ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA NUOVA SERIE V (LXXIX) F ASC. II GENOVA - MCMLXV nella sede della società ligure di storia patria PALAZZO TURSI ATTI DELLA SOCIETÀ’ LIGURE DI STORIA PATRIA FONDATA NEL 1858 Nuova serie - V (LXXIX) Fase. II - luglio-dicembre 1965 COMITATO DIRETTIVO FRANCO BORLANDI - LUIGI BULFERETTI . GIORGIO COSTAMAGNA LUIGI MARCHINI - GIUSEPPE ORESTE - GEO PISTARINO DIRETTORE RESPONSABILE DINO PUNCUH Segretario della Società Direzione ed Amministrazione : VIA GARIBALDI, 9 . GENOVA Abbonamento annuo: Lire 4.000 (estero Lire 4.500) Un fascicolo separato Lire 2.500 Conto Corrente Postale n. 4-7362 intestato alla Società SOMMARIO Atti sociali ............... pa Albo sociale...............» Dino PuNcun, Un codice borgognone del secolo XV : il « Curzio Rufo » della Biblioteca Universitaria di Genova.......» Edoardo Grendi, Morfologia e dinamica della vita associativa urbana: le confraternite a Genova fra i secoli XVI e XVII .... » Danilo Presotto, Genova 1656-1657. Cronache di una pestilenza . . » Congressi ..............)( ìndice dei periodici della biblioteca della Società Ligure di Storia Patria (a cura di Rosella Piatti) . '.........» Notiziario bibliografico .............B 193 196 201 239 313 437 441 469 ATTI SOCIALI II 29 novembre 1965 si è tenuta l’assemblea generale dei soci per procedere al rinnovo delle cariche sociali. L’assemblea, cui hanno preso parte 63 soci, si è aperta con la relazione del presidente uscente, prof. Franco Borlandi, che ha esordito ricordando l'attività prestata in favore della Società dal prof. Pàstine nel breve tempo in cui la salute gli ha concesso di presiedere il sodalizio. Tracciata una breve cronistoria degli avvenimenti che hanno condotto alle dimissioni del prof. Pàstine e alle altre sostituzioni che si sono verificate nel triennio 1962-65 in seno al Consiglio, il presidente ha iniziato la sua esposizione rilevando l’andamento favorevole delle iscrizioni che, nonostante le depennature dall’albo sociale, attuate a norma dell’art. 5 dello statuto, e i decessi di alcuni soci, ha registrato l’aumento di 71 nuovi soci su un totale di 229; l’incremento è stato motivato dall’apporto di forze universitarie, cui si deve in gran parte la rinascita degli Atti, e all’ingresso dei soci del Circolo Numismatico ligure, trasformatosi in sezione della Società. Tutto questo, ha ricordato il presidente, implicherà necessariamente la revisione dello statuto, soprattutto adeguando le quote sociali, oggi insufficienti alle necessità della Società; tale adeguamento non dovrà comunque trascurare gli interessi di studio dei giovani ai quali si dovrà offrire la possibilità di quote ridotte. Ricordato che gli Atti sono stati trasformati in periodico semestrale, sotto il controllo di un comitato direttivo e la responsabilità del segretario, il prof. Borlandi ha indicato gli obiettivi raggiunti in tre anni: mantenimento dell’impegno di stampare due fascicoli all'anno; stampa di 1330 pagine (contro le 636 della — 193 — 13 gestione precedente); inizio di una collaborazione straniera e di un notiziario bibliografico atto a soddisfare le esigenze degli studiosi di storia ligure. Gli sforzi concentrati per la regolare pubblicazione degli Atti non hanno impedito di proseguire l’opera per la costituzione a Genova di un centro nazionale per lo studio dei notai medievali, sul quale il presidente si è particolarmente diffuso accennando ai problemi organizzativi e finanziari che tale opera comporterà in futuro, non ultimo quello della sede della Società che, se le iniziative atte ad ottenere locali idonei e decorosi avranno successo, potrà accogliere ed ospitare anche il nuovo centro. Per quanto riguarda la biblioteca, il lavoro svolto negli ultimi tre anni è stato veramente notevole: riordinamento generale e inizio di un inventario patrimoniale; separazione delle riviste (circa 200) dai libri; schedatura ed inventario delle stesse; ripresa dei cambi, talvolta sospesi da molti anni, con riviste italiane e straniere; inizio di nuovi rapporti con istituzioni storiche italiane e straniere. Sul problema dell’interruzione degli scambi negli ultimi anni, il presidente ha dovuto lamentare che in molti casi tali interruzioni sono diventate definitive e che spesso di molte riviste non si sono potuti ottenere gli arretrati. Nonostante ciò, la biblioteca ha registrato in ingresso nel triennio passato 171 annate di riviste; sono pure entrati circa 100 libri ed opuscoli, oltre a circa 200 pezzi (in gran parte volumi, riviste, opuscoli sciolti) destinati alla Società dal compianto prof. Vitale. Sulla base del lavoro effettuato, il prof. Borlandi ha indicato i compiti che attenderanno il nuovo consiglio: primo tra tutti quello di completare l’inventario generale; riordinare i manoscritti dandone una descrizione scientificamente ineccepibile; pubblicare sugli Atti gli inventari dei manoscritti e delle riviste posseduti dalla Società. Concludendo la sua esposizione, il presidente, dopo aver rilevato che la ripresa dell'attività ha avuto favorevoli ripercussioni anche sulle finanze sociali, attraverso l’aumento degli abbonamenti, delle elargizioni e dei contributi straordinari, si è detto fiducioso nell'avvenire della Società ed ha ringraziato i consiglieri e coloro che hanno contribuito al successo delle iniziative. — 194 — Dopo la relazione del presidente, che l’assemblea ha accolto calorosamente ed approvato all’unanimità, si è proceduto al rinnovo delle cariche. Sono stati eletti: Presidente: prof. Franco Borlandi. Vice-presidenti: dott. Leonida Balestreri; dott. Giovanni Pesce. Consiglieri: prof. Luigi Bulferetti; prof. Nilo Calvini; prof. Giorgio Costamagna; dott. Claudio Costantini; march, dott. Gian Carlo Doria; prof. Giuseppe Felloni; dott. Luigi Marchini; prof. Giuseppe Oreste; prof. Giuseppe Piersantelli; prof. Geo Pistarino; prof. Luigi Prosdocimi; dott. Dino Puncuh. Il Consiglio direttivo, nella sua prima riunione, ha confermato nella carica di segretario il dott. Dino Puncuh e in quella di tesoriere il prof. Giuseppe Felloni; ha nominato delegato alla contabilità il dott. Leonida Balestreri e bibliotecario il dott. Luigi Marchini. Ha pure confermato in carica tutti i membri del Comitato direttivo degli Atti. Nella stessa riunione è stato abbozzato lo schema di bilancio preventivo per il 1966 che l’assemblea del 15 gennaio 1966 ha approvato. L’assemblea dei soci, nella riunione del 29 maggio 1965, su proposta del Consiglio direttivo, ha nominato soci corrispondenti il prof. Edouard Baratier, di Marsiglia, il prof. Lois Hopf-gartner, di Nò (Austria), e il prof. Emilio Saez, di Barcellona. — 195 — ALBO SOCIALE CONSIGLIO DIRETTIVO Borlandi prof. Franco Pesce dott. Giovanni Balestreri dott. Leonida Puncuh dott. Dino Marchini dott. Luigi Felloni prof. Giuseppe Bulferetti prof. Luigi Calvini prof. Nilo Costamagna prof. Giorgio Costantini dott. Claudio Doria march, dott. Gian Carlo Oreste prof. Giuseppe Pistarino prof. Geo Piersantelli prof. Giuseppe Prosdocimi prof. Luigi Presidente Vicepresidente Vicepresidente e Delegato alla contabilità Segretario Bibliotecario Tesoriere Consigliere » » » » » » » » SOCI ONORARI Doehaert prof. Renée - Bruxelles Falco prof. Giorgio - Torino Krueger prof. Hilmar C. - University of Cincinnati - Ohio Lopez prof. Roberto - Yale University - New Haven, Connecticut Pàstine prof. Onorato - Genova Reynolds prof. Robert L. - University of Madison - Wisconsin SOCI CORRISPONDENTI Baratier prof. Edouard - Marsiglia Hopfgartner prof. Lois - Nò (Austria) Saez prof. Emilio - Barcellona — 196 — SOCI VITALIZI Bruzzo nob. dott. Alfonso (1934) Cambiaso march. Pier Giuseppe (1929) Candioti Alberto M. (1924) Cattaneo di Beiforte march, ing. Angelo (1930) Cattaneo Adorno n. Lusema di Rorà march. Giuseppina (1930) Cerutti dott. Franco (1942) Cooperativa Garibaldi (Soc. di Navig.) Do ria march, dott. Gian Carlo (1926) Gallo Serra march. Matilde (1927) Gropallo march. Marcello (1920) Guagno ing. Enrico (1927) Guala Amedeo (1928) Negrotto Cambiaso n. Giustiniani march. Matilde (1932) Pallavicino Gropallo march. Maria (1925) Pallavicino march, dott. Stefano Ludovico (1929) Peragallo Cornelio (1926) Podestà Cataldi N.D. baronessa Giuseppina (1937) Sauli Scassi march, dott. arch. Ambrogio (1929) Serra march. Orso (1927) SOCI ANNUALI Agnoli Pisoni dott. Bianca Maria Berri prof. Pietro (1943) (1962) Bertino dott. Antonio (1965) Agosto dott. Aldo Ettore (1959) Bessone dott. Mario (1964) Allavena dott. Giorgio (1952) Biblioteca civica Berio - Genova Ametis prof. Serafino (1964) (1858) Aonzo dott. Giovanni (1963) Biblioteca civica Bruschi - Genova- Archivio di Stato di Genova (1950) Sestri (1950) Archivio di Stato di Imperia (1965) Biblioteca civica Gallino - Genova- Balbi dott. Giovanna (1962) Sampierdarena (1930) Balestreri dott. Leonida (1934) Biblioteca civica G. L. Lercari - Ge¬ Balletto Laura (1965) nova (1928) Baretto M. Luigia - Ovada (1964) Biblioteca comunale di Imperia Barni prof. Gianluigi - Milano (1940) (1932) Basili dott. Aurelia (1962) Biblioteca dell’Università di Lova- Beltrame rag. Ferruccio (1951) nio (1949) Berini ing. Federico - La Spezia Bisi Giovanna - Novi L. (1964) (1928) Bocksruth P. Michele - O.S.B. - Bru¬ Berlingieri prof. avv. Francesco xelles (1936) (1956) Bodoano avv. Angelo (1946) Bernabò Biea prof. Luigi - Siracusa Boido rag. G. Vittorio (1958) (1942) Boldorini dott. Alberto (1962) — 197 — Bollero dott. Roberta (1963) Circolo Artistico Tunnel (1882) Bolognesi Elio (1965) Clerici M. Carla (1952) Bonetto dott. Elena (1962) Cocchi dott. Cesare (1956) Bonfigli mons. Casimiro - La Spezia Codignola prof. Arturo (1923) (1963) Comune di La Spezia (1917) Borlandi dott. Antonia (1962) Consorzio Autonomo del Porto di Borlandi prof. Franco (1962) Genova (1922) Bosio prof. Bernardino (1957) Cornice dott. Alberto (1962) Bossi Ildebrando (1950) Cornice Mariangela (1962) Briasco Giancarlo (1963) Coscia dott. Daisy (1964) Brasati dott. Carlo (1962) Costamagna prof. Giorgio (1950) Bulferetti prof. Luigi (1961) Costantini dott. Claudio (1962) Burlando dott. Federico (1947) Cottalasso prof. Massimo (1963) Caffarello dott. Nelida (1964) Crovetto avv. Augusto (1964) Calvini prof. Nilo (1939) Curotto prof. Ernesto (1940) Camera di Commercio e Industria Dellacasa dott. Maria Teresa (1961) di Genova (1921) Dellepiane prof. Arturo (1939) Camera di Commèrcio e Industria Delle Piane dott. Gian Marino (1963) di La Spezia (1921) Del Massa dott. Mario (1965) Canepa ing. Stefano - Sanremo De Magistris Leandro (1965) (1947) De Martini ing. Luigi (1965) Carpaneto P. Cassiano O.M.C. (1937) De Negri dott. Carlo (1950) Carpaneto mons. prof. Giuseppe De Negri prof. Teofìlo Ossian (1932) (1937) De Toni prof. Giovanni (1965Ì Carago Luigia (1965) Di Meglio dott. Salvatore (1964) Casanova dott. Luisa (1962) Direzione Belle Arti e Storia del Caselli dott. Aldo - Haverford (U. Comune di Genova (1932) S.A.) (1954) Doria Giorgio (1952) Cassa di Risparmio di Genova Doria Bombrini march. Rosetta (1923) (1925) Cassanello dott. Antonio (1951) Dossena dott. Mario (1949) Cataluccio prof. Francesco (1964) Fajella dott. Sergio (1964) Cattaneo Mallone Cesare (1954) Falconi arch. Luigi (1962) Caudo Gaetana (1965) Fasciolo rag. G. Battista (1964) Caumont Caimi conte Lodovico Fassio Pio Giuseppe (1909) (1920) Felloni prof. Giuseppe (1954) Cecon Gianna Maria (1964) Ferralasco geom. Giorgio (1965) Chelli dott. M. Grazia (1962) Ferrari ing. Emilio Luigi (1957) Chiabrera Castelli Gaioli Boidi con- Ferrerò dott. Maria Teresa (1961) te dott. Paolo - Acqui (1952) Festa dott. Aldo (1965) Chiaudano prof. Mario - Torino Fiocchi Franco (1965) (1958) Fontana dott. M. Stella (1965) Cialdea prof. Basilio - Roma (1964) Forcheri avv. Giovanni (1964) Cicardi dott. Ernesto (1964) Gaetti P. Alberto M. (1963) Cimaschi dott. Leopoldo (1950) Gallamini ing. Luigi (1965) — 198 — Gamberini dott. Leopoldo (1964 Gandini dott. Carlo (1950 Gari Alfredo ( 1963 Garino prof. Mario (1950 Garzoglio rag. Ettore (1949 Gavazza prof. Ezia (1962 Giaccherò dott. Giulio (1945 Giampaoli avv. Giorgio - Carrara (1932 Gioffrè prof. Domenico (1952 Giordano Amalia (1964 Giustiniani march. Enrico - Roma (1920 Giustiniani march. Raimondo - Ro- ma (1920) Grasso Mario (1965) Grendi prof. Edoardo (1963) Gritta Tassorello march, avv. Giambattista (1938) Grosso dott. Orlando (1949) Guelfi dott. Franca (1965) Guerello dott. Franco Maria, SJ. - (1955) Guiglia avv. Giacomo - Roma (1928) Gustinelli dott. Carlo (1964) Invrea march. Giorgio (1953) Jona Vistoso Clelia (1952) Lamboglia prof. Nino - Bordighera (1931) Lanzavecchia dott. Renato (1964) Lertora prof. Elsa (1934) Luxardo Nicolò - Torreglia (Padova) (1957) Maira dott. Maria (1965) Mangiante dott. Stefania (1962) Manzitti dott. Francesco (1947) Maragliano Caranza march. Franco Maria - Firenze (1951) Marchini dott. Luigi (1929) Marconi dott. Laura (1964) Massa Paola (1965) Mas sa joli dott. Pierleone (1964) Mazzino Edoardo (1962) Melioli ing. Giovanni (1963) Menduni Rita (1965) Meneghini Emilio - La Spezia (1964) Merello Altea dott. M. Grazia (1964) Migone Bartolomeo - Roma (1956) Minoletti prof. Bruno (1936) Morano dott. M. Teresa (1963) Morelli Anita (1954) Morgavi dott. Gerolamo (1935) Morozzo della Rocca dott. Raimondo - Venezia (1937) Nada prof. Narciso - Torino (1963) Negro dott. Giovanni (1961) Nicora dott. Marisa (1962) Olivieri Antonio (1965) Oreste prof. Giuseppe (1936) Pagliari prof. Gualtiero (1965) Pareto cav. Edilio (1963) Parodi Marcella (1964) Passalacqua dott. Ugo (1947) Perasso Flavia (1965) Perillo Gaetano (1964) Pertusati sac. dott. Domenico (1965) Pesce dott. Giovanni (1936) Pezzi dott. Giovanna (1962) Piergiovanni dott. Vito (1964) Piersantelli prof. Giuseppe (1925) Pistarino prof. Geo (1953) Poleggi prof. Ennio (1964) Polonio dott. Valeria (1959) Presotto dott. Danilo (1963) Profumo dott. Luis (1965) Prosdocimi prof. Luigi (1962) Puncuh dott. Dino (1956) Puri ing. Ambrogio (1948) Raiteri dott. Silvana (1965) Rebora dott. Giovanni (1962) Riccioni rag. Leo (1965) Riccomagno dott. Domenico (1965) Rimassa rag. Ugo (1964) Risso dott. Livio (1958) Rossi prof. Angelo (1962) Saginati dott. Liana (1963) Saivago Raggi march. Camilla - Molare (Aless.) (1957) Schiaffino dott. Tito (1961) Sciaccaluga dott. Emilio (1961) Sciascia dott. Maria (1965) — 199 — Scotti sac. prof. Pietro (1948) Scuola Media A. S. Novaro - Genova (1949) Sertorio march, avv. Nicolò (1947) Slessarev dott. Vsevolod - Cincinnati (1964) Società del Casino (1897) Società Economica di Chiavari (1916) Sopranis march, dott. Giuseppe (1920) Spinola march. Marco - Tassarolo (Alessandria) (1925) Tacchella dott. Lorenzo - Verona (1957) Tiscornia dott. Carlo Maria - Lavagna (1961) Tomaini Placido - Arezzo (1963) Toniolo dott. Paola (1962) Toriello Alma (1964) Trucchi dott. Luigi (1964) Trucco dott. Maurizio (1964) Vaccarezza avv. Giacomo (1964) Valdettaro march. Carlo - Milano (1951) Vallebella rag. Giovanni (1963) Vianello Elisa (1962) Vignolo dott. Aldo - Roma (1954) Vignolo Fabrizio - Roma (1954) Vigo Cesare (1952) Villa dott. Paola (1965) Villa geom. Silvio (1950) Viola sac. prof. Giuseppe (1950) Virgilio avv. Agostino (1906) Virgilio dott. Jacopo (1948) Vitale prof. Emanuele (1958) Vitale dott. Gaetano - Aosta (1958) Zaccaro Lagomaggiore dott. Adele (1962) Zonza comm. Luigi (1929) Zucca Mario (1960) DINO PUNCUH UN CODICE BORGOGNONE DEL SECOLO XV IL «CURZIO RUFO» DELLA BIBLIOTECA UNIVERSITARIA DI GENOVA - . . La fortuna medievale di Alessandro Magno è sicuramente attestata dal cospicuo numero di narrazioni, più o meno leggendarie, che si ispiravano alla vita del grande macedone, confusa, attraverso contaminazioni con le leggende del Graal e della Tavola Rotonda, nel più vasto quadro dell’epopea medievale ', La storia di Curzio Rufo rimase perciò pressoché ignorata fino al secolo XV, quando l’interesse per Alessandro, sfrondato dalle incrostazioni della leggenda, e il desiderio di scoprire 1 uomo nuovo, il saggio ed accorto politico, il grande condottiero, il fondatore di un vasto impero, l’uomo capace di ampi disegni, resero giustizia allo scrittore latino2. Appare quindi significativo che il rinnovato interesse per il macedone abbia preso le mosse da due corti europee cui l’avvenire sembrava aprire immensi orizzonti: a Milano, nel 1438, Pier Candido Decembrio dedicava a Filippo Maria Visconti la prima traduzione italiana di Curzio Rufo 3; trent’anni dopo, nel 1468, Vasco di Lucena, un portoghese che il matrimonio di Filippo il Buono con Isabella del Portogallo aveva condotto alla corte borgognona, traduceva in francese per Carlo il Temerario i fatti di Alessandro 4. 1 Cfr. G. Cary, The medieval Alexander, Cambridge, 1956; D. J. R. Ross, Alexander historiatiis. A guide to medieval illustrated Alexander, Londra, 1963. 2 A. Bossuat, Vasque de Lucène, traducteur de Quinte Curce, in Bibliothèque d’Humanisme et de Renaissance, 1946, p. 200; cfr. anche S. Dosson, Etude sur Quinte-Curce, sa vie et son oeuvre, Parigi, 1887, p. 373. 3 A. Bossuat cit., p. 201; D. J. A. Ross cit., p. 68. 1 A. Bossuat cit., p. 202, n. 1 (e bibliografia ivi citata). Sulla venuta di Vasco di Lucena alla corte di Borgogna in epoca molto posteriore al matrimonio di Isabella del Portogallo e sugli studi parigini del portoghese cfr. Ch. Samaran, Vasco de Lucena à la cour de Bourgogne, in Bulletin des études portugaises, 1938, pp. 14-15. — 203 — Delle due versioni, la seconda conobbe subito un vasto successo. Già Filippo il Buono, la cui corte era impegnata a far rivivere le migliori tradizioni cavalleresche, si era accostato con interesse alla vita di Alessandro: Jean Wauquelin, rievocando nel re dei Macedoni l'ideale del guerriero e trasferendo nell’ambiente orientale il riflesso di quello borgognone, ne aveva dato una storia parzialmente affrancata dalle leggende medievali *. La dinastia borgognona aveva ormai spostato il centro della propria politica dalla Francia ai Paesi Bassi; già stava nascendo e si andava consolidando una coscienza nazionale borgognona che l'assassinio del ponte di Monterey aveva ulteriormente esasperato. In questo clima, aperto e sensibile a grandiosi disegni politico-territoriali, eppur così immerso ancora nello spirito medievale e cavalleresco \ l’opera di Vasco di Lucena assume ai nostri occhi il valore di un simbolo: non più le storie e le belle favole del Medio Evo, ridicolizzate dalla rinnovata coscienza storica dell’umanista 7, non più esclusivamente il guerriero e il cavaliere, ma l’uomo, il modello da imitare e da seguire, l’ideale del sovrano cui Carlo il Temerario avrebbe dovuto ispirare la sua condotta politica *. La maggiore concretezza storica, tuttavia, che impose a Vasco di completare la storia di Curzio Rufo attingendo a numerose fonti classiche per i libri perduti *, non gli impedì di dare alla sua opera un’impronta moralistica, in carattere con i tempi e con il glorioso momento della storia borgognona. Sembra inutile aggiungere qualcosa alle belle pagine che il Doutrepont e soprattutto l’Huitzinga hanno dedicato al ruolo che ebbero la storia e la letteratura nella formazione di Carlo il Temerario e dello spirito borgognone; basterà sottolineare 3 G. Doutrepont, La littérature française à la cour des ducs de Bour- gogne, Philippe le Hardi, Jean sans Peur, Philippe le Bon, Charles le Téméraire, Parigi, 1909, p. 184. * J. Huitzînga, L'autunno del Medio Evo, n. ediz. a cura di E. Garin, Firenze, 1961. 7 G. Doutrepont cit., pp. 183-184. * G. Doutrepont cit., pp. 182-183. * G. Doutrepont cit., p. 178. — 204 — che l'opera di Vasco Fernandez godette ai suoi tempi di un successo enorme: il grande numero di esemplari conservati nelle principali biblioteche del mondo 10 è un indice eloquente di questa popolarità, di un interesse che non si esauriva unicamente nella bella pagina miniata, ma andava ben oltre, a cogliere quegli aspetti della storia antica che meglio si prestavano ad esaltare l’individualità di un nascente spirito nazionale. 1. - Il manoscritto della Biblioteca Universitaria di Genova è ancora oggi pressoché sconosciuto. Salvo qualche accenno sommario dello Zaccaria ", del Banchero12, del Molard13 e del Kristeller 1!, ed una breve descrizione della Mostra colombiana del 1950-51 15, non esistono altre informazioni su questo splendido esemplare dell'opera dell’umanista portoghese. Solo in anni recenti se ne è occupata la dott. Maria Teresa Lagomarsino in una tesi di specializzazione, non immune, peraltro, da difetti di impostazione e da conclusioni affrettate o non sufficientemente controllate 16. Il ms., segnato B.IX.2, intitolato erroneamente Curtius Rufus, Historia Alexandri Magni libri IX, è costituito di 326 carte (mm. 390 X 278), distribuite in 42 fascicoli (1 c. + 20 quat. + 1 duernio + 21 quat). Ad esse vanno aggiunte due carte di guar- 10 A. Bossuat cit., pp. 204-209, ne elenca 24; D. .T. A. Ross cit., pp. 69-71 ne indica 27, quattro in più del Bossuat che aveva computato nel suo numero anche una copia della traduzione del Decembrio. 11 F. A. Zaccaria, Excursus litterarii per Italiam ab anno 1742 ad annum 1752, I, Venezia, 1754, p. 22; lo Zaccaria fu a Genova tra il 1746 e il 1748. 12 G. Banchero, Genova e le due Riviere, Genova, 1846, I, p. 457, n. 1. 13 F. Molard, Rapport sur les bibliothèques de Gênes. Inventaire des manuscrits relatifs à la Corse, in Archives des missions scientifiques et littéraires, XX, 1879, p. 176. 14 P. O. Kristeller, Iter italicum, Londra-Leyda, I, 1963, p. 242. 15 Mostra colombiana internazionale, Genova, 1950, p. 58. 16 M. T. Lagomarsino, Manoscritti miniati della Biblioteca Universitaria di Genova, Tesi di specializzazione presso la scuola di perfezionamento per archivisti, paleografi e bibliotecari dell’Università di Milano, anno accademico 1957-58, pp. 68-74. — 205 — dia, all’inizio e alla fine, inserite con la legatura moderna che riproduce fedelmente (velluto rosso con borchie di ottone) quella antica, coeva alla scrittura. Il ms. è stato cartulato a matita da una mano moderna fino a c. 325; a c. 326 a, un’annotazione di Achille Neri, del 31 agosto 1899 (ripresa nelle sue conclusioni dalla Lagomarsino 17), informa che il codice risultava composto di 325 cc. (una in meno del nostro accertamento), e che erano cadute quattro carte (tra c. 70 e c. 71; 164 e 165; 207 e 208; 229 e 230). Oltre alle perdite denunciate dal Neri (caduto in errore per non aver collazionato il ms. con un’opera completa di Vasco di Lucena), risultano mancanti altre tre carte, di cui una tra la c. 56 e la c. 57, e due tra c. 220 e c. 221. In origine quindi il manoscritto era composto di 333 carte, di cui la prima e l’ultima erano già allora di guardia. Risultano bianche le cc. 1, 16, 17 e 326. La scrittura, su due colonne di 30 righe ciascuna (giust. mm. 175 x 235), è una grossa bastarda borgognona, della seconda metà del XV secolo; sono presenti le tracce della squadratura e della rigatura a punta rossa. Le rubriche, ad inchiostro rosso, sono della stessa mano che ha trascritto l’intero volume. Sono pure presenti otto grandi miniatiore su due colonne, circondate su tre lati da ornati a base di fogliami di acanto azzurri, tralci di vite e fogliami verdi e oro; è probabile che la perdita di alcune carte, all’inizio del II, V e VII libro della traduzione, comporti anche quella di tre grandi miniature. Vi sono ancora cinquanta piccole miniature disposte su una colonna, capilettera di diversa grandezza, a seconda che diano inizio a un libro o a un capitolo, segni paragrafali d’oro su sfondo alternativamente azzurro e rosa. Le carte ornate dalle miniature minori recano un grosso fregio sul margine esterno, dello stesso tipo di quelli che incorniciano i grandi riquadri figurati. Sulla base di quanto verremo esponendo nel corso di questo lavoro, attraverso l’esame delle miniature e della scrittura, riteniamo che il manoscritto sia uscito dalle officine scrittorie di 17 M. T. Lagomarsino cit., p. 68. — 206 — Bruges nella seconda metà del secolo XV, più precisamente verso il 1470-75. Appare difficile stabilire come il volume sia giunto a Genova e quando; esso reca il timbro di appartenenza alla vecchia biblioteca dei Gesuiti, donde passò, successivamente, alla Biblioteca Universitaria. L’accenno dello Zaccaria, di cui abbiamo già detto, attesta che il volume era a Genova già alla metà del secolo XVIII. A c. 18 a, uno stemma gentilizio (azzurro a tre bande scaccate d’oro e di rosso di tre file) ci fa ritenere che il volume sia appartenuto alla famiglia piemontese dei Solari Del Borgo Non sembra necessario estendere le ricerche ai rami francesi della famiglia, come ha indicato la Lagomarsino 19: tanto più se si considera che lo stemma, che non presenta gli stessi colori delle miniature, è aggiunto in epoca più recente; che esistono (a c. 134 b e a c. 268 b) altre due sagome di stemmi rimasti incompiuti e lo spazio bianco per il motto (c. 18 a) che fanno ritenere che il codice fosse destinato a qualche personaggio di grande riguardo, forse molto vicino alla casa ducale 20, e che solo in un secondo tempo sia venuto in possesso dei Solaro Del Borgo. E in questa famiglia sembra necessario indirizzare le indagini: è noto che essa diede ai duchi di Savoia un gran numero di ambasciatori e che proprio alla famiglia appartenne il marchese Ignazio, ambasciatore in Olanda, in Inghilterra, a Roma e ministro plenipotenziario, nel 1713, alla pace di Utrecht21. Sarà una combinazione, d'accordo, ma viene spontaneo collegare il nostro manoscritto ad un altro bellissimo esemplare di Storia Universale, anch’esso di origine borgognona, pervenuto nel 1774 alla Biblioteca Casanatense di Roma dalla 18 V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare italiana, V, Milano, 1932, p. 346. 10 M. T. Lagomarsino cit., p. 68. 20 La presenza di tre o più stemmi nei manoscritti destinati ai personaggi della corte ducale sembra assai frequente nei manoscritti borgognoni dello stesso tempo. 21 V. Spreti cit., pp. 346-349. - 207 - « Domus professa » dei Gesuiti 22. Anche questo esemplare reca delineata la sagoma di uno stemma rimasto in bianco. Sono semplici indizi, ce ne rendiamo ben conto, ma la corrispondenza tra i due manoscritti (entrambi di proprietà dei Gesuiti) e le ambascerie nei Paesi Bassi e a Roma del marchese Ignazio ci fanno pensare che ulteriori ricerche nell’ambito della famiglia piemontese potrebbero dare risultati migliori23. 2. - Prima di proseguire nelle indagini sulla miniatura e sulla scrittura, ci sembra opportuno offrire una descrizione particolareggiata del manoscritto: Inc. (c. 2 a): Cy commence la table... Expl. (c. 15 b): ...Fin des tables et rubriches de ce present volume. Prologo del traduttore Inc. (c. 18 a): A très hault, très puissant... Grande miniatura (mm. 168x168): Presentazione del volume a Carlo il Temerario assiso sul trono e circondato dalla sua corte. Expl. (c. 21 a): ...a toute postérité exemple de vertus. Libro I Inc. (c. 21 b): Regardant les discords... Grande miniatura (mm. 168x167): Nascita di Alessandro; madre e figlio sono rappresentati in un grande letto sormontato da un baldacchino, circondati dalle ancelle e da alcune dame di corte; c. 30 b: miniatura (mm. 80x70): Divorzio di Filippo dalla moglie Olimpia; c. 35 b: miniatura (mm. 80x70): Resa di alcune città ribelli nelle mani di Alessandro che ne riceve le chiavi; c. 36 a: miniatura (mm. 75x70): Distruzione di Tebe che brucia sullo sfondo; c. 43 a: miniatura (mm. 82x70): Alessandro tiene consiglio di guerra a Corinto; 22 Catalogo dei manoscritti della Biblioteca Casanatense, III, Roma, 1952, pp. 29-30; Mostra storica della miniatura, a cura di G. Muzzioli, Roma, 1953, p. 445; G. Di Domenico, Contributo alla conoscenza di Loyset Lyedet: il manoscritto n. 233 della Casanatense ed il Reg. Vat. 136 della Vaticana, in Accademie e Biblioteche d’Italia, XXVII, 1959, pp. 157-167. 23 Ricerche nell’ambito dell’istituto storico della compagnia di Gesù e dell’Archivio romano della Compagnia non hanno dato alcun risultato. — 208 — VlfélMMÏt iture* pmf/ài et tvtfttcüd xt> ichnib iamvffc>cbic»(>uf^c limntwiiftKf fetorfii & lwilMiit~9f /«(Mibiu rt et frkWMtouitftVMft J ............ ’ “'T ] [ff? £4 J® " ■ * JH jtlÉlf '*'1^ ^sc fiaubu* Nufoie-Sc Ivurr^mirtm 4ii(at»u i\ ;d«wi* et ït>i«iwiir/>ci "Vafotic ît üifCMC jjwfu tîam*t6 (mou Me fama j et ywmptt oixiffiuuc • tmmt fritti*a mit U>m( icirtc me vmtt'&iifliUH i>kr et twiwjCcctttvc iati Tav. 1 (c. 18 a) 4«r liCiiv ticfav, ctftim iKé Ce(i)ti*U )i«rtiwncg U aiimt empii* & c?r»i* fané nom toc* fwfeffl* icfiauOicitt cartoni fe gettò 8atm*e %Wrt |u* (tifimi ot Oifooi* cr Tav. 2 (c. 82 b) -yvi »6 îî>n O'n/cU «Mie (c tiri’tout -n»(t (altaica J àirtrik a ù ìcfamiò ive timcuv >«tm it^cicffiiîtte ernia xvoiti ik'mcftiwitHecttfaitt ni ticdïceiciii» \ amijLrtrtirô rivfcfifiucttf foulK fa fou tummcttìutcviwfacÒH mut lclcmi&Ct?fuwttii CMrntfC (VfIMMC C6 comme .CMtmrr ef.iffM 'H'mVo ci\i/niM TVNiitf * M MIC fhitiOWrt' ctitiwoinvicUfidvte itlf) te - —^V/i>f iMOffi aj< {Vlimtf lV(u fi ic u<«wf> hiftmet-Hjfm (mit- Siluri (Ortrtnfii tone ut îytr.Vrmw.ii1 faifiut infiliic(' I») oml T>it.<>ii*H)'tc/h»it ^rlti intff f» i.ifCf6.:rtmôi llf lai» fdiilfiiioit (iii/ late m»«6 oulur yfitè UHtVllf rt^Hl)llf arVin(oft$ aiiiìtìort corn et leur fan k ; Mott IHfC re flit ilLxfuC ;v nuifc ftuibiurnc(ante f et tm riteòù: fot) CiXJMC CfwiCìlVfxydxtIJ/ iì\ìie CcvmeoucfT'Ou fofcb? Otufc hu»KMt ncftotr Viu6 ut cfhx feue ai p^Y-m*c trimana orni|cu » jj*, a>:î)C fort icecfmonuf •* ft( rf.utt C>u /a inclfcffc cti)itfti»rtRK\^v. 4TUC <)m /iit fc Uà* 4McmtcriOUOirt6^«);CH S tVHt ch itUHitcrnOMtr ' ke jL»nrfnii«‘X»rt-itiM | Mittit (HlC fc fc j, M ItliW JLHHHO»^,a1f ' ttU)llt(lt I iw iirtmc»if^c6 ne hw iMt tta»MiiX»ifcrnmf v fccvftfJriiUifcct wMfcp" 1 1 t*sf * Tav. 7 (c. 299 b) c. 50 b: miniatura (mm. 80x70): Dario riceve l’omaggio di Menone e del suo esercito. Expl. (c. 55 b): ... ne sourdisten Macedone. Prologo del traduttore Inc. (c. 56 a): Ainsi meciìons fin... Miniatura (mm. 95x70): Il traduttore (o il copista) seduto a un leggio intento al lavoro. Libro II Inc. (c. 57 a: manca l’inizio del libro): ...Alexandre entra... c. 62 a: miniatura (mm. 78x69): Dario si avvia alla battaglia circondato dai suoi cavalieri; c. 67 a: miniatura (mm. 79x70): Alessandro ammalato fa leggere al suo medico una lettera che lo accusa di voler avvelenare il re; c. 69 b: miniatura (mm. 78x68): Supplizio del traditore Siseno alla presenza del re Dario; c. 74 a: miniatura (mm. 70x69): Alessandro in trono esorta i suoi armati; c. 77 a: miniatura (mm. 68x67): I familiari di re Dario rendono omaggio ad Alessandro. Expl. (c. 82 a): ... de tous les autres. Libro III Inc. (c. 82 b): Daire roy de si grant... Grande miniatura (mm. 183x167): Fuga di Dario e del suo esercito; sullo sfondo sono disegnati castelli e torri; c. 85 a: miniatura (mm. 75x70): Aminta con i suoi guerrieri in partenza verso l'Egitto; c. 88 a: miniatura (mm. 80x67): Gli ambasciatori di Alessandro buttati in mare dagli uomini di Tiro; c. 91 b: miniatura (mm. 89x67): Attacco navale alla città di Tiro; c. 95 a: miniatura (mm. 82x67): Assalto alle mura di Tiro; c. 98 a: miniatura (mm. 96x69): Resa della città di Rodi nelle mani di Alessandro che ne riceve le chiavi; c. 102 a: miniatura (mm. 80x70): Cattura del capitano nemico Betis; c. 107 a: miniatura (mm. 88x67): Alessandro assiste ai lavori di costruzione della città di Alessandria; c. 109 a: miniatura (mm. 80x69): Dario raduna i suoi soldati nei pressi di Babilonia; c. 113 b: miniatura (mm. 80x69): Alessandro esprime il suo cordoglio per la morte della moglie di Dario; c. 118 a: miniatura (mm. 80x68): Marcia dell'esercito di Alessandro; c. 122 b: miniatura (mm. 81x69): Battaglia di carri. Expl. (c. 134 a): ... estre bien dignes. — 209 — 14 Libro IV Inc. (c. 134 b): Se voulloye racompter... Grande miniatura (mm. 168x161): Dario tiene consiglio di guerra circondato dai suoi guerrieri; c. 139 b: miniatura (mm. 71x67): Alessandro, circondato da dame e cavalieri, assiste da un palco a un torneo; c. 145 b: miniatura (mm. 80x68): Alessandro entra in Persia; c. 151 b: miniatura (mm. 82x71): Alessandro soggioga i Nardiesi; c. 152 b: miniatura (mm. 69x68): Alessandro fa incendiare Persepoli dietro istigazione di una donna pubblica; c. 159 a: miniatura (mm. 78x67): Il capitano Petrone parla al re Dario. Expl. (c. 163 b): ...de ces ancestres. Prologo del traduttore Inc. (c. 164 a): J’ay emprunté de Justin... Grande miniatura (mm. 168x165): Carlo il Temerario, accompagnato da un cortigiano, si reca in visita al suo traduttore (o al copista), intento al lavoro. Libro V Inc. (c. 165 a: manca l’inizio del libro): ... ceulx de puille tenoient... c. 168 b: miniatura (mm. 82x70): Alessandro restituisce il marito a una donna inginocchiata ai suoi piedi; c. 173 a: miniatura (mm. 81x71): Alessandro entra nella provincia d’Ircania; c. 180 a: miniatura (mm. 83x70): Alessandro, in testa ai suoi uomini, raggiunge Satirbane; c. 184 b: miniatura (mm. 87x67): Alessandro perdona Filote; c. 189 a: miniatura (mm. 82x70): Filote prigioniero ottiene il permesso di difendersi. Expl. (c. 197 b): ... de ses amis. Libro VI Inc. (c. 198 a): Les cappitaines et gens... Grande miniatura (mm. 169x169): Filote viene condotto in catene davanti ad Alessandro assiso sul trono e circondato dai suoi guerrieri; c. 204 b: miniatura (mm. 80x68): Uccisione di Parmenione; c. 214 a: miniatura (mm. 81x72): Strage degli abitanti di Dianade; c. 224 b: miniatura (mm. 83x72): Alessandro in trono giudica trenta nobili. Expl. (c. 229 b): ...et appendent a icelle. Libro VII Inc. (c. 230 a: manca l’inizio del libro): ... de ces nations... c. 237 a: miniatura (mm. 89x68): La moglie di Sitamone consegna ad Alessandro la testa del marito; — 210 — c. 240 b: miniatura (mm. 83x70): Nozze di Alessandro con Rexane; c. 251 a: miniatura (mm. 81x71): Resa di Megaso; c. 264 a: miniatura (mm. 90x69): Gli eserciti di Alessandro e di Porus schierati a battaglia. Expl. (c. 268 a): ... fussent plus grans. Libro Vili Inc. (c. 268 b): Alexander ioyeulx de tant... Grande miniatura (mm. 168x163): Alessandro sacrifica al sole alla presenza del suo esercito; c. 284 a: miniatura (mm. 83x70): Alessandro passa in rassegna il suo esercito da una barca; c. 288 b: miniatura (mm. 98x70): Duello dell’ateniese Dioxippe (nudo) contro un guerriero macedone armato di tutto punto; c. 295 b: miniatura (mm. 91x71): Resa dei rappresentanti di diverse contrade ad Alessandro. Expl. (c. 298 b): ... peschoint point cruaulte. I Prologo del traduttore Inc. (c. 299 a): En ce IX et dernier livre... Libro IX Inc. (c. 299 b): Ce temps pendant... Grande miniatura (mm. 168x154): Alessandro fa decapitare alcuni governatori di province rei di malversazione; c. 306 b: miniatura (mm. 88x69): Alessandro fa uccidere tredici sediziosi; c. 309 b: miniatura (mm. 88x70): Morte di Alessandro; c. 316 b: miniatura (mm. 90x68): Aride viene investito del potere; c. 320 a: miniatura (mm. 89x68): Perdicca fa uccidere trecento Pitoni dagli elefanti. Expl. (c. 323 a): ... et son nom a tous iours mais. Conclusioni del traduttore Inc. (c. 323 a): Puis que Alexandre... Expl. (c. 324 a): le plus hault comble de sa gioire. Amen. 3. - La traduzione di Vasco di Lucena fu ultimata nel 1468: nel 1470 il calligrafo Yvonnet il giovane e il miniatore Loyset Liédet venivano compensati da Carlo il Temerario per l’esecu- — 211 — zione della copia ufficiale del duca 24. Il nostro manoscritto, pur non presentando le qualità di quello parigino, ha tutte le caratteristiche del volume di gran lusso. Otto (probabilmente undici) miniature grandi e cinquanta minori rivelano che il codice del-l’Universitaria di Genova doveva essere destinato a un personaggio di riguardo. Esso è certamente il prodotto di mani diverse che hanno eseguito i capilettera e i segni paragrafali, la decorazione marginale e le miniature, nelle quali ci sembra possibile individuare l’opera di tre artisti diversi 2\ Il genere, prevalentemente guerresco, delle miniature, ci ha indotto ad indirizzare le nostre ricerche nell’ambiente di Loyset Liédet di Hesdin, che rappresenta, nella storia della miniatura fiamminga, lo specialista nell’esecuzione di libri di carattere storico, il maggiore interprete e il più prezioso repertorio dei costumi e delle armi della corte borgognona. La sua produzione è generalmente divisa in due periodi ben distinti: un primo periodo, di Hesdin, nel quale il miniatore avrebbe subito l'influenza determinante di Simon Marmion; un secondo momento, di Bruges, in cui, più o meno legato al grande editore David Aubert, suo conterraneo, divenne il più fortunato miniatore, forse anche editore, degli stati borgognoni, adeguando lo stile della sua produzione al gusto della clientela :6. Perdendo in qualità e in bellezza, le sue opere diventavano però il maggiore specchio della società nella quale operava :7. Le principali carat- 24 Si tratta del ms. fr. 22547 della Bibliothèque Nationale di Parigi: L. Delisle, Le cabinet des manuscrits de la Bibliotèque Nationale, Parigi, 1868-81, III, p. 341; G. Doutrepont cit., p. 179; P. Durrieu, La miniature flamande au temps de la cour de Bourgogne (14154530), Bruxelles-Parigi, 1921, pp. 21, 4849 e taw. XXV e XXVI; D. J. A. Ross cit., p. 70. 25 Per lo studio della miniatura siamo debitori alla prof. Ezia Gavazza, dell’istituto di storia dell’arte deH'Università di Genova, alla quale esprimiamo la più viva riconoscenza, di numerosi spunti e consigli, soprattutto per quanto si riferisce all’attribuzione delle miniature e alla presenza di mani diverse. 26 P. Durrieu cit., p. 22. 27 Sull’attività del nostro miniatore cfr. J. W. Bradley, A dictionary of miniaturistes and copysts, Londra, 1887-89, ristampa anastatica New York, 1958, II, pp. 203-205; J. A. Herbert, llluminated manuscripts, Londra-New — 212 — teristiche della sua vastissima produzione sono state felicemente riassunte dal Délaissé: personaggi di tipo costante, visi rettan- York, 1911, pp. 312-313; O. Pacht, The master of Mary of Burgundy, Londra, 1948, p. 23, P. D Ancona - E. Aeschlimann, Dictionnaire des miniaturistes, Milano, 1949, p. 134; L.M.J. Délaissé, Les « Croniques de Hainaut » et l'atelier de Jean Wauquelin à Mons dans l'histoire de la miniature flamande, in Bulletin des Musées royaux des beaux arts, 1955 (Miscellanea E. Panofsky), p. 22, n. 5, D. Diringer, The illwvinated book, its history and production, Londra, 1958, p. 422; La miniature flamande. Le mécénat de Philippe le Bon. Bruxelles, 1959, p. 101. La cronologia del Liédet non è accertata con sicurezza. nel 1461 sarebbe stato ancora a Hesdin; nel 1469 si iscriveva alla gilda di Bruges (P. Durrieu cit., p. 21), ma avrebbe lavorato in questa città già prima di iscriversi alla sua corporazione (La miniature flamande cit., p. 101); sarebbe morto verso il 1478. Il Délaissé inoltre (Miniatures médiévales, Bruxelles, 1958, p. 183; cfr. anche Trésors de la bibliothèque royale de Belgique, Bruxelles, 1958, p. 73) accenna ad un probabile soggiorno del Liédet nelle officine di Mons. Non pare però che ne siano state tratte le opportune conseguenze: che dire infatti della decorazione marginale del ms. 233 della Casanatense (G. Dì Doaientco cit., tav. 1) che ricalca fedelmente quella deWHistoire d’Alexandre (ms. fr. 9342 della Bibliothèque Nationale di Parigi: P. Durrieu cit., tav. XXXVII; L. M. J. Délaissé, Les Croniques cit., tav. 7; Idem, La miniatura fiamminga, Milano, 1956, tav. 4; La miniature flamande cit., tavv. 18-19) nel quale sono presenti scene di guerra e paesaggi di sfondo comuni al Liédet (cfr. per es. YHistoire de Charles Martel, mss. 6-9 della Bibliotèque Royale di Bruxelles: La miniature flamande cit., tav. 5)? Nel ms. parigino, uscito sicuramente dalle officine di Mons (come è accertabile anche dall'esame delle forme grafiche) è pi esente la mano del Liédet, o egli si è ispirato a Hesdin ai modelli appresi durante la permanenza a Mons? Al primo periodo di attività del nostro (Mons o Hesdin?) siamo indotti ad attribuire il volume della Casanatense, che ci richiama, per la composizione, il secondo volume de La fleur des histoires di Jean Mansel (ms. 305 della Walters Art Gailery di Baltimora: La miniature flamande cit., tav. 31; Flanders in thè ùfteenth century: art and civilisation, Detroit, 1960, p. 385), Les histoires Romaines dello stesso Mansel (mss. 5087-88 della Bibliothèque de l’Arsenal di Parigi: H. Martin, Les histoires romaines de Jean Mansel illustrées par Loyset Liédet, Parigi, 1914; P. Durrieu cit., p. 49; H. Martin-P. Lauer, Les principaux manuscrits à peintures de la Bibliothèque de l'Arsenal, Parigi, 1929, p. 46-47, taw. LVII-LVIII; La miniature flamande cit., p. 71, tav. 30) e soprattutto il Valerio Massimo della stessa biblioteca (ms. 5196: H. Martin-P. Lauer cit., pp. 4546, tavv. LV-LVI) uscito dalle officine di Mons (La miniature flamande cit., p. 39) già raffrontato al Casanatense 233 dalla Di Domenico (p. 163, n. 15). — 213 — golari, dai tratti duri e nettamente marcati, paesaggi semplici, abbondanza di architetture, colori vivi2S. Gli elementi determinanti per l’attribuzione del nostro manoscritto al miniatore di Hesdin vanno ricercati soprattutto nel senso del colore, nei paesaggi semplici, nelle architetture esterne (con la caratteristica quinta centrale che limita sulla sinistra un interno 29), nella composizione delle scene, nell’aspetto e nell’anatomia dei personaggi rappresentati. Per le architetture si vedano soprattutto le scene della nascita di Alessandro (c. 21 b) e della visita del Duca al suo traduttore o copista (tav. 4). Entrambe le composizioni richiamano alla mente altre opere del Liédet: oltre al ms. 233 della Casanatense30 e a\VHistoire de Charles Martel31, la Somme rurale di Jean Bouteiller della Bibliothèque Nationale di Pa- 28 L. M. J. Délaissé, Les Croniques cit., p. 48. Non ci sembra il caso di tornare su una caratteristica osservata nella cornice delle miniature di maggior formato, curva in alto e dentellata: H. Martin, Les joyaux de l’énluminure à la Bibliothèque Nationale, Parigi-Bruxelles, 1928, p. 72. Tale caratteristica è spesso presente in altri autori; non ne svaluterei comunque l’importanza, come è stato fatto recentemente (G. Di Domenico cit., pp. 160-161), perchè anche questo può essere un elemento da prendere in considerazione, soprattutto in concordanza con altri aspetti. 29 G. Di Domenico cit., p. 163; cfr. anche, oltre all'Alessandro parigino già citato (nota 27), J. Van Den Gheyn, L’Ystoire de Saint Hélain. Reproductions des 26 miniatures du ms. 9967 de la Bibliothèque royale de Belgique, Bruxelles, 1913; cfr. ancora il vol. V del Renaud de Montauban (ms. gali. 7 della Bayerische Staatsbibliothek: L. Olschki, Manuscrits français à peintures des bibliothèques d’Allemagne, Ginevra, 1937, p. 11, tav. VII) e l’omonimo ms. di Pommersfelden (mss. 311-312 della Graflich SCHONBORNSCHE BIBLIOTHEK: L. Olschki cit., pp. 61-62, tav. LXXVII). 30 G. Di Domenico cit., tav. 1. 31 Mss. 6-9 della Bibliothèque Royale di Bruxelles: cfr. J. Van Den Gheyn, Histoire de Charles Martel. Reproductions des 102 miniatures de Loyset Liédet (1470), Bruxelles, 1910; P. Durrieu cit., p. 48 e tav. XXIV; F. Winkler, Die Flàmische Buchmalerei des XV. und XVI. Jahrhunderts, Lipsia, 1925, pp. 75, 168, tav. 38; C. Caspar - P. Lyna, Philippe le Bon et ses beaux livres, Bruxelles, 1942, taw. XXIV-XXV; L. M. J. Délaissé, La miniatura fiamminga, cit., tavv. 48, 49, 50; cfr. anche il vol. Ili delle Croniques de Hainaut di Jean Wauquelin (ms. 9244 della Bibliothèque Royale di Bruxelles: L. M. J. Délaissé, La miniatura fiamminga cit., tav. 51). — 214 — rigi3-. Soprattutto nelle miniature di Bruxelles si osserva la caratteristica visita dei duchi di Borgogna alle officine scrittorie che lavoravano per loro. Va però aggiunto che nel nostro volume la mano del maestro si può osservare solamente nelle architetture esterne, mentre gli interni, a differenza di altri splendidi codici della sua mano, sono spesso trascurati, sciatti, eseguiti sicuramente dagli allievi che lavoravano nella sua bottega. Anche la scena della presentazione dell’opera al duca (tav. 1), che richiama alla mente quella analoga del Reg. Lat. 736 della Vaticana, anch'esso attribuito al Liédet 3\ soprattutto nei tratti somatici e nell abbigliamento del presentatore, è trascurata e andante, rivelando scarsissima fantasia e un interno privo di eleganza, non certo riconducibile ad altri superbi ambienti dei manoscritti fiamminghi 3\ Il nostro miniatore però non amava gli interni oscuri; il suo gusto per il colore e per il paesaggio lo portò ad affinare al massimo gli esterni, in piena luce: non ritroviamo nelle sue opere scene notturne o contrastate. In pieno sole acquistano maggiore vivezza le rappresentazioni pubbliche, nelle quali la maestria del Liédet raggiunge veramente l'apice delle sue qualità pittoriche. Tutte le grandi miniature nelle quali compaiono dei soldati35 rivelano la mano del maestro: la composizione (si vedano per confronto le scene di battaglia del Renaud de Mon-tauban36, del Reg. Lat. 736 della Vaticana37 e del Charles Martel3S), soprattutto nel caratteristico disporsi degli armati su ,32 Ms. fr. 201: La miniature flamande cit., tav. 53. 33 G. Di Domenico cit., tav. 5. 31 Per le architetture cfr. anche H. Martin, Les histoires cit. 35 Per la corrispondenza dei corpi umani cfr. il Renaud de Montauban (mss. 5072-75 della Bibliothèque de l'Arsenal di Parigi: H. Martin - P. Lauer cit., pp. 49-50, tavv. LXII, 2-LXVI; M. Beaulieu-J. Baylé, Le costume en Bourgogne de Philippe le Hardi à Charles le Téméraire, Parigi, 1956, tav. XX); cfr. anche l’omonimo ms. di Pommersfelden già citato (nota 29): L. Olschki cit., tav. LXXVIII. 36 Cfr. n. 35 e M. Beaulieu-J. Baylé cit., tav. XIX. 37 G. Dì Domenico cit., tav. 6. 38 Cfr. n. 31 e M. Beaulieu-J. Baylé cit., tav. XV. — 215 — diverse linee, le corrispondenze di colore, il luccichio delle armature (sempre mancante nelle composizioni degli allievi), il paesaggio armonizzato con la scena e reso nei particolari con grande senso e padronanza del colore, gli sfondi di città e di castelli (come nella tav. 2, rappresentante la fuga di Dario, a nostro avviso una delle più belle del manoscritto) dimostrano il grande impegno del miniatore nella esecuzione del nostro volume. A confronto col manoscritto parigino, la nostra copia si presenta di qualità inferiore: molte scene, però, ripetono, sia pure in tono minore e più dimesso, analoghe scene dell’originale; in alcune è presente la stessa composizione o corrisponde perfettamente il disegno dei pavimenti, come se il nostro codice fosse stato eseguito semplificando le miniature della copia destinata al Duca di Borgogna39. Il disegno dei pavimenti, inoltre, ci consente di trarre qualche conclusione sull’apporto di un allievo del Liédet che dovrebbe aver assistito il maestro nell’esecuzione di alcuni dettagli, come pavimenti ed interniJ0, ed aver eseguito 39 A parte la scena della presentazione del ms., le miniature che concordano nei due manoscritti sono le seguenti (tra parentesi indichiamo il numero della carta del ms. parigino): gli ambasciatori di Alessandro buttati in mare dagli uomini di Tiro (c. LVIII b); attacco a Tiro (c. LX a); cattura di Betis (c. LXXV a); fondazione di Alessandria (c. LXXVI a); Alessandro passa in rassegna il suo esercito (c. LXXXVII b); Dario in trono tiene consiglio di guerra (c. XCIX b); Alessandro assiste al torneo (c. CLV a); Alessandro entra in Persia (c. CIX b); Alessandro incendia Persepoli (c. CXVI a); Alessandro e Satirbane (c. CXL b); Filote in catene (c. CLV a); strage di Drancida (c. CLXVIII b); la moglie di Sitamone (c. CXCII a); nozze di Alessandro (c. CXCV b); il supplizio di Callistene (c. CCIV a); la resa di Megaso (c. CCIX b); il capitano Porus (c. CCXVII a); Alessandro passa in rassegna l’esercito da una barca (c. CCXXXIV a); Duello di Dioxip-pe (c. CCXXXVII a); decapitazione dei governatori (c. CCXLVII a): questa scena è quella più fedele al modello parigino; uccisione di 13 sediziosi (c. CCLIII a); morte di Alessandro (c. CCLVI b); Aride investito del potere (c. CCLXII a); Perdicca e gli elefanti (c. CCLXV b). 40 Per i pavimenti cfr. le miniature delle cc. 134 b, 152 b, 198 a, del nostro ms. con quelle delle cc. XCIX b, CXVI a, CLV a, del ms. parigino. Per gli interni cfr. le miniature delle cc. 134 b, 198 a, 224 b, 251 a, del nostro ms. Cfr. anche Le livre des demandes et responses en amours (ms. 84.7 Aug. della Herzogliche Bibliothek di Wolfenbiittel: L. Olschki cit., p. 46, tav. LV). — 216 — alcune miniature di tono minore, nelle quali si avverte il tentativo di imitare il maestro (soprattutto nel dettaglio dei paesaggi e nel luccichio delle armature) senza andare oltre a risultati assai modesti11. Alcune scene di guerra, però, in cui sono presenti mura e castelli, ridotte e semplificate 12, ci hanno indotto a identificare nel loro esecutore l'artista che ha collaborato, prima del 1475, a un'altra copia dell’opera dell'umanista portoghese: al ms. Burney 169 del British Museum di Londra, attribuito agli allievi del Liédet ‘3. Si tratterebbe dell'anonimo « maestro delle Cronache d'Inghilterra » 11, cui si deve anche il ms. delle Storie troiane di Raoul de Fevre di Wolfenbüttel45. Alcune scene del ms. londinese corrispondono perfettamente ad analoghe miniature del nostro manoscritto l6, che rappresenterebbe pertanto uno dei primi lavori dell’allievo del Liédet. L'elemento 11 Cfr. ad es. le miniature delle cc. 59 a, 62 a, 95 a, 109 a, 113 b, del nostro ms. 42 Cfr. le miniature delle cc. 88 a, 91 b, 95 a, 98 a. Apparterrebbero, a nostro avviso, all’allievo le miniature delle cc. 35 b, 36 a, 59 a, 62 a, 88 a, 91 b, 95 a, 98 a, 102 a (forse in collaborazione col «maestro della grisaille»), 109 a, 113 b (anche questa in collaborazione col «maestro della grisaille»), 118 a, 128 b, 139 b, 145 bv 168 b, 184 b, 240 b (dove è presente anche la mano del maestro, soprattutto nel trattamento dei colori), 255 b, 264 a. Avrebbe inoltre collaborato alla esecuzione delle miniature delle cc. 134 b, 198 a, 224 b. 43 A. Bossuat cit., p. 209; D. Diringer cit., p. 423; D. J. A. Ross cit., p. 70. 11 Ms. 2532 della Nationalbibliothek: F. Winkler cit., pp. 78, 206, tav. 39; D. Diringer cit., p. 423. 13 Ms. A. I. 2. della Landesbibliothek: L. Olschki cit., pp. 4546, tav. LIV. L’Olschki attribuisce il ms. ai tempi di Filippo il Buono; noi riteniamo che sia più tardo, soprattutto perchè la scrittura si avvicina molto allo stile di quella del Burney 169. Lo stesso ms. di Wolfenbüttel è stato attribuito recentemente al periodo post-borgognone: La miniature flamande cit., p. 187. 16 Cfr. soprattutto le miniature delle cc. 62 a, e 128 a, del nostro ms. con quella della c. 36 a, del ms. londinese. Per l’identità di alcuni pavimenti cfr. le cc. 43 a e 74 a del nostro con le cc. 14 a, 17 b, 114 b, 193 b, di quello londinese. Le fortificazioni del Burney 169 (c. 131 b ad es.) ricalcano fedelmente la semplicità di quelle di Tiro di cui alle cc. 88 a, 91 b, 95 a, del nostro volume; cfr. anche L. Olschki cit., tav. LIV. — 217 — che distingue nettamente l’allievo dal maestro è il senso del colore: nel primo mancano del tutto le corrispondenze di colore che consentono di fondere cose e personaggi nel paesaggio creando un tutto armonico di alta qualità. Nel nostro volume risulta infine evidente, o fortemente probabile, la presenza di un’altra mano, tutt’altro che disprezzabile, che attribuiremo a un ignoto « maestro della grisaille »: il monocromatismo di questa tecnica miniaturistica, i drappeggi delle vesti, i tratti somatici dei visi di alcune scene 17 indurrebbero ad escludere la presenza del Liédet, facendo sospettare quella di una mano diversa, che per il momento ci resta ignota, anche perché non tutti i problemi della storia della miniatura ai tempi di Carlo il Temerario risultano perfettamente chiariti. Loyset Liédet avrebbe eseguito quindi poche miniature del I libro, nessuna del secondo, poche del III e del IV, quasi tutte quelle del V, tutte quelle del VI, poche del VII, tutte quelle dei libri VIII e IX48. In quale periodo però dovremo inquadrare il codice genovese e, per analogia, il Vat. Reg. 736 che, anche nella scrittura, appare dello stesso periodo e della stessa officina? Il termine a quo può essere agevolmente fissato intorno al 1468, quando Vasco di Lucena ultimava la sua opera: sappiamo già, infatti, che solo verso il 1470 fu ultimata la copia ufficiale destinata a Carlo il Temerario. Il termine ad. quem può esserci offerto dalla cronologia del « maestro delle Cronache d’Inghilterra »: se infatti, come pensiamo, questo allievo del Liédet ha collaborato, ancora all’ombra del maestro, alla decorazione del nostro manoscritto e, successivamente, raggiunta una sua personalità artistica autonoma, ha lavorato al Burney 169, acquistato nel 1475, ci sembra che quest’ultima data possa essere accolta 47 Apparterrebbero, a nostro avviso, al «maestro della grisaille» le miniature delle cc. 30 b, 43 a, 56 a (nella quale però potrebbe esserci anche la mano del Liédet), 67 a, 69 b, 74 a, 77 a, 107 a, 152 b (con qualche incertezza da parte nostra circa l’attribuzione), 159 b. 48 Cfr. le miniature delle cc. 18 a, 21 b, 50 b, 82 b, 85 a, 122 b, 134 b, 151 b, 164 a, 173 a, 180 a, 189 a, 198 a, 204 b, 214 a, 224 b, 237 a, 251 a, 268 b, 271 b, 284 a, 288 b, 295 b, 299 b, 306 b, 309 b, 316 b, 320 a. — 218 — con sufficiente approssimazione come secondo termine della questione. Non si dimentichi, d'altra parte, che la morte del Liédet è collocata intorno al 1478 e che, negli anni posteriori al 1470, esaurito dalla ricchissima produzione personale del decennio precedente, egli fece sempre più ricorso alla collaborazione degli allievi, certamente in misura assai più ampia che nel nostro manoscritto. Ci è di conforto, in questa ipotesi, anche l'esame della decorazione marginale che, usata dal Liédet nella sua produzione di Hesdin ‘9, fu poi abbandonata nel primo periodo di Bruges, soprattutto durante la feconda collaborazione con David Aubert, cui si doveva la moda del libro privo di decorazione marginale ’°, e che già doveva aver collaborato col suo conterraneo negli anni di Hesdin. Il codice parigino di Yvonnet il giovane rivela ancora l’influenza determinante dello stile editoriale auber-tiano: esso risale al periodo 1468-70. Nel '70, però, l'arrivo a Bruges di Filippo di Mazerolles, o di Liévin van Lathem, produsse nelle officine scrittorie della città una rivoluzione del gusto, cui non potevano sottrarsi quegli editori che volevano sostenere la concorrenza51. Liédet, che aveva impiantato una sua officina, e che rappresentava il gusto della nuova borghesia cittadina, non rimase estraneo a questo rinnovamento della pagina decorata marginalmente, anche se, almeno nel nostro manoscritto, non cedette al gusto dell’orrido e del favoloso, rappresentato da strane figure di animali, che divenne una caratteristica degli ornati di Bruges dopo il 1470. Anzi, proprio la fedeltà a un gusto sobrio, all’« acanto fiorito », con 1 introduzione di qualche animale (già presente, del resto, nei manoscritti di Hesdin), unitamente allo scarso sviluppo calligrafico 49 Cfr. G. Di Domenico cit., tav. 1 e La miniature flamande cit., tav. 31. 50 L. M. J. Délaissé, Les Croniques cit., p. 22, n. 5. Sull’opera di David Aubert cfr. J. W. Bradley cit., I. pp. 80-81; sulla collaborazione col Liédet cfr. La miniature flamande cit., pp. 100-101. 51 Sull’identificazione di Filippo di Mazerolles con Liévin van Lathem cfr. La miniature flamande cit., p. 102 che riprende le conclusioni di una tesi di laurea deH’Università di Gand ancora inedita: A. De Schrijver, De Miniaturisten in dienst van Karel de Stoute. — 219 — delle lettere della prima e dell’ultima riga che, sulle orme del van Lathem, quasi si legavano alla decorazione marginale, riteniamo che il codice genovese sia uscito da una bottega di Bruges non molto dopo il 1470, prima, comunque, del 1475, data di acquisto del Burney 169. Purtroppo, la cronologia delle opere del Liédet si presenta particolarmente difficile da determinare, soprattutto dopo il ’70, sia per l’enorme produzione dell’artista di Hesdin, sia per la massiccia presenza di numerosi imitatori educati alla sua scuola. 4. - Vediamo ora se la datazione proposta in sede di studio della miniatura possa reggere anche al confronto con la scrittura. Qui le difficoltà diventano maggiori e il discorso più approssimato, sia perché non è sempre facile disporre di fac-simili di codici localizzati e datati52, sacrificati in genere alla miniatura, sia perchè mancano ancora studi particolari sull’espe-rienza grafica degli stati borgognoni. Cercheremo quindi, senza poter entrare decisamente nel merito di tutti i problemi, di far risaltare i caratteri tipici che evidenziano i vari centri scrittori, senza dimenticare, naturalmente, che gli spostamenti degli scribi, talvolta al seguito della Corte, da un centro all’altro possono rendere più incerte le conclusioni53. Fino all'epoca di Filippo il Buono non sembra si possa parlare di forme grafiche peculiari degli stati borgognoni: i mss. appartenenti alle biblioteche di Filippo l’Ardito e di Giovanni Senza Paura, fino ai primi tempi del terzo duca di Borgogna, 52 Determinante potrà essere, al fine di uno studio globale dell’argomento, la pubblicazione dei volumi della serie Manuscrits datés relativi al fondo francese della Biblioteca Nazionale di Parigi e alla Biblioteca reale di Bruxelles. Resta poi sempre aperto il problema dei mss. decorati e miniati in un luogo e scritti in un altro; è pur vero che il compito di localizzare le diverse operazioni è facilitato dalle caratteristiche di gruppo di quei centri scrittori che appaiono sensibili a dei valori estetici ben precisi e costanti (La miniature flamande cit., pp. 4446) ai quali non doveva sfuggire la stessa scrittura. — 220 — sono sempre di provenienza parigina ■’*; l’attenzione politica dei duchi è ancora rivolta verso Parigi; la corte sembra compieta-mente immersa nella cultura, nel costume e nel gusto della civiltà francese. È pur vero che la mancanza di facsimili di codici provenienti dai territori meridionali del Ducato, da Di-gione in particolar modo, non ci consente di spingere le ricerche in questa direzione; d’altra parte, chi ci ha preceduto nelle indagini sullo sviluppo della miniatura, alla quale è pur necessario restare debitori di numerosi spunti, sia per la localizzazione e la datazione di molti manoscritti, sia per l’esame delle forme gra- 44 Cfr., tanto per restare nel campo delle bastarde, C. Gaspar - F. Lyna, Les principaux manuscrits à peintures de la Bibliothèque royale de Belgique, Bruxelles, 1937-45, I, taw. XCV b, XCVI a, XCVI c, XCVII a, C, Cil a, CII b, CIII, CVI, CVII, CXI a, CXII a; per il periodo di transizione tra l’influsso francese e la nascita di uno stile fiammingo borgognone cfr. soprattutto la scrittura di Gilberto di Metz nel famoso Decameron tradotto da Laurent de Premierfait (ms. 5070 della Bibliothèque de l’Arsenal di Parigi: P. Durrieu cit., pp. 42-43, tav. IV; F. Winkler cit., p. 194; H. Martin - P. Lauer cit., p. 41, tav. L; La miniature flamande cit., tavv. 10,12; Ch. Samaran-R. Marichal, Catalogue des manuscrits en écriture latine portant des indications de date de lieu ou de copiste, Parigi, 1959, I, p. 173, tav. XCIVb). E che non si tratti di una tendenza individuale è dimostrato dal Gouvernement des princes di Gilles de Rome, tradotto da Jean Golein (ms. 5199 della Bibliothèque de l’Arsenal di Parigi: Ch. Samaran-P. Marichal cit., I, p. 187, tav. XCV a) scritto da Jehannin de Costimont a Bruxelles, verso il 1437, nel quale sono evidenti gli influssi di Gilberto di Metz che lavorava a Grammont. Anche il ms. 653 del Museo Condé di Chantilly (Le paradis de la reine Sybille di Antonio de la Sale: Ch. Saraman - P. Marichal cit., I, p. 49, tav. XCIV a) partecipa dello stesso stile grafico. Si vedano anche la versione di Raoul de Presles de La città di Dio di Sant’Agostino (ms. 9016 della Bibliothèque Royale di Bruxelles: La miniature flamande cit., tav. 9), la versione di Laurent di Premierfait del De senectute di Cicerone (ms. 11127 della Bibliothèque Royale di Bruxelles: C. Gaspar-F. Lyna, Les principaux manuscrits cit., II, p. 126, tav. CXLII b; La miniature flamande cit., tav. 11), Le champion des dames di Martin le Franc (ms. 9466 della Bibliothèque Royale di Bruxelles: C. Gaspar-F. Lyna, Les principaux manuscrits cit., II, p. 130, tavv. CXLIII-CXLIV; Idem, Philippe le Bon cit., tav. IV; La miniature flamande cit., pp. 38-39, tav. 13). Cfr. anche la scrittura di Jean d’Ardenay, un parigino che lavorava a Lille: Histoire des seigneurs de Gavre (ms. 10238 della Bibliothèque Royale di Bruxelles: La miniature flamande cit., p. 81, tav. 34). — 221 — fiche che ad essa si connettono, non ha mai prestato una seria considerazione a questi centri scrittori. Il gusto francese appare incontrastato fin verso la metà del secolo XV: solo dall'ultimo ventennio di Filippo il Buono, accentuandosi la coscienza nazionale borgognona, appaiono le prime manifestazioni di un rinnovato gusto librario, alimentato anche dalla produzione di nuovi scritti destinati all’esaltazione della dinastia. Basterebbe, a titolo di esempio, osservare l’evoluzione della foglia d'acanto, di tipo italiano, nella decorazione marginale, per averne una prova. In questo clima di rinnovamento, la scrittura non fa eccezione e comincia a distinguersi dalla comune bastarda francese, o dalla gotica, verso la metà del secolo. Lo spostamento a Nord, verso le Fiandre, della politica borgognona, la magnificenza della corte di Filippo il Buono, prima, di Carlo il Temerario, poi, la restaurazione, attorno a una società raffinata ed elegante, di temi e motivi dell’età medievale, aprono alla letteratura, alla musica, all’arte un’epoca di splendida fioritura. La corte di Borgogna è ormai protesa a rivaleggiare con quella francese, in un sogno politico grandioso, così pieno di anticipazioni moderne e pur così tenacemente soffuso di mentalità e di spirito medievali. Si tratta di un’esperienza unica, che finisce per inseguire un sogno irrealizzabile, volto a ripetere temi e costumi di una società cavalleresca, proteso piuttosto verso il passato che non verso l’avvenire: in questo senso, l’esperienza artistica e grafica borgognona, o meglio fiamminga, sarebbe rimasta un fenomeno isolato, se il matrimonio di Carlo il Temerario con Margherita di York e quello di Maria con Massimiliano d’Absburgo non avessero aperto nuovi orizzonti, consentendo ulteriori scambi culturali che arrivano, in qualche caso, fin verso la metà del Cinquecento e che meriterebbero una più approfondita analisi. Ciò premesso, è necessario seguire, anche per la storia della scrittura, quella della miniatura fiamminga, soprattutto attraverso i centri scrittori di Mons e di Hesdin che, il secondo in particolar modo, sono i centri di formazione della bastarda borgognona. Trascurabile dovrebbe essere l’apporto delle officine librarie di Valenciennes, nelle quali la scrittura non si diversifica molto dalle forme francesi. Essa presenta, al massimo, una mag- — 222 — giore impronta gotica, resa evidente dalla spezzatura delle curve, dal gusto dell’ogiva, dalla rigidezza del ductus, come se lo scriba si fosse sforzato di inserire forme gotiche nel tronco di una scrittura eminentemente corsiva; l’allineamento non è sempre costante, creando spesso una certa disarmonia fra forme oblique e forme verticali; si osserva soprattutto scarsa osservanza della regola del Meyer a proposito della r (ben altrimenti osservata in altre scritture fiamminghe) e l'uso della r uncinata anche in inizio di parola; scarso risulta l'uso delle appendici a proboscide; presente invece la spezzatura delle aste di / e / alla base, la curvatura della q che sarà una costante delle scritture fiamminghe 5\ Molto più interessante appare l'esperienza di Mons dove, attorno alla metà del secolo, nelle officine di Jean Wauquelin e di Jacquemart Pilavaine, viene sviluppandosi un tipo di scrittura minuta, altamente calligrafizzata, definita, forse un po’ affrettata-mente, dal Délaissé ora come scrittura corrente « quadrata », non ancora bastardizzata 56, ora come una varietà della grande ba- 55 Cfr. La fleur des histoires di Jean Mansel (mss. 9231-32 della Bibliothèque Royale di Bruxelles: P. Durrieu cit., tav. VII; C. Gaspar-F. Lyna, Philippe le Bon cit., tavv. VIII-XI; L. M. J. Délaissé, La miniatura fiamminga cit., tavv. 29-32; Trésors cit., tav. 4; L. M. J. Délaissé, Miniatures médiévales cit., taw. 33-34; La miniature flamande cit., tavv. 2-3; 27-29. 56 L. M. J. Délaissé, Les Croniques cit., pp. 35-36; La miniature flamande cit., p. 39. L’autore, pur sospettando che il ms. cui si riferisce, il Valerio Massimo della Biblioteca Nazionale di Parigi (ms. fr. 6185: La miniature flamande cit., tavv. 15, 17) sia uscito da un’officina di Mons anteriormente al 1447, non ha preso in considerazione che la scrittura partecipa dello stile grafico di Mons. Invece, la copia dello stesso volume conservata alla Biblioteca dell’Arsenale (ms. 5196: Ch. Samaran-P. Marichal cit., I, p. 187, tav. XCIX) che dovrebbe essere uscita dalle stesse officine (La miniature flamande cit., p. 39), presenta forme grafiche diverse (addolcimento del ductus, maggiore inclinazione della scrittura, presenza della r bastarda in guisa di v, maggiore curvatura della t) identiche a quelle del Casanatense 233. Aggiungiamo che l’uso frequente della r uncinata, anche in deroga alla regola del Meyer, già osservato dall’Egidi (P. Ecidi, Per la datazione del codice casanatense AI 8, 233, in Scritti vari di filologia dedicati a Ernesto Monaci, Roma, 1901, p. 407) collocherebbe i due mss. tra le forme grafiche di Valenciennes e quelle di Mons, molto vicine a quelle di Hesdin, inducendo a sospettare un influsso del primo centro sul secondo, facilmente accettabile se si tiene conto della vicinanza dei due centri. E’ vero che - 223 - starda borgognona :'7. Mentre per le scritture di Valenciennes si ha l’impressione che la base di sviluppo sia una scrittura cancelleresca sul tipo della bastarda francese, comunque corsiva, che attraverso un processo di calligrafizzazione, non troppo esasperato per la verità, giunge a un compromesso tra forme bastarde e forme gotiche sovrapposte, dagli scrittorii di Mons si ricava l’impressione opposta: nei centri di Wauquelin e di Pilavaine, nel primo soprattutto, la base di partenza è piuttosto una scrittura gotica, trattata diversamente, moderatamente corsiva, bastardizzata solo in alcune forme. Anche qui l’allineamento delle lettere non si presenta costante: in genere l’inclinazione a destra è riservata solo alle aste lunghe, discendenti sotto il rigo ed appuntite, più proporzionate al corpo delle lettere delle corrispondenti forme gotiche. A differenza della bastarda, questa scrittura, fortemente angolosa, con le caratteristiche spezzature del tratto, presenta una scarsa corsività o, meglio, viene tracciata con elementi presi a prestito dalla bastarda, come, ad esempio, il tratteggio, rispettando però l’ideale intelaiatura ortogonale della littera de forma e giungendo a l’Egidi (pp. 405-406), affermando che la scrittura del ms. romano è una gotica che presenta un aspetto ben differente dal comune, sì da farlo attribuire a una scuola speciale, lo riferisce erroneamente ai tempi di Giovanni senza Paura (p. 412), contrariamente all’opinione del Monaci (E. Monaci, Facsimili di antichi manoscritti per uso delle scuole di filologia neolatina, Roma, 1881-1892, tav. 65) che lo collocava nella seconda metà del secolo XV: l’Egidi, tuttavia, avvertiva già allora il nesso che unisce la bastarda borgognona alla gotica. Resterebbe ancora aperto il problema della presenza o meno del Liédet nelle officine di Mons: se le miniature dei due mss. citati appartengono alla sua mano e denunciano l’influsso determinante di Simon Marmion, l’artista più famoso di Valenciennes, se, come sembra, i due volumi sono stati scritti a Mons, è possibile che in essi debbano ravvisarsi i primi lavori giovanili di Loyset Liédet nelle officine di Mons; oppure che i due manoscritti, scritti nelle officine di Wauquelin,, siano stati successivamente decorati a Hesdin; e tuttavia occorre sottolineare che la decorazione marginale del Casanatense è tipica degli ateliers di Mons. 57 La miniature flamande cit., p. 51, taw. 18, 19, a proposito dell 'Histoire d’Alexandre di Jean Wauquelin, già citato alla nota 27. — 224 — risultati di notevole impegno, soprattutto nell'officina di Wauquelin 58, ché quella di Pilavaine, più allungata in senso verticale 59, non sfugge a quel giudizio di « fredda ammirazione » cui si riferisce il Cencetti60. Cfr., oltre al ms. citato alla nota 27, le Croniques de Hainaut di Jacques de Guise (mss. 9242-9244 della Bibliothèque Royale di Bruxelles: P. Durrieu cit., p. 51, tav. XXXVI; L. M. J. Délaissé, Les Croniques cit., passim; Idem, La miniatura fiamminga cit., tavv. 6, 20, 21, 51; Idem, Miniatures médiévales cit., tav. 27; La miniature flamande cit., p. 52, tavv. 20, 21; cfr. anche E. H. J. Reusens, Eléments de paléographie, Lovanio 1899, ristampa anastatica Bruxelles, 1963, tav. XLIX, che riproduce una pagina fortemente ingrandita del ms. 9342). Non riteniamo corretto perciò parlare di questa scrittura come del primo esempio datato (1448) della bastarda borgognona (Trésors cit., p. 53); è però significativo che la nascita della nuova scrittura, o meglio di alcune forme di essa, venga localizzata a Mons, che dovette rappresentare il maggiore centro scrittorio delle Fiandre, prima di cedere il passo a Bruges. Il Girart de Rousillon (ms. 2549 della Nationalbibliothek di Vienna) sarebbe dovuto invece ad elementi stranieri che avrebbero lavorato a Mons: La miniature flamande cit., pp. 54-55, tavv. 22-23; la scrittura, come la decorazione marginale, richiamano alla mente il breviario benedettino di Grammont conservato nell’abbazia di Maredsous, la cui scrittura esce già dai canoni della littera de forma per assumere alcune forme della bastarda: L. M. J. Délaissé, Les techniques du livre dans le bréviaire bénédictin de Grammont, in Scriptorium, XII, 1958, pp. 104-107, tavv. 1-7; La miniature flamande cit., pp. 4243, tav. 16. 511 Cfr. la Vie de Jésus Christ (ms. 9331 della Bibliothèque Royale di Bruxelles: P. Durrieu cit., p. 58, tav. LV; P. D’Ancona-E. Aeschlimann cit., tav. CIX) e Le livre du gouvernement des princes di Gilles de Rome (ms. 9043 della Bibliothèque Royale di Bruxelles: La miniature flamande cit., tav. 24) che partecipano dello stile appuntito ed angoloso della tecnica di Mons. Nel Sept ages du monde (ms. 9047 della Bibliothèque Royale di Bruxelles: F. Winkler cit., pp. 39-40, 163, tav. 11; L. M. J. Délaissé, Les Croniques cit., tav. 12; Idem, La miniatura fiamminga cit., taw. 34-35; Idem, Miniatures médiévales cit., tav. 35; La miniature flamande cit., tav. 26) lo stile del Pilavaine diventa più personale, attraverso l’allungamento delle lettere, l’uso di una d ad occhiello romboidale, l’inclinamento a destra di f ed 5 fuori asse rispetto alle altre lettere, offrendoci uno dei tipi più posati della bastarda borgognona (La miniature f amande cit., p. 49), ma assai prossimo a una gotica pressocchè di forma (L. M. J. Délaissé, Les Croniques cit., p. 45). 60 G. Cencetti, Lineamenti di storia della scrittura latina, Bologna, 1954, p. 250; il Cencetti ha colto nel segno là dove parla della formazione di una scrittura cancelleresca goticheggiante (p. 235); tuttavia, ci sembra - 225 — 15 La a corsiva si presenta fortemente angolosa; la b, la h e la / presentano l'incurvamento in alto dell’asta, fin quasi a chiudersi ad occhiello, mentre in basso si trovano in due forme: una più propriamente gotica con la spezzatura della base, l’altra, più dolce, con l’asta ripiegata verso l’alto a legare a destra; la d onciale rivela la sua manierizzazione attraverso il leggero filetto ripiegato a destra dell’asta; la e presenta due forme, con occhiello aperto o ripiegato e chiuso da un leggero filetto; la g è in tre tempi, con l’occhiello fortemente angoloso, risultato di un tratto calcato discendente ripiegato ad angolo con un leggero filetto montante verso destra, di un’asta calante, progressivamente assottigliata e prolungata verso sinistra, e di una sbarra che si sovrappone in alto tagliando l’inizio dei due tratti discendenti (questa caratteristica permane in quasi tutte le scritture borgognone, più o meno accentuata); la / e la s non presentano novità di rilievo rispetto alla bastarda; i, m ed n hanno sempre la spezzatura delle di poter affacciare l'ipotesi che tale procedimento possa essere confermato dall’esame delle scritture di cancelleria, assai meno se si confrontano le librarie, soprattutto quelle borgognone che denunciano spesso un processo inverso: dalla gotica alla bastarda. Nella Francia del Nord e nei territori borgognoni, inoltre, si ripeterebbe quel dualismo grafico tra scritture usuali e scritture librarie che condurrà alla formazione di una nuova littera de forma per i testi in volgare. Esempi di questo dualismo sono riscontrabili nelle famose minute di Jean Miélot (Briève compilation des histoire de toute la Bible, ms. 11,239 della Bibliothèque Royale di Bruxelles: P. Durrieu cit., p. 47, tav. XVIII), scritte in una bastarda corrente, poco caratterizzata, e nei volumi più lussuosi usciti dalle sue mani, o da quelle dei suoi allievi, che presentano una scrittura più geometrizzata, più dura e angolosa, caratterizzata dalla r bastarda in guisa di v, molto chiusa ed angolosa, dalla d onciale ad asta ripiegata in dentro, sì da formare un doppio occhiello, dal forte chiaroscuro, dall’abbondanza di filetti complementari, da una forte spezzatura del tratto: cfr. Miroir de l'âme pecheresse (ms. 76 E 9 della Koninklijke Bibliotheek dell'Aja: G. I. Lieftinck, Manuscrits datés conservés dans les Pays Bas, I, Amsterdam, 1964, tav. 269), Traité de l'oraison dominicale (ms. 9092 della Bibliothèque Royale di Bruxelles: F. Winkler cit., pp. 59, 164, tav. 31; L. M. J. Délaissé, La miniatura fiamminga cit., tav. 28; Idem, Miniatures médiéx'ales cit., tav. 40); cfr., soprattutto per meglio accertare la base gotica di questa scrittura, il Libro d’ore di Filippo il Buono (ms. 76 F 2 della Koninklijke Bibliotheek dell’Aja: A. W. Byvanck, Les principaux manuscrits à peintures de la - 226 - aste alla base; raramente presentano (unitamente alla h) le appendici a proboscide; più spesso sono precedute dai tratti arcuati; p e q, hanno aste appuntite e più proporzionate al corpo delle lettere; mancano le forme caratteristiche della r tracciata in guisa di v, come scarsamente caratterizzata si presenta la v chiusa in inizio di parola. * * * Anche se per il centro scrittorio di Hesdin, paese natale di Loyset Liédet e di David Aubert, il più famoso calligrafo della corte di Borgogna, non possediamo sufficienti informazioni per la scarsità di facsimili di codici localizzati e datati61, le conclusioni che possiamo trarne appaiono assai importanti per la storia della scrittura borgognona. L’esame delle scritture di Hesdin, nel decennio 1450-60, a prescindere dalla presenza di Aubert, che si rivelerà in seguito il Bibliothèque royale des Pays Bas, Parigi, 1924, pp. 55-59, tavv. XXIV-XXVI; L. M. J. Délaissé, La miniatura fiamminga cit., tav. 12; G. I. Lieftinck cit., tav. 271) scritto da due mani diverse, di cui una è del Miélot, mentre 1 altra, il cui ductus, più dolce ed arrotondato, denuncia la presenza di forme bastarde, risulta di epoca più tarda. Per i motivi che abbiamo addotto, ma è un problema da riprendersi in altra sede, non ci sembra opportuno parlare di bastarde italiane (E. Chrous- J. Kirchner, Die gotischen schriftarten, Lipsia, 1928, tav. 10, a proposito del Dante di Berlino, cod. Ham. 204) o fiorentine, perchè la bastarda tipica non può svilupparsi se non nei paesi che hanno conosciuto la formazione e lo splendore della gotica. II dubbio, già affacciato dal Battelli (G. Battelli, Lezioni di paleografia, Città del Vaticano, 1949, p. 232, n. 25), e decisamente superato dal Cencetti nel corso della trattazione sulle scritture cancelleresche usate a scopo librario, sembra essersi affacciato ultimamente anche allo stesso Kirchner, che preferisce definire fere bastarda la scrittura del Dante Tri-vulziano 1080: J. Kirchner, Scriptura gothica libraria, Monaco, 1966, p. 55, tav. 39. Il libro del Kirchner, d’altronde, con la ricca casistica offerta, ripropone decisamente Io studio di questa scrittura, già iniziato, sia pur in maniera discutibile, dal Lieftinck (Pour une nomenclature de l’écriture livresque de la période dite gothique, in Nomenclature des écritures livresques du IX au XVI siècle, Parigi, 1954, pp. 15-34; cfr. anche l’in-troduzione di Manuscrits datés cit.). 61 Cfr. Les histoires romaines e il II vol. de La fleur des histoires di Jean Mansel citati alla nota 27. — 227 — maggiore esponente del rinnovamento delle torme grafiche degli stati borgognoni, ci induce a pensare che in esso siano confluite tutte le esperienze precedenti del Nord della Francia e delle Fiandre; che da Hesdin, quindi, soprattutto attraverso 1 opera di Aubert, nella cui produzione giovanile sono forse presenti echi della scrittura di Jean Miélot si espanda quel movimento grafico che trionferà definitivamente nel grande centro scrittorio di Bruges. I principali aspetti della bastarda borgognona sono già quasi tutti presenti nelle scritture di Hesdin: pur innestate sicuramente sul grande tronco della gotica, con le tipiche spezzature delle basi di b, h, i, l, m, n, r diritta, t, u, spesso leggermente uncinate in basso a sinistra, col rigoroso rispetto delle regole del Meyer, queste scritture si accostano maggiormente alla bastarda per una più uniforme inclinazione a destra, moderata tuttavia, quasi compromesso tra bastarde francesi e germaniche, per il rigoroso appuntimento delle aste calanti, per la forma delle lettere caratteristiche (v iniziale ed r diritta). Abbandonando la rigidità del tracciato che distingueva i centri scrittori di Mons, esse giungono ad una maggiore rapidità di tratteggio, ad una più fluida scorrevolezza, a un sapiente dosaggio del chiaroscuro, che potrebbero preludere ad un più elevato grado di corsivizzazione se non fossero accompagnate da un certo manierismo, contraddistinto da filetti e trattini complementari non necessari, che rivela piuttosto un'esperienza di scuola, più voluta che spontanea. La stessa regolarità del tracciato, il rispetto di una ideale intelaiatura ortogonale, propri della gotica, denunciati dal Cencetti a proposito del Sant’Ambrogio torinese M, trovano in queste scrit- Cfr. la prima opera dell’Aubert: Croniques et conquetes de Charle-magne (mss. 9066-68 della Bibliothèoue Royale di Bruxelles: E. H. J. Reusens cit., p. 321; J. Van Den Gheyn, Chronicques et conquetes de Char-lemagne. Reproductions des 105 miniatures de Jean le Tavernier, Bruxelles, 1909; P. Durrieu cit., tavv. XX-XXI; F. Winkler cit., tav. 27; C. Gaspar -F. Lyna, Philippe le Bon cit., taw. XIX-XX; L. M. J. Délaissé, La miniatura fiamminga cit., taw. 14-16; Idem, Miniatures médiévales cit., tav. 36; Trésors cit., tav. 4; La miniature flamande cit., taw. 4, 40). 63 G. Cencetti cit., p. 250; cfr. Monumenta palœographica sacra, a cura di F. Carta-C. Cipolla-C. Frati, Torino, 1899, tav. CIV. - 228 - turc un equilibrio e un senso della misura che uniscono la praticità e la rapidità di esecuzione ad un notevole senso estetico, appesantito, forse, dai gusti non sempre raffinati dei borghesi « parvenus » di Bruges e di altre città delle Fiandre. Lo stesso ingrandimento della scrittura sembra dimostrare l’opulenza e la grandezza di una corte e di una borghesia in continuo sviluppo. Le maggiori novità rispetto alle esperienze precedenti sono le seguenti: la e presenta un occhiello costituito da una grossa virgola appuntita verso l'alto e collegata al primo tratto discendente da un sottile filetto, al contrario di quella di Mons il cui occhiello era ripiegato in basso; l’asta della f e della s, perfettamente affusolata in basso, non discende molto al di sotto del rigo; l’occhiello della g è meno angoloso delle forme di Mons, mentre l’asta discendente è fortemente prolungata a sinistra; il ripiegamento a destra delle aste ascendenti di h ed 1 è raramente chiuso ad occhiello; non molto pronunciati sono gli svolazzi a proboscide di h, m, n o i trattini arcuati iniziali di m ed n; le aste calanti di p e q, poco sviluppate ed appuntite, tendono ad incurvarsi a sinistra04; la r diritta in forma di v non appare usata costantemente ci; quella gotica è ridotta ad una grossa z; la 5 finale, come in tutte le bastarde, presenta la forma tipica della b maiuscola appuntita, l’asta della t tende ad incurvarsi, ad appunti rsi verso l’alto e ad allungarsi; l’uso di v iniziale in guisa di b appare alquanto moderato. Diversamente da Bruxelles, le cui fortune editoriali sono favorite, in maniera pressoché esclusiva, dalla frequente presenza della corte ducale; diversamente da Gand, che apre, negli ultimi anni del secolo, nuove prospettive nella decorazione marginale e nella miniatura, mentre chiude, in un generale e freddo decadimento delle forme grafiche, l’esperienza scrittoria borgognona, Bruges, il cui prestigio editoriale è favorito dalla politica antifrancese di Carlo il Temerario C6, rappresenta, nel decennio 1460- 64 Soprattutto nel ms. di Baltimora (cfr. nota 27); più raramente nelle storie romane della biblioteca dell’Arsenale di Parigi (cfr. nota 27). c:’ Qualche esempio si trova nel manoscritto di Baltimora; raramente usata nelle storie romane dell’Arsenale di Parigi (cfr. nota 27). 66 L. M. J. Délaissé, Les Croniques cit., p. 55. — 229 — 1470, la confluenza "7 e, al tempo stesso, per la qualità e la quantità delle opere uscite dalle sue officine, il culmine di un’esperienza artistica e grafica che, attraverso i tentativi di Mons e di Hesdin, del Nord della Francia e delle Fiandre, ha ormai conseguito la sua piena maturità. La nuova scrittura, nata dallo sforzo di conciliare la rigidità e l’eleganza della gotica, con la rapidità della cancelleresca o della bastarda, approda a una propria caratterizzazione che la distingue nettamente dalle altre scritture bastarde dell’epoca. La stessa impronta caratteristica dei centri scrittori borgognoni-fiammin-ghi, più visibile ad occhio che descrivibile, che la differenzia nettamente da quelli francesi, è indice sicuro di una coscienza grafica ormai consolidata, di un processo che, tuttavia, non è più borgognone, ma fiammingo. La bastarda borgognona, abbandonate quelle tendenze individuali che ne avevano accompagnato la nascita, raggiungerei decennio 1460-70, una tale uniformità e un tale grado di calligrafizzazione, che diventa spesso diffìcile, quasi impossibile, distinguere i vari centri scrittori fiamminghi, sia per la loro vicinanza che implica necessariamente frequenti scambi di esperienze, sia per gli spostamenti della Corte, seguita dagli scribi ufficiali addetti ad essa, da Jean Miélot a David Aubert. Ed è significativo che l’apparizione di una nuova letteratura ufficiale, destinata a esaltare una dinastia e un nuovo sentimento nazionale, che assume una fisionomia più particolareggiata man mano che crescono le fortune della corte borgognona, che marcia insieme alla politica r’8, sia accompagnata dalla formazione di nuove forme grafiche, che attraverso i magnifici volumi, di grande formato, riccamente decorati e miniati, testimoniano ancora del prestigio e della magnificenza della corte ducale 69; ancora più significativo che questo sviluppo autonomo dell’arte e della scrittura borgognona abbia inizio con Filippo il Buono e prosegua fino al suo culmine con Carlo il Temerario. Gli stessi strettissimi rapporti che legavano alla casa ducale i titolari dei maggiori centri scrittori dell’epoca sembrano avallare la suggestiva ipotesi di un 67 La miniature flamande cit., p. 99. 68 G. Doutrepont cit., p. 509. 69 G. Doutrepont cit., p. 461. — 230 — intervento diretto dei duchi nello sviluppo della nuova scrittura: nella ripresa di temi e motivi medievali, si giustificherebbe pure il lavoro di revisione e di adattamento della gotica, ultima prova suntuosa di un’esperienza volta piuttosto al passato che al futuro, destinata a decadere e a concludersi nella rovina della casa borgognona. L'impiego generalizzato della grande bastarda borgognona, però, alterava inevitabilmente l’equilibrio tra bianco e nero della pagina; non consentiva che un limitato numero di linee, esigendo quindi una quantità maggiore di fogli. D'altra parte, rovesciandosi il rapporto scrittura-decorazione a tutto vantaggio di questa ultima, la scrittura stessa diventava uno splendido elemento illustrativo del volume, contenuta e strettamente legata (spesso dai prolungamenti di penna della prima e dell’ultima riga) dalla decorazione 70. Per questo motivo, l’esperienza aubertiana del codice privo di decorazione marginale non ebbe un successo duraturo nella storia del manoscritto fiammingo. * * * Già diverse volte nel corso di questo studio abbiamo accennato a David Aubert. Abbiamo riservato all’ultimo l’esame della sua scrittura perchè riteniamo che essa abbia avuto un’influenza determinante nella storia della bastarda borgognona. Nato a Hesdin, nel centro scrittorio che più degli altri si avvicina alla piena maturità delle nuove forme, David Aubert è stato successivamente editore di libri a Bruxelles, verso il 1460, a Bruges, verso il 1467, e infine a Gand, nel periodo 1474-77 11. La sua presenza nei più importanti centri scrittori del paese non può non aver lasciato tracce profonde nella storia della scrittura. La sua prima opera datata conosciuta sarebbe Les croniques et conquetes de Charlemagne, terminata nel 1458 72, nella quale, forse per influenza dell’ambiente del Miélot, avvertiamo, soprattutto nel primo volume, un inizio stentato, un trattamento angoloso delle lettere (cfr. l’occhiello della d), una moderata inclinazione a de- 70 O. Pacht cit., pp. 55, n. 26; pp. 32-33. 71 La miniature flamande cit., p. 150. 72 Cfr. nota 62. — 231 — stra, destinata ad aumentare progressivamente, una pesantezza del tratteggio che sboccherà in seguito in un sapiente uso del chiaroscuro 73. E tuttavia, a parte queste caratteristiche, la scrittura di Aubert si presenta fin dall'inizio pienamente formata e tale resterà per almeno quindici anni71 : solo durante la sua permanenza a Gand si intravedono i primi segni della stanchezza, una mano non più ferma, soprattutto nel tratteggio degli occhielli e neH’allineamento della scrittura, una leggera sbavatura dei contorni delle lettere, un certo sforzo 7S. 73 Cfr. La miniature flamande cit., tav. 4; Trésors cit., tav. 5; La miniature flamande cit., tav. 40. 74 Cfr. le Croniques (ms. 6328 della Bibliothèque de l’Arsenal: H. Martin -P. Lauer cit. pp. 47-48, tav. LIX; Ch. Samaran-R. Marichal cit., tav. CIV), La Cronique des Empereurs (mss. 5089-90 della Bibliothèque de l’Arsenal: H. Martin - P. Lauer cit., p. 48, taw. LX-LXI), il Renaud de Montauban di Parigi già citato (cfr. nota 35); i Traités moraux (ms. Vit. 25-2 della Biblioteca Nacional di Madrid: Miniatures espagnoles et flamandes dans les collections d’Espagne, Bruxelles, 1964, tav. 30), Legende et miracles de Saint Hubert (ms. 76 F 10 della Koninklijke Bibliotheek dell’Aja: A. W. Byvanck cit., taw. XXXIV-XXXVI; G. I. Lieftinck, Pour une nomenclature cit., tav. 25; Idem, Manuscrits datés cit., tav. 276), La salutation angelique di Jean Miélot (ms. 9270 della Bibliothèque Royale di Bruxelles: J. Van Den Gheyn, Album belge de paléographie, Bruxelles, 1908, tav. XXVIII; C. Gaspar-F. Lyna, Philippe le Bon cit., tav. XXVI; L. M. J. Délaissé, La miniatura fiamminga cit., tav. 19; La miniature flamande cit., tav. 48), la Composition de la sainte écriture (ms. 9017 della Bibliothèque Royale di Bruxelles: P. Durrieu cit., tav. 30; F. Winkler cit., pp. 41, 163; C. Gaspar-F. Lyna, Philippe le Bon cit., tav. XV; L. M. J. Délaissé, La miniatura fiamminga cit., tavv. 40, 41; Idem, Miniatures médiévales cit., tav. 41; La miniature flamande cit., tav. 55), La Passion di Jean Gerson (mss. 9081-82 della Bibliothèque Royale di Bruxelles: C. Gaspar-F. Lyna, Philippe le Bon cit., tav. XIV; L. M. J. Délaissé, cit.. Miniatures médiévales cit., tav. 44; La miniature flamande cit., tav. 56) probabilmente suo, le Chroniques di Jean Froissart (della Stadtbibliothek di Breslau: L. Olschki cit., tav. LVI), il Romuleon di Roberto della Porta, tradotto da Jean Miélot (ms. Pai. 156 della Biblioteca Laurenziana di Firenze: G. Biagi, Riproduzioni di manoscritti miniati, Firenze, 1914, taw. 29-32). 75 Cfr. La vision de l’ame di Guy de Thurno (ms. Typ. 235 della Houghton Library di Cambridge, Mass.: La miniature flamande cit., tav. 59), Les croniques de Fiandre (ms. 659 della collezione del conte di Leicester di Holkham Hall: La miniature flamande cit., tav. 60) e forse il De vita Christi (ms. fr. 181 della Bibliothèque Nationale di Parigi: La miniature flamande cit., tav. 61) se non suo, molto vicino al suo stile. — 232 — Va osservata anzitutto la chiarezza della scrittura aubertiana, dovuta in gran parte allo stacco preciso delle lettere, a un moderatissimo uso della fusione delle curve opposte, alla scarsa presenza di filetti e di trattini complementari. Aubert usa costante-mente la spezzatura delle aste alla base, munendole spesso di un uncino a sinistra, comprese quelle della p e della q scarsamente sviluppate in basso; la d onciale, non più così spigolosa come nella prima opera datata, è sempre munita di un leggero filamento che prolunga l’occhiello; la e è del tipo di Hesdin; / ed 5, affusolate, non discendono molto al di sotto del rigo; la g è caratterizzata dal cornino formato in alto a destra dall’incontro della barra dell’occhiello con il tratto discendente, ripiegato a sinistra (quasi ad angolo retto) e scarsamente prolungato; la i iniziale di parola è quasi sempre alta; le aste ascendenti di h e di l non sono mai ripiegate ad occhiello se non nei mss. di Gand; scarso appare l’uso delle appendici a proboscide di h, m, n; mancano generalmente i tratti arcuati prima di m ed n; l’asta della /, spezzata in basso, è munita di un uncino a sinistra, se in inizio di parola; la o a due tempi presenta un forte chiaroscuro, come nelle scritture del Miélot; la r diritta, del tipo di Hesdin, è spesso uncinata alla base, se in inizio di parola; essa appare ben staccata in alto dalla lettera seguente; in seguito tenderà a legare anche in alto, senza raggiungere comunque le forme caratteristiche della bastarda; la r gotica appare come una z obliqua, con tendenza a posarsi orizzontalmente; la t, generalmente poco inclinata, tende ad incurvarsi quando lega in alto con la s; la barra trasversale termina spesso con un leggero trattino discendente; la 5 finale è sempre del tipo di b maiuscola, non necessariamente angolosa; la v iniziale appare molto moderata; ben più netta è la x (tipica di tutte le scritture bastarde), tratteggiata in guisa di una b quasi priva di asta. Già il fatto di aver visto apparire questa scrittura ben formata e quasi priva di evoluzione, induce a pensare che si tratti di un'esperienza di scuola, maturata, sulla base delle esperienze precedenti, nell’ambiente della corte borgognona; si tratta di una scrittura di lusso, e quindi costosa, perchè fortemente posata e calligrafica; di un tipo scrittorio che potrebbe apparire anche artificioso a chi considerasse prevalentemente gli aspetti tecnici — 233 — e, quindi, l’ibridazione della gotica de forma e della bastarda, rispetto all’aspetto culturale, oserei dire polemico, che la scrittura borgognona sembra proporre alla fine del Medio Evo. L’influsso che Aubert, uomo di corte, ha esercitato sulla scrittura del tempo, tanto che spesso si resta in dubbio se attribuirgli o meno alcuni manoscritti7C, non può essere contestato: i più bei volumi del tempo (1460-70), e basterà citarne alcuni a titolo di esempio 77, pur rivelando, più che vere e proprie tendenze, dei motivi individuali, quasi la firma dello scrittore, restano nell’in-dirizzo aperto dal calligrafo di Hesdin; il tratteggio, l’aspetto generale, le spezzature (magari con una più accentuata corsività, più delle singole lettere che del blocco compatto della scrittura 7S), 76 Cfr., ad es., i Miracles de Notre-Dame di Jean Miélot, vol. II (ms. fr. 9199 della Bibliothèque Nationale di Parigi: H. Martin, Les joyaux cit., tav. 76; A. De Laborde, Les Miracles de Notre-Dame, Parigi, 1929, I, taw. XIX-LXXXIV; Les plus beaux manuscrits français du VIII au XVI siècle, Parigi, 1937, tav. C; C. Gaspar-F. Lyna, Philippe le Bon cit., tavv. XXX-XXXI; La miniature flamande cit., tav. 39) e La prima guerra punica di Leonardo Bruni, tradotta da Jean le Bègue (ms. 10777 della Bibliothèque Royale di Bruxelles: La miniature flamande cit., tav. 47) che si avvicinano alle prime forme aubertiane. Cfr. anche, posteriori al 1470, YHistoire de la conquête de la Toison d’or (ms. fr. 331 della Bibliothèque Nationale di Parigi: P. Durrieu cit., tav. 46; La miniature flamande cit., taw. 6, 51) e Le livre des secrets di Aristotele (ms. fr. 562 della Bibliothèque Nationale di Parigi: La miniature flamande cit., tav. 50). Il quinto volume del Renaud de Mon-tauban (citato alla nota 29) lascia invece molto perplessi circa l’attribuzione: la e ad occhiello volto in basso, le pesanti fusioni delle curvature opposte, gli appuntimenti delle aste di p e di q (curva), la d priva di filetto si discostano troppo dai volumi aubertiani per non implicare qualche riserva neH’attribuzione; è comunque evidente che il volume, se non è delle mani del maestro, è dovuto certamente a quelle di un allievo bene esercitato. 77 Cfr. YHistoire de Troie di Raoul Lefevre (ms. 9263 della Bibliothèque Royale di Bruxelles: La miniature flamande cit., tav. 43), il Recueil des traités sur la noblesse (mss. 10977-79 della Bibliothèque Royale di Bruxelles: La miniature flamande cit., tav. 42), lo stesso ms. 22547 della Biblioteca Nazionale di Parigi già citato e, in gran parte, anche il Reg. 736 della Vaticana e il nostro volume. Cfr. anche la Chronique de Pise (ms. n. 133 della Hessische Landesbibliothek di Darmstadt: L. Olschki cit., tav. LX), e il Renaud de Montauban di Pommersfelden già citato (nota 29). 78 Ed è questo una degli aspetti più appariscenti della scrittura: questa mancata corsività, a tutto danno delle influenze individuali, rende — 234 — restano aubertiani, sia nei libri di Bruges, sia in quelli di Bruxelles. Non era Aubert il calligrafo ufficiale della Corte? Come avrebbero potuto, anche volendolo, gli scribi fiamminghi dissociarsi da una formula che il gusto del tempo aveva accettato seguendo l'alto esempio dei Duchi di Borgogna? Si tratterà di serrare di più la scrittura, di manierare maggiormente alcune lettere, munendole di trattini, di filetti, di cornini quasi (e, r, t, s finale) '9, di allungare le aste calanti, di inserire qualche lettera più corsiva (la d ad occhiello ripiegato in dentro o del tipo di s maiuscola) 80, di rendere più rapida la scrittura, anche a danno della regolarità, ma la bastarda borgognona avrà raggiunto ormai la sua perfezione, il suo vertice di sviluppo, al di là del quale non potrà esserci che la decadenza, l’arida imitazione, la fredda scoperta del nuovo, negli ultimi tempi di Carlo il Temerario, nel clima di depressione, di turbamento, privo di quel sereno ideale di vita degli anni di Filippo il Buono, annunziatore della fine del Ducato. Quanto abbiamo detto ci ha avvicinato al tempo del nostro volume che, secondo l’indagine condotta sulla miniatura, sarebbe attribuibile al periodo 1470-75; il codice genovese (come il spesso difficilissimo scoprire, attraverso la sola mano, 1 identità dello scrittore o del centro scrittorio. Ora, questa omogeneità non può derivare altro che da un gusto comune o, meglio, dalla « dittatura » — ci si perdoni il termine — grafica venuta dall’alto, dall’adozione di un modello da imitare rigorosamente. Basti osservare, soprattutto nel periodo 1460-70, la scarsissima presenza di legature di tipo corsivo che, meglio di ogni altio elemento, darebbero alle scritture un’impronta personale. 79 Cfr. La somme rurale di Jean Bouteiller già citato (nota 32), Loix, statuz et ordonnances militaires de Charles duc de Bourgogne (cod. gali. 18, 123 della Bayerische Staatsbibliothek: L. Olschki cit., tav. XII) e YHistoire de Sainte Hélène (ms. 9967 della Bibliothèque Royale di Bruxelles: J. Van Den Gheyn, L'Ystoire cit.; C. Gaspar-F. Lyna, Philippe le Bon cit., tav. XXIII; L. M. J. Délaissé, La miniatura fiamminga cit., tav. 53; Trésors cit., tav. 6; L. M. J. Délaissé, Miniatures médiévales cit., tav. 42; La miniature flamande cit., tav. 49), attribuito in un primo tempo ail Aubert (Trésors cit., pp. 72-73), ma certamente di altra mano (La miniature -flamande cit., p. 128). so Cfr., oltre ai mss. citati alla nota 77, le Chroniques di Jean Froissart (ms. fr. 2646 della Bibliothèque Nationale di Parigi: La miniature flamande cit., tav. 52). — 235 — Vat. Reg. Lat. 736 che appare contemporaneo al nostro) non si discosta di molto dalla scrittura modellata sui canoni aubertiani, sia pure attraverso l’inserimento di elementi nuovi, presenti, più o meno, in tutti quei manoscritti che risentono del maggiore splendore della scrittura borgognona, ivi compreso l’originale di Yvonnet il giovane: la d ad asta ripiegata in dentro o in guisa di 5 maiuscola; la maggiore caratterizzazione bastarda della v iniziale e della r gotica; la presenza dei trattini proboscidali, degli occhielli delle aste superiori, della g col primo tratto fortemente angoloso; la maggiore osservanza della fusione delle curve opposte; la presenza della et tachigrafia. In questi stessi anni, tuttavia, appaiono già i primi sintomi della crisi delle forme grafiche borgognone, annunciati dalla manierizzazione di alcune lettere: ora, se noi prendiamo come termini di confronto i manoscritti parigino e londinese, che già ci sono serviti di base per lo studio della miniatura, osserviamo che le forme grafiche del nostro codice sono assai più vicine a quello della Biblioteca Nazionale di Parigi che non all’esemplare del British Museum, nel quale avvertiamo già la rottura col passato e l’assunzione di forme nuove o, meglio, di forme che vogliono essere tali e che finiscono solo per generare un senso di fastidio, al massimo di ammirazione per la capacità scrittoria 81. Quel calore, quella forza di persuasione che emanano dai migliori manoscritti fiamminghi, quel senso di sicurezza che non è mai fastidioso perchè è indice di una coscienza grafica che ap- 81 Cfr., oltre al Burney 169 del British Museum di Londra, Le Jou-vencel di Jean de Beuil (cod. gali. 9, 490 della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco: L. Olschki cit., tav. XIII), Les fais d’Alexandre di Vasco di Lu-cena (M. gali. f. 89 della Universitatsbibliothek di Jena: L. Olschki cit., tav. XXXIV e il cod. mbr. I, n. 116 della Landesbibliothek di Gotha: L. Olschki cit., tav. LXIV), Le storie troiane di Wolfenbüttel già citate (nota 45), il Livre des faits du bon chevalier Jacques de Lalaing (nello Fürstlich Salm-Salm'sches Archiv di Anholt, Westph.: L. Olschki cit., taw. LXXV, LXXVI), e Les faits du preux Jule Cesar... (ms. 310 della Graflich Schônbornsche Bibliothek di Pommersfelden: L. Olschki cit., tav. LXXIX) attribuito dall’Olschki al 1460, ma che dovrebbe essere assai più tardo. Non sembra esatto parlare, a proposito di questi estremi sussulti grafici, di una gotica rotonda ispirata a quella italiana (La miniature flamande cit., p. 182). — 236 — poggia le radici nella consapevolezza di compiere quasi un dovere patriottico, attraverso l’esaltazione di una corte e di una ricca borghesia, vengono man mano spegnendosi, finché le forme di Gand, o della scuola « ganto-brugese », assottigliate, con scarso senso del chiaroscuro e della proporzione tra tratti fini e tratti grossi, con la loro compattezza, la verticalità delle lettere, quel certo disordine che rivela la mancanza di un disegno ideale ben preciso, vorremmo dire di quel rigore geometrico della migliore scrittura borgognona, non rappresenteranno il tracollo e la fine. La bastarda borgognona, che aveva trionfato anche nei testi liturgici, sostituendosi perfino alla tradizionale littera de forma che la scuola di Gand tentava di preservare, dando a forme superate dai tempi, se non il calore, almeno il decoro della bella pagina, appare, alla fine del secolo, al suo tramonto anche negli altri centri scrittori delle Fiandre: la pesantezza del tratto, il disordine dell’allineamento, la presenza di tutti quegli elementi non essenziali, che rappresentano i simboli della decadenza di una scrittura, accompagnano il tracollo degli stati borgognoni8 Giunti a questo punto, e proposta per il nostro manoscritto la datazione 1470-75, non possiamo non avvertire la sproporzione tra l’impostazione generale del tema e le conclusioni specifiche relative al codice preso in esame. Ce ne scusiamo col lettore, invocando a nostra giustificazione l’assenza di studi specifici sull’argomento, il timore di trarre conclusioni affrettate o azzardate, e, soprattutto, l’interesse del tema, che ci hanno allontanato dalla ricerca specifica, inducendoci a ripercorrere il cammino della bastarda borgognona, per sottolineare quegli aspetti, primo tra tutti la dipendenza della nostra scrittura dalla gotica, suscettibili di un più ampio studio e di un ben più meditato ripensamento. In 82 La miniature flamande cit., p. 182. 83 Cfr. Le champion des dames di Martin le Franc (ms. 3121 della Bibliothèque de l’Arsenal di Parigi: Ch. Samaran - R. Marichal cit., I, p. 153, tav. CXXXVIII), uscito da Hesdin nel 1481 e l'Abregé de la Somme théologique di Alberto Magno (ms. 130, 256 del Museo Condé di Chantilly: Ch. Samaran-R. Marichal cit., I, p. 13, tav. CXXXIX b) dello stesso anno. Cfr. anche il Valerio Massimo tradotto da Simon d’Hesdin (mscr. LXXI, LXXII della Stadtbibliothek di Lipsia: L. Olschki cit., taw. XXV, XXVI) nel quale sono evidenti i segni della rottura col passato. — 237 — esso non potranno essere elusi gli eventuali rapporti grafici tra Fiandre e Inghilterra; la durata della persistenza dello spirito borgognone nelle Fiandre imperiali e spagnuole, almeno fino a Carlo V, un discorso più ampio sulle scritture bastarde nei loro rapporti con la gotica. Nè potrà essere evitato un discorso paleo-grafico geo-politico che dovrà affrontare meglio i rapporti civiltà-scrittura alla fine del Medio Evo. A conclusione di queste note, infatti, viene spontaneo esprimere un paragone: mentre in Italia, risparmiata in gran parte dal predominio della gotica, nella Firenze di Lorenzo il Magnifico e di Machiavelli, accanto alla spregiudicata e realistica politica medicea, muove i primi passi la scrittura moderna sulle orme del- 1 umanistica, a Nord, nelle Fiandre borgognone, nell'ultima corte medievale d’Europa, l’ultima forma calligrafica medievale si spe-gne insieme alla dinastia di cui aveva contribuito ad innalzare il prestigio. Da una parte la scrittura che guarda all’awenire e cammina con la storia; dall’altra, essa, nell’impossibile sogno di restaurare un passato cavalleresco, si esaurisce con esso. - 238 - EDOARDO GRENDI MORFOLOGIA E DINAMICA DELLA VITA ASSOCIATIVA URBANA LE CONFRATERNITE A GENOVA FRA I SECOLI XVI E XVIII Da oltre trent’anni ormai Gabriel Le Bras ha aperto delle prospettive nuove per lo studio storico della vita e dei fenomeni religiosi. Noi dobbiamo a un suo articolo pubblicato nel 1940-41 sulle confraternite cristiane lo stimolo per questo studio '. Probabilmente uno studio minuto di tipo etnografico sarebbe risultato in qualche modo più moderno e stimolante; ma purtroppo lo storico può essere etnografo soltanto a misura del materiale di cui può disporre. In ogni caso una ricerca preliminare è sempre essenziale. Questa ricerca è stata da una parte deludente, poiché non abbiamo potuto rinvenire nessun archivio privato di confraternite genovesi2, e dall’altra invece assai utile quando ci siamo resi conto quanto scoperto sia rimasto per Genova il campo di quelle ricerche che Le Bras è venuto proponendo. Precisato così l’argomento del nostro interesse — le confraternite dell’epoca moderna — abbiamo cercato di uscire dai limiti della mera descrittiva morfologica, ponendo una serie di problemi e indicandoli come prospettive di studio capaci di rivelare una dimensione diacronica del fenomeno deH’associazionismo laico nella città pre-industriale. Abbiamo quindi definito delle tipologie associative storiche, fornito dei dati, studiato la distribuzione delle confraternite nell’area urbana; la storia del culto e dei conflitti giurisdizionali possono indicare degli schemi di periodizzazione: si è tentato pertanto di delinearli. Dopodiché abbiamo caratterizzato i diversi 1 G. Le Bras, Les confréries chrétiennes, in Révue d'histoire de Droit français et étranger, 1940-41, rist. in G. Le Bras, Etudes de sociologie réli-gieuse, II, Parigi, 1956, pp. 423-462. 2 Esiste in realtà un fondo di presumibile importanza nell'oratorio di S. Antonio alla Marina, al presente adibito a parrocchia, ma non ci è stato concesso di prenderne visione. Così non abbiamo potuto vedere l’importante Fondo Famiglie all’Archivio di Stato di Genova, al presente in disordine. — 241 — 16 perìodi nel complesso, o per illustrazioni significative. Abbiamo inoltre dedicato uno specifico interesse alle casacce, le antiche « case dei disciplinanti », e infine abbiamo esplorato l'evidenza di un declino delle confraternite urbane negli ultimi decenni del Settecento, prima della soppressione avvenuta nel 1811. Come si vede, non abbiamo posto molti limiti alla nostra ricerca. Rimandiamo a un epilogo la giustificazione di questo procedimento. Ad ogni modo ci è parso di aver fatto opera più utile e stimolante che non se avessimo ridotto tutto il lavoro alla illustrazione del catalogo che diamo in appendice. La storia religiosa di Genova è poco conosciuta, senza dubbio :1, ma il nostro lavoro vuol essere soprattutto un contributo alla storia sociale della città nell’epoca moderna: non è tanto la storia della spiritualità (intesa quasi sempre come storia di « élites ») che ci interessa, quanto la storia sociale nel senso più generale, di una civiltà urbana ancora dominata dalla cultura religiosa. I. - Questioni di morfologia associativa. La definizione della confraternita è il frutto di una, comparativamente tarda, elaborazione del diritto canonico che ebbe come protagonisti la Sacra Congregazione delle Indulgenze e la Sacra Congregazione dei Riti 4. Sia che i vescovi reclamassero, dopo il Tridentino, diritti di visita e di controllo — sia che i parroci rivendicassero la loro autorità su tali associazioni, laiche o miste — si faceva riferimento, nell’un caso e nell’altro, ad una tipologia di situazione: confraternita della chiesa parrocchiale e di chiesa nell’area della parrocchia, oratorii annessi a chiese o separati da esse, confraternite laiche o ecclesiastiche. La preoccupazione per una classificazione strutturale, di minore rilevanza pratica, doveva emergere solo più tardi. La distinzione fra « pie unioni » e « sodalizi » doveva risultare tanto più rigida e schematica: i se- 3 I manoscritti di Accinelli, Giscardi, Olivieri e Schiaffino sono ancora più utili che qualsiasi pubblicazione a stampa. 4 Si veda la voce Confrérie, a cura di H. Durand in Dictionnaire de Droit canonique, vol. IV. condi venivano distinti per la costituzione « a modo di corpo organico » ". Naturalmente a noi interessano di più le classificazioni storiche, più spesso empiriche, di rado definitorie. Nei decenni a cavallo del 1500 si parla di « domus disciplinatorum », « devotio », « consortia » e « societas ». I primi due termini non suscitano difficoltà: le case di disciplinanti sono le casacce e il termine « devotio » è riferito soprattutto ai prestigiosi culti laurenziani di S. Maria in vesti bianche e di San Giovanni Batti-sta — e poi, saltuariamente in altre Chiese, al culto mariano ed a quello del Corpo di Cristo. Queste « devotiones » non erano organizzate societariamente: in più d’un caso, tuttavia, una associazione statutariamente determinata si sostituì ad esse. Largamente informale doveva essere altresì l’organizzazione del culto e della vita associativa nelle case dei disciplinanti; qui lo sviluppo di statuti generali della « casa » fu una conseguenza della moltiplicazione delle confraternite aventi sede in essa e della necessità di disciplinare la pratica interna. Più difficile appare il problema del significato della consortia e della società. Qui non sembra ergervi distinzione precisa e il titolo appare spesso intercambiabile. Notiamo tuttavia che le associazioni nobiliari sono più spesso designate come « societates » e che le compagnie del Corpo di Cristo sono più spesso designate come « consortiae », che era titolo attribuito anche alle arti; d’altra parte il termine « societas » era di più largo uso commerciale. Con l’uso del volgare i termini più correnti divengono confraternite, compagnia, oratorio segreto e casaccia, mentre non sparisce il titolo di « devozione » cui dà un'impronta caritativa l’altro titolo di « opera »: denominazione del resto che ricorre già negli ultimi decenni del Quattrocento. La terminologia non acquista comunque alcun carattere rigoroso. Scrivendo nel 1767 il cappuccino Olivieri distingueva confraternite dei disciplinanti o casacce, confraternite con oratorio, confraternite di chiesa e confraternite senza « cappa e vessillo » 6. Confrontando questa serie con quella del primo Cin- 5 Wernz-Vidal, Ius Canonicum ad codicis normam exactum, III, caput XXXI, Roma, 1933. 6 T. M. Olivieri, Cronaca sacra della città di Genova, Ms. in Archivio Curia Generalizia PP. Cappuccini, parte terza. — 243 — quecento rileviamo subito l’importanza che ha acquisito il fattore geografico (e ne vedremo le ragioni). Accanto ad esso comunque non perde importanza il fattore storico-istituzionale. Secondo la spiegazione più comune ed accettata, « casaccia » sarebbe un derivato di « casacciani », ossia case diroccate dove solevano radunarsi i disciplinantiT. L’autore del « Dizionario filo-sofico-politico » ne accenna un’altra, antropologicamente interessante, legata alla locuzione toscana « far casaccia » che valeva « accomunare il casato »: un tipo d’unione caratteristica anche nella Genova del Trecento e del Quattrocento *. Nel Seicento e nel Settecento la casaccia è una riunione di confraternite con sede comune e denominazioni molto spesso simili, legate tutte in particolar modo al rituale annuale della solenne processione del « Corpus Domini » che le vedeva protagoniste e concorrenti. Secondo la fonte sopraccitata gli oratorii si distinguevano dalle casacce come « quelle radunanze, nelle quali si fanno esercitii di divotioni »: il che, se costituisce un commento assai sapido sulla natura delle casacce, rimane per il nostro assunto troppo generico. Ricordiamo che nel 1530 la Repubblica era intervenuta per disciplinare la vita delle casacce, al qual fine istituì poi una speciale magistratura 9. L’autorità ecclesiastica finì con l’accettare la natura « pubblica » di questi istituti. Per ciò stesso le altre radunanze potevano esser definite « secrete », « private » o anche « ecclesiastiche »: varietà di termini che riflette bene le varie preoccupazioni, di polizia o di foro, della pubblica autorità. Non è in questo campo che potrà trovarsi la preoccupazione per una definizione rigorosa. E del resto non è semplice indicare un criterio decisivo che valga a distinguere le stesse casacce degli oratorii segreti: non certo il vestir cappa o sacco, che era uso connesso all’« associazione » dei defunti; e neppure l’aver « cas- 7 Si veda atto di vendita di « casacciani », Archivio di Stato di Genova (d’ora innanzi A.S.G.), Notaio G. Grasso di Voltri, filza 5, 1520-21. 8 Dizionario filosofico-politico, ms. in Biblioteca Universitaria di Genova vol. I, voce « casaccia ». 9 Ordini e norme per la sortita delle casacce, 8 aprile 1530, pubblicati da F. Auzeri, Notizie dei professori di disegno in Liguria, Genova 1870, IX, nota da pag. 66. — 244 — sa », che era ben necessaria alla processione; e neppure il fatto dell’associazione di più confraternite in un medesimo luogo, giacché ci sono esempi che tale era il caso di qualche oratorio, ovviamente spazioso l0. E nondimeno la coscienza pubblica dei contemporanei « distingueva » e non per ragioni meramente amministrative. Così i biglietti di calice potevano diagnosticare una situazione di animazione e tensione sociale nei termini medicali di un « riscaldarsi dell'umore casacciante » "; e un arcivescovo poteva dire di una confraternita ecclesiastica che era entrata « in spirito di casaccia ». Senza dubbio l’incontinenza processionale era caratteristica delle casacce. Una confraternita che chiedeva l’approvazione dei suoi capitoli al Senato nel 1752 prometteva di evitare « quelle vane dimostrazioni di pompa, che forza è mettano fuori quelle confraternite che aggregate vengono a casacce » 12. Ed è pure significativo il fatto che questa o quella confraternita lamentasse l’incompatibilità della coesistenza con altre compagnie nella casaccia, vuoi per ragioni di pratica religiosa, vuoi per ragioni di rispettabilità sociale 13. Da questo punto di vista, che possiamo caratterizzare nei termini di uno sviluppo selettivo delle associazioni « private », s’intende come ci fosse una tendenza delle confraternite ad abbandonare la casaccia e « farsi secrete ». La distinzione esisteva quindi soprattutto nel costume, sociale e religioso. Da una parte era la casaccia, nata come confraternita dei disciplinanti nel lontano tripudio delle collettive estasi della flagellazione, sempre legata all’ispirazione del ciclo cultuale della Passione; dall’altra erano la « devozione », il « terz’ordine » o « il monte », ove l’associazione era concepita soprattutto come compartecipazione alle indulgenze. Legati inizialmente ad una chiesa o a un monastero, anche questi tendevano a staccarsene trasformandosi in « oratorio privato ». Com- 10 Per esempio i due oratorii di San Giuseppe nell’area di San Donato, e l’altro di S. Antonio da Padova all’Annunziata del Vastato. 11 A.S.G., Archivio Segreto, 1149, biglietto del 1688. 12 Così la confraternita di S. Giovanni Nepomuceno nel 1752: A.S.G., Archivio Segreto, 1238. 13 Si veda la supplica della confraternita della SS. Annunziata e Ven. Vittoria Strata: A.S.G., Archivio Segreto, 1244. — 245 — pagnie di pure indulgenze e compagnie di cappa, si distinguono sempre “, ma quella della « devozione » non è una soluzione stabile: esiste, come se detto, una dinamica dell’associazione di cui la « devotio » è solo il primo originario momento. E’ invero questa sua natura « embrionale » che la rende più difficilmente rintracciabile: infatti non si trattava soltanto di associazione legata a un ordine che la propagandava e la disciplinava, ma spesso anche di una forma spontanea di culto collettivo riferita a un altare, a un’immagine, a una cappella sulla strada pubblica. Sicché accade che in essa si possa esprimere ancora nella città settecentesca lo spirito popolaresco e rissoso della comunità rionale 0 di strada La voga statutaria del Settecento sembra confondere ogni distinzione, l’estrema formalizzazione tende ad eliminare un’originalità associativa che risulta invece dai pochi statuti originarii, cosicché la prospettiva di questo secolo è la meno idonea per un’indagine morfologica. Saggiamente, l’Olivieri si attiene, come s’è visto, a una tipologia di situazione che potremmo dire « geografica », i cui termini estremi sono ravvisati nella casaccia, l’unico tipo di associazione « codificata », e nelle « compagnie senza cappa e vessillo », una definizione per esclusione. Per quanto riguarda le altre due determinazioni tipologiche (compagnie con oratorio e compagnie di chiesa) dovrebbe essere ormai chiaro che egli definisce soltanto, con l’esperienza del secolo suo, 1 termini di una dinamica associativa valida anche per i secoli precedenti. Noi ci siamo limitati a suggerire la possibilità di una qualificazione sociale per questi vari tipi. II. - Una base quantitativa. Un editto del Comitato dei Pubblici Stabilimenti del 28 settembre 1802 invitava tutte le confraternite alla presentazione dei bilanci. La legge sulle radunanze del 23 marzo 1803 obbligava quelle confraternite che intendevano congregarsi a certificare la 14 Cfr. A.S.G., Archivio Segreto, 1278. 15 Tipico il conflitto fra due devozioni di Prè ricordato in seguito a p. — 246 — loro data di nascita e le loro finalità presso l’autorità 16. Fra queste date e l’effettiva soppressione degli istituti, con il decreto del 9 febbraio 1811, è situata l’opera più coerente di sistematico rilevamento della situazione di queste associazioni in tutta la regione ligure: titolo, comune, dati sugli aderenti e i beni, notizie sul costume e le finalità I7. Per i secoli anteriori manca invece un’analoga iniziativa di rilevazione sistematica. L’unico organismo che poteva tentarla era la Giunta di Giurisdizione, istituita come Giunta Ecclesiastica nel 1593 a tutela dei diritti della Repubblica. Nel 1751 infatti la Giunta compilò una lista di 83 oratorii segreti denunciando l’estensione di questa particolare forma di associazione « rovina totale delle casacce »: ma in questo caso noi abbiamo soltanto il titolo di 83 confraternite la cui vita associativa era disputata fra il foro laico e quello ecclesiastico I6. Le relazioni della Giunta rimangono comunque la fonte essenziale per altre notizie ad epoche diverse (ma per lo più sempre entro il XVIII secolo) circa la data di fondazione, il modo dell’istituzione e, molto di rado in verità, i beni delle confraternite e il numero degli aderenti. I giusdicenti erano incaricati, nell’immi-nenza di una visita diocesana dell’Arcivescovo, di fornire alla Repubblica questo tipo di informazioni I9. Già nel 1605 s’era fatto ricorso ai giusdicenti, e ripetutamente nella seconda metà del Seicento il Senato aveva dato incarico agli Inquisitori di Stato di assumere informazioni su tutti gli oratorii, congregazioni e confraternite presenti in città. Nel 1647 il Senato aveva ripreso il tentativo, clamorosamente fallito agli inizi del secolo, di sottoporre al suo controllo l’istituzione di nuovi oratorii, ma probabilmente l’opposizione dell’autorità ecclesiastica e dei parroci vanificò quel disegno che prevedeva, fra l’altro, la consultazione dei « libri » delle confraternite20. La po- 16 Di qui una serie di ricorsi che sono raccolti in A.S.G., Repubblica Ligure, filze 105, 420 e 421. 17 Raccolte sistematiche, ma con esclusione delle confraternite della città di Genova, Archives Nationales de France, F. 19, pacco 585. 18 A.S.G., Giunta di Giurisdizione, filza 130. 19 Si vedano per esempio le ingiunzioni, circolari e ordinanze del 1696-98 in A.S.G., Archivio Segreto, 1164. 20 A.S.G., Archivio Segreto, 1184, decreti 1647, 1696, 1709. — 247 — lemica giurisdizionale fu risolta in pratica solo dopo la caduta della Repubblica: non solo l’autorità pubblica acquistò allora una prevalenza decisiva, ma molti problemi di foro misto avevano ormai perso molta della tradizionale acredine. Fino allora il mondo delle confraternite costituiva un territorio conteso e in simili circostanze ogni censimento, ogni notizia doveva peccare di un vizio di unilateralità. Molte notizie possiamo trovarle infatti anche nelle fonti ecclesiastiche, ma qui la sistematicità appare anche minore: solo gli arcivescovi Durazzo e Spina ci offrono relazioni abbastanza ampie. Molto si è certo perduto, a cominciare dagli archivi parrocchiali letteralmente polverizzati. Abbiamo così notizia dell’esistenza di questa o quella confraternita: un nome soltanto e assai poco di preciso sull’anno di fondazione, sulla disparizione, sulla nuova ricostruzione, sulla « riforma » dei capitoli, sull’aggregazione ad altre confraternite. Per il periodo precedente al 1650 poi la documentazione è ancor più scarsa e, soprattutto, meno sistematica; per il Cinquecento non esisteva neppure uno specifico problema giurisdizionale. Così per i decenni a cavallo di questo secolo (1480-1520 circa), abbiamo fatto ricorso a uno spoglio sistematico delle fonti d’archivio: atti pubblici, cartulari di San Giorgio, atti notarili. I quadri generali che pubblichiamo in appendice sono pieni di incognite e soprattutto incompleti. Essi costituiscono tuttavia la base di ogni successiva discussione: ci consentono difatti di tentare una periodizzazione nei termini di un'evoluzione del culto e di una storia della pratica religiosa. Riassumiamo ora queste precarie « quantità ». II primo quadro raccoglie i dati sulle confraternite esistenti in Genova nel periodo compreso fra il 1480 e il 1582; il secondo quello delle confraternite nate dopo il 1582. Nell’anno 1582 il « visitatore apostolico » Mons. Francesco Bossio fu a Genova: egli visitò le casacce e qualche oratorio; la sua relazione parla infatti di una ventina di confraternite21. La sua visita tuttavia non segnò il trionfo dei deliberati tridentini a Genova: l’opposi- 21 Liber visitationum et decretorum lll.mi et Rev.mi D. Francisci Bossii Visitatoris Apostolici Civitatis et Diocesis Genuœ Anni 1582, in A.S.G., ms. 547. — 248 — zione fu troppo forte, né l'Arcivescovo Pallavicino lo appoggiò. Il vero «riformatore» fu più tardi l’arcivescovo Durazzo (1635-1664). Le sue relazioni sullo stato delle parrocchie urbane prima della metà del secolo XVII nominano, oltre le casacce, solo una cinquantina di confraternite 2S. Di cento anni più tardi è la citata relazione della Giunta di Giurisdizione (1751) che nomina 83 oratorii segreti, ma trascura le confraternite di chiesa e, ben più numerose, quelle con sede in casaccia. Secondo i nostri quadri, nel periodo 1480-1582 sono esistite in Genova 134 associazioni e di queste circa 70 erano ancora in vita dopo il 1700. Dopo il 1582 sarebbero nate almeno 124 confraternite. Considerando le « sopravvissute », avremmo così un 200 confraternite, cifra che non è in disaccordo con quella fornita dalla Giunta nel 1751, se si considera che le confraternite di casaccia, escluse da quel computo, non potevano essere meno di un centinaio. E’ da considerare però che le nostre ricerche risultano soprattutto lacunose proprio in riferimento al problema dell'origine di questo tipo di confraternite. A riequilibrare la valutazione, vale comunque la considerazione della vita naturalmente intermittente di queste associazioni: un fenomeno ovvio, ma di assai ardua documentazione. III. - La distribuzione delle confraternite nella città. I quadri sopraccitati e riportati in appendice segnalano anche la sede delle confraternite. Si tratta di un aspetto della morfologia religiosa della città che è interessante documentare con precisione. Abbiamo così riportato questo tipo di documentazione sulla classica carta topografica del Brusco. Tanto più interessante risulta il confronto fra i due periodi, nel secolo XVI e nel secolo XVIII. Nella « Carta n. 1 » abbiamo segnato anche le compagnie aristocratiche, almeno quelle di cui è stato accertato il centro devozionale che non corrispondeva spesso al luogo dove esse erano solite radunarsi. Questo accresce ulteriormente l’evidenza del 22 Archivio Arcivescovile di Genova, cartelle Durazzo, Decreta Primce Visitationis Diocesis inceptce anno 1638 et terminatae anno 1647. — 249 — fenomeno caratteristico: la concentrazione delle confraternite nell’area delle Chiese e conventi principali (S. Domenico, S. Lorenzo, S. Agostino, N.S. Delle Vigne, S. Francesco, S. Vittore e S. Giovanni di Prè, nell’ordine). Non è sempre facile individuare con esattezza quando la confraternita di chiesa diventa oratorio. Ad ogni modo dalla « carta » si può rilevare la prevalenza della prima forma istituzionale. E’ già caratteristica la concentrazione delle casacce immediatamente a monte della lunga via S. Sebastiano, per un breve tratto delle mura del colle di Castello e attorno a San Giovanni di Prè. Buona parte di queste casacce sono nate come confraternite dei disciplinanti in chiese lontane dai luoghi sopraddetti. Per sommi capi analoga risulta l’ubicazione degli oratori segreti nel secolo XVIII. La « Carta n. 2 » mette in evidenza la moltiplicazione delle confraternite, la prevalenza degli oratorii segreti, l’abbandono di certi centri di vita associativa (in particolare San Lorenzo). L’aumento delle confraternite risulterebbe tanto più vistoso se, graficamente, si fosse tenuto conto delle numerosissime compagnie che hanno sede in casaccia. Gli oratorii segreti pongono sede per tutta la città e, tradizionalmente, negli ampi chiostri conventuali (S. Domenico, S. Agostino, N.S. di Castello, S. Antonio, ecc). Il « deserto » di San Lorenzo e, in minor misura, di qualche altra chiesa, è in stretta relazione col tramonto delle compagnie aristocratiche, i Magnifici preferendo la forma più esclusiva dell’oratorio privato. Le zone caratteristiche di concentrazione degli oratorii sono le medesime che per le casacce. Innanzi tutto vi è la zona compresa all interno dei vertici S. Domenico, Santa Caterina, l’Annun-ciata di Portoria e S. Stefano, fra strada Giulia cioè e via San Sebastiano. La seconda zona è la collina di Castello. La concentrazione a Prè è molto più strettamente legata alle Chiese e ai loro chiostri: un isolotto attorno a San Giovanni e poi lungo l’avvallamento dal colle di Carbonara alla Darsena (N.S. del Carmine, S. Agnese, S. Sabina e poi S. Antonio, S. Sisto e S. Vittore). Anche nelle altre zone sopradescritte si rileva concentrazione di chiese, conventi e ospedali, ma la « fioritura » di oratorii è più libera: sicché il tipo di ubicazione cinquecentesca permane solo a Prè, dove sono da segnalare la notevole influenza della sede parrocchiale, e l’iniziativa carmelitana. — 250 — Nella parte centrale della città non mancano confraternite di chiesa e oratorii segreti. San Siro è ancora lungo il Seicento centro di una caratteristica « pietas » aristocratica diretta dai Padri Teatini; molti sono gli oratorii di mestiere (cuochi, paggi, servi, corrieri, cacciatori, battiloro, indoratori, marinai, bombardieri, pescivendoli, ecc.). Tuttavia vanno segnalati dei tracciati assolutamente « nudi »: le vie di raccordo fra i ponti e il loro retro immediato, le strade abitate dai Magnifici, alcuni tramati urbani di origine medioevale, per lo più zone di povere abitazioni (nella zona di Prè, fra via della Maddalena e via Nuova, attorno a vico del Campo, attorno a via di Ravecca). Fattori economici e fattori di residenza (povera e ricca) hanno condizionato la localizzazione degli oratorii nelle zone periferiche: in Portoria verso l’Acquasola e S. Stefano (e S. Vincenzo) — direttrice storica di espansione demografica ed edilizia — e sul versante e la collina di Castello. Si tratta di zone ancora abbastanza sgombre e, almeno fino al 1700, di scarsa densità demografica 2". Ne deriva un curioso orientamento della « pietas » e della vita associativa genovese verso levante, tale che ribadisce la tradizionale situazione di isolamento di Prè, borgata che vive attorno ai suoi nuclei caratteristici di vita economica, la Darsena e l’Arsenale; cosicché la vita religioso-associativa di Prè sembra doversi caratterizzare in modo diverso che la vita religioso-associativa della città. Un’ultima considerazione deve farsi sulla base del confronto fra le due « carte » che illustrano chiaramente due situazioni diverse: di prevalenza degli oratorii segreti (la seconda) e delle confraternite di chiesa (la prima). Possiamo citare moltissimi esempi di trasformazione della confraternita di chiesa in oratorio segreto: il fenomeno è generale; frequente è anche il caso di una confraternita di casaccia che si trasferisce in un suo oratorio; più raro (o almeno meno documentato) è il caso di una confra- 23 La popolazione delle parrocchie di Prè fra il 1638 e il 1788, passa da 15.326 a 15.440 anime; quella delle parrocchie del Molo, a levante di via S. Bernardo, da 19.642 a 17.670; quella delle parrocchie di Portoria (parte delle Vigne, S. Stefano, S. Andrea, S. Matteo) da 17.0081 a 17.497 e quella delle restanti parrocchie centrali da 14.127 a 18.943. Ecco una buona ragione per la concentrazione degli oratorii. — 251 — ternita di chiesa che pone la sua sede in casaccia; e, da ultimo, ci sono delle confraternite che nascono come oratorii segreti (ma forse non solo molte). Nessuna « legge » di sviluppo sembra formulabile su questa casistica e, tuttavia, se si tiene presente il ruolo dell iniziativa del clero (secolare e regolare) nella fondazione delle devozioni e delle confraternite, si può accettare la generalizzazione che propone questo schema di sviluppo: devozione confraternita di chiesa o di casaccia — oratorio segreto o confraternita di casaccia. Tale schema sembra essere confermato non solo dalla casistica illustrativa, ma anche dall’evidenza generale documentata graficamente sulle due « carte ». A questo punto un altro livello ecologico della vita religioso-associativa si impone come degno di attenzione e di studio: il culto; ma lo studio del fenomeno cultuale dovrebbe consentire anche qualche più precisa indicazione per un saggio di periodizzazione storiografica. IV. - L'evoluzione dei culti. Il « titolo » delle confraternite non rappresenta certamente un elemento arbitrario e convenzionale, bensì la « ragione storica » di queste associazioni. Esse infatti sembrano essere nate fondamentalmente in due modi: da un’iniziativa di massa di tipo revivalista — come nei casi del movimento penitenziale e anche di qualche culto intensamente locale — o dall’iniziativa di un gruppo di zelanti, sacerdoti o laici. Il primo modo è tipico soprattutto dell’epoca medioevale; il secondo piuttosto dell’epoca moderna: un gruppo limitato di persone inizia alcune pratiche divote o, meno spesso, caritativo-assistenziali, che vengono generalizzate in uno schema societario. Il nucleo originario è così costituito da un atto di culto il cui oggetto non è affatto « indifferente ». Niente di più significativo al riguardo che i conflitti di omonimìa: l’uso della medesima immagine « confonde le indulgenze e inganna il popolo » 24. In qualche caso il conflitto riguar- 21 Così si esprimevano i confratelli di S. Giuseppe: A.S.G., Archivio Segreto 1149. — 252 — dava confraternite e ordine religioso: il « titolo », infatti, conferiva la prerogativa di una pubblica iniziativa cultuale 2 Nondimeno l’omonimìa secondava l’acre spirito di concorrenza proprio della religiosità popolare. E’ nota la rivalità fra le casacce di San Giacomo. Più caratteristico, meno noto, il caso della rivalità rionale fra due devozioni di Prè entrambe use a celebrare, la festa della Natività di N.S.: gli abitanti di Vico Taccone mobilitavano contro quelli di Vico Vajnella perfino le loro donne, e vi fu, come è immaginabile, gran trambusto 20. Le autorità avevano vietato che una compagnia assumesse il titolo di un’altra già esistente: tuttavia la possibilità rimaneva e la tendenza in questo senso documenta il successo di un culto particolare. Il culto ha una sua storia, è una forma di « consumo » che si rinnova continuamente nel quadro di alcune « costanti » tradizionali. Certe forme di devozione sono rigorosamente « datate », altre hanno una diversa durata — limitata o dilatata nel tempo — altre registrano una parabola di fortuna, altre diventano ufficiali e sono tesaurizzate dalla Chiesa. Non è detto che allo sviluppo di un culto segua necessariamente la nascita di una confraternita, ma il caso — specie nel Seicento e nel Settecento — è frequentissimo. La vita intermittente di alcune confraternite, il tramonto di altre, così come la trasformazione del titolo, ricalcano molto spesso l’evoluzione della devozione. Le tavole in appendice riportano i titoli di gran numero delle confraternite genovesi. Nel XVII secolo il panorama titolografico è lussureggiante: il culto dei santi e delle « madonne » è estremamente vario. Ricercarne le origini e le fortune genovesi non è, allo stadio attuale delle ricerche, sempre possibile: bisognerebbe altresì studiare l’iconografia genovese e l’oratoria sacra, esplorare le tradizioni dei culti popolari, ecc. Si tratta di un problema di storia della cultura. Quel che interessa anzitutto è un problema di comunicazione: il modo di diffusione dei culti. Se noi leggiamo i titoli delle confraternite prima del 1500 vi rin- 25 Cfr. il conflitto fra i Minimi di S. Francesco di Paola e la confraternita omonima: A.S.G., Archivio Segreto, 1157, o quello fra le confraternite della Morte in San Donato e i Trinitari: Ibidem, 1200. 26 A.S.G., Atti del Senato, filza 3112. — 253 — tracciamo sì l’influenza degli ordini mendicanti, ma la fisionomia generale è quella del culto tradizionale: apostoli, martiri, vergini, eremiti, vescovi-santi molto spesso orientali o comunque « esotici ». Questi culti riflettono l’intensa vita commerciale della città di mare, il suo ruolo di grande protagonista del commercio medi-terraneo. Il culto di San Giacomo di Compostella è per esempio un « culto di mare » 2‘. Santa Limbania, la vergine orientale naufragata sulle coste di Prè, è la protagonista di un culto di grande successo popolare. La « Croce degli Zaccaria », una delle tante reliquie portate daH’Oriente, è al centro della rivalità fra i consorzi nobiliari in S. Lorenzo 2‘. San Giorgio, il gran patrono della Repubblica, è un martire orientale. Il culto della Passione aveva il suo centro nelle casacce, e il culto mariano doveva ricevere stimolo eccezionale dal movimento dei « bianchi ». L’uno e l’altro moto penitenziale erano stati importati dal continente, dal Tortonese e dalla Provenza. Provenienza « continentale » aveva altresì il culto del SS. Sacramento. Notiamo come l’esigenza di differenziare i titoli sia ancora poco avvertita, il consumo cultuale ancora sobrio: le confraternite mariane sono semplicemente dedicate a Maria Vergine; nel Seicento invece figurano infinite Madonne, feste mariane e, più spesso, santuari. L’epoca moderna è caratterizzata da una più accentuata prevalenza del clero regolare che domina le « comunicazioni » cultuali e tende così a uniformare gli schemi di culto. Il clero regolare diviene allora il propagandista principale dei nuovi consumi: « classe colta », esso è legato agli orientamenti generali della spiritualità cristiana. I centri di influenza religiosa si moltiplicano nella città: i nuovi ordini e gli ordini riformati fondano nuove case, lanciano le nuove confraternite, suscitano nuove devozioni predicando i quaresimali e le missioni. Fra gli ordini più attivi F. M. Accinelli, Dissertazione sopra l’origine delle confraternite et oratorii, dell'istituzione delle casacce in Genova, nei Borghi et Quartieri et in ispecie del Borgo di Prè compilata... l’anno 1773, ms. in Civica Biblioteca Berio di Genova. *• Notizie negli Annali di A. Giustiniani, e nella « Storia » di M. Sena-Reca. Più in dettaglio F. Alizieri, cit., vol. IX, cap. Vili. — 254 — troviamo Cappuccini, Gesuiti, Teatini, Carmelitani Scalzi, Agostiniani riformati, Predicatori riformati, ecc. Alcuni ordini, Predicatori, Agostiniani, Carmelitani, ebbero la loro speciale compagnia mariana: quella dei Predicatori in particolare — la Compagnia di N.S. del Rosario — si diffuse largamente fuori delle Chiese domenicane. Gli ordini nuovi, come Gesuiti e Cappuccini, seguirono una politica più empirica, organizzando nuove confraternite, stimolandone altre, riformando le antiche. Il laicato veniva chiamato ad un nuovo impegno per il rinnovamento della società. Questo spiega anche la sua presenza nella vita della parrocchia, l’intensificazione di una iniziativa locale di devozione e carità. Esemplare è in proposito il caso delle Compagnie del SS. Sacramento, ma altre confraternite « generali » possono essere ricordate: quelle del Rosario, di N. S. del Soccorso, di San Carlo, delle Anime Purganti, della Sacra Famiglia. La più antica compagnia del Soccorso fu quella di San Sisto, nata poco dopo l’introduzione della devozione nel 1460. La devozione, incrementata nel 1587 da una bolla papale e nel 1657 ancora per un voto in occasione della grande peste, si affermò altrove: nella stessa cattedrale, dove l'immagine fu portata sulla fine del Cinquecento, e in altre chiese sedi di compagnie, in S. Agostino (1523), in San Marco, in San Vittore; infine una compagnia più « ufficiale », destinata al riscatto degli schiavi, sorse anche in San Lorenzo La fioritura delle confraternite dedicate a San Carlo ebbe vita più breve (1613-1624) riflettendo la fortuna di un culto diffuso tra il clero secolare. L’iniziativa per la fondazione delle compagnie delle Anime Purganti fu invece nel 1626 di un padre cappuccino, Carlo da Compiano, che ne diede i capitoli nel 1647. Più tardi l’arcivescovo Gentile doveva rendere solenne la devozione che nel frattempo aveva ispirato tutta una fioritura di confraternite30. Settecentesca è invece la devozione della Sacra Famiglia: com- 2* Cfr. M. Remondini, Origini del Culto di N.S. del Soccorso nella Metropolitana di Genova, Genova, 1886, e A. M. Remondini, I Santuari e le Immagini di Maria Santissima nella città di Genova, Genova, 1865. 30 Saggio della vita dei Cappuccini Liguri illustri in virtù di dottrina e santità, Genova, 1822, p. 77. - 255 - pagnie ad essa intitolate ritroviamo in N.S. della Maddalena, in S. Croce, in S. Vittore, in N.S. del Rimedio. Il ruolo del clero secolare non fu tuttavia cancellato. Ricordiamo che una direttiva della Controriforma era stata quella di rendere efficiente la tradizionale struttura territoriale dell’organizzazione diocesana e parrocchiale. Regolarizzando le funzioni del parroco e sistemandone i diritti esclusivi, i Sinodi genovesi volevano riqualificare il clero secolare e incrementare il prestigio del parroco, amministratore-capo delle parrocchie e delle altre masserie e padre spirituale delle sue « anime » 31. Egli era certamente interessato a mantenere la sua chiesa come centro attivo di culto, a secondare le devozioni sorgenti spontaneamente ed a stimolarne nuove. Come nascevano le confraternite parrocchiali nel Seicento? Valgano gli esempi dei culti di N.S. della Fortuna in San Vittore e del Presepe alle Vigne. Nel primo caso una statua della Madonna, scampata in modo straordinario a un fortunale in porto nel 1636, rivelava potenza miracolosa e veniva accolta nella chiesa. E’ un esempio « tradizionale » di devozione popolare: la stessa area — notiamo — donde erasi sviluppato il culto di S. Limba-nia. Nel secondo caso un canonico di N.S. delle Vigne aveva preso l’iniziativa di esporre in chiesa una tavoletta raffigurante la Madonna col Bambino ritrovata nei ripostigli della Chiesa: dopo una decina d’anni la devozione di questa immagine veniva eccezionalmente accresciuta da un corso quaresimale tenuto da un minore conventuale e da un cappuccino32. L’aspetto « spontaneo » e 1 aspetto di « stimolazione » valgono a caratterizzare due devozioni che hanno centro in chiese parrocchiali e che si consolideranno subito nello schema associativo della confraternita. La parrocchia costituiva certamente un elemento primario della cultura urbana, quotidianamente ritmata da cerimonie parroc- 31 Synodi Diocesanae et Provinciales editae at que ineditae S. Genuen-sis Ecclesiae, Genova, 1833. Cfr. in particolare i Sinodi Pallavicino, Spinola e Durazzo. 3‘ Cfr. A. e M. Remondini, cit., p. 93 e P. POLLINARI, Narrazione cronologica dell'antichissima Collegiata Insigne di S. Maria delle Vigne, ms. in Biblioteca Universitaria di Genova. - 256 — W.TITRA PIANTA DELLA CITTA » divisa in mìcci (juaèri/un^hi, /e di cui /ttferc corrùjjondono al/iycyucnti rispettive cartcX- Carta 1 LE CONFRATERNITE A GENOVA NEL SECOLO XVI ■ CASACCIA A ORATORIO SEGRETO • CONFRATERNITA DI CHIESA y j/ y^Ji£j J mm h w Carta 2 LE CONFRATERNITE A GENOVA NEL SECOLO XVIII B CASACCIA A ORATORIO SEGRETO • CONFRATERNITA DI CHIESA lK.Tir.RA PIANTA DELLA CITTA divtJtì in tredici tjuadrj/unyfii. /e di cui /cf/cn corrispondono a/h seguenti rispettive carte y chiali. Nondimeno l’osservazione della carta parrocchiale della città nel Settecento e la considerazione delle diverse concentrazioni demografiche 33 ci inducono a non esagerarne il significato strettamente comunitario. La Controriforma non affrontò il problema di una pianificazione dell’attività pastorale attraverso una ristrutturazione delle parrocchie: la chiesa era un organismo pluralistico incapace di superare le resistenze sezionali; lo stesso diritto parrocchiale s’era definito soprattutto nel contrasto con le altre parrocchie e l’area, l’ubicazione di ciascuna erano conseguenze di molteplici fattori, economici e personali 3\ La « vita » della grossa città preindustriale postulava un’ulteriore frammentazione di zone e quartieri, una parcellazione ecologica che non s esprimeva nè nella parrocchia, nè — almeno nel Settecento — nella confraternita, basata più spesso su un reclutamento inter-parrocchiale. Sarebbe invero suggestivo collegare lo sviluppo degli oratorii con le carenze della pastorale parrocchiale: ma la relazione è un po’ arbitraria. D’altra parte attorno al 1780 almeno quarantadue erano gli oratorii o casacce che avevano caratteristiche funzioni di « chiesa » 35. Non solo l’oratorio mirava a porsi in concorrenza con la parrocchia come centro del pubblico culto, ma accadeva sovente che la confraternita parrocchiale di maggior prestigio (SS. Sacramento, N.S. del Rosario o N.S. del Soccorso) tendesse ad impadronirsi della gestione della parrocchia. Ciò è più evidente per le parrocchie e le comunità rurali, ma possiamo rintracciarne esempi anche entro l’area cittadina: S. Stefano, S. Tommaso, S. Giorgio, S. Sisto ne forniscono adeguate illustrazioni 36. L’intervento del laicato nelFamministrazione della 33 Si veda la carta riprodotta da F. M. Accinelli, Stato presente della Metropolitana di Genova e di tutte le parrocchie, ms. in Civica Biblioteca Berio di Genova e, per i dati demografici, G. Felloni, Per la storia della popolazione di Genova nei secoli XVI e XVII, in Archivio Storico Italiano, CX, 1952, pp. 236-43 e tavole. 34 Solo il Governo francese si pose, il problema di una razionale riorganizzazione delle parrocchie, A.S.G., Prefettura Francese, filza 11. 35 A.S.G., Giunta di Giurisdizione, filza 130, Registro 1774-86. 36 Per S. Stefano A.S.G., Archivio Segreto, 1251 e 1252; per S. Tomaso le filze 1283 e 1287 dello stesso fondo e il ms. 835; per S. Giorgio le filze 1319 e 1334 e il ms. 836. — 257 - 17 parrocchia è documentato fin dai tempi del Sinodo dell’arcivescovo L. Sacco nel 1381 37. La storia delle masserie parrocchiali costituisce un capitolo caratteristico dei conflitti giurisdizionali; il governo delle parrocchie era comunque diverso in relazione all’influenza dei Magnifici residenti e della stessa autorità della Repubblica 3S. C'è tutta una ricerca da fare quindi anche in questo settore prima di poter definire il complesso dei riferimenti territoriali e « funzionali » della vita associativa genovese. Limitiamoci a sottolineare che l’oratorio dava la possibilità di una iniziativa cultuale e che questa è la prima ragione del distacco delle confraternite dalle chiese. Questo culto popolare è noto soprattutto per le sue manifestazioni associate: cerimonie, feste, cortei funebri, processioni. Il « carnet » delle processioni annuali — parrocchiali, « generali », pellegrinaggi — si faceva sempre più fitto: complesse erano le questioni di diritto e di prerogativa. Il cerimoniale era divenuto « sostanza » della politica popolare. Crescevano la concorrenza e le ragioni di conflitto. Il numero dei santi popolari si moltiplicava: non più apostoli e martiri, ma fondatori di ordini religiosi e beati che davano loro lustro. Il culto mariano s’articolava in modo effervescente: Maria diveniva, nel 1635, « Signora di Genova », liberatrice delle pesti, protagonista di famose apparizioni. Le arti moltiplicavano gli oratorii intitolati ai santi protettori, e ciascun’arte avrà nel Settecento almeno due o tre protettori39. E’ forse vano tentare una periodizzazione dettagliata per la storia del culto. Il Cinquecento comunque è già epoca di transizione, e il Settecento — soprattutto la prima metà — un’epoca ancora viva e dinamica. Il « sensazionalismo » religioso del Seicento riflette la nuova età della Controriforma e il consolidamento 37 D. Cambiaso, Sinodi genovesi antichi, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, LXVIII, fase. I, Genova, 1939. 38 Particolare era per esempio il regime di San Lorenzo e di N.S. delle Vigne. L’amministrazione della prima dipendeva dal Senato e a più riprese il Senato intervenne per regolare la composizione della masseria delle Vigne. 39 Relazione della Giunta di Giurisdizione sulle feste delle arti (1758), A.S.G., Archivio Segreto, filza 1248. — 258 — organizzativo della Chiesa. L’autorità della Repubblica lamenta :1 crescere delle immunità ecclesiastiche e del numero dei sacerdoti e insieme il moltiplicarsi degli oratorii segreti40. Il conflitto fra le due autorità, fra Stato e Chiesa, ritma gli avvenimenti, la storia delle confraternite come la storia sociale e religiosa. V. - Le confraternite fra Stato e Chiesa. Lo sviluppo della controversia giurisdizionale fra Stato e Chiesa è la storica conseguenza dell'affermazione di principii assolutistici da parte dei due protagonisti. Questo avvenne per la Repubblica soltanto con le leggi del 1528 e 1576 e per la Chiesa genovese dopo il Concilio di Trento, con i Sinodi Pallavicino e Sauli e con la visita del Bossio. Prima d’allora l’empirismo era la regola e molto dipendeva dalla personalità dell’arcivescovo: in ogni caso empirismo significava confusione giurisdizionale. L autorità pubblica, ponendosi a tutela della religione cristiana, assumeva iniziative come la riforma della vita monacale ma non trovava a ridire, per esempio, sul fatto che qualche sacerdote tenesse cariche e uffici della Repubblica. Di conseguenza la successiva razionalizzazione giuridica ebbe chiaro sapore massimalistico e il tentativo di giustificarla ideologicamente, facendo appello ad una tradizione assolutamente priva di coerenza, doveva riuscire assai precario. Qui la questione interessa in relazione alle confraternite e al loro « status » giuridico. La riaffermazione dell’autorità statale, perseguita dalla « Riforma » del 1528, implicava necessariamente un controllo delle associazioni private e delle più clamorose manifestazioni delle fazioni. La Repubblica aveva preparato da tempo quest’azione rendendo « ufficiale » il culto in San Lorenzo, già tempestoso centro della concorrente « pietas » delle fazioni. Così la legge del 13 marzo 1528 aveva abrogato « quascum-que societates, tam processionum quorumvis sanctorum quam 40 Cfr. Relazione degli Inquisitori di Stato nel 1737: A.S.G., Archivio Segreto, 1219 e, ancora sulla questione, la filza 1227 (fase, sui preti secolari). — 259 — earum societatum Sacratissimi Corporis Christi, quae celebrantur in diebus Iovis et Veneris Sancti nulla demum exclusa ». Le leggi del 18-3-1530 e del 27-1-1541 chiarivano la finalità politica della deliberazione e rivelavano insieme la scarsa efficacia della legge del '28. La legislazione « de convencticulis » del 1575-77 non sembra avesse per specifico oggetto le compagnie religiose: la legge dell’ottobre 1575 valeva come temporanea delibera di emergenza, sospensiva del diritto di associazione; la grida del 22-3-1577 era invece abrogativa, ma mancava qualsiasi allusione alle associazioni religiose11. Il frasario del 1528 era ripreso invece dalla grida del 17-8-1605 che dichiarava esplicitamente « cassate e abolite tutte le compagnie di processioni e di santi, e confraternite di persone laiche, eccettuati li venti oratorii dei disciplinanti posti entro le mura ». Questa volta la reazione della Curia romana fu vivacissima: nell’ottobre la grida, interpretata come una « specie di ostracismo al culto divino » dovette essere cassata 12. La prontezza e l'efficacia della reazione romana testimoniano la presenza di un preciso orientamento della politica religiosa in materia di confraternite, ispirato ai deliberati della XXII sessione del Concilio di Trento 43. Prima del Concilio non era certamente mancata la presenza della Chiesa e dei suoi uomini: gli ordini religiosi erano stati attivi nella fondazione di confraternite, e molte associazioni erano solite chiedere spontaneamente all’autorità religiosa la ratifica dei loro « capitoli »; del resto la maggior parte delle confraternite erano ancora confraternite di chiesa. Quel che mancava era una direttiva politica uniforme. L’eco dei deliberati tridentini s’avverte invece già nel sinodo tenuto dall’arcivescovo Cipriano Pallavicino nel 1574. Il controllo sulle processioni viene avocato al vescovo « non obstante quacumque consuetudine etiam immemorabili ». Per le confraternite è prescritto: « sodalitatum omnium conventus invisat Episcopus », e il controllo si estende ai libri, 41 A.S.G., Atti del Senato, filze 1415 e 1421. 42 Su tutta la questione, meritevole di studio particolare, A.S.G., Archivio Segreto, busta 1092. 43 Canones et Decreta Sacrosanti Oecumenici Concili Tridentini, II ed., Roma, 1763, capitoli Vili e IX. — 260 - alle preghiere, alle reliquie, alle regole, all'offizio di Maria Vergine, al comportamento pubblico e privato (processioni, laudi, inni, flagellazione), vietando le rappresentazioni e i pubblici conviti; nè sono escluse le compagnie dei disciplinanti 4\ In seguito i « Decreta Generalia » del visitatore apostolico Mons. Bossio (1582) ribadivano nei dettagli queste norme. In particolare egli vietava alle confraternite di esigere oboli dagli associati e prescriveva che le spese fossero controllate dall’arcivescovo, che venissero tenuti lontani usurai, concubinari e « infamiae labe notati », che le elezioni dei priori si adeguassero alle norme del Concilio Provinciale. Temi della « riforma cattolica » e temi politico-ecclesiastici si mescolano continuamente in questa tipica versione gesuitico-borromea della Controriforma, « spiritualistica » e socialmente conservatrice, così contraria allo spirito della religiosità popolare. Se il radicalismo del Bossio poteva poi costituire un punto di riferimento del successivo curialismo genovese, di un Durazzo ad esempio, la sua « visita » non ebbe il successo atteso. La Repubblica reagì vivacemente con una serie di memoriali a Roma, e la Curia Romana inviò nel 1583 Mons. Giuseppe Mascardi per apportare alcune « moderazioni »: troppo numerosi gli ordini del Bossio e troppe le richieste, onde non vi era da stupirsi che non venissero eseguiti 4S. La Repubblica risentì gagliardamente le disposizioni circa le Opere Pie, le confraternite dei disciplinanti, la riforma dei monasteri, il « culto privato » e in generale gli stessi interessi privati dei cittadini. Nè l'arcivescovo Pallavicino era un Carlo Borromeo 46. Più tardi il Sauli introdusse le « Regole » del Borromeo per i disciplinanti e molte compagnie del Dominio le adottarono 4,7. 44 Decreta Provincialis Synodi Genuensis praesidente in ea R.mo D. Cypriano Pallavicino Genuensis Ecclesiae Archiepiscopo (iterum impressae mandante Rev.mo D. Antonio Sauli Genuae Archiepiscopo), Roma, 1605, p. 75. 45 A.S.G., Giunta di Giurisdizione, filza 119. 46 Sui contrasti col Bossio cfr. F. M. Accinelli, Liguria Sacra, vol. II, p, 69, ms. in Civica Biblioteca Berio di Genova. 47 Cfr. le distinte di casacce delle Riviere di Ponente e Levante nel 1607: A.S.G., Archivio Segreto, busta 1092. — 261 — Il conflitto di giurisdizione doveva subito invelenirsi sulla tipica questione di cerimoniale del diritto alla sedia nel capitolo di San Lorenzo: poiché doge e arcivescovo non potevano occupare lo stesso sito di prestigio, uno dei due non interveniva. Il cerimoniale era per i contemporanei la « sostanza della politica », il termometro più sensibile di un contrasto ormai generale. La Repubblica nominò una nuova magistratura a tutela dei suoi diritti di foro 4S. Gli anni 1605-1607 videro lo scontro frontale sulla questione delle confraternite, dopo che gli stessi deliberati della XXII Sessione tridentina erano stati integrati in senso curialistico dalla bolla « Quaecumque » del 1604 19. La Repubblica aveva preso nel 1602 l’iniziativa di un controllo diretto sulle compagnie dei disciplinanti « tradizionalmente esenti da giurisdizione ecclesiastica », ma il suo tentativo più radicale del 1605, come se visto, fallì, nè il ripiego su una soluzione di pubblico controllo sulle confraternite potè essere accettato da Roma J°. Questo, in ogni caso, doveva rimanere costantemente l’obiettivo della politica della Repubblica verso gli oratorii. Fu esplicitamente ripreso infatti con delibera del 31-5-1647, ma senza esito: gli Inquisitori di Stato probabilmente non tentarono nemmeno di mandarlo ad esecuzione. Contemporaneamente infatti il più zelante degli arcivescovi genovesi, il cardinale Durazzo, si preoccupava di riaffermare la sua autorità anche sulle casacce e sugli ospedali. Nel 1640 ad esempio visitava le prime « quantum scilicet ad res sacras, ad redditus ecclesiasticos, ad legata pia, si quae haberant »51. Il sinodo durazziano del 1643 fu rifiutato dal Senato, ma il pomo della discordia era rappresentato, in questa 48 La Giunta Ecclesiastica nacque nel 1593 e fu ribattezzata poi Giunta di Giurisdizione (1638). 49 Codicis luris Canonici Fontes, tomo I, n. 192, p. 366. 50 La Repubblica aveva preso questa via nel 1607 anche con raccomandazioni « segrete » ai giusdicenti. Decreto 8 maggio 1607, A.S.G., Archivio Segreto, busta 1092. 51 « Relatio ad limina » per il XVIII triennio, 28-1-1640: Archivio Arcivescovile di Genova, libro rilegato Status Ecclesiae Januensis. — 262 — occasione, da una questione fiscale 52. Per quanto riguarda le casacce finiva invece con l’imporsi la prassi tradizionale, tantoché l’arcivescovo Saporiti poteva scrivere nel 1748 che, nonostante la prassi fosse in contraddizione con i sacri canoni, l’autorità laicale sulle casacce era un fatto ormai pacifico e che nessuno dei suoi predecessori aveva mai pensato di contestarla 5\ La stessa preoccupazione dell’autorità laicale per la diffusione degli oratorii segreti « a spese delle casacce » testimonia che quello delle casacce era un terreno di indiscussa supremazia senatoria. Il conflitto verteva dunque sulla natura giuridica degli oratorii segreti. Non v’è dubbio che negli ultimi decenni del Cinquecento e per una buona metà almeno del Seicento, l’autorità religiosa abbia avuto la prevalenza. La Curia disponeva tra l’altro di un nuovo strumento per imporre uniformità disciplinare: la visita diocesana. Le nuove confraternite nascevano nelle chiese per lo stimolo della Controriforma e dei nuovi ordini religiosi: esse si rivolgevano all’Ordinario per approvazione e licenza51. Le cose tendono a cambiare negli ultimi decenni del Seicento, e soprattutto nel Settecento: così almeno può giudicarsi da una serie di casi individuali. Del resto questo mutamento è coerente con lo sviluppo morfologico delle confraternite. La confraternita di chiesa diventa oratorio segreto e questo accresce costantemente le sue funzioni religiose. In un primo momento, di emancipazione della chiesa (parrocchiale o meno), il ricorso all’autorità laica era utile al fine della conquista di un’autonomia. Il timore del Senato che il moltiplicarsi di funzioni e simboli ecclesiastici dovesse accompagnarsi necessariamente a un ritorno nell’ambito del foro ecclesiastico era in buona parte infondato: v’erano dei limiti precisi alla possibilità di concessioni da parte dell’autorità religiosa, condizionata dal rispetto della struttura parrocchiale che gli ora- 52 Si tratta della controversia per i « ferratici ». Si vedano « Relatio ad limina » per il XXV triennio 1659: Archivio Arcivescovile di Genova, libro citato e A.S.G., ms. 612. 53 Archivio della Sacra Congregazione dei Riti, Relazione sulla Chiesa Genovese, 8 settembre 1748, pp. 112-115. 51 A.S.G., Archivio Segreto, busta 1078: questioni dinnanzi alla Giunta circa le molte confraternite erette con approvazione della S. Sede (1647). — 263 — torii minacciavano direttamente, con la loro efficace concorrenza cultuale e comunitaria. Il conflitto giurisdizionale in questa sua fase matura, si esplica in tre direzioni: confraternita e autorità centrale (Senato o Curia); confraternita e Ordine religioso; confraternita e autorità « locale » (parrocchia e, fuori città, anche « comunità »). L'autorità laica, il Senato, aveva il vantaggio, almeno in città, di porsi, come tale, in relazione diretta con la confraternita. L’Ordine religioso, organismo più libero e dinamico, mancava però di precisa strutturazione territoriale e la Curia aveva un suo ordine di priorità che le imponeva spesso di sacrificare l’interesse della concorrenza giurisdizionale. I consulti teologici cui ricorreva la Repubblica, specie dopo l’istituzione di un corpo di teologi ufficiali, rivelano chiaramente la mobile base del controversialismo giurisdizionalistico: esso può essere indagato sul fondamento, tanto dei questionari dei vescovi ai parroci, quanto su quelli del Senato ai giusdicentiiS. Notiamo che, soltanto dopo la metà del Settecento, il Senato può condurre in porto adeguate inchieste sugli oratorii segreti: questo fatto vale a documentare un periodo di ascendenza dell’autorità laicale, confermato dagli editti del 1764 e 1793 relativi al controllo delle amministrazioni degli « oratorii, massarie, compagnie, ospitali ed altre simili Opere Laicali » jS. Anche l’orientamento dei teologi è caratteristico del mutato clima. Nel 1762 e nel 1770 per esempio il Rev. Carlo De Si-gnoris si fa interprete della moderna coscienza giuridica dello stato quando sostiene che le confraternite dipendono necessariamente dal principe in quanto « comunità » e che non è ammissibile l’esercizio di autorità da parte dei priori nel dirimere le liti fra confratelli: perché — egli scriveva — « il Principe sempre vuole libero e franco il passo ai suoi tribunali nelle liti che insorgono nel proprio dominio » ir. Sono i concetti che verranno ripresi Uno dei primi « questionari », quello dell’Arcivescovo Rivarola (Archivio Arcivescovile di Genova, busta Rivarola). Il Senato usava inviare quesiti nell'imminenza di una visita arcivescovile: per es. A.S.G., Archivio Segreto, 1407 e 1201. jC A.S.G., Archivio Segreto, 1260, per serie di minute e proposte della Giunta di Giurisdizione atte ad assicurare l’autorità pubblica (1764). A.S.G., Archivio Segreto, 1257, in plico su oratorio S. Croce di Diano. — 264 — dall'Autorità francese fin dal 1802 e che ispireranno la soppressione delle confraternite. Tuttavia, ancora nel 1774, quel fenomeno associativo era vivo e dinamico: « ... è vago il Paese — scriveva il De Signoris — di mettere in piedi nuovi sodalizi, che più altro non sono, se non che seminari di discordie nei popoli, di disturbi nei parrochi, e di disgusti fra sovrani e vescovi; e nascono talora somiglianti sodalizi di parto furtivo senza la debita approvazione dell’autorità secolare»48. Tale ripresa della tematica del 1528 sembra però implicare il superamento del conflitto giurisdizionale che vien dato come risolto secondo una sostanziale comunanza di interessi fra le autorità, laica ed ecclesiastica, entro un quadro ideologicamente definito dalla prevalenza giuridica dello Stato. E questo Stato, fra l'altro, può finalmente ottenere che le casacce, per ragione di pietà e rispetto per il giovedì santo, spostino la solenne processione alla festa dellTnvenzione della Croce19. In precedenza, comunque, la controversia giurisdizionale era stata acuta in corrispondenza con un’epoca aurea dei conflitti fra Stato e Chiesa,0. Tali controversie vertevano intorno alla definizione di ecclesia-sticità o laicità delle confraternite e alla estensione « territoriale » del privilegio di immunità. L’affermazione dei diritti canonici della parrocchia doveva « spuntare » quest’ultima questione: dal punto di vista della Chiesa, il sostegno dela « ecclesiastici-tà » degli oratorii si rivelava un’arma a doppio taglio61. L’altra questione comportava tutta un'elaborazione della figura giuridica della confraternita: se quel che la rendeva ecclesiastica fosse il ** A.S.G., Archivio Segreto, 1281, consulto circa oratorio di Multedo. 59 A.S.G., Archivio Segreto, 1274, con esito della votazione fra i casac-cianti. 60 Vedere la periodizzazione di M. Rosi, Storia delle relazioni fra la Repubblica di Genova e la Chiesa Romana specialmente in rapporto alla Riforma religiosa, in Atti della R. Accademia dei Lincei, 1898, serie V, VI e anche F. Fonzi, Le relazioni fra Genova e Roma ai tempi di Clemente XIII, in Annuario dell’istituto Storico Italiano, Vili, 1956, pp. 81, 272. 61 Ne sono documento i Decreta Congregationum Sacrorum Rituum circa jura parochialia, funtiones et preminentias inter parochos et con-fraternitates laicorum, earumque capellanos et officiales, Roma, 1704. Gli esempi di questo tipo di conflitto sono innumerevoli. — 265 — modo dell’erezione, la approvazione dei capitoli, l’aggregazione a compagnie primarie romane, i diritti secondo le bolle pontificie, ecc. "\ Alla base di queste controversie noi ritroviamo comunque 1 associazione e la sua dinamica: sono le confraternite che erigono altari e campanili, chiedono l’esposizione del Santissimo, « rompono » coi parroci e con gli ordini religiosi, costruiscono oratorii, casse, cappe, ecc. Esse sono cioè l’espressione viva di un pluralismo giuridico che si afferma entro i quadri « astratti » dei diritti di chiesa e di stato. Non a caso la pubblica autorità si rende alfine conto della sostanziale autonomia del movimento delle confraternite. In conclusione ci sembra di poter indicare, dal punto di vista della storia dei conflitti giurisdizionali, questo schema di perio-dizzazione: un periodo fino al 1570-80, caratterizzato da un largo empirismo di soluzioni e dai tentativi di affermazione statuale in conflitto, non tanto con l’autorità religiosa, quanto con il frazionismo tradizionale della politica interna genovese; un secondo periodo che và fin verso la fine del Seicento, nel quale l’autorità e il prestigio della Chiesa sembrano in una certa misura e per certi aspetti prevalere; e un terzo periodo, dalla fine del Seicento, nel quale lo Stato sembra essere l’influenza ascendente, soprattutto dopo il 1750. La Repubblica tende ad assumere una posizione « assolutistica » nei confronti delle confraternite, orientandosi a tal fine verso soluzioni di compromesso con l’autorità religiosa per un comune interesse di conservazione. VI. - Le confraternite nell’epoca della « Riforma cattolica ». Il XV secolo sera aperto col movimento penitenziale dei « Bianchi ». A dire il vero, una storia della « riforma cattolica » genovese dovrebbe prender le mosse di qui per considerarne poi gli sviluppi con l’azione degli Ordini riformati, con l’affermarsi delle devozioni e delle associazioni del SS. Sacramento e con le 62 La documentazione è sparsa nelle filze giurisdizionali. Ma si vedano soprattutto le raccolte « consulti teologici », A.S.G., Archivio Segreto, 1380, A., B., C. grandi iniziative di carità della Compagnia del Divino Amore (1497) nei primi decenni del XVI secolo. Per esaminare la storia delle confraternite in questo periodo occorre rinunciare agli schemi incompleti di una storia della spiritualità: la forma istituzionale infatti era idonea a molti usi, non sempre riducibili a fenomeni di devozione, a tipologie storiche di vita spirituale. Risaliamo a un punto di partenza oggettivo, al fenomeno della distribuzione geografica delle compagnie nella città (cfr. carta 1). Le « concentrazioni » risultano caratteristiche e ciò suscita problemi di ecologia religiosa. Possiamo citare ad esempio la semplice ampiezza del convento di San Domenico; l'irradiamento della influenza francescana nella zona periferica, da San Francesco all’Annunziata di Portoria; l'importanza dei fattori di tradizione per San Lorenzo, chiesa-simbolo della Repubblica, e per S. Agostino, la chiesa delle arti °\ Francescani e domenicani si sono affermati con una funzione di mediazione fra i gruppi sociali: accolgono compagnie aristocratiche e popolari. Viceversa l’esclusivismo aristocratico delle associazioni di San Lorenzo è una conseguenza del rilevato carattere della Cattedrale. Notiamo che a differenze di composizione sociale corrispondono differenze morfologiche. Per il periodo che qui c’interessa (1460-1530) abbiamo a che fare con queste tipologie: devozioni e compagnie del SS. Sacramento; « societates » della Pace, Amore e Carità o variamente denominate; compagnie mariane, oratorii veri e propri (ancora pochi) e, infine, le casacce. A dire il vero non esiste neppure un modello unico per le compagnie del SS. Sacramento. Abbiamo solo un gruppo di capitoli, ma il confronto ad esempio fra le compagnie di S. Maria di Granarolo e di S. Ambrogio è illustrativo. I primi suggeriscono una compagnia popolare, selezionata su una base « mo- 6:1 Si veda G. Le Bras, L'invasion de l'église dans la cité, in Urbanisme et Architecture. Etudes écrites et publiées en l’honneur de P. Lavedan, Parigi, 1954. Su S. Agostino, P. De Lucchi, La chiesa di S. Agostino in Genova, S.P. d’A., 1893; su San Lorenzo: Notizie storiche della chiesa metropolitana di S. Lorenzo descritte da T. Negrotto canonico di essa, ms. in Biblioteca Unix’ersitaria di Genova. — 267 — raie » e di devozione — una « élite » parrocchiale —: lo indicano 1 uso delle immagini rettoriche e dei simboli, le raccomandazioni molto « elementari », la preoccupazione per l’esercizio disciplinare di un autorità interna. Viceversa i capitoli della compagnia di S. Ambrogio testimoniano un grado di formalizzazione amministrativa quale era possibile in una compagnia di notai situata nel centro della città: i contributi sono più elevati e vien fatto esplicitamente obbligo di investire danaro in San Giorgio. Gli statuti di compagnie aristocratiche, interessate anch’esse alla devozione del SS. Sacramento, testimoniano un grado di formalizzazione anche più spinto e il loro contenuto « morale » e devozionale è ancor più povero. Solo in un paio di casi, quello del- 1 « aristocratica » compagnia del Divino Amore e dell’altra, più popolare, della Misericordia, lo « spirito » statutario sembra esser stato così ricco e originale da cancellare il riflesso sociale e da creare i capolavori della « nuova devozione » “. Questa distinzione sociale riappariva nelle processioni più famose del tempo, quelle della Croce, di San Giovanni Battista, di Maria Vergine, di San Sebastiano e del Corpus Domini — in relazione ai privilegi di porto e alla composizione delle « mobbe » (gruppi di « portatori »). La Costituzione della Repubblica si rifletteva direttamente nella formazione delle « mobbe », composte sulla base del complesso equilibrio di « bianchi » e « neri », nobiles, populares, artifices 6\ Sicché i potenti avevano i ruoli di prestigio religioso e il popolo, per la maggior parte, faceva da coreografia: salvo a cercarsi, poi, a sua volta, i suoi ruoli di prestigio. Tale spirito di concorrenza cultuale fra i gruppi è particolarmente rilevabile dallo studio delle compagnie aristocratiche. In realtà potrebbe perfino dubitarsi dell’opportunità di conside- 04 I capitoli della prima, già pubblicati, sono in ms. della Biblioteca Universitaria di Genova (due versioni); numerosi sono i capitoli della compagnia della Misericordia, sulla quale si veda G. Balbi, La Compagnia della Misericordia di Genova nella storia della spiritualità laica, in Fonti e Studi di Storia ecclesiastica, III, Genova, 1963. Questo appartentemente il significato delle molte « liste » di nobiles, populares, medi e artifices fra 400 e 500. Si veda A.S.G., Diversorum Com-munis Januae, in filze varie. — 268 — rare queste « societates » come confraternite vere e proprie. I titoli hanno sì un significato religioso (ricordano le litanie dei bianchi penitenti) ma il contenuto morale è scarso: si tratta di riunioni di giovani « ad bene honesteque vivendum ». L’onere di qualche devozione nelle chiese — la devozione al SS. Sacramento e la cura del Sepolcro, o un altare e cappella, o ancora la custodia di qualche preziosa reliquia — tutto ciò vale a caratterizzare il centro di prestigio delle « societates ». Tali associazioni si radunavano generalmente nei chiostri e, più di rado, in cappelle, ma avevano nelle chiese, e soprattutto in San Lorenzo, il loro essenziale riferimento di prestigio. Non si tratta certamente di « élites » parrocchiali — è ovvio che la classe aristocratica trascendeva largamente la cornice parrocchiale — e neppure si tratta di associazioni a carattere familiare tradizionale. Nate come espressione di alleanze giovanili, e tuttavia non temporanee, queste « societates » vanno qualificate come associazioni politico-religiose 6‘. Poiché la devozione del Corpo di Cristo diveniva verso la metà del secolo XV sempre più popolare, e poiché d’altra parte questo culto comportava spese non indifferenti — dalle lampade accese ai ricettacoli del Santissimo, ai grandiosi « Sepolcri » del giovedì santo — anche queste compagnie ne presero la cura. E’ certo che esistevano compagnie devote del Corpo di Cristo in San Domenico e in San Lorenzo prima del 1450, ma è dubbio che esse si intitolassero al SS. Sacramento: nel 1460 una « societas Pacis et Amoris » provvedeva a questo culto in San Lorenzo e la formavano nobili « antichi »; nel 1490 una « societas Amoris et Concordiae » in San Domenico, aveva le stesse funzioni. Queste chiese e San Francesco ebbero una compagnia intitolata al SS. Sacramento solo attorno al 1528: la nuova denominazione deve esser messa in relazione con le leggi repressive delle conventicole e delle associazioni di parte. La rivalità fra le fazioni è infatti ricostruibile come rivalità di prestigio e concorrenza cultuale, ove quel che contava era 1 og- 66 Su queste società nobiliari si rimanda a un mio lavoro di prossima pubblicazione nella Rivista Storica Italiana, sulle conventicole nobiliari e la Riforma del 1528 (1966, n. 4). — 269 - getto del prestigio, la « materialità » del culto, fosse essa la Croce dei Zaccaria o la custodia Eucaristica. Le compagnie espressamente intitolate al SS. Sacramento erano invece nate su una base sociale più popolare nelle altre chiese: in San Donato, in S. Maria delle Vigne, in San Siro (protagonista qui l’altolocata occupazione dei pellicciai), in S. Maria dei Servi, ecc. e via via in tutte le chiese genovesi: con esse il laicato diventava protagonista della vita liturgica e spesso la compagnia acquistava funzioni vere e proprie di massaria parrocchiale. Il caso è molto frequente nelle « comunità » provinciali, ma esempi genovesi non mancano 6T. Accadrà anche che in seguito la compagnia abbandonerà la chiesa e porrà sede in un proprio oratorio. Nel 1582 il Bossio enumerava espressamente undici compagnie del SS. Sacramento nelle chiese parrocchiali. Ma è chiaro che le sue intimazioni e i successivi deliberati sinodali dovevano provocare gravi tensioni fra compagnie e parroci, compagnie e vescovi. La fioritura di queste associazioni era stata spontanea e più sovente non provocata dal clero: a volte il Senato, a volte l’autorità religiosa avevano ratificato i capitoli. Il tentativo di disciplinarle ponendole tutte sotto l'autorità di una confraternita-madre in San Lorenzo doveva suscitare resistenza e, nella pratica, essere largamente frustrato. Questo non è l’unico esempio di una catena di compagnie legate ad un medesimo tesoro di indulgenza — la bolla di Paolo III (1539) — ma in altri casi questo legame era sostanziato dal prestigio di un Ordine, certo più capillare e ricco che non quello della Curia. Compagnie mariane erano sorte nel corso del Quattrocento in tutte le chiese maggiori della città: la devozione dei « bianchi » penitenti era stata soprattutto una devozione mariana. Il rinnovamento di tale culto fu opera soprattutto dei Padri Predicatori. La « riforma », come è noto, era stata intrapresa da Alano della Rupe nel 1468: la nuova formula fu quella di una « devotio » 6| Esempi citati alla nota 36 (particolarmente quello di S. Stefano). Sulle compagnie del SS. Sacramento si veda il mio articolo Le compagnie del SS. Sacramento a Genova, in Annali della Facoltà di Giurisprudenza, Genova, IV, fase. 2. — 270 — aperta a tutti coloro che recitavano quotidianamente il Rosario, legati a un medesimo tesoro di indulgenze — concesso all’Ordine da amministrare — e senza impegni di carattere economico (obo- lo o soldo d’entrata). La « riforma » entrò in Italia attorno al 1484 e si diffuse soprattutto nei conventi domenicani riformati cs. La prima confraternita del Rosario di cui abbiamo notizia fu fondata in Genova dal domenicano Vincenzo Bandelli nel 1504 nel sobborgo di Fassolo: la dirigevano i Padri Riformati di Castello 69. Abbiamo tuttavia accertato l'esistenza di una consortia del Rosario in S. Domenico nel 1517 (Predicatori Osservanti), consortia che doveva essere poi « illustrata » dalle migliori famiglie genovesi70. Il padre Vigna documenta l’esistenza di una compagnia del Rosario in Santa Maria di Castello solo per il 1577, cioè dopo la battaglia di Lepanto che diede, com’è noto, un formidabile impulso a questo culto 7I. Negli anni seguenti sorsero altre compagnie in San Tomaso, in S. Antonio di Prè, sul Molo Vecchio, in S. Giovanni di Prè e, nel 1611, in San Vincenzo. Le sedi documentano il successo popolare del culto e un orientamento di « missione » dei Predicatori. L'approvazione del Generale dei Domenicani era essenziale per la fruizione delle indulgenze e implicava il riconoscimento della confraternita-madre 68 Sulle confraternite domenicane G. Meersseman, Études sur les anciennes confréries dominicaines, in Archivum Fratrum Predicatorum, 1950-51-52 e, del medesimo, La Riforma delle confraternite laicali in Italia prima del Concilio di Trento, in Problemi di vita religiosa in Italia nel Cinquecento, Atti del Convegno di Storia della Chiesa in Italia (Bologna, settembre 1958), Padova, 1960. 69 Memorie storiche dell’oratorio di N.S. del Rosario di S. Teodoro raccolte e compilate da F. Falcone l'anno 1831, ms. in Biblioteca Universitaria di Genova. 70 Si veda Elenchica Synopsis, id est, strictum ac verum Compendium Fundationis, Incrementi, Obligationis et Redditus Celeberrimi Conventus Divi Dominici Januae... compilatum per Fr. Thomas de Augustinis Eiusdem Cenobii Alumnum, 1678, ms. in Biblioteca Universitaria di Genova, per notizie diverse sulla compagnia che ho trovato citata per la prima volta in A.S.G., Notaio P. A. Vinelli 1517. 71 A. Vigna, Storia Cronologica di S. Maria di Castello, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, XXL — 271 — di San Domenico cui spettava l’iniziativa processionale 7~. L'autorità dei Padri fu poi posta in discussione — a cominciare proprio dai confratelli di San Domenico — e nel Settecento fu contestata la prerogativa di questa confraternita-madre Pari-menti gli statuti si evolvettero nei modi caratteristici di una qualsiasi confraternita. Nel 1629, ad esempio, i confratelli di San Giovanni votarono nuovi capitoli che prevedevano la tassa d'entrata di uno scudo d’argento, un contributo di sei soldi mensili e la celebrazione di settanta messe per ogni confratello morto (un trattamento di lusso a quei tempi). Dal « Libro delle deliberazioni » apprendiamo anche che la confraternita possedeva una cassa portata in processione da due «camalli»71. Accanto alle nuove confraternite mariane del Rosario, ricordiamo anche le confraternite di Nostra Signora della Cintura nelle chiese agostiniane, di N. S. del Carmine (Carmelitani) e di N.S. dei Sette Dolori (Serviti). I nuovi oratorii segreti furono invece, per lo più, creazioni delle arti. Gli oratorii di S. Crispino, San Defendente, San Giuseppe, San Cipriano e S. Barbara, testimoniano di un fenomeno destinato ad acquistare maggior importanza nel Seicento. Anche le arti abbandonavano i centri tradizionali di adorazione e di riunione nelle chiese, come già avevano fatto le compagnie dei disciplinanti. Alcune arti, però, come quelle dei pellicciai e dei setaioli, si fecero promotrici del culto del SS. Sacramento in San Siro e in San Sebastiano e gli orefici fondarono l’opera del Beato Eligio (in S. Maria delle Vigne) con finalità caritatevoli. E’ da notare, comunque, che le più antiche confraternite « di gruppo » apparvero fra i forestieri, i paggi e i send, rimasti al di fuori dell’iniziativa assistenziale ospitaliera. Nel Cinquecento erano rimaste in vita soltanto le compagnie dei servi e dei greci in N.S. delle Vigne e l’altra, famosa, della Misericordia, detta « delle Quattro Nazioni » in N.S. dei Servi. '2 A.S.G., ms. 551 e Archivio Segreto, 1238 (controv. fra la compagnia di S. Domenico e quella di S. Antonio). 73 Si vedano notizie in Elenchica Synopsis cit. '■* Libro dove si notano le deliberazioni che si vanno per la giornata facendo da fratelli nell’oratorio di N.S. del Rosario in San Giovanni, ms. in Biblioteca Universitaria di Genova. — 272 - Soltanto 1 evoluzione di quest’ultima è sufficientemente documentata. Compiti di devozione e mutua assistenza appaiono stretta-mente congiunti fin dalle origini, nel secolo XIII75. Le comunità mercantili straniere divennero presto comunità di artigiani e soldati: nel secolo XVI, i 4 priori della confraternita dovevano essere due artigiani e due soldati, e le « quattro nazioni » comprendevano ormai un po’ tutti i forestieri, soprattutto i meno abbienti. Il successo e lo sviluppo della compagnia non sono che un episodio della vitalità associativa dell'epoca medioevale. I forestieri, esclusi dalle altre associazioni, istituirono una consortia su base etnica e, accanto alla cappella, centro di devozione, posero la casa ospedaliera; solo in seguito questo « quartiere » fu incorporato nella Chiesa di N.S. dei Servi76. I capitoli del 1393 rivelano già mature preoccupazioni di bilancio: vengono prese disposizioni contro l’ammissione indi-scriminata e vien fatto obbligo di ricordare la società nei testamenti. In seguito lo sforzo statutario è rivolto e definire una stabile struttura amministrativa per garantire il patrimonio crescente della società ". A tal fine venne ricercata l’approvazione del Doge (1485) e ottenuta l'assistenza diretta di un magistrato nelle liti con i debitori e gli eredi concorrenti (1493 e 1540). I lavori alla nuova cappella del 1506-8 testimoniano un periodo di splendore, ma la « pietà » è in crisi e le contese di prestigio fra i diversi gruppi nazionali dominano la compagnia. La Riforma del 1576, mandata ad esecuzione nel 1590, cercava di eliminare gli abusi e di favorire un ritorno alle antiche « regole », ma mancava di ispirazione « morale ». La crisi interna sfociò poi nella fusione del 1608 con la compagnia del Crocefisso, mentre la nuova devozione alla Madonna dei Sette Dolori si sostituiva a quella L’origine più antica è denunciata dalla confraternita nel 1804, ma appare anche da altri documenti. 76 A.S.G., ms. 842 (Perasso, Notizia della chiese). 77 La documentazione più completa nel codice illustrato da A. Bassi, La consortia dei forestieri di N.D. della Misericordia detta poi di S. Barbara in S.M. dei Servi a Genova (1393-1608), in Giornale storico e letterario della Liguria, N.S., IV, Genova 1928, pp. 17-45. La medesima documentazione in A.S.G., Archivio Segreto, filza 1334 e Atti Senato, filza 1421. - 273 - 18 tradizionale nella cappella dei forestieri. In realtà la condizione giuridica dei forestieri era mutata: come « artisti » essi avevano accesso alle arti; malati erano accolti in Pammatone; le discriminazioni erano cessate, e così i ghetti. Di conseguenza le basi associative erano mutate 7S. L’esemplificazione offerta dalla compagnia delle « quattro nazioni » vale a chiarire il significato delle successive confraternite di mestiere: sintesi di attività sociali istituzionalmente distinte, una volta che il servizio ospedaliero offerto dall’ospedale unico di Pammatone fu ritenuto adeguato. Ci rimane da parlare, per esaurire questo schizzo delle associazioni del Cinquecento, della compagnia del Divino Amore e delle altre iniziative cui è legata la nuova stagione della pubblica carità. Si tratta dell’argomento fondamentale da un punto di vista di storia della spiritualità, intesa più spesso come storia di ricchissime esperienze individuali. Nelle sue linee generali l’episodio è noto, così come la spiritualità delle figure principali è stata fatta oggetto di fine esegesi storico-critica. L’argomento, tuttavia, è maturo per una trattazione sistematica ed erudita: studio delle premesse del movimento, ricerca sui personaggi, ricostruzione delle diverse iniziative, azione dei nuovi fermenti di carità nei periodi successivi. A completamento del nostro quadro possiamo considerare sufficienti le notizie già acquisite. Senza dubbio le compagnie del Divino Amore, della Misericordia, del Mandiletto, della Carità di Gesù e Maria, sono la voce più spiritualmente libera del laicato impegnato nell’opera di rinnovamento della Chiesa. Ma il quadro delle confraternite del tempo è più vario e comprende apporti diversi, sociologicamente significativi: le compagnie del SS. Sacramento esprimono il crescente successo di un nuovo culto che saldava laicato e chiesa; le compagnie aristocratiche intitolate alla Pace, Amore e Concordia, sono la traduzione politico-religiosa del contrasto fra le fazioni nobiliari; le confraternite del Rosario documentano un tentativo di rinnovamento della politica degli Ordini Riformati verso il laicato; i primi oratorii delle 78 La nuova compagnia durò fino al 1811 ed era una delle più numerose. — 274 - arti, un nuovo orientamento della prassi religiosa e mutualistica degli « artisti », già delineato in anticipo dalla compagnia dei forestieri. Alcuni di questi gruppi di compagnie avranno vita anche nei secoli seguenti, ma sarà in qualche modo una vita diversa rispondente al clima culturale e sociale di nuove epoche storiche. VII. - I Padri Gesuiti e le confraternite. L opinione laicista dell’Ottocento dava per scontato l’allineamento dei gesuiti genovesi con l’aristocrazia e in generale con gli interessi più conservatori della città. Tale era anche l’opinione corrente nella seconda metà del Settecento: non era possibile — sosteneva un « biglietto di calice » del 1774 — che l’oratorio di San Gerolamo, simbolo per il popolo dell’intrigo politico dei magnifici, non fosse governato dai Gesuiti79. Il Fonzi ha parlato di un allineamento della Compagnia con gli interessi giurisdizionali della Repubblica: in seguito il Senato avrebbe mostrato molta riluttanza a sopprimere l’Ordine 80. Senza dubbio, fin dal lontano 1554, quando essi furono accolti in Genova, i Padri ebbero l’appoggio di potenti famiglie, senza del quale del resto nessun Ordine religioso avrebbe potuto trovare il suo spazio vitale in città. Mancò però un attivo sostegno ufficiale e le vicissitudini delle sedi mostrano che gli interessi contrari non erano affatto secondari. Due volte almeno, nel 1575 e nel 1582, il popolo stesso aveva mostrato segni d’intolleranza nei confronti dell’Ordine degli « spagnoli » 81. Quest'accusa, o quest’opinione, fu dura a morire e ancora alla metà del Seicento se ne faceva portavoce lo Spinola nel già citato « Dizionario »82. 79 A.S.G., Archivio Segreto, filza 1283. 80 F. Fonzi cit., cap. III. Si vedano anche cenni nei Ricordi del Mese, A.S.G., Archivio Segreto, 1640 A e 1642 (ho utilizzato il bel regesto della Dott.ssa Ciapina). 81 La narrazione più completa delle vicende della compagnia è quella di A. Monti, La compagnia di Gesù nel territorio della provincia Torinese, Chieri, 1914. 82 Dizionario filosofico politico, cit. — 275 — Certo, agli inizi, qualche fondamento non mancava. I Padri di Genova, per la maggior parte forestieri, avevano difficoltà ad inserirsi e ad accettare « l'ambiente mercantile »; nè si può credere che fossero ben accolte le iniziative del Laynez presso il Senato per ottenere un disciplinamento dei « contratti illeciti » *3. D'altra parte la Spagna rappresentava il più potente « interesse » nella politica e nell’economia genovese del Seicento (ed oltre). Da questo punto di vista l’accordo con la classe dirigente non poteva mancare, tanto più che, nel frattempo, il personale della Compagnia si era fatto sempre più « indigeno ». I nominativi degli ufficiali della Congregazione della B. V. Annunziata offrono, in mancanza dei ruoli degli studenti, un'utile testimonianza dell’influenza cittadina dei Padri dal 1590 al 1702: la direttrice era ovviamente quella di una iniziativa di « élite », conforme al realismo ignazianoS4. L’influenza della Compagnia si consolidò: la florida situazione finanziaria, documentata nei dettagli per il 1774 e frutto di una serie di generosi legati aristocratici, lo conferma ampiamente 85. Notiamo che la tecnica amministrativa dei Gesuiti era quanto mai efficace. Ogni iniziativa di pietà e devozione doveva sostenersi in modo autonomo, aveva cioè fondi propri e una propria responsabilità di gestione. L’attività di quest'ordine religioso centralizzato si distingue per il suo largo decentramento pluralistico. La stessa qualità è rivelata dalla politica dei gesuiti nei confronti delle confraternite: i Gesuiti, vedremo, ne costituirono di nuove, sempre fondandole sulla base di gruppi omogenei per età, natura sociale e professione; altre in crisi ne rilevarono e rinnovarono e s’intromisero nella vita stessa delle casacce, specie in quella vicina di S. Ambrogio. Il « periodo eroico » della compagnia a Genova testimonia un 83 Su Laynez a Genova cfr. A. Monti, cit. Annali della Congregazione della B.V. Annunciata del Collegio di Genova della Compagnia di Gesù (ricostruzione del 1645) ms. in Biblioteca Universitaria di Genova.. 85 Cfr. A. Monti, cit., vol. II, Appendice p. 95. La documentazione sui lasciti può essere rintracciata in A.S.G. R. Università di Genova, vari libri di Cassa, Conti, Amministrazioni di Legati, ecc. — 276 — felice spirito di innovante adattamento. I Padri accettarono e fecero proprio il legato della « riforma cattolica » genovese, rinnovandone lo spirito nell’impegno intenso di devozioni e opere di carità. Nuova e originale fu invece la loro attività educativa. Le « Litterae Quadrimestres » e le relazioni della Casa Professa e del Collegio al Provinciale milanese, ci documentano esaurientemente sull attività dei Padri, degli studenti e dei confratelli da essi guidati nei primi decenni dell’esperienza genovese della Compagnia 86. I Gesuiti erano chiamati — ricorda con evidente compiacimento una lettera del 1560 — « la Sapienza di Genova ». Il senato-consulto del dicembre 1553 aveva loro aperto le porte della città come educatori e maestri nei classici87. La prima iniziativa fu quella del Collegio: nel 1557 gli scolari erano 255, ma poi diminuirono e non fu possibile assolvere pienamente i compiti fìssati dalla « Ratio studiorum » fino all’apertura del sito definitivo in strada Balbi (1642): cinque anni dopo gli studenti erano saliti a cinquecento 88. Come predicatori di quaresima e come confessori, i Padri ebbero subito grande successo. Viceversa la loro attività di educatori incontrava non pochi ostacoli: è probabile che l’aristocrazia genovese non trovasse di suo gusto quel tipo di istruzione così lontano dai suoi interessi immediati89. Nè fu sicuro il successo delle vocazioni: le « relazioni » constatavano amaramente come i giovani, educati dai Padri della Compagnia, si facessero più 86 Monumenta Historica Societatis Jesus, Litterae Quadrimestres 1-7, Roma, e Archivio della Curia Generalizia della Compagnia di Gesù, buste Med. Prov. Histor., 75-81, Annuae dal 1557 (una buona raccolta fino alla metà del Seicento). 87 Senato-consulto 19 dicembre 1553. Si veda la lettera di ringraziamento del Sauli: A.S.G., Senato, Litterarum, filza 1961. 88 Istoria del Collegio di Genova dai suoi principi nel 1553 fino al 1112, scritta in gran parte dal P. Nicolò Gentile e dal 1689 continuata da vari, ms. in Archivio Curia Generalizia Compagnia di Gesù, (d’ora innanzi A.C.G.C.G.). 89 Sunt sane praeclaro ingegno plerique ornati, sed illius acumen omne ad quaestuose mercaturae rationem applicant: così una relazione del gennaio 1569, A.C.G.C.G., Med. 75. — 277 — spesso domenicani o cappuccini, due ordini superiori o per tradizione o per dinamismo sociale. Eppure la devozione gesuitica era « devozione moderna »: a cominciare dal rinnovamento delle pratiche penitenziali ed eucaristiche, che i Padri patrocinarono costantemente, indirizzando i loro sforzi tanto verso le « élites » quanto verso la massa. Le prime confraternite di cui abbiamo notizia furono compagnie di Comunicanti. I giovani adepti trovarono modo di diffondere originalmente il culto del SS. Sacramento con una tecnica del tutto nuova fl0. Confessioni e comunioni furono le prime pratiche registrate nelle chiese tenute saltuariamente dai Padri. Nel 1617 in corrispondenza con la prima missione generale per Genova, venne istituita la comunione generale 9I. Tale comunione di massa rappresentò il punto culminante delle grandi missioni nelle parrocchie cittadine nel 1647 e 1648 condotte sul modello delle missioni siciliane: il SS. Sacramento veniva esposto per stimolare la pubblica devozione; le comunioni ascesero a tredicimila (S. Stefano) e ottomila (S. Salvatore)92. Senza dubbio la pratica eucaristica fece passi da gigante fra la popolazione urbana. Il clima della devozione stava trasformandosi in uno di conformismo eucaristico, ma l’opera « amministrativa » della Curia sarebbe risultata assai più diffìcile e meno efficiente senza queste periodiche manifestazioni di « revivalismo ». Dallo stesso punto di vista, di un profondo rinnovamento della pastorale urbana, và ricordato anche l'impegno che posero i gesuiti nella diffusione dell’insegnamento della dottrina cristiana. Nel 1600 le scuole erano venti e nel 1618 la compagnia-madre ebbe sede in S. Ambrogio: nel 1654 essa fu associata alla Congregazione dell'Annunciata del 90 Monumenta Historica Societatis Jesu, Litterae Quadrimestres (1855) cit. L’episodio è commentato da P. Tacchi Venturi, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, I, cap. X che lo riferisce però al 1558. 91 A.C.G.C.G., Med. 76, II e G. Cordara, Historiae Societatis Jesus, pars sexta, Roma, 1750 a.c. 1617, che riferisce come l’istituto della comunione mensile sia stato propagato da P. Nicola da Promontorio. Al primo giorno parteciparono Genuenses magno numero usque ad quadraginta milia. 92 A.C.G.C.G., Med. 77, le relazioni sono di eccezionale interesse. Collegio Romano oa. L’iniziativa era però stata presa in modo « informale » fin dagli inizi: i giovani del collegio diffondevano l’insegnamento « per vicos et per vias », e speciali missioni raggiungevano i villaggi montani e le borgate di riviera. Anche qui, ancorché non per esclusiva iniziativa dei Padri, la tecnica di propaganda era nuova: la religione usciva dalle Chiese e invadeva le piazze. I Magnifici non vedevano di buon occhio questo nuovo costume della predicazione in piazza. Avvenivano pericolosi assembramenti, nè il predicatore consumato poteva tralasciare i temi più popolari dell'uguaglianza, della giustizia e della denuncia dei potenti94. Del pari caratteristico dell’iniziativa gesuitica era l’interesse per la conversione degli infedeli. La pubblica « confermazione » doveva esaltare i sentimenti della collettività durante i giorni della missione. Genova, città cattolica, non era terra di martirio e di conquista: l’impulso dell’ortodossia si rivolgeva così verso quelle minoranze (turchi, mussulmani e tedeschi) che da secoli erano al servizio della Repubblica come galeotti e soldati. La visita alle galère ricorre fra le pie pratiche di Padri e confratelli fin dal 1558. Il rinnovamento dello spirito era affidato all’umiltà: pubblica confessione, segretezza della « disciplina » (cui venivano invitati anche gli adolescenti), penitenze durante il carnevale, semplicità nelle processioni (a edificazione degli scatenati casaccianti), ab-bruciamento di libri e vanità. Del pari ricca era l’attività caritativa: nei primi tempi si annoveravano fra i più splendidi successi le donne che venivano indotte a ritirarsi dalla malavita, l’opera di pacificazione nei villaggi e in città, fra le casacce e le fazioni. E la più nobile tradizione della carità genovese era ripresa: la cura agli infermi negli spedali (compresi gli infetti), il soccorso ai poveri vergognosi, la visita alle carceri, l’assistenza 03 A.S.G., ms. 549. Cfr. anche D. Merea, Memorie storiche della Congregazione della Dottrina Cristiana, Genova, 1894. 94 A.S.G., Archivio Segreto, 1149 (circa la predicazione del P. Morati, 1688). Il Padre Segneri fu obbligato a predicare fuori le mura (A.S.G., Archivio Segreto, filze 1150 (114), 1154 (105) e 1343 (125). — 279 — ai giustiziati 95. Come confessori di qualità, come organizzatori di esercizi spirituali e come riformatori del clero e dei monasteri, i Padri potevano conquistare poi un grande prestigio sociale. Questa varia e multiforme attività non poteva certo esser sostenuta da una ventina di sacerdoti: i Gesuiti ricorsero come ovvio strumento di aiuto alle congregazioni mariane impegnando sistematicamente il laicato, non più soltanto in un’opera di rinnovamento della Chiesa, ma in un lavoro capillare di rinnovamento della società. Abbiamo notizia di compagnie di comunicanti nel 1557 e nel 1558, istituite fra i primi scolari del Collegio, e poi di una Compagnia di Carità nel 1561 !'6. Negli « anni ottanta » sono citate le seguenti confraternite sotto la guida dei Padri della Compagnia: l’Oratorio del Gesù, fondato dal Padre Loarte alle Grazie (1557); la Congregazione della Dottrina Cristiana dell’Annunciata di Portoria; l’oratorio dell’Annunziata e San Giovanni Battista istituito nel 1567 all’ospedale di Pammatone; l’oratorio degli adolescenti con sede presso l’Ospedaletto; l’oratorio della SS. Trinità, rilevato dai sacerdoti secolari e « riformato »; l’oratorio del Soccorso o di San Martino, « riformato » ugualmente nel 1588 (e la sede fu trasferita da San Benigno a S. Ambrogio); gli oratorii della Purificazione e di San Giovanni Battista, nati dalla scissione dell'oratorio dei giovani fondato all’Annunciata nel 1571; l’oratorio della Madonna, cui aderivano quei maggiorenti della città che si radunavano fin dal 1584 in S. Ambrogio 97. L’obbligo eucaristico settimanale, la disciplina, il digiuno al venerdì, l’insegnamento della dottrina, la carità verso malati e poveri, caratterizzano le costituzioni dei nuovi oratorii. La comunione mensile e il preciso impegno di carità caratterizzano la « riforma » degli oratorii più antichi. L’oratorio della Madonna era nato da riu- 95 Per un certo periodo i Gesuiti tennero il governo dell’Ospedaletto e della compagnia del Mandiletto. Gesuiti erano confratelli del « Divino Amore » e i congregati gareggiavano con la Compagnia della Misericordia nell’assistenza ai giustiziati: A.C.G.C.G., Med., 76, I. 96 ‘ Monumenta Historica Societatis Jesus, Litterae Quadrimestres cit., 3, 5 e 7. 97 Istoria del Collegio, cit. — 280 — nioni segrete bi-setlimanali di una decina di Magnifici, invitati a meditare e conferire di cose spirituali e a raccogliere elemosine: in un secondo tempo era stata lanciata una pubblica congregazione che annoverò fino a ottanta signori « principali e togati >/. L’iniziativa, « poco gradita a Palazzo, non durò lungamente ». La Repubblica ricorse alla legge « de conventiculis » del 1576 9S, ma l’oratorio doveva risorgere nel 1618. L’intervento presso i casaccianti di S. Ambrogio data probabilmente fin dal 1584 'J,J. I Padri vi fondarono in seguito (prima del 1632) una confraternita dei Penitenti di Cristo, la cui condizione particolare dovette essere garantita da un intervento del Senato nel 1642 I0°; nè allora cessarono i contrasti, chè nel 1697 i casaccianti — dottori, notari, giovani di cancelleria, mercadanti, scritturali, « tutte persone ben nate insomma » — dovranno ricorrere al Senato contro il comportamento della confraternita dei Penitenti101. L’interesse per gli oratorii « che in questa città sono molti e molto numerosi, et alcuni di persone principali » è documentato come uno specifico terreno d’iniziativa fin dal 1581 10\ L’opera dei Padri fu opera di riforma: fu stimolato il fervore, furono date nuove regole. Un sodalizio della Vergine del Rosario s’accrebbe fino a 1200 confratelli, a seguito della predicazione fra la gente delle triremi 103. Le direttive centrali non smentirono questa politica di massimo empirismo. Le « regole generali » di Acquaviva sono a fondamento della nuova (riformata) congregazione della B.V. Annun- 58 Nel 1593 in base a questa legge, la Repubblica soppresse l’oratorio dei poveri orfani (A.S.G., Archivio Segreto, 1078). Trattavasi dell oratorio di San Giovanni Battista fondato dai Gesuiti all’Ospedale. Analogo provvedimento dovette esser preso contro la congregazione dei nobili. L iniziativa di Gesuiti e Teatini era ritenuta a Palazzo troppo radicale. 39 A.C.G.C.G., Med., 75; si parla per il 1584 di intervento pacificatore « in oratorio chiamato casazza » di 500 persone. I Padri intervennero del resto anche nella casazza di San Giacomo delle Fucine. 100 A.S.G., Archivio Segreto, 1113 (vertenza Penitenti-casaccia del 1664). 101 A.S.G., Archivio Segreto, 1165 e Atti del Senato, filza 2805. 102 A.C.G.C.G., Med. 76, 1. 10:1 A.C.G.C.G., Med., 76, 1. — 281 — ciata, istituita nel Collegio nel 1590 104: ad essa doveva corrispondere fra gli adolescenti quella dell’immacolata. Può esser ricordato ancora un tentativo di devota associazione compiuto nel 1632 attorno alla devozione degli Agonizzanti, incoraggiata contemporaneamente dai Padri Teatini di S. Siro 10,\ Abbiamo due copie a stampa delle regole di una « Congregazione della Madonna della Pietà » in se stesse prezioso documento di spiritualità. La devozione avrebbe dovuto riunire la congregazione della Penitenza, del Venerdì, della Pietà e del Governo, accomunate da uno scopo comune: la creazione di un Monte di Pietà spirituale cui attingere per una buona morte. La pubblicazione del 1645 seguì alla concessione di indulgenze da parte di Innocenzo X, ma la nuova edizione del ’47 non fa menzione del complesso schema associativo. L’ambizioso proposito non era stato coronato da successo l06. Nel secolo successivo si può seguire l’influenza e l’iniziativa dei Padri nel campo delle associazioni laiche studiando la diffusione di culti caratteristici e alcune iniziative particolari. Sappiamo quali furono le grandi devozioni gesuitiche: la Vergine, San Giuseppe, le Anime Purganti, gli Angeli, il Sacro Cuore ll>7. Confraternite particolari come quelle di San Francesco Saverio, di N.S. del Monserrato, del Sacro Cuore (la prima nel 1698), rivelano la specifica influenza della Compagnia. Le iniziative seguono le già enunciate direttrici: congregazioni di collegio, riforma di oratorii esistenti 10®, lancio di nuove confraternite di gruppo: ed 10,1 Si veda E. Villaret, Les Congrégations Mariales, I, Parigi, 1947. 105 Annali della Casa e Chiesa dei RR.PP. Chierici Regolari detti Teatini di San Siro nella città di Genova, descritti dall'anno della sua fondazione 1572 sino all’anno 1651 dal Padre Don Andrea Sottani Genovese e continuata sino al corrente anno 1741, ms. in Archivio Parrocchiale di San Siro. i°6 Regole e Statuti della Congregazione sotto la protezione della Madonna della Pietà, Genova, I ed. 1645, II ed. 1647; della stessa Congregazione abbiamo un Libro dei Conti (1644-65) in A.S.G., Regia Università di Genova, 25. 10 • Si veda J. de Guibert, La Spiritualité de la Compagnie de Jésus. Esquisse historique, Roma, 1953, in particolare il capitolo IX. 108 Fra questi l’oratorio della Passione in contrada dell’Oro (1644) e un altro di San Martino (1676). - 282 - è quest’ultima direttiva che viene particolarmente accentuata. Abbiamo notizia così di una compagnia di mercanti e notai (1660), di un’altra di giovani che s’applicavano agli « scagni » (N.S. Assunta 1676), di un sodalizio per i bambini delle arti (M. Vergine, 1682), di un altro di mercanti (1712), e di un altro ancora di « fattorini » dedicato a San Stanislao (1717) ’09. Attraverso la riforma degli « stati » si voleva così arrivare alla riforma della società: questa direttrice tradizionale acquistava crescente operatività. Nello stesso senso vanno interpretate e l’estensione della pratica degli esercizi spirituali — per le dame, ad esempio, ed anche per i giovani di scagno 110 — e la fondazione di nuovi istituti, quali il Collegio e il Casino dei Nobili. In questo modo il « nuovo » Ordine religioso 111 affermava e consolidava la sua influenza sulla città. Il fattore dell’influenza ecologica, di stanziamento, non mancava, ma non ebbe certo l’importanza che ebbe per i Padri Predicatori "2. L’iniziativa delle missioni, la massima « pubblicità » del culto e della predicazione svilupparono al massimo le possibilità dell’influenza personale; la « specializzazione » rappresentava una direttiva associativa quanto mai efficace a garantire la solidità dell’istituto. Lo stesso tipo di devozione — comunione frequente, casi di coscienza, esercizi spirituali — aveva carattere diverso, più formativo che episodico. Si aggiungano il ruolo fondamentale svolto nel campo dell’istruzione, la partecipazione alle iniziative di carità e, in generale, la sicura intuizione dell'importanza di ogni organismo associativo. Spiritualismo e realismo politico contribuirono a dare alla Compagnia quella particolare fisionomia storica che ne fece una 100 A.C.G.C.G., Med., 77, I e Historia Domus Professae Genuensis Societatis Jesus ab anno 1603 ad 1773, Med., 81. 110 A.S.G., R. Università di Genova, busta 8, Registri conti « Opera Pia degli esercizi spirituali per le signore dame » e altre dei fattorini. 111 Per una sociologia degli ordini religiosi si veda E. K. Francis, Towards a typology of religious orders, in American Journal of Sociology, 1950, n. 5 e ancora Leo Moulin, Le Monde Vivant des Religieux, Parigi, 1964. 112 Vicino all’Annunciata di Portoria, a S. Ambrogio e al Collegio di via Balbi fu risentita l’influenza dei Padri, e alcuni oratorii delle zone vennero, come s’è visto, « riformati ». — 283 — delle componenti essenziali della Controriforma. I loro cooperatori-concorrenti, i Cappuccini — una potente influenza anch’essi a Genova — usavano tecniche diverse, idonee al loro ruolo più francamente popolare, coerenti con la loro mistica fondamentalmente più semplice ’13. I Padri Gesuiti ebbero il senso vivo delle gerarchie sociali e del ruolo di una « leadership », non carismatica ma istituzionale. Essi intendevano infondere uno spirito di vocazione nella classe dirigente: la « risposta » che ebbero è da attribuire però tanto a loro quanto alla stessa classe dirigente. Questa, ormai fuori del cerchio della vita europea dei commerci e delle lettere, rimase chiusa in sè stessa, e lo spirito di conservazione finì col caratterizzare la stessa azione sociale dei Padri. Senza dubbio essi diedero un potente contributo all’evangelizzazione della città, a diffondere le pratiche e l’istruzione religiosa. Il prodotto fu un « conformismo » cattolico di massa. In ogni caso lo studio dell’iniziativa sociale dei Padri della Compagnia di Gesù, offre un esempio paradigmatico dell’influenza di un « nuovo » ordine religioso nella storia delle confraternite urbane. Vili. - Le confraternite nella società cittadina del Settecento. La più abbondante documentazione di cui possiamo disporre per i tempi più moderni, e soprattutto per il Settecento, consente che si affrontino alcuni problemi fondamentali per chiarire le caratteristiche di ogni fenomeno associativo: numero degli aderenti, composizione sociale, provenienza, funzioni, ecc. L’ampiezza delle confraternite variava grandemente: da una serie di dati parziali fra il 1684 e il 1776 abbiamo desunto un minimo di 18 confratelli e un massimo di mille. Probabilmente gli unici dati abbastanza completi di cui disponiamo, riguardanti gli aderenti di 53 oratorii e casacce, nel 1804, sono rappresentativi anche del periodo precedente: alla contrazione degli iscritti si era riparato con la fusione fra le confraternite. La media dei confratelli per 113 'Si veda F. Zaverio Molfino, I Cappuccini Genovesi, Genova 1912. — 284 — oratorio è elevata: 132. Ma le variazioni sono ampie: da 23 ai 743 confratelli del grosso oratorio del Prione. Ma ecco il dettaglio: Numero confratelli Numero confraternite da 1 a 50 da 51 a 100 da 101 a 200 da 201 a 300 da 301 a 500 oltre 500 19 20 14 4 3 3 Fonte: ÆS.G., Repubblica Ligure, filza 105 Nel quadro sono comprese anche le casacce. Esiste naturalmente un rapporto diretto fra numero dei confratelli e ampiezza dell’oratorio; ma occorre anche considerare l’altra significativa relazione fra il numero e il carattere devozionale « generico » (indice di facile accessione) della confraternita. In ogni caso le variazioni numeriche sono cospicue e non sempre hanno comportato scissione in più confraternite degli oratorii più numerosi. In alcuni casi le « regole » originarie prescrivevano un numero massimo di confratelli (32 o 72 o 100), ma di fatto nessuna confraternita rinunciò al successo per fedeltà alla norma del numero « ideale »; d’altronde questa « idealità » aveva una motivazione simbolica e non una giustificazione amministrativo-politica. La questione del numero rimanda così alla questione delle funzioni e del significato sociale delle confraternite. L ovvio materiale di studio è rappresentato in questo caso dai « capitoli ». Abbiamo potuto confrontare una sessantina e più di capitoli, nuovi e « riformati », datati, i più, fra il 1650 e il 1750. Qualche considerazione generale è d’obbligo. Innanzitutto appare evidente che la redazione dei capitoli diventa necessaria per la vita di queste società nel Seicento e nel Settecento. La prima esigenza è quella di difendersi contro possibili malversazioni da parte dei dirigenti eletti. Si temevano soprattutto le « cabale » familiari: le compagnie disponevano di qualche reddito e soprattutto di un capitale di suppellettili, faticosamente acquistato. Le « revisioni » dei capitoli sono non di rado giustificate esplicitamente dal rife- — 285 — rimerito ai tempi mutati: le vecchie regole, quando non si sono perdute, sono giudicate anacronistiche, troppo severe e rigorose. Ciò comporta una progressiva rinuncia alle pratiche sacramentali comuni — esplicitamente determinate nella maggior parte delle stesse « regole » secentesche — e ai modelli di un elevato tono di vita morale-comunitaria. Viceversa l'accento si sposta sul carattere di mutualità della società, già presente del resto anche nei più antichi statuti. Il soccorso al confratello malato e povero è prescritto con una certa regolarità, ma l’aspetto più importante della prassi mutualistica è costituito dal « beneficio funerario »: messe d’agonia, messe da morto, messa cantata, ufficio, accompagnamento con torce, obbligo di presenza ai funerali. Le cento messe, più la messa cantata, l'ufficio dei morti e l'accompagnamento con torce sono di norma nei capitoli del Settecento e costituiscono un ovvio modello di rispettabilità. Molto spesso però le confraternite prevedevano contributi diversi per un trattamento diverso (inferiore). Gli Statuti, infatti, distinguono una compagnia « stretta » e una compagnia « larga ». La « stretta » poteva essere costituita da regolari contribuenti o da « tabulari » che si impegnavano a un reclutamento fisso di confratelli per la compagnia « larga »: qualche volta la compagnia « larga » comprendeva fino a tre categorie di contribuenti diversi con benefici corrispondenti. Si comprende così come alcune confraternite, di affiliati più poveri evidentemente, prevedessero benefici di sole 25, 30, 40 e 60 Messe. Altre invece, come testimoniano già capitoli più antichi, benefici più elevati, come 130, 150, 336 o anche 1000 Messe (ma il caso è molto meno frequente). Il contributo più comune nelle « regole » del Settecento è quello di lire tre annue: ad esso corrispondeva il beneficio funerario di 100 messe basse e una cantata. Il ricorso alle « ponta-ture », cioè alle multe, è conservato ma non aveva più alcuna funzione « morale », tantoché era possibile esentarsene pagando « una tantum » una grossa cifra. L’esclusione di nuovi soci maggiori di quarant anni testimonia preoccupazioni di « sana gestione »: nondimeno non abbiamo gli elementi per valutare il successo amministrativo di alcuna confraternita. I « capitoli » testimoniano comunque un attivo spirito di concorrenza e di — 286 — espansione, senza preoccupazioni per la qualità della vita societaria. La regola della segretezza veniva così abbandonata. Alcune compagnie fissavano i limiti geografici dei loro obblighi assistenziali: la compagnia della Gran Madre di Dio (casaccia di San Giacomo della Marina), ad esempio, fra Albaro e le nuove mura a ponente; quella di San Giuseppe, con sede nel chiostro di San Donato, entro un raggio di due miglia da Genova; quella dei « Settantadue discepoli » della casaccia di San Bartolomeo delle Focine, aveva confratelli in Valpolcevera e in Val Bisagno. In generale le confraternite raccoglievano i propri aderenti da tutte le parrocchie cittadine 114. La concorrenza cultuale aveva aspetti perfino violenti. L’abrogazione di una festa di quartiere comportava conseguenze catastrofiche per una compagnia 1I5; la perdita di una reliquia famosa, per un'altra. La titolografia diventava sempre più complessa e ricca: ogni società pensava di rinnovarsi o espandersi facendo appello al culto di moda o introducendo « novità ». Il « numero » dei confratelli è così più spesso una conseguenza, un riflesso dello stadio in cui trovasi la confraternita, una spia del suo successo. E' evidente che, da questo punto di vista e con l’ovvia eccezione delle confraternite di mestiere e delle poche compagnie nobiliari, lo spirito esclusivistico era relativo. Il sistema delle compagnie « larghe » consentiva una certa articolazione sociale. Ma anzitutto, come può essere giudicato socialmente lo « standard » delle cento messe? Una lettura, del tutto casuale, di testamenti redatti attorno al 1750, sembra indicare che trattavasi di uno « standard » piuttosto basso fra i testamentari. Un Magnifico, Marcello Durazzo, stabilisce 4000 Messe e un complesso apparato cerimoniale. Un proprietario patrizio, 600 messe; un altro, non patrizio, 200 messe. Un negoziante, confratello di ben sei compagnie, mille messe. « Attesa la sua povertà », un Carlo Lorenzo 114 Abbiamo eseguito il controllo su una casaccia (soci di otto parrocchie) e su 12 oratorii (almeno 4 o 5 parrocchie) limitatamente al numero dei confratelli intervenuti alle assemblee attorno al 1744-45 (per le casacce è stimabile una percentuale del 10 %). 115 Tale il caso della confraternita di N.S. di Montallegro della casaccia di S. Croce, A.S.G., Atti Senato, filza 3252. - 287 — Isola provvede che non si spenda più di Lire 125 per i suoi funerali: 35 messe nel triduo e cento entro tre mesi. C’è però chi si accontenta di 25 messe, un minimo fra i testamentari. Fra le 25 e le 4000 messe s’esprimeva così la sperequazione sociale fra i genovesi1'6. Due famose compagnie della Morte dovevano occuparsi di raccogliere le salme abbandonate dei nullatenenti — ingrato lavoro, spesso lasciato ai becchini “7. Tre lire di tassa all’anno, 5 soldi al mese, rappresentavano comunque un contributo non indifferente. I contributi per le compagnie larghe scendevano fino a dieci soldi, per dieci messe. Il rinnovamento dei soci tuttavia era probabilmente continuo ed i casi di appartenenza a più di una confraternita, erano frequentissimi, anche fra i meno abbienti. L’attrazione del nuovo culto doveva essere irresistibile e tuttavia il regolare contributo non costituiva l’eccezione 11S. Del resto la formula della compagnia « larga » aveva un significato più ampio: essa rappresentava anche un’estensione di indulgenze, costituiva un gruppo di riferimento, creava delle lealtà collettive. E’ caratteristico che non di rado i fratelli della « segreta », cioè del gruppo dirigente, abbiano dovuto lamentare le manovre dei fratelli della « larga » per ottenere quella rappresentanza nelle assemblee dalle quali erano statutariamente esclusi: questo significa che l’adesione era meno formale, meno labile di quel che potrebbe supporsi U9. L’analisi sociale può essere ancor più precisa. Il tipo della compagnia aristocratica compatta ed esclusivista della fine del Quattrocento sembra esser tramontato: gli aristocratici hanno ormai i loro oratorii privati nei palazzi l2°. Ce tuttavia un caso clamoroso del 1707: un centinaio di Magnifici hanno 116 Abbiamo spogliato le filze « testamenti » dei Notai Gerolamo Borla-sca e Michele Domenico Pescetto: A.S.G., Notai. Comuni. 117 A.S.G., Prefettura Francese, Governo provvisorio, filza 1459, Reclamo 8-10-1814. 118 Nel caso della confraternita degli Agonizzanti, che si cita più sotto, 31 fra i 55 confratelli della « stretta » e 135 sui 200 alla « larga » erano in regola con i contributi. 119 Esempi diversi citati nelle filze Jurisdictionalium. 120 Archivio Arcivescovile di Genova, busta Oratorii privati. — 288 — catturato una compagnia presso San Cosma e ne hanno fatto il centro dei loro interessi politici di gruppo 121. Il « sospetto » in verità moriva solo lentamente. Il popolo guardava al « bosco del diavolo », il sacro bosco che sorgeva accanto aH’oratorio famoso di San Gerolamo, come al simbolo dell'antica trama intestina I22. Ma di solito gli aristocratici preferivano dare la loro adesione a qualche compagnia di larga clientela, con sede in chiesa, secondo la formula della « gran devozione »: gli Agonizzanti di San Siro, la « Colonna » di S. Agnese, San Giuseppe di San Donato, N.S. del Suffragio di S. Cosma (e poi nel vico del Prione), S. Antonio della Nunziata al Vastato. La compagnia di S. Antonio da Padova era strettamente connessa con i francescani della Nunziata; i Lomellini sono i grandi protettori dell'una come dell’altra; la compagnia appare come il riflesso sociale del grande prestigio della famiglia nella chiesa gentilizia. Notiamo che il contributo era stabilito in « piastrini » di Spagna. La sua attività era largamente devozionale: qua-rant’ore, processione di S. Antonio, comunione mensile, Ufficio dei morti, ecc. Beneficio comune era l’indulgenza plenaria, ricco tesoro che doveva essere esteso a circa mille confratelli attraverso l'opera assidua dei « tabulari » che avevano il compito di mantenere in ordine i registri della devozione 123. Sostanzialmente analoga era l’altra compagnia della « Colonna », nata dall’iniziativa duna minoranza della più antica compagnia dell’Assunta in S. Agnese attorno al 1620. Il numero dei confratelli era fissato a 1023 e la loro cura, deferita a sessanta tabulari, che costituivano, con gli ufficiali — per lo più nobili o dell’alto clero — la congregazione segreta. La compagnia si reggeva soprattutto su cospicue elemosine ed era sostenuta da grandi famiglie come i Lomellini e i Grimaldi. Le offerte, varianti fra lire due e lire dodici, servivano a far celebrare 33 sacrifici e 33 offici per i morti ogni giorno. Forte di non indifferenti appoggi, la confrater- 121 A.S.G., Archivio Segreto, 1182. 122 A.S.G., Archivio Segreto, filza 1283, Carte per l’ampliamento della strada della erosa del diavolo. 123 Libro degli obblighi della SS. Annunziata del Vastato, ms. in Biblioteca Universitaria di Genova. — 289 — 19 nita supplicò il Pontefice per essere eretta in arci-confraternita. L’accertamento dell’occupazione dei tabulari nel 1744 ci dà il quadro di una società composta di impiegati, negozianti, paggi e bottegai dell’area di San Siro, delle Vigne e della Maddalena, l’area delle occupazioni e del salariato di clientela 12‘. Col passar del tempo, l’aspetto clericale della compagnia doveva prevalere sempre più nettamente. Aristocratiche erano anche le due compagnie della Morte. Tuttavia, anch’esse allargarono i loro « ruoli ». Fra il 1594 ed il 1604 la compagnia, che aveva sede presso San Donato, portava i suoi iscritti da 52 a 140 e la regola, che limitava il massimo numero a cento, fu così abrogata. Questa e l’altra compagnia per la sepoltura degli insepolti, quella di S. Sabina, avevano un elevato prestigio sociale. Possiamo soltanto speculare se vi sia stato un progressivo allargamento a soci di altri ceti: quel che è certo è che la nobile carità venne meno 125. Parimenti esclusiviste erano ovviamente le confraternite di mestiere. Nel Seicento esse si moltiplicarono, fra gli artisti come fra i non-artisti (facchini, giovani di scagno, guardie, bombardieri, bottegai, ecc.). La loro « ragione » fu soprattutto mutualistica, ancorché l’origine debba sovente rintracciarsi in un’iniziativa di devozione da parte di un gruppo limitato di uomini del mestiere. Spesso l’arte sostenne ufficialmente l’iniziativa, avendo modo così di scaricare sulla confraternita alcuni oneri assistenziali ’26. Il tipico oratorio del Settecento è però una confraternita « aperta », non esclusivista, nè socialmente, nè territorialmente. Prendiamo ad esempio la nuova compagnia nata nel 1744 dalla fusione della Compagnia degli Agonizzanti di San Domenico con quella di S. Pietro e di S. Brigida I27. Si tratta di una confraternita ricca: 2800 ducati sui monti di Venezia, quattro lire il contri- 124 Manuale del libro di scritture, Libro di Congregazione e Libro dei Conti con altre carte annesse, in Archivio Parrocchiale N.S. del Carmine. 125 Libro delle condonacioni e degli ufficiali della compagnia della Morte, in A.S.G., ms. 287. 126 'Si veda il mio studio Confraternit ee Mestieri nella Genova Settecentesca, Miscellanea di storia ligure, IV, Genova 1966, pp. 237-65. 127 A.S.G., Notai Comuni, Ponte Nicolò Maria, filza 9 (1744) serie di atti. - 290 — buto annuo, 130 le messe per confratello defunto. Cinquantacin-que erano i confratelli della « stretta » e quasi duecento quelli della « larga », in prevalenza donne. Fra i primi abbiamo accertato sette reverendi, due eccellentissimi, tre impiegati, due negozianti, un mereiaio, un mercante, un orefice, un munizioniere, un pettinaro, un coralliere; fra i secondi due reverendi, un negoziante, un mediatore, un impiegato, due lavoranti, due tessitori, uno speziaro e sei « artisti poveri ». A giudicare dalle « consulte » o assemblee di altre confraternite i cui nominativi soltanto ricorrono negli atti notarili, questo risulta un caso abbastanza caratteristico. Il « modello sociale » è del tutto simile: si va dal reverendo e dal notaio fino al tessitore e allo stoppiere o anche al servitore e al portantino. Alcune congreghe si distinguevano da altre per una più netta prevalenza dell’elemento artigiano 128. « Pietas » collettiva e feste cerimoniali, mutualismo per lai di là e, più di rado, per I’al di qua: questo il significato sociale degli oratorii segreti. Certamente le testimonianze « qualitative » ci fanno difetto. Eccezione davvero preziosa quella di una confraternita di cui una filza notarile ha serbato la corrispondenza 129. Sono lettere fra confratelli emigrati e confratelli ancora in Genova, una testimonianza di commovente banalità. I confratelli espatriati tengono informati sulle loro vicende e sulla loro salute spirituale, si raccomandano nelle preghiere e raccomandano speciali devozioni. A loro volta vengono ammoniti e informati delle cose di casa. Il rapporto resiste oltre l’anno di assenza: vero legame di gruppo, l’associazione esprime bene un comune sentire, affinità di cultura, di tradizioni, di linguaggio. La lontananza conferisce suggestione al rapporto collettivo; qui è da rintracciarsi probabilmente il nucleo più singolare dell’oratorio segreto, la forma più « rispettabile » della confraternita urbana. Gli stessi documenti testimoniano altresì le fatiche e i sacrifici che è costato ottenere una « casa » propria, l’oratorio segreto. 128 L’esclusivismo artigianale sembra essere maggiore in alcune casacce (come S. Antonio della Marina, S. Giacomo della Marina e delle Fucine) che non negli oratorii segreti. 129 A.S.G., Notai Giudiziari, Celle Carlo, Atti della Confraternita della SS.ma Purificazione 1637-1708. — 291 — IX. - Le casacce. Il movimento dei disciplinanti genovesi è tradizionalmente connesso con la visita dei tortonesi nel 1260, ma la sua vitalità religiosa è legata strettamente, fino agli inizi del XV secolo, col movimento penitenziale. Nel Quattrocento, infatti, sorsero nuove « case dei disciplinanti » e fu attuata la « riforma » del 1410, col suo seguito nel 1430 e nel 1436 I30. Molto doveva cambiare con l’acquisizione da parte delle compagnie di una propria sede stabile, fuori delle chiese, nei secoli XV e XVI. Invero troppa importanza si attribuisce all’evoluzione del clima spirituale-religioso evolvente verso la carità e l’individualismo 111 e non si riflette abbastanza sul poderoso stimolo che viene alla vita associata dall’acquisizione di un centro stabile di riunione e di celebrazione. Questo fenomeno ha anzitutto un significato « laico », cioè autonomo, e vale a definire una mentalità collettiva particolaristica: cessa il tradizionale legame col « movimento » (che si esaurisce) e la vita dell’associazione si esprime sempre più in termini patrimoniali e concorrenziali. Il clima di collettiva esaltazione creato dalla missione secentesca è del tutto diverso: il carisma è in questo caso impersonato dal predicatore e istituzionalizzato nel corpo sacerdotale. La « soluzione » infatti è un atto di culto, la comunione in massa che risolve l’ansia collettiva. Identica è rimasta solo la tecnica: l'eccitazione del terrore religioso 132. S’intende così come questo fenomeno sociale non abbia più nulla da spartire con l’antico moto penitenziale. A quest’epoca, del resto, la religiosità dei disciplinanti è data 130 Testo in B. Poch, Miscellanee di storia ligure, IV, p. IX p. 12 ms., Civica Biblioteca Berio di Genova. Nel 1430 furono fatte delle regole per il governo e l'ufficiatura e nel '36 fu stabilita uniformità di cantilene e ufficiature. Si veda F. M. Accinelli, Dissertazione cit., ms. in Civica Biblioteca Berio di Genova (due copie abbastanza dissimili). 131 Cfr. G. Alberigo, Contributi alla storia delle confraternite dei disciplinanti, in II Movimento dei disciplinanti nel settimo centenario dal suo inizio, Perugia 1260, Atti del Convegno Internazionale 25-28 settembre 1960, Perugia 1962. 132 Si vedano le relazioni sulle missioni in S. Stefano e S. Salvatore, in A.C.G.C.G., Med. 77. — 292 — per « corrotta » e « profana ». Già nel 1530 l'autorità pubblica — i « sindaci » creati il 15-3-1528 — era intervenuta al fine di disciplinare la vita delle casacce e in particolare di contenerne la tendenza suntuaria 133. Dopo la metà del secolo fu invece iniziata la costruzione delle preziose Casse, enormi figurazioni in legno scolpito che celebravano i fasti del Santo titolare, e, poco dopo, quella dei giganteschi Crocefissi, anch'essi una gloria processionale. Vennero insieme cappe e tabarrini preziosi, non più di sacco bigio, ma colorate e di seta; l'uso di assoldare musicanti e « pellegrine », cioè donne nubili che intonavano canti di esaltazione del Santo titolare; i pastorali; le « similitudini », ecc. Una serie di inventari di arredi delle principali casacce verso il 1780 testimonia la ricchezza dei tesori accumulati, ambiti dei parroci 1J\ La processione del Corpus Domini era divenuta una vera e propria parata delle « casacce », e perfino si doveva vietare ai cavalli di entrare in chiesa. Il fasto, si sa, è contagioso e capace di ingenerare immoderata concorrenza. L'omonimìa, poi, esasperava al massimo la tensione: due erano le casacce dedicate a S. Antonio e tre quelle dedicate a San Giacomo. L’aneddotica al riguardo è ricchissima 135. La riprovazione era d'obbligo. Tuttavia il processo di trasformazione storica delle compagnie dei disciplinanti merita qualche considerazione critica. Si trattava di una caratteristica forma di istituzionalizzazione della religiosità popolare: « luoghi... frequentati dalla plebe e artigiani con effetti incredibili » — li dice il Senarega verso la fine del XVI secolo. E Salbrigio e lo Spinola confermano per il Seicento. Nè si tratta di testimonianze soggettive: accadde infatti non di rado che questa o quella compagnia motivasse il suo desiderio di costituire « oratorio segreto » per l’impossibilità di coesistere con gente rozza e volgare. Di più, lo sdegno e la riprovazione della religiosità casaccesca ricorre come una patente di rispetta- 133 Citato da F. Alizieri, loco cit. (cfr. nota 9). 134 A.S.G., Giunta di Giurisdizione, filza 124. 135 Si veda per esempio L. Levati, I Dogi di Genova e vita genovese negli stessi anni, Genova, 1912-16, IV. — 293 — bilità in molte suppliche di confratelli l36. L’immagine che ne risulta è quella di un istituto popolare impegnato al massimo nelle pompe e nella violenta concorrenza processionale, un istituto che non ha di per sè alcuna funzione assistenziale o mutualistica 13T, il cui patrimonio mobiliare o immobiliare è ridotto e i redditi rapidamente consumati nel « gioco » collettivo della parata processionale. Quando mancavano i mezzi, la casaccia non sortiva. Il contrasto fra i nuovi capitoli settecenteschi e quelli generali del 1410 è notevole: la « pietas » quattrocentesca era molto probabilmente ancora qualcosa di vivo qualcosa, comunque, che non poteva esser ripristinato con semplici decreti. Il Bossio, nella citata visita del 1582, vietava fra l'altro i canti, il mangiare, il bere e il vendere durante la processione, le musiche, le questue non approvate, l’arbitraria celebrazione di messe, le flagellazioni ostentatone e quelle a pagamento, le processioni notturne; prescriveva il rigido controllo arcivescovile sulle « regole », sui conti, l’amministrazione, tutta la vita insomma delle compagnie dei disciplinanti139. Il Saoli tentò in seguito di diffondere le « regole » borromiane. Durazzo fece ancora un tentativo di affermazione del foro ecclesiastico "°. L’azione contro-riformistica fallì. La classe dirigente aveva evoluto nei confronti delle casacce un tipico atteggiamento « politico », quale è espresso da numerose disposizioni e biglietti di calice. L’autore del « Dizionario filosofìco-politico » giustifica questo atteggiamento dell’autorità in alcune pagine quanto mai si- I3t La tendenza a staccarsi dalla casaccia awea diversa origine, non sempre sociale o di devozione. Si veda il caso dei confratelli della S. Sindone che, staccandosi dalla casaccia di San Francesco, invocano il loro autonomismo di « portoriani », A.S.G., Archivio Segreto, filza 1344. 137 Nel senso che queste erano assolte dalle singole confraternite. 1S* Basta ricordare la tradizione delle visite ai lebbrosi e la iniziativa dei priori per la fondazione della confraternita della Misericordia per soccorrere i giustiziati. 135 Decreta Generalia ad exequandae Visitationis Genuensis Usuni editae nella citata ediz. dei Synodi Diocesanae et Provinciales, p. 401 e segg. 140 Cfr. nota 51. — 294 — gnificative: era necessario — egli argomentava — difendere le casacce dall’ingerenza vescovile, chè « sarebbe stato poi un lasciarsi toccare nel Sancta Sanctorum ». Occorreva che l'ufficio dei cinque deputati alle casacce fosse « cauto e dolce », disciplinatore ma non concultatore, vigilante sull’elezione dei « protettori » aristocratici: « chi è pratico del nostro clima — aggiungeva — sa benissimo che il Giovedì Santo fa caldo e che torna conto che tutti qui godiamo di libertà » Era subentrata cioè la coscienza della natura essenzialmente sabbatica dell’istituto casac-cesco: la tensione popolare doveva scatenarsi per qualche volta, per rientrare e ricomporsi nella normalità dei giorni uguali della miseria. Il « gioco » collettivo della processione aveva, dopo tutto, una funzione politicamente integrativa. Ciononostante quello delle casacce rimaneva sempre uno dei problemi cruciali dell’ammini-strazione, impegnata a evitare clamorose violazioni dell’ordine pubblico. I provvedimenti, del resto, erano quanto mai « empirici »: certamente non erano espressione di un rigoroso « senso dello stato ». I motivi del « disordine » sono da ricercarsi dunque nello sviluppo di conflitti particolaristici all’interno del mondo delle casacce. Qualcosa dell’antico legame con la chiesa è rimasto: il rapporto è spesso fra locatore e locatario e, non di rado, è tenace ed acre contesa di prestigio. La casaccia, come in generale il grande oratorio, rappresentava un centro di concorrenza religiosa nei confronti delle chiese vere e proprie. Mons. Bossio riconosceva direttamente questa realtà: un concetto di « luogo appropriato » per la celebrazione della messa guida le osservazioni che egli muove agli oratorii dei disciplinanti (e non solo ad essi): ampiezza sufficiente, cappella, campana, altare, suppellettili, sacrestia, acqua benedetta, ecc. "2. E non c'è dubbio che l’oratorio venisse considerato dai confratelli come una « chiesa nostra ». Ciò preoccupava la Giunta di Giurisdizione che temeva il molti- 141 L’autore del «Dizionario» proponeva poi di fare dei casaccianti una milizia domestica con la Cassa in prima linea a modo di carroccio. L'amor dei genovesi è così forte — diceva — che un individuo per non pregiudicar la sua casaccia « si metterebbe fra gli spiedi », ms. cit. loco cit. 14- Liber Visitationum cit.: Bossio li annovera fra le ecclesiae simplices. — 295 — plicarsi dei simboli di ecclesiasticità: il pei~messo di esporre il Santissimo, ad esempio, veniva considerato come premessa per un’affermazione del foro ecclesiastico e la moltiplicazione delle confraternite nelle casacce come un tentativo di sottrarle al foro laico "3. In una certa misura dunque il conflitto giurisdizionale riguardava anche le casacce 144. Il moltiplicarsi del numero delle compagnie che avevano sede nella casaccia (talora fino a nove) generava forti attriti e conflitti interni: questo rendeva difficile il comune governo e trasferiva all’interno quei conflitti di prestigio già acuti fra casaccia e casaccia. Quando e come avvenne questo fenomeno non è semplice ricostruire. In ogni caso nel secolo XVIII abbiamo, in ciascuna casaccia, un gruppo di compagnie dall’identica denominazione, cui s'aggiungono altre compagnie che vennero aggregate con patti particolari, queste ultime certo più mobili e volatili I45. Il primo gruppo comprende le compagnie del Santo titolare, del Venerdì e della Passione, del Crocifisso e della Cassa: meno frequentemente una compagnia dei 72 Discepoli. Fra queste compagnie possono anche considerarsi quelle che avevano il privilegio di custodire una reliquia particolare, vanto della casaccia. Si aggiunga che almeno una compagnia mariana era di prammatica, spesso accoppiata alla devozione secentesca delle « Anime Purganti ». Il carattere « strutturale » di queste compagnie è definito naturalmente in relazione al ciclo cultuale e, di riflesso, ad un preciso ruolo processionale. Una gerarchia esisteva fra la compagnia anziana e le altre ma, col passare del tempo, principii paritetici e di « rotazione » vennero affermandosi, come testimoniano i capitoli di casaccia, numerosi nella prima metà del Settecento 14 6. La datazione di queste compagnie è incerta. Possiamo tuttavia ritenere che esse siano una conseguenza dell’arricchimento 143 Vedi un biglietto di calice del 1709: A.S.G., Archivio Segreto, 1184. 144 Inchiesta della Giunta di Giurisdizione sulla laicità delle casacce; A.S.G., Archivio Segreto, busta 1187. 345 Tale « instabilità » è documentata dalla Giunta di Giurisdizione del 1751, A.S.G., Giunta di Giurisdizione, filza 130. Molto interessanti anche le Relazioni della Giunta. 146 Numerosi capitoli nel 1738: A.S.G., Atti del Senato, filza 3132. — 296 — degli apparati della casaccia e della specializzazione conseguente dei ruoli e delle funzioni processionali, a partire dagli ultimi decenni del Cinquecento 147. E’ probabile che esse siano nate per divisione della compagnia originaria troppo numerosa, scissione provocata dal medesimo impulso particolaristico che aveva indotto i confratelli ad abbandonare le chiese. Viceversa l’aggregazione di altre confraternite, per lo più intitolate ai Santi, si spiega con i problemi connessi col moltiplicarsi di questi istituti nel Seicento. Le compagnie di recente formazione trovavano conveniente chiedere asilo alle casacce, per poi trasmigrare in un proprio oratorio quando si fossero consolidate. Nell'accettarle, le casacce seguivano convenienze di prestigio e probabilmente anche economiche: alcune giunsero a creare compagnie nuove a scopo unicamente finanziario. La concorrenza fra le casacce acquistava così il carattere di una gara per assicurarsi confraternite e confratelli. Un ultimo tipo di conflitto riguardava le singole compagnie e aveva come oggetto il loro governo: qui, proprio come nelle arti non troppo numerose, il sotto-gruppo era costituito sovente da una consorteria familiare, donde le regole che vennero a proibire la concentrazione delle cariche nei membri di una stessa famiglia. Lo schema conflittuale che siamo venuti implicitamente tracciando vale a chiarire e spiegare la trasformazione storica delle casacce. I « capitoli » settecenteschi illustrano uno stadio di formalizzazione amministrativa già avanzato. Probabilmente siamo portati ad accentuare lo stadio di « informalità » delle « domus disciplinatorum » del XV secolo, ma non possiamo non rimanere impressionati dalla loro capacità ad agire come « movimento ». La tendenza di sviluppo risulta abbastanza precisa: le singole confraternite della casaccia settecentesca sono organismi pienamente autonomi che partecipano pariteticamente all amministrazione generale, regolandola sul loro modello. Lo schema collettivo generale è rimasto: se esistono altre processioni annuali, a cui le singole compagnie possono partecipare individualmente, è rimasta però immutata la centralità della solenne pro- 117 Già nel 1584 la casaccia di S. Maria di Castello comprendeva una Compagnia del Venerdì, una del Crocifisso e una della Cassa. La confraternita del Venerdì è la più antica in molte casacce. — 297 — cessione annuale: del resto la « partecipazione » ad altre processioni poteva essere apprezzata soltanto come partecipazione di casaccia, con tutti i suoi simboli e apparati. Sarebbe oltremodo interessante analizzare un profilo di continuità sulla base della vita rappresentativa: analisi dei gesti, delle parole, dei simboli, dei colori. Una continuità cultuale appare subito evidente, incentrata sul tema della Passione. Del pari è significativa la tradizionalità delle preoccupazioni suntuarie che le casacce hanno ispirato, così come, fino al Cinquecento, doveva rimanere tradizionale il tema politico-religioso della « ritorma »: una riforma che era tale in quanto correggeva mondanità e dissidi e castigava i costumi predicando l’umiltà e la pace. Di conseguenza l'esaurimento della « riforma » giustifica quel tipo di evoluzione del quale abbiamo tracciato le linee. Si tratta — occorre ricordarlo — di una evoluzione generale delle confraternite e oratorii cittadini. Anche gli oratorii segreti si moltiplicavano fuori delle chiese; anche le confraternite di questi si dividevano e prolificavano; anch’essi partecipavano alle processioni; avevano casse e altari che accoglievano il Santissimo, cappelle e campanili. Erano tutte condizioni del loro successo. Se il numero delle casacce era rimasto fisso dopo il XV secolo 148 — fatto che le legava « artificialmente » alla tradizione dei moti penitenziali — la distinzione fra le casacce e gli altri oratorii non era altrettanto precisa sotto il profilo tipologico. X. - La soppressione delle confraternite. Si può parlare di un declino delle confraternite genovesi nella seconda metà del Settecento? Vediamo dapprima l’evidenza statistica. Abbiamo citato una lista di 83 oratorii segreti presentata nel 148 Le casacce erano 21 alla fine del XV secolo. Verso il 1684 quella di S. Maria di Castello divenne oratorio segreto. A.S.G., Archivio Segreto, busta 1146. Nel frattempo erano divenute «casacce» quelle di S. Giacomo delle Focine, di S. Giacomo della Marina e di S. Zita. Altre casacce, come quella di S. Nazaro e S. Michele, avevano cessato di esistere da tempo. Cfr. D. Cambiaso, Casacce e confraternite medioevali in Genova e Liguria, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, LXXI, 1948. — 298 — 1751 dalla Giunta di Giurisdizione; un elenco di 105 confraternite ci è dato da una fonte arcivescovile del primo Ottocento: di queste, però, solo una settantina presentò le sue credenziali al governo per ottenere la concessione di radunarsi a norma del decreto 23-3-1803 Nel 1811, secondo la Gazzetta di Genova, le confraternite soppresse ammontavano a 66. La statistica del 1751 riguarda soltanto gli oratorii segreti: se aggiungiamo le ventun casacce (4 o 5 confraternite ciascuna) e le confraternite di chiesa, arriviamo ad un totale che è forse il doppio di quelli successivi. La distinta arcivescovile dà il fenomeno « sulla carta »: i ricorsi al governo danno un quadro senza dubbio più fedele della vitalità delle associazioni. Notiamo ancora che quest’ultimo dato equivale praticamente a quello del 1811. Nella seconda metà del Settecento c’è stata certamente una riduzione delle confraternite. E’ difficile « temporalizzare » con maggior precisione. Il fenomeno generale d’altronde risulta confermato da altre considerazioni. Si noti anzitutto lo scarsissimo numero di confraternite nate dopo il 1760. Per quanto abbiamo esposto in questo lavoro, ciò non può essere la conseguenza di una avvenuta « saturazione »: la dinamica di sviluppo delle confraternite elimina questa ipotesi. Se ne conclude così che l’impulso associativo settecentesco se progressivamente esaurito. In generale, poi, si potrebbe anche considerare tale « impulso » settecentesco come particolarmente debole. Infatti, solo sei delle confraternite soppresse nel 1811 risultano nate nel Settecento, contro una trentina nate nel corso del Seicento e altrettante nate in precedenza. Le confraternite istituite nel Settecento furono le prime a dissolversi. S’è visto che la Giunta di Giurisdizione parlava di declino delle confraternite verso la metà del secolo. Poteva essere un punto di vista « parziale », dettato dalle preoccupazioni di foro. Gli interventi della pubblica autorità che ho citato, nel 1764, 1771, e 1783, non riflettevano probabilmente soltanto dei successi dovuti a un nuovo orientamento della politica giurisdizionalista, ma 149 Oratorii esistenti in Genova prima della soppressione del 1811: Archivio Arcivescovile di Genova, busta 108; A.S.G., Repubblica Ligure, 105, 420 e 421. — 299 — anche un indebolimento delle associazioni. Lo Stato genovese non dette in quel tempo grandi prove di energia. E ancora, a corroborare questa tesi, vale il relativo silenzio sulle confraternite e oratorii genovesi delle carte « giurisdizionali » degli ultimi decenni del Settecento (dove figurano, invece, numerosi, i « casi » suscitati dagli oratorii provinciali). Tuttavia non si può dire delle confraternite genovesi quel che è stato scritto delle confraternite di Rouen, che nel 1789 « la plus part n’attendaient qu’un choque pour mourir » I50. Esse rappresentavano invece un fenomeno ancora consistente nel primo decennio dell ottocento: le compagnie che chiesero licenza di radunarsi denunciarono complessivamente un totale di ben 8300 aderenti, un terzo degli uomini adulti della città. La devozione genovese sgomentava le nuove autorità: « I preti — scriveva Pietro Bianchi nel marzo del 1809 — sono in questo Paese i regolatori degli affetti degli abitanti... » e il Prefetto Bourdon de Vatrv gli faceva eco: « è alla terribile influenza dei monaci che si deve l’annientamento di ogni spirito pubblico, 1 odio per le nostre istituzioni » 151. E questi giacobini « refoulés » pensarono bene di fare un piacere ai preti cedendo loro i beni delle abolite confraternite. L’autorità di polizia temeva che la legislazione repressiva avrebbe dato nuova vita a istituti « che si spegnevano da soli », per influenza del clero, del tempo e delle nuove relazioni152. A cose avvenute non si mancò di rilevare invece: « la soppressione degli oratorii e delle confraternite e la consegna dei loro beni mobili e immobili alle parrocchie, ha avuto un effetto ammirevole sui curati ». E più tardi: « Lo spirito degli oratorii e delle confraternite che animava i genovesi comincia a spegnersi JoU Join Lambert, La pratique réligieuse dans la Diocèse de Rouen sous Louis XIV (1660-1789), in Annales de Normandie, III, 1953, n. 3-4; V, 1955, n. 1. 1j1 « Notices historico-statistiques ou aperçu de la situation du Départ-ment de Gênes au mois de mars 1509 présénté par le sieur Pierre Bianchi ci-devant Inspecteur des finances en Ligurie », Archives Nationales de France, série F. 19, mazzo 585. 12 A.S.G., Prefettura Francese, mazzo -12, lettera del Commissario di Polizia ottobre 1811, al Prefetto. — 300 — in modo soddisfacente, così come la superstizione che era poco tempo fà fomentata dai monaci »153. La « secolarizzazione » era stata compiuta ma, curiosamente, se ne era data la chiave al clero. La soddisfazione dei parroci non fu certo di ordine pecuniario: i beni delle confraternite erano già stati rapidamente dilapidati prima che nel febbraio 1811 fosse mandato ad esecuzione l’editto del 30-12-1809. Dal 1802 almeno, il governo aveva cominciato a perseguire le confraternite e la soppressione era attesa. Il « Libro dei Decreti » della casaccia di S. Maria Angelorum ci consente di seguire la crisi fra il 1785 e il 1811. La compagnia della Cassa è dissolta nel 1788, ma le altre cinque si dissolvono solo nel 1810 fondendosi con la compagnia anziana del Venerdì o di S. Michele 1S4. In tutti questi anni la casaccia è vissuta di espedienti: ipoteche, prestiti, alienazione di beni, vendita di suppellettili, ecc. Rimasta senza elemosine nel 1810, cessa la novena dei defunti. Se negli ultimi decenni del Settecento i confratelli che si radunano sono almeno quaranta, nel primo decennio del nuovo secolo sono solo venti, e non più di dieci all’ultima congrega, il 12 febbraio 1811. Il bilancio delle casacce non doveva mai essere stato molto brillante, ma qui è una situazione di disfacimento, di disordine, di agonìa che viene drammaticamente documentata. Ed è pure documentata la influenza del nuovo regime. Nel 1798 è il « cittadino prete Vincenzo Salvo » che presiede come ispettore la riunione del 5 agosto, « con licenza del cittadino ministro di Polizia ». Nel 1802 viene eletto quale nuovo superiore il Rev. Cavagnaro. Nel 1806 e nel 1807 la casaccia delibera la sortita per il giorno di N.S. Assunta e S. Napoleone. Nel 1809 viene preparato un quadro dell’attivo e passivo per il parroco di San Siro. L’anno seguente l’amministrazione della casaccia è paralizzata e non può dare alcun resoconto al governo: la reliquia della 153 Ibidem, Relazioni al prefetto 18 aprile 1811 e aprile 1812. 154 Rimase autonoma la confraternita di N.S. della Guardia: Decreti della Veri. Compagnia di N.S. della Guardia 1776-1810, in Archivio Parrocchiale di San Siro. — 301 - S. Spina viene rimessa al protettore G.F. Durazzo. Nel 1811 le chiavi sono consegnate al magistrato degli alloggi militari ,55. Non è un caso unico, nè eccezionale fra le casacce: è singolare come la pressione del governo abbia aperto le porte ai sacerdoti. Il fatto poi che molti oratorii segreti, anche famosi, abbiano chiesto alloggio alla casaccia, ci fa pensare a un’offensiva contro di essi da parte del clero (espulsione dai chiostri), oltreché dell’autorità. Ci mancano tuttavia testimonianze dirette. Il rifiorire delle confraternite dopo il 1814, specie in campagna, dimostra che il fenomeno associativo era ancora vitale 15c. Nondimeno la politica napoleonica veniva confermata. La sospettosa autorità piemontese non aveva alcuna ragione per incoraggiare il movimento, i parroci vedevano di malocchio la riapertura e, a buon conto, l'ineffabile arcivescovo Spina sera affrettato ad emettere regole generali per le risorgenti compagnie 157. Qualcosa della tradizione fu serbato fin quasi alla metà del nuovo secolo 15S. La religiosità popolare conservava ancora nel-l’Ottocento quelle caratteristiche tanto care all'anima candida del De Montrond, e già così terrificanti per il tedesco von Archenholtz, l’autore di una descrizione processionale che ricorda tanto « gli orridi splendori di mille ferri » del secentista Salbrigio 159. 155 Libro dei Decreti della casa di S. Maria Angelorum, 1785-1810, in Archivio Parrocchiale di San Siro. 156 A.S.G., Governo Provvisorio, Prefettura Francese, mazzo 1511. 137 A.S.G., Governo Provvisorio, Prefettura Francese, mazzo 1443; Archivio di Stato di Torino, Opere Pie di qua dei monti, n. di ultima add. 116 e A.S.G., Prefettura Sarda, mazzo 310. loS La definitiva soppressione delle casacce fu dichiarata da Carlo Alberto con decreto del 1835. 159 Maxime de Mont Rond, La Vierge et les Saints en Italia. Études et récits d’un pèlerin, Parigi, 1842, p. 58; il commento di J. B. von Archenholz è riprodotto sulla Gazzetta di Genova, n. 6, 1916; Le politiche malattie della Repubblica di Genova e loro medicine descritte da M. C. Salbrigio a Fili-doro suo figlio e rappresentate al Grande e Reai Consiglio, ms. in Biblioteca Universitaria di Genova. — 302 — CONCLUSIONE Lo studio delle confraternite ci ha portato sulla soglia di un problema di psicologia sociale; trascurato lo studio della spiritualità di « élite », ci si è presentato quello, problematico, della spiritualità generale o meglio, per mediare un termine della scienza antropologica, della cultura popolare. Se per cultura intendiamo, con R. Firth, il modo in cui si manifestano le relazioni sociali (struttura), tale cultura ci appare dominata dai motivi e dai temi della religione. Può anche darsi che una ricerca sulla « mentalità collettiva » sia fattibile. In ogni caso la nostra ricerca è stata condotta sul terreno « oggettivo » delle istituzioni e delle associazioni. Ciò non toglie che proprio l’impostazione del lavoro solleciti tutta una serie di interrogativi nel senso predetto. Rivediamo l'analisi testé conclusa. Si potrebbe in verità sintetizzarla nello schema seguente: forma, spazio, numero, consumo, diritto, tempo. Ci siamo così sorpresi a cercare nei fenomeni di spazio una prima base di certezza: lo spazio della città (l’influenza ecologica di Ordini religiosi e parrocchie), la relazione fra esso e gli spazi esterni (« diffusione » dei culti), il rapporto fra spazio e confraternita (problema del significato ecologico degli oratorii). L'oratorio stesso è uno spazio chiuso e la morfologia delle associazioni è legata ad esso: il particolarismo, 10 spirito di gruppo, la rivalità di prestigio e di concorrenza, tutto ciò nasce da un esclusivismo di spazio. L'« economia » delle nostre associazioni si esprime poi nei termini di un consumo cultuale: la moltiplicazione delle confraternite accresce la domanda; il clero, di solito, provvede l’offerta. 11 « consumo » s’evolve secondo una sua dinamica interna: da questo punto di vista la società del Seicento è la « società affluente », il « conformismo » cattolico la conseguenza di un tipo di massificazione cultuale. Senonchè nei secoli pre-industriali questa « cultura » s’esprime anche come tessuto associativo. Dalle associazioni nasce il « diritto sociale », una forza che cerca di affermarsi fra Stato e Chiesa, più forte del nemico diviso, più debole dei nemici riuniti. Ed ecco precisate così due prospettive temporali: l’evoluzione dei culti-consumi, l’evoluzione del diritto autonomo. E ancora, una dinamica dello sviluppo associativo — 303 — che abbiamo creduto poter indicare in uno schema di massima: devozione-confraternita di chiesa-oratorio segreto, con le varianti consentite dall’istituto della casaccia (che aveva già percorso un'evoluzione sostanzialmente analoga). Il particolarismo è alla radice di una complessa realtà conflittuale: con l’autorità, fra confraternite e fra i confratelli di un medesimo oratorio. Il gruppo si afferma come gruppo autonomo (e autonomia significa iniziativa cultuale), si consolida nella concorrenza, si scinde e si difende con la formalizzazione giuridica degli statuti. La « coesione di gruppo » è qualità labile e transitoria, legata in sostanza più che al momento dello slancio e dell’entusiasmo devoto e morale, ad elementi precisi di materialità cultuale (reliquie, statue, « casse », crocifissi, una sede) e a funzioni di tipo mutualistico. E’ ben quest’orientamento del mutualismo che dà un’inconfondibile caratteristica alle confraternite: l’assicurazione per una « buona morte », le messe di San Gregorio per l’anima del defunto. Ed è straordinario che su questa base, e l’altra complementare del culto di prestigio, le confraternite sviluppino una politica di espansione e di reclutamento del tutto simile a quella di certi sindacati contemporanei, fenomeno che ben esprime il predominio assoluto di una cultura religiosa. Abbiamo cercato di mostrare la relazione fra questi sviluppi e la struttura sociale. Le compagnie aristocratiche costituiscono gruppo a sè: la devozione dei Magnifici è già schema di associazione politica, concorrenza e lotta di cerimoniale nel primo Cinquecento; si « privatizza » dopo negli oratorii privati, limitandosi al ruolo di influenza sociale, assicurato dalla « protezione » delle casacce e delle grandi devozioni delle chiese di prestigio. E’ più difficile distinguere all’interno del « terzo stato »: s’è accennato alla confraternita di mestiere, al carattere ultrapopolare di molte casacce, a una sorta di « inter-classismo » degli oratorii segreti. Questo vale a documentare il carattere complesso, non-classista (con l’eccezione dei nobili) della società genovese del tempo. L’oratorio segreto sottolinea un livello di « rispettabilità » che è bene tener presente: chi può garantirsi cento messe accetta di patrocinare chi deve accontentarsi di trenta o di dieci. Notiamo ancora che, almeno per il Settecento, manca la corrispondenza fra residenti e membri di oratorio: ciò mentre la par- — 304 — rocchia o il grosso convento hanno perduto il significato comunitario che ancora potevano avere nel primo Cinquecento. Questo dimostra un certo processo di « unificazione culturale » della città. Il « borgo » ha cessato di esistere all’interno delle grandi mura. Il mondo rurale è fondamentalmente già diverso. Dopo il 1400 nessun movimento penitenziale; nel Settecento s attenua anche il « revivalismo » delle missioni urbane, fenomeno invece ancora vivo nelle campagne nell’ottocento inoltrato. In questo quadro storico la spiritualità di « élite » conserva il suo ruolo e l’abbiamo visto parlando dei Padri Gesuiti: il suo scopo s’è fatto più politico, più rivolto alla conquista della società che al rinnovamento interiore. Alla devozione « segreta » dei primi confratelli del Divino amore, succedono le missioni, il cristianesimo all’aperto, « per vicos et per pagos ». Gli antichi oratorii vengono in parte « riformati », ma nella maggior parte dei casi si auto-riformano, cioè rivedono i capitoli antichi giudicati anacronistici e troppo rigorosi. Le confraternite sono divenute istituti di massa: pochi — non le donne, non i poveri, forse i miserabili — sono esclusi. La rivoluzione anti-giacobina del 1797, il movimento « Viva Maria! » è nella logica di questi sviluppi. Ma nel 1811 i confratelli non fanno quadrato — come celiava lo Spinola nel « Dizionario » — attorno alla « Cassa » e ai Crocifissi. Ben altra tempra ha la resistenza rurale, attiva e passiva: naturale che qui nel 1814, gli oratorii risorgano più in fretta. Il clero cittadino invece, e la Curia, di conserva con l’autorità politica, controllano la situazione. L’epoca della religiosità popolare della città è passata o sta per passare: ben prima, dunque, che l’industrializzazione crei nuove comunità operaie, « centri d’infezione » nella grande città. Ritorniamo così ad un problema di psicologia sociale, al problema di un’evoluzione « culturale ». Senza dubbio la storia delle confraternite fornisce più di una chiave per l’interpretazione della vita della società cittadina nell’epoca moderna, una vita che ha un suo dinamismo e un suo sviluppo, il quale troppo spesso sfugge alla storiografia più impegnata a caratterizzare i due tipi storici « ideali »: la città medioevale e la città industriale. - 305 - 20 TAVOLA I CONFRATERNITE TITOLO S. Giovanni S. Caterina * S. Maria e S. Barbara* S. Antonio 1 S. Lazzaro k S. Giacomo k (e Leonardo) S. Stefano S. Andrea S. Ambrogio S. Tomaso S. Siro (S.M. Angelorum) Terz’Ordine S. Maria S. Limbania S. G. Battista Spirito Santo Terz’Ordine S. Bartolomeo Imm. Concez. S. Antonio B. M. Vergine Terz’Ordine S. Maria Pietà (S. Germano) S. Maria dei Greci S. Maria domiciliorum SS. Apostoli S. Brigida S. Maria in vesti bianche S. Giorgio S. Francesco S. Croce S. Pietro Martire S. Sebastiano S. Giacomo Marina S. Giacomo Focine Trinità Carità S. Mattia Mandiletto S.M. Misericordia S. Paolo S. Giacomo * ESISTENTI IN GENOVA FRA IL Terminus TIPO E SEDE post quem 1190 Casaccia di Prò 1190 Casaccia Acquasola 1225 Oratorio via Madre di Dio 1232 Casaccia di S. Dome¬ nico 1243 Oratorio nel chiostro S. Lazzaro 1243 Casaccia di Prè 1260 Casaccia 1260 Casaccia poi in Fo¬ cine 1260 Casaccia 1260 Casaccia alle Fontane nel 1600. 1260 Casaccia presso San Siro (1266) Chiesa di S. Francesco 1277 Casaccia di Castello 1290 Confr. Chiesa S. Tom¬ maso 1299 Devozione in S. Lo¬ renzo 1299 Chiesa S. Agostino XIII sec. Località Annunziata (« Prato ») 1308 Casaccia alle Focine nel 1509 1312 Confr. Chiesa S. Fran¬ cesco 1313 Confr. nell’Abbazia di Prè (1327) Confr. in chiesa San Agostino (1335) Ch. S. Domenico 1351 Casaccia, da Aquasola a Borgo Lanieri (1375) Chiesa delle Vigne (1379) Chiesa delle Vigne (1390) Chiesa S. Domenico 1391 Casaccia di Prè 1399 Devoz. in S. Lorenzo XIV sec. Casaccia XIV sec. Casaccia XIV sec. Casaccia XIV sec. Devoz. in S. Domenico 1400 Devoz. in S. Lorenzo 1403 alla Marina nel XVI secolo 1410 alle Focine 1410 Chiesa Annunciata Portoria 1423 Ospedale Pammatone (1424) Confr. in chiesa San Domenico 1430 da S. Colombano 1435 presso S. Ambrogio (1438) in Chiesa S. Domenico 1441 Oratorio in vico Roso, poi chiesa (1651) 1480 ED IL 1582 NOTE VARIE Festa popolare 1379 Vergine (francescani) Forestieri Eremita Ospedaliera Devozione di Compo-stella Martire Francescani Vergine di Cipro Aristocratici Dei ciechi Umiliati Culto francescano Eremita Domenicani Greci (servi e paggi) servi tavernieri aristocratici aristocratici carità pellegrini (poi N.S. Infermi 1701) Carità ai vergognosi Assistenza giustiziati - 306 — TITOLO Terminus post quem Pacis et Amoris O (1460) S.M. Soccorso 1460 Pacis (1468) S. Maria del Carmine' (1469) Charitatis et Benevolentiae (1466) S. Zaccaria (1466) Unionis (1469) S. Sudario * 1470 Amoris et Miseri¬ (1473) cordiae B. M. Vergine (1474) S. Orsola (1475) Pacis et s. Spei o (1476) Pacis et Charitatis (1480) SS. Sacramento * 1480 B. M. Vergine (1481) S. Gotardo Vera Croce (1485) SS. Pietro e Paolo *o 1486 S. Maria de Vineis (1486) Fraternitatis ac di¬ lectionis (1486) S. Fabiano e Seba¬ stiano * (1489) SS. Nazario e Celso * (1489) SS. Sacramento (1496) SS. Sacramento (1496) Spirito Santo (1496) Divino Amore * 1497 SS. Sacramento * 1499 N. S. Tosse * XV sec. « Corrieri » * XV sec. Carità XV sec. B. M. Vergine XV sec. S. Tecla XV sec. S. Giovanni Decollato XV sec. SS. Nome di Dio * XV sec. S. Zita * XV sec. B. M. Vergine (1500) S. Martino (1500) Stimmate S. Fran¬ 1502 cesco * Coniunctionis et (1502) Charitatis SS. Sacramento * 1503 Pacis et Augumenti (1503) N. S. Rosario * 1504 SS. Sacramento 1506 S. Ugo 1505 SS. Crispino e Crisp. * 1507 S. Defendente * 1509 Verae Pacis et Conc. 1508 SS. Trinità B. M. Vergine (1509) S. M. Vittoria (1509) Illuminationis • 1511 SS. Sacramento * (1512) SS. Sacramentq (1513) TIPO E SEDE S. Lorenzo Confr. in chiesa S. Sisto Chiesa Annunciata Port. in San Lorenzo devozione chiesa del Carmine Oratorio in Crosa del diavolo Chiesa S. Maria di Fassolo Ch. SS. Giacomo e Filippo Chiesa S. Donato Devoz. in S. Lorenzo Devoz. in S. Lorenzo Chiesa S. Vittore, poi oratorio Devoz. in S. Domenico in Ch. S. Domenico Cheisa delle Grazie Ch. N. S. Vigne Ch. N. S. dei Servi Ch. N. S. Castello Nel sacro bosco Chiesa S. Siro Acquasola Oratorio presso le Vigne N. S. Castello Ch. S. Giovanni di Prè Ch. S. Agostino Ch. S. Sabina Ch. S. Domenico Casaccia del Bisagno Ch. Monache di Pavia Ch. S. Pietro in Banchi Ch. Gesù e Maria N. S. delle Vigne Ch. S. Stefano S. Brigida Fassolo (poi S. Teodoro) Chiesa S. Maria di Granarolo poi S. Andrea Oratorio presso San Giovanni di Prè Oratorio p. S. Agostino Oratorio in Morsento in San Lorenzo Ch. in S. Stefano Orat. S. Giovanni Prè in casaccia S. Tomaso Ch. S. M. Maddalena, poi oratorio Chiesa S. Giovanni NOTE VARIE aristocratici culto ribadito 1583 nobili popolari nobili antichi Patriarca Gerusalemme nobili antichi nobili popolari nobili popolari nobili popolari Calopedarii nobili popolari nobili popolari sacerdoti nobili antichi nobili antichi fruttaroli seatieri culto del SS. nobili - caritativa pelipari nobili popolari calafati nobili antichi nobili antichi dip. dai Domenicani di Castello (1508) calzolai ciavattini nobili popolari — 307 — TITOLO Terminus post quem TIPO E SEDE NOTE VARIE SS. Sacramento (1514) SS. Sacramento (1515) N. S. Rosario * 1517 SS. Sacramento (1517) SS. Sacramento (1519) Carità Gesù e Maria o 1518 S. Cipriano * (1520) N. S. Soccorso * 1523 SS. Sacramento (1527) SS. Sacramento 1527 SS. Sacramento (1529) SS. Sacramento * 1532* S. Margherita * c. 1536 S. Brigida (1539) . Giuseppe * c. 1540* S. Martino * 1541* S. Maria Consolazione (1543) Dottrina Cristiana *o 1544 Crocifisso (1554) Annunziata e S.G.B. * 1567* N. S. del Carmine * 1572* Venerdì * 1575* N. S. Rosario * (1577)* N. S. Cintura * 1581* Carità * 1582* S. Apollonia XVI sec. S. Barbara * XVI sec. SS. Dottori XVI sec. S. Raffaele XVI sec. N. S. Rosario * XVI sec. N. S. Rosario XVI sec. SS. Sacramento \ * (1582) » ) * » » ) » » 1) » » 1) i5*82 S. Antonio da Padova * Chiesa S. Ambrogio Devoz. in S. Sebastiano Ch. S. Domenico, poi oratorio Ch. S. Bartolomeo Ch. San Salvatore Ospedaletto Piazza tessitori da S. Agostino Ch. S. Vittore Ch. San Domenico Ch. S. Francesco Ch. San Lorenzo Ch. alla Rocchetta Ch. San Domenico Oratorio strada S. Agostino Ch. S. Benigno, poi S. Ambrogio Ch. S. Paolo il Vecchio Casaccia S. Consolata Oratorio in Pammatone Ch. del Carmine Casaccia S. Ambrogio S. M. di Castello Ch. S. Agostino Ospedale Incurabili Ch. S. Vittore Vico Carlone (oratorio) presso Orat. S. Ugo nel foro piscario Ch. San Giovanni da S. Tommaso Ch. S. Tommaso Ch. S. Cosma Ch. S. Sisto Ch. S. Croce Ch. N. S. Grazie dall'Annunziata del Vastato notai setaioli nobili - caritativa tessitori carità (dotazioni) nobili nobili nobili tessitori - Martire Antiochia bancalari Gesuiti Ist. da P. Merea battiloro pescivendoli * L’asterisco indica che la confraternita sopravvive (o rinasce) nel periodo successivo. 1) La fonte, in questo caso, è il Bossio. 308 — TAVOLA II CONFRATERNITE NATE IN GENOVA DOPO IL 1582 TITOLO Terminus post quem TIPO E SEDE NOTE VARIE SS. Sacramento Venerdì - Morte S. Lucia - Morte Venerdì Cordone S. Frane. N. S. Cintura N. S. Rosario B. V. Annunziata Venerdì SS. Nome di Gesù S. Giacinto S. Giuseppe S. Francesco Paola S. Tecla e N.S. Organo S. Bartolomeo Natività M. V. Crocefisso N. S. Soccorso Presepe M. V. Assunta N. S. Rosario N. S. Soccorso S. Carlo Spirito Santo Angelo Custode S. Carlo N. S. Colonna S. Gregorio SS. Lazzaro e Zita S. Spina S. Benedetto S. Omobono Purificazione di N. Signora S. Carlo Miseri Afflitti SS. Ludovico e Elisabetta Anime Purganti S. Barbara Crocifisso S. Filippo Benizzi N. S. Rosario N. S. Pietà SS. Re Magi N. S. Rosario N. S. Sette Dolori 1583 1584 1584 1585 1585 1586 1586 1590 1595 1595 1596 1600 1600 1600 1603 1604 1604 1607 1608 1610 1611 1611 1613 1616 1617 1620 1620 1621 1621 1621 1622 c. 1623 1623 1624 1625 1625 1626 1630 1630 1631 1631 1632 1639 1637 1640 In Ch. S. Marcellino Orat. in Chiostro S. Donato Orat. presso S. Sabina Casaccia S. Stefano Casaccia S. Francesco In Ch. della Consolaz. In S. Antonio di Prè Collegio dei Gesuiti Casaccia SS. Giacomo e Leonardo Oratorio in Stradone S. Agostino In Ch. S. Domenico, poi oratorio (1678) nel Chiostro S. Donato dalla Maddalena da S. Agostino Osped. dei Convalesc. Oratorio in Portello In N. S. Servi In Chiesa S. Marco Orat. presso N. S. Vigne In Ch. S. Agnese In Ch. S. Vincenzo In Ch. San Vittore In Ch. San Giovanni Orat. in P.za Sarzana Orat. in P. Scuole Pie da S. Sisto In N. S. del Carmine In S. Vincenzo, poi a S. Maria di Castello In casaccia S. Zita In casaccia S. M. Angelorum Presso S. Antonio In casaccia S. M. Angelorum Chiesa Annunciata, Portoria Presso S. Giorgio Sez. Comp. S. Francesco da Paola Presso Chiesa Gesù e Maria Presso S. Marco In Casaccia S. Stefano Oratorio in Sai. San Leonardo Chiesa S. Marco Da S. Ambrogio Orat. in vico Re Magi In Ch. Gesù e Maria Portoria In Ch. N. S. dei Servi Per sepoltura miserabili Per sepoltura miserabili Agostiniani studenti Devoz. francescana Martire straponteri (canonizzato 1519, fondaotre Minimi) locandieri (Fuso poi con S. Barbara quattro Nazioni) già Confr. SS. Sacramento Somaschi sartori terziari francescani Ist. Cappuccini bombardieri terziari cappuccini PP. Gesuiti — 309 — titolo Terminus post quem TIPO E SEDE NOTE VARIE N. S. Monserrato Agonizzanti SS. Giuseppe, Gaetano e Andrea Avelino Venerdì N. S. Rosario Penitenti di Cristo S. Domenico Agonizzanti S. Teresa S. Mattia Agonia di Cristo Trinità Ciechi Invenzione Croce S. Lorenzo Suffragio Anime P. S. Giovanni Bono SS. Teresa e Carlo SS. Gregorio e Orsola SS. Volto e Veronica N. S. del Carmine S. Sepolcro N. S. Loreto S. Pietro SS. Concezione e Digiuno Perpetuo Redenzione del Signore e S. Teresa S. Nicolò SS. Nome di Maria Quattro Martiri Incoronati N. S. e B. Caterina SS. Trinità N. S. Misericordia Madre di Dio Angelo Custode Gesù, Gius, e Maria S. Benedetto S. Leonardo S. Tecla S. M. Concezione S. Francesco da Paola S. Simone Stock N. S. Assunta Cuore di Gesù S. Antonio Nove Cori Angeli S. Pasquale Baylon Crocifisso S. Lazzaro S. Antonio Abate S. Venanzio S. Stanislao SS. Maria e Bernardo SS. Lucia e Nicolò T. SS. Giov. Croce e Giov. Nepomuceno SS. Anna e Gioachino S. Erasmo SS. Alessio e Bernardino S. Giuseppe da Lemessa 1641 In Chiesa S. Caterina 1642 In Chiesa San Siro 1642 In casaccia S. M. An- gelorum 1643 Casaccia SS. Pietro e Paolo 1644 In Chiesa S. Sabina 1645 Casaccia S. Ambrogio 1645 Poi in casaccia S. Cro- CC 1646 Ch. dei PP. Crociferi 1646 1647 Presso S. Domenico 1650 Chiesa S. Siro 1650 Orat. in piazza Sar-zano 1668 Casaccia S. Stefano (1669) Casaccia (1677) Chiesa N. S. Angeli (1677) Chiesa San Vincenzo 1678 1679 da S. Cosma (1681) Strada Promontorio 1682 In S. Bartolomeo Prom 1681 Salita N. S. Loreto 1686 Oratorio in S. Cosma 1687 Orat. alla Pescheria 1688 In Ch. S. Maria Pace 1687 In Ch. San Carlo c. 1690 da S. Agostino 1690 presso S. Torpete 1690 da San Francesco 1691 Convento Olivetani (1692) Oratorio alle Focine 1696 Casaccia S. M. Pietà 1696 Casaccia S. Giacomo Maggiore 1696 Chiesa del Rimedio 1699 Orat. presso S. Maria Maddalena XVII sec. Oratorio p. Bandiera XVII sec. Oratorio p. Case Nuove XVII sec. Oratorio da S. Sisto XVII sec. Casaccia S. Antonino XVII sec. Vico Indoratori 1700 da N. S. del Carmine 1701 da S. M. Angioli 1703 1706 Orat. da Boccadasse 1707 Convento Scuole Pie 1709 da S. Croce 1710 Casaccia 1710 Casaccia 1711 da San Vincenzo 1712 Oratorio da S. Vin- cenzo 1717 1723 Oratorio da P.za Sar- zano 1725 Casaccia S. Croce 1727 Casaccia SS. Giacomo e Leonardo 1729 Casaccia S. Giacomo Focine 1726 P.za Giustiniani 1730 da S. Margherita 1736 Casaccia S. M. Pietà - 310 — Abbazia in Catalogna nobili - PP. Teatini fondatori Teatini (ricost.) Ist. da Gesuiti nobili - Ist. P. Teatino Nata per fusione Nata per fusione pescivendoli rebaroli fornai stropiati pizzicagnoli stoppieri seta calafatti sbirri professori musica bottegai « fattorini » (fusione) calzettieri marinai mereiai terziari cappuccini TITOLO Terminus post quem S. Caterina 1737 N. S. Soccorso 1740 Carità 1741 N. S. Provvidenza e (1742) S. Vincenzo F. N. S. Addolorata 1750 N. S. Annunziata e B. 1752 Vittoria Strata S. Famiglia 1751 S. Giov. Nepomuceno » 1753 S. Ampelio 1754 S. Giuseppe 1756 SS. Sacramento c. 1760 N. S. Consolazione e 1761 S. Nicolò T. Passione V. M., SS. 1770 Francesco e Filippo Neri N. S. e S. Zaccaria c. 1776 S. Famiglia 1778 N. S. Mercede 1780 N. S. Carmine e 1782 Anime S. Immacolata Concezione 1783 SS. Fabiano e Seba¬ 1796 stiano S. Famiglia XVIII sec. N. S. Rifugio XVIII sec. N. S. Cinque Lampade XVIII sec. TIPO E SEDE Ospedale Pammatone da S. Lorenzo Ospedale Pammatone In Casaccia S. Giorgio Osped. Pammatone Casaccia S. Giov. Prè da S. Croce Orat. nel Reai Palazzo da S. Stefano Ch. S. Sabina Ch. S. Giacomo Carign. Fuori le porte di Carbonara Casaccia San Giacomo Marina Casaccia San Giacomo Marina Casaccia SS. Giacomo e Leonardo da S. Sabina Chiesa S. Vittore Orat. in Morsento Oratorio da San Pietro in Banchi. NOTE VARIE armamento c. infedeli infermieri guardie ferrai sacerdoti facchini grano facchini da vino portantini — 311 — DANILO PRESOTTO GENOVA 1656-1657 CRONACHE DI UNA PESTILENZA 1. — E' noto che la repubblica di Genova, felicemente risparmiata insieme a Roma ed a Napoli, dalla peste manzoniana del 1630, nel biennio 1656-57 fu colpita e decimata da una probabile « coda » della stessa epidemia. Nella valutazione delle dimensioni e della portata di questa pestilenza non sono però del tutto concordi i contemporanei ', e lo sono ancor meno i cronisti tardivi2. Le valutazioni da essi riferite, accolte per lo più dagli storici3, hanno tuttavia suscitato le perplessità di due studiosi genovesi, il Giaccherò ed il Felloni, entrambi convinti di trovarsi di fronte a dati certamente esagerati, e portati quindi 1 Mentre Antero Maria di S. Bonaventura (Li lazzaretti della città e Riviere di Genova nel 1657, Genova, 1658, p. 557 e sgg.), indica « li morti in Genova più di 60 e meno di 70 mila » oltre a 30.40.000 vittime della periferia e dei paesi vicini, il Card. Geronimo Gastaldi dice che le vittime erano « 60.000 et forte etiam major consumptorum numerus exstitit » (De avertenda peste, Bologna, 1684, p. 119). 2 Per es. per la sola città di Genova, F. Casoni (Annali della Repubblica di Genova del secolo XVII [la ediz.], Milano, 1706) dà da 60 a 70 mila vittime, fissate in 65.000 in un’opera successiva (Successi del contagio nella Liguria negli anni 1656-57, Genova, 1831, p. 40), diventate 80.000 secondo F.M. Accinelli (Compendio delle storie di Genova dalla sua fondazione sino all'anno 1750, Lipsia, 1750, I, p. 211), ma riportate a 70.000 da D.M. Argiroffo (Memorie historiche e cronologiche della città stato e governo di Genova... ms. in BUG, c. 29 e sg.). 3 A. Corradi, Annali delle epidemie occorse in Italia dalle prime memorie al 1850, Bologna, 1865-1894, III, pp. 187 e 188; G. Sttcker, Abhand-hmgen aus der Seuchengeschichte und Seuchenlehre, Giessen 1910, II, p. 174; F. Donaver, La storia della Repubblica di Genova, Genova, 1913, pp. 298-302; L. Levati, Dogi biennali di Genova dal 1528 al 1699, Genova, 1930, II, p. 168; A. Costa, La peste in Genova negli anni 1656-1657, in Atti del Congresso Internazionale per gli studi sulla popolazione, Roma, 1933, T, sez. di Storia, pp. 345 e sgg.; F. Hirst, The conquest of plague, Oxford, 1953, p. 409; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, Genova, 1955, I, p. 300; H.L. Beloch, Bevolkerungsgeschichte Italiens, Berlino 1961, III, p. 291. — 315 — a valutazioni ben più contenute4. Senza entrare nel merito dei procedimenti adottati da questi studiosi, mi è parso opportuno un riesame a fondo della documentazione disponibile, nell'intento di recare un contributo alla soluzione della controversia, disponendo di basi documentarie incomparabilmente più vaste di quelle a cui avevano fatto ricorso quanti si erano finora interessati al problema. La ricerca su cui si basa questo lavoro ha quindi attinto, in Genova, a fonti pubbliche e private, ma non ha trascurato di tare ricorso anche ad archivi di altri centri marittimi, come Barcellona, Marsiglia e Livorno, o terrestri come Milano, interessati a seguire giorno per giorno gli sviluppi della pestilenza genovese, al fine di orientare i loro traffici e di trarre dalla vicenda utili prospettive di mercato5. I risultati conseguiti sono esposti e documentati nella prima parte. Nella seconda (Appendice) si è creduto di far cosa grata al lettore pubblicando in ordine cronologico passi relativi alla pestilenza genovese estratti dalle lettere private di un uomo d affari, integrati e raffrontati con altre testimonianze di origine e di carattere diverso. Alla prima parte fa quindi seguito una specie di cronaca dai molti occhi che, a mio giudizio, potrà consentire al lettore di cogliere gli aspetti umani e drammatici della vicenda, al di là dell’aridità delle cifre. 4 G. Giaccherò, Storia economica del settecento genovese, Genova, 1951, pp. 26 e 27; G. Felloni, Per la storia della popolazione di Genova nei secoli XVI e XVII, in Archivio Storico Italiano, CX, 1952, p. 239, n. 13: « ... L'epidemia avrebbe quindi falciato al massimo, 39.000 persone circa... ». 5 Abbreviazioni adottate nelle note: ACM Archivio Comunale di Marsiglia ADG Archivio Doria presso l’Università. di Genova AMB Archivio Municipale di Barcellona ASG Archivio di Stato di Genova ASL Archivio di Stato di Livorno ASM Archivio di Stato di Milano AST Archivio di Stato di Trieste BBG Biblioteca Berio di Genova BUG Biblioteca Universitaria di Genova. - 316 - 2. — Benché da sempre numerose voci di pestilenze serpeggiassero nel bacino del Mediterraneo 6, le prime effettive notizie riguardanti l’epidemia, che doveva due anni dopo flagellare così severamente la Liguria, risalgono agli ultimi mesi dell’anno 1655. Infatti era soltanto sul finire di quell’anno che il Magistrato della Sanità di Genova veniva avvertito da Giovanni Matteo Durazzo che Milano aveva bandito sin dal 22 novembre Trieste, Lubiana e l’intera Carniola ritenute affette da contagio 7. Il provvedimento era forse del tutto ingiustificato, perchè sia dalla documentazione del Magistrato della Sanità di Trieste 8, sia dalle pubblicazioni relative alla storia della città 9, non 6 Sin dal 1647 la peste si era abbattuta su Valenza provocando 16.000 vittime. Nell’aprile del 1647 era a Murcia, nell’agosto dello stesso anno arrivava a Mora, poi ad Albalate (J. Nadal - E. Giralt, La population catalane de 1553 à 1111, Parigi, 1960, pp. 42 e 43). Dal 29 luglio 1649 al 25 gennaio 1650 e dal 14 giugno al 3 settembre 1650 era a Marsiglia, il cui porto era perciò completamente isolato (L. Berçasse, Histoire du commerce de Marseille de 1599 à 1660, Parigi, 1954, p. 38). Alla fine del 1649 era neH’Alvernia, nell’aprile del 1650 invadeva la Catalogna, decimando lo popolazioni specie quelle di Tortosa e di Tarragona. Nei primi mesi del 1651 dilagava in Barcellona, dove trovavano la morte 36.000 persone. L’anno seguente era segnalata ad Alcubierra, Penaflor e Maiorca; in que-st’ultima isola, provocava la scomparsa di circa 20.000 persone. Sempre nel 1652 faceva una rapida apparizione ad Iglesias, dove dopo aver causato la morte di un terzo della popolazione, sembrava estinguersi (J. Nadal E. Giralt cit., pp. 43 e 44). Ma nel 1653 raggiungeva Bordeaux e nei tre anni seguenti, infieriva a Mosca e in altre parti della Russia (A. Corradi cit., Ili, p. 185). Un interessante tentativo di determinare il percorso della peste del 1656 è stato fatto da J. Nadal in un articolo annunciato come appendice alla versione spagnola dell’ Histoire générale de la population di di Reihnard e Armangaud. 7 ASG, Magistrato della Sanità, filza 74, litterarum extra dominij, relazione da Milano, 31 dicembre 1655. ASM, Sanità: parte antica, busta n. 278, Gridario od indice del contagio nell'huomini nelle annotate pro-vincie, s.d.. Ibidem, Ordini per contagio: sommario. 8 AST, Intendenza Commerciale per il litorale di Trieste, busta 488498. Nella documentazione dell’amministrazione sanitaria si passa dalla pestilenza dell’anno 1630 all’epidemia del 1729. 9 A. Tamaro, Storia di Trieste, Roma, 1924, II, p. 119 e sgg. e B. Schia-vuzzi, Le epidemie di peste bubbonica in Istria, Parenzo, 1889, pp. 25-27. — 317 — 1 risulta esservi stata allora alcuna traccia di epidemia. Un inasprimento in atto dei rapporti tra Venezia e Trieste10 aveva forse suggerito ai veneziani il « lancio » di un allarme atto a dirottare i traffici dal porto concorrente. La peste era invece segnalata — e con fondamenti — da Malta e dalla Sardegna. Per la prima isola, già dall’ottobre il governo magistrale ne aveva dato notizia a Marsiglia 11 mentre il console genovese a Messina, G. B. Cicala, avrebbe scritto in proposito ai responsabili della Sanità della Repubblica solo nel febbraio del 165612. Nei primi giorni del 1656, il console genovese Natero, residente in Cagliari, segnalava un caso di peste in quella città. Il 24 gennaio, lo stesso Natero replicava, scrivendo che il male si era diffuso nelle campagne circostanti. Quattordici giorni più tardi, era la volta del console di Alghero, il quale era costretto ad annunciare il dilagare del male nella intera Sardegna settentrionale. Alla fine del mese di marzo, la peste si era ormai propagata per tutta l’isola 13. 10 A. Tamaro cit., p. 119. 11 ACM, serie GG, filza 214, Situation sanitaire hors Marseille, 1641-1659. Le Grand Maistre de Malta aux Consoles de Marseille: «... Le fait est qu à la fin du mois Dassé une mortalité de quatre pauvres personnes arrivée en peu de jours dans une maison du Casai de Saint Caterine, fit supçonner qu’ il y eu quelque infection plus dangereuse, que les fièvres malignes ordinaires, aux quelles ce pays ici est assez sujet depuis la canicule, jusques à Automne... Dans la perquisition que l’on fit, en s’ap-perçu de quelques marques, qui augmentèrent la difiance. qu'on avoit eüe. Aussi tost sans perdre temps nous usamm de toutes les diligences dont la prudence humaine... tant pour empescher la dilatation du mal, quant pour en descouvrir l’origine. Et quant à ce dernier point, on n’a pu trouver autre chose, si non qu’il avoit peut estre communiqué par quelque commerce furtif de vaisseaux venus de Levant, avec les habitans dune maison nommé le Salvator, situé sur le port du Levant, dont le chef de famille mourut en mesmes temps », 15 ottobre 1655. 12 ASG, Magistrato della Sanità, filza 74 cit., lettera di G.B. Cicala, 4 febbraio 1656. 13 Ibidem, lettere di Natero, 4 e 24 gennaio 1656; lettera di G.B. Mas-siliano, 7 febbraio e 27 marzo; lettera di Cristoforo Carbone, 4 aprile. — 318 — Come da Malta, o più probabilmente dai porti orientali, il contagio era passato in Puglia 14, nel Peloponneso e persino in Egitto1S, dalla Sardegna il male giungeva nel Napoletano, regione che alla fine di maggio doveva essere bandita da tutti gli statil6. Contemporaneamente, la peste mieteva le sue prime vittime anche in Civitavecchia I7; la città veniva subito bandita da Roma, da Firenze, da Livorno, da Lucca e da Ferrara 1S, ma il suo porto continuava ancora nella prima decade di giugno ad avere traffici con quello di Genova 19. Le precauzioni prese nel Lazio dovevano, tuttavia, manifestarsi insufficienti poiché proprio a Roma, due settimane più tardi, si andavano scoprendo le prime morti « sospette »2C. In un primo tempo, non si vollero riconoscere in questi decessi i tragici indizi della peste, ma alla fine di giugno il morbo si diffondeva così virulento nella zona di Trastevere e nel ghetto che la verità appariva intera nella sua drammatica realtà21. A Genova, intanto, si parlava molto della pestilenza. Su proposta del Magistrato della Sanità erano stati adottati particolari provvedimenti intesi a diminuire le probabilità di conta- 14 S. Santeramo, La peste del 1656-57 a Barletta, Barletta, 1912, e G. Nicastro, Contributo alla storia della peste del 1656, I, Melfi, Canosa e Corato, Melfi, 1912. Mentre alcuni affermano che il male giungeva nell'Italia meridionale proprio dalle Puglie (G. Sticker cit., p. 163), altri denunciavano la presenza contemporanea della peste in regioni diverse quali la Campania, la Puglia, la Lucania (A. Corradi cit., III, p. 185). 15 ASG, Magistrato della Sanità, filza 74 cit., lettera dei Commis-sarii alla Sanità di Livorno, 19 gennaio 1656. 16 Ibidem, Bando di Ferrara, 26 maggio; di Bologna, 27 maggio; di Livorno, 28 maggio; di Milano, di Bergamo e di Mantova, 1 giugno 1656. 17 Appendice lett. I e II. 18 ASG, Magistrato della Sanità, filza 74 cit., Bando di Roma e di Ancona, 29 maggio; di Firenze e di Livorno, 1 giugno; di Lucca, 2 giugno; di Ferrara, 6 giugno 1656. 19 Appendice lett. I e II. 20 ASG, Magistrato della Sanità, filza 74 cit., lettera di Pinelli da Roma, 10 giugno 1656. 21 Ibidem, lettere di Pinelli da Roma, 24 giugno 1656. Appendice lett. I. - 319 — gio22, ma la maggioranza della popolazione aveva reagito negativamente, come se non esistessero queste misure23, comportando esse una riduzione o, quanto meno, un inevitabile rallentamento dei traffici. Era specialmente dai quartieri più poveri e più popolati che si manifestava la maggior resistenza: proprio da quei quartieri che avrebbero dovuto temere di più le conseguenze di un contagio, ma i cui abitanti alla eventualità di una peste contrapponevano la certezza immediata, concreta e non meno temibile, della fame. In Genova, le prime denunce parrebbero dimostrare che i diversi focolai di infezione erano nati allo stesso tempo e trovavano tutti la loro origine in un’unica fonte compresa tra la Foce e Sturla. Secondo alcuni proprio su queste ultime spiagge erano approdati marinai provenienti dalla Sardegna. Essi erano stati posti in quarantena, ma violando i divieti, avevano venduto della merce infetta che da alcuni mercanti era stata portata nell entroterra Secondo altri, il male si era sviluppato nello stesso lazzaretto ove erano affluiti ed avevano trovato asilo numerosi profughi genovesi i quali avevano abbandonato Napoli proprio per evitare la peste25. Ma, comunque il male fosse arrivato, sarebbe rimasto in Liguria non meno di diciassette mesi. 3- — Per definire l’andamento della pestilenza, cioè per ottenere informazioni sulla salute pubblica, il Magistrato della Sanità della Repubblica di Genova non aveva che un mezzo: controllare, giorno per giorno, sia il numero dei nuovi casi, sia 22 ASG, Magistrato della Sanità, ms. 498, Manuale delle deliberazioni, 1656. Si elencano, in disordine, alcuni provvedimenti esposti poi organicamente nella grida del 20 luglio, modificata il 13 settembre, della quale è conservata copia in «Atti deW'Offitio Sanità» (ASG, notaio giudiziario: Lavagnino G.B., n. particolare 8, sala 2, se. 68). Anche in ms. 265, cc. 74-76, relazione in data 12 settembre 1656 (ASG, Magistrato della Sanità). Ancora in Antero M. di S. Bonaventura cit., p. 298. Appendice lett. VII e 8. 23 Appendice lett. XII nota, XIII, 14 e XXXII nota. 24 Antero M. di S. Bonaventura cit., pp. 246 e 250. Appendice lett. 14. 25 Antero M. di S. Bonaventura cit., 261. Appendice lett. III e IV. - 320 — quello delle vittime. A questo fine, la città era stata divisa in numerosi quartieri posti sotto il controllo di funzionari ,i quali, come primo incarico, avevano censito gli abitanti e le abitazioni 26. In genere il numero dei morti e dei contagiati rilevato dai commissari dei quartieri veniva inviato al Magistrato della Sanità. Per rispettare degli accordi presi con gli stati vicini, alla fine di ogni settimana, il medesimo Magistrato trasmetteva queste notizie alle altre amministrazioni sanitarie. Sovente gli stati vicini, timorosi di non essere sufficientemente informati, inviavano nei villaggi di confine loro persone di fiducia con il compito di controllare la veridicità delle informazioni27. Se la presenza della peste veniva confermata, sia da queste voci, sia da segnalazioni ufficiali, il paese sospetto veniva bandito, il transito ed il commercio erano subito interrotti da regole che, col-l'aggravarsi del male, diventavano progressivamente più severe. Sebbene sia certo che l’amministrazione sanitaria genovese tenesse una rigorosa contabilità dei progressi del male, quello che ci è pervenuto di tale documentazione è affetto da sensibili lacune. Non sempre i rapporti dei commissari o gli avvisi settimanali 28 potevano essere compilati, specie in quei periodi di recrudescenza, durante i quali soccombevano gli stessi incaricati del Magistrato della Sanità, costretti, per svolgere le loro mansioni, ad esporsi pericolosamente. Sovente gran parte della documentazione andava perduta, sia perchè distrutta, sia perchè veniva abbandonata, ma ciò che manca alla documentazione ufficiale a noi pervenuta può essere utilmente integrato da documenti di carattere privato emananti da famiglie che, per la loro posizione eminente negli affari o nelle magistrature della Repubblica, erano in condizione di conoscere e di seguire giorno 26 ASG, Magistrato della Sanità, ms. 265, cc. 74-76, relazione 12 settembre 1656, cit., Descritione del corpo intiero della città. Secondo questo censimento la popolazione di Genova era di 73.170 abitanti; di essi 18.550 erano stati censiti nella zona denominata San Giovanni Battista, 18.870 in quella di San Lorenzo, 17.700 in quella di San Bernardo e 17.050 nella zona di San Giorgio. Antero M. d. S. Bonaventura cit., p. 256. Appendice lett. IX e XII. 27 Appendice lett. XVII nota. 28 Appendice lett. XXXV, XXXVII, XXXIX, XLIII, XLVI, ecc. — 321 — 21 per giorno il lavoro del Magistrato della Sanità. A volte, a queste preziose testimonianze, si affiancano le informazioni conservate presso gli archivi di stati vicini: anch’essi di estrema importanza per colmare le lacune della documentazione ufficiale genovese tuttora conservata negli archivi della Repubblica. La documentazione di carattere ufficiale utilizzata per lo studio della pestilenza è stata reperita nei seguenti archivi: Archivio di Stato di Genova. Magistrato della Sanità, ms. 265: la] Descrizioni molto sommarie delle pestilenze in Genova negli anni 1383, 1438, 1439 e 1598. [b] Nota delle robbe, le quali non ricevono infettione, ricevono infettione, sospette d’infettione. [c] Nota dei morti in Roma per occasione del contagio dal principio di luglio dell’anno corrente 1656 sino alli 2 dicembre dell’anno medesimo. [ d ] Relazione del 12 settembre 1656, nella quale si descrive la divisione del corpo intiero della città in quattro parti principali, ciascuno ripartito in cinque quartieri minori, giusta il disposto dei decreti del 24 luglio 1656 e dell'l settembre 1656. [el Nota dei morti in Genova per occasione del contagio. Dal 3 di luglio dell’anno corrente 1656 al 30 ottobre 1656 totale complessivo, dal 31 ottobre 1656 al 26 gennaio 1657 andamento giornaliero dei nuovi casi e dei decessi. [f] Elenco dei lazzaretti in funzione fuori Genova dal 3 luglio 1656 all’l gennaio 1657 (il numero dei decessi è indicato per il solo lazzaretto di Chiavari). [g] Regolari morti in Genova nell’anno 1657. ms. 280: Elenco nominativo dei contagiati e dei morti nella sola città di Genova, dal 16 al 26 giugno 1657. ms. 281: Manuale delle deliberazioni del Magistrato della Sanità, 1657. ms. 283: Manuale delle deliberazioni del Magistrato della Sanità, 1657. ms. 285: Manuale delle deliberazioni del Magistrato della Sanità, 1657. ms. 290: Libro nel quale si notano li morti delli ospitali di Paverano e della Torre, dal 28 maggio 1657 al 25 giugno 1657. ms. 498: Manuale delle deliberazioni del Magistrato della Sanità, 1657 filza n. 74: Litterarum extra dominij, 1656. filza n. 117: Crimini, 1656 in 1657. filza n. 171: Inutilium sanitatis, 1656 in 1657. filza n. 180: Dichiarazioni dei medici, 1656 in 1657. filza n. 190: Diversorum sanitatis, 1656 in 1657. — 322 — San Giorgio, Caratis Maris, filza n. 108 (provvisorio). Aciorum 1669 in 1670. Senato, pacco n. 972: Diversorum 1656. Relazione presentata al Senato il 5 settembre 1656 sui siti destinati alla sepoltura dei cadaveri degli appestati. Notai giudiziari: Lavagnino Gio. Batta, n. part. 8, sala 2, se. 68: Atti dello Officio Sanità. Peirano Gio. Tommaso, n. part. 25, sala 2, se. 51 : Atti dei Signori Medici. Civica Biblioteca Berio di Genova. ms. M.R. X, 2, 12: Proposte per la prevenzione del contagio che va facendo progressi a Napoli et in Sardegna, s.d. Archivio Municipale di Barcellona. Conseil de Cent, serie II, Registre de Deliberacions, n. 165, 166, 167, 168, 30 novembre 1655 - 30 novembre 1659. Archivio di Stato di Livorno. Sanità: serie VII, reg. n. 65, Lettere di Sanità del Governo, 1656 in 1658. Sanità: serie VII, reg. n. 613, Copialettere del Magistrato della Sanità, 1656 in 1671. Archivio Comunale di Marsiglia. Serie GG, liasse n. 214, Situation sanitaire hors Marseille, 1651-1659. Archivio di Stato di Milano. Sanità, parte antica e moderna, busta n. 278, Gridario e indice nel contaggio nelli huomini; Sommario di ordini per il contagio; busta n. 279, Relationi dei Conservatori della Sanità, 1656. Archivio di Stato di Trieste. Intendenza Commerciale per il litorale di Trieste 1748-1776, buste n. 488-498, Sanità (dal 1630 al 1729). Fra i documenti di carattere privato, particolarmente interessanti si sono rivelati una raccolta di lettere della famiglia Spinola ed un copialettere della famiglia Raggi29. 29 Ringrazio vivamente il Prof. Giuseppe Pieisantelli per la preziosa segnalazione. — 323 — Il carteggio Spinola fa parte dell’Archivio Doria recentemente donato all’istituto di Storia Economica dell’Università di Genova. Riguardano la peste del 1656 le lettere di Nicolò Spinola che hanno la seguente collocazione: busta n. 151: corrispondenza dal gennaio 1656 al 19 novembre 1656. busta n. 152: idem, dal 26 novembre 1656 al 10 dicembre 1656. busta n. 153: idem, dal 17 dicembre 1656 al 23 agosto 1657. busta n. 154: idem, dal 30 agosto 1657 al 23 novembre 1657. Nicolò Spinola, che era uno dei figli di Franco Spinola, nobile e mercante, scriveva settimanalmente lunghe lettere di affari al fratello Ambrogio, residente in Anversa. Agli inizi del 1656, egli era però ospite delle prigioni genovesi, per contrasti col Magistrato del Nuovo ArmamentoM; il che fa praticamente decorrere questa sua corrispondenza soltanto dal mese di giugno, cioè da quando il contagio era già dilagato in Napoli. I due fratelli, a differenza del padre che « non sapeva risolversi a far mai cosa alcuna, bastandoli solo di discorso »31, appartenevano ad una moderna generazione di uomini d’affari, rapidi quanto audaci nelle loro decisioni. Essi avevano fatto del commercio, ma operato soprattutto nei cambi, di cui avevano fatto quasi lo scopo della loro vita e dovevano averne cavato lucri copiosi se Ambrogio, da solo, poteva lasciare, nel 1669, una eredità di quasi due milioni e mezzo di lire genovesi32. La concisione letteraria di Nicolò, almeno per quanto concerne gli argomenti estranei agli affari — egli riusciva ad annunciare in poche righe la morte del figlioletto, la perdita della moglie, la scomparsa del padre e quella del fratello 33 — si trasformava in prolissità quando erano in gioco gli affari. 30 ADG, busta 151, lettere del 6 e del 14 maggio 1656. All’origine di questi contrasti era il tentato acquisto da parte di Genova di quattro vascelli d’alto bordo, perfettamente armati ed attrezzati, da costruirsi nel Regno delle Province Unite (ASG, Archivio segreto, litterarum 1650-54, copialettere 132/1908; anche in Archivio Segreto, Maritimarum, filza 1666). 31 Appendice lett. LVIII. 32 ADG, busta 196, Bilancio dell’eredità di N. Spinola (lire 2.481.729). 33 ADG, busta 151, lettera del 21 maggio 1656. Appendice lett. LXXV. — 324 — In lui la paura del contagio, quando dubitava della sicurezza dei capitali depositati nel Banco di San Giorgio, doveva subito scomparire. Nel bel mezzo della epidemia — in Genova erano già morte più di 40.000 persone — egli rompeva l’isolamento del suo rifugio di Chiavari, correva in città, ritirava il contante, si imbarcava sopra una feluca, depositava il capitale davanti a Livorno34 e finalmente ritornava in famiglia35. Temerarietà che doveva venirgli meno, vinta da mille dubbi e da altrettante paure, quando egli era incerto se rimanere in Chiavari o trasferirsi insieme ai famigliari superstiti, nella più sicura casa di Sampierdarena3é. Nel settembre 1657, nominato commissario dal Magistrato della Sanità, egli cercava inutilmente di sottrarsi all’incarico 37, ma la minaccia di una multa di 500 scudi di oro in oro lo inchiodava alle sue nuove responsabilità. Questa pena era per lui enorme ed estremamente dolorosa ed egli sentiva la necessità di descriverla al fratello per ben quattro volte38. La stessa parsimonia, gli doveva procurare, sul finire della pestilenza, un altro grave dilemma: quello di sacrificare mobili ed indumenti dei parenti perduti nella peste o di affidarsi alle « profumazioni » per salvare le masserizie39. Questi aspetti del suo carattere mettono in luce la puntigliosa esattezza delle sue osservazioni e la meticolosa precisione del suo carteggio che segue passo a passo l’andamento e le dimensioni della pestilenza, evento troppo importante per le prospet- 34 Appendice lett. LXXV nota. Precise disposizioni delle autorità sanitarie toscane, pur escludendo qualsiasi contatto diretto, prevedevano la possibilità di depositare contante (oro od argento) od anche perle (sfilate) dentro un barile di acqua ed aceto giacente su di uno scoglio lontano dalla costa. Il denaro od i preziosi venivano controllati ed una ricevuta veniva lasciata sullo stesso scoglio per essere ritirata successivamente dal depositario (ASL, Sanità, serie VII, reg. n. 65, cit.). 35 Appendice lett. LXXXI e LXXXII. 3o Appendice lett. LXXXI e LXXXVII. 37 Appendice lett. LXXXVIII, LXXXIX, XC, XCI e XCII. » Appendice lett. LXXXVIII, LXXXIX, XC e XCI. 39 Appendice lett. XCII. — 325 — tive di mercato perchè lo Spinola non lo seguisse con l'occhio più acuto e più vigile. Il copialettere della famiglia Raggi è una recente acquisizione della Civica Biblioteca Berio di Genova, dove è classificato fra i manoscritti (M.R. V, 3, 17): è una trascrizione miscellanea di testi o di estratti di lettere indirizzate da diversi corrispondenti a Ferdinando (?) Raggi, il quale all’epoca della pestilenza si trovava in Roma. Tra gli autori delle lettere emerge una figlia del Raggi: Suor Maria Francesca, rinchiusa nel convento di Santa Brigida, nel popolare quartiere di Prè 'w, ma non oppressa dalle anguste pareti del chiostro, che, al contrario, sembrano quasi stimolare il suo acuto spirito di osservazione e le sue rare doti di commentatrice acuta e spigliata. Le sue lettere, ispirate alla più larga confidenza e non prive di un impegno letterario forse degno di una particolare attenzione, sono un documento di estrema efficacia degli orrori, delle vicende e delle fasi della pestilenza. Mancano però di quella precisione nei dettagli numerici che, non congeniale all’ardente temperamento della suora, caratterizzano invece le lettere di un altro corrispondente, il prete Giovanni Francesco Ravara. Uomo dotato di una discreta cultura, anche se inferiore a quella della suora, il Ravara raccoglieva ogni voce e la ripeteva da « referendario » fedele, segnalando i progressi del male, i nuovi paesi colpiti, il numero delle vittime; frequentemente egli cadeva in contraddizioni ma si affrettava a correggersi, via via che le notizie che gli pervenivano gli fornivano nuovi elementi per faticose rettifiche. Un altro corrispondente, il Cardinale Lorenzo Raggi, benché poco più che quarantenne, non dà che l’immagine di un uomo dominato dall’egoismo e dalla paura. Nelle sue lettere, scarne, egli non si indugia che sui suoi problemi, non ricorda mai la cognata, nè la nipote suora41, e se accenna agli altri nipoti, è solo 40 Appendice lett. 61, 63, 66 e 74. 41 BBG, M.R. V, 3, 17, ms. cit., lett. Suor Maria Francesca, 18 agosto 1657. — 326 — per giustificare le sue fughe e le precauzioni che via via gli sembrano più consigliabili. Molto meno frequenti e di più modesto interesse sono infine estratti di lettere di Nicolò Spinola (quondam Antonio), zio della suora, di Luca Invrea e di Luca Assarino. L'Invrea doveva essere, come d’altronde il prete Ravara, un buon amico della famiglia Raggi, poiché nel periodo peggiore della pestilenza, insieme al Ravara, aveva messo in salvo i preziosi del senatore Gio. Batta Raggi, caduto vittima del male 42. Luca Assarino, autore di poche lettere conservate nel manoscritto, sembra entrare in scena solo a cose finite, svaniti gli orrori della peste. Era un uomo dal torbido passato, che non aveva sdegnato l’omicidio, nè evitato il carcere. Ora si presentava in veste di « romanziere di grido »43. Il suo posto, nel carteggio, non sembra avere che questo carattere. Completano poi la raccolta altre poche lettere, tra le quali una di Michele Imperiale da Milano ed un’altra di Bernardo Ve-neroso 44. 4. — Sulla natura del morbo non possono sussistere dubbi. Agli inizi del male, dalle constatazioni di decesso dei medici incaricati di controllare i cadaveri, risulta trattarsi inequivocabilmente di peste bubbonica 45. Il male, dopo un breve periodo di incubazione, da 3 a 5 giorni, 42 Appendice lett. LXXX nota. 43 O. Pastine, La Repubblica di Genova e le gazzette, Genova, 1923, pp. 48, 49, 52. Sull’Assarino: A. Neri, Saggi storici intorno a Pier Giorgio Capriata e Luca Assarino, Genova, 1875. G. Claretta, Sulle avventure di Luca Assarino e Girolamo Brusoni, in Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino, 1873. A. Ferretto, Documenti inediti intorno a Luca Assarino storiografo dei duchi di Savoia, in Miscellanea di studi storici in onore di A. Manno, Torino, 1912, II, p. 41 e sgg. 44 Credo si tratti di Giovanni Bernardo Veneroso « scrittore del genio ligure risvegliato » ricordato dall’abate Sbertoli come padrino dello storico F. Casoni nei Cenni biografici che precedono I successi del contagio della Liguria negli anni 1656 e 1657, cit., dello stesso F. Casoni. 45 ASG, Magistrato della Sanità, filza 180, cit. — 327 — si manifestava solitamente con febbre, con dolori di capo, dolori alla colonna vertebrale, vertigini, vomito, delirio. Nella seconda e terza giornata si delineava la forma clinica della malattia, caratterizzata dalla tumefazione di uno o più gangli linfatici. Gli stessi, (i « bubboni »), presentavano segni di infiammazione acuta emorragica e suppurativa. Nel periodo più micidiale (cioè in quello estivo del 1657) l’intervallo tra la contrazione del male ed il sopravvenire della morte era andato riducendosi a soli due o tre giorni. Tra i colpiti dal male la percentuale della mortalità, che nei primi tempi si era mantenuta in valori del 60-70 % 46, saliva nel bimestre novembre-dicembre 1656 all’80 % 47, per superare sei mesi più tardi, subendo il morbo un processo di vi-rulentazione, persino il 90 %48. Valori percentuali che si riferivano all’intera popolazione, perchè se si fossero calcolati sui soli ricoverati dei lazzaretti avrebbero superato il 96 % 49. Dalle fonti precedentemente elencate è possibile ricavare il quadro dell’andamento, il ritmo ed il numero delle vittime della pestilenza, che vengono espressi dalla tabella e daH'istogramma che da esso deriva50. 46 Antero M. di S. Bonaventura cit., p. 10. 47 ASG, Magistrato della Sanità, ms. 265, cit., cc. 352 e sgg. La media dei rapporti giornalieri fra decessi e denunce risulta di circa 82 decessi per 100 denunce. 48 Appendice lett. LIV nota, 55, LVI e 70. Una percentuale del 90 % è segnalata anche in una supplica di due funzionari desiderosi di abbandonare un lavoro che li esponeva al «contagio» (ASG, filza 171, cit., 23 dicembre 1656). 49 Antero M. di S. Bonaventura cit., p. 23. Mortalità così elevata potrebbe fare ritenere che la peste bubbonica si fosse andata mutando anche in peste pneumonica. 50 L’istogramma presentato esprime in valori assoluti la mortalità settimanale, ma il campione della popolazione aggredita dalla peste andava progressivamente riducendosi. L’incidenza del numero delle vittime sul totale della popolazione non è dunque espresso dal grafico ma è invece ricavabile dal rapporto tra il numero delle vittime settimanali e quello della popolazione superstite. Questo confronto consente di affermare, che se il numero delle vittime ha il suo punto di flesso dopo la prima settimana del luglio 1657, la virulenza del male accenna a diminuire soltanto alla metà dello stesso mese. — 328 — Su circa 70 settimane, durata dell’intera pestilenza, solo 57 sono rappresentative; infatti le prime 13 settimane — dei mesi di luglio, di agosto e di settembre dell’anno 1656, per le quali risulta un totale di poco meno di 300 morti, non possono descrivere l’andamento epidemico. In questo periodo, è probabile che le morti naturali, indipendenti dal contagio, venissero attribuite alla peste e che altre volte, vittime effettive di questo male, non fossero considerate come tali51. Sulle 57 settimane seguenti, per 31 i documenti forniscono totali settimanali dei decessi; per 17 i totali complessivi sono calcolabili moltiplicando per il numero dei giorni la media giornaliera fornita dai documenti; per le rimanenti 9 settimane, oltre a dati parziali, si conosceva quasi sempre la tendenza, cioè l’andamento in aumento od in diminuzione, oltre ai limiti entro i quali doveva oscillare il totale delle vittime che doveva essere compreso fra le cifre note della settimana precedente e quelle della successiva. Il periodo tra il primo ottobre 1656 e l’il febbraio 1657, risulta definito da una ottima serie di dati. Essi sono stati ricavati dalla corrispondenza dello Spinola, confortati per diverse settimane dalla nota giornaliera del Magistrato della Sanità 52 e per un’unica settimana anche da una lettera del Cardinale Raggi53. Dalla metà di febbraio ai primi di maggio, intervallo durante il quale il male sembra in incubazione (« va serpendo »), la mortalità si mantiene relativamente bassa, toccando solo due volte la settantina di decessi settimanali; l’andamento della peste è rappresentato da totali desunti dalle indicazioni delle lettere dello stesso Spinola e da quelle contenute nella corrispondenza di Suor Francesca Maria54. Nei mesi di maggio, di giugno, di luglio e di agosto, quadrimestre fondamentale per la definizione della strage, la stesura della serie si è rilevata tanto ardua quanto importante. I totali 51 Appendice lett. XLVIII. Antero M. di S. Bonaventura cit., p. 284. 52 ASG, Magistrato della Sanità, ms. 265 cit.. 53 Appendice lett. 15. 54 Appendice lett. 25-32 e XLII-LIV. — 329 — Data Numero di giorni Numero dei decessi di peste decorsi dal com¬ puto precedente totale media giornal 24 settembre 1656 1 ottobre 7 28 4,--- 8 » 7 56 8.--- 15 7 51 7,28 22 7 78 11,14 29 » 7 122 17,43 5 novembre 7 176 25,14 11 272 45,33 18 7 329 47,--- 25 7 296 42,28 2 dicembre 7 292 41,71 9 7 208 29,71 16 » 7 226 32,28 23 7 253 36,14 30 7 147 21,--- 5 gennaio 1657 93 15,50 12 7 56 8,--- 19 » 7 64 26 » 7 50 7,14 4 febbraio 73 8,11 11 » 7 66 9,43 18 7 (25) 3,57 25 7 (35) 5,--- 6 marzo 10 (50) 5,--- 11 » (35) 7,--- 18 » 7 55 7,85 25 » 7 (75) 10,71 1 aprile 7 (25) 3,57 8 » 7 4Î 5,85 15 » 7 31 4,43 22 » 7 35 5,--- 29 » 7 46 6,57 6 maggio 7 76 10,86 13 » 7 (130) 18,57 18 » 188 37,60 7 750 107,14 1 giugno 7 1.600 266,66 £ » 3.000 428,57 0 ” 7 2.800 400,--- 7 2.392 341,71 7 7.500 1.071,42 7 7.000 1.000,--- 7 6.000 857,14 7 3.000 428,58 7 2.000 285,71 7 (1.000) 142,85 7 500 71,43 10 » 7 170 24,28 1 *7 ]/ » 7 /20 17,14 24 » 7 80 11,42 31 * u 7 150 21,43 7 settembre 7 120 17,74 14 » 7 40 5,72 21 » 7 (20) 2,86 28 » 7 25 3,57 6 ottobre 7 12 1,71 13 » 7 8 1,14 20 » 7 9 1,28 27 - 330 Media giornaliera dei decessi della prima e della terza settimana di maggio ci vengono ancora segnalati dallo stesso Spinola, il quale, nel periodo seguente essendo fuggito da Genova a Chiavari, non riceveva notizie dalla città se non generiche e frammentarie. Egli scriveva il 18 maggio l’ultima lettera dalla città, dichiarando che il male è in progressivo e costante aumento. Per la terza settimana di maggio le indicazioni fornite da un funzionario del Magistrato della Sanità che denunciano una mortalità media giornaliera di circa 100 persone possono considerarsi esaurienti 5\ Al 4 di giugno, secondo le notizie giunte a Livorno 56, il numero dei morti « prò die » era già salito a 300, ma la notizia — che porterebbe ad un totale settimanale di 2.100 morti — sembra essere inesatta, specie se confrontata agli elementi forniti da un brogliaccio della amministrazione sanitaria genovese. In questo registro, venivano descritti i contagiati, gli assistiti ed i deceduti dei due nuovi lazzaretti di Paverano e della Torre57. Le scritture, complete per circa un mese — dal 28 maggio al 25 giugno — consentono di risalire alla mortalità media cittadina. Per la settimana terminata ai primi di giugno, attraverso, questa fonte, il numero complessivo dei morti sarebbe relativamente contenuto in 1.600 unità. Per le due settimane successive, il totale dei decessi, stimato con gli stessi criteri, darebbe rispettivamente un risultato di circa 3.000 e di circa 2.800 vittime. Meglio definita, grazie ad una informazione riferita dal capitano Marco Doria della galera genovese, ad un funzionario toscano, è la settimana compresa dal 15 al 22 giugno 58. In un dialogo al largo di Livorno il genovese comunica sia il numero complessivo dei morti della città e dei lazzaretti, sia quello dei contagiati. Quest’ultimo totale trova perfetta coincidenza con quello ricavabile dai dati segnalati in un nuovo brogliaccio della amministrazione sanitaria genovese59. In questo registro, disgraziata- 55 ASG, Magistrato della Sanità, filza 171 cit., lett. 25 maggio 1657. 56 ASL, Sanità, serie VII, reg. n. 65, cit. 57 ASG, Magistrato della Sanità, ms. 290 cit.. 58 II dialogo viene riferito dai Magistrati della Sanità di Livorno ai Consoli di Marsiglia il 27 giugno 1657. Appendice lett. 65. — 332 — mente completo per soli 10 giorni — dal 16 al 26 giugno 1657 — venivano annotati nominativamente nei diversi quartieri della città tutti color che venivano contagiati e che trovavano la morte. Questi elementi consentono di determinare valori percentuali rappresentanti la mortalità della sola città o dei soli lazzaretti. Attraverso questi valori, è possibile, per le settimane più povere di dati, risalire alla stima del numero globale delle vittime, usufruendo di dati parziali, quali quelli relativi ai lazzaretti di Pa-verano o della Torre. Espediente che è stato posto in atto, proprio per le tre prime settimane di giugno. Le due settimane più micidiali, a detta di un testimone, il padre Antero M. di S. Bonaventura, dovevano essere state l'ultima del mese di giugno e la prima del mese successivo 60. Per questa quindicina, le fonti non sono avare di dati, indicando mortalità medie giornaliere oscillanti dai 1.000 ai 1.200 morti61. Nella definizione dei totali di queste due settimane, si è ritenuto di contenere il numero delle vittime sulle 7.500 per i primi sette giorni e 7.000 per i secondi, lieve diminuzione giustificata da un 59 Dagli elenchi nominativi del ms. 280 (ASG, Magistrato della Sanità) si ricava: giugno nuovi contagiati morti (nella città) (nella città) 16 236 112 17 280 128 18 365 124 19 459 151 20 405 160 21 503 251 22 406 260 23 370 209 24 428 349 25 377 329 26 125 108 (dati Si rilevi che i totali della settimana compresa Ira il 16 ed il 23 giugno (escluso) sono 2.654 nuovi casi e 1.186 morti. La prima cifra, quella degli ammalati, corrisponde esattamente a quella segnalata da Livorno (Appendice lett. 65). 60 Antero M. di S. Bonaventura cit., p. 138. 61 Appendice lett. 66, 67 nota. - 333 - lato da qualche voce di miglioramento, dall'altro dal fatto che, persistendo abbandonati i cadaveri per le strade, le impressioni dei testimoni potevano esserne influenzate. Le tre settimane successive, risultano ancora ben definite: l'il luglio si riparla di 6.000 morti alla settimana, ma pochi giorni più tardi le vittime sono già diminuite a 600 al giornoa. La congerie di voci che segnalavano un miglioramento generale, trovava la sua origine nella effettiva diminuzione dei decessi dovuta soprattutto alla contrazione della popolazione superstite. Il 29 luglio morivano settimanalmente ancora 2.000 persone, ma in effetti si constatavano concreti miglioramenti. E questo trova conferma anche nella natura del morbo, che perdeva la virulenza acquistata nei primi mesi del 1657“. La attendibilità della serie, resta controllata da due indicazioni di fonte diversa che segnalano il numero globale delle vittime della città. La prima, una lettera scritta il 21 luglio 1657 dal prete Giovanni Francesco Ravara, riporta un totale complessivo di 40-45.000 mortiM, che trova riscontro nel totale della serie che al 20 luglio è di 38.123 decessi; la seconda, del 30 dello stesso mese, vergata da Suor Maria Francesca, che riferisce esser morti nella città più di 40.0004S, a fronte di 40.123, totale della nostra serie al 3 di agosto. Il numero indicato per la prima settimana di agosto è frutto invece di sola stima basata unicamente sui 2.000 decessi della settimana precedente, sui 500 della successiva, nonché sul generale riconoscimento che il contagio era in declino. Ormai avviata ad estinguersi, la pestilenza nelle settimane comprese tra il 17 agosto ed il 27 ottobre 1657, mieteva sempre meno vittime. La serie è rappresentata da 11 dati di cui tre sono somme settimanali già calcolate nei documenti originali (quelli delle settimane del 17 agosto, del 7 settembre e del 27 ottobre), altri sette sono ottenuti sommando le indicazioni numeriche dei 62 Appendice lett. 65 nota, 68, 71 nota. 63 Appendice lett. 71 nota, 74. 64 Appendice lett. 70. a Appendice lett. 72. - 334 - I decessi giornalieri, mentre per la settimana 21-28 ottobre la cifra è stata stimata su indicazioni fornite dallo Spinola, per la verità piuttosto vaghe. Va rilevato però che in questo ultimo periodo, il numero esatto dei decessi ha scarsa rilevanza, e che un eventuale errore di valutazione sul numero delle vittime, non può che ripercuotersi in misura lievissima sul totale dei decessi dell'intero periodo considerato. La stessa amministrazione sanitaria genovese, nell’intento di una ripresa sollecita del commercio con i paesi vicini, dichiarerà, a posteriori, che la pestilenza era finita il 14 ottobre 1657, mentre per la verità nella quindicina successiva venivano denunciati nuovi casi66. Nella città, secondo i nostri dati, il numero totale dei morti sarebbe di 42.377 contro circa 55.000 secondo le lettere del prete Ravara 67, il quale però deve aver tenuto conto anche di quei genovesi che, trovata la morte durante la loro fuga nelle ville e nei paesi vicini, non erano stati elencati fra i morti in città, o nei lazzaretti. Con questa riserva, il dato fornito dal Ravara assume caratteri di piena attendibilità68. 66 ACM, Serie GG, filza 214, cit.. Il 6 febbraio 1658 i Magistrati della Sanità di Genova a Marsiglia: «... Hor che la salute della città, conseguita intieramente con la gratia del Signore, sin dalli 14 di ottobre passato, resta acopiata et assicurata con la prova di rigorosa quarantena, quelle di tutto il Dominio Serenissimo, escluso solamente il luogo di Chiavari, che sin’hora si tiene sospeso per anco in stato di totale sicurezza, ci pare di poter ragionevolmente sperare di essere restituiti al commercio con le SS. VV. ». 67 Appendice lett. 98. 68 Non altrettanto agevole è la valutazione delle vittime per il restante territorio della Repubblica. Una lettera, sempre del prete Ravara, riporta un totale di poco inferiore ai 55.000 decessi indicati per la sola Genova (Appendice lett. 98). Cifra che figura ripetuta in una successiva segnalazione, nella quale si indica complessivamente per tutto il territorio della Repubblica, Genova compresa, il totale di 110.000 vittime (Appendice lett. LXXXIV, nota). Da diverse altre lettere risultano morte circa 4.000 persone nella valle del Polcevera, 1.200 a Nervi, 3.200 a Sampierdarena, circa 6.000 in Sestri Ponente e dintorni, 450 a Recco, 900 in Savona, ma per il rimanente del territorio è silenzio. Se potessimo accettare i totali indicati da Antero M. di S. Bonaventura, i quali troppo sovente non corrispondono, — 335 — Se questo totale viene confrontato con quello che indica la popolazione agli inizi del contagio, cioè 73.170 abitanti censiti al 12 settembre 1656, risulta una rimanenza di circa 18.000 superstiti. La cifra si avvicina molto ai totali segnalati da diverse fonti, che variano dalle 12.000 alle 16.000 persone, totali che non tengono conto di quei genovesi, i quali — come lo Spinola — fuggendo dalla città, avevano salvato la vita. Espressa in termini percentuali la mortalità avrebbe ridotto la popolazione di poco più del 75 %. Decurtazione spaventosa, che trova però conferma anche nelle descrizioni dei testimoni; il Ravara, alla fine della pestilenza scriveva « esser morte le tre quarte parti delle persone »69. Mortalità superiori venivano rilevate per paesi come Sampierdarena ove all’8 settembre 1657, su 4.200 abitanti ne risultavano sopravvissuti appena 1.00070, o come Sestri Levante che al 25 settembre dello stesso anno, su 6.000 anime ne contava « già morte più di 4.500 ed il peggio è che le rimanenti sono sospette »71. Il male aveva fatto « maggior strage » nella gente « minuta ». In molti quartieri « della bassa plebe » non ne era sopravvissuta almeno nel dettaglio, ai dati riportati nelle corrispondenze o nei documenti a base di questa ricerca, dovrebbesi aggiungere altre 12.000 vittime della valle del Bisagno, 2.000 in Chiavari, ancora 4.000 nella Genova extra muros, 2.800 in più a Sampierdarena e Cornigliano, ed ancora qualche migliaio per alcuni paesi dell’entroterra (pp. 557 e 558). Ma il totale ottenibile, non supererebbe comunque i 37.000 morti. Un totale quindi ancora lontano dai 55.000 indicati. Vero è, che per certi paesi documentatamente colpiti dal contagio, come Levanto, Monterosso, Vernazza, Porto Maurizio, One-glia, Alassio e diversi villaggi « sulle montagne », sia nel lavoro dell’An-tero, sia nei documenti consultati non figurano dati concreti. Sembra tuttavia che la valutazione del Ravara non sia derivata che da un apprezzamento sommario attribuente al resto del territorio della Repubblica lo stesso numero di vittime (55.000) riscontrato nella città. Un apprezzamento più cauto e meno automatico sembra invece autorizzare questa conclusione: nell’intero territorio della Repubblica, esclusa la città di Genova, il numero delle vittime dev’essere stato — sia pur di poco — inferiore a quello della città. 69 Appendice lett. 97. 70 Appendice lett. LXXXI nota. 71 Appendice lett. 86. — 336 — più del 10 per cento 72. I ceti sociali più elevati, grazie alla possibilità di difendersi dal male nutrendosi ed isolandosi nelle ville, erano riusciti a contenere le perdite che comunque erano state sempre rilevanti. Alla fine dell'epidemia i 107 sopravvissuti del Maggiore e Minore Consiglio 73, congratulandosi per essere scampati al male così numerosi, constatavano che più del 40 per cento di loro era passato a miglior vita. Gli scrivani dei pubblici uffici, incarico riservato solitamente ai nobili, per i due terzi erano stati falciati dal male74. 5. — Le conseguenze della pestilenza non si limitarono allo spaventoso numero delle vittime, ma comportarono ben altri effetti negativi. Alla metà del secolo XVII, l’attività mercantile della Repubblica si dibatteva in notevoli difficoltà. Da tempo sia il volume delle merci imbarcate e sbarcate nella città e nel dominio, sia il transito delle mercanzie destinate o provenienti dai paesi vicini, era sensibilmente diminuito. Se era vero che la crisi era generale e non aveva coinvolto solo interessi genovesi, ma era comune a tutti i porti del Mediterraneo, era altrettanto vero che l’attività del porto di Genova ne era stata danneggiata in misura maggiore. Le attività di questo scalo, in precedenza intimamente legate alle fortune della Corona Spagnuola, erano andate via via peggiorando soprattutto per la concorrenza dei porti vicini. Non era tanto per l'attività del porto di Marsiglia, favorita dalla nuova politica della Francia, ma soggetta ad alterne fasi di incertezza75, quanto per quella spietata e formidabile di Livorno. Questo porto, che offriva ad ogni capitano, di qualsivoglia nazione e religione, asilo completo, dopo una pausa forzata dovuta alla peste degli anni 1632 e 1633, aveva visto dilatare progressivamente il volume del proprio traffico. Il numero delle navi che vi avevano fatto scalo 72 F. Casoni, Successi del contagio cit., p. 40. 73 Appendice lett. 85. 74 Appendice lett. 102. 75 L. Bergasse cit., p. 190. - 337 — 22 era passato da 58 nel 1633, a 114 nel 1638, a 130 nel 1639, a 184 nel 1640, a 178 nel 1647, a 220 nel 1648, per flettersi lievemente a 193 nel 1654 76. Questo aumento dovuto in gran parte agli arrivi sempre più frequenti di navi inglesi, olandesi e francesi, non aveva subito alcun danno dai modesti tentativi genovesi di liberalizzazione del porto. Ma le cause della decadenza genovese erano da ricercarsi anche nella stessa mentalità degli operatori locali. Da tempo, si era andata sempre più diffondendo, fin quasi diventando un’opinione generale, l'idea che il traffico dovesse essere inteso solo quale attività complementare di operazioni finanziarie11. Tale convincimento, poteva anche trovare la sua giustificazione, nella esistenza di rischi concreti che alla metà di quel secolo erano sempre presenti, quali la presenza di navi corsare, quella di pirati algerini e turchi e la promulgazione improvvisa di decreti che, taglieggiando i trasporti marittimi, rendevano estremamente incerta l’attività armatoriale. Difficoltà che risultavano inasprite anche dal fatto che l’armatore doveva gareggiare con avversari, i quali, di volta in volta e secondo l’opportunità, si trasformavano da mercanti in corsari, o da corsari in mercanti78. Al momento del dilagare del contagio nel genovesato, si veniva a creare per i porti concorrenti ancora immuni dalla peste, come Livorno e Marsiglia, la felicissima opportunità di far scartare del tutto lo scalo di Genova dalle correnti di traffico e di servire clientele, come quella lombarda, precedentemente riservate allo scalo di Genova. La paralisi del commercio si protraeva per quasi ventisei mesi nei confronti dei porti toscani (iniziava il 20 luglio 1656 e 76 P. Scrosoppi, Il porto di Livorno e gli inizi della attività inglese nel Mediterraneo, in Bollettino Storico Livornese, I, n. 4, 1937, p. 44. (Totali che non sempre trovano conferma nei dati parziali esposti a p. 22). 77 Fra i numerosi esempi, v. la memoria del 12 novembre 1638 in cui si lamenta « la facilità di negotiare sopra i cambji » per cui si è abbandonato « il traffico delle mercantie, e ciò per disgratia nostra, con pre-giuditio di pubblici introiti » (ASG, San Giorgio, Caratis Maris, filza 74 (provvisorio), 1636 in 1638 e 39). 78 P. Scrosoppi cit., p. 26. - 338 — non trovava la sua fine nemmeno nel settembre 1658 79) per circa venti mesi, anche se interrotta da brevi pause — durante le quali filtrava pochissima merce — per il porto di Marsiglia 80, mentre i rapporti con Barcellona, benché regolati da proibizioni più blande, si trovavano a ristagnare per la durata di ben trentadue mesi81. Anche il commercio ed il transito delle merci destinate alla Lombardia, subiva dal 19 luglio 1656 al 14 dicembre 1658 82, una sospensione di circa ventinove mesi, durante la quale il traffico seguiva di necessità le nuove vie aperte dalla concorrenza. Il gettito della « gabella dei carati », crollava a valori irrisori, trovando alimento solo in quei viaggi i quali un tempo duravano pochi giorni e che a causa della peste erano divenuti interminabili 83. Persino il commercio di cabotaggio, lo stesso traffico con le Riviere, era andato esaurendosi. L’introito dell’imposta di soldi 20 per collo, applicata nel porto di Savona, indicativo particolarmente per la merce in transito destinata o proveniente dal Piemonte, dopo essere stato di lire 2.077 nel 1654 e di lire 2.817 /9 Appendice lett. X. Anche ASL, Sanità, ms. 65 cit., lettere del governo, 20 luglio 1656 e 7 novembre 1658. 80 I Consoli del Mare di Marsiglia al Duca di Mercour: 8 gennaio 1657, ... per evitare il terribile contagio... « nous avons fait délibération de ne plus recevoir aucun étranger venant des lieux pestés et infectés... », L . Berçasse cit., p. 38. 81 AMB, Conseil de Cent, serie II, Registre de deliberacions, n. 165, 166, 167, e 168, cit.. Anche in Manual de Novells Ardits: Dietari de l’An-tich Conseil Barcelloni, vol. XVI (ex XXXI), 13 ottobre 1652-30 novembre 1658, a cura di F. Scwarz I. Luna y D. Carreras I Caudi, Barcellona, 1918, pp. 330 e sgg. Il 28 ottobre 1656, il Marchese De Mortora Virrey invitava le autorità di Barcellona ad un più severo rispetto delle norme e delle quarantene applicabili alle navi e passeggieri provenienti da Genova. Nel vol. XVII (ex XXXII) comprendente il periodo 1 dicembre 1658 -4 ottobre 1667, Barcellona, 1922, p. 31 : il 26 luglio 1659, si fa ancora cenno alla quarantena imposta alle navi, merci e passeggeri provenienti da Genova. 82 ASM, Sanità, parte antica, busta 278, Ordini per contagio, cit.. 83 Appendice lett. XLI, LI, 77, LXXX nota, XCIV nota e 97. — 339 — circa nel 1655, sembra annullarsi nel 1656, per passare a sole lire 4 nel 1657, e pervenire a lire 935 nell’anno seguente84. Questa agonia, protrattasi per così lungo tempo, trascinava nella rovina anche tutti i settori di lavoro che nel porto, direttamente od indirettamente, erano in qualche modo legati al traffico marittimo. Tutte le manifatture tessili che erano condizionate alle importazioni di lana, di seta, di cotone, dopo poco tempo lasciavano senza lavoro migliaia di maestranze85; le cartiere, prive di materie prime, alla fine del contagio erano « affatto rovinate » Privati di qualsiasi opportunità di guadagno, venivano a trovarsi egualmente tutti coloro che vivevano alla giornata e la cui attività aveva fino ad allora trovato origine nella manipolazione e nel trasferimento delle mercanzie *7. Perdevano il prorio lavoro i facchini, i mulattieri, i carrettieri, i barcaioli, i marinai, i mediatori e dietro ad essi venivano privati del loro pane quotidiano anche coloro i quali costruivano le barche, facevamo i carri, ferravano i muli, cucivano i sacchi. Le conseguenze della reale caduta del traffico risultavano aggravate anche dalla volontà del finanziatore, del capitalista, dell’artigiano ricco, i quali in tempi così pericolosi preferivano rinunciare ad ogni attività, fuggendo dalla città ed isolandosi nelle ville “, abbandonando per giunta nella miseria gran parte del personale domestico. In questo mare di disordini, di indigenza, avvertito nel popolo sin dai primi mesi del contagio, le rare sovvenzioni governative, estremamente modeste a causa dell’esaurimento delle fi- M ASG, San Giorgio, Caratis Maris, filza 108 (provvisorio), Actorum 1669 in 1670: Nota dell’introito di soldi 20 per collo che si riscuote nella città di Savona. Appendice lett. XVIII. 85 Antero M. di S. Bonaventura cit., p. 256. Appendice lett. XXIII nota, 60. LXXX nota, 85, XCIV nota, 97. M ASG, Arti, busta 176, Critica dei maestri cartai ai nuovi capitoli dell’arte dei paperari, approvati dal Senato della Repubblica il 7 dicembre 1762. 87 Appendice lett. LII, 60, LXII e 63. M Appendice lett. XIX nota, XXI nota, LVI. — 340 — nanzeM, non rappresentavano che un debolissimo palliativo90. La folla dei miserabili (già prima del contagio 40.000 persone vivevano del « pane della carità »91) diventava ogni giorno più numerosa e più vulnerabile. Dodici mesi dopo l’inizio dell’epidemia quando la peste esplodeva nel suo massimo furore, essa trovava un facile terreno di conquista nella popolazione che era consunta dalla fame92 e fisicamente predisposta alla morte. All’inevitabile lievitare dei prezzi dei generi di prima necessità, il governo, almeno sino alla primavera del 1657, aveva potuto porre un certo freno, assicurandosi le importazioni con la concessione di eccezionali franchigie e con la predisposizione per le navi, di particolari garanzie sanitarie93. Al contenimento dei prezzi aveva anche contribuito l’accennato poco rispetto delle norme, indisciplina che aveva favorito un rilevante commercio non autorizzato. Ma sia questo traffico, sia quello superstite risultato dei provvedimenti ufficiali, colla recrudescenza del contagio, dovevano palesarsi assolutamente insufficienti. Nell’estate del 1657, alcuni prezzi continuavano a mantenersi pressoché costanti, infatti la peste che provocava la morte dei fornai, dei tessitori, di coloro che macinavano il grano, dei mulattieri, dei prestatori d’opera in genere, mentre da un lato faceva diminuire l’offerta, dall’altro contraeva la domanda in misura ben più grave, riducendo spaventosamente la popolazione. Ma se si manteneva quasi costante il prezzo del grano94 — accantonato nei magazzeni — diventava introvabile e carissimo il pane il cui valore era legato alla ma- M II Casoni, in Successi del contagio cit., p. 57, scrive: « ...Veniva il denaro somministrato da’ Deputati al Magistrato della Sanità, per le mani de’ quali si consumò un milione e trecento mila lire... ». Appendice lett. XXVI nota, 77, 97. 90 Appendice lett. 63, 67, 69 e 77. 91 Antero M. di S. Bonavhntura cit., p. 268. 92 Appendice lett. XXIII nota, XXVI, XLI nota, 63, 67 nota, 69, 70, nota. 93 Appendice lett. 79 nota. 94 II fenomeno è documentato dalla « Indagine sulla dinamica dei prezzi in Genova durante il secolo XVII » tesi di laurea di G. Calò, 1957-58 (Università di Genova). - 341 — nodopera95. Tutte le verdure, frutto del lavoro nei campi, salivano a prezzi inaccessibili, ed alcuni manufatti come le scarpe raggiungevano prezzi mai vistiLe prestazioni di certi « specialisti », quali quella dei barbieri, degli speziali, dei cerusici, dei servitori, divenivano preziose malgrado le severissime gride. Qualsiasi attività che comportasse rotture dell’isolamento per avvicinare il mondo esterno, in ispecie quello degli infetti, era considerata estremamente rischiosa e pertanto valutata in misura eccezionale97. Ma la pestilenza doveva provocare altre conseguenze mediate. L’impossibilità materiale di uscire dalla Repubblica, unita alla difficoltà di comunicare con le altre piazze italiane ed alla scomparsa di molti titolari dei crediti, avevano impedito ai genovesi di riscuotere gli interessi maturati sui loro prestiti internazionali. Sovente queste circostanze avevano anche spronato i debitori ad accelerare la decadenza dei diritti del creditore. Sulle sole piazze di Venezia e di Roma queste perdite avrebbero superato la somma di 400.000 scudiw. La presenza della peste aveva anche causato nel mercato finanziario cittadino un notevole rallentamento. Le prime difficoltà erano sorte sin dal 1656, soprattutto per la scarsa affuenza degli operatori alle fiere dei cambi, difficoltà che nell’anno successivo erano divenute insuperabili per i rinvìi che le stesse fiere subivano in continuazione99. Per giunta la morte di alcuni operatori economici aveva posto in luce la loro reale situazione, denunciando in alcuni casi disavanzi paurosi e del tutto insospettati ,G0. Sovente questi scoperti di cassa erano stati provocati dal lungo immobilizzo di capitali investiti in operazioni mercantili a breve termine e che non si erano potute portare a buon fine 95 Appendice lett. 69 nota, 70, XCII nota. * Appendice lett. 67, LXXXVIII nota, XCII nota, 104. 97 Appendice lett. 74, LXXXVIII nota, XCII nota. 98 Appendice lett. 77, XCIV nota, 97. 99 Appendice lett. LXIV, LXXV, LXXVIII e XCII. 100 Appendice lett. LXXXVIII nota, XCIV nota, 97. - 342 — per il sopraggiungere della peste. Le merci, quando non erano andate perdute per le requisizioni o per le distruzioni ordinate dal Magistrato della Sanità, erano rimaste giacenti e gravate di spese nei lazzaretti e nei magazzini per periodi spesso lunghi e, con il passare del tempo ed a causa del progressivo flettersi della domanda, avevano perduto gran parte del loro valore. Tutto aveva contribuito a creare nella città una enorme diffidenza, la quale doveva protrarre la stasi anche dopo l’ottobre 1657, quando cioè il pericolo del contagio poteva ormai considerarsi superato 101. La falcidia nella popolazione, aveva infine dato luogo ad un rilevante deprezzamento dei beni immobili m. Infatti la maggior parte delle case, dei magazzini, dei fondaci era rimasta senza inquilini ed anche coloro i quali trovavano ancora alloggio nelle case della città, non si preoccupavano minimamente di pagare gli affitti. Questo aveva recato notevole danno particolarmente ai conventi ed agli istituti religiosi, i quali sovente avevano come principale, se non unica fonte di reddito, le proprietà immobiliari 1W. Al termine della pestilenza si era poi posto alla città il drammatico problema del ripopolamento e della ripresa. Al sollievo delle finanze « esauste » si sarebbe provveduto, con un primo espediente di assicurare alla Repubblica la successione dei beni delle vittime senza erediIW, e mettendo all’incanto persino gli effetti personali dei morti105. Ma si trattava di riattivare attività produttive messe a duro repentaglio dalla gravità della strage. La manodopera superstite per la ripresa della lavorazione della seta non sarebbe bastata nemmeno ad un solo imprenditore 106. Bisognava ripopolare la città dalle fondamenta. Già col dicembre del 1657 si dava mano alla immissione forzosa di gente 101 Appendice lett. XCI, XCII e XCIV 102 Appendice lett. LXXXVIII. 103 Appendice lett. 66 e 77. 104 Appendice lett. 86 e XC nota. 105 Appendice lett. 104. 106 Appendice lett. 97. - 343 - delle Riviere. Per un primo momento 3.000 persone: un giorno 250 da La Spezia; il giorno seguente, 500 da Savona 107. Poi erano giunti spontaneamente dei forestieri: in un primo tempo attratti dalla prospettiva di rimettere in attività gli orti del Polcevera 108 (ancora nella primavera dell’anno seguente chi avesse voluto « far un regalo nobile » avrebbe potuto mandar « un piatto d’insalata »; gli erbaggi costavano « un occhio »); poi con un concorso massiccio da ogni parte, meno che dalla Toscana, soggetta a proibizioni del Granduca 1W. Da parte sua, la Repubblica assicurava due anni di assoluta franchigia agli esercenti di qualunque mestiere che si sarebbero stabiliti in Genovan0. L'incremento natura'e della popolazione avrebbe fatto il resto, con le impennate caratteristiche dei periodi successivi ad ogni flagello, tanto che nel giro di soli tre anni la popolazione di Genova si sarebbe più che raddoppiata superando i 38.000 abitanti nel 1660, per sfiorare dieci anni dopo i 58.000 e raggiungere i 62.000 nel 1676 m Appendice lett. 97 e 100. 108 Appendice lett. 100. 109 Appendice lett. 102. 110 Ibidem. 111 G. Felloni cit., pp. 239 e 240. — 344 — APPENDICE Il materiale pubblicato nelle pagine seguenti è tutto inedito. Esso è ordinato cronologicamente ed è costituito da estratti dalle lettere di Nicolò Spinola, numerati con cifre romane. Le lacune che si riscontrano nell’epistolario dello Spinola sono colmate con estratti di lettere di altri contemporanei (v. parag. 3) e di relazioni di Magistrati della Sanità, numerati — nella successione — con cifre arabe. Le note sono di due specie: la prima più numerosa, mette a raffronto testimonianze diverse; la seconda fornisce elementi di carattere esplicativo. Le note del primo tipo sono richiamate con un asterisco; quelle del secondo, con cifre arabe. I 4 giugno 1656, Genova ... Non vi resta più dubbio, che in Napoli vi è la peste \ per la quale morivano 120 al giorno; 50.000 persone erano uscite in campagna, Dio Santissimo ci ponghi rimedio in principio ... per il quale effetto si sono fatti più commissarij nelle Riviere, acciò invigilino con la dovuta diligenza in negotio di tanta importanza 2; si ha ancora qualche sospetto di Civitavecchia, la quale già bandita da Roma e Firenze, et qua può esser che si sia fatto errore, et se ne doverebbe haver guasto. II 11 giugno 1656, Genova ... In Italia si spera buon raccolto, ma non so quello seguirà in Regno di Napoli perchè la sollecitudine di guardarsi dal contagio divertisse dalle altre faccende, massime se il male si dilatasse . .. In Civitavecchia sono successi sino cinque casi di peste, ve stato posto così buon ordine che si spera non andare avanti; da per tutto si fanno buone guardie ... III 18 giugno 1656, Genova ... Li Francesi cominciano a passare li monti, pare saranno più forti di quel che si credeva, Dio voglia che il Stato di Milano, 1 Identiche notizie giungevano, il 10 giugno 1656, al Magistrato della Sanità di Genova da Nicolò Invrea, rappresentante della Repubblica, residente in Napoli: ASG, Magistrato della Sanità, filza n. 74, Litterarum extra dominii, cit.. 2 Cfr. Proposte per la prevenzione del contagio che va facendo progressi a Napoli et in Sardegna, s.d., Genova: BBG, Ms. M. R. X, 2, 12. — 347 - possa resistergli senza agiuto, che di Napoli non può esserne mandato a caosa del contagio in quella città, quale faceva ogni giorno maggior progresso l; scrivono che già erano morte 16.000 persone, e che 100.000 uscite dalla città; li Genovesi che vivevano colà, si ritirano qua, dove faranno una buona quarantena di purga ... IV 25 giugno 1656, Genova ... Il male di Napoli piglia sempre più forza, molti gentil-homini genovesi si sono ritirati qua, essendo loro stata assegnata quarantena rigorosa nel lazareto e ricevuti nudi senza robbe. Di Roma si spera bene2... V 2 luglio 1656, Genova ... A Napoli... havendo a che fare assai a guardarsi dal contagio che miseramente afflige quella città, et il poco buon ordine ci è accresce il male invece di rimediarvi3; a Roma ancora sono seguiti qualche casi cattivi nella parte di Transtevere, che essendo luogo separato dal fiume dal capo della città hanno havuto facilità di metterlo in purga, con le quali si spera d'estinguere il foco. 1 «... Intorno al male ... la mortalità ha incalzato, che rende difficile a poter rimediare alle cure delli ammalati et ad atterrare li morti per la confusione che s’accresce col mancamento di denari alla città...» Nicolò Invrea al Magistrato della Sanità, 20 giugno 1656, Napoli: ASG, Magistrato della Sanità, filza n. 74 cit.. 2 Sin dal 24 giugno, Agostino Pinelli, console genovese a Roma, aveva segnalato al Magistrato della Sanità, la morte sospetta della moglie di un taverniere di Trastevere. Una commissione di medici aveva subito smentito, con una dichiarazione ufficiale, che il decesso fosse stato causato dalla peste: ASG, Magistrato della Sanità, filza 74 cit.. 3 Secondo Nicolò Invrea, a Napoli, la situazione era lievemente migliorata: «... nella città continua la peste... alla fine hanno pigliato rimedio a levare li cadaveri dalle strade facendo venire quantità di carri da fuori, col che s’è un poco sollevata, per il gran fetore che correvano ... ». 4 luglio 1656, Napoli: ASG, Magistrato della Sanità, filza 74 cit.. — 348 — .. . Alla chiesa delli Dominicani posta nel centro di Roma pare che sij morto un frate, è in dubbio il male che ha havuto et per assicurarsi è stato posto in purga tutto il monastero. Per queste cause resta bandito così qua, come a Firenze, il Stato della Chiesa. * Suor Maria Francesca: «Qui si sta con grandissima paura, le diligenze si fanno al possibile non trascurandone alcune, ad ogni modo la confidenza principale è nella Vergine Santissima, che debba come Protettrice difendere la città, perché guai a noi se il male ci entrasse essendovi un popolo infinito ristretto in piccolissimi quartieri, le strade piccole, et ogni cosa conforme al bisogno. Si fanno gran provisioni di grano ed altre vituarie e questi signori Senatori non dormono, Dio voglia che basti... ». 1 luglio 1656, Genova. 6 8 luglio 1656, Genova Suor Maria Francesca: Qui ce la passiamo assai felicemente: le diligenze sono grandi, si sono fatte molte provisioni, e adesso resta pregar il Signore Iddio ... VII 16 luglio 1656, Genova ... Ancora continua il mancamento delle lettere di coteste parti, il disordine nasce daH’interrompimento dell’ordinario di Roma per Milano, quale passando per Mantova soleva pigliare le lettere di Fiandra e portarle in Milano, et adesso per mancamento di chi le porti restano in Mantova... ... Saremo banditi da tutti per causa della sanità \ che se ben nella città si gode, in le ville di San Martino di Albaro non segue il medesimo, anzi se ne stà con grandissimo guidado et si fanno diligenze grandissime ... 1 Le previsioni dovevano concretarsi con il bando di Milano il 19 luglio 1656 (ASM, Sanità: parte antica e moderna, busta 278, Ordini per contagio), di Firenze, di Livorno, di Bergamo il 20 luglio, di Parma il 21 luglio, di Verona il 22 luglio (ASG, Magistrato della Sanità, filza 74 cit.) ed infine in agosto col bando tardivo e meno rigoroso di Marsiglia (ACM, serie GG, liasse n. 214). — 349 — 8 14 luglio 1656, Genova Suor Maria Francesca: Siamo afflitti da un grandissimo timore della peste, per essersi scoperto due o tre casi, nelle valli del Bisagno, nella contrada di Sturla, questi signori Senatori subito hanno fatto grandissime provisioni havendo eletto il signor Gio. Batta Centurione, con autorità pienissima d’impiccare senza darne conto a nessuno, et egli di già ha eseguito molte giustizie; onde si spera haver quanto prima netto quello quartiere. Intanto però non si scordano di far diligenze, come se la città fosse infetta, si sono presi scudi 400.000 a cambio per aiuto de’ poveri. Si sono di nuovo confermati tutti li decreti fatti nel 1630, cioè che seguendo il caso restino confermati li Magistrati et Consigli per tutto un mese cessata la peste. In Genova, però si gode un’ottima salute, ma la paura è grande, domani mattina il Senato, va a comunicarsi alla Madonna del Carmine ... * Cardinale Raggi: « Il caso più considerabile in Genova è stato di una donna morta in tre giorni in Sturla, cui è successa la malattia al chirurgo, che l’haveva curata, questi è agravato di febbre maligna con petecchie, può egli haver preso il male dalle fatiche grandi fatte. Io tengo che il male sia maligno, et non di contagio, ristretto hora in tre o quattro persone. Una donna, morta in San Martino, haveva già duoi anni sono una cancrena; questa, hora era divenuta così puzzolente, chha causato la morte a due altre persone, che curavano detta donna. In Genova si gode sanità universale ». 14 luglio 1656, Genova. IX 23 luglio 1656, Genova ... Qui siamo poco che meno assediati dalla peste, se non è in sostanza almeno è in paura. Hanno fatto li Commissarij dei quartieri di Genova in numero di 48 ’, a me è toccato il quar- 1 Con decreto del 24 luglio 1656 la città era stata divisa in 40 quartieri affidati ad altrettanti commissarii; a questi erano stati affiancati altri 8 ufficiali i quali avevano l’incarico di controllare il lazzaretto della Foce, l'ospedale di Pammatone, le zone fuori delle mura, i pontili del porto. Un secondo decreto, — 350 — tiere di San Siro con gran parte di strada Nuova, ma come che non v’è la necessità, finora non si è fatto molto; la fattica non sarà così poca perchè bisogna far inventario di tutte le persone e robbe della casa, delle persone et farli visitare dalli medici et a questo effetto ci danno un medico Lontano di qua quattro miglia e forsi nel luogo nominato Sturla vi è successo qualche caso, che si teme di peste e non solo han bandito detto luogo, ma anco San Martino d'Albaro con molte altre ville, ma siccome non apparse avanti il male, il Gio. Batta Centurione Commissario di quelle parti scrive che non solo il male non apparse, ma che non si sentì nessun altra novità ... X 23 luglio 1656, Genova ... Le lettere di Fiandra non sono ancora venute, continuano li disordini per li sospetti di contagio ... Sino adesso, per gratia di Dio, nella città stiamo bene, ma tutto al contrario nelle ville attorno scoprendosi ogni giorno nuovi casi che ci mettono in gran timore. A San Nicola, fuori delle porte di Carbonara è morto un prete Monscia gentilhuomo 2. Si dice comunemente di peste in tre giorni. Ha pigliato il male in Sturla per haver contrattato con un falegname di quel luogo, che dieci giorni sono in circa restò oppresso da simil male. Quel che più fastidioso, è che detto prete Monscia ha trattato con moltissimi della città, e fra l’altri col Reverendo Franchi col quale andò in lettica una giornata prima si mettesse a letto, onde pare del 12 settembre, aveva ordinato una nuova ripartizione della città in soli 20 quartieri: ASG, Magistrato della Sanità, ms. 265, cc. 74, 75 e 76. Anche in Atti dell'Officio Sanità, ASG, Notaio giudiziario Lavagnino Gio. Batta, cartone n. 8, sala 2, se. 68. 1 Una legge del 1576 prevedeva che i medici di collegio della città prestassero la propria opera in caso di pestilenza contro il privilegio di essere esentati dal pagamento di alcune gabelle: ASG, Caratis Maris, filza n. provvisorio 108, Actorum 1669 in 1670. Nella grida del 20 luglio si prevedeva che ai commissarii dei quartieri venissero affiancati un chirurgo [il «barbiero»] ed uno « spetiaro »: ASG, Notaio giudiziario Lavagnino Gio. Batta, cart. n. 8, cit. 2 «... il Rev. Monsia morì di luglio nel villaggio di Carbonara... »: Antero M. da S. Bonaventura cit., p. 298. - 351 - saranno ristretti tutti quelli de’ quale si ha notizia per metter quello miglior remedio si può in simil cosa. A Bargagli in Besagno sono morte due donne, una di peste e dall’altra si dubita assai. Quanto il male più si dilata, tanto più si porta timore, poiché riesce difficilissimo che da tutti si possino fare le diligenze usate come si conviene ... ... Circa i grani che restano in Amsterdam ... è meglio andarli trattenendo sino a che si risvegli la domanda, che di qua, non ostante in Italia vi sij stato raccolto ragionevole, può esser si facci sentire per caosa delli disturbi che porta seco il sospetto di peste; per quello già siamo restati sospesi da Milano, Monferrato, Parmigiano et altri luoghi, e lo saremo da tutte le parti... ... (Da Roma) non pare che vi sijno quelle buone nuove di sanità, che si desiderarebbero dicendosi che nel ghetto dell’hebrei fosse successo qualche cosa di fastidioso *, ma dandole subito addosso non si lasci pigliar passo al male... ... In Napoli, le cose andavano meno male rispetto a quello che seguiva per il passato, havendo trovato il modo di seppellire li cadaveri, che prima restavano insepolti, et espulsi nelle strade2. Noi siamo banditi da tutti li Principi confinanti, Savona ha fatto il bando, ma il Governatore che è il signor Giovanni Pietro Spinola con una corretione doverà revocare il bando essendo parso assai strano questo attentato, senza darne prima parte et pigliarne lordine di qua ... Già avvisai che qua in vicinanza di quattro miglia s’era scoperto il contagio et perciò fu bandito et inserrato detto luogo con li rastelli et Commissario ci mandarno Gio. Batta Centurione. Due giorni or sono morse delle stesse molestie del prete Gio. Cristoforo Monsia uno che abitava vicino alla chiesa di San Nicola onde questi nostri Signori invigilando che cotanto male non proseguisca hanno eletto 48 commissarij nella città; debono de- 1 Da Roma, Agostino Pinelli, già dal 15 luglio, aveva confermato al Magistrato della Sanità i ripetersi di morte sospette sempre nella zona di Trastevere: ASG, Magistrato della Sanità, filza n. 74 cit.. 2 Cfr. lett. V, nota 2. - 352 - scrivere la gente del suo quartiere e notare li bisognosi e far tenere le strade nette e descrivere li luoghi ove s'havessero a porre li rastelli in caso di necessità . Mi è toccato un quartiere... grande e cercherò in pubblico e privato compire la mia obligatione, che Iddio mi liberi da tal bisogno ... Cardinale Raggi: « In Carbonara, s’è ammalato il prete Monsia sospetto d’un carbonchio nel petto, egli ha praticato in San Martino et in casa di quelli che sono morti, di quel morbo sospettoso; si hebbe da un suo debitore certe robbe, dicono che da queste sia rimasto infetto. L’accidente di Genova, non sono tali da portare molto timore. Il male consiste che li ammalati et i morti habbino praticato con molte persone ». 21 luglio 1656, Genova. Suor Maria Francesca: « Le cose di Genova non prendono buona piega, perché mentre si stava con qualche quiete,, stante che pareva, che in Sturla fossero cessati li casi per le diligenze continue fatte dal sig. Gio Batta Centurione, ne successe giovedì mattina uno a Carbonara, verso San Nicolò, che atterrì tutta la città, e fu che si scoperse in Gio. Christoforo Morsia cugnato di Agostino Franzone il vecchio, che in poche bore lo ridusse a morte con l’evidenza d’un bubbone setto il braccio ma perché questo signore haveva praticato il giorno avanti col Cardinale Arcivescovo longamente, è stato ordinato a Sua Eminenza un poco de retiro, et ordinato quarantena al signor Gio. Christoforo De Franchi, a Emanuele Brignole, et altri. La radice di ouesto male è venuta d’haver preso alcune robbe in Sturla venti giorni sono. Si sono replicate di novo le diligenze, ma la persona non manca di star con grande inquietudine... ». 22 luglio 1656, Genova. XI 30 luglio 1656, Genova ... Di sanità dentro la città si sta benissimo e fuori nella villa di Sturla meglio, onde si spera mediante la misericordia di Dio assicurarsi affatto ... Mercordì venne la Regina, di Sicilia con quattro galere del 1 Nella grida del 20 luglio cit., si prevedeva inoltre: «... le case sospette fossero serrate, ... il vitto alle persone serrate fosse fornito dalla finestra con calare di canestro o cesta a fune,... quelli di fuori non potevano ricevere denari che prima non fossero stati posti nell'aceto, ...[nelle case chiuse per controllare l’andamento dell’epidemia] i vivi dovessero rispondere ed apparire alle finestre per essere contati dal commissario ». ASG, Notaio giudiziario Lavagnino Gio. Batta, cart. n. 8, cit.. — 353 — 23 Papa. Li fu negata quarantena con scusa delli sospetti ... per li quali siamo banditi da tutte le parti, onde questa quarantena non li harebbe giovato, poiché per tutto dove fosse andata, li sarebbe bisognato farla un'altra volta ... XII 30 luglio 1656, Genova ... Nel lazareto si sentono male nuove, sono morte alcune persone in poco tempo, cosa che dubita assai di contagio. Dio ci aiuti che ne abbiamo bisogno ... La peste m’ha apportato un Magistrato e si hoggi per andare faccendato per condurre a visitare li quartieri e descrivere le genti vi habitano ... * Cardinale Raggi: « Tre di quei corsi che erano alle guardie di San Martino, et duoi sono morti al lazzaretto, con bobbone, si crede che hab-bian robato le robbe impestate. In Genoa si vive con allegria, e mi pare che il male si stimi poco... L’ordini sono boni, dubito dell’esecutioni, si discorre molto, et si opera in confusione; nella città vi è intiera la salute. Domani parte l’armata e il signor Giacomo s’imbarca camarata del signor Antonio Invrea, il viaggio sarà alla volta di Maiorca e Minorca, alla volta d’Algieri, doppo in Sicilia. La Regina di Svetia non hebbe quarantena... ». 29 luglio 1656, Genova. XIII s. d. (arrivata ad Anversa da Genova il 17 agosto, scritta verso i primi dello stesso mese). •■'ar/r*** ... Si continua qua con li gravi sospetti del contagio et ogni settimana si ha un sobresalto, come seguita in questa che molti che erano liberi delli ministri e soldati che guardano si sono malamente imbarassati, è di buono che non è dilatata in altre parti e quelle stanno rinchiuse con grandissime guardie; il male è che da quello che si vede poco si può fidar di costoro 1 però si havran- 1 « Si è inteso esser seguito commercio carnale tra li beccamorti et lavan-dare; dette lavandare diedero fuori delle robbe alli soldati, che fumo esportate fuori, onde quelli che doverebbero fare le guardie pare vi tengano mano ». Anonima, 1656; ASG, Magistrato della Sanità, filza 171, Inutilium Sanitatis. - 354 — « no colpa il castigo dovrà aprir gli occhi agli altri. Puoi credere come siamo imbarassati in paese dove rare volte si vede, voglio sperare in Dio Benedetto, che non lascierà dilatarla maggiormente. . . . Nella città et in tutti li luoghi, fuori delli già infetti, si continua con salute perfetta .. . 14 4 agosto 1656, Genova Cardinale Raggi: Le cose in ordine al contagio vanno bene vivendosi in Genova con ottima sanità. E’ ben vero che nel lazzaretto sono morte di peste due donne che servivano il prete Monsia, ma in Sturla et in San Martino si cammina con miglioramento. In Davagna, et in Bargagli, sono seguiti due nuovi casi, onde si vede che il male va serpendo per quelli luoghi, dove prima è stato portato, dicono che certi marinai di casa Fontana venissero di Sardegna con la sua barca, che havessero la quarantena nel porto, che poi andassero a Sturla dove sono nati, che dopo poco tempo introdussero alcune robe appestate; costoro sono morti nel lazzaretto, et d’uno dessi che è reputato il principale vive con speranza che possa risanare. Questo è quanto si discorre in ordine all’origine del male. In Genova, non vi è timore della peste, dicono che la madre di un barbiero di Genova che soleva praticare il lazzaretto si sij ammalata, e portata al lazzaretto sij morta. * Suor Maria Francesca: «Qui habbiamo caldi grandissimi e tali che non si sono sentite di gran tempo; per gratia di Dio si gode bona salute pochissime malattie; è ben vero che sono seguiti due casi in un barbiero et in un facchino che stavano nel lazzaretto di servitù et essendo usciti con licenza, toccorno le loro mogli le quali furono subito portate al lazzaretto. Nel lazzaretto non mancano di seguire qualche casi, e particolarmente ne sono successi qualcheduno di più per la tirannia d’un commissario che ne haveva l’offitio, il quale havendo più la mira di rendere pingue la sua borsa che al bisogno delle miserie di quei meschinelli li metteva in gran strettezza a patire la fame, per non haver essi da satolare la sua avaritia; da ogni parte siamo banditi e questa sospensione di commercio apporta gran pregiudicio alla città. Si stima che questi nostri Serenissimi habbiano pensiero di intimare fra pochi giorni una quarantena generale havendo ripartito la città in quattro quartieri, et si chiuderanno con i rastelli, quali si fabricano con sollecitudine grande per — 355 - servii sene quanto prima, e con questo non solo si assicureranno dagli infetti ma di più si sbrigheranno la città di tante sospensioni. Si fanno dcxotìoni grandissime alla Santissima Vergine et la sperano et implo- i ano pei avvocata appresso il signor Iddio havendo evidenza grandissima della sua protezione ». 5 agosto 1656, Genova. 15 11 agosto 1656, Genova Cardinale Raggi: Hormai cessano i sospetti della peste e molti signori che hanno ville in Albaro, vanno a goderle, il morbo pestilenziale non è ancora sradicato nel lazzaretto, tre cappuccini assiste\ano all infermi, et duoi sono morti, con segni et con bubboni. Se il male non piglia piede possiamo sperare che presto debba restare estinto, il timore è affatto cessato . . . Questa notte sono morte due nel lazzaretto, et una in Sturla, qua nuovi successi dimostrano, che non conviene prendere tanta confidenza, come si è presa. 16 16 agosto 1656, Genova Cardinale Raggi: Hieri morì una donna che lavava panni alla Foce, questa scopertasi ammalata si è introdotta nel lazzaretto dove morì di vera peste. Vi era gran confidenza che il morbo fusse quasi cessato; la radice manda fuori nuovi segni del male nascosto, ma non è estinto, il timore non cresce e io vorrei che il timore fusse tale che non facesse sprezzare i pericoli. Nella città si gode intiera salute et pure gli appestati sono stati dentro di essa. XVII 27 agosto 1656, Genova ... Le cose della sanità nelle ville di San Martino, Sturla, Vemazzola et altri luoghi vanno meglio, essendo levate li casi di quarantena con lasciarle pratica insieme fra loro. Questo ha- — 356 — vrebbe consolato assai la città, se un accidente successo al convento di San Siro, non havesse messo nuova confusione, poiché uno di quelli padri di natione siciliano, giovane di 21 anno e studente, in tre giorni di male se ne morto, con haver dato fuori qualche segni in una coscia che per gli presenti suspetti si sono stimati di peste, e come tale si sono applicate le diligenze con haver separati dal commercio li padri di detta chiesa. Per regola di buon governo non si deve far altrimenti, essendo meglio errare in haver abbondato che mancato, ma io spero che questa morte sia di male diverso, poiché era un corpo mal effetto, che aveva un caoterio in una gamba, et era qualche mese che haveva cessato di fruttare, onde quell'humore deve aver preso altra strada, e probabilmente quella della coscia, in la quale saranno apparsi gli segni di tumore osservati, parendo peraltro impossibile meralmente ch'un huomo forastiero, che non ha qua parenti, che stava continuamente in convento habbi lui solo, e sia stato il primo a ricevere il male mentre che tutto il resto della città che continuamente contratta insieme si trovi per Dio gratia in buona salute .. . Con le lettere del 12 il male in Roma continuava in stato, et non havendo fatto augmento se ne stava con le migliori speranze. Venezia ha bandito Bologna e Ferrara perchè non hanno bandito Roma. Cardinale Raggi: «Mercoledì notte mori un padre Teatino d’anni 20. Il male cominciò con delirio, con vomito et dolor di desta, et terminò in tre giorni con bubbone nella coscia. Li medici dicono che non sia peste, attribuiscono l’origine del morbo ad un cauterio, che se li era chiuso pochi giorni avanti et alla sua mala fortuna. Li superiori dicono che l’anno passato venne al medesimo giovine un simile male con ristessi accidenti e con la glandola, dicono in oltre che elli era chierico che non praticava e che non ha potuto attaccarsi il male; queste riflessioni sono tanto credute che il timore è affatto cessato. Chi comanda aprende, che nella città non possa introdursi il male, se Iddio benedetto volesse castigare la città haverebbe cominciato col toglier l’apprensione del morbo ». 25 agosto 1656, Genova. Don Gaspare Caimo, Delegato della Sanità di Serravalle al Presidente e Consiglieri della Sanità del Stato di Milano (ASM, Sanità: parte antica, busta n. 279): «___Il caso del padre Teatino di Genova fu di morte naturale, et in poche hore riaperto il convento. In quella città nella Pozzevera, et rimanente sino a questo Stato si gode salute. Dalla parte di — 357 - Besagno per dove si và a Sturla, s’intende che pure stii bene. Di là per la montagna passò il male alla costa, Torriglia et altri luoghetti de feudi del Prencipe Doria. ... In Asti continua la voce che siano seguiti più casi, e però serrate alcune case... ». 1 settembre 1656, Serravalle. Suor Maria Francesca: « Qui le cose vanno al solito, seguono qualche casi ma si tengono sempre in dubbio se sij peste o no. Morti ce ne sono pochi et malattie quasi nessuna, eccettuate quelle di peste. Il timore però è grande perché la città è tanto ristretta, che in molti luoghi le genti si puoi impestare col fiato dalle finestre ... Il signor Cardinale se la spassa in Sampierdarena e i miei fratelli stanno sempre con lui, e se essi regoleranno tutti i suoi passi al moto della paura che ha, Sua Eccellenza Ill.ma può viver quieta, e dormire di buon sonno ... ». 3 settembre 1656, Genova. XVIII 3 settembre 1656, Genova Domenica passata scrissi a Vostra Signoria che le cose della sanità parevano pigliassero buon vento ma poco è durato questo refrigerio, instradandosi molto male, poiché lo stesso giorno di domenica morse un camallo della Dogana, che stava dietro alla casa di Niccolò Cattaneo con segni di male contagioso, poi ha seguitato andarne morendo in diversi posti della città, nelle Ca-sazze di San Bartolomeo 1 sono morti due, nella Colla marito et moglie, in Castelletto vicino alla Turchina sono morte in poco tempo cinque persone, in casa di un tal Armirotto che è commissario nel lazzaretto, stato fatto ultimamente in luogo di un altro Cavagnaro, quei fu deposto per essersi infettata la sua casa et d’Armirotto ha fatto l'istesso2; in casa di Orazio De Franceschi posta in San Lorenzo per contro alla porta della Madonna Santissima del Soccorso, nella stanza da basso, affittata al cuoco cognominato Lasciacuocere si è ammalato un suo figlio con pe- 1 «...Fumo tre casaccie [oratorii], cioè quella di Sant’Andrea, di Santo Stefano e di San Bartolomeo a questo fine che, ammalandosi persone dubbie, né si mandassero al lazzaretto con certezza d’impestarsi se erano nette, né si rice vesserò nell’hospitali con probabilità di contagione ... »: Antero M. di S. Bonaventura cit., p. 237 e p. 257. 2 L’Armirotto, che sovente verrà menzionato nelle lettere seguenti, era in effetti già passato a miglior vita. Infatti l'I settembre 1656, Pier Lorenzo Peri, scrivano al lazzaretto della Foce, sollecitava la sostituzione del defunto commissario perchè « li conti anderanno alla garbuglia .. . »: ASG, Magistrato della Sanità, filza n. 171 cit. — 358 — tecchie e bubbone, pare però che stij meglio ma si dubita assai che morirà; sono stati condotti alle dette Casazze di San Bartolo due ragazzi con carboni et all’hospitaletto si è scoperto il bubone ad uno che già tre mesi è che sta infermo. Vostra Signoria vede quante novità in una settimana... Dio voglia che non gli pigli maggior piede ma havendo dato fuori nell'entrare dell'autunno, nel qual stagione suole essere più furioso, Vossignoria consideri con che timore si vive. Fuor della città le cose non vanno meglio di quello segue dentro poiché in quelle ville d’Albaro e Sturla continua il male a farsi sentire in particolare nel lazaretto, dove ha preso gran possesso, succedendo che quelli che stavano bene et vi herano mandati per sospetti in luogo di purgarsi, di sani diventavano subito appestati et morivano; per remedio di questo inconveniente hanno preso li monasteri di San Bernardo di Albaro della Consolatione in Besagno 1 e di San Benigno in Fassolo per mandarvi quelli che saranno sospetti... . . . Nella città si vive ancora al solito, noi ci ritiriamo fuori a Sampierdarena, dove sono moltissime persone ... ... Si sentono novità, alle Casazze di San Bartolomeo sono poi morti quelli due condotti all'hospitaletto ... ... Di Roma . . . s'hanno cattive nuove, essendo in quelli lazzaretti dell'hebrei morti 200 persone in quella settimana... * Cardinale Raggi: «Un facchino della Dogana, ch’aveva maneggiato lino portato dal lazzaretto, nella medesima Doana morì domenica con segni. Il commissario del lazzaretto, che habita nella casa di Vostra Signoria di Castelletto, chiamato l’Armirotto poteva praticare nella città, a questo sono morti quattro figlioli et una serva che andava nel lazzaretto, e poi ritornava a casa; i medici dicono di questi non siano casi di peste, ma di febbre maligna ». 2 settembre 1656, Genova. XIX 10 settembre 1656, Genova Se non fosse per questo disturbo della peste li monti di Roma a quest'hora sarebbero a 106. 1 II lazzaretto della Consolazione doveva entrare in funzione il 13 settembre. Antero M. di S. Bonaventura cit., p. 5. — 359 — Il futuro non si può mai prevedere, in particolare di questi tempi, essendo cosa che viene puramente da Dio, quale la fa cessale quando li piace come pare sia seguito a Napoli, di dove scrivono che dopo una strage grandissima il male fosse mancato a tal segno, che passavano giorni senza sentirsi morti. Noi qui abbiamo passato questa settimana meglio della passata,^ non è però che non sijno seguiti qualche caso poiché a Sant Ambrogio nella strada che va a Sant’Andrea, è morto uno da un giorno all altro, che per la prestezza ed evidenza del male si giudica di morbo contaminoso, et nel Magno Spetiale che sta vicino all Illustrissimo Lercaro l'è morto un garzone con la medesima brevità, e con vomiti, che sono segni mali; è morto anche il figlio del cuoco Lasciacuocere, ma essendo stato malato a longo non se ne fa cattivo concetto. Nel lazaretto, però lavora bene, vi sono morti quattro frati cappuccini entrativi di aiuto dell’infermi, et il quinto sta male gravemente. Questi homini, al lazzaretto, non ne vogliono più ricevere perchè si espongono troppo liberamente senz'alcun riguardo , che fanno danno a loro et terrore alli altri in luogo di agiuto. Il male in detto lazzaretto è così fiero, che da subito alla testa, e fa uscire di cervello, essendosi veduti due cappuccini gettarsi giù dalle finestre infuriati dal veleno pestifero. Perchè il Magistrato di Sanità, che vi era, haveva troppo occupatione, e non poteva supplire a tutto, si è eletto un altro magistrato et si sono ripartite le faccende, uno assiste quelli della città, et 1 altri a quelli di fuori. Per sminuire anche l’occupationi hanno fatto 20 commissarij dei quartieri, che entreranno in luogo di quelli che finiscono adesso, e che hanno concesso molta autorità, e facoltà di poter operare senza haver bisogno di ricorrere al Magistrato, come è seguito sino adesso2.. . Sono venute due navi da grano da Sicilia, che faran abbassare il prezzo. Di Napoli si continua con miglioramento, et in Roma idem ... 1 «... Fu sul principio servito da quattro padri Cappuccini . .. che praticavano con gli impestati come se fossero stati infermi ordinarii ... »: Antero M. di S. Bonaventura cit., p. 150. 2 ASG, Notaio giudiziario Lavagnino Gio. Batta, cart. n. 8, cit., Grida, 13 settembre 1656. — 360 — J \ * Suor Maria Francesca: «Qui habbiamo la peste che si comincia a nobilitare, il signor Urbano Durazzo marito della signora Francesca So-pranis, nostra parente, in duoi giorni se n’è ito in l'altro mondo di febbre maligna, pettecchie e di contagio. Havendo lasciato gran materia di discorso, come habbia potuto attaccarselo, e sino adesso niente di sicuro della caosa et origine, il fatto però sta che è morto di peste, la sua casa tutta è constituita in quarantena, ma sin hora non si sente altra novità. Per la città vanno seguendo varii casi, che doverebbero cagionare gran timore, non tanto per la quantità, quanto per il continuo traffico ch'ha insieme, perché questa povera gente non può vivere senza haver da lavorare e la città è molto esausta, per non poter sollevare le miserie del popolo. E’ ritornata l’armata carica di quella mercantia che si può guadagnare in questi tempi, e cioè quasi d’un migliaro di ammalati de’ quali ne hanno sbarcati la maggior parte alla Spetia e tutti insieme li denari spesi in questi armamenti sono gettati. Il signor Giacomo Raggi sta benissimo. Il signor Cardinale vive con grandissimo risguardo e li miei fratelli li stanno assai ossequienti ». 7 settembre 1656, Genova. Cardinale Raggi: « Che in Genova vi sij la peste è verità comprovata da molti casi seguiti. Domenica morì di vero contagio un figlio di un tavernaro dietro a Sant’Ambrogio. Hieri morì un garzone del Spetiale chiamato Magno che habbi una bottega in Soseria, morì in poche ore con delirio, con vomito e con petecchie; in Ponticello hoggi è morta una giovinetta con segni di peste, s’è ammalata la maare con due altre donne. Il lazzaretto è di tal maniera infetto che vi muoiono quasi tutti quelli che vi sono portati; tre facchini compagni di quello che morì la settimana passata, sono caduti malati, vogliono alcuni che habbino preso il male nel lazzaretto. I belli spiriti che si burlavano di chi apprendeva il pericolo del contagio hanno mutato opinione, e confessano che i casi seguiti siano di peste. Se si fosse bandito il Bisagno et il Lazzaretto hora si goderebbe l’effetti di quella diligenza, la quale se bene è stata sugerita non si è abbracciata; segno evidente che Dio Benedetto vuol essere arbitro e della gratia e del castigo, se domani saremo senza casi si prenderà tal animo, che non vi sarà più ombra di timore. La maggior parte della nobiltà si provede di villa, e li artisti ricchi si ritirano anco loro nelle ville, e nelle riviere; nella città si tratta e si negotia come se non vi fosse male alcuno. La rarità dei casi cagiona soverchio ardire, la peste è entrata nella città perché non si è temuta; vogliono aprire la dogana, riponendo da parte le robe sospette, non temono il tatto delle robbe e per comprobare la loro opinione dicono che molti altri facchini hanno maneggiato la medesma robba senza alcun danno, e con questa riflessione inclinavano a lasciar maneggiare tutte le robbe; la moltiplicità delle opinioni potrà accrescere gli inconvenienti in una matteria tanto delicata; nell’Ospidale sono pochissimi ammalati, questo buon successo da animo a sprezzar il pericolo del contagio. Io seguito la stanza di Sampierdarena, procuro però di haver qualche altro luogo per valermene in congiuntura di maggior bisogno... — 361 — Ho provveduto questa habitatione de viveri per sei mesi... ». 8 settembre 1656. Sampierdarena. I Co\SER\ A TORI DELLA SANITÀ DI GENOVA A QUELLI DI MILANO (ASM, Sanila: parte antica, busta 279): « Continuano i 7 padri Teatini con salute, senza haver, da che morse il padre Fardella, danno minimo___ Della citta in matteria di salute, diremo esser stato maggiore il numero de’ morti dell antecedente settimana, non havendo però ecceduto il numero di 17, parte delle malattie già avvisate e parte delle febbri ordinarie... E successo che essendo uscito con grandissimo impeto dal luogo delle infermerie, un tale amalato, per forza di delirio, voltò all’intorno il prato, che resta nell’istesso lazzaretto [della Foce] e si gettò alla fine in un condotto ove passano le immonditie, per le quali esce grandissimo fetore, nel quale vi si trattenne per spatio di hore 20 in circa, et essendo da tutti stimato morto, si per il male, come per essere restato affogato dal fetore, s’andava pensando rompere il condotto per levare il cadavere, quand’ecco che uscendo l’istesso da detto condotto, ritornato in sé, se ne andò dal chirurgo che lo medicava, chiamando i religiosi che lo assistevano, riconoscendosi dell’errore, chiedendole perdono del fatto et essendo stato ricoverato prese il cibo con molto gusto... ». 16 settembre 1656, Genova. XX 17 settembre 1656, Genova ... Li sospetti del male in questa nostra città vanno sempre pigliando augmento per li casi che successivamente si fanno vedere, poiché al vicolo dietro alla chiesa di San Salvatore in una casa che fu serrata a causa duna morte seguitavi li giorni passati, di nuovo vi sono morte tre donne tutte nel solito spatio di nove ore di malattia. A Pietro Patero gentilhuomo ascritto, che sta a San Bernardo è morta una nipote in poco tempo con segni cattivi. Nel quartiere di Sant’Andrea sono seguite due altre morti con li istessi sospetti. In casa di Gio. Batta Merello s'è ammalato un suo servo, lo mandò all’hospitale che non lo vuolse accettare, e poi fu portato in la Casazza di San Bartolomeo, passati due giorni se poi scoperto un bubone, perciò è stata serrata la casa di detto Merello. II male va pigliando sempre maggior piede, Dio Santo che può metterci rimedio con l’intercessione della Sua Santissima Madre, e liberi questa città dal flagello tanto lacrimoso. — 362 — In Besagno, pare che si vadi parimenti peggiorando perchè oltre alli luoghi già sospetti adesso vi sono San Bartolomeo di Staglieno, e Stroppa de quali si sta con timore ... . . . E' ritornata la feluca addietro allarmata, li vascelli stavano sopra li bordi alla vista della Sardegna, dette galere pare sijno maltrattate, massime quella di gente libera, una delle quali ha havuto bisogno d'esser rimorcata da maone sino in Corsica, si dice vi sij ammalati sopra dette galere ... . . . Non posso darli nuove di Roma e di quelle parti, qui hieri e oggi non è successo cosa alcuna di male, Dio buono facci che così seguiti . . . * Suor Maria Francesca: « Mi spiace molto di sentire V.S. Ill.ma con tanta debolezza, se bene in paragone dell’ansietà che ho havuta in questi giorni, io la stimai per nova di molto gusto, vedendolo libero dalla febbre, la quale in questi tempi per poca che sia spaventa assai, spero però nel Signore, che a quest’ora sarà riahavuto dalla fiacchezza, e che li rimedi), fatti si debbino giovarle in preservativa di maggior male; qui le cose non vanno bene. Il lazzaretto è del tutto infetto e per la città non mancano di seguire qualche casi; è ben altro che all'istesso modo di Roma, pare una peste che non sij del tutto peste perché termina il morbo nel patiente solo et non si attacca che con la prattica et contatto di molti giorni, ma bisogna anche conoscere una gran protettione di Nostra Signora, perché dalla maniera con la quale sono seguiti di questi casi bisognerebbe tutta Genova fusse generalmente impestata, ma pure si conserviamo assai bene. Il signor Cardinale Raggi sta in Sampierdarena, ma ha spavento grandissimo e l’Eccellentissimo Raggi suo fratello li accresce; li miei fratelli lo stanno seguendo con molto ossequio, il signor Ferdinando ha sempre una faccia che esclude sospetti, Sigismondo è del Consiglio Grande et li converrà assistere per la elettione del Novo Duce, si vedrà che le fationi navarrine et spagnarde faranno gran sforzo. La Signora stà al suo solito, Nino studia e applica con buona lega da compagni le giovano, ma sospira di dover tornare in Roma... ». 16 settembre 1656, Genova. Cardinale Raggi: « Una donna serva del signor Gio. Batta Merello comperò tre giorni or sono una camiscia nel vicolo chiamato del Campa-nazzo dove sono chiuse alcune case per contagio, subbito cadde ammalata e se li scoperse un bubbone; vicino a San Bernardo si è scoperto un bubbone ad un ragazzo. Il male si è sparso in diversi quartieri, et se bene è poco deve essere molto stimato; dal lazzaretto si è introdotto nella città, poiché tra quello et questo v’era un continuo commerchio. Il commissario Almirotto ha impestato la casa di Vostra Signoria posta in Ca- — 363 - stelletto, et egli ha perduto otto figli. La maggior parte di questi signori non stimano il male e non possono credere che la peste possa operare con tanta dolcezza. L ordini sono buoni manca l’essecutione. Li lazzaretti novi non sono ancora provveduti et il vecchio è chiuso, i Religiosi ricu- corse n1 Iazzarettl perché sono spaventati dalle disgratie oc- sparare?sfc 'un^rì 1USer° "el prim° lazzare«o. Sin hora non si è voluto ella che se che la robba non è cresciuta caso di n ' t t ! C mancamento di vettovaglie. In Chiavari è seguito un buoni successi^n ^ h°ggÌ regna’ P°trà far sPerare generale TIon v Jia del contagio. L’armata nostra è in Bonifatio. Il viaeeio ° domanda 250 remiganti et vino. Proseguirà il suo viaggio ma con poca sorte». 16 settembre 1656, Sampierdarena. XXI 24 settembre 1656, Genova ... In materia di sanità non stiamo meglio e se non fosse che il male si contiene nelle case già serrate si poterebbe dir Pe§§i° mentre in esse non manca di far operatione, poiché in una casa d un tintore posta vicino all’hospitale grande da un giorno all’altro ve morto tre persone; in quella dell’Armirotto eh era Commissario del lazzaretto ne sta morendo due, e forse saranno già morti, in Borgo Sa... vicolo che sta dietro a a Sant Ambrogio è morto il fratello d’uno che morse pochi giorni or sono, et è gratia molto grande che ci fa Dio Benedetto per non sentirsi sino adesso casi nuovi, nondimeno la paura è grande essendo il pericolo non inferiore. Nel lazzaretto il male continua in vigore, morendone tutto il giorno, a Bargagli fà il medesimo, a San Bartolomeo di Sta-glieno si vive con sospetto poiché dopo la morte di tre si è ammalata una donna con segni; all’incontro nelle ville di San Martino, Sturla ed altri luoghi ha cessato affatto, e restano restituiti al solito commercio con la città. ... Le nuove di Roma sono che si persevera in detto stato senza peggioramento, e seguivano delli casi nelle case serrate, — 364 — come succede qua e perciò stavano in buon animo di potersi risanare . . . * Cardinale Raggi: « In questa settimana sono seguiti più casi che nella antecedente. Martedì ne morsero sette di vera peste, e sino al giorno d’hoggi. e siamo di venerdì si calcola, che ne siano morti due o tre il giorno. Domani comincieranno la loro carica 20 commissarij. La città è divisa in 20 quartieri subordinati ai medesimi commissarij; have-ranno questi autorità sufficiente ma non regia, potranno spendere. Si può sperare che per l'avvenire, vi sij maggior regola; non è stato possibile far sparare (sic) un cadavero, i medici confessano hora che il morbo sij peste, non si curano di far prova di medicamenti, e nelle case chiuse muoiono quasi tutti quei che per loro disgralia si trovano in quelle. L’artisti buoni hanno preso casa fuori della città e molti sono andati ad abitare nelle Riviere. Li nobili prima non volevano case in villa, hora tutti la cercano, è ben vero che sin hora non hanno quel timore che merita la qualità del morbo. In un subito si spaventano et in un subito perdono il timore, e ciò succede quando in un giorno non succedono casi. L'altro ieri si impestò una casa con un fazzoletto, fu condannato a morte quello che diede al vicino il fazzoletto, ma s’egli non fosse prima morto di peste non era possibile, che la giustitia havesse il suo luogo. Nella casa di Vostra Signoria in Castelletto, già ne sono morti 22 e fra poco, l’Armirotto già Commissario del lazzaretto restarà senza figli, il numero de’ quali era sino a 16. Costui ha infettata la città. Hora è il maggior pericolo d’impestarsi perché si tratta come prima, e la cura è solamente in apparenza. Li signori Ferdinando e Sigismondo stanno sempre meco, io non li lascio andare in Genova e qua in Sampierdarena non vi è neppure un ammalato. Hierì morì nell’ospedale un Senatore con un bubbone. Se il morbo s’attacca nel detto ospedale guai a noi, poiché per questo male non vi sarà cura alcuna, e né sui morti non s’è fatta prova alcuna di medicamenti, sono morti tutti senza aiuto. Li nuovi commissari applicano con molta operatione si può sperare qualche cosa di buono ». 22 settembre 1656, Sampierdarena. Suor Maria Francesca: « Le cose della peste non prendono buona piega, mi duole che la molteplicità dei casi vadi piuttosto sminuendo che augmentando il terrore perché dal sentirne spesso raccontare i successi vi si vanno avezzando l’orecchie e a farne poca stima nell'operare; questa settimana ne sono seguiti molti a quali perché l’infetti hanno dato qualche occasione col maneggiare robba impestata, pare che tutti l’altri siano esenti dall’attaccarsela e la somma delle diligenze a biasimare i morti d’interessati, peraltro sarà savio chi si saprà guardare col trattare poco, anzi niente. Il signor Cardinale nostro vive con quelle caotelle che si richiedono et i miei fratelli anco sono in necessità di non lasciarlo et li assistono di continuo ». 28 settembre 1656, Genova. — 365 — XXII 1° ottobre 1956, Genova ... Circa la salute della città le cose non vanno bene, poiché li casi sono più frequenti delle altre volte. Dentro ne sono morti 12, in questa settimana, compreso 6 morti naturali, alla Consolatione 15, uno al lazzaretto eòa Bargàgli. Poco buone sono le nuove di Roma essendo cresciuto il numero dei morti a 250 in una settimana, con esser state serrate moltissime case ... Quelle di Napoli continuano in meglio, et par che dovesse mettere la città in quarantena ... XXIII 1° ottobre 1656, Genova ... Del contagio siamo tuttavia nello medesimo timore il male non si dilata, ne prende gran forza ne seguono casi frequenti che alla fine si contano in poco numero perchè alli sospetti [si aggiungono] quelli che la paura fa stimare ... ... Si vede che il flagello sino ad ora non vuole adoperarsi con tutto il rigore; per la città non si tralascia nulla e le case sospette, che non sono che poche, son serrate et le genti si separano ... * Cardinale Raggi: «Ad Albaro è morto il signor Urbano Durazzo, senza testamento, appena ebbe tempo di confessarsi, morì in un giorno e mezzo di malattia giudicata vera peste con petecchie nella fronte, con livore nel corpo e con apparenza di un bubbone. In quasi tutti li quartieri della città sono seguiti casi di peste e molti del Senato dicono che il male non è di peste, tutti quelli si ammalano di questo morbo se ne muoiono in pochi giorni et in poche hore; vi sono persone che patiscono la fame, e il peggio male, è questo: si tratta come prima, chi si guarda è burlato; ogni giorno ne vanno morendo 8 in 10. Io penso d’andare a Nove per levare questi signori dal cimento. In Chiavari sono seguiti tre casi ». 3 ottobre 1656, Sampierdarena. Suor Maria Francesca: « Il male qui va tuttavia facendo progressi, e si dilata molto nei quartieri della gente più minuta, morendo talvolta 30 in 40 il giorno e forse più onde si stà con grandissimo timore perché non ci è forma di fare ostacolo, né di riparo, massime ch’ha preso radice - 366 — in certe strade strettissime affollate insieme, che s’impestano col solo fiato. Una grandissima quantità di popolo, che aveva il suo nutrimento nell’arte delle sete, adesso stà otiosa et muoiono di fame; onde una cosa accompagnata all’altra cagionano grandissimo horrore. Io, oltre la paura ch’ho molto grande, sto con una pena così intensa di sentire così tanta mortalità che provo una agonia continua in riguardo a Vostra Signoria, il quale come che l’amo svisceratamente non posso quietar mai riflettendo al pericolo, spero però che sarà rinchiuso, né debba più uscire. Il signor Cardinale se la passa in Nove, con i miei fratelli, noi procuriamo di guardarsi alla meglio, ma il rischio è grande ». 4 ottobre 1656, Genova. XXIV 8 ottobre 1656, Genova ... Li molti travagli della sanità vanno augmentando, nella città questa settimana sono morti 17, 22 alla Consolatione, 15 alla Scoferra e due al lazaretto. Più di tutti atterrisce la morte del signor Urbano Durazzo seguita lunedì passato ad Albaro, dopo 40 hore che sera messo a letto, li medici l’hanno dichiarata di morbo cattivo perciò si sono stati applicati tutti li soliti rimedi di questi casi havendo messo in quarantena tutta la sua casa, e fra li altri la madre, et moglie che l’havevano sempre maneggiato; sin adesso stanno tutti bene, Dio benedetto li facci perseverare così per l’avvenire. Spaventa assai ancora la fame, essendo la città composta di popolo miserabile, che si governava lavorando, et essendo mancato affatto l’avviamento si teme cose terribili. Questi Signori Serenissimi si applicano e si spera che troveranno qualche espediente, acciò habbino da lavorare e guadagnarsi il vitto \ 1 « Considerando li Ecc.mi Deputati de’ Ser.mi Collegi per la sowentione de’ manufatturieri ritrovarsi nella città gran quantità di persone che solo con l’opera loro si andavano nutrendo, quali restando ora in abbandono et otiosi per esserli negata da seatieri, mertiari et lanieri la continuatione del lavoro, e siccome questo può esser di molto pregiuditio alla salute di ognuno, e quiete pubblica come anco è stato da molti commissarii deputati a quartieri della città più volte rappresentato, e desiderando loro Ecc.ze, che resti sovvenuti a dette persone in maniera che con opera loro possano guadagnarsi l’alimento quotidiano . . . ordinano ai capistrada di fare elenco di tutte le maestre di calzette, tessitori e filatori, orditrici e donne che incanano che sono ne' loro quartieri, da chi solevano havere le robbe per manifatture ... »: ASG, Notaio giudiziario Lava-gnino Gio. Batta, cart. n. 8, cit., s.d., 1656. — 367 — Le nuove di Roma continuano cattive in quella settimana erano morti 274 et 150 erano stati mandati al lazzaretto per sospetti, non si perdevano però d'animo et continuavano a provvedere delli rimedij. La casa del nostro residente che è Agostino Pinello è stata serrata per esser morto il figlio et una donna di sua famiglia dubitando con ragione che questi possi haverlo toccato. In Napoli continuavano meglio, ma non del tutto liberi, in Calabria che sino adesso è stata intatta si facevano sentire qualche casi come segue a Chiavari luogo della nostra Riviera di levante2. XXV 15 ottobre 1656, Genova •.. Noi in casa la passiamo sino adesso bene, excepto al mio solito di quelle intemperie della hipocondria, ma si troviamo con molto spavento per le cose della sanità poiché ogni giorno il male fa progressi non solo nel numero dei morti che questa settimana passan li 40 dentro la città oltre quelli della Consolatione che sono gente transmesse parimenti dalla città, ma anche il vedersi che piglia nuovi essendovi pochi, o nessuno quartiere che non sijno infetto. Adesso ha preso la parte verso Sampier-darena, essendosi seguiti casi vicino alla Nonziata, dietro la casa del signor Gio. Batta Balbi nel vicolo di San Cristoforo et San Pancrazio, e nel vicolo delli cannoni; in strada nuova sebbene questo non si verifichi non essendo cosa possibile, se ne sta col solito timore. E' morto un garzone della loggia delli Giustiniani, con segni, con quale anche se ammalato un maestro da ballare, quale andava per le case delli nobili a insegnare, pare che stij meglio ma si morse la moglie et una figlia. H Peggio di tutto è che si contratta senza riguardo alcuno et nel modo che si faceva prima. Molti però si sono ritirati nelle . e. ' Quasi tre mesi dopo la peste era arrivata e rimasta, anche in Puglia: ’ ^?nita, serie VII, registro n. 65, Lettere di sanità del governo, 22 dicembre 1656, Firenze. v 2 “ • ■ ■ Principiò qui [Chiavari] il contagio nel mese di ottobre del 1656 nel rgo detto Rusinaro... »: Antero M. di S. Bonaventura cit., p. 367. — 368 — ville per caosa delle vendemmie ma vi si trattengono per vedere l'esito di questa fiera borrasca . .. Per il male che è a Chiavari di dove hanno nuove poco buone, detta fiera non si farà più in Sestri Levante, ma in quel di Ponente. Il luogo è troppo vicino alla città, che porterà longhezza e difficoltà di negotiatione . . . L’armata di Spagna ha portato un altro danno molto maggiore, essendo di parere, che per l'espeditione di essa sij stata trascurata la sanità, poiché se si fossero usate le debite diligenze facilmente si saressimo conservati, dove che adesso ci troviamo col male in seno . .. Come le ho detto sopra li morti di questa settimana nella città sono 40, et 11 alla Consolatione et 10 a Bargagli. La ventura si prepara molto male, poiché hieri sabato furono fatte 40 denontie e venerdì 30 in circa, e pochi si camperanno. . . . La gente della casa Durazzo tira avanti a star bene, et si giudica che il suo non sij stato male contagioso. La signora Ersilia et Gio. Batta De Franchi sono a Sampierdarena in quarantena, essendo morto il figlio di male cattivo et una lor serva. Le cose della sanità di Roma andavano peggio il numero dei morti di quella settimana era cresciuto a 330 altri dicono 400. A quel che pare a Napoli ritorna a farsi sentire e di nuovo ... Cardinale Raggi: «Giovedì sera fu eletto duce, il senatore Giulio Saoli con 156 voti; egli è applicato tutto alla Sanità; il male però si è inoltrato in tutti li quartieri e nelle strade più nobili; giovedì seguimo vicino a trenta casi fra li morti e li infetti, hoggi i casi sono di minor numero; noi stiamo tutti con buona salute et v’invigilo acciò poco si tratti che è l’unico rimedio a non infettarsi». 14 ottobre 1656, Sampierdarena. Suor Maria Francesca: « Se bene il principio del male che si va dilatando per la città minaccia qualche disastroso accidente di numerose mortalità, e in conseguenza cagiona non picciolo terrore, ad ogni modo, io 10 stimo quasi niente paragonato all’ansietà con cui vivo della persona di Vostra Signoria sentendo i progressi, che fà cotesto morbo pestilen-tiale in Roma, cominciano già nelle persone di garbo onde io me la passo di continuo con una grandissima agonia e se bene mi consolo sperando Vostra Illustrissima di già rinserrato e provveduto d’ogni più efficace preservativo, ad ogni modo l’averlo così lontano e il bisognarmi tanto tempo senza sue nove mi tormenta vivissimamente. Insomma si vede che 11 Signore Iddio, ha sfodrato bene la spada, bisogna a procurare di pia- — 369 — 24 care il suo giusto sdegno. Qui habbiamo qualche poca triegua per le grandi tramontane che regnano, ma non se ne può fidare. Il signor Cardinale se ne sta con i miei in Sampierdarena, la signora è del tutto seppellita con Nino in Cornigliano e non si lascia niente vedere. Questa settimana non arrivano in tutto a 30 morti. In casa di Urbano Durazzo non è seguito altro, il che pare molto strano perché la moglie, la madre et la suocera lo assisterno sempre senza stimare rischio alcuno; Dio li salvi... ». 16 ottobre 1656, Genova. XXVI 22 ottobre 1656, Genova Noi in casa stiamo assai bene, la città già continua nel suo stato solito, sono molti giorni che le tramontane si fanno sentire ma non per questo si vede miglioramento et infine glie ne darò per minuto ragguaglio ... ... Le cose della sanità vanno peggiorando, li morti di questa settimana sono 42 nella città, 36 alla Consolatione et 36 a Bargagli. Quelli della Consolatione sono gente trasmessavi dalla città. Il medico Bastino è stato serrato in casa per esserli morta la cameriera di sua moglie con sospetto, è stato serrato l'hospital grande a conto desservi morto il sottospetiale con segni, è morto anche Felice Botto cassiero delle Casane, o sij Monti di Pietà, ch’era gentilhomo ascritto. Il signor Negro Di Negro ch’è procuratore havendo veduto che li collegi Serenissimi non pigliano quelli remedi che lui ritiene a proposito per haver scusa di star ritirato andò a visitare a Marassi, Geronimo Rivarolo, quello che dopo esser stato Commissario di Bargagli faceva la quarantena in una di quelle ville, e con questo suppose di restar anch'esso in quarantena, ma li Collegi per mortificarlo l’hanno fatto precetto che vadi a San Bernardo a far 20 giorni di quarantena sotto pena di scuti 500 in oro, havendo nel medesimo tempo liberato il Rivarolo, questa cosa non è stata ben intesa che fra di loro comincino a perdersi il rispetto. A Roma le cose andavano parimenti peggio essendo morti in quella settimana 406, et esser stato serrato il Convento et Chiesa della Minerva dei P.P. Domenicani per esservi male un padre con segni, et trovandosi quelli altri ammalati, parimenti è stato serrato il Collegio Romano et dell'Apollinare. Qua s’attende a praticare come prima che veramente è cosa fatale, mentre non vi è cosa più perniciosa di questa; il Consi-glietto ha deliberato piglino scuti 150.000 a cambio per prestare alli seatieri \ acciò distribuiscano per la città roba da lavorare, che essendo cessato l’avviamento la gente comincia a patire la fame. Cardinale Raggi : « Il male in Genova va’ tuttavia avanti, essendo succeduti di questi giorni casi considerabili. Le tramontane regnano molto gagliarde e vedendosene migliorare il morbo credono molti che possano recare giovamento, come pure si è sperato. Il male ha una radice da non svellersi sì facilmente con un soffio fresco, le diligenze che ora si ado-prano sono in gran esatezza et in parità del bisogno; i belli spiriti, che negavano la peste ora la confessano ». 24 ottobre 1656. Sampierdarena. Suor Maria Francesca: « Habbiamo le cose in mala dispositione, e vanno moltiplicando li casi morendone una vintina il giorno e v’è giusto motivo di gran timore perché se s’infettano certi quartieri di plebaccia minuta, che sono ristrettissimi fra di loro, non ci sarà speranza di ordine alcuno; questi nostri Serenissimi ne sono in gran pensiero e fanno il possibile per vedere se si potesse pratticare una quarantena generalmente alli 40 quartieri ne’ i quali è distribuita la città, ma l’Erario è tanto esausto che ci sono grandissime difficoltà. Il signor Cardinale si guarda bene et stimo che si riserrerà in Sampierdarena; i miei fratelli stanno sempre seco. L’eletione del Duce è caduta in Giulio Saoli in brevissimo tempo ». 24 ottobre 1656, Genova. XXVII 29 ottobre 1656, Genova ... 80 sono li morti di questa settimana nella città, e 42 quelli della Consolatione, il terzo di avantaggio della settimana passata. E' stato serrato il convento et chiesa di San Paolo in Cam-peto per esservi morto il prete Rovereto di casa ascritta alla nobiltà con bubbone in tre giorni; sotto la loggia de’ Banchi lunedì tramortì un ragazzo di 15 anni, fu levato e portato nelle 1 « . . . Destinarono a tale effetto 300.000 scudi... »: Antero M. di S. Bonaventura cit., p. 256. — 371 — sedie che servono l’appestati alla Consolatione, dove è morto in tre giorni, ma senza segni. Qua si continua a praticare sempre come per il passato senza quasi riguardo, et pare miracolo che il male non facci maggior strage. Continuano li venti di terra, ma non si vede miglioramento, anzi tutto il contrario. Di Roma, non posso dar alcuna nuova perchè le lettere restano addietro, ma secondo le nove della settimana passata si aspettano di questa poco buone. ... Mentre questa mattina in Palazzo un tedesco delle guardie sentiva messa l’è venuto un poco di male, che per li presenti in luogo fu separato ... * Suor Maria Francesca: « Le cose stanno assai moderate. II male, però è dilatato nelli quartieri della gente plebea e ne muoiono dieci o dodici il giorno. Il rischio è grande, ma non è in quello augmento che potrebbe per il molto tempo che va serpendo, anzi sono due giorni che sono seguiti cinque o sei casi e non più, ad ogni modo non si può fare nessuno fondamento di questo perché nella tregua prende maggior vigore e può essere che avanzi con maggior furia. Il signor Cardinale è partito hieri per Nove con tutti i miei fratelli et il signor Giacomo et il signor Michele. La signora è rimasta afflittissima perché non vuol restare in Genova in nessun modo senza di Vostra Signoria, non si parte niente 1 Cornigliano con Nino et Lucretia, non si può consolare con altro, solo con assicurarla che non partiranno senza Lei, e veramente è troppo soggetto abitare in casa d’altri. Noialtre siamo quasi rinchiuse a ragione di cao-telle, perciò io sono non più lontana dei miei parenti che se fussero in Roma ». 26 ottobre 1656, Genova. XXVIII 5 novembre 1656, Genova ... Le cose della sanità vanno peggio, li morti dentro la città sono 108 et 68 alla Consolatione. Vi sono molte relationi di gente infetta, onde la settimana che viene si aspetta anche più cattiva. Prego nostro Signore Iddio che per Sua Misericordia ci liberi da tanto flagello. Le lettere di Roma non sono ancora venute, ma si aspettano nuove poco buone ... — 372 — XXIX 11 novembre 1656, Voltri ... A Genova le cose della sanità continuano ad andar male, dopo che sono partito hanno peggiorato assai, è morto Nicola De Franchi... XXX 18 novembre 1656, Voltri . . . Le cose della sanità in Genova per l'avvisi che se ne hanno continuano da andar male, è caduto a Roma Pier Francesco Doria 1. . . * Suor Maria Francesca: « Se bene in ogni tempo le lettere di Vostra Signoria 111.ma sono state da me desiderate, nelle congiunture presenti le sto attendendo, con tali brame da presumere che non posso godere un momento di quiete, sino a che non habbi quella sicurezza che unicamente mi preme di sua salute. Signor padre carissimo si persuadi che l'amo con tanta svisceratezza, che non si può dire di più, perchè io provo una pena così viva e sensitiva di vedere, che sij costì tanto pericolo, che me n’hinorridisco il pensarci, e niente curo il rischio che si corre qui in paragone di quel che temo per la sua persona, il Signore Iddio me lo guardi e liberi d’ogni travaglio. Le cose in Genova non vanno bene perchè basti dire, che la peste ci sij, ad ogni modo non ci sono quelle rovine che ci potrebbero essere perchè essendosi dilatato il male fra la gente minuta non siegue quella strage che si potrebbe temere, morendone da 30 a 40 il giorno et altrettanti dichiarandosene di sospetti. La paura però è grande e non si trascurano la diligenza anzi si accrescono, e hanno risoluto questi Serenissimi Signori d’implorare l’aiuto divino con esporre pubblicamente nel campanile di San Lorenzo le ceneri di San Giovanni Battista per tre sere, e si darà il segno a tutto il popolo acciò ognuno si inginocchi per prendere la benedizione in sua casa et si raccomandi al santo che con la sua prontezza voglia impetrarci la Gratia. Insomma questi sono i mezzi per liberarci, ricorrere a Sua Divina Maestà et pregando che plachi l’ira sua, ci conservi la Sua benignità...» 18 novembre 1656, Genova. 1 «... Hoggi che il contagio si avanza tanto a Roma et a Genova bisogna stare avvertiti a non ricevere anche ogni bagatella...» 18 novembre 1656, Livorno: ASL, Sanità, serie VII, reg. n. 65 cit.. — 373 — Cardinale Raggi: « In Genova la settimana passata ne morirono 323 cioè 159 dentro alla città et 164 nel lazzaretto. Noi qui se la passiamo con ottima salute in quest’aria rigidissima, e piene di neve, non credo che si curi molto di pervenire la peste ». 22 novembre 1656, Novi. XXXI 19 novembre 1656, Voltri ... Le cose del contagio vanno peggio essendosi avanzati li morti di questa settimana a 330 in più 250 denontie, che vuol dire che il male prende più forza ... con li freddi si può sperare di migliorare ... XXXII 26 novembre 1656, Genova Vi scrivo qua in Genova, ove sono ritornato martedì sera, havendo la fiera havuto fine colla metà di detto giorno. Non scrissi prima non trovandomi con buono sentimento per hier mattina, alla Maddalena, sentendo messa mi si riscaldò la testa con qualche dolore, et giramenti che non furono molto gagliardi, si provò per due o tre volte, adesso ne ho un poco meglio, ma non del tutto libero, dando segno di voler replicare, più 1 apprensione per li tempi correnti vedendosi il lampo et la saetta nel medesimo instante, sperando per altro che non vi sarà altro. ... Il male in Roma ingrossa fortemente, li morti dell ultima settimana sono 891 et 900 li feriti; qua ancora fa il medesimo perchè sebbene in questa settimana sono stati 295 li morti et altrettanti li malati, si che non si è discapitato dalle antecedenti. Questa volta il non migliorare è male, massime vedendo che repigliando altre parti della città, che adesso dappertutto è circondata. E' morto in Franzone un gentilhomo, nipote di Pantaleo Franzone, navigava sopra la nave San Giovanni Battista per gentilhuomo del capitano, et altro suo fratello stà male. A San Giovanni Battista di Sampierdarena è seguito un caso, il simile a Sestri Ponente in luogo separato chiamato il Gazzo, dove sono morti cinque. Il Procuratore Gio. Geronimo Doria mentre era in far qua- — 374 — rantena gli morse Pier Francesco suo fratello, dei cinque che l’hanno seguito, due sono morti et l'altro è andato al lazzaretto, c’è restato sano detto Geronimo et un suo compagno ... li preservi in salute il Nostro Signore Santissimo essendo in gran pericolo . . . Mi continua il male sentimento ... * Suor Maria Francesca: «Crescono li disordini del male e le morti si aumentano sempre più e se bene non è ancor il numero di costì ad ogni modo si può temere di più; essendo le cose si mal disposte di proseguirne cattivi pronostici e quello che è peggio, il male non è creduto, l’evidenza de’ cadaveri infetti non basta per disinganno alla gente povera restando sempre tenacissima et credere che non sij e con questo si pra-ticha di continuo più che mai et le diligenze di questi Signori, che non sono poche vagliano scarsamente contro l’ostinatione della plebe, che non ammette altra opinione che quella dell’utile concernente al suo interesse ... ». 25 novembre 1656, Genova. Cardinale Raggi: « Pensavo di andare a Milano, hora mi si nega la quarantena già concessami, perchè il morbo cresce in Genova o perchè è stato chiuso l’appartamento del signor Gio. Batta Raggi nel Palazzo, le diligenze ora si fanno ma non in tempo, io che esortavo a farle opportunamente non ero inteso. Se costì sono disordini, in Genova saranno ruine ». 26 novembre 1656, Novi. XXXIII 3 dicembre 1656, Genova . . . Quel mio malo sentimento di che Le scrivevo mi continuò qualche giorno con aumento di giramento di testa e palpitazione di cuore, ne son poi stato meglio, ma ancora continuo la testa aggravata et fiacchezza di tutta la vita ... Le ultime lettere che s'hanno da Roma sono del 18 passato, le cose della sanità in quella settimana erano andate molto meglio poiché li morti erano stati 800 numero minore della settimana precedente, e quello che dava maggior speranza era che le denonzie erano mancate assai massime delli casi nuovi, che prima si levavano ad essere 50 il giorno, et in questi ultimi giorni erano ridotti a 15 in circa '. 1 A Roma al 2 dicembre 1656 le conseguenze della pestilenza iniziata nel luglio erano: 8.725 morti, 2.785 guariti, 312 sospetti e ancora isolati nei lazzaretti, 1.864 tra convalescenti e quasi guariti, 575 posti nelle carceri nuove. ASG, Magistrato della Sanità, ms. n. 265 cit., c. 34. — 375 — Questa è la strada per la quale s’ha da passare per rimettersi in sanità. Nella mia città il numero dei morti compreso il lazzaretto della Consolatione s’è mantenuto pari a quello della settimana avanti cioè di 293 et l’ammalati che sono in detto lazzaretto sono 211. Le denontie da due giorni in qua sono meno del solito. A Santa Maria in Passione si era ammalata una monaca sorella di Paolo Baciadonne con una postema sotto il braccio, e prima vista fu giudicata peste, poi s’è trovata essere sanita ed adesso sta meglio. A Francesco Bona che è nel seminario, è morto un figlio di 6 anni si dice sia peste ... Cardinale Raggi: « A Genova muoiono 20 e 24 persone al giorno; dal lazzaretto uscì gran numero ». 29 novembre 1656, Novi. Suor Francesca Maria: « Le cose sono piuttosto in declinatione, si replicherà il giorno della Concetione la devotione delle Ceneri e gli altri due giorni in appresso, e generalmente si confida assai in questo Santo Glorioso che debba impetrarcene la gratia. Di Nove gli avvisi sono ottimi, tutti godono una perfetta salute si guardano con ogni diligenza, se la passano più allegramente che possono; a Cornigliano intendo che siano al solito, se bene debono essere con qualche timore di più per essere seguiti molti casi in Sampierdarena ». 2 dicembre 1656, Genova. XXXIV 9-10 dicembre 1656, Genova ... Circa alle cose della sanità, questa settimana sono andate meglio essendosi morte solo 209, cioè 101 della città et 108 delli lazareti, numero minore della settimana passata. Hieri sabato fu giornata un poco grave, essendosi voltato il tempo a scirocco et il vento sempre malsano le denontie furono 44 fra i quali 13 morti nella città. A Santa Brigida monastero di monache è morta in poco tempo una figlia di Tommaso Raggio, che vi stava in educatione, era di età di anni 20, dicensi morta di accidente d’apopletia; la monaca Baciadonne a Santa Maria in Passione è stata meglio con li rimedi li hanno applicati, confessano sij stata peste. Giovedì vigilia, et venerdì giorno della Santa Concezione di Nostra Signora alle due hore della sera dal campanile di San — 376 — t Lorenzo fu data la benedizione alla città con le sacre ceneri di San Giovanni Battista, acciò per intercessione della Santa Ver-gina e di questo gran Santo, Sua Divina Maestà si plachi e si degni ritornare la sanità . . . * Cardinale Raggi: « Nella settimana passata il morbo si fece sentire, se il male della peste cresce, cresceranno altri mali: i furti e le / disordinanze del popolo ». 8 dicembre 1656, Novi. XXXV 17 dicembre 1656, Genova . . . Dall'arrimessa lettera circolare del Magistrato della Sanità vedrà il stato in che ci troviamo, la settimana seguente si preparano cattive, mentre hieri che è il principio di essa ne furono 70 morti, fra i quali 26 morti nella città, oltre quelli dei lazzaretti et il giorno d’hoggi sino adesso va male, nostro Signore ha voluto mitigare il suo giusto sdegno ... A Roma li morti erano alquanto mancati, ma arrivavano a circa 600 la settimana . . . XXXVI 24 dicembre 1656, Genova ... Il male in questa settimana ha caricato li morti sono 255, cioè 131 nella città et 124 nelli lazzareti, in quali si trovano 398 ammalati, che quali tutti vi resteranno, li convalescenti sono 25 et 4 li mandati in quarantena. Essendo messo il tempo al freddo nel fine dell’anno le cose sono andate meglio poiché nei primi giorni le denontie erano 60 il giorno, nell’ultimo si sono ridotte a 25 circa, se continuasse il miglioramento a proportione potessimo sperare che placatosi, Dio fosse per liberarci da questo flagello et se non segue in questa stagione all'aprire de tempi si t teme assai di molto peggioramento. A Roma avevano preso gran miglioramento poiché li morti della settimana s’erano ridotti a 370, et l’ammalati a 250. Scrivono che tutti accordavano essere il male in manifesta declinatione et speravano di ridursi presto a sanità. fl — 377 — * Suor Maria Francesca: « Sono due giorni che habbiamo qui le cose in qualche declinatione ma non si può farne fondamento di sostanza perchè è un male che anche quando pare sepolto torna a risorgere con maggio impeto e non fa triegua che per maggiormente infierirsi. Io ho un gran timore perchè non si possono praticare quelle caotelle che ci vorrebbero: godo però infinitamente di sentire costì miglioramento notabile e spero assai debba continuare, e con i rigori del freddo, che sono quasi antidoto contro questo morbo, e perchè Roma non ha tanta povertà come qui, il che a noi apporta grandissimo danno perché questa gente non vuol credere ». 23 dicembre 1656, Genova. Suor Maria Francesca: « Il morbo si mostra assai intricato, perchè uno o due giorni le cose vanno meglio e poi subito cresce, onde non si può fare alcuno fondamento e se bene non vi è gran strage guai però a noi se la primavera insopraggiunge che non siamo libei ati ». 23 dicembre 1656, Genova. XXXVII 31 dicembre 1656, Genova ... E’ nevicato ... .. . Habbiamo pensiero di far sbarcare li pepi qua, vedendo che a Livorno si vendono piuttosto a poco prezzo, e questo genere di robe si può sempre trasportare non essendo soggetto a contagio 1 ... .. . Alligata viene copia della lettera del Magistrato di Sanità per la quale si vedrà il stato in che si troviamo, l’avanzo che s’è fatto è grande, ma non da fidarsene, poiché anche se il numero dei morti, e quello de transmessi è minore, vi sono non di meno 6 in 8 casi nuovi per giorno quali sono molto considerabili ... si teme di vedere spettacoli lacrimosi, da quali ci guardi Dio ... Le nuove che sanno da Roma non sono tali s’aspettavano, poiché il male si era mantenuto in stato senza dare addietro, come si sperava ... * Cardinale Raggi: «Il morbo di Genova con la caduta delle nevi s’è mitigato assai, e le bacio le mani ». 3 gennaio 1657, Novi. 1 La notizia non trova conferma a Livorno, dove il capitano Giacinto De Bernardi che intendeva sbarcare 34.000 pezzi da otto reali ed alcuni sacchi di pepe imbarcati a Genova sul suo brigantino, deve riportarli indietro malgrado egli vanti « che il contagio dalla vigilia di Natale al giorno della sua partenza non ne andava ammazzando che 6 in 7 il giorno ... ». 2 gennaio 1657, Livorno: ASL, Sanità, serie VII, reg. N. 613, Copialettere del Magistrato della Sanità, 1656 in 1671. — 378 — XXXVIII 6 gennaio 1657, Genova . . . Le cose della sanità in quanto al numero dei morti sono andate assai meglio, le denontie si sono ridotte a 12 al giorno in circa fra morti et ammalati, il numero non è molto rispetto alli 50 et 60 che solevano essere, ma da fastidio che sempre vi sono 5 in 6 casi nuovi. Si teme assai l'arrivo della primavera. A Roma li morti sono stati 260, ma ancora colà temevano assai la primavera. . . . Leonardo Saivago si è maritato con la figlia di Antonio Grimaldo Ceba con dote di 20 scuti d’oro et lire 20 moneta dopo vita della signora Cornelia sua moglie et madre della sposa ... * Suor Maria Francesca: « Le cose della peste sono in molta declinatione e se ne può concepire buone speranze. Il Card. Raggi pensa di ritornare di Nove in Sampierdarena. I miei fratelli stanno bene». 6 gennaio 1657, Genova. XXXIX 14 gennaio 1657, Genova . . . Come vedrà dalla lettera circolare le cose della sanità in questa settimana sono andate meglio, io però non ci faccio molto fondamento credendo che sij stato caosato dal rigore del freddo et non da buona dispositione, vedendosi che per haver il tempo addolcito, il male di nuovo si fa sentire. Questa notte è morta una figlia del falegname Nicola che sta in Piazza della Maddalena nella nostra bottega, et hieri sera stava bene, non è dubbio che sij morta di male corrente, poiché l'hanno seppellita in Bisagno nei luoghi deputati1. 1 Su proposta del Magistrato della Sanità, il Senato il 6 ottobre 1656 aveva approvato la scelta di alcuni terreni destinati alla sepoltura dei cadaveri (ASG, Senato, ex sala 40, pacco n. 972). Sempre su questo argomento è interessante il contratto perfezionato nel settembre 1656 tra il privato Antonio Grimaldo ed il Magistrato della Sanità. Il Grimaldo si impegnava a scavare fosse per seppellire i morti larghe 3 palmi e profonde 6, coprire i cadaveri di calcina ed infine livellare il terreno con la terra. Per compenso riceveva dalla amministrazione soldi 3 e denari 4 per ogni palmo di lunghezza delle fosse. ASG, Magistrato della Sanità, filza 171 cit.. 379 — Questa mattina andando una donna a messa nella Chiesa delli Servi, non ha potuto arrivarvi, ed è parimenti morta in poche ore. Di Roma scrivono che morti sono stati 185 et 110 l’ammalati con segni. * Suor Maria Francesca: « In Genova se la passiamo molto bene, essendosi il male mitigato assai, al numero stretto a due o tre casi il giorno, tanto di morti come di feriti. Continuiamo ad avere una gran confidenza in Dio che la città debba presto restar liberata. Il signor Cardinale stimo che sarà quanto prima di ritorno in Sampierdarena ». 13 gennaio 1657, Genova. XL 21 gennaio 1657, Genova Volevo scrivere più a lungo, ma non posso eseguirlo toccandomi poco buono sentimento, con il capo languido, la mente fiacca, e con pigliare poco sonno ... io procuro di havermi cura, di uscire con regole, ma non posso fare d’avantaggio rimettendomi nel resto alla volontà di Dio Santissimo. . .. Per le cose della sanità, della quale vedrà lo stato, la sostanza è che essendo entrati li venti australi habbiamo peggiorato poiché prima le denontie erano di due in sei al giorno in circa, et adesso sono 15 in 20 ... Non solo sono cresciute le denontie nel numero, ma nelli casi nuovi, essendo in questa settimana 40 ... Di nuovo non ho da farli sapere che è morto l'abbate di San Matteo aH’improwiso, non è stato male corrente, ma d’accidente e lo hanno seppellito con le solite solennità... A Roma andavano migliorando, ma lentamente, a Napoli pare che si stij bene, nel regno però segue gran strage ... * Suor Maria Francesca: «In questa settima è cresciuto un poco il numero dei morti e dei feriti, e mettono timore alcuni casi novi che si vanno scoprendo, ad ogni modo si spera che stante le diligenze et la gratia di Dio particolarmente, possiamo essere presto liberi di questo castigo perchè guai a noi se la primavera ci trova brutti. Il male è che non si usa alcun rigore ». 20 gennaio 1657, Genova. — 380 — XLI 4 febbraio 1657, Genova ... Le cose della sanità stanno in stato piuttosto peggio non per il numero delle morti che è stato 73, cioè 32 nella città et il resto nelli lazzareti ma per li casi nuovi che seguono tutti i giorni. Vogliamo pure confidare nella Pietà et Misericordia di Dio Cristo, che ci debbi liberare da tanto flagello che per la nostra città è grandissimo, poiché essendo cessato il traffico da per tutto, col quale si alimenta, la miseria cresce infinitamente, e Livorno ne trionfa perchè fa tutte le faccende ... A Roma andavano meglio li morti erano stati 60 et 62 li ammalati; facevano ogni giorno giustitia esemplare, con la quale ognuno si era messo in timore, et si guardava dal commettere mancamenti in questo genere, veramente in questi casi ci vuole il rigore. A Napoli erano successi 6 casi di peste, e quelle cose paiono ancora torbide . .. * Suor Maria Francesca: « Il contagio non corre del tutto bene perchè in tempo che si sperava il male quasi estinto si vedono ripululare casi novi, inditij manifesti di roba infetta nascosta, alla quale giovano poco i rimedij ordinarij e se non si verrà ad esecutioni rigorosissime non si farà niente ancorché le diligenze sijno grandi. Si sono replicate di novo le devotioni delle Ceneri Sacratissime il giorno di Nostra Signora e coll aver dato il bando a qualsivoglia ricreazione carnovalesca, si procura placare il Signore Iddio acciò mitighi il suo sdegno. Per questo risposto sono state prohibite le commedie, le persone generalmente sono atterrite o per dir meglio desiderano un poco intimorire un popolo, che neanche la nobiltà tra loro vegliano; siamo poi in molta strettezza di viveri per la mancanza del traffico et habbiamo bisogno d’esser presto liberi...». 4 febbraio 1657, Genova. XLII 10 febbraio 1657, Genova . . . Noi qua ci conserviamo nello stesso stato li morti di questa settimana sono stati 66: 32 nella città ed 34 nelli lazzaretti con 43 ammalati. Li ultimi giorni sono stati più miti et hieri ci furono solamente le denontie per soli due morti. — 381 — A Roma segue il simile di qua ... A Napoli si erano scoperti qualche nuovi casi in persona che ha havuto questo male erano state mal curate. Fanno diligenze per trovare li delinquenti che hanno rubbato nelle case vuote et serrate per ordine del Magistrato della Sanità, già ne hanno preso alcuno che haveranno il dovuto castigo ad esempio delli altri... Suor Maria Francesca: « La peste non cessa, e ci spaventano certi casi novi per la stagione che andiamo incontro». 11 febbraio 1657, Genova. XLIII 18 febbraio 1657, Genova .. . Dall’accluso foglio vedrà il stato della città, hieri non ci fù alcun caso, onde si può sperare assai... E’ stato consultato il collegio se si dovevano levar li rastelli dalli ponti et restituire la città al libero commercio con le riviere, ma hanno ritenuto aspettare ancora per pochi giorni, per assicurarsi e vedere quel che segue *. ... A Roma le cose andavano meglio, a Napoli non era successo più altro e nel Regno il male era in declinatione ... * Suor Maria Francesca: «Qui habbiamo le cose migliorate assai, e se ne spera con la gratia del Signore ogni buon successo, havendo questi Signori Serenissimi ottenuto l’indulto di non osservare quadragesima nei quattro giorni della settimana per aiutare le persone a non essere così facile a contrahere il male». 11 febbraio 1657, Genova. XLIV 25 febbraio 1657, Genova ... Di Roma che se bene nell'ultima lettera ne danno buone nuove, mentre li morti della settimana erano stati solamente 43, et erano passati due giorni senza casi, non vi si può far fon- 1 «...Il padrone [della nave] conferma la sospensione fatta da Genovesi a Oneglia, Monaco, Villafranca e Provenza e per l’istessa sospensione era stata dal Magistrato del Finale... ». 23 febbraio 1657, Livorno: ASL, Sanità, serie VII, reg. n. 613, cit.. — 382 — damento, poiché qua fece il simile, et poi, è ritornato a picchiare et hoggi sabato è stata mala giornata essendo morti sette nella città, con tre ammalati, onde si può temere il medesimo in Roma, massime con li tempi humidi che corrono, in li quali questo male piglia maggior piede . . . * Suor Maria Francesca: «Noi siamo all’acqua già da molti giorni sono, e ciò ha dato un poco di vigore al contagio che la settimana passata pareva quasi estinto essendo moltiplicato il numero de’ feriti e morti e qualche casi nuovi danno maggior fastidio per la stagione che andiamo incontro. Il signor Cardinale non ardisce venire in Genova per non esporsi al pericolo se bene patisce nella otiosità di Nove ». 24 febbraio 1657, Genova. XLV 6 marzo 1657, Genova . . . Intorno alla sanità: le cose mi paiono mal incamminate, poiché entra la primavera con trovar augmentatione del male, nostro Signore Santissimo sentito per Sua pietà voglia liberarci da questo flagello ... * Cardinale Raggi: « Li medici di Genova vogliono che il nostro male cammini nella declinatione, però i casi novi continuano in buon numero. 10 vorrei ritornarmene e non vorrei incontrar rigori. Seguono, come ho detto, casi novi per il contatto delle robbe infette ed il popolo non vuol 11 rigori ». 2 marzo 1657, Novi. Suor Maria Francesca: « Sento grandissimo gusto in vedere che costì il male prendesse si buona piega e spero che quanto prima debbono essere totalmente liberi, se forse non seguisse una certa osservazione, che pontano questi nostri medici che tutte le settimane, che qui le cose sono andate bene, costì ancora sono passate felicemente e 15 giorni sono noi si speravano quasi in salvo, eppure adesso siamo di novo in molta angustia perchè è cresciuto il numero assai de’ casi novi ». 4 marzo 1657, Genova. XLVI 11 marzo 1657, Genova . . . Mando il capitolo della sanità, qui s’ha gran desiderio d'esser liberi dal male; nelle chiese s’è cominciato a predicare . . . — 383 — XLVII 18 marzo 1657, Genova ... Le cose della sanità non pigliano buon verso, li morti di questa settimana sono stati 42 fra la città et il lazzareto della Consolatione, senza quelli che sono morti nel lazzaretto della Foce, onde entrandosi in primavera si sta con gran timore dell'esito, poiché gli ultimi giorni il male ha caricato d'avantaggio essendoci state 8 denontie al giorno. In quel di hieri sabato vi furono 6 morti tutti nella città ... Stante questi imbarazzi è impossibile il poter uscire dal Stato, poiché da per tutto è proibito *, e perciò non posso effettuare il mio desiderio di venire costì, havendo desiderio grandissimo di rivederlo. Un giorno doveranno haver fine questa calamità, et io senza perder tempo verrò ... Il male in Roma continua in stato, ma senza peggioramento, a Napoli stavano bene ... * Suor Maria Francesca: « Qui proseguiamo facilmente se bene i tempi corrono cattivissimi sempre all’acqua con umidità grandissima, che cagionano riscaldamenti così gagliardi che non si sente che da per tutto, che tossire, e tutta Genova si duole, a me ancora me tocca la mia parte, bene, ma se questo può essere inditio o sicurezza che la peste vogli del tutto cessare io stimerei ch’ognuno pagherà volentieri questo tributo per esimersi da maggior rischio ». 20 marzo 1657, Genova. XLVIII 25 marzo 1657, Genova ... Le cose della sanità peggiorano notabilmente come vedrà dall’accluso capitolo. Adesso seguono dai 5 casi al giorno, la maggioranza casi nuovi, 38, sono più considerabili che nel principio. 1 « . .. Circa i brigantini comparsi da Genova, comanda Sua Altezza, che si scaccino etiamdio con i piombi e monete di rame e tutte le robbe ... ». 21 marzo 1657. Livorno (ASL, Sanità, serie VII, reg. n. 65 cit.). Anche dalla Lombardia il traffico era completamente cessato, una grida del 3 gennaio 1657, aveva infatti vietato qualsivoglia commercio, impedendo anche quello di vettovaglie che aveva resistito sino ad allora, col territorio del Genovesato (ASM, Sanità parte antica e moderna, busta n. 278, sommario cit.). — 384 — Mentre all’hora quello che non era peste restava battezzato per tale, et adesso è che non lo sij; mi spiace assai veder il negotio così male incamminato, Dio Buonissimo ci aiuti con la Sua Santissima Mericordia, che n’habbiamo molto bisogno. Questa mattina è stato serrato Giovanni Domenico Pallavicino poiché in sua casa s'è ammalato un paggio con quale ha segni di sospetto . .. A Roma le cose vanno molto meglio li morti erano stati solamente 10 con meno trasmessi . .. * Suor Maria Francesca: « Si scoprono ogni giorno qualche casi novi, e se bene habbiamo grand’occasione di confidenza in Dio, conoscendosi per gratia particolare della Bontà Divina, il non essersi dilatato maggiormente il morbo in un popolo così folto e poverissimo; se il male crescesse in noi si farebbe un gran cicalare contro il malo governo, questo è il guadagno che si ha; chi succombe nella disgratia, od arbore che casca, dagli, dagli. Dove è stata la peste non vi sono le circostanze aggravanti che sono in Genova: grandissimo popolo, tutto povero ristretto in case di 10 o 12 famiglie, dove è la peste ancorché in tempi sani per il gran suc-cidume che vi è di aere infetto; habitano per il più in una stanza otto e più persone prive d'acqua et d’ogni altra comodità e se non si guadagnano il vitto ogni giorno, non sanno come mangiare; in queste case vi si sale per scale di legno, strette, rapide, avanti che un beccamorto sij salito sopra a levare un appestato, è morto anch’esso. Si consideri questa difficoltà se è grande, è forsi la maggiore di tutte l’altre perchè non si dà nella peste maggiori inconvenienti, che li corpi restino insepolti e sempre peggiora mentre un giorno cavalca l'altro che porta seco di mano in mano maggior numero de' corpi morti. Come si prowederà ad un popolo così numeroso che vive manualmente in una città fondata tutta sul traffico, che tutto aspetta di fuora, ed è quasi un anno che sta bandita da tutti li Principi per cagione della peste? In Roma è stato il morbo, non ha fatto grandissima strage, perchè 11 paese è largo, larghe le strade, le case basse, acqua da per tutto, infiniti carrettoni per portar via li corpi morti, il lazzaretto vicino al fiume che con due barchette si portavano 100 morti a seppellire a San Paolo. Gli è stato poi, un’altra felicità grande, che centinara di persone davano memoriali per essere barilanti, carrettieri, serventi, beccamorti et espurgatori a questo credo non indotti d’altro che dalla grande occasione et comodità che havevano di rubare, intendo che era una commedia il veder questi tali mangiare e fare il buffone sopra li corpi morti, e dare la burla, a questa o quella puttana con le fettuccie alli capelli. In Roma voi avete nel paese carni, vino, grano, pollarie, ova et ogni altra commodità che non sono in Genova; in ogni modo quando la peste fiocava sTiavesse pi-zicato un Cardinale o due, o tre Prelati de’ rioni, che bella confusione — 385 - 25 haveremo veduta, ognuno haverebbe cercato al sicuro di salvare se stesso. Di già sò che erano prese le ville de’ Lanti, e de’ Diario et altri altre. Sò che il Cardinale Imperiale, disse che la maggior sua premura era il darvi capito ogni giorno a tutti li ammalati, et a tutti li morti, perchè un giorno cavalca l’altro erano spediti; la peste è un male che dove entra bisogna sentirla e secondo la commodità et incommodità del paese, fa strage più o meno, e chi ha letto l’historie antiche et ha osservato le pesti moderne di Palermo, di Venezia, di Milano, di Firenze, Bologna, Ferrara, Modena, Napoli vide e tocca con mano che è un flagello di Dio, è una guerra del medesimo contro il genere umano. Non ha luogo il dire che se li genovesi stimavano la peste la fuggivano; in nove mesi non ha ammazzato che due o tre mila persone appena, vi sono le medesime circostanze aggravanti che vi sono adesso, si ferma il male non si seguono più casi, li medici tutti d’accordo danno per libera la città, et in subito rinnova la peste inestinguibilmente; qui non possiamo negare una nova efficace et potente caosa, chi dirà che è influenza, chi aere avvelenato, chi contagio, chi pessimo alimento ed io dico che è ira di Dio. In ogni modo bisogna stimare la peste perchè chi non la stima causa maggior strage ». 24 marzo 1657, Genova. Suor Maria Francesca: « Mi spiace di sentir costì ripululare qualche poco il male in una stagione molto fastidiosa e più ancora habbiamo havuto in questa settimana qualche nuovi casi i quali tengono sempre le persone in timore ». 28 marzo 1657, Genova. 49 31 marzo 1657, Genova Suor Maria Francesca: Il signor Cardinale è ancora di stanza in Nove, senza alcuna risolutione... Qua il male non piglia a buona piega onde temo che il signor Cardinale possa incamminarsi per terra e ciò sarebbe alli signori di grandissima pena. L 8 aprile 1657, Genova .... La peste è per noi finita 1 havendo levato li rastelli, rimesso le prediche, li tribunali et ritornato a officiare Palazzo et 1 « ... Entrati nella primavera ... si vede in questo tempo il male; quasi affatto estinto ... Si mandò alle stampe un trattato, nel quale con viv g appoggiate sull’autorità di molti medici, si mostrava esser il mâ.le ces > appigliomo a questa opinione li nostri Ser.mi Signori... onde pub ico città netta e concessero la libertà dei traffichi, la comunicatione de! e i re ... »: Antero M. di S. Bonaventura cit., p. 40. — 386 — Magistrati come si faceva prima, ma gli Stati confinanti è cresciuta, poiché dapertutto son cresciuti li bandi, et è stata bandita la Corsica che quando c'erano li rastelli qua fu tenuta sospesa. Li morti di questa settimana sono stati 41 cioè 28 nel lazzaretto della Consolatione e 13 nella città, senza quelli che muoiono di peste che adesso vogliono che non sij peste, ancorché sbrighino in poco tempo. A Roma continuano a star meglio assai, poiché in tutta la settimana non ci è stato più di cinque morti. LI 15 aprile 1657, Genova ... A Roma continuano a star bene ancorché si è andato sentendo qualche caso, secondo che si mette mano nella roba infetta. Noi qui stiamo meglio, essendo stati li morti di questa settimana 31 cioè 25 nel lazzaretto della Consolatione et 6 nella città. E’ vero che si procura di sminuire al possibile, poiché in dubbio si dichiara non sij contagio. Nostro Signore ci liberi essendo la total ruina della nostra città per la cessatione del commercio senza il quale il popolo non può sostentarsi. * Suor Maria Francesca: « Qui le cose vanno molto bene e se ne spera la totale liberazione et hoggi dovevano trasferire i Serenissimi Collegi a mettere la prima pietra per la chiesa di Nostra Signora della Concetione in Carbonara in adempimento del voto fatto ». 14 aprile 1657, Genova. Suor Maria Francesca: « Ho molto la passione di sentire che costì ci stimino tanto infetti che ci habbino di novo ribanditi eppure non ci meritiamo questi rigori essendo che le cose non vanno tanto male. Ma a me spiace assai che non si possa ottenere la quarantena perchè la signora se ne verrebbe volentierissimo et ci sarebbe ottima comodità, la galera che verrà a prendere il Residente, onde se fosse possibile alcanzarla essa n’haverebbe grandissima consolatione perchè signor padre carissimo è di troppo soggetto il stare in casa d’altri et io la compatisco grandemente. In somma è stata una congiuntura molto cattiva, almeno a me di poco gusto...». 17 aprile 1657, Genova. — 387 — LU 22 aprile 1657, Genova ... Le cose del contagio in Roma andavano meglio, ma s’andava ancora sentendo qualche caso. Qua siamo nel medesimo stato della settimana precedente, li morti sono stati 7 nella città et 28 alla Consolatione. Hieri fu cattiva giornata poiché ci furono 8 denontie et fra quelli due morti, a starne bene si teme che haveremo una lunga coda da scorticare, che è miseria grandissima per un altro verso, non potendo questo popolo numeroso sostentarsi senza traffico ... LUI 29 aprile 1657, Genova . . . Circa alla sanità, non mi pare che s'incamminiamo bene, mentre li morti di questa settimana sono stati 46 cioè 12 nella città et il resto nelli lazzaretti e li feriti 30, la settimana corrente si preparava a seguitare in peggio mentre hieri se ne diede principio con due morti nella città, et 9 ammalati e fra essi 8 casi nuovi, onde si sta con gran paura dell’esito. Habbiamo preso una casa a Chiavari dove pensiamo ritirarsi quando li continui a peggiorare ... LIV 6 maggio 1657, Genova ... A Roma le cose vanno bene, e Milano l'ha restituito al commercio. Qua vanno al contrario poiché in questa settimana habbiamo havuto 76 morti, fra i quali 27 nella città, con 49 ammalati et 50 casi nuovi. Il male è entrato in San Pancratio dove stanno li preti di San Filippo Neri, di 10 che erano son morti 3, et il veleno è così pestifero che da fuori per lo più in carboni senza dar tempo di poter curare ... Noi habbiamo la casa a Chiavari, e se le cose continuano così in questa forma penso certamente di ritirarmici... — 388 — Suor Maria Francesca: « Vostra Signoria gode costì maggior felicità di quello che godiamo noi circa la peste, perchè loro sono quasi del tutto sani e qui ripululano di nuovo qualche casi come è seguito questa settimana in persone anco di buona conditione. Non può negarsi che la clemenza di questi nostri Signori non l’habbia cooperato di gran fomento al male, perchè il lasciarsi vincere dalla pietà in questi tempi ridonda in troppo danno, massime vedendosi chiaramente che il tutto nasce dal contatto delle robbe la quale ci mantiene ii contagio addosso con peggior conditione dell'altre volte rendendosi il male del tutto mortale, e quasi insanabile, il che prima non era così, essendo sanati la maggior parte de’ feriti. Io ne sono con grandissima passione, perchè mi pare grandissima occasione di temere in questo tempo più assai che prima essendo le diligenze più fiacche che al principio e come che ognuno ci ha fatto il callo non si spaventano di niente, ne si atterriscono di sorte alcuna. Sono mesi e mesi che habbiamo la peste, non ha fatto progressi di qualità, molti dubitano se sij peste o non peste e soprattutto habbiamo preso un grandissima confidenza et Dio non voglia che questo sij la nostra rovina; non v’è timore, non v’è spavento e si vive come si trattasse d'ogni altro male ché della peste. Mi duole principalmente che la Signora, qui constituita a trattenersi ancora un pezzo, senza saper quando uscirne, ma quel ch’importa in casa d’altri che è il peggio di tutti. Il signor Cardinale ha risolutione ferma di partirsi, ma io non lo credo finché non lo vedo partito perché Sua Eminenza è tanto facile nel mutar pensiero che non si ferma tre hore in un proposito ». 6 maggio 1657, Genova. 55 12 maggio 1657, Genova Suor Maria Francesca: Signor padre carissimo noi siamo in pessimo stato, la peste è in grandissimo augmento dilatandosi fra le persone civili et nobili, la stagione contraria i tempi cattivissimi, le diligenze sono quasi inutili perché la clemenza di questi Signori ha dato gran fomento al male, essendosi abituati l’artigiani di nascondere roba infetta1 alla quale Riavendola adesso mandata fuori ha dato in pochissimi giorni gran progressi ne si sa come riparare al morbo una volta attaccatosi è insanabile e uccide in poche hore essendo del tutto senza * « Intendendosi che dalle botteghe de’ repezzini per il contratto delle robbe [degli appestati] ne seguano morti e danni alla pubblica salute, sia perciò ordinato che si serrino tutte le botteghe de’ repezzini, che sono nella città, niuna esclusa ». 11 maggio 1657, Genova: ASG, Magistrato della Sanità, ms. n. 2S3. — 389 — rimedio. Insomma siamo ridotte ad un termine miserabilissimo havendo la morte molto vicina e che ci minaccia a tutte l’ho re, io che ho procurato in tutto questo tempo di far gran cuore adesso sto con grandissimo spavento ... Vostra Signoria non si maravigli che il mio timore sij tale, il male ha preso gran radice e comincia nei Conventi, i padri dell’oratorio in sei giorni, (se ben pochi), sono quasi estinti; le scole pie infette e di mano in mano non si sente che portare cadaveri e moltiplicare i casi in grossissimo numero. La povera Signora madre mia se ne sta con una afFlitione intensa, essendosi il morbo non solo esteso a Sampierdarena, dove fìocha bene, ma anche a Cornigliano. Nino mi scrive che io li procuri qualche recapito ma io conosco che l’applicarsi a niente, è impossibile, mentre costì non si può haver quarantena, ad ogni modo è molto compatibile ed a me ne crepa il core di sentirla così disgustata ... La signora Teresa è andata in Nove, con l’Ecc. Gio. Batta Raggi, dove quivi si tratterranno per qualche tempo, se bene sua Eccell.za bisogna che se ne ritorni. LVI 18 maggio 1657, Genova Siamo tuttavia qua, partendo hoggi una galera per Chiavari, doveremo imbarcarci sopra di essa et perciò scriverò brevemente. Il levarsi di qua, stimo sia necessario, mentre che il male continuamente va rinforzando non solo per il numero dei morti et ammalati che cresce sempre più, ma ancora per la qualità stessa del male, essendo così violento et maligno, che dove mette il piede atterra tutti egualmente '. In San Pancrazio sono morti tutti quelli Padri, eccetto che due, quali si sono mutati di casa, non si può ancora dir niente. 1 Queste notizie erano giunte anche in Firenze. Il 17 maggio il Magistrato della Sanità di questa città ordinava a Livorno maggiori cautele e inasprimento dei controlli, il 23 e il 25 maggio replicava proibendo « generalissimamente a tutti i legni tanto di Genova che delle Riviere il poter caricare o contrattare in cotesto porto alcuna sorte di mercantie »: ASL, Sanità, serie VII, reg. n. 65 cit.. — 390 — In casa di Basile è seguito il medesimo, come ancora in casa di Giacinto Piaggio quale finalmente è morto non essendo stato possibile con li rimedij salvarlo. De' gentilhomini ne sono serrati molti: Filippo Pallavicino quondam Luca per essergli morto il credenziere; Andrea Mari a Sampierdarena perché gli è morta la manente; Giannettino Odone ad Albaro, perché è morta la moglie di Francesco M. Cavanna suo servitore che Vostra Signoria conosce essendo stato servitore di casa, et una figlia è stata transmessa nel lazareto della Consolatione ammalata con segni. Nelle prigioni che sino a quest’hora sono state intatte pare vi sij un caso, alla Pace è morto uno di quei padri dichiarato infetto, et alle scuole pie è morto uno, et un altro è ammalalo. Nel resto della città le cose camminano a proportione, onde siamo nel peggiore stato di mai, per la qualità della stagione in la quale siamo e per non vedersi adoperare quelli rimedij che sono necessarij e che hanno liberato Roma, cioè il rigore et il castigo, quale non solo non si pratica ma pare che venga aborrito come che fosse incentivo, e non rimedio. ... Li morti della settimana sono stati 188 et 12 l’ammalati; intorno a queste ville da per tutto si sentono casi nuovi, il simile a Varagine et Spotorno in riviera di ponente... 57 26 maggio 1657, Genova Suor Maria Francesca: Carissimo padre, noi siamo qui in gran miseria; le peste fa grandi progressi. Alla povertà, ne muore alla giornata molto numero, il timore da per tutto è grande e particolarmente lo dobbiamo haver noi essendo il nostro quartiere di tal maniera infetto che si comincia a spopulare bene e quasi tutto il male ha le sue radici nei nostri contorni. La vicinanza nostra è impestata, sono morte le donne che ci servivano anche di peste, et è Misericordia di Dio se ci salviamo. Non posso negare che non vi sij horrore grande in sentire la quantità de' morti che si portano a’ seppellire ne’ monti, ma conosco anche infatti che quanto più vicino il castigo col quale Dio ci sferza, tanto più la persona vive facendo animo, e la continuazione di peste per qualche tempo ci avvezza il cuore e rende — 391 — trascurate, io però temo assai, che possa entrare nel monasterio ... Della Signora io ne ho havute nuove che sta bene, e Nino ancora. Il signor Cardinale parte alla volta di Milano con i miei fratelli, hieri vidi il P. Giacomo che se la passa bene e con poca paura e con gran ragione perché chi non ha niente da lasciare e tiene le sue partite bene aggiustate con Dio, può incontrare la morte con vigore. Ma io non sono cosi, perché le mie miserie mi spaventano. * Magistrato della SanitX di Livorno a Firenze. ASL, Sanità, serie VII, reg. n. 613, Copialettere del Magistrato della Sanità, 1656 in 1671 • «...Il contagio augmentato in Genova, e così comunicatosi per tutta la città e suoi borghi che per avvisi e riscontri chiari ricevuti non rimane strada in quella città netta ... ». 23 maggio 1657. Livorno. LVIII 24 maggio 1657, Chiavari La settimana passata scrissi brevemente a Vostra Signoria, perché non hebbi il tempo dovendo partire con le galee per qua, dove mi ritrovo con la signora mia et signora Madre et Portia nostra, quali stanno bene di salute et io al mio solito, ma tutti siamo con gran guidado delle cose della città, che devono essere peggiorate assai da quelle le lasciammo mentre è uscita licenza del Collegio di che le Riviere si guardino, e bandi-schino la città non ammettendo cosa alcuna solo per mezzo di quarantena, e convien dire che la violenza del male lliabbi necessitati a questa risolutione, mentre prima non ne volevano sentir parlare. Vostra Signoria sarà avvisato di quello che passa dal signor Pier Francesco et da nostro padre che si sono fermati colà in compagnia del nobile Vincenzo quali si purgano prima e detto Pier Francesco per dover comparire in San Giorgio sopra la caosa de li Spinoli di Flaminio. Il nostro signor padre non vuolse venire per la sua naturale conditione di non sapersi risolvere a far mai cosa alcuna, bastandoli il solo discorso. Veramente qua non vi sono passatempi, né delitie, ma il fine che si pretende é d'esser lontani da quelli funesti spettacoli e dalli imminenti pericoli che si corrono, massime per mezzo delli servitori. — 392 — Li Collegi hanno mandato ordine a tutti li Giusdicenti delle Riviere che non ammettino a quarantena alcun nessuno cittadino di Genova, volendo per questo verso impedire e fare che non resti abandonata la città, me ne spiaciuto assai, perchè li parenti nostri non possono più venire qua. Io ho sempre preveduto questo, poiché era cosa necessaria, non dovendosi lasciar la terra in potere al popolo. A Rapallo è seguito un caso essendo morto un facchino andatovi da Genova con segni di contagio, ne sono però state applicate diligenze subito, et spero non ci sarà altro male. Qui è morta parimenti una donna, non ha avuto segno alcuno di mal cattivo, ma per essere venuta di Genova, 20 giorni or sono, s'è stimato bene per cautela tener in risguardo quelli hanno praticato seco . . . LIX 31 maggio 1657, Chiavari . . . Noi si troviamo qua separati da vedere la miseria nella città, nella quale il contagio per gli avvisi che si hanno fa giornalmente gran progresso, non ci manca però dell'ansietà di tutti quelli nostri che sono colà, ma speriamo in Dio Buonissimo che li guarderà dal gran male, mediante la cura et buona diligenza che fanno per guardarsi et diffendersi. Se fusser qua con noi staressimo con meno inquietudine, bisogna aver patientia non potendo seguire perchè non vien data licenza a nessun gentil-huomo di poter partire dalla città... Le cose del contagio tiravano avanti a camminare male, parendo che sij ammalata una sorella delli Oldoini nominata Giovanna, quali praticavano continuamente in casa, e si sospetta assai di male corrente, è stata cosa mezzo inaspettata poiché erano persone che si guardavano con ogni accuratezza, et non sanno da che banda li possi venire queste disgratie, erano passati in altra casa et a stamani, tutti bene... In Roma dopo 40 giorni ch’erano stati bene s’è fatto sentire qualche caso, ma con esso subito rimediato, si spera non anderà avanti___ 60 2 giugno 1657, Genova Suor Maria Francesca: Noi poi ce la passiamo qui con gran timore perché la peste grassa bene e massime nel nostro quartiere, se continua ad arrestare del tutto distrutto; le diligenze che noi facciamo non sò se debbano essere bastevoli e preservarci perché la contrada è quasi da per tutto infetta ... Io non vedo alcuno, ne sò nove alcuna se non che intesi che la Signora con Nino si conservavano bene. In queste miserie ve grandissimo horrore, solo di sentire le morti di tanta gente, ma di vedere la povertà che è indicibile, cadendo le persone morte per le strade di pura fame perchè essendo sospese tutte l'arte quella plebe che provvedeva del loro lavoro resta del tutto destituta e miserabile ... 61 4 giugno 1657, Genova Suor Maria Francesca: Noi siamo qua circondate dalla peste per ogni parte; il male è in grandissimo aumento arrivando il numero fra feriti e morti a 300 il giorno, quel che maggiormente importa è la quantità de’ casi nuovi che si vanno scoprendo onde si va infettando Genova alla gagliarda con poco riparo. Li tre luoghi di Consolatione, di Paverano, di Monasterio delle Turchine verso la lanterna non capiscono più i malati, nel lazzaretto non vi è più sito per rinserrare li sospetti, hanno preso questi Signori il Convento di San Francesco de' Conventuali in strada Nova e il collegio de’ padri Gesuiti nostro confine, ma perché questi non basteranno, se proseguirà tanta mortalità, s’anderanno servendo de quei Conventi de’ religiosi che hanno maggiore larghezza di sito. Nell’assistenza per i malati, si dice esservi poca cura per la mancanza di servitù e chirurgici, onde o che sia la malignità del male o altro ne campano pochissimi, o quasi nessuno. Questi Signori però concorrono con grandissima pietà et — 394 - ognuno assiste al quartiere assegnatole con particolare diligenza, ma dove non opera con questa gente la sferza non si può sperare buon successo. Li Padri Cappuccini, li Scalzi, quelli di San Nicolo’ e quelli della Croce sono alla carica di provvedere all’anima e s’hanno distribuiti tra loro i luoghi, per la città assistono parroci e qualche altri preti secolari essendosi però esibiti altri religiosi regolari di subentrare al bisogno; nelli quartieri e particolarmente nel nostro si incominciano a vedere spettacoli di horrore grande restando li cadaveri insepolti per qualche tempo nelle case, per mancamento di beccamorti; ma quello che anche più da notarsi è che li figlioli ai padri, et i padri ai figlioli, si negano tutti i sensi d'humanità scordandosi del sangue per mantenersi, onde si vedranno l’un l'altro morire senza potersi dare un minimo aiuto, et l'istesso timore ci leva le passioni e chi resta vivo non sente più i morti. Queste sono certe riflessioni che a pensarle di lontano inhorridiscono et a vederle in atto praticho paiono più che ragionevoli et in somma provo che anche la peste che è il morbo più fiero che possa trovarsi può avvezzar tanto l'animi con qualche progresso di tempo a veder miserie che tutto ciò che l’anno passato sentendolo in Napoli ci faceva tremare, adesso esperi-mentandosi in Genova giornalmente, neanche ci muove a meraviglia, ne a sentimento. Da questo concludo et argomento fra me che questi horrori servono poco per rimettere chi non vive bene perché ognuno spera di uscirne franco ancor ché le morti siano tanto violente, ch’uccidono in pochissime hore... Nel monasterio si sta con buona salute, per altro quasi tutta la servitù, come muratori, falegnami et altri sono infetti o morti, la vicinanza è quasi tutta impestata e io non faccio poco a poter mandare le lettere. Intendo che la Signora e Nino se la passano al meglio, non essendo seguiti in Cornigliano più altro se bene in Sampierda-rena grassa bene ... — 395 - LXII 5 giugno 1657, Chiavari Per essere in questa settimana andati tempi cattivissimi per mare et essendo li passi per terra impediti manco di notizie. Questo intoppo accresce molto la tristezza per le cose della città, mentre non sappiamo quello che passa se pur i nostri continuino a star bene. In questo luogo non si lascia di vivere con qualche timore essendo morto una donna per strada mentre la conducevano al lazaretto, poi poich è due giorni avanti s’era ammalata con dolori di testa e vomito che son segni cattivi nella presente congiuntura. Nelli luoghi circonvicini parimenti si vanno sentendo qualche casi, e bene a tutti si vuol dar la sua scusa, questo è il solito che si fa nel principio volendosi credere dell’altro che quello non si vorrebbe. Ad ogni modo le diligenze si fanno come se fosse questo male, et essendo in luoghi ristretti dove facilmente se li da addosso speriamo nella Misericordia di Dio che non ci sarà altro. Se andasse avanti si trovaremmo in peggior stato che nella città, essendosi qua privi d’ogni sorta d’aiuto. Per grazia del Signore, adesso stiamo bene tutti, ma io non senza li miei soliti fastidi dell'hipocondria, che mi travaglia più mentre essendo solito ogn’anno purgarmi, in questo non l'ho fatto non parendomi tempo di stuzzicare nel nido delle vespe . .. Li pepi et li garofani continuano a stare in Portofranco, e sin adesso le cose della sanità a Genova non piglino miglior vento non è da sperare di farne vendita poiché adesso non si fa niente, e tutte le botteghe sono serrate, per quanto scrivono, attendendo ognuno solamente a guardarsi da questa rovina. ... La mia signora hieri ebbe un poco di vomito et giramento di testa, quale per esser restata fiaccha hieri stette in letto, spero che non vi sij altro ... 63 16 giugno 1657, Genova Suor Maria Francesca: Non è poco che mi sia concesso far pervenire a Vostra Signoria questa mia perché le cose vanno — 396 — si male, ch’a pena si trova persona, che ci possa assistere di servitù. Quelli che ci servivano sono quasi tutti morti, e questa settimana il fattore della villa, che stava dentro il rastello et entrava ogni giorno nel monastero per portar legna e airi bisogni, se n'è morto in duoi giorni, con segni evidentissimi di peste a giuditio dei medici. Il rischio che noi corremmo è grandissimo, essendo entrato nel monasterio il giorno antecedente e statovi sino alla sera impiegato nelle solite faccende senza alcun riserbo, onde bisogna riconoscere per una gran misericordia di Dio, il conservarsi tutte insino a quest'hora molto bene; non niego che ci sia stata una grande alteratione et io in particolare l’ho provata grandissimamente ma adesso spero assai d'esserne fuori. Per la città poi è indicibile la confusione in che tutti si trovano, non ci è più nessun recapito nè de’ chirurgici, nè de’ spetiali, nè de' rimedij. Li ammalati non hanno più luogo nei lazzaretti essendo pieni tutti e perché sono necessitati restarsene nelle loro case senza assistenza d’alcuno. Subito che entra la peste s appiccia quasi a tutti, moiono con la maggior miseria del mondo, non trovandosi persona che vogli somministrarle un poco di cibo, anche a gente che hanno qualche facoltà, onde si vedono in una casa tre o quattro ammalati morire di patimento per non potersi fra loro porgere il cibo, che havranno anche poco lontano dal letto, et in questo genere si sentono cose da far raccapricciare di compassione, e nel nostro quartiere se ne vedono giornalmente gli esempij. La povertà è poi tale e tanta da intenerire le viscere, e se bene questi Signori procurano di far comparire la loro pietà nelle elemosine, che dispensano, ciò non basta ad un popolo sfaccendato, è già da tanti mesi consumato dalla fame ... ... Il male è aumentato grandissimo, quasi tutti li quartieri infettil, le diligenze [sono] hormai inutili... moltissime case di gentilhomini sono chiuse per le loro servitù, e da per 1 «... Saranno costì [ a Firenze ] noti i successi di Genova in materia di contagio, che vanno facendo crudele strage in quella città. Si è di più dilatato per tutta la riviera di ponente et s’intende che cominci a farsi sentire anco in quella di levante, a Sestri et alla Spetia... ». 15 giugno 1657, Livorno: ASL, Sanità, serie VII, reg. n. 65, cit.. — 397 — tutto si sentono guai. Il numero dei morti e feriti lo deve avere per altra parte ma la confusione non può pensarla, nè immaginarla ... LXIV 21 giugno 1657, Chiavari ... La mia indispositione dell'hipocondria m’ha travagliato più dell ordinario con fumi et dolori di testa ...Godo di aver incontrato il suo volere nella dispositione dell avanzo, essendo stato molto meglio negotiarlo infra e cavarne qualche proffìtto con lettere buone, che ritirarlo di contanti poiché sarebbe rimasto chiuso, e di più ci darebbe qualche pensiero per la cura di guardarlo, et custodirlo perché sebene stimo San Giorgio sij luogo sicuro, mentre il Pubblico vi invigila grandemente con tenervi buone guardie e di soldati, et in ogni disordine che Dio tolga, sempre sarebbe diffeso dalli particolari interessati... Potevo risolvere, prima della mia partenza per qua di farli mettere in San Giorgio, che lasciarli in casa, in la quale non doveva restare solo che il nostro signor padre, che secondo il suo solito non vuole risolversi; portarli qui meco non hebbi per bene, perché sarebbero stati in luogo da non potere fare cosa alcuna et all’incontro nella città poteva offerirsi occasione di disporli, o mandarli presi; se mi fossi immaginato che il male dovesse colà sormontare al segno che hanno continuato li tangevo in detto luogo come il più sicuro d'ogni altro ... ... Stanto il crescimento del male, non ce stato riscontro alcuno alle tratte, per essere rimasto affatto incagliato tutto il giro ... ... Nella casa dove successero quelli due primi casi, per li quali restò serrato è poi seguita la morte di un altro figliolo di otto anni, è vero che ha fatto disordini di vino et mangiare, molto pregiudiziali alla sua debile età, ma la qualità delle case ove è morto, e la morte celere lo rendono grandemente inditiato di contagio. In altri luoghi delle terre, si gode buona salute onde si spera che il male resti assediato a detto caso. Non si manca di sentire qualche caso nelli luoghi circonvicini, le nuove del stato — 398 — della città Vostra Signoria l'haverà a drittura, ma temo che saranno così funeste come le passate vedendosi che il male proseguiva avanti col solito furore et violenza ... 65 27 giugno 1657, Livorno Magistrato della Sanità ai Consoli di Marsiglia: A.S.L., Sanità, serie VII, reg. n. 613. Copialettere del Magistrato della Sanità, 1656 in 1671: ...Il contagio quale con tanto rigore in Genova avanza e molti luoghi di quelle riviere, essendo nella caduta settimana fra la città e suoi lazzaretti gli estinti ascesi a 2.392 et i feriti pure della città 2.654 ... * Suor Maria Francesca: «... E’ miracolo che io possa ancora scrivere .. . essendo morte tutte quelle persone che havevamo ritirato dentro i rastelli per porle in serbo, con i quali si contrattava, come del tutto nette e sono i lavoratori della villa, chierico, cappellano, fattore, tutte le donne et in somma siamo ridotte per necessità a servirsi di persone, che sapevamo per sicurezza essere impestate col bubbone fuori... Quali poi siano le miserie della povera città di Genova è impossibile il ridirlo, il numero dei morti non più si può contare, restano i cadaveri da per tutto insepolti per le strade, non trovandosi chi li possa dar sepoltura, non si amministra altro sacramento che della confessione « dimidiata », non portandosi il Santissimo che a pochi, non ci sono più medici, né chirurghi, non spetiali, non sacerdoti, non beccamorti. Nelle strade pubbliche si trovano monti di cadaveri, anche pascolo dell’istessi porci, moiono le case intiere in un giorno o due al più, con tanta miseria che ognuno ha per felicità l’essere il primo, per non vedere quell’horrore di restare in compagna di tanti morti, senza haver chi lo soverga... Questa mattina hanno tratto di galera una mano di schiavi, che facino 1 officio de beccamorti ... In somma il tutto va in ruina, con horrore si grande da raccapricciare ... la moltiplicità di tanti travagli instupidisce i sensi, e non si sente quella afflitione che merita uno [spettacolo] di tante miserie — ». 25 giugno 1657, Genova. 66 30 giugno 1657, Genova Suor Maria Francesca: ...La strage e le ruvine della misera nostra città sono sì deplorabili, che non può trovarsi similitudine che le esprima essendosi ridotto il numero fra morti e feriti a 1.200 e più ogni giorno già di tanti giorni, onde non si — 399 — vede altro per le strade, che monti altissimi di cadaveri insepolti, non essendovi nè chi li seppellisce, nè chi habbi pensiero perché la peste s’incivilisce tanto che rende timida la nobiltà; essendo mancati quasi tutti quelli, che somministravano i Sacramenti e riducendosi il Popolo ad una estrema miseria di povertà ... ... Sono già più di 15 giorni, che non si chiudono più le case, tutti gli impestati passeggiano e vannosi a comprar da vivere, et è di necessità, che impestino li altri; non ci sono più spetiali, i chirurgici e i medici in gran parte morti, non ce chi assiste per commissario, la nobiltà è tutta sugelata in casa, la maggior parte per esservi seguiti casi; è morto Antonio Mulesana ha lasciato un buon legato per l'armamento, et altri a opere pie, il restante fra i nepoti figli delle sorelle; la peste si diffonde in ogni sorte di persone, è entrata nel monasterio di San-t'Andrea ... ... E’ morta la nostra servitù, ma siamo senza provvigioni in casa, né si sa dove ricorrere, tutti li redditi del monasterio che dipendono dall’affìtti delle case, che importeranno il valsente di 15.000 lire si perdono tutti, non essendovi più nessuna delle nostre case che non sij impestate, et in tutto il borgo di Pré non si vede più creature ... La Signora spero che stj bene, perché in Cornigliano il male stava assai mite ... 67 7 luglio 1657, Genova Prete Giovanni Francesco Ravara: Li morti non si possono sapere, nelle fosse di Carbonara se ne seppelliscono mille il giorno, e pure le strade sono seminate di cadaveri, ne sono stati sepolti gran quantità in diverse chiese e particolarmente 2.000 nel pozzo di San Salvatore in Campo Pisano. Crescono li morti e moiono l’operarij che si liberano dal carcere e dalle galere per tale effetto. Per la città poi si vedono passeggiare sani e sospetti e infetti indifferentemente se non che una gran parte portano in mano una bacchetta; gran numero d’infetti ne vanno senza, si che si vedono quasi improvvisamente cader morti per le strade. — 400 — Ne sono concorsi tanti al lazzaretto della Consolatione, che non bastando neanche le cantine, li portano anco nelle ville e bosco sotto alberi colcati sulli matarazzi e pagliericci alla peggio, altri su la nuda terra, morendo le persone senza sussidio d’un poco d’acqua, onde in quattro giorni ve ne sono morti 2.000 et adesso continuano all'istesso modo ... ... Li Ministri pochissimi, li rimedij scarsi, le spese immense, perché quello che si vendeva a soldi, hora, si vende a scudi; tutte le botteghe sono chiuse, mancano i viveri, le carni, pane ordinario ne habbiamo, di bianco se ne scarseggia, tutte le spetiarie sono chiuse et vuote 1 ... ... A Savona cresce il male, si dilata per la Riviera, in Poisevera e Bisagno ne moiono in gran numero ... * Magistrato della Sanità di Livorno a Firenze. ASL, Sanità, cit.: «... S’è inteso .. . che in Genova morivano 500 e più persone al giorno e per difetto e mancanza di becchini molti cadaveri restavano nelle strade insepolti onde per rimediare quei Signori havevano scaricato molte persone e ciurme di galere; che cominciassero a patire nella città rinfreschi e viveri ... ». 6 luglio 1657, Livorno. Bernardo Veneroso: «...Ma rinforzò di modo il male... che i morti crebbero a più di 1.200 al giorno, morsero la maggior parte de' commis-sarij, tutti i luogotenenti, tutti i capistrada... si vedevano per le strade cumuli et montagne di morti, roba infinita gettata dalle finestre et molte pazzamente abbrugiate; per seppellire li morti mancarono nell’istesso tempo tutti li beccamorti, somministrarno cento schiavi volontarij per volta ma questi non erano provvigione che per uno o due giorni, poi ancor essi aumentavano il numero da seppellirsi e siccome prima restava proibito il seppellirsi alcuno in chiesa, il gettarlo in mare o il brugiarlo 1 Un documento del settembre 1656 indica agli inizi della pestilenza la Ripartizione degli spetiari e delle spetiarie della città: « Ferrari, dalle Vigne o alla Spetiaria del Duce; Calsetta a Locolo (Luccoli) o alla Spetiaria del Re; Campione in Carignano o dalla Spetiaria di Varsi; Arena all’Arco od alla Spetiaria di Nicolò Zerega; Rezoagli in Carrùggio dritto od alla Spetiaria di Antonio Rezoagli; Rovere alla porta dell'Arco; Capello nel Caroggio de’ Scrivani o sia da Varsi; Buono in Carignano o sia da Varsi; Cervino alla Maddalena o sia Spetiaria del Magno suo padre; Lavagna in casa del M. Granello a Marassi; Liceti dalli Giustiniani; Bado dai SS. Garibaldi; Begati alla Porta dei Vacca; Pronis da San Torpeto rimpetto a Mortora Speciario; Gibone all’Ospi-tal grande; Cangialanza... ». ASG, Notaio giudiziario Peirano Tommaso, n. part. 25, cit.. -- 401 — 26 ch’ha gratia singolare siccome le strade erano chiuse e barricate si consentì che si aprissero in un medemo tempo per sottrarsi d’un male di rendere tutta la città sepoltura. Poiché furono le calamità e miserie così grandi, mancarono tutti li ministri ed operarij et essendo la nobiltà et li Senatori alle ville, a loro ancora mancò il modo di venire alla città, facchini, né seggettarij non vi erano, li lettigghieri tutti morti et il venire a piedi era un esporsi certamente alla morte come era successo ad alcuni che n’avevano per zelo fatto la prova, si che cessarono tutti li magistrati compreso l’istesso magistrato della Sanità; si trovarono a Palazzo da 4 a 5 Senatori con il Duce a’ quali restò il pensiero di tutti i Magistrati e di tutta la città per il politico, per la sanità, per la guerra, per l’abbondanza e per tutto quello che poteva occorrere, il tutto senza ministri, senza sbirri, senza tragette, tutti morti, senza soldatesche si puoi dire, poiché di 2.000 si ridussero a meno di 500, di modo che appena vi restava l’apparenza della guardia delli posti opportuni... ...Mancando le braccia de’ ministri, a loro conveniva comandare et ubbedire, dare l’ordini et eseguirli... ». s. d., Genova? 68 11 luglio 1657, Milano Michele Imperiale: In Genova vi sono ruine, ne moiono 700 in 800 il giorno e sono talmente appestati di questo morbo, che più non ponno resistere e provvedere al necessario, onde il tutto comincia ad andare in confusione, li cadaveri insepolti sono per le strade, e l’impestati camminano per la città. Il signor Paolo Baciadonne, si è offerto di far levare tutti i cadaveri, è stato fatto commissario generale con piena autorità di castigare, hanno levato 100 galeotti per questo effetto ... ... Non hanno voluto credere alla peste, hanno havuto tempo un anno a potersi difendere, ma essi se ne ridevano in sentir nominare la peste, e il senatore Rodino, con qualche altri dicevano « chi dice che sij peste, è nemico della patria ... ». ... Morendone [ora] 6.000 la settimana ... * Magistrato della Sanità di Livorno cit.: «...S’intende che a Levanto in riviera siano successi alcuni casi di contagio et in Genova morissero 1.000 e più persone il giorno...». 12 luglio 1657, Livorno. — 402 — 69 14 luglio 1657, Genova Prete Giovanni Francesco Ravara: Si dubita assai, che dal miracolo, che si pubblica, ch’habbi fatto la Madonna della Cattedrale, sijno più quelli, che si sono infettati che quelli che si sono risanati, il concorso è stato grande ... . . . L'ammalati moiono in due giorni, li medicinali mancano ogni giorno di più, la confusione per la città è la medema e maggiore di prima e li morti sono da 600 il giorno ... . . . Per li quartieri poi non vi è più ubedienza, né regola, la penuria di viveri cresce ogni giorno di più, nel quartiere del molo non vi sono più che 1.000 persone ... ... Li medici et li chirurghi hanno abbandonato l’ospedale di Pammatone .. . ... Al lazzaretto della Consolatione ne moiono 400 il giorno et n'hanno 4.000 ammalati, è senza rimedio alcuno scarseggiano di pane, le cose son in stato peggiore di quel che scrivo ... . . . A Nervi ne muoiono 12 e più al giorno, a Chiavari è di novo la peste, con lettere delli 18 le cose vanno peggio *. Era arrivata la galera da Marsiglia con 35 persone fra chirurgi, medici et espurgatori; una galera andava a Villafranca a pigliare rinfreschi . . . Niun principe ci ha soccorso, che Francesi, Savoia e Lucca; il Papa ci ha abbandonato affatto, negandoci quelle persone ch’avanzano alla sanità Sua, negandoci sino li beccamorti; li milanesi hanno fatto peggio del Papa. * Suor Maria Francesca: «...Resta la città a discretione di pochi beccamorti patroni d'ogni cosa. Il Senato ha depositato tutta la sua autorità con braccio regio aH’Eccellentissimo Gio. Batta Raggi, acciò lui solo facci seppellire i morti fracidi per le strade di venti giorni; ma temo che il povero Signore ci lascierà la vita non potendosi più resistere alla quantità de’ cadaveri e si stima di già l’aria infetta; esso signor Gio. Batta 1 « .. . Con leudo del golfo viene confermato che in Levanto il contagio si sia scoperto, e che in Lavagna avessero bandito Chiavari per la medesima causa ... ». 18 luglio 1657, Livorno. «... Con leudo di levante s’è inteso che in detto luogo siano morte da 9 persone di contagio ,e che 25 in 30 si trovino in lazzaretto, et a Monterosso e Vemazza luoghi convicini fusse penetrato il contagio ... ». 23 luglio 1657, Livorno: ASL, Sanità, serie VII, reg. n. 613 cit. — 403 — piange dirottamente, vedendosi solo, abbandonato da ognuno; la città, tutta dipendente da lui, lo chiama padre, e li domanda pietà, et esso non può sovvenirla perché la quantità de’ denari non servono a nulla non trovandosi da vivere per qualsivoglia denaro... ». 14 luglio 1657, Genova. Magistrato della Sanità di Livorno, reg. n. 613 cit.: «...La settimana passata [arrivò] la lettera del Consolo Francese che vi risiede, se ben al presente si trova a certa villa, ... avvisa detto Consolo che, per suoi affari fu necessario andar alla città, ove trovò una lagrimevole miseria e per l’al-tre cose dice che i cadaveri erano lasciati per le strade insepolti per lo spatio di 4 o 5 giorni e che non si vedeva camminare quasi persona vivente, che perciò haver egli determinato in avvenire non più approssimarvisi. In oltre avvisa che vi si pativa tutte le cose necessarie al sostentamento humano, eccettuato pane et vino..». 18 luglio 1657, Livorno. 70 21 luglio 1657, Genova Prete Giovanni Francesco Ravara: Gionse domenica la galera che fu spedita di Marsiglia, portò 36 fra chirurghi et profumieri quali sono stati ripartiti fra li quartieri e li lazzaretti... . . . Tutta questa settimana si è fatto un gran abbrugiare di cadaveri; il signor Gio. Batta Raggi in pochi giorni, n'ha fatto levare dalle strade più di 6.000. Hiersera ve n’era ancora 1.500. Nel più bello il signor Raggi è rimasto tocco ... Li morti sono mancati assai perché in maggior numero sono mancate le persone, e molti ne sono usciti e ne saranno morti da 40 in 45.000, oltre il male di peste vi si giunge la penuria grande di viveri nelle piazze. Per haver pane vi bisognano memoriali, grano ve n'è in quantità, manca chi lo macini e chi faci il pane; questa settimana di ordine pubblico sono state aperte a forza molte botteghe de vivandieri, e pizzicaroli. De medicinali la miseria è in grado ottavo, onde se la natura non aiuta lei, chi s'ammala, è spedito ...1 1 In realtà non si conosceva alcun rimedio o preservativo. Si pensi che durante la peste di Milano, la povera gente riteneva medicina efficace: « aglio, ruta, vemeria, perpinella, limoni, agrumi, aceto. Era molto in uso pigliare la mattina un boccone di fichi, ruta et noci pesti, come Galleno comanda per la rapidità et efficacia... ». 19 giugno 1630, Milano (ASM, Sanità parte antica e moderna, busta 278 cit., lettere di Ambrogio Magenta). A Genova, Suor Maria Francesca, invece preferiva: «... un vaso d’acqua fresca alla mattina, dove spremo uno o due limoni e vi metto un poco di zuccaro, mi ricrea il cuore... ». 22 luglio 1657, Genova. — 404 — . . . L’hospitale di Pammatone è infetto senza medici, né chirurgi e confessori . . . . . . [Nei monasteri muoiono le monache] ... altre monache si rinchiudono nelle proprie camere in quarantena ... * Suor Maria Francesca: « La città va rovinandosi e distruggendosi, la Nobiltà muore senza numero, tutto il Palazzo Ducale è infettato, l’Archi vescovato brutto, moiono li Senatori, morti quasi tutti li ministri Primi, Secondi et Terzi, non ci è regola più nessuna, si muore di fame senza sperare di sollievo... ». 20 luglio 1657, Genova. 71 29 luglio 1657, Livorno Magistrato della Sanità di Livorno cit.: ... E' giunta la galera capitana Spinola, capitano Marco Doria ... mancano di Barcellona da 13 giorni, hanno toccato Vado, Rapallo e Sestri di Levante senza praticare, è dimorato 7 o 8 ore... Il contagio in Genova andava male, morendone ancora 300 al giorno, si come per le Riviere ... * Prete Giovanni Francesco Ravara: «Mio Signore, il male che si va mitigando in città per diffetto di pascolo insolentisce nelle ville vicine, e particolarmente in Sampierdarena dove in un sol giorno morsero 100. ... La repubblica ha dimandato alli Milanesi 50 beccamorti, con offerta di uno scudo d’argento il giorno per ciascheduno oltre le spese, n'ha riportato la negativa si come non hanno voluto permettere che passino alcuni padri [destinati nei lazzaretti]1, per ultimo hanno negato in parte la estratione di alcune tele per servitio delli lazzaretti... ». 30 luglio 1657, Genova. 72 30 luglio 1657, Genova Suor Maria Francesca: ... In Genova ci pare qualche mitigazione, ma nelle ville abbatte tutto, si contano già de’ morti più 1 II 23 luglio 1657 a Milano era stato ordinato con pubblica grida « che nessun suddito, o abitante nello Stato di Milano possa andare a Genova o altri luoghi di quel Dominio »: ASM, Sanità parte antica e moderna, busta n. 278, sommario cit.. — 405 — de 40.000 e fuori ne’ luoghi intorno molte migliaia, nelle ville incredibile è la strage ... * Suor Maria Francesca: «... Qui in Genova pare che si raddolcisca alquanto venendo molti bubboni senza febbre, e questi la scampano, ma nelle ville è infierita, in Sampierdarena solo si contano già de morti 3.000 anime... Ad Albaro, ha fatto strage grande nella nobiltà... Comincia adesso nelle altre ville, onde molti pensano di venire in Genova, per sicurezza e massime in Sampierdarena... ». 29 luglio 1657, Genova. Prete Giovanni Francesco Ravara: «...La città non pare più quella di prima tanto è desolata... martedì vi fu qui confusione grandissima per un avviso che li francesi avvicinandosi a queste parti fussero già a Voltaggio... Pare che questi Signori per maggior sicurezza habbino accettata una offerta di 2.000 fanti, fatta da Luchesi per riparare i posti abbandonati per la morte delle soldatesche. Per la riviera il male si fa sentire alla gagliarda, da Ponente sono tochi tutti i luoghi sino a Savona, e vi fà gran strage ... In Sampierdarena pare che vi sij in declinatione dopo essersi morti i due terzi delle persone; neila valle del Polcevera fa ruine, a Voltaggio ne seguono delli casi assai, e qualcheduno se ne sente seguire in Nove, e questi due luoghi si sono banditi l’un l'altro. Dalla parte di levante non godono ponto niente miglior fortuna: la valle del Bisagno è infetta affatto, la villa di Bargagli è di novo accesa, in Albaro fiocha e tocha bene nella nobiltà della quale pochi son quelli che campano; sino a Chiavari sono tutti li luoghi tochi, eccetto Rapallo... ». 2 agosto 1657, Genova. 73 7 agosto 1657, Milano Cardinale Raggi: Questi signori della Sanità hora si avedono de gravami che mi hanno fatto si vede che i milanesi sono aversissimi della nostra natione, hanno negato 50 beccamorti, che desiderava la Repubblica con offerta di uno scudo d’argento il giorno per ciascheduno oltre le spese, non hanno voluto permettere che vi passino i padri i quali haverebbero havuto la carità d’andare a servire nelli lazzaretti e per ultimo negano in parte l’estratione di alcune tele per servizio de’ lazzaretti... 1 Da Milano il 24 luglio, il medesimo Cardinale Raggi aveva già scritto: « Dopo 80 giorni di quarantena sono ancora ristretto per mero capriccio.... è miracolo che vivo dopo una serie di grandi disgusti... ». 74 10 agosto 1657, Genova Suor Maria Francesca: In Santa Brigida non più successo alcun caso, nell'ultima che l’accennai alle Converse, siamo qui alla volontà di Dio. Nella città le cose mi paiono mitigate assai, ma nelle ville fa strage grande, a Sampierdarena comincia nella nobiltà ... . . . La signora è a letto con un carbone, ma il bambino ne spera bene ... il barbiere per curarla ha avuto in animo di domandare 150 doppie, ma queste non sono le stravaganze che si sentono in questi tempi perchè ce ne sono delle maggiori... * Nicolò Spinola quondam Antonio: «...Le cose qui [a Corniglianol come alla città sono in gran declinatione...». 11 agosto 1657, Cornigliano. Cardinale Raggi: « In tre mesi di dimora in questo Stato, non ho havuto una hora e più di quiete, e questi milanesi inimici del nome de genovesi hanno sfogato la loro mala inclinatione contro il pubblico e contro il privato. Giovanni Antonio mio nipote, dopo esere stato 12 giorni in una casa fuori Ottaggio, si è trasferito in una cassina fuori Nove, dove se viverà terminerà la quarantena. Il signor Gio. Francesco Maria Balbi lo volse in Ottaggio 1 et hora lo ha voluto in Nove. Se il signor Gio. Batta Raggi avesse atteso i miei consigli non precipitava, vuolse accettare il peso che 20 commissarij de primarij non haveano voluto sostenere... Il male in Genova è quasi estinto, nelle ville fa strage...». 15 agosto 1657, Milano. LXXV 16 agosto 1657, Chiavari Hoggi ho ricevuto sue carissime, non mi meraviglio per la sollecitudine et preoccupazione in che si trova per le mie miserie sapendo benissimo il suo grande affetto, noi ci consoliamo sapendola lontana dal contagio. Essendo più certo il morire che il i Anche Voltaggio non era più sicuro. Da Livorno il 15 ed il 17 agosto si scriveva: «... continuano sempre peggio li avvisi di Genova e suo dominio, havendo anche passato l’Alpi e penetrato sino ad Ottaggio il contagio. Onde si può temere si habbia tra breve da sentire nell’esercito francese... Si conferma che nelle ville della valle d’Oneglia fusse penetrato il contagio e mortovi 10 persone . . . »: ASL, Sanità, serie VII, reg. n. 613, cit.. — 407 — vivere, come è seguito di quelli nostri in Genova, li quali uno dopo l’altro se ne sono andati a godere la Gloria del Paradiso, solo vi è rimasto il servitore del signor Pier Francesco, che sij in cielo, quale adesso sta bene et essendo passato molto tempo stimo sij sicuro. Qua nella casa, dove venne a morire il signor Vincenzo, hieri morse un garzonetto che l’ha seguito nel viaggio, vi resta un altro senatore, che stava in casa, et che l’ha assistito in quelle poche 4 ore, che stette a morire. Corre un gran risico, nostro Signore che può lo liberi per Sua pietà, egli lo merita poiché è da tenersi conto havendo mostrato grande affetto in esporsi così a certo pericolo . . . Il Pier Francesco, che sij in cielo, si fermò in mandare li reali a Livorno 1 per le nuove della morte de’ marinai, fu cosa di fondamento essendo morti quasi tutti in breve tempo ... ... La fiera de’ Santi, parmi impossibile poterla fare adesso per la grande mortalità seguita da quelli che han negotij in essa, convenendo da tempo che si pensino adgiustare le cose, senza le quali si darebbe cima a grande confusione. ... Le cose della città andavano meglio, come viene affermato da tutti, e si deve sperare nella Divina Misericordia, con tutto ciò morendo ancora 15 in 20 persone al giorno in 15.000 persone che vi sono rimaste non manca essere numero di consideratione, convenendo dar altro prova a questo miglioramento del quale non mi pare ci possiamo ancora fidare. Le diedi notizia, colla passata, della malattia di Santa Paola Teresa mia, sino all’ultimo si ha tenuto speranze, massime che pareva si fosse alquanto sollevata, ma fu il solito miglioramento di questi tempi poiché havendo spuntato fuori un altro bubone peggiorò a tal sorta che alli 8 corrente ad un'hora di notte della sera rese l’anima al Signore. Ha avuto ogni possibile agiuto così corporale come spirituale, ma Dio Santissimo ha voluto privarmene, e pigliarsela in Paradiso. 1 Le monete d’oro, d’argento, le perle (sfilate) e le gioie, in base a disposizioni precise di Firenze, del 9 giugno 1657, potevano ancora essere inviate da Genova a Livorno. Dovevano però essere depositate su scogli « deputati » al largo, fuori del porto, dentro un barile di aceto: ASL, Sanità, serie VII, reg. 65, cit.. — 408 — . Adesso non ci resta alcuno fuori che noi, nostro Signore disponga quello che ha da essere ... Il male in questo luogo continua a farsi sentire. Si sperava che i Serenissimi Signori dovessero provvedere di Commissario pari al bisogno, ma sotto il pretesto di non voler agravare di spese la comunità, hanno con grande disgusto di tutti confermato il presente, al quale di più hanno conferito l'autorità di Commissario Generale. Questo pover huomo non havendo capacità per questa faccenda, quanto maggior autorità li vien data tanto più si trova confuso non sapendo dove volgersi, onde lasciandosi agirare dalli deputati della Sanità del luogo con una perniciosità fondamentale che debbono haver zelo della loro terra, il resto va in disordine non guardando questa gente per ogni minimo interesse mettersi in perditione *. Son quasi perplesso di quello debba risolvermi. Non è possibile andare in altri luoghi delle Riviere, perchè non vogliono ricevere a conditione alcuna. Il dubbio sta se sij meglio ritornare alla città, in la quale habbiamo una casa netta, e li letti e biancherie se li portassimo di qua. Ho scritto al signor Giuseppe che mi dij il suo parere rispondendo, per poter risolvere, dubitando che detta città possa bandirci, e che poi non siamo più a tempo. * Suor Maria Francesca: «... In Genova va meglio assai, et non va tanto dilatandosi... Nella città sono pochissime persone, sono gran parte le case abbandonate, et vi è chi dice che non siano più di 10.000 in 12.000 habitanti...». 12 agosto 1657, Genova. 76 18 agosto 1657, Genova Suor Maria Francesca: Continua il male nella sua declinatione nella città sentendosi risanare molti, se bene questa setti- i « Nel 1656 fino al 1657 nel mese di maggio v’era Capitano e Commissario Generale di Sanità il signor Carlo Spinola, per cui buon governo si liberò totalmente Chiavari dal contagio la prima volta. Successero poi a lui nella carica e può anche dirsi nel valore e provvidenza i signori Girolamo De Franchi e Gio. Maria Spinola »: Antero M. di S. Bonaventura cit., p. 368. — 409 — mana nel fosso di Carbonara se ne sono seppelliti 20 e più ogni giorno. Nei lazzaretti risanano la maggior parte, et in quello del-l’ospitaletto non ricevono più alcuno volendolo levare domani ne manderanno più di 100 a fare la quarantena alle case loro, dove saranno serrati e provvisti del necessario . .. ... A Sampierdarena il male è in declinatione perchè non vi sono più persone, ne sono morte tre quarti e questa settimana ne sono morti più di 30 il giorno. A Cornigliano, Pegli, Sestri et Voltri si fa sentir bene. Per la valle del Poisevera continua, ma più alle Bastine, quella di Bisagno si spianta affatto e per la Riviera del levante sino a Chiavari, non è altro luogo sano, che Rapallo. * Prete Giovanni Francesco Ravara: « Continuano per la città le cose in migliorare sentendosi alla giornata più pochi morti, oltre che le malattie sono più longhe del passato e molti ne risanano... In tanto sì spurgano alla gagliarda le case e le strade sono affatto nette... ». 19 agosto 1657, Genova. 77 20 agosto 1657, Genova Prete Giovanni Francesco Ravara: Nella città il male cessa a segno, che non ne muoiono uno o due al giorno, et alle volte passano due giorni senza che ne muoia, e ben vero che in Genova non vi sono che 9.000 donne et 5.000 huomini di 100.000 che erano e più, ne sono però fuori assai, ma sono in luoghi dove vi è adesso la peste come per le Riviere et faccio conto che nella città non vi sono 1.000 persone, che non habbino avuto il male. Vostra Signoria consideri la deplorabile et misera patria. Non hanno denari che beccamorti e baroni infami, e questi si sono risanati, sono divenuti demonji, massime le donne senza vergogna . ..' ... Non vederemo più Genova, se campassimo 100 anni, se il mondo ci stimava superbi è moltiplicata la nostra superbia; come 1 ... [Nel pieno della pestilenza] ... « si canta, si suona, si salta, si fanno gli amori, ne mai si vidde Genova tanto sfacciata, dissoluta et licentiosa ... »: Antero M. di S. Bonaventura cit., p. 123. — 410 — si ripopolerà mai la città, come faranno a vivere tanti monasterji che hanno fundato tutto il loro in stabili, tutta l'arte estinta come frutteranno le gabelle . . . I Tribunali cominciano ad amministrar giustitia, e si sono fatti archibugiare alcuni di questi beccamorti ladri et assassini, le botteghe si riaprono e di mano in mano, a Dio piacendo, si riordinerà la città. La Dataria di Roma e la Zecca di Venetia ingrassano alle nostre spese; saranno vacati a favor loro scuti 200.000. LXXVIII 23 agosto 1657, Chiavari ... Il Serenissimo Senato havendo considerato li disordini cui sarebbero in la fera d'agosto causati dalla confusione grandissima delle cose ha havuto per bene fare trasporto di essa sino in quella dei Santi con interesse de uno per cento, e termine di tutto il presente mese a chi volesse pagare. Credo che questi saranno pochi non avendovi adesso alcun considerazione che quella di salvare la vita . . . . . .Io sono più intrigato qua che mai restandomi solo, oltre che tirando avanti qui il male se ben procureremo haversi quel maggior riguardo sarà possibile non lascio di correre gran pericolo mentre sono della medesima parte di tanti altri, che sono restati ... . . . Generalmente tutti scrivono che le cose della città piglino miglioramento perchè li morti oltre li lazzareti non eccedono 5 in 6 al giorno. Io però non mi fido ancora perchè il manco di fuoco nasce da mancamento di legna che sono consumate, la verità è che il male è ancora violento, sbrigando in breve tempo, com’è seguito del signor Gio. Batta Balbi, l’ho sentito assai perchè era un amico da farne capitale. Scrivono che oltre la peste si scoprivano delle malattie d’altra sorte, il che però è buon segno, ma non sicuro. Nella città si calcola che sijno rimasti 13.000 persone senza le monache, frati et soldati, due terze parti sono donne, il resto homini, li più hanno havuto il male e sono risanati, nostro Signore si degni di por fine a tanta strage e salvare queste poche reliquie. t A Chiavari, il male ogni giorno piglia maggior possesso, anche nella gente buona; nel convento che hanno qua li P.P. Roccesanti ve ne sono già morti quattro, l'altri in gran pericolo ... ... Il Gio. Andrea Spinola quondam L. dopo esserli morti in casa tutti li servitori da Sestri Ponente se n’era andato a Busalla, luogo del signor Carlo Doria, portando seco solamente la moglie et il figlio, sin adesso per li avvisi che si hanno sta con salute ... 79 25 agosto 1657, Genova Prete Giovanni Francesco Ravara: Si mostra sempre più il male in declinatione et in questa settimana vi sono stati giorni, che nella città non habbiamo havuto morti di sospetto. Li lazzaretti sono ridotti a tre: quello di Consolatione, Paverano et il lazzaretto della Foce; in quello della Chiappella et Hospitaletto non ricevono più alcuno, ma quello che habbiamo di meglio è che molti risanano ... ... Dicono che vi sij da 12 in 13.000 persone due terzi donne, e che non habbino havuto il male non arrivano a 3.000. In Sampierdarena è quasi estinto, per la valle del Polcevera pare il male sij in declinatione, moltiplicano i casi in Chiavari. Per la Riviera di Ponente non si stà male fuorché a Savona, in Bisagno si spianta la valle, e qualche luogo è quasi estinto. Per la Riviera di Levante il male è sino a Levanto ... ...Avanti che entrasse la peste, la città faceva 123.000 anime, molte migliaia ne uscirno, et restò in 80.000 si vede la strage ch'ha fatto ... ... Qui alla città si batte continuamente tamburo per fare soldati da riempire le compagnie e mettere le guardie alle porte delle nove mura ... Gli homini morti nobili saranno in circa 210, le dame 60 in circa ... * Magistrato della Sanità di Firenze a Livorno. (ASL, Sanità, sez. VII, reg. n. 65, Lettere di Sanità del Governo, 1656 in 1659): «...Il contagio ormai infiacchito nella sua strage dopo... aver ridotto ... della metà di questi popoli... si è ridotta la mortalità nella città a 25 in 30 per giorno ... Hanno quei Signori con grande accuratezza fatto purgar — 412 — la città et non solo de’ cadaveri, ma d’ogni sorta di bruttezza che ha concorso il cielo con abbondanza di acqua per più giorni... Il Commissario Generale Raggi, ha esercitato con piena lode la sua carica et per pubblico benefitio, ha sacrificato la vita come doi altri senatori Garbarico et Sopranis, sono rimasti colpiti et morti come diversi altri privati gen-tilhomini ... Le pubbliche milizie rimangono totalmente snervate con la perdita sopra 3000 di migliori offitiali et soldati... Nelle Riviere sono totalmente desolati diversi luoghi... [soffrono] di presente le stragi a 100 persone il giorno ... segue gran mortalità in altri luoghi dalle parti di Ponente... lo grosso Capitanato di questo stato si trova tumultuoso ... et in . . . 23 villaggi di quella jurisdizione per alcune esecutioni fatte praticare dal Capitano contro alcuni villani questi hanno trucidato li Ministri e farebbero l’istesso a quanti di levante capitassero nelle loro ville, a che procura il Governo il rimedio deila dolcezza non potendo adoprare la forza, essendo quei villani assai feroci. Per provvedere alli importanti interessi de' commestibili ha fatto il Pubblico separare con rastelli li ponti della città ove puonno capitare con ogni riguardo quelli delle Riviere come quelli di Corsica et di Provenza portando ogni sorta di provisioni allettati dalle esenzioni delle gabelle... Un solo disordine notabile continua per la città a cui per anco non è posto rimedio et è che li lazzaretti sono aperti, vanno et ritornano le persone a piacimento loro, si vestono di spoglie d’infetti, importano suppellettili appestate di che vi sono monti ben grandi, et in cotal guisa si va nutrendo et conservando il contagio...». 24-27 (?) agosto 1657, Firenze. LXXX 30 agosto 1657, Chiavari . . . Atteso la gran confusione delle cose alla città tutto è restato in abbandono e senza regola .. . . . . Noi ci troviamo qua in una altra peste tanto più fiera quanto più deboli sono li ripari da difendersi... Qui il male ogni giorno avanza terreno, adesso ci saranno da 6 in 8 denontie al giorno numero considerabile in luogo di 4.000 persone, ma molto più per la qualità del morbo causando sempre horribili spettacoli massimo quando non trova ostacolo ... Le cose della città scrivono meglio però si sentono sempre casi nuovi, Nicolò Scaglia Senatore è con buboni, vi restano solamente 12.000 persone, la maggior parte ha havuto il male ... * Suor Maria Francesca : « Qui le cose che sembravano migliorare sono di nuovo in dispositione cattive... Nella città cominciano a ripul- — 413 — lulare li casi novi... si è protestato avanti al Duce et al Senato d'una totale ruina se non si provvede subito, con una rigorosissima quarantena ... Ma chi potrà mai consumare le robbe di tanti impestati, che già havendo havuto il male si paiono in sicuro di poterle maneggiare, né se ne vogliono spossessare? Il signor Gio. Batta Raggi non ha patito nessun danno nella robba perché il signor Luca Maria Invrea, et il prete di casa hanno salvato quasi tutto, li argenti e gioie sono qui nel nostro monasterio, li mobili buoni et ricchi erano già rinserrati col bollo della Sanità onde non patiranno giallura...1 Se nella città cominciano a ripullulare i casi novi, nelle ville prosegue una strage fierissima... Chi può descrivere il numero delle persone morte del secondo ordine? Di questa sorte di mercanti et artigiani grossi che erano il sustentamento della città, ne son rimasti pochi...». 28 agosto 1657, Genova. Prete Giovanni Francesco Ravara: « Non è tanto in declinatione il male, eh ogni giorno non seguino molti casi... il male si teme grandemente perciò si affretta a sbrigare la città, e di già si è dato ordine che hanno il male fuori, pena la vita, non debbano uscir di casa; nella città niuno che habita di fuori vi può dormire e quanto prima si chiude del tutto... A Sampierdarena vi fà più poca strage... Il luogo di Sestri si spianta affatto; nella Polcevera la strage è maggiore et all’Altura come anche nel Bisagno; sono morti più di 170 nobili... Mancano 70 notarij ... Mancano le migliara di mercanti, di artisti che mantenevano il traffico per ogni parte del mondo, tenevano i piedi l’arte della setta, della lana, la fabbrica delle fettuccie, delle calzette di seta, la fabbrica de’ lavori bianchi come merletti, ecc.... ». 1 settembre 1657, Genova. LXXXI 6 settembre 1657, Livorno ... Havendomi il Magistrato di Sanità elletto per commissario di essa nel luogo di Lavagna con ordine di trasferimento subito perché non mi stava di accettare in questi tempi simili imbarazzati fui domenica al Ponte Reale affine di essere scusato poiché non che altri difficilmente possa supplire a guardare me stesso et il luogo di Lavagna non manca di qualche pensiero essendovi non è molto seguito delli casi, e si teme si faccino 1 Era fatto obbligo di sottoporre le case, la mobilia e gli indumenti appartenenti a persone morte di contagio alla « profumatura ». Questa operazione consisteva nel riempire le stanze, i mobili ed i vestiti di vapori ottenuti dalla combustione di sostanze aromatiche quali l'incenso, la mirra, il vetriolo, la colofonia, l’arsenico, ecc.: ASG, Magistrato della Sanità, filza 171 cit.. — 414 — di nuovo sentire sopratutto perché è tanto congiunto a Chiavari, dove il male sarà un gran miracolo si salvi. Ad ogni modo quelli Signori non hanno voluto accettare le mie scuse et bisognerà obbedire . . . ... A Genova mi riuscì di pigliare a San Giorgio, li reali 100.000 che vi erano, onde feci risolutione di portarli assieme con l'altri havevo in Chiavari, a Livorno, e per mia quiete non sapendosi adesso di chi fidare accompagnarli con la mia persona e così ho seguito . .. ... Il male in Genova è piuttosto in declinatione più per mancamento di gente, che per perdimento di forze, mentre di 4.000 persone che vi sono rimaste sino adesso intatte, essendo le altre 8.000 guarite, ne muoiono 5 in 6 al giorno, et 5 in 20 sono li feriti, numero considerabile rispetto alla poca quantità, et alla qualità di esse, mentre sono di quelli che sempre hanno havuto riguardo. In Sampierdarena l'hanno passata nella medesima forma, ma a Sestri Ponente continua la strage morendo 100 al giorno. In essi vi è Gio. Batta Lomellino di Francesco M. quondam Filippo e due sue sorelle stanno morte, Nicola Spinola figlio di Gio. Francesco Spinola il Bozzolo, che era nel Magistrato dell'Armamento parimenti stava ferito con poche speranze di vita. In Genova li monasteri delle monache andavano sentendo la mala influenza, essendo entrato nuovamente in San Leonardo e alle Turchine semplici, monasteri di Pavia, Pila, San Niche-roso, et altri che erano già tocchi. A Chiavari le cose vanno nella stessa maniera cioè male ... * Prete Giovanni Francesco Ravara : «Non cessa ancora del tutto il male nella cità sentendosi ogni giorno molti casi, e fra questi 4 o 5 casi nuovi... Al lazzaretto della Consolatione vanno da 15 e 20 persone della città e due terzi se ne muoiono... Questi che hanno havuto il male si stimano immortali, non si fa altro che matrimoni, dietro i quali seguono disordini, che li portano alla sepoltura... Per il regno non si rimette il male dalla malignità sua. Per la Riviera di levante più che in ogni altro luogo si fà sentire a Recco, in quella di ponente fa strage a Pegli. In Sestri da due giorni in qua il male si mostra in declinatione fra il luogo e suo territorio a quest’hora sono morte 6.000 persone. A Sampierdarena si sente più poco male, nel registro fatto si sono trovate ancora 1.000 persone del luogo ne sono morte 3.200 ». 8 settembre 1657, Genova. — 415 — LXXXII 14 settembre 1657, Chiavari Di Livorno, dove mi transferij con la feluca per portarli i nostri reali, il Signore mi concesse tanto intervallo di buon tempo, che essendomi partito alle 8 alle 20 mi trovai qua ... Ritornato qua ho trovato che a Genova è stata ammessa la mia scusa del Commissariato della Sanità di Lavagna, havendo eletto il mio luogo, il signor Antonio Pessano, che l’ha desiderato havendo in quelle terre la moglie; io ne ho havuto gusto molto, havendo da fare assai ad attendere alli nostri interessi et a governare me stesso ... ... Qua le cose continuano ad andar male sentendosi ogni giorno casi nuovi, et li ripari continuano sempre più deboli. Il D. Paolo Francesco Doria ch’a acconsentito a Sampierda-rena le case del Marchese Serra suo nipote, la quale è netta, noi saressimo disposti d’andarvi, perché s’avvicinaressimo più alla città, e quando al luogo v’è poca differenza dall’un all’altro, essendo ambi brutti con questa differenza che colà sempre ci sarà miglior ordine, e quelli Signori vi accudiranno con più premure, solo ne da' fastidi il modo di portarvi li mobili di qua, che dovendosi servire di questi vascelli, si potrebbe dare il caso che fossero sospetti, e non è bene mettersi a questo cimento, onde non ci resta altro da fare che rimetterci alla Misericordia del Signore ... 83 15 settembre 1657, Multedo Prete Giovanni Francesco Ravara: Mostrandosi il male contagioso ogni giorno più in declinatione particolarmente nella città nella quale in questa settimana li morti sono stati uno o due il giorno, et una sola volta tre, et le denuntie in egual numero, ancorché vi sij qualche caso nuovo. Questi Signori del Magistrato sopra la Sanità hanno pro- — 416 — posto a Collegi che per sradicare da per tutto il male sarebbe espediente il serrare la città e fare quarantena ...1 ... In questi luoghi [lazzaretti] si sono fatte mille porcherie, et strepi violenti, particolarmente dopo che vi andorno beccamorti estratti dalle galere, molti de’ quali sono stati condannati in galera in vita, uno in particolare doppo haver defflorato a forza una zitella figlia d'un orefice. I parenti per riparare l'infamia l’hanno data per moglie con dote di lire 36.000 di contanti. Per la Riviera pare che il male sij in declinatione, a San Siro di Stroppa è la maggior furia, gran strage ha fatto per il Bisa-gno; per la Polcevera le cose vanno assai bene; non così a Voltaggio, et a Gavi si è mandata una compagnia di soldati per esser morti quelli del castello; qui nella villa di Multedo, ceteris pari-bus, stiamo peggio di tutti; ogni giorno qualche caso e ne sono morti assai . . . In Albaro va seguendo sempre qualche caso in persona buona... * Suor Maria Francesca: « Habbiamo il male negli stessi termini e voglino che sij in declinatione ... Sono quasi tutte chiuse le porte per levare l’occasione a quei di fuori di rientrare, si stà col pensiero di far quarantena ... ». 15 settembre 1657, Genova. LXXXIV 19 settembre 1657, Chiavari ... Le tribolationi, qua ci appressano più che mai secondo che il male va facendo progressi essendo in questa settimana entrato nel cuore di questo Capitanato di Chiavari, et un altro nell'istesso luogo, onde si sta con grandissima paura, e noi che siam pelati dall’acqua calda ne habbiamo la nostra parte massime che in una casa contigua vi sono già successi due casi; si 1 II provvedimento veniva segnalato anche a Livorno da Marcantonio Parodi, padrone della feluca Santa Rosalia: «...A Genova si fussero messi in quarantena et che havevano proibito a quelle persone che si ritrovavano fuori della città il ritornarvi fin tanto non fussi mutato l’aria, stanti tutti quelli vi son ritornati sono morti ... ». 21 settembre 1657, Livorno: ASL, Sanità, serie VII, reg. 613 cit.. — 417 — 27 fanno quelle diligenze che si può fare, li servitori stanno quasi sempre in casa havendo una persona per fuori che ne provvede il mangiare, ma se Dio Santissimo non ci aiuta dubito che poco ci gioveranno le diligenze humane ... ... Le cose della città vanno meglio, ma sempre con qualche caso ogni giorno, è morto Federico Invrea figlio dell’Eccellen-tissimo Antonio, Procuratore della Camera, stato avaro di mettersi in quarantena alfine di purgarsi affatto dal morbo. Nel castello di Gavi eran morti quasi tutti... e v’hanno mandati altri soldati... * Prete Giovanni Francesco Ravara: «Ogni giorno si sente nelle de-nuntie qualche caso nuovo, si spurga fortemente la città et ogni giorno in Bisagno et altri luoghi si abbrugiano robe assai... la quarantena si stima sicura, già si fabbricano li rastelli e questi Serenissimi hanno mandato per tutto il dominio [una grida] che chi vuol venire alla città, col consenso del Magistrato della Sanità, lo possi fare purché si possa mantenere da sé. Per le Riviere il male continua pigliar forza in Pegli... si stende verso la Lombardia e negli altri luoghi infetti della Riviera di ponente; la Polcevera è quella che dopo una buona scossa ne stij meglio; il Bisagno poi si spianta e se la natura non fa da sé rimedi non ve ne sono... Per la Riviera di levante sino a Levanto, dove seguono molti casi, escluso Rapallo, che si conserva, in tutti i luoghi è qualche cosa. A Chiavari seguono 3 o 4 casi novi il giorno in tutto il dominio mancano più di 110.000 persone e il male si fa sentire alle montagne». 22 settembre 1657, Genova. 85 22 settembre 1657, Genova Prete Giovanni Francesco Ravara: Sono due giorni che non è seguito caso alcuno, vi è risolutione di dar principio alla quarantena ... ... Chi cammina per la città trova quasi tutte le botteghe chiuse, e non vi è pericolo di pigliare urtoni. Il male è in grande declinatione da per tutto ... ... Si sono giontati i due consigli in numero di 107, tutti si sono rallegrati di vedersi l’un l’altro in sì gran numero ... * Luca Assarino: «...Il contagio è scemato a segno che non si è questa settimana udito da un giorno se non una denuntia et un morto et al più in altri giorni tre denuntie et un morto; si sono fatti i disegni per — 418 — i rastelli, che si vogliono mettere alle porte della città che doveranno restare aperte nella quarantena a fine di poter introdurre per esse le necessarie vettovaglie et i quotidiani rinfreschi et si è prorogato con gride il tempo a tutto il 4 ottobre a chi con le debite cautelle vorrà entrare nella città, ma non ostante tutte queste cose, alcuni hanno opinione che la quarantena non si farà; va dilatandosi il contagio nella Riviera di ponente, et benché Savona si trovino più pochi habitanti domenica passata seguirono 22 casi et molto più se ne temevano per l’avvenire ... ». 25 settembre 1657, Genova. 86 25 settembre 1657, Genova Prete Giovanni Francesco Ravara: In questa settimana li morti della città sono stati 8 un poco più le denuntie, ma quel che preme è il sentirsi fra questi qualche casi novi et in questo lazzaretto di Consolatione ne muoiono 4 o 5 il giorno; si comincia a trafficare e frequentare Banchi, il spurgo della città si tira avanti fortemente, molte chiese si sono aperte ... ... Si fanno grandi diligenze per incamerare li beni restati senza eredi.. . ... In Voltri cresce il male, a Savona si mantiene, da che v'è la peste vi sono morte più di 600 persone; si fanno grandi diligenze . . . un caso che si sente in una casa murano subito le porte con mattoni... ... A Sestri di Ponente continua il male, il luogo faceva 6.000 anime ne sono morte 4.500 e più e il peggio è che di queste rimanenti la maggior parte sono sospette ... ... A Sampierdarena sono molti giorni che non è seguito caso alcuno, pochi in detto luogo sono rimasti intatti ne sono però risanati molti, ne sono morti i tre quarti, erano quasi 5.000 . . . . .. Nella Polcevera il male si mostra in declinatione si fa però sentire in Riparolo di sopra, quel di sotto è spiantato... ... Il Bisagno poi si spianta affatto, in molti luoghi ne sono morti quattro quinti et si stende di novo per la Pieve di Bargagli; per la Riviera di Levante si dilata sempre più. Quarto e Quinto sono spopolati, a Nervi continua il male, in Recco mancano già 450 persone, nei luoghi fra mezzo il male, Rapallo si — 419 — conserva; in Chiavari et ville convincine si dilata a furia. Sono intaccate San Colombano, gran parte di Fontanabuona, Vardi, Strula, quasi tutta Monte Moggio, Forca sopra la Croce, Borzo-nasca, Levaggi ... LXXXVII 29 settembre 1657, Sampierdarena Havendo veduto che il male di Chiavari faceva ogn'ora progresso, poiché ne moriva 6 in 8 al giorno con apparenza di maggior strage habbimo per bene di applicare al momento di levarsene, e poiché non ci potè riuscire d’andare in altro luogo che fosse netto, per le grandi oppositioni che furono da per tutto risolvemmo finalmente che male per male era meglio transferirsi qui in Sampierdarena, così anche consigliati da certi amici, parendo che il male havendo fatto il suo corso adesso probabilmente sarà in declinatione, e che vi saranno sempre più buoni rimedij, qui che colà onde fecimo risolutione come seguito hieri sera stante. Confesso però la verità a Vostra Signoria che gionto mi si è sminuito assai l’animo ch’ebbi in detta risolutione per haver veduto con hocchi proprij la gran desolatione di questi luoghi, e che veramente la declinazione del male nasce piuttosto da mancamento di gente da morire che vero miglioramento. In Genova seguono ogni giorno due in tre casi, che sono considerabili per il numero delle persone intatte, io sono rimasto pubblicato volendomi mettere in quarantena, ma si stima saran discorsi, se non fanno meglio di così dubito che n’haveranno per un pezzo, qui hieri vi furono tre casi, hoggi nessuno, ma non vi è quasi più gente perché vi saranno morte 4.000 persone in circa; a Sestri di Ponente ha fatto gran strage. LXXXVIII 6 ottobre 1657, Sampierdarena ... Adesso per così dire, qua non vi resta chi rappresenti la nostra casa ... — 420 — Fra tanto non vorrei che si lasciasse scapare di strada nuova, la quale essendo adesso discapito a tutti li stabili havere a prezzo conveniente, e potrà seguire con non molto suo sborso, come già ho accennato ... Questo clima non è ancora sano delle disgrafie della nostra casa, perché appena arrivato ho cominciato ad avere la mia parte. Il Commerchiaro di Chiavari ha scritto al Magistrato della Sanità esservi qualche sospetto nelle nostre robbe, perché essendovi colà ammalate due persone di contagio, luna con l’altra han detto di non sapere come se lo possino haver preso solo havendo toccato la nostra robba, et perciò il Magistrato mi ha ordinato di stare in quarantena. Ciò mi darebbe poco fastidio, anzi lo piglierei in buona parte, essendo per altro sicuro esser vanità, quello viene scritto da Chiavari, quel che più mi affligge e che subito arrivato m’hanno eletto per commissario di quartiere nella città sotto pena di scuti 500 in oro, e sospensione dalli Magistrati per 10 anni. Non so’ come vogliono esser serviti, mentre non ho casa d'andare, perché la nostra è tutta infetta, come ognuno sà, et habitarvi subito di profumata non lascia di esser pericoloso. Se vi fosse solo la pena delli magistrati poco me ne curerei, li 500 scuti mi danno pensiero perché li esigono con ogni severità havendoli presi a Jacomo Doria e Quilico Di Negro. Prego Iddio . . . Nella città le cose vanno sempre a un modo, con tre et quattro casi al giorno che è numero considerabile rispetto alla poca quantità di gente netta et illesa che v’è rimasta, non segue d'avantaggio per mancamento di materia, vedendosi che chi tocca debito resta tocco. La signora Teresa Agosto però non ha tanta paura, perché havendo gran disgusto della perdita del signor Agosto, per consolarsi ha voluto sorrogare un altro in suo luogo, e si è preso per merito il sig. Gio. Andrea Spinola nostro vicino al quale è morto il padre Gio. Stefano di contagio con tutta la casa, essendo rimasto solo lui senza male. La città pare si chiuderà, lavorando li rastelli alle porte non per fare quarantena, ma per non haver commercio con l’altri luoghi infetti . . . — 421 — * Prete Giovanni Francesco Ravara: «...Si continua a sentir ogni giorno qualche cosa, di morti nella città questa settimana sono stati 10... La città per tutti li 10 corrente si chiude... Nel lazzaretto della Consolatione non ci sono più che 150 ammalati quasi tutti fuori pericolo... A Sestri di Ponente nel borgo ne muoiono 5 e più il giorno e nelle ville circonvicine si stende bene, a Voltri fanno grandi diligenze per estinguere il male, a Savona non cessa, la Polcefera è quella che stij meglio, Voltaggio insieme a Novi è sede di qualche caso, nel Bisagno è terminata per mancanza di gente... a Nervi sono già morte 1.200 persone, anche Camogli e Recco sono nell’aumento del male, il male continua anche in Chiavari e sue ville... L’azienda del signor Agostino Airolo ha lasciato 250.000 scudi di marche di debito...». 6 ottobre 1657, Genova. Suor Maria Francesca: «... Seguono ogni giorno 2 o 3 casi... E’ una pietà sentire l’impertinenza della gente mercenaria, ci è stato servitore che ardisce dimandare uno scudo al giorno per servire, ne ho trovato uno a 15 scudi al mese e provvigione, tutti vogliono il doppio... L’azienda di Agostino Airolo patirà gran crollo per eservi debiti grossissimi e tutta la somma della sua ricchezza è in mano de’ Spagnoli... ». 6 ottobre 1657, Genova. LXXXIX 13 ottobre 1657, Sampierdarena ... Non so’ quali disgratie volino terminate qui, essendo ancora noi nel pericolo, et io in particolare per esser stato fatto Commissario dei quartieri della città, sotto pena di scuti 500 in oro, et delle privationi per dieci anni della magistratura. Questo mi darebbe poco fastidio, ma li denari non vorrei già perderli, essendo puntuali in esigerli massime contro di noi. Ho mandato una supplica alli Serenissimi Collegi, rappresentandoli l'impossibilità di poterli servire adesso per non haver case in Genova dove andare, atteso che la mia è tutta infetta, come purtroppo sanno, et perciò supplicandoli di scusarmi per questo bimestre con offerirmi di servire nel venturo, perché nel mentre havevo fatto dare recapito a detta casa, essendo stato impedito di farlo sino a quest’hora, perché gionto qua restai chiuso in casa d’ordine del Magistrato della Sanità per un vano sospetto che han havuto di noi... In ogni caso mi toccherà servire, nel che mi governerò con quel maggior riguardo sarà possibile, essendovi necessario più hora che mai, poiché il male era cessato per mancamento di — 422 — gente che toccasse non essendo in questi giorni entrata molta per restar serrata dentro la città che se chiusa alli 11 stante, dubito assai che nel maneggiar le robe, le continuano le solite malignità vedendosi per esperienza che chi tocca subito vi resta, il fuoco con questi nuovi legni possi accampar di nuovo. In Chiavari di dove siam partiti, il male pigliava sempre più possesso, onde se non fosse per la beneficiata del Commissariato, sarei molto contento della risolutione fatta, massime con lo esempio di molti ch’avendo visto il male subito son fuggiti, et venuti qua, e noi che l’habbiamo fatto dopo 400 casi con maggior fondamento. In questa villa sono molti giorni e dopo quelli tre casi avvisati, che non segue più niente ... Ansaldo Grimaldo quondam Silvestre, che nella città ha toccato, e il Cap. Viviano sono subito morte. Questi casi hanno spaventato assai tutti, perché si sperava che fosse quasi estinta la malignità, ma si trova essa più terribile che mai. Se bene la città s'è chiusa non perciò son fuori del Commissariato, perché se non sono scusato alli 23 corrente che devo principiare apriranno per farmi entrare. Se nostro Signore mi fa gratia di preservarmi adesso per l'avvenire, in qualunque luogo ove vi fosse ombra di questo morbo, vi metterò di mezzo non 25 miglia come ho fatto, ma monti, mari e fiumi e più ancora. Ma adesso mi convien star qua non essendo possibile poter andare in Francia ... Veramente habbiamo corso qualche pericolo, siamo in quarantena, perché l’istessa sera che partimmo di Chiavari, haveva dormito sopra la medesima feluca un marinaio che doveva venir con noi e restò in terra atteso che se li scoperse il male, senza che li padroni di essa, per guadagnare il viaggio ci avvisassero di cosa alcuna, non havendo riguardo di metterci a tanto risico per avaritia di pochi denari. Essendo passati cinque giorni, spero non vi sij più pericolo. * Prete Giovanni Francesco Ravara: ... Il male fa con noi triegua e non pace, hoggi la città è stata libera di morti e di denuntie. Hoggi dentro il novo recinto sono due morti. Dicono che il male sij in declinatione però chi s’ammala non la dura più di 24 hore... Sabato la relatione mandata in Magistrato di Sanità de morti della Consolatione sono 8 e nella città 9 denuntie ». 13 ottobre 1657, Genova. xc 20 ottobre 1657, Sampierdarena .. . Noi continuiamo tuttavia in quarantena per quella baga-tella, non me ne sono mai preso guidado sapendo che era una vanità. Ho fatto instanza al Magistrato d’esser liberato ma senza frutto sin adesso, aspetterò a mio parere a farlo quando haverò immediatamente a cominciare il Commissariato del quale non è stato possibile esser scusato, o vero trasportato a servire l’altro bimestre ... Farò dare altra supplica, acciò mi sij concesso 15 giorni di tempo affine di poter in questo spatio fare purgare et sventolare la nostra casa non havendo havuto comodità di farlo sino adesso, mentre subito arrivato sono stato sequestrato in casa. Ogni ragione vorrebbe che me lo concedessero, essendo cosa necessaria, perché non ho altro luogo dove andare, e farlo in essa senza la debita purga sarebbe incontrare certamente la morte. ... Circa il mancamento di denari... non posso capire dove sijno andati tanti denari, perché nelli libri non essendovi più stato scritto dalli 24 maggio in qua, ché restarno impediti ai miei scrivani quali poi sono morti, non si può vedere cosa alcuna. Quando sarò nella città procurerò di trovare qulache scartafaccio, perché ragionevolmente vi debbono essere. Le cose della città vanno meglio assai, in tre giorni non ve stato caso alcuno, e sei sono quelli della settimana passata, et adesso s’attende a profumare, e fra 15 giorni sarà opera compita, contentandosi di quelli commissari vecchi di continuare per qualche giorno del loro tempo, ond’io differisco il principio del mio che credo sarà a novembre prossimo ... * Prete Giovanni Francesco Ravara: «...Non mancano nella città sentirsi qualche casi... si è mandata grida che chi denuntierà li beni de’ defunti rimasti senza eredi si darà il quarto allo accusatore... ». 20 ottobre 1657, Genova. — 424 — XCI 24 ottobre 1657, Sampiedarena . . . Restai scusato del Commissariato di Lavagna, perché fu desiderato da altri che volevano levarsi di Genova, ma non me già potuto riuscire il medesimo per il Commissariato del quartiere, essendo cosa da tutti aborrita. Scansai un male per entrare nel peggio, bisogna di tutto ringraziare il Signore convenendo credere che tale sij la sua volontà. La pena sarebbe de 500 scuti in oro et privato per 10 anni dell'offitij pubblici... son risoluto d’accettare, perché non vorrebbero altro, solo che li pagassi, per ridersene, ma non haveranno questo gusto; le cose però sono a tal segno che mi pare con star un poco attento si possa facilmente guardarsi. Spero che mi toccherà un quartiere profumato che sarà gran avanzo per esser disobbligato di tale funzione in quale v’è molto risico. A Chiavari, il contagio è andato sempre crescendo, e di qua è stato bandito, per non esser rimesso solo dopo sarà da per tutto liberato, che a mio giuditio sarà negotio lungo. Andar in altra parte non si poteva, perché in ogni luogo mi haverebbero rifiutato anche in quarantena, se havessimo potuto andare alla Spezia, o altro paese netto non saressimo mai venuti quà, essendosi fatto per il mal, male. In questa settimana habbiamo havuto nella villa un caso nuovo, et un altro caso vecchio dopo molti giorni che non era seguita cosa alcuna; nella città seguitano allo istesso passo, vi saranno cinque o sei casi alla settimana. Si tira avanti a profumarla tutta, e fra otto giorni sarà finita . . . . . . Fra tanto darò recapito ai pochi negotij, e manderò approntando per pigliar strada che prima s’aprirà stimando sarà quella di Marsiglia, che in altri luoghi non seguirà per un pezzo, nella quale città di Marsiglia intendo vi sij la quarantena... . . . Bisogna considerare esser cosa impossibile che chi ha 1 effetti possa pagar tutti in una volta quando vi sij la manca di credito come segue ordinariamente a tutti li morti. — 425 — Suor Maria Francesca: «... Non si sentono che dapertutto, che baccani, furti, forfanterie d’ogni sorta...». 23 ottobre 1657, Genova. Luca Maria Invrea: «...Qui si profuma tutta la città e fra quattro giorni sarà del tutto purgata e pure la peste non cessa. Hieri vi furono due casi nuovi... ». 27 ottobre 1657, Genova. Prete Giovanni Francesco Ravara: « Domenica habbiamo una denuntia di una persona infetta, martedì un paggio, giovedì un altro caso in ospedale, uno in Sarzano, venerdì Spinola et due altri casi, sabato un morto: 11 denuntie nella città e nel lazzaretto 7 morti». 27 ottobre 1657, Genova. Luca Assarino: «... In materia di peste lunedì seguì una denunzia, mercordì ne seguirno cinque e cioè quattro all’hospedale et uno in Carignano, venerdì che fu hieri seguì il caso di Felice Spinola, et oggi si continua il profumo delle case e lo spurgo delle robbe ». 27 ottobre 1657, Genova. XCII 3 novembre 1657, Sampierdarena ... Comincio a scrivere in Sampierdarena, ma reputo che prima la finisco, sarò nella città ove vengo chiamato dal Magistrato della Sanità per accudire al quartiere del quale sono Commissario, havendo tirato a lungo quanto ho potuto, ma adesso non v’è più scuse e bisogna andare. Morse l'Eccelentissimo Felice Spinola, et un’hora dopo nacque il primo figlio maschio ad Agostino suo figlio, il quale è molto in pericolo havendo toccato suo padre mentre haveva il male fuori. La nostra madre et Portia resteran qui in Sampierdarena, essendo di troppo risico venire tutti. Io non porto meco che il mio servitore, meno gente sarà di meno pericolo, anderò nell’appartamento alto in casa del Pi-chenotti, che mi hanno fatto hieri, poiché nel mio ancorché l'abbi fatto profumare non mi fido, dando tempo che l'aria vi possi bene giocare, e poi bisogna far levare di casa tutta la robba infetta, che sin adesso è seguito solo in parte. Le muraglie delle stanze essendo dipinte per non guastarle le farò lavare con acqua salata et aceto, la qual diligenza sarà sufficiente, e molti non lo fanno soddisfacendosi del profumo — 426 — et poi dell’agitatione dell’aria. Detto profumo pare sij rimedio certo, se bene in alcuni casi profumati, poi seguito qualche caso stabilissero non sij stato ben dato, vedendosi che in tutto 1 altro non è seguito niente. . . . La fiera è stata prorogata ... si crede sarà fastidiosa per la diffidenza generale che sarà in tutti, vedendosi che li morti chiariscono quelle cose assai che con la vita non si credevano ... . . . Nella città pare che in questi ultimi ultimi giorni non sia successo caso alcuno ... Io andrò dimani avendo ancora dilatato . . . * Prete Giovanni Francesco Ravara: «... Lunedi una denuntia, martedì morto 9 alla città et colline; la fera è stata prorogata; mercoledì non si sente cosa alcuna, giovedì e venerdì et sabato non è seguito male alcuno... ». 3 novembre 1657, Genova. Suor Maria Francesca: «...Li preludi della settimana passata furono poco felici, ma dopo la morte dello Ecc.mo Spinola non è più seguito male ». 3 novembre 1657, Genova. Luca Assarino: «...I morti di sabato sino ad hieri sera non sono stati se non 2 e 2 le denuntie; i viveri si pagano il doppio, le manifatture il simile; un paro di scarpe si è fatto ordine che non si paghi più di uno scudo; non si trova persone che vogliono servire, non basta il pregare bisogna pagarli 4 volte e più. Di fuori in Sestri, Sampierdarena, Albaro va seguendo casi nuovi...». 3 novembre 1657, Genova. xeni 10 novembre 1657, Genova Lunedì entrai nella città, in la quale la cosa era meglio assai, poiché in questa settimana saranno successi due casi fra quali uno con bubone freddo, che non è molto pericoloso ma più lungo a guarire dicendo li periti esser segno di finitura di peste. Nel mio quartiere ho poco che fare essendo profumato, adesso s’è appresso li altri, e si spera di finire in dieci giorni. L’esperienza mostra che sono di giovamento et qualche caso che possi seguire non è in consideratione, potendo nascere da che detto profumo, non habbi penetrato bene per qualche accidente; li materassi e le tele bianche si purgano con le lavande d’acqua salata bollente, parendo che sij remedio sicuro. Io non — 427 — ho ancora preso risolutione delle robbe di casa nostra, restando pei plesso se debbo farle passare per detto remedio, o pure abbrunare per chè questa sarebbe il partito più sicuro, dall'altro canto se si potesse havere il medesimo intento con la roba salva sai ebbe meglio, nell entrante settimana prenderò risolutione. Quando morse Pier Francesco di Vincenzo Giuliano e scrivevo a Chiavari, era passata assolutamente come accidente d'apoplessia, poiché il medico l’aveva sempre toccato il polso, e faceva indubitata fede non esser contagio, noi ancora se ci ingannammo, ma col successore dopo tutto s’è chiarito, era stato male corrente, mentre di esso sono morti di detto Pier Francesco Giuliano il cuoco e detto medico pochi giorni dopo. . . . Dentro la città 1 affari della sanità continuano in meglio notabilmente in questa settimana non è successo d’avantaggio di quello li ho detto sopraonde si spera colla Divina Provvidenza e Misericordia di liberarsene affatto, non havendo di altra speranza perchè quella di uscire dallo Stato è impossibile mentre tutti li Principati confinanti prohibiscono rigorosamente ad ognuno 1 ingresso ne’ loro stati, e l’andar in Francia, dove si stima che vi sij quarantena è viaggio longo, potendosi correre risico col vascello nel quale s’imbarcasse. Nelle Riviere massime ad Albaro, dove sono seguiti due casi in questa settimana, et a Nervi non vanno troppo bene, 1 istesso a Chiavari, et a Nove dove sono stati tre casi nuovi, e ne va morendo assai nelle case serrate et sospette. In Lombardia calano Francesi, et essendo in fine di campagna danno da sospettare di qualche intelligenza. Si dice che 4.000 alemanni dell’esercito spagnuolo sij passati al servitio de’ francesi ... Luca Maria Invrea: «...Le cose della sanità vanno benissimo et m 13 giorni non è seguito un solo caso... seguono ancora qualche caso in Polcevera et Bisagno ... ». 9 novembre 1657, Genova. Prete Giovanni Francesco Ravara: «... Martedì habbiamo una denuncia, giovedì et venerdì et sabato non habbiamo nella città nemmeno nel vicino né morti, né denuncie... ». 10 novembre 1657, Genova. Luca Assarino: «... Circa il contagio del caduto sino al giorno d’hoggi non vi sono state se non due denontie, le quali neanche sono state dichiarate di peste... ». 10 novembre 1657, Genova. — 428 — XCIV 17 novembre 1657, Genova . . . Ritrovandomi senza ajuto alcuno sono occupato assai... . . . Per favore speciale della Divina Misericordia mi trovo con la mia salute solita ancor che sij di quella imbecillità che Vostra Signoria sa, non mi par di haver scapitato, non essendo poco nelle miserie et calamità di questi tempi andato reggendo. Adesso le cose della sanità dentro la città passano assai felicemente, non essendo successo in questa settimana caso alcuno, e si spera che tutto sij finito, vedendosene l’effetti manifesti, poiché adesso si toccano tutte quelle robbe senza danno alcuno, che prima infettavano per così dire alla sola vista, la nostra madre et Portia sono tuttavia in Sampierdarena non pensano a ritirarsi dentro come fanno quasi tutti, non lo potranno fare presto convenendo dar tempo che la nostra casa sij ben purgata, per non mettersi in qualche pericolo ... ... In fatto di negotij, siamo ancora in principio per non essersene quasi fatti, li quali negotij camminano con grandissima durezza non solo perchè si vede che li morti fanno vedere certe cose delle persone più abbennate che mai si sarebbero credute, ma ancora per haversi qua non poco sospetto di certi apparecchi di armata che fanno li francesi per mare . .. mentre per gratia del Signore, si respira della peste, si teme della guerra... . . . La consideratione della peste par sij cessata essendo 20 giorni che non è successo caso alcuno, il pagamento non è possibile essendo i passi serrati .. . Alli vascelli al Finale danno quarantena di venti giorni... ... In città non è successo caso alcuno da 20 giorni, in Sestri di Ponente è seguito duna donna con carboni, e per le Riviere va seguendo ancora qualche caso ... * Prete Giovanni Francesco Ravara: « .. .Sono 20 giorni nella città et lazzaretto non si è sentito alcun caso di contagio. In Nove et Gavi et Savona non seguono più casi. In Chiavari dove il male è ancora si stà meglio ... Le soldatesche si va rimettendo per ragioni di buon governo e si rinforza il presidio... hanno dimandato 1500 fanti a Lucchesi, la congiuntura non è buona, si trova molto esausta la camera... ». 17 novembre 1657, Genova. — 429 — Suor Maria Francesca: LA causa del contagio] « ...denari perduti a Roma, perduti a Venetia che tra l'una e l’altra ascenderanno a scudi 400.000; il fallimento di Agostino Airolo darà danno di scudi 300.000... E’ mancato il negotio affatto, le dogane sono estinte... ». 24 novembre 1657, Genova. xcv 23 novembre 1657, Genova • • • Per gratia di Dio, le cose della sanità vanno benissimo, essendo 27 giorni et più che non segue caso alcuno, onde maggiormente si confermiamo nella speranza di vedersi presto in sicuro, da molto pensiero che nelle ville circonvicine si vadi sentendo sempre qualche caso, massime nella Valle del Bisagno, et in San Martino d'Albaro il che prolongherà la clausura della città, se bene di essa vi resta solo l’apparenza, entrando et crescendo come vuole con molta facilità ... Di Napoli non si sentono quelle nuove si desidererebbero scrivendo alcuni che di nuovo vi fosse il contagio, e che fossero morte qualche persone, altre lo negano, ma trattandosi di cose cattive se ne sta con molta apprensione ... In Chiavari era 15 giorni che si trovavano senza caso, a Savona il male era in declinatione, et a Nove non era andato vanti et speravano di haverlo estinto, nelli altri luoghi delle Riviere si sta bene ... ... La signora nostra madre et Portia nostra son tuttavia a Sampierdarena, stimo che entreranno in questa settimana. 96 1 dicembre 1657, Genova Suor Maria Francesca: ... Sono stati banditi Nove, Gavi et Chiavari ... altri luoghi liberi al commercio ... 97 8 dicembre 1657, Genova Prete Giovanni Francesco Ravara: Giovedì la prima volta andò a Palazzo il signor Nicolò Grimaldo, il primo che habbia — 430 — vestito il robbone, mentre dal contagio in qua si andava sino in trono col fariolo etiam corto senza lattuche ... [Durante la peste] si è andato per la città con una libertà disordinata, senza ferraiolo, colle calzette di filo bianco, vestite le persone di colore senza collari, con berrettini, pareva un mondo nuovo, adesso son tornate alla civiltà ...' . . . Tutte le botteghe sono chiuse, le strade rappresentano una vera solitudine ... da un mese in qua si incominciano a scuo-dere le gabelle . .. (che per i prossimi anni frutteranno ben poco) . . essendo morte le tre quarti parti delle persone, chè di 145.000 avanzato, di quelle che erano nella città 3.000 solo non hanno havuto la peste ... ... Il negotio della seta non restava estinto ma si farà poco essendosi rimasti tanti manifatturieri da poter supplire ad un mercante 2. E’ stata fortuna che il male non sij entrato nella clausura dove sono le figlie di Granello, che incanano la seta, altrimenti era estinto affatto. Data paritate ha fatto maggior strage in Genova che in Napoli, ha perduto il pubblico tutto 1 intrati delle gabelle, e ha speso tesori. Il particolare poi ch e rovinato in Roma, sono vacati per scudi 200.000, in Venetia altrettanti. Nel fallimento di Agostino Airolo ha havuto danno di scudi 300.000 di man che non si sono fatti negotij, e bisogna abbruciare quantità di mobili, et sono inseguiti infiniti furti e messe a sacco le case et le botteghe per esser rimaste vuote de habitanti et esposte a beccamorti . . . ... In Genova cominciano ad entrare, le levate di gente, che si fanno nelle Riviere che saranno da tre miglia, et hoggi ne sono entrati 250 della Spetia, e dimani ne verranno 500 da Savona. • Sul variare della moda Fra Diego Argiroffo scriveva: « 1658... Le donne cominciano a privarsi del guardinfante e si vestono alla francese e li uomini si fanno calzoni che girano palmi 38, e non corrono al ginocchio e giubbone con faldini piccoli che sembravano al certo saltimbanco con calze di colore, e più di 1.000 palmi di nastro in vestito...». (Memorie istoriche cit., p. 30). 2 La crisi nell’arte della seta era aggravata anche dalle difficoltà di approvvigionamento di seta grezza. Per le condizioni degli equipaggi delle galere della Repubblica, la Sicilia era troppo distante, per quella che si sarebbe potuto prendere a Livorno o lungo la costa Toscana, Firenze aveva vietato qualsiasi spedizione di seta (grezza) « fuori che per Pisa ». 4 agosto 1657, Firenze: ASL, Sanità, serie VII, reg. n. 65, cit.. — 431 — 98 10 dicembre 1657, Genova Prete Giovanni Francesco Ravara: ... Sono 42 giorni che nella città non sono seguiti casi; alcuni a Sestri di Ponente. Il male non è per anco cessato, nelle altri luoghi banditi si continua nel miglioramento; li morti nella città passano 55.000 e poco meno sono quelli del Dominio; si fa conto che al presente nelle città siavi 20.000 persone, ma come s’apriranno li rastelli, et passi, se non si raddoppieranno saranno poco meno. 99 22 dicembre 1657, Genova Prete Giovanni Francesco Ravara: Lunedì et martedì a sera si sono uniti li due Consigli di Stato Secreti si giudica sij per dichiarare la città libera del contagio. Un caso però è seguito a Fasciolo nella Casa de’ Missionarij in un sacerdote, che dicevasi haver toccato roba infetta ... . .. Intendo adesso, ch'il padre della missione infetto di peste è fatto fuori di pericolo ... 100 25 dicembre 1657, Genova Prete Giovanni Francesco Ravara: ... Questa mattina si sono giontati li due consigli di stato, con il Magistrato della Sanità et altri cittadini, è dichiarata la città libera... ... In Chiavari dopo 40 giorni di sanità sono seguiti tre casi di contagio ... ... Si è fatta la descritione de’ tessitori ne sono stati trovati 500. Le chiese nei giorni di festa si vedono piene. Sono entrati 200 forastieri per lavorare li horti del Polcevera, di 27.000 ne sono morte 4.000. In Savona, cioè nel suo distretto mancano 900. — 432 — 101 5 gennaio 1658, Genova Luca Assarino: avendosi nostro Signore Iddio, con un corso di più di 70 giorni quasi con tanto impegno della Sua infinita Misericordia, assicurato che esso ci ha restituito alla prestina salute sanità, questo Serenissimo Duce e Serenissimi Collegi come padri e cui sempre risplende una vera pietà e religione decretar-no che domenica passata alla mattina si cantasse il Te Deum e si dichiarasse la città libera d'ogni male. Così anco condottosi solennemente alla Cattedrale assistorno alla Messa cantata da questo Eminentissimo Arcivescovo che nell’armonia di una musica esquisita e neH'affollatissimo concorso della nobiltà e popolo ben dava di vedere ch'esso era sacrificio d’un pienissimo rendimento di grazie. Comunicatasi Sua Serenità con tutto il resto del Serenissimo Congresso per le mani del'Em.no Pastore sul finir della Messa s'intonò il Te Deum e seguendosi a cantare nella medesima hora in tutte le chiese di Genova col rimbombo universale di tutte le campane, l'artiglieria di tutti li posti della città, e tutti i vascelli del porto rispose come secondo coro col tono di un lietissimo fragore, e l’allegrezza comune in moltissimi de’ più sensati non potè mostrarsi sul loro volto senza lacrime dell’interna tenerezza. Martedì poi, primo giorno di questo mese i tre senatori e due Procuratori ultimamente eletti fecero il loro primo ingresso in Palazzo ove il Magnifico Dottor Leonardi spiegando una sceltissima oratione fece tra l’altre cose in essa gloriosa rinomanza del suo Ecc.mo Gio. Batta Raggi che in quegli sterminij più horribili della peste sacrificò la sua vita a prò della Patria. 102 22 gennaio 1658, Genova Prete Giovanni Francesco Ravara: Domenica il nostro Serenissimo Duce andò a sentir messa nella cattedrale con quasi tutto il concorso della città ... Lunedì per la prima volta si giontò il Minor Consiglio in nu- — 433 — 28 mero di 160 et fecero Magistrati. Questi Serenissimi hanno decretato d’ogni persona di qualsivoglia mestiere possi venire ad esercitarlo nella città per due anni senza havere occasione di pagare cosa alcuna. Si fanno di continuo matrimoni, e nè si guarda a dote. Venerdì nel Minor Consiglio è stata liberata la Posta dalla dedicatione alla Nobiltà, non vi mancarono concorrenti havendo la peste levato due terzi de’ scrivani; questi Serenissimi hanno ordinato che se ne elegghino tanto della città, quanto de' rivali. Da ogni parte concorrono gente alla città escluso dal stato del Granduca che non vuol si partino dal suo stato ... 103 25 gennaio 1658, Genova Prete Giovanni Francesco Ravara: Non è stato luogo di far la processione per essersi posto il tempo alla neve, il signor Giovanni Andrea Spinola quondam Stefano ha banchettato li parenti della sposa e data festa di ballo che è la prima che si sij fatta dal contagio in quà. Vi sono state dame assai di molto mascherate vestite alla francese che sphicavano al paragone delle spagnuole. Ritorna la città in allegria, li morti puzzano et li vivi si fanno sentire. Entra di mano in mano gran gente et non ci accorgiamo della strage havuta che dalle molte botteghe chiuse. In casa del signor Ottavio Saoli giovedì, vi fu una festa da ballo, con dame mascherate. Di Corsica s’intende che in quel luogo di Adiaccio fosse seguito qualche caso. 104 23 marzo 1658, Genova Prete Giovanni Francesco Ravara: La città è popolata di più di gente buona che di gente minuta; nelle strade et piazze maestre il concorso di essa è grande, ma nelle strade di Pré, di Portoria, della Marina, di Sarzano et simili si veggono spopo- — 434 — latissimi et diserti anche oggigiorno spaventosi. Le botteghe in gran parte sono aperte ma moltissime poste anco nelle strade più principali si veggono serrate perchè non vi è chi eserciti il mestiere di quella merce che esse contenevano. Le vettovaglie di qualsivoglia sorta sono molto care perchè la mina del grano ch'è qualche poco buono vale 28 in 30 lire et chi vuole una mina di farina buona bisogna spendere 36 in 37 lire. L'olio vale 50 lire il barile et niente meno il vino che sij buono non vale meno di 38 o 39 lire la mezzaruola et l'ordinario vale 28 in 29 lire. Gli herbaggi di qualsivoglia sorta costano un occhio, a segno che chi volesse far un regalo nobile basterebbe, per così dire, che mandasse un piatto d'insalata. I salumi et i latticini et le frutta vanno l'istesso cammino, solo le carni e i pesci sono a prezzo godibile. Le scarpe, tra le altre cose, costano 6 in 7 lire il paio. Si fanno spesso calleghe in cui si vendono le robbe di coloro che sono morti di peste, intendendosi che prima sono state tutte purgate et nette e nondimeno il tutto si vende carissimo. Le donne, particolarmente le dame, cominciano a vestirsi tutte alla francese e sebbene esse sentano gran comodità dell'abito perdono ad ogni modo di quella leggiadria et avvenenza che haveano vestendo alla spagnola. La sanità continua per gratia di Dio felicissima, ancorché in questi giorni addietro si sia mormorato con poco fondamento di qualche caso seguito fuori di Genova; ad ogni modo il timore in tutti è grande e sino a tanto che la primavera non ci assicuri che non vi è più male staremo con continuo batticuore. Chiavari è stato l'ultimo luogo che, nel Dominio, vi sia risanato, perchè con quante diligenze vi fossero fatte andava sempre ripopolando qualche caso. Ultimamente il signor Giovanni Maria Spinola del signor Paolo, che è stato eletto Commissario Generale, ha posto tutta la terra in una generale quarantena, serrando al fine tutte le case e dando a mangiare del pubblico a tutti i poveri... ... Le carceri sono piene di capistrada, di beccamorti, di luogotenenti, di commissarij per varie imputazioni. I quattro Signori delegati hanno ultimamente dimandato con supplica licenza di poter dar domanda di recesso ai Signori Supremi non so quel che habbino ottenuto. V CONGRESSI LA PARTECIPAZIONE GENOVESE AL IV CONGRESSO NAZIONALE DI STORIA DEL GIORNALISMO Al rinnovato fervore di studi e di ricerche nel campo della storia del giornalismo cui stiamo assistendo nel nostro Paese non è certo stata estranea l'opera che da ormai quasi un quinquennio viene svolta dall'istituto Nazionale per la Storia del Giornalismo. Costituito per iniziativa del prof. Giuliano Gaeta, dell’Univer-sità di Trieste, coadiuvato da una valida schiera di collaboratori in ogni parte d’Italia, l'istituto ha concretato la sua attività nella pubblicazione di una serie di succose monografie e nell’attuazione di alcuni congressi nazionali, che hanno raccolto, sin dalla fase iniziale di vita dell'istituto, i più fervidi consensi degli studiosi, non soltanto di quelli italiani, ma anche di numerosi paesi stranieri. I congressi sinora effettuati sono stati complessivamente quattro: a Mantova nel 1962, a Trieste nel 1963, a Udine nel 1964, e a Palermo-Agrigento nel 1965. I congressi — nel corso dei quali sono state svolte in totale poco meno di un centinaio di comunicazioni — sono stati programmati sulla base di temi relativi ai diversi periodi, a cominciare da quello giacobino, sino a giungere, seguendo la successione cronologica, ai tempi nostri. II periodo preso in considerazione nel più recente dei congressi tenutisi — quello appunto di Palermo-Agrigento — era quello compreso tra il 1850 e il 1860, anni cioè decisivi per lo sviluppo dell'azione diretta al raggiungimento dell’unità politica dellTtalia. — 439 — Delle ventinove comunicazioni presentate al congresso di Palermo-Agrigento (comprese tra di esse due di stranieri: il romeno prof. Dan Berindei, e il francese prof. Jacques Godechot) ben tre portano la firma di studiosi genovesi, tutti — ci è caro sottolineare — membri della Società Ligure di Storia Patria. Si tratta del dott. Leonida Balestreri, del prof. Giuseppe Oreste e del prof. Pietro Scotti. Il primo — che è anche vice-presidente nazionale dell'istituto per la Storia del Giornalismo — ha trattato il tema Giornali operai genovesi nel periodo tra il 1851 e il 1854, mentre il secondo — presidente del Comitato di Genova dello stesso Istituto — ha illustrato II giornalismo genovese nel periodo 1849-1860, e il prof. Scotti ha fatto oggetto del suo esame L’umorismo nella stampa italiana dal 1850 al 1860. Nel corso del congresso di Palermo, in una solenne manifestazione al locale Circolo della Stampa, è stato anche rievocato dal prof. Ottavio Ziino il secondo centenario del famoso articolo del Carli Della patria degli Italiani, apparso nel 1765 sul milanese Caffè. Questo tema è stato poi di recente ripreso dal nostro Leonida Balestreri, il quale in una conversazione al Rotary Club di Genova ha posto in evidenza talune derivazioni del pensiero del Carli nella stampa giacobina genovese. INDICE DEI PERIODICI DELLA BIBLIOTECA DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA A cura di ROSELLA PIATTI Per la redazione dell’indice sono state osservate le Regole per la compilazione del catalogo alfabetico per autori delle biblioteche italiane, a cura del Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale delle Accademie e Biblioteche, Roma, 1956. ACADEMIA (R.) DE LA HISTORIA. MADRID. Boletfn. Madrid 1877/79 (I) - 1922 (LXXX). ACADEMIA ROMÀNA. BUCAREST. Acte SÌ documente relative la historia Renascerei Romaniei. Bucuresti 1888/1900 (I) - 1901 (IX). ACADEMIA ROMÀNA. BUCAREST. Anale-le. Bucuresti 1879 (I) - 1909/10 (XXXII). ACADEMIA ROMÀNA. BUCAREST. Discur-suri de receptiune. Bucuresti 1894 (XVI) - 1909 (XXXIII). ACADÉMIE DES SCIENCES DE CRACOVIE. Bulletin International. Cracovie 1890-1912; 1914-1917. Per il seguito vedi: académie polonaise DES SCIENCES ET DES LETTRES. ACADÉMIE DES SCIENCES DE CRACOVIE. Bulletin International. Comptes - Rendus. Cracovie 1890-1900. ACADÉMIE POLONAISE DES SCIENCES ET des lettres, cracovie. Bulletin International. Cracovie 1918-1945; 1951-1953. Continuazione di: académie des sciences de cracovie. Per il seguito vedi: polska akademja nauk. académie royale de BELGIQUE. Commission Royale d’Histoire. Bulletin. Bruxelles 1926 (XC) - 1932 (XCVI); 1939 (CIV); 1941 (CVI) - 1943 (CVIII). accademia degli agiati, rovereto. Vedi: Accademia Roveretana degli Agiati. accademia (r.) dei lincei. ROMA. Atti. Memorie. Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. Roma III S. 1876/77 (I) - 1879/80 (Vili). accademia (r.) dei lincei. ROMA. Atti. Transunti. Roma II S. 1873/74 (I) - 1875/76 (VII); III S. 1876/77 (I) - 1883/84 (XIII). ACCADEMIA (R.) DEI LINCEI. ROMA. Vedi anche: Accademia Nazionale dei Lincei. ACCADEMIA dei rozzi di Siena. Sezione letteraria e di storia patria municipale. Atti e memorie. Siena N.S. 1870/71 (I) - 1872/76 (II). ACCADEMIA (R.) DELLA CRUSCA. FIRENZE. Atti. Firenze 1819 (I) - 1829 (III); 1874/75 - 1897; 1899 - 1902. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO. Atti. Torino 1877/78 (XIII) - 1942/43 (LXXVIII); 1944/45 (LXXX) - Le annate 1877-1946 col titolo: ACCADEMIA (R.) DELLE SCIENZE DI TORINO. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO. Memorie. Torino II S. 1891 (XLI) - 1909 (LIX); 1911 (LXI) - 1913 (LXIII); 1916 (LXV) - 1951 (LXXI); — 443 — III S. 1952 (I) - 1959/61 (V); IV S. 1962 (I) - ACCADEMIA (R.) DI ARCHEOLOGIA, LETTERE E BELLE ARTI DELLA SOCIETÀ REALE DI NAPOLI. Atti. Vedi: Accademia (R.) di Archeologia, Lettere e Belle Arti della Società Reale di Napoli. Rendiconti. ACCADEMIA (R.) DI ARCHELOGIA, LETTERE E BELLE ARTI DELLA SOCIETÀ REALE di napoli. Memorie. Napoli. 1911 (I) - 1936 (IV). ACCADEMIA (R.) DI ARCHEOLOGIA, LETTE E BELLE ARTI DELLA SOCIETÀ REALE di napoli. Rendiconti. Napoli 1902 (XXII) - 1908 (XXV); N.S. 1910 (I) - 1939/40 (XX). Le annate 1902-1936 col titolo: ACCADEMIA (R.) DI ARCHEOLOGIA, LETTERE E BELLE ARTI DELLA SOCIETÀ REALE DI NAPOLI. Atti. ACCADEMIA (R.) DI ARCHEOLOGIA, LETTERE E BELLE ARTI DELLA SOCIETÀ reale di napoli. Rendiconto delle tornate e dei lavori. Napoli. N.S. 1902 (XVI) - 1934 (XLVIII). ACCADEMIA (R.) DI SCIENZE, LETTERE e belle arti. Palermo. Atti. Palermo III S. 1899 (V) - 1900/01 (VI); 1904/07 (VIII)-1912/16 (X). ACCADEMIA (R.) di SCIENZE, LETTERE e belle arti. Palermo. Bollettino. Palermo 1899 - 1917. ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI. Catania. Annali. Catania 1879 (I). ACCADEMIA (R.) DI SCIENZE, LETTERE ed arti, modena. Memorie. Modena 1833/58 (I) - 1880/82 (XX); II S. 1883 (I) - 1896 (XII). Ili S. 1898 (I) - 1914 (XI). accademia di scienze, lettere ed arti DEGLI AGIATI. ROVERETO. Vedi: Accademia Roveretana degli Agiati. ACCADEMIA di SCIENZE, LETTERE ED ARTI DEGLI ZELANTI. ACIREALE. Atti e rendiconti... Vedi: Accademia di Scienze, Lettere ed Arti degli Zelanti. Acireale. Rendiconti e Memorie... ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI degli ZELANTI, acireale. Memorie... Vedi: Accademia di Scienze, Lettere ed Arti degli Zelanti. Acireale. Rendiconti e Memorie... ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI degli zelanti, acireale. Rendiconti e Memorie. Acireale N.S. 1889 (I) - 1898/900 (X); III S. 1901/02 (I) - 1917/18 (X); IV S. 1919/21 (I) - 1931/33 (III). Le annate 1889-1895/96 col sottotitolo: Atti e rendiconti...; le annate 1896/97 - 1901/02 col sottotitolo: Memorie... ACCADEMIA « LA NUOVA FENICE ». ORVIETO. Rapporto delle tornate. Orvieto 1890 (I) - 1894 (VI). ACCADEMIA LIGURE DI SCIENZE E LETTERE. Atti. Genova 1941 (I) - 1943 (III); 1948 (V); 1950 (VII) - 1954 (XI); 1957 (XIV). Continuazione di: società di scienze e lettere. Genova. Le annate 1941-1943 col titolo: accademia (R.) LIGURE DI SCIENZE E LETTERE. ACCADEMIA LIGUSTICA DI BELLE ARTI. Atti. Genova 1860/65 - 1867; 1869 - 1909/12. — 444 — ACCADEMIA (R.) LUCCHESE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI. Atti. Lucca 1821 (I) - 1835 (Vili); 1840 (X) - 1925 (XXXVI); N.S. 1931 (I) - 1942 (V). ACCADEMIA LUNIGIANESE DI SCIENZE « g. capellini ». Atti. La Spezia 1924; 1933; 1938. ACCADEMIA LUNIGIANESE DI SCIENZE « G. capellini ». Memorie. La Spezia 1924 (V) - 1936 (XVII); 1938 (XIX) - 1955 (XXVII). Continuazione di: società luni-GIANESE « G. CAPELLINI » PER LA STORIA NATURALE DELLA REGIONE. Per il seguito vedi: accademia lunigia- NESE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI « G. CAPELLINI ». ACCADEMIA LUNIGIANESE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI « G. CAPELLINI ». Memorie. La Spezia N.S. 1959 (XXX) -Continuazione di: accademia lu-NIGIANESE DI SCIENZE « G. CAPELLINI ». ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI. ROMA. Atti. Memorie. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. Roma IV S. 1884/85 (I) - 1892 (X); V S. 1893 (I) - 1923/24 (XVII); VI S. 1925 (I) - 1939 (IX); VII S. 1940/41 (I) - 1942/43 (III); Vili S. 1946/48 (I) - Le S. II -III pubblicate col titolo: TRANSUNTI DELLA R. ACCADEMIA dei lincei. Le annate 1876-1903 contengono nella P. II: notizie DEGLI SCAVI DI ANTICHITÀ. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI. ROMA. Atti. Rendiconti. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. Roma IV S. 1884/85 (I) - 1891 (VII); V S. 1892 (I) - 1924/25 (XXXIII); VI S. 1925 (I) - 1939 (XV); VII S. 1940 (I) - 1941/42 (III); VIII S. 1946 (I) - Le S. II-III pubblicate col titolo: TRANSUNTI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI. ROMA. Notizie degli scavi di antichità. Roma V S. 1904 (I) - 1924 (XXI); VI S. 1925 (I) - 1939 (XV); VII S. 1940 (I) - 1942 (III); 1944 (V) - 1946 (VII); VIII S. 1947 (I) - Le annate 1904-1939 col titolo: ACCADEMIA (R.) DEI LINCEI. Dal 1876 al 1903 la pubblicazione costituiva Ia P. II dei voli, delle: MEMORIE DELL'ACCADEMIA. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI, ROMA. Rendiconti delle adunanze solenni. Roma 1892/901 (I) - 1958/62 (VI). Le annate 1892 -1939 col titolo: ACCADEMIA (R.) DEI LINCEI. ACCADEMIA OLIMPICA. VICENZA. Atti. Vicenza 1871 (I) - 1895 (XXIX); 1897/98 (XXXI) - 1905/06 (XXXV); N.S. 1907/08 (I) - 1911/12 (III); 1915/16 (V) - 1923/24 (IX). ACCADEMIA (R.) PELORITANA. MESSINA. Vedi: Accademia Peloritana dei Pericolanti. ACCADEMIA PELORITANA DEI PERICOLANTI. Messina. Atti. Messina 1896/97 (XI) - 1907 (XXII); 1909/10 (XXIV); 1935 (XXXVII) - 1947/50 (LVII). Le annate 1896/97 -1946 col titolo: ACCADEMIA (R.) PELORITANA. — 445 — ACCADEMIA ROVERETANA DEGLI AGIATI. Atti. Rovereto 1854; 1859 - 1863; N.S. 1884 (II) - 1894 (XII); III S. 1895 (I) - 1912 (XVIII); IV S. 1913 (I) - 1914 (II); 1946 (XVI) - 1951 (XVIII); V S. 1952 (I) - 1958 (VII); VI S. 1959 (I) - 1960/61 (II). Le annate 1854-1912 col titolo: ACCADEMIA DEGLI AGIATI. Poi fino al 1945 col titolo : accademia di SCIENZE, LETTERE ED ARTI DEGLI AGIATI. ACCADEMIA (R.) VIRGILIANA DI MANTOVA. Atti e memorie. Mantova 1908 (I) - 1939 (XXV). ACCADEMIE E BIBLIOTECHE D'ITALIA. Roma 1931/32 (V) -Aegyptus. Rivista italiana di egittologia e di papirologia. Milano 1920 (I) - 1925 (VI); 1927 (Vili) - 1943 (XXIII); 1945 (XXV) - 1963 (XLIII). aevum. Rassegna di scienze storiche, linguistiche e filologiche. Milano 1964 (XXXVIII) -alba pompeja. Rivista della Società di studi storici di Alba. 1908 (I) - 1912 (V). ALLEANZA NAZIONALE DEL LIBRO. MILANO Vedi: Rassegna di cultura. A cura dell’Alleanza Nazionale del Libro. AMERICAN (THE) JOURNAL OF ARCHAE- logy. The journal of thè Archeo-logical Institute of America. New York 1885 (I) - 1886 (II); 1888 (IV). AMERICAN ACADEMY OF ARTS AND sciences. Proceedings. Boston 1873 (Vili) - 1894 (XXIX); 1896 (XXXI) - 1955/58 (LXXXV). Per il seguito vedi: Daedalus. Journal of thè American Acade-my of Arts and Sciences. AMERICAN HISTORICAL ASSOCIATION. Washington. Annual report. Washington 1889 - 1911; 1913 - 1915; 1917 - 1946; 1948 - ANALECTA BOLLANDiANA. Bruxelles 1882 (I) - 1942 (LX); 1946 (LXIV) - 1950 (LXVIII); 1952 (LXX) - 1955 (LXXIII); 1962 (LXXX) -ANNALES DE BRETAGNE. Rennes 1886 (I) - 1900/01 (XVI); 1903/04 (XIX) - ANNALES DE PROVENCE. AÌX-en-PrO-vence 1913 (X); 1922 (XIX); 1924 (XXI) - 1927 (XXIV). Continuazione di: société d'étu- DES PROVENÇALES. AIX-EN-PROVENŒ. Annales. annali di economia. A cura dell'I-stituto di Economia dell’Univer-sità Bocconi. Milano / Padova 1924/25 (I) - 1938/39 (XIII). Per il seguito vedi: giornale degli ECONOMISTI e ANNALI DI ECONOMIA. ANTIQUARISCHE GESELLSCHAFT IN ZÜ- rich. Mitteilungen. Ziirich 1900/04 (XXV) -arcadia (l'). Periodico di scienze, lettere ed arti. Roma 1889 (I) - 1894 (VI). — 446— ARCHEOGRAFO triestino. Trieste 1876/77 (IV) - 1896 (XXI); 1899/900 (XXIII). archiginnasio (l’). Bullettino della Biblioteca Comunale di Bologna. Bologna 1906 (I) -archivio economico dell’unifica-zione italiana. Torino / Roma I S. 1956 (I) - 1961 (XI); II S. 1958 (I) - 1960 (III); 1964 (X) - ARCHIVIO PALEOGRAFICO ITALIANO. Bul-lettino. Roma III S. 1962 (I) - ARCHIVIO STORICO, ARTISTICO, ARCHEOLOGICO E LETTERARIO DELLA CITTA E provincia di ROMA. Roma poi Spoleto 1875 (I) - 1882 (IV). archivio storico di corsica. Milano 1925 (I) - 1942 (XVIII). ARCHIVIO STORICO DI MALTA. Roma 1935/36 (VII) - 1942 (XIII). archivio storico italiano. Firenze 1842 (I) - 1850/51 (XVI); II S. 1855 (I) - 1863 (XVII); III S. 1865 (I) - 1877 (XXVI); IV S. 1878 (I) - 1887 (XX); V S. 1888 (I) - 1909 (XLIV); 1911 (XLVII) - 1912 (L); VI S. 1913 (LXXI) - 1923 (LXXXI); VII S. 1924 (LXXXII) - 1934 (XCII); Vili S. 1935 (XCIII) - 1947 (CV); 1949 (CVII) -appendice. Firenze 1842 (I) - 1853 (IX). archivio storico lombardo. Giornale della Società Storica Lombarda. Milano 1874 (I) - 1883 (X); II S. 1884 (XI) - 1893 (XX); III S. 1894 (XXI) - 1903 (XXX); IV S. 1904 (XXXI) - 1913 (XL); V S. 1914 (XLI) - 1924 (LI); VI S. 1925 (LII) - 1933 (LX); VII S. 1934 (LXI) - 1935/36 (LXII); N.S. 1936 (I) - 1945/47 (X); VIII S. 1948/49 (I) - Le annate 1937 -1945/47 col sottotitolo: Organo centrale della Deputazione di Storia Patria per la Lombardia. archivio storico messinese. Pubblicazione periodica della Società Messinese di Storia Patria. Messina 1900 (I) - 1908 (IX); N.S. 1934 (I); 1936/38 (I). Le annate 1936/38 col titolo: bollettino storico messinese costituiscono un unico volume che non porta indicazione di serie ma semplicemente vol. I. archivio storico per la città e i COMUNI DEL CIRCONDARIO DI LODI Vedi: Archivio storico per la città e i comuni del Circondario e della Diocesi di Lodi. ARCHIVIO STORICO PER LA CITTÀ E I COMUNI DEL CIRCONDARIO E DELLA diocesi di lodi. Lodi 1882 (I) - 1892 (XI); 1934 (LUI); 1942 (LXI) - 1943 (LXII); 1946 (LXV); 1949 (LXVIII) - 1952 (LXXI). Le annate 1882-1913 col titolo: ARCHIVIO STORICO PER LA CITTÀ E I COMUNI DEL CIRCONDARIO DI LODI. ARCHIVIO STORICO PER LA SICILIA orientale. A cura della Società di Storia Patria per la Sicilia Orientale. Catania 1904 (I) - 1920 (XVII); 1922 (XIX); N.S. 1925 (I) - 1935 (XI); — 447 — III S. 1936 (I); 1939 (IV) - 1940 (V). Le annate 1936-1940 col titolo: BOLLETTINO STORICO CATANESE. ARCHIVIO STORICO PER LE MARCHE E PER L’UMBRIA. Foligno 1884 (I) - 1888 (IV). Per il seguito vedi: deputazione di storia patria per le marche. ARCHIVIO STORICO per le PROVINCIE napoletane. Pubblicato a cura della Società Napoletana di Storia Patria. Napoli 1876 (I) - 1914 (XXXIX); N.S. 1915 (I) - 1936 (XXII); 1939 (XXV) - 1961 (XL); III S.: 1962 (I) -Le annate 1935-1947 col sottotitolo: Pubblicato a cura della Deputazione R. Napoletana di Storia Patria. ARCHIVIO STORICO PER LE PROVINCIE parmensi. Parma 1892 (I) - 1899/900 (Vili); N.S. 1901 (I) - 1935 (XXXV); III S. 1936 (I) - 1943 (Vili); IV S. 1945/48 (I) - 1952 (IV); 1961 (XIII). ARCHIVIO STORICO PER TRIESTE, L'i-STRIA E IL TRENTINO. Roma 1881/82 (I) - 1889/95 (IV). archivio storico pratese. Periodico trimestrale della Società Pratese di Storia Patria. Prato 1938 (XVI) - 1939 (XVII); 1944/48 (XXIV) -archivio storico sardo. Organo della R. Deputazione di Storia Patria per la Sardegna. Cagliari 1905 (I) - 1916/17 (XII); 1922 (XIV) - 1935 (XIX); N.S. 1935/36 (I) - 1941/45 (IV); 1954 (XXIV). Le annate 1905 -1931/32 pubblicate dalla: Società Storica Sar- da. L'annata 1954 riprende la numerazione della Ia S. archivio storico siciliano. Società Siciliana per la Storia Patria. Palermo 1873 (I) - 1875/76 (III); N.S. 1876/77 (I) - 1932 (LII). archivio storico veronese. Verona 1883 (XVI) - 1884 (XX). archivio trentino. Pubblicato per cura della Direzione della Biblioteca e del Museo Comunale di Trento. Trento 1882/83 (I) - 1893 (XI). archivio veneto. Deputazione Veneta di Storia Patria. Venezia 1871 (I); 1872 (IV); 1874 (VII) - 1889 (XXXVIII); N.S. 1891 (I) - 1900 (XX); III S. 1901 (I) - 1917 (XXXIV); 1918(XXXVI) -1921 (XLII); IV S. 1922 (I) - 1926 (X); V S. 1927 (I) - 1929 (V); 1930 (VII) - 1934 (XV); 1935 (XVII); 1939 (XXIV) - 1942 (XXX). Le annate 1891-1921 col titolo: nuovo archivio veneto. Le annate 1922-1926 col titolo: archivio veneto-tridentino, archivio veneto-tridentino Vedi: Archivio Veneto. ARCHIVUM franciscanum historicum. Ordo Fratrum Minorum. Quaracchi 1908 (I) - 1918 (XI); 1920 (XIII) - 1942 (XXXV); 1947 (XL) -armonia (l') della religione con la civiltà. Torino 1848 (I) - 1849 (II). arte e storia. Rivista mensile. Firenze 1883 (II) - 1895 (XIV); — 448 — 1897 (XVI) - 1899 (XVIII); 1904 (XXIII) - 1905 (XXIV). associazione (l'). Giornale del povero. Genova 1851 (I), ott. - die. Continuazione di: povero (il), ateneo ligure. Rassegna mensile della Società di Letture e Conversazioni Scientifiche di Genova. Genova 1889 (XI) - 1891 (XIV). Per i precedenti e i seguenti vedi: SOCIETÀ DI LETTURE E CONVERSAZIONI SCIENTIFICHE DI GENOVA. Giornale. ateneo veneto. Rivista mensile di scienze, lettere ed arti. Venezia 1881 (IV) - 1917 (XL); 1920 (XLIII) - 1921 (XLIV); 1939 (CXXVI); 1955 (CXXXIX) - 1956 (CXL). Dal 1926 i voli, sono numerati partendo dall’anno di fondazione della rivista: 1817. ateneo di brescia. Commentari. Brescia 1813 - 1817; 1820 - 1842; 1844 - 1905; 1907 - 1915; 1917 - 1928; 1930 - 1952. ateneo di salò. Memorie e bullet-tino della biblioteca. Salò 1930 (I) - 1931 (II); 1936 (VII) - 1937 (Vili). ATENEO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI Dì Bergamo. Atti. Bergamo 1900/01 (XVI) - 1902/04 (XVII); 1903/06 (XIX) - 1921 (XXVI); 1926 (XXVII). aurea parma. Rivista di lettere, arte, storia. Parma 1948 (XXXII) - 1952 (XXXVI). BEITRAGE ZUR ERFORSCHUNG STEIER- ischer geschichtsquellen. Graz N.S. 1905 (II) - 1914 (Vili). Continuazione di: beitràge zur KUNDE STEIERMARKISCHER GESCHICHTSQUELLEN. Incorpora anche: HISTORISCHER VEREIN FÜR STEIER- mark. Mitteilungen. BEITRAGE ZUR KUNDE STEIERMARKISCHER GESCHICHTSQUELLEN. Graz 1874 (XI) - 1898 (XXIX). Per il seguito vedi: beitràge zur ERFORSCHUNG STEIERISCHER GESCHICHTSQUELLEN. berio (la). Bollettino d’informazioni bibliografiche. Genova 1961 (I) - BIBLIOTECA CIVICA « A. MAI ». BERGAMO. Bollettino. Bergamo 1907 (I) - 1908 (II). BIBLIOTECA GOVERNATIVA E LIBRERIA civica di Cremona. Annali. Cremona 1948 (I) - 1961 (XIV). BIBLIOTECA NAZIONALE CENTRALE. Firenze Vedi: Bollettino delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. BIBLIOTECA NAZIONALE CENTRALE VITTORIO Emanuele. Roma Vedi: Bollettino delle opere moderne straniere acquistate dalle Biblioteche pubbliche e governative del Regno d’Italia (Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele). BIBLIOTHÈQUE DE L’ÉCOLE DES CHARTES. Revue d’érudition consacrée spécialement à l’étude du Moyen Age. Paris 1925 (LXXXVI) - 1939 (C); 1947/48 (CVII) - 1955 (CXIII); 1959 (CXVII) - — 449 — 29 BOLLETTINO DELLE OPERE MODERNE STRANIERE ACQUISTATE DALLE BIBLIOTECHE PUBBLICHE E GOVERNATIVE del regno d’italia. (Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele). Roma 1886 (I) - 1891 (VI); N.S. 1898 (I); III S. 1902 - 1913. BOLLETTINO delle pubblicazioni italiane RICEVUTE PER DIRITTO DI STAMPA DALLA BIBLIOTECA NAZIONALE centrale di FIRENZE. Firenze 1886 - 1957. BOLLETTINO LIGUSTICO PER LA STORIA e la cultura regionale. Genova 1949 (I) - BOLLETTINO STORICO BIBLIOGRAFICO SUBALPINO. Pubblicato per cura della Società Storica Subalpina [poi, dal 1936] Organo della Deputazione Subalpina di Storia Patria. Torino 1896 (I) - 1934 (XXXVI); N.S. 1935 (I) - 1941/42 •VII)* 1947 (IX) - 1948 (XLVI); 1956 (LIV) -Dal 1948 riprende l’antica numerazione dalla fondazione della rivista. BOLLETTINO STORICO CATANESE Vedi: Archivio storico per la Sicilia Orientale. BOLLETTINO STORICO CREMONESE. A cura della Commissione Conservatrice dell’Archivio Storico Comunale. Cremona 1931 (I); III S. 1948/49 (I) - BOLLETTINO STORICO DELLA SVIZZERA italiana. Bellinzona. 1880 (II) - 1881 (III); 1883 (V) - 1905 (XXVII); 1915 (XXXV) - 1925 (XL); II S. 1926 (I) - 1931 (VI); III S. 1932 (VII) - 1944 (XIX). bollettino storico livornese. Deputazione Toscana di Storia Patria. Sezione di Livorno. Livorno 1937 (I) - 1942 (VI). bollettino storico messinese Vedi: Archivio storico messinese. bollettino storico pavese. Pavia N.S. 1937/38 (I) - 1942 (V). Per i precedenti e i seguenti vedi: SOCIETÀ PAVESE DI STORIA PATRIA. Bollettino. BOLLETTINO STORICO PER LA PROVINCIA di novara. Rivista della Società Storica Novarese. Novara 1917 (XI) - 1935 (XXIX); N.S. 1936 (II) - 1942 (Vili). bollettino storico piacentino. Piacenza 1906 (I)- 1907 (II); 1910 (V); 1923 (XVIII) - 1952 (XLVII); 1962 (LVII) -bollettino storico pisano. R. Deputazione di Storia Patria per la Toscana. Sezione di Pisa. Pisa 1932 (I) - 1948 (XVII); 1950 (XIX) - Le annate 1932-1935 pubblicate dalla: società storica pisana. BOSTON JOURNAL OF NATURAL HISTORY. Boston 1834/37 (I) - 1859/63 (VII). Per il seguito vedi: boston society OF NATURAL HISTORY. Me-moirs. BOSTON SOCIETY OF NATURAL HISTORY. Memoirs. Boston 1886/93 (IV); 1905/28 (VI) - 1935/36 (IX). Continuazione di: boston journal OF NATURAL HISTORY. — 450 — BOSTON SOCIETY OF NATURAL HISTORY. Occasionai papers. Boston 1900 (IV) - 1931/39 (Vili). BOSTON SOCIETY OF NATURAL HISTORY. Proceedings. Boston 1848/51 (III) - 1935/39 (XLI). BR ITI SII SCHOOL AT ROME. Papers. London N.S. 1948 (III) - BULLETIN D’HISTOIRE ECCLESIASTIQUE ET ARCHÉOLOGIQUE DES DIOCÈSES DE VALENCE, DIGNE, GAP, GRÉNOBLE ET viviers. Valence 1882/83 (III) - 1901 (XXI). BULLETTINO DI NUMISMATICA E SFRAGISTICA per la storia d'italia. Camerino 1884/86 (II) - 1887/88 (III). BULLETTINO E ARCHIVIO MURATORI ANO Vedi: Istituto Storico Italiano per il Medio Evo. Bullettino e Archivio Muratoriano. BULLETTINO SENESE DI STORIA PATRIA. Siena 1894 (I) - 1929 (XXXVI); N.S. 1930 (I) - 1941 (XII); III S. 1942 (I) - 1943 (II); 1948 (VII) - 1962 (XXI). BULLETTINO STORICO PISTOIESE. Edito a cura della Società Pistoiese di Storia Patria [poi, dal 1937] della Sezione Pistoiese della Deputazione di Storia Patria per la Toscana. Pistoia 1899 (I) - 1944/45 (XLVI/XLVII); 1949 (LI) - 1957 (LIX); N.S. 1961 (III). Buonarroti (il). Scritti sopra le arti e le lettere. Roma II S. 1874 (IX) - 1880 (XIV); III S. 1882/84 (I) - 1890/92 (IV). casana (la). Notiziario bimestrale della Cassa di Risparmio di Genova. Genova 1959 (I); 1962 (IV) - CITTÀ Dì Milano. Rassegna mensile del Comune e Bollettino di Statistica. Milano 1951 (LXVIII) - civitas. Rivista mensile di studi politici. Roma 1952 (III) - 1954 (V). compagna (a). Rivista mensile illustrata. Genova 1928 (I) - 1933 (VI). comune (il) di Genova. Bollettino municipale mensile Vedi: Genova. Rivista mensile del Comune. comune (il) di la spezia. Rassegna municipale Vedi: La Spezia. Rassegna municipale. corriere mercantile. Genova 1848 (XXIV). corriere (il) unesco. Mensile del-l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura. Edizione Italiana. Roma 1963 (I) - corrispondenza socialista. Rivista mensile di critica politica e di documentazione. Roma N.S. 1960 (I) -CORSICA ANTICA E MODERNA. Rivista bimestrale. Livorno 1932 (I) - 1942 (XI). cosmos. Comunicazioni sui progressi più recenti e notevoli della geografia e delle scienze affini di Guido Cora. Torino 1873 (I) - 1889 (X); II S. 1894/95 (XII) - 1901 (XIII). cronache meridionali. Rivista mensile diretta da G. Amendola, F. De Martino, M. Alicata. Napoli 1954 (I). — 451 — cultura (la). Rivista di scienze, lettere ed arti. Roma 1881 (I) - 1886 (VII); 1888 (IX) - 1890 (XI); N.S. 1891 (I) - 1894 (IV); 1909 (XXVIII). daedalus. Journal of thè American Academy of Arts and Sciences. Boston 1955/57 (LXXXVI) -Continuazione di: american academy OF ARTS AND SCIENCES. Pro-ceedings. DEI MONUMENTI ISTORICI PERTINENTI ALLE PROVINCIE DI ROMAGNA. Bologna I S. Statuti: 1863/69 (I) - 1888; II S. Carte: 1872/75 (I) - 1879/84 (II); III S. Cronache: 1869/77 (I). DEPUTAZIONE ABRUZZESE DI STORIA PATRIA. aquila. Bullettino. Aquila III S. 1910 (I) - 1935 (XXVI); 1937 (XXVIII) -1940 (XXXI); 1944 (XXXV)-1963 (LUI). Continuazione di: società di storia PATRIA ANTON LUDOVICO ANTI-NORI NEGLI ABRUZZI. DEPUTAZIONE (R.) DI STORIA PATRIA per l’emilia. Atti e memorie. Modena N.S. 1877 (I) - 1881/82 (VII). Per i precedenti e i seguenti vedi: DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LE ANTICHE PROVINCIE MODENESI. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER l’emilia E la romagna. Atti e memorie. Bologna 1935/36 (I) - 1938 (III). Per i precedenti e i seguenti vedi: DEPUTAZIONE (R.) DI STORIA PATRIA PER LE PROVINCIE DI ROMAGNA. DEPUTAZIONE (R.) DI STORIA PATRIA PER L’EMILIA E LA ROMAGNA. SEZIONE DI MODENA. Vedi: Studi e Documenti. R. Deputazione di Storia Patria per l’Emilia e la Romagna. Sezione di Modena. DEPUTAZIONE (R.) DI STORIA PATRIA PER l'umbria. Bollettino. Perugia 1895 (I) - 1937 (XXXIV). Le annate 1895-1896 col titolo: SOCIETÀ UMBRA DI STORIA PATRIA. DEPUTAZIONE (R.) DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA Vedi: Società Ligure di Storia Patria. DEPUTAZIONE (R.) DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA. SEZIONE DI SAVONA Vedi: Società Savonese di Storia Patria. DEPUTAZIONE (R.) DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA. SEZIONE INGAUNA E INTEMELIA. Bollettino. Bordighera 1935/36 (A. II). Continuazione di: società stori- CO-ARCHEOLOGICA INGAUNA E INTEMELIA. Per il seguito vedi: rivista ingauna e intemelia. Bollettino della R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria. Sezione Ingauna e Intemelia. DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LE ANTICHE PROVINCIE MODENESI. Atti e memorie. Modena 1863 (I) - 1876 (Vili); N.S. 1877 (I) - 1881/82 (VII); III S. 1883 (I) - 1890/91 (VI); IV S. 1892 (I) - 1899 (IX); V S. 1900 (I) - 1920 (XIII); VII S. 1921 (I); 1924 (III) - 1937 (IX); Vili S. 1948 (I) - 1960 (XII); IX S. 1961 (I) - Le annate 1863 - 1876; 1883 • 1891; 1900 - 1937 col titolo: de- PUTAZIONI (R.R.) DI STORIA PATRIA PER LE PROVINCIE MODENESI E PARMENSI. Le annate 1877 -1882 col titolo: DEPUTAZIONE (R.) DI STORIA patria per l'emilia. Le annate 1892-1899 col titolo: deputazione (r.) di storia patria per le provincie parmensi. La VI S. riservata alla continuazione della « Biblioteca Modenese » del Tiraboschi. Vedi anche: studi e documenti, pubblicati nell’intervallo fra la VII e l’VIII S. deputazione di storia patria per le marche. Atti e memorie. Ancona 1895 (I) - 1903 (VI); N.S. 1904 (I) - 1913 (IX); III S. 1916 (I) - 1916/17 (II); IV S. 1924 (I) - 1931/32 (VIII-IX); V S. 1937 (I) - 1942 (V); VII S. 1946 (I) - 1954 (IX); IX S. 1959 (XII). Continuazione di: archivio storico per le marche e l'umbria. Le annate 1895-1915 col titolo: deputazione (r.) di storia patria PER LE PROVINCIE DELLE MARCHE. DEPUTAZIONE (R.) DI STORIA PATRIA PER LE PROVINCIE DELLE MARCHE. Vedi: Deputazione di Storia Patria per le Marche. DEPUTAZIONE (R.) DI STORIA PATRIA PER LE PROVINCIE DI ROMAGNA. Atti e memorie. Bologna 1862 (I) - 1870 (IX); III S. 1883 (I) - 1910 (XXVIII); IV S. 1911 (I) - 1935 (XXV); N.S. 1948 (I) - Per le annate 1935/36-38 vedi: DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER L'EMILIA E LA ROMAGNA. DEPUTAZIONE (R.) DI STORIA PATRIA PER le provincie parmensi. Atti e memorie. Modena IV S. 1892 (I) - 1899 (IX). Per i precedenti e i seguenti vedi: deputazione di storia patria PER LE ANTICHE PROVINCIE MODENESI. DEPUTAZIONE FERRARESE DI STORIA PATRIA Vedi: Deputazione Provinciale Ferrarese di Storia Patria. DEPUTAZIONE PROVINCIALE FERRARESE di storia patria. Atti e memorie. Ferrara 1886 (I) - 1915/17 (XXII); 1919/22 (XXIV) - 1929 (XXVII); 1936 (XXX). Le annate 1886-1907 col titolo: DEPUTAZIONE FERRARESE DI STORIA PATRIA. DEPUTAZIONE (R.) ROMANA DI STORIA PATRIA Vedi: Società Romana di Storia Patria. DEPUTAZIONE VENETA DI STORIA PATRIA. Atti. Venezia 1876 (I) - 1880 (V); 1889 (XIV) - 1890 (XV). DEPUTAZIONI (R.R.) DI STORIA PATRIA PER LE PROVINCIE MODENESI E PARMENSI. Atti e memorie. Modena 1863 (I) - 1876 (VIII); III S. 1883 (I) - 1890/91 (VI); V S. 1900 (I) - 1920 (XIII); VII S. 1921 (I); 1924 (III) - 1937 (IX). Per la N.S. e IV S. e per il seguito vedi: deputazione di storia PATRIA PER LE ANTICHE PROVINCIE MODENESI. DOCUMENTI DI VITA ITALIANA. Centro di Documentazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Roma 1951 (I) - 1963 (XIII). Per il seguito vedi: vita italiana. 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Torino 1881, (V) - 1894 (XVIII). Le annate 1884-1891 col titolo: gazzetta letteraria, artistica e SCIENTIFICA. GAZZETTA LETTERARIA, ARTISTICA E SCIENTIFICA Vedi: Gazzetta letteraria. GAZZETTA NAZIONALE DELLA LIGURIA. Genova 1797/98 - 1804/05. Per il seguito vedi: gazzetta di Genova. Dal n. 1, 11 giugno 1191 al n. 26, 9 die. 1791 col titolo: GAZZETTA NAZIONALE GENOVESE. GAZZETTA NAZIONALE GENOVESE Vedi: Gazzetta Nazionale della Liguria. Genova. Rivista mensile del comune. Genova 1921 (I) - Le annate 1921 -1921 col titolo: il comune di Genova. Bollettino municipale mensile. Le annate 1927-29 col titolo: la grande Genova. Bollettino municipale. Le annate 1930-1936 col sottotitolo: Rivista municipale. GEOGRAPHISCHE GESELLSCHAFT. MIT- teilungen. Wien 1857 (I) - 1865 (IX); N.S. 1868 (I). GIORNALE ARALDICO, GENEALOGICO, DIPLOMATICO. Bari / Pisa 1873/74 (I) - 1890/91 (XVIII); N.S. 1892 (I) - 1905 (X). GIORNALE DEGLI ECONOMISTI E ANNALI di economia. Padova 1939 (I) - Continuazione di: annali di economia. giornale degli eruditi e dei curiosi. Padova 1883 (III) - 1885 (V). — 454 — GIORNALE DEGLI STUDIOSI DT LETTERE, scienze, arti e mestieri. Dedicato alla Società Ligure di Storia Patria. Genova 1869 (I) - 1873 (V). GIORNALE DI ERUDIZIONE ARTISTICA. Pubblicato a cura della R. Commissione Conservatrice di Belle Arti nella Provincia dell'Umbria. Perugia 1874 (III) - 1877 (VI). GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E BELLE ARTI Vedi: Giornale ligustico di archeologia, storia e letteratura. GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E LETTERATURA. Genova 1874 (I) - 1893 (XX); N.S. 1896 (XXI) - 1898 (XXIII). Le annate 1874 -1881 col titolo: GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E BELLE ARTI. Per il seguito vedi: giornale storico e letterario DELLA LIGURIA. GIORNALE LIGUSTICO DI SCIENZE, LETTERE ed arti. Genova 1827 (I) - 1829 (III). Per il seguito vedi: nuovo giornale LIGUSTICO. GIORNALE STORICO DELLA LETTERATURA italiana. Torino 1897 (XX) - 1899 (XXXIII). GIORNALE STORICO DELLA LUNIGIANA. La Spezia 1909 (I) - 1923 (XIII); N.S. 1950 (I) - Vedi anche: giornale storico e LETTERARIO DELLA LIGURIA. GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA Liguria. La Spezia / Genova 1900 (I) - 1908 (IX); N.S. 1925 (I) - 1943 (XIX). Continuazione di: giornale ligustico di archeologia, storia e letteratura. Per gli anni 1909 -1923 vedi: giornale storico della lu- NIGIANA. grande (la) GENOVA. Bollettino municipale Vedi: Genova. Rivista mensile del Comune. HISTORISCHE MONATSBLATTER FÜR DIE provinz POSEN. Beilage zur Zeit-schrift der historischen Gesell-schaft fiir die Provinz Posen. Po-sen 1900 (I) - 1914 (XV). HISTORISCHE VIERTEUAHRSSCHRIFT. Zeitschrift fiir Geschichtswissen-schaft und für lateinische Philologie des Mittelalters. Leipzig 1922/23 (XXI) - 1936/37 (XXXI). HISTORISCHE GESELLSCHAFT FÜR DIE provinz posen. Zeitschrift. Posen 1886/87 (II) - 1888 (IV); 1892 (VII) - 1914 (XXIX). 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ISTITUTO (PIO) DEI RACHITICI DI GENOVA Vedi: Strenna a beneficio del Pio Istituto dei Rachitici di Genova. ISTITUTO LOMBARDO DI SCIENZE E LETTERE. Milano. Rendiconti. Milano 1864 (I) - 1867 (IV); II S. 1868 (I) - 1936 (LXIX); III S. 1937 (I) - L’annata 1937 è numerata anche LXX. ISTITUTO LOMBARDO DI SCIENZE E LETTERE. Milano. Classe di lettere, scienze morali e politiche. Memorie. Milano II S. 1863 (III); III S. 1867 (I) - 1955 (XVI); IV S. 1960 (I) - ISTITUTO (R.) LOMBARDO DI SCIENZE E lettere. Milano. Classe di scienze matematiche e naturali. Memorie. Milano III S. 1867 (I) - 1870/73 (III). 1878/81 (V) - 1939 (XV). ISTITUTO STORICO E DI CULTURA DEL- l’arma del genio. Bollettino. Roma 1938 - 1953. ISTITUTO STORICO ITALIANO. Bullet-tino Vedi: Istituto Storico Italiano per il Medio Evo. Bullettino e Archivio Muratoriano. ISTITUTO STORICO ITALIANO PER IL MEDIO evo. Bullettino e Archivio Muratoriano. Roma 1886 (1) - 1896 (18); 1898 (20) - 1916 (36); 1918 (38) - Le annate 1886 -1921 col titolo: istituto storico italiano. Bullettino. ISTITUTO (R.) VENETO DI SCIENZE, LETTERE ed arti. Venezia. Atti. Venezia V S. 1876/77 (III) - 1881/82 (VIII); VI S. 1882/83 (I) - 1888/89 (VII); VII S. 1889/90 (I) - 1898 (X); VIII S. 1898/99 (I) - 1915/16 (XVIII); IX S. 1916/17 (I) - 1941/42 (CI). Con l’annata 1926/27 riprende la numerazione generale dall'inizio della collezione. ISTITUTO (R.) VENETO DI SCIENZE, LETTERE ed arti. Venezia. Memorie. Venezia 1861/62 (X) - 1936/40 (XXX). ISTITUTO (R.) VENETO DI SCIENZE MATEMATICHE E NATURALI. VENEZIA. Atti. Venezia 1934/35 (XCIV) - 1941/42 (CI). ISTITUTO (R.) VENETO DI SCIENZE MORALI E lettere. Venezia. Atti. Venezia 1934/35 (XCIV) - 1941/42 (CI); 1963/64 (CXXII) - japigia. Organo della R. Deputazione di Storia Patria per le Puglie. Bari 1930 (I) - 1932 (III); 1934 (V) - 1935 (VI); N.S. 1936 (VII) - 1943 (XIV); III S. 1944 (XV) - 1946 (XVII). Le annate 1930-1935 col sottotitolo: Rivista di archeologia, storia e arte. — 456 — julia dertona. Bollettino della Società Storica Tortonese. Tortona 1903 (I) - 1916 (XIV). Le annate 1903-1906 col titolo: SOCIETÀ DI STORIA, ECONOMIA E ARTE nel tortonese. Bollettino. la spezia. Bollettino di statistica. La Spezia 1948 - 1950. la spezia. Rassegna municipale. La Spezia 1923 (I) - 1935 (XIII); 1937 (XV) - 1951 (XX); 1953 (XXII). Le annate 1923-1938 col titolo: il comune della spezia. Rassegna municipale. lettere e arti. Dir. Enrico Panzac-chi. Bologna 1889 (I) - 1890 (II). libro (il) e la stampa. Bollettino ufficiale della Società Bibliografica Italiana. Milano N.S. 1907 (I) - 1914 (Vili). Liguria (la). Pubblicazione settimanale. Genova 1861 (I) - 1863 (IX). Liguria. Rassegna mensile dell’attività ligure. Genova 1951 (XVIII) - 1956 (XXIII); 1959 (XXVI); 1961 (XXVIII). Liguria (la) illustrata. Genova 1913 (I) - 1916 (IV). maga (la). Giornale politico satirico con caricature. Genova 1852 (II/IV) - 1853 (V). maremma. Bollettino della Società Storica Maremmana. Siena 1924 (I) - 1928/29 (IV); 1931 (VI); N.S. 1932 (I) - 1936 (V). MARINA (la) mercantile. Rivista mensile di politica economica, statistica e tecnica marittime. Genova 1948 (I) -mélanges d’archeologie et d’histoi-re. École Française de Rome. Roma / Paris 1912 (XXXII) - 1932 (XLIX); 1934 (LI) - 1939 (LVI); 1941/46 (LVIII) - MEMORIE STORICHE DELLA CITTÀ E DEL- l’antico ducato di mirandola. Mirandola 1889 (VII) - 1890 (Vili); 1892 (X). MEMORIE STORICHE F0R0GIULIESI. Giornale della R. Deputazione di Storia Patria per le Venezie. Sezione per il Friuli. Udine 1916 (XII) - 1941 (XXXVII). Le annate 1916-1918 col sottotitolo: Giornale della Società Storica Friulana. Le annate 1919-1934 col sottotitolo: Giornale della R. Deputazione Friulana di Storia Patria. mettensia. Mémoires et documents publiés par la Société Nationale des Antiquaires de France. Paris 1909/12 (VI) - 1923/27 (VIII). minerva. Rivista delle riviste. Roma 1915 (XXV) - 1919 (XXIX). MISCELLANEA DI STORIA E CULTURA ecclesiastica. Roma 1904/05 (III) - 1906/07 (V). miscellanea di storia italiana. Torino 1862 (I) - 1876 (XV); II S. 1877 (XVI) - 1894 (XXXI); III S. 1895 (I) - 1935 (XXIV). miscellanea di storia veneta. Venezia II S. 1898 (IV) - 1907 (XII); — 457 — III S. 1910 (I) - 1915 (Vili); 1916 (X) - 1922 (XVII). MISCELLANEA DI STUDI E MEMORIE. A cura della R. Deputazione di Storia Patria per le Venezie. Venezia 1940 (II); 1942 (IV); MISCELLANEA STORICA DELLA VALDEL- sa. Periodico della Società Storica della Valdelsa. Castelfio-rentino 1839 (I) - 1930 (XXXVIII). MONDO OCCIDENTALE. Rivista mensile di politica e di varia cultura. Roma 1954 (I) - 1957 (IV). MONITORE DELLA 28a DIVISIONE MILITARE dell’impero francese. Genova 1806 (Vili) - 1810/11 (XII). Continuazione di: monitore ligure. monitore ligure. Genova 1798/99 (I) . 1804 (VI). Per il seguito vedi: monitore DELLA 28a DIVISIONE MILITARE DEL-L’IMPERO FRANCESE. MONUMENTI DI STORIA PATRIA DELLE PROVINCIE MODENESI. SERIE DEGLI STATUTI. Modena 1864 (I). MONUMENTI DI STORIA PATRIA DELLE PROVINCIE MODENESI. SERIE DELLE cronache. Modena 1861 (I) - 1878 (X); 1881 (XII) - 1888 (XV). monumenti storici. Pubblicati dalla R. Deputazione veneta di Storia Patria. Venezia. I S. Documenti: 1876 (I) - 1880 (V); 1883 (VII) - 1914 (XVII); 1915 (XIX) - 1939 (XX); II S. Statuti: 1886 (I) - 1914 (IV); III S. Cronache e diari: 1884/85 (I) - 1915 (IV), IV S. Miscellanea: 1881 (I) - 1890 (XI). movimento (il) di liberazione in Italia. Rassegna bimestrale di oiudi e documenti. Milano 1950 - 1959; 1963 - movimento operaio. Bollettino mensile di storia del Movimento Operaio Italiano. Milano 1952 (IV) - 1954 (VI). museo civico di Padova. Bollettino. Rivista padovana di arte antica e moderna, di numismatica, di araldica, di storia e di letteratura. Padova 1942/54 (XXXI/XLIII) - 1957/58 (XLVI/XLVII); 1961 (L) - 1963 (LII). MUSEO CIVICO DI STORIA NATURALE DI Genova. Annali. Genova 1870 (I) - 1884 (XX); II S. 1884 (I) - 1899/01 (XX); III S. 1904/05 (I) - 1907/08 (III). NEW YORK PUBLIC LIBRARY. Bulletin New York 1897 (I) - 1936 (XL). notizie degli archivi di stato. Bollettino bimestrale a cura del Ministero deH'Interno. Roma 1941 (I) - 1942 (II); 1944/47 (IV/VII) - 1954 (XIV). Per il seguito vedi: rassegna DEGLI ARCHIVI DI STATO. NOTIZIE DI ARCHEOLOGIA, STORIA ED arte. Pubblicate dalla Sezione di Velletri della R. Deputazione Romana di Storia Patria. Velletri. 1940 (III) - 1943 (VI). — 458 — NUOVA ANTOLOGIA DI LETTERE, SCIENZE ed arti. Firenze/Roma 1908 (XLIII) - 1918 (LUI). NUOVA (LA) LIGURIA medica. Giornale di scienze mediche. Genova 1874 (XIX). NUOVE effemeridi siciliane. Studi storici, letterari, bibliografici. Palermo II S. 1874 (I); III S. 1875 (I) - 1876 (IV). L’annata 1874 col sottotitolo: Di scienze, lettere ed arti. NUOVO ARCHIVIO VENETO Vedi'. Archivio veneto. NUOVO giornale ligustico di scienze, lettere ed arti. Genova 1831 (I) - 1833 (II); II S. 1837 (I) - 1838 (III). Continuazione di: giornale ligustico DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI. nuovo (il) risorgimento. Rivista di filosofia, scienze, lettere, educazione e studi sociali. Parma/ Milano 1892/93 (III) - 1893/94 (IV). ODESSKOE OBSCESTVO ISTORI! I DREV-nosteï. Zapiski Imperatorskago. Odessa 1844 (I) - 1904 (XXV); 1910 (XXVIII) - 1913 (XXXI). OSSERVATORIO DELLA R. UNIVERSITÀ DI Torino. Bollettino. Torino 1877 (XII) - 1884 (XIX); 1886 (XXI). parini (il). Firenze 1875 (I). PERIODICO STORICO COMENSE. Como N.S. 1936 (I) - 1945/47 (VI). Continuazione di: società storica PER LA PROVINCIA E ANTICA DIO- CESI. como. Periodico di Como. POLSKA AKADEMIJA NAUK. KRAKOW. SPRAWOZDANIA Z POSIEDZÉN KOMI- sji. Krakow 1957 - Continuazione di: académie polonaise des sciences et des lettres. polybiblion. Revue bibliographique universelle. Partie littéraire. Paris 1874 (XII) - 1875 (XIII); II S. 1875 (I) - 1882 (XV); 1883 (XVII) - 1895 (XLII); 1897 (XLV/XLVI). polybiblion. Revue bibliographique universelle. Partie technique. Paris II S. 1875 (I) - 1895 (XXI); 1897 (XXIII). povero (il). Genova 1851 (I), genn. - sett. Per il seguito vedi: associazione (L’) preludio. Rivista di lettere, scienze ed arti. Ancona 1881 (V) - 1884 (Vili). prospetti u.s.a. Letteratura, arte, musica. Firenze 1953 (n. 3) - 1956 (n. 16). "quaderni della « rassegna degli archivi di stato ». Roma 1960 (I) - QUELLEN UND F0RSCHUNGEN AUS ITA-LIENISCHEN ARCHIVEN UND BIBLTO-THEKEN. Rom 1897/98 (I) - 1942 (XXXII); 1964 (XLIV) - \ rassegna (la). Genova 1928 (XXXV). Continuazione di: rassegna bibliografica DELLA LETTERATURA ITALIANA. — 459 — RASSEGNA BIBLIOGRAFICA DELLA LETTERATURA ITALIANA. Pisa 1903 (XI) - 1910 (XVIII); N.S. 1911 (I) - 1915 (V). Per il seguito vedi: rassegna (la), rassegna degli archivi di stato. Ministero dell’interno. Roma 1955 (XV) - Continuazione di: notizie degli archivi di stato, rassegna di cultura. A cura del-l’Alleanza Nazionale del Libro. Milano 1934 (I) - 1936 (III). rassegna (la) italiana. Periodico mensile. Roma 1885 (V) - 1886 (VI). rassegna monetaria. Valute, scambi coll’estero, tributi, banche. Roma 1936 (XXXIII) - 1938 (XXXV); 1940 (XXXVII) - 1943 (XL). Continuazione di: rassegna numismatica, finanziaria e tecnico-monetaria. rassegna (la) nazionale. Roma/Firenze 1883 (V) - 1894 (XVI); 1903 (XXV) - 1904 (XXVI). rassegna numismatica Vedi: Rassegna numismatica finanziaria e tecnico-monetaria. rassegna numismatica finanziaria e tecnico-monetaria. Roma 1929 (XXVI) . 1935 (XXXII). Le annate 1929-30 col titolo: RASSEGNA NUMISMATICA. Per il seguito vedi: rassegna monetaria. RASSEGNA STORICA DEL RISORGIMENTO. Organo dell’istituto per la Storia del Risorgimento Italiano. Roma 1914 (I) - 1943 (XXX); 1947 (XXXIV) - 1962 (XLIX). Le annate 1914-1934 col sottotitolo: Organo della Società Na- zionale per la Storia del Risorgimento Italiano. RASSEGNA STORICA SALERNITANA. A cura della R. Deputazione Napoletana di Storia Patria. Sezione di Salerno. Salerno 1937 (I) - 1939 (III); 1944 (V) - 1945 (VI). RÉPERTOIRE D’ART ET D’ARCHÉOLOGIE. Dépouillement des périodiques français et étrangers. Paris 1910 (I) - 1914/19 (V). REVUE BÉNÉDECTINE. Abbaye de Ma-redsous 1891 (VIII) - 1947 (LVII). REVUE BIBLIOGRAPHIQUE UNIVERSELLE Vedi: Polybiblion. Revue bibliographique universelle. REVUE DE LA CORSE ANCIENNE ET MODERNE. Paris 1922 (III) - 1940 (XXI). REVUE DES DEUX MONDES. Paris 1930 (C) - 1935 (CV). REVUE DES QUESTIONS HISTORIQUES. Paris 1909/10 (XLIV) - 1914 (XLIX). RIGOLETTO. Giornale serio-umoristi-co con caricature. Genova 1862 (I) - 1864 (III). rinascenza SALENTINA. Organo della R. Deputazione di Storia Patria per le Puglie. Sezione di Lecce. Lecce 1936 (IV) - 1937 (V). risorgimento (il) italiano. Organo del Comitato Piemontese della Soc. Nazionale per la Storia del Risorgimento Italiano. Torino 1915 (Vili) - 1933 (XXVI). Le annate 1915-1925 pubblicate dalla: Società Storica Subalpina. rivista araldica. Collegio Araldico di Roma. Roma 1906 (IV) - 1907 (V). — 460 — RIVISTA ARCHEOLOGICA DELLA PROVINCIA di como. Periodico di antichità e d’arte della Società Archeologica comense. Como 1872 - 1874; 1876 - 1893; 1901. L'annata 1872 col titolo: studi ARCHEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI COMO. RIVISTA DELLA NUMISMATICA ANTICA E MODERNA Vedi: Rivista numismatica italiana. RIVISTA DELLE BIBLIOTECHE E DEGLI archivi. Periodico di biblioteconomia e di bibliografia, di paleografia e di archivistica. Firenze 1888 (I) - 1889 (II); 1904 (XV) - 1912 (XXIII). RIVISTA DI ARTIGLIERIA E GENIO. Roma 1884 - 1929. RIVISTA DI STORIA, ARTE, ARCHEOLOGIA PER LA PROVINCIA DI ALESSANDRIA. Alessandria 1892 (I) - 1900 (IX); II S. 1901 (X) - 1916 (XXV); III S. 1917 (I) - 1942 (LI). Con l’annata 1931 si riprende la numerazione generale dall'inizio della rivista. Le annate 1936- 1942 col sottotitolo: Bollettino della Sezione di Alessandria della R. Deputazione Subalpina di Storia Patria. Per il seguito vedi: RIVISTA DI STORIA, ARTE, ARCHEOLOGIA PER LE PROVINCIE D’ALESSAN-DRIA E ASTI. RIVISTA DI STORIA, ARTE, ARCHEOLOGIA PER LE PROVINCIE D'ALESSANDRIA E asti. Alessandria. 1943 (LII) - Continuazione di: rivista di storia, ARTE, ARCHEOLOGIA PER LA PROVINCIA DI ALESSANDRIA. rivista di storia antica. Periodico trimestrale di antichità classica. Messina 1900/01 (V) - 1909/10 (XIII). rivista di studi liguri. Organo ufficiale dell'istituto Intemazionale di Studi Liguri. Bordighera 1942 (VIII) - Continuazione di: rivista ingau-na E intemelia. Bollettino della R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria. Sez. Ingauna e Intemelia. rivista diocesana genovese. Organo Ufficiale per gli Atti della Curia Arcivescovile di Genova. Genova 1920 (X) - RIVISTA INGAUNA E INTEMELIA. Bollettino della R. Deputazione di Storia per la Liguria. Sezione Ingauna e Intemelia. Bordighera 1937 (III) - 1941 (VII). Continuazione di: deputazione (R.) DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA. SEZIONE INGAUNA E INTEMELIA. Bollettino. Per il seguito vedi: RIVISTA DI STUDI LIGURI. RIVISTA INGAUNA E INTEMELIA. Organo delle Sezioni rivierasche dell’istituto Intemazionale di Studi Liguri. Nuova Serie. Bordighera N.S. 1946 (I) - L’annata 1946 col sottotitolo: Organo della Sezione Ingauna e Intemelia della R. Deputazione di Storia Patria per la Liguria. RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA. Milano. 1888 (I) - 1893 (VI). RIVISTA ITALIANA DI PRAGA. Organo ufficiale dellTstituto di Cultura Italiana. Praga 1927 (I). — 461 — RIVISTA ITALIANA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTT. Milano 1874 (I) - 1874/75 (II). RIVISTA LIGURE. Giornale di lettere, scienze ed arti. Genova 1844 (II) - 1846/47 (IV). RIVISTA LIGURE DI SCIENZE, LETTERE ed arti. Organo della Società di Letture e Conversazioni Scientifiche di Genova. Genova 1900 (XXII) - 1917 (XLIV). Continuazione di: società di letture E CONVERSAZIONI SCIENTIFICHE di Genova. Giornale. La numerazione della rivista salta dal 1909 {XXXI) al 1910 (XXXVII). rivista marittima. Periodico mensile. Roma 1874 (VII) - 1876 (IX); 1878 (XI) - 1890 (XXIII); 1892 (XXV) - 1893 (XXVI); 1902 (XXXV) - 1911 (XLIV). RIVISTA NUMISMATICA ITALIANA. Asti 1864/65 (I) - 1866 (II). L’annata 1864/65 col titolo: rivista della numismatica antica E MODERNA. rivista sarda. Cagliari 1875 (I/II). rivista storica benedettina. Roma 1906 (I) - 1926 (XVII). rivista storica calabrese. Reggio Calabria 1903 (XI) - 1908 (XVI). rivista storica italiana. Roma/Torino/Firenze 1884 (I) . 1895 (XII); 1901 (XVIII) - 1949 (LXI); 1952 (LXIV) - 1960 (LXXII). ROSSiiA i italiia. Pietroburgo 1907/11 (I) - 1911 (III). scuola (la) e la famiglia. Periodico settimanale d’istruzione ed educazione. Genova 1876 (XII); 1878 (XIV) - 1879 (XV). scuola (r.) superiore di applicazione agli studi commerciali di Genova. Annuario. Genova 1904/05 - 1905/06. smithsonian contributions to knowledge. Smithsonian Institution. Washington XIV (1865) - XVI (1870); XVIII (1873) - XIX (1874). smithsonian miscellaneous collections. Smithsonian Institution. Washington Vili (1869) - XV (1878). SMITHSONIAN INSTITUTION. BOARD OF regents. Annual report. Washington 1863 - 1871; 1873. SMITHSONIAN INSTITUTION. BUREAU OF AMERICAN ETHNOLOGY. ANNUAL report. Washington 1879/80 (I) - 1906/07 (XXVIII); 1909/10 (XXXI) - SMITHSONIAN INSTITUTION. BUREAU OF AMERICAN ETHNOLOGY. BULLETIN. Washington XXV (1903) - XXX (1907/10); XXXII (1906) - XXXV (1907); XXXVII (1910) - XLVIII (1909); L (1911) - LVII (1915); LIX (1918) - CXXIX (1942); CXXXII (1942) - CXXXVIII (1943); CXLII (1945) - CLII (1954); CLIV (1953) - CLXXX (1961); CLXXXII (1962) - SMITHSONIAN INSTITUTION. INSTITUTE OF SOCIAL ANTHROPOLOGY. PUBLICATIONS. Washington I (1944) - XIV (1952). SOCIETÀ DANTESCA ITALIANA. FIRENZE. Bullettino. Firenze 1890 (I) - 1892 (III); N.S. 1893/94 (I). — 462 — SOCIETÀ DI ARCHEOLOGIA E BELLE ARTI PER LA PROVINCIA DI TORINO Vedi: Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti. SOCIETÀ DI LETTURE E CONVERSAZIONI scientifiche dt Genova. Bollettino. Genova 1892 (XV). Per i precedenti e i seguenti vedi: SOCIETÀ DI LETTURE E CONVERSAZIONI SCIENTIFICHE DI GENOVA. Giornale. SOCIETÀ DI LETTURE E CONVERSAZIONI scientifiche. Effemeridi. Genova 1870 (I) - 1873 (IV); N.S. 1874/75 - 1875. Per il seguito vedi: società di LETTURE e CONVERSAZIONI SCIENTIFICHE di Genova. Giornale. SOCIETÀ DI LETTURE E CONVERSAZIONI scientifiche di Genova. Giornale. Genova 1877 (I) - 1888 (XI); 1894 (XVI) - 1899 (XXI). Continuazione di: società di letture e conversazioni scientifiche. Effemeridi. Le annate 1889 - 1891 col titolo: ATENEO LIGURE L’annata 1892 col titolo: società DI LETTURE E CONVERSAZIONI scientifiche di Genova. Bollettino. Per il seguito vedi: rivista LIGURE DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI. SOCIETÀ DI SCIENZE E LETTERE. GENOVA. Atti. Genova 1936 (I) - 1940 (V). Continuazione di: società ligustica di scienze e lettere. Per il seguito vedi: accademia ligure di scienze e lettere, società di storia, economia e arte nel tortonese. Bollettino Vedi: Julia Dertona. Bollettino della Società Storica Tortonese. SOCIETÀ DI STORIA PATRIA ANTON LUDOVICO ANTINORI NEGLI ABRUZZI. aquila. Bollettino. Aquila 1889 (I) - 1900 (XII); 1902 (XIV) - 1909 (XXI). Per il seguito vedi: deputazione ABRUZZESE DI STORIA PATRIA. SOCIETÀ DI STORIA VALDESE Vedi: Società di Studi Valdesi. società di studi valdesi. Bollettino. Pinerolo, poi Torre Pellice 1884 (1) - 1889 (5); 1890 (7) - 1897 (14); 1898 (16) - 1900 (18); 1903 (20) - 1935 (63/64); 1936 (66) - 1946 (85); 1949 (89/90). Le annate 1884-1935 col titolo: société d'histoire vaudoise. SOCIETÀ ECONOMICA DI CHIAVARE Atti. Chiavari 1864 - 1865. 1867 - 1874; 1880 - 1893; 1895 - 1911; N.S. 1912- 1923; 1925- 1927; 1929- 1930; 1932-1936; 1938- 1951; 1953 - SOCIETÀ GEOGRAFICA ITALIANA. Bollettino. Roma 1868 (I) - 1875 (XII); II S. 1876 (I) - 1887 (XII); III S. 1888 (I) - 1899 (XII); IV S. 1900 (I) - 1911 (XII); V S. 1912 (I) - 1923 (XII); VI S. 1924 (I) - 1935 (XII); VII S. 1936 (I) - 1947 (XII); Vili S. 1948 (I) - 1959 (XII); IX S. 1960 (I) - Dal 1868 al 1946: società (r.) geografica ITALIANA. 463 SOCIETÀ (r.) geografica ITALIANA. Memorie. Roma 1878 (I) - 1880 (II); 1895 (V) - 1899 (IX). SOCIETÀ ISTRIANA DI ARCHEOLOGIA E storia patria. PARENZO. Atti e memorie. Parenzo 1901 (XVII) - 1914 (XXX); 1921 (XXXIII) - 1940 (LII). SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA. Atti. Genova 1858 (I) - 1957 (LXXIV); N.S. 1960 (I) - Le annate 1936 (LXV) - 1942 (LXIX) sono numerate anche: N. S. 1936 (/) - 1942 (V) e portano il titolo: DEPUTAZIONE (R.) DI STORIA PATRIA PER LA LIGURIA. SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA. Atti. Serie del Risorgimento. Genova 1923 (I) - 1950 (V). SOCIETÀ LIGUSTICA DI SCIENZE E LETTERE. Atti. Genova 1922 (I) - 1935 (XIV). Continuazione di: società ligustica DI SCIENZE NATURALI E GEOGRAFICHE. Per il seguito vedi: società di scienze e lettere. Genova. SOCIETÀ LIGUSTICA DI SCIENZE NATURALI e geografiche. Atti. Genova 1916 (XXVII) - 1921 (XXXII). Per il seguito vedi: società ligustica DI SCIENZE E LETTERE. SOCIETÀ LUNIGIANESE « G. CAPELLINI » PER LA STORIA NATURALE DELLA REGIONE. Memorie. La Spezia 1919 (I) - 1923 (IV). Per il seguito vedi: accademia LUNIGIANESE DI SCIENZE « G. CAPELLINI ». SOCIETÀ NAZIONALE PER LA STORIA DEL RISORGIMENTO ITALIANO. ROMA. Atti dei Congressi. X, 1922 (Trieste); XI, 1923 (Milano); XII, 1924 (Torino); XIV, 1926 (Trento); XVI, 1928 (Bologna). società pavese di storia patria. Bollettino. Pavia 1901 (I) - 1921 (XXI); 1926 (XXVI) - 1935 (XXXV); 1936 (I); N.S. 1946 (I) - 1957 (IX); 1961 (XIII) - Per gli anni 1931-1945 vedi: bollettino STORICO PAVESE. SOCIETÀ PIEMONTESE DI ARCHEOLOGIA E BELLE ARTI. TORINO. Atti. Torino 1875 (I) - 1930 (XII); 1937 (XVI). Le annate 1815 -1891/08 col titolo: SOCIETÀ DI ARCHEOLOGIA E BELLE ARTI PER LA PROVINCIA DI TORINO. SOCIETÀ PIEMONTESE DI ARCHEOLOGIA e belle arti. Torino. Bollettino. Torino 1917 (I) - 1935 (XIX). società reale di napoli. Annuario. Napoli 1937 - 1938/39; 1940/41 - 1941/42. società romana di storia patria. Archivio. Roma 1878 (I) - 1920 (XLIII); 1922 (XLV) - 1933/34 (LVI/LVII); N.S. 1935 (I) - 1943 (IX); III S. 1950 (IV) - Le annate 1935-1943 col titolo: DEPUTAZIONE (R.) ROMANA DI STORIA PATRIA. SOCIETÀ SAVONESE DI STORIA PATRIA. Atti. Savona 1918 (I) - 1927 (IX); 1929 (XI) - Continuazione di: società storica savonese. Le annate 1935 -1939 col titolo: deputazione (r.) di sto- — 464 — RIA PATRIA PER LA LIGURIA. SEZIONE DI SAVONA. SOCIETÀ STORICA PER LA PROVINCIA E antica diocesi, como. Periodico di Como. Como 1878 (I) - 1934 (XXX). Per il seguito vedi: periodico storico COMENSE. SOCIETÀ STORICA PER LA PROVINCIA E ANTICA DIOCESI, como. Raccolta storica. Como 1888/90 (I) - 1895/98 (III); 1905 (V) - 1935 (Vili). società storica savonese. Atti e memorie. Savona 1888 (I) - 1889/90 (II). Per il seguito vedi: società savonese di storia patria. SOCIETÀ STORICO - ARCHEOLOGICA INGAUNA E INTEMELIA. Bollettino. Bordighera 1934 (I). Per il seguito vedi: deputazione (R.) di STORIA PATRIA PER LA LIGURIA. SEZIONE INGAUNA E INTEMELIA. SOCIETÀ TIBURTINA DI STORIA E D’ARTE. tivoli. Atti e memorie. Tivoli 1951 (XXIV) - 1953 (XXVI). SOCIETÀ UMBRA DI STORIA PATRIA Vedi: Deputazione (R.). di Storia Patria per l’Umbria. SOCIETÀ VERCELLESE DI STORIA ED ARTE. Archivio. Memorie e studi. Vercelli 1909 (I) - 1919 (XI). SOCIÉTÉ (R.) D’ARCHÉOLOGIE DE BRUXELLES. Annales. Bruxelles 1887/88 (I) - 1889 (III); 1891 (V) - 1934 (XXXVIII); 1936 (XL). SOCIÉTÉ (R.) D’ARCHÉOLOGIE DE BRUXELLES. Annuaire. Bruxelles 1900 (XI) - 1903 (XIV); 1905 (XVI) - 1925 (XXVI). SOCIÉTÉ D’ÉTUDES PROVENÇALES. AIX-EN-PROVENCE. Annales. Aix-en-Pro- vence 1904 (I) - 1912 (IX). Per il seguito vedi: annales de PROVENCE. SOCIÉTÉ D’HISTOIRE VAUDOISE Vedi: Società di Studi Valdesi. SOCIÉTÉ DE STATISTIQUE DE MARSEILLE. Répertoire des travaux. Valence X S. 1904/05 (II)- 1906/10 (III). SOCIÉTÉ DES SCIENCES HISTORIQUES ET NATURELLES DE LA CORSE. Bulletin. Bastia 1881 (I) - 1884 (IV); 1895 (XV); 1904 (XXIV); 1906 (XXVI); 1911 (XXXI) - 1918 (XXXVI); 1919 (XXXIX) - 1925 (XLV). SOCIÉTÉ NATIONALE DES ANTIQUAIRES de France, paris. Bulletin. Paris 1904 - 1938; 1943/44; 1948/49 - SOCIÉTÉ NATIONALE DES ANTIQUAIRES de France, paris. Mémoires. Paris VII S. 1904/05 (VI) - 1910 (X); VIII S. 1911 (I) - 1937 (X); IX S. 1944 (I) - 1954 (III). SOCIÉTÉ NORMANDE DE GÉOGRAPHIE. Bulletin. Rouen 1879 - 1899. SOCIÉTÉ SAVOYENNE D'HISTOIRE ET d’archéologie. Mémoires et documents. Chambery 1856 (I) - 1914 (LV); 1918 (LVIII); 1924 (LXI) - 1937/38 (LXXIV); 1947/52 (LXXVI); 1963 (LXXVIII) - STEIERISCHE ZEITSCHRIFT FÜR GESCHI- chte. Graz 1904 (II) - 1905 (III). — 465 — Per il seguito vedi: historischer VEREIN FÜR STEIERMARK. STREGA (la). Dir.: N. Dagnino. Genova 1849 (I) - 1851 (III). STRENNA a BENEFICIO DEL PIO ISTITUTO dei rachitici di Genova. Genova 1884 (II) - 1886 (III); 1888 (V) - 1895 (XII); 1897 (XIV) - 1918 (XXXV); 1920 (XXXVII) - 1927 (XLIV); 1928 (XLVI) - 1938/39 (LVII). STUDI ARCHEOLOGICI SULLA PROVINCIA DI COMO Vedi: Rivista archeologica della Provincia di Como. studi e documenti. R. Deputazione di Storia Patria per l’Emilia e la Romagna. Sezione di Modena. Modena 1937 (I) - 1941 (V); N.S. 1942 (I) - 1943 (II). Pubblicati nell’intervallo fra la VII e l’VIII S. degli: atti e memorie DELLA DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LE ANTICHE PROVINCIE MODENESI. STUDI E DOCUMENTI DI STORIA E DIRITTO. Accademia di Conferenze Storico-Giuridiche. Roma 1880 (I) - 1894 (XV); 1896 (XVII) - 1905 (XXVI). studi goriziani. Rivista a cura della Biblioteca Governativa di Gorizia. Gorizia 1925 (III) - 1926 (IV); 1928 (VI) - 1929 (VII); 1933 (IX). STUDI MEDIEVALI. Torino, poi Spo-leto 1904/05 (I) - 1906/07 (II); III S. 1964 (V) -La III S. a cura del: Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo. studi trentini. Rivista della Società per gli Studi Trentini. Trento 1920 (I) - 1925 (VI); 1926 (VII) - 1927 (Vili). Le annate 1926-27 divise in due classi: I: Storico - letteraria; II: Scientifico - naturalistica. Per il seguito vedi: studi trentini di scienze storiche; e studi trentini DI SCIENZE NATURALI. STUDI TRENTINI DI SCIENZE NATURALI. ' Rivista della Società di Studi per la Venezia Tridentina. Trento 1928 (IX) - 1940 (XXI). Continuazione di: studi trentini. STUDI TRENTINI DI SCIENZE STORICHE. Rivista della Società di Studi per la Venezia Tridentina. Trento 1928 (IX) - 1941 (XXII); 1946 (XXV); 1949 (XXVIII) - 1959 (XXXVIII). Continuazione di: studi trentini. teruel. Organo oficial de la Insti-tución. Instituto de Estudios Tu-rolenses. Teruel 1949 (I) - THÜRINGISCHE GESCHICHTSQUELLEN. Jena 1854 (I) - 1859 (III); N.S. 1883 (I) - 1889 (IV). Torino. Rassegna mensile della città. Torino 1949 (XXV) - 1956 (XXXII). università di Cagliari. Facoltà di lettere e filosofia. Annali. Cagliari 1936 (VI) - 1939 (IX); 1941 (XI); 1946 (XIII); 1948 (XV) - 1957 (XXV). università (r.) di Genova. Annuario. Genova 1868/69 - 1869/70; — 466 — 1873/74 - 1915/16; 1917/18 - 1927/28; 1933/34; 1940/41. università (r.) DI Genova. Atti. Genova 1875 (III) - 1883 (V); 1885 (VII); 1892; 1900 (XIV) - 1904 (XVIII). UNIVERSITÉ (L’) CATHOLIQUE. Lyon 1909 (LX) - 1914 (LXXVI). uppsala universités Aaarskrift. (Recueil de Travaux publiés par l’Université). Uppsala 1890 - 1946; 1948 - 1960. VEREIN FÜR THÜRINGISCHE GESCHICHTE UND ALTERTUMSKUNDE JENA. Zeit-schrift. Jena N.S. 1884/85 (IV) - 1912/13 (XXI). vie (le) d’italia. Rivista mensile del Touring Club Italiano. Milano 1912 (XVIII); 1915 (XXI) - 1925 (XXXI). vita italiana. Documenti e informazioni. Presidenza del Consiglio dei Ministri. Roma N.S. 1964 (XIV) -Continuazione di: documenti di vita italiana. ymer. Tidskrift utgiven av Sven-ka sallskapet fòr Anthropologi och Geografi. Stockholm 1881 - 1906. zion. A quarterly for research in Jewis history. Jerusalem 1961 (XXVI) - — 467 — NOTIZIARIO BIBLIOGRAFICO . - . ■ SECC. VII - XIV Achivio Paleografico Italiano, volume XII, fascicolo 65, Roma, 1965. Gli Archivi Genovesi, pur non conservando « chartae » anteriori alla seconda metà del secolo X, offrono, tuttavia, ampio materiale per lo studio di alcuni tra i più appassionanti problemi della diplomatica notarile. Fortunatamente, infatti, accanto ai più antichi registri di imbreviature che si conoscano, ci è pervenuto un buon gruppo di pergamene, dei Monasteri di S. Siro e di S. Stefano, ricche di notizie dorsali, anche in note tachi-grafìche, che permettono di seguire passo passo il progressivo affermarsi del valore giuridico di queste ultime e, infine, la loro sostituzione con il cartolare. Il fascicolo, curato da Giorgio Costamagna, oltre a illustrare da un punto di vista paleografico le grafie dei noti genovesi dei secoli X, XI e XII, intende, appunto, portare un contributo alle indagini relative, da un lato, all’evoluzione della documentazione notarile, nel momento cruciale costituito dal passaggio dalla « charta » all’« instrumentum », dall’altro, al succedersi delle varie fasi della redazione di quest’ultimo. Pier Maria Conti, Il « castrum », il « burgus » e le due pievi di Sarzana, in Memorie della Accademia Lunigianese di Scienze « G. Capellini », XXXIV (n.s. X), 1963, pp. 3-26. Tenta, in sottintesa polemica con le precedenti posizioni storiografiche, un nuovo schema dell’origine e delle prime vicende del castrum di Sar-zana, del burgus e delle due pievi di Sarzana. Qualche spunto felice, degno di ulteriore approfondimento, accanto ad argomentazioni troppo ipotetiche o non documentate (ad es., là dove l’A. pone con precisione la data di nascita della pieve di Sant’Andrea tra il 1148 ed il 1153, o dove ritiene la città di Luni pienamente vitale ancora nel secolo XIV), ad interpretazioni soggettive delle fonti (è il caso, tra altri, del famoso diploma ottomano del 963), ad informazione bibliografica incompleta e non aggiornata (l’A. si vale, ad es., del protocollo del notaio Saladino, nei regesti redatti dal Mazzini, ignorando che trattasi di un falso), ad errori di dati manuali (la cronologia dei privilegi papali dei vescovi di Luni del 1149 e del 1153 va rettificata in 1148 ed in 1154). Sarebbe stata augurabile una maggiore cura tipografica (il testo è incomprensibile tra p. 19 e p. 20, tra p. 20 e p. 21). (G.P.) — 471 — Mario N. Conti, Prima rettifica ai confini della Lunigiana dedotti da Ubaldo Mazzini, in Memorie dell'Accademia Lunigianese di Scienze « G. Capellini », XXXIII (n.s. XI) fase. 2°, 1962, pp. 61-63. Sulla base del doc. 10 del Codice Pelavicino dell’Archivio Capitolare di Sarzana, nell’ediz. di M. Lupo Gentile e nelle correzioni critiche di U. Mazzini, l’A. ritiene, giustamente, che la chiesa e l’ospedale di San Cristoforo in Alpe Terricia, citati nel 1183, debbano ricercarsi non nella località di Isola, ma in quella di Isolasanta, in pieve di Santo Stefano di Versiglia. Pertanto il Mons qui dicitur Iuva, che segna i confini della Lunigiana medievale, secondo il noto documento del 1202, non va ricercato nel Passo di Sella, come ritiene il Mazzini, ma nella sella delle Coste del Giovo, tra i Monti Sumbra e Grotti. D \ Maria Teresa Ferrer i Mallol, Mercenaris catalans a Ferrara, in Anuario de estudios medievales, II, 1965, pp. 155-227. Segnaliamo questo eccellente lavoro, che costituisce un modello di ricerca sulle vicende dei soldati di ventura stranieri in Italia nel secolo XIV, per la biografia di Diego de Larrat (Appendice II, pp. 220-227), il comandante aragonese che, con la sua compagnia di cavalieri e almugaveri, al principio di novembre del 1311 si preparò a sbarrare il passo in Lunigiana all’imperatore Enrico VII, accampato in Genova, fortificandosi a Pietrasanta ed a Sarzana, e che nel 1313 fu sconfitto dagli imperiali a Pietrasanta. Esprimiamo l’augurio che anche il periodo dell’occupazione catalano-aragonese di Lerici e Portovenere, dal 1426 al 1436-37, trovi uno studioso altrettanto acuto e diligente. /q p \ Ida Gianfranceschi, Gli Statuti di Sarzana del 1330. Collana storica della Liguria orientale, III, Bordighera, 1965, pp. 232. Accurata edizione degli statuti del 1330 che trattano, in tre libri, dell’ordinamento interno del comune, deH’amministrazione della giustizia, di norme di diritto pubblico e privato. I primi due libri, relativi all’ordinamento e alle pene, sono ricalcati sulla legislazione sarzanese del 1269; il terzo, relativo alla giustizia, si rifà agli ordinamenti delle curie pisane. L’edizione è preceduta da una breve introduzione di carattere archivistico e diplomatico; è completata dagli indici dei nomi di luogo e delle rubriche (in ordine alfabetico) e da un glossario. (D p ) J. Mutgé, El conseil de Barcelona en la guerra catalano-genovesa (1331-1335), in Anuario de Estudios medievales, 1965, pp. 229-256. Articolato con l’apporto di fonti inedite provenienti dall’Archivio della Corona di Aragona (Cancelleria reale di Alfonso il Benigno) e dall’Archivio storico della città di Barcellona (Libri del Consiglio), il lavoro di Josefina Mutgè, presenta un quadro, ordinato e chiaro, degli avvenimenti che im- — 472 — pegnarono il re Alfonso il Benigno e le forze militari catalano-aragonesi, nella campagna per la difesa della Sardegna, nell’ambito della lotta, per l’egemonia marittima e commerciale, sorta fra Genova e la Catalogna, negli anni che videro rafforzarsi e consolidarsi la politica espansionistica dei catalani nel mediterraneo. Dopo una breve introduzione (pp. 229-230), che illustra le cause della guerra, l’A. espone l’atteggiamento del re Alfonso il Benigno, nei confronti della volontà di guerra, contro i Genovesi, espressa dal Consiglio di Barcellona (pagg. 231-233), rivelandone la potenza e il prestigio con la conferma documentaria della sua influenza presso il re e ribadendo la sua qualità di interprete della classe eminentemente mercantile della città, che era colpita soprattutto nei suoi interessi commerciali dall’antagonismo gnovese. Chiarite le altre componenti della guerra negli alleati (pp. 233-234), nelle imposte (pp. 235-237), negli armamenti (pp. 237-239), segue lo svolgersi del conflitto (pp. 240-245), con particolare riferimento alla marina, alla nomina dei capitani delle armate ecc... (pp. 245-247). Chiude lo studio un’esposizione, ricca di particolari, intorno alle trattative di pace che conclusero questa fase dei lunghi dissensi militari, che videro Genova e la Catalogna, quasi perennemente contendenti attraverso tutto il secolo XIV. (Mirella Blason Berton) Guido Pampaloni, I trattati stipulati dal comune di Firenze nei secoli XII e XIII, in Archivio Storico Italiano, CXXIII, 1965, fase. IV, pp. 480-523. E’ il primo saggio di regesto dei trattati stipulati dal Comune di Firenze nei secoli XII e XIII, frutto di spogli di materiale edito ed inedito, che l’A. continuerà anche per i secoli successivi. Riguardano Genova i n. 5, 52, 53, 88, 91, 93, 94, 95, 96, 97, quasi tutti già noti attraverso l’edizione del Liber iurium Republicae Genuensis (H.P.M., Torino, 1854). Un apporto degno di nota è tuttavia rappresentato dal n. 88, relativo al trattato, inedito, concluso tra Genova e Firenze il 7 febbraio 1281. Il doc., segnalato da P. Lisciandrelli (Trattati e negoziazioni politiche della Repubblica di Genova, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, n. s. I, 1960, n. 415) in una copia del secolo XVII esistente presso l’Archivio di Stato di Genova, si conserva anche nell’Archivio di Stato di Firenze, Capitoli, XXIX, c. 144 v., in una redazione che è pertanto preferibile a quella genovese. (G P ) Ennio Poleggi, Le contrade delle consorterie nobiliari a Genova tra il XII e il XIII secolo, in Urbanistica, nn. 42-43, pp. 15-20. Traendo profitto dall’attenta lettura dei più antichi cartolari notarili, il Poleggi riesce, in un breve ma succoso studio, a delineare la configurazione degli insediamenti nobiliari nella Genova medievale. Dalla ricca messe di citazioni egli enuclea gli elementi atti ad individuare le unità consortili urbane che nella Città non furono soltanto istituti politici intesi alle lotte di potere ma anche validi organismi eco- — 473 — nomici per dirigere navi e capitali sulle rotte tracciate dall’audacia dei navigatori. In efficace sintesi rivivono i caratteri distintivi delle trenta e più contrade sinora conosciute in cui fratelli di sangue e consorti abitano le « domunculae » disposte intorno alla « curia » ed alla « domus magna » del capo famiglia, arricchita, questa dal portico di rappresentanza e vegliata dalla torre. L attrezzatura di queste singole comunità è così autonoma da disporre anche in una chiesa privata e permettere l’isolamento da ogni altio nucleo umano, quasi, dice l’autore, fosse il ponte di una nave. Solo dal secolo XVI in poi il privatismo urbanistico genovese, cessate le funzioni anche difensive delle « contrade », si rivelerà in diverse forme col tracciamento delle così dette « strade nuove ». Ir^ ^ s Giovanni Santini, La formazione territoriale e la costituzione federale della Garfagnana nel Medio Evo, in Giornale Storico della Lunigiana e del territorio Lucense, n.s. XV, n. 1-3 (gennaio-settembre 1964), pp. 39-54 (parte I: continua). L A., in questa prima parte della ricerca, si occupa della consistenza territoriale della Garfagnana nel secolo XIII, cioè quando, per la prima volta (e precisamente in una bolla di Gregorio IX), si ha una descrizione geografica del distretto. Sulla base di diplomi imperiali anteriori a tale bolla (un diploma di Federico I del 1185) e posteriori (documenti di Federico Ile Carlo IV), si rileva come la formazione della Garfagnana, in quanto regione storica, sia di origine remota, e sia giunta ormai a conclusione nel periodo preso in esame. Non manca un’analisi di fonti atta a chiarire la consistenza geografica della zona nell’alto medioevo. Altro centro d’interesse è costituito dalla condizione giuridica della Garfagnana in relazione alla Santa Sede nei secoli XII e XIII. Il lavoro è corredato da una cartina illustrativa dell’estensione della Garfagnana in età altomedievale e in età comunale. (Valeria Polonio) SECC. XV - XVI Alberto M. Boldorini, Caffa e Famagosta nel « Liber mandatorum » dei revisori dei conti di San Giorgio (1464-1469). Fonti e studi dell’istituto di Paleografia e storia medievale dell’Università di Genova, IX, Genova, 1965, pp. 153. Negli anni 1459 e 1460 erano giunte a Genova continue lamentele da Caffa per la cattiva amministrazione della città; già erano state accertate irregolarità amministrative della sua masseria; già si affacciava la necessità di istituire valide magistrature di controllo per Caffa, Famagosta e l’isola di Corsica. Tra la fine del 1463 e i primi mesi del 1464, l’assemblea generale del Banco di San Giorgio rispose alle aspettative delle popolazioni interessate, eleggendo una commissione d’inchiesta suH’amministra- — 474 — zione delle colonie. Tale commissione, composta di quattro revisori, condusse la sua inchiesta a Genova, servendosi della documentazione che veniva inviata dalle colonie e di inviati speciali che dovevano controllare in loco o stimolare le autorità coloniali (ben poco propense a collaborare) a mettere a disposizione il materiale dei loro archivi. Del lavoro di tale commissione, che fu costretta a procedere a lungo, con pause e frequenti interruzioni dovute alla scarsa collaborazione degli interessati, all’inettitudine (e quante collusioni tra inquisiti ed inquisitori si dovrebbero celare dietro questo termine) degli inviati speciali, è prova un registro di sentenze rintracciato dal dott. Gian Giacomo Musso, nelle sue ricerche sistematiche all’Archivio di Stato di Genova. L’A., dopo una breve introduzione atta a chiarire la natura della documentazione, i problemi relativi ai limiti cronologici della stessa (1464-69), la sospetta sparizione di alcune carte, ci offre l’edizione dei 136 documenti del registro; seguono un repertorio cronologico e l’indice dei nomi di persona e di luogo. (D. P.) Hans Cnattingius, Studies in thè order of St. Bridget of Sweden. I. The Crisis in thè 1420's., (Acta Universitatis Stockhomiensis 7) Stoccolma, Almquist e Wiksell, 1963, pp. 198. I primi trent’anni del secolo XV furono particolarmente difficili per l’ordine fondato da S. Brigida di Svezia, travagliato da gravi controversie disciplinari. Per Genova, l’A., che si è documentato su fonti archivistiche e, particolarmente, sul manoscritto del Muzio conservato nella Biblioteca Berio, mette in rilievo il progressivo sviluppo dell’ordine, da Quarto al convento di Pietraminuta, e le sue strette relazioni col convento di S. Maria Scala Celi, al Paradiso presso Firenze. (mr } Mario N. Conti, Gli statuti quattrocenteschi di Sarzanello, in Memorie della Accademia Lunigianese di scienze « G. Capellini », XXXIV (n.s. X), 1963, pp. 27-100. Edizione, non molto corretta e condotta con norme editoriali superate, degli statuti del 1408, già pubblicati nel Giornale Storico della Lunigiana, XIII, 1962, pp. 101-171 dalla dott. Rosanna Mosca, che si era basata su un ms. del sec. XIX della Biblioteca del Senato, mentre il Conti ha utilizzato un testo del sec. XVIII della Biblioteca comunale di Sarzana (ms. 184, XXVI F), che potrebbe essere, anche se l'A. non ce lo dice, identificato con la copia dell'Archivio comunale, già segnalata da Leone Fontana ( Bibliografia degli Statuti dei comuni dell'Italia Superiore, Torino, 1907, III, p. 66) invano cercata dalla Mosca. Non si può non rilevare, comunque, che l’edizione precedente, anche se condotta su un testo scorretto del sec. XIX, ma emendata col confronto degli Statuti di Sarzana del 1496 (ms. 581 dell’Archi-vio di Stato di Genova), conserva la sua piena validità anche a confronto del ms. più antico, il quale, al massimo, avrebbe potuto fornire lo spunto per qualche eventuale correzione al lavoro della Mosca. ^ p ^ — 475 — ^Jrr.GRENDI’ Lì comPaSnie del SS. Sacramento a Genova, in Annali della r acolta di Giurisprudenza, anno IV, fase. 2, pp. 454-480. ^ straccia attraverso documenti notarili e finanziari la presenza di compagnie del SS. Sacramento in Genova fra il 1447 e il 1527: la « fioritura » di tali associazioni è collocata e inquadrata negli anni 1480-1510. e a seconda parte del lavoro è tracciato un rapido schizzo sullo sviluppo i queste compagnie nel Seicento e nel Settecento, basato in modo particolare sul caso documentato della compagnia della chiesa di S. Stefano. Giangiacomo Musso, Russia e Genovesi del Levante nel Quattrocento. Note su documenti, in Rassegna degli Archivi di Stato, XXV, 1965, fase. 2, pp. 227-244. Vasta rassegna delle fonti dell’Archivio di Stato di Genova (fondi Archivio Segreto, San Giorgio: Caffè Massaria, Peyre Massaria, Officium rovisionis Romanie), relative ai rapporti tra i Genovesi e diversi popoli eli attuale territorio deirU.R.S.S. Ne escono illuminati particolari mo-menti della storia del granduca Vitoldo, dei Giray di Crimea, del principato di « Savastopoli », dei Bagratidi di Georgia, dei Ghisolfi di Matrega... L’A. si sofferma specificamente su Caffa, della quale esamina le componenti etniche orientali, dagli Armeni e dai Goti ai Circassi, ai Georgiani, ai Ruteni. (G. P.) SECC. XVI - XVII Re.M: Emmanuhxi, Gênes et l'Espagne dans la guerre de Corse 1559-1569, Paris, Picard, 1964, pp. 465. Nelle trattative, che si conclusero colla pace di Chateau - Cambrésis del 1559, tra la Spagna e la Francia, quest’ultima si impegnava a restituire alla repubblica di Genova le piazzeforti occupate in Corsica. L’A., premesso un quadro della situazione politica ed economica di Genova rispetto alle due potenze, esamina le ripercussioni suscitate nell’isola dalla notizia del- 1 allontanamento delle truppe francesi, le vecchie e le nuove difficoltà che doveva affrontare il governo genovese, gli utopistici progetti di pacificazione di Lorenzo Lomellini Sorba e, infine, la predominante personalità di Sampiero Corso e le cagioni del suo odio contro Genova. Ne indaga l’attività antigenovese, dalle missioni ad Algeri ed a Costantinopoli, al ritorno in Francia, all’assassinio, per suo volere, della moglie, Vanina d’Or-nano, allo sbarco a Valinco in Corsica e alla conseguente ribellione. Tutto un capitolo, il quinto (pp. 227-296), è dedicato a mettere in luce le contrastanti trame delle potenze riguardo alla Corsica; il sesto capitolo tratta dell’evoluzione della guerra fino alla morte di Sampiero; il settimo e ultimo capitolo espone le vicende della lotta che prosegue per qualche tempo, fra la progressiva stanchezza delle parti, sotto la guida del figlio di Sampiero, Alfonso d’Ornano. La lotta ha finalmente termine per iniziativa dello stesso Alfonso, iniziativa, che daté le circostanze, è giudicata — 476 — favorevolmente dall’A. il quale conclude il lavoro con la narrazione delle laboriose trattative per ricondurre la pace nell’isola. Precedono una notizia delle fonti manoscritte, ricercate dall’A. nel-l’Archivio General de Simancas, nell’Archivio di Stato di Genova, nella Bibliothèque Nationale di Parigi *e nelle biblioteche genovesi e d’Aix in Provenza ed una bibliografia ragionata degli studi antecedenti; viene in fine un accurato indice analitico. Coscienziosità di informazione ed equanimità di valutazioni rendono particolarmente apprezzabile quest'opera che getta nuova luce su quel tormentato decennio della storia di Genova e di Corsica. (mr.) Domenico Maffei, Notizie su alcuni trattati cinque-seicenteschi in tema di cambi, in Borsa, Banca e Titoli di Credito - Rivista di dottrina e di giurisprudenza, XVIII, n. 5, 1965, fase. 3, pp. 309-328. Rifacendosi al trattato cinquecentesco sui cambi edito nel 1962 da G. Cassandro e dovuto a Marco Palescandolo (1542-1622), preposto dei Teatini genovesi dal 1575 al 1578, dal 1584 al 1587 e dal 1592 al 1593, l’A. traccia un quadro delle attività genovesi del Palescandolo, sulla scorta di ricerche condotte nell’archivio parrocchiale di San Siro ed insiste sui rapporti che legarono il padre teatino con gli ambienti della città e sull'impegno di questo uomo della Controriforma nell'affrontare problemi di capitale importanza per l’ambiente in cui si trovò ad operare. La ricerca conferma le intuizioni del Cassandro in merito alla datazione dell’opera e mette in evidenza che il trattatello del teatino sembra essere il primo di alcuni scritti sulla stessa materia dovuti a teatini o ad ex teatini genovesi: il Trattato della ricorsa e continuationi de’ cambi edito una prima volta a Lucca nel 1620 ed una seconda, a Milano nel 1623, opera del teatino genovese Antonio Benedetto Sansalvatore, poi divenuto barnabita, che già nel 1610 aveva dato alle stampe alcune pagine (Decisione di un caso e con esso d’alcuni altri dubii in materia di cambi...) a richiesta di « più Gentiluomini negotianti » di Genova; il Breve trattato delle continuazioni de' cambi del teatino genovese Bernardo Giustiniano, pubblicato a Genova nel 1619 e ripubblicato, con notevoli ampliamenti, a Mondovì nel 1621; l'Apologia-contro l'opponente al trattato delle continuationi de’ cambi del teatino ligure Ortensio Capellone, pure edita in Mondovì nel 1621. ^ Vito Piergiovanni, Il Senato della Repubblica di Genova nella « Riforma >■ di Andrea Doria, in Annali della Facoltà di Giurisprudenza, Università di Genova, IV, Fase. 1, Milano 1965. E' risaputo come manchino quasi totalmente studi di carattere generale sulla costituzione e sulla organizzazione amministrativa della Repubblica di Genova dopo la riforma dell'epoca doriana. Solo si nota un articolo dello Spinola (Compendiose osservazioni intorno al governo aristocratico che resse la Repubblica di Genova al tempo dei dogi biennali, in Giornale Ligustico, 6, 1879), di scarso respiro — 477 — e tratto per lo più da notizie fornite dai cronisti, che illustra di proposito ma molto superficialmente i caratteri dei più importanti organi costitu- ziona i. Qua che studioso si è occupato di alcuni di questi, come il Di lucci, con una notevole indagine sul Magistrato del Riscatto degli Schiavi, i ambaro e lo Scassi con l’illustrazione delle attività dei Padri del Comune. Tuttaxia le principali magistrature attendono ancora di essere convenientemente sudiate. Molto lodevolmente, perciò, l’istituto di Storia e Diritto Italiano della Università di Genova, sotto la guida del prof, jU1?.1 r\°S oci-i; s| ^ accinto, da qualche anno, allo studio sistematico ' eT- \ ^ lnarne.nt* giuridici di questo periodo. Primo frutto dell’iniziativa C w r °r^t0’ ^nteressante saggio del Piergiovanni sul Senato della Re-j^Ca., 1 Genova nella riforma di Andrea Doria. Si viene così deli-nean o organizzazione amministrativa dello Stato Genovese attraverso ° s u io di uno dei principali suoi consigli, premessa indispensabile per o^ni in acine che intenda gettare nuova luce anche sugli istituti minori che pur tanta parte ebbero nella vita della Repubblica. SECC. XIX - XX JctitntTc? Balestreri, Stampa e opinione pubblica a Genova tra il 1939 e il 1943, istituto Storico della Resistenza in Liguria, 1965, pp. 113. ^ tema centrale di questo saggio risultano le particolarità della stampa ceno\ese durante gli anni che vanno dall’inizio della seconda guerra mon-ia e al colpo di stato del 25 luglio. L’A. prende avvio per la sua ricostruzione dal fatto che, unica tra le città italiane, Genova ebbe per lungo tempo ue giornali: « I] Lavoro » e « Il Nuovo Cittadino » che, pur operando nello stretto ambito della legalità fascista, continuavano ad attingere la loro orza ideale da principi che fascisti non erano. « Il Lavoro » — almeno no ai primi mesi del 1940 — riuscì infatti a mantenersi su posizioni che — legate a quelle degli ex dirigenti della C.G.I.L. che nel 1927 avevano dato vita all Associazione Nazionale Studio «Problemi del Lavoro» — intende vano non costituire ripudio nè delle idealità democratiche, nè delle aspirazioni pacifiste. « Il Nuovo Cittadino », dal canto suo, quale organo della Curia Arcivescovile — prima impersonata dal card. Minoretti e successivamente dal card. Boetto — non mancò sovente — attraverso specialmente la pubblicazione di comunicazioni ufficiali dell’episcopato — di ribadire polemicamente contro le aberrazioni dei nazionalismi razzisti i principi eterni della fraternità cristiana e dell’eguaglianza, naturale e spirituale, di tutti gli uomini. Se visti alla luce della realtà odierna siffatti atteggiamenti di questi particolari settori della stampa genovese in quegli anni cruciali possono sembrare cose di poco conto, rapportati invece ai tempi in cui essi furono assunti acquistano in pienezza il loro significato e il loro valore. Ciò è appunto quanto si è cercato di porre in evidenza nel saggio del Balestreri, — 478 — attraverso la parallela considerazione anche dei molteplici — se pur, ovviamente, non clamorosi — fatti, da cui risulta la realtà degli orientamenti dell’opinione pubblica genovese o, almeno, di quella parte di essa rimasta attestata su posizioni di democrazia anche nel periodo in cui più pesante sembrava essersi abbattuto sull’Italia il pugno del totalitarismo fascista. Gino Bianco - Gaetano Perillo, I partiti politici operai in Liguria nel primo dopoguerra, Istituto Storico della Resistenza in Liguria, 1965, pp. 166. Incentrato sull’ampio saggio del Perillo — « I partiti socialisti » — del quale lo scritto del Bianco — « Anarchici e sindacalisti rivoluzionari » — costituisce in sostanza non più che una rapida, anche se succosa,-appendice, questo volume intende presentare un largo giro d’orizzonte sulla situazione e le attività dei partiti operai in Liguria nel primo dopoguerra. Il tema, vasto e complesso, non è forse esaurito in ogni sua parte, ma il contributo che viene offerto alla sua migliore conoscenza appare estrema-mente importante, non soltanto in sè stesso, ma anche quale una sorta di elaborazione introduttiva da cui con tutta sicurezza prendere l’avvio per ulteriori auspicati approfondimenti. Le pagine del Perillo sono ricche di elementi di molto interesse anche perchè di non poche delle vicende narrate l’A. è stato, quando non addirittura partecipe, diretto testimone. La rievocazione storica risulta così assai più viva ed immediata, nonostante che ciò, fatalmente, possa talvolta determinare un certo squilibrio nella graduazione dell’importanza dell’opera di certi ambienti e del significato di certi episodi. Sotto questo aspetto sarebbe stato desiderabile un maggior sviluppo della parte relativa all’attività dei socialisti autonomi, che in Canepa, Calda e Uttini avevano i loro maggiori esponenti e nel quotidiano « Il Lavoro » il loro portavoce. La trattazione appare invece sviluppata al massimo per quanto si attiene alle vicende della corrente comunista, e la diretta testimonianza su di esse offerta dal Perillo rende la ricostruzione completa di minuti particolari che di rado accade di trovare in trattazioni del genere, sebbene da essi si possano talvolta trarre spunti autenticamente rivelatori del perchè di certe situazioni e di certi atteggiamenti. Il saggio del Bianco, virtualmente limitato al periodo compreso tra il 1921 e il 1922 — il cosiddetto « biennio rosso » — riesce anch’esso, pur nella sua stringatezza, a fornire una precisa idea così degli atteggiamenti come dei risultati dell’azione degli anarchici e dei sindacalisti rivoluzionari, movimenti, l’uno e l’altro, in quel torno di tempo assai attivi nella regione genovese. Interessante nelle pagine del Bianco il tentativo che — se pure in maniera non del tutto convincente — egli fa di determinare le ragioni del fallimento socialista nel primo dopoguerra, ragioni che — a suo parere — dovrebbero ravvisarsi nel fatto che in quegli anni la classe operaia difettò di « capi naturali », cioè di dirigenti forniti di « quegli elementi di spregiudicatezza, audacia, risolutezza, caratteristici invece dei bolscevichi e dei giacobini ». (Leonida Balestreri) — 479 — Li ici Canessa, Don Bobbio Cappellano della Divisione Partigiana Coduri, Sotto gli auspici dell’istituto Storico della Resistenza in Liguria, 1965, pp. 152. Tracciata con sicura nitidezza di tratti e dettata da un commosso sentimento di fraternità, questa biografia di don Giovanni Battista Bobbio, parroco di Valletti e cappellano della Divisione partigiana « Coduri », fucilato dai fascisti a Chiavari il 3 gennaio 1945, offre al lettore attento ben più di quanto dalla sua intitolazione si possa inizialmente presumere. Insieme con la vicenda di una figura intemerata di sacerdote e di cittadino essa ricostruisce infatti le linee generali di tutta la storia della Resistenza nella zona chiavarese. Don Luigi Canessa — anche nella sua veste di cappellano della Divisione partigiana Centocroci — è stato di quella storia testimone diretto, mai venendo meno a quella serenità di giudizio e a quello spirito di comprensione umana che il suo abito sacerdotale gli imponeva. Il ricordo che egli ci ha dato del suo eroico confratello si afferma così come un qualche cosa che il riflesso di principi eterni mantiene perenne-mente vivo, ad esempio e monito per chiunque. (Leonida Balestreri) M. Da Pozzo e G. Felloni, La borsa valori di Genova nel secolo XIX, Torino, I.L.T.E., 1964, pp. 562 più 7 grafici. La borsa valori di Genova fu riconosciuta legalmente nel 1855 (sebbene fosse in funzione già da qualche tempo) e divenne ben presto la maggiore d’Italia, conservando tale preminenza fino ai primi del Novecento. Se si tiene presente questo primato, si comprende perchè l’istituto per la Ricostruzione Industriale abbia voluto iniziare lo studio dei mercati finanziari italiani nel secolo scorso dedicando un’apposita monografia alla borsa valori di Genova. Il volume è composto di due parti e diciannove appendici. La prima parte, scritta da M. Da Pozzo, descrive le origini della borsa, il suo ordinamento ed il genere delle operazioni svolte. La seconda parte, compilata da G. Felloni, delinea le vicende economiche della borsa stessa nel periodo 1856-1896, inserendole nelle alterne fasi della congiuntura cittadina ed inquadrandole nelle fluttuazioni dei mercati finanziari internazionali; le variazioni di corso dei principali titoli sono sintetizzate mediante appositi indici e rappresentate in grafici di immediata interpretazione. Le appendici coprono i due terzi del volume, ma tanto spazio è giustificato dal loro contenuto. In esse infatti il Felloni ha tracciato la storia dei sedici titoli considerati (due a reddito fisso e quattordici azioni), ha esposto i criteri seguiti per il calcolo degli indici ed ha riportato alcune statistiche sussidiarie, come i corsi dell’oro e dei cambi esteri e la serie dei tassi di sconto praticati dalle principali banche centrali. Tra gli argomenti degni di menzione si può ricordare anzitutto l'esame strutturale dei mercati mobiliari italiani, caratterizzati dalla prevalenza dei titoli di stato (specialmente la rendita perpetua 5%) e daH'influenza che la borsa parigina (detentrice di imponenti quantità di rendita) esercitò sino al 1890 circa sulle quotazioni italiane della rendita e, indiretta- — 480 — mente, su quelle dei titoli a reddito variabile. Nelle appendici relative ai titoli azionari si compendiano le vicende finanziarie delle rispettive società, delle quali si forniscono notizie circa i soci fondatori, le variazioni del capitale sociale, l’ordinamento statutario, i risultati di bilancio ed i dividendi distribuiti. Tra le società considerate figurano le principali banche italiane (la Banca Nazionale, che fu il nucleo della Banca d’Italia, la Banca di Genova, poi ribattezzatasi Credito Italiano, e la famosa Società Generale di Credito Mobiliare Italiano) e numerose società industriali e commerciali di interesse nazionale o locale (la Navigazione Generale Italiana, la Ferrovie Meridionali, la Ferrovie del Mediterraneo, la Ligure-Lombarda per la Raffinazione degli Zuccheri, l’Acquedotto Nicolaj ed il De Ferrari-Galliera). Gli indici analitici delle persone e delle società comprendono i più bei nomi della finanza internazionale e sono una testimonianza indiretta degli innumerevoli legami esistenti tra la borsa genovese, le minori borse italiane e le maggiori piazze finanziarie d’Europa. Gianfranco Faina, Lotte di classe in Liguria dal 1919 al 1922, Istituto Storico della Resistenza in Liguria, 1965, pp. 101. Il travagliato svolgersi delle lotte sindacali in Genova e nella sua regione nel periodo del primo dopoguerra è in queste pagine ricostruito accuratamente sulla base di un’ampia documentazione tratta non soltanto dallo spoglio della stampa del tempo, ma anche dalle più riservate fonti archivistiche. Questa ricerca per la concretezza della sua informazione dà modo di penetrare a fondo nella realtà delle posizioni psicologiche delle masse operaie liguri e delle loro aspirazioni in rapporto ai motivi d’ordine economico che agitavano la società di allora. Le deduzioni tuttavia che l’A. ritiene di poter trarre al proposito, quello cioè di un maggiore realismo degli atteggiamenti « spontanei » delle masse lavoratrici rispetto a quelli troppo prudenzialmente calcolati dell’organizzazione sindacale unitaria — la C.G.I.L. — sembrano tema meritevole di un maggiore approfondimento, anche per dissipare l’impressione che esso sia stato affrontato partendo da posizioni preconcette. ,T ., „ , , .. (Leonida Balestrerò Gaetano Falzone, I corrispondenti italiani di Stefano Tiirr nel Magyar Orszàgos Leveltàr di Budapest, Palermo, 1965, Facoltà di Magistero dell’Università di Palermo, Seminario di Storia del Risorgimento, pp. 32. Fondato sui risultati di accurate indagini espressamente condotte in Ungheria, questo saggio, anche per la ricca e ragionata bibliografia di cui è corredato, costituisce un contributo tra i più apprezzabili alla conoscenza della figura di Stefano Tiirr, e dell’apporto da lui e dai suoi compagni ungheresi dato, accanto a Garibaldi, al Risorgimento italiano. Particolare valore assume sotto questo aspetto la ricerca sistematica dal Falzone condotta presso l’Archivio Nazionale di Budapest (Magyar Orszàgos Leveltàr), ricerca che ha portato al reperimento di un nutrito car- — 481 — 31 teggio del Turr con numerosi corrispondenti italiani. Tra essi — complessivamente 136 — il primo posto è ovviamente tenuto da Giuseppe Garibaldi, insieme al quale un cenno meritano tuttavia altri liguri o persone dimoranti in Liguria, quali, ad esempio, Giuseppe Berio, Giuseppina Bixio De Conti, Pier Giulio Breschi, Luigi Bruzzone, Giovanni Cangini, Stefano Canzio, Francesco Carbone, Ugo Carcassi, Garibaldi Coltelletti, G. B. Gastaldi, Giovanni Pittaluga, Francesco Sciavo e Giovanbattista Tassara. (Leonida Balestreri) Giorgio Gimelli, Cronache militari della Resistenza in Liguria, Istituto Storico della Resistenza in Liguria, 1965, vol. I, pp. 301. Condotto sulla base di una documentazione amplissima, reperita non soltanto presso l'Archivio di Stato di Genova, ma anche, e soprattutto, presso le diverse organizzazioni della Resistenza e un folto gruppo di dirigenti partigiani, questo volume costituisce il primo di una serie di quattro con i quali si intende compiutamente illustrare le varie fasi dell’aspra lotta combattuta contro nazisti e repubblicani dalle formazioni armate antifasciste costituitesi dopo l’8 settembre 1943 nelle diverse zone della regione ligure. Il volume in esame abbraccia il periodo che va appunto dalla proclamazione delFarmistizio sino all’aprile 1944, il periodo forse il più difficile ad essere storicamente ricostruito per la drammaticità e, insieme, la caoticità degli eventi che ebbero a contrassegnarlo. Proprio per questo la fatica del Gimelli appare tanto più meritoria, e ciò in ispecie per quanto si attiene alla ricostruzione dei non pochi e sinora pressoché ignorati episodi che immediatamente dopo l’armistizio ebbero in Liguria a significare, con l’eroico sacrificio di molti combattenti, la volontà di resistenza dei soldati d’Italia contro il tedesco invasore. Anche se impostato con un comprensibile senso di simpatia per le organizzazioni e gli uomini della parte politica cui l’A. aderisce, il volume del Gimelli riesce a mantenersi su un piano costante di sostanziale obbiettività, riuscendo a delineare una ampia panoramica non soltanto degli aspetti e delle vicende della lotta armata, ma anche dell’intero complesso della situazione in Liguria nel periodo considerato. (Leonida Balestreri) Carlo Otto Guglielmino, Vento di Genova, Genova, Ed. Liguria, 1963, pp. 245. Raccolta di scritti pubblicati precedentemente in giornali e riviste, rievocano ambienti, folklore, figure e figurine genovesi, avvenimenti della fine dell'Ottocento e i primi anni del Novecento. (mr.) La Spezia Rivista del Comune, 1964-65. Numero speciale dedicato al ventennale della Resistenza, pp. 160. Pregevole pubblicazione che contiene, oltre ai discorsi celebrativi, importanti contributi alla storia della Resistenza nel territorio lunense. Si segnalano in particolar modo D. Bucchioni, Attività della Brigata « Val — 482 — di Vara » della Colonna G.L., IV Zona operativa (pp. 21-37) con documentazione fotografica; P. M. Beghi, C.L.N. e movimento di liberazione nella provincia della Spezia (pp. 39-55); S. Guerrieri, Appunti per un saggio storico sulla Resistenza (pp. 56-58) di carattere generale; A. Celle, Attraverso la « linea gotica » (pp. 59-70); A. Mugerli, La battaglia del Lago Santo (pp. 75-79), oltre alle brevi note relative all’antifascismo spezzino, ai rastrellamenti di Follo, Castoglio di Zeri, ecc. Chiudono la pubblicazione le biografie dei principali esponenti della lotta partigiana lunense. p * Augusto Miroglio, Venti mesi contro venti anni, Genova, Edizioni « Il Lavoro Nuovo », 1964, pp. 253. Dovuto alla penna di un lavoratore di un grande complesso industriale genovese, questo volume vale soprattutto come documento psicologico. Esso rappresenta infatti una sorta di apertura sullo stato d’animo delle masse operaie durante il regime fascista, un’apertura in forza della quale vengono rovesciate tutte le raffigurazioni fattene dal di fuori, da posizioni che, pur cercando di essere il più possibile comprensive, non riescono tuttavia a liberarsi appieno dal loro carattere di fondamentale estraneità. Da questo punto di vista la rievocazione del Miroglio risulta quanto mai degna di apprezzamento. Del pari assai interessante come contributo storico appare l’ampio discorso relativo agli scioperi del settembre e dicembre 1943, organizzati dal comitato segreto di agitazione, e la minuziosa rievocazione delle diverse fasi della preparazione e dell’attuazione dello sciopero generale del 13 gennaio 1944. Relativamente ai temi, insomma, sui quali, l’A. può parlare sulla base di sue dirette testimonianze, il volume assume aspetti del più vivo interesse. Meno convincenti per l’alquanto approssimativa completezza dell’informazione bibliografica e per una certa unilateralità delle fonti di essa si direbbero invece taluni giudizi rispetto ad episodi particolari, nonché talune valutazioni, anche se solo implicite, dell opera di determinati settori della Resistenza considerata comparativamente con quanto realizzato da altri. ,T ., „ , .. (Leonida Balestren) Bianca Montale, Francesco Bartolomeo Savi, in Genova, Rivista del Comune, n. 3, marzo 1965, pp. 16-19. Sintesi della vita, non lunga e travagliata del Savi chiusa tragicamente nel 1865 a Genova, dove era nato nel 1820. Si mettono in evidenza la sua fervida fede mazziniana, le benemerenze di patriota e le nobili idealità sociali. (mr.) Bianca Montale, Giuseppe Mazzini candidato a Genova nelle elezioni politiche del 1865, in Genova, Rivista del Comune, n. 10, ottobre 1965, pp. 37-39. Descrive un episodio elettorale dei primordi del regno d’Italia: la candidatura del Mazzini a deputato del primo collegio di Genova, alla quale, — 483 — da parte moderata venne contrapposta quella del marchese Vincenzo Ricci. E questi potè riuscire eletto solamente in ballottaggio e grazie al « pesante intervento » dell’autorità governativa. (mr.) Achille Danilo Taverna, Industria e assicurazione - Un secolo di sviluppo a Genova, Genova, Cali, 1965. Il volume illustra il ruolo esercitato da Genova nell’economia italiana nel corso dell’ultimo secolo e potrà costituire un utile punto di partenza per approfondite ricerche. Dalle vicende che portarono il primo porto del Mediterraneo a divenire una grande città industriale, emergono le personalità degli Orlando, dei Tassara, dei Ballaydier, dei Robertson, dei Taylor, dei Prandi, dei Westermann, dei Perrone, via via fino all’avvento dell’industria di Stato ed al boom dell’industria siderurgica, che costituisce il settore di base della struttura industriale di Genova. In intima connessione con lo sviluppo industriale, quello delle attività assicurative aveva trovato in Genova tradizioni saldissime, forse più antiche che in qualsiasi altra piazza europea, e fu con l’annessione di Genova che uno sperimentato sistema assicurativo potè essere immesso nel Regno di Sardegna per propagarsi successivamente a tutta l’Italia. \ Mario Zino, Piombo a Campomorone, Istituto Storico della Resistenza in Liguria, 1965, pp. 248. Come altri libri dello stesso Autore (e, in primis, il non dimenticato « Dove sei stato... », ispirato alla guerra alpina nel corso del primo grande conflitto mondiale) questo volume si presenta con le caratteristiche congiunte di una vivace testimonianza diretta, di una meditata ricostruzione storica e di un’opera di apprezzabile struttura letteraria. « Lavorando — come egli afferma — sulle testimonianze più minute, in piena adesione con la reale nobiltà dei dolori e dei sentimenti vissuti », e centrando la sua attenzione sulle vicende di Campomorone nel 1944-45, Zino è riuscito a darci una panoramica quanto mai nitida non soltanto di quanto ebbe allora ad accadere nel ridente centro appenninico, ma di tutto ciò che nella sua tragicamente eroica realtà costituisce la storia della Resistenza nell’intera zona che va da Genova sino là ove ha inizio la pianura alessandrina. Le pagine del volume raccolgono così, con scrupolosa precisione, i dati di maggior rilievo relativi alla composizione e alle vicende della Brigata Garibaldina Liguria e della Brigata Autonoma Militare di Alessandria, e, in particolare, alla spaventosa carneficina di cui non poca parte dei giovani complementi che stavano aggregandosi ad esse ebbero ad esser vittime nella zona della « Benedicta » nel corso del massiccio rastrellamento compiuto ai primi di aprile del 1944 dalle forze nazifasciste. Zino si addentra in una rigorosa analisi dei motivi psicologici non meno che di quelli militari che resero possibile questo orrendo massacro, e la sua conclusione sembra purtroppo dettata dal convincimento che quel — 484 — doloroso olocausto di tante giovani vite potesse essere, se non del tutto evitato, almeno assai ridotto nei suoi tragici termini. La parte successiva del volume rievoca l’opera di combattenti della libertà, di Antonio Gavino, volontario nella prima guerra mondiale e personalità preminente della vita amministrativa di Campomorone, e di Alice Noli, dirigente di un’azienda artigiana di pelletterie, donna ricca di slanci generosi e fedele — costasse quel che costasse — a tutti gli imperativi della sincerità più schietta. A queste due figure sono dedicate molte pagine del volume, dell’uno e dell’altra minutamente rievocando l’ardita azione e la tragica fine sotto il piombo delle brigate nere nell’agosto 1944. I capitoli conclusivi del libro sono infine dedicati alla ripresa partigiana nella regione ligure alessandrina dall’autunno 1944 sino alle giornate deH'aprile 1945, che dovevano segnare il definitivo crollo del nazifascismo. II volume è completato — oltre che dall’integrale riproduzione di tutta una serie di documenti — da due scritti, l’uno di Livio Pivano e l’altro dello stesso Zino, il primo rievocante uomini e fatti della Resistenza alessandrina connessi a quella ligure, e il secondo — « Appendice alla Benedicta » — costituente una sorta di sintesi della storia del Movimento « Giustizia e Libertà » e del Partito d’Azione nel Genovesato. (Leonida Balestreri) VARIA Pietro Berri, Rapallo nei secoli. Rievocazioni e scorribande, Rapallo, tip. Istituto Emiliani, 1964, pp. 181. L'A. raccoglie saggi ed articoli apparsi negli anni precedenti sulla rivista « Rapallo ». Come indica il sottotitolo, si tratta di garbate rievocazioni, riccamente illustrate, di avvenimenti ed aspetti caratteristici della cittadina del Tinnio- (mr.) Bernardino Bosto, Chiesa di S. Teodoro, Parrocchia ed Abbazia dei Canonici Regolari Lateranensi in Genova, Genova, Grafica B. Esse, 1965, pp. 191. Premessi alcuni cenni suH’ambiente topografico compreso nell’arco tra Capo di Faro e Sarzano durante i secoli X, XI, XII, l’A., utilizzando, oltre il pubblicato, documenti ricercati negli Archivi della Parrocchia di S. Teodoro, della Curia Arcivescovile, di Stato di Genova e nelle biblioteche Universitaria e Berio, descrive le vicende dll’antica chiesa, da prima affidata al clero secolare, passata, nel secolo XII, alla Congregazione dei Morta-riensi, poi, nella seconda metà del secolo XV, a quella dei Lateranensi e demolita nel 1870. Ne mette in rilievo le relazioni con le altre chiese, in città e fuori, e l’attività parrocchiale nel quadro della storia civile, sia della zona, sia di tutta la città. — 485 — Una seconda parte è dedicata alla chiesa attuale: se ne descrivono la costruzione, le opere d’arte, si dà notizie delle iniziative religiose e benefiche di cui è centro. Il volume, arricchito da numerose illustrazioni, si chiude con un elenco dei parroci dal 1100 al 1965. (mr.) Leopoldo Cimaschi, Origini e caratteri delle pievi rurali in Liguria (San Martino di Framura), in Bollettino Ligustico, XVII, 1965, nn. 1/2, pp. 17-46. Dopo una premessa sul significato e la portata del termine plebs, l’A. articola il lavoro intorno a due punti predominanti. Prima di tutto illustra la pieve di San Martino di Framura — oltre che nella sua posizione geografica rispetto al sistema viario e agli insediamenti umani romani e medievali — nella veste architettonica della chiesa e della torre. Compie una descrizione critica di quanto è rimasto delle strutture originarie, deducendo da esse conclusioni di datazione e di funzionalità non ottenibili altrimenti. Tocca il problema dei rapporti della chiesa di San Martino con l’autorità diocesana; connette la questione con quella analoga che tormenta la storia del monastero di San Colombano di Bobbio, al quale la chiesa ligure è legata nei suoi primi tempi di vita (ma bisogna notare che l’autenticità dei diplomi dei papi Onorio e Teodoro per l’abbazia bobbiese è tutt’altro che sicura). Successivamente, l’A. analizza le chiese che sorgono nell'ambito territoriale della plebania, soprattutto quelle che, per reperti archeologici e spunti suggeriti dai particolarissimi caratteri dei titoli di dedicazione, rivelano un’origine anteriore a quella dell’attuale pieve. In particolare è studiata l’odierna cappella di Santa Maria Assunta di Piazza — caratterizzata in un primo tempo da una dedicazione molto significativa — nella quale è vista con ogni probabilità l’originaria sede delle prerogative ple-bane, poi trasferite a San Martino di Framura. (Valeria Polonio) Pier Maria Conti, Quali e dove furono le più antiche cattedrali lunensi, in Memorie della Accademia Lunigianese di Scienze « G. Capellini », XXXIV (n.s. X), 1963, pp. 101-134. Escluso che la più antica cattedrale di Luni sorgesse nel sito di quella di cui rimangono oggi i ruderi, l’A. esamina la posizione delle quattro più antiche chiese lunensi: Santa Giuliana, San Pietro, San Marco, Santa Maria, l’ultima delle quali sarebbe la più recente. Le prime tre erano suburbane ed oggetto di chieresie: Santa Giuliana e San Pietro furono ad un certo momento sostituite nelle funzioni cimiteriali da San Venanzio di Ceparana e da San Pietro dell’Avenza. Santa Giuliana inoltre corrisponderebbe, in un rifacimento edilizio non posteriore al secolo XII e con cambiamento di titolo, a San Maurizio a Bocca di Magra. Essa sarebbe la basilica della più antica comunità di Luni, mentre in San Pietro dovrebbe ravvisarsi la prima cattedrale, da attribuirsi al secolo V. San Marco do- — 486 — vette fungere da cattedrale dopo la conquista longobarda fino alla prima metà del secolo IX, « quando la sede fu trasferita entro le mura della nuova chiesa dedicata a Santa Maria ». II tema, indubbiamente arduo, richiede una più attenta considerazione nei riguardi delle fonti (ad es., il titolo di Santa Maria alla pieve di San Basilio di Sarzana è documentato anteriormente al trasferimento in essa della cattedrale lunense: pag. 108) ed una maggiore cautela nelle costruzioni ipotetiche. (G. P.) G. Costamagna, Gli statuti della Compagnia dei Caravana del porto di Genova, in Memorie dell'Accademia delle Scienze di Torino, Cl. di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, serie IV, n. 8, Torino, 1965. Il 12 dicembre 1952 cessava di esistere, per decreto ministeriale, la Compagnia dei Caravana, i famosi scaricatori del porto di Genova: il piccolo archivio della stessa, composto di cinque manoscritti di epoche diverse comprese tra il sec. XIV e il XIX, veniva depositato presso il locale Archivio di Stato. L’A. ha indirizzato le sue ricerche sul materiale più antico che costituisce una fonte d’eccezione, soprattutto se integrato dalle norme del Liber Gazarie (cfr. V. Vitale, Le fonti del diritto marittimo ligure, Genova, 1951), per lo studio della disciplina del porto di Genova e dei traffici che da esso si dipartivano. Dopo una descrizione precisa ed attenta dei cinque manoscritti conservatici, il Costamagna ha edito, in ordine cronologico, testi statutari e documenti di altra natura che tuttavia possono essere ricondotti per analogia ai primi; si tratta di 96 documenti, di cui molti in volgare, che vanno dall’ll giugno 1340 al 21 giugno 1660. Chiude il lavoro l’indice dei nomi di persona e di luogo. (DPI G. Costamagna, Gli statuti della Compagnia dei Caravana. Note storico-giuridiche, in Bollettino Ligustico, XVI, 1964, pp. 129-141. L’edizione degli statuti della compagnia dei Caravana ha consentito all’A. di indagare sulla struttura giuridica della Compagnia e sulla sua formazione storica. In età medievale i Caravana, pur godendo di una struttura interna, di un patrimonio comune, della possibilità di agire in giudizio, in sostanza di un tacito riconoscimento giuridico, non erano altro che una societas, una confraria, ben diversa giuridicamente dalle altre arti. Il Costamagna delinea quindi il processo che trasformò l’antica compagnia in una vera e propria corporazione nel 1576, quando i Padri del Comune, attuando il completo controllo statale sulle arti, mutando quindi il valore del riconoscimento dello Stato, emanavano i nuovi statuti della compagnia, ormai assimilata alle altre corporazioni. Dallo studio dei documenti editi si ricava anche che i Caravana, nel quadro della politica mercantile genovese, tendente ad impedire la formazione di un fronte unico degli scaricatori del porto, erano addetti al trasporto delle merci pregiate e che spesso, nei giudizi dell’Ufficio della Mercanzia, erano preferiti ad altre compagnie. Alimentando invidie e rancori tra le varie com- — 487 — pagnie, la classe mercantile poteva sentirsi più sicura. Solo dopo il 1528 e 1 assunzione del potere statale da parte della nobiltà, le varie associazioni dovettero sciogliersi ed adattarsi ai regime delle corporazioni: la compagnia dei Caravana perdeva così l’influenza politica di cui aveva goduto nel periodo precedente, pur conservando un notevole peso economico nell’ambito del porto di Genova. Guelfo Gltelfi Camaiani, II Liber Nobilitatis Genuensis e il Governo della Repubblica di Genova fino all’anno 1797, Firenze, Società Italiana di Studi Araldici, pp. 557. Elenco degli ascritti al patriziato genovese dal 1528 fino al 1797, l’anno che segnò la caduta dell'antica Repubblica. Precedono una notizia riassuntiva sulla costituzione aristocratica ed una bibliografia. (mr.) Enrico Guidoni, Per uno storia urbanistica di Vezzano, in Giornale Storico della Lunigiana e del territorio lucense, n.s. XV, n. 1-3 (gennaio-settembre 1964), pp. 74-88. L A. conduce, più ancora che una storia, una sottile interpretazione delle vicende urbanistiche di Vezzano, sempre alla luce delle condizioni naturali e delle vicende storiche del paese. Sono studiati entrambi i centri che formano Vezzano (il superiore e l’inferiore) dai tempi più antichi all’attuale aspetto urbanistico. Illustrano il lavoro 13 tavole, tra fotografie, cartine topografiche, piante e dise=ni. (Valeria Polonio) E. Nasalli Rocca, Gli statuti di Varese Ligure, in Studi storici. Miscellanea in onore di Manfredo Giuliani, Parma, 1965, pp. 189-203. Secondo l’A., questi statuti, stampati nel 1475, sarebbero un esempio di legislazione statutaria propria delle comunità di valle, in gran parte basata su norme anteriori, comprese tra il XIV e il XVI secolo, riunite in seguito alla creazione della signoria dei Doria nell’entroterra ligure. Il testo preso in esame, riconducibile a quelli di Godano e di Levanto, tratta dell’amministrazione locale, della procedura giudiziaria e di diritto civile. (D.P.) G. A. Silla, Storia del Finale, Savona, Ed. Priamar, 1965, 2 voli., pp. 386, 689. Sotto gli auspici e a spese del comune di Finale Ligure viene pubblicata questa storia finalese, il cui primo volume, che giunge fino alla domi nazione spagnola, era uscito nel 1921. Viene pubblicato ora per la prima — 488 — volta il secondo volume « Finale durante la dominazione spagnola » (che giunge in realtà fino al 1713, data di acquisto del Finalese da parte della Repubblica di Genova), di cui il compianto A. ha lasciato il manoscritto completo. Come già nel primo volume, troppo noto agli studiosi di storia ligure per doverne parlare in questa sede, l’A. ha centrato il suo interesse prevalentemente sulla storia del costume, delle arti, della pietà popolare, della legislazione interna di questo minuscolo territorio aspramente conteso dalle potenze europee per la sua posizione strategica. Di fronte alla ricchezza del materiale archivistico dei principali archivi d’Europa, l'A. ha dovuto necessariamente ripiegare su quello degli archivi italiani, operando scelte, non sempre felici, che hanno sfuocato i principali aspetti delle vicende diplomatiche finalesi. Questo volume costituisce perciò una prima sommaria guida alla storia finalese e, soprattutto, l’incentivo ad ampliarne le prospettive in senso europeo. (D. P.) SCIENZE AUSILIARIE Giuseppe Caneva, Un registro di officina aromataria genovese del secolo XVII, in Genova, Rivista del Comune, n. 6, giugno 1965, pp. 8-13. Illustra un manoscritto dell’Archivio di Stato di Genova, di provenienza Federici, intitolato: Liber officine Aromatarie Bartolomei Botacij et Fratrum Suorum, con datazione dal 1640 al 1644. Da’ notizie sulla famiglia dei Bottazzi, presunti possessori del manoscritto, sull’arte aromataria in Genova, fiorente specialmente in alcuni conventi, sulla qualità e quantità delle spezie maggiormente adoperate. (mr.) Carlo De Negri, Elementi di storia navale in Matteo Vintoni: VAtlante dei Domini della Beriana, in La Berio, 1961, n. 1, pp. 5-28. L’A. confronta l’Atlante detto dei Dominii, presentato al Doge e ai Governatori della Serenissima nel 1773 con quello detto della Sanità, risalente alla metà del secolo, e conclude che i tipi di nave dei due atlanti sono per la maggior parte identici e, forse, derivano « da un album di modelli-in dotazione a quella che, per usar una terminologia moderna, potremo definire l’azienda cartografica dei Vinzoni ». Ne consegue che, per la documentazione storico-navale, l’Atlante dei Dominii offre un limitato interesse, sebbene anche in esso, non manchi qualche tipo imprecisato o nuovo. Vi si osserva, inoltre, una maggiore rispondenza dei tipi di velieri alle località in cui venivano impiegati con maggiore frequenza. Caratteristica la carta del Ceriale dove sono riprodotte quattro fuste con bandiera islamica, il che, secondo l’A. costituirebbe un preciso riferimento al saccheggio da parte di pirati algerini nel 1637, sebbene, quanto al genere di nave, il disegno non presenti attendibilità storica. (mr.) — 489 — Roberto ENGASS The painting of Bacciccio (Giovan Battista Gaulli 1639-1709), University Perk, The Pensylvania State University Press, 1964, pp. XIX-200. Studio dettagliato, arricchito di numerose illustrazioni, sull’attività artistica del Bacciccio. Vengono esaminati i suoi rapporti col Bernini, si analizzano le qualità di eccellente ritrattista, si mettono in rilievo le sue audaci concezioni e il colorito potente, in specie nel « Trionfo del nome di Cristo » nella chiesa del Gesù a Roma. Completano il volume un indice ragionato delle opere autentiche, di quelle attribuite erroneamente, di quelle perdute, una trascrizione di documenti ed un’estesa bibliografia. (mr.) ,, Maria Rosa Gogna, Costanzo Carbone il cantore di Genova, Genova, sotto 1 egida de « A. Compagna », 1965, pp. 303. Profilo biografico ricco di numerose illustrazioni del popolare autore dialettale genovese (Genova 1884-1955). In appendice una nutrita scelta delle sue composizioni poetiche (mr.) JUSTUS Mueller HOFsrEDE, Bildnisse aus Rubens' Italienjahren in Jahrbuch der Staatlichen Kunstsammlnngen in Baden - Württemberg, Zweiter Band 1965, Munchen - Berlin, Deutscher Kunstverlag. (Estratto pp. 89-154). Studio sull'attività del Rubens durante il soggiorno italiano. Mediante raffronti stilistici ed una documentazione di prima mano, ricavata da ar-chivii e biblioteche, l’A. giunge all’identificazione di alcuni ritratti eseguiti per genovesi come quelli di Veronica Spinola, ora nello Staatliche Kunst-halle di Karlsruhe, di Bianca Spinola Imperiale, nella Staatsgalerie di Stoccarda, di Brigida Spinola Doria nella National Gallery of Art di Washington. Il testo è integrato da numerose illustrazioni e da ampie note in cui, tra l’altro si elencano i successivi passaggi dei dipinti dall’una all’altra collezione. (mr.) Tomaso Pastorino, Di un’opera scomparsa di Michele Rigo pittore genovese dell'inizio del secolo XIX, in Genova, Rivista del Comune, n. 1, gennaio 1965 pp. 12-24. Al Rigo, pittore di non grande levatura, nato probabilmente a Genova e morto a Parigi nel 1815, venne commissionato dalla municipalità genovese un enorme quadro allegorico destinato a glorificare l’annessione della repubblica ligure all’impero francese. In questo suo scritto, pubblicato postumo, il compianto Pastorino fa la storia dettagliata della laboriosa composizione pittorica, riproducendo la parte più saliente della corrispondenza intercorsa fra il « maire » di Genova e l’artista che risiedeva a Parigi. Tutto ebbe fine col crollo dell’impero napoleonico avvenuto prima che il dipinto giungesse a Genova e dell’opera si è perduta ogni traccia. (mr.) — 490 - Priamâ - Antologia della poesia dialettale savonese a cura di Rosita Da. Buono Boero, Angelo Barile, Italo Scovazzi, Genova, Ediz. « A. Campanassa », 1963, pp. 250. Scelta di poesie, in dialetto savonese, di 18 autori, da Gabriello Chia-brera fino ai nostri giorni. A fronte di ogni poesia sta una traduzione italiana e, per ogni poeta, si danno brevi notizie biografiche. (mr.) D. Puncuh, Tavole paleografiche. Appendice a « Lineamenti di paleografia latina » di G. Pistarino, Genova, 1965, pp. 20, tavv. 18. Si tratta di una raccolta, ad uso scolastico, di facsimili con trascrizione e commento. Sono tratte da mss. genovesi o sono di interesse ligure le taw. VII (Genova, Archivio di Stato, Abbazia di S. Stefano, mazzo 1: donazione al monastero del gennaio 1012); IX (Leningrado, Bibl. Saltykov-Scedrin; altro esemplare, non riprodotto, in Genova, Archivio Capitolare di San Lorenzo, cartella 421, n. 1: privilegio di papa Callisto II del 3 gennaio 1121); X (Savona, Archivio di Stato, Cartulario del notaio Arnaldo Cumano, p. 100: accordo tra i Savonesi e il marchese Enrico, della fine del sec. XII); XI (Genova, Biblioteca della Società Ligure di Storia Patria. ms. 2.54, cc. 11 a e 12 b: breviario di origine francese dei secc. XIV-XV); XII (Genova, Biblioteca Universitaria, ms. G. III.2, c. 74 a: Conforto dei condannati a morte del 1492); XIII (Genova, Archivio Capitolare di San Lorenzo, Codice PA, 307, c. 25 a: Liber privilegiorum Ecclesiae Ianuensis); XIV (Genova, Archivio di Stato, Sezione notai, Antonio Felloni, III, c. 155 a: istrumento di quietanza del 2 novembre 1380); XVI (Genova, Biblioteca Universitaria, ms. A. IV. 38, c. 114 a: Polibio, Le storie, nella traduz. di Nicolò Perotti); XVII (Genova, Biblioteca Universitaria, ms. E. IX. 2, c. 43 a: Vasco Fernandez di Lucena, Les faits d'Alexandre)-, XVIII (Genova, Archivio Capitolare di San Lorenzo, cartella 427, n. 455: lettera di papa Urbano VIII del 27 giugno 1634). Maria Grazia Rütteri, S. Michele Arcangelo, parrocchia medievale, in Genova, Rivista del Comune, n. 9, settembre 1965, pp. 7-17. Monografia, ampiamente documentata, sull antica chiesa, nella primitiva struttura e nei successivi rifacimenti fino alla demolizione avvenuta nel 1850. Una scelta iconografia completa opportunamente lo studio. (mr.) Liana Saginati - Giacomina Calcagno, La collezione dantesca della biblioteca civica Berio di Genova, Firenze, Leo S. Olschki, 1966. (Biblioteca di bibliografia italiana, n. 46), pp. XII-507 e 19 tavole f. t. Catalogo, presentato da Giuseppe Piersantelli, della cospicua collezione dantesca conservata presso la biblioteca Berio. Come si rileva dalla presentazione, la collezione ebbe, in questo secolo, il suo maggiore incre- — 491 — mento da due raccolte private: quella di Evan Mackenzie, donata dalla hglia del raccoglitore, baronessa Isa de Thierry Mackenzie, nel 1939, e quella dell avvocato Alberto Beer, acquistata dal Ministero della Pubblica Istruzione e donata alla biblioteca nel 1958. Il catalogo si divide in due parti. La prima comprende le opere di vf/T^r’ C?n 9 incunabuli- 38 cinquecentine, 27 edizioni dei secoli XVII e 3nnn ’ ° tre f- mo^te seco'i XIX e XX. La seconda comprende più di numeri di dantologia. Il volume è illustrato da 19 belle tavole fuori testo e corredato da una bibliografia e da un accurato indice dei nomi citati nell elenco delle opere del sommo poeta (mr.) Piero Torriti, Giacomo Boselli e la ceramica savonese del suo tempo, Genova, Cassa di Risparmio di Genova, 1965, pp. 224. Splendido volume, che onora, oltre all'A., l'Ente che ne ha promosso la pubblicazione e le industrie grafiche genovesi (Edigrafica, Litografica ed Artigraph) che ne hanno curato l’esecuzione perfetta. L’attività multiforme del Boselli (nato a Savona nel 1744 e morto nel 1808), che fu il più celebre dei ceramisti liguri, è inquadrata dall’Autore nella Storia e nella Tecnica della ceramica ed illustrata da 52 tavole, che si aggiungono a tutta una abbondante iconografia relativa alla produzione savonese a partire dalla seconda metà del Seicento (Manifatture dei Guidobono, dei Valente, dei Siccardi, dei Folco, dei Bartoli, dei Berti, dei Giordano, dei Pescetto di Albisola, dei Merega, dei Grosso, dei Chiodo, dei Levantino, di Bartolomeo Seirullo). L acuto e limpido testo del Torriti, che si è avvalso della consulenza e dell assistenza tecnica di Carlo Cassan, è poi arricchito da riproduzioni fotografiche di documenti relativi alla vita del Boselli e di un curioso « Libro di secreti sicuri » per la fabbricazione della ceramica di Savona del ceramista Gio Batta Marcenaro (1790), oltre che da preziosi fac-simili delle marche e dei contrassegni delle antiche maioliche liguri. (B.) ' Dino Puncuh, Note di diplomatica giudiziaria savo- nese pag. Giulio Fiaschini, Le pergamene dell'archivio comunale di Sarzana........ Paola Villa, Documenti sugli ebrei a Chio nel 1394 » 117 Elizabeth A. Zachariadou, Ertogrul Bey il sovrano di Teologo (Efeso)........» 153 Danilo Presotto, Aspetti dell’economia ligure nell’età napoleonica: cartiere e concerie ... » 163 Dino Puncuh, Un codice borgognone del secolo XV: il « Curzio Rufo » della Biblioteca Universitaria di Genova..........» 201 Edoardo Grendi, Morfologia e dinamica della vita associativa urbana: le confraternite a Genova fra i secoli XVI e XVIII.......” 239 Danilo Presotto, Genova 1656-1657. Cronache di una pestilenza..........* 313 pag. 193 Albo sociale........... » 196 » 437 Indice dei periodici della Biblioteca della Società Li¬ gure di Storia Patria, a cura di Rosella Piatti » 441 Notiziario Bibliografico........ » 469 Autorizzazione del Tribunale di Genova N. 610 in data 19 Luclio 1963 Tipocrafia Ferrari-Occella e C. - Alessandria