atti della società ligure di storia patria Nuova Serie - Vol. XV (LXXXIX) GEORG CARO GENOVA E LA SUPREMAZIA SUL MEDITERRANEO (1257 - 1311) GENOVA - MCMLXXV NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VIA ALBARO, Il ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Nuova Serie - Vol. XV (LXXXIX) GEORG CARO GENOVA E LA SUPREMAZIA SUL MEDITERRANEO (1257 - 1311) Vol. II GENOVA - MCMLXXV NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VIA ALBARO, 11 Titolo originale dell’opera Genua und die màchte am Mittelmeer, 1257-1311, Halle 1895-1899, Max Niemayer ed. Traduzione di Onorio Soardi. L’edizione italiana è stata curata da Giovanni Forcheri, Luigi Marchini e Dino Puncuh. 'Prefazione Il completamento di questo secondo volume si è protratto più a lungo di quanto io inizialmente mi aspettassi, perchè altre occupazioni intervennero a farmelo ritardare. A causa della lunga durata della stampa, non mi fu sempre possibile di tener conto, al luogo debito, delle nuove opere pubblicate. Alcune di esse, che avrei dovuto prendere in considerazione, non potei averle affatto, o solamente per breve tempo, fra le mani. La materia trattata è analoga a quella del primo volume. Non era questione soltanto di rilevare i momenti essenziali e decisivi del corso degli avvenimenti, ma si trattava pure di valutarne adeguatamente le premesse e le circostanze connesse; in tal modo soltanto si poteva dare risposta alla questione di vedere che cosa influiva sull’ulteriore corso degli eventi, appoggiandosi sopra basi sicure. Una scelta generica di singoli fatti, riferiti o dati per veri da fonti più o meno attendibili, conduce inevitabilmente al mero arbitrio, se prima non si sia cercato di ricostruire il quadro complessivo degli avvenimenti dell’epoca nella loro successione cronologica, finché ciò sia possibile, tenuto conto dello stato della documentazione. Perciò, ad esempio, nel considerare le grandi guerre di Genova con Pisa e Venezia non mi sono accontentato di narrare le principali battaglie, ma ho prestato pure attenzione agli altri avvenimenti concernenti quelle guerre, i quali per buona parte spiegano perchè l’esito della lotta fu tanto vario. Qui, come in altre parti, il lavoro non poteva essere condotto con uniformità. Con la fine degli Annali cittadini genovesi, si esaurisce la fonte principale, che, appunto per la guerra con Pisa, forniva dettagliate notizie. A completamento delle scarse notizie che abbiamo dal 1294 in poi, si possono consultare con cautela, scorrette come sono, le relazioni tramandateci dai Veneziani, mentre Les Gestes des Chiprois, nelle loro interessanti relazioni-, non danno sovente gli anni giusti. Del tutto frammentarie sono le fonti storiografiche del primo decennio del XIV secolo, ed ancorché i documenti — 5 — da me consultati offrano nuovi e preziosi schiarimenti, qualcosa di oscuro rimane nell’epoca in cui lo Stato genovese crollò. Una profonda disamina della storia particolare genovese non rimarrà, spero, infruttuosa per la storia generale d’Italia e dei suoi circonvicini nel periodo considerato. Prescindendo dai fatti particolari, un avvenimento importante per la storia universale, come la caduta dell’impero latino, e un episodio sorprendente nella lotta fra Guelfi e Ghibellini, come la morte del conte Ugolino, reso celebre da Dante, si presentano, considerati dal punto di vista genovese, sotto nuovi aspetti. Nella politica dell’Italia Settentrionale di Carlo I d’Angiò dopo la caduta degli Staufen e in quella del suo successore di fronte alla spedizione romana di Enrico VII, 1 rapporti dei re rispetto a Genova presentano aspetti fino ad ora assai poco studiati Per quel che concerne Bonifacio VIII dirò che il suo atteggiamento, chiaramente riconoscibile attraverso i documenti verso la ligure città marittima, manda un raggio di vivida luce per intenderne il carattere. Così può essere giustificata la mia affermazione per cui il lavoro, che si proponeva 1 indagine dello sviluppo di Genova nel periodo del capitanato, fu in pan tempo inteso come un contributo alla storia del XIII secolo. D’altra parte, 1 grandi avvenimenti di un’epoca diventano in genere comprensibili qualora se ne considerino le ripercussioni nel limitato ambito della vita di uno Stato. . Non ho potuto mantenere una promessa fatta nella prefazione al primo volume. Per la compendiosa trattazione dei cambiamenti negli strati sociali e nei vari rami dell’amministrazione, avvenuti a Genova durante il periodo descritto, non ho trovato posto nell’ambito di questo lavoro. Forse mi sarà possibile ritornarvi in qualche mio altro studio. In altri campi ciò è diventato comunque superfluo; della finanza e del debito pubblico di Genova tratta la nota opera del Sieveking con la massima coerenza. Purtroppo non ho fatto a tempo a utilizzarne il contenuto, nè a sfruttarlo sotto altri aspetti, cosicché altro non mi rimane che esprimere all autore i miei sentiti ringraziamenti per la cordialità con la quale egli mise a mia disposizione le bozze di stampa. Zurigo, ottobre 1898. Georg Caro Libro quarto La guerra con Pisa Capitolo primo Lo scoppio della guerra con Pisa Stato delle cose in Corsica, Giudice di Cinerea. - Spedizione dei Genovesi contro Giudice, 1282. - Sguardo retrospettivo sulle condizioni di Pisa. - Intervento di Pisa nella lotta fra Genova e Giudice. - Inizio della guerra fra Genova e Pisa. - Armamenti a Genova. Carlo d’Angiò non riuscì ad attuare la progettata spedizione militare per la conquista di Costantinopoli. Invece che dinanzi a Bisanzio, egli dovette accamparsi, nell’estate 1282, dinanzi a Messina. Lo scoppio della rivoluzione in Sicilia aveva sventato i suoi vasti disegni. Con l’arrivo di Pietro a Trapani cominciò la lotta, che durò parecchi anni, fra le case di Aragona e di Angiò. Quasi contemporaneamente si accese una guerra fra Genova e Pisa, pure, al pari di quella, combattuta in gran parte sul mare, con impiego quasi maggiore di forze e di durata di poco minore. Ci si può chiedere se fra le due guerre vi fosse stato un nesso originario, tale che l’una avesse esercitato qualche influenza sull’altra, ovvero se fossero sorte indipendentemente e senza alcuna relazione l’una con l’altra. La risposta viene naturale e da sé, quando vengano esaminate, secondo le fonti, le cause dell’inizio e del corso delle lotte fra Genova e Pisa e si considerino i rapporti in cui queste due città si trovavano di fronte a Carlo e Pietro. Gli Annali genovesi ci informano che certe complicazioni in Corsica furono causa della rottura con Pisa. E’ quindi necessario anzitutto gettare uno sguardo sullo stato dell’isola e sugli avvenimenti che vi avevano avuto luogo prima che le lotte locali dessero motivo alla guerra fra le due potenze marittime. Nominalmente la Corsica apparteneva alla Chiesa romana. L’effettiva sovranità le era stata poco energicamente contestata quando essa ritenne di dovere far valere concretamente i suoi diritti. Genovesi e Pisani insieme avevano difeso la Corsica, come pure la Sardegna, dal pericolo di cadere nelle mani degli Arabi. Successivamente, non solo per la sovranità effettiva, ma anche per il predominio, essi dovevano combattersi fra loro in guerre ostinate senza giungere ad un risultato definitivo. Con la conquista di Bonifacio, nella punta meridionale dell’isola, nell’anno 1195 S Genova aveva 1 Annali, 111 [II, 55-56]. Libro IV - Cap. primo guadagnato una piazzaforte, che in seguito mantenne vittoriosamente contro gli assalti di Pisa. Il luogo era stato organizzato formalmente come colonia2 e non come una semplice base commerciale. Quantunque non collocato sulla costa ligure, esso faceva parte del territorio genovese al pari di Portovenere. Gli abitanti erano sudditi diretti del Comune. Nel castello vi era un presidio stabile, retto da castellani con giurisdizione3; più tardi, tutto fu amministrato da un podestà4. Pisa non possedeva nell’isola un analogo punto d’appoggio 5. Al di là del territorio appartenente a Bonifacio6, risulta che parecchi proprietari 2 Cfr. Gest. des Chipr., 220, dove è detto che Genova doveva pagare 12 denari al giorno ad ogni maschio nato a Bonifacio fino all’età di 20 anni e 6 denari ad ogni femmina fino all’età di 16 anni, affinchè il luogo rimanesse abitato. Una posta di lire C80 per i burgenses si trova inscritta nei registri contabili dello Stato nel 1303: Cuneo, p. 277. La fondazione della colonia poteva essere avvenuta similmente a quella di Sestri (cfr. Caro, Verif. Gett., p. 12) o a quella del castello presso Ajaccio (cfr. sopra, vol. I, p. 343, n. 19). Gli antichi abitanti nel 1195 erano stati in gran parte espulsi: Annali, 111 [II, 55]. 3 App. 3, nr. 6: sentenze dei tre castellani del 1238, e così pure documenti relativi alla nomina di procuratori, per esigere dal Comune salarii (2 novembre 1237, da Fol. Not., I, c. 323): ad exigendum pro nobis illos soldos, quos recipere debemus a commi ]anue, scilicet cuilibet nostrum l. 3 ]an. pro mensibus sex, qui (!) stetimus et servivimus ad custodiam castri Bonifacii ultra annum in anno proxime preterito in castellania Andree Aurie. 4 Nel 1258 (L./., I, 1280) 3 castellani; nel 1278 (ibid., 1478) e 1280 (ibidi 1517) un podestà. Inoltre compariscono come podestà di Bonifacio (Fol. Not., Ili, 1, c. 51) il 30 aprile 1286 Benedetto Spinola; l’8 maggio 1287, (ibid. c. 51 v.) d. Con-radus Pansanus; il 9 marzo 1289 (ibid., c. 52) d. Guillielmus de Merlo de Castro; nell’ottobre 1289 (ibid., c. 52 v.) d. Ottolinus de Nigro; il 27 dicembre 1290 (ibid., c. 52 v.) d. Jacobus Cigala. Il passaggio dall’amministrazione dei castellani a quella d’un podestà si trova anche nel territorio genovese, però anteriormente: Caro, Verf. Gen., p. 64 e sgg. 5 Che cosa proprio appartenesse a Pisa non è chiaro, poiché di immediati possessi in Corsica non è fatta alcuna menzione in quest’epoca nei trattati di pace per cessioni fatte a Genova, nè altrimenti. Eccetto alcuni diritti di assoluta signoria feudale e simili, come quelli acquistati nel 1247 mediante contratto (Dal Borgo, Dipi. Pis., p. 272) sopra i signori di Bagnara, Pisa aveva tenuto soltanto dei possessi. Rimane oscuro il significato del iudicatus Corsice pro comuni Pisarum, coperto da Guido da Corvara alla fine dell’anno 1271 e 1272: Guido de Corv., 679. 6 L.]., I, 1517 e sgg.: de flumine Deoso usque in Bonifacio et de Bonifacio usque ad focern Limonis. - 10 - Lo SCOPPIO DELLA GUERRA CON PlSA di fondi, chierici7 e secolari8, partecipassero alla signoria della Corsica. Si potrebbe ammettere che tutti fossero stati in rapporti più o meno rilassati con Genova e rispettivamente con Pisa, e che trovassero ora qualche ostacolo alla loro illimitata indipendenza. In generale l’isola si trovava in uno stato di civiltà molto basso. Gli abitanti menavano una vita pastorale e brigantesca, nella quale poco erano molestati dalle autorità della terraferma. I Corsi si sottomettevano facilmente alla signoria straniera, per poi altrettanto presto scuotere il giogo che doveva frenare il loro indomabile amore di libertà. I successi spesso ottenuti su di loro furono sempre di breve durata9. Parecchie tracce dimostrano che negli anni fra il 1270 e il 1280 Genova fece ogni sforzo sulla costa occidentale della Corsica per fondare la sua forza sopra basi più salde 10. Risulta che molto spesso fossero sorti 7 Cfr. sopra, vol. I, p. 343, n. 19. Secondo il privilegio di Innocenzo II del 1133 (L.J., I, 41), tre vescovi sottostavano all’autorità metropolitana dell’arcivescovo di Genova. 8 Genovesi, e veri cittadini originari di Genova, ammessi al diritto di cittadinanza soltanto più tardi (1289), sono i Signori di Capocorso, nella parte più settentrionale dell’isola: Annali, 327 [V, 103]. Come tali sono nominati gli Avvocati e i De Mari. 9 Annali, 330 [V, 110]. Le due sottomissioni della Corsica a Genova sono quelle del 1282 e 1289. Dei marchesi Malaspina, Isnardo andò nell’isola nel 1269 ad requisitionem quorundam virorum nobilium de Corsica-, Annali, 265 [IV, 124]. Non è chiaro quando siano avvenute le reiterate sottomissioni a Pisa. 10 La fondazione del castello nel 1272 (cfr. sopra, vol. I, p. 343, n. 19) coincide con questi tentativi. Documenti dell’8 febbraio 1273 (App. 3, nr. 28, c. 17 v.) fanno menzione di altre relazioni. I Capitani e gli Anziani garantiscono che Andriola, figlia del defunto Nicola Calvo, fidanzata (sponsa) e futura moglie del nobile corso Orlando de Sala, riceverà dote e antefatto accordatile col documento del 3 febbraio. Viene assunta garanzia, poiché l’effettuazione del matrimonio era per il Comune assai utile e non realizzabile in altro modo. Nel medesimo giorno i Capitani e gli Anziani eleggono un sindaco, che deve ricevere da Orlando la cauzione, con la quale questi manleva il Comune dalla garanzia prestata. La minuta del primo documento si trova su un foglietto {ibid., dietro la c. 16 v.); un altro foglietto {ibid.) contiene la minuta d’un documento del 4 gennaio 1273, con cui Ottolino da Recco nomina un procuratore per domandare al Comune i 20 soldi che deve riscuotere per salario meo, de eo quod steti in Renondola in Corsica due mesi e più. Il 16 maggio 1276 (Cambiagi, Ist. di Cors., I, p. 142) i Capitani e gli Anziani deliberarono che homines et burgenses, qui sunt et prò tempore habitabunt in castro vel burgo Montis Realis de Santa Maria Calvi quod est in Corsica, siano in futuro esenti da qualunque imposta, come gli — 11 — Libro IV - Cap. primo litigi con i limitrofi signori corsi11 però di poca importanza e nemmeno ricordati negli Annali. Conseguenze di più lunga portata derivarono soltanto dalla contesa con Giudice12 di Cinercha, un uomo della cui sorprendente attività e delle cui vicende le tradizioni locali non dicono abbastanza 13. Secondo notizie contemporanee, che evidentemente provengono dall’annalista genovese a lui ostile, la sua individualità portava 1 tratti della razza corsa. Sleale e astuto, superbo in massimo grado e pieno di se stesso14, incapace di comandare in campo aperto le bene armate schiere mercenarie del Comune, seppe magistralmente trarre profitto dai vantaggi che gli offriva il territorio alpestre della sua patria, a lui perfettamente noto. Saltava or qua or là, rendendosi imprendibile ai lenti nemici, finché, con un improvviso e ardito attacco, riportò una vittoria decisiva. abitanti di Bonifacio. L’estratto dei documenti risulta del tutto scevro da ^ u , però quello che ci si racconta delle lotte interne dei Corsi, secondo Filippini è mo to dubbio. In G est. des Chipr., 220, è detto che Genova possedeva molti castelli in or sica. Oltre a quelli di Capo Corso (v. sopra, n. 8) le era appartenuto anche quel o di Calvi: L.J., II, 305. 11 Documenti d’appoggio per gli anni 1238 e sgg. si trovano nell’App- \ ”5’ {Vol. Not., I, c. 322 v. e sgg.). Inoltre in Fol. Not., Ili, 1, c. 13 v. (15 aprile 125/j dai (3) castellani di Bonifacio condemnantur domini de Corcano. Ibid., c. 14 v. novembre 1261): pace fra Brancatius e Guidutius qu. Oberti de Corcano; così pure Landulfus de Ottanova nomine proprio et nomine hominum de eorum iurisdictione, da una parte, ed i 3 castellani di Bonifacio in nome del Comune di Genova. Que i promettono salvare in mare et in terra homines januenses et Bonifacii. Itetn promit tunt facere pacem et vivam guerram ad voluntatem comunis ]anue et castellanorum Bonifacii. Item promittunt dare Januensibus hostagia, quando Januenses venire vo ent^ in Corsicam contra aliquem de Corsica. Item promittunt iurare burgensiam Bonifacii ad omnem eorum requisitionem ... I castellani, de mandato Macii de Maciis et Oberti de Vendereto nuntiorum comunis ]anue et d. capitanei ]anue super hoc transmisso-sorum, promettono di mantenere pace con essi e di trattarli come burgenses di Bonifacio, franchi ab omni dacita et erbatico sicut burgenses Bonifacii sunt. Actum Boni facii in ecclesia S. Marie. 12 Giudice non è un titolo, ma bensì nome, come risulta dai documenti: L.J-, I, 1280, etc. 13 Filippini, Historia di Corsica, p. 74 e sgg. 14 Ciò è dimostrato specialmente dal documento in L.J., I, 1517, ove il linguaggio usato è talmente diverso dalle solite locuzioni formali, da far credere che il documento sia stato formato sotto dettatura di Giudice. Lo SCOPPIO DELLA GUERRA CON PlSA Da principio Giudice, come tutti i suoi antecessori ’5, era in buona relazione con Genova. Il Capitano Boccanegra lo aveva fatto cavaliere e una volta il Comune gli aveva procurato la restituzione dei suoi beni, allorquando era stato cacciato dalla Corsica dai suoi nemici16. Il fatto va ricollegato agli accomodamenti avvenuti alla fine del 1258 17, quando Giudice e suo fratello Latro avevano donato le loro proprietà al Comune per riottenerle in feudo; i castellani di Bonifacio avevano provveduto all’investitura. Erano state aggiunte alcune clausole di amichevole trattamento dei Genovesi residenti nel territorio dei Signori di Cinercha. E’ strano come nel documento non fosse stato fatto alcun cenno della prestazione del giuramento di fedeltà da parte dei due vassalli. Se non avessero osservato le loro promesse, avrebbero perduto l’investitura, che però non sarebbe stata loro tolta senza gravi motivi18. Quasi vent’anni dopo Genova ebbe motivo di lagnarsi per danni provocati da Giudice nella terraferma di Bonifacio. Egli aveva occupato delle saline esistentivi e, con la forza delle armi, estratto calce dalle cave di pietra e, quel che era peggio, aveva costruito un castello presso Bonifacio. Gli abitanti del luogo ne sporsero querela al Comune. Questo fece partire due inviati, i quali, il 27 ottobre 1277 a Propriano in Corsica, rivolsero energiche rimostranze a Giudice 19. Dopo avere esposto le loro lagnanze, gli fecero presente — secondo le istruzioni ricevute — quanto il Comune fosse stupito del suo modo di procedere; che esso lo aveva fino ad ora con- 15 Annali, 294 [IV, 20], antecessores. Giudice e Latro sono i figli di Guglielmo di Cinercha: L.J., I, 1280. Il 5 settembre 1222 (L.J., I, 672) Opicio de Cinercha germanus Enrici de Cinercha, e Guillielmus Blacolacius furono dichiarati burgenses di Bonifacio. Enrico, in ogni caso da identificare coll’omonimo padre di Enrigucio e Rainerio di Cinercha (L.J., II, 42), appare nel documento dell’anno 1239 in App. 3, nr. 6 (Fol. Not., I, c. 323 e sgg.). 16 Annali 294 [V, 20]. Filippini, p. 75 e sgg., riferisce che Giudice fu poi reintegrato coll’aiuto di Pisa. 17 L.J., I, 1280, 4 dicembre 1258: convenzione tramite i castellani di Bonifazio con Latro, ratificata da Giudice il 10 gennaio 1259. Filippini, p. 77, ha utilizzato questo documento. 18 L.J., I, 1281: quod feudum promittimus vobis non subtrahere nisi insta de causa. 19 Contenute nel documento di App. 2, nr. 45. Vi è pure inserita senza data la carta di accreditamento per i delegati Percival de Baldizonis e Jacobus Beaqua in forma di lettera del Podestà, Capitani, Anziani, Consiglio e Comune a Giudice. — 13 — Libro IV - Cap. primo siderato come un fedele ed onorevole cittadino, anzi come un figlio stesso »; e che i suoi antecessori erano sempre stati legati ad esso a e e ta e amicizia; che infine essi gli erano stati mandati per indagare se le accuse rivoltegli erano vere, ma che, anche in questo caso, si sarebbe comunque proceduto soltanto nella piena osservanza delle forme del diritto, n con formità a quanto sopra, i delegati lo invitavano a rimettere ^ territorio nelle mani del Comune che lo possedeva da oltre 60 armi, pronto, in t c so, a perdonargli. Se infatti egli avesse ritenuto di comportarsi secon ritto, non poteva agire di proprio arbitrio e tanto meno erigersi un ^ ^ stello; egli invece avrebbe dovuto rivolgersi al Podestà e ai^ apitani, ^ quali non gli avrebbero negato giustizia. Malgrado tutti i più Persua discorsi, Giudice rimase ostinatamente fermo, rifiutandosi acconsen^ tire alle richieste fattegli. Perciò gli inviati gli fissarono tre termin entro i quali egli o personalmente, o rappresentato da un legittimo prò curatore, doveva comparire a Genova, per difendersi contro le suaccen nate accuse od altre eventuali; altrimenti il Comune avrebbe proce u secondo la propria volontà; fino allo spirare dei termini, si doveva spendere da ambo le parti qualunque ostilità. „ Giudice si piegò a mala pena. Dal poco energico intervento e mune poteva supporre che esso si sentisse debole, tuttavia egli a ^ di riconoscere la convenzione del 1258, dichiarando che avrebbe nspe tato i confini di quanto22 possedeva in nome del Comune. Comunqu successivamente, doveva essere scoppiata una guerra, perchè le promess che Giudice fece il 20 gennaio 128023 debbono infatti essere consi erate come formali condizioni di pace. Il podestà di Bonifacio doveva aver predisposto una spedizione militare24 e Giudice si dichiarava ormai pronto 20 App. 2, nr. 45: Cum ipse Judex hucusque per comune ]anue fidelis et ono rabilis civis et etiam tamquam filius dicti comunis fuerit reputatus et etiatn^ un cessores ipsius Judicis semper fuerunt comunis Janue amici atque fideles. Lespres sione filius è impiegata ancora spesso nel documento. 21 Ibid. II primo a Natale, il secondo usque carnis privium, il terzo, perentorio, al 1° marzo. 22 L.J., I, 1478: 11 dicembre 1278. 23 L.J., I, 1517. 24 Ciò spiegherebbe perchè nel documento redatto in districtu Bonifacii in locho ubi dicitur campus de Ena, siano nominati tanti servientes comunis Janue come testimoni. Risulta che Giudice fosse presente; ma come testimoni sono pure nominati due suoi delegati, il che accenna a precedenti trattative. — 14 - Lo SCOPPIO DELLA GUERRA CON PlSA a giurare al Comune fedeltà, accordando pure libero commercio nel suo territorio per i Genovesi e per gli abitanti di Bonifacio senza pagamento di gabelle. Questi ultimi potevano portarvi al pascolo gli animali e, per questo, avere un gastaldo o console che rendesse giustizia. Giudice riconosceva il territorio del Comune qual era, ma, per quanto si può capire dalle oscure espressioni del documento, non era disposto ad abbandonarlo senz altro ad esso. Riguardo al nuovo castello, il documento in generale tace. Sembra quasi che egli volesse giustificarne la costruzione, come fosse avvenuta per proteggere i possessi di Genova. Parecchi signori corsi25 infatti avrebbero dimorato e rubato bestiame in quei territori, tanto alla sua gente come a quella di Bonifacio, ed egli vi avrebbe posto rimedio facendo ritornare la quiete. Ora, per conservarla, egli pretendeva che venisse istituito un tribunale criminale con giurisdizione fino alle mura di Bonifacio. Secondo la relazione degli Annali26, Giudice fu veramente il peggiore dei malfattori. Non veniva accusato per cattiva condotta verso i Genovesi, ma Pisani, Provenzali e altri naviganti approdati in Corsica venivano da lui depredati e maltrattati; per questi motivi giungevano spesso lagnanze a Genova. Non è chiaro se la convenzione del 1280 sia poi stata rispettata71. In ogni caoo il Comune, nel 1282, fu indotto ad agire più energicamente che in precedenza. La convenzione con Enrigucio e Rainerio de Cinercha28 si deve considerare come la premessa alla progettata campagna. I due Còrsi accettarono di tenere in feudo da Genova i loro possedimenti, pronunziarono il giuramento di vassallaggio e promisero di incorporarsi nel- 1 esercito dell isola. Venne quindi arruolato un forte numero di mercenari: 200 cavalieri, 300 uomini a piedi con lunghe lance e 200 balestrieri approdarono il 26 maggio a Bonifacio29. Quattro galere furono destinate ad appoggiare le operazioni dalla parte del mare. Il comando supremo fu affidato a Francesco de Camilla e a Nicolino de Petratto. L’avversario, 25 L.J., I, 1518. Per i Corchanenses cfr. sopra, n. 11. 26 Annali, 294 e sgg. [V, 20-21], 27 Ibid. non ne è fatta menzione. Cepit multipliciter homines Bonifacii aggravare può riferirsi ad avvenimenti anteriori, oggetto di parecchie menzionate trattative. 2f L.J., II, 42: 10 aprile 1282. 29 Annali, 295 [V, 21]. — 15 — Libro IV - Cap. primo che aveva raccolto intorno a sè buon numero di armati, non fu in grado d’impedire la conquista del castello eretto sul territorio del Comune . Quando ciò avvenne, egli si ritirò sopra un altura e 1 esercito geno schierò nel piano di fronte a lui, per poi, il 3 giugno, volgere verso a costa31 per rifornirsi delle munizioni e dei viveri che vi venivano trasportati a mezzo di navi. Giudice abbandonò la sua posizione sicura per inseguirlo, ma i Genovesi, con un improvviso rivolgimento ed un vio ento attacco, distrussero le schiere nemiche32. _ , La vittoria produsse un effetto decisivo. L’esercito si diresse a nor verso i castelli di Giudice, i cui presidi non osarono tentare a cuna resi stenza. In breve e senza fatica, l’avversario venne privato di^ tutti 1 suo^ punti di difesa33. Non fu possibile però impossessarsi di lui, nè e8 1 prestò a riacquistare la grazia del Comune, attraverso una comp età tomissione. Fuggì attraverso i monti ad Aleria, montò sopra una arca andò a Pisa ove trovò l’appoggio che desiderava. Il relativo prezzo u i turalmente il giuramento di vassallaggio, che prestò senza alcun riguar ai suoi precedenti impegni. Affinchè egli potesse riconquistare i suoi pos sessi, vennero quindi fatti a Pisa dei preparativi, che adontarono e lizzarono il Comme di Genova34. La pace fra le due città marittime durava dal 1258 e, nonostante a cu inevitabili incidenti35, non aveva mai subito seri turbamenti; le vie Pe le quali le due repubbliche erano andate non avevano offerto per u tempo occasioni di scontro. -v . Nelle lotte degli ultimi Staufen col papato, Pisa si era molto più^w vischiata che non la sua rivale ligure, ove prevaleva sempre 1 idea di ar ogni sforzo per mantenere la neutralità. Pavia aveva preso parte alle raccen 30 Annali, l.c.: 1° giugno. 31 Annali, l.c.: ad, portum Figari. Taluno opina per il golfo di Figari su costa occidentale d~lla Corsica, posto non lungi da Bonifacio. 32 Annali, l.c. 33 Come presi e muniti di presidi gli Annali, l.c., nominano: castrum de Taulis, castrum Y strie, Ornanni, Roche de Valle, Contendole. 34 Annali, l.c. [V, 22]: comune Pisarum prìvatim milites preparabat. Tali sono manifestamente i milites, che, secondo Annali, 296 [V, 24], approdarono il 24 agosto ad Aleria. 35 Così nel 1277: Annali, 285 [IV, 180], Prestazione per rifusione di danni in un altro caso concerne il documento di App. 2, nr. 49. — 16 - Lo SCOPPIO DELLA GUERRA CON PlSA ghibelline con quasi altrettanto zelo di Pisa, il cui appoggio soltanto aveva reso possibile la spedizione militare di Corradino. La fallita impresa non fu certamente causa della rovina della città; ma le portò comunque un fiero colpo. La prosperità del commercio era ormai strettamente connessa alla potenza politica. Un re di Sicilia, che fosse stato debitore della sua elezione ai Pisani, non avrebbe potuto lesinare nei privilegi verso i confederati, mentre quello che Carlo concesse ai vinti fu soltanto per sua mera grazia. Ma, ancor più fatale fu per Pisa un altro momento. Quella città di commerci, in cui possesso era la costa marittima, si trovava in naturale opposizione alle città industriali dell’entroterra. Il poter ritirare la materia prima senza impedimenti e la libertà di poter esportare i prodotti delle proprie manifatture senza dipendere da interessi stranieri costituivano per Lucca e Firenze il perno della loro politica. Loro scopo era quello di acquistarsi dei porti e di poter ritirare da Pisa le loro merci franche da gabelle. La città marittima cercava di realizzare il proprio interesse appoggiandosi al partito regio, mentre a loro volta i Comuni interni abbracciarono la causa della Chiesa. Ove il partito regio fosse rimasto soccombente, ne sarebbe derivato danno irreparabile alla città sua seguace. Come a Firenze pochi erano i Ghibellini, altrettanto accadeva a Pisa quanto ai Guelfi. Qui il Populus, che si era sviluppato prima e su basi ben più solide che a Genova, intendeva farsi valere non soltanto come semplice sostenitore di un partito aristocratico, ma ghibellino era il suo spirito dominante. Guerre disastrose sconvolsero fra gli anni ’70 e ’80 la repubblica. I Guelfi cacciati avevano trovato appoggio nei loro partigiani di tutta la Toscana. Essi erano stati spinti a ritirarsi da ragioni di calcolo, non per debolezza. Segui quindi una serie di anni di pace. La città non era troppo decaduta dalla sua antica grandezza, ma non aveva potuto seguire di pari passo l’ascesa di Genova. Le sue galere non comparvero mai nelle acque della Romania per partecipare alla guerra fra Genova e Venezia, nè per aiutare od osteggiare i Greci. La caduta dell’impero latino non portò ai Pisani vantaggi di sorta, ma essi riuscirono soltanto a conservarne alcuni dei pochi che avevano ottenuto a Costantinopoli, senza acquistare alcuna maggiore importanza36. Nelle relazioni degli scrittori bizantini riguardanti Ge- 36 Pachym., I, 168. — 17 — 2 Libro IV - Cap. primo novesi e Veneziani, raramente è fatta parola dei cittadini pisani37, i quali seppero tuttavia mantenere in proprio possesso Acri38. Gli avvenimenti del 1258 e la lega con Venezia li avevano decisamente favoriti. Tuttavia, l’importanza della costa siriaca per il commercio mondiale stava per finire. Il mercante cercava nuove vie per il trasporto dei prodotti dell Oriente. Le antiche piazze, in cui si effettuava lo scambio delle merci, erano scemate di considerazione, altri centri commerciali erano fioriti, mentre Pisa non tenne dietro sufficientemente a tale movimento. La sua flotta da guerra avrebbe dovuto conquistare la Sicilia, ma non si era fatta vedere nel bacino orientale del Mediterraneo. I torbidi cittadini ed i continui dissidi con le città dell’interno furono la causa principale di tutto questo. Genova aveva evitato di lasciarsi invischiare eccessivamente nelle lotte di partito della Lombardia; mentre all’opposto ogni insuccesso dei Ghibellini di Toscana toccava direttamente Pisa. Nel 1282 la città offriva ancora un quadro florido39. Vi era stata una pausa nel suo sviluppo, ma non, come già detto, un regresso. Di ciò i Pisani avevano la sensazione, per cui colsero l’occasione, che le offerte di Giudice loro fornivano, per affrontare la rivale ligure prima che fosse troppo tardi. L’antica lotta per la Corsica non poteva essere dimenticata, ma una volta scoppiata la guerra non si sarebbe trattato più di quella sola questione. La guerra sarebbe stata combattuta esclusivamente per mare. Se nelle proprie acque la flotta pisana si fosse mostrata superiore, essa avrebbe riguadagnato la primitiva importanza in Oriente, mentre si poteva anche prevedere quello che sarebbe accaduto nel caso contrario. La coalizione di Genova con i Guelfi toscani aveva sconfitto Pisa nel- 1 anno 1256 arrecandole grandi perdite, ma la sua ricostituzione era al di fuori di qualsiasi possibilità. Non abbiamo elementi per considerare se, prima di accettare le offerte di Giudice, Pisa avesse pesato tutte le eventualità. Precipitosamente venne posta avanti alla cittadinanza la decisiva questione se si volesse guerra o pace. Il governo genovese mandò un ambasciatore, Palmerio Mi-gnardo, il quale doveva fare le sue rimostranze per il progettato aiuto ai 37 Cfr. per le scarse notizie Heyd, I, p. 472 e sgg. 38 Cfr. Docc. sulle rei. delle città toscane Coll’Oriente, I, p. 102 e sgg. 39 Cfr. Villani, VII, 84. - 18 - LO SCOPPIO DELLA GUERRA CON PlSA Còrsi. Egli doveva esporre dettagliatamente il contegno di Genova in questa faccenda, per giustificare la pretesa che il Comune di Pisa non dovesse intromettersi nelle cose del vassallo genovese. Non fu data immediata risposta a tale domanda, ma essa sarebbe stata recata a Genova da inviati di Pisa. A Genova sorse il sospetto che si tendesse a procrastinare la decisione, tanto più che a Pisa continuava l’arruolamento di mercenari. Si cominciò per conseguenza ad allestire galere. Frattanto gli inviati pisani giunsero a Genova. Le parole da loro pronunciate in Consiglio suonarono poco pacifiche. Essi avanzarono molte accuse contro i Genovesi, concludendo con la dichiarazione che Giudice era vassallo del Comune di Pisa e suo buon amico e che perciò non potevano consegnarlo nelle loro mani. Ogni possibilità di accordo era così troncata. A Genova si ascrisse parte della colpa di tale insuccesso ai due inviati. Quando questi ritornarono a Pisa, si lagnarono per l’indegno trattamento che era stato loro riservato, rendendo così il dissidio irrimediabile 40. Sembra che nel frattempo qualche incidente fosse già sorto, nè è da escludere che il grido di « guerra a Pisa » fosse risuonato per le vie della città inducendo i delegati ad una partenza affrettata41. Comunque Genova armò una flotta, il cui comando venne affidato a Nicolino Spinola. Anche il Capitano Doria andò a bordo, per essere pronto in caso di eventuali trattative di pace42. Lo scopo principale era quello d’impedire che i Pisani trasportassero in Corsica truppe in aiuto di Giudice. Quando le 23 galere e i 12 « panfili » comparvero fra la foce 40 Annali, 295 [V, 22-231; cfr. G est. des Chipr., 220 e sgg. 41 Gest. des Chipr., 221. Merita riflettere sulla coincidenza che il grido di guerra a Genova appare collegato con i fatti di Tripoli e Acri, riferiti ibid., 210 e sgg. Come loro data viene citato il 12 gennaio 1282. Perciò sono da porsi nel 1283, poiché per le Gest. des Chipr. l’anno termina il 24 marzo: ibid., 216; cfr. il documento in Mas Latrie, Hist. de Chypre, III, p. 662 e sgg.; Reg. Regni Hieros., nr. 1444, la cui data è 26 febbraio 1282, ind. XI. Perciò si tratta del 1283, come indica l’indizione. Le Gest. des Chipr., 221, potrebbero forse alludere ad altre lotte fra Pisani e Genovesi in Acri: cfr. Canale, III, p. 179. Gli Annali, 295 [V, 23], non negano che potessero essere avvenuti degli inconvenienti a Genova. Il nomignolo di bramapaxe, che i Pisani davano ai Genovesi - Annali, 296 [V, 23] - accenna in ogni caso al desiderio di guerra da cui erano dominate le masse di fronte al contegno pacifico del governo. 42 Annali, 295 e sgg. [V, 23 e sgg.]. — 19 — Libro IV - Cap. primo dell’Arno e Porto Pisano43, 32 galere nemiche con molte barche che le accompagnavano abbandonarono il porto. I Genovesi evitarono uno scontro con un avversario superiore di forze, fuggendo e mettendosi al coperto dietro l’isola della Meloria44. I Pisani non intrapresero alcun attacco e verso sera la flotta genovese cominciò a ritirarsi verso Portove-nere. Forse si sperava ancora d’aver così evitato lo scoppio d’una guerra aperta. Intanto si stava avvicinando il tempo della vendemmia, per cui gli equipaggi della flotta dovettero venir licenziati45. Forse era quello che attendevano i Pisani. Il mare era finalmente libero. Da lungo tempo cavalieri e fanti per Giudice erano pronti. Al principio di settembre46 vennero imbarcati e trasportati senza contrasti ad Aleria. Nel frattempo era scaduto il termine per il quale i mercenari genovesi si erano impegnati a prestare servizio e di conseguenza essi ritornarono alle loro case, mentre i castelli presi furono affidati a persone del luogo. Il risultato fu che Giudice riprese rapidamente i suoi possessi, come altrettanto rapidamente li aveva perduti. In tal guisa l’azione di Genova contro di lui fallì completamente e, finché i Pisani non fossero stati vinti, qualunque nuovo attacco contro il loro alleato poteva a priori considerarsi impossibile. Non è chiaro se le navi da trasporto, nella traversata per la Corsica, fossero scortate da galere. Queste, al comando di Ginicello de 43 Guido de Corv., 689, 26 agosto. Secondo Annali, 296 [V, 23], la flotta sarebbe partita da Genova già il 10 agosto. La data merita qualche riflessione, poiché secondo una notizia del 19 agosto 1282 (Fol. Not., III, 1, c. 78), l’armamento della flotta non era ancora compiuto. In Simone della Tosa, 148 = Anon. Fior, in Lau, Veneto v. Vie., p. 69 = Villani, VII, 84, è detto soltanto « in agosto ». 44 Annali, 296 [V, 23]; Guido de Corv., 689. Veronica è identificabile coll’isola della Meloria - cfr. Annali, 308 [V, 54-55] e Frag. hist. Pis., 648 - posta dinanzi a Portopisano; cfr. Atlante idrografico T. Luxoro, tav. 3. Ante Veronicam non significa fra 1 isola e il continente, ma sulla parte dell’isola rivolta al mare aperto: cfr. Annali, 208 [V, 55] 45 Annali, 296 [V, 24]. ^ Guido de Corv., 690, 5 settembre l’approdo. Il numero delle truppe è maggiore di quello in Annali, 296, [V, 24], la data molto più probabile di quella qui indicata del 24 agosto, poiché l’arrivo dei Genovesi dinanzi a Portopisano deve essere posto il 26 agosto; v. sopra, n. 43. Le due fonti concordano sulla circostanza dell’arrivo in Corsica avvenuto dopo la partenza della flotta genovese da Portopisano. - 20 - Lo SCOPPIO DELLA GUERRA CON PlSA Sismondi, fecero, l’8 settembre47, una scorreria che fu l’inizio di aperte ostilità, devastando la piccola isola presso Portovenere e facendo ritorno la sera. Un evento naturale rese però fatale la traversata. Nella notte si scatenò una tempesta che all’indomani fece naufragare una parte della flotta48. I suoi resti non poterono mantenere la rotta e dovettero rifugiarsi a Portovenere a causa del vento contrario. L’involontaria sosta di tre giorni venne messa comunque a profitto per nuove devastazioni49. Alla vista dei naufraghi ritornati a Pisa, si erano sparse voci, forse anche esagerate, riguardo a questo sinistro accidente. La melanconica impressione che ne derivo fu considerata di cattivo auspicio per la continuazione della guerra così ingloriosamente incominciata50. Il governo genovese intanto si era finalmente fatto la convinzione che non era più il caso di pensare al mantenimento della pace. Venne armata una galera, che navigò intorno alle isole di Sardegna e di Corsica, per informare gli abitanti delle città ove faceva sosta che le ostilità erano incominciate. La stagione era già troppo avanzata perchè fossero possibili azioni di grande rilievo e quindi tanto più fervido fu il lavoro di preparazione per la campagna della prossima estate. Un Consiglio ristretto, creato a tale scopo, che venne denominato Credentia, ebbe pieni poteri di prendere, insieme con i Capitani, tutti i provvedimenti necessari per la continuazione della guerra51. In tal modo fu attuato un considerevole concentramento di forze. Quanto minore fosse stato il numero delle persone che dirigevano questo lavoro di preparazione, tanto più facilmente si sarebbe potuto mantenere il segreto sui piani d’azione. La competenza della Credentia non si limitò alle cose militari soltanto; 47 Così Guido de Corv., 690. Simone della Tosa, 148 = Anon. Fior., 69, (Villani, VII, 84) in settembre. 48 Annali, 296 [V, 24], 17 galere; Guido de Corv., 1. c.; Simone della Tosa, I. c. = Anon. Flor., 1. c. (Villani, 1. c.). 49 Guido de Corv., 1. c. Il 18 settembre le galere ritornarono alla città di Pisa; in porto dovevano quindi essere arrivate ancora prima. La notizia di nuovi armamenti a Genova - Annali, 296 [V, 24] - può aver accelerato la seconda par tenza da Portovenere. 50 Simone della Tosa, 148 = Anon. Fior., 69 e sgg. = Villani, VII, 84. Le perdite di vite umane potevano tuttavia essere state molto insignificanti. 51 Annali, 296 e sgg. [V, 25]. - 21 - Libro IV - Cap. primo ma essa inviò anche ambasciatori52, e la conclusione di trattati venne decisa in certi casi soltanto da essa, senza la partecipazione del Consiglio Generale o di quello degli Anziani. Capitani e Credentia approntarono anche il piano di mobilitazione, destinato a servire di base54 al futuro allestimento delle flotte. Furono ritenute necessarie 120 galere55, al cui armamento dovevano contribuire in parte la città stessa ed in parte i singoli luoghi del territorio . Perchè l’onere fosse equamente distribuito, si formò una matricola, nella quale era specificato quanti uomini dovevano dare ogni luogo o distretto e quello che inoltre essi dovevano fornire per l’armamento delle 120 galere. Per l’armamento di un numero minore di navi la contribuzione veniva ridotta in proporzione del totale57. Tutto ciò non era una novità. Il giuramento della Compagna prevedeva l’obbligo incondizionato del servizio militare per tutti i cittadini. 52 App. 2, nr. 59 (6 gennaio 1286): i Capitani, de consensu et beneplacito atque voluntate consilii credentie comunis Janue, conferiscono poteri a sindici per trattare con i comuni toscani. 53 L.J., II, 55: 28 agosto 1283. Il che significa come tale istituzione si fosse consolidata. L’opinione di Heyck, p. Ili, non è giusta. 54 Annali, 296 [V, 25]; cfr. Heyck, p. 165. 55 Annali, 1. c.: Facta fuit cernea de galeis 120. Siccome il Comune possedeva soltanto 12 galere, - Annali, 295 e 297 [V, 23 e 26] - se ne dovevano essere prese da privati. 56 Annali, 296 [V, 25]: que (se. galee) divise fuerunt... in civitate Janue et per loca districtus armande. 57 Annali, 1. c. Ancora prima troviamo disposizioni per la formazione d una matricola. V. Caro, Verf. Gen., p. 142. La lista in Annali, 311 e sgg. [V, 62 e sgg.], del 1285, è probabilmente formata sulla base di una antecedente. Nel 1282, stando alla lettera degli Annali, non sarebbe assolutamente dimostrato quanti uomini ogni località o distretto doveva dare, ma soltanto quante galere ciascuno di essi doveva provvedere di equipaggio e armamento. Poiché occorreva un numero costante di membri dell’equipaggio per ogni galera e così pure una quantità pressoché analoga di attrezzi, munizioni e provviste, era la stessa cosa dire quante galere dovesse provvedere di equipaggio e armamento la potestatia Bisannis, se 120 era il totale delle galere da armare; ovvero dire, come gli Annali, 311 [V, 62] allorché, nel 1285, vennero armate 65 galere, che la potestatia Bisannis provvide 28 nauclerii e 900 vogherii. Se ■si calcolano 120 rematori per galera - cfr. Annali, 305 [V, 47] - da questa potestatia sarebbero state equipaggiate di rematori e timonieri 7 galere e mezza. Supersalientes e balistarii per queste galere possono essere stati presi da altri luoghi ove erano in eccedenza, ovvero la tota nobilitas ac bonitas Janue - che non avrebbe dovuto remare - - 22 - Lo SCOPPIO DELLA GUERRA CON PlSA Privilegi imperiali concedevano al Comune di Genova il diritto di chiamare alle armi la popolazione delle due riviere in caso di guerre navali58, e di tali privilegi era sempre stato fatto uso. Da un grande numero di documenti rileviamo59 che l’obbligo per gli abitanti del territorio di prestare servizio di guerra sulle galere era sempre esistito; chi intendeva liberarsene doveva farsi sostituire da un altro che, a pagamento, andasse a bordo in sua vece. Ne era venuto di conseguenza che una gran parte degli equipaggi delle galere era formata da mercenari60. Le autorità a cui incombeva la cura deH’armamento61 dovevano stabilire se la sostituzione di persone era accettabile; le osservazioni sulla capacità del sostituto come uomo di mare erano sempre state frequenti. Uomini di terraferma non sapevano sopportare il rollio delle navi; in momenti decisivi potevano essere colpiti dal mal di mare e invece di combattere doversi coricare con dolori di capo e di stomaco62. L’inabilità dei mercenari lombardi alla guerra marittima fu indubbiamente riconosciuta a Genova dopo gl’insuccessi del settimo decennio. Le misure prese nel 1282, per porre rimedio agli inconvenienti del sistema delle sostituzioni, non si erano dimostrate idonee. Esse si limitavano a regolare soltanto in forma definitiva ciò che fino allora aveva corrisposto ad una consuetudine. Già da tempo si era riconosciuta l’op-portumtà di equipaggiare i banchi dei rematori esclusivamente con la po- poteva essere in parte sulle galere, alle quali i rematori della potestatia Bisannis erano stati applicati. Del resto furono fornite anche galere con rematori genovesi: Annali, 308 [V, 54]; altre potevano aver avuto a bordo esclusivamente gente del territorio, come - Annali, 308 [V, 55] — nel 1284 la galea de Vinario. Gli equipaggi provvisti da Finale nel 1285 - Annali, 311 [V, 63] - furono di 4 nauclerii, 120 vogherii, 80 supersalientes e balistarii, sufficienti proprio per una galera. Nel 1282 venne certamente compilato soltanto lo schema generale, dal quale, secondo le particolarità dei singoli casi, venne derogato, così come, oltre alle galere armate ad apodisias, ne venivano solitamente armate anche ad solidos: Annali, 299 [V, 32], etc. 58 Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 56. 59 Per quelli sulle sostituzioni, v. sopra, vol. I, p. 180, n. 9 etc. e per quelli sulla leva, sopra, vol. I, p. 191, n. 2. 60 V. sopra, vol. I, p. 183, n. 21. 61 V. sopra, vol. I, p. 186, n. 31. 62 Jac. de Var., 14. Il medesimo inconveniente si verificò quando sudditi genovesi delle regioni montane formarono l’equipaggio - Annali, 304 [V, 43] - ma non sapevano remare. - 23 — Libro IV - Cap. primo polazione dedita alla marineria e alla pesca della costa ligure; soltanto che non si era mai osato costringere quella gente a mettere in gioco la propria vita, lontana per lunghi mesi dalla patria. Ciò avrebbe potuto accrescere l’animosità contro l’imperante aristocrazia, dei cui interessi commerciali si era trattato prevalentemente nella guerra con Venezia, senza che il paese fosse minacciato da invasioni. Invece, nel 1282, alla testa della repubblica sedeva un governo popolare, che dalla vicina Pisa vedeva minacciata tutta la riviera in maniera molto maggiore di quanto non lo fosse dalla lontana Venezia. Vi era quindi il vantaggio di poter equipaggiare le galere con uomini abituati al mare e i Capitani avevano la forza di portare a esecuzione tale disegno. Quando si fosse armata una flotta in tal modo, non sarebbe stato più permesso ad alcuno di sottrarsi al proprio dovere63. Chi per età o per malattia era inabile al servizio poteva rimanere a casa, ma nessun altro motivo era ammesso. I nobili diedero il buon esempio di andare per primi, e molti di essi si imbarcarono sulle galere per la lotta contro l’antico nemico della patria. Il desiderio generale di condurre gloriosamente la iniziata guerra risulta anche dal fatto che fu possibile una misura tanto severa come quella del divieto di navigare fino al 1° agosto 1283 65. Non minore zelo guerresco regnava a Pisa. Fra le due città nacque una vera e propria gara. A Sampierdarena furono costruite 50 nuove galere ed i Pisani credettero necessario di predisporne un numero eguale. Spioni davano notizie certe circa i provvedimenti presi dagli avversari e le loro comunicazioni au mentavano il desiderio di ciascuna delle parti di superare 1 altra con pode rosi armamenti. Tale attività di spionaggio era presto iniziata nelle due citta: Pisa aveva collocato un suo scrivano a Genova, che aveva 63 Annali, 299 [V, 33]: nec ullus se poterat nec volebat occasione aliqua excusare, nisi esset infirmitate vel senectute gravatus. Può però essere messo in dubbio se cio sia stato strettamente osservato. Fol. Not., II, c. 166 v. (23 giugno 1283): Jacobus de Portuveneris promette di partire in sostituzione d’un altro in presenti exercitu galearum comunis pro pretio sol. 40 pro singulo mense. Jac. de Var., 14, dice espressamente che appunto in questa guerra con Pisa andarono a bordo delle galere solamente dei nativi. A tale circostanza egli ascrive in modo particolare la vittoria di Genova. 64 Annali, 299, 307, 311 [V, 33, 53, 62]. 65 Annali, 296 [V, 25]; cfr. Villani, VII, 84. Lo SCOPPIO DELLA GUERRA CON PlSA accesso ovunque e che doveva comunicarle ogni sua osservazione mediante lettere o messaggeri. Alla stessa guisa si comportava quello genovese a Pisa. Ciò durò alcuni mesi, finché quest’ultima espulse il genovese, per cui anche il pisano fu costretto ad allontanarsi da Genova66. “ Amali, 297 [V, 26-27]. - 25 - Capitolo secondo Gli avvenimenti di guerra del 1283 Guerra in Corsica. - Sguardo retrospettivo sulle condizioni della Sardegna. - Operazioni della flotta genovese sotto Tomaso Spinola. - La flotta pisana sotto Andrioto Sarra-ceno conquista Alghero. - Una flotta genovese sotto Corrado Doria blocca una parte dei Pisani nel porto Farexie e vince l’altra parte. - Colpo di mano dei Pisani a Portovenere. - Alleati di Genova in Sardegna. - Piraterie. La guerra fra Genova e Pisa scoppiò per la Corsica, ma 1 isola non fu il vero teatro ove essa si svolse. Verso la fine del 1282 sette galere pisane tentarono di prendere il castello di Calvi. Non vi riuscirono, come pure non raggiunsero lo scopo per il quale manifestamente erano state mandate, quello cioè di catturare quattro galere genovesi che portavano rinforzi al presidio di Bonifacio1. Al principio dell’anno seguente Pisa mandò fanti e cavalli in Corsica per assalire i Genovesi nel loro possedimento di Capo Corso. Genova armò nove galere per ostacolarne la traversata, ma un malinteso impedì l’esecuzione del ben ponderato piano In appresso i Pisani, insieme con Giudice, devastarono i dintorni di Bo nifacio3, ma non osarono attaccare il castello. Questo rimase un prezioso punto di difesa per le flotte genovesi e per i colpi di mano dei corsari, dalla parte di terra non risulta che mai fossero avvenuti fatti d armi. Molto più importante fu il corso degli avvenimenti nella vicina Sar degna, che costituiva, come la Corsica, antico oggetto di contesa commerciale fra i due comuni, per i suoi molteplici prodotti naturali espor tabili su larga scala. Circa il Giudicato di Cagliari4 era stata presa una decisione nel 1258. Il suo stesso capoluogo si trovava in possesso immediato del Comune di Pisa e costituiva il baluardo della sua forza nell’isola, mentre il suo territorio rimaneva diviso fra il Giudice di Arborea, il Giudice di Gal- 1 Annali, 297 [V, 27], 2 Annali, 298 e sgg. [V, 30 e sgg.]. 3 Annali, 298 [V, 30], 4 V. sopra, vol. I, pp. 72, 234. - 26 - Gli avvenimenti di guerra del 1283 lura ed il conte di Donoratico5, per una terza parte ciascuno. La famiglia di quest ultimo si era divisa in due linee, fra le quali si frazionò la parte di sua spettanza: una metà toccò a Ugolino, l’altra ai due figli di Gherardo . Come i visconti di Gallura7, anche costoro annettevano più importanza ad avere una posizione influente in Pisa che ad essere semplicemente signori indipendenti in Sardegna. Li troviamo fortemente impegnati nelle guerre dei Guelfi e Ghibellini8. Genova avrebbe potuto far lega con dinasti sardi, come più volte aveva fatto in passato, ma da cittadini di origine pisana non poteva attendersi altro che inimicizia. Diversa era invece la posizione del Giudice di Arborea. Mentre i primi appartenevano alla nobiltà del Comune, per costui l’ammissione al diritto di cittadinanza non era altro che una forma, che faceva da paravento alla propria dipendenza9. Durante tutto il corso della guerra non mostrò la minima propensione ad imitare l’esempio dell’infelice Chiano 10, nè Genova trovò in lui un confederato. Su tre quarti dell’isola la preponderanza di Pisa si doveva considerare solidamente fondata. Non così profondamente radicata era invece nel Giudicato di Torres. Parecchie lotte, non sempre del tutto note, vi erano state combattute; la loro conseguenza fu la dissoluzione dello Stato in parecchie signorie. La località più importante, Sassari, costituiva un Comune del 5 V. sopra, vol. I, p. 71. 6 H.P.M., Cod. dipi. Eccles., 317: Bonifacius e Rainerius, figli di Gerardus, domini sexte partis regni Kallaretani. Il medesimo titolo aveva Ugolino: ibid., 319, etc. Risulta che queste ripartizioni fossero state realmente effettuate e non soltanto nominalmente; per questo Ugolino possedeva villa ecclesie (Iglesias): ibid., 1. c. Anche il conte Anseimo (de Capriata: Tola, Cod. dipi. Sard., I, 440) deve aver avuto dei possedimenti: Bonaini, Stai. Pisa, I, 50, etc. 7 Nel 1282 governava in ogni caso Ugolinus vicecomes, denominato Nino: Frag. list. Pis., 649; Bonaini, Stat. Pisa, I, 640, etc. Cfr. Tola, Dizionario biografico degli uomini ili. di Sard., III, 22. Suo tutore era allora ancora il conte Ugolino: Bonaini, Stat. Pisa, I, 275, nota. 8 Guido de Corv., 682 e sgg., etc. 9 II contratto di Pisa con Marianus donnicellus, Arboree baiulus, e nello stesso tempo tutore di Nicbolaus, conte di Capraria, figlio di Guglielmo, del 17 giugno 1265 in Bonaini, Stat. Pisa, I, 595 e sgg. Il padre di Nicola governava nel 1257: cfr. sopra, vol. I, p. 33. Nel 1283 è nominato Mariano come giudice di Arborea: Annali, 299 [V, 33]. 10 Cfr. sopra, vol. I, p. 25 e sgg. — 27 - Libro IV - Cap. secondo tutto simile a quelli del continente n. Nel nono decennio esso stava alle dipendenze di Pisa conformemente alle convenzioni e questa vi inviava ogni anno un Podestà 12. Il Giudice di Arborea vi possedeva un certo numero di castelli13 ed anche i marchesi Malaspina avevano beni nel Giudicato di Torres 14. Ma, riguardo alla guerra fra Genova e Pisa, aveva avuto importanza massima la circostanza che appunto in Sardegna una parte non insignificante del territorio apparteneva alla famiglia genovese dei Doria. Le relazioni dei Doria con la Sardegna erano di antica origine 15. Nel 1262 i loro possessi erano andati perduti, e con l’aiuto di Manfredi avevano procurato di ricuperarli. Il Comune di Genova li aveva sostenuti con denaro 16, ma poi non si era curato più degli avvenimenti dell isola. La occupazione del Giudicato di Torres da parte di Manfredi17 era stata comunque strettamente connessa col ristabilimento dei Doria, ai cui partigiani in Genova toccò forse qualche briciola del bottino I8. Pisa non potè sollevare alcuna protesta, poiché il suo atteggiamento politico non le consentiva di ricorrere a Manfredi. Il Giudice di Arborea invece aveva preteso Torres per sè, nè Urbano IV aveva mancato d’incoraggiarlo perchè raggiungesse il suo intento19. Nella guerra che era scoppiata20 i Doria 11 Certamente nel 1269 (non 1270, secondo l’indizione e il giorno della settimana): Winkelmann, II, 737. 12 Bonaini, Stat. Pisa, I, 331. 13 I quattro castra de Logodorio: L.]., II, 138 e sgg., 170; v. oltre, cap. VII. 14 Annali, 304 [V, 431. 15 L.J., I, 344 e sgg. Il 30 novembre 1186, compare Andrea Doria come suocero di Barisone, judex Turritanus. Il padre di Brancaleone Doria era ammogliato con Pretiosa, figlia illegittima di Mariano, giudice di Torres: Reg. Bon. Vili, II, p. 519. Un privilegio del 1° aprile 1238, ind. X, riguardante possessi dei Doria, è citato in L.J-, II, 91 e sgg. 16 L.J., I, 1401, 6 aprile 1262. 17 M.G.H., Epist. sec. XIII, III, 528, secondo cui l’occupazione doveva essere accaduta nell’anno 1262. 18 Cfr. Belgrano, Re. a Cod. dipi. Eccles., p. 149, Daniele Spinola; ibid., p. 148, Pasqualino di Negro. 19 M.G.H., Epist. sec. XIII, 1. c. 20 Tola, Cod. dipi. Sard., I, 382 e sgg. - 28 - Gli avvenimenti di guerra del 1283 parteciparono come difensori della causa di Manfredi, e non furono vinti21. Ma dopo la caduta del loro sostegno, il conte Ugolino, aiutato dai Pisani si era impadronito del Giudicato di Torres22. Molti principi si erano presentati al papa, allo scopo di ottenere in feudo la Sardegna dalla Chiesa romana, ma ebbero tutti un rifiutoa. Oppositori dei Pisani, e primi fra essi i vescovi della diocesi di Torres, avevano cercato poi appoggio presso Carlo dAngio, il cui figlio Filippo era stato da loro scelto come re di Sardegna , ma, mentre il Comune di Sassari si era interessato, Genova era rimasta estranea a tutto questo. I Doria non si erano associati al partito ecclesiastico, da cui certamente il movimento partiva, il che era coerente^ con 1 atteggiamento da essi tenuto in patria. I diritti dei conti di Donoratico derivavano dal re Enzo, la cui figlia Elena aveva sposato Guelfo, figlio di Ugolino25. Ma i conti si trovarono in difficoltà, perchè Gregorio X si dava da fare per allontanare i Pisani dalla Sardegna26 mentre Ugolino finì in discordia con la sua città nativa27; e se questa quindi sottomise Sassari28, la cosa certamente non tornò a suo profitto. Nulla sappiamo se Genova avesse avuto parte in questi fatti. I Doria però riuscirono a mantenere la loro posizione in mezzo a tanta confusione 29 e nel 1282 parecchi castelli dovevano trovarsi nelle loro mani, e forse 21 Del Giudice, Don Arrigo, p. 25, n. = Minieri Riccio, Alcuni fatti, p. 22. Secondo queste citazioni, Manfredi dovrebbe aver avuto fino alla sua fine dei funzionari in Sardegna, mentre il giudice Guglielmo di Arborea risulta morto subito dopo il 1263; cfr. sopra, n. 9. 22 Tola, Cod. dipi. Sard., I, 387. 23 L’infante Enrico di Castiglia, il re d’Aragona e Carlo d’Angiò: ibid., 386; quanto ai marchesi Malaspina, v. Potthast, nr. 20262. 24 Winkelmann, II, 737 e sgg. 25 Tola, Cod. dipi. Sard., I, 389; cfr. per l’albero genealogico Dal Borgo, Disi. Pis., II, p. 412. Il conte Ugolino era il capo della famiglia e rappresentava i diritti dei suoi nipoti: Dal Borgo, Dipi. Pis., p. 15. 26 Reg. Grég. X, p. 76, etc. 27 Guido de Corv., 681 e sgg. 28 L’elezione del re nel 1269 è inconcepibile, se a quel tempo si trovava a Sassari un podestà pisano. Può mettersi in dubbio se il contratto citato dal Bonaini, Stat. Pisa, I, 331, fosse stato già concluso nel 1275: cfr. ibid., 50, contro 274, 278 e sgg. 29 1278, ind. 6, 15 kal. dee. (quindi 17 novembre 1277): Barixon Aurie e homines Saxari conclusero un armistizio: L.J., II, 98, 103 e sgg., 109. - 29 - Libro IV - Cap. secondo anche con la partecipazione di taluno dei loro compatrioti . Partendo da queste posizioni, il Comune sarebbe stato in grado di riprendere 1 antica contesa per la supremazia sulla Sardegna e le circostanze gli erano favorevoli, anche perchè il partito della Chiesa nel Giudicato di Torres nul-l’altro attendeva che il momento di staccarsi da Pisa. Si ha però 1 impressione che non fosse stata opportunamente ponderata la situazione del momento per trarne profitto. All’opposto, i Pisani avevano chiaramente riconosciuto da quali pericoli erano qui minacciati. Perciò spedirono a Sassari 150 uomini a cavallo e un buon numero di soldati a piedi, al cui trasporto provvidero 16 galere al comando di Rosso Busacarino . L approdo, come già detto, avvenne a Bonifacio. Quando ne arrivò a Genova la notizia, venne armata una squadra forte di più del doppio di quella nemica23, affidandosene il comando ^ a Tomaso Spinola, che però non riuscì ad incontrare i nemici nel loro viaggio di ritorno. Venti contrari trattennero la flotta presso Portovenere, mentre quella pisana ritornava a casa. A Pisa intanto venne armato un numero maggiore di galere34, che sostarono a Portopisano35 in attesa dei movimenti dell’avversario. Lo Spinola salpò da Portovenere il 17 maggio, quando il mare si era calmato. Passando presso l’Elba36, la flotta si diresse verso la piccola isola di Pianosa ove approdò. Le torri fortificate, nelle quali gli abitanti si erano rifugiati, furono prese e distrutte, e la medesima sorte ebbe l’abitato37. Il giorno dopo fu tenuto consiglio sul da farsi. Un caso felice precipitò la decisione. Da lettere trovate a bordo di una barca im- 30 Castrum ]anuensium\ Del Giudice, Dipi. ined. di Carlo I, p. 11 (cfr. sopra, vol. I, p. 285, n. 44); Alegerium: Annali, 300 [V, 34]; L.]., II, 122, 166 e sgg., Castrum Montis gradoni-. L.J., II, 98, etc. 31 Al quale appartenevano comunque i vescovi Petrus de Gisercha e Gonarius de Ampurias: L.J., II, 54. 32 Annali, 298 [V, 30]; Guido de Corv., 690, parten2a 19 aprile. 33 Annali, 299 [V, 32-331: 34 galere, 1 saettia; Guido de Corv., 690. 33 galere; F rag. hist. Pis., 647: 35 galere. Partenza da Genova 30 aprile. All equipaggiamento sembra riferirsi una dichiarazione di liberazione da avarie personali del podestà di Polcevera: Fol. Not., II, c. 165 v.; inoltre l’iscrizione in Belgrano, Rendiconto, XVII, p. 319 = Remondini, Bue date, p. 471 34 Annali, 299 [V, 33], ha 54; Guido de Corv., 619, 48. 35 Annali, 299 [V, 33 e sgg.]. 36 Guido de Corv., 690, 18 maggio; Annali, 300 [V, 33]: altum mare tenens. 37 Annali, 1. c., 19 maggio. - 30 - Gli avvenimenti di guerra del 1283 prudentemente avvicinatasi, come pure dalla confessione delTequipageio risulto che a Cagliari si trovava un numero rilevante di navi mercantili pronte alla vela, che dovevano levar l’ancora il 24 maggio38, il cui carico consisteva di viveri e specialmente di argento delle miniere di Sardegna Tale barca era stata mandata avanti, per chiedere al Comune di Pisa l’invio delle galere di scorta. Lo Spinola divise la sua flotta. Mandò indietro 13 galere39 coi feriti di Pianosa e con i prigionieri fattivi «■ il resto41 si diresse verso sud il 20 maggio, ancora in tempo per evitare il più forte nemico, che nel medesimo giorno salpava da Portopisano42. L’ammiraglio pisano Andrioto Saraceno avrebbe voluto mandare già in precedenza soccorsi a Pianosa, ma la violenza del vento l’aveva obbligato a retrocedere. Ormai era troppo tardi cosicché vi trovò soltanto delle fumanti rovine43. Invece di inseguire l’avversario, si volse verso l’estremità meridionale della Corsica; e nuovamente i dintorni di Bonifacio furono interamente devastati44. Poi la flotta procedette per Alghero, sulla costa occidentale della Sardegna, e incominciò l’assedio del castello appartenente ai Doria. Mariano, Giudice di Arborea, vi prese parte con forze considerevoli, ma il castello oppose un’ostinata resistenza 4S. Intanto lo Spinola navigava lungo la costa orientale della Sardegna. Sul tardi, dopo il mezzogiorno del 29 maggio, giunse in vista del cercato convoglio, forte di 12 vele40. Una violenta tempesta, che si scatenò sul far della notte, non consentì di inseguirlo. I Pisani, alla vista del nemico si allontanarono: le navi meno atte al mare si rifugiarono verso terra47' 38 Annali, 300 tV, 33-341; alquanto dubbiose Gest. des Chip., 221. 39 Annali, 360 [V, 34]; F rag. hist. Pis., 647: 12; Guido de Corv., 690: 20 40 Annali, 1. c.: 150; Guido de Corv., 1. c.: 120. 41 Annali, 1. c.: 21 galere e 1 saettia; Frag. hist. Pis., 1. c.: 22 galere 42 Guido de Corv., 691. 43 Guido de Corv., 690 e sgg.; Frag. hist. Pis., 1. c.; Annali, I. c., 23 maggio. 44 Annali, 1. c. 45 Annali, 1. c. [V, 34-351; Frag. hist. Pis., 1. c.; Guido de Corv., 691. 46 Annali, 1. c.: 5 navi, 1 tarida, 5 galere, 1 galion; Frag. hist. Pis., 1. c.: 5 navi e 6 galere. 47 Annali, 300 [V, 353: 2 galere, 1 galion, e 1 tarida. Una delle galere fu presa da una delle tre galere genovesi che la inseguivano presso Agoyacastrum a nord di Kira (v. Atlante idrografico T. Luxoro, p. 55 e sgg.) e inoltre la tarida venne catturata dalle altre due galere. - 31 - Libro IV - Cap. secondo le maggiori, scortate da 3 sole galere, presero il largo, inseguite, malgrado il vento ed il tempo cattivo, dai Genovesi. Soltanto il terzo giorno , quando il mare si calmò, essi poterono arrischiare 1 attacco, cui seguì un furioso combattimento in alto mare, finito con la completa vittoria dello Spinola. Non gli fu possibile portare seco le navi prese, poiché durante il combattimento, per evitarne la fuga, era stato provveduto a manometterne le attrezzature49, per cui esse furono incendiate dopo che furono portati a bordo delle galere prigionieri, argento ed altro bottino*. Lo Spinola si diresse quindi su Bonifacio. Strada facendo ebbe notizia che a otta pisana stava assediando Alghero, ma, non sentendosi abbastanza orte per rompere l’assedio, veleggiò subito verso Genova, senza fare alcun tenta rivo52. Qui regnava non poca inquietudine: era stata spedita una galera per comunicare all’Ammiraglio la partenza dei nemici da Portopisano, ma non lo si era trovato; cosa facilmente spiegabile essendosi lo Spino a spinto tanto verso sud. Il pericolo che i Pisani potessero coglierlo al suo ritorno era manifesto: venne armata una seconda flotta, in grado di tener testa alla nemica53, destinata a dare decisiva battaglia. Corrado Doria, a quale venne affidato il comando, contava di incontrare i nemici fuori e loro porto. Ancor prima della sua partenza54 però, la sorte di Alghero era decisa. La guarnigione si difese per diciotto giorni, finendo per arren dersi contro la promessa di libera uscita con tutti i propri averi e che luogo non sarebbe stato distrutto. Il Giudice di Arborea ed i Pisani non mantennero però le condizioni giurate; gli uscenti furono depredati, ghero smantellata55. La flotta pisana prese intanto la via del ritorno in 44 Annali, 300 [V, 35], 31 maggio. 49 Annali, 301 [V, 36], Sembra che le tre galere che scortavano le navi fossero state afiondate dai Pisani stessi: v. Frag. hist. Pis., 647. 50 Annali, 1. c.; cfr. Guido de Corv., 690; Frag. hist. Pis., 1. c.; Simone della Tosa, 149 = Villani, VII, 90. 51 Annali, 1. c. Tramite le tre galere che il 22 maggio si erano separate dal grosso della flotta; cfr. sopra, n. 47. 52 Annali, 1. c. Arrivo il 22 giugno. 53 Ibid.: 54 galere, 1 saettia; Frag. hist. Pis., 647: più di 50 galere; Guido de Corv., 691: 53 galere. 54 Annali, 1. c. [V, 37], 27 giugno. 55 Annali, 300 [V, 34]. La resa è da porsi all’incirca alla metà di giugno: cfr. Frag. hist. Pis., (Al; Guido de Corv., 691; L.J., II, 122, 166 e sgg. - 32 - Gli avvenimenti di guerra del 1283 patria, ma venne separata da eventi contrari; la parte minore56 si diresse su Cagliari57 lungo la costa occidentale della Sardegna, la maggiore, probabilmente attraverso lo stretto di Bonifacio, per nord-est verso il continente, che raggiunse nei pressi di Piombino 58. Il medesimo vento, causa di questa vicissitudine, aveva invece facilitato il rapido viaggio di Corrado Doria che, a 24 oie appena dalla sua partenza da Genova, giunse a Portopisano59. Fermarsi qui sarebbe stato senza scopo: le dimostrazioni e il bombardamento delle torri non avrebbero prodotto un successo reale. L’Ammiraglio lo riconobbe immediatamente. Visto che le galere pisane non erano in porto, egli fu indotto a credere che si trovassero ancora presso Alghero; pertanto col grosso della flotta fece rotta in direzione sud lungo la costa e mandò una saettia per altra rotta, in direzione sud-ovest, in ricognizione60; così il nemico non avrebbe potuto arrivare a Portopisano inosservato. In realtà le due flotte s’incontrarono il 29 giugno, quantunque all’insaputa luna dell’altra. Nel frattempo i Pisani ebbero notizia dei movimenti dell’avversario e fecero quindi ritorno, ponendosi in salvo nel portus Farexie, di cui sbarrarono l’entrata61. Troppo tardi essi furono scoperti dai Genovesi62. Un assalto alla ben guarnita posizione parve difficile, per cui si diede mano a grandi preparativi, e si procurò in pari tempo di bloccare il traffico marittimo per Pisa. Quattro galere erano a guardia fra l’Elba e Piombino, tutte le barche e i bastimenti che passavano dovevano mettere le vele in panna e presentarsi all’ammiraglio, che mandava indietro quelle pisane, mentre spediva quelle neutrali a Genova. Il mattino del 4 luglio le navi di guardia segnalarono che un buon numero di vele erano in vista. Era la parte della flotta pisana sbattuta 56 Annali, 301 [V, 37], 15 galere e così pure Frag. hist. Pis., 647; Guido de Cqrv., 691: 13 o 14. 57 Annali, 1. c.; Frag. hist. Pis., 647. 58 Guido de Corv., 1. c.; Frag. hist. Pis., 1. c. 59 Annali, 1. c., 28 giugno. Secondo Guido de Corv., 691, il viaggio avvenne ancor più celermente, poiché dice che la flotta si trovava già nella notte dal 27 al 28 giugno presso l’isola di Gorgona (ad occidente di Livorno), il che non è in contraddizione con la relazione degli Annali. 60 Annali, 301 e sgg. [V, 381. 61 Annali, 302 [V, 381; il porto è presso Piombino: Atlante idrografico T. Luxoro, p. 53; plagia de Castagneto, più a nord. 62 Annali, 1. c., al 30 giugno. - 33 - 3 Libro IV - Cap. secondo le maggiori, scortate da 3 sole galere, presero il largo, inseguite, malgrado il vento ed il tempo cattivo, dai Genovesi. Soltanto il terzo giorno , quando il mare si calmò, essi poterono arrischiare l’attacco, cui seguì un furioso combattimento in alto mare, finito con la completa vittoria e o Spinola. Non gli fu possibile portare seco le navi prese, poiché durante il combattimento, per evitarne la fuga, era stato provveduto a manometterne le attrezzature49, per cui esse furono incendiate dopo che urono portati a bordo delle galere prigionieri, argento ed altro bottino - Lo pino a si diresse quindi su Bonifacio. Strada facendo ebbe notizia c e a otta pisana stava assediando Alghero, ma, non sentendosi abbastanza orte p rompere l’assedio, veleggiò subito verso Genova, senza fare alcun tenta tivo52. Qui regnava non poca inquietudine: era stata spedita una ga er per comunicare all’Ammiraglio la partenza dei nemici da Portopisano, m non lo si era trovato; cosa facilmente spiegabile essendosi ^ lo Spino a spinto tanto verso sud. Il pericolo che i Pisani potessero coglierlo a suo ritorno era manifesto: venne armata una seconda flotta, in grado ’ tener testa alla nemica53, destinata a dare decisiva battaglia. Corrado Doria, a quale venne affidato il comando, contava di incontrare i nemici fuori loro porto. Ancor prima della sua partenza54 però, la sorte di Alghero era decisa. La guarnigione si difese per diciotto giorni, finendo per a^ren dersi contro la promessa di libera uscita con tutti i propri averi e c e luogo non sarebbe stato distrutto. Il Giudice di Arborea ed i Pisani non mantennero però le condizioni giurate; gli uscenti furono depredati, ghero smantellata55. La flotta pisana prese intanto la via del ritorno in 48 Annali, 300 [V, 35], 31 maggio. 49 Annali, 301 [V, 36], Sembra che le tre galere che scortavano le navi fossero state affondate dai Pisani stessi: v. Frag. hist. Pis., 647. 50 Annali, 1. c.; cfr. Guido de Corv., 690; Frag. hist. Pis., 1. c.; Simone della Tosa, 149 = Villani, VII, 90. 51 Annali, 1. c. Tramite le tre galere che il 22 maggio si erano separate dal grosso della flotta; cfr. sopra, n. 47. 52 Annali, 1. c. Arrivo il 22 giugno. 53 Ibid.-. 54 galere, 1 saettia; Frag. hist. Pis., (Al', più di 50 galere; Guido de Corv., 691: 53 galere. 54 Annali, 1. c. [V, 37], 27 giugno. 55 Annali, 300 [V, 34]. La resa è da porsi all’incirca alla metà di giugno: cfr, Frag. hist. Pis., 647; Guido de Corv., 691; L.J., II, 122, 166 e sgg. Gli avvenimenti di guerra del 1283 patria, ma venne separata da eventi contrari; la parte minore56 si diresse su Cagliari57 lungo la costa occidentale della Sardegna, la maggiore, probabilmente attraverso lo stretto di Bonifacio, per nord-est verso il continente, che raggiunse nei pressi di Piombino58. Il medesimo vento, causa di questa vicissitudine, aveva invece facilitato il rapido viaggio di Corrado Doria che, a 24 ore appena dalla sua partenza da Genova, giunse a Portopisano59. Fermarsi qui sarebbe stato senza scopo: le dimostrazioni e il bombardamento delle torri non avrebbero prodotto un successo reale. L’Ammiraglio lo riconobbe immediatamente. Visto che le galere pisane non erano in porto, egli fu indotto a credere che si trovassero ancora presso Alghero; pertanto col grosso della flotta fece rotta in direzione sud lungo la costa e mandò una saettia per altra rotta, in direzione sud-ovest, in ricognizione60; così il nemico non avrebbe potuto arrivare a Portopisano inosservato. In realtà le due flotte s’incontrarono il 29 giugno, quantunque all’insaputa l’una dell’altra. Nel frattempo i Pisani ebbero notizia dei movimenti dell’avversario e fecero quindi ritorno, ponendosi in salvo nel portus Farexie, di cui sbarrarono l’entrata61. Troppo tardi essi furono scoperti dai Genovesi62. Un assalto alla ben guarnita posizione parve diffìcile, per cui si diede mano a grandi preparativi, e si procurò in pari tempo di bloccare il traffico marittimo per Pisa. Quattro galere erano a guardia fra l’Elba e Piombino, tutte le barche e i bastimenti che passavano dovevano mettere le vele in panna e presentarsi all’ammiraglio, che mandava indietro quelle pisane, mentre spediva quelle neutrali a Genova. Il mattino del 4 luglio le navi di guardia segnalarono che un buon numero di vele erano in vista. Era la parte della flotta pisana sbattuta 56 Annali, 301 [V, 373, 15 galere e così pure Frag. hist. Pis., 647; Guido de Cqrv., 691: 13 o 14. 57 Annali, 1. c.; Frag. hist. Pis., 647. 58 Guido de Corv., 1. c.; Frag. hist. Pis., 1. c. 59 Annali, 1. c., 28 giugno. Secondo Guido de Corv., 691, il viaggio avvenne ancor più celermente, poiché dice che la flotta si trovava già nella notte dal 27 al 28 giugno presso l’isola di Gorgona (ad occidente di Livorno), il che non è in contraddizione con la relazione degli Annali. 60 Annali, 301 e sgg. [V, 38], 61 Annali, 302 [V, 381; il porto è presso Piombino: Atlante idrografico T. Luxoro, p. 53; plagia de Castagneto, più a nord. 62 Annali, 1. c., al 30 giugno. - 33 - 3 Libro IV - Cap. secondo verso Cagliari, che ora rimpatriava. Il Doria lasciò indietro 22 galere per il blocco di portus Farexie, disposte in modo che il nemico non potesse uscirne. Con le altre 32 galere si rivolse verso le navi che avanzavano, in modo da sbarrar loro il cammino per Piombino. I Pisani non retrocedettero, come si sarebbe potuto supporre, ma, dal momento che il vento era loro favorevole, spiegarono le vele e navigarono fra le file degli avversari. L’ardita manovra non riuscì senza perdite63 : alcune galere caddero nelle mani dei Genovesi, mentre il grosso prese felicemente terra presso Piombino. Dopo questo insperato successo, i vincitori decisero di levare provvisoriamente il blocco, per rifornirsi di acqua potabile in Arno, mentre i prigionieri venivano trasportati a Genova sopra due galere. Il 5 luglio la flotta prese per conseguenza la via del nord. Però, dopo il mezzogiorno, lo scirocco si alzò talmente che fu ritenuto impossibile mantenersi in una rada aperta. Era necessario continuare la rotta fino a Portovenere; alcune galere furono spinte oltre verso nord. Il vento soffiò per quattro giorni nella medesima direzione e quindi un ritorno era impossibile. I nemici invece poterono, non molestati, lasciare il loro rifugio ed entrare a Portopisano 64. Costringerli a battaglia era ormai impossibile e ben difficilmente essi avrebbero pensato di offrirne spontaneamente l’occasione ai Genovesi. Costoro attesero ancora parecchi giorni, poi ritornarono in patria65. L ammiraglio consegnò al Comune 584 prigionieri; tale fu 1 esito delle sue operazioni, nessuna delle quali poteva dirsi sfavorevole; non era tuttavia il caso di parlare di una risoluzione della questione. In questo periodo della guerra Genova manifestò la propria superiorità, le sue flotte passarono rasente alle coste toscane senza opposizione e molestarono il traffico pisano. Se ad esse riuscì di prendere navi nemiche e a fare un considerevole numero di prigionieri, tutto ciò però e da attribuirsi per la massima parte a fortunati eventi. La perdita di Alghero fu così compensata, ma non riscattata. 63 Annali, L c., 4 galere, una delle quali affondata. Su queste dovevano trovarsi i 1000 uomini che i Pisani calcolarono mancanti, oltre ai molti feriti trovati sulle navi salvate. Guido de Corv., 691, indica 2 galere, 21 galion come presi, 2 galere affondate, una delle quali più tardi venne recuperata. Secondo Frag. hist. Pisi., 647, andarono perdute 3 galere ed 1 galion. 64 Annali, L c.; Guido de Corv., 691, 8 luglio. 65 Annali, 303 [V, 40], 19 luglio. - 34 - Gli avvenimenti di guerra del 1283 Genova avrebbe dovuto sperimentare a sazietà più tardi quanto poco proficui fossero stati i successi per mare a causa dell’andamento delle cose in Sardegna. Per il momento i Pisani erano umiliati, ma non decisamente sconfitti. Finché avessero avuto legname per costruire nuove galere, non si sarebbero considerati perduti. Genova si era mantenuta in piedi nel settimo decennio malgrado le gravi sconfitte patite contro Venezia; quando una sua flotta veniva annientata, un’altra ne sorgeva pronta alla vela. Così era ora per i Pisani; gli insuccessi li infiammavano alla vendetta. Essi volevano cercare il nemico nel suo proprio porto, colpire Genova stessa con baliste, per dimostrare che il loro coraggio non era spento. Il capo dei loro spioni comunicò apertamente a quello genovese questa intenzione. Il Capitano Dona gli fece pervenire una sdegnata risposta: « Se oserete avventurarvi sul mare, vi verremo tanto da presso, da rendere inutili le vostre baliste »66. Un attacco alla città non poteva servire ad altro che ad una boriosa dimostrazione; i Genovesi desideravano una battaglia navale, nella quale potesse aversi la dimostrazione di quale delle due parti fosse la più forte. La spedizione annunziata con tanta millanteria ebbe un deplorevole seguito. 64 galere pisane salparono il giorno 8 settembre67 dal porto; approdarono a Portovenere e ne devastarono i vigneti. Gli abitanti si riunirono e uccisero molti dei saccheggiatori Entro tre giorni vennero armate a Genova 70 galere, con le quali Oberto Doria mosse alla ricerca del nemico. I Pisani, che facevano solerte guardia, quando furono in vista le vele genovesi presso il promontorio di Portofino, si allontanarono rapidamente69. Il Capitano non li inseguì, e la soluzione fu rimandata all’anno seguente. Anche in Sardegna erano prossime nuove lotte. Genova si attendeva lusinghieri vantaggi dalle offerte del vescovo Pietro di Gisercha, il quale sosteneva di poter trasmettere in altre mani Sassari70. Venne stipulata una convenzione71, in virtù della quale egli ed i suoi aderenti si sotto- 66 Annali, 303 [V, 41]. 67 Guido de Corv., 601. 68 Annali, 303 [V, 41 ], più di 300; cfr. Frag. hist. Pis., 647 e Guido de Corv., 1. c. 69 Guido de Corv., 691, 14 settembre; Annali, 303 [V, 42]. 70 Annali, 303 [V, 42], 71 L.J., II, 54: 30 agosto 1283; Annali, 304 [V, 4031; cfr. sopra, n. 30. - 35 - Libro IV - Cap. secondo mettevano al Comune per averne appoggio contro i Pisani nell affermazione dei diritti del suo vescovado. Egli promise di porre Sassari sotto il loro dominio, ricevendo in cambio l’assicurazione che avrebbe avuto appoggio come un cittadino genovese. Il vescovo si era eccessivamente fidato di se stesso. Appena si riseppe a Sassari del suo viaggio a Genova, si fece prigioniero suo fratello, mentre vennero uccisi od espulsi gli amici del traditore72. Tuttavia a Genova non si trascurò di cogliere l’occasione per mettere in difficoltà i nemici nel Giudicato di Torres. Un altro alleato fu il marchese Moroello Malaspina, che, volendo riparare al suo precedente fallo73, promise di recarsi in Sardegna personalmente con 50 uomini74, a spese, naturalmente, del Comune. I possedimenti dei Malaspina e quelli, che ancora rimanevano, dei Doria offrivano quindi d’ora in avanti punti d’appoggio per attacchi su Sassari, per effettuare i quali erano state destinate le truppe imbarcate in dicembre che approdarono presso Castrum Januense75. Presto seguirono altri rinforzi, mentre Moroello manteneva la sua promessa76. Come già era avvenuto nella guerra con Venezia, anche ora, nella grande guerra che si combatteva fra i due Comuni, si verificavano continui colpi di mano da parte di navi corsare. L’annalista genovese ci dà relazioni dettagliate sugli innumerevoli scontri in tutte le parti del Mediterraneo. Spesso troviamo le sue notizie confermate da documenti, perchè non di rado i pirati trovavano comodo confondere merci neutrali con pisane, dichiarandole buona preda, il che dava naturalmente motivo a vivaci reclami da parte dei danneggiati. Per quanto svariati possano essere stati gli avvenimenti, nell’insieme abbiamo il quadro d’un orribile sistema, poiché vediamo continuamente ripetersi la rapina e la distruzione delle proprietà altrui. Una saettia di Portovenere catturò fra le foci dell’Amo e Portopisano una barca da nolo carica di grano. Un’altra, con equipaggio di Bonifacio, aggredì un bastimento pisano proveniente da Alessandria, provocandone il naufragio, cosicché le merci andarono perdute. I Pisani 72 Annali, 303 [V, 4243]; quindi sono menzionati in L.J., II, 165, extrinseci ed intrìnseci di Sassari. 73 Annali, 304 [V, 431; cfr. sopra, vol. I, p. 374 e sgg. 74 Annali, L c.; il contratto del 19 novembre 1283 (vedi L.J., II, 169) non è conservato. 75 Annali, 1. c., 24 dicembre. 76 Annali, 305 [V, 45], gennaio 1284. - 36 - Gli avvenimenti di guerra del 1283 residenti a Cagliari che avevano armato due galere e un galeone, s’impadronirono presso Tunisi d’una tarida genovese, assalirono quindi senza risultato un’altra nave 77 che potè proseguire per la sua via. Nell’insicurezza del tra co marittimo nessun bastimento poteva uscire da un porto senza avere a bordo armi per difendersi. Ne venne quindi che anche navi destinate al solo trasporto si assalissero a vicenda, indifferentemente, sulle spiagge della Sardegna o sulle coste di Cipro78. Per recar danno agli avversari, talvolta squadre di poca importanza spedite dai Comuni79 davano la caccia al nemico con non minor zelo dei veri corsari. Ma finché la questione di fondo restava indecisa, tutto ciò era d’importanza secondaria. Le perdite sofferte potevano calcolarsi equivalenti, l’interruzione dei traffici eguale da ambe le parti, qualche prigioniero in più o in meno era cosa di poco momento. 77 Annali, 297 e sgg. [V, 28]. 78 Annali, 303 e sgg. [V, 42], 79 Annali, 298, 301, 305 [V, 30, 31, 37, 45], - 37 - Capitolo terzo La battaglia decisiva della Meloria Prime imprese dei Pisani nel 1284. - Vittoria di Enrico de Mari ed imprigionamento del conte Facio. - La flotta pisana al comando di Albertino Morosini si presenta presso Genova. - Di fronte alla flotta genovese si ritira a Portopisano. - Vittoria genovese alla Meloria. - Importanza della stessa. I Pisani non disconobbero certo il grande vantaggio che l’accentramento della direzione delle operazioni nelle mani dei Capitani e della Credentia aveva recato ai Genovesi. Poiché i movimenti delle flotte erano regolati da un 'unica centrale, e si era organizzato un servizio speciale per l’inoltro delle notizie, era possibile accorrere energicamente ove se ne mostrava il bisogno. Nel 1283 Pisa aveva in mare un numero di galere di poco minore di quello dell’awersaria, ma ciò malgrado le sue navi soggiacquero di fronte alla maggior forza. Per quanto angusto fosse il teatro principale della guerra, le forze si disperdevano senza risultato. Per rimediare all’inconveniente, al principio del 1284 venne presa la misura di elevare il conte Ugolino e Andrioto Sarraceno a Capitani Generali della guerra navale, con pieni poteri di condurla a loro talento ’. Il loro primo atto di rilievo fu quello di armare 14 galere, che dovevano andare incontro alla seconda flotta genovese da trasporto diretta in Sardegna2. L’impresa fallì. I Pisani assaltarono senza frutto il castello di Calvi in Corsica. Quando ritornarono a Portopisano, l’equipaggio fu costretto a rimanere a bordo, avendo ricevuto subito un altro incarico, pel quale vennero aggiunte altre 20 galere. Come nell’anno precedente, Pisa voleva assicurare i suoi possedimenti in Sardegna con l’invio d’una forza combattente. Il conte Bonifacio3 di Donoratico venne nominato Capitano Generale4 per la guerra sull’isola. Per condurvelo insieme con fanti e 1 Annali, 305 [V, 47]; Frag. hist. Pis., 647 e sgg. 2 Annali, 1. c.; Frag. hist. Pis., 648. 3 Fatius - Annali, 306 [V, 48] etc. - è soltanto un’abbreviazione del nome intero; cfr. sopra, cap. II, n. 6. * Frag. hist. Pis., 648. - 38 - La battaglia decisiva della Meloria avieri, fu scelta una „ave g ^ fc ^ ^ ^ cGer aveva,,0l“fl **•"a mvi- galere per la Romania con ricco ctZ° nUm"° T™™ 5 11 avUrr* ^ A i > Per precauzione condussero seco fri ì,f m:comandati da E“ri“de «*• ^ <*** - fa» scorare da quattro galere armate dal Comuue per attaccare i nemici’. La MWa"» e"K d‘ t0ccare Porml»saoo, ma passò attraverso lo stretto fra Elba e P.ombmo *. Qui si ebbe notizia dei progetti del nemico, il che indusse la squadra a cambiare la rotta 9 T P.v ■ • , , JLUdie ia rotta . 1 Pisani intanto seppero che 22 galere genovesi erano in mare >°, e perciò ne fecero uscire soltanto delle loro, certamente con altre navi da trasporto. Il tempo fu sfavorevole, circostanza che obbligò la flotta a dividersi». Al mattino del 1° maggio i Genovesi mcontrarono da sola, lungo la costa nord-est della Sardegna, la nave ove si trovava il conte Facio, che si arrese senza resistenza » Poi comparvero alla vista le galere pisane. I Genovesi le credettero in numero maggiore di quello che erano effettivamente; presero a bordo i prigionieri, incendiarono la nave conquistata e si volsero incontro al nemico. Il combattimento duro fino a sera e finì con piena vittoria dei Genovesi, che catturarono 8 galere e ne mandarono a fondo una, mentre le altre si dichiaravano pronte alla resa, da eseguirsi però il giorno seguente. Tutta- 5 Annali, 306 [V, 48], Inoltre la flotta da trasporto constava, secondo Annali, I. c., di una e secondo Gest. des Chip., 222, di altre due navi. 6 Annali, 303 [V, 42], 7 Annali, 306 [V, 48]. 8 Partenza da Genova 22 aprile: Annali, 1. c.; per via furono toccati Portofino, Gorgona: Frag. hist. Pis., 648; Piombino: Annali, 1. c. 9 Se non si ammettesse ciò, non si spiegherebbe come navi che erano destinate alla Romania e che fino ad ora avevano seguito la costa del continente si trovassero improvvisamente a nord della costa orientale della Sardegna, poiché là si trova (v. Atlante idrografico T. Luxoro, p. 55 e sgg.) Tolarium - Annali, 306 [V, 48] -, cioè Capo Cornino (Frag. hist. Pis., 648), dove venne presa la nave del conte Facio! 10 Annali, 306 tV, 49]: questo numero complessivo è effettivamente dato da Guido de Corv., 691 e da Frag. hist. Pis., 648. 11 Gest. des Chip., 222. 12 Annali, 1. c. [V, 48]; Guido de Corv., 691. La notizia in Gest. des Chip., 222, è in ogni caso inesatta. - 39 - Libro IV - Cap. terzo via, quando si fece notte, fuggirono, ma i Genovesi, inseguitele, ne presero ancora cinque; il resto potè sottrarsi col favore della notte 13. Fu un successo veramente sorprendente e glorioso. La flotta vittoriosa andò a Bonifacio, dove rimase alcuni giorni. Enrico de Mari portò i prigionieri a Genova; le cinque galere dei mercanti proseguirono nel loro viaggio e a Girgenti distrussero due navi corsare nemiche M. A Pisa, la colpa della vergognosa sconfitta fu attribuita ai due Capitani Generali che furono licenziati15 e sostituiti con il veneziano Albertino Morosini, allora Podestà della città 16. Sotto la sua direzione cominciarono i preparativi per mandar fuori una flotta, che nelle intenzioni doveva essere più consistente di quelle precedenti. Come nell’anno passato, si voleva anche in questo avvicinarsi alla città marittima per colpirne il molo con pietre tinte di rosso I7. A Genova non si credette alla serietà dei progetti pomposamente annunziati e intanto si armarono soltanto 30 galere, al cui comando venne posto Benedetto Zaccaria ’8. L’ammiraglio rimase alcuni giorni dinanzi a Portopisano, poi incrociò presso la Sardegna e la Corsica senza ottenere risultati degni di menzione; quando stava per assalire Sassari, ricevette l’ordine di rimpatriare. Avendo nel frattempo i Pisani 13 Annali, 306 [V, 49]. Secondo Guido de Corv., 691, furono 13 le galere prese dai Genovesi; secondo Frag. hist. Pis., 648, soltanto 9; secondo Gest. des Chip., 223: 12 o 13; cfr. anche Simone della Tosa, 149 = Villani, VII, 91; Ann. Plac., 577. 14 Annali, 1. c. 15 Annali, 306 e sgg. [V, 50], 16 Frag. hist. Pis., 647 e sgg.; Annali, 307 [V, 50]. 17 Annali, 307 [V, 52]. 18 Annali, 1. c. Le indicazioni cronologiche secondo le quali egli uscì die mercurii sancto (5 aprile) e in die pasce domini (9 aprile) comparve dinanzi a Portopisano devono essere erronee. Che una squadra così grande fosse rimasta in mare oltre tre mesi, senza aver eseguito qualche importante operazione, è in contraddizione con l’uso comune. Poiché nè in maggio nè in giugno si era mostrata alcuna flotta pisana, così era inutile che ve ne fosse una genovese. Secondo Guido de Corv., 692, risulta che il 27 giugno era stata avvistata una flotta genovese presso la Gorgona, la cui forza fu stimata di 47 vele. Notizie in Fol. Not., Ili, 1, c. 91 (30 maggio 1284): sindici comunis Diani fatentur habuisse mutuo a Nicolao Buccanigra l. 120 pro armanda una galea in servitio comunis Janue; ibid., Il, c. 246 (20 e 21 giugno 1284): nominatur felix armamentum galearum comunis Janue, cuius est admiratus d. Benedictus Zacbaria; si dice che la flotta salpò soltanto alla fine di giugno. — 40 - La battaglia decisiva della Meloria ultimato i loro armamenti19 i Nobili e popolari montarono sulle gaferTnTdi dì' ' ^ T” ^ f°m‘ Il disegno del comandante supremo M P,°teVa 3 dttà“ la squadra dello Zaccaria Fin da orin T * C°IpÌre S°ltant° Venti contrari gli ^ ^ ^ solo n 24 iug,io i piSMi P0;“ ;rr ■ suasione che lo Zaccaria ner ' a Per' j * f ’ per evitare scontro, avesse piegato ad occi Pro°aolle che avessero fatto uso delle baliste che avevano portato con loro = e che un selvaggio urlio avesse chiamato gli avversari a battaglia ; la dimostrazione però fallì interamente il suo scopo Genovest non erano impreparati; in poche ore completarono l’annamento necessario ài combattimento di 58 paIpty» ** q ♦-» cv m i n • • v , galere e 8 « panfili ». Nel pomeriggio lo Zaccana amvo con la su, squadra, non a tergo dei nemici come questi speravano, ma d. ronte, presso il promontorio di Portofino. Senza indù- Kte^" fl0t“ Ae ^ * *"» ' >* ~ 19 La forza delia flotta ascendeva, secondo Annali, 307 [V 52] a 72 ealere e m 0 2T n i| V 1 «* 61 «** » — « i— 468 . 65 galere, 11 galliom, come pure punctoni (pontoni). 20 Annali, 307 [V, 52]; cfr. Salimbene, 304. 21 Guido de Corv., 692; il 22 luglio viaggio dalle foci dell’Arno a Portopisano, donde partenza il 24 luglio. a Simone della Tosa, 140 = Villani, VII, 92. La relazione di Annali, 307 [V, 52], non vi contraddice. Guido de Corv., 692, dice che la flotta pisana era in portu Janue. Per tale non può intendersi il vero bacino del porto protetto dal molo quale manifestamente intendono Annali, 1. c. [V, 531, per portus Janue, ma bensì solamente la rada che gli sta dinanzi. La circostanza che lo Zaccaria potè tanto facilmente entrare nel porto non significa che i Pisani avessero potuto uscire per la via del promontorio, sul quale poggia la lanterna; ma non si può concludere con Heyck, p. 193, dagli Annali, 307 [V, 52], che non si fossero avvicinati oltre Varazze. L’annalista dice che erano nelle sue vicinanze al mattino, mentre tace su quello che fecero durante il giorno, nel quale vi era tempo sufficiente per percorrere il breve cammino per Genova (circa 4 miglia). Le notizie riguardanti i successi dei Pisani non sono assolutamente inventate, ma certo esagerate, mentre l’annalista genovese le vela: Annali, 308 [V, 53]. 23 Villani, VII, 92; ciò corrispondeva al tradizionale sistema di guerra. 24 Annali, 307 tV, 53]. — 41 — Libro IV - Cap. terzo I Pisani non potevano sostare in rada, cosicché verso sera25 decisero di far ritorno per la medesima direzione dond'erano venuti. Il Capitano Doria, nominato per acclamazione ammiraglio di tutta l’armata, attendeva quel momento per lasciar subito26 il porto e disporre, come fece, le sue galere sulla spiaggia di Sturla27, sospettando che i nemici facessero delle ricognizioni notturne e, dal momento che il porto era vuoto, tentassero di penetrarvi quindi al mattino. In tal caso si sarebbe potuto facilmente assalirli dalla parte del mare, in modo che, venendosi a trovare chiusi dalla terra da una parte e dagli avversari dall’altra, nessun Pisano avrebbe potuto sfuggire28. Il Morosini non cadde nella trappola; all’alba le vele della sua flotta erano visibili all’estremo orizzonte. Oberto Doria, che voleva a questo punto impedire al nemico il ritorno a Portopisano, salpò da Portofino29, e dopo aver spedito parecchie galere in ricognizione, col grosso della flotta si avviò lentamente verso ocidente. Nei pressi di Porto Maurizio ebbe finalmente notizia che la flotta pisana si era diretta verso la Corsica, il che era vero. Il Morosini aveva operato un’ampia diversione, che rendeva difficile trovarlo. Anzitutto egli aveva navigato lungo la costa ligure fino a Nizza x, poi si era volto a sud-est verso Capo Corso, dove alla sera del 5 agosto fece provvista di acqua fresca31, arrivando il giorno seguente in buone condizioni a Portopisano32. Nel pomeriggio del 5 agosto i Genovesi arrivarono presso Capo Corso, ove ebbero precise informazioni sulla via presa dal nemico e subito partirono in direzione di Portopisano. Ora finalmente si sperava di poter dare la tanto desiderata battaglia decisiva, ma per far ciò occorreva far uscire il nemico dal porto ben difeso ricorrendo ad uno strattagemma. Il Doria divise la sua flotta in due 25 Guido de Corv., 692, in sero. 26 Annali, 308 [V, 53], circa sero. 27 Annali, 1. c. Il seno di Sturla sta circa ad un miglio ad oriente del porto, e poteva avere spazio sufficiente per contenere le galere. I promontori fra Sturla e Genova dovevano rendere invisibile di qui la flotta. 28 Annali, 1. c. 29 Annali, 1. c. Egli incrociò appunto lungo la linea sulla quale i Pisani dovevano essere venuti da Portopisano ad Albenga. 30 Frag. hist. Pis., 648. 31 Annali, 308 [V, 54]. 32 Guido de Corv., 692. - 42 - La battaglia decisiva della Meloria i Xl a n 7 8 8 ‘panfli »- se8"w a iualche dis»“» dalle 30 galere deUo Zaccaria tenute di riserva e fnori della vista del nemico Era supponibile che i Pisani non avrebbero rifiutato uno scontro con forze apparentemente eguali. Il piano riuscì. Il mattino del giorno fatale, 6 agosto, la flotta pisana era all ancora presso le torri del porto* Quando la prima linea di quella avversaria fu in vista, essa abbandonò il suo ben protetto ancoraggio, si ordino in inea e andò incontro ai Genovesi per la rotta dell’isola di Meloria. Solo allora i Pisani si accorsero della presenza delle galere dello Zaccaria-restandone quasi paralizzati*; ma una ritirata senza combattimento eri a questo punto impossibile. Era già giorno avanzato, quando la battaglia incomincio con un furiosa tempesta di proiettili. La flotta pisana e la pnma squadra genovese stavano ciascuna disposta su di una sola linea di fronte all altra. Al centro della linea genovese stava la nave ammiraglia, accanto ad essa le galere dei Doria e quelle degli Spinola; al centro della linea pisana stavano la galera sulla quale era innalzata la bandiera del Comune di Pisa e quella che aveva a bordo il Podestà Morosini. Risulta che le ali delle due flotte avessero continuato a scambiarsi un vicendevole lancio di proiettili, mentre al centro le galere, i cui equipaggi erano formati da combattenti scelti, lottavano da vicino, e intanto anche galere della riserva genovese entravano in battaglia. Il combattimento finì con l’abbas- 33 Annali< *• c-: dunque ne furono armate 5 di più che il 31 luglio; il che è ben spiegabile, perchè la gente della riviera allora non era ancora tutta arrivata in città. La forza complessiva della flotta ascendeva a 101 vele; a Pisa fu stimata maggiore: Guido de Corv., 692: 107 galere; Frag. hist. Pis., 648: 110; Gest. des Chip., 224, complessivamente 90 galere, è forse troppo poco; troppo alto invece Simone della Tosa, 149: 130 galere. 34 Che essa avesse gettato l’ancora alla foce delPAmo (Heyck, p. 193; Villani, VII, 92) contraddice alla precisa indicazione degli Annali, 308 [V, 55], Quanto alla forza della flotta, cfr. sopra, n. 19; le indicazioni di Gest. des Chip., 224, e Marin Sanudo, Liber, 84, sono troppo alte. Le liste dei capitani delle navi e simili (Marangone, Croniche, 564 e sgg.; Ronconi, Hist. Pis., 609 e sgg.; Tronci, Memorie di Pisa, p. 245; Tola, Cod. dipi. Sard., I, 396) sono molto dubbie. 35 Annali, 308 [V, 55]. Nelle Gest. des Chip., 224, è detto che dal mattino fino al vespro le flotte stettero l’una di fronte all’altra, in contraddizione con Annali, 308 [V, 54-55], i quali dicono che solo inter nonam et vesperas la flotta genovese giunse ante Veronicam portus Pisani, e che poi arrivarono i Pisani. Secondo Guido de Corv., 692, la battaglia cominciò post nonam. Le indicazioni in Salimbene, 304 e sgg., sono per la maggior parte inesatte. - 43 - Libro IV - Cap. terzo samento della bandiera pisana36, mentre anche la galera del Podestà soccombette dopo dura lotta. Con ciò le ali della linea pisana, rotta al centro, si diedero alla fuga, probabilmente divise, cosicché, ciascuna per suo conto, le galere navigarono intorno alla Meloria. E’ chiaro come dovesse derivarne parecchia confusione; molte galere furono prese dagli avversari che le inseguirono37; sette colarono a fondo; ma anche fra i Genovesi vincitori accadde qualche disordine, specie a causa dell’oscurità della notte. Si sparse la voce che l’ammiraglio si fosse ritirato; alcune galere infatti si affrettarono verso Portovenere ed altre le seguirono; al mattino seguente se ne trovarono mancanti circa trenta38. A ciò si attribuiva la colpa del mancato annientamento della flotta pisana e del rifugio dei superstiti dietro la catena di Portopisano. Tutto ciò non poteva tuttavia menomare l’importanza della vittoria: « Un giudizio di Dio ha deciso la questione », così gli interessati riassumevano nella loro mente l’avvenimento. La flotta genovese era superiore alla pisana sia per numero di navi, sia per l’abilità degli equipaggi e quindi la cosa non poteva andare altrimenti; per di più aggiungasi la grave perdita dei Pisani in galere e prigionieri: 9272 cittadini di Pisa39 si contarono nelle carceri di Genova, fra cui i più ragguardevoli ed influenti, per il cui riscatto nessun prezzo sarebbe stato stimato troppo alto. Non era il caso di parlare di un immediato sfruttamento della vittoria, e un attacco alle torri fortificate del porto nemico non offriva probabilità di successo. Oberto Doria si contentò quindi di rendere inservibili le macchine che erano sui battelli destinate al bombardamento di Genova, poi partì per Portovenere. La flotta vi giunse appena in tempo, perchè w, come gettò le ancore, scoppiò un violento uragano; perciò i vincitori rag- 36 Annali, 308 [V, 55] e sgg.; cfr. Gest. des Chip., 225. 37 Secondo Annali, 309 [V, 563, furono prese 29 galere, mentre 7 dovevano essere colate a fondo; aU’incirca lo stesso dicono Ann. Plac., 578. L’iscrizione sulla chiesa di S. Matteo (Doria, La chiesa di S. Matteo, p. 18, e, peggio, in Canale, III, p. 32) dice 33 prese (e così pure Jac. de Var., 13 e 51), 7 affondate; Frag. hist. Pis., 648: 27 galere e gallioni presi; Guido de Corv., 692: oltre 30 galere; Simone della Tosa, 149: 40; Gest. des Chip., 225: 48. 38 Annali, 309 [V, 56], 39 In Annali, 1. c., e nell’iscrizione di cui alla n. 37 sono indicati anche i prigionieri fatti in precedenti occasioni. Le indicazioni in Frag. hist. Pis., 648, Gest. des Chip., 226, Ann. Plac., 578, Villani, VII, 92, Ptol. Lue., Ann. eccl., 1193, Id., Ann. Lue., 93, sono quindi troppo alte; più esatte in Ann. Parm. 697. 40 Annali, 1. c. [V, 57]; Guido de Corv., 682: 7 agosto. - 44 - La battaglia decisiva della Meloria giunsero Genova solo il 9 aeosto41 r „ • • j n , . . , gosto . La gioia della vittoria venne tuttavia funestata per il lutto dei molti caduti42. Non sembra che in questo stesso anno vi fossero stati altri combatti-men,U 3 prirna ase della guerra era chiusa, da ora in poi Pisa non avrebbe combattuto più per la signoria del mare, ma solo per la sua esistenza. Le contìnue sconfitte le avevano tolto irreparabilmente la speranza di ottenere qualsiasi supremazia ed essa fu costretta ad accettare la pace a costo di grandi sacrifici. Meglio sarebbe stato che essa fosse stata conclusa subito, ma non risulta che avessero avuto luogo seri negoziati. Difficilmente si sarebbe potuto far conto su di un convegno a Genova. Qui le speranze erano straordinariamente aumentate e si voleva annientare completamente la rivale alla quale prestava aiuto la lega guelfa di Toscana. Per ben considerare gli sviluppi che derivarono da tutto ciò, è necessario gettare uno sguardo alla posizione presa da Genova e da Pisa nella lotta fra Carlo d’Angiò e Pietro d’Aragona. Si può infatti tenere per certo dall esame di tutto quello che risulta dalle particolareggiate circostanze fin qui esposte, che nessuno dei due, come del resto gli altri principi, si era impegnato nella guerra fra le due città marittime. I comuni avevano agito del tutto indipendentemente e combattuto esclusivamente per i loro propri interessi. Era stata l’intromissione di Pisa nelle cose di Corsica a fare esplodere l’antica discordia, che da lungo tempo era assopita. I cittadini di entrambe le città avevano colto avidamente l’occasione per guadagnare senza fatica ricchezze con azioni corsare mentre l’odio dei mercanti concorrenti poteva sfogarsi in alto mare. Il governo di Genova, fondato su solide basi e determinato da unità di vedute, era in grado di porre argine al crescente e impaziente desiderio di combattere, mentre invece nelle riunioni dei Consigli a Pisa ben meno erano ascoltate le voci della ragione. La guerra era scoppiata senza alcuna relazione con la lotta per la Sicilia; se i due Comuni avevano potuto combattere la loro guerra indi-sturbati, questo era stato reso possibile dalla situazione degli avvenimenti dell’epoca. Nessuna grande potenza si intromise per far cessare il conflitto. La 41 Ibid. 42 Annali, 309 [V, 55], è detto chiaramente cum nostrorum modico detrimento; Guido de Corv., 692, dice che molti da ambo le parti furono gli uccisi e annegati; cfr. anche Corio, St. di Milano, I, p. 624. Secondo Ann. Plac., 578, specialmente I Genovesi ebbero molti morti. - 45 - Libro IV - Cap. terzo lotta decisiva fra Genova e Venezia si era dovuta rimandare perche, allora, il papa e il re di Francia, aiutati da Carlo d’Angiò, avevano costretto i belligeranti a una tregua. Adesso, invece, Martino IV combatteva con tutte le forze della Chiesa il successore di Manfredi per impedire che il vassallo della Curia Romana soccombesse. Filippo III si armava per conquistare per suo figlio il regno d’Aragona; il sovrano tedesco da lontano guardava con indifferenza gli intrighi del Meridione, senza effetto restavano i rumori delle armi e dei deboli tentativi di negoziati che erano intrapresi; Genova prendeva tempo per una definitiva resa dei conti con la rivale. - 46 - Capitolo quarto La posizione di Genova nella lotta fra Pietro d’Aragona e Carlo d’Angiò Pietro e df Cario di f ^ SlClHanÌ 6 Carl° L ' La diversa Posizione di Genova e Pisa W °yl ^Miane' ' Relazioni di Pietro verso e Pisa^- Neutralità di Genova. - Rinnovo dei privilegi di Manfredi per il commercio di Genova con la Sicilia • • , : „ 6 1 di guerra del 1285 Partecipazione dei Genovesi agli avvenimenti Fino dal 1276 i Capitani avevano mantenuto la pace con Carlo ma quanto ad amicizia non era il caso di parlarne. Una certa diffidenza contro i cittadini del Comune, che una volta lo avevano profondamente offeso, aveva sempre regnato nell’animo del re e talvolta si era manifestata anche apertamente. suo vicario in Acri aveva reso noto che a bordo d’una nave genovese erano arrivati 12 sicari, che per incarico del sultano d’Egitto dovevano ammazzare lui e Filippo III di Francia. Ovviamente venne ordinato all autonta portuale di controllare con particolare severità le navi genovesi in arrivo C0“pa!n come i Lucchesi in Genova, prospettavano una lega contro > spunto per tale trattativa non si doveva al Comune, ma ens a p guelfo fiorentino. Rappresentanti di quest’ultimo conclusero quindi a a-pallo una lega con Genova e Lucca30, che venne ratificata a Firenze a sindaci dei tre Comuni il 13 ottobre 128431- Nei giorni successiv rono nella lega Pistoia, Siena e città minori della Toscana Per poter bene intendere gli avvenimenti successivi è neces minare con attenzione le condizioni dell’accordo il cui scopo m era la comune guerra contro Pisa. Entro 15 giorni Firenze e Lucc ^ vano dar inizio alle ostilità; pace o armistizio avrebbero potuto e elusi solo di comune accordo o, comunque, con il particolare c ^ dei confederati. Per tutto il corso della guerra Firenze e Lucca ov intraprendere annualmente una spedizione militare con tutte le contro Pisa dalla parte di terra; Genova a sua volta doveva tenere co temente in mare almeno 50 galere. Prima dell’inizio dell azione w avere luogo un congresso di inviati dei tre comuni per stabilire et g tamente le modalità del piano d’attacco. Vennero anche regolati i raPP di commercio di Genova con Lucca e Firenze sulla base di precedenti venzioni; inoltre, specie per il rifornimento di sale, i Toscani si o garono a sospendere qualsiasi traffico attraverso il loro porto natur , Pisa. j I disegni che il governo ghibellino di Genova perseguiva stringen 27 Del 13 settembre 1251: L.J., I, 1109. Nell’anno 1281 è aggiunto che i Fiorentini non possono andare in Romania su navi genovesi, nè farne ritorno. 28 Consulte, I, 110 e sgg. » Annali, 309 [V, 58], » L.J., II, 67. 31 L.J., II, 60 e sgg.; cfr. Scipione Ammirato, I, 402 e sgg. Anche in Annali, 310 [V, 58], è fatta distinzione fra la conclusione e la ratifica della lega. Siccome i poteri del sindaco genovese per la ratifica portavano la data del 18 settembre (!■./■> II, 60), così la conclusione deve avere avuto luogo al principio di quel mese. Di conseguenza la data della lega tanto in Villani, VII, 98 = Simone della Tosa, 150, settembre, come pure presso Guido de Corv., 693, a metà ottobre, è corretta. 32 L.J., II, 68 e sgg. - 62 - L’alleanza di Genova con i Guelfi toscani con le città guelfe di Toscana una così forte lega si delineano ora con chiarezza. Esso intendeva sfruttare al massimo i vantaggi ottenuti nelle otte sul mare. Nell ebbrezza della vittoria, esaltata dalle promesse degli inviati toscani, si poteva ancora dar credito alla possibilità di distruggere la stessa citta di Pisa. Nel trattato non ne è fatta parola ma solo, come si è detto, si sarebbero dovute esaminare a fondo di comune intesa fra i confederati le condizioni della futura pace; dopo di che la lega avrebbe dovuto sussistere per altri 25 anni33. Sulle condizioni che Genova aveva posto, possiamo farci un idea tenendo conto che, riguardo alla Sardegna, avrebbero dovuto seguire ulteriori trattative fra Firenze, Genova e Lucca34. I possessi di Pisa nell’isola erano comunque destinati a costituire il prezzo del riscatto dei prigionieri pisani; che si avesse particolarmente di mira 1 acquisto di Cagliari, è dimostrato dalle condizioni alle quali venne apertamente offerta al conte Ugolino, ai suoi figli ed al Giudice di Gallura la partecipazione alla lega35. Entro un mese essi vi avrebbero potuto essere inclusi ove avessero optato per la cittadinanza genovese; accettato di tenere in feudo dal Comune di Genova i loro possessi nel Giudicato di Cagliari; prestato giuramento di fedeltà; assunto l’obbligo di seguire l’esercito e di prestarsi per tutto quello in cui già fossero impegnati verso il Comune di Pisa beninteso dopo che Cagliari fosse entrata nel dominio genovese. Inoltre non avrebbero potuto fare nuovi acquisti nel giudicato di Cagliari nè permutare, senza il consenso di Genova, i possedimenti che vi avevano. Il fatto che si fosse fatto calcolo sul conte Ugolino, capo dei Guelfi pisani, affinchè partecipasse ad una lega il cui scopo era la rovina della sua patria, appare tanto più sorprendente ove si considerino le condizioni propostegli, tutt’altro che seducenti. In sostanza, egli avrebbe dovuto abbandonare Pisa, per partecipare alla guerra come un bandito36 senza la prospettiva di alcun aumento del suo potere sull’isola, nè di altri vantaggi. I Guelfi pisani oltretutto non potevano avere alcun interesse di entrare in relazione col partito ghibellino dominante a Genova, specie ora che, a 33 Ibid., II, 65. 34 Ibid., II, 64 e sgg. 35 Ibid., II, 63 e sgg. 36 Ibid. Ciò varrebbe anche per altri Pisani che avrebbero partecipato alla lega. — 63 — Libro IV - Cap. quinto quanto si diceva, Ugolino stava facendo alleanza con i Guelfi di Toscana . Se ciò fosse avvenuto già prima della conclusione della lega ^ra Faenze, Lucca e Genova, allora solo si sarebbe compreso perchè avrebbe dovuto essere accordata a dei Pisani la partecipazione alla lega stessa. Del resto non era stata Genova a chiedere la partecipazione di Ugolino, ma il partito guelfo di Firenze, il cui scopo non era quello di partecipare a un alleanza per la conquista di Cagliari, ma quello di dare la supremazia ai Gue in Pisa38. I Toscani, nelle trattative di Rapallo, non avevano certo espresso apertamente tale intendimento. Che i Fiorentini non avessero però a tra mira, è provato dal loro contegno successivo, come giustamente osserva l’annalista genovese39. Essi non vollero mai seriamente distruggere Pisa. Se essi fecero ai Genovesi delle offerte in questo senso, fu solo per dop piezza, le cui conseguenze dovevano manifestarsi ben presto. I Ghibellini pisani riconobbero ben presto il pericolo che minacciava loro e la repubblica e si comprende perchè essi cercassero di ripren dere la politica seguita con successo nel 1256, che tendeva alla sepa razione degli avversari. Ancor prima che i plenipotenziari di Genova a sciassero la città per la ratifica del trattato con i Toscani, vi comparvero due frati domenicani, che recavano l’assicurazione che i Pisani erano Pr°ntl ad accettare qualunque richiesta genovesew, senza nulla domandare, ut tavia questo desiderio di iniziare trattative di pace fu respinto. I Genovesi intravedevano la reale intenzione e non credettero che i Pisani avrebbero mantenuto le loro promesse41. La diffidenza poteva essere giustificata. La consegna di Cagliari, che sarebbe stata in ogni caso richiesta, 37 Giov. Sercambi, Croniche, I, 43, al 1284. Hartwig, Ein Menschenalter, p. 85 e sgg., non doveva ancora conoscere questo passo. E confermata 1 opinione che prima della convenzione con Genova i Toscani ne avessero fatto una con g° lino. Secondo una notizia in Ptol. Lue., Ann. Lue., 94, Ugolino non avrebbe vouto entrare nella lega fra Lucca, Firenze e Genova, ma in ogni caso, per compiacere ai Toscani, si sarebbe adattato pro pactis servandis. Riguardo alla lega esistente fra .e città toscane guelfe, cfr. Perrens, II, p. 222. 38 Annali, 309 [V, 58]. Quanto poco disposta fosse Genova ad un’alleanza con dei Pisani è dimostrato specialmente dalle determinazioni che i prigionieri presi in que^ tempo non dovessero far parte della lega e che coloro che dovessero essere ammessi non superassero la ventina: L.]., II, 63 e sgg. 39 Annali, 1. c. « Annali, 310 [V, 58], Quanto al tempo, si può ammettere la metà settembre; v. sopra, n. 31. 41 Annali, 1. c. - 64 - L’alleanza di Genova con i Guelfi toscani avrebbe portato il colpo di grazia al commercio dei Pisani con la Sardegna. Avvenimenti posteriori dimostrano come essi, a nessun prezzo avrebbero rinunziato al possesso di quella città. Se dunque i Genovesi avessero perseguito l’intento di far lega con Pisa, nella supposizione di guadagnarsi poi Cagliari sicuramente, tale politica sarebbe stata conseguente, ma non saggia. Col rifiuto delle offerte fatte dai Ghibellini di Pisa, essi diedero al capo dei Guelfi, il conte Ugolino, il mezzo di guadagnarsi la signoria sulla sua patria, senza necessità di andare in esilio o partecipare alla guerra. I Pisani non riuscirono così, tramite la tentata convenzione con Genova, a mandare a vuoto la lega, dalla quale erano seriamente minacciati; di conseguenza, battendo la strada opposta tentarono di unirsi ai Toscani. Il primo passo in tal senso fu il conferire ad Ugolino, il 18 ottobre 1284, la carica di Podestà di Pisa 42. I Fiorentini tuttavia rimasero fedeli al trattato testé concluso, interruppero il commercio con Pisa ed aprirono le ostilità. L’esercito toscano prese un certo numero di castelli in Val dell’Era43. Ugolino offerse allora ai Toscani di cacciare i Ghibellini da Pisa e di procurare ai Guelfi la signoria della città44. Tali proposte piacquero ai Fiorentini 4S; ma, legati come erano dal trattato con Genova, non potevano concludere pace da soli; cercarono quindi anzitutto di farsi intermediari per un accordo fra Genova e Pisa46. Per loro desiderio, Ugolino, nel gennaio 1285, espulse i Ghibellini da Pisa47; in febbraio egli pervenne alla signoria assoluta della città e fu elevano alla dignità di Podestà e Capitano per 10 anni48. E’ intuibile come a Genova non si potesse essere disposti 42 Guido de Corv., 693; Frag. hist. Pis., 648. In ogni caso, a causa della sua elezione a Podestà, Ugolino non partecipò alla convenzione dei Toscani con Genova: Ptol. Lue., Ann. Lue., 94; cfr. sopra, n. 37. 43 Villani, VII, 98 = Simone della Tosa, 150; Frag. hist. Pis., 653; Annali, 310 [V, 59]. cfr. Hartwig, Ein Menschenalter, p. 86. 44 Villani, 1. c., secondo il quale le trattative sono da porsi nel dicembre 1284. Che non avesse avuto luogo una formale conclusione, cfr. Consulte, I, 158. 45 Villani, 1. c.; cfr. Hartwig, Ein Menschenalter, p. 87. 46 A tale scopo tendeva (Consulte, I, 158: 2 febbraio 1285) 1 accennata ambasceria fiorentina a Genova, la quale, per conseguenza, deve esservisi trovata nel gennaio 1285. 47 Simone della Tosa, 150 = Villani, 1. c. 48 Frag. hist. Pis., 648 e sgg.; cfr. Annali, 310 [V, 59]. Ancora il 17 febbraio, nel documento in Tronci, p. 250 e sgg., Ugolino viene designato solo come Podestà e così pure in aprile (Dal Borgo, Diss. Pis., II, p. 359), sicché rimane dubbio quando il mutamento della posizione abbia influito sul titolo. — 65 - 5 Libro IV - Cap. quinto a concedere ai Guelfi ciò che era stato negato ai Ghibellini. Venne quindi respinta una trattativa di pace e si chiese, a norma del trattato, che fosse convocato un congresso per discutere sulla campagna della prossima estate49. Lucca appoggiò tale richiesta che venne espressamente avanzata a metà febbraio da un inviato genovese a Firenze50. Al principio di marzo si riunirono quindi a Sarzana i plenipotenziari di Genova e quelli delle città toscane51. I Fiorentini mossero delle difficoltà e in particolare sollevarono questioni con Lucca per ingiustificati aumenti di dazi52. I Lucchesi però si dimostrarono disposti ad un pacifico accomodamento53 ; di conseguenza, di fronte al chiaro significato delle parole del trattato, null’altro rimaneva ai Fiorentini se non acconsentire alla spedizione militare contro PisaM. Le decisioni dei confederati, in sostanza, corrisposero ai desideri di Genova e cioè: in luglio l’esercito di Firenze e Lucca, come pure la flotta genovese, dovevano assalire Pisa. Stretta da tre parti, la città avrebbe dovuto soccombere55. I Genovesi cominciarono gli armamenti per la spedizione, e nel frattempo misero in mare piccole squadre che catturavano navi pisane alla solita maniera56. Firenze non si diede troppa premura. Il costante tentennamento delle opinioni che si manifestava nelle adunanze dei Gansigli dimostra come qui ci si adattasse a malincuore alle pressioni esercitate da Genova e Lucca. Alla fine di marzo si incontrarono ad Empoli i Podestà di Firenze e Lucca57, non tanto per dirimere questioni di minor conto, ma principalmente per fare il punto su trattative segrete che erano intercorse fra il conte Ugolino ed i Lucchesi. Nel febbraio egli aveva offerto loro i castelli di Ripafratta e di Viareggio58 ed ora essi chiedevano l’assenso di Firenze 49 Si può concludere da Consulte, I, 158 e sgg. 50 Consulte, I, 163 e sgg., 17 febbraio. 51 Secondo Consulte, I, 166, le trattative erano iniziate il 1° marzo. Il 9 marzo giunsero a Firenze da Sarzana comunicazioni degli inviati fiorentini: ibid., I, 175. 52 Ciò risulta da Consulte, I, 177 e sgg., del 10 marzo. 53 Consulte, I, 185, 16 marzo. 54 Ibid., I, 186, 17 marzo. 55 Annali, 311 [V, 62]; cfr. Consulte, I, 187. 56 Annali, 1. c. [V, 61], 57 Fra il 28 e il 31 marzo: v. Consulte, I, 192 e 196. 58 Frag. hist. Pis., 648. Secondo Consulte, I, 196, si deve perciò ammettere che i Lucchesi non avessero già occupato i castelli in febbraio. — 66 - L’alleanza di Genova con i Guelfi toscani per accettare la proposta59. I Fiorentini profittarono dell’occasione per intavolare, insieme con Lucca, nuove trattative di pace fra Genova e Pisa . I Genovesi, di fronte a questo tentativo di mediazione avanzato intorno alla fine di aprile-principio di maggio, si tennero sulla negativa61; essi insistettero sulla richiesta della cessione di Cagliari. I Fiorentini si adoperarono per indurre Ugolino a condiscendere, ma con scarsa energia62 Già in precedenza si era presentata a Firenze la possibilità di liberarsi dall’impegno, assunto di malavoglia, di partecipare alla spedizione contro Pisa. A questo punto venne la notizia che alla corte papale erano in corso manovre a favore di Pisa63. I Fiorentini si affrettarono quindi a mandare un ambasciatore alla Curia 64; date le circostanze, è da supporre che egli fosse incaricato di favorire l’intromissione del papa nella guerra con Pisa. Intanto i Lucchesi avevano un abboccamento con Ugolino65, pur non ritenendosi ancora soddisfatti con la cessione dei castelli di Ripafratta e Viareggio I Capitani di Genova, probabilmente all’oscuro delle intenzioni degli alleati, erano fiduciosi di tirarli dalla loro parte con un passo decisivo. Il 6 giugno67 una flotta di 60 galere, ben fornite di materiale d’assedio, com- 59 Consulte, I, 196 e sgg. 60 Ibid., I, 199 e sgg., 207. 61 V. ibid., I, 214, dell’8 maggio. 62 La risoluzione (ibid., I, 214) dell’8 maggio deve essere così chiarita; cfr. le opinioni espresse, ibid., I, 215 e sgg., 14 maggio. 63 Consulte, I, 208, 21 aprile. Il relatore, Tommaso Spilliati, si era occupato di affari di denaro per la Curia: Reg. Hon. IV, p. 105. Secondo Salimbene, 307, i Pisani avevano richiesto aiuto a Martino IV (forse in dicembre 1284). 64 Citato in Consulte, I, 124. La partenza ebbe luogo probabilmente il 23 aprile: ibid., I, 209. La deliberazione di questo giorno non è riportata nel verbale del Consiglio e si può dunque ritenere che il suo contenuto fosse stato tenuto segreto, perchè essa era in contraddizione con l’apparente comportamento di Firenze, fedele ai patti di alleanza. 65 Consulte, I, 216. 66 Annali, 312 [V, 65]. 67 Guido de Corv., 693. La data - Annali, 312 [V, 64] -, giovedì 30 giugno, deve considerarsi inesatta; neppure è accettabile l’indicazione del giorno della settimana. Salimbene, 339 e sgg., ha 8 giugno; Hartwig, Ein Menschenalter, 91, lascia la data indeterminata. Soltanto ammettendo il 6 giugno troviamo in armonia la relazione degli Annali, 1. c., con quella riferita dalle Consulte fiorentine. — 67 - Libro IV - Cap. quinto parve davanti a Portopisano. Quasi tutta la nobiltà era a bordo; il Capitano Oberto Spinola aveva il comando; a lui spettava di concludere quello che nell anno precedente era stato incominciato da Oberto Doria. L ammiraglio fissò il suo quartier generale in una casa eretta su palafitte; vennero quindi sistemate le baliste ed il bombardamento delle torri incomincio. Mancava soltanto che gli alleati irrompessero nel territorio di Pisa 68. Inviati partirono per Firenze e Lucca, al fine di invitare i due Comuni a prendere parte all assedio di Portopisano, la cui presa sarebbe stata sicura69. Fin dalla metà di marzo i Fiorentini avevano discusso sovente sulle modalità della spedizione generale 70, tuttavia senza eccessivo impegno. Il 4 giugno arrivò a Firenze l’attesa nota papale, la quale diceva che il Comune doveva mandare ambasciatori alla Curia, conferendo loro i poteri per trattare la pace con Pisa, tenuto conto dei patti dell’alleanza conclusi con Genova, accettando le disposizioni che il papa avrebbe dato. Nel frattempo Firenze doveva astenersi, per timore di Dio e della Sede Apostolica, da qualsiasi ostilità contro Pisa. Il vescovo Jacopo di Ferentino, latore della lettera, rivolse contemporaneamente conforme esortazione al Podestà, al Consiglio e al Comune di Firenze, fissando per termine della comparsa dei plenipotenziari alla Curia il primo giorno della settimana dopo la festa di S. Giovanni, cioè il 25 giugno71. Mentre si discuteva ancora se 1 ordine del papa bastasse per sciogliere Firenze dall’impegno della spedi- 68 Annali, 312 [V, 65], 69 Ibid. 70 Consulte, I, 218 e sgg.; cfr. Hartwig, Ein Menschenalter, p. 90 e sgg. 71 II contenuto della lettera e della dichiarazione verbale del legato risulta dalla proposizione in Consulte, I, 243, del 12 giugno. All’opinione di Hartwig, 1. c., che soltanto allora giunse la lettera del papa, contrasta la circostanza, espressamente menzionata, che essa fu mandata nuper-, nessuna parola è fatta di due lettere. Anzi, l’8 giugno (Consulte, I, 240) è detto nella proposizione che noviter era giunta una lettera del papa e un’esortazione al Podestà etc. effettuata dal vescovo. E’ aggiunto che il martedì precedente la cosa era stata sottoposta a 23 sapientes, i quali avrebbero deliberato che dei giuristi dovessero decidere se la lettera del papa e la dichiarazione verbale scioglievano Firenze dall’impegno alla spedizione militare. Questa decisione si trova in Consulte, I, 236 e sgg., al 5 giugno (martedì). Qui è fatta parola in una brevissima proposizione di una protestatio avvenuta il giorno prima, con cui si può intendere soltanto la dichiarazione del vescovo. Da Consulte, I, 235 e sgg., non risulta con sicurezza se il vescovo avesse già fatto il 4 giugno la esortazione verbale; ma che fosse stata fatta in quello stesso giorno lo dice la menzione del 5 giugno. - 68 - L’alleanza di Genova con i Guelfi toscani zione militare, comparvero gl’inviati genovesi, i quali, 1*8 giugno, nel Consiglio Generale intimarono al Comune di Firenze, a norma del trattato d’alleanza, di entrare in campo con tutte le sue forze. Il Podestà rispose che il Comune di Firenze era pronto ad osservare le condizioni della convenzione e a far tutto quello a cui era obbligato72. L’esecuzione della promessa veniva tuttavia rimandata in attesa del ritorno degli inviati spediti a Genova allo scopo di ottenere l’esonero dall’impegno della spedizione militare contro versamento di una somma in denaro74. A Lucca gli inviati genovesi ebbero apparentemente miglior risultato. Il 15 giugno 75 tutta la cittadinanza si mise in marcia; ma invece di andare a Portopisano, si volse all’assedio dei castelli pisani in Val del Serchio . Alla fine Firenze si vide costretta a prendere una decisione. Gli inviati genovesi, da Lucca, dove si trovavano, facevano forti pressioniv; mercanti fiorentini residenti a Genova proponevano la mobilitazione, certamente nel timore delle rappresaglie che sarebbero seguite ove Firenze avesse contravvenuto alle condizioni della lega1%. A questo punto fu presa a Firenze una singolare scappatoia. In più occasioni era stata avanzata nelle adunanze del Consiglio 1 opportunità di poter ottenere da parte del papa un espresso divieto alla spedizione militare79. Con tutta probabilità l’astuto piano 72 La richiesta degli inviati genovesi risulta dalla proposizione dell’8 giugno: Consulte, I, 240. Nel protocollo delle sedute del Consiglio generale del medesimo giorno (ibid., I, 239) vi è soltanto la risposta del Podestà. 73 Consulte, I, 241, 8 giugno. 74 Ibid., I, 249, 16 giugno. 75 Guido de Corv., 693. 76 Ibid.-, Frag. hist. Pis., 649; Ptol. Lue., Ann. Lue., 94; Giov. Sercambi, I, 43, cfr. Villani, VII, 98. 77 Consulte, I, 249 e sgg. 78 Ibid., I, 250 e sgg.; cfr. Hartwig, Ein Menschenalter, p. 90 e sgg. 79 Ibid., I, 236, 5 giugno. Neri da Pilli consiglia: Il Podestà, i capitani dell’esercito ed i portabandiera si rechino ad Empoli, poi preghino il legato di portarsi dove è il Podestà e se costui ed il suo seguito si trovassero in suolo pisano, emetta l’invito ut se separent de terreno Pisanorum. Se fosse stata presa una deliberazione, si sarebbe dovuto prestare giuramento di osservare il segreto. Il 21 giugno (ibid.. I, 253) Ruggiero de Tornaquinci consigliò che Firenze cercasse di ottenere dal papa un divieto rivolto ai Genovesi di procedere contro i Fiorentini per rottura dell’alleanza. — 69 — Libro IV - Cap. quinto venne eseguito in maniera tutt’altro che chiara80. Un secondo rescritto papale proibiva quindi, sotto pena della scomunica, di invadere il territorio pisano 81. Il 29 giugno si radunò a parlamento la cittadinanza; parecchi oratori si dimostrarono avversi ai Genovesi, avanzando 1 infame accusa che i loro inviati avevano maltrattato e derubato un cavaliere fio- 80 II 21 giugno (ibid., I, 253) fu deliberato di rimettere la decisione ad un certo numero di sapientes. Il 22 (ibid., I, 254) i sapientes, in numero di 12, presero una decisione che non figura nel verbale. (La nota dell’editore trae in errore; a p. 241 si trova la petizione dei mercanti, non però la provvisione del 22 giugno). Il 25 giugno (ibid., I, 254) si discute la deliberazione del 22 giugno in forma del tutto segreta; apertamente è detto soltanto che l’argomento concerne la dispensa dalle disposizioni statutarie degli artieri per cui nessuno può venire obbligato a partecipare alla spedizione militare. Ancora il 28 giugno (ibid., I, 256), la spedizione militare è ritenuta come cosa decisa; più tardi nelle Consulte non ne è fatta alcuna menzione. L’obbligo del segreto sulla deliberazione del 22 giugno suscita il medesimo sospetto che desta pure il segreto mantenuto su quella del 23 aprile; cfr. sopra, n. 64. Se il 22 giugno fu deciso di provocare un secondo rescritto papale, ma che contenesse un divieto alla spedizione militare analogo al primo, a carattere vincolante, si spiega facilmente perchè più tardi - arrivato il rescritto - non fu più fatta parola della spedizione militare. Si era così ottenuta proprio la dispensa da tutti desiderata per la rottura della convenzione con Genova. 81 In Annali, 312 [V, 64], è detto espressamente che a richiesta dei Fiorentini e Lucchesi il papa aveva mandato un legato e che, sotto pena di scomunica, aveva proibito di toccare il suolo pisano. Nel rescritto arrivato il 4 giugno (cfr. sopra, p. 68), non era fatto cenno alcuno di scomunic?.. ma era semplicemente detto che per timor di Dio e della Sede apostolica si tralasciassero le ostilità contro Pisa. Consulte, I, 243. Essi non considerarono quest’ordine come sufficiente per abbandonare la spedizione militare e nemmeno mandarono plenipotenziari alla Curia, ma soltanto un inviato che doveva presentare le scuse: ibid., I, 244. Quando, in seguito, cioè dopo il 28 giugno, essi avevano di fatto abbandonato la spedizione militare, furono in grado di dichiarare di esservi stati forzati dalla necessità di obbedire agli ordini del papa: Consulte, I, 271; cfr. Annali, 1. c.; si deve perciò ammettere che il 28 o 29 giugno fosse arrivato un secondo rescritto papale redatto in forma più dura del primo, che proibiva cioè l’invasione del territorio pisano sotto pena di scomunica. In Annali, 1. c., le due lettere non sono distinte, però si può pensare che l’annalista ritenesse che la spedizione della seconda, quella decisiva, fosse stata ottenuta a richiesta dei Fiorentini. Con ciò rimane confermata l’opinione sul contenuto della deliberazione del 22 giugno (v. n. precedente). Poiché in ogni caso i Fiorentini avevano già raccomandato l’invio del legato (e della prima lettera papale), è facilmente spiegabile la inesattezza della relazione dell’annalista. Hartwig, E in Menschenalter, p. 91, non distingue le due lettere del papa e non può quindi spiegare perchè già il 29 giugno non si fosse più parlato della spedizione militare. - 70 - L’alleanza di Genova con i Guelfi toscani rentino ; la spedizione militare fu definitivamente abbandonata. Alla flotta che stava davanti a Portopisano si mandò quindi una risposta decisiva: Firenze non intendeva agire in contrasto con le prescrizioni del papa83. I Genovesi, che non avevano ancora posto decisamente l’assedio, perchè attendevano l’arrivo dei Toscani, cominciarono quindi da soli l’attacco senza riuscire ad ottenere grandi successi dal momento che, mancato l’esercito di terra, non fu loro possibile di interrompere le comunicazioni fra la città ed il porto. Solamente la guarnigione del faro, eretto in mare sopra un bassofondo presso Livorno, fu costretta ad arrendersiM. Questo fu però 1 unico e insignificante risultato della spedizione iniziata con tante aspettative. L 8 luglio la flotta si volse al ritorno8S, mentre nel medesimo giorno il castello di Ponte del Serchio cadde nelle mani dei Lucchesi, che subito dopo ritornarono a casa86. Liberati dal grave pericolo57, i Pisani poterono riprendere fiato. 82 Consulte, I, 256 e sgg. 83 Annali, 312 [V, 65]. 84 Ibid., 312 e sgg.; Frag. hist. Pis., 649; cfr. Hartwig, Ein Menschenalter, p. 92, n. 3. 85 Guido de Corv., 693. L’insieme della narrazione in Annali, 313 [V, 65-66], dimostra che la data del 5 agosto, - Annali, 1. c. - accettata da Hartwig, 1. c., è impossibile. Il 27 luglio venne spedita un’altra squadra, mentre nel frattempo furono prese nuove deliberazioni sulla ulteriore continuazione della guerra. 86 Guido de Corv., 1. c.; cfr. Annali, 312 [V, 65], 87 Secondo Villani, VII, 98 e Annali, 310 [V, 58], Pisa sarebbe stata distrutta se i Fiorentini avessero mantenuto le loro promesse nei riguardi dei Toscani. Secondo Frag. hist. Pis., 649, i Pisani avrebbero rinunciato alla difesa del porto se i Fiorentini fossero scesi in campo e i Genovesi ed i Lucchesi si fossero mossi dalle loro posizioni. — 71 - Capitolo sesto La continuazione della guerra con Pisa Rinunzia del Capitano Oberto Doria. - Motivi della stessa. - Elezione di Corrado Doria a Capitano. - Cambiamenti nel sistema di guerra. - Blocco dei porti pisani. -Conflitti con neutrali. - Colpi di mano. - Spedizione di una squadra al comando di Rolando Ascherio per Acri. All’insuccesso della spedizione contro Pisa, seguirono a Genova discordie interne atte a produrre violente scosse alla stabilità del capitanato. Oberto Doria si recò con suo figlio a Rapallo, donde comunicò in settembre al Comune le sue dimissioni dalla carica di Capitano '. L’annalista Jacopo Doria non riferisce quali motivi avessero indotto il proprio fratello ad un passo che poteva rovesciare la vigente situazione costituzionale. Si può supporre che esistessero dissapori personali fra i due Capitani, in quanto Oberto Doria aveva ottenuto alla Meloria una brillante vittoria, mentre al suo collega non era riuscita la presa di Portopisano. Ma è ben probabile che le cause del conflitto avessero radici più profonde nella situazione delle cose e che si connettessero con la politica da seguire in futuro. I Pisani vedevano la loro città minacciata, mentre in Sardegna erano decisamente in vantaggio. Un trasporto di truppe, che vi mandarono nella primavera del 1285, quantunque inseguito da una squadra genovese, raggiunse felicemente Cagliari2, mentre nel Giudicato di Torres morì il loro nemico, il marchese Moroello Malaspina3. Poiché il Comune di Genova non aveva mandato rinforzi, poteva essere tornato poco piacevole per i Doria di doversi trattenere ancora nell’isola; comunque anch’essi, come i Malaspina, avevano perduto buona parte dei loro possedimenti ; tuttavia, finché potevano vedere la possibilità di sottomettere Pisa, con l’aiuto dei 1 Annali, 314 [V, 70], Il 13 giugno, cioè quando Oberto Spinola comandava la flotta dinanzi a Portopisano, Oberto Doria diresse gli affari di governo in sua rappresentanza: App. 6, nr. 4, c. 162. 2 Annali, 311 [V, 62], 3 Guido de Corv., 693. 4 Sulla perdita del castello di Mons Dragonus da parte dei Doria, cfr. L.J., II, 98, 129; per le perdite dei Malaspina, v. ibid., II, 169 e sgg. — 72 - La continuazione della guerra con Pisa Toscani, potevano anche adattarsi, per il momento, a mettere in seconda linea i loro interessi. Ma ora essi si accorsero che le speranze riposte nella lega del 13 ottobre 1284 erano illusorie. Genova ne era uscita a mani vuote, i primi frutti della vittoria della Meloria erano stati colti soltanto dai fedifraghi alleati. Lucca aveva acquistato un certo numero di castelli, i Fiorentini avevano ottenuto il trionfo del partito guelfo a Pisa5; ad essi principalmente si doveva l’insuccesso dell’assedio di Portopisano6, mentre anche in seguito avrebbero tenuto in poco conto le decisioni della lega. Per riattivare l’interrotto commercio con Pisa, il Comune di Firenze aveva già molto tempo prima permesso ai suoi cittadini di riallacciare occultamente rapporti di affari7, così come pur esso faceva, ritirando il sale da Pisa anziché da Genova, come doveva a norma della convenzione 8. Quando i Lucchesi chiesero aiuto per una spedizione contro Pisa, ricevettero una recisa risposta negativa, riportandosi i Fiorentini alle prescrizioni del papa 9. La lega fra Genova ed i Guelfi toscani sembrava a questo punto spenta, il che risultò tanto più chiaro quando i Ghibellini pisani tentarono proprio di profittarne allo scopo di raggiungere un’intesa con Genova. Al riguardo esiste soltanto qualche poco chiara notizia in Firenze 10, mentre nulla può apprendersi da altre parti. Tanto più è ammissibile comunque che il Capitano Doria fosse disposto ad un’intesa con i Ghibellini pisani, giacché, considerati i loro rapporti col giudice di Ar- 5 Cfr. Annali, 312 [V, 651. 6 Cfr. sopra, cap. V, n. 87. 7 Annali, 310 [V, 59]; cfr. Consulte, I, 204 e sgg., 270. 8 V. Consulte, I, 268. Con Genova si era discusso precedentemente della fornitura di sale: ibid., I, 172, 187 e sgg., 191, 244. 9 Ibid., I, 270 e sgg. 10 Ibid., I, 276, 10 agosto; nella proposizione si dice che il giudice di Arborea aveva mandato incaricati a Genova per prendere accordi con il Comune e che il conte Facio era stato rilasciato dal carcere, il che non è esatto, perchè Facio restò prigioniero a Genova ancora per lungo tempo: v. Annali, 320 [V, 851. In ogni modo l’espressione (Consulte, I, 1. c.) comitem Facium relaxatum esse de carceribus può intendersi nel senso che la sua prigionia fosse stata mitigata, essendo egli stato liberato dal vero e proprio carcere (l’arsenale, v. Bonaini, Stat. Pisa, I, 699). Secondo il documento ibid., I, 701 e sgg., di data molto posteriore, egli dimorò in casa di un cittadino genovese. Non vi è dunque alcun motivo per respingere come inesatta la voce corsa in forma ufficiale a Firenze. Libro IV - Cap. sesto borea n, potevano derivarne per la sua famiglia favorevoli prospettive di recupero dei possedimenti in Sardegna. Non tardarono comunque a manifestarsi dubbi ed esitazioni verso una politica che avrebbe messo Genova in aspro contrasto con gli attuali alleati. Il papa aveva preso sotto la sua protezione la città di Pisa, retta dai Guelfi, e già durante l’assedio di Portopisano era comparso il suo legato a Genova ad ordinare, sotto pena di scomunica, che il Comune desistesse dalla spedizione militare. Sul momento non si badò al divieto 12; ma poco dopo il papa intervenne anche in favore del partito guelfo di Genova. Attraverso l’arcivescovo intimò al Comune 13 di mandare entro un mese dei procuratori alla Curia, perchè Jacopo, Nicola e gli altri conti di Lavagna gli avevano comunicato che il Comune si opponeva aU’insediamento di due dei consoli di Sestri e Lavagna; li obbligava illegittimamente al pagamento di imposte; tratteneva certe loro rendite e rifiutava la restituzione di castelli. Richiamando la pace 14 conclusa per il tramite di Innocenzo V, Onorio IV domandava che sul merito delle lagnanze sportegli il Comune dovesse giustificarsi davanti a Gervasio, cardinale prete di S. Martino, al quale aveva affidato la questione. A Genova si affrettarono a seguire l’invito del papa per non compromettere le relazioni con lui. Il 6 settembre gli inviati in cammino per la Curia sostarono a Firenze 15. Ciò che essi dissero nel Consiglio Generale non risulta chiaro16. Però, tenuto conto della circostanza che alla 11 II pisano Andrioto Sarraceno, suocero del Giudice, - v. Annali, 311 TV, 61] -si era rifugiato presso costui - cfr. Annali, 299 [V, 33] - e così pure il conte Rainerio (Frag. hist. Pis., 649), fratello del conte Facio; cfr. Sopra, cap. II, n. 6. Ciò era senza dubbio in rapporto con la conquistata signoria di Pisa da parte dei Guelfi. Il conte Facio stava alla testa dei Ghibellini - v. Annali, 320 [V, 85] —; la sua casa in città era stata distrutta da Ugolino: v. Giov. Sercambi, I, 43. Sull’importanza che i Ghibellini pisani annettevano alla sua liberazione, cfr. Annali, 1. c. E’ dunque molto probabile ch’essi avessero indotto il Giudice di Arborea ad iniziare delle trattative con Genova; i Doria mostrarono più tardi un contegno più mite verso Pisa: v. Annali, 330 [V, 112]. 12 Annali, 313 [V, 66], 13 Lettera del 23 luglio 1285: Reg. Hon. IV, p. 92 e sgg. 14 Ibid., p. 93; cfr. sopra, vol. I, p. 363. 15 Consulte, I, 296. 16 Hartwig, Ein Menschenalter, p. 94, ritiene che essi avessero raccomandato ai Fiorentini un’ambasciata alla Curia. Le proposte fatte nel Consiglio il 17 settembre (Consulte, I, 296) si confanno con questa opinione. Del resto gli inviati — 74 — La continuazione della guerra con Pisa notizia di trattative fra Genova ed il Giudice di Arborea era stato deciso a Firenze di pregare il papa per lo scioglimento della lega e che proprio allora il conte Ugolino aveva offerto ai Fiorentini un accomodamento amichevole, del quale essi trattarono subito con i confederati toscanin, si può scorgere nella presenza degli inviati genovesi a Firenze un tentativo partito da Genova, per mettere in chiaro le relazioni turbate dai fatti di giugno. Il viaggio degli inviati doveva quindi aver avuto luogo quando il conflitto fra i due Capitani era nella fase acuta. Se si può ammettere che Oberto Doria volesse concludere un accomodamento col Giudice di Arborea e rispettivamente con i Ghibellini pisani, la presenza degl’inviati a Firenze dimostra che il suo progetto non era ben calcolato. E’ quindi fondata la supposizione che Oberto Spinola avesse voluto rimanere fedele all’alleanza con i Guelfi toscani per spuntare la minacciosa intromissione del papa, ponendo quindi ostacoli ai progetti del suo collega. Dal successo ottenuto, si spiegherebbero il volontario esilio e le dimissioni di Oberto Doria. L’annalista aggiunge che per questo i Genovesi erano in grandi discordie 18. Ma lo Spinola avrebbe difficilmente potuto sostenersi, principalmente perchè le dimissioni del Doria erano avvenute contro la volontà del popolo 19. Eliminare del tutto il capitanato sarebbe stato vantaggioso soltanto per i Guelfi, i quali, come dimostrano le lagnanze dei Fieschi presso il papa, spiavano bramosi ogni occasione per porre ostacoli ai progetti dei loro avversari. Ciò fu riconosciuto a tempo, tanto dai Doria come dagli Spinola, che perciò vennero ad una via di uscita, mediante la quale venne ristabilito lo stato costituzionale fin qui durato, basato sulla loro buona armonia. Corrado Doria, figlio di Oberto, fu eletto Capitano per i tre anni durante i quali suo padre avrebbe dovuto tenere la carica. Mandato a Genova, prestò giuramento per questo periodo genovesi non dovevano trattare presso la Curia soltanto per l’affare dei Fieschi, ma anche per le relazioni con Pisa, sulle quali, per altro, era necessaria un’intesa con Firenze. 17 V. Consulte, I, 275 e sgg.: 10 e 13 agosto. Secondo Consulte, I, 284 e sgg., del 28 agosto, risulta che le trattative fossero dapprima rimaste senza risultato; cfr. ibid., I, 293. >8 Annali, 315 [V, 70], 19 Jac. de Var., 51: d. Ubertus Aurie contra voluntatem populi... resignavit. 20 Annali, 315 [V, 71]; quanto alia durata della carica, cfr. sopra, vol. I, p. 262. - 75 - Libro IV - Cap. sesto Anche quanto alle questioni controverse di politica estera, i Doria finirono per accondiscendere. Genova non potè quindi venire ad un accomodamento col Giudice di Arborea, e le relazioni con la Toscana si fecero più tese. Il 6 gennaio 1286 i Capitani21 conferirono i poteri a quattro inviati, per trattare, insieme con procuratori dei Comuni confederati, sulla continuazione della guerra con Pisa, e per invitarli all’osservanza delle disposizioni del trattato. Ma poiché nel documento gli inviati non figurano presenti, è da supporre che i negoziati avessero avuto inizio già prima. Comunque non si pervenne ad alcun risultato. Se probabilmente non fu conclusa una pace effettiva fra Pisa e i Toscani, sta di fatto pero che negli anni seguenti le ostilità tacquero. Presso la Curia gli inviati genovesi ebbero apparentemente completo successo; non consta infatti che il papa avesse dato seguito ad ulteriori provvedimenti per la disobbedienza al suo ordine di pace, mentre le differenze con i Fieschi erano state in qualche modo appianate22. Comunque, per la continuazione della guerra con Pisa, Genova rimase sola, senza validi alleati, ma anche senza essere disturbata da influenze esterne. L’esperienza degli ultimi anni aveva mostrato ai Pisani che le loro galere, in campo aperto, non potevano tener testa a quelle genovesi. Perciò essi rinunziarono all’idea di contrapporre una più grande flotta, che in ogni caso sarebbe stata inferiore, a quella preponderante degli avversari; nemmeno osavano abbandonare i porti sopra navi mercantili; si limitarono quindi a tentativi di recar danno ai nemici tramite bastimenti da corsa e a far viaggiare le loro merci sotto bandiera straniera23. Di conseguenza, i Genovesi si videro nella necessità di mutare il sistema di guerra finora seguito. L’armamento di grandi flotte, il cui scopo era quello di dare battaglie decisive, diventava inutile. Si trattava ora anzitutto della protezione della riviera e della propria navigazione; scopo che fu raggiunto assai facilmente sorvegliando continuamente i porti pisani, in 21 App. 2, nr. 59: Oberto Spinola e Corrado Doria; cfr. sopra, cap. I, n. 52. 22 Come risulta dal documento del 1306 (App. 5, nr. 6, vol. I) il 26 settembre 1286 venne confermata l’antica convenzione del 23 novembre 1166 (v. L.J., I, 222), che regolava i rapporti dei Fieschi con il Comune di Genova. Non è chiaro se la presenza del cappellano papale Percivalle Fieschi in qualità di Vicario regio in Toscana (cfr. Hartwig, Ein Menschenalter, p. 78 e sgg.; Kopp, Gesch. der eid-genóssischen Bünde, II, 3, p. 269 e sgg.), abbia in qualche modo influito sui rapporti di Genova con i Toscani e sulla continuazione della guerra con Pisa. 23 Annali, 313 [V, 67]. — 76 — La continuazione della guerra con Pisa modo che non potessero uscirne nè entrarvi navi. Il commercio marittimo, anche quello esercitato a mezzo di navi neutrali, e specialmente l’indispensabile importazione di viveri dalla Sardegna, doveva essere completamente interrotto per i Pisani. A tale scopo bastavano piccole squadre, le quali dovevano rimanere costantemente in mare24. Per le attuali necessità della guerra, si dovevano modificare i piani di mobilitazione del 1282, adottati ancora nel 1285 25. Si decise, per l’avvenire, di tenere sempre in mare dieci galere tanto in inverno come in estate . A rendere effettuabile questo programma, occorreva che ogni abitante della città e del territorio potesse prestar servizio sulle galere per un mese. Venne così compilata una matricola, con la clausola però che ognuno potesse essere esonerato dall'obbligo del servizio (avaria) mediante pagamento da 1 a 15 lire27, rimanendovi personalmente obbligati soltanto coloro che nulla pagavano28. Inoltre si provvide alla sicurezza 24 Ibid. Ibid. Il 27 luglio partì da Genova la prima squadra armata secondo le nuove modalità: cfr. sopra, cap. V, n. 85. 26 Annali, 313 [V, 66]: quas (se. 10 galeas) sic diviserunt per Januam et districtum. L’espressione dividere è usata anche in Annali, 296 [V, 25], nel 1282; cfr. sopra, cap. I, n. 56. Come numero massimo vengono considerate nel 1285 (come nel 1282; cfr. sopra, cap. I, n. 56) 120 galere; Annali, 313 [V, 66]: sicque essent in anno 120 (se. galee). Mentre però secondo le disposizioni del 1282 Je 120 galere sarebbero potute essere in mare tutte in una volta (in realtà ciò non avvenne; cfr. anche Heyck, p. 165), e di conseguenza tutti i servizi occorrenti furono richiesti contemporaneamente, invece nel 1285 le prestazioni di servizio della città e del territorio vennero divise in 12 quote eguali; ogni quota era sufficiente per tenere in mare per un mese 10 galere armate. 27 Annali, 313 [V, 66]. Quanto all’espressione avaria, cfr. Heyck, p. 164. 28 Annali, 1. c. La circostanza che si apprezzasse maggiormente il pagamento in denaro del servizio personale dimostra che non si pensava a congedare mensilmente l’equipaggio delle galere che erano in mare e così far partecipare al servizio a mano a mano gli abitanti della città e territorio come sembra ammettere Heyck, p. 166; dimostra anzi che fin da principio si considerava la prestazione del servizio personale come l’eccezione. Ancora la prima squadra armata secondo la nuova matricola fu allestita de pecunia pro dictis avariis collecta: Annali, 313, linea 29 e sgg. tV, 66], e così pure la maggior parte delle altre fino al 1288: ibid., 313, linea 53 [V, 67], 315, linea 10 [V, 71] etc. e soprattutto 313, linea 44 e sgg. TV, 67]. Soltanto una volta l’equipaggio di una squadra fu formato da abitanti della riviera orientale qui suas debebant facere avarias. - 77 - Libro IV - Cap. sesto della Riviera mediante costruzione e spedizione di legni veloci a remi . Per passare ad un attacco decisivo era necessario, fermo 1 obbligo del servizio personale, mobilitare tutte le forze cittadine a servizio dello Stato30. Le galere equipaggiate da cittadini non potevano però rimanere a lungo in mare senza portare grave disagio alle attività economiche. Mandar fuori piccole squadre, di volta in volta per un mese, poteva restare privo di effetto. Il ritiro delle galere stesse o il licenziamento degli equipaggi che vi stavano a bordo avrebbero prodotto, nel corso delle operazioni, un’azione paralizzante31. Ma ora all 'avaria personalis era subentrata l'avaria realis32, con conseguente diminuzione delle spese di guerra, per cui l’autorità che soprintendeva alle cose di guerra, cioè la Credentia , si trovò in mano i mezzi per armare di volta in volta le galere nella maniera più idonea, senza più necessità di dover sottostare agli svantaggi derivanti dal precedente sistema delle sostituzioniM. 29 In Annali, 313 tV, 66], si riferisce al 1285 la costruzione di due navi da trasporto veloci a remi, Griffus e Falconus. Queste sono certamente le due navi che furono armate nel 1286 - ibid., 316, linea 8 e sgg. [X, 73] - ad solidos trium mensium pro guardia riperie fatienda. Anche altrove non è mai detto che e spese delle navi destinate a guardia delle coste fossero state sostenute col prodotto del denaro derivante dalle avarie: v. Annali, 316, linea 23 e sgg. [V, 74]; 318, linee 7 e 38 [V, 78-79], 30 Cfr. sopra, p. 17 e sgg. 31 Solo per la squadra equipaggiata con abitanti della Riviera di Levante, i quali servivano personalmente - Annali, 313 [V, 67]; cfr. sopra, n. 28 -, è dichiarato che essa rimase in mare soltanto un mese. Le altre squadre - cfr. Annali, 315, linea 16 e sgg. [V, 71] etc. - erano rimaste fuori molto più a lungo. Contro Heyck, p. 166, si deve osservare che l’armamento di flotte ad apodisias, a spese dei chiamati sotto le bandiere (cfr. Heyck, p. 160), ebbe luogo fra il 1282 e il 1285: Annali, 296, linea 1 e sgg. [V, 23], 299, linea 40, [V, 32], etc. Non è chiaro se sulle galere armate de pecunia prò avariis collecta si trovassero anche uomini che soddisfacevano personalmente al loro obbligo di servizio. Le due squadre spedite nel 1288 erano state equipaggiate esclusivamente con mercenari: v. Annali, 319, linea 27 e sgg. [V, 81], 320, linea 19 e sgg. [V, 84]. 32 Per questa espressione v. Annali, 306, linea 54 [V, 50]; cfr. Heyck, p. 164. 33 Cfr. sopra, p. 21. 34 Cfr. sopra, p. 22 e sgg. Si deve notare che nella riscossione delle collecte, il mezzo più semplice per raccogliere mediante imposte dirette il denaro necessario per la continuazione della guerra, non potè farsi alcun uso, perchè le località più importanti del territorio, a norma delle convenzioni vigenti, non potevano essere sottoposte alla collecta-, cfr. Caro, Verf. Gen., p. 60 e sgg. Per contro, tutti gli abi- — 78 — La continuazione della guerra con Pisa Le piccole squadre che Genova mandò in mare dal luglio del 1285 in poi non ebbero a compiere azioni importanti. Incrociando fra la Sardegna e la costa toscana, i Genovesi inseguirono corsari pisani, cattura- tanti del territorio erano obbligati al servizio di guerra; v. sopra, p. 23. In passato i singo i solevano liberarsi dal servizio personale mandando un sostituto a cui pa-gavano un’indennità; cfr. sopra, p. 23. E’ facile comprendere come fra il pagamento gavano un indennità; cfr. sopra, p. 16. E’ facile comprendere come fra il pagamento al sostituto e 1 introduzione di un contributo diretto, da versare all’autorità, il passo fosse corto. Lavaria realis era comunque proporzionata alle sostanze dei contribuenti, tuttavia anche l’approvvigionamento degli effetti di armamento che i nau-clerii, vogherii, supersalientes etc. dovevano portare seco cagionava diverse spese. D’altra parte, era in uso anche prima del luglio 1285 che coloro i quali rimanevano a casa dovessero contribuire pure con oneri accessori; cfr. l’iscrizione sopracitata al cap. II, n. 33. Maggiori dettagli su questo punto si rilevano dalla lettera in App. 6, nr. 4, c. 162, del 13 giugno 1285 (il cui contenuto è riportato esattamente in Bruno, Della giurisdizione possessoria, p. 138). Il Capitano Doria, anche in rappresentanza del suo collega, scrive nobili viro Thomayno Malocello prò se et aliis Malocellis vel eorum locumtenenti in Voragine... Alias vobis significavimus sicut per sapientes Janue provisum fuit et ordinatum quod homines Janue et districtus at que riparie deberent in guerra presenti facere avarias personales in eis quibus habitant (locis) et non alibi; che essi non avrebbero potuto essere costretti a contribuere aliquid ratione avariorum personalium in aliquibus collectis que fierent in aliqua terra... (in) qua haberent... possessiones, in qua non habitarent nisi collecte fierent alia de causa quam pro avariis personalibus et pro armamentis. Et propterea vobis manda(vi)mus ut non compelleretis homines habitantes in Saona et qui ibidem tempore huius guerre avarias personales faciunt et fecerunt quod solverent vel contribuerent... in collectis que fiunt sive facte sunt inter homines de Cellis, non obstante quod terras habeant et possessiones in Cellis vel quod nati fuerunt de Cellis, restituendo quello che fosse stato già percepito. De quo nichil voluistis observare sicut propositum est coram nobis per ambaxatores comunis Saone quod grave nobis est et miramur inde plurimum. Quare vobis iterato precipiendo mandamus di non costringere le persone al pagamento di imposte e a restituire quelle che fossero già state percepite quousque vobiscum habebimus colloquium super predictis, etc. Celle, presso Varazze, doveva allora essere appartenuta alla stirpe genovese dei Malocello: v. L.J., II, 229 e sgg. Nella grande flotta del 1285 Celle e Varazze misero 6 nauclerii e 81 vogherii: Annali, 311 [V, 63]. Siccome, a norma delle disposizioni del 1282 - Annali, 296 [V, 25]; cfr. sopra p. 15 -, i distretti, oltre a dover fornire uomini, dovevano pure contribuire all’armamento delle galere, così si deve ammettere che il governo avesse decretato delle contribuzioni accessorie, del cui ricavo si serviva per gli effetti occorrenti all’armamento delle galere assegnate a quel dato luogo; cfr. anche sopra, cap. III, n. 18. Secondo la matricola del luglio 1285, le autorità locali, in sostanza, avrebbero soltanto riscosso le contribuzioni accessorie a quelle sostitutive del servizio personale, per rimettere poi le somme affluite all’autorità centrale. - 79 - Libro IV - Cap. sesto rono qualche nave mercantile, ma talvolta qualche attaccò fallì e non sempre si poterono evitare incidenti spiacevoli35. Con ciò non si riuscì mai ad assicurare del tutto la Riviera dai colpi di mano pisani36, e se qualche bastimento neutrale venne fermato con a bordo merci appartenenti agli stessi, o viaggianti per Portopisano, non era da pensare che i traffici marittimi di Pisa fossero paralizzati3?. Sarebbe stato quindi necessario che le potenze neutrali avessero riconosciuto il blocco decretato da Genova sui porti nemici. Il Comune si adoperava, ma inutilmente, per raggiungere questo fine, come è provato dalle sollecitazioni fatte già in precedenza a Venezia38 e in particolare da un incidente per il quale il papa fu disposto ad intromettersi. Il governo genovese aveva diretto ai cittadini di Napoli 1 invito di non andare nè a Cagliari nè a Pisa o portarvi merci e nemmeno di salire a bordo di navi ove vi fossero dei Pisani; altrimenti non avrebbero potuto attendersi di essere indennizzati se fossero stati presi da galere addette al blocco. Quando poi i Genovesi fermarono un certo numero di bastimenti destinati a Roma39, i Napoletani se ne lagnarono presso Onorio IV, il quale, di conseguenza, rimproverò duramente il Comune per il suo procedere contrario a ogni diritto, intimandogli di non disturbare i sudditi della casa d’Angiò, fedeli della Chiesa, nell’esercizio delle loro attività commerciali; doveva anzi liberare i prigionieri, restituire le loro mercanzie ed astenersi per l’avvenire da simili violazioni40. 35 V. Annali, 313 e sgg. [V, 66 e sgg.]. La cattura della nave catalana che aveva a bordo un carico di allume appartenente a Benedetto Zaccaria e nel novembre 1286 era stata gettata sulla costa verso Portopisano - Annali, 316 [V, 75] diede certamente origine alle esagerate relazioni di Villani, VII, 107. 36 Cfr. la dichiarazione in Annali, 316 [V, 73]: Gregorius Aurie... taliter ri-periam custodivit quod in suo tempore Pisani dampnum aliquod facere minime potuerunt. 37 Così nel 1287 - Annali, 317 [V, 77] - si trovò a Portopisano fra le altre una tarida carica di carne, formaggio e lana, quindi appena arrivata. Di regola risulta che le navi neutrali fermate dalle galere genovesi venissero mandate a Genova od anche a Bonifacio, affinchè potessero essere ispezionate per vedere se le merci appartenevano a Pisani: v. Annali, 313, 315 e sgg. [V, 67, 72]. 38 V. sopra, p. 61. 39 Reg. Hon. IV, p. 267 e sgg. Il caso citato è quello riferito da Annali, 316 [V, 741. 40 Reg. Hon. IV, 1. c., lettera del 13 maggio 1286. Secondo Annali, 1. c., Genova liberò i prigionieri. — 80 - La continuazione della guerra con Pisa Il Comune di Venezia non si era piegato ai desideri di Genova fino al punto di proibire ai suoi cittadini il traffico nelle acque fra Nizza e Civitavecchia41, per quanto il precedente divieto di non inoltrarvi merci appartenenti a stranieri fosse stato abbastanza rigorosamente rispettato, salvo naturalmente qualche eccezione42. Venezia comunque aveva avuto molteplici occasioni di lagnanze. In un caso il comandante genovese Rolando Ascherio era stato tanto accorto da farsi rilasciare una dichiarazione autentica dai proprietari di una nave veneziana, e dai mercanti di Piacenza e Narbonne che si trovavano a bordo, di aver preso soltanto merci appartenenti a nemici di Genova, lasciando intatte le loro proprietà43. In altri casi invece non procedette con altrettanti riguardi. Il Comune dovette quindi risarcire il valore di una barca, ancora, attrezzature ed altro, asportati in occasione di un sequestro effettuato da Ascherio su una nave veneziana di nome S. Maria44. Un incidente avvenuto a Napoli diede luogo a più lunghe discussioni. Corsari pisani avevano catturato in quel porto una nave genovese portandola poi ad Ischia, dove un veneziano, Turcolino Mozo, la acquistò da loro. Davanti a Napoli si presentò allora Benedetto Zaccaria con una squadra genovese che si impossessò della nave, finendo per incendiarla a causa della mancata intesa con Turcolino sul prezzo del riscatto 45. La domanda di risarcimento del danneggiato venne trasmessa a Genova da inviati veneziani46 che ricevettero dal Comune una 41 In Marin, St. dei Veneziani, V, p. 196, troviamo la notizia che il 25 marzo 1289 tale divieto era stato tolto. Probabilmente qui c’è un’inesattezza, poiché il divieto citato in Annali, 307 [V, 50] (cfr. sopra, p. 61) non andò tanto in là. In App. 2, nr. 75 A, è citato; non è detto però che esso - quantunque da Genova molto desiderato - si fosse protratto tanto come domandavano i Genovesi. Cfr. oltre, libro V, cap. III. 42 Annali, 307 [V, 50], 43 App., 2, nr. 60 (23 dicembre 1265): Actum in porta Aiacii in Corsica. Come nemici di Genova vengono indicati i Pisani e gente toscana. La nave veniva dalla Siria. Il caso non è menzionato negli Annali. 44 App. 2, nr. 90, 6 marzo 1287. Ciò si riferisce ad una delle navi prese nel 1286: Annali, 315 [V, 71]. Come presenti vengono nominati nel documento due inviati veneziani, Marco Bembo e Andrea Zeno. 45 Annali, 315 [V, 72] per il 1286, e App. 2, nr. 64. 46 App. 2, nr. 64, Marco Bembo e Andrea Zeno. La lamentela (petitio) presentata da essi è inserita nel documento. In esso è detto che il fatto era avvenuto nel maggio scorso. L’ambasceria dunque deve cadere prima del maggio 1287 e la protesta venne sporta contemporaneamente a quella del cui esito riferisce il documento in App. 2, nr. 90; cfr. sopra, n. 44. Libro IV - Cap. sesto risposta scritta47, nella quale veniva giustificata appieno la condotta dello Zaccaria, ma nel contempo veniva pure dichiarato che Genova, in considerazione della consistenza del danno, era pronta ad accondiscendere ai desideri del Doge. Per la medesima vertenza seguirono ancora un’ambasceria genovese a Venezia48 ed una seconda veneziana a Genova49. Il 26 giugno 1289, Jacopo Faliero, luogotenente delPammalato Doge Giovarmi Dandolo, decise che Turcolino, per la nave incendiata, dovesse ricevere 80 once d’oro50, che gli furono pagate un po’ più tardi51. Turcolino tuttavia non si ritenne ancora soddisfatto; egli domandava pure un indennizzo per un altro danno che l’ammiraglio Rolando Ascherio gli aveva recato52. Altre contestazioni non mancarono mai, ma, per il prudente contegno del governo genovese, non furono causa di serie complicazioni. Ancora il 15 febbraio 1286 esso aveva rinnovato l’armistizio con Venezia per cinque anni53. La conferma, avvenuta poco prima, dell’antica lega fra Venezia e Pisa54 sarebbe quindi rimasta senza valore, se non fossero sopravvenute circostanze che fecero nuovamente della costa siriaca il teatro della guerra. I comandanti delle squadre genovesi del blocco non si contentavano di incrociare lungo le coste nemiche. Ancora nel 1286 Nicolino Zaccaria, un fratello di Benedetto, era penetrato nel porto di Faresia incendiando le 47 Inserita in App. 2, nr. 64. 48 App. 2, nr. 64 Gl’inviati sono Marino de Marino e Castellino de Castello. 49 Ibid., Fiopbyus Maurocenus e Andrea Zeno.. 50 Ibid. La somma è uguale a quella che Turcolino, secondo l’opinione sostenuta dai Genovesi, aveva pagato per il bastimento, ma egli sosteneva di avere pagato di più. 51 App. 2, nr. 65 (10 luglio 1289): il Doge e il piccolo e gran Consiglio conferiscono poteri a Francesco Loredano... licet absentem di accettare il pagamento. Ibid., nr. 67 (14 luglio 1289): Nicola Mudo nomina dictus Turcolinus de Venetiis suo procuratore per il medesimo scopo. Ibid., nr. 69 (18 febbraio 1290): Francesco Loredano dichiara di avere ricevuto da Enrico Squarciafico e Enrico Passio clavigeris comunis Janue libras 280 Januinorum que sunt pro extimatione, solutione et satisfactione illarum unciarum 80 auri de quibus dictum fuit, sententiatum et arbitratum. 52 In App. 2, nr. 67 (cfr. la nota precedente), il procuratore è pure incaricato di domandare il risarcimento dampni unius timonis navis cuiusdam, cuius erat pati onus... quem idem amiratus (sc. Ascherius) abstulerat. La domanda è ripetuta in App. 2, nr. 75 A. 53 Belgrano, Rendiconto, IV, p. CLI, nota; cfr. Tafel e Thomas, p. 133. 54 Perrens, II, p. 293. - 82 - La continuazione della guerra con Pisa navi che vi si trovavano55. Nell’anno seguente, la mattina del 6 luglio, Benedetto stesso, insieme con Nicolino de Petracio, effetto un ardito colpo di mano su Portopisano. Non riuscì però ad espugnare l’ingresso del bacino del porto destinato alle galere e ai piccoli battelli. Le sue galere dovettero allontanarsi dalle torri sotto un violento bombardamento ed egli stesso rimase gravemente ferito; ma Nicolino riuscì a sfondare la catena che chiudeva il porto destinato alle navi maggiori. I Genovesi vi penetrarono ed appiccarono il fuoco a tre di esse che vi erano in sosta, a quattro taride, come pure ad opere di fortificazione e a baliste56. Essi asportarono parti di ferro e la catena spezzata, ripartendo sul mezzogiorno. Portata a Genova come segno di vittoria, la catena fu più tardi collocata nella chiesa di S. Lorenzo 57. Nell’inseguimento di corsari pisani, le galere genovesi vennero a trovarsi talvolta ben lontante dal loro campo di azione. Ancora nel 1285 Rolando Ascherio diede battaglia nel porto di Tunisi ad una squadra nemica che presso Bougie aveva derubato mercanti genovesi58. Benedetto Zaccaria inseguì nel golfo di Tunisi una saettia nemica, la quale fu costretta a prendere terra ed il cui equipaggio fu fatto prigioniero dai Saraceni 59. Le occasioni di estendere i colpi di mano fino alla costa orientale del Mediterraneo non mancarono, perchè anche in quelle acque si facevano vedere corsari pisani60; questo fu il solo motivo per il quale nel 1287 il Comune di Genova mandò l’esperto uomo di mare Rolando Ascherio con 55 Annali, 315 [V, 72]. 56 Annali, 317 [V, 77]; cfr. la descrizione del porto in Doria, p. 266 e sgg. 57 Annali, 317 e sgg. [V, 78], Più tardi presunti pezzi della catena vennero appesi a parecchie chiese, porte e case di Genova; nell’anno 1860 furono restituite a Pisa, collocate ora in quel Campo Santo: cfr. Doria, 1. c.; Tronci, II, 476. Non è da escludere che provenissero dalla occupazione del porto del 1290, poiché allora, secondo Frag. hist. Pis., 659, « le catene de le porte » (cioè le catene dei canali d’ingresso) vennero asportate da Genovesi e Lucchesi. 58 Annali, 313 [V, 67]; cfr. Mas Latrie, Traités, p. 126. 59 Annali, 315 [V, 72], Il re di Tunisi non volle consegnare i Pisani; promise però di trattenerli prigionieri fino alla fine della guerra. In relazione con questi fatti può mettersi il trattato di pace concluso fra Genova ed il re da Jacopo Doria nella sua qualità d’inviato: Mas Latrie, 1. c. Per la ratifica furon dati i poteri il 18 marzo 1287 in Genova a Luchetto Pignolo: App. 5, nr. 23, IV, 2, p. 63. La ratifica ebbe luogo il 9 giugno 1287: Mas Latrie, Traités, p. 125. 60 V. Gest. des Chip., 226. — 83 - Libro IV - Cap. sesto 5 galere ed una galliota in Siria. Una nave di Spinolino Spinola, che ne tornava e che per via aveva imbarcato acqua, si vide costretta ad approdare nel porto di Alessandria, ove fu colpita da sequestro da parte del Sultano d’Egitto; le merci furono sbarcate e l’equipaggio fu imprigionato. Successivamente, il Sultano costrinse i mercanti al pagamento di una considerevole somma come prezzo del riscatto61. Fino a quel momento Genova era stata apparentemente in rapporti abbastanza buoni con 1 Egitto62, e probabilmente nel caso particolare si era trattato soltanto di un eccessivo rigore nell’applicazione del diritto del mare. Al pervenire della notizia, il Comune mandò Tomaso Spinola come inviato al Sultano per ottenere la liberazione della nave e dei prigionieri. Per la traversata gli fu data una galera bene armata, seguita dalla squadra al comando di Rolando Ascherio. Suo compito era di arrecare danno ai Pisani oltremare e, nel caso che 1 inviato non avesse potuto intendersi in nessun modo col Sultano, aprire le ostilità anche contro di luia. Nella notte fra il 23 e il 24 maggio 1287 ricomparvero, per la prima volta dopo quasi vent’anni, delle navi da guerra genovesi dinanzi ad Acri . Non risulta chiaro come qui, in territorio neutrale, Genovesi e Pisani si fossero reciprocamente comportati. E’ probabile però che non siano mancati attriti, connessi, come ci viene riferito65, con i conflitti fra il principe Boemondo VII di Tripoli e Guido, signore di Gibelletto. Per la cattura di quest’ultimo, i cui antenati erano originari di Genova66, e che manteneva relazioni con i Genovesi, i Pisani organizzarono grandi festeggiamenti, ma comunque non si venne ad una ripresa dei combattimenti per le strade di Acri. La torre dei Genovesi, distrutta nel 1258, non era stata più riedificata, cosicché essi non potevano contrapporre alla grande torre dei Pisani67 un’altra torre fortificata e bastionata che le stesse a 61 Annali, 317 [V, 751. 45 Gest. des Chip., 210 e sgg.; cfr. sopra, cap. I, n. 47; anche L.J., II, 135 e 1285, furono mandati ambasciatori genovesi presso il Sultano; cfr. Heyd, I, p. 415, Karabacek, Etne Gesandtschaft, p. 4. 63 Annali, 317 [V, 76], 64 Gest. des Chipr., 227. 65 Gest des Chip., 210 e sgg.; cfr. sopra, cap. I, n. 47; anche L.J., II, 135 e sgg. Quanto al colpo di mano del corsaro genovese Bonmelior Briga in Siria, cfr. sopra, p. 56, e Annali, 304 [V, 441. 66 Cfr. Gest. des Chip., 151. 67 V. L.J., II, 135 e sgg. — 84 - La continuazione della guerra con Pisa pari. E dubbio se Ascherio fosse intenzionato ad assalirla. Quando egli arrivò ad Acri, trovò in rada due bastimenti da corsa pervenuti da Piombino che riuscirono a rifugiarsi a tempo nella parte del porto sbarrata da una catena, mentre invece catturò alcune barche da pesca; il mattino seguente fu incendiata in porto una nave mercantile pisana. Lo stesso giorno 1 ammiraglio partì per Tiro, per solennizzare la prossima festa delle Pentecoste, e qui, su preghiera del Commendatore dei Templari in Acri, rilasciò i pescatori fatti prigionieri68. Il capo dei corsari, Mayllant, si trovava, a quanto si diceva, colle sue navi presso il Gran Maestro dei Templari a Chasteau-Pélerin, per prendere congedo da lui prima del suo ritorno in patria,- mentre invece, di fatto, egli si proponeva di incontrare le galere di Tomaso Spinola, che già in precedenza si erano divise dalla squadra che le accompagnava e si erano dirette verso Alessandria. Costretto ad abbandonare il suo piano, egli rimase a Chasteau-Pélerin finché non ebbe notizia della partenza dei Genovesi per Tiro; dopo di che fece ritorno ad Acri69. Qui i Pisani, appellandosi all’antica alleanza, esortarono i Veneziani ad aiutarli. Ed è notevole constatare come costoro avessero corrisposto all’invito; Pisani e Veneziani armarono dunque in comune un certo numero di galere, di taride e di barche 70. Allorché il 31 maggio Rolando Ascherio ricomparve presso Acri71, essi gli andarono incontro, mentre ancora il Gran Maestro dei Templari stava tentando di impedire lo scoppio delle ostilità72. Nella lotta che seguì 68 Gest. des Chip., 221. 69 Ibid., Annali, 317 [V, 77]. La presenza dei corsari non è chiaramente menzionata; perciò tutta la relazione rimane inesatta e incomprensibile. 70 Secondo Annali, 317 [V, 76], 5 galere, 3 taride et alia plura Ugna munita-, secondo Gest. des Chip., 227 e sgg., 11 leins de tire, cioè due veneziani e i tre dei corsari pisani e inoltre 6 taride, quest’ultime però equipaggiate con rematori insufficienti; inoltre più di 40 panfles barhoutes. 71 Secondo Gest. des Chip., 228, egli aveva 5 galere, 1 grose saitie de 80 rins - che manifestamente è lo stesso legno da trasporto ricordato in Annali, }17 [V, 76] come galionus - e 2 coulonbians (che possono essere sopravvenute in Tiro). 72 Secondo Gest. des Chip., 228, il colloquio del Gran Maestro con Ascherio doveva avere avuto luogo à la Cale dou marquis (?); secondo Annali, 317 [V, 76], vi era anche il Gran Maestro dei Giovanniti ed il convegno avvenne apud Casa-lemberti (identificabile col Casale Lamperti a nord di Acri: v. Burch. de Monte Sion, in Laurent, Peregrinationes, p. 23); Gest. des Chip., 229, cita pure un secondo colloquio del Gran Maestro dei Templari con Tomaso Spinola a Cazal Ynbert. — 85 - Libro IV - Cap. sesto essi ebbero certamente la peggio, con gravi perdite in morti e feriti, e solo con fatica riuscirono a riportare alla costa le navi, sotto protezione dalle torri del porto. Ai Genovesi fallì il tentativo di trascinar via la tarida sulla quale si trovava il vessillo di Venezia73; comunque era scomparso nei loro avversari il desidero di ulteriori combattimenti. La squadra genovese rimase ancora qualche tempo sulla costa siriaca, ora sostando a Tiro, ora incrociando davanti ad Acri. Ascherio dichiarò che voleva prendere tutte le navi che vi erano dirette e che non sarebbe partito finché tutti i corsari non fossero stati allontanati dal porto; catturò anche un bastimento pisano proveniente da Damietta. Per Acri, il blocco, oltre alle conseguenze della impedita importazione di merci, poteva diventare fatale, poiché offriva occasione al Sultano d’Egitto di assalirla. Alla fine l’ammiraglio genovese, in considerazione di questo rischio, si lasciò indurre dai Cavalieri Templari a desistere dal suo proponimento . Nel frat^ tempo Tomaso Spinola aveva espletato i suoi incarichi presso il Sultano e un’ambasciata presso il principe di Tripoli. Non conosciamo con certezza quale ne fosse il contenuto; ma Boemondo montò in tanta collera da voler tenere prigioniero l’inviato, se questi, in attesa della risposta, non si fosse allontanato. Il Gran Maestro dei Templari ebbe notizia delle intenzioni i Boemondo e avvertì l’inviato del pericolo che correva . Il ritorno in patria venne fatto insieme da Rolando Ascherio e Tomaso Spinola77; il primo morì per viaggio, a Clarenza, profondamente compianto dai suoi compatrioti che perdevano in lui un provetto uomo di mare78. Il suo energico intervento nelle località ove le antecedenti sconfitte dei Genovesi non erano cadute nell’oblio, fu tale da rimettere il Comune nella dovutagli considerazione. I Pisani non riuscirono a co 73 Non possiamo acquisire completa chiarezza sulla situazione nè della relazione, del resto evidentemente proveniente da un testimonio oculare, di Gest. des Chip., 228, nè dagli Annali, 1. c. 74 Gest. des Chip., 228 e sgg. La relazione degli Annali, 1. c., condensa talmente gli avvenimenti che tutto sembrerebbe avvenuto nel medesimo giorno. 75 Annali, 1. c.; Gest. des Chip., 229. 76 Gest. des Chip., 229. Non si può dubitare della veridicità della notizia, perchè il relatore potè avere nelle sue proprie mani una lettera spedita allo Spinola, Annali, 1. c., nulla dicono di ciò. 77 Secondo Annali, 1. c., s’incontrarono tutti e due a Cipro, mentre secondo Gest. des Chip., 229, Spinola comparve un’altra volta dinanzi ad Acri. 78 Annali, 1. c. - 86 - La continuazione della guerra con Pisa stringere la squadra genovese a levare il blocco da Acri, e dopo il primo insuccesso si guardarono bene dallo scendere in mare; i signori della costa siriaca si resero così ben conto della preponderanza dei Genovesi79. Si riconobbe pure che un urto con Venezia diventava inevitabile, se Genova agognava seriamente ad un allargamento della sua influenza nel bacino sud-orientale del Mediterraneo. Di conseguenza era chiaro come si dovesse far di tutto per assicurarsi al massimo i frutti della vittoria della Meloria. 79 Cfr. Gest. des Chip., 229 e sgg. — 87 — Capitolo settimo La pace con Pisa del 1288 Posizione del conte Ugolino a Pisa. - Convenzioni dei Doria di Sardegna con Genova. - Conclusione della pace - Condizioni della stessa. - Violazione da parte di corsari pisani. - Caduta del conte Ugolino. - Le città toscane riprendono la guerra contro Pisa. Se al conte Ugolino nel 1285 era riuscito di prevenire i pericoli da cui, a causa della lega di Genova coi Toscani, Pisa era minacciata, i frutti però della sua politica tornarono di poco profitto tanto per lui stesso quanto per la sua patria. Avendo egli potuto allearsi con Firenze e Lucca, ottenne forzosamente per sè ed il partito guelfo la reggerla di Pisa. Se in pari tempo non concluse la pace con i Genovesi, ciò era giustificato dalle eccessive pretese da essi avanzate tenuto conto degli interessi di Pisa. La cessione totale dei possessi in Sardegna 1 avrebbe anche minacciato la sua personale posizione nell’isola, a parte il fatto che il ritorno dei prigionieri ghibellini pisani che si trovavano a Genova avrebbe potuto, probabilmente, determinare la fine della sua signoria sulla città2. Intanto, per mettersi al sicuro contro ogni evenienza, egli s’impossessò della citta più importante della Sardegna, Cagliari, affidandone il reggimento a suo figlio Guelfo3. Non è del tutto chiaro in quale relazione il fatto possa stare con i tumulti suscitati da Nino, nel frattempo fattosi uomo e diventato Giudice di Gallura, al quale Ugolino, all’incirca verso la fine del 1286, aveva accordato la partecipazione al governo della Repubblica 4. Intanto 1 Cfr. sopra, pp. 63 e sgg., 67. 2 V. Annali, 320 [V, 851. 3 Ptol. Lue., Ann. Lue., 94, nel 1286; cfr. Annali, 319 [V, 831. 4 Frag. hist. Fis., 649. Secondo gli statuti (Bonaini, Stat. Fisa, I, 93 e sgg.), la nomina dei castellani di Cagliari doveva aver luogo a piacere dei due Capitani ed in particolare (ibid., 128 e sgg.) secondo le disposizioni fissate in electione potestarie facta hoc anno de suprascriptis dominis comite Ugolino et indice Gallurensi, potestatibus et capitaneis generalibus, vel aliter, si aliter ipsis comiti et iudici... concorditer videretur. Si deve ammettere che Guelfo fosse stato eletto castellano di Cagliari sulla base di queste disposizioni. Poiché egli, secondo Ptol. Luc., 1. c., fu mandato in Sardegna dal solo Ugolino, così si può supporre che egli si fosse stabilito in Cagliari prima che Ugolino si fosse associato al governo Nino (quanto a Nino in Sardegna, La pace con Pisa del 1288 fra i due Capitani Generali non regnava la concordia. Dei litigi in una località del territorio, Buiti5, resero apertamente palese il dissidio; un nipote di Ugolino uccise un partigiano del Giudice; questi, insieme al suo partito, impugnò le armi e nel dicembre 1287 risuonò per le vie di Pisa il grido: « Morte a chi non vuole la pace con Genova »6. La pace con Genova era certamente e sommamente necessaria per Pisa. Il blocco dei porti sarebbe stato sopportabile ancora per poco tempo; le perdite subite dalla cattura delle navi mercantili da parte di corsari genovesi potevano essere solo in parte risarcite dal bottino guadagnato dai corsari pisani; una considerevole parte della cittadinanza languiva ancora nelle carceri di Genova; nonostante la cessione dei castelli a Lucca, ancora nessuno dei prigionieri pisani catturati alla Meloria era stato liberato 1. Probabilmente se ne faceva colpa al conte Ugolino, poiché era da supporre che egli, nel proprio interesse, ponesse ostacoli al ritorno in patria di tanti cittadini. Già da molto tempo i prigionieri trattavano da soli per la pace8, indottivi dai duri trattamenti cui erano soggetti a Genova9; comunque v. Frag. hist. Pis., 1. c.) e che quindi la cessione di Cagliari a Guelfo fosse stata una condizione per la compartecipazione alla signoria su Pisa. 5 Frag. hist. Pis., 650; cfr. Bonaini, Stat. Pisa, I, 172. 6 Frag. hist. Pis., 1. c.; Ptol. Lue., Ann. Lue., 95. 7 Tuttavia poteva essere avvenuto talvolta uno scambio di singoli prigionieri: cfr. i documenti in Bonaini, Stat. Pisa, I, 697, 700. 8 Siccome secondo Annali, 319 [V, 82], i negoziati erano durati per menses tredecim et amplius (dall’aprile 1288 procedendo all’indietro), dovevano aver avuto inizio nel marzo 1287. Tuttavia nelle parole et amplius si potrebbe ravvisare un’allusione ai negoziati intavolati mediante il giudice di Arborea: cfr. sopra, p. 73. 9 In tal senso potrebbe parlare il passo in Bonaini, Stat. Pisa, I, 526: Janue carcerati et alibi prò comune Pisano diversis expensis et laboribus aggravantur. Tuttavia può essere discutibile se i prigionieri fossero stati costretti per fame o ragioni analoghe a versare denaro (come una volta gli Astigiani da Carlo d’Angiò: Minieri Riccio, Il Regno, 1274, p. 429). Già il sostenere le spese per il proprio mantenimento doveva riuscir loro malagevole; perciò nei testamenti venivano disposti legati a loro favore (cfr. Bonaini, Stat. Pisa, I, 194 e sgg.; anche Fol. Not., Ili, 1, c. 43, 23 gennaio 1287: legato di due lire prexoneriis Januensibus qui sunt Pisis e di una lira prexoneriis Pisanis qui sunt Janue); inoltre risulta che guadagnassero denaro con affari commerciali (v. Bonaini, Stat. Pisa, I, 698) o con lavori manuali: cfr. Raynerius de Grancis, De proeliis, 295. Certamente il trattamento dei prigionieri era stato diverso a seconda dei tempi. Bonaini, Stat. Pisa, I, 697, dice che essi giacevano in catene. - 89 - Libro IV - Cap. settimo essi dovevano essere esasperati per la prolungata reclusione fra le malsane mura del carcere 10. Nel dicembre 1287 i negoziati erano già in fase avanzata: in vista della pace imminente, i Doria conclusero col Comune di Genova 11 contratti riguardanti i loro possessi in Sardegna. Nei documenti essi appaiono come dinastie indipendenti, senza che sia fatta parola alcuna di vincoli feudali. Con tali contratti promettevano di non pretendere mai nessuna imposta nei loro paesi e porti nè da Genovesi nè da coloro che ad essi avessero venduto merci, salvo una certa tassa a carico dei venditori di granaglie locali; inoltre la franchigia da imposte avrebbe dovuto aver vigore soltanto dopo la conclusione della pace fra Genova e Pisa e quanto alla esportazione dei viveri, essa sarebbe stata condizionata al-l’obbligo giurato del compratore di trasportarli a Genova. La giurisdizione consolare veniva assicurata ai Genovesi nel modo più ampio; soltanto se un Genovese avesse ucciso un suddito dei Doria sarebbe spettato loro di infliggere la pena; circa il diritto di riversione in caso di morte, essi vi rinunziavano nei confronti dei Genovesi. Entrambe le parti promettevano di non accogliere nei rispettivi territori sudditi sardi dell’altra, e reciprocamente assumevano l’obbligo di espellerli ove essi dal 1282 in poi avessero mutato di domicilio. I Doria promettevano inoltre di astenersi dall’acquistare qualcuno dei possedimenti di Genova in Sardegna, presenti e futuri, in forza di qualsiasi titolo di diritto, a meno che su ciò non fosse intervenuta una favorevole decisione del Consiglio, presa con la maggioranza di due terzi dei voti. Oltre a ciò, considerando i molti vantaggi che sarebbero loro derivati dalla probabile pace con Pisa, rinunziavano in favore del Comune di Genova ai loro diritti sulle terre e sui porti nel Giudicato di Torres I2, i quali con la pace sarebbero andati al Comune stesso; tale rinunzia però avrebbe avuto effetto soltanto dal mo- 10 I Pisani erano carcerati nell’arsenale - Annali, 339 [V, 136]; Bonaini, Stat. Pisa, I, 699 certamente ve ne erano anche alcuni fuori dal carcere; cfr. sopra, cap. VI, n. 10 e Bonaini, Stat. Pisa, I, 195. Quanto alla forte mortalità fra i prigionieri, cfr. Salimbene, 305 e sgg. Secondo uno statuto posteriore [App. 2, nr. 23, IV, 6, p. 17 e sgg.) vi era in Sarzano (cfr. sopra, vol. I, p. 89, n. 31) un cimitero particolare destinato ad essi. 11 L./., II, 85 e sgg., nr. 51-52, 23 dicembre 1287 (in ogni caso è anche il nr. 51 della stessa data). Le cinque convenzioni con i vari rami della prosapia dei Doria sono redatte in base al medesimo formulario. Le varianti consistono nella sola particolarità se i proprietari dei beni ne fossero a quel tempo in possesso (ibid., II, 85) oppure no (ibid., II, 91, 98, 103, 109). 12 Più precise disposizioni sull’estensione del territorio da cedersi si trovano soltanto in L.J., II, 98. La pace con Pisa del 1288 mento in cui esso fosse entrato in reale possesso di Sassari. Dove esistesse la contropartita di Genova verso i Doria risulta dai documenti, là dove, dopo 1 enumerazione dei loro possedimentiI3, è aggiunto che se questi avessero dovuto essere riconquistati dal Comune, esso avrebbe dovuto consegnarli ai Doria. E’ chiaro come la restituzione del territorio di terraferma, che i Doria avevano perduto, costituisse una delle condizioni della pace sulla quale erano già corsi negoziati con Pisa. La conclusione si protrasse ancora per alcuni mesi. Il Giudice di Gallura non ottenne alcun risultato col suo tentativo di rivolta. I Pisani però non si fidavano troppo del suo amore di pace, come poco importava loro di essere soggetti a Ugolino o a Nino. Perciò li congedarono entrambi14; tuttavia, nel febbraio 1288, vi fu una riconciliazione che consentì di eliminare il Podestà forestiero che nel frattempo aveva tenuto il governo ed essi assunsero nuovamente la signoria. Non molto dopo dovevano arrivare da Genova degli inviati dei prigionieri, che esposero i preliminari da essi discussi con quel Comune. Come risulta da fonte bene informata, ogni sagace pisano era convinto che tali preliminari fossero di impossibile effettuazione 15. Il popolo voleva la pace ad ogni costo, poiché esso senza dubbio era stato la maggior vittima dei pesi della guerra e tanto più sentiva il desiderio della liberazione dei suoi concittadini che gemevano in carcere. Nino si fece quindi fautore d’una politica fino ad allora mai considerata ed Ugolino lo seguì per non soggiacere al furore della folla16. Il 3 aprile il Consiglio Generale di Pisa accettò senza modificazioni i preliminari17; dodici giorni dopo ebbe luogo a Genova la 13 L.J., II, 91 e sgg., 97 e sgg., 103, 109; cfr. sopra, cap. II, n. 15. 14 Frag. hist. Pis., 650, dicembre 1287. 15 Ibid., 651. In occasione di questi negoziati fu adoperato il sigillo dei prigionieri pisani: v. Dal Borgo, Diss. Pis., II, p. 316. 16 Frag. hist. Pis., I. c. La ragione per la quale il popolo di Pisa desiderava la pace è confermato in Annali, 319 [V, 82-831. Se qui anche Nino è menzionato come contrario alla pace, sia pure in un momento più tardo, ciò non sta in diretta contraddizione ai Frag. hist. Pis., perchè anche qui è detto abbastanza chiaramente che l’amore per la pace del giudice di Gallura non era del tutto sincero. Egli si atteggiò a paciere per guadagnarsi il favore del popolo contro Ugolino. Le cessioni in Sardegna dovevano essere meno spiacevoli per lui che per il suo avversario. 17 L.J., II, 114 e sgg. L’aggiunta a p. 124, secondo cui i proprietari di terreni in Sardegna ed altri Pisani che, a causa della pace, subissero perdite dovevano esserne indennizzati dal Comune di Pisa è naturalmente e particolarmente a favore di Ugolino e Nino. — 91 — Libro IV - Cap. settimo formale conclusione della pace)S. Pisa cedeva a Genova: il castello di Cagliari, con l’annesso borgo ed il porto; l’area dove stava S. Igia, alcune località, le saline, tutto il territorio per quattro miglia di circuito misurate dal castello e la costa del golfo di Cagliari per un miglio verso l’interno del paese; inoltre, nel giudicato di Torres, cedeva Sassari con tutte le sue adiacenze ed il castello Mons Draconus. La consegna doveva effettuarsi entro un anno, a garanzia si dovevano intanto depositare 50000 lire in diverse città. Entro diciotto mesi si dovevano demolire la torre pisana ad Acri e così pure le mura ed i fabbricati ivi costruiti su suolo non appartenente al quartiere genovese; ai vecchi proprietari potevano essere restituite soltanto le case di abitazione che vi esistevano, mentre in generale i Pisani dovevano sgombrare completamente l’area del quartiere, senza però essere tenuti a risarcire i danni cagionati 13 anni addietro. Pisa avrebbe potuto costruire nuove fortificazioni in Acri solo quando Genova avesse fatto altrettanto. Inoltre doveva consegnare nel corso di due anni e mezzo nel Giudicato di Torres 19 quattro castelli, depositando a garanzia 80000 lire, oltre ad altre 20000 per gli obblighi di Acri. In ordine ai privilegi imperiali e papali come per gli altri titoli di diritto che Pisa aveva riguardo ai possessi ceduti in Sardegna, essa doveva consegnare i relativi documenti in copia autentica. I Pisani che avessero ancora qualche pretesa sui territori ceduti dovevano fame rinunzia entro termini stabiliti; il più lungo di essi (tre anni) veniva concesso al Giudice di Arborea; se però entro quel termine egli non avesse fatto la rinunzia, Pisa doveva rompere con lui qualunque relazione. Pisa doveva naturalmente recedere da qualsiasi pretesa sulla Corsica e, oltre a ciò, impegnarsi a indurre Giudice di Cinercha a fare, entro quattro mesi, atto di sottomissione al Comune di Genova ed a consegnargli i castelli che teneva dal 1282. Se Giudice si fosse ostinato ed i castelli, nel termine indicato, non fossero entrati in possesso di Genova, Pisa doveva trattarlo come nemico e collaborare alla sua sottomissione, pagando a Genova una somma bastante per poter assoldare per tre mesi 200 uomini 18 L./., II, 124, 5 aprile, elezione del sindicus in Pisa; ibid., II, 127, 15 aprile, i documenti della pace; ibid., II, 165 e 172, documenti aggiunti. Alcune varianti della pace rispetto ai preliminari non sono essenziali, trattandosi soltanto di una più precisa attuazione di quello che era stato convenuto in linea di massima. 19 Per i quatuor castra de Lugodorio, cfr. sopra, cap. II, n. 13. — 92 — La pace con Pisa del 1288 a cavallo e 800 a piedi. Se entro tre mesi non si fosse riusciti a strappargli i possedimenti, Pisa avrebbe ancora dovuto pagare il soldo per un numero uguale di truppe per un altro trimestre. Comunque fossero andate le cose, Pisa non era tenuta ad ulteriori pagamenti per il corso di un anno, tuttavia doveva pagare per ogni anno successivo il soldo necessario per un quarto delle truppe, fino a che Giudice non fosse stato sottomesso. A garanzia di tanto, doveva valere la metà del deposito delle 50000 lire di cui sopra; inoltre Genova manteneva a titolo di pegno un presidio nel castello dell isola d’Elba a spese di Pisa, la quale doveva ancora depositare per questo altre 25000 lire a Genova. Inoltre l’isola di Pianosa non doveva essere più riedificata. Quando poi Cagliari, Sassari e Mons Draconus con tutte le annesse proprietà e il castello d Elba fossero stati consegnati; quando tutti i depositi (complessivamente 175000 lire) fossero stati eseguiti, i primi pagamenti per la Corsica effettuati ed i prigionieri genovesi liberati, allora Genova avrebbe messo in libertà i prigionieri pisani, ad eccezione di 400 che dovevano essere trattenuti fino a sei mesi dopo la consegna di Cagliari. Scaduto il termine, anche essi dovevano venire liberati, restando tuttavia in posizione di ostaggi; ove le condizioni riguardanti Acri fossero state adempiute nel termine prescritto, il loro numero si sarebbe limitato a 300 ed il deposito di 20000' lire annullato. Gli ostaggi, dopo la consegna dei quattro castelli nel giudicato di Torres, sarebbero stati sciolti da qualsiasi responsabilità, previo deposito però a Genova di altre 20000 lire per 10 anni a garanzia della ulteriore osservanza della pace. Affinchè il Giudice di Arborea liberasse i prigionieri genovesi da lui fatti, il Comune di Genova poteva trattenere quelli pisani che più gli interessassero, promettendo comunque di depositare 200000 lire quale garanzia della restituzione dei prigionieri a termine del trattato. Sono queste le condizioni straordinariamente dure che Pisa si vide costretta ad accettare a seguito delle molte sconfitte sofferte; con una severità priva d’ogni riguardo, Genova non lasciò aperta alla vinta nemica alcuna via possibile per eludere gli impegni assunti. I casi nei quali la convenzione era da considerarsi rotta e le penalità fissate per essi erano esattamente determinati. Cioè, anzitutto: se Cagliari o Sassari non fossero state consegnate entro l’anno, il deposito delle 50000 lire sarebbe rimasto a vantaggio di Genova, la quale avrebbe potuto riaprire - 93 — Libro IV - Cap. settimo le ostilità, restando nondimeno Pisa obbligata all’osservanza della pace. Questa condizione dava tanto maggior pensiero, non potendo Pisa disporre liberamente di nessuno di questi due luoghi; Sassari infatti le era soggetta soltanto in virtù di convenzione20, mentre Cagliari era nelle mani di Guelfo. Per facilitare un’intesa fra Genova e gli abitanti di Sassari, venne stabilito che la sottomissione di questi ultimi avrebbe dovuto essere spontanea e Genova si sarebbe occupata per riconciliare il partito esterno *' con quello interno senza conservare alcun rancore con nessun abitante di Sassari per il suo precedente comportamento. In futuro però i Pisani non avrebbero potuto più tenere domicilio nè a Sassari, nè in genere nel Giudicato di Torres, e avrebbero dovuto vendere i possedimenti che vi avevano. Per quanto riguardava Cagliari, non venne invece fatta distinzione fra abitanti originari e Pisani; castello e borgo dovevano essere completamente sgomberati e, senza espressa concessione da parte del Comune di Genova, nessuno avrebbe potuto continuare ad abitarvi o conservarvi le sue proprietà 22; navi pisane non avrebbero più potuto in seguito approdare nel golfo di Cagliari23, a meno che non vi fossero state gettate accidentalmente. Uniche concessioni fatte da Genova erano che Pisa potesse esportarvi 30000 mine di sale all’anno al prezzo di 2 denari per mina, sopra non più di tre navi24; inoltre due navi o tre bastimenti minori avrebbero potuto mensilmente approdare a Cagliari in un punto d’ancoraggio, da fissarsi annualmente da Genova, per scambiarvi merci franche da dazio contro viveri, a patto che tutte queste merci fossero di proprietà di Pisani e provenissero dalla Toscana. Particolari riserve erano fatte per impedire che con ciò potesse venir pregiudicata l’esportazione 20 Cfr. sopra, p. 28. 21 Cfr. sopra, cap. II, n. 72. 22 L.]., II, 144. Anche nell’anno 1256 i Pisani erano stati espulsi da Cagliari; cfr. sopra, vol. I, p. 26 e sgg. 23 L./., II, 160. Qui è aggiunto che, fino alla consegna di Cagliari e Sassari, a Pisa e territorio non si potevano armare nè galere, nè gaiioni, nè grandi velieri senza uno speciale permesso di Genova. Le relazioni commerciali fra Pisa e Cagliari fino alla consegna del castello dovevano restare regolate da un accordo fra Genova e Pisa. 24 A Pisa come a Genova il commercio del sale era monopolizzato dal Comune (v. Bonaini, Stat. Pisa, I, 609); di qui la particolare importanza delle saline di Cagliari. La grande differenza fra il prezzo d’acquisto, i costi e quello di vendita (cfr. sopra, vol. I, p. 96, n. 66) andava a vantaggio del Comune. - 94 - La pace con Pisa del 1288 dei viveri per Genova25. Se Genova cercava in modo così reciso di limitare il commercio dei Pisani con Cagliari, lo faceva nel manifesto intento, che stava sostanzialmente a base della pace, di rendere sempre più la Sardegna dipendente politicamente e commercialmente. In luogo dei Pisani, erano infatti i Genovesi che in avvenire dovevano figurare signori dell’isola; tuttavia sarebbe stata cosa ben difficile eliminare completamente la radicata influenza pisana. Il Giudice di Gallura non si dimostrò affatto impressionato dalle condizioni della pace e i marchesi Malaspina ripresero le antiche relazioni con Pisa. Col Giudice di Arborea Genova si ritenne soddisfatta di poter intavolare trattative per un accordo, ove avesse adempiuto alle condizioni impostegli e consegnato i quattro castelli. La maggior parte del Giudicato di Cagliari era rimasta nelle mani dei proprietari, fino ad allora strettamente legati a Pisa26. Per impedire quindi che essi si comportassero in modo da rendere illusorio il vantaggio che doveva venire a Genova dal possesso della costa, venne stabilito che Genovesi e Sardi, indi-sturbati e liberi da ogni imposta, potessero percorrere i paesi in possesso del Comune di Pisa e le loro adiacenze, restando loro interdetto solo di entrare nei castelli. Il commercio di merci e viveri doveva essere assoluta-mente libero ed in particolare non potevano venire imposte gravezze di qualsiasi natura ai compratori o venditori locali. Con ciò viene instaurato il sistema commerciale-politico col quale Genova d’ora innanzi intendeva avvolgere l’isola. Se i Pisani non erano più ammessi nel Giudicato di Torres e con Cagliari potevano ancora tenere relazioni commerciali, ma soggette a gravi restrizioni, la parte del leone nella esportazione dei prodotti della Sardegna sarebbe così toccata ai Genovesi, ai quali competeva in tutta l’isola piena libertà di commercio. Venne pure, come è naturale, provveduto agl’interessi dei congiunti del Capitano Doria. La restituzione dei possedimenti loro assicurati dal Comune di Genova doveva comunque effettuarsi solo dopo l’avvenuta 25 L.J., II, 171. I Pisani sono obbligati a vendere a Genovesi o a spedire su navi genovesi la quarta parte di tutti i viveri che traggono dall’interno della Sardegna alla costa del golfo di Cagliari. Prima del prelievo di questa quarta parte i Pisani non possono caricare sulle loro navi. 26 Tuttavia le pretese dei Doria e di altri Genovesi su alcuni luoghi del giudicato di Cagliari dovettero essere considerate: L.J., II, 169. - 95 - Libro IV - Cap. settimo cessione di Sassari e Mons Dracontis71. Per le perdite subite dai Genovesi nell’occupazione di Alghero, essi dovevano essere risarciti da Pisa. Tutti i vantaggi della pace andarono quindi, come era del resto logico, considerato quello che era stato l’esito della guerra, ai Genovesi. Per ottenere la liberazione dei prigionieri, come pure quella dei suoi porti dal blocco, Pisa fu costretta ad accondiscendere ad accordi che dovevano appianare definitivamente l’antica discordia riguardo alla Sardegna ed alla Corsica a tutto beneficio della vittoriosa rivale. Una pace duratura, e non soltanto un semplice armistizio, fu quella conclusa il 15 aprile 1288. Le ostilità dovevano cessare; fatta eccezione per Alghero, i risarcimenti per danni e i reclami per debiti dei Pisani verso i Genovesi o viceversa dovevano venire sottoposti ad un giudizio di arbitri. Navi cariche di viveri che approdassero nei rispettivi porti per sole ragioni di transito non potevano essere soggette ad imposte, nè venir trattenute. Non è chiaro se a Genova si ritenesse davvero che alla pace sarebbe stata data esecuzione in modo del tutto corrispondente alle condizioni del trattato; l’annalista ne cita molto brevemente la conclusione, senza far menzione dei grandi vantaggi che il Comune ne ritraeva 28. Forse il tutto fu considerato più che altro un tentativo il quale, ancorché fosse rimasto tale, comunque non avrebbe potuto recar danno. Le disposizioni sui depositi di somme dimostrano la diffidenza che si aveva verso Pisa; il pegno più importante, i prigionieri, restava comunque sempre nelle mani di Genova; essa poteva quindi ancora tranquillamente stare a vedere come i Pisani avrebbero indotto il conte Guelfo a consegnare Cagliari. Una piccola squadra, destinata nel modo consueto ad incrociare contro i nemici, fu richiamata per evitare qualunque appiglio che potesse dar luogo ad una rottura della pace. Ma proprio allora arrivò la notizia che dei corsari avevano preso e incendiato presso Alghero un bastimento genovese, fatto prigioniero e portato ad Oristano l’equipaggio. Qui e a Cagliari erano state armate le due galere e una galeotta dei corsari, i quali, non contenti di tutto questo bottino, catturarono pure una tarida. Alle rimostranze che fra i due Comuni era stata fatta la pace, essi risero, asserendo che la cosa non li n- 27 Secondo le convenzioni fra Genova ed i Doria, questi dovevano avere la restituzione dal Comune dei propri possessi: L.J., II, 91, etc.; cfr. sopra, p. 91-Non venne in ogni caso conclusa una pace separata fra i Doria e Pisa. 28 Annali, 319 [V, 82], Anche in Ann. Veron., 433, è fatta menzione della pace. — 96 - La pace con Pisa del 1288 guardava e che era arrivato il momento per vendicarsi dei Genovesi. Questo avveniva in maggio; in luglio gli stessi corsari commisero altre ruberie 29. Alla notizia dei primi avvenimenti, il governo genovese mandò Nicolino de Petracio come legato a Pisa per domandare il risarcimento dei danni e la cessazione delle ostilità. I Pisani deplorarono profondamente l’incidente e promisero severi castighi per i colpevoli. A Genova non ci si fidava troppo delle belle parole, e per ogni evenienza vennero armate alcune galere, le quali però erano destinate soltanto a perseguire i pirati, con espresso divieto al comandante di recar danno ad altri Pisani. Quantunque il termine per la consegna del primo deposito fosse già scaduto senza che i Pisani avessero mantenuto la promessa a cui si ricollegava30, tuttavia non era nelle intenzioni dei Genovesi di ricominciare la guerra. L’8 luglio la squadra salpò dal porto31 con un particolare incarico. Il conte Ugolino ed il giudice Nino avevano preso parte in comune alla ratifica della pace a Pisa32, alla quale, come è ben credibile, entrambi erano contrari. Essi dovevano quindi avere indotto dei corsari alla rottura della pace, appunto per impedire che essa avesse esecuzione33; ma fra loro non esisteva accordo. Così i Ghibellini trovarono la sperata occasione per rovesciarli entrambi34. I capi del partito, primo l’arcivescovo Ruggeri35, si rivolsero a tale scopo, sotto vincolo del maggior scrupolo di segretezza, all’inviato genovese, dimostrando anzitutto come i loro av- 29 Annali, 319 e sgg. [V, 831. I danni arrecati dai pirati sono indicati in L.J., II, 384, in 9600 lire. 30 Annali, 320 [V, 84], Il termine doveva essere scaduto il 15 giugno, poiché le 50000 lire dovevano essere depositate usque ad duos menses proximos: L.]., II, 134. 31 Annali, 320 e 321 [V, 84 e sgg.]. La forza è di 4 galere e un galion. 32 L.]., II, 179 e sgg., 13 maggio. Sono presenti due sindaci genovesi. 33 Annali, 319 [V, 83]. Siccome la notizia proviene dai Ghibellini Pisani -v. Annali, 320 [V, 85] -, siamo autorizzati a dubitare della verità. 34 Secondo Ptol. Lue., Ann. Lue., p. 95, risulta che già nel 1287 macchinassero occultamente contro Ugolino. 35 Annali, 320 [V, 85], Il secondo Baeheremeus de Gualadis è certamente identificabile con quel Bacciameo di Bonifatio pure nominato per secondo in Frag. hist. Pis., 651. I Gualandi (Dante, Ittf., XXXIII, 32) sono nominati fra le famiglie dirigenti ghibelline in Giov. Sercambi, I, 44; Villani, VII, 121. — 97 - 7 Libro IV - Cap. settimo versali fossero il principale ostacolo per l’esecuzione del trattato di pace; che il loro progetto era quello di provocare Genova per ricominciare la guerra; che infine il popolo desiderava assolutamente la pace. Se quindi quattro o cinque galere genovesi fossero comparse in un momento prestabilito dinanzi alla foce dell’Arno, esse avrebbero potuto suscitare una sollevazione nella città, nel qual caso il popolo avrebbe riconosciuto che solo i Ghibellini erano amici della pace e sarebbe intervenuto in loro favore. Se poi fosse capitato loro di impossessarsi del Giudice, di Ugolino, dei figli e dei nipoti di quest’ultimo, li avrebbero consegnati al Comune di Genova, che avrebbe preso Pisa sotto la sua protezione, ricevendo la consegna delle chiavi cittadine; il Comune di Genova avrebbe nominato pure il Podestà, liberando tutti i prigionieri; in pegno di tutto ciò, i Ghibellini sarebbero stati pronti a lasciar occupare da presidi genovesi le isole d’Elba e Gorgona come pure le torri di Portopisano. Tali erano le proposte36, chiaramente formulate, che Nicolino recò a Genova. I Capitani convocarono i dodici consiliarii per consultarsi e pure il conte Fazio ed alcuni altri prigionieri pisani furono chiamati a far parte della ristretta riunione, vincolati tutti con giuramento alla più incondizionata segretezza prima che Nicolino leggesse37 ad alta voce le proposte che probabilmente aveva ricevuto per iscritto. La risposta dei Capitani fu molto circospetta, ma sostanzialmente favorevole, cioè: Genova viveva in pace con Ugolino e Nino, che al momento reggevano Pisa, e non poteva quindi immischiarsi in un mutamento di governo; se tuttavia un reggente qualunque di Pisa avesse voluto consegnare i suddetti cittadini o anche altri allo scopo di garantire la pace, essi sarebbero stati accettati; proprio in questo momento era pronta alla vela ima squadra, dalla forza idonea, con la quale Nicolino sarebbe salpato per Portopisano, pronto ad accettare le persone 0 quanti altri i reggenti di Pisa volessero consegnargli. Il conte Fazio comprese perfettamente in qual modo gli veniva chiesto di rispondere all arcivescovo. Nella lettera che egli consegnò a Nicolino esortava quindi 1 suoi partigiani a perseverare per mettere in atto il proposito. La partenza delle galere per 1 8 luglio era stata disposta in modo che queste giunges- 36 Annali, 320 [V, 86]. E persino fissato il salario per il futuro Podestà genovese di Pisa. 37 Annali, 321 [V, 86]: recitavit. Come l’annalista conoscesse tanto esattamente questi fatti segreti si può spiegare soltanto ammettendo che egli fosse uno dei 12 secretarii. - 98 - La pace con Pisa del 1288 sero presso la foce dell’Arno al tempo stabilito dai Ghibellini di Pisa; arrivarono tuttavia troppo tardi. Senza dubbio i Ghibellini pisani, oltreché con Genova, intavolarono pure negoziati col conte Ugolino38. Non è chiaro39 che cosa gli avessero promesso; qualche intesa però doveva esservi stata e certamente in maniera poco onesta da ambe le parti. Ugolino voleva allontanare Nino per ritornare ad essere il reggitore di Pisa, contando di potersi servire a tale scopo dell aiuto dei Ghibellini. Questi a loro volta puntavano al definitivo allontanamento degli avversari. Alla fine di giugno essi radunarono una schiera di concittadini a Pisa, per dare anzitutto a Nino il colpo decisivo. Ugolino rimase fuori dalla città, a Settimo. Visto l’incombente pericolo, il Giudice di Gallura gli mandò messaggeri per pregarlo di far ritorno. Ma poiché il conte non comparve, a mezzogiorno del 30 giugno Nino ed i suoi partigiani montarono a cavallo in armi40 e indisturbati lasciarono Pisa. Poche ore dopo entrò Ugolino che aveva appunto aspettato che Nino si allontanasse per assumere la signoria da solo. L’arcivescovo e gli altri capi ghibellini non si dichiararono però del tutto d’accordo. Di buon’ora, al mattino del 1° luglio, vennero ripresi i negoziati, ma, nell impossibilita di trovare un’intesa, il colloquio venne ripreso nel pomeriggio41. Intanto i Ghibellini vennero a cognizione che Brigata, nipote di Ugolino, era in procinto di introdurre truppe in città; essi credettero quindi di essere traditi e chiamarono alle armi. Fra il frastuono delle campane a stormo, scoppiò una lotta per le strade, nella quale un nipote dell’arcivescovo rimase ucciso; ma prima che annottasse, Ugolino si vide costretto a ritirarsi nel palazzo del Popolo con il suo seguito, esso fu preso d’assalto dai vittoriosi avversari ed il conte venne fatto prigioniero insieme con alcuni dei suoi figli e nipoti42. Ne seguì quindi l’ele- 38 Villani, VII, 121. 39 Allusioni in Giov. Sercambi, I, 44. 40 Frag. hist. Pis., 651 e sgg.; la data è confermata tramite Guido de Corv., 694. 41 Frag. hist. Pis., 652. Si deve ammettere che i Ghibellini volessero attendere l’arrivo delle galere genovesi per poter allontanare allora Ugolino in modo più sicuro. 42 Frag. hist. Pis., 652. La data del 1° luglio è confermata da Guido de Corv., 894 e Ann. Vero»., 434; Annali, 321 [V, 88]; la cosa non venne decisa nei due giorni. I figli del conte fatti prigionieri sono Gaddo e Uguccione, i nipoti Nino, il sunnominato Brigata, figlio di Guelfo che era a Cagliari - Annali, 322 [V, 89] -, e Anselmuccio figlio di Lotto, prigioniero a Genova - Annali, 309 [V, 56]: v. - 99 - Libro IV - Cap. settimo zione dell’arcivescovo Ruggeri a Signore e Reggente di Pisa 43. Così stando le cose, la flotta genovese non fu di alcun aiuto al conseguimento del risultato. Quando Nicolino de Vetrario giunse a bordo di essa nel luogo convenuto, ebbe notizia di quanto era accaduto a Pisa; in tutta fretta, su per l’Arno, arrivò in città e presentò all’arcivescovo ed agli Anziani la lettera del conte Fazio, in conformità alla quale chiese la consegna di Ugolino e l’adempimento delle altre promesse. E’ facile comprendere come a questo punto i Ghibellini pisani non volessero più saperne, rimandando l’inviato da un giorno all’altro; alla fine risposero che essi non avevano obbligo alcuno, poiché quando Nicolino era arrivato il loro disegno era già stato portato a compimento; comunque misero in libertà i prigionieri genovesi che Nicolino portò a Genova . Qui, in cambio, furono liberati prigionieri pisani, ma in numero maggiore di quello dei Genovesi a Pisa, per non essere da meno in magnanimità . La conseguenza fu che la guerra non riprese troppo presto dopo la conclusione della pace. I Ghibellini di Pisa avevano almeno dimostrato la buona volontà nel mettere in pratica le condizioni stabilite46; Frag. hist. Pis., 655. Sono i medesimi che poi morirono con Ugolino nella torre della fame e nominati anche da Dante, Inf., XXXIII, 89 e sgg. Furono inoltre imprigionati un pronipote di Ugolino, Guelfo o Guelfuccio, figlio di Enrico, a sua volta figlio di Guelfo. Questi venne liberato per ordine dell’imperatore Enrico VII: Nic. ep. Botr., 83; cfr. Dal Borgo, Diss. Pis., p. 402 e sgg. Una descrizione abbastanza certa degli avvenimenti troviamo in Sforza, Dante e i Pisani, p. 106 e sgg., mentre Hartwig, Ein Menschenalter, p. 94, non lascia vedere chiaramente (di fronte all’inesatta narrazione di Villani, VII, 94 e sgg.) che l’allontanamento di Nino e la rovina di Ugolino seguirono immediatamente. 43 Frag. hist. Pis., 653; cfr. Breve vetus, p. 647. 44 Annali, 321 [V, 88], Il numero ascendeva a 173. 45 Annali, 1. c. 46 Probabilmente avevano avuto luogo altri negoziati dei quali nulla ci è noto. Essi si erano resi necessari, poiché le condizioni riguardanti il termine del primo deposito (L.J., II, 134) si erano dimostrate in parte impossibili, essendo Pisa entrata in aperta guerra con Firenze e Lucca. Peraltro essa aveva pagato quanto meno il soldo per le truppe arruolate per la sottomissione della Corsica: Annali, 325 [V, 981. Quando ciò fosse avvenuto non risulta chiaro. Se l’offerta et depositum in pace promissa de libris 25000 complere - Annali, 330 [V, 112] - si riferisce al penultimo deposito (L.J., II, 155), si dovrebbe ammettere che gli altri depositi fossero stati effettuati regolarmente, tanto più che nelle contropretese genovesi non ne è fatta alcuna menzione. La pace con Pisa del 1288 forse anche i Capitani di Genova non intendevano, come nel 1284, costringere nuovamente i propri partigiani a sottomettersi ai Guelfi mediante atti di ostilità. I presupposti in base ai quali le città toscane nel 1285 si erano astenute dall’andare contro Pisa non esistevano più; ben presto il giudice di Gallura si era rivolto a Lucca; pure Firenze gli aveva mandato aiuti e un certo numero di castelli erano caduti nelle sue mani sotto i suoi assalti. Verso la fine di settembre il Comune di Lucca, unito agli espulsi Pisani, intraprese una spedizione militare, alla quale prese parte tutta la lega guelfa della Toscana; dopo lungo assedio, il castello di Asciano fu preso , e così, malgrado i grandi sacrifici che aveva dovuto fare per acquistarsi la pace con Genova, Pisa venne a trovarsi in dure angustie come mai prima di allora. Ugolino ne portò le conseguenze. I Ghibellini lo rinchiusero insieme con i suoi congiunti nella torre dei Gualandi, per costringerlo, mediante privazione di cibo e bevande, al pagamento di considerevoli somme di denaro48. 47 Frag. hist. Pis., 653 e sgg.; Villani, VII, 122, etc. Il papa procurò di stabilire pace: Reg. Nie. IV, pp. 966, 976. 48 Annali, 321 [V, 88]; Frag. hist. Pis., 655. - 101 - Capitolo ottavo La sollevazione contro i Capitani nel 1289 Proroga della durata della carica dei Capitani. - Intrighi dei Guelfi. - Trasmissione dell’arcivescovato di Genova al patriarca di Antiochia. - Sue intelligenze con i Guelfi. - Rivolta del 1° gennaio 1289. - Lagnanze del Comune presso il papa. -Proseguimento della guerra siciliana. - Carlo II restituisce a Genova il castello di Roccabruna. - Disordini a S. Remo. - Partecipazione di Genova alla lega contro il marchese Guglielmo di Monferrato. Per quanto diversi e molteplici fossero stati i momenti che concorsero alla caduta dei Capitani Guelfi a Pisa, la circostanza decisiva fu la mancata partecipazione dei popolari in loro favore. Il loro governo non era stato certamente favorevole ai popolari e buona parte di loro era schierata nelle file dei Ghibellini *. Per la signoria dei Capitani genovesi, invece, l’unione della loro fazione col Popolo formava una solida base. Il dissidio fra le classi dirigenti nel 1285 era stato soltanto passeggero2 e la concordia, presto ristabilita, era rimasta da allora in poi inalterata. Del pari non si può comunque considerare come una conseguenza degli avvenimenti dell’epoca il fatto che l’istituzione del doppio capitanato non fosse diventata duratura. Poteva certo apparire strano ai contemporanei vedere il figlio a capo del governo, mentre il padre, come privato cittadino, gli era soggetto. La posizione guida dei Doria e degli Spinola doveva considerarsi il pilastro del vigente sistema costituzionale che si reggeva sulle personalità dei rappresentanti delle loro famiglie, mentre le forme attraverso le quali si manifestava la preponderanza dei Ghibellini erano cosa di minor conto. Il 28 ottobre 1288 i due Capitani dovevano scadere di carica. E’ dubbio se essi tenessero davvero ad un rinnovo delle loro attribuzioni; già ancor prima avevano di buon grado acconsentito ad una limitazione delle stesse. Il Podestà dell’anno 1287, Enrico Bruxamantica, un giurista di Pavia, aveva dedicato all’amministrazione della giustizia criminale particolari cure, ottenendo, con severa persecuzione dei reati, ottimi suc- 1 Annali, 320 [V, 85], 2 Cfr. sopra, p. 72 e sgg. - 102 - La sollevazione contro i Capitani nel 1289 cessi; perciò quando egli, nel 1288, venne confermato nella carica, gli venne accordata piena facoltà di giudicare dei delitti senza che i Capitani potessero intromettersi3. Al fatto non era da attribuirsi alcuna importanza politica, tuttavia, avendo i Capitani rinunziato al diritto di grazia4, essi resero migliore 1 amministrazione della giustizia e allontanarono da sè l’inconveniente di attirarsi l’odio dei condannati, respingendone incomode suppliche . In quell anno venne pronunziato gran numero di condanne capitali, cosa mai avvenuta in precedenza6. La questione principale per il partito dominante era quella di vedere come fosse possibile conservare la propria posizione anche in futuro, dal momento che i Guelfi si trovavano in città7 e attendevano l’occasione di raggiungere una maggiore rilevanza nella vita dello Stato. I nobili amici del popolo tenevano perciò sovente consiglio con i popolari. Il risultato fu la rielezione dei due Capitani per cinque anni, che ebbe luogo senza rumore, alla presenza delle sole parti che erano d’accordo, mentre il Parlamento fu convocato al puro scopo di ricevere il loro giuramento, che per motivi non ben chiari Oberto Spinola e Corrado Doria prestarono per tre anni soltanto8. I Guelfi potevano essersi aspettati un esito differente. Nel marzo 1288 i Ghibellini si allearono al Popolo per mantenere in vita la costituzione in corso. Il 9 aprile quasi tutti i membri della famiglia Fieschi si 3 Annali, 319 [V, 81]; cfr. 317 [V, 75], 4 Come si praticava nel 1291, quando il Podestà non aveva poteri illimitati: Annali, 335 [V, 123]; App. 6, 1, nr. 71 e 72: Picio de Baapici da Albenga il 13 marzo 1288 era stato esiliato dal Podestà di Genova. L’11 agosto 1291 il Capitano Doria, anche in rappresentanza del suo collega, precepit dictas forestationes et con-demnaciones cassari... causa cognita, et hoc fecit habito inde consilio, ut asseruit, cum d. Marino de Marino. 5 E’ dubbio se una petizione al Capitano Oberto Doria - redatta in forma poetica (Bonaini, Rime istoriche, p. 9) - si riferisca a un reo politico. Molto tempo prima la pena pienamente giustificata inflitta a pirati aveva suscitato quasi una tale sollevazione, che si dovette sciogliere e lasciare andare due di essi che erano già pronti per essere appesi: Annali, 175 e sgg. [Ili, 53]. Nel 1288 i Capitani e gli Anziani emanarono nuovi statuti (Statuti di Pera, 661) non certo molto estesi; il capitolo 107 (ibid., 662 e sgg.) non può più appartenere ai medesimi. 6 Annali, 319 [V, 81], 7 Cfr. sopra, vol. I, p. 381. 8 Annali, 319 [V, 82], - 103 - Libro IV - Cap. ottavo radunarono nel refettorio della nuova chiesa di S. Salvatore a Lavagna, dove due ecclesiastici loro parenti decisero di fare una valutazione delle sostanze di ognuno dei membri della famiglia, affinchè ciascuno contribuisse proporzionalmente alle spese di una causa da intentarsi presso la Curia, circa i propri contratti col Comune di Genova9. Il papa aveva garantito la pace del 1276; l’intromissione di Niccolò III e di Onorio IV non aveva ottenuto l’esito sperato 10; si comprende quindi come le premure fossero state riprese presso Niccolò IV. Lo scopo principale delle lagnanze doveva però essere senza dubbio un movente per abbattere i Capitani, ed ora i Fieschi trovarono ben presto un valido appoggio nel nuovo arcivescovo di Genova. NelPanno 1286 l’arcivescovo Bernardo era morto u. Giurista e caldo propugnatore degli interessi della sua Chiesa, non era nei migliori rapporti con il Comune 12, ma, a quanto pare, non s’immischiò nelle lotte dei partiti. Egli si trovava in viaggio verso la Curia nella speranza di diventar cardinale, quando avvertì di essere vicino alla fine; ammalato a morte, si affrettò a ritornare a Genova, evidentemente per conservare al Capitolo il diritto di elezione13. Gli aventi diritto se ne valsero in modo così bello che i loro voti si dispersero fra quattro candidati14. Nessun dubbio come i contrasti di partito, che avevano dilaniato la cittadinanza, avessero trovato 9 App. 5, nr. 20, c. 41. Non vi è comunicato il documento sul compromesso ma bensì un documento dell’8 aprile (ibid., c. 43), nel quale Bonifacio Fieschi, figlio ed erede di Ugo Fieschi, vi interviene anche per i suoi fratelli; testimonio è qui Pietro Grimaldi. Gli arbitri sono Leonardo arcidiacono, identificabile con Leonardo Fieschi, canonico di Parigi (Reg. Nie. IV, pp. 861, 935) e che comunque possedeva un gran numero di prebende: v. Reg. Bonif. Vili, I, pp. 18, 37 e sgg.; il secondo, Thedixius, magister scolarum ecclesie Jan., era canonico nel capitolo di Genova (ibid., p. 665). La chiesa di S. Salvatore fu fondata da Innocenzo IV; cfr. Ravenna, Mem. di Lavagna, p. 71. Gli arbitri diedero manifestamente soltanto le cifre tonde della consistenza patrimoniale, affinchè la contribuzione alle spese potesse essere regolare e proporzionata alla consistenza stessa. Le massime stime riguardano Nicola Fieschi per 30000 lire e Federico per 14000 lire. 10 Cfr. sopra, vol. I, p. 376 e sgg. e vol. II, p. 74 e sgg. 11 Jac. de Var., 51; cfr. su di lui, sopra, vol. I, p. 366. Il 19 agosto (v. Reg. Hon. IV, p. 413) era ancora in vita. >2 V. ,4««*/;, 284 [IV, 177], e Jac. de Var, 1. c. 13 Jac. de Var, 52. 14 Reg. Nie. IV, p. 23 e sgg. — 104 - La sollevazione contro i Capitani nel 1289 eco fra il clero . I moderati avevano dato il loro voto al frate domenicano Jacopo da Varazze 16 ed al cappellano papale Nicolino de Camilla 17. Nessuno dei due pero aveva accettato la nomina, per cui rimasero ancora di fronte 1 uno all altro un Fieschi, Tedisio 18 ed uno Spinola, Ottobono ,9. La lunga durata del conclave seguito alla morte di Onorio IV, prolungò la vacanza della sede arcivescovile. Niccolò IV regolò la questione in un tempo relativamente breve: Tedisio e Ottobono rinunziarono ai loro diritti derivanti dall’elezione, dopo di che il papa affidò l’amministrazione della Chiesa di Genova al patriarca di Antiochia Opizo Fieschi20. Questa decisione dimostrava anche troppo chiaramente di qual favore godesse presso la corte romana la famiglia dalla quale era disceso Innocenzo IV. Che un Fieschi avesse ottenuto la massima dignità ecclesiastica della città doveva risultare tanto più minaccioso per i Capitani, quanto più egli si dimostrava fin dall’inizio incline ad intromettersi negli affari interni del Comune. Quantunque non potesse parlarsi di aperte discordie di partito, Opizo intendeva assumere la missione di pacificatore. Essendogli riuscito di far passare il parere che l’interdetto 15 La comunicazione in App. 2, nr. 91, che un canonico di nome presbyter Milo nottetempo fosse stato segretamente ucciso nella sua camera e seppellito in fretta, al mattino, fa supporre che esistessero profonde discordie. 16 Reg. Nie. IV, p. 23. Jacopo stesso nella sua cronaca e l’annalista sorvolano completamente sulla contesa elettorale. La supposizione che Jacopo da Varazze discendesse dalla famiglia dei Malocello (Canale, II, p. 644 e sgg.) è priva di fondamento, poiché questi si nominavano di rado con riferimento ai nomi dei loro possessi come facevano altre famiglie nobiliari genovesi, neppure quando appartenevano alla classe sacerdotale (come, p. es. un Thedisio Malocello, canonicus Cameracensis: Reg. Bonif. Vili, I, p. 18). Invece nel cancelliere del Comune Guglielmo Cavagno de Vmgine (Caro, Verf. Gen., p. 53) si potrebbe ravvisare un parente di Jacopo. 17 Reg. Nie. IV, 1. c. In ogni caso costui discendeva dalla famiglia genovese de Camilla (Olivieri, Serie dei consoli, p. 464); il 1° giugno 1288 ricevette la rectoria patrimonii b. Retri conferitagli in Toscana: Reg. Nie. IV, p. 951. 18 Ibid., p. 23. Qualificato come canonico di Lincoln. La sua identificazione con il magister scholarum (cfr. sopra, n. 9) può essere dubbia, perchè vi fu anche un Tedisio Fieschi sacerdote: Reg. Nie. IV, p. 460; cfr. il documento di Niccolò III in Appendice ai monumenti Ravennati, I, p. 329. 19 Reg. Nie. IV, p. 23. Canonico di Chalons, doveva aver posseduto anche altre prebende ed essere morto prima del 25 novembre 1291: v. ibid., p. 844. 20 Ibid., p. 23, 4 giugno 1288; cfr. Jac. de Var., 52. Quanto ad Opizo, cfr. sopra, vol. I, p. 172, n. 3. Siccome Antiochia da tempo era caduta nelle mani dei Saraceni, egli allora reggeva l’arcivescovato di Trani: Reg. Nie. IV, p. 72: - 105 - Libro IV - Cap. ottavo lanciato in passato da Niccolò III, quantunque da tempo non osservato, avesse ancora pieno vigore legale, si fece rilasciare una lettera papale per cui l’interdetto stesso doveva essere sospeso per il tempo a lui necessario ad assolvere personalmente i sacerdoti diventati irregolari21 a causa della proibizione dei servizi divini. Era un piano ingegnosamente ordito. Se il termine scadeva senza che i Capitani si fossero accordati con i Fieschi, l’interdetto sarebbe ritornato subito in vigore22. Per evitare il pericolo, il Comune mandò, poco dopo l’ingresso dell’arcivescovo in Genova, ambasciatori alla corte papale 23, ma non risulta che le loro premure fossero state coronate da un felice successo, il che doveva incoraggiare gli avversari del partito ghibellino al potere. Forse costoro, contemporaneamente all’arrivo del patriarca a Genova 24, avevano concluso una formale lega segreta contro i Capitani ed il Popolo; ad essa parteciparono non solamente i Grimaldi, i Fieschi ed i Malocello, tradizionalmente appartenenti al partito guelfo, ma la congiura veniva ad assumere il carattere di una unione della nobiltà, anche se non di tutta, per sopprimere il Popolo s; in essa vennero attratti anche i canonici della cattedrale26. La sollevazione venne preparata nel più profondo segreto. 21 Ciò risulta dalla lettera in Reg. Nie. IV, p. 979 e sgg. Non vi è fatto cenno al processo; però il riconoscimento della validità dell’interdetto, sulla cui osservanza Martino IV non aveva più insistito (cfr. sopra, vol. I, p. 380 e sgg.), fu una conseguenza del processo. 22 Perciò in App. 2, nr. 91 è detto; patriarcha detulerat ]anuam litteras impetratas tacita veritate et falsitate subiecta, quibus sub colore tractande pacis intendebat et procurabat mortem animarum hominum ]anue, parando viam, ut in blasfemiam seu excomunicationem Romane ecclesie devenirent. 23 Ibid. sono menzionati come tali Lombardo Spinola, Oberto Passio e Ansaldo Mazuco. 24 Annali, 323 [V, 92]: die prima Januarii... quidam nobiles cives Janue coniurationem factam antea per 6 menses contra capitaneos et populum Janue cogitaverunt ducere ad effectum. Siccome il 4 giugno 1288 era stato conferito l’arcivescovato a Opizo {Reg. Nie. IV, p. 23), così egli poteva essere benissimo a Genova ai primi di luglio. 25 Annali, 1. c. I de Castro erano prima collegati con i Doria e gli Spinola: Ann. Plac., 526. 26 App. 2, nr. 91: Ad hoc etiam canonici Januenses malivolo proposito videntur favorem et auxilium prebuisse... nam et claves fortiliciarum archiepiscopatus et ecclesie Januensis dictis viris nequissimis tradiderunt ut possent offendere rectores et populum Januensem. - 106 - La sollevazione contro i Capitani nel 1289 Ne tardo pomeriggio del 1° gennaio 1289 i nobili congiurati passarono a attacco. Armati, si diressero in fretta a cavallo e a piedi verso la chiesa di S. Lorenzo, ne occuparono la torre27, evidentemente per assicurarsi un forte punto d’appoggio, dopo di che assalirono la casa dell’Abate del Popolo . L intenzione era di far prigionieri i Capitani, i quali stavano tenendo Consiglio 29 per concertarsi sul modo di far fronte al pericolo imminente, avendo avuto in quel medesimo giorno la prima notizia della congiura. Ma, per la resistenza opposta dall'Abate con alcuni popolari, il piano dei nobili fallì, ed essi, dopo aver perduto anche molti cavalli, si videro costretti alla ritirata, mentre il popolo accorreva armato ai palazzi dei capi ed i Capitani si mettevano alla testa delle sue schiere. La mala riuscita del colpo dei nobili, diede tempo ai popolari per radunarsi. Gli insorti, non potendo tener testa alle forze preponderanti degli avversari, si strinsero tutti nella chiesa di S. Lorenzo30. Ma neppure la santità del luogo sarebbe stata sufficiente a metterli al sicuro, in quanto gli assalitori, nel tentativo di penetrarvi, appiccarono il fuoco alle porte31. 27 Annali, 323 [V, 92]: ecclesiam et turres S. Laurentii muniverunt-, cfr. Guill. Vent., 724. Secondo il passo riferito nella nota precedente, risulta che i congiurati avessero occupato anche il palazzo arcivescovile (archiepiscopatus). 28 Annali, 1. c.: ad domum abbatis populi Janue fecerunt insultum. Evidentemente si deve intendere la sede dell’Abate. Il 10 febbraio 1290, L.J., II, 232, indica come tale il palacium illorum Aurie-, molto probabilmente si tratta dello stesso palazzo dei Doria, nel quale il Capitano Doria ed il Podestà avevano la loro sede: v. sopra, vol. I, p. 387, n. 98. 29 Annali, 1. c., in domo quondam Abbati de Flisco; si deve leggere Alberti, cioè nel palazzo di Alberto Fieschi dove il Capitano Spinola teneva il suo ufficio: v. sopra, vol. I, p. 387, n. 98. 30 Sul significato da dare al difficile passo degli Annali, 1. c., cfr. la traduzione degli Annali di Grandaur, p. 150. E’ notevole che eccetto alcuni congiunti dei Capitani, Filippo de Volta soltanto fosse accorso in loro aiuto. Gli altri amici populi Janue come i nobili ghibellini rimasero in casa. Per il (locus) qui dicitur domus nel quale da principio si rifugiò una parte dei congiurati, si deve intendere (con Canale, III, p. 70) il palazzo arcivescovile, che fu coinvolto nella lotta (cfr. sopra, n. 27). Siccome esso si trova accanto alla chiesa di S. Lorenzo (cfr. Belgrano, Illustrazione, p. 435), i fuggitivi poterono facilmente salvarsi entro la stessa. Secondo Guill. Vent., 724, occuparono la porta di Genova, il campanile di S. Lorenzo e le case fortificate dei Fieschi. 31 Annali, 323 [V, 92]; Guill. Vent., 724, fa pure menzione di questa circostanza; secondo il suo modo di vedere, il popolo voleva annientare col fuoco i nobili nella chiesa. Probabilmente la guarnigione delle torri impedì l’assalto. App. 2, - 107 - Libro IV - Cap. ottavo Un fatto orrendo stava per compiersi; la folla esasperata avrebbe massacrato senza misericordia i suoi avversari in un luogo sacro; tuttavia la moderazione dei Capitani garantì la salvezza di gran parte della nobiltà genovese. Alcuni fra i rinchiusi in San Lorenzo, vista la gravità della situazione, si offersero come mediatori; giurarono obbedienza agli ordini del Podestà e dei Capitani, chiedendo per sè e per i loro complici libera uscita32. I Capitani ne avevano a sufficienza per eliminare d un colpo tutti gli avversari, ma invece non diedero libero sfogo alla vendetta, ami, lo Spinola specialmente calmò il popolo con parole pacifiche33. La resa dei ribelli fu accettata cosicché essi, sotto sicura scorta, poterono verso la mezzanotte rientrare nelle loro case34. Al mattino quaranta dei congiurati dovettero abbandonare la città ed il suo territorio, però dopo breve tempo fu loro concesso di farvi ritorno35. La mitezza verso i vinti rese tanto più completo il successo; con ciò rimasero subito spuntate le armi per un’eventuale futura intromissione del papa e tanto più efficaci poterono riuscire le rimostranze che gli ambasciatori ancora presenti presso la Curia ebbero incarico di sporgere. Nelle istruzioni a tal fine predisposte si sente vibrare ancora l’eccitazione prodotta dagli avvenimenti di quella notte spaventosa. Le più dure espressioni vi sono impiegate per qualificare lo sconveniente contegno del patriarca; poiché contro di lui, anzitutto, erano rivolte le lagnanze. Lo si accusava di avere fin dal suo arrivo suscitato il malcontento a Genova; si faceva rilevare che a lui era stata affidata 1 amministrazione della cattedrale nella speranza di trovare un arcivescovo e una persona all’altezza di realizzare gli interessi spirituali di un Comune nr. 91: de fortiliciis archiepiscopatus et ecclesie Januensis tela proiecta fuerunt et offensiones facte non modice rectoribus et populo Januensi, ita quod inde mala mirabilia et periculosa ac plena eventus tristissimi emanarunt et mortes etiam multorum vivorum, ubi videbatur debere salutis remedium inveniri. 32 Annali, 1. c. 33 Guill. Vent., 724. 34 Annali, 1. c. [V, 931; Guill. Vent., 725; avrebbero dovuto giurare quod contra statum ipsorum Oberti Spinule et Aurie in eternum venire non presumerent. 35 Annali, 1. c. [V, 93]; in Ann. Veron., 435, si dice che ii partito dei Grimaldi fu espulso da Genova. 36 App. 2, nr. 91, senza data (alla fine vi è l’anno 1289, ma sembra di mano diversa da quella del testo). L’atto doveva essere stato redatto il 2 o 3 gennaio, perchè la lettera del 10 gennaio 1289 (Reg. Nie. IV, p. 979 e sgg.) contiene manifestamente la risposta alle relative rimostranze. - 108 - La sollevazione contro i Capitani nel 1289 cosi gran e , mentre invece egli li aveva gravemente compromessi con le ettere estor^e al papa, dal momento che queste minacciavano la salute e e anime , si aggiungeva che nessun comune avrebbe tanto sopportato in silenzio per cui, confidando nella clemenza della Sede Apostolica, si era eciso di mandare ambasciatori, per ottenere come al solito appoggio dal papa. A questo punto doveva essere notorio a tutti quello che il patriarca aveva in mente di fare, tenuto anche conto che proprio i suoi parenti avevano partecipato alla congiura al fine di portar morte e distruzione al Podestà, ai Capitani, al Popolo e ai bravi cittadini di Genova, che per sola grazia di Dio era stata salvata da tanta sciagura39. Dal palazzo arcivescovile e dalla chiesa erano stati lanciati proiettili mortali, mentre i canonici erano entrati nel malvagio proposito di consegnare ai malfattori le chiavi dei uoghi fortificati, e di recente un sacerdote era stato ucciso segretamente di notte . Si aggiungeva che tutto ciò era assolutamente inammissibile per il governo e per il Popolo e che finché il patriarca avesse retto l’arcivescovato, non sarebbe cessato il timore di nuovi disordini41. La pretesa . 2> nr- 91: Non enim videbatur sapientibus Janue quod tante civitati ef.rf Vr°videri de tali rectore, sed de vero archiepiscopo et de persona que esset sufficiens ad providendum in spiritualibus tante universitati. 38 Ibid.; cfr, sopra, n. 22. App. 2, nr. 91: Tamen de bonitate apostolica confidentes, licet manifeste appareat quod talia ab aliqua comunitate non videantur posse sine scandalo substineri, rectores et sapientes Janue voluerunt super hiis apud sanctitatem Romani pontificis impetrare remedium, et ideo transmiserunt ambassatores ad Romanam curiam, sperantes quod ibidem in predictis pro comuni Janue more solito inveniatur remedium sa utare, ignorantes maximas iniquitates calamitatesque, que sub pretestu dictarum itterarum et talis pontificis comuni Janue tractabantur. Nunc quidem patefacto tractatu, qui propterea dicitur procuratus fuisse maxime facto et opere quorundam e progenie ipsius patriarche, de ponendo ad destructionem capitaneos, comune et popu um Januensem, ex quo apparuit quod concitata fuit turba nequissimorum virorum sub dolis mirabilibus deducta cum rumore non modico tota posse illorum, qui ta i us interfuerunt, ad mortem et damnum potestatis, capitaneorum et populi ac universorum^ bonorum virorum civitatis. Nam nisi deus saluti comunis Janue provi- tsset, firmiter creditur quod propterea civitas Janue in desolationem non modicam cecidisset. 40 v. sopra, nn. 15 e 31. ^id" quare per sanctitaten summi pontificis nosci potest quod talia a rectori us et populo Januensi non possent modo aliquo substineri et nisi sic provideatur auctoritate apostolica in predicis, quod plenarie talia de cetero evitentur, et quod possint sine suspicione morari, sine qua esse non possent existente in archiepiscopatu rectore pre icto, timendum est ne inde scandalum oriatur. - 109 - Libro IV - Cap. ottavo che il papa nominasse per Genova un arcivescovo idoneo era il succo delle richieste che gli ambasciatori dovevano presentare in forma conveniente a Niccolò IV42. La richiesta non ebbe un esito immediato; Opizo resse ancora per qualche anno l’arcivescovato43, quantunque la sua azione politica fosse finita. Però il papa, di fronte alle rimostranze dei Capitani, soddisfece subito alla loro domanda che la lettera, nella quale veniva riconosciuta la validità della persistenza dell’interdetto fosse dichiarata senza effetto; dopo la scadenza del termine stabilito, esso non poteva più ritornare in vigore. I preposti dei conventi genovesi dei domenicani e francescani furono incaricati della pubblicazione di questa manifestazione di volontà del pontefice44. La dichiarazione era certo idonea a calmare gli animi eccitati, ma con essa non era del tutto finita la questione dell’interdetto45. Forse il papa non pronunciò una decisione definitiva proprio perchè Genova si rendesse più pieghevole nei confronti delle sue pretese. Nella grande lotta per la Sicilia, i Capitani avevano conservato fin da principio la più rigorosa neutralità, il che fu loro possibile anche durante gli ultimi anni. L’erede al regno di Napoli era in potere del re Alfonso d’Aragona, mentre Onorio IV si era adoperato per la difesa del regno della Chiesa dagli attacchi del re Giacomo di Sicilia, senza aver mai im- 42 Ibid.-. Declaretur factum plenius in litteris, que mittentur ambassatortbus, et firmiter instetur per ipsos ambassatores summo pontifici quod provideat ecclesie Januensi de archiepiscopo ydoneo, et qui tali populo sufficiens et placabilis videatur, et predicta exponant ipsi ambassatores coram d. papa verbis ornatis, ut optineant. La lettera qui citata agli ambasciatori, che manifestamente conteneva una descrizione dei fatti del 1° gennaio, non è conservata; essa è citata anche al principio dell’atto (cfr. sopra, vol I, p. 271, n. 89). Gli ambasciatori furono pure incaricati di pregare il papa per la conferma dei privilegi ottenuti ed inoltre quod... faciant registrari in registris curie Romane ad perpetuam (rei) memoriam dicta privilegia, illa videlicet que non sunt registrata. Item, quod si contigerit quod d. papa confirmet privilegia supradicta, quod illam confirmacionem faciant similiter registrari. Item, quod debeant facere inquiri diligenter in curia in registris Innocencii quarti illa privilegia, quorum exempla mittuntur eisdem in papiro, et inventis faciant et procurent habere in bulla et ea similiter facere confirmari per pontificem presentem. 43 Jac. de Var., 52; cfr. oltre, libro V, cap. II. 44 Reg. Nie, IV, p. 979 e sgg., 10 gennaio 1289. 45 Sbaraglia, IV, 182, 19 ottobre 1290. Il papa dà mandato al patriarca, administratori ecclesie Janue, di concedere alle monache di S. Margherita de Gratia de Costa Granarolii prope Januam la regola dell’ordine di S. Chiara, etc., non obstante quod civitas Januensis existit, ut asseritur, ecclesiastico supposita interdicto. - 110- La sollevazione contro i Capitani nel 1289 portunato Genova con richieste di aiuto. Nel 1287 la guerra si riaccese ancor più violenta presso Napoli e Ruggero di Lauria sconfisse nuovamente la flotta angioina 46. Enrico de Mari, al comando di galere genovesi, aveva presagito gli eventi e le sue navi non porsero alcun aiuto ai baroni rancesi . Si trattava naturalmente di navi noleggiate e di mercenari arruolati da Enrico, come già era avvenuto alcuni anni prima a Genova. Il fatto che il Comune avesse permesso ai suoi cittadini di entrare al servizio dell erede di Carlo non recò pregiudizio alle sue buone relazioni con la Sicilia, il movimento commerciale coll’isola, malgrado i divieti papali, si era mantenuto più attivo48, ancorché non fossero mancate occasioni di una possibile cessazione. Gli attivi Catalani approfittarono della favorevole situazione creata dalla politica della loro casa reale per allargare i loro rapporti commerciali. Giacomo concesse ai sudditi di suo fratello privilegi, mediante i quali, riguardo alla misura delle imposte, furono parificati ai Genovesi49; già Pietro si era curato, mediante convenzioni, di favorire il commercio dei suoi sudditi con i paesi stranieri Alfonso progredì sulla via del suo predecessore51. Al contrario delle libere città marittime italiane, la Spagna, fondata su di un forte regno, potè crearsi una marina, che in un tempo abbastanza breve fu in grado di misurarsi con esse. La conquista dell’Italia meridionale per mano del conte di Provenza non potè impedire la decadenza di Marsiglia, incominciata con la perdita della sua indipendenza municipale; Barcellona invece fioriva perchè la casa d Aragona nella lotta per la Sicilia aveva favorito i Catalani. La con- 46 Annali, 318 e sgg. [V, 80 e sgg.], 23 giugno; cfr. Amari, La guerra del vespro, II, p. 187 e sgg. 4/ Villani, VII, 117; quanto a Enrico de Mari, cfr. sopra, cap. IV, n. 55. 48 Su questo punto Sbaraglia, IV, 23, rimanda alla lettera papale. 49 Sella, p. 120 e sgg.: 18 e 22 febbraio 1286, come pure 17 luglio 1288 (App. 2, nr. 78 a). Che i cittadini di Barcellona avessero ricevuto - come i Genovesi -con il privilegio del 1288 le più ampie libertà, si vede dal fatto che taluni Provenzali, Romani, Toscani, Veneziani, Pisani e abitanti del regno di Sicilia, i quali ne erano esclusi, si spacciavano come cittadini di Barcellona: Sella, p. 126 e sgg. Ciò corrisponde ad una disposizione del trattato di Manfredi con Genova (v. sopra, vol. I, p. 54, n. 18), sul cui modello venne redatto il privilegio di Giacomo per Barcellona. 50 V. l’accordo con Tunisi del 2 giugno 1285: Capmany, IV, p. 9 e sgg. = Mas Latrie, Traités, p. 286. 51 V. l’accordo con il sultano d’Egitto in Amari, La guerra del vespro, III, p. 370 e sgg.; inoltre Capmany, II, p. 56: Privilegio del re di Cipro per i Catalani. - Ili - Libro IV - Cap. ottavo correnza dei Provenzali non era per nulla temibile per Genova, la flotta di Pisa era annientata; ma le vittorie di Ruggero di Lauria dimostravano che Venezia, nelle aspirazioni alla signoria del mare, non era la sola rivale. Pareva quindi saggia decisione quella di affrontare per tempo, insieme con Napoli, i nuovi concorrenti. Un armistizio accordato dall’ammiraglio siciliano dopo la vittoria presso Napoli pose un temporaneo argine ad ulteriori ostilità e intanto vennero a termine le lunghe trattative, in seguito alle quali Carlo II riebbe la sua libertà. Inizialmente egli non avrebbe inteso eseguire le dure condizioni del trattato, e nemmeno il papa avrebbe voluto tollerare la rinunzia della casa d’Angiò alla Sicilia52. Niccolò IV, poco dopo la sua esaltazione al pontificato, aveva promesso ai Genovesi di lasciarli trafficare con la Sicilia senza che per questo dovessero cadere nella scomunica53; ben presto però dovevano venire orditi nuovi piani per ottenere dal Comune aiuti contro i nemici della Chiesa. I reggenti del regno di Napoli ed il principe ereditario, allora ancora prigioniero, si erano rivolti a Filippo IV di Francia, pregandolo di adoperarsi per una lega con Genova, il che sarebbe stato assai vantaggioso per gli affari di Aragona e di Sicilia. Il papa appoggiò la richiesta con una lettera diretta al re Nella primavera del 1289 Carlo II, nel suo viaggio alla corte papale, si fermò a Genova 55. Non abbiamo dati per conoscere se egli vi avesse avuto trattative mentre il papa non lo aveva ancora sciolto dal giuramento prestato ad Alfonso; egli si diede comunque subito da fare per suscitare nella cittadinanza - del cui appoggio egli intendeva valersi in appresso - disposizione favorevole all’accoglimento di eventuali sue richieste. Il 23 aprile egli entrò in città. Per suo desiderio il giorno dopo si radunò il Consiglio nella chiesa di San Siro, dove aveva posto quartiere. Uno dei suoi consiglieri tenne un discorso, nel quale diede ampio risalto alle particolari cure 52 Cfr. Amari, La guerra del vespro, II, p. 194 e sgg. 53 Potthast, nr. 22715; Sbaraglia, IV, 24 e sgg., 18 maggio 1288; il papa incaricò contemporaneamente Jacopo da Varazze ed un francescano di assolvere coloro che per aver trafficato con i Siciliani erano incorsi nella scomunica: Potthast, nr. 22714; Sbaraglia, IV, 23 e sgg. 54 Reg. Nie. IV, p. 973, 23 ottobre 1288. 55 Annali, 325 [V, 97], 23-25 aprile; cfr. Gioffredo, 656; Cais de Pierlas, Statuts, p. 46. Per incarico del Comune, Lamba Doria e Oberto Spinola scortarono il re sulla riviera occidentale: App. 2, nr. 92. - 112- La sollevazione contro i Capitani nel 1289 del suo signore volte a rendersi gradito al Comune concludendo con la dichiarazione che Carlo II era pronto a restituire a Genova il castello di Roccabruna con tutte le sue dipendenze57. Certo Carlo II era ben lungi dall’idea di adempiere a siffatta promessa. La pace del 1276 lo autorizzava allo scambio di Roccabruna per ottenere la restituzione dei castelli occupati dai conti di Ventimiglia58, che Carlo I non era riuscito a togliere loro59. L’armistizio, al quale quest’ultimo aveva finalmente aderito, doveva porre un argine alla guerra di soli pochi anni e allorché essa scoppiò nuovamente, i sudditi genovesi della riviera occidentale fino ad Albenga si tennero dalla parte dei conti w; ma la fortuna fu loro tanto poco propizia che, probabilmente, perdettero allora Saorgio61 ; il 18 dicembre 1285 condiscesero ad una pace definitiva col Siniscalco di Provenza. Pietro Balbo, Giovanni e Jacopo, figli di Guglielmo Peire, morto nel frattempo, insieme con altri delegati, si obbligarono di fronte al re di Napoli a prestare il giuramento di vassallaggio per i loro possedimenti nella contea di Ventimiglia e nel Piemonte, però i loro paesi non dovevano essere soggetti alla piena sovranità del re; in particolare essi non dovevano sottostare alle imposte da cui erano gravati 56 Annali, 1. c.; cfr. Yarenga del documento in L.J., II, 196. 57 Annali, 1. c.; cfr. il doc. in L.J., II, 196, 24 aprile 1289. 58 Cfr. sopra, vol. I, p. 361. 59 Cfr. sopra, vol. I, p. 368. 60 Gioffredo, 649; cfr. 644. Non è chiaro quando la guerra fosse nuovamente scoppiata, in ogni caso prima del 12 ottobre 1283: v. Rossi, Statuti, App., p. 36. Si può ammettere che vi avessero giocato intrighi di Pietro dAragona: cfr. Gioffredo, 645. Probabilmente i conti avevano mantenuto le loro antiche relazioni con gli avversari della casa dAngiò: cfr. sopra, vol. I, pp. 224, n. 25; 281, n. 23; 347; un Aldoynus de Vingtimilliis, comes Yscle maioris, apparteneva ai 40 cavalieri che giu rarono che Pietro avrebbe mantenuto le condizioni per il duello con Carlo: De rebus Regni Siciliae, p. 687. 61 Tanto si dovrebbe dedurre con Gioffredo, 644, dal documento da lui estratto; inoltre i conti perdettero i castelli di Castellarci e Gobbio (Gorbio presso Roccabruna): ibid., 649. Il documento in Rossi, Statuti, App., p. 31 e sgg., del 12 ottobre 1283, deve essere inteso nel senso che il Siniscalco della Provenza, uno dei partigiani del re che erano stati banditi dal territorio della contea di Ventimiglia appartenente ai conti, dimorava nel castello di Castellaro or ora preso; che in esso vi fossero dei banditi, cfr. Gioffredo, 648. - 113 - Libro IV - Cap. ottavo gli altri vassallia. Una tale sovranità puramente nominale non poteva costituire idonea contropartita alla mancata consegna dei castelli e il passo del Colle di Tenda era rimasto nelle mani dei conti63. Se dunque Carlo II rinunziava senza riserva alcuna alla preziosa località di Roccabruna sulla costa64, l’apparente generosità nascondeva certamente ben ponderati segreti disegni. La politica elastica del figlio era destinata a diventare un giorno più pericolosa di quella dura e aggressiva del padre. In quel momento Carlo II non poteva pensare ad agire da solo e tanto meno ad attentare all’indipendenza di Genova. Egli si affrettò a ricevere dalle mani del papa la corona del suo regno ereditario. Poi, di ritorno dalla spedizione intrapresa contro Giacomo di Sicilia, conclusa con un armistizio, al suo ritorno in Francia, il re toccò nuovamente Genova, senza peraltro soffermarvisi65. La via più diretta da Napoli per la Provenza passava del resto lungo la costa ligure. La riviera era già da tempo in preda a lotte di partiti “ e litigi di singole famiglie si aggiungevano ai generali contrasti. I frequenti passaggi di membri della casa d’Angio offrivano occasione ai Guelfi per dimostrare la loro fedeltà alla causa del partito clerico-francese, mentre i Ghibellini se ne stavano astiosi da parte. I seri torbidi avvenuti a S. Remo il 15 gennaio 1290 67, quando la regina di Napoli, proveniente da Genova, vi arrivò, non furono certo effetto del puro caso. Gli abitanti locali avevano appoggiato i conti di Ventimiglia nella loro guerra con i Provenzali e ora il conte Giovanni accompagnava la regina. Un certo numero di persone, del partito degli Axentii, andò loro incontro, senz’armi, nel manifesto intendimento di rendere più fastoso il ricevimento. Ma il partito dei Bruscaporchi 62 Gioffredo, 647 e sgg.; cfr. Cais de Pierlas, Statuts, pp. 19 e sgg.; 122 e sgg. I castelli di Castellare e Gorbio furono restituiti ai conti; cfr. anche Gioffredo, 651. 63 Essi promisero di non percepire altra tassa dai viaggiatori aU’infuori del solito pedagium di Tenda: Gioffredo, 648. 64 Roccabruna il 5 giugno venne consegnato a Laraba Doria, vicarius et procurator del Podestà e dei Capitani, dal castellano del castello: L.]., II, 201; dopo di che gli abitanti prestarono il giuramento di fedeltà al Comune: ibid., II, 203. 65 Annali, 325 [V, 98], 9 ottobre. 66 Cfr. sopra, vol. I, p. 255 e sgg. 67 App. 2, nr. 93. 68 Gioffredo, 649. - 114 - La sollevazione contro i Capitani nel 1289 era intenzionato a turbare la festa. I suoi aderenti si posero davanti al palazzo dell arcivescovo di Genova69 e quando il corteo fu vicino, si gridò: « di qui non si passa »; vennero lanciate pietre contro il corteo stesso ed al grido di « morte ai traditori » le spade furono tratte dal fodero. Nel tumulto che ne nacque Lercario Axentio perse la vita, suo fratello Ardiz-zone riportò una ferita mortale, il conte potè sottrarsi ad analoga sorte soltanto per la velocità del suo cavallo. Risulta però che la regina avesse preso stanza al palazzo arcivescovile senza impedimenti, giacché non era lei che nell’attacco era stata presa di mira, ma bensì il conte, il traditore della causa ghibellina. Gli Axentii pensarono subito alla vendetta e contornati dai loro amici diedero inizio alla battaglia per le vie, a cui pose argine l’intromissione del vicario generale genovese della riviera occidentale. Un figlio dell’ucciso sporse querela dinanzi a lui per l’assassinio del proprio padre e dello zio; nei giorni successivi vennero interrogati parecchi testimoni70 e il vicario fece citare i colpevoli; non abbiamo notizia di come sia finita la cosa71. Soltanto un atto casualmente conservatosi dà notizia dell’accaduto; per quanto di poco rilievo esso possa essere relativamente alle condizioni del territorio genovese, tuttavia offre qualche 69 Su questo palazzo a San Remo, cfr. Jac. de Var., 51. 70 Le deposizioni di questi testimoni sono riferite in App. 2, nr. 93. In un foglietto allegato si trova scritta una denuncia senza data diretta al vicarius generalis riperie occidentis, presentata da Obertino, filius qu. Lercarii Axentii, e così pure la notizia che il 19 febbraio un executor aveva citato gli imputati a comparire dinanzi al vicario sotto pena di una multa di 200 lire; in un altro foglietto allegato vi è il frammento di una denuncia dell’ll febbraio 1290 dal tenore poco diverso dalla prima. Le deposizioni dei testimoni sono precedute da notizie sulla citazione degli imputati dell’ll e 14 febbraio. Le deposizioni furono assunte dal 13 (?) al 17 febbraio. I testimoni appartengono per la maggior parte alla fazione degli Axentii, erano al seguito del conte e nei tumulti che erano seguiti si erano prestati per gli Axentii-, uno causa defendendi domum meam, un altro negava di appartenere ad un partito quia sum pauper. Le deposizioni vanno sostanzialmente d’accordo con i dati della denuncia scritta, quantunque ognuno riferisca qualche circostanza differente dagli altri; alcuni spettatori non interessati (Guglielmo Gallo mercante di Pegli e due donne) non sanno dire di più. 71 Che in San Remo la quiete non fosse stata ristabilita tanto presto è provato dalle relazioni del L.J., II, 316, 328. Quale nesso vi fosse tra gli antichi litigi degli abitanti del luogo col signore locale, l’arcivescovo di Genova (cfr. Belgrano, Illustrazione, p. 475 e sgg.) ed i tumulti del 1290, non è chiaro. - 115 - Libro IV - Cap. ottavo luce71. Se nella capitale il governo fosse stato diretto da una mano forte tali incidenti sarebbero rimasti senza conseguenze; ma anche in Genova i partiti stavano l’uno di fronte all’altro con un’astiosità non minore che a S. Remo: era quindi possibile che potesse ripetervisi quello che era accaduto qui. Nel 1289 i Capitani avevano nuovamente riportato vittoria, la loro mitezza aveva disarmato per il momento i loro avversari, i quali però non guardavano al futuro con occhio indifferente. Per oltre un decennio i Capitani erano riusciti a evitare quasi del tutto una politica di partito, arrivando addirittura a concludere una lega con i Guelfi di Toscana per l’annientamento della ghibellina Pisa. Il risultato della lega doveva però dimostrare quanto poco conto si potesse fase su amici del genere, che preferirono imporre ai Pisani la signoria del partito guelfo anziché rimaner fedeli alle promesse di distruggere Pisa stessa. In un’epoca in cui i comuni dell’Italia superiore, a seconda della preponderanza dei Guelfi o dei Ghibellini si dividevano in gruppi che si guerreggiavano a vicenda, la cosa non poteva non impensierire i Capitani, tanto più allorquando nei disegni dei Guelfi della città vi era quello di un riawicina-mento ai compagni di parte forestieri per il proprio interesse. La lega ghibellina lombarda, alla quale Genova aveva partecipato nell’ottavo decennio73, era caduta quando i suoi capi, il marchese Guglielmo di Monferrato e l’arcivescovo Ottone Visconti di Milano, erano entrati in aperta discordia74. Genova non prese comunque parte alla guerra che non tardò a scoppiare fra il marchese ed il Visconti. Le sue relazioni con il primo non erano scortesi; quando egli nel 1284 aveva mandato sua figlia Violante a Costantinopoli a sposare l’imperatore greco Andronico, il Comune aveva allestito tre galere per la traversata e le aveva dato due ambasciatori al seguito, certamente per rendere omaggio allo sposo futuro, come gli Annali mettono espressamente in risalto75, 72 Che anche altre agitazioni non fossero mancate, cfr. Rossi, Storia di Albenga, p. 162 e sgg. 73 Cfr. sopra, vol. I, pp. 370 e sgg., 397, 398. 74 Quanto all’aHontanamento da Milano del marchese vicario alla fine del 1282, v. Ann. Partn., 695; Ann. Plac., 578 etc.; cfr. Giulini, Vili, p. 356 e sgg. 75 Annali, 319 e sgg [V, 61]; l’anno 1285 è in ogni caso erroneo. Ann. Plac., 578; Ann. Veron., 428, e Salimbene, 312 pongono la data del matrimonio nel 1284; cfr. anche Pachym., Il, 87 e sgg. e Niceph. Greg., I, 167 e sgg. Il matrimonio fu - 116 - La sollevazione contro i Capitani nel 1289 mentre viene anche riferito come i Genovesi non avessero allora permesso al marchese di toccare la loro città76. Il fatto che costui si fosse alleato con il partito guelfo esterno, cioè i Torriani77potè destare la diffidenza dei Ghibellini di Genova78. Città i cui territori confinavano con i possedimenti genovesi a nord dell’Appennino erano in suo potere79; non poteva quindi mancare occasione per conflitti di confine *°, mentre preoccupava sapere che le vie commerciali per l’interno stavano nelle mani di un vicino malsicuro. Genova pertanto, appena finita la guerra con Pisa, prese una decisione; il 9 giugno 1288 entrò nella lega che Milano, Pavia, Piacenza, Cremona e Brescia avevano formato contro il marchese 81. Se in passato, in difesa del loro innato spirito di libertà, tutti i Lombardi erano rivolti contro Carlo d’Angiò e a tal fine Genova si era unita contro Asti e Pavia82, questa volta fece altrettanto con il trattato con Milano. La signoria del marchese si faceva sentire duramente sulle città che vi erano soggette, mentre l’indipendenza delle altre pareva minac- ad ogni modo una conseguenza delle trattative già intavolate fra il Paleologo e Pietro d Aragona per un’alleanza di famiglia fra le loro case: v. Amari, La guerra del vespro, III, p. 333. La madre di Violante era figlia di Alfonso X di Castiglia: Ann. Veron., 428 etc.; cfr. sopra, vol. I, p. 281. 76 Ann. Plac., 578. 77 Fine 1284: vedi Ann. Parm., 698; Ann. Veron., 429; cfr. Kopp, II, 3, p. 258. 78 Quanto è detto in Annali, 323 [V, 91], (marchio) se coniunxit cum illis qui tempore diete guerre (se. guerre regis Karoli) sui extiterrant inimici nequissimi, allude certamente alla lega del marchese con i Torriani. 79 Alessandria, Tortona etc.: cfr. Alfieri, 61. 80 Cosi, Annali, 1. c.: (marchio) cepit occasiones invenire; cfr. su ciò Annali, 331 [V, 113]: homines Janue attendentes quod marchio Montisferrati litigabat libenter cum eis de Wada et partibus de ultra iugum. Ne risulta che il marchese avesse delle pretese sui castelli che si trovavano in possesso di Genova. 81 Subito dopo la rottura fra Milano ed il marchese, Milano, Brescia, Cremona, Modena e Piacenza conclusero una lega; v. il Liber poteris p. 100; cfr. Ann. Parm., 625; Ann Plac., 515. Il 2 settembre 1286 Milano concluse una lega con Pavia, Brescia, Piacenza e Cremona a cui dovevano venire pure ammesse Asti, Novara ed altre citta: Gioffredo della Chiesa, Cron. di Saluzzo, 925; nel giugno 1287 vi aderì il conte Amedeo di Savoia: Bianchi, Mat. Politiche, pp. 119 e 139; Cibrario, St. di Savoia, II, p. 210 e sgg.; quanto all’entrata di Genova nella lega, v. Annali, 322 e sgg. [V, 91]; cfr. Gioffredo della Chiesa, 1. c. e Jac. Malvecius, Chron. Brixianum, 958. 82 Cfr. sopra, vol. I, p. 339, - 117 - Libro IV - Cap. ottavo data83. I capi del partito ghibellino di Milano si erano messi alla testa della resistenza contro l’uomo che aveva di mira il dominio sulla Lombardia e che pertanto propendeva sensibilmente verso i Guelfi84. Se egli avesse portato questo partito alla vittoria, non si sarebbero potute evitare reazioni nei rapporti con Genova stessa. Perciò i Capitani agirono nel proprio miglior interesse schierandosi dalla parte dei Visconti; l’aiuto da essi prestato a quella famiglia, la cui rilevanza politica non era inferiore alla loro, avrebbe consentito di poter contare all’occorrenza su un corrispondente ricambio. Non fu mero caso se Genova, dopo la conclusione della pace con Pisa, fu coinvolta nelle complicazioni lombarde. I Capitani potevano ormai supporre di avere mano libera nella politica estera; nel contempo pensarono di rivolgere più seriamente la loro attenzione ai rapporti con l’Oriente. L’intromissione dei Genovesi nei disordini che turbavano la contea di Tripoli va strettamente connessa con gli avvenimenti che dovevano provocare la caduta degli ultimi possedimenti cristiani nei Luoghi Santi. La partecipazione di Genova a fatti di tanta rilevanza per la storia universale merita quindi la più ampia disamina, tanto più che i particolari che vi tennero dietro non sono mai stati fino ad oggi sufficientemente considerati. 83 Cfr. Alfieri, 61 e Gioffredo della Chiesa, 925, per lo scopo dichiarato della lega del 1286. 84 Quanto alla sua lega con i Torriani, cfr. sopra, p. 117. Che il marchese avesse intavolato delle relazioni anche verso Carlo II, risulta dalla dispensa papale per un matrimonio fra suo figlio Giovanni ed una figlia di Carlo II: Reg. Nie. IV, p. 279, 26 settembre 1289. - 118 - Capitolo nono Benedetto Zaccaria e la caduta di Tripoli L istituzione del comune a Tripoli. - Benedetto Zaccaria. - Sua attività a Tripoli. -Suoi progetti. - L accomodamento con Luciana. - Occupazione di Tripoli da parte del sultano Kelavun. - Ritorno dello Zaccaria. - Contegno del Comune di Genova e sua convenzione con Kelavun. La guerra per la Sicilia impedì al papato di interessarsi nel modo consueto dei Luoghi Santi; per decenni le decime per le crociate furono impiegate a combattere contro la casa di Aragona; nessuna meraviglia dunque se i Saraceni portarono seri attacchi agli avanzi dei possedimenti cristiani in Siria. In via generale può constatarsi come ogni qual volta nell'Italia meridionale dominava una salda forza, i posti avanzati dell’ Oriente sulla costa della Palestina erano tranquilli. Così avvenne dopo la crociata dell imperatore Federico II e così pure nell’ottavo decennio del XIII secolo. Tanto più violenti invece si rinnovarono gli assalti dellTslam, quando gli ultimi Staufen si trovarono in lotta con il papato e durante la guerra per la Sicilia. Come Federico II, anche Carlo d’Angiò aveva acquisito la corona del regno di Gerusalemme; dopo la sua morte, il re Enrico II di Cipro espulse senza grande fatica il presidio angioino da Acri1. Con esso andò perduta una sicura difesa contro gli assalti del sultano Kelavun, al quale il nuovo Signore non aveva forze sufficienti per resistere con successo. Sarebbe stato dovere delle città marittime italiane di provvedere alla difesa di piazze alle quali esse erano debitrici della floridezza del loro commercio; ma nello spirito calcolatore tipico dei mercanti, nulla era tanto lontano da loro quanto la gratitudine. L’antico zelo per l’ideale delle crociate era svanito2. L’impiego di mezzi rilevanti per il mantenimento dei porti di scalo sulla costa siriaca non era remunerativo. Per poter continuare a esercitare la lucrosa importazione in Egitto di schiavi, ferro e legname3 e ottenervi i prodotti dell’Oriente, meglio valeva evitare l’ini- 1 Marin Sanudo, liber, 229; Gest. des Chip., 219 e sgg. 2 Cfr. sopra, vol. I, p. 229 e sgg. 3 Cfr. Heyd, II, p. 24 e sgg. - 119 - Libro IV - Cap. nono micizia del Sultano, che naturalmente lasciava fare ai suoi amici di Alessandria. Queste circostanze spiegano l’indifferenza esistente a Genova e altrove per le sorti dei Luoghi Santi, indifferenza che si dimostrò in particolare nella politica seguita dal Comune quando esso, dopo un fallito tentativo di appropriarsi di Tripoli, cagionò la rovina dell’ultimo baluardo della cristianità in Siria, cioè di Acri. Boemondo VI di Tripoli aveva un tempo prestato aiuto ai Veneziani contro i Genovesi4; costoro non glielo perdonarono anche perchè non ebbero mai la terza parte di Tripoli, da essi pretesa in virtù di antichi trattati5. Sotto il suo omonimo figlio e successore agitazioni interne sconvolsero la contea6. In qualche relazione a ciò può mettersi l’ambasciata presso di lui di Tomaso Spinola nel 1287 1. Poco dopo Boemondo VII, l’ultimo principe di Antiochia e conte di Tripoli, morì senza lasciare discendenza 8. L’eredità toccò a sua sorella Luciana, che, maritata a Narjaud de Touchy, ammiraglio del regno di Napoli9, non si trovava a quell’epoca in sede. I vassalli, non potendosi accordare con la madre del defunto principe sulla costituzione d’una reggenza, decisero, d’accordo con i cittadini di Tripoli, di formare un Comune, designato unione in onore della Vergine Maria10. La scopo doveva essere di reciproco aiuto contro chiunque, salvi i diritti della erede"; sul principio tuttavia il nuovo Comune governò il paese in maniera autonoma sotto propri ca- 4 Cfr. sopra, vol. I, p. 45 e sgg. 5 Ne è fatta menzione in App. 2, nr. 91. Non risulta chiaro quando abbia avuto luogo la presa. Secondo Annali, 48 e sgg. [I, 123-124], il trattato concluso nel 1109, all’epoca della conquista (L.J., I, 18), non fu rispettato già da allora e nel 1186 il papa Urbano III esortò il conte di Tripoli a consegnare il terzo: L.J., I, 338. 6 Cfr. sopra, p. 84. 7 Cfr. sopra, p. 86. 8 Gest. des Chip., 231; Marin Sanudo, Liber, 229. 9 Gest. des Chip., 1. c.; Amadi, 218; cfr. Minieri Riccio, Cenni storici, p. 27 e sgg.; Cadier, Essai sur l'administration de Sicile, p. 178. 10 Gest. des Chip., 231, comune (Amadi, 218, communita, Flor. Bustr., Chronique, 117, congiura). In Marin Sanudo, Liber, 229, i fatti sono descritti in modo assolutamente incompleto e manifestamente inesatto; cfr. la relazione comunicata da Rohricht, Ber Untergang des Kônig. ]er., p. 57 e sgg. 11 Gest. des Chip., 232. La notizia contraria data da Amadi, 1. c., è certo erronea. - 120 - Benedetto Zaccaria e la caduta di Tripoli pi . Sembra che Bartolomeo di Gibelletto fosse stato alla testa del movimento ; da lui venne certamente l’idea, facilmente spiegabile con le antiche relazioni della sua famiglia con Genova, di dirigere ad essa una richiesta di appoggio. Magister Pietro da Bergamo, che doveva recare 1 ambasciata, fu incaricato di offrire in contropartita il terzo di Tripoli preteso da Genova H. Il governo genovese non rifiutò la proposta. Di fatto, solo due galere furono allestite per il viaggio a Tripoli ’5, ma al- 1 uomo che ne ebbe il comando questa piccola forza fu sufficiente per consentirgli di intavolare combinazioni politiche improntate a larghezza di vedute. Benedetto Zaccaria è una delle più splendide figure di un tempo nel quale non mancavano spiccate personalità. Egli non viveva, come tanti altri suoi concittadini, soltanto nel ristretto ambito delle agitazioni di partito della sua città. Il mare era la sua patria; egli aveva percorso tutte le coste del Mediterraneo alla testa di galere da guerra, ora al servizio di Genova, ora al soldo di principi stranieri, talvolta anche per proprio conto. Nella sua vita vi è qualcosa di avventuroso, la sua instancabile energia quasi mai era degenerata in incostante irrequietezza; non era un rozzo uomo di guerra che si fosse segnalato soltanto per valore personale. Come egli sapeva comandare flotte, con altrettanta competenza era in grado, in forma concisa ma chiara, di ragionare dei metodi di guerra marittima. Nella memoria sull’assalto all’Inghilterra, che stese più tardi per il re Filippo IV di Francia16, non mancava nè il calcolo delle spese, nè facevano difetto dati precisi sui risultati, che in base ai mezzi da impiegarsi erano prevedibili. Egli non chiedeva al re sforzi impossibili, nè gli faceva balenare dinanzi agli occhi la speranza di successi meravigliosi, ma calmo e riflessivo gli chiedeva soltanto di fare quanto necessario per arrivare al risultato senza eccessiva fatica, di modo che non può essere 12 Gest. des Chip., 231: et ordenerent chevetaines et prevost, et se qu’il lor sembla a faire, et se maitindrent par yaus. 13 Annali, 322 [V, 89]; egli è indicato come capitaneus de Tripoli', doveva dunque essere uno dei capitani citati in Gest. des Chip., 231; cfr. la nota precedente. Anche le relazioni arabe (Reinaud, 961; De Sacy, Pièces diplomatiques, p. 47; cfr. Heyd, I, p. 356) lo mettono in prima linea. 14 Annali, 1. c.; cfr. Gest. des Chip., 231. 15 Annali, 1. c. 16 V. Boutaric, Not. et extraits, p. 112 e sgg. - 121 - Libro IV - Cap. nono considerato un fantasioso progettista. Nello Zaccaria si poteva ravvisare un precursore dei futuri condottieri; ma ancorché egli all’occasione avesse messo a disposizione di Francia e di Castiglia i suoi servigi17, non perciò trascurò di snudare la spada a prò della potenza e grandezza di Genova1S. Benedetto era assai bene informato sulla situazione in Oriente; egli era compartecipe delle ricche miniere di allume di Manuel Zaccaria in Focea19; con l’imperatore greco era nei più intimi rapporti20. Tutte queste circostanze, e specialmente le eminenti qualità personali dell’uomo, spiegano perchè, in occasione della spedizione in Siria, da lui intrapresa il 10 giugno 1288, gli vennero conferite facoltà illimitate. In qualsiasi argomento al di là del mare, ove il Comune fosse stato interessato, egli poteva agire a seconda dei suoi criteri21. Ben presto si vide quanto necessaria fosse tale indipendenza. Quando lo Zaccaria, con le due galere, arrivò nei pressi di Clarenza, ebbe sicura notizia che Luciana, partita dalla Puglia, aveva incominciato la traversata22. Si dava già per scontato che le pretese di Genova non avrebbero avuto seguito qualora Tripoli fosse tornata in potestà dell’erede di Boemondo. Oltre a cinque galere, Luciana portava seco anche lettere di raccomandazione del papa per i Gran Maestri dei tre ordini cavallereschi, con le quali essi erano pregati di porgerle assistenza; Niccolò IV ordinava ai baroni ed alle comunità di Tripoli e territorio di renderle la dovuta obbe- 17 Annali, 336 [V, 128]; cfr. Cron. del rey Sancho, cap. 9. 18 Sulla sua partecipazione alla guerra contro Pisa, cfr. sopra, p. 40 e sgg. 19 Hopf, Cron. Gréco-Rom., p. 146; cfr. sopra, vol. I, p. 393. Riguardo all’attivo commercio con Phocàa (Focea), cfr. Annali, 316 e sgg. [V, 75]. 20 Riguardo all’ambasciata ch’egli eseguì per questo presso Pietro d’Aragona, cfr. sopra, p. 54. 21 Annali, 322 [V, 89-90]; secondo L.]., II, 275, risulta che egli avesse il titolo di vicarius-, ibid., 193, più esattamente vicarius comunis Janue citra mare. Rispetto a Genova, la Siria e l’Armenia giacciono al di là del mare, per cui lo Zaccaria fu mandato ultra mare: Annali, 1. c. [V, 90]; arrivatovi, egli si qualifica naturalmente come vicario citra mare, poiché rispetto all’Armenia Genova rimane ultra mare e la designazione di vicario ultra mare sarebbe stata senza senso. La lezione dei codici del L.J. (Desimoni, I conti dell’ambasciata, p. 554, nota) non può dunque (come vuole anche Heyd, II, p. 84, n. 7) essere cambiata; cfr. Desimoni, Actes passés, p. 524, dove è menzionato il podestà (genovese) in partibus cismarinis-, inoltre App. 2, nr. 22; cfr. sopra, vol. I, p. 291, n. 2. 22 Annali, 322 [V, 90], - 122 - Benedetto Zaccaria e la caduta di Tripoli dienza . Lo Zaccaria tenne debito conto di tutto ciò, decidendo, se del caso, di mettersi contro gli oppositori con la forza; si affrettò dunque verso Focea, ove fece al più presto armare la sua galera Divitia, mentre due galere mercantili genovesi che venivano dal Mar Nero si unirono a lui; con ciò egli aveva formato una squadra sufficientemente forte, con la quale, dopo una rapida navigazione, comparve dinanzi a Tripoli al tempo opportuno2A. Luciana era arrivata in Acri, ove trovò, specialmente presso i Gio-vanniti, validi aiuti25. Infine i Gran Maestri dei tre ordini, il comandante dei mercenari francesi ed il bajulo veneziano partirono con quattro galere per Tripoli, per farsi mediatori d’un amichevole componimento fra Luciana ed i suoi sudditi26. Cavalieri e cittadini si dichiararono pronti a riconoscere i diritti della loro sovrana ereditaria se questa confermava il Comune, perchè non volevano essere più esposti a maltrattamenti come sotto i precedenti principi, a prevenire i quali avevano appunto concluso 1 unione27. Un prossimo accomodamento, basato su queste condizioni, era imminente quando arrivò la squadra genovese. Lo Zaccaria, visto l’accampamento presso la città, fece mettere le sue galere in assetto di guerra ed entrò nel porto di Tripoli, salutato festosamente dagli abitanti. D’accordo con essi, il giorno appresso intimò a Luciana ed ai suoi difensori di allontanarsi28. Le loro forze non erano sufficienti per far fronte alla violenta occupazione della città e quindi dovettero adattarsi a far ritorno ad Acri Lo Zaccaria strinse allora una lega con il Comune di Tripoli, il cui contenuto non è noto nei dettagli; abbiamo però delle pezze d’appoggio dalle quali si può desumere che tale lega era essenzialmente differente da quante altre i Genovesi avevano stretto con potentati di Stati crociati. Dai Signori locali essi erano usi farsi concedere franchigia di dazio, quartiere 23 Reg. Nie. IV, p. 943 e sgg. (Potthast, nr. 22651), 12 aprile 1288. 24 Annali, 1. c. 25 Secondo Gest. des Chip., 232, i Giovanniti avrebbero condotto Luciana nel castello di Nefin, mentre sarebbero avvenuti parecchi combattimenti contro i Tripolitani. 26 Annali, 1. c.; Gest. des Chip., 232 e sgg. 27 Gest. des Chip., 1. c. 28 Annidi, 1. c. Quanto al tempo, si deve forse ammettere l’agosto 1288. V. oltre, nota 37. 29 Annali, 1. c. [V, 91]; Gest. des Chip., 233. - 123 - Libro IV - Cap. nono proprio e giurisdizione indipendente. Su queste basi si dovevano essere aggirate le offerte che Bartolomeo di Gibelletto, per mezzo di Pietro da Bergamo, aveva fatto pervenire a Genova30. Il trattato concluso dallo Zaccaria non corrispondeva nè punto nè poco a tali primitive proposte31 e, data la situazione, è inconcepibile che le concessioni fatte a Genova potessero essere inferiori a quelle antecedentemente previste32. Gli aiuti di cui i Tripolitani avevano bisogno erano necessari molto di più contro i Saraceni che contro Luciana e solamente concessioni di maggiore importanza avrebbero potuto indurre Genova a non indietreggiare di fronte alle spese necessarie a una guerra per la difesa di Tripoli. Si consideri che anche il Sultano d’Egitto aveva concesso insediamenti commerciali. A questo punto viene riferito come fosse stato inviato alla città di Tripoli Caccianemico della Volta, il quale, in conformità al trattato, doveva assumervi la carica di podestà per il Comune di Genova33. Ove si ammetta che Caccianemico non doveva essere podestà di quel solo quartiere, ma bensì di tutta la città, o, rispettivamente, di tutta la popolazione del Comune si comprende come lo Zaccaria aveva concluso a condizioni che 30 Annali, 1. c. [V, 89]: offerens tertiam partem Tripolis quam ab antiquo ibidem comune habebat-, cfr. sopra, p. 121. 31 Ibid/. Benedictus conventionem firmavit cum dicto d. Bartholomeo de Gibel-leto et cum hominibus dicti loci (cioè Tripoli) qui quidem quantum ad tempus quod tunc currebat parvi erat valoris nec ambaxate misse in Janua... in aliquo concordabat. II senso di questo passo può essere soltanto: la convenzione avrebbe potuto recare vantaggi a Genova se Tripoli non fosse stata minacciata dai Saraceni; cfr. Heyd, I, p. 356. Le parole degli Annali non dicono che la convenzione fosse stata meno favorevole per Genova di quella offerta originariamente, come ritiene Ròh-richt, Der Untergang des Kònig. Jer., p. 9. 32 In Gest. des Chip., 233, è detto che i Tripolitani riconobbero le pretese dei Genovesi ai quali accordarono subito un quartiere. Se questo però fosse stato l'unico contenuto della convenzione, essa avrebbe in qualche modo corrisposto alle primitive offerte e allora la forma in cui si esprimono gli Annali diverrebbe inesplicabile; dovevano essere state concessioni di altro genere a indurre lo Zaccaria a rinunciare a far valere i diritti del Comune in tutta la loro ampiezza. 33 Annali, 326 [V, 100]: Ipso tamen tempore (cioè 1289) fuerant amate prò comuni Janue in Janua galee }... ut portarent nobilem virum Cacenimicum de Volta ad civitatem Tripolitanam Sirie ubi ex forma conventionis potestas pro commi Janue esse debebat. 34 II tenore del passo degli Annali, 1. c., si presta a questa interpretazione - cfr. Annali, 273 [IV, 149] -: Nicolaus Aurie qui potestate (!) Januensium in ultra-marinis partibus mittebatur; d’altra parte, per la designazione dei podestà dei Pisani - 124 - Benedetto Zaccaria e la caduta di Tripoli —rdavano con quelle tradizionali. Essendosi i cittadini di Tripoli 'c iarati pronti ad affidare l’amministrazione della città ad un podestà inse ato a Genova, costoro sarebbero entrati nelle stesse condizioni di dipen enza verso di essa, come alcuni anni dopo doveva avvenire per Sassari . Per una località che in certo qual modo apparteneva al proprio territorio, Genova doveva quindi darsi premura molto maggiore a proteggerlo, in confronto di un altro nel quale possedeva soltanto dei fondaci. In ogni modo lo Zaccaria, per raggiungere lo scopo cui mirava, inteneva impegnare la madre patria ad impiegare energicamente le sue forze per difendere la Siria cristiana. Egli riteneva così di renderle un servigio non minore di quello che rendeva all’Occidente in generale. Il possesso esclusivo di Tripoli, a mezzo delle flotte che vi stanziavano, metteva i Genovesi in grado di dominare il bacino sud-orientale del Mediterraneo; essi avrebbero potuto fermare le navi dirette ad Alessandria, interrompere a loro piacere il commercio con l’Egitto e avviarlo verso Tripoli. La lotta contro i Saraceni e la ripresa delle città costiere di Siria strettamente collegate con Genova sarebbero andate di pari passo*. Il successivo contengo dello Zaccaria dimostra come egli veramente volesse aprire una nuova fase nella politica genovese in Oriente. Se Genova era pronta sul serio ad intraprendere la guerra con il Sultano, poteva attendersi amicizia e favori commerciali da quegli stati cristiani che più da vicino erano minacciati dal comune nemico. Lo Zaccaria non tardò a e dei Genovesi di Sassari, Bonaini, Stat. Pisa, I, 332, n. 1; Annali, 302 [V, 39] e ola, Cod. dip. Sard., I, 522. Cacenimicus non era stato destinato podestà dei enovesi a Tripoli, ma podestà genovese di tutta la città di Tripoli; forse egli su-entrò al prevost citato da Gest. des Chip., 231 (cfr. sopra, n. 12). 35 V. il trattato in L.J., II, 308 e sgg. 36 Così sono da intendere i motivi che due individui dovevano avere esposto al Sultano per spingerlo all’attacco di Tripoli: Gest. des Chip., 234. Non è detto c i fossero questi traditori della cristianità — se Veneziani o Pisani —. Non vi è nessuna ragione per mettere in dubbio l’intera relazione, ma ad ogni modo l’importanza che Tripoli avrebbe potuto avere in mano dei Genovesi era riconosciuta dai contemporanei. Alessandria era diventata la piazza del commercio delle merci d’Orien-te in luogo di quelle costiere della Siria; risollevarle tutte, od almeno alcune, sarebbe stato possibile solo se il commercio con Alessandria fosse stato interrotto “n la forza. In particolare è notevole l’opinione che i Genovesi sarebbero dovuti accorrere da tutte le parti a Tripoli in modo da potervi armare un numero doppio 1 navi. Ciò prova quanto la floridezza del commercio fosse considerata in stretto rapporto con 1 aumento della potenza politica. - 125 - Libro IV - Cap. nono trarre questa conseguenza. Appena messe in ordine le cose a Tripoli, andò subito a Cipro e concluse un’alleanza offensiva e difensiva col re Enrico contro chiunque37. Dopo di che si recò in Armenia. Il re del paese, a sua richiesta, rilasciò, il 23 dicembre 1288, un privilegio che regolava il commercio dei Genovesi in Armenia, in cui particolarmente favorevole risultava la diminuzione del dazio sulla carovaniera che conduceva all’interno della terraferma38. Mentre lo Zaccaria si occupava del completamento di un sistema di alleanze, che doveva garantire ai suoi concittadini la posizione raggiunta a Tripoli e metterli in grado di trame i maggior possibili vantaggi per il loro commercio, la base sulla quale egli aveva eretto il suo edificio minacciava di sfasciarsi. Bartolomeo di Gibelletto aveva intavolato trattative con Luciana. Egli intendeva riconoscerne i diritti ove essa, oltre a vantaggi personali per lui, avesse accordato diverse franchigie ai cavalieri e ai cittadini di Tripoli, mentre i Genovesi avrebbero conservato il quartiere ad essi assegnato; il rimanente della convenzione stipulata con essi sarebbe rimasto senza effetto39. Lo Zaccaria ebbe notizia di queste manovre mentre era in viaggio di ritorno a Tripoli. Qui giunto, trovò una situazione poco favorevole e con rapida decisione, mutata opinione, egli stesso cercò un accomodamento con Luciana. Da Tiro, in forma altezzosa, le chiese un colloquio: se essa non si fosse piegata al suo volere, avrebbe fatto venire da Genova cinquanta galere, e con ciò avrebbe messo 37 Ciò può essere tratto dagli Annali, 322 [V, 91]: in dicta conventione exceptati non erant reges et principes cum quibus conventiones antea habebamus, et... erat (sc. conventio) cum magnis expensis et detrimento comunis Janue. Si deve pensare che nella convenzione lo Zaccaria forse avesse promesso, in nome di Genova, di prestare aiuto al re ed al suo regno se fossero stati assaliti. Siccome non venne fatta alcuna riserva, se il Sultano avesse assalito Acri, Genova avrebbe dovuto mandare una flotta in aiuto. Che il re avesse veramente il diritto, in virtù della convenzione, di avanzare delle pretese verso Genova è provato dal fatto che più tardi egli vi rinunziò: L.J., II, 275. Non è chiaro se pure in virtù di essa fossero stati accordati ai Genovesi nuovi privilegi commerciali per Cipro; quelli del 1232 (L.J., I, 899), erano già molto ampi. La data della convenzione è il 21 settembre 1288 per cui si deve ammettere che gli avvenimenti di Tripoli fossero avvenuti all’incirca in agosto. 38 Per il testo latino del privilegio, v. L.J., II, 183; per quello armeno Ree. des hist. d. crois. Docc. arm., I, 753; cfr. Reg. Regni Hieros., nr. 1482 e Heyd, II, p. 84. Il soggiorno dello Zaccaria in Armenia è citato da Gest. des Chip., 233. 39 Ibid., 1. c. - 126 - Benedetto Zaccaria e la caduta di Tripoli ne a e sue pretese. Luciana cedette; accompagnata dai Giovanniti, si presento^ convegno e dopo lunghi negoziati40 concluse un’alleanza col Genovese . suo ingresso a Tripoli fu interposto appena qualche ostacolo42. uttavia Luciana non potè rallegrarsi a lungo dell’eredità faticosamente rag-Diunta, perchè già le numerose schiere del Sultano d’Egitto avanzavano per strappale per sempre Tripoli ai Cristiani e il 17 marzo cominciò l’assedio43. Kelavun potero forse pensare che fosse giunto il momento buono per assa ire a città indebolita dalle discordie44; però viene anche riferito che a parte ei nemici di Genova fosse stato messo sull’avviso45 sull’importanza che la città avrebbe potuto acquistare nelle mani dei Genovesi. In vista el comune pericolo, i Cristiani, malgrado le precedenti lotte, si mostrarono relativamente concordi. Gli ordini cavallereschi intervennero; il 203 ru ^ 6 SSS' <-'ome ^uo8° delle trattative vi è nominata Tiro; in Annali, L V, 93J, castrum Nephini. Annali, I. c.; quanto al tempo è forse da accettare il febbraio 1289, quanto a contenuto della lega, nemmeno in Gest. des Chip., troviamo maggiori dettagli, a posizione non era tale da costringere lo Zaccaria a grandi concessioni. Si può quin i anc e accettare eh egli avesse ottenuto da Luciana una conferma della promessa c e i Tripolitani gli avevano fatto in precedenza. Il podestà genovese di Tri-poi ne giugno 1289 - Annali, 326 [V, 100] - non era ancora partito da Genova, a momento che era già giunta la notizia della caduta della città, la convenzione ra o accaria e Luciana doveva essere stata conosciuta anteriormente. E’ lecito supporre che solo mediante la convenzione con Luciana, la podesteria di Tripoli osse stata trasferita ai Genovesi. Contro però si esprime il tenore del passo degli nnc\i, , c.. ad civitatem Tripolitanam Sirie ubi ex forma conventionis potestas... esse ? e at. In Annali, 322 [V, 91], l’accordo dei Tripolitani con lo Zaccaria è designato con la voce conventio, mentre la convenzione con Luciana - Annali, 323 [V, '3J - e chiamata invece fedus et pactiones. Gest. des Chip., 234, e Marin Sanudo, Liber, 229, nulla dicono dell’ingerenza dello Zaccaria; con quod et factum est vengono trascurati tutti i fatti avvenuti ra la conclusione della lega a Tripoli e la definitiva presa di possesso della città a parte di Luciana. Il seguente, illa vero Bertrandum de Gibeleth statuit loco sui, onec eius maritus advenerit, può riferirsi soltanto ad ordini che Luciana aveva ato dopo 1 accomodamento con lo Zaccaria. Invece di Bertrando devesi leggere Bar-toomeo, poiché questi appare sino alla fine come maire et chevetaine-, Gest. des Chip., 237. 43 Ibid., 236; Marin Sanudo, Liber, 229. 44 Annali, 323 [V, 94], Gest. des Chip., 234; cfr. sopra, n. 36. Si può supporre che il privilegio e ultano per Venezia, del novembre 1288 (Reg. Regni Hieros., nr. 1481), stia in relazione con ciò. - 127 - Libro IV - Cap. nono re di Cipro mandò soccorsi; quattro galere genovesi e due veneziane si recarono sul posto e ne comparvero pure di pisane. In realtà costoro nutrivano sentimenti ostili verso i Genovesi e gli abitanti di Tripoli, cosicché vennero quasi ad aperta lotta, mentre pure i Giovanniti portavano ancora rancore per la guerra avvenuta poco tempo prima40. Tutto ciò però era ben meno pericoloso che non i tiri d’arco e delle macchine d’assedio dei Saraceni; aperta che fosse stata una breccia, la città non avrebbe più potuto resistere. I Veneziani disperarono sin dall’inizio della possibilità di continuare nella battaglia e si ritirarono sulle proprie galere; anche lo Zaccaria, temendo probabilmente che essi potessero condurre con loro anche i suoi, andò a bordo con i Genovesi. Secondo relazioni degne di fede, tutto questo accadde prima che la lotta fosse entrata nel vivo47; tanta minor resistenza trovarono quindi i Saraceni, quando il 26 aprile scalarono le mura. Qualunque potesse essere stata la forma con la quale lo Zaccaria intendeva fondare il potere dei Genovesi a Tripoli, è certo che con la caduta della città tutte le speranze riposte nelle convenzioni con gli abitanti e con Luciana dovevano cadere. Il Comune non aveva fatto a tempo a mandare una flotta e l’attacco arrivò troppo di sorpresa; però il contegno dei mercanti residenti a Caffa dimostra come l’importanza della politica iniziata dallo Zaccaria non fosse disconosciuta dai suoi compatrioti. Sotto la direzione del console genovese, Poiino Doria, essi armarono tre galere per soccorrere la città assediata. Ma la squadra partì troppo tardi; giunta nei pressi di Cipro, ricevette la notizia della caduta di Tripoli; s’incontrò poi in Armenia con lo Zaccaria che vi si era recato dopo aver portato al sicuro a Cipro quelli di Tripoli che erano riusciti a salvarsi. Risulta che il re Antonio di Armenia avesse allora confermato e ampliato ai Genovesi i privilegi che avevano ottenuto da suo padre, morto nel frattempo48. Insieme con le galere di Poiino Doria, lo Zaccaria s’incamminò quindi verso la patria. Il viaggio si svolse lungo la costa meridionale dell’Asia Minore. Nei pressi di Candelor fu incontrata una nave saracena proveniente da Alessandria. Quantunque il Comune di Genova fosse in 46 Gest. des Chip., 235 e sgg.; cfr. Annali, 323 e sgg. [V, 941. 47 Gest. des Chip., 236 e sgg.; da Annali, 324 [V, 94], non risulta in quale momento lo Zaccaria si fosse allontanato dall’assedio; quanto alle altre notizie, cfr. la sintesi di Rôhricht, Der Untergang des Kònig. Jer., p. 9 e sgg. 48 Annali, 1. c.; cfr. Heyd, II, pp. 84, 164. - 128 - Benedetto Zaccaria e la caduta di Tripoli pace con il Sultano d’Egitto, lo Zaccaria, senza alcun riguardo a questa circostanza, Tassali. La nave fu presa con grande spargimento di sangue; i superstiti dell’equipaggio e le mercanzie furono tratti a Genova dai vincitori 49. Il reduce non fu ricevuto nella maniera più cordiale. Manifestamente la prima convenzione che lo Zaccaria aveva stipulato con i Tripolitani non era risultata gradita50. Certamente poteva avervi contribuito la circostanza che il papa aveva domandato conto delle ostilità contro Luciana; il Comune fu costretto a dare ai suoi ambasciatori presso la Curia le opportune istruzioni sui motivi da addurre a scusa del suo contegno51. Quanto alla convenzione che lo Zaccaria fece poi con il re di Cipro, Genova ne rimase molto scontenta n, tanto che, successivamente, essa fu formalmente abolita53. Fu un brutto modo di agire, che il re Enrico mai perdonò ai Genovesi M, e che portò alla definitiva perdita di Tripoli. Quello che lo Zaccaria vi aveva acquistato, lo si voleva mantenere, come è provato dall’armamento di tre galere, che dovevano accompagnarvi il podestà55; il governo riconobbe pure in seguito che mantenere Tripoli era nell’interesse del Comune, poiché così si sarebbero anche ripagate le spese dell’armamento delle tre galere allestite dai mercanti di Caffa56. Se tuttavia a Genova prevalse 49 Annali, 1. c. [V, 95]; cfr. a questo riguardo la cronaca di Kelaùn, in Amari, Nuovi ricordi arabici, p. 607, da cui in ogni caso si può dedurre che appunto lo Zaccaria fu il condottiero dell’azione; il che non risulta con chiarezza dagli Annali. 50 Vi accennano le espressioni degli Annali, 322 [V, 91]; cfr. sopra, n. 31. 51 Gli ambasciatori mandati alla Curia per l’affare dei Fieschi (cfr. sopra, p. 106), trattarono questo argomento; App. 2, nr. 91: Item addatur in litteris quod super eo, quod ipsi ambassatores miserunt de factis Tripolitanis seu de requisitionibus, que sunt in curia pro d. Nario, detulerunt secum ipsi ambassatores satis sufficientes excusationes et rationes pro comuni Janue et hominibus Tripolis quas ei dedit Jacobus Aurie. Sono aggiunti altri motivi, in base ai quali gli ambasciatori dovevano sostenere il diritto di Genova alla terza parte di Tripoli; infine era accennato alla costante inimicizia di Genova verso i principi di Tripoli. 52 Annali, 1. c. 53 L.J., II, 275, 17 maggio 1292. 54 Annali, 1. c.: et ex hoc dictus rex postea Januenses male tenuit et minus honoravit. Ciò che è scritto per il 1294 può stare benissimo anche per date posteriori; cfr. anche Gest. des Chip., 218. 55 Annali, 326 [V, 100]; cfr. sopra, n. 33. 56 Annali, 324 [V, 95]. - 129 — 9 Libro IV - Cap. nono l’idea che lo Zaccaria non avesse fatto buon uso dei poteri che gli erano stati conferiti e le misure da lui prese finirono per causare solo spese e rancori 51, tutto ciò dimostra che non si desiderava di mettersi in una guerra con il Sultano. Già la lega con Cipro poteva portare a questa conseguenza; con la caduta di Tripoli svaniva la previsione di un sufficiente compenso ai danni che sarebbero derivati ai Genovesi dall’esclusione dal commercio con Alessandria. Grandi spese ed una molesta turbativa degli affari si paventavano nell’ipotesi che si fosse mandata una flotta alla difesa di Acri M. E’ facile quindi comprendere perchè la cattura della nave saracena per mano dello Zaccaria avesse sollevato la generale indignazione59. L’aperta rottura della pace col Sultano era in quel momento tanto più pericolosa se si considera il gran numero di Genovesi stabiliti in Egitto. Kelavun li fece tutti imprigionare appena ebbe notizia del fatto Il Comune gli mandò immediatamente Alberto Spinola a restituire i prigionieri saraceni e le merci sequestrate e a chiedere la liberazione dei Genovesi61. Fra i motivi di scusa con i quali l’inviato placò la collera del Sultano, vi era la notizia che lo Zaccaria era stato bandito da Genova62, nè si poteva dubitare della verità di questa asserzione. Le vedute seguite dallo Zaccaria, non furono mai approvate dal governo genovese; invece di aprire strenua guerra contro i Saraceni, come egli pensava, il governo procurava di ristabilire la pace con essi. Kelavun si dimostrò subito pronto a corrispondere alle richieste fat- 57 Annali, 322 [V, 91]. 58 Così è da intendere il motivo dato da Annali, 322 [V, 91] - cfr. sopra, n. 37 - riguardo alla non avvenuta ratifica della convenzione con Cipro. 59 Annali, 324 [V, 95]: de quo homines Janue unanimiter doluerunt. 60 V. Annali, 1. c. Secondo la relazione in Amari, Nuovi ricordi arabici, p. 607, i Genovesi che si trovavano allora in Alessandria erano fuggiti a tempo. 61 Annali, 1. c. [V, 96], 62 Amari, Nuovi ricordi arabici, p. 607. Qui è pure fatta parola di un’altra rottura di pace cagionata da Berlingieri Bunsâl (Pelegrino Panzano) con un attacco su Tineh. Lo Zaccaria e Panzano stavano sullo stesso piano; nessuno dei due, come disobbediente al governo, osò più comparire a Genova. Panzano aveva pure depredato dei Veneziani: v. App. 2, nr. 75 A, ove ciò è riferito con le seguenti parole: Anni sunt 14, quod non fuerit in Janua nec se distringebat sub consulibus Janue, sed erat homo cursalis vagabundus, et quod fuerat forestatus... iam sunt anni quam plures. Siccome il dato della fonte araba riguardo al Panzano è esatta, così non si può porre in dubbio il bando dello Zaccaria. - 130 - Benedetto Zaccaria e la caduta di Tripoli tegli. Le tasse sulle merci portate dai Genovesi nel suo Stato gli fornivano mezzi peculiari, ai quali, per i suoi piani di conquista di Acri, non poteva rinunziare63. Il 13 maggio 1290 Alberto Spinola concluse con il Sultano una convenzione64 fra le cui condizioni era quella che i Genovesi da allora in poi avrebbero potuto commerciare con l’Egitto. Tali condizioni erano valide anche per i paesi che il Sultano potesse in seguito conquistare 65. Era anche espressamente stabilito che il commercio marittimo non dovesse soffrire interruzione alcuna se egli fosse sceso in campo aperto contro la Siria66. Con ciò Genova abbandonava alla rovina gli ultimi possedimenti cristiani in Siria. 63 Amari, Nuovi ricordi arabici, p. 608. 64 L.J., II, 243 e sgg.; Amari, Nuovi ricordi arabici, p. 608 e sgg.; cfr. Reg. Regni Hieros., nr. 1503; Heyd, I, p. 416 e sgg. 65 L.J., II, 243: in omnibus terris d. Soldani, quas habet nec de cetero acquisierit. Tale assurdo nec ricorre spesso nel testo latino di questa formula e che esso sia erroneo lo dimostra il passo parallelo in L.J., II, 248; Amari, Nuovi ricordi ara- bici, p. 610. In suo luogo si deve legere ac oppure vel, così come la formula suona anche altrove: L.J., I, 1408; cfr. sopra, vol. I, p. 153, n. 31. « L.J., II, 244. — 131 — Libro quinto La guerra con Venezia ed il secondo doppio capitanato Capitolo primo Il nuovo scoppio della guerra con Pisa Guerra contro Guglielmo di Monferrato. - Trasmissione del governo di Pisa al conte Guido di Montefeltro. - Sua politica verso Genova per il mantenimento della pace. - Spedizione di Luchetto Doria in Corsica. - Preparativi per la guerra contro Pisa. - Accomodamento con Lucca. - Conquista dell’Elba. - Occupazione di Portopisano. - Sconfitta di Nicola Boccanegra in Corsica. - Perdita dell’Elba. Se i Capitani in Genova conclusero la pace con il Sultano anziché prender parte alla difesa di Acri, essi agirono in conformità ai desideri della parte preponderante della cittadinanza. Lo Zaccaria trovò presto occasione, al servizio del re Sancho di Castiglia, di soddisfare la sua intensa brama di combattere i Saraceni all’estremità opposta del Mediterraneo '. Anche prescindendo dagli interessi commerciali, la situazione, quale si presentava per Genova, era tale che il suo previdente riserbo di non entrare in complicazioni nel lontano Oriente poteva apparire non ingiustificato. Nel giugno 1289, il marchese di Monferrato ottenne un grande successo; Pavia gli aprì le porte e gli conferì illimitata signoria sulla città e territorio2. Si comprende come il fatto mettesse i suoi avversari in grande apprensione; in settembre essi rinnovarono a Cremona la lega contro di lui3 e, come le altre città interessate, anche Genova promise di tenere sempre pronta alla guerra una schiera di cavalieri4. Due mesi dopo vi si unì pure Asti, fortemente minacciata dal marchese; la lega mandò 1 Cronica del rey Don Sancho, cap. 8 e sgg.; Gest. des Chip., 272 e sgg.; Annali, 336 [V, 128], ibid., 343 e sgg. [V, 146-147]; Otto Morena, De rebus Lauden-sibus, 596. 2 Ann. Parm., 705; Annali, 324 [V, 96]; Guill. Vent., 717. 3 Annali, 324 e sgg. [V, 96 e sgg.]; cfr. sopra, p. 117 e sgg. Secondo Ann. Parm., 1. c., furono accordati aiuti a Manfredino Beccaria ed ai suoi partigiani, banditi da Pavia dal marchese, dalle città di Milano, Cremona, Brescia e Piacenza a cui si sarebbe pure unita Genova. Nel passo in Gioffredo della Chiesa, 925 e sgg., che sembra riferirvisi, Genova non è menzionata. 4 Annali, 325 [V, 97]. — 135 — Libro V - Cap. primo 400 cavalieri in aiuto; Genova mandò 100 balestrieri5. Però, nei combattimenti dell’anno successivo, i confederati non riuscirono inizialmente ad ottenere risultati decisivi6. Genova non era direttamente interessata in tali fatti; essa vi entrò come potenza ausiliaria; un attacco al suo territorio, come si temeva7, non ebbe luogo. Invece molto più da vicino che dai conflitti in Lombardia, Genova fu toccata dal corso degli avvenimenti in Toscana. L’anno entro il quale doveva compiersi la cessione di Cagliari8 stava per finire, senza che i Pisani avessero preso alcuna disposizione per l’adempimento del loro impegno. Il partito ghibellino, che dopo la caduta del conte Ugolino aveva acquistato la signoria della città, aveva agito sconsideratamente; incapace di condurre la guerra contro i Guelfi toscani, dopo una grave sconfitta presso Buiti del dicembre 1288 9, prese una disperata decisione. L’antico capo dei Ghibellini, il conte Guido di Montefeltro, era allora senza occupazione. Vicario dell’infante Enrico al Campidoglio di Roma 10 al tempo di Corradino, ebbe in appresso a difendere valorosamente la causa del suo partito nella Romagna, ma alla fine dovette sottomettersi al papa, dal quale gli venne assegnata Asti quale dimora n. A lui si rivolsero ora i Pisani con la preghiera di voler assumere il governo della loro città con poteri illimitatia. Era un passo azzardato. Se il conte abbandonava Asti, sarebbe scattata la scomunica per lui e per tutti quelli che lo avessero indotto a disobbedire alle prescrizioni del papa 13. Pisa avrebbe ricevuto sopra di sè i castighi spirituali, ma Guido di Montefeltro 5 Annali, 1. c.; Guill. Vent., 717 e sgg. 6 Annali, 331 [V, 114]; Alfieri, 61 e sgg.; Ann. Parm., 707; Guill. Vent., 718; Ann. Veron., 437. 7 V. Annali, 331 [V, 113]; cfr. sopra, libro IV, cap. VIII, n. 80. Quanto ad Ovada ed ai diritti dei marchesi del Bosco sui territori che furono ceduti allora: Annali, 1. c.; L.J., II, 207, 213; cfr. sopra, vol. I, p. 343, n. 44. 8 Cfr. sopra, pp. 92-93. 9 Frag. hist. Pis., 654 e sgg. Un tentativo di mediazione del papa (Reg. Nic. IV, pp. 965 e sgg., 976) rimase in ogni caso senza successo. 10 Ann. Plac., 528. 11 Cfr. Kopp, II, 3, pp. 208 e sgg., 263. 12 Annali, 321 [V, 88]; Frag. hist. Pis., 655. 13 La scomunica venne lanciata anche contro Pisa più tardi: v. Reg. Nie. IV, pp. 384 e sgg., 399, 642, 892, 895, 907; cfr. Villani, VII, 128. - 136 - Il NUOVO scorno DELLA GUE.R. CON P,S» possedeva i mezzi necessari pe, liberarla dagli oppressori temporali Come uomo eh gue ra non aveva pan; inganna* „ nemico ^ J™ adoperava col m.ghor es.ro: con hastuzia riportò vittorie meravigliose tradimento gli aperse le porte dei castelli nemiri » » ^ r vogliose, u htà nel^ rimettere ordine in uno Stato disorganico Io“"mosXnZo ìÌ t:?rGnido di Mo?Ltro :s potesse anche sembrar! splendidi® 3 Zi'S' davanti e doveva muoversi soltanto per stranieri- oer f 8 1 StaVan° j i <. * j ii amen, per rondare una signoria doratura lo stato delle eose non gli era allora favorevole. Forse gl! arri, deva la predone del rumore di lotte e battaglie dopo l’ozio fotzafo degli ulunu anni, ovvero poteva anche sperare di poter rendere un prezioso servizio al partito ghibellino difendendo Pisa contro i Guelfi. Con acuto sguardo di esperto uomo di stato, Guido afferrò la situazione prima ancora di entrare in carica. Pisa non poteva tener testa alle forze di Genova ed a quelle delle città interne della Toscana; tutto stava nel poter tenere gli avversari lontani quanto più era possibile Nel 1285 Pisa si era sottomessa alle richieste dei Guelfi di Toscana per poter spezzare la loro alleanza con Genova; questa politica non doveva ripetersi adesso. Con pronta risolutezza, il conte prese la via diametralmente opposta. Il 13 marzo 1289 egli giunse a Pisa; poco dopo 16 fu convocato il parlamento, dinanzi al quale doveva prestare il giuramento. Allora dichiarò di assumere e dirigere il governo soltanto se i Pisani avessero osservato fedelmente tutte le promesse fatte nella pace con Genova; essi dovevano garantirgli nella forma più efficace l’adempimento di questa sua richiesta 17. I Genovesi ne rimasero non poco sorpresi; essi non si attendevano che Guido di Montefeltro potesse pensare con tanto zelo al loro interesse ,8. Tuttavia il governo genovese mandò, quando era spirato il ter- 14 Cfr. Dante, Inf., XXVII, 73 e sgg.; Annali, 321, linea 51 [V, 88], Frag. hist. Pis., 655: 10000 fiorini annui di stipendio; anche la durata della carica fu fissata allora (ibid., 661) in tre anni. 10 Frag. hist. Pis., 655 e sgg. 17 Annali, 321 e sgg. [V, 88-89], 18 Annali, 322 [V, 89], Non è controllabile se in precedenza Guido avesse avuto trattative con Genova. Nel suo viaggio da Asti a Pisa non aveva toccato Genova come potrebbe apparire da Frag. hist. Pis., 655; da Finale aveva proseguito per via di mare. - 137 - V Libro V - Cap. primo mine entro il quale la consegna di Cagliari avrebbe dovuto effettuarsi19, ambasciatori a Pisa, per comunicarle che le ostilità sarebbero riprese non essendo state adempiute le promesse relative a Cagliari. La dichiarazione era aderente alla lettera della convenzione20; validissima fu quindi la scusa che gli inviati pisani recarono in risposta a Genova, cioè che in quel momento Cagliari non era in potere del Comune 21 ; e pertanto l’inadempienza non poteva essere considerata una colpa. Il conte Guelfo22, dopo la caduta di suo padre, era riuscito a conservare il castello per sè 23. Finché i Pisani avevano tenuto prigioniero il conte Ugolino, essi avevano avuto in mano un certo qual pegno per Cagliari. Ma poco prima che Guido di Montefeltro fosse entrato a Pisa, il conte Ugolino, insieme ai suoi figli e nipoti, era stato messo a morte per fame24. Una fonte pisana molto bene informata25 ci dice che Guido non avrebbe tollerato un simile procedere. Viene da sè la supposizione che i Pisani temessero che la progettata26 consegna di Ugolino a Genova fornisse ai Genovesi un mezzo per costringere Guelfo alla consegna di Cagliari. In seguito gli abitanti del posto bandirono Guelfo, rendendosi del tutto indipendenti27. Se comunque il modo di agire dei Pisani non fu onorevole verso Genova nè umano verso Ugolino, al punto in cui si 15 Annali, 330 [V, 111], terminus unius anni (cfr. L.J., II, 131). Siccome è calcolato a partire dal 15 aprile 1288, l’ambasciata cadde dunque nell’aprile 1289. 20 Annali, 1. c.; v. L.]., II, 162; cfr. sopra, p. 90. 21 Annali, 1. c.: quod castrum Calari non habebant in suo exforcio. 22 Quanto a lui cfr. sopra, p. 88. 23 Annali, 321 e sgg. [V, 88-89], raccontano la morte del conte Ugolino come pure l’arrivo a Pisa di Guido di Montefeltro e, dopo la menzione dei suoi successi sui Toscani, è detto: llli vero de Calaro his auditis procurabant capere dictum comitem Guelfum, filium condam dicti comitis Ugolini, qui dominium illius loci habebat, per cui Guelfo sarebbe fuggito da Cagliari. La fuga dunque doveva essere avvenuta molto prima, forse nell’estate del 1289; anche Ptol. Lue., Ann. Lue., 96, la pone nel 1289. 24 V. Frag. hist. Pis., 655; Annali, 321 [V, 88]; Villani, VII, 128. 25 Frag. hist. Pis., 1. c. 26 Cfr. sopra, p. 98. 27 Annali, 322 [V, 89]; cfr. sopra, n. 23. Il governo autonomo sotto un solo proprio capitano, istituito dagli abitanti di Cagliari, era evidentemente una finzione affinchè in seguito Pisa fosse in grado di sostenere di fronte a Genova di non pota disporre di Cagliari. Infatti doveva premere agli abitanti di Cagliari di non cadere nelle mani dei Genovesi, poiché in tal caso ne sarebbero stati espulsi (cfr. sopra, - 138 - Il NUOVO SCOPPTO DI LI :*, cot, p;si trovavano, non erano in grado di consegnare Cagliari. Ed ora per otte nere una dilazione del termine stabilito per la • ’• • offersero ne. Consiglio Genera, , Geno’vJ Cioè: come pegno che P.sa ogni cas0 avrcbbe ad q * ^ e nel 'rattat0 dl pace; ,G"‘do "«H» garantito la cessione dando in ostaggio il suo proprio figlio, consegnando i castelli dell’Elba Gorgon, e Portopisano con le rispettive torri, con 50 ostaggi e con il A „ •* delle 25000 lire pattuite neUa pace. Nel co che la consegna not fos* stata fatta entro Unno, Genova avrebbe potuto disporre a sna piaci mento delle fortezze, ma restituire gli ostaggi28 Per quanto larghe potessero sembrare le proposte, pure esse non presentavano sicurezza alcuna per la consegna di Cagliari. Evidentemente i Pisani volevano soltanto guadagnar tempo, per poter sostenere con tutte le loro forze la lotta contro la lega guelfa della Toscana. La fiducia che essi mantenessero le promesse riguardanti l’esecuzione delle condizioni del trattato di pace era nei Consiglieri di Genova assai debole. Ciò nondimeno una parte dei Consiglieri votò per l’accettazione delle proposte Non sembrava loro possibile di poter prendere Cagliari e Portopisano con la forza; perciò era miglior consiglio quello di aspettare ad aprire di nuovo la guerra; l’importanza del Comune di Genova sarebbe aumentata considerevolmente, ove avesse potuto impossessarsi della città con la quale da lungo tempo gareggiava. Tali considerazioni non fecero alcuna impressione sulla maggioranza del Consiglio, disposta ad aderire alla proroga del termine per la consegna di Cagliari, se, oltre a quelli offerti, Pisa avesse dato altri 200 ostaggi, da rimanere carcerati a Genova se Cagliari non fosse stata consegnata nel termine fissato29. p. 94); ma la loro dichiarazione di indipendenza significava tutt’altro che una liberazione dal giogo di Pisa. In nessun passo è detto che i Pisani abbiano sottomesso Cagliari un’altra volta. In ogni caso si può pensare che dei Ghibellini Pisani, più tardi battuti da Guelfo in Sardegna - Annali, 322 [V, 89] - abbiano aizzato gli abitanti ad una sollevazione contro di lui per togliergli questa importante piazza e che poi, d’accordo con essi, abbiano istituito un sistema costituzionale che rendeva Cagliari - apparentemente - indipendente da Pisa. 28 Annali, 330 [V, 112]; quanto ai depositi, cfr. sopra, libro IV, cap. VII, n. 46. 29 Annali, 1. c. Come dimostra il confronto con Annali, 344 [V, 147-148], trattasi d’una formale votazione in Consiglio basata sulle proposte avanzate da Simone Grillo e Jacopo Doria (l’annalista). Il numero dei consiglieri che votarono per l’una e l’altra proposta mancano dopo omnibus e homines. — 139 — Libro V - Cap. primo Non era pensabile che i Pisani potessero essere disposti a sottomettersi a così dure condizioni. Ad impedire lo scoppio delle ostilità, Guido di Montefeltro si servì di un mezzo singolarissimo. Quando cioè Genova decise di ricominciare la guerra30, egli emanò a Pisa l’ordine che nessuno dovesse arrestare o molestare i Genovesi. Quelli di loro che si trovavano a Pisa erano da lui trattati con il massimo riguardo, era loro perfino permesso di portare armi, il che per qualunque altro era proibito in città31. In seguito a ciò, malgrado tutti i divieti e tutte le contromisure prese dal Comune, si sviluppò in Genova un attivo commercio con Pisa come pure con Sassari ed Oristano32. E poiché i Pisani sarebbero stati in grado di rifarsi dei danni sofferti nei confronti dei Genovesi stabiliti nel loro territorio, così le ostilità non avrebbero potuto essere riaperte. Tale era l’idea di Guido, che, al sicuro da un attacco per mare, trovò il tempo di rivolgersi contro gli avversari di Pisa dalla parte di terra. Ben presto buona parte dei castelli perduti furono riguadagnati e la guerra prese per i Guelfi di Toscana una cattiva piega B. Frattanto Genova non rimase inerte. Poiché Pisa aveva pagato la somma di denaro fissata come contributo per la sottomissione della Corsica34, senza più indugio fu messa mano all’opera. Luchetto Doria, nomi- 30 Annali, 331 [V, 112]. La data della decisione per la riapertura della guerra si deve porre al più tardi nel luglio 1289, poiché, secondo Annali, 326 e sgg. [V, 100 e sgg.], le tre galere che dovevano portare a Tripoli il podestà genovese (cfr. sopra, p. 124), che furono poi destinate ad incrociare contro corsari pisani e ad impedire ai Genovesi di viaggiare alla volta di Pisa, al principio di agosto avevano già preso parte all’assedio d’un castello in Corsica. 31 Annali, 331 [V, 112]; cfr. ibid., 332 [V, 115 e sgg.]. 32 Annali, 331 [V, 112]: sicque ceperunt jacere Januenses velud populi qui currunt ad granum ubicumque vident illud, non cogitantes quod ibi melius capi possunt. Questo il senso letterale; ma non può trattarsi dell’importazione da Pisa e rispettivamente dalla Sardegna per Genova, perchè ciò si sarebbe potuto impedire molto facilmente. La circostanza che il governo genovese volesse impedire intanto ai Genovesi di recarsi a Pisa - v. Annali, 326 e 331 [V, 100-101, 112] - significa anzi che essi vi portavano grano; l’affare allora doveva essere tanto più remunerativo in quanto a Pisa, in seguito alla guerra con i Toscani, era quasi esclusivamente possibile solo l’importazione dei viveri per via di mare. I mercanti genovesi trafficavano pure con Sassari ed Oristano, appunto per provvedere Pisa di grano da quei porti. 33 Annali, 322 [V, 89]; Frag. hist. Pis., 656 e sgg. 34 Annali, 325 [V, 98]; cfr. sopra, libro IV, cap. VII, n. 46. - 140 — lL NU0V0 SC0PPI° «ella guerra con pISA nato vicario generale del Comune ner I’i^i„35 1289 con 175 cavalieri e 700 fanti alla cost ’ ^ 16 maggio presso Propriano 36. Il primo attaccò ^ JS* tico avversario, Giudice di Cinercha Dono 1’ • ^ possessi an‘ dalla Sardegna, Peserei,» si mise i„ ^ J “V° 4 23 alcuna resistenza, fuggendo, accompagnato da n°n.°S° °PPorre Il castello di Rocca di Valle, che il vicario tsto ^ due giorni di battaglia; altri castelli furono abbando °t- ^ d°P° Alla fine di giugno i Genovesi ritornarono a Bonifaci *** 1 • ^ nsori-giorni, dopo di che l’armata si mise Ma Corsica. A più duri combattimenti si ^ £ ~°ÏÏ 1 assalto di un castello che oppose resista; perì, i signori córsi si afte,, tarono a giurare al Comune fedeltà e obbedienza, cosicché, dopo soli due mesi, , territori fino ,fiora indipendenti da Genova poterono considerai come soggetti ad essa» I vicario pose ordine all'amministrazione dei territori conquistati39, lascio in Aleria un presidio e verso la fine Janue: L.J., lì, 212, etc.‘QuaLTuTspXone di ranquTstf di^h" ^ hw™ negli Annali 325 e sgg. fV, 99 e sgg.] due relazioni, rigido 2 Zi remo soltanto che le circostanze esposte in quella più dettagliata (A), che digeriscono da quella pm breve (B), sono più esatte; cfr. oltre, nn. 37 e 38; v. però ancTe n. 41. 36 Annali, 325 [V, 99], La flotta da trasporto constava di cinque taride tre galere e cinque barche, accompagnate da una flotta da guerra comandata da Michele Dona della forza di quattro galere e un galion. 37 Annali, 1. c. Secondo la relaz. A, il vicario attese in planitie Barexe l’arrivo dei Sardi, che arrivarono il 29 maggio, mentre il 30 avvenne la partenza Questi dati sono confermati dai documenti del 19 maggio (L.J., II, 198): actum in Corsica in plano de Baroxe, sub pavalono dicti vicarii-, del 24 maggio (ibid., II, 199 e sgg ) I dati della relaz. B, secondo i quali il vicario avrebbe iniziato prima là marcia, sono quindi inesatti. 38 Annali, 326 e sgg. [V, 99 e sgg.]. Le date della relaz. A sono confermate da documenti. L.J., II, 211 e sgg. In passato i Signori di Bagnata, il cui castello di Begugia sostenne un assedio di parecchi giorni, avevano giurato fedeltà a Pisa, per questo e per altri possessi: Dal Borgo, Dipi. Pis., p. 272; cfr. sopra, libro IV,' cap. I, n. 5. Che i Corsi avessero consegnato ostaggi risulta da App. 2, nr. 66. 39 Così si deve intendere l’istituzione dei confalonerii sopra singole località e di vicarii, preposti ai confalonerii di un territorio: App. 2, nr. 66. Gli eletti sono Còrsi che giurano al vicario fedeltà, obbedienza e officium suum legaliter exercere. « Annali, 327 [V, 103]. - 141 — Libro V - Cap. primo di agosto ritornò a Bonifacio, ove una parte dei mercenari fu licenziata, essendo spirato il termine per il quale si erano obbligati al servizio41. Giudice approfittò della circostanza per riprendersi i castelli di Conton-dola e Letare di cui era stato privato, e Luchetto dovette riprenderne la conquista. Senza dubbio egli si mise all’opera; Contondo-la fu preso d’assalto, la guarnigione annientata42, gran numero di villaggi devastati; Letare fu trovato dai Genovesi abbandonato; ma Giudice non si lasciò prendere. Ugo Cortengo, suo parente, gli offerse rifugio 43. Il vicario devastò quindi i possessi del Cortengo, assediò il suo castello di Petralerata senza però riuscire a prenderlo. Si dovette così contentare che Guglielmo, figlio di Ugo, promettesse obbedienza al Comune e di non prestare più assistenza a Giudice44. Simili promesse Guglielmo aveva già fatto altra volta45; anche se ora egli inalberava di nuovo la bandiera genovese sulla torre del castello in segno di sottomissione, l’atto non offriva la minima garanzia che questa volta egli intendesse mantenere la sua parola. Genova non poteva attendersi fedeltà dai Còrsi; essi erano sempre pronti a cedere alla forza preponderante, ma non erano altrettanto meno solleciti a porre in non cale le loro promesse, appena cessava il pericolo4é. Giudice conosceva molto bene il carattere incostante dei suoi concittadini, tanto da temere persino di essere tradito da loro; quando il vicario ritornò a Bonifacio47, gli fece dire di essere disposto a sottomet- 41 Secondo la relaz. A furono licenziati tutti i cavalieri meno 100; secondo quella B furono trattenuti in tutto 100 uomini fra cavalieri e fanti. L’affermazione di A [milites omnes preter centum) è strana, perchè vi erano nell’esercito soltanto 200 cavalieri - v. p. 325 [V, 98] - e perchè non è detto se anche la truppa a piedi era stata licenziata o no; però non abbiamo alcun motivo di ritenere i dati di B più giusti, poiché non si può pensare alla continuazione delle guerre da parte del vicario con soli 100 uomini al suo comando. Le inesattezze di A si spiegano considerando che per la sua compilazione venne utilizzata la relazione B senza un’accurata correzione. 42 Annali, 328 [V, 104], 8 ottobre. 43 Annali, 1. c. [V, 105]. Non risulta chiaro se Ugo Cortengo si fosse sottomesso personalmente; suo figlio Guglielmo aveva giurato obbedienza al Comune de mandato et voluntate dicti patris sui ut asserit: L.J., II, 212; cfr. Annali, 326 [V, 101], 44 Annali, 328 [V, 106]; L.J., II, 227, 11 novembre. 45 L.J., II, 211, 17 luglio 1289. 46 Annali, 330 [V, 110]; cfr. sopra, p. 11. , 47 Annali, 328 [V, 107], 18 novembre. - 142 - lL NU0V0 SC0PPI° della guerra con pISA tersi e che a tale scopo gli domandava un colloquio • cauzione, che dimostravano la diffidenra u ‘ misure di pre-Luchetto si abboccò con Giudice e conciL jÏÏ Î “f* * ^ stizio che doveva durare fino al 14 febbraio 1290 p ^ 7 termine per l’ambasciata con la quale Giudice avrebbe^ ° * tere a Genova le condizioni che poneva per h A /?™to trasmet- sione*’. Congedandosi, mise espressamente in guardia t .SOtt°mÌS' la fedeltà dei Còrsi. A Genova furnnr, u vicano contro ottenuti, ma si respinsero le proposte di ' SUC“SSÌ l’armistizio, Lnchetto dovette preoccuparsi j. ^ ™ lacche fece dolnda “* 48 Annali, 329 [V, 107], La data Hell’S > L.J., II, 228; il luogo è indicato - Annali, 1. c. - ■'^ cd0CUment0 in 229: in Faono, in ripa maris, apud porticulam ' .qUt lcltur Faon; L.J., II ,„11. costa orientale dell, Conta * F‘™' ** P*«™ LSri1?■*;si ” •— i quali gli altri Còni dichiaravate 1, loto so,,o™,,l,Tl“ V' otTT r,: “r^etr^L^ rrrrdo' *u 5; • 1 r ■ ^ altn Corsi, consegna tutti i suoi a Comune, <»„ p.r4 (jWi, n ^ ■ »» e, » o * 1- C-; Rohricht, Der Untergang des Konig. Jer., p. 34 e sgg. 3 Sudheim, De itinere Terre Sancte, p. 340; cfr. Rohricht, Der Untergang des Konig. Jer., p. 21 e Heyd, I, p. 358 e sgg. 4 Cfr. sopra, p. 82 e sgg. — 170 - LO SCOPPIO DELLA GUERRA CON VENEZIA una guerra marittima, avrebbe potuto salvare Acri. E’ certo che entrambi i Comuni si astennero dal fare seri sforzi in tal senso. Il papa pagò5 le galere veneziane da lui mandate in aiuto della Terra Santa dopo la caduta di Tripoli, ma quando arrivarono a destino si scoprì che il loro armamento era manchevole6. Per Genova la convenzione con l’Egitto significava una completa rinunzia a progetti come quelli che Benedetto Zaccaria poteva avere accarezzato7. Al salvataggio degli abitanti di Acri avevano contribuito due galere genovesi che vi erano arrivate cariche di merci8. E’ indice significativo della situazione che l’Annalista nulla possa riferire di un’azione dei suoi compatrioti a favore di una città9 nella quale, in addietro, avevano sostenuto una guerra sanguinosa per mantenervi il loro quartiere. I Genovesi non ritenevano più consono al proprio interesse di intromettersi per la conservazione dei possedimenti cristiani in Siria. Anche in seguito Genova, come Venezia, doveva comportarsi in modo tutt’altro che premuroso di fronte alle sollecitazioni del papa Niccolò IV per aiutare Cipro e per riacquistare possibilmente il perduto. All’invito del papa di convertire in pace l’armistizio con Venezia10 non venne dato seguito, mentre ancora nell’anno 1291 venne combinata una proroga dell’armistizio per altri cinque annin. Niccolò IV rinnovò, inasprendoli, gli an- 5 Potthast, nr. 23078; Ripolli, Bull. ord. praed., II, 24; cfr. Gest. des Chip., 238; Marin Sanudo, Liber, 230; Amadi, 218. Dai Reg. Nie. IV, p. 400, si può rilevare che anche il papa fece armare galere a Genova. 6 Potthast, nr. 23439; Rayn, anno 1290, par. 8. 7 Cfr. sopra, p. 130. 8 Annali, 337 [V, 130]; Gest. des Chip., 254. 9 Questo ed il silenzio delle altre notizie sicure provano che il racconto in Ottokar, Oestreicbiscbe Reimchronik, 635, riguardo a spedizioni da Genova in soccorso di Acri, è una mezza invenzione. Veneziani e Pisani presero parte alla difesa di Acri; v. Gest. des Chip., 243, 249; Thad. Neap, Hystoriû, 27. Non è provato che al tempo dell’assedio vi fossero Genovesi nella città. Alle negoziazioni che precedettero l’assedio, secondo Gest. des Chip., 239, 242, parteciparono soltanto il bajulo veneziano ed il console pisano, ma neppur uno dei consoli genovesi: cfr. Potthast, nr. 23431, Sbaraglia, IV, 180. 10 Rayn, anno 1291, par. 26. 11 Tafel e Thomas, p. 133; cfr. Dandolo, 403; Belgrano, Rendiconto, IV, p. CLI, nota. Non è chiaro se l’intromissione del papa (Rayn, anno 1291, par. 28), abbia influito sulla proroga; la conclusione avvenne a Brescia, non già presso la Curia. - 171 - Libro V - Cap. terzo tichi divieti di trasporto in Egitto di materiali da guerra e di altre merci, in particolare di viveri; i contravventori venivano privati della capacità di testare, di accettare eredità e di ricoprire pubblici uffici, oltre a dover sottostare alla confisca dei loro beni12. La trascrizione, ordinata dal papa, dei suoi decreti negli Statuti dei Comuni13 ebbe effettivamente luogo a Genova ,4. I Genovesi si dimostrarono anzi quasi fin troppo zelanti nell’esecuzione degli ordini papali riguardanti il commercio con l’Egitto 15; tuttavia, alla domanda di mandare una flotta per la riconquista della Terra Santa ló, essi, come i Veneziani, risposero negativamente. Niccolò IV dovette ricorrere per il mantenimento di galere per la difesa di Cipro ai mezzi pecuniari degli ordini cavallereschil7, e quando alla sua morte il Collegio dei Cardinali incaricò Manuele Zaccaria dell’armamento di tali galere a Genova, il governo del Comune si trovò in difficoltà ad impedirlo, non osando contrastare un’impresa destinata al servizio della Chiesa La costa del Mediterraneo costituì una barriera all’avanzata dei Saraceni. Certo il Sultano d’Egitto, stimolato dall’assalto della flotta cristiana a Candelor e dalla sua comparsa davanti ad Alessandria ’9, doveva aver predisposto un piano per crearsi una propria forza marittima al fine di 12 Reg. Nie. IV, p. 901, 23 agosto 1291; cfr. Heyd, II, p. 23 e sgg. 13 Ibid.; Rayn, anno 1291, par. 26. 14 Annali, 338 [V, 1331. 15 Ibid., 338, 341 [V, 133, 1401; cfr. il documento in Port, Commerce de Narbonne, p. 102. 16 Rayn, anno 1291, par. 25. 17 Annali, 342 [V, 143]. 18 Annali, 342 [V, 144], al 1292. Il passo deve interpretarsi nel senso che Manuel doveva armare 12 galere a Genova e, a sua volta, Tedisio Doria 8; sarebbero dunque state 20 in tutto le galere partite da Genova. Secondo Gest. des Chip., 261 = Marin Sanudo, Liber, 232 = Amadi, 228 = Flor. Bustr, 128, il papa mandò, dopo la caduta di Acri, 10 galere armate in Ancona e 10 a Genova per la difesa di Cipro. In ogni caso queste 20 galere sono le stesse menzionate dagli Annali, 1. c. [V, 143]; nell’anno 1291 non poteva essere stata inviata dal papa nessuna flotta in Siria perchè egli, proprio il 13 agosto (Rayn, anno 1291, par. 23 e sgg.), incaricò un legato di intavolare i negoziati a questo riguardo. Forse dipese dalle difficoltà accennate in Annali, 1. c, se alla fine partirono da Genova soltanto 10 galere. 19 Gest. des Chip., 261 etc. Gli avvenimenti devono essere collocati nell’anno 1292; v. la nota precedente. Le indicazioni degli anni in Gest. des Chip., I. c, tanto qui come negli avvenimenti successivi, sono erronee. - 172 - LO SCOPPIO DELLA GUERRA CON VENEZIA sottomettere anche Cipro e dare così il colpo di grazia al dominio occidentale nel Levante. Ma il progetto non venne realizzato20. La marina cri stiana rimase così in assoluto possesso del dominio del mare, assicurando la salvezza di Cipro. Diventava quindi di somma importanza vedere come le nazioni commerciali si sarebbero orientate nella nuova situazione Ad Acri dal 1258 in avanti, le cose erano rimaste pressoché invariate. Senza dubbio i Veneziani insieme con i Pisani vi avevano la preminenza; i Genovesi non erano riusciti a mutare nulla. Adesso, dopo che quella piazza era andata perduta, ma che tuttavia, malgrado le sfavorevoli cir-circostanze del momento, era pur rimasta un centro di rilievo del commercio d’Oriente, i porti di Cipro e di Armenia acquistarono un’importanza grandissima; Famagosta e Lajazzo presero il posto fino da allora tenuto da Acri e Venezia ne risentiva un certo danno. I divieti del papa avevano frapposto considerevoli ostacoli al commercio con Alessandria21; a Costantinopoli, come sul Mar Nero, i Veneziani erano rimasti in secondo piano dietro ai Genovesi alleati con Bisanzio; adesso anche la supremazia che avevano nella parte sud-orientale del Mediterraneo pareva essere messa in forse. Il re di Armenia aveva proprio allora concesso un largo privilegio ai Genovesi22, essi a Limisso di Cipro possedevano una torre fortificata nel proprio quartiere23. Sebbene il re Enrico avesse loro comunicato il suo disappunto per la mancata ratifica dell’alleanza conclusa con Benedetto Zaccaria24, ciò nonostante rimasero in vigore gli antichi privilegi in virtù dei quali erano loro garantiti la giurisdizione consolare in materia civile e criminale, alcuni quartieri nella città e assoluta franchigia da imposte 25. Se in Acri i Genovesi, per la perdita del loro quartiere, si erano visti sospingere in secondo piano, ora invece, nelle piazze dove si concentrava il commercio orientale, essi, in situazione ben più favorevole che ad Acri, competevano con i loro rivali. I Veneziani non rimasero pertanto a lungo inerti davanti al pregiudizio che ne veniva loro. 20 Gest. des Chip., 261 e sgg, etc. 2' Secondo Annali, 342 [V, 143], le 20 galere dovevano catturare (cfr. sopra, p. 172) anche le navi che commerciavano con i paesi del Sultano. 22 Cfr. sopra, pp. 126 e 138. 23 Gest. des Chip., 276. 24 Cfr. sopra, p. 129. » L.J., I, 899. - 173 - Libro V - Cap. terzo La guerra di Venezia con Genova, nel settimo decennio, era stata interrotta senza un risultato decisivo. I sempre rinnovati armistizi erano basati sulla supposizione che nella situazione politico-commerciale nata dalla guerra non sarebbero avvenuti mutamenti. Non essendosi avverata tale supposizione, il governo veneziano fu costretto a porsi la questione se non fosse consigliabile di riprendere la lotta interrotta per dare nuovamente un colpo al commercio genovese nel bacino sud-orientale del Mediterraneo, come era avvenuto nel 1258. Probabilmente a Venezia si cercava un pretesto per giustificare la ripresa della guerra. Non possiamo provare se proprio con tale intendimento fosse stata inviata a Genova 1 ambasciata, verso la fine dell’anno 1292, recante una lunga serie di lagnanze per violazione dell’armistizio da parte dei Genovesi. Analoghi reclami già prima erano stati sovente sollevati26. Fra le richieste di risarcimento avanzate dai due ambasciatori veneziani27, ne figurano alcune relative a fatti di data precedente non ancora soddisfatte e ora ripetute2t. Parecchie fra tali richieste erano per violazioni di cui si resero colpevoli alcuni comandanti di galere genovesi . Occorre infatti tener presente che quando era nuovamente scoppiata la guerra fra Genova e Pisa, non era stato rinnovato, da parte del Doge, il divieto per i Veneziani di navigare lungo la costa ligure e toscana con a bordo merci di stranieri30. I Pisani perciò noleggiarono navi veneziane 31, la cui cattura ad opera di corsari genovesi diede naturalmente luogo 26 Cfr. sopra, vol. I, p. 403 e sgg.; II, pp. 59 e sgg, 81 e sgg. 27 App. 2, nr. 75 A e B, 23 febbraio 1292. Gli ambasciatori sono Nicolò Quirino e Pietro Zeno. Il soggiorno a Genova durò qualche tempo, essendo avvenuti dei fatti che fecero ritardare la risposta. Si ritiene in ogni caso si sia trattato delle trattative con gli inviati di Carlo II etc.; v. sopra, p. 162 e sgg. Le domande degli ambasciatori sono contenute in App. 2, nr. 75 A e B; cfr. oltre, n. 38. 28 Ibid. La settima petitio riguardante la nave Mortadella, sulla quale era stato preso il conte Fazio (cfr. sopra, p. 38 e sgg.), l’ottava relativa all albero del Turcolino che era stato preso dall’ammiraglio Rolando Ascherio; cfr. sopra p. 81. 29 Ibid. La seconda petitio si riferisce a balle di merce prese dalle galere comandate da Gregorio Doria; la quarta alla cattura d’una nave veneziana, diretta ad Alessandria, ad opera di Tedisio Doria, ammiraglio di due galere; 1 undicesima alla supposta cattura di una tarida veneziana effettuata dall’ammiraglio Giovanni Zurlo; 1? quattordicesima all’arresto di una nave veneziana presso Civitavecchia ad opera dell’ammiraglio Enrico de Mari. 30 Cfr. sopra, libro IV, cap. VI, n. 36. 31 Cfr. Annali, 335 [V, 124]. - 174 - Lo SCOPPIO DELLA GUERRA CON VENEZIA a reclami Inoltre gli ambasciatori domandavano soddisfazione per danni recati a loro concittadini da singoli Genovesi- In parte si trattava di violazione de a tregua ad opera di pirati banditi, come nel caso di Gu glielmo Rodello, del timoniere Pietro da Finale e compagni, che avevano catturato una tarida veneziana33; anche riguardo a Pellegrino Panzano dei cui colpi pirateschi Genova si era resa responsabile nei confronti del Sul’tano d’Egitto , Venezia non tralasciò di presentare i suoi reclami35- ma essi non concernevano soltanto fatti relativi a pirati di mestiere’ Invero anche troppo facilmente, la rissosa gente di mare trascendeva in lotte è azioni violente che rompevano l’armistizio, come era avvenuto in un inci dente a Palermo, nel quale dei Veneziani erano stati depredati e maltrat tati da Genovesi36. Se dunque gli inviati lamentavano in genere che i Veneziani non riuscivano ad ottenere il risarcimento dei danni sof ferti37, ne veniva a carico dei Genovesi la seria accusa di non osservare troppo esattamente le condizioni di armistizio. Al fine di poter respingere l’accusa, vennero soppesate con grande cura le lamentele avanzate dagli ambasciatori veneziani. Una speciale commissione trattò con essi, e la risposta non solo fu data loro verbalmente 32 App. 2, nr. 75 A e B. Secondo la terza petitio, sembra che una tarida veneziana fosse stata danneggiata dalla galea Lercariorum-, secondo la sesta si venne a Napoli ad una contesa fra l’equipaggio d’una nave veneziana e Genovesi. Nell’agosto 1291 (secondo la tredicesima petitio) doveva essere stato fermato apud cecham de Trapesunda un veneziano eo tempore quo d. Nicolaus Aurie dicitur habuisse cecham in dicto loco-, nel ritorno in patria egli era stato ferito e derubato. 33 Ibid., prima petitio: la tarida è identificabile con quella presa dai medesimi pirati nel porto di Tunisi e per la quale il Doge aveva fatto domandare risarcimento dei danni al re di Tunisi: Mas Latrie, Traités, p. 209 (quest’atto appartiene dunque all’anno 1292). Secondo la quinta petitio, i pirati avevano derubato anche altri Veneziani nella regione di Tunisi. Altri reclami a loro carico furono avanzati dal Doge con lettere e mediante il notaro Paolo. NellVlp/». 2, nr. 75 C (cfr. oltre, n. 38), questi casi sono riportati sotto le domande 15 e 16. Paolo portò pure una domanda (17) concernente merci prese da Tedisio Doria, per le quali però era discutibile se appartenessero ad un Veneziano o ad un Pisano, suddito dell’imperatore greco. 34 Cfr. sopra, libro IV, cap. IX, n. 62. 35 App. 2, nr. 75 A e B per le domande nona e decima. 36 Ciò rilevasi dalla dodicesima petitio: ibid. 37 Ibid. - 175 - Libro V - Cap. terzo ma venne recata a Venezia da particolari legati38, ai quali venne minuziosamente prescritto quanto dovevano dire a giustificazione del Comune. Essi dovevano ribadire che Genova intendeva attenersi scrupolosamente alle condizioni dell’armistizio. Di conseguenza, per alcuni casi venne accordato, se non la restituzione delle merci, un adeguato risarcimento dei danni; in altri fu invece rifiutato, perchè le asserzioni dei Veneziani colpiti non risultavano fondate. Negative furono le risposte concernenti i veri pirati sulla motivazione che non era stato possibile impossessarsi di loro, però il governo genovese si dichiarava disposto a discutere per un premio da pagarsi a chi consegnasse nelle sue mani Guglielmo Rodel o o i suoi compagni. Era comunque evidente la seria intenzione di riparare ai reclami giustificati dei Veneziani, ma per far ciò gli inviati avrebbero o-vuto ottenere una contropartita. Replicando a una richiesta circa i ermo di una nave veneziana operato dall’ammiraglio Enrico de Mari, essi dissero che era destinata a portare cavalli e mercenari dei Pisani da Civitavecc ia in Sardegna, cosa del tutto illegittima, dal momento che Genova era in guerra con Pisa; l’ammiraglio non poteva tollerarlo e così si era impadro nito della nave, per impedire il trasporto del carico che aveva a bordo. Certamente gli stessi Veneziani avrebbero agito egualmente in caso simile, se, ad esempio, fossero stati in guerra con i patriarchi di Aquileia o con gli Anconitani. Il Comune di Genova teneva galere nelle acque di Pisa e di Cagliari per impedirvi l’importazione di viveri, tanto che ultimamente era stata presa con la forza anche una nave dell ammiraglio siciliano carica di grano per Pisa39. Pertanto, affinchè in futuro fosse allontanato qualunque motivo di contrasto, il Doge volesse ordinare, come già in passato, che nessun Veneziano navigasse per Pisa o Cagliari40, giacché era evidente come a Genova si desse gran peso al fatto di privare i Pisani di qualsiasi aiuto da parte di Venezia. Le reciproche pretese di risarcimento - perchè 38 App. 2, nr. 75 C. Lombardo Spinola, Marino de Marino iudex, Vassalino de Campis e Pasquale de Cassino. Il nr. 75 A è una minuta di istruzione per questi delegati, redatta da una commissione particolare, nominata a tale scopo. Il nr. 75 B contiene la medesima istruzione confermata dal Podestà, Capitano, Abate, Anziani e 16 aggiunti. Nr. 75 C: Responsio facta per Lombardum Spinolam et socios tunc ambassatores comunis Janue apud Venecias super peticionibus Venetorum. Il dontenuto dei tre atti è essenzialmente concorde. 39 App. 2, nr. 75 A e B; cfr. sopra, p. 162. 40 Ibid.-, cfr. sopra, p. 175. Genova consente che i Veneziani prendano sale da Cagliari, purché non vi carichino o non vi portino alcun’altra merce. — 176 - LO SCOPPIO DELLA GUERRA CON VENEZIA anche gli inviati di Genova ne avevano da avanzare verso Venezia - avrebbero dovuto essere compromesse in arbitri, mentre per la nave sulla quale era stato fatto prigioniero il conte Fazio41 si sarebbe accettato di pagare 1000 lire purché non venissero però sottoposte al giudizio di arbitri quelle domande per riconoscimento di danni che i Veneziani avessero potuto subire in prosieguo su navi dirette a Pisa o per la Sardegna o comunque noleggiate con merci di Pisani. Non è noto l’esito dell’ambasciata genovese a Venezia. La propensione veneziana per un energico intervento riguardo alla questione di Pisa non era maggiore di quella fino ad allora dimostrata42, tuttavia, ancorché il Doge avesse aderito a tutte le richieste, sarebbe stato impossibile evitare incidenti che presto avrebbero mutato la situazione in modo serio. Nel luglio 1293 sette galere mercantili genovesi che ritornavano dalla Romania, si incontrarono presso Corone con quattro galere veneziane, le quali, reclutate dall’ordine dei Templari in soccorso di Cipro con equipaggio straordinariamente forte, si dirigevano verso quest’isola. Secondo l’uso marittimo, la squadra minore avrebbe dovuto cedere il passo alla maggiore. I Veneziani invece disposero le loro navi in ordine di battaglia e con alte grida si scagliarono senz’altro sui Genovesi. Anche questi diedero di piglio alle armi e senza preoccuparsi proseguirono nel loro cammino. Quando si incontrarono fu la lotta, ed i Genovesi riuscirono senza grande fatica a catturare le galere veneziane. Vennero uccisi oltre 300 uomini; le galere prese furono naturalmente saccheggiate; l’argenteria dello zio del re di Cipro, Filippo di Ybelin, che si trovava a bordo, venne rubata. Questa gli venne poi restituita ed i vinti poterono andarsene liberi, dopo essersi visti restituire quello che si potè trovare di loro proprietà. Dell’accaduto venne steso un verbale notarile, nel quale i Veneziani ammettevano il loro scorretto modo di procedere43. Evidentemente i Genovesi intendevano avere in mano un documento autentico per poter dimostrare che la violazione della tregua non veniva da parte loro. Il fatto si spiega con lo stato di tensione che regnava in entrambe le parti, al cui aumento avevano notevolmente contribuito le lotte fino allora 41 Ibid.] cfr. sopra, n. 28. 42 Anche pirati pisani avevano derubato i Veneziani: Mas Latrie, Traités, p. 208. 43 Gest. des Chip., 275 = Amadi, 230 e sgg. La relazione conferma ed integra in generale quella degli Annali, 352 [V, 167], però è meno chiara. — 177 - 12 Libro V - Cap. terzo verificatesi e lo stato della politica commerciale del momento. I Veneziani andavano orgogliosi delle vittorie riportate nelle precedenti guerre, i Genovesi desideravano cancellare la memoria delle sconfitte subite44. Non si trattava della prima battaglia navale che, malgrado l’armistizio4S, si combatteva fra Genovesi e Veneziani, solo che fino a quel momento gli accomodamenti intesi ad impedire il rinnovarsi della guerra erano sempre riusciti. Anche in questa circostanza Genova si adoperò per trovare un nuovo accomodamento. Furono mandati a Venezia dei frati domenicani per rendere noto il vivo dolore dei Genovesi per l’accaduto, e con l’incarico di proporre altre trattative per togliere di mezzo le questioni pendenti, a mezzo di ima conferenza di delegati. Questa si svolse a Cremona nel settembre 1293 46, e, come in precedenti casi analoghi47, anche questa volta i monaci svolsero un ruolo conciliante. Le discussioni durarono circa tre mesi, ma l’ostinazione con la quale i Veneziani sostenevano le loro richieste rese impossibile qualsiasi accomodamento. Infine i delegati genovesi dichiararono formalmente che il loro Comune era pronto a rispettare l’armistizio fino al termine stabilito 48 e ad attenersi alle condizioni dello stesso riguardo al risarcimento degli eventuali danni. I Veneziani risposero di non essere autorizzati a fare una corrispondente controdichiarazione e che il loro governo si sarebbe comportato secondo il proprio buon criterio49. Così fu chiusa la conferenza M. Il 24 dicembre 1293 gli inviati genovesi fecero ritorno a Genova, e subito, il secondo giorno dopo Natale, si svolse una seduta di Consiglio alla quale convennero tanti partecipanti che il numero dei presenti sorpassava il migliaio. Vi venne fatta relazione sull’attività degli inviati e fu quindi deciso di mandare un plenipotenziario a Venezia per ripetere la dichiarazione che si era pronti ad attenersi strettamente alle condizioni di armi- 44 Cfr. Gest. des Chip., 274 e sgg. 45 Cfr. sopra, vol. I, p. 391. 46 Annali, 1. c. Queste trattative sono citate anche nelle notizie dorsali: App. 2, nr. 75 C. 47 Cfr. sopra, vol. I, PP- 142, 310 e sgg. 48 Annali, 353 [V, 1681: que (se. treugua) ... per annos circa duos et dimidium durare debebat, fino al 29 giugno 1296; Dandolo, 404. 49 Annali, 1. c. 50 Quali fossero i punti sui quali i Veneziani non vollero convenire non è chiaro. — 178 - LO SCOPPIO DELLA GUERRA CON VENEZIA stizio e chiedere al Doge una inequivoca controdichiarazione se egli volesse fare altrettanto e dare soddisfazione per le commesse violazioni U plenipotenziario non doveva fermarsi più di quattro giorni a Venezia51 Il 23 gennaio 1294 il notaro Stabile Ottaviano da Sestri, incaricato della consegna di tale ultimatum, presentò al Doge ed ai suoi sei Consiliariì52 la sua procura, le lettere credenziali, come pure le richieste scritte e dettagliate di Genova. Due giorni dopo egli ricevette la sollecita risposta definitiva: che fino ad ora i Genovesi avevano arrecato danni e perdite ai Veneziani senza curarsi di dare soddisfazione alcuna, quantunque ne fossero stati spesso richiesti. Conseguentemente il Doge riteneva che essi non avessero osservato le condizioni dell’armistizio. Dal momento però che essi si dichiaravano pronti, sia per i fatti del passato sia per il futuro, ad attenervisi strettamente, egli accettava l’offerta, obbligandosi da parte sua ad osservarla, nella supposizione che i Genovesi avrebbero mantenuto quello che ora promettevano53. Questa dichiarazione non era sufficiente; per lo meno richiedeva nuove trattative e le probabilità di un accordo erano piuttosto peggiorate che migliorate. Intanto Venezia fece scortare le sue navi mercantili dirette in Oriente da 14 galere armate in pieno assetto di guerra54 che il 30 dicembre presero il mare. Genova mandò fuori una galera, che naufragò per via, per informare della situazione i suoi cittadini residenti in Sicilia, 51 Annali, 1. c. [V, 1691. 52 App. 2, nr. 76 a. La procura del 2 gennaio in nr. 76 b racchiude gli incarichi affidati all’inviato secondo la relazione degli Annali-, così pure l’allegato scritto nr. 76 d. La lettera credenziale nr. 76 c è del 5 gennaio; il 6 gennaio - Annali, 1. c. -il plenipotenziario partì da Genova 53 App. 2, nr. 76 a. 54 Così deve essere interpretato il passo degli Annali, 1. c.: Veneti iam armaverant galeas 14 magnas velut taridas, sub spe transmittendi eas cum mercatoribus et mercibus in Ermenia et Cipro-, cfr. Annali, 238 [V, 32] e sopra, vol. I, p. 40, n. 16. Il numero delle galere comparse a Cipro era di 25: Gest. des Chip., 276; in Dandolo, 404, è detto espressamente che le galere mercantili erano accompagnate da galere da guerra. Però non è probabile che queste ultime avessero questa volta merci a bordo; secondo Annali, 353 [V, 169], esse erano grandi come taride, la loro grandezza e pesantezza risultante del carico sono rilevate anche da Marin Sanudo, Liber, 83 e Gest. des Chip., 280; nella canzone (Bonaini, Rime istoriche, jp. 13) esse sono indicate soltanto come taride; anche Héthoum, in Ree. hist. Crois. Docc. arm., I, 489, parla di galere e navi da trasporto. In ogni caso tanto le navi mercantili quanto quelle da guerra presero parte in seguito alla battaglia di Lajazzo; v. oltre. - 179 — Libro V - Cap. terzo Romania, Armenia e Cipro5S. Lo scoppio delle ostilità era dunque previsto come immediato. La dichiarazione comunicata a Venezia deve quindi essere ritenuta null’altro che uno strattagemma diplomatico per far cadere la responsabilità della rottura dell’armistizio sull’avversario. La risposta del Doge mirava a sua volta soltanto a scagionarsi dall’accusa. Qualsiasi dubbio se a Venezia, già verso la fine del 1292, si desiderasse riprendere la guerra con Genova e che tale intenzione persistesse nel 1293 svanisce considerando l’ostinazione che aveva provocato il fallimento dei negoziati di Cremona e ancor più il contegno della flotta veneziana e le istruzioni del Doge al suo comandante, Marco Basilio, del tutto in contrasto con le sue pacifiche assicurazioni. Quando i Veneziani arrivarono a Limassol di Cipro, abbatterono il pinnacolo della torre dei Genovesi, ne distrussero la loggia, fecero oltraggio al loro stemma e spinsero le minacce al punto che nessun Genovese più osava mostrarsi. Basilio espresse chiaramente al re di Cipro, con il quale aveva avuto un colloquio a Salinas, il suo intendimento di vendicarsi sui Genovesi. Quando il re gli accennò ai pericoli che poteva correre, egli rispose che le sue galere erano equipaggiate da uomini tali da non temere le genovesi, anche se fossero doppie di numero. AlPavvicinarsi della flotta nemica, i Genovesi residenti a Famagosta fuggirono nell’interno di Cipro, poiché il castellano della città dichiarò loro di essere impotente a difenderli. I Veneziani si diressero poi a Lajazzo; una nave genovese, da essi presa, dovette pagare un prezzo di riscatto, ed il vessillo di Genova venne lanciato in mare al grido di « guerra, guerra ». I Genovesi presenti in città si rifugiarono nell’entroterra, mentre i Veneziani fecero acquisto di merci che caricarono sulle loro navi, nè mancarono atti di usurpazione contro mercanti neutrali . La violenta espulsione dei concorrenti era il mezzo più sicuro per 55 Annali, 1. c. 56 Gest. des Chip., 276 e sgg. Secondo Jac. de Var., 14, furono catturate tre navi genovesi, il che è confermato, ma soltanto apparentemente, da Dandolo, 404, perchè il racconto è qui molto confuso: le tre navi dovrebbero essere state prese dopo l’arrivo della flotta genovese - Laur. de Mon., 201, si vale anche di Jac. de Var. —. Invece, secondo Ann. Parm., 713 e sgg., venne presa una galera genovese. La notizia di Jac. de Var. può aver origine dal fatto che i Veneziani avevano catturato anche altre navi come risulta dal documento (che, in considerazione della settima indizione e dello stile dell’incarnazione, appartiene al 1294) in Libri commemoriali, I, 171; l’Armeno Veneto, Compendio storico, II, 15. La nave ivi indicata, la Bondi-mira o San Nicolaus, apparteneva a Pisani e Piacentini: l’Armeno Veneto, II, 145; — 180 - Lo SCOPPIO DELLA GUERRA CON VENEZIA migliorare il proprio commercio, ma quello che era riuscito ad Acri non si ripetè qui altrettanto facilmente. Alcune galere di mercanti genovesi in rotta per la Romania ebbero notizia di questi fatti . Pieni d’un caldo desiderio di vendetta essi cor sero a Pera, dove, messa la merce a terra, si provvidero di armi. Nicola Spinola, che era stato eletto inviato presso l’imperatore greco, venne nominato comandante. Invano il bajulo veneziano di Costantinopoli si offerse come intermediario. La flotta si diresse verso l’Armenia; per via trovò rinforzi di navi genovesi alle quali andò incontro e che ad essa si unirono58. Nelle vicinanze di Lajazzo venne in vista il nemico, la cui forza era stata accresciuta con nuove galere59. La mediazione di un cava- essa fu saccheggiata nel maggio 1294 nelle vicinaze di Lajazzo da quattro galere appartenenti al convoglio veneziano: ibid., 15 e sgg. Se in Amadi, 231 e sgg. (d’altronde eguale a Gest. des Chip., 1. c.), è detto che i Veneziani presero anche due galere genovesi ed una saettia, ciò dipende da un evidente malinteso. 57 Jac. de Var., 14. Secondo Gest. des Chip., 277 e sgg. = Amadi, 232, la notizia sarebbe stata recata da Gille Doire. Sul suo incontro con una galera veneziana presso Caffa (v. ibid.) non se ne sa di più. 58 Secondo Gest. des Chip., 278 e sgg., sono 14 le galere partite da Genova per la Romania a cui si aggiunsero le galere di Gille Doire ed inoltre, sulla via di Lajazzo, due galere di André Pelau ed una nave da trasporto, più piccola di una galera. Non è data la forza complessiva nella battaglia; secondo Jac. de Var., 14 e 55, essa ammontava a 18 galere e 2 navi da trasporto da 80 remi; certamente, secondo lui, il numero delle navi che viaggiavano per la Romania doveva essere lo stesso. Ann. Parm., 714, hanno 18 galere e così pure Guill. Vent., 708; Héthoum, 489, ne ha 12. In favore di Jac. de Var. starebbe il fatto che, secondo Dandolo, 404, erano 20 le galere genovesi che si avvicinavano all’Armenia, a cui si dovevano essere aggiunte certamente altre galere e navi da trasporto che portarono quindi la forza in battaglia a 31 galere, 11 delle quali però erano semplici battelli a remi! Marin Sanudo, Liber, 83, ha 22 galere (egualmente Laur. de Mon., 201); Andr. Naug., Hist. Veneta, 1007 : 25 galere e navi minori da trasporto. 59 Secondo Gest. des Chip., 280, venne spedita da Venezia una galera per avvertire della presenza della flotta genovese; inoltre erano arrivate dalla Romania 3 galere e 3 saettie; quindi la forza complessiva della flotta veneziana ascendeva a 32 legni; su questo numero concorda approssimativamente Jac. de Var., 14 e 55. (Secondo le migliori lezioni 28 galere e 4 legni da trasporto da 80 remi). Inoltre, le indicazioni del più tardo documento in l’Armeno Veneto, II, 145, dicono che Basilio comandava 32 galere; analogamente Guill. Ventura, 708 e Héthoum, 489. Le - 181 - Libro V - Cap. terzo liere orientale per trattare la pace venne rifiutata dai Genovesi “, i quali mandarono due monaci francescani dai Veneziani per domandare la restituzione delle merci rubate61. Costoro ritennero la domanda neppur degna d’una risposta e si avventarono subito sull’odiato avversario62. Soltanto allora i Genovesi si resero conto della loro debolezza e schivarono l’assalto inseguiti dai Veneziani. Le due flotte rimasero qualche tempo l’una di fronte all’altra davanti a un promontorioM; poi i Genovesi riuscirono a raggiungere Lajazzo indisturbati64. Qui tennero consiglio e decisero di dare battaglia alla flotta veneziana; per fortificarsi arruolarono mercenari fra gli abitanti del paese. Anche i Veneziani si decisero per la battaglia, temendo di poter essere inseguiti e danneggiati dagli avversari, se non li avessero vinti. Nelle ore pomeridiane del 28 maggio 1294 essi incominciarono l’assalto 65. Le galere genovesi che si trovavano fuori del porto ma vicino a galere citate da Marin Sanudo, Liber, 83, sarebbero state 28; così pure Laur. de Mon., 201; Andr. Naug., 1007 e Dandolo, 404. Da quest’ultimo, 1. c., risulta la spedizione di 5 galere condotte da Cattarino Zane; per Laur. de Mon., 1. c., invece, le galere al suo comando erano 6, mentre due da Negroponte scortavano la flotta commerciale di 15 galere. 60 Gest. des Chip., 279. 61 Ibid. Secondo Jac de Var., 14, venne anche domandata la liberazione dei prigionieri. 62 Gest. des Chip., 279. Secondo Jac. de Var., 14, i Veneziani diedero una risposta sprezzante. 63 Gest. des Chip., 1. c., la Montaigne Negre distante 30 miglia da Lajazzo. 64 Gest. des Chip., 1. c.; Jac. de Var. non è perciò più in contraddizione. Non è chiaro quanto tempo avessero richiesto queste manovre. In Dandolo, 404, queste sono menzionate, ma in modo poco chiaro e la relazione contiene pure molte contraddizioni rispetto a Gest. des Chip., e Jac. de Var. 65 Gest. des Chip., 279 e sgg. La data, 28 maggio, giorno di S. Germano, risulta da Ann. Veron., 442 e Stella, 974; cfr. la menzione di questo santo in L.]., II, 346, accanto a quella di S. Siro, nella cui ricorrenza (6 agosto) era ricordata la vittoria della Meloria; Stella, 1. c.; cfr. sopra, p. 43. Secondo la canzone (Bonaini, Rime istoriche, p. 11 e sgg. e Lagomaggiore, Rime genovesi, p, 221), dalla quale del resto non si ritraggono particolari essenziali del combattimento, la lotta durò da nona a vespro. 66 Jac. de Var., 14. — 182 - Lo SCOPPIO DELLA GUERRA CON VENEZIA terra, misero le prue al vento tenendosi strettamente collegate l’una all’altra con ponti di passaggio67. Un esperto contemporaneo68 rileva come i Veneziani avrebbero dovuto avanzare rapidamente per primi preceduti da brulotti allo scopo di separare i nemici gli uni dagli altri. Un secondo errore commisero in seguito. Era uso, allorché le galere venivano approntate per la battaglia, di togliere di mezzo alberi e vele69. Ma i Veneziani, supponendo che il nemico avrebbe preso presto la fuga e di poterlo inseguire con l’aiuto del vento favorevole, ammainarono bensì le vele, ma non le tolsero. La forza del vento ed il sensibile moto provocarono la conseguenza che, allorché le galere avanzarono per dare l’assalto, alcune di esse, eccessivamente caricate, non obbedirono al timone, cosicché, invece di volgere al nemico il rostro, si disposero sul fianco, impedendo alle galere che le seguivano di correre sul nemico70. I Veneziani non poterono così trarre vantaggio dalla superiorità numerica delle loro unità, e nel reciproco scambio di proiettili da cui fu aperta la mischia i Genovesi ebbero il sopravvento; subito dopo essi, sciolte le loro galere l’una dall’altra, si gettarono sulla flotta nemica, la quale, quasi tutta, compreso il ricco carico, cadde nelle loro mani71. Le « Gest. des Chip., 280; più circostanziato Marin Sanudo, Liber, 83; cfr. sopra vol. I, P- 183, n. 22. « Marin Sanudo, Liber, 1. c., che è qui meglio informato di Gest. des Chip., e che era in grado di avere notizie proprie degne di fede. « Cfr. Annali, 352 [V, 167]. TO Marin Sanudo, Liber, L c.; Gest. des Chip., 280; Laur. de Mon., 201, che si è valso evidentemente di Marin Sanudo, dà però un numero determinato, 15, per le galere che si erano disposte sul fianco. 71 Gest. des Chip., 280 e sgg. Il numero delle galere prese ascendeva a 25, secondo Jac. de Var., 14; Gest. des Chip., 281; Bonaini, Rime istoriche, p. 13; Ann. Veron., 442; Andr. Naug., 1007; Dandolo, 404; secondo Héthoum, 489, invece, erano 24. Secondo Amadi, 233 (in riferimento a Gest. des Chip.), il comandante veneziano Marco Basilio insieme con suo figlio furono fatti prigionieri e decapitati. Che Basilio fosse caduto prigioniero è pure riferito in Dandolo, 404 e Andr. Naug., 1007; secondo Laur. de Mon., 201, egli cadde in battaglia; nell’anno 1300 (Mas Latrie, Commerce et expéditions, p. 14) è fatto cenno di lui in documenti come morto (quondam). Che però fosse stato giustiziato dai Genovesi, come si dovrebbe ritenere stando letteralmente ad Amadi, risulterebbe contro ogni uso di guerra. E’ tanto più ammissibile che Amadi abbia frainteso la sua fonte, perchè le parole che seguono non hanno senso. - 183 - Libro V - Cap. terzo navi furono incendiate72, bottino e prigionieri furono portati a Genova, dove alcuni di essi furono messi in libertà, esclusi cento uomini ragguardevoli 73. 72 Bonaini, Rime isteriche, p. 12; Ferr. Vie., Historia, 98. 73 Ann. Parm., 714. Circa le disposizioni del governo veneziano in ordine alle merci salvate, v. l’Armeno Veneto, II, 57 e sgg. Fra i prigionieri veneziani si doveva trovare anche il viaggiatore d’Oriente Marco Polo, secondo Jac. ab Aquis, Chronicon, 1582 (il passo è più dettagliatamente riportato da un cod. Ambros. in Le Livre de Marco Polo, II, p. 767, e in The book of ser Marco Polo, I, p. 52). Invece Ramusio, Secondo volume delle navigationi et viaggi, 6 v. e sgg. (in The Book of ser Marco Polo, I, p. 5 e sgg.), riporta la prigionia del Polo soltanto alla battaglia di Curzola nel 1298; cfr. oltre cap. VII. Le testimonianze di entrambe le fonti sono ben poco certe. E’ sicuro soltanto che Marco Polo scrisse la relazione dei suoi viaggi durante la sua prigionia a Genova neil’anno 1298: v. Le Livre de Marco Polo, I, p. 4. — 184 - Capitolo quarto La grande flotta dell’anno 1295 La guerra con Pisa. - Convenzione col conte Loto. - Pace fra Pisa e la lega suelfa toscana. - Convenzione di Genova con Sassari. - Risultati dei Pisani in SardeL Posizione di Genova al principio della guerra con Venezia. - Armamenti Tn/ ' vento di Bonifacio Vili. - Inutili trattative presso la Curia. - La glande flotta Suo viaggio in Sicilia. - Ritorno a Genova. La prima grande battaglia navale fu combattuta ancor prima che fosse dichiarata la guerra. Che il governo veneziano la desiderasse è una ipotesi ammissibile, considerati i precedenti; probabilmente era sembrato giunto il momento di mettere alla prova la sempre crescente potenza delle due antiche rivali. Genova si trovava allora all’apice della sua fortuna. L’Annalista, in chiusura della sua opera, accenna con orgoglio alla floridezza del commercio, alla prosperità delle entrate dello Stato1 e mette dinanzi agli occhi di tutti la luminosa vittoria su Pisa, ottenuta in conseguenza della prosperità conseguita attraverso il saggio governo dei Capitani. Tuttavia, quando cominciò la nuova, la precedente guerra non era ancora terminata. Anzi, dopo che la sconfitta di Pisa in Corsica e la perdita dell’Elba 2 avevano fatto prendere una piega favorevole per Genova, da allora essa non aveva fatto più progressi sui Pisani. Squadre di galere genovesi incrociavano costantemente nelle coste toscane e sarde, ma molte erano le navi corsare nemiche che sfuggivano alla loro sorveglianza; la stessa Riviera non era al sicuro dai loro assalti3, nè si poterono sempre evitare spiacevoli incidenti4. Per conquistare Cagliari, non rimaneva altro che portare la guerra in Sardegna, dimostrandosi il blocco insufficiente a costringere Pisa ad una pace secondo i desideri di Genova5. 1 Annali, 354 [V, 172], 2 Cfr. sopra, p. 150 e sgg. 3 Annali, 341 e sgg. [V, 138 e sgg.]; ibid., 342 [V, 143]. « Ibid., 354 [V, 170], 5 Che non si fosse trattato di un completo annientamento del commercio pisano - malgrado Annali, 354 [V, 172] - è provato da Docc. sulle relaz. Tose., p. 108 e sgg. - 185 - Libro V - Cap. quarto I Genovesi non mancarono di fare dei tentativi per portare la guerra nell’isola. Loto, figlio del conte Ugolino, era prigioniero fin dal 1284 a Genova. Fra lui e suo fratello Guelfo, che per vendicare 1 assassinio di suo padre aveva già combattuto contro i Pisani nell’isola 1, fu stabilita una convenzione, analoga ad altra che il loro padre non era riuscito a concludere 8. Il 28 maggio 1292 vennero lette in Consiglio a Genova le proposte di Loto9. Per ottenere la propria liberazione egli chiedeva, insieme con suo fratello Guelfo ed il minore Matteo, la cittadinanza genovese, depositando 15000 lire a garanzia della sua fedeltà; tale somma avrebbe dovuto essere impiegata nell’acquisto di beni stabili nel territorio della città le cui rendite avrebbero dovuto essere devolute in suo favore; inoltre 5000 lire da versarsi nel corso di 10 anni, per le quali era pronto a prestare garanzie. Nei paesi del conte in Sardegna, i Genovesi avrebbero dovuto godere piena franchigia da imposte. Nessuna parola era fatta nella convenzione circa ima comune azione bellica contro Pisa, ma certamente tale idea era stata considerata 10. Genova, per sua parte, intendeva valersi dei castelli dei suoi nuovi cittadini come punto di appoggio per assalire Cagliari. Una volta che questa fosse caduta nelle mani del Comune, i conti dovevano consegnargli i possedimenti ceduti da Pisa o comunque situati nell’ambito territoriale stabilito nella pace del 1288. Quest’ultima condizione fu aggiunta dal Consiglio alle proposte ricevute 11. La conclusione definitiva della convenzione venne ritardata ancora per qualche tempo, dal 6 Annali, 309 [V, 56]; cfr. sopra, libro IV, cap. VII, n. 42. 7 Annali, 322 [V, 89]; cfr. Ptol. Lue., Ann. Lue., 96. Secondo queste fonti, i principali punti d’appoggio di Guelfo erano Iglesias {villa Ecclesie) e castrum Aque frigide, luoghi che erano appartenuti al conte Ugolino nel giudicato di Cagliari (cfr. sopra, p. 27). 8 Cfr. sopra, p. 63 e sgg. 9 L.J., II, 289 e sgg., da cui sembra che l’interesse per le trattative con Loto fosse scemato; secondo la decisione del Consiglio del 20 maggio, le trattative stesse vennero continuate fra Loto ed una commissione composta di 4 membri. 10 Annali, 344 [V, 147]. La clausola in L.]., II, 291, eo sane intellecto, quod per hoc non teneatur aliquis eorum (je. comitum) facere guerram, significa che quanto al portare la guerra in Sardegna erano necessarie altre trattative. 11 L.J., II, 289; cfr. sopra, p. 91. La commissione fece anche la riserva (L.J-, II, 292) che delle 15000 lire se ne dovessero dare intanto 10000 al Comune per 5 anni come prestito senza interessi; di esse la Credentia avrebbe dovuto servirsi per la guerra contro Pisa; decorsi i 5 anni, il Comune avrebbe dovuto impiegarle nell’acquisto di beni stabili per i conti. — 186 - La grande flotta dell’anno 1295 momento che occorreva l’adesione dei conti Guelfo e Matteo 12. Nel frattempo corsero pure trattative con le città toscane, poiché Loto aveva indotto Firenze, Lucca e Pistoia a garantire per lui presso il Comune di Genova che entro 10 anni avrebbe impiegato le 5000 lire di cui sopra in proprietà fondiarie n. Come ulteriore pegno a garanzia della sua fedeltà alla convenzione, proponeva pure il suo matrimonio con la figlia di Ober-taccio Spinola14. Comunque, nella primavera del 1293, Loto andò in To- 12 Nel documento in L.]., II, 288, del 14 luglio 1292, il Podestà di Lucca nominò per Matteo un curatore, il quale subito dopo stese l’inventario delle proprietà di Matteo stesso: ibid., II, 291. Queste formalità erano in ogni caso necessarie affinchè Matteo potesse legittimamente ratificare quello che Loto aveva concluso, il che avvenne subito: ibid., II, 292. L’inventario del resto fu redatto nuovamente il 30 agosto 1292: Tola, Cod. dipi. Sard., I, 444. Il 16 settembre 1292 (L./., II, 294) ebbe luogo la conclusione definitiva della convenzione fra un sindaco del Comune di Genova ed il conte Loto, contemporaneamente ratificata da due procuratori del conte Guelfo, nominati il 6 luglio: L.J., II, 299. 13 Sembra che a Firenze le discussioni sulla garanzia fossero andate alquanto per le lunghe: v. Dal Borgo, Diss. Pis., II, p. 405 e sgg., 1° luglio; Consulte, II, 276, 197 e sgg.; 252, 278, 16, 17, 21 luglio, 30 settembre; soltanto il 9 ottobre vennero nominati due procuratori [App. 2, nr. 72), i quali il 27 ottobre (ibid., nr. 73), dinanzi a quattro procuratori del Comune di Genova, garantirono che Loto entro 10 anni avrebbe investito 1500 lire. Un sindaco del Comune di Pistoia (nominato il 1° settembre) aveva già garantito il 16 settembre per 1000 lire: ibid., nr. 70; parimenti alcuni mercanti lucchesi, il 28 agosto, avevano garantito in nome del loro Comune, per 1500 lire (cfr. L.J., II, 295); il 6 ottobre il Podestà, gli Anziani, etc. convalidarono la garanzia: App. 2, nr. 71. Non riteniamo ammissibile che un altro comune avesse assunto la garanzia per le residue 1000 lire. Il 12 febbraio 1293 Giovanni Tavano bancherius dichiarò per sè e in nome della sua società (societas) di avere ricevuto dal conte Loto 1000 lire in deposito con obbligo di trattenerle finché non venissero impiegate nell’acquisto di beni stabili e prometteva di adoperarsi perchè ciò avvenisse. Suoi parenti erano Obertacio Spinola miles e Tedisio Doria, filius emancipatus Lambe Aurie: App. 2, nr. 74. E’ fatta menzione d’una decisione del Consiglio degli Anziani del 29 gennaio 1293 conformemente alla quale era avvenuto il deposito. Si deve però tener conto della circostanza che in origine (L.J., II, 295) soltanto dei comuni avevano garantito per Loto. Di conseguenza è probabile che le trattative per la garanzia delle ultime 1000 lire - forse con Siena - fossero andate a vuoto e la decisione del 29 gennaio avrebbe permesso che la garanzia fosse prestata in altra forma. Le 10000 lire erano già state versate alla Credentia il 16 settembre: L.]., II, 294 e sgg. Che Loto avesse veramente comperato dei beni è dimostrato dalla data di un documento (App. 3, nr. 26, c. 77 v., 24 febbraio 1297): Actum in Albario iuxta domum comitis Loti quam conducit Baldasalis Spinula. 14 Annali, 344 [V, 1471; Ptol. Lue., Ann. Lue., 98. - 187 - Libro V - Cap. quarto scana, per prendere parte alla guerra contro Pisa 15. Fu però un grave colpo per Genova, come per i figli del conte Ugolino, che proprio nel luglio 1293 la lega guelfa toscana facesse la pace con Pisa 16. Le condizioni furono tutt’altro che onorevoli per Pisa. Guido di Montefeltro dovette lasciare la città da lui salvata; i Guelfi banditi potevano ritornare, i confederati tenere i castelli che avevano conquistato 17, ma per Genova non si ebbe la minima considerazione18, e per i conti di Donoratico la pace aveva valore soltanto ove avessero consegnato le conquiste fatte in Sardegna 19. La situazione somigliava sotto molti aspetti a quella del 1256w; anche allora Firenze e Lucca avevano concluso pace separata, mentre Genova aveva continuato la guerra per le sue pretese sulla Sardegna, ed è indubbiamente ima straordinaria coincidenza che Venezia fosse entrata in guerra con Genova proprio ora che questa era stata abbandonata dalle sue antiche alleate. Se dunque ora come allora Genova era sconcertata circa i suoi progetti sulla Sardegna a causa delle complicazioni in Oriente, Pisa, ormai libera dai suoi nemici, tanto più poteva impiegare le sue forze contro l’isola. Inizialmente i Genovesi ottennero un successo davvero rilevante. I figli di Ugolino non aderirono alla pace con gli uccisori del loro padre . 15 Annali, 1. c. Secondo il doc. in App. 2, nr. 74, del 12 febbraio 1293, sembra che allora Loto fosse ancora a Genova. 16 II documento della pace in Dal Borgo, Dipi. Pis., p. 279, insieme al documento in Dal Borgo, Diss. Pis., II, p. 401; cfr. Hartwig, Ein Menschenalter, 117 e sgg. 17 Annali, 354 [V, 1711. 18 Nell’anno 1292 sembra che a Firenze la convenzione del 1284 fosse ritenuta come avente ancora valore legale: Consulte, II, 264. La condizione del trattato di pace, secondo cui i cittadini delle città interne toscane dovevano essere franchi da qualunque imposta a Pisa, poteva essere gravosa per questa città, ma significava pure un danno per il commercio genovese, giacché negli anni di guerra l’industria della lana di Firenze e Lucca si serviva della via di Genova per le sue provviste di materia prima, come è dimostrato dal trasporto di lana a Motrone, porto di Lucca - Annali, 354 [V, 172] - mentre d’ora innanzi la via naturale del traffico era aperta su Pisa. 19 Dal Borgo, Diss. Pis., II, 402. In ogni caso, poiché ci sono di mezzo i figli di Ugolino, trattasi del castrum Ioiose guardie - Annali, 322 [V, 89] -, conquistato da Guelfo e che apparteneva al ghibellino conte Fazio (cfr. sopra, p. 27), sempre prigioniero a Genova. 20 Cfr. sopra, vol. I, p. 25 e sgg. 21 Annali, 354 [V, 171]. — 188 - La grande flotta dell’anno 1295 Quando i Pisani mandarono truppe in Sardegna22, risulta che Loto sia accorso in aiuto di suo fratello Guelfo con una schiera di cavalieri23. Ai combattimenti dei conti contro i Pisani va comunque collegata la sottomissione del comune di Sassari a Genova, avvenuta il 24 marzo 1294 ed a condizioni per nulla inique24. La futura posizione di Sassari non pare dovesse essere dissimile da quella delle altre città della Riviera, soltanto che il futuro Podestà di quel Comune avrebbe dovuto essere nominato da una commissione del Consiglio di Genova25. Il comune conservava la sua indipendenza con Statuti propri, anche riguardo al territorio di sua appartenenza26 ; per la partecipazione alla guerra con Pisa, fatta eccezione per il Giudicato di Torres, il suo obbligo di contribuzione al servizio militare è limitato. Uno degli acquisti previsti nel 1288 era così concluso; una parte del progetto attraverso il quale legare la Sardegna a Genova era realizzato . Tutti i Pisani dovevano, secondo la convenzione, essere espulsi per sempre, accordandosi loro soltanto tre mesi per la vendita delle loro pro- 22 Ibid., nel dicembre 1293. Quanto alla spedizione di truppe, impedita da Enrico de Mari {App. 2, nr. 75 A e B; cfr. sopra, p. 176), la data non è determinata in modo preciso. 23 Ptol. Lue., ^4»«. Lue., 98. Le date sono certamente dubbie, poiché se Annali, I. c., [V,172], (fine 1293 o principio 1294) dicono che dicti heredes (se. comitis Ugolini) in Sardinia guerram cottidie ipsis (se. Pisanis) et eorum sequacibus inferebant viriliter et potenter, si deve ammettere che Loto andò in Sardegna ancora nell’anno 1293. 24 Soltanto il doc. in L.J., II, 308, del 24 marzo 1294, informa che l’atto fu stipulato a Genova; Sassari era rappresentata da 5 delegati che il 16 febbraio furono muniti dei relativi poteri da quattro capitami comunis et populi e dagli anziani di Sassari. Dal documento risulta che quest’atto fosse stato preceduto da un rivolgimento a Sassari, poiché la città era precedentemente retta da un Podestà nominato da Pisa; cfr. sopra, p. 28. 25 L.J., II, 311 e sgg.; cfr. Caro, Verf. Gen., p. 64 e sgg. Merita particolare menzione la disposizione per cui non potevano essere eletti podestà coloro i quali (o i cui parenti) possedessero territori con diritti di signoria in Sardegna; perciò i Doria rimasero esclusi. 26 Però Sassari si obbligava (L.J., II, 315) respondere in civitate Janue et coram potestate Janue... cuicumque civi Janue volenti aliquid petere ab ipsa comunitate Sassari in curatariis de Nurra et de Flumenargio et qualibet ipsarum seu ipsas cura-tarias vel aliquam earum. Ciò significa chiaramente che il Podestà di Genova doveva decidere sulle liti fra i Doria e Sassari ove erano situati i loro possedimenti- LJ II, 98, 104, 109. 27 Cfr. sopra, p. 91 e sgg. - 189 - Libro V - Cap. quarto prietà. In avvenire i Pisani non dovevano più toccare il suolo di Sassari; venivano persino vietati i matrimonii fra locali e Pisani; invece i Genovesi dovevano essere franchi da qualunque onere sul commercio. Gli abitanti di Sassari, a loro volta, erano esenti da qualunque dazio dovuto al Comune di Genova per le merci esportate dalla loro città e così pure per quelle esportate da Genova per Sassari28. Viveri ed altre merci provenienti da Sassari o dal porto di Torres29 dovevano essere trasportati esclusivamente a Genova e nel suo territorio; il che non significava altro che ima monopolizzazione del commercio della Sardegna settentrionale a vantaggio di Genova; restava da vedere se, tramite la conquista di Cagliari, sare stato possibile altrettanto nel sud dell’isola. Gli avvenimenti della guerra dovevano dimostrare che i Pisani, a cui il Giudice d’Arborea porgeva aiuto, potevano ancora tener testa ai oro nemici. Il conte Guelfo perdette Iglesias ed egli stesso fu fatto prigio niero; per il riscatto il fratello Loto si vide costretto a consegnare i castello di Aquafrigida, ma poco dopo Guelfo morì e così pure Loto, io avvenne verosimilmente nel 1295 30. La parte rappresentata dai discen denti del conte Ugolino era finita. Anche Nino, il Giudice di Gallura, cerco di fare la sua fortuna in Sardegna31, tentando di riconciliarsi con i Ghi bellini di Pisa, ma senza frutto, come era accaduto ai figli del suo ex co lega di carica ed avversario32. Come essi, anch’egli si era fatto cittadino di Genova e aveva concluso una convenzione con i Genovesi, nella qua e traspariva la loro protezionela sua morte prematura34 aveva per la 28 L.J., II, 311: dal 3 febbraio 1295 in avanti. La franchigia dalle imposte del vicecomitatus non è con ciò espressa: cfr. sopra, vol. I, p. 90. 29 Sono prese disposizioni per la sua costruzione e fortificazione: L.J., IL 314. 30 Ptol. Lue., Ann. Lue., 98. Roncioni, p. 657 e sgg., per il 1295 contiene notizie più dettagliate, ma di dubbia origine; la relazione di Fara, De c o rographia, 209 e sgg., si scosta dalla precedente. Che Guelfo e Loto fossero an cora in vita al principio dell’anno 1295 e in possesso di Villa Ecclesie, risulta in ogni caso dal documento in Cod. dipi. Eccl., 321. Nell’anno 1295 Genova spedì cava beri mercenari in Sardegna: App. 2, nr. 26, c. 44; v. oltre, n. 63. 31 Ptol. Luc., 1. c.; cfr. anche Consulte, II, 416 e 493. 32 Annali, 354 [V, 171]. 33 Roncioni, p. 659 e sgg. nel 1296; secondo Fara, 210, Nino avrebbe ottenuto grandi successi. 34 Ptol. Luc., 1. c. Egli non deve essere morto molto prima del 26 settembre 1296; v. il doc. in Sforza, Dante e i Pisani, p. 127 e sgg. — 190 - La grande flotta > L0TTA dell’anno 1295 seconda volta assicurato ai Pisani il possesso di Cagliari Per possano essere gli avvenimenti successivi, che si collegano possiamo ritenere per certo che i Genovesi non fecero ulteriori perchè, come nel 1256, furono impediti da Venezia a tenere dietr^T ’ interessi. Non è però ammissibile che i Veneziani avessero nrli" allo scopo di aiutare i Pisani a mantenere la loro rilevanza nnlv ’T Sardegna. Si può soltanto affermare che Genova, eccessivamente pZ Æ guerra marittima con Venezia, non fu in grado di superare 1. A a , che ostavano alle sue pretese su Cagliari, sostenute con tanta n t^ Nelle cronache, veramente piene di lacune, la continuazione ddk^' con Pisa rimane completamente nell’ombra. Le fonti riferisco^ f 'T’ combattimenti con Venezia, i quali d’ora innanzi saranno effettivamente ! centro degli avvenimenti più importanti per la città ligure. La battaglia presso Lajazzo aveva distrutto le deboli s eranze ancora rimanevano sulla possibilità di mantenimento dell’armistizio A Genova come a Venezia si riconosceva essere ormai giunto il momento di decidere a chi spettasse la signoria del mare. La guerra interrotta nel 1270 senza risultati decisivi doveva essere ripresa ora e quindi erano ne cessari vasti preparativi per poterla sostenere con onore Primo a. >• kj 37 • , , * AAiu i Genova; restava da vedere se, tramite la conquista di Cagliari, sare stato possibile altrettanto nel sud dell’isola. _ Gli avvenimenti della guerra dovevano dimostrare che i Pisani, a cu il Giudice d’Arborea porgeva aiuto, potevano ancora tener testa ai o nemici. Il conte Guelfo perdette Iglesias ed egli stesso fu fatto pngio niero; per il riscatto il fratello Loto si vide costretto a consegnare castello di Aquafrigida, ma poco dopo Guelfo morì e così Pure ot°' avvenne verosimilmente nel 1295 30. La parte rappresentata ai sce ^ denti del conte Ugolino era finita. Anche Nino, il Giudice di Gal ura, ce di fare la sua fortuna in Sardegna31, tentando di riconciliarsi con i ^ bellini di Pisa, ma senza frutto, come era accaduto ai figli del suo^ ex c lega di carica ed avversario32. Come essi, anch’egli si era fatto citta in di Genova e aveva concluso una convenzione con i Genovesi, ne a q ^ traspariva la loro protezione33: la sua morte prematura34 aveva per 28 L.J., II, 311: dal 3 febbraio 1295 in avanti. La franchigia dalle imposte del vicecomitatus non è con ciò espressa: cfr. sopra, vol. I, p. 90. 29 Sono prese disposizioni per la sua costruzione e fortificazione: L.J-, IL 31 30 Ptol. Lue., Ann. Lue., 98. Roncioni, p. 657 e sgg., per il 1295 con tiene notizie più dettagliate, ma di dubbia origine; la relazione di Fara, De c rographia, 209 e sgg., si scosta dalla precedente. Che Guelfo e Loto fossero an cora in vita al principio dell’anno 1295 e in possesso di Villa Ecclesie, risulta in ogni caso dal documento in Cod. dipi. Eccl., 321. Nell’anno 1295 Genova spedì cava lieri mercenari in Sardegna: App. 2, nr. 26, c. 44; v. oltre, n. 63. 31 Ptol. Luc., 1. c.; cfr. anche Consulte, II, 416 e 493. 32 Annali, 354 [V, 171]. 33 Roncioni, p. 659 e sgg. nel 1296; secondo Fara, 210, Nino avrebbe ottenuto grandi successi. 34 Ptol. Luc., 1. c. Egli non deve essere morto molto prima del 26 settembre 1296; v. il doc. in Sforza, Dante e i Fisani, p. 127 e sgg. — 190 - La grande flotta dell’anno 1295 seconda volta assicurato ai Pisani il possesso di Cagliari. Pet quanto oscuri possano essere gli avvenimenti successivi, che si collegano ai precedenti 3S, possiamo ritenere per certo che i Genovesi non fecero ulteriori progressi36, perchè, come nel 1256, furono impediti da Venezia a tenere dietro ai loro interessi. Non è però ammissibile che i Veneziani avessero preso le armi allo scopo di aiutare i Pisani a mantenere la loro rilevanza politica sulla Sardegna. Si può soltanto affermare che Genova, eccessivamente presa dalla guerra marittima con Venezia, non fu in grado di superare le difficoltà c e ostavano alle sue pretese su Cagliari, sostenute con tanta ostinatezza. Nelle cronache, veramente piene di lacune, la continuazione della guerra con Pisa rimane completamente nell’ombra. Le fonti riferiscono solo dei combattimenti con Venezia, i quali d’ora innanzi saranno effettivamente al centro degli avvenimenti più importanti per la città ligure. La battaglia presso Lajazzo aveva distrutto le deboli speranze che ancora rimanevano sulla possibilità di mantenimento dell’armistizio. A Genova come a Venezia si riconosceva essere ormai giunto il momento di decidere a chi spettasse la signoria del mare. La guerra interrotta nel 1270 senza risultati decisivi doveva essere ripresa ora e quindi erano necessari vasti preparativi per poterla sostenere con onore. Prima che s’incrociassero le spade37 rimase tempo per dar corso ad azioni diplomatiche. Venezia profittò al massimo di questo tempo. Essa mandò ovunque let- 35 Cfr. l’enigmatica relazione in Pseudo Brunetto Latini (Hartwig, Quellen II, p. 236 e sgg.). 36 Questo indicano le disposizioni dell’armistizio fra Genova e Pisa del 1299: L.J., II, 372 e sgg.; cfr. oltre, cap. Vili. 37 Nella tradizione veneziana nel modo più dettagliato (Dandolo, 404 e sgg.; cfr. Marin Sanudo, Vitae ducum, 579; Andr. Naug., 1007 ed anche Laur. de Mon., 200, 202, 204) vengono riferiti fatti di guerra (spedizione di una flotta veneziana al comando di Nicolò Quirino; saccheggio di Canea da parte di una flotta genovese comandata da Oberto Doria; cattura di un convoglio veneziano ad opera di un’altra flotta genovese a Modone; incendio di navi genovesi a Cipro) i quali, secondo Dandolo, cadrebbero fra la battaglia di Lajazzo e la partenza della grande flotta genovese nell’anno 1295. Le relazioni sono di dubbia origine e non trovano conferma in fonti più certe (come, specialmente, in Jac. de Var. e Gest. des Chip.)-, esse potrebbero derivare da confusione di date; Oberto Doria aveva già saccheggiato Canea nel 1266 (cfr. sopra, vol. I, p. 187); il convoglio di Andrea Baro-cio (v. la var. in Dandolo, 405), era già stato preso dai Genovesi nel 1264 (cfr. sopra, vol. I, p. 161); di conseguenza, tali relazioni non possono essere considerate come degne di fede. - 191 - Libro V - Cap. quarto tere, nelle quali annunziava di voler assalire la stessa Genova, penetrare nel suo porto e vincere gloriosamente i suoi difensori. In tal modo si sarebbe eliminata la cattiva impressione che la sconfitta subita presso Lajazzo aveva potuto destare. Il piano fu dunque tracciato con molta serietà. Vennero intavolate trattative con Catalani e Siciliani e nelle città vicine dell’interno vennero arruolati dei mercenari. Jacopo da Varazze, che dà la notizia38, guarda con disprezzo tutto questo affaccendarsi e dice altezzosamente che Genova non ne aveva bisogno, che poteva bastare a se stessa senza mendicare aiuti qua e là. Con non minore alterigia si esprime in versi un ignoto poeta sulla situazione della città di Genova, versi dettati forse proprio in questo tempo39. Anche la forma che l’autore sceglie per magnificare la sua città è tipica della situazione. Un Bresciano gli chiedeva quali fossero le condizioni di Genova; molto ne sentiva parlare e perciò avrebbe voluto sapere se essa fosse abbastanza forte per resistere al superbo popolo che voleva annientarla; gli era ben nota la potenza di Venezia ove si vantavano ad alta voce le precedenti vittorie. Per questi motivi sarebbe stato suo desiderio conoscere la verità. E’ evidente quale dovesse essere la risposta. La colpa dei precedenti insuccessi è attribuita dal poeta ai mercenari stranieri; egli descrive minutamente l’attuale stato di floridezza di Genova, la posizione sicura della città, protetta da alti monti, tale che mai nessun principe era riuscito a sottometterla, le mura, il porto ingrandito artificialmente dalla diga, il faro, la buona acqua potabile, l’arsenale che albergava i prigionieri pisani, le numerose torri. Tutte queste particolarità della ligure città marittima vengono poste sotto l’occhio dello straniero dal poeta. E quale ricchezza si spiega per le vie di Genova! Merci preziose provenienti dalla Romania e dalle coste della Siria, stoffe intessute d oro, spezierie e gioie vengono qui portate dai mercanti, botteghe e magazzini ne sono pieni ed il numero degli operai è tanto grande che — contro equo pagamento — qualunque desiderio può essere subito soddisfatto. Le navi di Genova coprono il mare, ovunque trovansi Genovesi e ovunque essi si 38 P. 15. Secondo Laur. de Mon., 201, i Veneziani avevano denunziato formalmente l’armistizio. 39 Lagomaggiore, p. 309 e sgg.; Parodi, Rime genovesi, p. Ili e sgg. Poiché non vi è menzione della battaglia di Lajazzo, l’epoca della sua composizione potrebbe essere anteriore. - 192 - La grande flotta dell’anno 1295 stabiliscono vivono secondo le leggi del loro paese40. Vanno così bene astiti che sembrano conti ed i loro servi cavalieri. La loro città era popolatissima, le due Riviere erano abitate da un numero considerevole di esperti marinai e gente atta alla guerra; perciò ben 200 galere avrebbero potuto essere equipaggiate dai figli del proprio suolo. Genova procurava di evitare la guerra, ma ove i Veneziani avessero inteso muoverla, stessero bene in guardia e riflettessero sulla sorte toccata ai Pisani. Anche costoro avrebbero voluto sottomettere Genova, ora però erano quasi tutti morti o prigionieri. Le misure prese a Genova avevano lo scopo di preparare eguale sorte per i Veneziani. Come allo scoppio della guerra con Pisa, venne emanato il divieto di navigare e l’ordine ai cittadini viventi all’estero di rimpatriare; nel gennaio 1295 ebbe luogo la nomina del vincitore della Meloria, Oberto Doria, ad Ammiraglio Generale del Comune, ed egli, insieme con la Credentia, ricevette la facoltà di prendere tutte le disposizioni necessarie per intraprendere la guerra41. Forse in pari tempo42 si verificò un fatto che poteva sembrare indispensabile di fronte al minacciante pericolo esterno. I Ghibellini ed i Guelfi fecero pace e si riconciliarono fra loro. Le antiche fazioni erano spente. Nelle feste civili ed ecclesiastiche venne imposto di impiegare tutti i mezzi possibili, affinchè riuscissero con il migliore effetto. Dinanzi al popolo radunato in pubblico parlamento, l’arcivescovo tenne un sermone e poi, attorniato dal suo clero, intonò il Te- Deum. Indi, accompagnato dal gruppo dei cavalieri, andò in giro per la città dispen- so Lagomaggiore, p. 312, « e tanti sun li Zenoexi e per lo mondo si destexi che unde li van o stan un atra Zenoa ge fan ». Il passo sta bene in relazione con Annali, 267 [IV, 132]; cfr. sopra, vol. I, p. 231. Nella canzone troviamo alcune espressioni che ci ricordano passi degli Annali, come a p. 310, « che nixun prince ni baron uncha poe quela citae meter in sugigacion ni trar de soa franchitae»; v. Annali, 272 [IV, 146], cfr. sopra, vol. I, p. 289; inoltre l’asserzione che delle sconfitte di Genova nel settimo decennio si fosse fatta colpa al cattivo armamento delle galere con mercenari stranieri: Jac. de Var., 14; cfr. sopra, vol. I, p. 183 e II, p. 23. L’analogia non deriva dal fatto che l’autore si sia valso degli Annali, ma bensì perchè dalle sue espressioni traspare il sentimento della pubblica opinione. 41 Jac. de Var., 15; quanto alla Credenza, cfr. sopra, libro V, cap. I, n. 54; risulta che pure a Venezia fosse stato istituito uno speciale consiglio di guerra: v. Minotto, I, 189; II, 1, 81. Oberto Doria viene indicato il 30 luglio 1295 (App. 3, nr. 26, c. 47) come admiratus comunis Janue. 42 Jac. de Var., 55. - 193 - 13 Libro V - Cap. quarto sando dappertutto la sua benedizione. Il Comune, in segno di gioia per la buona riuscita dell’impresa, conferì al suo Podestà le insegne di cavaliere. Una viva attività guerresca agitava al principio dell’anno 1295 le due città nemiche. Anche a Venezia fu vietato a tutti di viaggiare per mare: ognuno doveva tenersi pronto per combattere Genova43. Nei cantieri regnava una febbrile attività, la costruzione di nuove galere era continua . Appariva probabile che, all’aprirsi della buona stagione, le flotte avrebbero preso il mare. Come un fulmine, in mezzo al fervore dei preparativi, piombò un divieto papale, che ordinava di osservare l’armistizio fino al 24 giugno Fu l’arcivescovo di Messina a recare a Genova il relativo rescritto in marzo46. L’intromissione di Bonifacio Vili nel dissidio fra le due città marittime fu imo dei primi atti del suo pontificato, provocato dal suo pensiero di fondo quale in genere si manifesta attraverso tutta la sua opera. Già altre volte i papi avevano tentato di mettere pace fra Venezia e Genova , ma nessuno era mai giunto a tanto, di imporre cioè la sua volontà ai Comuni senza alcuna trattativa preliminare, per quanto il pericolo per la Terra Santa che traeva seco la guerra avrebbe potuto giustificare tale modo di procedere. I pericoli per la cristianità, di cui la guerra poteva essere causa, non erano sfuggiti a Bonifacio Vili, ma non era da questi soli pericoli che egli si riteneva autorizzato ad intromettersi nel conflitto incombente. In considerazione del molteplice utile che la pace avrebbe potuto produrre, egli procurava di ristabilirla. A tale scopo egli domanda che i Comuni, ove desiderino conservarsi il favore papale, mandino alla sua corte entro il 10 aprile ambasciatori muniti degli opportuni poteri per concludere un accomodamento. Per agevolare le trattative egli, in virtù della sua apostolica autorità, proibisce qualunque ostilità; chi trasgredisse a tale ingiunzione, cadrebbe senz’altro nella scomunica e nell’interdetto. Nessun papa si era mai intromesso in questioni temporali in maniera tanto 43 Ibid., 16; cfr. Gest. des Chip., 284. In Romanin, Storia di Venezia, II, p. 332 e sgg., le notizie, tratte da documenti, non sono riportate con giusta connessione. 44 Jac. de Var., 15. 45 Potthast, nr. 24022; Bonaini, Breve di Bonifazio Vili, 13 febbraio 1295, tutti concordanti, spedito a Genova. 46 Jac. de Var., 16; cfr. Gest. des Chip., 284. 47 Cfr. sopra, vol. I, p. 57 e sgg., 195 e sgg., 208 e sgg., 294 e sgg. — 194 - La grande flotta dell’anno 1295 dura. La severità del procedere appariva necessaria per mettere un freno all’ardente brama di vendetta degli inaspriti avversari, ma quanto alla sostanza Bonifacio Vili agiva non diversamente dai suoi predecessori- il tono aspro che egli assumeva metteva in chiara luce il rischio che poteva derivare al principio gerarchico. L’autonomia delle potenze secolari sarebbe finita se nella cura dei loro interessi esse fossero state senz’altro trat tenute da un ordine del papa. Di solito la Curia romana si faceva mediatrice, procurava di riconciliare le parti nemiche e andava per le lunghe nelle minacce di castighi spirituali; Bonifacio VIII invece scagliava i fulmini della scomunica contro chiunque osasse disobbedire ciecamente Nè a Venezia nè a Genova il papa trovò aperta resistenza. E’ fuor di dubbio che gli inviati delle due parti comparvero puntualmente alla Curia48, alla quale si presentò pure Jacopo da Varazze, arcivescovo di Genova. Le trattative non potevano avere certamente un rapido andamento. Gli affari di Sicilia assorbivano completamente il papa; egli non poteva perciò prestare sufficiente attenzione alla complessa mediazione; era quindi ragionevole il dubbio che si potesse fare davvero qualcosa di’serio per mettere pace fra le parti contendenti. I Veneziani domandavano risarcimenti per tutti i danni sofferti e il pagamento della multa nella quale Genova era incorsa per la rottura dell’armistizio. I Genovesi sostenevano che la colpa delle perdite sofferte era degli stessi avversari. Bonifacio Vili propose finalmente di concludere un compromesso nelle sue mani; due delegati veneziani furono da lui mandati in patria per ottenere l’adesione del loro governo; in pari tempo egli prolungò di propria autorità l’armistizio fino al 29 settembre49. Anche dopo il ritorno dei Veneziani alla Curia le trattative non avanzarono. Ora erano i Genovesi che non si piegavano ai desideri del papa. Essi pretendevano di sapere che ai loro avversari premeva soltanto di tirare in lungo le trattative al solo scopo di impedire che uscisse in mare la grande flotta genovese che si stava armando. Il pio arcivescovo Jacopo insinua con compiacimento come per la sagacia dei suoi concittadini fosse 48 Jac. de Var., 16. Gli ambasciatori genovesi sono Luchetto Gattilusio, Forchetto Salvatico ed i giureconsulti Manuel Olbergerio (!) e Pietro de Ugolino; due degli ambasciatori veneziani sono Nicola Quirino e Giovanni Contareno: Reg. Bonif. Vili, I, P- 265. 49 L’andamento di queste trattative risulta dalla lettera in Reg. Bonif. VIII, I, p. 264, 18 maggio 1295; cfr. Jac. de Var., 1. c. - 195 - Libro V - Cap. quarto stata dimostrata la vergogna di questi intrighi50. Conseguenza di tutto questo fu che la mediazione del papa rimase senza risultato e che a Genova non si tenne conto dell’ordine di proroga dell’armistizio. In tutta fretta venne completato l’armamento di 200 galere. In città e territorio regnava il massimo entusiasmo, i cittadini andavano fra loro a gara per partecipare alla guerra, ciascuno cercava di primeggiare sull altro nell indossare magni fiche vesti e portare splendide armi. Verso la meta di agosto la flotta era pronta a prendere il mare51. Il numero delle navi risultò inferiore e quello progettato in origine52; però lo superava di molto in confronto con qua lunque altra delle spedizioni fino allora avvenute. Una flotta di 165 galere con un minimo di 220 uomini di equipaggio ciascuna e un complesso di 45000 combattenti imbarcati non si erano mai visti53. Gli scopi a cui si mirava con l’impiego di forze tanto impo nenti furono dichiarati dal Podestà, dal Capitano e dalla Credentia in una s° In Jac. de Var. è dato soltanto uno sguardo sommario al corso delle trattative senza una precisa distinzione tra i diversi stadi. Da Rayn., anno 1 , pa 38, si dovrebbe concludere che i Veneziani, dopo il ritorno dei due am asciaton a Curia, si fossero dichiarati pronti ad accettare il compromesso nel papa, respint^ invece dai Genovesi sotto pretesto di non essere muniti di sufficienti poteri, la relazione di Laur. de Mon., 202, secondo la quale della rottura di queste trattative dovrebbero essere incolpati i Veneziani, risulterebbe inesatta. 51 Jac. de Var., 16 e sgg. Ciò posto, l’armamento avrebbe avuto luogoi dal 15 luglio al 15 agosto. Nelle lettere papali del 12 e 13 agosto (Reg- Bonif. ^ , I, p. 273 e sgg.; Rayn., anno 1295, par. 38), è detto che la flotta era già partita, che essa il 13 agosto fosse a Portovenere si rileva dalla data di un documento i quel giorno (App. 3, nr. 18 a, c. 6) actum in Portuveneris in galea comunis de qua est comitus dictus Enricus (se. Castagna) in stolo d. Oberti Aurie. Forse le galere non erano state pronte a partire contemporaneamente da Genova. 52 Jac. de Var., 17: Placuit tamen d. admirato et sapientibus ut ad galeas 165 reducerentur, quod et factum est. Ita tamen factum est, quod nulla galea foret, que ad minus 220 armatos homines, ut comuniter dicitur, non haberet, alie tamen 250, alique vero 300 habuisse dicuntur. In queste cifre sono certo calcolati i rematori. Secondo la relazione di Gest. des Chip., 285, che certamente deve riferirsi alla flotta del 1295, la sua forza doveva ascendere a 177 galere e 20 barche; inoltre sarebbero state armate altre 25 galere, delle quali era comandante Manuel Zaccaria, per proteggere Genova dai Pisani. Secondo Villani, Vili, 14, la flotta contava oltre 160 galere e più di 100 navi minori; secondo Laur. de Mon., 203, 162 galere di cui 90 triremes (cioè con tre rematori per banco), le altre biremes. Secondo Stella, 985, che oltre a Jac. de Var. si vale anche di altre fonti, si trattava di 107 galere nuove. 53 Jac. de Var., 1. c. - 196 - La grande flotta dell’anno 1295 lettera spedita al Doge, se i Veneziani si fossero degnati di venire fino a Genova con la loro flotta, avrebbero potuto risparmiarsi tanta strada per chè Oberto Dona, 1 Ammiraglio genovese, sarebbe venuto loro incontro in Sicilia per trovarsi pronto ad attenderveli! Dio avrebbe quindi deciso da quale parte stava il buon diritto M. Le navi erano già partite da Genova, allorché gli ambasciatori tornarono dalla Cuna . Lettere papali li raggiunsero: Bonifacio Vili ordinava un silenzio d’armi, da osservarsi inviolabilmente da ambo le parti dal giorno in cui fosse pervenuto loro il rescritto papale fino al 24 giugno dell’anno prossimo56. Proibiva inoltre espressamente ai Genovesi di proseguire nel viaggio e ordinava loro di richiamare indietro i propri cittadini Entro 15 giorni si dovevano mandargli ambasciatori muniti dei poteri necessari per accettare le condizioni della pace57 e piegarsi alla sua volontà. Se i Genovesi, contrariamente al divieto, avessero iniziato le ostilità, la città sarebbe caduta nell’interdetto58. E’ probabile che il papa non avesse fatto eccessivo affidamento su di una pronta obbedienza ai suoi voleri, se in pari tempo autorizzò i Veneziani a difendersi nel caso che fossero stati assaliti, senza con ciò cadere nei castighi minacciati per violazione dell’armistizio59.’ Venezia non ebbe modo di far uso di questa concessione. L’armata genovese giunse nelle acque della Sicilia, si fermò nel porto di Messina e altrove per 18 giorni; i Siciliani erano rimasti pieni di meraviglia61' alla vista di 54 Jac. de Var., 17 e sgg, al quale comunque era stata presentata la lettera; anche Gest. des Chip., 285 ne fanno menzione. Anche Laur. de Mon, 201 e s^g deve aver considerato la lettera, che peraltro riassume erroneamente; nell’indirizzo egli riporta i nomi del Podestà genovese Cavalcabò de Medici (cfr. L.J, II 3?4) e del capitaneus populi Talione de Villa; cfr. sopra, libro V, cap. II, n. 13;’ di nessuno dei due è fatta menzione in Jac. de Var. 55 Jac. de Var, 18. Secondo la lettera in Reg. Bonif. Vili, I, p. 273 il 12 agosto non erano più alla Curia. 56 Reg. Bonif. Vili, I, p. 273, 12 agosto. 57 Ibid. (lettera del 13 agosto), super tractatibus habitis et habendis. Ciò si deve intendere nel senso che il papa nelle precedenti trattative aveva formulato per iscritto delle proposte sulla maniera di provvedere se le parti avessero compromesso in lui. Vi accennano pure le notizie dorsali (App. 2, nr. 75 C) forma compro-misorum (!) e forma tractatus curie Romane. 58 Reg. Bonif. Vili, I, p. 273 e sgg. 59 Potthast, nr. 24166; Rayn, anno 1295, par. 38; Reg. Bonif. Vili, I, p. 276, 13 agosto. 60 Jac. de Var, 18. - 197 - Libro V - Cap. quarto una così grande e magnifica flotta di galere come mai prima si era presentata. i Veneziani non potevano vederla perchè la loro flotta non c era . E’ ben probabile che, malgrado tutti i preparativi, la città della laguna non fosse in grado di approntare un numero di navi tale da potersi misurare con quelle dell’avversario62. Tuttavia anche altri motivi potevano aver contribuito ad indurre il Doge, malgrado le vantate precedenti assicurazioni, a non accettare la sfida alla battaglia. Accettare il rischio di una giornata di lotta, che poteva decidere di tutta la futura vita dello Stato, era impresa azzardata, che meritava profonda riflessione, come dimostrava la sorte toccata ai Pisani. Se invece la flotta genovese fosse rimpatriata senza aver ottenuto un successo definitivo, le grandi spese fatte per il suo armamento sarebbero risultate infruttuose, nè si sarebbe potuto esigere ogni anno dalla cittadinanza simili sforzi personali e pecuniari. Lo sner vamento, dopo tutto questo immenso impiego di forze, sarebbe suben trato a Genova, e messo munificamente a profitto dai Veneziani nelle sue cessive battaglie63. Non è da escludere che essi avessero fatto tale calco o, in ogni caso, il risultato dimostrò l’inutilità della pomposa spedizione, giù stificando il saggio riserbo dei Veneziani. Dopo aver atteso invano il nemico, i Genovesi si diressero verso casa, adducendo a giustificazione che a causa della stagione avanzata il viaggio 61 Ibid. Secondo Gest. des Chip., 285 e sgg., i Genovesi avrebbero mandato da Messina una seconda lettera a Venezia. I Veneziani avrebbero risposto c e ess non potevano armare tanto presto una flotta analoga; che perciò accettavano a at taglia solo per quando avessero potuto presentarsi con forze pari. 62 Così Dandolo, 405, che si discosta da Jac. de Var. da cui provengono cer tamente le precedenti notizie sulla flotta genovese; concorda invece con Andr. aug, 1008. 63 Così forse si deve interpretare la relazione di Laur. de Mon, in quanto non sia ricavata da Jac. de Var. Per quel che concerne i costi della flotta genovese, trassero in inganno, secondo un documento (App. 3, nr. 26, c. 43 v.) del 21 maggio 1296, le spese complessive dei massarii della Credentia, 233086 lire, 7 soldi e 2 denari e cioè. tam pro militibus missis in Sardineam, prò sarda et apparatu galearum, pro galeotis, pro armandis lignis, pro expediendis galeis, pro quantitatibus pecunie mutuo acceptis (ab) officio credende, pro galeis fabricatis de novo et pro logerio galearum, pro expensis factis circa officium de mari, pro custodia carceratorum pro salario spiis tionciis (!) quam aliis diversis negociis et rebus. Secondo questo passo, le spese di guerra sorpassarono le entrate normali annue molto considerevolmente; v. Annali, 354 [V, 172], - 198 - La grande flotta dell’anno 1295 in Adriatico sarebbe stato troppo pericoloso e che d’altra parte i Veneziani avevano preso precauzioni per proteggere le città costiere da attacchi6S. Senza incidenti la grande flotta rientrò nel porto di Genova, salutata con giubilo. Ma se Jacopo da Varazze66 paragona le minacce dei Veneziani ile nubi temporalesche che passano senza lasciar cadere pioggia tale simi litudine sarebbe stata da applicarsi molto meglio alle azioni dei suoi concittadini. Il viaggio in Sicilia era rimasto allo stato di una mera dimostrazione. Era stata un idea cavalleresca quella di mettere a profitto tutte le forze dello Stato per misurarsi, come in un duello, con l’antica rivale. Il successo concreto si ridusse a zero, perchè il nemico non si presentò e questo colpo avverso, per nulla immeritato, provocò anche negli affari interni cittadini una fatale reazione. Non è dimostrabile in modo certo se veramente durante la spedizione della flotta l’antico dissidio fra i partiti fosse risorto67, comunque pochi mesi dopo il suo ritorno, esso scoppiò, attraverso combattimenti per le strade, con tale violenza, come fino ad allora non era mai avvenuto. m Jac. de Var, 18; cfr. Gest. des Chip., 6. 65 Dandolo, 405; similmente Andr. Naug, 1008; cfr. Laur. de Mon, 203. « p. 18. « Di quanto Villani, Vili, 14, riferisce, è certamente inesatto che i Genovesi fin da principio avessero l’intenzione di spingersi fino a Venezia; perciò anche la motivazione del ritorno, attribuito ai dissidi destatisi nella flotta, appare dubbia. Andr. Naug, 1008, sembra essersi valso di Villani. - 199 - Capitolo quinto Il secondo doppio capitanato Forma della costituzione sotto Podestà, Capitano e Abate. - Il Consiglio Generale. • I Ghibellini ed i loro avversari. - Conciliazione dei partiti nel gennaio 1295. - La guerra di 40 giorni in città fra Ghibellini e Guelfi. - Elezione dei Capitani - Forma della costituzione sotto il doppio capitanato. Quando i due Capitani rinunciarono, il 28 ottobre 1291, alla loro carica, entrarono in vigore le forme costituzionali già precedentemente previste. Una tendenza ben determinata ne stava alla base; i Ghibellini cioè avevano inteso, appoggiati dal Popolo, continuare a tenere in mano il timone dello Stato Questo scopo non era stato raggiunto nel modo desiderato; essi erano riusciti solo ad impedire che si entrasse nel merito delle proposte angioino-papali2, e poiché i Guelfi, a loro volta, avevano avuto poca simpatia per le istituzioni create dai loro avversari, così si comprende facilmente come l’idea che la costituzione vigente non potesse durare in eterno fosse diventata piuttosto generale3. Appariva anche abbastanza assurdo che il Comune dovesse avere tre capi. Adesso il Podestà, da mutarsi annualmente, stava sopra a tutti; il titolo di Potestas Comunis4 lo qualifica come capo supremo, essendogli interamente affidato il potere giurisdizionale5. Il Capitano del Popolo, sia pur non continuativamente, lo affiancava nell’amministrazione; lo stesso 1 Cfr. sopra, p. 154. 2 Cfr. sopra, p. 163 e sgg. 3 Con ciò si possono spiegare gli argomenti di Jac. de Var, 19, scritti nell’anno 1293: v. ibid., 53. L’arcivescovo prese parte viva alla questione del giorno riguardante l’eventuale mutamento della costituzione. 4 Annali, 356 [V, 176]; App. 3, nr. 11, c. 39 etc.; tuttavia, accanto al più breve titolo di potestas Janue (L.J., II, 300) troviamo anche quello originale di potestas civitatis Janue-, ibid., II, 318. 5 Annali, 340 [V, 137]: 1292, (potestas) omnimodam bailiam habuit in iustitia facienda secundum capitula civitatis Janue, et ubi capitula non loquerentur secundum lura Romana. Non è chiaro quali fossero le funzioni del giudice del capitaneus populi: L.J., II, 318, 321. - 200 - Il secondo doppio capitanato discorso .ale per 1 'Abbas populiteno rappKSe„M„te di w,„ U dtt. dinanza genovese. materiale documentario che possediamo è trooon scarso per poter r.coooscere se le loro competenze fossero rigidamente se parate- Probabilmente non era cosi, in qnant0 ; giuda !tJfc ^ * lenze venivano sempre rimessi indifferentemente alla decisione dell'uno o dell’altro Consiglio. La Credentia, istituita nel 1290 per la guerra contro Pisa 7 ebbe allo scoppio della guerra con Venezia, un ampliamento della propria sfera’ di azione8, rimanendo però sempre un organo le cui attribuzioni si limitavano a scopi ben determinati. Gli Anziani invece costituiscono ora il vero e proprio piccolo Consiglio del Comune, che sbriga gli affari di minore importanza, mentre quelli di maggior rilievo vengono passati al gran Consiglio 9, alle cui sedute gli Anziani, del resto, prendevano parte 10 Al 6 II Podestà agisce da solo nella nomina di un sindaco per la conclusione di un contratto con il marchese Antonio del Carretto: L.J., II, 285, 27 maggio 1292; nell’acquisto: L.J., II, 300, 11 maggio 1293, e nel pagamento di una fornitura di grano: App■ 3, nr. 26, c. 25, 1° luglio 1295. Alla conclusione della convenzione con Sassari (L.J., II, 308, 24 marzo 1294) prendono parte soltanto Podestà e Abate- il Podestà ed il Capitano conferiscono i poteri all’inviato a Venezia e lo muniscono delle lettere credenziali; App. 2, nr. 76 b e c; cfr. sopra, p. 179. Parimenti manca l’Abate nell’indirizzo della lettera missiva: Jac. de Var, 17; Laur. de Mon, 201; cfr. sopra, p 196 Invece vi è una lettera per Gaeta riguardante una domanda di risarcimento di danni (App. 3, nr. 11, c< 39) firmata da Podestà, Capitano e Abate; tutti e tre inoltre presero parte alla decisione di inserire le opere di Jacopo Doria nel codice degli Annali (16 luglio 1294): Annali, 56, 356 [I, 149; V, 176]; essi consegnano la risposta decisa dal Consiglio agli inviati di Carlo II etc. (cfr. sopra, p. 167 e sgg.) e approvano la minuta, redatta da una speciale commissione, dell’istruzione agli inviati per Venezia-App. 2, nr. 75 B; cfr. sopra, libro V, cap. Ili, n. 38. V. anche Barth. de Neoc 1181 e sgg, e Jac. de Var, 54. 7 Cfr. sopra, libro V, cap. I, n. 54. « Cfr. sopra, p. 193. Secondo Jac. de Var, 15 e sgg, si dovrebbe ritenere che le disposizioni prese nell’anno 1295 avessero fatto della credentia un consiglio dell’ammiraglio generale Oberto Doria; tuttavia la credentia fu mantenuta comunque fino all’anno 1299 (v. L.J., II, 363 e sgg, 370) mentre l’ammiraglio fu in carica soltanto nell’anno 1295. Quanto ai massarii della credentia, cfr. sopra, libro V, cap. IV, n. 63. 9 La designazione di consilium maius per il Consiglio (contrapposto al Consiglio Minore degli Anziani) risulta da L.J., II, 289 e 316; consilium generale (equivalente a consilium maius\ cfr. sopra, vol. I, p. 270, n. 87), si trova in L.J., II, 388, 24 luglio 1299, etc. 10 Troviamo gli Anziani da soli in Annali, 56, 356 [I, 149; V, 176]; L.J., II, 300; Anziani e Consiglio in L.J., II, 285, 289, 308, 316; App. 2, nr. 76 b; App. 3, - 201 - Libro V - Cap. quinto riguardo non esistevano regole precise, ma la costituzione di commissioni speciali composte di elementi diversi per la trattazione di affari particolari era ora più frequente di prima u. Per le discussioni e le decisioni definitive, i Consigli venivano riuniti, integrati da membri aggiunti, il cui numero in qualche caso sorpassava addirittura quello dei membri effettivi . Era in queste riunioni, talvolta grandiose, che si evidenziavano le tendenze politiche della città ed il desiderio di ritornare ad una forma libei ale dello Stato. E’ fuor di dubbio che già negli ultimi anni del doppio capitanato l’uso di chiamare gli aggiunti alle sedute del Consiglio 13 dimostrava come i Capitani avessero dovuto cedere di fronte alla pressione dei cittadini interessati a partecipare agli affari dello Stato. Se il numero degli aggiunti nr. 26, c. 25. E’ discutibile che il Consiglio si radunasse ancora senza la presenza eg Anziani. Se questi ultimi negli Annali - come a p. 344 e sgg. [V, 147-148 non sono espressamente nominati, potrebbe darsi che la loro partecipazione a onsi i fosse sottintesa. In ogni caso non esiste per quest’epoca documento dal qua e risu che il Consiglio avesse preso qualche risoluzione senza il concorso degli Anziani, tutta via sono conservati atti in presenti consilio generali sive maiori: L.J., IL 317, , (ibid., II, 324, 327 in presenti consilio generali). In nessun caso comunque g i n ziani costituivano un consiglio particolare del Capitano, come al tempo de occ negra (cfr. sopra, vol. I, p. 21 e sgg.; quanto alla loro nuova installazione nell anno 1270, v. sopra, vol. I, p. 269), anzi il Podestà e gli Anziani prendono decisioni senza il Capitano: L.J, II, 300. Le sedute dei consigli riuniti erano presiedute dal Po esta. L.J., II, 289: potestas comunis Janue rexit consilium dicti comunis maius et ancianorum. 11 Cfr. sopra, vol. I, p. 271, n. 89 e II, PP- 154, 163 e sgg, 176, n. 38. Le isi.ru zioni per gli inviati (App. 2, nr. 75 A e B) è redatta da più di 30 electi ad tractandum super examinandis et reformandis tractatibus factis super ambassata que debet fieri apud Venetias secundum formam consilii facti hoc anno die... 12 Al Consiglio che discusse della lega con Carlo II erano presenti 44 aggiunti per ogni compagna, in tutto quindi 332: Annali, 344 [V, 148]; il numero complessivo dei presenti alla seduta finale è dato in 600, però potevano aver votato solamente 557: Annali, 345 [V, 149-150]. Al Consiglio nel quale si poteva discutere nuovamente l’argomento furono invitati 50 aggiunti per ogni compagna. A quello che deliberò sull’ultimatum a Venezia presero parte più di 1000 persone: Annali, 353 [V, 1681. Dagli Annali, 344 [V, 148], si può concludere che gli aggiunti non solamente prendevano parte talvolta ad una seduta, ma che continuavano a presentarsi al Consiglio, finche la discussione su quel determinato argomento non fosse completamente chiusa. 13 V. Annali, 332 [V, 116] per il 1290; L.J., II, 252, 258, 28 novembre 1290; cfr. sopra, vol. I, p. 271, n. 88. — 202 - Il secondo doppio capitanato non era più determinato in numero fisso come nel 1270 14 ma mm • uò ben ammettere mutava a seconda dell’importam " sCussione, tanto più le decisioni potevano ritenersi come vera espressione della volontà deHa pubbltca opinione. Si può ben affermare che il Consiglio Generale tenesse il luogo dell antico Parlamento. Ma appunto per questo la supremazia di un solo partito, sulla quale i nobili ghibellini nel muta mento costituzionale del 1291 non avevano inteso cedere, poteva ancora sostenersi a grande fatica Non risulta ben chiaro come avvenisse l’elezione degli Anziani, dei Consiglieri e degli aggiunti, però è certo che nei lunghi ed estesi dibattiti del Consiglio anche gli avversari dei Ghibellini prendevano la parola e non mancavano le occasioni perchè essi, nelle votazioni, riuscissero ad accordi per ottenere la maggioranza o quanto meno una rilevante minoranza sulle loro proposte. La volontà dei Doria e degli Spinola non era più la sola a decidere. Essi furono rimossi dalla loro posizione egemonica, le nomine dei Podestà avvenivano apparentemente secondo i loro desideri15; ma la loro supremazia risultava già scossa alla fine del 1292 e soprattutto il vincolo che li univa ai popolari si era allentato I6, mentre le conseguenze della sollevazione prodotta dalla comparsa degli inviati di Carlo II non si dimostravano ancora estinte. Il contrasto fra partiti, fattosi più acuto, si manifestò anzitutto con un grave aumento della criminalità in citta e nel territorio; ogni giorno accadevano risse sanguinose , i mezzi impiegati per mettervi riparo dimostrano quali fossero veramente i punti di discordia. Per deliberazione del Consiglio, fu nominata una commissione di 18 membri, con facoltà di ordinare quello che credesse più opportuno per il bene della città e del territorio; il Podestà avrebbe dovuto eseguire senz’altro le deliberazioni 14 cfr. sopra, vol. I, p. 242. 15 I Podestà dal 1292 al 1296 appartengono alle città confederate dell'interno, Asti, Pavia, Milano e vi è persino un ghibellino bandito da Bologna: v. Annali, 340, 351 [V, 137, 165]; cfr. sopra, libro V, cap. II, n. 82; L.J, II, 318 (il Podestà del 1294, Jacopo de Carcano - L.J, II, 308 - è pure, come Bertramo de Carcano - Annali, 323 [V, 93] - un Milanese). i<> Siccome la metà dei partecipanti al Consiglio doveva essere composta di popolari (cfr. sopra, p. 155), così il risultato delle votazioni del 23 dicembre 1292 e 14 gennaio 1293 (cfr. sopra, p. 163 e sgg.) è spiegabile soltanto ammettendo che un certo numero di popolari abbia votato per le proposte guelfe. 17 Annali, 345 e sgg.; [V, 151, 173]. - 203 - Libro V - Cap. quinto prese dalla commissione a maggioranza dei due terzi dei votanti18. Secondo quanto riferiscono gli Annali, la commissione dei 18 avrebbe recuperato molti beni del Comune che erano stati alienati19. Il nesso fra queste misure ed i torbidi in atto resterebbe incomprensibile ove non si volesse ammettere che le misure stesse erano rivolte contro i tradizionali reggitori. Appunto alla commissione dei 18 l’ex Capitano Oberto Doria cedette il castello di Calvi in Corsica con l’adesione di suo fratello Jacopo20. Probabilmente in addietro esso era appartenuto al Comune21, ed i Doria ne saranno venuti in possesso attraverso qualche sottigliezza giuridica a cui aveva dato occasione la loro posizione di reggenti di Genova22. Tale alienazione di proprietà comunale venne ora annullata. Che i Ghibellini disponessero in genere del loro potere per procurarsi vantaggi personali, si rileva da un altro fatto ancor più evidente. Filippo della Volta, uno dei più cospicui partigiani dei CapitaniB, aveva usurpato al Comune il castello di Tagliolo24, conquistato nell’anno 1273. In origine vi erano stati installati dei castellani, ultimo dei quali proprio Filippo, che riceveva per questo anche uno stipendio; in appresso pero risulta che egli vi avesse acquistato diritti di proprietà , e comunque vi avesse impiegato somme considerevoli in nuove costruzioni26. Alla fine avvenne che egli si trovò in possesso del castello e del diritto di signoria sulle località is Annali, 354 e sgg. [V, 1731 29 gennaio 1294. » Annali, 355 [V, 173]. 20 V. L.J., II, 306, identico al documento ibid., II, 56, 2 febbraio 1294. 2' Cambiaci, I, p. 542; cfr. sopra, libro V, cap. I, n. 10. 22 Nel documento in L.]., II, 305, è detto che Oberto Doria volle mantenere la promessa fatta al Comune allorché dichiarò di avere ricevuto da esso 7000 lire e che perciò cedette Calvi. Che gli fossero state effettivamente pagate queste 7000 lire non è chiaro, se consideriamo le espressioni del documento. In ogni caso, contro le sue promesse di allora, Oberto aveva tenuto Calvi nelle sue mani. 23 Annali, 323 [V, 92]; cfr. sopra, libro V, cap. VIII, n. 30. 24 Cfr. sopra, vol. I, p. 332. 25 Quanto ai precedenti proprietari, i marchesi del Bosco, i cui diritti di proprietà non erano stati interamente acquistati dal Comune, cfr. i docc. citati sopra, vol. I, p. 332, n. 46. 26 Secondo L.J, II, 302, vi erano tre castelli a Tagliolo, dei quali il castrum novum fu appunto edificato da Filippo della Volta. Il secondo doppio capitanato ad esso appartenenti27. Il fatto può spiegarsi soltanto supponendo che il governo genovese avesse tacitamente tollerato tale usurpazione2* fnY altre alienazioni di proprietà e diritti comunali si erano verificate a favore di nobili genovesi ; ciò significava un danno arrecato a tutta la cittadi nanza, poiché in tal modo venivano a ridursi le pubbliche entrate Da dò viene da sè la supposizione che certe tendenze formatesi nella popolazione fossero state la ragione che condusse all’installazione dei 18 con 11 testa il rappresentante del Popolo, l’Abate3». La spinta doveva essere Dar" tita dagli avversari dei Ghibellini. Forse le relative accuse, come quella già sollevata un tempo contro i Grimaldi, che troppi dei loro amici sedes sero in Consiglio31, furono adesso lanciate contro i Doria e gli Spinola e tali accuse trovarono eco fra i popolari. A tutto ciò potrebbe riferirsi anche la circostanza per cui le due famiglie, nella seduta del Consiglio che di scusse sui mezzi opportuni per ristabilire la quiete, dichiararono che nel corso dei prossimi cinque anni, nessuno dei loro membri avrebbe 27 La situazione risulta dai documenti in L.J, II, 321 e 323. Contro 1’ arbitrario di uffizi e diretto lo statuto (Statuti di Pera, 730 e sgg.) forse compilato in occasione dell’attività dei 18. Il suo tenore è tenuto oscuro non senza intenzione. Non è detto da chi fossero stati insediati questi illegittimi detentori di uffici La circostanza che essi in un determinato momento reggessero l’ufficio auctoritate pro pria non esclude che essi fossero stati nominati precedentemente da un’autorità su periore. Viene quindi da sè la supposizione che si tratti di uffici concessi, contro le regole, da Capitani di cui non si voleva rendere noto il nome. 28 Alla fine della procedura di recupero, Filippo doveva rendere Tagliolo al Comune (L.J., II, 321 e sgg.), ma ciò malgrado sembra che ne fosse rimasto in pos sesso. Dal suo testamento del 16 maggio 1310 (App. 5, nr. 10, 2) risulta ch’egli - probabilmente più tardi - avesse venduto ai suoi parenti Tagliolo per 4000 lire; però assicurava espressamente che nè il prezzo era stato pagato, nè le promesse per le quali era seguita la vendita erano state mantenute e per questi motivi voleva che l’istru-mento di vendita fosse cassato. 29 Sembra che i de Camilla non avessero tenuto conto dei diritti di sovranità del Comune sui castelli di Tassarolo e Pasturana: L.J., II, 325 e sgg.; altrettanto fece Andriolo Fieschi insieme con gli altri figli ed eredi di Alberto Fieschi relativamente al castrum novum de Varisio: ibid., II, 327 e sgg. 30 II carattere popolare delle misure prese risulta pure dal fatto che in seguito furono pure possibili denunzie anonime sopra alienazioni di proprietà comunali; esse venivano messe in una cassetta apposita nel palazzo dell 'abbas populi-. L.]., II, 320, e sgg., 325, 327. E’ evidente che i denunziatori volevano mettersi al sicuro dalle vendette dei denunziati. 31 Annali, 248 [IV, 631; cfr. sopra, vol. I, p. 155. - 205 - Libro V - Cap. quinto potuto coprire la carica di Podestà o di castellano nel territorio genovese32. Tale dichiarazione costituisce un atto di saggia previdenza, con cui i capi del partito ghibellino rinunziavano alle cariche più lucrose ed influenti. Qualunque avversario, non assolutamente intransigente, era costretto a riconoscere che i Doria e gli Spinola non ambivano dignità dello Stato33. Essi troncarono così la via alle mene ed agli intrighi che troppo agevolmente si fanno strada presso le masse facilmente eccitabili. Inoltre l’inizio della guerra con Venezia, che costituiva il centro dell’attenzione venerale, concorse a mandare a vuoto il movimento originariamente diretto contro il dominante partito ghibellino34, ed i Guelfi non riuscirono a staccare i loro avversari dal Popolo com’era nelle loro intenzioni. Si formarono così nel gennaio 1295 i presupposti per una pace generale che doveva por fine per sempre al dissidio dei partiti durato quasi sessant anni35. 32 Annali, 355 [V, 173]. 33 Annali, 1. c.: et ne reputarentur cupidi habere huiusmodi officia. 34 Secondo Annali, 354 e sgg. [V, 173], la carica dei diciotto doveva durare un mese o più a seconda che piacesse al Consiglio; in gennaio e febbraio 1294 la loto attività si «tese al recupero di proprietà comunali. Sulle altre attribuzioni della commissione (App. 3, nr. 26, c. 6), esiste un documento del 28 gennaio 1295 dal quale si rileva che in quel momento essa era ancora in funzione e che i suoi membri erano stati cambiati almeno una volta: in presenza sapientum decem et octo electorum et constitutorum pro comuni Janue super reformatione et bono stato civitatis riperie et districtus Janue, due sindaci di Albenga dichiarano di avere depositato 2325 lire presso Gando de Mari; a ciò Albenga sarebbe stata tenuta in virtù di una sentenza del 19 luglio 1294 pronunziata dai diciotto di allora, (nella lite) fra il marchese Manuel di Clavesana e Albenga, (su questa lite cfr. Rossi, St. di Albenga, p. 163 e sgg.); sono presenti 13 dei 18, tra i quali Nicola Spinola, Sorleone Doria e pur anche un Malocello. Il 25 maggio e il 16 dicembre 1295 (L.J, II, 317 e sgg. e 324 e sgg.), appare uno straniero come iudex constitutus pro comuni Janue super iurihus et publicis comunis Janue recuperandis, al quale furono aggiunti dei sapientes per dirigerlo nelle ricerche (sopra alienazioni), ad sollicitandum nos pro comuni super officio nobis commisso (ibid., II, 320); il 25 maggio non erano ancora trascorsi i due primi mesi del tempo del suo ufficio: ibid, II, 317. Siccome a questo giudice venne trasferita una parte essenziale delle funzioni che in precedenza erano disimpegnate dai 18, viene da suppone che i 18 fossero stati aboliti nel 1295 e che in loro vece fosse stata istituita una speciale corte di giustizia. 35 Jac. de Var., 55; cfr. sopra, p. 193. La circostanza che la discordia fosse durata per annos 55 (migliore lezione 60) et amplius, prova che l’epoca nella quale Genova si staccò da Federico II segnò il punto di partenza della divisione dei partiti fra Ghibellini o Mascarati e Guelfi o Rampini; cfr. sopra, vol. I, pp. 20 e 273, n. 1. Jac. de Var. ha certamente dimenticato la pace precedente. - 206 - Il secondo doppio capitanato Per il momento non era il caso di pensare ad un richiamo dei ha diti, e neppure pareva facile concludere un formale accomodamento- la conciliazione doveva anzi assumere carattere personale: le famiglie fino ad ora nemiche si univano per la comune campagna contro Venezia U nemico secolare della patria . Tutte le differenze dovevano comunque in tale circostanza appianarsi. Un Oberto Spinola aveva una volta edificato la chiesa di San Luca sopra un terreno che apparteneva ad Oberto Gri maldi37; i discendenti dell’uno e dell’altro si disputavano il diritto di pa" tronato sulla chiesa. Ora essi deferirono la decisione al priore del convento dei domenicani38, il quale, conformemente al parere di un giurisperito stra 36 come ■» Singole conciliazioni di famiglie dovevano avere avuto luogo anche pri ^ è provato da dispense matrimoniali accordate da Niccolò IV, perchè mediante queste unioni venivano eliminate le inimicizie esistenti fra i parenti dei rispettivi silicosi Reg. Me. IV, p. 24, 13 giugno 1288, per Cigala e Fieschi; p. 273 5 settembre 1289, Cigala e Malocelli; p. 590, 18 gennaio 1291, Zaccaria e Grimaldi- p 591 !8 gennaio 1291, de Carmadino e Grimaldi; p. 704, 8 maggio 1291, Grimaldi e de Savin none (! Savignono). Nelle dispense per i de Camilla e Grimaldi (ibid., p. 327 1° di-cembre 1289) non è fatta alcuna parola di inimicizie; p. 499, 1° agosto 129o’ Doria e de Castello; p. 591, 21 gennaio 1291, della Volta e Usodimare; p. 592, 18 gennaio 1291, Doria e Spinola; p. 648, 24 febbraio 1291, de Mulazana e Lercari- p 809 17 settembre 1291, de Nigro e Pignolio. Da questi documenti non possiamo ricavare maggiori conclusioni, perchè anche nel caso del matrimonio fra Rolando fratello di Albertacio Spinola, e Rubea, figlia di Filippo della Volta, la dispensa viene concessa allo scopo di togliere il dissidio fra i loro congiunti: ibid., p. 857, 3 gennaio 1292. 37 Ciò risulta dal documento in App. 3, nr. 26, c. 23 v, v. oltre, n. 39. Oberto Grimaldi è certamente quello che visse alla fine del dodicesimo secolo - Annali, 115 [II, 71] -, che doveva essere stato in buoni rapporti con gli Spinola: Annali, 107 [II, 44]. Così pure quell’Oberto Spinola, indicato come maior nel documento,’ non è certamente l’ex Capitano, ma bensì il contemporaneo e alleato di Oberto Grimaldi: Annali, 1. c. 38 E’ curiosa la ripetizione del seguente fatto (App. 2, nr. 26, c. 13, 20 maggio 1295): Nicola Spinola q.m. Nicolai, Lanfranco e Lombardo Spinola, anche a nome di tutti i discendenti del defunto Oberto Spinola, da una parte, e Corrado, Pietro e Ma-gnone de albergo Grimàldorum, anche a nome di tutti gli appartenenti alla loro famiglia (parentela), di cui essi erano i procuratori secondo il documento del 9 feb-bario 1295, dall’altra parte, avevano concluso un compromesso nel frate Pagano de Gavio, priorem fratrum predicatorum de janua, per la lite riguardante la chiesa di S Luca. Il 30 giugno questo compromesso viene ripetuto (ibid., c. 27 v.), ed in esso gli Spinola sono rappresentati da Oberto q.m Nicolai e Baldassarre, i Grimaldi da Pietro e Magnone. - 207 - Libro V - Cap. quinto niero, si pronunziò a favore degli Spinola39. Ne rimasero però soddisfatti i Grimaldi? Tuttavia, all’epoca della ristabilita pace interna, risale forse la morte dell’ex Capitano Oberto Spinola e i Grimaldi devono aver seguito con mestizia il funerale40. La maniera mite con la quale i precedenti Capitani solevano trattare i loro avversari non poteva aver mancato di suscitare in essi una certa impressione, che però non arrivò fino al punto di farli rinunziare veramente all’antica inimicizia. Come fosse accaduto che, malgrado la solenne riconciliazione, ancora prima che finisse l’anno in cui era stata fatta, i partiti si azzuffassero di nuovo l’uno contro l’altro a mano armata, è un punto sul quale le fonti non forniscono alcuna spiegazione41. Forse il mancato successo della spedizione capitanata da Oberto Doria diede luogo a vivaci commenti42. Forse la continuazione dei tentativi di recupero delle proprietà comunali alienate fu nuova esca gettata sul fuoco43. Rimane certo però che alla fine di di- 39 App. 3, nr. 26, c. 23 v, 2 luglio 1295. Il consiglio dell’arbitro è formato da Giovanni de Marino e Peyre Lercari, quali comuni amici delle parti. Tre Grimaldi e tre Spinola sono presenti al momento dell’emanazione del lodo pronunziato. 40 Guill. Vent., 725. Oberto risulta ancora vivente il 23 febbraio 1293, poiché egli è l’ex Capitano e non un altro Oberto Spinola; ciò è reso probabile dal fatto che 10 troviamo nella lista di coloro che avevano compilato l’istruzione per gli ambascia-tori mandati a Venezia: App. 2, nr. 75 A e B; cfr. sopra, n. 11. Nella lista egli appare nominato per primo, seguito da Oberto Doria. Ad ogni modo, al principio del 1296, Oberto Spinola era certamente morto, poiché Corrado, suo figlio, - Annali. 274 [IV, 151] -, venne eletto Capitano, mentre in luogo di Oberto Doria, ancora vivente, subentrò suo figlio Corrado; cfr. Guill. Vent., 1. c. e oltre. 41 'Jac. de Var., 55, ne attribuisce la colpa al diavolo. 42 Circa i dati di Villani, Vili, 14, cfr. sopra, libro V, cap. IV, n. 67. 43 Riguardo alle sentenze pronunziate il 25 maggio 1295 (L.J., II, 317 e sgg.), esse hanno in genere rilevanza di sola polizia edilizia. Strade e piazze erano state coperte, ad opera di chi vi abitava vicino, da costruzioni ed edifizi che impedivano 11 libero traffico e che quindi dovevano essere abbattute. Il procedimento relativo al castello di Tagliolo (cfr. sopra, p. 204) coinvolgeva un Ghibellino; le sentenze del 16 dicembre (L.J, II, 324 e sgg.) riguardavano invece dei Guelfi (de Camilla e Fieschi); esse sono di data talmente vicina allo scoppio delle lotte, che è impossibile non vedervi un nesso di causalità, come era stato per le misure prese dal Boccanegra: cfr. sopra, vol. I, p. 89 e sgg. - 208 - Il secondo doppio capitanato cembre 1295 44 divampò aperta guerra fra Guelfi e Ghibellini45. Le sue cause immediate come i suoi particolari restano oscuri. Come nel 1289 la chiesa di S. Lorenzo sofferse gravi danni e in ogni modo, questa volta 'furono i Guelfi ad occuparne la torre. I Ghibellini vi appiccarono il fuoco per cacciarli e tutto il soffitto andò in fiamme46. Tale fu l’ultima e decisiva fase di 40 giorni di combattimenti47. Prima che si giungesse a tanto vi erano stati attacchi per le vie e per le piazze con saccheggi e incendi di case48- E’ forse probabile che le parti avessero constatato di trovarsi in situazione di parità di forze e che, di conseguenza, fossero venute alla conclusione di un armistizio, anche perchè i Ghibellini facevano ricorso a partigiani forestieri e a gente del territorio49. Che veramente anche degli « Jac. de Var., 55: de mense decembris, quinta scilicet die post natalem do mini; secondo Stella, 1004 (che si valse di Jac. de Var., ma che porta anche notizie proprie) 30 dicembre (ma 1296 perchè egli segue lo stile dell’anno della Natività). Secondo Ann. Veron., 447, la lotta cominciò il 27 dicembre; secondo Guill. Vent., 725, il 6 gennaio. 45 Così vengono semplicemente designati i partiti in Gest. des Chip., 290-Villani, VIII, ^ (anche in Lagomaggiore, p. 255). Capi dei Guelfi sono i Grimaldi’, ai quali in ogni caso i Fieschi prestarono aiuto: Ann. Veron., 448; Stella, 1004; contro di essi combatterono gli Spinola e i Doria. Non risulta chiaro chi avesse incominciato la lotta. Secondo Guill. Vent., 725, avrebbe avuto luogo in un primo tempo la presa di potere da parte dei Capitani; poi essi sarebbero stati attaccati dai Grimaldi e dai Fieschi insieme ai loro partigiani allo scopo di abbatterli La prima cir costanza è in contraddizione con Jac. de Var., 56; diventa pertanto inverosimile anche la seconda. Guill. Vent., 1. c., è comunque generalmente inesatto quando fa seguire il doppio capitanato immediatamente al primo. « Jac. de Var., 55; Stella, 1004. Dalla lettera del 23 luglio 1296 {Reg. Bonif. Vili, L P- sembra molto probabile che l’incendio fosse avvenuto ad opera dei Ghibellini. Se il governo genovese pregava il papa che tam cives ]anuenses quam ala laici illuc accedentes etiam aliunde fossero sciolti dalla scomunica nella quale erano incorsi secondo il diritto canonico, ciò non può certamente riferirsi ai Guelfi. « Questa durata è indicata nella soprascritta della canzone in Lagomaggiore, p. 255. Secondo Ann. Veron., 448, il combattimento durò circa 30 giorni soltanto. 48 Jac. de Var., 56; Villani, VIII, 14. Probabilmente anche il palazzo comunale fu danneggiato; il che spiega perchè un registro ignis fiamma aut opera perversorum hominum andò perduto: L.]., I, P- XV. Sembra pure che anche il palazzo arcivescovile e l’abitazione dei canonici fossero stati saccheggiati ed incendiati: Reg. Bonif. Vili, I, PP- 598 e 665. « Così è da intendere la relazione in Villani, 1. c.; secondo Stella, 1004, sarebbero venuti in aiuto Lombardi di tutti e due i partiti. La gente della Riviera prese spesso parte ai tumulti di Genova; cfr. sopra, vol. I, pp. 117, 172. — 209 — 14 Libro V - Cap. quinto stranieri abbiano preso parte ai combattimenti, è cosa che risulta certa dall’esame dei documenti50. Da essi anche il racconto, per quanto confuso, di un preteso testimone oculare, potrebbe acquistare una certa conferma. Guglielmo Ventura di Asti51 narra cioè che alla notizia delle turbolenze, Lam-ba Doria, che allora copriva la carica di Capitaneus Populi in AstiH, fosse accorso con 50 cavalieri a Genova. La pattuglia aveva l’aspetto formale di una spedizione di soccorso da parte del Comune di Asti; l’araldo e lo stendardo dei cavalieri di Asti la seguivano. Viene da sè la supposizione che il fatto di avere respinto i Guelfi nella torre della cattedrale fosse avvenuto in seguito all’arrivo di questi rinforzi ai loro avversari53. I Guelfi dovevano essersi difesi tanto valorosamente che gli assalitori subirono gravi perdite54. Alla fine i Grimaldi ed i loro partigiani furono cacciati dalla città, sul quale punto concordano tutte le relazioni55. Subito dopo l’espulsione dei Guelfi M, i Ghibellini strinsero un patto che doveva 50 Reg. Bonif. Vili, I, p. 531; cfr. sopra, n. 46. 51 P. 725. 52 Lamba era effettivamente allora capitaneus populi di Asti: Cod. Ast., Ili, 708 710. 53 Secondo la lettera in Reg. Bonif. Vili, I, p. 531 (cfr. sopra, n. 46), anche coloro che erano venuti in soccorso furono compromessi nell’incendio della chiesa. 54 Secondo Stella, 1004, caddero in questi tumulti un de Castello, uno Spinola, un de Mari e un de Marini. Secondo Guill. Vent., 725, caddero (in un momento non precisato) Sbaralia, figlio di Corrado Spinola, e Pietro de Castello. In App. 2, nr. 26, c. 70 (12 gennaio 1297) si trova un Pietro de Castello, figlio di Castellino de Castello, morto da non molto tempo. Secondo Guill. Vent., 1. c., il numero dei morti era stato superiore ai 1000; i feriti non si poterono contare. 53 Guill. Vent., 725; Villani, VIII, 14 (Corcadi, 106; Cod. Neapol., p. 291); Ann. Veron., 448; Ann. Parm., 718; Gest. des Chip., 290, è detto se partirent', Stella, 1004; et extra ]anuam pars succumbens se transtulit. Siccome probabilmente, verso la fine della zulfa, i Guelfi erano stati sospinti nella torre della cattedrale di S. Lorenzo, così la loro partenza non poteva essere avvenuta senza il consenso degli avversari assedianti. 56 Secondo Guill. Vent., 725, l’espulsione dei Grimaldi avvenne il 6 febbraio (die lune pridie carnis privii); nel medesimo giorno l’astigiano Fulco Asinario venne a Genova e fu eletto Podestà dai Genovesi. Nel 1296 Asinario fu sicuramente Podestà di Genova: App. 3, nr. 26, c. 36 etc.; già il 9 febbraio ebbe luogo un’emancipazione dalla patria potestà, in presentia d. potestatis ]anue, e precisa-mente in palacio novo comunis }anue. Jac. de Var., 56 e Stella, 1004, citano il 7 febbraio come ultimo giorno dei tumulti, il che concorderebbe con la durata di 40 giorni: Lagomaggiore, p. 255; cfr. sopra, n. 47 (l’inizio, secondo Jac. de Var., 55, al 30 - 210 - Il secondo doppio capitanato garantire loro i frutti della vittoria. Corrado Spinola e Corrado Doria furono eletti Capitani del Comune e del Popolo, mentre il Capitano straniero veniva deposto57. Il loro licenziamento del 1291 era con ciò superato, perchè il fatto che il figlio subentrasse al padre defunto58 era cosa naturale quando si consideri che le due famiglie erano perfettamente d’accordo. Il secondo doppio capitanato è quindi un’immediata continuazione del primo. Il tentato ristabilimento di forme costituzionali più liberali era rimasto nelle intenzioni e fallito anche per le contraddizioni che conteneva, oltre che per l’inestinguibile odio dei partiti. La speranza dei Ghibellini di poter conservare in proprie mani, anche senza esserne direttamente i capi, il governo del Comune con poteri quasi dittatoriali svanì; una sincera riconciliazione con i Guelfi si dimostrò impossibile ed essi riafferrarono quindi immediatamente le redini del governo. La grande maggioranza del Popolo propendeva senza dubbio dalla parte dei suoi antichi amici59. I Guelfi erano diventati il partito nobiliare, qualunque popolare vi avesse aderito era considerato traditore della causa delle classi minori60. Di conseguenza la vittoria dei Ghibellini innalzò anche la posizione del Popolo. Anche se non possiamo conoscere fino a qual punto si fosse consolidata tale posizione attraverso norme statutarie, resta notevole il fatto che in prosieguo di tempo l’Abate prendesse sovente parte all’attività di governo insieme con i Capitani. Subordinati a costoro dicembre). Forse il 6 e 7 febbraio furono distrutte le case dei Grimaldi e dei Fieschi, avvenimento che ci viene riferito da Guill. Vent., 1. c., dopo di che fu ristabilita la quiete. Jac. de Var., che tace dell’espulsione dei Guelfi, avrebbe considerato quest’ultima fase. 57 Jac. de Var., 56; Stella, 1004; Ann. Veron., 448; quanto a Guill. Vent., 725, cfr. sopra, n. 45. Il titolo formale dei Capitani è lo stesso di prima: v. Dufour, Un altro sigillo genovese, p. 20 etc.; cfr. sopra, vol. I, p. 263. Il nome del Capitano forestiero che avrebbe dovuto entrare in carica il 28 ottobre 1295 non è accertabile; cfr. sopra, libro V, cap. II, n. 13. 58 Cfr. sopra, n. 40. 59 Guill. Vent., 725, accentua con vigore questo fatto, mentre Stella, 1004, dice soltanto che i minores urbis aiutarono più i Doria e gli Spinola che i loro avversari. 60 Tale doveva essere stato considerato Pasquale de Cassino, il quale, molto probabilmente allo scoppio dei tumulti, era abbas populi e che troviamo in questa carica il 16 dicembre 1295: L.J., II, 324. Solo egli, insieme con la moglie e i figli, fu escluso nell’anno 1300 dall’amnistia per i banditi: L./., II, 412; nel 1301 doveva essere morto, ma il bando contro la moglie ed i figli rimase: L.J., II, 431. — 211 — Libro V - Cap. quinto erano ancora 8 Consiliarii61, Anziani e Consiglio mantenevano le attribuzioni fin qui disimpegnate, il Podestà è non di rado nominato nei documenti e talvolta lo si vede agire da solo62. E’ evidente che, con tante teste, la confusione nel governo doveva aumentare, tanto più che anche la Credentia continuava a sussistere Invero, al tempo del secondo doppio capitanato, le deliberazioni dei diversi Consigli si limitavano ad avvalorare formalmente decisioni già precedentemente prese dai reggitori. L’unico verbale consigliare di quel tempo, parzialmente conservato, prova che le materie venivano presentate al Consiglio, dopo che erano state soggette 61 La qualificazione di questo nuovo Consiglio minore è incerta. L.J., II, 353: (consiliarii) dd. potestatis, capitaneorum, abbatis; L.J., II, 388: (8 consiliarii) dd. capitaneorum. Frequenti sono le designazioni (come L.J., II, 393) potestas (et) capitanti ... in presentia et voluntate... abbatis... et octo consiliariorum suorum, dove la relazione col sui rimane oscura; isolatamente troviamo (Fol. Not., Ili, 1, c. 128 v.) octo sapientes comunis. 62 Difficilmente troviamo nel pur copioso materiale documentario regole fisse per la distribuzione delle diverse cariche nell’attività del governo. Citerò App. 3, nr. 26, c. 43 v. (21 maggio 1296) dove il Podestà con il consenso degli Anziani e del Consiglio toglie ai massari della credentia l’amministrazione della cassa; ibid., c. 47 v. (28 maggio 1296): ancora il Podestà e gli Anziani su Giacomo Simeon olim consulem sive constitutum super officio compare librarum 25000; ibid., c. 105 (26 agosto 1297): ancora sullo stesso; ibid., c. 54 (20 luglio 1296): il Podestà, d’accordo con l’Abate, con gli Anziani e con il Consiglio, approva il concordato di un debitore con i suoi creditori; ibid., c. 78 v. (1° marzo 1297): il Podestà, insieme con gli Anziani e con il Consiglio, dichiara espressamente, in nome del Comune, di avere ricevuto 1000 lire; ibid., c. 46 (18 maggio 1296): il Podestà ed il Capitano, d’accordo con Anziani e Consiglio, conferiscono i poteri ad un inviato all’imperatore greco; ibid., c. 99 (17 maggio 1297): egualmente ad un inviato al Siniscalco della Provenza; ibid., c. 79 v. (marzo 1297): il Podestà e i Capitani, con il consenso dell’Abate, degli 8 Consiliarii, degli Anziani e del Consiglio, conferiscono i poteri ad inviati a Carlo II; ibid., c. 85 v. (2 aprile 1297): il Podestà, un Capitano, anche in rappresentanza dell’altro, e l’Abate approvano il concordato di un debitore con i suoi creditori; furono anche presi in considerazione gli statuti predisposti dall’Abate e approvati dagli Anziani insieme a 6 cittadini per ciascuna compagna, in presenza del Podestà, dei Capitani e dell’Abate (il 16 gennaio); ibid., c. 90 v. (11 aprile 1297): il Podestà ed i Capitani, con l’approvazione dell’Abate, degli Anziani e del Consiglio, nominano un procuratore per mettere d’accordo alcuni mercanti di Narbonne riguardo ad un risarcimento di danni; ibid., c. 103 (12 luglio 1297): il Podestà ed i Capitani, con l’assenso dell’Abate, degli Anziani e del Consiglio, convalidano la nomina di un ammiraglio. ® Cfr. sopra, n. 8. - 212 - Il secondo doppio capitanato ad una preventiva discussione da parte dei Capitani, dell’Abate e degli 8 ConsiglieriM. I Capitani, come i loro predecessori del 1270, erano andati al potere con la violenza; per affermarsi, essi dovevano come prima cosa appoggiarsi agli amici del loro partito ed al Popolo. Parve sufficiente discutere sulle misure da prendere in un ambito ristretto di aderenti, decidendo di volta in volta se fosse il caso di sottoporre l’argomento anche agli Anziani ed al Consiglio, ovvero di definirlo in altro modo6S. La partecipazione del-l’Abate garantiva l’osservanza delle esigenze popolari. Si era già sperimentato abbastanza in passato quanto fosse pericoloso far partecipare alle sedute di Consiglio un maggior numero di persone. Non è un mero caso se sotto il secondo doppio capitanato non si trova cenno delle numerose riunioni nel Consiglio come negli anni precedenti66; il Consiglio Generale non era più 64 App. 3, nr. 24 a, su un foglietto allegato all’ultima carta: 1299 die Martis 18 Aug. Dd. Johannes Brancazolus legum doctor, vicarius d. potestatis, et capitanti comunis et populi Janue, in presentia d. David de Fossato, abbatis populi Janue, rexerunt consilium maius et antianorum cornu et campana more solito congregatum. Quid placet fieri super postis infrascriptis prius examinatis per dd. capitaneum (!), abbatem et octo consiliarios dd. capitaneorum. Primo quid placet fieri super litteris etc. Item quid placet fieri super requisitione infrascripta. Segue una supplica che i Genovesi prigionieri a Pisa e Venezia avevano diretto al Podestà, Capitani, Abate, Anziani e Consiglio, nella quale chiedevano di non essere molestati per debiti per un anno: Manuel Zacharia super requisitione facta pro parte illorum Januensium . . . consulit sicut in posta et requisitione predicta continetur. Ansaldus de Castro, super requisitione illorum qui exiverunt de carceribus Pissanorum (!) et Venetorum, consulit sicut dictus Manuel Zacharias. Super quibus omnibus data partita per d. capitaneum Spinulam examinata per nobiles viros (2) examinatores presentis consilii, secundum sententiam d. Ansaldi de Castro predicti. Lo scrutinio della votazione non è cosa nuova (cfr. sopra, vol. I, p. 245, n. 10), mentre un esame della proposta (fatta dal Podestà o dal suo vicario) non è rintracciabile in addietro. 65 Soltanto dai Capitani, Abate ed 8 consiliarii de consilio aliorum plurium sapientum concordantium, venne presa una così importante deliberazione quale quella (App. 3, nr. 26, c. 71 v.) quod uxores bannitorum forestatorum et rebellium dictorum dd. capitaneorum comunis et populi Janue solutionem et extimationem pro securitate ipsarum consequi valeant in bonis immobilibus dictorum forestatorum de dotibus et rationibus ipsarum non possint gaudere aliquo modo illis bonis, que eis.. . exti•* mabuntur. 66 Nei documenti non è fatta parola per questo periodo di una integrazione del Consiglio, nemmeno, per es., per la ratifica dell’armistizio con Pisa (L.J., II, 393), come sarebbe stato da attendere; troviamo una convocazione di aggregati in App. 3, nr. 26, c. 85 v., per il consiglio degli Anziani; cfr. sopra, n. 62 e Dufour, p. 20 (4 per ogni compagna). — 213 — Libro V - Cap. quinto l’organo che prendeva le decisioni determinanti per la vita dello Stato e, come esso, pure il vero capo costituzionale del Comune, il Podestà, molto perdette della sua importanza. Egli ritornò quasi del tutto nella posizione che occupava sotto i primi Capitani67. Se a lui ed ai suoi giudici era stata lasciata sostanzialmente l’amministrazione della giustizia6S, peraltro, nel disbrigo delle sue funzioni, egli seguiva le prescrizioni dei reggitori69. Le sentenze venivano pronunziate in funzione delle esigenze del partito dominante e all’ombra di forme legali si celava l’arbitrio dei vincitori70. Il giudice principale del Comune diventava così un loro strumento. L’elezione dei Capitani significava quindi l’istituzione di una specie di signoria. Il loro potere era limitato soltanto dai membri del proprio partito, cui erano debitori della loro posizione. In particolare, nei riguardi del Popolo, pareva sufficiente apportare alle precedenti forme costituzionali i mutamenti strettamente necessari71 ; ma ancorché le forme fossero rimaste in vigore, il contenuto era diventato ben diverso. Non più la maggioranza dei membri del Consiglio, ma bensì una cerchia ristretta di elementi del partito dominante era a questo punto arbitra delle sorti di Genova. I Ghibellini, guidati dai due primi Capitani, avevano sostenuto con le armi l’indipendenza di Genova contro Carlo d’Angiò e ottenuto la gloriosa vittoria su Pisa. Vedremo ora se i nuovi Capitani, come già i loro padri, saranno in grado di tenere durevolmente i Guelfi in soggezione ed in pari tempo di tener testa con successo ad un nemico esterno, contro il quale sarebbe stata assolutamente necessaria l’unione di tutte le forze cittadine. 67 Cfr. sopra, vol. I, p. 382 e sgg. 68 Così si svolge dinanzi a lui l’emancipazione di figli dalla patria potestà: App. 3, nr. 26, passim-, cfr. sopra, vol. I, P- 385, n. 96. 69 Non appare chiaro se fossero state prese deliberazioni come quelle dell’anno 1271; cfr. sopra, vol. I, p. 276. Però le sentenze non sono più pronunziate esclusivamente secondo gli statuti e il diritto romano (cfr. sopra, n. 5) come è provato dalla circostanza che la deliberazione, di cui alla n. 65, servì di base al relativo processo giudiziario. 70 II bando contro i Guelfi fu decretato dal Podestà (App. 3, nr. 26, c. 43) nel documento del 19 maggio 1296: (cum) Manuel (Advocatus) nuper forestatus fuisset et bona ipsius comuni Janue publicata fuissent per... d. potestatem Janue secundum formam scripture de ipsa forestatione et publicatione facte et scripte in cartolario condemnationum et forestationum factarum per dictum d. potestatem hoc anno die (!). 71 Probabilmente il Podestà del 1296 era stato eletto prima dello scoppio dei tumulti; Guill. Vent., 725 (cfr. sopra, n. 56), dice elegerant. - 214 - Capitolo sesto La guerra con Venezia e l’insediamento dei Guelfi a Monaco Vani tentativi di Bonifacio Vili per farsi mediatore di pace. - Relazioni di Genova con l’impero greco. - Ambasciata di Nicola Spinola del 1294. - Distruzione di Pera ad opera dei Veneziani. - Assalto di Caffa. - Conflitto di Venezia con l’imperatore Andronico. - I banditi Guelfi in Provenza. - Prendono stanza nel castello di Monaco. . Operazioni della flotta nel 1297. Come i suoi predecessori, ma in forma ben più dura, Bonifacio Vili aveva cercato di comporre la lite fra Venezia e Genova tramite un giudizio arbitrale pontificio; il passo restò senza seguito. Malgrado l’assoluto divieto del papa, la flotta genovese continuò il suo cammino. Il bando nei confronti dei disobbedienti non entrò in vigore1. Il papa mosse poi loro dei rimproveri, ma del resto preferì, anziché far prevalere la durezza, di andare per via bonaria. I suoi nunzi, mandati a Genova e Venezia, dovevano spianare la via per un rinnovo delle trattative di pace2. Il che riuscì, tanto che nel 1296 ebbero luogo nuove conferenze presso la Curia, le quali pervennero a un punto tale che, almeno secondo l’opinione del papa, era da attendersi con buona sicurezza un successo. Solo che nè gli inviati di Venezia3 nè quelli di Genova4 avevano sufficienti poteri per poter riconoscere in nome dei rispettivi Comuni il papa come giudice arbitro. Bonifacio Vili non si lasciò trarre in inganno, ordinando agli inviati delle due parti di attendere presso la sua corte fino al 6 luglio, nel qual termine dovevano essere loro spediti dai relativi mandanti poteri sufficienti5. Se tali poteri 1 Non è accertato se Genova, in conformità alle prescrizioni del papa (cfr. sopra, p. 197), avesse mandato nell’agosto 1295 ambasciatori alla Curia e parimenti se l’arcivescovo di Tiro, la cui missione era stata annunziata dal papa il 13 agosto (Reg. Bonif. Vili, I, p. 274), fosse arrivato a Genova. Si deve peraltro notare che la flotta dell’anno 1295 effettivamente non effettuò ostilità contro i Veneziani. 2 Reg. Bonif. Vili, I, p. 288, lettera del 13 dicembre 1295. 3 Ibid., p. 597, 5 giugno 1296. Gli inviati sono Johannes Geno, Jacobus Teupolo e Nicolaus Quirino. 4 Ibid., p. 598, 5 giugno 1296. Gli inviati sono Henricus Squarzaficus, Manuel Osbergelius (!), Mussus Cibo e Castellinus de Sauro. 5 Ibid., p. 597 e sgg. — 215 — Libro V - Gip. sesto siano mai giunti, può essere messo ragionevolmente in dubbio6; mentre una nuova proroga dell’armistizio fino alla Pasqua del 1297 non fu presa in considerazione 7. Il tentativo iniziato con esagerata durezza terminò con evidente insuccesso 8, nè fu più ripreso. Nel 1296 la guerra divampò con fiera violenza e dalla piega datale dai Veneziani si vede chiaramente quanto poco importasse loro di ristabilire la pace. Essi avevano atteso il momento opportuno per turbare il commercio genovese in Romania la cui floridezza era già da tempo una spina nel loro fianco. Da quando Venezia aveva rinunciato a far valere con le armi i suoi diritti, insieme con Carlo d’Angiò, sopra alcune parti dell’impero greco 9, i rapporti delle due potenze marittime con Bisanzio erano rimasti pressoché inalterati. Non disturbati da implicazioni guerresche di eccessiva importanza, i Genovesi avevano potuto profittare del favore della posizione. E’ difficile farsi una giusta idea dell’attività commerciale sviluppatasi. Quasi ogni anno si constata la spedizione di una sempre più grande flotta mercantile 10 rispetto alla quale però il numero delle navi viaggianti singolarmente deve essere stato ben superiore. E’ conservata una lista di circa 90 legni, fra cui circa 10 galere e parecchie grandi navi, che, come risulta, nel viaggio verso il Mar Nero, passarono il Bosforo in un breve lasso di tempo n. La miglior testimonianza della vastità che la navigazione dei Ge- 6 E’ possibile che la relazione sulle trattative dinanzi al papa, non riferibile all’anno 1295 (Laur. de Mon., 202; cfr. sopra, libro V, cap. IV, n. 50), vada riferita alle trattative del 1296; tuttavia il complesso della relazione concorda su un piano aneddotico. 7 Reg. Bonif. Vili, 1. c. 8 Cfr. anche Pachym., II, 233. 9 Cfr. sopra, p. 58. Il 15 giugno 1285 Venezia aveva concluso un armistizio di 10 anni con Andronico: Urkunden zur alteren, III, p. 322. 10 Annali, 316 [V, 73], nell’anno 1286, 5 galere; Fol. Not., II, c. 152 (13 febbraio 1287): Guillielmus Ferrarius comitus galearum, que nunc armantur causa eundi in Romaniam; Annali, 332 [V, 117], per il 1290; Annali, 339 [V, 1331, per 11 1291; due galere ritornate dalla Romania; Annali, 343 [V, 145], per il 1292, e 352 [V, 167], per il 1293; entrambi i passi parlano di 7 galere. Quanto alla flotta del 1294, cfr. sopra, p. 179 e sgg. 11 App. 2, nr. 68. La lista riguarda bastimenti che, in contrasto con la convenzione del 1261 (v. L.J., I, 1353), all’entrata in Mar Nero avevano dovuto pagare un’imposta. Riguardo al tempo in cui avvenne il fatto non abbiamo che qualche punto d appoggio. Separatamente dalla lista è cioè menzionato che Manuel Avogario dovette pagare a Cbinamus tunc capitaneus in Costantinopoli, nell’agosto o settembre 1290, - 216 - La guerra con Venezia e l’insediamento dei Guelfi a Monaco novesi aveva preso nelle acque greche è fornita dalla quantità di reclami a cui avevano dato causa le sopraffazioni degli impiegati imperiali e le ruberie dei pirati, perchè nell arcipelago non regnò mai la quiete. Greci e Latini vi esercitavano vergognosamente il mestiere del corsaro, come in nessuna altra parte del Mediterraneo ’2, e i Genovesi, anche se erano amici ed alleati dei Greci, soffrivano poco meno dei Veneziani13 della corruzione bizantina. Nel 1286 Jacopo Doria, inviato di Genova, presentò a Costantinopoli una serie di reclami. Andronico si prestò volonteroso a porre rimedio 14, affinchè le sue amichevoli relazioni con Genova non venissero minimamente turbate da differenze secondarie 15. Nel 1294 Nicola Spinola, colui che aveva battuto i Veneziani a Lajazzo, domandò, ancora quale inviato del Comune, il risarcimento dei danni conseguenti a numerose infrazioni ai trattati. Attraverso l’istanza giudiziale che contiene tutte le richieste16, si 490 iperperi per due galere per la stessa ragione; nella lista medesima vi è una data, 20 febbraio 1291, della quale non è chiaramente afferrabile come sia da mettere in rapporto con essa. 12 Cfr. Hopf, Cbron. gréco-rom., p. 146 e sgg. 13 Ciò è dimostrato dalle domande di risarcimento di danni: App. 2, nr. 68; cfr. Urkunden zur alteren, III, p. 159 e sgg. 14 App. 2, nr. 61. La data approssimativa della lettera risulta dall’indirizzo illustribus viris, potestati d. Rido Petie civi Astensi, capitaneis d. Oberto Spinulé et d. Conrado Aurie, quindi fra il settembre 1285 e il 2 febbraio 1287, poiché soltanto in questo periodo questi due Capitani ed il Podestà Enrico Petia reggevano insieme il Comune: v. Annali, 310-317 [V, 61-751. Jacopo Doria, chiamato dilectus patruus vester (in quanto zio di Corrado Doria) deve essere l’annalista. E’ strano che egli negli Annali non faccia alcuna menzione di questo suo viaggio come ambasciatore, che forse coincide con quello a Tunisi: cfr. sopra, libro IV, cap. VI, n. 59. Nella lettera Andronico dichiara di aver ordinato che venisse data soddisfazione a tutti i Genovesi che senza colpa avessero sofferto danni in qualunque parte del suo regno da parte dei suoi funzionari e che in futuro ciò non dovesse più accadere. Quanto alle altre domande che non sono specificate, egli rimandava la risposta, intendendo mandare un suo ambasciatore a tale scopo; comunque egli assicura il Comune dei suoi amichevoli sentimenti. 15 Per la guerra contro i despoti di Arta, Andronico aveva noleggiato 40 o 60 galere genovesi: Cbron. di Morea, in Buchon, Recb. hist., I, 302, II, 316 etc.; cfr. Hopf, Gesch. Griech., p. 334 e sgg. 16 App. 2, nr. 68. Dopo la vittoria sui Veneziani (cfr. sopra, p. 181 e sgg.), doveva essere ritornato a Costantinopoli, poiché una delle ultime domande di risarcimento di danni si riferisce ad un fatto del giugno 1294. L’ultima si riferisce ad una ruberia avvenuta l’8 luglio; un foglio allegato contiene la comunicazione agli inviati da parte dei derubati. — 217 - Libro V - Cap. sesto rileva come vecchie pretese, quali quella di Manuel de Marino e compagni, il cui bastimento carico di allume era stato in passato preso dalle galere dell’imperatore Michele Paleologo n, non erano state ancora soddisfatte. Particolarmente significativi erano altri reclami per abusi contro i quali il commercio genovese doveva lottare nell’impero greco. Così, per esempio, dei Genovesi che aveano comperato grano da funzionari imperiali non lo avevano mai ricevuto; il Despota di Salonicco aveva derubato mercanti genovesi delle loro merci; a sua volta Rainerio Boccanegra aveva trasportato sulla sua nave mercanti greci da Alessandria a Costantinopoli, trattenendo, come d’uso, le mercanzie a bordo a garanzia del pagamento del nolo. Il capitano di Costantinopoli, Chinamus, lo aveva fatto chiamare a sè e fermare con divieto di allontanarsi finché tutta la merce non fosse consegnata. In tal guisa Rainerio era rientrato in patria privo dell’importo del nolo. Chinamus aveva agito anche in altri casi arbitrariamente; egli non si era curato della esistenza di licenze di esportazione di grano firmate dall’imperatore; un Genovese aveva dovuto pagargli una somma considerevole senza motivo. Ancora peggio dei funzionari si comportavano i sudditi dell’imperatore. Un Genovese che trovavasi in un villaggio per acquisti, era stato preso e gettato a terra da Greci che gli avevano legato le mani al dorso e messo un bavaglio alla bocca perchè non potesse parlare; poi i ladroni gli avevano tolto gli abiti con quanto contenevano, andandosene e lasciandolo nudo. Altri due Genovesi erano stati presi da un pirata e minacciati di decapitazione se non avessero pagato un prezzo per il riscatto. Bertolino da Camogli si era trovato su una barca con alcuni Greci, che lo avevano ucciso, appropriandosi delle sue merci; Chinamus aveva preso due degli assassini, ma non li aveva puniti. Il numero totale delle richieste presentate da Nicola Spinola ascende a circa 80 !8. Non tutte le pretese di risarcimento di danni erano fondate; alcuni apparenti atti di forza, specie degli impiegati di dogana greci, potevano trovare giustificazione negli sforzi per impedire abusi sulla franchigia da imposte spettante ai Genovesi19. Certamente anche l’imperatore 17 Cfr. sopra, vol. I, p. 394. Il danno (App. 2, nr. 68) è determinato in 2000 iperperi d’oro, inoltre Jacopo Cigala, che pure era stato derubato, non era stato ancora risarcito del danno di 3760 iperperi. 18 App. 2, nr. 68. 19 Vi si riferiscono i reclami avanzati dal Paleologo nell’anno 1272: v. sopra, vol. I, p. 293, n. 4. - 218 - La guerra con Venezia e l’insediamento dei Guelfi a Monaco aveva una contro-nota per danni recati ai suoi sudditi da Genovesi. Nelle trattative, comunque, l’inviato non trovò gravi obiezioni e Andronico si dichiarò pronto alla rifusione dei danni20. Senza dubbio venne così stipulata una formale convenzione; ma non è ammissibile che in essa l’imperatore si fosse impegnato a prestare aiuto ai Genovesi nella guerra contro i Veneziani, anzi è molto dubbio che essi ne abbiano esternato il desiderio. Per loro bastava che Andronico si mantenesse coerente al principio di neutralità accettato dal suo predecessore21. In tutti i trattati di armistizio si era ripetuta la condizione che, a oriente dello sbocco dei Dardanelli, Genovesi e Veneziani non potessero effettuare atti di ostilità l’uno contro l’altro. Per i danni che l’uno avesse arrecato all’altro entro i suddetti limiti, l’imperatore avrebbe risarcito il danneggiato, entro sei mesi, con i beni dell’autore del danno; ove ciò non gli fosse stato possibile, avrebbe pagato provvisoriamente l’indennizzo col suo proprio tesoroSe questa disposizione fosse stata rigidamente osservata, gli stretti ed il Mar Nero sarebbero rimasti chiusi alle flotte da guerra. I Genovesi desideravano vivamente la neutralità di questa importantissima zona del loro commercio 20 Ciò è provato da un documento in App. 3, nr. 26, c. 11 v., del 18 aprile 1295: Oberto, padre di Bertolino da Camogli, che era stato derubato ed ucciso dai Greci, giura che a suo giudizio il danno conseguente al furto sofferto è di 800 iperperi (come pure in App. 2, nr. 68); e affinchè non gli si potesse muovere alcun rilievo giura in veritate per 600 iperperi, però piuttosto in più che in meno. Sono presenti il Podestà di Genova e Nicola Spinola, il precedente ambasciatore. Oberto prestava il giuramento per ricevere il risarcimento del danno, secundum quod con-ventatum fuit inter ipsum sanctissimum imperatorem (et) ... Spinulam, tunc ambas-satorem pro comuni Janue ad ipsum sanctissimum imperatorem. Il 4 aprile 1296 (ibid., c. 38 ì>.), Oberto, anche come tutore del figlio minorenne di Bertolino, ripetè il giuramento dinanzi al Podestà e nella stessa forma. Dobbiamo quindi ammettere che l’imperatore, nei casi sufficientemente provati, fosse disposto ad accordare risarcimenti di danni. Il giuramento valeva evidentemente come un mezzo di prova; la diminuzione delle richieste dipendeva dal fatto che la denuncia originaria era troppo alta. Il 18 maggio 1296 (ibid., c. 46), un inviato genovese fu investito dei poteri per riscuotere dall’imperatore tutto quello che il Comune e singole persone dovevano ricevere. In occasione di accomodamenti avvenuti in seguito (Fol. Not., Ili, 2, c. 352; cfr. oltre, libro VI, cap. I), è detto tuttavia che il Comune deve all’imperatore ancora 15421 iperperi, de illa summa, quam dictum comune solvere debebat dicto d. imperatori iuxta conventionem factam cum dicto imperatore per Nicolaum Spinula(m) olim ambaxatorem dicti comunis Janue, et de aliis summis. 21 Cfr. sopra, vol. I, p. 194. 22 Urkunden zur alteren, III, pp. 96 e sgg., 141, 329. - 219 — Libro V - Cap. sesto e Andronico favoriva il loro interesse insieme con il suo proprio, garantendo la sicurezza dei traffici, ai quali i Genovesi partecipavano in misura di gran lunga maggiore che i loro avversari. E’ facile comprendere come per i Veneziani la neutralità greca fosse altrettanto nociva quanto era utile ai Genovesi, poiché li privava della possibilità di prendere ai Genovesi Pera, l’emporio presso Costantinopoli, e Caffa, la fiorente colonia sulla costa settentrionale del Mar Nero23. Nel 1295 era scaduto il loro armistizio con Bisanzio, il quale, per quanto non denunziato24, non fu rinnovato, ma tanto meno i Veneziani potevano pensare ad aprire ostilità contro una potenza la cui neutralità impediva ai Genovesi di combattere25. Andronico mandò ambasciatori per domandare chiarimenti, ben lungi dall intenzione di entrare in guerra. La risposta tardò26 ed in sua vece, domenica 22 luglio 1296, comparve una poderosa flotta veneziana dinanzi a Costantinopoli27. Il suo arrivo non doveva esere stato del tutto inatteso: i Genovesi di Pera se l’aspettavano. Aderendo alle loro suppliche, Andronico concesse loro di riparare con i loro averi a Costantinopoli nel quartiere del palazzo di Blachernia28. Delle navi mercantili che si trovavano in porto, risulta che le galere sottili fossero state messe in mare al- 23 Cfr. sopra, vol. I, p. 392 e sgg. 24 Ciò che sarebbe stato certamente necessario: Urkunden zur àlteren, III, p. 324 e sgg. Comunque vi furono trattative; sembra che l’imperatore, di fronte agli inviati veneziani Jacopo Quirino e Rainero Michael, si fosse dichiarato pronto al risarcimento di danni per 14000 iperperi. Dal complesso delle circostanze che si riferiscono a questa ambasciata (Dipi. Ven. Lev., p. 15) essa dev’essere collocata in un tempo anteriore al 1296. 25 Cfr. la lettera dell’imperatore al Doge in Marin, III, p. 305 e sgg.; fra le circostanze citatevi (p. 307) vi è pure la notizia, tratta dai perduti libri dei Misti (Giomo in «Arch. Ven.», XX, p. 81), secondo la quale il bajulo di Negroponte era stato incaricato di far armare navi corsare contro l'imperatore greco. 26 Marin, 1. c. 27 Pachym., II, 237. Sul numero delle galere esistono discordanze: Pachym., 1 c.: 75; Niceph. Greg., I, 207: 70; Jac. de Var., Continuatio, 498: 76; Gest. des C.hipr., 284: 70; secondo Dandolo, 406, il comandante veneziano Rogerio Mauroceno si presentò (cfr. Dipi. Ven. Lev., p. 14) con sole 40 galere dinanzi a Costantinopoli, secondo Andr, Naug., 1008, dovevano essere 60, secondo Marin Sanudo, Vitae, 578, 66. 28 Pachym., II, 238 e sgg.; Niceph. Greg., I, 207; Jac. de Var., Continuatio, 498; Gest. des Chip., 284. - 220 - La guerra con Venezia e l’insediamento dei Guelfi a Monaco l’approssimarsi del nemico , le navi più pesanti, invece, affondate per impedirne la cattura . Dopo vani tentativi di cattura delle galere genovesi, la flotta veneziana entrò nel Corno d’Oro. Nessuna resistenza all’approdo offerse Pera, non fortificata ne difesa, mentre veniva appiccato il fuoco alle case genovesi che vi si trovavano. Poi i Veneziani si volsero alla riva opposta per assalire i Genovesi a Blachernia. Costoro ricevettero appoggio da parte di truppe imperiali alle quali Andronico, ben disposto verso i Genovesi, aveva permesso di prendere parte al combattimento, cosicché i Genovesi si schierarono sul lido del mare, mentre i loro collaboratori bombardavano le galere dall’alto delle mura31. Gli assalitori non ottennero alcun successo decisivo32 e verso sera si ritirarono, appiccando il fuoco anche alle case greche che si trovavano fuori delle mura della città. Il mattino seguente la battaglia fu ripresa, ma presto troncata33. Anche se i Veneziani non avevano seriamente pensato ad espugnare Costantinopoli, tuttavia la loro spedizione aveva ottenuto un importante risultato. Malgrado la neutralità greca, Pera era stata ridotta in rovina e ® Pachym., II, 238, narra che Quando la flotta veneziana comparve davanti a Costantinopoli, alcune galere genovesi che si erano avvicinate furono inseguite da essa ma non prese. Secondo Niceph. Greg., I, 207, i Genovesi portarono le loro donne, i bambini e le merci a Costantinopoli, mentre essi, saliti sulle loro galere, fuggirono nel Mar Nero. Non tutti i Genovesi poterono salire a bordo (v. Pachym., II, 239 e sgg.; cfr. oltre), tuttavia possiamo supporre che a Pera si trovasse una flotta mercantile formata di galere quali spesso andavano in Romania (cfr. sopra, libro V, cap. VI, n. 10) e che all’awicinarsi del nemico avesse preso il mare. Con questa supposizione concorda pure la relazione in Dandolo, 406, secondo la quale una flotta genovese (forte di 43 galere) tentò uno sbarco a Modone, inseguì alcune galere veneziane e (da Costantinopoli fino a Lalgiro: cfr. Heyd, I, p. 455) fu inseguita dalla flotta del Mauroceno. 30 Pachym., II, 239; Gest. des Chipr., 284. 31 Pachym., II, 239 e sgg.; Dandolo, 406. 32 La presa della nave imperiale (Dandolo, 406) è confermata da Pachym., II, 240. L’incendio di molte navi genovesi e greche (secondo Dandolo, 1. c., prima, secondo Andr. Naug., 1008 e sgg., dopo la distruzione di Pera; cfr. anche Niceph. Greg., I, 207) rimane dubbio, perchè in .Jac. de Var., 56 (Continuatio, 498) si parla soltanto della perdita di Pera; secondo Gest. des Chip., 284, i Genovesi non soffersero altri danni e nella lettera in Marin, VI, p. 308 e sgg., nessun cenno è fatto dell’incendio di navi. 33 Pachym., II, 240 e sgg.; cfr. Niceph. Greg., I, 207 e sgg. — 221 — Libro V - Cap. sesto con essa il commercio genovese rimaneva privo in Romania del suo principale punto d’appoggio M. Nel medesimo anno altri due insediamenti coloniali genovesi di non minore importanza furono colpiti dagli avversari. Focea, sulla costa dell’Asia Minore, possesso di Manuel e Benedetto Zaccaria, fu devastata dalla flotta veneziana nel suo ritorno35. Eguale sorte doveva essere riservata a Caffa, però è discutibile se alle galere comandate da Giovanni Superanzio fosse veramente riuscito di occuparla36. Ad ogni modo già la sola comparsa di navi corsare veneziane37 e la presenza di una grande flotta da guerra38 in Mar Nero dovevano impressionare sensibilmente i Genovesi ed è anche probabile che talune delle loro navi mercantili fossero andate perdute39. Se Superanzio, in vista della stagione avanzata, si vide alla fine obbligato a svernare in Crimea, perdendo molti uomini del suo equipaggio a causa del freddo40, ciò, peraltro accaduto dopo la distruzione di Pera, non valse a far venir meno il fatto, ben serio per i Genovesi, che gli stretti erano ormai aperti ai loro avversari. Andronico mandò subito un ambasciatore a Venezia per lagnarsi della rottura del trattato, pur senza mancare di esprimere, certo sinceramente, l’assicurazione dei suoi sentimenti pacifici41. In pari tempo però — in armonia con le condizioni dell armi- 34 II doc. in Belgrano, Illustrazione, p. 355, 21 gennaio 1297, dimostra che la distruzione fu totale e che i Genovesi si eressero un quartiere in Costantinopoli stessa. 35 Jac. de Var., 56 (Continuatio, 498); Dandolo, 406; Andr. Naug., 1009; Marin Sanudo, Vitae, 578, 36 Jac. de Var., Continuatio, 498; è detto solamente nibil dampnum ei (cioè a Caffa) jacere potuerunt, sed cum derisione et vituperio sunt reversi. In Dandolo, 407, e fatta bensì menzione dell’occupazione, ma non è fatto alcun cenno di distruzione. Andr. Naug., 1009, parla di Caffa come devastata e incendiata, analogamente Marin Sanudo, Vitae, 578. 37 Dandolo, 406; anche Laur. de Mon., 202; è citata una squadra di Domenico Sciavo per il Mar Nero. 38 La forza di essa è data da Jac. de Var., Continuatio, 498, in 28. Dandolo, 406; Andr. Naug., 1. c. e Marin Sanudo, Vitae, 1. c., in 25. Laur. de Mon., 202, in 21 galere. 39 Dandolo, 406 e sgg.; Andr. Naug, 1. c.; Laur. de Mon., 1. c. 40 Ibid. e Marin Sanudo, Vitae, 578. 41 Pachym., II, 241 e sgg. Soltanto poco dopo fu certo spedita la lettera di cui in Marin, VI, p. 305. - 222 - La guerra con Venezia e l’insediamento dei Guelfi a Monaco stizio — egli fece porre sotto sequestro beni dei Veneziani presenti a Costantinopoli, di valore pari a quello degli edifici incendiati42, mentre i Veneziani medesimi venivano carcerati43. Non è chiaro se, dopo ìa partenza della flotta, fosse stato loro concesso di allontanarsi liberamente da Costantinopoli. Verso la fine di dicembre del 1296, un numero soverchiante di Genovesi li aggredì, uccidendo barbaramente il bajulo e molti mercanti *. Andronico, che non aveva impedito il massacro, mandò subito ambascia-tori a Venezia, per allontanare dalla sua persona il sospetto di complicità 45 ed esprimere la sua intenzione di non prendere parte alla guerra, nonostante che i Veneziani, strada facendo, si fossero impadroniti di alcune isole greche del Mar Egeo46. Per il rinnovo dell’armistizio a cui l’imperatore tendeva, nulla si fece. A Venezia si domandava la restituzione delle merci sequestrate a Costantinopoli, ma Andronico non voleva prestarvi orecchio, ritenendo il sequestro giustificato47. Ancorché la colonia veneziana fosse totalmente dispersa48, il temporaneo allontanamento degli avversari non controbilanciava il danno risentito dai Genovesi, poiché la garanzia imperiale sui traffici al di là dei Dardanelli si era dimostrata inefficace. Si era veduto 42 Pachym., II, 242, 80000 iperperi; Dipi. Ven. Lev., p. 14, 79000 iperperi; cfr. anche Marin, VI, p. 309. 43 Pachym., II, 238. Secondo Dipi. Ven. Lev., p. 14 e sgg., i Veneziani furono pure derubati da abitanti di Costantinopoli, riportandone un danno di 7000 iperperi. Quanto alla ruberia, cfr. anche Niceph. Greg, I, 208. L’arresto dei Veneziani è citato due volte in Dandolo, 406, la prima volta (= Andr. Naug., 1008) con un col-legamento inesatto; cfr. Heyd, I, p. 447, n. 1. 44 Pachym., II, 242 e sgg.; Jac. de Var., Continuatio, 499, fa ascendere a circa 70 il numero dei morti; Héthoum, 490, a 56. Secondo Dandolo, 406 (= Andr. Naug, 1008), sembra che i Genovesi avessero aggredito e ucciso il bajulo (Marco Bembo) ed i Veneziani nella torre nella quale questi erano detenuti (dall’imperatore); secondo Jac. de Var, Continuatio, 1. c, il bajulo ed i Veneziani si sarebbero rifugiati in una torre che fu presa d’assalto dai Genovesi. Da Pachym, 1. c, si potrebbe dedurre che il bajulo fu ucciso nel suo carcere dai Genovesi, mentre gli altri Veneziani sarebbero stati assaliti nelle loro case o dove si trovavano. Il movente specifico di questa aggressione non è spiegato più circostanziatamente da nessuna fonte. 45 Pachym, II, 243. 46 Dipi. Ven. Lev., p. 15. Secondo Andr. Naug, 1009, la flotta di Mauroceno avrebbe conquistato le isole: cfr. Hopf, Gesch. Griech., p. 373. 47 Pachym, II, 243 e sgg. 4« Ibid. - 223 — Libro V - Cap. sesto abbastanza chiaramente quanto impotente fosse Andronico a mantenere la sua neutralità di fronte al contegno privo di alcun riguardo dei Veneziani e alla decadenza della sua forza navale49. Ma da parte di Genova nulla fu fatto per rendere più agevole il suo compito. Nessuna flotta genovese idonea a misurarsi con quella nemica scese in mare nel 1296 . Le conseguenze degli sforzi eccessivi dell’anno precedente, come delle discordie interne, si facevano ora sentire. L’espulsione dei Guelfi dalla città non aveva messo fine alla guerra civile, ma soltanto fatto mutare il teatro delle lotte. I Ghibellini, in possesso dello stato, lanciarono il bando contro gli avversari e confiscarono i loro beni51. Dopo quanto era prima accaduto, e dati i costumi del tempo, tale modo di procedere si spiega facilmente, ma non può altrettanto dirsi saggio; si obbligavano in tal modo i banditi a prendere le armi contro la madrepatria. Nulla più essi avevano da perdere. Le loro sostanze abbandonate in patria erano amministrate da smdaci del Comune, ai quali i debitori versavano il denaro dovuto 52 e dai quali i creditori venivano pagati con le rendite dei beni immobili53. Le mogli dei banditi cercarono di salvare dal naufragio almeno le loro doti; ma un decreto arbitrario dei reggitori le privò del godimento delle rendite sulle proprietà54. I primi Capitani erano stati più prudenti, e la ben 49 Pachym, II, 69 e sgg.; cfr. Niceph. Greg, I, 209. 50 Sembra certo che fu armata: App. 3, nr. 26, c. 55 v. (4 agosto 1296): due sin-daci dal comune di Cervo confessano di avere ricevuto in prestito 96 lire da impiegarsi a favore del detto comune occasione presentis armamenti; inoltre figura (ibid., c. 54, 8 luglio 1298), Franceschinus Spinula, vicarius in riperia orientis super avariis exigendis. Rimane dubbio se tali armamenti fossero stati portati a compimento. 51 Cfr. sopra, libro V, cap. V, n. 70. Come espulsi appaiono dai documenti (App. 3, nr. 26), fra i Grimaldi: Gaspare (c. 70 v.), Federico (c. 72 v.), Nicola (c. 86), Marcoaldo, Alaone, Rainerio (c. 86v.), Francesco (c. 89); tra i Fieschi: Enricus qui solitus est dici de Camezana (c. 57), Federico (c. 70 v.), Percivalle (o. 80); dei Malocello: Alberto (c. 66 v.), ’Jacobino (c. 71), Janino (c. 100); inoltre Manuele Avvocato (c. 43), Manfredo Grillo (c. 72), Bernabò di Negro (c. 93 v.), Bonifacio di Negro (c. 94 v.), Johanninus filius quondam Pagani de Vinciguerra de Sigestro (c. 107 v.), Conetinus (?) de Meleta (c. 114 v.). 52 App. 3, nr. 26, c. 88 v. (6 aprile 1297): Jacopo Spinola e Filippo cintraco, sindici comunis Janue, dichiarano di aver ricevuto 10 lire da Oberto Ferrario da Rapallo per il fitto annuo di una casa appartenuta a Gaspare Grimaldi. 53 Ibid., c. 57, etc. 54 Cfr. sopra, libro V, cap. V, n. 65. — 224 — La guerra con Venezia e l’insediamento dei Guelfi a Monaco calcolata mitezza con la quale essi inizialmente avevano trattato i Guelfi55 aveva contribuito a far apparire un tanto più grave errore contro tutta la cittadinanza la loro lega con Carlo d’Angiò. Ora agli extrinseci altro non rimaneva per campare che armare navi corsare e cercare di rifarsi delle perdite sofferte derubando i propri concittadini, del che non mancavano le occasioni. Bonifacio Vili invero non si dava cura dei Guelfi espulsi56, cosicché la garanzia papale per la pace del 1276 era caduta in dimenticanza. Per contro, il partito fu ora favorito dal successore dell’antico alleato. In silenzio, ma non certamente all’insaputa di Carlo II, Rainerio Grimaldi potè armare a Nizza una galera e Montano de Marini una nave per recar danno ai Genovesi57. Il governo del Comune si rivolse presto al re, perchè egli proibisse che il suo paese costituisse base per ostilità contro i propri sudditi: Carlo II inviò anche una lettera al Siniscalco di Provenza, con la quale lo incaricava di far desistere i ribelli dal loro proposito58, anche se è ben discutibile se l’avesse fatto con seria intenzione. I Guelfi continuarono a restare in Provenza e solo da lì potevano iniziare l’ardito assalto, che costituì il punto di partenza per le future aggressioni agli intrinseci. Francesco Grimaldi, travestito da frate, s’introdusse di soppiatto nella fortezza genovese di Monaco e dopo aver ucciso i custodi aperse le porte ai suoi compagni59. Gli abitanti del luogo, ingannati dal fatto che essi vi 55 Cfr. sopra, vol. I, p. 273 e sgg. 56 Anzi egli diede l’assoluzione agli intrinseci per l’incendio della chiesa: Reg. Bonif. Vili, I, P- 531; cfr. sopra, libro V, cap. V, n. 46. 57 Ciò è riferito (Fol. Not, III, 1, c. 128 v.) in una lettera di Carlo II da Napoli, del 26 giugno 1296. La notizia, di Gest. des Chip., 290, che i Guelfi espulsi da Genova si fossero subito recati in Provenza non è improbabile. Gioffredo, 669, dà l’estratto di un documento del 16 febbraio, che colloca nell’anno 1296, secondo il quale i Genovesi si sarebbero lagnati presso il Siniscalco della Provenza perchè era stata concessa ospitalità ai banditi nei paesi del re che confinavano con il territorio del Comune. Il Siniscalco avrebbe promesso ad un inviato genovese di porvi rimedio; analogamente, il 6 settembre (1296), il Vicario regio di Nizza. 58 Vol. Not., Ili, 1, c. 128 v. (Genova, 11 settembre 1296), estratto: nomina d’un incaricato che doveva presentare al Siniscalco di Provenza la lettera di Carlo II del 26 giugno 1296. 59 Guill. Vent, 725; Stella, 1004, dà la data dell’8 gennaio 1297; cfr. Gest. des Chip., 290. La fantastica descrizione dell’assalto in Rossi, St. di Ventimiglia, p. 110 e sgg, è completamente falsa in tutto il suo insieme. — 225 — 15 Libro V - Cap. sesto erano accorsi in massa, credettero di essere passati sotto i Guelfi60. I primi Capitani avevano sempre saputo predisporre pronti rimedi contro simili tentativi degli avversari di ristabilirsi sul suolo genovese61, nè diversamente intendevano fare i nuovi. La vendita della casa dei Grimaldi può essere considerata come una dura risposta al riuscito colpo di mano degli avversari, ed una spedizione armata partì per riconquistare Monaco 62. Non si potevano sottovalutare le difficoltà che presentava una tale impresa. Posta sopra un alto promontorio roccioso, lambita da tre parti dal mare, la piazza era stata fortificata dal Comune con la massima cura e costituiva il punto estremo del suo territorio ad occidente. Due castelli proteggevano la località munita di mura di cinta63. L’ostacolo che più impensieriva gli assalitori stava però nell’immediato contatto con la Provenza. Senza toccare il suolo che apparteneva al re di Napoli, si dimostrava impossibile il blocco di Monaco. Il governo genovese pregò Carlo II di permettere che il proprio esercito entrasse nel suo territorio. La richiesta non venne respinta, ma le trattative andarono a lungo, mentre i Guelfi fortificavano la loro posizione64; ancorché l’attacco combinato per 60 Gioffredo, 679. 61 Cfr. sopra, vol. I, pp. 286, 318 e sgg. 62 App. 2, nr. 26, c. 86 (3 aprile 1297): Ansaldo de Castro miles e Oberto de Padita, sindaci del Comune, secondo il documento del 25 gennaio 1297, vendono a Giovannino Spinola una casa appartenuta a Nicola Grimaldi forestato comunis Janue per 450 lire. Il compratore dichiara in separato documento della stessa data di non aver corrisposto il prezzo e promette di pagare prontamente la metà e il resto entro 6 mesi. Ibid., c. 86 v. e sgg, troviamo parecchi documenti mediante i quali altri membri della famiglia Spinola comperano altre case dai Grimaldi alla medesima maniera. 63 Guill. Vent, 725. 64 I documenti relativi all’assedio di Monaco ed alle trattative con Carlo II sono in App. 3, nr. 26, c. 79 v.\ Percivalle de Baldizono e Percivalle de Mari ricevono dal governo genovese i poteri (cfr. sopra, libro V, cap. V, n. 62) per recare a Carlo II la dichiarazione in forza della quale se l’ammiraglio del Comune e rispettivamente il vicario od il capitano delle forze terrestri, spedite per l’assedio di Monaco, ove dovessero occupare territori appartenenti al re e a tanto fossero stati autorizzati dal re stesso o da un suo funzionario... (qui il documento resta troncato a mezzo, mancano la conclusione e la data); quest’ultima si rileva approssimativamente dalla collocazione del documento nel cartolare fra i documenti del 9 e del 14 marzo 1297. Come sia da completare la conclusione può desumersi da un documento del 24 aprile (Gioffredo, 670 e sgg.), mediante il quale il re conferma ai suddetti inviati tutto quello che il suo Siniscalco, nell’anno precedente, aveva ordinato riguardo ai banditi e dichiara che malgrado le promesse che erano state fatte dall’ammiraglio Enrico Spinola — 226 — La guerra con Venezia e l’insediamento dei Guelfi a Monaco terra e per mare, progettato nel marzo 1297, abbia avuto luogo, deve essere deplorevolmente andato a vuoto, poiché è certo che gli extrinseci si consolidarono in Monaco. Quivi tennero da allora in poi il loro quartiere, da cui potevano effettuare le loro ardite azioni piratesche in mare65. I Capitani si trovarono perciò in una posizione assai scabrosa. Nell’interesse del partito stava loro a cuore di domare con tutte le possibili forze gli odiati Guelfi, mentre il bene del Comune richiedeva urgentemente un’energica continuazione della guerra con Venezia. I loro padri avevano altra volta cercato di collegare strettamente l’interesse del partito con il bene generale; i figli si dimostravano manifestamente perplessi davanti al grande problema, sulla cui soluzione poggiava la loro posizione. Con eccessive misure di persecuzione essi spinsero i Guelfi a passi disperati, mentre intanto la flotta veneziana era riuscita ad avanzare indisturbata nel Mar Nero senza che essi fossero riusciti a rendere innocuo il partito esterno, e quando poi finalmente, nell’estate del 1297, venne spedito un considerevole numero di galere66 per combattere i Veneziani, accaddero fatti che misero fin dal principio a rischio la spedizione. E’ curioso come la flotta fosse comandata da due ammiragli, Tomaso Spinola e Gando de Mari67; la nomina di quest’ultimo non era stata probabilmente del tutto regolare. Il 12 luglio il Podestà e i Capitani, senza sentire l’Abate, gli Anziani e il Consiglio, confermarono la sua nomina ad Ammiraglio Generale del Comune, comunque la precedente elezione fosse stata fatta68. I poteri con- e da due sindaci del Comune (che cioè nel progettato assedio di Monaco i suoi sudditi ed il suo territorio non sarebbero stati disturbati) egli non avrebbe chiesto alcun risarcimento per i danni arrecati a costoro da abitanti del territorio genovese non facenti parte dell’esercito. Probabilmente dunque gli inviati genovesi avevano promesso che l’esercito non avrebbe molestato i sudditi del re e costui, a sua volta, aveva dato il permesso di passare sul suo territorio. Il 17 maggio (App. 3, nr. 26, c. 99), a Genova viene eletto sindaco Simone da Passano per presentare al Siniscalco di Provenza ed al Vicario di Nizza una lettera del re ed altri atti e per pregarli di dare esecuzione a quanto era contenuto nella lettera. 65 Cfr. il cap. seguente. 66 II numero è indicato da Jac. de Var., 56, in 75; da Gest. des Chip., 284, in 80. 67 Gest. des Chip., 1. c.; Stella, 993, cita solamente l’ultimo, ma la sua notizia sulla flotta del 1297 è ricavata da Jac. de Var, 1. c. 68 App. 3, nr. 26, c. 103: qualitercumque dicta electio facta fuerit. — 227 — Libro V - Cap. sesto feritigli erano illimitati ed in particolare egli aveva incondizionata autorità di disciplina sugli equipaggi69, con la sola riserva che non venissero intaccati i poteri conferiti aH’Ammiraglio Tomaso Spinola m. Il doppio comando diede cattivi risultati. Già impensieriva il fatto che la flotta si fosse mossa tanto tardi71. I Veneziani intanto avevano mandato in mare squadre minori, che incrociando sulla costa della Sicilia, dell'Armenia, di Cipro e della Romania, avevano cagionato ai Genovesi molteplici danni72. Gando de Mari entrò nel Mare Adriatico, e dopo esservisi trattenuto per qualche tempo senza incontrare i nemici, tornò indietro quando i viveri cominciarono a scarseggiare. Tomaso Spinola protesto e la divergenza di opinioni ebbe per risultato un diverbio fra i due Ammiragli, nel corso del quale si scambiarono parole offensive. Alla fine Gando, con la maggior parte della flotta, partì per la Sardegna, mentre Tomaso col resto di essa non osò più temporeggiare, ma si recò in Sicilia 73. Venezia aveva intanto spedito 40 galere al comando di Andrea Dandolo, le quali, unite alle altre squadre, andarono incontro alle galere dello Spi- 69 La durata del comando è fissata ibid. : ex quo de portu Janue exivit, quousque dante domino ]anuam redierit sive quousque descenderit in terram, postquam ]anuam redierit. Le espressioni con le quali viene conferita all’ammiraglio specifica giurisdizione militare sono concepite in forma del tutto generale: (concedunt, se. potestas etc.) omnimodam potestatem, bayliam et iurisdictionem, merum et mixtum imperium in omnes et singulos ]anuenses... et in bona eorum... ubicumque sint, sive in mari sive in terra, cognoscendi, procedendi,... condempnandi, puniendi, absolvendi, banniendi... penas seu mulctas imponendi... et bona destruendi, ... edam sine aliquo iuris ordine iuxta ipsius d. Gandi arbitrium. 70 Ibid.: admirato galearum comunis. 71 Ibid., (12 luglio) è detto: (ratificamus) electionem... in admiratum generalem dicti comunis (sc. Janue) ... super galeis que armantur seu armate sunt per dictum comune, quindi gli armamenti non potevano essere completamente finiti. Secondo il passo della n. 69, risulta che la flotta avesse già lasciato il porto di Genova. Forse essa si radunò presso Portovenere come nel 1298; cfr. oltre, cap. VII. Dandolo, 407. La notizia che i Veneziani avessero catturato una nave genovese che si trovava presso la torre del porto di Famagosta secus cathenam, trova una certa conferma in App. 2, nr. 79, perchè di conseguenza inviati genovesi domandarono risarcimento al re di Cipro per danni recati da Veneziani a Genovesi in portu Famaguste et intra cathenam et extra cathenam. Per gli armamenti a Venezia cfr. il documento in Mon. sp. hist. Slav. merid., I, 189, 2 maggio 1297, 73 G est. des Chip., 284 e sgg. — 228 - La guerra con Venezia e l’insediamento dei Guelfi a Monaco noia74. Queste, non essendo in grado di tener testa ad una forza prevalente 75, presero la fuga. I Veneziani le inseguirono fino alla costa nord-africana, ma invano, giacché riuscì loro soltanto di catturare presso Tunisi una nave con ricco carico 76. Poi si volsero alla Sicilia, intorno alla quale girarono, prendendo ed incendiando nei porti un numero considerevole di navi genovesi in attesa di caricare grano77. Si comprende facilmente quale viva costernazione potesse aver prodotto questo deplorevole esito della spedizione78. Nei piani dei Veneziani vi era quello di rovinare completamente il commercio della loro rivale. Essi, che avevano evitato l’eventualità che la guerra venisse decisa attraverso una grande battaglia navale, preferivano invece distruggere fondaci e catturare navi mercantili avversarie, dimostrando, alla fine del 1297, di trovarsi in reale vantaggio. Genova, di fronte alla simultanea lotta con i fuorusciti Guelfi e con gli antichi nemici del suo commercio marittimo, si vide tratta in serie difficoltà. Era necessario radunare tutte le forze per tener testa ad un tempo al partito esterno ed ai Veneziani. A questo punto uno dei due Capitani fece un passo le cui conseguenze dovevano trarre seco la rovina del suo partito, portare all’estremo l’interna disorganizzazione ed inoltre annullare l’indipendenza del Comune dalFestemo. 74 Come luogo dell’incontro è indicato (ibid., 285) « La Catune » (in Sicilia?); Dandolo, 1. c, apud Sasinum, cioè l’isola di Saseno, sulla costa orientale dello stretto di Otranto; 'Jac. de Var. non fa cenno del dissenso fra gli ammiragli e delle sue conseguenze; egli riferisce soltanto che i Genovesi ritornarono indietro perchè non avevano potuto trovare i Veneziani e perchè avevano appreso la falsa notizia che costoro erano ritornati in patria. 75 Secondo Dandolo, 407, la flotta veneziana contava 62 galere; secondo Jac. de Var, 56: 65. 76 Dandolo, 1. c. 77 Ibid., Gest. des Chip., 285; Jac. de Var, 56; cfr. Guill. Vent, 708. Il numero delle navi prese è dato da Gest. des Chip., 1. c, in circa 17; Dandolo, 1. c, in 22. Gli avvenimenti sono citati in Libri commemoriali, I, 32 e L.J, II, 418. 78 Jac. de Var, 56: de quo fuit Janue turbatio magna valde. — 229 — Capitolo settimo Corrado Doria ammiraglio di Sicilia e battaglia di Curzola Corrado Doria assume la carica di Ammiraglio del re Federico di Sicilia. - Importanza di questo passo. - La flotta di Lamba Doria arriva a Curzola insieme alla flotta veneziana che rimane vinta. - Ritorna in patria. - Conseguenze della battaglia. -Lega di Venezia con i Guelfi di Monaco. - Ultimi avvenimenti di guerra. Ancor prima della fine del 1297, Corrado Doria si dimise dalla carica di Capitano ed in sua vece subentrò Lamba, suo zio *, mentre egli si recò presso il re Federico per assumere la carica di Grande Ammiraglio del 1 Fratello di Oberto Doria. L’albero genealogico dei Doria che stiamo per prendere in considerazione è il seguente: Pietro Nicola Oberto Jacopo Lamba I J. Corrado Tedisio Nicola, che il 15 luglio 1279 era già morto, è fratello di Jacopo e di Lamba, figli di Pietro (Fol. Noi., II, c. 139 v.) e anche fratello di Oberto, il precedente Capitano -Annali, 281 [IV, 169] - pure esso figlio di Pietro: Rossi, St. di Dolceacqua, p. 197. Quando Corrado abbia rinunziato non è possibile determinare se non in via di supposizione. In una lettera (App. 3, nr. 17, c. 159) del 2 agosto 1297, risulta ancora Capitano, mentre (ibid., c. 187 v.) il 6 febbraio 1298, è Lamba a figurare già tale. Stella, 1015, menziona Corrado come Capitano nel 1296 e 1297, Lamba nel 1298 e 1299; quest’ultimo si dimise, secondo Stella, 1019, circa... festum S. Simonis ed Jude-, cfr. oltre, cap. IX. Il 28 ottobre, giorno nel quale erano stati eletti i primi Capitani (cfr. sopra, vol. I, p. 259 e sgg.), iniziava e finiva la carica annuale dei Capitani; v. Annali, 319, 340 [V, 82, 136]; cfr. sopra, pp. 102 e sgg., 155, n. 13, 156; quella del Podestà iniziava invece il 2 febbraio se non si verificavano eventi straordinari; cfr. oltre, libro VI, cap. II. Siccome la rinunzia di Corrado non venne comunque cagionata da un’insurrezione, così è probabile che avesse avuto luogo il 28 ottobre 1297. Che Lamba non fosse più un giovinetto (Canale, III, p. 83, secondo Ferr. Vie., 986), è provato dalla circostanza che egli già da tempo aveva un figlio adulto; v. sopra, libro V, cap. IV, n. 13. — 230 — Corrado Doria ammiraglio di Sicilia e battaglia di Curzola Regno di Sicilia2. L importanza di questo passo non è stata mai sufficientemente valutata. I Ghibellini di Genova uscirono così, per la prima volta, dall’atteggiamento riservato che avevano fino ad ora mantenuto di fronte alla lotta per la Sicilia. E infatti evidente come per Federico non fosse soltanto il caso di sostituire a Ruggero di Lauria un valente marinaio quale era considerato Corrado 3; se egli adesso metteva un Genovese alla testa di uno dei più notevoli uffici del suo regno4, questo significava la manifesta intenzione di valersene per ottenere dalla sua patria aiuto di navi e di uomini, di cui aveva estrema necessità. Bonifacio Vili era riuscito con la sua ben calcolata politica ad ottenere l’incredibile. Giacomo d’Aragona si era impegnato a prestare aiuto all’Angiò per la sottomissione della Sicilia e per l’estate 1298 si attendeva l’arrivo della sua flotta5. Quello che fino ad allora i papi e Carlo II, malgrado tutte le loro premure, non erano riusciti a trovare, cioè l’aiuto di una potenza marittima, venne ora loro da una parte dalla quale nessuno se lo sarebbe aspettato. In molte battaglie Catalani e Siciliani insieme avevano riportato in addietro gloriose vittorie, ora spetta a quelli di ricondurre i loro compagni d’armi nuovamente sotto il giogo degli Angiò, alla cui liberazione avevano un tempo cooperato. Giacomo voleva strappare la corona a suo fratello Federico, già conquistata dal padre loro per la casa d’Aragona. Per i Ghibellini d’Italia l’andamento degli avvenimenti mostrava un serio pericolo. Se Federico fosse rimasto soccombente, il protetto del papa, Carlo II, sarebbe stato liberato dal peso di una guerra senza fine per la Sicilia. Come incontrastato signore del meridione della penisola, il potente re di Napoli, come già il suo predecessore dopo le sconfitte di Manfredi e di Corradino, sarebbe stato in grado di estendere la sua influenza sulle regioni del nord e del centro. Lo stato presente delle cose non poteva che 2 Cbron. Sic., 854; Nic. Spec, 992. Corrado figura come ammiraglio nel doc. (Salinas, Di un registro notarile, p. 455) del 4 giugno 1298. Insieme con la carica egli ottenne probabilmente anche i feudi del suo antecessore Ruggero di Lauria: v. Chron. Sic., 854 e sgg.; Nic. Spec, 1009, 1027. 3 Cfr. le sue gesta di guerra, sopra, pp. 32 e sgg, 147 e sgg. 4 Corrado non era soltanto comandante di flotte come Enrico de Mari a Napoli (cfr. sopra, pp. 56 e 111), ma rivestiva anche la lucrosa carica di funzionario della Corona (cfr. Sella, p. 161 e sgg.), che conservò anche alla fine della guerra: Rayn, anno 1303, par. 49. 5 Cfr. Amari, La guerra del vespro, II, pp. 316, 334 etc. - 231 - Libro V - Cap. settimo tornare a vantaggio del partito della Chiesa, cioè dei Guelfi, la cui propensione per la casa d’Angiò era manifesta e che, come dopo la battaglia di Ta-gliacozzo, avrebbero guadagnato la supremazia ovunque. Se quindi i Ghibellini genovesi si decisero a favorire apertamente Federico, essi agirono nell’interesse del loro partito che, per sostenersi, non poteva lasciar cadere la Sicilia. Ben diversa appariva la situazione se considerata dal particolare punto di vista dell’interesse genovese. Carlo II non aveva mai dato il minimo motivo di ostilità. Il commercio fra Genova ed il suo Stato godeva di grande sicurezza e attività; lagnanze per danni da parte dei mercanti, che pur non erano mancate6, non avevano mai dato luogo a serie liti. Nel 1297 troviamo a Napoli, nel pacifico esercizio delle sue funzioni, un console genovese nominato dal Comune7. Nella grave piega che stava prendendo la guerra con Venezia, costituiva vera imprevidenza tirarsi addosso anche l’inimicizia del sovrano dell’Italia meridionale e della Provenza, limitrofa al proprio territorio. I Ghibellini di Genova avrebbero dovuto far di tutto pur di mantenersi propizio Carlo II, affinchè questi non desse aiuto ai Guelfi. Finché costoro prelevavano in Provenza viveri e materiale da guerra senza alcun impedimento8, non era certo il caso di pensare ad espugnare la loro posizione di Monaco. Ma il maggior rischio stava nella controversia col papa, che era naturalmente insorto contro il passo fatto da Corrado Doria. Fino allora 6 App. 3, nr. 11, cc. 39-47 v., 58-66 v.\ vi si trova un grande numero di documenti del dicembre 1294 e gennaio 1295 che si riferiscono ad una domanda di rifusione di danni presentata al regio capitano di Gaeta. Si tratta del sequestro di una tarida del genovese Cantellino Cantello proveniente dalla Sicilia e della vendita del grano che era a bordo, che doveva essere avvenuta perchè allora Gaeta difettava di grano. Cantello domanda il risarcimento per il grano, che egli aveva già venduto in Sicilia ad un Romano per conto della camera papale, il quale a sua volta pretendeva il risarcimento. La questione, di cui non conosciamo l’esito, arriva fino al punto che Cantello, per il quale interviene il Comune di Genova con lettere ed un plenipotenziario, reclama a mezzo d’un procuratore il pagamento del danno, asserendo che il Romano non aveva pagato l’importo e che i suoi diritti contro di lui dovevano essere fatti valere dinanzi alla Curia del Podestà a Genova. Il Capitano di Gaeta pretende invece di decidere egli stesso la lite. 7 App. 3, nr. 17, c. 159 e sgg. 8 Dal documento in Amari, La guerra del vespro, III, p. 411 e sgg. (cfr. oltre, cap. IX), si deve in ogni caso concludere che ciò era continuato e che nel caso fossero esistiti precedenti impegni di Carlo II contrari a questi favori verso gli extrinseci (il che non risulta chiaro; cfr. sopra, p. 225 e sgg.), essi non furono osservati dai suoi funzionari. — 232 — Corrado Doria ammiraglio di Sicilia e battaglia di Curzola Bonifacio Vili aveva dimostrato verso Genova, e relativamente anche verso il partito dominante, un contegno schiettamente benevolo. Nè l’offesa riguardo all’armistizio da lui offerto, nè l’incendio della chiesa di S. Lorenzo lo avevano indotto a scagliare l’interdetto 9. Al Comune aveva confermato gli antichi privilegi conferendone anche di nuovi10; il permesso di vendita di beni ecclesiastici, che il papa aveva dato all’arcivescovo di Genova ed al vescovo di Albenga era andato direttamente a vantaggio della famiglia Doria che, con l’acquisto della metà di S. Remo 11 e della valle di Oneglia , aumentò sensibilmente i suoi possedimenti sulla riviera di ponente 13. Se Bonifacio Vili aveva accordato a Genova ed ai Ghibellini favori poco in armonia con la maniera rigida con la quale la sua mentalità concepiva 1 autorità della Chiesa, sotto tutto ciò si celava la segreta intenzione di trattenere il Comune dall’intervenire apertamente nelle cose di Sicilia. Egli non si era ancora valso dell’estremo mezzo coercitivo, cioè dell interdetto, affinché esso, adoperato a tempo opportuno, ottenesse tanta maggiore efficacia. E discutibile se a Genova si fosse intravista tale intenzione, ma in ogni caso le precedenti esperienze avrebbero dovuto insegnare ai Ghibellini quanto poco disposta fosse la cittadinanza a sopportare a lungo le censure spirituali. Se tuttavia essi si decisero ad aiutare Federico, il che avrebbe sicuramente provocato il bando, non fu questa una dimostrazione positiva della loro acutezza politica. Forse essi si ingannarono sulle vere intenzioni del papa, forse furono abbagliati dalle splendide offerte di Federico. Comunque sia quel momento, nel quale essi anteposero senza ben riflettere l’interesse del partito a quello del Comune da loro governato, costituì il principio della fine della loro signoria. Nel 1298 si manifestarono le conseguenze della piega che la situazione aveva preso, quantunque all’inizio non in tutta la loro durezza. Grazie ai buoni servizi che i Genovesi avevano sempre prestato ai re di Sicilia e di quelli ancora migliori che essi, in avvenire e con l’aiuto di Dio, avrebbero ancora potuto prestar loro, Federico li liberò dalla tassa alla quale erano sottoposti nei suoi porti per il trasporto di merci da una nave 9 Cfr. sopra, p. 215 e sgg. e p. 225, n. 56. 10 Reg. Bonif. Vili, I, pp. 651, 667. » V. doc. in L.J., II, 324, 328 e sgg.; cfr. Rossi, St. di S. Remo, p. 131 e sgg. 12 Reg. Bonif. Vili, I, p. 87; Gioffredo, 672; Rossi, St. di Albenga, p. 156 e sgg. 13 Cfr. sopra, vol. I, p. 318, n. 1; Rossi, St. di Dolceacqua, p. 195 e sgg. — 233 — Libro V - Cap. settimo all’altra M. Risulta ancora che Corrado Doria avesse diretto l’armamento della flotta 15 comparsa dinanzi a Napoli, che però ritornò 16 senza aver compiuto alcunché. Non risulta chiaro se galere genovesi abbiano preso parte a questa spedizione17. Quando poi l’armata di Giacomo uscì in mare per assalire la Sicilia 1S, si trovò vicina ad una flotta genovese. Questa tuttavia non poteva avere effettivamente contribuito alla protezione della Sicilia poiché il suo obiettivo era la guerra con Venezia. Tale flotta, quanto al numero delle galere, non sorpassava di molto quella spedita nell anno precedente, ma un solo ammiraglio, il Capitano Lamba Doria ne aveva il comando 19. Le navi si erano riunite nel munito seno di Portovenere, donde sembra fossero partite ad estate avanzata. Dopo un approdo presso Messina per far rifornimenti, la flotta prese subito la via del mar Adriatico, sfera di influenza veneziana, ed il 29 agosto lasciò presso Otranto la costa pugliese. La traversata per la Dalmazia non fu accompagnata dalla buona fortuna; una tempesta disperse le galere, delle quali soltanto venti seguirono 1 ammiraglio quando questi trovò rifugio nel porto di Antivari. Allorché la maggior parte delle altre galere si unì alle prime20, Lamba, senza attendere le restanti, navigò lungo la costa in direzione di nord-ovest. Comunque, lungo la rotta, fu presa spesso terra, cosicché singole case e luoghi indifesi soggiacquero, secondo l’uso di guerra, alla distruzione. La 14 Orlando, p. 113 e sgg. = Sella, p. 118, 18 febbraio 1298. 15 V. Salinas, Di un registro notarile, p. 455. 16 Nic. Spec., 992; cfr. Amari, La guerra del vespro, II, p. 335 e sgg. 17 In ogni caso Bonifacio Vili nel 1298 doveva essersi lagnato con l’arcivescovo di Genova, Jacopo da Varazze, perchè Corrado e Lamba Doria aiutavano i Siciliani con galere: App. 5, nr. 3, c. 83 v. La notizia al riguardo può essere stata ripresa dall utilizzazione, da parte dei cronisti più tardi, della relativa lettera del papa, altrimenti sconosciuta. 18 II 24 agosto: Chron. Sic., 855. 19 Secondo la canzone, evidentemente contemporanea (Bonaini, Rime istoriche, p. 30 e sgg. e Lagomaggiore, p. 223 e sgg.), la forza iniziale della flotta doveva essere di 84 galere (78 + 6) e così secondo Gest. des Chip., 286; secondo Jac. de Var., Continuatio, 499: 76; secondo Dandolo, 407 e Andr. Naug., 1010: 85; secondo Laur. de Mon., 203: 70; ibid., 204 (da Riccobaldus Ferrariensis?): 78; secondo Marin Sa-nudo, 'Vitae, 579: 66; secondo Ferr. Vìe., 987: 75. 20 Lagomaggiore, p. 225 e sgg. Il numero di 6 per le galere sbattute dalla tempesta è dato anche da Laur. de Mon., 204 (da Ricc. Ferr.?); secondo Gest. des Chip., 286, erano 8; secondo Ferr. Vie., 987: 13. — 234 — Corrado Doria ammiraglio di Sicilia e battaglia di Curzola stessa sorte toccò a tutti i borghi murati di Curzola nell’isola omonima da cui gli abitanti erano fuggiti in tempo21. E’ discutibile22 che i Genovesi avessero progettato un’ulteriore avanzata; qualunque considerazione di future operazioni fu comunque troncata quando la sera del 6 settembre 23 comparve una flotta veneziana comandata da Andrea Dandolo, la quale, essendo per numero di galere considerevolmente più forte di quella genovese nemmeno riunita al completo25, cercava senza dubbio una battaglia decisiva. Malgrado la grave situazione nella quale si trovava, Lamba Doria non si perse d animo, come dimostrano le disposizioni da lui date. Lontano dalla patria, di fronte ad un nemico superiore di forze, un attacco era da considerare un passo troppo azzardato, mentre una posizione di difesa in vicinanza della costa, come si suol prendere in tali casi, se aveva dato buona prova a Lajazzo, poteva anche, come precedenti casi avevano dimostrato, nella ipotesi di uno sfavorevole esito dello scontro, costituire causa m___ zi Lagomaggiore, 226 e sgg.; cfr. Ferr. Vie., 987; secondo un’iscrizione, citata da Doria, p. 279, Curzola venne incendiata il 5 settembre. 22 Secondo Gest. des Chip., 286, essi aspettavano il nemico presso Curzola; secondo Jac. de Var., Continuatio, 499, avevano già deciso di tornare indietro; secondo Lagomaggiore, p. 227, sembra che l’ammiraglio avesse tenuto consiglio. 23 Gest. de Chip., 286; cfr. oltre. 24 Lagomaggiore, p. 228: 96 galere; analogamente Gest. des Chip., 286; Jac. de Var, Continuatio, 499; Ferr. Vìe, 987; Laur. de Mon, 204 (da Ricc. Ferr.?); le iscrizioni in Doria, pp. 24 e 285 (anche Canale, III, p. 87). Dandolo, 407: 98; Stella, 985: 97; Andr. Naug, 1010: 85; Marin Sanudo, Liber, 83, circa 90 (Laur. de Mon, 203: 90); Marin Sanudo, Vitae, 579: 75. Secondo Gest. des Chip., 286, tutta la flotta veneziana sarebbe uscita da Venezia solo dopo l’entrata di quella genovese nel Mare Adriatico e lo stesso dice Dandolo, 407; cfr. anche Ferr. Vie, 987; la relazione contraria in Andr. Naug, 1010, sembra derivare da una confusione con gli avvenimenti del 1296. Che il Dandolo aspettasse i Genovesi presso Curzola (Dandolo, 1. c.), è comunque inesatto; che egli avesse potuto procurarsi altri rinforzi si deduce da Gest. des Chip., 286 e Dandolo, 1. c. 25 La forza della flotta genovese nella battaglia era, secondo la canzone in Lagomaggiore, p. 228, di 77 galere (invece di 78, come ibid., 226; cfr. sopra, n. 19), secondo Gest. des Chip., 288 e le iscrizioni in Doria, pp. 24, 285, di 76; secondo la iscrizione, ibid., p. 276, di 78; secondo Marin Sanudo, Liber, 83, di circa 60; secondo Laur de Mon, 204 (da Ricc. Ferr.?): 78 - 6 = 72; secondo Ferr. Vie, 987: 75 - 13 = 62. Nelle altre relazioni (v. sopra, n. 19), la differenza fra la forza originaria della flotta e quella di battaglia non è indicata. Comunque, secondo Marin Sanudo, Liber, 83, le galere genovesi erano più grandi e meglio equipaggiate delle veneziane. — 235 — Libro V - Cap. settimo della perdita dell’intera flotta26. L’ammiraglio fece schierare le sue galere, l’una accanto all’altra, ancorate fra l’isola di Curzola e la terra ferma 21. In tal modo gli rimaneva aperta la via della ritirata in alto mare28. Il giorno era già troppo avanzato perchè la battaglia potesse avere inizio subito e le due flotte passarono la notte l’una di fronte all altta pronte al combattimento. Da parte genovese il morale era alto e si attendeva con impazienza lo spuntare del sole29. Era giunto finalmente il momento, da tanto tempo atteso, per misurarsi in aperta battaglia con gli odiati avversari. Un ragguardevole uomo di guerra veneziano, Domenico Sciavo30, mandato in ricognizione sopra un battello nell’oscurità della notte, si avvicinò tanto alle galere genovesi, da poter udire distintamente i dialoghi dei marinai. Uno di essi domandava ad un altro: « Vuoi comperare il bottino che farò domani? »; l’altro gli rispose: « Ma quando verrà giorno, per dare finalmente questa battaglia? »31. Nessuno pensava alla fuga, come 26 Cfr. sopra, vol. I, p. 182 e sgg. e II, 182 e sgg. 27 Lagomaggiore, p. 227 : « e se missem tuti in schera enter 1 isora e terra ferma », dunque nel canale fra l’isola di Curzola e la penisola di Sabbioncello, prò babilmente però presso la città di Curzola, al varco sudorientale del canale. La flotta veneziana che comunque si era inoltrata nel canale, venne a trovarsi a nord-ovest (« entro maistro e tramontana ») di quella genovese. La possibilità che la flotta geno vese si trovasse parallela alle rive dell’isola di Curzola ed a quelle della terraferma rimane esclusa per quanto è stato detto e per la circostanza che i Veneziani, il mattino della battaglia, avevano il sole in faccia (Marin Sanudo, Liber, 83) cioè con la fronte rivolta a sud-est. Se quindi Ferr. Vie., 987, dice che i Genovesi erano alla costa ed i Veneziani in alto mare, ciò prova ch’egli non aveva una chiara visione della situazione. Data la poca larghezza del canale, due flotte tanto poderose non avrebbero potuto avere spazio sufficiente per il combattimento se non collocandosi su una linea parallela alla riva. 28 Che la flotta genovese si fosse lasciata chiudere nel porto di Curzola (Laur. de Mon., 203 e Andr. Naug., 1010) è cosa altrettanto incredibile come quella secondo cui Lamba avrebbe voluto capitolare: ibid. e Dandolo, 407 e sgg. 29 Lagomaggiore, p. 227. 30 Gest. des Chip., 287. Menegue Esclafon, secondo Ferr. Vìe., 988, è Menego Sciavo che prese parte alla battaglia. Egli è lo stesso Dominicus Sciavo di Dandolo, 406, 408; cfr. sopra, p. 222, n. 37 e oltre, p. 241; quanto a lui, cfr. anche Hopf, Gesch. Griecb., p. 373 e sgg. 31 Gest. des Chip., 1. c. Che i Genovesi avessero illuminato le loro galere (ibid., 286 e sgg.), è detto pure da Jac. de Var., Continuatio, 499. L’errore nel quale essi sono caduti, che cioè la domenica (7 settembre) fosse la festa della natività di Maria, risulta ripetuto in fonti che pongono la battaglia nel giorno di tale festa, - 236 - Corrado Doria ammiraglio di Sicilia e battaglia di Curzola i Veneziani supponevano, perchè anch’essi con non minore fiducia speravano nella vittoria . I Genovesi erano venuti a cercare il nemico nelle sue proprie acque invece di evitare una lotta decisiva33 Il mattino del 7 settembre, di buon ora, cominciò la battaglia con il solito reciproco scambio di proiettili da lontano34. Poi i Veneziani aprirono la lotta ravvicinata, attaccando con molta energia l’ala destra della flotta genovese, allo scopo di battere prima l’una e poi l’altra metà degli avversari35. Inizialmente la manovra ottenne un notevole successo essendo essi riusciti, con grande spargimento di sangue, a mettere fuori combattimento più di 10' galere genovesi36. Ma mentre tutte le galere veneziane erano impegnate nel combattimento con metà di quelle genovesi, l’altra metà non ne aveva alcuna di nemica dinanzi a sè. Così, invece di fuggire come i Veneziani si aspettavano37, i Genovesi salparono le ancore delle galere dell’ala sinistra — certamente per comando dell’ammiraglio38_ e girarono a destra, venendo così a disporsi ai fianchi e alle spalle degli avversari. « Così i Veneziani finirono in mezzo ai Genovesi », dice l’unica relazione della battaglia che mette sott’occhio questa decisiva operazione con che cade invece l’8 settembre; così Dandolo, 408; Andr. Naug., 1010; Ferr Vìe 987, etc.; il 7 settembre come data della battaglia è accertato dalla concordanza di’ Lagomaggiore, p. 227; Gest. des Chip., 286 e sgg.; Ann. Veron., 453; iscrizioni in Doria, pp. 24, 285 e 279 (e quindi Stella, 985; v. p. 986); cfr. anchè The book of ser Marco Polo, I, p. 45. 32 Che Lamba Doria ancora all’ultimo momento avesse tentato di intavolare trattative di pace (Andr. Naug, 1010) potrebbe essere ammissibile ove tale asserzione non fosse connessa ad altre notizie assolutamente impossibili (cfr. sopra, n. 28), che tradiscono la loro origine da fonti molto oscure. 33 Lagomaggiore, p. 227. 34 Gest. des. Chip., 287: il s’approchèrent les uns as autres può intendersi solo come movimento della flotta veneziana, perchè la genovese era ferma all’ancora- ibid 288. 35 Ibid., 287 e sgg. Che i Veneziani avessero attaccato l’ala destra della flotta genovese (che appoggiava alla terra ferma) risulta dal fatto che su di essa (ibid., 288, en terre des Esclavons) e non sull’isola di Curzola, si salvarono poi i Veneziani scampati dalla battaglia. 36 Ibid., 288: 13; Jac. de Var, Continuatio, 500: circa 12; Dandolo, 408 = Andr. Naug, 1010: 10. Secondo l’oscura narrazione di Ferr. Vie, 988, fu presa una galera genovese. 37 Gest. des Chip., 288. 38 Cfr. Dandolo, 408: uniti signoque dato. - 237 — Libro V - Cap. settimo una certa chiarezza39. Impedite dalla ristrettezza dello spazio e dalle onde suscitate dal vento, le galere veneziane non poterono virare di bordo con ordine, il che le avrebbe messe in grado di tener testa all assalto . Non più in grado di difendersi, esse vennero attaccate tutte quante contemporaneamente dai Genovesi. I Veneziani resistettero fino al mezzogiorno 41, allorché finalmente lo stendardo della nave ammiraglia cadde42, e cessò ogni ulteriore resistenza. Poche furono le galere che riuscirono a salvarsi fuori dello stretto, tutte le altre caddero nelle mani dei vincitori43. Quanto al numero dei prigionieri, su cui le relazioni divergono notevolmente44, esso non fu certamente di poco conto, sebbene non pochi Veneziani si siano salvati sulla riva . Le perdite in morti non furono insignificanti neppure da parte genovese , 39 Gest. des Chip., 288: et ett tei maniere furent les Venesiens au myleuc des Jenevés. Che Lamba avesse messo di riserva 15 galere e che queste avessero eciso dell’esito della battaglia - Laur. de Mon., 204 (da Ricc. Ferr.) - è improbab' e, perchè i Veneziani, attraverso le loro accurate ricognizioni (Gest. des Chip., 287, ago maggiore, p. 227; cfr. sopra, p. 236) avrebbero potuto accorgersi della divisione della flotta genovese. Che le galere genovesi, sbattute dalla tempesta (cfr. sopra, p. 234), siano ritornate verso sera mettendosi di fianco ai Veneziani e che ciò sia stata ra gione della vittoria dei Genovesi (Ferr. Vie., 988) è in contraddizione con la re a zione di Gest. des Chip., 286, secondo la quale queste galere non vennero sulla costa orientale del Mare Adriatico, ma rimasero sulla costa pugliese ove fecero ricco bottino. 40 Riguardo alla situazione nulla di più si può ricavare da Dandolo, 408, Andr. Naug., 1010; Laur. de Mon., 203 e sgg.; Marin Sanudo, Liber, 83. 41 Lagomaggiore, p. 227 : « fin provo nona ». 42 Ibid., 228. L’ammiraglio Andrea Dandolo fu fatto prigioniero e morì di febbre durante il viaggio verso Genova: Gest. des Chip., 288. 43 Secondo Gest. des Chip., 288: 78 galere; Lagomaggiore, p. 228: 84; egualmente le iscrizioni in Doria, pp. 24, 285; secondo l'iscrizione ibid., p. 279: 85 (e cos pure Stella, 895). Ferr. Vie., 989, ne dà 82; Jac. de Var., Continuatio, 500: 96 (!); Dandolo, 409: 65; Ann. Veron., 453: oltre 70. 44 Gest. des Chip., 288: circa 16000; Lagomaggiore, p. 228: oltre 5000 e così pure Guill. Vent., 709; Ann. Veron., 453: oltre 4000; Ferr. Vìe., 989: 6654. Secondo le iscrizioni in Doria, pp. 24, 285, le 84 galere furono prese cum omnibus exi-stentibus in eisdem, di cui (de quibus) 7400 sarebbero stati portati vivi a Genova (il medesimo numero ha Stella, 985). 45 Gest. des Chip., 288; cfr. sopra, n. 35. 46 Così Jac. de Var., Continuatio, 500; che però tali perdite superassero quelle dei Veneziani ascendendo a 7500 uomini (Ferr. Vìe., 989) e pressoché incredibile. Secondo Guill. Vent., 709, i caduti Veneziani furono 3000. — 238 - Corrado Doria ammiraglio di Sicilia e battaglia di Curzola ma il successo non poteva essere più completo; non esisteva più una flotta veneziana, la via per Venezia era aperta. Lamba però non si sentì in grado di far sventolare la bandiera di Genova dinanzi alla Laguna. Egli temeva che nel frattempo i Guelfi potessero attaccare Genova47. Così i prigionieri furono presi a bordo le galere saccheggiate e, ad eccezione di alcune che seguirono la flotta genovese, incendiate ; la flotta, quindi, prese la via della patria 49 ed il 6 ottobre, verso mezzogiorno, rientrò nel porto di Genova50 La solennità dell’accoglienza fu pari all’importanza della vittoria riportata51; i massimi onori furono resi all ammiraglio 52, alla cui eccellente direzione, evidentemente, si doveva un esito che non aveva precedenti. La notizia del memorabile evento si propagò anche lontano; perfino oltr’alpe, a Ratisbona, l’annuncio della grave sconfitta dei Veneziani diede motivo a scrittori di occuparsene53. Considerando la battaglia presso Curzola dal lato puramente militare, essa significava un successo per i Genovesi assai maggiore della battaglia della Meloria. Non già, come allora, essi avevano battuto un nemico più debole, ma avevano addirittura annientato adesso una flotta avversaria ben superiore per numero di navi. Ancorché i Veneziani sostenessero poi che il loro insuccesso doveva ritenersi 47 Gest. des Chip., 288 e sgg. “8 Jac. de Var, Continuatio, 500; Lagomaggiore, p. 228. Il numero delle galere portate seco è dato nelle iscrizioni del Doria, pp. 24, 285, in 18 (lo stesso in Stella, 985). 49 E’ possibile che prigionieri gravemente feriti fossero stati rilasciati per via-Ferr. Vie, 989; cfr. Lagomaggiore, p. 228. 50 Lagomaggiore, p. 229. 51 Ibid., p. 228 e sgg. I Genovesi non si insuperbirono, ma ascrissero l’onore soltanto a Dio, come dopo la battaglia della Meloria; cfr. Annali, 309 [V, 57], 52 Ferr. Vìe, 990. E’ discutibile se gli fosse stata fabbricata una’casa a spese del Comune: Cuneo, p. 276; nel 1303 si parla della pigione per il palazzo nel quale abitava; per la iscrizione relativa alla battaglia v. Doria, p. 284 e sgg. 53 Continuatio Ratishonensis, 420. Citazioni della battaglia dai cui particolari non vi è nulla di essenziale da ricavare, trovansi anche in Ptol. Lue, Ann. Lue. 100 = Id, Hist. eccl., 1219; Simone della Tosa, 156; Paol. Piero, 52 e sgg. = Cod. Neapol., p. 291; Corcadi, 106; Villani, Vili, 24; Giov. Sercambi, I, 47; Ann. Caesenates, 1117; Ricc. Ferr, 253. (Laur. de Mon, 204 - cfr. sopra, n. 19 -non può aver utilizzato questo passo); Frag. chron. Foroiul., 208; Chron. Plac., 484; Barth. della Pugliola, 300 = Chron. Estense, 344; Chron. Patav., 1154. - 239 - Libro V - Cap. settimo causato da un destino avverso54, risultava che anche a Lajazzo i suoi uomini di mare non avevano saputo correttamente governare le galere , mentre la inettitudine dei mercenari lombardi, di cui si servivano per le guerre sul mare, era da tempo nota57. La battaglia decisiva che i Genovesi avevano invano cercato nel 1295 nel mare di Sicilia, che nel 1297, malgrado la loro entrata nel mare Adriatico, non avevano potuto provocare, avvenne ora con esito pienamente sfavorevole per Venezia. La flotta genovese si era dimostrata superiore alla veneziana, così come alla pisana. Se tuttavia la vittoria di Curzola non ebbe le stesse conseguenze come quella della Meloria, ciò dipese anzitutto dal fatto che a Venezia non vi erano nè Guelfi nè Ghibellini che invidiosamente cogliessero qualunque occasione per strapparsi l’un l’altro il potere e perchè Venezia, protetta dalle lagune, poco aveva da temere gli assalti dalla parte di terra, ai quali la sconfitta per mare avrebbe potuto offrire occasione. Come narra la tradizione Venezia na58, certamente degna di fede, allorquando le galere andarono perdute, il Doge ne fece costruire di nuove. Pisa, dopo la lotta decisiva, non potè più riaversi per continuare la guerra marittima e i Genovesi furono in grado di assediare Portopisano senza che una flotta vi si opponesse, ma se invece le galere genovesi fossero ricomparse nel Mare Adriatico, avr€^ bero dovuto affrontare una seconda battaglia navale, la quale, ancorc è vittoriosa, non sarebbe stata comunque sufficiente a far scomparire a mare la bandiera veneziana. Retta da una aristocrazia, le cui tendenze i parte non avevano soffocato il senso del bene comune, non minacciata a una coalizione dei suoi rivali per la signoria del mare con i nemici e a terra ferma, Venezia si vide in grado di rifarsi del grave colpo sofferto e una mossa, effettuata profittando abilmente di favorevoli circostanze, ro vesciò ben presto la situazione a danno di Genova. I Guelfi potevano starsene tranquilli a Monaco, godendo una vita indisturbata, mentre ai Ghibellini la spedizione contro i Veneziani dava molto da fare. In realtà anch’essi avevano preso parte alla guerra, ma in una maniera tutta loro. Franceschino Grimaldi comparve dinanzi a Cipro 54 Dipi Ven. Lev., 81. In una relazione al papa del 1309: per eventum casus fortuiti Januenses Venetos superaverunt in mari. 55 Marin Sanudo, Liber, 83; cfr. sopra, p. 183. 56 Ferr. Vie., 988. 57 Cfr. sopra, p. 23 e sgg. 58 Dandolo, 408; Andr. Naug., 1010. - 240 - Corrado Doria ammiraglio di Sicilia e battaglia di Curzola con una galera mettendo a sacco i beni di nemici ed amici, finché 1’Ammi-raglio del re di Cipro lo ridusse a dovere59. Se i banditi non si vergognavano di estendere fino a così lontane contrade le loro piraterie, tanto peggio devono aver fatto nella limitrofa riviera; con essi Venezia concluse allora una formale alleanza60. Sulle sue condizioni nulla sappiamo di certo61; ma il fatto è incontestabile62. In tal modo Venezia si procurò un’ eccellente base per attaccare Genova all’ interno, mentre la flotta stessa dei Guelfi non era un alleato dispezzabile. Abbiamo davanti agli occhi relazioni dalle quali ci appare come le prospettive della convenzione non dovessero essere state infruttuose. Domenico Sciavo, incrociando con una picola squadra nel bacino occidentale del Mediterraneo, aveva arrecato ai Genovesi molti danni63; non è però accertato se egli fosse riuscito a spingersi fino al porto di Genova M. Alquanto più dimostrata è la notizia che alcune galere genovesi osassero presentarsi molto vicino a Venezia65. Non è comunque possibile far luce completa nella oscurità che avvolge questi ultimi avvenimenti della guerra66, in nessun caso però è da attribuirvi eccessiva importanza poiché, ancora prima che nuove flotte fossero messe in campo, la pace mise fine ad ulteriori ostilità. 59 Dipi. Ven. Lev., 39 e sgg. 60 Dandolo, 408. 61 Secondo Andr. Naug, 1010, le proposte sarebbero partite dagli esiliati e Venezia avrebbe promesso di esaminarle. « Libri commemoriali, I, 9; più completo in Mas Latrie, Commerce et expéditions, p. 14: nam illi de Monacho et ceteri Januenses extrinseci, quando inimicabamus intrinsecis, fuerunt nobiscum in tractatu unionis et societatis, que completa fuit omnimodo pro parte nostra; inter quod tractatum seu unionem ... Montanus (dé Marino) fuit sicut ceteri nobiles qui morantur in Monacho. ® Dandolo, 408. 64 Ibid., 408. Si narra che egli fece coniare delle monete sul molo e che incendiò molte navi dentro il porto. Lo stesso riferisce Laur. de Mon, 204 e sgg, il quale aggiunge in particolare che nel porto di Genova fu presa una nave proveniente da Cipro. 65 Dandolo, 408; secondo Gest. des Chip., 289, questa dimostrazione poteva essere avvenuta anche prima della battaglia di Curzola. “ Quello che Laur. de Mon, 204, aggiunge in merito ad una flotta mercantile veneziana in Romania, al comando di Giovanni Quirino, anche se vero, non ha importanza. Marin Sanudo, Vitae, 579, riferisce come successiva alla battaglia di Curzola la sconfitta subita dalla flotta comandata da Marco Basilio (dunque la battaglia di Lajazzo! Cfr. sopra, p. 180 e sgg.) ed inoltre l’incendio di Canea: cfr. sopra, libro V, cap. IV, n. 37. - 241 - 16 Capitolo ottavo La pace con Venezia e Pisa Matteo Visconti interviene per la pace fra Genova e Venezia. - Condizioni relative ed esecuzione. - Armistizio fra Genova e Pisa. - Importanza di esso. La sconfitta di Curzola non aveva messo a terra Venezia, ma una rapida pace tuttavia era pressantemente desiderata dalla superba città delle lagune; troppi erano stati i suoi cittadini fatti prigionieri nella battaglia, i quali, come i Pisani, gemevano nelle carceri di Genova !. Il papa avrebbe potuto riprendere i tentativi di mediazione come in passato. Ma ciò non avvenne, probabilmente perchè Bonifacio Vili non aveva interesse alcuno di sollevare i Ghibellini di Genova dal peso della guerra, nel qual caso poi essi sarebbero stati in grado di aiutare Federico di Sicilia2. Nei documenti 3 sono soltanto ricordate le premure del Vicario imperiale in Lombardia, Matteo Visconti, per il ristabilimento della pace. Quanto ai motivi che potevano avere indotto il Signore di Milano ad immischiarsi nella lotta fra le città marittime, nulla dicono le fonti e nuU’altro che supposizioni possiamo dedurre dalle linee della sua politica. Fino a quel momento Matteo, nonostante qualche oscillazione, potè conservare nell’Italia settentrionale l’egemonia acquistata dai Visconti con 1 Secondo Andr. Naug., 1010, la maggior parte dei prigionieri morì per mancanza di nutrimento; secondo Ferr. Vie., 990, venne loro concesso il riscatto; entrambi sono poco attendibili. Come i prigionieri provvedessero al loro mantenimento è dimostrato da un documento (App. 3, nr. 17, c. 213) del 17 gennaio 1299: Johannes Maiazochus de S. Agnete de Venetiis, carceratus comunis Jarnie, dichiara Paschali de S. Donato scribe, di avere ricevuto tanto per cui promette di pagare entro due mesi 55 soldi Jacobo de Bonbarono, qui est carceratus in Venetiis. Actum Janue in palacio de Modulo, in quo dictus Johannes stat (?) in carcere. I Pisani erano nell’arsenale (cfr. sopra, libro V, cap. VII, n. 10); secondo Gest. des Chip., 289, essi non volevano assolutamente stare insieme con i Veneziani. Il fatto che Marco Polo abbia scritto la relazione dei suoi viaggi in carcere a Genova (Le livre de Marco Polo, I, p. 4; cfr. sopra, libro V, cap. III, n. 73), prova che non proprio tutti i Veneziani furono maltrattati a Genova. 2 Perciò quanto è riferito da Laur. de Mon., 205 e Andr. Naug., 1010, del resto in contraddizione con Dandolo, 409, non merita fede. 3 L.J., II, 344 e sgg. — 242 - La pace con Venezia e Pisa ]a caduta del marchese Guglielmo di Monferrato4, egemonia che ebbe conferma e significato nel titolo di Luogotenente Generale conferitogli dal re dei Romani Adolfo di Nassau 5. In realtà i Torriani non avevano tralasciato i tentativi per un loro ritorno di forza a Milano, e Giovanni di Monferrato, ormai fattosi adulto, non rinunziava alla vendetta contro i nemici di suo padre. Quando Adolfo rimase ucciso presso Gbllheim, per opera dell’asburgico Alberto, si addensarono sul capo del partito imperiale lombardo nubi minacciose 6. Può darsi che Matteo fosse intenzionato a impegnare Venezia a reciproci favori, occupandosi per una onorevole pace con Genova-più tardi, infatti, la citta delle lagune si sarebbe fatta intermediaria per lui7. Tuttavia egli rese pure ai Ghibellini di Genova un buon servizio, avendo tolto ai loro avversari di Monaco l’aiuto di Venezia, mentre la parte di paciere gli stava tanto più a cuore in quanto egli era il rappresentante della potestà imperiale, di per sè stessa idonea ad accrescere la sua importanza 8. Il risultato delle lunghe trattative preliminari, sulle quali manchiamo di notizie dettagliate9, fu la pace conclusa a Milano il 25 maggio 1299 fra 4 Cfr. sopra, p. 156. 5 Cfr. Kopp, III, 1, p. 171 e sgg. 6 Secondo Corio, I, 675, che si valse di una fonte contemporanea (v. I, 696) Novara si staccò il 18 marzo (giovedì!) dai Visconti. Il 3 maggio 1299 i marchesi Azzo d’Este e Giovanni di Monferrato e i Comuni di Pavia, Cremona, Novara, Bergamo, Vercelli etc. conclusero una lega contro Matteo: Muratori, Ant. Est., II, 60 e sgg.; cfr. Corio, I, 677 e Ann. Veron., 455. i V. Corio, I, 680, 692; Summar. mon. tab. Vercellensis, 244; Giomo, Senato misti, in « Arch. Ven. », XXXI, p. 180. 8 Così nel medesimo tempo fu intermediario per una pace fra i Guelfi ed i Ghibellini di Bologna: cfr. Ghirardacci, I, p. 358 e sgg. 9 Corio, I, 680, dice che Genovesi e Veneziani conclusero un compromesso, per mezzo di ambasciatori, nelle mani di Matteo e che questi alla fine fu mediatore per la pace. L’indicazione del tempo, giugno, è erronea; il compromesso non sarebbe impossibile ancorché non sia menzionato nel documento della pace: L.J, II, 344 e sgg. Vi è detto solamente che Matteo mandò spesso inviati a Genova ed a Venezia per esortare i Comuni a deporre le armi e che questi infine gli mandarono dei plenipo-tenziarii per concludere la pace. Nella lettera in Ghirardacci, I, p. 369 (= Lünig, III, 203 = Verci, Storia della Marca Trivig., IV, p. 129), è detto che Matteo, al principio di gennaio 1299, era in procinto di mandare inviati a Venezia. Il 23 marzo furono muniti dei poteri gli inviati Veneziani (per Milano) che conclusero la pace: L.J, II, 345. La procura dei Genovesi è soltanto del 18 maggio: ibid., II, 346. - 243 - Libro V - Cap. ottavo Genova e Venezia 10. Considerando l’ostinazione con la quale i due Comuni, anche nelle più piccole questioni, in addietro si erano mantenuti irremovibili, può sembrare curioso come essi, in questa pace, avessero rinunziato a tutte quelle pretese di risarcimenti di danni che pur avrebbero potuto sollevare l’uno contro l’altrou. Venezia recedette manifestamente dalla posizione precedentemente tenuta poiché, a chiunque potesse essere attribuita la colpa delle precedenti ostilità, specie della battaglia di Lajazzo, Genova, secondo le condizioni dell’armistizio allora ancora vigente, sarebbe stata obbligata ad un risarcimento di danni; sul qual punto non si era mai riusciti ad intendersi12. Ma la condiscendenza di Venezia, celata sotto il tenore del documento di pace basato sulla piena reciprocanza di qualunque impegno, non aveva di fatto grande importanza. I Veneziani avevano subito danni prima della guerra, i Genovesi durante la stessa 13; poteva esser dubbio se fra la misura dei danni dell’uno e dell’altro vi fosse grande differenza; ora però i Genovesi rinunziavano espressamente a tutte le pretese per i danni che avevano sofferto in Romania, non soltanto nei confronti di Venezia, ma anche dell’imperatore greco 14. Analoga rinunzia fecero natu- 10 L.J., II, 344 e sgg.; cfr. Tafel e Thomas, pp. 51 e 115. Le molteplici menzioni della pace che troviamo nelle fonti storiografiche (Jac. de Var., Continuatio, 500; Stella, 1019; Dandolo, 401 e sgg., 409; Laur. de Mon., 205; Andr. Naug., 3010 e sgg.; Gest. des Chip., 289; Ann. Veron., 456; Guill. Vent., 709; Villani, Vili, 27 etc.), anche se esatte ma non tratte da documenti, sono senza importanza. 11 L.J., II, 346. E’ fatta riserva di procedere in giudizio per quei reclami che derivassero da obblighi privati. La rinunzia si estende perciò solamente ai danni cagionati da effettivi fatti di guerra, mentre l’interruzione dei pacifici commerci adesso finisce senz’altro; per conseguenza, le merci appartenenti a navi catturate non vengono restituite, ma le somme di denaro che un Genovese avesse prestato ad un Veneziano dovevano essere restituite. Nella pace con Pisa del 1288 era stato stabilito, riguardo a quest’ultima categoria di reclami, che fossero decisi per arbitrato (cfr. sopra, F- 96); nel caso presente invece la decisione è rimessa ai tribunali ordinari. 12 Cfr. sopra, p. 195. 13 Cfr. sopra, pp. 183, 222, 229. In ogni caso, anche i corsari veneziani avevano svolto un’attività molto maggiore di quella che risulta dalle scarse fonti; cfr. le domande di risarcimento di danni di Marsiglia: Libri commemoriali, I, 9; Mas Latrie, Commerce et expéditions, 14. 14 Riguardo alle pretese di risarcimento per le navi prese dai Veneziani nel 1297 in Sicilia, cfr. sopra, p. 229, Genova non fece atto di rinunzia nei confronti del re di Sicilia, ma anzi in seguito fece valere i suoi diritti: v. Libri commemoriali, I, 32. Tali diritti potevano naturalmente fondarsi sulla circostanza che il re non aveva prestato l’aiuto previsto dalle convenzioni alle navi che si trovavano in un suo porto. — 244 — La pace con Venezia e Pisa talmente i Veneziani, ma essa doveva valere soltanto per danni cagionati dalle parti belligeranti fra di loro. Così Venezia si riservava il diritto di chiedere ad Andronico la restituzione ed il risarcimento delle merci seque strate nel 1296 ,5. Non si può affemare che Genova mediante questa tacita concessione avesse infranto i patti delle convenzioni con Bisanzio. Era espressamente pattuito che se Venezia avesse attaccato possedimenti dell’imperatore, il Comune di Genova poteva prestargli aiuto, senza che le ostilità che per questo dovessero derivare, potessero essere considerate come rottura della pace, nè Andronico poteva pretendere di più 16. Nel documento della pace non è fatta invece alcuna menzione degli alleati di Venezia, i Guelfi di Monaco, che senza dubbio la città delle lagune aveva lasciato perdere senza scrupoli17; era questo il prezzo per la restituzione dei prigionieri. Genova non restituì immediatamente questi preziosi pegni per l’esecuzione delle condizioni della pace. Anzitutto doveva avere luogo la ratifica del trattato da parte dei due governi, e Venezia doveva almeno prestare garanzie per la sua osservanza. La fissazione del giorno in cui doveva avvenire la liberazione fu deferita al mediatore, Matteo Visconti. In sostanza, la convenzione venne con ciò adempiuta. Le condizioni per una rapida procedura giudiziaria per il caso che il cittadino di uno dei due Comuni avesse Tanto meno risulta che Genova avesse rinunziato a pretese di risarcimento nei confronti del re di Cipro; cfr. oltre, libro VI, cap. I. Se dunque i due Comuni acconsentirono reciprocamente a non far valere oltre le reciproche pretese di risarcimento, essi però non rinunziarono perciò ad ogni risarcimento per i danni sofferti in guerra, accordandosi in certo modo a spese dei neutrali. 15 Cfr. sopra, p. 222. 16 Secondo la convenzione ancora in vigore (cfr. sopra, vol. I, p. 293, n. 4) del 1261, Genova sarebbe stata obbligata, per concludere la pace con Venezia, a chiedere l’adesione dell’imperatore: L.J., I, 1350; cfr. sopra, vol. I, p. 107; tuttavia questa condizione era già stata violata troppe volte da ambo le parti perchè potesse ora venire seriamente in gioco. 17 Venezia mandò poi un plenipotenziario a Monaco per ottenere dai Guelfi la ratifica della pace, che questi rifiutarono (Libri commemoriali, I, 9); le ostilità dei Guelfi contro i Veneziani (cfr. oltre, cap. IX), come anche il trattamento usato allo stesso inviato (Libri commemoriali, 1. c.), dimostrano l’irritazione dei Guelfi stessi per l’accordo stipulato fra i loro alleati e gli intrinseci. Rimane oscuro come Venezia più tardi avesse potuto asserire di avere completamente adempiuto ai patti dell’alleanza con i Guelfi: Mas Latrie, Commerce et expéditions, p. 14; cfr. sopra, libro V, cap. Vili, n. 62. - 245 - Libro V - Cap. ottavo reclami contro un cittadino dell’altro, erano analoghe a quelle già stipulate nell’armistizio del 1270 18. La pace era molto onorevole per Genova. Le sue richieste fatte prima dello scoppio della guerra furono soddisfatte. Venezia fece ora perfino formale promessa che, in caso di guerra fra Genova e Pisa, i suoi cittadini non avrebbero navigato in nessun punto della costa d’Italia da Nizza fino a Civitavecchia, Genova eccettuata, nè in Sardegna o Corsica19. Anche Genova fece corrispondente promessa riguardo alla navigazione nel Mare Adriatico per il caso che Venezia si trovasse in guerra con una potenza limitrofa. La promessa di Venezia di non porre ostacoli al commercio con Pisa aveva ormai poca importanza, perchè le trattative fra Genova e Pisa per un armistizio erano allora molto avanzate20. Prima di decidersi a sottomettersi ai grandi sacrifici inevitabilmente imposti dalla situazione, i Pisani vollero ancora attendere per vedere se la pace del 25 maggio veniva mandata ad effetto. L’esecuzione delle condizioni si effettuò senza scosse nel modo stabilito. I Veneziani, dopo la sconfitta decisiva, non potevano aspettarsi nulla di meglio; i punti sui quali avevano ceduto, rinunzia al risarcimento di danni come pure alla sospensione del commercio con Pisa, furono bilanciati con corrispondenti contro-promesse di Genova, e per la liberazione dei prigionieri non fu troppo caro il prezzo, l’abbandono cioè dell’alleanza poco prima conclusa. Quantunque la superiorità della flotta genovese si fosse dimostrata nel modo più evidente, la potenza di Venezia era rimasta intatta. La pace può considerarsi come un capolavoro degli uomini di Stato veneziani che, con l’assistenza del mediatore Matteo Visconti, avevano perfettamente compreso la grave situazione nella quale Genova si era messa per la politica del dominante partito ghibellino, mirando ad approfittarne. I Doria e gli Spinola avevano urgente bisogno di pace per difendersi dai Guelfi e per poter efficacemente aiutare re Federico di Si- 18 Manca soltanto la consegna del colpevole (v. vol. I, p. 299; il documento sull’armistizio del 1270 si vede ora in Sternfeld, Ludwigs des Heiligen, p. 239 e sgg.) dimostratasi inattendibile (cfr. sopra, vol. I, p. 390, n. 12). 19 L.J., II, 348; cfr. sopra, p. 176 e sgg. 20 Esse erano incominciate al più tardi nel 1299 come è provato dai poteri che gli Anziani di Pisa ricevettero il 21 gennaio dal Consiglio Generale: L.J., II, 389 (citato anche da App. 2, nr. 81). In un doc. (Tola, Cod. dipi. Sarà., I, 461), del 5 dicembre 1298 si fa riferimento ad una pace precedente. — 246 - La pace con Venezia e Pisa ea*; la vittoria del Capitano Lamba tornò a loro vantaggio, senza aver apportato utili reali al Comune. La decisione della lotta per la signoria del mare fu rimandata proprio nel momento in cui Venezia, per perdite di uomini e di navi, era rimasta indebolita come mai prima. Contro Pisa si erano utilizzati tutti i vantaggi che offrivano i successi della guerra navale; dopo la battaglia di Curzola ci si dovette invece contentare di una pace onorevole. Nelle circostanze del momento non rimaneva a Genova altro da fare, e la moderazione che essa — apparentemente — dimostrò, dopo aver riportato una brillante vittoria, era giustificata se si riflette che un accomodamento concluso a eque condizioni aveva buone probabilità di durata. Il 10 giugno 1299 fu nominato un sindaco a Genova per ricevere la ratifica della pace a Venezia21. Il 21 luglio tale ratifica ebbe luogo in forma solenne ; in breve tempo le citta di Padova e Verona prestarono garanzia per Venezia e così pure Asti e Tortona per Genova per l’osservanza della pace ; di conseguenza la liberazione dei prigionieri fu eseguita nel modo precedentemente stabilito24. A Pisa si era atteso il definitivo accordo fra Genova e Venezia, prima di decidersi a por termine ad una guerra la cui continuazione presentava ora ancor meno probabilità di successo di prima25. Il 31 luglio 1299 fu 21 v. L.J., II, 369. Lo stesso ebbe pure procura per ricevere la garanzia dai rappresentanti di Padova e Verona per l’osservanza della pace da parte di Venezia: App. 2, nr. 80; cfr. Tafel e Thomas, p. 115. Venezia rilasciò ai suoi rappresentanti due corrispondenti procure (L.J., II, 352, 354, 5 giugno), cioè una per la ratifica, l’altra per ricevere le garanzie (circa quest’ultima, il documento in L.J., II, 354, è identico al documento ibid., II, 248, la cui datazione 1290, invece di 1299, è erronea). 22 L.J, II, 365. Quanto alla ratifica da parte di Genova, Tafel e Thomas, p. 115 e sgg.; i documenti qui menzionati, rilasciati da Genova per Venezia, corrispondono a quelli di Venezia per Genova contenuti nel L.J. 23 II 10 giugno viene nominato a tal fine un sindaco a Padova (L.J., II, 356) e cosi a Verona il 12 {ibid., II, 359); il 25 giugno fu ricevuta la garanzia a Genova (ibid., II, 361, 363); il 18 luglio vennero consegnati ai rappresentanti di Venezia a Genova gl’istrumenti riguardanti la garanzia di Tortona, del 1° luglio, e di Asti, del 13 luglio (L.J., II, 370). 24 II 18 agosto i prigionieri sono già liberi: v. sopra, libro V, cap. V, n. 64. 25 La procura per gli inviati pisani, in forza della quale essi conclusero, è del 16 luglio: L.J., II, 389 e sgg.; questa però doveva essere stata spedita loro a Genova, perchè all’atto della redazione del documento essi erano assenti da Pisa. La procura per il sindaco genovese è del 24 luglio: ibid., II, 388 e sgg. — 247 — Libro V - Cap. ottavo quindi stipulato un armistizio di 25 anni “, con la condizione che, se decorso il termine esso fosse stato denunziato, le ostilità non avrebbero potuto essere riprese se non dopo due anni dal giorno della denunzia; una convenzione quindi pressoché eguale ad una pace duratura, che tuttavia non fu mai raggiunta, il che è spiegabile, tenuto conto come Genova tenesse sempre fermo il principio secondo cui la pace del 1288, in linea di diritto, era sempre in vigore. Nessuna rinunzia perciò ai diritti con essa acquisiti ed espressa riserva che essi non si dovevano ritenere estinti per prescrizione ancorché, durante l’armistizio, non dovessero venir fatti valere in giudizio. Dei luoghi alla cui cessione Pisa si era adattata, Genova prese reale possesso soltanto di Sassari27. Pisa, rinunziando a turbare il possesso di Genova su Sassari, promise di non vantare più in avvenire diritto alcuno sopra qualsiasi parte del Giudicato di Torres. La cessione di qualsiasi diritto fino allora esercitato su Sassari fu ribadita ed estesa a tutto il Giudicato di Torres in modo irrevocabile. Riguardo alla Corsica, Genova si attenne strettamente ferma alle condizioni stipulate nel 1288. Pisa doveva ancora promettere di non immischiarsi più nelle cose dell’isola. Giudice di Cinercha doveva essere esiliato, qualunque relazione con lui troncata, e così pure rimanere in vigore la disposizione per cui Pianosa non doveva venire più ricostruita. I Genovesi non erano riusciti a conquistare Cagliari, ma non rinunciavano però alla possibilità di mettere le mani su questa importante piazza anche durante l’armistizio, solo promettevano che, a tal fine, non avrebbero impiegato mezzi violenti. Per quanto contorte fossero le espressioni usate nel documento, dal momento che secondo ogni previsione Cagliari non poteva essere presa senza un formale assedio o blocco, tale disposizione equivaleva in sostanza ad una rinunzia di Genova sopra Cagliari; una deroga alla pattuita libertà di esportazione del sale a favore dei Genovesi era per questi ultimi cosa di non eccessivo rilievo 28. Di buon grado venne pure effettuata una tacita rinuncia ai castelli nel Giudicato 26 V. il documento in L.J., II, 372 e sgg. 27 Cfr. sopra, p. 189 e sgg. 28 Attraverso questa disposizione (L.J., II, 279 e sgg.) fu in pari tempo resa impossibile ai Veneziani l’esportazione del sale da Cagliari; cfr. sopra, libro V, cap. III, n. 40. Genova del resto assoggettò ad analoghe limitazioni l’esportazione del sale dai suoi possedimenti in Sardegna: L.J., II, 386. — 248 — La pace con Venezia e Pisa dl Torres29, la cui consegna era già stata in passato promessa da Pisa ma poi non effettuata cosicché essa doveva pagare 60000 lire di inden’ nizz0. Pisa doveva inoltre pagare 100000 lire per spese che essa aveva provocato a Genova a causa della rottura della pace del 1288 II Paaa mento di queste somme venne così regolato: 55000 lire entro 6 mesi il resto in tre rate annuali di 35000 lire». Finché tali pagamenti non fossero stati eseguiti, o prestata valida garanzia per la loro effettuazione i Pisani non avrebbero potuto viaggiare oltre Napoli, la Sardegna ed Aiguès-mortes se non su navi genovesi31; inoltre dovevano lasciare come pegno 100 prigionieri pisani, mentre gli altri dovevano essere liberati entro 15 giorni. Pisa ottenne un mese di dilazione per la liberazione dei prigionieri genoVesi ed accordò agli esiliati Guelfi che si erano alleati con Genova 32 il ritorno in patria, a condizione che restituissero i beni immobili del Comune che avevano occupato, mentre Genova a sua volta non si sarebbe più interessata di loro. Quanto ai Guelfi di Monaco, invece, doveva senz’altro troncare ogni relazione con loro. Ulteriori disposizioni avevano lo scopo di garantire il libero commercio nei due porti, affinchè, e soprattutto, l’importazione dei viveri non avesse a subire ostacoli33. 29 Sono nominati soltanto (L.J, II, 391) tre dei castelli de Logodorio: castrum Montis Cuciani, c. Montis de Verro e c. Montis Acuti-, manca castrum quod vocatui Urbe-, v. L.J., IL 129 e sopra, p. 92. 30 L.J., II, 381 (invece di 50000 devesi leggere 55000, come è pur indicato nel documento in App. 2, nr. 81; cfr. oltre, n. 42). Per i danni che nel 1288, immediatamente dopo la conclusione della pace, erano stati recati a Genovesi (cfr! sopra, p. 96 e sgg.) Pisa doveva pagare 9600 lire di risarcimento: L.J, II, 384. Inoltre degli’ arbitri, da nominarsi dal comune di Pavia, dovevano pronunziarsi su tutte le pretese che i Genovesi avevano contro il Comune di Pisa e soprattutto sui danni che essi avevano sofferto dai Pisani in tempo di pace o di armistizio: ibid., II, 385. 31 L.J, 381 e sgg. Questa disposizione chiarisce l’errore in cui cade Villani, VIII, 30, cioè che i Pisani non potessero per 15 anni navigare con galere armate. Non si può attribuire una sostanziale importanza a questa disposizione, poiché la prestazione di cauzione presso società commerciali (societates) in Genova poteva essere avvenuta molto presto. 32 Cfr. sopra, p. 190. Uno di questi Pisani, un Visconti, si trovava peraltro già presso i Guelfi a Monaco: v. Gioffredo, 680. 33 L.J, II, 379 e sgg, 385 e sgg. Del resto simili disposizioni erano pure contenute nella pace del 1288: v. L.J, II, 162; cfr. sopra, p. 96. Corrispondente alle competenze giudiziarie della Sardegna è la condizione riguardante la consegna degli schiavi fuggitivi, fondata sulla reciprocità. - 249 — Libro V - Cap. ottavo In sostanza, da quanto precede si vede come l’armistizio significava una reciproca convalida dello stato dei possessi in Sardegna, previsto a lunga indeterminata scadenza. Genova venne pure ad accordi per Sassari, ed i due Comuni insieme conclusero col Giudice di Arborea, l’alleato di Pisa, un armistizio per la medesima durata ", anch’esso basato sull’attuale situazione dei possessi. Il Giudice cedeva a Genova tutti i suoi diritti su Sassari e sul territorio annesso35, sciogliendo il medesimo Comune di Sassari da tutti gli impegni che esso aveva verso di lui. I Pisani venivano così quasi del tutto estraniati dal Giudicato di Torres, ma negli altri tre Giudicati dell’isola essi mantenevano mani libere. I Genovesi si videro così ancora ben lontani dal predominio sulla Sardegna e nemmeno riuscirono ad ottenerne la divisione, del che la Corsica non poteva offrire affatto una contropartita, tanto più eh'essa avrebbe dovuto essere anzitutto riconquistata. Dei vasti progetti che la pace del 1288 aveva fatto accarezzare, poco risultato si potè trarre. Si era allora fatto calcolo, trattenendo i prigionieri e continuando il blocco delle coste di Pisa, di poterla costringere all’adempimento delle sue promesse; ma il calcolo si dimostrò fallace. I prigionieri rappresentavano un pegno che con il tempo era destinato a scemare di valore, perchè, se è credibile quanto ci viene riferito, gran parte di essi morì in carcere36. Neppure il commercio marittimo dei Pisani potè essere completamente annientato. Dopo la caduta di Acri, essi batterono i porti di Cipro e di Armenia al pari dei Genovesi e dei Veneziani37. In realtà la loro flotta da guerra era stata annientata, nè essi profittarono della favorevole occasione per affrontare ancora i nemici sul mare alleandosi con Venezia, per tentare una vittoria 34 L.J., II, 394, 31 luglio 1299. Il giudice è Giovanni, figlio e successore di Mariano (II): cfr. Tola, Cod. dipi. Sard., I, 505. Sulla ratifica a Sassari, v. L.J., II> 403. 35 Così egli trattiene per sè i 3 castelli: cfr. sopra, n. 29 e p. 28. 36 Secondo Villani, Vili, 30, ne era ancora in vita appena la decima parte. In altri riferimenti delle Gesta Fior. (Simone della Tosa, 156 e sgg.; Paol. Piero, 54, Cod. Neapol., p. 292; Corcadi, 106; Ptol. Lue., /1««. Lue., 101) ciò non si trova; ma qualcosa di simile viene menzionato altrove. Secondo Ranieri Sardo, 92 (il passo è guasto) = Chronicon Pisanum, 452 = Cronica di Pisa, 98, di 15000 ne ritornarono soltanto 10000; così pure Giov. Sercambi, I, 48; quanto al numero dei prigionieri cfr. però sopra, p. 44. 37 V. il privilegio di re Enrico di Cipro per Pisa dell’ottobre 1291 in Docc. sulle rei. tose. Coll’Oriente, p. 108, e il doc. ibid., p. 109 e sgg. — 250 — La pace con Venezia e PiSA navale che avrebbe rimediato die conseguenze della sconfitta subita alla Meloria38; tuttavia la guerra da loro ostinatamente continuata non li orivò di qualche successo. Genova nel 1290, aveva ripreso bensì la guerra ler conquistare Cagliari; ma ora la contrastata piazza rimaneva ai Pisani per quanto considerevoli potessero essere le somme di denaro che questi ultimi si impegnavano a pagare, 1 Genovesi tuttavia avevano sempre spe rat0 di ricavare un prezzo ben maggiore per la liberazione dei prigionieri e del commercio. Soltanto in un punto il nuovo accomodamento si presentava più vantaggioso rispetto al primo tanto per Pisa quanto, in ultima analisi, anche per Genova: esso era cioè effettuabile. La ratifica in Genova ebbe luogo sul momento39, la conferma da parte del governo di Pisa non si fece aspettare lungamente40. Ben presto si apersero le porte delle carceri ai prigionieri 41 e il pagamento delle indennità di guerra venne eseguito con tutta probabilità nel modo convenuto42. La guerra durata ininterrottamente dal 1282, salvo una breve interruzione, poteva ora considerarsi finita. 38 Roncioni, 661, secondo fonti d’archivio, fa menzione per il 1298 di un ammiraglio pisano. Non e provata la comparsa d una flotta pisana in mare e tanto meno una nuova alleanza con Venezia. 35 L.J., II, 392; contemporaneamente la ratifica dell’armistizio con il giudice di Arborea: ibid., II, 400. 4° Ibid., II, 401, 13 agosto, un sindaco genovese non è presente. « Una notizia a tergo del foglio sul quale si trova il verbale del Consiglio genovese del 18 agosto 1299 (v. sopra, libro V, cap. V, n. 64), dice che il 18 agosto i prigionieri genovesi in Pisa furono rilasciati. 42 App. 2, nr. 81 (31 dicembre 1299): a Pisa viene munito dei poteri un sindaco per versare al Comune di Genova 35000 lire e girare 20000 lire che erano depositate presso una società genovese, secondo un doc. del 31 luglio, al fine di effettuare il pagamento delle 55000 lire a cui era obbligata Pisa secondo le condizioni dell’armistizio. Quanto al modo di procurarsi le somme di denaro in Pisa, cfr. Reg. Bonif. Vili, II, p. 514; Potthast, nr. 24889. - 251 - Capitolo nono La pace con Carlo II ed i Guelfi Elevazione di Porchetto Spinola ad arcivescovo di Genova da parte di Bonifacio Vili. - Licenziamento dei Capitani. - Deposizione di Porchetto. - Scomunica dei partigiani genovesi di Federico di Sicilia. - Trattative di pace degli Spinola con Carlo II. -Accordo del 2 giugno 1300. - Battaglia navale di Ponza ed imprigionamento di Corrado Doria. - Fallito attacco dei Guelfi su Genova. - Contegno di Carlo II e di Bonifacio Vili. - Piano per un’alleanza fra Genova e Venezia. - I Guelfi consegnano Monaco a Carlo II. - Offerte di Federico a Genova vengono rifiutate. - Trattato fra Genova e Carlo II dell’8 maggio 1301. Ad un osservatore superficiale la potenza politica di Genova avrebbe potuto in questo momento apparire splendida in confronto alle altre citta marittime rivali, una delle quali aveva riconosciuto di essere rimasta soccombente e l’altra si era data buona pace nell’accettare la perdita della sua precedente importanza senza ulteriori resistenze. Genova non pervenne però a cogliere i frutti delle sue gloriosa azioni di guerra. L’aperto scoppio dell’antica opposizione dei partiti cittadini, nel momento in cui la più perfetta unione sarebbe stata necessaria, fu il motivo che costrinse il Comune a intendersi con Venezia senza averne ritratto un reale vantaggio, mentre Pisa stessa, in sostanza, rinunziava a ciò che già da molto tempo più non possedeva. Con la pace i Ghibellini ebbero bensì mano libera per aiutare Federico in Sicilia, ma essi dovevano trovare poi in Bonifacio Vili e Carlo II avversari ai quali non potevano tener testa, e la sconfitta del partito, i cui capi avevano testé riportato la netta vittoria su Venezia, doveva ben presto appannare lo splendore dei successi faticosamente raggiunti. La politica del papa di fronte a Genova deve essere considerata come il capolavoro di uno scaltro e disinvolto uomo di Stato. Se poi possa essere ritenuta degna del capo spirituale della Cristianità, è altra questione. Il 15 luglio 1298 era morto il pio arcivescovo Jacopo da Varazze Il Capitolo della Cattedrale era senza dubbio dominato dalla preponderante in- 1 Vigna, Due opuscoli, 463 e sgg.; cfr. Stella, 986. — 252 — La pace con Carlo II ed i Guelfi fj?. '? Fieschi , mentre un eventuale ostruzionismo dei Ghi- bellini poteva condurre ad una elezione discorde3; è quindi spiegabile come il papa si riservasse la nomina del successore. Niccolò IV aveva conferito la massima dignità spirituale della città ad un uomo di pace e di conciliazione, che si era tenuto lontano dalle discordie di partito4. om acio VIII non elesse un avversario dei Ghibellini, ma con calco-ata saggezza si valse della pienezza dei suoi poteri per far sorgere un con itto interessi fra le famiglie dirigenti e quindi provocare una scissione nel partito dominante. Egli posò l’occhio sul monaco francescano Forchetto Spinola per servirsene come strumento. Nella lettera con la quale conferisce il pallio a questo membro della famiglia ghibellina, il papa si esprime in modo chiaro su quello che attendeva da lui. Come una muraglia davanti alla casa del Signore, Porchetto doveva ergersi di fronte agli avversari che avessero inteso molestarla perchè nel giorno del giudizio potesse rendere conto del gregge a lui affidato5. Le non insolite espressioni figurative hanno qui un senso preciso, calzante. Un Doria era diventato Ammiraglio del regno di Sicilia, uno Spinola arcivescovo di Genova; quello doveva la sua carica al desiderio di re Federico di rafforzare la sua flotta con galere genovesi tramite l’aiuto dei Doria; questo agli sforzi del papa per mandare a vuoto tale divisamento. Se Porchetto non si renderà esatto conto del suo compito, il papa, che lo aveva elevato a tale dignità, potrà pure rimuoverlo da essa. L’arcivescovato fu l’esca che Bonifacio Vili gettò agli Spinola, per attirarli a sè nel proprio interesse e metterli in opposizione ai Doria; non perchè egli intendesse farli cadere subito, tanto che 2 Degli 8 membri del Capitolo nominati nel documento del 5 dicembre 1298 (Tola, Cod. dipi. Sard., I, 460), appartengono a questa famiglia i seguenti: Bartolomeo, il magister scolarum Teodosius (!) e anche Giovanni Cardinale: cfr. Campi, III, p. 32. Il papa, il 3 marzo 1297 (Reg. Bonif. Vili, I, p. 665), aveva concesso a Te-disio di fissare il suo domicilio a Chiavati. La menzione della distruzione delle case del Capitolo nei tumulti del 1295-96 (cfr. sopra, libro V, cap. V, n. 45) molto probabilmente trae origine dal fatto che essa, come nel 1289 (cfr. sopra, p. 106 e sgg.) favoriva i Guelfi. 3 Come essa avesse avuto luogo dopo la morte dell’arcivescovo Bernardo cfr. sopra, p. 104. 4 Cfr. sopra, p. 157. 5 Sbaraglia, IV, 482 (Potthast, nr. 24777; Reg. Bonif. Vili, II, p. 326) 3 febbraio 1299. Jac. de Var., Continuatio, 499; la data dell’anno dell’elezione di Porchetto è erronea. - 253 - Libro V - Cap. nono pure a loro accordò alcuni favori6, ma il germe della discordia era con ciò lanciato e non avrebbe potuto mancare di fame maturare presto i frutti. Il 4 luglio 1299 la flotta siciliana subì una grave sconfitta presso Capo d’Orlando 1. Non si può accertare se galere genovesi avessero partecipato alla battaglia8; probabilmente esse scesero in campo in tempo successivo per limitare le conseguenze del disastro. Nel dicembre si trovava al servizio di Federico una squadra comandata da Egidio Doria . Era prevedibile che il papa non avrebbe lasciato impunito l’appoggio prestato al re scomunicato. Gli sforzi concordi posti in opera dai Doria e dagli Spinola riuscirono almeno a sventare dalla città la minaccia dell interdetto. Se però era dimostrabile che i Ghibellini agivano nel proprio interesse, era possibile per il Comune trovare fondati motivi di scusa per sgravarsi da ogni colpa. Il licenziamento dei due Capitani, che comunque avvenne il 28 ottobre 1299 10, ebbe quindi lo scopo di non compromettere la totalità dei cittadini per le azioni dei singoli. I Ghibellini non si lasciarono comunque sfuggire di mano la loro decisiva influenza sul governo di Ge 6 Reg. Bonif. Vili, II, p. 380 (28 febbraio 1299): licenza al Gran Maes“°‘del Giovanniti di affittare a Nicola Doria il castello di Cervo, nella diocesi di Sa< per 20 anni; cfr. su ciò la lettera ibid., II, p. 515 (18 dicembre) e un documento in App. 3, nr. 18 a, c. 12 v., del 22 ottobre 1300: Lamba de Auria, admiratus comunis Janue, non tanquam admiratus sed pro se, tamquam privata persona, nomina procu ratori per comperare dai Giovanniti il castello di Cervo. Il progettato acquisto oveva comunque arrotondare i possedimenti dei Doria sulla Riviera occidentale; cfr. sopra, p. 233. La posizione della famiglia in Sardegna fu assicurata mediante la legittimazione post mortem della madre di Brancaleone Doria e la conferma dei beni da lei ere■ i tati: Reg. Bonif. Vili, II, p. 519, 31 dicembre 1299; cfr. sopra, libro IV, cap. Il, n. 15. A favore degli Spinola vi è la dispensa matrimoniale: Reg. Bonif. Vili, , p. 491, 7 settembre 1299. Nel documento in Rayn, anno 1300, par. 10, è fatta men zione dei favori papali ad ambedue le famiglie. 7 Cfr. Amari, La guerra del vespro, II, p. 361 e sgg. 8 Villani, Vili, 29, parla della partecipazione di Federico Doria, 1 ammiraglio di Federico (!); cfr. su ciò Amari, La guerra del vespro, II, p. 367, n. 1. 5 V. la lettera del 1° dicembre in Chron. Sic., 859. 10 Stella, 1019; cfr. sopra, libro V, cap. VIII, n. 1. L’anno (1299) è fuori di ogni dubbio. Il 31 luglio 1299 (L.J., II, 392, etc.) i Capitani sono ancora in carica; una lettera del Podestà, Abate, Anziani, Consiglio e Comune di Genova al Comune di Savona (App. 6, nr. 4, c. 168 v.), del 6 aprile 1300, non li nomina più nell’indirizzo, mentre lettere analoghe (ibid., c. 163 e sgg. del 5 marzo 1298, e c. 160 del 19 febbraio 1297), sono spedite da (Podestà), Capitani, Abate ed 8 consiliarii. — 254 - nova del L‘ “N c‘-“ n „, Guelfi ,, quantunque adesso il Podestà e l'Abate guidassero da soli .li « -*, Comune Tanto meno era il caso di parlare di una restaurai^"! Guelfi. In dell imminente confi,tto con la Chiesa, fu probabili allora che «enne redatto uno statuto che ordinava rigorosa a k persone d, condanne clericale d, astenersi da qualsiasi offesa “ a goveI„„ dello Stato Se chierici o monaci avessero dato un q„alsii,° aiuto agli esiliati, sarebbe cessata la protezione giuridica loro accorda,,' U Comune e qualunque torto a loro fatto sarebbe rimasto impunito» Bonifacio Vili si avvide subito dell’ingannevole gioco dei Ghibellini e seppe abilmente valersi a proprio vantaggio della circostanza che tanto il Comune quanto i Ghibellini agivano indipendentemente l’uno dagli altri. Al principio del 1300 egli trattò ancora; tramite il re di Fran eia, fece ammonire il Comune di non prestare aiuto a Federico e di richiamare dalla Sicilia 1 cittadini che lo facevano. Egli sperò addirittura di poter noleggiare a Genova galere per Carlo II; ma in pari pensò a misure coercitive in caso di disobbedienza: Filippo IV, come pure altri principi, dovevano in tal caso proibire ai Genovesi qualunque attività 11 Come ciò risulti dalla lettera in App. 6, nr. 4, c. 168 v„ v. la nota prece dente. Il Collegio degli 8 consiliarii cadde contemporaneamente ai Capitani e siccome' probabilmente anche le competenze della Credentia cessarono con il trattato di pace così rimasero soltanto gli Anziani ed il Consiglio generale; cfr. anche L] II 405' E’ però strano che nell’indirizzo di lettere al Comune dell’anno 1300 (L.J II 365 ' Amari, U guerra del vespro, II, p. 426, nota) sia nominato un Capitano; al contrario Sbaraglia, IV, 503. 12 Statuti di Pera, 725: potestatis, abbatis, conestabilis (!) comunis et populi Janue. Se ne deduce che questo statuto non poteva essere entrato in vigore prima del licenziamento dei Capitani, perchè altrimenti essi avrebbero dovuto essere nominati per primi; cfr. Caro, Verf. Gen., p. 23. « Statuti di Fera, 725. E’ aggiunto che entro 15 giorni dall’entrata in carica del Podestà, lo statuto doveva venire portato a cognizione dell’arcivescovo e del clero. Il 17 febbraio 1300 {App. 3, nr. 22 a, c. \2v.\ cfr. Canale, III, p. 169, n. 3) i Consoli dei placiti fanno notificare al vicario dell’arcivescovo si ipse vicarius vult observare capitula civitatis Janue civibus laicis agentibus contra clericos aut contra clericos defendentibus. II vicario rispose acconsentendo, dummodo ipsa capitula non sint contra libertatem ecclesie, et dummodo ipsi consules observent ipsa capitula clericis agentibus contra laycos seu contra laycos defendentibus. Il Podestà entrò in carica il 2 febbraio (cfr. Caro, Verf. Gen., p. 36); si deve dunque ammettere che il documento del giorno 16 vada riferito alla comunicazione del nuovo statuto. - 255 - Libro V - Cap. nono nei loro StatiI4. Dalle minacce il papa passò presto ai fatti; già 1 8 marzo Porchetto rinunziò al suo titolo di arcivescovo l5. Una relazione , sia pure proveniente da tradizione genovese, spiega quanto poco spontaneamente egli avesse fatto questo passo. Il mercoledì delle ceneri il papa secondo un antico costume — aveva sparso la cenere sul capo dei prelati. Allorché il presente arcivescovo Porchetto doveva riceverla per parte sua, egli gli gettò la cenere in faccia dicendo: « Ricordati che tu sei un Ghibellino e che diventerai cenere insieme con i Ghibellini ». Rimane incerto se questo sia un fatto realmente accaduto I7; ma presso Federico si trovavano galere genovesi, Porchetto non aveva adempiuto al compito affidatogli, perciò dovette rinunziare al suo ufficio. Bonifacio Vili tuttavia non si lasciò sfuggire di mano la possibilità di valersi di lui per esercitare una maggiore influenza sugli Spinola. Essendosi egli riservata la nomina del successore, anziché procedere subito alla nuova elezione, tenne le cose in sospeso, lasciando aperta la strada a Porchetto di riottenere la perduta dignità, ove se ne fosse reso degno prestandosi ai suoi voleri. L’atteggiamento di favore nei confronti dei Ghibellini non era riuscito allo scopo, per questo il papa tentò di ricorrere alla durezza. L anno santo era prossimo, da ogni parte affluivano in massa i fedeli a Roma per avere la loro parte delle indulgenze che venivano dispensate una volta sola ne^ corso di un secolo. AlPawicinarsi del tempo della Pasqua, il giovedì 14 Rayn, anno 1300, par. 13, lettera del 1° febbraio; cfr. Amari, La guerra e vespro, II, p. 420, n. 3. Da Rayn, anno 1300, par. 10 (cfr. oltre) risulta che il papa tentò un accomodamento fra il Comune di Genova e Carlo II. 15 Potthast, nr. 24923; Sbaraglia, IV, 502; cfr. 531 e sgg. E’ dubbio se il documento mediante il quale il papa annunziò le dimissioni di Porchetto fosse stato emesso nello stesso giorno in cui tali dimissioni erano state date. 16 Stella, 1019; cfr. Amari, La guerra del vespro, II, p. 421. Per quanto mi consti, il racconto è qui menzionato per la prima volta; Drumann, Gesch. omj■ Vili, I, p. 206, n. 79, cita passi autorevoli solo più tardi. 17 Porchetto poteva essersi trovato alla Curia il mercoledì delle ceneri (23 febbra io 1300); il 17 febbraio fu rappresentato a Genova da un vicario (cfr. sopra, n. 13) ed il documento sul suo allontanamento (v. sopra, n. 15) che non può essere stato redatto molto tempo dopo l’allontanamento stesso, dimostra come avesse rinunziato personalmente in presenza del papa. Merita riflettere anzitutto sul nesso esistente fra questo fatto e la persecuzione dei Colonna da parte di Bonifacio VIII. La — pre tesa - buona accoglienza fatta ad essi da parte di Porchetto non poteva comunque essere stata il motivo principale della sua caduta, come e provato dall ulteriore corso degli avvenimenti; del resto anche Gest. des Chip., 282, riferiscono che i Colonna erano fuggiti a Genova e quindi in Sicilia. — 256 — La pace con Carlo II ED , Guelfi santo18, come d’uso, fu pronunziata la scomunica di tutti coloro i quali . causa dei loro errori, rimanevano esclusi dai benefici della Chiesa. La fede devota dimostrata in passato dal Comune di Genova al papato non fu di-menticata e quindi la procedura di Bonifacio Vili non si rivolse diretta-mente contro di esso. I suoi cittadini però, specie quelli delle case Doria e Spinola che prestavano aiuto a Federico ed ai Siciliani, erano caduti senz’altro nel bando pronunziato contro gli avversari della Chiesa e di re farlo. Erano in particolare nominati Oberto Doria, suo figlio Corrado e Corrado Spinola », i capi delle due famiglie; se entro la prima domenicl dalla festa dell’Ascensione non fossero ritornati all’obbedienza della Chiesa, essi ed i loro discendenti sarebbero stati privati di tutte le grazie spirituali loro concesse dalla Sede Apostolica, e così pure di tutte le signorie temporali loro conferite dalla Chiesa romana o da altri, e infine della capacità di poter ottenere in seguito alcunché di simile. Inoltre, e per conseguenza, tutti i partigiani di Federico a Genova e territorio venivano puniti come eretici e nemici della fede cristiana; essi potevano venire presi da qualunque persona ed i loro beni mobili diventare proprietà di chi li avesse presi21. Quali mire perseguisse Bonifacio VIII con tale misura lo dà a conoscere egli medesimo dicendo che fino ad allora si era adoperato invano per mandare ad effetto una unione fra il Comune ed il re di Napoli 22. Evidentemente egli mirava a nuove trattative in tal senso, che dovevano incominciare al più presto. L’intendimento del papa, di seminare la discordia fra i Doria e gli Spinola, era già anche troppo ben riuscito; tre partigiani di quest’ultima famiglia si presentarono in Curia23 dopo aver preso, molto probabilmente, accordi preventivi con Carlo II24. L’Angiò offriva compenso equivalente, ove Genova desistesse dal- 18 7 aprile: Rayn, anno 1300, par. 10. i» Rayn, 1. c. Da ciò non possiamo vedere se egli si trovasse in Sicilia. Se Stella, 1019, dice che Corrado Spinola, dopo le sue dimissioni da Capitano (quindi nel 1299; cfr. sopra, n. 10) andò in Sicilia con una galera per aiutare Federico, egli lo confonde con Corrado Doria; cfr. sopra, p. 230. 20 Rayn, 1. c, 15 maggio. 21 Rayn, 1. c. La chiusa del documento è omessa e quindi non si può vedere quali sanzioni venissero comminate al Comune. 22 Rayn, 1. c. 23 Sbaraglia, IV, 503, Nicola, Nicoloso e Angelino Spinola; essi non avevano alcun incarico dal Comune. 24 qò si può rilevare dal documento del 16 aprile 1300 in Amari, La guerra del vespro, III, P- 411. - 257 - 17 Libro V - Cap. nono l’appoggiare Federico. I Guelfi in Monaco sarebbero stati inespugnabili finché, chiudendoli per mare e per terra, non fosse stata interdetta loro l’importazione di viveri; il blocco del castello dalla parte del mare a mezzo delle galere che vi erano costantemente mantenute dinanzi25 non risultava sufficiente ad impedire le loro piraterie. Quando Venezia aveva concluso la pace senza alcun riguardo verso di loro, risulta che Sorleone Grimaldi si fosse recato nel Mare Adriatico per rifarsi del danno sofferto catturando navi veneziane a preferenza di quelle genovesi. Egli aveva già fatto ricco bottino, quando gli accadde quello che si era meritato, la cattura e la prigionia per opera dei Veneziani16; nè miglior sorte toccò a Montano de Marini, che si aggirava nella parte orientale del Mare Mediterraneo 21 ; in riviera i banditi permanevano senza timori28. Per eliminare il grave disordine, cadevano opportune le proposte fatte dagli Spinola a Carlo II, riguardando esse il ristabilimento della concordia fra lui ed il Comune. Tali proposte arrivavano al punto di prevedere che il re cedesse temporaneamente a Genova due piazzeforti nei pressi di Monaco29 e dovesse nominare un Vicario a Nizza, il quale, sul suo onore, doveva adoperarsi ad impedire che giungessero ai Guelfi aiuti di viveri e uomini. In cambio di ciò, il Comune doveva influire con tutte le sue forze per allontanare Corrado e tutti gli altri Genovesi dalla Sicilia e, nel caso non obbedissero, punirli come ribelli; inoltre il re avrebbe avuto libera facoltà di arruolare mercenari a Genova. Per trattare sulla base di queste condizioni, il 16 aprile Carlo II munì due inviati30 dei poteri relativi31. Con ciò non era 25 App. 3, nr. 17, c. 203 (13 gennaio 1299): Lanfranco Capsiario promette a Nicolò Callegario di andare in sua vece in galeis comunis Janue que ire debent ad custodiam Monaci per 40 soldi al mese; ibid., c. 209 e sgg.: simile documento del 15 e 17 gennaio (qui è detto in galeis... que parate sunt ire); cfr. anche LJ., II, 432. 26 Prima del 14 ottobre 1299; v. Libri commemoriali, I, 8 e sgg. 27 Ibid., 9. 28 L’inviato veneziano che si era recato a Monaco per la ratifica della pace (cfr. sopra, libro V, cap. VIII, n. 17), fu fatto prigioniero il 14 ottobre 1299 ad Albenga: Libri commemoriali, I, 9; v. anche Guill. Vent, 725. 29 Amari, La guerra del vespro, III, p. 411, Latorbie e Sanctanecte, ossia Tur-bia e Sant’Agnese; cfr. ibid. II, p. 423, n. 2. 30 Ibid., Ili, p. 412: Matheus de Adria magne curie magister rationalis e Lan-dulfus Ayossa de Neapoli miles. 31 V. il doc. ibid., Ili, p. 411 e sgg. Gli inviati ebbero inoltre una procura redatta in termini più generali del medesimo giorno: ibid., II, p. 424, nota, identica - 258 - La pace con Carlo II ed i Guelfi tuttavia preso in considerazione il ritorno degli esiliati a Genova, nè Carlo II lo aveva chiesto 32; ma se Carlo fino ad allora aveva favorito nascosta-mente i Guelfi 33, adesso poteva trattare apertamente con essi e costoro offrirgli quello ch’egli aveva sempre accettato volentieri, cioè aiuto di galere M. a quella citata in L.J., II, 409 e sgg.; v. Amari, La guerra del vespro, II, p. 425, nota; le lettere al Siniscalco della Provenza relative alla consegna di Turbia, Sant Agnese etc. furono consegnate loro insieme col resto. Difficilmente essi partirono da Napoli prima del 21 aprile come indicano documenti di Carlo di quel giorno: ibid. 32 L’aggiunta ch’egli fa alle proposte genovesi {ibid., Ili, p. 412 e sgg.) non ha altro scopo che di formulare le condizioni con maggiore durezza. Non solamente Genova deve richiamare i cittadini che si trovano in Sicilia, ma inoltre deve proibire a quelli che vi si recassero in seguito di prestare aiuto a Federico etc. 33 La condotta di Carlo II non è del tutto chiara: dall’espresisone in Amari, La guerra del vespro, III, p. 411 e sgg., constitueremus Nictie et in partibus illis vicarium qui fideliter et sine dolo aliquo operaretur quod illi, qui sunt in Monaco, non haberent auxilium ... de terra nostra (v. anche ibid., III, p. 418; cfr. però sopra, libro V, cap. VII, n. 8), si potrebbe concludere che Carlo chiudesse un occhio sui suoi funzionari di Provenza i quali facevano pervenire soccorsi agli extrinseci, mentre egli aveva fatto in precedenza favorevoli promesse agli intrinseci-, cfr. sopra, p. 225 e sgg. Che i signori di Èze e Turbie aiutassero i Guelfi per proprio conto, risulta in ogni caso da Gioffredo, 680. Secondo Nostradamus, 307 (indi Gioffredo, 673) Carlo II, ad istanza del papa, nel 1299 ordinò per iscritto al Siniscalco di Provenza, in armonia con le convenzioni fra Carlo I ed i Genovesi, di non permettere che in Provenza venissero armate navi corsare contro i Genovesi; inoltre fece pervenire ai suoi funzionari nella contea di Ventimiglia, Nizza, Grasse e Turbie uno scritto col quale imponeva loro di non dare ricetto ai ribelli del Comune di Genova, anzi di espellerli entro quattro giorni e non concedere loro il passaggio, mentre egli in pari tempo comunicava di aver permesso ai Genovesi di erigere fortificazioni nel suo territorio per assediare Monaco. Questi dati provengono da documenti la cui appartenenza però all’anno 1299 è molto discutibile. E’ poco probabile che dopo l’assunzione dell’ammiragliato siciliano da parte di Corrado Doria, prima della conclusione di una convenzione con il Comune, Carlo II si fosse comportato così con i Ghibellini genovesi o che egli avesse spinto tanto avanti il doppio giuoco; poiché anche l’arresto d’un Veneziano (eseguito da Guelfi) a Nizza {Libri commemoriali, I, 9) prova che i suoi funzionari non si attenevano agli ordini citati da Nostradamus. Per Montano de Marini, che effettivamente aveva ottenuto la cittadinanza di Marsiglia, intercedette quel Comune presso Venezia: v. Libri commemoriali, I, 9; Mas Latrie, Commerce et expéditions, p. 14. 34 Riccardo Grimaldi, abitator di Cosenza, al quale Carlo II il 15 maggio aveva dato una patente da corsa, è certamente un Guelfo genovese. Dal documento dell’8 maggio {ibid., p. 425, nota) risulta che i Grimaldi di Monaco armarono navi contro — 259 — Libro V - Cap. nono Gli inviati regi, conformemente alle istruzioni ricevute 35, si recarono prima alla corte papale, ove discussero con gli Spinola presenti i preliminari d’un accomodamento con il Comune, al quale Bonifacio Vili36 e Carlo37 non negarono il loro assenso. Le disposizioni discusse a fondo si aggiravano evidentemente sulla base iniziale di fondo. Il re si sarebbe adoperato affinchè Monaco fosse resa al Comune38; se ciò non fosse avvenuto, egli stesso gli avrebbe assegnato due castelli39, che sarebbero rimasti presidiati finché Monaco non fosse stata consegnata. Ma mentre l’idea originaria era stata quella che i due castelli dovessero servire da punto d’appoggio per l’assedio di Monaco da parte di un esercito genovese, veniva ora assicurata ai Guelfi, sotto certe riserve, la revoca del bando e la restituzione dei beni confiscati, in contropartita della rinuncia a Monaco. Il re si sarebbe assunto la parte di mediatore. Se non gli fosse riuscito di indurre gli extrinseci ad accettare la pace in via bonaria, egli ve li avrebbe costretti, impedendo che venissero loro prestati aiuti dalla Provenza ed installandovi funzionari non sospetti al Comune ed agli intrìnseci. E’ chiaro che i due castelli dovevano servire quindi soltanto come pegno per l’esecuzione della promessa e per il blocco di Monaco. Gli impegni di Genova rimanevano sempre gli stessi: qualunque aiuto a Federico rimaneva vietato sotto pena di severe punizioni; Corrado Doria e compagni dovevano venire richiamati e, se non avessero obbedito, il re poteva prendere a servizio mercenari genovesi e i Genovesi al servizio di Federico. Per un documento di Carlo II del 2 maggio a favore di Federico Fieschi (relativo a suoi beni a Napoli; cfr. sopra, vol. I, p. 365, n. 44) v. Minieri Riccio, Cod. dipi, suppi., II, p. 1. 35 V. Amari, La guerra del vespro, II, p. 424, nota, doc. del 21 aprile. 36 Sbaraglia, IV, 503. 37 Amari, La guerra del vespro, III, p. 413 e sgg., 6 maggio; anche in Minieri Riccio, Cod. dipi, suppi., II, p. 2 e sgg. 38 Inoltre dovevano essere consegnate temporaneamente al Comune turris seu fortellicia Abegli, que turris seu fortellicia ab uno anno et dimidio circa in posse dicti d. regis dicitur pervenisse; Amari, La guerra del vespro, 1. c. Secondo Rossi, St. di Dolceacqua, p. 21 (cfr. Amari, La guerra del vespro, II, p. 423, n. 2), la torre era situata presso Rocchetta, quindi sui monti, alquanto lontano dalla costa; secondo Gioffredo, 674, vi era un’altra torre omonima ad occidente di Monaco. Comunque in Abeglio vi era una guarnigione regia sotto un castellano: v. Amari, La guerra del vespro, II, p. 420, nota. 39 Ibid., Ili, p. 417, Turbie ed Èze. - 260 - La pace con Carlo II ed i Guelfi noleggiare galere per un numero doppio o triplo di quelle che attualmente si trovavano in Sicilia40. E evidente che una tale convenzione corrispondeva nel miglior modo agli interessi degli Spinola. Se gli aiuti a Federico fossero continuati, i Doria ne avrebbero ricavato l’utile, gli Spinola il danno; Corrado sarebbe rimasto Ammiraglio e Porchetto un semplice monaco; all’opposto, gli Spinola avrebbero potuto contare sopra nuove dimostrazioni del favore papale ove fossero riusciti a conciliare Genova con Carlo II. L’errore commesso dai Doria di immischiarsi nella lotta per la Sicilia doveva produrre pessimi frutti; un avversario astuto, qual era Bonifacio Vili, si servì della favorevole occasione per scuotere le fondamenta sulle quali, da trent’anni, poggiava la signoria dei Ghibellini a Genova. Gli inviati di Carlo II lasciarono la Curia per recarsi a Genova a continuare le trattative41, portando seco un rescritto del papa per il Comune contenente le consuete esortazioni e minacce42. Erano appena partiti, allorché arrivò una nuova ambasciata del Comune di Genova presso il papa, con un Doria alla testa43; essa era arrivata44 poco prima che spirasse il termine fissato nella bolla del bando45, in tempo però per impedire una eventuale continuazione dei negoziati. In città non regnava affatto buona disposizione, i Ghibellini armavano galere per Federico ed il Comune preparava, certo per altri scopi, la spedizione di una squadra46. Gli inviati non 40 La lettera con la quale gli inviati ricevono l’incarico di concludere a queste condizioni è dell’8 maggio (ibid., II, p. 425, nota); altrettanto in una nuova lettera credenziale, ibid. (la prima era del 18 aprile, ibid., II, p. 424, nota); in pari tempo essi ricevono lettera con la quale si ordina ai castellani di Turbie, Èze e della torre di Abeglio di consegnare i castelli a richiesta degli inviati. Il medesimo ordine riceve il Siniscalco della Provenza (5 maggio, ibid., II, p. 424, nota); gli viene pure ordinato {ibid., 7 maggio), occorrendo, di privare i Guelfi di qualsiasi aiuto; il re li esorta all’ubbidienza: ibid., II, p. 425, nota. 41 Sbaraglia, IV, 503. 42 Rayn., anno 1300, par. 11, 7 maggio. 43 Sbaraglia, 1. c., Federico Doria. Due dei quattro inviati, Stabilis Octaviani e Filippus dictus Quatuordecim, sono senza dubbio popolari; il primo, un notaio (cfr. sopra, p. 179) non agisce in questa sede come scrivano. 44 Fra il 7 e il 15 maggio: v. Rayn., 1. c. e Sbaraglia, 1. c. 45 Cfr. sopra, p. 257. 46 Ciò è menzionato in un documento di Carlo II dell’8 maggio: Amari, La guerra del vespro, II, pp. 408, n. 3 e 425, nota; l’armamento di galere da parte del Comune è verificabile anche altrove; v. App. 3, nr. 24 a, c. 68 v. (30 maggio 1300): - 261 - Libro V - Cap. nono erano giunti muniti di poteri per concludere un qualsiasi accomodamento, essi dovevano solamente ascoltare quello che il papa intendesse chiedere e poi riferire; ciò malgrado, si venne a trattative sulla base dei preliminari discussi con gli Spinola47. Notevoli modifiche48 furono fatte agli articoli dei preliminari: sulla consegna di castelli da parte di Carlo II il Comune non aveva obiezioni, ma esso intendeva assediare Monaco ed a tal fine essere autorizzato dal re a costruire fortificazioni sul suo territorio. Quanto alla nomina di un Siniscalco della Provenza non sospetto al Comune, non ne veniva fatto più cenno; però gli impegni genovesi relativi al richiamo dei loro compatrioti dalla Sicilia venivano molto mitigati; il Comune non doveva concedere aiuti a Federico, nè permettere ad altri di farlo. Questa base di convenzione rispondeva evidentemente molto più agli interessi dei Doria che a quelli degli Spinola. Genova non sarebbe venuta a trovarsi nella posizione di dovere dichiarare Corrado Doria ribelle49, mentre il ritorno dei Guelfi esiliati veniva evitato od almeno essi non avrebbero potuto esserne debitori a Carlo II ; il re doveva anzi — se Monaco fosse stata forzata — imporre loro luoghi di residenza nei suoi paesi ad una determinata distanza da Monaco. Tuttavia Bonifacio Vili, ed a sua esortazione anche Carlo II 50, si dimostrò disposto ad accettare queste condizioni, purché contenessero la condizione fondamentale, cioè la rottura delle relazioni di Genova con la Sicilia. A questo punto, per giungere ad una conclusion^, definitiva, il papa mandò un nunzio particolare a Genova; importante missione, per la quale egli nessun altro doveva prescegliere se non 1 ex arcivescovo Porchetto Spinola51. Il calcolo si dimostrò esatto. L’umiliato Ghibellino si diede premurosamente da fare perchè si adempissero i voleri del papa; già il 2 giugno veniva predisposto un trattato di pace e di amicizia fra il Comune ed il documento sulla sostituzione di un obbligato al servizio militare in estoleo galearum comunis ]anue, de quibus est admiratus nobilis vir d. (O)pecinus Spinulla; documenti analoghi ibid., c. 72 v. e sgg. dell’1, 7 e 8 giugno. 47 Sbaraglia, IV, 503 e sgg. 48 Sbaraglia, 1. c., ne fa appena cenno; esse risultano dal documento del 22 maggio, del quale Amari, La guerra del vespro, II, p. 425, nota, dà un compendio. 49 Come già si aveva in mente di fare: ibid., III, pp. 412 e 418; cfr. sopra, pp. 258, 260. 50 Sbaraglia, 1. c. e Amari, La guerra del vespro, II, p. 425, nota. 51 Sbaraglia, IV, 503, lettera del 15 maggio; cfr. Rayn., anno 1300, par. 11. - 262 - La pace con Carlo II ed i Guelfi re52, che molto differiva dai precedenti progetti, ma che rappresentava un compromesso fra i desideri dei Doria e quelli degli Spinola. Il progetto di assediare Monaco veniva abbandonato, Carlo II si doveva adoperare perchè tanto quelle località quanto la torre di Abeglio cadessero sotto la signoria dei Genovesi al più tardi per il primo di luglio prossimo. In qual modo portare ad effetto questa promessa era affar suo; ma intanto Genova prometteva di cassare entro un mese dalla consegna delle piazze tutte le pene pronunziate contro gli esiliati e restituire loro i beni confiscati53. Nessun risarcimento di danni era accordato ai reduci e, reciprocamente, essi non dovevano rispondere di danni da loro recati al Comune o a privati; essi venivano reintegrati in tutti i diritti goduti dagli altri cittadini, mentre si obbligavano ai medesimi doveri, con la sola riserva che i Grimaldi e cinque altri Guelfi, a scelta del Comune, dovessero prendere residenza fuori di Genova e territorio. Non conosciamo le garanzie offerte dal partito interno per l’osservanza degl’impegni assunti, dopo che gli extrinsecì avessero consegnato Monaco54. La più importante concessione di Genova consisteva nella rottura di qualunque relazione con Federico. Si voleva persino giungere a punire Corrado Doria come ribelle, se egli non si fosse attenuto all ordine di ritorno, che però gli sarebbe stato notificato dopo la restituzione di Monaco; inoltre un processo contro di lui avrebbe avuto luogo solo qualora non avesse obbedito entro tre anni. Evidentemente i Ghibellini volevano guadagnare tempo, concludendo una convenzione la cui esecuzione sarebbe stata assai dubbia. Era infatti poco probabile che i Guelfi abbandonassero il loro rifugio senza aver ottenuto sicure garanzie sulla revoca del bando, mentre, prima della consegna di Monaco, il Comune non aveva necessità di imporre ai suoi cittadini di ritornare dalla Sicilia. Tuttavia il fatto che la spedizione delle galere allora armate non avvenne, costituì già un successo diplomatico per il papa, non senza importanza per Carlo II. Il papa dimostrò anche al Comune il suo 52 L.J., II, 409; cfr. Gioffredo, 674; Métivier, I, p. 344 e sgg. 53 L.J., II, 412. Sono avanzate riserve riguardo alle case di alcuni Grimaldi che nel 1296 erano state rovinate e nel 1297 vendute agli Spinola; cfr. sopra, libro V, cap. V, n. 56 e p. 226; completamente escluso dall’amnistia è Pascalis de Cassino con moglie e figli; cfr. sopra, libro V, cap. V, n. 60. Nel compendio di Amari, La guerra del vespro, III, p. 413 e sgg., non si trova ancora quest’ultima esclusione; la prima invece è presentata in una forma più sfavorevole ai Grimaldi. 54 Nei preliminari (ibid., III, p. 413 e sgg.) sono contenute le formalità delle garanzie con le quali doveva essere eseguita la consegna di Monaco. - 263 - Libro V - Cap. nono vivo compiacimento per l’esito felice dell’accomodamento; Porchetto, ritornato alla Curia con il gradito annunzio, ebbe, in compenso delle sue premure, l’amministrazione dell’arcivescovato di Genova, non ancora però la dignità arcivescovile, che non doveva essergli conferita prima dell’entrata in vigore del trattato. Per influire maggiormente su questo punto il papa 10 rimandò a Genova5S, forse sospendendo addirittura le censure canoniche pronunziate precedentemente56, mentre a Carlo II diresse uno scritto esortandolo ad adempiere fedelmente agli impegni assunti57. Il re rilasciò alla sua delegazione in Genova, che rinforzò con due ambasciatori58, pieni poteri per la consegna di Monaco o, in caso contrario, per incaricare 11 Siniscalco della Provenza dell’inizio della guerra contro i Guelfi, al fine di costringerli alla consegna stessa, ove non vi si fossero piegati di buona voglia. Ordini analoghi vennero dati al castellano di Abeglio, che pure doveva essere consegnato, ed al Siniscalco di Provenza59. E’ curioso vedere qui Carlo II deciso ad usare la forza contro i Guelfi, mentre quasi contemporaneamente galere armate da loro combattevano al suo fianco in una decisiva battaglia navale. La flotta siciliana60, ingrossata da cinque galere genovesi-ghibelline61, comandata da Corrado Doria, era comparsa verso il principio di giugno dinanzi a Napoli; Ruggero di Lauria, allora Ammiraglio al servizio dell’Angiò, non accettò la sfida alla battaglia62, perchè non aveva ancora potuto riunire le sue 55 V. la lettera in L.J., II, 365, 4 Kal. Julii, pont, anno 6, dunque 28 giugno 1300, con 1299, come ammette Amari, La guerra del vespro, II, p. 420, seguendo l’editore. Porchetto appare qui come amministratore della Chiesa di Genova, mentre nell’indirizzo della lettera (Sbaraglia, IV, 503; PoTTHAst, nr. 24955) del 15 maggio viene nominato soltanto come monaco francescano. Le indicazioni di Sbaraglia, IV, 532, riguardo ad anteriori ordini del papa relativi all’amministrazione dell’arcivescovato non sono del tutto chiare. 56 App. 5, nr. 3, c. 83 v.; si tratta d’oina sospensione dell’interdetto usque ad festum S. Martini (11 novembre); cfr. oltre, n. 84. 57 L.J., II, 365; cfr. Amari, La guerra del vespro, II, p. 426, nota, doc. del 17 giugno. 58 Ibid., II, p. 425, nota, 15 giugno, Guglielmo Agrazio (che poco prima il papa aveva mandato da lui; v. ibid., p. 426 nota) e Giovanni de Porta da Salerno. 59 Ibid., 1. c., docc. del 15, 17 e 19 giugno. 60 Secondo Nic. Spec., 1024, forte di 27 galere. 61 Ibid., Il numero totale (32) è dato anche da Giov. Sercambi, I, 49; Barth. della Pugliola, 304: 33; Gest. des Chip., 291: 40. 62 Nie. Spec., 1. c. - 264 - La pace con Carlo II ed i Guelfi forze. Mentre Corrado, incrociando lungo la costa63, disponeva le sue navi in direzione di nord-ovest a forma d’arco fino all’isola di Ponza 64, sia che egli, ignaro del trattato concluso fra il Comune e Carlo II volesse riunirsi con le galere ultimamente allestite a Genova65, sia che intendesse impedire la concentrazione della flotta nemica, fatto sta che consentì ai nemici di chiudergli la rotta di ritirata, errore dal quale Ruggero seppe trarre un eccellente profitto. Allorché dodici galere che ritornavano dalla Sicilia e altre sette armate dai Grimaldi, il cui arrivo costituì una sorpresa, stavano per calare sul Doria66, Ruggero, il 14 giugno andò incontro ai Siciliani con forze preponderanti68. Questi, costretti ad accettare battaglia perchè la flotta nemica aveva loro sbarrata la via del ritorno, iniziarono 1 attacco 69 disponendosi a forma di cuneo o di scudo, per aprirsi un varco, con la galera ammiraglia in testa. Corrado Doria comprese di avere dinanzi a sè il famoso eroe del mare, suo predecessore nell’ammiragliato siciliano, diventato ora il più acerbo avversario della causa di Federico; lo stendardo nemico doveva essere abbattuto; ma Ruggero evitò lo scontro con le galere che avanzavano. Quando poi, fra grandi acclamazioni e suono di trombe, incominciò la battaglia ravvicinata, le galere genovesi si tennero lontane da quelle siciliane, mentre le due ali della flotta napoletana, probabilmente disposta a mezza luna70, si muovevano libere nel mare, cosicché le galere siciliane si trovarono strette da tutte le parti71. Soltanto a 63 Cfr. Camera, Ann. delle due Sicilie, II, 80. 64 Nie. Spec., 1. c.; qui avvenne la battaglia; Chron. Sic., 860; Giov. Sercambi, f, 49. 65 Cfr. sopra, p. 261. 66 Nie. Spec., 1. c.; Libri commemoriali, I, 9; Amari, La guerra del vespro, II, p. 416. 67 Barth. della Pugliola, 304; cfr. Amari, La guerra del vespro, II, p. 416. 68 Secondo Nic. Spec., 1024-1027 con circa 60 (40 + 12 + 7) galere; Barth. della Pugliola, 1. c.: 55; Giov. Sercambi, I, 49: 48; Gest. des Chip., 290: 40. 69 In Nie. Spec., 1. c., si trovano i discorsi tenuti nel consiglio di guerra; con la fuga (in direzione nord-est) la flotta siciliana si sarebbe sempre più allontanata dalla Sicilia. Per confronto veggasi lo sfondamento (riuscito) della flotta genovese ad opera di una squadra pisana presso Piombino nel 1283; cfr. sopra, p. 33. 70 L’ordine nel quale vennero schierate le flotte nelle formazioni (allora in uso, cfr. Marin Sanudo, Liber, 83) spiega lo svolgimento della battaglia che altrimenti, a dispetto della viva descrizione di Nic. Spec., 1. c., rimane affatto oscura. 71 Che tale sia stato il caso lo dice espressamente Nie. Spec., 1. c.: Siculorum puppe undique vallate hostibus. - 265 — Libro V - Cap. nono poche riuscì di rompere la linea di accerchiamento n; tutte le altre furono prese, per ultima la nave ammiraglia che si difese con il maggior valore, mentre i balestrieri genovesi che vi si trovavano a bordo avevano provocato perdite agli assalitori; soltanto quando Ruggero gli fece accostare un brulotto, Corrado finalmente si arrese. Le galere dei Ghibellini genovesi avevano corrisposto male alle aspettative sulle quali si contava73, pertanto la sconfitta di Ponza significò un colpo al partito, tanto più secco, in quanto, oltre a Corrado, altri tre della sua famiglia caddero prigionieri74. Il successo della causa angioina, al cui conseguimento i Guelfi avevano contribuito direttamente, li rese visibilmente orgogliosi; alcune delle loro galere reduci da Napoli75 osarono effettuare, in luglio76, un ardito colpo di mano su Genova stessa, preceduto da accordi presi dai loro partigiani per un simultaneo attacco da parte di terra77. Una notte78 i Guelfi penetrarono nel porto, scesero a terra, penetrarono in città fra le grida di « pace, pace » ed occuparono le case dei Grimaldi in via S. Luca79, ove uno Spinola, Lanfranco, fu ucciso. Ma intanto suonò a stormo il campanone del Comune, la popolazione 72 Secondo Nie. Spec., I. c., si misero in salvo (una galera di) Benincasa de Eustachio (che in Libri commemoriali, I, 13, 12 marzo 1301, è citato come luogotenente delPammiraglio siciliano) ed inoltre 6 galere; la perdita totale della flotta siciliana ascendeva dunque, a seconda che fra le 6 galere si contino le 5 genovesi o no, a 20 (27 - 1 - 6) o 25 (32 - 1 - 6) galere; invece, secondo Ann. Veron., 459: 18; Chron. Sic., 860: 28; Barth. della Pugliola, 304: 29; Ptol. Lue., Ann. Lue., 102 = Hist. eccl., 1221: 28; Giov. Sercambi, I, 49, tutte le galere (cioè 32!). 73 Così Nie. Spec., 1. c. Tuttavia Tessersi tenute lontane dal combattimento potrebbe spiegarsi con l’intenzione di Corrado di tenerle indietro di riserva, il che non era cosa inutile: cfr. Marin Sanudo, Liber, 83. Anche Ruggero doveva aver formato una squadra di riserva poiché, secondo Nie. Spec., 1. c., soltanto 48 delle sue galere presero parte all’accerchiamento delle siciliane. 74 L.J., II, 426, il fratello di Corrado, Simone, suo nipote Oberto e Antonino Doria, inoltre Andriolo Ricci e Alessandrino da Asti. Quanto dice Ptol. Lue., Ann. Lue., 102 = Hist. eccl., 1221, non è quindi del tutto esatto. 75 Stella, 1019 e Guill. Vent., 725: 5; Gest. des Chip., 290: 7. 76 V. L.J., II, 432. 77 Gest. des Chip., 290 e sgg. 78 Stella, 1. c. Secondo Gest. des Chip., 291, l’assalto per terra e per mare era avvenuto al mattino; le galere sarebbero però arrivate a mezzanotte: Guill. Vent., 725, quanto al tempo dice circa auroram. 19 Stella, 1019: et fuerunt earundem galearum homines in vico recto ab ecclesia S. Syri usque ad ecclesiam S. Georgii, quindi nella odierna via S. Luca che non è molto distante dal porto. Qui erano effettivamente case dei Grimaldi, della cui occu- - 266 - La pace con Carlo II ed i Guelfi diede di piglio alle armi; unita agli Spinola ed ai Doria, piombò sopra gl’intrusi facendone prigioniera la maggior parte; non pochi Grimaldi dovettero entrare nelle carceri di Genova80. L’atteggiamento di Carlo II nei rapporti con Genova rimase inalterato, malgrado la vittoria navale e la fallita impresa dei Guelfi. Infatti, ancorché Corrado Doria81, il cui richiamo dalla Sicilia era condizione per la restituzione di Monaco, fosse in sue mani, l’esecuzione del compromesso del 2 giugno non era per Carlo II meno necessaria, in quanto, in caso contrario, erano da aspettarsi nuove spedizioni in aiuto di Federico. Con i Guelfi non fu possibile venire a capo di un’intesa riguardo alla consegna di Monaco, perciò Carlo II diede ordine al Siniscalco della Provenza di impedire loro qualunque importazione e di procedere all’assedio del castello. A tal fine intavolò nuovi negoziati con il Comune di Genova c, che comunque non condussero a risultato alcuno. Il fatto che il termine stabilito per la consegna di Monaco fosse spirato offriva ai Ghibellini un favorevole pretesto per rompere i legami dai quali erano vincolati con la convenzione del 2 giugno; alla notizia che essi spedirono in Sicilia un numero considerevole di galere al comando di Tedisio Doria83 si deve prestar piena fede. Tale condotta dipendeva certo dal fatto che Bonifacio VIII aveva fatto notificare l’il novembre il bando che aveva tenuto in sospesoM; probabilmente egli, nel contempo, aveva incaricato l’ammini- pazione parla Guill. Vent., 725, cioè due vendute nel 1297 (App. 3, nr. 26, c. 86 e sgg.) in carrubio recto-, L.J., II, 432: in carrubio recto, sulla via a bancis (piazza Banchi) alla chiesa di S. Siro; cfr. sopra, libro V, cap. VI, n. 62 e n. 56 di questo capitolo. 80 Gest. des Chip., 291; Guill. Vent., 726; Stella, 1019; Ann. Veron., I, 459 e sgg. 81 Ruggero di Lauria costrinse peraltro il prigioniero, mediante un crudele trattamento, alla consegna del castello di Francavilla in Sicilia: Nie. Spec., I, 1027. 82 V. i docc. in Amari, La guerra del vespro, II, p. 426, nota, 21-23 luglio e 4 agosto. 83 Stella, 1019; cfr. L.J., II, 429. 84 Stella, 1019, parla di notificazione dell’interdetto. In aperta contraddizione con ciò e con appoggio di un documento (in quadam bulla plumbea, que habetur apud conventum nostrum (sc. fratrum minorum) Januensem, quam ego sepius legi continetur) in App. 5, nr. 3, c, 83 v., è detto che l’interdetto già sospeso (cfr. sopra, n. 56) fu nuovamente proclamato a Genova. Il 7 aprile fu effettivamente pronunziata soltanto la scomunica dei partigiani di Federico (cfr. sopra, p. 257) però anche in L.J., II, 428, è fatta parola dell’interdetto. — 267 - Libro V - Cap. nono stratore dell’arcivescovato, Porchetto, di assolvere dalle censure spirituali tutti coloro che avessero giurato di non prestare più in futuro aiuti ai Siciliani 8S. Il passo doveva servire a rinnovare la discordia nelle file dei Ghibellini e Porchetto era ora anche troppo zelante per opporsi agli intendimenti del papa86. Il governo del Comune ordinò che tutti coloro i quali avessero prestato o inteso prestare il giuramento non avrebbero potuto partecipare ad alcuna seduta del Consiglio nella quale venissero in discussione le relazioni fra la città ed il papa od il re di Napoli e sarebbero stati anche dichiarati inidonei a ricoprire qualunque ufficio. Inoltre si ordinò che non fosse loro accordato l’accesso ai servizi divini, mentre a quelli che non avevano prestato il giuramento doveva essere libero l’ingresso nelle chiese ”, comportamento che, secondo le notizie parziali che possediamo, appare incomprensibile e che il papa avrebbe dichiarato addirittura eretico. Forse per evitare un inasprimento del conflitto, alcuni inviati di Carlo II che si trovavano a Genova88 pregarono il rappresentante del papa di sospendere l’accettazione dei giuramenti. Porchetto vi acconsentì, rivolgendosi però a Bonifacio VIII, per informarlo di quanto era avvenuto. In risposta il papa ordinò di non recedere da quanto era stato precedentemente prescritto, anzi di sollecitare attivamente la prestazione dei giuramenti89. Inoltre il papa intimò al Comune di recedere entro otto giorni dal suo atteggiamento e di mandare entro un mese dei plenipotenziari alla Curia, con l’incarico di uniformarsi ai suoi desideri90. Non ci è possibile stabilire se queste misure avessero sortito un successo corrispondente. Si potrebbe supporre che il papa, come da una parte cercava di esercitare sul Comune di Genova una forte pressione, così dall’altra parte, premesse sul re di Napoli per togliere ai Ghibellini ogni pretesto di con- 85 V. Sbaraglia, IV, 515. 86 Ibid. Quando Corrado Spinola avesse prestato il giuramento non è verificabile a causa della brevità della notizia relativa: Rayn., anno 1301, par. 17. 87 Sbaraglia, IV, 515. 88 Ibid.; cfr. oltre, n. 91. 89 Sbaraglia, IV, 515 e sgg. (= Rayn., anno 1301, par. 17; Potthast, nr. 25007 = 25067) lettera del 26 gennaio 1301 (più esatto però 25 gennaio per il pridie: Sbaraglia, IV, 516). 90 Sbaraglia, IV, 516 e sgg., 26 gennaio 1301 (Potthast, nr. 25008). - 268 - La pace con Carlo II ed i Guelfi tinuare a mandare spedizioni di aiuto a Federico91. Comunque Carlo II man ò finalmente ad effetto le misure coercitive contro i Guelfi, così spesso annunziate; un certo numero di loro fu messo in carcere, ad altri, sotto minaccia della proscrizione, fu vietato di dimorare nei domini del re, e loro navi furono colpite da sequestro 91 ; il traffico fra Monaco e la Provenza interrotto. A Genova regnava intanto la massima confusione, come può vedersi a uno stupefacente piano architettato. Alcuni nobili aprirono segreta-mente delle trattative con i Veneziani, allo scopo di concludere una lega ra le due città che per tanto tempo avevano combattuto fra di loro con la massima asprezza93. Ben difficilmente tale apertura poteva basarsi su un concetto differente da quello che più di sei decenni addietro aveva dato luogo ad una lega delle due città marittime e che negli anni settanta doveva occasionalmente risorgere94. La cordialità tra il papa e Carlo II, c e facevano causa comune, minacciava l’indipedenza dei Comuni italiani non meno di quanto l’avessero minacciata in passato la forza preponderante di Federico II e la sete di potere di Carlo I; ad un figlio regale di Francia, garantito dalle decime dei beni della Chiesa e appoggiato dai cavalieri di Francia, ben si adattava il compito di sterminare i nemici del papa95. Una lega fra le due potenti città marittime avrebbe potuto far da argine al rinnovato tentativo di avanzata dell’influenza francese. Prima però che venissero incamminati più seri negoziati a tal fine, i delegati del re di Napoli riuscirono a ridurre i Guelfi alla condiscendenza. Il 10 aprile96 ebbe luogo a Nizza la definitiva conclusione del trattato, in virtù del quale gli extrinseci aderirono alla consegna di Monaco a Carlo II. Il re doveva trasferire il castello al Comune di Genova soltanto 91 II 23 febbraio, a Roma, il re conferì a tre inviati i poteri per concludere un accomodamento con Genova (L.J., II, 422 e sgg.), però sotto riserva della procura per due altri inviati (cfr. sopra), i quali del resto non sono quelli che nell’anno precedente avevano condotto i negoziati. 92 Vedi Gioffredo, 679. Il momento in cui ciò avvenne non può essere più profondamente accertato. 93 V. Giomo, Senato misti, in « Arch. Ven. », XXIX, p. 407 e sgg. 94 Cfr. sopra, vol. I, p. 309. 95 Cfr. Amari, La guerra del vespro, II, p. 451 e sgg. Quanto all’insurrezione di Genova che più tardi richiamò l’intervento di Carlo di Valois in Firenze, Bo-naini, Rime istoricbe, p. 46 = Lagomaggiore, p. 243. 96 Gioffredo, 677 e sgg.; cfr. Cais de Pierlas, Docc. ined., p. 22 e sgg. - 269 - Libro V - Cap. nono qualora esso, entro quattro mesi, avesse concluso una pace con gli esuli, con reciproca liberazione dei prigionieri. Il papa doveva essere il garante per tale pace, essendogli riservata la decisione sui dissensi che potessero sorgere riguardo all’osservanza delle condizioni della pace stessa. Se questa non avesse avuto luogo, o se prima dello spirare del termine fissato fosse scoppiata nuovamente guerra fra il Comune ed il re, i Guelfi avrebbero ricevuto indietro il castello; finché non fosse stata pronunciata una decisione al riguardo, essi avrebbero preso dimora a Èze e Tolone, senza essere per ciò soggetti alla giurisdizione del re, anzi, le liti fra loro sarebbero state appianate da un giudice genovese. Nel caso che gli abitanti di Monaco avessero inteso lasciarla, il re rimaneva obbligato ad acquistare i loro beni fondiari, come pure a permettere loro di stabilirsi nei suoi domini; essi avrebbero dovuto quindi essere esenti da qualunque onere pubblico. A quelli che fossero rimasti ed a trecento Genovesi veniva concesso di esportare dai domini del re i viveri ad essi necessari, ed inoltre il Siniscalco della Provenza avrebbe pagato ad ognuno una determinata somma di denaro per supplire alle spese di mantenimento. Gli esiliati seppero saggiamente profittare dei vantaggi loro offerti dal possesso del forte castello, per assicurarsi il proprio avvenire. Alla consegna di Monaco erano stati sostanzialmente obbligati a causa delle misure prese dal re contro di essi; se queste quindi diventavano ormai nulle, il loro scopo era raggiunto; i Guelfi potevano adattarsi alla pace con il Comune che prima era stata invano loro offerta. Carlo II si assunse la parte d’intermediario; egli voleva manifestamente adoperarsi perchè Genova adempisse realmente alle promesse riguardo al richiamo degli esiliati. A garanzia che egli non intendeva unirsi con il Comune dopo che Monaco fosse stata in suo potere, stanno appunto i patti del trattato che regolavano i rapporti durante il periodo di transizione fino alla conclusione definitiva della pace. Un pegno regio, specie per la liberazione dei prigionieri guelfi, era costituito dai prigionieri ghibellini fatti a Ponza. Il re prometteva di farli portare a Lucca, ove dovevano essere trattati come i prigionieri guelfi carcerati a Genova. Se la pace fra il Comune e gli esiliati avesse avuto effetto, ovvero se questi avessero dovuto ritornare in possesso di Monaco, i prigionieri ghibellini sarebbero stati restituiti al re, rendendosene garante il Comune di Lucca97. 97 Gioffredo, 678 e sgg. La banca fiorentina dei Bardi assunse la garanzia per l’adempimento degli obblighi pecuniari del re verso i Guelfi: ibid., 680. - 270 - La pace con Carlo II ed i Guelfi ome i Guelfi si garantirono contro una pace separata fra il Comune e 1 re> questi a sua volta cercò di impedire un accomondamento fra extrinseci ed intrinseci, accomodamento che non fosse dovuto a lui. Genova non poteva ottenere la liberazione di Corrado Doria e dei suoi compaoni se non a prezzo di una pace con Carlo II, e siccome la consegna di Monaco al Siniscalco della Provenza aveva effettivamente avuto luogo 98, così il Comune era stato costretto a decidersi. Nell’anno precedente i Ghibellini avevano mandato per le lunghe l’adempimento delle loro promesse, facendo dipendere tutto dalla restituzione di Monaco. Ora però la cosa non poteva più andare allo stesso modo; si doveva chiarire definitivamente se si voleva abbandonare il re di Sicilia o no. Risulta che ancora all’ultimo momento Federico cercasse di volgere le cose a suo vantaggio. Poco prima egli aveva esonerato i Genovesi dal pagamento di un imposta sugli acquisti e le vendite di viveri in Sicilia99; le offerte, che i suoi inviati fecero, probabilmente nell’aprile 1301, al Comune , sono talmente larghe da far apparire il figlio di Pietro d’Aragona come un fecondo re Barisone, come giustamente rileva l’Amari101. I ederico s impegnava a pagare al Comune per dieci anni 50000 lire annue in due rate ciascuna e a regalargli 40000 mine di grano; alla fine dei 10 anni esso avrebbe potuto esportare dalla Sicilia, annualmente e contro una determinata imposta, 100000 salme di grano, ovvero vedersi assegnare dal re la stessa quantità per un prezzo che non avesse sorpas- Secondo ibid., 680, essa avvenne (immediatamente) prima della conclusione del trattato del 16 aprile. A Venezia il 21 aprile era conosciuta la notizia della consegna. Giomo, 1. c., p. 409 e sgg. Parimenti si tenne ferma l’idea di una lega che certamente doveva essere diretta contro Carlo II: Giomo, Senato Misti, in « Arch. Ven. », X, p. 153, 26 aprile; sembra anche che inviati di Genova e di Venezia, Guglielmo di Promontorio e Bartolomeo Contarini avessero iniziato delle trattative (ibid., 8 maggio), di cui non conosciamo il risultato. Orlando, p. 113 = Sella, p. 117 e sgg., 27 febbraio 1301. Latto che contiene le offerte (oblationes) (L.J., II, 415), venne presentato a Genova (ibid., n. 1) con l’annotazione tempore que infrascripta pax facta fuit inter comune Janue et regem K. Per tale pace non può intendersi altro che quella del 9 maggio 1301: L.J., II, 421; cfr. oltre; la presentazione deve essere avvenuta prima del 1 maggio, perchè i pagamenti semestrali dovevano incominciare al prossime 1° maggio: ibid., 415. 101 Amari, La guerra del vespro, II, p. 426 e sgg. — 271 — Libro V - Cap. nono sato una determinata misura 102. I Genovesi non avrebbero dovuto pagare dazi o imposte nei domini di Federico; qualunque privilegio concesso al Comune nel regno di Sicilia rimaneva confermato, a tutti i consoli od altre autorità insediati dal Comune nel regno venivano accordati piena giurisdi zione criminale e civile sui Genovesi, come pure l’appoggio delle autorità del regno. Era pure prevista una cessione di territorio in Sicilia, il castello di Malta doveva essere restituito a quei Genovesi cui era ap partenuto 103. Soltanto dietro espressa autorizzazione del Comune Federico avrebbe fatto la pace con il re di Napoli; i nemici di Genova sarebbero stati suoi nemici; contro di essi si impegnava a muovere vigorosa guerra Come ostaggi — per il mantenimento delle sue promesse egli era di sposto a dare il suo unico figlio e due figlie naturali; inoltre dovevano servire come pegno alcuni castelli in Sicilia; principalmente però eg prometteva di non liberare il principe Filippo di Taranto, figlio di Caro II, e altri prigionieri in suo potere, se prima Monaco non fosse ritornata in possesso del Comune e Corrado Doria, insieme agli altri tenuti prigio nieri da Carlo II e dai Grimaldi105, non fossero stati lasciati liberi. Nell’atto che contiene le offerte di Federico non è fatto alcun cenno delle sue contropretese. Si può dunque supporre che egli, attraverso prò messe tanto straordinarie, desiderasse convincere Genova a qualcosa ben diverso da un’alleanza offensiva e difensiva. Anzitutto gl inviati re assicuravano che egli, in considerazione dei servizi che il Comune jiveva prestato ai suoi predecessori, solo per graziosa e libera volontà era pronto a qualsiasi concessione. Siffatta maniera di esprimersi porta faci mente ad ammettere come Federico non avesse di mira altra contropartita che il Comune continuasse, come prima, a permettere tacitamente 102 L.J., II, 416, 10 soldi per mina. Nell’anno 1272 il prezzo massimo accordato ai fornitori di grano importava 18 soldi (v. sopra, vol. I, P- 290, n. 56), invero ai 10 soldi avrebbero dovuto aggiungersi le spese di trasporto dalla Sicilia a enova. 103 L.J., II, 418; cfr. ibid., I, 1295. Federico è anche disposto al risarcimento di danni cagionati a Genovesi a Palermo e Trapani dai suoi sudditi quando la flotta veneziana vi era approdata nell’anno 1297; cfr. sopra, p. 229. 104 Federico già prima aveva operato ostilità contro i Grimaldi: Gioffredo, 679 e sgg. i*® I Guelfi tennero prigionieri avversari in loro potere anche quando rila sciarono Monaco a Carlo II: Gioffredo, 679. 106 L.J., II, 415: graciose et ex mera et libera voluntate. - 272 - La pace con Carlo II ed i Guelfi ai suoi cittadini di entrare al suo servizio. Federico non aveva dunque alcun altro scopo se non quello di impedire a qualunque costo una convenzione fra Genova e Carlo II107, e poteva essere ben discutibile che le sue straordinarie promesse potessero venire prese sul serio. Per quanto riguardava Genova, la conclusione di simile accordo avrebbe immancabilmente determinato il papa ai più duri passi. Se Bonifacio Vili, come spesso aveva minacciato, fosse ricorso al braccio temporale dei principi cristiani per punire i partigiani del ribelle della Chiesa, il solo fatto della rottura delle relazioni commerciali con la Francia108 avrebbe recato danni tanto gravi ai mercanti genovesi, che Federico, per risarcirli, avrebbe dovuto fare concessioni enormi. Considerate dal punto di vista genovese, le sue offerte non apparivano quindi tanto eccessive, come considera PAmari109, ancorché il grado gerarchico degli inviati110 che le recavano costituisse una garanzia che il re veramente aveva l’intenzione di mantenerle. Poteva però sorgere il dubbio se ciò, malgrado la migliore buona volontà, gli sarebbe stato possibile. Per aver mantenuto in vigore l’alleanza con il Paleologo, l’eretico greco, la cittadinanza aveva per lunghi anni subito l’intedetto; ma allora in tutti i Genovesi, Guelfi e Ghibellini, nobili e popolari, sussisteva un comune interesse all’ostinata resistenza. L’aiuto ai Siciliani sarebbe invece andato effettivamente a solo vantaggio dei Doria, mentre agli Spinola doveva anzitutto premere una conciliazione con il papa, affinchè Porchetto potesse nuovamente essere investito della dignità arcivescovile; per il Popolo poi non v’era cosa più desiderabile che veder finire quelle complicazioni che gettavano la città in un continuo stato di agitazione. Perciò si comprende facilmente perchè le offerte di Federico fossero state rifiutate. Il 4 maggio ebbe luogo la consegna del castello di Monaco e della torre di Abeglio al Comune di Genova111 ; cinque giorni dopo seguì la conclu- 107 Questa opinione di Amari, La guerra del vespro, II, p. 427, n. 1, è accettabile, ma non lo è altrettanto quando dice (II, p. 427): « le ignobili proposizioni o non furono mai presentate o non ebbero ascolto »; esse furono presentate, ma non accettate; v. L.J., II, 415, n. 1. 108 Al che Bonifacio VIII intendeva in particolare dare occasione: v. Rayn., anno 1300, par. 13 e 11. 109 Amari, La guerra del vespro, II, p. 425 e sgg. 110 A capo in L.J., II, 415, vi è d. Henricus de Vigintimiliis, comes Isole maioris et Giracii, consanguineus ipsius d. regis. 111 L.J., II, 425; cfr. Gioffredo, 681. - 273 - 18 Libro V - Cap. nono sione della pace con Carlo II m. Essa non si discostava dalle basi fissate nell’anno precedente; cosicché il nuovo accordo può considerarsi come l’esecuzione delle prime intese. Monaco era nuovamente in possesso del Comune, perciò quest’ultimo doveva rinnovare la promessa che, sotto pena delle più severe punizioni, avrebbe proibito ai suoi cittadini di prestare aiuto ai Siciliani; che Tedisio Doria e gli altri Genovesi, che in passato avevano collaborato con Federico, dovevano rimpatriare entro due mesi, altrimenti il Comune avrebbe proceduto contro di loro come ribelli. Invece il re avrebbe potuto far armare per sè, a spese del Comune, due galere per ognuna di quelle genovesi che, contro il divieto, fossero andate ancora in Sicilia e una per ciascuna che vi fosse rimasta, compreso l’equipaggio. Con ciò il Comune non si schierava a Iato degli Angiò, anzi esso, d’ora innanzi, avrebbe osservato la più stretta neutralità nella guerra per la Sicilia; si trattava solo di una garanzia per il caso che qualche singolo cittadino non avesse obbedito agli ordini del Comune, affinchè non potesse ricavarne vantaggio Federico. Ma neppure Carlo II poteva ricavare a sua volta vantaggio da tali galere da armarsi dal Comune, giacché era previsto il licenziamento del loro personale non appena tornate dalla Sicilia. Del resto Genova si riserbò la pacifica continuazione del commercio con l’isola. Altra conseguenza della restituzione di Monaco era la cassazione di tutte le sentenze pronunziate 113 contro i Guelfi114; essi ottenevano così grazia per tutte le violenze della guerra contro il partito interno. Così pure le disposizioni a riguardo del loro ritorno a Genova corrispondono 112 L.J., II, 421 e sgg., 9 maggio 1301; cfr. Gioffredo, 681. La procura per i sindaci genovesi (L.J., II, 423) fu rilasciata già il 29 aprile, quindi prima della consegna di Monaco. Menzioni sulla pace in Ann. Veron., 460; Villani, Vili, 47; Cor-cadi, 106 = Cod. Neapol., 292. 1,3 Nel documento della pace, come in L.J., II, 409 e sgg., essi vengono designati come pars Ratnpina. Rampini significa forse (Jac. de Var., 55) gli storpi, mentre i Ghibellini già anticamente si chiamavano mascarati, cioè i mascherati; v. Jac. de Var., 1. c.; cfr. sopra, vol. I, p. 273, n. 1. L’uno e l’altro sono manifestamente dei nomignoli. 114 E’ fatta riserva (L.J., II, 431) per quei Guelfi che erano stati ossequienti ai voleri del Comune, ma che per omicidio o complicità in qualche delitto del genere, erano stati banditi (forse dopo i fatti del luglio 1300); a questi è concesso di ritornare qualora entro tre mesi si accordino con gli eredi dell’ucciso. Questa condizione non era compresa nella pace del 1300, come pure quella per cui i banditi per debiti avrebbero — 274 — La pace con Carlo II ed i Guelfi essenzialmente a quanto precedentemente stabilito 115; i possessi dei banditi dovevano venire restituiti 116, con esclusione di risarcimenti di danni; i membri della famiglia Grimaldi e cinque dei loro partigiani dovevano prendere stanza fuori della città e territorio ad una distanza di almeno dieci miglia. Esclusi da tutti i vantaggi della pace rimanevano la moglie e i figli del defunto Pasquale de Cassino 117 come pure quei banditi i quali non fossero rimpatriati entro sei mesi, prolungati a un anno e mezzo per coloro che si trovassero stabiliti in Oriente. La liberazione dei Guelfi fatti prigionieri nei tumulti del luglio 1300 restava subordinata a quella di Corrado Doria e compagni da parte di Carlo II; la liberazione di quest’ultimo doveva avvenire entro un mese; quella dei Guelfi appena si fosse avuta notizia certa che Corrado era libero. Quei Genovesi, che si trovavano nelle mani dei banditi, dovevano essere rimessi in libertà al più tardi il 1° giugno. In conformità alle precedenti proposte di Carlo II vi sono qui anche alcune disposizioni tendenti a regolare in futuro i rapporti commerciali dei Genovesi nel suo regno. Non è fatto più cenno alcuno ai privilegi precedenti, ma la convenzione stabilisce soltanto che i sudditi delle parti contraenti dovranno essere trattati amichevolmente nei rispettivi paesi. I Genovesi potranno liberamente commerciare nel regno di Napoli; le rappresaglie concesse da ambo le parti118 dovranno rimanere sospese per un anno, al fine di cercare, nel frattempo, una via di uscita per appianare le rispettive pretese. Circa i reclami di Genovesi contro il re o contro i suoi sudditi, egli avrebbe dovuto farli decidere entro 40 giorni dalla presentazione dei reclami stessi119. Il Comune otteneva poi particolari favori per la potuto rimpatriare solo quando si fossero accordati con i loro creditori entro tre mesi; sono però eccettuati da questa disposizione quei Guelfi che fossero stati esiliati per debiti dopo il bando. 115 Cfr. sopra, p. 263. 116 La riserva per le case dei Grimaldi (L.J., II, 432) è in ogni caso identica a quella effettuata nella pace del 1300 (cfr. sopra, n. 53) e, come in essa, è stabilito che debbano rimanere validi i pagamenti fatti con beni dei banditi: cfr. sopra, p. 224. 117 L.J., II, 431 e sgg.; cfr. sopra, n. 53. *** Forse ad esse vanno collegati i reclami di Carlo II verso il Comune per atti ostili commessi da Corrado Doria: Camera, Ann. delle due Sicilie, II, 80. 119 L.J., II, 434. La disposizione è reciproca. — 275 — Libro V - Cap. nono esportazione di viveri dall’Italia meridionale e dalla Provenza. In generale veniva stabilito che i Genovesi per tali esportazioni dovessero pagare soltanto le tasse d’uso e che in nessun caso potesse essere decretato contro di essi divieto di esportazione per Genova; circa il rispetto dell’obbligo di portare la merce soltanto a Genova, la relativa garanzia doveva essere prestata in maniera non gravosa. Inoltre il Comune veniva autorizzato a ritirare annualmente dai porti della Puglia 10000 salme di grano senza per ciò dover pagare tassa alcuna; ove poi Carlo II avesse riconquistato la Sicilia, il Comune avrebbe potuto esportare pure dai porti dell’isola. Forse a Genova si profittò delle offerte di Federico per alzare il prezzo della conclusione della pace con Carlo II; però, nella sostanza complessiva di essa, poco contribuivano i vantaggi dell’ultima ora. Carlo II non si era apertamente alleato con i Guelfi, come una volta aveva fatto suo padre; non era tuttavia trascurabile che egli rifiutasse espressamente qualsiasi appoggio ai ribelli contro il Comune: il re d’ora innanzi, a richiesta del governo genovese, avrebbe espulso dai suoi domini gli esiliati e non avrebbe permesso ad alcun Genovese di armare navi a remi in Provenza; egli tuttavia si riservava, quando gli extrinseci fossero rientrati in città, di intervenire per essi, se non altro in via amichevole, come mediatore120. Nel 1276 i Ghibellini avevano potuto ottenere che Carlo I, tacitamente, abbandonasse la sua alleanza con i Guelfi. Nei trattati attraverso i quali i Capitani avevano concluso allora pace con il re di Napoli e con i loro nemici interni, il capo supremo della cristianità, il papa, aveva lui solo assunto la garanzia che nei confronti degli esiliati di ritorno in patria sarebbero state mantenute le promesse loro fatte dagli avversari121. Parrebbe che anche questa volta i Guelfi avessero cercato tale appoggio 122, ma non risulta chiaro se fosse stato loro accordato da Bonifacio Vili123. Il ritorno dei Guelfi in patria avveniva ora in circostanze ancor più sfavorevoli che nel 1276; ma questo ritorno faceva parte delle condizioni di una pace conclusa 120 L.J., II, 427. 121 Cfr. sopra, vol. I, p. 360 e sgg. 122 Vedi Gioffredo, 678; cfr. sopra, p. 270. 123 La conferma papale della pace fra Genova e Carlo II (Rayn., anno 1301, par. 16; Potthast, nr. 25051) del 1° giugno 1301, si riferisce soltanto alle clausole che riguardano l’esportazione dei viveri; cfr. L.]., II, 428. — 276 — La pace con Carlo II ed i Guelfi fra il Comune ed una potenza straniera, alla quale restava la possibilità di intromettersi in avvenire nelle cose interne della città. Per quanto la relativa clausola potesse apparire formalmente di poco conto, tuttavia, per la affermazione dell’indipendenza di Genova, essa doveva destare qualche apprensione. — 277 — Libro sesto Il terzo doppio capitanato e sua caduta i Capitolo primo Gli anni di pace 1301-1305 Posizione di Genova dopo la fine della grande guerra navale. - Fine della lotta per la Sicilia. - Conseguenze per l’Italia nord-occidentale. - Per la Romania. - Ricostruzione di Pera ad opera dei Genovesi. - Conflitto tra la compagnia catalana e l’imperatore Andronico. - Imprigionamento di Berengar d’Entenza ad opera di una flotta genovese. - Domanda di aiuto dell’imperatore a Genova. - Liti fra Genova ed il re Enrico II di Cipro. - Partecipazione dei Genovesi ai tentativi per stabilirsi sulla costa siriaca. - Azioni dei Genovesi altrove. Genova doveva ai Capitani ghibellini i suoi brillanti successi sulle rivali città marittime. Oberto Doria e Oberto Spinola avevano retto con mano forte le redini del governo, accordato al Popolo la desiderata autonomia, difeso la libertà dello stato contro gli ambiziosi Angiò e i loro partigiani. La cittadinanza, guidata da governanti coerentemente tesi a fini seriamente meditati, potè combattere la battaglia decisiva contro Pisa; poi, quantunque non senza difficoltà, lo sviluppo di Genova si svolse lungo una via di continua ascesa, fino a quando la grande flotta creata contro Venezia mise davanti agli occhi di tutti la potenza del Comune. Nessuno stato mediterraneo avrebbe potuto, con le sole proprie forze, far mostra d’un così gran numero di galere; che ad esso corrispondesse anche il valore dei guerrieri genovesi, erano stati prova sufficiente gli avvenimenti dell'ultimo decennio. Anche al di fuori era stata riconosciuta l’importanza della marina genovese. Il re di Castiglia se ne era valso per la guerra contro i Saraceni 1 ; il re di Francia aveva basato i suoi piani d’attacco contro l’Inghilterra sul consiglio e l’appoggio di marinai genovesi2; nella lotta per la Sicilia Angioini e Aragonesi si erano dati continuamente da fare per ottenere il favore di Genova, da cui sembrava dipendere la decisione; ma appunto in questa gara stava il pericolo per il tranquillo sviluppo della repubblica. Il partito della nobiltà ghibellina aveva rivolto la sua simpatia verso gli Staufen, verso il marito ed i figli della figlia di Manfredi; i 1 Cfr. sopra, p. 135. 2 Cfr. sopra, p. 121. — 281 — Libro VI - Cap. primo Guelfi, a loro volta, non rinunziavano alla speranza di trovare un appoggio nel vassallo del papa a Napoli. Saggiamente comportandosi i Ghibellini avevano mantenuto nella più stretta neutralità la repubblica da essi diretta nella lotta fra le due dinastie, e, con la collaborazione del Popolo, legittimamente ammesso agli uffici principali, erano riusciti a dominare i nemici interni. Invece agli uomini che coprirono il secondo doppio capitanato mancò la pronta risolutezza e l’intelligente circospezione dei loro predecessori. I Guelfi espulsi dalla città si erano stanziati in Monaco e Corrado Doria si era messo al servizio dello scomunicato re di Sicilia. Tutto ciò doveva risultare decisivo per la futura sorte di Genova. Una volta si era reso urgentemente necessario che i capi di un partito prendessero le redini del Comune con poteri illimitati; infatti la debolezza della direzione dello Stato sotto il Podestà e il Consiglio era dipesa dall’alterno sopravvento delle fazioni nobiliari, il che non era certo idoneo per garantire la pace all’interno, nè per seguire al di fuori una politica basata sull’interesse della cittadinanza. I Capitani avrebbero potuto sostenersi solo ove avessero tenuto energicamente sottomesso in città il partito contrario, e non avessero in pari tempo compromesso i loro rapporti con gli Stati esteri in gran parte con interessi di partito. Negli anni del settimo ed ottavo decennio essi avevano stupendamente svolto questo ruolo. Doveva pertanto decisamente influire il fatto che i figli ' deviassero dalle vie paterne. Il passo di Corrado Doria mise i Ghibellini in aperta discordia con il re di Napoli, dal quale dipendeva la possibilità di sottomettere i loro avversari di Monaco, e se anche la distruzione della flotta veneziana a Curzola aveva allontanato minacciosi pericoli attraverso una vittoria che fra l’altro avrebbe potuto abbassare Venezia al livello di Pisa, Genova tuttavia nulla più aveva ottenuto che una pace onorevole. L’intromissione del papa aveva suscitato la discordia fra i Doria e gli Spinola, la convenzione con Carlo II aveva significato una grave sconfitta per tutto il partito ghibellino che si era visto costretto a rompere la sua lega con la Sicilia ed a togliere dal bando gli irriducibili avversari. Il licenziamento dei Capitani nel 1299 era stato effettivamente spontaneo, come nel 1291; se però si andava col pensiero all’antica forma di governo con il Podestà forestiero, la cui insostenibilità si era dimo- 3 Tuttavia dobbiamo notare che l’ex Capitano Oberto Doria, padre di Corrado, viveva ancora: v. Rayn., anno 1300, par. 10; cfr. sopra, p. 257. - 282 - Gli anni di pace 1301-1305 strata a lungo evidente, se ne deduceva come non fosse possibile, ricorrendo a espedienti del genere, creare dei sistemi che avessero probabilità di durata. Tuttavia a due decenni di lotte seguirono alcuni anni di quiete. Ma non fu già che Genova, in pace, avesse potuto fruire dei successi ottenuti; anzi, ai grandi sforzi fatti subentrò un certo rilassamento; il Comune aveva bisogno di tempo per ritemprare le sue forze e così si lasciò che tutto andasse per conto proprio, senza darsi eccessive cure, anche dove interessi essenziali erano in giuoco. Nella convenzione del 1301 Carlo II si era impegnato ad adoperarsi perchè il papa revocasse le procedure contro il Comune e i singoli cittadini, assolvesse i Genovesi dalla scomunica nella quale erano incorsi per il commercio con la Sicilia o comunque mitigasse tali misure4. Non risulta chiaro fino a qual punto Bonifacio VIII avesse aderito a tali richieste5; egli doveva comunque essere rimasto soddisfatto della conclusione intervenuta e Porchetto Spinola, in considerazione delle sue premure coronate da felice successo, fu nuovamente investito della dignità arcivescovile6. Genova sarebbe stata completamente liberata dalle censure pronunziate dal papa contro i partigiani di Federico7, però solo dopo che il re tanto duramente perseguito fosse ritornato a essere un fedele figlio della Chiesa. I tentativi di conquista della Sicilia presentavano agli eserciti angioini insormontabili difficoltà, e nemmeno la superiorità per mare, dimostrata attraverso due sanguinose battaglie, poteva recare a Carlo II l’utile sperato. Certamente il Comune di Genova, a norma delle condizioni di pace, ?veva richiamato i suoi sudditi dalla Sicilia; ma non si può accertare se essi avessero obbedito, in ogni caso però si era provveduto ad un risarcimento. Un ardito avventuriero, Roger de Fior, fu messo alla testa della 4 L.J., II, 428 e sgg. 5 Stella, 1020, parla di revoca dell’interdetto. 6 Sbaraglia, IV, 531 e sgg.; Potthast, nr. 25064 e sgg., 17 e 18 agosto 1301. Risulta che il vescovo fosse stato incaricato dal papa di istituire una decima sui beni ecclesiastici del Genovesato. II 15 gennaio 1302, egli, nella sua qualità di generalis collector della decima nuper imposta, rilascia quietanze per l’importo di 812 lire e 12 soldi e precisamente alla prima scadenza del primo anno; così pure, il 3 luglio 1302, per una successiva rata (qui è detto espressamente che la decima doveva essere impiegata per le cose di Sicilia): App. 5, nr. 23, IV, 3, p. 59. 7 Reg. Ben. XI, p. 500 e sgg., 12 maggio 1304. — 283 — Libro VI - Cap. primo flotta siciliana8, con il compito di condurre la guerra da corsaro 3. Ancorché gli fosse riuscito di procurare viveri neH’affamata Messina 10, non fu questo un fatto decisivo; ma poi, quando Carlo di Valois ebbe esaurito in vani tentativi le forze del suo esercito, la casa d’Angiò dovette rinunziare per il momento alla conquista della Sicilia. La pace di Caltabellotta 11 era in fondo egualmente vantaggiosa per le parti contraenti; essa assicurava all’erede degli Staufen il possesso dell’isola e liberava il protetto del papato dal peso di una guerra senza fine. Bonifacio Vili fu costretto a far buon viso davanti al fatto compiuto; invano, come i suoi predecessori, egli aveva impiegato i mezzi più efficaci della Curia per mantenere inalterate le determinazioni di Clemente IV sulle ragioni di sovranità della Chiesa. Fu comunque possibile mascherare un insuccesso tanto pregiudizievole per la politica papale. Federico riconobbe di aver la Sicilia in feudo dalla Chiesa e Corrado Doria prestò più tardi per lui il giuramento di vassallaggio a Benedetto XI12. Se quindi, malgrado tutti gli anatemi, la casa d’Aragona, nella guerra ventennale cominciata con i « Vespri siciliani », potè realizzare i propri interessi dinastici, non furono certo i figli di Pietro i rappresentanti del pensiero ghibellino quale era nella mente di Federico II. Il concetto dell’autonomia delle potenze universali aveva preso altre forme; pur in un paese, ove una forte monarchia immedesimava nella persona del sovrano l’unità nazionale, potè intervenire Bonifacio Vili vittorioso. Solo più tardi, il conflitto con Filippo IV doveva essere il primo nel quale la Curia fu senza dubbio soccombente. 8 Libri Commemoriali, I, 21 (7 marzo 1302): è qualificato come rappresentante di Corrado Doria. Tici Doria che, secondo Muntaner, cap 194, gli avrebbe prestato denari per l’armamento di una galera, è evidentemente identificabile con Tedisio, figlio di Lamba; cfr. sopra, libro V, cap. VII, n. 1. Roger avrebbe bensì potuto unirsi alle galere comandate da Tedisio che partirono nell’estate del 1300 per la Sicilia (cfr. sopra, p. 267); è comunque improbabile che egli, come riferisce Muntaner, 1. c., prima di recarsi da Federico, avesse offerto al figlio di Carlo II i suoi servigi, nel qual caso un Doria non gli avrebbe certamente prestato denaro. 9 Muntaner, cap. 194. II 3 maggio 1301 si seppe a Venezia che « fra Ruggero » ed i Siciliani armavano una flotta, per cui furono prese misure a protezione della navigazione: Giomo, Senato Misti, in « Arch. Ven. », XXX, p. 153. 10 Nic. Spec., 1033-1035; secondo Muntaner, cap. 196, in questa impresa egli avrebbe comperato quattro galere genovesi per rinforzare la sua flotta. 11 Cfr. Amari, La guerra del vespro, II, P- 461 e sgg. 12 Rayn., anno 1303, par. 49 e sgg. - 284 - Gli anni di pace 1301-1305 Per il nord d’Italia la fine della guerra per la Sicilia ed i fatti di Ana-gni operarono in una sola direzione. Nelle lotte del settimo decennio l’influenza francese era stata eliminata e Niccolò III aveva ridotto Carlo I nei limiti territoriali di sua spettanza; gli avvenimenti dei successivi decenni non avevano dato luogo a notevoli mutamenti. I lontani re romani avevano fatto valere ben poco i diritti di sovranità loro riconosciuti dal papa nei paesi dell’impero, per quanto non fossero stati loro seriamente contestati; ma poiché mancava un imperatore e nessuno osava assumerne il ruolo, così i Comuni, in sostanza, erano rimasti nelle mani di sè stessi. In questo stato di cose, Matteo Visconti, capitano di Milano, aveva potuto assumere una posizione egemonica in Lombardia13. Era una stupefacente coincidenza che la sua caduta fosse avvenuta quasi nel medesimo momento 14 in cui Carlo II si era venuto a trovare mano libera per battere le vie del padre, mentre erano da escludersi proteste del papato subito dopo la sconfitta subita nel contrasto con la Francia. La via per un nuovo incremento della potenza angioina nell’Italia Settentrionale era dunque aperta. Buona occasione per immischiarsi nelle vicende altrui fu offerta al re di Napoli dalle lotte di partito in Asti, la più forte delle città fra l’Appennino e le Alpi occidentali, la quale, in altro momento, in lega con Genova, aveva felicemente difeso la libertà lombarda contro Carlo I e Guglielmo di Monferrato15. La discordia fra famiglie nobiliari vi doveva esercitare in tempo successivo il suo effetto disgregatore come in altri Comuni. I de Castello, avversari fin da tempi lontani dei Solari, espulsero il 5 maggio 1303, con l’appoggio dei marchesi Giovanni di Monferrato e Manfredo di Saluzzo, i loro avversari dalla città 16. I Solari cercarono rifugio in Alba, e quando anche là furono molestati, si misero sotto la protezione di Carlo II al quale, in pari tempo, Alba si sottomise formalmente 17. I Ghibellini genovesi tennero strette relazioni con i de Castello. Troviamo infatti un membro di questa famiglia Podestà di Genova nel 1303 18, uno 13 Cfr. sopra, p. 242. 14 Cfr. Giulini, Vili, p. 536 e sgg., etc. 15 Cfr. sopra, vol. I, p. 338 e sgg.; II, 134 e sgg., 158. 16 Guill. Vent., 739 e 745; cfr. Ann. Veron., 466. 17 Guill. Vent., 739 e sgg.; Minieri Riccio, Cod. dipi, suppi., II, p. 27; cfr. Gabotto, p. 31 e sgg. 18 Stella, 1020: Guglielmo di Castello; doc. in Cuneo, p. 259: Guglielmo Turco di Castello. — 285 — Libro VI - Cap. primo Spinola Podestà e un Doria Capitaneus Populi in Asti quando i de Castello ne divennero Signori19. Tale signoria non ebbe lunga durata. Era passato appena un anno, quando i Solari li obbligarono a ritirarsi; con i de Castello fuggì anche il Podestà Manuel Spinola, tanto in fretta, che lasciò addirittura la sua famiglia in città20. Non meno favorevole risultato di questa vittoria ottenuta dai suoi partigiani doveva produrre per Carlo II la prematura morte del marchese Giovanni di Monferarto21. Poco tempo dopo si affacciò nell’Italia occidentale22 un Siniscalco regio, seguito da un consistente esercito; egli fece così rapidi progressi23, che già il 14 febbraio 1306 Carlo II potè proclamare la riunione della riacquistata contea di Piemonte alla Provenza24. Il Comune di Genova rimase inerte a guardare quando il re cercava un compenso per la perdita della Sicilia nei pressi dei suoi domini e nonostante che con la pace del 1301 non fossero state affatto ristabilite amichevoli relazioni con lui. Un dettagliatissimo atto25 dimostra come il procuratore di parecchi cittadini genovesi, accompagnato da un nunzio del Comune, si fosse rivolto a Carlo II per chiedere risarcimento di danni sofferti in passato26. La domanda non fu respinta27, ma nemmeno soddisfatta. Quando finalmente scadde il termine di quaranta giorni28 fissato 19 Guill. Vent., 741. 20 Ibid., 744 e sgg.; quanto alla data, cfr. anche Ann. Parm., 730. 21 Guill. Vent., 747; cfr. Benvenuto di S. Giorgio, 408 e sgg., gennaio 1305. 22 Guill. Vent., 750, marzo 1305; cfr. Gabotto, p. 37. 23 Guill. Vent., 750 e sgg. 24 V. il doc. in Camera, Ann. delle due Sicilie, II, p. 130; anche Lünig, II, 1057. 25 App. 2, nr. 97. 26 Secondo lettere inserite (ibid.) del Podestà e dell’Abate a Carlo II, del medesimo tenore, dell’8 e 15 gennaio (1302), si tratta del seguente avvenimento: nel 1299 una galera genovese, la S. Maria, che era stata caricata a Palermo di maiali, carne salata ed altro per Messina, venne sbattuta da una tempesta nei pressi del portus Melatii e presa dal regio castellano e capitano del Castrum Melacii. L’equipaggio fuggì a terra in camixiis, lasciando indietro a bordo un uomo. Il giorno seguente, il capitano e i suoi uomini incendiarono la galera dopo aver asportato tutto quello che conteneva e fatto prigioniero l’uomo che era rimasto a bordo, nonostante tutte le sue assicurazioni di essere genovese e che le merci appartenevano a Genovesi. Il danno sofferto venne denunziato in 395 once d’oro. 27 Lettere del re da Roma del 23 e 25 febbraio 1302 inserite ibid., con le quali magister Andrea di Isemia viene incaricato della definizione della faccenda. 28 L.J., II, 434; cfr. sopra, p. 275. - 286 - Gli anni di pace 1301-1305 nel trattato, i Genovesi, nel Castel Nuovo a Napoli29, dinanzi alla porta delle stanze reali, riavanzarono la richiesta tante volte proposta, non senza aggiungere la minaccia che il Comune — a seguito della negata giustizia — avrebbe accordato ai danneggiati le rappresaglie 30. Al verificarsi di altri dissensi si è indotti a pensare dalla circostanza che il 17 maggio 1303 furono investiti in Genova dei relativi poteri due inviati31 per chiedere il risarcimento dei danni ed il pagamento delle somme per cui erano accordate le rappresaglie. Però simili differenze erano di poco conto. E’ supponibile che il Comune cercasse di ottenere per i Genovesi, per altra via, quei favori per il commercio con il regno di Napoli che non aveva potuto conseguire nella pace del 1301 32. Il re dal canto suo, e non senza successo, si adoperava per procurarsi aderenti nella città. Quando gli abitanti di Monaco, compromessi per la loro lega con i Guelfi, si valsero dell’autorizzazione ad emigrare in Provenza33, donò a Nicolosio Spinola una proprietà fondiaria34. Quanto amichevoli fossero le relazioni di Carlo II con gli Spinola si può del resto dedurlo dal fatto che suo figlio, soggiornando a Genova nel 1305, scelse per alloggio la casa di Opicino Spinola di Luccoli35. 29 App. 2, nr. 97, 1° aprile. 30 Ibid.; manca la chiusa; è detto soltanto che Sergio de Siginulfo e Andrea di Isernia erano usciti dalla stanza del re e avevano risposto ai Genovesi. 31 App. 2, nr. 98: Bernabò Spinola di Luccoli e Andrea di Bartolomeo jurisperitus. 32 In questo senso starebbe la convenzione (Grasso, Trattato commerciale, p. 165 e sgg.), del 18 gennaio 1302, nella quale i Comuni di Genova e di Amalfi concordano che i loro concittadini possano esercitare nei territori dell’uno e dell’altro il loro commercio franco da imposte. Se Carlo II o un altro sovrano avessero dovuto introdurre in Amalfi nuove imposte o aumentare quelle vigenti, quel Comune avrebbe provveduto che i Genovesi fossero esentati dal pagamento di questi maggiori oneri. 33 Ciò risulta dal documento di Carlo II riguardante i privilegi ai quali essi avevano diritto secondo la convenzione conclusa per la consegna di Monaco: Gioffredo, 682 e sgg., 12 maggio 1302; cfr. anche il documento in H. P. M., Leges municipales, II, 129, 29 novembre 1306. 34 Gioffredo, 684 e sgg., nel 1304; Cais de Pierlas, Docc. ined., p. 24. App. 5, nr. 10, II: nel documento del 9 luglio 1338 è fatta menzione della donazione per la quale venne rilasciato un privilegio reale con bolla d’oro del 26 giugno 1304. 35 Stella, 1021. — 287 — Libro VI - Cap. primo In Italia la pace di Caltabellotta ebbe per conseguenza un nuovo incremento dell’influenza angioina; una reazione quasi ancor più sfavorevole per gli interesssi di Genova fu determinata dalla fine della guerra per la Sicilia per quel che concerneva le sue relazioni con la Romania. Non solo Carlo di Valois non vi venne per far valere con la spada le sue pretese su Costantinopoli, ma, invece dell’erede degli imperatori latini, si mosse verso oriente Roger de Fior alla testa dei mercenari ridotti alla fame a causa della pace, mettendosi al servizio dei Greci per opporsi all’avanzata dei Turchi36. Con la compagnia catalana arrivava una nuova forza nel teatro delle lotte fra Genova e Venezia. La preponderanza genovese nei paesi del Mediterraneo nord-orientale aveva già sofferto una scossa per gli avvenimenti del 1296 37, che avevano messo in luce l’impotenza del suo antico alleato, l’imperatore. La pace del 1299 aveva offerto alla città delle lagune campo libero per ottenere buon esito circa le pretese alle quali riteneva di aver diritto 38. Essa fece uso prudente delle facoltà che le erano state accordate; solo quando i lunghi negoziati si erano dimostrati infruttuosi39, nell’estate del 1302 comparve dinanzi a Costantinopoli una flotta veneziana, che obbligò l’imperatore a concludere un armistizio, il quale imponeva la neutralità delle vie del mare, assicurava il risarcimento delle merci sequestrate nel 1296, e in generale corrispondeva ai desideri di Venezia 40. Il Comune di Genova non s’immischiò 41 in tutto questo ma, per sua parte, sollevò pretese di risarcimento, per cui nell’ottobre 1300 Raffo Doria andò come inviato 36 Nel settembre 1303 Roger arrivò a Costantinopoli con i Catalani; Pachym., II, 393; cfr. Caro, Zur Chronologie, p. 115 e sgg. 37 Cfr. sopra, p. 219 e sgg. 38 Cfr. sopra, p. 245. 39 Pachym., II, 286 e sgg.; Giomo, Senato misti, in «Arch. Ven.», XXIX, p. 409 e sgg.; ibid., XXX, p. 153 e sgg. 40 Pachym., II, 322 e sgg.; Niceph. Greg., I, 208; Dandolo, 409; Andr. Naug, 1011; Marin Sanudo, Vitae, 579; Laur. de Mon., 265 e i documenti in Dipi. Ven. Lev., 12 e sgg. Già prima della ratifica dell’accordo da parte del Doge (4 ottobre 1302, ibid., 12 e sgg.), era avvenuta la conclusione a Costantinopoli: ibid., 13; il 20 agosto la notizia non poteva ancora essere conosciuta a Venezia: Giomo, Senato misti, in « Arch. Ven. », XXXI, p. 180; il 27 settembre (ibid., p. 182) si seppe che la pace era stata conclusa in Romania. 41 Quanto a danni arrecati a Genovesi da navi corsare veneziane che incrociavano contro i Greci, v. Libri Commemoriali, I, 20, 24 e sgg. — 288 — Gli anni di pace 1301-1305 a Costantinopolin. I negoziati andarono alle lunghe; Andronico aveva egli pure delle richieste da avanzare; si venne comunque ad un risultato soddisfacente43. Quando Venezia dopo la conclusione dell’armistizio ricostituì i suoi stabilimenti commerciali nella capitale dell’impero greco44, anche i Genovesi pensarono alla ricostruzione della distrutta Pera. Da parte dell’imperatore non mancò loro una cortese accoglienza e nel maggio 1303 egli assegnò al Comune il terreno sul quale doveva essere eretta la colonia 45. Già nello stesso anno i nuovi fabbricati dovevano essere stati ultimati46, altrimenti i Catalani non avrebbero pensato ad un saccheggio di Pera, allorché, non molto dopo il loro arrivo a Costantinopoli, vennero in lotta con i Genovesi47. Fu invero un fatto non importante questa rissa di strada, ma che non finì senza spargimento di sangue48, e mostrò come i Genovesi nulla di buono potessero attendersi da queste bande selvagge di mercenari. Peraltro il timore che l’imperatore potesse staccarsi dai suoi antichi alleati49, se pur esisteva, era del tutto infondato. Nel marzo 1304 Andronico confermò ai Genovesi i loro diritti nell’impero greco come 42 V. un estratto del documento del 7 febbraio 1302 in Belgrano, Prima serie di docc. di Pera, p. 102; in parte più completo in Fol. No!., Ili, 2, c. 352. 43 Secondo Fol. Not., 1. c., vennero a Genova anche inviati greci e sembra che ci fosse accordo, ammettendosi che le pretese di Genova (130214 iperperi, ridotti a 93254) si compensassero in parte con le contro-pretese dell’imperatore (15421 iperperi; cfr. sopra, libro V, cap. VI, nota 20, etc.). 44 Quanto all’invio di un bajulo a Costantinopoli, v. Giomo, Senato misti, in « Arch. Ven. », XXXI, p. 182. 45 V. il doc. in L.J., II, 435 (anche Sauli, II, p. 209 e Belgrano, Prima serie di docc. di Pera, p. 103); cfr. Heyd, I, p. 454 e sgg. Secondo Pachym., II, 489, la nuova Pera sarebbe stata più vasta dell’antica. Rimane oscuro se anche di questa il suolo appartenesse al Comune, come in ogni caso era stato per quella. 46 In Jac. de Var., Continuatio, 500, si pone la ricostruzione di Pera al 1303. 47 Muntaner, cap. 202. 48 Muntaner, 1. c., esagera evidentemente; cfr. però anche Pachym., II, 398 e sgg., secondo il quale la lotta ebbe origine dal fatto che i Genovesi avevano chiesto la restituzione del denaro da essi prestato a Roger per la traversata. Quanto amichevoli fossero le relazioni che prima esistevano fra Genovesi e Catalani, è provato dalla lettera del Consiglio di Barcellona al podestà genovese di Costantinopoli (Cap-MANY, II, p. 375 e sgg., 1 settembre 1302), quantunque non fosse mancato qualche conflitto; cfr. sopra, pp. 158 e sgg. e 162. 49 Come accenna Muntaner, cap. 202. — 289 — 19 Libro VI - Cap. primo in addietro, mediante privilegio in forma di bolla d’oro 50. Alcune limitazioni, ma di scarsa rilevanza, rispetto a quello che a suo tempo il Paleologo aveva concesso, furono incluse nell’atto51 ; i rapporti della colonia furon così regolati nel modo più favorevole. Essa da allora in poi diventò una città a sè, accanto a Costantinopoli; circondata da un fossato, munita di fortificazioni atte a difenderla52; non le mancava ora altro che un muro di cinta per renderla un insormontabile baluardo della potenza di Genova sul Bosforo. Era esclusa qualsiasi intromissione dei funzionari greci nell’amministrazione interna di Pera, i cittadini del Comune non potevano essere chiamati in giudizio se non davanti ai loro concittadini, anche se si fossero fatti sudditi dell’imperatore53. Nuovo, a quanto pare, e assai utile per i Genovesi, era il permesso di servirsi di una propria bilancia. Se, conseguentemente, a Genova come a Pera i pesi in uso erano gli stessi54, i traffici venivano straordinariamente facilitati; con ciò, aggiunto all’esenzione delle imposte loro accordata in tutto l’impero greco, la libertà dei Genovesi era completa55. Mentre la compagnia catalana combatteva i Turchi nell’Asia Minore, i Genovesi si occupavano del completamento della costruzione di Pera 56. 50 L.J., II, 440 e sgg. (= Sauli, II, p. 211 = Belgrano, Prima serie di docc. di Pera, p. 105); cfr. Stella, 1021. 51 Invece di tutta la città di Smime (cfr. sopra, vol. I, p. 108) adesso viene loro assegnato solamente un quartiere; dal libero commercio sono esclusi il sale e il mastice e il grano per l’esportazione; invece possono essere esportati grano, legname, pece ed allume (cfr. sopra, vol. I, p. 393), dai paesi non greci per il Mar Nero. 52 Cfr. la descrizione che Pachym, II, 489 e 495, fa delle costruzioni con i particolari del privilegio: L.J., II, 441. 53 L.J., II, 442. Però i Greci non possono sottrarsi alla giurisdizione dell’imperatore per il fatto di avere acquistato la cittadinanza genovese; qui vi è una certa limitazione delle condizioni della convenzione del 1261: cfr. sopra, vol. I, p. 107, n. 28. 54 Che ciò fosse realmente avvenuto (cfr. anche Jac. de Var., Continuatio, 500) è detto espressamente dal Pegolotti, La pratica della mercatura, p. 31; altrimenti si sarebbero avute sulle varie piazze commerciali misure e pesi diversi. 55 Alla pesatura sulla bilancia genovese doveva essere presente un funzionario della dogana greca, affinchè quelli che non avevano diritto all’esenzione dalle imposte pagassero alla dogana l’importo del diritto di pesatura: L.J., II, 442. 56 Per uno statuto emanato dal podestà dei Genovesi nel regno di Romania, Rosso Doria, e che il 18 luglio 1304 fu letto e confermato nel parlamento (di Pera), v. Statuti di Pera, 763. — 290 — Gli anni di pace 1301-1305 Ben presto sorsero dissensi fra i mercenari, la cui cupidigia non era mai sufficientemente paga, e l’imperatore, i cui mezzi pecuniari andavano scemando. La situazione aveva dei punti di somiglianza con quella che in addietro aveva provocato la discordia fra il Paleologo ed i Genovesi57. Già Roger aveva portato con sè un numero di uomini maggiore di quello che Andronico aveva richiesto58; nell’autunno 1304 giunse Berengar d’Entenza con nove galere59; per la prossima primavera era atteso l’arrivo d’una squadra ancora maggiore60. Il Paleologo aveva rimandato la flotta genovese, quando era diventata per lui un peso; i Catalani non intendevano ora allontanarsi volontariamente. A Genova si seguiva lo sviluppo delle cose di Romania con la massima apprensione, temendo che i Catalani potessero un giorno o l’altro impossessarsi di Costantinopoli61; e con un veliero celere fu quindi mandata un’ambasciata ai Genovesi residenti in Pera. Questi si rivolsero subito all’imperatore, al quale, accennando al pericolo che poteva derivargli dalla continua affluenza di Catalani, offrirono una lega per sopraffarli, prima che avessero concentrato tutte le loro forze. Andronico rifiutò la proposta62, giacché sperava ancora di poter scampare dal pericolo senza dover impiegare la forza. I Genovesi misero quindi Pera in istato di difesa63; misura di precauzione non ingiustificata, poiché ben presto cominciò aperta guerra fra l’imperatore ed i suoi mercenari. Alla fine di aprile od al principio di maggio 1305, Roger de Fior testé nominato Cesare fu assassinato in AdrianopoliM. I Catalani si radunarono nel forte castello di Gallipoli sullo stretto dei Dardanelli65; da 57 Cfr. sopra, vol. I, pp. 130, 137 e sgg. 58 Pachym., II, 484, 486 e sgg. 59 Ibid., 484 e sgg.; cfr. Libri Commemoriali, I, 42. 60 Pachym., II, 489 e sgg. Che la squadra comandata da un fratellastro del re Federico di Sicilia fosse giunta effettivamente più tardi nel mare Egeo, cfr. ibid., 522, 527 e sgg., 543. 61 Che Federico avesse promesso di aiutare Carlo di Valois nella conquista di Costantinopoli, cfr. il doc. in Ducange, p. 43, 26 settembre 1302; cfr. Heyd, I, p. 450. 62 Pachym., II, 489 e sgg. 63 Ibid., 494 e sgg. 64 Ibid., 521 e sgg.; Muntaner, cap. 215; cfr. Caro, Zur Chronologie, p. 117 e sgg. 65 Pachym., II, 527; Muntaner, cap. 215. - 291 — Libro VI - Cap. primo lì Berengar d’Entenza, con una piccola squadra66, operò un colpo di mano devastando la costa del Mar di Marmara67. Era già sulla via del ritorno, quando la sera del 30 maggio68 incontrò una più numerosa flotta di galere genovesi69, che cariche di merci erano dirette a Costantinopoli70. Non potendo evitarla e troppo debole per sostenere una battaglia, Berengar intavolò trattative e dopo aver ottenuto l’assicurazione di un salva-condotto, andò a bordo della nave ammiraglia genovese71. In quel momento era difficile valutare i rapporti esistenti fra Genovesi e Catalani. Molti fra questi ultimi avevano trovato protezione a Pera contro il furore dei Greci avidi di vendetta 72 ; per contro l’odio verso i latini del popolo di Costantinopoli si era manifestato anche contro i Genovesi, che vi avevano dato motivo con alcuni atti di violenza; soltanto un severo ordine dell’imperatore aveva potuto trattenere la folla eccitata dall’assalire Pera73. Berengar cercò di far credere ai comandanti delle galere genovesi che Andronico fosse assai irritato contro i loro concittadini74; ma non insistette per avere una precisa risposta. Mentre egli, come pare, una notte si trovava a banchetto con loro 7;i, fu mandata una galera veloce a Pera per avere informazioni sullo stato delle coste 76. Le differenze con l’imperatore erano appianate, perciò i Genovesi di 66 Secondo Pachym., II, 528: 7 galere e 9 barche; secondo Muntaner, c. 215: 5 galere e 2 barche; Niceph. Greg., I, 227: 8 galere. 67 Secondo Muntaner, cap. 218, egli saccheggiò per ultimo Recrea (cioè Eraclea; v. Atlante idrografico T. Luxoro, p. 121); Pachym., II, 533 dice 'Pv^ycov. 68 Per la data v. Pachym., II, 541; v. oltre. 69 Ibid., 533 e Niceph. Greg., I, 227: 16; Muntaner, cap. 218: 18. Secondo Zurita, Anales, II, 8, Moncada, Expédition, cap. 33 e Feliu, Anales de Cataluna, II, p. 148, il comandante era Edoardo Doria; la citazione può provenire da una relazione di Berengar d’Entenza: Feliu, II, p. 141. 70 Secondo Muntaner, 1. c., entrel Panido e el cap del Gano, quindi fra Cap Ganos e lo stretto di Abydos (v. Atlante idrografico T. Luxoro, p. 120); secondo Pachym., II, 533 e sgg. però presso Région. Siccome i Genovesi venivano da occidente, il ritorno di Entenza a Gallipoli era sbarrato. 71 Pachym., II, 535; Muntaner, cap. 218; Zurita, II, 8 = Feliu, II, P- 148. 72 Pachym., II, 529 e sgg.; cfr. Muntaner, cap. 216. 73 Pachym., II, 534 e sgg. 74 Ibid., 536. 75 Muntaner, cap. 218. 76 Pachym., II, 536. — 292 — Gli anni di pace 1301-1305 Pera colsero l’occasione per dichiararsi suoi fedeli alleati11. Di notte, al chiarore delle fiaccole, si recarono da lui proponendogli di adoperarsi per mettere la squadra catalana nella incapacità di nuocere 78, senza riceverne risposta negativa. La galera ritornò alla flotta con le relative informazioni e il mattino seguente, 31 maggio79, i Genovesi piombarono sulla flotta catalana impreparata alla battaglia. Vi fu un certo spargimento di sangue 80; ma alla fine, tutta la squadra dell’Entenza col bottino da lui fatto, fu presa 81. Egli fu trattenuto sotto coperta nella nave ammiraglia su cui si trovava S2, e poi condotto via prigioniero. Verso mezzogiorno le galere genovesi, riccamente pavesate, traendo a rimorchio le navi conquistate, giunsero in solenne processione dinanzi a Costantinopoli83. Andronico non mancò di ringraziare gli alleati con i quali si accordò perchè attaccassero Gallipoli; ma dal momento che, malgrado le sue forti economie, non era in grado di pagare la somma stabilita per tale impresa, i Genovesi lo abbandonarono e andarono in Mar Nero per attendere ai loro affari commerciali, portando seco Berengar ed altri prigionieri M. Ma intanto i Catalani sbaragliarono l’esercito greco di terra che stava in Gallipoli 8S, commettendo ardite ruberie fino alle porte della capitale. Muntaner narra che un Almugavare a cavallo, con due soli compagni, vi s’im- 77 Ibid., 539 e sgg. La traduzione latina porta in errore; £xs~vot si riferisce evidentemente a 1 svvouitxic , e sotto questo termine si devono intendere i preposti alla colonia di Pera, cioè il podestà, etc. 78 Ciò si ritrae da Pachym., II, 540. 79 Ibid., 540 e sgg.; Zurita, II, 8, a bora de tercia. 80 Secondo Muntaner, cap. 18, soltanto una galera catalana oppose seria resistenza. 81 Ibid.; secondo Pachym., II, 541, una nave sfuggì. 82 Così Pachym., 1. c., e Muntaner, 1. c., concordano che Entenza da ultimo, non senza successo, avesse tentato di corrompere i comandanti delle galere affinchè lo lasciassero fuggire e che l’equipaggio, per non rimanere a mani vuote, avesse attaccato i Catalani senza un ordine (Pachym., 1. c.). Ciò è poco credibile; cfr. tuttavia anche Zurita, II, 9 e sgg. 83 Pachym., II, 541 e sgg. 84 Ibid., 542, 544 e sgg.; cfr. 578. Secondo Muntaner, cap. 218, Entenza sarebbe rimasto a Pera. La consegna dei prigionieri all’imperatore, che l’aveva reclamata, non ebbe luogo come si può dedurre da Pachym., II, 542, perchè i Genovesi esigevano in cambio una somma di denaro troppo alta. 85 Ibid., 543 e sgg.; Muntaner, cap. 119 e sgg. 86 Cap. 221. — 293 — Libro VI - Cap. primo padroni di due mercanti genovesi che stavano dando la caccia alle quaglie, ai quali estorse una grossa somma per il riscatto. Quando la flotta ritornò dal Mar Nero, Andronico cercò ancora di avere aiuto, ma i Genovesi si mostrarono poco condiscendenti. Due galere, con Berengar a bordo, navigarono verso casa altre due si misero a disposizione dell’imperatore, ad alto prezzo e per non più di due mesi, le altre non vollero esporsi alla ventura in nuove imprese, senza particolare compenso 88. Esse riuscirono ad ottenere un successo non indifferente. Un genovese di nome Andrea Moresco, corsaro di mestiere, che era già entrato con due navi al servizio dei Greci89, stava assediando il castello di Tenedo; sopraggiunta la flotta genovese e da essa aiutato, potè costringere la guarnigione del presidio a capitolare90. L’isola che domina l’entrata dell’Ellesponto offriva un eccellente punto d’appoggio per bloccare Gallipoli dalla parte del mare, che fu attivamente battuto finché rimasero le due galere genovesi91. Ma quando queste, scaduto il termine convenuto, ritornarono in patria92, le forze greche si mostrarono troppo deboli per tagliare ai Catalani la via del Mar Nero. Moresco, adirato per alcune perdite, che egli attribuiva all’insufficienza dei mezzi messi a sua disposizione, rinunziò alla carica di Ammiraglio conferitagli dall’imperatore per darsi nuovamente al mestiere più lucroso del corsaro 93. I Catalani, ai quali rimaneva così libero il transito alla costa asiatica, si rinforzarono assoldando bande di Turchi, con le quali devastarono la Tracia nella peggiore delle maniere94. 87 Pachym., II, 554. Secondo l’affermazione in contrasto con quanto esposto ibid., 578, Entenza fu portato più tardi a Genova; che i Catalani volessero riscattarlo, è detto ibid. e in Muntaner, cap. 218. 88 Pachym., II, 554. 89 Ibid., 495 e sgg., circa le ruberie del Moresco; cfr. Libri Commemoriali, I, 34. 90 Pachym., II, 556 e sgg. Non risulta chiaro se il presidio di Tenedos fosse composto di Catalani. Quanto al tempo, si può ammettere il luglio 1305, poiché secondo Muntaner, cap. 218, la flotta rimase nel Mar Nero circa un mese. 91 Pachym., II, 563, 573. 92 Ibid., 578. 93 Ibid., 583 e sgg. Egli del resto fu ben presto preso, ma rilasciato; nell’estate 1306 è all’assalto di Gallipoli: ibid., 606; cfr. Caro, Zur Chronologie, p. 122 e sgg. e oltre, cap. Ili; egli ricompare a servizio dell’imperatore. 94 Pachym., II, 585 e sgg.; cfr. Muntaner, cap. 228. — 294 — Gli anni di pace 1301-1305 In tale frangente Andronico mandò un’ambasciata a Genova per chiedere che nella prossima primavera gli fosse mandata una flotta in soccorso, alla quale prometteva di pagare ricco soldo 9\ Se il Comune si dimostrò prontamente disposto ad acconsentire alla richiesta96, non fu tanto per assicurarsi la libertà del commercio in Romania mediante il ristabilimento della pace, quanto per l’ambizione di Opicino Spinola che voleva maritare sua figlia con un figlio dell’imperatore97. A Genova non era il caso di pensare ad una politica basata esclusivamente sull’interesse dello Stato e scevra da qualsiasi secondo fine; se non venivano in gioco interessi personali dell’uno o dell’altro mancava l’iniziativa per qualsiasi azione decisa. Si teneva bensì ferma l’antica amicizia per Bisanzio, piattaforma della posizione acquistata in Romania; si procurava di conservare i privilegi ottenuti e all’occasione aumentarli; ma troppo mancava una direzione dello Stato efficace e tendente ad un fine determinato; in sostanza la cura degli interessi genovesi era rimessa nelle mani degli armatori e dei mercanti di Pera, che consideravano l’aiuto prestato all’imperatore contro i Catalani come un affare che avrebbe potuto arrecare degli utili materiali. Il Comune si limitava ad assistere inerte agli errori che avevano ridotto in uno stato compassionevole tutto l’oriente greco. Non dissimile era il quadro che presentavano in quell’anno le relazioni di Genova con l’altro centro del commercio mondiale, i paesi cioè a sud-est del Mare Mediterraneo. Il Comune, già durante la guerra contro Venezia era entrato in conflitto con il re di Cipro, Enrico II. Circa all’inizio del 1299, inviati genovesi98 gli avevano chiesto il risarcimento per danni arrecati a dei loro concittadini da Veneziani entro i suoi domini 99. Poiché la domanda non venne soddisfatta, gli inviati, in forza dei loro poteri, proclamarono il 6 marzo il blocco mercantile contro Cipro 10°, da incominciare 95 Pachym., II, 590. La richiesta di una spedizione di aiuto contro pagamento è consona al trattato del 1261; cfr. sopra, vol. I, P- 108 e sgg. 96 Pachym., II, 597 e sgg. 97 Ibid., 598; Muntaner, cap. 227; cfr. Caro, Zur Chronologie, p. 119 e sgg. e oltre, cap. III. 98 App. 2, nr. 79: Lanfranchino Spinola ed Egidio da Quarto; la procura è del 19 novembre 1298. 99 Ibid.\ cfr. sopra, libro V, cap. VI, n. 72. 100 App. 2, nr. 79: actum in Cipro in palatio episcopatus Famaguste, 6 marzo 1298, ind. XI (quindi 1299 per l’indizione genovese; v. sopra, n. 98). Testimoni sono due placerii comunis, Otholinus Rubeus tenens locum vicharü, il console genovese di Famagosta, alcuni Genovesi e plures alii mercatores. — 295 — Libro VI - Cap. primo il prossimo 1° agosto: per quel giorno tutti i Genovesi dovevano aver lasciato l’isola e da allora in avanti nessun Genovese poteva più avere relazioni con Cipro, fatta eccezione per quelli che a suo tempo ne avessero ottenuta la cittadinanza; ai contravventori sarebbero state inflitte gravi multe 101. Appena lordine entrò in vigore, vennero rimosse le ordinarie autorità coloniali genovesi residenti in Cipro 102; gli inviati nominarono rettori interinali 103 i quali dovevano badare all’amministrazione della giustizia fra i Genovesi fino al 1° agosto e oltre, fino a quando il Comune desse altre disposizioni1(M. L ordine doveva rimanere in vigore, salvo eventuali modifiche, finché danni e spese non fossero stati risarciti o anche più a lungo secondo il parere del Comune. Già la circostanza che la durata dell’ufficio dei rettori non fosse espressamente limitata al termine stabilito per la rottura delle relazioni fra Genova e Cipro dimostra quanto poco si pensasse ad un’effettiva ese- Ibid. Spetta al Podestà di Genova di riscuoterle; una metà doveva andare a favore del Comune, l’altra metà era da ripartirsi fra i danneggiati e coloro che erano specificati nella istruzione per gli inviati (tractatus), non conservata. Ibid. Nella forma di divieto per i Genovesi di coprire le cariche di podestà genovese, console e simili a Cipro. Ibid. In Nicosia (la capitale): Otholinus Rubeus tenens locum vicharii, che presto lascerà l’isola; inoltre Precivalis (!) de Mari e Jacobus Rubeus burgenses Ni-cossie (come scriba era stato assegnato a loro il notaro Gabriel de Predono e potevano inoltre tenere due uomini presso di sè, qui servicia comunis Janue faciant, i quali però non potevano portare baculum comunis vel arma aliqua ut servientes)', a Famagosta. Jacobus de Signago (come scriba Lambertus de Sambuxeto ed inoltre due servientes); a Limisso: un rector, uno scriba ed un serviens; egualmente a Paphos. Appena gli inviati avessero lasciato Cipro, Otholinus Rubeus doveva convocare presso di sè i rettori con i rispettivi subalterni e far loro prestare giuramento di attenersi a tutti gli ordini degli inviati, di adempiere agli obblighi della loro carica e di fare segretamente indagini su tutti i danni che venissero arrecati a Genovesi nel-1 isola di Cipro. La documentazione scritta relativa a tutto ciò doveva essere spedita suggellata al Podestà e ai Capitani di Genova, ovvero agli inviati stessi. 104 Ibid. Ove sudditi del re avessero dovuto presentare reclami ai rettori contro Genova, essi dovevano anzitutto rispondere quod non habent potestatem nec consulem, salvo parlare di giudizio nelle forme rituali, ad onore del re, supponendo che ne il re nè i suoi funzionari avrebbero negato giustizia ai Genovesi. Veniva pure stabilito che tutti i Genovesi che ricevevano uno stipendio dal re o dai baroni di Cipro dovessero entro un mese rinunziarvi, fatta eccezione per coloro che re vera nunc burgenses (se. regni Cipri) sunt. Questi ultimi dovevano giurare di obbedire a tutti gli ordini del Comune, nonostante qualsiasi giuramento fatto al re, altrimenti avrebbero perduto il diritto di cittadinanza genovese. — 296 - Gli anni di pace 1301-1305 cuzione del blocco105. Si voleva evidentemente esercitare una pressione sul re, con la minaccia di una misura tanto straordinaria, per renderlo più condiscendente. Risulta però che il re non si fosse lasciato intimidire, anzi si fosse preoccupato della compilazione di un controconto invitando tutti quelli che fossero stati danneggiati da Genovesi a proporre i loro reclamil06. E certo che i Genovesi dopo il 1° agosto continuarono le loro relazioni con Cipro !07, ma anche che vi fu confermata la forma interinale delle autorità . Possiamo dedurne che il Comune nè intendeva riconciliarsi col re nè insistere sulla stretta osservanza di disposizioni che, alla fine, sarebbero andate a danno dei suoi stessi cittadini. Alla fine del 1299 si 105 Si deve notare anche che gli inviati volentes facere gratiam specialem Nicolao Binello notario qui cum ipsis ambaxatoribus ivit pro scriba (dal quale venne pure redatto il doc. in App. 2, nr. 79), gli conferiranno scribaniam Famaguste post Lam-bertum de Sambuxeto notarium (cfr. sopra, n. 103) ad salarium consuetum pro uno anno. Essi dovevano quindi supporre che i Genovesi non avrebbero lasciato Cipro il 1° agosto, altrimenti il conferimento dell’aspettativa ad un incarico comunque molto lucrativo non avrebbe avuto senso. 106 Assises de Jérusalem, II, 363 e sgg., 13 maggio 1299. 107 Ciò risulta da atti inserti da Lamberto de Sambuceto (cfr. sopra, n. 103' nel suo cartolare che ci è stato conservato: Desimoni, Actes passés à Famagouste, p. 5 e sgg., dal 26 dicembre 1296 in poi. 108 Ibid., p. 24, 2 febbraio 1300, compare Jacobus de Signago, rector Januensium in Famagusta come testimonio; ibid., p. 25 e sgg.: il medesimo unitamente a Jacobus Rubeus e Paschalis (!) de Mari, rectoribus Januensium in Cipro (cfr. sopra, n. 103) che agiscono ufficialmente. Dunque Lamberto de Sambuceto doveva ancora ricoprire quella scribania; i suoi atti dei primi mesi del 1300 sono per la maggior parte redatti in logia Januensium Famaguste, quelli successivi non più. Che davvero Nicola Binello gli fosse succeduto (cfr. sopra, n. 105) è provato da un documento (App. 3, nr. 22 a, c. 105) del 21 novembre 1300, nel quale è fatta menzione del fatto che il rettore dei Genovesi in Famagosta (lo stesso come sopra) fece vendere all’incanto gli averi di un Genovese morto in quella città consegnando poi il ricavato, nomine cambii, ad un altro Genovese perchè lo trasferisse a Genova, come da un doc. del 25 maggio 1300, steso da Nicola Binello. 109 La bozza senza data di un accordo fra il Comune ed un re di Cipro (Mas Latrie, Docc. génois, p. 173 e sgg.) deve essere collocata, come fa l’editore, nel secondo decennio del XIV secolo. Del tutto confuse sono le indica2Ìoni di Canale, III, p. 230, secondo le quali il 26 marzo 1298 due inviati genovesi (i medesimi di cui sopra, n. 98) avrebbero concluso un accordo con Enrico II. - 297 - Libro VI - Cap. primo stabilirono a Cipro i procuratori dei danneggiati Genovesi no, certo per conferire con il re 111. Mancano notizie sicure 112 per sapere se riuscirono a qualche cosa, come pure non ne abbiamo riguardo alle relazioni fra Enrico II ed il Comune negli anni successivi. Comunque corsari genovesi devastarono le coste di Cipro; il re fece dar loro la caccia e mandò sulla forca i prigionieri n3. In tal modo la tensione non diminuì e ai fini di un tentativo di riacquisto della Terra Santa, per il quale, a dieci anni dalla caduta di Acri sembravano presentarsi le migliori prospettive, questi fatti non furono certo giovevoli. Nella situazione di allora, la potenza politica dei maomettani era concentrata nel sultanato dEgitto. Di fronte ai possedimenti cristiani sulla costa siriaca, questo stato accentratore aveva dimostrato di essere di gran lunga superiore, ancora già molto prima di aver dato loro il colpo di grazia; ma il regno che più di tutti teneva alta la bandiera del profeta si vedeva continuamente minacciato nella sua stessa esistenza dai Mongoli, i 110 Dai docc. in Desimoni, Actes passés à Famagouste, p. 12 e sgg., del 29 dicembre 1299, si rileva che allora erano arrivate due galere genovesi a Famagosta. Queste appartenevano in società da una parte a Salveto Pessagno e Albaxeto Doria (presenti a Cipro), che rappresentavano pure (l’assente) Nicola Spinola miles, dall’altra parte a Percivalle de Castello e Matteo Bestagno che rappresentavano quelli che avevano subito danni a Cipro. I documenti riguardano la liquidazione dei conti fra le due parti. Salveto Pessagno doveva essere già morto il 28 gennaio 1300 (ibid., p. 21); il 2 febbraio i rettori consegnarono (cfr. sopra, n. 108) la sua eredità a Ugolino de Ri-vemar perchè fosse portata a Genova: ibid., p. 25 e sgg. 111 Nella pace del 25 maggio 1299 Genova e Venezia non avevano rinunziato a chiedere ai neutrali il risarcimento per i danni che si erano arrecate reciprocamente: cfr. sopra, libro V, cap. Vili, n. 14; anche Venezia avanzò una simile pretesa verso Cipro: v. Dipi. Ven. Lev., 38 e sgg. 112 Secondo Amadi, 254 e sgg. (in Mas Latrie, Hist. de Chypre, III, P- 61 e sgg.) Salvet Pessagne, quale inviato genovese, aveva avanzato delle domande infondate e speciose al re di Cipro che quest’ultimo respinse. Siccome i Genovesi erano diventati orgogliosi, specialmente dopo la vittoria navale riportata sui Veneziani, 1 inviato ordinò che tutti i Genovesi lasciassero l’isola, mentre il re, per parte sua, proibì ai suoi sudditi di esercitare il commercio con i Genovesi, le cui merci vennero colpite da sequestro; fu allora che, tramite il signore di Tiro, egli venne privato del regno. Quest’ultimo fatto avvenne nella primavera del 1306 (Marin Sanudo, Liber, 242 etc.; cfr. oltre, cap. V), ma Salvetus Vezagnus era già morto nel gennaio 1300; cfr. sopra, n. 110. Amadi deve dunque avere confuso insieme fatti accaduti in tempi diversi. 113 Tanto si può trarre da Amadi, 1. c., come pure 239 = Flor. Bustr., 134; cfr. anche Libri Commemoriali, I, 27 e 35; è impossibile però che Andrea Moresco fosse stato impiccato a Famagosta prima del giugno 1306; cfr. sopra, n. 93. — 298 — Gli anni di pace 1301-1305 successori del conquistatore Gengis-Khan, al cui impetuoso assalto Bagdad, la sede del califfato, aveva dovuto soggiacere 114. I cristiani messi in pericolo dai Saraceni tentarono così di mettersi d’accordo con i turbatori dell’IsIam. Il re di Armenia trattò subito un modus vivendi con i capi mongoli; nell’interesse della Terra Santa, il papa, come pure i re di Francia e d’Inghilterra, trattarono con essi per più di mezzo secolo. Non poco i mercanti genovesi contribuirono a mantenere le relazioni diplomatiche, mentre d’altra parte l’apertura delle vie del commercio per l’interno dell’Asia fu straordinariamente favorita da queste amichevoli relazioni dei suoi sovrani con l’Occidente115. Verso la fine del 1299 il Khan Ghazan inflisse all’esercito del Sultano una totale sconfitta 1I6, la popolazione cristiana della regione di Tripoli si sollevò ed uccise molti dei Saraceni in fuga 117. Un’occasione così favorevole per il ristabilimento dei cristiani in Terra Santa non poteva rimanere infruttuosa; è degno di nota il fatto che anche cittadini della città marittima ligure avessero preso parte ai tentativi che a tal fine erano stati intrapresi. Già il 25 febbraio 1300 i Templari di Famagosta noleggiarono una nave genovese per passare in Siria m. Quando, circa nel medesimo tempo, re Enrico mandò una spedizione per ricostruire il castello di Nefin, il genovese Jacopo Avvocato, di sua propria iniziativa, partì per Gibelletto e prese possesso del luogo per sè e per il suo Comune. L’acquisto però non fu potuto conservare, tanto meno allorquando un colpo dei Ciprioti su Tripoli riuscì felicemente. Ghazan si era ritirato troppo presto, cosicché i Saraceni poterono sollevarsi per cacciare gli intrusi; al loro avvicinarsi si rinunziò a Gibelletto 119. Più 114 Cfr., riguardo alle relazioni dell’Egitto con i Mongoli, in particolare Roh-richt, Les batailles de Hims, p. 633 e sgg. 115 Cfr. Rémusat, Mém. sur les relat. polit, des princes chrét. avec les emp. Mong., p. 335 e sgg.; Desimoni, I conti dell’ambasciata al Chan di Persia nel 1292, p. 537 e sgg.; Rôhricht, Zur Correspondes der Pàpste mit den Sultanen und Mon-golenkhanen, p. 359 e sgg.; Heyd, II, pp. 69 e sgg., 107 e sgg., etc. 116 Marin Sanudo, Liber, 240; Gest. des Chip., 298 e sgg. etc.; cfr. Rôhricht, Les batailles de Hims, p. 644 e sgg. 117 Gest. des Chip., 300 e sgg.; Hethoun, 64. 118 Desimoni, Actes passés à Famagouste, p. 42 e sgg. 119 V. Gest. des Chip., 302 e sgg.; cfr. Marin Sanudo, Liber, 241 e sgg.; Amadi, 236; Flor. Bustr., 130 e sgg. Ciò doveva accadere nei primi mesi dell’anno 1300, perchè in Gest. des Chip., 1. c., se ne parla nel 1299 e per questa fonte l’anno finisce il 24 marzo; v. ibid., 216. — 299 — Libro VI - Cap. primo tardi riuscì invece l’occupazione dell’isola presso Tortosa l20. Se poi anche una spedizione dei Mongoli nell’inverno del 1300 avesse ottenuto qualche risultato 121, e nel caso in cui le deboli forze di Cipro avessero ricevuto rinforzi dall’occidente, si sarebbero potuti prevedere più rilevanti successi. Nessuno dei potentati delPOccidente seppe tuttavia cogliere il momento per riacquistare il Santo Sepolcro, ed il papa, a sua volta, era troppo occupato dalla lotta per la Sicilia, per poter rivolgere loro una parola incitatrice. Tanto più curioso è il fatto che proprio a Genova — la tranquilla città commerciale — sorgesse l’idea di una crociata in maniera del tutto singolare. Le dame genovesi offersero al papa di prestare aiuto alla Terra Santa con una flotta armata a loro spese 122, che doveva partire nell’autunno del 1301 II3. Erano signore delle famiglie più rilevanti della città, quelle dalle quali venne la proposta; le Spinola, le Doria, ed anche le Grimaldi erano fra loro. Alcune di esse intendevano partire con la crociata, ma le loro prestazioni dovevano limitarsi essenzialmente alla somministrazione del denaro occorrente 124; il Comune, come tale, non prese parte all iniziativa. Motivi religiosi avevano certamente avuto una influenza non insignificante nella formazione del piano. La crociata doveva considerarsi come espiazione dei trascorsi per i quali recentemente era stata pronunziata la scomunica e in pari tempo come espressione della ristabilita pace con il papa ed all’interno. Inoltre si sarebbero potuti perseguire anche scopi puramente terreni. La direzione dell’impresa doveva essere evidentemente affidata all’antico campione contro i Saraceni, Benedetto Zaccaria I25. Questi aveva inteso in addietro conquistare Tripoli per Genova m; che ora i crociati fossero intenzionati a ricostruire la città 127 per impadronirsene, si deduce dal divieto che il papa fece loro pervenire. Nel novembre 1300, dopo che in estate il colpo di mano di una flotta cipriota sulle coste egiziana e siriaca non aveva prodotto nessuna conseguenza durevole: v. Gest. des Chip., 303 e sgg ; Marin Sanudo, Liber, 242; Amadi, 236 e sgg.: Flor. Bustr., 131 e sgg. 121 Ibid.; cfr. Rohricht, Les batailles de Hims, p. 647 e sgg. 122 V. Sbaraglia, IV, 526 e sgg.; Rayn., anno 1301 par 33 e sgg.; Potthast, nr. 25057 e sgg. 123 Sbaraglia, IV, 529. 124 Ibid., 527 e sgg. 125 Oltre a lui furono nominati anche altri tre capi. 126 Cfr. sopra, p. 123 e sgg. 127 Essa giaceva in rovina fin dal 1289; i Saraceni avevano costruito una Nuova Tripoli all’interno del paese: Gest. des Chip., 237 e sgg. — 300 — Gli anni di pace 1301-1305 Bonifacio Vili cioè proibiva, senza l’espresso consenso della Sede Apostolica, di ricostruire qualunque delle città fortificate distrutte in Siria e in particolare Tripoli; rimandava a più tardi la concessione dell’autorizza-, ’ n°^ mancando Per° di apprezzare convenientemente il pio zelo delle dame . Egli concesse a tutti i Genovesi ed agli abitanti dei luoghi circonvicini, che in un modo o nell’altro avevano preso parte al progetto, j6 nS.°^te *nc^u^en2e Per 1 crociati 13°; Porchetto Spinola, amministratore dell’arcivescovato di Genova, fu incaricato di bandire la crociata f, monaci francescani di accompagnare la spedizione e celebrare le funzioni divine . Ma intanto il divieto del papa di fare conquiste per proprio conto, per tema di conflitti a causa delle opposte pretese dei Ciprioti e dei Genovesi, sembra aver smorzato il fervore religioso che si era risvegliato in Genova. Le fonti cipriote, pur tanto dettagliate, nulla dicono della comparsa d un esercito crociato in Oriente; probabilmente la progettata spedizione nemmeno ebbe principio. Nessun tentativo per la riconquista della Terra Santa andò ad effetto; l’isola presso Tortosa fu presto perduta 132. Lo Zaccaria trovò compenso per la fallita crociata in un prestigioso acquisto. I suoi possedimenti a Focea e quelli dei suoi congiunti furono messi così bene al sicuro che furono risparmiati dal saccheggio dei Turchi allorché essi devastarono la parte greca dell’Asia Minore. Affinchè le isole circonvicine non cadessero nelle mani dei nemici, gli Zaccaria 134 pregarono l’imperatore di fare per esse quanto necessario e di affidarne loro la custodia. Andronico, minacciato al tempo dei Catalani nella sua stessa capitale , cedette per 10 anni e senza compenso la ricca Chio ai suoi Sbaraglia, IV, 529; Potthast, nr. 25061, 9 agosto 1301; proprio per trattare su questo punto, lo Zaccaria dovette recarsi alla Curia con un compagno della flotta: Sbaraglia, IV, 528 e sgg.; Potthast, nr. 25060. 129 Ibid., 526 e sgg.; Potthast, nr. 25057, 9 agosto. 130 Ibid., 527 e sgg., 529 e sgg.; Potthast, nr. 25058 e sgg., 9 agosto. 131 Ibid., 531; Potthast, nr. 25063, 10 agosto; cfr. le comunicazioni di Porchetto, nel frattempo rinominato arcivescovo (cfr. sopra, p. 283) del 3 settembre a Piacenza, in Campi, III, p. 29. 132 Sbaraglia, IV, 530 e sgg.; Potthast, nr. 25062, 10 agosto. 133 V. Gest. des Chip., 300 e sgg.; Marin Sanudo, Liber, 242 etc. 134 Pachym., II, 558, è nominato Manuel; secondo Muntaner, cap. 234, Tedisio doveva allora amministrare Focea per conto di suo zio Benedetto. 135 Pachym., 1. c. Dall’insieme dei fatti, si deve riferire al 1305 quanto è raccontato in questa sede. - 301 - Libro VI - Cap. primo antichi fedeli partigianiI36. I Genovesi erano abituati ad agire nella massima indipendenza; in ciò vi erano lati positivi e negativi. Il Comune, in pace con Venezia, aveva trattato addirittura un’alleanza con l’antica rivale 137 ; ma vi erano pure singoli Genovesi che, incuranti della politica della patria, continuavano nelle inimicizie ,38. Un Grimaldi, che aveva catturato una nave veneziana, dichiarava apertamente che egli, per suo conto, era nemico dei Veneziani . Più degni di gloria sono i fatti allora compiuti da un altro Grimaldi, Rainerio, al servizio del re di Francia. Lungo la sponda del canale di Zie-rikzee, egli, con galere genovesi veloci, battè le pesanti cocche delle Fiandre; una vittoria, la cui fama si sparse anche nei paesi più lontani . Nulla fa meglio conoscere il particolare ruolo della città marittima ligure negli avvenimenti mondiali della serie continua di notizie circa fatti compiuti da singoli cittadini nel corso degli anni, dai quali 1 annalista genovese141 ricostruisce la vita della repubblica in modo così felice, come meglio non potrebbe essere. Il mare era l’elemento vitale dei Genovesi. Non vi era il più piccolo avvenimento sulle coste del Mediterarneo al quale essi non prendessero parte; varcarono addirittura i confini naturali del bacino mediterraneo, facendo sventolare la loro bandiera sul Mar Caspio e sull’Oceano Atlantico. Furono i Genovesi a precedere gli altri popoli nella ricerca della soluzione del grande problema che doveva dare tanto a pensare anche in tempi successivi, la scoperta cioè di una via marittima per le Indie Orientali143. Ma tanta operosità non tornò effettivamente utile alla Repubblica. La rivalità di Pisa era cessata, Venezia aveva subito una decisa sconfitta, ma in pari tempo lo Stato genovese rimaneva abban donato a se stesso; alla cittadinanza mancava la forza di continuare a go vernarsi da sè sola, come fino ad ora aveva fatto. 136 Ibid.-, v. anche Niceph. Greg., I, 438; Cantacuzeno, Historiae, I, 370, cfr. Hopf, Gesch. Giustiniani, p. 311; Heyd, I, p. 461 e sgg. 137 Cfr. sopra, p. 269. 138 V. Libri Commemoriali, I, 26 e sgg.; 34 e sgg. 139 Ibid., 26. 140 Gest. des Chip., 312 e sgg.; Villani, VIII, 77; Ptol. Lue., Hist. eccl., 1225, Guill. Vent., 730; cfr. Jourdain, Mémoire, p. 414. Che anche Kaynerius avesse danneggiato i Veneziani, cfr. Libri Commemoriali, I, 85. 141 Stella, 1020 e sgg. 142 Le livre de Marco Polo, I, p. 43 e sgg. 143 Annali, 335 [V, 124]; cfr. Heyd, II, p. 140 e sgg., etc. — 302 — Capitolo secondo Il terzo doppio capitanato Forma della costituzione 1299-1305: il Podestà. - L'Abbas Populi. - Anziani e Consiglio Generale. - Commissioni, gli Odo super robariis. - Gli Octo sapientes mercancie. ■ Riforma delle finanze del 1303. - Lotta fra Spinola e Doria. - Elezione dei Capitani. - Loro attribuzioni. - Carattere del loro reggimento. - Accresciuta importanza del Popolo; Opicino Spinola. Dopo il licenziamento dei Capitani Corrado Spinola e Lamba Doria, la costituzione vigente prima della loro nomina era sostanzialmente ritornata in vigore, soltanto venne soppressa la superflua carica del Capitaneus Populi . Alla testa della repubblica stava il Podestà2, sempre forestiero e mutabile annualmente3; la sede del suo ufficio era nel palazzo del Comune4, il suo onorario importava 1200 lire5; come prima vi erano giudici6 1 Cfr. sopra, p. 254 e sgg. 2 II titolo è potestas Comunis (Janue): v. L.J., II, 405, 423, etc.; cfr. sopra, p. 200. 3 In Stella, 1015, 1019 e sgg., sono indicati i nomi dei Podestà dal 1300 al 1303, dei quali abbiamo notizia dai documenti: del 1300 in L.J., II, 405; App. 6, nr. 4, c. 167 v.; del 1301 in L.J., II, 423, 435 etc.; del 1303 in Cuneo, p. 259; cfr. sopra, libro VI, cap. I, n. 18. Non risulta chi sia stato Podestà nel 1304; nel 1305 figurano (Germain, I, p. 408) Beltranus de Ficieriis da Bergamo; lo stesso in Libri Commemoriali, I, 52. 4 V. L.J., II, 425: actum Janue in palatio... comunis, in quo habitat d. potestas, etc. Riguardo all’acquisto del palazzo, cfr. Annali, 336 [V, 127]. 5 Cuneo, p. 269. Il Podestà riceve inoltre per il salario di 20 servientes (40 soldi al mese per ogni uomo, ridotti nel 1303 a 30 soldi) 480 lire, poi 360; lo stipendio è quindi, in totale, maggiore di prima: cfr. Caro, Verf. Gen., p. 36. 6 Cfr. ibid., p. 44 e sgg. e sopra, vol. I, p. 382. Il numero dei giudici appare essere di tre come negli anni sessanta: v. Annali, 250, 255, 259 [IV, 67, 84, 99], almeno non ne risultano di più per un anno; il 26 aprile 1300 (App. 6, nr. 4, c. 169) ne compaiono tre contemporaneamente per la consegna di un parere legale. L’attività più accertabile dei giudici è quella giudiziaria, però troviamo anche (cfr. invece sopra, vol. I, p. 244) che un iudex et vicarius del Podestà tenne Consiglio in sua vece (v. Cuneo, p. 259, doc. del 15 aprile 1303; cfr. anche sopra, libro V, cap. V, n. 64) o che almeno diresse la votazione: v. Cuneo, pp. 268 e 285, verbale del Consiglio del 1° aprile 1303. - 303 - Libro VI - Cap. secondo e milites7 al suo seguito; il numero degli impiegati subalterni era in ogni caso considerevole8. L’influenza personale del Podestà nella direzione dello Stato era però quasi ancor minore che prima del 1296; si perdeva completamente nell’ombra. Per quanto vaste fossero le attribuzioni della carica, gli statuti prescrivevano9 con meticolosa precisione il modo di svolgerle e, abbastanza regolarmente si trovano, in chiusa di ogni loro singolo capitolo, le multe nelle quali il Podestà cadeva, ove dal sindacato fosse stato provato che egli non si era strettamente attenuto 7 Troviamo un miles del Podestà (cfr. sopra, vol. I, p. 397, e di nuovo il 29 marzo 1292: L.J., II, 275) come testimonio; inoltre il 17 aprile 1296 e il 4 dicembre: App. 3, nr. 26, cc. 40 e 68. Uno dei milites appare applicato negli affari finanziari, come negli anni sessanta: Annali, 250, 255, e 259 [IV, 67, 84, 99], e così come un miles dei Capitani (App. 3, nr. 27, c. 47) il 31 gennaio 1276, nell’istituzione delle collette e mutui: v. Cuneo, pp. 270 e 273. 8 Oltre ai 20 servientes (cfr. sopra, n. 5), altri 20 dei servientes dell’Abate che quest’ultimo doveva cedere al Podestà (Cuneo, p. 269) ed inoltre 35 executores (diminuiti a 20 nel 1303): ibid., p. 273. Degli scribi sive canzellerii d. potestatis non è indicato il numero in Cuneo, p. 274. 9 Ciò si vede particolarmente bene in uno statuto de riperia in trunquilitate et pace conservanda, inserto in un documento del 9 giugno 1305 (App- 3, nr. 21, c. 215 ; cfr. Rossi, Statuti, pp. 70-71): Il Podestà, entro un mese dalla sua entrata in carica, deve proibire quod aliqua comunitas seu universitas alicuius civitatis ve loci vel aliquis marchio, comes, castellanus, dominus vel aliquis alius iurisditionem habens in aliquo loco a Corvo usque Monachum et a iugo versus mare non vadat ve ire faciat sive ire permittat seu patiatur homines sue iurisditionis.. ■ tnanu armata contra aliquam comunitatem ... vel aliquem marchionem, comitem, castellanum ■ ■ • seu in territorium alicuius ex predictis, salvo un ordine specifico del Podestà, Abate, Anziani e Consiglio generale. In caso di infrazione al divieto, il Podestà, entro otto giorni dalla notizia, deve citare il contravventore per lettera a comparire dinanzi a lui entro 7 giorni. A comparsa avvenuta, il Podestà deve farsi dare garanzia fino a 1000 lire, et subsequenter procedam (se. ego potestas) ad cognitionem veritatis; per il colpevole era prevista una multa da 500 a 1000 lire, oltre al risarcimento dei danni. In caso contrario, egli veniva esiliato entro 15 giorni dallo spirare del termine di comparizione; il Podestà deve inoltre prestare aiuto dampnum passo contra contrafacientem, si videbitur et prout videbitur consilio maiori et ancianorum, quod post dictam fo-restationem propter hoc specialiter infra dies 8 faciam congregari. Seguono disposizioni sul modo di far conoscere annualmente lo statuto nelle riviere. Il Podestà è tenuto ad osservarlo alla lettera, non obstante aliquo capitulo generali vel speciali, anche se in uno di essi vi fosse stato aliquo alio capitulo non obstante; alioquin (debet) sindicari in libris 1000 Jan. — 304 — Il terzo doppio capitanato alle disposizioni statutarie I0. Il giuramento che egli prestava nell’assumere la carica circa l’osservanza degli statuti11 era diventato l’atto determinante della sua posizione. Mentre i Capitani potevano governare secondo il loro criterio n, il Podestà veniva obbligato a mantenersi vincolato alle norme prescrittegli e tenuto responsabile di fronte al Comune della loro esecuzione. A lui incombeva soltanto il compito di eseguire quello che altri avevano deciso; alla sua opinione era quindi accordato un campo assolutamente ristretto. Tale situazione rispondeva perfettamente alle esigenze dell’amministrazione della giustizia. Il Podestà ed i suoi giudici giudicavano a norma delle leggi vigenti, cioè secondo gli statuti della città, salvo che per i casi non previsti, nei quali dovevano applicare il diritto romano 13; in tal modo era garantita la sicurezza giuridica di ogni singolo cittadino, circostanza che già al tempo del primo doppio capitanato aveva contribuito decisamente alla restaurazione della carica del PodestàI4. Se il principio della separazione del potere esecutivo da quello giudiziario, allora già tanto progredito, venne di nuovo impedito, la ragione fu perchè i Capitani non riuscivano a mantenersi al potere durevolmente. Ogni qual volta essi si ritiravano dalla direzione degli affari dello Stato, si ricadeva interamente nelle mani d’un Podestà. Tuttavia l’esercizio delle funzioni giurisdizionali rimaneva sempre il suo compito più alto; soltanto in questo egli agiva da solo, mentre nella sua qualità di capo del Comune, anche dopo il licenziamento dei Capitani, PAbate del popolo stava al suo stesso livello e le decisioni relative venivano prese dai diversi Consigli. La posizione del capo dei popolari15 si era comunque innalzata alla fine del secondo doppio capitanato. L’Abate disponeva di un seguito di 10 Cfr. Statuti di Pera, 695 e sgg. 11 Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 36. Il giuramento è citato in Cuneo, p. 262. 12 Cfr. sopra, vol. I, p. 261 e sgg. 13 Cfr. sopra, libro V, cap. V, n. 5. Il legitime et secundum bonos mores ipsius civitatis come fondamento per 1’amministrazione della giustizia si trova già nel privilegio di Federico I: L.J., I, 208; cfr. sopra, vol. I, p. 260, n. 56; alla stessa maniera anche i preposti di colonia dovevano esercitare la loro attività giurisdizionale; Statuti di Pera, 767. La separazione delle competenze fra il Podestà ed i suoi giudici da una parte ed i consules pro placitis dall’altra parte rimase in sostanza la stessa come prima del 1257. 14 Cfr. sopra, vol. I, p. 384. 15 Cfr. sopra, pp. 200 e sgg. e 211 e sgg. - 305 - 20 Libro VI - Cap. secondo 100 servientes16 e abitava in un palazzo del Comune17 per il tempo della sua carica che era assai breve18. Egli prendeva sempre parte alle sedute degli Anziani e del Consiglio 19, alle cui decisioni dava il suo assenso20. Nelle lettere spedite dal Comune ed in quelle ad esso dirette, il suo nome figurava accanto a quello del Podestà21 ; gli impegni che il Comune assumeva erano sempre giurati anche in suo nome22. Non vi è comunque dubbio alcuno che il rappresentante del Popolo non avesse conseguito la reggenza in comune dello Stato 23. Nominalmente il Podestà gli stava al di sopra, ma di fatto lAbate aveva maggiore influenza, poiché egli, come persona del paese e in quanto rappresentante del Popolo, poteva influire sul merito delle decisioni ben di più del forestiero, il quale si occupava soltanto della parte formale nella trattazione degli affari. Questo fenomeno si manifesta chiaramente nella procedura del Consiglio degli An- 16 Questo numero è fissato nel 1303 (Cuneo, p. 272); vi sono compresi domicela et tota familia abbatis; in precedenza questo numero sembra fosse ancora superiore. V. L J., II, 363 e sgg. e 435. Il palazzo è diverso da quello del Podestà (App. 1, nr. 3, c. 149): in palatio d. potestatis vel d. abbatis vel in capitulo; cfr. oltre, n. 74. 18 Nell’anno 1303 troviamo tre diversi Abati: il 15 aprile, Nicolaus de Goano (Cuneo, pp. 264 e 259); il 17 maggio, Saladus Cultellerius (App. 2, nr. 98), il 23 ottobre, Enricus de Savignono notaro (Fol. Not., Ili, 2, c. 369). La durata della carica poteva dunque essere al massimo di quattro mesi, ma probabilmente anche solo della metà; nel 1299 troviamo il 18 maggio (v. L.J., II, 353, 355 etc., in relazione con ibtd., 346) e il 10 giugno (ibid., 369) più Abati: Isembardus de Monleone e Nicho-laus Ferrarius, quest’ultimo ancora il 31 luglio (ibid., 393); invece il 18 agosto David de Fossato: v. sopra, libro V, cap. V, n. 64. 19 V. L. /., II, 423; Cuneo, p. 264 etc. 20 La forma è ora (App. 2, nr. 98, 17 maggio 1303): potestas comunis Janue, in presenta et voluntate... abbatis populi et antianorum et consiliariorum consilii generalis ... nec non ipsi abbas, antiani, et consiliarii auctoritate ed decreto dicti d. potestatis nomine et vice comunis Janue et prò ipso comuni... constituunt... sindicos. 21 Libri Commemoriali, I, 52, 6 maggio 1305; App. 6, nr. 4, c. 168 v., 6 aprile 1300; L.J., II, 365, 28 giugno 1300; cfr. sopra, libro V, cap. IX, nn. 11 e 55. 22 Così nella pace con Carlo II: L.J., II, 434. 23 ^r- L-J; II, 413 e 433. Gli esiliati che ritornavano etc. dovevano giurare di osservare ... precepta potestatis comunis, abbatis populi et cuiuslibet alterius rectoris seu rectorum, qui pro tempore fuerunt in civitate Janue. — 306 — Il terzo doppio capitanato ziani. Il Podestà tiene le sedute, presenta le proposte24 e dirige anche le votazioni25; prima però di mettere le proposte in discussione, queste devono essere esaminate da una commissione di sei Anziani, alla cui testa sta 1 Abate26. Alle sedute questi non è un semplice spettatore, ma esprime la sua opinione, appunto come gli Anziani stessi27. Il rapporto fra gli Anziani ed il Consiglio Generale rimase comunque analogo a quello dal 1290 in poi28. I primi formavano il Consiglio Minore del Comune, che sbrigava da sè solo alcuni affari79, mentre altri venivano definiti in comune con il Consiglio Maggiore30. Il rafforzamento di questo consesso mediante aggiunti, inviati in numero variabile secondo le particolarità del caso, risulta fosse entrato di nuovo in uso31. Anche il Consiglio Generale era retto dal Podestà o dal suo Vicario02, le pro- 24 Statuti di Vera, 765, 16 marzo 1304: d. potestas Janue, in presentia d. abbatis populi rexit consilium antianorum per campanam more solito congregatorum. Quid placet fieri super postis infrascriptis... 25 Ciò avviene almeno quando gli Anziani e il Consiglio si adunano insieme: App. 1, nr. 5, c. 215 v., 13 marzo (1304). Quanto agli Anziani da soli, l’estratto del verbale è indeterminato: Statuti di Pera, 765 (16 marzo 1304), super quibus omnibus examinatis vocibus singulorum de ipso consilio fuit summa dicti conscilii (cioè quella richiesta); del tutto simile App. 1, nr. 5, c. 215, 11 marzo (1304). Già in precedenza si usava procedere a votazione formale a mezzo di pietre; v. sopra, vol. I, p. 391, n. 76. 26 Statuti di Pera, 765; segue dopo super postis infrascriptis (cfr. sopra, n. 24) prius examinatis per d. abbatem et sex antianos examinatores postarum-, l’espressione del verbale è analoga: App. 1, nr. 5, 1. c. 27 Statuti di Pera, I. c. (manca la chiusa) secundum conscilium d. abbatis qui consulit ut infra continetur. 28 Cfr. sopra, pp. 201 e sgg. e 211. 29 App. 3, nr. 22 a, c. 35; nel documento del 9 aprile 1300 è fatta menzione che d. Faba de Arnoldis, gerens vices d. Jacobi de Modoetia, civis Mediolanensis, janue consulis de iusticia deversus civitatem absentis, era stato insediato loco dicti consulis per conscilium ancianorum, prout dicitur contineri in actis d. potestatis. Ibid., c. 68 v., nel documento del 14 giugno 1300 è detto che la vendita di stabili aveva luogo de voluntate dd. potestatis, abbatis et ancianorum. 30 Cuneo, pp. 259, 264 etc. 31 L.]., II, 423. Alla seduta del 1° aprile 1303 (Cuneo, pp. 264, 268), sono chiamati come aggiunti 20 sapientes per ogni compagna. 32 Ibid.: potestas... rexit consilium maius et ancianorum e degli aggiunti; cfr. sopra, nn. 6 e 25. - 307 - Libro VI - Cap. secondo poste erano analogamente soggette ad uno speciale esame33, e quanto alla votazione, per la quale troviamo l’uso occasionale di pietre34, vi erano due examinatores consilii*. Si può ragionevolmente dubitare se al Consiglio Generale si tenessero ancora lunghi dibattiti. La profonda preparazione delle proposte doveva servire già a chiarire le varie opinioni prima della seduta decisiva; notiamo ancora che spesso, come per il passato36, 1 elaborazione di progetti di provvedimenti di maggiore importanza veniva affidata a speciali commissioni, il cui tractatus veniva poi accettato con lievi modifiche31. ' Cuneo, pp. 264, 268 e sgg.; nella proposta del verbale di Consiglio del 1° aprile si ha: quid placet fieri super postis infrascriptis prius examinatis secundum formam capituli, ibid., 286: in un’altra proposta del medesimo giorno e menzione di argomenti da trattare, prius esaminatis per d. abbatem et sex ancianos examinatores postarum secundum formam capituli. Analogamente, App. 1, nr. 5, c. 215«»., 13 marzo 304). proposte al consilium maius et ancianorum esaminate da d. abbatem et 6 ancianos examinatores postarum secundum formam capituli. Invece nel documento del 15 aprile 1303, in un passo tralasciato da Cuneo (App. 1, nr. 3, c. 128) sono indicati 1 nomi di 8 sapientes e di 2 iudices che confermemente agli statuti (cfr. anche le cita- zioni i uneo, p. 259) devono esaminare formalmente l’istrumento priusquam ad c°nst^unl' poneretur. Tale formalità dell’esame preventivo doveva aver sostituito quello dei Capitani, Abate e 8 consiliarii (cfr. sopra, p. 212); l’esame successivo, invece, appare identico a quello risultante nel documento che conteneva la decisione del Consiglio (cfr. sopra, vol. I, pp. 245 e sgg. e 270, n. 87); il documento del 15 aprile risulta compilato (in minuta) in base alla decisione del 1° aprile, indi esaminato, pre-ntato (il 15 aprile) al Consiglio, accettato e redatto in via definitiva. 7 7/-34 A,lP' X> 3’ CC 130 e 148 (cfr- CuNE0> P- 260> 10 aPrile 1303: 6t dùtÌS tapiUis albis et nigris per ancianos et consiliarios, et vocatis ancianis et consiliariis singillatim secundum formam capituli, utrum eis placeret, de quo fit mentio in dicto tractatu, an ne, numeratis ipsis lapillis inventi fuerunt albi numero 185 ed nigri , quindi votazione segreta alla quale gli aggiunti (20 per ogni compagna = 160) evidentemente non avevano preso parte; invece, App. 6, nr. 3, c. 42, 16 marzo 1306 (c r. oltre): data partita per d. vicarium d. potestatis ad levandum et sedendum fuit summa dicti conscilii... Formalità caratteristica della votazione era comunque l’in- chiesta (cfr. Caro, Verf. Gen., p. 31) la quale anche secondo App. 1, nr. 3, 1. c„ pre- cedeva lo scrutinio. 35 Risuitano in Cuneo, p. 285; App. 1, nr. 3, 1. c.; nr. 5, c. 215 v.; cfr. sopra, libro V, cap. V, n. 64 e vol. I, p. 245, n. 10. Il loro compito sembra fosse quello di contare i voti; cfr. anche Donniges, Ac ta Henrici VU, I, p. 191. 36 Cfr. sopra, vol. I, p. 272, n. 90; II, p. 202. 37 Così per le riforme finanziarie del 1303, cfr. oltre. Alle parole tenor quorum a SSt In CuNE0’ P- 264’ se®ue App. 1, nr. 3, c. 120».: Manuel Zacharias, Bertho- — 308 — Il terzo doppio capitanato Tali commissioni ebbero spesso attribuzioni talvolta estese, autonome e di lunga durata38. Se ora nell’anno 1301 vennero istituiti non meno di cinque nuovi uffici39, le rispettive denominazioni dimostrano come si trattasse di commissioni straordinarie, a cui era stata assegnata una certa materia in via permanente. Dopo il licenziamento dei Capitani e la fine della guerra con Venezia, si era mostrato vivo il bisogno di ristabilire l’ordine nello Stato fortemente scosso. Il Podestà forestiero poteva e doveva governare nell’ambito delle vigenti disposizioni statutarie; per controllare continuamente l’amministrazione, prendere nuove opportune misure, togliere ai Consigli ordinari una parte del peso degli affari, furono appunto create queste commissioni, la maggior parte delle quali ebbe certamente breve vita. Le sole notizie che ne fanno supporre un’esistenza duratura si hanno in riferimento agli Octo super raubariis ed agli Octo sapientes mercan-tie. I primi che, evidentemente, si identificano con YOfficium de robarùs 40, dovevano occuparsi della punizione degli atti di violenza commessi dai Genovesi41. Le loro funzioni erano quindi essenzialmente dirette contro la pirateria ed alla restituzione dei beni ai danneggiati che presentassero loro reclamo 42, ovvero al risarcimento con i beni del colpevole. Trattandosi di funzione sottratta alle autorità ordinarie ed affidata ad una com- linus de Vultabio (e 8 altri) electi per consilium ancianorum die 5 decem, proxime preteriti, et Vasallus Cazanus, Ingo de Volta (e 12 altri) secundo electi per consilium ancianorum die 8 febr. proxime preteriti, tractaverunt super infrascriptis... 38 Così il consiglio di guerra, la credentia (cfr. sopra, pp. 21, 144 e sgg., 201) e i 18 sapientes super reformatione et bono statu civitatis Janue, riparie et districtus: L.J., II, 305; cfr. sopra, p. 204 e sgg. 39 L.J., II, 423 (29 aprile 1301): al Consiglio generale presero parte reformatores populi, duodecim sapientes constituti super expendenda comunis pecunia, octo sapientes mercantie, sapientes constituti super negotiis civitatis, octo constituti super raubariis. 40 Cfr. la descrizione dell’attività di questo ufficio in Mas Latrie, L'« Officium Robarie », p. 271 e sgg. 41 Les Olim, III, p. 342 e sgg.: octo viri deputati super facto roberiarum restituendarum et emendandarum violenciarum per homines Janue eiusque territorii seu districtus factarum et illatarum. 42 Le modalità descritte in Mas Latrie, L’« Officium Robarie », 1. c., circa denunce segrete erano in uso già da tempo a Genova; cfr. sopra, vol. I, p. 89, n. 30 e II, libro V, capo V, n. 30; dall’iscrizione citata in Mas Latrie, L’« Officium Robarie », p. 269, è difficile dedurre che l’ufficio fosse in attività già prima del 1299. - 309 - Libro VI - Cap. secondo missione speciale con vaste attribuzioni43, si otteneva una semplificazione ed un acceleramento della procedura contro i pirati genovesi, cosicché specie la soddisfazione dei reclami avanzati dagli stranieri, era circostanza che doveva assai bene contribuire a garantire i rapporti commerciali contro rappresaglie44. In un certo senso pare che la fusione opposta spettasse a sua volta all’ufficio di mercanzia; quanto meno esso prendeva parte alla nomina degli ambasciatori del Comune che accompagnavano i Genovesi che dovevano presentare reclami presso nazioni estere per risarcimento di danni43; ma soprattutto esso aveva competenze in materia di concessione 43 I Capitani del 1306, secondo lo statuto relativo alle loro attribuzioni, (App. 3, nr. 25, c. 63; cfr. oltre) potevano revocare i provvedimenti di esilio, meno quelli fatti occasione debiti seu officii raubarie. Bandi furono decretati dal Podestà dietro istanza dell 'officium raubarie. Secondo Mas Latrie, « L’Officium Robarie », p. 272, 1 ufficio esplicava assai rigidamente le sue funzioni, senza ammettere alcuna eccezione; ciò non di meno, in Les Olim, III, p. 342 e sgg., è cenno di vane rimostranze agli otto. 44 Ciò si rileva dalla relazione in Mas Latrie, 1. c. La pericolosità dell ufficio, secondo l’opinione dello scrittore ecclesiastico, consisteva nel fatto che quelli che fermavano le navi in viaggio per Alessandria erano considerati come pirati e cos'1’ 3 causa del conseguente procedimento contro di essi, veniva impedita l’esecuzione e divieto papale contro il commercio con l’Egitto; cfr. oltre, cap. V. A conflitti sorti a seguito dell’attività dell’ufficio, si riferisce l’estratto del doc. del 2 giugno 1310 (App-5, nr. 23, V, 2, p. 484): Porchetus archiepiscopus Janue, respondendo cuidam e nuntiationi... nunc eidem facto per... sapientes constitutos super officium de ro a riis, dixit quod paratus est... dare ... copiam litterarum papalium ■ ■ ■ super facto passagli concessarum magistro hospitalis S. Johannis Jerosolimitani. Inoltre in un o cumento dei 27 febbraio 1311 (App. 5, nr. 10, vol. 2), l’arcivescovo Porchetto, m esecuzione di un incarico affidatogli dai cardinali Berengario (vescovo di Tusculum e Pietro (de Columna), ordina di custodire una somma di denaro (3200 lire) ricavata dalla vendita di pepe da un genovese, il quale captum fuit.. super galea Anconitarum, in qua oneratum extiterat ex quadam navi de Alexandria redeunte, et Januam c latum da tre Genovesi e ciò finche non fosse stata decisa la causa pendente davanti alla Curia romana fra quei tre Genovesi, da una parte, e gli officiales officii robarie no mine comunis Janue seu ipsum comune, dall’altra parte. 45 II nunzio del Comune a Carlo II (cfr. sopra, p. 286) investito dell’incarico dal Comune stesso con l’approvazione degli octo sapientum constitutorum super facto mercancie-, App. 2, nr. 97. Il medesimo (Thomas de Domoculta, executor comunis Janue) nel 1307 è a Pisa con analogo incarico, deputatus et electus per sapientes mer-chancie secundum formam capituli-. App. 3, nr. 18 b, c. 9. Nelle lettere con le quali il Comune talvolta avanzava le richieste non sono nominati gli otto. Nel 1294 un nunzio a Gaeta si rifece, quanto al suo incarico, soltanto agli atti della Curia del Podestà di — 310 — Il terzo doppio capitanato ai Genovesi del diritto di rappresaglia46. La competenza degli Otto, come indica la loro stessa denominazione47, era peraltro ben più vasta; così essi nel 1304 avevano predisposto, con la collaborazione di altri Sapientes, le norme relative alle funzioni delle autorità di colonia, il quale tractatus, da essi redatto, fu poi presentato per l’approvazione agli Anziani, i quali apportarono una modificazione48. Nei Tractatores mercantie si può scorgere un piccolo consiglio, simile alla Credentia49, che istruiva le pratiche attinenti al commercio, prima di passarle alla decisione dell’autorità centrale, o che, in certi casi, decideva anche indipendentemente da essa. La ben calcolata intenzione di rendere possibile, attraverso la divisione delle incombenze, un opportuno mezzo per il miglior disbrigo degli affari, si appalesa attraverso la istituzione dei nuovi uffici. Dobbiamo fissare l’epoca delle principali riforme interne negli anni di pace, di cui Genova godette al principio del XIV secolo. Se per la suprema direzione dello Stato si continuò a seguire forme già precedentemente perfezionate, invece, quanto ai singoli rami dell’amministrazione, furono creati nuovi organi e modificate le competenze di quelli antichi conformemente alle necessità dei tempi; ciò è provato anzitutto dalle riforme finanziarie del 1303. Genova: App. 3, nr. 11, c. 65 v. Schaube, Das Kons. des Meeres in Genua, p. 507, osserva con ragione che i sapientes mercande nulla avevano a che fare con i consules maris. 46 II 1° agosto 1304 (estratto del documento in Del Vecchio e Casanova, Rappresaglie, p. 221) in Firenze, un plenipotenziario ricevette l’incarico di presentarsi dinanzi al Podestà, Capitano (!), Abate e qualunque altro «ufficiale della mercanzia e delle arti di Genova » per protestare contro domande di concessione di rappresaglie che vi potessero essere state avanzate. Nel marzo 1311 (Germain, I, p. 426 e sgg.) un inviato di Montpellier, che domandava l’annullamento di rappresaglie e di nuove imposte, fu rinviato dall'autorità centrale genovese (Podestà e Governatori) davanti all’ufficio per il commercio. Questo si rifiutò di occuparsi dell’affare, ma, come sembra, per un difetto di forma; le lettere di presentazione dell’inviato del re di Francia erano dirette soltanto al Podestà, Consiglio e Comune di Genova, mentre gli Otto neppure vi venivano nominati. 47 V. sopra, n. 45 e Germain, I, p. 431: octo sapientes sive tractatores mercande per... comune Janue deputati. 48 V. Statuti di Pera, 765 e sgg. 49 Cfr. sopra, libro V, cap. I, n. 54; anche la Credenza poteva essere integrata con aggiunti; v. Annali, 331 [V, 114]. - 311 - Libro VI - Cap. secondo Per quanto considerevoli fossero le entrate ordinarie annue del Comune in dazi e simili50, ancora prima dello scoppio della guerra con Venezia esso era stato obbligato a introdurre imposte dirette straordinarie51, mentre a causa delle enormi somme che questa guerra aveva ingoiato52 il debito pubblico era aumentato nella maniera più minacciosa. Esso consisteva: in parte di prestiti forzosi, cioè mutui53, alla cui restituzione 50 Annali, 354 [V, 172-173], per il 1293: Colligebantur... a navigantibus euntibus et redeuntibus denarii 4 pro libra, qui in dicto anno fuerunt venditi pro uno anno tantum in publica callega libris 49000 et plus. Redditus etiam communis }anue et pedagia et alie callege fuerunt vendite dicto anno in publica callega, dictis denariis quatuor computatis, libris 110000, sine eo quod per comune Janue singulis annis percipitur de venditione salis, quod est librarum 30000 et plus. I denarii 4 pro libra (1 e 2/3 %) del valore delle merci importate ed esportate per mare stanno in ogni caso in luogo della collecta maris; cfr. Caro, Verf. Gen., p. 61. (E’ pure fatta menzione di duo denarii maris, - 1274, App. 1, nr. 5, c. 254 v. - il cui incasso annuo è valutato in 6000 lire nonché di denarii tres maris, nel 1303: Cuneo, p- 264). Per il monopolio del sale, cfr. ibid., p. 62; per le altre fonti di entrata, cfr. ibid., P- 61 e sgg., queste venivano appaltate, cioè vendute pubblicamente (callega) soltanto ancora per un anno, non più cioè come prima del divieto del Boccanegra (cfr. sopra, vol. I, P-94) per un tempo più lungo. 51 Annali, 353 [V, 169], per il 1293: ordinatum fuit quod omnes homines ]anue intus et extra solverent de cetero usque ad guerram finitam solidos decem pro 4U0 libet capite et ultra solidos tres per centenarium de suo dispendio, ita quod alicui pervenire ultra libras sex non posset. Trattasi quindi di una tassa personale co e gata con un’altra dello 0,15 % sui beni, simile alla collecta (cfr. Caro, Verf. Gen., p. 60), la quale però, come è detto sopra, aveva un limite massimo: cfr. anc e Heyck, p. 175. 52 Cfr. sopra, libro V, cap. IV, n. 63. 53 Attraverso la vendita di case etc. (Fol. Not., I, cc. 295 v., 543 v. etc.) appaiono con regolarità i mutui accanto alle collette e avarie fra gli oneri comunali che i compratore promette di assumere a proprio carico. Mutuum unum de sol. 40 prò cen tenario (Cuneo, p. 288) significa un prestito forzoso del 2 % sul valore tassabile dei beni (centenario va completato con librarum). I dubbi contro tale interpretazione (Caro, Verf. Gen., pp. 61 e 154) sono eliminati da un documento del 1251 (Fol. Not-, 1> c. 431 v.)\ Ego Obertus Tabacus confiteor tibi Nicoloso Calvo bancherio, quod prò me solvisti consulibus maris pro comuni janue l. 6,10 (!) Janue in mutuo sol. 40 Janue prò centenario de tempore d. Menabovis de Turricella potestatis Janue, et que sunt de illis l. 15 Janue, quas solvere debes comuni Janue prò prestationibus et oneribus comuni Janue prestandis ac dandis pro l. 310 Janue mobilis, pro quibus expendo in comune Janue, et que scripte sunt super me ad expendendum in comune Janue, et que descripte fuerunt desuper Lanfrancum Buccam occasione pretii domus, quam dictus Lanfrancus emit a me Oberto, et que l. 15 deposite fuerunt penes te ad — 312 — Il terzo doppio capitanato spettava di provvedere54 aÌYOfficium assignationis mutuorum5S; in parte di prestiti volontari ad interesse fisso, cioè compere56. Evidentemente la restituzione dei mutui andava a rilento, mentre l’importo di pa- prestandum comuni Janue pro mutuis et prestationibus prò futuro tempore pro dictis l. 310 etc. Il 2 % di 310 lire darebbe soltanto 6 lire e 4 (non 10) soldi; ad ogni modo, il documento mostra chiaramente il carattere forzoso del mutuo. La restituzione del mutuo doveva comunque aver luogo nel più breve tempo possibile; che fosse in uso il pagamento d’interessi (alla fine del XIII secolo), risulta quando il capitale veniva restituito maggiorato degli interessi maturati; ciò spiega perchè Cuneo, p. 286, parli di capitale ed interessi, mentre un pagamento trimestrale d’interessi ai creditori (ibid.t p. 288), viene designato come conseguire ad modum compere (cfr. oltre). 54 La più antica menzione dell’ufficio che mi consti è in L.J., I, 1463, 22 marzo 1278; inoltre Fol. Not., I, c. 247 (13 marzo 1292): Ansaldus Mazuccus e Willielmus Pillavicinus comperano nomine comunis Janue et officii assignationis mutuorum pro comuni et de pecunia dicti officii due case in Genova, etc. Nell’anno 1303 esistevano l’ufficio dei Duo super officium assignationis mutuorum (Cuneo, p. 270), in ogni caso identificabile con i consules off. ass. mut. menzionati il 6 febbraio 1303 (Fol. Not., Ili, 2, c. 361 v.) e i 15 executores: Cuneo, p. 273. 55 Assignatio rappresenta la destinazione del ricavo di dazi (talvolta appaltati per un solo anno) e di altre entrate del Comune (appaltate per un tempo più lungo) per scopi determinati. La destinazione al fine di restituzione di mutui è già accertabile negli anni settanta. Fol. Not., II, c. 131 v. (22 maggio 1274): Antonius de Volta... fatetur Viridi mairi sue se ab ea habuisse l. 16, pro quibus ei vendit l. 16, quas habet in mutuo sol. 40 prò centenario facto in civitate Janue anno 1273 de mense Junii, in quo assignatum est totum (! tolta) grani usque ad annos sex proxime venturos, ut continetur in cartulario comunis. Inoltre, nel documento del 18 luglio 1274 è fatta menzione che deW'introytus carni et casei... quarta pars sit assignata mutuis. Dal nome dunque si può stabilire il compito dell 'Officium assignationis mutuorum. In statuti (App. 1, nr. 5, c. 220 e sgg.) sono menzionate disposizioni del 27 maggio 1297 (documento del 3 giugno), che riguardano YOfficium assignationis mutuorum, la restituzione dei mutui e l’impiego, cioè l’assegnazione di entrate; come pure (ibid., c. 222) un convegno fra i consoli dell’ufficio ed il governo (Podestà, sapientes, credentia, gubernatores (!) e consiliarii) del 22 ottobre 1300 (?). 56 Prestiti volontari, il pagamento dei cui interessi viene stabilito in modo certo in una determinata misura a mezzo di assegnazioni; i relativi interessi vengono pagati per contanti (trimestralmente), mentre per il loro ammortamento non è fissato un termine più o meno lontano; in questo senso si devono intendere le compere a quel tempo. Per quanto riguarda l’origine di questa forma di prestito, diremo che essa fu inizialmente introdotta per il pagamento dell’interesse fisso (8 % annuo) sul debito pubblico istituito dal Boccanegra; cfr. sopra, vol. I, p. 96. Affinchè il pagamento degli interessi avesse luogo regolarmente, nel 1274 vennero assegnati (documento del 18 luglio, in App. 1, nr. 5, cc. 253 v. e sgg., 271 e sgg.; cfr. sopra, vol. I, p. 349, n. 39) il ricavo di soldi 6 sul prezzo di vendita della mina salis (stimato circa 15000 - 313 - Libro VI - Cap. secondo recchie compere era sensibilmente aumentato. Così, il 15 aprile 1303 57, dopo una profonda preparazione58, venne attuata una riforma finanziaria che, a somiglianza di quella del Boccanegra59, aveva in certo senso tutte le caratteristiche di un fallimento dello Stato. All 'Officium assignationis vennero assegnati i proventi di un certo numero di entrate del Comune60. Ma prima di ciò si dovevano rimborsare, nel corso di quattro anni calcolati dal 1° febbraio 1304, le compere all’interesse del 10 % (la compera di 200000 lire amministrata da Jacopo Simeone ed altre asse- lire annue), dei duo denarii maris (circa 6000 lire) ed altre entrate. L’ammontare totale del debito è dato nel documento in 317054 lire, da cui devono dedursi 12363 lire appartenenti al Comune e ad esiliati; per il pagamento degli interessi sulle residue 304691 lire erano necessarie 24375 lire e 4 soldi (però il valore stimato del ricavo totale dalle assegnazioni e non di poco superiore). La designazione di questo debito semplicemente come compere salis (così nel documento del 1274 e più volte in vendite di quote: Fol. Not., II, c. 167, 2 gennaio 1298; ibid., Ili, 2, c. 351 v„ 10 febbra- io 1302, etc.) trae origine dal fatto che esse erano nate per la massima parte dalla vendita (proibita definitivamente dal 1259) di partecipazioni ai redditi del monopolio del sale (cfr. sopra, vol. I, p. 97, n. 68) e che per il pagamento degli interessi si ricorreva essenzialmente ad esse. Seguendo l’esempio già esistente, vennero poi emessi vari prestiti volontari, per il pagamento dei cui interessi furono fin dall inizio assegnati i ricavi di determinate entrate, come si vede dal modo di procedere seguito nel 1307; v. oltre. Prima del 1303 troviamo accertate come compere: quella di Jacopo Symeon, capitale base 25000 lire (v. sopra, libro V, cap. V, n. 62); compera di 100000 lire (Fol. Not., II, c. 161, 14 marzo 1287); compera di 200000 lire (ibid., c. 168, 16 gennaio 1298); comperra di 10000 lire (App. 3, nr. 22 a, c. 38, 10 aprile 1300); compera di 15000 lire (ibid., c. 48, 29 aprile 1300) etc. Il prestito del 1263 (Belgrano, Cinque docc., p. 229 e sgg.) si deve considerare (in contrasto con la spiegazione data da Caro, Verf. Gen., p. 154 e sgg.) come un misto fra mutuum e compera, che differiva da quest’ultima (allora non ancora definitivamente perfezionata), perche venne istituito come un mutuum di soldi 40 per centenarium (a guisa di prestito forzoso) e perchè non era garantito alcun interesse fisso; differiva invece dal puro mutuo, perchè le entrate ad esso assegnate non servivano per la restituzione del capitale ai creditori. Una notizia riguardo alla vendita di un mezzo locus (50 lire) in denariis duobus maletolti grani per 35 lire (Fol. Not., II, c. 160, 11 marzo 1287), sembra riferirsi al prestito del 1263. 57 La decisione degli Anziani e del Consiglio del 1° aprile (v. Cuneo, p. 264, e inoltre App. 1, nr. 3, cc. 145-148, anche in App. 1, nr. 5, come pure l’elenco delle entrate assegnate: Cuneo, pp. 264-268) è inserita nell’atto di ratifica del 15 aprile (la data ibid., p. 268), nuovamente confermata con lo statuto: ibid., p. 258 e sgg. 58 Da due commissioni: v. sopra, n. 37. 59 Cfr. sopra, vol. I, p. 94 e sgg. 60 Cuneo, p. 264 e sgg. — 314 - Il terzo doppio capitanato gnate all 'Officium assignationis)61. Le somme di denaro delle quali il Comune era debitore verso i cittadini per mutui al 1° febbraio 1303 vennero iscritte in un conto62, che comprendeva anche gli interessi per ciascun creditore, che da allora doveva fruttare il 6 %; tale interesse però sarebbe stato pagabile soltanto dopo l’estinzione delle compere, quindi al più tardi dal 1° febbraio 1308; fino a quel momento sarebbe stato aggiunto al capitale; analogamente ai mutui si vollero trattare anche gli altri debiti del Comune 63. Mentre dunque le antiche compere venivano rimborsate ed i mutui venivano convertiti in una nuova compera M, il pagamento dei cui interessi riusciva più agevole provvedendosi in pari tempo ad un progressivo ammortamento65, si finì per operare una conversione dei rispettivi prestiti al 10 % in uno al 6 %, nel quale confluirono anche alcune somme il cui pagamento era rimasto sospeso. 61 Ibid., 291. Evidentemente l’ufficio, secondo disposizioni (non bene note), doveva provvedere al pagamento degli interessi. L'officium assignationis mutuorum nulla aveva a che fare con la compera salis (cfr. sopra, n. 56); questa anzi, secondo le disposizioni del 1274 (App. 1, nr. 5, c. 271 v.) era amministrata autonomamente da propri consules e da uno scriba, il cui compito era d’incassare l’importo delle assegnazioni e con questo pagare gli interessi garantiti (8 %, cioè 8 lire per ogni 100 lire, ossia per ciascun locus) ai participes comperarum salis in quattro rate trimestrali per ogni anno. I consoli e lo scriba dovevano essere eletti dai Capitani con il concorso e l’approvazione dei participes comperarum salis, da 7 a 9, ognuno dei quali doveva avere una partecipazione di almeno 10 loca; chi in un dato anno era stato console o scriba non poteva più ricoprire tale ufficio negli anni successivi. I Capitani erano tenuti a non frapporre in alcun modo ostacoli all’esercizio delle funzioni dei consoli. Se l’incasso delle entrate assegnate avesse superato l’importo degli interessi che i consoli dovevano pagare, il sopravanzo doveva essere consegnato ai duo super municione castrorum et solucione servientum a vantaggio del Comune; ove l’incasso fosse stato inferiore, il Comune doveva integrarlo. Fra le misure prese nel 1303, la compera salis non verme quindi toccata. 62 Cuneo, p. 287. Le modalità tecniche (App. 1, nr. 3, c. 147) prevedevano l’istituzione di 8 cartolari, uno per ogni compagna; tuttavia ogni creditore doveva avere il suo conto in una sola compagna. E’ aggiunto che Guglielmo di Promontorio avesse dato inizio all’impianto. Quando i cartolari erano esauriti, se ne doveva fare un secondo esemplare da conservarsi sigillato. 63 Cuneo, p. 290: i debiti verso i perdentibus de Monacho; App. 1, nr. 3, c. 145: i debiti ili officio clavigerorum tam pro salariis quam pro jeudis preteritis. 64 Che il pagamento degli interessi dovesse aver luogo ad modum compere è detto espressamente in Cuneo, p. 288; cfr. sopra, n. 53. I loca dovevano considerarsi come bona mobilia: App. 1, nr. 3, c. 147 v. 65 Cuneo, p. 292 e sgg. - 315 - Libro VI - Cap. secondo I redditi del Comune assegnati ali'Officium assignationis per lo svolgimento delle sue incombenze erano costituiti, come pare, dall’intero importo delle entrate ordinarie, per quanto queste non venissero altrimenti assegnate66. Per la copertura delle spese ordinarie si contrassero nuovi mutui, limitandone però considerevolmente il numero e l’importo 67. Dopo 1 estinzione delle compere YOfficium assignationis doveva consegnare annualmente ai Clavigeri al massimo 17900' lire, avanzo delle entrate assegnategli6S, per impiegarle nelle spese ordinarie dello Stato69; queste, in base ad un calcolo preventivo, furono poi diminuite70. Vennero pure insediati quattro Gubernatores71 per soprintendere alla contabilita dell amministrazione del monopolio del sale, come alla cura della riscossione delle multe in gran parte assegnate all 'Officium assignationis71 • Nell’anno successivo vennero prese delle misure suppletive73, dandosi all’ufficio dei 66 Anzi tutto alle compere salis: v. Cuneo, p. 267. Cuneo, p. 288 e sgg. Già da lungo tempo (v. L.J., I, 1464) erano ammesse compensazioni fra le somme di denaro che i cittadini dovevano al Comune per mutui e quelle che essi dovevano ricevere dal Comune stesso; una commissione di 4 discreti viri doveva sovrintendere a tali compensazioni. Riguardo al rimborso e, rispettivamente, al pagamento degli interessi, i due nuovi mutui furono parificati a quelli antichi: Cuneo, p. 290. 68 Cuneo, p. 290 e sgg. I due Clavigeri (ibid., p. 270), che dal 1270 in poi sono comunque entrati nuovamente al posto degli otto nobili (cfr. sopra, vol. I, P-248), devono essere considerati come i soprintendenti della cassa principale dello Stato, come risulta dagli estratti dei loro registri contabili: L.J., I, 1462 e 1478, 1278 e sgg. 69 Ai clavigeri dovevano inoltre essere consegnate 8100 lire pro munitione castrorum dall amministrazione delle compere salis: v. Cuneo, pp. 292 e 267. 70 Ibid., p. 260 e sgg. 71 App. 1, nr. 3, c. 146 v.; la durata della carica è di tre mesi. 72 Ibid.; cfr. Cuneo, p. 267. 73 Del tractatus approvato il 13 marzo 1304 dagli Anziani e dal Consiglio generale (Cuneo, p. 268) fanno parte: il verbale del Consiglio del 1° aprile 1303; una proposta riguardo al tractatus sulla diminuzione delle spese: ibid., pp. 269-286; altra proposta concernente il tractatus sull’ officium assignationis mutuorum, identico a quello già confermato con l’atto del 15 aprile 1303: ibid., pp. 286-294; App. 1, nr. 3, cc. 145-148; inoltre un tractatus redatto da 4 sapientes nominati PII marzo (1304) dal Consiglio degli Anziani: App. 1, nr. 3, cc. 148-151; anche App. 1, nr. 5 (il verbale del Consiglio degli Anziani dell’ll marzo in App. 1, nr. 3, c. 151 è incompleto; completo invece in App. 1, nr. 5, c. 215); il verbale del Consiglio del 13 marzo che conferma il tractatus: ibid., c. 215 v. — 316 - Il terzo doppio capitanato quattro Gubernatores forma stabile e attribuzioni più ampie74. Il male principale da cui Genova era afflitta, la discordia cioè dei partiti, non poteva però essere eliminato da simili riforme. Tutti i miglioramenti portati all organizzazione amministrativa poco potevano fruttare se non si riusciva a trovare per la suprema direzione dello Stato una forma che offrisse garanzia di durata. Già da tempo si era reso manifesto come il Podestà forestiero fosse impotente di fronte ai partiti. I tempi in cui egli era riuscito, governando dispoticamente, a ridurre alla pace le famiglie nobiliari in lite fra loro, erano irrimediabilmente finiti. Quando i Ghibellini per la seconda volta rinunziarono al capitanato, era certo ben lontana da loro 1 idea di far ciò per consentire la formazione di un governo imparziale. Il rimpatrio degli esiliati Guelfi, ottenuto a pesanti condizioni, non aveva menomato la costante prevalenza dei Ghibellini; la scelta del Podestà appariva determinata secondo la volontà dei Doria e degli Spinola75. Non è chiaro fino a qual punto statuti speciali e di nuova compilazione tendessero a conservare il loro predominio76; ma dal momento che la divisione delle cariche fra nobili e popolari, stabilita nel 1290, veniva effettuata con scrupolosa esattezza77, così i nobili amici del popolo78, pieni di benevolenza per le classi inferiori tendenti ad innalzarsi ”, continuarono ad appoggiarsi ad esse per mantenere la superiorità sui Guelfi. Intanto però fra i Ghibellini non regnava più l’antica concordia. 74 App. 1, nr. 3, c. 148 v. e sgg. I quattro dovevano, almeno una volta la settimana, tenere seduta nel palazzo del Podestà, dell’Abbate o nel Capitulum; i clavigeri, i duo de ratione e tutti gli altri funzionari erano obbligati verso di loro al rendimento dei conti. Quanto ai duo de ratione, cfr. Annali, 324, 329 [V, 96, 109], 75 Quanto al Podestà del 1303, cfr. sopra, p. 285. 76 Stella, 1021: Nobiles multi de Janua videntes quedam statuta firma ad fortitudinem Spinularum et eorum qui de populo dicti sunt, cogitarunt ipsos Spinulas deprimere et eos de populo qui cum Spinulis unum erant. 77 Anche nei consigli che stavano a lato delle autorità di colonia: Statuti di Pera, 770 e sgg. 78 V. l’espressione nobiles amici populi nel doc. in L.J., II, 423. 79 25 ottobre 1303. Nella città di Savona, dipendente da Genova, mediante una convenzione fra i nobili ed i popolari, venne introdotto l’ufficio delì’abbas populi e stabilita la ripartizione del governo della città fra i due ordini: App. 6, nr. 5, c. 42 v. e sgg. (cfr. Rossi, Statuti, p. 170); ciò in espressa relazione col consiglio e buona volontà dominorum et amicorum de Janua (c. 43), come in precedenza era avvenuto per l’insediamento AeW'Abbas populi in Albenga, ad honorem... b. apostolorum Symonis et Jude... et ad exaltationem dd. capitaneorum comunis et populi Januensis: Rossi, St. d‘Albenga, p. 436. - 317 - Libro VI - Cap. secondo In seguito alla conclusione della pace con Carlo II la discordia fra i parenti deU’Ammiraglio siciliano e quelli dell’arcivescovo di Genova non era cessata. Gli Spinola miravano ad una salda alleanza con il Popolo. Gran parte della nobiltà osservava da tempo con occhio invidioso la crescente importanza dei popolari, alla cui testa stavano i Doria, nella vita dello Stato80. Già durante il 1305 non erano mancati contrasti81; il 6 gennaio 1306 le parti avverse vennero ad aperta lotta. I Doria mossero contro gli Spinola ed il Popolo. Fu una lotta fra gli stessi Ghibellini . Ne nacque una profonda ferita in seno al partito; perfino le famiglie dirigenti si divisero; un Doria, Bernabò, rimase fuori del movimento ; un ramo degli Spinola, i de Platea, assunsero un atteggiamento molto sostenuto verso i de Luculo 84. Nella battaglia per le vie della città, già prima di sera gli Spinola ebbero il sopravvento, alla mattina seguente quasi tutti i popolari si radunarono armati ed elevarono Opicino Spinola di Luccoli, figlio del 80 V. Stella, 1021; cfr. sopra, p. 106. 81 Nella pace del 1307 (App. 3, nr. 25, c. 60; cfr. oltre, cap. IV) è detto che negli anni 1305 e 1306 e da allora in poi, nella città di Genova hoste humani generis instigante... dissensiones et inimicitie fuerunt exorte. Che nel gennaio e feb raio 1305 avessero avuto luogo agitazioni a Portomaurizio, nel territorio di Genova, e prò vato dalla querela che per tali fatti Meriano Doria propose contro il podestà oca e davanti al Podestà di Genova: App. 3, nr. 21, c. 216, 9 giugno 1305; cfr. Rossi, Statuti, p. 70 e sgg. 82 V. Stella, 1021. Secondo lui i Guelfi ed in generale la maggior parte dei nobili, eccettuati aliqui magnates Gibellini che aiutarono i Doria, non presero Pa^e alla lotta. I Grimaldi non si trovavano affatto in città; cfr. sopra, p- 275 ed anc e Guill. Vent., 725. Sembra che i Fieschi abbiano in questi anni evitato qualunque conflitto; tre di loro il 14 aprile 1306 reclamarono presso un giudice del Podestà contro i collectores tolte grani ed il superstans cabelle carnium et casei, perchè costoro, contro la convenzione fra il Comune ed i conti di Lavagna, avevano loro chiesto il pagamento delle tasse relative: cfr. sopra, libro IV, cap. VI, n. 22. La causa fu decisa (26 maggio) a favore degli attori: App. 5, nr. 6, 1. Fra i nobili che nel 1307 conclusero la pace con i Capitani non vi è alcun Fieschi: App. 3, nr. 25 a, c. 60. Alcuni dei popolari stavano a fianco dei Doria: Stella, 1. c. 83 Stella, 1. c. Oberto Doria doveva essere morto fra il 2 febbraio 1304 (L./ > II, 438), e il 6 settembre 1306 (App. 3, nr. 18 b, c. 77): Raphus Aurie filius quondam d. Oberti Aurie. 84 Secondo Stella, 1021, n. 92, la sollevazione sarebbe stata diretta contra Spinulas de Luculo; gli Spinola de Platea si sarebbero messi contro di loro soltanto poco dopo: Stella, 1022. Nella pace del 1307 a fianco dei Doria e Grimaldi vi sono due Spinola: App. 3, nr. 25 a, c. 60. — 318 — Il terzo doppio capitanato defunto Corrado, e Bernabò Doria, figlio di Brancaleone 85, a Capitani del Comune e del Popolo. Con ciò venne istituito il terzo doppio capitanato, che, come i precedenti, rappresentava la ripartizione del potere fra le due famiglie nobiliariM. Quanto alle attribuzioni conferite ai Capitani, abbiamo uno statuto ”, che però entrò in vigore soltanto più tardi88, il quale, quanto alla durata della carica , fissava norme differenti da quelle precedenti90. Lo statuto 85 Stella, 1021; cfr. Jac. de Var., Continuatio, 501; Guill. Vent., 725 e sgg. Corrado Spinola era morto il 27 settembre 1304; v. Stella, 1. c.; Opicino era suo figlio: v. Guill. Vent., 1. c.; Bernabò viene designato come figlio di Branca (ancora vivente; soltanto Jac. de Var., Continuatio, 1. c., dice quondam). Questo Branca non può identificarsi con il figlio di Manuelino che il 23 dicembre 1287 non aveva ancora 17 anni (v. L.J., II, 91, 96), quindi appena 20 anni dopo non poteva ancora avere una nipote da marito (la figlia di Bernabò: v. Stella, 1022). Il padre di Bernabò è invece identificabile con Brancaleone che, come nipote di un giudice di Torres {Reg. Bonif. Vili, II, p. 519; cfr. sopra, libro V, cap. IX, n. 6) manifestamente già nel 1287 (L.J., II, 85, cfi. sopra, p. 90) era considerato il capo del ramo sardo dei Doria; quel medesimo Branca che Dante {Inferno, XXXIII, 134 e sgg.), caccia all’inferno ancora vivente (v. Verbali Soc. Lig. St. Patria, in « Giom. Lig. », V, 1878, p. 331) e che (probabilmente durante i torbidi in Sardegna negli anni settanta; cfr. sopra, p. 28 e sgg.) aveva ucciso l’enigmatico Michele Zanche. 86 II titolo dei Capitani è: Capitanei comunis et populi Janue {App. 6, nr. 3, c. 39, 12 marzo 1306 etc.), cioè lo stesso che in precedenza; cfr. sopra, vol. I, p. 263, e II, p. 211. La citazione di Stella, 1021, exulaverunt... qui bellum buiusmodi tractaverunt, non può essere interpretata nel senso che i vinti Doria avessero dovuto andare in esilio; il 15 marzo 1306 {App. 6, nr. 3, c. 40 w.) ad un’adunanza del Consiglio presero parte, eccetto Brancaleone, anche Corrado, Lamba, Raffo ed altri 5 Doria. 87 App. 3, nr. 25 a, c. 62 v. e sgg., e App. 5, nr. 26, c. 17 v. e sgg, (breve estratto in Fol. Not., III, 2, c. 45; cfr. Canale, III, p. 161) in copie de magno volumine capitulorum comunis Janue. 88 Ibid. (in fine): et presens capitulum incipiat locum habere die 9 sept, anni presentis current e 1306. 89 Ibid. (al principio): cupientes publice utilitati civitatis et civium et distric-tualium civitatis Janue, in quantum est possibile, salubriter providere, provida deliberatione duximus statuendum quod magnifici viri d. Opicinus Spinula de Luculo et d. Bernabos de Auria sint et esse debeant capitanei comunis et populi Janue usque ad proximum festum beatorum apostolorum Simonis et Jude et ab inde usque ad quinquennium, (dunque fino al 28 ottobre 1311). 90 Nella pace del 24 settembre 1307 (cioè dicembre; cfr. oltre, cap. IV; App. 3, nr. 25 a, c. 60 v.) è detto: capitanei sint et esse debeant capitanei dicti comunis et populi usque ad tempus et per totum tempus, usque ad quod in capitaneos - 319 - Libro VI - Cap. secondo conferiva ai Capitani, con espressioni non equivoche, pieni poteri per il disbrigo di tutti gli affari relativi aH’amministrazione del Comune e del Popolo 91, congiuntamente fra essi o l’uno in rappresentanza dell altro ; i poteri dello Stato erano così completamente nelle loro mani. Tuttavia venivano fatte importanti riserve: i Capitani non potevano intromettersi nella giurisdizione civile e criminale e tanto meno nell’attività degli uffici incaricati delPamministrazione del debito pubblico, dell 'Officium compera-rum salis93 e dell 'Officium assignationis mutuorum. Essi non potevano impedire la regolare esecuzione delle misure prese nel 1303 per 1 estinzione del debito e per il pagamento degli interessi94; soltanto rimaneva loro la libertà di trovare i mezzi e le modalità per supplire alle spese del loro emolumento (1500 lire annue per ciascuno)95, e per i fanti e cavalieri, che essi e Yabbas populi dovevano tenere, così pure come per tutto quanto si rendesse necessario per lo svolgimento delle loro funzioni e quelle del 1 Abate e per difendere la vigente costituzione. I bandi per reati commessi prima del 1° febbraio 1306 potevano venire revocati a loro piacere, ecce., tuati quelli pronunziati per debiti o disposti àaìYOfficium raubarie ■ La precedente attività dei Capitani veniva convalidata. Tale statuto annullava tutti i precedenti, rimanendo però in vigore i capitoli che riguardavano l’ufficio dell’Abate, i Conestabili del Popolo e la loro nomina così come tutti gli altri capitoli che non limitavano le attribuzioni conferite ai Capi tani97. I poteri dei primi Capitani per il governo del Comune erano stati illi fuerunt electi, quod, tempus est usque ad festum b. Symonis et Jude proxime venturum et inde usque ad annum ex tunc proxime venturum (quindi dal 28 ottobre 130 al 28 ottobre 1309). 91 App. 3, nr. 25 a, c. 62 v.: quod ìpsi dd. capitami habeant plenam et liberam potestatem et bailiam super omnibus et singulis factis et negociis comunis et populi ]anue, quecumque sint et cuiuscumque conditionis existant. 92 Ibid.: ac si per totum comune et populum Janue quantumcumque legitime facta, tractata, gesta ... forent. 93 Ibid.; cfr. sopra, n. 61. 94 Ibid., c. 63; cfr. sopra, p. 314 e sgg. 95 Ibid.; cfr. Stella, 1021. 96 Ibid.; cfr. sopra, n. 43. 97 Ibid., c. 63 v.: nec eciam (sc. derogatum sit) aliis capitulis de noli me tangere, per que non impediatur... potestas et baylia supra concessa dictis dd. capi-taneis. — 320 - Il terzo doppio capitanato mitati98, i successori del 1306 andarono certamente entrambi ancora più in là nell esercizio delle loro facoltà. Comunque, oltrepassava i limiti del lecito il fatto che Opicino Spinola da solo, in rappresentanza anche del suo collega, avesse proceduto ad un prestito per la costruzione d’una turris populi ", ordinando che nel cartolare dell’Officium assignationis mutuorum 100 fosse aperta una partita di 40 loca (ciascuno di 100 lire all’interesse del 10 per cento), da vendersi per impiegarne il ricavato allo scopo suddetto. Per il pagamento degli interessi egli assegnava aìYOfficium assignationis mutuo-rum le somme che YOfficium comperarum salis doveva annualmente al Comune per certi terreni appaltati, ed i proventi di altri appalti; non bastando queste somme, per il resto degli interessi sarebbe stato provveduto con denaro dello Stato a mani deìYOfficium assignationis. Da nessuna parte è fatta menzione del consenso di un Consiglio qualsiasi ad un simile provvedimento di natura ben pericolosa 101 ; il Capitano aveva agito soltanto in virtù dei poteri del suo ufficio,02. Non meno arbitrario era il fatto che Opicino, col pretesto di conferma dei tradizionali privilegi e degli statuti del Collegio dei giurisperiti di Genova, avesse accordato ai suoi membri franchigia da collette, prestiti forzosi e da qualunque altra gravezza im- 98 Cfr. sopra, vol. I, p. 260 e sgg. 99 V. il doc. in App. 3, nr. 25 a, c. 61 v., 20 ottobre 1307 (in Cuneo, p. 295, da Foi. Not., Ili, 2, c. 45, edito incompleto). 100 Ibid.; a mutuorum occorre aggiungere veterum. 101 Ibid.-. appalto ottenuto daW'officium comperarum salis da parte di tre uomini, relativo ad un terreno (non fabbricato) del Comune in contrats moduli. La competenza dell’officium assignationis mutuorum di appaltare beni immobili del Comune e di ritirarne il prezzo (in quanto questo non fosse già altrimenti assegnato) - Cuneo, p. 267 e sgg. - si riferisce in particolare soltanto a terreni etc. che nel 1303 già erano stati resi economicamente sfruttabili; così il 7 maggio 1306 i Capitani, l’Abate ed uno dei consoli delì'officiuw assignationis mutuorum concessero in emphiteosim perpetuam un terreno già concesso a livello (per 29 anni) il 10 novembre 12% dai Capitani, Abate ed 8 consiliarii: App. 3, nr. 29 b, c. 126 e sgg.; ciò in corrispondenza anche alle disposizioni del 1303 (v. Cuneo, p, 289 e sgg.) perchè per le nuove uscite dell’officium assignationis venne decretata una nuova assegnazione; ma pur essa risultò insufficiente. I loca ad un cosi alto interesse non dovevano essere venduti al valore nominale, ma per precium quod redegi poterit... ex ipsis locis; si deve inoltre rilevare che i compratori dei loca acquistavano il diritto al possesso dei terreni e delle case da fabbricarvi qualora non fossero stati loro puntualmente pagati gli interessi. 102 App. 3, nr. 25 a, c. 62: fieri voluit... ex vigore officii capitaneatus... et omni iure, quo melius potuit. - 321 - 21 Libro VI - Cap. secondo posta dallo Stato, nonostante qualsiasi statuto contrario, e ciò al fine di compensarli per le loro onorifiche prestazioni e per accrescerne lo zelo nell’interesse dello stato 103. In altri casi i Capitani, ovviamente, agivano soltanto dopo che erano intervenute le decisioni del Consiglio. Caratteristica della tendenza presa dal nuovo governo era però la composizione dei Consigli che venivano consultati sulle varie questioni. Poco dopo la istituzione del capitanato, l’Abate di Savona, con un numero considerevole di popolari, era venuto a Genova per chiedere l’autorizzazione a costruire mura intorno alla città , manifestando anche il desiderio del Popolo di Savona di unirsi a quello di Genova in una federazione. A seguito di ciò, i Capitani e 1 Abate convocarono i Conestabuli, i Confalonerii, i loro aderenti, come pure molti popolari e nobili105. Conformemente alla decisione dell’assemblea 1 argomento fu portato al Consiglio dei Conestabili, al quale furono pure invitati a partecipare alcuni nobili, i vicari dell’Abate, i Confalonerii ed altri popolari107 ; indi fu sottoposto al Consiglio ed agli Anziani. Dopo tali ap 103 App. 5, nr. 26, cc. 1 e sgg., 19 e sgg., 15 novembre 1307. 104 App. 6, nr. 3, c. 39 e sgg.; cfr. sopra, vol. I, p. 327, n. 34. 105 App. 6, nr. 3, c. 39 e sgg. (12 marzo 1306): capitanei... et d. Opecinus Capsiarius, abbas... populi, rexerunt consilium conestabulorum et sociorum et con faloneriorum et sociorum et multorum sapientum, popularium et nobilium civitatis Janue vocatorum ad dictum consilium super infrascriptis... Quid placet fieri suPer verbis propositis in ipso consilio per d. capitaneum Spinulam... D. Raynaldus pi nula de Luculo consulit... Johannes de Goano ... consulit... Seguono i nomi ei Confalonerii, conestabuli e aderenti (in tutto 150 circa) e dei presenti chiamati come aggiunti al Consiglio (28). Et sic data partita per d. abbatem, examinatis vocibus sin gularum supradictorum, fuit summa consilii secundum sententiam d. Raynaldi Spinu e cum additione Johannis de Goano. 106 Ibid. Rainaldo aveva proposto (cfr. la precedente nota) che Capitani e Abate dovessero nominare fino a 8 sapientes per trattare con lAbate e gli altri di Savona la forma e i modi quibus populus Janue habeat fraternitatem et ligam cum populo Saone ed anche per provvedere quod per comune Saone eligatur potestas de populo Janue pro dimidia, cioè per un anno de nobilibus Janue et amicis dd. capitaneorum, abbatis et populi Janue-, per l’anno successivo de populo Janue et de hominibus popularibus Janue, amicis dd. capitaneorum, abbatis et populi Janue; inoltre egli trovava giusta la costruzione delle mura. Johannes de Goano aderisce alla proposta, ma con l’aggiunta quod omnia que facienda erunt cum dictis ambaxatoribus sint completa et expedita ita quod die martis firmentur per dd. capitaneos, abbatem et conestabulos. 107 Ibid., c. 40 v. e sgg., die martis 15 martii 1306: i Capitani e 1’Abate rexerunt consilium conestabulorum ad quod fuerunt vocati et requisiti nobiles in certa quantitate et similiter vicharii, confalonerii, et eorum socii et similiter socii conesta- — 322 - Il terzo doppio capitanato provazioni, Capitani ed Abate diedero all’Abate del Popolo di Savona l’assenso per la costruzione delle mura e ordinarono che tale concessione dovesse considerarsi irrevocabile l08. I Capitani inoltre sottoposero al Consiglio popolare dei Conestabili il primo dissidio fra le corporazioni di Genova del quale siano conservate notizie I09. Ai macaroln 110 erano stati approvati alcuni nuovi statuti da bulorum et aliorum plurium popularium (!) Quid placet fieri super infrascriptis... d. Brancbaleo de Auria consulit... Seguono i nomina... vocatorum et requisitorum ad dictum consilium (in tutto 200, il primo è Benedictus Zacbarias, 11 sono gli Spinola, 3 i Doria, nessun Grimaldi, nè Fieschi). Et sic data partita per d. capitaneum Spinulam . ■. fuit summa consilii secundum sententiam d. Branchaleonis Aurie excepto Fre-derico Aurie. Nella proposta vi è pure la questione della lega fra il Populus di Savona e quello di Genova; il votum di Brancaleone si riferisce soltanto alla costruzione delle mura (quod gratia murandi civitatem Saone deversus terram tantum fiat et concedatur Saonensibus) e alla presentazione dell’argomento stesso al Consiglio ed Anziani (et quod presentia exponantur conscilio maiori et ancianorum, ad quod consilium illi qui présentés sunt presenti consilio vocati sint). Dal verbale forse incompleto non risulta se la lega fra l’uno e l’altro Populus fosse stata perfezionata. Il 3 agosto 1307 (ibid., c. 39) Opicinus Capsiarius (cfr. sopra, n. 105) era Podestà di Savona; inoltre si trova (ibid., c. 42) Galeotus Spinola de Luculo come capitaneus comunis et populi Saone. 108 Ibid., c. 42 (16 marzo 1306): d. Brancbaleo de Andalo civis Bononiensis, potestas comunis, et dd. Opicinus Spinula de Luculo et Bernabò de Auria, capitanei comunis et populi Janue, in presentia d. Opecini Capsiarii, abbatis dicti populi, rexerunt consilium maius et ancianorum... ad quod consilium vocati fuerunt in magna quantitate per quamlibet compagnam tam nobilium quam popularium civitatis Janue, videlicet de populo confalonerii, socii confaloneriorum et socii cone-stabulorum. Quid placet fieri super posta infrascripta prius examinata per d. abbatem e! sex ancianos examinatores postarum, videlicet super requisitione abbatis populi Saone civitatis, qui Januam venerunt, super qua fuit heri consilium per certos nobiles et populares in maxima quantitate in palacio d. abbatis populi Janue... Super qua requisitione, data partita per d. vicarium d. potestatis ad levandum et sedendum, fuit summa dicti conscilii secundum sententiam d. Raynaldi Spinule de Luculo, qui consulit quod dicta requisitio compleatur... Et dd. capitanei et abbas... abbati populi Saone ibi presenti et recipienti nomine et vice comunis et populi Saone gratiam concesserunt murandi... civitatem Saone deversus terram et deversus Lombar-diam, non tamen deversus mare, et hoc secundum formam dicte reformationis. Que omnia et singula dicti dd. capitanei et abba(s) (statuerunt) firma... esse et observari debere, prout superius continetur. 109 Documento dei 7 marzo 1307: App. 5, nr. 20 e sgg., 151 e sgg. (breve estratto in App. 5, nr. 23, IV, 2, p. 23). 110 Ibid.: consules macaroliorum seu ipsi macarolii nomine eorum artis. - 323 - Libro VI - Cap. secondo parte dell’Abate e dei sei Anziani111. I lanaioli112 sostenevano che tali statuti erano contrari ai loro I13, recavano danno a tutta l’Arte della lana di Genova e potevano favorire azioni disoneste; sostenevano pure che da lunghissimo tempo i macarolii erano obbligati ad osservare gli statuti del-l’Arte della lana; che tale arte era sempre stata esercitata in Genova col maggiore scrupolo e coscienza, e che ora le nuove prescrizioni le recavano gravissimo danno. I macarolii opponevano che i loro statuti erano buoni ed utili, non dannosi per alcuno, ma anzi vantaggiosi per 1 arte e che se avevano desiderato di avere statuti propri, ciò era unicamente per non più sottostare ai consoli dell’Arte della lana. I Capitani, 1 Abate ed i Conestabili esposero la questione all’esame di tre Sapientes , ai quali le parti presentarono le rispettive ragioni. La commissione decise sostanziai mente contro i macarolii, i cui statuti, in quanto interferivano nell arte della lana, furono dichiarati nulli; quelli fra loro che fabbricavano panni dovevano essere tenuti ad osservare gli statuti dell’Arte della lana , ove li avessero violati dovevano essere puniti dai consoli di quest arte, ma non potevano essere chiamati a contribuzioni di opera o di denari, a meno che non si trattasse dell’interesse o dell’onore dell’arte l16; nelle elezioni annuali dovevano avere un voto e in genere essere considerati alla pari degli altri membri117. I Capitani e l’Abate sottoposero questa decisione al 111 Ibid.: capitula et ordinamenta eisdem (se. macaroliis) concessa et firmata per d. Gulielmum de Ursis, tunc abbatem populi Janue, et sex antianos examinatores po starum, 1306, die 23 novembris. 112 Ibid.: consules et mercatores laneriorum sive ipsi lanerii nomine.. • artis eorum. 113 I quali, confermati da Podestà, Capitani, Abate e Anziani (ibid.), erano comunque molto più antichi. 114 Ibid.: Guillielmus de Montaldo, Guirardus de Pauolo e Jacobus de Bonoio-hanne. 115 Ibid.: illa capitula et ordinamenta que firmata et approbata sunt seu que de cetero formabuntur et approbabuntur per dd. potestatem, capitaneos, abbatem et antianos. 116 Ibid.: consules laneriorum seu mercatorum lane... non possint compellere ipsos macarolios... ad aliquas avarias vel collectas faciendas, nisi tantum in illis avariis et collectis que fient in utilitatem et honorem artis laneriorum. 117 Ibid. : ed gaudere debeant honoribus et beneficiis artis laneriorum sicut alii lanerii civitatis Janue. — 324 - Il terzo doppio capitanato Consiglio dei Conestabili118; poi, dopo che esso ebbe data la sua approvazione "9, l’argomento fu passato alla convalida degli Anziani120 Le formalità attraverso le quali vennero considerate le richieste del Popolo di Savona ed il dissidio fra gli artigiani di Genova dimostrano in modo evidente come, con l’istituzione del terzo doppio capitanato, la posizione del Popolo nella vita dello Stato fosse notevolmente accresciuta d’importanza. Anche se già prima i Conestabili del Popolo prendevano parte al Consiglio Generale121, adesso venivano sentiti dinanzi agli Anziani ed al Consiglio dei Capitani, anche in questioni riguardanti non solo il Popolo, ma anche il Comune. In ciò si deve riconoscere una decisa innovazione 122, mentre l’introduzione dei vicari dell’Abate 123 nonché dei Vessilliferi del Popolo 124 porta a concludere nel senso che l’organizzazione della Società dei popolari venne proprio allora ad arricchirsi di nuovi organi. Certo il carattere militare che caratterizzava l’istituzione fin dall’origine non era venuto meno. Lo spirito corporativo degli esercenti le attività ma- »8 Ibid.: capitanei et... abbas... rexerunt consilium conestabulorum quid placet fieri super infrascriptis postis prius examinatis per d. abbatem et suos decem cone-stabulos secundum formam ordinationis eorum etc.... Item quid placet fieri super ordinatione facta per certos sapientes super questionibus vertentibus inter homines artis lane ex una parte et homines artis macaroliorum ex altera, cuius ordinationis tenor talis est. »» Ibid.: Super quibus omnibus data (?) partita per d. abbatem fuit summa (?) consilii, nemine discrepante in omnibus et per omnia, prout in dicta ordinatione continetur. 120 Ibid. (15 marzo 1307): d. Marinus de Suardis, civis Pergamensis, Janue civitatis potestas, et d. Opicinus Spinula de Luculo, capitaneus comunis et populi Ja-nuensis, gerens vices suas et d. Bernabo(vis) de Auria capitanei, consocii sui, et d. Jacobus de G ro pallo, abbas dicti populi, in consilio ancianorum... et ipsi antiani... approbaverunt, ratificavcrunt et firmaverunt laudantes ...ut supra attendi et observari debere. La ratifica da parte di Podestà, Capitani, Abate, Conestabili ed Anziani era stata comunque proposta dai tre sapientes. 121 L.J., II, 423, 29 aprile 1301: i poteri conferiti a sindaci per la pace con Carlo II. 122 Cfr. del resto sopra, vol. I, p. 248, n. 17. 123 Vicarii d. abbatis (cfr. sopra, n. 107) risultano essere stati chiamati al Consiglio generale che approvò la convenzione con Carlo II del 6 novembre 1307: Lünig, II, 2136. Anche l’invio di un particolare abbas populi a Pera (Pachym., II, 624) costituisce un'innovazione introdotta evidentemente nell’interesse popolare. 124 Cfr. sopra, n. 107; Lììnig, I. c.; essi sono designati come vexilliferi (!) populi. - 325 - Libro VI - Cap. secondo nuali si manifestava sicuramente in Genova poco attivo 125; la consapevolezza della propria condizione non mancava assolutamente al corpo degli artefici e le sue finalità apparivano chiaramente non essere soltanto quelle di ottenere regolamentazione giuridica delle attl^ta at' traverso il riconoscimento di statuti da parte della autorità , tuttavia i Consules misteriorum come tali rimasero limitati nella loro azione alla soprintendenza delle corporazioni, mai arrivando a prendere parte all’amministrazione dello Stato 127 ; l’organizzazione imprendilo riale e quella politica dei cittadini mai vennero fuse insieme. Il Popo o aveva appena a che fare con le corporazioni; il maggiore punto di contatto consisteva nella presenza di molte persone che appartenevano tanto a Popolo quanto ad una corporazione. Questo rapporto era determinato dallo sviluppo che aveva preso il movimento popolare a Genova. In rea ta, esso non era mai stato assolutamente autonomo. Non era stato so tanto j suo interesse ad essere preso in considerazione nella formazione e istituzioni collettive; già nell’elezione del Boccanegra i nobili vi avevano avuto mano; il partito nobiliare ghibellino aveva profittato del ane ito inconscio delle classi inferiori, che intendevano migliorare la loro posi zione di fronte alla dirigente nobiltà, per schiacciare i Guelfi. Alla lega c aveva provocato la stabile istituzione del Popolo questo avrebbe ovuto anche tutto il successivo progresso politico, la facoltà di partecipare per metà a tutte le cariche, come pure l’aumentata intromissione dell A ate negli affari di Stato, fino alla piena coreggenza dello stesso. Se Opicino Spinola e Bernabò Doria, trascurarono nella reggenza del Comune gli organi ordinari128, trattando invece in prima linea con i rappresentanti del Popo o, 125 Così sono pure accertati in App. 3, nr. 13, c. 35 (14 marzo 1301) due con soli delY ars sartoriorum; ibid., c. 2v. (11 gennaio 1301) due consoli, un clavarius. consiliarii artis et universitatis hominum textorum Janue; App. 3, nr. 23, c. 136 maggio 1311) due consules artis lanarie, etc. m Cfr. sopra, p. 324. 127 Al Consiglio generale dei 6 novembre 1307 (cfr. sopra, nn. 123 e 124) parteciparono pure i conestabuli et novi et etiam magna quantitas nobilium et aliorum popularium (Lünig, 1. c.), ma non consules misteriorum. m Oltre al Consiglio ed agli Anziani era rimasta pure la carica del Podestà; i Podestà sono: nel 1306, Brancaleone de Andalo da Bologna (v. sopra, n. 108), che in patria apparteneva al partito ghibellino dei Lambertazzi (v. Ghirardacci, I, p. 360 e sgg.); nel 1306, Marmo de Suardis da Bergamo (v. Lünig, II, 2136); nel 1308, Sorleonus Curolus da Tortona (App. 6, nr. 4, c. 199 v.) che era già stato Podestà durante il secondo doppio capitanato per due anni nel 1297-1298 (Dufour, p. 20 e App. 6, nr. 4, c. 163 v.). — 326 - Il terzo doppio capitanato non lo fecero certamente per simpatia verso forme costituzionali democratico-popolari; tuttavia questi Capitani fecero un uso dei loro poteri come mai era stato fatto dai loro predecessori. Ma nella lotta avvenuta prima della loro elezione, il Popolo aveva combattuto e vinto a fianco degli Spinola di Luccoli. Poggiato sul fattivo aiuto dei popolari contro gli sforzi contrari della nobiltà, il terzo doppio capitanato doveva, più del primo e del secondo, cercare il suo sostegno nel Popolo; ciò perchè il numero dei nobili contrari era ora aumentato anche di tanti Ghibellini. Difficilmente si può sbagliare dicendo che Opicino Spinola era la personalità dominante; Bernabò Doria fin da principio restò alquanto nell’ombra, come è dimostrato dal fatto sorprendente che molto spesso nell’attività di governo era rappresentato dal collega 129. La famiglia dei Doria era ora soggetta agli Spinola e se un Doria, che si era tenuto lontano dalla lotta aperta, era stato ammesso dal vincitore a partecipare al governo, si trattava di un tentativo di ristabilimento del capitanato nella forma tradizionale che doveva contribuire a mascherare gli screzi che serpeggiavano fra i Ghibellini; forse Opicino non aveva avuto il coraggio di afferrare da solo il governo; la base sulla quale per gran tempo era poggiata tale divisione dell’esercizio del potere era la stretta concordia delle due famiglie durata per tre decenni; poteva diventare assai dubbio se questo supporto, che era stato ora seriamente turbato, potesse essere ristabilito come in passato. Nel caso in cui nuovi conflitti fossero scoppiati fra ? Doria e gli Spinola, la posizione esteriore di Bernabò sarebbe caduta così come l’interna intesa che sola poteva autorizzare il Capitano Doria a rappresentare tutta la sua schiatta. 129 Cfr. sopra, p. 320 e sgg. e n. 120. In precedenza tale rappresentanza era più rara e comunque priva d'importanza; cfr. sopra, vol. I, p. 386, n. 97. - 327 - Capitolo terzo Opicino Spinola e Teodoro Paleologo, marchese di Monferrato Questione della successione nel Monferrato. - Opicino riesce ad ottenere il matrimonio di sua figlia con Teodoro, figlio dell’imperatore Andronico. - La flotta genovese in Romania nel 1306. - Suo fallito attacco a Gallipoli. - Teodoro s’impadronisce della maggior parte del Monferrato. - Bernabò Doria e la situazione in Sardegna. - I Doria ed i Grimaldi come partito esterno, sconfitta di Teodoro ed imprigionamento del conte Filippone. - Convenzione di Genova con Carlo II del 6 novembre 1307. L’elezione dei Capitani del 1306 fu come quella dei loro predecessori una conseguenza delle lotte di partito; molto presto però si presentarono ai nuovi dirigenti dello Stato problemi di politica estera. Con la morte del marchese Giovanni di Monferrato 1 si era estinta la linea maschile della casa, la quale aveva per lungo tempo tenuto il primo posto fra le dinastie dell’Italia nord-occidentale. Sul letto di morte, il 18 gennaio 1305, egli aveva, per testamento, nominato il suo successore2: il marchesato doveva passare indiviso ai figli che ancora avesse potuto partorirgli sua moglie Margherita di Savoia; in mancanza di questi, a sua sorella Violante, moglie dell’imperatore greco Andronico3, ed ai suoi figli; subordinatamente considerava come aventi diritto alla successione i figli delle sue due altre sorelle e soltanto come ultima soluzione, per discendenza femminile da suo padre Guglielmo, il marchese Manfredo di Saluzzo. A costui, come al Comune di Pavia ed al conte palatino di Lomello, Filippone de Langusco, egli affidava la difesa ed il governo del paese, finché non fosse giunto il legittimo erede. In conformità a tali disposizioni, il 9 marzo, i vassalli ed i rappresentanti dei comuni del Monferrato, in una tornata a Trino, conferirono procura ad inviati per comunicare alla imperatrice Violante che in virtù del testamento del fratello essa ne era diventata l’erede, e per invitarla ad assumere personalmente la signoria o, almeno, a mandare a tal fine uno o due dei suoi figli in Italia4. Della pos- 1 Cfr. sopra, libro VI, cap. I, n. 21. 2 V. il doc. in Muletti, Mem. di Saluzzo, III, p. 59; estratto in Benvenuto di S. Giorgio, 408 e sgg.; cfr. Guill. Vent., 748. 3 Cfr. sopra, p. 116. 4 V. il doc. in Benvenuto di S. Giorgio, 410 e sgg.; cfr. ibid., 450 e sgg. - 328 - Opicino Spinola e Teodoro Paleologo, marchese di Monferrato sibilità che da Margherita potesse attendersi ancora della prole non fu tenuto alcun conto. Manfredo di Saluzzo, pur rappresentando gli altri reggenti interinali del marchesato, aveva un interesse personale nella faccenda, giacché egli stesso, in base ad un anteriore patto di successione5, si riteneva autorizzato ad avervi diritto6. Si narra che egli avesse cercato di evitare l’ambasciata dirigendo all’imperatore la falsa comunicazione che la moglie del defunto marchese Giovanni era incinta; comunque egli cercò poi di impadronirsi del Monferrato. Nel paese egli aveva un partito suo, l’altro invece, che veniva considerato come quello guelfo, tenendo fermo sul diritto di successione di Violante, si alleò col partito interno guelfo di Asti che era in lotta aperta con Manfredo7. I tumulti risultarono vantaggiosi per i progressi della potenza angioina8. Pressato dal Siniscalco Rainaldo de Leto e da un esercito provenzale, Manfredo fu costretto a riconoscere il re di Napoli come suo signore feudale e a cedere alcune parti di territorio 9. La situazione in Piemonte avrebbe urgentemente richiesto che il Comune di Genova uscisse dall’ inerzia, perchè una parte del suo territorio, circondata dai possessi della casa d’Angiò, si trovava in una minacciosa vicinanza. Per sventare il pericolo, considerata la debolezza e la poca consistenza di Asti, sua antica alleata, nulla vi sarebbe stato di meglio che il Monferrato fosse rimasto nelle mani di un marchese debitore a Genova della sua ascesa al potere. Ma è discutibile che di tali considerazioni, a causa della politica seguita dal terzo doppio capitanato, si fosse tenuto conto. Se il comandante della flotta spedita in Romania nella primavera del 1306, Antonio Spinola, ebbe l’incarico di condurre in Italia l’erede del marchesato, ciò fu nel personale interesse del capitano Opicino Spinola, la cui figlia doveva sposare il figlio dell’imperatore. Di conseguenza anche il Comune fu costretto a mostrarsi deciso ad aiutare Andronico contro i Catalani in maniera più energica di primal0; alle galere venne 5 Questo punto di diritto risulta da Nie. ep. Botr., 5. 6 Guill. Vent., 748. 7 V. Guill. Vent., 748 e sgg. 8 Cfr. sopra, p. 285 e sgg. 9 Benvenuto di S. Giorgio, 415, febbraio 1306; Guill. Vent., 750 e sgg.; Camera, Ann. due Sic., II, p. 131 etc.; cfr. Gabotto, p. 44. 10 Pachym., II, 597 e sgg.; Muntaner, cap. 227; cfr. le mie osservazioni in Caro, Zur Chronologie, p. 119 e sgg. - 329 - Libro VI - Cap. terzo data istruzione di prestare aiuto all’imperatore, ove lo avesse richiesto, incondizionatamente e per un prezzo inferiore a quello usuale In conseguenza di questo intreccio della questione successoria piemontese con le lotte in Tracia, vennero ad acquistare vasta rilevanza internazionale i piani che l’ambizione personale e il desiderio di potere avevano ispirato al Capitano di Genova. Desiderando egli per sua figlia un marito di rango principesco, non poteva essere il figlio maggiore di Andronico e Violante, già sposato, ma bensì il secondo, l’ancora giovane Teodoro, il prescelto dai genitori per assumere il marchesato n; più che gli intrighi del marchese di Saluzzo, furono le trattative che precedettero la partenza 13 che mandarono a lungo la comparsa di Teodoro nel Monferrato. La guerra condotta da una flotta genovese contro la compagnia catalana doveva costituire il prezzo del premio ottenuto dall’imperatore, quello cioè che egli accedesse ad imparentarsi col potente cittadino della ligure città marittima. Quando la flotta 14 arrivò presso Costantinopoli, Andronico non se ne mostrò troppo soddisfatto. Egli aveva chiesto navi da guerra: le galere, invece, quantunque fortemente equipaggiate, erano cariche di merci; inoltre, considerando la forte somma che avrebbe dovuto pagare per il loro armamento, gli poteva sembrare meno dispendioso e più sicuro di indurre i Catalani a ritirarsi mediante pagamento di denaro l5; perciò egli prese al suo soldo quattro galere soltanto, al fine di impedire ai Turchi il passaggio dei Dardanelli e colpi di mano da parte dei pirati, mentre le altre entrarono nel Mar Nero 16. Intanto gli inviati greci, che stavano trattando con i Cata- 11 Pachym., II, 598; cfr. sopra, p. 294. 12 Pachym., 1. c.; Niceph. Greg., I, 233 e sgg. e particolarmente l’autobiografia di Teodoro in Benvenuto di S. Giorgio, 453, come il doc. ibid., 414 e sgg.; al principio del 1305 egli aveva 14 anni (ibid., 450) il 2 febbraio 1312 oltre 20 anni; v. Donniges, II, p. 169. 13 Che comunque furono condotte nell’inverno 1305-1306 dagli inviati greci a Genova; cfr. Caro, Zur Chronologie, p. 122. 14 Secondo Pachym., II, 597, forte di circa 19 galere. 15 Ciò si può trarre da Pachym., II, 597 e sgg. Evidentemente le spese d’armamento dovevano essere coperte con la vendita delle merci (nelle piazze costiere del Mar Nero); qualora l’imperatore avesse voluto impiegare la flotta a scopi di guerra, egli avrebbe dovuto, rimanendone impedito il commercio, assumersi la responsabilità delle spese (300000 iperperi). Gli inviati greci, di ritorno da Genova, avevano prospettato all’imperatore un possibile accomodamento sulla questione: ibid., 599. 16 Ibid., 599 e sgg. La loro permanenza ivi doveva durare 20 giorni. - 330 - I Opicino Spinola e Teodoro Paleologo, marchese di Monferrato lani, nulla avevano potuto concludere; la compagnia continuava vittoriosa come sempre la guerra terrestre; soltanto pochi armati, comandati da Muntaner, erano rimasti indietro a difesa del castello di Gallipoli17. Quando la flotta genovese ritornò a Costantinopoli, l’imperatore non ritenne neppure allora opportuno di servirsene; in quel momento egli aveva evidentemente bisogno di truppe di terra; ma dal momento che i Genovesi si offersero di intraprendere qualche impresa, egli diede loro l’incarico di assalire Gallipoli18. Antonio Spinola ritenne opportuno, prima di assumere l’incarico, di far pervenire ai Catalani, in nome del Comune di Genova, una formale intimazione, che egli recò personalmente a Gallipoli. Per tre volte egli ripetè l’invito di allontanarsi dal regno di Grecia « il giardino del comune di Genova ». Per tre volte Muntaner rispose, facendo appello all’antica amicizia fra Genova e la casa d’Aragona, con una protesta contro la dichiarazione di guerra. Diceva di essere venuto in Romania per l’incremento della fede cattolica, e che ai Genovesi non era lecito turbare la giusta guerra contro i Greci scismatici, che avevano trucidato a tradimento i capi della compagnia. Nessun chiarimento fu possibile; poco dopo, una sera, la flotta genovese con altre sette galere imperiali, comandate da Andrea Moresco, comparve dinanzi a Gallipoli19. Nella notte furono approntate le scale e altre opere d’assalto, mentre Muntaner nel castello armava perfino le donne per la difesa delle mura. Tuttavia non gli riuscì di impedire l’approdo dei Genovesi al mattino seguente e, dopo aver perduto il cavallo, fu costretto a ritirarsi lievemente ferito. I Genovesi disposero quindi con molta opportunità le colonne d’assalto, come riconobbe lo stesso avversario, che descrisse a fondo l’avvenimentoM. La metà dell’equipaggio di ogni galera combattè riunita sotto una sola bandiera, l’altra metà venne pel momento tenuta indietro come riserva, per sostituire, occorrendo, i soldati stanchi o non più atti al combattimento. I balestrieri colpirono con ima grandine di proiettili il castello in cui fu catturato persino il cuoco mentre in cucina stava cucinando polli per sostenere i feriti. Tuttavia l’assalto fallì. Sul mezzogiorno, allorché Antonio Spinola con una scelta schiera tentava di da- 17 Pachym., II, 600 e sgg.; cfr. Muntaner, cap. 225 e sgg. 18 Pachym., II, 605. 19 Muntaner, cap. 227. Secondo Pachym., II, 606, furono incendiate le installazioni portuali ed una nave. 20 Muntaner, 1. c. - 331 - Libro VI - Cap. terzo re la scalata ad una porta, Muntaner irruppe con truppe a cavallo e disperse con urto violento gli avversari esausti per il calore e la sete. I Genovesi, forse credendo vicino l’esercito nemico21, ritornarono alle galere inseguiti vigorosamente dai Catalani. Nel fatto perdette la vita il nobile Antonio Boccanegra, « il più valoroso uomo di Genova ». Che la perdita totale fosse stata più di 600 uomini è però una delle solite esagerazioni del vanaglorioso Muntaner22. L’occupazione di Gallipoli non era riuscita, ma a causa di essa la compagnia si vide costretta a sospendere la sua marcia vittoriosa a. A bordo della flotta genovese, che potè poi continuare la sua via verso la patria24, l’erede del Monferrato, Teodoro, arrivò felicemente a Genova; il suo matrimonio con Argentina Spinola, figlia di Opicino, fu celebrato; il suocero armò un esercito25; il 15 settembre 1306 il giovane marchese giunse a Casale, accompagnato dal conte Filippone de Langusco, da Rainaldo Spinola di Luccoli, vicario del Comune di Genova, dalla nobiltà di Pavia, come pure da un rilevante numero di uomini a piedi ed a cavallo. Il messaggio col quale Teodoro chiama i vassalli ed i comuni del suo Stato ad attestargli la dovuta obbedienza, porta la data del giorno seguente 26. Non erano di poca rilevanza le difficoltà che si frapponevano al proposito di prendere possesso del marchesato. Manfredo di Saluzzo ed il partito esterno di Asti opponevano aperta resistenza27; Filippo di Savoia, principe di Acaja, che, in passato, tramite il partito intrinseco era stato eletto Capitano di Asti28, profittò della confusione per acquistare possessi 29, cercando malevolmente di mandare a vuoto il progetto di Teodoro di concludere una lega con la città; la convenzione tuttavia fu conclusa *. Se anche un assalto su Moncalvo fallì31, tuttavia già prima della fine del- 21 Pachym., II, 606. 22 Cap. 227; cfr. Pachym., 1. c. 23 Secondo Muntaner, 1. c., essa ritornò a Gallipoli pochi giorni dopo l’attacco. 24 Ibid., 1. c.; Pachym., 1. c. 25 Guill. Vent., 753; Ptol. Lue., Ann. eccl., 1227. 26 Benvenuto di S. Giorgio, 416 e sgg.; cfr. Guill. Vent., 753. 27 Ibid, 1. c. M Ibid., 746, dicembre 1304. 29 V. la sua convenzione con Carlo II per l’acquisto e spartizione di Asti etc., in Guichenon, Hist. de Sav., III, p. 102 etc.; cfr. Gabotto, p. 45 e sgg. 30 Guill. Vent., 753 e sgg., 30 settembre 1306. 31 Ibid., 756, ottobre 1306. - 332 - Opicino Spinola e Teodoro Paleologo, marchese di Monferrato l’aniro la maggior parte del marchesato rese omaggio al signore ereditiera 32. Teodoro, dopo aver passato l’inverno a Chivasso33, al principio di maggio del 1307 incominciò, con l’aiuto del partito interno di Asti, ad assediare Moncalvo, che era difeso da Federico di Saluzzo e dagli esiliati astigiani34. Per non rimanere del tutto soccombente, Manfredo consegnò al re di Napoli Moncalvo, Vignale e Lu35, mentre in pari tempo Carlo II rinnovò l’accordo con Filippo, che aveva abbandonato Asti, per la presa di tale città, concertandosi anche con lui per la conquista e la spartizione del Monferrato36. L’avvicinarsi del Siniscalco regio e di Filippo costrinse alla fuga gli assediami di Moncalvo 37; ma mentre i primi due cercavano invano di impadronirsi di Asti M, Teodoro riuscì ad indurre gli abitanti di Lu e Vignale 39 a prestargli il giuramento di fedeltà, con la riserva però di doversi egli dimostrare superiore ai suoi avversari. Se non fosse stato in grado di respingere l’esercito del marchese di Saluzzo, di cui si attendeva l’arrivo entro l’ultima settimana di luglio, essi sarebbero ritornati nella condizione in cui si trovavano prima della prestazione del giuramento. Nel caso però che Manfredo non fosse comparso, o che fosse stato respinto entro 10 giorni dopo che fosse stata fatta comunicazione a Teodoro del suo arrivo, il giuramento di fedeltà prestatogli sarebbe rimasto in vigore40. In conse- 32 V. La Cbron. vetus in Cibrario, Delle storie di Chieri, II, p. 354 = Chron. illorum de Solario, 135; Guill. Vent., I. c.; Benvenuto di S. Giorgio, 419. Quanto all’espressione dominus naturalis v. ibid., 450. 33 Ibid., 419. Un atto di Teodoro del 14 dicembre 1306 (Manuel di S. Giovanni, Notizie e docc. di S. Maria di Vezzolano, p. 313) è emesso in castro Clavaxii. 34 Secondo Benvenuto di S. Giorgio, 419, l’assedio cominciò il 5 maggio 1307. Quello che Guill. Vent., 754 e sgg. riferisce al riguardo, va attribuito a quest’epoca. 35 Guill. Vent., 755; Gioffredo della Chiesa, 943 e sgg., etc.; cfr. Gabotto, p. 50 e sgg. 36 cfr. Cibrario, St. di Savoia, II, p. 293 e sgg.; Hopf, Gesch. Griecb., p. 367; Gabotto, p. 51 e sgg.: accordo di Govone, dell’ll maggio 1307; nell’aprile 1307, Filippo aveva abbandonato (definitivamente) Asti: Guill. Vent., 756. 37 Guill. Vent., 755; secondo Benvenuto di S. Giorgio, 419, l’assedio sarebbe stato levato dopo il 21 maggio. 38 Guill. Vent., 755. 39 Benvenuto di S. Giorgio, 420, 10 e 12 giugno. 40 Ibid. Manifestamente dai documenti; cfr. anche la lettera del 17 giugno, ibid., 420 e sgg. e Guill. Vent., 757. Siccome secondo Guill. Vent., 755, a Vignale c’era un presidio provenzale e il 6 novembre 1307 (Lünig, II, 2115) è fatta menzione della prigionia di un regio castellano di questo castello, regge la supposizione che gli abitanti di Vignale si fossero sollevati in favore di Teodoro e che avessero - 333 - Libro VI - Cap. terzo guenza Teodoro invitò tutti i suoi fidi ad allestire il necessario per la spedizione militare e a riunirsi, ad un suo ordine, presso di lui41. Una decisione sulla questione dell’eredità del marchesato del Monferrato era ancora aperta; ma invece del marchese di Saluzzo entrò in campo il re di Napoli come oppositore veramente pericoloso di Teodoro. Perciò questi cercò appoggio 42, evidentemente a mezzo del conte Filippone, strettamente legato con i Torriani di Milano, presso la lega guelfa lombarda, alla quale suo zio aveva già appartenuto43; fu così che Opicino Spinola, il Capitano ghibellino di Genova, tramite suo genero44 entrò in relazione col partito guelfo. Se fino a quel momento Bernabò Doria non si era intromesso per ostacolare la politica piemontese del collega, il motivo stava nel fatto che egli stesso era minacciato da complicazioni in Sardegna che lo toccavano molto da vicino. L’armistizio del 1299 aveva dato ai Pisani nei tre quarti dell’isola, cioè i Giudicati di Cagliari, Gallura e Arborea, una favorevole posizione che essi avevano sfruttato al massimo. Gli esiliati guelfi non avevano voluto approfittare della facolta di rimpatrio loro accordata da Genova45, così il Comune di Pisa aveva tolto ai Visconti il Giudicato di Gallura ed al ramo guelfo dei conti di Donoratico la sua parte nel Giudicato di Cagliari46; inoltre aveva fatto in modo che Arborea, alla morte del Giudice Giovanni47, finisse nelle mani di un Giudice amico48, ritenendo per sè il terzo di Cagliari già appartenente ad Arborea 49. La signo- fatto la riserva nel giuramento di fedeltà soltanto per mettersi al sicuro contro qualsiasi eventualità. 41 Benvenuto di S. Giorgio, 420 e sgg., circolare del 17 giugno 1307. « V. Ann. Parm., 726. 43 Secondo la circolare, Teodoro contava sull’aiuto della Lega Lombarda; v. sopra, n. 41. 44 Che anche il conte Filippone fosse sposato con una figlia di Opicino e una asserzione che si trova soltanto nelle interpolazioni in Guill. Vent., 753, che hanno un’origine molto più tarda; cfr. Gorrini, Il comune Astigiano, p. 186 e sgg. 45 Cfr. sopra, p. 249. 46 Ranieri Sardo, 92 e sgg. = Cbronicon Pisanum, 452 = Cronica di Pisa, 984. 47 Poco dopo il 1301; v. Tola, Cod. dipi. Sard., I, 505, 692. 48 Di Mariano (III) (Ranieri Sardo, 1. c., etc.) il figlio (naturale) di Giovanni; v. Tola, Cod. dipi. Sard., 1. c. Coreggente risulta essere stato Andrea, il fratello di Mariano: v. Zurita, I, 433; Reg. Clém. V, III, p. 71. 49 V. Bonaini, Stat. Pisa, II, 225 e sgg., 578 e sgg., 27 gennaio 1303. Mariano (II) di Arborea aveva lasciato per testamento (4 gennaio 1295) la proprietà a Pisa, - 334 - Opicino Spinola e Teodoro Paleologo, marchese di Monferrato ria di Pisa sull’isola50 non fu mai così incontrastata come dopo la guerra nella quale essa aveva sofferto sconfitte quali mai nel passato. Però gli estesi e redditizi acquisti non potevano considerarsi sicuri. Già nel 1297 Bonifacio Vili aveva concesso in feudo al re di Aragona la Sardegna e la Corsxa , e, dopo la pace di Caltabellotta, Giacomo II pensò di far valere sul serio i suoi diritti che erano stati fino allora soltanto nominali52. Carlo II lo incoraggiò, Firenze e Lucca gli offrirono una lega contro Pisa, uno degli esiliati, un Visconti, recò le relative proposte; Giacomo doveva però essersi trovato esitante a mischiarsi col partito guelfo, poiché già da lungo tempo i Ghibellini erano i naturali alleati della casa di Aragona53. Quanto però tenesse a conservare i suoi diritti, è provato dalla diligenza con la quale ebbe cura di rinnovare il giuramento feudale a Benedetto XI e Clemente V M. Un’invasione aragonese della Sardegna era un pericolo che continua-mente, come oscura nube sospesa sull’orizzonte politico, non poteva essere perduta di vista da Genova. Ad ogni buon fine, per evitare contrasti con Giacomo, il Comune mise in libertà il prigioniero Berengar d’Entenza55, quando il re, a richiesta della compagnia catalana, si prodigò per lui. Il Comune gli perdonò i trascorsi, però chiese a Giacomo di trattenere i Catalani da ostilità contro i Genovesi e contro il loro fedele alleato, l’imperatore greco 56. Le trattative corse nel convegno del re con Clemente V a Montpellier 57, riguardo alla Sardegna, avevano destato qualche apprensione a Genova, specie per le richieste di danni di Berengar che potevano perciò Giovanni, suo figlio e successore, non portava più il titolo di signore della terza parte di Cagliari: cfr. L.J., II, 398, contro Bonaini, 1. c., 419. 50 Cfr. specialmente l’enumerazione dei funzionari pisani in Sardegna: Dal Borgo, Dipi. Pis., p. 315 e sgg. = Tola, Cod. dipi. Sard., I, 506, 31 agosto 1314. 51 Rayn., anno 1297, par. 2 e sgg. 52 V. ibid., anno 1303, par. 29. 53 Zurita, I, 414, 418 e sgg., nel 1303. Il fatto che gli esiliati pisani volessero entrare in alleanza con il re d’Aragona fu la ragione, secondo Ranieri Sardo, 1. c. etc., del comportamento del Comune di Pisa contro di essi. 54 Rayn., anno 1304, par. 16; 1305, par. 8 e sgg.; 1306, par. 10 e sgg.; Reg. Clém. V, I, p. 261. 55 Cfr. sopra, p. 292 e sgg. 56 Zurita, II, 9 e sgg., nel 1305. Sulla liberazione di Berengar, cfr. anche Muntaner, cap. 229. 57 Zurita, I, 423 e sgg.; Reg. Clém. V, I, p. 35, 17 ottobre 1305. - 335 - Libro VI - Cap. terzo creare questioni58. Verso la fine del 1305 si presentò un’ambasciata genovese alla corte di Giacomo a Saragozza, per offrirgli un trattato di amicizia, della quale ignoriamo l’esito59. Più tardi venne in campo la questione a chi, con la mano di Giovanna figlia ed erede del Giudice Nino di Gallura, spettassero i diritti sui vasti possedimenti di quest’ultimo60. Bernabò Doria, Capitano di Genova, aveva fatto attive sollecitazioni presso suo zio, il marchese Azzo d’Este, per ottenerla61; al progetto di matrimonio è da collegarsi il fatto che, nell’ottobre 1306, Bernabò, suo padre Brancaleone, l’arcivescovo di Torres ed i Malaspina di Sardegna fecero dichiarare al re la loro buona disposizione a prestargli i servigi per la conquista dell’isola. Ma intanto il Comune di Lucca tentò di reagire contro i progetti di Bernabò62, e Giacomo cercò, non senza la collaborazione di Carlo II, intervenendo presso Azzo, di impedire la celebrazione del matrimonio63. Meglio riuscì invece il Capitano Doria nella realizzazione di un altro progetto di matrimonio, che peraltro lo mise in urto con il suo collega. La figlia di Bernabò, Isabella, sposò Manfredo di Saluzzo M. Gli Spinola de Platea ne erano stati gli intermediari65; probabilmente essi intendevano, tramite la ricca dote, prestare aiuto all’amico dei loro antichi alleati, i Ghibellini astigiani. Opicino non sollevò alcuna obiezione, però la concordia fra i due Capitani rimase scossa66. Fu invero una ben strana combinazione che ciascheduno di essi avesse per genero un pretendente al marchesato di Monferrato, e tanto più intricata diventò la situazione quando i parenti di Bernabò si sollevarono apertamente contro i Capitani, occupando, insieme con i Grimaldi, Taggia e Oneglia sulla riviera occi- 58 Zurita, II, 10. 5’ Ibid., I, 424. » V. ibid., 424 e sgg. 61 Fratello di Beatrice, il cui primo marito era stato Nino e che in seconde nozze sposò il milanese Galeazzo Visconti; v. Ann. Parm., 724; Ann. Veron., 459, Dante, Purg., VIII, 70 e sgg., etc. 62 Zurita, I, 424. « Ibid., 425. 64 Stella, 1022. La quietanza del pagamento della dote (5000 lire) è del 17 luglio 1307 (v. Muletti, III, P- 76); dunque il matrimonio doveva essere stato concluso. Manfredo di Saluzzo era stato ammogliato in prime nozze con Beatrice, figlia di Manfredi di Staufen: cfr. Amari, la guerra del vespro, II, p. 171. 65 Stella, 1. c. « Ibid. - 336 - Opicino Spinola e Teodoro Paleologo, marchese di Monferrato dentale67. E’ impossibile precisare il momento in cui ciò avvenne e nemmeno la causa immediata del fatto che determinò il sorgere di un partito esterno composito, formato di Ghibellini e Guelfi; probabilmente i Doria si erano allontanati dalla città, perchè Opicino calcava vie che non potevano essere seguite dai parenti dell’Ammiraglio siciliano. In Piemonte l’attesa risoluzione mancò. La spedizione del Monferrato scese comunque in campo, cavalieri di Milano e Genova si recarono presso Teodoro, il conte Filippone assunse il comando dell’esercito che arrivò nell’agosto a Lu68. Il marchese di Saluzzo non si affrettò a mandare soccorsi agli abitanti del luogo; in sua vece arrivarono nei pressi di Vignale il regio Siniscalco, Rainaldo di Leto, e Filippo di Savoia con le loro truppe. Il conte Filippone ritenne giunta l’occasione favorevole per dare battaglia. Fu però tanto prudente da mettere prima al sicuro il giovane marchese, poi attaccò, ma fu battuto, fatto prigioniero e condotto in Provenza69. La sconfitta avrebbe potuto avere funeste conseguenze per Teodoro; se riuscì a sventarle ne andò debitore esclusivamente a suo suocero Opicino Spinola. Il 6 novembre 1307, il Comune di Genova concluse una lega con Carlo II70, con la quale promise quello che aveva sempre rifiutato, nonostante le offerte ripetutamente ricevute. Per il riacquisto della Sicilia cioè, esso avrebbe messo a disposizione del re, entro due mesi dal giorno della richiesta, da dieci a cento galere armate a sue spese, con l’intesa che egli, in una eventuale prima spedizione di conquista, avrebbe potuto chiederne non meno di 30; se fosse stata necessaria una seconda spedizione ed altre ancora, il numero minimo per ciascuna sarebbe stato di dieci. Inoltre il Comune prometteva di appoggiare il re per la difesa di tutti i suoi possessi, anche di quelli nell’Italia settentrionale, contro chiunque, con altrettante galere e con una forza di balestrieri e lancieri compresa tra le 67 Stella, 1021. Oneglia apparteneva ai Doria; cfr. sopra, p. 233. « Guill. Vent., 757 e Ann. Pam., 741 e sgg., dove effettivamente Filippone è considerato come alleato di un conte (!) di Saluzzo. Cfr. anche la lettera in WiN-kelmann, II, 736 (esercizio di stile?). m Guill. Vent., 1. c.; Ann. Parm., 742; Teodoro appare come vincitore che fa prigioniero Filippone (!). 70 Lünig, II, 2093 e sgg. = Baluze, Vitae pap. Aven., II, 195 e sgg. Per le trattative preliminari, in ottobre 1307, Filippo di Taranto, figlio di Carlo II, si trattenne otto giorni a Genova: v. Camera, Ann. due Sic., II, 198. - 337 - 22 Libro VI - Cap. terzo 100 e le 5000 unità71. E’ comprensibile come Genova, in seguito ai piani di Giacomo d’Aragona, pericolosi per la sua potenza politica in Sardegna, e dai quali anche Federico di Sicilia non era lontano 72, si avvicinasse ora alla casa d’Angiò. Ma la questione sarda non venne considerata nella convenzione. I reciproci obblighi di Carlo II si riferivano soltanto a possessi di Genova in terraferma; per proteggerli, egli avrebbe inviato al Comune, a sue spese, da 5 a 25 galere, da 100 a 5000 uomini a piedi e da 50 a 300 uomini a cavallo . La Sardegna rimaneva dunque esclusa dai benefici dell’alleanza, specie perchè il re prometteva soltanto di soccorrere il Comune a proprie spese con una forza oscillante tra 2 e 20 galere, contro qualunque potentato, da Modone in Romania fino al Rodano, qualora fossero state aperte ostilità contro i Genovesi o non fossero cessate a domanda del re o comunque non fosse stata data loro soddisfazione; ma Carlo II non intendeva impegnarsi anche per una guerra contro il re d’Aragona e così pure faceva riserva riguardo alla Chiesa romana, ai re di Germania, di Francia e Maiorca, a Carlo di Valois, a Venezia e a Pisa74. La convenzione non conteneva dunque un’incondizionata lega offensiva. Nel 1292 Carlo II si era offerto di collaborare per la conquista di Cagliari da parte di Genova 75, ora si rifiutava addirittura di assumere la garanzia per Sassari. Anche riguardo al commercio, le concessioni fatte dal re al Comune erano inferiori rispetto alle precedenti offerte e non si differenziavano sostanzialmente dalle disposizioni prese nel 1301; Carlo II non avrebbe proibito mai ai Genovesi di esportare viveri dal suo paese per Genova e territorio, nè avrebbe aumentato le relative imposte. Il Comune avrebbe potuto ritirare annualmente una quantità di grano da determinarsi secondo le sue necessità e fino ad un massimo di 100000 salme, da prelevarsi entro quattro mesi dal 1° luglio dai porti del regno di Napoli o della Provenza, contro pagamento delle relative tasse; attraverso idonei divieti di esportazione, il re assicurava inoltre al Comune la precedenza nell’acquisto e 71 Lünig, II, 2123 e sgg. Per comitatus si possono intendere soltanto la Provenza, Forcalquier e per la maggior parte il Piemonte; cfr. sopra, p. 286. 72 Zurita, I, 424. Lünig, II, 2132, menziona differenze fra Federico ed il Comune. 73 Ibid., II, 2097 e sgg. 74 Ibid., II, 2118 e sgg. 75 Cfr. sopra, p. 164. — 338 - Opicino Spinola e Teodoro Paleologo, marchese di Monferrato ancora il Comune avrebbe potuto prelevare dalla Puglia 10000 salme libere da qualsiasi imposta. Veniva fatta però riserva di divieto di esportazione in caso di cattiva annata. Dopo la riconquista della Sicilia, i Genovesi avrebbero dovuto godere delle stesse franchigie come prima del 128276. Le rappresaglie concesse rimanevano sospese, i rispettivi debiti dovevano venire estinti a rate annuali77. Il punto più importante delle concessioni che Carlo II faceva in con-topartita della promessa di aiuto da parte di una flotta genovese per la conquista della Sicilia consisteva principalmente negli articoli che si riferivano al Monferrato; è notevole che questi fossero stati convenuti in nome di Opicino personalmente, anziché del Comune. Il riconoscimento di Teodoro ne costituiva il tacito presupposto, gli era attribuito il titolo di marchese e il re doveva occuparsi perchè fra Teodoro ed il marchese di Saluzzo si venisse alla pace. Se tuttavia lo stato di guerra fosse perdurato, le località che Manfredo aveva avuto in feudo dal re dovevano rimanere neutrali. Carlo II inoltre si ritirava dalla convenzione, conclusa con Filippo di Savoia, riguardante la ripartizione del Monferrato, adoperandosi perchè Filippo consegnasse ad Opicino uno o due dei castelli del Monferrato presi nell’ultima estate, e, nel caso in cui Teodoro avesse tentato di ricuperare altri possedimenti che Filippo aveva occupato, non fosse prestato alcun aiuto a quest’ultimo. Ma anzitutto Carlo II s impegnava a consegnare ad Opicino entro un mese i castelli di Moncalvo e Vignale, intorno ai quali erano state combattute le decisive battaglie, a condizione che Teodoro promettesse con giuramento di non aprire ostilità contro il re, di rinunziare a tutto quanto potesse essere contrario a questa alleanza, anche in futuro. Se Teodoro avesse mancato alla promessa, Genova doveva trattarlo come nemico e, in particolare Opicino, togliergli qualsiasi appoggio. Del resto Carlo II intendeva stare in pace con Teodoro e con i suoi eredi finché costoro seguissero i consigli di Opicino; per eredi si dovevano intendere soltanto i figli del marchese avuti da sua moglie Argentina, figlia di Opicino, ai quali spettava la successione78. In tal modo era assicurato a Teodoro il possesso del Monferrato, ma in pari tempo gli veniva imposta una specie di tutela da parte di suo suocero. Opicino, 7‘ Lünig, II, 2110 e sgg.; cfr. sopra, p. 55, n. 53 e p. 275. 77 Lünig, II, 2129 e sgg. Circa gli atti di pirateria che si erano verificati in precedenza, v. Camera, Ann. due Sic., II, p* 133. 78 Lünig, II, 2113 e sgg. - 339 - Libro VI - Cap. terzo essendosi deciso anche di liberare il conte Filippone 79, poteva attendersi che tale servizio reso ai Guelfi della Lombardia dovesse indurli ad astenersi dall’opporsi al nuovo ordine delle cose nel marchesato e ad essergli in genere favorevoli. La rinunzia alla conquista del Monferrato era già una grande concessione di Carlo II, mentre la garanzia della vigente costituzione di Genova era l’altra. Il re doveva asicurare Capitani, Abate, Comune, Popolo e loro aderenti contro chiunque; gli aiuti di galere e truppe terrestri, a cui si era obbligato, erano anzitutto destinati per il riacquisto dei luoghi sulla riviera occidentale occupati dagli esiliati, che, in quanto ribelli ai Capitani, il re doveva trattare come suoi nemici, salva qualche riserva per i Grimaldi e per quelli fra i loro aderenti che alla conclusione del trattato del 1301 erano già stati banditi. Nel caso cioè che i Grimaldi avessero rinunziato a tenere rapporti con i Doria e gli Spinola non aderenti dei Capitani, allora avrebbero potuto recarsi negli stati del re e soffermarvisi prestando garanzia di non muovere mai ostilità contro i Capitani80. Gli impegni di Carlo II non erano comunque validi solo nei confronti degli attuali, ma anche dei futuri ribelli contro i Capitani. La lega che egli strinse con i capi della dttà dell’epoca era così stretta, che quei nemici, i quali avessero voluto riconciliarsi con essi, dovevano giurare, in presenza di uno speciale plenipotenziario regio, di non agire in alcun modo contro il trattato. La garanzia per l’osservanza delle deliberazioni prese veniva infine affidata al papa o, in vacanza della sede apostolica, al collegio dei cardinali. Papa o cardinali potevano obbligare la parte che violasse il trattato al mantenimento delle promesse fatte, esigendo il pagamento della multa convenuta (100000 marchi d’argento) e con l’applicazione delle censure spirituali; parimenti doveva spettare loro ogni decisione ove, nella esecuzione della convenzione, fossero sorti dispareri81. 79 Ibid., II, 2117. 80 Ibid., II, 2096 e sgg. Quanto alla facoltà di Carlo II di intervenire per i Grimaldi, cfr. sopra, p. 275 e sgg. Particolari disposizioni vennero pure prese per Rainerio Grimaldi; cfr. sopra, p. 302 e sgg. 81 Lünig, II, 2133 e sgg. - 340 - Capitolo quarto La signoria di Opicino Spinola e sua caduta Pace fra il partito esterno ed i Capitani. - Politica di Opicino. - Caduta di Bernabò. - Opicino Capitano Generale. - Unione dei nobili contro di lui. - Battaglia di Sestri. - Istituzione dello status comunis. Il trattato del 1307 deve essere considerato come una conseguenza del primo infausto passo fatto da Corrado Doria assumendo la carica di Ammiraglio siciliano. Il conferimento dell’arcivescovato di Genova a Porchetto Spinola da parte di Bonifacio VIII era ima spina interposta fra le due famiglie, sulla cui concordia si basava la loro superiorità in Genova. Gli Spinola si volsero sempre più alla casa d’Angiò; Opicino era da lungo tempo in relazione con Carlo II1 che non mancava di colmarlo di favori2, così come non era avaro di dimostrazioni di favore verso i Genovesi3 — più tardi Odoardo Spinola venne nominato Grande Ammiraglio del Regno di Napoli4. Con la concessione di una flotta di aiuto contro la Sicilia, Opicino si era svincolato da ogni tradizione della politica ghibellina. Anche Bernabò fece un mutamento; la lega tra il Comune ed il re fu conclusa anche in suo nome5; ma già altri membri della famiglia Doria, primo il vincitore di Curzola, Lamba6, si stavano sollevando contro i Capitani; le loro relazioni con i guelfi Grimaldi7 smembrarono del tutto il partito ghibellino. Non possiamo conoscere con assoluta certezza come si svolsero le lotte dei Capitani contro il partito esterno nel 1307. E’ conservato un frammento di un trattato di pace8 fra Capitani e Abate in nome del Comune, 1 Cfr. sopra, p. 287. 2 V. Camera, Ann. due Sic., II, p. 131. 3 Ibid., II, p. 133 e sgg. 4 V. Cadier, p. 193. 5 Però egli non era presente alla seduta conclusiva del Consiglio: v. Lünig, II, 2136. 6 V. App. 3, nr. 25 a, c. 60; cfr. oltre, n. 9. 7 Cfr. sopra, p. 336. 8 App. 3, nr. 25 a, c. 60 e sgg.; estratto in Fol. Not., Ili, 2, c. 44 v.\ cfr. Canale, III, p. 161. - 341 — Libro VI - Cap. quarto del Popolo e di tutti i nobili e popolari di Genova e territorio loro aderenti, da una parte, e di un certo numero di Doria, Spinola e Grimaldi9 e aderenti, dall’altra parte. Nel medesimo è stabilito che i Capitani debbano rimanere in carica 10 fino alla prossima festa di S. Simone e Giuda e poi per un altro anno; tutti i Genovesi dovevano giurare di obbedire ai Capitani, come vi obbedivano i loro aderenti, conformemente ai poteri loro conferiti e di nulla fare contro i Capitani, l’Abate ed il Popolo, ma anzi aiutarli secondo le loro forze ". La data della pace era prevista per il 24 settembrea. Ma il 6 novembre, quando venne concluso il trattato con Carlo II, i Capitani non si erano ancora riconciliati con i loro avversari,3. Lo Stella narra che il Capitano Bernabò, accompagnato dal Podestà di Genova e da Rainaldo Spinola, con una grande schiera di cavalieri e uomini a piedi, mosse contro i Doria ed i Grimaldi che si trovavano a Portomau-rizio; ma che intanto, per accettazione dei voleri di Dio, avvenne un accordo; i ribelli si sarebbero sottomessi ai Capitani, avendo ottenuto, insieme ai loro aderenti, facoltà di essere liberati dal bando se entro il 24 dicembre avessero prestato il giuramento di fedeltà ai Capitani ed all'Abate 14. 9 Ibid., sono nominati: Lamba (per primo) e altri 8 Doria, Guideto e Gabriele Spinola, Magnone, Rizardo e 21 Grimaldi e inoltre Andriolo de Mari, Angelo e Daniele Tartaro, Antonio Saivago, Giovannino Squarciafico, Antonio Grillo, Pietro Basso, Manfredo di Savignone. 10 Ibid.; cfr. sopra, libro VI, cap. II, n. 90. 11 Ibid., vi è pure la disposizione per cui i Capitani e lAbate non devono interferire nell’amministrazione giudiziaria (cfr. sopra, p. 320) esposta in forma rigida: Item quod ad d. potestatem Janue, qui nunc est et prò tempore fuerit, et eius iu-dices et consules placitorum debeant pertinere omnia que spectant ad iusticiam vel vindictam prout actenus consueverunt... secundum formam capitulorum civitatis Janue. E’ fatta riserva per i casi di manifesta violazione di legge nei quali i capitani e l’Abate possono sottoporre la questione alla decisione sommaria di tre giureconsulti genovesi; analogamente si dovrà procedere nelle cause delle miserabiles persone che non avessero mezzi per pagarne le spese. In seguito alla pace, venne forse introdotto qualche cambiamento nella composizione dei consigli; almeno il 22 marzo 1308 (Belgrano, Prima serie di docc. di Pera, p. 110) troviamo nuovamente 8 consiliarii dei Capitani; cfr. sopra, p. 212. 12 Tale data si trova ibid., nell’autenticazione della copia dalla quale fu tratta quella (incompleta) conservata. 13 Cfr. sopra, p. 340. 14 Stella, 1021, in vigilia natalis domini (1307). Secondo Guill. Vent., 726, i Grimaldi ritornarono a Genova pacificamente nel 1308, et Janue non steterunt per annum. - 342 - La signoria di Opicino Spinola e sua caduta Pobabilmente dunque venne conclusa in questi giorni la pace 15, le cui condizioni risultano dal relativo documento. Nel fatto che gli avversari dei Capitani desistettero dalla resistenza si potrebbe scorgere una conseguenza della convenzione con Carlo II, che aveva tolto ai Grimaldi la possibilità di trovare appoggio nel territorio angioino, come quando avevano occupato Monaco. Perciò i Capitani si appoggiarono ormai proprio a quella stessa potenza nonostante la quale i loro predecessori avevano raggiunto e consolidato la signoria in Genova. La base politica del terzo doppio capitanato era diventata assolutamente diversa da quella del primo e del secondo. Le condizioni generali dell’Italia offrivano un aspetto sorprendente e solo fino ad un certo punto comprensibile. Neppure dopo la caduta di Manfredi e di Corradino il partito ghibellino era finito tanto in basso come gli accadde dopo la caduta dei Visconti a Milano; ovunque in Lombardia i Guelfi avevano la supremazia, mentre nelle diverse città gli sforzi degli aderenti al partito regio, che di comune avevano solo il nome, miravano ad un medesimo scopo, quello cioè di procurarsi e consolidare nel loro proprio interesse la supremazia nell’ambito ristretto della loro patria; in particolare i Doria e gli Spinola si mantenevano in relazione ben poco stretta con i membri del partito che stavano al di fuori. D’altra parte Carlo II era assai meno il rappresentante degli interessi della Chiesa che non di quelli propri; egli non era più, come lo era stato una volta suo padre, il capo dei Guelfi. Il mantenimento di buone relazioni col re di Napoli e addirittura con i Guelfi lombardi sarebbe stato opportuno secondo i principi fondamentali della politica estera dei precedenti Capitani; il terzo doppio capitanato andò ben oltre, chiedendo l’insediamento di un marchese guelfo in Monferrato e ricorrendo all’assistenza di Carlo II per il consolidamento della sua posizione. La vera spiegazione di una così fon- 15 Invece di settembre potrebbe leggersi dicembre: cfr. sopra, n. 12. In proposito si osservi che anche nel documento del 6 novembre (Lünig, II, 2095) Nicola Framba risulta Abate. Poiché la carica di Abate durava talvolta pochi mesi (cfr. sopra, libro VI, cap. II, n. 18) e una volta almeno, fra settembre e novembre, troviamo più abati {Fol. Not., Ili, L c. 128 v., 11 settembre 1296: Oberto de Padua\ ibid., HI, 2, c. 31, 10 novembre 1296: Vassallo Cazano), non è improbabile che fra settembre e novembre la persona dell’Abate fosse mutata. Se dunque la data della pace fosse veramente il 24 settembre, Framba non avrebbe potuto essere ancora Abate il 6 novembre. Per contro non è accertabile se l’abate fosse mutato fra novembre e dicembre. - 343 - Libro VI - Cap. quarto damentale deviazione dalla regola precedentemente seguita non può trovarsi altro che nel carattere di Opicino Spinola. Erano già da molto passati i tempi nei quali i cittadini migliori dirigevano concordi lo Stato; ormai persino le tradizioni di partito che li avevano tenuti uniti cominciavano a tramontare; l’opposizione fra Ghibellini e Guelfi non era più la barriera indispensabile da superare per la scelta dei mezzi atti a raggiungere scopi personali. Oberto Spinola e Oberto Doria erano rimasti anche da Capitani essenzialmente i capi del loro partito; Opicino tendeva, in maniera ben più sensibile che non i suoi predecessori, alla signoria personale. Quelli si erano ritirati, perchè la loro posizione aveva suscitato nella cittadinanza eccessivo sfavore, Opicino, invece, mirava alla signoria di fatto e di diritto; qualunque via che lo potesse condurre a tale meta era per lui giusta. Perciò si appoggiò, contro la nobiltà da lui abbandonata, sui popolari che sedevano in gran numero nei Consigli i quali, in nome del Comune, davano la formale convalida alle sue decisioni16, e si alleò con quei signori che nelle vicinanze di Genova rappresentavano la parte principale, con il guelfo conte Filippone, il partigiano dei Torriani di Milano, e dopo la sua sconfitta, con il vittorioso re di Napoli. Bernabò Doria non era in grado di riportare le cose sulla buona strada, impedendo gli errori della politica del suo collega cagionati dallo sfrenato egoismo che lo dominava. Egli acconsentì al trattato con Carlo II, quantunque con esso i possedimenti dei suoi parenti in Sardegna perdessero l’appoggio del re di Napoli, e le pretese di suo genero, Manfredo di Saluzzo, sul marchesato di Monferrato dovessero scemare. Così l’esecuzione del trattato ebbe luogo senza difficoltà. Moncalvo e Vignale furono consegnati a Opicino, che tenne in custodia i castelli in pegno della dote di sua figlia Argentina, presidiandoli con soldati genovesi, e facendosi prestare dagli abitanti il giuramento di fedeltà 17. Filippo di Savoia venne altrimenti compensato da Carlo II per la sua rinunzia al Monferrato18, ed il conte Filippone, dopo sei mesi di prigionia, ottenne la libertà 19. Indi Bernabò concluse con un plenipotenziario del re d’Aragona una con- io V. Lünig, II, 2136. 17 Guill. Vent., 757. 18 Doc. in Lünig, I, 619 = Guichenon, III, p. 104, 31 gennaio 1308. Secondo Stella, 1022, Teodoro sarebbe venuto a Genova nel 1308 e ricevuto con tutti gli onori. 19 Guill. Vent., 757. - 344 - La signoria di Opicino Spinola e sua caduta venzione 20 con la quale egli, unitamente a suo padre Brancaleone, prometteva a Giacomo di fornirgli 300 uomini a cavallo per la conquista della Sardegna con l’esclusione di Sassari, finché questa città fosse rimasta fedele al Comune di Genova; in compenso egli domandava che il re gli confermasse il possesso dei suoi beni nell’isola e inoltre gli regalasse il castello di Montagudo 21. Anche il pensiero di un matrimonio fra un Doria e la erede di Gallura sorse nuovamente22; però la confusione che presto si determinò a Genova troncò le trattative. La riconciliazione fra i Capitani ed i loro avversari era stata tutt’altro che sincera. I Doria non cessarono dal mantenere rapporti con i Grimaldi; a Natale del 1307, cioè il giomo dopo la conclusione della pace, i membri delle due famiglie si fecero vedere ugualmente vestiti in panni di due colori per rendere nota la loro concordia anche esteriormente23. Seguirono, secondo quanto ci viene narrato, congiure, che non rimasero occulte ai Capitani. Il 25 agosto costoro chiamarono i popolari ed i loro mercenari alle armi, riportando vittoria sugli avversari dopo aspro combattimento. Bernabò doveva avere partecipato con cuore stretto al fatto24; egli doveva avvertire la deplorevole posizione da lui assunta nella lotta contro la sua propria famiglia, nè seppe nascondere i suoi sentimenti; Opicino non si peritò di allontanare completamente il collega, la cui posizione si era fatta insostenibile da quando nel novembre suo zio, Odoardo Spinola, aveva chiamato alle armi contro Bernabò25. I due Capitani sedevano proprio in un’adunanza di Consiglio; Opicino si scusò per tale fatto, che disse essere accaduto a sua insaputa; ma già nello stesso mese Bernabò fu deposto e condotto prigioniero nel palazzo del Comune ove risiedeva l’Abate. In seguito la cittadinanza venne convocata ad un gran Consiglio, nel quale Opicino fu proclamato unico reggente a vita del Comune e del Popolo di Genova26. Il titolo che da allora in avanti gli competeva era 20 Zurita, I, 426, luglio 1308. 21 Zurita, 1. c. Era uno dei quattro castelli che Pisa nella pace del 1288 aveva promesso di consegnare a Genova: L.J., II, 139; cfr. sopra, pp. 92, 249, n. 29. 22 Zurita, I, 427. * Stella, 1022, ha 1308. 24 Ibid. 25 Stella 1. c., ha 1309; che l’avvenimento debba riferirsi al 1308 risulta dall’insieme dei fatti. 26 Stella, 1. c.; cfr. Jac. de Var., Continuatio, 501; Guill. Vent., 726-, Giov. Sercambi, I, 55. — 345 - Libro VI - Cap. quarto quello di capitaneus perpetuus et generalis comunis et populi Janue 27; da cui risultava chiaro come egli avesse raggiunto l’illimitata signoria di Genova. Le fondamentali caratteristiche del capitanato fino a quel momento, cioè la divisione del potere fra due titolari con eguali attribuzioni e durata limitata della carica, era cessata. L’attuale posizione di Opicino può essere considerata o come una tirannide nel senso tradizionale della parola o come una signoria molto più ampia di quanto non fosse quella dei precedenti Capitani. Le cariche di Podestà e di Abbas Populi continuarono bensì a sussistere 28, ma evidentemente in piena dipendenza dal nuovo signore della città 29. Non è chiaro fino a qual punto i diversi Consigli continuassero ad esercitare le loro funzioni; l’organizzazione degli uffici che non avevano alcuna importanza politica non fu forse toccata da Opicino30, ma non vi è dubbio che ne disponeva a suo talento ed arbitrio. Egli si serviva nel proprio interesse del credito del Comune3I, delle cui rendite disponeva a favore dei suoi parenti 2, vendeva impieghi o li regalava ai suoi partigiani33; soprattutto aveva 27 Così nel frammento di un documento in App. 3, nr. 18 b, in un foglietto dietro c. 5 v. 28 In lettere papali {Reg. Clém. V, IV, pp. 77, 84) del 13 maggio 1309 si parla di Capitano, Podestà, Abate e Comune. La posposizione del Podestà si trova già nell’indirizzo [ibid., III, p. 232, 29 settembre 1308) capitaneis, abbati, potestati, consilio e comuni Janue; invece ibid., I, p. 134, 2 luglio 1306, Podestà, Capitani, Abate, etc. 29 II Podestà del 1309 era caduto in battaglia per Opicino; cfr. oltre. Nel progetto di pace del 1310 (App. 2, nr. 84, c. 14) viene accordata amnistia ai partigiani di Opicino, che al tempo del suo capitanato erano in officio abbatis, de gestis et factis per (eos) in dicto officio abatie. 30 App. 3, nr. 18 b, c. 3 (8 febbraio 1309): troviamo un consul de iusticia civium et foritanorum che conferma un’emancipazione dalla patria potestà. 31 Nel 1310 (App. 2, nr. 84, c. 13; cfr. c. 2 v.) è fatta menzione di 72000 lire che Opicino si era fatto dare dal Comune (contra illos qui erant in loco Tabie), et que scripte fuerunt super eum in officio assignationis mutuorum. 32 Ibid., c. 13 v. e c. 3 v., vengono invalidate tutte le alienazioni fatte da Opicino de... introitibus seu toltis comunis Janue che egli aveva assegnati ipsis dominis de Lucullo vel alicui... certe persone et singulari a tempore electionis capitan eat us ipsius citra. 33 Ibid., c. 13 v. e c. 4v., vengono cassate tutte le concessioni fatte da Opicino in qualità di Capitano riguardanti qualunque ufficio tam ex mutuo quam ex gratia vel alio quoque modo, con la riserva che i sequaces... conserventur indempnes - 346 - La signoria di Opicino Spinola e sua caduta pensato di assicurarsi incondizionatamente le piazzeforti del territorio genovese. Probabilmente egli affidò i più importanti castelli ai suoi parenti più prossimi, come conferì di preferenza ai medesimi la carica di Podestà nei distretti e nelle località dipendenti da Genova34. Inoltre effettuò molte alienazioni di beni comunali a vantaggio proprio e dei parenti, dando via giurisdizioni, sudditi, vassalli, località e castelli che appartenevano al Comune o da esso dipendevano35. Al di là dell’Appennino, nel territorio di Gavi, risulta che gli Spinola di Luccoli avessero messo insieme dei possessi fondiari di non poca importanza36. Non è affatto chiaro fino a qual punto tutto ciò sia da mettere in relazione con la grande ambasciata che il Comune di Genova, al principio del 1309, mandò alla corte papale ad Avignone. Essa avrebbe chiesto a Clemente V il vescovato di Lucca, che non ottenne, in quanto un vescovo era già stato eletto e perchè Lucca apparteneva alla provincia di Toscana37. Anche volendo ammettere de mutuis que fecissent pro ipsis officiis habendis qui scripti reperientur in cartu-lariis clavigerorum comunis mutuasse vel solvisse propterea occasione dictorum mutuorum. Sembra invero che fosse uso che chiunque volesse avere un impiego dal Comune dovesse versargli una somma di denaro a titolo di prestito. In Fol. Not., II, c. 232 v. (2 aprile 1268) vengono date a prestito 200 lire pro ipsis mutuo dandis comuni Janue pro habenda castellania Apii de Vintimilio in anno proxime venturo. 34 Nel 1310 (App. 2, nr. 84, c. 13 v. e c. 7 v.) vengono cassate omnes acquisitiones, dationes, electiones et concessiones aliquarum potestaciarum, capitaneatus, castellaniarum seu alicuius rectorie alicuius civitatis, castri seu terre seu fidelitatum vel homagiorum districtus Janue a Corvo usque Monacum et a jugo usque mare et etiam ultra jugum et alibi que sint in jurisditione comunis Janue, sive sint conventionale sive non, facte hinc retro in personas di Opicino, Raynaldo, Odoardo, loro figli, nipoti o aderenti. Monaco era in ogni caso toccata ad Odoardo, Ventimiglia, Lerici e Portovenere pare fossero state nelle mani di aderenti di Opicino, il quale dopo la sua sconfitta andò a cercare rifugio a Gavi: Guill. Vent., 726; v. oltre. 35 Nel 1310 (App. 2, nr. 84, c. 13 e c. 1 v.) vengono cassate omnes acquisitiones quas dicti dd. Opecinus, Raynaldus, Oddoardus vel alter ipsorum seu sequaces... acquisivissent quoquo modo seu acquisierunt et omnes alienationes che essi avevano fatto in loro nome e in quello del Comune a chiunque (de) iuribus, iurisdi-tionibus, hominibus, vassallis, villis, possessionibus, seu castris comunis Janue vel que comune Janue tenuerat... in civitate Janue et districtu Janue vel extra a partire dall’elezione di Opicino a Capitano. 36 Espressamente riservati sono i diritti (App. 2, nr. 84), indicati nelle due precedenti note, degli Spinola in Cairo, Cremonte, Mongiardino, Pasturana, Castelletto de ultra jugum, S. Cristoforo, Serravalle in territorio de Zignaculo, Bixio et certis hominibus de Ovada spectantibus ad... d. Opicinum. 37 Ptol. Lue., Ann. eccl, 1231. - 347 - Libro VI - Cap. quarto che si trattasse del vescovato di Luni, limitrofo al territorio genovese e dotato di vaste proprietà territoriali, rimane tuttavia il dubbio se la domanda fatta del vescovato avesse per scopo soltanto quello di favorire un parente di Opicino3S, ovvero celasse l’idea di un ingrandimento del territorio genovese verso oriente al di là del Magra39. Del resto le molte altre dimostrazioni di favore del papa verso Opicino ed i suoi aderenti40 provano come il Capitano non dovesse attendersi atti ostili da parte della Curia. Le opposizioni contro di lui provenivano dai Doria e dai nobili guelfi che non erano disposti a piegarsi al suo personale dominio. Non conosciamo con sicurezza i particolari delle lotte che si svolsero. Risulta che gli avversari del Capitano Generale si fossero anzitutto fortificati sulla Riviera occidentale, a Portomaurizio, e che un esercito spedito contro di loro a nulla riuscisse; anzi, essi presero ancora Andora e Al-benga 41. Il deposto Capitano Bernabò Doria riuscì a liberarsi dalla prigionia 42; per tre giorni gli Spinola de Platea lo tennero nascosto in caSa loro, finché, segretamente, abbandonò la città e potè recarsi a Sassello, luogo che gli apparteneva, al di là delTAppennino. Qui i nemici di Opicino, che volevano abbatterlo, stabilirono il loro quartier generale. Vi conven- 38 Secondo Giov. Sercambi, I, 54, nel 1307 era morto il vescovo Antonio di Luni; cfr. Sforza, Castruccio Castracani in Lunigiana, p. 303. Il 20 ottobre 1307 troviamo un francescano, Guillielmus, vescovo eletto di Luni, quale confederato dei (Ghibellini) extrinseci di Lucca: Sforza, Castruccio Castracani e gli altri lucchesi, p. 93. L’11 aprile 1309 (Reg. Clém. V, IV, p. 58) il papa, ad istanza del Capitano Generale di Genova, Opicino, rilascia al fratello dello stesso, il domenicano Antonio, la dispensa super defectu natalium affinchè potesse assumere qualunque dignità spirituale, compresa quella vescovile. 39 Questioni territoriali fra il Comune ed i vescovi di Luni pendevano comunque già da lungo tempo; cfr. sopra, vol. I, p. 372. Nel 1283 il vescovo Enrico aveva recuperato i castelli di Amelia e Barbazano che, come sembra, il Comune aveva assoggettato: Sforza, Castruccio Castracani in Lunigiana, p. 315. Nel 1286 Barbazano ritornò nelle dipendenze di Genova: L.J., II, 83; all’incirca nel 1300 i Genovesi intrapresero una spedizione contro Amelia, però il castello fu occupato da Lucca: Giov. Sercambi, I, 48 e sgg. 40 Reg. Clém. V, IV, p. 76 e sgg., 13 maggio 1309. 41 Stella, 1022 e sgg.; cfr. Ptol. Luc., Ann. eccl., 1301. Secondo i documenti citati da Muletti, III, p. 84, al principio del 1309 l’ammiraglio siciliano Corrado Doria doveva essersi trovato in Piemonte. 42 Stella, 1023. Secondo Jac. de Var., Continuatio, 501, Bernabò era fuggito da Genova prima che Opicino diventasse Capitano Generale. Le relazioni di Guill. Vent., 726 e Giov. Sercambi, I, 55, concordano meglio con Stella. - 348 - La signoria di Opicino Spinola e sua caduta nero molti Doria e Spinola, ma anche i nobili guelfi, Grimaldi e Fieschi, e persino alcuni popolari non mancarono43. In questa circostanza, che quasi tutta la nobiltà di Genova appartenesse a questo partito esterno, sta il punto èssenziale della situazione. Come già contro il Boccanegra, adesso la nobiltà era compatta contro lo Spinola; si trattava di vedere se il Popolo avrebbe difeso il Capitano Generale meglio del suo primo Capitano. La decisione non si fece lungamente attendere. In Sassello gli esiliati radunarono un esercito che, guidato dal marchese Manfredino del Carretto e da Guglielmo di Ceva, valicò l’Appennino e comparve presso Voltri, sulla costa poche miglia ad occidente di Genova Il mattino del 10 giugno 1309 Opicino uscì dalla città con forze preponderanti contro gli assalitori e presso il convento di S. Andrea, nelle vicinanze di Sestri, le due schiere vennero alle armi. Nella battaglia che divampò, l’esercito del Capitano Generale fu battuto 47 ; secondo una relazione vi giocò il tradimento, ma, più probabilmente, i popolari, animati soltanto da un debole zelo per la causa dello Spinola, si erano dati presto alla fuga49. Oltre duecento uomini erano caduti sotto le spade dei nobili e così pure il Podestà di Genova, Antonio de Gualdini da Parma51. Opicino non ritornò a Genova, 43 Stella, 1. c.-Jac. de Var., Continuatio, 501; Villani, Vili, 114. Secondo Guill. Vent., 726, fu occupato anche Stella, il castello dei Grimaldi (cfr. sopra, vol. I p. 286), che fu poi preso e distrutto dall’esercito di Opicino. In Ann. Parm., 751, è detto che anche i Fieschi appartenevano agli extrinseci. 44 Guill. Vent., 726; cfr. Jac. de Var., Continuatio, 501. Manfredino è il figlio di Ugheto, nipote di Manfredo (L.J., II, 521; cfr. sopra, vol. I, p. 211, n. 18) che era in lite con gli Spinola per il castello di Cairo: App. 2, nr. 84, c. 9 v. 45 La data in Jac. de Var., Continuatio, 401, Stella, 1023, è incerto riguardo all anno. Quanto al fissare la data del 9 giugno 1309 vale il giomo per la restituzione dei beni etc., secondo il progetto di pace del 1310, v. App. 2, nr. 84; cfr. oltre, cap. V. 46 Guill. Vent., 726. Secondo Stella, 1023, Opicino aveva 500 uomini a cavallo e circa 10000 a piedi. Quest’ultimo numero corrisponderebbe circa alla forza della leva degli otto quartieri della città; cfr. sopra, vol. I, p. 327, n. 35. 47 Stella, 1023; Guill. Vent., 726. 44 Jac. de Var., Continuatio, 501. 49 Villani, Vili, 114. Secondo Ptol. Lue., Ann. eccl., 1231, la causa della fuga dei seguaci di Opicino sarebbe stata una sollevazione in città durante la battaglia. 50 Guill. Vent., 726; cfr. Jac. de Var., Continuatio, 501. 51 Stella, 1023; Ann. Parm, 751; Cbron. Est., 368. Guill. Vent., 1. c., menziona pure Ansaldo Balbi di Castello come caduto. — 349 — Libro VI - Cap. quarto ma valicando i monti si recò a Gavi, mentre nel medesimo giorno i vincitori entravano in Genova52. Per la prima volta dopo quasi quarantanni di oppressione, i Guelfi riuscirono ad ottenere con la forza il ritorno in patria53; ma invero il successo e Ghibellini insieme; il che le fonti non mancano di far risaltare M, ed è degna di nota, più che l’aumentata importanza del partito della Chiesa a Genova, la circostanza che la battaglia combattuta a Sestri per la causa dei Doria decise dell’aristocrazia ghibellina. La forza del Popolo non si era dimostrata idonea per tener testa ai nobili riuniti; l’organica partecipazione delle classi inferiori al governo dello Stato, durata per parecchi decenni, subiva ora un grave colpo. Tuttavia una completa reazione contraria non era più possibile, come era avvenuto invece dopo la caduta del Bocca-negra. Troppo profonde radici avevano ormai preso le istituzioni popolari perchè si potesse pensare a sopprimerle; ma la caduta del signore della città, amico del Popolo, produsse la fine del movimento popolare, che venne a perdere, con lo scioglimento dell’unione con il partito dominante della nobiltà, la base su cui si sosteneva. Con 1 entrata dei nobili vincitori, in Genova si verificarono i soliti eccessi del furore di partito. Le case di Opicino, Rainaldo ed Odoardo Spinola furono date alle fiamme55; al cessato Capitato Generale venne inflitta la pena del perpetuo esilio K; gli atti del suo ufficio furono probabilmente dichiarati nulli57, per i suoi aderenti non vi fu clemenza; così quelli fra loro che erano notari furono cancellati dalla matricola ed esclusi dal collegio notarile58. Risulta che i soli nobili si fossero assunti il compito della compilazione di una nuova costituzione. Nel giorno seguente alla battaglia, 111 giugno, i Fieschi, i Grimaldi ed i Doria, senza aver convocato il Popolo, elessero un Abbas populi, poi insediarono una com- 52 Stella, 1. c.; Guill. Vent., 1. c.; Jac. de Var., Continuatio, 501. 53 Cfr. Ann. Parm., 751. 54 V. in particolare Villani, Vili, 114. Stella, 1023. Secondo Barth. della Pugliola, 320, sarebbero avvenute «klù Ì U A A __71 non fu raggiunto con le loro sole forze. Il tiranno fu abbattuto da Guelfi parecchie ruberie e vi sarebbe stato spargimento di 56 Stella, 1. c. sangue. 57 Cfr. le disposizioni nel progetto di pace del 1310 oltre, cap. V. XT-1 1 *» i i a > r • tricula notariorum civitatis Janue, integro restituentur. tutti gli aderenti dei signori ... fuerunt de collegio et ma- - 350 - La signoria di Opicino Spinola e sua caduta missione di 16 membri per la reggenza del governo di Genova e territorio. Il 1 luglio, in luogo di questi provvisori, subentrò un nuovo organo, quello cioè dei 12 gubernatores59. Nominalmente, da allora doveva esservi di nuovo il Podestà alla testa dello Stato60, però al suo fianco stavano i Governatori, 6 nobili e 6 popolari61. Costoro, insieme con l’Abate, costituivano non solo un piccolo Consiglio, come prima gli Anziani che furono aboliti , ma anche un vero e proprio collegio di governo, forse analogo ai Priori di Firenze, che agiva da solo in nome del Comune e assumeva obblighi per esso a. Di vero e proprio Consiglio rimaneva soltanto quello Maggiore o Generale, al quale partecipavano Abate e Governatori e che, come d uso, era tenuto dal Podestà M. Una certa analogia fra la posizione dei 12 Governatori e quella che gli 8 Nobili avevano avuto dopo il 1262 e manifesta, e la mente corre a certe situazioni di allora65, considerando che lo status gubernatorum ora istituito, in luogo del cessato status dei Capitani e del Popolo “, venne designato ufficialmente anche come status 59 Stella, 1023. Come denominazione dei Governatori troviamo pure consiliarii Janue civitatis (Germain, I, p. 429), andarti (ibid., I, p. 425) e priores (Rayn., anno 1310, par. 9). Sembra che essi avessero la loro sede in un palazzo del Comune: v- L.J., II, 457 60 Cfr. gli indirizzi delle lettere in Muratori, Ant. ital, IV, 132; Reg. Clérn. VII, p. 5. Come Podestà sono accertabili: nel 1310 (Muratori, 1. c.) Jacobus de Landriano de Mediolano-, nel marzo 1311 (Germain, I, P- 427) Symion de Padua; nel novembre 1311 (L.J., II, 456) Simon de Grimeello de Pergamo. Il titolo è potestas comunis Janue-, ibid. Una lettera del re Giacomo di Majorca del 3 ottobre 1309 è diretta al Podestà, Anziani, Abate, Consiglio e Comune: Germain, I, P- 424 e sgg. 61 Stella, 1023: tunc 12 gubernatores, 6 nobiles sexque nuncupati de populo cum eodem abbate ad Januensium electi sunt regimen-, cfr. anche ibid., 1016. Lo statuto relativo alla ripartizione delle cariche fra nobili e popolari (cfr. sopra, p. 155) non fu dunque toccato. 62 Per lo meno non troviamo gli Anziani accanto ai Governatori. 63 L.J., II, 448; App. 2, nr. 99; in ambo i casi non è fatta menzione della partecipazione dell’Abate. 64 L.J., II, 456 (22 novembre 1311): potestas comunis Janue in presentia et voluntate d. Johannis de Monticello, abbatis populi, et consilii gubernatorum nec non et consiliariorum consilii generalis... et ipsi d. abbas, consilium gubernat(orum) et consiliarii, auctoritate et decreto dicti potestatis, nomine et vice dicti comunis, nominano un sindaco. V. anche Dònniges, II, p. 166. 65 Cfr. sopra, vol. I, p. 156. 66 Cfr. Lünig, II, 2096 e sgg. — 351 — Libro VI - Cap. quarto comunis67. Nessun cittadino doveva più essere escluso dalla partecipazione al governo; nessuno era presunto avversario della nuova forma dello Stato, ad eccezione degli Spinola di Luccoli e dei loro aderenti per i quali non vi era più posto in città68. Questa sola eccezione fu sufficiente per ar scomparire ogni possibilità di ordine, come pareva dovesse verificarsi opo la concordia instaurata fra Guelfi e Ghibellini. I banditi si raccolsero presso Opicino a Gavi ed anche altre piazze del territorio genovese vennero occupate dal partito esterno; cominciò una guerra, che riempì di sangue e rovine le coste della Liguria e del limitrofo territorio montano . 67 Jac. de Var., Continuatio, 501. Anche in App. 2, nr. 84, c. 9, si trova tale espressione. 68 Stella, 1023. Che il bando degli aderenti di Opicino fosse stato pronunciato dopo l’istituzione del nuovo regime, risulta anche da Jac. de Var., Continuatio, 1. c. 69 Stella, 1. c.; v. oltre, cap. V. — 352 - Capitolo quinto Le relazioni esterne di Genova ed il governo ’ gubernatorum ’ Relazioni di Genova con Giacomo II dAragona. - Con Pisa. - Con l’impero greco. -Distruzione di Caffa ad opera dei Tartari. - Commercio coll’Egitto. - Relazioni con i tiranni di Cipro e litigi col re Enrico. - Guerra di Opicino contro il partito interno. • Trattative di pace. - Nuovo scoppio di ostilità. - Conclusione della pace. La continua discordia interna era il maggiore impedimento ad una politica estera del Comune. Era troppo salda però la posizione mondiale di Genova, basata sulla preponderanza della sua flotta e l’estensione del suo commercio, alimentato dai capitali di ricchi cittadini, perchè essa potesse essere scossa in un decennio. Ancorché il governo del Comune fosse in mano di uomini ai quali più interessava il proprio utile che quello dello Stato, tuttavia la città marittima ligure potè, in sostanza, mantenere la sua importanza come potenza navale; però il quadro che offrono le relazioni di Genova verso le potenze estere è poco consolante per questi anni, in cui la forza dello Stato, a causa delle lotte di partito, fu sensibilmente indebolita. Ovunque regnavano risse e litigi e da nessuna parte il governo centrale mostrava intelligenti entrature. Il Comune avrebbe riportato il più rilevante danno ove il re Giacomo d’Aragona avesse mandato ad effetto la spedizione da tanto tempo progettata per la conquista della Sardegna; la perdita di Sassari e della signoria del Giudicato di Torres, i più importanti acquisti della guerra pisana, erano prevedibili e l’isola, tanto interessante dal punto di vista commerciale, sarebbe caduta nelle mani dei concorrenti catalani. Anche qui il governo genovese nulla fece di serio per ostacolare l’impresa, nè dipese da esso se Giacomo continuò a rimandare l’esecuzione; persino il Capitano Doria si dichiarò pronto a prestare aiuto al re ', e su questo punto non è chiaro se, forse in comune con gli Aragonesi, non si intendesse dare il colpo di grazia agli antichi nemici, i Pisani; politica che gli ex alleati di Genova, Firenze e Lucca, avevano costantemente seguito2. 1 Cfr. sopra, p. 345. 2 V. Zurita, I, 414, 427, 443. - 353 - 23 Libro VI - Cap. quinto La base delle relazioni fra Genova e Pisa era sempre l’armistizio del 1299. Che, malgrado questo, non mancassero divergenze, si vede dall’avvenimento che segue, il quale probabilmente fu causa di rappresaglie. Una nave genovese, proveniente dal Nord Africa, nell’ottobre 1306, nelle vicinanze di Portopisano, si trovò in pericolo a causa di una tempesta; i mercanti che erano a bordo si salvarono prendendo terra su barche; a loro richiesta, i capitani di Portopisano e di Livorno fecero divieto a chiunque di appropriarsi delle merci che erano a bordo di quella nave. Nella notte seguente la nave affondò, le merci in parte andarono perdute ed in parte furono sospinte a terra; malgrado il divieto, gli abitanti delle località sulla costa si impadronirono delle merci gettate sul lido dal mare 3. Per chiedere il risarcimento dei danni comparve a Pisa un procuratore dei danneggiati, accompagnato da un inviato del Comune di Genova, il quale, dal 5 giugno 1307 in avanti, quasi ogni giorno si presentò al Podestà o al suo giudice per ripetere sempre la stessa domanda. Il Podestà non sarebbe stato personalmente contrario a soddisfarla4; ma egli dipendeva dalla volontà degli Anziani che erano di altra opinione. Così i Genovesi, dopo quaranta giorni di vane sollecitazioni, dovettero ritirarsi senza avere ottenuto alcunché 5. Probabilmente ne seguì la concessione di rappresaglie. Non si deve attribuire troppa importanza a questo incidente, sul quale esistono documenti probanti6. Nel medesimo tempo un console genovese esercitava a Pisa indisturbato la giurisdizione sui suoi concittadini 7. Contrasti erano avvenuti pure qualche anno prima fra Lucca8 e 3 Questo si rileva da una lettera del Comune di Genova in App. 3, nr. 18 b, c. 9v. (estratto in Fol. Not., Ili, 1, c. 58; cfr. Canale, III, p. 316): mancante della chiusa e della data. 4 Ibid., c. 19 v. (27 giugno): qui dictus d. potestas tunc dixit quod non habebat denarios pro dicta solutione facienda, et quod libenter vellet quod anciani dictam solutionem facerent. 5 Ibid., c. 38 (15 luglio): (potestas) respondit quod irent in nomine Domini, et quod satis dolebat de eo quod contra ipsos fecerat, sed aliter facere non potuit quoniam ipse facere non potest aliquid, nisi secundum quod volunt antiani et homines comunis Pisarum. 6 I protocolli notarili sulle domande di risarcimento di danni a Pisa in App. 3, nr. 18 b, c. 9 e sgg. 7 Ibid., c. 39 e sgg. 8 La convenzione del 21 giugno 1303 (Invent. del r. arch. di Stato in Lucca, I, p. 62) del quale esiste un estratto nei regesti del Wiistenfeld, riguarda l’eliminazione di tutte le rappresaglie concesse a partire da 3 anni e mezzo prima ed il regolamento dei pagamenti per risarcimento di danni. A questi ultimi si riferiscono i — 354 - Le relazioni esterne di Genova ed il governo 'gubernatorum’ Genova, nè erano stati rari neppure altrove9. Principalmente le relazioni di Genova con le piazze commerciali della Francia meridionale erano state turbate parecchio dalle rappresaglie l0. Dalla dubbia giustizia che ne derivava, il commercio doveva molto risentirne; è diffìcile ammettere che esso avesse ricevuto un forte rilancio dalla fine delle grandi guerre navali, poiché, più che i conflitti in occidente gli erano dannosi gli avvenimenti in Romania, mentre la situazione in Oriente assumeva ripetutamente, e non senza colpa anche dei Genovesi, aspetti poco favorevoli. Dopo la spedizione della flotta nel 1306, il Comune di Genova non si era più immischiato nella guerra della compagnia catalana contro l’imperatore greco. I Genovesi di Pera, dopo lo scacco subito in occasione dell’attacco a Gallipoli, pensarono ad una conciliazione con i Catalani; finché questi dominavano l’entrata dell’Ellesponto, il commercio con Costantinopoli ed il Mar Nero era in pericolo. L’Abate del Popolo di Pera svolse delle trattative, che, come risulta, andarono però a vuoto. L’alleanza dei Genovesi con l’imperatore era sempre in vigore e delle proposte di pace, che l’Abate recò in pari tempo a suo nome ai Catalani, essi non ne vollero sapere 11. Nella primavera del 1307 ai pirati riuscì un ardito colpo di mano sulla ricca Focea, al quale invero il genovese Tedisio Zaccaria diede mano. Costui, nipote di Benedetto, ne aveva tenuto per anni l’amministrazione, ma, dopo la morte dello zio, era entrato in lite con i suoi eredi. Per vendetta, entrò nella compagnia e guidò la schiera che devastò completamente la località 12; poi si installò nel castello dell’isola di Thasos, da lui conquistato u. Ma, in definitiva, sembra che la flotta greca fosse superiore a quella catalana; quanto meno questa non osò affrontarla. Al centro di un paese devastato, senza possibilità di regolari approvvigionamenti dalla parte del documenti del 1307 e sgg.: App. 3, nr. 18 b, c. 24 e sgg. 9 Riguardo a rappresaglie rilasciate in precedenza da Firenze contro Genova, v. Del Vecchio e Casanova, pp. Ili e sgg., 135, 236, 330 e sgg.; Perrens, III, p. 271. Quanto alle stesse concesse da Genova contro Firenze, v. Del Vecchio e Casanova, p. 261; cfr. inoltre sopra, p. 339. 10 V. Les Olim, III, 2, 342 e sgg.; Germain, I, p. 424 e sgg. 11 Pachym., II, 623 e sgg. 12 Muntaner, cap. 234, Pasqua 1307. Benedetto Zaccaria deve quindi esser morto nel 1306; cfr. sopra, libro VI, cap. II, n. 107. 13 Muntaner, 1. c.; cfr. Pachym., II, 638. — 355 — Libro VI - Cap. quinto mare, la posizione della compagnia a Gallipoli si era fatta insostenibile. Con il ritiro dei Catalani al di là della Maritza verso occidente I4, l’impero greco ed i Genovesi si videro tanto più liberi da un grave pericolo, in quanto questi avventurieri avevano richiamato l’attenzione dell’occidente su di un piano per la restaurazione dell’impero latino. Carlo di Valois voleva approfittare dell’occasione per far valere le pretese di sua moglie Caterina, la nipote di Balduino, su Costantinopoli. Papa Clemente V appoggiava tale progetto IS, Venezia concluse una lega con Carlo 16 e nel 1307 mandò galere in Romania n. Furono pure fatti tentativi presso Genova per spingerla a collaborare 18. Però i progetti, che manifestamente potevano tornare utili soltanto ai Veneziani, furono accolti con indifferenza, così come fu nei confronti della futura sorte della compagnia catalana. Che questa si fosse finalmente impadronita del ducato di Atene19 era un avvenimento che poteva appena sfiorare la sfera degl’interessi di Genova. Ma quando le orde turche, che fino allora avevano seguito i Catalani, se ne separarono per ritornare in Asia, il podestà di Pera, con galere genovesi, prestò aiuto ai Greci per distruggere i Turchi nella traversata dell’Ellesponto20. I piani di conquista di Carlo di Valois non ebbero esecuzione; nel 1310 Venezia rinnovò l’armistizio con Andronico21. Nè prima nè poi mancarono i soliti litigi fra Veneziani e Genovesi22. Se quelli avessero attaccato Costantinopoli non sarebbero mancati pretesti per una rottura della pace del 1299. Poiché la crociata contro lo scismatico non ebbe luogo, non vi fu necessità di fare alcuno sforzo particolare, date le buone relazioni con Andronico, per mantenere la posizione privilegiata nell’impero bizantino. L imperatore invero ebbe a trovare motivi di lagnanza verso i Genovesi: la 14 Prima del luglio 1307; v. Caro, Zur Chronologie, p. 123 e sgg. 15 Reg. Clém. V, I, p. 45 e sgg.; II, p. 56; Rayn., anno 1306, par. 3 e sgg.; anno 1307, par. 7 etc. 16 Dipi. Vert. Lev., 48: 19 dicembre 1306. 17 V. Libri Commemoriali, I, 88; Muntaner, cap. 235. 18 La lettera di Clemente V {Reg., I, p. 45 e sgg.) del 14 gennaio 1306 è del medesimo tenore sia per Venezia come per Genova; v. inoltre Moranvillé, Les projets de Charles de Valois, p. 71 e sgg., ambasceria di Carlo a Genova. 19 Cfr. Hopf, Gesch. Griech., p. 388 e sgg. 20 Niceph. Greg., I, 254 e sgg.; Cfr. Muntaner, cap. 241. 21 Dipi. Veti. Lev., 82 e sgg. 22 Libri Commemoriali, I, 96 e sgg., 109, 124 e sgg., 144 e sgg. — 356 - Le relazioni esterne di Genova ed il governo 'gubernatorum’ loro franchigia dalle imposte recava molteplici danni alle dogane; avevano cercato di allargare Pera oltre i confini concessi, mentre nel commercio degli schiavi, che essi esercitavano, talvolta i Greci erano vittime di soprusi. Alla richiesta di far cessare questi abusi, il governo del Comune rispose in maniera conciliante23. Se a Costantinopoli tutto ritornò finalmente in ordine, nel medesimo tempo, tuttavia, il commercio sulle coste del Mar Nero ebbe a soffrire pesanti turbamenti. I Genovesi vennero a gravi liti con il sovrano di Tre-bisonda; esse si trascinarono per una serie di anni e furono indubbiamente causa di considerevoli perdite per i mercanti24. Ancor più fatale fu un conflitto col khan dei Tartari Toktai, signore della Crimea. Il contegno arrogante dei Genovesi nel suo regno lo spinse a farli arrestare tutti; soltanto pochi dei prigionieri riuscirono a salvarsi, la maggior parte andò miserabilmente in rovina. Poi Caffa fu assediata dai Tartari. Per molti mesi i Genovesi ed i Greci che vi risiedevano si difesero valorosamente, ma nessun aiuto venne loro mandato dalla patria; nè altro loro rimase da fare che salire sulle navi il 20 maggio 1308. Caffa andò in fiamme e per quasi un decennio una delle più importanti piazze commerciali della costa settentrionale del Ponto fu un mucchio di rovine25. Il khan era stato indotto alle ostilità anzitutto dalla protervia di mercanti di schiavi genovesi, che avevano preso dei bambini dei Tartari e li avevano venduti ai Saraceni26. Contro un simile misfatto si levarono anche i reclami dell’imperatore greco27. L’egoistica avidità del denaro non aveva alcun limite nè nel diritto nè nella morale. Ottobono della Volta rivolse le sue lagnanze direttamente all’emiro di Alessandria — invece che alle autorità della madrepatria — quando il veneziano Ducas di Creta gli impedì di trasportare un carico di schiavi in Egitto 23 Belgrano, Prima serie di docc. di Pera, p. 110 e sgg., 22 marzo 1308. Bernabò Spinola, contro il cui invio in Romania l’imperatore aveva sollevato obiezioni (ibid., p. 113) che a Genova erano state respinte (ibid., p. 115) figura il 2 agosto 1309 (App. 2, nr. 9) come potestas Januensium in toto imperio Romanie. 24 V. Pachym., II, 448 e sgg.; Panareto in Fallmerayer, Originalfragmente, p. 15, e i docc. in Desimoni, Megollo Lercari, p. 513 e sgg.; cfr. Heyd, II, p. 96 e sgg. 25 Jac. de Var., Continuatio, 500 e sgg.; cfr. Heyd, II, p. 170. 26 D’Ohsson, Hist. des Mongols, IV, p. 757. 27 V. Belgrano, Prima serie di docc. di Pera, p. 113. 28 Dipi. Ven. Lev., 23 e sgg. - 357 — Libro VI - Cap. quinto Questo commercio di schiavi, che i Genovesi esercitavano attivamente come il traffico più comune con l’Egitto, era un delitto che i papi minacciavano delle più gravi pene 29. Si riteneva di potere più facilmente strappare al Sultano la Terra Santa, riuscendo a impedire l’importazione di schiavi con i quali gli eserciti dei Mamelucchi si completavano, come pure quella di legname per la costruzione delle galere, di ferro, pece, viveri ed altri beni che non si producevano in Egitto 30. I diversi divieti avevano lasciato non ben chiaro se fosse proibito qualunque commercio con 1 Egitto, ovvero soltanto quello relativo all’importazione di materiali e munizioni da guerra 31. Così la navigazione nel bacino sud-est del Mediterraneo finì nella massima confusione. Senza dubbio vi fu un continuo e attivo commercio con Alessandria 32; ma ogni pirata che saccheggiava i cattivi cristiani che vi si recavano poteva giustificarsi riferendosi a decisioni conciliari o a decretali papali. Negli statuti genovesi erano stati recepiti i divieti della Chiesa però essi davano luogo a sottili questioni di interpretazione34; trattandosi di osservare prescrizioni che costituivano remora al libero sviluppo del commercio. Ciò portò nuovamente ad aspri litigi, nei quali vennero in luce la mancanza di ogni ritegno da parte dei Genovesi e la confusione esistente nella direzione del loro Stato. Nella conquista di Rodi cittadini della città marittima ligure prestarono servigi preziosi ai Giovan-niti, ma, appena la difficile impresa fu realizzata, i Genovesi tentarono di strappare loro l’isola. Rodi, che di fatto apparteneva all’impero greco, situata all estremità sud-ovest dell’Asia Minore, offriva un eccellente punto d’appoggio per la guerra contro i Turchi sul continente e per stringere maggiormente il blocco verso i domini del Sultano35. Non molto prima che Jacopo de Mo- 29 Cfr. sopra, p. 171; v. anche Reg. Bonif. Vili, I, pp. 286, 597, 620, etc.; cfr. Heyd, II, p. 26. 30 V. Mas Latrie, Hist. de Chypre, II, p. 119 etc.; cfr. Heyd, II, p. 24 e sgg. 31 Cfr. i divieti di Benedetto XI e i relativi chiarimenti in Libri Commemorigli, I, 37; v. anche Reg. Ben. XI, p. 362 e sgg. 32 V. Reg. Ben. XI, pp. 84 e sgg. e 501. 33 V. Reg. Clém. V, I, p. 135; Statuti di Pera, 732; cfr. sopra, p. 172. 34 Nel 1304 si trovava in Alessandria un console genovese: Dipi. Ven. Lev., 31; cfr. anche sopra, libro VI, cap. II, n. 44. Per contro era stato Marino Bulgaro, nel 1303, ad inseguire una nave genovese che si recava in Alessandria: Dipi. Ven. Lev., 23; probabilmente Marino era un genovese: cfr. Heyd, II, p. 30. 35 Gest. des Chip., 319 e sgg. — 358 - Le relazioni esterne di Genova ed il governo 'gubernatorum’ lay, il Gran Maestro dei Templari, intraprendesse il viaggio in Francia che doveva tornargli tanto fatale36, Fulco de Villaret, il Gran Maestro dei Giovanniti, si preparò all’impresa che rientrava perfettamente nei doveri del suo ordine, quella cioè di combattere gl’infedeli. Un Genovese, Vignolo de Vignoli, diede, come risulta, il primo impulso alla spedizione37; egli, come anche altri suoi concittadini, si unì alla piccola squadra con la quale Fulco incominciò l’assalto dell’isola38. In Genova stessa i Giovanniti fecero poi costruire ed armare galere quando il papa decise una formale crociata in loro appoggio39. Per contro anche una nave genovese al servizio del-1 imperatore Andronico tentò di portare viveri ed armi agli abitanti del castello assediato di Rodi40. Quando, alla fine, l’isola cadde interamente nelle mani dei cavalieri41, questi si misero attivamente a perseguire i cattivi cristiani che portavano in Egitto merci proibite42. Nell’inverno del 1311 le galere dell’ordine presero presso Crotone, sulla costa di Calabria, una galera genovese che veniva da Alessandria carica di spezierie. Mentre il papa ordinava un’inchiesta per sapere se la galera, nel viaggio di andata, a-vesse avuto a bordo merci proibite, il Comune mandò al Gran Maestro un inviato, Antonio Spinola, per ottenere la restituzione della nave e delle merci. Il Gran Maestro diede una risposta evasiva, dicendo che non poteva dare soddisfazione alcuna senza permesso del papa. Non contento della risposta ottenuta, l’inviato, accompagnato da altri Genovesi, si recò sulle loro galere, dal potente capo turco Madachia, inducendolo a porre il sequestro sopra un certo numero di navi che erano in procinto di portare viveri a Rodi. I Genovesi avrebbero addirittura offerto ai Turchi 50000 fiorini per truppe 36 Cfr. Schottmüli.er, Der Unterg. des Templerord., I, p. 96. 37 Secondo i dati (documentati) di Hopf, Gesch. Griech., p. 393 e dello stesso, Reisebericbte, p. 206, Vignolo teneva a Rodi e nelle isole circonvicine possedimenti in feudo dall’imperatore greco. Per difenderli contro i Turchi chiamò in aiuto I’Ordine, con il quale il 27 maggio 1306 concluse un trattato relativo alla conquista; cfr. la relazione di Amadi, 254 e sgg. = Flor. Bustr., 141 e sgg. In Gest. des Chip., 320, è nominato Bonyface de Grimaut invece di Vignolo. 38 V. Amadi, 256 e sgg. = Flor. Bustr., 141 e sgg. 39 V. Reg. Clêm. V, III, p. 232 e sgg.; Delaville le Roulx, La France en Orient, II, p. 5. 40 Gest. des Chip., 321 e sgg. = Amadi, 258 e sgg. = Flor. Bustr., 142 e sgg.; cfr. Pachym., II, 635 e sgg. 41 15 agosto 1310: Baluze, Vitae pap. Aven., I, 72; Stella, 1024. 42 Gest. des Chip., 322 e sgg. - 359 — « Libro VI - Cap. quinto di soccorso per allontanare i Giovanniti da Rodi. Anche se ciò può apparire esagerato, certo è che non desistettero dalle ostilità; catturarono navi dell’Ordine, trasportarono apparecchiature da guerra nell’isola, fecero prigionieri parecchi cavalieri ed ebbero l’ardire di proclamare vanitosamente che nella prossima estate avrebbero ucciso qualunque Giovannita che avessero incontrato sul mare, in generale che non vi sarebbe più stata pace j fino a che non avessero strappato l’isola all’Ordine. Le rimostranze che il Gran Maestro fece fare a Genova rimasero infruttuose; rivoltosi allora al papa, questi non mancò di dirigere al Comune una lettera perentoria; Clemente V richiamava con sdegno l’attenzione del Comune su alcuni lodevoli articoli dei suoi statuti, già da tempo emanati, che vietavano il trasporto in Egitto di merci proibite, osservando che non bastava fare degli statuti, ma bisognava osservarli43. Con ciò il papa aveva messo in evidenza il punto debole della vita dello Stato genovese. Di fronte a divieti che i suoi cittadini erano in difficoltà ad osservare, il Comune trascurava di uscire dall’equivoco. Era difficile far cessare i viaggi per Alessandria. Si trattava dello scalo meglio situato e fino ad allora preferito per i prodotti dell’india, indispensabili all’Occidente. Non cattiva volontà, come uno spirito cavalleresco poteva giudicarlo, ma una conseguenza diretta del principio fondamentale del libero scambio intemazionale di merci, non intralciato da misure coercitive era stata la causa per cui i mercanti mandavano in Egitto quei prodotti della natura dei quali esso mancava, ritirando in cambio prodotti il cui trasporto in Occidente costituiva la parte essenziale del commercio mondiale di allora. Allorché Genova si trovava sotto un governo che mirava ad un fine ben determinato, aveva concluso pace con il Sultano, nel momento in cui egli si disponeva ad assalire Acri44; l’entusiasmo per la guerra contro gli infedeli era notoriamente condizionato dall’interesse commerciale, come quando, molto tempo prima, si era osato sfidare la scomunica papale per cacciare, in lega con gli scismatici Greci, i Veneziani da Costantinopoli. In tempi di interno disordine, mancò al Comune la forza, sia per pren- 43 V. le lettere papali in Reg. Clém. V, VI, p. 241 e sgg., 17 luglio 1311; ♦ VII, p. 5 e sgg., 26 novembre 1311, la memoria in Mas Latrie, Hist. de Chypre, II, p. 119 e sgg. e la denuncia nel documento in Libri Commemoriali, I, 109. Il 12 ottobre 1308 il papa rinnovò i divieti di commercio: Reg. Clém. V, III, pp. 166 e 200. Le violazioni sono previste nella memoria in Baluze, Vitae pap. Aven., II, 179 e sgg. 44 Cfr. sopra, p. 131. - 360 - * Le relazioni esterne di Genova ed il governo 'gubernatorum’ dere decisamente posizione nei confronti del papa volto a piani di crociate, sia per sacrificare il proprio particolare interesse a quello generale della cristianità nel senso preteso dal papa. Così il Comune finì per lasciare liberi i suoi cittadini di esercitare il loro commercio con l’Egitto, mentre esso prendeva parte ad un’impresa il cui scopo era proprio quello di impedire questo commercio. Non senza connessione con il blocco contro l’Egitto sono i conflitti nei quali furono coinvolti i Genovesi nell’isola di Cipro, dal momento che le galere del re Enrico davano attivamente la caccia ai cattivi cristiani che si recavano in Alessandria45; anche per altri motivi, però, le relazioni del Comune con l’ultimo degli Stati crociati già da lungo tempo non erano buone46. La continua tensione raggiunse il suo punto culminante al principio del 1306. Il re emanò un’ordinanza per cui tutti i Genovesi dovevano lasciare l’isola47. Nessun ascolto fu dato a tale ordine 48 destinato ad intralciare il commercio e a recare sensibile danno anche ai Ciprioti. Tuttavia i Genovesi si considerarono in stato di guerra con Cipro49. Per impedire un aperto scoppio di ostilità, il papa si mise di mezzo. Con lettera del 28 giugno 1306 egli intimò al Comune di Genova di concludere col re, entro sei mesi, un armistizio di almeno quattro anni, dal quale dovevano restare esclusi coloro che trasportassero merci proibite nei paesi del Sultano M. Già ben prima dell’intromissione del papa la situazione aveva preso a Cipro una piega sostanzialmente diversa. Con l’appoggio dei cavalieri, Amaury, che portava il titolo di Signore di Tiro, tolse il governo al re suo fratello51. Si cercò di giustificare l’atto violento con gli errori 45 V. Mas Latrie, Hist. de Chypre, II, P- 121 e sgg. 46 Cfr. sopra, p. 296 e sgg. 47 Amadi, 241, nell’anno 1306. 48 Ibid.; cfr. il decreto del re dell’ll febbraio (1306), in Assises de Jérusalem, II, 368. 49 Nel doc. in Mas Latrie, Texte officiel, p. 535 (cfr. oltre, n. 51), ove è fatta menzione di dichiarazione di ostilità. 50 Vedi la lettera in Reg. Clém. V, I, p. 134 e sgg., 28 giugno 1306; quanto ai piani di crociate del papa, v. ibid., pp. 133 e sgg., 191. 51 26 aprile 1306; v. Gest. des Chip., 316 e sgg. = Amadi, 241 e sgg. = Flor. Bustr., 137 e sgg.; Marin Sanudo, Liber, 242, e la dichiarazione (documentata) dei baroni in Mas Latrie, Texte officiel, p. 534 e sgg. (anche nell’edizione di Amadi, 242 e sgg.). - 361 — Libro VI - Cap. quinto che venivano attribuiti ad Enrico; in particolare gli venne fatto carico dell’imprevidente suo procedere contro i Genovesi; di non aver saputo farsi nuovi amici per il suo regno sempre minacciato dai Saraceni, anzi di essersi inimicato antichi amici; di non aver voluto combattere i suoi nemici, nè voluto mettersi d’accordo con essi52. Il nuovo Gubernator di Cipro si riconciliò con il Comune di Genova; il 24 novembre 1306, come risulta, si addivenne a un trattato, con il quale egli si obbligava a considerevoli pagamenti in denaro per risarcimento di danni53. Da singoli cittadini della città marittima ligure egli aveva ricevuto a prestito grosse somme 54. Perciò, nei litigi che continuamente sorgevano con il re, i Genovesi che si trovavano a Cipro parteggiavano per lui. Completamente armati, a bandiere spiegate, essi si portarono sotto il castello reale di Nicosia allorché Amaury vi teneva assediato suo fratello5S. Al violento rapimento di Enrico, nella notte fra il 31 gennaio e il 1° febbraio 1310, presero parte pure due Genovesi36, tra l’altro in modo poco commendevole. In conclusione le amichevoli relazioni rimasero alquanto indebolite. Dopo l’assassinio del Gubernator^, i partigiani di Enrico si sollevarono contro il suo fratello minore, che pretendeva assumere il governo. A questo punto, come i Veneziani ed i Pisani, anche i Genovesi di Famagosta si dichiararono favorevoli alla restaurazione del re tenuto prigioniero in Armenia5S. Il cambiamento di opinione dei Genovesi va connesso con le liti avvenute poco dopo fra essi e gli abitanti di Famagosta; la cosa non era finita senza spargimento di sangue 52 Mas Latrie, Textes officiel, p. 535; cfr. Gest. des Chip., 318 = Amadi, 249 = Flor. Bustr., 138. Secondo la risposta del re (ibid.), il signore di Tiro sarebbe stato la causa del dissenso con i Genovesi. La guerra con i Genovesi fu anche più tardi attribuita al re: Amadi, 327 = Flor. Bustr., 194 e sgg. 53 V. L.]., II, 485. In ogni caso una ratifica di questo trattato è quella citata da Amadi, 280 = Flor. Bustr., 162 (circa al principio del 1308). Quanto alle pretese di Genova, cfr. anche sopra, p. 295. Il 3 giugno 1306 il governatore aveva già concluso una convenzione con Venezia: Dipi. Ven. Lev., 42. « V. L.J., II, 486. 55 Gest. des. Chip., 323 e sgg., Amadi, 261 e sgg. = Flor. Bustr., 149. Quale vicario genovese (a Cipro) risulta Jaque Pansan (Giacomo Panzano). In seguito il Comune deve avere biasimato il suo contegno: Gest. des Chip., 324. 56 Anfredo de Marini e Lanfranco de Carmain (Carmandino); v. Amadi, 318 e sgg. = Flor. Bustr, 188 e sgg. Quanto alle loro vicende successive, v. Amadi, 340 e sgg., 381 = Flor. Bustr., 204 e sgg., 236. 57 5 giugno 1310: Amadi, 329 e sgg. = Flor. Bustr., 196 e sgg. 58 Amadi, 334 e sgg. = Flor. Bustr., 199 e sgg. - 362 - Le relazioni esterne di Genova ed il governo 'gubernatorum’ ed Amaury si era rifiutato di punire i Ciprioti, perchè incolpevoli, come era risultato da una inchiesta sull’accaduto59. I Genovesi non opposero alcuna difficoltà al ritorno di Enrico, anzi presero parte alle splendide feste che, per riceverlo, ebbero luogo nella città di Cipro, con addobbi e illuminazione delle case, sfoggio di ricco vestiario, canti e balli60. Uno degli avversari del re, Filippo d’Ybelin, che voleva fuggire in Armenia sopra una galera genovese, dopo aver preso consiglio con i suoi concittadini, venne consegnato, nonostante l’alto prezzo che offriva per la sua liberazione61. Il desiderio dei Genovesi di Cipro di non provocare la collera del re, il cui partito aveva ormai preso il sopravvento, aveva influito in questo loro atteggiamento; ma fra il Comune ed il re si venne presto ai più seri contrasti. Inviati del Comune chiedevano che il re punisse i cittadini di Famagosta che nella zuffa avvenuta avevano ucciso alcuni Genovesi. Enrico si dichiarò pronto ad accettare qualsiasi reclamo proposto nelle forme dell’ordinaria procedura giudiziaria. Gli inviati risposero di non essere venuti per iniziare processi, ma per domandare punizione. Alla richiesta del re di prendere in esame le responsabilità dei Genovesi che avessero ucciso qualcuno dei suoi sudditi, essi risposero che non erano autorizzati a tanto e che per questo doveva rivolgersi al Comune. Il Vicario genovese sostenne, allorché gli furono presentate accuse contro determinate persone, che il suo incarico era esaurito. Dopo lunghe trattative, gli inviati ordinarono finalmente a tutti i Genovesi di allontanarsi dall’isola, ed il Comune dispose che in avvenire nessun Genovese dovesse più recarvisi, rimanendo libero ognuno di attaccare il re ed il suo regno62. La conseguenza fu che, nel luglio 1312, tre galere misero a sacco la città di Paphos; per quattro giorni i pirati ebbero tempo di portare a bordo il bottino, trovando poi rifugio nel porto di Lajazzo dalla flotta di Cipro che li inseguiva63. Il blocco commerciale non poteva venire strettamente eseguito ed il re trovò necessario che i Genovesi residenti a Famagosta cessassero di prendere le armiM. In seguito alle sue querele il papa 59 V. Reg. Clém. V, Vili, p. 168. 60 V. Amadi, 348, 374 e sgg., 380, 383 e sgg. = Flor. Bustr., 211, 230 e sgg., 235, 237 e sgg. Il 4 maggio 1310 troviamo d. Simon Rouss (Rubeus) vicarius Ja-nuensis in Cypro et civis Nicossie: Schottmüller, II, p. 161. 61 Amadi 389 = Flor. Bustr., 242, ottobre 1310. 62 Reg. Clém. V, VIII p. 168 e sgg. (Rayn., anno 1313, par. 10). 63 Ibid.; Amadi, 393 e sgg. = Flor. Bustr., 245 e sgg. 64 Amadi, 395. - 363 - Libro VI - Cap. quinto esortò il Comune alla pace65. Sempre il medesimo spettacolo offrivano i molteplici litigi nei quali Genova si trovava implicata quasi ovunque si estendeva il suo vasto commercio. Superbi ed arroganti, gli uomini di mare liguri, mentre sostenevano ostinatamente le loro pretese, anche infondate, non prendevano mai in considerazione le ragioni degli altri. Pronti a vendersi per denaro a qualunque servigio, non si facevano scrupolo di mancare furbescamente alla parola data. La cupidigia era vieppiù diventata la caratteristica dei Genovesi, ciascuno tendeva egoisticamente ai propri personali interessi, nè indietreggiava dinanzi a qualsiasi inganno o atto di violenza. Così Opicino Spinola era vero figlio del suo tempo, soltanto che egli si era prefisso una mèta più alta rispetto ai suoi concittadini, molti dei quali, mezzo mercanti e mezzo pirati, percorrevano le acque del Levante. A costoro Opicino era simile soltanto nell’ardito abbandono delle idee tradizionali e dei principi morali. Come Tedisio Zaccaria aveva chiamato i Catalani per saccheggiare i beni dei suoi parenti, come altri Genovesi avevano spinto i Turchi a far guerra all’Ordine dei Giovanniti, così Opicino si era alleato con la casa d’Angiò, il più temibile nemico della causa ghibellina, aveva imprigionato il suo collega e con la guerra, mossa dopo la sua caduta alla nobiltà, aveva sconvolto il territorio genovese peggio che qualsiasi altra precedente lotta di partito. Del carattere distruttore assunto dalla guerra ebbero invero colpa anche gli avversari di Opicino. Da questi partirono i primi colpi. Ventimiglia, occupata dai partigiani dell’ex Capitano Generale, fu presa d’assalto e vi perirono 200 uomini; anche a Chiavari vi fu grande spargimento di sangue; inoltre il partito interno conquistò pure Portovenere e Lerici66. Intanto Opicino si era rivolto per aiuto a suo genero Teodoro di Monferrato; in parecchi dei minori dinasti, che risiedevano nei monti a nord del territorio genovese, trovò alleati desiderosi di guerra; il vescovo di Tortona, gli abitanti di quella città e quelli di Alessandria, lo appoggiarono; il conte Filippone non mancò di mandargli soccorsi67. Così possiamo spiegarci come, 65 Reg. Clém. V, 1. c., lettera del 28 aprile 1313. 66 Guill. Vent., 726 e 728. Secondo Giov. Sercambi, I, 55, Branca Doria avrebbe preso Lerici già prima della caduta di Opicino. 67 App., 2, nr. 84, c. 11 v.\ sono nominati come partigiani di Opicino (fuori del territorio genovese): Magnificus vir d. Marchio Montisferrati cum tota sua terra, districtu et hominibus et vassallis, d. comes Philipponus, d. Johannes de Saluciis, d. - 364 - Le relazioni esterne di Genova ed il governo 'gubernatorum’ soltanto pochi mesi dopo la sconfitta subita a Sestri, gli Spinola di Luc-co i avessero potuto avanzare fino a San Pier d’Arena, in vicinanza imme-ata ella citta, con un esercito di forza quasi pari a quello che in prece-enza era stato vinto. Essi forse speravano che il partito interno venisse oro incontro ed offrisse occasione per una seconda battaglia68. Per quattro giorni attesero invano, poi, dal momento che la mancanza di viveri e le piogge della stagione autunnale impedivano loro una più lunga sosta davanti alle porte di Genova, presero la via del ritorno per Gavi69. Il partito interno non tardò a replicare al colpo. I palazzi degli Spinola di Luc-coli furono interamente distrutti70; in settembre, Francesco Fieschi, quale vicario generale del Comune, partì con considerevoli forze di guerra per i territori a nord dell’Appennino. Non risulta però che egli avesse ottenuto notevoli successi: soltanto il borgo di Busalla, situato immediatamente al di là del passo dei Giovi, fu saccheggiato e incendiato71. Comunque Opicino, che era rimasto a Gavi, nella primavera del 1310 tornò alla carica. Dopo venti giorni di assedio prese e distrusse Montaldo, ove molti abitanti del luogo perdettero la vita72. Da Monaco, che era tenuta occupata da alcuni Spinola, partì una galera in corsa, che provocò molti danni73. Questi insuccessi indussero il partito interno a trattative di pace. Sono conservati i verbali di alcune conferenze tenute fra quattro auditores incaricati dal Comune, da una parte, e l’Abate del convento di S. Maria di Pervallo insieme ad Andrea Spinola di Luccoli, dall’altra parte, nonché una bozza di convenzione redatta in base ai risultati delle tratta- Francischus marchio Cravexane, d. Francischus Malaspina et filii, inoltre 2 Malaspina, Corrado ed altri del Carretto, Raimondo e Giacomo d’incisa, 3 del Ponzone, Benedetto marchio Ceve, ... d. episcopus Terdonensis et eius nepotes. Item omnes et singuli amici dominorum O(picini) et R(aynaldi) de civitate et districtu Alexandrie, come pure i loro amici di Tortona, tutti i Signori de Petra ed i comuni di Gavi, Capriata, Monaco, Roccabruna e Triora. 68 Così è da intendere Stella, 1023. » Ibid. 70 Stella, 1024; Guill. Vent., 726; cfr. sopra, p. 350 e sgg. 71 Risulta che Busalla sia appartenuto agli Spinola; cfr. Annali, 202, 231 [III, 125; IV, 9]; App. 2, nr. 84, c. 5 v.\ è fatta menzione di un’ordinanza di Opicino (come Capitano) di aumentare il pedagium Buzalle alla porta Vacharum (porta della città di Genova). 72 Stella, 1024; Guill. Vent., 726, dà come data marzo (1310). 73 Ibid. - 365 - Libro VI - Cap. quinto tive intercorse74. Opicino, Rainaldo e Odoardo Spinola di Luccoli e aderenti 75 si dichiaravano pronti a concludere perenne e sincera pace con il Comune, tutte le inimicizie dovevano essere reciprocamente rimesse, i prigionieri liberati, qualunque bando o confisca di beni pronunciati contro gli Spinola e i loro aderenti revocato, e loro restituite tutte le proprietà che possedevano al 9 giugno 1309, nello stato in cui presentemente si trovavano. Essi dovevano ottenere quanto di loro spettanza per i danni sofferti entro un mese dal giorno da determinarsi con precisione, secondo una stima da farsi previamente a mezzo di persone di fiducia, mentre sarebbero stati liberi da responsabilità per i danni da loro recati per terra e per mare. I partigiani di Opicino, che al tempo del suo capitanato avevano rivestito la carica di abbas populi, non dovevano essere chiamati in giudizio; coloro che erano stati cancellati dal Collegio dei Notari dovevano esservi riammessi 76. Per la effettuata concessione di denaro del Comune a favore del marchese di Monferrato veniva accordata impunità; somme di denaro appartenenti al Comune, spese da Opicino o per suo conto al tempo del suo capitanato, non dovevano venire restituite. Di fronte a tante favorevoli condizioni, il deposto Capitano Generale avrebbe dovuto piegarsi a notevoli concessioni. Gli acquisti di proprietà e diritti del Comune fatti dagli Spinola e loro aderenti dopo la elezione di Opicino a Capitano dovevano — ancorché non senza eccezioni — considerarsi nulli77, e così pure qualsiasi alienazione di redditi del Comune, effettuata da Opicino in qualità di Capitano 78. I conferimenti di cariche da lui concessi erano da considerarsi come non avvenuti79 ; egli rinunziava per la massima parte ad un credito di 74 App. 2, nr. 84. I verbali (cc. 1 v. -12) contengono le requisitiones poste dagli auditores, le relative risposte, spiegazioni, riserve e simili. Come data delle risposte risulta per lo più quella del 22 aprile. II progetto dell’accordo (c. 12 v. e sgg.) è senza data. 75 Per partigiani degli Spinola s’intendevano coloro che dal 9 giugno 1309 in poi erano stati esiliati per ribellione contro il Comune: ibid., c. 12 v. 76 Ibid., c. 14; cfr. sopra, libro VI, cap. IV, n. 58. 77 Ibid., c. 13; cfr. sopra, libro VI, cap. IV, nn. 35, 36. 78 Ibid., c. 13 v.\ cfr. sopra, libro VI, cap. IV, n. 27. Se partigiani degli Spinola avessero acquistato diquem locum seu loca comunis Janue de sua propria pecunia e quel locus fosse stato inscritto in libro seu cartulario assignationis comunis l’acquisto doveva essere ritenuto valido, o il Comune avrebbe dovuto restituire il prezzo. 79 Ibid.; cfr. sopra, libro V, cap. IV, nn. 33, 34. - 366 - Le relazioni esterne di Genova ed il governo 'gubernatorum’ 72000 lire presso 1 officium assignationis mutuorum 80 e interamente ai diritti spettantig i pei j[ capitanato. I castelli appartenenti al Comune occupati da-g i pino a di Luccoli dovevano essere consegnati ad alcuni degli Spinola, sce ti a essi, o ad altri cittadini che fossero partigiani dell’attuale stato della costituzione. Questi intermediari, ove il Comune avesse osservato le con-ìzioni della pace, avrebbero dovuto consegnargli i castelli, in caso contrario, restituirli agli Spinola di Luccoli81. L’immediato ritorno in patria dei capi partito esterno veniva negato; Opicino, Rainaldo e Odoardo dovevano ancora rimanere per due anni lontani dalla città Come pare, il 22 aprile i punti essenziali dell’accordo erano stati e ni ti. Aggiunte posteriori83 riguardano in particolare la nomina di tre uomini che dovevano stimare i danni da risarcirsi agli Spinola. La definitiva conclusione della pace però non dovette essere avvenuta allora. In maggio Opicino sottopose Voltaggio a una dura devastazione. Per contro la galera dei pirati di Monaco fu presa, dopo sanguinoso combattimento, da due galere genovesi mandate ad inseguirla a spese dei danneggiati; una gran parte dell equipaggio vi lasciò la vita, e trentadue fra i superstiti furono impiccati a Genova 84. Non ci è possibile precisare il motivo della ripresa delle ostilità; forse gli Spinola erano entrati in relazione con il re Roberto di Napoli, successore di Carlo II, il quale proprio allora era in procinto di visitare il Piemonte nel suo viaggio dalla Provenza a Napoli; almeno corse voce che Opicino avesse promesso di consegnargli la città di Genova85. Però, nel fatto che poco dopo Opicino concluse veramente la pace con il Comune 86 si può vedere uno dei primi risultati dell’impresa che aveva lo scopo di metter fine a tutte le guerre e lotte di partito che avevano tanto 80 Ibid., c. 13; cfr. sopra, libro V, cap. IV, n. 31. 81 Ibid., c. 14. I precedenti abitanti guelfi di Monaco (cfr. sopra, p. 287) non potevano più ritornarvi: ibid., c. 13 v. 82 Ibid., c. 14. Contro questa disposizione furono sollevate nelle trattative (c. 9) rilevanti obiezioni. 83 Ibid., cc. 1, 6 v., 15 e 28 aprile. 84 Guill. Vent., 726; Stella, 1024. 85 Guill. Vent., 771. 86 Secondo Guill. Vent., 726, in giugno (1310), secondo Stella, 1024, in luglio (1310). Dal documento in L.J., II, 448 e sgg., risulta che il 5 agosto 1310 la conclusione della pace avvenne tra sindaci del Comune da una parte e l’arcivescovo Porchetto, oltre ad Alberto e quattro altri Spinola che rappresentavano Opicino, Rainaldo ed Odoardo, dall’altra parte. - 367 — Libro VI - Cap. quinto gravemente desolato la penisola appenninica. Per la prima volta, da più di mezzo secolo, un re dei Romani si accingeva ad intraprendere il viaggio di oltralpe da tanto tempo progettato. Verso la fine di maggio, inviati di Enrico VII si trattennero nell Italia nord-occidentale87 per combinare un convegno con Roberto in giugno, probabilmente a Savona e poi a Genova88. Essi annunziarono comunque il prossimo arrivo a Genova del restauratore della pace ed emanarono, come avevano fatto altrove, in suo nome, l’ordine che fino al 1° novembre dovesse cessare ogni ostilità89. La lieta ambasciata desto in tutta Italia una gioia entusiastica, alla quale partecipò pure Genova. Come se dopo tempestosa navigazione il sole avesse improvvisamente squarciato il torbido velo delle nubi e le navi, che già avevano disperato della loro salvezza, fossero riuscite a toccare il sicuro porto, parve ad un poeta contemporaneo genovese che l’impresa dell’imperatore fosse quella di ristabilire il diritto e la giustizia nel paese sconvolto dalla discordia e dall egoismo 90. E che tale proposito, destinato a portare pace generale alla terza parte dei veri credenti sparsi sull’orbe terracqueo, dovesse destare la simpatia del papa 91 potevano dirlo gl’inviati genovesi che nel giugno si erano trovati presso la Curia92. Le condizioni previste nell’aprile formarono senza dubbio la base dell’accordo con gli Spinola. La stima dei danni sofferti dagli esiliati, allora prevista, fu con tutta probabilità effettuata93 e certamente ne fu conseguenza il pagamento di 40000 lire fatto a loro; essi consegnarono al Comune i castelli che avevano occupato e furono dichiarati liberi di ritornare a Genova purché Opicino ne rimanesse fuori per due anni94. Con la conclusione 87 V. Bonaini, Acta Henr. VII, I, 11; Guill. Vent., 771. 88 Guill. Vent., 1. c.; in luglio due di questi inviati erano già in Toscana. Bonaini, Acta Henr. VII, I, 27. 59 Guill. Vent., 1. c. Cfr. i particolari dell’altra ambasceria in Bonaini, Acta Henr. VII, I, 9, 13 e sgg. 90 V. la poesia in Bonaini, Rime istoriche, p. 50 e sgg.; anche Lagomaggiore, p. 262. 91 V. quello che disse Clemente V nella relazione dell’ambasciata francese in Wenck, Clem. V und Heinr. VII, p. 179. 92 Reg. Clém. V, V, p. 233 e sgg. 93 Degli arbitri nominati in L.J., II, 450, Ansaldo Maniavacha e Manuel de Savignono erano stati designati già nell’aprile (App. 2, nr. 82, c. 7) da parte degli Spinola come atti pro medianis super... emendacionibus. 94 Guill. Vent., 726; Stella 1024. — 368 - Le relazioni esterne di Genova ed il governo 'gubernatorum’ della pace non fu però ristabilita completamente la quiete; le congratulazioni pervenute da Padova93 furono alquanto premature. Odoardo Spinola si rifiutò di aderire al trattato e tenne in suo potere la fortezza di Monaco96. E’ ben degno di nota come PAmmiraglio del re di Napoli97 resistesse ancora, da solo, ai confini della Provenza, contro tutta la cittadinanza. Si potrebbe supporre che egli intendesse seguire una diversa politica, come Opicino, che, all’arrivo di Enrico VII in Italia, gli andò incontro in Asti9S, allo scopo manifesto di accaparrarsi subito il favore del sovrano. Differenze secondarie potevano essere state causa dell’ostinazione di Odoardo, il quale alla fine cedette99. Non si venne ad una sincera conciliazione dei partiti. L’odio fra le due famiglie dei Doria e degli Spinola, una volta cosi strettamentte unite, aveva radici troppo profonde perchè un accomodamento, che portava in fronte l’impronta della diffidenza, potesse estinguerlo. 95 Muratori, Ant. hai, IV, 132. 96 Guill. Vent., 1. c. 97 Cfr. sopra, p. 341. 98 Alb. Muss., Historia Augusta, 400; Ferr. Vie., 1057. Il 25 novembre 1310 (Dônniges, I, 5) egli vi si trovava per l’investitura di Teodoro di Monferrato; cfr. Nic. ep. Botr., 6. Da notare anche i sospetti avanzati più tardi da Bernabò Doria contro Corrado, figlio di Odoardo e viceammiraglio di Napoli (Cadier, p. 193), in Dônniges, I, 73. Dei Guelfi genovesi compare alla corte del re il 16 dicembre Carolus, comes Lavagnie: ibid., p. 15. Enrico VII nominò allora vicario di Vercelli un guelfo genovese,' Alberto Malocello: v. Nic. ep. Botr., 8; cfr. M.G.H., Leges, II, 511. 99 4 agosto 1311: L.J., II, 488. In esecuzione della pace del 5 agosto 1310, egli trasferì al Comune tutti i diritti spettantigli sopra Quiliano e Albissola, dopo che il Comune stesso gli aveva rifuso le somme sborsate per ottenere i castelli ed altrimenti spese. Una simile composizione era stata già prevista (App. 2, nr. 84, c. 2) e introdotta nel progetto della pace: ibid., c. 13. - 369 - 24 Capitolo sesto La trasmissione della signoria ad Enrico VII Nuova forma dello Stato in Lombardia ad opera di Enrico VII. - Posizione di Genova di fronte ad essa. - Prestazione del giuramento di fedeltà mediante inviati genovesi a Milano. - Ingresso di Enrico VII a Genova. - Necessità che il re assuma la signoria. - Condizioni relative. - L’atto solenne del 22 novembre 1311. - Sguardo retrospettivo. Quando Enrico VII, il 6 gennaio 1311, ricevette la corona di ferro nella chiesa di S. Ambrogio a Milano, vi erano tutte le città della Lombardia rappresentate da inviati ’. Il generale entusiasmo fece sì che in pochi giorni il re riuscì a dare a tutto l’ordinamento dello Stato una veste completa e nuova, in un paese ove già analoghi tentativi dell’ultimo imperatore della casa degli Staufen avevano trovato per molti anni insuperabile resistenza. Le lettere missive di Clemente V2 avevano ottenuto il loro effetto. Mentre il partito del re aveva accolto con giubilo il successore di Federico II, il partito della Chiesa si vide costretto dalla curia stessa alla obbedienza verso il re dei Romani e futuro imperatore riconosciuto dal papa. Così i plenipotenziari dei Comuni non solo prestarono a Enrico VII il giuramento di fedeltà, ma riconobbero altresì che a lui competeva, come legittimo Signore delle città e rispettivi territori, la piena autorità di governo nelle stesse secondo ogni potere di giurisdizione3. Perciò, attraverso la nomina di Vicari4, ai quali Enrico trasmise l’esercizio delle attribuzioni spettantigli nelle singole città e territori, la Lombardia, fino allora divisa in tanti stati territoriali su base cittadina a costituzione repubblicana, venne d’un tratto trasformata in un complesso retto a monarchia, il quale, nella più vasta estensione dell’impero, non poteva acquistare altra importanza 1 V. Nie. EP. Botr., 14 etc. 2 Rayn., anno 1310, par. 9 e sgg. = Reg. Clém. V, V, p. 439 e sgg. = Bonaini, Acta Henr. VII, I, 42 e sgg., 1° settembre 1310. Dimostrazioni di favore papale per parenti di inviati genovesi alla Curia portano la medesima data: Reg. Clém. V, V, p. 216 e sgg. 3 Bonaini, Acta Henr. VII, I, 109 e sgg. 4 V. la lista in M.G.H., Leges, II, 510 e sgg. = Libri Commemoriali, I, 106 e sgg. — 370 - La trasmissione della signoria ad Enrico VII che quella di una provincia. Con la nomina di uno specifico luogotenente provinciale, il conte Amedeo di Savoia, l’organizzazione fu completata. Egli, il Vicario Generale, doveva, con una schiera di mercenari da mantenersi costantemente in servizio, far fronte a qualsiasi tentativo di turbare la pace5. Genova e Venezia, davanti a misure che comportavano un ordinamento affatto nuovo nella pianura del Po, guardarono l’accaduto da un particolare punto di vista. Gli inviati genovesi, presenti alla solennità dell’incoronazione 6, si rifiutarono di partecipare alla lega testé creata alle condizioni accettate dai Milanesi, Piacentini, Cremonesi ed altri Lombardi. Invero, l’onesto Nicola di Butrinto, piuttosto digiuno di cognizioni giuridiche 7, non comprese correttamente i motivi del comportamento delle due repubbliche, quando disse8 che Genovesi e Veneziani avrebbero sostenuto di appartenere al quinto elemento e che non avevano bisogno di riconoscere nè Dio, nè la Chiesa, nè l’imperatore, nemmeno l’acqua e la terra, se non lo volevano. Non si potrebbe pensare ad altro che alla pretesa della piena indipendenza dall’impero, questione che soltanto Venezia poteva sollevare; poiché se anche dopo in Genova poteva sussistere l’idea che, con la felice resistenza contro lo Staufen Federico, la città si era svincolata da qualunque signoria temporale9, non si poteva seriamente muovere dubbio sulla sua appartenenza all’impero 10. I Genovesi invece si erano manifestamente riferiti agli antichi privilegi secondo i quali al Comune spettavano le regalie in tutti i suoi possessi, col pieno esercizio della giurisdizione in città e territorio da parte dei suoi funzionarin. Nemmeno possiamo dedurre dalla relazione di Nicola di Butrinto ch’essi avessero sic et simpliciter rifiutato il giuramento di fedeltà che Genova aveva prestato perfino al re romano Alfonso 12; essi avevano inteso prestare il giuramento soltanto con riserva dei privilegi spettanti alla loro città. 5 Dônniges, II, 139 e sgg. 6 Nic. ep. Botr., 14; Ann. Mediol., 692. 7 Cfr. Heyck, nella prefazione all’edizione di Nie. ep. Botr., p. XXXV. 8 Nic. ep. Botr., 14 e sgg. 9 V. Alb. Muss., 410. 10 Cfr. sopra, vol. I, p. 289, n. 54. Anche Jac. de Var., 22, riconosce che Genova in alcuni punti era soggetta all’impero. 11 L.J., I, 208 etc.; cfr. sopra, vol. I, p. 260, n. 56. 12 Cfr. sopra, vol. I, p. 351. - 371 - Libro VI - Cap. sesto Le trattative su questo punto erano durate alcune settimane. Soltanto il 28 gennaio 1311 13 si presentarono alla corte del re Enrico, nel vecchio palazzo del Comune di Milano, dodici plenipotenziari genovesi, i quali dichiararono di riconoscerlo come vero, naturale, legittimo e immediato Signore della città di Genova, del Comune, del Popolo e di tutto il territorio genovese 14 e, inginocchiati, prestarono, in nome dei loro mandanti, il giuramento di fedeltà: da allora in avanti essi e tutti i cittadini ed abitanti della città di Genova e territorio, il Comune ed il Popolo, singolarmente e collettivamente, promettevano di essere fedeli, soggetti ed obbedienti al re ed al Sacro Romano Impero; nessun aiuto avrebbero prestato, nè tramite il loro consiglio, nè tramite la loro opera, a chi avesse attentato alla sua vita o avesse cercato di arrecare comunque danno alla sua persona o di farlo prigioniero, o di diminuire la sua dignità facendogli perdere diritti, onori e regalie, anzi avrebbero procurato di impedire l’attuazione di tali intendimenti ove ne fossero venuti a cognizione, ovvero, se non fossero stati in grado di farlo, ne avrebbero reso edotto il re. Su quanto egli avrebbe loro confidato dovevano mantenere il segreto; dovevano assisterlo per la difesa e conservazione del regno e dell’impero e delle relative regalie contro chiunque; in genere essi dovevano osservare tutto quello a cui un vero e fedele suddito doveva ritenersi obbligato verso il suo Signore ’5. La sottomissione di Genova al re romano acquistò, fra il grande numero degli ambasciatori che avevano discusso la questione e dei vescovi e principi che erano presenti, un’impronta solenne; la situazione interna della città non venne però al momento toccata da questo fatto. Le forme di governo istituite dopo la caduta di Opicino Spinola rimasero intatte; Podestà, Abate e Governatori mantennero le loro attribuzioni16, mentre 13 Vedi il doc. in Donniges, I, 37. In Alb. Muss., 350 (cfr. anche Jac. de Var., Continuatio, 502) è fatta menzione del giuramento di fedeltà prestato tramite i delegati genovesi. Se Nic. ep. Botr., 14, dice che i Genovesi tunc non avevano giurato, vuol dire che si riferisce al tempo anteriore all’incoronazione. Può essere discutibile se l’ambasceria presente all’incoronazione sia quella stessa che prestò il giuramento. 14 Ma senza che gli competesse il merum et mixtum imperium e la giurisdizione generale nella città e territorio. Cfr. Bonaini, Acta Henr. VII, I, 104, 117. 15 In confronto con gli obblighi di fedeltà di altre città (Bonaini, 1. c. etc.), manca anzitutto la esplicita promessa di prestare aiuto al re per il riacquisto di possedimenti perduti e per guerre offensive che avesse inteso intraprendere. 16 Cfr. Dônniges, II, 166. — 372 - La trasmissione della signoria ad Enrico VII invece nelle città della Lombardia i Vicari imperiali subentrarono al posto dei magistrati allora in carica. Genova doveva comunque contribuire all’onorario del Vicario Generale; l’importo di matricola, di cui era tassata, era di 10000 fiorini d’oro trimestrali, più di quello richiesto a Venezia e Milano, però in tale somma erano compresi i contributi delle città del territorio, Savona, Noli, Albenga, Ventimiglia17. E’ dubbio che Genova si sia davvero obbligata a tale pagamento; comunque essa tenne sempre verso il re un atteggiamento benevolo, mentre altrove si verificarono ben presto contraccolpi all’entusiasmo col quale era stato inizialmente salutato. Già gli stessi inviati che avevano prestato il giuramento ad Enrico avevano portato la promessa che il Comune, a proprie spese, avrebbe mandato navi al seguito del viaggio per l’incoronazione dell’imperatore 18. Per l’assedio di Brescia esso inviò al campo del re un forte contingente di balestrieri e uomini a piedi dotati di armi leggere; il comando venne affidato ad un Grimaldi, ed egli, guelfo, combattè con gran valore contro gl’insorti Bresciani 19. Dopo aver vinto la resistenza in Lombardia, Enrico si dispose a partire per Roma per l’incoronazione imperiale. I contingenti delle città italiane inviati al seguito del viaggio dovevano riunirsi con lui a Genova20. La notizia del prossimo arrivo del re dei Romani suscitò gran giubilo nella città marittima ligure. Per guidarlo attraverso i valichi dell’Appennino, gli furono mandati incontro degli inviati a Tortona21. Il 21 ottobre 1311 ebbe luogo l’ingresso di Enrico VII a Genova22. La più potente città della cristianità23 manifestò tutto il fasto possibile per dare allo spettacolo il massimo splendore. La cittadinanza, in ricchi abbigliamenti, mosse incontro al re per ricevere lui e la moglie, accompagnati da quattro cardinali, dall’arcivescovo Balduino di Treviri, da prin- 17 Ibid., 141 e sgg. 18 Alb. Muss., 350. 19 Joh. de Cerm., 85 e sgg.; Alb. Muss., 389; Guill. Vent., 779 etc. 20 V. la lettera a Venezia in M.G.H., Leges, II, 517, 5 ottobre 1311; cfr. Ferr. Vìe., 1087. 21 Ferr. Vie., 1087 e sgg. 22 Ferr. Vie., 1088; Villani, IX, 24 (Dino Comp., Cronica, III, 30), Stella, 1025. Quanto all’itinerario, cfr. Irmer, Romfahrt Heinr. VII, p. 58. Probabilmente il re rimase a Pontedecimo (v. ibid., tav. 16 a) la notte prima del suo ingresso in citta. 23 V. Villani, IX, 24. — 373 — Libro VI - Cap. sesto dpi e signori, oltre una imponente schiera di cavalieri 24. I nobili, a cavallo e avvolti in abiti luccicanti d’oro, erano preceduti dai membri più giovani della loro classe; i popolari, pur essi con vestiti nuovi rosso-gialli, seguivano in gran numero l’Abate; anche il clero non mancava25. Presso la chiesa di S. Lazzaro di Fassolo26, il Podestà, l’Abate, i nobili ed il Popolo salutarono il re27; qui probabilmente ebbe luogo la consegna delle chiavi della città, un momento immortalato nel disegno di un contemporaneo 2S. Al suono delle trombe, sotto un baldacchino purpureo29, Enrico VII varcò quella porta che a nessuno dei suoi predecessori era mai stata così prontamente aperta. La città era addobbata a festa per il ricevimento del sovrano, tappeti purpurei coprivano le vie per le quali doveva passare. Sulla piazza S. Lorenzo, dinanzi al portale del duomo, stavano i Doria con i loro aderenti, tutti vestiti egualmente, e, schierati l’uno accanto all’altro, circa 1000 uomini; essi intendevano così mostrare al mondo la loro potenza , ma forse non è da escludere che temessero qualche colpo di mano da parte degli Spinola poiché, con il seguito del re, Opicino era tornato a Genova, quantunque mancasse ancora qualche mese alla scadenza del termine stabilito per la sua assenza dalla città31. Idee ostili contro Enrico erano ben lontane dai vecchi Ghibellini, che in suo onore avevano accettato l’aquila imperiale come arma comune della loro prosapia32; essi lo assicurarono della loro devozione, ed il re si recò poi al palazzo arcivescovile, che il Comune aveva fornito nel modo più ricco di tutto quanto potesse occorrere alla sua corte33. 24 V. Irmer, tav. 16 a; Stella, 1025. Secondo Villani, IX, 24, il re avrebbe avuto con sè 600 cavalieri tedeschi. 25 Ferr. Vie., 1088; Alb. Muss., 399; Stella, 1025. 26 Così Stella, 1. c.; secondo Alb. Muss., 1. c., l’Abate, il Podestà, i nobili e tutto il popolo andarono incontro al re fino a cinque miglia di distanza da Genova. 27 Secondo Stella, 1. c., essi avrebbero seguito il re da qui fino al palazzo del Comune. 28 Irmer, tav. 16 a; cfr. Gesta Trev., II, 220. 29 Cfr. Ferr. Vie., 1088; Alb. Muss., 399. 30 Ferr. Vie., 1088. 31 Ibid., 1089; Stella, 1025. 32 Stella, 1025. 33 Ferr. Vie., 1088; Alb. Muss., 399. — 374 - La trasmissione della signoria ad Enrico VII Il giorno del suo ingresso fu interamente dedicato ai festeggiamenti34. Quando si passò agli affari di Stato, si vide ben presto quale seme corrotto si celava sotto quella straordinaria magnificenza. Risulta che i Guelfi, in verità, si mantenessero tranquilli35; fu il conflitto fra le famiglie ghibelline dei Doria e degli Spinola che diede molto da fare al re. Tutto quello che avrebbe dovuto essere appianato con la pace dell’anno precedente venne nuovamente rinfacciato al cessato Capitano Generale da parte del suo ex collega. Egli affermava che Opicino aveva oppresso a lungo la città col suo governo dispotico, svaligiato le casse dello Stato, mandato in rovina il territorio e le colonie; che il Comune e il Popolo, ma specialmente anche l’onore dell’imperatore avevano sofferto danno dai suoi atti, essendosi egli alleato con re Carlo e avendo cercato appoggio nell’amicizia dell’Angiò; che egli aveva contribuito al successo di suo genero, il marchese di Monferrato, per potere rovinare Genova col suo aiuto. Opicino, di rimando, poneva a carico di Bernabò l’operato comune con i guelfi Fieschi e Grimaldi, fatale per i Ghibellini; per cui egli ed i suoi aderenti avevano dovuto andare in esilio. Inoltre i popolari sarebbero stati tenuti adesso in abbietta sotto-missione, mentre gli interessi commerciali non avrebbero trovato più con l’attuale governo il solito appoggio36. Enrico non lasciò parlare soltanto i capi dei partiti e fu allora tempestato da richieste di nobili e popolari, chierici e laici, perchè procurasse d’instaurare una pace conveniente e giusta, altrimenti, dopo la sua partenza, sarebbero scoppiate violente lotte in città, tali da farne temere il crollo 3?. Indubbiamente il re aveva previsto di trattenersi a Genova per poco tempox, dal momento che i suoi rapporti col Comune erano già stati regolati nelle trattative di Milano. Soltanto trovandosi sul posto potè avvedersi di quanto la superba città marittima necessitasse della intromissione pacificatrice di un forte potere superiore. Come nelle città della Lombardia, anche qui era evidente l’assoluta incapacità della cittadinanza di governarsi da sè; conso- 34 Ferr. Vie., 1. c. 35 Dobbiamo osservare che il cardinal legato Luca Fieschi, che già si era adoperato per Enrico dinanzi a Brescia (Alb. Muss., 393 e sgg., etc.), si trovava a Genova: Stella, 1025. 36 Alb. Muss., 399 e sgg.; cfr. Ferr. Vie., 1089. 37 V. le dichiarazioni nel doc. in L.J., II, 453. Gli avvenimenti che ebbero luogo dopo la morte di Enrico VII (Stella, 1026 e sgg.; Villani, IX, 57) dimostrano che tali timori non erano del tutto infondati. 38 Alb. Muss., 401 = Ferr. Vie., 1098; cfr. Bonaini, Acta Henr. VII, II, 52. — 375 — Libro VI - Cap. sesto lato, podestà e capitanato erano successivamente andati in rovina, le forme costituzionali istituite di propria libera iniziativa non erano più sufficienti per mantenere l’ordine nello Stato. In tali circostanze era urgente cercare un rimedio. I Doria e gli Spinola si combattevano per ottenere il governo della città; ognuna delle due famiglie voleva avere in mano i castelli appartenenti al Comune. Perciò molti Genovesi indicarono come unica possibilità di far cessare la discordia che Enrico — come imparziale — assumesse la signoria nella città e territorio, e disponesse a suo piacimento delle castellarne, idea che gli venne ripetutamente esposta sia palesemente che in segreto. Il re diede allora disposizioni per un’accurata indagine che potesse fargli conoscere con precisione le idee della cittadinanza; quasi tutte le famiglie della nobiltà e le corporazioni furono interrogate una ad una affinchè dicessero quale, secondo loro, potesse essere il mezzo più idoneo per ristabilire e mantenere pace e giustizia a Genova. La risposta della preponderante maggioranza fu che il miglior risultato era quello che egli assumesse la signoria della città e territorio e prendesse in custodia i castelli39. Forse si può ravvisare il primo passo per l’esecuzione di questo progetto nel rinnovo del giuramento di fedeltà già prestato in precedenza che doveva aver avuto luogo il 13 novembre41 o poco più tardi42. Spesso, quando il re si presentava in pubblico, si levavano dalla folla voci con le quali gli si chiedeva di assumere la signoria; nel giorno in cui egli ricevette il giuramento di fedeltà, alcuni nobili, in presenza dei popolari radunati, avanzarono formalmente per iscritto il medesimo desiderio. Quando finalmente parecchi ragguardevoli cittadini ripeterono la proposta già tante volte avanzata e gli offrirono la signoria, egli non si sottrasse ulteriormente al generale desiderio dominante43. 39 L.J., II, 453 e sgg. Non vi è alcuna ragione per vedere in questo una mera illusione. L asserzione di Guill. Vent., 780, che la trasmissione della signoria a Enrico VII sarebbe avvenuta in conseguenza di un trattato concluso a Milano fra il re e gli inviati genovesi (cfr. sopra, p. 371 e sgg.) è assai improbabile. 40 Cfr. sopra, p. 371. 41 Per tal giorno fu accreditato dal governo genovese un procuratore per la prestazione del giuramento: Dônniges, II, 166. 42 In Ferr. Vìe., 1088 e Stella, 1025, vengono confusi il rinnovo del giuramento di fedeltà e la trasmissione della signoria: v. anche Gesta Trev., II, 220; cfr. Sommerfeldt, Kònig Heinrich VII, p. 137. 43 L.J., II, 454. - 376 - La trasmissione della signoria ad Enrico VII E ben probabile che se Enrico VII avesse trovato a Genova una situazione pacifica, avrebbe lasciato invariata la costituzione dello Stato. Il duro contrasto dei partiti rese necessaria la sua intromissione non solo nell’interesse della città, ma anche del suo progettato viaggio a Roma: sarebbe stato pericoloso lasciare dietro di sè le coste liguri nel disordine e nella discordia, facilmente una delle due parti contendenti avrebbe potuto allearsi con i suoi avversari nella vicina Toscana o con il re Roberto di Napoli, con il quale le relazioni non erano state ripristinate. Ma se Enrico si fosse assunto la signoria, ciò doveva avvenire, a suo vedere, così come era avvenuto altrove; egli considerava il potere di governo illimitato sulla città e territorio come un diritto sovrano spettantegli in virtù della sua alta carica. Però a Genova non si intendeva neppure in questa circostanza rinunciare incondizionatamente ai privilegi ottenuti da precedenti imperatori44. In particolare si teneva fermo, come risulta, su di una concessione accordata da Federico I ed Enrico VI, non espressamente confermata però da Federico II , che i Genovesi non potevano essere costretti dall’imperatore a seguire il suo esercito, salvo che non si trattasse di riprendere ima città perduta sul mare da Arles fino al Monte Gargano 46, compresa l’Italia meridionale, in quanto essi avrebbero potuto raggiungere per mare la relativa località 47. Non risultano i dettagli delle trattative per la risoluzione della vertenza fra la pretesa di piena sovranità, sollevata dal successore dei Cesari romani, e l’autonomia dello Stato territoriale cittadino garantita da antichi privilegi. La maniera trovata per conciliare la conservazione dei diritti del- 1 impero con le pretese dei Genovesi dimostra come Enrico VII fosse ben lungi da una rigida fermezza in inattuabili ideali e più condiscendente, invece, verso pretese che egli considerava peraltro infondate, mentre Genova, a sua volta, senza rinunziare ai diritti acquisiti in passato, acconsentiva a non farne temporaneamente uso nel suo stesso interesse. Così il re assunse la signoria, non perchè gliene fosse riconosciuto il diritto, ma per 44 Deducibile da Nic. ep. Botr., 34. 45 L.J., I, 209 e sgg., 372, 655 e sgg., 775 e sgg. 46 Questo è il Mons. S. Angeli dei privilegi (L.J., I, 209 e sgg. e 272), il monte dell’Arcangelo Michele; cfr. Gotheim, Rulturentw. Sud-Italiens, p. 41 e sgg.; Nic. ep. Botr., 34, intende sotto questo nome un castello in Sicilia. 47 L.J., 1. c.: quatenus ad eas partes poterunt navigio pervenire. Secondo Nie. ep. Botr., 1. c., l’obbligo al servizio di guerra dei Genovesi si sarebbe esteso a due giornate di viaggio per terra. - 377 — Libro VI - Cap. sesto corrispondere alle richieste più di una volta rivoltegli, mettendo in rilievo lo scopo determinante del ristabilimento della pace, col consenso di tutta la cittadinanza. Il fatto non avrebbe dovuto recare alcuna modifica alle franchigie ed ai privilegi di Genova. Perchè tutto ciò rimanesse chiaro ed esplicito, il conferimento della signoria doveva intendersi a termine, cioè sua vita naturai durante, per un massimo di vent’anni48. Enrico pero si riservava tutti i diritti dell’impero nella speranza di poterli far valere successivamente in tutta la loro ampiezza49, ed in un caso particolare dimostrò quanto fosse seriamente intenzionato a conservarli. Egli dichiarò nulla la convenzione fra il Comune e Carlo II del 1307 50, perchè essa ledeva i diritti dell’impero; la sua osservanza poteva suscitare disordini in città e, al di là della volontà dell’imperatore, poteva coinvolgerlo in litigi con gli eredi di Carlo II. Come particolarmente odioso venne cassato l’impegno di Genova di mettere a disposizione del re di Napoli da 10 fino a 100 galere contro chiunque, poiché in tal modo l’esercizio dei diritti dell impero sui Genovesi avrebbe potuto trovare un limite e venir compromessa la pace di parecchi re, città e buoni cristiani51. L’alleanza per la conquista della Sicilia, sulla cui possibilità si basava la favorevole posizione di Genova nella lotta delle case d’Angiò e d’Aragona, le quali, da decenni, andavano a gara per cattivarsi il favore della potente città marittima, non avebbe potuto essere conclusa da Genova di sua sola iniziativa. Il 22 novembre 1311, nello stesso giorno in cui Enrico con l’annullamento della convenzione del 1307 faceva sentire ai Genovesi in modo tanto netto la loro dipendenza dall’impero, nella piazza di S. Lorenzo si celebrò l’atto solenne col quale egli assumeva la diretta signoria della citta e del territorio52. I cittadini, convocati a parlamento secondo le antiche 48 V. il doc. in L.J., II, 453 e Stella, 1025. 49 Nic. ep. Botr., 34 e sgg. Quando (ibid.) dice che Enrico confermò i privilegi dei Genovesi prout rite et iuste erant eis concessa a suis predecessonbus ei, al contrario (ibid., 83) che item in Pisis privilegia Januensium confirmavit, que in Janua con firmar e noluit, salvo tamen iure imperii et omnium aliorum, egli riferisce il contenuto del documento del 27 marzo 1313 (L.J., II, 459) solo molto inesattamente, mentre un documento particolare sulla conferma dei privilegi genovesi al tempo del soggiorno di Enrico VII a Genova non e noto. 50 Cfr. sopra, p. 337 e sgg. si V. il doc. in L.J., II, 450; cfr. Dônniges, II, HO, 22 novembre 1311. 52 V. il doc. in L.J., II, 453. Non è chiaro in quale ordine siano seguiti questi due atti. - 378 - La trasmissione della signoria ad Enrico VII forme tradizionali, cioè tramite chiamata degli araldi e suono di campane, comparvero in grande numero. Fra i personaggi più illustri sono nominati come presenti53 l’arcivescovo Balduino di Treviri, il vescovo Teobaldo di Lüttich, il conte Amedeo di Savoia, il marchese Teodoro di Monferrato, il maresciallo Enrico di Fiandra, Corrado e Bernabò Doria, come pure Carlo e Ottobono Fieschi. Il consigliere regio Santo de Riparolo lesse un proclama contenente i motivi che avevano mosso Enrico a non rifiutare 1 offertagli signoria e le assicurazioni riguardo al modo in cui intendeva esercitarla. Egli non cercava il proprio utile, così diceva il proclama, nè aveva altro desiderio all’infuori di quello di ristabilire la pace e la giustizia in una tanto gloriosa città. I castelli venivano da lui affidati a Genovesi domiciliati in città da lungo tempo, a persone fidate, che non cercavano il favore di un potente, ma dovevano quegli uffici esclusivamente alla incorruttibilità del loro comportamento54. Nella città egli insediava uno o più Vicari per 1 imparziale amministrazione della giustizia e per la conservazione della pace. Quanto alla forma di governo, intendeva stabilirla in modo da ottenerne pace e prosperità. Dopo la lettura del proclama il re stesso confermò quanto era stato detto in suo nome, e la folla, con forti acclamazioni, manifestò il suo consenso. Quindi, un sindaco5S, investito dei pieni poteri dal Podestà, Abate, Governatori e Consiglio Generale, giurò per il Comune che esso avrebbe irievocabilmente considerato come valido l’atto avvenuto e che avrebbe adempiuto alle promesse. Con ciò Genova aveva rinunziato alla sua autonomia. Nello sviluppo di Genova, il 22 novembre 1311 è un momento di recesso di non poca importanza come lo era stato quello del 18 febbraio 1257, quando, per la prima volta, il forte ordinamento aristocratico dello Stato aveva soggiaciuto all’impetuoso slancio delle eccitate masse popolari 53 Ibid., 456, come testimoni = L.J., II, 452. 54 Ibid., 454 e sgg. I funzionari da nominarsi nel territorio genovese devono giurare e prestare garanzia che, decorsi i vent’anni fissati per la durata della signoria di Enrico o dopo la sua morte, i castelli sarebbero stati senz’altro riconsegnati al Comune. 55 Rolando de Castellione, index: v. il doc. in L.J., II, 456. Per il rinnovo del giuramento di fedeltà vennero conferiti i poteri a Gabriel marchio de Gavio, utriusque iuris peritus-, v. Dônniges, II, 166. — 379 — Libro VI - Cap. sesto e ciò era accaduto per essersi voluto indirizzare il tranquillo e progressivo sviluppo dello Stato verso forme più liberali. Quello a cui non arrivò il Capitano del Popolo Boccanegra fecero i capi del partito nobiliare ghibellino tendendo ad un preciso scopo. La signoria da essi mantenuta per lungo tempo era stata ben differente da quella dispotica dei tempi successivi; essa non si appoggiava nè su diritti ereditari, nè suU’arruolamento di schiere di mercenari. I nobili ghibellini avevano fatto lega con il Popolo; la maggioranza dei cittadini aveva conferito ai più eminenti uomini delle due famiglie, a coloro che nel loro partito erano ritenuti i più validi, poteri di reggenza dello Stato ben poco limitati. Gli elementi contrari non erano stati repressi con inesorabile durezza come avevano fatto a Firenze prima i Ghibellini e poi i Bianchi; il doppio capitanato, che aveva gli aspetti più spiccati del governo di partito, aveva potuto assicurare l’indipendenza dello Stato all’esterno solo attraverso la tranquillità all’interno. Con una saggia politica idonea alle circostanze i Capitani erano riusciti a procurare un brillante sviluppo del commercio, che costituiva la base della ricchezza dei cittadini; essi avevano condotto contro Pisa la guerra vittoriosa, che aveva tolto per sempre ogni forza alla rivale città marittima; l’incremento di potenza, che Genova doveva a quel saggio governo, si dimostrò a tutto il mondo, allorché fu riunita la grande armata per la guerra contro Venezia. Ma i Ghibellini, sotto una simile forma di costituzione più liberale, come era quella del capitanato, non riuscirono a mantenere ferma la loro influenza di fronte alla cattiva disposizione di quasi tutta la nobiltà e alle vacillanti tendenze dei popolari. Si venne alle più violente lotte di partito proprio in un momento in cui i cittadini avrebbero dovuto essere compatti per battere i nemici esterni. Così i risultati conclusivi delle vittorie ottenute in tante battaglie navali non corrisposero alle aspettative giustificate dalla dimostrata superiorità della flotta genovese. Infine fu fatale la discordia delle due famiglie che, agendo di buona intesa per circa trent’anni, avevano retto i destini di Genova. L’Ammiraglio dello scomunicato re di Sicilia e l’arcivescovo, diventato tale per grazia del papa, avevano agito l’uno contro l’altro. I Doria, tanto poco d’accordo fra loro stessi come gli Spinola, si erano imiti con la nobiltà guelfa, mentre il loro ambizioso avversario, favorito da un’estrema politica democratica, si era spianato la via per l’autocrazia. La caduta del Capitano Generale aveva acceso più violenta la guerra civile. Quando Enrico toccò il suolo d’Italia per arrecare la pace in quel paese in rovina tramite il ristabilimento dei diritti dell’impero, Ge- — 380 - La trasmissione della signoria ad Enrico VII nova aveva sentito il maggior bisogno della sua intromissione. Con il consenso unanime dei cittadini il re assunse quel compito, che essi disperavano di poter svolgere da sè. La signoria di Enrico VII ebbe breve durata, le guerre civili che per molti anni seguirono furono il seguito delle antiche lotte che nemmeno a lui fu dato di sedare definitivamente; ma quando il fluire degli avvenimenti presentò la necessità di una pausa, nessun momento poteva essere più adatto di quello nel quale gli stessi contemporanei vollero fermamente determinare la fine di un’epoca. — 381 — Appendici Sono indicati tra parentesi quadre, i pochi, ma necessari, aggiornamenti bibliografici che abbiamo ritenuto opportuno aggiungere; entro parentesi tonde, salvo indicazione contraria, le attuali collocazioni di alcuni manoscritti. 1 Genova, Archivio di Stato, San Giorgio. Cfr. A. Wisznievski, Histoire de la banque de S. George de la republique de Gênes, II ed., Parigi 1865; H. Sieveking, Genueser Finanzuiesen, I, p. X e sgg. Nr. 1 - Codex comperarum 1, cart., sec. XVIII, 4°. Contiene copie di docc. anteriori. Nr. 2 - Cod. comp. 2 (nuova collocazione 1), membr., 4°. Libro del pedaggetto (cfr. Rossi, Statuti, p. 70; G. Grasso, Trattato commerciale del MCCII tra Genova ed Amalfi, in «Giornale Ligustico», III, P- 165; Sieveking, p. X). La parte più antica (fino a c. 114), come attestano le copie autentiche notarili contenutevi, del 23 gennaio 1377, è la riproduzione di un codice formato poco a poco dal notaio Raffaele Vacca di S. Tommaso, scriba dei pedaggi di Gavi e Voltaggio. Il contenuto comprende disposizioni sull’imposizione di questi pedaggi e dell’imposta vicecomitale (introitus porte, ripe et vicecomitatus)-, inoltre docc. (secc. XIII e XIV) relativi a contratti, sentenze, deposizioni di testimoni etc. Il resto del codice contiene docc. più recenti, scritti da diverse mani. Nr. 3 ■ Cod. comp. 3 (nuova coll. 2), membr., sec. XIV, 4°. Copia della parte più antica del nr. 5. Nr. 4 - Cod. comp. 4 (nuova coll. 3). Imposicio officii gazane: ed. in H.P.M., Leges municipales, I, 305 e sgg. Nr. 5 - Cod. comp. 5 (nuova coll. 4), membr., 4° (cfr. Rossi, Statuti, p. 71; Sieveking, p. XI e sgg.). Contiene statuti riguardanti l’amministrazione delle finanze al tempo della signoria di re Roberto; nella compilazione sono utilizzati anche docc. più antichi; aggiunte dei primi trent’anni del sec. XIV stanno nel margine (nel nr. 3 sono introdotte nel testo). Seguono le disposizioni del 1303 (v. sopra, p. 314 e sgg.), in parte pubblicate dal Cuneo, (nel nr. 3 non riportate per intero). Alla c. 227 iniziano scritturazioni posteriori che contengono prevalentemente statuti e docc. del XIV e dell’inizio del XV secolo. Il doc. del 1274 (v. sopra, pp. 313, n. 56; 315, n. 61), che per errore di legatura si trova alle cc. 253 v. -254 v. e 271 - 273 v., è stato ora pubblicato dal Sieveking, p. 193. Nr. 6 - Cod. comp. 6 (nuova coll. 5), membr., 4° piccolo. Contiene la venditio introitus staliarum officiorum comunis Janue, del 1335 e docc. più recenti, fino al sec. XVI. Nr. 7 - Cod. comp. 8 (nuova coll. 7), membr., in folio (cfr. Sieveking, p. XIII e sgg.). Liber contractuum. Contiene docc. relativi a prestiti del Comune ed altri simili dal 1350 fino alla metà del secolo XV; contiene anche docc. più antichi; non ne ho trovato alcuno inedito di data anteriore al 1313. Nr. 8 - Cod. comp. 12 (nuova coll. 11), membr., 4°, sec. XIV. Contiene i medesimi statuti unitamente alla parte più antica del nr. 5, però con alcune lacune. - 385 - 25 2 Genova, Archivio di Stato, Materie politiche. Di questa raccolta bene ordinata di atti e documenti do in questa sede un breve regesto di quelli che ho utilizzato. Essi, esclusi quelli del « mazzo supplemento », sono contenuti in estratto nei regesti del Wüstenfeld [v. ora P. Lisciandrelli, Trattati e negoziazioni politiche della Repubblica di Genova (958-1797), Regesti, in « Atti della Soc. Lig. di St. Patria », n. s., I, I960]. I numeri posti tra parentesi tonda rinviano ai passi del testo e delle note nei quali è citato in modo particolare ciascun atto. Gli strumenti notarili (instr. not.), se non è fatta altra annotazione, s’intendono privi di sigillo. Or. = originale; cart. = cartaceo; membr. = pergamenaceo. [In parentesi quadra abbiamo aggiunto ora il n. di richiamo ai regesti del Lisciandrelli]. Mazzo 5 (nr. generale 2724). Nr. 1 - Cart., or. 3 luglio 1258. Lettera di inviati genovesi (I, p. 67). [L., nr. 346]. Nr. 2 - Membr., instr. not., or., con traccia di sigillo. 14 febbraio 1258. Contiene la scomunica delle autorità genovesi, pronunciata da un subdelegato papale in seguito al rifiuto di dare soddisfazione ad un mercante romano (I, p. 57, n. 29). [L., nr. 338], Nr. 3 - Membr., instr. not. Contiene: a) 12 maggio 1258. Procura per gli inviati di Venezia. [L., nr. 339]. b) 16 maggio 1258. Procura per gli inviati di Pisa. [L., nr. 340]. c) 6 luglio 1258. Autenticazione delle copie di cui alle lettere a) e b) (I, p. 57 e sgg.). Nr. 4 - Cart., or. (Circa 7 giugno 1258). Lettere di inviati genovesi (I, p. 61 e sgg.). [L., nr. 342], Nr. 5 - Cart., or. 3 giugno (1258). Come al nr. 4. [L., nr. 341] Nr. 6 - Cart. Contiene: a) 3 luglio 1258. Compromesso nelle mani del papa: L.J., I, 1271. [Lv nr. 347]. b) 3 luglio 1258. Dichiarazione del papa a proposito del doc. precedente (I, p. 68). [L., nr. 348]. Nr. 7 - Membr., or. 12 agosto 1258. Sentenza di un assessore del Capitano, conformemente a parere legale. [L., nr. 350]. Nr. 8 - A) Cart., or., traccia di 2 sigilli circolari di cera verde, serviti per la chiusura. 13 giugno (1258). Lettera del Comune ai suoi inviati (I, p. 63 e sgg.). [L. nr. 344], B) Cart., or., tracce di sigilli come nel doc. precedente. 18 giugno 1258. Lettera del Comune ai suoi inviati (I, p. 66). [L., nr. 345]. C) Altro esemplare di B. D) Cart., or. 10 giugno (1258). Lettera degli inviati al Comune (I, p. 62 e sgg.). [L., nr. 346], Nr. 9 - Cart. Copie di convenzioni con Bisanzio del 1261: L.J., I, 1350. Vi sono trascritte diverse autenticazioni. [L., nr. 355]. Nr. 10 - Membr., instr. not. [L., nr. 325]. Contiene: a) 11 gennaio 1261. Presentazione di lettere papali ai legati di Acri, con inserte le seguenti lettere: — 386 — b) 1° giugno (?) 1260. Alessandro IV ai legati; c) 21 maggio 1260. Alessandro IV ai prelati dei regni di Gerusalemme e di Cipro (I, p. 102 e sgg.). d) 14 dicembre 1261. Autenticazione delle copie di cui alle lettere a-c. Membr., instr. not. Copia autentica del privilegio di Manfredi - L.J., I, 1346 -, estratta il 12 dicembre 1271 a registro comunis. [L., nr. 354, sotto la data di giugno 1261], Membr., instr. not. Copia autentica della convenzione con Bisanzio del 1261 L.J., I, 1350 -, estratta il 19 marzo 1267 de registro comunis Janue. [L„ nr. 3551. Nr. 13 - Membr., instr. not., or. 6 settembre 1262. Procura per un inviato genovese a Cerna. Cfr. Amari, Nuovi ricordi arabici, p. 577; C. Desimoni, Il marchese Guglielmo di Monferrato, in « Giornale Ligustico », XIII, p. 348. [L., nr. 361], Nr. 14 - Membr., instr. not., or. 25 giugno 1269. Ansaldo Fallamonica, capitaneus prò comuni Janue in riperia constitutus, immette Raimondo de Tauro, Siniscalco di Carlo I in Lombardia, in possesso di alcuni castelli (I,- p. 224, n. 25). [L., nr. 363]. Nr. 15 - Membr., or., sigillato con un nastro di seta rossa e gialla. [L., nr. 364]. Contiene un privilegio di Carlo I d’Angiò: a) 4 gennaio 1270. Vi è inserta la ratifica della convenzione con Genova del b) 12 agosto 1269, nella quale sono inserte: c) 12 agosto 1269, la procura per il rappresentante di Genova; d) 29 giugno 1269, la procura per gli inviati di Carlo (I, p. 221 e sgg.). Una parte di b) è adesso edita, da altra fonte, in Sternfeld, Ludwigs des Heiligen, p. 345. Nr. 16 - Membr., instr. not., or. 31 marzo 1270. Convenzione di Genova con Piacenza (I, p. 258, n. 49). [L., nr. 365]. Nr. 17 - Membr., instr. not., or. 1 maggio 1271. Dichiarazione di un inviato genovese in merito ad una cauzione che Venezia doveva prestare (I, p. 291, n. 2). [L., nr. 369], Nr. 18 - Membr., instr. not. [L., nr. 370], Contiene: a) 20 agosto 1271. Enrico, re di Navarra, dichiara che egli, in forza del doc. inserto del b) 20 agosto 1271, presta garanzia per Genova nei confronti di Venezia (I, p. 292, nota). c) 11 ottobre 1272. Autenticazione delle copie di cui alle lettere a-b. Nr. 19 - Cart., tracce di sigillo circolare di cera verde. (1284). Contiene domande di risarcimento di danni di inviati veneziani e la risposta data dal governo genovese (II, p. 60 e sgg.). [L., nr. 373]. Nr. 20 - Cart., or. 7 febbraio 1273. Lettera di inviati genovesi ai Capitani (I, p. 296 e sgg.). [L., nr. 383]. Nr. 21 - Membr., instr. not. [L., nr. 374], Contiene: a) 5 giugno 1272. Procura di Carlo I per gli inviati (I, p. 285). b) 11 ottobre 1272. Autenticazione di copia della procura di cui alla let- Nr. 11 - v!r. 12 - - 387 - tera a, de cartulario litterarum comunis et populi Jan., in quo tenor predicta-rum litterarum scriptus exemplificatus fuit. Nr. 22 - Membr., instr. not., or. 28 agosto 1272. Protesta del console genovese in Siria e del bajulo veneziano in Acri per la prestazione di garanzie pattuite nell'armistizio (I, p. 292, nota). [L., nr. 375]. Nr. 23 - Membr., instr. not., or. 13 ottobre 1272. Procura per gli inviati genovesi (I, p. 291). [L., nr. 376], Nr. 24 - Cart. (1272). Domande d’un inviato greco e risposte d’un genovese alle stesse (I, p. 293, n. 4), edite in Bertolotto, Nuova serie di docc. sulle relazioni dì Genova con l’impero bizantino, in « Atti della Soc. Lig. di St. Patria », XXVIII, 1897, p. 505. [L., nr. 379], Nr. 25 - Cart. (minuta?). [L., nr. 380], Contiene: a) (1272). Convenzione fra Genova e Bisanzio, con inserta: b) 29 agosto 1272, procura dell’inviato genovese (I, p. 293, n. 4), edita in Bertolotto, Nuova serie, p. 500. Mazzo 6 (nr. generale 2725). Nr. 26 - Membr., instr. not., or. 13 gennaio 1273. Procura per un inviato genovese (I, p. 297). [L., nr. 382], Nr. 27 - Membr., instr. not., or. 26 agosto 1273. Lega fra Genova, Asti e Pavia (I, p. 339 e sgg.). [L., nr. 384]. Nr. 28 - Cart. (1274). Decisione del concilio di Lione. [L., nr. 386]. Nr. 29 - Membr., instr. not., or. [L., nr. 385]. Contiene: a) 14 febbraio 1274. Convenzione fra Genova e Lucca, inserta in b) analoga del 14 dicembre 1271 (I, p. 334). Nr. 30 - Cart., munito del signum di autenticazione Populus. (1276). Esilii pronunciati per ordine del Podestà (I, p. 390 e sgg.). [L., nr. 403]. Nr. 31 - Cart., fase, in 4°. (1275). Documenti di richiesta di risarcimento di danni di inviati veneziani (I, p. 389). [L., nr. 388]: a) 10 agosto 1275. Enumerazione delle cose rubate a Michele Tiepolo e ai suoi marinai. b) 27 agosto 1275. Lettera del console veneziano di Messina al Doge sul medesimo argomento. c) (1275). Come sopra. d) (1275). Lettera d’un Veneziano in merito ad una ruberia effettuata da pirati genovesi (in lingua italiana). e) (1273-1274). Enumerazione di danni sofferti da abitanti di Negroponte ad opera di pirati (cfr. Hopf, Gescb. Griech., p. 310, n. 73). f) 4 ottobre (anno ?). Lettera del bajulo di Negroponte al Doge. g-i) Relazioni relative a ruberie commesse da Genovesi a danno di Veneziani. Nr. 32 - Cart. (minuta ?). 15 gennaio 1276. Risposta alle domande di inviati veneziani (I, p. 389 e sgg.). [L., nr. 392]. Nr. 33 - Membr., instr. not., or. 30 luglio 1275. Procura per inviati genovesi (I, p. 357). [L., nr. 387]. Nr. 34 - Membr., instr. not., or. 15 ottobre 1275. Ratifica dell’armistizio fra Genova e Venezia (I, p. 388, n. 1). [L., nr. 389]. — 388 — Nr. 35 - Cart., fase, in 4°, mezza larghezza. (Dicembre 1275). Deposizione di testi in merito ad una ruberia di Veneziani (I, p. 389). [L., nr. 391, sotto la data del 7 dicembre]. Nr. 36 - Membr., instr. not., or. [L., nr. 393]. Contiene: a) 19 gennaio 1276. Quietanza di inviati veneziani per risarcimento di danni. b) 19 gennaio 1276. Dichiarazione del Podestà di Genova (I, p. 390, n. 11). Nr. 37 - Membr., instr. not., or. Contiene: a) 7 febbraio 1276. Quietanza d’un procuratore veneziano per risarcimento di danni (alcune raschiature). [L., nr. 395], b) 22 aprile 1276. Dichiarazione del Podestà di Genova (I, p. 390, n. 12). [L., nr. 397], Nr. 38 - Membr., instr. not., or. Contiene: a) 7 febbraio 1276. Quietanza come al nr. 47 a. [L., nr. 396]. b) 22 aprile 1276. Quietanza relativa al medesimo affare (I, p. 390, n. 12). [L, nr. 398], Nr. 39 - Membr., instr. not., or. 15 agosto 1276. Verbale relativo al ritorno di Genova all’obbedienza della Chiesa (I, p. 366). [L., nr. 399]. Nr. 40 - Membr., instr. not., or. 17 agosto 1276. Verbale relativo all’annunzio della pace conclusa a Chiavari tra Genova e Carlo I (I, p. 367, n. 2). [L., nr. 400]. Nr. 41 - Membr., instr. not., or. [L., nr. 401], Contiene: a) 28 [L. 29] settembre 1276. Verbale relativo ad una lettera letta dal podestà di Andora in quel parlamento. Vi è inserita la lettera. b) (23 settembre 1276). Ordine del Podestà e dei Capitani di Genova di interrompere qualunque rapporto col conte di Ventimiglia (I, p. 368). Nr. 42 - Membr., instr. not., or. [L., nr. 402], Contiene: a) 30 [L. 29] settembre 1276. Notificazione a mezzo del podestà di Oneglia corrispondente al nr. 41 a. b) 23 settembre 1276. Lettera come al nr. 41 b. Nr. 43 - Membr., instr. not., or. male conservato. (14 aprile 1277 ?). Ratifica dell’armistizio tra Genova e Venezia (I, p. 388, n. 3). [L., nr. 404]. Nr. 44 - Membr., instr. not., or. Contiene: a) 17 agosto 1277. Insediamento d’un plenipotenziario in Acri mediante un console genovese. [L., nr. 405]. b) 18 agosto 1277. Il primo chiede al bajulo veneziano in Acri la restituzione di case (I, p. 391, n. 16). [L., nr. 406]. Nr. 45 - Membr., instr. not., or. 27 ottobre 1277. Verbale relativo a trattative di inviati genovesi con Giudice di Cinercha (II, p. 13 e sgg.). [L., nr. 407]. Nr. 46 - Membr., instr. not., or. [L., nr. 408], Contiene: a) 20 ottobre 1278. Assenso del marchese Guglielmo di Monferrato all’inserta b) (1278) convenzione tra Genova e Alessandria (I, p. 371). Nr. 47 - Membr., instr. not., or. con tracce di filo di canapa per il sigillo. 5 agosto 1280. Procura per un inviato veneziano (I, p. 392, n. 22). [L., nr. 413]. Nr. 48 - Cart. (minuta ?). (1284). Lettera di Genova a Venezia (II, p. 60, n. 15). [L., nr. 414], - 389 - Nr. 49 - Membr., instr. not., or. [L., nr. 411]. Contiene: a) 17 gennaio 1280. Quietanza d’un inviato pisano relativa alla restituzione di cose rubate. Vi sono inserti: b) 6 dicembre 1279. La decisione del Consiglio di Pisa al riguardo; c) 7 dicembre 1279. La procura dell’inviato; d) (7 dicembre 1279?). La lettera credenziale per il medesimo diretta al podestà di Bonifacio (cfr. Bonaini, Stat. Pisa, I, 65, n. 1). Nr. 50 - Cart. Copia della convenzione tra Genova e Firenze del 7 febbraio 1281, a libro dd. consulum calegarum, car. 45a-, è da presumere che si tratti del Cod. posto sotto il nr. 2, c. 45 dell’i4/>p. 1 (II, p. 26). [L., nr. 415]. Nr. 51 - Membr., instr. not., or. 15 novembre 1281. Verbale relativo a negoziati d’un inviato genovese col Siniscalco di Beaucaire. [L., nr. 417]. Nr. 52 - Cinque fogli riuniti in un fascicolo, incompleti. 6 febbraio 1283. Sentenze del capitano dei mercanti lombardi e toscani a Nîmes contro Genovesi. [L., nr. 421]. Nr. 53 - Membr., instr. not., or. 10 marzo 1282. Verbale relativo alla richiesta d’un inviato genovese in merito a Roccabruna (II, p. 48). [L., nr. 418]. Nr. 54 - Membr., instr. not., or., tracce di sigillo. 4 gennaio 1284. Reclamo dinanzi al giudice della città di Napoli per ruberie commesse da pirati genovesi e relative deposizioni testimoniali. [L., nr. 423]. Nr. 55 - Membr., instr. not., or. 21 giugno 1283. Ratifica dell’armistizio con Venezia mediante un sindaco genovese, avvenuta alla presenza del papa (II, p. 59). [L, nr. 422], Nr. 56 - Membr., instr. not., or. 11 novembre 1283 (?). Verbale relativo a trattative del Siniscalco di Beaucaire con i Genovesi a Nîmes. [L., nr. 419, sotto l’anno 1282], Nr. 57 - Membr., instr. not., or. male conservato. 31 dicembre 1282. Armistizio tra Genova e Venezia (II, p. 59). [L., nr. 420]. Nr. 58 - Membr., instr. not., or. con tracce di sigillo di cera rossa nel retro. Contiene: a) 21 maggio 1285. Rappresaglie contro Genova autorizzate dai senatori di Roma. [L., nr. 425]. b) 10 luglio 1285. Conferma da parte dei loro successori. [L., nr. 426]. c) 27 maggio 1289. Notizie sull’appianamento della vertenza (II, p. 60). [L., nr. 425]. Nr. 59 - Membr., instr. not., or. 6 gennaio 1286. Procura per inviati genovesi (II, p. 76). [L., nr. 429 sotto il 7 gennaio]. Nr. 60 - Membr., instr. not., or. 23 dicembre 1285. Protesta per una ispezione ad una nave veneziana (II, p. 81). [L., nr. 427]. Nr. 61 - Cart., or. (?), con sottoscrizione dell’imperatore ad inchiostro rosso. (1286). Lettera dell’imperatore Andronico al Comune di Genova (in latino), ora edita in Bertolotto, Nuova serie, p. 509. [L., nr. 4281]. Nr. 62 - 15 aprile 1288. Originale del trattato di pace tra Genova e Pisa: L.J., II, 127 e sgg. [L., nr. 434]. Nr. 63 - Membr., instr. not., or. 24 febbraio 1289. Deposizioni testimoniali, assunte a Roma, riguardanti il medesimo affare di cui è notizia al nr. 58 c (II, p. 60). [L., nr. 437]. — 390 — Nr. 64 - Membr., instr. not., or. 26 giugno 1289. Il sostituto del Doge decide in merito alla richiesta di risarcimento di danni a Genova (II, p. 81 e sgg.). [L., nr. 438]. Nr. 65 - Membr., instr. not., or. con tracce di nastro di canapa per il sigillo. 10 luglio 1289. Procura per inviati veneziani (II, p. 82, n. 51). [L., nr. 440], Nr. 66 - Membr. 1289. Estratti dagli atti d’ufficio {de publicis actis) di Luchetto Doria, vicario generale genovese in Corsica, dal 18 giugno al 13 agosto, ed un doc. del 9 ottobre (II, p. 141, n. 38). [L., nr. 449], Nr. 67 - Membr., instr. not., or. 14 luglio 1289. Insediamento d’un procuratore per ricevere un risarcimento di danni da Genova (II, p. 82, n. 51). [L., nr. 441], Mazzo 7 (nr. generale 2726). Nr. 68 - Cart., fase, in 4°. (1294). Domande di risarcimento di danni, presentate all’imperatore greco dall’inviato genovese Nicola Spinola. Ediz. in Bertolotto, Nuova serie, p. 511 e sgg. (II, p. 217). [L., nr. 469]. Nr. 69 - Membr., instr. not., or. 18 febbraio 1290. Quietanza d’un inviato veneziano per risarcimento di danni (II, p. 82, n. 51). [L., nr. 456], Nr. 70 - Membr., instr. not., or. 16 settembre 1292. Un procuratore del Comune di Pistoia presta garanzia a Genova in nome del conte Lotto (II, p. 187, n. 13). [L., nr. 460]. Nr. 71 - Membr., instr. not., or. 6 ottobre 1292. Il Comune di Lucca conferma la garanzia prestata a Genova da parecchi mercanti, in nome proprio e per conto del conte Lotto (II, p. 187, n. 13). [L., nr. 462]. Nr. 72 - Membr., instr. not., or. molto danneggiato. 9 ottobre 1292. Procura per sindaci di Firenze (II, p. 187, n. 13). [L., nr. 463]. Nr. 73 - Membr., instr. not., or. I sindaci fiorentini garantiscono nei confronti di Genova per il conte Lotto (II, p. 187, n. 13). [L., nr. 464]. Nr. 74 - Membr., instr. not., or. Giovanni Tavano bancherius dichiara che il conte Lotto ha depositato presso di lui la somma di lire 1000 (II, p. 187, n. 13). [L., nr. 465]. Nr. 75 - [L., nr. 466], A) Cart., fase, in 4°, mezza larghezza. 23 febbraio 1293. Bozza di istruzione {tractatus) per inviati genovesi a Venezia. B) Cart., fase, in 4°, mezza larghezza, tracce di sigillo in cera rossa. 23 febbraio 1293. Istruzione per gli stessi, in gran parte uguale al doc. precedente. C) Cart., fase, in 4°. 1293. Corrispondenti chiarimenti degli inviati a Venezia (II, p. 174 e sgg.). Nr. 76 - Membr., instr. not., or. [L., nr. 468], Contiene: a) 25 gennaio 1294. Risposta del Doge alle domande d’un inviato genovese. Sono inserti: b) 2 gennaio 1294. Procura per quest’ultimo; c) 5 gennaio 1294. Lettera credenziale; d) Richieste di Genova (II, p. 179). N. 77 - Membr., instr. not. [L., nr. 471]. Contiene: a) 20 febbraio 1295. Pace tra Genova ed il re di Granata. b) 21 gennaio 1298. Stesura della stessa in forma di strumento notarile. - 391 - Nr. 78 - Cart. [L., nr. 470], Copie redatte nel 1565: a) 17 luglio 1288. Privilegio del re Giacomo di Sicilia per i cittadini di Barcellona. b) 4 aprile 1296. Conferma dello stesso da parte del re Federico di Sicilia (Sella, p. 120 e sgg.). Nr. 79 - Membr., instr. not., or. 6 marzo 1299. Verbale sul modo di comportarsi di inviati genovesi a Cipro (II, p. 295 e sgg.). [L., nr. 472]. Nr. 80 - Membr., instr. not., or. 10 giugno 1299. Procura per un inviato genovese (II, p. 247). [L., nr. 476]. Nr. 81 - Membr., instr. not., or. 41 dicembre 1299. Procura per un sindaco pisano (II, p. 251, n. 42). [L., nr. 483], Nr. 82 - Originale della convenzione tra Genova e il conte di Savoia - L.]., II, 405 -e copie dello stesso; autentica del 23 dicembre 1301. [L., nr. 484]. Mazzo 8 (nr. generale 2727). Nr. 83 - Membr., instr. not. 10 gennaio 1302. Estratto in forma autentica di deposizioni testimoniali relative ad una inchiesta presentata da inviati genovesi al re di Francia. [L., nr. 487], Nr. 84 - Cart., fase, in folio. (Aprile 1310). Verbali relativi a trattative fra gli intrinseci e gli extrinseci genovesi ed il progetto per un accordo di pace (II, p. 365 e sgg.). [L., nr. 505], Mazzo supplemento (nr. generale 2737 a). Nr. 85 - Membr., instr. not. 7 maggio 1266. Sentenza arbitrale su questioni tra il vescovo Lanfranco di Albenga e Oberto Doria, signore di Loano, in copia autentica del 1444. Nr. 86 - Membr., instr. not., qua e là illeggibile. [L., nr. 366]. Contiene: a) 9 agosto 1270. Verbale dell’accettazione della carica di Podestà di Genova da parte di un milanese; vi è inserta: b) 4 agosto 1270. Procura per l’inviato genovese (I, p. 252 e sgg.). a) e b) sono copiati da un notaio milanese a libris consiliorum Mediolani. Nr. 87 - Membr., instr. not., or., fori in corrispondenza del sigillo, nel testo riferimento alla sigillatura mediante sigillo pendenti comunis Janue. 3 ottobre 1270. Procura per un inviato genovese (I, p. 200, n. 45). [L., nr. 368]. Nr. 88 - Cart., fase, in 4°, mezza larghezza, tracce di un sigillo rotto. 9 gennaio 1273. Istruzione per inviati genovesi, comprendente una lettera di Carlo I al suo vicario di Marsiglia del 28 novembre 1272 (I, p. 296 e sgg.). [L., nr. 381]. Nr. 89 - Cart. 10 settembre 1281. Documento sulla presa di possesso di un priorato in Genova. (L., nr. 416 sotto la data del 17 settembre). Nr. 90 - Membr., instr. not., or. 6 marzo 1287. Quietanza di un Veneziano per risarcimento di danni (II, p. 81). [L., nr. 432], Nr. 91 - Cart., fase. in 4°, mezza larghezza, tracce di un sigillo rotto. Istruzione per inviati genovesi (II, p. 108 e sgg.). [L. nr. 453]. Nr. 92 - Cart., autenticato mediante il signum populi. 4 luglio 1289. Ordine del Capitano ai duo de ratione di esaminare il regolamento del conto per la scorta di Carlo II (II, p. 112, n. 55). [L., nr. 439]. — 392 — Nr. 93 - Cart., fase, in folio. Febbraio (1290). Deposizioni testimoniali relative ad una zuffa di partito a San Remo (II, p. 114 e sgg.). [L., nr. 4551. Nr. 94 - Membr., instr. not., or. Contiene: a) 19 ottobre 1296. Vendita di una casa di Castellino Cantello. t>) 29 novembre 1296. Consenso della moglie dello stesso. Nr. 95 - Membr. Sec. XIV. Frammento di statuto. Nr. 96 - Membr. Sec. XIII ? Come sopra; cfr. Belgrano, Rendiconto, III, p. XCIX; Rossi, Statuti, p. 69. [L., nr. 485]. Nr. 97 - Cart., fase, in 4°. 1302. Verbali relativi a richieste di risarcimento di danni da parte di Carlo II (II, p. 286 e sgg.). [L., nr. 489]. Nr. 98 - Membr., instr. not., or. 17 maggio 1303. Procura per inviati genovesi (II, p. 287). [L., nr. 501], Nr. 99 - Membr., instr. not., or. 14 maggio 1310. Quietanza del marchese Corradino Malaspina ai governatori per risarcimento di danni. [L., nr. 504]. 3 Genova, Archivio di Stato, Archivio notarile. Cfr. ora al riguardo le brevi osservazioni del Sieveking, p. X e sgg. [Sema pretesa di completezza, aggiungiamo qui, ad integrazione, una bibliografia essenziale sul notariato genovese: M. Moresco-G. P. Bognetti, Per l’edizione dei notai liguri del sec. XII, Genova 1938; G. Costamagna, La triplice redazione dell’« instrumentum » genovese, « Notai Liguri dei secc. XII e XIII », Vili, Genova 1961; Mostra storica del notariato medievale ligure, a cura di G. Costamagna e D. Puncuh, in « Atti della Soc. Lig. di St. Patria », n. s., IV, fase. I, 1964; G. Costamagna, Il notaio a Genova tra prestigio e potere, Roma 1970. Sull’ordinamento attuale della sezione notarile dell’Archivio di Stato di Genova cfr. Cartolari notarili genovesi. Inventano, I (parte I e II), Pubblicazioni degli Archivi di Stato, XXII e XLI, Roma 1956 e 1961]. Gli scribi di tutte le autorità di Genova e del territorio erano pubblici notai. Le funzioni spettanti a loro nelle cancellerie consistevano nella stesura degli atti d’ufficio, dei verbali dei consigli, degli atti legali, dei libri contabili, etc. Aggiungasi che essi stendevano i documenti per le loro autorità nella forma di strumenti notarili. Se dunque i registri notarili genovesi, spesso nominati ma assai poco esaminati i fondo, contengono le imbreviature degli atti redatti dai notai, vi si possono trovare non solo documenti di carattere privato, ma anche, nel caso, ad es., che venga alla mano il registro di uno scriba comunis, molti documenti provenienti dal Podestà o dal Consiglio. Sono partito da questa ipotesi quando ho incominciato ad occuparmi dei codici notarili del XIII secolo, i quali mi persuasero completamente di quanto avevo immaginato (v. specialmente il nr. 26). Se un notaio fungeva da scrivano presso un’autorità, nel suo registro troviamo documenti il cui richiedente e anche il destinatario sono le relative autorità (il che vale anche per altre località diverse da Genova; cfr. R. Starabba, Protocollo del notaio Adamo de Citella, in « Arch. St. Sicil. », XII, p. 58). Nei registri notarili, l’unico principio ordinatore dei documenti è la persona del notaro rogante; da ciò solo dipendeva l’iscrizione del documento nel registro, e non dall’essere stato l’uno piuttosto che l’altro il richiedente o il destinatario dello stesso. A quanto mi consta, non si sono conservati a Genova atti ufficiali del XIII secolo, - 393 - esclusi i numerosi estratti dai libri del Consiglio, di contabilità etc. I registri notarili possono in parte colmare le lacune. I nomi degli scrivani delle autorità, almeno di quelle più importanti, i nomi cioè degli scribe comunis, possono facilmente essere ricavati dal materiale documentano (per quelli della città e quelli giudiziari cfr. Caro, Verf. Gen., p. 52 e sgg.). Una glande difficoltà presenta, tuttavia, la ricerca sistematica dei documenti ufficiali nei registri notarili. Questi ultimi sono accuratamente ordinati; i nomi dei notai costituiscono la collocazione dell’archivio, insieme alle indicazioni degli anni che riferiscono anche il primo e l’ultimo anno degli atti che figurano nel registro. La Pandetta dei notai fu messa a mia disposizione, con la solita cortesia, dalla direzione dell’Archivio. Le singole « filze » sono solidamente ed uniformemente rilegate ed in gran parte ben conservate; talvolta invece i registri del secolo XIII non appartengono ai notai nominati sul frontespizio (cfr. Desimoni, Actes passés, p. 435, n. 11) ed in molte di esse regna la massima confusione. I diversi fascicoli - sempre di carta e di grandi dimensioni - sono di anni e notari diversi; molto spesso contengono legati insieme frammenti di registri diversi. Soltanto dopo lunga indagine è possibile riconoscere il nome del notaio rogante. Un grande aiuto fornisce a questo riguardo il Foliatium Notariorum (cfr. Sieveking, p. XI), redatto dal Richieri, un diligente raccoglitore, principalmente di notizie a carattere genealogico, del XVIII secolo. Contiene estratti dai codici notarili, diversamente descritti; passa cioè da brevi cenni per alcuni a copie quasi complete per altri, sempre però con grande attendibilità. Gli estratti dai codici sono condotti dal Richieri con esatta osservanza della serie dei fascicoli; vi è sempre indicato se in altro fascicolo, o in uno di essi, ha inizio un altro frammento di registro; i nomi dei notai sono accuratamente citati. Un solo estratto dai codici è andato perduto, però le segnature sono spesso mutate. Io mi sono valso dell’esemplare del Foliatium esistente nella Biblioteca Civica Berio - segnatura D.2.6,1-6 [III.4.7-12] - che consta di sei volumi in folio. I voli. II e III sono divisi in due parti rilegate separatamente; il vol. II, 2 e il vol. IV non contengono nulla di essenziale per il secolo XIII, ma soltanto estratti da codici notarili posteriori; il vol. V si riferisce al IV; il VI è l’inizio di un registro, come il precedente, che si riferisce al vol. II, 1. Nel Fol. Not. non vi sono tutti gli estratti dai codici notarili relativi al sec. XIII - in numero di circa 200, abbastanza completi quelli fino al 1250 -. Per trovare registri di scribi di pubblici uffici, è opportuno fare attenzione al luogo di redazione dei documenti contenutivi. I notai che rogavano soltanto per privati avevano la loro sede nella strada (in angulo domus Lanfranci Bacini-, ante domum canonice S. Laurentii quam tenet Baldus de Valle speciarius, etc.), dove ricevevano i loro clienti (cfr. anche sopra, vol. I, p. 180, n. 9). Se invece un notaio operava nel palazzo di uno dei consolati giudiziari o in quello del Podestà o del Comune, dobbiamo ammettere che egli vi avesse qualche incarico. Del resto, non di rado i notai mutavano la loro sede presso le autorità di Genova, del territorio e delle colonie, accompagnavano ambasciate o, come scrivani di bordo, andavano in viaggi sul mare. Ho avuto inoltre l’impressione che i notai occupati presso le autorità, che stendevano pure gli atti ufficiali, scrivessero in media molto meno documenti - e inserissero nel loro registro - di quelli che invece lavoravano esclusivamente per privati. Se in un registro si trovano parecchi documenti dello stesso giorno, si può ipotizzare, come ritengo, che esso non provenga da uno scrivano d’ufficio. Qui di seguito espongo i risultati dello spoglio dei registri esaminati, dai quali ho tratto le prove di quanto precede. Il formato dei registri è quasi sempre in 4° o in folio, i numeri delle carte, da me seguiti nelle citazioni, sono di origine più recente, le carte bianche spesso non sono numerate. Gli ultimi tre registri (28-30) non appartengono al fondo deH’Archivio notarile. — 394 — I. Registri dai quali risultano estratti nel Fol. Not. Nr. 1 - Giovanni Enrico de Porta, 1214-1240 {Fol. Not., I, c. 90 v. e sgg.). Nr. 2 - Salomone maestro, 1232-1242 {Fol. Not., I, c. 217 v. e sgg.). [Cfr. Liber Magistri Salmonis, sacri palatii notarili, 1222-1226, a cura di A. Ferretto, in « Atti della Soc. Lig. di St. Patria », XXXVI, 1906], Nr. 3 - Oberto de Marzano; Simone de Flacono, etc., 1229-1254 (Fol. Not., I, c. 237 e sgg.). Nr. 4 - Nicoloso de Beccaira, 1233-1253 (Fol. Not., I, c. 248 v. e sgg.). Nr. 5 - Ursone da Sestri; Federico da Sestri; Ugo da Quinto, 1223-1286; parte prima (Fol. Not., I, c. 272 e sgg.) contiene docc. del notaio Federico da Sestri e Moneglia, del 1223-1225; parte seconda (Fol. Not., I, c. 273 v. e sgg.) contiene: I fase., cc. 1-94, di Ursone, 1224-1229; incompleto. Ursone era scriba giudiziario (cfr. Caro, Verf. Gen., p. 54); II fase., cc. 98-138 v., di Giovanni de Corsio, dal 25 dicembre 1265 al 6 febbraio 1266; III fase., cc. 139-150, di Ingo Contardo, dal 2 novembre 1262 al 2 dicembre. Cc. 151-194, di Buonvassallo de Olivastro, dal 18 dicembre 1266 al 9 settembre 1269. Il luogo di redazione dei documenti è in palatio Lanfranci de Grimaldis, ubi regitur curia consulatus deversus burgum e simili. Il notaio deve aver accompagnato nella riviera gli incaricati della leva per l’armamento della flotta; il 30 marzo 1267, infatti, scrive documenti per essa a Portovenere, il 2 aprile a Sestri (cfr. sopra, vol. I, p. 191, n. 2); di nuovo il 5 aprile è nella sede del consulatus burgi. Dal 29 aprile 1267 in poi egli scrive documenti sub embolo domus Bovarelli de Grimaldo et consortum ubi tenetur cabella casei e altri per gli appaltatori dei dazi dei formaggi e della carne; fra questi atti ve ne sono alcuni che contengono quietanze del dazio per Lucchesi, fino al 4 febbraio 1268. L’8 febbraio opera nuovamente in palatio consulum burgi; il 12 marzo per l’appaltatore introitus quaran-teni. In seguito egli redige un gran numero di atti che attestano come alcuni Fiorentini ed altri forestieri avessero acquistato in Genova determinate partite di lana, pesate in officio quaranteni dai ponderatores del Comune di Genova, come specificato in manuali sive cartulario... quaranteni dettagliatamente. In chiusura di alcuni documenti è detto che la loro spedizione era munita di sigillo introitus quaranteni. Talvolta il notaio si qualifica come scriba... cabelle sive introitus quaranteni. Il luogo di redazione dei documenti è per lo più sotto ì'embolus della casa di Bovarello Grimaldi, di Lazzaro; vi è anche aggiunto in ripa Janue. Ivi poteva essere posta la bilancia; infatti molti ponderatores sono nominati come testimoni. Da gennaio a maggio 1269 il notaio redige documenti di altro contenuto; dal 9 maggio in poi nuovamente sub embolo domus Bovarelli de Grimaldo et consortum, ubi tenetur cabella carnei et casei. Gli atti contengono annotazioni sull’acquisto, da parte di Lucchesi ed altri forestieri, di specifiche quantità di formaggio, come descritto più dettagliatamente in cartulario cabelle carnis et casei; vi è pure annotato il pagamento del drictus cabelle. Buonvassallo de Olivastro fu quindi probabilmente applicato solo temporaneamente presso il consulatus burgi, forse soltanto come subscriba; in gran parte, invece, egli operò come scriba presso diversi dazi. Cc. 195-204, documenti del 1262 di Ingo Contardo. - 395 - IV fase., cc. 205-263, di Parentino da Quinto, luglio-settembre e ottobre 1286 (confusi). Cc. 264-272, di Bongiovanni da Langasco, 14 marzo - 23 dicembre 1284, in ogni caso scriba presso il consulatus foritanorum. Cc. 273-290, di Giovanni Vatacio, 2 luglio - 3 settembre 1276, in ogni caso scriba presso un giudice del Podestà. C. 291, cartularius instrumentorum scriptorum manu Boniiohannis de Langasco not., anno Domini 1285, primo doc. dei 4 settembre 1285; contiene per la maggior parte carte bianche. Cc. 295-307, di Parentino da Quinto, settembre 1286. Nr. 6 - Tealdo da Sestri, 1238-1239, 1258-1263 (Fol. Not., I, c. 322 e sgg.). I primi due fascicoli scritti a Bonifacio in Corsica; il terzo a Gavi. [Cfr. V. Vitale, Documenti sul castello di Bonifacio nel secolo XIII, in « Atti della Soc. Lig. di St. Patria », LXV, 1936, pp. 1-194. Il notaio rogò anche a Porto-venere; cfr. G. Pistarino, Le carte portoveneresi di Tealdo de Sigestro, « Notai liguri dei secc. XII e XIII », VII, Genova 1958]. Il notaio era comunque scriba dei castellani di Bonifacio, poi di quelli di Gavi. L’interessante ms. (cfr. sopra, p. 10, n. 3) non potè essere utilizzato a fondo a causa de! cattivo stato di conservazione. Nr. 7 - Palodino da Sestri, 1236-1255 (Fol. Not., I, c. 329 e sgg.). Nr. 8 - Palodino da Sestri, 1241-1253 (Fol. Not., I, c. 352 e sgg). Nr. 9 - Giovanni Veggio, 1235-1264. a) parte prima (Fol. Not., II, c. 31 e sgg.): I fase. Su un foglietto, dietro la c. 6v., si trova la minuta (?) di un documento concernente la presentazione di una lettera dell’imperatore Federico II, fatta a Genova, in domo Henrici Rubei de Volta, il 19 novembre 1234, ind. VII, a Guglielmo Pittavino giudice, Percivalle Doria ed Enrico Rosso della Volta, ai quali era diretta la lettera insertavi. Essi erano stati incaricati dall’imperatore della legittimazione di Federico, figlio naturale del marchese Corrado Malaspina. La data della lettera è Montefiascone 25 settembre, ind. VIII. Non è stato possibile un ulteriore esame del ms., a causa del cattivo stato di conservazione. Secondo il Fol. Not., il secondo fase, contiene documenti di Nicola della Porta, scriba comunis: v. Caro, Verf. Gen., p. 53. b) parte seconda, 1255-1264 (Fol. Not., II, c. 70 v. e sgg.). Nr. 10 - Giovanni de Amandolesio, 1258 (Fol. Not., II, c. 84 e sgg.). C. 1: In nomine Domini amen. 1259, ind. I. Cartularius instrumentorum factorum per me Johannem de Mandolesio notarium in Vintimilio et Rappali ut infra continetur. Et sunt in isto cartulario instrumenta sex annorum, videlicet de (1259-1264), ut inferius per ordinem annotantur. Et est ipsum signum meum quod appono in instrumentis tale: (segno notarile per Ego) Johannes de Mandolexio notarius sacri imperii rogatus scripsi. II primo documento è del 28 dicembre 1258. I fase. 1-3 provengono da questo notaio che manifestamente fu scriba dei castellani genovesi di Ventimiglia e temporaneamente anche del comune di Ventimiglia; ma non sono completi per tutti i sei anni e sono molto confusi. Questo cartulario fu utilizzato dal Rossi, St. di Ventimiglia, p. 74 etc. [e da A. M. Boldorini, Guglielmo Boccanegra, Carlo d’Angiò e i conti di Ventimiglia, in « Atti della Soc. Lig. di St. Patria», n. s., Ili, 1963, che ha utilizzato tutti i cartolari di questo notaio], I fascicoli 4 e 5 sono di Arnaldo de Struppa, 1265. - 396 - Nr. 11 ■ Giovanni de Amandolesio, 1261-1306 (Fol. Not., II, c. 99 v. e sgg.). Nel primo fascicolo i documenti di cc. 7-23 sembrano provenire da uno scriba del Comune di Capriata ed hanno origine dall’anno 1306. Il notaro che redige i documenti del secondo fascicolo (cc. 3047 e 58-66; cfr. sopra, P- 232, n. 6) doveva aver accompagnato il procuratore di un Genovese derubato presso Gaeta per reclamare il risarcimento del danno subito. Nel terzo fascicolo (c. 67 e sgg.) vi sono documenti da Villa Usecii ed anche da Ovada (1283 e sgg.); altri docc. sono da Recco, del 1289. Il quarto fascicolo è di Giovanni de Amandolesio, 1271 e sgg. Nr. 12 - Gilberto da Nervi, 1264-1267 (Fol. Not., II, c. 103 v. e sgg.). Di notai diversi, che rogarono solo per privati. Nr. 13 - Angelino da Sestri, 1257-1301 (Fol. Not., II, c. 185 v. e sgg.). Il primo fascicolo contiene atti di Jachino Nepitella di Bisagno, del 1301. Gli altri, ad eccezione del nono, del 1336, sono di Angelino da Sestri, 1257 e sgg. Il notaio sembra aver prestato servizio in qualità diversa da scriba (cfr. sopra, I, p. 144, n. 5); molte cc. sono bianche. Nr. 14 - Angelino da Sestri, 1264 (Fol. Not., II, c. 212 v. e sgg.). Nr. 15 - Antonino da Quarto, 1254-1280 (Fol. Not., III, 1, c. 29 e sgg.). Il quarto fase., di Antonio da Quarto (1279 e sgg.) contiene atti giudiziari del Podestà e simili. Nr. 16 - Guglielmo Paiarino, 1268-1272 (Fol. Not., III, 1, c. 38 e sgg.). Contiene docc. di questo notaio dal 1268 al 1272. Paiarino doveva essere stato applicato nella cancelleria cittadina: v. Belgrano, Cinque docc., p. 236; Desi-moni, Quatre titres, p. 230. Nel registro si trovano tuttavia solo pochi documenti provenienti dal Podestà e dal Consiglio. Nr. 17 - Facio di San Donato; Giovanni da Camogli etc., 1259-1299 (Fol. Not., Ili, 1, c. 44 v. e sgg.). Nel quinto fase. (cc. 159-169), di Nicola da Camogli, sono docc. del console genovese a Napoli, del 1297 (cfr. sopra, p. 232); altri docc. (cc. 170-193) del vicario genovese in Corsica e del suo giudice, 1297 e sgg. (cfr. sopra, p. 151, n. 95). Nr. 18 - Andreolo Lanero, 1295-1309. a) Parte I (Fol. Not., Ili, 1, c. 55 e sgg.). Il primo fase, è scritto in modo . assai poco uniforme. Il notaio, ignoto, appare essere stato al servizio dei Doria; egli accompagnò Tedisio Doria, figlio di Lamba, in un viaggio a Cipro, come risulta dalle date dei documenti, relativi, del resto, ad affari privati: c. 1 e sgg. Actum M.esane, in galea dicti Thedisii, vocata Dominica, prope ecclesiam S. Salvatoris, 1294, 2 decembr. - Actum in Calabria, prope Regium, 1294, 5 decembr., post nonam. - Actum in Calabria, prope Capud de Arma in galea dicti Thedisii Aurie, vocata Dominica, 1294, 5 dee., post vesperas. -Actum in g. Thedisii Aurie, in Zufalonia, in portu, 1294, 24 dee. Poi a Famagosta, il 10 marzo 1295, a Lajazzo il 16 marzo, a Famagosta di nuovo il 28 aprile, etc., mentre il 13 agosto era a Portovenere su una galera appartenente alla flotta di Oberto Doria (cfr. sopra, p. 196, n. 51), nel 1296 a Lucca, etc. b) Parte II (Fol. Not., Ili, 1, c. 58 e sgg.). I fase., c. 1: 1309, Cartularium instrumentorum compositorum manu mei Andree de Lanerio de Rappallo, notarii in dicto millesimo. II notaio sembra essere stato scriba presso il consulatus fontanorum. La c. 8v. è bianca, così pure le carte che nella - 397 - seconda metà del fase, corrispondono alle prime otto. Da c. 9, di Jachino Nepitella del Bisagno, docc., del 1307, riguardanti domande di risarcimento di danni in Pisa ed altri stesi pure in Pisa per conto di Genovesi (cfr. sopra, p. 354 e sgg.); a c. 48 dei conti. Nr. 19 - Giovanni de Corsio, 1269 (Fol. Not., Ili, 1, c. 110 e sgg.). Nr. 20 - Giovanni de Amandolesio, 1261-1269 (Fol. Not., Ili, 1, c. 134 e sgg.). Nr. 21 - Raffaele Manarola, 1313-1322 (Fol. Not., Ili, 2, c. 8 e sgg.). Nel quinto fascicolo (cc. 200-208 e 210-218) atti di Giacomo di S. Sabina, del 1305, che sembra essere stato Io scriba di un giudice del Podestà. Nr. 22 - Rolando Belmosto 1300. a) Parte I (Fol. Not., Ili, 2, c. 15 v. e sgg.). Fase. 1-3 di Rolando Belmosto da Pegli, del 1300. Il primo documento è datato Actum Janue, in consulatu fori-tanorum, 8 gennaio 1300. Dal principio di febbraio in poi il notaio-scriba doveva trovarsi presso i consulatus civitatis-, quasi tutti i documenti si riferiscono ad atti di ufficio del consul de iustitia deversus civitatem e spesso sono menzionati acta consulatis civitatis. L’ultimo documento (c. 119) è del 23 dicembre 1300. Il quarto fase., del 1309, proviene pure, in ogni caso, da uno scriba consulatus civitatis. b) Parte II. Registro di Rolando Belmosto, del 1301. Nr. 23 - Guglielmo Osbergero, 1304-1311 (Fol. Not., III, 2, c. 18 v. e sgg.). Nel terzo fase. (cc. 97-120) si trovano documenti giudiziari di un giudice del Podestà del 1306. Nr. 24 - Damiano da Camogli, 1300-1311. a) Parte I (Fol. Not., Ili, 2, c. 25 v. e sgg.): Cartularius instrumentorum compositorum manu Damiani de Camulio notarii, 1300. All’inizio c’è un indice alfabetico del contenuto del cartulario, di mano dello stesso notaio. Il primo documento è del 4 febbraio 1300. Risulta che allora Damiano fosse occupato presso il consulatus civitatis. Più tardi, probabilmente, egli fu scriba del podestà del Bisagno, il quale, del resto, pronunziava giudizi anche in Genova stessa. Il contenuto del cartulario, da aprile in avanti, comprende quasi esclusivamente documentazione legale di atti d’ufficio. L’ultimo documento è del 4 gennaio 1301. Circa il foglietto allegato, v. sopra, p. 213, n. 64. b) Parte II (Fol. Not., IH, 2, c. 26 v. e sgg.): contiene il cartulario di Damiano da Camogli per il periodo 3 gennaio-26 agosto 1311. Nr. 25 - Tomaso Casanova, 1324 e 1327. a) Parte I (Fol. Not., III, 2, c. 43 e sgg.). Contiene atti giudiziari del consulatus burgi, del 1324. Inizia con le seguenti parole: Cartularius mei Thome de Casanova notarii anni d. 1324, in quo continentur omnes processus facti occasione curarum, tutellarum, inventariorum ac edam omnia instrumenta registrata et omnes sententie contumacie late per d. consulem ut infra. A c. 60 e sgg. vi sono copie autentiche di documenti importanti degli anni 1306 e sgg.: v. sopra, pp. 318 e sgg., 341 e sgg. Parte II, simile alia prima, dei 1327. II. Registri dai quali non sono stati ricavati estratti nel Fol Not. Nr. 26 - Giacomo da Albaro, 1295-1297. Il notaio, nel 1304, legge un tractatus in Consiglio (Statuti di Pera, 765). Il documento relativo al trattato tra Genova e Amalfi del 1302 (Grasso, p. 165 e sgg.) fu steso da lui; - 398 - se ne deve perciò dedurre che egli agisse nella sua qualità di scriba comunis. registro che, a ragione, porta il suo nome ed è molto ben conservato, consiste di tre fascicoli, ognuno dei quali comprende i documenti anno per anno ed offre prezioso materiale per la storia di Genova dal 1295 al 1297-cfr. sopra, pp. 198, n. 63; 212, n. 62, etc. Nr. 27 - Bartolomeo Fontemaroso, 1274-1304. Il primo fascicolo, con documenti giudiziari del Podestà e di uno dei suoi giudici, del 1278, è di Giorgio da Ca-mogli. Il secondo, del 1276, contiene anche documenti dei Capitani e di Portomaurizio. III. Altri manoscritti notarili dell’Archivio di Stato di Genova. Alcuni atti estratti da tali registri sono editi in Doneaud; nei regesti del Wü- stenfeld si trovano sunti dei numeri 28 e 30. N. 28 - Diversorum notariorum, 1248-1288, nr. 103. I fascicolo, cc. 1-4. Frammento d’un registro del 1248 che deve provenire da uno scriba comunis. II fascicolo, cc. 5-28, di Loisio Calvo della Porta, del 1272 e sgg. Questo notaio, primo di tre scribe capitaneorum comunis et populi Janue, figura come testimone nel documento del 13 ottobre 1272 (App. 2, nr. 23); più tardi (L.J., II, 388 etc.) si qualifica come cancelliere del Comune. Il suo registro contiene quasi esclusivamente documenti dei Capitani e simili. Contiene inoltre verbali relativi a deliberazioni dei protettori del 1345 ed altri simili. Nr. 29 - Diversorum notariorum, 1378, nr. 104. Contiene deliberazioni del Consiglio del 1375 e simili. Nr. 30 - Diversorum notariorum, 1197-1202, nr. 102. Contiene frammenti di registri notarili degli anni 1179, 1197 etc. Specialmente interessanti sono i documenti di Guglielmo da Sori, del 1200, tra i quali si trovano molte sentenze dei consoli del borgo di Sori. 4 Genova, Biblioteca Universitaria. Cfr. A. Olivieri, Carte e cronache manoscritte per la storia genovese esistenti nella biblioteca della R. Università Ligure, Genova 1855. 1 " ®,V,32. Documenti spettanti alle valli Arocia etc., Cart., Raccolta di copie del sec. XVIII. Nr. 2 - G,IV,12. Atti e documenti relativi ad Ovada, etc. Membr. La parte più antica è del sec. XIV. Nr. 3 - C,IV,14. Documenti storici e ricordi vari: di cose genovesi e Liguri. Cart. Raccolta di copie del sec. XIX. Nr. 4 - BJV.6. Documenti diversi di storia genovese dal 1212 al 1564. Membr., del sec. XVI. Contiene, già editi, documenti imperiali per i conti di . Lavagna. Nr. 5 - B,II,29. Documenti diversi di storia genovese. Cart. Raccolta di copie del sec. XVII. Nr. 6 - C,VII,33. Documenti genovesi diversi. Cart. Raccolta di copie del sec. XVIII. Nr. 7 - B,I,5. Immunitates loci Spedie. Cart. del sec. XVII. Nr. 8 - B,Vili,11. Miscellanea di cose genovesi. Cart. Raccolta di copie del sec. XVIII. - 399 — 5 Genova, Biblioteca civica Berio. Nr. 1 - D.3.4. 17-19. (IV.5.1-3). Codice diplomatico della repubblica di Genova. 3 voli, in folio. Cart. Compilato nel 1795. La maggior parte dei docc. si trova anche altrove. Nr 2 - D 3 6 4-8. (II.3.1-5). Schiaffino, Annali ecclesiastici della Liguria 5 voli. in folio, compilati nel sec. XVII. Per il sec. XIII contiene ben pochi inediti. Nr 3 - D.5.3.6. (IV.3.5). Cypriaco Cristoforo, Monumenta Januensium. Cart. in folio, del sec. XVIII. Contiene una cronaca di Genova compilata da un minorità di Cipro nel sec. XV. Nr. 4 - D.l.3.1. Decreti e scritture diverse. Cart. Raccolta di copie. Nr. 5 - D.5.7.1-3 (VIII.4.4-16). Estratti degli atti notarili di Genova. Cart., in 13 voli, in folio, compilati a scopi genealogici. Nr. 6 - D.2.7.25-26 (IX.5.8-9). Fieschi de Savignone. 2 voli, in folio. 11 lume contiene il manoscritto dell’opera a stampa Trattato^ e a. . • Fiesca di F. Federici, oltre ai docc. in appendice ed altri c°mpf:! ° estratto, che provengono dall’Archivio notarile, ma in parte anc e a vio privato dei Fieschi. Lo stesso vale per il volume secondo. Nr. 7 - D.3.3.1. (1.4.13). Muzio, Origo et progressus ecclesiae S. Manae de Cart. in folio dei sec. XVIII. Questa e le molte altre raccolte comp dal notaio Muzio nella prima metà del sec. XVIII contengono in parte copie di docc. tratti da registri notarili. Nr. 8 - D.3.3.6. (1.4.20). Muzio, Origine di S. Andrea della Porta. Nr. 9 - D.3.3.9-10 (I.5.1-2). Muzio, Origine dell’abbazia di S. Siro. 2 voli. Nr. 10 - D.3.3.22-24 (IX.3.12-14). Muzio, Scritture riguardanti la famiglia Cattanea. 3 voli. Nr. 11 - D.3.3.19 (1.5.11). Muzio, Famiglia Bertolotta. Nr. 12 - D.3.3.18 (1.5.10). Muzio, Famiglie Lomellini e Vivaldi Nr. 13 - D.3.3.17 (1.5.9). Muzio, Famiglia Ricci. Nr. 14 - D.3.3.13-14 (I.5.5-6). Muzio, Monache cisterciensi in Genova. 2 voli,. Nr. 15 - D.3.3.3 (1.4.22). Muzio, Documenta ordinis Hierosolimitam. Nr. 16 - D.3.3.8 (1.4.22). Muzio, Chiesa di S. Donato. Nr. 17 - D.3.3.7 (1.4.21). Muzio, Monache domenicane in Genova. Nr. 18 - D.3.3.2 (1.4.16). Muzio, Religione degli Umiliati in Genova. Nr. 19 - D.3.3.12 (1.5.4). Muzio, L’ordine degli Eremitani di S. Agostino. Nr. 20 - D.2.7.28 (IX.5.11). Muzio, Fieschi di Savignone. Nr. 21 - D.4.1.2 (1.1.30). Norni dei consoli, podestà capitani etc. fino al 1654. Cart. in 4°. La parte relativa al sec. XIII è priva di valore. Nr. 22 - D.4.4.15 (IV.4.17). Notizie di tutti gli acquisti fatti dalla repubblica di Genova. Cart. in 4°. Nr. 23 - D.l.3.35-41 (IV.5.7-13). Miscellanea di storia ligure. 1 voli., cart. in folio, del sec. XVIII. I singoli volumi sono divisi in sezioni singolarmente impaginate. Il contenuto è costituito da estratti e copie complete di documenti; qualche volta è indicata anche la loro provenienza archivistica. — 400 — Nr. 24 - D.3.4.15. Monete e loro valore. Cart. in folio, del sec. XVII. Documenti, copie, la maggior parte da registri notarili. Nr. 25 - D.5.5.8. Scritture varie. Cart. del sec. XVII, come il precedente. Nr. 26 - D.l.3.33 (1.3.19). Statuta collegii advocatorum et iudicum civitatis ]anue. Membr. in 4°. La parte più antica è scritta nel 1444. 6 Albenga, Archivio Municipale. Cfr. Ficker, Das Municipalarchiv von Albenga, in « Mittheilungen des Inst. fur oesterreichische Geschichtsforchung », I, 1880, p. 431. I documenti, per la maggior parte originali, sono legati insieme e numerati progressivamente. Nr. 1 - Voli. I, nr. 1-100. Nr. 2 - Vol. II, nr. 101 e sgg. Archivio Municipale di Savona [era Archivio di Stato]. Cfr. A. Bruno, Gli archivi del comune di Savona, Savona 1884. Nr. 3 - Codex cathene, I. Nr. 4 - Codex cathene, II. L’indice del contenuto di questi volumi di copie in A. Bruno, I registri della catena, in « Atti e memorie della Società storica savonese », I, 1888, p. 357 e sgg. Nr. 5 - Statuta antiquissima civitatis Saone. Contiene statuti del sec. XIV. In essi è compreso interamente l’atto concernente la fondazione del Populus del 1303. Cfr. sopra, p. 317, n. 79. [Cfr. F. Bruno, Gli « Statuta antiquissima Saone», in «Atti della Soc. Savon, di St. Patria», I, 1, 1918; L. Balletto, Statuta antiquissima Saone (1345), Bordighera 1971]. - 401 - 26 ■ - . Indice bibliografico Sono indicati tra parentesi quadre gli aggiornamenti bibliografici aggiunti nelle Appendici. Non tutte le opere segnalate dal Caro nell’indice risultano citate nel corso del lavoro. Achery L. d’, Spicilegium sive collectio veterum aliquot scriptorum, nova ed. Parigi 1723. Alberti S., Istoria della città di Sospello, Torino 1738. Alfieri O., (Fragmenta de gestis Astensium), in Codex Astensis, II. Alighieri D., La divina commedia. 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Annales Mantuani, in M.G.H., SS., XIX. Annales Mediolanenses, 1230-1402, in R.I.S., XVI. Annales Parmenses maiores, in M.G.H., SS. XVIII. Annales Placentini Gibellini, in M.G.H., SS., XVIII. Annales Placentini Guelphi, in M.G.H., SS., XVIII. Annales S. Justinae Patavini, in M.G.H., SS., XIX. Annales Veronenses, in Monumenti storici pubblicati dalla R. Deputazione veneta di storia patria, S. Ili, II, 1890. Anonimus Florentinus, in Lau, Ferreto v. Vie. Appendice ai monumenti ravennati dei secoli di mezzo del conte M. Fantuzzi, in Monumenti istorici pubblicati dalla R. Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, Carte, I, 1869. D’Arbois de Jubainville H., Histoire des ducs et des comtes de Champagne, Parigi-Troyes, 1859 e sgg. — 405 — L Armeno Veneto, Compendio storico e documenti delle relazioni degli Armeni coi Veneziani, Venezia 1893. Ascheri G. A., Notizie storiche intorno alla riunione delle Famiglie in alberghi in Genova, Genova 1846. Assises de Jérusalem, ed. A.A. 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Adorno Adorno: I, 97. Adria (de) Matteo: II, 258. Adriano V (Ottobono Fieschi): I, 51, 62, 64, 65, 68, 79, 91-94, 157, 171, 172, 206, 207, 283, 284, 300, 303, 313, 320, 337, 338, 356, 359, 360, 362, 365, 372. Adrianopoli: II, 291. Africa: I, 162, 258. Africa del Nord: I, 12, 222, 233, 235; II, 354. Agnesina f. di un Giudice di Cagliari: I, 31. Agoyacastrum (a nord di Kira): II, 31. Agrazio Guglielmo: II, 264. Aiaccio: I, 34, 38; II, 10, 81. diocesi: I, 344. vescovo: I, 344. Aigues Mortes: I, 118, 216, 218, 231, 232, 235, 279; II, 166, 168, 249. Aix, Aix-en-Provence: I, 147, 342; II, 48. arcivescovo: I, 172, 284, 285, 296. Alba: I, 343, 352, 354, 363, 369; II, 285. Albania: I, 201. Albaro: II, 187. Albenga: I, 23, 83, 90, 119, 140, 149, 252, 284, 328; II, 41, 42, 113, 158, 206, 258, 317, 348, 373. vescovo: II, 233. Albertino de Molino: v. Molino. Alberto Bonushomo: v. Bonushomo. Alberto d’Absburgo: II, 243. Alberto de Albisola: v. Albisola. Alberto de Rivola: v. Rivola. Albisola: II, 369. (di) Alberto, signore: I, 249, 269. Tobia, f. di Alberto: I, 269. Aleramici: I, 319. Aleria: II, 16, 20, 141. Alessandria: I, 155, 226, 275, 319, 332, 335, 340, 352, 368-370; II, 156, 157, 364, 365. - d’Egitto: I, 12, 215, 393; II, 36, 84, 85, 120, 125, 128, 130, 158, 159, 172-174, 218, 310, 358-361. abbazia di S. Saba: I, 37. Emiro: II, 357. Alessandrino da Asti: v. Asti. Alessandro IV: I, 11, 37, 50-52, 57-59, 61-70, 72, 77-79, 81, 91, 102, 104, 106, 112, 121, 305, 379. Alessandro da Bergamo: v. Bergamo. Alfonso III re d’Aragona: II, 57, 110-112, 158, 159. Alfonso X re di Castiglia: I, 50, 130, 178, 281-283, 298, 305, 338 , 339, 341, 342, 347, 351, 355, 357, 358, 368, 370, 396-398; II, 117, 371. Alghero: II, 31-34, 96. Alighieri Dante: II, 6. - 425 - Almeric frate: I, 142. Almugavare: II, 293. Altare: I, 211. Amalfi: II, 287. Amaury signore di Tiro: II, 361-363. Ambrogio, frate: I, 155. Ameglia, Amelia: I, 250; II, 164, 348. Amelio (de) Simone, di Gavi: I, 248. Ampurias (Castelsardo), vescovo: v. Go-narius. Anagni: I, 102; II, 285. Ancona: I, 41, 48, 392; II, 172, 176, 310. Ancone (de) Ruggero: I, 209. Andalo (de) Brancaleone, senatore di Roma: I, 25; II, 323, 326. Andora: I, 83; II, 348. Andrea fr. di Mariano III di Arborea: II, 334. Andrea di Bartolomeo: II, 287. Andrea de Chiavari: v. Chiavari. Andrea di Isemia: v. Isernia. Andrea de Orto: v. Orto. Andronico II: II, 58, 116, 117, 212, 216- 224, 245, 289, 291-295, 301, 328-331, 356, 359. Angiò, Angioini: I, 11, 177, 299, 354, 386, 395; II, 9, 48, 49, 51, 53, 55, 80, 111-114, 158, 167, 168, 231, 232, 266, 274, 281, 284, 329, 338, 341, 364, 378. (d’) Filippo, f. di Carlo I: II, 29. Filippo di Taranto, f. di Carlo II: II, 272, 337. Ansaldo Lavandario: v. Lavandario. Ansaldo Maniavaca: v. Maniavaca. Antiochia: I, 172; II, 105. - patriarca: I, 200; v. Fieschi Opizzo; Torre (della) Raimondo. principe di: I, 200; v. Boemondo VI e VII. (di) Nicola, frate: I, 310, 311. Antivari: II, 234. Antonio re di Armenia: II, 128. Antonio balistarius: I, 331. Antonio vescovo di Luni: II, 348. Apricale: I, 318, 327, 328. (di) Filippo conte: I, 318. Aquafrigida: II, 186, 190. Aquileia, patriarca, I, 354, 356; II, 176. Arabi: II, 9. Aragona: I, 177, 342, 386, 396; II, 46, 56, 112, 159, 335, 353. re, famiglia reale: I, 11, 53, 126, 152; II, 9, 29, 51, 53, 54, 56, 111, 119, 158-161, 163, 165-167, 231, 281, 284, 331, 335, 378; v. Alfonso; Giacomo; Pietro III. Araldo de S. Desiderio: v. S. Desiderio. Arborea, Giudice di: II, 26-28, 73-76, 89, 92, 93, 95, 190, 334; v. Giovanni; Guglielmo; Mariano. Areola: I, 326, 375-377. Ardimento Tomaso: I, 276. Arduini Fulco: I, 221. Arduino Vassallo: I, 49. Arena (de) Martineto, di Bogliasco: I, 189. Arenzano: I, 328. Arezzo: I, 358. [Arimondi] Bernardo, arcivescovo di Genova: II, 104, 253. Arles: II, 377. Arma: I, 149, 150, 274. Armenia: I, 200; II, 122, 126, 128, 173, 179-181, 228, 250, 362, 363. - re: I, 48, 200; II, 126, 173, 299; v. Antonio; Hethom. Arno: II, 20, 34, 36, 41, 43, 98-100, 146. Arnoldis (de) Faba: II, 307. Arquata: I, 369. Arroscia: I, 147. Arsuf o Arsur, signore di: v. Ybelin (d’) Giovanni. Arta, Despota di: II, 217. Artois, conte di: I, 232. (di) Roberto conte: II, 162. Ascherio Rolando: II, 81-86, 174. Asciano: II, 101. Asia: I, 12, 106, 161, 393; II, 299, 356. — 426 — Asia Minore: I, 393; II, 128, 290, 301, 358. Asinario Fulco: II, 210, 265. Asti: I, 51, 84, 93 , 94, 116, 140, 226, 319, 328, 338-343, 351, 352, 356-358, 360, 368-371; II, 89, 117, 135-137, 157, 203, 210, 247, 285, 286, 329, 332, 333, 336, 369. (da) Alessandrino: II, 266. Atene, Ducato: II, 356. duchi: I, 105. Augusta: I, 53, 54. Aurigo: I, 224. Aversa: I, 297, 299. Avignilo (d’) Uberto: I, 301. Avignone: I, 11; II, 347. vescovo: I, 175, 176. Avogario Manuel: II, 216. Avvocato: I, 20, 150; II, 11. Jacobino, f. di Pietro: I, 22, 149. Jacopo: II, 299. Janella, f. di Pietro: I, 137, 139-141, 149, 150, 318. Juleta, f. di Pietro, m. di Bonifacio di Ventimiglia: I, 150. Manuel: II, 214, 224. Oberto: I, 109. - Pietro: I, 127, 129, 133, 137, 150. Axentio: II, 114, 115. Ardizzone: II, 115. Lercario: II, 115. Obertino, f. di Lercario: II, 115. Axinario Fulco: I, 265. Ayossa Landolfo di Napoli: II, 258. Ayrimondo di S. Pietro: v. S. Pietro. Baapici (de) Picio, di Albenga: II, 103. Badalucco: I, 83, 147, 149. Baga Bonmelior: II, 60, 84. Bagdad: II, 299. Bagnara, signori di: II, 10, 141. Bajardo: I, 149. Balbi di Castello Ansaldo: I, 257, 258, 320-322, 328, 357; II, 349. Baldizonis o Baldizono (de) Percivalle: II, 13, 226. Balduino imp.: I, 105, 110-112, 125, 126, 129, 135, 168, 170, 192, 294; II, 356. Balduino arcivescovo di Treviri: II, 373, 379. Balian: I, 46. Bambaxario Nicoloso notaio: I, 150. Bangaie portus: I, 234. Barbadicus Andrea: I, 128. Barbavaria Guglielmo: I, 31. Barbazano: I, 250; II, 164, 348. Barberia: I, 233; II, 60. Barberio Nicola: I, 181. Oberto, da Rapallo, scriba: I, 131. Simoneto: I, 185. Barca Caccianemico: I, 379. Barcellona: I, 397; II, 111, 289. Bardi: II, 270. Barexe o Baroxe, planum: II, 141. Bari: I, 53, 54. Barisone re: I, 109, 110; II, 271. Barisone Giudice di Torres: II, 28. Barlaria Guglielmo: I, 266. Barocio Andrea: I, 161, 162, 164, 166; II, 191. Bartolomeo de Boceto: v. Boceto. Bartolomeo da Capua: v. Capua. Bartolomeo de Fontemaroso: v. Fonte-maroso. Bartolomeo di Gibelletto: v. Gibelletto. Bartolomeo de S. Laurentio: v. S. Lorenzo. Basilio Marco: II, 180, 181, 183, 241. Basso Jacobino: I, 217. - Nicola: I, 217. Pietro: II, 342. Bava G.: I, 326. Beacqua Giacomo: II, 13. Beatrice, f. di Manfredi, m. di Manfredo di Saluzzo: II, 336. Beaucaire: I, 220, 357. Beccaria Corrado: I, 356. Janono: I, 356. Manfredino: II, 135. Begugia: II, 141. - 427 - Bembo Marco: I, 194, 389; II, 81, 223. Benedetto XI: II, 284, 335, 358. Benedetto de Guardia: v. Guardia. Benencasa Lucano: I, 186. Benevento: I, 177. Benincasa de Eustachio: v. Eustachio. Benvenuto de Statario: v. Statario. Benzeto da Portovenere: v. Portovenere. Berengario cardinale, vescovo di Tuscolo: II, 310. Bergamo: I, 369; II, 155, 243. - (da) Alessandro: I, 379. - Pietro: II, 121, 124. Bernardo arciv. di Genova: v. Arimondi. Bertolino da Camogli: v. Camogli. Bertolino de Vultabio: v. Voltaggio. Bertrame comes: I, 236. Bertrand cardinale, vescovo di Sabina: I, 361, 363. Berulio Raimondo, di Barcellona: I, 185. Bestagno Matteo: II, 298. Betlemme, vescovo: v. Tommaso. Beverino: I, 321, 326. Beyrouth, sig. di: I, 160. Biassa: I, 323. Bibars sultano dei Mamelucchi: I, 158, 161, 195, 230. Binello Nicola: II, 297. Bisagno: I, 330; II, 22, 23. Bisanzio, Costantinopoli: I, 12, 85, 105-115, 125-128, 137, 166-168, 170, 193, 194, 204, 293, 299, 392-396; II, 9, 17, 58, 116, 173, 181, 217-223, 288-293, 330, 331, 355-357, 360. palazzo di Blachemia: I, 394, 395; II, 220, 221. Bixio, loc.: II, 347. Blacolacio Guglielmo: II, 13. Bobbio: I, 191. Bocagno Simone: I, 325. Bocca Lanfranco: II, 312. Boccanegra: II, 54. Antonio: I, 118; II, 332. Guglielmo, Capitano del Popolo: I, 10, 15-122 (in particolare: 17-24, 31, 39, 66, 80-99, 102, 109, 114-122), 125, 145, 149, 153, 155, 204, 241, 242, 246-248, 251, 260, 263, 268, 269, 272, 273, 276, 383; II, 13, 202, 208, 312-314, 326, 349, 350, 380. Jacopo: I, 144, 145. Lanfranco: I, 117. Marino: I, 110, 127, 293. - Nicola: I, 118; II, 40, 146-148, 150. Nicolino: I, 22. Rainerio: I, 20; II, 218. Simone: I, 118. Boceto (de) Bartolomeo: I, 390. Boemia re: v. Ottocaro. Boemondo VI di Antiochia, conte di Tripoli: I, 46-48, 58, 79; II, 120. Boemondo VII, conte di Tripoli: II, 84, 86, 120. Bolbonino Giacomo, f. di Lanfranco: I, 152. Lanfranco della Turca: I, 146, 150, 152, 180-186, 251. Bolcan, Bolcanum: v. Vulcano. Bologna: I, 19, 21, 39, 213, 276, 292, 296, 369; II, 203, 243. Bonacorsa (de) Guglielmo, da Bonifacio: I, 389, 390. Bonato (de) Guido: I, 277, 381. Bonbarono (de) Jacopo: II, 242. Bonebel o Bonebella: I, 257. Guglielmo: I, 232, 233. - Ottone: I, 82. Bonifacio: I, 30, 181, 270, 286, 344; II, 9, 10, 12-16, 26, 30-33, 36, 40, 80, 141-144, 147, 150, 151, 182. - campo de Ena: II, 14. chiesa di S. Maria: II, 12. Bonifacio Vili: I, 11; II, 6, 194-197, 215, 216, 225, 231-234, 242, 252-257, 260- 264, 267-270, 273, 276, 282-284, 299- 301, 335, 341. Bonoaldi Simone, di Ancona, giudice: I, 23, 267, 276, 384, 385. Bonoiohanne (de) Giacomo: II, 324. Bonushomo Alberto: I, 33. Borbera, val: I, 376. Borchanum: v. Vulcano. — 428 — Bordighera: I, 146. Bosco, marchesi del: I, 329-332, 335, 361 381; II, 136, 204. - Agnesina: I, 330. Bonifacio: I, 331. - Corrado: I, 329-332. - Enrico, f. di Corrado: I, 331. - Guerreria, f. di Enrico: I, 331. - Guglielmo, f. di Ottone: I, 331. - Jacopo: I, 342. - Lancellotto o Lanzarotto: I, 330, 331. - Leo, f. di Corrado: I, 329, 331, 367. - Manfredo: 1,319,328,329,331,342. - Ottone: I, 331. - Riccardo, f. di Corrado: I, 329, 331. - Tomaso: I, 330. Bosforo: I, 128, 394; II, 216, 290. Botario Giovanni, di Roccabruna: I, 119. - Nicola: I, 343 , 344. Bougie: I, 235; II, 83. Bovarello (de) Lambertino: I, 98. Bozello Nicola, tesoriere di Carlo I dAn- giò: I, 313. Bozzolo: I, 320, 321. Bracelli Galvano: I, 34. Brancaleone de Andalo: v. Andalo. Brancazolo Giovanni: II, 213. Braxili (de) Samuele: I, 284. Breglio: I, 368. Brescia: I, 369; II, 117, 135, 157, 171, 192, 373, 375. Brie (de) Simone: v. Martino IV. Briga: I, 151, 152, 347, 368. Brignolles: II, 158. Brugnato: I, 262, 320, 321. Brunengo: I, 256. - Enrico: I, 292. Bruno (de) Guglielmo: II, 160. Brustaporco: II, 114. Bruxamantica Enrico, di Pavia: II, 102. Buga Vivaldo, di Arenzano: I, 218. Buiti: II, 89, 136. Bulferii: I, 257. Bulgaro: I, 90. (de) Jacopo: I, 146, 191. Marino: II, 358. Buoso da Dovara: v. Dovara. Burgos: I, 397. Burono Simone: I, 82. Torello: I, 82. Busacarino Rosso: II, 30. Busalla: II, 365. Bussana: I, 149, 150, 368. Butrinto, vescovo: v. Nicola. Caballacio Rufino: I, 100. Cadibona: I, 211. Caffa: I, 392, 393; II, 128, 129, 181, 220, 222, 357. Cagliari: I, 26-35, 44, 232-235; II, 31, 33, 34, 37, 51, 63-65, 67, 72, 80, 88, 89, 92-96, 99, 136, 138, 139, 146, 164, 165, 176, 185, 186, 190, 191, 248, 251, 335, 338. - Giudicato: I, 71, 72; II, 26, 27, 63, 95, 186, 334. Giudice: v. Chiano. Caifa: I, 73, 75. Cairo: II, 347, 349. Calabria: I, 202, 345. Calavacnia: v. Caravonica. Calderario Filippo: I, 34. Jachino: I, 33. Cale dou marquis (?): II, 85. Calegario Nicola: II, 258. Ogerio, di Chiavari: I, 186. Caltabellotta: II, 284, 288, 335. Calvi: II, 12, 26, 38, 204. Calvo Andriola, f. di Nicola, m. di Orlando de Sala: II, 11. Bonifacio: I, 188. Jacopo: I, 20. Nicoloso: II, 312. Cambrai, canonico di: v. Malocello Tedisio. Camezana (de) Enrico (Fieschi): II, 224. Camilla (de): II, 105, 205, 207, 208. Franceschino o Francesco: I, 193, 237, 279, 291; II, 15. Nicolino: II, 105. - 429 - - Ottobono: I, 94. - Simoneto: I, 168. Camogli: I, 266. - (da) Bertolino, f. di Oberto: II, 218, 219. - Oberto, f. di Oberto: II, 219. Campis (de) Vassallino: II, 176. Campo Ligure: I, 330, 332. Campo Repulso: v. Champrepus. Canali (de) Giovanni: I, 57. Candelor: II, 128, 172. Cane Pietro, di Milano: II, 151. Canea: I, 187, 190; II, 191, 241. Canevari: I, 91. Canevarius Giovanni: I, 139. Cantello Cantellino: II, 232. - Carbonino: I, 334, 335. Cantelmo Rostaiono: I, 336. Caparino Gandolfo: I, 266. Cape Lorens: v. Tiepolo Lorenzo. Capello Nicola de Castro: I, 34. Capo Cornino (Tolarium): II, 39. Capocorso: II, 11, 12, 26, 42. Capo d’Orlando: II, 254. Capo Ganos: II, 292. Capolineri: II, 147. Capo Pali pr. Durazzo (Parorum portus ): I, 201. Capra Bongiovannino, f. di Pietro, di Arenzano: I, 34. Capraia (de) Anseimo conte: II, 27. - Guglielmo conte: II, 27. Nicola, f. di Guglielmo, conte: II, 27. Capriata: II, 365. Capsiario Lanfranco: II, 258. - Opicino: II, 322, 323. Capua, arcivescovo: I, 79. (da) Bartolomeo: II, 162. Caracosa, m. di Miroaldo della Turca: I, 97. Caranza: I, 286, 287. Caravonica (Calavacnia): I, 224. Carbonensibus (de) Pietro, di Bologna: II, 168. Carcano (de) Bertramo, milanese: II, 203. Jacopo: II, 203. Carcare: I, 211. Cardinale Giovanni (Fieschi): II, 253. Careno: I, 224. Carievaro Giacomo: I, 253. Carlo I d’Angiò, conte di Provenza, re di Napoli e di Sicilia: I, 13, 53, 56, 119, 143, 144, 147, 148, 150-153, 155, 157, 159, 170-172, 174-178, 180, 189, 192-197, 200-202, 205-212, 215, 220- 226, 230, 234, 237, 242, 249, 258, 260, 270, 275, 277-291, 293-295, 297-305, 307-311, 313-349, 351-371, 374, 375, 388, 389, 395-398; II, 6, 9, 17, 29, 45-58, 89, 111, 113, H4> 117> ’ 214, 216, 225, 231, 259, 269, 276, 285. Carlo II d’Angiò, principe di S*ler"0' ^ di Napoli: I, 53, 207, 371; II, 48, 51, 53, 54, 110-114, 118, 158-170, 174, 201- 203, 212, 225, 226, 231, 232, 252, 255-276, 282-287, 306, 310, 318, 325, 329, 332-344, 375, 378. Carmadino: I, 91; II, 207. (de) Lanfranco: I, H3, 179» > II, 362. Carpasio: I, 147, 149. Carpena: I, 94, 322, 323, 326, 338. Carretto (del): I, 211, 319, 328; II, 365. - Antonio, f. di Jacopo: I, 211, > 201. Corrado, f. di Jacopo: I, 211, 328, II, 365. Enrico, f. di Jacopo: I, 211, 328. Jacopo: I, 211. Manfredino, f. di Ughetto: II, 349. Manfredo, f. di Ugo: I, 211, 224, 328; II, 349. Ottone: I, 211. Ugo, f. di Ottone: I, 211. Cartagine: I, 236. Casale: II, 332. Casale Lamperti: II, 85. Casali (de) Raimondo: I, 119. Casaricio romano: II, 60. Cassano Alanfranco: II, 47. Cassino (de) Marchisino: I, 151, 177, 291, 301. — 430 — - Pasquale: II, 176, 211, 263, 275. Castagna Alberto: I, 288. - Enrico: II, 1%. Castagneto, plagia de: II, 33. Castelgenovese: I, 285; II, 36. Castellane (di) Bonifacio: I, 153. Castellaro: I, 368; II, 113, 114. Castelletto [d’Orba?]: II, 347. Castellino de Sauro: v. Sori. Castello o Castro (de): II, 106, 207, 210, 285, 286. - Ansaldo: II, 213, 226. - Castellino: I, 226; II, 82. Ferrario: I, 23. Guglielmo: I, 344. - Guglielmo de Merlo: II, 10. Guglielmo o Guglielmo Turco: II, 285. Percivalle: II, 298. Pietro, f. di Castellino: I, 364; II, 210. Vincenzo: I, 180. Vivaldo: I, 320. Zaccaria: I, 80, 146. v. Capello Nicola. Castel lombardo (Corsica): I, 343. Castiglia: I, 282, 344, 345; II, 122. - re: I, 126; II, 281; v. Alfonso X; Enrico Infante; Sancho. Castiglione: I, 151, 152, 347. - (de) Rolando: II, 379. Castro Rodulphi (de) Odo, card, di Tu-scolo: I, 59. Castrum (Sardegna): I, 234. Catalogna, Catalani: I, 48; II, 49, 57, 80, 111, 158, 159, 162, 164, 168, 192, 231, 288-295, 301, 329-332, 335, 353, 355, 356, 364. Caterina, nip. dell’imp. Balduino, m. di Carlo di Valois: II, 356. Cavagno Guglielmo, da Varazze: I, 31; II, 105. Cavarunco Filippo: I, 231. Cazana: I, 320. Cazano Vassallo: II, 309, 343. Ceba Ansaldo: I, 36. Francesco: I, 290. Rainaldo: I, 185. Celle: II, 79. Ceprano: I, 314. Cepulla Guglielmo: I, 30-33, 72. Ceresolo: I, 330. Ceriana: I, 146, 148. Cervo: II, 224, 254. Ceva, marchesi di: I, 328. Benedetto: I, 365. - Guglielmo: II, 349. Michele: I, 149. Nano: I, 342. Pagano: I, 144, 149. Cexinasco: I, 224. Chalons, canonico di: v. Spinola Otto-bono. Champagne: I, 210. conte di: I, 340. Champrepus (Campo Repulso) de: Enrico: I, 216, 217. Chastiau Pelerin: I, 75, 198; II, 85. Chatiauneuf (de) Guillaume, Gran Maestro dei Giovanniti: I, 76. Chiano march, di Massa, Giudice di Cagliari: I, 26-33, 72; II, 27. Chiavari: I, 196, 256, 257, 374, 375; II, 253, 364. chiesa di S. Giovanni: I, 367. (de) Andrea: I, 180, 181. (de) Lanfranco: I, 265. Chiavica (de) Pietro: I, 248. Chierico Giacomo: I, 83. Chinamo: II, 216, 218. Chio: II, 301. Chivasso: II, 333. Cibo Musso: II, 53, 215. Cigala: II, 207. Giacomo: II, 10, 150, 218. Lanfranco: I, 180. Nicola: I, 29, 31. - Oberto: I, 109, 140, 218, 291, 339, 357. Cinercha (de) Enrico: II, 13. Enrigucio, f. di Enrico: II, 13, 15, 150. - 431 - Giudice, f. di Guglielmo: II, 12-16, 18-20, 26, 92, 93, 141-143, 150, 248. Latro, f. di Guglielmo: II, 13. Opizzo: II, 13. Rainerio, f. di Enrico: II, 13, 15, 150. Cipro: I, 131, 137, 188; II, 37, 86, 126, 128, 130, 171-173, 177, 179, 180, 191, 228, 240, 241, 250, 295-301, 361-363. - re: I, 184, 185; II, 111, 128, 177, 180, 228, 241, 245, 296, 297; v. Enrico II; Placenzia; Ugo. Cisterna (de) Giovanni: I, 264. Civitavecchia: II, 61, 81, 174, 176, 246. Clarenza: II, 86, 122. Claritea o Jaritea o Zaritea (de) Simone: I, 127, 136, 139, 140. Clavesana (de) Francesco: II, 365. - Manuel: II, 206. Clemente IV: I, 168, 170-172, 175-178, 189, 192, 195-197, 208, 209, 213-215, 219, 295, 306; II, 284. Clemente V: I, 11; II, 335, 347, 356, 359-361, 363, 368, 370. Colli Giacomo: I, 23. Colonna: II, 256. - Pietro, cardinale: II, 310. Como: I, 369. - vescovo: v. Torre (della) Raimondo. Conetino de Meleta: v. Meleta. Conio: I, 224. Contardo Enrico: I, 285. Contarmi Bartolomeo: II, 271. - Giovanni: II, 195. - Jacopo: I, 169. Conte Bonavia, di Noli: I, 185. - Guilenzone, di Noli: I, 217, 218, 231. Rubaldo, da Rapallo: I, 34, 49. - Simone, da Rapallo: I, 389. Contendola o Contondola: II, 16, 142. Corcano, signori di: II, 12. - (de) Brancatius: II, 12. - Guiduccio, f. di Oberto: II, 12. Corfù: I, 201; II, 165. Cornarius Giovanni: I, 389. Corno d’Oro: II, 221. Corone: II, 177. Corradino di Svevia: I, H> 41, 47, 51, 100, 174, 178, 194, 200, 205, 281, 215, 227, 243, 255, 273, 275, 281, 304, 356; II, 17, 49, 136, 158, 162, 231, 343. Corrado IV: I, 52. Corrigia (de) Guido: I, 206, 214. Corsica: I, 12, 31, 118, 137, 343, 344; II, 9-16, 18-21, 26, 31, 40, 42, 45, 92, 93, 96, 100, 140-144, 146-148, 150, 185, 246, 248, 250, 335. Cortengo Guglielmo, f. di Ugo: II, 142. _ Ugo: II, 142. Corvara: I, 321, 324-326. _ (de) Guido: I, 291; II, 10. Corvo: II, 304, 347. Cosenza: II, 259. Cosio: I, 329. Benvenuto: I, 288. Cossano: I, 342, 371. signori di: I, 342. Costantino Pietro: I, 139. Costantinopoli: v. Bisanzio. Costanza, f. di Manfredi di Staufen: , 397; II, 281. Crema: I, 369. Cremona: I, 228, 282, 291, 369, 391; II, 59, 117, 135, 157, 178, 180, 243, 371. - (de) Pietrobuono: I, 34. Cremonte: II, 347. Creta: I, 41, 48, 105, 108, 131, 137, 181, 187. Crimea: I, 106; II, 222, 357. Crotone: II, 359. Cuneo: I, 368. Curco (Armenia): I, 199. Curia (de) Simone: I, 218. Curio: I, 256-258. Folco: I, 146. Raimondo: I, 82, 83. Curolus Sorleone, di Tortona: II, 326. Curzola: II, 184, 235-242, 247, 282. Cutica Acorso: I, 18, 21, 254. — 432 — Dalfinum: I, 286. Dalmazia: II, 234. Damietta: II, 86. Dandala Oberto: I, 82. Dandolo Andrea: II, 228, 235, 238. - Gilberto: I, 132. - Giovanni: I, 296; II, 82. - Jacopo: I, 181, 182, 184, 186, 190. Dardanelli: II, 219, 223, 291, 330. Dauro Michele: I, 162. David de Fossato: v. Fossato. Delfino Giovanni: I, 179. - Jacopo: I, 127, 169. Dentuto Bertolino: I, 281. Deoso fiume: II, 10. Deragunzio Giacomo, di Lucca: I, 86. Desiderato de Gavi: v. Gavi. Desiderato Visconte: v. Visconte. Desio: I, 368. Diano: II, 40. Disserra Maria: I, 30. Doceano Oberto: I, 130. Dodi: I, 150. Dolceacqua: I, 146, 150, 152, 318. Domoculta (de) Tommaso: II, 310. Donoratico, conti di: v. Gherardesca. Doria: I, 9, 17, 20, 101, 121, 155-157, 174, 204, 206, 212, 244, 259, 260, 273, 387; II, 28, 29, 31, 36, 43, 72, 74-76, 90, 91, 95, 96, 102, 106, 107, 152, 156, 157, 189, 203-207, 209, 211, 233, 246, 253 , 254 , 257 , 261-263, 267, 273, 282, 286, 300, 317-319, 323, 327, 337, 340-343, 345, 348-350, 369, 374-376, 380. Albaxeto: II, 298. Alberto: I, 20. Andrea: II, 10, 28. - Ansaldo: I, 125, 140, 231. Antonino: II, 266. - Babilano: I, 274, 328, 359; II, 55. Barisone: II, 29. - Bernabò, f. di Brancaleone: II, 318, 319, 321, 323, 325-327, 334, 336, 341, 342, 344, 345, 348, 353, 369, 375, 379. - Branca, f. di Manuelino: II, 319. Branca o Brancaleone: I, 20; II, 28, 254, 319, 323 , 336, 345, 364. Corrado, Capitano del Popolo, Ammiraglio di Sicilia: II, 32-34, 72, 75, 76, 103, 107, 108, 144, 147, 148, 153, 156, 208, 211, 217, 230-234, 253, 257-269, 271, 272, 275, 282, 284, 319, 341, 348, 379, 380, 382. Daniele: I, 225. - Edoardo: II, 292. - Egidio: II, 181, 254. Enrico: I, 218. - Federico: II, 152, 254, 261, 323. Gabriele: I, 20. Giacomo: II, 129. - Gregorio: II, 80, 152, 174. Guglielmo: I, 290. Ingheto: II, 143. Isabella, f. di Bernabò, m. di Manfredo di Saluzzo: II, 336. Jacobino: I, 153. Jacopo, f. di Pietro, annalista: I, 200, 274, 327, 330, 332; II, 83, 139, 153, 157, 201, 204, 217, 230. - Lamba: I, 290; II, 112, 114, 210, 230, 234-239, 247, 254, 303, 319, 341, 342. - Luchetto: II, 140-144, 146. Manfredo: I, 285. Manuele, f. di Gavino: II, 152. Marino: II, 151. Meriano: II, 318. - Michele: I, 301; II, 141. - Micheleto, f. di Emanuele: I, 301. - Nicola: I, 100, 174, 258, 286; II, 124, 175, 254. Nicola, f. di Babilano: I, 265, 301. Nicola, f. di Emanuele: I, 301, 315. Nicola, f. di Pietro: I, 301, 348; II, 230. - Nicoloso: I, 211. Obertino: I, 186-188. - Oberto, f. di Pietro, Capitano del Popolo: I, 93, 244, 260-378 (in particolare 264, 265, 267 , 270, 277 , 284, 286-288, 301, 315, 318, 320-323, 344, - 433 - 348, 350, 375), 387; II, 19, 35, 42, 44, 68, 72, 73, 75, 79, 154, 161, 191, 193, 196, 197, 201, 204, 208, 230, 257, 281, 282, 318, 344. Oberto, nip. di Corrado: II, 266. Percivalle: I, 58, 102, 157. - Pietro, f. di Oberto: I, 118, 218. Pietro: II, 230. Poiino: II, 128. Raflo, f. di Oberto: II, 288, 318, 319. Rosso: II, 290. Simone, fr. di Corrado: II, 266. Sorleone: II, 206. Tedisio o Tici, f. di Lamba: II, 172, 174, 175, 187, 230, 267, 274, 284. - Ughetto: I, 256-258. Dovara (da) Buoso: I, 282. Dragonaires: I, 188. Draperio Nicola: I, 267. Simone: I, 248. Ducas, di Creta: II, 357. Durante Peire, di Marsiglia: I, 139. Durazzo: I, 162, 163, 201. Edmondo, f. di Enrico III d’Inghilterra: I, 51, 281. Edoardo I re d’Inghilterra: I, 275, 278, 279. Egidino notaio: I, 154. Egidio arcivescovo di Tiro: I, 150, 170. Egidio da Quarto: v. Quarto. Egitto: I, 215, 230, 393; II, 84, 119, 125, 130, 131, 171, 172, 298-300, 310, 357-361. - Sultano: I, 160, 215, 221; II, 47, 84, 86, 111, 124-126, 129, 131, 135, 170, 172, 173, 175, 299, 358, 360, 361; v. Bibars; Kelavun; Saladino. Elba: II, 30, 33, 39, 93, 139, 147, 151, 152, 185. Elena f. di re Enzo, m. di Guelfo di Do-noratico: II, 29, 49. Embriaco Filippo: I, 218. - Giovannino: I, 218. Empoli: II, 66, 69. Enos: I, 137, 139. Enrico VI imp.: I, 176, 261; II, 377. Enrico VII imp.: I, 9, 10, 13; II, 6, 100, 368-381. Enrico Infante di Castiglia, f. di Ferdinando: I, 208, 213; II, 29, 136. Enrico II re di Cipro: II, 119, 126, 129, 173, 250, 295-299, 361-363. Enrico III re d’Inghilterra: I, 51. Enrico re di Navarra: I, 292, 293. Enrico de Camezana: v. Camezana. Enrico di Fiandra: v. Fiandra. Enrico de Savignono: v. Savignone. Enrico vescovo di Luni: I, 372; II, 348. Entenza (d’) Berengar: II, 291-294, 335. Enzo f. di Federico II: I, 276; II, 29, 49. Era, valle dell’: II, 65. Eraclea: I, 111, 167, 168; II, 292. Escanton Oberto: I, 231. Esclavons, terre des: II, 237. Este (d’) Azzo: II, 243, 336. - Beatrice, m. di Galeazzo Visconti, m. di Nino Visconti: II, 336. Eustachio (de) Benincasa: II, 266. Èze: II, 259-261, 270. Facio Paganelli: v. Paganelli. Falaca Ugo: I, 389. Faliero Jacopo: II, 82. Paolo: I, 49. Fallamonica Ansaldo: I, 224. Famagosta: II, 173, 180, 228, 295-299, 362, 363. palazzo vescovile: II, 295. Fano (da) Martino: I, 98, 104, 119. - Palmerio, f. di Martino: I, 119, 120, 129. Farenari Lanfranco: I, 302. Farese, Farexie porto: II, 33, 34, 82. Favone (Fauzinus): II, 143. Federico I imp.: I, 176, 260, 381; II, 305, 371, 377. Federico II imp.: I, 9, io, 20, 50-52, — 434 — 54, 75, 84, 101, 121, 144, 154, 166, 172, 176, 224, 259, 261, 273, 274, 280, 287, 288, 309, 337, 346, 350, 354, 381; II, 48, 119, 206, 269, 284, 377. Federico d’Aragona, re di Sicilia: II, 159-162, 230-233, 242, 246, 252-263, 265, 267, 269, 271-274, 276, 282-284, 291, 338, 380. Ferentino, vescovo: v. Jacopo. Ferrara: I, 229, 389. Ferrario giudice: I, 83. Guglielmo: II, 216. Nicola: II, 306. Oberto, di Rapallo: II, 224. Fiandra: I, 210; II, 302. (di) Enrico: II, 379. Ficieriis o Fitiensis (de) Beltramo, di Bergamo: II, 155, 303. Fieschi, conti di Lavagna: I, 20, 51, 91, 93, 94, 121, 154-157, 207, 225, 258, 260, 284, 287, 288, 323, 338, 356, 363, 371, 373 , 377, 379, 381; II, 54, 74-76, 103, 104, 106, 107, 129, 207-209, 211, 253, 318, 323, 349, 350, 375. - Alberto: I, 207, 209, 258, 284-286, 288, 320, 364, 373, 387; II, 107, 205. Andriolo: II, 205. Bartolomeo: II, 253. Beatrice, m. di Tomaso di Savoia: I, 51. Bonifacio, arcivescovo di Ravenna: I, 356. Bonifacio, f. di Ugo: II, 104. - Carlo: II, 379. - Federico: I, 288, 289, 364, 365, 373, 377, 381; II, 104, 224, 260. Francesco: II, 365. - Jacopo: I, 207, 209, 260, 381; II, 74. - Leonardo, canonico di Parigi: II, 104. Luca, cardinale: II, 375. - Manuel, f. di Alberto: I, 207, 286, 373. Maza: I, 258. - Nicola: I, 281, 284, 288, 289, 320- 323, 337, 338, 364, 372, 373, 381; II, 74, 104, 161. Nicoleto: I, 207. Opizzo, patriarca di Antiochia, amministratore della diocesi di Genova: I, 93, 172, 206, 260; II, 105, 106, 108-110, 157. Ottobono, cardinale: v. Adriano V. Ottobono: II, 379. Percivalle: I, 300, 303, 313, 356; II, 76, 224. - Tedisio: I, 151, 177. Tedisio, canonico di S. Lorenzo: II, 104, 105, 253. Tedisio, canonico di Lincoln: II, 105. - Ugo: I, 58, 64, 94, 113, 115, 206. - Ugolino: I, 207. v. Camezana (de) Enrico; Cardinale Giovanni. Figallo Nicola: I, 145. Figari, porto: II, 16. Filator Giovanni: I, 181. Filippo [di Courtenay], imp. latino: I, 395. Filippo III re di Francia: I, 118, 232, 233, 278, 281, 298, 324, 354; II, 46, 47, 55-57. Filippo IV re di Francia: I, 11; II, 112, 121, 255, 284. Filippo Calderario: v. Calderario. Filippo cintraco: II, 224. Filippo di Apricale: v. Apricale. Filippo detto Quatuordecim: v. Quatuor-decim. Filippone de Langusco: v. Langusco. Finale: I, 212; II, 23, 137. (da) Jacopo: I, 20. (da) Pietro: II, 175. Firenze: 1,13,19, 25, 26, 32, 84, 87, 101, 229, 244, 269, 270, 272, 300, 316, 324, 333, 334, 351, 391; II, 17, 61-71, 73-75, 88, 100, 101, 145, 147-149, 151, 155, 187, 188, 269, 311, 335, 351, 353, 355, 380. Fitiensis: v. Ficieriis. - 435 - Flor (de) Roger: II, 283, 284, 288, 289, 291. Flumenargio: II, 189. Focea: I, 393; II, 122, 123, 222, 301, 355. Fontana (de) Oberto: I, 320. Fontemaroso (de) Bartolomeo: I, 387. Forcalquier: II, 338. Forlì, vescovo: v. Rodolfo. Fomari de Ripa Donato: I, 344. Fossato (de) David: II, 213, 306. Framba Nicola: II, 343. Francavilla: II, 267. Franchi Michele, f. di Amano, di Lucca: I, 335. Francia: I, 12, 56, 126, 127, 150, 153, 175, 176, 196, 201, 215, 219, 224, 228, 230, 232, 234, 292, 295, 313, 317, 340, 341, 347, 354, 388; II, 56, 57, 114, 122, 123, 163-165, 269, 273, 285, 355, 359, 368. - re: I, 126, 152, 160, 292, 340, 347; II, 53, 162, 166-168, 170, 281, 299, 302, 311, 388; v. Filippo III e IV; Luigi IX. regina: I, 278. Franarne Oberto: I, 217. Fulco Ardu ini: v. Arduini. Gabemia Pietro: I, 180. Gabriele de Predono: v. Predono. Gaeta: I, 53, 54; II, 201, 232, 310. Galata: I, 193. Gallinara isola, monastero di S. Martino: I, 344. Gallipoli: I, 182; II, 291-294, 331, 332, 355, 356. Gallo Guglielmo, di Pegli: II, 115. Gallura, Giudicato: II, 334. - Giudice: v. Visconti di Pisa. Gamarese sig. di Tremesem: I, 290. Gandino di Jacopo Guarino, giudice: I, 24. Gandolfìno executor capitanei: I, 23. Garbo: I, 290. Garessio: I, 329. signore di: v. Guglielmo. Gargano (mons. S. Angeli): II, 377. Garibaldi di Lavagna: I, 256. Garnano, f. Wilielmi Tarretii: I, 34. Gattilusio Andrea: I, 144. - Luchetto: I, 119, 177, 293, 334; II, 195. Gavi: I, 82, 115, 248, 329, 330; II, 144, 347, 350, 352, 365. (de) Desiderato: I, 330. Gabriele: II, 379. Guecio: I, 330. - Pagano, frate: II, 207. Gengis Khan: II, 299. Geno Giovanni: v. Zeno. Genova, arcivescovato: I, 146. arcivescovo: I, 118, 141, 192, 247, 379, 380; II, 11, 53, 74, 115, 167, 193, 255; v. Arimondi Bernardo; Fieschi Opizzo; Spinola Porchetto; Va-razze (da) Jacopo; Vezzano (de) Gualtieri. vicario arciv.: II, 255. chiesa, convento di S. Domenico: II, 110. - chiesa di S. Giorgio: II, 266. chiesa, convento di S. Francesco: II, 110. chiesa di S. Lazzaro di Fassolo: II, 374. - chiesa cattedrale o capitolo di S. Lorenzo: I, 22, 89, 119, 173, 366; II, 83, 104-109, 209, 210, 233, 252, 253. chiesa di S. Luca: II, 207. chiesa di S. Martino de Yrcis [Al-baro]: I, 139. - chiesa di S. Matteo: I, 187; II, 44. chiesa, monastero di S. Siro: I, 17, 18; II, 112, 266, 267. chiesa di S. Torpete: I, 335. - chiesa di S. Maria delle Vigne: I, 86, 154. - Arsenale: II, 90, 242. Banchi: II, 267. Carignano: I, 281. — 436 - - Castelletto: I, 20. - Fontane Marose: I, 20. - Fossatello: I, 117. Lanterna: II, 41. - Luccoli: I, 173, 387. - Molo: II, 242. - contrada S. Ambrogio: I, 20. - Sarzano: I, 89; II, 90. - palazzo arcivescovile: II, 107-109, 209. - palazzo Doria: I, 17, 244; II, 107, 156. - palazzo Fornari: I, 17. - palazzo Richieri: I, 22. - piazza S. Lorenzo: I, 93, 117, 260; II, 374, 378. - Porta dei Vacca: I, 249; II, 365. - via S. Luca: II, 266. Geremei: I, 21, 140. Germania: I, 47, 50, 51, 212, 295, 298, 305, 396. - re: II, 46, 338. Gerusalemme: I, 125, 230. - Regno: I, 41, 46, 57, 102, 160, 178, 293, 391; II, 119. - re: I, 200. patriarca: I, 36, 38; v. Guglielmo; Jacopo. Gervasio cardinale: II, 74. Ghazan Khan: II, 299. Gherardesca, conti di Donoratico: I, 29, 30; II, 27, 29, 49, 188, 334. - (della) Anselmuccio, f. di Lotto: II, 99. - Bonifacio o Fazio, f. di Gherardo: II, 27, 38, 39, 73, 74, 98, 100, 174, 177, 188. - Brigata o Nino, f. di Guelfo: II, 99. - Gaddo, f. di Ugolino: II, 99. - Gherardo: I, 29, 35, 71; II, 27. Guelfo, f. di Ugolino: II, 29, 88, 89, 94, 96, 99, 138, 139, 186-190. - Guelfo o Guelfuccio, f. di Enrico di Guelfo: II, 100. Lotto, f. di Ugolino: I, 129; II, 186-190. Matteo, f. di Ugolino: II, 186-188. Rainerio, f. di Gherardo: II, 27, 74. - Ugolino: I, 29, 35, 71, 205; II, 6, 27, 29, 38, 63-67, 74, 75, 88, 89, 91, 97-101, 136, 138, 186. Uguccione, f. di Ugolino: II, 99. Gherardo cardinale: I, 378. Ghisolfi (de) Gabriele: I, 20. Lanfranco: I, 199, 217. Giacomo I re d’Aragona: I, 396. Giacomo II re d’Aragona e di Sicilia: II, 55, 57, 110, 111, 114, 158-161, 166-168, 231, 234, 335, 336, 338, 344, 345, 353. Giacomo re di Majorca: II, 351. Giacomo, fr. di Chiano di Massa: I, 33. Giacomo Chierico: v. Chierico. Giacomo de Bonoiohanne: v. Bonoiohan-ne. Giacomo de Landriano: v. Landriano. Giacomo de Modoecia: v. Monza. Giacomo de Portuveneris: v. Portovenere. Giacomo de Predi: v. Pré. Giacomo de Rollando: v. Rollando. Giacomo de Signago: v. Signago. Giacomo Guaagnaben: v. Guaagnaben. Giacomo Manens: v. Manens. Giacomo Simeon: v. Simeon. Giaffa, conte di: I, 73; v. Ybelin (d’) Giovanni. Gibelletto: II, 299. signore di: v. Guido. - (di) Bartolomeo: II, 121, 124, 126, 127. Gilberto de Nervi: v. Nervi. Gioiosa Guardia, castello di: II, 188. Giovanni XXI: I, 368, 370, 372. Giovanni Lascaris imp.: I, 129. Giovanni Botario: v. Botario. Giovanni Canevarius: v. Canevarius. Giovanni de Canali: v. Canali. Giovanni de Cisterna: v. Cisterna. Giovanni de Maffleto: v. Maffleto. - 437 - Giovanni de Mongiardino: v. Mongiar-dino. Giovanni de Monticello: v. Monticello. Giovanni de Orto: v. Orto. Giovanni de Porta: v. Porta. Giovanni da Precida: v. Precida. Giovanni de Rocca: v. Rocca. Giovanni de Rovegno: v. Rovegno. Giovanni de Savignone: v. Savignone. Giovanni de Tolleto: v. Tolleto. Giovanni da Vercelli: v. Vercelli. Giovanni Filator: v. Filator. Giovanni frate (prior Venetorum): I, 310, 311. Giovanni, f. di Mariano II, Giudice di Arborea: II, 250, 251, 334, 335. Giovanni prete di S. Martino de Yrcis: I, 139. Giovannino, f. di Pagano de Vinciguerra de Sigestro: II, 224. Giovanniti: I, 46, 48, 68, 69, 73, 76, 79, 293; II, 123, 127, 128, 310, 358-361, 364. - Gran Maestro: I, 72, 102; II, 85, 122, 123, 254; v. Chatiauneuf (de) Guillaume; Villaret (de) Fulco. Priore di Acri: I, 36, 37. Giovi, passo: lì, 365. Girgenti: II, 40. Gisercha [Bisarchio], vescovo: v. tre. Giudice fam.: I, 256, 257. Giustiniani Marco venez.: I, 36, 74. - Tomasino venez.: I, 296. Goano (de) Giovanni: II, 322. - Nicola: II, 306. Godano: I, 286, 287, 321, 324, 325, 372. Gollheim: II, 243. Gonarius vescovo di Ampurias: II, 30. Gorbio: II, 113, 114. Gorgona: II, 33, 39, 40, 98, 139. Gossulini Ubaldo: I, 58. Gouvin (de) Inguerran: I, 217. Govone: II, 333. Gozzo: I, 345. Gradonico Marco: I, HO, 161, 182. Granatolo, monastero di S. Margherita de Gratia de Costa: II, HO. Grasse: I, 270; II, 259. Grasso Enrico, di Gavi: I, 330. Grecia, Impero greco o bizantino (Bisanzio): I, 10, 13, 105, 106, 108, 109, 111, 121, 126, 128, 131-133, 142, 167, 170, 192-194, 201-204, 221, 225, 281, 293, 336, 392-394, 398; II, 17, 52, 58, 173, 216-223, 245, 288-295, 330, 331, 355-357, 360. Imperatore: I, 281; II, 47, 122, 175, 181, 218, 244, 288, 290, 335, 355, 357; v. Andronico II; Giovanni Lascaris; Manuele Comneno; Michele Vili Paleologo; Teodoro Lascaris. Gregorio IX: I, 121. Gregorio X: I, 283-286, 294-296, 298, 303-305, 307, 308, 337, 338, 354-358, 395; II, 29, 52. Griglione Benedetto: I, 169. Grillo Amiceto: I, 80. Ancellino: I, 154. Antonio: II, 342. Federico: I, 154. Manfredo: II, 224. Simone: I, 109, 153-155, 161, 162, 164, 168, 275; II, 139. Pie. Grimaldi: I, 20, 91, 97, 115-118, 121, 122, 145, 154-157, 173, 174, 201, 204, 206, 220, 225, 242, 257, 259, 275, 284, 286, 288, 290, 300, 318, 328, 363, 364, 371, 373, 381; II, 54, 106, 108, 205, 207-211, 226, 259, 263, 265-267, 272, 275, 300, 302, 318, 323, 336, 340-343, 345, 349, 350, 373, 375. Alaone: II, 224. Bonifacio: II, 359. Bovarello: I, 151, 177, 221, 289. Corrado: II, 207. Enrico: I, 373. Federico: II, 224. Filippino, f. di Luchetto: I, 257. Franceschino: I, 199, 288, 328, 348; II, 240. — 438 - Francesco: II, 224, 225. Gabriele: I, 220, 289. Gaspare: II, 224. Grimaldo: I, 97. Guglielmo: I, 373. Jacobino: I, 220. Lanfranco: I, 221, 289. Leo: I, 36, 47. Luca: I, 20, 58, 221, 225, 289. Luchetto: I, 158, 191, 197-201, 206, 215, 221, 257, 258, 274, 288, 373. Magnone: II, 207, 342. Marcoaldo: II, 224. Nicola: II, 224, 226. Oberto: II, 207. Petrino: I, 136, 141. - Pietro: I, 139, 285; II, 104, 207. - Rainerio: II, 224, 225, 302, 340. - Riccardo, abitante di Cosenza: II, 259. - Rizardo: II, 342. - Sorleone: II, 258. - Tomaino: I, 289. Gropallo (de) Giacomo: II, 325. Groppo: I, 287. Grumello (de) Simone, da Bergamo: II, 155, 351. Guaagnaben Giacomo: I, 284. Gualandi: II, 97, 101. - (de) Bacciameo o Bacheremeo, f. di Bonifacio: II, 97. Gualdini (de) Antonio, da Parma: II, 349. Gualduccio Oddo: I, 32, 35. Gualterio (de) Raffo: II, 159. Gualteroti Guarnerio: I, 58. Gualtieri da Vezzano: v. Vezzano. Guardia (de) Benedetto: I, 379. Guarino Jacopo: I, 24. Guarnerio giudice: I, 84, 106, 149. Guarnerio Gualteroti: v. Gualteroti. Guarnerio Accurso: I, 154. Guecio de Gavi: v. Gavi. Guercio: I, 166, 173. - Balduino: I, 166. - Fulcone: I, 166. Giovannino 0 Giovanni: I, 34, 167. Guglielmo, f. di Giovanni: I, 166, 167. Montanino: I, 201. - Nicola: I, 177, 364. Nicoloso: I, 226. Pagano: I, 293. - Simone: I, 29-31, 179, 292, 293, 364. Guglielmo: I, 131. Guglielmo d’Olanda: I, 207. Guglielmo II re di Sicilia: I, 53. Guglielmo cappellano papale: I, 209. Guglielmo de Bonacorsa: v. Bonacorsa. Guglielmo de Bruno: v. Bruno. Guglielmo de Montaldo: v. Montaldo. Guglielmo de Mora: v. Mora. Guglielmo de Prina: v. Prina. Guglielmo di Promontorio: v. Promontorio. Guglielmo da Quarto: v. Quarto. Guglielmo de Quinto: v. Quinto. Guglielmo di S. Ambrogio: v. S. Ambrogio. Guglielmo de Savignone: v. Savignone. Guglielmo de Ursis: v. Ursis. Guglielmo Ferrario: v. Fenario. Guglielmo Giudice di Arborea: I, 28, 30, 32, 33, 35, 58, 68, 71, 72; II, 29. Guglielmo patriarca di Gerusalemme: I, 103. Guglielmo f. di Russo: I, 30. Guglielmo signore di Garessio: I, 329. Guglielmo Tarretii: v. Tarretii. Guglielmo Thomas: v. Thomas. Guglielmo vescovo di Luni: II, 348. Guglielmo Visconte: v. Visconte. Guiberto de Nervi: v. Nervi. Guido de Bonato: v. Bonato. Guido de Corrigia: v. Corrigia. Guido de Corvaria: v. Corvara. Guido signore di Gibelletto: II, 84. Guidobono Facino: I, 369. Guidoto de Rodobio: v. Rodobio. Guilio de...: I, 267. Guirardo de Pavolo: v. Pavolo. - 439 - Helias Peleti: v. Peleti. Henregutus de Spamavia: v. Spamavia. Henri de Champrepus: v. Champrepus. Hethom re di Armenia: I, 200. Iglesias: II, 27, 186, 190. Imberti Pietro: I, 285. Incisa (d’) Giacomo: II, 365. - Raimondo: II, 365. India: II, 360. Indie Orientali: II, 302. Inghilterra: I, 51, 172, 279, 283; II, 121, 281. - re: I, 126; II, 170, 299; v. Edoardo I; Enrico III. Innocenzo II: II, H-Innocenzo IV: I, 10, 37, 51, 52, 157, 337, 364, 365, 380; II, 104, 105, 110, 157. Innocenzo V: I, 358-360, 362, 364, 365, II, 74. Ischia: I, 348; II, 81. Isembardo de Monleone: v. Monleone. Isernia (de) Andrea: II, 286, 287. Isola (pr. La Spezia): I, 321. Isole (delle): I, 91. Istria (Corsica): II, 16, 143. Jachino Calderario: v. Calderario. Jacobina m. di Simone Draperio: I, 248. Jacobino executor capitanei: I, 23, 86. Jacopo cardinale di S. Maria in Cosmidin: I, 379. Jacopo de Bonbarono: v. Bombarono. Jacopo da Finale: v. Finale. Jacopo de Rido: v. Rido. Jacopo da Varazze: v. Varazze. Jacopo patriarca di Gerusalemme: I, 79. Jacopo vescovo di Ferentino: II, 68. Januarius de Nervi: v. Nervi. Jaritea: v. Claritea. Jorge frate: I, 142. Journy (de) Inguerran: I, 217. Kelavun sultano d’Egitto: II 119 ,,n 127, 130. ’ ’ 20- Kira: II, 31. La Catune (Sicilia?): II, 229. Laco (Lago): I, 320. Lagny: I, 281. Lajazzo: I, 183, 200, 373, 383, 393. ri 173, 179-182, 191, 192, 217, 235 240 241, 244, 363. ’ ’ Lalgiro: II, 221. Lambertazzi: I, 21; II, 326. Lambertino de Bovarello: v. Bovarello Lamberto de Sambuceto: v. Sambuceto Lambro: I, 368. Landimitri: I, 112. Landolfo de Ottanova: v. Ottanova Landriano (de) Giacomo, da Milano- II 351. ' ’ Lanfranco Capsiario: v. Capsiario. Lanfranco de Chiavari: v. Chiavari. Lanfranco di S. Giorgio: v. S. Giorgio. Lanfranco Pignatario: v. Pignatario. Langres, vescovo: I, 278. Langusco (de) Filippone, conte di Lo-mello: II, 328, 332, 334, 337, 340 344, 364. Lanzavecchia: I, 275, 283. Accorso: I, 275-276. Giacomo Amaroto: I, 275. Lspola loc.: I, 32. La Spezia: I, 320, 321. Lauria (de) Ruggero: II, 48, 52, 56, 111, 112, 162, 231, 264-267. Lavagna, valle: I, 173; II, 74. chiesa nuova di S. Salvatore: II, 104. conti: v. Fieschi. Lavandario Ansaldo: I, 221. Laveno (de) Roberto: I, 226, 329. Lavino: I, 224. Leccacorvo Guglielmo: I, 18. Lenel, dott.: I, 228. Leo, f. di Hethom di Armenia: I, 200. Leone, Golfo del: I, 232. Leone Jacopo: I, 251. Lercari: II, 175, 207. — 440 — - Belmustino: I, 197, 251. Giacomo: I, 218. - Ido: I, 80, 140. Lanfranco: I, 300. Peyre: II, 208. Lerici: I, 25, 26, 249, 320, 325, 326, 351, 384; II, 347, 364. Lerma: I, 330. Letare castello: II, 142. Leto (de) Rainaldo, Siniscalco di Provenza: II, 329, 333, 337. Levi (de) Oberto: I, 265. Liazari fam. di Bologna: I, 140. (de) Gucio, f. di Liazaro: I, 140. Liazarino: I, 140. Liazaro: I, 140. Limassol (Limisso): II, 173, 180, 296. Limone fiume: II, 10. Limone: I, 368. Lincoln, canonico di: v. Fieschi Tedisio. Linguilia (de) Anseimo: I, 252. Bonifacio: I, 83. Giacomo, f. di Anseimo: I, 119. Lione: I, 355, 395. Lium, castello: I, 252. Livorno: II, 148, 149, 354. faro: II, 71. Loderone: I, 323. Lodi: I, 282, 369. Logoduro: II, 28, 92, 249. Lombardia: I, 155, 161, 183, 197, 212, 283, 299, 329, 339, 342, 343, 354, 368, 370, 396, 397; II, 18, 23, 116-118, 136, 157, 209, 285, 323, 340, 343, 370, 371, 373, 375. Siniscalco di: I, 224, 327, 328, 335, 342, 346, 351, 352. Lomellini: I, 20. Lomello, conte di: v. Langusco (de) Filippone. Loredano Francesco: lì, 82. Lorenzo barberius: I, 180. Lorenzo frate: I, 142, 297, 310. Lu: II, 333, 337. Lucca: I, 25, 26, 32, 84, 101, 171, 175, 270, 271, 321, 324, 333-335, 391; II, 17, 61-64, 66-71, 73, 83, 88, 89, ÌOO, 101, 145, 147-149, 151, 187, 188, 270, 335, 336, 348, 353, 354. vescovato: II, 347. vescovo: II, 61. (de) Rolando: I, 391. Luciana, f. di Boemondo VI di Tripoli, m. di Narjaud de Touchy: II, 120, 122- 124, 126-129. Luigi IX re di Francia: I, 75, 126, 189, 195, 197, 208-210, 215-220, 228-237, 251, 255, 278, 291, 309. Luni, vescovato: I, 337, 338; II, 348. vescovo: I, 12; II, 164, 348; v. Antonio; Enrico; Guglielmo. Lunigiana: I, 207-209, 351. Luoghi Santi: v. Terrasanta. Lusio Ansaldo: I, 347. Lüttich, arcidiacono di: v. Gregorio X. vescovo: v. Teobaldo. Luxardo Giovanni: I, 207. Mabilia, m. di Guglielmo Pugno di Mon-taldo: I, 149. Maciis (de) Macia: II, 12. Macro (Maro): I, 224. (de) Enrico, f. di Filippo: I, 224 Filippo: I, 224. - Raimondo: I, 224. Madachia, turco: II, 359. Maffleto (de) Giovanni: I, 209, 221. Magra, torrente, valle: I, 26, 372, 375; II, 348. Maiazocus Giovanni, de S. Agnete di Venezia: II, 242. Maitano Giacomo: I, 306. Majorca: I, 290; II, 51, 164. re: II, 338; v. Giacomo. Malaspina: I, 89, 90, 331, 369, 374-376; II, 28, 29, 36, 72, 95, 336, 365. - Alberto: I, 375-377. Alberto, f. di Corrado: I, 374. - Corrado: I, 89, 374, 377. Corrado, f. di Federico: I, 331, 374, 376. - 441 - Federico, f. di Corrado: I, 331, 374. - Francesco: I, 375-377; II, 365. Isnardo: I, 207; II, 11. Manfredo, f. di Corrado: I, 374, 376, 377, 381. - Moroello, f. di Corrado: I, 374-377; II, 36, 72. Opicino, f. di Federico: I, 331, 374, 376. - Tomaso, f. di Federico: I, 331, 374, 376, 377. Mala volta: I, 21. - (de) Alberto: I, 21, 24, 88, 97, 120. (de) Catelano, f. di Alberto: I, 21. Mallone: I, 252. - Barocio: I, 38. - Pesceto: I, 44, 45, 80, 136, 138, 139, 141, 188, 189, 191, 201. - Simone: I, 197-199, 218, 231. Ugo: I, 249. Mal ocello: I, 26, 288, 328, 363, 364, 372; II, 54, 79, 105, 106, 206, 207. - Alberto: II, 224, 369. - Benedetto: I, 373. - Franchino: I, 285. - Fresono: I, 102, 193. Guglielmo: I, 26, 146. Jacobino: II, 224. - Jacopo: I, 94. Janino: II, 224. - Lanfranchino: I, 215, 293. Lanfranco: I, 26, 206, 327. Moroello: I, 115. - Simone: I, 37, 38. - Tedisio, canonico di Cambrai: II, 105. - Tomaino: II, 79. Malta: I, 162, 222, 301, 315, 336, 345; II, 272. Malvasia: I, 131-134, 137, 138, 141. Mamelucchi: I, 111; II, 358. Manarola: I, 321, 323. Manens Giacomo: I, 364. Manfredi di Staufen: I, 11, 50-53, 55, 56, 81, 85, 100-102, 107, 113, 114, 121, 125, 126, 129, 139, 143, 152, 153, 155- 157, 166, 167, 170-172, 175-177, 179, 180, 182, 205, 207, 224, 225, 273, 280, 318, 397, 398; II, 28, 29, 46, 50, 52, 55, 111, 231, 343. Manfredo di Savignone: v. Savignone. Maniavaca Ansaldo: II, 368. Mantova: I, 351, 369, 388. Manuel de Savignono: v. Savignone. Manuele Comneno imp.: I, 108, 109, 166. Marchisino de Cassino: v. Cassino. Marco de Mosco: v. Mosco. Marco de Villafranca: v. Villafranca. Margarito: I, 52. Mari (de): II, 11, 48, 210. - Andriolo: II, 342. - Ansaldo: I, 20, 157; II, 48. - Gando: II, 206, 227, 228. - Enrico: II, 39, 40 , 48, 56, 59, 60, 111, 145, 147, 161, 174, 176, 189, 231. Percivalle: I, 290; II, 226, 296, 297 (Pasquale!). Mariano II, Giudice di Arborea: II, 27, 31, 32, 334. Mariano III, f. di Giovanni, Giudice di Arborea: II, 334. Mariano Giudice di Torres: II, 28. Marini o Marino (de): I, 91; II, 210. Anfredo: II, 362. Giovanni: II, 208. Giovannino: I, 218. Manuel: II, 218. - Marino: II, 82, 103, 176. Meliano: I, 165. - Montano: II, 225, 241, 258, 259. Marino de Monterosato: v. Monterosato. Maritza: II, 356. Marsala: I, 182; II, 48, 56. Marsiglia: I, 34, 56, 147, 150, 152, 171, 216, 252, 296, 299 , 300; II, 111, 244, 259. - (de) Tomaso: I, 251. Martineto de Arena: v. Arena. Martino IV (card, de Mompis et de Bria): I, 307, 309, 311, 380, 381, 395; II, 46, 52-54, 56, 57, 59, 67-71, 106. - 442 - Martino da Fano: v. Fano. Martino de Sommariva: v. Sommariva. Martino executor civitatis: I, 85. Martino prete: I, 139. Marzono Nicola: I, 189. Marzupo Rainerio, giudice: I, 58. Masone: I, 330, 332. Massa, marchese di: v. Chiano. Matalaso Nicola: I, 306. Matilde di Canossa: I, 337. Matteo de Adria: v. Adria. Mauroceno Fiopo: II, 82. Marino: I, 191. - Rogerio: II, 220, 221, 223. Mayllant corsaro: II, 85. . Mazara, val: II, 55. Mazuco Ansaldo: II, 106, 313. Medalia Giacomo: I, 339. Medici (de) Cavalcabò, di Pavia: I, 276, 383; II, 197. Meleta (de) Conetino: II, 224. Meloria (Veronica): II, 20, 38-46, 56, 59, 61, 72, 73, 87, 89, 146, 182, 239, 240, 250. Menabò de Turricella: v. Turricella. Mentone: I, 146, 151, 315, 318, 348, 351. Messina: I, 52-54, 60, 100, 177, 181, 182, 188, 200, 201, 224, 343, 345, 392; II, 9, 47-49, 51, 159, 197, 198, 234, 284, 286. arcivescovo: I, 57; II, 194. Metifoco Giacomo: I, 31. Michel Marco: I, 127. Pietro: II, 60. Rainero: II, 220. Michele VIII Paleologo: I, 104, 106-114, 120, 125, 126, 129-131, 136-139, 141, 142, 149, 162, 166-169, 176, 192-194, 204, 248, 271, 282, 293, 294, 305, 309, 393-395, 397; II, 54, 58, 218, 273, 290, 291. Mignardo Palmerio: II, 18. Milano: I, 13, 19, 21, 161, 252-254, 282, 336, 368-370, 397; II, 116-118, 135, 157, 203, 243, 337, 343, 371-373, 375, 376. basilica di S. Ambrogio: I, 20; II, 370. signori di: v. Visconti. (de) Tealdo: I, 191. Milazzo: II, 286. Milo prete, canonico di S. Lorenzo: II, 105. Minot Tomaso: I, 202. Modena: I, 40, 41, 140, 369; II, 117. Modone: I, 187, 191; II, 191, 221, 338. Molare: I, 332. Molay (de) Giacomo, Gran Maestro dei Templari: II, 358. Molino (de) Albertino, da Recco: I, 180. Mompis (de) Simone: v. Martino IV. Monaco: I, 84, 145, 146, 148, 151, 337; II, 225-227, 232, 240, 241, 243, 245, 249, 258-260, 262-264, 267, 269-274, 282, 287, 304, 315, 343, 347, 365, 367, 369. Moncalvo: II, 332, 333, 339, 344. Monferrato: I, 339, 358, 368, 370: II, 157, 328-340, 343, 344. (di) Giovanni, f. di Guglielmo: II, 118, 164, 243, 285, 286, 328, 329. - Guglielmo: I, 266, 281-283, 338-341, 343, 356, 357, 368-370, 397, 398; II, 116-118, 135, 156, 243, 285, 328. Teodoro Paleologo: II, 328-340, 344, 364, 366, 369, 375, 379. Violante, f. di Guglielmo, m. di Andronico II imp.: II, 116, 117, 328-330. Mongiardino: II, 347. (de) Giovanni: I, 218. Mongoli: I, 160, 393; II, 298-300. Monleone (de) Isembardo: II, 306. Simone: I, 379. Mons Draconus: II, 72, 92, 93, 96. Montagudo, castello: II, 345. Montaigne Negre (pr. Lajazzo): II, 182. Montaldo (Riv. di Ponente): I, 149. Montaldo: II, 365. (de) Guglielmo: II, 324. Montaperti: I, 13, 101. Montecanne, castello: I, 172. Monte Cuco: I, 330. - 443 - Montefeltro (di) Guido: II, 136-140, 146, 148-151, 188. Montefiascone: I, 311, 314. Montemagno (de) Rainerio: I, 244. Montereale di S. Maria (Calvi): II, 11. Monterosato (de) Marino: I, 387. Montfort, conte di: I, 160. - Filippo, sig. di Tiro: I, 41, 44, 47, 48, 72, 73, 76, 159, 160, 165, 177, 179, 197-199, 229. - Filippo, f. di Filippo: I, 159. Monticello (de) Giovanni: II, 351. Montis Acuti castrum: II, 249. Montis Cuciani castrum: II, 249. Montis de Verro castrum: II, 249. Montisgradoni castrum: II, 30. Montpellier: I, 56, 83, 114, 397; II 311 335. Monza (de) Giacomo: II, 307. Mora (de) Guglielmo: I, 209, 216. Morbello: I, 332. Morea: I, 105, 131, 132, 137, 138, 141 143. principe di: v. Villehardouin. Moresco Andrea: II, 294, 298, 331 Morosini Albertino: II, 40-43, 59. Martino, f. di Albertino: II, 59. Mosco (de) Marco: I, 33. Motrone: II, 188. Mozo Turcolino: II, 81, 82, 174. Mudo Nicola: II, 82. Mulazana (de): II, 207. Multedo (de) Nicola o Nicoloso: I, 24. Muntaner: II, 331, 332. Musa de Savona: v. Savona. Musca cursore: I, 60. Napoleone da Voltaggio: v. Voltaggio. Napoli, regno di Napoli: I, 11, 12, 51-54, 56, 113, 121, 170, 176, 223, 226, 295, 297, 299, 302, 343, 345-347, 351, 353; II, 49, 51-53, 55, 56, 80, 81, 111, 112, 114, 120, 162, 163, 175, 225, 227, 231, 232, 234, 249, 259, 260, 264-266, 275, 282, 287, 338, 341, 367. - re: II, 369; v. Carlo I e II; Roberto. regina: II, 114, 115. Castelnuovo: II, 287. Narbonne: II, 81, 212. Nario: II, 129. Nasone Martino da Recco: I, 266, 267. Navarra, re: I, 126; v. Enrico. Navarro: II, 54. Navigaioso Nicola: I, 296. Nefin castello: II, 123, 127, 299. Negro (di): II, 207. - Antonino, f. di Ottolino: I, 97. - Bemabò: II, 224. Bonifacio: I, 257: II, 224. Dabadino: I, 206. Egidio: I, 168, 199, 330. Jacopo: I, 32, 33. Manuel: I, 375. - Ottolino: II, 10, 143, 144. 10, 143, 144. Pasqualino: II, 28. Negroponte: I, 108, 111, 128, 132-134, 137, 142, 181, 188, 190, 192, 194, 197, 201; II, 182, 220. Nepitella Buonvassallo: I, 191. Nervi (da) Gilberto o Guiberto: I, 180. Januarius: I, 189. Nevers, conte di: I, 232. Niccolò III (G. Gaetano Orsini): I, 59, 370, 371, 377-380, 395; II, 104-106, 285. Niccolò IV: II, 101, 104, 105, 110, 112, 122, 157-159, 161, 162, 170-172, 207, 253. Nicea, regno: I, 105. Nicola: I, 119. Nicola Agostino: I, 139. Nicola Barberius: v. Barberio. Nicola Botarius: v. Botario. Nicola Calegario: v. Calegario. Nicola cancelliere veneziano: I, 162. Nicola di Antiochia: v. Antiochia. Nicola de Multedo: v. Multedo. Nicola de Petracio: v. Petrarìi. Nicola de S. Donato: v. S. Donato. — 444 — Miccia de S. Giminiano: v. S. Giminiano. Miccia de Savignone: v. Savignone. Miccia Draperius: v. Draperio. Nicola Ferrario: v. Ferrano Nicola, f- di Martino prete: I, 139. Nicola rector civitatis: I, 119. Nicola vescovo di Butrinto: II, 371. Nicolino de Petracio: v. Petracii. Nicoloso de Multedo: v. Multedo. Nicosia: II, 296, 362, 363. Nigrino Giovani: I, 33. Niles: II, 158, 168. Ninfeo: I, 106. Nizza: I, 90, 143, 171, 221; II, 42, 61, 81 225, 227, 246, 258, 259, 269. Noli:’ I, 90, 211, 286; II, 373. Novara: I, 282, 351, 369; II, 117, 157, 243. Nurra: II, 189. Obertino: I, 127. Obertino da Piacenza: v. Piacenza. Oberto da Camogli: v. Camogli. Oberto de Fontana: v. Fontana. Oberto de Levi: v. Levi. Oberto de Padua: v. Padova. Oberto de S. Ambrosio: v. S. Ambrogio Oberto de Savignone: v. Savignone. Oberto de Vendereto: v. Vendereto. Oberto Ferrario di Rapallo: v. Ferrario. Octaviani o Ottaviano Stabile, da Sestri: II, 179, 261. Odo de Castro Rodulphi: v. Castro Ro-dulphi. Odofredo di Bologna: I, 252. Ogerinus executor: I, 314. Ogerio: I, 293. Ogerio Calegario: v. Calegario. Ogerio (de) Rufino: I, 276. Oliverio di Toirano: v. Toirano. Oneglia, valle di Oneglia: I, 147, 224, 318, 328; II, 233, 336, 337. Onorio IV: II, 74-76, 80, 104, 105, 110. Opicino Capsiario: v. Capsiario. Opizzo Adalardo: v. Adalardo. Orba: I, 332. Oristano: II, 96, 140. Orlando de Sala: v. Sala Ormea: I, 329. Ornano: II, i6, 143, 15Q G“*»' v. Orto (de) Andrea: I, 97 Giovanni: I 189 °™r vi133’'3°2'3i* 11.59. chiesa dei Domenicani: I, 306 Osbergerio Manuel: II, 195, 215 Otolino executor capitanei: I 23 Otranto, canale, stretto: I, 163; H, 229, Ottanova (de) Landolfo: II, 12. Ottaviano: v. Octaviani. Ottocaro, re di Boemia: I, 351 Ottolino da Recco: v. Recco Padova: II, 247, 369. - (de) Oberto: II, 226, 343. Simeone: II, 351. Paganelli Facio: I, 325. Pagano di Gavi: v. Gavi. Pagano de Vinciguerra: v. Vinciguerra. Paiarino Guglielmo: I, 159. Palermo: I, 285, 302; II, 49, 175 272 286. Palestina: II, 119; v. anche Siria; Terrasanta. Palixoni (in partibus): I, 89. Pallavicini Pevere: I, 245. Palmaria: I, 350. Palmerio da Fano: v. Fano. Palude (de): I, 174. - Giacomo, di Parma: I, 174, 177, 242 252. Panico Bandino, lucchese: I, 281. Panzano Caleca: I, 212. - Corrado: I, 218; II, 10. Giacomo: II, 362. Giovanni: I, 29. - 445 - - Pelegrino: II, 130, 175. Paolo notaio: II, 175. Papalardo Enrico: I, 306. Paphos: II, 296, 363. Parigi: I, 217, 218, 220, 249, 292. arcidiacono di: I, 209. - canonico di: v. Fieschi Leonardo. Parma: I, 174, 282, 369. Parma (pr. Cagliari): I, 29. Parodi L.: I, 329, 330. Parorum portus: v. Capo Pali. Pasquale de Cassino: v. Cassino. Pasquale de S. Donato: v. S. Donato. Passano (de) Simone: II, 277. Passio Enrico: II, 82. - Oberto: I, 58; II, 106. Pasturana: II, 205, 347. Pavia: I, 98, 207, 208, 211, 226, 281, 282, 304, 319, 320, 338-342, 351, 355, 356, 360, 361, 366, 368-370, 375, 384, 388; II, 16, 117, 135, 157, 203, 243, 249, 328, 332. Pavolo (de) Guirardo: II, 324. Pedicularum fam.: I, 180. Pelau André: II, 181. Pelavicino Oberto: I, 155, 174, 207. Peleti Helias: I, 209. Penna (Piena, val Roja): I, 326, 347. Pera: I, 168, 193, 392, 394, 395; II, 181, 220-222, 289-293, 295, 325, 355-357. Percivalle de Baldizonis o Baldizono: v. Baldizonis. Pessagno Salveto: II, 298. Petia Enrico: I, 382. Ricio, di Asti: II, 217. Petra, pr. Pavia: I, 369. signori di: II, 365. Petracii o Petracio (de): Nicola o Nicolino: I, 265; II, 15, 54, 83, 97, 98, 100. Pietro: I, 290. Petralerata: II, 142. Petrino Venetico: v. Venetico. Pevere (Piper) Bonifacio: I, 218. Guglielmo: I, 249. Marcoaldo: I, 20. Sorleone: I, 91. Piacenza: I, 18, 229, 243, 245, 249, 258, 282, 319, 340, 369, 378, 379, 389; II, 81, 117, 135, 157, 180, 301, 371. cattedrale:- I, 378. (da) Obertino: I, 34. Pianosa: II, 30, 31, 93, 147, 248. Piccamiglio, Picamigino o Piccamiglio: I, 97, 281. Piemonte: I, 148, 283, 287, 338, 343, 352, 354, 368; II, 113, 286, 329, 337, 338, 348, 367. Piena: v. Penna. Pietra Colice: I, 372. Pietro III re dAragona e di Sicilia: I, 282, 302, 346, 396-398; II, 9, 45, 47-57, 111, 113, 117, 122, 161, 231, 281, 284. Pietro Costantino: v. Costantino. Pietro da Bergamo: v. Bergamo. Pietro de Chiavica: v. Chiavica. Pietro da Finale: v. Finale. Pietro da Reggio: v. Reggio. Pietro de Ugolino: v. Ugolino. Pietro de Varexio: v. Varese. Pietro Imberti: v. Imberti. Pietro Petracii: v. Petracii. Pietro vescovo di Gisercha: II, 30, 35, 36. Pietrobuono de Cremona: v. Cremona. Pigna: I, 151, 368. Pignatario Lanfranco: I, 344-346, 359. Pignolo: II, 207. Lanfranchino: I, 339. Lanfranco, podestà di Albenga: I, 23. - Luchetto: II, 83. Pilavicino Guglielmino: I, 180, 181. Guglielmo: II, 313. Jacopo: I, 200. Pilli (de) Neri: II, 69. Piombino: II, 33, 34, 39, 85, 151, 162, 265. Piper: v. Pevere. Pisa: I, 12, 25-35, 36, 38-46, 49, 50, 54, 56-59, 61-74, 77-79, 81, 101-103, 108-110, 121, 167, 176, 177, 186, 194, 195, 203, 205-208, 212, 214-215, 222, 223, - 446 - 225, 228, 234, 266, 269, 274, 278, 291, 296, 307-311, 321, 324, 334, 335, 351, 391; II, 5, 7-102, 111, 112,116-118,122, 124, 125, 128, 135-153, 158, 159, 162, 164, 165, 170, 171, 173-177, 180, 185, 186, 188-191, 193, 196, 198, 201, 214, 240, 242, 244, 246-252, 265, 281, 282, 302, 310, 334, 335, 338, 345, 353, 354, 362, 378, 380. _ arcivescovo: v. Ruggeri. _ Camposanto: II, 83. torre dei Gualandi: II, 101. Pistoia: I, 101; II, 62, 187. Placenzia regina di Cipro: I, 46. Po: II, 371. Poggibonsi: I, 205. Poilevila Giovanni: I, 218. Poitou (di) Alfonso: I, 281. Polcevera valle: I, 319, 329, 330; II, 30. Polo Marco: II, 184, 242. Polonia: I, 126. Polpo Guglielmo: I, 33. Polverara: I, 321, 326. Pont sur Seine: I, 292. Pontedecimo: II, 373. Ponte del Serchio: II, 71. Pontino (de) Giovanni conte: I, 292. Ponto: I, 393. Pontremoli: I, 207, 320. Ponza: II, 60, 265, 266, 270. Ponzone, marchesi del: II, 157, 365. Tomaso: I, 372. Porcaires isola: I, 132. Porcelli: I, 91. Pornassio: I, 329. Porta (de) Giovanni, di Salerno: II, 264. Portofino: I, 212; II, 35, 39, 41, 42. Portogallo re: I, 126. Portomaurizio: II, 42, 318, 342, 348. - (di) Sifredo: I, 287, 288. Portopisano: I, 29, 206, 207, 321, 371; II, 20, 30-34, 36, 39-44, 68, 69, 71-74, 80, 83, 98, 139, 146, 148-151, 153, 240, 354. torre Malterchiata: II, 149. Portovenere: I, 25, 71, 146, 154, 171, L*3%’ “■ 234, 347 3« ' W' “■ (da) Benzeto: I, 389 Giacomo: II, 24 Pré (de) Giacomo: I 85 Predono (de) Gabriele’: II, 296 v'è ,ir° Giüdi“di Prina (de) Guglielmo: I 82. Precida (da) Giovanni: II 48 Promontorio (di) Guglielmo: II, 271 315 Propnano: II, 13, 141 ’ n’ j>15‘ Prosperino: I, 323. P»,«,oa,ci». di Tor.es: 1,50,134.137, Provenza: I, li, 48, 54 68 g3 299 32l’ 335 33J’ 195’ ^6’’286’ 287> IH 151, 164, 168, 225, 226, 232* 259' ^^ 276,286, 287, 32»; 337:5 lo I d’Angiò.1, 126’ 129’ 143 : V' Car‘ - ^scalco di: I, 318, 326, 346-348; l ’ ’ 212> 225-227, 259, 261, 262 264 267, 270, 271; v. Leto (de) Rai’ naldo. Puglia: II, 48, 122, 234, 238, 276, 339. 1 ugno Guglielmo, di Montaldo- I 149 Pullo: I, 323. Pusterla (da) Guglielmo: I 19 252 282. ’ ’ Guglielmo de Quinzano: I, 282. Putagio Rolando, di Parma: I 257 259 260. Quartana: I, 236. Quarto (de) Egidio: II, 295. - Guglielmo: I, 180. Rolando: I, 20. Quatuordecim Filippo: II, 261. Quiliano: II, 369. Quinto (de) Guglielmo: I, 24. — 447 — Quirino Giovanni: II, 241. - Jacopo: II, 220. - Marco: I, 57, 196. - Nicola: II, 174, 191, 195, 215. Raalvengo o Relvengo (di) Giordano, di Asti: I, 104, 116. Radulfus: I, 218. Raffo de Gualterio: v. Gualterio. Ragusa: I, 164, 182, 191, 201. Raimondo de Casali: v. Casali. Raimondo de Regna: v. Regna. Rainaldo de Leto: v. Leto. Rainaldo f. di Russo: I, 30. Rainerio de Montemagno: v. Montemagno. Rapallo: I, 256, 257, 284, 390; II, 62, 64, 72. Ratisbona: II, 239. Ravenna: I, 342. - arcivescovo: I, 192; v. Fieschi Bonifacio. Raynaldo (de) Ughetto: I, 391. Reai (di) Bertrand, castellano di Malta: I, 301. Recco, I, 89, 266, 375. - (da) Ottolino: II, 11. Reggio C., arcivescovo: II, 159. Reggio E.: I, 369. - (da) Pietro: I, 313. Région: II, 292. Regna (de) Raimondo, di Marsiglia: I, 139. Relvengo: v. Raalvengo. Renondola: II, 11. Revel Hugue: I, 76. Rezzo: I, 149. Riccardo di Comovaglia: I, 50, 51, 298. Riccardo canonico di Tiro: I, 170. Ricci Andriolo: II, 266. Ricio (de) Jacopo: I, 97. Rieti: I, 314, 315. Ripafratta: II, 66, 67. Ripalta: I, 320. Riparalo (de) Santo: II, 379. Rivemar (de) Ugolino: II, 298. Rivola (de) Alberto, di Bergamo: I, 97, 170. Robaldo arciv. di Torres: I, 50. Roberto re di Napoli: I, 10, 13; II, 367, 368, 377. Roberto de Laveno: v. Laveno. Roca de Valle: II, 16, 141. Rocca (de) Giovanni: I, 366, 372. Roccabruna: I, 130, 144, 145, 148, 151, 250, 326, 361, 367, 368; II, 48, 113, 114, 365. Rocchetta: I, 368; II, 260. Rodano: I, 90, 151, II, 166, 338. Rodello Guglielmo: II, 175, 176. Rodi: II, 358-360. Rodobio (de) Guidoto: I, 206, 251. Rodolfo I imp.: I, 299, 342, 351, 354, 355, 358, 365, 369, 370, 381, 396. Rodolfo vescovo di Forlì: I, 377-380. Rolando de Castellione: v. Castiglione. Rolando de Luca: v. Lucca. Rolando da Quarto: v. Quarto. Rollando (de) Giacomo, di Noli: I, 218. Roma: I, 52, 54, 59, 79, 143, 157, 171, 175, 284, 285, 288, 299, 314, 358, 360, 380, 395; II, 60, 80, 111, 136, 232, 256, 269, 286, 373, 377. Campidoglio: I, 360. Senatore di: v. Andalo (de) Branca- leone. Romagna: II, 136. conte di: I, 21. Romania: I, 104, 105, 107, 109-111, 125-142, 147, 153, 158, 161, 166, 168, 169, 188, 192, 194, 195, 203 , 204, 272, 293, 299, 343, 392, 393, 395; II, 17, 39, 58, 62, 177, 180, 181, 192, 216, 221 222 , 228, 241, 244, 288, 290, 291, 295, 329, 331, 338, 355-357. Romano (de) Ezzelino: I, 277. Ronco, monastero di S. Maria del Porale. II, 365. Rossiglione: I, 330, 332. Rosso Giacomo: II, 296, 297. — 448 - Giovanni, di S. Martino di Parava- /ottoUno:' II, 295, 296. Rainerio, da Lucca: I, 24, 81, 86, q7 145. Simone: I, 34; II, 363. Simone, de Fontanella: I, 265. Rovegno (de) Giovanni: I, 102, 291. Rufino de Ogerio: v. Ogeno. Î geri arcivescovo di Pisa: II, 97-100. Ruggero de Ancone: v. Ancone. Ruggero de Lauria: v. Launa. Russo: I, 30. Rustichino notaio veneziano: I, 292. Sabbioncello: II, 236-Sala (de) Orlando: II, 11. Saladino: I, 230. Salado cultellenus: II, 306. Salerno, principe di: v. Carlo II. Salinas: II, 180-Salonicco: I, 128. Despota di: II, Saluzzo, marchese di: I, 319, 352. _ Federico: II, 333. Giovanni: II, 364. . Manfredo: II, 285, 328-330, 332-334, 336, 337, 339, 344. Salvadori Guglielmo, di Marsiglia: I, 251. Saivago Antonio: II, 342. Salvatico Porchetto: II, 195. Sambuceto (de) Lamberto: II, 296, 297. Sampierdarena: I, 281; II, 24, 365. Samuele de Braxili: v. Braxili. Sancho, re di Castiglia: II, 50, 135. San Cristoforo: II, 347. S. Desiderio (de) Araldo: I, 295. S. Donato (de) Nicola: I, 141. Pasquale: II, 242. San Gimignano: I, 322, 351. - (da) Nicola: I, 119. S. Giorgio (di) Lanfranco: I, 293 , 294. S. Lorenzo (di) Bartolomeo: I, 293. S. Martino (pr. Pavia): I, 369. S. Pietro (de) Ayrimondo: I, 209. S"””: '■ >«■ *«. 171; II. 114-116, - ^palazzo dell’arciv. di Genova: II, SantAgnese (pr. Monaco): II, 258 259 S. Ambrogio (di) Guglielmo: I 292 - Oberto: I, 85. Vl6^1’ 30‘35’ 61'65’ 67’ 69'72’ 81 ^ Santo de Riparalo: v. Riparalo. Sanudo Marin: II, 60. Saorgio: I, 148, 326, 347, 368; II, n3 Saraceni: I, 10-12, 36, 48, 56, 70, 17o' !7B, 189, 198, 221, 233, 236, 277 295, 303, 308; II, 83, 105, 119, 124 125, 128, 130, 135, 170, 172, 281, 299 300, 357, 362. Saraceno Andriotto: II, 31, 3g 74 Saragozza: II, 336. Sardegna: I, 12, 25-35, 40, 49, 50, 61 63, 72, 101, 121, 137, 157, 205, 225 232, 233, 285, 345, 376; II, 9, 21, 26- 31, 35-40, 58, 63, 65, 72, 74, 77, 79, 88, 90-92, 95, 96, 139-141, 151, '165! 176, 177, 185, 186, 188-191, 198, 228, 246, 248-250, 254, 319, 334-336, m 344, 345, 353. Sardena Oberto: I, 318, 326. Sardo (?), patruus di Chiano da Massa- I, 33. Sarzana: I, 320, 322, 324, 325, 351- II 66. Saseno: I, 163; II, 229. Sassari: I, 71; II, 27, 29, 30, 35, 36, 40, 91-94, 96, 125, 140, 189, 190, 201, 248, 250, 338, 345, 353. Sassello: II, 348, 349. Sassetta (de) Siscinius (Signer de la Secte, Signeur de la Secrete): I, 142. Savignone: I, 89. visconti di: I, 89. - (de): II, 207. Enrico: II, 306. Giovanni: I, 325. Guglielmo: I, 395. Lanfranco: I, 180. - 449 - 29 Manfredo: II, 342. Manuel: II, 368. Nicola: I, 180. Oberto: I, 300. Savoia (di) Amedeo V: II, 117, 157 371 379. - Filippo, principe di Acaja: II, 332 333, 337, 339, 344. - Margherita, m. di Giovanni di Monferrato: II, 328, 329. - Tomaso: I, 51, 93, 397. Savona: I, 90, 181, 211, 212, 244, 249, 2/0, 327, 328; II, 79, 254, 317, 322,’ 323, 325, 368, 373. vescovo: I, 378. - (de) Musa: I, 23. Scarampi Guglielmo: I, 140, 251. Sciavo Domenico: II, 222, 236, 241. Scomisciane Marzuco giudice: I, 58 Scoto Ogerio: I, 29, 153, 154. Scrivia valle: I, 89, 155, 172, 173. Seborga: I, 146. Secte (de la) Signer, Secrete (de la) Si-gnour: v. Sassetta (de) Siscinius. Segno: I, 211. Selgiucidi : I, no. Serchio, valle del: II, 69. Sergio de Siginulfo: v. Siginulfo. Serra maior: I, 262, 321. Serravalle: II, 347. Sestri L.: I, 191, 286, 320, 321; II, 74 Sestri P.: I, 252; II, 350, 365. - monastero di S. Andrea: II, 349. Sette Pozzi: I, 132, 133. Settimo (pr. Pisa): II, 99. Sicilia, regno di Sicilia: I, 11, 12, 50-54, 101, 121, 126, 170, 172, 177-179, 18l] 182, 190, 195, 205, 206, 213, 215, 221, 224-226, 235, 278, 280, 290, 295, 301, 302^305, 307, 345, 347, 348, 362, 367, 388, 397; II, 9, 18, 45, 48-53, 55, 56, 58, 110-112, 119, 151, 158-160, 162- 166, 168-170, 179, 192, 195, 197, 199, 228, 229, 231-234, 240, 244, 254-259, 261-268, 271-274, 276, 281-286, 288, 300, 337, 339, 341, 377, 378. - re: II, 17, 233, 244; v. Carlo I; Federico; Giacomo; Guglielmo II; Pietro. Siena: I, 101, 222, 260, 322, 324, 351, ' 391; II, 62, 187. Sifredo di Portomaurizio: v. Portomau-rizio. Siginulfo (de) Sergio: II, 287. Signago (de) Giacomo: II, 296, 297. Signer de la Secte, Signour de la Secrete: v. Sassetta (de) Siscinius. Simeon Giacomo: II, 212, 314. Simeone de Padua: v. Padova. Simone: I, 251. Simone de Amelio: v. Amelio. Simone de Curia: v. Curia. Simone de Grumello: v. Grumello. Simone de Monleone: v. Monleone. Simone de Passano: v. Passano. Simone de Tors: v. Martino IV. Simone Draperio: v. Draperio. Siponto: I, 53, 54. Siracusa: I, 52-54, 176, 235, 286. Siria: I, 31, 40, 44, 46, 47, 49, 56, 57, 60-62, 64, 67, 69, 72, 77, 78, 101, 102, 121, 132, 134, 158-160, 162, 164, 172, 179, 180, 182, 188, 190, 195, 200, 215, 230, 234, 235, 292, 293, 296, 392; II, 18, 60, 81, 84, 119, 120, 122, 125, 131, 171, 172, 192, 299-301; v. anche Palestina; Terrasanta. Siscinius de Sassetta: v. Sassetta. Sismondi (de) Guinicello: II, 20, 21. Siviglia: I, 50. Smirne: I, 108; II, 290. Solari: II, 285, 286. Sommariva (de) Martino: I, 86. Sori (de) Castellino: II, 215. Sospello: I, 148. Spagna: I, 46, 178, 222, 282, 283, 295, 341-343, 357, 368, 397; II, 111. Spamavia (de) Henregutus: I, 68. Spilliati Tommaso: II, 67. Spinola: I, 9, 20, 91, 121, 155-157, 172, — 450 — jk 174, 212, 225, 259, 260, 273; II, 43, 75, 102, 106, 157, 203, 205-211, 226, 246, 253, 254, 256-258, 260-263, 267, 273, 282, 287, 300, 317, 318, 323, 327, 340-343, 347, 349, 365-369, 374-376, 380. di Luccoli: II, 318, 327, 346, 347, 350, 352, 365, 367. de Platea: 318, 336, 348. Albertaccio: II, 207. Alberto: II, 130, 131, 367. Andrea, di Luccoli: II, 365. Angelino: II, 257. Antonio: II, 329, 331, 359. Antonio frate: II, 348. Argentina, di Luccoli, f. di Opicino, m. di Teodoro di Monferrato: II, 332, 339, 344. Baldassarre: I, 290; II, 187, 207. Benedetto: II, 10. Bernabò, di Luccoli: II, 287, 357. Bich...: II, 161. Corrado, di Luccoli, f. di Oberto: I, 319, 329; II, 208, 211, 213, 257, 268, 303, 319. Corrado, di Luccoli, f. di Odoardo: II, 369. Daniele: II, 28. Enrico: I, 177; II, 226. Franceschino: II, 224. Gabriele (de Platea?): II, 342. Galeotto, di Luccoli: II, 323. Giovannino: II, 226. Guideto, de Platea: II, 342. Guido: I, 94, 131, 174, 359, 363; II, 154. Ingheto: I, 21, 118. Jacopo: I, 379; II, 224. Lanfranchino: II, 295. Lanfranco: II, 207, 266. Lanfranco Bixia: I, 82. Lanfranco Dugo: I, 127, 133, 139. Lombardo: II, 106, 176, 207. Manuel: II, 286. Nicola: II, 181, 206, 217-219, 257, 298. Nicola, f. di Nicola: II, 207. - Nicolino: I, 357; II, 19. - Nicoloso: II, 257, 287. Obertaccio: II, 187. Oberto (sec. XII): II, 207. Oberto, f. di Nicola: II, 207. Oberto, Capitano del Popolo: I, 155, 172-174, 187, 212, 213, 248, 256, 259, 260, 264, 267, 270, 288, 315, 318, 319, 324, 325, 381, 382, 387; II, 68, 72, 75, 76, 103, 107, 108, 112, 144, 153, 156, 161, 208, 217, 281, 344. Oberto, cugino del Capitano: I, 326, 328. Odoardo, di Luccoli: II, 341, 345, 347, 350, 366, 367, 369. Opicino, f. di Corrado, di Luccoli, Capitano del Popolo: II, 262, 287, 295, 318-352, 364-369, 372, 374, 375, 380. Ottobono, canonico di Chalons: II, 105. Porchetto, arcivescovo di Genova: II, 253, 256, 261, 262, 264, 268, 273, 283, 301, 310, 318, 341, 367, 380. Rainaldo, di Luccoli: II, 322, 323, 332, 342, 347, 350, 365-367. Rolando: II, 207. Samuele: I, 290. Sbaralia, f. di Corrado: II, 210. Spinolino: II, 84. - Tomaso: I, 173, 213, 272; II, 30- 32, 84-86, 120, 227, 228. Squarciafico Enrico: I, 290; II, 82, 215. Francesco: II, 56. Giovannino: II, 342. - Jacopo: I, 320. - Tomaso: I, 301. Stabile Ottaviano (o Octaviani) da Sestri: v. Octaviani. Staque Ugo: I, 209. Statario (de) Benvenuto: I, 253. Staufen: I, 11, 121, 175, 220, 281, 298, 305, 386, 396, 397; II, 6, 16, 49, 119, 281, 370. Stefano arciv. di Torres: I, 50. Stefano de Ursengo: v. Ursengo. -451 - Stella: I, 174, 286, 287; II, 349. Storlaco Filippo: I, 57. Stregliaporco Opicino, f. di Simone: I, 131. - Simone: I, 131. Stura valle: I, 330, 332. Sturla: II, 42. Suardi o Suardis (de) Lanfranco, di Bergamo: II, 155, 156, 160. - Marino: II, 325, 326. Superanzio Giovanni: II, 222. Tabacco Oberto: II, 312. Taggia, valle di Taggia: I, 149, 150; II, 336, 346. Tagliacozzo: I, 213 , 215, 224; II, 232. Tagliolo: I, 319, 329-332; II, 204, 205, 208. Taiono o Talione de Villa: v. Villa. Tanaro: I, 328. Taranto (di) Filippo: v. Angiò. Tarretii Guglielmo: I, 34. Tartari: I, 200, 221, 281, 393; II, 357. - khan: v. Ghazan; Gengis; Toktai. Tartaro Angelo: II, 342. Daniele: II, 342. - Guglielmino: I, 249. - Lanfranco: I, 293. - Simone, giudice: I, 23, 246. Tassatolo: II, 205. Taulis, castello: II, 16. Tauri Simone, di Pisa: I, 335. Tavano Giovanni: II, 187. Tealdo de Mediolano: v. Milano. Tedisio: II, 152. Templari: I, 48, 69, 74, 159, 197; II, 86, 177, 299. - commendatore in Acri: II, 85. - Gran Maestro: I, 46, 73; II, 85, 86, 122, 123, 199; v. Molay (de) Jacopo. Tenda, passo di Tenda: I, 347, 368; II, 114, 294. Tenedo: II, 294. Teobaldo vescovo di Liittich: II, 379. Teodoro Lascaris imp.: I, 129. Terra di Lavoro: I, 221. Terrasanta, Luoghi Santi: I, 11, 56, 62, 64, 67, 68, 70, 170, 195, 196, 230, 307; II, 118-120, 159, 170-172, 194, 298- 301, 358; v. anche Palestina; Siria. Teutonici, cavalieri: I, 46, 48. commendatore: I, 102. Gran Maestro: I, 46; II, 122, 123. Thasos: II, 355. Thomas Guglielmo: I, 139. Tiepolo Giacomo: II, 215. Lorenzo, f. di Giacomo: I, 40-42, 45, 47, 74, 128. - Michele: I, 388-390. Tineh: II, 130. Tiro: I, 44, 45, 48, 72-77, 102, 158-162, 165, 166, 179, 180, 198, 199, 201, 292, 293, 311, 391, 393; II, 85, 86, 126, 127, 170. arcivescovo: I, 37; II, 215; v. Egidio. canonico di: v. Riccardo. - signore di: I, 74, 200, 305, 310, 390, 391; II, 298; v. Amaury; Montfort (di) Filippo. Toirano (di) Oliverio: I, 288. Toktai khan dei Tartari: II, 357. Tolarium: v. Capo Cornino. Tolleto (de) Giovanni, cardinale: I, 59. Tolone: I, 218; II, 270. Tomaso de Domoculta: v. Domoculta. Tomaso de Marsilia: v. Marsiglia. Tomaso maestro: I, 292. Tomaso vescovo di Betlemme: I, 79, 102, 103. Torino: I, 51, 93, 369. Tornaquinci (de) Ruggero: II, 69. Tornello Simone: I, 245. Torre (della),- Torriani: I, 21, 282, 352, 354, 368, 371, 397; II, 117, 118, 243, 334, 344. Filippo: I, 17-19, 21. Francesco: I, 254. Guglielmo: I, 257, 325. Martino: I, 21. - Napo: I, 354. - 452 - Raimondo, vescovo di Como: I, 354. Torres: H, l90' arcivescovo: II, 29, 336; v. Prospe-' r0. Robaldo; Stefano. Giudicato: I, 205; II, 27-30, 36, 72, 90 92-95, 189, 248-250, 353. Giudice: II, 319; v. Barisone; Ma- Torsade) Simone: v. Martino IV. Torsello Enrico: I, 367. ona: I, 98, 155, 282, 330, 339, 340, 368-370, 381; II, 157, 247, 365, 373. vescovo: II, 364, 365. Tortosa di Siria: II, 300, 301. Tortosa di Spagna: II, 54. Toscana: 1,28,54,87, 101,175, 194,222, 299 303 316, 320-322, 324, 333 , 334, 358’ 370, 396; II, 17, 18, 45, 51, 61-65, 71, 73, 75, 76, 79, 81, 88, 94, 101 105, IH, 116- l36440- i45> 146, 148’, 149, 151, 185, 187, 188, 347, 368, 377- Vicario regio: I, 315, 346, 350. Toucy (de) Filippo: I, 348. _ Narjaud: II, 120. Tours, arcivescovo: I, 150. Tours sur Marne: I, 307. Tracia: I, 137; II, 294, 330. Trani: I, 53, 54. diocesi: II, 105. Trapani: I, 52, 182, 183, 186, 189, 278, 279, 317, 345; H, 9, 47, 50, 51, 60, 272. Travacha Isnardo: I, 130. Trebbia: I, 375, 376. Trebiano: I, 26, 321, 322, 325, 326. - signori di: I, 325. Trebisonda: I, 106, 393; II, 175. sovrano di: II, 357. Tremesem, signore di: v. Gamarese. Treviri, arcivescovo: v. Balduino. Trevisano Enrico: I, 169. Treviso: I, 162. Trino: II, 328. Triora: I, 83, 150; II, 365. Tripoli di Siria: I 46- tt 140, 171, 299-301. ’ ’ 118131* ~ nuova di Siria: II, 300 Principe di; I, 199, n mondo VI e VII; Luciana Iroyes: I, 249, 292 I, 34, 181, 213, 231 234 257, 277, 278, 280, 291; II, 37 53’ ’ ln> 159, 175, 217, 229. ’ ’ ‘ 235,211'278,303,319> n. Turbie: I, 151; II, 258-261. Turca ^della) Mirialdo, f. di Rosso: I, - Rosso: I, 49, 72, 74, 75, 80, 97. Turcheto: I, 97. Turchi: II, 288, 290, 294, 301, 330 356 358, 359, 364. ’ ’ Turricella (de) Menabò: I, 37, 244- JJ Tuscolo, vescovo: v. Berengario; Castro Rodulphi (de) Odo. Ubaldo Gossulini: v. Gossulini. Uberto cardinale: I, 342. Uberto d’Avignilo: v. Avignilo. Ughetto de Raynaldo: v. Raynaldo. Ugo re di Cipro, f. di Placenzia: I 46 47, 391. Ugolini Giovanni giudice: I, 100 246 359. Ugolino de Rivemar: v. Rivemar. Ugolino (de) Pietro: II, 195. Urbano II: I, 295. Urbano III: II, 120. Urbano IV: I, 102, 106, 112, 113, 121, 125, 126, 131, 133-136, 138, 141-143, 153, 155, 157, 170; II, 28. Urbe, castello: II, 249. Ursengo (de) Stefano: I, 285. Ursis (de) Guglielmo: II, 324. Usbech: I, 393. Uscio: I, 266. - 453 - Usecium: I, 332. Usodimare: II, 207. - Tartaro: I, 391. Vacca Archerio: I, 318, 325, 382. - Ogerio: I, 185. Vada (pr. Pisa): II, 149. Vado L.: I, 211, 212, 282. Valenza: I, 369. Valois (di) Carlo: II, 46, 55, 284, 288, 291, 338, 356. Vara, vai di: I, 320-322. Varese L.: II, 205. - (de) Pietro: I, 265. Varazze: I, 286, 372; II, 41, 79. - (da) Jacopo, arcivescovo di Genova: II, 105, 112, 157, 195, 200, 234, 252. Vassallino de Campis: v. Campis. Vassallo Arduino: v. Arduino. Vatado imp.: I, 167. Vendereto (de) Oberto: II, 12. Venetico Petrino: I, 33. Venezia: I, 12, 13, 20, 31, 3649, 51, 54,-63, 64-66, 68-70, 73-79, 99, 102-108, 110-114, 121, 125-130, 132-139, 142, 150, 153, 155, 158-171, 176, 177, 179-204, 208, 210, 213-215, 219, 220, 225, 227-230, 242, 244, 250, 278, 280, 291-297, 303, 305-312. 316, 352, 369, 385, 388-393, 395, 396, 398; II, 5, 17, 18, 24, 35, 36, 39, 46, 49, 50-52, 58-61, 80-82, 85-87, 111, 112, 120, 123, 125, 127, 128, 130, 169-185, 188, 191-199, 201, 202, 206-209, 213, 215-224, 227-229, 232, 234-248 , 250-252, 258, 259, 269, 281, 282, 284, 288, 289, 295, 298, 302, 309, 338, 356, 360, 362, 371, 373, 380. Ventimiglia: I, 82, 83, 90, 140, 145, 149, 151, 232, 256-258, 263, 274, 288, 326, 337, 347, 361; II, 113, 166, 259, 347, 364, 373. castello Apii: I, 82; II, 347. - castello Colle: I, 82. castello Roche: I, 249. conte, conti di: I, 111, 144, 224, 247, 318, 359; II, 113, 114. Aldoino, comes Iscle maioris: II. Bonifacio, f. di Manuel: I, 144, 146. Bonifacio, f. di Oberto: I, 144, 148-150, 152. - Enrichetto: I, 224, 318, 329, 361. Enrico: I, 129. Enrico comes Isole maioris et Gi-racii: II, 273. Giorgio, f. di Manuel: I, 144-146, 148, 152. - Giovanni, f. di Guglielmo Peire: II, 113-115. Giovannina, f. di Manuel: I, 146. Guglielmino, f. di Guglielmo II: I, 144, 145, 147, 148, 151. Guglielmo I: I, 129, 144. Guglielmo II, f. di Guglielmo I: I, 144, 145. Guglielmo Peire, f. di Guglielmo II: I, 129, 144, 145, 147, 152, 281, 347, 361, 367, 368; II, 113. Guido Guerra: I, 148. Jacopo, f. di Guglielmo Peire: II, 113. - Manuel, f. di Bonifacio: I, 144, 148. Manuel, f. di Guglielmo I: I, 144- 146. Oberto, f. di Guglielmo: I, 144, 147, 149, 150. Pietro: I, 148. Pietro Balbo, f. di Guglielmo II: I, 144, 145. Veirana, f. di Oberto, m. di Pagano di Ceva: I, 144, 149. Vento: I, 146. Guglielmo: I, 146, 151, 288, 318. Jacopo: I, 252. Lanfranco: I, 89. - Ottone: I, 127, 128, 140. - Ugo: I, 32, 33. Vercelli: I, 282, 351, 369, 370; II, 157, 243, 369. (de) Giovanni: I, 397. - 454 - Vernante: I, 368. Verona: I, 19, 205, 351, 369, 370; II, 247. Veronica: v. Meloria. Vesigna: I, 326. Vezzano: I, 26, 321, 324, 326, 351, 372, 375. - signori di: I, 372, (da) Gualtieri, arcivescovo di Genova: I, 356. Viareggio: II, 66, 67. Vignale: II, 333, 337, 339, 344. Vignie Neuve (pr. Acri): I, 72, 74. Vignoli (de) Vignolo: II, 359. Villa (de) Talione o Taiono: II, 155, 197. Villafranca (de) Marco: I, 154. Villa Radulfi: I, 149. Villaret (de) Fulco, Gran Maestro dei Giovanniti: II, 359, 360. Villehardouin, principi di Acaja e di Morea: I, 105, 142. - (di) Guglielmo: I, 106, 108, 110, 127, 129; 131, 132, 134, 136, 138, 141. Vinciguerra (de) Pagano, di Sestri L.: II, 224. Visconte Desiderato: I, 146. Guglielmo: I, 106. Visconti di Milano: I, 371; II, 118, 157, 242, 243, 343. Galeazzo: II, 336. - Matteo: II, 157, 242, 243, 245, 246, 285. Ottone, arcivescovo di Milano: I, 368; II, 116. - di Pisa: 27, II, 249, 334, 335. Giovanna, f. di Nino: II, 336, 345. Giovanni, Giudice di Gallura: I, 35, 71. Nino o Ugolino: II, 26, 27, 63, 88, 89, 91, 95, 97-101, 147, 148, 190, 336. Vitale Eliodoro: I, 201, 202. Viterbo: I, 58, 60, 62, 70, 79, 192. Vivaldi Bonifacio: I, 289. Guglielmo: I, 91. Volastra: I, 323. Volta (della): II, 54, 207. Antonio: II, 313. Bonifacio: I, 119. Caccianemico: II, 124, 125. - Filippo: II, 107, 161, 204, 205. Giacomo: I, 145. - Ingo: II, 309. Obertino: II, 54. Oberto: II, 161. Ottobono: II, 357. Raimondo: I, 115. Rubea, f. di Filippo, m. di Rolando Spinola: II, 207. Verde, madre di Antonio: II, 313. Voltaggio: I, 329, 369; II, 367. (de) Bertolino: II, 308, 309. Napoleone: I, 131. Voi tri: I, 319, 329, 330; II, 349. Vulcano (Bolcan, Bolcanum, Borchanum): I, 182. Wettin (di) Federico: I, 281, 351. Ybelin (d’) Filippo: II, 177, 363. Giovanni, sig. di Arsuf o Arsur: I, 41, 42, 46, 47. Giovanni, conte di Giaffa: I, 46, 73. Zaccaria: II, 54, 207, 301. Benedetto: I, 168, 397; II, 40, 41, 43, 54, 60, 80?83, 119-131, 135, 171, 173, 222, 300, 301, 323, 355. Emanuele o Manuel: I, 393, 395; II, 122, 172, 196, 213, 222, 301, 308. Nicolino: II, 82. Simone: I, 257. - Tedisio: II, 301, 355, 364. - 455 - Zanche Michele: II, 319. Zane Cattarino: II, 182. Zara: I, 79, 181. Zaritea: v. Claritea. Zeno o Geno Andrea: I, 48, 57, 74; II, 60, 81, 82. Marco: I, 187, 190. Giovanni: II, 215. - Pietro: I, 194, 292; II, 174. Raniero: I, 193. Zierikzee, canale di: II, 302. Zignago: I, 262, 321; II, 347. Zorzi Bartolomeo: I, 188, 189, 228. Zulliano Giovanni: I, 127. Zurlo Giacomo: I, 34. Giovanni: II, 174. - 456 - Indice del secondo Prefazione m- 5 LIBRO QUARTO La guerra contro Pisa 7 I Lo scoppio della guerra con Pisa 9 II Gli avvenimenti di guerra del 1283 26 III La battaglia decisiva della Meloria 38 IV La posizione di Genova nella lotta fra Pietro d’Aragona e Carlo d’Angiò 47 V L’alleanza di Genova con i Guelfi toscani 58 VI La continuazione della guerra con Pisa 72 VII La pace con Pisa del 1288 88 VIII La sollevazione contro i Capitani nel 1289 102 IX Benedetto Zaccaria e la caduta di Tripoli 119 LIBRO QUINTO La guerra con Venezia ed il secondo doppio capitanato 133 I II nuovo scoppio della guerra con Pisa 135 II La fine del primo doppio capitanato 153 III Lo scoppio della guerra con Venezia 170 IV La grande flotta dell’anno 1295 185 V II secondo doppio capitanato 200 VI La guerra con Venezia e l’insediamento dei Guelfi a Monaco 215 VII Corrado Doria ammiraglio di Sicilia e battaglia di Curzola 230 VIII La pace con Venezia e Pisa 242 IX La pace con Carlo II ed i Guelfi 252 LIBRO TERZO ? terzo doppio capitanato e sua caduta 279 I Gli anni di pace 1301-1305 281 II Il terzo doppio capitanato 303 III Opicino Spinola e Teodoro Paleologo, marchese di Monferrato 328 IV La signoria di Opicino Spinola e sua caduta 341 V Le relazioni esterne di Genova ed il governo 'gubernatorum’ 353 VI La trasmissione della signoria ad Enrico VII 370 Appendici Indice bibliografico Indice dei nomi di persona e di luogo 383 403 SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA FONDATA NEL 1858 ATTI I. 3 - A. Olivieri, Serie de Consoli della Rep. di Genova (1860; pp. 470) . . . L. 5.000 I, 4 ■ Rendiconto dei lavori fatti dalla Società degli anni 1858-61.....» 500 II, parte II, 1, 2 - L. T. Belgrano, Registro d. Curia Arciv., e Ìndice cronol. (1862; PP- 550 .................» 10.000 VII, I, 3; II, 1 e 2 - A. Vigna, Codice diplom. delle Colonie Tauro-Liguri... Polo anni 1469-1475. Supplementi, Studi conclusivi, Indici (1874-1881; pp. 1348): Tre Voli, inseparabili..............» 20.000 XIII, 4 - A. Cerutti, Gabriele Saivago, patrizio genovese (1880; pp. 205) . . . . » 10.000 XVI, Appendice - Ìndice analitico voli. I-XVI (1885)........» 500 XX, 2 - A. Vigna, Farmacia, biblioteca e archivio di S. M. di Castello (1896; pp. 320) » 5.000 XXIV, 2 - G. Pélissier, Documents pour l’hist. de la domination franc. \a Gênes; - M. Rosi, La riforma religiosa in Lig. etc. (1894; pp. 490).....» 20.000 XXV, 2 - M. Rosi, Il Barro di P. Foglietta; A. Neri, Una poesia storica (1894; pp. 380) .................» 10.000 XXXI, 2 - A. Ferretto, Codice Diplom. relaz. Lig.-Toscana 1275-1281 (1901; pp. 618) » 20.000 XXXII - E. Marengo, Genova e Tunisi (1901; pp. 314)........» 15.000 XXXIII - F. Podestà, Il Colle di S. Andrea (1901; pp. 290)......» 20.000 XXXVI - A. Ferretto, Liber Magistri Salmonis (1906; pp. 728).....» 20.000 XLII - F. L. Mannucci, Vita e opere di Agostino Mascardi (1908; pp. 538) . . » 10.000 XLV - F. Poggi, Lettere di Carlo Ottone (1913; pp. 296) , . , . . . . » 5.000 XLVI, 1 - F. Poggi, Relazioni, Catalogo Mostra Colonie genov. (1918; pp. 254) . . » 5.000 XLVI, 2 - E. Marengo, Alfonso II del Carretto e la Rep. di Genova (1915; pp. 188) » 5.000 XLIX, 1 - F. Poggi, Necrologie (1919 e 1922; pp. 320)........» 4.000 L - F. Poggi, Lettere di Carlo Ottone... (1922; pp. 344).......» 15.000 LI - F. Sforza, Ennio Quirino Visconti (1923; pp. 236).......» 20.000 LIV, 1 - L. Volpicella, La questione di Pietrasanta (1926; pp. 184) . . . . » 3.000 LIV, 2 - Angeli e Bensa, Statuti di Carrara e Orno (1929; pp. 232).....» 5.000 LIV, 3 - F. Poggi, Le guerre civili di Genova (1930; pp. 176)......» 5.000 LVI - E. Skrzinska, Iscriz. genov. in Crimea; E. Rossi, Lapidi genov. di Galata (1928; pp. 220 e molte tav.)............» 2.500 LVII - F. Poggi, La Società Ligure di St. P. dal 1917 al 1929 (1930; pp. 340) . . » 3.000 LVIII - P. Nurra, Memorie per la st. di Genova, di Gir. Serra (1930; pp. 246) . . » 2.000 LIX - V. Vitale, Onofrio Scassi e la vita genov. del suo tempo (1932; pp. 400) . . » 20.000 LX, 1 - R. Piattoli, Lettere di Pietro Benintendi, mercante del '300 (1932; pp. 176) » 3.000 LX, 2 - G. Pappaianni, Massa e il suo Archivio di Stato (1934; pp. 112) . . . » 3.000 LXI - Miscellanea storica (V. Vitale, G. Salvi, 0. Pastine (1933; pp. 456) . . » 5.000 LXII - P. Nurra, La coalizione europea contro la Rep. di Genova (1933; pp. 296) » 8.000 LXIII - V. Vitale, Consoli e Diplomatici della Rep. di G. (1934; pp. 356) . . » 10.000 LXIV - Miscellanea storica (Scritti di C. Bruzzo, C. Jona, A. Canepa, R. Lopez. R. Di Tucci, E. Pandiani, V. Vitale, R. Ciasca (1935; pp. 640) . . . » 8.000 LXV e LXVIII, 2 - V. Vitale, Docc. sul Castello di Bonifacio (1936 e 1940; pp. 416 + 40)................»> 8.000 LXVI - G. Salvi, Galeotto del Carretto March, di Finale (1937; pp. 340) . . . » 5.000 LXVII - Miscellanea storica (Scritti di 0. Pastine, C. Bruzzo, S. Rebaudi, A. Riggio) (1938; pp. 352).............» 7.000 LXVIII, 1 - D. Cambiaso, Sinodi genovesi antichi (1939; pp. 96) . . . . < » 3.000 LXIX - E. Dalleggio DAlessio, Le pietre sepolcrali dell Arab Giamì (1942; pp. 172 e molte illustrazioni)..............» 3.000 LXX - L. Tria, La schiavitù in Liguria (1947; pp. 272)........» 5.000 LXXI - Monografie (Scritti di V. Vitale, A. Riggio, R. Di Tucci, D. Cambiaso, P. Revelli) (1948; pp. 156).............L. 3.000 LXXII, 1 - V. Vitale, Vita e commercio nei Notai genovesi (1949; pp. 104) . . ■ » 3.000 LXXII, 2 - G. Costamagna, Note tackigraficbe... (1950; pp. 24 e 2 taw.) . • » 1.000 LXXII, 3 - G. Oreste, Genova e A. Doria nel conflitto franco-asburgico (1950; pp. 72)..................» 3.000 LXXIII - O. Pastine, Genova e l’impero Ottomaso (1952; pp. 188) . • • • » 3.500 LXXIV, 1 - V. Vitale, Testimonianze di A. Virgilio e R. S. Lopez; Bibliografia critica di T. O. De Negri (1957; pp. 76).........» 1500 LXXIV, 2 - Indice alfabetico per autori dei volumi I -LXXIV degli Atti (1970; pp. 20) » 500 SERIE DEL RISORGIMENTO III - A. Codignola, I Fratelli Ruffini, Lettere alla Madre (vol. II, pp. CXXIX-333) L. 2.000 IV - E. Guglielmino, Genova dal 1814 al 1849 (1940; pp. 272).....» 2.000 V - N. Calvini, Il P. Martino Natali giansenista ligure (1950; pp. 180) . . . • » 2.000 NOTAI LIGURI DEI SECOLI XII E XIII M. Moresco e G. P. Bognetti, Per l’edizione dei Notai liguri... (1938; pp. VIII-144) I j Chiaudano-Morozzo, Oberto Scriba de Mercato 1190 (1938; pp. XII-324) II - Hall-Krueger-Reynolds, Guglielmo Cassinese (1938; pp. XX-436, 396) III - Eierman-Krueger-Reynolds, Bonvillano (1939; pp. XII-160) IV - Chiaudano, Oberto Scriba de Mercato 1186 (1940; pp. VIII-160) V - Hall-Krueger-Reinert-Reynolds, Giovanni di Guiberto (1939-1940; pp. XVI- -544, 624) Introduz. e primi 5 voli, non si vendono separatamente dall’intera collezione. VI - Krueger-Reynolds, Lanfranco (1951-53; pp. XVI-404, 368, 104 . . . • » 20.000 VII - G. Pistarino, Le carte portoveneresi di Tealdo de Sigestro (1958; pp. 129) » 3.000 Vili - G. Costamagna, La triplice redazione dell’instrumentum genov. (1961; pp. 79) » 3.000 IX - D. Puncuh, Il cartulario del notaio Martino, Savona, 1203-1206 (1974; pp. 532) » 15.000 — L’intera collezione: Introduzione e 9 voli, in 13 tomi.......» 100.000 FUORI COLLEZIONE O. Grosso - G. Pessagno, Il Palazzo del Comune, 1933, pp. 156, 20 taw. , . . L. 6.000 A. Codignola, Mazzini alla ricerca di una fede ed il dramma dei Ruffini . . . » 1.000 Scritti editi e inediti di G. Mameli a cura di A. G. Barrili, Genova 1902, pp. 527 » 1.500 V. Vitale, L’insurrezione genovese del 1746 nella recente storiografia (1946, Ist. per la storia di Genova, pp. 47).............» LOOO V. Vitale, I dispacci dei diplomatici genovesi a Parigi {1787-93), estratto da Miscellanea di storia italiana, LV, Torino, 1935, pp. 680 j......» 2.500 C. Imperiale di Sant’Angelo, Genova e le sue relazioni con Federico II di Svevia, Venezia, 1923, pp. 211..............» 2.000 Direttore responsabile: DINO PÜNCUH, Segretario deUa Società Autorizzazione del Tribunale di Genova N. 610 in data 19 Luglio 1963 Tipografia Ferrari-Occella - Alessandria