cristiani commessi nei dì festivi debbono aversi in conto di più gravi di quelli, che si commettono negli altri giorni, siccome direttamente opposti alla medesima santificazione della festa; come pur anche confessano essi, che i lubrici spettacoli, le crapole. e i balli, perchè azioni eccitative al peccato, distoglienti dal pensar a Dio. e alle divine cose, e per «e stesse non riferibili al divin culto, siano azioni da assolutamente fuggirsi in festa più che negli altri giorni ». Sostiene poi in questo punto « non esservi alcuna legge positiva della Chiesa universale, che obblighi ogni Cristiano ad astenersi interamente dalle opere servili ne’ giorni di festa: e che perciò benissimo qualunque corporal travaglio, qualunque manual esercizio possa essere compatibile colla santificazione della festa stessa ». Importa stare sempre uniti spiritualmente a Dio e ciò si può osservare anche lavorando manualmente: basta offrire a Dio i pensieri. le fatiche ecc. e non solo alla domenica, ma sempre; « Che tutti i giorni della settimana, e dell’anno debbansi da' Cristiani con ciderare eguali, dovendo essi in tutto il tempo della lor vita cele' brare una continua festa colla cessazione dai peccati, e colla continua meditazione della morte, e risurrezione di Cristo; e che perciò il materialmente distinguere giorno da giorno sia un giudaizzare, chiaramente tra’ Padri del quinto secolo della Chiesa il dimostra anche San Girolamo coll’autorità di S. Paolo nel capo 4° ai Calati ». — 68 — F.d alla domanda perchè mai i Cristiani usassero fin dall’antichità radunarsi assieme a santificar le Domeniche, la Pasqua e la Pentecoste, egli risponde che « benché il Cristiano perfetto, che in ogni giorno della sua vita sa stare unito a Dio, e celebrare una continua festa, non abbia bisogno del giorno di Domenica, perchè per lui è sempre Domenica, cioè dì del Signore; una parte però di que’ Cristiani, che deboli, ed imperfetti non possono, o non vogliono passar la loro vita, come un sol giorno di festa, ha bisogno di quelle sensibili determinazioni, di questi particolari stabilimenti, affinchè del tutto non manchino al loro dovere, al dovere cioè, che ha ogni uomo di specialmente consacrarsi in qualche tempo particolare a Dio ». Prosegue quindi l’autore dicendo che la legge dell’astensione è stata abolita da Cristo stesso e dagli apostoli, i quali non solo non istituirono delle feste, ma anzi essi stessi compirono nel sabato ciò che dalla legge era vietato. A prova di ciò il Natali cita certi miracoli operati di sabato, la raccolta e la macinazione del grano fatta dagli apostoli, l’unguento composto da Cristo per gli occhi del cieco, il comando dato da Cristo al paralitico di portar via il letto nel giorno di Pasqua, ecc. E così chiude il libro « Se la comune odierna persuasione e pratica de fedeli d’astenersi intieramente dalle opere servili ne’ dì di festivi, avesse ella un qualche fondamento, una qualche origine nella verità, vale a dire o ne’ santi Vangeli, o negli scritti, e negli insegnamenti degli Apostoli, o nella costante, e unanime dottrina de santi Padri, nella pratica de’ primitivi fedeli, o provenisse da qualche legge espressa, o da una perpetua, e non interrotta consuetudine della Chiesa universale, colonna, e fondamento della verità stessa; se assolutamente necessaria fosse, ed essenziale una tale astinenza, com era per i soli Ebrei nell’antica legge, per l’adempimento del precetto della santificazione della festa; se almeno in fine non fosse pregiudicievole al comune vantaggio sì sprituale, che temporale del Cristianesimo; allora certamente cotesta pratica, e persuasion dei fedeli potrebbe avere qualche, forza, e vigore per obbligare universalmente gli stessi alla medesima astinenza. Ma essendosi con molte, e valide ragioni dimostrato, come una tale persuasione ella è del tutto spogliala delle leste accennate qualità; essendosi essa, ben lungi dall’essere dalla stessa Chiesa approvala, nc’ secoli posteriori soltanto nella Chiesa introdotta, parte per un avanzo di Giudaismo, e di Gentilismo. parte per la viziosa propensione dell’uomo all’ozio, ed — 69 al riposo, e parte infine per alcune leggi municipali, variabili, teru-porarie, e rii già cessate', e come quindi la stessa, anziché promovere la santifieazion della festa, tende di presente purtroppo alla di lei profanazione, ed al pubblico spirituale, e teinporal danno della Cri-stiauila; perciò a quelli, che invece di arrendersi alle ragion qui esposte in prova d’una tal verità, di nuovo pertinacemente instassero sull’obbiettata odierna persuasione, e consuetudine, così per me risponderebbe il Grande Agostino nel libro secondo De unico Baptismo: Frustra quidam, qui ratione vincuntur, consuetudinem nobis obiiciunt, quasi consuetudo maior sit Veritate ». Termina ancora citando brani di S. Agostino e di Tertulliano, a conferma della sua tesi. Altra opera infuocata e aggressiva, sono le Riflessioni sopra il Breve del Sommo Pontefice Pio VI in cui si condanna il libro di Eybel. Che cosa è il Papa? (s. d. s. 1. datato in fine 18 aprile 1787, pagg. 116). Giovanni Valentino Eybel, acuto polemista noto per varie opere di diritto ecclesiastico, in occasione del viaggio di Pio VI a Vienna, nel 1782, aveva pubblicato anonimo il libro: « Che cosa è il Papa ? », subito tradotto anche in italiano. In sostanza l’opera diceva che i vescovi ricevono il potere da Dio, non dal papa, che è un capo con funzione tutoria degli interessi della chiesa. Il 28 novembre 1786 il papa con il breve « Super soliditate » condannava l’opera del-l’Eybel. Il Natali si oppone a questo breve (1) e riprende la questione alla base: dopo aver riportato il testo del breve pontificio con sottile distinzione sembra non voler contrabattere direttamente le affermazioni del papa, ma quelle deH’Estensore Romano che compilò il (1) Anche il Palmieri assumeva identica posizione di difesa dell’Eybel con un libello La voce della verità: e pure nella Raccolta di Opuscoli interessanti la religione (t. XIV, op. VI) compariva un Esame del Breve del S. P. Pio VI che condanna il libro: Che cosa è il Papa? A loro volta gli avversari risposero con un libello avverso al Natali ed al Palmieri, intitolato « Confutazione di due libelli diretti contro il Breve Super 'Solidate, l’uno intitolato La voce della verità, l’altro. Riflessioni sopra il Breve ecc. (s.d.s.l.). L’opuscolo del Natali è anonimo e privo dì qualsiasi indicazione, ma a lui l’attribuiscono il M e 1 z i (Dizionario cit.)., gli Annali Eccl. del 9 dicembre 1791, l’autore della Confutazione su citata e ultimamente il Codignola (op. cit., pag. XCIX) che lo suppone edito nel 1788. Ampio riassunto di questa Confutazione è nel Supplemento agli Annali Eccl. del 1791, pagg. 91 e segg. L’autore si sforza di trovare punti di discordia tra il Natali e il Palmieri per criticare l’uno con l’altro. — 70 — breve, e si vale di questo artificio per poter parlare più liberamente ed impulsivamente come il suo intransigente carattere lo consigliava. L’opera è scritta tutta di getto, senza reticenze e forse senza aver tolto quanto di più ardito altre volte era già uscito dalla sua penna, ma poi mitigato da più matura riflessione, o dalle ostilità incontrate, nel trovare un tipografo. Questa volta superò le difficoltà non raddolcendo le espressioni nè attenuando le idee più spinte, ma convincendo il tipografo a stampare senza indicazione o di tipografia, o di città o di anno, e senza alcuna autorizzazione: una volta tanto il ceir sore fu indulgente a se stesso. Ciò si rivela dal fatto che quest opera come la seguente Dubbio sul centro deU'iinità cattolica ha la violenza di un ira non ancora sbollita, la spontaneità ed il linguaggio delle epistole scritte agli amici intimi con i quali può sfogare i propri crucci. Quest opera sebbene sia infarcita dei soliti frequentissimi richiami ai testi sacri o agli scritti teologici più celebri, con formidabile sfoggio di erudizione, non dovette impegnare il Natali in un lavoro di molti mesi perchè in fondo reca la data dell a-prile 1781, cioè di soli 5 mesi posteriore alla pubblicazione del breve. Del resto anche il fatto che nel suo epistolario, il Natali non parli di questa sua fatica, è una prova che scrisse il libro di getto, senza pentimenti, ed in massima segretezza per essere più sicuro. Comincia ad accusare l’estensore del breve di essere intransigente nel sostenere il sistema ildebrandico pretendendo « che il vescovo di Roma sia Monarca Supremo, ed infallibile dell’universo per riguardo alle cose tutte sì Spirituali, che Temporali » (pag. 12). Forte di questa pretesa, l’estensore ha dato ordine agli stampatori ed ai librai di non diffondere, nè tenere il libro dell’Eybel. mentre « è ormai cosa nota, ed incontrastabile appresso i Giuspubblicisti. che il concedere, o negare l’introduzione, la vendita e la Stampa di qalunque Libro, o Carte su di qualsivoglia argomento, è un Diritto totalmente proprio della Sovranità », non attribuibile dunque ad un papa. Procede quindi in una serrata disamina di iùolte frasi del breve, secondo il quale al papa spettano i titoli « di Vicario di ( risto, di Supremo in tutta la terra, ed infine di Monarca ». 11 Nat al i perciò si sente in dovere di istruire i fedeli sulle prerogative, che si devono necessariamente riconoscere nel papa da chiunque voglia estere cattolico, ed indagare, « se il negare al Papa siffatte prerogative o tutte o in parte, sarebbe realmente un Eresia, o un errore condannato dalla Chiesa» (pag. 18). Ammette che S. Pietro abbia avuto da Cristo il primato fra gli altri apostoli, col diritto di trasmet' terlo ai successori, ma nega che S. Pietro debba essere ritenuto un — 71 — monarca, perchè S. Pietro fu primogenito tra molti fratelli «e sarebbe un error manifesto il dire, che gli altri Apostoli erano Vicari di Pietro, e non piuttosto di Cristo ». Nega che la parola pietra u-sata da S. Matteo (XVI) nella frase di Cristo: Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam, si riferisca alla persona, sostenendo che si riferisce alla fede, riportando brani di S. Agostino, S. Cipriano, Tertulliano, Origene, S. Ilario. S. Leone Magno, S. Cirillo che sostengono questa interpretazione. Nega che sia dogma che al solo Pietro sia stala conferita da Cristo 1 autorità «totius Gregis pascendi, Fratres confirmandi, totoque orbi ligandi ac stfvendi ». « Le Divine Scritture c’insegnano, eh’e-rano eguali a Pietro tutti gli Apostoli» (pag. 30), e cita lunghe testimonianze tratte da vangeli, epistole scritti di S. Padri ecc. a sostegno della sua tesi, deducendo « che ogni altro Apostolo, egualmente che Pietro aveva la podestà di esercitare in tutto il Mondo. l’Apostolico Ministero non solamente col predicare dovunque il Vangelo, amministrare i Sacramenti, dare lo Spirito Santo, ecc. ecc., ma anche nell’instituir Chiese, crear vescovi, ed aver cura e sollecitudine di tutte le Chiese dell’Universo ». Con 1 autorità di S. Ottato e di altri testi sacri, sostiene quindi che le chiavi consegnate da G. Cristo a Pietro « dovevano essere comunicate a tutti gli altri Apostoli », non da S. Pietro, ma dal medesimo Divin Redentore, confutando i testi sacri che sostengono l’opposto. Citando S. Giovanni Grisostomo dice che « il Diritto di eleggere i Sagri Ministri/era, fino da’ primi tempi della Chiesa, presso la moltitudine, cioè presso il Clero, ed il Popolo ». Accennato quindi al dubbio storico se S. Pietro sia veramente stato vescovo a Roma, il Natali si chiede se il primato provenga al vescovo di Roma per diritto divino o no, dichiarandosi di questo ultimo parere con la citazione di numerosi testi sacri. La differenza (pag. 50) che passa tra il primo e tutti gli altri vescovi si è che « il primo vescovo è più obbligato di ciasche-dun altro ad occuparsi nella cura, e sollecitudine della Chiesa Universale: e soprattutto deve egli pensare a conservar la purità della fede, e l’unità, ed a far eseguire i Decreti de’ Concilj per tutta la Chiesa ». Espressa quindi l’opinione che il papa debba essere soggetto al concilio generale, viene a distinguere il primato papale di giurisdizione: se è un diritto «che abbia annesso imperio, dominazione, e forza coattiva » è da negarsi; Se invece è tin diritto « che porti seco un obbligo particolare di ammonire gli erranti e di riprendere i prevaricatori » è da ammettersi. — 72 — Nega (pag. 70) che sia un privilegio particolare del papa il fondare vescovati, poiché « fu costume degli Apostoli tutti di fonda re in varie Città delle Sedi Episcopali, ossia, Chiese, le quali essi governavano per quel tempo che loro seminava necessario, < po scia vi lasciavano un vescovo da loro ordinato ». Con lunghe citazioni, richiami a concili, ecc. viene poi a sostenere che non è diritto esclusivo dei papi, « ma proprio onninamente de’ Metropolitani quello di Confermare, e di Consaciare i Vescovi loro Suffraganei » (pag. 96). Uno dei punti più rivoluzionari e una delle tesi più ardite, e sostenuta verso la fine (pagg. 101 e seg.). Il Natali si rifiuta di (hia mare il papa «Centrum Unitatis»: « L idea, che il Primate della Chiesa sia il Centro dell"Unità è nata da quella specie d Unità introdotta nel Governo Ecclesiastico a somiglianza del Goveino poli tico. per cui i Vescovi sono subordinati ai Metropolitani, i Metro politani ai Primati, i Primati al Papa. Ma nella primitiva Chiesa non eranvi tali gradi fra i vescovi: e l’origine de Metropolitani. <. de’ Primati è puramente Ecclesiastica. Al contrario 1 Unità, che compete alla Chiesa, è di Instituzione Divina, ed è tutta propria d( 1 Corpo Mistico di G. Cristo ». Anticipa cosi quei principi che poi svilupperà nel Dubbio sul centro deH’Unità cattolica. Termina traendo due conclusioni sostenute con esempi tratti dalla storia: «Che i vescovi tutti ricevono immediatamente da Gesù Cristo, e non dal Papa la loro autorità di governare la Chiesa ad essi affidata. 2) Che non solo il Papa, ma tutti i Vescovi ancora sono Jure Divino posti a governare tutta quanta la Chiesa Cattolica ». 12 Una polemica puntigliosa dava intanto origine ad una nuova opera: una storia della Chiesa di Utrecht. L’idea era da anni fissa nella mente del Natali che tante profonde relazioni aveva con quella chiesa, ma fu specialmente nel 1785, quando era uscito in Ferrala il volumetto del gesuita canonico Luigi Mozzi, intitolato: Storia compendiosa dello scisma della nuova chiesa di Utrecht, diretta a Mons. Vescovo di *** da A. D. C., che il Natali cercò I occasione di rispondere; non potendo far di meglio, l’8 giugno dello stesso 1785, (lo stesso giorno in cui Pio VI indirizzava al Mozzi una benedizione apostolica di compiacimento per la sua Storia), essendo promotore della laurea di due domenicani, aveva premesso, coinè era l’uso, una dissertazione difendendo l’innocenza e i diritti della chiesa di Utrecht. Questa dissertazione, divisa in vari capixoli, alcuni dei quali erano materia di lauree che si sarebbero discusse poco — 73 — dopo, aveva fatto fremere di sdegno molti. Era stata anche richiesta dal De Bellegarde al Natali, il quale però rispondeva che non 1 aveva ancora pubblicata, ma che la stava ampliando per una completa difesa della chiesa di Utrecht, anche per rispondere all’opuscolo del Mozzi « liber plenissimum falsitatum et calumniarum iux-ta sohpsorum morem » (1). L’argomento non era nuovo per lui; già da diversi anni vi lavorava: si era deciso a scrivere qualcosa in italiano sulla chiesa di Utrecht fin dal 1783, desiderando di sradicare dalle menti l’opinione che essa fosse scismatica « unde futurum spero, ut omnes intelligant istius Ecclesiae orthodoxiam. justitiam, ac bonum exemplum ». Prese lo spunto principalmente ciaFTopera del De Bellegarde (non firmata) Histoire abrégée de l'Eglise Métropolitaine d'U-trechl (Utrecht 1765); volendo però arrivare fino al 1783 e man-canao di notizie dopo il 1763 (a tale data si fermava la pubblicazione de\V Histoire abrégée) pregò il De Bellegarde stesso di mandargli qualche appunto per lettera, con i nomi dei vescovi, i loro fatti, quello che fecero presso il pontefice per unirsi alla chiesa romana, quello che il pontefice rispose e fece contro i vescovi di U-trecht; insomma desiderava una « breve storia che servisse da apologia ». Domandò anche schiarimenti circa un viglietto mandato da Benedetto XIV al card. Corsini consigliandolo di non assumere le difese del p. Norberto e di ritenere perciò scismatico il capitolo di Utrecht (2). Il De Bellegarde lo accontentò inviandogli le notizie, che però il Natali passò prima allo Zola, che voleva fare subito una breve pubblicazione sull’argomento (3). Già nel 1784 il Natali aveva pronto un opuscolo sulla chiesa di Utrecht, che però non pubblicò perchè Giuseppe II aveva disapprovato qtianto il Tamburini, col nome del proprio scolaro il con- (1) — Lettere al De Bellegarde, del 22 giugno e del 4 settembre 1785 e 20 febbraio 1786, in Codignola, op. cit., pagg. 225-227-231. (2) — Nella Storia della Rivoluzione della Chiesa di Utrecht, il Mozzi a pag. 375 e segg., dice che il Cappuccino P. Norberto inviato dal papa a Utrecht per esaminare quella Chiesa aveva dato al card. Corsini informazioni, secondo le quali la chiesa dì Utrecht si sarebbe sottomessa alle Costituzioni Apostoliche; il Corsini ne prese le partì, ma a lui il papa scrisse una lettera avvertendolo che il P. Norberto si era certo ingannato perchè la Chiesa di Utrecht, nonostante la Professione di fede fatta, e il Primato del Papa dichiarato nel Concilio di Firenze, poteva ancora sostenere di non accettare le ultime Costituzioni e la Bolla Unigenitus. (3) — Lettere del Natali al De Bellegarde del 27 ottobre 1783 e del 21 marzo 1785, in Codignola, op. cit., pag. 199 e 222. — 71 — le di Trutmansdorf, aveva scritto sull’argomento in difesa della chiesa di Utrecht (1). Motivo di ritardo derivò pure da qualche beneficio che Giuseppe Il concesse a favore di alcuni nemici del Natali; il quale, perciò si credette in disgrazia e non osò esporsi a nuovi bersagli (2). Continuò però il suo lavoro e nel 1787 una parte era già stampata e penso anche diffusa perchè il vescovo di Concordia, in una lettera del 1788 scriveva da Portogruaro al Pujati dimostrando di conoscerla (3). Per varie vicende (cambiamenti di casa, persistente malattia) il Natali era stato costretto a ritardare il compimento dell’opera («quam diligo in vera charitate Christi))) ma la prosegui fino a che la salute glielo permise (4). Ci resta col titolo: Istoria della Chiesa di Utrecht (Pavia, S. Salvatore 1790, incompiuta pagina 18*) (3). Dalle notizie che abbiamo, possiamo dedurre che doveva essere un’opera assai vasta; ma non ne fu edito che il 1. volume « neppure completamente. Comincia con un manifesto dell arcivescovo di Utrecht e dei tre ordini della chiesa di Utrecht, con l atto di appello « interposto dall’arcivescovo e dal capitolo cattolico-romano della chiesa d’Utrecht al primo concilio generale, che sarà congregato, per rapporto ad un iiuiiiero incredibile di vessazioni fatte alla chiesa di Utrecht dalla Corte di Roma », scritto il 23 novembre 1724, con aggiunte del 6 dicembre 1724 e dichiarazione finale del 30 marzo 1725. E' documentato da «Paragrafi concernenti lo stato della Chiesa di Utrecht, estratto dall’atto d’Appello, che il Capitolo di detta Chiesa, in tempo di sede Vacante, interpose per rapporto alla Costituzione », datato da Rotterdam il 9 maggio 1719.. Terminata questa pnrte introduttiva e documentaria per metti) — Nel voi. De Tollerantia ecclesiastica civile, Pavia, 1783. (2) — Lettera al De Bellegarde del 25 ottobre 1784, in Codignola. op. cit., pag. 217. (3) — Savio, Devozione di Mons. A. Turchi alla S. Sede, Roma, 1938, pag. 364. (4) — Lettera al De Bellegarde del 9 marzo 1787, in Codignola; op. cit., pag. 240. Dell’opera parlarono gli Annali Eccl. del 9 dicembre 1791 e il Giornale Ecclesiastico di Roma del 16 febbraio 1793. (5) — Ho potuto consultare solo la copia posseduta dalla Biblioteca della Università di Pavia: manca di frontespizio; reca però a penna, da mano antica, la seguente iscrizione: Storia della Chiesa di Utrecht del P. Martino Natali che rapito da morte lasciò incompleta, Pavia, Stam. S. Salvatóre 1790. Alla pagina 176 termina la parte finita nella stampa. Dalla 176 alla 187, ci sono solamente le bozze di stampa, prova evidente che a quel punto è rimasta Interrotta l’opera, cioè prima che cominciasse la parte più interessante. — 75 — tere il lettore al corrente dei fatti ed illuminarlo sulla questione, il Natali si propone in un primo capitolo di dimostrare « che si può lecitamente procedere alla Consacrazione di un Vescovo Canonica-mente eletto, sebbene non afihia egli ottenuto conferma dal Papa, quando il Papa, essendone stato pregato, gliela neghi senza una gfusta ed evidente ragione ». Prima però di cominciare questa dimostrazione, il Natali raduna le notizie sulla ElezionP, sulla Conferma, e sulla Consacrazione dei vescovi, in tre capitoli separati: nel primo richiamandosi agli atti dei più antichi concili dimostra che anche il popolo interveniva col clero nell’elezione del vescovo, la quale tradizione nelPoccidente si mantenne fino al sec. XII. Dal sec. XVI fii concesso ai re ed ai principi il diritto di nominare i proprii vescovi, presentando ai papi « i soggetti da provedersi ai Vescovadi, che esistono ne’ loro dominii ». Nel secondo capitolo e sempre richiamandosi agli atti degli antichi concili, alle decretali di Gregorio IX, sostiene che la conferma dei vescovi suffraganei spetta ai metropolitani; e quella dei metropolitani spetta ai concili provinciali, e che se il pontefice vuole esprimere la sua riserva su qualche nomina, deve esporre i propri motivi. Nel terzo (incompleto nella stampa) il Natali dimostra che secondo l'antica tradizione ogni vescovo era consacrato da chi conferiva la nomina. Anche in questa opera egli fa ricorso alla documentazione storica con l’accurata citazione dei testi e con riferimenti ad antichi concilii per sostenere l’assunto. Doveva seguire anche una parte di Memorie Storiche, perchè a pagina 109 c’è un richiamo che rimanda a quella parte. Vi accenna anche in una lettera al De Bellegarde, dicendo che costituiranno i volumi III e IV dell’opera, e si opporranno alla narrazioncella del Mozzi (1). Ma l’opera certamente più accesa e temeraria fu il Dubbio sul Centro delTUnità Cattolica nella Chiesa. (1790 s. 1.) (2). (1) Lettera al De Bellegarde del 20 febbraio 1786, in C-odignola, op. cit., pag. 231. (2) — Molto incerta era la sua attribuzione, ma osservando lo stile aspramente polemico tenendo presente che l’argomento era già stato accennato nell’ultima parte delle Riflessioni, è facile credere che sia del Natali. Nuovi argomenti per sostenere l’attribuzione al Natali, li porta il Codignola affermando che nelle carte Ricci dell’A. St. Firenze, v’è una lettera (del 22 settembre 1790 del Gaslìni al De Ricci) in cui si dice che « l’opuscolo del dubbio sul centro dell’unità cattolica si dice fatto per insinuazione del P. Natali, ed è comunemente disapprovato r, particolarmente perchè uscito in un momento inop- Riallacciandosi aWEpitome dell'opera del Veronio, il Natali nella prefazione, dimostra di preoccuparsi affinchè « non si dica essere di Fede ciocché non è realmente di Fede... Questo libro verterà sul Dubbio che sia articolo di fede che il papa sia il centro dell’unità Cattolica ». Cristo volle l’unità della chiesa: due sono i mezzi per raggiungerla: avere la stessa fede, ed una scambievole carità. I fedeli devono perciò avere nel cuore e dimostrarli con le loro opere questi due vincoli, e professare le medesime verità di fede. Dopo una breve dimostrazione storica, densa dei soliti richiami ai testi sacri, sostiene che per mantenere l'unità occorre che tutti i fedeli si prefìggano uno stesso fine, servano un solo signore, facciano uso degli stessi mezzi, riconoscono un solo Dio. adempiano fedelmente ai propri doveri; che i pastori ecclesiastici siano diligenti e zelanti, assi-stino e guidino i fedeli; infine che tutti i figli della chiesa siano sempre uniti a Gesù Cristo Citando alcuni brani dalle Epistole di S. Paolo svolge il primo punto, soffermandosi sull’espressione usala da quel santo: «unum corpus sumus in Christo ». Ne conclude che questo paragone col corpo umano « basta solo a distruggere l’idea di coloro, che riguardano il papa come il Centro dell’Unità Cattolica ». « Non è la Chiesa un corpo matematico; cosicché l’unione delle persone, che compongono il Corpo mistico di Cristo, debba rassomigliare a quell’unione di linee d’un cerchio le quali vanno tutte a terminare al centro, ed in quel punto solo si toccano. Considerata la chiesa sotto quest’aspetto non ha più somiglianza col corpo umano, portuno, tanto che il Governo « Io ha in esecrazione e pensava a proibirne lo smercio ». Ancora in una lettera del Mengoni al De Ricci del 21 agosto 1790 si legge che il Cremani aveva dichiarato che « il Natali ha pubblicato un Libro in cui cerca, se il papa sia il centro dell’unità cattolica e in cui si decide per la negativa ». (Codignola, op. cit., pag. XCIX). Un’altra conferma la ricavo da una lettera dello Zola al canonico Pietro Bocca bresciano, scritta da Pavia nel 1790, in cui si dichiara « L’autore del Dubbio è un pedissequo di Natali, e forse il Natali stesso » e aggiunge che il p. Anseimo (allude forse all’inquisitore domenicano Giov. Anseimo) « farà una protesta, che mai non ha udito una simile dottrina nella Università ». P. G u e r r i n i , Carteggi, cit, pag. 224). Il Natali non parla di quest’opera nelle lettere che di lui conosciamo: forse non scrisse ad alcuno su un argomento cosi pericoloso, nè gli fu facile farlo perchè negli ultimi due anni, visse in gravi tormenti di malattie sospendendo ogni attività epistolare. Il Supplemento al Giornale Eccles. (1790, pag. 464) afferma che la stampa fu eseguita a Pavia dal Galeazzi. — 77 — in cui i membri tutti si uniscono bensì fra loro, ma non a foggia di linee insiem congiunte in un centro ». « Per la stessa ragione — prosegue poco dopo — non si può riguardar la Chiesa come un Corpo politico. E’ questo composto da molti uomini; ma molti uomini non compongono un sol uomo. Al contrario molti membri umani compongono un sol corpo umano, a cui è simile la Chiesa ». E contrario ai leologi che credono il papa, centro dell unità cattolica : « 1° perché l’unità che essi riconoscono nella Chiesa, è meramente politica, e niente simile a quella, che passa fra i membri di un corpo umano. 2° perchè non essendo d’istituzione Divina la descritta varietà de’ Gradi frà vescovi, l’Unità che indi ne deriva, non è quella, che G. Cristo ha costituito qual carattere essenziale nella Sua Chiesa. 3° perchè non consistendo l’Unità Cattolica nel solo Governo Ecclesiastico, come appare dai paragrafi 3, 4, e seguenti, quantunque il papa si dovesse dire Centrum Regiminis Ecclesiastici, non ne verrebbe in conseguenza che propriamente chiamarsi potesse Centrum Unitatis Catholicae ». Fatte alcune altre citazioni da S. Paolo passa al secondo punto: alla dottrina dei S. Padri. A questo proposito il Natali categoricamente afferma « che se vorremmo consultare gli Scritti de’ ss. Padri non ne troveremo neppur uno, in cui l’essere di Centro della Cattolica Unità diasi al Pontefice Romano come carattere Suo proprio ed essenziale. Hanno bensì tutti concordemente asserito, che ad ogni Cristiano, affinchè sia membro della Chiesa, è necessaria la Comunione Ecclesiastica col Romano Pontefice: e guardimi il Cielo, ch’io metta giammai in dubbio quella verità. Ma hanno forse creduto i ss. Padri, che sia necessario tal Comunione anche nel caso, che il Pontefice Romano pubblicamente divenisse Scismatico, o Eretico? No certamente. Da essi adunque il Papa non è stato tenuto per Centro della Cattolica Unità». « E che? Non cesserebbe d’esser membro della Chiesa colui, che spontaneamente rompesse tutti i vincoli dell’Ecelesiastica Comunione co) proprio Vescovo, col suo Parroco, ovvero anche co' Laici suoi fratelli, quando nè questi laici, nè il Parroco, nè il Vescovo sono separati pubblicamente dell’Unità Cattolica? Ella è pure dottrina comune fra ’ ss. Padri, che sarebbe fuori della Chiesa qualunque cristiano che, di propria volontà, totalmente si separasse dalla Comunione Ecclesiastica di qualche Chiesa particolare, o di que" meni- — 78 — bri della Chiesa, che godono attualmente della Cattolica Comunione. Nè a‘ medesimi SS. Padri è mai caduto in pensiero, che il Centro dell’Unità Cattolica sia il Vescovo, il Parroco, o il Corpo de’ Laici, 0 qualche particolare individuo di una Diocesi. E' pertanto verissimo, che qualora il Papa non è pubblicamente nè eretico nè scismatico, sono obbligati tutti i cristiani a mantenere con Lui sempre intatta la Comunione Ecclesiastica. Un tal obbligo però non hanno già 1 fedeli, perchè il Papa sia in realtà il Centro deH'Unità Cattolica, ma perchè non è mai lecito ad alcun membro di rompere l’Unità del Corpo Mistico di Cristo ». Si pone quindi alcune domande alle quali risponde ricorrendo alla scoria: « E a dire il vero, se il Papa fosse stato da Padri considerato qual Centro della Cattolica Unità, fuor della quale non vi è salute, come potrebbonsi incontrare nell’antichità tanti esempi di vescovi illustri, che la S. Chiesa venera fra i suoi padri, e come San* ti?: altri de’ quali se ne volarono al Cielo senza la Comunione del Papa: altri dichiararono Eretici e Scismatici i Papi de loro tempi, e pubblicamente si separarono dalla loro Comunone? Eppure quanti Vescovi santissimi dell’Asia Minore con s. Policrate Metropolita di Efeso non temettero la scomunica che contro di loro vibrò Vittore Papa nel fervor della disputa sulla celebrazione della Pasqua i Nè parimenti la scomunica di Stefano Papa fece paura a S. Cipriano e ad innumerevoli Vescovi africani ed orientali. Anzi s. Firmiliano Arcivescovo di Cesarea giudicò separato lo stesso Papa Stefano dalla Comunione de’ fedeli. S. Ilario Vescovo di Poitiers disse « Anathema iterum et tertio » al Papa Liberio, perchè aveva prevaricalo abbandonando la Fede Nicena. Visse, e morì s. Melezio Patriarca di Antiochia senza la Comunione del Papa Damaso. Anche nel \ I secolo tutti i vescovi d’Afriea, dell’Uliria e della Dalmazia si ritraro-no dalla Comunione del Papa Virgilio perchè aveva condannato i tre Capitoli: e poco tempo dopo fu scomunicato il papa medesimo per la stessa cagione dai Vescovi d’Africa uniti I anno 551 nel 1° Concilio Africano. Possiam darci a credere, che il Vescovo di Roma in que’ tempi fosse tenuto come Centro della Cattolica Unità della Chiesa ? ». Prevedendo l’obbiezione: Se non ebbero col papa la comunione immediata, ebbero quella mediata, poiché comunicavano con altri vescovi cattolici uniti ni papa, il Natali esclama : se rispondete così, siete voi stessi che per primi ammettete che il papa non è il centro dell’unità cattolica. « imperrocchè le linee di Comunione — 79 — Eccclesiastica, che partivano da quei santi Vescovi, essendo diretto verso altri Vescovi cattolici, non andavano a terminare direttamente nel Papa ». Dunque egli non era quel punto nel quale terminavano e si congiungevano tali linee, cioè non era il vero centro. Enumera poi gli assurdi cui darebbe luogo il considerare il papa centro dell’unità. Se la Chiesa poggia su un uomo solo ha una base troppo debole, instabile e soggetta a mancare. Far dipendere da un uomo la stabilità, la sussistenza e l’universalità della chiesa è un metterla in pericolo, un voler rendere umana la nostra religione, un prescrivere limiti a G. Cristo. Qualora il papa assumesse atteggiamenti eretici, su chi poggerebbe la chiesa? Alla morte di ogni papa non muterebbe e non si sposterebbe il centro? Passa quindi ad una fase che vorrebbe essere positiva e costruttrice: il centro dell'unità è Gesù Cristo: « centro dell'unità interna per il suo Spitilo, inquantochè colla Divina sua grazia infonde nell’interno de’ cori umani, e mantiene la stessa Fede, e- la sincera Carità tra veri Figli della Chiesa: è il Centro dell’unità esterna per il suo Corpo, che ha voluto lasciarsi fino alla fine de’ Secoli sem" pre presente nella S. Eucarestia » E si sofferma a dimostrare la seconda parte con citazioni dal Vangelo e da S. Paolo, S. Cipriano, S. Agostino ecc. sorvolando sulla prima che erede ammessa da tutti. Termina con qualche richiamo a scritti di santi e ad autori del secolo XIT e seguenti per dimostrare come molti furono d; stanco; che aveva cercato in Baviera di alleviare i dolori « ai suoi diletti gesuiti »; che a Venezia s'era occupato personalmente della Immunità: mentre si doleva che il papa non s era interessato della riconciliazione con i Russi ed i Luterani. Faceva però ricadere la responsabilità dell’insuccesso non tanto sul sommo pontefice, che trovava la forza di lodare Francesco Giuseppe, (pianto sui suoi dipendenti diretti (2). I rapporti sempre più si inasprivano: ed il pontefice non fu risparmiato dalle critiche dirette del Natali allorché concesse al gesuita Luigi Mozzi una apostolica benedizione con apposito breve, in (1) — Lettera del Tamburini al De Ricci del 21 settembre 1782, in Mazzetti, Relazioni, ecc. cit., pag. 151. (2) — Lettere al De Bellegarde del 25 giugno 1779, del 27 maggio 1782, del 1 agosto 1782, in Codignola, op. cit., pag. 106, 174, 185. — in — 146 - approvazione e lode alla Storia compendiosa dello scisma della nuova Chiesa di Utrecht. pubblicata nel 1785 (1). La rottura definitiva e più clamorosa avvenne in occasione della pubblicazione del breve pontificio Super soliditate, aspramente criticalo dal Natali con apposito libello edito anonimo nel 1<88. Da questo anno il Natali non cerca almeno di contenersi, (come aveva fatto, ad es.. nelle censure al Bellarmino) e non tenta di limitare 1 autorità pontificia, ma sembra deciso a lottare per scalzarla dalla radice. Ed a questo scopo sono diretti i suoi ultimi e più infiammati lavori: oltre alle Riflessioni sopra il breve Super soliditate, pubblicò poco prima della morte un Dubbio sul centro dell unità cattolica sostenendo che il pontefice non è il capo della chiesa, e scagliandosi contro la curia e il papato. E se la morte non l'avesse colto, sarebbe uscita in altre città (1), con i superiori padri generali, col vicario generale p. Mattia Peri, di Oneglia. e i procuratori generali, p. Gaetano Da-vini e Giuseppe Francesco Gismondi. Dichiarava di aver sempre cer-cato di favorire colla propria autorità e con le amicizie, quei padri scolopi che a lui si erano rivolti per aiuti; di aver invitato a pranzo. (e anche di aver messo a loro disposizione le camere di cui poteva disporre) quei padri scolopi che fossero di passaggio a Pavia, tanto da ingelosire i padri agostiniani presso i quali egli abitava « quasi che nella loro Casa io ne facessi una Casa di passaggio per i nostri delle Scuole Pie ». Attestava di aver sempre lodati nei propri scritti e nelle lezioni tutti gli autori scolopi e di aver messo a disposizione di chiunque di loro la propria biblioteca. All’Università pavese trovò altri due scolopi. il p. Gregorio Fon-lana e il p. Carlo Barletti, valente professore di fisica (2). nei quali ebbe tanta fiducia che si lamentò, in occasione dell’aspra polemica (1) — Lettera al Ramo del 16 dicembre 1777, in Codignola, op. cit., pag. 87. (2) — Cfr. su di lui: Codignola, op. cit. pag. 95 n. 2. — 118 — bellarminiana, che non venissero interrogati e invitati a deporre sul suo operato. In questa occasione l'Ordine rimase un po' perplesso e incerto sul modo di agire, tanto più che a Roma il Natali veniva giudicato nemico aperto. Si ha motivo di supporre che alcuni religiosi abbiano ritenuto opportuno schierarsi dalla parte più ligia al pontefice, pur senza inveire contro il Natali (1), mentre altri, pur senza difenderlo, abbiano approvato il suo operato. Egli infatti ebbe a lamentarsi che l'Ordine. non l'avesse personalmente interrogato e non fosse intervenuto a suo favore: che anzi senza approfondire 1 esame della questione, avesse creduto alle ciarle degli emuli. Crediamo perciò che quando infuriava la polemica e sembrava che il Natali coinvolgesse e travolgesse l'intero Ordine, il p. generale Gaetano Ramo sia stato costretto a correre ai ripari e a di-sapprovare il di lui operato. Fu però più prudente e calmo di quel- lo che non fosse stato il p. generale Giuria nel 1763, o perchè nel suo intimo fosse solidale col Natali, o perchè conoscesse l’impetuoso carattere del censore, al quale nel 1777 indirizzò una nobile lettera. In questa con paterni accenti e parole trapelanti l’intimo dolore, invitava il Natali a non dimenticare il proprio Ordine che doveva essere considerato come una madre affettuosa e a non agire contro quella « Religione che con amorevolezza l’ha nodrito, allevato, e fatto uomo dotto ed illustre, fra letterati (2)». Con molte espressioni commoventi, piene di riguardo, tatto, delicatezza paterna, gli raccomandava di essere cauto, giusto, riverente alla Religione, riconoscendolo però innocente dalle molte accuse mossegli. Il Natali da parte sua riconfermò questi rapporti di affettuosità; rispose con parole di commossa obbedienza al superiore, assicurando- lo che mai egli si era dimenticato di essere figlio dell’ordine delle Scuole Pie; che anzi se ne ricordava in ogni momento, nelle sue lezioni e nei suoi scritti; affermava con commossa e malcelata sorpresa che non avrebbe voluto essere considerato « come uno che porta pregiudizio alla sua Religione e che non conserva il suo decoro e quel- lo dell’Ordine ». Terminava umilmente la lettera rispondendo al consiglio del suti) — Dalle memorie di Scipione De Ricci (A. G e 1 1 i : Memorie etc. cit; pag. 31) si comprende che alcuni scolopi avevano interessi per sostenere il catechismo del Bellarmino. (2) — Lettera del 22 novembre 1777, in Codignola op cit pag, 84. — 149 — periore che lo consigliava ili « tralasciare quelle dottrine dalle (piali possa risultare pregiudizio alla religione» con queste parole: «Ed io oltrecchè non ho inai trattate tali dottrine, e quanto ho fatto, lo abbia fatto bene, benissimo, pure per ubbidire a V.P. La assicuro, che mi guarderò dal poter recare pregiudizio all’Ordine Nostro, e a non dar motivo di doglianze a V.P. ed agli altri Superiori, aggiungendo che in avvenire starò con maggior attenzione sopra queste cose, e vi invigilerò più ancora di prima. Cosi io credo, che V.P. potrà essere certa, che io amo e venero, i suoi paterni consigli e ne eseguisco i comandi, di modo che ho, ed avrò sempre per V.P. e per i Nostri Superiori tutta la dovuta ragionevole osservanza, e venerazione... Se un Figlio non usa libertà di parlare col suo Padre, con chi la userà.'' Nei miei Sacrifici, mi ricordo sempre del Nostro Ordine, e segnatamente di V.P. e non me ne scordo mai nelle mie povere orazioni. Spero che V.P. farà lo stesso verso di me, che quanto più sono un Religioso indegno per le mie imperfezioni, tanto più sono degno della sua paterna compassione, e bontà sincera, ed assistenza amorevole » ( 1 ). Era il fondo buono e leale del Natali che trionfava perchè era stato preso dal lato sentimentale con la preghiera e la magnanimità. Lo stesso caso si avverò quando a Pavia si trovò privo di amici, iso* lato e solo, in gara con i suoi stessi colleghi: si confortò con qualcuno del proprio Ordine che gli mostrava simpatia e cercava di consigliar- lo (2). Ma negli ultimi anni di vita, non ebbe forse più alcun intimo rapporto con la sua casa di Roma; il p. generale Stefano Quadri disapprovava acerbamente la sua dottrina. Quando il Natali mori e il p. Luigi Carazio di Pavia scrisse a Roma per informare che il Natali aveva lasciato qualche debito o che nel giorno antecedente alla morte aveva manifestato il desiderio « che entrassero in certo modo al possesso, ma non rilasciassero per intero il suo spoglio ai secolari » il p. generale rispondeva scontento di questa specie di testamento, invocando il perdono di Dio, per « i pregiudizi che ha portato alla Religione nostra colle sue impegno-se dottrine » ( 3). (1) — Lettera al Ramo del 16 dicembre 1777 in Codignola. op. cit., pag. 87. (2) — Lettere del Cuccagni al Molinelli del 1781 e del 1782, in Codigno- 1 a , op. cit., pag. XCII. (3) — Lettera del p. generale Stefano Quadri al p. Luigi Carrazio. del 13 luglio 1791, in Codignola, op. cit., pag. 265. CAPITOLO Vili0 RELAZIONI CON L’ESTERO 1° Amicizia col De Bellegarde. — 2° Glément, Maultrot. 1 - Le relazioni e le amicizie più importanti sono quelle che il Natali ebbe direttamente con la chiesa di Utrecht, e particolarmente col conte Dupac De Bellegarde, dimostrandosi utile ed efficace anello di congiunzione tra Pavia. l'Olanda e la Francia. Il Natali è forse, tra i giansenisti italiani, il più ligio ed affezionato alla setta di Porto Reale, e certo uno dei più ferventi ammiratori di essa, deciso e pronto a sostenere con tutti i mezzi la sua devozione e la sua dedizione all’idea. Anche il Grègoire nella sua opera Les mines de Pori Royal, (1) citava il Natali tra i più illustri giansenisti non francesi. Suppongo che il Natali abbia stabiliti rapporti diretti con rappresentanti del giansenismo estero nei primi mesi del 1774, allorché il De Bellegarde venne in Italia per patrocinare innanzi al papa la causa della chiesa di Utrecht e per tentare una unione con la corte papale (2). La morte del papa Clemente XIV, e l’elezione di Pio VI maggiormente avverso a Utrecht, avevano fatto indugiare in Italia, per alcuni mesi, il De Bellegarde, che di questa permanenza approfittò per stringere relazione con gli amici già noti come il Marefoschi, e specialmente con i giovani che più si dimostravano devoti alla chiesa scismatica. Pensiamo che sia stato il Marefoschi, o qualche altro del circolo romano dove il Natali era ben conosciuto, a fare conosce- (D — Cfr. J e m o 1 o , Il Giansenismo, ecc. cit, pag. 402 n. 1. (2) Il Natali fu il primo dei giansenisti italiani che si unì con frequente corrispondenza epistolare col Bellegarde; il vescovo De Ricci strinse amicizia e iniziò la corrispondenza con la Francia solamente nel 1780; il Palmieri ha pochissime lettere dirette al De Bellegarde e comunque risalgono agli anni dopo il 1780. — 151 — re al De Bellegarde il Natali quale massimo esponente del giansenismo pavese. Infatti proprio al 1774 risalgono le prime notizie della amicizia e la corrispondenza diretta fra loro; una lettera del 25 gennaio 1775, scritta dal Natali al De Bellegarde rivela che la relazione: era già avviata (1). Le lettere da allora si susseguirono quasi ininter-rolamente fino alla morte del Natali; la parte anzi più completa e interessante del suo epistolario è proprio quella dedicata al De Bellegarde, considerato dal Natali l'amico più fidato: « Sappi, gli scriveva nel dicembre 1781, o ottimo amico, che non potrai mai trovare un altro che ti ami di maggior e di più ardente affetto, di quello che io porto verso di te » (2). Grave è certo la perdita delle risposte del De Bellegarde, lettere che forse si conservavano nella cameretta del Natali e che andarono smarrite o furono asportate come molte altre carte. I rapporti furono vari: molte richieste, per sè e per i suoi amici, di volumi che in Italia non si trovavano o di numeri delle Nouvelles Ecclesiastiques (3), del quale periodico il Natali fu uno dei primi e più entusiasti lettori (4). Sin da quando era a Roma lo leggeva costantemente ricevendolo dal card. Corsini; trasferitosi a Pavia stette una decina d’anni senza poterlo avere, ma alla fine se lo fece prestare e forse regalare dal Wilzeck, chiedendo al De Bellegarde solo qualche numero che gli mancava, per averne cosi la raccolta completa (5). (1) — In C o d i g n o 1 a , op. cit., pag. 37. (2) — Lettera al De Bellegarde del 19 dicembre 1782, in Codignola, op. cit., pag. 180. (3) — Lettere del 25 gennaio 177,5, in Codignola, op. cit., pag. 37. 20 febbraio 1780, pag. 136; 27 maggio 1780, pag. 132; 27 maggio 1782, pag. 174; 1 agosto 1782, pag. 185; 27 ottobre 1783, pag. 199; 15 gennaio 1784, pag. 205; 6 settembre 1784, pag. 215; 22 gennaio 1785, pag. 225; 21 marzo 1785, pag. 222; 4 settembre 1785, pag. 227; 20 febbraio 1786, pag. 231; Il Rodolico, Gli amici \e i tempi di Scipipne de Ricci, op. cit., pag. 56, dice che a Pavia l’incaricato di ricevere e trasmettere i libri da e per il De Bellegarde era il Tamburini; ma da quanto risulta dall’epistolario del Natali, è evidente come ciò non sia esatto: prima dell’arrivo del Tamburini a Pavia, il Natali era già in corrispondenza diretta col De Bellegarde e fu piuttosto il Natali che servì da intermediario per il Tamburini, che viceversa. (4) — Il Rodolico, Gli Amici e i tempi di S. De Ricci, op. cit., pag. 61, dice che il Ricci fu il primo ad abbonarsi nel 1779; il Natali però, se non potè abbonarsi per la spesa da sostenere, ne fu lettore assiduo molto tempo prime (5) — Lettere al De Bellegarde del 25 giugno, del 17 luglio 1779, e primo agosto 1782, in Codignola, op. cit., pag. 106, 113 e 185. Osservo qui incidentalmente che la lettera che qui e altrove attribuisco al 1 agosto é forse anteriore di qualche giorno, giacché l’annotazione postavi dal De Bellegarde ri- — 152 — E questi invii erano copiosi perchè i giansenisti francesi consideravano alcuni centri italiani come focolai da alimentare con la materia proveniente dai centri maggiori di Parigi e di Utrecht. Questi centri inviavano ai minori una straordinaria abbondanza di volumi, generalmente indirizzati ad una persona sola; ogni pacco però conteneva sovente più copie d'un medesimo libro; ciò indica che chi riceveva era considerato come un divulgatore, capo del piccolo centro d'irradiazione. Il gruppo di Pavia, con a capo il Natali, fu uno dei primi di tutta Italia: quello di Pistoia che poi divenne di maggiore importanza, cominciò solo nel "17* < (1)- Nella lettera del 25 giugno 1779. il Natali faceva una specie di presentazione del Tamburini al De Bellegarde ancora poco noto negli ambienti francesi: le Nouvelles Ecclesiastiques ne avevano parlato solo nel nu' mero del 4 luglio 1773, recensendo la sua Dissertazione sull importanza e necessità della dottrina cattolica in rapporto alla grazia di Gesù Cristo. Il Natali ed il De Bellegarde si scambiarono incitamenti, consigli, giudizi su colleglli, pareri su opere di amici e di nemici, incaricandosi a vicenda di piccoli favori, facendosi ricordare agli a-mici. (2). e soprattutto si inviarono a vicenda libri (quali Sentimenti d un Cattolico, il Parallelo, Della Grazia e Del Libero Arbitrio, ecc.) che il Natali donava quale pegno di stima e di amicizia (3). Il Natali servì anche da intermediario tra il Tamburini, Io Zola ecc. e il De Bellegarde; non erano rari i casi in cui facendo spedizioni in Francia di proprie opere, inviasse anche voluòii dei colleghi (4). Col De Bellegarde, come con un caro ed intelligente confidente, il Natali s'intrattenne spesso a discutere di teologia, o su libri e , opuscoli stampati e noti. vela che è partita da Pavia il 25 luglio. Evidentemente nel ricopiare la data latina il Codignola saltò l’indicazione ante diem... riportado solo: Kal. Sex. (1) —• Rodolico, Gli amici e i tempi di Scipione De Ricci, cit. pag. 80. (2) — Lettere del 25 giugno 1779, 17 luglio 1779, 19 dicembre 1782, 27 maggio 1782, 27 ottobre 1783, 13 gennaio 1784, 25 ottobre 1784, 9 maggio 1785, 2 settembre 1785 e 9 marzo 1787, in Codignola, op. cit., pag. 106, 113, 180, 174, 199, 205, 217, 222, 227, 240. (3) — Lettere del 22 luglio 1783, 13 gennaio 1784, 21 marzo 1785 e 4 settembre 1785, in Codignola, op. cit., pag. 193, 205, 222, 227. (4) — Lettere del 19 dicembre 1782 e 13 gennaio 1784, in Codignola, op. cit., pag. 180, 205. — 153 — ■Si scrissero a proposilo della Lettera del p. Schiara; e di quella del p. Vasquez (1): del volumetto del Besozzi: Riflessioni sopra I Autorità de’ Vescovi e de' Principi nella Chiesa (2); degli scritti del Barsanti e del Mozzi; dell’opuscolo di Pistofilo Romano: Difesa di tre Sommi Pontefici, edito a Venezia (con falsa indicazione di Ravenna) nel 1782, che il Natali erroneamente attribuisce all’ex gesuita Volpi (3). Mandò giudizi su opere: sulla Teologia del P. Vallet; segnalò come pessimo il libro del domenicano Pier Vincenzo Barsanti: Della futura rinnovazione de' cieli, della terra e dei suoi abitatori (Firenze; 1780); criticò a lungo il libro del Mozzi: Il falso discepolo di S. Agostino e di S. Tommaso convinto d'errore (4); e il volume pure del Mozzi: Storia compendiosa dello scisma della nuova Chiesa di Utrecht diretta a Monsignore Vescovo di *** da A.D.C., (Ferrara, 1785), inviando anche al De Bellegarde il testo del breve pontificio che impartiva all’autore una speciale benedizione (5). Discusse circa le opere dello scolopio Floriano Dalham sul dubbio se ai santi del vecchio testamento, ai quali non resti più alcuna parte di pena da scon tare in purgatorio, sia stata concessa l’intuitiva visione benefica di Dio, come subito dopo la morte di santi del nuovo testamento. Cercò conforto con l’amico per le discussioni sul p. Carlo Maria Traversari, servita, professore di teologia a Guastalla, autore di alcune opere poste all Indice (6). Il Natali prendendone le difese, informava l’amico francese che il papa Pio VI aveva emesso contro il Traversari un breve, per invitarlo a ritrattare quegli scritti, lamentando il fatto che la Congregazione dellTndice non volle specificare quali proposizioni avevano dato luogo al provvedimento (7). ó i _ ~ (1) — Lettere al De Bellegarde del 21 febbraio e del 27 maggio 1780, in Codignola, op. cit., pag. 136 e 152. (2) — Lettera al De Bellegarde del 27 maggio 1782, in Codignola, op. cit., pag. 174. (3) — Negli Annali Eccl. dell’8 febbraio 1782 e del 15 agosto 1783. si parlava di questo opuscolo e si rettificava che l’autore non era il Volpi. (4) — Lettera al De Bellegarde del 20 febbraio 1780, in Codignola. op. cit., pag. 136. (5) — Lettera al De Bellegarde del 20 febbraio 1786, in Codignola, op. cit., pag. 231. In questa lettera diede anche notizia di una medaglia coniata a favore di Don Pietro Coddaco, in dispregio, secondo i gesuiti, del Vaticano. (6) — Per le discussioni sulle sue opere cfr. Progressi dello Spirito umano, o sia Giornale Letterario del 18 dicembre 1779, del 29 maggio 1780, dell’ll settembre 1780 ecc. (7)' — Lettera al De Bellegarde del 13 gennaio 1784, in Codignola, op. cit., pag. 205. Teneva informato il Do Bellegarde con notizie degli avvenimenti di Pavia e di quelli sentiti raccontare come accaduti in altre città, ed era lieto che il De Bellegarde ne tenesse il massimo conto e spesso le pubblicasse con quasi le stesse parole del Natali, sulle Nouvelles Ec-clesiastiques. Si raccomandava per le recensioni delle sue opere e per la pubblicazione di qualche suo articolo (1). Il De Bellegarde ne ricambiò l'amicizia e i favori inviando al Natali quanto gli era richiesto, anche appunti per Ih composizione di qualche scritto; specialmente -lillà chiesa di Utrecht difesa dal Natali con commossi accenti direttamente ispirati dui De Bellegarde (2). Il Natali ebbe una speciale venerazione per la ( hiesa di l trecht, « e-semplarissima Porzione eletta della Greggia di N.S. Gesù Cristo » in favore della (piale non cessò di pregare Dio, e di lavorare affinchè tutti ne intendessero «l'ortodossia, la prudenza, la giustizia» e ne seguissero il buon esempio. , Si augurò che presto «pici seguaci venissero riconosciuti veri cattolici in seno alla chiesa di Roma: « Vuole l'Altissimo provocare ancora codesti ottimi fedeli, che ila codeste parti tramandano anche sì lontano il buon odore della pietà loro, e della loro virtù. Oh quanto bramerei veder quietata ogni differenza! Per verità i \ escovi della Chiesa Universale dovrebbero unire la loro voce per reclamare contro l'aperta ingiustizia, clic si fa dalla Corte ili Koina contro a sì rispettabili Vescovi». Allora finalmente finirebbero li- liti, gran vantaggio ridonderebbe su tutta la chiesa (3). Dopo aver letto i numeri delle Nouvelles Ecclesia*!iques del 20 febbraio. 6 marzo. 3 e 19 giugno 1779. il Natali scrisse all'amico questa candida confessione nella quale il suo cuore si apro come quel- lo di un fanciullo: « Mi hanno soprattutto cavato le lagrime i fogli che riguardano cotesta rispettabile chiesa di Utrecht e sue Provincie. Sa Iddio come io riguardo quest'affare: e se non volesse altro che il mio sangue tutto, tutto lo verserei ben cento volte per giungere ad il-luminire Pio VI. se fosse possibile» (4). E sapeva clic questi suoi (1) — Lettere al De Bellegarde del 17 luglio 1779, 20 febbraio 1780 e del 6 settembre 1784. in Codignola, op. cit., pag. 113, 136 e 215.. (2) — Lettere al De Bellegarde del 21 marzo 1785, 4 settembre 1785, 20 febbraio 1786, in Codignola, op. citi, pag. 222, 227, 231. (3) — Lettere al De Bellegarde del 25 giugno 1779, 20 febbraio 1780, 27 maggio 1780, 27 ottobre 1783. 13 gennaio 1784. in Codignola, op. cit. pagg. 106, 136, 152, 199, 205. (4) — Lettere al De Bellegarde del 17 luglio 1779, in Codignola, op. cit., pag. 113. sentimenti erano universalmente noti, ma non li voleva nascondere, benché gli procurassero danni e nemici; infatti tra le accuse mossegli a Torino, Milano, Vienna, Roma, vi era appunto quella di considerare i vescovi di Utrecht («che io riguardo con venerazione, e con una specie di sanla invidia ») come in istato di salvarsi sebbene scomunicati da Roma. Si rallegrò (piando l’imperatore Giuseppe II riconobbe giusta la causa della chiesa di Utrecht, come aveva dichiarato durante un colloquio avuto con i professori di Pavia (1). E con lunghissime lettere, piene spesso di rammarico per quel che succedeva, il Natali si sfogò dei suoi dolori, rimettendosi ai consigli che il De Bellegarde gli inviava e che egli tanto attendeva ed apprezzava. Particolare appoggio morale ottenne dal De Bellegarde in occasione della questione bel-larminiana; il Natali si sollevò sfogandosi con l’amico, mediante lunghissima lettera dove narrava minuziosamente l’incidente; e il De Bellegarde certo Io sorresse e l'appoggiò stimolandolo a continuare la lotta (2). Anzi informalo che il Natali aveva pronta una Difesa manoscritta circa quella questione, il De Bellegarde la chiese desideroso di conoscerla. Così pure domandò una dissertazione, che il Na- 1 ali aveva premessa alla discussione di una tesi, in difesa della chiesa di Utrecht. Il Natali inviò al De Bellegarde, a sua richiesta, le tesi discusse a Pavia, con l’indicazione del giorno, anno e nome del prò* motore e del candidato ecc. tenendolo sempre informato di quanto avveniva a Pavia. 2 - Era anche in relazione con qualche altra figura molto rappresentativa della chiesa di Utrech, ma la mancanza delle eventuali lettere non ci permette di conoscere se esistessero stretti e diretti rapporti. Certo fu stimato dal fervente portorealista abate Augusto Clé-ment che chiese copie di opere del Natali; si interessò anche dell’opuseolo del Besozzi. lodando anche il Natali che tanto bene aveva guidato lo scolaro; volle anche l'opera del Natali: Della Grazia e ilei Libero 1 rbilrio: e le note fatte dal Natali al Parallelo (3). (1) — Lettera al De Bellegarde del 25 ottobre 1784, in Codignola, op. cit., pag. 217. Il Natali dice di averne già parlato al De Bellegarde in una lettera precedente, forse smarrita. (2) — Così si comprende da una lettera del Molinelli al De Bellegarde del 27 gennaio 1777, in Codignola, op. cit., pag. 283. (3) — Lettere al De Bellegarde del 19 dicembre 1781, del 1 agosto 1782, del 22 luglio 1783, del 4 settembre 1785, irl Codignola, op. cit., pag. 180, 185,193, 227. - 156 — Il Natali ricambiò la stima e l’amicizia: dichiarava di considerarlo degno « di somma venerazione », e di stimarlo moltissimo. Fu in amicizia anche con l’abate Nicola Silvestro Bergier, canonico della chiesa metropolitana di Parigi (1); e con Nicola Gabriele Maultrot dal quale ebbe in dono le opere: Dissertation sur l'approbation des confesseurs introduitp par le Concile de Trente (s. 1. 1783): Examen du decret du Concile de Trente sur l'appro-bation des confesseurs (s. 1. 1784). Dimostrò anche di conoscere il canonico Guglielmo Backhuyesen (1667-1779) figura molto discussa e criticata (2). Ebbe poi la consolazione di vedere tradotte in francese la sua lettera sul Tournely; la Lettera sulle Istituzioni Morali del Collet, ed il riconoscimento che la sua dottrina rispecchiava fedelmente quella gallica da lui tanto venerata. (1) — Lettera al De Bellegarde del 17 luglio 1779, in Codignola, op. cit., pag. 113. (2) — Lettera al De Bellegarde del 20 febbraio 1786, in Codignola, op. cit., pag. 231. APPEN DICE I — LE CENSURE AL BELLARMINO. (1) I Nella Prefazione al Catechismo del Bellarmino si leggeva così: Di poi rOrazione Domenicale con la Salutazione Angelica per sapere quello che si ha da sapere... Censura: Si metta: Sperare. (2). II Nell’Esposizione dell’Atto di Fede si leggeva così: Governatori dell’Universo. Censura: Nell’Atto di Fede si metta:Creatore e Governatore deT VUniverso. III Nell’accennato Atto di Fede si leggeva: Tutto ciò io credo... perchè voi ecc. me lo avete rilvelato. Censura: Si levi quel me. IV Nel Catechismo del Bellarmino all’atto di Contrizione seguiva quello di Attrizione. Censura: Si può lasciar via lutto l’atto di Attrizione, perchè dovrebbe ognuno esercitarsi sempre nella Contrizione. V Bellarmino: Risorgeranno anch'essi (parlando dei bambini che muoiono senza battesimo) non già più bambini ma uomini perfetti, e (1) — Dalle Riflessioni Teologiche e critiche, cit. (2) — il Prete pavere qui, come alla censura XX, accetta la correzione dichiarando che si tratta di errore dì stampa. - 133 — sebbene esclusi saranno dal Regno dei Cieli, e dalla compagnia dei Beati, non però saranno tormentati nell'inferno, con i Demoni, nè patiranno alcuna pena di senso. Censura: Si metta così: Risorgeranno aneli'essi per trovarsi al Giudizio l niversale e saranno per sempre esclusi dal Regno del Cielo, e dalla compagnia dei Beati; e non si metta altro. VI Bellarmino: (Riferentiosi al primo Comandamento) peccano gli Infedeli che adorano le Creature invece del Creatore ed anco gli Stregoni e Fatucchiere, che tengono il Demonio per loro Dio. Censura: Si levino le righe dove si parla degli Stregoni ecc. VII Bellarmino: Chi muore senza Battesimo va al Limbo, ed è privo della Gloria del Paradiso. Censura: Sono state cancellate le parole, va al Limbo. Vili Bellarmino: Quel'è il peccato veniale? R. E' quello che non è contro la Carità. Censura: Sono state cancellate le parole: che non è contro la Carità. IX Bellarmino: Quante battiture ebbe il nostro Redentore? R. Se; mille sei cento sessanta sei, o almeno cinque mila e quattrocento quaranta sei. Censura: Sono state sostituite queste righe con la parola: Crudelmente. X Bellarmino: Come si chiama il Soldato che gli diede la lanciata dopo che fu morto? R. Longino. Censura: Tutto questo è stato cancellato. XI Bellarmino: Venne lo Spirito Santo sopra gli Apostoli in lingue di fuoco. Censura: Si metta: Come in tante lingue di fuoco. \ - 159 — XII Sul frontispizio a quella parie di catechismo, che si chiamava Dottrina Grossa, si leggeva cosi: Dichiarazione della Dottrina cristiana, composta per ordine di N.S. Papa ('demente Vili di Felice memoria, dal R. P. Roberto Bellarmino, Sacerdote della Compagnia di Gesù, Cardinale di S. Chiesa del Titolo di Santa Maria. Revisto, ed approvato dalla Congregazione della Riforma, affinchè tolta via la varietà dei modi di insegnare si renda uniforme, e più facile questo santo esercizio di istruire le persone idiote e i fanciulli nelle cose della Fede. Censura: Cambiate quelle due lettere R. P. (che significavano Rev. Padre.) in Eminentiss.; sono state cancellate le parole: Sacerdote della Compagnia di Gesù; e da: Revisto, ed approvato alla fine. XIII Bellarmino: Le quali tre Persone, sono un solo. Dio perchè hanno la medesima Divinità ed essenza: come per esempio se tre persone quaggiù in terra che si chiamassero Pietro. Paolo. Giovanni, avessero una medesima anima e un medesimo corpo, si direbbero tre persone, perchè una è Pietro, l'altra Paolo, l'altra Giovanni. e nondimeno sarebbe un uomo solo, e non tre uomini, non avendo tre corpi, nè tre anime, ma un corpo e un’anima. Questo non è possibile fra gli uomini, perchè I essere dell uomo è picciolo e finito, e però non può essere in più persone; ma l'essere di Dio. e la sua Divinità è infinita. e però si trova____ Censura: E’ stata cancellata tutta la similitudine con la nota: Si levino via tutte le parole scassate e si metta così: Ed essenza, e si trova ecc. • XIV Il Bellarmino parlando degli Articoli del Simbolo: Sono dodici, secondo il numero dei dodici Apostoli i quali l'hanno composto. Censura: Si metta: i quali verisimilmente l'Iianno composto. XV Nel Bellarmino, per dare un esempio della gravezza del peccato, si leggeva così: Come per esempio, se un servitore desse uno schiaffo al Principe, sarebbe stimato un eccesso grandissimo, secondo la grandezza del Principe. Ma se il Principe desse uno schiaffo al servitore, sarebbe cosa di poco momento, secondo la viltà del servitore: Per il — 160 — contrario se un servitore cava la berretta al Principe, poco si stima; ma se il Principe la cava al servitore sarà favore mirabile secondo Iq regola già detta ecc. Censura: E’ stata cancellata tutta la similitudine. XVI Bellarmino: L'Inferno è il più basso il più profondo luogo chi; sio nel Mondo... In questo profondo della terra vi sono quattro come grandissime Caverne: una per i dannati che è la più profonda di tutte ecc. Censura: Si aggiusti così: L'Inferno giusta al sentimento comune, è il più basso... secondo l'opinione più divulgata nel profondo della terra... Caverne; ma per i Dannati è destinata la più profonda di tutte ecc. ' _ XVII Bellarmino: Nella terza, che anche è la più alta, vi sono le anime di quei fanciulli che sono morti ‘senza il battesimo, le quali non patiscono tormento di fuoco, ma solo la privazione perpetua deH'eterna felicità..... e più sotto: Nella quarta che è la più alta di tutte stavano le anime dei Patriarchi e Profeti. Censura: Si metta: Vi sono, come dicono alcuni, le anime di quei... i quali sono assolutamente in privazione.... — Stavano, per quanto universalmente si ritiene, le anime dei Patriarchi. XVIII Il Bellarmino alla pag. 79:____ di altri santi, che erano morti prima della venuta di Cristo (perchè sebbene quelle anime Sante non avevano che purgare, non di meno, non potevano entrare nella Gloria Beata prima che Cristo con la sua morte, aprisse le porte della vita eterna) per questo stavano in quella parte più alta chiamata Limbo dei Santi Padri, ovvero Seno di Abramo (dove non pativano pena alcuna, anzi godevano un dolce ricordo aspettando con gran giubilo l'avvenuta del Signore); così leggiamo ecc. Censura: Sono state cancellate le righe fra parentesi con la nota: si lascino via le cinque righe scassate, e dopo la parola Cristo si seguiterà così: Cristo.... tale parte più alta viene volgarmente chiamata seno di Abramo, e così leggiamo ecc. Tutto il rimanente cancellato. Alla pag. 80 del Catechismo stesso si leggeva: Discese al Limbo dei Santi Padri e subito li fece Beati, poi... li menò seco nel Regno ecc. — 161 — Censura: Si inetta: discese dove erano i Santi Padri e li menò ecc. Il rimanente è cancellato. XIX Bellarmino: Crediamo che la persona Divina di Cristo con il (,orpo, stette nel Sepolcro ecc. Censura: Invece della parola crediamo si metta' diciamo. XX Bellarmino: Per virtù della sua Divinità ritornò a venire Vani-ma al Corpo ecc. Censura: Si metta: ritornò ad unirsi la di lui Anima al Corpo. XXI Bellarmino: Perciocché voi avete da sapere che questo Mondo ha do aver fine e rovinare affatto con diluvio di fuoco ecc. Censura: Si metta: aver fine quanto alla sua figura con dilu-luvio ecc. XXII Bellarmino: a) Chiesa vuol dire Congregazione... di uomini... sotto l obbedienza del sommo Pontefice Romano; b) Bisogna stare alVobbedienze del Sommo Pontefice Romano, come Vicario di Cristo, cioè riconoscerlo e tenerlo per Superiore; c) Obbedienza al Vicario di Cristo, come si è detto. Censura: Si metta: a) Obbedienza dei legittimi pastori e som-mo Pontefice Romano; b) Obbedienza dei nostri Pastori e del sommo— Nella linea 5: Cristo tenendolo per superiore (ed è cancellata la parola: riconoscerlo): c) Obbedienza ai propri Pastori e a! Vicario____ XXIII Nel Bellarmino parlando della Chiesa si leggeva: Essere una sola, perchè ha un sol Capo il quale è Cristo e in luogo suo il Pontefice Romano. Censura: Si metta: Il Sommo Pontefice Romano. XXIV Bellarmino: Orazioni... sebbene sono comuni a tutti, nondimeno molto più a quelli, per cui si fanno in particolare, ecc. Censura: Si metta: Nondimeno ordinariamente sogliono giovare molto ecc. — 162 — XXV NeJ Bellarmino, a proposito degli eretici si leggeva così: Gli eretici... e però la Chiesa gli costringe con varie pene a tornare alla Santa Fede, come quando una pecorella fugge dalla Mandra, il Pastore la costringe con il bastone a ritornare: ma gli Scomunicati..... non escono da se, ma sono scacciati per forza, come ecc. Censura: Si metta: La Chiesa procura con varie maniere di far ritornare alla.... il pastore cerca tutte le strade per farle ritornare... sono scacciati come ecc. XXVI Bellarmino: Tutti risusciteranno in quella statura, e in quell’essere che avranno avuto o erano per avere nell’età di trentatre anni... e più sotto: e i vecchi risusciteranno in quel fiore di età che ebbero quando furono di trentatre anni. Se alcuno in questa vita sarà stato cieco o zoppo, risusciterà intero e sano ecc. Censura: Oppure, come pensano vari sagri Interpreti, in quell’essere che erano per... (più sotto): ed aggiungono comunemente i Santi Dottori che se alcuno in questa... XXVII Bellarmino: Non siamo bastanti da noi stessi ad osservare tutti i Comandamenti. Censura: E’ stata cancellata la parola: tutti. nastri XXVIII Bellarmino, a proposito delle tribolazioni: Siamo obbligati almeno a non mormorare... della Provvidenza. Censura: E’ stata cancellata la parola almeno con la nota: e anche si levi la parola scassata nella linea 22°, dove si metterà così: Sicuramente; e anzi siamo obbligali a non mormare. XXIX Bellarmino, a proposito della domanda che si fa a Dio del pane Corporale: Desideriamo... il nostro pane e non quel d’altri acciocché senza furti, nè fraudi possiamo procurarci il vivere. Censura: Sono state cancellate le parole: senza furti o fraudi. XXX Bellarmino: Nostro Signore fu messo in Croce a mezzodì, e risu' scitò la mattina, e così si crede che l’incarnazione si facesse la notte. — 163 — Censura: Si inetta: In croce verso il mezzodì. E così secondo alcuni Autori si crede ecc. XXXI Nel Bellarmino, nella spiegazione del primo Comandamento, si legge: Nel medesimo Comandamento peccano gli Stregoni e Streghe, e tutti i Magliardi, Negromanti ed Indovini, i quali danno al Demonio deirinferno quelVonore che si deve dare a Dio, ed alcuni di essi lo tengono ed adorano per loro Dio, e per mezzo suo si pensano di poter indovinare le cose future, e trovare tesori, o cavarsi altre loro disoneste voglie; e perchè il Demonio è nemico capitale dell’umana generazione, però inganna questa povera gente con varie speranze, fa far loro molti peccati, e alla fine fa loro perdere l’anima e molte volte il corpo ancora. Censura : E’ stato cancellato tutto questo brano. XXXII Nel Bellarmino alla pag. 137 parlando degli idoli: Massime perchè i Demoni delVlnferno talvolta rientravano dentro, e le facevano parlare e muoversi. Censura: E’ stata cancellata la predetta asserzione. XXXIII Bellarmino pag. 138: Nel far bene Iddio si stende non solo alla quarta Generazione; ma sino a mille, se tante fossero perchè Nostro Signore è più inclinato al premiare che al punire. Censura: Nostro Signore è così buono che in questa vita ci si mostra più inclinato ecc. XXXIV Nel Bellarmino alla pag. 153 si leggeva: Finalmente il Sabato significa il riposo che avevano le anime Sante nel Limbo. Epperò i Giudei celebravano il Sabato, perchè morendo andavano al riposo del Limbo; ma li Cristiani, ecc. Censura: Anime Sante nel Seno d'Àbramo. Al riposo del suddetto Seno d’Àbramo, come volgarmente si crede. Ma li Cristiani ecc. XXXV Nel Bellarmino alla pag. 154 dove si parlava dell’osservanza delle Feste, si leggeva: E sebbene la Santa Chiesa non ci obbliga ad altro — 164 — nodimeno è molto conveniente che tutto il giorno di festa, o la maggior parte di esso si spenga in Orazioni ecc. Censura: Conveniente, e dirò necessario che tutto il giorno ecc. XXXVI Bellarmino pag. 156: Quando il padre o la madre ci comanda cosa la quale sia contraria alla volontà di Dio, allora bisogna... avere in o-dio il padre e la madre. Censura: Sia indubitamente contraria ecc. XXXVII Nel Bellarmino pag. 171, dove si parla di tre gradi che vi sono nel mal desiderio, si leggeva: Se la suggestione passa alla dilettazione sensuale, e tuttavia non vi sia il consentimento della ragione e volontà, allora l'uomo non è senza qualche peccato veniale; ma se alla suggestione e dilettazione si aggiunge il consentimento della ragione a volontà, sicché l'uomo s'accorga di quello che pensa e desidera volontariamente si ferma in tal desiderio e pensiero, fa peccato mortale ecc. Censura: E’ stata cancellata la parola veniale, e in seguito quelle altre parole: s'accorga di quello che pensa e desidera. XXXVIII Bellarmino pag. 181: parlando di Sacramenti della legge antica Quarto: quelli non davano la Grazia come fanno i nostri ma solamente la prefiguravano e la promettevano. Censura: quelli probabilissimamente non davano ecc. XXXIX Nel Bellarmino (pag. 183) rispondendo alla domanda: Che cosa ci bisogna per fare il Battesimo? Si leggeva: Terzo: E' necessario che la persona la quale battezza, abbia intenzione veramente di battezzare, cioè di dare il Sacramento che Cristo ha istituito, o che la Santa Chiesa suol dare quando battezza; perciocché se uno avesse intenzione solamente di burlare, o di lavare il corpo solamente da quella bruttezza, farebbe un gravissimo peccato, e quella povera persona non sarebbe veramente Battezzata. Censura: Di fare quello che fa la Santa Chiesa quando Battezza... (e non si metta altro) dalle parole: cioè di dare... fino alla fine, è tutto cancellato. — 165 — XL Nel Bellarmino (pag. 190) dove si recava un esempio, per intendere come potesse stare il Corpo del Signore in tante Ostie, che si trovano in tanti altari, diceva: L'anima nostra certo è ch'ella è una sola, e in tutte le membra del Corpo. Censura: Si dice da alcuni che sia tutta in tutte ecc. XLI Nel Bellarmino pag. 229, dove si parlava del peccato veniale si leggeva; quando il peccato è in materia leggera... allora non è contro la carità, ma si dice non essere secondo la Carità... — e più sotto — e benché non sia secondo la carità non è però contro la carità . (.ensura Sono: state cancellate le parole: Non è contro la carità... e più basso: E benché... (fino alla fine). Il Natali infine scriveva recisamente: VI0 Id. Aprilis 1775. Dummodo fiant indicatae emendationes admittit M. Natali. Secus vero non approbat. II — LETTERE DEL NATALI ALL’AMADUZZl I St.mo Sig.re Prone Col.mo ed Aff.mo C.mo, Avrei già a quest’ora scritto a V. S. 111.ma se «on per altro, almeno per darle qualche nuova del mio stato. Ma ho sempre temuto, che le mie lettere non restassero alla Posta di Milano, come sento essere accaduto a varie mie, dirette a persone, che non vogliono mandare a vedere tal Posta. Ma l'occasione presente mi fa sperare, che questa mia le sia per giungere sicura. Circa pertanto il mio stato, non può essere migliore, se non quando avrò più soldo. Ho un ottimo appartamento: uno che mi serve esattissimamente: godo piena libertà; e benché dimori nel Convento di S. Agostino, pure ho tutta la libertà di fare, andare, dormine, stare, etc. a mio modo. Il clima assai dolce mi giova per li miei studi. Ho più scolari che mi era stato proposto. Non faccio l’ultima figura fra miei Colleglli, anzi forse la prima. Tutti i Ministri in Milano mi hanno fatto finezze incredibili, e più di tutti il Conte di Firmian, che presentandomi a forestieri alla sua tavola, dove sempre mi ha voluto, mi ha chiamato più volte suo amico, di cui si fa gloria l’averlo per docoro di detta Università. Comprendete pertanto la stima, che ho fra questi Professori. La fatica è assai discreta, e conosco, che sono molto gradito in Milano. Alla tavola sud.a del signor Conte, che vi conosce per fama, e sà la vostra aderenza col Papa, s’è più volte parlato del S. Padre; ed ho veduto, che non solo questi Ministri, ma l’istesso Conte ha del Papa una stima grandissima. Lo crede un gran Politico, un uomo dotto, lontano dalla doppiezza, assai spregiudicato: vero Pastore, amante non solo de’ suoi popoli, ma anche de’ Sovrani tutti; e giudica, che Egli unicamente si occupi nella conclusione della pace universale. Aspettasi la sopressione de’ Socj con ansietà: e si crede che felicissimo e sempre memorabile debba essere il Pontificato di Clem. XIV. Se mai portandovi dal S. Padre stimate bene, mettetemi a’ suoi san- — 167 tissimi piedi: sono e sarò sempre memore della somma clemenza, che ha avuto per me, allorquando il Sig. Card. And.a Corsini dicendogli che era impegnato per farmi tornare alla mia cattedra del Nazareno, ebbe la degnazione di soggiungergli: e se vi è bisogno dell'autorità nostra, Ella ne faccia pure uso. Parole che mi sono restate talmente impresse nell’animo, che da queste sole posso argomentare l’amore, ch’Egli ha alla giustizia, e alla dottrina. Sento che è morto il Card. Chigi. Se ora fossi in Roma concorrerei ad essere Consultore de’ Riti: e se il S. Padre mi onorasse di un tal posto, benché assente, gliene sarei infinitamente obbligato, perchè sarebbe questo un degno motivo di ritornarmene costà quando ottenessi qui la mia giubilazione. Animo dunque sig. Ab.e Amaduzzi, mio gentil.mo, ottenete a chi vi ama e stima una nicchia degna di un vecchio Professore. Già saprete, che al nostro P. Fausto si può canonicamente dare un coadiutore: e perchè non potrei essere io? A M.re Borgia ho scritto per tenere viva verso del medesimo la memoria della mia sincerissima servitù, e mantenermi la sua grazia. Quando lo vedrete vi prego a salutarmelo di cuore. Se dai complimenti sono caduto nelle confidenze proprie di amici, è segno, che quelli non sono per me. Se posso servirvi, dovete comandarmi liberamente, e persuadetevi che vi amo davvero, e vi venero come devo; e voglio sempre essere con tutta la maggior cordialità e vero ossequio. P.S. Mi posso rallegrare per il posto di Propaganda? Se sì, la prego de’ miei ossequi a M.re Marefoschi. Pavia, 12 Gen. 1770 Il vostro più affezionato e vero A.o Martino Natali Airill.mo Sig.re Sig.re Prone Col.mo Il Sig. Ab.e Cristofano Amaduzzi Roma In altro lato dell’indirizzo: è pregato F. Giov. Ant.o Letterario del Convento a ricapitarla presto, e sicura (1). (1) — Biblioteca Paticana, Vat. Lat. 9038, lettere del sec. XVIII, del P. Martino Natali, f- 19. Nella lettera si allude a mons. Stefano Borgia, Prefetto della Congregazione della Propaganda Fide. — 168 — II Pavia 21 marzo 1770. Non posso spiegarvi di quale consolazione mi è stata la vostra del 14 Febbraio. Io non vi ho rescritto subito per tre motivi, l.o perchè non vi era cosa, che non jiatisse dilazione; 2.o perchè fui chiamato impensatamente a Milano, dove mi si vollero comunicare a voce perchè certi affari; 3.o perchè ho avuto ordine appena ritornato di fare la mia Orazione per l’ingresso mio pubblico alla mia Cattedra, e mi fu destinato il dì 17 corrente. Pensate come ho avuto da faticare, non già per comporre quella scioccheria, ma sul riflesso che si dovea mandare al Conte di Firmian, e poi a Vienna. L’ho composta e non mi dispiace. Si dovea recitare li 17, e poi li 24 per riguardo alla malattia di un mio Collega, e persistendo questa malaria si è differita, e chi sa fino a quando? L’ho però subito spedita al Sig. Conte, il quale mi ha fatto mille lodi, più assai di quello che tale Missiva si meritasse; e specialmente mi dice che nelle circostanze de’ tempi presenti io mi sono portato in maniera, che non dò veruno motivo di lagnanze ad alcuno senza mai partirmi dalla verità. Gli ho fatto vedere lo squarcio di vostra lettera, e l’ho veduto tutto esultare. e con confidenza mi ha detto: il Papa veramente è un grande Uomo.. Mi ha anche soggiunto, che vi conosce per fama, e vi stima assai. No ha veduto le vostre opere. Se stimaste bene, potreste inviarmene una Copia di tutte. Egli si diletta assai de’ Libri, ed ha piacere, che i Letterati lo conoscano. Quando vi determinaste a mandargli tal Copia, datemene preventivo avviso, affinchè io lo prevenga. Quanto al mandar tai Libri, intendevela con M.r Borgia, a cui per riguardo alle di Lui Opere gli ho scritto, che le porti al sig. Ab.e Marcobuoni (?) Agente del Sig. Conte e Direttore della Posta di Milano. Codesto nostro Prelato starà sulle spine, per vedere la Promozione lontana: consolatelo però Voi col fargli sperare una buona risulta d’un Arcivescovo d’Apamea, o un patriarcato di Gerosolima. Così senz’altro accadrebbe se non regnasse il gran Clemente XIV, vero conoscitore degli Uomini dotti, abili o saggi. Mi è noto l’affetto che gli ha il Papa, e perciò non dubito, che lo porterà avanti, nè si lascerà ingarbugliare dagli impegni. Il fatto vostro ne è una dimostrazione. Non vi posso spiegare il contento che ho provato nel leggerlo. Mi rallegro con Voi non tanto per il posto avuto, quanto per la Protezzione aperta mostratavi dal S. Padre. E viva il mio Ama-duzzi, e viva il gran Clemente! Così si fa conoscere un vero Sovrano! Così sa proteggere i suoi, i degni suoi clienti il sempre grande — 169 — nostro Clemente! La condotta, che tiene ne li presenti affari è degna tutta di Lui; benché anche a me qualche volta dia motivo d’esclamare: e quando? Quando conterentur? Quando si verificherà in tutte le sue parti la gran Profezia del vero nostro Santo Giov. di Palafox? Per verità qui non fanno i Solipsi gran figura: ma niu-na Religione in questa città ha un credito particolare. Siccome regna generalmente un grand’ozio, e ne’ Nobili una sostenutezza propria de’ discendenti da Rè Longobardi; i Regolari ed i Preti ancora se la passano in conversazioni: ed i Professori Pubblici se la passano tra loro. Mi dispiace però una cosa, ed è che da niuno si fanno venire Fogli o Notizie appartenenti a cose Letterarie; sicché si sta qui quasi come in Sardegna. Quando mi si accrescerà il soldo allora supplirò io ad un tale inconveniente. Ma ora non mi resta altro, che raccomandarmi ai miei amici e P.roni lontani. Desidero però, che avanzandomi Ella simili notizie, se ne avrà, mi onori di qualche suo comando; mentre voglio essere perpetuamente colla più profonda stima e sincero affetto. P .S. I miei più rispettosi ossequi a M.re Borgia, al Sig. Can.co suo Fr.lo ed al Rev.mo P. M. Giorgi. Il suo più umile, più aff.to Ser.re ed Am.o V.o Martino Natali Indirizzo : All’IlI.mo Sig.re Sig. Prone Col.mo 11 Sig. Abate Gio. Cristofano Amaduzzi Lett.e Pub.o e Presidente____ Roma III A. C. Pavia, 20 giugno 1777. Per mezzo del P. Fontana. Prof.re d. e Matematiche sublimi, u-no de’ più distinti Prof.ri di questa Università mi fu gentil.te favorito un esemplare della v.a Dissert.e Filosofica sul fine e utilità delle Accademie. La lessi subito con sommo piacere. La dedica è veramen- (1) — Bibl. Vat. cit. f. 21. — 170 — te bella, e adattata al Gran Mecenate, ed alle circostanze de’ tempi: nè può essere più espressiva. Lo stile di tutta l’Operetta è terso, grave, sentenzioso. Adattata e scelta è l’erudizione. I riflessi sono ingegnosi, e fatti a tempo. Tutto in fine è giudizioso: tutto è degno di voi, il di cui valore già sapete che mi è noto a motivo e della lunga conoscenza. che ho di vostra persona, e dell’altre V.re produzioni. Vi rendo intanto infinite grazie per il bel dono che mi avete fatto. Pregai di già il P. Fontana a fare con Voi i miei ringraziamenti; ma ora ho l'occasione di farli da me stesso per la vantaggiosa memoria, che conservate di me. Fra le poche Copie di un mio Opuscoletto stampato qui. le quali ho mandato al P. Damaso Michetti Vice-Rett.e del Coll.o Nazareno, ve ne è una pr Voi, ed ho scritto al detto P. che ve la faccia avere. Sapete le accuse, che ho dovuto sventare, e le calunnie appostemi per aver voluto correggere i gravi spropositi del Bellarmino nel suo Catechismo. La mia Apologia mandata a Vienna sarebbesi stampata qualUera, se guadagnati con denaro alcuni subalterni del Governo di Milano non avessero fatto insinuare a me di non pubblicarla, benché ne avessi avuta la licenza ed approvazione Godo, però, che non sia uscita quaVera. Adesso con animo tranquillo vedo, che sarebbe stato troppo acre, ed offensiva de’ Curiali Romani non spregiudicati: conosco anche di più. che per la fretta con cui la feci, mi erano sfuggiti alcuni sbagli. Ora dunque mutato titolo, e tessitura vado stampando la mia intera Apologia per giustificarmi sotto tutti que’punti, su de’ quali mi hanno attaccato questi Preti Gesuiti Inquisizionisti. Ciò io farò col mezzo di varie lettere. Ho cominciato dai due Punti trattati nella lettera I.a, perchè queste erano due delle Eresie più manifeste attribuitemi dai Malevoli: ed inoltre in questa La Lettera ho fatto entrare per incidenza quasi tutti que’ punti, intorno ai quali mi avevano denonziato con Memoriale al Re di Sardegna, e al Papa. Spero, che stamperò anche la mia Apopogia contro le Denunzie del V.ro Collega P. Sua. Fra pochi giorni sarà terminata la stampa del mio 2° Tomo della Grazia, in cui tratto de Statu hominis sub Peccato. Di poi stamperò alcune Dissertazioni sopra le Pene de’ Fanciulli, e sopra i Peccati d’ignoranza: e continuerò le mie lettere Teologiche, dopo che però avrò fatto un poco di Villeggiatura. Le vostre cose come vanno? Qual bella Opera state voi componendo? Vi prego a non scordarvi di me in qualunque cosa, di cui vogliate arricchire la Rep.ca Letteraria. Conservatemi la V .ra buona grazia, e carissima amicizia. Vedendo il dott.mo P. M.ro Giorgi vi supplico de’ miei rispetti. — 171 — Il Braschi che fa? Ah! fosse ora anche qui fra noi quell’Anima Grande del Ganganelli, che più felice dal Cielo ci risguarda bensì, ma oh in quale stato diverso ci risguarda da quello, in cui ci lasciò! Desidero lunga pace alla Chiesa, ma temo che svaniscano i miei desideri, se Pio VI seguita a favorire i Lojoliti. Gli Uomini dotti, e di garbo, non possono aspettarsi di far gran passi sotto il presente Pontificato, se è vero sia assistito il Papa da vari ex-Gesuiti, adulatori per essenza, e banderole pronte a voltarsi ad ogni vento. Gradirò molto volentieri le vostre nuove. Vi reco i saluti del P. Fontana, e con tutta la maggior stima e sincerissimo ossequio mi confermo costantem.e Tutto V.tro Dev.mo Aff.mo servo ed A. V. Martino Natali -All’Ill.mo P.rone Col.mo il Sign. Ab. D. Cristofaro Amaduzzi Prof.re di Greche Lettere nella Sapienza a Roma (1) INDICE DEI NOMI DI PERSONA (È stato omesso il nome NATALI e i nomi dei santi citali per le loro dottrine) Accurso S., 133 n. 4. Agnelli, 103. Albani G., 17. Alberti P., 58. Alessandri, 110 n. 3. Aliprandi L.. 124, 139. Allodi G„ 21. Alpruni, 95, 127 n. 2. Amaduzzi C.. 19 n. 2, 21 n. 1, 29, 35 n. 2, 87 n. 1, 102 n. 2, 116 n. 1, 142 143, 144 n. 3, 167, 168, 169, 171. Andreani S.. 105. Andujar G., 104, 105 n. 1. Anseimo G., 75 n. 2. Arduino, 18. Arnauld (Arnaldo), 10 ,31, 32. 36. BackHuyesen G., 156. Badetti, 19, 107 n. 1. Balbis-Bertone A., 104, 105 n. 1. Baldesi F., 56. Baldovinetti A., 136, 140. Ballerini, 44. Banchieri V. Poggi-Banchieri Zanobi, 140. Bandini G.. 20. Bandini R., 139. Barbeyrach, 15. Barletti C., 147. Barsanti G., 15. Barsanti P. V., 58, 87, 94, 153. Bartoli, 13. Bajo, 19. Bazzetta F., 136. Belcredi, 84. Belelli, 16 n. 1. Bellarmino, 11 n. 3, 13, 17, 33. 39, 4:< 53 n. 1, 86, 89, 90, 98, 99, 101, 102 n. 3, 106, 107, 108, 109, 110 n. 3, 114 117, 128, 131. 138, 141, 143, 148 n. 1 170 e passim, nell’appendice I. Belloni A., 15 n. 3. Beccaria, 15. Benedetto XIV., 12, 73. Beneggi B., 88. Bergier N.. 156. Bernareggi A., 104 n. 2. Berretta S., 123. Berruyer, 18. Berry, 16. Berta F., 135. Berti, 16, 17 n. 1. Bertolazzone, 66 n. 2. Besozzi V., 91, 117 n. 2. 122. 123, 159. Bocca P., 75 n. 2. Bodoni G.B.. 140 n. 3. Bianchi G., 19 n. 2. Bonaccini, 45. Bonesi, 104. Borgia S„ 142. 167, 168, 169. Bossuet, 56, 89, 101, 108. Botta C„ 26 n. 1. Bottari G„ 11, 12, 13, 20 n. 3, 21. Boudet, 62 n. 2. Bovara G., 27, 39, 85 n. 1. 87, 110. 121, 127, 130, 132, 133, 134. Brambati F.. 28. Braccali, 55 n. 3. Braschi (v. Pio VI.). Brignole. 105 n. 1. Buonamici C., 44 n. 1, 45 n. 4. Cadonicì, 17 n. 1. Calcagni F., 135. Calvi, 100, 103. 104. Canali A., 17. .Canisio, 98. Capassi G„ 11. Carazio L.. 149. Carli R., 92. Casati G„ 82, 83, 108. Castriota G., 15. Caterino, 90. Celesi F., 56. Chigi, 167. Cigno. 119 n. 3. Ciniselli, 84. Clemente XIV. 21, 23, 24, 166, 168, 169, 171. Clemente XI, 9. Clément A.. 10, 12, 47, 155. Clemente XIII, 13. 20. Clerc F. 15, 16. Coccaglio (Viatore da). 16, 17 n. 1. Coddaco P., 153 n. 5. Codignola E.. 5 e passim nelle note. — 174 — Colbert, 89, 101. Collet P„ 37 n. 2, 44. 45. 131, 142. 156. Colombini G.B., 28. Concina, 23. Coppello L., 136 n. 5. Corbetta, 111. Corsini A.. 13, 21, 73, 167. Corsini N„ 11, 12. 13, 15, 151. Corsini O., 9, li. Costa P., 66 n. 2, 81, 120. Cremani, 25, 60 n. 2, 61 n. 1, 66 n. 2. 75 n. 2, 81 n. 1, 111, 112, 118 n. 2, 120, 145. Cuccagni, 37 n. 4. 91 n. 2, 94 n. 5, 117, 118, 127 n. 1, 149 n. 2. Cudwort. 15. Curio G.B., 9. Dalham F.. 23, 153. Dalleo G., 15, 16, 54. Damming E„ 10 n. 1, 12 n. 1, 13 n. 2 14 n. 1, 15 n. 3, 18 n. 3, 20 n. 3, 2i n. 1, 22 n. 3, 37 n. 1, 142 n. 2, 144 n. 2. Daverio M., 102. Davini G., 147. De Augustinis, 105. De Bellegarde G.. 10, 35, 47. 52. 57 73, 75, 87, 90, 91. 94, 107, 119, 122 123, 124, 125, 128, 131, 136, 139, 14! 150, 151, 152. 153, 154. 155 e passim nelle note. De Brosses C., 10, 11. D’Etémare G.B.. 62. 63. De Felber C., 99. De Giardini E., 41 n. 4. Degola E., 137. De Lapide, 127 n. 1. De Lucca, 123. Del Mare P. M„ 80 n. 2. 107 n. 1, 135. 136. 137. De Ocheda T„ 124. De Pergen, 104, 105 n. 1. De Ricci S., 11, 13, 52, 55, 56. 57. 88, 95, 96, 108, 110, 123, 124. 134, 136, 137, 138, 139. 140, 145 e passim nel le note. De Roda, 23. ì>e Rossi, 113. Desaint 18. De Vecchi F. 141. Dinello, 23 Buguet, 62, 63. Dulbecco G., 8. Dupac G. v. De Bellegarde Eybel G„ 69, 70, 124 n. 4. Fassoni L., 8. Febronio G. v. Honteim. Feltri A.. 23. Fenini L., 24. Fenocchio A., 7. Ferrari, 93. Finardi, 62. Firmian, 24, 25, 28, 29, 32, 37, 45, 86, 87, 88, 92, 97, 99, 100, 101, 102, 103, 106, 107, 109 113, 114, 122, 123, 125, 130, 131, 132, 133, 135, 142, 144, 166, 168 e passim nelle note. Fleury, 101. Foggini G. F„ 11, 12 n. 2, 13, 142. Fontana G., 25, 117 147, 169, 170, 171. Francesco Giuseppe, 145. Frank G., 81. Frizzi, 111. Gaetanì O., 13 n. 2, 14, 21 22. Galeazzi P., 91. Galli, 15. Caudini S., 114. Ganganelli v. Clemente XIV. Gr.rino G., 7. Gsrnerio, 36. Gaslini, 75 n. 2. Gv.zzaniga P., 23, 32, 113. Ganzano P., 7. Gel'i A., 5'fc. n. 3, 57 n. 1, 124 n. 1, 138 n. 3, 14» -i 1. Giannetti. -u. Giansenio C.. 9, 11. 32, 46, 55 n. i 140, 144. Giorgi A., 11, 37 n. 4, 118, 142, 169 170. Gismond’ G., 147 Giudici G., 83. Giuria G., 20 2i, 148. Giuseppe II, 29, 58, 73, 74, 127, 134, 155. Gourlin, 11 n. 3, 92. Gramegna G. (G. G.), 37, 39, 40. Grazzani, 100. Grégoire, 150. Gregorio VII, 13. Gregorio IX, 75. Grimaldi C. 11. Guerrini P., 24 n. 2, 56 n. 1, 75 n. 2. 110 n. 3, 121 n. 1, 137 n. 1, 138 n. 4, 139 n. 2. Guadagnini, 109. Gusta F., 110 n. 3, 138. Habert L., 44, 46, 104. Herminier, 36. Herzan e Harras F. (conte di), 37. Honteim G. N.. 10, 112, 113. Horanyì, 22 n. 2. Huss G., 80 n. 1. Innocenzo XII, 32. Jemolo A., 13 n. 1, 23, 29 n. 4, 65 n. 1, 104 n. 2, 150 n. 1. — 175 — Kaunitz R., 27, 45, 81, 82, 83, 88 n. 3 101, 107 n. 3, 131. Lami G., 11, 23. Languet, 16 n. 1. Leporini G., 88, 89. Lessio, 23. Litta L., 92, 134. Lodzniski G., 17. Lutero M., 19. Maddalena V., 15. Malvezzi, 104, 105 n. 1. Mamachi T., 15 n. 1, 18, 19, 22, 23, 56, 137, 143. Marcobuoni, 168. Marefoschi M., 13, 14 n. 1, 23, 25, 150, 167. Maria Teresa, 24, 26, 29, 30, 33, 108 115. Marini, 118. Maroni F., 118. Marosini G., 104. Martini F., 11. Martini P., 56, 57, 138. Massaulié, 32. Matteucci B., 11 n. 1, 127 n. 1. Maultrot N., 63, 64 n. 1. 90, 156. Mazza, 104 n. 2. Mazzetti R., 59 n. 2, 95 n. 3, 127 n. 1. 137 n. 1, 138 n. 1, 140 n. 1, 145 n. 1 Melzi G., 22 n. 2, 32 n. 2, 37 n. 2, 6fi n. 2, 69 n. 1, 87 n. 4, 91 n, 2. Mengoni, 75 n. 2. Mésenguis, 12, 13, 23. 101. Michetti D., 170. Molassina, 62. Molfino F., 136 n. 5. Molina, 65. Molinelli G.B., 37 n. 4, 94 n. 5, 102 n. 3, 117 n. 2, 118, 126, 134, 135. 136, 137, 149 n. 2, 155 n. 2. Moreri, 138 n. 6. Mozzi L., 63 n. 1, 72, 73, 75. 94, 95 n. 1, 145, 146, 153. Muratori L., 11. Nani, 94. Natale A., 16. Nibi F.. 95, 96, 140. Nìccolini A., 11. Nicole P., 10, 32. Norberto p., 73. Noris, 16, 32. Nurra P., 136 n. 5. Olivazzi B., 80, 99, 101, 105, 128. 129. Opstraet G., 47. Ongaroni, 124. Pagani F., 140. Pagani N., 140. Pagliarini N., 13. Palafox J., 23. Palmieri V., 69 n. 1, 84, 136, 137, 140 n. 3, 150 n. 2. Palozzi R., 11 n. 1. Pannilini G., 110 n. 3, 141. Paolo V, 8. Pascal B., 10. Passionei, 11, 13. Peri M„ 8, 147. Perego R., 101. Petavio, 36. Petit-pied N., 13, 46. Pertusati, 25. Petrini G. V., 118. Picanyol L., 9 n. 1. Piccinnino, 15. Pietra G., 136. Pietro Leopoldo, 134. Pilati, 127. Pio IV, 81. Pio VI, 59, 69, 72. 113, 153, 154, 171. Pisani A., 105. Poggi-Banchieri P.. 41. 55, 143 n. 3. Poggi L., 92, 140 n. 3. Polidori, 23. Porro, 98. Pozzobonelli G., 99. Pujati. 74, 127 n. 1. Quadri S., 149. Querini P., 80, 81, 82, 83. iQuesnell, 9. Ramo G., 20 n. 2. 41. 98 n. 2, 106, 108 n. 4, 119 n. 3, 126 n. 4, 137 n. 2, 143 n. 2', 147 n. 1, 148. 149 n. 2. Repetto I., 137. Ricasoli, 12 n. 2. Ricchini, 17 n. 1, 144. Ricci F., 88, 100, 103, 104, 117, 123. Ricci, 80 n. 2, 138. Risi G., 28, 29, 33, 97. Rivarola, 120. Rodolico N., 12 n. 2, 140 n. 3, 151 n. 3, 152 n. 1. Rolé, 129. Roncaglia, 16. Rossi S., 25, 66 n. 2. 81 n. 1. Rota E„ 27 n. 1, 52 n. 1, 140 n. 3. Rovida. 93. Sainte-Beuve, 31, 32. Saléon, 16 n. 1. Salomoni E., 61. Salomoni A. (Lisene Tersilia), 46, 61 n. 1, 62, 63. Salvatori G., 92. Savio F„ 74 n. 3, 92 n. 1, 98 n. 1, 99 n. 1, 125 n. 2. 137 n. 4. — 176 — Scarpa A., 111. Schiaffino S., 136. Schiara, 145, 153. Schio, 89 n. 2. 98 n. 1. 105 n. 3, 107 n. 2. Scìarelli, 110 n. 3. Sciuliaga, 113, 130, 133. Scotti, 124. Serrao A., 119 n. 3. Silvagni D., 13 n. 1. Simioli, 32 n. 2. Solari B., 137. Soriga R., 120 n. 2, 124 n. 6. 125 n. 1. Spallanzani, 59. Speciani, 122. Sperges, 131. Spinelli, 23. Squadrellì, 140. Straticò, 23. Sua F., 100. 106, 108, 143, 170. Taia, 56, 57. Tamburini P., 24, 28, 56, 58, 73, 81, 94. 96, 115, 117, 118, 121, 123, 125, 132, 136, 138, 139. 145, 152 e passim nelle note. Tavelli G.. 94. Tissot, 145. Tojetti, 82. Torni, 19. Tosetti U., 18. 20. 22 n. 2, 146. Tournely O., 17, 31, 32, 90, 156. Traversari C., 153. Troisi V., 95, 140. Trutmansdors. 74. Urbano Vili, 9. Vaj F.S., 97. Valentini, 111. Valle L., 80 n. 2. Vallet, 92, 153. Vanalli, 83. Van Dyk, 87. Vasquez F., 11, 28, 60, 145, 153. Veneroni P. Nervenio Nicomedamo), 36, 109. Veronio F„ 48, 53, 55, 56, 57, 76, 88 90, 94, 138. Vertua, 104 n. 2. Villa A., 24 n. 4. Vinas T., 29 n. 4, 41 n. 4. Visconti, 124. Vittani, 127 n. 2. Volpi, 153. Walemburch A. P., 56. Wicliff, 80 n. 1. Wilzech, 62, 81, 82, 83, 84, 85, 111, 112, 121, 122, 124, 130, 131, 132, 135, 151 e passim nelle note. Witaffe, 36. Zaccaria A., 80 n. 2, 96, 134 n. 3, 143. Zambianchi D., 91, 105, 124. Zanzi G.B., 123, 124. Zempel, 8, 16. Zola, 24, 28, 29 n. 1, 58, 64 n. 1, 73, 75 n. 2, 91, 94, 95, 100, 103, 115, 117, 118, 119 n. 3, 123, 127 n. 1, 132, 144, 145, 152. INDICE Premessa Cap. 1“ — IL NATALI A ROMA 1. Nascita — 2. Roma: le Conclusioni; prime dispute — 3. Ambiente romano; l’Archetto — 4. Professore al Nazareno; Tesi De Summo Pontifice; Propositiones Theologicae — 5. Reazione dei domenicani; allontanamento del Natali ad Urbino — 6. Ritorno a Roma; Lettera d’un chierico Regolare,...... Cap. II» — IL NATALI A PAVIA 1. All’Università dì Pavia; Situazione di quell'Università. — 2. L’orazione inaugurale e Lettera contro il Tournely. — 3. Nomina a Censore. Critica al catechismo del Bellarmino; la Lettera sopra la morte di G. C. e sua discesa all’inferno; consegunze e polemiche. — 4. Il Sermone di S. Agostino e conseguenti polemiche. — 5. Cbmplexiones Augustinianae; le Lettere sopra il Concilio di Trento. — 6. Lettera contro il Collet; Della Grazia e del 'libero Arbitrio. — 7. Sentimenti e Preghiere. — 8. Epito-tome al Veronio e le successive polemiche. — 9. Onori da parte dell’imperatore; malattia e disagi. — 10. Parallelo della Storia degli ebrei con quella dei cristiani; Principi sull’approvazione dei Confessori e Scripturae et patrum doctrina. ■— 11. Ragionamento sull’astinenza dalle opere servili nei dì festivi; Riflessioni sopra il Breve del S. Pontefice. — 12. La Storia della chiesa di Utrecht e il Dubbio sul centro. — 13. Malattia; tentativo di ritrattazione, morte , ...... Cap. III» — SCRITTI MINORI 1. Scritti non pubblicati. — 2. Catechismo Leporino. — 3. Articoli sugli Annali Ecclesiastici e sulle Nouvelles Eccle-siastiques. — 4. Opuscoli in collaborazione con scolari o di diffìcile identificazione. — 5. Il Natali critico. , , . Cap. IV» — IL NATALI CENSORE 1. Censure al Catechismo del Bellarmino e polemiche successive. Nomina a vescovo. La Difesa del Natali. Ricorso a Torino. Posizione dei vescovi, dell’ordine degli, scolopi, e del governo austriaco. — 2. La revisione alla Racoolta in onore del prof. Scarpa. — 3. Ritrattazione Febroniana. — 4. Affezione alla carida. , , ........ pag. 5 pag. / pag. 26 pag. 85 pag. 97 — 178 — Gap. V° — IL NATALI NEL SUO AMBIENTE PAVESE 1. Il Natali nei confronti con i colleghà. — 2. Il Natali e i suoi scolari. Devozione al governo. — 3. Suo vanto di religiosità; morigeratezza. Il seminario generale. — 4. Il Natali nei confronti del clero pavese........ Gap. VI° — RELAZIONI CON MILANO, CON LA TOSCANA, CON GENOVA 1. Milano: relazioni verso il Firmian; il Wilzech; lo Sciu-gliaga e il Bovara. — 2. Genova: Amicizia col Molinelli, P. Mar cello Dal Mare, i preti di S. Filippo e il Solari. Le comunicazioni con Utrecht. — 3. Amicizia col De Ricci e Fabio de Vecchi. Cap. VII- — RELAZIONI CON ROMA E COL PROPRIO ORDINE 1. Amici romani. — 2. Contegno del Natali verso il papato. — 3. L’Ordine degli scolopi....... Cap. VIII» — RELAZIONI CON L’ESTERO 1. Amicizia col De Bellegarde. — 2. ClémentT Maultrot. APPENDICI 1. Le Censure al Bellarmino. ...... . . 2. Lettere del Natali all’Arnaduzzi...... Indice dei nomi di persona........ pag. liti pag. 130 pag. 142 pag. 150 pag. 157 pag. 160 pag. 173 Finito di stampare il 30 Settembre 1950 nelle Industrie Grafiche Editoriali F. Ceretti - Genova - Tel. 26.183 per conto della Società Ligure di Storia Patria