ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Nuova Serie - Vol. XIV (LXXXVIII) GEORG CARO GENOVA E LA SUPREMAZIA SUL MEDITERRANEO (1257 - 1311) GENOVA - MCMLXXIV NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VIA ALBARO, 11 ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Nuova Serie - Vol. XIV (LXXXVIII) GEORG CARO GENOVA E LA SUPREMAZIA SUL MEDITERRANEO (1257 - 1311) Vol. I GENOVA - MCMLXXIV NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VIA ALBARO, 11 Premessa all’ edizione italiana Georg Caro nacque a Glogau in Prussia (oggi Glogow in Polonia) il 28 novembre 1867. Dopo aver compiuto gli studi inferiori e medi nella sua terra natale, completò la sua formazione scientifica nelle università tedesche di Friburgo, Monaco e Berlino, conseguendo infine, nel 1891, il dottorato nella Wilhelm-Universitat di Strasburgo. Alternando agli studi lunghi soggiorni in Italia, soprattutto a Genova, il Caro aveva raccolto un vastissimo materiale documentario, in gran parte inedito, che costituirà la base dei suoi studi giovanili, indirizzati prevalentemente alla storia dell’Italia settentrionale e di Genova in particolare. Agli studi italiani era stato forse indirizzato dal suo maestro, il Bresslau, al quale è dedicata la dissertazione di dottorato, Die Verfassung Genuas zur Zeit des Podestats, Strasburgo 1891 ', un ampio studio sull’ordinamento comunale in età podestarile. Se quest’opera era valsa al Caro il dottorato, il primo volume di Genua und die Màchte atti Mittelmeer, del 1895, oltre ad altri scritti minori di storia italiana e genovese2, dovettero segnalare il suo autore, ostacolato, sembra, nella sua carriera univer- * Sul Caro v. le rispettive voci in The Jewish Encyclopedia, III, New York 1903; Jiidisches Lexicon, I, Berlino 1927; Encyclopedia Judaica, V, Berlino 1930; Encyclopedia Judaica, V, Gerusalemme 1971; Georg Caro, 28 nov. 1867-16 Jan. 1912, Ein Gedenkblatt (articoli e discorsi di A. Meyer, G. Meyer von Knonau, K. Meyer, A. Stern); F. Poggi, Giorgio Caro, in « Atti della Soc. Lig. di St. Patria », XLIX, 1, 1919, pp. 189-190. 1 Anche Studien zur Geschichte von Genua. I. Die Verfassung Genuas zur Zeit des Podestats (1190-1257), Strasburgo 1891. 2 Ein Appellation Albenga’s an den Kaiser von 1226, in « Neues Archiv », XX, 1894; Ein Untergeschobener Schiedsspruch von 1231. Beitrag zur Kritik der Annales Ja-nuenses, ibid., XXII, 1896; Eine Episode aus der Geschichte des zweiten Lombarden-bundes, in « Mitteilungen des Instituts fiir oesterreichische Geschichtsforschung », XVII, 1896; Amtsachten der kaiserlichen Podestà von Savona aus dem Jahre 1250, in — V — sitaria dalle origini ebraiche, presso l’Università di Zurigo, dove egli giunse nel 1896 in qualità di « Privatdozent » e dove rimase con tale qualifica fino al 16 gennaio 1912, allorché lo colse la morte immatura. Collaboratore delle principali riviste storiche in lingua tedesca, il Caro si dedicò in questi anni zurighesi ad un vasto disegno inteso a realizzare una storia economico-costituzionale del medioevo tedesco, per la quale, in due serie di articoli raccolti in volumi nel 1905 e nel 1911 3 aveva già avviato i necessari studi preparatori. Ma il breve corso della sua esistenza gli impedì il disegno, come pure quello di affrontare una storia economico-sociale degli Ebrei, della quale pubblicò il solo primo volume, mentre il secondo, a cura della moglie, uscì otto anni dopo la sua scomparsa4. L’opera principale dello storico slesiano, Genua und die Màchte am Mittelmeer, per quanto della fine del secolo scorso, non ha perso affatto di attualità, essendo rimasta fino ad oggi un classico della nostra storiografia, l’unica storia particolareggiata del periodo della massima espansione genovese, condotta con rigoroso metodo critico su una grande massa di fonti documentarie e storiografiche non esclusivamente liguri; un lavoro, quindi, che si inserisce degnamente nella vastissima produzione erudita di lingua germanica che nel secolo scorso tanti contributi fondamentali ed insostituibili apportò alla storiografia italiana. E’ pur vero che buona parte di queste opere è rimasta priva di una « Neues Archiv », XXIII, 1897; Zur Chronologie des drei letzten Bûcher des Pachy-meres, in « Byzantinische Zeitschrift », VI, 1897; Zum zweiten Kreuzzug Ludwigs IX. von Frankreich, in « Historische Vierteljahrschrift », I, 1899; Zur Kritik der Annales Januenses. II. Die doppelt Rédaction des Berichts iiber die genuesische Expédition nach Corsica im ]ahre 1289, in « Neues Archiv », XXVI, 1900; Ein Reichsadmi-ral des XIII. Jabrbundert, in « Mitteilungen des Instituts für oesterreichische Ge-schichtsforschung », XXIII, 1902; Ein Basler Kaufmann in Genua 1216, in « Anzeiger für Schweizerische Geschichte », 1903; Kleine Mitteilungen zur Signorie Heinrichs VII. in Genua, in « Historische Vierteljahrschrift », XI, 1908; Zur Geschichte der Grun-dherrschaft in Oberitalien, in « Abdruck aus den Jahrbüchern für Nationalokono mie und Statistik », XXXVI, 1908 (ristampato in Neue Beitrage; cfr. n. 3). 3 Beitrage zur àlteren deutschen Wirtschafts und Verfassungsgeschichte, Lipsia 1905; Neue Beitrage..., Lipsia 1911; Zur Ministerialenfrage, in « Nova Turicensia », 1911. 4 Sozial-und Wirtschaftsgeschichte der Juden im Mittelalter und der Neuzeit, I, Lipsia 1908 (II ed. 1924); II, Francoforte sul Meno 1920 (a cura di Emmi Caro). — VI — edizione italiana, indispensabile per renderle accessibili ad un più vasto pubblico di lettori; tra esse i volumi del Caro, la cui espressione tedesca lascia spesso a desiderare 5, sono rimasti come punto di riferimento obbligato per i soli specialisti. Così, a causa della ristretta circolazione dell’o-pera, i grandi temi giuridico-costituzionali del periodo del Comune del Popolo a Genova, di cui il Caro, per primo, aveva avvertito la concreta realtà, sono rimasti in sottordine o non chiariti come avrebbero meritato. Il rapporto tra il Comune ed il Populus, i due separati ordinamenti che, l’uno e l’altro, pretendevano di esercitare la sovranità sul territorio genovese in quell’epoca tumultuosa, pur dopo che il Caro lo aveva evidenziato attraverso una scrupolosa indagine delle fonti, finì per essere frainteso nella sua sola apparenza di contrasto di fazioni, secondo una tesi cara alla storiografia genovese. Lo stesso Abbas, che l’autore aveva inceccepibilmente identificato nel capo dell’ordinamento popolare, cui spettava la coreggenza dello stato insieme al Podestà, è rimasta tuttora una figura nebulosa, al punto che l’evoluzione dei rapporti tra i due ordinamenti, che trovava la sua conclusione nel momento in cui l’Abbas da capo dell’ordinamento Populus si trasformava in Dux Ianue, non ha ancora avuto il necessario approfondimento da parte della storiografia locale. Intendiamoci, non chiediamo sempre al Caro risposte inequivocabili e limpide: fin dall’apparire del primo volume un grande storico rilevava già nel titolo i limiti equivoci del lavoro6; partito da interessi giuridico-istituzionali, già evidenziati precedentemente in Die Verfassung Genuas e ribaditi attraverso la scelta dell’ambito cronologico del nuovo lavoro, dal primo capitanato di Guglielmo Boccanegra (1257) al passaggio di Genova alla signoria di Enrico VII (1311), nella scelta stessa del titolo il Caro centrava il suo interesse prevalente sul Mediterraneo, sui grandi contrasti d’Oriente (Palestina, Cipro, Mar Nero) e d’Occidente (Corsica, Sardegna), 5 Già V. Schaube, recensendo il primo volume del Caro (in « Gottingischen gelehrten Anzeigen », 1898, pp. 753-761) aveva lamentato il cattivo uso che l’autore aveva fatto della « Muttersprache », senza chiedersi tuttavia, come facciamo noi, quale potesse essere veramente la lingua madre di un ebreo nato in Slesia, in uno di quei territori cioè, ai quali la sorte ha assegnato il doloroso destino di mutare continua-mente bandiera. 6 V. Schaube cit., p. 753. — VII — culminati nelle giornate della Meloria e di Curzola, finendo per riproporre quasi due storie parallele che solo raramente, e non senza forzature, s’incontrano e si fondono. La minuzia di certi particolari7, nella quale si stempera spesso il discorso storico, la verifica puntigliosa delle fonti, dei nomi dei personaggi incontrati e le lunghe, e non sempre convincenti, discussioni sulle indicazioni cronologiche offerte dai documenti8 finiscono per appesantire, con un apparato di note veramente eccezionale, la lettura, soprattutto del primo volume. La storia si fa cronaca giornaliera di fatti9, nella quale vivono e si muovono moltissimi personaggi10, spesso illuminati, attraverso la documentazione e l’angolo visuale genovesi, da una nuova luce 1 . Sono pagine di accertamento, di critica, di indagine acuta e diligente, inquadrate sempre nei grandi temi dominanti dell’epoca: gli sforzi della Chiesa per la salvezza dell’Oriente cristiano; la penetrazione angioina in Italia; gli equilibri difficili di Genova nell’ambito dei grandi interessi di Papato e Impero, prima, delle grandi monarchie nazionali poi; le lotte secolari con Pisa e con Venezia. E proprio qui sta forse il maggior pregio del Caro rispetto agli storici che lo avevano preceduto, Serra e Canale: aver sollevato la storia ligure ad un livello veramente europeo, aver inserito validamente il Genovese nella più vasta cittadinanza mediterranea, già illustrata da Heyd. Genovesi e Veneziani diventano così i protagonisti di una grande storia mediterra- 7 Pensiamo in particolar modo all’ingenuità di tradurre quasi alla lettera (cfr. vol. II, p. 372) il testo del giuramento di Genova ad Enrico VII, che non si discosta per niente dal formulario tipico di un giuramento di fedeltà medievale. 8 V. Schaube cit., p. 755. Cfr. in particolar modo vol. I, p. 38, n. 10, dove il Caro afferma che l’anno pasquale ha inizio il 24 marzo, facendo così sorgere il dubbio di una possibile confusione con lo stile dell’incarnazione. 9 A titolo di esempio valga il cap. IV del libro primo, dove vengono minuziosamente riferiti tutti i particolari, anche quelli più insignificanti, delle trattative alla Curia papale di Viterbo. 10 Alcuni dei quali, come Benedetto Zaccaria (sul quale cfr. R. Lopez, Genova marinara nel Duecento. Benedetto Zaccaria, Milano 1933) trovano qui pagine particolarmente stimolanti. 11 Si vedano in particolare le osservazioni sulla politica « genovese » di Bonifacio Vili ed i retroscena sulla caduta del conte Ugolino. — Vili — nea, con i loro pregi e difetti12, analizzati talvolta nella loro psicologia, non senza qualche giudizio vagamente moralistico 13 che tuttavia affonda validamente le sue radici in un più vasto e robusto discorso storico. Per questo il Caro ha cercato sì la storia di Genova nei suoi archivi e nelle sue biblioteche; ma sempre per questo ha ripetutamente confrontato la documentazione ligure con altre fonti italiane e straniere. Bastino questi pochi cenni a far intendere le ragioni che ci hanno indotto a proporre la traduzione italiana di un’opera che già al suo primo apparire aveva ottenuto un’accoglienza benevola 14 e che aveva destato subito l’interesse della Società Ligure di Storia Patria, la quale, oltre a nominarne l’autore socio corrispondente (22 aprile 1900)I5, ne affidava la traduzione ad Onorio Soardi l6, già apprezzato traduttore dell’opera del Sieve-king sulle finanze genovesi17'. Il Soardi si accinse di buon grado al compito affidatogli, conducendo la traduzione del primo volume in stretta collaborazione con l’autore, della quale è rimasta traccia nelle aggiunte e varianti che si riscontrano nelle note l8. Privato del prezioso aiuto del Caro, morto prematuramente nel 1912, il Soardi porto comunque a compimento la sua fatica, non da poco 12 Pensiamo in particolar modo alla differenza nella condotta di guerra navale tra ammiragli genovesi e veneziani. 13 Cfr. a questo proposito le pagine dedicate al commercio degli schiavi e ai traffici in genere con i paesi musulmani (vol. II, p. 358). 14 V. Schaube cit.; C. Manfroni, recensione in « Giornale Ligustico », XXI, 1896, pp. 333-338. 15 F. Poggi, Giorgio Caro cit., p. 189. 16 F. Poggi, La Società Ligure di Storia Patria dal 1908 al 1917, in « Atti della Società Ligure di Storia Patria », XLVI, 1918, p. XXXI. Il Caro ne apprendeva la notizia dallo stesso traduttore e si affrettava a ringraziarne la Società il 12 luglio 1907; cfr. Archivio della Soc. Lig. di St. Patria, lettere ad annum. Sul Soardi (1841-1919) cfr. F. Poggi, Onorio Soardi, ibid., XLIX, 1, pp. 173-175. 17 H. Sieveking, Genueser Finanzwesen vom 12. bis 14. Jahrhundert, Friburgo in Br., 1898 1899; trad. ital. in « Atti della Società Ligure di Storia Patria », XXXV, 1906-1907. 18 Cfr. F. Poggi, Onorio Soardi cit., p. 174. Tale collaborazione è documentata per il primo volume. La traduzione del secondo deve quindi essere iniziata solo dopo la morte del Caro. - IX — se si considera la difficoltà di intendere correttamente il testo originale tedesco; di qui le non poche incertezze del traduttore, il quale lasciò la sua fatica, alla sua morte, avvenuta nel 1919, in una stesura ancora provvisoria che rivela i dubbi e le perplessità di chi, vissuto lungamente nel Lombardo-Veneto, non sembra sempre perfettamente padrone della lingua italiana, non diversamente dal Caro nei confronti della « Muttersprache » tedesca. Difficoltà postbelliche e, probabilmente, quelle suscitate da questa versione impedirono la rapida conclusione del disegno di pubblicazione . Quando, per incarico del Consiglio della Società Ligure di Storia Patria, ci siamo accinti al lavoro avevamo ben presenti tutti questi problemi. Si trattava di rinfrescare il testo del Soardi, di renderlo cioè più adatto al linguaggio corrente20, di superare i non pochi problemi insoluti con un confronto accurato deH’originale tedesco, di controllare attentamente la stessa forma italiana del traduttore, oltre a tradurre integralmente le pagine 225-256 del primo volume, andate perdute21. Altro problema che abbiamo dovuto superare è stato quello delle note che, come già rilevato dal Manfroni22, non si presentavano con la necessaria uniformità e che spesso erano difficilmente intelligibili. Abbiamo così provveduto ad un integrale rifacimento dei richiami e delle abbreviazioni — e questo ha comportato anche il rifacimento stesso dell indice bibliografico — e, in qualche caso, anche alla correzione di errori materiali dell’edizione tedesca. Nasceva a questo proposito il problema dell e-ventuale aggiornamento di un’opera vecchia di ottant’anni, certamente superata in non pochi aspetti. Su questo punto, d’accordo col Consiglio della Società, abbiamo preferito non operare alcun aggiornamento, sia perchè il 19 Dopo la scomparsa del Soardi, la vedova, sig. Luigia Perlasca, consegnò il manoscritto alla Società; cfr. Copialettere del 1919, lettera del segretario Francesco Foggi, del 26 marzo 1919, alla vedova Soardi. 20 II che non ha impedito che rimanessero alcune durezze, impossibili da eliminare senza correre il rischio di travisare il testo tedesco ed il pensiero del traduttore. 21 Per la traduzione delle pagine perdute, che il Soardi aveva dato in visione all aw. Gaetano Poggi (cfr. lettera citata alla n. 19), ci è stata di prezioso aiuto la gentile collaborazione delle signore Pinin De Gregori Podestà e Barbara Trenti Demetz che ringraziamo sentitamente. 22 C. Manfroni cit., p. 338. lavoro di verifiche e di controlli avrebbe troppo ritardato la pubblicazione, sia per conservare intatte all opera le suggestioni che essa potrà provocare nella storiografia locale. Un unica eccezione ci siamo permessi nei confronti delle citazioni dagli Annali di Caffaro e continuatori, utilizzati dal Caro nell edizione Pertz; ad ognuna di esse abbiamo fatto seguire, posta tra parentesi quadra, la corrispondente indicazione dell’edizione curata da L. T. Belgrano e C. Imperiale di Sant’Angelo per le Fonti della Storia d’Italia dell Istituto storico Italiano per il Medioevo. Sempre tra parentesi quadre sono state inserite quelle varianti o note che l’autore aveva approntato per l’edizione italiana. — XI — Nota del traduttore Nel presentare agli studiosi italiani una traduzione del dotto lavoro del prof. Caro, non è il caso di premettervi prefazioni di sorta. L’autore stesso vi ha provveduto, facendo precedere ciascuno dei due volumi da uno scritto che ne dichiara lo scopo, la ripartizione, il metodo; scritto nel quale egli adopera un tono dimesso e modesto che certo non disdice a una seria opera di scienza, ma che a taluno sembrerà forse arieggi, anche più del bisogno, una giustificazione. Oui riusciranno invece non fuori di luogo brevissimi cenni sulla persona e sulla complessiva produzione dell’autore stesso. Sono desunti dalla commemorazione fatta di lui da un suo collega dell’Università di Zurigo. Giorgio Caro, morto a Zurigo il 16 gennaio 1912, era nato in Slesia il 28 novembre 1867. Mancò dunque ai vivi immaturamente, nella pienezza dell’età virile. La sua non lunga esistenza fu delle più operose. Dopo aver frequentato le Università di Friburgo, di Monaco, di Berlino e di Strasburgo, egli divenne in quella di Zurigo libero docente di storia. Può dirsi che agli studi storici consacrò tutto se stesso, da una parte addestrando i suoi discepoli, con assiduità e con grande perizia pedagogica, alla ricerca delle fonti e alla loro valutazione critica, dall'altra parte elaborando su questo o quel punto di storia medioevale o moderna numerose e pregevoli monografie. Opere sue di maggior mole sono le tre seguenti-. Genova e le Potenze del Mediterraneo, 1257-1311, frutto di un prolungato soggiorno nella nostra maggiore città marittima, tutto speso in larghe e coscienziose ricerche di documenti archiviali, è il libro che adesso presentiamo in veste italiana ai nostri cultori di discipline storiche. Nella Storia sociale ed economica degli Ebrei nell’evo medio e moderno, i giudici più competenti hanno riscontrato in pari grado una acuta originalità di pensiero e un molto ricco corredo di erudizione. I contributi alla antica storia economico-costi-tuzionale della Germania costituiscono un’ampia raccolta di ricerche, le quali, secondo il piano vagheggiato dall’autore, sarebbero state la base e il nucleo di un lavoro assai più vasto, da lui non potuto condurre a termine, inteso ad illustrare più d’un lato importantissimo della vita della sua patria. Colla presente pubblicazione, la Società Ligure di Storia Patria fa un passo di più nella via nobile e fruttuosa che si è tracciata; lungo la quale essa a mano a mano fa sorgere monumenti d’alta cultura storica in doppia serie, cioè costruiti ora da artefici italiani e ora da artefici stranieri, sempre però tratti dalla bella e industre regione, che dalle Alpi Marittime, al-I’Appennino orientale si specchia nel mare, non come pigra sultana, ma per trarne elementi di vita, di fortuna, di gloria. Onorio Soardi Prefazione dell’Autore L estesa nariazione della storia di una città italiana in uno spazio compreso fra brevi limiti, potrebbe sembrare una esagerazione della specializzazione oggi tanto lamentata. Il libro dimostrerà se questo rimprovero è giustificato, ovvero se sono riuscito, mediante una profonda disamina di avvenimenti fino ad ora poco osservati, a fornire un contributo per la storia universale di un’epoca, la cui importanza nello sviluppo del- 1 occidente non fu mai abbastanza considerata. Le sorti di Genova sono state trattate di frequente in antiche opere. Gli Annali della città e le loro continuazioni offrivano una sicura base almeno per il periodo qui considerato — e quindi le narrazioni poterono restare relativamente scevre da grossolani errori. Ma anche il Canale, 1 ultimo scrittore di storia dettagliata genovese, nella Nuova Storia non andò molto più in là dei suoi predecessori del secolo XVI, che si occuparono delle relazioni di Genova con i vicini Comuni e Stati esteri. Le sue affermazioni sulla costituzione al tempo del capitanato mancano di critica, come la corrispondente trattazione per i periodi anteriori. Pei le relazioni commerciali di Genova egli ha raccolto un ricco materiale, però poco trasse dai documenti originali. Purtroppo i suoi sunti, a causa della loro inesattezza, sono poco utilizzabili. L’istituzione della « Compagna » ha occupato in modo molteplice la moderna indagine, mentre sul capitanato e sulla istituzione del Popolo, il Lastig e l’Heyck fanno soltanto brevi osservazioni. Qualche singola questione è stata oggetto di ricerche di studiosi genovesi, specialmente del Desimoni e del Belgrano, i quali per le loro ricche indicazioni di materiale inedito non devono essere perduti di vista. Per le molteplici relazioni di Genova con quasi tutti i paesi della costa mediterranea, fu necessario valermi continuamente della letteratura ad essi relativa. In prima linea dobbiamo porre l’opera fondamentale del Heyd sul commercio con il Levante, in cui, per quanto offrono le fonti pubblicate, la materia è trattata in modo esauriente. Per le relazioni di Genova con gli Stati crociati e con la Romania si trovano molti punti d’appoggio, tanto più pregevoli, in quanto che per la storia bizantina del l’epoca, malgrado le voluminose opere che la trattano, ancora mo to rimane da fare e persino la storia greca del Hopf esigerebbe una revisione, che oggi non sarebbe di grave difficoltà. La letteratura abbastanza estesa sulla storia dei vari Stati in quei tempi ha preso in considerazione o a, come le altre dttà d’Italia, però con osservazioni in generale brevi, non sempre ineccezionabili. Il motivo dei malintesi, che in genera e rado s’incontrano nella esposizione delle relazioni italiane di questi tei”P'’ sta manifestamente nella mancanza di lavori preliminari di storia veramente efficaci. Per i fini della presente opera questo inconv si manifestò in modo sensibile nella trattazione delle relazioni con gli altri Comuni dell’Italia superiore. Nemmeno per la stona i zia di quest’epoca abbiamo un sufficiente trattato; anche recenti g indagini di valore sono, meno che per Firenze e forse per Asti, Soltanto per la posizione presa da Genova nella guerra per a ’ l’A mari svolge una intelligente critica; ma anche qui i relativi pas i ,4; Ponnva in connessione j strano quanto sia necessario trattare la stona ai 'jeno con quella degli altri Stati. Del materiale italiano riguardante la s jtantQ l’impero contenuto nei Regesta Imperii sono venuto a conoscenza quando la mia opera era già in corso di composizione; percio non to possibile inserirvi i relativi riferimenti. ^ Da questo stato della letteratura esistente sul soggetto trattato, ^ ^ da sè lo scopo del presente lavoro. Si trattava cioè, col largo • à di altre fonti, di completare e rettificare le relazioni degli Annali e a Genova, di entrare cioè più profondamente nell intelligenza Ç ^ relazioni, anziché trascriverne semplicemente le parole. Il compito aPP^^ tanto più profittevole, in quanto che ultimamente vennero in uce e non poco importanti fonti storiografiche. Qualche dif co ta jutta la mancanza di utili pubblicazioni e di precedenti indagini critic e. via non si deve dare gran peso a questa circostanza, perchè i ^ vengono ad integrare ed a correggere i dati precedenti: ad essi perciò^ o ^ vasi annettere la massima importanza per trame il maggior utile. U^. via anch’essi sono spesso editi in forma incompleta e in testi i l’uno dall’altro. Un elenco dettagliato delle fonti e della letteratura verr dato alla fine del secondo volume. Anche senza questo però le abbrevia zioni sono facilmente comprensibili. Io non posso decidere se i miei sforzi siano riusciti allo scopo, tanto più che alcune opere o mi mancarono del tutto o potei averle alla mano — 4 - soltanto per un tempo breve. D’altra parte non era necessario che mi procurassi delle fonti che nulla dicevano e ancor meno le confutassi per presentare così una semplice collezione di notizie anziché una esposizione storica. Il materiale per quest’epoca è tanto copioso, che era assolutamente necessario fame una scelta. Alquanto spesso accade che, per accidentalità nel tramandarne il ricordo, per cose relativamente di importanza insignificante vi siano notizie dettagliate, mentre fatti di molto maggiore entità rimangono avvolti nel buio. Non era perciò possibile sfuggire dal fare qualche supposizione. Si trattava quindi di determinarne il grado di probabilità e piuttosto scoprire che nascondere le lacune esistenti nelle relazioni. Spero perciò di avere colmato alcune lacune, non solamente mediante un esame più profondo delle fonti conosciute e di quelle recentemente pubblicate, ma anche e principalmente mediante materiali d’archivio fino ad ora poco o nulla apprezzati, di radunare i quali mi diede occasione un lungo soggiorno a Genova. Oltre a numerose notizie sparse qua e là, molti punti d’appoggio mi furono offerti specialmente dai regesti manoscritti del defunto sig. professore Wuestenfeld, la cui conoscenza personale mi fu concessa dalla sua cortesia. Di tali regesti mi valsi soltanto per la parte che più era adatta al mio scopo. Riguardo ai mezzi per la scorsa dei registri notarili e specialmente del Foliatium Notariorum presso la Biblioteca Civica di Genova, rimando i lettori alle note delle Appendici. Con vivo compiacimento colgo l’occasione per esprimere a questo punto i miei rispettosi ringraziamenti al sig. Desimoni, direttore dell’Archivio di Genova, per l’amichevole accoglienza da lui ricevuta per usufruire dell’archivio stesso. L’attesa di più vaste pubblicazioni dei ricchi tesori dell’Archivio mi sollevò dalla fatica di pubblicazioni mie proprie, cosa tanto più desiderabile, visto che la grande mole e la natura particolare del materiale procuratomi avrebbe resa difficile una scelta. Specialmente fra i documenti dei registri notarili, taluni sono affatto insignificanti e soltanto dalla quantità di quelli consimili si può trarre una sicura conclusione. Nelle Appendici è dato un sunto ristretto del materiale inedito utilizzato. Nelle note il lettore è rimandato ad esso, per rendere possibile un riscontro più esatto di quello che potrebbe dare una semplice citazione dei codici. I passi tolti dai documenti inediti devono servire soltanto come giustificazione dei fatti esposti e non come una completa edizione, quantunque molti di essi la meriterebbero. Devo osservare che anche i testi originali sono spesso scorretti, e nella trascrizione richiamo l’attenzione soltanto sugli errori più grossolani. Dopo aver bene riflettuto mi decisi a porre le Appendici soltanto alla fine del secondo volume. Una divisione dei materiali utilizzati per ciascheduno dei due volumi mi si dimostrò impossibile, e siccome nei sunti compresi nelle Appendici il lettore può essere talvolta ripetutamente rimandato ai passi dei testi per i quali vennero consultati i relativi documenti, così è facile intendere come, malgrado la massima brevità, non si poteva dare un esatto riassunto del contenuto, specialmente dei codici notarili. L’Appendice prima contiene l’enumerazione dei (pochi) codici consultati nell’archivio di S. Giorgio; la seconda contiene brevi regesti dei documenti consultati nell’Archivio di Stato: Materie Politiche, Mazzi 5 - 8 e Mazzo supplemento; l’Appendice terza è un sunto dei codici notarili utilizzati, ed egualmente l’Appendice quarta per manoscritti della Biblioteca dell'Università di Genova, e così pure l’Appendice quinta per manoscritti della Biblioteca Civica. Nell’Appendice sesta, i nn. 1 e 2 s’intendono i due primi volumi di documenti dell’Archivio Municipale di Albenga, i nn. 3 e 4 i Codices cathene 1 e 2 dell’Archivio Municipale di Savona. Forse le osservazioni aggiunte alle Appendici possono offrire dei punti d’appoggio per ulteriori indagini, poiché per ricavarne tutto quello che si sarebbe potuto prendere in considerazione ai fini del lavoro, il tempo a mia disposizione non era sufficiente, a causa della sovrabbondante quantità del materiale e della mancanza di lavori precedenti. Tuttavia spero che le fonti consultate bastino ai fini dell’opera, cioè a fornire nei suoi tratti fondamentali una sicura immagine dello sviluppo di Genova nell epoca considerata, a cui ulteriori indagini sarebbero soltanto integrazioni. Per quanto poco il XIII secolo possa meritare il bel nome di epoca di transizione, come tale però deve essere considerato riguardo alla scienza delle fonti. Si può già basarsi sopra i documenti originali stesi per buona parte della narrazione senza interruzione, quantunque non si possa dire che la serie dei documenti stessi sia continua. Abbiamo delle fonti storiografiche preziose, le quali però talvolta tacciono i momenti più importanti. Perciò la necessaria, estesa combinazione delle due specie di fonti non potrebbe condurre al risultato di risolvere la narrazione in una serie continua di singole indagini; ma altrettanto meno queste dovrebbero essere del tutto trascurate, perchè molto spesso la semplice citazione dei passi delle fonti sarebbe insufficiente per dimostrare l’intepretazione esposta. Io credo di aver soddisfatto alle esigenze della forma speciale dei materiali delle fonti, avendo tenuto libero il testo da discussioni delle singole questioni, non senza però averle introdotte nelle note ai punti relativi del testo stesso. Poiché, malgrado ogni sforzo di esattezza, si dovette tener conto che dietro l’abbondanza delle particolarità non sfuggissero i punti di vista più generali, mentre d’altra parte, accentuando esclusivamente su quest’ultimi, non sarebbe stato possibile penetrare più profondamente neH’intelligenza dell’epoca trattata. Per punto di partenza della narrazione presi i risultati ottenuti nella mia dissertazione sopra « la costituzione di Genova al tempo del podestà » [Die Verfassung Genuas zur Zeit des Podestats] e così potei muovere i passi dal momento in cui, in seguito alla prima sollevazione popolare, ebbe principio per Genova una nuova epoca. Per le precedenti relazioni di Genova cogli altri Stati, — in quanto possano servire per l’intelligenza degli avvenimenti, — venne tracciato un sunto, quando avessero un importante nesso con la storia del Comune. Perciò fu d’uopo spesso non seguire rigorosamente l’ordine cronologico. Su alcune cose sorvolo momentaneamente per poi riprenderle e metterle in connessione con la narrazione. Così pure, nel corso della narrazione, prendo in considerazione anzitutto soltanto i cambiamenti fondamentali della costituzione. I cambiamenti nelle condizioni sociali come anche nei diversi rami dell’ammini-strazione, che essenzialmente possono essere considerati come conseguenza degli avvenimenti descritti, sono stati messi in connessione con essi al posto opportuno. Spero di avere così superato nel miglior modo possibile le difficoltà che ad ogni momento, nella corrente continua dello sviluppo, richiedono una giustificazione. Introduzione Le lotte con Federico II non avevano avuto alcuna influenza sulla costituzione di Genova. La nobiltà, che diventava sempre più rigida, manteneva la signoria, affidando gli affari del governo ad un Podestà che si eleggeva annualmente. Fu solo nell’anno 1257 che, coll’elezione d’un Capitano del Popolo, i popolari presero parte alla direzione dello Stato e da quel momento cominciò una nuova era per lo sviluppo interno di Genova. La nobiltà riesce bensì a riacquistare ancora una volta la primitiva potenza, ma non è compatta. La parte ghibellina fa lega col Popolo e dopo la violenta caduta del governo esistente, viene istituito il duplice capitanato. Fra le molteplici forme, sotto le quali la libertà delle città italiane comincia in quel tempo a soggiacere alle tendenze monarchiche, questa è certamente una delle più notevoli; vediamo cioè i capi di due stirpi mettersi alla testa della repubblica. Sostenuti dal Popolo, non permettono alla parte nobile guelfa di sollevarsi e riescono così a mantenere per sè, durante una serie di anni, il supremo potere. Tutti i rami dell’amministrazione andarono soggetti, in questo periodo, a grandi trasformazioni. Il Popolo riceve una organizzazione sua propria ed il suo capo nelVabbas populi-, il Consiglio degli Anziani e la Credenza tolgono al Consiglio una grande parte delle sue attribuzioni, la magistratura viene resa indipendente da influenze politiche, la finanza del Comune è fatta segno ad un accurato perfezionamento. Ma i Capitani non sono in grado di stabilire una signoria duratura. Alla fine i Doria e gli Spinola entrano in discordia e i Guelfi tornano trionfalmente nella sconvolta città. Nemmeno questi però possono assicurare la pace interna. Solo una forza superiore esterna può tenere a freno le passioni di parte e perciò nell’anno 1311 viene trasferita la signoria a Enrico VII. E’ questa la prima volta che Genova rinunzia alla propria indipendenza. Una volta erano bastati i Consoli, usciti dal seno della borghesia, a mantenere pace e giustizia. Essi vennero sostituiti dal Podestà quando non furono più capaci di adempiere ai doveri della loro carica. I Capitani, capi d’un partito, opprimevano l’altro con mano di ferro. Ormai _ 9 _ Introduzione Genova dispera di potersi creare una forma di governo che garantisca la pace interna. Si chiude così un’epoca al cui centro sta il capitanato. Essa ebbe inizio al tempo del Boccanegra e del seguente ripristino della signoria dei nobili. Il primo decennio del XIV secolo porta alla dissoluzione delle basi su cui poggiava la forza dei Capitani. Anche il reggimento di Enrico VII non durò abbastanza a lungo per ottenere successi durevoli. Le lotte già accese non cessavano e da esse vennero la guerra civile per lunghi anni fra Guelfi e Ghibellini e la signoria di re Roberto di Napoli. Se di poi riuscì ancora per breve tempo il ristabilimento del capitanato, fu solo con la istituzione del dogato popolare, nel 1339, che Genova riprese il suo sviluppo indipendente. Il presente lavoro si occuperà quindi del periodo 1257-1311- Diremo in qual modo si venne alla elezione dei Capitani, come sostennero la loro carica e quali furono le cause delle loro discordie e della loro caduta. Una esposizione che partisse da stretti punti di vista storico-costituzio-nali non basterebbe a questo scopo. Ben altre erano le condizioni per il periodo del reggimento del Podestà. Costui era un funzionario, vincolato alle disposizioni degli statuti, mentre per la direzione degli affari esteri prendeva voce dal Consiglio, rappresentato dalle classi dominanti della borghesia. I Capitani invece sono investiti di poteri e di iniziativa propria, il punto di vista dei partiti è determinante della loro azione che è poli tica. Mentre il contrasto fra nobiltà e Popolo deriva da cause di natura sociale, la divisione della nobiltà in Guelfi e Ghibellini proviene dalla differente posizione presa dalle singole famiglie nella lotta fra impero e papato. Il XIII secolo segna un punto culminante nello sviluppo dei popoli occidentali. L idea della supremazia del potere spirituale su quello civile ottiene decisiva vittoria. Da lungo tempo infiltratosi nella pubblica opinione, esso viene in piena luce dopo la morte del grande propugnatore del potere civile, Federico II. Soltanto quattro anni dopo, Innocenzo IV fa il suo ingresso nella capitale del suo avversario. La questione era adesso di vedere se il papato sarebbe stato veramente in grado di mantenersi nella posizione raggiunta, di avere una suprema autorità sull’occidente, di comporre le questioni fra le diverse nazioni quale arbitro, infine di dirigere le loro forze unite contro il comune nemico, Saraceni e Greci scismatici. La prima metà del XIII secolo ci dimostra come il sistema di accentramento dell’impero sia rimasto immutato, il che prova all’evidenza che il papato non potè mantenere il primato. L’Italia fu allora il teatro di avve- — 10 - Introduzione nimenti decisivi. Le gare partigiane erano penetrate troppo profondamente nelle condizioni della vita, perchè si potesse sperare in una pace durevole. Ancorché non vi fosse un imperatore, Guelfi e Ghibellini continuarono a combattersi in ogni città d’Italia. La casa degli Staufen non era ancora caduta. Ben presto Alessandro IV dovette fuggire da Napoli. Nella lotta con Manfredi e Corradino, egli ed i suoi due successori consumarono le loro forze migliori. Quando nel settimo decennio era subentrata una certa quiete, i vespri siciliani vengono a distruggere tutto il frutto di tante fatiche. Di nuovo la guerra contro il « ladrone della Chiesa » allontana da tutti il pensiero d’una generale crociata. Si ode bensì predicare la croce, non però contro i Saraceni, ma contro i figli della Chiesa, già così fedeli, i re d’Aragona. Dopo 26 anni di lotta sostenuta con tutte le forze di cui la Curia poteva disporre, essa dovette lasciare la Sicilia agli eredi degli Staufen. Impigliato in questa contesa, il papato non può riunire i sovrani occidentali per un’azione comune, e pure solo in questo modo esso avrebbe potuto sostenere a lungo la sua posizione di suprema potenza civile. Nemmeno è possibile conservare ciò che era stato dianzi ottenuto con sforzi comuni. Prima crolla l’impero latino, poi vanno perduti man mano i possedimenti di Terra Santa. Questi insuccessi danno luogo ad una naturale reazione. Il legame che univa le popolazioni si scioglie e comincia la formazione degli Stati nazionali. Con essi sorge tacitamente un nuovo oppositore del papato. L’esito del conflitto fra Bonifacio Vili e Filippo IV dimostrò che l’idea della sovranità universale era meno forte di quella che si basava sul principio di nazionalità. Il Capo della cristianità fu fatto prigioniero nel proprio palazzo per mezzo di nemici personali e di gente venale. Il re che diede occasione a questo fatto trovò saldo appoggio nella fedeltà dei suoi sudditi, poiché questi vedevano personificata in lui l’unità nazionale. La dignità sacerdotale non bastava a proteggere il papa da abietti mal-trattamenti. Il suolo sul quale credeva di camminare sicuro era minato dall’odio dei partiti. In Italia, antico centro dell’idea di universalità, il papato non poteva più prosperare. Clemente V trasse da questo fatto la giusta conseguenza trasportando la sua sede nella pacifica Avignone, passo però che preparava un sempre maggiore indebolimento all’autorità della Chiesa. Genova fu coinvolta in quasi tutte le guerre che agitarono quei tempi, conseguenza della sua naturale posizione. A occidente il territorio della città confinava colla Provenza, dove regnavano gli Angiò, paladini - 11 - Introduzione del papato. I possedimenti a settentrione dell’Appennino furono causa di complicazioni con i Comuni lombardi. Ad oriente i contesi possedimenti del vescovo di Luni davano luogo a continue ostilità. L indipendenza di Genova era dovuta però all’attività commerciale dei suoi cittadini. Essa manteneva vivissime relazioni con tutti i paesi della costa del Mediterraneo e tutta la sua ricchezza era fondata sul commercio. Il preservarlo da perturbazioni fu per la politica della città un momento di essenziale importanza. Nessun governo genovese poteva trascurare le buone relazioni con la Francia, con i regni spagnuoli e con gli Stati saraceni posti sulla costa del Nord-Africa. Napoli e la Sicilia provvedevano di grano i paesi della costa ligure. Questa circostanza, nella rigorosa organizzazione monarchica degli Stati dell’Italia meridionale, faceva sì che i loro sovrani esercitassero un’essenziale influenza sopra Genova. Però in prima linea stava la partecipazione al trasporto dei prodotti dell’Asia in Europa. In Acri, Alessandria e Costantinopoli si concentrava il commercio mondiale di allora, e vi si effettuava in massima parte lo scambio delle merci. Da quando la marina saracena era stata respinta, le flotte delle tre città italiane marittime dominavano il Mediterraneo. Nella lotta fra Occidente e Oriente, fra Cristianesimo e Islamismo, esse ebbero per conseguenza una grandissima parte. Soltanto col loro aiuto gli Stati crociati poterono resistere, esse sole poterono fornire un numero di navi sufficiente per il tra sporto d’un grande esercito. Peraltro esse erano in perpetua discordia fra di loro e spesso in aperta guerra. Oltre a ciò, Genova e Pisa erano in continua contesa per il predominio sulla Corsica e sulla Sardegna. In tutta la storia di Genova vi sono due grandi momenti, cioè come potenza territoriale in Italia, e come potenza marittima. Le condizioni generali del mondo influiscono sul primo; il secondo si connette decisa mente con questo. Il periodo dei Capitani determina il punto culminante. Essi tengono Genova lontana da qualunque influenza straniera e sotto il loro governo viene ottenuta una decisiva vittoria sopra Pisa ed un dure vole successo contro Venezia. Prima della loro istituzione, influenze esterne avevano impedito ai Genovesi di tener d’occhio attentamente i l°r0 interessi. Caddero per essersi allontanati da una politica conseguente, praticata per lungo tempo. Si rende quindi necessaria una trattazione profonda della storia esterna di Genova di quel periodo, per arrivare a comprendere pienamente la caratteristica istituzione del capitanato, da cui risulta che i diversi avvenimenti che seguirono meritano maggiore considerazione di quanta ne abbiano avuto finora. — 12 - Introduzione Fra i numerosi Comuni che si formarono in Italia, Firenze ha dato spunto alle maggiori ricerche moderne. L’interesse storico è qui rivolto — astrazione fatta dalle questioni di critica delle fonti — allo sviluppo delle condizioni interne, della costituzione e degli strati sociali. Firenze, almeno nel XIII secolo, ebbe una parte modesta di fronte alle grandi potenze mondiali. Una piccola schiera di cavalieri tedeschi annientò presso Montaperti il superbo Primo Popolo e solo la voce potente del papa mise fine alla signoria di Carlo I. Il partito dominante, osteggiato da Enrico VII, trovò la sua salvezza coll’assoggettarsi a re Roberto. Genova, invece, difese vittoriosamente la sua indipendenza contro Carlo I, e la sua borghesia salì sulle proprie navi per conquistarsi la supremazia sul Mediterraneo. Le sue galere protessero il nuovo impero bizantino, senza curarsi dei fulmini del bando papale. L’importanza di Genova può soltanto essere confrontata con quella della potente Venezia. L’indipendenza della città delle lagune era cominciata prima, essa potè mantenere più a lungo la sua posizione; ma un giorno Genova riuscì a togliere il primato alla rivale e ciò avvenne appunto alla fine del XIII secolo. Io credo di aver posto sufficientemente in luce i punti di vista da cui è partito questo lavoro e le linee fondamentali intorno alle quali esso si svolge. La storia di una città importante ed interessante, in un’epoca decisiva per lo svilupppo dell’occidente, dev’essere trattata profondamente, non però a solo suo riguardo. Nessuna delle città italiane fu, più di Genova, in tanti modi coinvolta nei grandi movimenti di quest’epoca. Firenze e Milano mancavano di forze marittime. La costituzione di Venezia progredì non disturbata dalla lotta fra Guelfi e Ghibellini, Pisa si trovava in grande decadenza. In Genova si succedevano le più svariate influenze. Contrasti sociali e politici, interessi territoriali e commerciali producevano sovente mutevoli combinazioni nei partiti alTintemo, e spesso un cambiamento di posizione rispetto all’estero. Soltanto una superficiale osservazione può scorgere in tutto ciò la cieca opera del caso. Se si riuscirà a separare distintamente le cause dagli effetti, si farà in pari tempo nuova luce sul periodo nel quale nessun imperatore impedì al successore di Silvestro di prendere possesso dell’eredità di Costantino, quantunque il papato non sia tuttavia riuscito a fondare una monarchia universale gerarchica. - 13 - Libro primo Il Capitano del popolo Guglielmo Boccanegra Capitolo primo L’elezione del Capitano L’elezione del 18 febbraio 1257. - Motivi. - Movimenti popolari. - Partiti nobiliari. -Attribuzioni del Capitano. - Relazioni col Podestà. Il Podestà dell’anno 1256, Filippo della Torre, dopo essere cessato dalla sua carica ', rimase ancora 15 giorni a Genova per render conto del suo operato, conformemente a quanto prescrivevano gli statuti. Non essendogli stato opposto alcun ostacolo, egli si preparò, domenica 18 febbraio2, a lasciare la città col suo seguito, accompagnato dagli aiutanti del nuovo Podestà. In una delle vie per le quali Filippo passava si alza il grido di « uccidetelo, uccidetelo »3. Si scagliano pietre contro di lui, il tumulto cresce e alla fine il corteo è obbligato a ritornare al palazzo del Podestà4. Ciò incoraggia i promotori del tumulto, fra i quali erano pure alcuni maggiorenti della città. Allora si leva il grido: « alle armi, alle armi, Popolo, Popolo »5, facendosi così conoscere che si voleva un Capitano del Popolo. Questo piacque ai popolari. Essi si adunano subito presso6 la chiesa di S. Siro e qui, senz’altri consigli, Guglielmo Bocca-negra viene proclamato Capitano del Popolo7. Si va a prendere l’eletto, 1 2 febbraio 1257: cfr. Caro, Die Verfassung Genuas zur Zeit des Podestats, p. 361 e sgg. 2 Amali, 236 [IV, 25]: quadarn die dominica post dies 15 per quos in civitate Janue morari debebat post exitum regiminis sui occasione sue syndicationis. 3 Annali, 1. c.: Moriatur, moriatur. 4 Annali, 1. c.: oportuit eum redire ad domum potestatis. Questo non è però il palacium Pomariorum, ove Filippo aveva la sua residenza come Podestà (cfr. Caro, Ver/. Gen., pp. 37 e 104), ma il palazzo dei Doria: L.J., I, 1254. 5 Annali, 236 [IV, 25]: ad arma, ad arma, fiat populus. 6 Annali, 1. c.: ad ecclesiam', non è detto nella chiesa. 7 Annali, 1. c.: ibique sine discretione sed cum tumultu et vociferatione elegerunt Guillielmum Buccanigram popularibus Janue in capitaneum populi Januensis. Grammaticalmente ad elegerunt può essere soltanto soggetto hii qui actores fuerunt in sedicionibus. Il popularibus janue è in armonia col precedente quod quidem popularibus placuit. L’elezione ha dunque luogo mediante i promotori del tumulto a vantaggio dei popolari e col loro consenso. - 17 - Libro I - Cap. primo che, fra lo scompiglio del popolo tumultuante, è in parte spinto, in parte portato8. Egli prende stanza presso la chiesa di S. Siro, e tutti gli prestano giuramento come loro Capitano 9. Tale è la relazione degli Annali sugli avvenimenti di quel giorno 10 che ebbe gravi conseguenze, relazione non tanto chiara quanto sarebbe desiderabile. Anzitutto rimane oscura la causa della sollevazione contro 1 uscente Podestà. La sua amministrazione non era stata infelice n. Tuttavia il suo contegno personale non era scevro da biasimo 12. E’ forse possibi e c e i guadagni illeciti procuratisi nel periodo del suo ufficio siano stati causa 8 Amali, 1. c. [IV, 26]: ipsumque duxerunt impellendo et portando cum multu et pompa et clamoribus ad ecclesiam b. Syri. 9 Annali, 1. c. Si ritiene ch’egli si sia messo a sedere per ricevere il giuram 10 La relazione di Jac. de Var., Chronica, p. 49, nulla dice e pure è pr dagli Annali. Anche Andrea Dandolo, Cbronicon, p. 366, cita il fatto, ma reveme e inesattamente. 11 Annali, 236 [IV, 24]: omnia tamen prospera suo tempore civitate Janue contingerunt. 12 Annali, 1. c.: licei de puntate non fuerit laudatus. Serra, Storia dellanti Liguria, II, p. 106, e Canale, Nuova istoria, II, P- 128, interpretano il Pass° q senso che gli sia stata fatta colpa della sua sregolatezza sessuale. Non è pero i ^ di pensarvi. L’unico abuso che un Podestà liberamente eletto può commettere, vendosi dei poteri della sua carica, è quello di procurarsi illeciti vantaggi Questo fu imputato al Podestà del 1233: Annali, 182 [III, 70]; cfr. Caro, Verf. p. 103. Quanto a Filippo della Torre, trattasi di estorsione di denaro provata documenti: App. 3r nr. 13, c. 250. Alcuni Piacentini vennero derubati, certo a sudditi genovesi, poiché alcuni compagni dei danneggiati vennero a Genova (temp Pbilipi de la Turre, qui fuit potestas Janue 1256) e parlarono di questo furto co Accorso Cutica, assessore del Podestà: cfr. L.J., I, 1254. La perdita ammontava a l. verghe d argento {de peciis 25 argenti) e a un cavallo. Ora si venne ad un accordo, avendo essi confessato d’aver avuto la resti zione degli oggetti di loro proprietà. La dichiarazione è fatta al Podestà o al su giudice, il testimone che racconta il fatto non ricorda precisamente a quale dei ^ ue, ma egli sa di certo che furono restituite soltanto 17 verghe, quantunque nell’istru-mento sia fatta ricevuta del totale. Anche le 17 verghe furono restituite ai derubati solo quando questi prestarono garanzia di pagare al Podestà ed ai suoi incaricati 500 lire genovesi il cui versamento ebbe luogo più tardi. Questo stato di cose è affermato con giuramento dal citato testimonio, Guglielmo Leccacorvo, banchiere di Piacenza, in presenza del console dei mercanti piacentini, in Genova, il 10 aprile 1258. Questa notizia degli Annali riceve così una luce non equivoca. Se il Podestà restituì ai proprietari gli oggetti ritolti ai ladri, lo fece solo quando quelli gli accordarono uno speciale compenso. — 18 - L’elezione del Capitano dell inasprimento del popolo contro di luiB. Dal momento che la sua partenza fu impedita, egli fu pure obbligato a versare delle somme 14. Sembra che poi il Comune di Milano si sia intromesso a suo favore 15. Il 2 marzo la vertenza è appianata, poiché egli ed il suo seguito rinunciano a qualunque pretesa di risarcimento contro Genova 16. In ogni caso, dopo di ciò essi poterono liberamente, senz’altro ostacolo, lasciare la città. I veri motivi del movimento hanno radice più profonda. In parecchie città italiane si manifestano, in questo tempo, simili tendenze nelle classi inferiori. Di fronte alla nobiltà, la cui forza è fondata sui rapporti reciproci di famiglie, esse vogliono acquistare una posizione più indipendente, dandosi una solida organizzazione17. Le forme sono diverse. La designazione della nuova lega, cioè di Populus e di Capitaneus Populi per il suo capo, è piuttosto generica18. A Genova la preponderanza sociale della nobiltà poggiava sulle più solide basi; senza che essa costituisse una casta chiusa, in virtù di disposizioni statutarie. Ad essa appartengono le antiche famiglie proprietarie di fondi, arricchitesi colla naviga- 13 In questo fatto non entra per nulla la legge contro gli eretici aggiunta agli Statuti, alla quale il Canale, II, p. 128, fa pure colpa dell’inasprimento contro il Podestà. Se pure questa legge venne fatta nell’anno del suo ufficio, essa non venne revocata in seguito: Annali, 236 [IV, 26-27]. 14 L.J., I, 1253 (2 marzo 1257): Filippo della Torre giura davanti al Comune di Milano di non fare richiesta di alcuna rappresaglia, occasione quod impeditus fuit in janua propter ea, que fecerat seu fecisse dicebatur tempore sue potestarie, nec occasione quod aliquid restituit comuni janue vel aliqua occasione. Cfr. i documenti sopra un fatto simile a Bologna nel 1274 in Savioli, Annali bolognesi, III, 2, p. 473 e sgg. Essi dimostrano benissimo la posizione difficile in cui trovavasi un Podestà nei conflitti dei partiti. 15 L.J., I, 1253: in presentia.. . ambaxatorum Mediolani. Anche per il deposto Podestà di Bologna si adoperò la sua patria: Savioli, III, 2, p. 475. 16 L.J., I, 1. c. La forma consiste nella promessa giurata che egli fa al nuovo Podestà, quale rappresentante del Comune, di non ripetere indennizzi da nessun Genovese, nè di farsi concedere rappresaglie dal Comune di Milano. Guglielmo da Pusterla (Savioli, III, p. 479) chiese di potersi impossessare dei Bolognesi e dei loro averi ovunque li trovasse fino al totale risarcimento del suo danno. 17 A Pisa 1254: cfr. G. Schaube, Das Consulat des Meeres in Pisa, p. 43; a Firenze 1250: cfr. Hartwig, Ein Menschenalter Florentiniscber Geschichte, I, p. 24 e sgg.; a Bologna nel 1255 il primo Capitano del Popolo: Matth. de Griffonibus, Memoriale historicum, p. 114; Barth. della Pugliola, Hist. Miscella, p. 267; per Verona cfr. Lenel, Studien zur Geschichte Paduas u. Veronas, p. 81. 18 Cfr. Lenel, p. 82. Libro I - Cap. primo zione e col commercio 19. La loro proprietà consisteva in buona parte del suolo urbano20; possedevano le grandi navi21 ed il capitale di cui disponevano metteva il commercio nelle loro mani22. Così esse tenevano le classi inferiori in dipendenza economica, nè l’attività industriale dei lavoratori manuali teneva il primo posto nella vita produttiva di Genova. La partecipazione al governo, del quale il Consiglio era 1 espressione, non era così strettamente limitata, perchè un uomo ricco e di buona • • A tT riputazione, anche se di bassa condizione, non potesse arrivarvi. ene zia, dove le circostanze erano simili, l’aristocrazia compatta mantenne durevolmente il potere. A Genova era giunto il momento decisivo in cui la nobiltà si scisse in due partiti, l’uno per il papa, l’altro per 1 impera tore. I Guelfi avevano allontanato i capi ghibellini23, dopo di che la loro influenza diventò preponderante sulle sorti della città. Essi si difesero felicemente contro gli attacchi di Federico II. Nel 1251 fu bensì concesso agli esiliati il ritorno in patria e venne pure accordato loro un indennizz^ per le perdite sofferte; ritornarono però in grazia del pontefice vittorioso , senza che ciò recasse alcun cambiamento nella supremazia dei guelfi maldi e Fieschi. La parte presa di poi dagli Spinola e dai Doria fu 19 Cfr. Caro, Verf. Gen., pp. 11, 19 e sgg. Non vi è un segno distintivo este di appartenenza alla nobiltà. 20 II rimanente apparteneva a chiese. Numerosi esempi in Fol. Not., II> c' ^ (6 sett. 1267): vendita d’una casa situata a Genova super terra Gabrielis £ in contrata de fonte Maroso, ibid., c. 178 (20 e 31 gennaio 1289): vendita di un fabbricato in Genova super solo Branche de Auria et Advocatorum-, ibid., c. (5 luglio 1264): Marcoaldus Piper dà a livello per 29 anni un fondo in contrata Castelletti, sul quale trovasi la casa dell’affittuario; ibid., I, c. 538 v. (5 febbraio 1263): vendita d’una casa in Genova in Castelletto super terram Luche de Grimaldo, etc. Per chiese, ibid., c. 299 v. (3 settembre 1286): in contrata S. Ambrosii tria edifcta domorum posita super terra sive solo S. Ambrosii de Mediolano, etc. 21 Ciò è dimostrato sorprendentemente da una lista di bastimenti (in App- 2> nr. 68) che in opposizione al trattato dovettero pagare una tassa per entrare nel Mar Nero. Parecchi dei minori (ligna) appartengono a persone che dal loro nome devono ritenersi popolari come Rolando da Quarto, Jacopo Calvo, Jacopo da Finale; le galere invece appartengono a Gabriele de Ghisolfi, Ansaldo de Mari, Alberto Doria etc.; le grandi navi sono dei Lomellini e di Rainerio Boccanegra. 22 Cfr. i documenti in Desimoni, Actes passés, p. 443 e sgg. 23 Annali, 197 e sgg., [Ili, 103], anno 1241. 24 Annali, 230 [IV, 8], - 20 - L’elezione del Capitano quanto modesta 25. Filippo della Torre, il podestà del 1256, proveniva da una famiglia che fu sempre fra i campioni dei Guelfi a Milano26. In ogni caso anche il nuovo podestà per il 1257, Alberto de Malavolta, aveva appartenuto a questo partito27. Poiché Genova, per prima, si diede alla creazione di un Popolo, si può ritenere che nel vivo scambio di rapporti fra essa colle altre città italiane, queste siano state spinte ad imitarla2*. Il movimento era stato aizzato dalla respinta nobiltà ghibellina29 e la uscita del Podestà, al quale si rimproveravano gravi abusi nell’esercizio del suo ufficio, ne aveva fornito propizia occasione. L’essenziale caratteristica di tutto questo avvenimento sta nel fatto che col Capitanato non fu creata una carica che, alla guisa del Podestà, fosse coperta da un forestiero da cambiarsi ogni anno o più spesso ancora. Qui abbiamo uno del paese che viene eletto a Capitano, senza che siano state prese preventive disposizioni sulle sue attribuzioni od almeno sulla durata del suo ufficio. L’elezione stessa avviene tumultuariamente, senza votazione; alcuni gridano il nome del prescelto, le urla di approvazione della folla coprono qualche eventuale opposizione. Non è accertato se sia corsa qualche intesa preliminare segreta. In ogni modo doveva essere stata la personalità di Guglielmo Boccanegra a farlo ritenere dal Popolo come un capo adatto. L’annalista nulla ci dice che possa far luce su questo punto. Prima del 1257 sappiamo appena qualcosa dell’attività politica del Boccanegra30; anche la sua famiglia era emersa poco prima d’allora, quantunque non si possa dubitare che non appartenesse alla nobiltà31. 25 Guill. Ventura, Memoriale, 724. 26 Egli è certamente fratello e successore di Martino della Torre nella Signoria di Milano: cfr. Giulini, Memorie spettanti alla storia di Milano, Vili, p. 199 e sgg. Accorso Cufica è un fedele partigiano dei della Torre: cfr. Giulini, Vili, p. 246, etc.; Galv. Flamma, Manipulus Florum, 692, 699, etc. 27 Egli fu già Podestà di Genova nel 1249: Annali, 226 [III, 182]; i Malavolta sono una delle famiglie che nel 1279 a Bologna si trovano a lato dei Guelfi Geremei: Ghirardacci, Hist. di Bologna, I, p. 249; Catelano di Alberto Malavolta, inviato al conte di Romagna per il ripetuto allontanamento dei ghibellini Lamber-tazzi: ibid., I, p. 251. 28 Annali, 236 [IV, 26]: more aliorum capitaneorum. 29 Annali, 1. c. [IV, 25]: hii qui actores fuerunt in sedicionibus inter quos erant de potencioribus civitatis. 30 8 giugno 1251: L.J., I, 1081; 17 novembre 1256: L.J., I, 1248, 1251, lo troviamo nel Consiglio. 31 Una figlia di Guglielmo Boccanegra sposa nel 1278 Ingheto Spinola: Bel- - 21 - 3 Libro I - Cap. primo Le informazioni più dettagliate che seguono non alterano essenzialmente il carattere personale del Capitanato. Il 19 febbraio 32 il Popolo si aduna nella chiesa di S. Lorenzo, il podestà vi è convocato e in sua presenza ha luogo la prestazione del giuramento al Capitano33, nel senso che si intende riconoscerlo come tale e obbedire ai suoi ordini. Nel giorno seguente34 vengono insediati gli Anziani, 4 popolari per ogni distretto della città (in tutto 32). Tutto quello che il Capitano fa, dispone od ordina col consiglio di essi, all’unanimità o a maggioranza di voto, avrà forza di legge. Potrà pure col loro consiglio fissare statuti e correggere disposizioni contrarie ad essi. Il Popolo è ora costituito, Capitano e Anziani sono i suoi organi, il giuramento prestato da ogni cittadino al Capitano è il vincolo di unione fra essi. Era sorta una nuova istituzione come era già avvenuto per la Compagna; questa però sussisteva ancora e aveva a capo il Podestà. Ma costui è vincolato agli Statuti; ora, attraverso una deliberazione del solo Popolo, Capitano e Anziani possono cambiare gli Statuti. Un conflitto era inevitabile. Il Podestà non aveva autorità propria e se la nobiltà non gli stava dietro le spalle, la sua posizione di fronte al Capitano era inso stenibile. Questo spiega gli avvenimenti successivi. Il Capitano abbandona la sua abitazione e prende stanza nel palazzo dei Richeri; la pigione è pagata dal Comune35. Dopo alcuni giorni si occupa della sistemazione della sua posizione esteriore. Secondo i poteri conferiti agli Anziani, sarebbe stata sufficiente una deliberazione da parte oro, ma oltre ad essi viene pure convocato un Consiglio speciale , ^ quale prendono parte anche nobili. I suoi membri sono nominati dal apitano . Essi devono stabilire per quanto tempo ha da durare la sua quakVarito ^deîTfif A^emorte> P- 332. Nicolino Boccanegra appare nel 1296 quale manto della figlia di Jacobino Avvocato: App. 3, nr. 26, c. 45*. Annali, 236 [IV, 26], i nobili ÌàZ£ JtaSTpmtbiWe L'" "* S«»a ^ gennaio 125ZY Acf ^ ^ .qUem,y condu™t ex publico. L.J., I, 1270 (31 ' Um ìanuey ■ tn Palacio d. capitami-, cfr. ibid., I, 1270 e 1284. siglio del SpÌCga perChè Ü -7 r,., , , torse deve leggersi secreto [IV, 26: consilio sicco]. Ibid,. quod decreverat et ellegerat ex omnibus Janue. - 22 - L’elezione del Capitano carica, quale assegno deve percepire ed il numero delle persone del suo seguito. Egli non assiste alle discussioni. Le opinioni riguardo al primo punto sono diverse; alcuni vogliono il Boccanegra Capitano a vita, altri solo per 5 anni, altri per 10. Quest’ultima proposta è finalmente approvata quasi all’unanimità38; morendo Guglielmo, gli doveva succedere nella carica uno dei suoi fratelli. Il suo seguito consiste in un cavaliere39, che il Capitano deve stipendiare col proprio assegno, fissato in annue lire genovesi 1000. Inoltre gli vengono posti a lato un giudice40 e due scrivani, i cui stipendi sono pagati dal Comune; 12 esecutori compiono i servizi subalterni41, 50 armati stanno a guardia giorno e notte della persona e del palazzo del Capitano. Questi ha così un potere esecutivo molto maggiore di quello del Podestà42, di fronte al quale può far valere le sue ampie attribuzioni. 38 Annali, 237 [IV, 27]. 39 Ibid. [IV, 27-28]: fuitque in ipso anno... eius (se. capitami) miles sive solius quidam Musa nomine de Saona. L.J., I, 1317 (13 gennaio 1260): Musa de Suona, miles sive socius capitami. Canale, II, p. 130, n. 1, nomina un altro per il 1261. 40 Annali, 237 [IV, 27]: fuitque in ipso anno primus index capitami Symon Tartaro-, egli è un genovese; nel Consiglio: L.J., I, 1036, etc. Di altri parecchi giudici si possono fornire le prove. App. 3, nr. 13, c. 189 v.; osservazione sopra la stesura d’un documento dell’ll dicembre 1257: factum est mandato d. Jacobi Colli, indicis d. G. Boccanegra capitami populi... 1258 die 9 martii. Lo stesso (App. 2, nr. 7) pronunzia una sentenza il 12 agosto 1258. Invece App. 6, nr. 2, nr. 106 (3 ottobre 1258): copia d’un documento per ordine d. Ferrarii de Castro iudicis et assessoris d. G. Bucainigre cap. pop. ]an. Che in quest’anno vi siano stati più giudici del Capitano si rileva da L.J., I, 1300 (16 agosto 1258): insediamento d’un procuratore a difesa coram d. capilaneo Janue et eius iudicibus; cfr. Statuti di Pera, p. 688, cap. 145. Simone Bono-aldi sembra esser durato in carica un tempo più lungo: L.J., I, 1287, 10 maggio 1259; ibid., I, 1323, 7 agosto 1260; per il 1261 vedi ibid., I, 1328, 1344, etc. E’ di Ancona - Annali, 280 [IV, 166] -; dopo il 1270, per parecchi anni giudice dei Capitani, poi Podestà. Inoltre l’annalista Lanfranco Pignolo - Annali, 248 [IV, 61] - deve essere stato giudice del Capitano. App. 6, nr. 172: nel 1263 (18 aprile), quale Podestà di Albenga, trattiene da una somma che doveva pagare al Comune 31 lire in pagamento dello stipendio, quod recipere debebat, quia steterat pro iudice et assessore cum Guill. Bucc. olim capit. Janue. 41 Annali, 237 [IV, 27]. App. 3, nr. 13, c. 185v. (15 novembre 1257): Jaco-binus, executor capitami come testimonio. App. 2, nr. 7 (12 agosto 1258): Otolinus et Gandulfinus, executores d. capitami hanno dato corso ad una citazione giudiziale. 42 II Podestà ha solamente 20 servientes-, cfr. Caro, Verf. Gen., p. 36. - 23 - Libro I - Cap. primo Fino ad allora il Podestà era stato l’unica suprema autorità a Genova. Così il Malavolta, che già ne aveva sostenuto l’ufficio certamente conforme alle intenzioni di coloro che lo avevano eletto, credeva di poter ancora comportarsi alla stessa maniera a norma delle condizioni alle quali aveva assunto la carica. Adesso però fra Podestà e Consiglio si frapponeva una nuova istanza, da cui dovevano derivare inevitabili conflitti personali. Ma il Capitanato era stato costituito col generale consenso e solo una violenta sollevazione avrebbe potuto rovesciarlo. Tale sollevazione non avrebbe potuto partire altro che da interni oppositori di esso; ma per ora, tutta la borghesia era contenta della nuova istituzione. In tale stato di cose, il Malavolta domanda di essere sollevato dall’ufficio assunto, non gli viene negato. Gli viene pagato lo stipendio per l’intero anno, come era giusto, poiché il Comune non aveva mantenuto con lui il contratto, non avendo egli potuto esercitare il suo ufficio nel modo convenuto. Dopo di che egli lascia Genova. Ne consegue una vacanza, durante la quale gli affari dello Stato vengono amministrati dal Capitano e dagli Anziani. Per l’esercizio della giustizia essi nominano due giudici locali43. Capitano e Anziani eleggono pure un nuovo Podestà, per il rimanente dell’anno, nella persona di Rai nerio Rosso da Lucca 44. La loro preponderante influenza su tutto è ormai ecisa e solo si potrebbe domandare fino a qual punto e in quali manife stazioni della vita dello Stato questa influenza potè farsi valere. Le osservazioni sulla prossima futura politica estera di Genova dimostreranno occanegra vi fosse intervenuto in maniera decisiva ovvero se egli, ario, si fosse limitato ad adempiere ai doveri della sua carica. cui sedetti1, Cu mrCfa P°testatis ad " Mandas Guillielmus de Quinto Munedo index ad *”/ e potestatis stare consueverat, et Nicolaus de de^es a Ma]f U ÏT™ V>atbma audienda'■ Sono menzionati due giudici nr 4^ 19 e sÌ m" ( 125?) “ ^ 3’ “■ », c. 90,. Inoltre App. 6. ind et ass d Aìh Tu sentenza pronunziata da Gandinus Jacobi Guarini, dii dd Gi T V? J“- * “ 17 *“*? Multedo e Guglielmo da Quinto f” ^ ^ NlC°l0S° Î sentenza pronunziata il 16 maggio 1257 dWd/vT™ “ ™ simile/r°CeSS° ■ tutum super iusticia janue Td. Guüî Ri h * Quinto, iudicem consti- dd MalaV°lta è fiss*t0 s3rquXltmeltea7P°erioedoa | 1257 (6 luglio): — 24 — Capitolo secondo La guerra con Pisa in Sardegna Successi di Genova in terraferma, 1256. - Lega con Chiano, Giudice di Cagliari, 1256. Inizio della guerra in Sardegna, 1256. - Morte di Chiano. - Assedio di Cagliari per opera dei Pisani, 1257. - Capitolazione. - Assedio di S. Igia da parte dei Pisani, 1258. Il 1256 non fu per Genova un anno di pace; esso fece epoca nel-1 antico conflitto con Pisa. Dal 1241, quando la flotta pisana, unita coll imperiale, aveva preso le galere genovesi coi prelati che si recavano al Concilio ’, lo stato di guerra era durato fino al 1254. Dopo la sconfitta che ebbe a soffrire in quest’anno dai Fiorentini collegati con Genova, Pisa potè concludere la pace a condizione che si sottomettesse all’arbitrato di Firenze2 per tutte le sue contese con Genova e Lucca. Cagione di grandi dispute fu anzitutto il castello di Lerici, sul golfo della Spezia, che Pisa teneva guarnito e che i Genovesi pretendevano. Dietro il reciso rifiuto di consegnarlo, le trattative di pace nel 1251 abortirono3 e, come era naturale, fu deciso a favore di Genova4. Ciò malgrado, Pisa non può decidersi a rinunziare alla sua posizione di fronte a Porto Venere5. Non è però in grado di far fronte alla coalizione di Firenze, Lucca e Genova e nel 1256 è decisamente battuta in uno scontro colle truppe delle città toscane. Lerici, assediato da parte di terra e di mare, si arrende ai Genovesi6. Fu questo un fatto di grande importanza per l’estensione della 1 Annali, 196 e sgg. [III, 1131. 2 Annali, 232 e sgg. [IV, 12], Lega di 10 anni fra Genova, Firenze e Lucca: L.J., I, 1115, 20 ottobre 1251. Cfr. Hartwig, Ein Menschenalter, I, p. 28 e sgg.; [Davidsohn, Gesch. von Flor., II, 1, pp. 403, 426 e sgg.]. 3 Annali, 229 [IV, 4]. 4 Annali, 233 [IV, 12], I documenti relativi in L.J., I, 1182 e sgg. 5 Annali, 1. c.; L.J., I, 1228, come dice la indizione (genovese) appartenente al 1254. Pisa si rivolse a Brancaleone de Andalo, senatore di Roma (Ficker, Forsch. Z. it. R. gesch., IV, p. 461), per spiegazioni sulla nullità della sentenza arbitrale. [Cfr. Davidsohn, 1. c.L 6 Annali, 234 e sgg. [IV, 19 e sgg.]; L.J., II, 35. Cfr. Hartwig, Ein Menschen-alter, I p. 30 e sgg. [Davidsohn, Gesch. Flor., II, 1, p. 447 e sgg.; Id., Forschungen zur Gesch. von Florenz, IV, p. 109 e sgg.]. - 25 - Libro I - Cap. secondo loro potenza verso oriente. Pisa conclude ormai paco onorevole con Firenze e Lucca7, dovendosi però sottoporre ad importanti cessioni. Rinunzia a Lerici; il castello di Trebiano, Vezzano e tutte le altre località ad oriente del Magra vengono date a Firenze, con facoltà di disporne a suo piacimento e, come già progettato8, Firenze consegna a Genova tutto questo territorio, troppo lontano dalla sfera dei suoi interessi . Poco dopo Pisa fece dichiarazione in forma legale della sua rinunzia su Lerici10. La guerra sulla terraferma è così finita, ma non pertanto la pace fu mantenuta, essendo nel frattempo intervenute delle complicazioni in Sardegna. L’antica gara delle due potenze marittime per la supremazia su quest’isola era entrata nel 1256 in una nuova fase. Le continue discordie fra i potentati locali, i 4 Giudici, avevano fornito occasione all’intervento forestiero. Il giudicato di Cagliari è ora il punto centrale degli avvenimenti. Il 20 aprile 1256 Chiano, marchese di Massa e Giudice di Cagliari, fece concludere, mediante i suoi inviati, una stretta lega con Genova , secondo la quale otteneva la promessa del diritto alla cittadinanza geno vese, e quindi egli, il suo paese e le sue genti dovevano essere protetti da Genova contro chiunque e specialmente contro i Pisani. Quello c e potrà acquistare in guerra sarà suo; in cambio egli cede in proprietà a Comune di Genova il castello di Cagliari. Questo è il punto decisivo • La cosa viene regolata dettagliatamente. Tutte le case ed i terreni non fabbricati cadono in potere del Comune. Esso può allontanare quanti abitanti gli piaccia, confiscarne i possedimenti esistenti entro il perimetro apparte- Annali, 236 [IV, 24], Le condizioni secondo il documento: Scipione AmMI rato, Ist. Fiorentine, I, p. 259 e sgg. Cfr. L.J., I, 1240. Già nel giudizio arbitrale del 1254 questi territori erano stati assegnati a Genova: L.J., I, 1213. 9 L.J., I, 1240 e sgg.: 25 ottobre 1256. I territori non vennero sotto la immediata amministrazione del Comune. V. oltre, libro III, cap. III. L.J., I, 1260 (appartenente al 1256) e 1243. Tma nrLh\ 1c31; \ documenti del L.J. relativi alla Sardegna sono anche in Tola, Cod. dipi. Sard., I, con pregevoli spiegazioni. 12 Ne fanno cenno anche gli Annali, 235 [IV, 21-22], La promessa di sposare una onna genovese non e espressa nel trattato: L./., I, 1234. Gli Annali aggiun- mTiLi, r?rlanT° f "\fidanzat0 COn una dama deUa casa Malocello. Lanfranco Malocello (L.J., I, 1234) e test.mone alla stipulazione del contratto; Guglielmo Malo-Comune (LJ- ’• 1235>' — >> — - 26 - La guerra con Pisa in Sardegna nente al castello, libero però ognuno di portar seco i propri beni mobili. Il Giudice trattiene per sè una casa entro il recinto del castello; come cittadino genovese egli può entrare nelle fortificazioni e uscirne con adeguato seguito; i possedimenti dei suoi fidi devono pure rimanere intangibili. Tutti gli abitanti del castello hanno diritto di usufruire dei pascoli e dei boschi nel paese del Giudice, come qualunque altro suo proprio suddito. Per il primo anno egli deve fornire tanto grano, carne salata e for-maggio, quanto ne può occorrere per tutta la gente che Genova manderà al castello 13. Egli dovrà inoltre provvedere che per il secondo anno venga importata in Cagliari una sufficiente quantità di viveri per cederli a prezzi convenienti. Con uno speciale giuramento egli si obbliga a proteggere i funzionari ed il presidio del castello. Il privilegio per l’esportazione del sale a Genova, e specialmente l’accordo che Cagliari debba rimanere l’unico porto commerciale nel territorio soggetto al Giudice, aumentano l’importanza del nuovo acquisto. Alla stessa guisa che tanto il Giudice quanto i suoi sudditi dovranno difendere tutti i Genovesi, e specialmente adoperarsi perchè il Comune rimanga in libero possesso del castello, così tutti i Podestà o Rettori che il Comune stesso potesse mandare a Cagliari dovranno prestare giuramento di proteggere il Giudice nei suoi diritti e possessi. I rapporti nei quali Chiano entra con Genova sono affatto singolari. Egli cede il punto strategicamente e commercialmente più importante del suo territorio, promette di prestare il giuramento come cittadino, di entrare nella Compagna e di prendersi a cuore l’onore del Comune. Quest’ultimo punto è pur giurato dai suoi sudditi14. Egli e la sua gente faranno guerra e concluderanno pace con chiunque, ma specialmente coi Pisani, a piacere di Genova. Questo trattato non può dirsi fatto a parità di condizione fra i contraenti, perchè la reciprocanza delle promesse da parte del Comune è puramente formale. Il Giudice si mette in condizione di dipendenza verso il Comune, però senza arrivare al punto di diventarne vassallo e prestare in conseguenza giuramento di fedeltà. Non 13 L.J., I, 1234: omnibus personis quas comune janue ponet in dicto castro seu qui ibi erunt prò comuni. Qui si allude chiaramente ad una guarnigione, però si pensava pure alla fondazione di una colonia. 14 L.J., I, 1233: iurabit... honorem comunis janue, et homines dicti mar-chionis iurabunt honorem comunis Janue. Questo è senza dubbio qualcosa di meno d’un giuramento di fedeltà, ma in ogni caso i sudditi del Giudice entrano per tal modo in diretti rapporti col Comune. - 27 - Libro I - Cap. secondo è affatto chiaro il motivo pel quale Chiano sia stato indotto a questo passo. Il castello di Cagliari era stato costruito dai Pisani1S; in ogni caso questi ne erano in possesso al principio dell’anno 1256 16 e il Giudice doveva avervi avuto parte. Accanto ai Pisani abitavano dentro al castello i suoi sudditi; a lui stesso era stato accordato sempre sicuro accesso1?. Perciò egli doveva già avere con Pisa qualche patto contrattuale. Dagli Annali18 risulta solamente che la conseguenza del trattato coi Genovesi e della sua esecuzione fu ima guerra in Sardegna fra questi e Chiano da una parte, contro i Pisani dall’altra, aiutati dal Giudice di Arborea. Forse erano avvenute anche prima delle guerre sull’isola, nelle quali Chiano era stato coinvolto e che lo avevano obbligato a cercare appoggi- Sembra che Pisa diffidasse di lui, ma siccome aveva molti fastidi in Toscana, era sua intenzione mantenersi neutrale in Sardegna , politica che non tardò a produrre pessimi frutti. 15 Cfr. Tola, Cod. dipi. Sard., I, 329 e sgg. 16 Ciò risulta dai documenti: H.P.M., Ch., II, 1538 e sgg. Cfr. Breviarium Pisanae historiae, 193 = Chronicon breve Pisanum, 122, per l’espressione in pristi num dominium Pisane civitatis. 17 II testamento di Chiano (L.J., I, 1199: 23 settembre 1254) è ricevuto a Cagliari in domo ...in qua predictus marchio habitat. E’ anche degno di nota che la casa riserbatasi da Chiano nel trattato con Genova è la medesima nella quale sedevano le autorità governative del Comune di Cagliari: H.P.M., Ch., II, l540; L.J., I, 1233. 18 P. 235 [IV, 32], H.P.M., Ch., II, 1540 (12 gennaio 1256): nel castello di Cagliari viene proclamato l’ordine del Podestà di Pisa. Nessun abitante del castello o Pisano in particolare poteva contrarre alcun impegno di fedeltà con uno dei signori de ardegna. Chi lo avesse fatto doveva rinunziare al suo feudo. Ibid., II, 1539 e sgg- (10 gennaio 1256): ordine dell’inviato pisano ai castellani e anziani del castello, che gli abitanti di esso ed i mercanti che vi si trovano non debbano essere mandati in guerra, ma debbano rimanere a guardia dentro il castello. Queste prescrizioni sono ben comprensibili quando si ammetta che Chiano sia stato in guerra con altri signori della Sardegna, forse col Giudice di Arborea e che lisa, essendo occupata nel continente e non volendo immischiarsi nelle guerre in Sardegna, abbia pensato a mantenervi neutrale la sua gente. Nel trattato di Chiano con Genova viene bensì spesso fatto richiamo all’inimicizia con Pisa, ma la disposizione item quod comune ]anue permittet pacifice dictum d. marchionem habere, tenere et possidere et gaudere libere ad suam voluntatem omnes terras, quas dante Domw acquiret contra inimicos suos et inimicos comunis Janue, (L.J., I, 1233) non può riferirsi a Pisa, poiché questa non possedeva allora fondi in Sardegna. Gli acquisti non possono aver luogo se non contro possidenti in Sardegna. - 28 - La guerra con Pisa in Sardegna Concluso il trattato col Giudice, Genova allestì due galere con a bordo Ogeno Scoto e Giovanni Panzano, destinati a Podestà e castellani di Cagliari, insieme con un numero di servientes20. Arrivati sul posto, Chiano li fece entrare nel castello21, ove ratificò solennemente la lega22.’ Comera convenuto, i Pisani vennero allontanati. Cagliari ha ormai un presidio genovese ed è così aperto un nuovo teatro per una guerra con Pisa. Lasciare indisturbata una piazza tanto importante in mano della rivale sarebbe stato per Pisa come una rinunzia alla sua posizione nel-1 isola, colla conseguente rovina del suo fiorente commercio con essa. I conti di Donoratico, della stripe dei Gherardeschi, impegnarono per primi la lottaB. Del loro possedimento di Parma, non lontano da Cagliari, fecero un baluardo contro i pericoli che potessero minacciare da quella parte. La madrepatria manda loro su 8 galere cavalieri e munizioni da guerra; queste arrivano felicemente; però una flotta spedita successivamente da Genova riesce a catturare le navi stesse, quando già erano tirate a terra . Il fatto infonde nuovo coraggio ai partigiani del Comune e la guerra si fa energica. Ancor prima che la flotta fosse di ritorno, una seconda salpa da Genova, forte di 24 galere, condotte da Simone Guercio e Nicola Cigala. Un colpo di mano su Porto Pisano riesce felicemente: 3 navi che vi si trovavano sono prese, altre incendiate25. La flotta pro- 2° Annali, 235 [IV, 22], 21 Annali, 1. c.: ex voluntate dicti marchionis illi (!) acceperunt et munierunt. La relazione pisana (Breviarium Pisanae historiae, 192 = Cbronicon breve Pisanum, 122) parla di tradimento per proditionem impii marchionis Chiami. Non vi è contraddizione e i diversi punti di vista spiegano le diverse espressioni; in nessun caso ebbe luogo un combattimento. Quelli che, secondo i Pisani, furono colpevoli del tradimento, vennero banditi. V. le disposizioni statutarie in Bonaini Stat Pisa I, 391. 22 L.J., I, 1235: il 25 maggio 1256 (die Jovis), i due castellani, senza il titolo, sono testimoni. 23 Annali, 235 [IV, 22], Comites quorum parentela appellabatur Girardesco-rum possono essere ritenuti soltanto Ugolino e Gherardo, conti di Donoratico: cfr. Breviarium Pisanae historiae, 193 = Chronicon breve Pisanum, 122; L.J., I, 1257. 24 Annali, 235 [IV, 22], Che il trasporto non fosse stato impedito è dimostrato dalla connessione dei fatti. 25 Annali, 235 [IV, 22], - 29 - Libro I - Cap. secondo cede fin verso Cagliari, ma vi arriva troppo tardi. Chiano, 1 alleato, non è più in vita26. I nemici lo hanno preso e ucciso. Gli ammiragli pensano con grande abilità di trarre profitto perfino da questa disgrazia a vantaggio del loro Comune. Uno di essi rimane indietro per proteggere Cagliari27, l’altro si reca a S. Igia. Sembra che un parente del caduto, Guglielmo Cepulla, avesse avanzato pretese per a successione28. L’ammiraglio Simone Guercio gli dà in feudo, il 15 otto bre29, tutti i castelli e luoghi del giudicato, la giurisdizione relativa a t^t0 quanto trovasi nel territorio di esso, dichiara lui ed i suoi eredi citta ini di Genova e assicura loro l’appoggio del Comune. Guglielmo presta i giuramento di vassallo; sarà fedele e obbediente a Genova, mette a sua disposizione i propri possedimenti, farà guerra e concluderà Pace a se conda degli ordini che gli verranno impartiti. Egli si mette così in una posizione di dipendenza molto maggiore di quanto non fosse que a ^ Chiano, e, ciò che è ancora più importante, cede al Comune S. già. Questa, come Cagliari, è esclusa dall’investitura feudale ed i suoi a tanti devono godere le medesime franchigie di quelli di Bonifacio. Questa parità di trattamento colla piazza che era il punto su cui poggiava 26 Annali, 1. c.: Chianus marchio ab inimicis illis diebus captus fuit et in ^ fectus. I nemici non possono essere altro che i Pisani condotti dai Gherar esc dal loro alleato, Giudice di Athorea. Chiano compare per l’ultima volta il 27 1 (L.J., I, 1236) in villa S. Gilie-, il suo successore vi compare il 15 ottobre L ]., I, 1237. Fra queste due date sta la caduta del Giudice, come osserva giù mente Tola, Cod. dipi. Sarà., I, 369, n. 1. Per le altre circostanze è sorprendente eh egli sia stato prima fatto prigioniero e poi ucciso, il che contrasta con qu?-s consuetudine di guerra. Secondo Breviarium Pisanae historiae, 192 = Chronicon rev Pisanum, 122, egli fu ucciso dai Pisani. Il loro desiderio di vendetta per il Cadimento di Cagliari spiega il fatto. 27 L.J., I, 1237, 1239. Annali, 235 [IV, 23]: Set cum ipsius successor esse diceretur Guilli^mu'' Cepulla. La questione di diritto non sembra essere del tutto chiara. L.J-, L 1^ (23 settembre 1254): Chiano nomina suoi eredi un Guillielmum (et) Raynaldum fili(o)s quondam Russi avunculi sui et d. Marie disserre (!) martere sue e dona a loro tutto quello che possiede nello stato di Cagliari. Il testo del documento lascia dubbio se con ciò si fossero stabilite delle incontestabili pretese d’eredità alla carica di Giudice. Rinaldo era morto non molto tempo prima di Chiano. L.J., I, 1236: suo testamento del 27 luglio 1256, ricevuto in S. Igia, dove trovavasi gravemente ammalato in casa di suo fratello, che viene da lui nominato erede universale, col consenso di Chiano. 29 L.J., I, 1237. — 30 - La guerra con Pisa in Sardegna potenza genovese in Corsica doveva guadagnare al Comune l’animo delle popolazioni, e provava il grande valore che si annetteva al nuovo acquisto30. La flotta ritornò quindi a Genova31. Le cose erano a questo punto, quando il Boccanegra assunse la direzione di Genova. Si erano ottenuti grandi risultati; si trattava ora di conservarli. A questo compito fu di ostacolo il fatto che nel contempo fu necessario entrare in guerra contro Venezia sulla costa siriaca, mentre Pisa, non avendo a temere più nessun attacco dalle città toscane, potè operare più energicamente in Sardegna. Essa manda a Cagliari 7 galere 30 L.J., I, 1241, nr. 893 (17 novembre 1256): il Podestà e il Consiglio confermano quello che l’ammiraglio ha concluso coi capitani di S. Igia, secundum quod continetur in instrumento scripto manu Jacobi Metijoci scribe, 1256, ind. 14, die 15 Od., inter primam et terciam, non può riferirsi al L.J., I, 1239, nr. 886 perchè questo documento contiene il giuramento dei 25 capitani di S. Igia di riconoscere Guglielmo come erede di Chiano, proteggerlo, obbedire ai suoi ordini, salvo l’onore e gli ordini di Genova. Esso è della medesima data, ma inter terciam et nonam ed è pure confermato dall’infeudazione di Guglielmo: L.]., I, 1245, nr. 892. Il documento al quale si riferisce il nr. 893 sembra perduto. In ogni caso esso contiene i punti più importanti sui rapporti fra la comunità (universitas hominum S. Igie) e Genova. Gli Annali, 235 [IV, 23] parlano solo di conferma della convenzione che era stata prima conclusa con Chiano; il che è inesatto, forse intenzionalmente. 31 L.J., I, 1246 e sgg. (17 novembre 1256): Nicola Cigala e Simone Guercio appaiono in Consiglio. Negli Annali, 235 [IV, 23] è detto che Guglielmo Cepolla fu portato con essi a Genova, dove morì infra paucos dies. Non è certo però se la notizia sia esatta. L.J., I, 1242 (28 ottobre 1256): Agnesina, figlia d’un ex Giudice, istituisce Cepolla erede di tutti i propri possedimenti e diritti nel Giudicato. Il documento concorda, nella costruzione della formula, esattamente col L.J., I, 1199. Da esso non risulta la personale presenza di Cepolla in Sardegna. Ma la ratifica del trattato con lui (L.J., I, 1245: 17 novembre 1256) ha luogo con i suoi rappresentanti. La flotta in questo giorno è già ritornata, poiché gli ammiragli siedono in Consiglio. Il che però non prova incondizionatamente che egli non fosse allora già a Genova; i rappresentanti erano stati già nominati fin dal 15 ottobre (ibid., I, 1249). Poteva essersi verificato qualche incidente, che avesse indotto gli ammiragli a condurlo seco, poiché sarebbe sorprendente che egli si fosse recato volontariamente a Genova, anziché difendere il suo Stato. Egli venne però certamente a Genova, perchè qui fu pubblicato il suo testamento (L.J., I, 1263), Actum in domo Guillielmi Barbavarie, Janue. Manca solo accidentalmente il nome del notaio Guglielmo Cavagno, dai cui registri fu estratto il documento. E’ scrivano della città (Caro, Verf. Gen., p. 53) e proprietario della casa del Consiglio. L.J., I, 1263: Cepolla è gravi infimitate detentus, e quindi morto poco dopo. La data, anno dominice nativitatis MCCLVIII, indictione XV, die Sabbati XIV mensis Januarii, offre insolubili difficoltà. Anno e indizione (genovese) - 31 - Libro I - Cap. secondo condotte da un abile capitano, Oddo Gualduccio32; vengono chiamati tutti i Pisani residenti nell’isola; il Giudice di Arborea è richiesto di aiuto e così si comincia l’assedio del castello. Per impedire l’arrivo di soccorsi dalla parte del mare, si costruisce una torre33, congiunta alla terraferma mediante un ponte, difesa da baliste e da una forte guarnigione. Frattanto il Capitano e gli An2iani mandano fuori 16 galere, condotte da Ugo Vento e Jacopo di Negro, le quali però non sono in grado di concludere nulla di serio. I Pisani hanno assicurato le loro galere sotto la torre, ben munite e ben armate alla resistenza. Gli ammiragli genovesi vedono inutile qualunque tentativo per prenderle: solo quando avessero ricevuto rinforzi avrebbero potuto arrischiare un attacco. Le navi della ma rina mercantile e 10 galere che le accompagnavano34 ricevono lordine di toccare Cagliari, e, riunite alla flotta che vi si trovava, tentare di provvedere il castello di viveri. In obbedienza a queste disposizioni si compie uno sbarco a terra, che però fu male diretto. La forte cavalleria nemica assale i Genovesi, i quali sono obbligati a riguadagnare le l°ro navi. Ne nasce confusione; un battello, nel quale si era assiepata troppa gente, cola a fondo e tutti affogano. Cagliari non si può salvare; la seconda combinerebbero, ma non il giorno della settimana; il sabato cade nel 1258 il 12 gennaio, nel 1257 il 13. Siccome il documento, tratto dai registri del notaio che pubblicò fu redatto da un altro, non è escluso un errore nel computo dell anno, etc. e la notizia degli Annali, che Cepolla sia morto infra paucos dies, non può dirsi con sicurezza inesatta. Se Breviarium Pisanae historiae, 192, dice villa S. Gilie Callan-tane dtocesis per proditionem et durante pace inter nos et Januenses a comuni Janue subtracta (Chronicon breve Pisanum, 122 similmente), ciò deve essere considerato dal punto di vista pisano. vero che Genova non aderì alla pace tra Firenze, Lucca e Pisa - Annali, LiV’ 24 ]> ~ Perchè domandava che il Giudice di Cagliari vi fosse pure compreso; accettò tuttavia le cessioni fattele sulla base della pace stessa. E’ certo che i rappresentante di Genova sollevò protesta con atti particolari contro la pace (L.J-, , 1241: 25 ottobre 1216; ibid., I, 1245: 29 ottobre), ma in ogni modo i Pisani dovevano considerare come un atto sleale quello che Genova accettasse i vantaggi offertile dalla pace senza che essa dovesse applicarsi anche per k Sardegna. 32 Annali, 237 [IV, 28]; Breviarium Pisanae historiae 192 = Chronicon breve Pisanum, 122. 33 Annali, 1. c.: in loco qui dicitur Lapola, certo posto sul mare o su qualche scoglio. 34 Annali, 1. c. e 239 [IV, 33], — 32 - La guerra con Pisa in Sardegna flotta procede per il suo destino, la prima ritorna a Genova3S. Gli assediati mancano del necessario, ed essendo svanita ogni speranza i soccorsi si arrendono al comandante in capo pisano Guglielmo, Giudice di Arborea36. Fu loro concessa libera uscita colle loro robe e andarono a S. Igia ancora in mano genovese37. Nel medesimo anno si destò la speranza di riacquistare il perduto. Un parente del Giudice38 venne a Genova, dicendo che da S. Igia avrebbe potuto riprendere Cagliari e altri luoghi39, se gli si fosse messa a disposizione della cavalleria. Il progetto trovò buona accoglienza e quindi si prepararono alla vela navi da combattimento e da trasporto; vennero arruolati 150 cavalieri40 e si elesse a podestà di S. Igia Jachino Calde- 35 Annali, 237 [IV, 29], App. 3, nr. 13, c. 172v. (1 ottobre 1257): Alberto Bonushomo nomina un procuratore per ricevere dal Comune di Genova quello che gli spetta, perchè egli era apud Calarum in servitio comunis Janue sulla galera, il cui comitus era Guglielmino Polpo, e che apparteneva alle 16 galere comandate dagli ammiragli Ugo Vento e Giacomo di Negro. Ibid., c. 178 v.: il 19 ottobre Petrino Venetico nomina un procuratore per ripetere da Giovanni Rosso di S. Martino di Paravanico 45 soldi di genovini che deve ancora avere da lui, quod prò eo ivi in galeis^ comunis Janue apud Calarum. Comitus della sua galera era Giovanni Nigrino; su di essa egli aveva prestato servizio per 4 mesi e mezzo. Secondo questo passo, la flotta sarebbe partita in maggio e ritornata in settembre. 36 Breviarium Pisanae historiae, 192 e sgg. = Chronicon breve Pisanum, 122; Annali, 1. c. [IV, 29]. App. 3, nr. 13, c. 177 (15 ottobre 1257): Marco de Mosco nomina un procuratore per chiedere al Comune quanto gli spetta, quod steti in castro Calari al servizio del Comune per 4 mesi, senza aver ricevuto pagamenti di sorta. La paga importa 35 soldi al mese. Se dunque un serviens che era prima a Cagliari si trovava già a Genova il 15 ottobre, vuol dire che la capitolazione si deve porre al più tardi a fine settembre e l’assedio può essere cominciato in maggio o prima, poiché il serviens non è stato pagato regolarmente e perchè forse il denaro era venuto meno ai castellani. Fra gli hit... qui erant in ipso castro - Annali, 237 [IV, 29] - deb-bonsi intendere anche gli abitanti. 38 Annali, 237 [IV, 29 e n. 2]: Frater Sardus, quondam patruus dicti marchionis. Non è ben chiaro se qui frater significhi monaco, se Sardus sia nome proprio, o se indichi il marchese Chianus o Guillelmus. Un fratello di Chiano, di nome Giacomo, si trova in L.J., I, 1264. [Cfr. Schaube, Re. a Caro, Genua und die Màchte..., p. 756], 39 Annali, 1. c. Le alie terre Sardinie sono possedimenti del Giudice che frattanto andarono pure perduti. 40 Annali, 237 [IV, 29]: quare amate fuerunt milites centum quinquaginta... dicte naves et ligna. II testo è qui corrotto. La correzione di armate in armati non - 33 - Libro I - Cap. secondo rario41. La spedizione vi arrivò senza incidenti42 dopo a«er catturato per via una nave pisana con ricco carico d’argento. Non abbiamo però alcuna notizia 43 sull’esito di questa impresa. gioverebbe affatto, perchè armare è usato per allestimento di navi e non per cavalieri; anche l’espressione dicte naves dimostra che pure prima si era parlato di allestimento di navi. Che fossero state spedite pure delle galere e che quindi fosse stata progettata un’azione combinata per terra e per mare per attaccare Cagliari è dimostrato dai documenti. App. 3, nr. 13, c. 171 v. (28 settembre 12571. Bonus Johanninus filius Petri Capre de Arenzano promette di servire per un altro sulle galere che devonsi ora armare, de quibus est amiratus Jacobus Zurlus; similmente (ibid., c. 112 v., 30 settembre; c. 172, 28 settembre) si parla solo di galere que presencialiater armari debebunt contra inimicos comunis ]anue. Nell’anno 1258 questa flotta dev’essere tornata indietro (ibid., c. 196): Galvano Bracelli nomina un procuratore, per chiedere al Comune quello che doveva avere, quia ivi prò vogerio (rematore) in galeis, de quibus amiratus fuit Jacobus Zurlus, scilicet in illa galea, de qua corniti erant Rubaldus Comes de Rapallo et Johanninus Guercius, i quali gli avevano promesso 25 soldi al mese; per un mese era stato pagato, rimanendo ancora creditore della paga di due mesi. Ibid., c. 202 (23 gennaio 1258): 3 nauclerii galee, de qua corniti erant Nicolaus Capellus de Castro et Symon Rubeus in stolo galearum, qui (!) iverunt Calarum, de quibus amiratus fuit Jacobus Zurlus, nominano un procuratore per esigere la loro paga. E pure citata Yarmata galearum comunis Janue cuius fuit admiratus Jacobus Zurlus (Pol. Noi, II, c. 23: 9 e 13 gennaio 1258; c. 23 v : 24 gennaio 1258), que galee fuerunt aput Tunesim, il che è certo un errore di penna. Devesi invece riferire alle navi da trasporto Ü fatto che (App. 3, nr. 13, c. 196: 10 gennaio 1258) un marinaio di Marsiglia nomina un procuratore per ricevere dal Comune quanto gli è dovuto, quia ivil prò marinario in barcha Garnani, f. Willielmi Tarretii. Al presidio genovese, che si stanziò a S. Igia nel 1257, si riferiscono: ibid., c. 145, 4 agosto 1257, nomina d un procuratore per ricevere dal Comune la paga pro eo quod steli prò serviente in ser-vicio dicti comunis in S. Y già per menses duos, de quibus solucionem non habui; ibid., c. 164 v., 3 settembre 1257, Obertino da Piacenza parimenti, in nome di quelli dei quali è procuratore, nomina Petrumbonum de Cremona, tabernarium quale rappresentante per ricevere la paga dal Comune, occasione ea quod steli et... steterunt pro serviente et servientibus in S. Y già ad honorem et servicium comunis Janue per menses quinque, de quibus aliquam solucionem non habuerunt\ similmente ibid., c. 173, 2 ottobre 1257, il serviens era stato 8 mesi a S. Igia con un salario di 40 soldi al mese; 3 mesi erano rimasti in arretrato. 41 Annali, 237 e sgg. [IV, 29]; per postea leggasi potestas; v. L.J., I, 1257. 42 Annali, 238 [IV, 30]. E’ nominato quale ammiraglio delle naves (navi da trasporto) Filippo Calderario, il che non esclude che Jacopo Zurlo comandasse le galere. 43 I cavalieri rimangono manifestamente a rinforzo del presidio di S. Igia, come fa menzione L.J., I, 1257. - 34 - La guerra con Pisa in Sardegna Cagliari è perduta ed anche il possesso di S. Igia è poco sicuro. Alcuni abitanti del luogo vorrebbero darlo in mano ai Pisani, ma il divisato tradimento è scoperto e duramente punito44. Quello che i Pisani non poterono avere coll’astuzia, tentarono ottenere coll’aperta violenza nel 1258. L impresa era diffìcile, tanto più che i Genovesi erano riusciti nel mese di maggio a munire la piazza di tutti i mezzi necessari alla di esa . I Pisani a loro volta misero a prò tutte le loro forze per continuare 1 assedio. Il Giudice di Arborea viene nominato ancora comandante in capo; Giovanni Visconti, Giudice di Gallura, si unisce a lui insieme ai conti Ugolino e Gherardo con truppe a piedi e a cavallo. Oddo Gualduccio, che comandava le galere, ordina la chiamata alle armi di tutti i cittadini pisani atti alla guerra46. Per quanto si confidasse a Genova nella forza di resistenza di S. Igia, si comprendeva però come non fosse possibile spiegare in Sardegna una forza eguale alla nemica e ciò tanto più, in seguito alla piega che prendeva la guerra in Acri. 44 Annali, 238 [IV, 30]. Gli Annali nulla riferiscono sulle guerre del 1258, ciò che, visto il cattivo esito di esse per Genova, non è certamente senza intenzione. 45 Tola, Cod. dipi. Sarà., I, 882 (10 giugno 1258): il governo genovese scrive Caravana vero nostra datis lesionibus 'tn personis inimicorum nostrorum in Sardinea ad eorum opprobrium, terra S. Igie omnibus necessariis communita, XX die mensis madii a Callari felici homine discessit. App. 2, nr. 8 A (13 giugno 1258): il governo genovese scrive che quanto a S. Igia non aveva alcuna preoccupazione, poiché era provveduto dei necessari mezzi di sussistenza, tum etiam quia super ipso negotio alias est taliter ordinatum, quod divina favente potentia, que... et actus nostros secreto consilio prospere in omnibus et cum iusticia moderatur, nobis redundabit ad commodum et honorem et eisdem inimicis nostris, qui sola elacione gloriantur ex nichilo, ad incommodum et iacturam-, non è chiaro a che cosa ciò si riferisca. 46 Breviarium Pisanae historiae, 192 e sgg.; Chronicon breve Pisanum, 122. Cfr. L.J., I, 1257 e sgg. — 35 — Capitolo terzo La guerra con Venezia Origine del dissidio in Acri. - Lega di Venezia con Pisa, 1257. - Lega 1 enova co i baroni. - Vantaggi dei Veneziani. - Battaglia navale presso Tiro. - ntervento principe di Antiochia. - Allestimento di nuove flotte, 1258. La guerra con Pisa andava, come vedremo, di pari passo con que la con Venezia, il cui teatro era la costa siriaca e in particolare Acri. Q sta città, dopo che cogli sforzi uniti degli Stati cristiani dell’Occidente, fu ritolta ai Saraceni, diventò il centro cui facevano capo gli Stati ciati. Come altrove, anche qui Genovesi, Veneziani e Pisani avevano loro particolare quartiere e larghi privilegi ottenuti nella conquista, ove era concentrata una grande parte del commercio coll Oriente, a lità doveva manifestarsi fortemente fra loro e produrre urti che, p debolezza dell’autorità della signoria locale, potevano condurre a g conseguenze. . ,. Non è chiara la causa che questa volta diede luogo allo SC°PP una guerra formale fra Genova e Venezia. Le fonti, che si ri eriscono a notizie interne *, ci dicono che Marco Giustiniani, venuto nel 12 Acri quale bajulo veneziano, abbia presentato al patriarca una ett del papa, che conteneva l’ingiunzione di metterlo in possesso de a as di S. Saba. Ansaldo Ceba e Leo Grimaldi2, arrivati di fresco in quahta di consoli dei Genovesi, avrebbero essi pure recato al Priore degli Ospe a ìe una lettera papale nella quale era detto che S. Saba doveva appartenere 1 Marin Sanudo il Vecchio, Liber secretorum, II, 220; Continuatio ut ■ )r > 443; Annales de terre sainte B, 447; Amadi, Chronique, 204. Più partico areggia Ann. terre sainte B\ più brevemente Coni. Guài. Tyr. Tutti e quattro attingono mani festamente ad un’unica fonte, che deve avere avuto presente anche 1 autore i questa parte de Les Gestes des Cbiprois. L’altra Coni. Guill. Tyr. (ms. de Rothelin), i sgg., conosce pure questa fonte. 2 I nomi in Ann. terre sainte B, 1. c., e Amadi, 1. c.; Ansaldo Ceba a Genova nel Consiglio (L.J., I, 1117): 20 ottobre 1251; in Acri, però senza titolo (Paoli, Cod. dipi. ord. Gerosol., I, 161): 10 agosto 1257; entrambi citati come consoli in Gest. des Chipr., 150. - 36 - La guerra con Venezia al loro Comune. Non si può certo dubitare della realtà di questo fatto3; è però discutibile se esso sia stato di decisiva importanza. Nè la relazione genovese, nè quella veneziana ne fanno parola. La prima è difficilmente determinabile cronologicamente4. Quando Simone Malocello era console in Acri, un genovese fu ucciso da un veneziano. Tutti i compatrioti di quello presero le armi, invasero il quartiere di questo fino al palazzo comunale. Si diede la caccia ai Veneziani, alcuni dei quali rimasero feriti. 3 L.J., I, 1097, nr. 818 e sgg. (cfr. Heyd, Histoire du commerce du Levant, I, p. 345): 2 lettere di papa Innocenzo IV del 27 giugno 1251. La prima abbati et conventui monasterii sancti Sabbati Alexandrie, cioè all’abate e monaci del monastero di S. Saba esistente in Alessandria d’Egitto. Ad istanza del Comune di Genova, egli dà loro l’incarico di vendere ed appaltare in perpetuo a detto Comune domum, quatti apud Accon in vico qui catena dicitur habere dicimini-, nel caso che non obbedissero, sarebbero colpiti dalla scomunica. Colla seconda lettera l’arcivescovo di Tiro è incaricato, occorrendo, di obbligarli, mediante la scomunica, all’esecuzione dell’ordine del papa. Le due lettere furono spedite in originale in Oriente ancora nel 1251, come dice una nota (L.J., I, 1099) - Menabos de Turricella era Podestà nel 1251: Annali, 228 [IV, 3], - che però è degli editori dei due documenti. Non è da dubitarsi che l’ordine del papa non sia stato in qualche modo eseguito; la Casa detta S. Saba venne di fatto più tardi in possesso dei Genovesi: Annali, 238 [IV, 32]. Canal, Cronaca, 451, andrebbe d’accordo sul punto che i Veneziani ne domandano il possesso (Marin Sanudo, Liber, 1. c., possessio-, Ann. terre sainte B, 1. c., saisine). Se i Genovesi avessero ricevuto una nuova lettera papale o mostrato di nuovo quella vecchia non è chiaro; tuttavia, la seconda ipotesi non è da scartare. Il suo contenuto comunque era che essi potessero tenere la casa (ut habere debeant: Marin Sanudo, Liber, 1. c.). Che il chiostro di S. Saba non fosse in Acri, ma in Alessandria, è un vecchio malinteso che anche Heyd non ha sufficientemente messo in rilievo. [Il 22 aprile 1255 Alessandro IV ordinò all’abate e al convento monasterii S. Sabbati Acconensis di vendere, appaltare in perpetuo ai Genovesi e scambiare la loro Casa nella città di Acri in vico catene-. Reg. Alex. IV, I, p. 116, nr. 390; v. anche nr. 391. Però il 22 luglio 1255 il papa incaricò il priore dei Giovanniti ed il pievano di S. Marco in Acri d’impedire la vendita, che sarebbe riuscita di grave danno al convento e da cui pure nimium scandalum oriretur-, ibid., I, p. 185, nr. 606; cfr. Ròhricht, Gesch. des Koenigreichs Jerusalem, p. 897, n. 2: in sostituzione del periodo precedente, da « Se i Genovesi...]. Nessuna fonte veramente attendibile ci dice che la guerra fra i Genovesi ed i Veneziani fosse scoppiata per causa d’una chiesa o d’un convento; Canal, 1. c., dice espressamente che la Casa (maison) si chiamava S. Saba, ciò che concorda pienamente con i documenti in L.J. In Alessandria vi era una chiesa di S. Saba: v. Ròhricht, Antonius de Cremona. Itinerarium ad Sepulcrum Domini, 1J27-1330, p. 163. 4 Annali, 238 [IV, 30]: licet diversis temporibus acciderit, id explicare prout brevius potero proposui. — 37 — 4 Libro I - Cap. terzo Si procurò poi di giustificare il tumulto, ma il buon accordo che fin lì era corso rimase turbato5. L’odio reciproco crebbe e scoppiò quando Barocio Mallone comprò una nave veneziana catturata dai pirati6 e la introdusse nel porto di Acri. I Veneziani gliela tolsero colla forza. Percio i Genovesi diedero di piglio alle armi, si diressero al porto dove, non solo ripresero quella nave, ma catturarono tutte le altre che i Veneziani vi avevano. I Veneziani ne soffersero danni. L’avvenimento è noto al Canal [Martino da] 7 il quale ritiene pure per vero che le navi poco dopo furono restituite. Le pratiche d’accomodamento, incamminate subito sul posto, fallirono, essendo mancato l’accordo sul risarcimento dei danni8. Dovevano quindi essere avvenuti nuovi combattimenti. Gli Annali informano che i Genovesi si erano resi amici e alleati i Pisani, per modo che avrebbero potuto facilmente allontanare i Veneziani da Acri; riferiscono inoltre che questi ultimi furono messi talmente alle strette, da dover inalberare sul palazzo del Comune la bandiera del patriarca, per invocare il suo aiuto spirituale. I Genovesi per compassione vi rinunciarono9. Qui sarebbe da citare l’altra cronaca, secondo la quale i Genovesi coll’aiuto dei Pisani batterono i Veneziani, entrando nel loro quartiere fino alla chiesa di S. Marco10. 5 Gli Annali, 1. c. [IV, 31], non dicono il nome del secondo console. Heyd, I. p. 344, nota che il Malocello fu console nel 1249 e 1250; Desimoni, Quatre titres des propriétés génois, pp. 215, 222. Allora il fatto avviene prima della pace di otto anni del 10 luglio 1251, L.J., I, 1099. Gli Annali, 229 [IV, 5], però ne parlano prima; può darsi che appunto questo avvenimento abbia ritardato l’accordo (propter quedam fuit negotium dillatatum usque pascha). Le parole omnia quecumque eis fiebant a Januensibus, edam levia, ad animum revocabant - Annali, 238 [IV, 31] - provano che i Veneziani avevano ancora bastanti fastidi, che poi furono esposti nelle ivi citate lettere del Doge. 6 Annali, 238 [IV, 31]: quedam navis Venetorum fuit a quibusdam capta. Mancandoci documenti ed altre notizie, non possiamo riconoscere chi siano i quidam. 7 P. 452, lo pone nel 1257; del precedente non parla. Riguardo alla cattura delle navi, egli parla di traison, forse soltanto perchè venne fatta in tempo di pace. 8 Annali, 238 [IV, 31]: quia super emendatione damnorum nequiverunt esse concordes. La Cronaca del Canal, 1. c., è, come sempre, alquanto abbellita a favore dei Veneziani. 9 Annali, 239 [IV, 32], Secondo l’aggiunta var. b, ciò avvenne nel 1257. Sul punto che il patriarca appoggiasse i Veneziani, cfr. Coni. Guill. Tyr., 445. 10 Marin Sanudo, Liber, p. 220 = Cont. Guill. Tyr., 443; Amadi, 204, nel 1256. Però, siccome per queste fonti l’anno comincia al 24 marzo, ossia a Pasqua, così il fatto potrebbe essere accaduto nei primi mesi del 1257 ed anche essere lo stesso - 38 - La guerra con Venezia Questi fatti erano possibili solo dove le autorità locali non potevano tenere a freno le ciurme litigiose della gente di mare. Gli abitanti delle città marittime, gelosi dei loro privilegi, non tolleravano nessun attacco alla giurisdizione pienamente libera dei loro consoli, i quali, non potendo frenare il desiderio di vendetta che rapidamente infiammò le moltitudini, si erano messi alla testa di esse, cosicché alcune zuffe, inconcludenti sul principio, degenerarono poi in formali combattimenti per le vie. Piccole cause riaccesero le latenti passioni, finché non avvennero fatti che resero impossibile qualunque riconciliazione. E tale fu ora il caso, quando le navi veneziane furono saccheggiate dai Genovesi. Subentra poi in Acri una quiete apparente e intanto i Veneziani mandano messaggi al Doge per presentargli le loro lagnanze. Questi, con molte note, si lamenta col governo genovese; il contegno di quest’ultimo è tut-t’altro che conciliante; tuttavia viene combinato a Bologna un convegno di rappresentanti dei due Stati, per trattare sul modo di porre rimedio alla vertenza. Genova però tarda a mandare i propri delegati, fino a che misure ostili prese dai Veneziani frustrano ogni tentativo di accordo. Così si devono intendere gli Annali11, che però non sono in armonia con le altre notizie ,2. L’abilità politica del Boccanegra, che pur aveva allora la forza in mano, non appare molto brillante. Egli non ebbe certamente colpa negl’intrighi di Acri, ma, essendo in pari tempo in guerra con Pisa, gli doveva premere anzi tutto, e a qualunque costo, di mantenersi in buona relazione con Venezia, mentre non fu adoperato alcun mezzo a questo della presa d’una strada da parte di Genovesi e Pisani, narrata dal Canal, 456. Ann. terre sainte B, 447, nominano la chiesa di S. Demetrio anziché di S. Marco. Siccome essi dicono espressamente che di poi venne conclusa la pace fra Genovesi e Veneziani — il che non è evidentemente del tutto esatto - il senso in ogni caso è come lo troviamo in Dandolo, 365 (che combina insieme Canal e Marin Sanudo): che cioè i Genovesi avevano preso dapprima le navi dei Veneziani e poi invaso il loro quartiere, dopo di che sarebbe stato concluso l’armistizio, per trattare la pace. i' P. 238 [IV, 31]. 12 Canal, 454. I Genovesi avrebbero mandato in fretta inviati a Venezia, per offrire il risarcimento dei danni a piacere del Doge, il quale avrebbe loro intimato di lasciare il suo paese entro tre giorni. Lo scopo del racconto è manifestamente quello di dimostrare l’ardito intendimento dei Veneziani, cioè di prendersi da sè medesimi l’indennizzo. Dandolo, 365, riferisce il contrario, che cioè i Genovesi si sarebbero rifiutati di risarcire i danni e che perciò sarebbero stati licenziati. Egli può avere cambiato arbitrariamente la relazione che aveva sottocchio; cfr. Simonsfeld, Andreas Dandolo und seine Geschicbtswerke, p. 114. — 39 - Libro I - Cap. terzo scopo. La cosa andò per le lunghe finché fu troppo tardi. Se il contegno di Venezia fosse stato veramente tale da non consentire alcuna intesa, la guerra, che sarebbe diventata inevitabile, doveva farsi subito ed energicamente. Ma neppur questo avvenne. La flotta destinata per la guerra in Siria salpò troppo tardi, nè era forte abbastanza 13. Venezia mirò più direttamente e più abilmente allo scopo. Il 18 luglio 1257 14 essa concluse a Modena una lega decennale con Pisa, apertamente diretta contro Genova. I cittadini dei due Comuni dovevano prestarsi aiuto a vicenda in qualunque parte sul mare contro i Genovesi, fossero questi assaliti o assalitori. La relativa comunicazione doveva essere fatta, nel più breve tempo possibile, alle autorità coloniali, che, al loro entrare in carica, dovevano giurare di far rispettare la convenzione. E’ espressamente dichiarato che l’allenza fra Genovesi e Pisani in Siria è sciolta. La stretta relazione, così iniziata, si rende manifesta nel patto che ogni nave veneziana e pisana dovesse portare la bandiera dei due Comuni e che alle mazze, che gli uscieri presso le autorità d’oltremare tenevano in mano1S, dovesse essere aggiunto il duplice stemma. Il vantaggio della convenzione era indiscutibilmente tutto dalla parte di Venezia; Pisa non era obbligata a mandare una propria flotta in Acri; ma i suoi connazionali di colà dovevano da allora in poi prestare aiuto ai Veneziani. Questo è il punto critico; l’appoggio che i Pisani potevano avere dai Veneziani in Sardegna era certo allora poco importante. Il 19 agosto la convenzione è ratificata a Venezia. Nel medesimo tempo viene spedita di qui la prima flotta da guerra forte di 14 galere, a scorta delle navi mercantili, comandata da Lorenzo Tiepolo 16. 13 Annali, 239 [IV, 34], 14 Dal Borgo, Dipi. Pis., p. 71 e sgg.; Muratori, Ani. Ital., IV, p. 403; Dandolo, 365; dal Liber Pactorum, IV, 228, cfr. Simonsfeld, p. 165; Tafel e Thomas, Der Doge Andreas Dandolo, p. 137; Mas Latrie, Rapport sur le recueil des archives de Venise, p. 274. 15 Dal Borgo, Dipi. Pis., p. 74: precones seu plazarii sive nuntii rectorum... per ultramarinas partes constitutorum portent... baculos in manu cum signis utrius-que comunis. 16 Annali, 238 [IV, 32]: Veneti... cum eorum caravana quatuordecim inter taridas et galeas transmiserunt armatas. Secondo la var.h, inter laridas et, è cancellato perchè è chiaro che le taride sono precisamente navi mercantili. Il nome del comandante, indicato in un’aggiunta var. i, è esatto. Gest. des Chipr., 149, indicano lo stesso numero di galere e il comandante Lorens Cape è giustamente designato come - 40 - La guerra con Venezia In ogni caso i Pisani di Acri furono subito informati della convenzione con Venezia e, in obbedienza agli ordini ricevuti dalla madrepatria, denunciarono l’ibrida lega coi Genovesi e si unirono ai Veneziani17. I Genovesi oppongono a questo colpo una lega con i baroni, che, in assenza del legittimo erede al trono, Corradino, tenevano la signoria del paese 18. Giovanni d Ybelin, Signore di Arsur, è connestabile e bajulo del regno di Gerusalemme 19, e come tale sta a capo dei vassalli, fra i quali il più considerevole è Filippo di Montfort, Signore di Tiro 20. I Genovesi giurano di proteggere i baroni21 e di non concludere pace alcuna senza il loro as- capitaigne', il titolo di ammiraglio non era allora in uso a Venezia. Canal, 454: por chevetains . . . Laurens, figlio di Jacopo Tiepolo, monta sopra una nave (nef), e 13 galere sono al suo comando (conformemente a Dandolo, 365). Marin Sanudo, Liber, 220: Laurentius Teuplo capitaneus 13 galearum = Amadi, 204 = Ann. terre sainte B, 447. L osservazione di Gest. des Chipr., 1. c., che portavano la bandiera dei due comuni, fornisce un punto d appoggio per la data. Il cronista non conosce la convenzione conclusa a Modena; per conseguenza la notizia non può venire altro che da un testimonio oculare. Sono le prime navi veneziane ch’egli aveva visto approdare nel porto d’Acri con due diverse bandiere. 17 Annali, 239 [IV, 32] = Marin Sanudo, Liber 220 = Amadi, 204 = Cont. Guill. Tyr., 443. Solo nelle Ann. terre sainte B, 447, è in certo modo detto chiaramente che la convenzione principale non fu conclusa in Acri. Che essa dovesse essere valida per 20 anni non e esatto. In Marin Sanudo è detto pure che i Pisani accettarono i pesi e le misure veneziani. Ciò può avere avuto luogo in un accordo supplementare concluso In Acri. Se, come dice Amadi, la convenzione non era valida altro che da Creta in avanti verso oriente, non vi sarebbe accordo col testo del documento. Marin Sanudo e Ann. terre sainte B pongono la convenzione ancora nel 1256, ciò che si può spiegare con un’inesatta interpretazione della fonte comune. 18 Annali, 239 [IV, 33 con la variante: anno etiam precedente anziché fuit ali-quando'.I: fuit aliquando quod segnoria erat ex federatione et colligatione cum Januen-sibus. Marin Sanudo, Liber, 220: Januenses composuerunt cum dominio Acon; il sequenti anno è inesatto, perchè questa lega era stata conclusa subito dopo quella fra Venezia e Pisa. Ann. terre sainte B, 447 = Cont. Guill. Tyr., 443. Quanto a Corradino, cfr. Mas Latrie, Hist. de Chypre, I, p. 373. 19 Cont. Guill. Tyr., 443 = Amadi, 204. 20 II privilegio per Ancona (10 agosto 1257) in Paoli, I, 157 e sgg.; Regesta regni Hierosol., nr. 1259: 6 Genovesi vengono nominati come testimoni, nessun pisano o veneziano. Da ciò possiamo concludere che la loro nomina fu favorita. Negli Annali, 240 [IV, 46], gli Anconitani sono indicati come amici dei Genovesi. 21 Cont. Guill. Tyr., 443. — 41 — Libro I - Cap. terzo senso22. In ogni caso il patto era reciproco, per modo che non si può accusare gli Annali di esagerazione ove dicono che in quel momento Genova avrebbe potuto disporre di Acri a suo piacere B. Nello stesso momento inoltre, i Pisani avevano perduto le loro due torri24. L’arrivo di Lorenzo Tiepolo colle sue galere cambiò gli eventi. Tutti i singoli atti di ostilità finora avvenuti25 non avevano ancora prodotto lo scoppio di una vera guerra. Il governo genovese non l’aveva ancor dichiarata apertamente. Esso titubava, temeva di essere il primo ad attaccare, ordinava ai suoi rappresentanti in Acri di provocare gli avversari, senza però riuscire a metterli nell’incapacità di nuocere. Due volte si era perduto il momento opportuno per dare un colpo decisivo. Coll’aiuto dei Pisani e coll’appoggio dei baroni si sarebbe potuto allontanare i Veneziani da Acri. Ma l’occasione non si ripresenta. La flotta nemica sfonda la catena che sbarra il porto, vi entra, prende e dà fuoco a tutte le navi genovesi che vi si trovano, s’impossessa anche della Casa di S. Saba, incendiandola e 22 App. 2, nr. 4: propter concordiam et conventionem, quam habebamus cum baronis ultramaris, sine quorum expresso consensu pacem aut treuguam vel pactum aliquod facere minime poteramus. 23 Annali, 239 [IV, 331. Di fronte alia formale testimonianza di Marin Sanudo etc., non possiamo dare alcun peso alla posteriore aggiunta, variante a, secondo la quale Genovesi, Pisani e Segnoria Aconis sarebbero stati da principio confederati, anzi la conclusione della lega fra Genova e i baroni devesi porre più tardi di quella fra Venezia e Pisa. 24 Ann. terre sainte B, 447: 1249. Desimoni, Quatre titres, p. 219, vi è detto turris nova Pisanorum, dunque ve ne doveva essere anche una antica. Questa è citata in Annali, 239 [IV, 32], Le due torri non vennero subito in potere dei Genovesi, ma bensì del signour, cioè del Signore di Arsur, quale vicario regio. A ciò corrisponde la relazione di Marin Sanudo, Liber, 220, dove aW'obtinuit sta per soggetto dominium Acon. Dandolo, 365, è inesatto. Secondo Ann. terre sainte B, 447, il console pisano, Signour de la Secrete, venne soltanto dopo; questi è menzionato in Gest. des Chipr., p. 149, come Signer de la Seete\ Breviarium Pisanae historiae, 193 = Chronicon breve Pisanum, 122: Siscinius de Sassetta. L’incidente narrato da Gest. des Chipr., 149, dovrebbe essere posto prima della presa delle due torri pisane. 25 Devesi osservare che nella presa delle torri pisane i Genovesi non compaiono come principali attori; dovremmo anzi quasi supporre che si trattasse d’un tentativo dei baroni di ristabilire la pace colla forza, naturalmente a profitto di Genova. I Veneziani non possedevano torre alcuna (App. 2, nr. 8 F): nec Veneti turrem aliquam in eadem civitate aliquo tempore habuerunt. La parte avversaria è quindi senza difesa, nulla può opporre al suo allontanamento. A questo alludono anche gli Annali, 239 [IV, 331: set que facere debuerant et potuerant non fecerunt. — 42 - La guerra con Venezia mandando pure in fiamme molti altri edilìzi26. Nel giorno seguente27 cominciano i veri combattimenti per le vie. I Genovesi vengono aiutati da un grande numero di abitanti di Acri, che sono retribuiti in denaro. Col notevole rinforzo degli equipaggi della flotta, Veneziani e Pisani sono ormai in vantaggio, riprendono una strada poc’anzi perduta e s’impossessano di gran parte della città 28 a prezzo di molto sangue. A quanto sembra per salvare il loro quartiere, appiccarono il fuoco alle case genovesi29. Un armistizio concluso subito dopo 30 serve per la preparazione della inevitabile ulteriore guerra31. I Genovesi possedevano in Acri due torri, una antica e una nuova; quest’ultima era certamente il loro principale baluardo 32, munito in particolare delle diverse specie di baliste allora fabbricate 33. Anche a Genova furono date galere di scorta alla flotta mercantile, in numero di 10, essendosi avuta la certezza di essere stati preceduti dai 26 Canal, 454 e sgg., parla di misure di difesa che furono prese. La torre che sovrastava all’ingresso del porto (tor de musqués, cfr. i piani di Acri da Marin Sanudo in Thomas, De passagiis in terram sanctam e Rey, Étude sur la topographie d’Acre, p. 138) sarebbe stata occupata. I Genovesi avrebbero convertito la Casa di S. Saba in castello e messo una catena attraverso il porto. Canal non dice espressamente che la torre del porto sia stata occupata dai Genuenses-, essa non apparteneva loro; nè da essa fu opposta viva resistenza, altrimenti non sarebbe riuscita così facilmente la spezzatura della catena. Sembra che le navi genovesi non siano state seriamente difese e nemmeno la Casa di S. Saba. Canal non lo dice in modo espresso, ma soltanto in questa maniera la sua cronaca può mettersi in accordo con gli Annali, 238 [IV, 32]. La catena non vi è menzionata affatto, ma dopo avere parlato dell’incendio delle navi e delle case, vi è detto: Januenses autem videntes predicta, arma ceperunt. Marin Sanudo, Liber, 220, parla soltanto di violenta occupazione del porto, ciò che appunto può riferirsi alla spezzatura della catena, in armonia con Amadi, 204, e Ann. terre sainte B, 447. Canal, 456, fa ascendere a 30 il numero delle navi bruciate e due galere. Dandolo, 365, invece: 28 navi e 2 galere. Cont. Guill. Tyr. (ms. de Rothelin), 635: 20 naves e più (certo la migliore lezione). 27 Canal, 456; così pure in Dandolo, 365, la migliore lezione. Cfr. Simons-feld, p. 39. 28 Canal, 1. c. 29 Annali, 238 e sgg. [IV, 32]. 30 Canal, 1. c. Annali, 239 [IV, 32]. 32 Desimoni, Quatre titres, pp. 215, 217; cfr. Canal, 460, 472. 33 Annali, 239 [IV, 32], Cfr. Gest. des Chipr., 150; Cont. Guill. Tyr. (ms. de Rothelin), 635; Canal, 460. — 43 - Libro I - Cap. terzo Veneziani. Però il viaggio fu poco felice; l’approvvigionamento di Cagliari, come vedemmo, non riuscì; nella prosecuzione del viaggio quattro navi andarono disperse, per modo che solo sei galere poterono finalmente arrivare a Tiro con remi rotti ed altre avarie34. Da allora in poi questa città costituisce la base delle operazioni dei Genovesi in Siria. Già da tempo il Comune vi aveva importanti possedimenti3S. Sembra che il Signore di Tiro, Filippo di Montfort, avesse privato i Veneziani dei loro diritti in quella città36 nella quale, di conseguenza, non potevano opporre resistenza ai Genovesi. Questi avevano già in porto un bel numero di galere e di legni minori a remi37. Dopo l’arrivo della flotta da Genova, il Comune poteva allestire circa 17 38 navi armate per la guerra, comandate dall’ ammiraglio Pesceto Mallone. All’ incirca del medesimo numero di navi39 disponevano i Veneziani in Acri. Allo spirare dell’armistizio comincia una duplice azione. In Acri le baliste sono in azione giorno e notte per riversare sul nemico una grandinata di pietre. Fu probabilmente allora che i Genovesi distrussero 1 antica torre dei Pisani,t0. Frattanto la loro flotta avanza numerosa da Tiro verso il porto, certo nell’intenzione di dividere la forza dei nemici, ma 34 Annali, 239 [IV, 33]; Canal, 456, cita solo 4 galere. 35 Desimoni, Quatre titres, p. 222. 36 II fatto è accertato attraverso il documento riguardante il posteriore ristabilimento di tali diritti: Urkunden zur àlteren, III, p. 150, 1 luglio 1277. Cfr. Marin Sanudo, Liber, 227 - Cont. Guill. Tyr., 478. L’unica fonte che parla di questa privazione è Dandolo, 365: egli la pone subito al principio della contesa. La notizia può essere stata supposta in base a fatti successivi e quindi non si può annetterle gran valore. In ogni caso è poco probabile che i Genovesi avessero potuto compiere a Tiro i loro armamenti senza molestie, quando i Veneziani erano ancora là, in possesso della loro posizione. In tal caso tanto a Tiro quanto in Acri sarebbero avvenuti dei combattimenti per le vie; ma su ciò tutte le cronache tacciono. Sui possedimenti dei Veneziani a Tiro e le loro precedenti contese colle Signorie locali cfr. Urkunden zur àlteren, II, p. 351 e sgg., nr. 299. Non è chiaro se i Genovesi avessero allora concluso una lega particolare con Filippo di Montfort; egli era però compreso fra i baroni alleati ad essi: Canal, 460. 37 Annali, 239 [IV, 33]. 38 Numero e nomi in Canal, 456, 458. In Dandolo, 366, invece: 22. 39 Annali, 239 [IV, 331: 19; secondo Canal, 456: 17. 40 Annali, 239 [IV, 32], Le circostanze sono molto oscure. Non sarebbe impossibile che i baroni avessero consegnato la torre ai Genovesi e forse per questo Canal, 460, può parlare di tradimento. — 44 — La guerra con Venezia appena questi mandano fuori le loro galere, quella vira di bordo senza tentare un attacco al porto41. Tuttavia la necessità di doversi continua-mente guardare da due parti rendeva i Veneziani insofferenti di lungaggini. Nel certo intendimento di impegnare battaglia, adottarono quindi una contromanovra. Guarniscono di buon presidio le posizioni in Acri al comando del bajulo, mentre le galere condotte da Lorenzo Tiepolo salpano per Tiro. Come i Genovesi vedono sventolare da lungi la bandiera nemica, il desiderio di venire alle mani impedisce loro di riflettere e senza ordine si affollano sulle loro navi42. Uscite dal porto, anziché ordinarsi in squadra o collocarsi 1 una accanto dell’altra 43, le galere danno di remi una dietro 1 altra cercando ognuna di passare avanti. In testa si trova 1 ammiraglio Pesceto Mallone. Il Tiepolo comprende abilmente il vantaggio della sua posizione. Egli stesso assale la nave ammiraglia e la conquista dopo duro combattimento; il Mallone è fatto prigioniero ed egual sorte hanno due altre galere ed una saettia. La fretta fu la causa della loro rovina; malgrado la più valorosa resistenza, esse vengono prese prima che le altre navi, che stavano dietro, potessero venire in loro soccorso. Trovandosi così sparpagliate, anche queste sarebbero andate perdute, se un colpo di vento non ne avesse favorito la fuga. I Veneziani ritornarono vittoriosi in Acri con 300 prigionieri e rimorchiando le navi conquistate 44. Così potrebbe spiegarsi la relazione di Canal, 456. I Veneziani dovevano tenersi sempre pronti a montare sulle galere, per incontrare la flotta genovese e quindi non potevano disporre di tutta la loro gente nella città. 42 Canal, 458, dice che le 17 galere genovesi stavano in porto pronte alla battaglia, gli Annali, 239 [IV, 33], riferiscono che i Genovesi montarono sulle loro navi solo quando il nemico fu in visu. L’apparente contraddizione si spiega col differente punto di vista delle due relazioni. In ogni caso la flotta veneziana fu avvistata a considerevole distanza; mentre procedeva in avanti, risuonò in Tiro il grido d’allarme. Quando fu vicina abbastanza per poter vedere gli avversari nel porto, questi erano già pronti. 43 Annali, 239 [IV, 33]: non catervatim sive coniunctim-, in ogni caso tutte le galere non potevano passare contemporaneamente l’imboccatura del porto; quelle partite prima avrebbero dovuto attendere che tutte fossero uscite, mentre invece avanzarono subito sul nemico. Così dovrebbesi intendere il passo degli Annali. 44 Canal, 458, parla della cattura di 3 galere genovesi soltanto, mentre gli Annali, 239 [IV, 33], menzionano pure una saettia (nave minore a remi). Marin Sanudo, Liber, 220, riferisce il fatto molto brevemente: soltanto 3 galere sarebbero state prese; così pure Amadi, 204, che lo pone erroneamente prima della lega fra Veneziani e Pisani. Ann. terre sainte B, 447, hanno 4 galere. — 45 - Libro I - Cap. terzo Gli avvenimenti successivi peggiorarono ancor più la posizione dei Genovesi. Il 1° febbraio 1258 venne ad Acri Boemondo, principe di Antiochia e conte di Tripoli, con sua sorella Placenzia, regina di Cipro, il giovane figlio di lei Ugo, con seguito di numerosi armati . Scopo della sua venuta era di far riconoscere i diritti di suo nipote quale erede del regno di Gerusalemme. Con i Genovesi egli non si trovava in buona relazione, poiché teneva illegittimamente i loro possessi a Tripoli ed ora che essi si trovavano in armi sulla costa della Siria, non si sentiva del tutto tranquillo46. Il pretesto di voler far la pace poteva offrirgli 1 occasione di muoversi contro di loro47. Il gran maestro dei Templari ed il conte di Giaffa avevano dato la spinta alla sua venuta48. Quest ultimo era pure nemico dei Genovesi e particolarmente legato ai Pisani49. Ebbe luogo una adunanza dei vassalli del regno, alla quale intervennero pure i gran maestri degli ordini equestri. La conclusione della seduta fu che i baroni e i gran maestri dei Templari e dell’Ordine Teutonico dovessero prestare il giuramento feudale a Ugo, con riserva dei diritti dei terzi. Altrettanto fanno i Veneziani ed i Pisani50; i Giovanniti invece, i Genovesi e gli Spa- 45 Marin Sanudo, Liber, 220 = Cont. Guill. Tyr., 443 = Amadi, 204 (Ann. terre sainte B, 447, mancano della data). Per l’anno è dato il 1257; poi è detto che nel 125' venne conclusa pace fra Boemondo e Balian; infine si racconta della seconda bat taglia navale avvenuta il 24 giugno 1258. Ciò prova che il principio dell anno è qui calcolato più tardi del 1° gennaio. Cfr. Annali, 239, aggiunta in variante a [IV, 33, var. bl e 240; Gest. des Chip., 149, 151; C ont. Guill. Tyr. (ms. de Rothelin), 634. 46 Gest des Chip., 152. 47 Cont. Guill. Tyr. (ms. de Rothelin), 634. « Cont. Guill. Tyr., 443. Cfr. Amadi, 204. Il conte di Giaffa si chiamava, come il signore di Arsuf, Johan d’Ybelin; fra loro non correva buon accordo: cfr. Cont. Guill. Tyr., 442; Amadi, 204; è quindi difficile ch’essi avessero potuto chiamare Boemondo di comune accordo. Ann. terre sainte B, 448, e Marin Sanudo, Liber, 220, hanno probabilmente frainteso la loro fonte comune. 49 Amadi, 204. 50 Cont. Guill. Tyr. (ms. de Rothelin), p. 634. Inoltre App. 2, nr. 5. Gl inviati genovesi lessero litteras consulum ultramarinorum destinatas potestati et comuni Janue, in quibus continentur omnia facta, que acciderunt in partibus ultramarinis a medio decembris proxime preterito citra usque ad dies 18 aprilis... et, inter cetera que continentur in ipsis, legimus in eisdem quod barones ultramarini, qui iurati erant cum nostris Januensibus, rupta fide, adheserant regine Cipri et principi Antiocheno et aliis nobis contrariis. Il che, in ogni caso, sarebbe in coeren2a colla pace fra Boemondo ed il figlio del Signore di Arsuf: Marin Sanudo, Liber, 220 = Coni. Guill. Tyr., 443 = Ann. terre sainte B, 448 = Amadi, 205; cfr. Posse, Analecta Vatic., p. 12, nr. 145. — 46 - La guerra con Venezi\ gnuoli si rifiutano e riconoscono per legittimo erede Corradino5I. Già prima di questa decisione era andato a vuoto un tentativo per comporre la pace fra Genovesi e Veneziani, sulla proposta delle autorità secolari e spirituali presenti. Nel palazzo di Filippo di Montfort era stata tenuta una conferenza nella quale i cavalieri tedeschi avevano fatto la parte degl’intermediari. Sembra che nel calore della discussione le parti contendenti fossero montate in collera. Lorenzo Tiepolo dichiarava che non avrebbe lasciato Acri fino a che non avesse portato in patria 1 ultima pietra delle fondamenta della torre genovese52. A queste parole Leo Grimaldi, console genovese, traeva la spada, precipitandosi sopra il Tiepolo e poco mancò che il sangue scorresse53. Tali fatti possono avere offerto occasione ai prelati ed ai baroni di rivolgersi al papa, rappresentandogli il pericolo da cui erano minacciati tutti i possedimenti cristiani in Siria a causa di una guerraalla quale essi non erano in grado di opporre un argine, principalmente per mancanza d’imparzialità da parte loro. Un sollecito successo di questo passo non era attendibile. Boemondo, prima di abbandonare Acri, confermò nella sua carica, in nome di suo nipote, il bajulo, Signore di Arsuf, mettendogli a fianco una forza armata che potesse recare il maggior danno a coloro che avessero fatto resistenza al riconoscimento di Ugo 5S. Il fatto concorda con il divieto ai sudditi delle signorie locali di prestare servizio di guerra per i Genovesi “, i quali perdettero così un valido aiuto. Non rimasero però del tutto sostenuti dalle sole proprie forze, come vorrebbero gli Annali51. Una parte degl’indi- 51 Cont. Guill. Tyr. (ms. de Rothelin), 634. 52 Ciò poteva essere conforme alle istruzioni da lui ricevute (App. 2, nr. 8 F): nam Veneti qui iverunt in partibus ultramarinis speciale receperunt mandatum, quod, si unquam possent turrem Januensium habere, illam omnino dirruerent et lapides Vene tias deferrent. 53 Gest. des Chipr., 150. « Annali, 238 [IV, 30]. 55 Cont. Guill. Tyr. (ms. de Rothelin), 634; cfr. Cont. Guill. Tyr., 443; Marin Sanudo, Liber, 220 e sgg.; Amadi, 205; Ann. terre sainte B, 448. Siccome il Signore di Arsuf era già bajulo, così non può trattarsi qui altro che d’una conferma, che forse era una delle condizioni della pace che Boemondo aveva poc’anzi concluso con suo figlio. 56 Annali, 239, variante a [IV, 35]; Gest. des Chip., 151. Cfr. Canal, 460. 57 Annali, 240 [IV, 35-36]. — 47 - Libro I - Cap. terzo geni rimase con loro, senza preoccuparsi del divieto58, mentre pure 1 Giovanniti li favorivano. Questi, attraverso il loro palazzo, facevano pervenire loro segretamente viveri. Ma di particolare importanza fu l’aiuto del Signore di Tiro, che per questa via mandava provviste e uomini59. Nel quartiere genovese si trovavano ancora circa 800 individui atti alle armi60. Incomparabilmente migliore era però la posizione dei Veneziani, a cui era riuscito di rendersi amici tutti i signori locali61. I Templari e l’Ordine teutonico erano dalla loro parte62; inoltre avevano concluso una lega formale coi Provenzali63. Ognuno prende il suo partito, un selvaggio rumore di guerra serpeggia per tutte le strade di Acri; i Genovesi non si limitano alla difesa del loro quartiere fortificato, ma fanno delle sortite, alle quali si oppongono i cavalieri di Boemondo. Fu ventura che ancora sussistesse l’armistizio coi Saraceni. Quando il principe lasciò la città, la lotta si accese più violenta che mai64, ma non in maniera decisiva. Nella piega che prendevano le cose, la posizione dei Genovesi in Acri sarebbe stata ancora sostenibile se fosse stato loro possibile di ricongiungersi con gli amici di Tiro sulla via del mare; per questo tanto più premeva ai Veneziani di mantenere la superiorità della loro flotta. Ambo le parti gareggiarono nell’allestire navi. Venezia fu la più sollecita; tre galere vennero da Creta, e il Doge ne mandò 15 comandate da Andrea Zeno65. Al loro arrivo in Acri, Genova perdette tutte le posizioni che ancora teneva fuori del suo quartiere 66. Molto più forte era la flotta che si preparava a Genova, contando essa 25 galere e 58 Gest. des Chip., 151. 59 Gest. des Chip., 151 e sgg. Cfr. Cont. Guill. Tyr. (ms. de Rothelin), 633 e sgg. Annali, 240, var. c [IV, 35], ove è pure nominato il re di Armenia come amico dei Genovesi. Dobbiamo credere agli Annali, 240 [IV, 36], cioè che i Catalani e gli Anconitani non potevano prestare grande aiuto. L’episodio narrato in Gest. des Chip., 151, dopo che Boemondo si era collegato coi baroni, deve cadere in questo tempo. 60 Gest. des Chip., 152. 61 Canal, 460. 62 Annali, 240 [IV, 35]. 63 Mas Latrie, Commerce, p. 13, fa menzione della conferma nell’ottobre del 1259; non abbiamo una indicazione più precisa della data. 64 Cont. Guill. Tyr. (ms. de Rothelin), 635. 65 Canal, 460 e sgg.; Annali, 239, aggiunta in var. h, solo 13 [IV, 34, var. al. 66 Canal, I. c. - 48 - La guerra con Venezia 4 navi minori67. Quando la notizia venne a cognizione di Venezia, questa mandò altre 10 taride comandate da Paolo Faliero68. Allora Genova rinforzoja sua flotta con 8 galere, il cui equipaggio doveva completarsi in Siria , le quali partirono piuttosto tardi, avendo lasciato la costa della Sardegna solo il 20 maggio 70. j ^Con tali forze spiegate da ambo le parti, era da attendersi uno scon- tro . A Venezia era sorta qualche apprensione, per cui venne allestita una flotta più potente di quella spedita in precedenza72. Ciò non poteva rimanere celato ai Genovesi. Mettendo a prò tutte le loro risorse, Podestà, Capitano e Anziani73 lavorarono per armare quanto meglio possibile 40 galere e tutte le navi che si trovavano pronte per una prossima spedizione di guerra . Nel reciproco rancore, l’allestimento di sempre maggiori flotte sarebbe durato fino al completo esaurimento delle forze dell’una e del- 1 altra parte; ma 1 intromissione d’una potenza superiore doveva mettere termine, almeno per il momento, alla guerra. « Annali, 239 [IV, 34], App. 3, nr. 13, c. 227 v. (27 febbraio 1258): per Vassallo Arduino vuole servire un altro in galeis, que iture sunt ad partes ultramari-nas pro comuni Janue, scilicet in galea, in qua ordinatus fueris, per 20 soldi al mese. Ibid., c. 264 v. (24 aprile 1258): è detto pure che l’ammiraglio è Rubeus de Turcha il còmito della galera è Rubaldo Conte, di Rapallo. 68 Canal, 464, 466; Annali, 239, var. h [IV, 34 e var. a]. 69 Annali, 239 [IV, 34]. Il numero totale ascende quindi a 33 galere e 4 navi-il numero dato da Canal, 466, di 40 galere e 4 navi e da Gest. des Cipr., 152, di’ 48 galere e 4 navi, è assolutamente troppo alto. 70 V. sopra, cap. II, n. 45. 71 App. 2, nr. 4. Nelle trattative con la corte papale, i cardinali intermediari dicono che Januenses in partibus ultramarinis (!) magnum armamentum miserunt, et antequam predicti barones possent requi (ri, multa) mala possent inferri Veneti’s et Pisanis. 72 Canal, 476: 40 galere (Dandolo, 367, invece 35) e 2 navi. 73 Lettera dei medesimi (18 giugno 1258) in App. 2, nr. 8B: cum edam (se. Veneti) miserint et ibi habeant maiorem quantitatem lignorum et plura nobis, quamvis diversis temporibus, miserint armamenta. 7* Lettera dei medesimi (18 giugno 1258), in App. 2, nr. 8B: quia scimus veraciter quod semper instant (se. Veneti) ut illuc mittant, nos similiter preparamus quam velocius et melius possumus usque in quadraginta galeas et totum navigium quod habemus, super quibus intendimus toto posse, ut, si miserint, nos mittamus. II totum navigium si riferisce a grandi navi (naves), che pure andarono unite alia prima flotta. — 49 — - Capitolo quarto Il trattato con Manfredi e il compromesso nel papa Situazione di Manfredi. - Pretese genovesi di privilegi nel Regno di Sicilia. Trat tato del 1257. - Intromissione di Alessandro IV nella guerra tra Genova e Venezia. - Invio di legati alla Curia. - Trattative a Viterbo. - Conclusione del compromesso, 3 luglio 1258. In passato, quando la potenza imperiale contava ancora qualche cosa in Italia, erano stati fatti dei tentativi per appianare, mediante decisioni giudiziali, le liti che continuamente sorgevano fra Genova e Pisa. Ora non ne era più il caso. Proprio allora era avvenuta in Germania la vergognosa duplice elezione. Riccardo non riuscì mai a stabilire un efficace governo, nemmeno a nord delle Alpi. Alfonso aveva bensì fin da principio posto gli occhi principalmente sull’Italia; ma, quanto alla Sardegna, doveva usare ogni precauzione nell’attaccarla, perchè la Chiesa romana, ab anti quo, vantava indiscutibili diritti sull’isola. Non è noto se il re di Castig ia abbia mai prestato il promesso aiuto alla città che lo aveva eletto impe ratore ’. Federico II era riuscito a riprendere l’attività che i precedenti orni natori di Sicilia avevano rivolto verso oriente. Egli avrebbe avuto la 1 E’ assolutamente sorprendente che nei noti documenti pisani relativi all eie zione di Alfonso ad imperatore (Bohmer, Regesta Imperii, nr. 5484 e sgg.) sia "omI nato l’arcivescovo Stefano di Torres come testimonio presente alla sua cortc. u esat tezza della lezione Turritanus, cfr. Scheffer-Boichorst, Kleinere Forschungen zür Geschichte des Mittelalters, p. 232, n. 2. Belgrano, Re. a Cod. dipi. Eccles., p. 148 (2 marzo 1262) fa menzione di Stefanus olim archiepiscopus Turritanus. Egli doveva esser morto prima del 28 febbraio 1261, poiché di questa data è la lettera con la quale Alessandro IV cassava la elezione di Robaldus ad arcivescovo e nomi nava in sua vece P(rosper): Delisle, Fragment du dernier registre d Alexandre IV, p. 111. Non è noto se Alfonso abbia effettivamente protetto Pisa. Già il 23 marzo 1257, nell’occasione della sua riconciliazione con il papa, la città aveva acconsentito ad accettare (Potthast, nr. 16794) come re romano e imperatore soltanto quello da lui approvato. La rilevanza dell’« incidente elettorale» è così finita. Il 16 agosto 1261 Alfonso conferma i privilegi che suo padre aveva concesso ai Genovesi per Siviglia (L.J., I, 1393) e così pure le donazioni da lui fatte, aumentandole (L.J., I, 1394) per lo stabilimento colà d’un quartiere genovese: L.J., I, 1392. Il trattato con Manfredi e il compromesso nel papa forza d intervenire con la sua flotta in una guerra marittima fra Genova e Venezia. Manfredi, nell’anno 1257, non poteva ancora pensare a far valere all esterno 1 influenza che il possesso del ricco e bene organizzato regno dell Italia meridionale lo avrebbe naturalmente messo in grado di esercitare. Fu abbastanza per lui l’aver potuto dominare i suoi avversari interni ; egli governava ancora in nome di Corradino, ma poteva andare incontro a incalcolabili pericoli se si fosse schierato dalla parte d’una delle città, per rendersi così nemica l’altra. Infatti, se Alessandro IV non aveva nè la forza ne 1 abilita del suo predecessore, mai però aveva fatto rinunzia all idea di far valere i diritti della Chiesa romana sopra Napoli e la Sicilia . A Manfredi non era bastato quindi tenersi in stretta neutralità, ma aveva dovuto concedere alle città marittime franchigie commerciali, se voleva star sicuro da ostilità da parte di esse. Con Venezia se la cavò relativamente a buon mercato. Nel settembre 1257 4, egli confermò a questa città un privilegio di Federico II del 1232, con il quale le relazioni commerciali erano regolate in modo equo. Le tasse di compravendita importavano nelle province di terraferma l’l,% per cento, altre norme valevano per la Sicilia; nel trattato era pure com- 2 Cfr. Schirrmacher, Die letzten Hohenstaufen, p. 129 e sgg. E noto che la corona di Sicilia fu allora concessa a Edmondo, figlio di Enrico III re d Inghilterra: cfr. ibid., p. 52 e sgg. Fino ad ora è stato tenuto poco conto della parte che vi ebbe il conte Tomaso di Savoia. Egli era in stretta relazione con la casa reale d’Inghilterra: cfr. Matth. Paris., Cronicae, 388. Era ammogliato con la nipote di papa Innocenzo IV, Beatrice, della schiatta dei conti di Lavagna: ibid., 326. Che il suo arresto a Torino nel 1255, quando era implicato nella guerra con Asti ghibellina (cfr. Merkel, Il Piemonte e Carlo 1 d’Angiò, p. 72 e sgg.), disturbasse i piani di Enrico III, prova una lettera in W. Shirley, Royal and other historical le tiers, II, p. 115, collocata dall editore giustamente nel 1256; così per le premure del re, ibid., p. 122; Matth. Paris., 357 e 362, e quelle del papa, ibid., 360 e 379, per ottenere la sua liberazione. Cfr. i documenti del re Riccardo, del 14 aprile 1258, in Bohmer, Regesta Imperii, nr. 5341 e sgg. Anche il nipote di Innocenzo IV, Ottobono, cardinale diacono del titolo di S. Adriano, era in relazione con Enrico III, il cui desiderio sarebbe stato che Ottobono e altri due cardinali fossero nominati legati in Germania (Shirley, II, p. 115), perchè influissero sull’elezione del re in senso favorevole all’Inghilterra. Data l’influenza dei Fieschi a Genova, era da aspettarsi che si tentasse di ottenere l’appoggio della città per piani di conquiste inglesi. Se Riccardo fosse penetrato in Germania e Tomaso nell’Italia Settentrionale, sarebbe rimasta aperta la via per Napoli ad un esercito invasore inglese, aiutato dalla flotta genovese. 4 Bohmer, Regesta Imperii, nr. 4665 e sgg. — 51 — Libro I - Cap. quarto presa la promessa di vicendevole amicizia. Nessuna delle due parti contraenti avrebbe permesso che nei rispettivi territori fossero allestite flotte od altri mezzi di offesa contro l’altra5. Vennero poi aggiunte garanzie per il risarcimento dei danni6. Più diffìcili erano le relazioni con Genova. Nella confusione in cui si trovava il regno di Sicilia durante la minorità di Federico II, era stato emesso, in suo nome, a favore di Genova, un privilegio che le accordava straordinari vantaggi7. Nessuna tassa dovevano pagare i Genovesi nè per importazione, nè per esportazione, nè poteva esser loro frapposto alcun impedimento all’esportazione per Genova di grano od altri viveri . Era stata loro accordata giurisdizione consolare in tutto il regno; erano stati donati loro possedimenti a Messina9, Siracusa, Trapani e Napoli per l’impianto di fondaci. E’ certo però che i Genovesi non poterono godere di tali larghi privilegi per una lunga serie di anni. Quando Federico II venne a Roma per l’incoronazione, non volle confermarli10 e in ogni caso caddero nel 1238, quando Genova si mise dalla parte dei nemici dell’imperatore. Papa Innocenzo IV aveva accordato alla sua patria franchigie d’imposta d’ogni specie negli Stati della Chiesa, conservandole pure tutte le immunità, possessi e diritti che aveva già ottenuti, allorquando la Sicilia fosse ritornata all’obbedienza della Chiesa12. Quando Corrado IV morì, le pergamene avrebbero dovuto acquistare valore pratico, ma pare che allora Alessandro IV abbia confermato puramente la franchigia da imposte 13. Sulla base di tali concessioni, Genova poteva avanzare domande a 5 Schirrmacher, Die letzten, pp. 604, 606; Capasso, Hist. dipi regni Sicil., pp 135, 137. Dandolo, 365, ha usato molto inesattamente il documento. 6 Quando Manfredi aveva assunto il titolo di re, era stato rinnovato il contratto: Bohmer, Regesta Imperii, nr. 4704 (luglio 1259). V. anche nr. 4709. 7 Dicembre 1200: L.J., I, 462. 8 Si dovrebbe colmare in Januam la lacuna in L.J., I, 463. 9 Ibid., 463: domum que fuit Margariti, in possesso del Comune nel 1214: Annali, 134 [II, 132 e nota 1; ibid., 171]. 10 Annali, 146 [II, 168 e sgg.]. 11 L.J., I, 1071 e sgg.: 9 giugno 1251; ibid., I, 1065 e sgg.: 8 giugno. 12 L.J., I, 1088 e sgg.: 23 giugno 1251. 13 L.J., I, 1215 e sgg.: 8 gennaio 1259. M.G.H., Epist. sec. XIII, III, 320. Cfr. Annali, 233 [IV, 13 e sgg.]. — 52 - Il trattato con Manfredi e il compromesso nel papa qualunque sovrano o pretendente del regno di Sicilia, se questi ne cercavano l’amicizia. Ma d’altra parte, la franchigia dei dazi rappresentava tale perdita per il fisco, e l’indipendenza dalla giurisdizione una tale diminuzione delle regie prerogative, che per un potente signore si rendeva impossibile l’ulteriore conferma dei privilegi. Quanto meno egli era costretto a contare sull’amicizia o sull’aiuto dei Genovesi, altrettanto minore poteva essere la misura delle concessioni a loro favore. Con ciò si spiega il diverso contegno che Manfredi, Carlo d’Angiò e i regnanti aragonesi di Sicilia, come Carlo II di Napoli, tennero verso Genova. Questa poteva bensì chiedere ad ognuno di essi i medesimi privilegi, ma l’ottenerli era in funzione di un rapporto di forza. Manfredi accordò nel 1257 14 ai Genovesi e alle loro merci l’esenzione nel suo regno da qualunque imposta; ma con un certo numero di eccezioni. Se non venivano da Genova stessa, essi dovevano pagare il terzo dell’imposta, alla quale erano obbligati verso l’ultimo legittimo sovrano di stirpe normanna, Guglielmo II1S; inoltre dovevano una competenza stabilita per la pesatura delle merci, quella d’uso per la misurazione, oltre la consueta tassa di ripa. Ogni mercante doveva poi pagare, quando veniva da Genova, una tassa di riconoscimentoI6. Affinchè non si verificasse doppia imposizione, era stabilito che le tasse dovessero essere corrisposte soltanto all’atto della vendita delle merci. Queste eccezioni limitavano in qualche modo le accordate concessioni di massima. Non diversamente fu fatto per le disposizioni riguardanti i consolati. A Gaeta, Napoli, Siracusa, Augusta, Siponto, Trani e Bari, i Genovesi ricevono terreni per erigervi palazzi di giustizia e per di più 100 once d’oro, se il Comune le avesse chieste, per contributo nelle spese; quelli già esistenti vengono confermati. A Messina e ove si trovano queste corti di giustizia 17, i Genovesi possono avere consoli con ampia giurisdizione 14 L.J., I, 1293, inserito al nr. 918; nulla è noto riguardo a trattative preliminari. 15 Cfr. L.J., I, 202 e 300. 16 L.J., I, 1294: scd si de Janua veniant, solvant squi fatum unum pro quolibet mercatore. 17 L.J., I, 1294. Devesi leggere confirmantes... logias omnes, quas habent ad presens. In Messana et omnibus aliis terris regni, ubi habent logias Januenses, possint habere suos consules etc. Cfr. a conferma L]., I, 1348, e Orlando, Cod. leggi Sicil., p. 104, dove il testo è cambiato, il senso non è affatto chiaro e forse non casualmente. Siccome in un certo numero delle principali città solo adesso si dovevano — 53 — 5 Libro I - Cap. quarto civile e criminale sopra i propri cittadini18, e solo davanti ad essi dovevano essere sporte le accuse; ad eccezione del caso d’omicidio che era riservato alla magistratura locale. In tal guisa Genova non aveva raggiunto la pienezza dei diritti precedentemente acquisiti19, ma tuttavia essi erano sempre maggiori di quelli accordati alle città rivali. Inoltre è importante la concessione di poter esportare liberamente una determinata quantità annua di viveri, qualora però il paese non fosse minacciato da carestia20 fondare stabilimenti fissi genovesi, così non si può ammettere che ve ne fossero già, il che si spiega anche con la lunga interruzione delle relazioni commerciali, a causa della guerra con Federico II. In Messina esisteva effettivamente nel 1257 una logia; ciò è detto espressa- mente e forse ne esistevano anche in altre città. Si dovrebbe però ritenere che se tale fosse stato il caso, queste città sarebbero state nominate espressamente, come Messina. Ed è dubbio se quel habent debba significare: « soltanto dove esistano già queste logie, i consoli avranno piena giurisdizione», ovvero se siano comprese nella concessione anche le suddette nuove da fondarsi. La seconda interpretazione sarebbe più conforme all’equità. Devesi però riflettere che nella conferma del 1261 (L.J., I, 1348) si promette di dare terreno per la fondazione di logie a Gaeta, Napoli, Siracusa, Augusta, Siponto, Tram e Bari, ma che vi manca la promessa delle 100 once. Questo già basta a provare che il secondo documento non è una semplice riproduzione del primo. La ripetizione quasi letterale della prima concessione dimostra quindi che essa fino allora non aveva avuto effetto. Più tardi troviamo a Napoli una logia dei Genovesi: cfr. Minieri Riccio, Nuovi studii riguard. la dominaz. Angioina nel regno di Sicilia, p. 29. In mancanza di altre testimonianze è discutibile fino a qual punto le condizioni del contratto abbiano avuto effetto. A Messina la logia risulta dai documenti: L.J., I, 1318 (7 maggio 1260), 2 consules Janue prò comuni Janue in Sicilia (constituti), accettano la donazione d’una casa vicina alla logia. 18 L 'exceptis supradictis (L.J., I, 1294) si riferisce a Provenzali, Romani, Toscani, Veneziani, Pisani e abitanti nel regno siciliano (ibid., I, 1293), per i quali i privilegi non erano validi, ancorché si spacciassero per Genovesi (qui se dicerent Ja-nuenses). Ciò prova inoltre che le concessioni fatte a Genova erano le più ampie. 19 Nel privilegio di Federico II del 1200 (L.J., I, 462) era lasciata piena libertà di erigere consolati, senza che la loro giurisdizione fosse vincolata da riserva alcuna. 20 L.J., I, 1295: quando victualia vendentur ana quinque salme vel ultra per unciam, quando per un’oncia si ottenevano cinque salme o più. Se il prezzo per una salma è maggiore di 1/5 d’oncia, l’esportazione del grano è proibita. Ciò si deve spiegare così: a causa di un cattivo raccolto, il prezzo del grano aumenta per la diminuita offerta, potendo raggiungere una rilevante quotazione a danno dello Stato, tanto più se oltre alla domanda interna si aggiungesse quella diretta a far esportare il grano dal paese. Ad evitare ciò, venne presa la suddetta deliberazione, più sfavorevole ai Genovesi di quella del 1200: L.J., I, 463. — 54 — Il trattato con Manfredi e il compromesso nel papa e contro garanzia che dovessero essere trasportati proprio a Genova e non altrove. Tutte queste sono concessioni unilaterali21, che Manfredi effettua per « eccesso di grazia » 22, mancando le quali, Genova non avrebbe accettato da parte sua alcun obbligo. In queste ultime sta l’importanza politica del trattato che doveva ristabilire l’amicizia fra le due parti. Le forme sono le solite 23. L’importanza attuale è questa: che Manfredi promette di non concedere che venga allestita una flotta da guerra nei suoi domini da nemici dei Genovesi contro di essi, nè di permetterne l’approdo; in generale di non accordare favore, passaggio o fornitura di viveri a chiunque volesse attaccare i Genovesi. Le navi genovesi sono protette dall’autorità sovrana quando stanno all’àncora lungo le coste dei domini del re, salvo il caso che intendessero attaccare amici suoi. Ciò corrisponde tal quale alle promesse che poco dopo Manfredi doveva fare a Venezia. Il che dimostra la sua piena neutralità nelle guerre marittime24 e i suoi sforzi affinchè queste turbassero il meno possibile il commercio del suo regno. Genovesi e Veneziani non potranno combattere le loro battaglie nelle acque dell’Italia meridionale; i pacifici bastimenti mercantili vi avranno diritto di essere difesi dagli abitanti contro piraterie nemiche25. Se ora Genova promette dal canto suo apparentemente quasi la stessa cosa, l’importanza però ne è tutta differente. Essa non ammetterà nè lascerà passare nel suo territorio e nei suoi porti i nemici di Manfredi, nè concederà loro aiuto, favore o viveri se toccheranno il territorio genovese armati contro Manfredi ed il suo regno. Il Comune non permetterà che entro i suoi confini venga allestita alcuna flotta nè da esso nè da altri contro Manfredi. In questo modo rimane chiusa un’im- 21 Alcune disposizioni regolano pure, come sembra, certe contestazioni pendenti, non importanti però per il futuro. 22 L.J., I, 1294: de habundanti etiam gratia. 23 Ibid., I, 1293. I Genovesi devono essere protetti da Manfredi nei suoi domini; i danni che dovessero soffrire da parte dei suoi sudditi dovranno essere risarciti con la punizione di quelli che li avessero procurati. Nessun Genovese sarà responsabile per i debiti o i reati di un altro. Ciò vale anche per Manfredi e per i suoi sudditi nei domini di Genova: ibid., I, 1295 e sgg. 24 Questo non è stato rilevato sufficientemente da Schirrmacher, Die letzten, p. 130. 25 Vedi L.J., I, 1294: in particolare habebimus eos in personis et rebus sub protectione et defensione seignorie nostre. — 55 — Libro I - Cap. quarto portante via per qualunque spedizione che il papa potesse chiamare in suo aiuto dal di là delle Alpi. Non potevano inoltre venir noleggiate navi genovesi per trasporti di truppe contro lo Staufen, circostanza che aveva costituito un importante fattore in alcuni precedenti piani d’attacco contro Napoli. Tutto ciò non costituiva una stretta alleanza, ma soltanto un ristabilimento di buone relazioni. Decisamente i vantaggi ottenuti da Genova sono grandi, dovuti principalmente all’importanza che le dava la sua posizione nella lotta fra Manfredi ed il papato. Quegli doveva cercare di aumentare il numero dei suoi amici e così pagar cara la semplice neutralità della potente città marittima. Allo stato delle cose, non era pensabile che una potenza secolare potesse intervenire nella guerra fra Genova e Venezia. La Francia, priva di forza navale, non vi aveva alcun interesse, e così pure Carlo d’Angiò. Gli sforzi per rialzare il commercio di Marsiglia lo avrebbero potuto spingere a mettersi dalla parte di Venezia, tanto più che si trovava impigliato in un conflitto di confini con Genova26 ; ma è difficile supporre che egli pensasse allora a vasti piani d’azione 27. Peraltro la continuazione della guerra sarebbe stata un’onta per tutto 1 Occidente. Tanto sangue era stato versato per strappare ai Saraceni la Terra Santa, ed ora le discordie di coloro che dovevano difenderla per primi minacciavano di mandare in completa rovina il resto dei possedimenti cristiani. Il papato aveva una volta infiammato lo zelo per le crociate, e lo manteneva costantemente vivo con le sue esortazioni; era dunque suo dovere di mettere riparo al male con un passo decisivo, tanto più che i prelati ed i baroni di Siria avevano chiesto espressamente il suo aiuto28. Un approfondito esame della maniera in cui si contenne il papa ed i successi che ottenne dimostrano come egli fosse largamente 26 Per una più esatta descrizione, v. oltre, libro II, cap. II. 27 Nella pace con Marsiglia del 31 maggio 1267 (Sternfeld, Karl von Anjou, p. 297), egli promette di sovvenire la città per il riacquisto dei suoi possedimenti e diritti al di là del mare e specialmente di quelli di Acri. Il contratto è concluso colà con i Veneziani (v. sopra, cap. Ili) dal console di Marsiglia, che era in pari tempo suo inviato. Marsiglia fu in discordia con Montpellier, ma nel 1257 venne fatta la pace e furono appianate le differenze: De Vie e Vaissete, Hist. génér. de Languedoc, Vili, p. 1413 e sgg. Cfr. Germain, I, p. 222 e sgg. Il 6 luglio 1257 Genova mandò inviati a Montpellier: ibid., I, p. 227; fra Montpellier e Pisa pendevano delle questioni (ibid., I, p. 229 e sgg.), ma questi fatti non avevano grande importanza per i combattimenti in Acri. 28 Annali, 238 [IV, 30], — 56 — Il trattato con Manfredi e il compromesso nel papa in grado di esercitare effettivamente la sua forza di giudice supremo su tutta la cristianità. Era proprio in questi casi che si manifestava tutta l’efficacia di questa forza, quando cioè una guerra disastrosa per tutti non avrebbe potuto cessare altrimenti. Si può ben credere che Alessandro IV avesse intravveduto di massima l’importanza della situazione, poiché il suo contegno fu piuttosto energico. Egli scrisse lettere alle tre città, dimostrando il grave pericolo da cui era minacciato il regno di Gerusalemme, già tanto oppresso, a danno della fede cristiana. Egli, che secondo la parola del profeta ha la supremazia su tutti i popoli e regni di ogni paese ove viene invocato il Signore, intendeva opporre un argine ai pericoli che sovrastavano al pubblico bene spirituale e temporale29. Di conseguenza, egli citava le tre città a comparire davanti a sè, entro un dato termine, a mezzo di legali rappresentanti, muniti di idonei poteri. Contro chi, senza giustificazione, non lo avesse fatto egli avrebbe aperto un processo e chiamato il braccio della forza secolare, specialmente di Siria. La scomunica e l’interdetto sarebbero stati la necessaria conseguenza contro la città disobbediente. L’arcivescovo di Messina portò la citazione a Genova30 e a Pisa31, un altro nunzio a Venezia32. Non sembra che l’esecuzione della citazione sia stata differita. Il 12 maggio, con l’approvazione del minore e maggior Consiglio, il Doge nominò tre rappresentanti33, con ampi poteri per la conclusione d’una pace 29 Ciò dalla lettera di M.G.H., Epist. s. XIII, III, 446 = Raynaldus, Annales eccl., anno 1258, par. 33. Al principio sono qui indicate, come al solito, le trattative preliminari, cosicché da esse possiamo dedurre con sicurezza il contenuto della precedente lettera, rimasta tuttora ignota, nella quale il papa domandava l’invio di delegati: Annali, 238 [IV, 30]. Secondo l’uso della cancelleria papale, devesi ammettere che le lettere a Genova, Pisa e Venezia, fossero sostanzialmente di eguale tenore. Il 14 febbraio 1258, le autorità di Genova furono scomunicate da un sub-delegato papale, avendo esse rifiutato la dovuta soddisfazione ad un cittadino romano derubato da Genovesi: App. 2, nr. 2. Nulla avvenne per il pronunziato interdetto; probabilmente la vertenza venne presto appianata; il fatto non è perciò di grande importanza. 30 App. 2, nr. 5: ad mandatum ipsius (se. papa) factum potestati, capitaneo et comuni Janue per archiepiscopum Messanensem-, cfr. Annali, 238 [IV, 30]. 31 Rayn., anno 1258, par. 33. 32 M.G.H., Epist. s. XIII, III, 446, n. 4. Cfr. Canal, 476. 33 App. 2, nr. 3 a. Sono Giovanni de Canali, Filippo Storlaco e Marco Quirino; cfr. L.J., I, 1271. Canal, 476, e Annali, 238 [VI, 30], danno come terzo Andrea Zeno, che, secondo Canal, 462, fu mandato ad Acri, cosicché c’è confusione. — 57 — Libro I - Cap. quarto o di un compromesso d’arbitraggio per tutte le contese con Genova ed i baroni34. In modo ancor più significativo risponde ai desideri del papa 35 il documento che Pisa, il 16 maggio, rilasciò ai suoi tre sindaci. Essi erano autorizzati a concludere pace con Genova, a loro discrezione, su tutte le questioni pendenti in nome di Pisa e del giudice di Arborea e dovevano prestare obbedienza agli ordini del papa; nulla però dovevano fare all’insaputa degli alleati veneziani. A Genova si temeva, disobbedendo, di spingere il papa a passi che avrebbero giovato solo agli avversari. Se si poteva infatti ancora sperare di riparare con nuovi sforzi agli insuccessi fin allora sofferti, allo stato delle cose non si poteva sperare in una pace vantaggiosa. Sembra dunque che Genova fosse entrata nella idea di tirare in lungo la conclusione di un accordo, anche per vedere l’esito della grande flotta appena allora salpata. I quattro delegati36 furono quindi investiti di poteri, che certamente non erano del tutto conformi a quanto voleva il papa, nei quali non era detto ch’essi dovessero annuire a qualsiasi ordine del papa, ma dovessero solamente impegnarsi sopra punti di diritto. Questa riserva si spiega con l’ingiunzione che i delegati genovesi avevano nelle loro istruzioni37 di non venire ad alcun accordo senza l’espresso consenso dei baroni. E poiché la convocazione di questi ultimi avrebbe richiesto molto tempo, non era il caso di pensare ad una prossima pace. Quanto alle trattative che passavano con la Curia, le lettere degli inviati genovesi ci forniscono precise informazioni3S. Giovedì 29 maggio essi arrivarono a Viterbo; un po’ troppo tardi, perchè i Veneziani ed i Pisani avevano avuto la precedenza, essendo giunti il 28 e nel medesimo giorno i primi si erano presentati al papa. Riferirono che, conforme al 34 Può darsi che non fosse ancora conosciuta di qua del mare la mutata posizione dei partiti cui diede occasione l’intromissione del principe d’Antiochia. 35 App. 2, nr. 3 b. I tre sindici sono Rainerio Gualteroti, Marzuco Scomisciane iudex e Ubaldo Gossulini: cfr. L.J., I, 1271. Gli Annali, 238 [IV, 30], nominano solo Rainero Marzupo iudex. 36 Percivalle Doria, Luca Grimaldi, Oberto Passio, Ugo Fieschi: Annali, 238 [IV, 30]; L.J., I, 1271; App. 2, nr. 4, etc. 37 App. 2, nr. 5: in tractatu nostro omnino prohibitum est quod faciamus pacem vel treuguam aut edam compromissum vel aliam compositionem, nisi primitus habito expresso consensu baronum. 38 Annali, 238 [IV, 30]: solo post multos et varios tractatus-, Canal, 476, non è informato sui particolari. - 58 — Il trattato con Manfredi e il compromesso nel papa suo ordine, il Comune li aveva mandati per ascoltare, trattare e decidere su tutto quello che sarebbe stato necessario. Alessandro IV accoglie benignamente le proteste di obbedienza — le trattative tuttavia non cominciano ancora — e dice che manderà a chiamare i delegati per la prima conferenza. Questa ha luogo la mattina del 1° giugno. Dinanzi al papa ed ai cardinali presenti in Curia — ve ne erano tre a Roma — i Genovesi per primi espongono i motivi per i quali erano venuti, facendo particolarmente risaltare come la città ed il Comune di Genova fossero, e sempre sarebbero stati, obbedienti alla Chiesa romana, alla quale avevano sempre reso grandi servigi, il che era universalmente notorio. Poi vengono a parlare i Veneziani e per ultimi i Pisani39. Con ciò sembra finita la seduta. Mentre i delegati stanno per lasciare il palazzo, si richiedono loro gPistrumenti di procura, che vengono consegnati nelle mani dei cardinali. Dopo una discussione con il papa, essi dichiarano che quello genovese è insufficiente; però non ne viene fatta parola agli avversari, certamente per accelerare il cammino delle trattative. Tre cardinali ebbero l’incarico di condurle40. Verso sera gl’inviati comparvero davanti a loro, che parlarono prima ai Veneziani e ai Pisani, poi si rivolsero ai Genovesi. Si chiedeva di concludere un compromesso nella Chiesa romana sulle questioni esistenti fra le parti. Qui però stava la difficoltà. I delegati genovesi, in base alle loro istruzioni, risposero che ciò non era possibile a causa dell’alleanza coi baroni d’oltre mare, senza il cui espresso consenso non avrebbero potuto accettare, per Genova, accomodamento alcuno con Pisa e Venezia. Alla fine cedettero in parte terreno, lasciando intravvedere una possibile via di uscita. Il papa cioè avrebbe dovuto ordinare un armistizio per il tempo necessario a ricevere una risposta dei baroni. Gli intermediari non vi acconsentono e così le trattative non vanno avanti. Alla sera gl’inviati vengono licenziati dai cardinali, con l’invito a comparire dinanzi a loro il giorno seguente alla stessa ora. 39 Qui dovrebbe cadere l’allocuzione del papa, data dal Canal, 476. Ma, poiché la relazione degli inviati non ne fa cenno (App. 2, nr. 5), è dubbio se abbia avuto luogo. Forse fu aggiunta dal Canal per un arricchimento. 40 App. 2, nr. 5. Sono il cardinale vescovo Odo di Tusculo, Giovanni Gaetano (diaconus cardinalis tituli S. Nicolai in carcere Tulliano) e Giovanni di Tolleto (presbiter cardinalis tituli S. Laurentii in Lucina), designati come auditores. — 59 - Libro I - Cap. quarto Prima che41, il 2 giugno, i Genovesi si recassero alla seduta stabilita, dovevano ricevere una notizia che sconvolgeva tutta la base del loro piano. Era arrivato cioè un corriere da Messina42 con una lettera dei consoli di Acri diretta al Podestà ed al Comune di Genova. La lettera non era più sigillata, ma era stata aperta per via43. I delegati la lessero e vi trovarono la descrizione degli avvenimenti di Siria dalla metà di dicembre fino al 18 aprile, con la comunicazione che i baroni avevano rotto il trattato facendo lega con gli avversari dei Genovesi. E dal momento che i Veneziani avrebbero avuto ben presto notizia del fatto, non era più possibile procrastinare l’accordo, portando in campo la lega con i baroni. Le primitive istruzioni erano con ciò praticamente decadute. I delegati inoltrano la lettera e in una propria nota domandano alla Signoria del loro paese se devono tener ferma la posizione fino allora sostenuta e attenersi solamente all’ordine del papa che interdice ulteriori ostilità, ovvero se, per la mutata situazione delle cose, debbano tenere un’altra condotta; chiedono infine una pronta risposta scritta, con poteri sufficienti per essere in grado di prendere delle decisioni secondo il proprio punto di vista, nonché disposizioni sul modo di contenersi nel caso in cui fosse posta la condizione che i Genovesi dovessero accordarsi con Venezia e Pisa anche per le contese al di qua del mare. Questa lettera partì il 3 giugno. Prima che la risposta potesse arrivare, le trattative dovevano proseguire. I Genovesi si trovavano in una posizione imbarazzante, perchè i cardinali avevano comunicato loro in segreto che gli avversari erano d’accordo per far decidere dalla Sede Apostolica tutti i litigi esistenti al di là del mare e che all’uopo avrebbero steso un compromesso nelle loro mani. Di fronte a ciò, i Genovesi rimangono fermi nelle loro primitive dichiarazioni, naturalmente non facendo 41 II testo (App. 2, nr. 5) non è del tutto chiaro: Ordinatum fuit, ut die crastina eadem hora coram ipsis essemus. Illa igitur die, ante vesperas et ante quam accederemus coram auditoribus supradictis\ illa die potrebbe anche riferirsi al 1° giugno, il che però, se badiamo al nesso, è poco probabile. Sulle discussioni della seconda conferenza, i delegati nulla riferiscono. 42 App. 2, nr. 5: pervenit Viterbium Musca cursor veniens de Messana. La lettera venne portata fino a Messina per mare e di là per terra. Il corriere Musca doveva essere conosciuto a Genova, altrimenti sarebbe stato aggiunto quidam. Si deve quindi supporre un sistema regolare di trasmissione delle notizie. 43 Ibid.-. que littere erant aperte, et non clause quia quidam comes eas aperuit, ut dixit dictus cursor. Purtroppo la lettera non ci è stata conservata. — 60 — Il trattato con Manfredi e il compromesso nel papa alcun cenno delle notizie ricevute. Finalmente viene proposto dai cardinali un espediente. Nel compromesso cioè sarebbe stato aggiunto che il papa nulla avrebbe imposto ai Genovesi che fosse contrario al loro giuramento verso i baroni, il che sarebbe piaciuto ai Veneziani ed ai Pisani, così almeno ritenevano gli inviati genovesi. Questi però, tanto per le istruzioni ricevute quanto per il rigetto dei loro poteri ritenuti insufficienti, non possono assolutamente accettare un compromesso e quindi non rimane loro altro che dichiarare di dover prendere ordini della loro Signoria. Per eliminare la cattiva impressione che questa scappatoia poteva fare sulla Curia, essi diedero un nuovo indirizzo alle trattative, prevedendo che gli avversari non sarebbero stati così pronti a piegarsi agli intendimenti pacifici del papa. I Genovesi dicono che sembrava loro sconveniente venire ad un accordo solo per le questioni al di là del mare e non anche per il dissidio con Pisa, specialmente in Sardegna. Se si doveva venire ad una pace, ad un armistizio o ad un compromesso, si doveva farlo in modo completo. A loro pensare il Comune di Genova non avrebbe voluto mettere ad un tempo termine alla guerra in Siria e continuarla in Sardegna. I cardinali rispondono che i Pisani non avrebbero acconsentito se non fosse stato subito consegnato loro S. Igia. I Genovesi dichiarano di accettare che il paese sia consegnato al papa e che poi sulle reciproche pretese venga pronunziato un giudizio in via legale e bonaria; ma i delegati pisani non vogliono saperne. Fra il cozzo di tante pretese, ogni ulteriore tentativo di mediazione sembrava disperato. I cardinali che ne erano incaricati e gl’inviati comparvero il 5 giugno dinanzi al papa ed agli altri cardinali. Dopo che le questioni erano state di nuovo discusse a fondo, Alessandro IV pronunziava la sua decisione. Le parti devono venire ad un pieno accordo e a tal fine le prega ed esorta a concludere un compromesso su tutti i punti in conte-stazione. A tal uopo ritiene opportuno ed ordina loro di farsi spedire dai rispettivi Comuni sufficienti poteri per poter prendere deliberazioni ed in generale per essere in grado di fare tutto ciò che il papa potesse ordinare, anche riguardo a prestazioni di garanzia, mediante consegna di torri e fortezze nelle sue mani od in quelle del suo legato. Infatti, non appena il compromesso fosse stato stipulato, egli avrebbe imposto che ogni azione fosse sospesa e che ciascuna delle parti dovesse consegnare tre fortezze al legato che, per il ristabilimento della pace, egli avrebbe mandato al di là del mare. Ciò è quanto più gli preme. Avrebbe forse sorvolato sul fatto che non si venisse ad un accordo riguardo alla Sardegna, ma il dissidio — 61 — Libro I - Cap. quarto in Terra Santa doveva essere eliminato. La parte che non avesse obbedito sarebbe stata punita dalla Sede Apostolica e contro di essa sarebbe stata invocata la forza secolare44. Sembra che a tale intimazione fosse stato posto per termine il 21 giugno, fino a quando cioè i delegati avessero potuto ricevere risposta dalla loro patria 45. Nel frattempo non potevano avere avuto luogo concrete trattative; qui però manca almeno una lettera dei delegati genovesi, il cui contenuto, tuttavia, sulla questione principale, viene riprodotto in altre successive, la quale doveva essere stata spedita circa il 2 giugno46. Intorno al 6 giugno era stata inviata dal governo genovese ai suoi rappresentanti una lettera, del pari non reperita. Essa doveva contenere la notizia che gli avversari intendevano mandare una flotta ad Acri, nonché l’ordine di presentarla al papa, come infatti avvenne. Alessandro IV la lesse e disse: « Se ciò è vero, è un tradimento che la Chiesa non può sopportare »47. Lo scopo che aveva Genova con questo intermezzo è abbastanza evidente: mettere cioè i Veneziani in sospetto presso il papa, ma non vi riuscì. Il giorno seguente , 44 App. 2, nr. 4. Mancano poi nell’originale circa 10 linee e segue una lunga esposizione. riguardante le relazioni di Genova col cardinale Ottobono; in chiusa viene fatta ancora menzione della trasmissione della lettera dalla Siria, unitamente a quella del 3 giugno; i Veneziani avrebbero avuto ora notizia degli avvenimenti. Per S. Igia, i delegati chiedono ancora ordini sul modo di contenersi. 45 App. 2, nr. 8 F: oportuit nos et alteram partem silere usque ad diem termini dati nobis et adversariis nostris pro responsione habenda, secundum quod vobis per alias litteras destinavimus... et quia nuncius Pisanorum non rediit usque diem Veneris tunc proxime venientem (sc. 21 giugno), fuimus coram summo pontifice die sabbati in mane, que fuit die XXII Junii. 46 App. 2, nr. 8 B, C. II 18 giugno viene comunicato il suo arrivo dal Podestà, dal Capitano e dagli Anziani. L’inoltro di lettere fra Genova e Viterbo sembra comportasse circa sei giorni; il 19 giugno i delegati ricevono la lettera del 13 giugno a loro diretta, il 25 quella del 18. Il 10 è già a Genova la lettera dei delegati del 3 giugno, il 13 quella del 7. La lettera, alla quale fu risposto il 18, doveva quindi essere all’incirca del 12 e poteva contenere anche la risposta ad un’altra del 6. 47 App. 2, nr. 8 F: vestras litteras ipsas, (quas) nobis propterea miseratis, in manibus summi pontificis posuimus, qui illas legit, proprio ore dicens quod si verum erat, quod adversarii nostri illuc armamentum mitterent, prodicio esset nec deberet per ecclesiam tollerari. Questo passo può riferirsi solo alla seconda flotta veneziana, che ancora non era partita; la prima, unitamente a 10 taride, si era messa in cammino molto tempo prima. 48 Ibid.: alio die. — 62 - Il trattato con Manfredi e il compromesso nel papa i delegati sollevano la stessa accusa davanti al papa e ai cardinali. Gli avversari sono presenti e rispondono di non saperne nulla, ma che se ciò pur fosse stato, il papa avrebbe dovuto tollerarlo, avendo i Genovesi, contro il suo divieto, fatto partire una grandissima flotta49. Il papa finalmente mette fine alla diatriba prescrivendo che nessuna delle parti possa intraprendere spedizioni oltre mare, senza che sia prima accertato se esse siano o no venute ad un accordo. Nel primo caso sarebbero cessate le ostilità, nel secondo, egli, insieme con i cardinali, avrebbe preso quelle misure che gli sarebbero sembrate opportune. L’incidente sembra abbia avuto luogo il 12 giugno, e intanto le trattative rimasero sospese fino al 21. Subito dopo dev’essere giunta la lettera che il Podestà, il Capitano ed il Consiglio avevano diretto il 10 giugno agli inviati50. Essa conteneva le istruzioni che desideravano51, come pure i necessari poteri52. La sera del 19 53 gli inviati ricevettero la lettera del 13 giugno54, nella quale era loro prescritto il contegno da tenere in seguito. Non insistessero per il compromesso sulla Sardegna, qualora i Pisani vi acconsentissero di mala voglia, facendo però mostra di cedere su questo punto alla volontà del papa, poiché quanto a S. Igia non si aveva alcun timore. Quanto agli affari al di là del mare, ove era in giuoco il bene della cristianità, era desiderio del governo genovese che venisse concluso un ampio compromesso nel papa: offrissero delle garanzie nella stessa forma degli avversari; il termine 49 Ibid.-. quoniam Januenses contra preceptum eis factum miserant maximum armamentum. Questa non può essere altro che la prima flotta genovese. Non è chiaro quando fosse stato emanato l’ordine; probabilmente nella lettera con la quale il papa aveva chiesto l’invio di delegati per le trattative o mediante il nunzio che l’aveva recapitata. 50 Tola, Cod. dipi. Sard., I, 882; cfr. App. 2, nr. 8 D, E. 51 Ibid.: quicquid inde diligenti consilio tractatum extitit et etiam ordinatum, providende vestre transmittimus presentibus interclusum. Queste istruzioni non ci sono state conservate; la parte essenziale trovasi nella lettera del 13 giugno (App. 2, nr. 8 A), che dà la risposta decisiva. 52 Ibid.: Litteras autem syndicatus plenarias et omni auctoritate suffultas sub sigillo comunis et populi vobis transmittimus. L’allegata lettera dei consoli d’Acri e le notizie sul cammino della flotta hanno naturalmente lo scopo di tenere informati gli inviati sull’andamento degli avvenimenti. 53 App. 2, nr. 8 F: die igitur Mercurii in sero, qui fuit XVIIII Junii. 54 App. 2, nr. 8 A. — 63 - Libro I - Cap. quarto per la sentenza arbitrale fosse il più breve possibile; gl’inviati facessero ogni sforzo perchè la torre genovese di Acri non fosse consegnata ad alcuno; facessero mostra di rompere interamente le trattative piuttosto che cedere su questo punto o quanto meno chiedessero garanzie perchè in nessun caso la torre fosse distrutta o data in mano agli avversari. Avrebbero potuto giustificare questa domanda adducendo che nè Venezia ne Pisa avevano torri in Siria e che perciò sarebbe stato ingiusto chiedere nel compromesso quella di Genova, non potendo gli avversari concedere un pegno analogo, e ciò anche perchè quella torre non recava danno ad alcuno e solo serviva di difesa contro i nemici del Comune. Solo nel caso che non si fosse potuto fare altrimenti, dovessero concludere il compromesso conformemente agli ordini del papa, chiedendo però che vi fosse fatta espressa menzione della torre. Se il legato da spedirsi in Siria non fosse stato ancora nominato al momento della loro partenza dalla curia, Ugo Fieschi e il suo segretario55 avrebbero dovuto rimanere e adoperarsi perchè fosse investito dell’incarico un amico di Genova 56. I disastrosi avvenimenti di Acri ed il contegno risoluto del papa fecero sì che in Genova predominasse una certa disposizione alla pace. Un ulteriore rifiuto di aderire al compromesso avrebbe fatto ricadere la colpa su Genova, se la funesta guerra in Terra Santa non avesse avuto fine. Il papa avrebbe scagliato l’anatema, e l’appello alla forza secolare in Siria non avrebbe fatto altro che procurare ai Veneziani un deciso predominio. Però la conclusione del compromesso non è ancora sicura, un grande numero di difficoltà si solleva nelle ulteriori trattative. Queste furono riprese il mattino del 22 giugno57, poiché il 21 non era ancora arrivata la risposta di Pisa. Gl’inviati genovesi presentano al papa ed ai cardinali i loro nuovi poteri e si dichiarano pronti in nome 55 Ibid.: Hugo de Flisco cum scriba; è certo il notaro genovese nominato come testimonio nel L.J., I, 1274, da considerarsi come l’estensore della lettera. 56 Seguono una menzione circa la spedizione dell’istrumento di procura per precedentes cursores e circa il contestuale invio di una lettera sulla posizione di S. Igia, che gl’inviati dovevano rimandare ed infine notizie sull’appagamento dei desideri del cardinale Ottobono. Ad ogni modo, alla fine dell’istruzione allegata alla lettera del 10 giugno, è detto che i delegati dovranno, nel loro operato, attenersi al suo consiglio. App. 2, nr. 8 F: In fine quarum (se. allegationum quas nobis misistis) continebatur expressim et eciam in litteris, quas nobis misistis, quod in omnibus premissis procedere deberemus secundum consilium d. Ottoboni. 57 App. 2, nr. 8 F; v. sopra, n. 45. — 64 — Il trattato con Manfredi e il compromesso nel papa del Comune a compromettere nel papa tutte le loro liti con Venezia e Pisa. I delegati di quest’ultima rimangono fermi nella pretesa restituzione di S. Igia. I Genovesi vi acconsentono, a condizione però che la sua appartenenza a Pisa venga giudizialmente riconosciuta con sentenza. Alla fine papa e cardinali decidono per la consegna di S. Igia alla Sede Apostolica affinchè sia poi deliberato sul diritto alla sua proprietà, senza però che nè 1 attuale possesso dei Genovesi, nè quello precedente da parte dei Pisani, possa influire sul giudizio. Dopo parecchie repliche da parte di entrambe, le parti finiscono per accettare. Nuove difficoltà sorgono in seguito alla richiesta fatta dai Veneziani e dai Pisani che nel compromesso sia espressamente detto che tutte le fortezze di ciascheduna delle parti in Acri siano consegnate alla Sede Apostolica, a garanzia dell’osservanza del lodo da pronunziare. I Genovesi si oppongono a tale proposta a norma delle istruzioni ricevute dal proprio governo. Avendo però avuto assicurazione che dopo l’esecuzione del lodo arbitrale del papa la torre sarebbe stata restituita intatta al Comune, essi alla fine si quietano seguendo il consiglio del cardinale Ottobono. Ora però i Pisani sollevano una nuova pretesa riguardo la loro nuova torre 58, della quale non si viene a capo tanto facilmente. Essi domandano che ove essa fosse stata distrutta, dovesse essere ricostruita a spese dei Genovesi e ciò prima che ad essi fosse restituita la loro. Se così ad essi fosse piaciuto, o avessero rifiutato il pagamento, la loro torre avrebbe dovuto andare distrutta ovvero rimanere nelle mani del papa a suo piacere. Avvicinandosi il mezzogiorno, la seduta viene rimandata al prossimo martedì 25 giugno. Alla ripresa delle trattative nel mattino di tal giorno, i cardinali procurano, mediante separati colloqui, di indurre le parti ad una certa arrendevolezza. I Genovesi invece intendono riconoscere, tutt’al più, un risarcimento di danni se, dopo concluso il compromesso e dopo che questo fosse stato portato a cognizione dei loro connazionali in Acri, avesse avuto luogo la distruzione della torre. In caso contrario, essi pure avrebbero chiesto una indennità di guerra per le loro perdite, specie per quelle sofferte durante l’armistizio. I Pisani persistono nel domandare l’indennizzo nel caso che la torre fosse stata distrutta dopo il 1° maggio. Potrebbe sembrare che l’ostinazione dei Genovesi, di fronte alle eque domande dei 58 Ibid.: suscitata est questio de facto turris Pisanorum videlicet (?) nove, quam detinent Januenses. — 65 — Libro I - Cap. quarto Pisani, dovesse frapporre difficoltà all’accordo. Ma essi, molto abilmente, danno alle trattative una piega tale da mettere gli avversari dalla parte del torto. Era stato loro comunicato che i Veneziani si erano espressi nel senso che, se la torre dei Genovesi fosse andata distrutta, ne avrebbero risarcito il valore, giacché i capitani spediti oltre mare avevano ricevuto ordine specifico di raderla al suolo, ove avessero potuto occuparla, e di mandarne le pietre a Venezia. I Genovesi presero questa favola come una pazza millanteria, ma se ne valsero per mettere gli avversari nella confusione e così penetrare più facilmente nei loro disegni. Essi propongono che se mai la torre genovese dovesse andare distrutta, avrebbe dovuto esser accordato loro lo stesso indennizzo chiesto dai Pisani. Gli avversari si sentono fortemente colpiti dalla proposta e parlano a lungo contro di essa. A questo punto i Genovesi lanciano un colpo maestro. Dichiarano cioè che il loro Comune intende concludere un compromesso su tutte le questioni controverse, senza riserva alcuna, essendo essi pronti ad obbedire ai voleri della Chiesa; e qualora venisse stabilito un risarcimento di danni, tanto la loro torre come la pisana dovrebbero essere trattate alla medesima stregua. Queste parole piacquero ai cardinali — il papa si era allontanato — che dissero fra loro: « Ben detto »59. Viene dato tempo a Veneziani e Pisani di prendere consiglio, per poi dichiarare quello che intendevano fare. Queste questioni di second’ordine non potevano ormai formare oggetto di essenziali difficoltà per l’accordo. Sembra però che a Genova non si volesse rinunziare all’idea di mettere la Curia in diffidenza contro il sincero amore di pace dei Veneziani. Nel pomeriggio del 25 giugno i delegati genovesi ricevono dal Podestà, Capitano ed Anziani una lettera di contenuto abbastanza bellicoso60. Quantunque la prima volta non fossero riusciti nel loro intento, essi danno nuovamente incarico ai delegati di dichiarare apertamente dinanzi al papa ed ai cardinali in forma opportuna che: se i nemici avessero mandato fuori perfidamente una flotta, 59 Ibid.-. quibus nostris dictis cardinales visi sunt assentire, inter se dicentes quod bene dicebamus. 60 Del 18 giugno: App. 2, nr. 8 B, C. La lettera del 10 giugno (ibid., nr. 8, D, E) era del Podestà, Capitano e Consiglio, quella del 13 (ibid., nr. 8 A) del Podestà, Capitano, Anziani e Consiglio; è quindi difficilmente ammissibile che il Boccanegra, in opposizione alla nobiltà rappresentata nel Consiglio, abbia voluto continuare la guerra, specialmente dopo la lettera del 18 giugno scritta consilio plurium sapientum. — 66 — Il trattato con Manfredi e il compromesso nel papa malgrado che i loro inviati fingessero di trattare la pace presso la Curia, Genova sarebbe stata nella necessità di fare altrettanto senza curarsi delle eventuali conseguenze, non intendendo lasciarsi ingannare da trattative simulate, che la prima flotta era stata mandata « in soccorso di Terra Santa» perchè gli avversari vi avevano parecchie navi; che ora ne verrebbe allestita una nuova, la quale sarebbe stata spedita, ove i nemici avessero fatto partire la loro. In realtà, con ciò non viene revocato 1 incarico di concludere il compromesso; ma si vuole che i delegati facciano prima questa dichiarazione. Essa non doveva essere sembrata loro di grande utilità, altrimenti non avrebbero ripetuto nella loro lettera che il papa già in precedenza aveva ordinato ad ambe le parti di non fare alcuna nuova spedizione. Sull ulteriore andamento delle trattative ci mancano notizie. Rimane solamente conservata una lettera del 3 luglio con la quale i delegati annunziano la conclusione finale dell’accordo avvenuto in quel medesimo giorno , dicendo come tutte le principali difficoltà fossero state risolte. I poteri di arbitro, conferiti al papa, si estendevano a tutte le controversie al di là del mare, e a quella fra Genova e Pisa per S. Igia. Viene decretato che le torri e le fortezze, possedute dalle parti in Siria, siano consegnate al legato che il papa vi manderà e ciò entro 8 giorni dal suo arrivo. Il legato potrà tenerle occupate fino a che non siano eseguiti gli ordini pontifici, con facolta anche di obbligare le parti a distruggerle in esecuzione della sentenza 63. Per tal modo i Genovesi hanno raggiunto il loro scopo, non essendo fatta parola di risarcimento di danni; ma la loro torre non è espressamente esente dal pericolo di una eventuale distruzione. S. Igia dev’essere consegnata ad un inviato del papa, Genova deve ritirare il suo presidio, e Pisa levare l’assedio; poi il papa deciderà sul diritto di proprietà, per darlo alla parte cui esso possa spettare. Su questo punto si era già d accordo ancora prima. Per la sicura osservanza delle 61 App. 2, nr. 8 F. * 62 App. 2, nr. 1. Cfr. i docc. in L.J., I, 1271; Annali, 238 [IV, 30]; Canal, 476. 63 Nella lettera vi è ancora: quibus completis partibus illesas restituere tenetur Le parole sono scritte sopra altre, ma come altre correzioni sono della stessa mano dell’estensore del testo. Il senso è alquanto ambiguo; se la distruzione delle torri era avvenuta e se dopo ciò le parti avessero obbedito non avrebbero potuto più riceverle indietro intatte. — 67 — Libro I - Cap. quarto disposizioni del papa o del suo legato, sarebbero state chieste, dopo le loro decisioni, delle garanzie Il procedimento si svolge dinanzi al papa ed ai cardinali in concistoio . Alessandro IV accetta il conferitogli ufficio di arbitro nell interesse della pace, della prosperità della Terra Santa e dei Comuni; assicura in pari tempo espressamente non essere sua intenzione di approfittare della pienezza delle sue facoltà per dichiarare non valide le riserve fatte sulle alleanze66. Esaurite così le formalità, comunica alle parti i primi ordini. Gl’inviati presenti devono dar notizia ai loro Comuni di quanto avvenuto, devono cessare tutte le ostilità, nessuna nuova flotta può più essere allestita nè al di qua nè al di là del mare. Tutto ciò deve venire comunicato dalle città ai propri connazionali ovunque possano trovarsi67. In un giorno determinato i delegati dovevano trovarsi di nuovo presso la Curia per ricevere dal papa altri ordini, specie riguardo ai prigionieri . Le lettere con le quali Alessandro IV, conformemente ai suoi ordini verbali e in virtù dei suoi poteri apostolici e arbitrali, impone ai Comuni di mantenere stretta pace, portano la data del 6 luglio 69. Entro tre giorni dal ricevimento, tutto ciò doveva essere annunziato pubblicamente mediante araldi. Al più tardi con la prossima flotta regolare mercantile di agosto, si dovevano spedire specifiche lettere e messi ai comandanti di 64 Nel documento è detto ancora che Venezia si era riservata la lega con i Provenzali, Genova con i baroni, Pisa col Giudice di Arborea, (forse comiti henregut/ de Sparnavia - L.]., I, 1272 - è lettura errata?). Inoltre si prometteva che entro 8 giorni dopo il rimpatrio dei delegati dovesse avere luogo la ratifica da parte delle autorità dei Comuni. Tale ratifica certamente avvenne. Cfr. Urkunden zur àlteren, III, p. 44: in compromisso et singulis instrumentis comunitatum. 65 Uno dei delegati veneziani non è presente per malattia (L.J., I, 1271); per la sua approvazione viene redatto un documento complementare: ibid., I, 1274. 66 App. 2, nr. 6 b. 67 App. 2, nr. 1: et quod curaremus bec omnia, ut (!) per nostra comunia nuntiarentur universis per diversas mundi partes constitutis. 68 Gli inviati dichiarano di essersi attenuti in tutto al consiglio del cardinale Ottobono, come era stato loro imposto, ed alla fine annunziano il loro prossimo ritorno. 69 A Pisa: Rayn., anno 1258, par. 33-35; M.G.H., Epist. s. XIII, III, 446; Potthast, nr. 17333; Bohmer, Regesta Imperii, nr. 9165 (cfr. Posse, p. 13); a Genova del medesimo tenore: Rayn., anno 1258, par. 36 (cfr. Posse, 1. c.). Secondo Posse, 1. c., fu mandata una lettera papale anche ai consoli dei Veneziani, Pisani e Genovesi al di là del mare, citata anche da Rayn., anno 1258, par. 35; finalmente una simile ai Giovanniti: ibid., anno 1258, par. 30; Potthast, nr. 17335. — 68 — Il trattato con Manfredi e il compromesso nel papa oltre mare, per comunicar loro il compromesso e che quanto prima sarebbe arrivato un legato per il definitivo accomodamento di tutte le questioni. Dinanzi al legato avrebbero dovuto poi comparire i rappresentanti dei Comuni muniti di relativi poteri. La lettera papale doveva essere spedita al più presto ai Genovesi, Pisani e Veneziani di Siria e intanto non potevano più partire flotte da guerra. Quanto alla causa per S. Igia, il papa70, in esecuzione del compromesso, fìssa la data della metà di settembre perchè Genova e Pisa mandino i loro rappresentanti per ricevere il suo lodo arbitrale. Egli incaricava intanto 71 un Giovannita ed un Templare di recarsi a S. Igia per far sospendere le ostilità entro otto giorni. Essi dovevano prendere il luogo in loro custodia e far giurare agli abitanti che da quel momento in poi non avrebbero favorito più nessuna delle parti. 70 Lettera del 7 luglio: Rayn., anno 1258, par. 31; Potthast, nr. 17336. Cfr. Bohmer, Regesta Imperii, nr. 9166. 71 Lettera del 6 luglio: Rayn., anno 1258, par. 30; Potthast, nr. 17335. — 69 — 6 Capitolo quinto L’esecuzione del compromesso Capitolazione di S. Igia, luglio 1258. - Fine della guerra in Sardegna. - Battaglia presso Acri, 24 giugno 1258. - Allontanamento dei Genovesi da Acri. - Cessazione delle ostilità. Se il corso degli avvenimenti avesse potuto essere guidato dalle sagge deliberazioni che uscivano dalle silenziose sale del palazzo vescovile di Viterbo, tutto sarebbe proceduto con perfetto ordine. Le pie esortazioni del papa e l’efficace elevatezza della sua parola non potevano mancare del loro effetto sull’animo degl’inviati. Le zelanti e abili cure dei cardinali spianavano la via all’accordo. Il governo genovese era da principio certamente poco disposto alla pace; ma il timore di attirarsi addosso la collera del papa lo fece venire a più miti consigli. Ancor meno Venezia e Pisa volevano essere ritenute colpevoli se i Saraceni s’impadronivano della Terra Santa. Perciò nei gabinetti dei Comuni prevaleva una sana riflessione. Molto diversamente però si vedevano le cose sui luoghi dove si svolgevano gli avvenimenti trattati da lontano. Intorno a S. Igia era accampato un forte esercito di Pisani e dei loro alleati; dentro vi era un presidio capace di vigorosa resistenza. I combattimenti fin qui avvenuti avevano riscaldato gli animi; perciò il momento era molto difficile. La sete di vendetta ed il proposito d’essere risarciti dei danni sofferti rendevano spesso difficile il rispetto dei precisi ordini delle autorità locali e Pisa soltanto di malavoglia aveva rinunziato ad una immediata ed incondizionata restituzione di S. Igia. C’era davvero la seria intenzione di eseguire strettamente il compromesso? Secondo il modo di vedere dei Pisani, S. Igia, di cui solo la perfidia e il tradimento avrebbero potuto privarli, era di loro proprietà. Essi avevano fatto immensi sforzi per riprendere il loro legittimo possesso; erano cittadini pisani che componevano l’esercito assediarne, ed i signori sardi che vi prendevano parte avevano tutto l’interesse ad allontanare i Genovesi. In simili circostanze, nulla vi era di più improbabile che alla ingiunzione dei due nunzi del papa tutti ritornassero pacificamente a casa. Tanto meno i comandanti genovesi potevano senz’altro abbandonare il posto a loro affidato. Essi — 70 — L’esecuzione del compromesso dovevano attendersi che il nemico si sarebbe impossessato del luogo una volta che fosse rimasto indifeso. Non è chiaro se sia stato fatto un generico tentativo per eseguire le prescrizioni del papa. Certo è che in luglio S. Igia fu occupato dai Pisani1. E’ conservato un documento di capitolazione che senza dubbio vi si riferisce 2. I Genovesi ed i loro mercenari hanno libera uscita con i loro cavalli e con le loro robe. I cavalieri devono essere accompagnati a Sassari o ad altra località sicura fuori del giudicato di Cagliari; al podestà ed ai suoi dipendenti vengono fornite tre galere con viveri, però senza equipaggio, con le quali potranno andare indisturbati fino a Genova o Portovenere; gli eventuali ammalati possono rimanere. In tal guisa la invasione genovese nel regno di Cagliari ebbe per questa volta fine. Le altre disposizioni si riferiscono alla pace fra gli abitanti locali ed il Comune di Pisa che tiene il luogo in suo possesso, come Cagliari, nominandovi un podestà con giurisdizione; i prigionieri vengono scambiati; agli abitanti vengono restituite le loro proprietà. Inoltre viene concesso che il luogo non debba essere nè danneggiato nè distrutto, dovendo essere soltanto demoliti le mura, i fossati e le porte. Dopo aver concesso libera uscita al presidio, i Pisani fecero sentire tutto il peso della loro vendetta agli abitanti locali; in parte cacciandoli, alcuni vendendoli come schiavi, altri riducendoli in servitù3. S. Igia stesso fu raso al suolo, nè sembra sia stata mai riedificato. Non è chiaro fino a qual punto avesse parte in tutto ciò l’interesse del Giudice Guglielmo di Arborea, di Giovanni Visconti, Giudice di Gallura, e dei conti Gherardo e Ugolino. Essi avevano largamente contribuito al successo di Pisa e da questo momento in poi portarono il titolo — i due ultimi in comune — 1 Breviarium Pisanae historiae, 193: 14 Kal. Aug.\ Chronicon breve Pisanum, 122: 13 Kal. Aug. 2 L.J., I, 1257. Le notazioni cronologiche sono confuse in modo irrimediabile. L’anno 1257 e l’indizione XV si accorderebbero, ma nel 1257 S. Igia è ancora in possesso dei Genovesi; 7 Kal. Aug. (26 luglio) non cade nel 1257 di sabato, ma di giovedì, mentre nel 1258 cade di venerdì. Solo nel 1258, 13 Kal. Aug. (20 luglio) cade di sabato. Il podestà di S. Igia, nominato nel documento, è quello mandatovi nel 1257: Annali, 238 [IV, 291. L’occupazione non può essere avvenuta nel 1259, perciò Tola, Cod. dipi. Sard., I, 379, pone la caduta di S. Igia al 5 dicembre 1258. 3 Ibid., I, 379: habitatores... expulerunt, quorum aliquos vendere quosdam vero in servitutem presumpserunt redigere. — 71 — Libro I - Cap. quinto di « Giudici della terza parte del regno di Cagliari »4. Forse a loro poco piaceva che Pisa avesse acquistato un dominio ancor più diretto in Sardegna. E’ però probabile che la distruzione fosse avvenuta in vista della prossima sentenza del papa sul diritto di proprietà, poiché a Genova si pensava seriamente ad avanzare pretese su S. Igia5. Eliminando l’oggetto della contesa, non sarebbe stato più possibile un procedimento come quello stabilito nel compromesso. E’ da escludere che il processo abbia avuto effettivamente luogo, e Genova sporse lagnanze al papa, perchè i Pisani, restando la causa ancora indecisa, avevano occupato e distrutto S. Igia. Soltanto il 5 dicembre il papa ordinò a questi ultimi di cedere al suo nunzio il territorio dove sorgeva S. Igia e di permettervi il ritorno ai primitivi abitanti. Questa volta vengono autorizzati gli ecclesiastici a infliggere le pene della Chiesa in caso di disobbedienza6. Nulla ci viene riferito sulla riuscita delle misure prese. Nei successivi decenni i Genovesi non ebbero più da litigare coi Pisani per il giudicato di Cagliari. Fu solo in circostanze molto diverse, che essi poterono nuovamente pensare di far valere le loro antiche pretese. Effettivamente il papa non aveva dato eccessiva importanza al ristabilimento della pace in Sardegna; ma anche in Siria il legato avrebbe durato molta fatica a riportare la quiete, ove la situazione non fosse già stata risolta. Verso la metà di giugno la flotta genovese comandata da Rosso della Turca era giunta a Tiro7. Con Filippo di Montfort si era discussa la possibilità di un comune attacco contro gli avversari in Acri. Egli si sarebbe avvicinato alla città 8 con quanti più uomini possibile, a piedi ed a cavallo, ed ivi si sarebbe unito al gran maestro dei Giovanniti con le sue 4 Breviarium Pisanae historiae, 192 = Chronicon breve Pisanum, 122. Il Giudice di Arborea, indicato ancora nel 1257 come (dominus) tertie partis regni Kallara-tani, è molto probabilmente quello che eseguì la divisione subito dopo la morte di Chiano. Non è chiaro però da chi sia stata veramente eseguita, nè su quali diritti si basasse. 5 L.J., I, 1264. Il 13 agosto il testamento di Guglielmo Cepulla, per ordine del Podestà, venne estratto dal registro del notaro che lo aveva ricevuto ed il 4 settembre, per ordine del Podestà stesso, fu fatta copia autentica della disposizione di Chiano a favore di Guglielmo: L.J., I, 1200. Lo scopo poteva essere soltanto quello di dare ai delegati i titoli legali in forma autentica. 6 Tola, Cod. dipi. Sard., I, 379. 7 Annali, 239 [IV, 341. Cfr. Canal, 466. 8 Gest. des Chipr., 153 e sgg.: a la Vignie Neuve. — 72 — L’esecuzione del compromesso forze armate. L’azione principale era naturalmente riservata alle galere; se queste avessero riportato vittoria, gli alleati sarebbero entrati in Acri e avrebbero occupato i quartieri dei Veneziani e dei Pisani. Conformemente a tale intesa, il Signore di Tiro ed i Giovanniti si recano sul luogo designato. La flotta, forte di 4 navi e di circa 48 galere, parte il 23 giugno da Tiro e si mette all’ancora dinanzi al porto di Acri * in attesa del nemico. Secondo l’opinione di un esperto cronista, fu questo un grave errore 10. Un attacco immediato avrebbe determinato un efficace successo. I Veneziani ed i Pisani avevano 40 galere in porto n, ma esitavano a recarsi a bordo. La loro situazione era alquanto critica; se salivano sulle navi, le loro posizioni in città sarebbero state minacciate, se rimanevano a terra, la flotta genovese sarebbe entrata in porto. Ed ecco il conte di Giaffa che viene a trarli d’imbarazzo. Seguendo il suo consiglio e accompagnati da lui medesimo, il console pisano ed il bajulo veneziano si recano dal gran maestro dei Templari che promette di proteggere i loro quartieri fino al termine della battaglia navale. La promessa è mantenuta ed i Genovesi della città si limitano alla difesa. Messisi così al sicuro, i Veneziani ed i Pisani fecero pubblicamente proclamare che avrebbero corrisposto 9 Gest. des Chipr., 1. c., e Annali, 239 [IV, 34], danno la data in vigilia S. Johannis-, l’inserta var. m aggiunge a spiegazione mense Junii: Con ciò concordano Marin Sanudo, Liber, 221 = Ann. terre sainte B, 448, e la relazione pisana, la quale pone la battaglia, avvenuta appunto nel giorno seguente, al 24 giugno: Breviarium Pisanae historiae, 192. In Chronicon breve Pisanum, 122, la lezione 1261 in festivitate b. Johannis 9 Kal. Julii, non è evidentemente buona; la festa di S. Giovanni è il 24 e non il 23 giugno. La concordanza di tre fonti indipendenti l’una dall’altra toglie ogni rilevanza alla data della battaglia posta da Dandolo, 367, nel giorno delYapparitio b. March cfr. Heyd, I, 349. L’aggiunta agli Annali, 239 in var. n [IV, 34, var. e], fa ascendere la forza della flotta genovese a 48 galere e 4 grandi navi; analogamente Gest. des Chipr., 153. Marin Sanudo, Liber, 221: 49 galere e 4 navi. Cont. Guill. Tyr., 443: 50 galere e 4 navi; analogamente Ann. terre sainte B, 448. Amadi, 205: 48 galere e 1 nave; Canal, 468: 48 galere, 4 navi e inoltre 10 vaquetes, piccole navi a remi; cfr. Annali, 301 [V, 37 en. 1]. Il punto dell’ancoraggio è super portum Acconis - Annali, 239 [IV, 34] - dunque nel seno fra Acri e Caifa, dove poi avviene anche la battaglia: Cont. Guill. Tyr., 443 = Marin Sanudo, Liber, 221 = Amadi, 205. 10 Gest. des Chipr., 153. 11 Ibid.-, Annali, 239 [IV, 34, var. /]: galeas et taridas, di cui l’aggiunta in var. o, dà il numero 40. Ann. terre sainte B, 448: 40 navi; Amadi, 205: 42 navi; Canal, 468: 38 galere. Libro I - Cap. quinto ricco soldo a chiunque volesse salire sulle loro navi. A tale appello, affluisce un numero di persone così grande, che, oltre alle galere, riescono ad equipaggiare ancora 70 barche e grandi battelli, su cui vengono imbarcati abili tiratori, che durante la battaglia prestarono utili servigin. Il mattino del 24 giugno la flotta esce dal porto. Secondo la relazione genovese 13, si sarebbe provocata una certa confusione; a causa del vento contrario 13 galere sarebbero rimaste separate dalle altre. Rosso della 12 Gest. des Chipr., 153 e sgg. La relazione è chiara e senza contraddizioni. Il fatto che i Veneziani avessero assoldato gente per ogni dove è confermato dagli Annali, 239 [IV, 34]. Anche la relazione pisana fa menzione del favore accordato dai Templari: Breviarium Pisanae historiae, 192; cfr. Chronicon breve Pisanum, 122. Se protectorum nostrorum si riferisse a magistri et fratrum s. domus militie templi, troveremmo in questa particolare menzione dei Templari una conferma diretta della relazione delle Gest. des Chipr. Qui non è detto espressamente che fra l’arrivo della flotta genovese e l’inizio della battaglia sia corsa una notte. Ma che tale sia stato il caso è dimostrato dagli Annali, 239 [IV, 34], e da Canal, 468 e sgg.; però la relazione di quest’ultimo si scosta da quella delle Gest. des Chipr. Secondo essa, sulla certa notizia che la flotta genovese era arrivata a Tiro, i Veneziani avrebbero tenuto consiglio e deciso che Marco Giustiniani, il bajulo, dovesse custodire la città, mentre Andrea Zeno e Lorenzo Tiepolo sarebbero andati incontro al nemico. Così fu fatto e questi ultimi presero il mare. Non passò molto che la flotta nemica da Tiro avanzò contro di loro. Qui mancano anzitutto informazioni sull’aiuto prestato dai Pisani e per di più il nesso è incomprensibile. Gli Annali, 239 [IV, 34], dicono espressamente che la flotta genovese rimase qualche tempo a Tiro e che per la breve distanza i Veneziani poterono presto averne sicura notizia. E’ però una sorprendente combinazione di fatti che essi abbiano tenuto consiglio, che abbiano lanciato la flotta in mare e che subito dopo quella genovese sia comparsa compatta presso il porto di Acri. Non troviamo alcun sistema che ci metta in grado di porre la relazione del Canal in armonia con i fatti, tanto più che gli Annali, 239 [IV, 34], dicono espressamente che i Veneziani salirono sulle loro navi soltanto il mattino seguente. In Canal troviamo bensì esatte particolarità, basate su buone notizie, ma non possiamo attenerci a lui per una descrizione degli avvenimenti del 23 giugno, per la quale dobbiamo riferirci agli Annali e alle Gest. des Chipr. insieme, che si completano a vicenda, e rendono la descrizione del fatto in maniera possibile. Un accenno alla notte che intercede fra il presentarsi della flotta genovese e la battaglia, potrebbesi trovare anche in Gest. des Chipr., poiché secondo esse i Veneziani avevano promesso un soldo di 10 bezans saracins per il giorno e 9 per la notte ed inoltre perchè il Signore di Tiro se herberga a la Vigne Neuve près d’Acre. Egli aveva abbandonato Tiro insieme con la flotta e pernottato fuori di Acri in attesa dell’esito. 13 Annali, 239, aggiunta in var. p [IV, 34, var. gì. — 74 — L’esecuzione del compromesso Turca, l’ammiraglio genovese, già molto vecchio 14, non doveva dimostrarsi all’altezza del suo compito. Si era fatto particolare assegnamento sopra suo figlio Mirialdo, che lo accompagnava 15, ma egli era morto durante il suo soggiorno a Tiro 16. Il dolore per la perdita aveva fatto andare fuor di senno il vecchio genitore 17 che, invece di cogliere il momento propizio per l’attacco, si mise a pranzare. I Veneziani, vedendo che la flotta genovese, superiore in numero, non fa alcun passo per prendere iniziativa, si convincono non infondatamente che al nemico manchi il coraggio. Nel pomeriggio il vento cede, il mare si calma; i Veneziani allora riuniscono le proprie galere e partono loro stessi all’attacco 18 coronato da un decisivo successo, come tutte le relazioni riferiscono concordemente. I Genovesi perdettero quasi metà della loro flotta 19 e circa 1700 uomini fra morti e 14 Già nel 1214 egli è menzionato in Annali, 135 [II, 134]. Nel 1227 - Annali, 162 [III, 18] — appartiene agli Otto Nobili; alla fine degli anni ’30 è un campione del partito papale; nel 1239 capitaneus comunis et populi: Annali, 191 e sgg. [III, 85], Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 58 e sgg. Nel 1248 - Annali, 225 [III, 180] -è nominato Podestà dei Genovesi, partiti con la flotta di S. Luigi nella sua prima crociata. Set quia in factis civitatis et guerre pre aliis civibus comunitati Janue utilis videbatur, temendosi un attacco da parte di Federico II, si decise ch’egli rimanesse a casa. Egli compare spesso in Consiglio: L.J., I, 1004, 1032 etc. 15 Annali, 239, aggiunta in var. k [IV, 34, var. bì. Nel Consiglio vi è Mi-roaldus de Turca (4 marzo 1250): L.J., I, 1036; 17 novembre 1256: ibid., I, 1246, 1250. 16 Annali, 239, var. I [IV, 34, var. c, dì. 17 Annali, 239, var. p [IV, 34, var. g]: amiratus... quasi demens maxime de morte filii. 18 Annali, 1. c. Che i Veneziani avessero attaccato è riferito anche da Marin Sanudo, Liber, 221, e Canal, 470; soltanto che essi non dicono che ciò avvenne nel pomeriggio (Annali, 1. c.: inter nonam et vesperas). In Gest. des Chipr., 154, questo momento della battaglia non spicca abbastanza chiaramente. I Genovesi non presero però una vera posizione di difesa, come nel 1266: Annali, 257 [IV, 90], E’ quindi ben possibile che essi avessero messo in moto le loro galere allorché videro avanzarsi i Veneziani; se alcune rimasero indietro, lo fecero forse perchè destinate alla riserva. Probabilmente il relatore, che vedeva le cose da terra, poteva osservare esattamente quello che accadeva, ma non rendersi altrettanto conto delle diverse manovre sul mare. 19 Annali, 240 [IV, 35 e var. a, bì. La lezione 25 non è certa; v. var. a; Canal, 470: 25 galere; Marin Sanudo, Liber, 221 = Cont. Guill. Tyr., 443 = Amadi, 205 = Ann. terre sainte B, 448 : 24 galere. Secondo Gest. des Chipr., 154 e sgg., andarono perdute nel combattimento 19 galere, 3 fuggirono a Caifa, 2 a Chastiau Pelerin (dunque verso sud) ove furono prese da galere nemiche mandate ad inseguirle. L’equipaggio si salvò. — 75 - Libro I - Cap. quinto prigionieri20. I superstiti fuggirono a Tiro21, ove riparò pure Filippo di Montfort con la sua gente22. I Genovesi avevano fino allora sopportato coraggiosamente in Acri tutti gli stenti d’una guerra continua23. Avendo ora assistito dall’alto della loro torre alla sconfitta della flotta, disperarono di poter ancora mantenere la loro posizione in mezzo ai nemici. Il vessillo di Genova è abbassato, i difensori depongono le armi24 e si rifugiano nel palazzo dei Giovanni ti25. Da qui essi pregano il nemico vittorioso di avere libera uscita, il che viene loro concesso a condizione, sotto vincolo di giuramento, di non porre piede in Acri prima che non siano trascorsi tre anni. Con ciò essi rinunziarono alla torre e al quartiere 26. 20 Canal, 470, ha 666 prigionieri, oltre 400 uomini affogati in mare e più di 600 caduti; Marin Sanudo, Liber, 221 = Cont. Guill. Tyr., 443 = Amadi, 205; 1700 morti e prigionieri; Ann. terre sainte B, 448: 1500; Gest. des Chipr., 154 e sgg.; 1700; almeno tanti sarebbero mancati quando i Genovesi, ritornati a Tiro, contarono i rimasti. L’intero equipaggio di 19 galere doveva essere infatti superiore a 1700 uomini: cfr. Annali, 331 e sgg. [V, 115 e var. pi, dove per 10 galere erano impiegati 1543 uomini; ma secondo Gest. des Chipr., parecchi avrebbero gettato corazza e ca-schetto e si sarebbero salvati su altre galere. 21 Annali, 240 [IV, 35]. Secondo Gest. des Chipr., 154 e sgg., le galere si salvarono per la velocità dei remi. Le quattro navi, quando videro le galere battute, spiegarono le vele e partirono. Canal, 470, dice che, quando la battaglia fra le galere finì, il vento aumentò in modo che le navi poterono fuggire col favor delle vele. Per Ann. terre sainte B, 448, se non fosse sopraggiunto il vento del sud, i Veneziani avrebbero preso tutte le galere e le navi. 22 Gest. des Chipr., 155; Canal, 472. Il Gran Maestro dei Giovanniti, Guillaume de Chatiauneuf (Gest. des Chipr., 154 e sgg.) doveva essere morto subito dopo e al suo posto fu nominato Hugue Revel. Questi trovasi già nel documento del 9 ottobre 1258: Strehlke, Tab. ord. Theuton., p. 98; quegli ancora nel 1258 (15 gennaio); Delaville le Roulx, Les Archives, la bibl. et le trésor de l’ordre de S. Jean de Jérusalem à Malte, pp. 193, 210 e sgg. 23 Annali, 240 [IV, 35]. Cfr. Gest. des Chipr., 155. Secondo Canal, 470, il 24 giugno essi avrebbero attaccato i Veneziani in città, ma rimanendo sconfitti. Non è provato se effettivamente in quel giorno sia avvenuto un serio combattimento - prescindendo dal consueto e vicendevole lancio di proiettili mediante le baliste - poiché ciò non concorderebbe con la relazione delle Gest. des Chipr., 154. 24 Tanto si può ricavare da Canal, 470 e sgg. 25 Gest. des Chipr., 155. L’Ospitou era accanto al loro quartiere: ibid., 152. 26 Così possono stare in armonia le relazioni degli Annali, 240 [IV, 35], Gest. des Chipr., 1. c., e Canal, 472. Nessuno di questi è a cognizione di un formale accordo e nemmeno troviamo conservato o almeno citato un simile documento. Al — 76 — L’esecuzione del compromesso Buona parte delle disposizioni del compromesso era così rimasta senza effetto, prima ancora che esso entrasse in vigore27. Sembra che Genova si fosse affrettata a comunicare in Acri il risultato dell’accordo28, ma il messo era arrivato appena in tempo per vedere come i Veneziani avessero distrutto dalle fondamenta l’odiata torre e come egual sorte fosse stata riservata alle case dei Genovesi che non poterono essere protette dalla lettera papale29. Le pietre furono adoperate dai Veneziani e dai Pisani per cingere di mura i loro quartieri30. I prigionieri furono onerati di pesanti catene, imbarcati sulle galere catturate e mandati a Venezia31, ove furono pure spedite pietre della torre e della sua porta32. contrario, Marin Sanudo, Liber, 221, parla di un trattato di pace, le cui condizioni sarebbero state: la torre dei Genovesi e tutte le loro case doversi distruggere; i Genovesi residenti a Tiro non avrebbero potuto portare bandiera alcuna sulle loro navi venendo ad Acri, mentre ivi non avrebbero potuto avere propria giurisdizione. In Cont. Guill. Tyr., 443, non risulta così chiaro che questi due ultimi punti fossero condizioni d’un accordo; vi si parla soltanto dell’abbandono della torre e del quartiere e del ritirarsi a Tiro. Amadi, 205, cita come ulteriore condizione che i Genovesi non dovessero più avere in Acri nè torre nè fortezze. Ann. terre sainte B, 448, riferiscono che fu fatta la pace a condizione che i Genovesi consegnassero la loro torre ed il loro quartiere. Questa volta possiamo riconoscere con sicurezza che cosa contenesse la fonte comune, pertanto non possiamo ammettere che la relazione di Marin Sanudo sia la più esatta. Quando pone la distruzione della torre come condizione del trattato, egli viene a trovarsi in contraddizione con le altre tre relazioni, che pongono invece tale distruzione come una conseguenza, il che concorda con le fonti indipendenti, mentre Marin Sanudo trovasi in diretta contraddizione specialmente con Annali, 240 [IV, 35]. Da Cont. Guill. Tyr. (ms. de Rothelin), p. 635, nulla possiamo ricavare di più preciso. 27 E’ inesatto - Annali, 240 [IV, 36] - che nel medesimo giorno sia avvenuta la pace e incominciata la battaglia. 28 Annali, 240 [IV, 36]. Vengono mandate una lettera del papa ed una del Comune. La prima è quella diretta ai consoli delle tre città di Siria: Posse, p. 13; la seconda l’aveva richiesta il papa: Rayn., anno 1258, par. 34. 29 Annali, 240 [IV, 36], 30 Gest. des Chipr., 156; Cont. Guill. Tyr., 443; Ann. terre sainte B, 448; Amadi, 205. Le nuove mura dei Veneziani sono citate in Urkunden zur àlteren, III, p. 32; 7 gennaio 1261; quelle dei Pisani in L.J., II, 136. 31 Canal, 472 e sgg.; Annali, 240 [IV, 36]. 32 Annali, 1. c. [IV, 35 e n. 21. Cfr. Gest. des Chipr., 155 e sgg.; Cont. Guill. Tyr., 443. Non si può dubitare del fatto, quantunque Canal, 472 e sgg., Dandolo e Laur. de Monacis, Chronicon, nulla ne dicano. Che già si trovassero a Venezia pietre — 77 - Libro I - Cap. quinto La spietata umiliazione inflitta ad un nemico caduto dopo gloriosi combattimenti presenta alcuni aspetti che non parrebbero veri, ma che, nel loro complesso, sono caratteristici. Le fondamenta della torre vennero scalzate così profondamente che ne scaturì l’acqua. I Veneziani vi posero sopra delle barche gridando: « la torre dei Genovesi galleggia »33. Secondo il Canal34 i Pisani vi avrebbero pescato dei pesci. In tali circostanze si era ben lungi dal poter pensare ad un’onorevole conciliazione. Le umiliazioni sofferte dovevano accendere nell’animo dei Genovesi il desiderio di vendetta, nonostante le considerevoli perdite materiali subite. La distruzione del quartiere in Acri ed il temporaneo allontanamento dei loro concittadini stabilitivi dovevano compromettere seriamente il loro commercio nei confronti delle città rivali. D’altra parte, una continuazione della guerra non era possibile, poiché il nemico si trovava ora sulla costa della Siria con forze preponderanti, nè si poteva mandare dalla patria una flotta sussidiaria, poiché ciò avrebbe costituito un’aperta violazione del compromesso. La flotta veneziana ritornò in patria, nè altra, in obbedienza agli ordini del papa, ne fu spedita35. Di fatto venne così ristabilita la pace, ben necessaria per Acri, che aveva tanto sofferto36. Con tutta probabilità fu l’annuncio dei voleri del papa che, in tale stato di cose, impedì che le ostilità scoppiassero di nuovo 37; si può pertanto dire che le premure di Alessandro IV sortirono questa volta un felice successo. mandate da Acri, cfr. Weber, in Cicogna, Inscr. Veneziane, I, 369 e sgg. Egli partiva dall’erronea supposizione ch’esse provenissero da una chiesa di S. Saba. Anche Sac-cardo, I pilastri acritani, p. 285 e sgg., non è pervenuto a risultati persuasivi, avendo completamente trascurato la questione donde derivino le notizie, in parte fortemente alterate, contenute nelle successive cronache veneziane inedite. 33 Annali, 240 [IV, 36]: turris ]anuensium navigat, certamente con dicuntur. 34 Cronaca, 472. 35 Canal, 476. 36 Cfr. Cont. Guill. Tyr. (ms. de Rothelin), 635, quantunque esagerato e Chartes de terre sainte prov. de l’abb. de N.D. de Josaphat, p. 106 e sgg. 37 Canal, 478, informa: prima che gli inviati abbandonassero la Curia, dopo la conclusione del compromesso, sarebbe stato convenuto che due nobili veneziani avrebbero dovuto recarsi a Genova, per andare sopra navi genovesi in Acri ad annunziarvi l’armistizio. Aggiunge che ciò avrebbe avuto luogo e che parimenti due Genovesi e due Pisani si sarebbero recati a Venezia donde avrebbero intrapreso il viaggio. Per via essi ebbero notizia della sconfitta dei Genovesi e della distruzione della — 78 - L’esecuzione del compromesso Questo preliminare ordine di far pace appariva indispensabile per avviare un processo, mediante il quale potessero venire definitivamente composte tutte le liti che avevano dato luogo allo scoppio della guerra. A tal fine si pensò di mandare un legato, quantunque ciò avvenisse poi tardivamente 38, poiché soltanto il 18 aprile 1259 giunse il domenicano Tomaso, vescovo di Betlemme, quale legato apostolico in Acri39. Suo primo compito fu quello di farsi consegnare le fortezze da ciascuna delle parti. Nelle trattative che avevano portato alla conclusione del compromesso, i Genovesi avevano obiettato che questa richiesta li danneggiava; ora però non avevano più nulla da consegnare. Si comprende quindi perchè Veneziani e Pisani non avessero dato seguito all’intimazione loro diretta e anzi vi avessero opposto eccezioni deferite al giudizio del papa, per modo che la conclusione dell’opera di pace doveva protrarsi straordinariamente40. torre, notizia che afflisse profondamente i due Genovesi, uno dei quali sarebbe morto e stato sepolto a Zara. Non si ha motivo alcuno per dubitare di questa notizia, essendo il procedimento perfettamente conforme a quello ordinato dal papa. Malgrado la morte d’uno dei delegati genovesi, l’ambasciata ebbe corso in Acri. Se Dandolo, 368, segue Canal, ma aggiunge che per tale ragione l’armistizio rimase interrotto, ciò contraddice ai fatti del tutto noti e si deve assolutamente respingere come un’arbitraria aggiunta alla sua fonte. Anche le potenze locali coinvolte nella lotta delle due città marittime avevano accantonato i loro rancori; i tre ordini cavallereschi (9 ottobre 1258): Regesta regni Hierosol., nr. 1269; più tardi i Gio-vanniti e Boemondo: ibid., nr. 1284. 38 Cfr. App. 2, nr. 8 F. A tal fine, prima della conclusione, papa e cardinali avrebbero eletto a legato l’arcivescovo di Capua. Questi sarebbe ritornato da Roma a Viterbo e avrebbe rifiutato di accettare l’incarico. Quelli si sarebbero quindi dati premura di cercare un’altra personalità adatta; ma il cardinale Ottobono riteneva che nessuno sarebbe andato volentieri. E’ improbabile che il legato potesse essere stato nominato prima di agosto. I delegati convennero poi non essere utile allo scopo che uno di loro rimanesse presso la Curia (cfr. sopra, cap. IV); il cardinale Ottobono poteva meglio di loro adoperarsi perchè la scelta cadesse sopra una personalità favorevole a Genova. 39 Ann. terre sainte B, 449. Cfr. Cont. Guill. Tyr., 444. Il 9 ottobre 1258 {Regesta regni Hierosol., nr. 1269) il legato è ancora Jacopo, patriarca di Gerusalemme; nell’agosto 1259 (ibid., nr. 1279) dai documenti risulta legato Tomaso. 40 Ciò risulta dal passo incompleto del documento in Urkunden zur àlteren, III, p. 44, et in principio adventus nostri bis causam. — 79 - Capitolo sesto L’attività di governo del Boccanegra all’interno Nessun mutamento della politica esteta. - Poteri del Capitano e loro estensione. -Nuove corporazioni. - Boccanegra tende alla Signoria. - Le sue riforme offendono la nobiltà. - Congiura contro di lui e repressione della stessa. - Riforma delle finanze, 1259. - Ritorno dei nobili banditi. Genova era stata colta da molte sventure dacché il Boccanegra aveva assunto la sua carica. Gli Annali però, per quanto poco ben disposti a suo favore, non gli fanno rimprovero di esserne stato la causa. Sarebbe un grosso errore ammettere che la sua inesperienza negli affari politici ed il Consiglio degli Anziani popolari, che fino a quel momento non ne avevano condiviso la responsabilità, fossero stati la causa principale degli insuccessi provati. In realtà non pare che egli sia stato un uomo di guerra; mai egli si mise personalmente alla testa d’una flotta per consolidare la sua posizione di fronte all’aristocrazia con qualche grande fatto d’arme. Gli ammiragli, che ebbero la disgrazia d’essere battuti, appartenevano alla nobiltà e non erano dei novizi nelle azioni militari '. Fra gli inviati al papa si trovavano membri di tre delle prime famiglie di Genova. Ma anzitutto, già nel 1258, troviamo con certezza dei nobili fra gli Anziani2 e in numero ancor maggiore negli anni successivi3. Nei documenti riguardanti trattati 1 Pesceto Mallone, già consiliarius d’un comandante di flotta nel 1256: Annali, 235 [IV, 22]; nel Consiglio il 17 novembre 1256: L.J., I, 1247, 1251; quanto a Rosso della Turca, v. sopra, cap. V. 2 V. la lista in L.]., I, 1270, doc. del 31 gennaio 1258, nella quale sono nominati con sicurezza soltanto Ido Lercari e Amiceto Grillo come di famiglie appartenenti alla nobiltà; inoltre (10 aprile 1258), Doneaud, Sulle origini del Comune di Genova, p. 83; cfr. p. 48, la menzione di Zaccaria di Castello come Anziano. 3 Liste di Anziani: 24 novembre 1259, in L.J., I, 1300, in numero di 22; 17 ottobre, in Germain, I, p. 247, in numero di 11, di cui soltanto tre non compresi nella lista precedente; 4 marzo 1261, in L.J., I, 1328, in numero di 34; 10 luglio (ibid., I, 1358), in numero di 26; 26 febbraio 1262 (ibid., I, 1400), in numero di 34. Dal momento che i nomi risultano differenti, la nomina degli Anziani doveva avere luogo più d’una volta nel medesimo anno. Non abbiamo alcuna notizia sulle modalità con cui si facevano le elezioni. — 80 - L’attività di governo del Boccanegra all’interno di Stato 4, come anche in lettere al Comune, Podestà e Consiglio vengono sempre nominati insieme5 e così pure nelle corrispondenze con gli inviati plenipotenziari6. Le espresse menzioni contenute in decisioni prese circa istruzioni da impartirsi a questi ultimi7 dimostrano abbastanza chiaramente come la partecipazione della cittadinanza alle misure da prendere con la sua presenza non fosse più puramente formale. Ma non è in questo campo che si può avvertire una avvenuta sostanziale variazione nell’andamento della politica. La guerra con Pisa era incominciata già prima che il Boccanegra assumesse il capitanato. Dalla conclusione della convenzione con Manfredi non possiamo dedurre tendenze ghibelline. Essa offriva tanti vantaggi e imponeva oneri così limitati, che anche i più aperti partigiani della Chiesa poco avevano da obiettare. Non sappiamo se Alessandro IV ne fosse rimasto in qualche modo urtato, ma, appunto in quell’epoca, Genova si dimostrava molto arrendevole verso il papa, come richiedevano i suoi interessi. La nobiltà guelfa non avrebbe fatto di più se si fosse trovata da sola al timone dello Stato. Il Boccanegra doveva proprio la sua posizione non tanto agli sforzi tendenti ad un cambiamento nella politica estera, quanto al desiderio dei popolari di veder rappresentati anche i loro interessi nell’amministrazione interna. Podestà e Consiglio stanno, come in precedenza, nominalmente a capo di essa; ma Capitano e Anziani possono tuttavia in qualunque momento intromettersi nell’andamento degli affari, od anche prendere decisioni da soli. La mancanza di materiale ci impedisce di dare un giudizio 4 L.J., I, 1273. Devono ratificare il compromesso potestates, capitami, andarli et singuli de minori et maiori consilio Januensium et Pisanorum. Capitolazione di S. Igia [ibid., I, 1260): nomine et vice potestatis et capitami comunis ]anue. 5 Posse, p. 13: potestati, capitaneo, consilio et populo Jan.-, Tola, Cod. dipi. Sard., I, 379: potestas, capitaneus, consilium et comune Januensium-, L.J., I, 1286: lettera di Manfredi; vi si trova soltanto potestati, consilio et comuni Janue. 6 App. 2, nr. 5: Magne nobilitatis et discretionis viris dominis Rainerio Rubeo potestati Janue et Guillielmo Buccanigre capitaneo populi Janue et ancianis et toti consilio Januensi, e nella pagina di retro soltanto: dominis Rainerio Rubeo potestati Janue et Guillielmo Buccanigre capitaneo populi Januensis. Ibid., nr. 4, 1’indirizzo è uguale; ibid., nr. 8 F, solo al Podestà e Capitano e così pure ibid., nr. 1. Tola, Cod. dipi. Sard., I, 882: R.R. potestas et G.B. capitaneus, consilium et comune civitatis Janue, agli inviati; così pure App. 2, nr. 8 A; ma nr. 8 B, soltanto R.R. pot. Jan. et G.B. cap. et anciani populi Janue. Cfr. sopra, cap. IV. 7 Tola, Cod. dipi. Sard., I, 882: quicquid inde diligenti consilio tractatum exti-tit ordinatum-, App. 2, nr. 8 A: iuxta assensum et voluntatem maioris partis consilii. Libro I - Cap. sesto sulla linea di condotta tenuta, a questo riguardo, nei casi particolari. Gli Annali fanno rimprovero al Boccanegra di avere troppo esteso la sua signoria e di avere concentrato in sè tutto il potere. In particolare essi notano che egli solo conferiva gli incarichi, spediva inviati, costringeva Podestà, Consoli giudiziari ed altri funzionari ad obbedire ai suoi comandi, mentre le decisioni del Consiglio rimanevano ineseguite8. I documenti offrono dati che confermano alcuni di questi punti. In particolare è significativo come i castellani delle fortezze genovesi, nuovi nominati, presentino ai loro predecessori credenziali portanti in testa il solo nome del Capitano e munite del suo sigillo9. E’ pure accertata una intromissione nella giurisdizione dei funzionari del territorio 10. Il Capitano dirige ordini 8 Annali, 241 [IV, 38]. 9 App. 3, nr. 10, c. 3 (16 gennaio 1259): Simone Burono dichiara d’aver ricevuto da Torello Burono castrum Collis Vintimilii et claves ipsius castri, videlicet unam pro qualibet porta, dietro ordine del Capitano del Popolo di Genova, a lettera che lo contiene dice: Guillielmus Buccanigra capitaneus populi Janue viro nobili castellano Colle Vintimilii gaudium et salutem. Cum Simon Buronus constitutus sit castellanus castri Collis Vintimilii anno proximo venienti, vobis precipiendo mandamus quatenus castrum et omnia que ei pro parte contingunt deliberantes, eidem res et arma comunis, que sunt ibi, cum instrumento publico consignetis, ata Janue die 4 Decembris. Tale mutamento di castellani continua per alcuni anni, tanto per questo quanto per gli altri due castelli di Ventimiglia. Così (ibid., c. 5lv., 6 luglio 1261) Guilliel mus de Vrina castellanus pro anno presenti castri Apii Vintimilii infra tenorem litterarum d. capitami comunis et populi Janue et eius sigillo munitarum, ha ricevuto il castello consegnato dal suo predecessore. Il suo successore Oberto Dandala invece, esibisce (ibid., c. 98 v., 11 luglio 1262, quindi dopo la caduta del Capitano) una lettera del Podestà, munita del sigillo del Comune. E che ciò fosse anche per altri castelli è provato pura da Fol. Not., I, c. 327 v. (1 maggio 1261): i tre castellani di Gavi consegnano de mandato G.B. capitami comunis et populi Januensis ai loro successori castrum Gavii... prout in litteris dicti capitanei continebatur sigillatis suo sigillo. 10 App. 3, nr. 10, c. 4v. (18 febbraio 1259): Raimondo Curio di Ventimiglia presenta d. Lanfranco Spinule Bixie potestati comunis Vintimilii litteras subscriptas sigillatas sigillo d. capitanei honorabilis populi Janue quarum tenor talis est. Guillielmus Buccanigra, capitaneus populi Janue, nobili viro potestati Vintimilii dilecto suo gaudium et salutem. In nostra presentia constitutus Raimundus Curius de Vin-timilio sua nobis querimonia demonstravit quod iniuste compulsus (!) eum ad solvendum soldos 54 Janue Ottoni Bonebelle seu alii pro eo, ante litem contestatam et banni pignoris dationem, quos eidem Ottoni asserit non debere. Quocirca discretioni vestre precipiendo mandamus quatenus omnia que fecistis in predictis revocetis ad — 82 - L’attività di governo del Boccanegra all’interno ai Comuni dipendenti11; essi incamminano processi dinanzi a lui12. Nella nomina di rappresentanti con vasti poteri, figurano bensì Podestà e Anziani 13; però il primo non figura in parecchi trattati conclusi in nome del Comune u, specie in quelli riguardanti acquisti di nuovi possessi1S. Nelle disposizioni per la presa di possesso figura solamente il Capitano f _ presens et eidem Raimundo restitui faciatis predictam peccunie quantitatem. Si autem aliquis vult petere aliquid dicto Raymundo, conferatis ei plenitudinem rationis. Data Janue, die 12 Februarii. De mandato d. Ferrarii (Costui è certamente un giudice del Capitano: v. sopra, cap. I). Lettere simili (ibid., c. 8 v.) del 13 maggio 1259 al Podestà di Ventimiglia, presentata il 13 luglio; c. 44, del 16 maggio, presentata il 19 maggio; c. 65 v. (19 aprile 1260): il Capitano al Podestà di Ventimiglia, Alias vobis scripsisse meminimus, ut super morte Jacobi Clerici forestati procedere debeatis, et quod nobis deberetis mittere scripturas, quas recepimus. Unde vobis iterato mandamus quatenus in illo negotio secundum iusticiam et sicut bono regimini convenit, procedere debeatis, ita quod non possitis ab aliquo reprehendi, sed merito commendari. 11 App. 6, nr. 2; nr. 134 (20 aprile 1260): il vicario del podestà di Albenga, d’accordo col Consiglio, nomina un procuratore, che deve presentarsi al Capitano a motivo della lettera spedita da quest’ultimo. Essa diceva che chiunque volesse recarsi ad Albenga con viveri o per comperare sale si dovesse munire di un salvacondotto contro le eventuali rappresaglie. Inoltre il procuratore doveva pregare il Capitano di ordinare al Podestà ed al Comune di Andora la revoca di un divieto emanato contro i cittadini di Albenga. 12 Ibid., nr. 170 (3 gennaio 1262): il podestà ed il Consiglio d’Albenga nomi nano i sindaci che devono presentarsi al Capitano per la causa con Bonifacio de Lin-guilia e ricevere poteri per procedere. 13 Canale, II, p. 136: 28 novembre 1257; Doneaud, p. 83: 10 aprile 1258; così pure nelle credenziali per gli inviati a Montpellier in Germain, I, 228: 6 luglio 1257. 14 L.J., I, 1269 (31 gennaio 1258): Capitano e Anziani, nomine et vice comunis Janue, concludono un contratto con due Provenzali per l’impianto di saline nella riviera occidentale. La quietanza per risarcimento di danni in L.J., I, 1285, al Capitano, in presencia ancianorum. 15 L.J., I, 1298 (24 novembre 1259): acquisto del castrum Baalucbi etc., fatto dal Capitano nomine et vice comunis Janue, ma (ibid., I, 1300), in presentia, consilio et voluntate antianorum suorum... cum decretum esset per consilium generale, quod dicta emptio fieret. Nell’acquisto di Triora (ibid., I, 1325: 4 marzo 1261) risulta che la cosa sia andata diversamente; ibid., I, 1328: presentibus ancianis... quorum consilio d. capitaneus prò comuni Janue emit predicta. — 83 — Libro I - Cap. sesto come capo del Comune 16. Invece il privilegio per Monaco viene conferito dal Podestà e dal Capitano e approvato dagli Anziani e dal Consiglio generale17. Già i pagamenti per gli acquisti dimostrano come il Capitano disponesse del denaro del Comune, e se il suo giudice pronunziava sentenze, anche in questo possiamo vedere una interferenza nell ordinario andamento dell’amministrazione della giustizia 18. Da questi dati tratti dai documenti possiamo comprendere come gli Annali possano parlare d’un sovvertimento della costituzione fino allora in vigore 19. Le attribuzioni del Podestà e del Consiglio non erano venute meno. La nobiltà, allorché aveva, senza seria resistenza, annuito alla costituzione d’un Popolo col suo Capitano e con i suoi Anziani, aveva soltanto ritenuto di poter secondare le aspirazioni delle classi inferiori della popolazione, attraverso una loro organizzazione indipendente, la quale sarebbe stata utile per la prosperità di tutti, come dimostrava lo slancio preso da Firenze nella prima metà del secolo dopo la lega delle varie classi. Pure in Genova si era una volta tentato di dare al popolo un’organizzazione propria; ma questa era stata solo di natura militare e voluta dal partito dominante per poter tener testa agli attacchi di Federico II e dei suoi partigiani 20. Il Podestà stesso aveva nominato allora i due Capitani, quello del Popolo e quello del Comune21. Nell’anno 1257 il Capitano fu invece eletto a seguito di un moto rivoluzionario, favorito da una parte della nobiltà, che voleva farla finita con la preponderante influenza dell altra parte. Le attribuzioni conferitegli erano molto elastiche, tanto più che il suo potere 16 L.J., I, 1302 (11 dicembre 1259): il rappresentante del Comune insedia un castellano, che con i servientes deve custodire il castello, donec fuerit de voluntate ... d. capitanei prò Comuni Janue-, l’emolumento dev’essere tantum quantum per ipsum^ d. capitaneum fuerit ordinatum, etc.; ibid., I, 1304 (13 dicembre 1259): giuramento di fedeltà a Guarnerio ludici civi Janue recipienti nomine G.B. cap. pop. Janue et nomine comunis Janue, etc. 17 L.J., I, 1399: 26 febbraio 1262. 18 App. 2, nr. 7 (12 agosto 1258): alcuni cittadini di Asti citano un Lucchese per l’esecuzione d’una sentenza pronunziata dai Consides civium et foritanorum-, altri cittadini di Lucca sostengono delle pretese contro lo stesso convenuto, anteriori a quelle degli Astigiani e riconosciute per consules Janue. Il giudice del Capitano allora trasmette gli atti a due giureconsulti milanesi, sul cui parere pronunzia la sentenza. Annali, 241 [IV, 383. 20 Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 58 e sgg. e p. 27. 21 Annali, 191 [III, 961. — 84 - L’attività di governo del Boccanegra all’interno aveva un carattere molto personale. Ben presto si vide che egli non si sarebbe appagato, come capo del Popolo, di assicurare a questo una partecipazione alla direzione dello Stato ed un miglioramento della sua condizione sociale. Tuttavia il Boccanegra non doveva perdere di vista l’adempimento di tali compiti. Già da prima esistevano corporazioni con propri capi particolari, chiamati consoli22, i quali però non erano mai arrivati al Consiglio, come avvenne invece ora in occasione di due importanti provvedimenti politici23. I primi provabili statuti di corporazioni risalgono già al 1248 24, stipulati a tempo e nella forma della libera convenzione, ben poco simili ai successivi regolamenti governativi per l’esercizio delle arti. Non possiamo però ammettere come dovuto all’opera del caso, il veder sorgere, proprio nel 1257 e 1258, due nuove corporazioni25. Il vero scopo era quello di creare organi duraturi, che fossero in grado di prendere utili deliberazioni 22 Bonaini, Stat. Pisa, I, p. 312, nota. Doc. del 17 luglio 1251: 4 macellarii, consules seu rectores macellariorum omnium civitatis ]anue in App. 5, nr. 24, p. 79; cfr. Fol. Not., I, c. 376 v. (24 febbraio 1248): Statuti degli orefici, i quali già fanno supporre l’esistenza di un’aw con consules. [Quanto a tracce d’una più antica costituzione ufficiale, cfr. Sieveking, Genueser Finanzwesen, I, p. 76 e sgg], 23 L.J., I, 1293 (17 settembre 1259): conferma del trattato con Manfredi a mezzo di Podestà e Capitano, col consenso del Consiglio generale degli Anziani et consulum ministeriorum ac capitudinum arcium in eodem consilio existentium. L.]., I, 1356 (10 luglio 1261): ratifica della convenzione con Bisanzio congregato universo consilio, in cui anche omnes consules ministeriorum; nella specificazione dei nomi (1358 e sgg.) questi trovansi mescolati fra gli alii viri 14 per compagnam, quindi non riconoscibili con certezza. 24 V. sopra, n. 22: 17 fabri, indicati per nome, si accordano con la formula usuale per la conclusione di contratti di diritto privato, ma rinforzata dal giuramento di osservare per 10 giorni un certo numero di disposizioni. Queste hanno principalmente lo scopo d’impedire che vengano affidati lavori minori a individui non appartenenti alla corporazione e che per conseguenza hanno prestato il giuramento; inoltre non si deve lavorare nelle officine di domenica e negli altri giorni festivi. Nel caso di contravvenzione è fissata una multa di 5 lire genovesi da incassarsi dai consoli e di cui metà a favore del Comune, l’altra metà per la costruzione d’una chiesa. Non sappiamo con certezza se l’autorità comunale abbia avuto qualche influenza sulla conclusione d’un tale libero contratto, ma sarebbe cosa strana che senza di ciò figurasse fra i testimoni Martinus executor civitatis (?). 25 App. 3, nr. 13, c. 185 v. (15 novembre 1257): 15 purpurerii promettono Jacobo de Predi e Oberto de S. Ambrosio consulibus nostris e nello stesso tempo ai futuri consoli in arte nostra purpurarie di osservare tutto quanto essi consoli unitamente a tre di quelli ordinassero circa artem nostram predictam, di osservare pure i — 85 - 7 Libro I - Cap. sesto a pro di coloro che esercitavano quella determinata attività. La forma è quella di un contratto di diritto privato. Ma se due classi di professioni così disparate, quali i tintori di porpora ed i sensali di merci, dovevano allora organizzarsi nel medesimo modo26, è da supporre che a ciò avesse relativi ordinamento, riguardo alle multe da fissarsi e di pagarle, secundum quod per vos vel successores vestros in dicto consulatu ordinata... fuerint. In caso di contravvenzione è comminata una multa di 25 lire genovesi; in pari tempo i due consoli promettono di osservare le disposizioni che si potessero prendere in futuris consulatibus (quindi anche da altri consoli). Fra i testimoni figura Jacobinus executor capitanei. Ibid., c. 342 (30 novembre 1258): 38 persone omnes censarii promettono a 2 consulibus nostris, recipientibus hanc confessionem (seu) promissionem tam nomine nostro quam nomine aliorum consulum, qui de cetero fuerint in dicta arte sive officio censarie, di osservare tutto quello che essi insieme con altri 10, o a maggioranza, fossero per ordinare super officio nostro seu arte censarie a vantaggio dell’arte; le multe ivi stabilite sono da pagarsi secondo le disposizioni dei consoli attuali e futuri nella misura di lire 10. I consoli ed i 10 membri del Consiglio promettono pure di osservare ciò che essi ed i loro successori fossero per stabilire. La professione di mediatore era già stata da molto tempo assoggettata ad un regolamento ufficiale nel 1204 (L.J., I, 520) con la fissazione delle tariffe delle competenze da percepirsi. Inoltre App. 3, nr. 13, c. 169 v. (15 settembre 1257): d. Raynerius Rubeus, potestas civitatis Janue, precepit mihi notario infrascripto ut in publicam formam reddigerem qualiter vidi in cartulario autentico comunis Janue, ubi scripti (!) erant nomina censariorum Janue in potestatia d. Martini de Sumaripa potestatis Janue (se. 1255), qualiter Jacobus Deraguntius de Lucha iuravit officium censarie bene et legaliter exercere, dando 50 lire di cauzione. Sembra però che un’organizzazione autonoma dei mediatori, con due presidenti, a cui stava a lato un consiglio composto di 10 membri, sia sorta soltanto nel 1258. Come per i tintori di porpora, non sono citati nel documento i predecessori dei consoli, ma viene fatta espressa menzione d’un cambiamento nella presidenza. E’ aggiunto poi che tutte le disposizioni sono con riserva di gradimento del Capitano e che il contratto (contractus) cesserà d’essere valido quando un ordinamentum del Capitano, o un capitulum, statutum vel ordinamentum del Comune vi fosse contrario. Analogo può considerarsi anche il documento citato in Fol. Not., II, c. Il v. (24 febbraio 1262): Consules artis cultelli erliorum et cultellerii, quorum nomina enuntiantur, sibi ad invicem promittunt, etc. 26 La riserva per i mediatori si spiega chiaramente con le disposizioni statutarie che li concernono, poiché ivi si parla sempre di ars e officium, in quelle dei purpurerii soltanto di ars. Il numero dei consiglieri è differente. Ciò si spiega facilmente considerando la differenza del numero dei membri; però ambedue le corporazioni hanno soltanto due consoli. Inoltre, in tutti e due i documenti, come pure in quello del 1248, è citata la chiesa di S. Maria de Vineis come il luogo ove si trattavano gli affari. - 86 - L’attività di governo del Boccanegra all’interno contribuito qualche influenza esterna, senza però poter stabilire se essa fosse partita direttamente dal Boccanegra. Il favore per tali nuove istituzioni proveniva senza dubbio dall’indirizzo di una politica vantaggiosa per il popolo. Di fronte ai grandi e ricchi mercanti e possidenti, collegati da stretti rapporti di famiglia, le meno agiate classi artigiane non potevano acquistare una maggiore influenza sociale se non attraverso una forte lega fra di loro, basata sul comune interesse di classe. Nelle città libere di Toscana le corporazioni erano pervenute, in questo modo, ad ottenere un certa importanza politica. Di ciò sussistevano certamente gli elementi anche a Genova. Se le arti non vi presero tuttavia uno sviluppo pari a quello di Firenze, possiamo trovarne la spiegazione nelle più diverse cause d’indole generale. Le tendenze ad un’indipendenza individuale, maggiore di quella che consentivano gli obblighi corporativi, potevano essere radicate nel carattere dei Genovesi, abituati alla vita libera del mare. La preponderante importanza di Genova come città marittima non offriva un terreno adatto per certe istituzioni, come invece presso altre piazze dedite alle industrie, dal momento che il prestigio della nobiltà non dipendeva qui tanto dalle proprietà fondiarie, quanto principalmente dalle sue attività nei traffici marittimi. Ma la causa di maggior rilievo, legata alle circostanze del momento, era il modo in cui il Boccanegra concepiva la sua posizione. L’istituzione del Popolo, nata fra le grida giubilanti d’una moltitudine eccitata, richiedeva imperiosamente un definitivo perfezionamento. Il Capitano aveva a tal fine in mano le più ampie facoltà. Egli poteva organizzare l’inesperta massa del popolo in corporazioni, ai cui preposti avrebbe poi potuto certamente assicurare un seggio permanente nel Consiglio e con ciò una durevole partecipazione al governo. Abbiamo già notato come gli elementi di una tale politica non mancassero, solo non furono adeguatamente sfruttati e ciò perchè il Boccanegra intendeva essere qualcosa di più di Capitano del Popolo. Egli col suo Consiglio, cioè con gli Anziani tratti dal seno del Popolo, avrebbe potuto introdurre nella costituzione delle corporazioni stabili, che avrebbero esercitato un controllo sul governo comunale nell’interesse delle diverse classi della popolazione. Forse i poteri conferiti al Boccanegra fin da principio erano troppo vasti; ma ciò, considerata appunto e principalmente la lunga durata della sua carica, costituiva una garanzia perch’egli potesse meglio adempiere ai suoi compiti di fronte alla resistente, ma tuttavia divisa, aristocrazia. Invece, all’atto stesso in cui infondeva nel giovane Popolo vita e — 87 — Libro I - Cap. sesto forza, il Boccanegra poco fece per esso, lasciando sussistere nelle forme preesistenti l’amministrazione del Comune che teneva ad accentrare nelle proprie mani. La maggior parte delle funzioni che, anche secondo gli statuti, erano di competenza del Podestà, avocava a se stesso. Egli non voleva essere soltanto capo del Popolo, ma capo effettivo del Comune. A lui premeva più di aumentare il proprio potere che la forza del Popolo. Le estese competenze a lui attribuite non erano un mezzo per far progredire il Popolo, ma bensì per impossessarsi dei poteri dello Stato. Gli Anziani avrebbero dovuto essere un Consiglio di popolari; diventano invece un piccolo Consiglio del Comune che sostituisce in gran parte il Consiglio maggiore. L’idea iniziale era stata di trarre gli Anziani soltanto dal seno del Popolo; senonchè l’estesa sfera d’azione che ormai loro incombeva rese indispensabile la cooperazione dei nobili meglio versati negli affari, cosicché presto si videro mescolati fra gli Anziani membri di entrambe le classi . E’ certo che pur così i popolari partecipavano in buon numero all amministrazione dello Stato, ma mancava loro quella base sicura, quale sarebbe stata necessaria per una buona organizzazione corporativa e per una corrispondente rappresentanza delle diverse arti. I singoli popolari sono più o meno dipendenti dal Capitano e quindi manca loro l’appoggio di un sodalizio compatto. Il Popolo manca di una suddivisione in sezioni con capi speciali, non essendo stati indirizzati a tale scopo nè le corporazioni ne 1 loro consoli. Il Popolo rimane uno strumento nelle mani del Capitano, che se ne serve per i suoi scopi particolari. Il pensiero del Boccanegra di dominare personalmente appare in modo evidente da tutte le sue azioni ed in ciò sta la causa più profonda del suo conflitto col podestà Alberto di Malavolta28. Tale tendenza non pare essersi manifestata appieno già nei primi anni della sua carica29. Ad ogni modo vi erano sufficienti motivi perchè la nobiltà fosse poco favorevolmente disposta nrerso di lui, tanto più che egli non si contentava di assumere la direzione degli affari correnti, ma interferiva con riforme nelle istituzioni esistenti, anche se le misure che egli prendeva erano nell’interesse del bene generale. E’ certo che procedeva secondo un piano prestabilito per il riacquisto delle alienate proprietà del Comune e per far 27 V. sopra, p. 80. 28 V. sopra, cap. I. 29 Cfr. Annali, 241 [IV, 26] contro Annali, 243 [IV, 38], L’attività di governo del Boccanegra all’interno valere più a fondo i diritti di sovranità del Comune stesso M. Se ne vide il risultato il 22 gennaio 1258, dinanzi al popolo radunato nella chiesa di S. Lorenzo. L’ordinanza del Capitano e del consiglio degli Anziani per cui una certa area 31 fuori delle mura della città doveva appartenere al Comune e rimanere libera da costruzioni per l’utilità e lo svago di tutta la popolazione di Genova32, si riferiva ad una deliberazione di vecchia data33, e non ha altra rilevanza se non di politica edilizia; però è forse possibile che il divieto di occupare le proprietà del Comune, con fabbricati in strade e piazze pubbliche a vantaggio di pochi, non fosse stato fatto abbastanza energicamente rispettare negli ultimi tempi. Alquanto fragile era invece la base giuridica della disposizione secondo la quale non si poteva più imporre alcun pedaggio in Genova e distretto, concesso dai marchesi Mala-spina, ma non accordato dal Comune34. Qui non possiamo disconoscere un atto tendente a togliere un onere gravante su tutti a favore dei pochi o, almeno, a porvi un limite. Così, se il pedaggio nella valle Scrivia non veniva effettivamente abolito, esso doveva essere tuttavia percepito nella misura d’uso, rimanendo esenti i Genovesi da questo e da qualunque altro pedaggio nel territorio genovese 35. Il Comune entrò anche in lite con l’arcivescovo per le antiche decime del mare36, tuttavia si venne ad un accordo. 30 E’ significativo il principio del documento (L.J., I, 1266 e 1268): Cum denuntiatum fuerit per podixiam positam in archeta. Sembra fosse stata istituita una cassetta per accogliere le denunce scritte. Lo scopo era manifestamente quello di rendere segrete le denunce; cfr. il procedimento dell’Officium Robarie in Mas Latrie, L’« Officium Robarie », p. 272. 31 L.J., I, 1265: quicquid est in Sarzano extra murum civitatis. 32 Ibid.-. ad utilitatem et delectamentum tocius populi ]anue. 33 L.J., I, 46. 34 L.J., I, 1268: quod ideo fecit, quia marchiones predicti ius non habent faciendi colligi peda già in Janua vel districtu, nec placet quod in districtu Janue colligatur aliquod pedagium, quod non sit per comune Janue constitutum. A questi doveva appartenere il pedaggio imposto presso Recco che il 16 gennaio 1226 Conradus marchio Malaspina aveva dato in pegno a Lanfranco Vento per il rimborso d’un debito: App. 3, nr. 5 b, c. 87. 35 L.J., I, 1268. Nel 1242 i vicecomites Savignoni avevano concluso un accordo con Genova: ibid., 1003. Ad essi in ogni caso apparteneva il pedaggio, imposto in valle Scrivie et in Savignono sive in partibus Palixoni. Nell’accordo il Comune aveva effettivamente promesso di sostenerli nei loro diritti. 36 Cfr. Belgrano, Il registro della curia arcivescovile, II, 2, p. 9 e sgg. e L.J., I, 1277 e sgg. — 89 — Libro I - Cap. sesto L’arcivescovo rinunziava a far valere le sue pretese mediante un annuo indennizzo sua vita naturai durante37. Tali misure toccavano forse gli interessi di alcuni nobili3S, rria in maggior numero dovettero sentirsi danneggiati allorché il Capitano ordinò la sospensione dell’imposta vicecomitale39, che rimontava ad un tempo ancora anteriore alla formazione del Comune. Il diritto di esigerla era passato dagli antichi marchesi ai loro legittimi successori, i Malaspina. I visconti di Genova lo avevano ricevuto in feudo da costoro40 ed il Comune non li aveva mai disturbati in tale possesso41, non tanto per riguardo ai diritti sovrani dei marchesi, già da lungo tempo cessati, quanto perchè i discendenti dei visconti occupavano il primo posto fra la nobiltà 37 L.J., I, 1275: 11 agosto 1258. Alla conclusione partecipano pure Podestà e Consiglio. 38 Cfr. Belgrano, II registro, p. 474: documento del 28 marzo 1241, secondo il quale alcuni membri della famiglia de Bulgaro ricevono in feudo dall arcivescovo la decima parte delle entrate del porto spettante all’arcivescovato. 39 Riguardo a questa imposta (cfr. Desimoni, Sul frammento di breve genovese, p. 135), il Libro del pedagetto (App. 1, nr. 2) dà precise informazioni. Essa si divideva nel modo seguente: Introytus ripe (ibid., c. 18) che si percepiva come tassa personale da tutti coloro che portavano a Genova merci per la vendita, tanto più elevata quanto più lontano era il luogo di provenienza delle persone rispetto a Genova. Le persone che venivano da Savona e da Noli pagavano 2 denari, quelle da Albenga, Ventimiglia e Nizza 6 denari, quelle dal di là del Rodano 1 soldo e mezzo, etc. Introytus prò porta et ripa che si riferiva alle merci esportate; una soma (sauma) di pepe e zenzero ed altre spezierie pagava 18 denari. Allume, cera, zucchero, armi etc. 13,1/2 denari; pelli bovine, formaggio, carne di maiale etc. 6,3/4 denari. Introytus vicecomitum. Omnes homines exceptis de episcopatu Janue dant vicecomi-tatum. Questa consisteva principalmente in una tassa di vendita. Ogni forestiero pagava per ogni corazza che comprava o vendeva a Genova 13,1/2 denari; altrettanto per cavallo, 6 denari per asino, 10,1/2 soldi per schiavo saraceno, 2 soldi e 3 denari per schiavo cristiano etc. Certamente la tariffa era molto antica, come vedesi dall’espressione episcopatus Janue, mentre Genova fino dal 1133 (L.J., I, 41) era stata innalzata al grado di arcivescovato; alcune disposizioni erano antiquate; così affermava un testimonio nel 1236 (App. 1, nr. 2, c. 28 v.)\ item de Christiano vel Christiana nichil vidi accipi vel accepi-, evidentemente già da lungo tempo a Genova non si vendevano più schiavi cristiani. 40 Cfr. Lastig, Entwickelungswege und Quellen, p. 49, ed i passi ivi citati. 41 Ancora nel 1252 esso fu riconosciuto: L.J., I, 1149. Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 158 e sgg. - 90 - L’attività di governo del Boccanegra all’interno cittadina 42. Appunto contro di essi era diretto il divieto43. Il Boccanegra intendeva abolire tutti i privilegi dannosi alla comunità, ma in tale bisogna procedette un po’ troppo radicalmente. Anche i conti di Lavagna furono particolarmente colpiti quando, contro la convenzione che regolava i loro rapporti col Comune 44, le loro proprietà immobili e mobili venivano assoggettate alla colletta45. Tenuto conto delle loro influenti relazioni presso la corte papale, il fatto poteva avere dannose conseguenze per la politica estera di Genova 46. Questi attacchi, più o meno arbitrari, contro gli interessi pecuniari della nobiltà dovevano per lo meno dar luogo ad una forte 42 A detta d’un testimonio del 1256 (App. 1, nr. 2, c. 28) appartenevano ad essi gli Spinola, i Porcelli, de Carmadino, de Insula, de Marino, Canevarii e molti altri (cfr. del resto le Tavole genealogiche redatte dal Belgrano; inoltre vengono nominati come partecipanti (qui partem habent) all’incasso delle entrate alcuni Grimaldi, Guil-lielmus de Vivaldo, Sorleonus Piper et alii plures. Ancora di più ne nominava un altro testimonio: ibid., c. 32. Cfr. Canale, II, p. 167 e Desimoni, Sul frammento, p. 129. 43 L.J., I, 1285. Il documento, col quale viene nuovamente concessa l’esa2Ìone, è del 10 marzo 1259; il tandem però dimostra che ciò fu preceduto da un lungo procedimento. Nella denunzia al Capitano era detto soltanto che essi esigevano più di quello che fosse loro concesso. Se poi il Capitano ordinò quod cessarent colligere, quousque de suo iure docerent, egli agì per certo troppo rigidamente. Poiché, qualora anche non avesse voluto più riconoscere diritti che derivavano dai marchesi, i visconti ne erano in possesso da tempo immemorabile e a dimostrarlo neppure sarebbe stata necessaria l’assunzione di nuovi testimoni o la produzione di documenti. Non si può disconoscere che questo modo di procedere non fosse conseguenza d’una diretta ostilità contro i nobili. 44 L.J., I, 222, del 1166, dice ad collectam non cogemus vel heredes vestros. 45 App. 2, nr. 4. II cardinale Ottobono (della famiglia dei Fieschi, cfr. tavola nr. 11 del Belgrano, Tavole genealogiche) dice: quod comune Janue se et suos non modice contra iusticiam aggravabant (!) super facto extimacionis facte de posse et mobili propinquorum suorum, de quibus volebat comune Janue, quod expendere deberent contra tenorem conventionis ipsorum. E’ chiaro trattarsi d’una stima dei possedimenti, in base alla quale veniva imposta la colletta. Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 60. 46 Ibid. Il cardinale minaccia gli inviati genovesi di privarli del suo appoggio, se non cesseranno le molestie; nel quale senso aveva già scritto al Podestà, al Capitano ed al Comune; così pure il papa. Questi, in presenza dei cardinali, disse agli inviati quod si comune Janue ipsos propinquos domini Ottoboni in sua libertate manu-tenerent (!) nec illos in predictis gravarent, habere sedem apostolicam sibi propi-ciam et benignam, ceterum si aliter faceret, non tantum indignacionem reciperet, verum etiam contra illos procederet, in quantum posset. Tutto ciò disse il papa, e ripetutamente, aggiungendo che se ciò non poteva eseguirsi in via di diritto (de iure), si — 91 — Libro I - Cap. sesto opposizione fra i danneggiati contro il Boccanegra47. Nulla di più naturale che si formasse una congiura, a cui parteciparono molti nobili, pochi però fra essi i più vecchi. Si passò all’azione, ma sconsideratamente. Uno dei congiurati svela al Capitano i piani stabiliti, e questi previene l’imminente scoppio 48. Il 28 febbraio 1259 egli ordina im'inchiesta e in pari tempo, mediante referendari49, minaccia ai congiurati severi castighi. Il gioco riesce: molti abbandonano la città; il giorno dopo sono messi al bando50. Le case di alcuni vengono distrutte, altri pre- facesse almeno per grazia (ex gratia eidem domino Ottobono imo sedi apostolice prò ilio et propinquis suis scribenti). Gli inviati domandano alla loro Signoria di mandare lettere al cardinale ed al papa con promessa di adempimento ai voleri del papa, per disporli ambedue in favore del Comune. Però la risposta (App. 2, nr. 8 A) non è incondizionatamente adesiva. Viene data comunicazione agli inviati di una lettera spedita al cardinale, in cui si dice che si vorrebbe volentieri dimostrarsi ossequienti ai suoi desideri; ma che per la brevità del tempo e per l’assenza dei relativi Signori, non si poteva trovare un immediato rimedio. Gli inviati devono far presente al cardinale che quelli pur qualcosa debbano pagare e che, quanto meno, la questione dovesse essere decisa in via giudiziaria. Non avrebbero potuto essere invocate contrarie disposizioni statutarie (non obstante capitulo) e la sentenza essere pronunziata secondo il parere di giure-consulti stranieri. Sembra che in tal guisa il cardinale si fosse calmato. Gl’inviati non mancano in una lettera successiva di far risaltare con vanto i buoni uffici che egli aveva prestato loro: App. 2, nr. 8 F. 47 II Boccanegra non può essere definito un sovvertitore in riferimento alla abolizione dei privilegi feudali. Gli sforzi per rendere più assoluta la signoria del Comune sul suo territorio si erano già ripetuti anche prima: v. L.J., I, 511, del 1204. Desimoni, Sul frammento, p. 135 e specialmente Canale, II, p. 169, gli ascrivono tendenze troppo avanzate. Anche più tardi vennero prese misure analoghe per il riacquisto di diritti o di possedimenti del Comune alienati: L.J., II, 321 etc. 48 Annali, 241 [IV, 38], Per venit si deve intendere prevenit, altrimenti il testo non ha senso. 49 Ibid.-. a capitaneo submisse persone. 50 Ibid.-. ac die sequenti banniti sunt, non possono quindi ritornare. Il primo passo per l’inizio di un processo è la citazione degli imputati: cfr. Caro, Verf. Gen., p. 40. Se i molti nobili che avevano partecipato alla congiura fossero effettivamente ritornati, il Capitano si sarebbe trovato in grande imbarazzo. Egli non avrebbe certamente potuto far eseguire sentenze capitali. Se li avesse imprigionati, doveva attendersi tentativi di liberazione. Se avesse loro ordinato di lasciare la città, era da vedere se avrebbero obbedito, poiché le loro case e le loro torri erano munite per la difesa - come nel 1241, Annali, 196 [III, 108] -. Essendo invece riuscito ad intimidirli, al punto ch’essi abbandonarono volontariamente la città, fu scongiurato il pericolo d’un combattimento per le vie. - 92 - L’attività di governo del Boccanegra all’interno stano garanzia di buona condotta51. La posizione del Capitano, col successo ottenuto, non poteva non essersi consolidata maggiormente. Egli prende ora stanza nel palazzo di Opiz-zo Fieschi in piazza S. Lorenzo 52. Riceve in dono dal Comune 500 lire e di altrettanto viene aumentato il suo emolumento annuo 53. Gli Annali riferiscono che ciò lo rese ancor più odiato ai cittadini, non dicono però che il 10 marzo, cioè immediatamente dopo la repressione della congiura, aveva concesso nuovamente l’esazione dell’imposta del vicecomitato M; il che era avvenuto sotto forma di sentenza. Gli avvenimenti suaccennati dovevano però far capire al Boccanegra di essere andato troppo avanti. Era certo molto importante per il Comune di avere alla corte pontifìcia un influente postulatore, qual era il cardinale Ottobono. Era da aspettarsi che questi adoperasse la sua influenza a favore di esso ove gli interessi della sua famiglia lo avessero richiesto, e i Fieschi non potevano rimanere indifferenti al bando di tanti nobili, tanto più che essi pure erano minacciati nella loro posizione dal modo di procedere del Capitano. Affari d’altro genere indussero allora il cardinale a recarsi a Genova. Suo cognato, il conte Tomaso di Savoia 5S, era morto poco dopo essere stato liberato 51 Annali, 241, [IV, 38], Prestiterunt sarebbe da integrare nel senso di sacramenta. 52 Annali, 1. c. Sulla residenza fino allora tenuta dal Capitano cfr. sopra, cap. I. Il primo cambiamento appare nel doc. del 30 aprile 1259 (L.J., I, 1286): Actum Janue, in palatio d. Opizonis de Flisco, quo moratur dictus capitaneus-, inoltre (L.J., I, 1301, 1317, etc.) là tengono consiglio pure gli Anziani {ibid., I, 1344). Non si può ammettere che il palazzo sia stato preso al suo proprietario. La sede del Podestà è in questi anni nel palazzo degli eredi di Oberto Doria: L.J., I, 1296. Cfr. ibid., I, 1402. Là il Consiglio Generale tiene pure le sue sedute: ibid., I, 1278. 53 Annali, 241 [IV, 38], E’ anche da notarsi che fino a questo momento il titolo del Boccanegra, capitaneus populi Janue, significava, capitaneus comunis et populi Janue e persino con l’aggiunta Dei gratia tale egli si designava per la prima volta il 16 giugno 1259 (L.J., I, 1288) e più tardi altre volte ancora. La sua mutata posizione viene così esteriorizzata nell’espressione. Egli non è più soltanto capo del Popolo, ma bensì di tutta la comunità. Anche gli Anziani (doc. dell’ottobre 1259 in Germain, I, p. 241) vengono indicati come anciani comunis et populi Janue. 54 L.J., I, 1284. La coincidenza non può dirsi accidentale, ma la questione di diritto rimase indecisa. 55 V. sopra, p. 45. La convenzione per la sua estradizione da Torino ad Asti, in Cod. Ast., Ili, 1093. — 93 - Libro I - Cap. sesto dalla prigionia in Asti56. Fra le condizioni che era stato obbligato ad accettare, vi era quella di dover dare in ostaggio i suoi due figli maggiori. Alle trattative avevano preso parte i Fieschi, fra i quali è pure ricordato il cardinale 57, il quale si era ora mosso per liberare i suoi nipoti. Egli chiese a Genova che da parte del Comune gli venissero assegnati dei legati al proprio seguito per appoggiare i suoi disegni, il che gli venne accordato 58, non sappiamo però con quale esito. Si comprende facilmente come il Boccanegra dovesse temere che i suoi avversari traessero profitto dalla presenza del loro protettore per qualche nuova azione contro di lui. Allorché il cardinale, nel suo viaggio di ritorno, stava per rientrare in Genova, si sollevò un tumulto in città. Il Popolo temette che egli si fosse inteso con i nobili per la destituzione del Capitano e si oppose al suo ingresso. Ciò malgrado, egli entrò in città ed i rumori vennero sedati59. L’incidente dimostra come il Popolo fosse ancora attaccato al suo Capitano. Per quanto poco questi si desse pensiero del futuro, per il momento la sua azione riformatrice, che feriva la nobiltà, andava a genio alla massa dei popolari, nella quale trovava di conseguenza un sicuro appoggio. Proprio nell’estate del 1259 il Boccanegra prese una misura radicaleé0, che privava la nobiltà di una ricca fonte di guadagno che essa faceva a spese della comunità, mentre in pari tempo veniva alleggerito l’onere delle imposte dirette. Tale misura consisteva anzitutto nel rinnovo dell antico divieto di vendere le rendite del Comune per un tempo maggiore di un anno61. Ad essa però erano unite disposizioni che intaccavano fortemente i diritti dei privati. Quando nel 121462 era stato riconosciuto necessario 56 Matth. Paris., 379, 388. 57 Vedi i documenti in Cod. Ast., Ili, 1012 e sgg.; IV, 40 e sgg.; Wurstem-berger, Peter II von Savoyen, IV, p. 210 e sgg.; H.P.M., Ch., II, 1550 e sgg. 58 Annali, 241 [IV, 391. Gli inviati sono Ottobono de Camilla, Jacopo Maio-cello, Guido Spinola, Ugo Fieschi, cioè tutti nobili. Quanto alle date, mancano dati più positivi. 59 Annali, 241 [IV, 39]: 12 ottobre 1259. Il cardinale è in Carpena (L.J., I, 1297), quindi ha già nuovamente lasciato Genova. Sul soggiorno del cardinale, cfr. anche Campi, Dell’hist. eccl. di Piacenza, I, p. 218. 60 L.J., I, 1288 e sgg.: 16 giugno 1259. 61 Cfr. Caro, Verf. G en., p. 63 e sgg. 62 Annali, 134 [II, 131]. — 94 - L’attività di governo del Boccanegra all’interno riprendere in amministrazione diretta le rendite alienate, erano stati restituiti in contanti agli appaltatori dei dazi i loro denari. Così non fu invece questa volta. Di propria autorità e solo riferendosi alla volontà del Popolo di Genova convocato a parlamento, il Capitano dichiarava che qualunque alienazione di rendita del Comune per periodo maggiore d’un anno non era valida. Cassava quindi i documenti di vendita e tutte le disposizioni statutarie ad esse relative, cosicché il Comune riacquistava senz’altro il godimento delle sue rendite. Comminava inoltre gravi punizioni contro chiunque si fosse opposto a queste disposizioni, giustificando il suo procedere, in generale, in quanto corrispondente al bene del Comune, in particolare, asserendo che quelle vendite erano state illegali. E’ ben sorprendente come in un provvedimento tanto radicale non sia menzione alcuna nè del Podestà nè del Consiglio. E’ altresì discutibile la formale validità dell’atto, non essendovi fatta parola dell’approvazione degli Anziani, mentre soltanto in concorso con essi il Capitano poteva modificare gli statuti 63. Non era però tanto facile limitarsi a rifiutare semplice-mente la restituzione del denaro a coloro che lo avevano anticipato al Comune. Venne perciò stabilito che tutti gli acquirenti di rendite del Comune, per ogni 100 lire delle loro quote rispettive, avrebbero ricevuto 8 lire all’anno. I titoli erano cedibili, previa comunicazione all’autorità della progettata alienazione ad un’altra persona. Se il Comune avesse deciso di rimborsare il capitale di 100 lire, cessava qualunque diritto alle 8 lire d’interesse, in caso contrario aveva luogo il trapasso. A garanzia dei creditori venivano minacciate gravi ammende a coloro che frapponessero ostacoli al regolare pagamento degli interessi. Non è detto in particolare da 63 Alcuni statuti furono cassati (L.J., I, 1289) vel aliqua capitula inde edita, non obstante quod contineatur in eis, quod cassari non possunt. Questi dovevano certamente essere in contraddizione con lo statuto del 1214: ibid., I, 1288 e Annali, 134 [II, 131-132]. Il Capitano aveva il diritto di eliminare queste contraddizioni, ma col concorso degli Anziani: Annali, 236 [IV, 26]. Non è detto se egli abbia avuto il loro consenso e quindi passato il limite dei suoi poteri. Se contro di ciò si obiettasse che forse, appunto nel 1259, i poteri del Capitano erano stati ampliati, si deve considerare che le riforme finanziarie furono sempre precedute da profonde consultazioni preparatorie, come già nel 1214 e poi nel 1274: App. 1, nr. 5, c. 253 v. 1303: Cuneo, Memorie sopra l’antico debito pubblico, p. 258 e sgg. Questa volta non se ne fa menzione, ma certamente dovevano avere avuto luogo; è soltanto discutibile se gli Anziani avessero dato il loro assenso, se cioè avessero voluto assumerne an-ch’essi la responsabilità. — 95 - Libro I - Cap. sesto dove venisse tratto il denaro a ciò necessario; ma in ogni caso esso doveva provenire dalle rendite riacquistate dal Comune con la cassazione delle relative vendite M. Il vero scopo di questa misura era quello di aumentare le entrate ordinarie, per evitare il ricorso ad imposte straordinarie per coprire le spese correnti65. Il Boccanegra doveva quindi aver creduto — non senza fondamento — che le entrate recuperate sarebbero state sufficienti per pagare l’8 % d’interesse e coprire le spese del Comune; esse cioè avrebbero consentito un ricavo maggiore dell’8 % d’interesse sul capitale in addietro pagato al Comune dagli originari compratori di imposte, che si attendevano di ricuperarlo aumentato di un utile nel corso degli anni durante i quali avrebbero goduto dell’introito delle imposte loro vendute. Per il rischio che correvano il compenso era piuttosto lauto66. Naturalmente a tali 64 L.J., I, 1289: quas libras 8 per centanarium habeant de mense in mensem sive de duobus in duobus mensibus pro rata secundum introitum reddituum comunis. 65 Ibid., I, 1288: sic erat comune bonis omnibus spoliatum, quod etiam ad muniendum castra et officialium salaria persolvenda, etiam pacis tempore, opportebat universum populum continua exactione gravari. 66 Caro, Verf. Gen., p. 63. I documenti ivi utilizzati a p. 164, nr. 66, e p. 157, n. 31, dai regesti di Wüstenfeld; App. 3, nr. 28, c. 1 (24 novembre 1248), porta luce sul fatto. Il Podestà e 5 degli 8 nobili, con l’approvazione dei Consiliarii e degli aggiunti avevano venduto in publica calega... per cornu et cintracum facta... denarios quatuor in qualibet mina salis et de qualibet mina per 14 anni. Viene citato lo Statuto opposto il quale comincia: Ego non vendam, non locabo, non permutabo, non donabo, non obligabo nec alio modo alienabo seu emam vel emi faciam, aut aliquo modo accipiam aliquam cabellam, vel aliquod pedagium, vel aliquos redditus, quos comme ]anue habeat vel de cetero habebit infra civitatem vel extra ultra tempus mei regiminis, videlicet a festo purificationis b. Marie mei introitus usque ad sequens festum, id est quod ipsi redditus vendi vel alienari non possint, etc. Si doveva considerare la posizione abbastanza chiara e quindi la vendita impossibile. I venditori però la eseguirono lo stesso, interpretantes de consilio virorum predictorum divini et humani iuris peritorum, quod infrascripta venditio et id quod venditur non est redditus vel introitus comunis ]anue, qui alienari non possit. Considerato questo modo di sorvolare sulle disposizioni statutarie, il Boccanegra non aveva torto quando diceva (L.J., I, 1288) obviantes etiam sagacitati presentium concivium Janue, qui nimia cupiditate corrosi, ex ingenii subtilitate intentionem predicti statuti per dolosam interposicionem mutarunt, et ipsum statutum contra iuramentum - cfr. su ciò Annali, 134 [II, 131 e sgg.] e nel documento del 1248 nec obstanti aliquo sacramento compagne nec aliquo alio capitulo - violantes, introitus ac redditus - 96 - L’attività di governo del Boccanegra all’interno operazioni pecuniarie non potevano partecipare altro che i possessori di grandi capitali e quindi in maggior numero i nobili. E poiché l’amministrazione comunale era nelle loro mani, così poteva essere accaduto che 1 contratti d acquisto fossero più vantaggiosi per i compratori che per il Comune, malgrado la garanzia che offriva la vendita al pubblico incanto al maggiore offerente. Se 1 applicazione dell’imposta diretta non era più frequentemente osservata, ciò andava a favore delle classi più povere, alle quali principalmente il Boccanegra voleva recare sollievo 67. Anche per il caso che fosse potuta scoppiare una nuova guerra, era assai interessante avere le finanze bene ordinate. Però per quanto il Capitano assicurasse che gli acquisti cassati erano illegittimi, pure egli stesso in precedenza ne aveva lasciato passare almeno uno 68. L’arbitrarietà di tutto il suo procedere è innegabile. Le comunis per longum temporis spacium sibi ipsis vendentes, ut et venditores fierent et emptores. Quanto agli ultimi rimproveri, devesi notare che i compratori del 1248 erano Grimaldus de Grimaldo, Picamilius de Picamiliis e compagni. I Grimaldi erano alla testa del dominante partito guelfo. Il prezzo ammontava a 3000 lire genovesi, più 250 lire, che i compratori avevano anticipato al Comune per un anno. Dobbiamo osservare che non fu già venduto tutto l’introito del monopolio del sale, ma solo una piccola porzione. Nel 1254 risulta che il prezzo di vendita fosse stato calcolato a 5 soldi per mina: L.J., I, 1047; nel 1234 a 12 denari per ogni mina erano stati venduti per L. 18000 per 10 anni: Annali, 183 [III, 73]. In rapporto a questi prezzi, quello del 1248 appare troppo basso; lo smercio del sale poteva anche essere stato molto minore a causa della guerra, ma i compratori del 1248 potevano avere guadagnato di più. 67 L.J., I, 1290. 68 Vol. Not., I, c. 537 (18 gennaio 1263): Andreas de Orto vendit Turcheto de Turca ementi nomine Caracose uxoris qu. Miroaldi de Turca tres locos sive l. 300 in comperìs salis factis per cives Janue a comuni Janue tempore Rainerii Rubei tunc potestatis Janue, et dictam vendicionem facit pretio l. 332, 5 Janue; ancora nel 1311 - App. 3, nr. 23, c. 211 v., 27 febbraio 1311 (breve spunto in Belrano, Docc. inediti rig. le due crociate di S. Ludovico IX, p. 105, nota) - Antoninus de Nigro qu. Ottolini dichiara al priore d’un convento d’aver ricevuto in banca Adumi de Adurno 710 lire genovesi. Questo è il prezzo di una casa che Jacopo de Ricio comprava dal priore. Antonino promette in cambio d’inscrivere entro 2 anni 7,1/2 loca in nome della chiesa, in comperis salis comunis Janue de bonis comparis tempore Raynerii vel Alberti olim potestatum Janue, col diritto a 8 lire genovesi d’interessi annui. I loca hanno il valore nominale di 100 lire ciascuno, in cartulariis dictarum com-perarum. Questa compera venne fatta quindi nel 1257, quando il Boccanegra era già — 97 — Libro I - Cap. sesto illegittimità commesse non si potevano semplicemente riparare con altre nuove e maggiori. A mala pena e con gli argomenti capziosi con cui si giustificavano queste misure prese dal Capitano del Popolo si riesce a velare il fatto che egli apertamente denunciava, cioè la bancarotta dello Stato; poiché in nessun altro modo si può concepire la conversione d’un debito fluttuante in uno consolidato e con riduzione d’interesse. Il Boccanegra, riuscito a sventare il tentativo di rivolta dei nobili, avrebbe potuto menare un colpo contro di loro, il che però, se sarebbe andato a profitto delle classi inferiori, avrebbe tuttavia impedito un accomodamento fra le parti in contesa. Un primo passo per il ristabilimento dell’ordine fu forse la chiamata di Martino da Fano69, rinomato giureconsulto, a Podestà per il 1260. Il moto dei Flagellanti, trapiantatosi anche a Genova, diede una nuova spinta alla pacificazione delle interne discordie. Verso il Natale del 1260 70, comparvero in città alcuni Flagellanti provenienti da Tortona. Da principio furono accolti con poco favore, tuttavia la popolazione non tardò ad essere presa dal fanatismo. Tre giorni durarono per le strade le processioni espiatorie ed il movimento passò attraverso il territorio genovese fino in Provenza. L’interna eccitazione da cui erano stati invasi gli animi condusse alla conciliazione di molte inimicizie personali. Il Capitano venne pregato di richiamare i proscritti. Nel generale desiderio di pace egli ritenne opportuno di acconsentire e, d’accordo col Podestà, emanò una generale amnistia per tutti gli esiliati di Genova e distretto. Soltanto coloro che avessero in carica. In ogni caso essa fu coinvolta nella conversione del 1259, come quella del 1248, il cui termine del pari non era ancora scaduto. Fol. Not., I, c. 549 v. (7 luglio 1267), fa menzione d’una compera salis facta tempore Lambertini potestatis ]anue, che non può essere altro che il Podestà del 1248, Rambertino de Bovarello: Annali, 224 [III, 178], 69 Annali, 241 [IV, 39], Riguardo a costui, cfr. Sarti, De claris archigymnasii Bononiensis proff., n. ed., I, 1, p. 146 e sgg. 70 Annali, 241 e sgg. [IV, 40 e var. a]. Il momento (ibid., 242, var. a) è indicato in un’aggiunta posteriore, intorno a Natale. Jac. de Var., 49 e sgg., che per ricordi propri potè fare delle aggiunte, dice che i fatti accaddero nel cuore dell’inverno. Egli pone il tutto nel 1261. Il movimento si era propagato a Pavia prima che a Genova: Annali, 242 [IV, 40], Secondo Ann. Plac., 512, ciò era accaduto fra il novembre 1260 ed il febbraio 1261. — 98 - L’attività di governo del Boccanegra all’interno recato danni a terzi non potevano rimpatriare se non dopo averli indennizzati. Questi atti di penitenza poterono sul momento produrre buoni frutti, ma i loro effetti non furono durevoli71. Quando le grida appassionate di « grazia, grazia, pace, pace » cessarono, fu pure dimenticato il bisogno di pace. Quasi nel tempo stesso, risulta sia stata presa la decisione che doveva ricondurre alla guerra con Venezia. 71 Annali, 242 [IV, 40], L’annalista assiste agli avvenimenti come freddo osservatore. Jac. de Var., 49 e sgg., sa dipingerne i meravigliosi effetti con dolci e commoventi parole. — 99 — Capitolo settimo Il trattato con Michele Paleologo Rinnovo del trattato con Manfredi. - Trattative per l’esecuzione del compromesso in Acri. - Rifiuto veneziano. - Situazione nella Romania. - Trattato di Ninfeo. - Occupazione di Costantinopoli. - Arrivo della flotta genovese. - Intromissione del papa. Gli anni 1259 e 1260 erano stato poco fecondi a Genova di avvenimenti politici; mentre all’interno si era in preda alla confusione, regnava al di fuori piena pace. Le buone relazioni con Manfredi erano rimaste intatte. Intanto il luogotenente di Corradino aveva assunto il titolo di re, il che diede forse motivo al rinnovo del trattato del 1257, che ebbe luogo il 22 marzo 1259, in forma di privilegio '. Genova si dimostrò quindi assai condiscendente alle richieste di un cittadino di Messina, appoggiate dal re 2, ed il 17 settembre venne ratificata in forma solenne la convenzione del 1257 3, però con la riserva che Manfredi dovesse mettersi d’accordo con rappresentanti del Comune sull’interpretazione di alcune disposizioni, il che sembra abbia avuto luogo. Nel giugno 1261 fu stipulato un nuovo trattato4, essenzialmente corrispondente all’antico, soltanto che alcuni articoli erano concepiti in forma più chiara5. Non si può negare che sia qui avvenuta una certa deviazione dalla 1 Bohmer, Regesta Imperii, nr. 4692 e sgg.; Capasso, p. 166, nr. 306. Il privilegio in Orlando, p. 102 e sgg.; in Sella, Patid. delle gabelle e dei dir. della curia Mess., p. 89 e sgg., è inserito nella circolare ai funzionari dello Stato, con la quale se ne dà comunicazione. 2 L.J., I, 1285; 30 aprile 1259. 3 L.J., I, 1293: 17 settembre 1259. Dobbiamo tener ferma la data 1259 contro Bohmer, Regesta Imperii, nr. 4692, poiché Rufino Caballacio era Podestà nel 1259, non nel 1258: v. Annali, 241, var. h e 238 [IV, 38, var. b, 30], documentato in Germain, I, p. 241: ottobre 1259. 4 L.J., I, 1346. Gli inviati genovesi sono Nicola Doria e Giovanni Ugolini iudex. 5 E’ aggiunto (L.J., I, 1348) che in caso di morte, i beni del defunto debbano essere rimessi nelle mani del console e per nessun nuovo mandato regio, ancorché applicabile in generale, possano essere imposti tributi ai Genovesi se in contrasto con quanto stabilito nel privilegio. Sono omesse alcune disposizioni che risulta fossero state già attuate. — 100 — Il trattato con Michele Paleologo politica guelfa che Genova aveva seguito fino dalla rottura con Federico II, poiché frattanto Manfredi si era decisamente messo a capo del partito ghibellino di tutta Italia. La schiera di cavalieri tedeschi, che aveva mandato in soccorso di Siena, aveva contribuito non poco alla vittoria di Mon-taperti6. La lega guelfa toscana, al cui aiuto Genova doveva la sua vittoria su Pisa, rimase così sciolta. Pisa, Firenze, Siena, Pistoia e le città minori si strinsero in un’alleanza7 il cui scopo era d’innalzare in Toscana i Ghibellini al potere col concorso di Manfredi. Gli attacchi si diressero anzitutto contro Lucca. Questa aveva coltivato col massimo zelo gli stretti rapporti con Genova. Al principio di settembre del 1258 erano qui comparsi quattro nobili lucchesi, inviati ad offrire 2000 marchi d’argento come contributo alle spese di guerra in Siria e Sardegna. Il Comune non aveva voluto urtare la suscettibilità dei generosi offerenti e sulle prime aveva accettato il dono; ma il giorno seguente esso veniva restituito con le più energiche assicurazioni d’indistruttibile amicizia8. Tali assicurazioni vennero però ora del tutto dimenticate. Nell’anno 1257, anche i Guelfi genovesi avrebbero avuto poco da obiettare contro un trattato con Manfredi, ma nel 1261 le cose erano del tutto mutate. Adesso non si trattava più col Vicario del regno di Sicilia per conto del legittimo erede, ma con un re, che teneva con la forza quel possesso della Chiesa e perseguitava ovunque i partigiani di essa. A lui si sacrificavano ora gli antichi confederati di Toscana, per lui Lucca rimaneva senza appoggio, talché essa dovette in fine soggiacere alle forze superiori, il che doveva anche riuscire vantaggioso per i Pisani, che potevano ora sperare nel riacquisto dei possessi perduti nel 1256. Queste conferme non possono dunque essere considerate come una semplice e necessaria conseguenza del trattato concluso nel 1257. Se le difficoltà, che sussistevano ancora nel 1259, furono appianate senza che Manfredi recedesse essenzialmente dalle sue primitive promesse, possiamo inferirne che la parte della nobiltà genovese, già prima schierata dalla parte di Federico II, avesse ora acquistato maggior influenza. I Doria specialmente dovevano avere contribuito a questo risultato. Un membro 6 Annali, 242 [IV, 41]; cfr. Freidhof, Die Stadte Tusciens z. Z. Manfreds, I, p. 10 e sgg.; [Davidsohn, Gesch. Flor., II, 1, pp. 489 e sgg., 500 e sgg.]. 7 Freidhof, II, p. 22, doc. del 28 maggio 1261. 8 Annali, 240 [IV, 36-371. — 101 — Libro I - Cap. settimo della loro famiglia, Percivalle9, aveva fra i partigiani dello Staufen una parte importante. Il Boccanegra doveva in parte la sua elezione all’appoggio di quel partito, mentre invece poteva aver da temere da quello avversario. Tutto ciò può spiegare la sua diversione nell’indirizzo politico. Certamente anche l’attività che frattanto veniva iniziata contro Venezia doveva consigliarlo a dimostrare di essere in buona relazione con Manfredi. Per quanto fosse stato fatto per il ristabilimento della pace in Acri, ancora non si era incominciato a dar mano all’esecuzione delle disposizioni del compromesso. Al principio dell’anno 1260, Genova si era querelata presso il Papa; i procuratori di Pisa avevano sollevato eccezioni, finché Alessandro IV aveva ordinato al suo legato in Acri di farsi consegnare le fortezze in forza del compromesso, entro otto giorni dal ricevimento del suo scritto; in caso di opposizione, sarebbe ricorso ai castighi spirituali e, occorrendo, avrebbe invocato il braccio secolare e l’aiuto degli ordini cavallereschi. In pari tempo mandava a questi ed ai prelati uno scritto, in cui ordinava loro di prestare appoggio al legato I0. L’11 gennaio 1261, due sindaci genovesi presentarono in Acri queste lettere al vescovo Tomaso di Betlemme, legato della Sede apostolica, pregandolo di agire in conformità. Sono presenti parecchi vescovi, il gran maestro dei Giovanniti, il commendatore dell’ordine teutonico con molti cavalieri e un numero di grandi del regno di Gerusalemme". Il legato rispose che prima avrebbe tenuto consiglio coi prelati12 e con i gran maestri e che poi avrebbe agito nel modo stimato più opportuno. Giovedì 13 gennaio compariscono dinanzi a lui il bajulo veneziano ed il console dei Pisani col suo Consiglio. Le lettere papali vengono lette e tradotte e, affinchè ciascuno possa meditare sul loro contenuto, vengono distribuite in copia. Il bajulo dichiara di nulla poter fare al momento, essendo assenti i suoi consiglieri, con i quali si sarebbe presentato nel giorno seguente 9 Che Percival de Oria fosse realmente un Genovese e quindi della famiglia Doria, è provato dalla lettera di Urbano IV in Martène et Durand, Thes. nov. anecd., II, 82. Sulla sua attività al servizio di Manfredi, cfr. Ficker, II, p. 513; Bohmer, Regesta Imperii, nr. 4681, etc. 10 App. 2, nr. 10 b: datum Anagnie Kal. Junii pont, anno 6; nr. 10 c: 12 Kal. Junii; queste due lettere sono del 21 maggio 1260. 11 App. 2, nr. 10 a; cfr. Urkunden zur àlteren, III, p. 39 e sgg. I due sindici Fresono Malocello e Giovanni di Rovegno, nominati il 10 dicembre 1260 dai due consoli genovesi per la Siria, con l’approvazione del Consiglio di Tiro: ibid., p. 40. 12 Urkunden zur àlteren, III, p. 41; per legatis devesi leggere prelatis. - 102 - Il trattato con Michele Paleologo per dare una risposta; ciò che fu fatto, ma solo il sabato. Il legato allora dirige formale domanda al bajulo, al console ed ai loro consiglieri di consegnargli le fortezze entro il successivo martedì, altrimenti sarebbe stato obbligato a procedere contro di loro secondo l’ordine apostolico. Il bajulo, anche a nome dei Pisani, oppone molte ragioni per provare come non era il caso che il legato facesse uso delle misure del papa e che i Veneziani non potevano obbedirvi senza istruzioni del loro governo e lo ribadisce nella nuova conferenza del 17 gennaio. La conclusione dei lunghi discorsi fu il rifiuto di consegnare le fortezze. Ma a questo punto, invece di porre in esecuzione le misure di rigore minacciate contro i disobbedienti, viene loro accordato un termine ulteriore di 15 giorni, perchè possano venire a migliore consiglio. La ragione di questa arrendevolezza sta in ogni caso nel fatto che prelati13 e baroni si dovevano sentire poco disposti a inimicarsi i due Comuni con passi violenti, che certamente avrebbero avuto per conseguenza un turbamento della situazione pacifica che allora regnava. Nulla-dimeno tutto l’insieme di questo procedere ledeva il Comune di Genova. La consegna delle fortezze agli imparziali inviati del papa non era altro che una garanzia per l’esecuzione della sentenza con la quale dovevano essere decise le questioni fra le parti. In questa situazione, i Genovesi ben potevano domandare la restituzione delle fortezze in Acri, occupate dagli avversari14. Se questi non si disponevano a fare alcun passo per venire ad una vera intesa con i vinti, mediante rinunzia a qualcuno dei vantaggi ottenuti, e se, d’altra parte, l’intervento del papa si dimostrava inefficace, sarebbe stato naturale che i Genovesi avessero cercato di riottenere il perduto con la forza 15. 13 Poco prima, il 7 gennaio 1261 (ibid., p. 31 e sgg., non 1260 come dimostra l’indizione IV, p. 37) aveva avuto luogo un’intesa fra il vescovo di Acri ed i Veneziani, riguardo alla loro parrocchia della chiesa di S. Marco. Il 19 gennaio esso fu confermato dal capitolo del vescovato, presente il legato: ibid., p. 38. 14 Questa richiesta venne nuovamente ripetuta molto più tardi: App. 2, nr. 44 e L.J., II, 136 e sgg. 15 Sull’attività del legato in Acri abbiamo suffidenti testimonianze: cfr. Regesta regni Hierosol., p. 341 e sgg. Il 25 settembre 1263 giunse Guglielmo, patriarca di Gerusalemme, che ebbe pure la legazione, per cui il vescovo Tomaso fece ritorno a Roma: Cont. Guill. Tyr., 447 = Gest. des Chipr., 168, (Ann. terre sainte B, 451, discordante); sembra ch’egli non abbia più molestato nè i Veneziani nè i Pisani con le sue richieste. — 103 - Libro I - Cap. settimo Però queste considerazioni, secondo le testimonianze delle fonti, non erano di tanto peso da determinare l’atteggiamento di Genova. Sembra che — forse contemporaneamente alla lettera diretta al legato — il papa avesse intimato al Doge di Venezia di rilasciare i prigionieri genovesi16. Ciò poteva far pensare ad una salda pace17; era tuttavia stupefacente che intanto si tirasse in lungo e si respingessero le sue deliberazioni; inoltre molti dovevano anche essere periti in carcere. Il cronista veneziano 18 racconta che quando i prigionieri fecero ritorno, fu tenuto Consiglio a Genova e si venne nella determinazione che, malgrado la pace ed il compromesso, non si doveva tralasciare di prendere vendetta sui Veneziani per l’onta sofferta della demolizione della torre di Acri. A tal fine furono spediti inviati in Romania a Michele Paleologo, nemico di Venezia. La maniera in cui il fatto viene rappresentato fa cadere sui Genovesi l’accusa di perfida astuzia, dalla quale difficilmente possono essere discolpati, poiché i loro stessi Annali danno come movente del loro modo d’agire soltanto il desiderio di vendetta. Essi confessano perfino, anche se non espressamente, che fu attuata una manifesta rottura della pace 19. Per quanto poco preveggente 16 Canal, 474, dice espressamente che il papa lo fece per suppliche dei Genovesi. Queste preghiere possono essere state esposte in Acri contemporaneamente a quelle per l’esecuzione del compromesso. Che effettivamente la liberazione abbia avuto luogo molto tempo dopo la conclusione del compromesso, è dimostrato da Annali, 240 [IV, 36]: post aliqua tempora multis ex carceratis defunctis-, in Dandolo, 367, il nesso non è chiaro. 17 Canal, 476. 18 Canal, 478 e sgg. 19 Annali, 242 [IV, 41 : Januenses, memores iniuriarum eis factarum a Venetis et eorum complicibus in partibus ultramarinis, animum eorum intenderunt ad eos affligendos modis omnibus quibus possent. Se vi fosse stata una seria giustificazione, sarebbe stata avanzata; la secca brevità dice abbastanza. L’ambasceria doveva essere partita prima del 2 febbraio 1261. Invero il Podestà che dà l’incarico è ancora Martino da Fano (L.J., I, 1350), che uscì di carica il 2 febbraio, poiché nel 1261 è Podestà Giordano de Raalvengo: Annali, 242 [IV, 41]. Che essa sia partita dopo il 25 dicembre 1260 possiamo dedurlo dagli Annali, 1. c., che ne danno relazione nel 1261, ma ad ammetterlo in modo assoluto, come fa il Canale, II, p. 149, n. 1, e, con minor forza, Heyd, I, p. 428, si oppone la circostanza che l’annalista non sembra conoscere con precisione la data in cui ciò era avvenuto. Egli dà relazione della conclusione del trattato e, in ipso anno vel sequenti, del ritorno degli inviati; quella era avvenuta il 13 marzo 1261 (L.J., I, 1356), questo fra il 28 aprile ed il 10 luglio 1261: L.J., I, 1346, 1359. Non è da escludere la pos- — 104 — Il trattato con Michele Paleologo potesse essere stato il contegno di Venezia, quello che fece Genova non era scusabile, ma si trattava in pari tempo di una trovata politica estrema-mente abile. Da quando Costantinopoli, con la quarta crociata, era stata presa dai Latini, i mari della Grecia erano stati dominati dalla flotta veneziana che, avendo avuto una parte preminente nella fondazione dell’impero latino, ne costituiva il principale appoggio. Il regno di Nicea, ove i Greci avevano acquistato nuova forza, minacciava in pari modo tanto il trono oscillante di Balduino quanto la potenza della città delle lagune. Non già perchè questa avesse avuto in diretto dominio la parte dell’impero bizantino che nella partizione le era toccata; con prudente parsimonia essa si contentava di Creta e di alcune piazzeforti, mentre molte delle isole minori erano rimaste in mano dei rispettivi cittadini; in Morea i Villehardouin erano signori d’un fiorente principato e con essi gareggiavano i duchi di Atene nella Grecia centrale; ma il nerbo vitale del mondo franco-feudale sul suolo classico era la potenza marittima veneziana, in modo tale che qualunque colpo che su quella cadeva, era per esso fatale. La supremazia di Venezia nel commercio con le città costiere della Romania, la cui capitale ne era il punto centrale, poggiava sulla potenza politica. Se i Genovesi vi erano ammessi, lo dovevano alla grazia della più potente rivale20. Il podestà veneziano di Costantinopoli risiedeva in un vasto palazzo, che aveva l’aspetto d’un castello fortificato 21. Se si fosse potuto cacciare l’uno e distruggere l’altro, la torre di Acri sarebbe stata vendicata. La perdita, che in tal modo la città nemica avrebbe sofferto, avrebbe potuto stare a confronto con la propria patita nella guerra precedente. Adesso si presentavano ampie prospettive per il commercio nel Mar Nero. Se si poteva riuscire a chiudere sibilità che l’ambasceria fosse partita negli ultimi mesi dell’anno 1260, tanto più che le trattative non potevano essersi concluse in un tempo troppo breve. In nessun caso però in quel tempo si poteva aver notizia che i Veneziani in Acri non si erano piegati alla domanda del papa. E’ dunque del tutto credibile che i Genovesi attendessero soltanto la restituzione dei prigionieri per ricominciare la guerra. D’altra parte, nel gennaio 1261, difficilmente si poteva avere notizia a Venezia ed Acri di tale intenzione, per modo che ai Genovesi rimaneva sempre aperta la scusa che Venezia aveva violato il compromesso. In ciò si può anche vedere il motivo per il quale, da quanto sembra, il papa non insistette in seguito con eccessiva energia sulla osservanza delle condizioni di esso. 20 L.J., I, 1103. 21 Annali, 243 [IV, 45]. - 105 - Libro I - Cap. settimo gli stretti ai Veneziani, sarebbe stato loro impossibile di valersi della via di terra, dalla Crimea a Trebisonda attraverso l’Asia. Michele Paleologo si era imposto il diadema illegittimamente, ma la sua energia lo dimostrava chiamato a condurre la nazione greca alla vittoria sopra gli intrusi stranieri. Villehardouin fu battuto e fatto prigioniero dai suoi soldati 22; la presa di Costantinopoli era la meta che egli si era prefissa 23. Era appena possibile immaginare di realizzarla attraverso un normale assedio finché le navi veneziane avessero avuto libero approdo e a lui mancava una flotta idonea per impedirlo. Tale stato di cose non era sconosciuto a Genova. Qui si trovava quello che mancava al Paleologo, galere e uomini esperti nella guerra marittima. Il greco era nemico di Venezia, perchè questa l’osteggiava nei suoi piani; Genova era assetata di vendetta sulla vittoriosa rivale, ambedue erano spinti da un comune interesse. Il Consiglio di Genova decise quindi di mandare un’ambasciata al Paleologo, impegnato in guerra con Venezia, per stipulare con lui un alleanza contro di essa 24. Guglielmo Visconte e Guarnerio Giudice sono incaricati dell’affare, con ampie facoltà per concludere il trattato 25. L imperatore, che nulla di meglio poteva attendersi, li ricevette con tutti gli onori e accettò con premura le loro offerte26. Il trattato concluso il 13 marzo 1261 a Ninfeo27 formerà per lungo tempo la base delle relazioni fra Ge- 22 Cfr. Hopf, Gesch. Griech., p. 260 e sgg., p. 277 e sgg., etc. 23 Georg. Acrop., Annales, p. 185. 24 L’indirizzo nelle lettere di Alessandro IV, del 2 aprile 1261 {L.J., I, 1345), così pure di Urbano IV, del 21 novembre 1261 (ibid., I, 1397): Carissimo in Christo filio M. P. illustri imperatori Grecorum salutem et apostolicam benedictionem, sembra dimostrare che il Paleologo non fu affatto sempre considerato come un nemico della Chiesa; cfr. invece l’indirizzo (Rayn., anno 1263, par. 23) di quella del 28 luglio 1263. 25 Annali, 242 [IV, 42]. Il Podestà e il Capitano, con l’approvazione degli 8 nobili, degli Anziani e dei consiliarii, stesero la procura: L.J., I, 1350. 26 Annali, 1. c.; L.J., 1. c. 27 E’ inserito nell’atto di ratifica del 10 luglio: L.J., I, 1350 e sgg.; cfr. Annali, 242 [IV, 42]. Canal, 480; Niceph. Greg., Historia, I, 97. La traduzione francese del trattato (Buchon, Rech. et matér., I, p. 462 e sgg.) è redatta secondo la copia del L.J. (cfr. Ducange, Histoire de l’empire de Constantinople, p. 16), quindi priva di valore. Dalle relazioni delle fonti, lontane dagli avvenimenti, non possiamo ricavare nulla di essenziale sui particolari di esso. La narrazione relativamente dettagliata degli Annales S. Justinae, 181, è svolta troppo in generale; il trattato fra Genova e il — 106 - Il trattato con Michele Paleologo nova e Bisanzio. Senza dubbio tutto ciò era già stato calcolato in precedenza. Si approfittava della posizione favorevole del momento per ottenere durevoli vantaggi, il che si rileva chiaramente dalle disposizioni dei singoli articoli del documento. Ambe le parti si promettono vicendevolmente pace costante e guerra contro il comune nemico, i Veneziani; nessun accordo con essi potrà aver luogo se non di comune consenso; conseguenza dell’alleanza è la libertà per i sudditi dell’imperatore di esercitare il commercio nel territorio del Comune, ove dev’essere loro prestato appoggio anche in caso di naufragio; quivi i nemici dell’imperatore non potranno armare alcuna flotta contro di lui. Altrettanto dicasi per i Genovesi nell’impero greco, ciò che è ovviamente di ben maggiore importanza. Su questo punto particolare fu necessario stabilire quali individui dovevano considerarsi come Genovesi2S. Costoro godranno piena franchigia da imposte di qualunque specie, e inoltre in un certo numero 29 di città verranno loro accordati quartieri più grandi senza obbligo di alcun tributo. Essi potranno insediarvi consoli con piena giurisdizione civile e criminale sopra tutti i Genovesi, anche sopra quelli che si facessero vassalli dell’imperatore. Nessun genovese potrà essere responsabile dei reati o dei debiti d’un altro; le accuse contro di essi dovranno essere portate dinanzi al loro console e quelle da essi proposte contro sudditi dell’impero o contro forestieri dinanzi le autorità dello Paleologo è qui erroneamente collocato dopo l’occupazione di Costantinopoli. Più esatta è la notizia in Guill. de Nangis, Gesta Ludovici IX, 645: Greci occupaverunt Con- stantinopolim faventibus eis Januensibus in odium Venetarum; cfr. Villani, Cronica, VI, 71, etc. 28 L.J., I, 1351. Il certificato del Podestà e del Capitano o dei consoli genovesi in Romania deve bastare, perchè a qualsiasi persona (eos esse Januenses vel de districtu Janue vel dictos Januenses, non occorre quindi che questi ultimi appartengano alla città di Genova o al suo territorio) sia assicurato il trattamento dovuto ai Genovesi a norma del trattato. Nella convenzione con Manfredi (L.J., I, 1293, etc.) la possibilità per i Genovesi di estendere i loro privilegi era esclusa, specie per quelli che potevano avere maggiore importanza; cfr. sopra, cap. IV, n. 18. Invero, anche tutti gli appartenenti all’impero del Paleologo godono a Genova della franchigia dalle imposte, però le espressioni sono tanto poco precise che effettivamente si può darvi poco peso ed è pure incerto se pur qualche mercante greco sia venuto a Genova. Si tratta in sostanza che sulle provvigioni da guerra che il Paleologo vuole esportare da Genova non debba gravare alcuna tassa. Perciò non è nemmeno pattuito che un greco non debba essere responsabile per un altro, come avrebbe dovuto essere per condizione di reciprocità. 29 Cfr. le singole notizie in Heyd, I, p. 429. - 107 - Libro I - Cap. settimo Stato, che pronunzieranno le sentenze in breve tempo e in via sommaria. Ai nemici di Genova non sarà concesso di comprare e vendere nell’impero30, ad eccezione dei Pisani. I pirati che esercitassero la loro attività contro i Genovesi, saranno cacciati e puniti. Tutte queste disposizioni vengono dichiarate applicabili per i paesi allora nel dominio del Paleologo e per quelli che avrebbe potuto conquistare in seguito. Game in tale eventualità a Creta e Negroponte, così pure a Costantinopoli i Genovesi dovranno avere un quartiere proprio, rimanendo anticipatamente confermati i loro possessi e diritti in tali località. Ove poi avessero mandato galere in aiuto per 1 occupazione della capitale e con ciò avessero contribuito allo scopo, sarebbero stati dati ai Genovesi un palazzo con redditizie possessioni annesse, una chiesa, un cimitero e una loggia appartenenti ai Veneziani, ed infine il suolo sul quale si ergeva il loro castello. La donazione31 della città di Smirne, finché questa appartenesse all’imperatore, ed il tributo annuale d onore, già concesso una volta dall’imperatore Manuele32, non vengono assoggettati ad alcuna condizione. Fanno seguito parecchie disposizioni destinate ad impedire che in alcun modo venga infranta la concessa libertà di commercio e franchigia da imposte e in cui viene pure concordato che nessun latino, ad eccezione dei Genovesi, dei Pisani e di quelli che siano al servizio dell’imperatore, possa entrare nel Mar Nero. Quando il trattato fosse stato ratificato a Genova, i prigionieri genovesi avrebbero dovuto essere messi in libertà33. In cambio, gli inviati promettono, in nome del loro Comune, che questo non avrebbe frapposto alcun ostacolo ai propri cittadini che avessero voluto mettersi al servizio del Paleologo con galere, armi, navi e cavalli. I suoi rappresentanti avrebbero potuto in qualunque tempo esportare da Genova e territorio materiali da guerra, senza pagare imposte. Se avesse avuto bisogno di galere e il Comune ne fosse stato richiesto, il Capitano e 30 L.J., I, 1352: neque concedet inimicis comunis Janue mercatum aliquod-, qui vi è naturalmente anche un divieto di commercio con i Veneziani, il che va da sè, essendo con essi in guerra. 31 L.J., I, 1352. Non è chiaro come ciò stia in relazione con la promessa (ibid., I, 1351) di donare un quartiere in Smirne. 32 L.J., I, 254. 33 Non è chiaro quando essi fossero stati fatti prigionieri; forse col Villehardouin: cfr. Hopf, Gesch. Griech., p. 282 e sgg. — 108 - Il trattato con Michele Paleologo il Podestà ne avrebbero armato fino a 50. L’imperatore avrebbe dovuto però sopportare le spese per i viveri e l’equipaggio, il quale era tenuto a servirlo contro tutti i suoi nemici, meno che contro la Chiesa romana, i comuni ed i baroni in pace con Genova, con riserva di altre specificazioni. Appena la flotta non fosse stata più necessaria, avrebbe dovuto venire congedata, con un determinato compenso per il ritorno in patria. In generale, i Genovesi che si fossero trovati nell’impero avrebbero dovuto prestarsi in sua difesa 34. Infine vi era la decisione di prendere opportune precauzioni per impedire abusi nell’accordata franchigia da imposte, a danno delle dogane imperiali. Nel corso dei secoli il Comune già aveva concluso qualche trattato con imperatori e re, inteso a regolare le comuni conquiste e l’adeguata partizione del bottino. Di null’altro si tratta nell’alleanza del 1261, quantunque 1 intenzione di conquistare Costantinopoli in comune, non vi sia affatto chiaramente espressa. E’ di particolare importanza il fatto che buona parte delle spese non fossero a carico di Genova. Il denaro necessario per l’acquisto delle provvigioni e per le paghe degli equipaggi non fu naturalmente spedito dal Paleologo in contanti. Quando egli, al seguito degli inviati genovesi reduci in patria35, vi mandò alcuni suoi rappresentanti, diede loro la facoltà di contrarre prestiti36. Oltre ai grandi vantaggi che offrivano al commercio i larghi privilegi ottenuti, si apriva così una nuova fonte di ricchi guadagni agli abitanti della città marittima, celebre oltre che per esperienza di guerra, anche per potenza di capitali. Vi era solo da temere di trovare nell’esperto greco un secondo re Barisone. Dalle replicate dimostrazioni di amicizia dell’imperatore verso i Pisani, possiamo forse dedurre che egli non voleva rendere preponderante l’influenza di Genova mediante favori esclusivi. Ciò non pesò tuttavia sugli avvenimenti che se- 34 Troviamo già condizioni simili alle presenti nel trattato con l’imperatore Manuele: L.J., I, 253. 35 Annali, 242 [IV, 42]. 36 L.J., I, 1345: 28 aprile 1261. Che lo abbiano fatto, lo prova Fol. Not., I, c. 542 v. (5 marzo 1263): Simon Grillus et Obertus Advocatus maior nominano un procuratore, per chiedere ad Oberto Cigala 500 lire genovesi che egli aveva ricevuto a serenissimo imperatore Grecorum occasione mutui facti a Wilielmo Bucanigra nun-ciis d. imperatoris occasione armamenti galearum et navium facti causa eundi Ro-maniam. — 109 — Libro I - Cap. settimo guirono37. Di molto maggior rilievo è invece la diversità degli scopi non del tutto celata. Genova si allea col Paleologo nella guerra contro Venezia. Il greco vuole, con l’aiuto della flotta genovese, conquistare Costantinopoli ed eventualmente altre piazze. Però, nello svolgimento futuro degli avvenimenti, potrà essere di non lieve importanza il fatto che tali due scopi collimavano soltanto in parte. A Genova sorse probabilmente qualche dubbio di essersi impigliati in piani troppo vasti. La ratifica del trattato ebbe luogo soltanto il 10 luglio 1261. Si enumerarono le potenze contro le quali l’alleanza non era diretta, compresi i Selgiucidi ed il principe di Morea, Guglielmo di Vil-lehardouin, mentre, naturalmente, mancavano nell’elenco Venezia e imperatore latino Balduino. E’ importante notare come Genova si riservasse di concludere paci anche senza il concorso dell alleato • Anche su questo punto i delegati greci avevano dovuto cedere39, ma chiesero poi subito, a termini della convenzione, l’allestimento d’una flotta. Conforme al loro desiderio, furono armate 6 navi e 10 galere al comando di Marino Bocca negra, fratello del Capitano. La flotta partì per la Romania , destinata tenere in iscacco, nell’imminente assedio di Costantinopoli, le navi vene ziane che vi si trovavano41. Prima che essa fosse arrivata, però, un concorso di favorevoli circostanze aveva reso possibile il compimento dell impresa, che altrimenti sarebbe riuscita così facilmente, poiché il tentativo di prendere d assa to 37 Riguardo a Barisone cfr. Langer, Die poi. Gesch. Gen. und Visas, p. 102 e sgg.; sui suoi debiti, L.J., I, 270 e sgg. Sulle relazioni di Pisa con Bisanzio siamo per quest’epoca quasi del tutto mancanti di notizie: cfr. Docc. sulle re azioni e toscane coll’Oriente, p. XXXIV e sgg. Forse la notizia in Pachym., De Michaele e Andronico Palaeologis, I, 106, si riferisce ad una convenzione dell imperatore Pisa, poiché essa doveva aver preceduto la sua alleanza con Genova. 38 L.J., I, 1356 e sgg. Le altre aggiunte non sono essenziali. 39 Annali, 242 [IV, 42], 40 Annali, 243 [IV, 42], Uno degli inviati greci morì a Genova, gli altri rimpatriarono con la flotta. 41 Cfr. Georg. Acrop., 190, cap. 85. Già prima Venezia aveva mandato una flotta in Romania: Canal, 474. Non è probabile ch’essa potesse già trovarsi presente al colpo di mano, per il quale furono utilizzate solo le navi mercantili che si trovavano sul posto. Il podestà di Costantinopoli e Marco Gradonico (Canal, 480), che vi si trovava già da lungo tempo: v. Urkunden zur àlteren, III, p- 24, i che non concorda con Georg. Acrop., 1. c. — 110 - Il trattato con Michele Paleologo una città tanto fortificata poteva avere speranza di successo soltanto se 1 assalitore avesse potuto contare sopra innumerevoli e fanatiche schiere come i sultani Mamelucchi egiziani. La presa della città per fame sarebbe stata possibile nel solo caso che le flotte veneziane di soccorso fossero state battute. Mediante un colpo di mano ben calcolato, un reparto di truppe greche riuscì a penetrare in Costantinopoli nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1261, senza incontrare resistenza, perchè buona parte dei difensori era uscita per una spedizione in mare, comandata dal podestà dei Veneziani. Quando questi furono di ritorno — certo non prima del giorno seguente —, i Greci misero a fuoco le case poste lungo la riva del mare, ovviamente per impedire un attacco da quella parte. Perciò non rimase loro altro da fare che mettere gli abitanti latini a bordo delle navi e mandare una galera a prendere l’imperatore Balduino nel palazzo nel quale si era rifugiato, ove sembra dimenticasse le regie insegne. I salvati furono mandati al sicuro, a Negroponte, e l’impero bizantino riacquistò così la sua capitale, nella quale il nuovo Costantino fece solenne ingresso il 15 agosto42. La flotta genovese non potè prestar aiuto alcuno in questa circostanza; non meno rilevante però fu la sua cooperazione per assicurare la conquista. Alla notizia dell’accaduto, Venezia mandò fuori 18 galere43 per proteggere i suoi possedimenti in Romania, ma non riuscì però a tagliare la via di Costantinopoli alla flotta genovese. Si comprende dunque perchè il Paleologo avesse mantenuto la sua parola. Il quartiere di Costantinopoli che prima era tenuto dai Veneziani venne dato ai Genovesi44, ai quali fu 42 Georg. Acrop., 190 e segg.; Canal, 480, etc. Per il titolo novus Constantinus, doc. in Belgrano, Cinque docc. genovesi-orientali, p. 227. 43 Canal, 480; cfr. oltre, libro II, cap. I. 44 Canal, 1. c. Certamente buona parte poteva essere stata bruciata. Quello che racconta Pachym., I, 162 e sgg., è assolutamente impossibile. Per esempio, immediatamente dopo l’occupazione non poteva esservi in Costantinopoli un bajulo veneziano. Nel 1265 era stato convenuto di mandarne uno, ma la convenzione non era stata ratificata: Urkunden zur àlteren, III, p. 83. Pachym. riassume i fatti come si svolsero nel decennio seguente. Egli è assai male informato sulla successione degli avvenimenti, e così pure più oltre, ponendo egli il bando dei Genovesi ad Eraclea (p. 167 e sgg.) prima del matrimonio del conte di Ventimiglia: p. 180 e sgg. Poco possiamo ricavare anche da Niceph. Greg., I, 97, quantunque egli sappia almeno del trattato con Genova. Non è immaginabile che i Veneziani potessero tenere un quartiere a Costantinopoli se la loro città era in aperta guerra col Paleologo. Come avrebbe questi — Ili - Libro I - Cap. settimo pure consegnato il loro palazzo. La sua distruzione fu per essi un giorno di festa, di tripudio. Come segno di vittoria le pietre vennero caricate su navi e mandate in patria. La sede apostolica era vacante allorché il papato ricevette un così duro colpo, qual era la caduta dell’impero latino. Il nuovo papa Urbano IV43 procedette subito contro gli alleati del greco scismatico . Egli mandò lettere al Comune, lagnandosi perchè col suo intervento erano stati fatti prigionieri nunzi della Chiesa romana e trattenuti in carcere con mal-trattamenti. Non è chiaro a che cosa ciò si riferisca 47. Può anche darsi che la lagnarla potesse essere servita d’introduzione per 1 accusa principale, che cioè Genova aveva fatto lega col Paleologo ai danni della cristianità e della Chiesa romana. Perciò il Comune, entro un mese dalla presentazione della lettera, doveva mandare dei legati alla Curia, con i poteri relativi, per sottomettersi in tale affare agli ordini del papa48, altrimenti, scaduto il termine, il Podestà, il Capitano ed i Consiglieri sarebbero stati colpiti dalla scomunica, il Comune dall’interdetto. A Genova si era ben lontani dall’idea d’inasprire il severo Urbano IV potuto tollerare i suoi nemici nella capitale se mostrava diffidenza persino verso 1 suoi alleati, i Genovesi? Non abbiamo alcun motivo per dubitare che la conven zione non sia stata lealmente eseguita. Heyd, I, p. 430, non ha preso in su cle"t* considerazione la poca esattezza di Pachym. Che un certo numero di persone e basso ceto, posto fino ad allora sotto la giurisdizione dei Veneziani, fosse rimasto a Costantinopoli è cosa tanto possibile quanto insignificante. 45 Annali, 1. c. [IV, 44], 29 agosto; stessa data in Shirley, II, p. 188, etc. 46 Annali, 1. c.: (Paleologus) quem ab ecclesia Romana divisum appellabat (se. papa). 47 Si può ammettere che le lettere del 2 aprile (L.J., I, 1345) e del 22 novem bre 1261 (ibid., I, 1397) possano avere con ciò un qualche nesso, altrimenti sarebbe difficile spiegare perchè siano finite nel Liber Jurium. Nella prima Alessandro I scrive al Paleologo che il suo balivus a Landimitri aveva preso due cittadini lucchesi che portavano seco molto denaro e che li aveva mandati all’imperatore, il quale li aveva fatti prigionieri. Il papa lo prega di rimetterli in libertà. Secondo 1 altra lettera, essi erano stati rilasciati, senza però che fosse loro restituito il denaro, ed il papa chiede che lo sia. Qui è detto espressamente che quel denaro doveva servire per comperare merci. Può anche darsi che tutto ciò fosse un pretesto. Non è lontano il sospetto che i due Lucchesi fossero appunto messi del papa, nel cui arresto potevano aver avuto parte i Genovesi. Il denaro era certo destinato a Balduino. 48 Annali, 243 [IV, 44]. Promissis deve essere corretto in premis sis. — 112 — Il trattato con Michele Paleologo con un aperta disobbedienza, — i due inviati49 arrivarono certamente a tempo ma altrettanto meno si era disposti a rinunziare alla vantaggiosa alleanza. Perciò i rappresentanti non furono autorizzati a prestare giuramento di obbedire agli ordini della Chiesa romana. A questo riguardo poco giovarono le ragioni addotte a difesa. Le scuse per la prigionia dei nunzi furono accettate, ma poiché Genova non aderiva sul punto principale, il papa non ritirò i minacciati castighi, e scomunica e interdetto vennero applicati , quantunque sembra che non siano stati portati a esecuzione immediata. Il Comune procurò di giustificare il suo atteggiamento senza sollevare, nemmeno alla lontana, alcuna opposizione di massima sulla intromissione della Chiesa in questioni temporali. Urbano IV in questo caso, nel quale non era in giuoco alcuna questione di principio, non avrebbe potuto senz altro adoperare le armi di cui si era servito contro Manfredi e infine a lui stava più a cuore la sorte di Napoli di quella della lontana Costantinopoli. 49 Ibid. Lanfranco de Carmadino e Ugo Fieschi. Entrambi, il 14 dicembre 1261, sono testimoni a Genova, quando il Capitano ordina di estrarre copia autentica del documento riguardante la presentazione delle due lettere papali al legato in Acri: App. 2, nr. 10 d. In ogni caso dovevano munirsi presso la Curia dei documenti giustificativi riguardanti la disobbedienza dei Veneziani di fronte alle prescrizioni del papa per l’esecuzione del compromesso, al fine di provare che Genova era autorizzata a ricominciare la guerra. Con ciò abbiamo un approssimativo punto di partenza per il tempo nel quale si deve porre l’ambasciata. 50 Amali, 243 [IV, 44], A causa di una trasposizione (v. var. b), il testo non è chiaro. La riga 18 e sgg., qui primo - Paleologo, non occorre che sia presa in considerazione, poiché la stessa cosa è poi ripetuta più circostanziatamente. — 113 — Capitolo ottavo La caduta del Boccanegra e il ristabilimento dell’ antica costituzione Giudizio complessivo sul Boccanegra. - Lega dei nobili contro di lui. - Avvenimenti del maggio 1262. - Fine del Boccanegra. - Ristabilimento dell’antica costituzione. Il 5 gennaio 1262, arrivò la nave che recava a Genova le pietre del palazzo veneziano di Costantinopoli '. Tale trofeo non doveva trovare de gno ricevimento, poiché in città regnava la massima eccitazione. Come a biamo visto più sopra2, il Boccanegra non si era contentato della sua posizione di Capitano del Popolo, ma aveva concentrato in sè tutto il governo e messo quindi in seconda linea tutti gli organi del Comune che ne erano a parte. Gli Annali3 gli rimproverano di avere agito quasi come un tiranno, di avere fatto legge della sua volontà, di aver distribuito a suo piacere gli incarichi, di aver messo mano arbitrariamente nell’ordinario corso della giustizia e, finalmente, di essersi di propria testa impegnato in alleanze, senza alcun riguardo alle deliberazioni del Consiglio. Tali accuse possono essere anche alquanto esagerate, poiché dai documenti appare che siglio, almeno nella politica estera, abbia sempre partecipato alle relative decisioni4. Altrettanto meno può dirsi che i nobili fossero stati completa- 1 Annali, 243 [IV, 45]. Non è ammissibile che allora giungesse la prima notizia della presa. 2 V. sopra, cap. VI. 3 Annali, 243 [IV, 451. 4 Germain, I, p. 241 (10 ottobre 1259): gli inviati di Montpellier presentano le loro domande al Podestà, al Capitano, agli Anziani ed al Consiglio; la risposta viene data (ibid., p. 244) il 17 ottobre dal Podestà e dal Capitano, de consilio et voluntate ancianorum et consilii generalis... deliberacene prehabita. Questi quattro organi prendono pure parte alla ratifica del trattato con Manfredi (L./., I, 129 . s tembre 1259), all'invio dei delegati al Paleologo (ibid., 1350) - cfr. Annali, 24 [IV, 41] - deliberato consilio; il giuramento di osservare i patti della lega viene prestato dal Podestà, dal Capitano, dagli Otto Nobili, dagli Anziani, dai consiliarii magni consilii, omnes consules ministeriorum et 14 viri de nobilioribus melioribus et dicioribus comunis Janue per compagnam, ad hoc specialiter ad brevia vocatif n L.J., I, 1401 (16 aprile 1262), tratta il solo Podestà, previa decisione del Consiglio. — 114 - La caduta del Boccanegra mente esclusi dalle dignità cittadine e dal governo della cosa pubblica5. Potevano essere risentiti per non aver più avuto, come per il passato, da soli tutto il potere nelle loro mani. Le riforme, che il Capitano aveva introdotto, non senza violenza e per quanto utili alla generalità, avevano leso i loro interessi 6. La relazione degli Annali può essere l’espressione del sentimento della nobiltà e non basta per dare un giudizio generale sul Boccanegra, dal momento che guarda le cose da un solo lato. Egli non può essere imputato di vere crudeltà mentre si era dimostrato sempre disposto a riconciliarsi coi suoi avversari. Indubbiamente fu sempre sua intenzione di impiegare i poteri conferitigli a prò della cosa pubblica. E’ certo che egli abbia dato un energico impulso alla costruzione di edifizi pubblici7. E’ un sorprendente tentativo, quello da lui intrapreso, di fondare cioè, col solo appoggio dei popolari, di fronte alla radicata nobiltà, una specie di signoria che era ben lontana dall’avere un carattere militare, e una peculiare politica estera. Anche senza l’elezione del Boccanegra le cose non sarebbero sostanzialmente andate altrimenti ed anche l’importantissima alleanza con Bisanzio si può diffìcilmente ascrivere alla sua personale iniziativa. Se egli si lasciò alquanto trascinare dai Ghibellini, ciò può aver aumentato l’odio dei Guelfi contro di lui, ma, come presto vedremo, ciò non fu d’alcun giovamento alla stabilità della sua posizione. Questa era basata sul bisogno che avevano i popolari d’avere un rappresentante dei loro interessi in contrasto con quelli della nobiltà; se il Capitano quindi estendeva al di là dei limiti le sue attribuzioni, i popolari non potevano non risentirne altro che vantaggio. L’errore ch’egli commise fu, in conclusione, di non essersi curato abbastanza di dare una solida organizzazione alle classi inferiori. Le sue riforme, che pur eliminavano tanti abusi, avevano l’impronta del dispotismo. Mentre egli ledeva nel modo più aspro i nobili, nel contempo conferiva loro ambascerie e incarichi. Ciò non bastava a conciliarglieli, 5 L.J., I, 1400 (26 febbraio 1262): fra gli altri nobili anche i Grimaldi fra gli Anziani; Ugo Fieschi è inviato al papa: Annali, 243 [IV, 44]; Moroello Malocello e Raimondo della Volta fanno parte dei castellani di Gavi, che entrano in carica il 1° maggio 1261: Fol. Not., I, c. 327 v. 6 V. sopra, cap. VI. 7 V. l’iscrizione in Remondini, Iscrizioni medioevali della Liguria, p. 93; sul palazzo di S. Giorgio, cfr. Stella, Annales Genuenses, 990. Quanto ai lavori del porto e del molo, v. L.J. I, 1254, 1316 e sgg., 1320, forse connessi fra loro. - 115 - Libro I - Cap. ottavo mentre per contro ai popolari non piaceva affatto vedere una considerevole quantità di nobili sedere nel Consiglio del Popolo. In verità si trattava di un problema che nasceva dalla realtà delle cose. Un onesto artigiano non era adatto per rappresentare Genova dinanzi la Curia, nè per la carica di castellano. Il tempo per un governo esclusivamente popolare non era ancora arrivato. Il Capitano del Popolo non poteva fare a meno dei nobili, quantunque sapesse quanto essi lo odiavano. In ciò sta la causa vera della sua caduta e, dal momento che egli disponeva ad arbitrio, anziché legitti mamente ed equamente, dei diritti del Popolo, così la sua signoria si ri dusse ad un episodio senza durevoli conseguenze. Il mezzo attraverso il quale, nel 1257, le classi inferiori avevano in teso acquistare maggiore importanza nella vita dello Stato, non si era 1 mostrato il più adatto. Può darsi che i più ricchi popolari se ne fossero poi accorti e per questo si fossero allontanati dal Boccanegra . ^ oro sarebbe convenuto di poter partecipare al governo con regolarità e in posizione di primo piano: in tal guisa avrebbero potuto sperare di arriva e, per altra via, meglio al loro scopo. La caduta fu provocata dalla circostanza che anche il partito della nobiltà, che prima aveva favorito 1 elezione e Capitano, lo abbandonò. Quel partito forse aveva creduto di potero in rizzare conforme ai propri desideri, ma avendo visto che egli invece vo eva governare da solo, ritenne essere migliore soluzione quella di rista 11 , in comune con gli antichi avversari, le primitive forme costituziona i. L’accordo fra i capi della nobiltà impressionava il Boccanegra diffidava specialmente dei Grimaldi. Risulta che i nobili avessero conclu fra loro una formale alleanza segreta e fissato un giorno nel quale dovev aver luogo la sollevazione generale contro il Capitano. Questi intanto pre deva delle misure di precauzione. Alcuni informatori suscitavano 1 o tenendo informato un partito delle intenzioni dell altro. Quando infine Boccanegra temette prossima la rivolta, decise di prevenirla, facendo im prigionare nella notte dal 6 al 7 maggio 9 alcuni nobili. Costoro avevano 8 Annali, 243 [IV, 45]. Non è chiaro quale parte abbia avuto il Podffa Giordano de Relvengo, nobilis civis Astensis. Secondo gli Annali, 1. c., egli sare stato contro il Capitano. E’ però strano che egli sia poi stato deposto contemporaneamente a lui. In Asti egli figura spesso: Cod. Ast., II, 307; III, 722 etc., a aprile 1250 appartiene ai rectores societatis militum di Asti: ibid., III, 1158. 9 Annali, 244 [IV, 46]: cogitavit (se. capitaneus) eorum propositum prevenire nocte. La sollevazione ha luogo mentre ante noctem potentes civitatis prevenire (per — 116 - La caduta del Boccanegra avuto notizia del suo progetto; si imponeva ima pronta decisione, poiché la gente del territorio chiamata alle armi dal Boccanegra già si stava dirigendo in fretta verso Genova10. Questa volta però i minacciati non fuggirono come nel 1259, ma nel pomeriggio del 6 maggio diedero di piglio alle armi, prima del tempo stabilito, per prevenire il colpo tramato contro di loro. Quando il Capitano udì il rumore, si affacciò alla finestra del palazzo col suo seguito, chiamando alle armi. Si chiudono le porte dell’atrio, la campana suona a stormo n, l’araldo percorre le strade, facendo squillare col corno il segnale d’allarme, ma colpito da una pietra cessa tosto di vivere. Tuttavia sulla piazza di S. Lorenzo si raccolgono circa 800 armati12. Il Capitano lascia il palazzo e tiene parlamento, nel quale probabilmente pronuncia sentenze contro i ribelli con l’approvazione dei presenti13. Poi si dirige verso le case dei Grimaldi, certo con l’idea di distruggerle; ma dopo breve cammino torna indietro. Non è chiaro il motivo della sua indecisione; forse ebbe timore che allontanandosi il suo palazzo andasse perduto. Simile contegno dovette fare una cattiva impressione sui suoi seguaci, che cominciarono a disperdersi. Risulta che i nobili avessero fissato un punto di riunione per loro ed i loro aderenti14. Ad alcuni del loro partito viene tagliata la via per arrivarvi da popolari radunatisi in una strada15; ma costoro rimangono soccombenti dopo un breve combattimento. Lanfranco, fratello del Capitano, venire non ha senso) festinaverunt, e cioè post die Nonas Madii sabato circa boram none-, ciò ha un chiaro significato qualora si legga pridie, poiché il 6 maggio nel 1262 cade di sabato. 10 Annali, 244 [IV, 46]: cum... iarn homines potestaciarum mandato capitanei januam properarent-, probabilmente essi dovevano prestare aiuto per l’arresto dei nobili. 11 Annali, 244 [IV, 46], Cfr. Caro, Verf. Gen., pp. 58, 146, n. 37. Questa volta era stata certamente suonata la campana populi: L.J., I, 1266 e sgg. 12 Annali, 1, c., in platea-, in ogni caso si vuol alludere alla piazza San Lorenzo, sulla quale si trovava il palazzo abitato dal Capitano: Annali, 241 [IV, 38]. 13 Annali, 1. c. Cfr. analoghi avvenimenti anteriori in Caro, Verf. Gen., p. 26 e sgg. 14 Annali, 244 e sgg. [IV, 46], linea 14 e sgg. Il testo non è interamente comprensibile. Fossatellum può essere una piazza della città, adatta per luogo di riunioni. 15 Annali, 244 [IV, 46]: Interim ex parte nobilium per Cannetum transire volentibus. — 117 - 9 Libro I - Cap. ottavo che combatteva contro i nobili riuniti, non era in sufficienti condizioni per tener testa e cadeva nella mischia mortalmente ferito. A tale notizia il Boccanegra perde ogni coraggio ed i suoi partigiani si disperdono. L’arcivescovo, unitamente ad altri16, interviene come conciliatore e ottiene per lui garanzia di sicurezza della persona. Prima di sera la quiete è già ristabilita; il deposto Capitano 17 col suo seguito passa la notte nel palazzo del Podestà 18. La sua parte è ormai finita e probabilmente non rimane ancora a lungo in Genova. Subitamente, così come era sorto, il suo nome sparisce dalle patrie tradizioni. L’ex Capitano del Popolo morirà al servizio del re Filippo III di Francia, del quale si era fatto vassallo e per il quale doveva costruire le fortificazioni ed il porto di Aiguesmortes 19. La sua memoria non si cancellò dall’animo di coloro che egli intendeva liberare dal peso del reggimento aristocratico. La sua famiglia continuò a prosperare in Genova20. Ciò che era fallito all’antenato, avrebbe dovuto riuscire, quasi 80 anni dopo, a Simone Boccanegra, primo Doge e Difensore del Popolo di Genova. La sua elezione sarebbe stata tempestosa come quella del suo antenato ed è molto probabile ch’egli ne andasse debitore alla sua memoria. Quando egli un giorno salvò un Grimaldi dal furore del popolo, si udì gridare: « Morte al rampollo degli uccisori del tuo avo »21. 16 Ibid.-. archiepiscopo autem cum quibusdam mediantibus. 17 Ibid.-. armis depositis ac capitaneo deposito-, la destituzione in ogni caso faceva parte delle condizioni alle quali al Capitano securitas data fuit. 18 Ibid.-. in domo Petri Aurie; si tratta evidentemente dello stesso palatium heredum qu. Oberti Aurie, dove abitava il Podestà: L.J., I, 1254, 1402, etc.; cfr. sopra, p. 7 e cap. VI, n. 52. Pietro Doria è figlio di Oberto: Annali, 288 [V, 31 19 Pagezy, Mémoires sur le port d’Aiguesmortes, p. 351, nr. 28, maggio 1272, il contratto. Sulla sua opera colà, cfr. p. 264 e sgg. Egli doveva essere morto prima del 6 gennaio 1275, perchè a tale data la vedova ed i figli sciolgono il contratto: ibid., p. 358, nr. 29 e sgg.; v. anche Langlois, Le règne de Philippe III, p. 392; cfr. Belgrano, Un ammiraglio di Castiglia, p. 42 e sgg. e dello stesso, I Genovesi, p. 326 e sgg., ove non si avvide che il documento era datato secondo l’anno pasquale. 20 Nicola Boccanegra, che nel 1290 fu mandato in Corsica come vicario generale - Annali, 332 [V, 116] - è in ogni caso suo figlio: Pagezy, p. 359. Sua figlia è sposata a Ingheto Spinola: v. sopra, cap. I, n. 31. Muntaner, Cronica Catalana, p. 428, cap. 227, fa menzione d’un Antonio Boccanegra, come del più valoroso genovese identificabile col mercante Antonio Boccanegra: De rebus Regni Sicilie, p. 642. 21 Stella, 1074: Moriatur ille, qui de domo est occisorum tui avi. - 118 - La caduta del Boccanegra Nell’anno 1262 la nobiltà aveva riconquistato completamente il potere. Col Capitano erano scomparsi gli Anziani e la società del Popolo. I vincitori si affrettano a ripristinare l’antica costituzione, senza alcuna difficoltà poiché la sua applicazione era stata semplicemente interrotta, dal momento che il precedente reggitore aveva agito d’arbitrio, senza avervi portato nessun cambiamento fondamentale. Il mattino del 7 maggio si tenne parlamento nella chiesa di S. Lorenzo, ove fu costituito un governo provvisorio, che nello stesso giorno nominò i suoi Consiglieri e due giudici di origine locale investiti del potere giudiziario22. Non risulta chiaro l’atteggiamento tenuto verso il Podestà fino allora in carica. Il giorno seguente viene tenuto Consiglio, ove, senza le formalità consuete e con generale approvazione, viene eletto Podestà Martino da Fano, alla condizione di unirsi suo figlio Palmerio e lasciandogli la scelta di assumere egli stesso la direzione del governo o trasmetterla a quest’ultimo23. Il 1° luglio entrano in carica e Palmerio presta il giuramento24. Egli sta da solo alla testa del Comune, essendo cessata la suprema autorità del Capitano25. Il Con- 22 Annali, 244 [IV, 48]: ac duos indices assessores suos, videlicet Raymun-dum de Casali, ut iudicet eis, et Bonifacium de Volta, ut predictum currit maleficium. La ripartizione delle funzioni risulta essere uguale a quella dei due giudici del 1257; v. sopra, p. 24. In ogni caso sono rutti e due di Genova. Il primo, il 17 aprile 1257, nel collegium iudicum (App. 6, nr. 4, c. 19 v.); del secondo pure vi è indicato il nome. Non è chiaro donde Canale, II, p. 164, abbia tratto i nomi dei rettori; non troviamo fra essi un Nicola (Annali, 1. c.). 23 Annali, 1. c. Forse Martino era allora sul punto d’entrare nell’ordine dei domenicani: cfr. Sarti, I, 1, p. 147 e sgg. Palmerio doveva in ogni caso essere considerato come un partigiano del papa: v. Potthast, nr. 18771: 9 gennaio 1264; Del Giudice, Cod. dipi, I, p. 48 = Minieri Riccio, Alcuni fatti rig. Carlo I, 1252-1270, p. 6. L’11 settembre 1265 gli viene affidata da Carlo d’Angiò una missione ed è designato come miles. 24 Palmerius de Fano Janue civitatis potestas, 9 luglio 1262: L.J., I, 1403. 25 I nuovi castellani entranti esibiscono ora lettere del Podestà, munite del sigillo del Comune; v. sopra, cap. VI, n. 9. App. 3, nr. 10, c. 98 v.: 11 luglio; c. 99: 26 luglio; c. 100: 6 agosto; c. 101: 23 agosto. C. 99 ( 28 luglio): Giovanni Botano di Roccabruna elegge un procuratore per difendersi a Genova contro l’accusa di Luchetto Gattilusio coram d. potestate. App. 6, nr. 2, nr. 166 (16 luglio): deliberazione del Consiglio d’Albenga sulla nomina d’un sindaco che deve comparire coram d. Palmerio de Fano honorabili potestate civitatis Janue o al suo assessore d. Nicolao de S. Geminiano, per difendere il Comune contro l’accusa di Jacobus f. qu. d. Anseimi de Linguilia e rispettivamente provare che Albenga non può essere convenuta a Genova. - 119 - Libro I - Cap. ottavo siglio, composto quasi esclusivamente di nobili26, dirige la sua attività come prima del 1257, nè più si trova menzione d’un consiglio di Anziani27, nè più esiste una società del Popolo. Fu forse allora che venne approvato Io statuto che imponeva al Podestà di non tollerare la costituzione di un nuovo Popolo, obbligandolo anche a dare una rilevante cauzione in garanzia dell’osservanza di tale disposizione28. Con ciò il capo del Comune diventa in pari tempo il custode dei particolari interessi della nobiltà. 26 Vedi la lista in L.J., I, 1403 e sgg. 27 L.J., I, 1403 (9 luglio 1262): il Podestà de voluntate et beneplacito consiliariorum comunis Janue... nec non et ipsi consiliarii... nomine et vice comunis Janue conferiscono poteri a sindaci. App. 2, nr. 13 (6 settembre 1262): il Podestà e 5 ex octo nobilibus pro comuni auctoritate et decreto consiliariorum Janue ad consilium ... congregatorum, ad quod interfuerunt sex per quamlibet compagnam vocati et electi ad brevia secundum formam capituli, nec non et nos dicti consiliarii conferiscono poteri ad inviati. La partecipazione degli Otto Nobili si riscontra anche prima del 1257; cfr. Caro, Verf. Gen., pp. 49 e 126 e sgg.; che ne fossero stati aggiunti sei per ogni Compagna era fatto corrispodente all’uso, sussistente già dal 1238 fino al 1257: ibid., p. 29. L’indirizzo delle lettere (Belgrano, Cinque docc., p. 227) del Paleologo nobilissimis viris et dilectis imperio meo potestati Janue d. Palmerio de Fano, consilio et comuni eiusdem civitatis, in Registres d’Urbain IV, p. 72 (19 gennaio 1263) è lo stesso usato prima del 1257: cfr. Caro, Verf. Gen., pp. 38 e 107, n. 92. Se vi fossero stati anche degli Anziani, dovremmo trovarne qualche menzione nei documenti, il che non si verifica. Gli Anziani formavano appunto il consiglio del Capitano e scompaiono senz’altro con esso. Le liste date dal Canale, II, p. 665 e sgg., non meritano alcuna fede. 28 App., 2, nr. 86 b:Et dare debebit (se. potestas) securitatem de libris decem milibus monete sue, quod observabit capitulum de non faciendo populo in Janua vel rassa vel conspiratione. Ciò fa parte delle condizioni alle quali il futuro Podestà deve aderire, accettando la scelta fatta della sua persona; cfr. Caro, Verf. Gen., p. 35. Nel 1225 questa condizione ancora non esisteva: H.P.M., Ch., II, 1333. Se questo Statuto fosse stato in vigore già nel 1257, esso sarebbe stato violato da parte di Alberto de Malavolta, avendo egli acconsentito all’elezione del Boccanegra. Diffìcilmente tale elezione avrebbe potuto avvenire senza seria resistenza, se il Podestà fosse stato obbligato a non tollerare la costituzione del Populus. Invece proprio questo obbligo specifico può spiegare la resistenza opposta dai Podestà ad analoghi tentativi nel 1264: Annali, 246 e sgg. [IV, 54]; nel 1265: Annali, 251 [IV, 70-71] e nel 1270: Annali, 270 [IV, 140], — 120 - La caduta del Boccanegra In questo stato di cose, le classi medie e inferiori non potevano sperare di acquistare influenza nello Stato, se non unendosi strettamente fra di loro. Nel 1257 lo avevano tentato, ma i mezzi adoperati non erano stati del tutto rispondenti allo scopo; nel 1262 cadeva il Capitano del Popolo, che aveva voluto estendere troppo i suoi poteri. La vittoriosa nobiltà vuole impedire il rinnovarsi del tentativo. Per il momento essa era concorde; era assai dubbio però che l’armonia potesse durare. Urbano IV voleva farla finita con la signoria degli Staufen a Napoli, nuove tempeste minacciavano tutta l’Italia e Genova non poteva rimanere estranea alla lotta imminente. La prima profonda scissione fra i nobili aveva avuto luogo quando, nella lotta fra Federico II e Gregorio IX, in tutta la penisola erano sorti con le armi alla mano, gli uni contro gli altri, i partigiani dell’imperatore e quelli del papa. Allora avevano vinto i secondi. Costoro avevano diretto per lungo tempo ed in via esclusiva la politica del Comune. Sotto il Boccanegra era avvenuto un certo mutamento nel comportamento generale dei Guelfi. Invero sotto il mite Alessandro IV, per sua natura amante della pace, non si avvertiva il bisogno d’una decisa presa di posizione. Il nuovo papa tendeva con zelo ardente a ciò ch’egli considerava come lo scopo della sua vita, il riacquisto cioè del regno di Sicilia per la Chiesa; Manfredi non era un nemico da sottovalutarsi. Se ora il papa e lo Staufen andavano a gara per cattivarsi il favore del Comune, era forse da aspettarsi che l’alleanza conclusa fra i Fieschi ed i Grimaldi con gli Spinola e i Doria, per uno scopo del tutto particolare, potesse essere durevole? Negli anni in cui gli avvenimenti storici mondiali ondeggiavano con moto appena sensibile in un mare quasi tranquillo, Genova aveva potuto tener dietro ai propri interessi particolari e sostenere per conto proprio le guerre con Pisa in Sardegna e con Venezia nelle acque della Siria e della Grecia. Se il papa era allora intervenuto, lo aveva fatto per far valere la sua autorità imparzialmente come capo supremo della cristianità e nell’interesse della pace. Poteva egli fare altrettanto in questo momento in cui egli stesso si faceva promotore d’una guerra, impiegando tutti i mezzi che gli offriva la sua dignità spirituale? Allorquando la nobiltà guelfa aveva lottato contro la potenza di Federico II, essa aveva saputo guadagnarsi il favore del popolo per i propri scopi29. La sua signoria aveva preso poi un 29 Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 27. - 121 - Libro I - Cap. ottavo carattere decisamente antipopolare, interrotto con l’avvento del Boccanegra, del quale, in definitiva, i Grimaldi si erano dimostrati i principali avversari30. Se ora l’unità dei nobili si rompeva, non poteva essere forse tanto facile quanto vantaggioso per i Ghibellini di dominare sugli antichi avversari ricostituendo il Popolo? In questa situazione troviamo dunque il germe delle più svariate e intricate complicazioni che dovevano prender forma e sostanza nel corso degli avvenimenti. 30 Annali, 244 [IV, 461. - 122 - Libro secondo II tempo del restaurato Governo aristocratico Capitolo primo La guerra in Romania Piani di Balduino e di Venezia. - Minacce del papa contro Genova. - Avvertimenti di guerra in Romania nel 1262. - Lettera del Paleologo a Genova. - Trattative di Genova col papa. - Il combattimento presso Sette Pozzi, 1263. - La legazione del- I arcivescovo di Torres a Genova. - Il Paleologo congeda le galere genovesi. - Punizione degli ammiragli. - Mancata riconciliazione di Genova con la Curia. Le sconfitte dell’anno 1258 non recarono alcun danno al Boccanegra, il successo del 1261 non gli fruttò alcun utile. Quando egli assunse la direzione degli affari del Comune, continuò una guerra già incominciata; alla sua caduta 1 alleanza con Bisanzio, da lui conclusa, continuò a sussistere. II 5 maggio 1262 arrivò a Genova un inviato imperiale, con una nave di Ansaldo Doria. Egli chiedeva certamente la spedizione di una seconda flotta 1 che sembrava necessaria in quanto lo spodestato Balduino adoperava ogni mezzo per riacquistare il perduto impero. Dapprima egli si era rivolto a Manfredi2, che già si era immischiato negli affari di Romania contro il Paleologo 3. Lo Staufen cercava evidentemente di approfittare dell’occasione per pacificarsi col papato. L’ex-imperatore trasmise ad Urbano IV le sue proposte per conquistare Costantinopoli e perfino Gerusalemme4. Se il papa non vi aderì, non fu già per buona disposizione verso il Greco scismatico, quantunque questi si fosse già rivolto a lui in maniera conciliativa5. Venezia appoggiò, dapprima per via diplomatica, la domanda di soccorso di Balduino 6. II Doge promise navi gratuitamente a tutti coloro che avessero voluto passare il mare per la ripresa di Costantinopoli. Poi il 1 Annali, 243 [IV, 45]. [Per il seguito delle guerre marittime, rimandiamo qui, una volta per tutte, il lettore a Manfroni, Storia della marina italiana, pane prima], 2 Canal, 498; Hopf, Chroniques gréco-romanes, p. 172 e sgg. 3 Cfr. Hopf, Gesch. Griech., p. 282. 4 Canal, 500; Schirjrmacher, Die letzten, p. 219 e sgg.; a p. 499 richiama l’attenzione su questa importantissima notizia. 5 Rayn., anno 1263, par. 23; cfr. Pachym., I, 168 e sgg. 6 Canal, 502. - 125 - Libro II - Cap. primo papa ordinò di predicare la crociata7 contro il distruttore dell impero latino. Un inviato veneziano accompagnò Balduino alle corti dei re di Ca-stiglia e di Francia, ai quali egli chiese assistenza8, favorito e coll intercessione pure di Urbano IV9, che però non parlò di piani di conquista, ma soltanto di protezione per gli avanzi dei possedimenti latini, contro ulteriori invasioni dei nemici. L’impresa d’un attacco a Costantinopoli, con probabilità di successo, era possibile nel solo caso che intervenisse la forza del regno di Sicilia. Ma l’insormontabile dissidio esistente fra il sovrano allora regnante e la Sede apostolica rendeva impossibile, in quell anno 1262, un tale intervento. Manfredi, che si vedeva minacciato seriamente nella sua posizione, non poteva per proprio conto impegnarsi in vasti progetti. Urbano IV era ben lungi dal riconoscere espressamente Costantinopoli ai Greci; ma nemmeno si mise sulla via di strapparla loro di nuovo colla violenza, unico mezzo che avrebbe potuto condurre alla mèta. Il suo scopo principale era l’annientamento della signoria degli Staufen, scopo al quale sacrificava l’impero cattolico d’Oriente, al quale poco giovavano le sue lettere altisonanti. Anche a Genova pervenne una lettera del papa l0. Le precedenti esortazioni a rinunziare all’alleanza col Paleologo a nulla avevano giovato, malgrado la pronunziata scomunica. Frapponendo ora ostacoli all adempimento delle condizioni della convenzione, Urbano IV proibì che fossero noleggiati all’inviato greco equipaggi, galere e navi destinati contro l’imperatore latino e i Latini del Levante; anzi, il Comune doveva rompere la convenzione, mentre il papa lo avrebbe sciolto dal giuramento prestato. Egli minaccia di rendere noto il suo atteggiamento ai re di Francia, d’Inghilterra, di Castiglia, d’Aragona, del Portogallo e di Navarra, al conte di Provenza e a tutti gli altri principi di Oriente e di Occidente e di intimare loro di non concedere il soggiorno nei loro paesi ai Genovesi, in quanto scomunicati. L’esecuzione di questa minaccia avrebbe portato un 7 Canal, 1. c.; Potthast, nr. 18332: 21 maggio 1262, per la Polonia; nr. 18333 per la Francia, certo della medesima data. 8 Canal, 1. c. 9 Potthast, nr. 18350 (5 giugno 1262): lettera a Luigi IX; Rayn., anno 1262, par. 3943; Reg. d'Urbain IV, p. 48, nr. 132. 10 Menzionata in Reg. dVrbain IV, p. 72, nr. 182: 19 gennaio 1263. L’ambasciatore del Paleologo non può essere altro che quello giunto a Genova il 5 maggio 1262, come vedesi dal nesso con il resto. - 126 - La guerra in Romania colpo sensibile al commercio di Genova, ma non dovette esser presa sul serio"; in ogni caso non fece alcuna impressione. Furono armate 32 galere , Lanfranco Dugo Spinola e Simone de Jaritea 13 vennero incaricati del comando e forse con loro andarono a bordo Pietro Avvocato e Ottone Vento 14, ai quali nell’anno precedente era stato trasferito il comando, in luogo di Marino Boccanegra15, delle 10 galere. La nuova flotta non poteva aver lasciato Genova prima della metà di luglio 16. Venezia mandò fuori in quest’anno 37 galere, al comando di Jacopo Delfino 17, che dovettero arrivare in Romania prima di quelle di Genova; ^ Nella lettera del 19 gennaio 1263 (v. nota precedente) non è detto che fosse stata data esecuzione alla minaccia; tuttavia i Genovesi cominciano ad allontanarsi dalla Francia, temendo che potessero venir prese delle misure contro di essi; cfr. la lettera del mercante senese in Lettere volgari del secolo XIII, p. 46 e sgg. 12 Annali, 244, var. I [IV, 49 e var. dì. 13 Annali, 1. c. e 246 [IV, 53]; Gest. des Chipr., 157. 14 Annali, 244 var. I e 245 [IV, 53]; Gest. des. Chipr., 1. c. 15 Annali, 244, var. I: invece di Burgar... devesi leggere Buccanigre. 16 Fol. Not., II, c. 17 v. (11 luglio 1262): Ego Obertinus confiteor me habuisse a te l. 8,10 fan. pro quibus promitto tibi ire pro te et tuo cambio in una ex galeis commis Janue, que ire debent in Romaniam. Canal, 480, riferisce che 18 galere veneziane al comando di Marco Michel avrebbero sorvegliato il mare, ma che però 30 galere genovesi sarebbero andate a Costantinopoli per altra via. Il racconto potrebbe riferirsi anche alla flotta genovese del 1262, visto il numero delle navi alquanto approssimativo; ciò però non può andare, perchè il Canal dice che Marco Michel è poi morto. La sua morte deve cadere prima del 15 maggio 1262, perchè il 5 gennaio 1262 (Urkunden zur àlteren, III, p. 49; l’indizione V dimostra che il computo è quello dell’anno della natività; cambiarla in IV sarebbe un errore) il Doge, oltre ad altri, conferisce poteri anche a Marchum Michaellem capitaneum gallearum nostrarum et gentis Romanie, per concludere un trattato col Villehardouin, che ha luogo il 15 maggio (ibid., p. 46). I rappresentanti di Venezia sono i medesimi nominati nell’istrumento di procura, soltanto che invece di Marco Michel vi figura Johanne Zulliano capitaneo. Se dunque, almeno a Venezia, lo si riteneva ancora vivo il 5 gennaio, deve essere tuttavia morto prima del 15 maggio; v. anche ibid., p. 51 e sgg. La relazione del Canal non può riferirsi ad altro che alla flotta genovese del 1261, della quale esagera la forza. 17 Canal, 480, 482. Siccome non è detto che le 37 e le 18 galere si fossero riunite, e poi si parla di 37 galere soltanto, può darsi che le 18 fossero tornate indietro. Urkunden zur àlteren, III, p. 44 e sgg., nr. 347 (12 marzo 1262): deliberazione del Consiglio a Venezia per supplire alle spese prò armamento 30 galearum, que ordinate sunt mitti in Romaniam. Viene pure fatta menzione della costruzione di navi e taride, che in ogni caso dovevano essere destinate al trasporto oltre mare degli attesi crociati. - 127 - Libro II - Cap. primo e non poteva essere stata altro che la prima flotta genovese quella che avevano incontrato a Salonicco. Sarebbero venute volentieri a battaglia con essa, ma se ne astennero. A causa delle misure di difesa prese, un attacco si dimostrava inattuabile18. I Veneziani cercarono quindi d’incontrare la seconda flotta genovese, che sapevano in viaggio, ma anche questo non avvenne, perchè essa aveva preso una via differente da quella che il nemico supponeva ’9. Intanto, presso Costantinopoli, accadde un fatto il quale, oltrecchè dannoso di per se stesso, dimostrò in particolare modo alla città della laguna che cosa significasse non avere più in mano le chiavi del Mar Nero. Tre galere veneziane ed una nave con ricco carico furono attaccate nel Bosforo, al loro ritorno dal Mar Nero, da un certo numero di galere greche e da due genovesi; si aprirono un passaggio, ma soggiacquero poi alla forza della flotta genovese, agli ordini di Ottone Vento, sopraggiunta nel frattempo. Sulla nave catturata si affollò un numero di vincitori tale da farla affondare; un considerevole numero di persone annegarono. I Veneziani fatti prigionieri furono consegnati all’imperatore, che li fece barbaramente mutilare20. Tali furono i risultati della guerra marittima dell’anno 1262, abbastanza favorevoli per gli alleati greci e genovesi. Costantinopoli poteva 18 Canal, 482. Non è ammissibile che 60 galere e 4 navi non avessero osato affrontare una battaglia in alto mare contro 37 galere. Genova nel 1261 aveva mandato soltanto 10 galere e 6 navi. Forse vi saranno state anche galere greche, però Canal non lo dice; secondo lui possiamo soltanto ritenere che l’equipaggio fosse rinforzato da Greci. Non è detto perchè la flotta genovese fosse andata a Salonicco; forse era in vista qualche azione contro le isole. 19 Canal, 1. c. 20 Le relazioni del Canal, 484, e degli Annali, 244 [IV, 49], sono discordanti, per modo che non possiamo formarci un’idea esatta della situazione. Non si può ammettere che si tratti di due avvenimenti diversi. In via principale dobbiamo seguire gli Annali. Si potrebbe ammettere che le tre galere fossero salpate da Negro-ponte per portare in patria i mercanti che ancora si trovavano sulle coste del Mar Nero. Gli Annali non dicono che essi avessero esercitato per via la pirateria, ma questo è probabile e verrebbe a spiegare la crudeltà dei Greci contro i prigionieri. Canal dice che la nave fu presa in Mar Nero; egli in ogni caso esagera considerevolmente il numero e le perdite degli avversari, nè è possibile precisare meglio il momento in cui avvenne il fatto. Dandolo, 370, dice che Lorenzo Tiepolo, quale bajulo di Negroponte, era stato il promotore della spedizione delle tre galere; Canal però non lo nomina, ma bensì a p. 488, nel 1263. Il 5 gennaio e 15 maggio 1262 è bajulo Andreas Barbadicus: Urkunden zur àlteren, III, pp. 46, 49. - 128 - La guerra in Romania considerarsi in condizione più sicura, però era da attendersi che Venezia nella successiva estate avrebbe mandato una nuova flotta. Inoltre il Paleologo non conosceva ancora chiaramente le intenzioni del papa, nè poteva prevedere quale esito avrebbero avuto le sollecitazioni di Balduino in Occidente. In qualunque caso gli conveniva tenersi forte in armi. A tal uopo l’imperatore impiegò un mezzo idoneo, procurandosi partigiani nelle città vicine, il cui aiuto gli era tanto prezioso. Il conte Guglielmo di Ventimiglia era stato fatto prigioniero in guerra21 ; la sua famiglia manteneva una posizione non insignificante al confine occidentale del territorio genovese22. L imperatore lo mette in libertà23 e gli dà in moglie una figlia del suo predecessore Teodoro Lascaris24 profittandone per liberarsene col miglior garbo. Egli manda gli sposi novelli a Genova con ricca dote s, li fa accom- 21 Belgrano, Cinque docc., p. 227 e sgg.: lettera dell’imperatore al Comune, la quale doveva essere stata spedita nell’autunno 1262, essendovi nominato Palmerio da Fano quale Podestà; in essa si dice: (galeas) debemus tenere pro toto hyeme et usque ad primum tempus. Quanto al ramo della famiglia, cui il conte appartiene, vedasi l’albero genealogico in Savio, I conti di Ventimiglia, p. 455; v. oltre, cap. II. In ogni caso dobbiamo ammettere una parentela col conte Enrico di Ventimiglia, zelante partigiano di Manfredi (cfr. Ficker, II, p. 513 e Salinas, Di alcune iscrizioni cefalutane del sec. XIII, p. 328 e sgg.). Perciò egli avrebbe potuto trovarsi fra le truppe di aiuto per il Villehardouin ed essere stato fatto prigioniero nella battaglia (Belgrano, Cinque docc., 1. c.: pugna) dell’ottobre 1259: cfr. Hopf, Gesch. Griech., p. 282 e sgg! Che egli fosse venuto direttamente da Genova, come afferma Pachym., I, 180, sta in contraddizione con l’esplicito tenore della lettera: cfr. anche Gioffredo, Storia delle Alpi Marittime, p. 598. Inoltre egli è imparentato coll’ammiraglio genovese Pietro Avvocato: L.J., I, 1329 e sgg. Cfr. oltre, cap. II. 22 Di fatto le proprietà di Guglielmo Peire furono vendute ed occupate dal conte di Provenza (v. oltre, cap. II), ma l’altra linea, cui apparteneva il conte Enrico, rimase indisturbata nei suoi possessi: Gioffredo, 608. 23 Non sarebbe cosa impossibile che i Genovesi si fossero prestati per il conte. Belgrano, Cinque docc., 1. c., deprecacene et intercessione intermediante, forse con riferimento ad una disposizione del trattato: L.J., I, 1353. 24 Belgrano, Cinque docc., 1. c.; Pachym., I, 181; Niceph. Greg., I, 93. E’ una delle sorelle del minorenne Giovanni Lascaris, escluso da Michele Paleologo nella successione: Pachym., 1. c. 25 Pachym., 1. c.; Niceph. Greg., 1. c.; Belgrano, Cinque docc., 1. c. L’importo di 20000 iperperi dev’essere impiegato ut ipse emeret intratum in vestro comuni-, quindi egli deve comperare proprietà fruttifere (come il conte Lotto di Donoratico nel 1292: L.J., II, 295). Ciò poteva essere utile anche per Genova e perciò l’imperatore dice nella lettera che non voleva mandarlo in nessun altro paese per dimorarvi. — 129 — Libro II - Cap. primo pagnare da due inviati, che devono trattare sull’utile impiego del denaro26, ma cui conferisce pure altri incarichi. Uno di essi, Oberto Doceano, è incaricato di recarsi presso la Santa Sede, esprimendo al Comune il desiderio del Paleologo che non vi mandi insieme un suo delegato. Scopo di tale missione è quello di ottenere la revoca della scomunica 27. Se tutto ciò scopre un lato della sua politica, cioè il desiderio di togliere di mezzo il motivo di una crociata contro di lui mediante una conciliazione col papato, o almeno di ottenerne la speranza, d’altra parte la chiusa della lettera lascia prevedere importanti avvenimenti per l’anno 1263. L imperatore desidera tenere le galere ch’egli ha presso di sè durante tutto 1 inverno fino alla primavera. Se i Veneziani avessero armato una flotta, per numero di navi superiore a quella genovese che si trovava allora in Romania, questa avrebbe dovuto essere rinforzata da una nuova spedizione, il che non sarebbe stato necessario nel caso contrario, poiché il numero attuale delle navi pareva sufficiente ed egli non intendeva disperdere inutilmente i suoi tesori. Non vi è cenno all’idea di una grossa guerra navale per 1 anno seguente. Per Genova era desiderabile l’allestimento di una flotta possibilmente grande, perchè questa avrebbe assicurato la vittoria con poca spesa per essa, dal momento che l’equipaggio ne avrebbe ricavato denaro e bottino. Ma il Paleologo poteva sentirsi preoccupato dall’idea di far fare la guerra da formidabili alleati pagati a caro prezzo; è perciò probabile che egli preferisse crearsi una propria forza marittima28. 26 II iuxta leges habere ius proprium potrebbe forse intendersi in riferimento a possedimenti con giurisdizione. Difficilmente gli acquisti potevano essere stati fatti in questo modo. Invece il conte nel 1274 riceve di ritorno i suoi beni ereditari (v oltre, libro III, cap. V). Sul riconoscimento dei suoi diritti in Roccabruna da parte del Comune ed il riacquisto di essi, v. L.J., I, 1413 e sgg. Ciò va messo in rapporto forse col mutamento dei rapporti di Genova col Paleologo; il conte Isnardo Travacha invece riscatta alcuni possessi fondiari presso Roccabruna che, come sembra, si trovavano da lungo tempo ipotecati (16 novembre 1264; App. 3, nr. 14, c. 184 v.); fin da allora egli doveva essere in relazione col re Alfonso di Castiglia: Fol. Not., Ili, 1, c. 65 v.; cfr. Busson, Doppelwahl, p. 89, n. 4. 27 Belgrano, Cinque docc., p. 228: propter increpationis dissolutionem. Fra gli inviati nominati in Rayn., anno 1263, par. 23, non figura Obertus Doceanus. Fino a qual punto fossero arrivate le trattative non è chiaro, poiché la lettera (Reg. d’Urbain IV, p. 72, nr. 182) del 19 gennaio 1263 poteva produrre un cambiamento della situazione. 28 Cfr. Pachym., I, 188. - 130 - La guerra in Romania Sono quindi esagerati i timori che il papa esprimeva nella sua lettera ai baroni di Cipro 29. Invece di attaccare questa lontana isola e Creta, i Greci avevano abbastanza da fare per assicurarsi, nei confronti del Ville-hardouin nella guerra che stava per scoppiare nuovamente, Malvasia e le altre città della Morea, alle quali egli aveva dovuto rinunziare per riacquistare la libertà 30. Tuttavia queste voci, forse provocate dalParrivo degli inviati imperiali a Genova, potevano aver indotto Urbano IV a tentare di mettere ancora a prò la sua influenza31. E’ sorprendente però come egli non avesse ancora applicato le minacciate misure coercitive32. Egli esortò di nuovo il Comune a rompere la lega con lo scismatico, a richiamare equi-paggi e navi e a ritornare nel grembo della Chiesa. E come se le trattative precedenti non fossero state infruttuose, entro un mese doveva presentarsi al papa un sindaco munito dei poteri relativi, per prestare obbedienza agli ordini della Sede apostolica in tutto ciò che riguardava la questione. In caso di disobbedienza, il papa minacciava di privare la città della sede arcivescovile, di tutti i privilegi ch’essa aveva dalla Chiesa e di tutti gli altri benefici, con riserva di ulteriori provvedimenti. Il contegno del governo genovese non fu diverso, anche ora, da quello del 1261. Si mandarono alla Curia, ad Orvieto, tre inviati con un cancelliere33, mentre si procedeva intanto tranquillamente all’allestimento d’una nuova flotta34. Il Paleologo non la pagò35 — nemmeno forse ne fu richie- -9 Mas Latrie, Hist. de Chypre, III, p. 653 e sgg.: 12 gennaio 1263; cfr. Reg. d'Urbain IV, p. 76, nr. 188. 30 Hopf, Chron. Gréco-Rom., p. 116; Buchon, Rech. hist., I, p. 153 e sgg.; cfr. Hopf, Gesch. Griech., p. 282 e sgg. 31 Reg. d’Urbain IV, p. 72, nr. 182: 19 gennaio 1263; cfr. Posse, p. 18, nr. 211: 20 gennaio. 32 Secondo Mas Latrie, Hist. de Chypre, 1. c., non fu ordinato l’allontanamento dei Genovesi. 33 Annali, 245 [IV, 50]. I nomi sono Guido Spinola, Simone Stregliaporco e Napoleone da Voltaggio iudex-, v. Reg. d’Urbain IV, p. 99; lo scriba è Obertus Barberius de Rapallo. App. 5, nr. 16 (30 aprile 1263): Urbano IV concede una prebenda ad Opicino nato iwbilis viri Simonis Streiaporci civis lan. 34 Fol. No t., I, c. 545 v. (28 marzo 1263), cita constituti pro comuni Janue super armamento galearum, que iture sunt in Romaniam-, c. 546 (5 aprile): Willielmus, qui servire dehet in presenti armamento Romanie per menses 4 a die quo galee movebunt a portu Janue; sull’anticipazione del soldo per quattro mesi cfr. Amali, 245 [IV, 49-501; v. anche Fol. Not., I, c. 546 v.: 17 aprile; c. 547: 19 aprile. 35 Annali, 245 [IV, 49], i due ammiragli hanno anticipato al Comune lire 36000 prò ipso armamento. - 131 - Libro II - Cap. primo sto — poiché Venezia in quell’anno aveva mandato fuori soltanto 32 galere al comando di Gilberto Dandolo ed è difficile che i crociati vi abbiano preso parte. Il numero delle navi genovesi a disposizione dell’imperatore doveva essere molto maggiore37; sembra però che non tutte38 avessero avuto l’incarico di portare munizioni da guerra a Malvasia39. Contro la consuetudine, il comando era stato affidato a quattro ammiragli40, i quali probabilmente avevano occupato per via qualche isola dell’arcipelago. Quando la flotta arrivò presso Sette Pozzi41, ebbe notizia che quella veneziana, in rotta per Negroponte, era vicina42. Fu deciso di attaccarla, ma, come era avvenuto nelle battaglie di Siria, l’organizzazione fu 36 Canal, 486; la flotta dell’anno 1262 tornò indietro: ibid., 484. 37 32 galere del 1262, 10 del 1264; v. sopra. 38 Annali, 245 [IV, 51]: 38 galere; Canal, 488: 39 e 10 seities-, Gest. des Chipr., 157: 28 galere da ambe le parti, il che è decisamente troppo poco. 39 Annali, 1. c.: cum exercitus galearum nostrarum, que erant numero 38, navigarent ad Malvaxium ex precepto imperatoris, causa portandi ad ipsum locum, qui per imperatorem tenetur, quedam guarnimenta. Malvasia era stata ceduta dal ViUehardouin ed ora ormai il punto d’appoggio per i Greci in Morea, dunque un atto di ostilità contro di quello, il che è sagacemente taciuto dall’annalista; v. la lettera del 7 maggio in Reg. d’Urbain IV, p. 100; dopo tutto ciò, probabilmente, l’incontro con i Veneziani, da collocare al più tardi nel marzo 1263. Nella lettera si parla di occupazione di alcune isole, alla quale potrebbe riferirsi la notizia alquanto indeterminata di Pachym., I, 204 e sgg. 40 Gest. des Chipr., 157; Canal, 488. 41 Annali, 245 [IV, 51]; Gest. des Chipr., 157; cfr. Atlante idrografico T. Luxoro, p. 97. 42 Annali, 245, linea 29 e sgg. [IV, 51]; il senso del passo, in particolare, non è chiaro; Canal, 488, dà notizie particolareggiate sulle ricognizioni che precedettero la battaglia; naturalmente dal punto di vista di un cronista di parte veneziana. La flotta veneziana si sarebbe trovata nel porto dell’isola quando si avvicinò una saettia, che soltanto più tardi venne riconosciuta per nemica; due galere l’avrebbero inseguita e avrebbero visto al largo la flotta genovese venir loro incontro. Esse la segnalano subito alle altre galere, che escono quindi dal porto. Canal dice espressamente che i Genovesi sapevano che i Veneziani si trovavano presso Sette Pozzi; invece, secondo gli Annali, 245 [IV, 51], anche i Genovesi sarebbero arrivati presso Sette Pozzi, mentre Canal dice che essi avrebbero atteso il nemico presso l’isola di Porcaires (?), e da lì sarebbero loro andati incontro. E’ quindi certo soltanto che era intenzione dei Genovesi di dare battaglia. Se del resto Canal, in contraddizione con gli Annali, dice che la flotta veneziana avrebbe cercato la genovese, non è il caso di darvi gran peso, poiché per lui questi termini sono tipici riguardo alla flotta: v. pp. 480, 482. Il numero - 132 - La guerra in Romania manchevole. Secondo quanto riferiscono gli Annali, 14 galere soltanto presero parte al combattimento, per prime certamente quelle dei due ammiragli Pietro Avvocato e Lanfranco Dugo Spinola43. Essi combattono valorosamente 44, ma senza alcun valido appoggio da parte dei loro colleghi. I nemici penetrano dapprima nella galera di Pietro Avvocato. Egli cade, lo stendardo è abbattuto; poi i Veneziani prendono pure la galera dello Spinola, che si salva in una barca45, e altre due ancora. Quando la bandiera del secondo ammiraglio fu abbassata, i Genovesi si diedero alla fuga, ma per le perdite che gli avversari avevano subito non furono inseguiti46. Non si può dire che la flotta veneziana avesse riportato una decisiva vittoria, non essendo neppure riuscita a tagliar la strada per Malvasia alla genovese, che, dopo la sconfitta, vi arrivò indisturbata47 senza aver ottenuto il minimo vantaggio dal suo successo. Essa procedette per Negro-ponte, alla cui difesa era fin da principio destinata48, ma non vi compì alcun altro fatto 49. delle galere veneziane che parteciparono alla battaglia è di 31 secondo il Canal, 480; di 30 (?) secondo una nota posteriore degli Annali, 245, var. f [IV, 51 e var. di; di 28 in Gest. des Chipr., 157. 43 Annali, 245 e var. g [IV, 51]; Canal, 490; Gest. des Chipr., 157. 44 Annali, 1. c. [IV, 51-52]. I successi iniziali sono certamente esagerati, ma Canal, 490, dice che i Veneziani avevano già perduto una galera, che però ripresero più tardi. 45 Annali, 245, var. h [IV, 51, var. al; Canal, 490. Secondo Gest. des Chipr., 157, lo Spinola è già morto. 46 Canal, 492, dice che i Genovesi ebbero una perdita di 600 morti e 400 prigionieri; poiché egli indica il numero dell’intero equipaggio in 6000 (p. 488) e, secondo gli Annali, soltanto 14 galere avevano preso parte al combattimento, così rimane incomprensibile come le 10 fuggite avessero ancora, dopo tali perdite, un sufficiente numero di rematori. Per lo meno la quantità dei morti è molto esagerata, se da parte veneziana ne erano caduti soltanto 20, mentre i feriti dovevano essere 400. Gest. des Chipr., 157, dicono che i Genovesi perdettero 13 galere, in contraddizione con gli Annali ed il Canal. 47 Annali, 1. c.; Canal, 492. [Poiché il papa in Orvieto sapeva già il 7 maggio dell’arrivo della flotta genovese presso Malvasia (v. Reg. d’Urbain IV, II, p. 100), così la battaglia di Sette Pozzi deve aver avuto luogo alcune settimane prima e quindi non può essere posta con Manfroni, St. della marina, I, p. 9, n. 1, alla fine di maggio: in sostituzione dell’intera notai. 48 Annali, 1. c.; Canal, 494. Che si temesse un attacco da parte dei Greci, cfr. Reg. d’Urbain IV, p. 101. 49 Canal, 1. c. Non si può dedurne che la sosta fosse durata breve tempo. - 133 - io Libro II - Cap. primo Le trattative che frattanto correvano alla corte papale dovevano ancora trascinarsi a lungo50. Urbano IV faceva le solite intimazioni: rinunzia cioè all’alleanza con lo scismatico e ritorno in seno della Chiesa; egli rimproverava in particolare ai Genovesi che la loro flotta, sotto pretesto di combattere Venezia, devastasse i paesi del Villehardouin; che si fossero impadroniti di isole appartenenti ai Latini e persino d’aver di recente portato un grande numero di guerrieri a Malvasia. Egli ordina il richiamo delle navi, affinchè non possano più recar danno al principe e ai suoi vassalli, essendo dovere del papa provvedere alla protezione dei suoi fedeli. Gli inviati rispondono mettendo in campo gli antichi meriti del loro Comune verso la Chiesa romana. Essi non si dimostrano incondizionatamente ossequienti alle ingiunzioni del papa e probabilmente, come nel 1261, nemmeno erano a tanto autorizzati. Dichiarano risultar loro cosa nuova le lagnanze circa le molestie recate al Villehardouin, di non esserne mai stati a conoscenza prima d ora; che nelle loro istruzioni nessun cenno era fatto su questo particolare, ma che speravano che il loro Comune sarebbe stato completamente pronto a piegarsi ai desideri della Chiesa. In seguito a ciò il papa spedisce il 7 maggio una nuova lettera, ripetendo le antiche intimazioni51. Questa volta egli interdice anzitutto qualunque attacco a Ne-groponte, come pure di trasportarvi uomini e munizioni da guerra. Forse Urbano IV intravvedeva la difficoltà di arrivare a un risultato con soli ordini e minacce, tanto e vero che prometteva di adoperarsi per una onorevole pace con i Veneziani, in modo che Genova venisse risarcita dei darmi sofferti. Certo era questo l’unico mezzo che offrisse una probabilità di successo; soltanto che il papa avrebbe dovuto fin da molto prima fare uso a tal fine della sua suprema autorità, anziché accontentarsi della pace apparente sulle coste della Siria. Il compromesso del 1258 non aveva avuto esecuzione, nè di ciò si poteva far colpa a Genova. L’arcivescovo di Torres fu incaricato della consegna della lettera52. Se Genova, sotto vincolo di giuramento e con prestazione di garanzia, prometterà di richiamare la flotta, egli sospenderà l’interdetto. Se non tro- 50 Annali, 1. c.; Reg. d’Urbain IV, p. 99 e sgg. Il risultato viene comunque riassunto. 51 Ibid., p. 98 e sgg., nr. 228. 52 Ibid., p. 101, nr. 229 : 7 maggio. Il suo nome è Prospero: v. Tola, Cod. dipi. Sard., I, 382. - 134 - La guerra in Romania vera obbedienza53, egli annunzierà solennemente che la città sarà privata della sede arcivescovile e di tutti i privilegi ed onori accordatile dalla sede apostolica, e che i suoi cittadini, come persecutori dei cristiani cattolici, saranno considerati come proscritti54. Tale sentenza sarebbe stata comunicata a tutti i re e principi credenti, con l’invito a comportarsi nel modo che più ritenessero opportuno per l’incremento della fede cattolica e della comunità cristiana55, acciocché i Genovesi, che non avevano potuto essere distolti dal mal fare con la dolcezza e la persuasione, fossero domati con la durezza di una giusta vendetta. Non si può ammettere che il governo del Comune avesse seriamente pensato a sottomettersi alle ingiunzioni del papa. Tutte le premure degli inviati riuscirono vane56, e ciò costituiva effettivamente una seria difficoltà. La nuova flotta non era stata ancora interamente allestita. Se intanto arrivava il legato, egli ne avrebbe proibito certamente la partenza. La cerimonia per l’annuncio della scomunica, il divieto del servizio divino e le altre misure minacciate avrebbero potuto fare impressione sulle masse, tale da far temere lo scoppio di tumulti. La partenza dell’arcivescovo di Torres dalla Curia potè essere procrastinata57, ma non sappiamo attraverso 53 Reg. d’Urbain IV, p. 102, nr. 230: 7 maggio; perciò le indicazioni degb Annali, 245 [IV, 250], non sono esatte. 54 Reg. d’Urbain IV, 1. c., diffidatosi il senso è chiaro, cioè che essi possano essere ovunque derubati. 55 Ibid.: rei publice Christianitatis. 56 Annali, 245 [IV, 50]: ambaxatores... nichil facere potuerunt. L’intera esposizione deve essere accettata con circospezione, perchè l’annalista adopera ad arte espressioni vaghe, che velano il vero stato delle cose. Essa non dice, per es., che gli inviati furono mandati là per ordine del papa; ma nemmeno dice che furono mandati dal Comune, perchè questo sentiva il bisogno d’essere sciolto dall’interdetto. L’espressione occasione excomunicationis si adatta ad ambedue le possibilità, il vero motivo dell’interdetto è taciuto. Che esso sia stato pronunciato ad peticionem ambaxatorum Veneciarum et imperatoris Balduini neppure è esatto e non è detto a p. 243; secondo i documenti, Urbano IV agì di propria iniziativa. Non è chiaro del resto quali fossero le molte altre questioni sulle quali gli inviati trattarono con la Curia. 57 Annali, 245 [IV, 50]. Il relatum fuit publice per civitatem si deve probabilmente tradurre nel senso che fosse una proclamazione pubblica; però si può anche pensare a una notizia ufficiale. L’annalista non vuol dire chiaramente con quale mezzo si riuscì a ritardare l’arrivo. Poiché le lettere papali erano del 7 maggio, il legato poteva benissimo essere arrivato 14 giorni dopo. — 135 — Libro II - Cap. primo quali influenze. Si pensava ad un certo successo delle trattative del Paleologo 58; in quei giorni i suoi inviati si trovavano presso la Curia59. Nella lettera che avevano recato al papa, l’imperatore si lagnava per la scomunica dei suoi alleati60. Se Urbano IV aveva trovato conveniente d’intavolare delle trattative con lui, non avrebbe potuto dimostrarsi eccessivamente duro verso questi ultimi. Il 28 maggio 25 galere, 1 saettia e 5 barche salparono dal porto di Genova al comando di Petrino Grimaldi e Pesceto Mallone61 destinate a portar guerra ai Veneziani in Romania62. Fu solo verso la fine di giugno che gl inviati genovesi ritornarono dalla Curia e con loro l’arcivescovo di Torres, il legato63, il quale espose al Consiglio i suoi incarichi. Purtroppo gli Annali non c’informano64 per quali vie egli fosse stato indotto a non metter in esecuzione i minacciati castighi. Probabilmente nel Comune aveva trovato qualche condiscendenza alle sue richieste, almeno a quelle relative al Villehardouin; il trattato del 1261 non lo obbligava ad una guerra contro di lui. Il 19 ottobre 1263, il papa diresse una lèttera al Podestà, al Consiglio ed al Comune di Genova, con la quale li esortava a concludere pace con i Veneziani e a mandargli a tale scopo, entro un mese, dei delegati; una lettera di eguale tenore fu spedita a Venezia65. Contemporaneamente però l’arcivescovo di Torres riceveva l’incarico di riprendere le precedenti trattative per la rottura del trattato ed il richiamo della 58 Pachym., I, 209 e sgg., parla anche di doni al papa ed ai cardinali. 59 Rayn., anno 1263, par. 23-26: lettera di risposta del papa del 28 luglio 1263. Gl inviati (ibid., par. 23) dovevano essersi trovati presso la curia qualche tempo prima; cfr. ibid., par. 26. 60 Ibid., anno 1263, par. 24. 61 Annali, 245 [IV, 49 e var. hi. L’aggiunta var. b, secondo la quale anche Simone de Clantea doveva essere stato ammiraglio su questa flotta, è erronea; secondo Gest. des Chipr., 157, Simone aveva già preso parte alla battaglia navale, il che spiega anche la punizione inflittagli più tardi: Annali, 246 [IV, 52], 62 Annali, 245 [IV, 491: misit comune Janue contra Venetos in Romaniam. 63 Annali, 1. c. [IV, 51 e n. 1], 64 lbid.\ qui legatus Janue stetit per multos dies. 63 Posse, p. 24, nr. 291. Quanto a questa lettera, è in ogni caso quella data da Rayn., anno 1263, par. 17, in frammento, poiché quella contenuta al par. 15 non è di quest’anno. [Reg. d’Urbain IV, II, p. 343, nr. 721: in sostituzione dell’intera notai. - 136 - La guerra in Romania flotta 66 ; ma era difficile poter pensare ad una prossima esecuzione delle minacciate misure coercitive. Mentre venivano così riprese le negoziazioni presso la Curia, parve presentarsi l’occasione per ulteriori indugi. Avvenne cioè un fatto che, a prima vista, mutava del tutto la situazione. Le galere genovesi battute, rimaste nel porto di Malvasia, erano riuscite a prendere quattro grandi taride veneziane, che avevano a bordo viveri per la loro flotta e mercanti con molte merci67. Tutto l’equipaggio era stato fatto prigioniero 68. Indi le navi partite da Genova il 28 maggio approdarono in Romania. Il numero totale delle galere, di cui ora il Paleologo poteva disporre, ascendeva a circa 60 69, maggiore cioè di quello fissato nel trattato e di quello che i Veneziani avevano in mare. Invece di trarne profitto per piombare su Negroponte, sulla Morea, sopra Creta e Cipro, l’imperatore le licenzia tutte con l’ordine di ritornare in patria70. Gli Annali si esprimono molto oscuramente sui motivi di tale contegno, dicendo: il Paleologo, malgrado lunghe trattative, non potè intendersi con gli ammiragli, sia per il loro eccessivo numero, sia per il loro scorretto contegno. Dai motivi addotti per la successiva persecuzione in via giudiziaria, si potrebbe dedurre ch’essi si fossero resi imputabili di fatti di appropriazione e corruzione71. Da un racconto aneddotico del Ca- 66 Posse, p. 24, nr. 290 (19 ottobre), nr. 292 (20 ottobre). Nell’estratto qui dato, non appare dove la lettera indicasse il luogo di ripresa della trattativa del 7 maggio. Ibid., p. 28, nr. 340 (7 febbraio 1264), l’incaricato era l’arcivescovo di Torres con la legazione sulla Sardegna e la Corsica. [Reg. d’Urbain IV, II, p. 341, nr. 719 e sgg. (20 ottobre). Se i Genovesi non avessero obbedito entro sei mesi dall’intimazione che doveva pronunciare l’arcivescovo, sarebbero stati dichiarati dal papa scismatici e nemici della cristianità, attraverso comunicazioni inviate a tutti i principi, di qua e di là del mare, ac personas et bona eorundem civium, ubicumque inventa fuerunt, exponemus libere ipsis aliisque Christi fidelibus occupanda: in sostituzione dell’intera notai. 67 Annali, 245 [IV, 52]; Canal, 492, 494. Successore di Pietro Avvocato come ammiraglio fu Janella Avvocato: Annali, 246 [IV, 53]. 68 Secondo Canal, 494: 120 mariniers. 69 Annali, 246 [IV, 52]; Canal, 494. Probabilmente però navigarono dapprima tutti nelle vicinanze di Costantinopoli; forse si trovavano presso Enos, sulla costa della Tracia: v. oltre. 70 Annali, 1. c. [IV, 52]; Canal, 1. c. Che questo fosse inatteso a Genova, è provato dalla conclusione del prestito: Belgrano, Cinque docc., p. 229 e sgg., 21 settembre 1263. 71 Annali, 1. c. [IV, 52], - 137 - Libro II - Cap. primo nal72, si sarebbe portati a credere che il greco non volesse più consumare il suo tesoro per aiuti di niun valore. Per quanto poco si possa ammettere che il cronista veneziano fosse addentro alle vere intenzioni dell’imperatore, il motivo che gli attribuisce potrebbe essere esatto. In relazione all’utile che la flotta genovese poteva ancora procurargli, le spese occorrenti per essa potevano risultare troppo elevate, quantunque la sconfitta ch’essa aveva sofferto non fosse stata così rilevante da far giudicare in generale inutile la sua cooperazione. Si può forse supporre che fossero sorti dei contrasti sul modo di vedere contro chi Genova doveva effettivamente difendere l’imperatore. Il trattato era diretto contro i Veneziani, non contro il Villehardouin, ma di fatto questi si era intanto unito a quelli73 ed al papa stava particolarmente a cuore che il principe non fosse attaccato. Ora, il Canal dice che la flotta di ritorno in patria doveva portare viveri a Malvasia, ma che non lo aveva fatto74. Ciò avrebbe costituito un atto di ostilità non contro i Veneziani, ma contro il Villehardouin. Gli ammiragli mandati ultimamente si sarebbero ben guardati dal farlo, perchè essi dovevano portar guerra a Venezia e non al principe '5. I Genovesi in precedenza non si erano astenuti dal trasportare alla Morea uomini e munizioni da guerra, ma il contegno di Urbano IV poteva aver toccato la loro sensibilità. Ancorché nessuna fonte dica espressamente come il reciso rifiuto degli ammiragli di prestare aiuto contro il principe d’Acaja sia stata la causa principale del mancato accordo con l’imperatore, vi possiamo però scorgere un elemento non insignificante per il naufragio delle 72 P. 496. Il fatto dovrebbe essere posto alquanto più tardi, ma probabilmente non si svolse in questo modo. 73 Urkunden zur àlteren, III, p. 46 e sgg. 74 P. 494. Devesi forse ammettere che gli ammiragli abbiano prima acconsentito e poi non abbiano mantenuto la promessa? 0 avrebbero semplicemente sottratto il carico per poi portarlo a Genova anziché a Malvasia? Canal non ci dà certamente una chiara esposizione di ciò che avvenne fra i comandanti delle flotte e l’imperatore, nè poteva farlo, perchè scriveva in Venezia; ma non per questo dobbiamo escludere quanto narra. Egli assiste molto da vicino agli avvenimenti e ci racconta appunto quanto se ne sapeva a Venezia. Ciò può non essere rigorosamente esatto; così è in errore quando dice che Pesceto Mallone era il solo ammiraglio; egli copriva effettivamente tale carica, soltanto che aveva pure un collega. 75 V. sopra, n. 62. Nel 1261 l’incarico era un po’ più ampio. Annali, 243 [IV, 4243]: misse (se. galee etc.) fuerunt ad Romaniam in subsidium ... imperatoris contra Venetos. La guerra in Romania lunghe trattative76. Il saggio statista bizantino non intendeva servire ai Genovesi da strumento di vendetta contro i Veneziani. A lui premeva di farla finita con la straniera dominazione latina sul suolo greco. Se Genova non poteva prestare incondizionato aiuto a tal fine, le sue galere, pagate a caro prezzo, avevano ormai scarso valore per lui, tanto più che per il momento non aveva da temere nessun attacco. La prossima crociata sarebbe stata diretta contro lo Staufen, non contro il Paleologo, e Venezia sarebbe stata costretta a limitarsi a difendere gli altri suoi possedimenti. Sembra che la flotta fosse ritornata al patrio porto al principio dell’anno 1264 77. Lanfranco Dugo Spinola morì in viaggio78, evitandosi così la punizione da cui furono colpiti i suoi colleghi. Molte accuse erano pervenute a Genova sulle loro malefatte. Appena arrivati, il Podestà fece prestare cauzione agli ammiragli, ai loro consiliarii, ai capitani delle navi ed ai nocchieri, a garanzia della esazione delle multe che sarebbero state loro inflitte. Il Consiglio stabilì di nominare una speciale commissione d’inchiesta, composta di tre cospicui cittadini, incaricati di fare le opportune indagini su tutte le loro mancanze, ruberie, sottrazioni come pure sulle mancanze ai loro doveri, e sulla accettazione di denaro a scopo di corru- 76 Annali, 246 [IV, 52]: post multos et varios tractatus... nec cum eo poterant vel ipse cum eis concordari. 77 Annali, 246 [IV, 53]; App. 3, nr. 17, c. 45 (11 febbraio 1264): Nos Rai-mundus de Regna de Marsilia, qui fui nauclerius galee, de qua erat comitus Johannes Canevarius in armiragia Pescheti Maioni in viagio, et Guïllielmus Thomas, qui fui nauclerius galee, de qua erat comitus Nicolas Augustinus in armiragia Petri de Grimaldo, nominano un procuratore, per esigere totum id quod recipere et habere debemus. . . pro servicio... in viagio Romanie a... comuni seu a dictis armiragiis. C. 45 v. (11 febbraio): Peire Durante de Marsilia, che era andato sulla galera Pescheti Maioni tunc armiratici, et redivi de Heneo in Januam nella galera, il cui comitus era Pietro Costantino, nomina un procuratore per esigere il resto del suo soldo. Heneo è l’equivalente di Eno sulla costa della Tracia; v. Atlante idrografico T. Luxoro, p. 93. Che la flotta fosse rimasta là per un certo tempo, è pur dimostrato dal documento (App. 3, nr. 17, c. 49) del 20 febbraio: Johannes presbiter de S. Martino de Yrcis pater qu. Nicolay... qui decessit in Romania, scilicet in Enio (?), dichiara di aver ricevuto 10 soldi, qui processerunt de calega rerum del suo defunto figlio; c. 50 (20 febbraio); un procuratore per richiesta del soldo, nominato da uno che aveva servito in armiragia Simonis de Zaritea; ibid., c. 56 v. (11 marzo): egualmente in armiragia Janelli Advocati. 78 Annali, 246, var. a [IV, 52, var. a~\. — 139 - Libro II - Cap. primo zione. A tale incarico furono chiamati Oberto Ggala, Ido Lercari e Ansaldo Doria, assistiti da un giudice per l’esecuzione della loro sentenza. Ciò doveva avvenire nel gennaio 1264 79. Come d’uso80, il 2 febbraio un nuovo Podestà fu chiamato al governo81. Il suo predecessore Liazaro de Liazari da Bologna82 si era fatto rappresentare quasi per tutto l’anno da suo figlio Gucio œ. Questi, alla fine del suo ufficio, fu quindi sottoposto a sindacato, attraverso il quale venne riconosciuto colpevole d’aver accettato indebitamente dei doni e di non avere osservato le prescrizioni statutarie, per cui egli ed alcuni del suo seguito incorsero in una ammenda di 700 lire M. La commissione d’inchiesta obbligò Ottone Vento, Simone de Jari-tea, e Janella Avvocato a sborsare le somme di denaro di cui si erano indebitamente appropriati; inoltre il Podestà condannò i primi due, tutti i comandanti delle galere, i timonieri e i consiliarii a rilevanti multe, ad 79 Annali, 246 [IV, 531. 80 Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 36. 81 Annali, 1. c.: d. Guillielmus Scarampus civis Astensis. La famiglia doveva aver avuto in Asti una parte importante (cfr. le frequenti menzioni nel Cod. Ast., Ili, p. 1159: 2 aprile 1250; p. 1019: 3 giugno 1257). Non risulta chiaro ch’egli avesse preso una spiccata posizione di partito. In quell’epoca Asti era abbastanza libera da interne discordie, quantunque pendesse sempre più per la parte ghibellina. 82 Annali, 245 [IV, 49]. Nel 1257 era Podestà di Modena: Cronache Modenesi, 56. Savioli, III, 1, p. 444, pone un po’ più tardi la famiglia dei Liazari fra il partito guelfo dei Geremei; nel 1278 (doc. in Ghirardacci, I, p. 234) troviamo un Liazarinus de Liazariis quale rappresentante dei Guelfi intrinseci presso il papa; questi viene poi spesso menzionato (ibid., pp. 252, 267 etc.), ma a stento si può identificarlo con il Podestà del 1263. 83 In ogni caso il 28 maggio 1263. Annali, 245 [IV, 49]: tempore Gucii filii et vicarii d. Leazarii ... potestatis ]anue-, ma già il 6 marzo (App. 6, nr. 2, nr. 177) è nominato un sindaco in Albenga, per rappresentare il Comune dinanzi al Podestà di Genova o suo figlio e Vicario; difatti (ibid., nr. 174: 17 marzo 1263) è detto che nel medesimo processo veniva avanzata querela davanti al Podestà di Genova od ai suoi assessori. I castellani, che avevano preso possesso dei castelli di Ventimiglia, presentano lettere del Podestà o del suo Vicario iuxta formam litterarum d. potestatis ]anue vel eius vicarii; App. 3, nr. 10, c. 113 v. (13 luglio 1263); c. 129 (13 settembre), etc. Belgrano, Cinque docc., p. 229: 21 settembre 1263. Anche L.J., I, 1413 (23 gennaio 1264) fa menzione di Gucius in luogo del padre. Tale sostituzione, durata così a lungo, era contro le consuetudini fino allora seguite. Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 37. 84 Annali, 246 [IV, 531. - 140 - La guerra in Romania eccezione del solo Nicola S. Donato che in battaglia aveva combattuto valorosamente 85. Se dobbiamo prestare fede cieca alla relazione degli Annali, nel 1263 1 intera amministrazione dello Stato era corrotta nel modo più deplorevole e, di conseguenza, la punizione dei colpevoli da parte del governo aristocratico fu per questo un lodevole inizio. Invero i fatti del 1257 avrebbero dovuto mettere sull’avviso la nobiltà e farle capire che gli abusi grossolani dei poteri dello Stato traggono seco il malcontento del popolo a danno della propria signoria. Però, nel caso attuale, anche motivi politici influirono sulla severità del procedimento. Se gli ammiragli e tutti quelli che avevano avuto una parte direttiva nella guerra contro il Villehardouin venivano puniti, il Comune si trovava tanto più facilmente giustificato nei confronti del papa. I colpevoli erano loro. Non è da escludere che fosse stato fatto loro rimprovero d’avere accettato doni dal Paleologo per trasportare truppe in Morea, contro le istruzioni ricevute. Comunque fosse, Urbano IV ancora l’il febbraio 1264 diresse una lettera all’arcivescovo di Genova, con cui lo incaricava, ove fosse stato prestato il dovuto giuramento, di togliere l’interdetto, dal momento che i suoi cittadini avevano richiamato le navi86. Ciò però non corrispondeva alla realtà; non era stata 85 Annali, 1. c. [IV, 53]. Nella graduazione delle ammende è curioso che i corniti siano stati condannati a lire 100 ed i nauclerii & lire 300. Come motivo si adduce pro suis excessibus, ciò che non significa di certo « per contegno vile durante la battaglia ». Pesceto Mallone e Petrino Grimaldi non vengono puniti; per Janella Avvocato è sufficiente la restituzione di somme. Invero i due primi non avevano preso parte alla battaglia, l’ultimo per lo meno non era responsabile della sconfitta; ma di ciò neppure potevano essere troppo colpevoli i comiti delle 10 galere che si erano messe in salvo dalla mischia. Gli excessus consistettero nel trasporto dell’equipaggio e delle provvigioni di guerra a Malvasia. La commissione dei tre ha solo lo scopo di punire le trasgressioni degli ammiragli in questioni pecuniarie, che richiedevano difficili indagini. Gli aiuti contro il Villehardouin erano notori e per questo, tramite il Podestà, si imbastì un processo. Gli Annali non specificano se le condanne furono eseguite. [Gli excessus saranno quindi consistiti non solamente in estorsioni illegali, ma anche nelle ostilità contro il principe di Acaja e contro i suoi vassalli delle isole. Io devo tenere ferma questa opinione, contro Manfroni, St. della marina, I, p. Ile sgg. Cfr. anche Norden, Das Papstum und Bisanz, p. 427, n. 2: in sostituzione del periodo precedente, da « Gli excessus ... ]. 86 Posse, p. 28, nr. 341. Cfr. Rayn., anno 1264, par. 57. Sotto debitis receptis iuramentis è chiaro intendere come il Comune dovesse promettere di rinunciare alla lega con il Paleologo. — 141 — Libro II - Cap. primo Genova a ordinare il ritorno delle galere, ma il Paleologo. Nulla era più lontano dalle intenzioni del Comune che di romperla coll’imperatore. In ogni caso esso non aderì alla richiesta e la scomunica rimase in vigore; ma intanto veniva così felicemente sventato un più severo procedimento da parte del papa. Non è chiaro se le trattative allora progettate fra Genova e Venezia presso la Curia87 fossero venute a capo. Qualche cosa però doveva essere successo, perchè il Canal88 informa come per intromissione di monaci i prigionieri furono rilasciati in libertà da ambo le parti; possiamo dedurre che il numero degli uni e degli altri non doveva essere molto differente. In tal modo ebbe termine una fase del conflitto fra le due potenze marittime. Genova non aveva propriamente vinto, ma si era comunque assicurata i vantaggi che, attraverso la felice piega degli avvenimenti, intendeva conseguire. A battere il nemico in Romania a spese dello straniero non era più il caso di pensare, ma intanto non era perduta la posizione estrema-mente vantaggiosa ottenutavi, almeno finché durava la lega con i Greci. Solo poteva essere discutibile se questa situazione avrebbe potuto durare dopo che si era accentuata chiaramente nei due alleati la rispettiva diversità di vedute. [Reg. d’Urbain IV, II, p. 361, nr. 756. I Genovesi devono giurare di non muovere più guerra ai principi di Acaja e specialmente all’isola di Negroponte ed inoltre di non prestare aiuto all’imperatore a tale scopo. La revoca della scomunica non è subordinata allo scioglimento della lega con l’imperatore, che in ogni caso avrà luogo fra sei mesi: in sostituzione dell’intera notai. 87 Posse, p. 34, nr. 411 e sgg. E’ usata l’ordinaria forma di saluto diretto agli scomunicati: spiritum consilii sanioris. [Reg. d’Urbain IV, II, p. 409, nr. 850 (22 giugno), nr. 851 (17 giugno). Il monaco domenicano, mandato dal papa a Genova, doveva sospendere l’interdetto fino a S. Michele. Sembra però che i Genovesi abbiano mantenuto il loro contegno altero di fronte all’arcivescovo di Torres (ibid., p. 362): in sostituzione dell’intera notài. 88 P. 496. Egli nomina il domenicano frere ]orge, che andò a Venezia, e 2 reverendi, fr. Almeric e fr. Laurens che si recarono a Genova. [Reg. d’Urbain IV, II, p. 490, nr. 852 (20 giugno)]. - 142 - Capitolo secondo Il trattato con Carlo d’Angiò e tentativo di Simone Grillo La contea di Ventimiglia. - Vendita a Cario d’Angiò e a Genova. - Sistemazione tra Carlo e Genova. - Ulteriori condizioni della convenzione del 1262. - Il tentativo di Simone Grillo. - Dissidi tra i nobili. - Loro accomodamento. E’ notevole il singolare contrasto che troviamo in una lettera diretta da Urbano IV al Comune *, in cui se da una parte vengono adoperate le formule di saluto consuete per gli scomunicati, si lodano in pari tempo i Genovesi per aver resistito alle macchinazioni di certi tali, che avevano cercato di allontanarli dalla fedeltà verso la Chiesa. In modo più chiaro non poteva manifestarsi la doppia posizione nella quale il papa si era messo. Come capo supremo del cattolicesimo egli aveva pronunziato l’interdetto sulla città che si era alleata con lo scismatico; ma poi non poteva spingersi fino alle ultime conseguenze. Se Genova si fosse rivolta al persecutore della Chiesa romana, Manfredi, il danno che il papato ne avrebbe risentito sarebbe stato maggiore di quello che gli sarebbe derivato se i latini avessero perduto l’intera Morea. Le negoziazioni della Curia con Carlo d’Angiò erano prossime alla conclusione; già questi aveva mandato truppe a Roma2, naturalmente per via di mare, poiché il passaggio attraverso l’Alta Italia non avrebbe potuto essere superato se non da un grande esercito. Se una flotta genovese avesse bloccato i porti della Provenza, il viaggio di Carlo, come era accaduto nel 1265, sarebbe stato fin da principio impossibile. Il Comune aveva certamente grande interesse a mettere freno alla potenza del suo vicino avido di conquiste. Di fronte ai precedenti conti di Provenza esso non aveva nutrito grandi timori, aveva potuto anzi osare di contestar loro il possesso di Nizza3, ma tale condizione mutò dopo che Carlo vi assunse con forte mano la signoria. Già da molto tempo i 1 Posse, p. 34, nr. 412: 22 giugno 1264. [Reg. d’Urbain IV, II, p. 409, nr. 850 (22 giugno): in sostituzione dell’intera notai. 2 Cfr. Sternfeld, Karl von Anjou, p. 202. 3 Annali, 136, 174 [II, 137-138; III, 47-48]; L.J., I, 870. — 143 - Libro II - Cap. secondo conti di Ventimiglia tenevano i loro possedimenti in feudo da Genova4 e le frequenti rinnovazioni dei trattati dimostrano come non fossero rari i conflittis. La stirpe dei conti, divisa in parecchi rami, era rimasta indebolita per le suddivisioni, e già alcune proprietà erano andate perdute 4 Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 13; Annali, 350 [V, 162]: cum totus dictus comi tatus (se. Vintimilii) teneretur in feudum per comites Vintimilii a comuni Janue eo tempore quo d. rex Karolus... emit eum a dictis comitibus. 5 II seguente albero genealogico dei conti di Ventimiglia è riportato dal Savio P. 455, v Guillielmus (I) (già morto od 1234: L.J., I, 943) _ I _ _ I Obertus I I T I Guillielmus (II) (già morto nel 1257) _ i _ i Manuel (già morto Del 1257) i I I I ! Boni- Veirana Guilliel- Guillielmus Raymundus Petrus fadus m. di Pagano minus Peire Rostagnus Balbus diCeva (III) (v. sopra, (già morto cap. I) nel 1257) i i Boni- Georgius facius (già morto nel 1262) Manuel In Cais de Pierlas, Statuts et Privil. acc. au comté de Vint., p. 118 (30 luglio 1249): convenzione fra il Comune di Genova e Raimondo Rostagno, quale rappresentante di Guglielmo, Guglielmino e Guglielmo Peire. Da essa si rileva che allora il castello di Roccabruna aveva presidio genovese e che al termine della guerra con Federico II doveva essere restituito al conte Guglielmo. Il che non doveva essere avvenuto; di qui la causa di nuove discordie. Il 29 ottobre 1255 -Annali, 234 [IV, 18] - risulta che il Consiglio di Genova decidesse di cassare questa convenzione con Guglielmo ed i suoi figli e certamente in seguito (Cais de Pierlas, Statuts, p. 120), il 15 novembre 1255, Andrea Gattilusio, capitaneus in Riviera prò comuni Janue, doveva aver promesso che il castello sarebbe appartenuto ad essi, il che, il 14 dicembre 1255, veniva confermato dal Podestà e Consiglio, quantunque poi il 13 gennaio 1256 - Annali, 234 [IV, 18-19] - ne fosse stata fatta dal Podestà dichiarazione di nullità; non è possibile mettere il 1257 al posto del 1256, come opina Sternfeld, Karl von Anjou, p. 126, n. 2; le indicazioni cronologiche (genovesi) 1256, ind. XIII, ed il nome del Podestà combinano soltanto col 1256. Alla fine del 1257 si venne ad un accordo. Il 28 novembre 1257 il Comune manda Jacopo Boccanegra con due Anziani sul posto per appianare tutte le controversie, con poteri illimitati di concludere convenzioni etc.: Canale, II, p. 136, da App. 3, nr. 13, c. 189 v. L’8 dicembre 1257 (App. 3, nr. 13, c. 189; Canale, II, p. 136 e sgg., excerpta da Cais de Pierlas, Statuts, p. 121 e sgg. con il documento da altra fonte, con molte lacune e senza data) essi stipulano una convenzione con Bonifacio - 144 - Il trattato con Carlo d’Angiò e tentativo di Simone Grillo Nei castelli di Monaco 6 e di Roccabruna si trovavano presidi genovesi. La città di Ventimiglia godeva d’indipendenza municipale, che non potè mantenere di fronte a Genova, con la quale però nel 1251 concluse un patto e Giorgio, figli del defunto Manuel, che, con alcune variazioni, conferma quell’altra del 10 gennaio 1253. I conti devono aiutare il Comune in caso di guerra, contro indennizzo delle perdite che potessero loro derivarne; ricevono inoltre un assegno annuo di lire 40 a partire dal prossimo 2 febbraio, che viene designato con il nome di feudum; ogni qualvolta il Comune lo stimasse opportuno, essi dovranno dare due dei loro figli in ostaggio. In ogni caso, ancora prima era stato stipulato un accordo in Genova stessa dal Podestà e dal Capitano con Guglielmino, in rappresentanza pure dei suoi fratelli Guglielmo Peire e Pietro Balbo (ibid, p. 119 e sgg., naturalmente non nel 1254, perchè allora nè Rainerio Rosso era Podestà, nè il Boccanegra Capitano). Guglielmo è indicato come defunto (quondam), quindi la sua morte deve cadere fra il 13 gennaio 1256 e la fine del 1257. I suoi figli ritornano nelle grazie (gratia) del Comune; viene confermata la convenzione del 1249, riguardante gli aiuti ch’essi devono prestare in caso di guerra ed altro, così come nella convenzione esistente con l’altra linea della famiglia. Roccabruna deve appartenere loro come era stato convenuto il 15 novembre 1255. Come ciò fosse, è dimostrato da ulteriori documenti (App. 3, nr. 13, c. 189 v.t 11 dicembre 1257): Jacobus Buccanigra, inviato (nuntius) del Comune, induxit d. Guilliel-mum comitem Vintimilii, filium quondam comitis Guillielmi de Vintimilio, in possessionem per baculum, quem in manu tenebat, de omni iure sibi competenti in villa et hominibus Rochebrune, con riserva dei diritti dei terzi. Nel medesimo giorno gli ordina, sotto pena di multa di lire 1000, quod ipse... non offendat seu offendere faciat alicui persone. Inoltre (ibid, c. 190, 11 dicembre): Jacobus Buchanigra x ... denunciavit Jacobo de Volta, castellano Rochebrune ex parte comunis Janue, sub iuramento corporaliter a se prestito, quod ipse non permittat intrare castrum sive forciam Rochebrune aliquam personam nisi solummodo servientes, qui intrare consueverunt hinc retro ad custodiam dicti castri et forcie, et quod ipsum castrum et fortiam teneat pro comuni Janue in possessione, nec ipsum castrum seu fortiam det vel consentiat quod detur in potestatem alicuius persone, nisi in potestate et virtute comunis Janue, sotto multa di lire 1000... Actum in Rochabruna. Item pre-cepit eidem Jacopo de Volta quod ipse non debeat se intromittere a ponte forcie dicti castri infra. Se ne deduce quindi che il castello aveva presidio genovese, e che le entrate del territorio annesso competevano al conte quale proprietario del castello. Il 12 dicembre (ibid., c. 190 v.) questi conferma la vendita d’un pezzo di terreno, posto in territorio Rochabrune. Lo stesso era avvenuto per opera del suo defunto padre e del suo pure defunto fratello Raimondo Rostagno, con istrumento del 23 maggio 1253. 6 APP- 3, nr. 13, c. 190 (12 dicembre 1257): Nicolaus Figallus, castellanus Monaci, nomina procuratori per chiedere a comuni Janue l. SO. Jan., quas ipse recipere debet a dicto comuni ad Kalendas Januarii proximas occasione salarii sui castellarne Monaci. Non possediamo alcun documento di appoggio per affermare che i Grimaldi — 145 - Libro II - Cap. secondo di soggezione7 per nulla sfavorevole, a garanzia della cui osservanza erano destinad tre castelli fortificati8. Mentone era in possesso del genovese Guglielmo Vento9, S. Remo e Ceriana appartenevano all’arcivescovato di Genova 10, Dolceacqua era diventata proprietà di Zaccaria di Castello e di Lanfranco Bolbonino11. avessero allora qualche pretesa su Monaco. Per concessione imperiale il territorio apparteneva al Comune (cfr. Caro, Verf. Gen., p. 17); cittadini genovesi avevano costruito il castello - Annali, 135 [II, 135] -; gli abitanti del luogo avevano ottenuto, il 26 febbraio 1262 (L.J., I, 1399), i medesimi privilegi di quelli di Portovenere. 7 L.J., I, 1078. Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 18 e sgg. 8 Annali, 151 [II, 186]. Cfr. sopra, libro I, cap. VI, n. 9. 9 Certo nel 1262 (L.J., I, 1404). Come questa famiglia genovese (membri della stessa famiglia sono spesso Consoli nel XII sec.: cfr. Olivieri, Serie dei consoli del Comune di Genova, p. 478) ne avesse ottenuto il possesso non risulta chiaro e quanto dice Cais de Pierlas, Documents inéd. sur les Grimaldi et Monaco, p. 12, è frutto di infondate supposizioni. Che Genova contendesse ai Vento i loro diritti, è provato da un atto citato da Métivier, Monaco et ses Princes, p. 72. E’ del tutto identico a quello al quale si riferisce Saige, Docc. hist. rei. à Monaco, I, p. XXXIV, n. 4. 10 Cfr. Belgrano, Illustrazione del registro arcivescovile, p. 469 e sgg.; per Bordighera cfr. Rossi, Bordighera, p. 54 e sgg.; per Seborga v. Cais de Pierlas, I conti di Ventimiglia, p. 1 e sgg. 11 App. 3, nr. 10, c. 11 (7 settembre 1259): Cum d. Jacobus de Burgaro preci-peret et denunciarci (4) consulibus Dulcisaque et hominibus dicte universitatis, in concione publica in plano subtus Dulcemaquam more solito congregatis, quod deberent facere iuramentum Guillielmi Malocelli Vintimilii potestatis, quem eorum d. capitaneus populi Janue constituit potestatem et rectorem, ut in suis litteris continetur, responderunt dicentes dicti consules quod non iurarent sine licentia et mandato suorum dominorum, videlicet d. Lanfranci Bulbonini et d. Zacarie de Castro, et nisi prius ipsos requirerent de predictis. Del resto, di una convenzione fra il Comune di Genova ed il Comune di Dolceacqua è fatta menzione il 18 aprile 1261: ibid., c. 48. Ibid., c. 69 v. (3 maggio 1260): troviamo Guglielmo Malocello come Podestà di Dolceacqua. Ibid., c. 85 v. (19 marzo 1261): un giudizio arbitrale sopra una questione fra Lanfranco Bolbonino della Turca, che rappresentava Joannina, figlia del defunto conte Manuel di Ventimiglia e Folco Curio. La lite rifletteva la terza parte delle rationes che il defunto conte Giorgio riceveva dalla gente di Dolceacqua e fu decisa a favore di Lanfranco. Ibid., c. 102 v. (20 agosto 1262): Lanfranco Bolbonino, civis Janue, prò ea parte quam tenet in castro Dulcisaque et territorio eiusdem ratificat pactum olim factum (28 marzo 1232) inter d. Manuelem olim comitem Vintimilii e 4 consoli di Dolceacqua. Gioffredo, 588, secondo un documento, ci riferisce che il 5 gennaio 1256 il conte Bonifacio, figlio di Manuel, aveva venduto al genovese Desiderato Visconte la metà di Dolceacqua per 600 lire; cfr. inoltre Rossi, Storia del march, di Dolceacqua, p. 49. - 146 - Il trattato con Carlo d’Angiò e tentativo di Simone Grillo Le parti più considerevoli della contea, cioè quelle situate sul mare, erano così quasi interamente andate perdute per i conti; i possedimenti sui monti davano poca rendita, tanto più che andavano soggetti a frequenti sommosse dei sudditi12. Così rimane spiegato perchè il conte Guglielmino abbia aderito a cedere a Carlo d’Angiò tutti i suoi possedimenti e diritti sulla contea 13; il che fece il 23 febbraio 1258 ad Aix, per sè, fratelli14, figli 12 L.J., I, 1310. Il conte Oberto, a detta d’un testimonio, aveva esatto imposte dalla gente di Carpasio usque ad tempus, quo itti de iure obsiderunt eum in Baalucho, di poi non più; invece di iure sarebbe meglio leggere iura e pensare a un’associazione giurata, simile a quella conclusa fra i contadini (rustici) delle valli di Oneglia e Arro-scia nel 1233, contro i loro signori. Annali, 181 e sgg. [Ili, 69]; cfr. Rossi, St. del march, di Dolceacqua, p. 48. 13 La convenzione sovente citata è stata finalmente edita da Cais de Pierlas, Statuts, p. 115 e sgg. e ciò offre la possibilità di risolvere molte difficoltà. La data è: 1257 die sabbati in crastino cathedre S. Petri. Il giorno cathedra S. Petri è il 22 febbraio (vedi Weidenbach, Calendarium, p. 185 e sgg.), dunque la convenzione è del 23 febbraio 1258 che cade precisamente di sabato. Il notaio è un francese e quindi non calcola secondo lo stile della Natività, il che è sfuggito a Gioffredo, 591, che perciò pone la convenzione nel 1257 e inoltre cathedra S. Petri al 18 gennaio come era in uso al suo tempo, ottenendo con ciò il 19 gennaio 1257. Papon, Hist. de Prov., Ili, p. 56, omette l’indagine sulla datazione del giorno, ma dà tuttavia l’anno 1257. Nostradamus, Hist. et chronique de Provence, p. 224, pone pure la convenzione nel 1257. Sternfeld, Karl von Anjou, p. 144, n. 3 a. tratto in inganno dall’erronea data di Gioffredo, ritiene il documento di cui questi si era servito differente da quello che egli aveva visto nell’archivio di Marsiglia. La data di quest’ultimo, sabato in crastino cathedrae S. Petri 1257, dimostra che esso è identico a quello pubblicato da Cais de Pierlas (invece di 23 gennaio 1258, deve stare 23 febbraio), ed il suo contenuto è lo stesso di quello di cui si era valso Gioffredo. Merkel, Il Piemonte e Carlo d’Angiò, p. 287, non sa spiegarsi l’apparente contraddizione fra le antecedenti indicazioni e quelle dello Sternfeld. Cais de Pierlas, Statuts, che dichiara inesatta la data del 19 gennaio 1257 (p. 12 e sgg.), pone i documenti (p. 119 e sgg.) nel 1254 e quindi non può correttamente cogliere l’intera connessione degli avvenimenti. 14 Non è detto ch’egli avesse avuto procura da loro e nemmeno che avesse promesso di ottenere la ratifica del suo operato. Ciò è tanto più sospetto, in quanto che nella convenzione testé conclusa con Genova (Cais de Pierlas, Statuts, p. 119 e sgg.) lo aveva fatto pure per i suoi fratelli; in essa sono nominati soltanto Guglielmo Peire e Pietro Balbo. Guglielmino aveva consentito che essi ratificassero la convenzione entro un mese dal loro arrivo a Genova o alla contea. Guglielmo Peire è colui che più tardi sposerà la figlia dell’imperatore greco, e forse allora era già in Romania; v. sopra, cap. I. Pietro Balbo è probabilmente lo stesso menzionato nella convenzione del 23 febbraio (p. 147) e che poi si sarebbe — 147 — Libro II - Cap. secondo e per tutti gli altri eredi. Le ulteriori disposizioni dimostrano che non si trattava di una donazione allo scopo di averne la restituzione in feudo come era invece avvenuto prima con Genova 1S. Se così fosse stato, non sarebbero state prese disposizioni tanto minuziose riguardo al modo di regolare la giurisdizione sui paesi della Provenza, conferita in cambio al conte. Simile fu il contenuto degli accordi stipulati- poco dopo dai conti Bonifazio e Giorgio, figli di Emanuele 16. In ogni caso buona parte di essi furono eseguiti17, e una porzione considerevole della contea cadde in dominio di Carlo d’Angiò. Decisamente antiche prerogative del Comune di Genova rimasero in tal guisa lese1S; i diritti di regalia, prima acquisiti, non potevano più essere fatti valere di fronte al potente successore dei conti. Una minaccia diretta stava nel fatto che Guglielmino aveva espressa-mente rinunziato a qualsiasi pretesa sopra Roccabruna, Monaco, S. Remo e Ceriana19 ; non risulta però che Carlo ne abbia profittato, come pure che il suo modo di procedere, anche in Piemonte, sia stato violento. Nè sembra ch’egli abbia impedito a Genova l’acquisto di altre parti della contea. trovato in guerra con il Siniscalco di Carlo. E’ strano tra l’altro che il conte accenni solamente al territorio che era appartenuto a suo padre. Forse non ne era en trato in pieno possesso? Egli nomina una serie di castelli appartenenti a questo territorio, ma promette in fine di consegnarli e così anche il resto del paese, per quanto possa valere la sua influenza. E’ fatta pure parola di un omicida d un ra tello del conte, che però nel documento non è chiamato Manuel, come Gioffredo, 591, certo erroneamente, volle aggiungere a complemento. 15 L.J., I, 116. Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 13. 16 Sternfeld, Karl von Anjou, p. 144, nr. 3 b; Papon, III, p. 56, nota. Carlo non fece convenzioni con altri membri della famiglia dei conti; L.J., I, 1411, ne avrebbe fatto menzione. 17 Cfr. Gioffredo, 593 e sgg., sui giuramenti di fedeltà che furono prestati a Carlo, specialmente in Saorgio; per Sospello cfr. Alberti, Ist. della città di Sospetto, p. 106. Sul fatto che in Provenza fossero stati realmente accordati dei possedimenti ai conti, cfr. Cais de Pierlas, Statuts, p. 13. Forse Pierre de Vintimille (L. Barthélémy, Invent, des chartes de Baux, p. 239) appartiene ai loro discendenti stan-ziativisi. 18 L.]., I, 200. Nel 1157, anche gli abitanti, fra altri, di Sospello (Cespeel) giurarono fedeltà al Comune; Saorgio (Saurcium) trovasi tra i luoghi che allora il conte Guido Guerra donava al Comune (ibid., I, 197). Ancora nel 1257 Guglielmino prometteva che i suoi sudditi e quelli di suo fratello avrebbero dovuto prestare giuramento di fedeltà al Comune, al quale, e non a lui, essi avrebbero dovuto obbedire, se egli avesse mancato ai patti della convenzione. 19 Cais de Pierlas, Statuts, p. 117. - 148 - Il trattato con Carlo d’Angiò e tentativo di Simone Grillo Il 24 novembre 1259, Pagano, marchese di Ceva, anche quale procuratore della moglie Veirana 20 e di suo fratello Michele, vendette al capitano Boccanegra, per conto del Comune, i castelli di Badalucco e di Bajardo per intero, Arma e Bussana per metà, tutto quello che il conte Oberto possedeva a Carpasio e Rezzo21, come pure la metà dei feudi, di cui egli poteva disporre nella Marca di Albenga e nella contea di Ventimiglia. Il prezzo totale fu di 2300 lire genovesi. Anche questo non fu certo un acquisto simulato e i documenti consultati sulla presa di possesso ne danno prova sufficiente 22. Mediante questi acquisti e quelli che vi andavano annessi 23, non solo venne impedito un ulteriore ingrandimento della potenza 20 L.J., I, 1298. Lo strumento di procura del 16 agosto 1258 vi è inserto a p. 1300 e sgg. ed è espresso in forma così generale, che non si può accertare con sicurezza se fino da allora si fosse posto mente alla vendita; però, dalla menzione del Capitano possiamo concludere che vi dovevano essere state in precedenza delle negoziazioni. Veirana è designata come figlia del defunto conte Oberto di Ventimiglia; i luoghi venduti comunque le erano toccati dall’eredità da lui lasciata; suo fratello Bonifacio aveva avuto l’altra metà. 21 Cfr. L.J., I, 943 e sgg., nr. 720 e sgg. Questi documenti dovevano passare in possesso del Comune come titoli del suo diritto. 22 Guarnerius Judex, certo quello stesso che più tardi concluse la convenzione con il Paleologo, sembra essere stato incaricato della presa di possesso. L’11 dicembre 1259, (L.J., I, 1301, nr. 921) Veirana gli conferma il contratto d’acquisto in castro Baaluchi, nel cui possesso egli è immesso da lei e da Pagano. Guarnerio installa subito un castellano e servientes. Nel giorno seguente viene compilato un inventario del castello e delle terre appartenenti a questa proprietà. Il 13 dicembre ha luogo a Montaldo il giuramento di fedeltà, prestato nelle mani di Guarnerio dagli abitanti del luogo, appartenente a Badalucco. Pagano impone la prestazione del giuramento ai Signori di Carpasio (L.J., I, 1304 e sgg., nr. 923). Il 14 dicembre si verifica lo stesso per Bajardo. Il giorno seguente Guarnerio è a Taggia (ibid., I, 1306 e sgg.). Seguono ancora dichiarazioni sui diritti e il possesso di questi villaggi e borgate venduti: ibid., I, 1309, nr. 924, per la curia Boiardi-, ibid., I, 1310 e sgg., nr. 295, dichiarazioni dei consoli di Montaldo relative ai diritti anche in Carpasio e Rezzo e sulle proprietà in Bussana. La gente di questa località giura fedeltà il 16 dicembre (ibid., I, 1313, nr. 926), ma soltanto per la metà; lo stesso fanno il 17 dicembre quelli di Arma (ibid., I, 1313 e sgg., nr. 927). Il documento nr. 928 contiene, come sembra, delle aggiunte. 23 L./., I, 1321, nr. 933 (giugno 1260): Mobilia, uxor qu. Guillielmi Pugni de Montaldo, vende al Capitano per lire 100 i suoi diritti sui beni di suo marito in Montaldo e Villa Rodulfi, ibid., I, 1322, nr. 934 (7 agosto 1260): la gente di Arma si sottomette al Comune, in modo che questo può insediarvi un podestà; ibid., I, 1325, nr. 935 (4 marzo 1261): Jacobino e Janella Avvocato, figli di Pietro, il primo — 149 - il Libro II - Cap. secondo di Carlo, ma gli fu resa impossibile l’occupazione della valle di Taggia e gli rimase tagliata la via per le altre località sulla costa occidentale di Genova. In sostanza possiamo dire che nell’anno 1261 si definì la situazione dei possedimenti da ambo le parti, quantunque il sorgere di nuove pretese potesse dar luogo in ogni momento a conflitti. Nell’anno 1262 il Comune era completamente occupato con la guerra contro Venezia; Marsiglia si era di nuovo sollevata contro Carlo, la cui mira principale era ora la sottomissione di quella città24 ; motivi, questi, sufficienti perchè tanto Carlo quanto Genova cercassero di evitare, mediante un accordo, questioni che li sviassero dallo scopo principale della loro politica. Il 21 luglio 1262 venne stipulato il trattato23, a quanto pare senza anche quale procuratore del conte Bonifacio, come da istrumento dell’8 dicembre 1260, vendono al Capitano in nome del Comune il castello di Triora con tutte le sue pertinenze; inoltre la metà della località di Dodi, dove una volta sorgeva il distrutto castello di Dodi, ed infine la metà di Arma e Bussana. Il precedente proprietario di tutti questi luoghi era stato il conte Oberto; il prezzo complessivo ammonta a lire 2300. L’11 marzo Pietro Avvocato e sua figlia Juleta, moglie del conte Bonifacio, ratificano il contratto di compravendita (ibid., I, 1329 e sgg., nr. 937). Il delegato del Comune, che qui figura, è Lanfranco Bolbonino, da identificarsi col comproprietario di Dolceacqua, il quale riceve pure il giuramento di fedeltà degli abitanti di Triora (ibid, I, 1334, nr. 939). E’ da escludere che gli Avvocato vi dimorassero da molto tempo, poiché il 21 febbraio 1260 il conte Bonifacio aveva venduto le stesse proprietà a Janella Avvocato per 3000 lire (L.J., II, p. 36, nr. 24), e ciè ex licentia mihi concessa per consilium ]anue. 24 Cfr. Sternfeld, Karl von Anjou, p. 162 e sgg. 25 L.J., I, 1402 e sgg., nr. 955, da un originale ora in Archivio di Stato di Genova, Mat. polit., mazzo 5. Sternfeld, Karl von Anjou, p. 167, n. 1, nomina fra i testimoni « l’Arcivescovo di Tours». In L.J., I, 1410, vi è un Egidio Tyrensi archiepiscopo, che era allora effettivamente in Francia (cfr. Ròhricht, Syria Sacra, p. 18). La data è 21 luglio 1262, IV ind. L’indizione è la genovese, il che è strano essendo il notaio un francese; però abbiamo anche una stesura del documento ad opera di un notaro genovese, Nicolosus Bambaxarius (vedi H.P.M., Ch., II, 1619), il quale è menzionato come testimonio in L.J., I, 1410. Questa stesura proviene da una copia edita in H.P.M., Leges Municipales, I, 101 e sgg., ma porta la falsa data del 22 luglio. Gioffredo, 605 e sgg., si è certo servito di questo esemplare, così che in lui trovasi la falsa lezione Turon invece di Tyr en e la falsa data del 22 luglio. In L.J., I, 1411, nr. 956, trovasi pure un documento supplementare della stesa data 21 luglio; in H.P.M., Ch., II, 1618, nr. 1960, il documento di ratifica a Genova nel Parlamento (11 agosto 1262) steso da un notaro genovese. - 150 - Il trattato con Carlo d’Angiò e tentativo di Simone Grillo che fosse stato preceduto da lunghe trattative26. In forma semplice e corrispondente ai reciproci interessi, vengono fissati i confini dei territori, in sostanza poco differenti dai precedenti. Genova tiene Ventimiglia, Monaco e Roccabruna, come pure Podium Pini (Pigna), con Mentone, possesso di Guglielmo Vento; essa si obbliga a non impadronirsi in nessun caso dei territori posseduti da Carlo nella contea di Ventimiglia, di Monaco e del territorio di Turbia dalla parte d’occidente fino al Rodano. Il Comune rinunzia inoltre a tutti i diritti spettantigli sulla parte della contea che è in mano di Carlo, come pure su Briga e Castiglione27. A sua volta Carlo rinunzia a qualsiasi intromissione nella situazione attuale dei E’ sorprendente come Nostradamus rechi notizie discordanti. A p. 226 egli dice che il 2 luglio 1260 venne conclusa una convenzione fra Carlo e tre delegati genovesi. Questi ultimi sono gli stessi del L.J., I, 1403, cosicché qui esiste un manifesto errore. Poi a p. 229 riferisce che Carlo nel 1262 mandò quattro inviati a Genova (gli stessi di H.P.M., Ch., II, 1618) e riproduce anche il contenuto di questo documento; ma la fonte che egli utilizzava conteneva certamente anche qualcosa di più: l’atto di procura degl’inviati di Carlo (il quale porta la data di martedì, le lendemain de la feste... S. jaques 1262, mentre certamente invece è il 26 luglio, mercoledì); il verbale relativo alla lettura della convenzione nel Consiglio di Genova e la relativa deliberazione; ratifica e lista dei Consiliarii dell 8 agosto, p. 230. Nostradamus non poteva essersi inventato tutto quanto. Egli conosceva troppo pochi documenti della cancelleria genovese per potere, sulla base di essi, costruire dei falsi. Per es., nel documento di L.]., I, 1403 e sgg., che forse poteva conoscere, non è fatto cenno degli Otto Nobili. Nostradamus non sa chi essi siano, come si vede dalla sua erronea spiegazione a p. 230. Non abbiamo quindi alcun motivo per porre in dubbio ch’egli si sia effettivamente valso di un documento tuttora inedito. Desimoni, Il marchese di Monferrato, p. 348, ne ha portato plausibili ragioni contro Schultz, Die Lehensv. der ital. trobadors, p. 406. Nemmeno si deve ammettere che Nostradamus abbia falsamente introdotto nella lista i nomi di cinque trovatori genovesi contemporanei, poiché quattro di essi si trovano anche nella lista del Con siglio di cui in App. 2, nr. 13, come il Desimoni giustamente osserva. Gli elenchi dei presenti in Consiglio differiscono sempre l’uno dall’altro: cfr. Caro, Verf. Gen., p. 90. 26 L’istrumento di nomina dei tre inviati genovesi, Tedisio Fieschi, Bovarello Grimaldi e Marchisino de Cassino, del 9 luglio (L.J., I, 1403 e sgg.) dice ad preseti tandum se. . . d. Karolo-, quindi devono come prima cosa presentarsi a lui. 27 Questi due luoghi non erano allora ancora occupati da Carlo, come dimostra l’espressione (L.J., I, 1404, 1406) licet forsan ea modo non teneant, quantunque essi appartenessero a quelli ceduti da Guglielmino: Cais de Pierlas, Statuts, p. 117. — 151 — Libro II - Cap. secondo possessi del Comune sulla riviera, dalla cresta dei monti fino al mare e su tutti gli altri luoghi28, cedendo qualunque diritto che potesse competergli su quei paesi. In tal guisa è messo un argine a future contese e sono poste le basi d’una pace durevole pattuita nella forma consueta, anche mediante le ulteriori disposizioni del trattato. Nessuna delle parti dovrà recar danno all’altra; esse dovranno prestarsi vicendevole aiuto affinchè a nessuna venga tolta parte dei propri territori79, nè una di esse potrà dare appoggio ai nemici dell’altra. Carlo concederà ai Genovesi protezione nella Provenza, salvo il caso, appena ipotizzabile, che volessero entrarvi in armi per assalire i re di Francia o d’Aragona. Se un Genovese verrà derubato da un suddito del conte, questi dovrà provvedere ad assicurargli il risarcimento del danno entro quaranta giorni da quello di proposizione dell accusa e in pari tempo bandire il colpevole; nessun Genovese potrà essere tenuto responsabile per il fatto di un altro. Le medesime disposizioni valgono per Carlo ed i suoi sudditi in Genova e territorio, con la sola riserva che rimane loro vietato di transitare armati per combattere contro re Manfredi di Sicilia30. Il Comune tiene dunque ferma la convenzione con quest ultimo. Esso procura poi anche, mediante un ulteriore accordo, concepito a dir vero in termini molto generici, che non gli vadano perduti certi vantaggi e perciò si fa concedere che i suoi cittadini e gli abitanti del territorio debbano pagare soltanto le usuali antiche tasse nei paesi attualmente posseduti dal conte e dalla contessa di Provenza o in quelli che potessero ac- 28 Per Dolceacqua viene convenuto nell’aggiunta al documento (L.J., I, 1411) che Carlo non si varrà dei diritti spettantigli su di esso nei confronti dei proprietari di allora. Ma Guglielmo, Giorgio e gli eredi di Bonifacio di Ventimiglia - qui manca per essi il titolo di conti - potranno avanzare le pretese che loro spettassero su Dolceacqua, in conseguenza della vendita delle loro terre a Carlo, ed egli si riserva nei loro confronti il diritto acquisito in conseguenza della compera fatta da loro. Questo quindi sembra essere un punto sul quale non si era venuti ad un perfetto accordo. Non sappiamo però se esso abbia dato luogo a nuovi dissensi. App. 3, nr. 10, c. 160 v. (1 marzo 1263): Lanfranco Bolbonino, gerens vices Jacobi, eius filii, potestatis Dulcisaque e quattro consoli del luogo istituiscono un tutore. 29 Devesi tener conto che per Carlo non solamente sono compresi Castiglione e Briga, ma anche Marsiglia, pure nel caso che egli in quel dato tempo non ne fosse in possesso: L.J., I, 1400. Con ciò è escluso che Genova potesse aiutare gl’insorgenti marsigliesi. Sternfeld, Karl von Anjou, p. 167, n. 1, risulta avervi sorvolato. 30 L.J., I, 1407: dummodo non vadant cum armis regis Manfredi Sicilie; fra armis e regis manca in offensione; cfr. H.P.M., Leges Municipales, I, 105. - 152 - Il trattato con Carlo d’Angiò e tentativo di Simone Grillo quistare in avvenire31. Se Genova promette pressoché le medesime cose a favore dei sudditi di Carlo, non è già perchè avessero la stessa importanza, ma solo per una certa reciprocità già ammessa anche per tutte le altre concessioni. Dalla stipulazione di questo trattato non possiamo trarre la conseguenza di una propensione di Carlo per il partito guelfo, maggiore di quella che poteva aver avuto verso il capitanato del Boccanegra; non si tratta di una vera e propria alleanza, ma solo di un trattato di pace e di amicizia. Allora Carlo aveva appena intavolato le trattative con Urbano IV32; nel 1262 egli non era ancora il capo dei Guelfi d’Italia, come lo fu poi anni dopo, e perciò era possibile a Genova di vivere in pace nel medesimo tempo con il papa e con lo Staufen. Genova rinunziava è vero ad antichi diritti, che tuttavia non erano mai stati di grande importanza. Il cavalleresco Bonifazio di Castellane33, il nemico giurato dei Francesi del nord, poteva considerar ciò come un’umiliazione, ma per la città del commercio tornava utile di starsene sicura con i vicini, mentre era in lotta con Venezia per il dominio del mare. Essa poteva tranquillamente pensare ai propri interessi, senza essere costretta a prendere partito fra Manfredi e Carlo, tanto più che in quel momento erano sorte aspre contese fra i partiti della nobiltà. Fra i popolari, scomunica e interdetto potevano aver bensì cagionato qualche fermento, ma forse ancor più gli avvenimenti connessi con l’inatteso ritorno della flotta dalla Romania. Nel 1264 ne venne nuovamente armata una, il cui comando fu affidato a Simone Grillo M, appartenente alla 31 L.J., I, 1408: in tota terra vel in mari dd. comitis vel comitisse seu eorum successorum, et quam nunc habent d. comes vel d. comitissa, vel de cetero habuerint vel acquisierint ipsi vel aliquis eorum seu successores eorum vel alicuius eorum; le antiche disposizioni valevano solo per la Provenza, come pure le successive, che neppure erano incondizionatamente impegnative: ibid., I, 1409. 32 Cfr. Sternfeld, Karl von Anjou, p. 168. 33 S. Diez, Leben und Werke der Troubadours, p. 164. La canzone può forse appartenere al 1262: cfr. Merkel, Il Piemonte e Carlo I d’Angiò, p. 320. 34 Annali, 246 [IV, 54]. L’ammiraglio è già nominato il 10 marzo {App. 3, nr. 17, c. 55 v.)\ nel documento di questo giorno è fatto cenno di cauzione prestata a Simone Grillo armiratum pro dicto comuni (se. Janue) e così pure c. 58 v., 19 marzo. Invece App. 3, nr. 14, c. 51 v. (28 marzo 1264): documento riguardante una cauzione prestata a Jacobinum Aurie et Ogerium Scotum, amatores navium et galearum pro comuni Janue-, come nei precedenti documenti, la cauzione deve servire - 153 - Libro II - Cap. secondo parte ghibellina della nobiltà33. Il suo contegno 36 aveva destato il non infondato sospetto ch’egli mirasse a ricostituire il Popolo e a diventarne il Capitano. Specialmente i Grimaldi sono contrari a tale proposito; non sono però essi soli ad assoldare servi armati e a mettere le loro case in stato di difesa37. A quanto pare, il Podestà aveva invitato Simone Grillo a comparire dinanzi a sè, ma il Grillo rifiutò di andarvi. Quegli manda allora i suoi militi a casa di quest’ultimo, ma sono ricevuti a sassate, mentre le campane di S. Maria delle Vigne suonano a stormo, non certamente per ordine del Podestà. Sono segni minacciosi di un’imminente sollevazione del Popolo, che tuttavia non avvenne, almeno in massa, come il Grillo poteva aspettarsi. Quasi tutti i nobili, con a capo i Fieschi, danno di piglio alle armi e si schierano intorno al capo supremo del Comune, con l’intenzione di cogliere in casa il Grillo, il quale, ritenutosi troppo debole per la resistenza, si recò insieme con i suoi partigiani al palazzo del Podestà, pronto ad obbedire ai suoi ordini. Vi rimase due giorni, al terzo, insieme con suo nipote Ancellino, fu costretto a prestare una grossa cauzione per buon contegno; dopo di che andò a Porto Venere. Quivi attese, fino a che la flotta fu pronta alla partenza, non essendogliene stato tolto il comando. La pubblica quiete in città fu presto ristabilita . per garanzia che la promessa di prestare servizio in felici armamento, quod fieri debet prò comuni ]anue ad custodiam maris, sarà mantenuta; ibid., c. 79 v. (13 ma^° 1264). App. 3, nr. 12, c. 69 (10 maggio 1264): Egidius notarius, qu. Marchi de Villa-franca, dichiara ad Acurso Guarnerio d’aver garantito per lui presso Ogerio coto e compagni, constitutis super officio accipiendi soldaerios prò viagio presenti, quo iturus est d. Symon Grillus dominus capitaneus; similmente ibid., c. 74: 13 maggio, c. 74 v.. 19 maggio; c. 77: 26 giugno. 35 Un Federico Grillo viene nominato nel 1241 dall’imperatore Federico II capitano dei suoi fedeli Genovesi: L.J., I, 999; Annali, 194 [III, 106]. 36 Annali, 246 [IV, 54]: quia... propter officium armiragie insolempnius procederet, et homines edam populares ad ipsum confluerent. Il senso non è chiaro, forse il Grillo stesso s’incaricò direttamente dell’arruolamento degli equipaggi ed i popolari accorsero in modo inusitato per prendere parte alla spedizione. I documenti citati alla nota 34 potrebbero far supporre che in seguito sarebbero stati incaricati funzionari particolari per l’arruolamento e i disordini sarebbero poi avvenuti alla fine di marzo. 37 Annali, 1. c.; cfr., per questi preparativi in casi analoghi, Annali, 191, 196 [III, 95 e sgg.; Ili, 108 e sgg.]. 38 Annali, 246 e sgg. [IV, 54-55]. La partenza della flotta può aver avuto luogo soltanto alla fine di giugno. — 154 - Il trattato con Carlo d’Angiò e tentativo di Simone Grillo La maggioranza influente della nobiltà non era disposta a lasciar realizzare il tentativo di istituire un nuovo Capitanato del Popolo che avrebbe avuto per conseguenza la signoria personale d’un sol uomo, e perciò fu unita nello stornarlo. In pari tempo però le antiche differenze dei partiti opposti risorsero più aspramente che mai. Il Grillo non era forse scevro da tendenze ghibelline; d’altra parte il papa avrebbe probabilmente tentato di entrare in relazione con l’antico partito guelfo, mentre Carlo stesso procurava forse di intavolare delle relazioni39. E’ probabile che i Doria e gli Spinola, unitamente ai Grimaldi, si siano messi contro il Grillo, come nel 1262 contro il Boccanegra; ma l’accordo fra le famiglie che formavano la classe dirigente non andò molto lungi. Ben tosto quelli fecero carico a questi che troppi fra i loro amici sedessero nel Consiglio, i Fieschi vi fecero eco, la discordia si spiegò apertamente. Oberto Spinola macchinò allora un colpo di mano, certamente con l’intenzione di tentare per sè ciò che non era riuscito al Grillo, cioè di ricostituire il Popolo mettendosene lui stesso alla testa quale Capitano40. Si sparse la voce a Genova ch’egli in una data notte dovesse uscire41 con molti della sua gente42 e anche con Lombardi43. Si deve supporre che egli facesse calcolo sopra un tumulto che doveva scoppiare a Genova a suo favore. Perciò i nobili fecero buona guardia in città durante quella notte 39 Può riarsi che la lettera di Urbano IV (Posse, p. 34, nr. 412: 22 giugno 1264) sia in relazione con il proposito del Grillo (o Spinola?). Il domenicano Ambrogio, mandato dal papa a Genova, non doveva trattare solamente la pace con Venezia: Rayn., anno 1264, par. 57. Sul fatto che Carlo stesse trattando con Genova, v. Sternfeld, Karl von Anjou, pp. 216, 261. 40 Come nell’anno successivo: Amali, 251 e sgg. [IV, 71 e sgg.]. 41 Annali, 248 [IV, 63]: cum cohorte maxima suorum hominum, in ogni caso della valle Scrivia, ove gli Spinola possedevano molti castelli: cfr. Annali, 202 [III, 125 e sgg.]. 42 Annali, 248 [IV, 63]. Ciò potrebbe significare un’alleanza con il Pelavicino, partigiano di Manfredi, come i Grimaldi temevano nel 1265: Annali, 252 [IV, 72], Il Pelavicino aveva allora in suo potere Alessandria e Tortona (Ann. Plac., 514) — invece di recepit, a cui male si adatterebbe in sua custodia, sarebbe da integrare con habuit nel 1262 (ibid., 513) Alessandria si sottomise a Manfredi. 43 Annali, 248 [IV, 63]: unus quorum ettam nomine... civitatem intravit: dunque l’intenzione doveva esserci stata. 44 Annali, 249 [IV, 63]: per civitatem, dunque non sulle mura, nè alle porte, ma per le vie, per poter subito sedare qualunque tumulto. — 155 - Libro II - Cap. secondo e allo spuntare del giorno si recarono dal Podestà esortandolo a prendere delle misure precauzionali. Per quanto poco i nobili fossero d’accordo fra di loro, tuttavia l’istituzione d’una signoria personale, garantita dal Popolo, era contro il loro interesse. Il Podestà è il capo del Comune e il rappresentante dell’attuale forma di governo; per conservarla si devono quindi cercare mezzi sufficienti per proteggerlo contro gli attacchi dei sovvertitori, ciò che viene effettuato nel modo seguente. Il Podestà e gli Otto Nobili nominano 50 uomini per ogni quartiere della città, in tutto quindi 400; questi giurano di star sempre pronti a presentarsi con o senza armi, secondo l’ordine del Podestà per difenderlo con tutte le loro forze45. In tal guisa viene creato un corpo non dissimile dal precedente Popolo, ma con tendenza del tutto contraria e principalmente di carattere militare. La nobiltà è d’accordo nel non voler lasciar sorgere un Popolo e a tal fine si organizza solidamente. Essa ne approfitta in pari tempo per appianare i dissensi esistenti nel suo seno, il che si ottenne non senza preliminari e lunghe trattative. In un dato giorno 400 uomini si riuniscono nel palazzo del Podestà: 50 per ogni quartiere della città ne eleggono 4, formando così un comitato di 32, il quale, tanto dagli elettori quanto dal Consiglio riceve il mandato di nominare gli Otto Nobili ed i Consiglieri per l’anno seguente. Uno dei motivi di malcontento derivava dal fatto che i Grimaldi ed i loro partigiani erano rappresentati nel Consiglio in numero troppo grande. Tale inconveniente viene eliminato stabilendosi che le nomine dovranno essere distribuite equamente fra i partigiani delle diverse fazioni: cioè un quarto fra il partito dei Grimaldi, un quarto fra gli amici dei Fieschi, un quarto fra i Doria e gli Spinola; il rimanente degli Otto Nobili e dei Consiglieri verrebbe nominato senza tener conto di una fazione piuttosto che dell’altra46, quindi anche fra quelli che non appartenevano ad un determinato partito. Gli Annali ci informano che tale espediente raggiunse lo scopo, che le turbolenze cessarono e che venne così posto un argine ad un maggiore inasprimento degli animi. Però gli avvenimenti dell’anno seguente dimostrano che il successo fu solamente precario, come del resto difficilmente avrebbe potuto essere altrimenti. Manchiamo invero di notizie dirette per sapere se Manfredi abbia 45 Annali, 1. c. 46 Annali, 1. c. [IV, 65]: prò comunaltbus non de parte. — 156 - Il trattato con Carlo d’Angiò e tentativo di Simone Grillo trattato con Genova o s’egli si sia limitato ad intavolare delle relazioni. Tanto almeno deve essere avvenuto poiché i Doria per i loro interessi in Sardegna dovevano intendersela con lui4?. Nemmeno è chiaro in quali rapporti si trovassero Urbano IV e Carlo con i Fieschi ed i Grimaldi. Si può però ammettere che i nipoti di Innocenzo IV non gli negassero il loro aiuto per contrapporsi ad eventuali influen2e dello Staufen, anche se per il momento non erano del tutto d’accordo con i Grimaldi. Quasi contemporaneamente risulta che Manfredi avesse affidato a Percivalle Doria il comando d’una spedizione contro Roma, nella quale perì48, e che il cardinale Ottobono avesse avuto dal papa l’ordine di predicare la crociata contro i crudeli nemici della Chiesa49. Poteva essere dipeso da cause personali se esteriormente il dissidio fra i Grimaldi e gli Spinola non era più acuto che fra i Fieschi ed i Doria50; gli Annali ufficiali cittadini non ci fanno veder chiaro nelle sottili differenze della politica che ciascuna delle parti seguiva per proprio conto. Le discordie fra i Grimaldi ed i Fieschi impedirono un’azione comune della parte guelfa, il che in conclusione tornò a vantaggio dei Ghibellini; anche questi però non erano al momento ancora d’accordo sul partito da prendersi. Tanto più facile riuscì quindi ai nobili cui stava più a cuore il bene di tutta la casta anziché gli interessi parziali — e di questi ve n’erano ancora51 — di farsi intermediari, per evitare lo scoppio d’una guerra intestina. Le fazioni avevano ceduto, perchè nessuna si sentiva forte abbastanza per ottenere il sopravvento sull’altra; tuttavia le influenze esterne duravano ancora, e perciò fu impossibile arrivare ad una vera conciliazione. 4? L.J., I, 1401. 48 Cfr. Sternfeld, Karl von Anjou, p. 205 e sgg. 49 Potthast, nr. 18920; Rayn., anno 1264, par. 15 e sgg. 50 Anche nel 1241 i parenti di Ansaldo de Mari, ammiraglio di Federico II, non erano affatto in prima linea fra i suoi partigiani: Annali, 194 e sgg. [Ili, 106 e sgg.]. 51 Cfr. l’espressione in Annali, 248 [IV, 631: per bonos et antiquos homines Janue. — 157 - Capitolo terzo Continuazione della guerra con Venezia, 1264 Convenzione di Genova col Signore di Tiro. - Operazioni dell ammiraglio Grillo. Cattura del convoglio veneziano. - Assedio di Tiro da parte dei Veneziani. - Gugliel mo Guercio podestà genovese a Costantinopoli. - Allontanamento dei Genovesi da Costantinopoli. - Pace tra il Paleologo e Venezia, 1265. Finché durò la guerra in Romania, tacquero le armi in Siria . Genova non poteva continuarvi le ostilità, o almeno sarebbe stato necessario a tal fine un nuovo accordo con l’imperatore. Le perdite subite in Acri non erano state ancora riparate, la colonia genovese non poteva sussistervi 1 Marin Sanudo, Liber, 221; Amadi, 206; Ann. terre sainte B, 45Cl e sgg., pongono l’attacco dei Veneziani su Tiro nel 1263; questo però avvenne ne 12 , come giustamente è detto in Cont. Guill. Tyr., 447; v. Annali, 247 [IV, 5 -57 , e^’ Chipr., 170 (la notizia, ibid., 156, può riferirsi solamente allo scontro del 1257 - v. sopra, p. 45 - ed è evidentemente molto svisata). Reinaud, Chroniques ara es, p. 489 e sgg. (v. Klaproth, Sur quelques antiquités, p. 16 e sgg.) narra che i Genovesi volevano assalire Acri nel 1263, e che a tale scopo si erano alleati con il sultano Bibars, ma che non mantennero la promessa di trovarsi dinanzi alla città contempo rancamente a lui. Lo deduce, come dice egli stesso, dalle « oscure » paro e una cronaca araba (Ibn-Férat). Mas Latrie, Hist. de Chypre, I, p. 396 e sgg., a ta fine fa incrociare Luchetto Grimaldi, nel 1263, con una flotta lungo la costa siriaca, ma il fatto è del 1267 soltanto: Annali, 260 [IV, 1031. Heyd, I, p. 353, ha moto ragionevolmente confutato l’inesatta sintesi del Reinaud contro Ròhricht, Les com bats du Sultan Bibars contre les Chrétiens en Syrie (1261-1277), p. 375. Bibars nel 1263 aveva effettuato una scorreria contro Acri, ma senza 1 intenzione d’un vero attacco alla città; Makrizzi, Hist. des Sultans Mamel., trad. Qua tremère, I, 1, p. 199: Il n’avait eu d’autre but, que de reconnaître la ville dAkka. Egli non poteva contare sulla cooperazione d’una flotta genovese, perchè non ve n era alcuna sulla costa siriaca. Per conseguenza quello che dice Reinaud è assolutamente impossibile. Un’ambasceria genovese si recò nel 1263 presso Bibars (Quatremère da fonte araba, in nota a Makrizzi, I, 1, p. 215), ma soltanto più tardi (Ròhricht, Les combats, p. 368), perchè il sultano era stato in aprile davanti ad Acri: Gest. des Chipr., 167; Cont. Guill. Tyr., 447 etc. Inoltre l’espressione le commandant des Génois non è chiara; poteva anche essere approdato in Alessandria un nuovo console genovese, che portasse seco inviati greci; nel testo (Makrizzi, I, 1, p. 211) sono citati soltanto questi. — 158 - Continuazione della guerra con Venezia senza giurisdizione propria, e quindi la bandiera della ligure città marittima non poteva sventolare in un porto di tanta importanza2. La sede dei consoli genovesi in Siria era ora Tiro3. L’antica amicizia con il Signore di questa città venne consolidata con un trattato del 5 marzo 1264 4, che regolava nel modo più vantaggioso i diritti della colonia genovese ivi stabilita. I confini del quartiere vengono esattamente determinati; però i suoi edifici non potevano sorpassare due piani, nè vi si potevano fabbricare torri o altre fortificazioni qualsiasi; in cambio nessun altro Comune poteva ottenere un quartiere in Tiro. Precise disposizioni hanno lo scopo di impedire che sorgano contrasti sul pieno esercizio della giurisdizione civile e criminale da parte dei consoli genovesi o dei capitani; solamente l’applicazione delle pene corporali è riservata ai funzionari del Signore della città. Il commercio marittimo dei Genovesi con Tiro è libero da qualunque imposta; sull’importazione ed esportazione per 2 Cont. Guill. Tyr., 443. Ciò devesi considerare come una conseguenza di fatto dell’espulsione dei Genovesi da Acri nel 1258, e non come condizione di una formale convenzione (v. sopra, libro I, cap. V, n. 26). 3 V. Urkunden zur àlteren, III, p. 40. 4 Desimoni, Quatre titres, p. 225. Il notaio rogante, Guillielmus Paiarinus, è un genovese (v. App. 3, nr. 16); la data, 5 mareo 1264, ind. VI, è incontestabile; ma la costruzione della formula e lo stile del documento si staccano notevolmente da quelli in uso a Genova; così potestas.. . per assensum, consilium et voluntatem octo et sex pro qualibet compagna et totius consilii, inoltre la formula della data, hoc fuit factum apud ]anuam, invece di actum Janue-, nomi francesi nel testo non sono latinizzati come Mainebuef, Dous; invece di ruga è detto rua (rue)\ l’espressione maneries (manière) è strana. Si deve quindi supporre che il documento sia stato redatto da un francese; il che sarebbe spiegabile se a Tiro fosse stata almeno redatta la minuta di esso; conclusione possibile (ibid., p. 229) perchè questa citta viene indicata come situata citra mare; ma, contro l’uso della cancelleria genovese, non e fatto alcun cenno di preliminari: cfr. in contrario, per es., la convenzione con i Templari in Desimoni, Spigolature genovesi, p. 345. Fra il seguito di Carlo d’Angiò, un Filippo di Montfort rappresentava una parte importante (cfr. Sternfeld, Karl von Anjou, p. 229 e sgg. e Schirrmacher, Die letzten, p. 292, etc.). Questi era il figlio dell’omonimo Signore di Tiro: Annali, 256 [IV, 87-88], Tutte le difficoltà si risolvono quindi facilmente, ammettendo che il minore Filippo si trovasse a Genova nel marzo 1264 e che il documento, proba- bilmente già predisposto a Tiro, fosse stato scritto da uno del seguito che non era notaio. Il notaro genovese vi avrebbe solo apposto la firma, come pure il Comune il suo sigillo. — 159 - Libro II - Cap. terzo terra dovevano pagare il 2,'/2 %5 del valore della merce, mentre invece Filippo rinunzia a loro favore al jus naufragii. I nuovi consoli o capitani che entreranno in carica in Tiro dovranno giurare in unione al loro Consiglio l’osservanza della convenzione. Ogni genovese che si stabilirà in Tiro dovrà prestare giuramento di difendere con tutte le sue forze Filippo di Montfort, i suoi eredi, i suoi sudditi, la città ed il porto, per tutto il tempo durante il quale vi rimarrà, mentre d’altra parte egli con tutti i suoi averi godrà della protezione del Signore della città 6. Il mantenimento di queste concessioni è subordinato alla condizione che le flotte mercantili7, in partenza da Genova per la Siria cristiana, debbano prendere soltanto Tiro come porto d’approdo e che ivi debba risiedere la suprema autorità dei Genovesi per questi paesi. In caso contrario, la convenzione sarà nulla e Genova conserverà soltanto i diritti che aveva prima del 1257 8. I motivi che indussero Filippo ad accordare così larghe concessioni sono chiari. Non poteva tornare che a suo vantaggio che il commercio prendesse maggiore sviluppo nella sua città9. Genova avrebbe certamente preferito continuare le sue antiche relazioni con Acri, che non cessava d’essere il centro dei possedimenti occidentali sulla costa siriaca; ma questa soluzione era impensabile, continuando la guerra con Venezia che in Acri aveva il sopravvento. Perciò si cercò un punto vicino, che, in posizione egualmente favorevole dell’altro, fosse adattato alla concorrenza. Fra l’altro sarebbe stato possibile che Tiro, rialzata mediante l’abilità commerciale dei Genovesi, potesse seriamente contendere il primato ad Acri. Ma proprio allora le orde devastatrici dei Mongoli si erano spinte fino a queste contrade; il Sultano d’Egitto le aveva battute10 ed il suo 5 Cfr. Heyd, I, p. 352, n. 1. 6 Desimoni, Quatre titres, p. 229. Filippo esprime alcune riserve nei confronti del re di Francia, del conte di Montfort e del signore regni Jherosolimitani; Genova al contrario non fa alcuna riserva. 7 Ibid.: caravanne. 8 Ibid., fino al giorno, qua ipsi venerunt de Accon in Tyrum pro guerra Venetorum; molto probabilmente è il 1257, in cui per la prima volta il convoglio genovese approdava a Tiro, invece che ad Acri come era d’uso: Annali, 239 [IV, 331; cfr. sopra, p. 43 e sgg. 9 Cfr. il contegno del Signore di Beyrut nel 1222 in Annali, 150 [II, 184]. 10 Cfr. Ròhricht, Les batailles de Hims, p. 633 e sgg. - 160 - Continuazione della guerra con Venezia successore Bibars si rivolgeva contro gli avanzi dei possedimenti cristiani. Possiamo supporre che le continue guerre avessero posto ostacolo al trasporto delle merci dall’interno dell’Asia alla costa e che perciò tanto Acri quanto Tiro ne avessero risentito dannose conseguenze, mentre intanto si stava preparando quella trasformazione nel commercio mondiale che additava nuove vie per il trasporto dei prodotti indiani al Mediterraneo. Le premure del papa per ristabilire la pace fra Venezia e Genova non avevano ottenuto completo successo n. Appena ritornata la flotta dalla Romania, si dà subito mano ad armarne ima nuova, per opprimere i nemici veneziani e per proteggere la navigazione di quei Genovesi che percorrevano i mari nelle diverse parti del mondo 12. Questa flotta era forte di venti galere e di due grandissime navi, del tutto nuove, il che spiega forse perchè la partenza sia avvenuta soltanto alla fine di giugno, quantunque possano essere state causa del ritardo anche le turbolenze provocate dall’ammiraglio Grillo 13. Venezia mandò un numero molto maggiore di galere al comando di Andrea Barocio 14 con l’intenzione di mettere la flotta nemica in condizione di non poter nuocere, affinchè il convoglio che 11 V. sopra, p. 142. 12 Annali, 246 [IV, 54]. V. sopra, p. 153. 13 In Gest. des Chipr., 168, è detto che il partito contrario al Grillo comunicò ai Veneziani la sua partenza e che perciò costoro avrebbero armato 50 galere. Il fatto è poco credibile. A Venezia doveva essere naturalmente pervenuta qualche notizia sui piani di guerra di Genova, ma, secondo Canal, 504, esse erano di tutt’altro genere. Secondo lui, i Genovesi avrebbero sparso ai quattro venti la voce che armavano 90 galere e 6 navi, e che avrebbero arruolato mercenari in Lombardia. Tali millanterie furono effettivamente spacciate; cfr. Annali, 303 [V, 41]. Di due mercenari da Milano fa prova App. 3, nr. 12, c. 74. La relazione è tanto più credibile, quanto più difficile sarebbe spiegare perchè la flotta veneziana fosse sproporzionatamente forte (47 galere: Canal, 1. c.) in confronto con quella dell’avversario, prova che il Doge era male informato sui movimenti di quest’ultimo, se mandava fuori una flotta per dare battaglia: Annali, 247 [IV, 54]. Se la flotta nemica era notevolmente inferiore per numero di navi, facile sarebbe stato evitarla - v., per es., Annali, 258 [IV, 92-93] - nel qual caso si sarebbero evitate ingenti spese. Questo è il motivo della politica già seguita in precedenza, di non spedire un numero di galere molto superiore a quello del nemico, così per es. nel 1267: Annali, 260 [IV, 103]. 14 Canal, 504; Dandolo, 371, invece dà 55, d’accordo con Marin Sanudo, Liber, 221. In precedenza erano già state mandate una nave con sei galere al comando di Marco Gradonico (Canal, 512) senza ottenere alcun risultato. — 161 - Libro II - Cap. terzo la seguiva potesse procedere indisturbato per Acri. Il Grillo sventò con grande abilità questo piano, ma le relazioni sui particolari della manovra da lui effettuata differiscono fra loro 15. In ogni caso dobbiamo credere che egli fosse a perfetta cognizione delle intenzioni del nemico 16. Sulla costa siciliana egli fece correre voce d’essere in via per Tiro; invece si nascose presso Malta 17. Barocio, ingannato da false informazioni, procedeva per la Siria. Quando il Grillo ne fu certo, divise la sua flotta 18 e attese con 16 galere nelle acque di Durazzo il passaggio delle navi mercantili veneziane, che vennero in vista il 14 agosto 19. Le pesanti taride non possono « Annali, 247 [IV, 55 e sgg.]; Canal, 504, 506; Gest. des Chipr., 168 e sgg. 16 Canal, 506, informa che il Comune di Genova avrebbe corrotto un cancelliere del Consiglio di Venezia di nome Nicola, il quale gli avrebbe passato delle informazioni. Effettivamente troviamo nei documenti un Nicolaus notarius ducatus Venetiarum (Dal Borgo, Dipi. Pis., p. 75) e siccome Canal dice che egli, scopertosi il suo tradimento, fuggì e che in Treviso, sua patria, fu bandito, cosi la notizia difficilmente può essere ritenuta priva di fondamento. ” Se in Gest. des Chipr., 169, è detto che il Grillo fu mal considerato a Genova per non essere andato in Siria, come gli era stato comandato, il racconto degli Annali, 247 [IV, 55 e sgg.], che può essere stato ricavato dalla relazione ufficiale deH’ammiraglio, si presenta quasi come una giustificazione. Si voleva andarvi, ma si era saputo quod si ad partes ultramarinas accederent, rtichil proficere possent de hiis, que ad comodum et honorem civitatis ]anue redundarent. 18 Annali, 247 [IV, 55]. Le navi e tre galere furono mandate, come dalla aggiunta var. a, sulla costa settentrionale dell’Africa; una galera al Paleologo; anche Canal, 504, sa della divisione della flotta ed è perfettamente credibile che tale divisione sia stata disposta per rinforzare gli equipaggi delle altre 16 galere; cfr. la lettera del Doge in Dandolo, 505. 19 Annali, 247 [IV, 55]: in vigilia assumptionis B. Marie. Il convoglio consisteva di 3 naves, una delle quali più grande delle altre due, 13 grandi taride, 1 panzonus, 2 galere, 1 saettia. Gest. des Chipr., 169: 22 taride e una grande nave di nome « Roquafort ». Canal, 508, cita pure questo nome, ma parla di 10 taride soltanto. Nella lettera del Doge Michaeli Dauro... capitaneo navis magne comunis (Dandolo, 504 e sgg.) è fatta menzione di 12 legni soltanto e di uno più grande. Ciò conferma pienamente quanto è detto in Gest. des Chipr., 169, che cioè Andrea Barocio mandò un legno a Venezia, per comunicare le notizie da lui raccolte; il Doge dichiara che quando il convoglio era partito, egli aveva avuto sicura notizia che Genova aveva spedito 20 galere e due navi, non di più, insufficientemente equipaggiate e male armate. E’ lontana la possibilità che ciò potesse riferirsi a notizie pervenute diretta-mente da Genova, forse tramite gli avversari del Grillo (Gest. des Chipr., 168), poiché questi era già partito alla fine di giugno, il convoglio invece verso il prin- - 162 - Continuazione della guerra con Venezia sfuggire alle veloci galere a remi20. Invece di tentare una fuga incerta, si mettono bordo a bordo in ordine di battaglia; una grossa nave, la « Roccaforte », sta al centro21. Nel pomeriggio i Genovesi muovono all’assalto; verso mezzanotte tutti i Veneziani si ritirano nella grossa nave22, che nel cipio di agosto; inoltre in Gest. des Chipr., 1. c., è detto che il Doge fece armare la flotta da guerra soltanto dopo aver ricevuto la notizia da Genova, mentre l’informa-zione sicura trasmessa con la lettera doveva essere giunta immediatamente prima della partenza del convoglio. Se il Doge dichiara d’aver ritenuto che la flotta mercantile da sola fosse abbastanza forte per tenere testa al nemico, lo fa solo perchè non vuol confessare d essersi lasciato ingannare da notizie inesatte e per poter accusare maggiormente l’equipaggio. 20 II numero 16 - Annali, 247 [IV, 55] - è confermato da Canal, 506, e dalla lettera in Dandolo, 505; qui è pure indicato esattamente il luogo dello scontro, in aquis Dyrachii prope Safenum, forse l’isola di Saseno, situata all’incirca nel punto più stretto del canale di Otranto; v. Atlante idrografico T. Luxoro, p. 72. In Gest. des Chipr., 168 e sgg., si parla erroneamente di 21 galere. E poco probabile che queste abbiano scorto il convoglio al mattino, poiché, secondo Annali, 247 [IV, 56], la battaglia cominciò circa vesperas. 21 Annali, 247 [IV, 55]: fecerunt quasi castrum sive carrocium de nave maiori. In ogni caso questa sporgeva dall’acqua più delle altre minori ed anche più delle galere nemiche, cosicché, dall’alto, come appunto da una torre, le armi a lunga gittata potevano operare più efficacemente, e difficilmente i suoi alti bordi potevano venir superati, mentre il passaggio da una galera ad un’altra nemica della medesima altezza era più facile. La grandissima capacità di difesa d’una nave risulta anche attraverso una relazione in Pachym., I, 421 e sgg. Non è chiaro in quale ordine fossero state disposte le navi minori; secondo Canal, 506, sarebbero state poste intorno alla maggiore, probabilmente a guisa di raggi, con la poppa rivolta alla grande nave e la prua al nemico, in modo che questo non potesse colpire di fianco con gli speroni delle galere. Che esse siano state subito abbandonate, v. Gest. des Chipr., 169, in contraddizione con altre relazioni, specialmente la lettera in Dandolo, 505. 22 Gli Annali, 247 [IV, 55 e sgg.] nulla dicono sui particolari del combattimento. Secondo Canal, 506, 508, il primo assalto sarebbe stato respinto; in esso solo un Veneziano sarebbe caduto e invece molti Genovesi, le cui galere si sarebbero poi ritirate, mentre i Veneziani avrebbero trasbordato sulle navi le merci di maggior valore, rinunziando alle taride. Queste, senza equipaggio, si disordinarono, cozzando certo l’una contro l’altra per i colpi di vento e di mare. I Genovesi sulle prime avrebbero creduto ad ima finta e si sarebbero poi impadroniti delie barche abbandonate, nelle quali trovarono bensì carichi di merci, ma di poco valore. Che i Genovesi non avessero effettivamente vinto al primo attacco, è provato dalla lunga durata del combattimento, come rilevasi dagli Annali, special-mente dalla parola tandem. Gest. des Chipr., 169, nulla sanno in generale di una battaglia, però notano che oltre a tutti i Veneziani, venne pure salvato l’aver soutil (sottile). La circostanza tuttavia dev’essere messa in dubbio. La lettera del Doge in — 163 — Libro II - Cap. terzo giorno seguente riesce a fuggire B, mentre tutto il resto della flotta rimane preda degli avversari24. Il Grillo porta in patria quasi tutte le navi conquistate. Il ricavato dalla vendita delle merci catturate recò certamente un rilevante incremento alle casse dello Stato e l’impressione morale d un primo successo, dopo una serie di poco fortunati eventi, non fu certo di trascurabile valore25; però lo scopo principale fallì, poiché nessun veneziano rimase prigioniero26. Frattanto Andrea Barocio aveva proseguito con la sua flotta diretta- Dandolo, 1. c., comincia ricapitolando la relazione mandatagli dal capitano della nave. In essa si parla del salvataggio delle persone e non delle merci costose e cosi pure Annali, 1. c. Del resto, secondo gli Annali, i Veneziani si erano dimostrati soprattutto molto desiderosi di combattere, forse tenendo poco conto del nemico. 23 Annali, 247 [IV, 56], Il vento avrebbe impedito di attaccarla. Secondo Canal, 508, il Grillo mandò un battello per intimare la resa della nave, fatte salve le persone. Allorché questa venne sdegnosamente respinta, sembra che il Grillo a ta tentato un attacco. Secondo Gest. des Chipr., 169, egli avrebbe fatto appiccare il fuoco ad una tarida, facendola spingere verso la nave; ma essendosi intanto atto il vento più gagliardo, questa spiegò le vele e fuggì a Venezia. Che una tarida ve nisse incendiata, è pure confermato dagli Annali. Però la nave non ritornò subito a Venezia, ma fece prima sosta a Ragusa (Canal, 508; Dandolo, 505). Appunto da a lettera appare come non fosse intenzione dei mercanti di proseguire il viaggio. I Doge ne fa loro rimprovero, ma dichiara alla fine che il Consiglio, dopo parecchie sedute, aveva deciso di rimettere a loro le decisioni che più credessero opportune a questo riguardo. La comunicazione porta la data dell’8 settembre, ma siccome anche gli Anna i fanno menzione del ritorno a Venezia, così è molto probabile che questa volta nessuna nave del convoglio avesse raggiunto la Siria. Questa completa interruzione del commercio spiegherebbe anche il motivo per il quale il danno sofferto da Venezia (oltre 100000 lire) fosse stato maggiore di quanto il Comune di Genova avesse ricavato dalle merci prese (oltre 30000 lire). Quest’ultima cifra può essere stata esattamente nota all’annalista, p. 247, (habuit) [IV, 56]; quanto all altra somma, egli non fa che riportare le voci che correvano (sicut publice ferebatur). 24 Annali, 247 [IV, 56]. Soltanto una nave va a fondo e una tarida viene incendiata; ciò è contradditorio, avendo pur detto che furono portate a Genova 13 taride, mentre il loro numero totale doveva essere pure di 13, e il panzonus non è compreso fra le navi prese. Che i Genovesi avessero saccheggiato e bruciato le taride (Gest. des Chipr., 169) è inesatto; anche Canal, 508, sa che furono portate a Genova. 25 Cfr. Dandolo, 505. ^ Canal, 508, 510. — 164 - Continuazione della guerra con Venezia mente per Tiro, dove arrivò il 2 settembre27. Naturalmente egli non vi trovò il nemico; solo una nave si trovava in porto, carica di cotone. L’equipaggio portò al sicuro la sua mercanzia28 e legò saldamente il bastimento alle mura della città nell’intento di difenderlo. Il Signore di Tiro vietò recisamente di prenderlo. Nel suo porto i Veneziani non possono toccare nessuno e se i Genovesi dovessero soffrire dei danni, egli li risarcirebbe per un doppio valore con le sostanze dei Veneziani. Questi però sembrano poco preoccupati del diritto di neutralità del Signore del paese e portano fuori il bastimento29. Dobbiamo dunque supporre che la flotta sia rimasta alcuni giorni davanti a Tiro, tanto che i Veneziani di Acri vi erano accorsi con sette galere, mentre parecchi abitanti di Tiro vennero per via di terra in aiuto di Filippo di Montfort. Il 7 settembre i Veneziani cominciarono dal mare l’attacco su Tiro30. Se fossero riusciti, sarebbe stato 27 Annali, 247 [IV, 56], Come forza totale della flotta da guerra è dato il numero di 52 taride, galere e altre navi minori: cfr. Canal, 510. La data è riferita da Marin Sanudo, Liber, 221 = Ann. terre sainte B, 450 = Amadi, 206. Marin Sanudo = Ann. terre sainte B hanno 55 galere e taride; Cont. Guill. Tyr., 447 : 50 galere e taride. 28 Canal, 510: bernois (arnisia) non il carico. 29 Annali, 247 [IV, 57]. E’ pure aggiunto che i Veneziani vendettero più tardi in Acri il bastimento con le merci, ma che Filippo di Montfort rifuse il danno ai Genovesi con beni che i Veneziani avevano a Tiro e con le sue proprie sostanze. Canal, 510, fa solo menzione della presa del bastimento. 30 In Ann. terre sainte B, 450 e sgg., è detto espressamente che l’assalto avvenne le vegille de notre Dame en Septembre; Amadi, 206, dando la data del giorno della battaglia, si avvicina di molto alla suddetta relazione. Egli non dice che fossero venuti 2000 uomini da Acri, ma soltanto più di 1000 che Filippo aveva fatto venire a pagamento oltre ad altra gente del suo territorio. E’ omessa la circostanza dell’arrivo di 7 galere; la troviamo però in Marin Sanudo, Liber, 221, il quale dà pure in 2000 il numero degli uomini e pone l’attacco dopo che le due parti si erano fortificate, senza però precisare il giorno. Cont. Guill. Tyr. 447, è molto breve. In ogni caso la fonte comune è meglio riprodotta in Ann. terre sainte B, e la relazione è tanto più pregevole, in quanto nè dagli Annali, 247 [IV, 56], nè da Canal, 510, possiamo vedere che l’arrivo della flotta veneziana e 1 attacco avvennero nel medesimo giorno. In Gest. des Chipr., 170, è contenuta una minuziosa descrizione dell’attacco, ed ai Genovesi, unitamente al loro console Meliano de Marini, è attribuita principalmente la resistenza. Soltanto successivamente sarebbero arrivate le 7 galere; il Signore di Tiro avrebbe fatto richiamare gli arcieri dal suo territorio e gli sarebbero venuti aiuti anche da Acri, dopo di che i Veneziani sarebbero partiti. La situazione si sarebbe quindi invertita. — 165 - 12 Libro II - Cap. terzo per i Genovesi un colpo molto più duro di quando erano stati espulsi da Acri. Però i Veneziani non erano in grado di fare alcunché. Forse avevano inteso limitarsi a intimorire il Signore del paese per indurlo a sciogliere la lega con i loro avversari; ma anche questo proposito doveva fallire completamente, perchè Barocio, venuto intanto a cognizione del disastro della flotta mercantile, levò l’assedio a Tiro e partì per Acri31. Di là scortò le navi mercantili che rimpatriavano e arrivò a Venezia alla fine di novembre 32. Gli avvenimenti guerreschi del 1264 non erano stati affatto sfavorevoli per Genova. Frattanto però un fatto avvenuto a Costantinopoli minacciava di far perdere al Comune i frutti del trattato del 1261. Il suo podestà locale, Guglielmo Guercio, aveva preso delle intese con gli inviati del re di Sicilia, i quali miravano niente meno che a far passare la città in mano dei Latini33. La notizia che possediamo sul contegno sleale di questo funzionario supremo di Genova in Romania, ci rende difficile fare congetture sui motivi che potevano averlo indotto al tradimento contro il migliore degli alleati della sua patria; però è probabile che fossero di natura puramente personale M. Accusato presso l’imperatore, Guglielmo 31 Ann. terre sainte B, 451: 27 settembre, partenza da Acri dopo 15 giorni di sosta (dunque la flotta doveva esservi arrivata verso 1’11 settembre); 15 giorni di sosta sono dati anche da Amadi, 206, e Marin Sanudo, Liber, 221. In Cont. Guill. Tyr., 447, la cattura del convoglio è posta senza alcun legame con gli avvenimenti di Tiro. Negli Annali, 247 [IV, 57], è detto espressamente che, mentre i Veneziani stavano dinanzi al porto di Tiro, venne una barca da Acri ad avvisarli della cattura del loro convoglio. Invece la notizia data da Gest. des Chipr., 170 e sgg., che essi ebbero certa cognizione della circostanza soltanto in Acri, risulta inesatta. 32 Annali, 247 e sgg. [IV, 55]; Canal, 510. 33 Annali, 249 e sgg. [IV, 65]. 34 La famiglia dei Guercio è decisamente guelfa: Annali, 252 [IV, 72]; cfr. l’intervento di Fulcone Guercio nel 1238, per impedire l’accordo con Federico II, in Annali, 189 [III, 87]. Invece, degli antenati di Guglielmo dovevano aver avuto possedimenti presso Costantinopoli. Nell’istruzione per gli inviati genovesi a Bisanzio del 1201 (Sauli, Della colonia dei Genov. in Galata, II, p. 197) è detto che Balduino Guercio aveva avuto possedimenti in feudo dall’imperatore Manuele. Risulta che egli ne fosse stato allora privato, dal momento che ne veniva domandata la restituzione. Nella convenzione con Venezia del 1218 (L.J., I, 613) è pattuito che debbano essere restituiti agli eredi di Balduino Guercio i possedimenti che egli aveva fuori di Costantinopoli e che si trovassero nelle zone dell’impero appartenenti a Venezia. — 166 — Continuazione della guerra con Venezia confessa apertamente i suoi disegni in presenza di parecchi Genovesi e Greci. Viene redatto un verbale, trasmesso al Comune mediante apposito inviato. Il Paleologo coglie questa occasione come scusa per non tollerare più la residenza di Genovesi nella sua capitale, dalla quale dovettero allontanarsi, venendo loro assegnata Eraclea sul Mar di Marmara per nuova residenza; inoltre in questa occasione vennero pure espulsi da Costantinopoli tutti gli altri Latini3S. L’imperatore non vuole romperla d’un tratto con il Comune, ma intanto il trattato del 1261 è da lui violato. La quasi incredibile malafede di Guglielmo Guercio doveva aver prodotto a Genova la massima indignazione. I suoi parenti si presentarono al Consiglio pregando che egli fosse condotto a Genova legato mani e piedi e fosse rimessa a loro la punizione da infliggergli36, nell’intento forse di salvargli in tal modo almeno la vita. Soltanto con la morte poteva essere espiato il tradimento, ma la pena capitale non era allora in generale applicata a Genova per delitti politici e alla fin fine il Comune non era riuscito a impadronirsi del colpevole. Egli viene bandito dal Podestà, con facoltà tuttavia di conversione del bando nel pagamento di una multa di 10000 lire 37. Le condizioni del trattato rimasero così fortemente tur- Giovanni Guercio, padre di Guglielmo - Annali, 249 [IV, 65] - accompagnò nel 1239 a Genova un inviato dell’imperatore greco Vathacius-. Annali, 190 [III, 93]. Guglielmo poteva dunque aver riavanzato le antiche pretese e 0 Paleologo essersi rifiutato di acconsentirvi, quindi egli doveva aver cercato di ottenere in altro modo quanto gli spettava di diritto. Sui piani di Manfredi mancano notizie più positive. 35 Annali, 249 [IV, 65]; Pachym., I, 167 e sgg., conosce questi fatti solo in parte. Egli basa il fatto dell’espulsione dei Genovesi sulla considerazione generica che, a causa del loro grande numero, ne paresse all’imperatore pericolosa la presenza all’interno della capitale, mentre avrebbe permesso ai pochi Veneziani e Pisani di restarvi. Quanto al primo punto, Pachym. è certamente molto male informato e si sorregge adducendo motivi di ordine generale, nulla sapendo del movente specifico; il secondo punto è in diretta contraddizione con gli Annali, che sono contemporanei. Niceph. Greg., I, 97, è ancor più inesatto, trascurando affatto l’emigrazione dei Genovesi ad Eraclea. Non è ammissibile che proprio i Veneziani potessero allora liberamente muoversi a Costantinopoli (v. sopra, libro I, cap. VII, n. 44). Proprio perchè faceva riserva sulla loro riammissione, il Paleologo aveva nelle mani il mezzo di indurre Venezia ad un accordo. 36 Annali, 249 [IV, 66], 37 Annali, 1. c. [IV, 66], Sul bando dalla città cfr. Ficker, I, par. 43 e sgg. Si potrebbe ammettere che per riguardo ai suoi parenti fosse stata resa possibile la fuga a Guglielmo. Probabilmente questi è da identificare con quel Guglielmo Guezo, che nel 1276 (Minieri Riccio, Il Regno, 1276, p. 181), compare come ammiraglio del principato di Acaja: cfr. Hopf, Gesch. Griech., pp. 294, 318. — 167 — Libro II - Cap. terzo bate38, ma certamente il governo genovese era ben lontano dall idea di rinunziarvi. Egidio di Negro fu quindi mandato quale ambasciatore all imperatore su una galera diligentemente armata, con l’incarico di chiedergli che, a tenore del trattato, fossero lasciati al Comune gli edifizi concessigli e che questo potesse insediare un podestà; ma intanto il Comune si mostra disposto a fare un passo indietro. Già sorge l’idea di trasferire il quartiere a Pera, presso la capitale, però fuori delle sue mura. L imperatore non vi acconsentì e l’inviato ritornò in patria senza avere ottenuto nulla. Nell’anno stesso vennero mandati al Paleologo Benedetto Zaccaria e Simoneto de Camilla, certo con le stesse istruzioni, ma essi pure nulla poterono ottenere39. Era così imminente il pericolo che la posizione appena acquistata in Romania potesse andare quanto prima interamente perduta. Eraclea non compensava affatto la perdita del quartiere di Costantinopoli e ben tosto minacciava ancor di peggio. Frattanto l’astuto greco intavolò delle trattative con Venezia. Se fosse riuscito a concludere una lega con questa città, non avrebbe più avuto bisogno dei Genovesi, la cui inimicizia avrebbe potuto recargli poco danno, poiché essi per mare non potevano tener testa ai Veneziani, nè, soprattutto, avevano alcuna piazzaforte in Romania. D’altra parte, una crociata contro di lui senza l’appoggio dei Veneziani, era cosa abbastanza improbabile. Una salda pace con Venezia assicurava quindi Costantinopoli contro qualunque attacco dei Latini più della maggiore armata genovese. Il momento opportuno per concludere sembrava essere venuto, poiché Venezia non aveva avuto fino ad ora alcun essenziale aiuto dall’Occidente e si vedeva minacciata da nuove perdite continuando la guerra. Il papa non era seriamente disposto a restaurare il regno di Balduino, anzi teneva qualche relazione con lo scismatico40. Sembra addirittura che allora fosse scoppiato un conflitto per il quale Venezia si vide minacciata dell’interdetto 41. Il Paleologo fece le prime aperture al Doge mediante il prigioniero 38 Cfr. L.J., I, 1354. 39 Annali, 1. c. [IV, 66]. L’allontanamento del Genovesi da Costantinopoli deve quindi essere avvenuto già al principio del 1264, altrimenti non avrebbero potuto svolgersi nel medesimo anno tante trattative. Non è chiaro per qual motivo il Grillo avesse mandato una galera all’imperatore: Annali, 247 [IV, 55]; cfr. sopra. 40 Rayn., anno 1264, par. 61 e sgg. Potthast, nr. 18951: 22 giugno. 41 Urkunden zur àlteren, III, p. 56 e sgg. Il 13 novembre 1265 il papa confermò l’interdetto: Reg. de Clément IV, p. 53. - 168 - Continuazione della guerra con Venezia veneziano Enrico Trevisano, il quale ritornò in compagnia di Benedetto Griglione certamente con una risposta non negativa42. Questi spinsero abbastanza avanti le negoziazioni, senza però aver i poteri per una conclusione. Tale incarico venne invece conferito senza restrizioni a Jacopo Delfino e Jacopo Contarmie, che il Doge inviò all’imperatore dopo il rimpatrio del Griglione. Il 18 giugno 1265 fu quindi conclusa una pace formale 44, subito ratificata dal Paleologo. La più importante clausola forse da lui consentita è quella di allontanare i Genovesi dal suo regno e di concludere pace con essi soltanto dopo averne data comunicazione a Venezia. Questa del pari dovrà dargli parte ove intendesse fare pace con Genova. E’ pure previsto che Venezia dovrà fornirgli un aiuto militare, nel caso che il regno greco fosse attaccato dai Genovesi. Tutte le disposizioni del trattato mostrano l’intenzione di rinnovare una stretta e durevole amicizia. I Veneziani devono riprendere la loro antica posizione in Romania. Come prima essi formavano il principale appoggio dell’impero latino, così ora dovranno proteggere il greco contro gli attacchi dell’Occi-dente. I Genovesi devono ormai cederla ai Veneziani, nè possono più sperare di tener testa in Romania ai rivali, così favorevolmente collocati. 42 Canal, 496, in ogni caso ancora nel 1264. 43 Urkunden zur àlteren, III, p. 88. La data è 12 marzo 1265, ind. VIII; l’indizione indica che non si tratta del 1266. 44 Ibid., p. 62 e sgg. Cfr. Canal, 582, 584. — 169 — \ Capitolo quarto Torbidi a Genova nel 1265 e Carlo d’Angiò Trattative di Carlo con Genova. - Dissidi tra i Grimaldi e gli Spinola. - La doppia podesteria ghibellina. - Trattative con Carlo. - Importanza della battaglia di Bene-vento per Genova. Le condizioni di Genova erano notevolmente sfavorevoli, allorché il 2 febbraio 1265 il nuovo Podestà, Alberto de Rivola da Bergamo, entro in carica \ I Genovesi erano esclusi dalla più importante città commerciale della costa siriaca; lo stabilimento in Costantinopoli, che avrebbe potuto compensameli, era stato loro tolto e, forse ancora più pericolose delle disgrazie esterne, le interne discordie minacciavano di far diventare la città teatro di sanguinosi conflitti. Ciò accadde tutto assieme, in un momento in cui la politica del papa era vicina a raggiungere il suo scopo, da tanto tempo agognato. Già Carlo dAngiò si apparecchiava alla spedizione mediante la quale egli doveva strappare allo Staufen la proprietà della Chiesa, il regno di Sicilia. Urbano IV, che aveva di nuovo procurato di mettere pace fra Venezia e Genova2, pochi mesi dopo morì. Il suo successore non ritentò così presto la vana impresa. Si alzarono bensì delle voci che, nell’interesse della Terra Santa e dell’imperatore Balduino, dichiaravano come desiderabile e urgente porre fine alla guerra fra le due citta marittime 3, anche impiegando le più severe misure. Ciò poteva sembrare anche vantaggioso per il passaggio della spedizione contro Napoli, ma Clemente IV era d’altra opinione. I progressi dei Saraceni, come quelli dei Greci scismatici, non lo toccavano troppo; quello che gli premeva di 1 Annali, 250 [IV, 67]. 2 Posse, p. 34, nr. 411: 20 giugno 1264; nr. 413: 22 giugno. 3 V. le informazioni contenute nella lettera dell’arcivescovo Egidio di Tiro (Parigi, 23 novembre 1265) a Riccardo, canonico di Tiro e tesoriere del papa, in Servois, Emprunts de Saint Louis, p. 288. Nell’estate 1265 il papa non aveva tempo nemmeno per le questioni puramente ecclesiastiche, perchè, pretermissis omnibus, ad negotium comitis Caroli solum vigilat et attendit. Lettera del Doge in Cornei ius, Ecclesiae Venetae, X, p. 236. — 170 — Torbidi a Genova nel 1265 e Carlo d’Angiò più era la potenza di Manfredi4, contro la quale non c’era altro riparo che Carlo. Il nunzio che doveva recare al conte di Provenza le condizioni definitive per l’assunzione del reame lasciò Genova il 12 aprile5. Il mattino del 14 maggio Carlo passò davanti ad essa con 27 galere e 13 legni minori6. Nel giugno sfilarono 40 galere di Manfredi lungo la costa ligure in via per la Provenza. Un mese dopo, nel ritorno, incontrarono nelle acque di S. Remo 17 galere di Carlo che ritornavano da Roma, due delle quali furono prese, una bruciata, una affondata; però tutto l’equipaggio si salvò a terra7. La guerra veniva così a toccare il Utorale ligure e fu propriamente per un caso che, nel medesimo giorno in cui la flotta francese compariva presso Genova, 10 galere armate contro i Veneziani salpassero dal porto 8. Tuttavia, per quanto Carlo si riservasse nelle convenzioni di non volersi impegnare a nulla che fosse contrario alla sua pace con il Comune9, molto ancora mancava perchè questa pace corrispondesse interamente ai suoi desideri. Anzitutto il papa fece ora un tentativo per indurre la città a permettere il passaggio per il suo territorio alle truppe di terra, destinate ad una azione decisiva. Il cardinale Ottobono, cui era affidata la legazione 4 Cfr. Sternfeld, Karl von Anjou, p. 240. 5 Martène et Durand, II, 123; cfr. Sternfeld, Karl von Anjou, 1. c.; non è chiaro se il nunzio a Genova avesse condotto delle trattative. 6 Annali, 252 [IV, 73]: per mare ]anue; il momento (in mane) dovrebbe essere quello nel quale il redattore degli Annali aveva scorto da Genova la flotta. Nel primo mattino del 15 maggio essa era comparsa presso Portovenere: Martène et Durand, II, 130. I mercanti lucchesi, che comunicarono la notizia al papa, contarono ottanta bastimenti, connumeratis parvis et magnis. Le 40 galere in più (Sternfeld, Karl von Anjou, p. 245, n. 1) non dovevano essere partite con le altre da Nizza, poiché anche quelle si sarebbero dovute vedere da Genova. I Lucchesi dovevano aver calcolato pure i battelli rimorchiati dalle navi. (Sulla barca de canterio cfr. Belgrano, Docc. ined., p. 219). Il tempus adversum (Martène et Durand, 1. c.), prova che il vento non era favorevole, il che sembra non essere stato avvertito da Merkel, La dominazione, di Carlo I d’Angiò, p. 241. In Annali, 252 [IV, 73-74], non è detto che Carlo fosse partito da Marsiglia il 14 maggio, come si dovrebbe ritenere dalla citazione di Sternfeld, Karl von Anjou, p. 245, n. 5. 7 Annali, 252 [IV, 74]. 8 Annali, 250 [IV, 68]. 9 Sternfeld, Karl von Anjou, p. 319; Del Giudice, Cod. dipi., I, p. 43. Cfr. Merkel, La dominazione di Carlo I d An già, p. 249. — 171 — Libro II - Cap. quarto d’Inghilterra I0, doveva a tal fine mettere a prò tutta la sua influenza personale ", accompagnato, come sembra, da Opizo, patriarca di Antiochia, pure della famiglia dei Fieschi 12. In agosto B, egli venne a Genova, ove fu ricevuto con ogni onore 14; ma certamente con esito nullo 15. Il 7 settembre Carlo conferì mandato all’arcivescovo di Aix, unitamente a due altri inviati, di concludere una convenzione con Genova16; però ci mancano notizie per stabilire se siano state avviate trattative a tal fine. Non sappiamo in quaj modo Manfredi abbia reagito contro le influenze del partito della Chiesa; è possibile però che egli abbia mantenuto qualche relazione con gli antichi partigiani di suo padre. Per conto suo poteva bastargli che il Comune si fosse strettamente attenuto, come fino allora, alle convenzioni che lo obbligavano alla neutralità e difficilmente i suoi partigiani avrebbero chiesto qualcosa di più nelle sedute del Consiglio. Nelle sollecitazioni del papa per attirare Genova dalla sua parte, la nobiltà si trovò sovente di fronte alla questione che ai tempi di Federico II aveva cagionato le sue insanabili discordie. Perciò nulla di più naturale che ora risorgessero più aspre che mai le antiche lotte fra Guelfi e Ghibellini. La relazione ufficiale degli Annali ci presenta soltanto la causa esterna che diede luogo allo scoppio dell’odio di parte. Oberto Spinola aveva raccolto fra la sua gente ed i suoi amici una schiera per assediare il castello di Montecanne 17; dopo qualche tempo, riuscito ad occuparlo, fece ritorno 10 Potthast, nr. 19123, etc. 11 Martène et Durand, II, 180. 12 Ibid. Riguardo a lui, v. Jac. de Var., 52. Ròhricht, Syria Sacra, p. 5, distingue erroneamente un Opizzo ed un Ottobono. L’8 agosto 1264 egli non si trovava in Antiochia, ove era rappresentato da un Vicario: Chart. de terre sainte, p. 117. 13 App. 5, nr. 20, c. 39: d. cardinalis venit lanuam, quod fuit 1265 de mense Augusti. 14 Annali, 253 [IV, 76], 15 La lettera (Martène et Durand, II, 180) è del 5 agosto; quindi il papa non aveva ricevuto ancora notizia alcuna. E’ oscuro il significato delle parole: Illud credimus, quod si quasi iturus ultra mare navalis processisset exercitus, Siciliam habuisset. Ciò potrebbe riferirsi ad una flotta genovese che, facendo mostra di dirigersi per la Siria, avesse voluto invece assalire la Sicilia. 16 Minieri Riccio, Alcuni fatti, p. 6; Del Giudice, Cod. dipi., I, 47. 17 Annali, 251 [IV, 70], Le ostilità sembrano aver avuto un carattere puramente privato. Montecanne era situato nelle vicinanze dei possedimenti degli Spinola in Valle Scrivia: cfr. Annali, 231 [IV, 9]. — 172 - Torbidi a Genova nel 1265 e Carlo d’Angiò a Genova. Molti popolari lo avevano accompagnato nell’impresa e corse la voce che essi gli avessero giurato di ricostituire il Popolo. D’altra parte i Grimaldi si erano adoperati per impedire l’esito della sua impresa. Così I antica avversione fra questi ed Oberto trovò nuova esca. Frattanto alcuni nobili si frammisero e riuscirono ad un accomodamento. In seno al Consiglio i nemici si diedero il bacio di pace e giurarono di nulla fare che potesse esser causa d’un rivolgimento nello Stato genovese. Il suggello della conciliazione fu un banchetto dato dal Podestà. Oberto non vi prese però parte 18, non avendo rinunziato ai suoi progetti. Nella notte dal 1° al 2 ottobre egli rompe le dighe. Il momento era bene scelto, poiché, come di consueto nella stagione autunnale, i nobili erano in campagna, per cui gli rimaneva libero il campo. Lo accompagnavano suo fratello 1 omaso ed altri parenti, buon numero d’uomini delle valli Scrivia e Lavagna, come pure popolari, non però ricchi, ma della parte turbolenta. Lo scopo è di elevare Oberto a Signore e Capitano della città. Anzitutto la schiera assale il palazzo del Podestà, che viene preso senza resistenza. II Podestà è fatto prigioniero con il suo seguito e condotto a casa dello Spinola 19. Poi gli insorti si riversano per le vie, gridando continuamente evviva al nuovo Capitano, facendo chiudere le porte della città, affinchè i nobili non potessero rientrare. Fra la classe inferiore del popolo l’impresa viene salutata con plauso. Ovunque risuona il grido: « Insorgete e venite dal signor Oberto Spinola, Signore e Capitano di Genova ». Il tumulto dura tutta la notte. Al mattino lo Spinola vuol portare a compimento il suo disegno. In parlamento egli deve essere eletto e confermato Capitano del Popolo; ma intanto parecchi nobili erano rientrati in città. Il solito squillo delle campane chiama a raccolta i cittadini nella chiesa di S. Lorenzo, ed Oberto lascia il palazzo del Podestà per recarvisi. Per via i Guerci cercano di impedirgli il passaggio davanti alla loro casa; ne nasce un combattimento nel quale essi soccombono; le loro case e torri vengono saccheggiate. Il vincitore vi lascia alami dei suoi uomini, poi comincia a percorrere la città, mentre, cosa sorprendente, non si fa più parola del parlamento. 18 Annali, 251 [IV, 71]: perchè in die convivii habuit in capite quondam plagam. Non è detto chi lo avesse ferito. 19 Annali, 1. c. [IV, 71]: ad domum dicti Oberti ad Luchollum, dunque nella odierna via Luccoli. - 173 - Libro II - Cap. quarto Frattanto quasi tutti i nobili sono ritornati, ad eccezione dei Grimaldi. Questi avevano inteso dire che il Pelavicino si era impadronito di Genova e perciò si erano affrettati a porsi in salvo nel loro castello di Stella. Tuttavia, quantunque mancassero così i capi del partito avversario, l’elezione dello Spinola a Capitano non ebbe luogo. Manifestamente la nobiltà non vuole la ricostituzione del Popolo. Certamente anche i Doria non consentivano che gli Spinola dovessero avere da soli la signoria di Genova. Tuttavia la sollevazione era riuscita, il Podestà era stato allontanato, il suo palazzo, la sede del governo, era in mano di Oberto. Ciò spiega come a questo punto si fosse venuti ad un accomodamento con il quale questi rinunziava bensì alla elezione a Capitano e alla conseguente istituzione del Popolo, ma attraverso una via di uscita che, quantunque limitatamente, metteva il potere nelle mani della nobiltà del partito ghibellino; cioè: Guido Spinola e Nicola Doria devono assumere in comune come Podestà il governo della città fino al 2 febbraio 1266. Oberto e quelli che lo avevano aiutato non devono ricevere punizione di sorta. Il Podestà che prima era in carica viene deposto; ritorna alla sua patria dopo essere stato risarcito dei danni20. Così si affermò ancora una volta la forma di governo aristocratico, solo mancando quell’equilibrio nei partiti, che si era verificato nel 1264, nelPoccupazione dei seggi al Consiglio, avendo ora ottenuto un solo partito il deciso sopravvento. Ciò, a dir vero, avrebbe dovuto essere temporaneo, in funzione del fatto che due membri della fazione vittoriosa si erano impossessati delle leve dello Stato; ma il successivo Podestà forestiero fu un puro ghibellino21. Però il mutamento era avvenuto troppo tardi perchè potesse esercitare un’efficace azione nella politica estera del Comune. Poco dopo 1 eser- 20 Annali, 251 [IV, 71]. L’improvviso tumulto notturno costò la vita ad uno dei suoi giudici. Non abbiamo alcun documento dell’epoca della doppia podesteria. 21 Annali, 255 [IV, 84]: d. Jacobus de Palude civis Parmatius. Non possiamo stabilire se sia stato eletto prima o dopo il 2 ottobre. Un’elezione anteriore sembrerebbe conforme all’uso, ma non assolutamente necessaria. Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 97. I de Palude rappresentavano a Parma una parte importante ed erano zelanti Ghibellini: Ann. Parm. maior., 683, etc.; Salimbene, Chronicon, 248, 255, etc. Jacobus accompagnò nel 1268 Corradino nella spedizione contro Carlo: v. Del Giudice, Don Arrigo Infante di Cast., p. 122. — 174 - Torbidi a Genova nel 1265 e Carlo d’Angiò cito di Carlo entra in Italia 2, gira al largo intorno ai territori di Genova e della Toscana, senza trovare notevole resistenza nel suo cammino su Roma. I partigiani di Manfredi non osano opporsi in aperta battaglia campale ai cavalieri francesi tanto esperti nelle armi. La definitiva soluzione della lunga lotta fra il papato e gli Staufen era imminente, nessuno però poteva prevedere che potesse essere decisa d’un sol colpo. Considerata la forza di Manfredi, erano da aspettarsi lunghi e duri combattimenti, che avrebbero resi necessari massicci richiami di rinforzi dalla Francia, i quali avrebbero abbreviato il cammino passando per Genova. Clemente IV non mancò di attirare l’attenzione di Carlo su questa circostanza23. Come sembra, Lucca, confidando sulla sua antica amicizia con Genova, si era offerta di far valere la sua influenza per attrarla dalla parte della Chiesa. Il papa raccomandò fervorosamente al suo alleato di ascoltare benignamente le proposte degli inviati lucchesi e di esaminare se fossero corrispondenti allo scopo; egli avrebbe pure dovuto, occorrendo, incaricare il vescovo di Avignone di intavolare trattative24, che Carlo del resto aveva già iniziato. La presenza del suo intermediario a Genova73 deve quindi cadere nel dicembre 1265. Questi espose con grande abilità le proposte del nuovo re di Sicilia. Disse di aver inteso che dei moti turbolenti erano avvenuti in città; che se la quiete era ristabilita, tanto meglio; in caso contrario egli offriva i suoi servizi per mettere pace. Se il Comune avesse desiderato introdurre qualche modificazione nel trattato con Carlo, questi avrebbe aderito a qualunque condizione accettabile, anzi chiedeva consiglio sulla sua contesa con Manfredi, che si nominava re di Sicilia. Tutto questo non era altro che una preparazione26 per arrivare a ciò che più premeva a Carlo. La sua forza navale non poteva competere con quella del suo avversario. Se Genova metteva una flotta a sua disposizione, 22 Ann. Plac., 514 e sgg. Cfr. Merkel, La dominazione di Carlo I d’Angiò, p. 254 e sgg. 23 Martène et Durand, II, 246; lettera del 29 novembre 1265. 24 Ibid. Il senso della lettera non è molto chiaro; in particolare non risulta in che cosa consistessero le proposte dei Lucchesi. L 'etiam in hoc statu, quam (!) contra nostrum beneplacitum habet (se. ]anua) si riferisce bensì al subentrato rivolgimento ghibellino, ma non già al non ancora revocato interdetto. * Annali, 253 [IV, 76]. 26 Merkel, La dominazione di Carlo I d’Angiò, p. 250, va troppo oltre, dicendo che Carlo già fin da allora agognava alla signoria di Genova, poiché, alla fine del 1265, non era ancora il caso di parlarne. — 175 — Libro II - Cap. quarto era possibile una diversione che avrebbe impedito a Manfredi di opporsi con tutte le forze del suo regno all’invasione dei Francesi. Non sarebbe stata la prima volta che Genova avrebbe prestato il suo aiuto per un’impresa contro Napoli27 partecipando alla conquista28, e su questo punto si aggiravano le proposte che ora faceva il vescovo di Avignone. Poteva sembrare al Comune molto vantaggioso di accettarle, prima che fosse troppo tardi. Era il caso di concludere una convenzione simile a quella già fatta con il Paleologo. Mediante le concessioni, che ora si potevano ottenere, sarebbe stato possibile per Genova di far scendere durevolmente in seconda linea il commercio dei Veneziani e dei Pisani con regioni così ricche e ubertose come quelle dell’Italia meridionale. Non era però questo il momento di pensarvi, perchè Manfredi ne teneva ancora il dominio. Era discutibile se Carlo potesse riuscire a vincerlo, e certamente i Ghibellini, che appena allora avevano ottenuto la supremazia a Genova, non avrebbero voluto sostenere il campione della Chiesa in una impresa che minacciava di rovina tutto il loro partito. Qualche attenzione dovevano portare anche verso la fazione avversaria. Con una politica che avesse compromesso direttamente gli interessi del Comune, si sarebbe offerto ad essa il destro di riacquistare la perduta influenza. Se si fosse conclusa una lega offensiva contro lo Staufen, era da aspettarsi che questi imprigionasse tutti i Genovesi residenti nel suo regno29. Una lega con il nemico giurato del papato poteva produrre conseguenze ancor più funeste; con ciò si spiega perchè il Comune non abbia rinunziato al contegno neutrale fin qui tenuto, secondo i trattati. Esso risponde quindi al vescovo di Avignone limitandosi a dirgli di ringraziare il signor re Carlo per le sue amichevoli manifestazioni30. 27 Così devesi intendere si comuni Janue placeret habere partem iti conquisto'. Annali, 253 [IV, 76-771. 28 Enrico VI nel 1191 (L.J., I, 371) come già Federico I nel 1162 (ibid., I, 208), aveva dato, fra l’altro, in feudo al Comune la città di Siracusa e sue dipendenze. 29 Tale è il mezzo che Federico II nel 1232 - Annali, 179 [III, 62] - e Carlo I nel 1272 - Annali, 273 [IV, 148-149] - adoperano per rendere arrendevole il Comune. 30 Annali, 253 [IV, 77]: quod comune Janue grates de predictis omnibus dicto domno regi Karullo referebat. Forse la risposta negativa al papa è già nota il 23 dicembre 1265. Martène et Durand, II, 254: lettera a Carlo nella quale iipete che il favore di Genova sarebbe per questo di somma importanza, al fine di attirarsi il favore degli elementi minori del partito. - 176- Torbidi a Genova nel 1265 e Carlo d’Angiò Il 2 febbraio 1266 i due Podestà, com’era stabilito, uscirono di carica. Gli annalisti fanno loro grandi elogi per la loro buona amministrazione . Sarebbe stato difficile decidere quale piega avrebbe preso la politica di Genova diretta da un ghibellino come Jacopo de Palude, ove le sorti mutevoli della guerra avessero messo a vicenda in gara il papa ed il suo avversario per accapparrarsi il favore del Comune. Forse la stessa politica di aspettativa avrebbe portato come conseguenza che ognuna delle parti sarebbe scesa a concessioni maggiori dell’altra, come avvenne più tardi, quando gli Angiò si trovarono in lotta con la casa di Aragona per la Sicilia. Questa volta però gli avvenimenti si svolsero con sorprendente celerità. Il 26 febbraio 1266 32 l’infelice Staufen perdette trono e vita presso Benevento. Questo colpo distrusse nella politica di Genova tutte le previsioni fino allora fatte. Il papato, rimasto libero dal suo avversario, può rivolgere con maggior forza la sua attenzione alle cose di Oriente; sul regno di Sicilia domina ora Carlo. Pochi mesi prima egli si adoperava per ottenere il favore del Comune, ora è questo che deve rivolgersi a lui pregandolo di non fargli perdere i privilegi in quei paesi che così repentinamente avevano mutato sovrano. In tali circostanze non era più il caso di tenere una politica ghibellina. A capo dell’ambasciata spedita nell’aprile 126633 alla Curia romana e alla corte del nuovo re stanno Bovarello Grimaldi e Te-disio Fieschi, accompagnati da Marchisino de Cassino come nel 1262 ^ vi erano inoltre Nicola Guercio, Enrico Spinola e Luchetto Gattilusio. Quest’ultimo, molto noto per le cariche rivestite nello Stato e come poeta35, Annali, 254 [IV, 831. 32 Annali, 255 [IV, 85 e sgg.]. Cfr. Schirrmacher, Die letzten, p. 289 e sgg. 33 Annali, 256 [IV, 88]. Ancora il 25 marzo, il papa è alquanto preoccupato a riguardo dei Genovesi: Martène et Durand, II, 302; P8 maggio (ibid., II, 319) egli scrive de Januensibus aliquam spem habemus. Quanto fosse apprezzato a Genova anche il minimo segno di favore da parte dei vincitori, è provato dalla notizia in Annali, 256 [IV, 88], che Filippo di Montfort, nominato Vicario di Sicilia (cfr. Schirjrmacher, Die letzten, p. 300) preferì andare a Messina sopra una nave genovese anziché con una pisana. Ancora il 4 marzo (Reg. de Clément IV, p. 76), il papa aveva incaricato il suo legato nel regno di assolvere dalla scomunica, dalla quale erano stati colpiti per aver prestato aiuto a Manfredi, tutti i Genovesi, Pisani e Veneziani residenti vi. 34 L.J., I, 1403. 35 Cfr. Schultz, Die Lebensv., p. 223 e sgg. — 177 — Libro II - Cap. quarto poteva benissimo essere considerato come rappresentante del parti derato della nobiltà genovese, che aveva procurato sempre di tenere u via di mezzo e, nello scoppio delle passioni dei partiti, aveva fatto p d’intermediario. In un serventese36, ancora prima che Carlo int p desse la sua marcia, egli vagliò abbastanza freddamente la posizio principi che erano in lizza per il possesso del regno di Sicilia, politica della neutralità era finita, si doveva cercare di accomo vincitore il meglio possibile. Gli ambasciatori si trattennero breve tempo presso la Cuna romana, mentre presso il re indugiarono due mesi. Ma per quanto onorevo fossero stati accolti da lui, le trattative non condussero ad alcu ^ Purtroppo gli Annali tacciono37 su quale punto esse vertessero, non dubbio però che nè il papa acconsentì a togliere l’interdetto, ne ar o a confermare i privilegi commerciali. Magari Clemente IV e Car o non ^ vevano aver dato agli ambasciatori una brusca negativa, ma comunque licenziati con belle parole38. Essi erano ora in posi da vendere a caro prezzo il loro favore; Genova si era lasciata s gg momento propizio. E ancorché avesse voluto attenersi strettament tato del 1262, dipendeva ormai dalla buona volontà di Carlo app icarne condizioni39 quanto al suo nuovo regno. Nè questo era il ®° esercitare una pressione sul suo animo. * Cfr. Schirrmacher, Die letzten, p. 663 e sgg. e conforme a ìulSc^TZ L c pongono il serventese nel 1262. Merkel, L’opinione dei contemporanei, p , lo pone, certo più esattamente, poco prima della guerra del 1265. D comP testo non si può desumere la data esatta. Sorprende invero la menzione a radino; ma i Genovesi potevano aver motivo di non dimenticar o, essen o volta intervenuti riguardo alle sue pretese sul regno di Gerusalemme v. sop , Del resto il papa riconobbe i diritti di Corradino sopra ^ que regno e tardi (Posse, p. 142, etc.) minacciò di negarglieli. Le azioni del re Alfonso 1264 sono contro i Saraceni - Annali, 248 [IV, 58] - al quale scopo si era costruire delle galere a Genova: cfr. Busson, p. 89 e Belgrano, Un ammiragio, p. 43; il papa aveva fatto inoltre predicare la crociata a Genova contro i aracem di Spagna: Potthast, nr. 19220; Reg. de Clément IV, pp. 4 e sgg., 23. 37 p. 256 [IV, 88], 38 Annali, 1. c. Del resto doveva intanto entrare provvisoriamente in vigore la convenzione del 1262: L.J., I, 1408; v. sopra, cap. II. 39 L.J., I, 1408; v. sopra, libro II, cap. II, n. 31. — 178 - Capitolo quinto La guerra con Venezia, 1265- 1266 Avvenimenti di guerra del 1265. - Operazioni delle flotte genovese e veneziana. -Battaglia navale presso Trapani. - Operazioni della flotta di Oberto Doria. - Cattura di una nave veneziana ad opera di Pesceto Mallone. La guerra fra Venezia e Genova nel 1265 non diede luogo a notevoli avvenimenti. Come è stato detto, fu mandata una flotta di 10 galere, al comando di Simone Guercio, che salpò dal porto il 14 maggio. Per spronare lo zelo dell’equipaggio, gli venne accordato, oltre al soldo, anche metà del bottino. Sulle coste del regno di Sicilia i Genovesi incontrarono parecchie navi veneziane, alle quali però non fecero danno per un riguardo a re Manfredi *. Poi la flotta entrò nel mare Adriatico, però senza trovare occasione per qualche fatto importante. I bastimenti mercantili veneziani erano questa volta scortati da buon numero di galere2. Dopo l’arrivo in Acri, queste si diressero al porto di Tiro, ove si trovava una nave genovese che non riuscirono a prendere3, e perciò dovettero ritirarsi senza avere raggiunto lo scopo. Scortarono quindi il convoglio che faceva ritorno a Venezia, ove giunsero in novembre4. Nello stesso mese la flotta genovese era di ritorno in patria5. Più di essa fece Lanfranco Carmadino, che in qualità d’inviato del Comune fu mandato al Signore di Tiro e ad altri baroni. Il 9 maggio 1 Annali, 250 [IV, 68], quindi in armonia con la convenzione; v. sopra, p. 50. 2 Annali, 1. c. [IV, 69]: 16. Canal, 512: 17, comandante da Giovanni Delfino. 3 Annali, 1. c. E’ dubbio se, dallo scarso numero di navi genovesi incontrate dai Veneziani presso Tiro, si possa trarre la conseguenza d’una quasi completa rottura del commercio con la Siria. Non sembra, in generale, che in questi anni le navi mercantili genovesi viaggiassero riunite in squadre per la Siria; per lo meno la flotta da guerra mai ebbe incarico di proteggerle, nè i nemici mai tentarono di assalire convogli genovesi. Il numero considerevole di nobili genovesi stanziati a Tiro nel luglio 1265 (Canale, II, p. 295; v. oltre) ci offre prova indubbia che il traffico era abbastanza attivo, ancorché non raggiungesse l’importanza di quello dei Veneziani in Acri. 4 Annali, 1. c. [IV, 69]; Canale, II, p. 295. 5 Annali, 1. c. [IV, 69]. — 179 — Libro II - Cap. quinto egli partì da Genova sopra una galera bene armata. Gli Annali non ci spiegano su quali punti egli dovesse trattare6, ma invece ci informano circo-stan2iatamente come nel suo viaggio di andata e ritorno gli riuscì di prendere tre navi nemiche7. In sostanza in quest’anno le due città marittime erano intente a proteggere il proprio commercio e a danneggiarsi reciprocamente con la pirateria 8. La soluzione della contesa fra Carlo e Manfredi, testé citata, rendeva necessaria grande attenzione sotto ogni riguardo e questa può essere la ragione per cui da ambo le parti non furono fatti sforzi maggiori. Ben diversamente si svolse la guerra l’anno dopo. A Genova si armarono 18 galere e una grande nave9, il cui comando fu affidato a Lanfranco 6 Annali, 251 [IV, 69], Soltanto pro factis comunis ]anue faciendis in malum et detrimentum hominum 'Venetiarum et comunis eiusdem. 7 Ibid. Vi si riferisce Fol. Not., II, c. 26 (cfr. Canale, II, p- 295). 11 luglio 1265, Lanfrancus de Carmadino, sindicus et procurator universitatis et comunis janue, de consensu Lanfranci Cigale et Vetri Gabernie, consulum et vicecomitum in yrta prò comuni janue, promittit hominibus, qui cum d. Lanfranco venerunt in Syriam cum sua galea, quod redeundo januam, si capient aliquas res Venetorum, dabit ictis hominibus quartam partem omnium rerum captarum Venetis, et idem promitti hominibus galee, quam ipse Lanfrancus et Nicolaus de Savignono armaverunt in Tyro. Poi sono citate le garanzie perchè comune Janue observabit hanc promissionem. Actum in Tyro sub logia comunis Janue. Inoltre gli Annali dicono che 1 equipaggio ebbe metà del bottino. [V. Ferretto, Cod. dipi, I, p. 12, nr. 2 e p. 19, nr. 52]. 8 Annali, 250 [IV, 68 e sgg.]; Canal, 512. 9 Annali, 256 [IV, 89]. App. 3, nr. 12, c. 154v. (20 aprile 1266): Guglielmo da Quarto confessa ad Albertino de Molino da Recco di aver ricevuto lire 7, soldi 7 e in cambio promittit ire prò eo et eius cambio prò vogherio in presenti armamento galearum comunis Janue, de quibus est armiragius d. Lanfrancus Bulboninus; ibid., ben di più, sono gli analoghi documenti dello stesso giorno. L’affluenza sembra essere stata molto grande; per tutta quella giornata viene indicato il luogo della stesura degli atti, cioè Actum Janue, in angulo domus Pedicularum, che doveva essere la sede del notaio; due documenti sono stesi inter nonam et vesperas in apotheca, quam tenet Laurentinus barberius e l’ultimo assai tardi, {in sero post completorium), in domo Guiberti de Nervio notarii. Nei giorni seguenti, fino al 25 aprile, troviamo (ibid) una serie di documenti analoghi. E’ probabile che la flotta abbia preso il mare soltanto al principio di maggio. Negli Annali, 256 [IV, 89], è detto: storium... de portu Janue exivit de mense Aprilis; forse si trattenne ancora fuori del porto. In un documento del 30 aprile (ibid., c. 178), Vincenzo di Castello dichiara ad Andrea da Chiavari venditori grani, garante di Guglielmino Pilavicino, d’aver ricevuto lire 7. Guglielmino doveva andare a bordo, ma era fuggito (dicitur aufugisse) e Vincenzo vuole servire in sua La guerra con Venezia, 1265-1266 Bolbonino, con tre consiliarii a lato. Alla fine di aprile salparono dal porto; sembra però che esse in un primo tempo siano arrivate soltanto fino a Bonifacio in Corsica, per attendere altre nove galere che vi si mandavano di rinforzo10. Quando queste arrivano, l’ammiraglio lascia indietro la grossa nave, con l’equipaggio della quale rinforza quello delle galere. Solo ai primi giorni di giugno questa flotta si mette in via per la Sicilia incontro al nemico, le cui forze erano ritenute superiori al vero 11. Intanto i Veneziani condotti da Jacopo Dandolo avevano compiuto delle felici operazioni12. Loro prima mira era stata Tunisi, nel quale porto avevano preso una nave genovese; dopo averne asportato tutte le merci, la incendiarono, facendone prigioniero l’equipaggio13. Il mattino seguente uscì da Savona un piccolo legno che, ignaro della presenza del nemico, fu pure catturato 14. Nel viaggio di ritorno per Messina incontrano due vece come vogerius. La fuga di Guglielmino poteva essere stata avvertita soltanto dopo l’arruolamento degli equipaggi, che al 30 aprile doveva già aver avuto luogo. Andrea, il quale aveva garantito che quegli si sarebbe trovato al posto (anche negli altri documenti si parla sempre di garanti), deve ora provvedere alla sostituzione. Un altro documento del 30 aprile (c. 177 v.) fa supporre che questa volta l’inizio del servizio non coincidesse con l’uscita dal porto: Johanninus Filator promette di prestar servizio invece di altri per 6 lire e 10 soldi sopra una galera, de qua est comitus Nicolaus Barberius e ciò per 5 mesi e più dal giorno della partenza dal porto di Genova, (sive) dal giorno sicut computabitur aliis de dicto armamento. 10 Annali, 256 [IV, 89], Le parole in quo vero mense potrebbero riferirsi a de mense aprilis. In maggio le 9 galere avevano lasciato il porto di Genova, il che poteva quindi essere avvenuto solamente alla fine del mese. App. 3, nr. 12, c. 181 v. e sgg.: documenti dal 25 al 30 maggio, corrispondenti a quelli citati nella nota precedente, soltanto che spesso si parla d’una flotta di 10 galere, una volta è cancellato il numero 10 e sostituito col 9, al 27 maggio manca più volte l’indicazione del numero delle navi e così in altri. Forse non venne raggiunto un numero sufficiente di uomini per equipaggiare 10 galere e quindi ne furono spedite soltanto 9. L’indicazione degli Annali è qui bene determinata, cioè in tutto 27 galere. Canal, 518, 520, ne ha 28. [Cfr. Ferretto, Cod. dipi., I, p. 38 e sgg.]. n Annali, 257 [IV, 90], 12 Annali, 256 [IV, 89], La forza della sua flotta è indicata in 10 galere ciò che forse è una svista. Canai., 514, ci dà tre galere e 1 galiota come armale a Ne-groponte, 4 a Creta, 3 a Zara, 4 a Venezia, in tutto quindi 14 galere. I fatti dovevano accadere nel maggio, mentre Bolbonino trovavasi presso Bonifacio: Annali, 1. c. 13 Annali, 256 [IV, 89-90], e Canal, 516, molto inesattamente riferiscono che parecchie navi furono incendiate. » Annali, 1. c. [IV, 90], — 181 - 13 Libro II - Cap. quinto galere e una saettia provenienti da Porto Venere a scopo di pirateria; i Veneziani riescono a prendere una galera con la maggior parte dell’equipaggio 15. Il bottino viene portato a Messina. Frattanto il Doge aveva fatto armare altre dieci galere, il cui comando venne affidato a Marco Grado-nico 16. Dopo che le due flotte si furono riunite 17, sembra che avessero preferito tenersi alla costa siciliana. Con la morte di Manfredi erano decadute le convenzioni stipulate con lui. Egli non avrebbe tollerato che stranieri avessero combattuto le loro battaglie sulle coste del suo regno. Nella confusione che la sua caduta trasse seco non si pensò a tener fermo il salutare principio dell’antico governo. Il 22 giugno ls la flotta genovese si trovava presso Trapani. Essa ebbe comunicazione che le galere veneziane si trovavano non lungi a sud di Marsala 19. L ammiraglio tiene consiglio di guerra. Sembra che il piano originario fosse di prendere il largo, ma invece nella notte Bolbonino diede 1 ordine di avvicinarsi a terra, di porre le galere l’una accanto all’altra e legarle fortemente20, prendendo così una forte posizione di difesa. Gli annalisti dichiarano questa misura assolutamente sbagliata. Secondo la loro opinione, 1 ammiraglio avrebbe dovuto scegliere per il combattimento un luogo ove non fosse stato possibile agli equipaggi di saltare in mare, senza Annali, 256 e sgg. [IV, 90] danno come località Borchanum; Canal, 516, par a soltanto di due galere, una delle quali presa fra Bolcan e Bolcanin, cioè senza u io Vulcano, una delle isole Lipari: v. Atlante idrografico T. Luxoro, p. 70. 16 Canal, 518; Annali, 257 [IV, 90]: 14 galere e 2 saettie. 17 Secondo un’aggiunta agli Annali, 257, var. a, presso Gallipoli in Calabria; Dandolo doveva quindi aver viaggiato verso il golfo. Canal, 518, dice che egli era ritornato a Ragusa, ove avrebbe incontrato il Gradonico. Nel consiglio di guerra sa-re e stato eciso di andare in Sicilia, alla ricerca dei Genovesi. Arrivativi, avreb- ero atteso ungo tempo, per modo che si avvicinava il tempo nel quale si doveva allestire il convoglio per la Siria. In quel momento si avrebbe avuto notizia che il nemico era presso Bonifacio in attesa che i Veneziani facessero ritorno in patria. La maggior parte dei nobili veneziani che si trovavano sulle galere sarebbero tornati a mercantUiVla 1 teiTa’ ^ n°D Perc^ere *1 tempo necessario al noleggio delle navi • n 18 Anndt’ f7 CIV’ 90]: quadam die mensis Junii; la battaglia avviene nel giorno seguente (mane veniente in vigilia S. Johannis). Luxoro, 171’ 1 C' n™™ è MarSala’ n°n MaZZarà: V- Mante idr0grafic° T- 20 Annali, 1. c.; Canal, 520. — 182 — La guerra con Venezia, 1265-1266 esporsi ad una morte immediata per annegamento. La posizione presa era dunque troppo vicina a terra, la gente poteva facilmente mettervisi in salvo, anziché opporre agli assalitori una ostinata resistenza. In alto mare non si sarebbero potute abbandonare le galere e gli equipaggi sarebbero stati in certo modo costretti a combattere, ancorché non avessero avuto voglia di esporre la propria vita per il soldo che ricevevano. Questa relazione degli Annali non ci permette però di trarre delle conclusioni sulla pusillanimità dei guerrieri genovesi, poiché qui trattasi per la maggior parte di mercenari stranieri21. Uno spirito ben diverso regna nella flotta genovese, quando il suo equipaggio è composto dai suoi cittadini. Perciò è troppo dura l’accusa di codardia lanciata contro l’ammiraglio, se con così malfidi subalterni non potè compiere nessun fatto eroico. La sua colpa sta nell’avere occupato una posizione disadatta22. Egli poteva aver agito così sapendo quanto poco calcolo poteva fare sulla sua gente, perciò aveva procurato di avere qualche rinforzo dagli abitanti di Trapani23 ; sembra ch’egli avesse pure pensato a guarnire le coste, per coprirsi alle spalle 24; ma la risoluzione più ardita sarebbe stata la migliore. Bolbonino si lasciò 21 Cfr. Caro, Ver/. Gen., p. 148, n. 57. La relazione degli inviati di cui ci siamo serviti è quella in App. 2, nr. 20; trattasi degli uomini che furono fatti prigionieri in questa battaglia. Questi sono pro maiori parte Lombardi et forenses et omnes soldaerii, qui, data mercede, fide data, pugnare debebant, primo prò comuni Janue, a quo soldos acceperant et cui fidem dederant de pugnando, secundo saltim ad defensionem capitum ipsorum et propter vituperium evitandum. I loro bassi sentimenti risultano inoltre e specialmente da ciò, che et etiam plures capti tunc temporis dixerant quod magis dolebant de eo quod amiserant soldos eorum, quam de conflictu quem substinuerant Januenses. Tra l’altro i documenti (v. sopra, libro II, cap. V, n. 9) dimostrano che non trattavasi di mercenari arruolati dal Comune, ma di uomini che, contro un compenso in denaro, sostituivano cittadini obbligati al servizio militare. 22 La posizione dei Genovesi nella battaglia di Lajazzo nel 1294 è uguale a quella del 1266 a Trapani: Marin Sanudo, Liber, p. 83; vicine a terra, le galere fissate l’una all’altra, passerelle gettate (pontes; Canal, 250, bertresches) per poter comodamente passare dall’una all’altra. Anche nel 1294 sono i Veneziani che attaccano con forze preponderanti, ma rimanendo completamente sconfitti. 23 Secondo Canal, 520, i Genovesi diedero ad ogni trapanese, che andò da loro a bordo, una moneta d’oro (agoustan) per giorno e notte, cioè come avevano fatto i Veneziani nel 1258 in Acri, quando avevano preso i locali al soldo: v. sopra, p. 73. 24 Canal, 522. Quando i Veneziani si avvicinarono, il paese era coperto di partigiani dei Genovesi a cavallo e a piedi. — 183 — Libro II - Cap. quinto sfuggire l’occasione di affrontare il nemico, che per numero di navi non avrebbe potuto reggere il confronto, e perciò si comprende come più tardi 1 insuccesso gli sia stato attribuito a codardia e come si sia parlato persino di tradimento. Il mattino del 23 giugno la flotta veneziana avanza2S. Un forte vento contrario le impedisce l’attacco; un brulotto mandato fuori dai Genovesi viene felicemente respinto dai Veneziani, che però nulla possono operare contro la massa compatta delle galere nemiche. Il momento decisivo viene determinato dal fatto che tre galere genovesi, senza che si conosca la ragione, si staccano dalle altre. I Veneziani, coll’ammiraglio Jacopo Dandolo in testa, avanzano di nuovo a forza di remi. Di fronte all’attacco, i Genovesi sono presi da panico generale e saltano in mare per raggiungere a nuoto la riva _6. Oltre 1000 periscono annegati, 600 cadono nelle mani del nemico; non una galera rimane, 3 vengono bruciate e 24 portate a Venezia27. Quanto grande fu la gioia a Venezia per il successo ottenuto, altret- . Annali, 257 [IV, 90]: 24 galere e 2 saettie; in Canal risulterebbe una saettia in meno. , ,!"a re^az*one in Gest. des Chipr., 156, è del tutto inservibile e in completa contra zjone con le altre due. Vi si esagera la colpa delPammiraglio, facendo ere c egli fosse stato corrotto dai Veneziani, che la maggior parte dell’equi- 6 ®°^on'no stesso, fosse a terra quando avanzò la flotta nemica, etc. e a re azione degli Annali, 257 [IV, 90-91], non è scevra da esagerazioni. Se-questi, non sarebbe avvenuta uria vera battaglia; quando i Genovesi videro zare 1 _ ~o ed il proprio capo titubante, sarebbero saltati in mare, cosicché i, eZlanl’ nu 0 Pre^° facto et cum defensione remissis, presero le galere. Che ammiraglio avesse perduto la testa - Annali, 239, var. p [IV, 33] - doveva già sere stata la scusa per la sconfitta del 1258. Dura vpn't^r° veria™e”tre sorprendente che gli annalisti, che intendono narrare la modo ni' 3 P' I 811 ~ raPPresentino k sconfitta dei loro connazionali in k DrimT;rê°ênOSO ?„qUeU° Che VerameMe era stat0- essi scrivono sotto ra^ir T°ne sconfitta’così si vede chiaramente che a contro he^SvevaTat° ^ C3Sa *?“ fl0m SUperaVâ di molto verso il nemico nfLtt gin, r ™ lntendeVan° anCHe megIÌ° gÌUStÌficare la P™ÌZÌOne nemmeno’ ^ ^ 1 PartÌC°kri del combattimento, quantunque 50 e s" forse di " “ ^ ™ ^ ehi”0 6 comPIet0' ^ » Var., condo f s^oTlrt T T™- “ * qUakhe PUnt° da^ Annali. Secondo 11 suo proprio giudizio, l’ammiraglio non si era ,• {proditio), ma per viltà (vilitas). ' “ “* 1650 C°IpeV°le per tradiment0 27 Annali, 257 [IV, 90], Canal, 524, ne ha 25. — 184 - La guerra con Venezia, 1265-1266 tanto penosa riuscì a Genova la grave sconfìtta. Un severo giudizio penale colpì i condottieri, che vennero ritenuti colpevoli del disastro. Si ritenne che essi avessero tradito al nemico la flotta loro affidata, come dicevano le accuse e come fu sentenziato dal Podestà28. Siccome essi, naturalmente, non erano presenti al giudizio29, furono esiliati, condizionandosene il ritorno in patria al pagamento di multe pecuniarie, forse enormi. Questa sconfitta fu per Genova ben dolorosa anche se il danno materiale si poteva facilmente riparare, dal momento che fra i prigionieri pochi erano i cittadini e nuove navi potevano essere presto costruite. Anche se il nemico vittorioso non tentò di accostarsi alle coste liguri, la sua superiorità si era tuttavia resa manifesta. Le galere genovesi non potevano tener testa in campo aperto alle veneziane e più tardi30 un ammiraglio di Venezia disse al re di Cipro che di nulla avrebbe temuto, 28 Annali, I. c. [IV, 91 e n. 2]; App. 3, nr. 28, c. 11 v. [cfr. Ferretto, Cod. dipi, I, p. 56, nr. 154]: la forestatio contro Rainaldo Ceba, Bonavia Conte di Noli olim consiliarii Lanfranci Bolbonini admirati XXVII galearum armatarum pro comuni Janue, que capte fuerunt a Venetis. A loro colpa si ascrive, quod ipsi una cum Lanfranco Bolbonino predicto fraudolenter et dolose prodiderunt galeas predictas et homines exis tentes in eis Venetis inimicis comuni Janue et dolum, fraudem, culpam et negligentiam meruerunt et adhibuerunt in predictis, nolendo preliari cum inimicis Venetis comunis Janue. La condanna è quella indicata negli Annali, cioè l’esilio, revocabile soltanto contro il pagamento di 3000 lire genovesi - Annali, 1. c.: 2000 [IV, 91: II miliaì —; i loro beni distrutti o confiscati. Giudizio conforme viene pronunciato contro l’ammiraglio stesso (App. 3, nr. 28, c. 12), soltanto che per la revoca del bando egli dovrà pagare 10000 lire genovesi e rifondere al Comune totam pecuniam et avere, quam et quod habuit et ad manus eius pervenit de bonis et avere comunis Janue occasione predicte armiragie sive predicti armamenti. Ibid., c. 13: Ogerius Vacha, olim unus ex comitis galearum, quarum fuit admiratus Lanfrancus Bolboninus, dovrà pagare 1000 lire per la revoca del bando e risarcire galeam sibi commissam a comuni Janue, ita furnitam et prepa-ratam de omni sarda et apparatu, sicut ei fuit commissa in portu Janue, vel veram extimacionem ipsius. La data della sentenza è il 25 luglio. Allora dovevano essere ritornati a Genova i superstiti dell’equipaggio della flotta. App. 3, nr. 12, c. 207 (28 luglio 1266): Raimondo Berulio di Barcellona ha depositato presso Simoneto Barberius un certo numero di beni. Questi ha garantito per lui di fronte al Comune seu versus duos nobiles, qui constituti fuerunt super preterito armamento XVIII galearum occasione soldorum quos habuisti a dictis duobus. 29 App. 3, nr. 28, c. 11 v.\ quia fuerunt citati per nuncios comunis et expositum fuit per civitatem quod venirent ad mandata potestatis usque ad certum terminum et non venerint. 30 Gest. des Chip., 277. - 185 - Libro II - Cap. quinto ancorché fosse stato attaccato da un numero di galere genovesi doppio del suo. Considerando il modo nel quale veniva condotta la guerra, non era possibile pensare ad una conclusione diversa. Non si cercò più, con lo spiegamento di tutte le proprie forze, di dare una battaglia, il cui esito avrebbe potuto per sempre decidere del predominio; nemmeno si pensò ad attaccare il nemico nel suo proprio paese nè nei suoi possedimenti al di fuori31. Lo scopo della guerra era puramente quello di molestarsi vicendevolmente nel commercio marittimo. Nel 1264 Genova era riuscita a catturare il convoglio dei Veneziani; invece nel 1266 perdeva la flotta spedita per lo stesso scopo. E’ naturale che questo disastro la spronasse a nuovi sforzi. Rinunziando alla guerra era come dichiararsi vinti, e l’impressione morale della sconfitta sarebbe stata doppia. In un momento in cui la situazione generale gli era estremamente contraria, il partito ghibellino avrebbe potuto mantenersi al potere testé afferrato soltanto ottenendo grandi successi sul naturale nemico. Se esso ora abbandonava alla sua sorte l’infelice ammiraglio , doveva pur anche pensare a riparare al suo fallo. Si diede così mano aH’allestimento d’una nuova flotta, non appena giunta la notizia della perdita della prima33. Il comando di essa venne 31 La forma riservata di guerra seguita dai Veneziani, malgrado la vittoria riportata, è esposta da Canal, 528. Il vincitore di Trapani, Jacopo Dandolo, è destinato a comandante in capo della flotta di scorta del convoglio. Egli chiede il permesso di disporre a suo talento delle navi da guerra, appena il convoglio sia giunto a salvamento. Il Doge non acconsente. Egli non vuole una guerra offensiva, bastandogli che le navi mercantili raggiungano sicure il luogo di destinazione. E’ poiché il Dandolo dopo queste dichiarazioni rinunzia al comando, esso viene conferito ad un altro. La guerra con Pisa, dal 1282 in poi, e quella con Venezia, dal 1294 in avanti, vennero condotte, almeno da parte di Genova, secondo altri criteri. 32 Che Lanfranco Bolbonino almeno non fosse avversario dei Ghibellini, risulta dal fatto che egli, come altri esiliati nel 1266, venne richiamato dai Capitani ghibellini nel 1272: doc. del 20 luglio in App. 3, nr. 28, c. 12. [Cfr. Ferretto, Cod. dipi, I, p. 260, nr. 658 e sgg., p. 266, nr. 672], Per motivo fu addotto quod magis expedit civitatem adimpleri hominibus, quam homines diutius in hanno existere. 33 App. 2, nr. 12, c. 191 v. (28 giugno 1266): Benencasa... de districtu civitatis Lucane promette ad Ogerio Calegario de Clavaro di andare in sua vece in presenti armamento galearum comunis, de quibus est armiratus d. Obertinus de Auria; ibid. un gran numero di analoghi documenti nei giorni successivi fino al 29 luglio, c. 208. Cfr. Jal, Mémoire sur quelques docc. gén. rei aux deux croisades de S. Louis, p. 818. Il documento, datato 25 maggio 1266, appartiene al 25 luglio, come trovasi in Fol. Not, I, c. 113 v. e App. 3, nr. 12, c. 202 v.\ [cfr. Ferretto, Cod. dipi., I, p. 50 e sgg.]. — 186 - La guerra con Venezia, 1265-1266 affidato a Obertino Doria, che allora godeva d’una grande reputazione34. Ai primi di agosto egli prende il mare con 25 galere35. Per quanto corresse la voce che la sua missione era quella di portar morte e distruzione ai nemici36, certo è che lo scopo principale era invece quello d’impossessarsi del convoglio veneziano. Perciò egli incrociò per qualche tempo allo sbocco del mare Adriatico, ove però trovò soltanto alcuni piccoli legni. La partenza delle navi mercantili attese dall’ammiraglio era stata ritardata; siccome per mare non poteva recare che piccoli danni ai nemici, egli si diresse verso il loro importante possedimento di Creta. L’odio continuato che nutrivano i Greci cretesi contro un giogo loro imposto colla forza e che si manifestava con frequenti sommosse, avrebbe potuto rendere non impossibile ai Genovesi uno stabilimento in quell’isola, che avrebbe recato ai Veneziani seri fastidi. Ma questa volta non si trattava di ciò. D’improvviso la flotta genovese si presenta dinanzi a Canea, lo sbarco riesce, i cavalieri che volevano impedirlo sono messi in fuga, la città presa; gli abitanti che non riescono a fuggire sono fatti prigionieri. Poscia i Genovesi trasportano sulle loro navi tutto ciò che non è fisso con ferro e chiodi, demoliscono il palazzo del Comune e danno fuoco alla rocca, troppo solidamente costruita per poterla abbattere. Il fortunato colpo di mano costò ai vincitori un solo uomo e fruttò loro un ricco bottino. La campana di Canea, che Obertino Doria al suo ritorno fece innalzare sulla chiesa di S. Matteo in memoria del suo primo fatto d’armi3?, apre la serie dei trofei, con i quali la sua stirpe adornò questo notevole santuario di famiglia. Però questa spedizione non doveva avere un esito così glorioso come i futuri. Presso Modone la flotta incontra finalmente il Convoglio nemico, da tanto tempo cercato. L’ammiraglio si schiera subito in ordine di battaglia. Frattanto i Veneziani, mediante una ricognizione, avevano avuto notizia della vicinanza dell’avversario. Per numero di vele essi erano superiori, poiché avevano 30 galere a scorta delle navi mercantili38 e, senza esitare, si dispongono all’attacco. Al loro avvicinarsi, il Doria riconosce 34 Annali, 257 [IV, 91 e n. 31: homo valde famosus. Canal, 528, ha Uberi Spinolla, però interpolato. Dandolo, 373, correttamente Ubertus Auria. 35 Annali, 1. c. [IV, 911: de mense Augusti-, anche Canal, 1. c.: 25 galere. 36 Annali, 1. c. [IV, 921: propter ipsorum mortem destructionem et offensionem. 37 Annali, 257 e sgg. [IV, 92]. Canal, 532, fa menzione della occupazione di Canea brevemente e poco chiaramente; da ciò l’errore di Dandolo, 374; cfr. Si-MONSFELD, p. 14. » Annali, 258 [IV, 92]: 32 galere; Canal, 528: 30 galere; comandante è Marco Zeno. - 187 - Libro II - Cap. quinto la loro forza. L’esperienza dei fatti precedenti lo consiglia a non osare di accettare battaglia e a tempo si dà alla fuga colle sue galere. I Veneziani lo inseguono, ma non possono raggiungere i fuggitivi, perchè un preciso ordine del Doge vieta loro di allontanarsi troppo dal convoglio. Ancora una volta rimase così dimostrato che i Genovesi non potevano stare a fronte dei loro rivali. Essi non furono in grado di raggiungere il loro vero scopo, per cui ritornarono in patria, soffermandosi per via a Messina per spartirsi il bottino39. Miglior successo di quello ottenuto dalla grande flotta spedita dal Comune, raggiunse invece Pesceto Mallone, che, con i propri mezzi, armò due galere in corsa. Nei pressi di Cipro egli incontrò una galera e una saettia provenienti da Portovenere che navigavano allo stesso scopo. Si unirono e andarono a incrociare nelle acque di Siria e di Romania. Un giorno di ottobre scorgono da lontano una nave veneziana, alla quale si avvicinano cautamente. L’equipaggio non faceva buona guardia e quindi riescono a prenderla di sorpresa, prima ch’esso avesse il tempo di mettere mano alle armi. Il fatto però non passò senza spargimento di sangue. Nella lotta caddero 40 Veneziani, 108 furono fatti prigionieri, fra cui 42 nobili40. Uno di questi era il trovatore Bartolomeo Zorzi, che, come gli altri, languì in carcere sette anni. Le sofferenze della prigionia non piegarono il suo animo orgoglioso, per quanto lamentasse la sua triste sorte. In un serventese egli si oppose a Bonifacio Calvo41, che aveva cercato 39 Annali, 1. c. [IV, 93]. Il rimpatrio avviene die ultimo octobris sive prima die novembris. 40 Annali, 1. c. [IV, 93-94]; Canal, 532. Secondo quest’ultimo, la nave denominata S. Nicola risulta essersi staccata dal convoglio cui apparteneva per far vela verso Negroponte. Come indicazione del luogo è detto che Mallone si era prima riposato in un porto chiamato Les Dragonaires. Secondo un’aggiunta agli Annali, 258. var. d [IV, 94, var. a e n. 1], parrebbe che il bastimento si fosse trovato nel porto denominato Dragonare a Cipro. A questo avvenimento si riferiscono successive trattative fra inviati genovesi e veneziani: App. 2, nr. 20. Questi dicono dei loro compatrioti: Illi nobiles Veneti, qui carceribus detinentur, ita viliter ed miserrime se abuerunt in conflictu navis, quando capti fuerunt, quod non sunt digni aliqua redemptione. Numquam enim auditum fuit quod tres galee, imo tria ligna satis parva, caperent talem mercatorum {navem), ita bene munitam. I Genovesi vedono ben altrimenti la situazione: Isti... se defenderunt, quantum potuerunt, verumtamen, sicut Deo placuit, fuerunt superati et capti. 41 Diez, p. 398 e sgg.; Levy, Der troubador Bertolome Zorzi, p. 5 e sgg. e in particolare Schultz, Die Lebensv., p. 226 e sgg. [Riguardo a questo, cfr. Pelaez. Bonifacio Calvo trovatore del sec. XIII, p. 1 e sgg.: in sostituzione dell’intera notai. — 188 - La guerra con Venezia, 1265-1266 di menomare la gloria dei Veneziani dicendo che la ragione delle sconfitte di Genova stava nelle sue interne discordie. Zorzi ribattè con amaro dispregio le altere affermazioni, dicendo che anche con uomini armati nel miglior modo in doppio numero, i Genovesi erano stati sempre vinti, poiché ad essi mancava nelle battaglie un animo valoroso42. Ad ogni modo, quella volta era loro riuscito un bel colpo; la nave catturata aveva a bordo un ricco carico e fra i prigionieri, che Mallone al suo ritorno in novembre consegnò al Comune, vi erano membri delle prime famiglie di Venezia43. In qualche modo le sensibili perdite subite a Trapani potevano sembrare così compensate; ma l’onta della sconfitta non era ancora cancellata da una luminosa vittoria; l’insulto ricevuto in Acri non era ancora vendicato. Nel superbo sentimento dei Genovesi non poteva in tale stato di cose allignare alcuna idea di pace. Era solo da vedersi se l’intervento di qualche forza superiore avrebbe potuto por fine a questa interminabile guerra. Fino ad ora Clemente IV non aveva ripreso le infruttuose premure dei suoi predecessori, ma ora sembrava raggiungibile lo scopo pel quale i papi si erano già da lungo tempo adoperati. Nell’Italia meridionale regnava un fedele vassallo della Chiesa, la cui spada poteva intervenire laddove la parola del supremo capo spirituale della cristianità non fosse stata sufficiente. Dall’Oriente venivano abbastanza distintamente i lamenti dei difensori della croce, duramente oppressi dai Saraceni. Se non si veniva ad una pace o almeno ad un durevole silenzio d’armi fra Genova e Venezia, Acri sarebbe caduta nelle mani dei nemici preponderanti44. Il papa ed il re di Sicilia sono i primi chiamati ad intervenirvi; già Luigi IX di Francia pensava ad una nuova spedizione per salvare il Santo Sepolcro dalle mani degl’infedeli. 42 Diez, p. 399. 43 Annali, 258 [IV, 941; App. 2, nr. 20: Veneti... capti sunt de melioribus et nobilioribus V enetiarum, et vix est aliquod bonum albergum in Venetiis, de qua aliquis non sit captus. Quanto alla divisione del bottino, cfr. App. 3, nr. 12, c. 314 v. (25 giugno 1267): Martineto de Arena da Bogliasco nomina un procuratore per ricevere da Pesceto Mallone, Giovanni de Orto e Nicola Marzono la parte di guadagno spettantegli sulla nave e merci dei Veneziani. Analogamente, ibid., c. 316 (17 giugno), Januarius da Nervi, che era nauclerius sulle loro galere. 44 Cfr. Servois, p. 293: Istruzioni del Patriarca di Gerusalemme-, anche Mas Latrie, Hist. de Chypre, II, p. 72. - 189 - Capitolo sesto La guerra ed i negoziati nel 1267 Felice rimpatrio del convoglio veneziano. - Revoca dell’interdetto su Genova. - Negoziati di Genova col Paleologo. - Negoziati con Carlo. - Luigi IX e Clemente IV cercano di mettere pace tra Genova e Venezia. - La flotta genovese al comando di Lu-chetto Grimaldi assedia Acri. - Arrivo della flotta veneziana. - Ritorno in patria dei Genovesi. - Atti di pirateria in mare. - Caratteristiche complessive della guerra. La flotta veneziana comandata da Marco Zeno era ritornata in patria dopo aver condotto a destinazione il convoglio. Sembra che essa avesse svernato in Siria, perchè arrivò soltanto ad anno avanzato. La perdita della nave S. Nicola dovette destare a Venezia grande apprensione. Se le galere si limitavano a proteggere soltanto le navi mercantili che navigavano di conserva, le altre parti del mare rimanevano esposte ai colpi di mano dei pirati genovesi. Jacopo Dandolo, che seguiva una forma di guerra più libera, ricevette perciò il comando delle 13 galere, le quali dovevano scortare il convoglio nel suo viaggio di ritorno. Egli eseguì il suo incarico in modo corrispondente allo scopo; a Negroponte incontra il convoglio, che naturalmente aveva dovuto viaggiare per lungo tratto senza essere scortato dalle navi da guerra1. I Canal, 532, 534. Allo stato delle cose, vi erano due possibilità per proteggere una flotta mercantile che da Venezia viaggiasse per la Siria contro una flotta da guerra che partisse da Genova. Cioè, o la flotta da guerra veneziana incrociava presso la Sicilia, per impedire qui il passo a quella genovese per l’Oriente, oppure essa doveva accompagnare direttamente le navi mercantili. Il primo mezzo si era dimostrato nel 1264 come non efficace; il secondo aveva avuto nel 1265 lo sperato effetto; nel 1266 venne di nuovo seguita la prima via, riuscendosi a prendere la flotta genovese, ma Genova ne fece partire una seconda. II convoglio poteva bensì essere difeso contro questa, poiché le galere che la accompagnavano non si erano allontanate; ma con tutto ciò intanto non si poterono impedire le devastazione di Canea nè altri danneggiamenti. Risulta che nel 1267 fosse stato seguito un piano di guerra combinato. Il capitano delle galere si assicurò anzitutto che in mare non vi fossero flotte nemiche e poi si mise alla ricerca del convoglio, il quale, intanto, aveva piegato verso nord, ove possedimenti veneziani potevano precariamente offrirgli protezione. — 190 - La guerra ed i negoziati nel 1267 Frattanto vengono allestite nuove galere a Genova2. Sembra che le voci che correvano ne esagerassero il numero. Ad ogni modo, il Doge mandò altre 10 galere al comando di Marino Mauroceno, le quali, presso Modone, incontrarono il convoglio colla relativa scorta. Si procedette di conserva fino a Ragusa, da dove in poi non c’era più bisogno di protezione 3. Il rimpatrio era avvenuto alquanto tardi, cosicché era già tempo di pensare alla spedizione di quello successivo. Prima però che ciò fosse possibile, insorsero avvenimenti che sembrava dovessero cambiare del tutto la posizione delle cose. E’ quindi necessario anzitutto di prendere in considerazione gli altri fattori riguardanti la politica delle potenze belligeranti. 2 Annali, 260 [IV, 103], in numero di 25; ammiraglio è Luchetto Grimaldi, uno dei consiglieri Pesceto Mallone. Secondo Canal, 534, 542, 544, questa volta l’armamento fu fatto con grande cura; 12 nauclerii sopra ogni galera, l’equipaggio totale ascendeva a 160 uomini, tutti Genovesi. La leva degli equipaggi doveva essere cominciata per tempo. App. 3, nr. 5 b, c. 154 v. (30 marzo 1267) [cfr. Ferretto, Coi. dipi, I, p. 80, nr. 214]: Bonusvas-sallus Nepitella, nomine comunis Janue, in publico parlamento more solito coadunato, denuntiavit... consulibus, ut dicitur, comunitatis Fortusveneris et in presen-tia (2) castellanorum dicti loci et testium infrascriptorum, ut ipsi habere debeant paratos semper quando per comune Janue mandatum haberent, homines ut infra munitos videlicet nauclerios duos, portonatos quatuor, poderii (!) sex, voguerios 24. Arma vero debent habere talia, sicut in tracti at ]u sive ordinamento mihi facto continetur. Actum in Portuvenere, in domo qua regitur curia dicti loci. Ibid. (2 aprile '“■1267): Bonusvassallus Nepitella, ]acobus de Bulgaro, electi et constituti ad faciendum deversus Levantem electionem hominum, qui ire debent in armamentum galearum, de quibus admiratus est Luchetus de Grimaldo, presentaverunt et per scriptum dederunt eorum vel alicuius eorum sigillatos (!) nomina omnium hominum quos elegerant in potestatia Sigestri, et preceperunt predicto potestati ut ipsos homines de quibus fit mentio in dicto scripto paratos habeat et mittat Januam pro eundo in dictum armamentum, et semper et quandocumque mandatum haberet a potestate Janue nomine comunis Janue. Actum in arena Sigestri, ante curiam dicti loci. La partenza non può essere avvenuta prima della fine di giugno. Di questo mese abbiamo un grande numero di documenti (App. 3, nr. 12, c. 298 e sgg.), dai quali risulta che nel modo consueto alcune persone si obbligano a prestar servizio sulla flotta al posto di altre, fra cui anche dei forestieri, (c. 304) un uomo di Bobbio, (c. 314) Tealdus de Mediolano; gli ultimi documenti sono del 25 giugno. Il 26 giugno (c. 315), viene effettuata una sostituzione per uno, qui dicitur aufugisse; altrettanto (c. 315 v.) nel giorno successivo. [Cfr. anche Ferretto, Cod. dipi., I, p. 88 e sgg.]. 3 Canal, 534, 536. - 191 - Libro II - Cap. sesto Per la situazione in Romania fu determinante il fatto che il Doge non ratifico la convenzione del 1265, per quanto grandi fossero i vantaggi eh essa sembrava offrire4. Siamo senza notizie sui motivi che determinarono questo passo, ma è certo che non si voleva dare in preda ai Greci i Latini confederati a Negroponte e nelle isole del mare Egeo. Le ulteriori trattative5 dimostrano che tuttavia non si mirava alla continuazione della guerra. Nel 1267 non era ancora intervenuto un accordo, ma Carlo d’Angiò si sentiva abbastanza sicuro nel possesso del regno allora acquistato per pensare ad estendere la sua potenza verso oriente. Il 27 maggio egli concluse coll’ex-imperatore Balduino una convenzione6, mediante la quale questi poteva finalmente ripromettersi un sicuro aiuto contro i Greci. Sui punti riguardanti le questioni territoriali che si annettevano a quella convenzione, furono espressamente riservati gli antichi diritti dei Veneziani; forse si era fatto calcolo sul loro concorso, ma soltanto più tardi troviamo tracce di trattative su questo punto7. Invece, al tempo in cui venne stipulata la convenzione, dovevano trovarsi degl’inviati genovesi presso la corte papale a Viterbo, ove erano pure Carlo e Balduino. Essi erano stati mandati alla Curia8 per ottenere la revoca dell’interdetto che ancora pesava su Genova, pronunziato a suo tempo a causa della lega col Paleo- 4 Canal, 582. Cfr. Heyd, I, p. 432 e sgg. 5 Canal, 1. c. 6 Del Giudice, Cod. dipi, II, p. 30 e sgg. 7 Ibid., I, p. 300 e sgg.: docc. del 7 e del 15 settembre 1269. Annali, 260 [IV, 101-102], Non possiamo determinare con precisione l’epoca dell ambasciata; in ogni caso essa doveva essere arrivata alla corte papale quando vi si trovava Carlo, cioè tra la fine di aprile e giugno: v. l’itinerario in DURRIEU, Aicn. Ang., II, p. 167 e sgg.; quando Carlo ripartì, gl’inviati lo accompagnarono. Che Genova non si fosse completamente piegata alle richieste del papa, è provato da una lettera di Clemente IV episcopo (!) Aquensi, dell’8 luglio 1267 (Datum Viterbii, 8 Idus julii, pontificatus nostri anno tertio): App 5 nr 4 c 3 [cfr Ferretto, Cod. dipi, I, 123, nr. 269]. In seguito l’arcivescovo di Genova si dolse per le limitazioni alla libertà della Chiesa da parte del Comune e specialmente per le imposizioni agli ecclesiastici. Il papa domanda che vengano cassate dallo statuto le disposizioni relative, e il suo delegato potrà, all occorrenza, costringervi il Podestà, i Consiglieri e tutti gli altri funzionari comunali, mediante la scomunica. E’ notevole che nel medesimo giorno l’arcivescovo di Ravenna sia stato nominato legato anche per la diocesi di Genova- Potthast, nr. 20072. — 192 — La guerra ed i negoziati nel 1267 logo. Ma poiché il Comune vi era tuttora legato, non aveva ancora potuto liberarsi dalle censure della Chiesa. Questa volta la revoca fu accordata, ma gli Annali non c’informano come ciò sia avvenuto. I cronisti di nomina governativa omettono in generale i particolari delle negoziazioni e comunicano soltanto i fatti esteriori ed i risultati di pubblica ragione. Tuttavia non può essere troppo lontana dal vero la supposizione che allora Genova, quanto alle sue relazioni coll’imperatore greco, si dimostrasse più condiscendente verso il papa, fosse pure apparentemente. Il Paleologo si era presto convinto che i pericoli minacciatigli dal nuovo sovrano di Sicilia non erano minori di quelli che correva sotto il suo predecessore. Egli proseguì perciò le trattative sull’unione delle Chiese9, e anzitutto si ricordò dei suoi antichi alleati. Non v’ha dubbio che la spinta per ristabilire migliori rapporti con Genova partì da lui. La risposta alle sue proposte e le domande di Genova vennero recate da Franceschino de Camilla 10. Non sappiamo fino a qual punto arrivassero col suo mezzo gli accordi; certo è che allora fu in qualche modo permesso ai Genovesi il ritorno a Costantinopoli La convenzione che l’imperatore, dopo così lunghe trattative, aveva concluso con Venezia, dimostra evidentemente ch’egli aveva del tutto rinunciato a un’onorevole conciliazione colla superba città della laguna. Non era infatti una pace, quella che il Doge Raniero Zeno doveva ratificare poco prima della sua morte 12, ma solo un armistizio di cinque anni, che 9 Rayn., anno 1267, par. 72 e sgg. 10 Annali, 262 [IV, 107], La tradizione in Promis, Libro degli anniversari del Convento di S. Francesco di Castelletto, p. 443 e sgg. - cfr. Riant, Exuviae, II, p. 185 - sa d’una ambasciata di Frexono Malocello, avvenuta die circha annos Domini 1265. All’autore, che scriveva molto più tardi, poco importa conoscere con esattezza l’anno e ancor meno egli sa dirci perchè sia stato mandato l’ambasciatore; dal mero fatto nulla possiamo dedurre, tanto più che, appunto nel 1265, difficilmente un inviato genovese sarebbe stato trattato tanto benevolmente dai Greci come qui viene descritto. 11 Desimoni, I Genovesi ed i loro quartieri in Costantinopoli, p. 235, e Heyd, I, p. 436, pongono qui la cessione di Galata-Pera ai Genovesi, il che è molto probabile. Ad ogni modo, nel 1268 essi non sono più esclusi da Costantinopoli. V. il trattato con Venezia (Urkunden zur àlteren, III, p. 96); item propter treguam istam non debent expelli Januenses de Constantinopoli vel imperio suo. 12 Ibid., p. 92 e sgg.; 30 giugno 1268. Secondo Canal, 586, lo Zeno morì domenica 7 giugno, ma si deve leggere 7 luglio, giorno che cade proprio di domenica, come dice anche Dandolo, 376; il 30 luglio (Urkunden zur àlteren, III, p. 101), - 193 - Libro II - Cap. sesto appariva un limite ad eventuali tentativi di Venezia per far valere i diritti derivanti dalla divisione del regno del 1204. Essa non aveva cessato dal proteggere i Latini a Negroponte; in conseguenza il Paleologo non vuol mantenere le concessioni del 126.5 e si riserva espressamente di non allontanare i Genovesi dal suo Stato. Inoltre egli non intende immischiarsi più nella guerra: i mari dall'Ellesponto verso oriente sono neutrali, quivi nessuna delle parti deve recar danno all’altra, l’imperatore garantisce per i risarcimenti che si rendessero necessari. Viene accordata ai Veneziani franchigia d’imposte, in modo che, a questo riguardo, essi diventano pari ai Genovesi; ma senza alcuna pretesa d’un quartiere proprio in nessuna città dell’impero greco. Così la combinazione, che nel 1265 sembrava possibile, si era dileguata come ombra. Venezia rinunziava per il momento alla guerra contro i Greci, ma restava in attesa di una favorevole occasione per riacquistare il predominio in Romania. Il Paleologo non aveva altro appoggio che l’amicizia dei Genovesi. Da questo lato si presentavano le migliori previsioni per il commercio di Genova, quantunque il Comune non si fosse effettivamente dato premura di approfittare della situazione creata dal rifiuto di Venezia alle offerte dell’imperatore. Genova si era occupata invece di assicurarsi altrove i suoi antichi privilegi. Nell’anno precedente, le trattative con Carlo d Angiò non avevano recato alcun risultato soddisfacente. Nell’ebbrezza della prima vittoria, Carlo non poteva subito sentirsi disposto a confermare privilegi che avrebbero recato gravi danni alle sue finanze e ai suoi diritti di regalia. Ora si vedeva però che la sua potenza non era così salda come poteva sembrare da principio. I Ghibellini di Toscana non erano ancora domati, con Pisa egli era ancora in aperto conflitto; da lungi Corradino, con forte esercito, minacciava di strappare all’usurpatore il regno dei suoi avi. E facile comprendere che gli inviati genovesi ottennero nel 1267 presso Carlo migliori risultati che nel 1266. Essi ricevettero una favorevole risposta e promesse13; non sembra però che fossero riusciti a concludere il nuovo Doge conferma l’armistizio. Riguardo alle trattative preliminari, v. Canai., 584. La procura per Marco Bembo e Pietro Zeno è del 1° novembre 1267: Urkunden zur àlteren, III, p. 89; la conclusione a Costantinopoli deve aver avuto luogo il 4 aprile 1268: ibid., p. 94. Circa nel medesimo tempo, l’inviato genovese poteva esseryisi trovato, poiché in Annali, 262 [IV, 107], nel 1267 si parla soltanto del suo invio e al 2 febbraio 1268 non poteva ancora essere ritornato in patria. 13 Annali, 260 [IV, 102]: bonam recipientes responsionem a dicto d. rege et promissionem, licet non compleverint ea, pro quibus specialiter missi fuerant. — 194 - La guerra ed i negoziati nel ^ una colare nella un convenzione impegnativa. Se il re si diede a manifestare il lare affetto e la sua simpatia per Genova e per i Genovesi14 cT°f PT Ila supposizione che essi si sarebbero resi degni del suo ’f ° un’incondizionata adesione ai suoi desideri. aV°re’ con u Romania non offriva più campo alle due dttà mttjtti nire colle armi le loro contese; ri dissidio fra Celi e Ghibellini n„t aveva a che fare colla lotta per il predominio del mare Ora com * cedenza, furono le questioni di Terra Santa che diedero occasione' ad una intromissione esterna nella guerra fra Genova e Venezia II gran su1r dei Mamelucchi, Bibars, aveva riunite tutte le forze dei musulmani Le cin' . i castelli che erano ancora in potere dei cristiani, soggiacquero uno ad" io ai suoi ben calcolati assalti. E come poteva venire aiuto dall’occident le flotte meglio adatte per il trasporto delle truppe necessarie tentavano di distruggersi a vicenda? San Luigi, cedendo piuttosto all’impulso del suo cuore che alle esortazioni del papa, prese nel marzo 1267 per la seconda volta la croce b. I provetti cavalieri francesi stavano ai suoi ordini ma egli non aveva navi per portarli in Siria, e, come nella sua prima spe’ dizione, dovette ora pensare a noleggiarne 16. Soltanto Venezia e Genova erano indicate a ciò. Se però egli concludeva colla prima, era molto facile che la seconda potesse creare serie difficoltà alla crociata. Perciò prima condizione per la buona riuscita dell’impresa era il ristabilimento della pace fra i due Comuni. Luigi IX non tardò a por mano all’opera17. Anzitutto si rivolse al papa affinchè appoggiasse il tentativo di accomodamento. Nella forma solita Clemente IV chiamò a sè le parti18 e Venezia almeno mandò tre e uno se vano 14 lbid.\ comuni nostro dantes spem quod d. rex comune Janue et homines dicte civitatis amat inter ceteros et honorat. 15 Rayn., anno 1267, par. 48, nel giorno annuntiationis dominice. « Quanto a Pisa, a causa dei suoi rapporti, dapprima incerti e poi ostili verso il papa, non è il caso di parlarne; le navi della Provenza dovevano essere insufficienti; di esse come di quelle della Sicilia, si servì poi Carlo stesso. E’ assai dubbio se il frammento in Jal, Pacta Naulorum, 609 e sgg. appartenga al 1268. 17 La relazione di Canal, 536 e sgg., riguardo ai fatti è certamente credibile, se pure i discorsi degli inviati a Venezia possano essere ritenuti non letterali. Dandolo, 475, fraintese la narrazione, invero alquanto confusa. A Genova non vennero inviati Veneziani, come si rileva pure dagli Annali, 260 [IV, 102], 18 IReg. de Clément IV, p. 335, nr. 849. Il termine per la venuta degli inviati è la Pasqua (17 aprile 1267)]. — 195 — Libro II - Cap. sesto inviati alla Curia. Intanto si cercò pure di esercitare una più forte pressione, col far conoscere quasi contemporaneamente al Doge, mediante un legato pontificio, due inviati francesi ed un ambasciatore del re di Sicilia, i desideri dei loro mandanti. I sovrani minacciarono la loro inimicizia, il papa fece intravvedere la scomunica se non si fosse conclusa la pace o un armistizio. E’ perciò molto probabile che a Venezia non si fosse più tanto disposti alla guerra. La sua superiorità sui rivali era manifesta, pochi o nulli erano i possedimenti la cui conquista avrebbe potuto recar danno al nemico e qualche nuova vittoria poteva rendere possibili piraterie a danno del proprio commercio. Così gli inviati ebbero buona accoglienza e Venezia obbedì alle ingiunzioni del papa. Contribuì molto la circostanza che, contemporaneamente, venne trattata colla Francia la fornitura delle navi occorrenti per la crociata 19. Era ora da vedere come si sarebbe comportata Genova di fronte alle proposte che gli ambasciatori le avrebbero fatto, dopo concluso 1 affare con Venezia. Un ricevimento ostile era loro preparato. A Chiavari, sulla riviera20, vennero trattenuti colla forza dalla guarnigione ivi stanziata. Quando finalmente furono arrivati in città, il Podestà non diede loro ascolto e solo dopo tre giorni poterono esporre la loro ambasciata. Non può destare meraviglia che le loro proposte siano state respinte bruscamente. Anche gli Annali non negano che Genova avrebbe lasciato andare a sterminio la Terra Santa piuttosto che rinunziare alla vendetta contro l’odiata Venezia; ma in pari tempo vogliono farci credere che agl inviati • 21 di così alti signori sia stata data almeno una fine risposta diplomatica . Comunque il governo genovese aveva provato qualche inquietudine sulle possibili conseguenze del suo contegno, talché, per scusarsi, mandò due 19 Canal, 540. A questo si riferisce il progetto di contratto: Du Chesne, Historiae Franc. Scriptores, V, p. 435, etc. Cfr. Rôhricht, Kleine Studien, p. 26. L’inviato Marco Quirino è in ogni modo identicabile con Marc Courin che, secondo Canal, 1. c., fu mandato al papa. Data della partenza è il 24 giugno 1268. fCfr. le mie osservazioni in Zum zweiten Kreuzzuge, p. 238 e sgg.]. 20 Canal, 540, Chaveris. Gli Annali, 260 [IV, 101-102], naturalmente nulla raccontano di queste « chicanes » che pur allora erano in uso nei confronti di inviati che recavano una sgradita ambasciata. Cfr. L.J., I, 1228 e sgg., Germain, I, p. 426 e sgg. 21 Annali, 260 [IV, 102]: facta pulcra responsione. Tutto differente Canal, 542: Aies ariere en vois pais, que non penserons bien a se que nos en devons fere. — 196 - La guerra ed i negoziai! nel 1267 inviati al re di Francia e un sindaco a Clemente IV, informandone pure gl’inviati presso la corte di Carlo . Il legato pontificio, prima di lasciare Genova, fece assoluto divieto di armare galere23; divieto che però non fu rispettato. Alla fine di giugno furono spedite 25 galere comandate da Luchetto Grimaldi24. Il loro com. pito non era questa volta la cattura del convoglio veneziano, che non era stato spedito essendosi appresso alla costruzione delle navi per la crociata25. Sembra anzi che lo scopo fosse niente meno che la conquista di Acri. Le amichevoli relazioni col signore di Tiro si mantenevano invariate26, coll’ordine dei Templari era stata conclusa allora la pace27; perciò si voleva fare un ultimo tentativo per ricuperare i possessi dianzi perduti. Il 16 agosto la flotta genovese comparve dinanzi alla città, dopo aver preso per via due galere nemiche e una saettia28. Il suo arrivo fu certo inaspettato e quindi l’entrata nel porto riusciva senza difficoltà; sull’alta torre che lo sovrastava venne inalberata la bandiera genovese29, mentre due navi pisane che stavano all’ancora vennero date alle fiam- 22 Annali, 1. c. [IV, 103]. Al più tardi in giugno gli inviati dovevano essersi trovati a Genova. Dopo la loro partenza, venne mandato il messaggero con lettere per gli inviati genovesi alla corte di Carlo. Siccome contemporaneamente partì un mdicus particolare per il papa, così dobbiamo ammettere che Carlo non si trovasse più presso la corte pontificia dopo il 26 giugno (cfr. Durrieu, II, p. 168). Forse il documento è del 1° agosto 1267. Belgrano, Docc. ined., p. 213, fa riferimento alle trattative che furono riallacciate con Luigi IX; Belmustino Lercari può aver approfittato dell’occasione per far valere vecchie pretese. Uno degli inviati, Si-mone Mallone, è di nuovo a Genova il 7 aprile 1268: ibid., II, p. 217. 23 Canal, 542. 24 V. sopra, libro II, cap. VI, n. 2. 25 Canal, 540. 26 Annali, 260 [IV, 102], 27 Desimoni, Spigolature genovesi in Oriente, p. 345 (10 febbraio 1267): conferma in Genova 8 luglio. 28 Annali, 260 [IV, 103]. Canal, 542, 544. La data in Cont. Guill. Tyr., 453 _ Am terre sainte B, 453 = Marin Sanudo, Liber, 223 e Gest. des Chipr., 186. II. numero delle galere genovesi è dato da Gest. des Chipr., Canal, Cont. Guill. Tyr. e Ann. terre sainte B, in 28, ivi comprese le tre catturate per via ed è strano che Marin Sanudo ne abbia solo 25. Secondo Canal, 552, furono prese soltanto una galera ed una galiota, appartenenti a Lombardi di Negroponte. 29 Gest. des Chipr., 186; Annali, 260 [IV, 103]. - 197 - 14 Libro II - Cap. sesto me . I Genovesi non osarono tentare uno sbarco, ma impedirono l’introduzione di viveri in Acri dalla parte del mare. Il porto è sbarrato ed ogni nave che vuole entrare od uscire viene costretta a prendere la via per Tiro 31. Fin da maggio i dintorni della città erano stati orrendamente devastati dai Saraceni32; se non venivano provvigioni dal difuori, la fame era imminente. Il Grimaldi però non aveva voluto attendere questi arrivi e con una parte della sua flotta si recò a Tiro per discutere con Filippo di Montfort più vasti piani di attacco, mentre 1 altra parte, sotto il Mallone, continuava il blocco33. Frattanto la flotta veneziana, che si trovava ancora in mare, ebbe notizia dei progetti dei Genovesi34 e si affrettò a cercare il nemico, che trovò il 29 agosto dinanzi ad Acri. Le galere genovesi che ancora si trovavano in porto erano abbastanza bene custodite per non lasciarvisi sorprendere; ma nella fuga cinque di esse35, tre delle quali coll’intero equipag- 30 Gest. des Chipr., 186; Cont. Guill. Tyr., 455; Marin Sanudo, Liber, 222; Ann- terre sainte B, 453; cfr. Canal, 544. jl Canal, 544, fa risaltare che era di grande interesse l’impedire l’importazione, circostanza che è messa altrettanto in rilievo dalle altre fonti. 32 Cont. Guill. Tyr., 455, etc. 33 Annali, 260 e sgg. [IV, 1031: 15 galere rimangono dinanzi ad Acri, 10 vanno a Tiro. Secondo Gest. des Chipr., 186, il numero delle prime è 13, quello delle seconde 15; queste avrebbero avuto bisogno di riparazioni, come dice anche Canal, 546, ma i numeri sono rispettivamente 16 e 12. Canal, 544. La forza può dunque essere stata in totale di 20 galere e tre bastimenti minori. Però il numero delle galere comparse dinanzi ad Acri è dato da Annali, 260 [IV, 103], in 26; Gest. des Chipr., 186 = Marin Sanudo, Liber, 233 = Cont. Guill. Tyr., 455 = Ann. terre sainte B, 453, in 28. La relazione in Gest. des Chipr., 186, è decisamente la più chiara. Quando 1 Genovesi scorgono il nemico, escono dal porto ed irrompono attraverso la sua linea. Il narratore ritiene la manovra giustissima: se fossero rimasti ancora in porto sarebbero stati tutti perduti. Con ciò male si accorderebbe et nostri indiscrete sciverunt se a dicto portu separare-. Annali, 260 [IV, 103], Canal, 544 e sgg., nella sua narrazione parte dal punto di vista veneziano; anche secondo lui i Genovesi non sarebbero stati sorpresi dentro il porto, ma avrebbero poi tentato di sfuggire al nemico di fianco. E’ notevole il fatto che tre galere furono prese presso Chastel Pelerin, cioè a sud di Acri, mentre le altre fuggirono a Tiro, quindi verso nord. La flotta’doveva quindi essersi divisa a causa dei venti contrari o dell'imperizia dei timonieri: An-nali, 260 [IV, 103]. Non è detto dove fossero state prese le due galere, il cui equipaggio si salvò a terrai, si dovrebbe però ritenere fra Acri e Tiro, poiché i salvati vennero portati, mediante una galera, in quest’ultima città: Annali, 261 [IV, 103-104], La guerra ed i Mcm,,,- * NEGOZIATI NEL 1267 „>n36 caddero in mano del nemico che le inseguiva L’ammìt-^ i-fi» in via per andare dal Gran Maes.fo delfoT* dei Ï "T” quando il Mallone giunse in Tiro col ,immente delk „ *"• padò fece sub.ro ntomo . E dubb.o se Püippo di Montf„rt ' veramente mettere a sua dispostone sei galere, per dargli modo di d e battaglia ai Veneziani ; certo e invece che i Genovesi non osarono più di misurarsi in campo aperto con i nemici e che nella notte seguente siali™ tanarono da Tiro 3. Quando il 29 agosto i Veneziani comparvero dinanzi a quella città, non vi trovarono pm la flotta genovese40, ed ulteriori tenta tivi per coglierla qua e là rimasero senza frutto41. Il Grimaldi, nel ritorno, contava di poter fare ancora una buona preda. Egli ebbe notizia che nel porto di Curco, sulle coste dell’Armenia Minore42, si trovava una nave nemica con ricco carico. Arrivato sul posto trovò che ciò era vero, ma che nel frattempo i nemici si erano allontanati lasciando indietro parte delle merci. Egli portò seco quello che rimaneva di loro proprietà, con un danno di più di 50000 lire. La nave, col resto del carico che apparteneva a sudditi del principe di Tripoli, fu consegnata a quest ultimo . Fin qui tutto sarebbe andato bene ed il ricavo del bottino avrebbe procurato alle casse dello Stato un notevole profitto44 • Questa separazione della flotta genovese, che si deduce dai fatti riferiti dal Canal, non era affatto a sua cognizione. Inoltre, secondo lui, furono presi nell’inseguimento bastimenti minori, fatto de! quale le altre fonti nulla dicono. Marin Sanudo, Liber, 223 e Ann. terre sainte B, 453, dicono che i Genovesi avrebbero lasciato il porto di Acri nascostamente (private, celéement). In contraddizione con Canal, sta il fatto che le 5 galere furono prese fra Acri e Tiro e nemmeno è fatta l’osservazione che dinanzi ad Acri si trovava ancora una parte della flotta genovese. Questa circostanza non manca in dont. Guill. Tyr., 455, in cui pero il racconto è meno esatto. 3« Sul fatto che l’equipaggio di due galere si sia salvato a terra concordano gli Annali e Canal. 37 Gest. des Chipr., 186. 38 Canal, 584 e sgg. 39 Gest. des Chipr., 186. 40 Marin Sanudo, Liber, 223; Ann. terre sainte B, 453. 4> Canal, 550 e sgg. 42 Cfr. Atlante idrografico T. Luxoro, p. 114. 43 Annali, 261 [IV, 1041. 44 p0l Not., II, c. 232 (26 aprile 1268): Francescano Grimaldi compra da Lanfranco de Grisulfo et Egidio de Nigro, constitutis pro comuni Janue super vendendis mercibus et rebus dicti comunis, que delate fuerunt Januam in armamento galearum comunis Janue, quarum fuit amiratus Luchetus de Grimaldo... pulverem gingiberis. [Cfr. Ferretto, Cod. dipi, I, p. 113, nr. 11. Libro II - Cap. sesto senonchè, si venne a conoscere che questa volta non era stata fatta distinzione fra amici e nemici di Genova. Le merci rubate non appartenevano affatto a Veneziani, come si potrebbe credere stando agli Annali, ma invece ne erano proprietari abitanti della Siria ed anche dellArmenia. Fu quindi necessario accogliere i loro reclami per il risarcimento dei danni affinchè il commercio di Genova con queste contrade non venisse completamente interrotto con rappresaglie 4S. Questi colpi di pirateria non cinsero di molta gloria il guelfo Grimaldi; ma anche in seguito la sorte gli fu altrettanto poco propizia, come agli ammiragli ghibellini dell’anno precedente. Nel momento in cui la flotta di ritorno approdava a Messina, il regno di Carlo era seriamente minacciato in tutta 1 isola dall’invasione dei partigiani di Corradino. Il Grimaldi può aver creduto suo dovere verso la patria, o almeno verso il suo partito, intervenire per il re, riuscendo ad impedire l’insurrezione di parecchie città 43 V. l’aggiunta in Annali, 261, var. b [IV, 104, var. ben. 31, giusta sì, ma non del tutto esatta, come è dimostrato dai relativi documenti. Questi sono (cfr. Langlois, Mémoire, p. 301): 1°) 22 ottobre 1268, (Mas Latrie, Hist. de Chypre, II, p. 74; Langlois, Le trésor, p. 150): il Podestà conclude un accordo con i rappresentanti dei danneggiati, che vengono uno per uno accertati. Sono abitanti di Acri, sudditi del Signore di Tiro, del patriarca e del principe d’Antiochia, del re di Armenia ed anche del Signore dei Tartari, certo un maomettano, come risulta dai documenti seguenti. Come risarcimento vengono loro accordate lire 14090. In cambio di ciò essi ri-nunziano ad ogni ulteriore pretesa e promettono di produrre lettere ed istrumenti del re di Armenia, del principe di Antiochia, del Signore di Tiro, del re di Gerusalemme o del suo bajulo in Acri, con cui venisse confermato l’accordo. Il pagamento doveva effettuarsi entro tre mesi dall’esibizione dei suddetti documenti; però il regolamento doveva essersi protratto a lungo. 2°) 3 ottobre 1270, (Langlois, Le trésor, p. 149; Archivio di Stato Genova, Mat. politiche, mazzo 5 e mazzo suppl.; App. 2, nr. 87 - doppio esemplare? -): Jacobus Pilavicinus viene nominato dal Podestà e dal Consiglio sindaco per definire questa faccenda col re Hfethom] di Armenia e con suo figlio Leo. 3°) 6 ottobre 1271, (Mas Latrie, Hist. de Chypre, II, p. 78; Langlois, Le trésor, p. 150) in Lajazzo: rinunzia dei danneggiati ad ulteriori pretese verso il Comune, rappresentato dal sindaco. 4°) 7 ottobre 1271, (Langlois, Le trésor, p. 151; Desimoni, Actes passés, p- 441) in Laiazzo: il sindaco dichiara che siano pagati per risarcimento di danni 22797 byz. sarr. e 7 kar., e ciò da un certo numero di mercanti genovesi. 5 ) 28 marzo 1272 (App. 3, nr. 28, c. 6): Jacopo Doria filius Petri (cioè l’annalista, testimonio al precedente documento) riceve dai Capitani di Genova in nome di questi mercanti la promessa che entro il 1° novembre dovranno essere ad essi restituite le somme sborsate. — 200 — La guerra ed i negoziati nel 1267 suUa costa ; le prestazioni dei Genovesi furono però mal ricompensate Dopo avere raggiunto lo scopo dell incurs.one, le galere ritornarono a Mes’ sina. La prevista prossima liberazione dal giogo angioino aveva cagionato anche qui un fermento fra quell ardente popolazione. Ne nacque un tu multo, nel quale Pescete Mallone, per prevenire disgrazie, cercò di pacificare la folla; i Francesi, male comprendendo i suoi intendimenti, uccisero lui e gli altri Genovesi47. Dopo tale rovescio la flotta rimpatria; gli Annali non ci dicono se fra i 300 prigionieri ve ne fossero anche di Veneziani48. Tre galere si erano separate dalle altre per darsi alla pirateria, però senza compiere fatti di qualche rilievo49. Al contrario, Montanino Guercio riuscì a fare buona preda. Egli intendeva ritornare da Tiro a Genova per conto proprio e all’uopo aveva armato una galera e una saettia. In un porto della costa albanese 50 si abbattè in una tarida veneziana con ricco carico, ma senza equipaggio, avendo questo inteso da alcuni Greci là dimoranti che vi erano due galere nelle vicinanze. Forse i Veneziani, che non comprendevano bene il greco, credettero che si trattasse di dodici, anziché di due galere, e quindi non era rimasto loro niente di meglio da « Annali, 261 [IV, 104-105 e n. 1], Infra mare ben significa «sul mare». Cfr. Hampe, Gescb. Konradins, p. 194 e sgg., il quale a ragione non annette grande importanza a tutto l’episodio. La data doveva essere fine settembre 1267, poiché il viaggio da Tiro a Messina non doveva essere certo durato più di un mese. Sul fatto che i Grimaldi fossero entrati in strette relazioni con Carlo, vedi Del Giudice, Cod. dipi, II, P- 202; Minieri Riccio, Alcuni fatti, p. 40. Non è ammissibile che Luchetto fosse stato incaricato dal governo genovese di agire a quel modo, altrimenti gli Annali ne avrebbero fatto menzione e le parole, in honorem dicti d. regis et propter eius reverendam, fanno vedere ch’egli agì di proprio arbitrio. « Annali, 261 [IV, 1051; Canal, 552. 48 Annali, 1. c. I prigionieri dovevano provenire dalle galere che erano state prese in partenza e che, secondo Canal, 552, erano di Negroponte. Negli Annali, 261 [IV, 104-105], si parla sempre soltanto di inimici. 49 Annali, 1. c. [IV, 105]. Non è chiaro se siano da identificarsi con le due galere inseguite da Eliodoro Vitale o con le 6 che dovevano trovarsi ancora in mare (Canal 556 e sgg.), ovvero se una di esse fosse quella che si trovava a difesa dinanzi a’ Corfù: Canal, 554. Forse la notizia delle loro intenzioni diede occasione all’allestimento delle 2 galere a Ragusa e delle 2 a Venezia, delle quali venne poi affidato il comando al Vitali: Canal, 554. so Annali, 262 [IV, 108 e n. 2]: ad portum Varorum vel circa sive prope gulfum Venetorum-, tale è certo il capo Pali presso Durazzo: Atlante idrografico T. Luxoro, p. 88. - 201 - Libro II - Cap. sesto fare che mettersi presto in salvo51. I Genovesi non godettero a lungo del bottino fatto così a buon mercato. La tarida si arenò sulle coste della Calabria 52 e, forse per intromissione del papa presso re Carlo, i derubati poterono rientrare in possesso delle loro proprietà53. In ogni caso il fatto dimostra che nemmeno nel mare Adriatico la navigazione era sicura dagli attacchi del temerario nemico. Eliodoro Vitali, a cui il Doge aveva affidato il comando di quattro galere, inseguì invano quelle genovesi54. Dopo il suo ritorno, fu mandato Tomaso Minot. L’esiguo numero di galere messe ai suoi ordini55 dimostra che egli pure non aveva altro incarico che quello di proteggere il commercio contro corsari vaganti. Prima però eh egli entrasse in azione, Genova acconsentì ad un armistizio, che mise un freno ad ulteriori fatti di guerra5Ó. Nel corso della narrazione abbiamo già più volte dimostrato le distinte particolarità della lotta fra Genova e Venezia. Uno spirito cavalleresco animava la popolazione delle due città. Si cercava la battaglia navale, non già come condizione necessaria all’esecuzione d’un piano di guerra, ma soltanto per mostrare all’avversario la propria superiorità. I danni materiali portati da una sconfitta si potevano riparare facilmente; e pertanto poco importavano. I ricchi bottini non provenivano dalle navi da guerra, ma dalle mercantili, che avevano a bordo i preziosi prodotti dell Oriente. La battaglia aveva la forma d’un duello, in cui il più coraggioso ed il più abile riportavano vittoria e fama, mentre il soccombente non osava alla fine accettare più l’offerta battaglia. Tale è lo spirito che regna nelle vive descrizioni del Canal e, se consideriamo l’esito della guerra da questo punto di vista, certamente Venezia ha riportato la palma. La superiorità della sua flotta non poteva essere più messa in dubbio; ma con tutto ciò essa non fu in grado di annientare i nemici spesso vinti. Appena una flotta genovese era distrutta, subito ne compariva una nuova sul mare. L abilità degli uomini di Stato veneziani destò più tardi l’ammirazione dei contemporanei e dei posteri; riteniamo tuttavia che non si possa 51 Canal, 558. Il gratia favente - Annali, 262 [IV, 108] - conferma la narrazione alquanto fantastica del Canal. 52 Canal, 1. c. 53 Martène et Durand, II, 573. 54 Canal, 554 e sgg. 55 Canal, 558, 4 e 1 piccola, la spedizione dopo Natale 1267. 56 Canal, 578 e sgg.; v. oltre, cap. VII. — 202 — La guerra ed i negoziati nel 1267 affermare ch’essi, allora ne avessero dato prova. Il Doge dal suo palazzo dirige il movimento delle navi sui mari lontani. I suoi ordini assoluti obbligano gli ammiragli a tenersi sulla difesa anche quando un ardito attacco avrebbe potuto avere per conseguenza un sicuro successo57. La stessa tenacia con cui viene mantenuta una politica tradizionale trae seco conseguenze nocive. Se si fosse deciso di accogliere la pace che offriva il Paleologo, l’antico predominio in Romania, sia pure sotto forma diversa, sarebbe stato riacquistato; invece si trattò per un armistizio, obbligando così i Greci ad appoggiarsi ai Genovesi. Nel 1257 Venezia aveva contratto con Pisa una vantaggiosa alleanza, la cui rinnovazione venne poi completamente trascurata58. Le condizioni di Genova dalla parte di terra non erano tanto sicure perchè l’oro veneziano non avesse potuto esercitarvi una potente azione. Non venne tuttava fatto il minimo tentativo per creare delle difficoltà ai confini dello Stato nemico e la Riviera fu risparmiata da improvvise devastazioni. Ogni misura presa dal Doge è il frutto di accorta e matura riflessione, ma egli non sa prendere un’ardita decisione. Egli trascurò di suscitare dappertutto nemici all’avversario, per obbligarlo a chiedere pace mediante un attacco nel cuore del suo Stato. Perciò le vittorie ottenute sul mare per il coraggio di esperti condottieri non produssero i frutti che si potevano attendere. Nemmeno la difensiva, alla quale si limitava Venezia, fu condotta in modo soddisfacente. Ora la flotta genovese saccheggia una città, ora audaci corsari catturano ima nave mercantile veleggiarne senza scorta. Quello che manca a Venezia, cioè la libertà dei movimenti, trovasi invece esaltato a Genova al massimo grado. L’unico ordine che qui ricevono gli ammiragli nelle loro spedizioni è quello di recare danno ai nemici, lasciando loro la scelta del modo, senza però che fossero risparmiate punizioni e scherno agl’infelici che tornavano a casa vinti. Lo Stato genovese non era abbastanza cementato nelle sue componenti per poter concentrare tutte le sue forze nel conseguimento d’un dato sc°po. Il popolo sopporta malvolentieri il giogo impostogli da una su- 57 Canal, 530. Infatti nel 1268 la lega venne prorogata per 5 anni: Dandolo, 397, da do-ounenti (cfr. Tafel e Thomas, p. 137), però egli non fa cenno che i Pisani aiu-tassero seriamente Venezia. - 203 - Libro II - Cap. sesto perba aristocrazia. Questa pure è divisa in sè stessa e una inveterata diffidenza regna fra le famiglie dirigenti la cosa pubblica. Si teme che l’ammiraglio, il quale deve condurre la flotta contro il nemico, la adoperi per procurare a sè stesso la signoria del suo paese. Non possiamo meravigliarci che Genova in tali condizioni di cose abbia sofferto delle sconfitte; ma proprio la maggiore indipendenza individuale la salvò da una completa rovina. Le galere armate da privati facevano maggior danno ai nemici che non facessero le grandi flotte spedite dal Comune, mentre le lotte di partito non avevano ancora spento lo spirito pubblico. Da Venezia, nè nobiltà nè popolo, nè Guelfi nè Ghibellini potevano attendersi il benché minimo vantaggio. Le perdite in Acri colpirono tutti egualmente, come tutti parteciparono agli utili in Romania. Perciò la lega col Paleologo, stipulata dal Boccanegra, non fu sciolta dall’aristocrazia: malgrado l’interdetto e la scomunica, Doria e Grimaldi combattono con pari zelo il comune nemico. Quando gl’interessi del commercio erano in giuoco, cessava ogni disputa nelle adunanze del Consiglio. Di fronte a Venezia, malgrado qualche esitazione, Genova seguiva una politica tendente ad un fine prestabilito, quantunque vi si riconoscesse visibilmente l’impronta del carattere del popolo genovese. Arditi attacchi e colpi di sorpresa non mancano; ma nella fredda valutazione delle circostanze, la selvaggia passione non ha misura e, quando ci si accorge di aver passato il segno, si cerca di evitarne le dannose conseguenze coll’inganno e colla menzogna. Il cieco desiderio di vendetta aveva condotto alla lega con i Greci scismatici. Quando poi il papa pronunzia l’interdetto, non si risparmiano tentativi per strappargliene con l’astuzia la revoca, trascurando però in pari tempo le necessarie precauzioni per evitare una rottura col Paleologo, e se i cittadini di Genova non furono alla fine allontanati da Costantinopoli, come da Acri, lo dovevano agli errori della politica veneziana. Nella direzione degli affari di Stato mancò quella mano sicura, che misura, senza errare, con saggio calcolo in mezzo ad opposte influenze, ogni singolo passo per raggiungere la meta da tutti desiderata. Non possiamo però certamente accusare i Genovesi di difetto di perseveranza; anzi le sconfitte erano loro di sprone a nuovi sforzi. Quindi accadde che, malgrado le molte battaglie perdute da Genova, la guerra continuava senza posa e senza che, quando fu interrotta, le sorti rimanessero indecise. La cittadinanza divisa in partiti non era atta a riportare vittoria; era però già sufficiente ch’essa non perdesse di vista il suo scopo precipuo, in mezzo alle tempeste che allora agitavano l’Italia. - 204 - Capitolo settimo Genova e Corradino di Svevia Trattative di Carlo con Genova. - Atteggiamento di Pisa nei confronti Hi r Scopo dell’ambasciata del papa a Luigi IX e a Carlo. - Genova disposta aTÌ”0' ' con Venezia. - Contrast. sull attegg.amento da tenere nei confronti di Corradino La decisione, straordinariamente rapida, della lotta fra Manfredi Carlo aveva obbligato Genova a cercare un accomodamento col vincitore Non era ancora conclusa una convenzione definitiva, che già la situazione politica prendeva una nuova piega. Non c’era dubbio che Corradino avrebbe procurato di riconquistare colle armi il regno avito, mentre l’usur-patore esauriva le sue forze nell’assedio della piazzaforte di Poggibonsi Un rivolgimento nell’ordine delle cose non sarebbe stato altro che vantaggioso per Genova. Una guerra decisiva era imminente. Ora si vedeva quello che era stato trascurato nel 1265: che cioè nessun prezzo era troppo alto per avere l’aiuto della potente città marittima. In favore dello Staufen venne Pisa, l’antica nemica, colla quale c’era ancora un conto da regolare. Un suo cittadino si era teste impossessato dell ultimo giudicato indipendente della Sardegna l. Se Corradino si fosse impadronito della Sicilia coll’aiuto dei Pisani, questi avrebbero ottenuto i più ampi privilegi ed il commercio di Genova nell’Italia meridionale sarebbe caduto in ultima linea, motivo sufficiente: per evitare fin da principio ima tale possibilità. Così pensava forse Carlo quando propose a Genova una lega contro Pisa2. Le offerte recate dagl’inviati erano molto ampie. Purtroppo non 1 Martène et Durand, II, 516 e sgg. Invasione del conte Ugolino nel Giudicato di Torres. 2 Annali, 261 [IV, 105-106], Prima viene narrato l’arrivo di Carlo dinanzi a Poggibonsi, poi quello di Corradino a Verona; quindi, fra il 22 agosto (cfr. Hampe, p. 141) ed il 21 ottobre (Ann. Plac., 523) doveva essere giunta l’ambasciata a Genova. Però la narrazione degli Annali per quest’anno non è rigorosamente cronologica, talché potrebbe pure darsi che il tempo deU’ambasciata fosse più tardo, essendo gl’inviati genovesi comparsi dinanzi a Carlo con la risposta soltanto nel gennaio 1268; v. oltre. Nemmeno Hampe, p. 221, determina il tempo con maggiore precisione. — 205 — Libro II - Cap. settimo ci è stato tramandato in che cosa consistessero e ancor meno la risposta data dopo le lunghe discussioni. Sembra però che questa non sia stata del tutto positiva, ma neppure assolutamente negativa, essendo stata rimandata a più tardi la decisione. Le controproposte erano state recate personalmente a Carlo da inviati genovesi3. Lanfranco Malocello, Dabadino di Negro ed il giureconsulto Ugo Fieschi, già spesso destinato a simili missioni, muniti di dettagliate istruzioni, si recarono all’inizio del 12684 alla corte del re. La scelta degli uomini a cui furono affidate le trattative dimostra che esse erano state seriamente ponderate5; il che fa comprendere i manifesti vantaggi che sarebbero derivati dalla conclusione d’una convenzione con Carlo. Le fazioni della nobiltà potevano così mantenersi in un certo equilibrio. La preponderanza che i Ghibellini avevano acquistato nel 1265 non aveva avuto lunga durata6. Si può ben ammettere che i Guelfi fossero inclini ad un accordo fra il Comune ed il paladino del loro partito e che probabilmente avessero già fin da allora avviato delle strette relazioni con Carlo7. Dalla comparsa del Grimaldi in Sicilia si poteva arguire quello 3 Annali, 262 [IV, 105], 4 Annali, 1. c.: ad dictum d. regem existentem in obsidione per terram in portu Pisano. La spedizione di Carlo nel territorio di Pisa cade nel gennaio 1268, come Hampe, p. 222, n. 2, ha dimostrato; v. Gioffredo della Chiesa, Cronaca di Saluzzo, 908 e sgg.; Breviarium Pisanae historiae, 198 = Chronicon breve Pisanum, 126. Per notizie di cronache pisane posteriori, v. Chronicon Pisanum, 452 = Ranieri Sardo, Cronaca Pisana, 90 = Cronica di Pisa, 979; che i Genovesi abbiano aiutato Carlo alla distruzione di Porto Pisano, deriva da confusione con avvenimenti successivi e dimostra il nessun valore di quelle fonti. 5 Due degli inviati, Lanfranco Malocello e Ugo Fieschi, devono essere considerati assolutamente come Guelfi; soltanto il terzo potrebbe avere rappresentato i Ghibellini. 6 Le piccole oscillazioni nella preponderanza dei partiti non possono essere naturalmente riconosciute con esattezza. L’atteggiamento del Podestà del 1267 Gui-doto de Rodobio - Annali, 259 [IV, 99] - non è affatto ghibellino, poiché egli era prima Podestà di Milano: Galv. Flamma, 694. Così pure il Podestà del 1268, Guido de Corrigia - Annali, 262 [IV, 108] - era stato considerato come un partigiano di Carlo: Minieri Riccio, Il Regno, 1271-1272, p. 88. Fra gli Otto Nobili del 1267 si trovano un Doria ed un Grimaldi: Annali, 259 [IV, 99]. 7 Del Giudice, Cod. dipi, II, p. 118 (11 febbraio 1268): salvacondotti di Carlo per Opizo, patriarca di Antiochia, e per il procuratore del cardinale Ottobono. - 206 - Genova e Corradino di Svevia che c’era da aspettarsi da coloro che partecipavano ai suoi piani. I rappresentanti del partito ghibellino si trovavano in posizione difficile nelle discussioni del Consiglio. Un’aperta opposizione alla convenzione non sarebbe stata per essi troppo facile; ma le ritardate trattative, e, come possiamo dedurre da fatti successivi8, una considerevole onerosità delle condizioni, furono opera loro. Tutto ciò forse rese impossibile l’accettazione dei patti a meno che al re non fosse sembrata in quel momento troppo necessaria la lega contro Pisa, nella supposizione di poter arrivare al suo scopo anche senza di essa. Ancorché avesse avuto una potente flotta a sua disposizione, non avrebbe ottenuto successi maggiori della distruzione di Porto Pisano. Ciò spiega perchè Carlo avesse intrattenuto gl’inviati genovesi con belle parole9, senza però venire alla conclusione d’una convenzione. Frattanto Corradino era entrato in Pavia10 e premeva a Carlo di sbarrargli la via per il sud, al quale scopo i Fieschi offersero man forte. Dopo la morte di Manfredi, il Pelavicino aveva consegnato Pontremoli a loro ed al marchese Isnardo Malaspina11; ora venne conclusa una convenzione, in virtù della quale essi ricevono quella località in feudo da Carlo n. Se il primo fosse della stirpe dei Fieschi, cfr. sopra, p. 172; il secondo trattò effettivamente in ordine ai possedimenti del cardinale nel regno di Carlo: ibid, II, p. 236 e sgg.; Minieri Riccio, Alcuni fatti, p. 51. Le trattative per la convenzione coi Fieschi dovevano avere avuto inizio allora: Del Giudice, Cod. dipi., II, p. 133 e sgg.; cfr. oltre. 8 Cfr. le trattative con gli inviati di Carlo II del 1292 in Annali, 346 e sgg. [V, 152 e sgg.]. 9 Annali, 262 [IV, 107]. 10 Ann. Plac., 524: 20 gennaio 1268. 11 Ibid., 516. 12 Ibid., 525. Del Giudice, Cod. dipi, II, p. 133 e sgg. (6 marzo 1268): Carlo nomina delegati con poteri di ricevere il giuramento di fedeltà di Alberto e Jacopo Fieschi, come pure per la ratifica della convenzione conclusa con Ugolino e Manuel Fieschi. Pontremoli era stata data dal re Guglielmo (16 aprile 1251) a Ni-coleto Fieschi: Bohmer, Regesta Imperii, nr. 5034; Winkelmann, Acta imperii, I, 433. Con ragione dunque Hampe, p. 230, ammette che Carlo in questo caso intervenne come vicario imperiale. Lo zelo dei Fieschi per la causa del loro signore e dimostrato dalla relazione in Ann. Plac., 527. Un figlio di Alberto Fieschi uccise più tardi Giovanni Luxardo che aveva accompagnato l’esercito di Corradino nella sua marcia attraverso la Lunigiana. Alla convenzione è pure connesso il conferimento della dignità di cavaliere a Ugolino ed Emanuele Fieschi da parte di Carlo (Minieri Riccio, Alcuni fatti, p. 27) del marzo 1268. - 207 - Libro II - Cap. settimo I presidi ch’egli vi teneva, come in altre piazzeforti della Lunigiana, dovevano intercettare il passaggio all’esercito nemico. Questa misura rendeva difficile allo Staufen l’impresa di recarsi a Pisa per via di terra, mentre, d’altra parte, da Pavia non si poteva arrivare alla costa senza toccare il suolo genovese. I Pisani fecero un tentativo perchè fosse loro accordato un passaggio u. I loro inviati dichiararono che qualora fosse stato possibile un accordo, avrebbero accettato qualunque condizione che Genova avesse posta. Furono licenziati nel modo più brusco; si rispose loro che a Genova non piaceva che fossero uditi dal Consiglio14. Si può supporre che i Ghibellini fin da principio non si fossero opposti al rifiuto d’un colloquio che non dava speranza d’un esito concludente mentre non era da prevedere che Corradino potesse prendere la via della Riviera. Era un periodo ben turbinoso quello che attraversava allora l’Italia. Gli avvenimenti si seguivano l’uno dopo l’altro e una singola città non poteva rimanere in disparte nel generale movimento. Non era ancor trascorso molto tempo dacché l’ambasceria pisana aveva lasciato Genova, che venne fatto un nuovo tentativo per indurre il Comune, la cui potenza e la cui posizione territoriale avevano larga importanza nella decisione della gran lotta, a prendere una posizione apertamente decisa. Entrarono così contemporaneamente in scena inviati del papa, del re di Francia e di Carlo d’Angiò, per indurre la città di Genova ad unirsi a quest’ultimo contro Corradino e i suoi aderenti. Secondo gli Annali15, questo 13 Annali, 262 [IV, 108]. Nell’»/ aliqua compositio fieret, non è detto che fosse stata proposta una lega formale. Quanto al tempo, si deve ammettere il febbraio 1268, nel quale Corradino era ancora a Pavia, manifestamente indeciso sulla via che doveva prendere. Che d’altronde i Pisani, in caso di vittoria, intendessero far valere nuovamente antiche pretese verso Genova, è dimostrato da una clausola della loro convenzione con Enrico di Castiglia: Ficker, IV, p. 461. 14 Annali, 1. c.: quod conscilium daretur eisdem. Quanto alla presenza d’inviati stranieri nel Consiglio, v. Caro, Verf. Gen., pp. 31 e 92. La decisione di dar loro accesso non poteva essere naturalmente presa altro che dal solo Consiglio. 15 Annali, 262 [IV, 108], Circa il tempo, si deve ritenere il marzo 1268; così pure Hampe, p. 222. Contrariamente alle altre narrazioni, gli Annali, sulle vicende riguardanti Genova nel 1268, oltre al nome del Podestà, danno relazione soltanto di ciò che riguarda la posizione da prendersi di fronte a Corradino. Tutto il capitolo si occupa delle imprese di quest’ultimo, sicché dal silenzio degli Annali nulla ci è dato concludere. Al contrario la relazione del Canal, 578 e sgg., non lascia invece dubbio alcuno. L’ambasciata del papa e dei due re, con cui nuovamente si chiedeva la pace con Venezia, deve cadere al principio dell’anno 1268, perchè le succes- - 208 - Genova e CorrADINO di Svevia solo sarebbe stato lo scopo di tale missione diplomatica- sem k mamente potesse dubitarsi che si trattasse anche della con,; 3 mCn°' trattative incominciate nell’anno precedente riguardo all, nU3Z1°ne deUe Senonchè, come allora, fu chies,, la ™ caso in cui fosse stata ancora rifiutata, Clemente IV minacciava - & castighi. L’ostinata città non solo sarebbe stata messa fuori daT della comunione cristiana, ma avrebbe cessato anche dall’esseresed^ arcivescovato. Tale intimazione, nel momento in cui Genova si era C ^ liberata dall’interdetto, non poteva mancare di efficacia. Non «, * fu la minaccia di Luigi IX contro il Comune di Genova se questuiti™ noi sive trattative alla corte pontifìcia erano già finite ai primi di agosto (Canai i fatti avvenuti in questo intervallo dovevano aver richiesto un tempo al uan lungo; Canal, 580 c sgg. o E’ impossibile che si siano succedute una dopo l’altra due ambasciate delle tre potenze a Genova, con scopi affatto diversi, specialmente perchè allora Luisi TY non si era intromesso per proprio conto negli affari d’Italia a favore di suo fr t 11 Si spiega invece benissimo come Carlo avesse colto l’occasione per utilizzar id legati francesi per i suoi scopi personali. Però qui si presenta un’altra difficoltà Se’ condo Canal, 578, gli inviati che vennero a Genova nel 1268 sono gli stessi cunei 1267 era stata affidata la medesima missione. Questi erano il cappellano papale Guglielmo, e, a nome di Luigi IX, il suo grani maréchal e l’arcidiacono di Parisi6 Canal, 538. Ora, il 7 aprile 1268 (Belgrano, Docc. ined. p. 217 e sgg.) Guglielmo de Mora, panaterius di Luigi IX, e Ruggero de Ancone noleggiano a Genova una nave in nome del re. Entrambi non possono essere identificati con gli stessi due inviati notati dal Canal. Si potrebbe supporre che fossero al loro seguito o che trattassero per qualche particolare incarico. E’ strano che nel documento non sia fatta menzione alcuna dei loro poteri. Del resto Guglielmo de Mora conclude più tardi i noleggi per la crociata con armatori genovesi (Belgrano, Docc. ined., p. 228 e sgg.); su questo punto abbiamo un documento del 10 ottobre 1268. Si potrebbe ammettere che già prima gli fossero stati affidati incarichi del genere, mentre uomini di più alto rango avrebbero trattato gli affari politici? Soltanto per induzione possiamo determinare chi fossero gli inviati di Carlo. E’ strano che per ricevere il giuramento di Alberto e Jacopo Fieschi fossero state incaricate dal re tante (4) persone: Del Giudice, Cod. dipi, II, p. 133 e Sgg Se i due Fieschi non erano nei loro possedimenti nella Lunigiana, dove avrebbero potuto ratificare subito la convenzione, dove potevano trovarsi se non a Genova o nelle vicinanze? Non si va dunque lontani dal vero, ammettendo che il cappellano pontificio magister Helias Peleti, il giureconsulto Ayrimondus de S. Petro, magister Johannes de Maftleto e Hugo Staque fossero gli inviati di Carlo a Genova, incaricati pure dell’affare accennato nel documento. La data del 6 marzo si adatta benissimo a questa supposizione. — 209 — Libro II - Cap. settimo avesse dato ascolto ai suoi desideri di pace: qualunque danno i Veneziani avessero sofferto da parte dei Genovesi, sarebbe stato risarcito da lui medesimo in ragione del doppio; se essi avessero fatto prigioniero qualche Veneziano, egli avrebbe preso qualunque Genovese, ovunque si trovasse, e l’avrebbe consegnato a Venezia. L’inviato di Carlo si unì, in nome del suo signore, alle rimostranze degli altri due 16. In tal modo Genova si trovò in breve termine dinanzi a un difficile dilemma. Malgrado tutti gli inconvenienti, essa aveva mantenuto il principio di non prendere alcun partito nella lotta che il papato sosteneva coll’ultimo Staufen. Essa seguiva una politica rivolta al proprio maggiore interesse; lo scopo finale della lunga guerra era quello di abbattere la potenza che fino allora aveva avuto il primato nel commercio marittimo, ed un tale proposito corrispondeva alle interne condizioni dello Stato. Guelfi e Ghibellini potevano darsi mano per combattere i Veneziani, men tre un insuperabile abisso li avrebbe divisi qualora il Comune si fosse messo apertamente dalla parte di Carlo. Ora però si era gravemente impensieriti dal fatto che non era più possibile seguire la via fino allora tenuta. Genova non aveva vinto, la superiorità delPavversario era indiscutibi e e perciò essa non poteva attendersi una pace vantaggiosa, o anche soltanto onorevole. La decisione presa dal Consiglio doveva essere riuscita alquanto amara. Però già dopo gl’insuccessi dell’ultimo anno aveva cominciato a farsi stra a la convinzione che la continuazione della guerra non avrebbe recato frutto; comunque la spinta maggiore era venuta dalle dichiarazioni papa e del re di Francia. L’inimicizia di quest’ultimo avrebbe reso impos sibile il commercio con i suoi sudditi. Colle fiere di Champagne sarebbe rimasto precluso al mercante genovese l’importante mercato sul quale egli barattava i prodotti dell’Oriente con i panni di Fiandra. Perciò si finì Per cedere ed il Comune acconsentì ad una tregua di tre mesi, termine che era manifestamente destinato a prendere il tempo necessario per le trattative d’una vera pace, e a tal fine venne fatta promessa di mandare inviati alla Curia romana17. La decisione presa su questo argomento fu, come si vedrà in appresso, definitiva. Ben diversa invece fu la conclusione delle discussioni riguardo 16 Canal, 578 e sgg. 17 Canal, 580. — 210 - GEN0VA e CorrADINO m Svevia alla proposta lega contro Corradino. Una seduta del Consci' all’altra, senza venire a capo di nulla. I partigiani dello Sta f SU°Cedeva testa a quelli che reputavano essere utile allo Stato un accord^ Il tempo scorreva in discorsi da una parte e daU’altra 18 ° ^ Carl°' necessario far presto, perchè il nemico che si voleva colpi^no^jT^ tempo. Per eva Il 22 marzo Corradino lasciò la fedele Pavia e incon attraverso paesi amici e nemici. Vista la forza del suo Esercito0 stata un’impresa azzardata quella di affrontarlo in campo aperto ’ ' valico dell’Appennino gli era riuscito grazie agli amici marchesi^Tr ’’ retto 19■ U 29 marzo egli salì con piccolo seguito presso Vado, non lungi 18 Annali, 262 [IV, 109], Ciò che poteva essere fatto in simili rv- • • mostrato dagli avvenimenti del 1292: Annali, 344 [V, 147 e sgg ] CaS‘°ni’ è d*' 19 Sulla spedizione di Corradino, cfr. Bohmer, Regesta Imperii nr 4850 Merkel, la dominazione di Carlo I d Angiò, p. 290 e sgg.; Hampe, p ’236'e si Al luogo d’imbarco, Vado - confermato concordemente da Annali 262 TIV Tncn Ann. Plac., 526; Desclot, Cronica del rey en Pere, 112 - corrisponde lt ì valico montano sulla odierna strada Carcare-Altare-Colle di Cadibona SavonT ^ ragione dice Merkel, La dominazione, p. 291. Che questo passo fosse ancheTom molto frequentato, e provato dall introito del pedaggio che si riscuoteva or ZI Carcare: Moriondo, Monumenta aquensia, II, 679. Il documento del 25 ottob 1268 (ibid., II, 675 e sgg.), contiene la divisione dell’eredità 'dei tre figH dT Jacopo del Carretto; Corrado sembra fosse maggiorenne, Enrico e Antonio sono ran' presentati dal loro mtore^ Nicoloso Doria. A loro appartenevano il pedaggio di Car" care, come pure certi altri diritti colà e ad Altare: ibid., II, 677 e sgg Manfredo del Carretto doveva in qualche modo avere’ partecipato con essi al possesso dei luoghi; nel 1214 Ottone del Carretto e suo figlio Ugo ebbero fra l’altro in feudo da Genova la metà di Carcare: L.J., I, 567; il figlio di quest’ultimo è Manfredo: L.]., I, 521. Il padre di Jacopo entrò nella Compagna di Genova nel 1227-doc. in L.J., I, 779, confermato da Jacopo nel 1251: L.J., I, 1055. Intanto per quello che avevano fatto i marchesi, in realtà abbastanza indipendenti, non poteva essere tenuta responsabile Genova. La cosa era diversa per la linea costiera. Per arrivare dall’altura del Colle di Cadibona a Vado, Corradino doveva passare attraverso il territorio di Savona che, per convenzione, era dipendente da Genova: cfr. Caro, Verf Gen., p. 19. Vado stessa apparteneva a Noli, sotto giurisdizione del castellano di Segno: Gandoglia, Docc. Nolesi, p. 628 e sgg. Noli, come Savona, era dipendente da Genova: ibid., p. 610; L.J., I, 474 e sgg. Comunque Savona contestava il pos-di Vado: Bruno, Della giurisdiz. possessoria dell’antico comune savonese, p. 129 In ogni caso, Corradino nella sua andata verso la costa calcò territori che erano il dominio di Genova. Da queste parti i domini dei del Carretto non arrivavano sesso - 211 — Libro II - Cap. settimo da Savona sulla riviera soggetta a Génova, sopra galere pisane già pronte. Il viaggio non fu favorito dal tempo e le navi furono obbligate a sostare presso Portofino, protette dal promontorio sporgente per lungo tratto in mare, in attesa di un vento più propizio20. Allorché, in altro momento, Carlo era pasato lungo la costa ligure, si era presa la precauzione di tenere pronta una squadra; anche senza di questa sarebbe stato ora possibile, facendo prigioniero lo Staufen verso il quale non si aveva alcun obbligo, di avere in mano un pegno per ottenere da Carlo l’esaudimento dei propri desideri. Allo stato delle cose, non era da pensarvi. Gli Spinola, i Doria ed altri nobili si recarono a Portofino a rendere omaggio al nipote di Federico II21. Non è da stupirsi se fu detto che « le autorità lasciarono fare »22. Il fatto rendeva evidente più che mai l’interna debolezza della vigente costituzione dello Stato. Il Consiglio stava ancora discutendo quale politica dovesse seguire, nè il Podestà poteva fare alcunché prima che il Consiglio, sul quale l’influenza dei partigiani di Corradino pesava quanto quella dei loro avversari, avesse preso una decisione. In questa circostanza, il Comune non solo si mantenne^ neu trale come negli anni precedenti, ma non fece assolutamente nulla. L unione della cittadinanza, che era da pensare rendesse possibili importanti mi sure, non ebbe luogo. Il partito guelfo patteggiava per proprio conto con Carlo, il ghibellino con Corradino B. Questo impediva a quello di condurre fino al mare, come accadeva per quelli più oltre ad occidente di Finale, il che spiega l’errore di Ptol. Lue., Hist. eccl., 1159 = Id., Ann. Lue., 84; Simone della Tosa, Annali, 141; ed anche Cronache Modenesi, 69. Del resto, Vado servì anche come punto di partenza per escursioni segrete dei Ghibellini: Ann. Plac., 544. Quanto facile fosse per un grosso esercito raggiungere Savona dalla Lombardia, è dimostrato dalla celerità con la quale nel 1273 avvennero le marce di andata e ritorno: Anna i, 278 [IV, 160-161], 20 Annali, 262 [IV, 109]; Ann. Plac., 526. Portofino apparteneva al territorio primitivo di Genova; su questo punto, cfr. Caro, Verf. Gen., p. 11 e sgg. 21 Ann. Plac., 544. [Quale spirito dominasse in quel tempo nei circoli ghibellini di Genova è dimostrato da un serventese del 1268 contro la Chiesa e Carlo d’Angio. Sternfeld e Schultz - Gora, Ein Sirventes von 1268, p. 616 e sgg. Sull’autore, Ca-leca Panzano, cfr. Ferretto, Notizie intorno a Caleca Panzana, p. 595 e sgg.]. 22 Hampe, p. 238. 23 Non è chiaro fino a qual punto arrivasse l’appoggio dei Ghibellini a Corradino. Nelle Gest. des Chipr., 188, è detto che I grant home de ]ene, frere de Aubert Espine, quy fu capitaine de Jene I tens, visitò Corradino in Germania e che lo stesso (Gest. des Chipr., 189, ma qui designato come capitaine de Jene) combattè con lui — 212 - GeN0VA e Corradino di Svevia a suo piacimento la barca dello Stato, la quale nel furore dell» t maneva così in balìa delle onde Solo la vittoria nella lotta per TT’ della Sicilia avrebbe deciso del futuro atteggiamento di (Loi dosi essa dimostrata incapace di mantenersi in posi2Ìone Clemente IV se ne avvide, ma non volle far pagare a tutti Sfi colpe delle quali solo una parte era responsabile24. per presso Tagliacozzo. Nella fuga egli doveva essersi trovato al seguito immediato dello Staufen. Fatto prigioniero insieme con lui, venne aspramente mutilato e poi messo in libertà. Nessun’altra fonte sa qualcosa di questo fatto ed inoltre la succitata re lazione contiene molte e manifeste inesattezze riguardo all’imprigionamento di Corradino. Th. Espine (Spinola) non fu mai Capitano di Genova. Invece Oberto Spinola sicuramente suo fratello - Annali, 251, [IV, 71] - lo fu poco dopo: Annali 270 [IV, 129]. Un Tommaso Spinola fu, secondo Gest. des Chipr., 212 e sgg,, più tardi nuo vamente in Acri, poi ammiraglio d’una flotta nel 1283 - cfr. Annali, 299 e sgg. [V, 33] - mentre nel 1268 gli sarebbero stati levati gli occhi e tagliati naso e mani! Non possiamo dare eccessivo peso a queste notizie; è però possibile che uno Spinola avesse seguito Corradino. In ogni caso Enrico di Castiglia aveva relazioni con Genova. I tesori da lui acquistati a Tunisi erano qui depositati: Desclot, p. 108 e sgg,; inoltre Eoi. Not., IH» 1> c. 71 (28 settembre 1267) fa menzione d’un procurator d. Enrici Infantis d. Ferrandi regis Castelle filii. Una cronaca tedesca (Min. Erph , Chronica minor, 211), pretende conoscere come Genova, Venezia e Bologna avessero aiutato Corradino con truppe e denaro. Ciò poteva essere stato un desiderio dei suoi partigiani, ma che molto difficilmente aveva potuto verificarsi. 2-t La perduta lettera di Clemente IV (v. Huillard - Bréholles, Vie et correspondance de Pierre de la Vigne, p. 260, littera Cl. pape excusatoria super eo quod januenses non excommunicavit prò facto Corradini, potrebbe dare forse migliori schiarimenti sui rapporti di allora in Genova. Però l’espressione degli Annali, 262 [IV, 109], non consentientibus civibus in unum, tempus prolatando, malgrado la sua brevità, è abbastanza chiara. — 213 - 15 Capitolo ottavo La lega con Carlo d’Angiò, 1269 I ine di Corradino. - Negoziati con Luigi IX per il noleggio di navi per la crociata. -Attività del re di Francia in favore della pace tra Genova e Venezia. - Trattative con Carlo. - La convenzione del 12 agosto 1269. Gli avvenimenti seguivano il loro corso. Corradino arrivò felicemente a Pisa, ove fu raggiunto dal suo esercito per via di terra. Frattanto gli inviati stranieri avevano lasciato Genova senza averne ricavato alcun frutto . Anche i loro sforzi per ristabilire la pace con Venezia si erano dimostrati subito poco efficaci. Il Comune, come già aveva fatto sovente, inviò legati al papa; il Doge che, come nell’anno precedente, se ne era dimostrato pronto, non mancò di acconsentire alla proposta di trattative. Però 1 intromissione di Clemente IV non ottenne un risultato migliore di quello dei suoi predecessori in analoghe circostanze. Al principio di agosto egli licenziò gli inviati delle due città senza che fossero stati conclusi nè pace nè armistizio2. Il 30 novembre3 essi dovevano ripresentarsi a lui. I tre mesi accordati per il silenzio d’armi erano già trascorsi da parecchio tempo; il papa di propria autorità aveva prorogato il termine, ma molto spesso non fu tenuto conto delle sue ingiunzioni. All’epoca consueta il convoglio veneziano prese il mare, scortato da un numero considerevole di galere; però il previsto attacco non ebbe luogo. Genova non mandò più fuori flotta alcuna5 per recar danno al commercio del nemico. Forse anche la disunione della cittadinanza poteva aver influito ad impedire la continuazione di una guerra combattuta fino allora con tanto accanimento. 1 Annali, 262 [IV, 108], 2 Canal, 580 e sgg. 3 Canal, 582. Nel giorno di S. Andrea. 4 Canal, 602, 2 agosto. La lezione, riguardo il numero delle galere, non è certa. Dandolo, 378, ha altri numeri. 5 Canal, 628. Nel Fol. Not., II, c. 236, trovasi bensì una notizia del 26 aprile 1268 (galee que armantur pro comuni Janue in potestacia Guidonis de Corrigia), la quale però non è concludente di fronte al dato concreto del Canal, 628. — 214 — La lega con Carlo d’Angiò, i269 Tutta l’attenzione era ora rivolta all’andamento dell’aud • che doveva strappare alla Chiesa ed ai Francesi il regno di annalisti ufficiali cittadini ci informano in quest’anno6 soltanto Tu r della grande lotta, di fronte alla quale le vicende del Comune T forse di poca importanza. parvero La conclusione si svolse abbastanza rapidamente. Presso Ta li la giovanile impetuosità di Corradino soccombette alla matura guerresca del suo avversario. Tutto però non era ancora perduto. poteva offrire al vinto un asilo sicuro; la Sicilia era quasi tutta guadagnat alla sua causa. Ma la ritirata non riuscì e l’ultimo degli Staufen cadde sotto la scure del carnefice. Per il momento il vincitore doveva occuparsi della sottomissione degli insorti e della punizione dei ribelli. Nessuno dubitava che la sua ambizione tendesse a dominare tutta l’Italia Genova aveva trascurato a tempo opportuno di rendersi amico il potente signore3 ora si accorgeva in quale condizione si trovasse di fronte a lui. Prima che avesse ripreso le trattative con Carlo, riuscite già tante volte infruttuose, al Comune si offrirono da altra parte favorevoli previsioni per un’impresa vantaggiosa. La ragione di ciò stava nella grande cautela di Venezia verso qualunque rischio. Se le sue navi avessero trasportato l’esercito crociato di Luigi IX in Siria, era da attendersi che il Sultano d’Egitto confiscasse tutte le proprietà dei Veneziani che si trovavano in Alessandria. Questa prevedibile perdita, ma più ancora il timore che il commercio con questa importante piazza dovesse soffrire una durevole interruzione, indussero il Doge ad un definitivo rifiuto del contratto che il re di Francia gli offriva \ al quale non rimaneva quindi altra via che rivolgersi a Genova per ottenere da essa le navi da trasporto necessarie al suo esercito. Clemente IV si intromise nelle prime trattative8, quantunque le sue esortazioni fossero relativamente necessarie per determinare gli ambascia- « Annali, 262 e sgg. [IV, 108 e sgg.]. 7 La lettera di Clemente IV in Potthast, nr. 20457; Martène et Durand, II, 628 (estratto in Rayn., anno 1268, par. 51). La data è 17 settembre 1268; forse già alla fine di luglio il Doge mandò un inviato ad Alessandria: Canal, 600 e sgg. Sull’attivo commercio coll’Egitto, cfr. Potthast, nr. 20522. 8 Potthast, nr. 20457. Indirizzo erroneo, da correggersi in Lanfranchìno Ma-locello et Lucheto (de Grimaldis). - 215 - Libro II - Cap. ottavo tori delegativi ad una favorevole accoglienza9. Sembra però che Luigi IX non fosse riuscito ad ottenere tutto quello che desiderava. Fra i poteri conferiti ai suoi inviati, il 10 ottobre 1268 10, è detto, fra l’altro, che essi dovevano chiedere una flotta di galere, autorizzandoli, come contro-partita, a concedere al Comune di prendere parte alle conquiste. Una lega 9 I Pacta naulorum editi da Jal, 516 e sgg., riprodotti da Buchon, Recherches et matériaux, I, p. 427 e sgg., e da Belgrano, Docc. ined.-, [cfr. anche Sternfeld, Ludwigs des Heiligen, p. 363 e sgg.]. Già l’ll luglio 1267, venne comperato a Genova un bastimento per Luigi IX: Jal, Mémoire sur quelques documents, p. 776 Il bastimento noleggiato (v. sopra, p. 209, nota) il 7 aprile 1268 (Belgrano, Docc. ined., p. 217 e sgg.), non poteva essere destinato per la medesima crociata, poiché esso doveva trovarsi a Marsiglia o ad Aigues-Mortes al prossimo 1° giugno (quindi 1268) ed essere pronto alla vela ad passagium Augusti proximi venturi, secundum quod naves consueverunt navigare de Marsilia in passagio de Augusto. 0 Jal, Pacta naulorum, 518 e sgg. Gl’inviati sono magister Henricus de Campo Repulso t Guillielmus de Mora. Alcune difficoltà provengono dalla collocazione degli atti pubblicati in Traités passés, p. 54 e sgg., nr. 2, n. 3, e in Belgrano, Docc. ined., p. 3. P. Meyer, Rapport sur une mission littéraire en Angleterre, p. 260, nota, osserva con ragione ch’essi si riferiscono alla seconda e non alla prima crociata di Luigi IX: cfr. Heyd, I, p. 410, n. 1. Ciò è già dimostrato dal confronto col contratto concluso nel 1246, (ibid., p. 51 e sgg.; Belgrano, Un charte de nolis de S. Louis, p. 231). Sembrano essere note spedite al re dagli inviati francesi da Genova, sulle richieste da essi avanzate e sui risultati delle loro trattative, ovvero una compilazione di dette note fatta nella cancelleria. Quest'ultima supposizione è più probabile e spiegherebbe la mancanza di connessione, le ripetizioni e le inesattezze. Non è possibile ricavare da tutto ciò date certe. Le richieste (petunt ambaxatores d. regis) devono essere precedenti al contratto con il Comune del 26 novembre 1268; di esso è dimostrata la esecuzione da L.J., I, 1417. Il Comune fece costruire due navi, non tre, come era stato richiesto. Il punto corrispondente al nr. 2, p. 55 e sgg. in Traités passés era stato tenuto presente quando si redasse il contratto, come si vede appunto dalle piccole differenze. Se a p. 57 è detto Item petunt dicti ambaxatores quod dicte tres naves sint parate in portu Janue... a medio instantis mensis Aprilis in duobus annis-, a p. 6ì de mi le mois d avril prochain à venir en II ans, difficilmente possiamo da dò concludere che queste richieste fossero state fatte prima dell'aprile 1268, poiché Luigi IX si rivolse a Genova molto tempo dopo per noleggiare navi per la sua crociata: Martène et Durand, II, 628; v. sopra. Altrettanto difficilmente possiamo ammettere che fosse stato fissato come temine ultimo l’aprile 1271, perchè il contratto (Jal, Pacta naulorum, 517) dice usque ad kalendas Aprilis, que erunt in millesimo ducentesimo septuagesimo. L’espressione è inesatta in entrambi quei passi ed il significato è semplicemente: a mezzo aprile del prossimo secondo anno. Nulla si oppone a considerare le parti del nr. 2, che cominciano con Petunt in confronto a quelle che cominciano con Item petunt, come una parte delle richieste - 216 - La lega con Carlo d’Angiò, 1269 formale non fu conclusa, come si sperava11; però il Podestà ed il Consiglio promisero, il 26 novembre, di far costruire due navi per il trasporto dei crociati del re, le quali sarebbero state pronte alla vela nel porto di Genova per il 1° aprile 1270 ,2. In analoghi contratti conclusi con singoli cittadini, gli inviati prestarono poi garanzia13. Le non piccole somme di denaro che ora affluivano in città, come pure la fervente attività che si svolgeva nei cantieri, potevano avere contribuito a risollevare l’animo della popolazione genovese, alquanto depresso per gli insuccessi della guerra e per le discordie interne. che furono presentate dagli inviati di Luigi, da lui muniti il 10 ottobre 1268 dei relativi poteri e che comunque non furono accettate in questa forma. Che il doit faire nel nr. 3 debba significare che il Comune si era obbligato per l’anno seguente, è inesatto, come il contratto dimostra. In esso si era evitata a bella posta l’oscurità riguardo alla fissazione del termine, quale spesso troviamo nei nr. 2 e 3. A p. 65 è detto d'en mi le mois de mai prochain à venir jusque en II ans, l’an de lIncarnation courant mil CCLXXVIII-, qui lo scrivano voleva forse aggiungere 1 anno della scadenza del termine, ma pensando poi di parlare dell’anno in corso, cioè 1268, aggiunse pure VIII, dimenticando di cancellare una X. L’enumerazione degli armatori (p. 60 e sgg.; 65 e sgg.) può essere benissimo del 1269 e a p. 60 sarebbe indicato il 22 luglio 1269 come termine per la decisione del re circa l’accettazione dei contratti. Inguerran de Gouvin, che, secondo la soprascritta di cui a p. 67, concluse insieme con Henri de Champrepus (Henricus de Campo Repulso) i patti cogli armatori, sarebbe da considerarsi come uno dei negoziatori che vennero a Genova nel 1269. Fa meraviglia che Meyer, 1. c., abbia letto Inguerran de Joumi, un cavaliere che nel 1270 accompagnò Luigi nella crociata: Liste des chevaliers croisés, 308. [Se non si volesse ritenere per buona la spiegazione qui data, non rimane altro che ammettere che ancora nella primavera del 1268 Luigi IX abbia trattato con Genova per la fornitura di navi, il che non sarebbe però in armonia con la lettera diretta al papa], 11 Cfr. l’espressione in Jal, Vada naulorum, 516: volentes annuere peticioni (se. ambaxatorum) ... in eo quod comune potest et credit se posse adimplere de petitionibus ipsorum ambaxatorum. 12 Jal, Pacta naulorum, 516 e sgg. Il prezzo è di 14000 lire tomesi. Il legname per l’attrezzatura viene fornito da una foresta del re. 13 Jal, Vacta naulorum, 599 (28 novembre 1268): Guilienzonus Comes, civts Nauli, costruirà una nave entro l’8 maggio 1270, per portarla poi al porto cheppia-cera al re. Il prezzo è di 3500 lire tomesi. Inoltre Jal, Vacta naulorum, 536 (1° dicembre 1268): garanzia del Comune; ibid., 546 (19 dicembre): nomina d’un procuratore per ricevere la prima rata di pagamento; ibid., 544 (Parigi, 5 febbraio 1269): quietanza per ricevuta della medesima; ibid., 523 (28 novembre 1268). ]aco us e Nicolaus Bassus, Obertus Franconus e Lanfrancus de Guisulpho promettono di - 217 - Libro II - Cap. ottavo Nel maggio 1269 si presentò un’altra ambasciata del re di Francia 14, la quale continuò l’opera iniziata dalla prima 15. L’8 maggio dell’anno seguente le navi noleggiate dovevano essere pronte alla vela ad Aiguesmortes. L’armamento delle navi fu stabilito fin nei più piccoli particolari, come pure vennero determinati in modo preciso i servizi che gli equipaggi costruire una nave eguale alle due che il Comune fa costruire; ibid., 542 (29 novembre 1268): lettera del Podestà agli inviati, con la quale comunica che il Comune assume la garanzia; ibid., 603 (5 febbraio 1269, non 1268 come provano l’indiz. XI e il nesso delle cose): quietanza per pagamento della metà del prezzo (3500 lire tomesi); ibid., 539 (1° dicembre 1268): Podestà e Consiglio si rendono garanti per Simone Mallone che deve costruire una nave eguale alle due del Comune. Nei documenti (ibid., 547 e 599) la data è corrotta; essi appartengono al 30 gennaio 1270, quando il legato era a Parigi (v. d’Arbois de Jubainville, Hist. des ducs et des comtes de Champagne, VI, p. 53); Simone Mallone dinanzi al legato Radulfus riconosce il suo impegno di costruire una nave e dichiara d’avere ricevuto 7000 lire tomesi. Ibid., 528 (27 novembre 1268): Pietro Doria, Giacomo Lercari e Oberto Cigala noleggiano ai due inviati francesi la loro nave « Paradisus » per la crociata. Essi la porteranno nella prossima estate (dunque 1269) a Telonum (Tolone). (Siccome ipso non può riferirsi ad altro che a « Paradisus » non al seguente rex, così cadono le affermazioni di Jal, Mémoire, p. 801 e sgg.). Il prossimo 2 febbraio essi devono ricevere un acconto di 1000 lire tomesi sul prezzo di noleggio, per il quale il 28 novembre (die Mercurii ante festum b. Andree apostoli), deve venire loro data una particolare promessa. Il 13 dicembre (Jal, Pacta naulorum, 549) nominano procuratori per ricevere il pagamento e il 5 febbraio 1269, (ibid., 545) uno di essi ne rilascia quietanza. Che altri simili contratti siano stati conclusi, è provato dalle quietanze: ibid., 603 (5 febbraio 1269) e 542 (9 febbraio 1269). Le nuove navi sembrano essere passate per la maggior parte in proprietà di Luigi IX, come pure le naves regie equipaggiate da Genovesi: Annali, 267, [IV, 1311. 14 Procura del 4 aprile: Jal, Pacta naulorum, 556. Gli inviati sono i medesimi di prima e in più il cavaliere Giovanni Poilevila. Il re dava ancora procura per trattare circa la costruzione di galere, come pure per domandare appoggio a mezzo di esse. Secondo il testo degli Annali, 264 e 267 [IV, 113, 131, 132], il re non ne ricevette, pero 1 equipaggio delle sue era composto di Genovesi. 15 JAL> Pacta naulorum, 557 (3 maggio 1269): Bonifacio Pevere noleggia il suo nuovo bastimento « S. Salvator »; ibid., 589 (29 maggio): Giacomo de Rollando de Naulo il suo bastimento «Caritas»; ibid., 561 (30 maggio): Enrico Doria e Giovanni di Mongiardino promettono di costruire un sallandrus; ibid., 579, 594 (30 maggio): parimenti Guigezonus dictus Comes de Naulo e Simone de Curia e così pure (ibid., 574, 31 maggio) Oberto Cigala; ibid., 565 (4 maggio): Vivaldo Buga de Arezanno noleggia un bastimento « S. Nicolaus»; ibid., 583 (8 giugno): parimenti Filippo e Giovannino Embriaco un bastimento « S. Spiritus »; ibid., 551 (8 giugno o maggio?): Johanninus de Marino e Corrado Panzano noleggiano una nave « Bonaventura ». — 218 - La lega con Carlo d’Angiò, 1269 dovevano prestare. Buona impressione fece certamente il pronto paga. mento di una considerevole somma anticipata sulla totalità del prezzo pattuito. _ Possediamo un numero relativamente scarso di documenti riguardanti i grandi preparativi che si erano dovuti necessariamente fare allorché il più P°tente sovrano europeo d’allora, mettendo a profitto tutte le forze del suo paese, aveva deciso di strappare dalle mani degli infedeli il Santo Sepolcro. Comunque, con Genova, che gli offriva i mezzi di trasporto per il suo esercito, egli doveva essere rimasto certamente in con- tinua relazione E’ facile comprendere come la cittadinanza fosse favorevole a Luigi IX grazie alle lucrose relazioni commerciali. Di conseguenza il Comune non avrebbe potuto non sottomettersi alle sue richieste anche ove avessero significato un intervento pericoloso per la sua autonomia. Dopo la morte di Clemente IV, i cardinali non erano riusciti ad accordarsi per l’elezione di un successore. La principale manifestazione della somma autorità in Occidente, tale si proclamava la sede romana, consisteva nel poter obbligare le potenze temporali a mantenere la pace tra di loro con la minaccia 16 Secondo Annali, 267 [IV, 131-132], nel 1270 erano allestiti da Genova la flotta di Luigi IX: 55 naves et ligna de duobus cohopertis, molti altri legni da trasporto ed inoltre naves regie et galee con equipaggio genovese. Il numero totale dei Genovesi partecipanti all’impresa superava i 10000 (secondo Gest. des Chip. fino a 17000). E’ evidente come l’attività dei rappresentati di Luigi IX dovesse essere stata molto maggiore di quella che possiamo constatare attraverso i documenti, al quale proposito parlano anche le note in Traités passés, pp. 59 e sgg., 65 e sgg.; cfr sopra. Le trattative con i proprietari delle navi, l’arruolamento degli equipaggi e il regolamento dei pagamenti delle somme di denaro dovevano aver assorbito tutto l’anno senza interruzione, tanto più che Luigi IX non aveva rappresentanti stabilmente residenti a Genova, come invece vi aveva tenuto per i preparativi della sua prima crociata, avendo allora nominato due Genovesi suoi ammiragli: Annali, 220, [III, 168]- H- P- M-, Ch < 1481 ; Jal. Mémoire, p. 762 e sgg., etc. Un esempio dei molteplici affari che nel 1269 furono conclusi con incaricati del re lo abbiamo nel documento del 25 novembre 1269, in Belgrano, Docc. ined., 312 II Comune provvide anche perchè gl’interessi dei suoi concittadini presso la œrte di Francia fossero ben curati: Annali, 264 [IV, 113]. Il passo dev’essere interpretato nel senso che ebbe luogo un continuo andirivieni di ambasciatori e inviati, altrimenti non potrebbe essere messo in relazione con i fatti risultanti dai documenti A causa di questi armamenti per la crociata, non fu continuata nel 1269 la guerra con Venezia, che però ritenne necessario di far scortare il convoglio da galere: Canal, 628. - 219 - Libro II - Cap. ottavo di pene spirituali. In vari tempi la sede romana era intervenuta nella contesa tra Genova e Venezia con risultati diversi. Non essendovi in tale occasione un papa, fu il re di Francia ad assumersi il compito che ad esso sarebbe spettato. Poiché la guerra tra le due città avrebbe potuto essere pregiudizievole alla sua spedizione, mentre una pace o una tregua fra di esse gli sarebbe stata invece favorevole, egli pretese che esse mandassero ambasciatori alla sua corte, essendo egli intenzionato a ripristinare la pace 0 1 armistizio fra di loro 17. Il suo desiderio fu esaudito; le conferenze ebbero effettivamente luogo; non ebbero comunque un risultato diverso da quelle tenute in precedenza presso la Curia. Infine Luigi IX congedò gli ambasciatori delle due parti con l’incarico di far sì che i loro governi gli inviassero a Beaucaire il 20 aprile dell’anno successivo18 dei plenipotenziari incaricati di concludere la pace o l’armistizio nel modo che egli avrebbe ritenuto più opportuno I9. In tal modo egli divenne giudice fra Genova e Venezia. E’ abbastanza spiegabile come la semplice mediazione 20 non avrebbe dato nessun risultato; tuttavia, in altre circostanze, 1 due Comuni avrebbero sollevato vivaci proteste contro un’ingerenza di tal fatta nei loro affari. Come invece, in questo caso, la cosa fosse andata a buon fine si capisce facilmente. Genova era molto obbligata al re e Venezia, a sua volta, troppo prudente per farsene un nemico. Tuttavia la circostanza mostrò quali fossero le conseguenze della vittoria definitiva del papato sugli Hohenstaufen. In luogo dell’influsso tedesco ora dominava in Italia quello francese. In verità, il maggior rappresentante ne era Carlo Angiò ed è tanto più degno di nota constatare come nel caso si intervenne nelle faccende della penisola direttamente da Parigi. Genova riallacciò intanto i negoziati col re di Sicilia ora consolidato sul suo trono. La famiglia Grimaldi, alla quale egli aveva fatto ottenere numerosi favori21, non mancò di far valere la sua influenza. Il traffico Annali, 264 [IV, 1141. Canal, 628 e sgg., distingue fra le trattative del 1268 e quelle del 1270. Annali, 264 [IV, 114]: in octava pasce resurrectionis, si può riferire solo al 1270 (Pasqua il 13 aprile). Annali, 1. c.: qui haberent plenam potestatem faciendi pacem seu treguam ad voluntatem dicti regis. 20 Annali, I. c.: volendo tractare pacem sive treguam inter ipsas civitates. 2' Del Giudice, Cod. Dipi., II, p. 202 (5 febbraio 1269): Gabriele Grimaldi, al quale era stata concessa la cintura di cavaliere, ottiene 250 lire tomesi; Jaco-hinus Grimaldi ottiene 50 lire. Minieri Riccio, Saggio di cod Dipi I p 46 e — 220 - La lega con Carlo d’Angiò, 1269 commerciale con l’Italia meridionale aveva assoluta necessità di rem! stazione a mezzo d. un trattato*. Gli ambasciatori , * j, Carlo con l mcanco d, concludere tale trattato „„„ riusdtono ™ portare a ternnne ,1 d,filale comptto e il re i„viò jltri p]mi * ° Genova che raggiunsero infine 1 accordo così spesso mancato* E’ n sario scendere all’esame delle singole clausole di tale trattato - tanto IT'" che il documento non è ancora edito - le quali gettano anche nuova luce sulle trattative rimaste fin qui infruttuose. Già la prima clausola stabilisce un punto di importanza decisiva. Il Podestà in carica al momento, i suoi successori e ogni altro capo della città, qualsiasi titolo egli avesse potuto avere, e il Comune stesso dove- sgg. (16 febbraio 1269): lettera di Carlo a Luca, Bovarello, Lanfranco e Lucherio (Luchetto) Grimaldi. E degno di nota come li indichi quali suoi fedeli. Si chiede loro di accogliere onorevolmente gli inviati del Sultano e di scortarli. Gli stessi dovevano essere stati anche a Genova nel 1269 con gli inviati tartari e greci: Amali 264 [IV, 115 1. H Passo non dice ^ «i avessero negoziato col Comune- tuttavia ben si deve loro riferire la relazione in Min. Erph., Continuatio, 207, sfondo la quale vi fu una zuffa fra Saraceni e Tartari in Genova. 22 II 28 maggio 1269 (Minieri Riccio, Alcuni fatti, p. 50) Carlo concede ai Genovesi libertà di traffico nel suo regno; ne sono esclusi i nemici della Chiesa e i partigiani dei nemici del re stesso. E’ dubbio poterne dedurre che i Genovesi fossero stati cacciati dal regno di Carlo intorno al 1268. Il compendio è troppo breve ed il materiale troppo pieno di lacune. Poco più tardi Carlo doveva aver emanato l’ordine di impedire a qualsiasi mezzo di lasciare i porti della Terra di Lavoro senza sua particolare licenza, nonché di porre il sequestro sulle navi dei Genovesi. Il 6 agosto (Minieri Riccio, Alcuni fatti, p. 65), Carlo revoca l’ordine; tuttavia le navi genovesi non potranno trasportare ribelli, nè i loro beni. 23 Annali, 264 e sgg. [IV, 115]; Ann. Plac., 536; App. 2, nr. 15 b. I pieni poteri per gli inviati di Carlo (App. 2, nr. 15 d), del 29 giugno sono comunicati in sunto da Minieri Riccio, Alcuni fatti, p. 56. Sono pubblicati in Forges Davan-zati, Dissert, sulla seconda moglie del re Manfredi, p. XXXI, ma con la data del 5 luglio. Vi sono nominati tre inviati: Johannes de Maffleto, Fulco Arduini e An-saldus Lavandarius. II secondo non è presente alla conclusione del trattato e anche alla concessione dei pieni poteri. Ciò non ha rilievo, in quanto il primo ha la facoltà di concludere anche in assenza degli altri due. Canale, II, p. 551, ha considerato anche altri elementi oltre alla relazione degli Annali; comunque dà notizie confuse e inutilizzabili. Che Carlo, alla fine di giugno, ritenesse sicuro l’accordo, si deduce peraltro da un documento del 30 giugno (Gioffredo, 620; H.P.M., Leges Municipales, I, 167), nel quale egli concede la libertà nel suo regno di Sicilia agli abitanti di Nizza quibus Januenses utuntur etiam in futurum ex concessione nostra in mercimoniis et logis habendis. - 221 - Libro II - Cap. ottavo vano impedire con ogni mezzo che un nemico del re o dei suoi successori potesse transitare attraverso la città di Genova o il suo territorio per attaccare il re o il suo paese. Inoltre si dovevano arrestare e tenere prigionieri o consegnare a Carlo i nemici del re in Genova e territorio. L’accordo tuttavia non sarebbe stato considerato rotto ove il Podestà non fosse stato a conoscenza della loro presenza. I Genovesi che avessero scortato nemici del re o dato loro consiglio o aiuto avrebbero dovuto essere severamente puniti e cioè colpiti da bando irrevocabile e i loro beni distrutti. Gli articoli successivi mostrano quali fossero le mire nelle trattative circa la lega contro Pisa nell’anno precedente. Il Comune promette di cacciare dal suo territorio entro 60 giorni tutti i Pisani nonché i cittadini di Siena ad eccezione dei Guelfi, tutti i Ghibellini toscani e i sudditi esiliati del re che questi avesse nominato con lettera al Podestà. Veniva vietato ai Genovesi di accedere alle città di Pisa, Siena e loro territori; restavano consentiti i viaggi in comune con gli abitanti di queste città solo da Malta verso l’Oriente, verso la Spagna e il Nordafrica. Inoltre veniva stabilito che Genova dovesse impedire per quanto possibile il passaggio al mare o sul proprio territorio ai nemici del re che si facessero appoggiare dai Pisani o da altri Ghibellini. Gli impegni del re corrispondono a loro volta letteralmente a quelli del Comune, ma è chiaro che solo gli interessi del primo sono realizzati. Egli vuole costringere i Ghibellini a sottomettersi a discrezione; Genova deve tagliare loro gli aiuti. Una postilla a questa clausola che stabilisce la loro espulsione dalla città di Genova lo enuncia con chiarezza. Quanto sopra resterà però senza effetto se Pisani, Senesi e Toscani saranno obbedienti al volere del papa e di Carlo. Inoltre è considerata anche la possibilità che Pisa possa avere già iniziato la guerra e che, a causa dell’ostile comportamento di Genova, abbia arrecato danni ai Genovesi. Anche per questo caso si fanno opportune previsioni; ma non è detto che in tal caso Carlo non potrà concludere la pace senza Genova per il semplice fatto che l’alleanza non comprendeva l’ulteriore obbligo di unirsi in lotta comune contro i Ghibellini. Il Comune si dichiara disposto unicamente a rompere ogni legame con costoro. Contro eventuali conseguenze negative il re dà però assicurazioni. Nel suo futuro accordo con i Pisani non avrebbe potuto prevedersi che Genova dovesse restituire alcunché in suo possesso; inoltre Carlo, malgrado la eventuale pace, avrebbe dovuto cacciarli dal suo regno in contropartita dell’analogo impegno di Genova; a - 222 - La lega con Carlo d’Angiò, 1269 meno che i Pisani non si fossero accordati bonariamente con i Genovesi, risarcendo i danni arrecati loro dopo la stipula dell’alleanza. Il Comune inoltre non avrebbe potuto pretendere nessun aiuto da Carlo allo scopo di effettuare conquiste. Egli intendeva unicamente stringere un’alleanza difensiva. Per conseguenza, Genova gli mise a disposizione dieci galere per tre mesi alPanno per la sola protezione delle sue terre o per il recupero di esse, a condizione che Carlo stesso armasse 20 galere per lo stesso tempo; comunque egli avrebbe potuto tenerne ancora dieci a sue spese a Genova. Egli restava inoltre obbligato a difendere il Comune e a non fare pace senza di esso qualora fosse stato per questo coinvolto in fatti di guerra. Che il re si potesse venire a trovare nella condizione di dover adempiere alle sue controprestazioni era poco probabile, non essendo mai apparsa flotta veneziana nelle acque liguri. Negli articoli regolanti i traffici dei Genovesi col regno di Carlo il punto più significativo è quello per cui i loro antichi diritti non vengono riconfermati in pieno; non si fa in alcun modo riferimento ai vecchi privilegi. Si permette loro di avere consoli, ma costoro potranno esercitare solo giurisdizione civile sui propri concittadini. Mantengono le logge e i quartieri a Napoli e altrove per lo stesso canone. Anche i tributi dovuti dai mercanti e dagli armatori rimangono invariati, e comunque, ove si potesse ottenerne riduzione da parte dei gabellieri, ciò non dovrà andare a danno del re. Per togliere dubbi, egli farà fare ricerche con l’aiuto dei consoli genovesi e coi rappresentanti del Comune sull’entità degli attuali introiti, stabilendo poi con un privilegio quanto si dovrà riscuotere in futuro; il tutto dovrà avvenire nello spazio di un anno. Si vede così come fosse difficile per Carlo rinunciare a vantaggi per il suo fisco, e come Genova non avesse ottenuto una definitiva regolamentazione del problema doganale. Accanto alle usuali condizioni di un accordo commerciale, alla garanzia dei traffici per terra e nei porti, alla rinuncia al diritto di riversione nei casi di morte senza successibili, alla promessa di non chiamare in giudizio alcun Genovese per le colpe di un altro, è anche concesso il diritto della nazione più favorita. Quando il re concederà privilegi doganali a qualche altro comune, dovrà concederli anche ai Genovesi; ma soltanto se questi gli dimostreranno altrettanto amore e benevolenza di quelli. Malgrado l’assicurazione di parità fra le parti contraenti, dichiarata espressamente nel testo, la corrispondenza fra le reciproche promesse esiste solo a parole; non si tratta invero di un patto tra contraenti di forza pari. Genova entra nel partito della Chiesa e del re, le promesse di quest’ultimo - 223 - Libro II - Cap. ottavo valgono solo fintanto che essa vi rimanga fedele24. Di conseguenza, condizione determinante del trattato è che Genova entri apertamente nel partito. Un cattivo Podestà, nemico della Chiesa e del re, avrebbe potuto facilmente, con prave intenzioni, rompere la convenzione arrecando danno al re e al Comune. Ad evitare ogni occasione del genere, si promette di eleggere Podestà solo un uomo fedele alla Chiesa romana, che appartenga al partito di questa e del re. Pertanto Carlo prende il Comune nelle sue grazie 25. Una volta l’imperatore Federico II era stato sfidato dai suoi sudditi allorquando egli aveva preteso di imporre limitazioni alle loro autonomie di governo assicurate da una legge da lui stesso promulgata26. Costoro si erano ora sottomessi al vincitore di Tagliacozzo malgrado questi non avesse nessun diritto di intromettersi nella loro indipendenza. Nei confronti del potente Svevo, i Guelfi erano gli alfieri dell’indipendenza citta- NeUa clausola è aggiunto espressamente che a nessun genovese si possa imporre alcunché prò facto seu delicto alterius: et hoc quamdiu potestas seu rector Comunis Janue, quocumque nomine censeatur et Comune Janue erunt de parte et amore S. Romane ecclesie et dicti regis. 25 Giatia. Altre disposizioni sono: si debba restituire ai mercanti genovesi i) denaro sequestrato dai funzionari di Carlo a Messina; in caso di violazione delle condizioni del trattato, questo si considererà risolto solo se ne deriverà grave pregiudizio per le parti; nel caso in cui il Siniscalco regio di Lombardia occupi località sotto giurisdizione del Comune, esse gli dovranno venir restituite ad eccezione di quelle appartenenti a Manfredo Del Carretto, al Conte di Ventimiglia o ad altri che abbiano arrecato offese al re. Secondo il documento di App. 2, nr. 14, del 25 giugno 1269, Ansaldo Falla-monica, capitaneus prò Comuni in riperia constitutus, immette il Siniscalco regio di Lombardia, per ordine del Podestà, nel possesso di alcuni castelli, ob reverentiam et gratiam illustri Karoli regis Sicilie, con salvezza dei diritti del Comune e del trattato con Carlo del 1262. I nomi delle località sono: Castrum Macri, Cunei, Cexinaschi, Lavini, locus Aurigi, Careni, Calavacnie (!), tutti a nord di Oneglia, nei monti. Nel 1233 appartenevano ai conti Raimondo e Filippo de Macro: L.J., I, 935. Costoro erano originariamente cittadini genovesi e avevano promesso, riguardo ai loro possessi, di contribuire alla colletta. Appartenevano alla stirpe dei conti di Ventimiglia; il figlio di Filippo è Enrico, il seguace di Manfredi, secondo Gioffredo, 598 e 608. Per Annali, 265 [IV, 118], Enrichetto di Ventimiglia combattè in Sicilia nel 1269 contro i Francesi. I suoi beni furono confiscati da Carlo, al quale Genova aveva dato una mano, prima ancora di avere stretto il nuovo trattato, come dimostra l’accaduto. 26 Annali, 179 [III, 62], - 224 - LA LEGA C0n Carlo d’Angiò, i269 dina. Invece, nel repentino cambiamento della situazione alW tosi, essi si misero dalla parte del tiranno assetato di sangue nelle" " zioni la conquista della Sicilia doveva essere lo spunto per sot^ rintera Italia. Il partito ghibellino di Genova si sottomise facend^T valere l’influenza di cui ancora disponeva perchè si cedesse alle di Carlo * Non si era tuttavia ancora giunti al punto che Genov, P-' senza riserve all’uomo che l'instabile umore della fortuna aveva LlZ al vertice della potenza. Si soppesano quindi gli impegni r. puntigliosa precisione in atmosfera di sospetto. Quando si desidera 1 7 mente un accordo il linguaggio è infatti ben diverso. Si erano un ? ’ promesse alla Grecia 50 galere contro Venezia e se ne erano mani* di più. Si presentava ora la migliore occasione di regolare i conti con Pisa; ma invece di profittarne, ci si accontentava della garanzia deU’attuak situazione territoriale nel caso in cui l’antica nemica avesse attaccato28-delle pretese sulla Sardegna non si parla neppure. E’ possibile che anche i Guelfi fossero dello stesso avviso della mag gior parte dei loro compagni di partito lombardi: desiderassero cioè avere n Nella Usta dei Consiliarii che approvano il trattato primeggia Luca Gri maldi, segue poi Daniele Doria. Vi si trovano molti Grimaldi e anche un Fieschi ma nessuno Spinola. Secondo Ann. Plac., 536, i Genovesi avrebbero stretto il trattato propter penuriam biave quam habebant, e sarebbe stato loro concesso di ottenere granaglie come al tempo di Manfredi. Quest’ultima notizia nel documento non si trova. E’ anche poco probabile che sia citata in un documento secondario, poiché secondo Annali, 265 [IV, 122], in Sicilia si era verificato un eccezionale carovita e a Genova - Annali, 266 [IV, 126] - il prezzo delle granaglie salì solo in ottobre, mentre il trattato era già stato concluso fin dall’agosto. Inoltre anche Manfredi aveva consentito l’esportazione di granaglie solo se non vi fosse stato un rincaro nel proprio paese; v. sopra, p. 54. E’ forse possibile che i Ghibellini genovesi avessero giustificato la loro adesione al trattato presso i loro colleghi di partito stranieri con la minaccia di carestia? a Secondo Ann. Plac., 536, la cacciata dei Pisani e degli altri Ghibellini da Genova avrebbe avuto effettivamente luogo, ma senza che ne fosse seguita una guerra. Pisa comunque è compresa nella tregua d’armi con Venezia del 1270, ma nel 1273, inviati genovesi (App. 2, nr. 20) riferiscono quanto segue: et licet sint in tregua nominati, non fui! ad postulationem nostram, quoniam tempore cepte tregue et ante ipsam tre guani non offendebamus eos, nec ipsi nos; unde superfluum erat querere pacem ubi non erat guerra. - 225 - Libro II - Gap. ottavo Carlo come amico, ma non come padrone29. Tale posizione però a lui non bastava: da qui la sua riluttanza nel fare concessioni30. Sul punto che a Genova più importava, la libertà di commercio, si rendevano necessarie ulteriori trattative31. Carlo poteva sperare di ottenere di più nel corso del tempo; la sua intenzione di non permettere che questo trattato ponesse basi durevoli ai suoi rapporti col Comune traspare anche dal fatto che i suoi rappresentanti promettono di mantenerlo in vita solo per 5 anni, salvo rinnovo. In un primo tempo peraltro non si parlava di una validità così breve32, e la ratifica del Podestà e del Consiglio doveva aver luogo previo giuramento di fedeltà alla Chiesa Romana. Per cui si ha l’impressione che non vi fosse sul punto accordo totale, ma si fosse lasciata sussistere volutamente poca chiarezza. Il re confermò infine il trattato per cinque anni senza accennare nemmeno più alla possibile proroga. Il futuro doveva dimostrare che l’opera faticosamente realizzata non 29 Ann. Plac., 537. 30 E’ degna di nota la disposizione per cui i Genovesi che si trovino in Sicilia o in Provenza debbano presentarsi entro 15 giorni dal loro arrivo alle autorità locali per prestare giuramento di difendere il re ed il suo paese nel tempo in cui vi si tratterranno; a non fare nulla in loro danno, denunziando alle locali autorità, ove ne venissero a conoscenza, le persone intenzionate a tanto. Che i sudditi di Carlo debbano, se in Genova, prestare analogo giuramento, ha sul piano pratico rilevanza relativa: si tratta di disposizione dettata più che altro dalla necessità di far risaltare la formale reciprocanza degli impegni. La disposizione è comunque significativa di quanto poco il re si fidasse dei Genovesi. 31 Genova aveva poi inviato due legati, Nicoloso Guercio giurisperito e Castellino di Castello a ricevere la ratifica da parte del re. Il documento che la contiene è del 4 gennaio 1270: App. 2, nr. 15 a. Il 5 dicembre 1269 Carlo concede ai Genovesi tre magazzini (apothece) in Napoli: da Minieri Riccio, Alcuni fatti, p. 85. Che egli prevedesse ulteriori trattative si vede dal documento: ibid., p. 109 = Del Giudice, Giudizio e condanna di Corradino, p. 98. Il 4 aprile 1270 Roberto di Laveno viene delegato a stipulare gli accordi con la cavalleria ed i Comuni di Pavia, Alessandria e Asti, Guglielmo di Monferrato e i sindici di Genova. Resta comunque sorprendente che si elenchi Genova unitamente ai comuni allora partigiani di Carlo. Asti aveva stretto una tregua d’armi con Carlo l’ll dicembre 1269: Cod. Ast., Ili, 1116. E’ dunque oscuro perchè Roberto di Laveno dovesse condurre nuove trattative. 32 Si argomenta da App. 2, nr. 15 b: ponatur (se. conventio) in registris d. regis et in statutis civitatis Janue, et numquam inde removeatur. In caso contrario, si indica subito, o quanto meno in maniera non equivoca, il tempo per cui i patti dovranno durare: v. L.J., II, 61, 373 etc. - 226 - La lega con Carlo d’Angiò, 1269 sarebbe durata a lungo. Gli antichi partigiani di Corradino non potevano avere dubbi sulla minaccia costituita dalla preponderanza dei Guelfi. Ovunque i loro compagni di partito avevano dovuto abbandonare i loro luoghi natali. Quando, malgrado tutti i contrasti, a Genova non si era ancora arrivati al punto che una parte della nobiltà scacciasse l’altra, la guerra contro Venezia era venuta ad assumere la prevalenza sulle questioni che continuamente venivano agitate fra le parti. Il comune pericolo aveva costituito fra esse un vincolo, ora era caduto anche questo. - 227 - Capitolo nono L’armistizio con Venezia e la crociata di Luigi IX Armistizio del 22 agosto 1270. - Partecipazione genovese alla crociata. - Partenza da Aiguesmortes. - Viaggio e sosta a Cagliari. - Arrivo davanti a Tunisi. - Occupazione del castello di Cartagine. Non è evidente nell’accordo tra Genova e Venezia la portata dell’intervento personale di Luigi IX ma i suoi legati sono presenti alla sua conclusione a Cremona il 22 agosto 12702. La tregua d’armi qui stipulata non è altro che un’interruzione delle ostilità per la durata di 5 anni. Non ci si è potuti accordare per una pace definitiva, nessuna delle controversie è stata risolta. Tale è la volontà di non mutare la situazione in cui si trovano le due potenze, che nemmeno si trova un accordo per la restituzione dei prigionieri. Non si deve biasimare lo sfortunato Bartolomeo Zorzi, se egli esprime la sua indignazione con parole amare3, vedendo prolungarsi senza fine le pene della prigionia. Le sue proteste contro il re francese hanno riferimento ad una grande ingiustizia. Egli non aveva nè il diritto nè la possibilità di costringere le due città marinare ad una trattativa che 1 Ann. Plac., 542, dice solo che legati di Venezia, Pisa e Genova avrebbero dovuto trovarsi in aprile presso Luigi nella Francia meridionale: v. sopra, p. 220. Con tutta probabilità vi si erano recati, secondo la notizia che mi ha cortesemente fornito il Signor Dottor Lenel dell’Archivio di Venezia. Qui, in Atti sciolti Ljubic, Busta .4, nr. 53, esiste una « Istruzione per gli inviati veneziani alla corte del re per trattare la tregua o la pace tra Venezia, Pisa e Genova, del 10 aprile 1270». Sull itinerario di Luigi, v. Ludovici noni mansiones et itinera, 423; De Vie e Vais-sete, VI, p. 916 e sgg. 2 II documento è in Liber Pactorum, IV; v. Tafel e Thomas, p. 132; è utilizzato da Dandolo, 380; un compendio si trova in Belgrano, Rendiconto, IV, p. CXLIX e sêë-i ma non è ben sicuro e comunque anche la data è errata. Per completezza v. il regesto del Wüstenfeld. Pisa è interessata in quanto sussiste ancora la sua antica lega con Venezia; v. sopra, libro II, cap. VI, n. 58. La relazione del Canal, 628 e sgg., è superficiale. Che fosse stata scelta Cremona come sede del congresso ha importanza relativa; si trova più o meno alla stessa distanza da Genova e da Venezia e non appare che essa abbia in qualche modo influito sull’accordo. 3 Diez, p. 403 e sgg.; v. sopra, p. 188. - 228 - L’armistizio con Venezia e la crociata bi Luigi IX poteva parer loro pregiudizievole dei propri interessi. Egli non ™ disporre nè della scomunica come il papa, nè del bando dall>iffiperoP°c^ ^imperatore. Il motivo d intervenire gli era stato dato dalla necessità ^ proteggere la crociata da azioni di disturbo; Genovesi e Venezian no ’ dovranno arrecarsi vicendevoli danni nei prossimi 5 anni Se tanto f dovuto accadere, sarebbe stata resa giustizia al danneggiato, con n ™ dimento sommano, entro 40 giorni dal momento in cui egli avesse sdo» denuncia al comune di appartenenza del rapinatore. Il danneggiato dovrà essere risarcito entro 15 giorni con i beni del colpevole e, ove ciò non fosse sufficiente, quest ultimo sarebbe stato consegnato personalmente a] querelante a Piacenza o a Ferrara; se non fosse stato possibile arrestare il colpevole, egli sarebbe stato bandito 4. Simile procedura era già stata stabilita in precedenti accordi fra Genova e Venezia nel 1251s. Non viene prevista una punizione particolare per colui che viola la pace; è sufficiente che egli restituisca il bottino6. Capitani ed equipaggi delle navi che partono da Genova devono giurare di non arrecare danni ai Veneziani- lo stesso devono giurare costoro per quanto riguarda i Genovesi, allorché prendono la via del mare. Con ciò il contenuto dell’accordo è già esaurito; seguono soltanto disposizioni sulla sua ratifica che dovrà aver luogo dinanzi a Luigi IX entro il 18 ottobre7; il papa dovrà scomunicare la parte che rompesse i patti. Ulteriori garanzie per il loro mantenimento sono date dalle autorità cittadine. Non si esclude comunque l’ipotesi che gli appartenenti ai due Comuni possano affrontarsi con le armi: infatti Venezia non si è ancora riconciliata con l’antico alleato di Genova, Filippo di Montfort, Signore di Tiro8. A lui non si estende la tregua e i Genovesi che si trovano nel suo territorio devono, secondo l’accordo del 12649, prestargli aiuto contro chiunque per la difesa della città e del porto. Viene fatta perciò un’esplicita eccezione che consente loro di farlo senza infran- 4 Per i particolari valgono, meglio che gli estratti citati più sopra, le successive proroghe della tregua (App. 2, nr. 57) ed anche i singoli casi in cui le dette disposizioni trovarono applicazione; v. oltre, libro III, cap. III. 5 L.]., I, 1099 e sgg. 6 Diversamente nell’accordo con Firenze del 1251: L.]., I, 1110. 7 Festa di San Luca secondo Wüstenfeld. 8 La pace verrà conclusa solo nel 1277: Urkunden zur altere», III, p. 150 e sgg. 9 Desimoni, Quatre titres, p. 225 e sgg.; v. sopra, cap. III. - 229 - 16 Libro II - Cap. nono gere la tregua; Genova si riserva anche di mantenere i suoi impegni verso Carlo d’Angiò. L’annosa guerra con Venezia non è dunque veramente finita, si è solo insabbiata. Gli Annali, che tanto hanno riferito sul suo decorso, non ne indicano una sola volta la fine. Essi considerano come fulcro degli avvenimenti dell’anno 1270 la crociata di Luigi IX, e con ragione, giacché i Genovesi vi presero parte in maniera notevole. Resta da vedere se sperassero veramente di approfittare di questa occasione per riconquistare i loro possedimenti ad AcriI0. Il loro diritto su questi possedimenti e soprattutto la posizione di privilegio che detenevano in Siria avevano avuto origine dall’antica partecipazione alla conquista del paese. Con entusiasmo i loro antenati erano saliti sulle galere ad affiancare gli eroi delle crociate nella lotta contro gli infedeli; col legname delle loro navi avevano costruito i macchinari per abbattere le solide mura di Gerusalemme. Quando Saladino aveva strappato la Terra Santa ai cristiani, il Comune aveva mandato oltremare uno dei suoi Consoli e molti cittadini lo avevano accompagnato al campo di Acrin. Ma da allora l’opinione pubblica era molto cambiata. Prendere parte a proprie spese, indipendenti, all’impresa del santo re non doveva essere sembrato vantaggioso al Comune, che, soprattutto al momento, aveva scarso interesse a mantenere la potenza occidentale in oriente. Si trovava sufficiente denaro per armare sempre nuove flotte contro Venezia, ma per fermare i progressi del sultano Bibars si evitavano sacrifici. Nella città lagunare vigeva la stessa indifferenza per il destino della Terra Santa; ma qui si teneva conto che interrompere le relazioni con l’Egitto sarebbe costato più caro che affittare le navi a Luigi. I Genovesi ragionavano diversamente; dopo i tempi duri della guerra erano felici di poter trovare nuovamente lucrosi carichi per le loro navi. L’entusiasmo per gli scopi perseguiti dal re è scarso, ma si accetta volentieri il suo denaro. La partecipazione di Genova all’ultima grande crociata deve essere spiegata solo da tale punto di vista; ma anche così è sufficientemente straordinaria. I cronisti genovesi sono usi ai viaggi per mare. Non sanno raccontare molto delle paure marinare. Ben diversamente i Francesi. Il ponte oscillante delle navi è per loro sinistro; allontanatisi dalla terraferma, temono subito di essere sbattuti verso rive nemiche. Ai loro spiriti vivaci 10 Gest. des Chipr., 194. 11 Annali, 41, 44, 104 [I, 102, 110; II, 32], — 230 - L armistizio con Venezia e la crociata di Luigi IX un viaggio che per i Genovesi è usuale appare ricco di avventure La società cavalleresca non conosce l’arte del viaggiare per mare. Valeva la pena di accompagnarsi ad abili marinai in un viaggio che portava a stretto contatto con uomini il cui modo di vivere e di pensare era così totalmente diverso dal suo. Aiguesmortes, il porto costruito da Luigi IX proprio a tale scopo u, era il luogo stabilito per la partenza dell’armata. All’inizio di maggio Î mezzi di trasporto avrebbero dovuto trovarvisi, ma non arrivarono a tempo giusto, per cui la partenza dovette essere molto ritardata13. L’imbarco di uomini, cavalli, armi e provviste richiese un lungo periodo di tempo. I marinai genovesi erano più di 1000. Per rappresentare i loro interessi e per risolvere le dispute, elessero fra di loro due consoli: Ansaldo Doria e Filippo Cavarunco, il cui incarico doveva durare finché il Comune non avesse mandato qualcuno per tale specifica funzione14. I cittadini della città libera non intendono essere comandati da stranieri; per contratto essi sono impegnati a determinati servizi verso il re, hanno giurato di pre- 12 Cfr. Pagezy, p. 87 e sgg. 13 Gaufr. de Belloloco, 21. Nel documento del 16 giugno 1270 (die lune post festum b. Barnabe apostoli: L.J., I, 1417), Luigi IX dichiara il Comune esente dalle penalità nelle quali sarebbe incorso, a termini del contratto, per non aver consegnato in tempo le due navi o perchè le persone per le quali aveva garantito non avessero adempiuto. Costoro sono Simone Mallone, Oberto Escanton e compagni; circa Guilento de Naule, v. sopra, cap. Vili. Si tratta quindi di navi di nuova costruzione; il documento non dice però se esse fossero arrivate in ritardo. Nel documento del 24 e 26 aprile 1270 (Belgrano, Docc. ined., p. 320 e sgg.) si indica (navis) d. regis Francie facta per Symonem Mallonum, que vocatur S. Nicolaus. Una nave di tal nome, allora non completamente ultimata, era stata noleggiata il 7 aprile 1268, (ibid., p. 217; v. sopra, libro II, cap. VII, n. 14), da Simone Mallone agli inviati del re. E’ dubbio che sia stata utilizzata a termini di questo contratto, ma poteva darsi che fosse già ritornata dal viaggio. La nave costruita per volere del re alla fine del 1266 (Jal, Pacta Naulorum, 539) doveva essere eguale alle due consegnate dal Comune. Che invece il S. Nicola non dovesse essere eguale è dimostrato dal differente armamento. E’ anche possibile che il Mallone avesse fatto consegna di più navi. Altra nave che appare aver lasciato il porto di Genova all’inizio di maggio è il S. Antonino: Belgrano, Docc. ined., p. 324 e sgg. 14 Annali, 267 [IV, 132], Non è possibile dedurre con certezza se la sua nomina fosse avvenuta dopo l’arrivo a Tunisi. — 231 — Libro II - Cap. nono stargli ubbidienza durante il viaggio15, ma non tollerano la sua intromissione nelle loro faccende e solo i loro concittadini possono giudicarli. Il 1° luglio Luigi IX salì a bordo 16. Suo figlio maggiore Filippo e i conti di Artois e di Nevers salirono sulle altre navi. Il giorno seguente, mercoledì, si spiegarono le vele e il viaggio ebbe inizio con vento favorevole. La prima tappa doveva essere il porto di Cagliari, ove la flotta si doveva riunire per stabilire la lunga rotta. All’inizio tutto andò bene, anche con 1 oscurità le navi continuarono la loro corsa, non lontane le une dalle altre ed accompagnate dalle galere. Nella notte fra giovedì e venerdì il mare divenne agitatoI?; i Francesi non sembrarono tenerlo bene; non avvezzi ai viaggi di mare soffrono pene indicibili per il malessere che gioca loro un brutto tiro. Nel pomeriggio della domenica le ondate si calmano e i sofferenti stanno molto meglio. Verso sera18 tuttavia, il vento si rinfresca, le onde salgono e le navi oscillano sempre di più; il mal di mare esige dai crociati un rinnovato tributo. La domenica mattina si legge la Messa; chi si regge ancora sulle gambe vi assiste, ma molti non stanno in piedi. Infine, verso le nove del mattino, la tempesta si calma ed anche i malori spariscono. Col pasto si cerca di dimenticare le pene sofferte, ma adesso si presenta una nuova sventura: l’acqua è diventata cattiva e pressoché imbevibile. Come in tali circostanze i Francesi fossero stufi della crociera è facilmente comprensibile. Il viaggio durava troppo e secondo loro si sarebbe 15 Jal, Pacta Naulorum, 590 etc. 16 Primat, Chronique, 41 = Guill. de Nangis, 442; D’Achery, Spicilegium, III, 664. Il documento in Ludovici noni mansiones et itinera, 423, è datato in portu Aquarum Mortuarum in navi que vocatur la Mon Joya. Il capitano della nave è Guglielmo Bonebel: Guill. de Nangis, 444 = Primat, 42. Dal nome (Bombetta) si può ritenere che fosse di Ventimiglia: v. sopra, libro I, cap. VI, n. 10. Gmunque le navi erano partite da Aiguesmortes dirette verso la punta meridionale della Sardegna, cioè verso sud-ovest. Non è chiaro che cosa intenda Guill. de Nangis, 422 = Primat, 41, per mer du Lion, comunque non l’odierno Golfo del Leone dato che Aiguesmortes si trova proprio nel suo mezzo. 18 Non domenica sera (6 luglio), come fa presumere Guill. de Nangis, 442, ma sabato sera, come indica il contesto. Le parole che rendono oscuro il punto mancano in Primat, 41. Guill. de Nangis ha utilizzato il Primat, ma in una traduzione; tutte le differenze del primo rispetto al secondo non si possono ritenere delle aggiunte volontarie; l’editore ha completato i punti che mancavano nel Primat con Guill. de Nangis del tutto gratuitamente, dal momento che quest’ultimo si serve talvolta anche di altre fonti. - 232 - L’armistizio con Venezia e la crociata di Luigi IX dovuto già essere arrivati a Cagliari. Il re fa chiamare gli ufficiali della nave e chiede loro in che punto ci si trovi. Essi non gli possono dare notizie precise in proposito: la terra non dovrebbe essere lontana e sono stupiti che non sia ancora in vista. Per rendere più chiare le loro spiegazioni, mostrano a Luigi su una mappa la posizione di Cagliari e delle coste vicine. Frattanto anche Filippo è diventato inquieto; manda ima barca da suo padre per fargli presente che gli sembra che i capitani abbiano perduto la rotta. Il re li fa chiamare nuovamente; costoro tengono consiglio fra di loro, decisamente molto stupiti che le loro precedenti spiegazioni non siano state capite. I crociati interpretarono la cosa diversamente, pensando che costoro avrebbero finalmente detto la cruda verità 19. Davanti alla loro fantasia eccitata si presentavano romantiche storie di cristiani venduti ai Saraceni dal tradimento del capitano. Con un vento così favorevole, dicevano, 4 giorni sarebbero stati sufficienti per raggiungere Cagliari. Si pretendeva di aver visto la galera comandata dal figlio del Bo-nebel separarsi dalla flotta allo scoppiare della tempesta e prendere la strada della Barberia20. Bonebel comandava la nave sulla quale si trovava il re. La conclusione sembrava evidente: gli infidi Genovesi, in combutta con gli infedeli, volevano consegnare l’esercito a questi ultimi. Il cronista non osa esprimere apertamente un sospetto tanto folle. Ma infine gli abili marinai riuscirono a convincere Luigi del contrario. Nottetempo si continuò lentamente il viaggio. Nel grigiore del mattino la terra fu finalmente in vista, ma il porto era ancora lontano e non lo si raggiunse in quella giornata21. Al tramonto le navi dettero fondo all’àncora ed una barca prese dalla costa vicina acqua fresca e verdure con le quali i viaggiatori spossati poterono rifocillarsi. 19 Primat, 42 = Guill. de Nangis, 444. 20 Ibid.-. verso sud, mentre Cagliari è in direzione sud-est; si era dunque veleggiato ad ovest oltre la punta meridionale della Sardegna e si riteneva così di essere vicini all’Africa settentrionale. 21 Guill. de Nangis, 444 = Primat, 42. Che il vento fosse cambiato improvvisamente è un’illusione, la quale dimostra, da un lato, come la relazione provenga da un testimone oculare; dall’altro, quanto fossero lacunose le cognizioni geografiche di costui. Il vento era stato fin qui favorevole: dunque tirava da nord-ovest. Dopo la circumnavigazione della punta meridionale della Sardegna, le navi dovevano dirigersi verso nord per raggiungere Cagliari; il relatore non ne ha tenuto conto: di conseguenza, invece di scrivere che la nave aveva cambiato rotta, accenna a er vento verso in contrarium = le vent estait si tournai au contrarie. — 233 — ( Libro II - Cap. nono Solo nel pomeriggio seguente i crociati giunsero in prossimità di Cagliari72. Questa era la località per il cui possesso Genova e Pisa avevano condotto una guerra sanguinosa. L’impressione che fece ai nuovi arrivati non fu affatto brillante. Oltre al castello vi erano solo alcune miserabili capanne di argilla assolutamente inabitabili per i Francesi. Vi erano anche case migliori; ma l’ingresso ne era vietato agli stranieri. Gli abitanti nutrivano verso di loro la massima diffidenza e si limitarono a vendere alimenti ai Francesi, imbrogliandoli in modo vergognoso. Si giustificarono col re spiegando che il motivo del loro comportamento era il timore di atti di violenza da parte dei Genovesi della sua flotta23. Un minimo di prudenza poteva non essere ingiustificato e si doveva prestar fede al castellano quando assicurava che i Pisani, padroni del luogo, gli avevano assoluta-mente proibito di lasciar entrare chicchessia nel borgo24. Tutto ciò era frutto di brutte esperienze; ma la mancanza di compiacenza poteva a sua volta facilmente dare cattivi risultati. I cavalieri francesi sono indignati per il fatto che le loro richieste non trovino la dovuta considerazione. « Oh, se re Carlo di Sicilia fosse venuto in un borgo simile con un popolo così ribelle. Avrebbe subito fatto strage di castello e abitanti insieme, ma questo re Luigi è troppo amante della pace, preferisce accettare tutto piuttosto che ferire dei cristiani »25. Nel corso della settimana la flotta quasi al completo si radunò presso Cagliari. Luigi IX tenne coi suoi baroni consiglio di guerra per decidere quale dovesse essere il primo scalo. Domenica 13 luglio fu quindi presa la decisione di non partire subito alla volta della Siria, bensì di attaccare Tunisi26. Tale piano fu subito assai criticato27. Non è questa la sede per 22 Martedì 8 luglio, secondo Guill. de Nangis, 444 = Primat, 42, le navi non sono ancora entrate in porto, mentre secondo la lettera in D’Achery, II, 664, vi sarebbero già. Annali, 267 [IV, 131]: infra diem quintam portum intravit Calari, è inesatto. Guido de Corv., Historiae Pisanae fragmenta, 676, dice che Luigi die lune scilicet die VI mense julii (il 7 luglio però era lunedì) sbarcò nel porto fangaie in Sardinea in castello Castri. 23 D’Achery, III, 664; Guill. de Nangis, 446; da Primat, 43: non fu possibile trovare ospitalità. 24 Guill. de Nangis, 444 = Primat, 43. 20 Primat, 43 e sgg.; invece le caratteristiche espressioni sono smorzate in Guill. de Nangis, 446. 26 D’Achery, III, 665; Primat, 44; Guill. de Nangis, 446 e sgg. di cui si serve Gauf. de Belloloco, 21. 27 Gauf. de Belloloco, 21; Ann. Plac., 547; Annali, 268 [IV, 133]. - 234 - L’armistizio con Venezia e la crociata di Luigi IX discutere i motivi che determinarono siffatta scelta; comunque a Genova non ci si era aspettato questo andamento della crociata28. Un grande numero di mercanti genovesi si trovava allora a Tunisi, occupati pacificamente a svolgere i loro affari e il re di Tunisi li fece imprigionare quando il 17 luglio l’esercito crociato giunse davanti al porto. Ciò peraltro egli fece più per proteggerli dal furore della folla che per intenzione ostile, in quanto sapeva bene che Genova non aveva colpa dell’attacco che lo coglieva di sorpresa29. Molto meno umanitario si mostrò invece lo stesso giorno l’ammiraglio francese che aveva avuto da Luigi 28 Annali, 1. c. Le cambiali emesse prima della partenza delle navi da Genova (Belgrano, Docc. ined., p. 320 e sgg.) portano come luogo di pagamento Aiguesmortes e alternativamente la Siria. Le somme sono ricevute nella valuta in corso a Genova e pagabili in quella in corso in Siria. I termini di pagamento sono piuttosto lontani: la festa di S. Andrea (30 novembre) o Natale. Tuttavia è anche previsto uno svernamento in Sicilia (ibid., p. 325 e sgg.) Nei contratti di noleggio del 1269 (Jal, Pacta Naulorum, 557 etc.) gli armatori si impegnavano nel senso che le navi avrebbero dovuto fare un primo scalo in un’isola o altrove ed attendervi il tempo necessario con previsione di un supplemento di nolo per il caso di svernamento. Indi le navi avrebbero dovuto viaggiare per dove avesse stabilito il re. A destino, allo scarico avrebbero dovuto provvedere gli equipaggi, mentre le navi avrebbero dovuto attendere un mese. Se nel frattempo il re avesse voluto recarsi altrove lungo la stessa costa (in eadem regione) le navi avrebbero dovuto condur-velo, lui e la sua gente. Dopo di che, a sbarco avvenuto, sarebbero cessati gli obblighi degli armatori. Nei preliminari (Traités passés, p. 54 e sgg.) non si trovano ancora siffatte precisazioni. E’ certo difficile accertare come la sosta davanti a Tunisi possa mettersi in relazione con questi contratti. Il primo ancoraggio è stabilito solo (Jal, Pacta naulorum, 558, 567 etc.) pro habendo consilio vel pro expectando gentem d. regis e viene effettuato a Cagliari. Un altro ancoraggio era stato previsto (ibid., 509) apud Dyraguxiam. Cioè nè a Durazzo, nè a Ragusa, che si trovano ben lungi, ma a Siracusa. I crociati dovevano arrivarvi nel giugno 1270, mentre sembra che Carlo fosse atteso nel luglio 1269: Del Giudice, Del cod. dipi. Ang., 101. Non si nomina mai la Siria come punto terminale della navigazione. 29 Annali, 267 [IV, 132], Secondo Guill. de Nangis, 452 = Primat, 48, due cavalieri catalani, che da Tunisi erano passati ai crociati, avevano riferito che tutti i cristiani al soldo del re sarebbero stati catturati nel corso dell attacco della città e avrebbero avuto la testa mozza. La cosa è poco credibile. Poteva trattarsi soltanto di Ghibellini fuggiti dalla Sicilia: Ann. Plac., 547; Menconis, Chronicon, 557. La loro esecuzione capitale sarebbe stata sommamente gradita da Carlo; nel trattato di pace (De Sacy, Mémoire, p. 466; cfr. Primat, 81) fu pattuita soltanto la loro espulsione. Che la popolazione maomettana del Nordafrica fosse molto spaventata da questa inattesa aggressione è facilmente comprensibile. I mercanti pisani dovettero abbandonare Bougie: Mas Latrie, Traités, p. 47. — 235 — Libro II - Cap. nono 1 incarico di assicurarsi se Io sbarco poteva avvenire indisturbato e di che genere fossero le navi che si trovavano all’ingresso del porto. Di esse due erano prive dell’equipaggio che le aveva abbandonate; due appartenevano a Saraceni e a quanto pare si considerarono i loro carichi come benvenuto bottino di guerra senza nessun riguardo per un genovese che aveva così perduto tutti i suoi averi30. Venerdì lo sbarco fu portato felicemente a termine. Ma il luogo del- I accampamento non fu scelto felicemente, cosicché presto lo si dovette cambiare; ma ora il castello di Cartagine si trovava a poco distanza. I marinai genovesi vengono anch’essi contagiati dal fervore guerresco dei loro compagni, e, volendo mostrare alla cavalleria francese la loro efficienza, volontariamente si offrono di conquistare la poderosa fortezza. Il re accetta volentieri la loro offerta31. Si preparano le scale ed altri attrezzi. II 24 luglio i Genovesi lasciano le loro navi per cominciare l’assalto; la cavalleria dell esercito crociato si schiera in modo da impedire ai nemici di portare aiuto al presidio. Rapidamente l’attacco raggiunge il suo scopo. Sembra che in un primo tempo si fosse riusciti a cacciare, con tiri ben piazzati e con colpi inferti con l’aiuto di lunghe lance, i difensori della mura, poi per mezzo di scale si cominciò a salire32. Solo un uomo era caduto, mentre il sangue dei Saraceni assediati scorreva, come sempre in tali occasioni, a fiumi. Sui merli delle mura di Cartagine33 sventolarono i vessilli genovesi. Sembra però che i marinai abbiano partecipato assai poco alle altre 30 V. le deposizioni dei testimoni in Belgrano, Docc. ined., p. 340 e sgg. Non è indicato il giorno dell’attacco; si può quindi citare solo il giorno della cattura di una delle due navi, il 17 luglio; Guill. de Nangis, 448 = Primat, 45. Cfr. D’Achery, III, 665, il Comes Bertrame doveva essere l’Ammiraglio francese. 31 Martedì 22 luglio: D’Achery, III, 665; Guill. de Nangis, 450 = Primat, 46 e sgg. Annali, 268 [IV, 133]: in tantum enim cum balistris et lanceis artaverant Sarracenos, quod resistere non valentes, in fugam dorsa converterant, et ipsum castrum et muros Januenses ascenderant. In Guill. de Nangis, 452 = Primat, 47, è il momento meno adatto per arrampicarsi sulle mura con le scale. Non si può accertare se i balistrarii inviati da Luigi IX avessero collaborato. Annali, 1. c., dice che Januenses... soli... ceperunt castrum ... expugnare. 33 Annali, 1. c. non usa questa espressione classica; la località viene chiamata Quartana. - 236 - L’armistizio con Venezia e la crociata di Luigi IX battaglie 34, dal momento che dovevano essere occupati per l’approvvigionamento dei viveri35. Essi ottennero che venisse inviato loro dalla patria un capitano genovese, Franceschino de Camilla, che giunse nel campo di Tunisi il 7 settembre36. Egli però non trovò vivo il re che era stato l’anima dell’impresa. Il 25 agosto Luigi il Santo era morto37 e poco dopo Carlo d Angiò ne aveva preso il posto, salutato dal giubilo dei crociati, che, a ragione, vedevano in lui il nuovo capo38. Ma anche con i rinforzi da lui portati non si ottenne un risultato decisivo. Mentre i combattimenti sanguinosi si susseguivano ininterrotti, si verificò a Genova un mutamento profondo che operò in modo decisivo sui futuri destini del Comune. Mentre gran numero di cittadini si trovava a bordo delle navi davanti a Tunisi, il contrasto a lungo represso fra Ghibellini e Guelfi si riaccese: tra popolo e nobiltà era scoppiata la guerra. 34 Primat, 52 e sgg. 35 Annali, 268 [IV, 134], V. per il documento con le disposizioni emanate da Carlo, Minieri Riccio, Alcuni fatti, p. 127; Syllabus membr., I, pp. 76 e 80. 36 Annali, 268 [IV, 134]. Il titolo è Capitaneus prò comune Janue in presenti passagio (Belgrano, Docc. ined., p. 340), ovvero Capitaneus prò comuni Janue in partibus ubi erit presens passagium (ibid., p. 328 e sgg.). Franceschino de Camilla era inoltre partecipe alla costruzione delle navi di Luigi IX: Traités passés, p. 60. 37 D’Achery, III, 667; cfr. Ròhricht, Kleine Studien, p. 28. 38 Primat, 57. — 237 — Libro terzo Il doppio capitanato e la guerra con Carlo D’Angiò Capitolo primo L’insediamento dei Capitani Caratteristiche costituzionali dal 1262 al 1270. - Innovazioni al Consiglio. - Gli Otto Nobili. - Posizione del Podestà. - Discordie interne. - Lotta per il podestà di Ventimiglia. - Lega dei Ghibellini col Popolo. - Sollevazione del 28 ottobre 1270. - Insediamento dei Capitani. - Istituzione del Popolo. - L’Abate. - Consiglio degli Anziani. Con la caduta del Boccanegra, l’antica costituzione era ritornata in vigore immutata, così come era stata istituita inizialmente; ma siffatta restaurazione non era riuscita in maniera così totale come poteva apparire a prima vista. Il popolo aveva conosciuto il potere e il ricordo era rimasto indelebile. La nobiltà doveva stare costantemente in guardia affinchè non si ripetessero i fatti del 1257. Un nuovo impulso entra dunque nel quadro offerto dalla situazione di quest’epoca di restaurazione. Solo la pace sociale formava la base sulla quale poteva prosperare un’organizzazione di quel tipo, quale appunto era il governo della città affidato a uno straniero che cambiava ogni anno. La preponderanza delle classi più elevate era stata nel passato tale che non era parso allora necessario prendere misure particolari per farla valere; ma la sopraffazione del 1257 aveva reso la nobiltà ben più consapevole della propria posizione particolare, per cui ad essa era spettato il governo della città. Non un livellamento, bensì un inasprimento dei contrasti sociali aveva fatto seguito alla formazione del primo Popolo e allo scioglimento di esso. E la situazione era tanto più delicata, in quanto non era possibile impedire a gente che non apparteneva a famiglie antiche ed altolocate di accedere alla ricchezza e alla autorità. Più scrupolosamente quindi vigilarono ora i nobili sui loro privilegi politici. Per ben governare il Comune si era affidato un tempo il compito non ad un nativo, ma bensì a uno straniero. Ora invece il Podestà è anche il capo della nobiltà, che lo obbliga ad esercitare il suo ufficio nel proprio particolare interesse e controlla diffidente la sua attività. Si rimettono in vigore quelle forme esteriori della costituzione che erano state per lungo tempo idonee a permettere una forte autorità di governo anche in tempi difficili; ma lo spirito che aveva allora animato il governo era ormai irrimediabilmente scomparso. I mutamenti visibili sono apparente- - 241 - Libro III - Cap. primo mente di scarso rilievo; è perciò importante studiarli mettendone il significato nella giusta luce. Ancora più di prima il baricentro della vita politica fu costituito dalla attività del Consiglio. Gli Annali ben poco possono riferire circa atti autonomi del Podestà, dei quali egli solo fosse responsabile 1. Egli non salì mai a bordo di una delle flotte che combattevano contro Venezia. La sua personalità finì per restare quasi sempre sullo sfondo. Certo però non era priva di rilievo la tendenza di partito del capo della città. Nell accordo con Carlo il Comune aveva dovuto impegnarsi ad eleggere solo un Podestà guelfo; ma anche un fervente ghibellino come Giacomo de Palude era riuscito a intavolare trattative col vincitore di Benevento. Le decisioni sul tipo di politica da intraprendere spettavano al Consiglio, le forme esteriori con le quali i circoli dominanti prendevano le loro decisioni nelle sue sedute acquistarono quindi maggior significato e ulteriore perfezionamento. I membri del Consiglio sembrano eletti come prima dal Podestà , però i pericoli che dovevano conseguire dagli aspri contrasti fra i partiti fecero sì che si derogasse di volta in volta al vecchio principio. In certi casi il Consiglio viene rafforzato da altri membri, il numero dei quali resta, come prima del 1257, di sei per ognuno degli otto quartieri della città . 1 Ciò invece accadeva nel passato; cfr. Caro, Verf. Gen., p. 42 e sgg. 2 Cfr. ibid., p. 29. I rettori stessi nominavano nel 1262 - Annali, 244 [IV, 47-48] - i loro Consiliatores. E’ da presumere che non si fosse trattato di un caso eccezionale che lo stesso organo di governo cittadino scegliesse i suoi consiglieri, anche il Boccanegra - Annali, 236 [IV, 26] - nominò le persone che dovevano decidere sulla durata del suo ufficio. Il Podestà era uno straniero nella città e non poteva, da sè solo, conoscere chi poteva nominare; logico quindi che lo consigliassero i locali. In questa situazione il Podestà del 1264 - Annali, 248 e sgg. [IV, 63 e sgg.] - si lasciò eccessivamente influenzare dai Grimaldi. I provvedimenti presi per porre rimedio a questa situazione (v. sopra, p. 156), vanno intesi in riferimento all elezione dei Consiliarii per il 1265. Il testo degli Annali non consente altra interpretazione. 3 Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 29. Per il tempo del Boccanegra è dimostrabile la presenza di membri aggiunti nel Consiglio, il cui numero era di 14 per Compagna: L.J., I, 1356. Invece il 21 settembre 1264 (Belgrano, Cinque docc., p. 239): (de) beneplacito consiliariorum... et hominum sex per quamlibet compagnam ad consilium vocatorum et electorum ad brevia secundum formam capitulorum ]anue. V. Ia formula per la convocazione in Caro, Verf. Gen., p. 86. Ancora in numero di sei il 6 settembre 1262: App. 2, nr. 13; il 12 agosto 1269: App. 2, nr. 15 b, c; altrettanto il 5 marzo 1264: Desimoni, Quatre titres, p. 225. Sui particolari di questo - 242 - L’insediamento dei Capitani Non consta se il numero dei consiglieri fosse mutato, comunque erano più di 100, anche se nelle singole sedute si poteva vedere un numero minore di intervenuti4. Secondo la tradizione, i membri del Consiglio vengono convocati con suoni di campane, suoni di corno e araldi5. Comunque documento cfr. sopra, libro II, cap. Ili, n. 4. Non è accertabile se la convocazione di membri aggiunti avvenisse meno o più frequentemente che nel passato. Negli Annali se ne parla una volta sola - p. 246 [IV, 52] -, ma niente di particolare si può trovare nella riunione di Consiglio relativa alla presa di posizione nei riguardi di Corradino: p. 262 [IV, 108], Che comunque il più gran numero di partecipanti fosse considerato opportuno per dare maggiore garanzia di validità al contenuto delle decisioni del Consiglio dimostra una clausola della convenzione con Piacenza del 31 marzo 1270 (App. 2, nr. 16), volta ad impedire rappresaglie affrettate. Il Podestà non potrà consentirle a meno che per consilium Janue, ad quod sint et interesse debeant homines sex per compagnam, in quo consilio absolvant se omnes consiliarii et vocati ad ipsum consilium ad lapillos albos et nigros, et nisi due partes illorum, qui ad dictum consilium fuerint, consenserint in ipsa laude facienda, qui consensus appareat ex forma lapillorum alborum, ita quod si due partes lapillorum fuerint albi, quod tunc possit ipsa laus concedi, et si aliter concederetur, ipsa laus vel concessio cambiendi non valeat. Questo passo mostra come gli aggiunti prendessero parte alla formazione delle delibere. 4 II 9 luglio 1262 in L.J., I, 1403: 100 nomina consiliatorum-, l’8 luglio 1267 in Desimoni, Spigolature, p. 347: 139 nomi; il 26 novembre 1268 in Jal, Pacta Naulorum, 522: 80; il 1° dicembre (ibid., 538): 86; ibid., 541: 85. Non una volta le liste dei diversi giorni concordano totalmente; quelle del 26 novembre e del 1° dicembre differiscono per un quarto dei nomi, il che si verifica anche per epoca precedente: v. Caro, Verf. Gen., p. 90. Liste dove sono compresi i nomi dei Consiliarii e dei sei chiamati per ogni Compagna si trovano in App. 2, nr. 13, per il 6 settembre 1262, per un numero complessivo di 138; in Belgrano, Cinque docc., p. 234, per il 21 settembre 1263, il numero è di 133; in App. 2, nr. 15 b, il numero è di 135. La lista di Nostradamus, p. 320 (v. sopra, libro II, cap. II, n. 25), contiene 133 nomi, ma, se il testo è esatto, risulterebbero qui otto chiamati per ciascuna Compagna. Che vi fossero talvolta 64 Consiliarii (8 per Compagna) non è deducibile dal documento dell’8 maggio 1238 (Caro, Verf. Gen., p. 88), per la sua imprecisione. Dice invece molto di più sul punto App. 3, nr. 1, c. 169: Potestas, de voluntate et beneplacito octo civium Janue, videlicet unius per compagnam, nec non et postea aliorum triginta duorum, videlicet 4 per compagnam, et deinde voluntate, consensu et presen-tia consilii Janue, vocati per cornu et campanam et congregati more solito, nec non et aliorum hominum sex pro qualibet compagna electorum ad brevia et congregatorum secundum formam capituli. Gli uno e quattro chiamati per ciascuna Compagna costituivano dunque speciali commissioni alle quali si sottoponevano determinate questioni prima che il Consiglio venisse integrato con sei uomini chiamati per Compagna. 5 L.J., I, 1403: de voluntate... consiliariorum comunis Janue vocatorum et congregatorum per cornu, vocem cintraci et campanam more solito. Desimoni, Quatre titres, p. 225: per assensum... consiliariorum... congregatorum in palatio, quod — 243 — Libro III - Cap. primo è il Podestà a darne lordine, corne pure egli presiede l’assemblea; non si può inoltre provare con documenti che si sia mai fatto rappresentare attraverso altro membro dell’assemblea6. Le modalità di direzione delle discussioni dovevano essere rimaste le stesse, ma non esistono testimonianze dirette per questi anni; si provvide comunque certamente a tenere un regolare protocollo 7, ed esistono fonti che documentano la presenza di inviati fuit Oberti de Auria, voce preconis et sonitu campane, sicut usutn et consuetum est. App. 2, nr. 13: per campanam et cornu. App. 2, nr. 15 b: cornu et campana. App. 3, nr. 16, c. 8 v.: per cornu et campanam et vocem preconis. La formala è dunque diversa, ma le differenze non sono sostanziali. Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 87. 6 Annali, 255 [IV, 85], si riferise certo a uno dei Giudici del Podestà con le parole prefuit appellationibus terminandis et consiliis regendis; altrettanto Annali, 259 [IV, 99]; verosimilmente si intendono qui i motivi di diritto avanzati negli appelli contro le sentenze. Non esiste per questi anni un vero e proprio verbale di una seduta del Consiglio; rimangono soltanto dei documenti nei quali sono riportate in forma autentica le ordinanze emanate per decisione del Consiglio, come, per esempio, la nomina di sindici (L.J., I, 1403, etc.); la conclusione di trattati (App. 2, nr. 15 b, etc.). In tali casi agiscono sempre in nome del Comune il Podestà e il Consiglio, L.J., I, 1403: Potestas, de voluntate et beneplacito consiliariorum comunis Janue... nec non et ipsi consiliarii... nomine et vice comunis Janue et prò ipso comuni... creamus ... sindicos, etc. Per la situazione dell’anno 1263, in cui il Podestà quasi sempre si fa rappresentare da suo figlio, v. sopra, p. 140. Il luogo delle sedute del Consiglio è il palazzo dei Doria, nel quale il Podestà ha la sua sede. Jal, Vada Naulorum, 541. Actum Janue in palacio illorum de Auria ubi tenetur curia potestatis, etc. 7 Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 31. Il documento del 28 agosto 1251 che 1 autore utilizza in estratto a p. 91, è tratto da App. 6, nr. 4, c. 22 v. La parte contenente la proposta e quella con la decisione del Consiglio sono qui chiaramente distinte: D. Menabos de Turricella, potestas Janue, proposuit quod super petitione Raynerii de Montemagno, etc. Item proposuit quod homines de Saona volunt, ut sciant, sub quo consulatu respondeant... Fuit summa dicti consilii, ut homines de Saona... Non si tratta del documento originale, ma di un estratto dal verbale delle discussioni del Consiglio, sottoscritto da notaro: supradictam scripturam de quaterno consilii tempore potestatie ipsius D. Menabovis potestatis Janue etraxi et scripsi. Il notaro attesta ancora di avere estratto soltanto quello che si riferiva alla questione, perchè in posta era scritto di più. L’estratto del 17 novembre 1260 è effettuato per ordine del Giudice del Podestà, però non dall’originale, ma dalla copia trascritta nel registro di Savona. Non risulta se i veri e propri atti del Consiglio contenessero anche le proposte dei singoli oratori, come neppure avveniva a Firenze molto più tardi: v. Le Consulte della Repubblica Fiorentina. In Venezia con tutta probabilità venivano trascritte solo le decisioni del Consiglio: cfr. gli estratti di Thomas, Die altesten Verordnungen, p. 100, etc. Caro, Verf. Gen., p. 91, utilizza il documento del 27 maggio 1238 di cui ad App. 3, nr. 1, — 244 - L’insediamento dei Capitani stranieri che presentano al Consiglio le loro proposte8. Non si riesce comunque a capire se vi fossero state innovazioni su questo punto particolare; peraltro è certo che il Consiglio aveva posto in essere una regolamentazione consona all’importanza delle sue funzioni; prima non si poteva documentare una votazione formale, ora, in certe circostanze, ciò deve avvenire9. Come innovazione è da considerare il fatto che i documenti scaturiti dalle decisioni del Consiglio vengono esaminati da una commissione formata da otto laici e due giudici. Più tardi si aggiunse ad essi uno dei Giudici del Podestà 10. Lo scopo di tutto questo c. 172, il cui estratto è in Fol. Not., I, c. Ili, che non lascia vedere se si rifa ad un verbale di seduta. Proposta e decisione anche qui son ben distinte: Potestas . .. rexit consilium, in quo legi fecit quandam scripturam... Et lecta predicta scriptura, petiit consilium quid inde agendum sit et faciendum pro comuni Janue, et specialiter utrum placeat quod fiat carta, secundum quod in ipsa scriptura continetur. Summa dicti consilii, cernata (!) et approbata per viros nobiles Simonem Tornellum et Piperem Palla-vicinum, ad hoc ellectos sive vocatos, est quod carta jiat... Non è possibile vedere come fosse stata regolata la materia relativa al verbale del Consiglio negli anni 60. Tuttavia, si trova, come in precedenza (v. Caro, Verf. Gen., p. 138), che non vengono dati i nomi dei Consiliarii se non con rinvio al Libro del Consiglio. Così App. 3, nr. 16, c. 9v. (16 maggio 1268) al fondo del contesto: Nomina consiliariorum sunt in libro consilii per ordinem denotata; così ibid., c. 47 (31 maggio). Invece, App. 2, nr. 15 c (12 agosto 1269), all’inizio del contesto: quorum consiliariorum et hominum per compagnam nomina scripta sunt in libro consiliariorum comunis Janue. Nel documento dello stesso giorno (App. 2, nr. 15 b) è data la lista suddetta. Riferimenti al Liber Consiliorum si trovano anche in App. 2, nr. 86 b, in data 4 agosto 1270, e nr. 87, in data 3 ottobre. Non si può riscontrare l’identità con i verbali del Consiglio; comunque e certo che quest’uso fu continuato, dal momento che anche più tardi si trovano degli estratti da esso. 8 Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 31; Annali, 245 e 253 [IV, 51 e 761; per contro il rifiuto di sentirli a p. 262 [IV, 108], 9 Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 31. Al riguardo, la convenzione con Piacenza (v. sopra, n. 3), dimostra tra l’altro come non fosse infrequente la votazione a mezzo di pietre bianche e nere. 10 Prima del 1257 una verifica della summa consilii veniva effettuata a mezzo di due laici: Caro, Verf. Gen., p. 31; v. sopra, n. 7. Il nuovo sistema non si trova ancora in vigore il 9 luglio 1262, (L.J., I, 1403) e il 6 settembre (App. 2, nr. 13), ma già invece il 21 settembre 1263 (Belgrano, Cinque docc., p. 230). Per l’8 luglio 1267 v. Desimoni, Spigolature, p. 345. Per il 22 ottobre 1268, Mas Latrie, Hist. de Chypre, II, p. 77; per il 16 maggio 1268, App. 3, nr. 16, c. 9: Predictum instrumentum fuit examinatum per infrascriptos unum per compagnam et duos iudices, no- - 245 - 17 Libro III - Cap. primo dipendeva da motivi puramente formali, affinchè il Consiglio potesse essere sicuro che la documentazione che le convalidava rispettasse veramente il contenuto delle sue deliberazioni. Probabilmente a tale commissione spettava di stabilire il testo del documento, giacché evidentemente non era ritenuto opportuno affidare ai soli scrivani cittadini il compito di stendere in ineccepibile forma giuridica il contenuto delle decisioni prese Il compito di trovare tale forma spettava a studiosi del diritto scelti appositamente. Tuttavia il motivo delPinnovazione poteva anche non essere soltanto lo sforzo di migliorare la tecnica della cancelleria. Le delibere del Consiglio venivano infatti sottoposte anche prima ad un esame. Uno dei primi rimproveri fatti al Boccanegra era stato proprio quello di aver consentito all’inefficacia delle delibere del Consiglio, cosicché egli, senza tenerle in considerazione alcuna, stringeva poi alleanze con chi voleva 12. mina quorum sunt hec. Analoga è la formula (ibid., c. 47) del 31 maggio. Degli Otto non vi se ne trova alcuno, dei Giudici uno. Successivamente sembra che venisse nominata di volta in volta una nuova commissione, i cui membri appartenevano comunque al Consiglio. La maggior parte dei nomi si trova nella lista del Consiglio del 26 novembre e 1° dicembre 1268: Jal, Pacta Naulorum, 522, 538. In questi documenti si menziona soltanto (ibid., 516): examinata et approbata forma presentis instrumenti per octo viros, unum videlicet pro compagna et duos iudices secundum formam capituli, quibus placuit presens instrumentum sic fieri debere; anche le altre a pp. 536 e 539: lecta prius et approbata forma presentis instrumenti. Analoga è la formula in App. 2, nr. 15 b e c dei 12 agosto 1269. In tutti e due i documenti i nomi sono gli stessi, con la sola differenza che ne manca uno in quello sub b. In più partecipa un Giudice del Podestà, ma, come pare, solo in qualità di coadiutore. La formula di App. 2, nr. 15 b è: in presentia unius ex iudicibus potestatis; quella di App. 2, nr. 15 c: cum quibus fuit unus ex iudicibus potestatis. Che si trattasse realmente di una innovazione lo dimostrano i documenti di App. 2, nr. 86 b del 4 agosto 1270 e nr. 87 del 13 ottobre 1270, nei quali pure si ha la presenza del Giudice del Podestà allo scrutinio'. Non è chiaro chi nominasse la commissione. 11 Così, secondo Belgrano, Cinque docc., p. 230, circa accurati controlli eseguiti. Che la redazione degli estratti dei documenti principali venisse effettuata da parte di esperti del diritto, è dimostrato dall’atto di nomina di ambasciatori genovesi: App. 2, nr. 20. Essi chiedono procuratorium generale et speciale... bene compositum de consilio dominorum Symonis Tartaro vel Johannis Ugolini, qui caute et diligenter dictum procuratorium componant. Quest’ultimo lo troviamo nel Collegium Judicum il 17 aprile 1275: App. 6, nr. 4, c. 19 v.\ in precedenza v. sopra, libro I, cap. I, n. 40. 12 Annali, 241 [IV, 38]: dum... decreta... consilii inania forent. Annali, 243 [IV, 45, 46]: dum capitaneus... spretis... decretis consilii, federa, cum quibus vellet, componeret. — 246 - L’insediamento dei Capitani Con queste modifiche apparentemente non sostanziali, si veniva ad impedire al capo della città di comportarsi analogamente in futuro. Adesso il Consiglio controlla che le sue delibere siano stese in forma che abbia indubbio valore legale, che abbiano cioè veramente lo stesso significato col quale erano state prese. Il Consiglio esercita ora un controllo sul Podestà, cui solo in precedenza era affidato l’esecutivo. Prima del 1257 sarebbe stato superfluo; ma ora era subentrata la diffidenza per le brutte esperienze fatte. L’uomo al quale si affidava per un anno il governo della città avrebbe potuto anche fare cattivo uso del suo potere. Il malcontento dei ceti popolari, privati ora di importanza politica B, offriva a chi fosse temerario l’occasione di imitare l’esempio del cessato Capitano del Popolo; il Podestà doveva essere invece il propugnatore dell’attuale costituzione aristocratica I4. Legato come era agli statuti, 13 Nella lista del Consiglio sono pochissimi i nomi che fanno pensare a popolari, come, per es., Nicholaus Draperius: Jal, Pacta Naulorum, 538. 14 V. sopra, p. 119 e sgg. Il capitulum sul controllo dei documenti può benissimo essere stato introdotto nel 1263 dagli emendatori degli Statuti. Una certa loro attività viene menzionata anche al tempo del Boccanegra. Nel contratto con il conte di Ventimiglia dell’8 dicembre 1257 (Cais de Pierlas, Statuts, p. 120 = App. 3, nr. 13, c. 189), quando i conti conducano guerra per conto del Comune e accusino danni, si dovrà provvedere a liquidarli entro tre mesi, corrispondendo poi la relativa indennità nei due mesi successivi. Di ciò dovrà essere fatta menzione in un capitulum ad penam syndicationis potestatis ]anue, dupli eius, quod ascenderet extimatio, quod ponetur in capitulariis primo tempore, quo erunt emendatores, scilicet in anno juturo. Nell’accordo con l’Arcivescovo (L.J., I, 1277), dell’ll agosto 1258, si dice: fiet capitulum per primos emendatores capitulorum comunis ]anue, qui constituti fuerint. Non è da escludere che l’attività degli emendatori fosse stata sminuita allorché entrarono in carica il Capitaneus Populi e gli Anziani cui spettava di svolgere quelle che erano le loro funzioni: Annali, 236 [IV, 26]. Così la riforma finanziaria del 1259 (L.J., I, 1288 e sgg.) non fa menzione di dovere essere accolta negli Statuti, cosa che peraltro era certamente avvenuta. In App. 1, nr. 5, c. 272, si trova un capitulum che corrisponde sostanzialmente al documento del 1259, le cui parti principali con tutta probabilità furono allora incluse negli Statuti. Ai creditori dello Stato per il 1263 veniva accordata garanzia dei loro diritti (Belgrano, Cinque docc., p. 234) statuendosi che: per emendatores, qui primo fient seu creabuntur per comune ]anue, fiet capitulum speciale, per quod statuetur et ordinabitur ... quod potestas vel aliquis officiarius non possit in aliquo contravenire vel dicere ad penam sindicationis l. 1000, et quilibet consiliarius qui contradiceret vel allegaret, amittere debeat l. 200, at quelibet alia persona l. 100. Penali analoghe stabiliva il Capitano nel 1259. Dopo la sua caduta, anche a Libro III - Cap. primo non era difficile mettere un freno ad una sua troppo autonoma attività di governo e trattenerlo con disposizioni adeguate sulla buona strada. Questa tendenza avrebbe anche contribuito a dare maggiore importanza alla carica degli Otto Nobili. Non era una novità assoluta affiancare il Podestà nella sua opera con un’autorità di governo costituita da elementi locali; ma i tentativi fatti in passato non avevano dimostrato idoneo tale istituto. L’inconveniente del periodo del Consolato era stato proprio la constatazione che i locali non erano in grado di amministrare imparzialmente la città. Dopo molte esitazioni si era quindi deciso di limitare sostanzialmente l’attività degli Otto Nobili nell’amministrazione finanziaria. Essi subentrarono così ai Clavigeri assorbendone l’incarico 15. Sembra però che il Boccanegra avesse potuto disporre con una certa libertà delle casse del Comune 16 anche senza la loro collaborazione; ma che essi si occupassero regolarmente degli affari finanziari è fuori di dubbio 1?. E così fu anche dopo il 1262 I8. Diventa perciò spiegabile perchè essi continuassero ad questo riguardo subentra di nuovo in pieno la vecchia costituzione: cfr. Caro, erj. Gen., p. 43 e sgg. Risulta probabile, attraverso l’esame dei documenti, che nel 1 al capitolo riguardante il controllo dei documenti fosse stata apportata un aggiunta c e prevedeva la partecipazione di uno dei Giudici del Podestà. Ciò anche nell interesse dello stesso Podestà che in tal modo poteva far conto su di lui per opporsi a modifiche arbitrarie. 15 Caro, Verf. Gen., pp. 47, 48. Tra il 1257 e il 1270 non sono menzionati i Clavigeri. 16 V. sopra, p. 84. 17 App. 3, nr. 13, c. 117 (8 giugno 1257): nomina di un procuratore per ricevere dal Comune, seu ab octo nobilibus pro dicto comuni, duas partes condempna-tionis seu condempnationum que fient in filium Adamini Batifolii e altri che avevano maltrattato un Commissario. App. 3, nr. 10, c. 64 v. (19 marzo 1260): Pietro di Chiavica notaio nomina un rappresentante per ricevere in sua vece ab octo nobilibus comunis Janue il danaro che gli deve il Comune. Dal fatto che gli Otto Nobili avessero partecipato alla conclusione del trattato col Paleologo (L.J., I, 1350 e sgg.), non è da dedurre un’altra loro attribuzione. La conferma di una attività la si acquisisce S0i0 attraverso una quantità di elementi concordanti. 18 App., 3, nr. 14, c. 4 v. (27 febbraio 1264): Simon de Amelio de Gavio, sin-dicus... comunis et hominum G avii, riconosce Oh erto S pinule q. Willelmi, te precibus comunis Gavii et meis pro dicto comuni obligatum esse versus comune Janue seu octo nobilibus pro comuni Janue pro libris quingentis Janue. Ibid., c. 106 (4 set- -f tembre 1264): Jacobina, uxor Symons Draperii, nomina il proprio marito come procuratore per ricevere a comuni Janue sive ab octo nobilibus, solventibus pro comuni Janue, illa libras 150 Janue quas recipere (debet et) scripte sunt super (eam) ad — 248 — L’insediamento dei Capitani apparire come prima assieme al Podestà e al Consiglio nei documenti riguardanti materie finanziarie 19: ma anche quando non si tratta di materia analoga, essi agiscono insieme al Podestà in nome del Comune 20. syndicamentum, videlicet in mutuo, quod fecit dicto comuni Albertus de Albizola prò castro Saône l. 50 Jan., et in mutuo quod fecit Willielmus Piper prò castro Roche Vintimilii l. 50 Jan., et in mutuo Ugonis Mattoni, quod fecit prò castro Illicis l. 50 Jan. Fol. Not., II, c. 20 v. (16 luglio 1266): nomina di delegato ad custodiendum incarceratos de porta Vaccarum pro suprastante, et ad recipiendum a comuni Janue seu ab octo nobilibus feudum seu salarium, quod habere debeo. 19 App. 3, nr. 16, c. 8 v.\ il 16 maggio 1268 il Podestà e tre degli Otto Nobili dichiarano, con il consenso del Consiglio, di avere ricevuto da Guillielminus Tartarus tanti denarios Januinos bastanti per obbligare nomine cambii l. 2000 denariorum tu-ronensium fortium Campanie ad rectam solutionem in Parisius vel in nundinis de Tres sancti Johannis proxime venturis vel eo tempore, quo dicte nundine solite sunt teneri, da non pagarsi colà in quanto il pagamento doveva avvenire a Genova prò hiis nomine cambii de quibuslibet denariis 12 turonensibus den. 18, 1/4 denariorum Ja-nuinorum al 1° novembre. Il denaro doveva venire impiegato a vantaggio del Comune ed in particolare in solvendis debitis, que potestas et comune Janue dare debet ad sindicamentum. Per l’osservanza dell’obbligo vengono nominati dei garanti. Ibid., c. 9v.: il 16 maggio il Podestà e tre degli Otto Nobili, con l’approvazione del Consiglio, danno garanzia di indennizzo al fidejussore; ibid., c. 46 v. (31 maggio): due documenti analoghi per 3000 lire tornesi. In questo caso però compaiono soltanto due degli Otto Nobili. V. inoltre, Belgrano, Cinque docc., p. 229; Jal, Pacta Naulorum, 516, 536, 539; App. 2, nr. 87. Invece, nella promessa di indennizzo del 22 ottobre 1268 (Mas Latrie, Hist. de Chypre, II, p. 77), non si fa menzione della presenza degli Otto Nobili. 20 Desimoni, Quatre titres, p. 225 (5 marzo 1264): con l’espressione odo si intendono certamente gli Otto Nobili. Desimoni, Spigolature, p. 345 (8 luglio 1267): quando è detto potestas consensu et voluntate infrascriptorum ex odo nobilibus et consiliariorum comunis Janue, non si può dedurne che in affari politici si usasse una formula relativa alla presenza degli Otto diversa da quella usata invece relativamente agli affari finanziari. Il sindicus per la stipula del trattato con Carlo del 12 agosto 1269 viene nominato dal potestas et 4 ex odo nobilibus de voluntate ... consiliariorum: App. 2, nr. 15 c. Nel trattato stesso (ibid., nr. 15 b) non viene menzionata la partecipazione degli Otto, mentre invece lo è in quello con Piacenza. App. 2, nr. 16 (31 marzo 1270): potestas et infrascripti ex odo nobilibus... da voluntate ... consilii. Mancano gli Otto in App. 2, nr. 86 b il 4 agosto 1270 e in L.J., I, 1403, il 9 luglio 1262. Si trovano invece il 6 settembre 1262 in App. 2, nr. 13: qui però si tratta ancora di un indennizzo. Non è possibile accertare se e in quale anno gli Statuti avessero dato maggiore rilevanza agli Otto. Da un documento del 19 aprile 1264 (App. 3, nr. 14, c. 70) risulta che un judex del Podestà del 1263, uno degli — 249 — Libro III - Cap. primo I loro poteri si dilatarono; risulta anche da un passo degli Annali2I, che ammette esplicitamente come essi affiancassero il Podestà nel ruolo di consiglieri od altro neU’amministrazione della città. Questo spiega anche perchè si attribuì tanta importanza alla loro elezione nel 1264 22. Agivano a fianco del Podestà più o meno come il piccolo Consiglio a fianco del Doge a Venezia nello stesso periodo. Quali rappresentanti della nobiltà essi guidavano i passi del capo dello stato, naturalmente nel modo più vantaggioso per loro23. Malgrado queste limitazioni, la posizione del Podestà è sempre molto importante. Egli governa la città24 e il suo territorio; dà esecuzione a tutti Otto e un notaro erano stati inviati ad loca Amelie et Barbazani per fatti di brigantaggio commessi da locali. Di questo genere di incarichi speciali - v. anche Annali, 252 [IV, 73] - era già stato investito taluno degli Otto anche in precedenza. Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 124. 21 P. 259 [IV, 99], per il 1267: habuit edam dictus potestas in sua societate pro consiliis quam etiam pro aliis factis comunis Janue viros octo nobiles nuncupatos; cfr. Annali, 146 [II, 170], Risulta anche da una circostanza del 1264 - Annali, 249 [IV, 63] - che i cinquanta per ogni Compagna sono nominati per ipsum potestatem et per octo nobiles qui iuxta ipsum erant. Gli eletti erano destinati a difendere la costituzione aristocratica da qualsiasi sovvertimento. Il Podestà, in quanto straniero, non poteva conoscere le persone su cui poter fare affidamento per un incarico del genere. Gli Otto Nobili, che sono del posto, conoscono invece ben meglio i cittadini e le loro idee e sono quindi in grado di poter fornire al Podestà informazioni sulle persone. 22 Annali, 1. c. Come ne avvenisse l’elezione non è chiaro. Naturalmente il loro ufficio veniva rinnovato ogni anno. Gli Annali danno elenchi solo per il 1265-67, tuttavia i nominativi di quelli per gli altri anni si trovano nei documenti. Non si sa se insieme al nuovo Podestà per il 1262 fossero stati nominati anche altri nuovi Otto Nobili, come non risulta se la deposizione del Podestà del 1265 avesse tratto seco anche quella degli Otto Nobili. Secondo Annali, 254 [IV, 84], non sarebbe da escludere, dal momento che essi erano considerati far parte della societas del Podestà e dovevano con lui sottoporsi al sindacato. I due scrivani degli Otto Nobili - Annali, 255, 259 [IV, 85, 99] - erano destinati alla contabilità dell’amministrazione finanziaria. 23 Sul punto v. Jac. da Var., 18; cfr. Caro, Verf. Gen., p. 127, n. 25. Tenuto conto della data, nulla vi sarebbe di strano se la notizia fosse stata riferita di scienza propria da parte dell’autore, anziché da lui ricavata utilizzando i sempre opinabili Annali. 24 Annali, 267 [IV, 131], per il 1270, riferiscono: fuit in regimine civitatis potestas. Lo stesso termine regimen viene usato anche in riferimento alla competenza dei due Capitani. — 250 - Lìnsediamento dei Capitani gli atti di rilevanza politica deliberati dal Consiglio in nome del Comune. Negli affari di ordinaria amministrazione appare soltanto il suo nome: ad esempio, le lettere, in forza delle quali i castellani consegnavano ai loro successori i castelli a loro affidati, sono spedite dal Podestà e portano il sigillo del Comune 25 : questo era dunque compito suo 26. Ma soprattutto non gli sono ridotti i poteri giudiziari27. 25 Cfr. sopra, pp. 82 e 119, n. 25; App. 3, nr. 10, c. 98 v. In generale l’amministrazione del territorio, posto che di essa si possa parlare, spettava al Podestà. E’ lui infatti a risultare il superiore diretto dei castellani, obbligati, conforme al giu- / ramento prestato, ad eseguirne gli ordini; cfr. L.J., I, 1413: sub juramento et pena ■ l. 500 Janue. Tanto risulta anche dal documento in App. 3, nr. 10, c. 127, del 19 novembre 1264, che costituisce certamente l’esecuzione di una sentenza: Jacobus Leonus, castellanus Rochebrune, recepto mandato d. potestatis Janue per litteras suas sigillatas sigillo comunis Janue, immette il procuratore di Lanfranco Bolbonino della Turca in possesso di un terreno. Contiene inserta la lettera: Guillielmus Sca-rampus, Janue civitatis potestas, viro discreto Jacobo Leoni, castellano Rochebrune ... Alia vice meminimus vobis rescripsisse pro nobis viro Lanfranco Bulbo-nino ... et vos aliquid inde facere noluistis pretextu quarumdam lilteraruift, quas vobis et predecessori (!) vestro asseritis esse missas... Vobis denuo... districte pre-cipimus et mandamus sub debito iuramenti et pena, nostro vobis, si contrafeceritis, arbitrio auferenda, quatenus... curetis (predicta) adimplere... alioquin, si mandata nostra posueritis in contemptum, post receptionem presentium usque dies decem per vos (o rappresentante) veniatis Januam coram nobis, quare hec fieri non debeant ostensurus (oppure illustrarne i motivi per iscritto). Prima di stendere questa lettera, fecimus unum ex sapientibus Janue, videlicet nobilem virum Simonem (?) .. . ante nostram convocari presentiam, ut super hoc suum nobis consilium exiberet. . . Datum Janue, die 22 octobris. II testo di questa lettera non dimostra un intervento eccessivamente energico, a differenza degli ordini del Boccanegra che invece venivano formulati ben più imperativamente. Il Podestà, infatti, doveva guardarsi dalla possibilità di violare alcuna delle tante disposizioni statutarie, mentre il Capitano non aveva necessità di tanti riguardi verso se stesso. 26 Belgrano, Docc. ined., p. 213: documento del 1° agosto 1267, con il quale Belmostino Lercari nomina dei rappresentanti per esigere un proprio credito da Luigi IX et ut in presenti instrumento plena fides adhibeatur, d. Guidotus de Rodobio, potestas Janue, sigillum comunis Janue iussit apponi. 27 Annali, 246 [IV, 531; cfr. sopra, p. 140; Annali, 249 [IV, 66]; cfr. sopra, p. 167; per le forestazioni del 1266 cfr. sopra, p. 185. Meglio ancora che per le materie di rilevanza politica, anche qui dai documenti risulta un’attività limitata agli affari ordinari. Così v. App. 3, nr. 12, c. 187: il 31 maggio 1266 Tomasius de Marsilia dichiara che Guillielmus Salvadorius de Marsilia, de quo deposuerat accusationem coram Potestate Janue, non era responsabile della cattura e rapina di esso - 251 - Libro III - Cap. primo Era quindi di massima importanza trovare l’uomo giusto per un posto così difficile e di grande responsabilità2S. Non ci risulta come si procedesse nell’elezione e se fosse stata apportata qualche modifica alle modalità precedentemente usate29; il documento relativo all’accettazione della carica da parte del milanese Guglielmo da Pusterla30 presenta non lievi differenze da altro più antico, dell’anno 1225 31. L’annunzio dell’elezione veniva dato come prima mediante un messo del Comune, accompagnato da un notaio, non direttamente all’eletto, ma bensì al Consiglio generale del suo paese. Questo doveva confermare al governo l’idoneità dell’eletto. Il verbale della seduta del Consiglio di Milano, del 9 agosto 1270, che si riferisce a questa nomina, ci fornisce dettagli su come fu proce- querelante da parte di gente di Marsiglia. In ordine a processi svoltisi ad Albenga v. sopra, libro I, cap. VI, nn. 11 e 12 e cap. Vili, n. 25. A ciò va messo in relazione il documento (App. 6, nr. 2, nr. 175) in cui Jacobus Ventus, procurator dei figli del defunto Anselmus de Linguilia, aveva proposto accusa al Podestà e ai suoi Giudici contro Albenga per occupazione del castello di Lium. Il sindicus del Comune respinse (negavit) l’accusa dopo aver giurato di dire la verità e di essere pronto a rendersi ossequiente alle statuizioni del Podestà e dei suoi Giudici, dopo di che si arrivò ad un compromesso fra il podestà di Albenga e Jacopo Vento. Del procedimento è relazione in un parere legale del 13 dicembre 1263 reso da un giurista bolognese (consilium mei Odofredi doctoris legum de Bononia) al quale erano stati trasmessi gli atti per la decisione. Ad un analogo compromesso tra le parti è da ricollegare il motivo per cui il 6 giugno 1266 (Fol. Not., Ili, 1, c. 68), Jacobinus de Palude, Janue potestas, tamquam privata persona, decide come arbitro una vertenza fra i membri della famiglia Mallone relativa a poderi in Sestri Ponente. 28 La resa di conto alla fine dell’anno di carica (sindicatio) sembra essere stata mantenuta nella stessa forma come fino allora (cfr. Caro, Verf. Gen., p. 37): v. Annali, 246 [IV, 53], e cfr. sopra, p. 140 e sgg. La menzione fatta negli Annali, 254 [IV, 83], prova che l’elezione dei sindicatores meva luogo annualmente, ancorché non fosse resa necessaria da colpe del Podestà. 29 Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 34 e sgg. L’elezione del 1262 - in Annali, 244 [IV, 47-48]; cfr. sopra, p. 119 - è manifestamente fuori dell’ordinario come quella del 1257: Annali, 237 [IV, 27]; cfr. sopra, p. 24. Il non ad brevia - Annali, 244, [IV, 48] - potrebbe significare che nessun cambiamento era intervenuto nel sistema delle elezioni. La spiegazione data dal Davidsohn, Re. a Caro, Verf. Gen., p. 177, per illi qui brevia habent (cfr. Caro, Verf. Gen., 1. c.), è affatto arbitraria e non poteva darsi con tanta infallibile certezza come l’unica giusta. 30 App. 2, nr. 86 a (9 agosto 1272). Il Pusterla del resto non era affatto venuto ad assumere la sua carica. V. oltre. 31 H.P.M., Ch., II, 1333, nr. 1790. Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 35 e sgg. — 252 - L’insediamento dei Capitani duto. Il sindaco genovese presenta32 al Vicario del Podestà, che presiede la seduta, Pistrumento nel quale sono inserte le condizioni alle quali è subordinata l’assunzione della carica33. Dopo la lettura e gli schiarimenti sul contenuto, egli dichiara insieme col suo compagno che Guglielmo è eletto e chiede che venga approvata la sua idoneità. Ciò avvenendo, il Comune di Milano dovrà darne partecipazione per lettera a Genova. Il sindaco annunzia pure al presente Guglielmo che la scelta è caduta sulla sua persona e gli domanda se alle condizioni esposte accetta34. Subito dopo il Consiglio procede alla deliberazione, che riesce all’unanimità, per l’appro- 32 App. 2, nr. 86 a: Jacobus Carlevarius sindicus, actor, procurator et execulor comunis ]anue. 33 In App. 2, nr. 86 b, essi sono purtroppo solo parzialmente leggibili. Il più importante comunque è ciò che viene subito eseguito. L’eletto deve prestare giuramento di assumere il governo della città di Genova nel prossimo anno (iurare debebit dictus d. Guillielmus regimen civitatis Janue pro anno proxime juturo sindico comunis Janue predicto et hoc in generali consilio sui comunis). Egli dev’essere approvato dal Consiglio generale del suo Comune e deve prestare garanzia per l’osservanza del capitulum de non faciendo populo: cfr. sopra, p. 120. Queste tre disposizioni non vigevano ancora nel 1225. L’eletto deve inoltre giurare al sindaco del Comune di osservare gli statuti di Genova (Item iurare debebit sindico comunis predicto attendere et observare capitula civitatis Janue secundum formam sibi datam sigillatam sigillo comunis Janue). Nell’anno successivo egli non dovrà rimanere a Genova quale Podestà; dieci giorni prima del prossimo 2 febbraio, giorno della sua entrata in carica, egli dovrà essere a Genova e avere al seguito 3 giudici e 2 militi. Il resto è illeggibile, solo nella chiusa vi sono alcune parole decifrabili; ma non è chiaro se vi sia detto che nessun vassallo d’un re, o conte etc. può essere Podestà di Genova, il che sarebbe una innovazione; invece le disposizioni che escludono una rielezione erano state, come sembra, poco cambiate. Che non si trattasse di condizioni particolari per quest’anno, ma valide generalmente, è dimostrato, oltre che dalle analogie con quelle del 1225, anche dalle espressioni come sui comunis, monete sue, invece di quelle « Comune di Milano, moneta di Milano », adoperate nell’atto definitivo. 34 Ibid.: il sindicus e Benevenutus de Statario, destinatus una cum ipso sindico et executore ad infrascripta peragenda, exequendo formam dicti sindicatus et mandati comunis Janue, se presentaverunt prò ipso comuni Janue dinanzi al vicario del Podestà di Milano nel Consiglio generale... et dixerunt qualiter electio facta erat de dicto d. Guillielmo in potestatem et rectorem comunis Janue eo modo et jorma ut ipse d. Guillielmus deberet approbari per ipsum generale consilium seu maiorem partem ipsius, si erat sufficiens ad illud regimen peragendum necne, et si fuerit approbatus, quod inde per comune Mediolani deberent mitti littere comuni Janue. Dixerunt similiter... coram predicto d. vicario et in dicto consilio nobili viro predicto d. Guillielmo de Pusterla, civi Mediolanensi,- qui in eodem erat con- - 253 - Libro III - Cap. primo vazione dell’idoneità dell’eletto. Allora il Pusterla dichiara d accettare l’ufficio e giura di reggerlo nella osservanza delle disposizioni comunicategli. Egli presta subito particolare garanzia per l’osservanza dello statuto di Genova che faceva divieto di istituire il Popolo, concedendo pegno su tutti i suoi beni per il pagamento della penalità di lire 10000, nella quale sarebbe caduto contravvenendo a quel particolare impegno assunto. Alcuni dei suoi concittadini, fra cui Francesco della Torre e Accorso Cu-tica35, garantiscono per lui. In passato, quando trattavasi dell’elezione d’un nuovo Podestà, non si procedeva con tante cautele. L’approvazione dell’idoneità dell eletto offriva piena garanzia di non essersi ingannati nella scelta della persona per attendersi dal nuovo Podestà un’amministrazione favorevole alla nobiltà e ai suoi desideri. Il timore giustificato di qualche rivolgimento dello Stato aveva ora reso necessario prendere alcune misure di precauzione alle quali prima non si era pensato. I mezzi ingegnosi, adoperati per mantenere il potere aristocratico, erano stati molto bene calcolati. Il supremo funzionario dello Stato e obbligato a non tollerare alcuna menomazione della sua autorità; otto nobili gli sono messi a lato quali Consiglieri; qualunque decisione su questioni di grande importanza rimane riservata al Consiglio, nel quale i popolari sono appena rappresentati, che esercita un rigoroso controllo sulla esecuzione delle sue deliberazioni. II concetto base che una volta era stato di guida alla istituzione dell’ufficio del Podestà, era alquanto svanito. Il capo del Comune non poteva più agire imparzialmente poiché la nobiltà, della quale egli doveva essere ora il duce, gli impediva di agire secondo il suo criterio nell’interesse della cosa pubblica; forse soltanto qualche volta, nell’esercizio delle sue silio, quod erat et fuit et est electus solemniter in potestatem et rectorem civitatis Janue ad regimen dicte potestatie incipiendum a purificatione b. virginis Marie . . • usque ad annum unum tunc proxime venturum, et ad omnia et singula peragenda et observanda, si dictam electionem acceptabat, que in predicto instrumento sindica-tus.. . continentur, datis intelligere ipsi d. Guillielmo... omnibus hiis, que in dicto instrumento sindicatus continentur. 35 Ibid. Riguardo al Cutica, cfr. sopra, libro I, cap. I, n. 26. Sulla circostanza che Guglielmo Pusterla appartenesse al partito della Chiesa (cfr. sopra, p. 224) il documento non fa parola. In ogni caso gli elettori avevano preso in considerazione fin da principio tale circostanza e ad allontanare eventuali dubbi vale appunto la garanzia dei capi del partito interno guelfo di Milano. - 254 - L’insediamento dei Capitani funzioni giurisdizionali, per cui era vincolato all’osservanza delle norme statutarie, avrebbe potuto ancora agire nell’interesse di tutta la cittadinanza. Del resto era stata l’esperienza, acquistata dai nobili dalle vicende trascorse, che aveva loro insegnato come non convenisse lasciare impuniti eventuali misfatti. Ma poiché tutta l’attività di governo doveva poggiare su basi di stretta legittimità, mentre il supremo funzionario veniva eletto per un solo anno, trascorso il quale doveva rendere conto del suo operato, così la vigente costituzione poteva ancora apparire come veramente liberale, malgrado l’impronta aristocratica che aveva assunto dopo la soppressione della prima organizzazione del Popolo. Tuttavia, ancorché la carica di podestà di per sè stessa non fosse contraria ad esso, lo era il modo col quale veniva esercitata. La superiorità economica in cui si trovava indubbiamente ancora la classe dominante36 le avrebbe offerto il mezzo di resistere ancora per lungo tempo, e con successo, alle aspirazioni d’indipendenza dei popolari, ma le discordie suscitate nel suo seno resero insostenibile l’attuale forma costituzionale. Il Podestà poteva governare soltanto d’accordo coi circoli influenti della borghesia rappresentati nel Consiglio; senza decisione del Consiglio il Podestà era ridotto all’inazione. Il contegno tenuto contro Corradino dimostrò quanto la mancanza di unità fra i partiti avesse con grave danno paralizzato la politica estera del Comune. Ancor meno il governo era in grado di adempiere al suo primo compito. L’ordine pubblico, come ci riferiscono gli Annali37, era fortemente minacciato; soltanto le strade più vicine alla città erano libere da briganti. Lo spirito della discordia si era trapiantato nelle altre località del territorio; il crescente inasprimento fra i partiti conduceva ad omicidi in numero sempre maggiore; ebbero luogo persino formali combattimenti. Le autorità vi 36 Gli armatori che noleggiano navi a Luigi IX (Traités passés, p. 60 e sgg.) sono per la massima parte certamente nobili, i nomi degli altri non ci sono stati tramandati esattamente. Che la casta dei nobili fosse naturalmente considerata come la classe dirigente, è provato nel miglior modo dalla elezione dei preposti genovesi alla crociata: Annali, 267 [IV, 132], Ambedue appartengono alla nobiltà, tuttavia non è chiaro perchè non possa essere stato eletto un popolare; ma la parte che questi rappresentavano era troppo subordinata per pretendere che uno dei loro potesse essere investito d’una rappresentanza. 37 P. 269 [IV, 1381. - 255 - Libro III - Cap. primo avevano posto mano con giusta severità38, i colpevoli erano stati banditi senza distinzione, il che valse soltanto ad accrescere il male. I rimasti senza patria, senza tetto, rendevano malsicure le pubbliche strade, derubando non solo i nemici, ma aggredendo qualunque passante. Non avrebbe dovuto essere cosa difficile porre termine a questi eccessi; quello che più impensieriva era che dietro agli abitanti del territorio stavano i nobili di Genova. Quelli trovavano in questi ultimi un appoggio nelle loro contese e si venne al punto da poter letteralmente asserire che in ogni villaggio tro-vavansi Guelfi e Ghibellini39. Quando i Consoli del Comune non erano stati più in grado di mantenere la pace interna, era stato creato l’ufficio del Podestà. Questi potè allora far tacere le discordie di alcune famiglie40, ma ora che la nobiltà era tutta divisa era ridotto all’impotenza. Le cose stavano andando ora in ben altra maniera. In un’occasione precedente il Consiglio era stato in grado di prendere la saggia deliberazione di eleggere un Podestà in luogo dei Consoli41 ; ora invece le sedute del Consiglio risuonavano soltanto delle dispute dei partiti in lotta, fra i quali solo la spada poteva decidere. Gli Annali42 ci informano, in modo abbastanza completo e particolareggiato, sulla causa più prossima che diede luogo allo scoppio della lotta. Essi spiegano pure chiarissimamente le forme esteriori colle quali fu posto termine alle contese in Genova e nel territorio. Nella città di Ventimiglia esisteva da lungo tempo mortale inimicizia fra i Curio ed i Giudice43. Questi ultimi avevano eletto nel 1270 a pode- 38 Sull’amministrazione del territorio cfr. Caro, Verf. Gen., p. 64 e sgg. Forse le turbolenze fornirono occasione alla elezione del capitaneus prò comuni Janue in riperia constitutus, che appare il 25 giugno 1269: App. 2, nr. 14; v. sopra, libro II, cap. Vili, n. 25. 39 Così devesi intendere la pars Garibaldorum de Lavania da cui nel 1265 Oberto Spinola riceve appoggio: Annali, 251 [IV, 70]; inoltre a questi aderenti del partito della nobiltà cittadina appartengono i 70 convenuti da Chiavari e Rapallo, che con Ughetto Doria andarono contro Ventimiglia: Annali, 269 [IV, 138] (v. sopra); come pure i Brunengi: Annali, 21Ò [IV, 148], 40 Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 34. 41 Annali, 105 [II, 36]. 42 P. 269 e sgg. [IV, 138 e sgg.]. 43 Cfr. Rossi, Storia di Ventimiglia, p. 103 e sgg. Già quando Ventimiglia lottava contro Genova per la sua indipendenza, i Giudici avevano rimesso la vertenza nelle mani della loro madre patria - Annali, 148 [II, 177 en. 1] - per il che erano — 256 - L’insediamento dei Capitani sta Luchetto Grimaldi e suo figlio44, sulla cui elezione i primi non erano d accordo, avendo dato il loro voto a Simone Zaccaria, nei cui partigiani di Genova, contrari ai Grimaldi, trovarono appoggio. Dinanzi al Podestà Rolando Putagio venne quindi iniziata una causa per decidere a chi spettasse la carica di podestà di Ventimiglia. Secondo una prassi allora in uso, le parti si erano accordate per rimettere la decisione ad un giudizio arbitrale. I giureconsulti cremonesi, a cui erano stati rimessi gli atti del processo, espressero il loro consilium nel senso che riconoscevano più fondate le ragioni dei due Grimaldi, e Bonifacio di Negro, a cui era stata rimessa la composizione amichevole della vertenza, pronunziò un lodo conforme a quel parere43. I Curio ritennero ingiusta la decisione46 e rifiutarono obbedienza al Grimaldi; non essendo loro possibile di opporre resistenza, abbandonarono la città. I loro amici di Genova decisero quindi di ricondurveli colla forza e di abbattere Luchetto. Ansaldo Balbi di Castello, Ughetto Doria e Guglielmo della Torre con circa settanta uomini di Chiavari e Rapallo si dirigono a Ventimiglia; il Grimaldi ne ha notizia, i suoi partigiani danno di piglio alle armi e con forze superiori vanno incontro alla schiera che avanza. Questa non può tener testa al numero e messa in stati premiati con un assegno (feudum): L.J., I, 678 (5 aprile 1223). Fra gli ultimi difensori della città stanno in prima linea i Curii: L.]., I, 667; cfr. Annali, 151 [II, 185], Il 5 gennaio 1259 (App. 3, nr. 10, c. 2. v.\ estratto in Fol. Not., II, c. 84 v.), un numero di persone ex parte Curlorum et Bonebellorum nominano un procuratore per concludere un compromesso nelle mani del capitaneus populi di Genova, al fine di mettere pace con quelli de parte Judicum seu Bulferiorum. Secondo Rossi, St. di Ventimiglia, 1. c., questo compromesso venne stipulato. Esso è menzionato (App. 3, nr. 10, c. 8 v.) il 13 maggio 1259 in una lettera del Capitano al podestà di Ventimiglia, dalla quale però risulta che il dissidio non era stato ancora composto. 44 Ventimiglia aveva il diritto di eleggere il suo podestà, solo che questi doveva essere un genovese: L.J., I, 1079; cfr. Caro, Verf. Gen., p. 19. Busson, p. 87, n. 1, ammette erroneamente che le condizioni di sottomissione del 1222 - Annali, 151 [II, 185-186] - sussistessero ancora. Il documento del 12 agosto 1270 (in Doneaud, p. 84) nomina Luchetto e suo figlio Filippino Grimaldi. Si potrebbe forse pensare che quest’ultimo fosse stato eletto podestà, ma il primo è in ogni caso la figura principale in questo affare. Il termine fissato per assumere la carica è il 1° o 2 maggio 1270. 45 Doneaud, p. 84. Il documento concorda pienamente con la relazione degli Annali, 269 [IV, 138], riguardo al tandem. 46 Annali, 1. c.: iuste vel iniuste. - 257 - Libro III - Cap. primo fuga si salva sopra un’altura. Luchetto li insegue, fa accerchiare la collina e li assale. I Ghibellini opposero per due giorni accanita resistenza fino a che si trovarono esausti di forze. Il nemico accorda loro libera ritirata, senza però mantenere la promessa. Quando i Ghibellini lasciarono il posto, vennero presi per ordine di Luchetto e portati a Ventimiglia47, restando liberi i due capi Ansaldo e Ugo, per riguardo verso i loro congiunti di Genova. Gli altri dovettero soffrire in carcere svariati tormenti, intesi ad estorcere loro denaro. I due promotori della mancata impresa diedero notizia ai loro parenti ed amici dell’insuccesso subito48. Tutto il partito montò sulle furie quando seppe che i suoi amici erano stati messi in catene senza riguardo alla fede data. Si tenne consiglio e si decise di rivolgersi, non al podestà, ma al magistrato competente. Si pregarono pure gli amici di Luchetto ed i capi della sua famiglia di mettere in libertà i prigionieri. Questi risposero molto cortesemente di accondiscendere senza però farlo; i carcerati rimasero ove erano. Simile contegno non poteva mettere pace nell’animo dei Ghibellini, ed era chiaro che era loro impossibile un accordo cogli avversari. Dovevano forse attendere d’essere espulsi da Genova, come i Curio da Ventimiglia? I loro padri addietro avevano sperimentato abbastanza quanto fosse penosa la vita dell’esilio. Il momento per una rottura era propizio. Carlo d’Angiò, il protettore dei Guelfi, si trovava in Africa colla crociata, nè si sapeva quando potesse ritornare. I conti di Lavagna avevano testé ricevuto un grave scacco in un combattimento con partigiani della fazione esterna ghibellina di Piacenza49. Gli Annali non fanno menzione di questo fatto e come motivo della sollevazione adducono soltanto la giusta indignazione per la malafede degli avversari. Dal loro testo risulta intanto che i Ghibellini genovesi non si lasciarono trascinare alla cieca dal desiderio di vendetta. Essi ri- 47 Annali, 270 [IV, 138 e sgg.]. Non è chiaro se vi fossero anche i Curii. 48 Annali, 1. c. [IV, 139]. I maiores sono i capi delle famiglie. 49 Ann. Plac., 545. Alberto e Maza Fieschi furono imprigionati il 20 giugno; è sorprendente che Nicola Doria fosse con loro. Dagli Ann. Plac., 547 e sgg., non risalta con sicurezza che nell’ottobre Alberto fosse già stato messo in libertà. Il 31 marzo 1270 Genova aveva concluso un trattato col Comune di Piacenza (App. 2, nr. 16) che però non aveva alcuna rilevanza politica. Le condizioni in esso stipulate si riferiscono soltanto alla protezione del commercio fra le due città. — 258 - L’insediamento dei Capitani fletterono anzitutto molto seriamente sul da farsi ove i Grimaldi fossero rimasti effettivamente vinti, giacché le conseguenze degli avvenimenti del 1265 avevano dimostrato che, durando l’attuale forma di governo, non avrebbero potuto conservare l’ottenuta supremazia. La breve duplice podesteria ghibellina non era valsa a sopprimere durevolmente l’influenza dei Guelfi. Oberto Spinola prese allora un indirizzo popolare, mirando a farsi proclamare Capitano e a ripristinare il Popolo. I Doria però non erano mai stati d accordo sulla signoria d’uno solo50. Ad essi era sempre sembrato più opportuno che la nobiltà mantenesse intatta la posizione fino ad ora occupata. Ora, però, essi anteponevano ad ogni altra considerazione 1 offesa subita da parte dei Guelfi. L’appoggio della grande massa dei popolari avrebbe assicurato una durevole supremazia a quel partito che avesse saputo guadagnarselo. Tanto si era verificato quando era riuscito ai partigiani del papa di trarre il popolo dalla loro parte; allora Genova aveva potuto osare di sfidare la smisurata potenza di Federico II. Era però prevedibile che le masse non si sarebbero ora adattate tanto facilmente ad essere dirette da una fazione nobile, ed era quindi necessario far loro delle concessioni. Gli Spinola lo avevano già riconosciuto nel 1265; anche i Doria entravano ora nello stesso ordine di vedute. La nuova costituzione, che si intendeva introdurre, era modellata quasi sul piano d allora. Il Popolo doveva avere una sua organizzazione autonoma, però con alla testa non uno, ma due Capitani, che dovevano reggere pure il Comune; perchè erano ora due le famiglie collegatesi per eseguire ciò che non era stato possibile effettuare da una sola. Tutto vien preparato con la massima cura, si trama una formale congiura a cui partecipano nobili e popolari. La bandiera, sotto la quale si arruolano gli aderenti, è l’istituzione del Popolo51; tutti vi prestano giuramento. Nel giorno degli apostoli Simone e Giuda, martedì 28 ottobre 1270, verso le nove del mattino, i Ghibellini prendono le armi52. Gli avversari sono colti alla sprovvista ed i Grimaldi rimangono battuti. Il Podestà abbandona il palazzo, che viene occupato dai Doria e dagli Spinola; tuttavia Rolando Putagio non rinunzia alla resistenza. Nelle case 50 Cfr. sopra, p. 174. 51 Annali, 270 [IV, 140]: creare in civitate ]anue populum ordinarunt. 52 Annali, 1. c.; Ann. Plac., 549. - 259 - Libro III - Cap. primo dei Fieschi in piazza S. Lorenzo, ove erasi ritirato 53, si trovava intorno a lui, pronta al combattimento, non poca gente fra nobili e popolari. Alla fine gli assalitori riportano vittoria ed il Podestà viene fatto prigioniero . Con ciò il regime fino allora esistente viene rovesciato e si procede subito ad istituirne uno nuovo. Qui si ripetè la circostanza nella quale nel 1265 Oberto Spinola era fallito nel suo intento; questa volta però nessuno intervenne per mantenere la precedente forma di governo. Il partito avversario è decisamente battuto e nulla gli impedisce di realizzare pienamente il suo piano bene studiato. Nel medesimo giorno Oberto Spinola e Oberto Doria vengono proclamati Capitani55. Il Popolo conferisce loro illimitata signoria sulla città e sul territorio. Questo è l’atto fondamentale su cui poggia l’autorità dei nuovi dominatori. Esso presentava indubbiamente un’impronta rivoluzionaria, ma ciò stava più nelle circostanze accessorie che lo avevano accompagnato, cioè nel modo violento con cui era stato abbattuto il preesistente regime e nella repressione dei suoi difensori, piuttosto che nella sua essenza stessa. L’elezione dei primi Consoli era avvenuta ben più pacificamente, an-ch’essa, sul piano di fatto si era fondata sulla circostanza che la cittadinanza si era stretta in lega, nominandosi un direttivo per la conduzione degli affari comuni. Sul piano del diritto quel regime ebbe di poi ricono scimento mediante privilegi imperiali, nei quali erano prescritte determinate e non incondizionate forme56. Se ora il Popolo aveva deciso di con- 53 Secondo gli Ann. Plac., 549, risulta che il Podestà sia stato arrestato nel suo palazzo, il che però è in contraddizione con le esplicite notizie degli Annali, 270 [IV, 140], Rolando Putagio di Parma, del resto, era un Guelfo: vedi Minieri Riccio,’ Il Regno, 1271-1272, p. 88, doc. del 23 settembre 1272, dove Carlo lo mette in terza linea d’idoneità per la carica di Podestà a Siena, che poi assunse nel 1275: Dei, Cronica Sanese, 37. 54 Ann. Plac., 549. Qui si parla soltanto della casa di Jacopo Fieschi; è però probabile che, come si può desumere dall’espressione ad domos illorum de Flisco, -Annali, 270 [IV, 140] - si tratti d’un intero complesso immobiliare di famiglia. Il palazzo di Opizo, ove fu tratto il Boccanegra - Annali, 241 [IV, 38] - trovavasi sulla piazza S. Lorenzo. 55 Annali, 270 [IV, 140]: creati sunt; Guill. Ventura, 724: facti sunt; non possiamo naturalmente pensare ad una elezione formale. I partigiani dei Doria e degli Spinola agiscono in nome dell’intera cittadinanza. 56 Nel privilegio di Federico I del 1162 (L.J., I, 208) è detto: donamus et concedimus in feudum consulibus et comuni Janue liberam potestatem eligendi ex se — 260 - L’insediamento dei Capitani ferire ai Capitani la direzione dei suoi affari, esso non aveva fatto altro che esercitare un suo antico diritto, che era rimasto eclissato dagli sviluppi della costituzione fino allora vigente. Vi erano, è vero, forme determinate per introdurre le innovazioni che fossero sembrate necessarie; ma chi poteva impedire alla cittadinanza di scavalcarle se non si erano dimostrate idonee ad assicurare il raggiungimento dello scopo principale pel quale era stato a suo tempo istituita la Compagna? Di fatto gli eventi vennero decisi dalla circostanza che i paladini dello status quo erano rimasti soccombenti. Con ciò le nuove istituzioni non erano meno legittime delle antiche57. Mai i nobili Guelfi del resto pensarono di creare un legittimo controgoverno; tentarono bensì di abbattere i Capitani colla forza, ma la loro posizione, incontestabile in via di principio, rimase salda. Il secondo atto giuridico che legittima il capitanato segue immediatamente il primo. Gli eletti al potere giurano di soprintendere all’amministrazione della città e territorio, illimitatamente, senza essere in alcun ipsis, firmandi et habendi consules et eis utendi, qui habeant ius et facultatem liberam faciendi iustitiam et puniendi maleficia in civitate et districtu suo bona fide legitime et secundum bonos mores ipsius civitatis, et eis aliam potestatem non imponemus. Ciò fu semplicemente confermato da Enrico VI nel 1191 (L.J., I, 370), quantunque in quel medesimo anno il Comune fosse retto da un Podestà e difficilmente si possa ascrivere la circostanza a mera negligenza della cancelleria. A Genova si considerò allora come irrilevante il cambiamento, che troviamo invece nelle conferme di Federico II: L.J., I, 654. In queste, a consules fu aggiunto et potestatem undecumque velint; nel L.]., I, 774, è detto potestates. Come erano stati eletti dei Podestà, prima che l'imperatore lo avesse espressamente autorizzato, così la cittadinanza poteva ora eleggere dei Capitani. L’elezione dei primi Consoli aveva intaccato molto più gravemente i diritti regi, mentre i fatti del 1270 appena li sfioravano. Genova è soggetta all’impero solo parzialmente: Jac. de Var., 22. 57 Non ci è dato verificare direttamente se tali considerazioni fossero state allora fatte. Esse spiegano però il perchè della terminologia delle fonti: non troviamo in questi casi espressioni come « legittimo » e « rivoluzionario ». Jac. de Var., il pio arcivescovo di Genova, non sa se l’autorità dei Capitani fosse minore di quella dei Podestà. Egli si limita a desiderare che la nobiltà possa riprendere il posto che le spetta. L’unico termine di confronto per le diverse forme di governo è per lui l’abilità a bene amministrare la repubblica: ibid., 19. Su questo punto egli è conscio della differenza fra le varie classi, che distingue in potenti, ricchi e inferiori. Quantunque la Cronaca, nella quale esprime queste idee, sia stata scritta soltanto nel 1293 (cfr. Caro, Verf. Gen., p. 128), esse possono valere anche per il tempo precedente. - 261 - 18 Libro III - Cap. primo modo vincolati nè dal diritto comune nè dagli statuti5S. Ciò va ben oltre i poteri che la cittadinanza aveva fino allora conferito ai suoi preposti. Tanta estensione di essi era, al momento, del resto necessaria, affinchè, dovendosi ristabilire la pace all’interno, potesse venire tolto di mezzo qualunque pretesto di opposizione. Appunto perchè obbligato a tener conto di qualunque obiezione ammessa dal diritto vigente, il Podestà non poteva decidere colla necessaria risolutezza59; i Capitani acquistano invece ben altra autorità, della quale fanno subito uso nell’esercizio delle loro funzioni. Mediante un araldo fanno annunziare a Genova e sobborghi che ciascuno deve deporre le armi e guardarsi dal recar danno od offesa ad altri, minacciando gravi castighi ai disobbedienti. Quest’ordine, insieme colla relazione dell’accaduto, viene poi comunicato ai territori soggetti, mediante lettere e messaggi60. Già in precedenza, il 28 ottobre, aveva avuto luogo il solenne giuramento ai Capitani. Tutti i cittadini, popolari e nobili, amici e avversari, avevano giurato di prestar loro obbedienza e di eseguirne gli ordini6'; con ciò i Capitani erano stati riconosciuti da tutti. Se pertanto in prece- 58 Annali, 270 [IV, 140]: Qui capitanei dominandi recepto imperio, capitaniam ac regimen civitatis et districtus tocius absolute et libere iuraverunt. Non enim lege aliqua vel statuto astricti fuere. Secondo questo passo, la durata della carica è illimitata. Secondo Ann. Plac., 549, essa dura soltanto 5 anni. Nel 1285 gli Annali, 315 [V, 70], danno come termine finale il 1288; però intanto poteva essere intervenuta una proroga come avvenne nel 1288: Annali, 319 [V, 82], Da Jac. de Var., 51, nulla risulta a questo proposito. Circa gli eventuali successori dei Capitani, se ne tenne già conto nel 1273: L.J., I, 1420; v. anche ibid., I, 1425 e 1434: potestates et capitanei civitatis Janue, qui prò tempore fuerint, ... in novo ingressu sui regiminis. Potrebbe dunque darsi che in seguito fossero state prese disposizioni per determinare quanto tempo doveva durare la carica dei Capitani, come avvenne nel 1257; cfr. sopra, p. 22 e sgg. 59 Cfr. sopra, libro III, cap. I, n. 25. » Annali, 270 [IV, 140], 61 Annali, 1. c. In Ann. Plac., 549, è aggiunto ad honorem imperii. Conformemente, prestarono giuramento anche gli abitanti del territorio, I rappresentanti dei cittadini di Serra maior e Signaculum, all’atto della loro sottomissione, promettono (L.J., I, 1419) di osservare mandata capitaneorum, qui sunt et prò tempore fuerint, et cuiuslibet rectoris comunis Janue; inoltre giurano (ibid., I, 1420) sequelam capitaneorum prò comuni Janue et successorum ipsorum et rectorum comunis Janue, qui prò tempore fuerint. L.J., I, 1427, contiene l’espressione diversa: homines de Bramato... erunt de cetero fideles et obedientes mandatis omnibus comunis et populi Janue, et iurabunt sequelam comunis et populi Janue. - Ibi - L’insediamento dei Capitani denza si sarebbe potuto sollevare l’obiezione che la loro elezione era avvenuta per opera d’un solo partito, ora anche gli oppositori erano impegnati col giuramento a sottomettersi alla nuova autorità. L’antico Podestà è conseguentemente messo da parte; gli viene pagato il suo emolumento senza deduzione alcuna, nè ostacolo di sorta viene frapposto al suo allontanamento Per quanto la relazione degli Annali sopra tutti questi avvenimenti sia particolareggiata, non possiamo tuttavia ritenerla completa. Essa non fornisce alcun chiarimento sopra uno dei punti più importanti, mancanza tanto più deplorevole, attesoché le altre notizie sulla organizzazione del nuovo Popolo sono molto scarse. Il titolo portato da ciascheduno dei due Capitani è sempre Capitaneus Comunis et PopuliEssi sono quindi i capi e del Comune e del Popolo, che ha perciò una sua propria esistenza come tale. Il Boccanegra era stato in origine soltanto Capitano del Popolo ed a lui, come sembra, si erano vincolati con giuramento soltanto i popolari64. Se ora non solo questi, ma anche i nobili prestano giuramento ai Capitani, se Popolo e Comune sono retti dalla medesima mano, l’autonomia del primo doveva essere, di fatto, appena meglio determinata di una volta, poco valendo il solo nome. Certo è anche che le esperienze fatte dovevano aver fornito utili ammaestramenti. La prima organizzazione del Popolo non era stata eccessivamente radicata; il Capitano di allora si era impossessato del governo del Comune, pel quale gli era indispensabile l’appoggio della nobiltà, che gli stava più a cuore del particolare interesse delle classi inferiori. Queste avevano bisogno di protezione contro i ricchi ed i potenti e quindi di un loro particolare rappresentante. L’entrata di alcuni popolari nel Consiglio a poco poteva giovare, essendo i nobili di molto a Annali, 270 [IV, 140-1411. Quanto è detto negli Ann. Plac., 549, e cioè che tutti i detenuti nelle carceri del Comune furono messi in libertà, è una pura confusione con quello che era avvenuto a Ventimiglia: Annali, 270 [IV, 139]. Non è chiaro quali fossero gli Statuti contrari alla pars imperii che vennero bruciati dai Capitani. ° L.J., I, 1349 (12 dicembre 1271); 1419 (10 maggio 1273), etc. In ogni caso, fin dall’inizio fu in uso il titolo pieno di capitanei comunis et populi (v. Ann. Plac., 549) e così vengono pure nominati già 1*8 aprile 1271, secondo il documento citato in App. 2, nr. 17. Negli Annali e nei documenti troviamo anche naturalmente il titolo di capitanei senz'altra aggiunta. 64 Cfr. sopra, p. 22. Che più tardi il Boccanegra assumesse il titolo di Capitaneus comunis et populi, v. sopra, libro I, cap. VI, n. 53. - 263 - Libro III - Cap. primo superiori ad essi nella cognizione degli affari. Se le grandi masse avessero potuto organizzarsi in modo da poter avvalorare attraverso forme legalitarie le loro aspirazioni, allora soltanto avrebbero potuto attendersi che il governo del Comune venisse a trovarsi nella necessità di avere ad esse riguardo. E’ dubbio se i Capitani, che appartenevano alla nobiltà, condividessero questi disegni, quantunque dovessero alla cooperazione del Popolo la loro elezione al potere. Si poteva supporre inoltre che i Guelfi non avrebbero trascurato alcuna occasione per abbattere gli odiati avversari. Il carattere militare, che aveva allora in sè ogni organizzazione rivolta a scopi politici, offriva il miglior mezzo per rimanere superiori agli avversari. Come capi supremi del Popolo, i Capitani potevano dunque sempre contare sulla sua forza. Con organi del Popolo ben regolati non sarebbe stato tra l’altro difficile, in caso di discrepanze di opinioni, venire ad un accordo. Partendo da questi punti di vista, è facilmente comprensibile la peculiare forma organizzativa che ora aveva assunto il Popolo in Genova; poiché il nome stesso di felix societas beatorum apostolorum Simonis et Jude65 prova che la sua istituzione era avvenuta il 28 ottobre 1270, la identità di essa col Popolo stesso è fuori questione66. Anche in tempi più tardi, festività che si ripetevano annualmente ricordavano il giorno in cui il Popolo aveva ottenuto la sua condizione di giuridica autonomia67. Contemporaneamente ebbe pure luogo senza dubbio l’insediamento del-V Abbas populi6S. E’ difficile accertare in che cosa consistessero le speciali funzioni di quest’ultimo; in ogni caso però egli non ebbe in origine una 65 App. 3, nr. 27, c. 49 v. (12 gennaio 1276). Cfr. oltre. 66 Ciò si vede dalle diverse denominazioni del suo preposto, 1 'abbas. App. 3, nr. 15, c. 135 v. (14 maggio 1279): abbas conestabulorum fellicis populi Janue, L.J., II, 305 (2 febbraio 1294): abbas conestabulorum felicis societatis populi Janue, etc. Gli apostoli Simone e Giuda appaiono come i santi protettori del Popolo di Genova: L.J., II, 60 (13 ottobre 1284); ibid., 294 (16 settembre 1292). 67 Sulla festività informa lo Stella, 1001; soltanto che essa non veniva celebrata per l’instaurazione dei Capitani, come egli opina, ma bensì per la fondazione del Popolo che ad essa si riconnetteva. 68 Jac. de Var., 19: Electi sunt capitanei vid. nobiles viri d. Obertus Spinula et d. Obertus Aurie. Electus est quoque abbas populi et antiani. Siccome i Capitani erano stati eletti nel 1270, anche Vabbas avrebbe dovuto essere stato instaurato allora. Lo troviamo per la prima volta nel 1276 nel documento citato a nota 65' ma — 264 - L’insediamento dei Capitani parte di rilievo nell’amministrazione del Comune69. Consta invece ch’egli avesse ingerenza negl’interessi di singoli soggetti del Popolo; in un caso, per mitigare il rigore dell’ordinaria procedura giudiziaria, in un altro, per prevenire una sentenza mediante amichevole componimento della lite70. prima del mutamento della sua posizione avvenuto nel 1291, egli in genere figura raramente. Non è chiaro quando, fra il 1270 ed il 1276, possa esserne avvenuta la eventuale instaurazione; Yabbas apparteneva al Popolo conformemente alle forme con le quali questo venne istituito nel 1270. 69 App. 1, nr. 2, c. 48 (7 febbraio 1281): Johannes de Cisterna, ancianus et abbas conestabullorum populi Janue, figura come primo nella lista degli Anziani. Non ci è dato di verificare se si tratti di un puro caso, poiché per quest’epoca non esistono altre liste degli Anziani, nè del Consiglio. Più tardi però l’Abate sta accanto al Podestà ed ai Capitani: v. l’indirizzo della lettera del 3 aprile 1292 in Capmany, Mem. de Barcelona, IV, p. 14, etc.; espressa menzione della sua presenza in Consiglio: L.J., II, 289, etc. 70 App. 3, nr. 15, c. 135 v. (14 maggio 1279): i creditori di Simone Rosso de Fontanella hanno concluso un compromesso in Nicola Doria, figlio di Babilano, per stabilire quanto spettasse ad ognuno. Questi e Nicola de Petracio, abbas co-nestabulorum fellicis populi Janue, constitutus de mandato d. capitanei Aurie ad examinandum una cum dicto Nicolao Aurie debita et rationes, que et quas recipere debent predicti creditores a dicto Simone quacumque occasione et causa, stabiliscono, considerantes condicioni occurenti dicto Simoni populari ac fideli... capitaneis et populo Jaituensi, che Simone debba pagare ai creditori il terzo dei debiti e ciò nel corso dei tre anni successivi, rimanendo così libero da qualsiasi obbligo. Simone è presente a questa decisione, i creditori no. Che l'Abate tentasse di salvare dalla prigione per debiti i suoi compagni di condizione, falliti sì, ma in buona fede, non costituisce la sola giustificazione dell'incarico conferitogli dal Capitano. In un documento successivo la sua competenza si presenta più chiara e netta: App. 3, nr. 26, c. 52 (23 giugno 1296): Pietro de Varexio era fuggito per causa di debiti. I suoi creditori furono spesso convocati per accordarsi con lui. Finalmente dichiararono, ad eccezione di due, d’esservi pronti, ed il 6 giugno nominarono due arbitri. Questi sentenziarono (19 giugno) che Pietro potesse ritornare, obbligandosi a soddisfare i suoi impegni nel corso di sei anni. Due dei creditori avevano negato il loro assenso a tale concordato. Idcirco d. Fulcho Axinarius, potestas Janue, ad instantiam et requisitionem d. abbatis populi, et quìa edam hoc fieri debet de iure, et quia est utilitas (se. creditorum et Petri) laudavit che i due creditori venissero multati di 50 lire. Qualcosa di diverso e ancora contenuto nel documento (App. 3, nr. 15, c. 157) del 20 agosto 1280, ove Oberto de Levi scutarius, da una parte, uno scutarius e un pinctor, dall'altra parte, concludono un compromesso in Lanfrancum de Clavaro, abba- Libro III - Cap. primo Come proveniente dalla classe popolare71, Vabbas populi era particolarmente adatto a simili funzioni; non risulta però chiaramente se egli avesse una giurisdizione propria72. Però la funzione dei Conestabuli, dei quali figura il capo 73, dimostra che il suo ufficio aveva pure un’importanza militare di primo piano. Il Popolo è ora un’organizzazione a sè stante, nell’ambito della Compagna, che continua a sussistere in sè e per sè, e sulla quale è ancora basata la vera costituzione dello Stato74. Esso ha il suo proprio capo nel- tem conestabulorum fellicis populi Janue, ed in uno scutarius, riguardo a tutte le ingiurie che si sono fatte e dette, occasione quarum deposuimus accusationem sive denunciationem hinc retro coram iudice maleficiorum potestatis Janue. 71 Ciò è provato dai nomi: v. le note precedenti. 72 Dice lo Stella, 1002: (cum) populus unum haberet rectorem, qui super quibusdam sibi ministrans iusticiam abbas populi dicebatur. Egli si vale del passo di Annali, 323 [V, 91-93], che però non dice questo. Lo Stella può anche aver tratto erronee conclusioni da fatti posteriori riferendole a situazioni antecedenti. 73 V. sopra, libro III, cap. I, nn. 66 e 69. Nella pace con Pisa dell anno 1288 devono giurare anche i conestabuli: L.J., II, 175. La posizione dell’abate, quale capo del popolo armato a difesa dei Capitani, risulta in special modo dagli statuti dei draperii (App. 3, nr. 15, c. 159); la chiusa del documento non è conservata, ma la sua collocazione fra quelli del 1280 dimostra che appartiene a tale anno: Infrascripti draperii de ripa Janue coadhunati insimul in apotheca quam tenet Gandulfus Capharinus, ad requisitionem consulum ipsorum draperiorum et eorum propriis voluntatibus, unanimiter fecerunt inter se et ordinaverunt infrascripta statuta et ordinamento. Essi promettono consulibus ipsorum draperiorum... pro comunitate draperiorum ripe, di osservarli per un anno. Que quidem statuta et ordinamento fecerunt ipsi draperii semper ad honorem Dei et b. virginis Marie et beatorum apostolorum Simonis et Jude, ad honorem et excellendam d. potestatis Janue, dd. capi-taneorum comunis et populi Janue, d. abbatis conestabulorum fellicis societatis et to tius populi Janue, et salvis semper mandatis ipsorum dd. potestatis et capitaneorum. La prima disposizione è: Ipsi (sc. draperii) et quilibet ipsorum teneantur habere arma eis ordinata et que ordinabuntur, et cum ipsis armis semper ire et reddire ad mandatum dominorum capitaneorum et abbatis conestabulorum fellicis societatis populi Janue ad servicium et defensionem et manutenimentum ipsorum, et se opponere toto posse contra quamcumque personam volentem ipsos vel aliquem ipsorum offendere vel minuere de statu et honore ipsorum vel alicuius eorum. 74 Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 20. I documenti di L.J., II, 274 e 308, provano che la Compagna continuava ad esistere. I documenti di App. 3, nr. 11, c. 93, del 29 marzo 1289, dimostrano che da essa derivavano anche gli obblighi degli abitanti del territorio: D. Guillielmus Barlaria, potestas Rechi, Auguxii et Camulii absolvit. ■ ■ Martinum Nasonum de Recho a sacramento compagne, ostibus, cavalcatis, avariis et — 266 - L’insediamento dei Capitani l'Abbas, a cui stanno a lato i Conestabuli; non è invece chiaro fino a qual punto i consoli delle Arti avessero parte in questa organizzazione 73. L’istituzione del Popolo è strettamente connessa con l’elezione dei Capitani. Questi sono anzitutto obbligati a proteggere le masse popolari7é. In essi, Comune e Popolo trovano i loro capi comuni; ma pochi altri punti di contatto esistono fra l’antica associazione che tutti comprendeva e la nuova parziaria. Nella direzione di quella che aveva ad un tempo in mano tutta l’attività dello Stato, la società dei popolari, come tale, non aveva ingerenza essenziale quanto all’ordinario corso degli affari. Nulladimeno il Popolo, come era naturale, non trascurava di far conoscere al governo le sue aspirazioni77, poiché era compito principale dei suoi organi parti- perangariis de cetero pro comuni Janue faciendis, quod ideo fecit dictus potestas, quoniam cognovit per sacramentum dicti Martini,.. ipsum Martinum septuagerium esse. Parimenti il Podestà scioglie un altro dal giuramento e dagli obblighi {ibid., c. 88 v.: 5 marzo), perchè da deposizioni di testimoni rimane assodato ch’egli soffre di mal caduco {cadere morbo caduco graviter... ita quod avarias personales subire non potest). Anche in statuti di molto posteriori, del 1403 (estratto in App. 5, nr. 23, IV, 6, p. 18), trovasi la forma iuramenti compagne. 75 E’ molto probabile che fra il 1262 e il 1270 vi fossero consules artium, perchè li troviamo già ancor prima del 1257; v. sopra, p. 85. Dopo il 1270 essi non intervennero più come aggiunti al Consiglio. 76 Ciò avviene in particolare nel 1289, quando i progetti dei nobili congiurati vengono sventati principalmente dalla resistenza loro opposta dall’iìbbas populi cum paucis de populo: Annali, 323 [V, 92]. Lo Stella, 1002, si vale di questo passo; però egli dice qui abbas cum paucis ex vocatis de populo. Forse non è da escludere ch’egli abbia riferito la migliore lezione, poiché nel codice originale degli Annali l'ultima parte è perduta: Annali, 1 e sgg. [I, XXIV]. Negli Annali, 270 [IV, 141], si parla dell’istituzione nel 1270 d’una specie di guardia in appoggio dei Capitani (tam popularium quam nobilium amicorum collecto presidio); ad ogni modo trattasi d’una istituzione simile a quella creata nel 1264 a protezione del Podestà: Annali, 249 [IV, 63]. Si potrebbe quindi ammettere che un certo numero di persone scelte dal popolo fosse specificamente obbligato a trovarsi pronto in armi ad ogni comando dell'abate, per difendere la costituzione in vigore. 77 App. 3, nr. 27, c. 49 v. (12 gennaio 1276): Domini Simon Bonoaldi potestas Janue, Obertus Spinula et Obertus Aurie, capitanei comunis et populi, in presentia d. Guilionis de (?)... abbatis felicis societatis beatorum apostolorum Simonis et Jude, de voluntate, beneplacito et consensu conestabulorum ipsius felicis societatis beatorum apostolorum Simonis et Jude novorum et veterum et consulum artium novorum et veterum statuerunt che l’imposta {tolta) di 12 denari per ogni metreta di vino, dal prossimo 2 febbraio in avanti, non potesse essere più aumentata; però l’antica - 267 - Libro III - Cap. primo colari di esercitare il controllo sugli atti dell’amministrazione dello Stato nell’interesse delle classi inferiori. Gli Annali parlano sovente di un’attività del Popolo svolta insieme coi Capitani e col Comune78. A questo proposito vengono adoperate espressioni di forma diversa; ma i documenti dimostrano come non ipotizzabile una partecipazione ad essi àdY Abbas e dei Conestabuli e nemmeno dei Consules artium, dal momento che non ne fanno alcuna menzione79. Anzi la conclusione di trattati e simili avviene sempre tramite i Capitani in nome del Comune e del Popolo80. Questo vi prende parte effettiva, tut- imposta del vino doveva rimanere come era prima dell’introduzione della nuova (remanente tolta vetere vini in eo statu quo erat ante ipsam impositionem factam 1275). Anziani e Consiglio non vi prendono parte, in loro vece figurano qui i conestabuli ed i consules artium ; i novi e veteres devono significare i nuovi eletti e quelli la cui carica fra poco sarà o è già al suo termine. Questo è l’unico documento di quel tempo, fino all’anno 1291, che mi venne fatto di trovare in questa forma, mentre quelli nei quali i Capitani agiscono con l’approvazione degli Anziani e del Consiglio sono molto più frequenti. Certamente il fatto non è casuale. I Capitani hanno i poteri di agire, come si vede in questo caso, non essendo essi vincolati dagli statuti; però non lo fecero spesso. La ragione di ciò sta certamente nel fatto che l’Abate si doveva essere adoperato in nome del Popolo per l’abolizione dell’ingrata tassa e che i Capitani vi avevano assentito. 78 Annali, 275 [IV, 1531: 1273, placuit ]anuensi populo et comuni; 286 [IV, 168]: 1278, deliberato consilio et populi voluntate-, 281 [IV, 183]: 1274, capitaneorum mandato ac voluntate comunis ]anue et populi, etc. 79 Ciò è provato in particolare dal documento in L.J., I, 1466, a cui si riferisce il passo degli Annali, 286 [IV, 168], Ancor meno si può pensare ad una partecipazione del parlamento, come sembra ammettere Heyck, Genua und seine Marine, p. 48. Serba, II, p. 171, il quale qui come altrove suole dare le sue supposizioni per fatti certi, dice che ogni mese dovevasi tenere un parlamento. Nelle fonti non ne troviamo alcun cenno. 80 L.J., I, 1421, 1423, etc.; quando vi fu di nuovo un Podestà, questi partecipa molto spesso agli atti governativi; cfr. oltre. La formula nomine et vice comunis et populi ]anue etc. qualche volta manca: così nell’istrumento di nomina di sindaci (App. 2, nr. 23) del 13 ottobre 1272; analogo è un documento del 13 gennaio 1273 contenuto in App. 2, nr. 26. I notari roganti sono diversi, come in generale lo è il complesso dello stile dei due documenti; da ciò non possiamo dedurre una diversità del genere di affari circa i quali veniva mandato loro di rogare gli atti. In entrambi i casi i Capitani nominano i sindaci col consenso degli Anziani e del Consiglio generale. Fra il 1262 ed il 1270 ogni attività venne naturalmente svolta in nome del Comune; cfr. l’istrumento di nomina di sindaci in L.J., I, 1403, etc.; ma anche al tempo del Boccanegra era usata soltanto la formula nomine et vice comunis janue-. - 268 - L’insediamento dei Capitani tavia non come ente, ma per mezzo di singoli cittadini, facenti parte degli Anziani e del Consiglio generale i quali, in quanto membri di questi consessi, danno la loro approvazione agli atti dei Capitani. Anche al Boccanegra stavano a lato gli Anziani, istituzione che fu nuovamente creata nel 127081. Ora il loro titolo è propriamente Anciani Comunis et Populi92. Essi però non costituiscono un collegio di governo, come forse erano i Priori a Firenze c, poiché il loro numero sarebbe stato L.J., I, 1279, etc. Solo per un atto così importante, quale la pace con Pisa del 1288, devono giurare anche d. abbas populi ]anue prò se et super animam suam et abbatatus nomine pro universitate et populo Janue; per il Comune e il Popolo giureranno anche il Podestà, i Capitani, gli Anziani, i Conestabili ed i Consiglieri: L.J., II, 175. Per il perfezionamento d’una pace quale essa era furono messi di mezzo quanti più cittadini si potevano, ed è notevole come anche in questo caso i consules artium non risultino nominati; quanto ad importanza politica, rispetto ai loro colleghi delle città toscane, a nulla pervennero, salvo un debole slancio sotto il Boccanegra. Se il Popolo ha una sua rappresentanza particolare, ciò avviene per mezzo deirAbate e dei Conestabili. 81 Gli Annali non ne fanno cenno, ma nei documenti gli Anziani figurano molto spesso dopo il 1270; la prima volta l’8 aprile 1271. In quel giorno [App. 2, nr. 17), essi diedero il loro assenso per la nomina d’un sindicus. Dal passo in Jac. de Var., 19 (cfr. sopra, n. 68), si può concludere che l’istituzione degli Anziani aveva seguito immediatamente quella dei Capitani. Può darsi che, come nel 1257, le dispozioni particolareggiate sui Consiglieri dei Capitani facessero parte di delibere prese successivamente. Cfr. sopra, n. 58. 82 L.J., I, 1421, etc., naturalmente ancorché venga adoperata la semplice espressione anciani-, L.J., I, 1436, 1419; il significato è capitaneus de voluntate et consilio ancianorum suorum. In App. 2, nr. 39 b, si trova solamente anciani, ma troviamo pure solo anciani comunis, sempre per intendere il medesimo Consiglio degli Anziani, il cui titolo pieno corrisponde a quello dei Capitani. Possiamo dunque arguirne che fra gli Anziani vi fossero dei popolari. Nell’unica lista conservata del 7 febbraio 1281 (App. 1, nr. 2, c. 48), il loro numero, per quanto possiamo giudicare dai nomi, supera considerevolmente quello dei nobili. 83 Nei documenti non si trova mai un singolo Anziano come testimonio, etc. Il Boccanegra aveva affidato a singoli Anziani specifici incarichi: Canale, II, p. 136; Doneaud, p. 83. Dopo il 1270, per quanto possiamo vedere, ciò non accade più, perciò non possiamo seriamente affermare che gli Anziani fossero venuti a sostituire gli Otto Nobili. Questi scompaiono del tutto col 28 ottobre 1270. Il loro posto a lato del Podestà, che da ultimo occupavano (v. sopra), non venne rimpiazzato. NeH’amministrazione delle finanze appaiono di nuovo ora in loro vece i Clavigeri: v. L.J., I, 1462. App. 3, nr. 5 b, c. 228 (27 settembre 1286), estratto in Fol. Not., I, c. 297 v.: Thobia f. qu. Alberti ex dominis Albixole (constituit procuratorem) - 269 - Libro III - Cap. primo troppo grande all’uopo M; formano piuttosto un Consiglio a lato dei Capitani, simile ai primi Anziani rispetto al precedente Capitano. Le loro discussioni procedono alla stessa maniera di quelle del Consiglio, col rinforzo talvolta di membri aggiunti85. Sembra che i Capitani ritenessero per definitivamente esauriti certi argomenti solo quando avessero sentito gli Anziani e ottenuto la loro approvazione86; per altri si convocava anche i! Consiglio generale 87. In sostanza, possiamo ammettere che per delibera- ad petendum a comuni Janue sive a clavigeris comunis Janue l. 30, s. 8, qrns ei dare debet comune predictum clavigeri, eo quod ipse cum 4 meis servitoribus servio in castro Bonifacii. 84 1281: v. sopra, n. 82; nella lista conservataci ammontano a 26. Quanto ai nomi degli Anziani, si rimanda al Liber Consilii Comunis Janue, etc.. L.J., I, 1430, etc. 85 Si rileva dal verbale d’una seduta del Consiglio degli Anziani del 26 luglio 1273 (App. 6, nr. 4, c. 138): (extrada se. summa consilii) de libro consiliorum comunis Janue. Esso comincia: D.d. Obertus Spinula et Obertus Aurie, capitanei comunis et populi Januensis, rexerunt consilium inter ancianos et sapientes présentes ipsi consilio ut infra. Quid placet fieri super tractatu... Fuit summa dicti consilii et placuit ancianis et sapientibus presentibus ad ipsum concilium quod tractatus predictus (observetur). II tractatus contiene disposizioni dei Capitani riguardanti 1 imposizione d’una gabella a Savona (super facto cabeUe carnis, casei et axoncie). Il trattato con Firenze del 7 febbraio 1281 (App. 1, nr. 2, c. 45), viene concluso soltanto dal Podestà e Capitani, de consilio, beneplacito et voluntate ancianorum comunis et popuh Janue et quam plurium mercatorum et sapientum vocatorum ad consilium. I nomi di questi ultimi, in numero di 16, sono per la più parte nobili. 86 II trattato con Lucca, del 14 dicembre 1271 (App. 2, nr. 29 b), viene concluso soltanto dai Capitani comunis et populi Janue de consensu et voluntate ancianorum eiusdem populi et per ipsos ancianos... nomine et vice comunis Janue e dal sindaco di Lucca; parimenti dicasi del trattato con Grasse, del 23 aprile 1288. L.J., II, 176. 87 II Consiglio vero e proprio, che prima era unico, continua a sussistere di per se stesso colla designazione di Consilium maius (L.J., II, 86), ma particolarmente col nome di consilium generale (App. 2, nr. 29 a, etc.), differente dal Consiglio minore degli Anziani. Non è chiaro come avvenisse l’elezione dei consiliarii. Che essi venissero mutati anno per anno (cfr. Caro, Verf. Gen., p. 29), è dimostrato dalle espressioni del trattato in App. 2, nr. 29 b: Et per emendatores, qui prò tempore fuerint, usque ad terminum infrascriptum inde teneantur consiliarii, qui annuatim fuerint, facere emendari. Analogamente dalle espressioni del trattato con Carlo del 12 agosto 1269 (App. 2, nr. 15 b), il Podestà, gli Otto Nobili... et consilium similiter iurabunt, quando mutabuntur, servare dictam conventionem. Il capitolo riguardante il controllo perchè i — 270 - L’insediamento dei Capitani zioni di maggiore importanza sembrasse opportuna la cooperazione d’un maggior numero di cittadini88, come può essere accaduto che talvolta il Consiglio abbia conferito piena facoltà ai Capitani e agli Anziani di agire in qualche affare secondo il loro criterio89. Quasi mai, per quanto possiamo saperne dai documenti, il Consiglio dà da solo il suo consenso sopra documenti venissero redatti conformemente alle decisioni del Consiglio continuò in ogni caso a sussistere; raramente però, e di volo, è fatto cenno al compimento di tale esame. App. 1, nr. 5, c. 253 v. (18 luglio 1274): examinata prius forma presen-tis instrumenti secundum formam capituli ]anue et omni solempnitate, que per capitula ]anue requiritur, observata. L’ultima parte di questa formula manca nel documento in App. 3, nr. 28, c. 6, dei 28 marzo 1272. 88 Non è chiaro se esistessero disposizioni per determinare in quali casi fosse sufficiente il solo assenso degli Anziani e quando invece si dovesse convocare anche il Consiglio Generale. Probabilmente non esisteva in via di principio una differenza fra le competenze dei due Consigli. 11 trattato con Lucca, del 14 febbraio 1274, App. 2, n. 29 a, (cfr. invece quello del 1271: v. sopra, n. 86), è concluso dai Capitani de consensu et voluntate ancianorum ipsius comunis et populi et de beneplacito et voluntate consilii generalis comunis ]anue congregati more solito per cornu et campa-nam. Non si può stabilire una distinzione fra il parere del Consiglio e l’assenso degli Anziani. App. 2, nr. 23 (13 ottobre 1272): i Capitani, de voluntate, consensu et beneplacito ancianorum eiusdem comunis et populi et consilii generalis, propterea more solito congregati, nominano dei sindici. Non è chiaro quale fosse nel Consiglio la proporzione fra il numero dei nobili e quello dei popolari, non essendoci rimasta alcuna lista dei rispettivi componenti. Di massima i popolari non erano mai stati esclusi, ed è perciò molto probabile che ora il numero dei loro partecipanti non fosse irrilevante, altrimenti sarebbe stata troppo repentina la pacifica innovazione del 1290 - Annali, 334 [V, 121] -che accordava loro la metà dei seggi nel Consiglio. Poiché i Capitani avevano la direzione suprema, così essi dovevano essersi adoperati per una conveniente sistemazione; per i casi di dimissioni, essi dovevano stabilire norme fisse. Il preesistente sistema di integrare il Consiglio mediante consiglieri aggiunti cessò. Soltanto successivamente, verso la fine degli anni ’80, troviamo di nuovo casi nei quali vengono aggiunti al Consiglio dei membri ad esso estranei, fra cui anche dei popolari: Annali, 330 [V, 112]: 1289, in consilio generali ubi interfuerunt multi nobiles et de populo. L.J., II, 252 e 258 (22 novembre 1290): de voluntate, beneplacito et consensu ancianorum et consiliariorum dictorum comunis et populi et aliorum sapientum ad dictum consilium vocatorum. 89 Così App. 2, nr. 25 b (29 agosto 1272): Capitani ed Anziani, auctoritate eis commissa ex capitulis Janue et consilio generali, conferiscono ad un inviato i poteri per trattare col Paleologo. Parimente avviene che gli Anziani lascino ai soli Capitani la cura di definire un dato affare, come nel richiamo degli esiliati del 1266 {App. 3, nr. 28, c. 11 v.) del 12 luglio 1272, etc., eseguito ad opera di un Capitano, - 271 - Libro III - Cap. primo qualche misura di massima90; gli Anziani intervengono invece sempre, e, siccome questi spesso compariscono senza che sia fatta menzione di esso, così è manifesto che l’antico Consiglio scade d’importanza di fronte al nuovo. Il governo del Comune prese così una forma simile a quella del tempo del Boccanegra, però colla essenziale differenza che ora per molti anni non vi sarà Podestà e che le attribuzioni dei nuovi Capitani sono fin da principio di gran lunga più estese di quelle del Podestà. in rappresentanza anche dell’altro, in virtù d’una delega loro rilasciata dal Consiglio degli Anziani. Vi è inserta Ia summa consilii ancianorum del 13 maggio 1272; proposta e decisione sono nettamente distinte. Quest’ultima conferisce ai Capitani la facoltà di disporre secondo il loro parere, senza che su quell’argomento sia tenuto ad intervenire il Consiglio. Manifestamente la trattazione degli affari era molto complessa e veniva regolata, a seconda delle circostanze, in maniera simile a Firenze, secondo quanto possiamo rilevare da Le consulte. Spesso poteva anche darsi che argomenti, per i quali si richiedeva un esame più accurato, fossero rimandati ad una commissione, la quale stendeva le sue conclusioni in una minuta (tractatus), che veniva poi sanzionata dai Capitani, dagli Anziani e dal Consiglio etc.; cfr. sopra, n. 85, dove gli stessi Capitani avevano la bozza; cfr. pure App. 1, nr. 5, c. 254; qui sono 5 ellecti super... ordinando qualiter possit comodius et melius satisfieri participibus compe-rarum salis. In tal senso vanno intese le funzioni dei tractatores {App. 2, nr. 88), i quali stabiliscono quali istruzioni debbano darsi agli inviati; il passo non è interamente leggibile. Tractatores super... per dd. capitaneos die 9 Jan. tractaverunt ut infra. Perfettamente chiara è App. 2, nr. 91, ove Tomaso Spinola e 5 altri tractaverunt quod mittantur ambaxatoribus comunis Janue, qui sunt in curia Romana prò comuni Janue, littere cum tenore presentis tractatus. Qui non è da vedersi una effettiva innovazione; già i tractatores super negociis Romanie (Belgrano, Cinque docc., p. 229) del 1263 erano da considerarsi come una commissione nominata per provvedere sopra un affare particolare. 90 Soltanto il 21 aprile 1276 (Fol. Not., Ili, 1, c. 50), il Podestà insieme a un Capitano, in rappresentanza dell’altro, auctoritate consiliis (!) comunis Janue nominano un sindicus; può essere molto discutibile se l’estratto sia esatto. - 272 - Capitolo secondo I primi anni di governo dei Capitani Ristabilimento della quiete all’interno. - Il Podestà del 1271 e sua rimozione. - Fine dell assedio di Tunisi. - Naufragio presso Trapani. - Contegno di Carlo d’Angiò. -Lega dei Ghibellini lombardi con Alfonso di Castiglia. - Intromissione di Gregorio X a favore dei Guelfi banditi da Genova. - Lega dei Guelfi con Carlo - Incursioni nel territorio genovese. - Contromisure dei Capitani. Con l’elezione dei Capitani la costituzione di Genova veniva d’un tratto completamente riformata. Il Popolo ottiene la sua posizione di autonomia da tanto tempo desiderata; popolari siedono nel Consiglio generale; il Podestà è messo per il momento in disparte; gli Otto Nobili sono scomparsi per sempre ed i Capitani col Consiglio degli Anziani reggono illimitatamente il Comune. Ci si sarebbe potuto solo domandare se i nuovi ordinamenti sarebbero stati durevoli. La loro base invero era più ampia di quella sulla quale già il Boccanegra aveva fondato il suo potere. Egli si era appoggiato al Popolo, favorito in sulle prime da una parte della nobiltà. Ora invece era una parte della nobiltà che dominava, coll’aiuto del Popolo. Il primo Capitano non era stato forte abbastanza per resistere contro l’opposizione di tutta l’aristocrazia, la quale però aveva trovato poco favore fuori dalla città. Era ora da vedere se la lega dei Ghibellini coi popolari fosse forte abbastanza per tener a freno i Guelfi, i cui partigiani erano preponderanti in quasi tutta l’Italia1. Visto il carattere 1 II divario sostanziale fra la relazione degli Ann. Plac., 549, e quella degli Annali, 269 e sgg. [IV, 138], circa gli avvenimenti di Genova del 1270, consiste nel modo del tutto diverso di considerarli. I relatori locali non vedono al di là della contesa delle famiglie nobili fra loro e col popolo, mentre quelli esterni vedono nella vittoria dei Doria e degli Spinola soprattutto un trionfo dei Ghibellini. Essi gioiscono per una delle prime vittorie del partito dell’impero dopo tante sconfitte. Alcuni particolari sono certamente inesatti, ma in complesso quel modo di vedere è giustificato. Il partito che nel 1270 vinse a Genova aveva tutte le caratteristiche per cui in generale i Ghibellini d’Italia si distinguevano dai Guelfi. Esso aveva sposato la causa di Federico II e quindi era stato bandito. Fu in relazione con Manfredi e salutò con gioia Corradino. Vedremo più innanzi come venne condotta in seguito lo politica ghibellina. Gli Annalisti ufficiali cittadini hanno timore di dichiarare apertamente che la contesa delle famiglie nobili aveva per base la gara dei partiti - 273 - Libro III - Cap. secondo spiccatamente personale da cui era improntato il reggimento dei due Capi-tani, l’avvenire di Genova stava nelle loro mani. Era da chiedersi se essi fossero davvero fra loro concordi e se sarebbero rimasti fedeli al loro proposito di amici e protettori del Popolo. Ma anzitutto era necessario vedere quali cambiamenti avrebbero operato nella politica estera del Comune e se, quali campioni dell’oppresso ghibellinismo, avrebbero avuto la forza d’infondere nuova vita nel partito dell’impero. Le prime cure dei nuovi reggitori furono naturalmente rivolte agli affari interni. Luchetto Grimaldi, podestà di Ventimiglia, ricevette l’ordine di mettere in libertà i prigionieri e di presentarsi egli stesso a Genova. Egli obbedì in tutta fretta e prestò personalmente il giuramento di soggezione ai Capitani. Quando più tardi, in quel paese sempre turbolento, si minacciava lo scoppio di nuove discordie, vi fu mandato, quale vicario, Babilano Doria, con un numeroso seguito di cavalieri. Egli ristabilì la quiete, mettendo a prò ogni sua cura perchè fosse durevole. Nel ritorno distrusse il castello ed il villaggio di Arma, i cui abitanti avevano fama di predoni. Intanto i Capitani si diedero ogni premura per riconciliare fra loro le famiglie nemiche in città e nel territorio. Il clero si imi ad essi e, al fine di poter rendere più possibile di operare efficacemente in tal senso, riunirono intorno a sè una schiera di aderenti che, con la loro attività, contribuirono allo scopo. Alcuni matrimoni suggellarono la conciliazione delle famiglie già avversarie e tutto pareva procedere nel miglior ordine. Era che teneva divisa tutta l’Italia. Non doveva apparire che il governo del Comune non potesse essere stato altrimenti determinato che dalla considerazione del bene di tutta la cittadinanza. E’ sottaciuto che con i Capitani erano andati al potere i Ghibellini. Soltanto Jacopo Doria è alquanto spregiudicato - Annali, 296 [V, 24] -nel 1282 quamvis autem tunc temporis utraque (se. ]anua et Pisa) per partem Gibe-linam regeretur. Potrebbe anche darsi che in Genova stessa i partiti non si denominassero ancora apertamente così come avrebbe dovuto essere secondo il loro indirizzo; ma la designazione di Mascarati - Annali, 230 [IV, 8] - del 1251, per i Ghibellini non si ritrova più oltre negli Annali. Perciò non mi trovo del tutto d’accordo con Heyck, p. 47. Invero non si può riportare ad un tempo molto precedente la separazione fra Guelfi e Ghibellini a Genova, cioè non più in là dell’epoca di Federico II. Fu allora che si formarono i due partiti come qualcosa di nuovo, ma senza riferimento alle private inimicizie preesistenti, come è chiaramente dimostrato per i Ghibellini in Annali, 191 [III, 96]. Da allora in poi si possono usare anche per le fazioni nobiliari genovesi le denominazioni consuete per il partito dell’impero ed il partito della Chiesa, quantunque non ancora adoperate nelle fonti locali. - 274 - I PRIMI ANNI DI GOVERNO DEI CAPITANI solo da vedere quanto a lungo sarebbe durata la pace interna or ora ristabilita ; gli stessi Capitani ghibellini non potevano credere che i nobili guelfi sarebbero vissuti tranquilli sotto il loro reggimento. Anzi, nell’anno 1271, accadde quello che in quest’epoca soleva accadere in Italia come normale conseguenza della vittoria di un partito sull’altro. Gli avversari, guardati con occhio diffidente, dovettero tutti allontanarsi dalla città. Ai Grimaldi ed ai loro partigiani furono assegnati luoghi di residenza ove si recarono, obbedienti agli ordini dei loro avversari3. Non si trattava però di un castigo di fatto; si può dire più giustamente che il partito sottomesso non poteva resistere entro le mura di Genova. E perciò è appena probabile che vi sia stato un motivo specifico a dar luogo a tale misura. Non già che mancassero cause di conflitti. Dopo una vacanza d’al-cuni mesi, il seggio del Podestà venne nuovamente ricoperto 4. Un cittadino di Alessandria, Accorso, della famiglia Lanzavecchia5, di antica fede 2 Annali, 270 e sgg. [IV, 141]. Cfr. Guill. Ventura, 274. Gli annalisti si sforzano manifestamente di porre in viva luce i benefici dell’attività dei Capitani, in confronto col precedente disordine. Si vuol far apparire che tutti si sono di buon grado piegati alla loro signoria. Tale non era però certamente il caso. Se negli Ann. Plac., 549, è detto: Grimaldi vero et alii plures de civitate ]anue quolibet die se présentant coram eis, ciò vuol significare che i vinti avversari obbediscono ai Capitani; questi però si fidano così poco che li tengono sempre d’occhio. La comparsa dinanzi ad un’autorità dietro sua intimazione è segno d’obbedienza, così come nel 1264 il Grillo si presentò al Podestà: Annali, 246 e sgg. [IV, 54]. Cfr. sopra, p. 154. 3 Annali, 272 [IV, 145] al 1271, eodem quoque anno plures de progenie Gri-maldorum et alii nobiles plures eisdem adhérentes Grimaldis transmissi sunt in confinibus ad regiones diversas, in quibus mensibus quam pluribus permanserunt. A proposito della confinatio cfr. Ficker, I, p. 144. 4 Annali, 271 [IV, 141]: anno... 1271 dicti capitanei populi voluntate ordinavere ad regimen civitatis eligere potestatem. La lezione del manoscritto è proprii; invece di populi si potrebbe correggere con propria, ma anche populi voluntate significa ben poco più di « con l’approvazione del popolo ». 5 Annali, 1. c. Che i Lanzavecchia fossero i capi dei Ghibellini in Alessandria, risulta da Ann. Plac., 513, nel documento in Schiavina, Annales Alexandrini, 246, etc. jacobus Amarotus de Lanzavegli guidò nel 1268 truppe di rinforzo a Corradino: Ann. Plac., 526. Le sue lettere a Edoardo I d’Inghilterra (v. Rymer, Foedera, I, 2. 523-529, e Moriondo, II, 575 e sgg.) dimostrano che egli anche più tardi rimase fedele all’antica bandiera. Non è chiaro donde Schiavina, 257, abbia appreso che Accorso era un giureconsulto. Nel 1271 Alessandria era sotto la dominazione di Carlo: Ann. Plac., 545; cfr. Merkel, La dominazione di Carlo I d’Angiò, p. 318 e sgg. - 275 - Libro III - Cap. secondo ghibellina, fu chiamato alla carica, nella quale entrò in aprile, dopo aver giurato di osservare gli statuti della città e le disposizioni del diritto comune, fatti salvi tuttavia gli ordini dei Capitani, ai quali si obbligava ad obbedire, ancorché fossero stati in contraddizione coi primi6. Tanto bastava per convertire il funzionario, che prima presiedeva indipendente a tutta l’amministrazione dello Stato, in un dipendente degli attuali signori. Solo più tardi però il Podestà avrebbe potuto resistere in una tale posizione per un certo tempo; allora la cosa non era potuta durare a lungo. Gli Annali riferiscono che Accorso non era stato favorevole al Popolo rendendoglisi sospetto7. Non è però chiaro che cosa fosse realmente accaduto. Bologna lo nominò Capitano del Popolo e così si approfittò dell’occasione per lasciarlo partire, sei mesi appena dopo la sua nomina8. Il suo posto non venne ricoperto ed i Capitani ripresero nuovamente da soli il governo dello Stato. Nell’amministrazione della giustizia si fecero alla occasione rappresentare dai loro giudici9. I torbidi, da cui tra breve la 6 Annali, 271 [IV, 141]. Da capitanei... ordinavere... eligere potestatem. Factumque est, quod electo Acurso, non risulta se i Capitani nominassero ordinariamente il Podestà. L’8 aprile il Podestà è già in carica: App. 2, nr. 17. Il titolo è, come prima, potestas Janue civitatis: App. 5, nr. 23, V, 2, p. 435. Copia d’un documento fu fatta il 23 luglio 1271 de mandato d. Rufini de Ogerio iudicis et assessoris d. Acursi Lanzavegie, potestatis Janue. 7 Annali, 271 [IV, 142]: Sane cum non esset populo favorabilis, et sinistra haberetttr de eo suspicio. E’ chiaro come il passo sia volutamente oscuro; populo {non) favorabilis: che egli non era benvisto dal popolo, ma anche che il popolo non lo poteva soffrire; non è detto in che cosa consistesse il sospetto. 8 Annali, 1. c. I documenti comprovano che egli era in carica a Bologna, quando fece da testimonio nel testamento del re Enzo: Tola, Cod. dipi. Sard., I, 390, 16 marzo 1272. V. anche Mittarelli, Ad script, rerum Ital. Mur. acc. hist. Faventinae, 238. 9 Come tali si possono nominare: 1) Simone Bonoaldi, cittadino di Ancona, che fu già giudice col Boccanegra; cfr. sopra, libro I, cap. I, n. 40; App. 5, nr. 23, IV 6, p. 36 (9 novembre 1271): per incarico particolare dei Capitani e degli Anziani, egli effettuò delle indagini sui diritti appartenenti al Comune. App. 3, nr. 28, c. 6 (21 marzo 1272): emancipazione del figlio di Tomaso Ardimento, ad hec d. Symon Bonoaldi iudex et assessor dd. capitaneorum commis et popult Janue suam interposuit auctoritatem-, similmente ibid., c. 18 (15 e 17 aprile 1273) e c. 18 v. (19 aprile). Risulta che egli sia rimasto a lungo in questa posizione; nel 1274 diventò Podestà: Annali, 280 [IV, 166]. 2) Cavalcabò de Medici, certamente lo stesso omonimo cittadino di Pavia che fu nel 1266 consul pro placitis civitatis - Annali, 255 [IV, 85] -, Podestà nel 1280 - Annali, 290 [V, 9] - e nel 1295: L.J., II, 324. Egli approva, il - 276 - I PRIMI ANNI DI GOVERNO DEI CAPITANI repubblica doveva essere minacciata, trovarono così la direzione della cosa pubblica in una sola mano. Il trattato del 1269 con Carlo d’Angiò era stato stipulato nella supposizione che la forma di governo allora esistente dovesse essenzialmente rimanere immutata. Si trattava ora di sapere che cosa sarebbe avvenuto del trattato, in seguito allo sconvolgimento verificatosi nella costituzione. A quel momento erano già intavolate negoziazioni davanti a Tunisi e al 30 ottobre 1270 la pace era già conclusa10. Delle grosse somme di denaro che i Saraceni dovettero pagare, nulla toccò naturalmente al Comune di Genova; ma, ben inteso, fra i prigionieri, la cui liberazione era pattuita, andavano compresi anche i suoi cittadini; le merci sequestrate furono restituite; le sue domande di crediti furono riconosciute e le concessioni per il libero commercio di mercanti cristiani nei domini del re di Tunisi furono così larghe che vennero pure a vantaggio dei Genovesi. Il loro commercio con questi paesi fu interrotto per questi fatti solo per breve termine. Qualche tempo dopo il Comune concluse un trattato par- 25 giugno 1272 {App. 3, nr. 28, c. 11), nella sua qualità di index et assessor dd. capit., un’emancipazione dalla patria potestà. Egualmente nel doc. dell’ll novembre, la cui minuta sta ibid., c. 14 v., ove però sul suo nome è tirata una riga con scritto sopra Oberti Aurie (ibid., c. 15); il documento venne riportato nel cartolare, ma con altra data (3 febbraio). Qui è Oberto Doria che conferma l’emancipazione. 3) Guido de Bonato. Non si può stabilire se egli sia da identificare con l’omonimo astrologo che faceva parte della corte di Ezzelino da Romano: Ann. S. Justine, 175; menzionato da Dante (Inferno, XX, 118). Il 4 agosto 1273 (App. 3, nr. 28, c. 20 v.), Guido de Bonato è unus ex iudicibus capitaneorum nella commissione che decide di rimettere agli Anziani la convalida di una licenza di rappresaglie; così pure (ibid., c. 22) il 30 agosto; il 26 settembre Guido de Bonato, index et assessor dd. capit., approva un’emancipazione: ibid:, c. 26. 10 D’Achery, III, 668. La data del documento arabo (De Sacy, Mémoire, p. 463 e sgg.) corrispondente a quella del 21 novembre (ibid., 473), sembra riferirsi alla sua ratifica [cfr. Sternfeld, Ludwigs des Heiligen Kreuzzug, p. 368 e sgg.]. Negli Annali, 268 [IV, 135], è citata, fra le condizioni di pace, quella per la quale il re di Tunisi promette ai Genovesi di restituire le somme di denaro loro dovute. Nel trattato (De Sacy, Mémoire, p. 465; cfr. Primat, 81) è pattuito solo genericamente il rimborso dei debiti. Si potrebbe riallacciare una notizia di Ibn-Khaldoun, Hist. des Berbères, II, p. 361, con la relazione degli Annali; ma tutto il racconto di Ibn-Khaldoun, sui fatti avvenuti durante la crociata contiene le più grossolane inesattezze. E’ poco probabile che i Genovesi avessero concluso una pace particolare con Tunisi come opina Wilken, Geschichte der Kreuzziige, VII, 2, p. 579, n. 127; però ne avrebbe potuto essere fatto cenno in un documento aggiuntivo. - 277 - 19 Libro III - Cap. secondo ticolare ", che ripeteva quasi tutte le condizioni d’un altro più antico12, cosicché esso non sofferse, per causa della crociata, nessun danno essenziale a questo riguardo, ma nemmeno ne ritrasse qualche utile 13. L’unico, a cui la mancata impresa recò un reale vantaggio, fu Carlo d’Angiò, al quale ora Tunisi doveva pagare un ingente tributo. Nel corso delle settimane seguenti l’esercito si preparò alla partenza. Il trasporto dei cavalli e degli strumenti da guerra doveva aver impegnato molto tempo. La grande flotta cui erasi ora unita anche quella del successore al trono d’Inghilterra, principe Edoardo, lasciò la costa africana. La prossima mèta del viaggio fu la Sicilia. Il 21 novembre14, poco prima della mezzanotte, Carlo d’Angiò giunse a Trapani e nel mattino seguente vi arrivarono pure il re e la regina di Francia. Essi si erano serviti di galere veloci a remi; però anche una parte delle navi a vela raggiunse il porto nel corso della giornata 1S. Nella notte 11 Mas Latrie, Traités, p. 122, 6 novembre 1272. Venezia aveva rinnovato la sua pace col re di Tunisi già nel giugno 1271 {ibid., p. 203) e così il documento (ibid., p. 47) dimostra che anche le relazioni di Pisa con la costa africana vennero presto ristabilite. 12 Ibid., p. 118, 18 ottobre 1250. 13 Guill. de Nangis, 478, ma dal Primat, 81, che egli aveva frainteso sostanzialmente, opina che in Tunisi le imposte sul commercio fossero state del tutto abolite; che tale non sia il caso è dimostrato dal testo della pace (De Sacy, Mémoire, p. 464) e dei trattati con Venezia e Genova. 14 Venerdì, come risulta dall’insieme dei fatti: D’Achery, III, 668; a ciò si accorda ottimamente la circostanza, che il 22 novembre venne cominciato nella cancelleria di Carlo un nuovo registro: Durrieu, II, p. 54 e sgg. La data di An-nali 269 [IV, 136], è errata. 15 In D’Achery, 1. c., tutte. Guill. de Nangis, 478, 480 = Primat, 82 e sgg., in ogni caso più esattamente, dicono che parte della flotta venne sorpresa per via da una tempesta. La differenza si potrebbe spiegare, supponendo che il testimonio oculare, la cui relazione sta a base di queste fonti, l’estensore della lettera, di cui in D’Achery, 1. c., aveva visto gli effetti della tempesta da terra. Perciò egli poteva raccontare con esattezza {ibid., Ili, 669), come il vescovo di Langres potè con fatica salvarsi a terra, mentre, secondo l’altra relazione, risulta che egli avrebbe abbandonato la nave subito dopo l’arrivo a Trapani. Il « Montjoie » è la medesima nave, sulla quale Luigi IX era andato a Tunisi: v. sopra, libro II, cap. IX, n. 16. Filippo III non se ne valse per il ritorno. Essa dunque non doveva essere arrivata ancora a Trapani quando scoppiò la bufera. In generale è appena credibile che le navi fossero state tratte a forza fuori del porto e spinte, con diabolica malizia, sopra quelle in arrivo. Primat dice rachiées de la rive du port-, non erano quindi ancora entrate in porto-o, per lo meno, si trovavano in una rada aperta. Secondo D’Achery, III, 669, e Guill. de Nangis, 484 = Primat, 83, colarono a fondo 18 grosse navi e parecchie minori; 4000 uomini sarebbero periti. - 278 - I PRIMI ANNI DI GOVERNO DEI CAPITANI dal sabato alla domenica il mare divenne inquieto e le onde si fecero in breve tempo tanto alte da rendere impossibile l’approdo mediante battelli. Il 24 l’uragano imperversò con tanta furia, che persino i marinai assicuravano di non aver mai veduto una tempesta più spaventosa. Nel porto stesso alcune navi colarono a fondo e in peggiore condizione erano quelle che ne stavano fuori. Il timone è impotente a superare l’urto delle onde, le navi si urtano le une contro le altre e, con falle d’acqua aperte, vengono lanciate sulla spiaggia. Buon numero dell’equipaggio trovò la morte in mare. Soltanto la flotta di Edoardo, come per miracolo, non sofferse perdita alcuna16. I Genovesi invece furono aspramente colpiti. Con inesorabile durezza Carlo usò contro di essi l’antico jus naufragii-, tutto ciò che si trovava sulle navi arenate e che non fosse stato messo al sicuro dai proprietari entro tre giorni, fu da lui dichiarato appartenere al suo fisco17. Franceschino de Camilla, capitano dei Genovesi che avevano preso parte alla crociata, riferendosi al trattato del 1269, sollevò viva protesta contro questo modo di procedere18, quantunque non intimamente con- 16 Annali, 269 [IV, 136]; cfr. Rohricht, La croisade du prince Édouard, p. 620 e sgg. e Kleine Studien, p. 28, ove sono indicate le fonti. Anche gli Inglesi si valsero in Aiguesmortes di navi genovesi - Annali, 268 [IV, 135 e n. 31. [Cfr. Ferretto. Annali storici di Sestri P., p. 147, nr. 462], - forse le stesse che il 3 gennaio 1271 furono noleggiate per proseguire il viaggio per Acri: Rôhricht, Études, p. 407. Secondo la relazione di Th. Wikes (Luard, Ann. mon., IX, 238 e sgg.), giunsero a Trapani il 22 novembre, in vigilia S. Clementis, e dovettero la loro salvezza al punto sicuro di ancoraggio. 17 Annali, 269 [IV, 136]. Il passo deve intendersi nel senso che il re dapprima lasciò effettuare ai Genovesi il salvataggio delle loro cose, per prendere poi loro quello che non avessero messo al sicuro, entro tre giorni dal naufragio delle navi. Per questo i primi documenti (Del Giudice, Cod. dipi., II, p. 109 e sgg.) sono del 2 dicembre. Carlo nomina dei commissari per prendere in consegna i beni, eccettuati quelli che appartengano ai crociati; ove costoro possano dare prove sufficienti del loro diritto sulle cose trovate, vengono loro restituite. Naturalmente, era pure compreso quanto potesse essere trovato più tardi. Nel documento del 24 maggio 1271 {ibid.), si trova un elenco delle cose che passarono in potere del fisco regio, 18 V. il doc. dell’8 dicembre 1270, in Belgrano, Docc. ined., p. 328 e sgg.; [cfr. Ferretto, Cod. dipi, I, p. 224, nr. 565]. Secondo questo documento, Carlo avrebbe incaricato in particolare due dei suoi funzionari di corte (cancelliere e siniscalco) di ricercare se i Genovesi, in virtù della convenzione, avessero diritto di essere esclusi dallo jus naufragii. L’incarico di Carlo del 2 dicembre non può di- - 279 - Libro III - Cap. secondo vinto, poiché le disposizioni del trattato cui alludeva non erano del tutto chiare. Prescindendo dalla questione di diritto, non v’era dubbio che i] procedere del re non fosse ingiusto al massimo grado. Il jus naufragii è di per sè stesso disumano, ciò che già allora era entrato nel comune sen-timento 19. Precisamente dopo che aveva contribuito a far sì che il nemico della cristianità rinunziasse a questo diritto, promettendo, in cambio dell’assenso ottenuto, di non farne uso egli stesso verso gl’infedeli20, Carlo stesso lo esercitava ora rigorosamente nei confronti dei propri alleati. Buona parte della colpa può essere attribuita alla sua notoria ingordigia21. La conservazione dei diritti di sovranità, senza riguardo ad alcuno, faceva parte del suo sistema di governo; le limitazioni di essi, attraverso i privilegi concessi a Genova con le clausole del trattato, gli erano state strappate a stento. E ciò egli aveva consentito nella supposizione che in questa città i suoi partigiani si mantenessero prevalenti, mentre ora i Ghibellini avevano invece preso il sopravvento. Se in quanto era accaduto non c’era mostrarsi espressamente riferito ad essi. Invero il re è giudice in causa propria; ma egli non agì effettivamente in modo ingiusto. La clausola del trattato del 1269, alla quale i Genovesi si appigliarono (custodire omnes Januenses... in personis et rebus sanos et salvos in toto regno... tam sanos quam naufragos), è così generale da renderne dubbia l’interpretazione. In Sicilia veniva esercitato lo jus naufragii: cfr. il documento in Martène et IXjrand, II, 573. Un’espressa rinuncia a questo diritto non era stata formulata nei confronti di Genova, altrimenti non avrebbe potuto essere taciuta. Venezia, nella sua convenzione con Federico II del 1232, aveva avuto l’assicurazione, che all’incirca corrispondeva a quella per Genova; Schirrmacher, Die letzten, p. 602: eundo, morando et redeundo terra marique omni salubritate et indempnitate fruantur in personis et rebus, ed inoltre è concesso (ibid., p. 603) si contigerit aliquam navium Venetorum ... in aliquo loco regni subire naufragium, Veneti cum omnibus rebus, quas extrahere et salvare poterunt, salvi sint et indempnes, habçntes a baiulis nostris... subsidium et favorem. Questa disposizione mancava nel trattato di Carlo con Genova. Forse non apparve necessaria quando esso venne concluso; la dizione (Januenses) sint salvi et securi in personis et rebus sani et naufragi in toto regno Sicilie, si trovava già nei trattati con Manfredi: L.J., I, 1293 e 1347. E’ assai probabile che sul piano pratico fosse stata adottata fino ad allora un’interpretazione favorevole per Genova, il che spiegherebbe perchè fosse stato omesso di fare espressa rinuncia allo jus naufragii. Riguardo ad una sua più rigorosa applicazione contro i Veneziani, v. Minieri Riccio, Il Regno, 1271-1272, p. 76, doc. del 9 agosto 1272. 19 V. Yarenga della lettera in Martène et Durand, II, 573. 20 Nel trattato con Tunisi: De Sacy, Mémoire, p. 464. 21 Annali, 269 [IV, 136-137], - 280 - I PRIMI ANNI DI GOVERNO UHI CAPITANI violazione del testo del trattato, che però Carlo sentisse poca simpatia per i Capitani era un fatto del quale essi medesimi non dubitavano. Quali fossero i sentimenti che si nutrivano alla sua corte verso di loro potevano dedurlo se non altro dal contegno del conte Alfonso di Poitou fratello di Carlo. Invece suo nipote, il re Filippo III, fece direttamente ritorno in patria dal suo viaggio marittimo giacché si era rinunziato alla continuazione della crociata. Aveva preso la via della costa ligure, passò dinanzi a Genova, senza entrarvi, fermandosi a bella posta fuori del suo porto presso S. Pier d’Arena22. A Genova si era ritenuto che il re di Sicilia avesse agito in sprezzo al trattato, ma i Capitani si comportarono come se non fossero stati della stessa idea. Nel 1271 i Ghibellini lombardi intravvidero la possibilità di ottenere ciò di cui avevano il massimo bisogno, cioè aiuto dal di fuori. I cavalieri tedeschi non erano così pronti a trarre nuovamente la spada per essi; Federico di Wettin non si sentiva chiamato, come erede degli Staufen, a intervenire colla forza delle armi. L’aiuto però si avvicinava da altra parte. Alfonso X di Castiglia portava ancora il titolo di re dei Romani, quantunque per giustificarlo poco avesse fatto fino ad ora. Dopo la caduta di Corradino, egli annodò relazioni coll’Italia settentrionale. Le condizioni erano qui favorevoli, perchè il marchese Guglielmo di Monferrato, cambiato un’altra volta partito, era pronto a combattere i Guelfi. A Pavia furono architettati vasti piani, quando questa città, l’unica che conservavasi ancora decisamente fedele ai Ghibellini, concluse una convenzione con gli inviati spagnuoli23. Alfonso voleva far lega con Greci e Tartari per abbat- 22 Annali, 271 [IV, 144], al 1271; Ann. Plac., 554. Della cosa non si preoccupò Edmondo, il figlio di Enrico III d’Inghilterra (App. 3, nr. 16, c. 175 v., 24 settembre 1272): Amon, filius incliti et illustris viri d. Henrici Dei gratia regis Atipie, riconosce d’aver ricevuto da Bertolino Dentato, civi janue, tanto denaro genovese (tantam monetam Januinam) per il quale promette di pagare (ex causa dicti cambii) libras 1700 turonensium fortium Campanie ... in proximis nundinis Lagneti. Actum Janue, apud Calignanum, in domo d. Nicolai de Flisco. Nel medesimo giorno Edmondo rilascia pure una cambiale corrispondente a 1300 lire tomesi al genovese Picamiginus Piccamiglio ed una di 500 lire tomesi al lucchese Bandino Panico: ibid., c. 176 e sgg. 23 Ann. Plac., 553. Uno degli inviati di Alfonso X, il conte Guglielmo di Ventimiglia, è in ogni caso da identificarsi con Guglielmo Peire, marito della figlia dell’imperatore greco: v. sopra, libro II, cap. I, n. 25. - 281 - Libro III - Cap. secondo tere la potenza di Carlo. Per quanto tutto ciò potesse sembrare fantastico24, è vero però che Pietro d’Aragona continuò più tardi la politica allora iniziata dal Castigliano. Intanto il marchese si apparecchiava per recarsi a prendere in sposa la figlia del re colla sua ricca dote. Inviati di Pavia e rappresentanti degli esiliati Ghibellini di Cremona, Piacenza, Parma, Vercelli, Tortona, Novara, Lodi e Milano25 lo seguirono. Il viaggio ebbe luogo per mare, ed è significativo come Genova non venisse scelta come porto d’imbarco, fatto dal quale possiamo dedurre come i Capitani non volessero entrare direttamente in questi avvenimenti26. I loro amici di partito non frapposero naturalmente alcun ostacolo all’esecuzione di tale piano. Il 24 agosto Guglielmo di Monferrato si recò al porto di Vado, presso Savona, e ivi salì sulla nave che lo portò in Ispagna27. Alla corte di Ca-stiglia furono continuate le trattative, i sindaci dei partigiani milanesi prestarono giuramento di fedeltà al re dei Romani28 e anche Buoso da Dovara insieme con altri capi ghibellini seguirono il loro esempio. Anche gli inviati di Pavia fecero lo stesso o almeno fecero mostra di farlo29. Nel gennaio 1272, il marchese Guglielmo ritornò in Italia in qualità di Vicario regio30, 24 Ann. Plac., 1. c. E’ degno di particolare considerazione il fatto che Alfonso dovesse dare in sposa una propria figlia al figlio del Paleologo. 25 Ann. Plac., 1. c. Qui non è fatta menzione dei Milanesi extrinseci, ma troviamo i loro rappresentanti presso Alfonso il 4 ottobre: Zanelli, Il giur. di Buoso da Dovara, p. 124; Bohmer, Regesta Imperii, nr. 5517. 26 Gli inviati di Pavia partono dalla loro città il 31 luglio e soltanto il 21 agosto s’imbarcano a Vado: Ann. Plac., 553 e sgg. Non si erano forse presi accordi coi Capitani di Genova? 27 Ann. Plac., 554. 28 4 ottobre: Zanelli, p. 124 e sgg. Quel Guglielmo Pusterla che figura tra essi non può essere il medesimo che nel 1270 fu eletto Podestà di Genova (v. sopra, p. 252), perchè questi non poteva essere stato ostile al partito dei Torriani. Devono essere esistite a Milano parecchie persone di questo nome; il 7 agosto 1278 morì un G. de Pusterla (Galv. Flamma, 706; cfr. Ann. Plac., 507) e il 5 dicembre 1278 (Osio, Docc. dipi. Milanesi, I, 29) figura in un documento Guill. de Pusterla dictus de Quinzano; inoltre troviamo un Guill. de Pusterla nell’anno 1200 (Ann. Plac. Guelphi, 421) e nel 1311 (Nic. ep. Botron., 13; cfr. Galv. Flamma, 721). 29 Zanelli, 1. c. Anche Winkelmann, I, 465, cita la lettera per Pavia del 22 ottobre 1271 (cfr. Bohmer, Regesta Imperii, nr. 5518). Il re chiama qui i Pavesi suoi fideles (non devoti). 30 Ann. Plac., 555; cfr. Benvenuto da S. Giorgio, Hist. Montis ferrati, 392. - 282 - I PRIMI ANNI DI GOVERNO DEI CAPITANI ma non portò seco le truppe di aiuto sovente promessegli. Forse che non era stato loro permesso d’approdare alla costa ligure? Non era perciò loro possibile di prendere un’altra via per andare in Lombardia. Se Guglielmo fosse passato per il territorio genovese con piccolo seguito, i Capitani avrebbero potuto negare di averlo saputo o di avergli prestato aiuto: ma il permettere il passaggio d’un esercito sarebbe stato un atto di aperta ostilità contro Carlo31, poiché il marchese veniva appunto non solo per porre ostacolo ai suoi disegni di estendere la sua signoria, ma anche perchè si vedeva minacciato nei possedimenti da lui acquistati in Piemonte. Tuttavia egli non ottenne pronti successi. Un’altra serie di avvenimenti condusse però al punto che i Capitani, certamente in contrasto con i loro primitivi disegni, furono costretti ad una decisiva adesione alla lega ghibellina. Il nuovo papa fu finalmente eletto32, ma non francese, il che faceva pensare che Carlo non avrebbe più trovato presso la Curia romana la precedente illimitata condiscendenza ai suoi disegni. Tuttavia ciò diede motivo a qualche inquietudine per Genova. Il cardinale Ottobono ebbe nuovamente mano libera, mentre la partecipazione al conclave gli aveva prima impedito di intervenire in favore dei suoi parenti; appunto con lui aveva avuto stretti rapporti l’arcidiacono di Lüttich33. Il re di Sicilia si adoprò subito attivamente per guadagnarsi il favore 31 Può darsi che il Podestà del 1271 - Annali, 271 [IV, 141]; cfr. sopra, -volesse interessarsi per i Marchesi più di quanto sembrasse utile ai Capitani e che per questo lo avessero messo in disparte. Questa ipotesi è certamente più verosimile di quella che un Lanzavecchia avesse cospirato con i Guelfi. Che Genova già da tempo avesse trattato con Alfonso (Walter, Die Politik der Kurie unter Gregor X, p. 14), non è quanto meno direttamente accertabile; naturalmente sussistevano già relazioni colla Spagna riguardo al commercio, ma i documenti (Busson, p. 89, n. 4; v. sopra, libro II, cap. IV, n. 34), non offrono prove migliori. Nessun passo delle fonti parla in favore della supposizione di Walter, p. 13, che doè Genova desse la preferenza agli accordi con Alfonso; essa è disdetta sufficientemente dall’ulteriore andamento dei fatti. 32 Rayn., anno 1271, par. 8 e sgg. (1 settembre 1271); Ann. Plac., 554, non esatti. 33 Egli aveva accompagnato Ottobono nella sua legazione in Inghilterra, secondo la Vita Gregorii X, in Campi, II, p. 345. Non è impossibile che Gregorio X dovesse la sua elezione ai rapporti personali che aveva col capo del partito francese nel Collegio dei Cardinali. L’elezione d’un Italiano doveva essergli sembrata più accettabile; cfr. Walter, p. 23. - 283 - Libro III - Cap. secondo del nuovo capo della cristianità Il suo scopo era lo stesso di quello dei Capitani, che mandarono cinque inviati a Gregorio X35. Va attribuito alla influenza del cardinale Ottobono se il papa, poco dopo la sua esaltazione al pontificato, si diede cura d’intervenire a Genova come paciere36. Non era però il caso d’appianare un’aperta contesa, ma soltanto di far tacere l’odio di parte. I mezzi che s’impiegarono quindi allo scopo furono veramente singolari. Nell’aprile e maggio 127237, Carlo soggiornò a Roma presso la Curia. Risulta che allora si fosse raccolto intorno al cardinale un certo numero di oppositori dei Capitani, alla cui testa trovavasi suo fratello Alberto Fieschi38. Essi chiamarono i Grimaldi ed altri confinati presso di loro. Volentieri costoro risposero alla chiamata; alcuni vennero personalmente, altri si fecero rappresentare. Il fatto non era certamente igno- 34 Annali, 272 [IV, 145]. Cfr. i docc. in Minieri Riccio, Il Regno, 1271-1272, p. 65; Id., Della dominazione Angioina, p. 4. 35 Annali, 1. c. [IV, 145, var. ci, ancora nel 1271; la durata dell’ambasciata doveva essersi protratta fino al termine del 1272. 36 V. la lettera senza data in Kaltenbrunner, Actenstücke, I, p. 4. Dal suo contenuto risulta doversene porre la data al più tardi nel maggio 1272, perchè in essa non è parola nè di lotta di partiti nè d’intromissione di Carlo: cfr. le osservazioni ibid., I, p. 6 e sgg. Forse essa fu redatta contemporaneamente alla lettera per Genova del 31 marzo: Potthast, nr. 20522. Il 15 maggio l’arcivescovo di Aix venne nominato legato anche per Genova: Potthast, nr. 20554; Reg. de Grég. X, p. 11, ove si nota la benevolenza di Carlo, del quale il legato era un fido partigiano, avendogli il re già affidato delle missioni: Minieri Riccio, Il Regno, 1271-1272, p. 16; cfr. Ann. Plac., 556. Non è accertato che il legato si fosse intromesso a Genova in favore dei Guelfi; invece riscosse contribuzioni (App. 3, nr. 16, c. 173, 22 settembre 1272): Jacobus Guaagnaben dichiara di aver ricevuto lire 60 da un procuratore del vescovo e del clero di Albenga per il legato (occasione dacite sive collecte imposite in episcopatu Albingane in anno presenti pro dicto legato). 37 Cfr. l’itinerario in Durrieu, II, p. 174. 38 Annali, 272 [IV, 146], Quest’ultimo non poteva dunque essere stato confinato; risulta anzi che i Capitani avessero avuto cura di non romperla apertamente con i Fieschi. App. 3, nr. 11, c. 160 (8 maggio 1272): D. Nicolaus de Flisco, comes Lavarne, palatinus comes, investivit Samuelem de Braxili de arte et officio notarie... ecclesiali auctoritate... Qui Samuel iuravit fidelitatem ecclesie... e al conte di Lavagna ... Actum extra murum civitatis Janue... in terra... d. Oberti Aurie, capitanei comunis et populi Janue-, egli stesso è testimonio. Ibid., c. 155 v. (14 gennaio 1272): un procuratore del cardinale Ottobono affitta dei terreni del cardinale nel territorio di Rapallo. - 284 - I PRIMI ANNI DI GOVERNO DEI CAPITANI rato dagl inviati genovesi, che alla medesima epoca si trovavano in Roma 39, quantunque forse non sapessero che cosa si tramasse fra i Guelfi e Carlo. Secondo quanto riferiscono gli Annali, costoro avrebbero concluso un formale trattato col re accordandogli la signoria di Genova per alcuni anni a condizione d’essere richiamati in città e che ne fosse procurata loro la supremazia40. A Genova il fatto venne interpretato nel senso che Carlo, sollecitato dalle promesse dei Guelfi, avesse accettato un accordo che 10 avrebbe messo inevitabilmente in guerra col Comune e rispettivamente coi suoi capi, cioè i Capitani41. Non possiamo decidere dell’esattezza di queste diverse ipotesi; fatto sta però che Carlo si valse subito dei patti stipulati per intromettersi nelle cose interne di Genova. Non abbiamo chiare notizie sulle trattative corse alla corte pontificia . Quando Carlo lasciò Roma per rientrare nel suo regno, nominò due incaricati per concludere un compromesso nel papa e nel suo legato, l’arcivescovo di Aix, su tutte le questioni pendenti fra lui, i suoi amici ed 11 Comune di Genova43. Ben tosto egli trovò pure occasione di querelarsi per ruberie commesse a danno dei suoi sudditi da parte di Genovesi 44. 39 Annali, 272 [IV, 147]. L’(ambaxatoribus) ignorantibus penitus que fiebant, è un’esagerazione che difficilmente può essere ritenuta non intenzionale. 40 Annali, 272 [IV, 146]. Da questo passo non si può ricavare di più sul reale contenuto del trattato. Il documento viene citato da Minieri Rìccio, Il Regno, 1273, p. 236; quali persone che lo conclusero sono qui nominati Alberto Fieschi, Pietro Grimaldi, Franchino Moracella ( Malocello); v. anche Del Giudice, Dipi. ined. di Carlo I d’Angiò, nr. 16; [Ferretto, Cod. dipi., I, p. 284, nr. 720]. 41 Annali, 1. c. Gli inviati sono della medesima idea : App. 2, nr. 20. V. oltre. 42 E’ curioso come il 4 maggio Carlo, dietro preghiera dei nipoti del papa, avesse preso sotto la sua protezione i beni del genovese Enrico Contardo: Minieri Riccio, Il Regno, 1271-1272, p. 62 e sgg. Costui non doveva aver dunque avuto molta fiducia nella pace fra il Comune ed il re, altrimenti non avrebbe cercato di ottenere una particolare garanzia. 43 App. 2, nr. 21: Datum Rome a. d. 1272, 5 junii, XV ind., regni nostri anno 7. Non è chiaro se il doc. del 4 giugno in Minieri Riccio, Il Regno, 1271-1272, p. 66, si identifichi con questo, essendo da chiedersi se l’estratto sia esatto. Gli inviati sono i medesimi Fr. Stephanus de Ursengo e Petrus Imberti, ed è possibile che essi fossero stati incaricati di particolari trattative di pace con Genova, quantunque non vi fosse guerra. 44 Del Giudice, Dipi. ined. di Carlo I d’Angiò, p. 11 (giugno 1272): querela d’un cittadino di Palermo che si trovava in Sardegna nel castrum Januensium, per furto perpetrato dal Signore del castello stesso, Manfredo de Oria. Il re esorta a - 285 - Libro III - Cap. secondo I Capitani respinsero bruscamente la domanda di riconoscere il papa quale giudice arbitro, come è dimostrato dal loro contegno successivo. Ora però i Guelfi iniziarono aperte ostilità. Nell’agosto i Grimaldi occuparono due castelli; l’uno, Stella, di loro proprietà, l’altro, Dalfinum, che apparteneva al Comune45. Essi volevano manifestamente da questi punti d’appoggio introdursi nella riviera occidentale mediante colpi di mano. Era questa la forma di guerra che in generale adoperavano allora gli esiliati contro la madrepatria46. I Capitani furono abbastanza accorti da soffocare il tentativo fin dal suo primo nascere. Tutta la popolazione dei distretti da Napoli fino a Genova fu chiamata sotto le armi. Nicola Doria ne ebbe il comando supremo e con numeroso seguito si diresse sul posto. I Grimaldi non avevano forze sufficienti per far fronte all’esercito che aveva cominciato l’assedio di Stella; perciò abbandonarono il castello e Stella fu distrutta4'. Un successo poco migliore fu ottenuto dai loro alleati, Alberto Fieschi e suo figlio Manuele, che circa nel medesimo tempo avevano negato obbedienza al Comune. Dai loro castelli di Godano, Castrum novum e Caranza, facevano delle incursioni a scopo di preda sulla riviera di Levante, specialmente verso Sestri. Contro di essi si mosse il capitano Oberto Doria in persona, accompagnato dai signori della città a cavallo e da una parte dei popolari a piedi. Castrum novum viene circondato, si fanno preparativi per l’assalto, quando nottetempo il presidio fugge dal castello dopo avervi appiccato il fuoco. Al mattino il Capitano fa spegnere l’incendio e munisce a sua volta il castello con un presidio rendere giustizia al danneggiato, ibid. (21 giugno): l’indirizzo è capitaneo (leggi ca-pitaneis), consilio et comuni ]anue, devotis suis. E’ detto che un cittadino di Siracusa era stato derubato da un pirata di Bonifacio, che il danneggiato si era rivolto al re, il quale già prima (olim) aveva esortato perchè gli fosse data soddisfazione, il che non si era verificato. Il re prega nuovamente, altrimenti dovrebbe provvedere egli stesso perchè il danneggiato fosse risarcito. Il che significa che egli avrebbe accordato rappresaglie, come più tardi avvenne per il primo caso. Minieri Riccio, Il Regno, 1274, p. 241 (26 agosto 1274): un’ordinanza di Carlo del 1° aprile aveva pregiudicato il commercio dei Genovesi con la Provenza: Méry et Guindon, Hist. de Marseille, IV, p. 335; cfr. Ruffi, Hist. de Marseille, p. 150. 45 Annali, 272 [IV, 147]. Stella giace a nord di Varazze, sui monti; riguardo a Dalphinum, cfr. Annali, 153 [II, 193], e L.J., I, 680 e sgg. 46 Ann. Plac., 551, etc. Quando i Ghibellini erano stati banditi da Genova, essi stessi avevano agito nello stesso modo: Annali, 202 [III, 125-126]. 47 Annali, 273 [IV, 147]. Tutto l’accaduto durò pochi giorni. - 286 - I PRIMI ANNI DI GOVERNO DEI CAPITANI proprio. Manda in pari tempo messaggeri a Groppo e Caranza, i cui abitanti nel medesimo giorno fanno atto di sottomissione. Il giorno seguente Oberto Doria ritorna a Genova trionfante48; però Godano non è preso. Di là, come da altri possedimenti dei Fieschi, situati in quelle contrade 49, il territorio del Comune era facilmente attaccabile e le scorrerie dei Guelfi potevano ripetersi in qualunque altro punto, quantunque essi ad occidente, in Provenza, al nord, presso i confederati di Carlo, e presso le città a lui soggette, trovassero solo un tacito favore50. Se ora entrava in campo il re stesso, potevano rinnovarsi gli inconvenienti cui Genova era andata soggetta al tempo di Federico II51. Poteva essere discutibile se questa volta la fedeltà dei luoghi dipendenti del territorio si sarebbe mostrata più ferma; ma ciò che più importava era che anche la cittadinanza di Genova si mostrasse pronta a sopportare i disagi d’un costante stato di guerra, come al tempo in cui aveva difeso la sua indipendenza contro il potente Imperatore. Allora il partito guelfo della nobiltà era sorto come campione dell’indipendenza della città. Non era da attribuirsi solo alle condizioni d’Italia, da allora interamente cambiate, se ora il partito ghibellino della nobiltà rappresentava la stessa parte, come prima i suoi avversari. Ad ogni modo i Capitani seppero approfittare molto abilmente della situazione per infondere nel Popolo l’opinione che gli attacchi, rivolti principalmente contro di loro, avevano per scopo la distruzione dell’indipendenza del Comune. A tale idea dava appiglio appunto il trattato dei Guelfi con Carlo. Nella presa di Stella era stato fatto prigioniero un uomo di nome Sifredo di Porto Maurizio, il quale fu indotto a fornire informazioni sulle clausole che esso conteneva. E’ dubbio che ai Capitani sia stato rivelato più di quello che già sapevano, come non è pur chiaro quando sia stato pronunziato il bando contro i ribelli e siano stati confiscati i loro beni. Ciò si sarebbe potuto già fare, anche senza che la confessione del prigioniero ne avesse costituito la giustificazione. Ma lo scopo principale consisteva proprio nel 48 Annali, 1. c. [IV, 1481. 49 Cfr. Muratori, Ant. Ital., I, p. 617 e sgg. 50 Sulla potenza di Carlo in Piemonte, cfr. Merkel, La dominai, di Carlo I d’Angiò, p. 328 e sgg. 51 Cfr. Caro, Verf. Gen., p. 18 e sgg. - 287 - Libro III - Cap. secondo far nascere l’eccitazione nel Popolo52. Una volta i Guelfi avevano approfittato di una lettera intercettata di Federico II per ottenere l’appoggio 52 La relazione in Amali, 272 e sgg. [IV, 147], non può essere accettata senza riserve. Gli annalisti si danno manifestamente da fare per dimostrare l’innocenza dei Capitani attraverso la cattiveria dei loro avversari, ma cadono in contraddizione, prima raccontando le rivelazioni di Siffredo, e poi ripetendo ac ignorantibus Januen-sibus tractatum et pacta, que cum ipso rege habuerant et firmaverant (se. Grimaldi). I Capitani dovevano sapere da lungo tempo che qualcosa era passato tra i Guelfi e Carlo, dal momento che il re trattava già con essi nominandoli suoi fidi e amici, ed è impossibile che gli inviati a Roma nulla ne sapessero. L’inserzione delle rivelazioni in cartulario comunis coram indice ad maleficia constituto non ha in sè un grande valore, perchè il bando dei Guelfi insieme alla confisca dei loro beni poteva essere stato pronunziato quando essi avevano abbandonato i domicilii loro assegnati, avendo con ciò dimostrato apertamente la loro disubbidienza. Che i Capitani avessero trattato nel modo consueto i loro avversari risulta dalle condizioni della pace del 1276: Federici, Della famiglia Fiesca, p. 155 e sgg.; v. oltre, cap. VI. Vi è espressamente stabilito che Alberto, Nicola, Federico e gli altri Fieschi, i Grimaldi, i Malocello, Guglielmo Vento ed i loro partigiani debbano riavere i loro beni e che le condemnationes, forestationes, banna, statuta vel ordina-menta effettuate dall’inizio delle discordie siano nulle. Per l’epoca in cui furono inflitti i bandi vi sono dei punti d’appoggio (App. 3, nr. 28, c. 23, 11 settembre 1273): Alberto Castagna, curatore dei beni di Franceschino Grimaldi, ha ceduto a Benvenuto Cosio i suoi diritti per esigere dal comune di Ventimiglia il pagamento di 400 lire, con istrumento del 14 luglio 1272; al medesimo Oliverio di Toirano, curatore dei beni di Luchetto Grimaldi, aveva ceduto l’azione per un debito di lire 185 del Comune. Il sindaco del comune di Ventimiglia promette che questo pagherà la somma complessiva di 698 lire in tre rate, rendendosi garanti per tale pagamento il Capitano Doria e gli Anziani di Genova, poiché, nell’interesse di questo comune, non è necessario che Ventimiglia paghi subito il debito. Se Luchetto e Franceschino non amministravano da sè le loro sostanze, doveva essere stata tolta loro la facoltà di disporne. Invero ciò poteva già essere avvenuto quando essi erano stati confinati; c però probabile che la confisca avesse avuto luogo contemporaneamente al bando, nel qual caso il curatore sarebbe stato insediato dai Capitani e il bando di Franceschino avrebbe avuto luogo almeno prima del 14 luglio 1272 (i debiti di Ventimiglia verso i Grimaldi coincidono con la podesteria di Luchetto; cfr. sopra, p. 257). Invero risulta che Alberto Fieschi, malgrado la sua sollevazione, non fosse stato espulso subito: App. 3, nr. 28, c. 11 (25 giugno 1272): Actum Janue, in palatio Alberti de Flisco, in quo habitat d. Obertus Spinula capitaneus-, similmente, c. 13 v. (17 settembre). Invece, c. 14 v. (26 luglio 1273): in palacio quod fuit Alberti de Flisco, corrispondente a c. 26 (25 settembre), etc. Siccome Alberto non era morto (soltanto l’il dicembre 1279, in L.J., I, 1509, è detto in sala palacii heredum quondam Alberti de Flisco), così quod fuit significa soltanto che il palazzo era stato confiscato, il che doveva essere avvenuto dopo il 17 settembre 1272. Sulle confische ri- — 288 - I PRIMI ANNI DI GOVERNO DEI CAPITANI delle masse contro i Ghibellini53. Ora essi vengono ripagati colla stessa moneta. Genova fin dalla sua fondazione fu sempre libera, nè mai suddita di alcun re o principe. Ora i Guelfi si erano collegati con re Carlo e lo istigavano alla guerra contro i Genovesi. Se egli li avesse aiutati a rientrare in città colla forza, essi ve lo avrebbero fatto Signore; tutto quanto gli era stato ancora promesso avrebbe portato sciagura sulla città, la cui liberta era messa in giuoco54. Tale potè essere l’idea che gli aderenti dei Capitani procurarono d’instillare nella cittadinanza. Significativamente gli Annali notano che le inimicizie non erano rivolte contro Carlo che intendeva soggiogare Genova, ma bensì contro i nemici dei Ghibellini, che ve lo istigavano. Con questi era impossibile per il partito della nobiltà, che aveva in mano il potere, una onorevole conciliazione. Ad esso importava di più, quindi, di poter anteporre alla lotta che aveva provocato lo schermo di un interesse superiore, per assicurarsi il fattivo concorso del Popolo. Dovevasi però meditare seriamente se conveniva eccitarlo diretta-mente e subito contro Carlo, la cui intromissione rendeva la prevedibile guerra molto pericolosa. Sussistevano del resto ancora gli antichi motivi per mantenersi in buoni rapporti col dominatore dell’Italia meridionale. Nella sfera dei suoi stati si trovava in quel momento un numero considerevole di mercanti genovesi, occupati nell’esercizio del loro commercio55; metterlo sull’avviso col richiamarli sarebbe stato un passo pericoloso per i Capitani. Inoltre ciò avrebbe potuto far credere che si fosse voluto turbare il pacifico andamento degli affari di tanti cittadini, proprio nel mo- sulta qualche altra cosa dal doc. in App. 1, nr. 5, c. 254 e sgg., del 18 luglio 1274. Il totale del capitale della compera salis, sul quale il Comune doveva pagare gli interessi, ammonta a lire 317054, dalle quali sono da dedurre infrascripte quantitates que sunt scripte super infrascriptos... super Frederichum de Flisco l. 3325, super Nicolaum de Flisco l. 828, ed inoltre le quote di Bo(v)arello Grimaldi, della moglie di Gabriele Grimaldi, di Luca Grimaldi e di sua moglie, di Tomaino Grimaldi, degli eredi di Bonifacio Vivaldi e della moglie di Lanfranco Grimaldi, in tutto lire 7725. Su questa somma non vengono pagati interessi come sulle 4638 lire che appartengono al Comune, sicché il capitale sul quale è dovuto l’interesse dell’8 % è soltanto di lire 304691. Questa deduzione si spiega facilmente supponendo che i beni dei sunnominati fossero stati confiscati; [un sindaco per i beni dei ribelli viene citato il 5 marzo 1275: Ferretto, Cod. dipi, II, p. 7, nr. 16], 53 Annali, 195 [III, 106 e sgg.] per il 1241. 54 Annali, 272 [IV, 146], Con la parola libertà si deve naturalmente intendere soltanto l’autonomia, non l’indipendenza dallTmpero. Ciò significa nec sub alicuius regis nec principis astricta imperio. 55 Annali, 273 [IV, 148], - 289 - Libro III - Cap. secondo mento in cui il grano aveva raggiunto un prezzo che impensieriva56. Il punto di vista da cui partivano i Capitani era quindi quello di considerare come sempre sussistente il trattato del 1269, tendendo a mantenere amichevoli relazioni con Carlo, dal quale sembra pure possibile che abbian tentato di alienare i Grimaldi. 56 Annali, 274 [IV, 151]. Per questo tanto più inquietante doveva essere una rottura col signore del paese del grano, la Sicilia. Che i Capitani avessero pensato per tempo ad aprire relazioni con altri mercati è provato da un contratto che essi e gli Anziani conclusero il 13 aprile 1272 (App. 3, nr. 28, c. 8 e sgg.) - [cfr. Ferretto, Cod. dipi., I, p. 260, n. 1] - con Enrico Squarciafico e Lamba Doria. Questi rappresentavano pure i partecipanti alla loro impresa, Guglielmo Doria, Baldassarre e Samuele Spinola, Francesco Ceba, Percivalle de Mari, Pietro Petracii, etc. Essi promettono di recarsi in Garbo ad Gamarasem dominum Tremesem, per acquistarvi quanto più grano potevano, fino ad 80000 mine e più, e di portarlo subito a Genova. Essi pagano un soldo e 3 denari per mina al Comune, che dà loro una galera armata per l’andata e inoltre conferisce ad uno di essi i poteri di inviato, col salario di 100 lire, per concludere la pace con Gamarasem e adoperarsi perchè quest’ultimo consenta l’esportazione del grano. L’inviato riceve omnem bailiam et potestatem su tutti i Genovesi, qui erunt in partibus seu segnoria Agamarasem. La galera dovrà essere pronta alla partenza entro la prima metà di maggio; essa sarà seguita da una barca che dovrà tornare eventualmente in patria dal Garbo per far partire le navi, che dovranno caricare il grano e le galere di scorta. Queste ultime vengono messe a disposizione dal Comune; il loro numero è riservato alla decisione dei Capitani. La loro partenza da Genova avrà luogo al più tardi un mese dopo che saranno giunte notizie dal Garbo. Quei Genovesi che volessero importare grano dal Garbo e che non fossero in società con Enrico e Lamba dovranno pagare 5 soldi per mina per contributo alle spese, a meno che non avessero lasciato Genova già prima della stipulazione di questo contratto e fossero arrivati al Garbo prima di Enrico o di Lamba, o entro 15 giorni dopo il loro arrivo. Il Comune s’impegna ad acquistare tutto il grano che essi portassero dal Garbo a Genova o territorio fino a Natale, al prezzo pieno di costo e con l’aggiunta di 2 soldi per mina, prò lucro (però per non più di 18 soldi per la mina grani, 8 soldi per quella ordei; nei costi non sono considerati quelli per l’armamento delle galere). I mercanti saranno pienamente liberi di vendere o no il grano al Comune, però dovranno deciderlo entro tre giorni dal suo arrivo nel porto di Genova; hanno parimenti la facoltà di vendere parte del grano al Comune, trattenendone parte per sè, per venderla a Genova liberamente. Se il Comune concludesse con altri un contratto de grano deferendo de partibus ipsis vel de Maiorica ultra versus ponentem più vantaggioso per i fornitori, quelli interessati al contratto in corso potranno accedere al nuovo; i Capitani potranno mandare con le galere fino a 4 taride, da utilizzarsi per il trasporto del grano al medesimo nolo (naulus) come per le altre navi destinate allo stesso scopo. Manifestamente lo scopo principale del contratto è quello di procurare l’importazione di grano a Genova. Ai fornitori è assicurato un guadagno fisso e quindi non corrono un grande rischio. [Per misure posteriori prese dai Capitani, v. Ferretto, Cod. dipi, I, p. 323, nr. 802; p. 325, nr. 804]. — 290 - Capitolo terzo Le trattative con Venezia e Carlo d’Angiò Esecuzione dell’armistizio del 1270. - Trattative di Genova col Paieoi. n di crociata di Gregorio X. - Sue premure per una pace tra Gen^l v " Trattative di inviati genovesi con Carlo. - Imprigionamento dei Genova ?*' ' angioini. - Lagnanze genovesi presso Gregorio X. - Suo punto di vista ' "t inviati genovesi e veneziani. - Abboccamento degli inviati eenov« ', attat,ve re di Sicilia. - Politica dei Capitani. - Importanza della guerra tra Genova TST tra del re Un’ambasciata, partita da Genova già nell’ottobre 1979 ... • . ■L^/z> venne inca- ricata di ulteriori trattative con poteri riguardanti anche altre questioni di non lieve importanza ». L’armistizio con Venezia era stato concluso ancor prima del rovesciamento della costituzione a Genova. I Capitani non ripresero la guerra, nè più si ebbero ostilità. Questo scopo principale era quindi raggiunto, quantunque l’esecuzione dei patti non avesse avuto pieno effetto 2. La costituzione delle garanzie si era protratta a lungo- i . App. 2, nr. 23 (13 ottobre 1272): Marchisinus de Cassino, iurisperitus Obertus Cigala et Johannes de Rovegno sono investiti di poteri in omnibus et singulis factis et questionibus que et quas habemus... in curia Romana cum Venetis seu sindico vel syndicis Venetorum seu quacumque alia persona, collegio vel universitate et ad compromittendum pro comunt et populo Janue cum quacumque persona comuni universitate seu corpore, in quem vel quos dictis ambaxatoribus vel maiori parti eorum videbitur. Che i medesimi inviati avessero trattato anche con Carlo, risulta dalla loro lettera in App. 2, nr. 20. 2 Guido de Corv., 678, lasciò Pisa il 14 novembre 1270 per recarsi da Carlo a Tunisi. Accompagnava degli inviati pisani, genovesi e veneziani che vi andavano pro confirmando treguam factam apud Cremonam. Non può trattarsi d’altro che della ratifica che doveva aver luogo dinanzi a Luigi IX; cfr. sopra, p. 229. Gli ambasciatori non trovarono più l’armata francese davanti a Tunisi; ad ogni modo rimasero ferme le garanzie del re di Francia per il cui tramite il trattato era stato concluso. [Per l’esecuzione di tale ratifica vennero concessi i poteri necessari a Franceschino de Camilla il 3 ottobre, il quale si dichiarò pronto allo scopo il 18 novembre, sulla spiaggia di Tunisi, sotto la tenda del re: Ferretto, Cod. dipi, I, p. 221, nr. 557; p. 222, nr. 560: in sostituizione del periodo precedente da « Gli ambasciatori...]. Secondo il doc. del 1° maggio 1271 (App. 2, nr. 17), nell’armistizio concluso tra Venezia, Pisa e Genova al fine di impedire reciproche ostilità era stata prevista una penalità di 40000 marcharum argenti fini-, Venezia aveva preteso che vi fossero dei fideiussori - 291 - Libro III - Cap. terzo prigionieri non erano stati ancora rilasciati. Frattanto Venezia si era impegnata in guerra con Bologna. Non è chiaro se Genova avesse direttamente aiutato quest ultima città, ma è però certamente degno di nota il fatto per 25000 lire tomesi in regno Francie fino al 1° maggio; parimenti Genova. Il re di Francia avrebbe potuto esigere questa somma dai garanti della parte che avesse danneggiato l’altra, affinchè questa potesse ottenere pieno risarcimento del danno sofferto. Heinricus Brunengus, sindaco del comune di Genova, munito dei poteri conferitigli l’8 aprile 1271, era venuto ad bospicium... Johannis, comitis de Fontino, consiliarii del re di Francia, accompagnato da un notaro. Egli domandò se fossero presenti rappresentanti del re e del Comune di Venezia per ricevere la prestazione della garanzia. Ciò non essendo, egli protestò, in nome del Comune di Genova, dinanzi al Conte, di essere pronto a prestare le garanzie nella forma prescritta dal trattato. Actum et factum est hoc in hospicio nobilis viri d. Johannis comitis de Fontino sito in civitate Parisiensi. La garanzia venne successivamente prestata il 20 agosto 1271 (App. 2, nr. 18): Enrico, re di Navarra, Campanie ac Brie comes palatinus, dichiara di rendersi garante verso il notaio Rustiguinus, sindaco del comune di Venezia, fino a lire 25000 tomesi. Il re di Francia potrà chiedergli denaro fino all’importo di questa somma ad satisfaciendum offensis ... Datum per nos in parte (?) prox(ime) Pontes die Jovi(s) prox(imo) post adsumsionem b. virginis 1271. Il luogo è Pont sur Seine. Enrico si trovava a Parigi nel giugno 1271, a Troyes in settembre: v. D’Arbois de Jubainville, IV, p. 433 e sgg.; VI, pp. 69 e 71. Questo documento è inserto in un altro di pari data (Actum in loco predicto anno Domini 1271, ind. 14, die predicta). Enrico dichiarava d’aver consegnato la lettera di fideiussione di 25000 lire tomesi per il Comune di Genova al sindaco veneziano, il quale aveva consegnato per lui al Re, sive magistro Thome, il testo della detta lettera. Quest’ultimo si trova anche fra i testimoni ed è qualificato come clericus; su di lui v. D’Arbois de Jubainville, IV, p. 529. E’ il notaro genovese Guglielmo di S. Ambrogio che stende successivamente l’istrumento relativo a questo accordo. Genova aveva con ciò adempiuto ai propri impegni. A ciò in ogni caso è fatto riferimento nel doc., del 28 agosto 1272, in App. 2, nr. 22. I due comuni dovevano prestare garanzia per l’osservanza dell’armistizio, in partibus Syrie vel in partibus Francie, fino alla somma di 25000 lire tornesi. Genova aveva adempiuto a quest’ob-bligo già da lungo tempo (magno tempore iam elapso) e ciò in partibus Francie. E’ fatta menzione d’una copia autentica del documento (ma non di quella conservata, bensì del 1271). D. Symon Guercius, consul, vicecomes et capitaneus Januensis in Syria et aliis partibus cismarinis, è nominato sindaco del Comune di Genova (secondo un documento del 31 agosto 1271) per richiedere al sindaco veneziano la prestazione della garanzia, il che egli fece dirigendo la richiesta relativa a Pietro Zeno, bajulo veneziano in Acri e Siria, al quale il Doge aveva conferito i poteri per far prestare la garanzia medesima. Il genovese si dichiara pronto ad accettarla nella forma prevista nel trattato, osservando pure di essere venuto ad Acri de Tyro, ubi tenet officium sui con-solatus pro dicto comuni Janue, e che perciò avrebbe atteso soltanto una decina di giorni. Il bajulo vuol quindi porre come fideiussori magistrum templi Accon et ma- - 292 - Le trattative con Venezia e Carlo d’Angiò che proprio in questi anni vi siano stati eletti Podestà genovesi3. Da essi era da attendersi una vigorosa continuazione della guerra. Ciò però non fornì occasione ad un nuovo conflitto fra le due città marittime e molto meno era da attendersi che esso potesse scoppiare a causa degli affari di Romania. Il Paleologo si vedeva seriamente minacciato da Carlo d’Angiò, che faceva grandi armamenti per riconquistare Costantinopoli. Si comprende quindi come il Greco riannodasse più saldamente l’antica amicizia con Genova4. Egli trovò la massima condiscendenza gistrum hospitalis b. Johannis Baptiste regni Jerusalem. Egli ritiene che la loro garanzia corrisponda alle prescrizioni del trattato; se il console genovese stimasse tale garanzia insufficiente, allora sapientes homines (cioè arbitri) dovrebbero decidere la questione; se la sentenza riuscisse a lui sfavorevole presenterebbe nuovi garanti; prima però domanda copia d’un documento, contenente consilium generale Januensium de Tyro, in quo... Symon fuit electus consul Januensium. Questi presenta il documento, dichiarandosi pronto a darne copia, chiedendo però che il bajulo ostenderet sicut erat baiulus Venetorum. II decreto di nomina viene esibito, il console ne domanda copia che il bajulo s’impegna a dare. Dopo questo intermezzo, il Genovese risponde alla dichiarazione del Veneziano. Egli è pronto ad accettare garanti che corrispondano alle condizioni del trattato, ma quelli offerti non sono sufficienti, perchè essi non sono societates seu singulares persone, immo sunt religiones et quidam sive duo conventus seu plura. Il luogo delle trattative è Acri, in palacio episcopali; tra i testimoni vi sono due consiliarii dicti baiuli e inoltre Bartholomeus de S. Laurencio consul Januensium in Accon. Genova naturalmente non aveva indugiato a far si che le venisse prestata la garanzia da parte di Venezia: App. 3, nr. 28, c. 17, 8 febbraio 1273 [cfr. Ferretto, Cod. dipi., I, p. 294, nr. 738]. I Capitani e gli Anziani nominano come sindaci Pagano Guercio, Marino Boccanegra, Lanfranco Tartaro e altri undici per far prestare la garanzia dei rappresentanti di Venezia. Quanto alla forma nella quale ciò doveva avvenire, ci riferiamo alla copia d’un documento che inizia: Nos Enricus Dei gratia, etc., che naturalmente è da ritenere il documento tramite il quale il re di Na-varra aveva dato la fideiussione per Genova. Che a tale effetto fosse stato investito di poteri un tal numero di persone, è chiarito da una nota di un foglietto allegato ibidem, dietro c. 16 v. Erano i mercanti che dovevano andare in Siria (ultramare). 3 Nel 1271 Lanfranchino Malocello: Barth. della Pugliola, 283; Mittarelli, 226, 238; doc. in Savioli, III, 2, p. 443; cfr. Canal, 636, 640, 646. Nel 1272 Luchetto Gattilusio: Barth. della Pugliola, 283; doc. in Savioli, III, p. 452 e sgg. Matth. de Griffonibus, 122, lo chiama Luchino Gattilusio; in Mittarelli, 1. c., erroneamente Enrichetto. 4 Cfr. Pachym., I, 358, 366. L'App. 2, nr. 24, contiene anzitutto le richieste di Ogerio, ambaxator illustrissimi imperatoris Grecorum, a comune Janue 1272, con l’osservazione che a tali richieste venne risposto tramite l’inviato del Comune Lanfranco di San Giorgio, cancellarium comunis et populi Janue. Le domande sono: nessun genovese deve offendere l’impero greco. Come podestà dei Genovesi si deve man- - 293 - 20 Libro III - Cap. terzo alle sue domande, che in effetti tendevano a rendere più chiare le clausole del trattato fondamentale del 1261 per evitare l’insorgere di litigi. Egli cercò di rimanere in buoni rapporti anche con Venezia, dove i suoi inviati incontrarono quelli di Carlo e di Balduino che dovevano indurre il Doge ad una lega contro di lui. Gli accorti Veneziani presero tempo per decidersi a prendere parte ai piani di conquista d’un re la cui potenza sembrava già allora troppo grande5. Sembra che anche Gregorio X entrasse presto nello stesso ordine di dare homo sapiens et discretus et sue mentis compos. Egli deve osservare la convenzione fra l’imperatore ed il Comune e punire coloro che, soggetti alla sua giurisdizione, commettessero frode contro le dogane (comergium) dell’impero. Il grano deve essere portato da quei Genovesi ai quali l'imperatore conceda l'esportazione a Genova, non nei paesi a lui nemici, con l'obbligo di prestare cauzione al riguardo. I Genovesi non devono concludere società commerciali con stranieri, nè vendere le merci di costoro per genovesi. Se l’imperatore armasse una flotta, egli potrà esigere che i Genovesi presenti gli cedano le loro navi. Vengono comunicate le risposte; non contengono alcuna differenza sostanziale, come neppure se ne riscontrano nella convenzione conclusa dall’inviato genovese. In verità non ne possediamo il formale documento autentico notarile; della convenzione ci è rimasta soltanto una specie di minuta su un semplice pezzo di carta (App. 2, nr. 25). L’arenga ci dice che Lanfranco di San Giorgio ebbe incarico, quale inviato all'imperatore greco, di rispondere alle sue richieste e presentargli quelle del Comune. I relativi poteri, del 29 agosto 1272, vi sono pure inserti ed è in base ai medesimi che egli conferma i capitoli che seguono. E' premesso anzitutto che la convenzione del 1261 deve essere osservata da parte dei Genovesi. Le altre promesse di Genova corrispondono alle richieste dell'inviato greco ed alle risposte date dal Comune. Manca un protocollo finale. Il testo è scritto su due colonne; segue, scritta per tutu la larghezza del foglio, una nuova invocatio. In nomine d. nostri Jesu, e la dichiarazione che l'inviato aveva ordinato al podestà genovese (ego... prece pi potestati) di osservare i suddetti capitoli ed inoltre promesso all'imperatore di darsi premura perchè il Comune ratificasse il tutto, facendogli pervenire litteras patentes munite del suo sigillo. Le ultime parole sono: Hec autem prò futura memoria fecimus scribi per manum notarii infrascripti et in presentiti etc. Anche se il testo definitivo di questo documento doveva ancora essere presentato aU'impcratore, non possiamo escludere che la convenzione sia entrata in vigore, dal momento che essa fu ratificata dal Comune il 25 ottobre 1275: Sauli, II, p. 204 e sgg.; v. oltre, cap. Vili. L’originale (Archivio di Stato di Genova, Materie politiche, mazzo 6) ha ancora un avanzo del nastro del sigillo. 5 Canal, 648, 650. L'armistizio finiva il 4 aprile 127J: Urkunden zur àlteren, III, p. 94. Gregorio X si adoperò perchè non fosse rinnovato: Posse, p. 58; Rayn., anno 1271, par. 31. L’inizio delle trattative col Paleologo sull'unione delle Chiese ebbe luogo poco dopo: Potthast, nr. 20630. - 294 - Le trattative con Venezia e Carlo d’Angiò idee riguardo a Carlo. Questi era stato investito da Clemente IV quale feudatario per Napoli e la Sicilia, ma non per tutta l’Italia; si trattava di un vassallo non troppo ossequiente alla Chiesa romana, anzi, sotto un’esteriore apparenza di devozione, egli aveva sempre di mira le sue vedute egoistiche, rese evidenti dal suo contegno coi partiti genovesi. Invece d’influire, secondo le viste del papa, per pacificare gli avversari, la sua intromissione aveva infiammato l’odio fra loro fino ad aperta guerra. Il papa seppe intendere molto bene che cosa era necessario per mantenere la sua alta posizione in occidente, contro la quale nessuna opposizione di massima veniva in questo momento da parte alcuna. Bisognava però dare a questa posizione un’importanza tale da sollevarla al di sopra delle lotte di interesse particolare. Se si poteva riuscire a raccogliere tutte le forze della cristianità per uno scopo d’importanza generale, come la riconquista del Santo Sepolcro, si sarebbe posto un argine allo scoppio di singole guerre, che, in confronto con una tale impresa, potevansi considerare come cosa minima. In campo contro i Saraceni si sarebbe potuto dar sfogo a quello spirito litigioso che invano si sarebbe potuto tenere a freno per lungo tempo nei confronti dei propri correligionari, quantunque in qualche caso ciò potesse risultare favorevole ai papi. La difficoltà consisteva nel dubbio di poter sollevare il movimento generale per una crociata, prima che fossero eliminate le attuali cause di discordia. Urbano II, indipendentemente dai re, aveva chiamato le popolazioni a una crociata in Oriente, ma una cosa simile non era possibile ora. L’ordinamento degli Stati era ormai troppo progredito per poter ancora oggi sollevare le masse, come era avvenuto allora. In Spagna ed in Francia, l’essenza dello Stato poggiava sul re; in Germania ed in Italia sull’elemento territoriale; là l’indipendenza del Principe, qui quella del Comune. Prima che gli opposti interessi dei diversi re, principi e città fossero almeno precariamente appianati, non si poteva nemmeno pensare che essi potessero collegarsi per un’azione comune; dietro di essi andava ormai crescendo nelle nazioni la consapevolezza dei propri valori, mentre su di essi le idee universali non avevano più l’antica efficacia. Possiamo considerare come preparazione della crociata il fatto che Gregorio X, rinnovando alcuni antichi divieti, minacciò severe punizioni contro chi vendesse munizioni da guerra ai Saraceni6. Per discutere su 6 Potthast, nr. 20522; Rato., anno 1272, par. 13-16, 31 marzo; Reg. de Grég. X, p. 137. V. anche Campi, II, p. 417 e sgg. Araldo de S. Desiderio clericus venne perciò mandato a Genova. — 295 — Libro III - Cap. terzo provvedimenti da prendersi per una spedizione universale, egli convocò un concilio generale1. Per venire in aiuto alle angustie nelle quali si trovavano allora i cristiani in Siria, procurò loro pronti soccorsi, facendo mettere a contribuzione pure le città marittime con galere8. Si comprende anche come egli avesse rinnovato i tentativi per stabilire una solida pace fra Genova e Venezia, ed è abbastanza sorprendente come non lo avesse già fatto prima d allora9. Il suo legato, l’arcivescovo di Aix, aveva iniziato trattative a tale scopo, e aveva anche incominciato ad intromettersi fra Venezia e Bologna. Il papa aveva lasciato a lui la decisione se fosse opportuno continuare le sue trattative ovvero spedire lettere ai tre Comuni, nelle quali fosse loro prescritto di mandare, entro il 18 ottobre, i loro inviati alla Curia romana, muniti dei necessari poteri per venire ad un accordo. Le prestazioni del legato si dimostrarono infruttuose e quindi, secondo le istruzioni, fece recapitare ai Comuni le lettere, alle quali fu dato pronto corso l0. E probabile che le discussioni dinanzi al papa abbiano avuto luogo, senza però portare ad un risultato ". Si può anche ammettere che Gregorio X abbia ordinato alle parti di comparire un’altra volta dinanzi a sè con 7 Rato., anno 1272, par. 21 e sgg. 8 Potthast, nr. 20521; Reg. de Grég. X, p. 137; Campi, II, p. 419; cfr. Rato., anno 1272, par. 4. Genova, Venezia, Pisa e Marsiglia dovevano allestire 3 galere ciascuna, ma non risulta chiaro se l'abbiano fatto. 9 V. le lettere senza data in Kaltenbrunnek, I, p. 26 e sgg.; cfr. Rato., anno 1272, par. 44 e sgg. Si devono forse porre all'agosto o settembre 1272, poiché fino al 18 ottobre (usque ad festum b. Luce) gl’inviati dovevano trovarsi presso il papa. on vi può essere dubbio, per la domanda contenuta nella lettera, che gli inviati muniti dei poteri a Genova il 13 ottobre (v. sopra, libro III, cap. III, n. 1) non fossero parti ti. I documenti (App. 2, nr. 18 e 21), che ci sono conservati in copia autentica eli 11 ottobre 1272, vennero compilati espressamente allo scopo che gli inviati li portassero con loro. 11 Quanto alle successive trattative che gli stessi inviati condussero con i Veneziani, v. oltre. Ncìl'App. 2, nr. 88, è citata un'istruzione, data agli inviati da por-tarsi appresso (secundum formam tractatus, quam portaverunt), modificata dalla nuova istruzione del 9 gennaio 1273. In Canal, 648, non ,i distinguono nettamente e diverse fasi delle trattative. Gli inviati veneziani sono Giovanni Dandolo, Toma-sino Giustiniani e Nicola Navigaioso. - 296 - Le trattative con Venezia e Carlo d’Angiò poteri più estesi n. Inoltre, mediante monaci, egli avviò dirette trattative fra i Comuni13. Frattanto i Genovesi si erano recati ad Aversa alla corte di Carlo 14, ma non riuscirono a rendere il re favorevole al Comune. Egli esigeva, sia pur celatamente, nientemeno che la destituzione dei Capitani. La sentenza arbitrale del papa, alla quale le parti avrebbero dovuto sottomettersi, avrebbe dovuto estendersi anche a tutte le discordie che erano insorte riguardo al trattato del 1269. Perciò doveva anche esservi fatta menzione se fosse stato osservato l’artìcolo secondo il quale il capo del Comune doveva appartenere solamente al partito della Chiesa e del re. Non si poteva dubitare della decisione che sarebbe stata presa su questo punto, sul quale le disposizioni del trattato del 1269 non ammettevano dubbi. Si poteva invece ben mettere in dubbio se i Capitani genovesi fossero partigiani della Chiesa e potessero davvero dichiararsi amici di Carlo, visto che egli non accordava loro questo titolo. Perciò essi acconsentivano ad un compromesso, qualora però da parte di Carlo fosse stata eccettuata qualunque deliberazione sull’attuale forma di governo in Genova 15. Forse 12 Questo spiegherebbe la seconda procura, del 13 gennaio 1273 (App. 2, nr. 26), per i medesimi inviati. Essi vengono incaricati ad comparendum coram d. papa et conveniendum simul cum ambaxatoribus et sindico sive sindicis comunis Veneciarum ad agendum, tractandum, componendum, transigendum pacem, treugam et concordium faciendum et confirmandum nostrorum et comunis et populi Janue nomine cum predictis ambaxatoribus Veneciarum... super omnibus et de omnibus guerris et discordiis, etc. 13 A questo si riferisce certo la lettera in Kaltenbrunner, I, p. 7, che probabilmente deve riportarsi sotto la data del novembre o dicembre 1272. Secondo la spiegazione del Kaltenbrunner, essa è diretta al generale dell’ordine domenicano, Giovanni da Vercelli; egli viene incaricato di mandare a Genova alcuni monaci, allo scopo d’indagare sotto quali condizioni si potesse riuscire a concludere la pace. Un analogo incarico poteva essere stato conferito per Venezia. Come conseguenza di queste accanto alle intercorse trattative ufficiali particolari è da considerare quanto è detto in App. 2, nr. 88: Et habeant in memoria ipsi ambaxatores quod ex parte Venetorum pro menda oblatio facta est per fratrem Laurentium dicentem quod talem menda(m) facere(n)t super predictis capitaneis et comuni Janue, que eis placeret, et hec d. pape dicere poterunt, cum eis videbitur. Questo spiega anche l’intromissione dei monaci nelle trattative. V. oltre. 14 Annali, 273 [IV, 148]. I documenti di Carlo, dalla fine di settembre 1272 al principio di gennaio 1273, furono alternativamente rilasciati a Napoli e Aversa: Durrieu, II, p. 174 e sgg. 15 II che risulta anche dal passo (App. 2, nr. 20) Sicut alias vobis scripsimus, prevideatis vobis, quod d. rex, ut firmiter credimus et quasi sumus inde certi propter — 297 — Libro III - Cap. terzo speravano ancora possibile un amichevole accordo cogli alleati dei loro avversari, il che li avrebbe sollevati da ogni imbarazzo. Essi comunque intendevano allontanare più che fosse possibile la manifesta rottura. Alla morte del re Riccardo la questione elettorale in Germania era entrata in una nuova fase l6. Sia che il papa riconoscesse le pretese del Castigliano o che lasciasse cadere la scelta sopra un re romano indipendente dai francesi, era allontanata la combinazione secondo la quale ogni comune dell’Italia settentrionale che volesse rimanere in buona armonia colla Curia doveva unirsi a Carlo. I Ghibellini trovarono allora appoggio presso i potentati lombardi, anche senza che essi incorressero nell’anatema contro gli Staufen. Carlo non aveva mai dubitato che l’elezione d’un re romano, indipendente, riconosciuto dalla Chiesa, avrebbe messo fine al suo predominio nell’Italia settentrionale. I tentativi da lui fatti per opporvisi od almeno per mettere in vista suo nipote, ne sono una prova sufficiente l7. E’ molto dubbio tut- ea, que didicimus tam in curia ipsius quam in curia Romana, quod de vestro (sale, frumento vel unciis cancellato) novo tractatu non curat, seu solummodo de facto pre-sentis status regiminis civitatis ]anue, tam propter factum suum quam et ob instantiam et iniationem illorum, quos scitis prosequi (!) comune Janue, et qui aurige sunt currus sive quadrige totius mali. Et ideo d. rex fecit vim in compromisso generali, ut ille articulus, in quo pendent leges et profete, sub illo generali compromisso comprehenderetur (!). Et pro firmo habemus quod d. rex specialiter voluerit compromittere in d. papam de facto regiminis civitatis et demum de omnibus articulis conventionis propter illum articulum, in quo pendent leges et profete, et super quo emuli nostri instant ei. Con le parole novus tractatus si devono intendere nuove istruzioni, spedite più tardi agli inviati (certo dopo la loro partenza dalla corte del re; cfr. oltre). Dalle parole cancellate si può dedurre che i Capitani si erano dichiarati pronti a fare concessioni, forse a versamenti in denaro. Gli inviati non credevano di poter ottenere alcunché con questo mezzo. Dalle trattative con Carlo e da altre informazioni avevano acquistato la convinzione che a lui importava soltanto di abbattere la forma di governo ora istituita a Genova dal partito ghibellino. Il papa avrebbe dovuto anzitutto decidere se essa fosse in armonia con la convenzione del 1269. Che proprio i Guelfi sollecitassero tale decisione, prova quanto poco dubbio vi potesse essere. 16 Perciò gli inviati genovesi informarono i Capitani sullo stato della questione dell’elezione; v. il passo in Bresslau, Zur Vorgeschichte, p. 60 e sgg. AM'App. 2, nr. 20. 17 E’ credibile che Carlo cercasse d'impedire eleccionem de imperatore prece viribus pretio (Emler, Regesta dipi. Bohemiae, II, 11)9). Quando però, nel 1273, si trattenne presso la curia, influì per l'elezione di Filippo III di Francia: Relation d'une entrevue, p. 652 e sgg. La lettera perciò dovrebbe riferirsi al tempo del precedente soggiorno di Carlo presso la Curia (aprile-maggio 1272), il che è pure poco probabile. - 298 - Le trattative con Venezia e Carlo d’Angiò tavia se le sue sollecitazioni presso la Curia avessero ottenuto qualche successo. A maggior ragione egli si affrettò ad assicurarsi dell’importante punto di mezzo fra la Provenza e la Toscana. Se il partito guelfo fosse ritornato a Genova e gli avesse accordata la signoria sulla città e territorio, allora la spedizione di truppe spagnuole in Lombardia sarebbe stata assolutamente impossibile. Ma quanto più saldamente fondata fosse stata qui la potenza degli Angiò, tanto più fortemente egli avrebbe potuto far valere le sue pretese presso il nuovo imperatore di Germania, se costui fosse stato intenzionato a ristabilire in Italia i diritti dell’impero. Era quindi di somma importanza per Carlo di por presto fine alle fazioni in Genova, ed a tal fine agì colla sua consueta energia. Senza alcun riguardo alle trattative in corso, egli fece d’improvviso arrestare tutti i Genovesi che si trovavano nelle vicinanze della sua residenza, colpendo di sequestro i loro averi e impartendo l’ordine ai suoi funzionari di fare altrettanto nei rispettivi distretti ’8. Il colpo era espres- 18 Annali, 273 e sgg. [IV, 149]. La relativa lettera di Carlo al suo vicario di Marsiglia, datata Aversa, 28 novembre 1272, ind. I, doveva essere venuta in qualche modo a conoscenza dei Capitani genovesi, che ne mandarono copia ai loro inviati: App. 2, nr. 88. In essa è detto: Clini comune Janue conditiones et pacta, quas cum ipsis habuimus, non servaverint, sed datam (? contra) fidem initam facientes inita federa, quamvis per nos eis inviolabiliter observata, in multis duxerint violare (?), nec satisfacere nobis de hiis curaverint sepius requisiti, nos contra eos velut ruptores federum nostram iusticiam prosequentes decrevimus personas, vasa et bona omnia quorumlibet Januensium in terris nostri morantium capienda et tenenda in manu nostre curie, donec iddem comune nobis satisfactionem exibuerint congruentem. I motivi di queste misure non si rinvengono nelle lettere spedite (1° dicembre 1270) ai iusticiarii del regno: Minieri Riccio, Il Regno, 1271-1272, p. 106. Le accuse che a tale proposito gl’inviati esposero al papa (App. 2, nr. 20) danno maggiori dettagli sull’esecuzione di tali misure: Diximus quod d. rex fregerat nobis conventiones, et quod sine aliqua diffidatione vel termino dato ad componendas sarcinolas ipse apud Neapoli/n et in regno arrestaverat res, tigna et mercimonia Januensium, et ipsos Januenses turare fecerat de non recedendo de regno sine eius mandato. Dunque i Genovesi non furono realmente tenuti prigionieri; però ben altrimenti era avvenuto a Roma: Et quod vicarius ipsius contra fidanciam Januensibus data detinuerat in urbe Januenses et in carceribus seu foveis ipsos detrudi fecerat. Quanto segue prova che il vicario di Marsiglia aveva eseguito l’ordine impartitogli: Et quod in Provincia sine aliqua diffidando quasdam galeam et sagiteam Januensium eius vicarius capi fecerat, personas et res eorum detineri faciendo, quod quidem valde erat inhumanum et crudele. Cfr. anche le notizie in Del Giudice, Del cod. dipi. Ang., p. 103. La cattura delle navi genovesi reduci dalla Romania doveva naturalmente disturbare il commercio con Costantinopoli. Secondo gli Annali, 274 [IV, 151-152], soltanto il 2 gennaio 1273 si ebbe a Genova notizia certa delle ostilità. — 299 — Libro III - Cap. terzo samente diretto contro i Capitani e contro i loro aderenti, poiché i Genovesi esiliati ne furono risparmiati, anzi, come ligi al re, furono protetti nel miglior modo l9. Carlo prescrisse minutamente le forme e i modi con cui queste disposizioni dovevano essere seguite20. Manifestamente non era sua specifica intenzione quella di trarre profitto dal ricavo delle merci sequestrate*1, ma bensì quella di esercitare con ciò una pressione sui proprietari di esse, per attirarli possibilmente al partito guelfo22. I prigio- 19 App. 2, nr. 88: Illos autem Januenses intelligimus et volumus per te capi, qui favent et adherent regentibus nunc civitatem Janue... non autem illos, qui iam-dudum a civitate ipsa propter potentiam et inimicitiam eam regentium recesserunt vel recedent in posterum ob nostrum et nostre partis amorem, de quo utique tibi constare volumus per eorum iuramenta corporaliter exibenda nec non et per testimonium virorum fide dignorum amicorum nostrorum, prestita nichilominus tibi per eos sufficienti fideiussoria cautione, quod sint et erunt nostre maiestati fideles, et tales nedum non capi sed etiam tamquam nostros fideles atque devotos per te volumus honorari. 20 Ibid.\ De omnibus autem tam personis quam bonis, que capta fuerint, confici volumus tria publica consimilia instrumenta... quorum unum penes te, aliud penes consulem ipsorum Januensium in Massilia remaneant, et tertium ad nostram presentiam destinetur. II vicario deve inoltre rendere esatto conto al re del suo operato, ed i Justitiarii devono mandare tutti gli effetti sequestrati: Minieri Riccio, 1. c. 21 Anche questo era avvenuto, ma soltanto più tardi: Minieri Riccio, Il Regno, 1274, p. 43, 28 febbraio 1274. 22 E singolare che il re avesse concesso che fin da principio fossero mandati alla sua corte due o più Genovesi per il recupero delle loro navi: Minieri Riccio, 1. c.; App. 2, nr. 88. A cosa tendesse, è dimostrato dai docc. in Minieri Riccio, Il Regno, 1273, p. 235, 3 giugno 1273: per le suppliche del card. Ottobono e del cappellano papale Percivalle Fieschi, Carlo ordina la liberazione del genovese Oberto de (S)avignono. Ibid., p. 236: il 5 giugno il medesimo partecipava alla convenzione fra Carlo ed i Guelfi. Ancora più chiaramente in Del Giudice, Dipi. ined. di Carlo I, p. 16, 4 e 7 agosto 1273: Carlo ordina che vengano restituite al genovese Lanfranco Lartanus (Lercarius) le merci che gli erano state tolte, perchè egli si obbliga a prestare cauzione quod erit semper fidelis s. Romane ecclesie (et) nobis, et quod loto suo posse offendet capitaneos Janue, nec pactiones inter nos et comune Janue olim ante guerram inter nos et dictum comune exortam et subsequenter cum illis de Grimaldis et aliis extrinsecis Janue habitas iuxta voluntatem nostram inviolabiliter observabit. Che il documento, il cui contenuto ci è dato da Amari, La guerra del vespro, I, f p. 123, nota, secondo le Brevi notizie del Minieri Riccio appartenga veramente al 1273, è dimostrato da una copia integrale del medesimo in App. 5, nr. 6, I. Essa è stesa a Firenze nella I indizione, dunque nel 1273; il mese è omesso dallo scrivano; il giorno 21 non può riferirsi che a giugno o luglio: Durrieu, II, p. 176 [Cfr. Ferretto, Cod. dipi, I, p. 306, nr. 7631. - 300 - Le trattative con Venezia e Carlo d’Angiò nieri dovevano in certo modo servire da ostaggi, per far piegare il Comune alle sue pretese nella supposizione di raggiungere così il suo scopo, senza venire a guerra. Quanto maggiore fosse stato il numero dei Genovesi in suo potere, tanto più vivo sarebbe nato il desiderio nella cittadinanza di rimuovere gli ostacoli che si opponevano alla loro liberazione. A tale disegno contribuì pure la vile malafede di cui si rese colpevole il regio castellano di Malta, allorché gli riuscì d’impossessarsi di Nicola Doria e di suo fratello Micheleto23. Non possiamo però sostenere in modo assoluto che la condotta di Carlo debbasi a rigore ritenere come una rottura dei patti24, per quanto poco corrispondente ai principi d’equità. I Capitani approfittano naturalmente della circostanza, per dimostrare la giustizia della loro causa, come fedeli ai patti, mentre il re contravveniva al trattato solennemente giurato. Essi recano energicamente i fatti a cognizione della cittadinanza. Dagli araldi fanno gridare per le vie 23 Sull’accaduto a Malta nel Natale 1272, abbiamo una dettagliata relazione negli Annali, 273 e sgg. [IV, 149-150]. Nicola Doria è figlio di Emanuele - Annali, 272 [IV, 147] - ma non il fratello del Capitano (figlio di Pietro), perchè questi risulta trovarsi a Genova nel 1274: Annali, 281 [IV, 169]; troviamo ancora - ibid., 292 [V, 14] - nel 1281 un terzo Nicola Doria, figlio di Babilano. La lettera di Carlo (Minieri Riccio, Il Regno, 1271-1272, p. Ili) al castellano di Malta, Bertrando de Reai (cfr. Durrieu, II, p. 371) è soltanto del 27 dicembre. Ciò concorderebbe con gli Annali, secondo i quali egli avrebbe agito per incarico del vicario di Sicilia; non altrettanto bene il documento in Minieri Riccio, Il Regno, 1273, p. 7 (17 febbraio 1273): comunicazione al castellano con cui lo si informa che il 7 febbraio il suo inviato aveva consegnato al vicemaresciallo del Regno Nicola Doria, Michele Doria, Tomaso Scartafico (!) e Uberto d’Avignilo. Gli Annali, 273 [IV, 149-150], non dicono che il castellano avesse tenuto prigioniero anche quest’ultimo, ma anzi affermano espressamente che soltanto i primi tre furono presi. Egli del resto fu in breve rilasciato: Minieri Riccio, Il Regno, 1273, p. 235, 3 giugno (cfr. la nota precedente); per lui si rendono garanti Michele Eria (!) e Tomaso Squarcasito (!); ma qui si parla anche di molti altri imprigionati a Malta insieme a lui. 24 Annali, 273 [IV, 149]: nec etiam convencione obstante, que inter januenses et regem ipsum antea din inita fuerat et firmata ac edam bine inde intervenientibus iu-ramentis vallata, ex tenore cuius Januenses omnes in personis et rebus in toto posse ipsius et regno debebant securitate frui. Le parole antea diu rendono la cosa complicata; secondo esse, la convenzione del 1269 non può essere considerata insieme con quella del 1262, ma da sola. E’ una strana richiesta quella di rimettere in vigore il primo trattato, dopo che il successivo non era più valido. La relazione degli Annali risponde al modo di vedere genovese, e non si può assolutamente accettare, quantunque non contenga vere inesattezze: l’annalista Marchisino de Cassino fa parte degli inviati che avevano scritto la lettera: App. 2, nr. 20. - 301 — Libro III - Cap. terzo della città che i sudditi di Carlo qui residenti nulla hanno da temere in seguito all’accaduto, e che vengono loro accordati 40 giorni di tempo per mettere in salvo sè stessi e le proprie cose25. Il Comune avrebbe potuto ripagare della stessa moneta e ottenere così una rifusione per le merci che si trovavano sequestrate a Napoli26. Ma ai Capitani premeva di più ili questo momento mettere Carlo dalla parte del torto e far vedere che erano tratti a forza ad una guerra contro di lui. Forse, per la scarsa popolarità del dominio francese nell’Italia meridionale, essi avrebbero potuto acquistarvi delle simpatie27; davano quindi maggior peso all’impressione morale. La circostanza che nel momento in cui il re compiva questi atti ostili, gl’inviati genovesi si trovassero ancora alla sua corte, fece apparire il suo contegno come mancante di qualsiasi riguardo28. Gli inviati erano subitamente partiti, forse di nascosto, il che fu decisamente disapprovato dai Capitani29. Genova non aveva rotto le trattative e un eventuale arresto degl’inviati, in piena pace, avrebbe messo il contegno di Carlo in una luce ancor più sinistra. Essi però potevano non aver inteso di esporsi ad un simile rischio. Si recarono dunque ad Orvieto presso la Curia, ove 25 Annali, 273 e sgg. [IV, 149]. 26 L’opinione di Busson, p. 89, che i Genovesi non avessero esercitato alcuna rappresaglia, perchè era mancata loro l’occasione di ribattere il colpo, contraddice agli Annali, 273 [IV, 149]: comune... cum potuerit, vicem tamen reddere non curavit. Non si può provare che la notizia sia falsa. 27 Come Pietro d’Aragona mediante la liberazione dei prigionieri fatti in una battaglia navale (cfr. Amari, La guerra del vespro, I, p. 318), anche i Capitani nel 1274 mandarono liberi senz’altro dei prigionieri, sudditi del re: Annali, 281 [IV, 168], Non è da escludere che essi cercassero di intavolare relazioni in Sicilia. I Genovesi rimastivi avrebbero potuto essersi intromessi. Uno di essi, Lanfranco Farenari, già console genovese a Palermo, spedì ai Capitani delle relazioni sul cattivo modo con cui i Siciliani erano trattati dal re; le corrispondenze furono intercettate ed il mittente carcerato. Sembra che Carlo avesse temuto l’esistenza di una congiura e che per questo avesse ordinato al Vicario di Sicilia di fare più profonde indagini: Del Giudice, Dipi, ined. di Carlo I, p. 18, 15 marzo 1274. 28 Annali, 273 [IV, 148], 29 App. 2, nr. 88: Scribatur etiam ipsis ambaxatorìbus quod idtra modum a(d)mirantur capitanei et comune janue de recessu, quem sic fecerunt de curia regis Sicilie contra formam tractatus eorum. Soltanto più tardi, da una lettera del 30 gennaio, citata in App. 2, nr. 20 (cfr. oltre), risulta che i Capitani si fossero preoccupati della sicurezza personale degli inviati, i quali li ringraziavano. - 302 - < Le trattative con Venezia e Carlo d’Angiò dovevano nuovamente aver luogo delle trattative con Venezia. Approfittarono quindi della loro permanenza colà per esporre a Gregorio X nuove lagnanze contro Carlo e cioè che la detenzione dei Genovesi e dei loro averi costituiva una decisa rottura del trattato. Il re di Tunisi non si era dimostrato tanto crudele quando i Genovesi avevano condotto un esercito crociato nel suo regno per distruggerlo. Le querele dovevano aver fatto impressione nell’animo del papa, il quale rispose: « Io fui nei paesi dei Saraceni e so benissimo che essi mantengono più fedelmente dei cristiani le promesse di pace. Se re Carlo agì sconvenientemente verso il Comune di Genova, ne siamo addolorati e gli scriveremo in proposito »30. La prudenza dei Capitani portò buoni frutti. L’antica fedeltà di Genova verso la Chiesa romana poteva ancora valere per avanzare qualche pretesa al suo appoggio31. Si può credere seriamente eh'essi abbiano continuato a trattare con Carlo, altrimenti gl’intrighi alla corte romana avrebbero esercitato una dannosa influenza, avendo il re ricevuto subito notizia dai suoi amici dell’opera degl’inviati32. In conseguenza di ciò essi erano alquanto preoccupati e non volevano andare nuovamente alla sua corte, altrimenti che sotto buona scorta. Ottennero a loro favore l’intercessione del papa, il quale scrisse replicatamente a Carlo33 esortandolo ad 30 App. 2, nr. 20: Ego fui in partibus Sarracenorum et bene scio quod Sarra-ceni melius servant promissa et paces quam Christiani. Et si rex Karolus fecit aliqua inconveniencia comuni ]anue, dolemus inde et ei scribemus. 31 Ibid.-. et quia coram d. papa et (in) consistorio coram cardinalibus... diximus, quando milites transitum faciebant deversus curiam, quod d. papa sive Romana ecclesia non debebat pati quod milites euntes contra comune ]anue, quod semper fuit in devotione ecclesie, deberent transitum facere per Romanam ecclesiam, et quod ecclesia non debebat pati quod fieret contra comune ]anue per prelatos ecclesie vel opere ipsorum, idem per homines Tuscie, qui sunt sub vicaria data regi Karulo per ecclesiam. Fra i prelati dobbiamo in ogni caso comprendere il cardinale Ottobono ed il cappellano Percivalle (v. sopra, n. 22) e con milites devesi intendere una spedizione di truppe in Toscana, perchè il Vicario di Carlo vi era comparso il 5 febbraio con 500 soldati mercenari: Annali, 275 [IV, 153]. 32 App. 2, nr. 20: Indignati sunt quidam prelati dicentes quod propter eos predicta fuerint exposita, et dicitur quod dicere debuerunt d. regi quod eum accusavimus coram dominis papa et cardinalibus, et dicitur quod rex inde indignatus est. 33 Ibid.: Et sciatis quod ad postulationem nostram d. papa pluries de hoc scripsit dicto regi ut ex ore d. pape habuimus et alias vobis tetigimus nostris litteris. L’ultima lettera non è conservata; tuttavia, essa ricorre senza dubbio in quella senza data di Kaltenbrunner, I, P- 25, cioè circa del gennaio 1273; [Reg. de Grég. X, - 303 — Libro III - Cap. terzo accogliere benevolmente gli inviati e, per quanto possibile, a corrispondere al loro desiderio di venire ad un accordo sulla base delle proposte che essi presentavano34. Il papa tiene fermo sul ritorno a Genova della fazione guelfa, non potendo Carlo concludere una pace disonorevole senza alcun riguardo ai suoi partigiani; ma gli sarebbe dispiaciuto ch’egli avesse dovuto muover guerra per causa loro35. Ne risulta chiaro il punto di vista di Gregorio X: egli non dimostra propensione per i Ghibellini, il loro centro, Pavia, non ottiene la grazia di lui36. L’appoggio accordato in passato a Corradino è una colpa non facilmente espiabile. Differente è la cosa per i Capitani: essi non attaccano il vassallo ed i fedeli partigiani della Chiesa, ma attraverso una serie di atti ostili vengono, contro la loro volontà, trascinati alla guerra con lui. Essi erano ossequienti agli ordini del papa, nè facevano lega coi nemici della Chiesa e perciò Gregorio X non li scomunicò. L’anatema avrebbe reso più dura la lotta con Carlo, il quale avrebbe colpito senza misericordia i nemici. I Capitani videro bene che si doveva evitarla nel momento in cui egli poteva rendersi ad essi pericolosissimo. Da ogni parte essi erano fatti segno ad attacchi, ed era già abbastanza che il popolo sopportasse i pesi della guerra, senza prendere sopra di sè anche i pericoli che sarebbero derivati dall’interdetto per la salute delle anime. I Genovesi si adoperarono dunque col massimo fervore per ottenere influenti relazioni presso la Curia37 e non senza successo. In questo modo ottennero almeno sicure informazioni sugl’intendimenti di Gregorio; p. 326, nr. 770]. Il 28 gennaio gli inviati spedirono un corriere (cursorem) al re prò fiducia sive litteris patentibus fidantie impetrandis: App. 2, nr. 20; v. oltre. 34 Queste dovevano essere contenute appunto nel novus tractatus (v. sopra, libro III, cap. III, n. 15), che gli inviati dovevano aver ricevuto alPincirca nel gennaio 1273. 35 Questo scrive poi espressamente un cardinale a Carlo (App. 2, nr. 20; cfr. oltre), in quibus est notandum quod dictus cardinalis dat intelligere quod d. pape non placeat discordiam esse inter d. regem et comune Janue. 36 Questo è provato dalle rinnovazioni dell’interdetto sopra Pavia: Reg. de Grég. X, p. 57 (21 aprile 1272); p. 77 (18 novembre); p. 119 (18 maggio 1273). 37 App. 2, nr. 88: Reducant edam ipsis ambaxatorìbus ad memoriam quod ex parte capitaneorum et comunis Janue visitent cardinales de quibus eis videbitur, et ab eis requirant consilium et auxilium tamquam ab hiis de quibus confidunt capitanei et comune Janue, et eis offerant ex parte capitaneorum et comunis servitium et honorem, secundum quod eis videbitur. - 304 - Le trattative con Venezia e Carlo d’Angiò molto consolante fu la notizia ricevuta da un ben informato personaggio sulla posizione del papa nella questione della elezione in Germania La Chiesa romana vuole cioè che venga eletto un imperatore. Se un imperatore incoronato mettesse nuovamente in auge i diritti dell’impero tutte le arroganti pretese di Carlo cadrebbero nel vuoto38. Lo stato delle cose doveva portare il contraccolpo nelle trattative con Venezia. I Capitani di per sè avrebbero bensì desiderato la pace ma non potevano scendere fino al punto di concluderla ad ogni costo; l’onore del Comune doveva esere salvo. A tali intendimenti erano ispirate le istruzioni date agl’inviati. Armistizio o pace, con o senza il compromesso nel papa, era questione indifferente: in ogni caso i Veneziani dovevano pagare un indennizzo per i danni39 e restituire i possedimenti genovesi in Acri40. 38 Cfr. fl passo dell 'App. 3, nr. 20 in Bresslau, p. 60 e sgg., con i dettagli del-l’autore. Per i Capitani la questione principale è che appunto il papa è favorevolmente disposto per un’elezione imperiale contraria agli interessi di Carlo. Naturalmente il papa non vuole che diventi imperatore un partigano degli Staufen. Che egli desideri un’elezione (d. papa et ecclesia Romana volunt quod imperator eligatur et fiat), dimostra che egli considera come cadute le pretese di Alfonso. Qui sta pure un monito per Genova di non entrare in relazione con quest’ultimo, il che in passato non si era verificato. 39 App. 2, nr. 88: scilicet compromittendo super omnibus questionibus et dampnis datis bine inde in partibus ultramarinis tempore pacis et durante compromisso, quod factum fuit inter partes in d. papam, quod compromissum habent ipsi ambaxatores, et videantur annus et dies quo factum fuit ipsum compromissum, et ab ipso tempore usque ad 1261 exclusive, quo tempore fecimus conventionem cum Paleologo, et tunc cepimus guerram facere et ex tunc dampnum dedimus Venetis. E’ fatta allusione all’incendio delle navi nel porto di Acri (v. sopra, p. 42), come pure alla distruzione della torre (v. sopra, p. 77). E’ pure previsto un reciproco risarcimento di tutti i danni verificatisi durante tutta la guerra; su questo particolare però gli inviati avrebbero dovuto entrare, qualora fosse stato assolutamente necessario. 40 Ibid.: De navibus etiam et hominibus et rebus in eis captis in Sicilia, factc precepto per legatum d. pape de non offendendo, et de domino Tyri et de possessionibus comunis et hominum ]anue in Acon et de aliis circa hec faciant et observent ut continetur in tractatu eorum, faciendo vim et instando in quantum poterunt quod predicta debeant dimitti et restitui sine aliqua sententia arbitri, et si aliter non poterunt, super ipsis omnibus generaliter compromittant, ut dictum est. Non è chiaro a che cosa si riferisca il primo punto. Vi si ritorna nel corso delle trattative. In App. 2 nr. 20, è fatto cenno dei danni arrecati ai Genovesi: Primo, tempore compromissi facti per utrumque comune in d. papam Alexandrum et durante ipso compromisso tempore pacis facte inter Januenses ac Venetos existentes in Accon. Secundo, tempore precepti facti — 305 — Libro III - Cap. terzo II 1° febbraio 1273 cominciarono le sedute nella chiesa dei domenicani ad Orvieto. I Veneziani non volevano saperne di armistizio; essi volevano la pace, la consegna dei prigionieri e la rinunzia reciproca a pretese di risarcimento di danni, che sostenevano essere maggiori da parte loro. I Genovesi contestavano, dicendo che volta a volta i loro compatrioti erano stati derubati, quando era già in vigore il compromesso del 1258 e dopo che Clemente IV aveva imposto la cessazione delle ostilità; per questi motivi, se non fosse stato accordato un compenso, la pace per Genova non sarebbe stata onorevole. Si diceva che i prigionieri in mano dei Genovesi appartenessero a più nobili prosapie di quelli che erano in mano dei Veneziani. Rinunziando a questo vantaggio, la pace sarebbe stata più ignominiosa della guerra. I Veneziani si opponevano a questo ragionamento dicendo che i nobili che nel 126141 si erano così codardamente lasciati prendere non erano degni d’essere riscattati, replicando in tono beffardo non essere necessario che Genova si curasse di traditori vigliacchi, presi sulle loro stesse flotte, che si sarebbero dovuti lasciar morire in carcere. Costoro erano tutti stranieri e mercenari'12; se li avessero avuti in mano subito dopo la sconfitta, avrebbero loro inflitto severe punizioni, come era stato per l’ammiraglio e per gli altri comandanti. Fu fatto presente ai Veneziani che avrebbero dovuto maggior riguardo per dei loro compatrioti, che si erano difesi quanto potevano; che non avevano servito per denaro e quindi non erano colpevoli di tradimento. Quantunque pochi di numero, il loro valore era rilevante, e quindi i Genovesi insistevano sulla domanda d’un indennizzo per la loro consegna. per d. papam Clementem sive legatum ipsius utrique comuni de non offendendo et etiam tempore presentis treugue, specificantes dampna per suos (?) nobis data dictis temporibus tam super nave Nicolai Matalasi et sociorum et navis Jacobi Maitani et Enrici Papa-lardi et sociorum et hominum et rerum captorum in ipsis. Secondo questo passo, avrebbero avuto luogo nuove ostilità al più tardi dopo l’armistizio di tre mesi del 1268: v. sopra, p. 210. Ciò però non poteva avere grande importanza, poiché il trattato del 1270 doveva appunto impedire che i fatti dei singoli potessero condurre allo scoppio d’una nuova guerra fra i comuni. Avvenimenti posteriori dimostrano come occorsero lunghe trattative prima che il risarcimento dei danni venisse realmente effettuato. Il seguito si riferisce ai possedimenti di Acri: et etiam hodie detinent quandam terram sive solum comunis janue sive districtualium comunis Janue in Accon. 41 App. 2, nr. 20. V. il passo, sopra, libro II, cap. V, n. 40. 42 Ibid. V. sopra, libro II, cap. V, n. 21. - 306 - Le trattative con Venezia e Carlo d’Angiò Per questa via non si raggiunge la mèta. Nel giorno seguente i Veneziani propongono un compromesso. I Genovesi vi acconsentono e si dichiarano pronti a riconoscere Gregorio X come arbitro, ad onore di Dio, della Vergine Santissima, della Chiesa romana, perchè altrimenti la guerra’ sarebbe dannosa per la Terra Santa e funesta alla Cristianità, come ostacolo alla futura crociata e all’indetto concilio e anche perchè il loro Comune non intendeva essere causa della morte di tanti prigionieri In tal modo gli avversari sono messi in difficoltà, mancando essi dei poteri per concludere un compromesso43. I Genovesi lo sanno, ma fanno mostra di ignorarlo, poiché ove i Veneziani avessero avuto l’intenzione di acconsentire sarebbero stati nella necessita di procurarsi i necessari nuovi poteri. Ai Genovesi preme di mettere gli avversari in luce sinistra presso il papa e insistono perciò per una sollecita decisione. Dopo il giorno seguente s’intenderebbero sciolti da qualunque impegno sulla proposta fatta. Essendosi fatto tardi, i Veneziani domandano tempo per riflettere e per consigliarsi col cardinale nominato quale intermediario fra le parti44, il che viene accordato. Venerdì 3 febbraio rispondono che un compromesso nel papa non è possibile, adducendo che Venezia è in lega con Pisa, la quale, pure per conseguenza, deve prendere parte alla pace o al compromesso. Ma Pisa era stata testé scomunicata dal papa, il quale non avrebbe quindi acconsentito ch’essa vi fosse stata inclusa mentre, a sua volta, senza riserva nella convenzione riguardo ad essa, Venezia non poteva venire ad un accordo43. I Genovesi replicano che le loro facoltà non « Ibid. Gli inviati genovesi hanno i poteri, non ex secundo procuratorio, sed ex primo, quod detulimus. Il che corrisponde al contenuto dei docc. del 13 ottobre 1272 e del 13 gennaio 1273: v. sopra, libro III, cap. Ili, nn. 1 e 12. 44 Ibid.\ et inde loqui cum dicto d. cardinali, qui datus erat mediator inter nos et eos. In un altro punto questi è nominato S. de Tors. Non può essere altro cht Simon de Mompis et Bria, presbyter cardinalis tituli S. Cecilie-, Potthast, p. 1073. Tors è Tours sur Marne. Più avanti è detto che egli era in grande amicizia con Carlo (rex Sicilie) cuius amicus dictus cardinalis est valde. Il che si adatta benissimo al futuro Martino IV, che aveva condotto con Carlo le trattative per la trasmissione del Regno di Sicilia. 45 Ibid.-. d. papa, cum sint nuper excommunicati Pisani, non reciperet compromissum, nec nos compromitteremus, nisi salva conventione Pisanorum. L’ultima scomunica dei Pisani venne pronunziata il 18 novembre 1272: Reg. de Grég. X, p. 76. Sul rinnovo del trattato tra Pisa e Venezia del 1268, v. sopra, libro II, cap. VI, n. 58. Nel luglio 1273 sembra fosse stato fatto un nuovo accordo (Dal Borgo, Dipi. Pis., p. 279); forse da identificarsi con quello citato da Tafel e Thomas, pp. 83 e 98? Dandolo, 392, parla del rinnovo dell’antico trattato per 5 anni fino al 1276. — 307 — Libro III - Cap. terzo giungono fino al punto di poter concludere pace coi Pisani, ciò che era d’altra parte superfluo, non essendo Genova implicata in guerra con essi44, e che comunque non avrebbero potuto consentire riserve nella conven-2Ìone47. Essi concludono abilmente in questo modo: « L’ostacolo per un compromesso nel papa viene dalla parte vostra, non dalla nostra, essendovi noi pronti ». Approfittano quindi della piega presa dalle trattative per dipingere i Veneziani presso il papa con neri colori, quali alleati dei Pisani che odiano la Chiesa più dei Saraceni48. Gregorio X, indisposto, non ammette gl’inviati alla sua presenza, però le parti ripetono dinanzi al cardinale le loro ragioni e controragioni. Egli loda i Genovesi per la loro disposizione a rimettere la decisione della vertenza nelle mani del papa; coi Pisani, ribelli alla Chiesa, non intende aver nulla a che fare, egli non ha alcun incarico di trattar pace per essi, nè potrebbe trovarsi presente, ove ciò dovesse aver luogo. I Genovesi traggono profitto da questa sua favorevole disposizione d’animo per pregarlo di adoperarsi a loro vantaggio presso re Carlo, col quale egli si trovava in cordiali rapporti49, ottenendo una lettera per lui, stesa 46 Cfr. sopra, libro II, cap. VI, n. 28. 47 Queste dichiarazioni (App. 2, nr. 20) non sono senza importanza per l’intelligenza dei fatti che seguono: ltem, dato quod non essent amici nostri Pisani, non deberet credere comune V'enetiarum quod Januenses essent ita resupini et ignari quod facerent pacem cum Venetis vel in modum compromissi vel compositionis seu transactionis eo modo quod in ipsa pace vel compromisso addiceretur hec clausula: salva conventione Pisanorum. Ac primo, quia ignoramus quid in ipsa conventione contineatur, unde factum esset reservare in pace nostra conventionem, cuius tenorem nescimus, licet audivimus, quod in dicta conventione sine dubio continetur et est veritas nec diffiteri potestis quin usque ad certum tempus Veneti Pisanos et Venetos Pisani contra Januenses teneantur iuvare in maritimis, et ita ex parte comunis Janue pax semper remaneret firma et ex parte comunis Venectarum posset rumpi, quandocumque comune Venetiarum vellet, hoc modo: si Pisani vel aliquis Pisanus faceret nobis offensam et nos vellemus deffendere vel tantum... (?) Veneti possent dicere: Domini Januenses, vos habetis guerram cum amitis nostris Pisanis, reservatum est in pace nostra comuni voluntate partium, quod salva sit conventio, que est inter nos et Pisanos. Nos tenemus secundum formam conventionis eos iuvare contra vos, et iuva-bimus, non habeatis pro male. Et sic in potestate Venetorum esset seu Pisanorum nobis facere guerram vel offensam, et nos essemus ad pacem perpetuo obligati, et sic inde sequeretur maxima inequalitas. 48 Ibid.: quos ecclesia magis odit quam Sarracenos. 49 V. sopra, libro III, cap. III, n. 44. Le trattative con Venezia e Carlo d’Angiò di propria mano dal cardinale50. I Veneziani danno ora un altro indirizzo alle trattative, tanto sorprendente quanto comprovante la loro sagacia nel considerare la situazione. Essi propongono una generale riconciliazione. I prigionieri verranno rilasciati con rinuncia a qualsiasi risarcimento di danni e facendo appello all’antica amicizia. Ciò renderebbe possibile una lega contro quelli che minacciano alla stessa stregua l’indipendenza dei due Comuni51. Una pace del genere diventa del tutto differente da quella che si aveva in vista inizialmente; essa non sarebbe più stata fine a sè stessa, ma si sarebbe trasformata in una combinazione politica non dissimile da quella diretta nel 1239 contro la potenza preponderante di Federico II52. Le due città marittime dovevano collegarsi per sostenere la loro indipendenza. Già la superiorità francese pesava abbastanza sull’Italia, e la regnante discordia non poteva esserle altro che utile, così come già in passato aveva provocato l’intromissione di Luigi IX. Genova e Venezia si erano allora piegate a lui; perciò, e non a caso, veniva ora evitata qualsiasi allusione al riguardo. II papa tornava così nuovamente in campo come mediatore. In verità la cosa non era gradita ai Veneziani, i quali avrebbero preferito fare a meno della sua ingerenza, motivo per cui avevano dimostrato così scarsa simpatia per un compromesso nella sua persona. I Genovesi tennero fermo, perchè questa era la via più idonea per arrivare all’accordo; essi non avrebbero receduto dalla domanda d’un risarcimento di danni, dal momento che, se pur riconoscevano quanto desiderabile sarebbe stata una sincera pacificazione, essa sarebbe stata tuttavia impossibile se non 50 App. 2, nr. 20: quarum litterarum formam dictus cardinalis nobis dixit se scripsisse manibus propriis, et quam in pergameno vobis mittimus interclusam, et in forma predicta habemus litteras sigillo eius sigillatas. 51 Ibid.: Domini de Janua. Ex quo concordium non possumus facere in modum compromissi, faciamus concordiam in modum compositionis. Scimus enim quod valde est utile pro nobis et vobis et etiam pro Pisanis et multi erigunt calcaneum contra nos et vos, dum sumus discordes, qui, si in concordium (!) essemus, nobis tributa solverent. Et aliqui magnates sunt, qui volunt nos et vos deglutire, qui starent contenti in iure suo, si pacem inter nos haberemus. La prima è un’allusione al Paleologo la seconda a Carlo, quantunque il suo nome non sia espresso. E’ chiaro che si mira ad una lega contro di lui. Et postea nos et vos poterimus confederare, bene nos intelli-gitis, contra illos qui non sunt contenti iure suo. 52 Annali, 189 [III, 87-88]; L.J., I, 980 e sgg. — 309 - 21 Libro III - Cap. terzo fosse stata data loro qualche soddifazione. La pubblica opinione era lontana dal supporre che Genova avrebbe potuto concludere una pace disonorevole 53. I Veneziani risposero di non essere autorizzati ad offrire risarcimenti di danni e che quindi dovevano prima chiedere istruzioni in patria. In tal guisa era evitata un’immediata rottura delle trattative, nè sembrava affatto disperato il tentativo di venire ad un’intesa. I monaci approfittarono del momento per intromettersi nelle trattative, cosa che non avevano ancor fatto 54. Ad ogni modo essi si erano già prima tenuti in diretto contatto coi due governi. Fra Giovanni consegna una nota agl’invitati genovesi, nella quale enuncia le condizioni alle quali, secondo il parere degl’inviati veneziani, poteva essere conclusa la pace 53. Fra Nicola consegna agli altri le contro-proposte. Queste non concordano colle prime; i Genovesi facevano ancora particolari riserve56. I Veneziani erano d’opinione che il loro Comune 53 App. 2, nr. 20: nisi fiat aliqua nobis condigna emenda vel saltim aliqua, ut per mundum dicatur quod sine opprobrio nostro fecerimus pacem. Non era dunque questione di risarcimento dei danni sofferti, ma bensì di dare una formale soddisfazione. 54 Ibid.: Et sic interposuerunt fratres in medio, scilicet prior Venetorum et fra-ter Nicolaus de Antiochia. Essi non agivano però del tutto spontaneamente: cfr. sopra, n. 13. Fra Nicola appartiene al convento dei domenicani di Genova: Vigna, Due opuscoli di Jacopo da Voragine, p. 475; l’altro è poi indicato come fra Giovanni; quel fra Lorenzo che aveva già recato a Genova le offerte di Venezia (v. sopra, n. 13), è forse lo stesso fra Laurens, che fu intermediario nel 1264: Canal, 496; cfr. sopra, libro II, cap. I, n. 88. 55 App. 2, nr. 20: Dixit nobis prior de Venetiis quod ambaxatores Venetorum credebant quod comune Venetiarum faceret pacem cum comuni Janue hoc modo. Et dedit nobis dictus frater in scriptis formam ipsius, quam credebant ambaxatores Veneti fieri posse per comune Venetiarum comuni Janue. Que forma scripta est in quadam papira presentibus interclusa et incipit: Dicit frater Johannes etc. II contenuto non vi e inserto e nemmeno quello della controproposta; i documenti non furono conservati. Essi contenevano in ogni caso istruzioni per la continuazione delle trattative, sulle quali v. oltre. 56 Ibid.: Ambaxatores autem Venetorum, videntes quod plus erat in scripto fratris Nicolai quam in scripto prioris, videlicet de facto domini Tyri et de facto conventionis regis Karuli (et) de facto terre, quam de nostra tenent Pisani in Accon, dixerunt aperte quod cum illis addicionibus non credebant comune Veneciarum pacem facere nobiscum. La riserva in ordine alla convenzione con Carlo, che era stata fatta nell’armistizio del 1270 (v. sopra, p. 229), sarebbe stata in contraddizione con l’idea — 310 - Le trattative con Venezia e Carlo d’Angiò non vi avrebbe aderito, mentre gli altri dichiaravano che, per quanto era a loro cognizione, Genova era decisa a tenere fermo57. Frattanto le cose non procedono ed i Genovesi rendono nota la loro decisione di partirsene per recarsi alla corte del re Carlo58. Il giorno seguente (6 febbraio), essi volevano arrivare fino a Montefiascone presso Viterbo. All’alba sono già pronti, quando fra Giovanni si presenta loro per pregarli di attendere ancora un poco per un’altra discussione coi Veneziani. Essi non aderirono subito a questa proposta, dicendo che i loro affari li chiamavano di fretta presso re Carlo, dato che l’armistizio con Venezia doveva durare ancora due anni. Intanto fra Giovanni continuava a dire che la loro via conduceva al sobborgo nel quale avevano stanza i Veneziani; che ivi avrebbero potuto far sosta e tenere un colloquio in una chiesa o sulla vicina strada, come di fatto avvenne59. Sulle prime le trattative non procedono. I Veneziani tengono fermo nel senso che non vi era probabilità di pace qualora fossero fatte riserve sugli affari di Tiro, sulla convenzione con Carlo e sulle proprietà di Acri occupate dai Pisani. I Genovesi esprimono l’opinione che il loro Comune non avrebbe receduto da questi punti60. Esso tuttavia, come è detto nella nota di fra Nicola, entro 40 giorni si sarebbe fatto rappresentare a mezzo di inviati presso la Curia romana, autorizzati a deliberare, vi mandasse o no Venezia un suo procuratore. Gli avversari rispondono alquanto bruscamente61. Fra Giovanni interviene come paciere, prende da parte i Genovesi e li prega di renderne conto al loro governo. dei Veneziani di stringere una lega contro di lui. L’intenzione dei Genovesi doveva essere stata quella di non compromettersi. Nell’indirizzo della loro politica vi era appunto la vista di non recare offesa al papa; inoltre potevano anche aver nutrito poca fiducia nelle offerte fatte loro. 57 Ibid.: Respondimus quod sine illis non credebamus comune Janue aliquid facere debere, quicquid inde credat frater Nicolaus. 58 Le ultime trattative ebbero luogo di domenica (5 febbraio). Il lunedì comincio il viaggio. Non è detto quando ebbe luogo l’udienza presso il cardinale, probabilmente il 4 febbraio. 59 App. 2, nr. 20: in aliqua ecclesia vel loco comuni. 60 Questo (ibid.), è espresso in una maniera molto contorta: respondimus quod non credebamus quod frater Nicolaus crederet quod per comune Janue predicta pax aliter fieret. 61 Ibid.: Ad que respondentes Veneti dixerunt quod ipsi recederent de curia et quod prior faceret inde quicquid vellet, sed non ipsi. — 311 — Libro III - Cap. terzo Supponendo egli di conoscere meglio degl’inviati le intenzioni del Doge e del Comune di Venezia, diceva quindi che dovevano prestar maggior fede alle sue parole che alle loro, nutrendo fiducia che all’epoca fissata si sarebbero trovati presso la Curia i rappresentanti di Venezia. Quantunque invano, egli fa un altro tentativo, perchè nuove trattative continuino in altro posto 62. Alla fine esse vengono interrotte colla quasi certezza che sarebbero state riprese63. Non possiamo accertare se ciò sia avvenuto, indubbiamente però la pace non fu conclusa. Sembra solo che i monaci fossero riusciti ad ottenere la reciproca liberazione dei prigionieri, ma difficilmente ciò poteva essere avvenuto sulla base di una vera convenzione M. La relazione degl’inviati, fortunatamente conservataci, getta un raggio di luce sulle lunghe trattative fra Genova e Venezia. Essa ci fa conoscere sufficientemente la forma e il modo con cui procedettero. Nessuna delle due parti era da meno dell’altra in pertinacia e nel saggio calcolo delle conseguenze di ogni singolo passo. Ambedue procurano di dimostrare con scolastica raffinatezza l’equità delle loro domande; mancavano però di sincero desiderio di pace e se pure era potuto avvenire qualche ravvicinamento, mordaci osservazioni erano sorte a minacciare una nuova rottura. Era indubbio come i Genovesi litigassero coi Veneziani: si trattava però soltanto di parole e se l’antica discordia non venne subito defi- 62 Ibid.: Verumtatem, quia via multum longa est usque ad curiam Romanam et isti ambaxatores (se. Veneti) non habuerunt additum ad d. papam sicut voluerunt, dedignati sunt dicentes quod nullo tempore venient ad curiam Romanam, nisi cogerentur, quia non ibidem honorati sunt sicut deceret comuni Veneciarum. Unde bonum esset, dixit dictus prior, nec non dicti ambaxatores dixerunt supervenientes dictis verbis, quod bonum erat pro utroque comuni quod predicto pax tractaretur et firmaretur alibi quam in curiam (!) Romanam (!), scilicet in aliqua civitate Lombardie, maxime quia sunt plures in curia Romana qui sunt mesti de pace et qui ho-stacula pacis libenter ponerent. Quod quidem verum est, sicut nobis relatum est per aliquem fide dignissimum et de maioribus post papam, non tamen aliquem nominamus, quia non possumus salva honestate nostra. 63 E’ naturalmente rimessa al Comune la decisione se le trattative dovessero essere continuate dai medesimi inviati. I Genovesi sembrano essere alquanto sicuri che l’incarico verrà conferito ad essi; in App. 2, nr. 20, essi dicono: sed quicquid sit, dante Domino, nos infra dictum tempus erimus in curia Romana in adventu, quem faciemus a rege. Intanto i due monaci devono recare i documenti con le reciproche condizioni a Genova e Venezia. Nella loro relazione gli inviati domandano per sè o per altri che fossero delegati, estesi poteri, tam super pace quam super compromisso et omnibus. 64 Canal, 664. L’armistìzio del 1270 fu rinnovato nel 1275: ibid., 686. — 312 - Le trattative con Venezia e Carlo d’Angiò nita colle armi, ciò era dipeso da circostanze che tenevano ben occupati altrove i due Comuni. Da un colloquio tenuto in quel medesimo giorno, gl’inviati in viaggio per la corte di Carlo potevano arguire quello che Genova poteva attendersi da lui. Alla distanza di cinque miglia da Orvieto si imbatterono nel magister Nicola Bozello, tesoriere65 del re di Sicilia, accompagnato dal magister Pietro da Reggio, procuratore di Carlo presso la Curia66 che era andato ad incontrarlo. Gl’inviati che sapevano il Bozello alla corte del re, gli chiesero che cosa vi fosse di nuovo e si offersero, ove si recasse in Francia, di scrivere ai Capitani di Genova, perchè fosse ricevuto per via cogli onori dovuti. Il tesoriere ringrazia, ma dice di recarsi solamente alla corte pontificia, non oltre. Gl’inviati mettono quindi in campo il loro affare. Dicono che, esistendo ancora dei punti di discordia fra Carlo e il Comune, buona cosa sarebbe stata che li munisse d’un salvacondotto per Carlo, per poter eseguire più sicuramente la loro nuova ambasciata. Bozello chiama a sè un cavaliere del suo seguito ed il procuratore e va con loro in un sito appartato accanto alla strada. Dopo un lungo colloquio risponde con un rifiuto, dicendo che la sua lettera a nulla sarebbe servita; che avrebbero potuto recarsi sicuri dal re anche senza salvacondotto, quantunque gli fosse stato comunicato come essi avessero pronunziato contro di lui gravi accuse dinanzi al papa ed ai cardinali. A questo punto il procuratore interrompe il tesoriere: « Voi dite il vero; perchè il re è stato informato che inviati genovesi hanno detto al papa che il re ha fatto arrestare a tradimento dei Genovesi e rotto il trattato con essi ». Gl’inviati soggiungono subito: « Ciò non è vero »67. Il procuratore continua: « Signori, dobbiamo credere più al signor Cardinale ed al signor Percivalle68 che a voi. Voi diceste effettivamente che il re fece imprigionare a tradimento i Genovesi e che violando il trattato si impossessò di navi, merci e persone senza una preliminare dichiarazione di guerra o fissazione d’un termine ». Il tesoriere aggiunge: « Re Carlo aveva dichiarato già le ostilità ai Genovesi fino da quando il Comune di Genova aveva violato il trattato con lui, perciò non occorreva ch’egli facesse una 65 App. 2, nr. 20: thesaurarius-, cfr. su di esso Durrieu, II, p. 289. 66 Ibid.: qui stat procurator in curia Romana pro ipso rege. 67 Ibid.: quod salva reverentia sua predicta vera non erant. 68 II cardinale deve essere naturalmente Ottobono. — 313 — Libro III - Cap. terzo nuova dichiarazione »69. Gl’inviati non ci dicono la loro risposta. Si fermarono in Montefia-scone il 7 febbraio, ove stesero la relazione. Era loro intenzione di attendere a Rieti se Carlo avesse mandato loro un salvacondotto, senza il quale non avrebbero osato darsi in sua mano70. Nelle istruzioni del 9 gennaio /] era loro imposto d’informarsi il più esattamente possibile sulle intenzioni del re. Dopo di ciò seguiva l’esortazione di procedere con circospezione, come era stato detto anche in precedenti occasioni72. Le nuove proposte che gl’inviati recavano non erano risultate sufficienti; una chiara e decisa risposta era necessaria, qualunque indugio era senza scopo, perchè, dicevano essi, « se noi aspettiamo la vostra risposta, il re non aspetterà noi »73. Una nuova notizia sopraggiunse a confermarli nell’idea che lo scoppio della guerra fosse inevitabile, il che li indusse ad aggiungere un poscritto alla lettera 74. Non è ben chiaro in che cosa consistesse questo nuovo inci- 69 Ibid. : diffidatio. 70 Ibid. Essi non potevano raggiungere Ceprano perchè la strada attraversa il territorio romano (per districtum Rome sive per castra civium Rome, cuius vicarius est rex). 71 App. 2, nr. 88: Et intendant ipsi ambaxatores modis omnibus quibus poterunt scire a d. papa et quod ipse d. papa sciat si guerram habere debebitur cum rege K., et si poterunt obtinere quod persone et res, que detente sunt, debeant relaxari et si oportet nos et homines Janue precavere ab hominibus dicti regis, et super predictis omnibus faciant et procurent quicquid boni poterunt. 72 App. 2, nr. 20; v. il passo sopra, n. 15. 73 Ibid.: Et ut alias nobis dixit rex, si non expectabimus responsionem vestram, ipse non expectabit vos. 74 Ibid.: Post confectionem presentium litterarum et postquam iam sigillate erant pro ipsis destinandis, hodie in nocte, circa horam campanarum, venit quidam executor vester nomine Ogerinus, qui nobis detulit vestras litteras, scriptas die 30 Januarii, et unum par litterarum, quas mittitis summo pontifici, et aliud par litterarum quas mittitis vicecancellario eiusdem. Unde summo mane revertemur ad curiam Romanam pro dictis litteris presentandis et pro complendis hiis que in vestris litteris continentur. .. Regratiantes vobis de eo quod videmini de nostra securitate eundi ad regiam curiam sine litteris fidantie pro enormibus excessibus qui videntur intervenisse in aliquo dubitare. Verumtamen, sicut superius iam vobis intendebamus scribere, cursorem nostrum die Sabbato 4 ex. Jan. misimus ad regem, pro fidantia sive litteris patentibus fidantie impetrandis. Et iterum die crastina alium cursorem ad ipsum regem mittemus, qui litteras patentes fidantie deferat, et eidem scribemus quod ad eius curiam venire sine nova fidantia nolumus propter quasdam novitates que forsitan - 314 - Le trattative con Venezia e Carlo d’Angiò dente sopravvenuto nel frattempo75. Probabilmente i Capitani avanzarono subito lagnanze al papa per questo. Gl’inviati dovevano quindi recarsi nuovamente alla Curia, consegnare le relative lettere e solo dopo di ciò continuare il loro viaggio alla corte di Carlo. La situazione apparve loro tutt’altro che favorevole; compresero il grosso pericolo che minacciava i Capitani e non parve loro sufficiente che essi si potessero consolare con la citazione di sentenze bibliche76. L’accenno alla giustizia della causa che propugnavano è significativo e infondeva loro la speranza di tener testa al più potente avversario. Non possiamo dire che questi sentimenti non avessero un certo fondamento. Il Comune si era dato ogni premura per mantenere la pace; i Guelfi, senza alcuno scrupolo di coscienza, si dichiaravano pronti a sacrificare l’indipendenza della patria; re Carlo aveva portato affronto ad ogni diritto delle genti e ad ogni giustizia. A lui si poteva rimproverare con buone ragioni un’aperta violazione dei patti convenuti. Tutto ciò però non era in fondo che una mera apparenza, che poteva ingannare soltanto coloro che erano disposti a crederlo e che non erano bene approfonditi nella situazione. Con altrettanta ragione il re poteva allegare che Genova aveva violato il trattato e che solo la sua longanimità aveva impedito che la guerra non fosse ancora scoppiata; che con antichi e ostinati nemici della Chiesa, com’erano i Capitani, non gli era possibile venire ad un accordo. La questione principale era che Carlo aveva trovato in Oberto Doria e Oberto Spinola oppositori che per abile destrezza non gli stavano ad- ad aures regias pervenerunt. Et parato hiis, que in Romana curia per nos faciendi mandastis, iter aripiemus auctore Beo pro eundo apud Rete, et ibi stando, secundum quod superius erat scriptum. 75 L’invasione del Vicario regio di Toscana ebbe luogo soltanto il 5 febbraio. Annali, 275 [IV, 153]. Forse era l’arresto di Nicola Doria a Malta (v. sopra) che poteva essere venuto a cognizione dei Capitani soltanto più tardi, o la capitolazione di Mentone. 76 App. 2, nr. 20: Voi autem confortamini, quoniam iusticiam fovemus et, ut ait psalmista « Non inveni iustum derelictum, nec semen eius querens panem ». Et alibi testatur scriptura « Dominus noster non secundum armorum potentiam, sed prout ipsi placet, dat dignis victoriam ». Et alibi scriptum est « Non in multitudine exercitus est victoria belli, sed de celo est fortitudo ». E da notare come nessuno degli inviati fosse chierico, come non è probabile che uno di essi li accompagnasse in qualità di scrivano. I notai addetti a queste funzioni a Genova erano sempre dei laici. - 315 - Libro III - Cap. terzo dietro. Essi seguivano il loro interesse colla medesima accortezza colla quale egli pensava al suo. Non volevano rinunziare al potere raggiunto; e mettendo a profitto mezzi adatti, che li tenevano a giorno di quanto faceva Carlo, erano riusciti a riunire indissolubilmente il loro interesse colla difesa dell’indipendenza di Genova. Non si può affermare tuttavia che essi avessero usato mezzi disonorevoli. In generale il loro carattere poco concorda con quello degli altri capipartito italiani di quest’epoca. Dalle fonti nulla possiamo attingere per formarci un’idea della loro personalità. Come capi dei Ghibellini si erano impossessati violentemente del potere; il mantenerlo per sè e per i loro aderenti rimaneva lo scopo precipuo della loro politica; per quanto diversi fossero stati i mezzi impiegati a tal fine, nella scelta si mostrò la loro saggezza. Essi non prendono sui vinti Guelfi sanguinosa vendetta, nè si possono imputar loro crudeltà. Il ragionamento tiene a freno la passione, e non fa perdere di vista che la loro forza è basata sulla concordia fra loro e sull’appoggio del Popolo. Evitano di far lega col partito d’azione ghibellino, si mostrano sempre ossequienti al papa, con Carlo procurano di venire ad un accordo. Riflessivi e apparentemente timidi, sanno prendere nel momento decisivo pronte risoluzioni. Se il loro precipitoso avversario scopre un poco il piano, essi ne approfittano con rara abilità e diplomazia. Nella guerra, il cui scoppio era imminente, era anzitutto in giuoco la loro posizione. Ma per quanto premesse sostenerla, non pertanto trascuravano gl’interessi particolari del Comune. Per quanto minacciata fosse la loro posizione, mai vollero accondiscendere a fare una non onorevole pace con Venezia. I Capitani erano diventati i capi effettivi di Genova e non solamente del loro partito. Perciò, in luogo della confusione che fino allora era regnata, subentra un governo con unità di intenti e scopo determinato. Ciò era necessario per far fronte all’inestinguibile sete di conquista di Carlo, altrimenti tutta l’Italia, e con essa il papato, sarebbero completamente soggiaciuti all’influenza francese. Genova non avrebbe potuto mettere ordine nei propri affari se i suoi capi non fossero stati allora obbligati a difendere sè medesimi contro gli attacchi di Carlo. Senza il cambiamento di costituzione del 1270, la città non avrebbe veduto la sua indipendenza così gravemente minacciata. Mentre essa la difende, non fosse altro che per non diventare suddita di un re straniero, come forse fu il caso di Firenze e delle altre città della Toscana, essa reca un buon contributo per limitare la potenza di lui. Sui Capitani pesava la colpa — 316 - Le trattative con Venezia e Carlo d’Angiò principale se Genova si trovava in immediato pericolo. Essi tentarono di sventarlo e quando si fece inevitabile lo affrontarono coraggiosamente. Se il Comune avesse mantenuto la sua indipendenza in una guerra vittoriosa, la sua posizione internazionale sarebbe stata tutt’altra da quella che avrebbe potuto conseguire comprando la pace mediante concessioni. Il trattamento dei naufraghi di Trapani aveva dimostrato quanto poco conto dovevasi tenere del favore di Carlo. Con mezze proposte non si potevano mantenere a lungo buone relazioni col re egoista. Intanto il trattato del 1269 era venuto meno. I Guelfi erano pronti a modificarlo a danno dell’indipendenza del Comune. I Capitani ghibellini difendono invece la libertà di Genova. In questi momenti la loro lotta acquista una importanza ben maggiore di quella che potevasi attribuire a singoli capi-partito di città italiane in simili imprese. Con una guerra coronata da successo sarebbe cominciata per Genova un’era di massimo incremento. Come si vede obbligata ad unirsi apertamente alla lega ghibellina, essa viene a prestare efficace aiuto a respingere l’influenza angioina nell’Italia settentrionale. L’alleanza del papato coi Francesi aveva minacciato, alla fine del sesto decennio del XIII secolo, che questi divenissero la nazione dominante in Occidente. La guerra di Genova con Carlo non è parte insignificante del contraccolpo recato a quel pericolo. Appunto per questo si capisce come la circostanza sia connessa con gli altri momenti di questa azione. Capitolo quarto La guerra con Carlo d’Angiò del 1273 Primi attacchi sul territorio genovese. - Guerra nelle Riviere. - Guerra al nord del-l’Appennino. - Tentativo d’intromissione delle città toscane. - Risultato dei primi anni di guerra. Ancora nel dicembre 1272 gli esiliati tentarono nuovamente di stabilirsi nel territorio di Genova. Janella Avvocato con dei partigiani dei Grimaldi prese il castello di Apricale, a nord-est di Ventimiglia, d’accordo con alcuni abitanti del medesimo Per impedire ulteriori progressi ai ribelli, venne mandato in quelle contrade Oberto Sardena in qualità di vicario. Egli non potè impedire che Guglielmo Vento consegnasse al Siniscalco della Provenza il suo castello di Mentone situato sulla costa2. Siccome dò costituiva una decisa violazione del trattato del 1262, così anche i Capitani non si peritarono di agire alla loro volta in forma aggressiva. Archerio Vacca, come loro inviato3, prese cinque castelli del conte Enrichetto di Ventimiglia e dei suoi fratelli nella valle di Oneglia, sui quali Carlo aveva posto il sequestro4; probabilmente però cerano stati 1 Annali, 273 [IV, 148], Il luogo risulta fosse ancora in possesso di un ramo dei conti di Ventimiglia. Il 10 dicembre 1265 viene prestato il giuramento di fedeltà a Filippo comiti Apricatis: Rossi, Storia del marchesato di Dolceacqua, p. 225. Questo Filippo è in ogni caso uno stretto parente del conte Enriceto, partigiano di Manfredi: v. sopra, libro II, cap. Vili, n. 25. Del resto Apricale doveva aver avuto già un’indipendenza comunale alquanto larga, come è provato dagli statuti del 1267: Rossi, Gli statuti della Liguria, pp. 30 e sgg., 206 e sgg. Particolarmente minacciato da Apricale era il Capitano Oberto Doria, che, il 18 gennaio 1270, risulta avesse comperato dei terreni a Dolceacqua: Gioffredo, 621. 2 Annali, 274 [IV, 152], Riguardo a Mentone, v. sopra, p. 146. 3 Annali, 1. c. E’ designato come capitanei Spinule socius, mentre altrove viene chiamato miles del Capitano: App. 3, nr. 27, c. 47, 31 gennaio 1276. 4 Annali, 275 [IV, 152]: quibus rex Karolus dictos comites spoliatos tenebat; soltanto che Genova nel 1269 aveva aderito a quella spogliazione: cfr. sopra, libro II, cap. Vili, n. 25. Ancorché non siano dati i nomi dei castelli, si può appena dubitare della loro identità. - 318 - La guerra con Carlo d’Angiò del 12/3 accordi preventivi coi proprietari5. Con ciò rimane almeno precluso agli assalitori l’accesso alla riviera dalla parte del nord dei monti. Agli alleati del re rimanevano tuttavia sufficienti vie per colpire i fedeli partigiani dei Genovesi con attacchi devastatori. Manfredo, marchese del Bosco, sembra essere stato il primo fra i parenti tanto rapaci quanto incerti degli Aleramici6 ad aprire le ostilità. Nel 1272 mise a sacco colla sua gente di Tagliolo possedimenti genovesi al di là e al di qua dei monti presso Voltri e in Val Polcevera, cioè fino nelle vicinanze della città. Due castelli gli servivano di appoggio1. Corrado, figlio del capitano Spinola, viene incaricato di mettere fine a questo disordine. Con truppe prelevate fra sudditi genovesi a nord dell'Appennino, conquista i due castelli, e li fa smantellare. Questo successo però non ristabilì la quiete, poiché subito dopo, al principio del nuovo anno, i marchesi di Saluzzo e del Carretto, come pure gli Alessandrini, per ordine di Carlo ripresero le scorrerie nella riviera8. Poco dopo doveva avvenire la solenne dichiarazione di guerra da parte dei sudditi e aderenti di Carlo; solo Piacenza non vi prese parte9, certo per non turbare le sue relazioni commerciali. 5 A questo sembrano accennare i docc. del 19 gennaio 1274 (L.J., I, 1421 e sgg.) che si riferiscono agli avvenimenti del 1273: Annali, 280 [IV, 165]; v. oltre. Con l’ultima spedizione militare venne manifestamente continuato quello che era stato cominciato allora. 6 V. la sentenza in Annali, 217 [III, 160]. 7 Annali, 274 [IV, 151]. I nomi non sono dati. Manfredo era effettivamente vassallo del Comune e riconosceva la supremazia feudale di esso su Tagliolo ed altri luoghi: L.J., I, 1142 e sgg., 2 maggio 1252. Il fatto, secondo la collocazione datagli dagli Annali fra gli avvenimenti del dicembre 1272 e del gennaio 1273, deve porsi a fine dicembre 1272. 8 Annali, 21A [IV, 151]. Naturalmente non si deve pensare a vere spedizioni militari; si tratta soltanto di scorrerie ai confini che certamente furono abbondantemente ricambiate dai Genovesi. 5 Annali, 1. c. Perciò Genova, nella convenzione con Pavia ed Asti, si riserva l’amicizia con Piacenza: App. 2, nr. 27; v. oltre, cap. V; [v. anche Otto, Eine Briefsammlung, p. 46, nr. 22 e sgg.; p. 52, nr. 28]. Non risulta chiaro quando fossero pervenute le lettere di rifiuto. Soltanto il 19 marzo, Carlo ordino ai funzionari del suo regno di considerare i Genovesi come aperti nemici: Minieri Riccio, Il Regno, 1273, p. 9; poco dopo, intima al re di Tunisi di far guerra ai Genovesi e di non concedere loro il soggiorno nei suoi stati: Minieri Riccio, Saggio di cod. dipi., I, p. 102, 23 marzo 1273; Id., Il Regno, 1273, p. 11, 22 marzo (!); Del Giudice, Del cod. dipi. Ang., p. 104, 24 marzo 1274 (!). -319 - LrBRO III - Cap. quarto Gli avvenimenti erano più minacciosi al confine orientale. Nicola Fieschi, fratello del cardinale Ottobono, vi possedeva buon numero di castelli, appoggiati ai quali era facile ai nemici invadere il territorio del Comune. Il Vicario di Carlo in Toscana comparve il 5 febbraio con 500 uomini a cavallo nel territorio di Lerici, facendo devastare il paese fin sotto le mura del castello; le persone che non poterono salvarsi furono crudelmente trucidate. Poi le truppe ritornarono nella valle di Vara, conquistarono il castello genovese di Bozzolo ed entrarono nella città di Brugnato10. I Capitani avevano mandato nel dicembre 1272 Ansaldo Balbi di Castello come vicario nella riviera di levante11. Egli chiamò alle armi gli abitanti sotto la sua giurisdizione. Con questa levata di uomini, egli prese una posizione sulle alture a sud di Brugnato, mediante la quale impedì un ulteriore avanzamento al nemico 12, che dopo pochi giorni retrocesse verso Sarzana. Appena avuta notizia dell invasione, Oberto Doria si era recato a Sestri con cavalieri e fanti genovesi. Qui egli soggiornò a lungo. La partenza aveva avuto luogo così presto (8 febbraio), per potere in caso di bisogno prestare aiuto ad Ansaldo. Era certo però che fin da principio era stato progettato un piano offensivo; a Pavia venne arruolata la cavalleria e nel proprio territorio, la fanteria con lunghe lance u. Jacopo Squarciafico doveva operare contemporaneamente per mare con 14 galere. Queste furono sollecitamente allestite e mandate a Portovenere per essere pronte ad una azione comune coll esercito terrestre. Ancora prima che si fossero riunite, 10 Annali, 275 [IV, 153], » Annali, 273 [IV, 148], 12 Annali, 275 [IV, 153]: ad quedam castra comunis Rivalla, Cazana et Lacum nomine... accessit. La posizione è molto adatta allo scopo; essa domina l’odierna strada da Brugnato a Sestn. Lago è immediatamente limitrofo; Ripalta domina il punto ,n cui tale strada dev.a da quella che da La Spezia sale nella valle di Vara Così Ansaldo minacciava in pan tempo la linea di ritirata degli avversari. B nV’ 1541 An‘ea PUÒ esserc difficilmente riferito ad un tempo anteriore al 5 febbra.o, quantunque potrebbe essere possibile che ancor prima fosset fa,, de, p,ep,,„,„ pe,■ ], ^ dt|u P " 5 >. »• >’• <■ (3 fcbbfao ,273), Vivido di Castello promette a Oberto de Fontana di andare in sua ver* ■ ■ armamento quod fit pro comuni Janue, de quo est armiraticus Jacobus\ doc,™ **,rd„ Ff,™%srrfs nr. 733 e p. 293, nr. 737], Una lettera di Carlo del 2R P' ’ dei Capitani contro Alberto Fieschi a Pontremoli: Del G.ud.ce, CoTdiplfl - 320 - La guerra con Carlo d’Angiò del 1273 1 ammiraglio fece un colpo di mano contro otto galere nemiche che venivano dalla Provenza cariche di merci appartenenti a mercanti toscani. Non riuscì pero a catturarle; solo una venne tratta fuori da Portopisano, ove si era rifugiata, ma venne poi restituita dietro domanda dei Pisani. Miglior successo ebbe un attacco su Manarola, ove tre galere mandatevi poterono conquistare il castello di Nicola Fieschi14. Finalmente i mercenari entrarono a Sestri; il Capitano avanzò con tutto l’esercito fino a Corvara15, ove riposò un giorno. Il 21 marzo La Spezia viene presa d’assalto e incendiata. Poi la marcia viene diretta su Vezzano, che non osa opporre resistenza; così pure parecchi altri castelli del circondario si arrendono; i loro abitanti giurano di prestare obbedienza agli ordini dei Capitani16. E per fare impressione sugli abitanti di quelle contrade e porre dinanzi ai loro occhi la forza del Comune, l’esercito sfila sopra la Vara fino a Brugnato. Bozzolo viene ripreso, come sembra senza fatica, e distrutto. Poi vennero divise le forze combattenti. Oberto Doria tornò indietro colla milizia genovese. Ansaldo Balbi si recò colla cavalleria e parte della fanteria a Vezzano, dove prese posizione, manifestamente allo scopo di coprire il territorio genovese da nuove invasioni. Il Vicario regio in Toscana pose il suo campo a sudovest, sul piano presso Trebiano. Egli aveva a disposizione un numero considerevole di truppe. Lucca e altre città toscane avevano inviato contingenti; i Guelfi genovesi erano anch’essi in buon numero e non pochi volontari si erano arruolati nelle truppe ad esortazione del cardinale 17. Ansaldo ebbe rinforzi dalla leva della riviera orientale. 14 Annali, 275 [IV, 154]. Manarola, sulla costa nordoccidentale di Portovenere. 15 Annali, 1. c. Corvara, vicino alla strada Sestri L. - La Spezia, raggiungibile, però, da Sestri in un giorno; cosi il 22 marzo avrebbe avuto luogo la partenza, il 23 riposo, il 24 marcia fino a La Spezia e assalto. Vexillis erectis significa marcia in ordine chiuso nelle vicinanze del nemico od anche per parata, poiché l’uscita da Genova ebbe pure luogo vexillis erectis. 16 Annali, 1. c. [IV, 154-155]. Isola si trova presso la Spezia; Polverara e Beverino sono sul Vara. L’esercito, nel suo cammino per Brugnato, poteva aver toccato questi due luoghi. Ciò nondimeno, la sottomissione poteva essere avvenuta contemporaneamente il 25 marzo, come anche Brugnato si sottomise ancor prima dell'arrivo dell’esercito. Forse, dopo, anche gli abitanti di Serra maior e Zignaculum si decisero a sottomettersi (Zignago, a settentrione di Brugnato, ad oriente del non ancora soggiogato Godano): v. i docc. del 10 maggio 1273 in L. /., I, 1418 e sgg. [cfr. inoltre Ferretto, Cod. dipi, I, p. 299, nr. 754]. 17 Cfr. Chronicon Regiense, 6. - 321 — Libro III - Gap. quarto Una battaglia decisiva non venne combattuta. Per due mesi18 gli eserciti stettero a fronte l’uno dell’altro, solo accadendo quasi giornalmente piccole scaramucce, vantaggiose per i Genovesi. Finalmente il Vicario di Carlo si ritrasse dalla sua posizione e si ritirò a Sarzana, licenziando, come sembra, gran parte del suo esercito 19. Oberto Doria approfittò del momento per rendere inoffensivi alcuni castelli nemici, posti alle spalle delle sue posizioni. Egli portò con sè da Genova materiali d’assedio. Le truppe destinate a questa azione consistevano di gente levata dalla cittadinanza, mentre i mercenari rimasero a Vezzano. Il castello di Carpena20, scelto come punto d’attacco, era stato fortificato abbastanza 18 La relazione di Ann. Plac., 557, conferma in generale quella più precisa degli Annali, 276 [IV, 155]; soltanto che in quella è fatta parola d’uno scontro il 31 marzo, nel quale i cavalieri di Carlo sarebbero stati battuti, con 8 morti e 40 prigionieri. Esso ebbe luogo iuxta Vezanum, in glarea Vayre. E’ bensì detto negli Annali, 1. c., che il Vicario regio si trovava a Trebiano in aprile e maggio; ma ciò non esclude che egli vi fosse arrivato alcuni giorni prima del 1° aprile. Ansaldo, in ogni caso, si era già accampato prima di questa data presso Vezzano, perchè Oberto Doria era già di nuovo a Genova ante ramis palmorum festum (2 aprile). Gli Ann. Plac., 1. c., informano che aveva riportato vittoria in uno dei combattimenti minori; gli Annali non danno maggiori dettagli. La lettera di Carlo (1° marzo 1273) ha certo relazione con i preparativi di partenza dell’esercito: St. Priest, Hist. de la conquête de Naples, IV, p. 262, In quella lettera Carlo intima a Siena di trattare i Genovesi come nemici e di dare aiuto al regio Vicario generale nella guerra contro di essi. Soltanto il 18 aprile (ibid., IV, p. 264), dietro richiesta dell’inviato di Carlo, viene deciso a Siena di mettere a disposizione 50 mercenari per la guerra contro Genova per due mesi; qualora però le altre città della Toscana avessero dato denaro invece di un contingente di uomini, si sarebbe fatto come esse. In ogni caso quindi, Siena poteva non essere stata rappresentata fin da principio al campo di Trebiano. [Riguardo alla partecipazione di San Gimignano, v. Davidsohn, Forschungen, II, p. 182, nr. 1280], 19 Secondo gli Annali, 276 [IV, 155], il Vicario regio è accampato in aprile e maggio presso Trebiano; secondo gli stessi, 277 [IV, 156], in maggio si trova già a Sarzana, quando viene assediato il castello di Carpena. Secondo il primo passo tutto l’esercito è sciolto, secondo l’altro si trovano ancora in loco, presso il Vicario, Nicola Fieschi ed un grande numero di cavalieri. La contraddizione è spiegabile nel modo più semplice: i cavalieri cioè - Annali, 275 [IV, 153] - erano rimasti presso il Vicario; i contingenti di Toscana erano ritornati a casa. I Genovesi abbandonarono la loro posizione difensiva presso Vezzano soltanto in settembre: Annali, 278 [IV, 161], Non è chiaro quando la flotta abbia fatto ritorno in patria. 20 Secondo Amati, Dizionario corografico illustrato, Carpena è frazione del comune di Ricco del Golfo e quindi si trova a nord-ovest di La Spezia entro terra, non lungi da Corvara. — 322 - La guerra con Carlo d’Angiò del 1273 bene*1. Esso venne regolarmente assediato, tutto all’intorno vennero fatte trincee e montate le macchine. Dopo un attacco di parecchi giorni, gli abitanti si arresero, perchè il soccorso di truppe sul quale speravano non poteva venire. La posizione dei Genovesi presso Vezzano non era scossa e quindi l’esercito che operava alle spalle era al coperto22. Probabilmente il Capitano diede subito mano all’organizzazione dei paesi conquistati, che si completò dopo il suo ritorno, il 28 giugno, colla istituzione della Pote-statia Carpene 23. Con i possedimenti fieschini, caduti sotto la diretta am- 21 Che le fortificazioni di Carpena fossero state rinforzate da Nicola Fieschi risulta dal doc. dell’ll settembre 1273, in App. 3, nr. 28, c. 25 [cfr. Ferretto, Cod. dipi., I, p. 314, nr. 781], Cioè quando egli s’impossessò del castello, tolse una casa a un abitante, occasione cuiusdam turris, quam edificavit in dicto castro... in qua seu iuxta quam (se. domum) ipsam turrim edi ficari fecit. A quello diede in cambio una casa, positam in burgo Carpene, che aveva usurpato a due fratelli, Pullus e Prosperine. Questi supplicano ora il Capitano e gli Anziani per un indennizzo, cum per Dei gratiam dictum castrum et iurisdictio et omnia ad... castrum pertinenda ad comune Janue pervenerint. Essi ottennero il richiesto risarcimento sui beni di Nicola Fieschi. 22 Secondo gli Annali, 277 [IV, 160], si potrebbe ammettere, quanto al tempo, all’incirca la fine di maggio; forse l’occupazione cominciò soltanto al principio di giugno. 23 App. 4, nr. 7, c. 2 e App. 1, nr. 1. Il documento è steso a Genova e precisamente dal Capitano Oberto Doria, che rappresenta contemporaneamente il suo collega, con l’approvazione degli Anziani, e rilasciato ai sindaci quarumdam villarum districtus Carpine, la cui procura è del 5 giugno; ai sindaci della gente castri Carpine (procura del 16 giugno) ed ai sindaci Volastre e Manarole (procura del 19 giugno). Delle ville la prima è Blaxia (certo Biassa, ad occidente di La Spezia), i cui abitanti ad honorem comunis et populi Janue edificaverunt castrum Loderoni (?), mentre homines de Carpina non fuerunt ita obedientes et fideles... ut debuerunt. I Capitani e gli Anziani promettono ai sindaci di nominare annualmente un Podestà od un Rettore, qui vos... regat, siculi reguntur homines potestatiarum comunis Janue-, però costui non doveva essere mai de albergo illorum de Flisco, o loro parente fino al terzo grado. Ad ogni singolo comune compete quod possitis eligere et habere de vobis antianos, qui de causis pecuniariis cognoscant-, altri funzionari comunali (estimâtores, ministri, campani, saltarii) sono nominati dal Podestà cum consilio antianorum. Le genti dei comuni sono libere dalla signoria e giurisdizione di singole persone, perciò stanno sotto l’immediata giurisdizione di Genova; quanto alle imposte, godono delle stesse immunità degli abitanti di Portovenere. Verranno loro risarciti i danni che dovessero subire nella presente guerra. Tutto ciò sarà valido finché rimarranno fedeli a Genova. I sindaci promettono a nome dei loro mandanti di rimanere fedeli al Comune e di obbedire al Podestà che verrà messo a loro capo, etc. Con ciò il documento istituisce la potestatia Carpene, che viene citata dagli Annali, 311 [V, 63], nel 1285 [v. anche Ferretto, Cod. dipi, I, p. 306, nr. 764 e sgg.]. - 323 — Libro III - Cap. quarto ministrazione del Comune, l’importanza politica della famiglia ne risentì grave scapito. Questi avvenimenti devono certamente aver fatto grande impressione nelle città toscane, che mai avrebbero immaginato tanta forza di resistenza in Genova24. Ora però Carlo stesso venne nelle vicinanze del teatro della guerra25. Non andò però al campo, forse per non spiacere al papa, al cui seguito egli si trovava, e non compromettere l’esito delle sue vaste combinazioni politiche26. Intanto si dava premura di raccogliere in Toscana un numeroso esercito27. La quantità delle truppe venute a Sarzana presso il suo Vicario era stata esagerata dalla voce pubblica. I mercenari genovesi stanziati a Vezzano ne ebbero timore e alcuni fuggirono. Il Capitano Spinola accorse subito con parte della sua fanteria e cavalleria da Genova a Corvara, ove rimase parecchi giorni. Tuttavia il pericolo non era serio. Un corpo di cavalleria, di cacciatori e di fanteria viene spedito per la presa del castello di Godano, che riesce senza difficoltà. Gli abitanti si arrendono, non sentendosi capaci di contenere 1 attacco a. Questo successo mise termine alla guerra sulla riviera orientale. Il 24 Annali, 276 [IV, 156157]. 25 Egli rimase a Firenze all’incirca dalla metà di maggio fino al principio di agosto: Durrieu, II, p. 176. 26 Anche il papa era allora a Firenze, ove si trattava di elevare Filippo III di Francia alla corona imperiale: Relation d’une entrevue, p. 652 e sgg. 27 Pisa si liberò dall’impegno di fornire truppe mediante denaro: Guido de Corv., 681; v. inoltre il doc. del 5 agosto in Minieri Riccio, Il Regno, 127}, p. 247. Quanto a Siena, v. il doc. del 31 maggio ibid., p. 36; St. Priest, IV, p. 265. II 17 luglio si ha la convocazione del Consiglio, perchè il re aveva chiesto 100 milites e 800 pedites, eundos in exercitum regium super Gianuam (!). Fu deciso di fornire 50 uomini a cavallo e 800 a piedi, compresi quelli che erano già nell’esercito di Carlo. Come preparativi della spedizione dobbiamo considerare anche le premure per riscuotere dalle città toscane la tallia. A Siena venne richiesta già il 1° marzo: St. Priest, IV, p. 263; cfr. la circolare dell’ll luglio in Minieri Riccio, Il Regno, 1273, p. 243. Il 13 luglio (ibid.) fu fatta la richiesta a Lucca per la guarnigione. II 16 agosto Carlo ordina al suo Vicario di muovere guerra accanita ai Genovesi: Del Giudice, Del cod. dipi. Ang., p. 103; v. anche Ficker, IV, p. 471; [Winter, Die Politik Pisas, p. 48 e sgg.; Davidsohn, Gesch. Flor., II, 1, p. 87 e sgg.]. M Annali, 278 [IV, 161]. La data del 19 agosto è esatta, contro Ann. Plac., 558, che riferiscono 17 agosto, come risulta dal doc. del 12 novembre 1273 (App. 3, nr. 28, c. 27) [cfr. Ferretto, Cod. dipi, I, p. 318, nr. 791]: i Capitani hanno assolto un certo numero di persone dal bando in cui erano cadute per infrazione alle leggi, — 324 - La guerra con Carlo d’Angiò del 1273 Vicario di Carlo riconobbe di non poter fare nulla e abbandonò Sarzana. Anche il Capitano rimpatriò, e nel settembre la cavalleria mercenaria venne licenziata29. Il complessivo andamento della guerra fu decisamente favorevole a Genova. Essa acquistò possedimenti di non lieve importanza e, ciò che più conta, potè opporre un’insuperabile resistenza ai tentativi d’invasione del nemico. Protetta dai castelli presi, essa potè per l’avvenire impedire agli avversari di penetrare nei paesi della costa30. commesse da quando capitanei electi fuerunt ad officium capitaneatus Janue... usque ad tempus captionis loci et castri Godani, perchè ciò era stato loro promesso ante captionem dicti loci Goani et in ipsa captione... per Guillelmum de Turri et Al-cherium Vacham milites et socios (capitaneorum) secondo un documento del 19 agosto 1273. Questo doveva quindi contenere la capitolazione menzionata negli Annali, mentre il documento in nostro possesso del 12 novembre deve considerarsi come quello di esecuzione della medesima. Col soggiorno dei Capitani presso Corvara durante la loro campagna ha relazione un doc. del 6 ottobre 1273 (ibid., c. 26 v.), [cfr. Ferretto, Cod. dipi., I, p. 315, nr. 785] col quale essi acconsentono che Simon Bocagnus promoveri debeat ad quadragesimam vacaturam ad officium notorie, et si (?) vacabit quadragesimus locus not(ariorum) comunis, aliquo capitulo non obstante. Questo avviene per la devozione sua e di suo padre verso i Capitani e per i servigi da loro prestati in eorum hospitio dd. capitaneis, ipsis existentibus in exercitibus apud Corvariam. La campagna non poteva essere durata a lungo. Fol. Not., II, c. 128 (11 aprile 1274): Johannes de Savignono draperius dà in pegno pagam suam (importo 11 soldi) quam recipere debel a comuni Janue, eo quia servivit dicto comuni pro balisterio per dies 14 in exercitu Godani. » Annali, 278 [IV, 161-162], 30 Alcune tracce ci servono di spiegazione riguardo ad altri provvedimenti presi per difendere il territorio di confine. Secondo un’iscrizione riportata in App. 5, nr. 22, c. 34 e nr. 2, II, p. 769 e sgg., sembra che il borgo di Lerici non fosse cinto di mura. Con ciò concorderebbe la conferma data dai Capitani e dagli Anziani il 6 marzo 1274 (L.J., II, 39) delle promesse del 1256, fatte agli abitanti. Da una notizia del 20 novembre 1273 (Fol. Not., I, c. 269 v.), castrum Corvarie custodiebatur nomine comunis Janue, si può concludere che vi esisteva una guarnigione. L App. 3, nr. 28, c. 27 v. contiene un documento la cui chiusa è andata perduta. In ogni caso esso è della fine del 1273. Facius Paganelli è nominato procuratore dai Signori di Trebiano con atto del 5 novembre 1273; egli conclude coi Capitani e gli Anziani una convenzione super potestatia Trebiani et districtus villarum Illicis ed altri diritti (pedagiis, ripis, piscationibus, etc.). Il Comune li riceve per due anni, con inizio dallo scorso 18 luglio, in modo da potervi mettere podestà, castellani ed altri rettori, autorizzati ad incassare le entrate e ad agire per tutto quanto concerne potestatia, regimen, iurisdictio, segnoria et contile. I Signori ricevono in compenso 100 lire annue (in tutto 200 lire) in quattro rate. - 325 - 22 Libro III - Cap. quarto Molto meno felicemente si svolse la guerra sulla riviera occidentale. Il suo vicario, Oberto Sardena, venne sostituito in marzo da Oberto Spinola, cugino del Capitano31. In maggio il Siniscalco regio della Provenza irruppe nel territorio genovese e assediò il castello di Roccabruna. Il castellano non si difese fino agli estremi, ma consegnò al nemico il castello che gli era stato affidato e per castigo il vicario lo fece giustiziare32. Tanta durezza non trattenne il Siniscalco dal penetrare più oltre. Egli non osò già di attaccare Ventimiglia, ma si mise dinanzi al castello di Penna33. Gli abitanti, non potendo tenergli testa, nè sperare su qualche Il castrum di Trebiano era toccato nel 1256 al Comune (cfr. sopra, p. 26); di esso però, come per Vezzano, non era venuto immediatamente in possesso. Neppure ora vi veniva messa una guarnigione, salvo che temporanamente; però non si può accertare che cosa fosse avvenuto per quel che concerneva il castello, essendosi perduta la chiusa del documento. Si può pensare che la convenzione coi Signori di Trebiano - che, del resto, si trovavano in condizione di dipendenza dal Comune già molto tempo prima: L.J., I, 713 e sgg., doc. del 21 marzo 1224 - potesse essere stata rinnovata più volte. Alla fine dei due anni essi non riassumono i loro diritti di signoria. Il documento del 14 novembre 1284 (L.J., II, 76) non è concludente in ordine alla continuazione della corresponsione del compenso relativo. Il 31 gennaio 1285 (ibid., II, 77), i proprietari di Trebiano vendono al Comune per 2500 lire il castello con tutti i diritti annessi. Nemmeno più tardi vi fu istituito un circondario amministrativo, come a Carpena, nè vi si trova una potestatia nell’elenco degli Annali, 311 [V, 63]. Dovevano essere i castellani di Lerici ad esercitare anche a Trebiano i diritti del Comune. A Vezzano invece doveva venire istituita una potestatia; forse, ma più tardi, venne acquistato anche Arcola: v. oltre. Negli Annali, 311 [V, 63], compaiono la potestatia Vezani et Arcole. In ogni caso, la potestatia Corvarie esisteva già prima del 1273. La distruzione dei castelli di Beverino, Polve-rara e Vesigna - Annali, 278 [IV, 162] - venne effettuata perchè mancasse un punto d’appoggio in caso di eventuali tentativi di sollevazioni. 31 Annali, 276 [IV, 157], 32 Annali, 277 [IV, 158]. Non si può ammettere che il castellano G. Bava fosse un traditore. Probabilmente consegnò il castello in cambio di una libera uscita. Se avesse realmente tradito, si sarebbe ben guardato dal cadere nelle mani del Vicano. Per questo è detto negli Annali, 1. c., sui proditor et comunis. Ad ogni modo la resa non era militarmente giustificata, in confronto con quella del castello di Penna, che era inevitabile. 33 Annali, 1. c. Penna è Piena nella valle del Roja; domina l’accesso alla costa presso Ventimiglia dalle parti della contea che erano già in possesso di Carlo (Saorgio, etc.; v. sopra, p. 147). La città di Ventimiglia è ora effettivamente minacciata da due parti; gli Annali non avrebbero passato sotto silenzio la sua perdita e molto meno la rioccupazione. Quello che racconta Rossi, Storia di Ventimiglia, p. 106 e sgg., è privo di fondamento. L’iscrizione sulla quale egli risulta basarsi (ibid., p. 459), deve riferirsi ad un fatto posteriore al 1300. — 326 - La guerra con Carlo d’Angiò del 1273 rinforzo, si arrendono. Nello stesso mese34 il regio Siniscalco di Lombardia tentò di prendere Savona di sorpresa. Lanfranco Malocello, uno dei banditi, gli aveva fatto credere di potervi entrare senza opposizione. L’erroneità d’ima tale supposizione si manifestò ben presto. Quando il Siniscalco comparve d’improvviso con 300 uomini a cavallo nelle vicinanze della città, i cittadini opposero al suo ingresso una vigorosa resistenza. La sua schiera non era evidentemente adatta ad intraprendere una seria azione e quindi si ritirò in fretta. In ogni modo però, Genova rimase impensierita per la tentata invasione. Jacopo Doria, podestà di Voltri, ricevette l’ordine di recarsi sulla piazza minacciata con 500 uomini bene agguerriti del suo distretto, avendo a sua disposizione anche la quarta parte delle truppe levate a Genova cui fu ordinato di dirigersi sul posto. Già verso la mezzanotte Jacopo arrivò a Savona coi suoi uomini; il mattino seguente arrivarono gli altri35. Gli abitanti rimasero non poco meravigliati del pronto soccorso, del quale però al momento non avevano più bisogno perchè il nemico si era ritirato. Il quarto giorno i Genovesi poterono ritornare a casa e solo 100 uomini vi rimasero ancora un mese; non superflua misura di precauzione. In giugno il vicario della riviera occidentale raccolse un maggior numero di truppe, colle quali assediò Apricale che era andato perduto nel dicembre precedente. Un assalto parve diffidi cosa; tuttavia si era riusciti ad impedirne l’approvvigionamento d’acqua. Il Siniscalco di Lombardia ricevette notizia della situazione penosa del castello. Egli sperò di poter 34 Annali, 277 [IV, 159]. Dalla collocazione si direbbe che il fatto debba essere posto fra quelli del maggio; l’esattezza del racconto dell episodio, al quale aveva preso parte l’annalista Jacopo Doria, non può far supporre una confusione col secondo assalto su Savona — ibid., 278 [IV, 160-161] - che in molti punti si svolse similmente al primo. Savona non aveva allora delle mura; esse erano state distrutte nel 1253 - Annali, 231 [IV, 11] soltanto nel 1306 fu dato il permesso di riedificarle: App. 6, nr. 3, c. 39 e sgg. 35 Annali, 277 [IV, 159]: potestas Vulturis cum sue potestacie hominibus, circa mediam noctem Saonam pervenit navigio; alii vero ante terciam accessere ad locum, ita quod ante terciam tria milia hominum Januensium inventi sunt in Saona. Il Podestà porta seco 500 uomini; per conseguenza dovevano essere venuti da Genova 2500 uomini, che rappresentavano 1/4 di tutto 1 esercito combattente della città, perchè sono duarum compagnarum homines, videlicet castri et burgi. Siccome vi erano 8 compagne — Annali, 18 [I, 27] —, potevano dunque essere chiamati sotto le armi circa 10000 uomini dalla città. — 327 - Libro III - Cap. quarto indurre il vicario a togliere l’assedio mediante un nuovo attacco sopra Savona. Con un numero non indifferente di uomini a cavallo ed a piedi vi si reca e dispone il campo dinanzi la città36. Questi fatti destano in Genova grande agitazione, ma i Capitani non perdono la testa. Ordinano al vicario di non desistere dall’assedio. Mandano a Savona, in qualità di vicario, Babilano Doria che vi si dirige subito colla cavalleria e alcuni uomini di fanteria. Circa a mezza strada, ad Arenzano, passa la notte, ed il mattino seguente procede. Nelle vicinanze di Savona i Genovesi vengono a sapere che il nemico aveva battuto in ritirata. Essi percorrono in fretta la contrada, per incominciare subito a inseguirlo, ma non riescono a raggiungerlo. Apricale, rimasto senza difesa, dovette arrendersi37. Oberto Spinola, che lo aveva forzato, venne poi richiamato perchè nominato Capitano del Popolo in Asti 38. Il suo posto viene preso da Ansaldo Balbi, il valente difensore della riviera orientale. Spinto sempre dal desiderio di segnalarsi, neU’invemo raduna truppe, sicuramente scelte fra gli abitanti del suo circondario39, colle quali assale i possedimenti dei partigiani di Carlo. Lo scopo principale era certamente quello di guadagnare il valico che da Oneglia metteva nella valle del Tanaro. Malgrado le difficoltà che la cruda stagione opponeva alla guerra, lo scopo fu completamente raggiunto. Gli ex proprietari di alcuni dei luoghi presi vengono richiamati e sottoposti alla signoria feudale del Comune. Tuttavia, più importante dell’acquisto di questi diritti nominali era l’abbattimento dell’influenza 36 Annali, 277 e sgg. [IV, 160 e sgg.]. I marchesi di Ceva e del Carretto, eccetto Manfredo, accompagnarono il Siniscalco. A proposito degli stretti rapporti che intercorrevano tra Carlo e i del Carretto, cfr. Merkel, La dominazione di Carlo I d’Angiò, p. 314; v. i docc. in Minieri Riccio, Alcuni fatti, pp. 58 e 106; Del Giudice, Cod. dipi., II, pp. 145 e sgg., 255, 329; Minieri Riccio, Il Regno, 1271- 1272, p. 53; Id., Il Regno, 1273, pp. 245, 248, 250. App. 5, nr. 6, I (14 agosto 1273): Carlo ordina a Corrado ed Enrico del Carretto di prestare aiuto ai Grimaldi, ai Malocelli ed ad altri esiliati genovesi e di sposare una delle loro sorelle a Franceschino Grimaldi. 37 Annali, 277 e sgg. [IV, 160 e sgg.]. 38 Annali, 280 [IV, 165]. Come tale figura per parecchi anni nel Cod. Ast., II, 452; III, 1079 e sgg., 1172; IV, 44, etc. 39 Annali, 280 [IV, 165]; in dicembre Albenga vi aveva contribuito; v. il doc. del 27 gennaio 1274, in H.P.M., Ch., I, 1493. — 328 - La guerra con Carlo d’Angiò del 1273 angioina nelle vicinanze del territorio genovesew; era di somma importanza impedire che una grande forza avesse diretto passaggio verso la costa. I proprietari minori potevano essere facilmente tenuti in soggezione dal Comune, se non avessero trovato un altro appoggio simile a quello che offriva loro Carlo. I Genovesi erano stati sempre lontani dall’idea di acquistare possedimenti a nord dei monti; si erano bensì assicurati già da lungo tempo le vie dalla Lombardia a Genova, sboccanti in Val Polcevera. I castelli di Gavi, Voltaggio e Parodi vi facevano barriera per un nemico che volesse assalire la città. Perciò tanto più doveva spiacere al Comune che i marchesi del Bosco occupassero una minacciosa posizione di fianco, teste rinforzata dalla nuova costruzione, in altro punto, del castello di Tagliolo. Di là essi potevano facilmente saccheggiare il territorio genovese al di là dei monti, fare delle scorrerie verso Voltri e nemmeno la valle del Polcevera era sicura contro di loro. L’anno avanti Corrado Spinola aveva espugnato due castelli di Manfredo del Bosco. Ora si metteva in vista Corrado del Bosco e così pure Riccardo e Leo che, appoggiati dai sudditi 40 Annali, 280 [IV, 165], I luoghi presi sono manifestamente Ormea, Pomas-sio e Cosio. Roberto de Laveno, un fedele partigiano di Carlo (cfr. Durrieu, II, p. 337), certamente favorito dal re, era qui stabilito: Minieri Riccio, Alcuni fatti, p. 107; Moriondo, II, 684 e sgg., etc. Cfr. Merkel, La dominazione di Carlo I d’Angiò, p. 314 e sgg.; Bohmer, Regesta Imperii, nr. 14524, 14527 e sgg., etc. Il 19 gennaio 1274 (L.J., I, 1421), il conte Enriceto di Ventimiglia e alcuni signori di Garessio cedono al Comune i loro diritti sul castello di Pornassio; 1 entità totale delle loro porzioni è di 1/2. E’ detto che ciò avrebbe corrisposto ad un impegno anteriore, in quanto, spogliatine da Roberto de Laveno, avevano potuto essere reintegrati con l’aiuto del Comune. L’originale sulla restituzione in feudo manca solo fortuitamente. Come dimostrano i due docc. in L.J., I, 1423 e sgg., un conferimento feudale ebbe luogo quanto a Cosio per Guglielmo ed altri signori di Garessio (anche per il conte Enriceto, quale comproprietario). Gli abitanti del luogo devono prestare il giuramento di fedeltà al Comune. Nel caso che i signori che ora ottenevano il feudo avessero rifiutato obbedienza al Comune, la gente di Cosio avrebbe avuto maggiori obblighi verso questo che non verso quelli. Non risulta chiaro se anche prima Genova avesse delle pretese sui due luoghi. Risulta che il giuramento di fedeltà da parte degli abitanti di Cosio avesse avuto luogo più tardi, nel 1288: L.J., II, 185. I signori di Garessio rimasero in reale possesso del luogo, come risulta da un doc. del 19 febbraio 1289: L.J., II, 190. Solo il castellano di Cosio è nominato dal Comune, invece un funzionario da parte dei signori locali. Quanto ad Ormea cfr. Durandi, Delle antiche contese, p. 215 e Gioffredo, 630. Ne possiamo desumere che il comune di Ormea ed i signori del luogo fossero venuti ad una convenzione con Genova. — 329 - Libro III - Cap. quarto alessandrini di Carlo, operavano ai danni dei Genovesi41. Per difesa venne mandato quale vicario nella parte settentrionale dell’Appennino Egidio di Negro. In settembre i Capitani progettarono un colpo decisivo. La cavalleria mercenaria, che era ritornata dalla riviera orientale, ricevette il segreto incarico di fermarsi alcuni giorni nei dintorni di Gavi per assalire Ta-gliolo. Per rinforzo Jacopo Doria, podestà di Voltri, doveva unirsi ad essa presso il castello di Lerma colle truppe del suo circondario e di quello della Polcevera, oltre a 100 alabardieri del distretto del Bisagno, messi ai suoi ordini. Le operazioni si effettuarono con sorprendente celerità. Il 21 settembre Jacopo ricevette l’ordine; il giorno seguente passò i monti42; la sera era già al posto stabilito, ove erano pure arrivati il vicario, i castellani di Gavi e Parodi, 350 uomini a cavallo ed oltre 600 altri armati di lunghe lance. Il podestà ha sul posto oltre 2400 uomini. Con ciò, come affermano gli annalisti, è un grosso esercito quello che il mattino seguente si mette in marcia per il vicino Tagliolo. L’idea iniziale di dare l’assalto al castello non è però attuata. 41 Annali, 278 [IV, 162], I documenti si riferiscono a quelle ruberie per le quali i Capitani e gli Anziani avevano concesso licenza di rappresaglie. App. 3, nr. 28, c. 18 v. (30 giugno 1273): a favore di Desiderato di Gavi contro la gente di Corrado e degli altri marchesi del Bosco, come pure contro la gente di Tagliolo, fino all’importo di 200 lire, perchè Desiderato, quando si trovava al servizio del Comune, per dictum Conradum et homines qui cum eo erant captus fuit et in ipsa captione amisit et ei ablate fuerunt equus et res valentes l. 200; ibid., c. 19 (31 luglio), a favore di Guecio di Gavi; ibid., c. 19 v. (31 luglio): a favore di Enrico Grasso di Gavi. Son sempre esclusi d. Agnexina de Bosco, suo figlio Tomaso e Lancclotus de Bosco, cum sint fideles et amici et obedientes comunis et populi Janue. Ibid., c. 20 (4 agosto): contro la gente di Tortona e territorio a favore di un certo numero di persone derubate da malfattori provenienti di là, quando esse cum mulis eorum honeratis saumis irent de Gavio versus Terdonam per stratam publicam assecura-tam per comune et homines Terdone in ipsa strata prope cremam de Monte Cuco, in territorio Terdone. Il Podestà ed il Comune di Tortona, malgrado ripetute domande, non avevano dato loro soddisfazione di sorta. [Cfr. Ferretto, Cod. dipi, I, p. 308 e sgg., nr. 767 e 771 e sgg.; II, p. 9, nr. 21]. 42 Annali, 279 [IV, 163]. La strada passava per Cerexolum (Ceresolo), quindi non seguiva il tracciato odierno che da Voltri conduce nella valle dello Stura, perchè i luoghi ivi situati, Masone, Campo Ligure e Rossiglione, si arresero soltanto più tardi. Ancorché le truppe levate dalla potestatia Pulcifere avessero potuto battere strade più vicine, la riuscita della marcia risultò alquanto relativa. La levata di milizie da due potestatie forniva 2300 uomini, cioè qualcosa in meno di due compagne della città. V. sopra, libro III, cap. IV, n. 1. — 330 - La guerra con Carlo d’Angiò del 1273 Il marchese Tomaso Malaspina possedeva in comune con Riccardo e Leo del Bosco il castello di Ovada. Sembra che a lui fosse gradita l’occasione per disfarsene. Mandò incontro alle schiere che avanzavano un messaggio con l’invito a prendere Ovada. Il vicario vi acconsentì di buon grado. Dopo aver organizzato le sue truppe, si reca dinanzi la porta inferiore del castello43. Tomaso gli viene incontro, lo saluta e fa aprire. L’esercito entra, Riccardo e Leo fuggono per un’altra porta, ma, inseguiti da uomini a cavallo, sono raggiunti. Dovettero quindi scontare con lunga prigionia la violazione del giuramento di fedeltà fatto a Genova quali suoi vassalli44. Nel medesimo giorno Tomaso si reca con un drap- 43 Annali, 1. c. [ IV, 163]. Le distanze sono molto piccole. Siccome il messaggero raggiunse l’esercito ad un miglio da Tagliolo, era appena possibile poter arrivare ad Ovada senza passare nelle immediate vicinanze, dinanzi al primo castello. Per assicurarsi contro un’eventuale sortita da quella parte, il vicario si era preoccupato della sistemazione delle truppe. La marcia ulteriore ha luogo vexillis erectis. 44 Annali, 279 [IV, 164], L.J., I, 726 (27 luglio 1224): Ottone del Bosco, suo figlio Guglielmo, insieme a Manfredo, e Corrado, figli del defunto Bonifacio, nipote di Ottone, avevano riottenuto Tagliolo e altri luoghi dal Comune di Genova. Il 2 maggio 1252 (ibid., I, 1142), quando questo trattato venne rinnovato, Ottone doveva essere già morto, perchè soltanto Guglielmo, Manfredo e Corrado conclusero 1 accordo rispettivamente per la metà di Ovada, per la quale, come erede universale di Guglielmo, deve essere considerata sua figlia, moglie di Federico Malaspina, madre di Tomaso Malaspina. Quest’ultimo ed i suoi fratelli, Corrado e Opicino, non avevano ereditato da lei l’intera metà di Ovada, ma 1/96 di meno: Ibid., I, 1455. Erede universale di Manfredo è Lanzarotto (ibid., II, 300), al quale tocco un quarto di Ovada più 1/384; figli di Corrado erano Enrico, Leo e Riccardo: ibid., II, 207. Quest ultimo non è considerato nell’eredità perchè premorto al padre: Annali, 279 [IV, 164]. Erede di Enrico è la figlia Guerreria (L.J., II, 107), alla quale egli aveva lasciato 1/8 di Ovada, che pretende inoltre 1/16 dell’eredità dello zio Leo. Ovada aveva un numero considerevole di abitanti; nel 1224 oltre 200 giurano fedeltà al Comune di Genova, con alla testa due consoli: ibid., I, 737. Con la conquista del 1273 sembra ristabilito l’antico diritto, che era rimasto sospeso perchè i Bosco avevano prestato giuramento di fedeltà a Carlo - Annali, 278 [IV, 162] -e quindi ricevuta da lui in feudo Ovada, senza alcun riguardo alla supremazia feudale di Genova: ibid., 331 [V, 113]. Probabilmente Genova mise molto in breve un presidio in città: nel Fol. Not., II, c. 253 v. (28 marco 1274) si parla di Antonius balistarius prò comuni Janue in Ovada. [Cfr. anche Ferretto, Cod. dipi., I, p. 390, nr. 985]. Un po’ alla volta Genova acquistò i diritti dei marchesi, prima quelli dei Malaspina (LJ., I, 1455: 16 aprile 1277), poi quelli di Guerreria (ibid., II, 207: 5 luglio 1289) e di Lanzarotto (ibid., II, 300: 11 maggio 1293). Il fatto che attra- - 331 - Libro III - Cap. quarto pello a cavallo al castello di Morbello impegnandolo all’obbedienza verso Genova. Il 24 gli abitanti di questa località e quelli di Molare vengono ad Ovada, ove giurano di attenersi agli ordini del Comune; il 25 giurano gli abitanti dei territori della valle superiore dello Stura, di Rossiglione, di Campo e di Masone. Tagliolo e Usecium soli si ostinano e perciò l’esercito si dirige verso il primo castello per prenderlo colla forza, ma, non riuscendo l’assalto, la sera ritorna a Ovada45. Ma gli uomini del territorio genovese non vogliono rinunziare all’impresa per porre fine ai continuati disagi. Nella notte vengono in fretta eseguite delle opere d’assedio, ed il 29 settembre l’esercito si presenta dinanzi al castello per partire all’attacco. Il marchese Corrado si era recato ad Alessandria per chiedere aiuto; il suo castellano non osò opporre ulteriore resistenza consegnando il castello a Jacopo Doria, dopo essersi assicurato della vita e delle sostanze degli abitanti. Lasciatovi un presidio, le truppe genovesi avanzarono verso Usecium, i cui abitanti si sottomisero subito. Così lo scopo della spedizione era riuscito e nel giorno seguente i vincitori tornarono a casa. Il successo fu di tanta maggiore utilità inquantochè i castelli conquistati — che non furono più restituiti ai Bosco — sbarrando i valichi dei monti, davano ai paesi costieri una sicurezza di gran lunga maggiore di quella di cui avevano goduto fino allora46. I possedimenti immediati di Genova si estendevano ormai fino all’Orba. E’ sorprendente come Carlo non abbia condotto con maggiore ener- verso questi documenti i diritti fossero stati acquistati soltanto in parte, può essere spiegato ammettendo che essi per il resto fossero decaduti con la violazione dei giuramento feudale e che perciò i marchesi del Bosco non fossero più rientrati in possesso del luogo. 45 Annali, 279 [IV, 164], Dalle parole lercia vero die, ossia il terzo giorno dall’inizio della vera e propria campagna (23 settembre), possiamo concludere che il giuramento della gente di Campo, etc., venne prestato il 25 settembre. Le parole che seguono tribus denique diebus elapsis non sono chiare; ad ogni modo, l’inutile assalto a Tagliolo avvenne il 28. 46 Tagliolo era senz’altro rimasto in potere del Comune. Secondo il L.J., II, 321 e sgg., possiamo ritenere che dopo il 1273 vi venissero insediati ogni anno nuovi castellani. Di questo luogo, come pure di Uxecium, Masone, Campo e Rossiglione, il Comune aveva il possesso attraverso acquisti: ibid., I, 1455 e sgg.; II, 208, 301 e sgg. Morbello invece rimase ai suoi precedenti proprietari ed il giuramento degli abitanti doveva essere stato un semplice rinnovo di quello del 1224: ibid., I, 732; altrettanto si può dire per Molare: ibid., I, 1465; II, 304. [V. anche Ferretto, Cod. dipi., II, p. 62, nr. 1351. — 332 - La guerra con Carlo d’Angiò del 1273 già una guerra ch’egli avrebbe potuto evitare così facilmente. Si può appena pensare ch’egli sperasse di raggiungere i suoi fini mediante trattative. Trattative vi furono e sembra siano partite da Lucca, subito dopo i primi insuccessi delle truppe regie sulla riviera orientale. In virtù della sua lega con Carlo, anche questa città, come tutte le altre della Toscana, era obbligata a prendere parte alla guerra contro Genova. Ciò doveva spiacere particolarmente a Lucca per le sue attive relazioni commerciali con Genova, di fresco assicurate col nuovo trattato del 1271 47. Per evitare una dannosa interruzione degli affari, vennero quindi mandati da Lucca a Genova dei legati, per scusarsi della parte presa negli attacchi avvenuti e promettere che ciò non sarebbe accaduto più. I Capitani non rimasero persuasi di queste assicurazioni, tuttavia consentirono ai Lucchesi di continuare come prima il loro commercio in Genova e territorio senza tema d’essere disturbati. Anche da altre città toscane giunsero inviati che fecero le medesime scuse ed ebbero uguale risposta48. Questi fatti dimostrano però quanto poco disposti fossero gli zelanti Guelfi a fare il minimo sacrificio per la causa di Carlo. Essi erano venuti a trovarsi in una posizione alquanto difficile quando il re stesso era comparso nelle vicinanze49 spingendoli a fare degli sforzi per essi spiacevoli. Allora cercarono una via d’uscita che potesse alla meglio trarli d’impaccio. Si offrirono di interporsi per la pace fra Carlo ed i Genovesi esiliati da una parte ed il Comune dall’altra parte. Tutta la lega guelfa toscana, con alla testa Firenze e Lucca, spedì inviati, che ne portarono le proposte al Consiglio di Genova50, senza che Carlo sollevasse obiezioni. Egli però avrebbe ancora sostenuto le sue antiche pretese, e soprattutto rifiutava di riconoscere la signoria del partito ghibellino a Genova51, sul 47 App. 2, nr. 29 b. 48 Annali, 276 [IV, 156]. Gli avvenimenti devono cadere all’incirca alla fine di maggio, principio di giugno. 49 V. sopra, n. 25. » Annali, 276 [IV, 156-1571. 51 V. sopra, p. 297. Che il re non avesse receduto dalle sue antiche pretese (v. sopra, libro III, cap. Ili, n. 2) risulta dalla sua stessa dichiarazione nel doc. del 23 luglio 1274: Minieri Riccio, Il Regno, 1274, p. 236; completo in Forges Davanzati, p. LX. Differenti tra loro sono i tre stadi dei negoziati, nei quali egli si era sempre offerto di oompromettere de omnibus iniuriis et offensis bine inde illatis in dominum nostrum summum pontificem: 1) mediante ambasciate e lettere (nel 1272: v. sopra, p. 285); 2) a Firenze personalmente, il che non può essere altro — 333 - Libro III - Cap. quarto quale punto i Guelfi di Toscana erano perfettamente d’accordo. Ora però che la guerra aveva preso una piega abbastanza favorevole, i Capitani si sentivano naturalmente meno disposti di prima alla condiscendenza. L offerta venne recisamente rifiutata, non potendosi considerare veri amici coloro che si adoperavano, sotto mano, a promuovere gl’interessi dei Guelfi S1. Fu forse per un riguardo al papa se non vennero del tutto respinte trattative dirette con Carlo, che non pervennero, però, ad alcun risultato 53. Questi fatti non furono tali da infondere nelle città toscane un maggior desiderio di guerra e forse servirono loro di pretesto per non dimostrarsi un’altra volta compiacenti a soddisfare i desideri di Carlo . I successivi risultati della guerra genovese ed una certa pressione esercitata dai Capitani mediante la concessione di rappresaglie bastarono per indurre Lucca alla rinnovazione del trattato del 1271 5S. che del 31 luglio 1274 (Minieri; Riccio, II Regno, 1273, p. 247) quando cg i ri ascia, da Firenze, un salvacondotto per tre inviati genovesi ed il loro scrivano per \enire a a sua corte. Il terzo stadio si riferisce ad avvenimenti del 1274. Occorre dar peso prò prio alla parola omnibus. 52 Così è da intendersi l’espressione attendentes fieri calliditate subdola que fiebant, in Annali, 276 [IV, 1571. Sul contegno di Lucca forse aveva influito i genovese Luchetto Gattilusio, che allora vi si trovava come capitaneus populi. Min'ieri Riccio, Il Regno, 1273, p. 243. Non si può provare che egli fosse nel numero banditi. Abbiamo già fatto cenno alla sua posizione di fronte ai partiti a p. 177. ben possibile che l’abolizione del capitanato e l’istituzione d’un altra forma di costi tuzione, che assicurasse la pace interna, gli fosse gradita. Un pur moderato in 1 rizzo guelfo della politica estera di Genova avrebbe potuto avere la conseguenza i offrire di nuovo alle città toscane la possibilità di allearsi con Genova per opprimere del tutto i Ghibellini di Pisa. 53 V. sopra, n. 1. Dal documento del 31 luglio 1273 (Minieri Riccio, Il Regno, 1273, p. 247), possiamo concludere che allora gli inviati genovesi erano già siati nominati. Non sono i medesimi che avevano condotto le precedenti trattative: v. sopra, libro III, cap. Ili, n. 1. Inoltre il re incarica in pari tempo due del suo seguito di accompagnare gli inviati alla sua corte; di qui la deduzione che essi vi andarono realmente. Il tentativo d’intromissione delle città toscane cade quindi all incirca nel luglio 1273. 54 V. sopra, p. 324. 55 App. 2, nr. 29 a (14 febbraio 1274); App. 3, nr. 28, c. 21 v. (30 agosto 1273) [cfr. Ferretto, Cod. dipi., I, p. 312, nr. 7791: licenza di rappresaglie contro i Lucchesi a Carbonino Cantello fino alla somma di 200 lire proven. fortium de Campagna e 25 lire per le spese. Il motivo va ricercato nel fatto che Carbonino doveva — 334 - La guerra con Carlo d’Angiò del 1273 Nel 1274 Genova doveva vivere almeno con Pisa in perfetta pace 56 e, in linea di massima, non abbiamo notizie che la guerra sulla riviera orientale fosse stata energicamente ripresa. Lo scarso appoggio che il re trovò presso i Guelfi fu forse la causa per cui non potè ottenere qualche successo; fatto sta che i Ghibellini poterono energicamente aiutare i loro aderenti a nord dell’Appennino. La posizione del Siniscalco di Lombardia doveva essere diventata ben pericolosa, se Carlo si vide costretto a chiamare alle armi i feudatari della Provenza 57. Alessandria stessa era minacciata. Questo spiega perchè i marchesi del Bosco non furono meglio aiutati, e Genova prendesse l’offensiva. Ciò che più sorprende è che Carlo, nel 1273, non avesse cercato di ricevere 200 lire da Michele, figlio Armani Franchi de Luca, secondo un doc. del 12 gennaio 1273. Michele aveva lasciato Genova e perciò non poteva essere richiesto del pagamento della somma. Da parte dei Capitani furono mandati messaggi e lettere al Podestà, al Capitano e ai consules mercatorum di Lucca per esigere il pagamento. Malgrado le reiterate domande, essi non fecero ottenere giustizia al querelante, immo, vocato dicto Michaele et in eorum presentia constituto, per eum compositis coram eis frivolis allegacionibus, scilicet quod mercator non erat, et quod coram eis respondere non debebat et quod appellabat ad regem Karolum, verba comminatoria dicendo procuratori dicti Carboni, ipsum sic abire permiserunt nec ipsum ad solutionem in aliquo compellere voluerunt. Proprio il trattato medesimo ci porta a concludere che anche ad altri fossero state concesse le rappresaglie. Questo trattato è la conferma di quello del 1271, che venne puramente riprodotto. La durata della validità di esso era di cinque anni, di quello del 1274 di tre anni e oltre, finche non venisse disdetto. L’unica aggiunta è che gli inviati di Lucca promettono che il loro comune farà ottenere giustizia ad alcuni Genovesi che vantano pretese verso mercanti di Lucca, altrimenti quelli dovranno poter laudes seu represalias seu pignorationes consequi contra comune seu homines Luce, malgrado il trattato. Fra i debitori è nominato Michael Franchi de Luca, però per una questione differente da quella ora citata. Probabilmente però, per i casi in cui Genova aveva già concesso il diritto di rappresaglia, Lucca aveva semplicemente promesso soddisfazione. 56 Precisamente in quest’anno, l’il agosto, abbiamo la prova di un console pisano a Genova (Fol. Not., Ili, 1, c. 87 v.): Simon Tauri de Pisis, consul Pisanorum in civitate Janue. Il 23 marzo e il 25 aprile (ibid., II, c. 127 v.) abbiamo menzione d’un giudizio arbitrale fra Pisani actum Janue, iuxta ecclesiam S. Torpetis, in loggia Pisanorum-, cfr. Bonaini, Stal. Pisa, III, 390 e Schaube, Das Kons. d. Meeres in Pisa, p. 167 e sgg. [Cfr. anche Ferretto, Cod. dipi., I, 319, nr. 780, etc. Il 17 dicembre 1275 furono certamente concessi diritti di rappresaglia dal Comune di Genova contro Pisa: ibid., II, p. 40, nr. 90]. 57 Minieri Riccio, Il Regno, 127), p. 248: 12 agosto; p. 249: 14 agosto. - 335 - Libro III - Cap. quarto mettere a profitto la sua forza navale, limitandosi solo a difendersi dai colpi di mano dei corsari genovesi, i quali, come dimostrano i suoi editti, non a torto gli destavano inquietudini5S. Egli fece bensì allestire parecchie navi, che erano però destinate a guerreggiare i Greci59. Anche Genova non mandò fuori grosse flotte; al danno dei nemici pensavano già i cittadini con ardite spedizioni piratesche60. Nel bottino che così guadagnavano, essi potevano trovare qualche compenso alla sospensione dei loro commerci. 58 Già nel 1273 (3 gennaio): ibid., p. 4; cfr. Del Giudice, Del cod. dipi. Ang., p. 107. Disposizioni per un servizio di comunicazioni lungo la costa per il caso che fosse comparsa ima flotta nemica: Del Giudice, Dipi, ined., p. 12 (15 marzo); Minieri Riccio, Il Regno, 1273, p. 8 (14 marzo) e p. 10 (19 marzo): ordine di armare galere in difesa dagli attacchi dei Genovesi; ibid., p. 17 (14 aprile): lettera a Milano per il derubamento di Rostaino Cantelmo, ad opera di Genovesi; ancora ibid., p. 31 (7 maggio). Rinforzo del presidio di Malta: Minieri Riccio, Saggio di cod. dipi-, I> p. 101 = Amari, La guerra del vespro, III, p. 459. Ruberie a danno di mercanti fiorentini per opera di pirati genovesi: Del Giudice, Dipi. ined. di Carlo I, p. 15 e sgg. 59 Ibid., p. 13, etc. Il sunto in Minieri Riccio, Cenni storici, p. 27, è inesatto; cfr. ibid., p. 25. 60 Effettivamente sembra che anche i Provenzali avessero fatto delle incursioni per mare allo scopo di predare: Del Giudice, Dipi. ined. di Carlo I, p. 16. — 336 - Capitolo quinto La partecipazione di Genova alla Lega ghibellina Gregorio X non s’intromette per Genova. - Lega tra Genova, Pavia ed Asti del 26 ottobre 1273. - Arrivo di truppe spagnuole. - Spedizione della flotta genovese e sua dimostrazione davanti a Napoli. - Mal riuscito attacco di Mentone. - Progetti di Carlo d’Angiò. - Comparsa della sua flotta davanti a Genova. - Successi dei Ghibellini nel 1275. Il corso degli avvenimenti aveva dimostrato che non si sarebbero ripetuti i pericoli che si erano presentati nella lotta con Federico II. Questa volta i paesi soggetti della Liguria non avevano mostrato desiderio alcuno di staccarsi dalla città signora. Era tuttavia da considerare se conveniva continuare la guerra col potente avversario rimanendo, come finora, in posizione isolata. Quantunque i suoi attacchi fossero in gran parte falliti, egli aveva acquistato ad occidente alcune piazze di non lieve importanza. Monaco rimaneva tagliata fuori dal nucleo degli altri territori del Comune e anche Ventimiglia era manifestamente minacciata. Perciò i Capitani diressero i loro sforzi a rendersi, più che era possibile, favorevole il papa. Ciò riuscì loro almeno nel senso che il papa non appoggiò Carlo coll’infliggere l’interdetto sulle città a lui nemiche. Essi però non poterono ottenere di più di questo risultato negativo. Gregorio X rimase molto lontano dallo spingere energicamente Carlo a concludere la pace. Egli lasciò andare le cose per la loro china; forse non avrebbe veduto mal volentieri la rimozione dei Capitani ghibellini, ma questi non gli fornivano alcun appiglio perchè dovesse intervenire. In passato era loro riuscito di mettere Carlo dalla parte del torto, rappresentandolo come quegli che, quale aggressore, aveva violato i trattati. Rimaneva dubbio se ciò fosse ora ancora possibile, dopo l’insuccesso delle trattative corse nel 1273. Oltrecciò, la presa dei castelli di Nicola Fieschi costituiva una certa lesione dei diritti della Chiesa Il cardinale Otto- 1 V. il doc. in Muratori, Ani. Ital., I, p. 617 e sgg., secondo il quale erano stati prima feudi della contessa Matilde, pervenutile dal vescovado di Luni, sui quali in conseguenza Innocenzo IV vantava il diritto di disporne. - 337 - Libro III - Cap. quinto bono non aveva mancato di farlo valere 2 e aveva pure mosso rimostranze al papa perchè il Comune teneva forzatamente i suoi beni. Era stata cosa di sommo rilievo per i Capitani l’essere sfuggiti da principio alla scomunica, ma era dubbio se avrebbero potuto sottrarvisi ancora per lungo tempo; meglio quindi lasciar cadere la maschera e unirsi apertamente ai nemici della Chiesa romana. In questo caso si sarebbe stati certi dell’interdetto, ma Genova avrebbe acquistato degli alleati che la avrebbero sostenuta contro le sue conseguenze. Pavia aveva sfidato imperterrita la collera del papa e gli attacchi dei Guelfi. Nell’anno 1273 vi comparve il Vicario del re dei Romani Alfonso, Guglielmo di Monferrato. La loro causa ebbe poi un importante rinforzo il mese seguente con l’adesione di Asti3. Meno agitata da interni partiti in confronto con altre città italiane, Asti aveva sempre mantenuto verso Carlo un contengo fermo. Duramente colpita in occasione della sua prima invasione del Piemonte, ma troppo debole per opporglisi, si era procurata pace mediante una serie di armistizi triennali. L ultimo di essi era scaduto il 1° gennaio 1273 e, a quanto sembra, non era stato rinnovato come in precedenza4. 2 Negli Annali, 275 [IV, 1531, Nicola Fieschi è nominato come proprietario dei castelli. Ciò non esclude che nella famiglia dei Fieschi fossero stati stipu ati con^ tratti in base ai quali si doveva considerare il Cardinale come vero proprietario, e suo testamento del 28 settembre 1275 (Federici, p. 129 e sgg.), egli dispone c e i castelli di Carpena etc., come tutto ciò che egli aveva nel vescovado di Luni, i i cola Fieschi come di qualsiasi altro, dovesse toccare a Nicola. Poiché il r in e era quasi sempre assente dalle sue terre, è da ritenere cosa naturale che suo rate Nicola amministrasse quei possedimenti per suo conto. Ma poiché egli era consi erato come il vero proprietario, gli era tanto più facile sostenere come con la presa dei ca stelli la sua proprietà venisse lesa. La relazione degli Annali, 282 [IV, 171], P°^e e dar credito all’ipotesi che per questo Genova fosse stata in seguito colpita dall inter detto, il che non è esatto: cfr. oltre, cap. VI. Però nella pace del 1276 (Federici, p. 155 e sgg.), il Cardinale rinunzia ai processi che fino a quel momento aveva intentato contro il Comune presso la curia Romana per i castelli, località e possedimenti. Ne consegue che egli doveva aver domandato l’intervento del papa, che doveva aver avuto luogo già nel 1273. 3 Ann. Plac., 557. 4 Cod. Ast., Ili, 1116 e sgg. Dovevano aver avuto luogo delle trattative per il rinnovo: Minieri Riccio, Il Regno, 1271-1272, p. 97 e sgg., ma risulta che nel 1273 gli Astigiani avessero già preso parte alla guerra contro i partigiani di Carlo: In., « Regno, 1273, p. 249. — 338 - La partecipazione di Genova alla Lega ghibellina Alfonso venne nuovamente invocato dagli alleati ghibellini. Essi credevano sufficiente una spedizione di 500 uomini a cavallo per volgere la posizione a loro vantaggio5. Il Casigliano avrebbe volentieri voluto mandarne anche di più, ma era questione di vedere quale via avrebbero dovuto prendere. La più sicura era quella di mandarli a Genova per mare; a tal fine, Pavia ed Asti, ancora prima di collegarsi, avevano intavolato trattative coi Capitani6. Certamente dovevano essere sorte delle difficoltà 1. Era sempre un rischio per Genova quello di collegarsi apertamente con Pavia messa a bando. Tante volte essa si era vantata per l’antica ed inviolabile fedeltà verso la Chiesa romana ed ora andava contro un suo inequivocabile divieto8. Le circostanze del momento rendevano tuttavia difficile un’altra scelta. Finché Carlo non si fosse trovato in assoluto svantaggio i Capitani non potevano sperare in una pace duratura con lui. Non più di questo essi intendevano ottenere col trattato del 26 ottobre 1273. Ad onore di santa madre Chiesa e dell’impero romano, per la salute della loro città, per la conservazione della libertà in essa instaurata, come per quella di tutti i Lombardi9, il Podestà ed il Consiglio di Pavia convengono con i rappresentanti di Asti e di Genova di concludere ima stretta lega per otto anni10. Essi avranno comuni amici e nemici e si difenderanno vicendevolmente contro questi ultimi. A tale effetto, Pavia dovrà 5 Cronica del rey D. Alfonso decimo, 41, 45 e sgg.; cfr. Bohmer, Regesta Imperii, nr. 5521 a. 6 II trattato stesso (App. 2, nr. 27) è concluso a Pavia il 26 ottobre 1273; l’istrumento di nomina dei sindaci di Genova (Lanfranchino Pignolo, giudice e Oberto Cigala) è del 3 luglio, quello del sindaco di Asti (Jacobus Medalia) è del 24 giugno. Costui è il medesimo che, come si rileva da una menzione (ibid.), aveva concluso il trattato tra la sua città e il Monferrato. La notizia in Guill. Vent., 710, non è esatta. 7 E’ sorprendente come il marchese di Monferrato non avesse subito preso parte alla lega. Viene fatta riserva della sua entrata; però, per quanto riguarda Tortona, egli deve mantenere tutto quanto que tractata fuerunt per ambaxatores Papie et Ast et capitaneos Janue in Janua. Anche l’ingresso di Tortona nella lega veniva riservato per il corso di due anni e doveva aver luogo secundum modum et formam et tractatum factum et scriptum in Janua per ambaxatores comunis Papié et Ast et per dd. capitaneos et sapientes Janue. 8 Reg. de Grég. X, p. 202; cfr. oltre. 9 App. 2, nr. 27: Ad honorem Dei Patris et Filii... et sancte matris ecclesie, Romani imperii, et ad bonum statum (et) augmentum dictarum civitatum, et ad ma-nutenenciam innate libertatis ipsarum civitatum et omnium Lombardorum. 10 Ibid.-. societatem, compagniam et fraternitatem. - 339 - Libro III - Cap. quinto disporre durante la guerra di 1000 uomini a cavallo, Asti di 500 e Genova di 300 oltre a 3000 balestrieri. L’importanza di queste basi su cui si fondava la lega, rimane però notevolmente menomata da una serie di clausole aggiunte. L’aiuto sarà prestato soltanto nel caso che uno dei comuni venga assalito, non invece per il riacquisto di castelli o di altri possedimenti perduti. E’ bensì convenuto che gli alleati non possano concludere pace se non per comune consenso; ma a Genova e concesso di poterlo fare anche da sola, a suo piacimento, rimanendo con ciò i confederati obbligati all’aiuto pattuito nella convenzione e con la garanzia del libero passaggio a tutti coloro che volessero dar mano a Pavia ed Asti11. Ciò non significa altro che se Genova avesse concluso pace con Carlo, le truppe spagnuole avrebbero potuto comunque approdare alla costa ligure. Qui sta il nodo della questione n. Come risulta anche da altre disposizioni, i Capitani non erano affatto 11 Ibid.: Et si infra tempus annorum octo comune et homines Janue voluerint pacem seu treuguam facere cum aliquo borono, comunitate vel singulari persona, oc facere possint, ita tamen quod presens conventio et compositio et societas duret et teneat ad auxilium, manutenenciam et iuvamen prestandum et faciendum dictis cornu nibus Papie et Ast in terra et terris eorum et cuilibet ipsorum, hoc modo vi e icet quod comune Janue non faciet aliquam treuguam, concordiam seu pacem cum a tqno barono, comunitate, universitate seu singulari persona in qua apponatur quod comune Janue obligetur aliquo modo, quin ipsum comune Janue libere possit et debeat per mittere cuilibet volenti dare auxilium et succursum comunibus Papie et Ast et cui libet ipsorum et mittere succursum per terram Janue et districtum tam per mare quam per terram. 12 Naturalmente anche Pavia ed Asti possono concludere separatamente la pace sotto le medesime riserve. Inoltre i comuni sono obbligati a non accordare passaggio ai nemici della loro lega; solo devono avervi sicurezza quelli che vadano a Genova con viveri e quelli che si rechino al concilio o ne ritornino. Genova non ha alcun obbligo verso Piacenza. Nessun comune può intraprendere una guerra senza il consenso degli altri; l’ammissione di altri alla lega deve avvenire di comune accordo, quanto al marchese di Monferrato l’ammissione è riservata entro tre mesi e così, per Tortona, entro due anni. Che il marchese entri o meno, la lega fra lui, Pavia ed Asti deve sempre rimanere in vigore, senza che per questo possa derivarne una rottura dell’attuale convenzione con Genova. Fin dall’inizio è fatta riserva, di grande rilievo per Asti, che il re di Francia, il conte di Champagne ed i loro sudditi non debbano mai essere considerati come nemici; Carlo ed i suoi sudditi non sono compresi in questa clausola. Non occorre che Asti cominci subito la guerra. Le vengono accordati sei mesi e mezzo di dilazione, affinchè i suoi cittadini possano allontanarsi dalla Francia; però, ove venisse loro garantita la sicurezza, il termine viene ridotto a tre mesi; eccetto che per Alessandria, è però fatta riserva degli antichi trattati fra Pavia e Asti, senza che da ciò possa conseguire rottura del presente. — 340 - La partecipazione di Genova alla Lega ghibellina intenzionati a intervenire con tutte le loro forze nella lega ghibellina. Essi volevano partecipare meno possibile alla guerra a nord dell’Appennino, non avendo altro interesse che quello di essere protetti da attacchi da quella parte. I Capitani erano troppo preoccupati dal timore di minare la loro posizione, ove avessero spinto i cittadini a una guerra più proficua al loro partito che all’interesse del Comune. Il favore del momento consisteva nel fatto che Pavia ed Asti aspettavano aiuti dalla Spagna che difficilmente sarebbero potuti venire altrimenti che per mare. Dipendeva dai Capitani il rendere possibile l’arrivo dei cavalieri castigliani ed essi approfittarono in larga misura di questa favorevole posizione. La convenzione imponeva al Comune leggeri oneri mentre gli dava grandi vantaggi. Gli alleati sviavano i colpi destinati a Genova, mentre in cambio ricevevano pochissimo appoggio. Genova oltre tutto nemmeno s’impegnò a riconoscere espressamente Alfonso come re romano, del cui nome non è neppur fatta menzione nella convenzione. Intanto la politica dei Capitani ha un’altra mira. Si riservano, come si è detto, libertà d’azione per concludere pace in qualunque momento loro piaccia. Come prima, essi potevano dunque dichiararsi pronti ad un accomodamento con Carlo evitando così un’ulteriore interruzione del commercio coll’Italia meridionale. Siccome però il passaggio delle truppe di soccorso sarebbe stato sempre assicurato ai Ghibellini lombardi, ancorché Genova avesse concluso separatamente la pace, essi non ne avrebbero avuto danno, poiché ciò che più loro importava era 1 appoggio dei cavalieri spagnuoli. Questi erano in grado di misurarsi in battaglia campale contro i Francesi meglio dei Genovesi, non abituati a combattere a cavallo. Gli Annali ci rappresentano la convenzione come molto favorevole u; solamente omettono il più importante. Strana certamente questa alleanza nella quale una sola delle parti, senza il consenso delle altre, può stringere pace! E tuttavia l’insidia non era tesa tanto contro i Ghibellini quanto contro Carlo. Quelli potevano rimanere sempre sicuri della tacita protezione dei Capitani, che sarebbe stata loro egualmente utile come se fosse stata manifesta. Il fattore principale era per essi che la via per le truppe di soccorso che Alfonso avesse voluto inviare fosse aperta. Difficile sarebbe stato occultare al re la lega dei suoi avversari; come 13 P. 280 [IV, 167]. Il passo si riferisce probabilmente all’entrata del marchese di Monferrato, che doveva aver avuto luogo nel 1274; qui è detto erroneamente che già in altro passo si era parlato della convenzione. - 341 - 23 Libro III - Cap. quinto di consueto, il primo colpo partì da lui. I marchesi Jacopo e Manfredo del Bosco, come pure i Signori di Cossano, avevano preso e trattenuto merci di mercanti astigiani destinate a Genova. Malgrado i reclami del comune di Asti, non volevano rendere il bottino. I cittadini escono per punire i predoni e saccheggiare Cossano. Procedettero però cautamente e solo pochi uomini a cavallo presero parte alla spedizione. D’un tratto però compare il Siniscalco di Lombardia, che, colla sua cavalleria, arreca una spaventosa sconfitta agli Astigiani colti di sorpresa (24 marzo 1274)14. Molti furono fatti prigionieri e portati nelle carceri di Ravenna I5. Lo spirito abbattuto degli Astigiani, che credevano la loro città perduta, si rianimò quando Pavia mandò pronti aiuti, arruolando anche dei mercenari per rinforzarsi. A questo punto approdò la prima spedizione di truppe spagnuole 16, portate da navi genovesi nel porto di Genova. Sembra che 14 Alfieri, Fragm. de gestis Astensium, 60 e sgg.; Guill. Vent., 710 e sgg.; Ann. Plac., 559; Annali, 280 [IV, 165]. Secondo Ventura e Attuali, sussisteva ancora un armistizio tra Asti e Carlo. Si doveva trattare, anche per il dudum antea initas (Annali, 1. c.), di quello del 1269 (Cod. Ast., III, 1116 e sgg.), che non era stato ancora disdetto. La riserva fatta nella lega tra Asti e Nano di Ceva, del 30 novembre 1273 (Cod. Ast., Ili, 695), secondo la quale essa era obbligata a prestargli aiuto se non dopo sei mesi, dimostra che a quel comune era ancora impedito di co minciare subito la guerra con Carlo. Non possiamo giudicare (ino a qual punto il Siniscalco avesse agito per opporsi al trattato. Da quanto dice Ventura, I. c., si può ad ogni modo concludere che Asti, mediante le somme pagate, credeva di essersi acquistata la tranquillità finche non arrivassero gli attesi Spagnuoli. 15 Secondo Alfieri, 61, il numero totale ascendeva a 800, dei quali 181 portati ad Aix: cfr. Guill. Vent., 712; sul crudele trattamento loro usato, cfr. Minieri Riccio, Il Regno, 1274, p. 429. 15 Annali, 282 [IV, 170]: 300 Aragonenses milites quos rex Castelle in Lom-bardiam mittebat-, quanto al tempo, è qui indicato il mese di aprile. Secondo Ann. Plac., 559, soltanto 200 milites, che arrivarono il 26 aprile (die veneris, 26 mensis aprii-, il 27 cadeva di venerdì). Se Guill. Vent., 711, fissa nel maggio l'epoca del- 1 arrivo, egli deve riferirsi all arrivo in Asti, che forse confonde con quello a Genova. E' assolutamente impossibile datare al novembre 1274 o più tardi le parti della lettera del cardinale Uberto al re Rodolfo I, che si riferiscono ad Asti (Redlich, Eine Wiener Briefs., p. 41 e sgg), poiché Rodolfo viene qui esortato a fare delle promesse agli inviati di Asti affinchè questa città non accolga gli Spagnuoli appena sbarcati. Nel novembre 1274 non solo ciò era già avvenuto da lungo tempo, ma appunto per questo motivo Asti era stata scomunicata dal papa- Potthast nr 20961- cfr. oltre, cap. VI. Invece, il oppress, Tenses), sfarebbe con la data immediatamente dopo la sconfitta di Cossano e così il quorum (se. - 342 - La partecipazione di Genova alla Lega ghibellina esse, per le vie dell’Appennino, siansi subito recate dal marchese di Monferrato prendendo parte attiva alla guerra sostenuta da Asti contro Carlo il cui andamento non fu sfavorevole, quantunque in quell’anno non avessero riportato alcuna decisiva vittoria. I possedimenti del re in Piemonte sono tanto minacciati, Alba specialmente, che i suoi funzionari hanno il loro bel da fare per difenderli,7; non era così ipotizzabile un attacco al territorio genovese da nord. Se è lecito trarre una conclusione da scarse notizie, si potrebbe asserire che l’arditezza dei pirati liguri aumentò nell’anno 1274. Essi osarono spingersi fino nelle vicinanze di Napoli18, malgrado le misure prese dal re per la protezione delle coste. Una flotta abbastanza grande poco potè fare contro le navi veloci armate in corsa che apparivano or qua or là. Gli Annali riferiscono che un numero di galere provenzali, armate per ordine di Carlo, conquistarono un castello genovese in Corsica19. Hyspanorum) adventus inquietudinem magnam exercitare poterit; l’estate 1274 fu alquanto agitata in partibus precipue superioribus Lombardie. Appunto per questo non si può ammettere la traduzione di finaliter con « di nuovo »: Otto, Die Bezie-bungen Rudolfs von Habsburg, p. 61. 17 Guill. Vent., 711 e sgg. 18 Minieri Riccio, Il Regno, 1274, p. 51, doc. del 31 marzo. Questo non può riferirsi all’arrivo della flotta genovese che avvenne solo più tardi; cfr. oltre. Sembra che l’armamento di navi corsare fosse avvenuto a Genova sotto forma di operazione commerciale: Belgrano. Docc. ined., p. 26, nota. [Cfr. Ferretto, Cod. dipi., I, p. 340 e sgg., nr. 847, 876, etc.]. Quanto alle misure prese da Carlo a protezione delle coste, v. Minieri Riccio, Il Regno, 1274, pp. 59, 225, 230, 232, 234; Del Giudice, Dipi, ined. di Carlo I, pp. 17, 22 e sgg. Risulta che fossero sempre tenute pronte delle galere per partire aJl’avvicinarsi di navi nemiche. Risulta anche che Carlo avesse tentato di porre ostacoli al viaggio dei Genovesi per la Romania. Quanto vana ne fosse stata la riuscita, è provato dalla circostanza che persino una galera isolata osò con esito felice attraversare lo stretto di Messina: Minieri Riccio, Il Regno, 1274. p. 232 e sgg. 19 Annali, 280 [IV, 167]: castrum Lombardum nomine, in Corsica, loco ubi dicitur Aiactio, constructum a Januensibus et munitum. App. 5, nr. 23, IV, 7, p. 36; cfr. Canale, III, p. 295; [cfr. Ferretto, Cod. dipi, I, p. 256, nr. 649]: estratto da un doc. del 1272, ind. 14, die Jovis U (!) Madii. Cum per comune Janue in parti-bus Corsice nuper quoddam castrum, quod noncupatur castrum Lombardum in Ja-yacio (!), constructum et edificatum sit, et intersit comunis Janue dictum locum repleri habitatoribus et specialiter de hominibus Janue et districtus ad tuicionem et defensionem hominum dicti loci, viene concluso un contratto con Nicolaus Botarius, cittadino genovese, che, insieme ad altri, si è offerto di recarvisi; il che avverrà in breve tempo. Il numero totale dei coloni ammonterà a 100; fra essi dovevano tro- — 343 — Libro III - Cap. quinto Sembra poco probabile che esse fossero state spedite a tale scopo piuttosto che contro i pirati. Quanto al tempo, si può ammettere che il fatto sia accaduto alla fine di aprile o in maggio20. Siccome alla fine di aprile le navi genovesi con a bordo la cavalleria spagnuola dovevano trovarsi fra la Provenza e la costa occidentale della Corsica, non siamo tanto lontani dal supporre che le galere di Carlo fossero destinate a sorprenderle, impresa che sarebbe fallita completamente. Poco dopo l’arrivo della prima spedizione salpò da Genova un numero non insignificante di navi da trasporto per prendere nuovi rinforzi dalla Castiglia21. Malgrado il silenzio degli Annali, possiamo ritenere che le 22 galere comandate da Lanfranco Pignatario fossero destinate a varsi homines diversarum artium... scilicet ferrarie, calegarie, axie, antelami etc. Essi si impegnano a lavorare per tre anni, tre volte alla settimana, alla costruzione del castello, come pure a costruire case che sarebbero rimaste di loro proprietà, finché fossero stati fedeli al Comune. Nicolaus Botarius riceve castellaniam dicti castri per annos 5.. ■ quemadmodum habent potestates seu castellani Bonifacii in hominibus Bonifacii; come assegno per sè, servientes e (pro) equis duobus militaribus riceve 120 lire, inoltre denaro da distribuire nei prossimi tre anni fra i coloni. Questi ultimi riceveranno inoltre quella parte, che parrà giusta ai Capitani e agli Anziani, del terreno destinato a essere coperto da edifici, che il vescovo di Ajaccio concessit seu concessurus est comuni Janue, senza per questo dover pagare imposta alcuna. Per il commercio con Genova essi godono delle medesime franchigie daziarie degli abitanti di Bonifacio. Con la presa di possesso del territorio che si aveva di mira, si devono connettere due docc. del 27 aprile 1272 (App. 3, nr. 28, cc. 9 v. e 10 v.): Obertus Aurie, filius Petri Aurie (quindi il Capitano, ma non in tale sua qualità) nomina un procuratore per ricevere dal vescovo di Ajaccio in enfiteusi (in emfeotesim) ad interesse dei terreni situati nel vescovato di Ajaccio in Corsica; egualmente il 3 maggio; qui il concedente è l’abate del monastero di S. Martino della Gallinara (presso Albenga). L’occupazione del castello non poteva farlo ritenere perduto per sempre per Genova; cfr. L.J., II, 44. 20 Annali, 280 [IV, 167]; quo audito, comune Janue galeas 22 armari fecit, il cui ammiraglio era Lanfranco Pignatarius. L’8 maggio era già cominciato l’armamento (Fol. Not., II, c. 130 v., 8 maggio 1274); Guglielmo di Castello confessa a Donato Fornari de Ripa di aver ricevuto da lui 38 soldi e promette di partire in sua vece prò balisterio in storio galearum comunis Janue, in quibus est admiratus Lanfran-eus Pignatarius. Se le galere fossero rimaste fuori oltre un mese, egli avrebbe ricevuto pro qualibet die ad rationem sol. 38 al mese. Ibid., III, 1, c’. 144 y. (8 maggio) è detto presens armata galearum comunis Janue, cuius est admiratus Lanfrancus Pignatarius. [Cfr. Ferretto, Cod. dipi., I, p. 353, nr.887 e sgg.]. 21 Ann. Plac., 559 e sgg. — 344 — La partecipazione di Genova alla Lega ghibellina coprire la loro rotta. Esse però non accompagnavano immediatamente le navi, ma cercavano il nemico. Ciò fecero per un certo tempo, ma fu fatica sprecata; perchè le galere provenzali erano già rimpatriate. Quando l’ammiraglio ne fu ben certo, cessò dall’andare su e giù per il mare senza più scopo. Non trovandovisi più la flotta nemica, i Genovesi drizzano le prore direttamente per la Sicilia22, entrano nel porto di Trapani, mettono il fuoco ai legni esistentivi, e saccheggiano anche il paese23. La seconda mèta doveva essere Malta, ma non osarono attaccarla, limitandosi a saccheggiare l’isola di Gozzo24. La flotta si reca poi a Messina, girando la punta sud della Sicilia e impossessandosi di non pochi legni25. Indi, costeggiando la Calabria, si dirige verso Napoli, i cui abitanti stanno armati sulla riva per impedire uno sbarco, che però non fu tentato. I Genovesi si abbandonano qui ad una dimostrazione per innalzare la gloria del loro Comune e schernire il re26. E’ dubbio se, come riferiscono gli 22 Annali, 280 [IV, 167]. Quanto al tempo, dobbiamo collocarlo a fine giugno. Il 17 giugno Carlo emana una circolare ai suoi funzionari, per raccomandare loro una particolare vigilanza, avendo ricevuto notizia che 25 galere genovesi navigavano verso la Sardegna: Minieri Riccio, Il Regno, 1274, p. 228. E’ evidente che in quel momento la flotta genovese si stava avvicinando alle coste del Regno. 23 Annali, 280 [IV, 167-168]: ac ipsi civitati Trapane inferendo dampna plurima, ipsam per mare undique expugnavit. Non possiamo concludere da ciò se Trapani stessa fosse stata presa. 24 Annali, 1. c. Non è chiaro se il castello fosse stato preso: Minieri Riccio, Il Regno, 1274, p. 227. 25 [Cfr. Ferretto, Cod. dipi., I, p. 385, nr. 973; p. 389, nr. 982]. 26 Annali, 281 [IV, 168], L’avvicinamento alla costa e le grida avevano senza dubbio lo scopo di sfidare i Napoletani ad una battaglia navale; siccome questi non accettano la sfida, l’ammiraglio fa sfilare loro dinanzi le galere una dopo 1 altra (iussit admiratus galeas omnes per ipsum mare seriatim unam post aliam remigari). S intende con ciò che le galere si disposero in una lunga fila, non però con le prore verso terra, ma bensì con il fianco. Questo non è uno schieramento da battaglia; i Genovesi volevano soltanto mostrare al re, che secondo gli Annali era presente, in qual poco conto lo tenessero. Al medesimo fine tendeva l’aver legato con una corda alla parte posteriore delle galere le regie insegne (insignia regia et vexilla-, forse bandiere), che venivano trascinate sull’acqua col movimento delle galere. Dalle parole quo quidem magno temporis spatio observato, si può dedurre che le galere fossero più volte andate su e già davanti a Napoli; il che poteva essere avvenuto solamente per unicità di comando. La dimostrazione aveva pure lo scopo di mostrare la perizia dei Genovesi nel manovrare la flotta. - 345 - Libro III - Cap. quinto Annali, il re abbia assistito a questo spettacolo27. Era tuttavia già abbastanza grave per lui che, in vista della città capitale, la sua bandiera fosse stata oltraggiata. Contro Federico II i Genovesi non avevano osato mai tanto ardimento. Quando erano in lotta con lui avevano da fare abbastanza per difendersi nei propri porti contro gli attacchi delle flotte imperiali. Il mondo che Carlo colle sue vittorie aveva creato intorno a sè doveva dileguarsi dopo questo avvenimento. Diventava evidente su quali deboli basi poggiava la sua forza. Le schiere dei suoi cavalieri erano difficilmente dominabili per terra, ma erano impotenti per mare. Poteva ciò sfuggire ad un acuto osservatore, qual era Pietro d’Aragona? La flotta genovese, dopo la sua sosta dinanzi a Napoli, intraprese il viaggio di ritorno. I Capitani infatti mai avevano pensato ad un attacco al regno, per il quale sapevano di non avere forze bastanti. I colpi portati sulle coste e la cattura delle navi mercantili avevano il solo scopo di recare all’avversario il maggior danno possibile. Questo fine fu completamente ottenuto dalla spedizione del Pignatario il quale portò seco una notevole quantità di legni catturati con ricco bottino. I prigionieri sudditi del re furono però presto rilasciati dai Capitani. Era comprensibile che l’altero Angioino non avrebbe lasciato invendicata 1 onta subita. Già ancora prima del resto, consta ch’egli avesse progettato il piano di una grande azione contro Genova. I Siniscalchi della Provenza e della Lombardia, insieme col Vicario di Toscana, dovevano piombare sul territorio del Comune; contemporaneamente dovevano tenersi pronte 15 galere nella Provenza, le quali unitamente ad altre 50 del regno avrebbero dovuto attaccare Genova dalla parte del mare. La cronica mancanza di denaro intralciò la via a questi progetti presuntuosi. « La cosa ci sta a cuore più di quanto puoi credere » fece egli scri- 27 Negli Annali, 281 [IV, 168], è detto espressamente che Carlo era allora a Napoli. Il fatto doveva essere accaduto alla fine di giugno o al principio di luglio: v. oltre, n. 30. Secondo l’itinerario di Carlo, ricostruito dal Durrieu in base alla data dei documenti, il re non sarebbe stato a Napoli per tutto il corso del 1275. Questo però non basta per respingere l’espressa sicurezza al riguardo degli Annali. DURRIEU stesso riconosce, II, p. 164, che le indicazioni di luogo e di tempo non sempre concordano. Infatti l’itinerario non presenta alcuna interruzione, che avrebbe potuto dare occasione a Carlo, appunto per l’approssimarsi della flotta nemica, di fare un salto a Napoli. [Ad ogni modo il 14 luglio la flotta era ritornata in patria: Ferretto, Cod. dipi, I, p. 375, nr. 947 e sgg.; era stata in mare un mese e 25 giorni' ibid., I, P-380, nr. 960; p. 384, nr. 971]. — 346 - La partecipazione di Genova alla Lega ghibellina vere ad un suo funzionario, « perchè tu possa mettere in pegno te stesso e la nostra contea »2S. Pochi giorni dopo egli ordina invece di sospendere gli armamenti29. Parrebbe ch’egli avesse dato preferenza alla guerra terrestre meno costosa, ma poco dopo ritornava sul piano primitivo , alla cui esecuzione si dedicò da quel momento in poi coll’abituale energia. Nel maggio 1274, Genova riprese la guerra sulla riviera occidentale, da principio con molto successo. Ansaldo Lusio vi venne mandato come vicario. Egli raccolse un numeroso esercito, penetrò nei monti a nord di Ventimiglia e riconquistò i castelli che Carlo aveva in passato comperato da alcuni conti di Ventimiglia. Non invano il conte Guglielmo di Ventimiglia si era adoperato per l’unione dei Ghibellini con Alfonso; ora vennero restituiti a lui e ai suoi fratelli i possedimenti aviti31, fra cui sembra fosse stato compreso anche Penna32. Ansaldo si rivolse poi all’assedio di Mentone, ma senza successo. 28 V. le lettere del 22 giugno (Forges Davanzati, p. LVI e sgg.) al Siniscalco di Provenza [anche in Sternfeld, Kardinal Gaétan Orsini, p. 345, nr. 191; estratto in Minieri Riccio, Il Regno, 1274, p. 230 e sgg. 29 Ibid., p. 231 e sgg. (1° luglio): ordine al Siniscalco di Provenza di sospendere l’armamento delle galere. Il 2 luglio ordine allo stesso di farsi prestare dal re di Francia 10-20000 lire tornesi, dando in pegno i possedimenti posti in Francia. 30 Ibid., p. 232 e sgg. (4 luglio): il re revoca l’ordine di allestimento di galere (nel regno di Sicilia). Di questa lettera non spedita, che conteneva altre disposizioni inerenti, è fatta nota nel registro. Il 6 luglio viene ordinato di sollecitare 1 allestimento della flotta, il che non si può altrimenti spiegare se non supponendo che nel frattempo fosse venuto a cognizione del re il fatto di Napoli e che perciò egli ritenesse assolutamente necessario di far comparire una flotta in mare. 3' Annali, 281 [IV, 1691. Cfr. sopra, p. 147. Il fratello di Guglielmo Peire, Pietro Balbo, non aveva preso parte alla vendita. Forse era rimasto in possesso di Briga (riguardo a Castiglione v. Gioffredo, 607), ma certo con sottomissione a Carlo. Questo spiegherebbe perchè egli considerasse come ribellione gli avvenimenti della contea e avesse messo una taglia sulla testa del traditore Pietro Balbo, il 25 marzo 1276: Cais de Pierlas, Statuts, p. 122. E’ discutibile se dall’estratto del documento in Gioffredo, 622 e sgg., si possa concludere che i conti possedessero anche Tenda, essendo incerto se il documento appartenga al 1271 o se lo stesso Gioffredo ne abbia fatto il sunto senza aggiungervi qualcosa di proprio. Invece il 30 settembre 1274, Briga, Tenda e Saorgio sono nuovamente in possesso del conte Guglielmo Peire e di Pietro Balbo: Cais de Pierlas, Statuts, p. 18; cfr. Gioffredo, 629. Forse i contrasti menzionati nel documento avevano relazione appunto con la riconquista. “ A ciò dovrebbero riferirsi i capitula burgensium castri de Penna: Rossi, Statuti della Liguria, p. 201; manca la data; vi è soltanto indicata l’ind. I; l’indi- - 347 - Libro III - Cap. quinto Nel mese di luglio, il Siniscalco della Provenza avanzò con rinforzi. I Genovesi non osarono impegnare battaglia con lui, ma la ritirata non venne effettuata a tempo, degenerando in una fuga selvaggia, nella quale molti, nel supremo sforzo, perdettero la vita sotto la sferza del sole cocente33. Il battuto vicario venne sostituito da Nicola Doria, fratello del Capitano, il quale si recò subito con buon numero di galere nella regione minacciataSembra che l’avversario si sia tenuto pago del salvataggio di Mentone. La flotta quindi procede lungo la costa provenzale, mentre da una barca spedita all’ammiraglio giunge la notizia che si avvicinavano 40 galere nemiche. Egli vira subito di bordo e guadagna, ancora prima del loro arrivo, il patrio porto 3S. Possiamo ammettere che, conforme a quanto era stato inizialmente stabilito, la flotta di Carlo si sia radunata ad Ischia il 1° agosto al comando di Filippo de Toucy, ammiraglio del regno di Sicilia. Un parere decisivo era stato dato da uno degli esiliati genovesi, Franceschino Grimaldi 36, a Carlo che aveva concepito molte speranze su questa impresa. In una comunicazione che doveva costituire in pari tempo il preliminare diplomatico dei progettati avvenimenti, espose quali fossero i motivi che lo spingevano a mettersi in campo contro i Capitani genovesi ed i loro aderenti. Questi, violando i patti del trattato, avevano assalito i suoi sudditi, mutilato i suoi funzionari, aggiunto torto a torto. Siccome era sempre stato suo desiderio di stare in amichevoli rapporti col Comune, così egli aveva proposto di lasciar decidere al papa sui punti controversi. Come però era sempre stata sua convinzione, si doveva al malanimo dei Capitani se non si era mai arrivati a capo di nulla; loro avevano ingannato il Comune con riprovevoli astuzie; la loro malvagità egli teneva a mettere in chiaro. zione prima genovese è 1273-1274, non 1272-1273, come ritiene ii compilatore. Poiché vi è nominato Oberto Doria come Capitano, gli statuti non possono essere di un’epoca più tarda; essi non possono essere del 1273, perchè è detto requirunt a di. potestate et capitaneis e solamente ni 1274 troviamo di nuovo un Podestà: Annali, 280 [IV, 165], 33 Annali, 281 [IV, 169], 34 Annali, 1. c. [IV, 170], Fol. Not., III, 1, c. 89 (1» agosto 1274): menzione di presens armamenlum galearum, quarum est admiratus d. capitaneus Aurie. 35 Annali, 1. c. 36 Del Giudice, Dipi. ined. di Carlo I, p. 19 e sgg.; Minieri Riccio, Il Regno, 1274, p. 236. Secondo gli Annali, 281 [IV, 170], il numero delle galere preventivate, 50, non sarebbe stato raggiunto. — 348 — La partecipazione di Genova alla Lega ghibellina Aggiungeva di essere sempre pronto a sottomettersi a qualunque decisione del papa e di avere dato pieni poteri all’ammiraglio del regno, che aveva nominato comandante della flotta, per concludere in suo nome un compromesso nel papa, quale arbitro37. L’intendimento del re è manifesto e, in parte e ancor più chiaramente, si rivela in una nota di poco anteriore 38. Egli vuol mettere cioè in contrasto la cittadinanza con i suoi capi. Egli asseriva d’essere bene disposto verso il Comune di Genova, il quale sarebbe stato pronto a concludere con lui una pace equa, e che quindi solo contro i Capitani, che vi frapponevano ostacolo, era rivolta la sua inimicizia. A qualunque genovese che si fosse staccato da loro sarebbe stato concesso, come prima e coi medesimi favori, libero commercio nei suoi Stati. Sono frecce avvelenate che Carlo lancia, le quali però falliscono completamente la mira. Egli voleva seminare la discordia all’intemo e mettere il terrore con un formidabile attacco. Nè una cosa nè l’altra gli riuscirono. I Capitani fino da principio avevano condotto l’amministrazione della cosa pubblica colla massima accortezza. Essi facevano sentire quanto meno era possibile il peso della illimitata autorità di cui erano investiti dimostrandosi sempre propensi ad appagare i desideri del Popolo. Così nel 1274 avevano aderito alla creazione d’un nuovo Podestà39, e così pure avevano riordinato il sistema finanziariow. Gli esiliati Guelfi avevano completamente frainteso la disposizione d’animo che regnava a Genova. Essi credevano che una grande dimostrazione fosse sufficiente per provocare una sollevazione contro i Capitani. Probabilmente seppero infondere in Carlo l’opinione che solo le mene d’un piccolo partito impedivano a Genova di piegarsi ai suoi desideri. Egli poteva perciò supporre che l’allettamento da lui avanzato, della riapertura del libero commercio col suo regno, potesse bastare a indurre la popolazione ad abbattere i Capitani. Errore più grossolano non si sarebbe potuto fare. La primitiva influen- 37 Forges Davanzati, p. 60 e sgg.; Minieri Riccio, Il Regno, 1274, p. 236 c sgg., 23 luglio. [Anche in Sternfeld, Ludwigs des Heiligen, p. 351 e sgg.] 38 Ibid., p. 233, 6 luglio, nuovamente rinnovato il 18 aprile 1275: Id., Il Regno, 1275, p. 234. 39 Annali, 280 [IV, 166]. Dalle parole capitaneorum consensu et populi, possiamo bene concludere che il Populus lo avesse desiderato. 40 App. 1, nr. 5, c. 253 t». e sgg.: 18 luglio 1274. - 349 — Libro III - Cap. quinto za dei Guelfi aveva perduto terreno. Il popolo li aveva seguiti con entusiasmo nella guerra della Chiesa contro Federico II; ora, non meno ardentemente, pendeva dalla parte ghibellina per difendere l’indipendenza del Comune e la propria testé ricostituita. L’erroneità del calcolo fondato sopra un movimento della città non mancò di venire ben presto in luce. La flotta reale si presentò dinanzi a Genova. Senza perdere un momento, i Capitani fanno armare tutte le galere che avevano sotto mano. Una quantità di uomini salgono a bordo, Oberto Doria assume il comando, l’armata prontamente lesta prende posizione all’ingresso del porto. I nemici non attaccano, ma alla sera spiegano le vele e si dirigono ad occidente, verso la Provenza. Con ciò tutto fu deciso. La sorpresa non era riuscita; per una battaglia la posizione non era vantaggiosa, nè avrebbero avuto per sostenerla forze sufficienti Alcuni giorni dopo l’insuccesso, la flotta tornò indietro dalla Provenza. Questa volta essa non naviga lungo la costa ligure, ma diretta-mente per Portovenereove si trattiene un giorno devastando 1 isola Palmaria43. Dopo questa azione di scarso rilievo si diresse verso casa. Tutta l’impresa era interamente fallirà e forse nemmeno avrebbero potuto aver luogo i progettati attacchi da parte di terra. Nelle città a lui sog gette il Vicario di Toscana trovò poca disposizione a prender parte alla 41 Annali, 281 [IV, 170). Non è indicato quante galere fossero state armate a Genova. Nel 1241 - Annali, 198 [III, 114] -, quantunque poco prima si fossero perdute 22 galere, ne furono equipaggiate 51 entro 24 ore; nel 1284 - Annali, 307 [V, 53] - nel carso di un giorno (a tertia usque vesperas) 8 panfili e 58 galere, quantunque ne fossero state mandate fuori 30 già prima. Siccome nel 1274 era atteso 1 arrivo del nemico e per di più era ritornata poco prima una flotta di galere, il numero di esse, opposte al nemico, doveva essere stato alquanto considerevole. [La posizione degli uomini di ricambio per la nuova flotta al comando di Oberto Doria può essere comprovata dal 1° all’8 agosto: Ferretto, Cod. dipi-, I. P- ' nr. 963 e sgg.]. Si spiega perchè il Capitano non avesse dato l’attacco: una vittoria poteva essere di poca utilità, una sconfitta sarebbe stata decisiva. Anche l’inseguimento del nemico non era senza pericolo. Esso avrebbe potuto sganciarsi e ricomparire dinanzi alla città a tergo della flotta genovese; nè i Capitani potevano osare di lasciare del tutto scoperta la città stessa. 42 Annali, 281, per pelagus [IV, 170, per pelagum]. 43 Annali, 282, [IV, 170]: insulamque in mari positam ante portum ipsum incendio concremarunt. — 350 — La partecipazione di Genova alla Lega ghibellina spedizione44. Il Siniscalco di Lombardia era abbastanza occupato nella guerra contro la lega ghibellina. E’ poco chiaro però perchè nulla sia stato fatto dalla Provenza. Forse la progettata invasione da qui fu eseguita troppo presto per liberare Mentone, nè si potè poi ritentarla. Sembra anche che le galere, le quali dovevano incontrarsi colla flotta uscente da Napoli, non siano state pronte a tempo opportuno. Comunque sia, lo smantellamento del castello di Mentone45 dimostra che ogni speranza di successo era svanita. La situazione di Genova diventava sempre più vantaggiosa. Il 9 novembre arrivarono qui 800 cavalieri spagnuoli, eccellentemente fomiti di armi e cavallii quali dopo una certa sosta si misero in marcia per Pavia. La loro venuta diede il sopravvento ai Ghibellini lombardi i quali trovarono ora quello che da lungo tempo avevano cercato invano. Nè il langravio Federico, nè Ottocaro di Boemia, e nemmeno gli elettori dell’imperatore Rodolfo avevano prestato loro un valido appoggio contro Carlo e perciò si comprende come essi fossero gettati nelle braccia del Castigliano. Anche Genova si sciolse dalla riserva tenuta fino a quel momento verso di lui e nel gennaio 1275, essa, insieme con Pavia, Asti e Novara, prestò giuramento di fedeltà ad Alfonso, quale re dei Romani47. Nella primavera incominciano le operazioni decisive. Vercelli fu facilmente conquistata. Tutte le forze dei confederati si concentrano ora contro 44 Secondo Guido de Corv., 683, il 28 agosto (1274), 50 soldati mercenari del Comune di Pisa partirono per unirsi alla spedizione contro i Genovesi in Lunigiana. [Firenze non volle fornire uomini: Davidsohn, Forscbungen, II, p. 189, nr. 1332; neppure Siena volle prendere parte alla spedizione: ibid., nr. 1331. Il rinforzo che doveva fornire San Gimignano - ibid., nr. 1331; cfr. nr. 1338, 1339 e p. 190, nr. 1343 e sgg. - non giunse a Sarzana I’8 agosto, come era disposto, ma più tardi: ibid., p. 192, nr. 1365; cfr. p. 193, nr. 1376], Genova tenne naturalmente dei presidi ai confini. Fol. Not., II, c. 253 v. (27 marzo 1274), fa menzione d’un serviens pro comuni Janue in castro Illicis, ed inoltre (ibid.) d’un ballisterius in Vezzano. 45 Minieri Riccio, Il Regno, 1274, p. 430. 46 Ann. Plac., 560; cfr. Annali, 280 [IV, 167], 47 Ann. Plac., 1. c.: de mense Januarii Papienses comuniter iuraverunt fidelitatem d. regi Castele tamquam regi Romanorum, et de eodem mense Novarienses iuraverunt similiter fidelitatem isti d. regi, et Astenses similiter et Januenses et amba-xatores Verone et Mantue. A motivo della voce comuniter, in opposizione all'amba-xatores, si deve ammettere che a Pavia vi fosse stata una solenne prestazione di giuramento di tutta la cittadinanza. Secondo il tenore del testo, lo stesso avrebbe avuto luogo a Genova. [In Ferretto, Cod. dipi., II, p. 36, nr. 79, il 12 ottobre 1275 il re dei Romani è Alfonso], - 351 - Libro III - Cap. quinto Alessandria, alla quale azione prendono parte anche i cavalieri genovesi. Le devastazioni operate nel territorio costringono la città ad aprire le porte il 2 maggio +8. Fra gli altri successi è particolarmente notevole la vittoria riportata dagli Astigiani sul regio Siniscalco ed i suoi cavalieri49. Tutto ciò e le devastazioni nel Piemonte occidentale dovettero infondere negli aderenti di Carlo la convinzione che questi non era più in grado di sorreggerli. Già il marchese di Saluzzo si era riconciliato con Astis0. Ora in questi paesi i più fedeli sostenitori della potenza angioina vacillavano. Invano il re procurava con promesse di aiuto d’impedire la caduta di Alba . Altri luoghi tardarono bensì ancora prima di accordarsi con Asti n; ma ormai la sorte era decisa. La signoria di Carlo nell’Italia superiore era questione finita, e già il partito guelfo era fatto segno ad attacchi sempre più violenti da ogni parte. I Ghibellini con forze unite lavorarono alla rovina dei Della Torre di Milano. Di queste circostanze gli Annali tacciono, nè riferiscono oltre della guerra del 1275 alla quale Genova partecipava in prima linea. Difficilmente Genova subì ancora un attacco sul suo territorio. Per mare continuarono, certo con non minore frequenza, i colpi di mano ei pirati, i quali recavano danni sensibilissimi al commercio degli abitanti e regno. Muniti di licenza speciale dei Capitani di danneggiare i nemici e Comune, essi fermavano pure le navi neutrali per controllare se a bor o vi fossero merci appartenenti a sudditi di Carlo D. 48 Ann. Plac., 560. 49 Guill. Vent., 712 e sgg. Le note aggiuntive dell’edizione sono di poco interesse. 50 Cod. Ast., II, 603. 51 Minieri Riccio, Il Regno, 1276, p. 22, 25 gennaio 1276; Cod. Ast., III. ll66' 52 Cod. Ast., Ili, 757, 1128, etc. 53 Cio risulta dagli avvenimenti in cui fu catturata una tarida veneziana. Canal, 704 e sgg. Gli atti relativi a questo fatto in App. 2, nr. 30 e sgg. V. oltre, cap. Vili. Quando il comandante della nave corsara chiede il permesso della visita, dice tra l’altro secondo le dichiarazioni dei testimoni (ibid., nr. 35): Signor. Vos debetis scire quod lignum istud est armatum de voluntate comunis et hominum Januensium et de beneplacito dd. nostrorum capitaneorum pro offendendis inimicis comunis Janue et non amicis, et de hoc dedimus securitates et fideiussores in Janua, et habemus litteras comunis Janue et instrumentum sicut pro hoc amavimus. Que omnia vobis sumus parati presentialiter ostendere, si vultis. Anche le domande dei Veneziani per risard-mento di danni mostrano quanto considerevole fosse il numero delle navi corsare: App. 2, nr. 31. - 352 - La partecipazione di Genova alla Lega ghibellina Come in precedenza, si dovette continuare a esercitare una particolare sorveglianza per la protezione delle coste54. Nel 1275 pare fosse stata spedita una flotta contro Genova55 della cui azione nulla ci è detto. Ancora nel 1276 il re incominciava nuovi armamenti56, ma, poco dopo, la intromissione del papa conduceva alla pace. * 54 Minieri Riccio, Il Regno, 1275, pp. 236, 375; Id., Il Regno, 1276, pp. 24, 35, 38. 55 Id., Il Regno, 1275, p. 236 (16 giugno): ordine di equipaggiare 20 galere, 6 galeoni e 2 vacchette che debbono trovarsi pronte il 22 luglio nel porto di Napoli; risulta inoltre che anche in Provenza si armassero navi. La partenza doveva essere stata procrastinata; ibid., p. 238 (2 agosto): essa viene protratta al 15 settembre. Dal doc. del 28 dicembre (ibid., p. 403), sembra risultare che essa avesse avuto realmente luogo. 56 Minieri Riccio, Il Regno, 1276, p. 33, 28 aprile. [Da quanto sembra, anche a Genova si fecero nuovi armamenti: Ferretto, Cod. dipi., II, p. 66, nr. 143 e sgg., 7-9 maggio]. - 353 - Capitolo sesto La pace con Carlo d’Angiò, 1276 Gregorio X contro i Ghibellini. - Genova colpita da interdetto. - Morte di Gregorio X. - Innocenzo V mediatore di pace. - Pace tra Genova e Carlo. - Pace con gli esiliati. Adriano V revoca l’interdetto. Gregorio X non era incline a favorire l’influenza francese in Italia. Egli si dimostrò freddo e riservato verso le sollecitazioni di Filippo III per la corona imperiale. Il papato non si era messo per tanto tempo in opposizione ai re tedeschi per mettere ora i Francesi al loro posto. Dal suo punto di vista nulla ebbe da obiettare contro la elezione di Rodolfo di Asburgo. Era poco probabile che questo conte, di un casato non troppo potente, volesse calcare le orme di Federico II. L’ideale, che poteva a lenare dinanzi agli occhi di Gregorio X, era quello d’un imperatore c e si piegasse volonterosamente alla guida del papa. Tale non era Carlo. Come strumento utile della Curia, egli avrebbe dovuto tenere quello che gli spet tava, non di più. Il papa non si oppose sulle prime ai suoi progressi ne I Italia superiore, però, nemmeno nei primi momenti del suo pontificato, li favorì. Carlo domandò una volta la cessione di tutto il Piemonte e Gregorio2 gli rivendicò persino Alba, da tanto tempo soggetta agli Angiò, a favore dell’imperatore Rodolfo. Certamente il papa era ben lungi dal nutrire simpatia per i Ghibel^ lini. Il partito dei Guelfi indipendenti, rappresentato principalmente i Torriani di Milano, sembrava assai più rispondente alle sue inclinazioni. II vescovo di Como Raimondo, poco dopo patriarca di Aquileja, ricevette da lui pieni poteri perchè procurasse di mantenere la pace in Lombardia 3, e suo fratello Napo della Torre fu più tardi nominato da Rodolfo Vicario imperiale4. Ma un tale Vicario dell’impero a nulla giova%ra ai con- 1 Redlich, p. 42 e sgg. 2 Potthast, nr. 21038. 3 Kaltenbrunner, I, p. 48 e sgg. 4 Galv. Flamma, 700. — 354 - La pace con Carlo d’Angiò, 1276 federati ghibellini. In nome del re dei Romani Alfonso, sorretto dai cavalieri spagnuoli, essi osteggiarono ben presto il rappresentante di Rodolfo, aiutato da cavalieri tedeschi. Gregorio X si diede ogni premura per mettere fine a questo stato di cose, non però nell’interesse di Carlo, le cui sfrenate pretese non gli garbavano affatto, ma bensì a favore del legittimo pretendente alla corona imperiale. Egli mantenne invariato l’atteggiamento ostile contro i Ghibellini; spesso fu rinnovato l’interdetto sopra Pavia ed eguale sorte subiva immancabilmente qualunque città che entrasse in relazione con quell’antica nemica della Chiesa. Il 29 marzo 1274 5, il papa aveva nuovamente minacciato i Pavesi, perseveranti nella loro ostinatezza, di togliere alla loro città la sede vescovile e di far appello contro di loro al braccio secolare di tutti i veri cristiani. Contemporaneamente i Genovesi ricevettero una severa ammonizione. Malgrado l’esplicito divieto del papa, essi avrebbero osato di stringere lega con Pavia. Diceva egli di attendere una conferma di questa voce, tenendo intanto ancora sospeso l’interdetto, aggiungendo che quanto più mite egli si dimostrava ora, tanto più severamente li avrebbe colpiti se in tempo breve non avessero desistito, in modo inequivoco, dai loro disegni. Il concilio di Lione era imminente, ed il Comune vi aveva mandato suoi inviati6. E’ fuor di dubbio che questi fossero espressamente destinati a sventare l’interdetto, ma non vi riuscirono. Forse il papa era particolarmente eccitato per il fatto che le trattative di pace7 fra Genova e Carlo erano naufragate un’altra volta. Questi si dichiarava pronto, come per il passato, a sottomettersi all’arbitrato del papa. I Capitani avevano esaurito le loro scappatoie. Si erano apertamente imiti ai Ghibellini; i vantaggi di questa politica erano manifesti, ma bisognava ora subirne anche i danni. Il 10 maggio 8 il papa aveva pronunciato l’interdetto, non però con tutta solennità. Il processo contro Genova sembrava da principio non dover essere che una conseguenza di quello contro Pavia: sorprende quindi vedere come per questa città si fosse rinunziato a decretare ulteriori castighi, mentre contro quella, conformemente alla prima am- 5 Reg. de Grég. X, p. 202. 6 Annali, 282 [IV, 172], 7 Citato in Forges Davanzati, p. LX; cfr. sopra, libro III, cap. IV, n. 51. E’ detto espressamente che le trattative fra i due inviati ebbero luogo al concilio. 8 Reg. de Grég. X, p. 205 e sgg.; Campi, II, p. 450. - 355 - Libro III - Cap. sesto monizione, era stato pronunziato il bando 9. Una perdita non indifferente per i Capitani fu la morte dell arcivescovo di Genova, Gualtiero, avvenuta il 26 settembre 1274 . Egli si era astenuto dal rappresentare una parte politica. Limitandosi ai doveri puramente spirituali della sua carica, s’era intromesso nelle cose interne del Comune solo nell’interesse della pace e della concordia 11 ed era dubbio se avrebbe potuto avere un successore di eguali sentimenti. L elezione non ebbe luogo subito e più tardi il papa la proibì espressamente, avocando a sè la nomina del successore 12. Frattanto egli aveva assunto un contegno più ostile contro la lega ghibellina. L’interdetto contro Pavia venne rinno vato il 18 novembre 1274 13. Come specifico motivo si allegarono lesioni ai diritti della Chiesa, di cui le si faceva colpa, in una contestata nomina vescovile14. I Capitani però erano troppo accorti per contenersi allo stesso modo. Sembra quindi che essi non abbiano tentato di far eleggere colla forza un loro partigiano ad arcivescovo, ma non pertanto sfuggirono alla scomunica, che fu pronunziata il 18 novembre nella forma più ri stretta 15, nella quale veniva nuovamente ricordato il fatto della lega con Pavia. Questa non era però la causa principale dell’interdetto contro Ge nova. Attraverso il patriarca d’Aquileia era stato annunziato espressamente il divieto di accogliere truppe straniere. I Capitani ne erano \enuti 9 E’ molto probabile che il cardinale Ottobono vi avesse influito: Ann f, [IV, 171]; cfr. sopra, libro III, cap. V, n. 2. Egli era presente al concilio ( AW, anno 1274, par. 2) e il suo contegno nella discorde elezione dell’arcivescovo venna dimostra quanta disposizione avesse Gregorio X nei confronti dei Fieschi. n di essi era il cappellano papale Percivalle di Lavagna, eletto dal Capitolo. Egli ■ mostrò di apprezzarne poco il merito, come per il suo controcandidato, ma nomin arcivescovo un altro Fieschi, Bonifacio: Savioli, III, 2, p. 485. Anche Asti fu ammonita il 29 marzo; quantunque non si fosse vincolata nella lega con Pavia, non [«c] cadde nell’interdetto del 10 maggio: Reg. de Grêg. X, p. 203 e sgg. 10 Annali, 282 [IV, 171]; cfr. Jac. de Var., 45, 51. 11 Annali, 244, 270 [IV, 47, 141], 12 Potthast, nr. 21041; Campi, II, p. 469. 13 Potthast, nr. 20960; Campi, II, p. 462. 14 L’eletto, non confermato dal papa, è Corrado Beccaria, sostenuto dal suo parente Janonus Beccaria: Ann. Plac., 561 e sgg. Quest’ultimo era potestas populi Papie, ed in questa qualità aveva già prestato aiuto a Corradino: Ann. Plac., 524. 15 Potthast, nr. 20961; Campi, II, p. 464 e sgg.; contemporaneamente su Asti e su Guglielmo di Monferrato. — 356 - La pace con Carlo d’Angiò, 12/6 conoscenza, ma tuttavia avevano osato ospitare gli Spagnuoli16. Essi erano pertanto caduti nelle pene comminate per l’infrazione del divieto e dovevano comunque allontanare gl’intrusi entro Natale. Inoltre essi avevano mandato numerose navi per prendere nuovi rinforzi. Il papa proibisce di riceverli17 ; ove fossero arrivati, dovevano pur essi essere rimandati entro Natale. Gli stranieri vengono esortati a lasciare l’Italia sotto comminatoria della scomunica. Finalmente viene intimato a Genova, come pure ad Asti ed al marchese di Monferrato, di ritornare all’ubbidienza della Chiesa entro l’il aprile 1275 ’8. Nel caso di rifiuto, sarebbero andati soggetti ad ulteriori misure di rigore. Sarebbe stata tuttavia una grande ingiustizia perseguitare i partigiani del re romano Alfonso e non lui stesso. Qualunque procedimento contro di essi non avrebbe portato allo scopo, finché avessero avuto in Alfonso un sicuro sostegno, che Gregorio X non indugiò a togliere loro, prima che il progettato viaggio del Castigliano nell’Italia settentrionale facesse mettere alla sua potenza più profonde radici. Attraverso il convegno di Beaucaire e le successive trattative Gregorio X finalmente ottenne in sostanza quanto desiderava Per Genova era naturalmente di somma importanza sapere ciò che accadeva. I Capitani mandarono al re degli inviati M, che comunque trat- 16 Ibid. Qui può trattarsi della prima spedizione soltanto. 17 ibid. Si deve trattare qui della seconda spedizione. Quanto al dicantur, non vi si deve dare gran peso, perchè Genova aveva mandato effettivamente delle navi in Spagna: Ann. Plac., 560. Il nuper non è forse esatto. 18 [L’11 aprile 1275 il papa rinnovò il processo: Reg. de Grég. X, p. 277, nr. 642]. 19 Bòhmer, Regesta Imperii, nr. 5524 e sgg. 20 Annali, 282 [IV, 172], App. 2, nr. 33 (30 luglio 1275): Il Podestà, i Capitani, gli Anziani ed i Consiliarii eleggono sindaci Oberto Cigala, Ansaldo Balbi di Castello e Nicolino Spinola . .. super omnibus et singulis tractandis, ordinandis et firmandis pro nobis et comuni Janue in curia d. pape et coram eo et quolibet auditore ab eo dato et in curia serenissimi regis Castelle cum quolibet principe et barono, comunitate et singulari persona et nunciis eorum, de quibus ipsis ambaxatoribus et sindicis videbitur, et ad prestandum pro nobis et comuni Janue et in personis cuiuslibet nostrum cuiuslibet generis iuramentum, et ad faciendum... omnem promissionem, obligationem et securitatem ... I poteri sono dunque molto estesi; non è chiaro se soltanto allora gli inviati fossero partiti. - 357 - 24 Libro III - Cap. sesto tarono anche col papa21 e forse coi rappresentanti di Carlo d’Angiòn, però infruttuosamentes. Gregorio intraprese il viaggio di ritorno per Roma, ma morì per via in Arezzo24. Per quanto confusa fosse la posizione generale alla sua morte, tuttavia egli aveva creato una base per ristabilire la pace in Occidente. Abbandonati da Alfonso, non sarebbe rimasto ai Ghibellini altro scampo che riconoscere Rodolfo; difficilmente Carlo avrebbe potuto metterglisi contro in contraddizione col papa. Per quanto grandi fossero le difficoltà, un uomo come Gregorio X sarebbe forse alla fine riuscito a bandire la crociata generale al comando dell’imperatore e sotto la sua propria suprema direzione. Innocenzo V non seguì la politica del suo predecessore. Questi si era poco curato della guerra fra Genova ed il re di Sicilia. Essa era cominciata contro il suo volere e Carlo potè vedere quale ne fu la fine. Sembra che il nuovo papa avesse quasi un personale interesse per il ristabilimento della pace. Gli Annali non ci forniscono notizia alcuna sui motivi che ve lo avevano indotto25. Essi accennano ad una particolare simpatia, che egli nutriva per Genova, nè si può non riconoscervi il sentimento di gratitudine per la sua conciliante influenza. Ma per quanto stesse a cuore ai cittadini poter riattivare senza ostacoli le loro relazioni commerciali colTItalia meridionale e liberarsi dalle censure spirituali, tuttavia non si può dire che la posizione della città fosse in questo momento minacciata. I Capitani, con abile politica e con energica tattica di guerra, avevano compreso come dovevano comportarsi per far fronte ai pericoli. Dalla parte della Toscana non era pensabile un attacco. Anche prescindendo dalle lotte che vi accadevano, i Guelfi non erano intenzionati a sacrificarsi per Carlo. A nord dell’Appennno questi poteva a mala pena difendere i propri possedimenti e ai confini della Provenza stavano ora i Conti di Ventimiglia che, dai loro castelli sui monti, potevano minac- 21 L’interdetto venne rinnovato l’il aprile 1275 (Posse, p. 67) e così pure il 23 maggio (ibid., p. 68). 22 II 9 agosto 1275 (Minieri Riccio, Il Regno, 1275, p. 239) [v. Sternfeld, Kardinal, p. 347, nr. 21], Carlo nomina plenipotenziari per trattare la pace con Genova, Asti e il Monferrato: Bohmer, Regesta Imperii, nr. 5528. 23 Però il processo contro gli esiliati non venne proseguito; Potthast, nr. 21088; Campi, II, p. 484, 18 novembre 1275. 24 Annali, 283 [IV, 173]; Ann. Plac., 562. 3 Annali, 283 [IV, 174]. — 358 - La pace con Carlo d’Angiò, 1276 ciare i fianchi di qualunque esercito che volesse penetrare nella riviera. Le flotte di Carlo erano ritornate a casa senza vittorie, nè i suoi mezzi finanziari gli avrebbero permesso di allestirne una maggiore che per numero di galere potesse stare alla pari con le genovesi in aperta battaglia navale, tanto più ch’egli doveva esaurire il suo tesoro solo per difendere le coste del suo Stato, intorno alle quali i pirati si aggiravano da ogni parte. Il re testardo poco si curava delle continue ruberie perpetrate a danno dei suoi sudditi, ma d’altra parte, a causa dell’interruzione del commercio, le fonti più produttive delle sue entrate, i dazi portuali, dovevano soffrirne estremamente e chi poteva garantire che l’oppressa popolazione dei suoi domini non approfittasse dei suoi insuccessi per scuotere il giogo della signoria straniera? Gli sarebbe stato impossibile anche di tenere lontana una flotta genovese in appoggio ai ribelli. Effettivamente i Capitani non avevano, fino da principio, altra intenzione che quella d’una guerra difensiva, nella quale idea riuscirono più che mai felicemente. Essi sentivano il bisogno della pace assai meno del loro avversario. Ad ogni modo dovevano essere grati al papa, che offriva la possibilità di assicurarsi in modo duraturo i vantaggi acquistati, mediante una solida convenzione. Innocenzo V si adoperò al massimo grado nell’interesse di Carlo, quando, appena eletto e ancora prima della sua consacrazione, invitò il Comune a deporre ogni discordia verso Carlo, il cardinale Ottobono e gli esiliati. A tal fine esso avrebbe dovuto delegare propri rappresentanti presso la Curia. Un domenicano fu incaricato della consegna dello scritto e dell’avviamento delle trattative26. I Capitani non indugiarono ad aderire ai desideri del papa. La procura dei rappresentanti di Genova porta la data del 13 marzo27. Re Carlo 26 Annali, 1. c.; Potthast, nr. 21099; Rayn., anno 1276, par. 16, senza data. II termine per l'arrivo degli inviati è infra secundam dominicani instantis quadragesime (1° marzo). 27 L.J., I, 1429. Per Guido Spinola, Babilano Doria, Lanfranco Pignatarius e Giovanni Ugolini. Essi ricevono procura ad eundum pro nobis, comuni et populo Januensi ad curiam Romanam et ante presentiam... summi pontificis et se coram eo ex parte nostra humiliter presentandos ad componendum cum illustri rege Sicilie et cum aliis, de quibus (pape) videbitur, et ad omnia et singula facienda (coram papa) cum dicto rege et nunciis ipsius et qualibet alia persona, de quibus ipsis syndicis... videbitur. Dunque non è alle viste un compromesso; la procura è del tutto simile a quella del 1275 (v. sopra, n. 20), soltanto che essa prevede un accordo con i Guelfi genovesi. - 359 - Libro III - Cap. sesto trovavasi a Roma, ove il papa si era presto insediato; vi era pure presente Ottobono e con lui parecchi esiliati2S. L’accordo non riuscì tanto presto, ma Innocenzo V assunse sopra di sè la composizione delle parti. Più volte conferì coll’una e coll’altra, finché non riuscì a riconciliare i contendenti29. Gli atti furono stesi il 18 giugno30. Pochi giorni dopo il papa morì31. Nelle sue ultime parole egli aveva espresso la sua gioia per 1 opera riuscita32. Non abbiamo notizie più particolareggiate sull’andamento delle trattative ed è quindi solo dall’esame delle condizioni della pace che possiamo formulare un giudizio sull’importanza dell’accordo concluso. Anzitutto la sua forma è tutto affatto diversa da quella che Carlo aveva sempre preteso. Non fu fatto alcun compromesso, ma solo un accordo amichevole fra le parti. Il re pattuisce solo per proprio conto, non in nome di tutti i suoi amici; in tal modo egli rinunzia tacitamente, ma completamente, all’intromissione nelle faccende interne del Comune. Da ciò si vede come i Capitani avessero sostenuto il loro primitivo punto di vista, ma anche come si fossero sempre dimostrati disposti alla pace. Le singole disposizioni sono informate ad una piena reciprocanza. Sono due potenze, con eguali diritti, che si promettono vicendevolmente di non recarsi danno fra loro, nè di dar mano ad altri che ne avessero l’intenzione. Si rinunzia da ambo le parti a qualsiasi richiesta d’indennità, i prigionieri devono essere rilasciati senza riscatto. Il Comune assicura la sua protezione a tutti coloro che vogliono passare per il suo territorio per andare in aiuto del re, salvo che non si tratti di suoi aperti nemici. Affinchè la pace non sia turbata da piraterie, ogni nave che in avvenire salpera dai porti rispettivi dovrà dare cauzione. Queste disposizioni gene rali rispettano appieno la convenzione di Genova con Pavia ed Asti. Genova infatti si era allora riservata la possibilità di concludere separa- 28 Annali, 283 [IV, 174]. V. Durrieu, II, p. 179. Il salvacondotto rilasciato da Carlo il 27 maggio agli inviati genovesi (Minieri Riccio, Il Regno, 1276, p. 37) non si riferisce all'inizio delle trattative. 29 Annali, 1. c. 30 L- ]■> I» 1429 e sgg. Per la pace con Carlo: Federici p. 155 e sgg. Quella con gli esiliati fa stesa nel medesimo luogo, cioè in Campidoglio a Roma; anche i testimoni sono i medesimi, soltanto che nella seconda Carlo è nominato come tale. 31 ^4««. Plac., 563, 22 giugno. 32 Annali, 283 [IV, 174]. — 360 - La pace con Carlo d’Angiò, 1276 tamente la pace e questa non avrebbe potuto essere di ostacolo al promesso libero passaggio a coloro che volessero andar in aiuto degli alleati, aiuto però che si limitava al solo caso di necessità di difesa contro attacchi nemici. Con ciò, i Capitani non si erano ritirati dalla lega ghibellina. E se anche il papa domandava loro la rinunzia alla lega con Pavia33, di fronte a Carlo avevano mano libera. Una volta il re non si sarebbe accontentato della neutralità del Comune; ora egli doveva ritenersi soddisfatto ch’esso riprendesse il suo antico atteggiamento a condizioni per lui poco più favorevoli di quelle stabilite nel 1262. Per la delimitazione territoriale dello Stato genovese e della sfera di sovranità di Carlo fu presa espressamente a base la convenzione del 1262. Il conte Enrichetto di Ventimiglia ed i marchesi del Bosco non sono menzionati come non è fatto alcun cenno delle conquiste di Genova sulla riviera orientale. Ad occidente, gli avvenimenti della guerra avevano recato dei cambiamenti nelle proprietà. Il re aveva sottoposto al suo dominio Roccabruna ed il Comune aveva in cambio aiutato i conti Guglielmo Peire e Pietro Balbo a ricuperare i loro castelli. Di questo stato di fatto venne tenuto conto nella pace. Genova promette di prestarsi perchè i conti restituiscano entro il prossimo 29 settembre i luoghi occupati e si riconcilino con Carlo34. In caso contrario sarebbero stati privati di qualunque appoggio, le loro proprietà nel territorio del Comune sarebbero state colpite da sequestro ed essi medesimi condannati al bando. Carlo, a sua volta, promette di concedere senza difficoltà la sua grazia ai conti fino al termine convenuto ove ne facessero domanda; di accordare ad essi ed ai loro aderenti pieno condono dei loro trascorsi, ma con la precisazione che terrebbe Roccabruna fino a che la restituzione dei castelli non fosse realmente avvenuta. Questa concessione è decisamente poco onorevole per i Capitani35 che abbandonano degli alleati senza offrir loro alcuna garanzia per un conveniente accordo36. E’ da escludere che po- 33 App. 2, nr. 39; cfr. oltre. 34 LJ., I, 1431: usque ad festum b. Michaelis proxime futurum. 35 L’esecuzione viene più precisamente regolata il 21 giugno (Minieri Riccio, Il Regno, 1276, p. 184), nel senso che Roccabruna ed i castelli dei conti in questione (così è da intendersi l’espressione, ad ogni modo inesatta, dell’estratto, «la terra di Ventimiglia co’ castelli e luoghi circostanti») dovranno essere consegnati al cardinale vescovo di Sabina Bertrand. E’ chiaro che egli doveva effettuare lo scambio. 36 Nella convenzione non è espresso che Carlo debba restituire in feudo i possedimenti ai conti. - 361 - Libro III - Cap. sesto tessero essere state fatte riserve segrete per questo caso, come invece era accaduto per altre disposizioni. Conseguenza necessaria della pace fu che ai Genovesi fu concesso libero commercio nel regno di Sicilia. Ricordando gli avvenimenti del 1272, venne esplicitamente stabilito che in caso di future dichiarazioni di guerra sarebbero stati accordati due mesi di tempo per l’allontanamento delle rispettive parti interessate. Non venne però pattuita la rinnovazione degli antichi privilegi cosicché i Genovesi, nei domini di Carlo, avrebbero avuto il medesimo trattamento degli altri mercanti stranieri che non potevano pretendere alcun diritto di privilegio. Dal punto di vista del re ciò si comprende facilmente. Egli fa solamente pace col Comune senza però entrare con esso in rapporti più stretti. Perciò egli non gli concede con la convenzione franchigie che suole accordare solo agli amici. Dall’altra parte, la rinunzia assoluta ai suoi vantaggiosi privilegi sarebbe stata per Genova di gravissimo danno; il che non ebbe luogo di certo, e senza dubbio furono restituiti i fondaci. La dipendenza dai tribunali retti da consoli propri continuò a sussistere come prima della guerra . Non abbiamo a dir vero una prova certa che le precedenti franchigie doganali fossero rimaste ancora in vigore per i Genovesi; però non e improbabile che, anche a tale proposito, le cose fossero state rimesse nelle precedenti condizioni, se non attraverso la convenzione, almeno sotto forma di speciale concessione, combinata durante le trattative. In tal modo il Comune, malgrado le avvenute ostilità, aveva mantenuto quanto in passato aveva ottenuto per larga condiscendenza di Carlo. Questi era già alquanto scaduto dall’altezza che aveva raggiunto nel 1269. Non poteva più considerarsi capo e protettore di tutti i Guelfi d’Italia. Il tentativo di portare al potere questo partito a Genova gli era completamente fallito e quindi poteva essere soddisfatto che Innocenzo V gli avesse procurato 37 Queste importanti disposizioni addizionali sono note soltanto per i brevi estratti del Minieri Riccio, Il Regno, 1276, pp. 184 (21 giugno) e 187 (16 luglio). Ad istanza del papa, Carlo concede ai Genovesi di tenere nei suoi stati « le logge ed i loro consoli » come prima della guerra e nelle medesime città. Queste condizioni sembrano essere state ampliate il 16 luglio ad istanza di Adriano V, poiché Carlo scrive al suo vicario generale di aver concesso ai Genovesi logge e consoli con pri-vilegi uguali a quelli che avevano prima della guera e ciò per un anno; in seguito per quanto gli parrà. Anche da un altro estratto del medesimo documento (App- 5, nr. 6, 2, c. 13), non risulta con certezza se fra le solite franchigie e immunità di cui godevano i Genovesi s’intendesse anche la diminuzione dei dazi. — 362 - La pace con Carlo d’Angiò, 1276 una pace equa che lo metteva in grado di aver mano libera contro gli altri suoi nemici38. I Capitani erano stati indotti ad accordare il rimpatrio degli avversari non già dalla forza delle armi angioine, ma dalla conciliante intromissione del papa, il che è chiaramente espresso in ogni punto della pace col cardinale Ottobono, coi Fieschi, coi Grimaldi, coi Malocello e i loro aderenti. Nessun cenno è fatto di cambiamento di costituzione. Gli esiliati tornano in patria, vengono loro restituiti i beni, ed il papa rimane garante per la leale esecuzione di questi patti. Il cardinale-vescovo di Sabina ha l’incarico di dichiarare che Podestà, Capitani, Anziani, Consiglieri e tutti i funzionari della città sarebbero stati colpiti da scomunica qualora avessero agito in modo contrario allo stabilito. Questo è 1 accordo di base, che viene più circostanziatamente chiarito mediante successive clausole. Tutte le offese vengono perdonate, sentenze e statuti, emesse ed emanati dal principio del dissidio contro gli esiliati, sono nulli. La restituzione dei castelli e di altri possedimenti, distrutti o no, deve avvenire nello stato in cui si trovavano prima; però il Comune può, per i due anni successivi, far sorvegliare per mezzo d’uno dei figli di Guido Spinola, ed a sue spese, alcuni castelli. Un pagamento in conto dei danni subiti dai Guelfi non ha luogo39 e su questo punto le disposizioni sono assoluta-mente oscure. Tanto il Comune quanto gli esiliati si riservano di domandare risarcimenti per via legale; quello però non potrà farlo per danni da esso sopportati, se prima non l’avranno fatto questi. Il giudice competente è quello del Comune; ove però questo si fosse rifiutato di rendere giustizia, i querelanti avrebbero potuto rivolgersi a qualunque giudice. E’ chiaro che con queste clausole la rinunzia dei Guelfi al risarcimento dei danni era solo precaria, dal momento che avrebbero sempre potuto ottenerlo qualora ai Capitani fosse piaciuto concederlo, a meno che non fosse loro riuscito di abbatterli. Ai conti di Lavagna è accordato di prendere cognizione degli accordi contenuti nei registri del Comune in virtù dei quali essi godono franchigia dalle imposte sui loro possedimenti. Ciò 38 Cfr. la lettera ad Alba, del 25 giugno, in Forges Davanzati, p. LXXII e sgg., per trattenere questa città dalla defezione. In essa non si trova alcuna traccia del tono altero col quale il re parlava in simili casi. 39 Come nel 1251: Annali, 230 [IV, 8], 40 Si allude certamente a documenti in L.J., I, 220 e sgg. - 363 - Libro III - Cap. sesto non è detto espressamente nel trattato di pace, ma ne è fatta riserva in un’altra disposizione. Ai Guelfi è lasciata libertà di ritornare a Genova o dimorare altrove. In entrambi i casi sono però obbligati a contribuire ai pubblici oneri come gli altri cittadini; obbligo dal quale i conti di Lavagna rimangono esenti41. Infine viene promesso che i rimpatriati saranno trattati come tutti gli altri cittadini, se saranno obbedienti al Podestà, ai Capitani, al Comune ed al Popolo, nel qual caso non sarà fatto loro carico della ribellione. I Guelfi presenti42 giurano subito la pace, ai loro aderenti è concesso libero ritorno fino al 29 settembre. Entro due mesi dovrà aver luogo la ratifica della pace da parte del Comune. Le parti sono d’accordo che il papa le tenga vincolate all’osservanza dei patti, sotto pena delle censure ecclesiastiche o con altri mezzi. Gli esiliati, cui non era riuscito di rimpatriare colla forza delle armi, dovettero in conseguenza accettare condizioni che più piacquero ai vittoriosi avversari; si deve fare merito all’influenza di Innocenzo V se tali condizioni furono abbastanza miti. I Capitani potevano essere soddisfatti che gli antichi avversari si sottomettessero alla loro signoria. In effetti, non si era ben provveduto al caso che questi ultimi non avessero durato a lungo in questi propositi. Momentaneamente era avvenuta la riconciliazione, ma come già altre volte, senza che fosse davvero sostanziale. Si poteva prevedere che i Guelfi ritornati avrebbero teso ad un cambiamento della costituzione che però le circostanze del momento non favorivano. Il legame fra i Ghibellini ed il Popolo era uscito rinforzato dai comuni pericoli e dai successi. Era discutibile che Carlo potesse venire presto alla riscossa. Quello che più importava era il contegno del papa destinato ora a vegliare sulla tranquillità interna di Genova. Gli Annali parlano di Innocenzo V in forma elevata. Brevi e succinte sono le notizie da essi date sul suo successore. Jacopo da Varazze 41 Si deve rilevare inoltre che il Comune dovrà restituire ai creditori le somme di denaro che aveva incassato dai debitori degli esiliati (cfr. sopra, libro III, cap. IL n. 4); le multe, cui fossero stati condannati i Guelfi, sono condonate; se incassate, dovranno valere come indennizzo per i danni. Tutto ciò che il Comune avesse prelevato da loro, occasione mutuorum, dovrà essere restituito come agli altri cittadini. Il Cardinale rinunzia ai processi che aveva intentato presso la Curia; v. sopra, libro III, cap. V, n. 2. 42 Nicola e Federico Fieschi - Alberto è rappresentato da un procuratore - Pa' recchi Grimaldi e Malocello, Pietro di Castello, Jacobus Manens, Nicola e Simone Guercio. — 364 - La pace con Carlo d’Angiò, 1276 racconta di Adriano V — tale fu il nome assunto dal cardinale Ottobono quando fu eletto papa — un maligno aneddoto. Quando i suoi parenti ed amici andarono a congratularsi per la sua elezione, egli avrebbe diretto loro le seguenti parole: « Di che cosa vi rallegrate? Era meglio per voi un cardinale vivo, che un papa morto »43. Il che dimostra come a Genova, e non a torto, si considerasse il contegno da lui tenuto fino allora. Egli aveva approfittato della sua alta posizione presso la Curia per favorire in larga misura la sua famiglia. Nel collegio dei cardinali era stato sempre considerato come capo del partito francese. La grande questione consisteva nel vedere se egli sarebbe rimasto fedele a sè stesso dopo aver assunta la tiara. Il suo pontificato non durò abbastanza a lungo per potergli attribuire un determinato indirizzo. Abbiamo notizie dalle quali egli non appare un assoluto propugnatore dell’influenza francese44. Da un nipote di Innocenzo IV non era da aspettarsi altro che uno svogliato abbandono degli interessi stranieri e Carlo potè essersi ingannato sul suo conto 45. Ad ogni modo i Capitani poterono chiamarsi fortunati se Adriano V non regnò più a lungo, poiché difficilmente essi. avrebbero potuto sostenersi contro i nipoti del papa. Questi non fece altro che confermare la pace fra il Comune e Carlo46. Oppose qualche difficoltà alla revoca dell’interdetto, che certamente era già nelle intenzioni di Innocenzo V. Il 15 agosto, a Genova, dinanzi al Popolo radunato venne celebrato l’atto solenne per cui la città dichiarava il ritorno all’obbedienza alla Chie- 43 Jac. de Var., 51, completa la relazione degli Annali di scienza propria, che era in grado di avere; perciò non si può respingere in modo assoluto la sua relazione. Quanto all’influenza esercitata da Carlo sul conclave, v. Saba Malaspina, Rerum Sicularum, 871 e sgg. 44 Cont. Guill. Tyr., 477. Sulla variabilità delle intenzioni di Adriano V, cfr. Dante, Purg., XIX, 99 e sgg. Questo però non era accaduto subitamente, perchè già prima egli era stato in relazione con Rodolfo: Redlich, p. 48. 45 E’ sorprendente però come Carlo, subito dopo la morte di Adriano V, avesse fatto annettere al suo regno i possedimenti di quest’ultimo: Minieri Riccio, Il Regno, 1276, p. 408; invece di 4 agosto si deve leggere 24 agosto, secondo l’estratto del medesimo documento in App. 5, nr. 6, 2, c. 15. Soltanto il 27 ottobre, ad istanza del nuovo papa, egli ordina di consegnarli all’erede, Federico Fieschi: Minieri Riccio, Nuovi studi, p. 1. [Sul testamento che Adriano V aveva fatto quando era ancora cardinale, v. Ferretto, Cod. dipi., II, p. 32, nr. 77]. 46 23 luglio: I.J., I, 1428. - 365 - Libro III - Cap. sesto sa47. Un sindaco, a tal fine appositamente nominato, giurò nelle mani del nunzio apostolico, magister Giovanni de Rocca, che Podestà, Capitani, Consiglieri e Comune avrebbero seguito gli ordini del papa sui punti per i quali erano incorsi nella scomunica e cioè per aver dato accesso a truppe straniere in Italia e per aver fatto lega con Pavia. Nel caso che questa promessa non fosse stata mantenuta, il Comune sarebbe caduto nella multa di lire 25000 per la quale buon numero di Genovesi si rese garante. Con ciò l’interdetto venne formalmente revocato48. Poco dopo fece ingresso in città un nuovo arcivescovo, ricevuto solennemente e con 1 massimi onori49. I festeggiamenti dimostravano anche esteriormente la ripristinata concordia colle autorità ecclesiastiche. 47 App. 2, nr. 39: Acta fuerunt bec in ecclesia b. Laurentii Januen., in publico parlamento. « Annali, 283 [IV, 175], « Annali, 284 [IV, 176-177]. - 366 - Capitolo settimo L’esecuzione della pace Relazioni di Genova con Carlo. - Relazioni di Genova con i Ghibellini di Lombardia. -Nuovo bando dei Guelfi. - Loro lega con i marchesi Malaspina. - Pace di Genova con i Malaspina. - I Guelfi si rivolgono al papa. - Il vescovo di Forlì pronuncia l’interdetto su Genova. - Situazione dei Capitani e loro relazioni col Podestà. I Capitani non avevano cercato la guerra con Carlo e, quando questi ve li aveva costretti, l’avevano condotta risolutamente a termine. Essi non avevano alcun motivo di malcontento per il concluso accordo e perciò adempirono fedelmente agl’impegni presi. Il re non fece alcuna rimostranza: il decreto con cui ordinava la cessazione delle ostilità ed il rilascio dei prigionieri porta la stessa data del trattato di pace1. Le relazioni commerciali col regno di Sicilia vennero in breve riattivate. Nel territorio del Comune la pace venne proclamata solennemente, ingiungendosi agli abitanti di guardarsi da allora in avanti dal recare danno ai sudditi del re2. Era di grande importanza per il Comune la restituzione di Roccabruna. Tanto di persona quanto mediante lettere e messaggi, i due conti di Ventimiglia furono invitati a consegnare i castelli da essi occupati; non avendo essi accondisceso alla esortazione del Comune, i Capitani, in esecuzione della convenzione, ordinarono che dal 29 settembre in poi 1 Cfr. le lettere del 18 giugno in Forges Davanzati, p. LXX e sgg.; Papon, III, p. XXIII e sgg.; Minieri Riccio, Il Regno, 1276, pp. 184, 186. Il doc. del 9 luglio (Id., Il Regno, 1277, p. 209) deve appartenere al 1276. Esso è pure menzionato da Camera, Mem. st. dipi, di Amalfi, I, p. 444. Con la conclusione della pace non era più necessaria la difesa della costa. 2 App. 2, nr. 40 (17 agosto 1276): In burgo Clavari, in ecclesia s. Johannis, in publico parlamento, cornu et campana more solito congregato, D. Enricus Torsellus, Clavari et Lavanie potestas, de mandato dd. potestatis et capitaneorum comunis et populi Janue, fecit legi litteras ei missas a predictis dd. potestate et capitaneis et firmiter declarari et per burgum Clavari voce preconia preconari... ad observandam conventionem pacis inite inter illustrem regem Sicilie ex una parte et ambaxatores prò comuni Janue et ipsum comune ex altera, dante Domino perpetuo durature. [Al riguardo v. Ferretto, Cod. dipi, II, p. 80 e sgg., nr. 80 e 82], Quanto alla liberazione di Leo del Bosco, v. Annali, 279 [IV, 164]. - 367 - Libro III - Cap. settimo nessuno più prestasse loro aiuto3. Genova non era obbligata a fare di più e la diffida veniva concepita nella forma più stringata possibile. Tuttavia Carlo ebbe più tardi a lagnarsi perchè, contrariamente ai patti della conven2Ìone, venne dato ricetto agli abitanti della contea 4, esortando il Comune ad attenersi in seguito più strettamente agli accordi. Non è chiaro fino a qual punto fossero giustificate le lagnanze di Carlo. Forse furono originate dalla stizza per non essere riuscito a sottomettere 1 conti. Carlo non era riuscito a ritornare nel reale possesso dei luoghi. Guglielmo Peire e Pietro Balbo dominavano sul passo di Tenda e quindi era loro possibile di avere dal Piemonte quell’aiuto che più non trovavano nella riviera. Alla fine sembra che un armistizio abbia precariamente posto fine alle ostilità5. Ad ogni modo Roccabruna non fu restituita a Genova, il che però non fu causa di turbamento della pace. A ciò aveva contribuito in gran parte il corso degli avvenimenti in Lombardia. Nel 1276 vi era stata una breve sosta nella corsa vittoriosa dei Ghibellini. Tortona fu bensì battuta in maggio 6, ma in luglio Alessandria andò di nuovo perduta e gli attacchi contro Milano rimasero da principio infruttuosi7. Il 18 novembre8, papa Giovanni XXI rinnovo l’interdetto. Però sul principio dell’anno seguente ebbe luogo un fatto decisivo. A Desio i Torriani soccombettero alla forza preponderante dei loro avversari9. Milano era per essi perduta. Coll’arcivescovo Ottone Vi- 3 App. 2, nr. 41 e 42; [cfr. Ferretto, Cod. dipi, II, p. 87, nr. 192]. 4 Minieri Riccio, Il Regno, 1277, p. 11, 15 marzo 1277. 5 Barthélémy, Invent, chronol. et anal, des chartes de la maison de Baux, p. 174 (17 marzo 1279): procura per trattare un armistizio, che probabilmente eb e luogo. Cfr. Papon, III, p. 56 (21 agosto 1279): Pietro Balbo conclude una lega con Cuneo (Gioffredo, 635), nella quale è fatta riserva che nessuna delle parti debba prestare aiuto all’altra contro Genova, Asti ed il re di Sicilia. In quel tempo dovevano essere in possesso dei conti: Tenda, Briga, Saorgio, Breglio, Pigna, Rocchetta, Castellaro, Bussana, Limone e Vernante. Anche Nostradamus, p. 267, parla di un armistizio, che egli pone nel 1277. 6 Ann. Plac., 562. Gli Spagnuoli vi avevano contribuito; si pretendeva dire che fossero al soldo del Monferrato. 7 Ann. Plac., 563 e sgg. Poiché Guglielmo di Monferrato non poteva più figurare come Vicario del re dei Romani Alfonso, pare che egli fosse stato collocato in una particolare posizione, quale vicarius comunis Papié... a Lambro superius, tramite Pavia. 8 Posse, p. 72. 9 Ann. Plac., 565; Annali, 284 [IV, 178], 21 gennaio. - 368 - L’esecuzione della pace sconti ritornarono in città i Ghibellini da tanto tempo in esilio. Questo fatto venne a rischiarare alquanto la posizione. Nel febbraio, le città guelfe minacciate conclusero a Parma una lega a comune difesa contro chiunque 10. Di gran lunga più importante fu l’adunanza dei Ghibellini a Pavia nel mese successivo u, a cui partecipò anche Genova 12. In essa furono presi accordi per un essenziale cambiamento nell’indirizzo tenuto finora. La rinnovata lega per il reciproco appoggio afferma per scopo gene- 10 Ann. Plac., 566. Sono: Piacenza, Cremona, Parma, Reggio, Modena, il partito interno di Bologna, Brescia, come pure i partiti esterni di Pavia e Verona, quindi quelli che, forse come partigiani della Chiesa, avevano giurato fedeltà a Rodolfo nel 1275: Chronicon Regiense, 8. 11 Ann. Plac., 1. c. Sono rappresentati: il marchese di Monferrato, Milano, Pavia, Bergamo, Como, Lodi, Crema, Genova, Asti, Alba, Torino, Vercelli, Novara, Valenza, Verona, Mantova, come pure i partiti esterni di Brescia, Tortona, Cremona, Alessandria, Lodi e Parma. 12 Dovevano essere sussistite differenze di minore importanza con Pavia, perchè (App. 3, nr. 27, c. 46) il 31 gennaio 1276, quindi ancor prima della pace con Carlo, i Capitani e gli Anziani concedevano ad un cittadino genovese licenza di rappresaglie contro i Pavesi. Egli era stato preso a viva forza e derubato per quosdam homines malefactores Papie, in loco s. Martini, in strata publica, in territorio Papie, e per di più aveva dovuto pagare il prezzo del riscatto. A richiesta di Genova, il po destà di Pavia intervenne giudizialmente contro universitatem et homines castellarne Petre, districtus Papie... in quo territorio dicta raubaria fuerat perpetrata, ed il suo giudice, il 10 febbraio 1272, pronunziò una sentenza contro coloro che erano obbligati a risarcire i danni, sentenza che però rimase ineseguita, malgrado ripetute sollecitazioni. L’incidente diede luogo ad ulteriori e serie contese. Il 21 aprile 1276 - Fol. Not., Ili, 1, c. 50 [cfr. Ferretto, Cod. dipi., II, p. 64, nr. 138] - viene nominato a Genova un sindaco ad se presentandum coram d. potestate Papie et in consilium (!) Papie ad postulandum a comuni Papié ut prò comuni Janue fideiubere debeat dictum comune Papié nei confronti di Venezia per 25000 lire tomesi, in conformità al trattato di armistizio del 1° agosto 1275. V. oltre, cap. VIII. [Una convenzione tra i consoli dei mercanti di Pavia e i marchesi Malaspina per la sicurezza delle vie commerciali per Genova in Ferretto, Cod. dipi., II, p. 43, nr. 96], Proprio allora furono concesse rappresaglie contro le città guelfe; contro Tortona (App. 3, nr. 27, c. 46, doc. del 31 gennaio 1276), perchè il podestà e castellano di Ar-quata, Facino Guidobono, aveva preso un cavallo ad un abitante di Voltaggio. Sulla richiesta di restituzione, il podestà di Tortona rispose che Facino lo teneva occasione cuiusdam laudis cambii, che egli sosteneva di avere contro i Genovesi. Inoltre contro Milano per Opizzo Adalardo (ibid., c. 47, doc. del 7 febbraio 1276). Quest’ultimo doveva avere da alcuni Milanesi 202 lire e 19 soldi; malgrado le ripetute sollecitazioni da parte di Genova, il Podestà di Milano non aveva proceduto conformemente alla convenzione stipulata tra le due città. - 369 - Libro III - Cap. settimo raie l’esaltazione della Chiesa romana, dell’imperatore romano e specificamente del re Rodolfo 13. In questo senso i Capitani potevano rimanere fedeli ai loro amici di partito e già alleati, senza ledere la pace con Carlo e le promesse fatte al papa. La lega ghibellina aprì subito trattative colla Curia. Milano non incorse nella scomunica; ma per i passati aderenti del Castigliano la revoca dell’interdetto non avvenne tanto presto . Giovanni XXI morì inopinatamente ed il conclave andò alla lunga. I Ghibellini in Lombardia continuarono a guerreggiare e non senza successo. Tortona e Alessandria furono riprese IS. Il nuovo papa, Niccolò III, poteva essere considerato come un personale avversario di Carlo . Quanto egli si fosse dimostrato contrario non sarebbe stato nemmeno sospettabile considerando quelle che erano le tradizioni della Curia. L influenza di questo indirizzo — tanto significativo per la Toscana 17 si ^ece sen tire nell’Italia settentrionale appena indirettamente. Il re di Sicilia non vi riprese più nessuna influenza. Alla liberazione dall’interdetto per 1 suoi nemici e per quelli della Chiesa non furono posti ostacoli . Il papa però non dimostrò eccessivo interesse per il ristabilimento dei diritti regi riguardo a Rodolfo. Nel luglio 1278 la lega ghibellina tenne adunanza a Vercelli, ove Guglielmo di Monferrato fu assunto come Capitano de partito per cinque anni19. Siccome Genova partecipò alla decisione, e probabile ch’essa avesse promesso di contribuire allo stipendio del Capi tano ed alle altre spese; in ogni caso i Capitani si tennero lontani dalle spedizioni di guerra che seguirono. Essi approfittarono dei pacifici rap porti con Alessandria che, sottomessa, era passata alla dipendenza dei 13 Ann. Plac., 567: exaltare s. Romanam ecclesiam et d. Rodulfum Romanorum^ imperatorem sive regem. Siccome i Guelfi avevano giurato fedeltà a Rodolfo ed 1 Ghibellini erano notoriamente pronti a fare altrettanto, Carlo rimaneva necessariamente fuori gioco. 14 Ann. Plac., 1. c.; Posse, p. 73. 15 Ann. Plac., 569 e sgg. 16 Saba Malaspina, 872. 17 Allontanamento del vicario imperiale nominato dal papa da parte di Carlo: Rayn., anno 1278, par. 68. 18 Altro rinnovo dell’interdetto contro Pavia, Verona, Asti e Monferrato in Posse, p. 74; quanto alle revoche, v. Potthast, nr. 21395 ’e sgg.; Sbaraglia, Bull. Franciscanum, III, 336 e sgg.; cfr. Rayn., anno 1278, par. 77. ^ Ann. Plac., 570. A meta di marzo 1279 sembra che avesse avuto luogo a Milano un’altra riunione di partito: ibid., 571. - 370 - L’esecuzione della pace marchesi, per assicurarsi le vie commerciali al di là delPAppennino, regolando in pari tempo alcune pretese per risarcimento di danni20. Allo stato delle cose di allora, il contegno del Comune verso i Ghibellini era compatibile coi passabili rapporti ch’esso aveva avuto con Carlo. Questi, durante il pontificato di Niccolò III, non era più, come prima, alla testa dei Guelfi e per il momento ogni via d’ingrandimento del suo potere in Italia gli era interdetta. Perciò il re di Sicilia non si mostrava affatto disposto a rompere la pace e si compiacque delle onoranze fatte a suo figlio in occasione d’un suo breve soggiorno a Genova21. E’ quindi possibile che nell accordo avvenuto fra Carlo e gli Astigiani, Genova avesse creduto opportuno di assumere una parte conciliante. I Genovesi si resero garanti per le grosse somme di denaro che Asti doveva pagare per liberare dal carcere i suoi cittadini fatti prigionieri presso Cossano22. I Capitani non ebbero a superare grandi difficoltà nella politica estera subito dopo la conclusione della pace del 1276. Essi poterono liberamente dare ai loro atti quell’indirizzo che fino da principio avevano in animo. Senza smentire i loro principi ghibellini, essi desideravano vivere in pace con tutti. Non prendono direttamente parte alle ostilità a nord dei monti che confinano col territorio del Comune23; ad essi basta conservare rapporti di alleanza colle città in cui dominano i loro partigiani. Così la loro signoria rimase salda nel miglior modo. Alle mene segrete dei Guelfi rimpatriati si poteva tenere facilmente testa se non si offriva loro la possibilità di trovare appoggi al di fuori della città. I Capitani potevano difficilmente pensare che i Grimaldi ed i Fieschi avessero potuto sopportare la privazione di qualsiasi influenza nel governo del Comune. Certo è che i rimpatriati avversari non furono affatto trattati nel modo più obbligante. Era stata una prova di appena giustificata confidenza la resti- 20 App. 2, nr. 46; cfr. Canale, III, p. 319 e sgg. 21 Annali, 287 [IV, 184-185], 15 settembre 1278. La venuta poteva essere stata annunziata dagli inviati mandati da Carlo a Genova ed in Provenza (Minieri Riccio, Il Regno, 1278, p. 243, 2 giugno 1278). La data del 15 settembre è in contraddizione con Guido de Corv., 687, il quale dice che il figlio di Carlo, sulla via della Provenza, arrivò soltanto lunedì 19 settembre a Portopisano, ove rimase fino a giovedì (22 settembre). 22 Annali, 287 e sgg. [IV, 186]; cfr. Cod. Ast., Ili, 1172, 1129 [v. Ferretto, Cod. dipi., II, p. 278, nr. 586], 23 Perciò l’armistizio fra i Torriani ed i Visconti fu proprio concluso a Genova nel 1279: Galv. Flamma, 707. - 371 - Libro III - Cap. settimo tuzione dei castelli di Nicola Fieschi, con i cui abitanti Genova era legata da anteriori promesse24. Forse i Capitani progettavano di far subito un accordo, come quello concluso il 24 novembre 1276 2S. Allo scopo di far conoscere ora e per sempre l’amore e la stima che Nicola nutriva per il Podestà, per i Capitani, per il Comune e per il Popolo, egli vende loro tutti i suoi possedimenti da Pietra Colice fino al Magra e più oltre, come pure quelli da Godano fino al mare. Il prezzo è decisamente considerevole, cioè lire 25000; le rate devono essere pagate puntualmente nei termini fissati 26. Abbiamo una quietanza della somma pagata27. In ogni caso il Comune tenne tutto ciò che aveva conquistato in guerra28 acquistandone solo più tardi il legittimo diritto di possesso. Ciò si era reso tanto più necessario, in quanto che il vescovo di Luni aveva avanzato delle pretese che provocarono l’intervento papale29, sul cui esito nulla sappiamo. Era interesse dei Capitani di togliere ai loro avversari gli appoggi che potevano avere nei castelli e nelle persone da essi dipendenti . Per gl’interessati doveva essere penosa la perdita dei loro beni malgrado il compenso che ne avevano ricevuto. Per essi sarebbe stato di maggiore 24 V. sopra, libro III, cap. IV, n. 23. 25 V. i docc. del 14 e 24 novembre in L.J., I, 1436 e sgg. 26 Annali, 284 [IV, 177], 27 L.J., I, 1482, 25 marzo 1279. 28 Poiché aveva avuto luogo soltanto un acquisto apparente, difficilmente Nicola poteva esserne venuto prima nuovamente in possesso. Gli arbitri determinano anzitutto in qual modo sia da pagare la somma fissata e stabiliscono la forma e l’istrumento di vendita, affinchè esso diventi inoppugnabile. Quanto a Vezzano, sembra che a Nicola fosse appartenuto soltanto per 1/3; il 5 novembre 1277 il Comune acquista da due domini de Vezano ancora qualcosa di più di un quarto: Annali, 285 [IV, 179-180]; L.J., I, 1460; i documenti per il pagamento del prezzo, ibid., I, 1462 e sgg. 29 App. 5, nr. 23, IV, 8, p. 53: estratto da una lettera di Giovanni XXI senza data. Il papa comunica che il vescovo di Luni si era querelato per la confisca di alcuni possessi e che magister Johannes de Rocha, mandato da Adriano V a Genova (v. sopra, p. 366), aveva per questo già indirizzato alcune ammonizioni al Comune [Cfr. anche Ferretto, Cod. dipi., II, p. 109, nr. 246], In seguito, nel novembre 1278 (Muratori, Ant. Est., I, p. 182), il vescovo Enrico di Luni stende un elenco dei luoghi spettanti alla sua diocesi, occupati dal Comune di Genova con la forza. 30 Non è impossibile che l’acquisto - Annali, 285 [IV, 179]; L.J.. I, 1449 - ^e* 15 gennaio 1277, dei 3/16 di Varazze, di proprietà del marchese Tomaso di Ponzone. fosse stato combinato per indebolire i Malocello, nel cui possesso potevano essere allora tutte le altre quote; cfr. L.J., II, 229 e sgg. - 372 - L’esecuzione della pace interesse la restituzione dei castelli31 e ciò diede appiglio ai conti di Lavagna per querelarsi per lesione dei loro privilegi32. La riconciliazione non era stata sincera ed i rimpatriati erano guardati con diffidenza. Non passò molto tempo che furono accusati33 di maneggi per abbattere i Capitani e naturalmente anche il Popolo. Furono citati a presentarsi, ma, anziché comparire, abbandonarono la città34; dopo di che vennero banditi in perpetuo35. Altri, sospetti di favorire i loro disegni, furono con- 31 I Fieschi, i Grimaldi ed i loro partigiani annunziano di aver denunciato al papa la rottura della pace del 1276 {App. 5, nr. 6, I; v. oltre) e la mancata restituzione dei loro castelli all’epoca fissata. Sulle relative disposizioni della pace, cfr. sopra, p. 363. A causa della vendita della quota di Nicola Fieschi, essi erano rimasti, almeno in parte, indeboliti. Del resto, sembra che egli non avesse partecipato alla sollevazione dei Guelfi, certamente per non correre il rischio di perdere l’indennità. 32 Secondo il loro reclamo (v. nota precedente), i loro privilegi arrivavano al punto che terreni, case e quant’altro avessero potuto acquistare nel territorio del Comune di Genova e finche non ne avessero avuto il possesso, sarebbero stati esenti da qualunque colletta e da qualsiasi altro onere, e nemmeno avrebbero dovuto pagare alcuna imposta (malatolta) se avessero comprato o venduto grano, vino, olio, legname e sale. I Capitani resero inefficace la franchigia dalle imposte, attraverso 1 emanazione di uno statuto, per il quale nessun notaio poteva rogare istrumenti relativi all’acquisto di tali beni, se il compratore non avesse rinunziato in questo caso al suo privilegio {nisi emptor hoc privilegio in hac parte renunciet). Inoltre, venivano mosse accuse perchè le somme di denaro erano state pagate solamente in parte. Ciò può riferirsi soltanto alla restituzione del denaro che aveva ricevuto il Comune a titolo di prestito. V. sopra, libro III, capo VI, nr. 41. 33 Annali, 285 [IV, 179]. Nel 1277, ad quam intendere dicebantur. Questo poteva pur essere vero; il tempo non risulta in modo preciso. 34 Annali, I. c. Non sono dati i nomi, ma è detto soltanto quamplures nobiles Janue illorum de Flisco et Grimaldorutn progenie, et qui alias... restituti extiterant, et quidam alii nobiles. Come coloro che avevano mosso lagnanze al papa sono indicati {App. 5, nr. 6, I) Alberto, Federico, Emanuele Fieschi, i Grimaldi ed i loro partigiani. Il 16 dicembre 1278 (App. 3, nr. 27, c. 42) compare un curatore dei beni di Luchetto Grimaldi. Questi vengono quindi nuovamente colpiti da sequestro (v. sopra, libro III, cap. II, n. 52). Di Guglielmo Grimaldi invece è detto (6 maggio 1270) che de Janua se absentavit sive absentasse dicitur propter mole(m) creditorum: App. 3, nr. 15, c. 133 v. Egli ottiene licenza dai suoi creditori di tornare a Genova. Nel 1279 Enrico Grimaldi è occupato a Lajazzo in affari di commercio (Desimoni, Actes passés, p. 497 e sgg.); così pure Benedetto Malocello (ibid.). Soggiornando essi nel quartiere genovese, difficilmente potevano appartenere alla schiera degli esiliati. 35 Annali, 285 [IV, 179]: hanno fuerunt adscripti perpetuo; in ogni caso si allude al bando irrevocabile. - 373 - 25 Libro III - Cap. settimo finati. Con tale procedere poco conto si faceva della ragione o del torto; i Capitani avevano il potere e non volevano lasciarselo prendere; perciò allontanavano dalla città tutti quelli che destavano in loro qualche inquietudine senza tuttavia incrudelire contro di essi36. Nell anno 1272 i Guelfi banditi avevano trovato in Carlo un valido protettore; ora invece il re si guardava bene dal riaccendere una guerra che aveva testé finita a mala pena. Nel trattato di pace egli non aveva assunto alcun impegno verso i suoi antichi amici, i quali dovevano quindi cercare aiuto da altra parte. Il trovarlo era difficile, nè fu dato ai Guelfi di accaparrarsi alleati più potenti di alcuni litigiosi marchesi Malaspina37. Con 1 appoggio di costoro riuscirono a radunare un non insignificante esercito, col quale dai loro possedimenti calarono nel territorio genovese. Il 26 marzo, verso sera, le schiere penetrarono nei castelli di Chiavari, ove fecero molti danni e usarono violenze. Sembra che a Genova fosse stato maggiore lo stupore dello spavento , nel vedere che i Malaspina osavano intraprendere una guerra 36 Su ciò non vennero mosse lagnanze; però alcuni Guelfi dovevano essere stati carcerati; gli Annali, 1. c., non ne fanno parola. App. 5, nr. 6, I: quosdam ex ipsis nobilibus banno supposuerunt perpetuo, alios certis confiniis deputaverunt, que excedere non auderent, nec non aliquos carceri manciparunt. 37 Annali, 285 [IV, 181]: Murruel Malaspina et fratres, filii qu. Conradi mar-chionis Malas pine. Quelli da considerare sono (v. L./., I, 1466): Corrado (1278 t) . 1-1-‘-!--> Manfredo Moroello Alberto Federico (1278 t) Tomaso Corrado Opecino Corrado aveva prestato giuramento di fedeltà al Comune nel 1209: L.J., I, 544; secondo gli Annali, 1. c., i suoi figli erano comunis Janue feudatarii et vassalli. Tomaso vendette al comune di Genova, il 16 aprile 1277, Ovada: L.J., I, 1455; v. sopra, libro III, cap. IV, n. 44. Risulta che egli non avesse preso parte alle azioni dei suoi congiunti: ibid., I, 1465. 38 Annali, 286 [IV, 181]: quo audito, mirati sunt universi. Il castello di Chiavari - cfr. Annali, 94 [I, 156] - ad ogni modo non fu preso, ma soltanto il burgus che non era cinto da mura: L.J., I, 534. Gli assalitori vennero senza dubbio dall’interno, non lungo la costa. — 374 - L’esecuzione della pace nella quale si erano spuntate le armi di Carlo. I Capitani operarono colla consueta energia. Decretarono una leva in massa e Oberto Doria andò a Recco, accompagnato da un numeroso seguito, alla testa di uno stuolo di cavalieri e molti fanti39. Furono pure sollecitamente armate quattro galere, che si recarono a Chiavari40, bloccandola dalla parte del mare. Il piano era certamente quello di chiudere gli assalitori fra monte e mare. Furono mandati uomini per sbarrare la strada donde erano venuti e gli altri passi. Il 28 marzo il Capitano era pronto all’attacco. I nemici non 10 attesero, ma per una via non guardata se ne andarono in vai Trebbia, dove l’esercito si sciolse41, mentre Oberto Doria ritornò senza ostacoli a Chiavari. Era stato un errore per i Guelfi avere sperato di prendere posizione in quella città. La loro alleanza coi marchesi fu comunque mantenuta e tentativi del genere non mancarono di ripetersi. Unico modo d’impedirli era quello di dar da fare ai Malaspina altrove. Dopo una breve sosta sui luoghi ricuperati, il Capitano s’incamminò frettolosamente verso il confine orientale del territorio del Comune, dove nell’anno 1273 si era svolta la guerra. Non lungi da Vezzano allora preso, stava minaccioso Arcola, il migliore castello di Moroello e dei suoi fratelli. A questo castello si doveva rivolgere l’attacco, quantunque la sua conquista non paresse molto facile. L’assedio fu preparato colla massima precauzione. Oberto si trattenne solo alcuni giorni da quelle parti e dopo aver nominato Manuel di Negro suo vicario ritornò a Genova. 11 suo parere aveva influito sulla determinazione di continuare energicamente la guerra e il Popolo era con lui. In seguito, per decisione del Consiglio, vennero arruolati a Pavia, come nel 1273, dei cavalieri mercenari che al loro arrivo ricevettero l’ordine di andare ad unirsi alle truppe del vicario. Il territorio intorno ad Arcola venne completamente devastato dalle scorrerie delle soldatesche e così pure altri possedimenti dei Malaspina al di là del Magra. In pari tempo si riesce a creare altrove delle difficoltà ai nemici. Due congiunti della famiglia dei marchesi, Alberto e Francesco, che erano stati derubati dei loro possedimenti da Mo- 39 Annali, 286 [IV, 181]. Sulla partenza del Capitano cfr. Caro, Verf. Gen., p. 57. 40 Annali, 1. c. Il segno d’interpunzione va dopo remigio. -ti Annali, 1. c. [IV, 183]; Ann. Plac., 569. Invece Guido de Corv., 687, colloca tutto l’accaduto più tardi; secondo lui Moroello avrebbe preso le mosse soltanto l’8 aprile. - 375 - Libro III - Cap. settimo roello e dai suoi fratelli, comparvero a Genova. Volentieri venne loro accordato appoggio con truppe e denaro, con cui poterono invadere e saccheggiare le valli Trebbia e Borbera. I Malaspina ne ebbero abbastanza e per conseguenza non vollero, né del resto potevano, fare ulteriori sacrifici per gli esiliati. Per intromissione di amici42, un fratello di Morello, Manfredo, ottenne un salva-condotto per la città ed a fatica riuscì ad un accomodamento. Le condizioni non avrebbero potuto essere più dure43. Manfredo rinnovò il giuramento di vassallaggio al Comune, promettendo di difendere 1 attuale forma di governo contro chiunque44 ad eccezione della Curia romana e dell imperatore. Gli esiliati non avrebbero potuto più essere accolti nel territorio dei marchesi; rinunzia a qualsiasi pretesa di risarcimento di danni, rilascio dei prigionieri. I Capitani però non si accontentarono di queste disposizioni; e ciò si può ben comprendere. Non bastò loro che fosse rotta la lega dei Guelfi coi Malaspina, ma questi ricevettero pure 1 ammonizione di non osare più cosa simile. La cessione del castello di Arcola fu oggetto d’una delle condizioni della pace45 e quantunque per essa fosse stata pagata la somma di 7000 lire, la sua perdita era stata molto dolorosa, specialmente per Moroello4é. Inoltre si dovevano restituire al marchese Alberto tutti i suoi possedimenti; Francesco doveva rinunziare alle sue pretese, mentre Genova prometteva in cambio di ciò 1000 lire. Le somme promesse furono puntualmente pagate 47, come senza dub- 42 Annali, 1. c.: intervenientibus itaque dictorum marchionum amicis. 43 Annali, 286 e sgg. [IV, 183]; L.J., I, 1466, 25 giugno 1278. 44 L.J., I, 1467: manutenere et defendere honorem et statum ipsorum dd. potestatis et capitaneorum et comunis et populi Januensis. 45 La forma e quella di una vendita, per la quale fu steso un documento particolare della stessa data (L.J., I, 1469), confermato il 28 giugno da Tomaso e Opi-cino: ibid., I, 1471. Manfredo aveva in pari tempo pattuito a nome dei fratelli e nipoti che questi dovessero entro 20 giorni ratificare la pace, ad eccezione di Corrado che, trovandosi in Sardegna, aveva 6 mesi di tempo. Non abbiamo un documento corrispodente di Moroello e Alberto. Corrado (con Opicino) confermò il 14 maggio 1279 la vendita di Ovada, etc. {ibid., I, 1490) ed il 23 maggio quella di Arcola: ibid., I, 1491. 46 Annali, 287 [IV, 184]: quod quidem amarum fuit et triste Murrueli pre- dicto. 47 Quietanza di lire 1000 di Manfredo il 28 giugno (L.J., I, 1473), ripetuta da Tomaso il 27 settembre (ibid., I, 1476). Stranamente il documento è steso un’altra — 376 — L’esecuzione della pace bio ebbe luogo la consegna di Arcola48. Quanto agli impegni verso Alberto e Francesco, Moroello seppe impiegare una tale astuzia, per la quale gli Annali non possono nascondere la loro ammirazione49, tanto straordinaria fu l’abilità con cui venne architettata. Ormai gli esiliati avevano perduto ogni speranza di poter forzare la mano ai Capitani colla guerra. Da nessuna parte si offriva loro la possibilità di rinnovare i tentativi, tante volte falliti, di stabilirsi sul territorio genovese. Consta ch’essi si siano rivolti al papa, che si era fatto mallevadore dell’osservanza della pace del 1276, della cui rottura essi si lagnarono dinanzi a Niccolò III50, ed è sorprendente il fatto ch’essi abbiano trovato qualche condiscendenza presso di lui. La ragione di ciò deve cercarsi piuttosto nelle influenti relazioni dei conti di Lavagna presso la Curia che nella sua politica generale. Il vescovo di Forlì Rodolfo fu incaricato di esaminare le lagnanze degli esiliati. Se fossero risultate giustificate, egli avrebbe dichiarato Capitani e Consiglieri incorsi nella scomunica, da inasprirsi nel modo che più sembrasse opporuno ove entro un mese non avessero desistito dal loro atteggiamento. Il delegato avrebbe potuto pronunziare la sentenza anche fuori di Genova, qualora il suo soggiorno in città avesse creato ostacoli alla sua attività51. La lettera diretta al Comune potrà forse essere stata concepita in termini formalmente volta, il 28 settembre, in forma letteralmente conforme (ibid., I, 1477). Le 1000 lire furono effettivamente pagate in contanti il 27 giugno, il che è provato dai registri dei conti (ibid., I, 1478 e sgg.), e cosi pure 3000 lire il 14 luglio (ibid., I, 1479); di ciò il documento ibid., I, 1473. Quanto al resto del prezzo di Arcola, si fecero garanti otto Genovesi; questi pagarono 500 lire ciascuno a mercanti lucchesi, che promisero di versarle a Manfredo. Inoltre continuarono i pagamenti a Tomaso per Ovada, 2000 lire il 27 settembre 1278 (ibid., I, 1474), altrettanto il 14 maggio 1279 (ibid., I, 1489) a Corrado per Tomaso. 48 Nel 1285 - Annali, 311 [V, 65] - essa è in possesso di Genova. 49 Annali, 287 [IV, 184]: fraudem excogitavit mirabiliter. [Il 10 ottobre 1278 fu rinnovata la pace con Manfredo Malaspina: Ferretto, Cod. dipi., II, p. 259, nr. 5471. *> Annali, 291 e sgg. [V, 13]. [In Otto, Bine Briefsammlung, p. 38 e sgg., si trovano una querela di Federico Fieschi al papa Niccolò III (nr. 18); una lettera del papa al Comune di Genova (nr. 19) e la risposta di quest’ultimo (nr. 20). Questi tre scritti, del resto di scarso valore intrinseco, dovevano riferirsi ad un primo stadio delle negoziazioni; a meno che non si tratti in generale di una simulazione], 51 Annali, 292 [V, 13]; App. 5, nr. 6, I. Sunto della lettera del 13 agosto 1278. Posse, p. 76; cfr. Rato., anno 1278, par. 77; Kaltenbrunner, I, p. 138. - 377 - Libro III - Cap. settimo attenuati52, ma in ogni modo da essa traspare che Niccolò III non era certamente amico dei Capitani. Il vescovo venne a Genova; i procuratori degli esiliati gli presentarono uno scritto contenente le loro lagnanze, mentre il sindaco del Comune cercava delle scappatoie, rifiutandosi di rispondere ai reclami degli avversari53. Questi non possono ottenere d’essere assistiti da un giurista di fiducia, come asseriscono con giuramento rendendone edotto il delegato. Perciò questi, non ritenendo Genova adatta per la continuazione del processo, si trasferisce a Piacenza. Entrambe le parti ricevono 1 ordine di presentarsi davanti a lui54. I reclamanti lo seguirono, ma il sindaco genovese non si presentò nel termine stabilito, neppure quando esso venne prorogato. Il delegato acconsentì infine alla domanda degli accusatori di procedere alle prove dei loro reclami anche in assenza dell’altro partito. Dopo aver sentito i testimoni ed esaminato i documenti, dichiarò quindi che la lesione della convenzione di pace da parte del Podestà, dei Capitani, degli Anziani e dei Consiglieri era dimostrata e che per conseguenza questi erano incorsi nella scomunica, che egli pronunziò subito contro di essi. Se entro un mese non fosse stata data soddisfazione, la sentenza sarebbe stata inasprita . A questa misura il delegato diede effettiva esecuzione il 27 febbraio 1279, lanciando l’interdetto sulla città e sul territorio, con minaccia di ulteriori castighi in caso di ostinata disobbedienza 56. Egli dà notizia del suo operato al vescovo di Savona ingiungendogli di far proclamare solennemente nella sua diocesi l’interdetto tutte le domeniche e giorni festivi, sotto pena, in caso d’inosservanza, d’incorrere egli stesso nel bando e con 52 Posse, p. 76: laudat Januensium fidelitatem erga Romanam ecclesiam', cfr. inoltre Kaltenbrunner, I, p. 137. La dilazione di un mese per la soddisfazione è molto breve. Nulla è noto sull’azione del cardinale Gherardo in questo affare, cfr. Kaltenbrunner, I, p. 139. 53 App. 5, nr. 6, I: (sindicus) variis cavillationibus et subterfugiis fugam que-rens maliciose huiusmodi petitioni minus debite respondere recusavit. 54 Ibid. In Annali, 292 [V, 13], non è detto perchè il vescovo fosse andato a Piacenza. 55 App. 5, nr. 6, I. La data è Actum Placentie, in choro maioris ecclesie Piacentine, a.d. 1278, ind. 6, die Jovis, 21 mensis Decembris. Intanto il 21 cade di mercoledì. Secondo gli Annali, 292 [V, 13], l’interdetto sarebbe già stato decretato nel novembre 1278. 56 App. 5, nr. 6, II, c. 25v.\ sunto. — 378 - L’esecuzione della pace l’obbligo anche di comunicare entro otto giorni il contenuto di questo ordine all’arcivescovo di Genova57. Il 10 aprile egli andò oltre. Col castigo della scomunica rimaneva vietato ai fedeli di Cristo qualunque rapporto coi Genovesi, finché il Comune non ritornasse nel grembo della Chiesa. Al Comune stesso impose, sotto pena d’una multa di 20000 marchi d’argento, di cessare entro un mese dalla sua ostinazione e di osservare la pace in ogni sua parte, altrimenti avrebbe proceduto contro di esso in modo ancor più severo58. Si comprende come questo modo di procedere abbia indotto gli Annali ad accusare il vescovo di Forlì di parzialità59. I Capitani si appellarono contro la sua sentenza presso la Sede Apostolica60 e Niccolò III rimise la questione al cardinale Jacopo61. Il rappresentante di Genova62 gli trasmise una memoria, colla quale si lagnava affermando che il vescovo di Forlì era partito per Piacenza senza dare ascolto alle ragioni del sindaco del Comune e che di là aveva fissato un termine, contro i privilegi papali, in virtù dei quali i Genovesi non potevano essere costretti da nessuno a comparire in giudizio fuori della città o territorio; che per questo si erano lasciati scadere i termini e infine che il vescovo aveva pronunziato la sentenza senza tenere alcun conto del proposto appello63. Il delegato dei Fieschi e dei loro partigiani fece opposizione ed alla fine il papa chiamò a sè le parti. Dopo che gli furono esposti i motivi prò e contro la legittimità del procedimento del suo delegato, incaricò il cardinale Jacopo di pronunziare 57 Ibid., c. 26 (28 febbraio); sunto. s» Ibid. » Annali, 292 [V, 13]. 60 App. 5, nr. 6, II, c. 26 v. Inviati sono: Caccianemico Barca giurisperito, Jacopo Spinola e Simone de Monleone. 61 Ibid.-. S. Marie in Cosmedin diacono cardinali. 62 Ibid. : Benedictus de Guardia procurator substitutus a dictis syndicis (se. janue); non è chiaro il momento. 63 Ibid. Secondo questo documento, l’esposizione degli Annali, 292 [X, 13], non è esatta. Anzitutto il Comune non aveva mandato alcun rappresentante a Piacenza. Insieme col ricorso per i privilegi, era stato unito un appello al papa. Nel documento si parla di privilegi in generale, non in particolare di quelli di Alessandro IV [L.]., I, 1222). Il rappresentante (procurator) degli esiliati alla Curia è Alessandro da Bergamo; a Genova e a Piacenza erano altri. - 379 - Libro III - Cap. settimo la decisione. Questa fu sfavorevole per Genova, affermando che l’introdotto appello non arrestava il corso della sentenza 64 e che con ciò rimaneva confermata la validità dell’interdetto. Il papa ratificò la sentenza del cardinale il 28 gennaio 1280 6S. L’arcivescovo di Genova, che si trovava a Roma, rimise più tardi al clero della sua diocesi una copia autentica del documento66. Finché Niccolò III visse, l’interdetto fu rigorosamente mantenuto e solo dal suo successore il Comune poteva sperare d'esserne sollevato. Appena questi fu eletto, esso gli mandò dei delegati67■ L’annalista tace su quanto essi fecero e parla invece circostanziatamente della felice trovata, mediante la quale vennero evitate le conseguenze del bando. Egli stesso avrebbe trovato68 nell’archivio69 un privilegio di Innocenzo IV che diceva espressamente: Genova non può essere assoggettata all interdetto da nessun delegato papale, senza speciale permesso del papa stesso. Ciò offriva la possibilità di contestare nuovamente la legittimità della sentenza. La cosa più naturale sarebbe stata quella di appellarsi un altra volta. Invece venne convocata una grande adunanza di giureconsulti, alla quale presero parte tutto il clero della città, i domenicani ed i minoriti, il Collegio dei giudici e molti altri. La discussione durò due giorni ed il loro parere fu che il processo del vescovo di Forlì era stato contrario al privilegio e che perciò non si doveva osservare l’interdetto. Da quel momento il servizio divino venne di nuovo pubblicamente celebrato . E strano che Martino IV non abbia sollevato alcuna protesta. Forse 64 Ibid. La data è 28 novembre 1279. 65 Ibid., c. 29 v.\ 5 kal. febr., pont. a. 3-, sunto. 66 Ibid., 10 aprile 1280; sunto. 67 Annali, 291 [V, 13]. 68 Annali, 292 [V, 13]: die martis sancto 2 aprilis; nel 1281 il 2 aprile cade di mercoledì. 69 Ibid.: in sacristia; cfr. Caro, Verf. Gen., p. 56. E’ per lo meno sorprendente che non si avesse avuto subito sotto mano questo privilegio (v. L.J., I, 1034). O regnava nell’archivio un immenso disordine, o si potrebbe sospettare che il documento fosse stato falsificato a bella posta. Contro tale supposizione però sta il fatto che esso era stato effettivamente riportato nel Registro di Innocenzo IV (ed. Berger, II, 18). 70 Annali, 1. c. — 380 — L’esecuzione della pace esisteva già una sua tendenza favorevole71 e comunque può darsi che i motivi che avevano portato alla pronunzia dell’interdetto fossero caduti poco a poco. Infatti i confinati erano potuti ritornare72 e ai conti di Lavagna erano state fatte migliori condizioni73; ad essi come agli altri esiliati era stato concesso tacitamente il ritorno74. Con ciò non si rinnovarono tanto presto gl’intrighi contro i Capitani, la cui posizione poteva ritenersi pienamente sicura. Al loro successo aveva contribuito indiscutibilmente la moderazione con cui avevano esercitato il potere, nonostante che non avessero mai permesso che subisse limitazioni e tutto dipendesse soltanto dalle loro decisioni. Tuttavia, ancorché fossero alla testa dei vittoriosi Ghibellini e governassero il Comune d’intesa cogli amici delle loro famiglie e del loro partito75, ciò non impediva ai Capitani di osservare sempre le forme costituzionali76 interpellando regolarmente il collegio degli Anziani e spesso il Consiglio. 71. Annali, 291 [V, 12]: Martinus IV... qui comuni ]anue puro corde dilexit. 72 Annali, 285 [V, 179]. Siccome questa parte degli Annali è stata scritta al più tardi nel 1280 - v. p. 288 [V, 3] -, dovevano essersi trovati in quel tempo nuovamente a Genova. 73 Alberto sembra fosse morto verso la fine del 1279. Il Capitano Spinola abitava stabilmente nel suo palazzo di Genova (v. sopra, libro III, cap. II, n. 52): v. L.J., I, 1505 (23 settembre 1279) contro ibid., I, 1509 (11 dicembre 1279). Federico Fieschi concluse, il 25 agosto 1282, con parecchi magistri antelami un contratto per la costruzione di una sua casa a Genova: App. 5, nr. 6, I. Il 9 luglio 1280 re Rodolfo I confermava a Jacopo e Nicola, conti di Lavagna, i privilegi di Federico I e di Federico II (Winkelmann, II, 102) il che è in armonia con le strette relazioni dei Fieschi con Rodolfo I: Redlich, pp. 158, 168 e sgg., 171 e sgg., 181 e sgg. 74 Nel 1288 - Annali, 323 [V, 91-92] anche i Grimaldi dovevano essere nuovamente a Genova. Essi sono tutti implicati nella congiura scoppiata il 1° gennaio 1289. 75 Cfr. in particolare Annali, 286 [IV, 183]. Quando si tratta della questione se Manfredo Malaspina debba ricevere un salvacondotto, i Capitani domandano consiglio ai loro amici (capitanei consuluerunt amicos), poi chiedono il consenso del Consiglio (et consensu super hoc requisiti consilii). 76 Questo appare in modo particolare nei documenti riguardanti licenze di rappresaglie. Quelle del 1273 (v. sopra, libro III, cap. IV, n. 41), contro i marchesi del Bosco sono concesse semplicemente dai Capitani e dagli Anziani; diversamente quelle contro Tortona. Qui è detto che la sentenza da rilasciare (laus) a norma degli statuti (secundum statuta comunis Janue), doveva essere pronunziata da una commissione di otto membri (uni per compagnam cum quibus fuit d. Guido de Bonate, unus ex iudicibus capitaneorum). Essi avevano deciso di rimettersi al giudizio degli - 381 - Libro III - Cap. settimo Dal 1274 in poi troviamo nuovamente il Podestà, il cui nome, quando, come in generale accadeva, egli operava insieme coi Capitani, figurava nei documenti prima del loro77. Gli Annali ci dicono che il ristabilimento di questa carica corrispondeva ai voti del Popolo78. Tuttavia è da escludere che si intendesse di contrapporlo al potere dei Capitani. In aperta contraddizione colla consuetudine fino allora seguita, il nuovo Podestà rimaneva in carica tre anni di seguito79■ In precedenza la sua funzione era stata quella di giudice dei Capitani; dalle notizie che abbiamo risulta come il suo successore del 1274 fosse ad essi subordinato. Ad ogni modo entrambi, sia quello del 1274, sia il suo predecessore dell’anno 1271, erano tenuti ad eseguire i loro ordini80. Tutti i documenti nei quali figura il solo Podestà riguardano materia giurisdizionale81. Dopo il 1274 troviamo dei milites dei Capitani , ma non più dei giudici83 ; i Podestà hanno giudici al loro seguito, non Anziani e di attenersi alla loro decisione, come avvenne. Gli Anziani votarono ai lapillos albos et nigros e la maggioranza approvò, cum lapilli albi fuennt omnes excepti quinque, qui fuerunt tantum nigri. Così la sentenza fu rilasciata, in osser vanza delle forme statutarie (servata... forma capitulorum Janue). Le me forme furono osservate nelle rappresaglie del 1276 (v. sopra, libro III. C®P' ’ n. 12); soltanto che in questi casi vennero aggiunti due volte un giù ice Podestà e un’altra volta ancora due altri giudici. I Capitani avevano il diritto i concedere le rappresaglie. A loro si rivolgeva il querelante (App. 3, nr. 27, c. tamquam ad. defensores et patres civium Janue... petens per eos indemnitati sue pro(videri) debere. Nello svolgimento delle loro funzioni essi osservavano gì sta turi, quantunque avessero il diritto di essere di per sè al di sopra di essi, r-sopra, pp. 261, 262. 77 Già il 18 luglio 1274: App. 1, nr. 5, c. 253 v.\ L.J., passim. 78 P. 280 [IV, 166]; cfr. sopra, libro III, cap. V, n. 39. 79 1274-1276: Annali, 280, 282 e sgg. [IV, 166, 172], 80 Annali, 284 [IV, 179]. Cfr. sopra, p. 276. 81 Questi documenti si trovano principalmente in App. 3, nr. 27: sentenze, prese di possesso in base ad effettuate esecuzioni, etc. 82 Cfr. sopra, libro III, cap. IV, n. 28. App. 3, nr. 27, c. 48 (28 gennaio 1276); c. 47 (31 gennaio): Archerio Vacca, lo stesso chiamato come testimone per una copia da autenticare per ordine del Podestà Enrico Petia e dei Capitani Oberto Spinola e Corrado Doria (dunque alla fine del 1285 o 1286). App. 2, nr. 9. 83 Cfr. sopra, libro III, cap. II, n. 9. Non costituisce prova contraria la circostanza che il 25 febbraio 1274 (Desimoni, Actes passés, p. 451) fosse stato fatto appello ad dd. capitaneos comunis Januensium et eorum iudices, contro una sentenza — 382 - L’esecuzione della pace milites 84. Tutto ciò dimostra che le loro attribuzioni erano differenti dalle precedenti. Il titolo era rimasto85, forse le disposizioni degli Statuti non furono sostanzialmente cambiate tutto ad un tratto: in ogni caso, di fatto, i rapporti fra i due uffici furono regolati in modo che mentre i Capitani avevano il governo del Comune, il Podestà e i suoi giudici amministravano la giustizia nelle materie che esulavano dalla competenza dei consoli pro placitis. Non è il caso di pensare tuttavia ad una separazione vera e propria fra l’attività di amministrazione e quella di giustizia. I Capitani mantenevano anche attribuzioni giurisdizionali e quindi potevano sempre intromettersi nell’operato del Podestà8Ó. Si è voluto peraltro affermare ch’esso reggeva il Comune insieme con essi17, per il fatto ch’egli prende parte alla conclusione dei trattati di pace88, nomine di sindaci99, infeu-dazioni90 e simili affari, ed è pure nominato negl’indirizzi delle lettere91. del console genovese in Lajazzo, nella Piccola Armenia. Forse laggiù non poteva essere ancora noto il cambiamento. Il console si limita solo a trasmettere il ricorso d’appello ad dd. capitaneos comunis et populi janue. 84 Anche per il tempo del Boccanegra non vi è alcuna prova della loro presenza, ma potrebbe trattarsi di un caso. Fra il 1262 ed il ’70 compaiono quasi ogni anno i milites: 1263 in Belgrano, Cinque docc., p. 236; 1264 in Annali, 246 [IV, 54]; 1265, ibid., 250 [IV, 68]; 1266, ibid., 255 [IV, 84]; 1267, ibid., 259 [IV, 99]; 1269, ibid., 264 [IV, 113]. Il Podestà eletto nel 1270 dovette recarne seco due: App. 2, nr. 86 b. 85 L.J., I, 1465: Janue civitatis potestas, etc. 86 Per la giurisdizione criminale vi fu un cambiamento nel 1288: Annali, 319 [V, 81]. 87 Annali, 290 [V, 91: anno Domini 1280, d. Cavalcabos de Medicis civis Pa-piensis iurisperitus, regimen civitatis Janue exercuit, predictis capitaneis cum eodem regentibus. Quanto al cum, - cfr. Annali, 285 [IV, 181] - non vi si deve dare gran peso, perchè qui era subentrato un nuovo annalista. Non vi è alcun fondamento per ammettere che la posizione del Podestà di fronte ai Capitani del Popolo fosse diventata proprio nel 1280 più libera. Nei documenti prima e dopo il 1280, il Podestà è sempre nominato per primo tra gli altri. w App. 1, nr. 2, c. 45; L.J., I, 1466, etc. 89 L.J., I, 1437, etc. *> L.J., II, 59. 91 Così quelle del papa: Rayn., anno 1276, par. 16, potestati, capitaneis, an-tianis, consilio et comuni Januen.; L.J., I, 1428, soltanto potestati, capitaneis et comuni Jan.-, le lettere dell’imperatore greco in Belgrano, Cinque docc., pp. 236, 239, etc. - 383 - Libro III - Cap. settimo Nella scomunica sono colpiti tanto lui quanto i Capitani92. In genere, tutte le volte che lente collettivo assume obblighi o agisce in proprio nome, si trova nominato anche il Podestà quale suo preposto. Tuttavia, se pur quando era stato solo a quel posto non può dirsi che le sue azioni fossero assolutamente indipendenti, legato come era dagli Statuti e tenuto a seguire le prescrizioni impartitegli dal Consiglio, ancor meno è ammissibile che egli, a fianco dei Capitani, potesse avere un influenza determinante nello svolgimento degli affari dello Stato. Nella politica tanto abile quanto personale ch’essi facevano nel loro interesse, difficilmente avrebbero tollerato una persona, specialmente se straniera, compartecipe negli affari con poteri pari ai loro. Inoltre, in precedenza il Podestà era stato l’organo esecutivo delle deliberazioni del Consiglio, ora ciò non era più necessario, poiché i Capitani da soli potevano mettere in atto la loro volontà. La partecipazione del Podestà agli atti del governo aveva quindi una rilevanza appena formale93, dal momento che egli non avrebbe mai potuto osare di contraddire i Capitani. Questi avevano inoltre il mezzo per far cadere sempre la sua scelta sopra una persona ad essi gradita. Tuttavia non era affatto privo di scopo se la carica era stata rimessa in vigore. Il peso stragrande degli affari rendeva materialmente impos sibile ai Capitani di esercitare da soli tutto il potere e per l’amministrazione della giustizia si facevano rappresentare dai loro giudici. L’avvenuto conferimento del titolo di Podestà a uno di questi,^ Si mone Bonoaldi, dà adito ad interpretare come segue le ragioni dal ripri stino della carica94. Mentre il Podestà, solo in apparenza, acquista rispetto ai giudici dei Capitani una maggiore indipendenza verso i suoi supe riori, per contro il titolo gli dà maggiore autorità verso i sudditi, o 92 App. 2, nr. 6, I (1278); invece 1274 in Reg. de Grég. X, pp. 203, 205): si menzionano soltanto Capitani, Consiglio e Comune e questo non perchè la celleria papale non fosse informata dei mutamenti costituzionali di Genova, quando essi erano evidenti dai documenti inclusi. La lega con Pavia era stata conclusa quando non vi era ancora il Podestà a Genova. In seguito (Campi, II, p. 465), le espressioni sono messe in modo che il Podestà è pure colpito insieme agli altri. 93 Molto spesso egli non appare. Sembra che i Capitani e gli Anziani avessero ininterrottamente sbrigato da soli gli affari del territorio, come la conferma dei privilegi di Lerici (L.J., II, 39), gli acquisti (ibid., I, 1460; II, 77), mentre per i più importanti (ibid., I, 1436 e sgg.) partecipano Podestà e Consiglio. 94 La copertura degli uffici giudiziari con giuristi locali (cfr. Caro, Verf. Gen., p. 50) cessò nel 1257 (Belgrano, Il secondo registro, p. 435). In seguito è probabile che vi fossero solo ancora stranieri, quali consules pro placitis: Annali, 250 [IV, 68], etc. — 384 — L’esecuzione della pace passar del tempo i dubbi insorti sulla imparzialità dei cittadini portarono quindi, per rivalutare la carica, a coprirla con stranieri. I giudici del Podestà dipendono interamente da lui; egli è tenuto all’osservanza degli Statuti; le sue sentenze offrono maggiori garanzie dal punto di vista tecnico. Inoltre, se si poteva sospettare che i Capitani non dessero libero corso alla giustizia per motivi politici, questi possono essere stati i motivi pei quali il Popolo aveva domandato la nomina d’un Podestà. I Capitani non poterono rifiutarvisi per allontanare la diffidenza che la loro signoria destava. Sopra questioni ritenute d’una certa importanza essi potevano tuttavia avocare a sè soli le relative decisioni, lasciando al nominale correggente il peso del normale disbrigo degli affari95. Questi aveva bensì l’attribuzione di partecipare a tutta l’attività di amministrazione, tuttavia non poteva far uso di questa prerogativa se non quando i Capitani glielo permettevano. Così si spiega con molta semplicità in che consistesse l’apparente separazione fra l’esercizio del potere di giustizia e quello di amministrazione. Nel primo caso si dovevano risolvere questioni che richiedevano molto tempo senza alcuna rilevanza politica; un’attività quindi che poteva essere affidata al Podestà ed ai suoi giudici. La sentenza inoltre acquistava maggior valore d’imparzialità se pronunziata da stranieri. I reggenti tuttavia potevano sempre impedire provvedimenti poco graditi dal momento che, di fatto, il Podestà ed i suoi giudici non erano meno soggetti ad essi di quanto non lo fossero stati in precedenza i loro propri giudici; il cambiamento di forma di poco mutava la sostanza96. In ogni modo tutto ciò dovette recare un certo miglioramento nell’amministrazione della giustizia. L’annalista non sa vantare abbastanza la severità delle leggi contro i malfattori senza che si dovesse avere alcun 95 Come ciò fosse avvenuto, risulta in particolare dagli atti relativi alla risoluzione d’un incidente con Venezia. La competente decisione sul risarcimento del danno risulta presa dalla summa consilii (cit. in App. 2, nr. 32). Le spiegazioni agli inviati veneziani vennero date dal Podestà. Egli diresse il processo contro i colpevoli e fece interrogare dei testimoni: App. 2, nr. 35. Per suo ordine venne proclamato il bando contro di essi {App. 2, nr. 30): Hec sunt forestationes et banna facte et facta de mandato d. Symonis de Bonoaldo, Janue civitatis potestatis, voce preconia per civitatem, ut moris est. Il Podestà ricevette le quietanze dei pagamenti delle somme sborsate per risarcimento di danni e dichiarò di essere pronto per l’ulteriore prosecuzione del processo: App. 2, nr. 36-38. 96 II cambiamento di forma si mostra tanto più in particolare là dove esiste sufficiente materiale di confronto. L’emancipazione dei figli dalla patria potestà è un - 385 - Libro III - Cap. settimo riguardo alla persona; il che doveva avere destato ammirazione anche all’estero 91. La lode però non spetta solamente al Podestà che applicava imparzialmente la legge, ma principalmente al forte potere dello Stato, che stava dietro ad esso. I Capitani erano arrivati al potere colla forza e con essa si erano affermati; tuttavia non si può dire che colla forza abbiano governato. In tutti i loro atti tennero un contegno tanto moderato quanto poteva essere conciliabile col loro interesse. I loro avversari non li accusarono mai di crudeltà alcuna. La caratteristica principale di tutta la loro politica è la pace; all’interno tranquillità ed ordine; colle potenze estere cercarono d’intavolare e mantenere relazioni amichevoli. In tal modo tutelarono nel modo migliore l’interesse del Comune. I Guelfi si presentavano come disturbatori della quiete ed i loro sforzi come un ostacolo alla prosperità di Genova. Non si può negare che in tal guisa non sia stato provveduto nel miglior modo al bene della città. Non vi era in Italia un’altra autorità che con mano forte sapesse conservare la pace. Gli Stati territoriali cittadini, dilaniati all’interno e nemici fra loro, non trovavano un saldo aPP°ggio nel generale movimento prodotto dall’antagonismo fra papato e impero, Staufen e Angiò e poco più avanti anche la casa d Aragona. A Genova prevalse sempre l’idea di tenersi in disparte dalle lotte intestine delle città. Negli ultimi 16 anni questo risultato era mal riuscito e solo vi si era posto rimedio quando uno dei partiti aveva afferrato saldamente il potere. Dal proprio interno si ottenne quanto non poterono accordare papa e imperatore. Senza mettersi in contraddizione coi diritti dell impero e del tutto sciolto dai vincoli con esso, il territorio genovese potè godere un’esistenza affatto indipendente. Con sole forze proprie esso potè ottenere la quiete all’intemo e seguire al di fuori la politica che meglio conveniva ai suoi particolari interessi. I tempi della libertà cittadina, legata al carattere aristocratico della costituzione, erano completamente finiti. Ora troviamo instaurata una signoria; il Popolo trova nei nuovi signori sostegno e protezione e la nobiltà, in quanto non appartenga atto di volontaria giurisdizione e quindi senza alcun significato politico. Negli anni 1272 e 1273 la relativa convalida da parte dell’autorità superiore veniva data ora da uno dei due Capitani, ora da uno dei loro giudici: App. 3, nr. 28, cc. 6, 7 v., 10» 11, etc. Più tardi dal Podestà: App. 3, nr. 27, c. 48 v. (12 febbraio 1276); nr. 15, c. 140 (13 giugno 1279). 97 Annali, 291 [V, 10-12], I Capitani non intervenivano affatto nelle procedure giudiziarie, ma soltanto il Podestà. — 386 — L’esecuzione della pace al partito dei capi, è esclusa dal governo dello Stato. La forma costituzionale del capitanato non offriva di per se stessa alcuna garanzia di durata. Alla fin dei conti molto dipendeva dalle qualità di coloro che stavano alla testa dello Stato. Nè era del tutto necessario che i Capitani dovessero governare in modo pacifico e mite. Se ciò era avvenuto poteva essere in parte dipeso dal loro carattere, ma anche dalla considerazione che ciò potesse valere per meglio tutelare in tal guisa la sicurezza della loro signoria. Nel loro ponderato calcolo, si può pure trovare la spiegazione della sorprendente concordia che per tanto tempo regnò fra loro98. Checché potesse avvenire in seguito, per il momento la politica dei Capitani aveva raggiunto il desiderato effetto. Molti anni di pace erano dovuti allo zelo col quale avevano evitato qualunque attrito che avesse potuto condurre ad una guerra. Diamo soltanto uno sguardo alle relazioni di Genova colle potenze colle quali da tempo stava a contatto: troveremo una conferma di questa asserzione ed in pari tempo il filo che condusse alle lotte che ebbero per risultato finale la caduta del capitanato. 98 Non è chiaro come i Capitani si fossero diviso il governo fra loro. In atti di particolare importanza agivano sempre insieme. Oberto Spinola viene nominato prima di Oberto Doria. Praticamente nessun peso possiamo dare al fatto che i documenti dicano: Nos Obertus Aurie, capitaneus comunis et populi Jan., gerens vices nostras et d. Oberti Spinule, capitanei, consocii nostri (L.J., I, 1425), o, viceversa, {ibid., I, 1497). La cosa era dunque stata deliberata in precedenza, in comune con gli Anziani etc., il che è un fatto provabile. In App. 3, nr. 28, dietro alla c. 18 v.t è attaccato un foglietto, sul quale è scritto: 1272, die 16 Junii. Item placuit ancianis, in presentiti dominorum capitaneorum, quod dictus d. capitaneus Spinula possit et debeat ipse et heredes sui uti aqua conductus comunis Janue in domo sua apud Luculum, quam fieri facit, et de ipsa aqua possit duci facere per aliquem conductum ad ipsam domum sine contradictione alicuius persone et in perpetuum. Et inde fiat laus d. capitaneo in voluntate ipsius. Testes Bartholomeus de Fontemaroso, Marinus de Monterosato, notarii, inter primam e tertiam. Sotto segue il signum del Populus. Probabilmente si tratta di un estratto dagli atti del Consiglio degli Anziani (v. sopra, libro III, cap. I, n. 85), consegnato al notaio per la stesura del desiderato documento, che si trova nel suo cartolare, ancora esistente {ibid., c. 14), con la medesima data ed i medesimi testimoni. Vi è detto che il Capitano Doria, col consenso degli Anziani, ha deciso che egregius vir d. Obertus Spinula capitaneus, etc., debba usufruire del condotto d’acqua, etc. Il Capitano Spinola aveva la sede del suo ufficio nel palazzo di Alberto Fieschi (v. sopra, n. 73); il Capitano Doria nel palazzo dei Doria (App. 3, nr. 28, c. 7 v., 6 aprile 1272). Questo palazzo è lo stesso di quello degli eredi di Oberto Doria (ibid., c. 22 v.) nel quale, dal 1257 al 1270, aveva risieduto il Podestà (v. sopra, libro I, cap. I, n. 4; cap. VI, n. 52; cap. Vili, n. 18): Jal, Pacta Naulorum, 538 e sgg. (1° dicembre 1268), etc. Anche dopo il 1274, il Podestà vi amministrava la giustizia: App. 3, nr. 5 b, c. 274, etc. - 387 - Capitolo ottavo Gli anni di pace Relazioni di Genova con Venezia. - Relazioni col Paleologo. - Relazioni con Guglielmo di Monferrato e Pietro d’Aragona. Venezia non trasse partito dalla guerra di Genova con Carlo d’Angiò per definire l’antica contesa colla potenza marittima rivale. Alla neutralità della città della laguna contribuirono sia il timore d’uno sconfinato aumento di potenza dell’Angioino, sia altre contese nelle quali essa era impegnata. Il 1° agosto 1275 venne prolungato di due anni l’armistizio del 1270 '. Probabilmente ambe le parti avevano rinunziato alla garanzia della Francia per esso2 e, mediante giuramento della convenzione dinanzi al papa3, avevano procurato di ottenere più solide sicurtà per il mantenimento degli impegni assunti. Era appena concluso il trattato quando sorse un incidente che minacciò di turbare le buone relazioni fra le due città. Sulla costa settentrionale di Sicilia, due bastimenti genovesi, usciti in corsa, assalirono una tarida appartenente al veneziano Michele Tiepolo. Dopo un duro combattimento, la presero e la saccheggiarono, uccidendo parecchi uomini dell’equipaggio4. Venezia chiese immediatamente soddisfazione; Genova 1 Canal, 686. Quanto alla data, cfr. sopra, libro III, cap. VII, n. 12. Il luogo dove era stato concluso è Mantova (Minotto, Acta et dipi, e r. tabulario veneto, III, 1, p. 72); il 15 ottobre 1275 ebbe luogo la ratifica da parte del Doge di Venezia, il quale fece giurare l’armistizio mediante un sindaco nominato all’uopo, in presenza di un sindaco genovese: App. 2, nr. 34. 2 Questo è provato anche dalla circostanza che ora Genova voleva prestare la garanzia richiesta, a mezzo di Pavia; v. il doc, sopra, libro III, cap. VII, n. 12. 3 Questo non poteva accadere nel 1275, perchè allora Genova era sotto interdetto. Più tardi, un sindaco di Genova, in presenza del papa e dei cardinali, prestò per conto del Comune giuramento di osservanza deH’armistizio: App. 2, nr. 43. Il documento è assai mal conservato; la data deve essere 1277, 14 (?) aprile. Forse vi si riferisce Dandolo, 391. 4 Canal, 704 e sgg., confermato dai documenti. Qui vediamo quanto poco certe siano in generale le relazioni. Secondo Canal, 1. c., la tarida fu presa da due galere. A detta dei derubati (il fatto era avvenuto in die S. Laurentii nuper elapso) si trattava di una galera e d'un galeone: App. 2, nr. 31 a. In realtà erano una barca - 388 - Gli anni di pace vi si dichiarò pronta5. Per regolare la vertenza, il Doge mandò due inviati6 i quali dovevano pure sporgere altri reclami7 e che furono accompagnati dallo stesso Tiepolo. Risulta che a Genova fu iniziata un’inchiesta; che i colpevoli si difesero tenacemente e che fecero assumere testimoni8 per provare le loro asserzioni. Essi volevano dimostrare il contegno provocatorio dei Veneziani, dicendo che a bordo della tarida si trovavano merci appartenenti a sudditi del re Carlo col quale allora Genova era in guerra; che i Veneziani non avevano consentito di buon grado la visita della nave, respingendo l’intimazione con parole di scherno e che perciò con gioia si erano misurati ancora una volta cogli antichi avversari. Dicevano infine che dopo la sconfitta e la cattura delle merci contrabbandate, nulla era mancato di quanto era di loro proprietà. Tutto ciò non risultò conforme alla verità. Il governo genovese si dichiarò quindi pronto a dare soddisfazione, in armonia colle disposizioni dell’armistizio. Il Consiglio decise che il Podestà dovesse subito procedere contro i colpevoli ed i loro garanti9; che si dovessero confiscare le loro proprietà e consegnarne il ricavato a Michele fino alla copertura del danno patito. Se ciò non fosse bastato, i malfattori, ove fossero stati presi, sarebbero stati mandati a Piacenza o Ferrara, per essere consegnati a Venezia; questo valeva in particolare per Guglielmo Bonacorsa già prigioniero. I fuggitivi sarebbero stati banditi, senza possibilità di ritorno, finché non si fossero messi d accordo coi derubati per un pieno risarcimento dei danni. Le altre domande degli inviati non furono ritenute sufficientemente giustificate; era comunque sempre intenzione del Podestà, dei Capitani, del Comune e del Popolo di Genova di osservare l’armistizio in ogni sua parte. Tale fu il a 32 remi ed una sagitta amata de remis 80, indicata anche come panfilo: App. 2, nr. 30. I capitani erano Simone Conte da Rapallo, Guglielmo de Bonacorsa da Bonifacio, Ugo Falaca genovese e Benzeto da Portovenere: App. 2, nr. 31 a. 5 Canal, 706. 6 Ibid. ; cfr. Dandolo, 391. Marco Bembo e Giovanni Comarius avevano preso con sè il documento: App. 2, nr. 31. 7 App. 2, nr. 31 d-i. 8 App. 2, nr. 35. 9 App. 2, nr. 32. Quanto alle garanzie, v. sopra, p. 229 e libro III, cap. V, n. 52. - 389 - 25 Libro III - Cap. ottavo tenore dalle dichiarazioni rilasciate dal Podestà10. L’esecuzione non si fece attendere lungamente. Dopo breve tempo fu data una somma in pagamento n. Il legno e la barca adoperati dai corsari furono venduti all’incanto ed il ricavo, unitamente a quanto venne pagato dai garanti, fu versato ai danneggiati n. Frattanto continuò il processo contro i ladri e poiché questi non comparvero nel termine prefisso dinanzi al Podestà, furono colpiti dal bando, che poteva essere revocato solo nel caso che ciascheduno pagasse al Comune 500 lire e desse piena soddisfazione a Michele Tiepolo ed ai suoi marinai Venezia fu soddisfatta, nel vedere rigorosamente osservate, in questo caso, le condizioni dell’armistizio. Genova dimostrò la ferma volontà che la guerra non riscoppiasse a causa delle violenze di singoli cittadini. Poco tempo dopo cessò ima delle cause più importanti che avevano fatto ostacolo alla conclusione della pace. Venezia si riconciliò col Signore di Tiro, ed ebbe resa indietro per intero la terza parte della città a cui 10 App. 2, nr. 32. La data, 1275 (ind. 3, die Mercurii, 15 Jan.), per l’indizione, genovese, e per il giorno della settimana, deve essere corretta in 1276. Sembra essere una minuta, perchè vi è bensì la formula et de predictis d. potestas precepit fieri publicum instrumentum, ma con l’autenticazione notarile. 11 App. 2, nr. 36 a (19 gennaio 1276): i due inviati veneziani dichiarano in presenza del Podestà di aver ricevuto da lui (seu) per suo ordine 380 lire exactas de bonis dictorum malefactorum. Poi (nr. 36 b), il Podestà chiede a Michele Tiepolo di lasciare un procuratore per ricevere gli ulteriori pagamenti. 12 App. 2, nr. 37 a = nr. 38 a (7 febbraio 1276): il procuratore degli inviati veneziani e di Michele Tiepolo (nominato il 20 gennaio) dichiara di aver ricevuto 531 lire e 12 soldi exactas per ipsum potestatem a fideiussoribus, qui fideiusse-runt... tempore armamenti... et de pretio panfili sive sagitee... que in callega fuit, et de predo barce... que in callega vendita fuit. Il Podestà si offre di consegnare al procuratore Guglielmo de Bonacorsa e così pure i beni immobili dei debitori cum de bonis mobilibus nil ultra predicta inveniantur. Il procuratore risponde di non aver l’incarico di ricevere Guglielmo e che sul secondo punto avrebbe riflettuto. Il Podestà chiede una decisione entro tre giorni. Un nuovo sindaco veneziano, il notaio Bartolomeo de Boceta, nominato dal Doge il 10 marzo 1276, era intervenuto a Genova su questo argomento, ed il 22 aprile (App. 2, nr. 37 b) il Podestà gli rinnova la dichiarazione di essere pronto a soddisfare completamente i danneggiati con i beni immobili dei corsari di Portovenere e di Rapallo. Nel medesimo giorno (App. 2, nr. 38 b), il sindaco, in nome del Comune di Venezia, certifica il ricevimento delle 531 lire e 12 soldi, di cui al 7 febbraio. 13 App. 2, nr. 30, senza data. - 390 - Gli anni di pace aveva diritto 14. La particolare importanza dei Genovesi di Tiro, derivante dai privilegi loro concessi, andò così perduta. Essi difficilmente avrebbero tuttavia potuto sollevare proteste, tanto più che, quantunque ben dopo la cessazione delle ostilità, fu loro concesso di tornare in Acri15 senza però riottenere i possessi perduti nel 1258. I Genovesi però non avevano rinunziato alle loro pretese su di essi, che proprio allora furono richiamate alla memoria dei Veneziani16; con quale esito non sappiamo. Nell’anno 1278 venne pattuito, come sembra senza grande difficoltà, un ulteriore prolungamento dell’armistizio per due anni17. Nessun incidente venne a turbarlo fino al 1280 18. Ai Genovesi non era più stata imputabile alcuna causa di rottura ed è sorprendente la mantenuta armonia19, nonostante il verificarsi di due fatti. 14 Cont. Guill. Tyr., 478 = Marin Sanudo, Liber, 227. Il doc. del 1° luglio 1277, in Urkunden zur àlteren, III, p. 150. 15 V. sopra, libro III, cap. Ili, n. 2. Quando nel 1276 il re Ugo di Cipro, che pretendeva la dignità regia di Gerusalemme, aveva abbandonato Acri senza lasciare un Viceré, anche i Genovesi furono nominati fra quelli che lo avevano pregato di provvedere per il governo della città: Cont. Guill. Tyr., 474; Marin Sanudo, Liber, 226. 16 App. 2, nr. 44 a (17 agosto 1277): Ughetus de Raynaldo, console genovese in Acri, nomina Tartaro Usodimare sindaco per intimare al bajulo veneziano ut facidi restitui predicto comuni Janue quasdam domos spectantes ad comune predictum Janue, site in ruga cathene. Le case tenute allora dai Veneziani erano state aggiudicate dal re Ugo al comune di Genova. Actum Accon, ubi regitur curia Januensium. Il 18 agosto (ibid., nr. 44 b) ha luogo l’intimazione. La posizione delle case vi è meglio specificata ; si dice: domus que fuit Rolandi de Luca, que nunc est comunis Janue. Non è riferita la risposta data dal bajulo. Non e detto espressamente che nel 1258 le case fossero andate perdute per Genova, ma è molto probabile. Secondo il documento, sembra che la vertenza fosse stata portata dinanzi al re Ugo, che dapprima aveva aggiudicato le case ai Veneziani, ma che in seguito riconobbe il diritto di possesso del Comune di Genova. 17 Minotto, III, 1, p. 72, 1° agosto 1278, a Cremona; [non considerato da Manfroni, Relaz. di Genova con Venezia, p. 372 e sgg.]. Le disposizioni riguardanti il procedimento per risarcimento di danni sono quelle vecchie. Questa volta le garanzie devono essere prestate tramite Firenze, Lucca e Siena. Genova fa riserva della lega col Signore di Tiro, Venezia di quella con Pisa. Il giuramento per l’osservanza della convenzione doveva aver luogo dinanzi al papa. La relazione di Dandolo, 394, è inesatta. 18 Annali, 290 e sgg. [V, 9]. 19 Non possiamo allontanare il sospetto che l’annalista, ingannato da relazioni contradditorie in sue mani sul medesimo avvenimento, riferisca di due fatti simili. - 391 - Libro III - Cap. ottavo Venezia, allora in guerra con Ancona, teneva in mare piccole squadre, sia per proteggere i propri bastimenti mercantili, sia per prendere le galere nemiche. Una di quelle incontrò delle galere genovesi, con ricco carico, dirette in Romania. Dalla relazione degli Annali riesce affatto incomprensibile perchè la squadra veneziana avesse voluto attaccare le galere genovesi; si può pensare che i Veneziani avessero domandato di visitare le navi genovesi per accertarsi se avessero a bordo merci di Anconitani. Nella zuffa che ne seguì, gli assalitori soccombettero completamente. Due delle loro galere furono prese e la terza fuggì. La maggior parte dell’equipaggio perì, i superstiti furono lasciati in libertà. Quasi allo stesso modo era andato un secondo scontro20. Ma ancora nel medesimo anno fu prolungato di nuovo l’armistizio21, che venne sottoposto alla ratifica del papa dopo essere stato stipulato 22. E’ difficile spiegare perchè le due città marittime non abbiano potuto mettersi d’accordo per una pace durevole. Siccome nessuna delle due parti era intenzionata di riaccendere la guerra, il rinnovamento dell’armistizio non aveva ora altro che un significato formale 23. In ogni caso Genova teneva fermo tenacemente sulle domande rimaste in sospeso, quantunque avesse sopportato pazientemente per lungo tempo le perdite sofferte. Sempre più si rendeva manifesto che i vantaggi della posizione acquistata nell’impero greco erano di gran lunga maggiori delle perdite subite in Siria. Non era più il solo commercio di Costantinopoli a dare tanto valore allo stanziamento dei Genovesi a Pera. Questo era un punto d’appoggio per i viaggi in Mar Nero che presto fu coperto dalle loro navi. Fu allora che essi incominciarono a stabilirsi nelle città della costa 2\ 20 Annali, 291 [V, 10]. I comandanti delle galere veneziane dovevano essere stati portati allora a Messina e consegnati al locale bajulo veneziano. 21 Doc. del 25 giugno 1280, citato nella successiva proroga: App. 2, nr. 57. 22 App. 2, nr. 47 (5 agosto 1280): il Doge nomina un sindaco per sciogliere Genova dall’impegno preso di far giurare l’armistizio dinanzi al papa; anche Venezia ne rimane svincolata. La ratifica deve aver luogo in consilio Janue generali. Il motivo ad ogni modo sta nel fatto che a quell’epoca Genova era sotto interdetto. 23 Appunto per questo non è menzionato negli Annali, pur tanto dettagliati. 24 Non si può stabilire con sicurezza quando sia stata fondata la colonia genovese di Caffa: cfr. i particolari in Heyd, II, p. 156 e sgg. Il passo di Niceph. Greg., II, 683 e sgg., si riferisce evidentemente al secondo stabilimento a Caffa, avvenuto nel 1316 (Jac. de Var., Continuatio, 502), dopo che nel 1309 i Genovesi ne erano — 392 - Gli anni di pace mentre la Signoria dei Mongoli aperse loro l’interno dell’Asia. Attraverso vie sicure, le carovane trasportavano i prodotti dell’Oriente sulle rive del Ponto. Trebisonda e Caffa acquistarono la stessa importanza di La-jazzo e Alessandria. Acri rimaneva sempre più indietro. Mentre nell’Asia Minore e in Egitto i Genovesi potevano concorrere coi Veneziani a parità di condizioni, essi avevano una decisa preminenza su questi ultimi in Romania a causa della loro amicizia coi Greci. Il Paleologo non aveva ottenuto dai Veneziani nulla più che un silenzio d’armi, quantunque colla unione delle Chiese fosse scomparso qualunque disegno a contendergli nuovamente il possesso di Costantinopoli25. I rapporti fra l’imperatore e Genova non rimasero però durevolmente tranquilli. Proprio per il favore da lui dimostrato ad un cittadino della città marittima ligure sorse un incidente che poteva trar seco gravi conseguenze. Emanuele Zaccaria aveva ricevuto in feudo dall’imperatore Focea, sulla costa dell’Asia Minore26. L’estrazione dell’allume dalle cave esistenti rendeva a questo possedimento larghi guadagni, e per incrementarli mag- stati allontanati (ibid., 500). Però Niceph. Greg. descrive in modo appropriato, quantunque un po’ generico, come essi avessero proceduto alla fondazione dell insediamento commerciale Certo è che anche nel XIII secolo essi avevano concluso delle convenzioni con signori delle città del Mar Nero, in virtù delle quali erano stati loro concessi quartieri e una giurisdizione particolare. Tali convenzioni non ci sono state conservate e quindi può rimanere discutibile fino a qual punto si estendessero le concessioni delle autorità locali. Nel 1289 — Annali, 324 [V, 95] - abbiamo la prova dun primo consul Januensium a Caffa, espressione che dimostra come i Genovesi non possedessero Caffa stessa, ma soltanto vi avessero un consolato. A loro non spettava la signoria sulla città, ma, al massimo, su un quartiere con giurisdizione propria, come forse a Tiro. Questa supposizione spiega assai semplicemente la mancanza di un documento o di notizie qualsiasi sulla perdita di Caffa. La cittadinanza del luogo -Annali, 324 [V, 95], burgenses; Jac. de Var., Continuatio, 500: 300 Greci con i 300 Januenses - sembra fosse costituita da Greci, coi quali i Genovesi dovevano aver concluso amichevoli convenzioni. Non è chiaro come fossero regolate le relazioni giuridiche nei paesi soggetti ai Tartari. La ricostruzione di Caffa venne espressa-mente concessa dal suo sovrano, Usbech (ibid., 502). In ogni modo 1 attivo commercio marittimo dei Genovesi sul Mar Nero è dimostrato dagli Annali, 285 [IV, 180]. » Urkunden zur àlteren, III, p. 133 e sgg. (19 marzo 1277): per due anni e più. 26 Pachym., I, 420; Marin Sanudo in Hopf, Chron. Gréc. Rom., p. 146; cfr. Id., Gesch. Griech., p. 309 e sgg. - 393 - Libro III - Cap. ottavo giormente il Paleologo emanò un decreto che vietava l’esportazione del- 1 allume dai paesi posti sul Mar Nero27. Questa disposizione era in evidente contraddizione colle concessioni della convenzione del 1261 28. Una nave genovese passò il Bosforo e, senza rendere i consueti onori al palazzo di Blachernia, caricò allume contrariamente al divieto imperiale, tentando poi, con vento favorevole, il ritorno. L’imperatore non volle tollerare una tale mancanza di rispetto ai suoi ordini e fece assalire la nave. Dopo una lunga resistenza, si riuscì a prenderla e l’equipaggio fu punito colle crudeltà abituali presso i Greci. I Genovesi di Pera avevano consigliato i loro compatrioti di desistere da quel proposito e quindi si comprende quanto ne fosse increscioso l’esito. Uno di essi venne alle prese con un Greco e l’uccise. Il Paleologo colse il destro per far sentire ai Latini il peso della sua mano. Fece accerchiare il loro quartiere dalle sue truppe e solo mediante pagamento di grosse multe essi poterono riacquistare il favore del sovrano29. Sembra che il Comune rimanesse disgustato per questo atto ostile e avesse proibito ai suoi concittadini di recarsi a Costantinopoli. Non era tuttavia intenzione dell’imperatore di venire ad una completa rottura e così, in un tempo abbastanza breve furono ristabiliti i buoni rapporti30, 27 Pachym., 1. c. 28 L.J., I, 1353: Januensibus devetum non faciet eundi intra maius mare et redeundi cum mercibus vel sine mercibus. 29 Pachym., I, 419 e sgg. = Niceph. Greg., I, 133 e sgg., racconta gli avvenimenti invertendoli. L’editore, in armonia con l’ordine successivo dei fatti, li pone nel 1275. 30 La lettera senza data del Paleologo a Genova (Belgrano, Cinque docc., p. 236) deve essere stata scritta dopo il 2 febbraio 1274, poiché nell’indirizzo è nominato il Podestà. Vi è fatta menzione di una serie di trattative. L’imperatore ha mandato ambasciatori a Genova con una lettera e in compagnia di un inviato genovese che si era prima recato presso di lui. La risposta data da Genova non doveva essere troppo contraria all’imperatore. L’accaduto sembra risultare da quanto segue. In primavera l’imperatore desiderava mandare un altro inviato, ma non aveva trovato alcuna nave per la traversata, perchè il Comune aveva dichiarato il blocco contro l’impero greco (devetum circa nostrum imperium fecistis... condempnando alios qui se ad nostrum imperium contulerunt). La lettera ha lo scopo di far togliere il blocco. L’imperatore offre di mantenere inviolabile la convenzione e prega che a tal fine gli si mandino ambasciatori. Egli ammette che possa esservi stato un motivo per la dichiarazione del blocco, ma non lo ritiene giustificato (ex minima causa). Molto probabilmente questo motivo non è altro che l’accaduto in Costantinopoli che conosciamo da fonti bizantine. Non — 394 - Gli anni di pace al cui mantenimento l’imperatore annetteva grande importanza. Sia Venezia sia Carlo non avevano definitivamente rinunziato al progetto di ritorno dell’imperatore latino. Per il momento il papa aveva delle riserve riguardo ad eventuali piani d’attacco; ma intanto si vedeva ben chiaramente che la sottomissione della Chiesa greca a Roma, ottenuta nel Concilio di Lione, non era attuabile. Niccolò III, seguendo l’idea di Gregorio X, si era adoperato con calore per mandare avanti la grande opera, Martino IV vi rinunziò. Era nell’indole della sua politica, che considerava gl’interessi del papato identici con quelli degli Angiò, Tessersi mostrato decisamente ostile al Greco. Il 3 luglio 1281, l’ex imperatore Filippo ed il re di Sicilia conclusero una lega con Venezia, allo scopo di portare nell’anno seguente un comune e decisivo attacco alla Romania31. Per favorirlo, il papa fece quanto stava in suo potere, scomunicando Michele Paleologo ed i suoi aderenti. In tale frangente Genova rimase fedele al suo antico alleato. Mediante una ambasciata, Carlo fece chiedere al Comune di partecipare alla imminente guerra di conquista. Genova rifiutò recisamente, affrettandosi invece ad è altrettanto certo in quale rapporto ciò stia con la ritardata ratifica delle convenzioni stipulate nel 1272; v. sopra, libro III, cap. Ili, n. 4; Sauli, II, p. 204 e sgg., 25 ottobre 1275. Non si può scartare l’ipotesi che ciò sia da mettere in relazione con la risposta alla lettera dell’imperatore. Nel medesimo giorno, secondo Canale, III, p. 200, vennero conferiti ad un inviato i poteri per trattare con il Paleologo. Forse questo inviato ristabilì le buone relazioni al principio del 1276. Di un podestà dei Genovesi in imperio Romanie abbiamo la prova in Belgrano, Prima serie di docc. di Pera, p. 101, e, ciò che più conta, il 29 gennaio 1276, il Comune conclude un trattato con Manuele Zaccaria, in virtù del quale quest ultimo s impegna ad andare a prendere grano dalla Romania con due navi: App. 3, nr. 27, c. 58, quanto alla carestia cfr. Annali, 283 [IV, 175]. Nel 1277 i Genovesi si trovano indisturbati a Pera: Annali, 285 [IV, 180]; nel 1278 il Paleologo doveva aver nlasciato qualche documento per Genova. In App. 5, nr. 23, IV, 7, p. 58, troviamo la notizia: Ex quo nobilis vir d. Guillielmus de Savignono, sollempnis nuncius et amba-xalor transmissus ad imperium nostrum ab illustribus viris potestate, capitaneis, an-cianis populi, consilio et Comune civ. Jan.... Actum in sacro palatio Blakernarum (anno 6786 dell’era bizantina) a. d. nat. 1278, ind. 5, mense Madii. Ad ogni modo vi fu un attivo movimento di ambascerie; nel 1280 un altro inviato genovese è sulla via di Costantinopoli: Annali, 290 [V, 9], La ragione poteva anche consistere nelle continue piraterie neU’Arcipelago, da cui erano stati colpiti anche dei Genovesi, come d’altra parte invece vi partecipavano: Urkunden zur àlteren, III, pp. 168, 225 e sgg., 261 e sgg.; cfr. Heyd, I, p. 442 e sgg. 31 Urkunden zur àlteren, III, p. 287 e sgg. - 395 - Libro III - Cap. ottavo avvertire l’imperatore della guerra che lo minacciava; egli tenne alto conto di questa prova d’amicizia32. Non è certo se i Capitani di Genova abbiano mandato galere per la difesa di Costantinopoli, per la quale essi diedero a conoscere manifestamente la loro simpatia. Un motivo affatto contrario mosse invece naturalmente Venezia ad accettare l’invito di Carlo, a cui possiamo supporre contribuissero anche altre cause. Si preparava un avvenimento che doveva decidere per lungo tempo sulle sorti dell’Oc-cidente. La casa d’Aragona si era distinta in ogni tempo per lo spirito bellicoso. Pietro III si mostrava degno successore di Giacomo I, il conquistatore. Nobile cavalleria e perfida astuzia si mescolavano nel suo carattere in maniera veramente spagnola. I regni della penisola iberica avevano avuto un’ esistenza isolata, senza partecipare, se non in minima parte, alle lotte che agitavano il resto dell’Europa. Ciò non corrispondeva affatto alla loro importanza. Organizzati in forma strettamente monarchica, essi potevano esercitare una notevole influenza sui destini dell’Occidente. Alfonso X di Castiglia tentò di far valere la sua potenza, senza però ottenere reali effetti. I suoi sforzi per ottenere la corona imperiale furono vani tentativi. Principi tedeschi e capipartito italiani accettarono bensì i suoi doni, ma ben poco si curarono del generoso donatore; eppure l’idea fondamentale della sua politica non era infondata. La caduta degli Staufen aveva lasciato un vuoto che non era stato colmato dal successore al trono tedesco, Rodolfo di Asburgo. L’idea ghibellina mancava d’un vero rappresentante, quantunque fosse ancora abbastanza forte; i suoi aderenti in Lombardia come in Toscana tenevano testa ai Guelfi. Rodolfo non era lontano dall’idea di porsi a capo del partito regio contro il papato. Egli si era adoperato incessantemente per ottenere la corona imperiale, il che era necessario perchè, diventando il suo sovrano il primo della cristianità, fosse salvo l’onore della Germania. Egli si dimostrava tuttavia freddo di fronte alle aspirazioni dei partiti in Italia, strettamente legati ad interessi locali. Non entrò nella questione di fondo sul diritto d’indipendenza del potere temporale, solo standogli a cuore lo stabilimento della potenza della sua casa. I rimproveri di Dante33 non sono spropositati: egli adattava la sua politica alle reali condizioni delle cose, e soltanto su reali fattori si basava anche Pietro d’Aragona. 32 Annali, 293 [V, 16]; cfr. Pachym., I, 366. 33 Purg., VII, 94 e sgg. - 396 — Gu anni di pace Come marito della figlia di Manfredi, Costanza, egli avrebbe potuto sollevare pretese sulla eredità di quello. Se avesse voluto sostenerle, sarebbe caduto in aperta opposizione colla Chiesa romana, a cui apparteneva il feudo del regno di Sicilia, di cui era allora investito Carlo d’Angiò. Su questo Pietro non poteva avere alcun dubbio e ancor meno sui pericoli della lotta, nella quale gli Staufen erano rimasti soccombenti. Il suo spirito ardito si sentiva pari alla situazione. Di nascosto e cautamente egli preparò la grande impresa, annodando relazioni con tutti gli avversari di Carlo e persino col lontano Paleologo34. Quello che intanto gli interessava più da vicino era di procurarsi aderenti in Italia. Il marchese Guglielmo di Monferrato, nel maggio del 1280, si era messo in viaggio per la Spagna per chiedere ancora aiuto, perchè gli attacchi dei della Torre, che volevano ritornare colla forza a Milano, avevano portato la massima confusione fra i Ghibellini. L’arresto di Guglielmo, per opera del conte Tomaso di Savoia, interruppe per poco tempo il suo viaggio35. Da Pietro ottenne quello che più gli occorreva, cioè la promessa d’una spedizione di truppe36. Alfonso di Castiglia diede denaro 37. Quanto a Carlo, le guerre in Lombardia non potevano più avere importanza diretta, avendovi perduto i suoi possessi. Perciò anche il contegno di Genova non implicava una rottura della pace del 1276. Il marchese perciò si rivolse ad essa per chiederle il permesso di approdare nel porto della città colle sue truppe; per sè personalmente domandava due galere per la traversata38. Il desiderio dell’antico alleato venne volentieri appagato e si mandò un’ambasciata a Barcellona su due 34 Cfr. Amari, La guerra del vespro, I, p. 161 e sgg.; alle fonti appartengono pure Gest. des Chip., 213, dove è fatta anche menzione che il genovese Benedetto Zaccaria era venuto da Pietro quale inviato dell’imperatore greco; cfr. i docc. in Amari, La guerra del vespro, III, p. 326. [Il 29 gennaio 1279 vi furono degli inviati a Pietro a Montpellier: Ferretto, Cod. dipi, II, p. 271, n. 11. 35 Ann. Plac., 572. 36 Carini, Gli archivi e le bibl. di Spagna, II, 42 (28 ottobre): concessione di trasportare 250 cavalieri entro il prossimo aprile e in pari tempo le lettere alle città della lega ghibellina (ibid., p. 41 e sgg.), non però a Genova. 37 Cron. del rey Alfonso decimo, cap. 75: a Burgos, da dove anche la lettera del marchese a Genova, datata 1° mareo 1281: Annali, 293 [V, 16], 38 Annali, 292 e sgg. [V, 141. Le due galere sono destinate soltanto per il marchese, le truppe viaggeranno sopra navi a vela (naves), che non occorre siano genovesi. - 397 - Libro III - Cap. ottavo galere, come dicono gli Armali, in suo onore39. Il 16 luglio 1281 egli arrivò a Genova40 felicemente, ricevuto coi massimi onori. Le spese di soggiorno gli furono rimborsate senza però che Genova prendesse parte alla guerra ch’egli poi intraprese41. I Capitani non erano mai entrati troppo profondamente in complicazioni che avessero un interesse lontano per il Comune. Però, dall’incoraggiamento dato al marchese di Monferrato, Pietro doveva arguire che essi non gli erano avversi. I Capitani, come il marchese, appartenevano alla pars imperii e per Pietro era una conseguenza naturale dell’impresa progettata, quella di cercare appoggio nel partito regio, anche senza aspirare alla corona imperiale. Egli lo trovò nel marchese Guglielmo. Strinse pure relazioni coi capi ghibellini dell’Italia centrale42. Non è certo, ma però probabile, ch’egli abbia trattato direttamente coi Capitani di Genova43, il che, dato lo stato delle cose, veniva da sè. Carlo era capo dei Guelfi, a Pietro non rimaneva altro che mettersi alla testa dei Ghibellini. Quando quegli si era armato all’attacco contro Manfredi, Genova si era tenuta del tutto neutrale e gli oppositori all’interno della città non erano riusciti a trovare un accordo per una politica diversa. Nel 1281, i capi del Comune erano lontani dall’idea di prendere parte alla guerra che appariva imminente, non volendo mettersi in inimicizia col sovrano di Sicilia; si rifiutarono tuttavia di aiutarlo contro i Greci, dopo che poco prima avevano messo galere a disposizione dell’alleato di Pietro per il suo viaggio in Italia. Il motivo principale di quel rifiuto fu l’antagonismo con Venezia mentre è difficile supporre che a Genova non si avesse avuto sentore dei progetti del re di Aragona. 39 P. 292 [V, 141. Il 19 gennaio 1281 (L.J., II, 40) Alfonso, a richiesta d’un inviato del Comune, conferma i privilegi che aveva concesso a Genova. 40 Ann. Plac., 513. Sul numero delle truppe cfr. Ann. Pam. maior., 690. 41 Annali, 292 [V, 13 e sgg.]; Ann. Plac., 1. c. 42 Carini, II, p. 45; Amari, La guerra del vespro, III, p. 295. 43 30 luglio 1279. Egli rilasciava anche una lettera per i suoi inviati presso il papa, con la quale pregava il Comune di far loro buona accoglienza al loro passaggio: Carini, II, p. 40. — 398 - Indice del primo volume Pag- Prefazione all’edizione italiana V Nota del traduttore 1 Prefazione dell’autore 3 Introduzione 9 LIBRO PRIMO Il Capitano del Popolo Guglielmo Boccanegra 15 I L’elezione del Capitano 17 II La guerra con Pisa in Sardegna 25 III La guerra con Venezia 36 IV II trattato con Manfredi e il compromesso nel papa 50 V L’esecuzione del compromesso 70 VI L’attività di governo del Boccanegra all’interno 80 VII II trattato con Michele Paleologo 100 VIII La caduta del Boccanegra e il ristabilimento dell’antica costituzione 114 LIBRO SECONDO Il tempo del restaurato governo aristocratico 123 I La guerra in Romania 125 II II trattato con Carlo d’Angiò e tentativo di Simone Grillo 143 III Continuazione della guerra con Venezia, 1264 158 IV Torbidi a Genova nel 1265 e Carlo d’Angiò 170 V La guerra con Venezia, 1265-1266 179 VI La guerra ed i negoziati nel 1267 190 VII Genova e Corradino di Svevia 205 VIII La lega con Carlo d’Angiò, 1269 214 IX L’armistizio con Venezia e la crociata di Luigi IX 228 LIBRO TERZO P*& Il doppio capitanato e la guerra con Carlo d’Angiò 239 1 L’insediamento dei Capitani 241 II I primi anni di governo dei Capitani 273 III Le trattative con Venezia e Carlo d’Angiò 291 IV La guerra con Carlo d’Angiò del 1273 318 V La partecipazione di Genova alla Lega ghibellina 337 VI La pace con Carlo d’Angiò, 1276 354 VII L’esecuzione della pace 367 Vili Gli anni di pace 388 Direttore responsabile: DINO PUNCUH, Segretario della Società Autorizzazione del Tribunale di Genova N. 610 in data 19 Luglio 1963 Tipografia Ferrari-Occella ■ Alessandria ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Nuova Serie - Vol. XIV (LXXXVII1) - Appendice ROBERTO LUCIFREDI RICORDO DI franco BORLANDI GENOVA - MCMLXXIV NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VIA ALBARO, 11 ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Nuova Serie - Vol. XIV (LXXXV1II) - Appendice ROBERTO LUCIFREDI RICORDO DI FRANCO BORLANDI GENOVA - MCMLXXIV NELLA SEDE DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VIA ALBARO, 11 * Testo della rievocazione tenuta l’8 giugno 1974 nel Salone della Camera di Commercio, Industria e Agricoltura di Genova. Signori, Siamo qui riuniti per la commemorazione del Prof. Franco Borlandi, che fu per dodici anni Presidente della Società Ligure di Storia Patria, scomparso il 29 mano 1974. Sarebbe rettorico dire che in questo salone, dove tante volte il Prof. Borlandi ha presieduto e diretto assemblee della nostra Società, il Suo spirito è presente; molto meno rettorico affermare che è presente qui in mezzo a noi il Suo insegnamento: che cariche ed onori devono essere intesi in funzione del servizio, non certo del potere. Sappiamo che Egli avrebbe certamente preferito che questa commemorazione si tenesse nella sede della Società di Storia Patria, che Egli con entusiasmo aveva contribuito a realizzare attraverso la Sua consumata esperienza, ricca dì grandi e rare signorilità ed umanità. La sistemazione della sede sociale in un antico palazzo genovese collimava perfettamente con la tradizione della Società, che il Prof. Borlandi ha sempre gelosamente difeso e custodito. Pur essendo rappresentante del mondo accademico ufficiale, lungamente impegnato in gravosi incarichi a livello nazionale ed internazionale, Egli, con raro senso di equilibrio, ha sempre saputo armonizzare all’interno della Società, in un felice incontro, la cultura accademica ed il mondo cittadino rappresentato dai Soci. Era un grande e profondo studioso di storia economica, certamente uno dei più noti e preparati a livello internazionale; ma sapeva anche aprire gli occhi su tutti i problemi della nostra cultura e della nostra civiltà: dalla letteratura alla storia dell’arte che amava profondamente, non disdegnando le testimonianze più umili e più lontane, come quelle dei cocci e delle monete. A tale proposito mi è caro ricordare qui con quanto interesse partecipò al I Convegno del Centro Ligure per la Storia della ceramica tenutosi ad Albisola nel 1968 e con quanta gioia in un qualificato intervento ricordò le sponde pavesi del suo Ticino ove, bambino ancora, raccoglieva frammenti di vecchia ceramica che custodiva gelosamente a casa. L’interesse per la numismatica ligure lo entusiasmò al punto da accogliere tra i Soci della Storia Patria un gruppo di cultori del Circolo Numismatico « Corrado Astengo », non stancandosi mai di stimolare nei collezionisti lo studio inteso a stabilire un rapporto tra le emissioni monetali delle zecche liguri ed il loro potere d’acquisto nella economia dei mercati e delle contrattazioni. Per tutti questi motivi Borlandi non era soltanto il nostro Presidente, ma apparteneva alla tradizione della città. Per questo la commemorazione si svolge nel cuore della città anziché nella nostra sede di Albaro; per questo essa viene teunta dall’On. Prof. Roberto Lucifredi, che, oltre ad essere legato al Prof. Borlandi da una lunga e cordiale amicizia, rappresenta sia il mondo accademico e culturale, sia l’ambente pubblico della città. All’On. Lucifredi la gratitudine della Società e mia personale per aver accettato di ricordarci la figura del Maestro e dell’Amico. Giovanni Pesce Ardua cosa è sempre tenere un discorso commemorativo di uno studioso dalla figura poliedrica e dagli interessi vastissimi, quali ebbe rranco Borlandi. Tanto più ardua è l’impresa, quando chi parla, nella sua attività di studio, ha battuto, come me, strade tanto diverse da quelle della persona che oggi onoriamo. Sarei il meno adatto, da questo punto di vista, a rievocare Franco Borlandi in questa sala, in cui siedono persone ben più di me versate in quelle discipline storiche, di cui Egli fu Maestro. Il solo titolo valido per ardire di parlare oggi di lui mi deriva dalla fraterna amicizia che ci unì per sette lustri: un’amicizia sincera, fondata sull affetto e sulla stima reciproca, che mai una nube, neppure passeggera, ebbe ad offuscare. Per questa ragione, solo per questa ragione, ho accettato senza esitazione il cortese invito che gli amici della Società Ligure di Storia patria, anche a nome delle figliuole del compianto amico, mi hanno rivolto, e di cui vivamente li ringrazio. Mi vorrete perdonare, Vi prego, se la mia evocazione sarà in più parti monca, insufficiente, incompleta. Altri, in altra sede, potrà fare certamente meglio di me; difficilmente potrà però farlo con affetto superiore a quello che ho nutrito per lui. La mia amicizia con Franco Borlandi nacque nell’anno stesso dell’inizio dell’ultima guerra, nel 1940: nacque a Pammatone, nell’antica sede di quell’istituto Superiore di scienze economiche e commerciali, tanto caro e apprezzato dai vecchi genovesi, ancor prima della sua trasformazione in Facoltà di economia e commercio delPUniversità. Io vi giunsi nelPautunno di quell’anno, reduce dal fronte occidentale, dopo cinque anni di insegnamento alla Facoltà di giurisprudenza di Perugia; egli già vi era in veste di incaricato, e proprio in quei giorni conquistò per concorso la sua cattedra di storia economica. A questa cattedra Franco Borlandi arrivò dopo un severo decennio di intensa preparazione. Nato a Pavia l’il aprile 1908, dopo aver compiuto tutti i suoi studi in quella città, vi si era laureato in scienze politiche nel 1930 con il massimo dei voti e la lode; ma già in precedenza in veste di studente aveva rivelato, spinto da Gioacchino Volpe, le sue attitudini agli studi storici con la pubblicazione di alcuni saggi che gli meritarono, tra l’altro, il premio Vaccari per il miglior allievo della Fa- colta. Del 1927, ad esempio, è il lavoro su Esclusivismi e tendenze di storiografia d’oltremonte e del 1928 sono le note su La riforma luterana nell’U niversità di Pavia, le cui conclusioni saranno confermate dieci anni più tardi dalle più ampie ricerche di Federico Chabod sulla storia religiosa dello stato di Milano durante il dominio di Carlo V. Nel 1930, anno della laurea, l’esame critico della più recente fatica di Corrado Barbagallo {Le origini della grande industria in Italia, del 1929-1390) accostò Borlandi, con un articolo pubblicato negli « Annali di scienze politiche », alla storia economica, una disciplina ancora giovane, che per la sua natura positivistica non poteva mancare di suscitare l’entusiasmo di un giovane storico, formatosi alla scuola concreta e antiformalistica di Ettore Rota. Il problema che allora appassionava maggiormente i ricercatori di storia italiana era quello delle origini del Risorgimento, nel quale gli ultimi studi avevano rilevato concordemente il ruolo delle forze economiche, senza peraltro esaminare quali rapporti vi fossero effettivamente tra l’evoluzione economica della penisola e la aspirazione verso l’unità politica. Impegnatosi animosamente nel dibattito, Borlandi concentrò l’attenzione sul sistema delle comunicazioni, dimostrando che il loro miglioramento, riducendo il costo economico dei trasporti, facilitando il movimento di merci, di persone, di idee, livellando i prezzi e ampliando i mercati, esercitò un influsso notevole nella preparazione dell’indipendenza e dell’unità nazionale. La sua tesi centrale, alimentata da vaste letture e da minuziose ricerche d archivio, venne pubblicata nel 1932 {Il problema delle comunicazioni nel sec. XVIII nei suoi rapporti col Risorgimento), sollevando tra gli storici più eminenti un coro di consensi e guadagnandogli la libera docenza in storia economica, ottenuta nel 1933, ad appena tre anni dalla laurea. Negli anni seguenti Borlandi allargò il campo dei propri interessi alla vita medioevale ed alla sua ricostruzione contribuì con alcuni lavori di mole minore, ma sempre documentati solidamente e concepiti con respiro europeo: ricordo in particolare Ragguagli ed usi commerciali del Quattrocento, dello stesso 1933, Costi e profitti di mercanti del Medio Evo e Indagine per la storia del commercio tedesco, del 1935, ed uno studio per la storia del commercio e del diritto commerciale italiano, del 1936. Fu ugualmente di rilievo l’edizione di una pratica quattrocentesca di mercatura {El libro di mercatantie et usanze de' paesi, 1936) che, con la contemporanea pubblicazione dell’analogo Libro di divisamenti di Francesco Balducci Pegolotti ad opera dell’americano Allan Evans (1936), ri- propose alla storiografia l’utilità di valorizzare un tipo di fonte documentaria sino allora pressocchè trascurato. Nello stesso anno 1933, in cui ebbe la docenza, Franco Borlandi conquistò pure la cattedra liceale di storia, filosofia ed economia politica, che tenne fino alla sua assunzione alla cattedra universitaria, destinato al Liceo di Mantova. Ma il suo nome si era già fatto conoscere, e se ne ebbero le prove concrete: nel 1934 riuscì primo ternato nel concorso a membro della Scuola di storia moderna e contemporanea annessa al relativo Istituto storico, di cui Volpe era Presidente e Chabod segretario, e fu comandato presso tale Scuola a ricerche relative all’industria lombarda della seconda metà del Settecento. Nell’Università di Pavia assistente volontario già nel 1931, sotto la direzione dei suoi maestri Arrigo Solmi, Ettore Rota, Pietro Vaccari e Camillo Supino, passò poi a Roma, ove nel 1935 gli fu affidato l’incarico di Storia economica presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università al fianco di Gioacchino Volpe, che ebbe più volte occasione di sostituire nell’insegnamento; successivamente per conto della Scuola soggiornò a lungo a Parigi e a Vienna, e, al ritorno, passò ad insegnare per incarico la storia economica nella nostra Università di Genova. In questa nostra Università lo incardinò definitivamente la brillantissima vittoria concorsuale del 1940: l’Università di Genova doveva diventare la sua Università, cui rimase fedele e attaccatissimo per tutta la vita. Lascio a questo punto la figura di Borlandi storico, che riprenderò tra poco, e, dovendo parlare di lui come uomo, permettetemi di ritornare alla nascita della mia amicizia con lui, che risale appunto al 1940. Tren-taquattro anni fa! Ci conoscemmo per il tramite di quell’indimenticabile, signorile figura di scienziato e di Maestro che fu Mauro Fasiani, autorevolissimo preside della Facoltà e affettuoso fratello maggiore di noi giovani. Nonostante la lontananza dei rispettivi settori di studio, simpatizzammo subito e non tardammo a scoprirci una intima comunione di sentimenti, che ci rese ancora più vicini. Entrambi avevamo creduto in un’ideologia che esaltava i valori millenari della nostra civiltà e sublimava l’idea della Patria, che avevamo nel cuore; entrambi ci stavamo rendendo conto di una triste realtà, che si celava sct'o quella esaltazione, e dava alla vita concreta del nostro paese un’impronta ben diversa, agli antipodi rispetto ai nostri sogni e alle nostre speranze... Mi sia consentito ricordare qui un modesto episodio di allora, che è però indice significativo. Eravamo in guerra, e logicamente non era per- messo l’ascolto delle radio nemiche; altrettanto logicamente, il divieto da molti era violato. Nei corridoi di Pammatone, un giovane studente di Camogli stava narrando ad alcuni compagni di aver sentito Radio Londra e d’aver appreso delPafEondamento di alcune nostre unità navali; passava in quel memento nel corridoio un capo manipolo della Milizia, aggiunto nell’insegnamento della Cultura militare; sentì, afferrò per il bavero lo studente, lo sbattè contro il muro, lo coperse di contumelie, lo denunciò. La cosa sembrava dover diventare grossa, e ci vollero l’autorità e 1 umanità del Rettore, Sen. Moresco, e del Preside Fasiani, e non so quali altri interventi, per far restare la cosa nell’ambiente universitario, restringendosi la sanzione all’esclusione del giovane dalla sessione estiva di esami: cosa assai modesta, dati i tempi. Ma quando la questione fu portata per la relativa deliberazione in Consiglio di Facoltà, io espressi e motivai con molta chiarezza il mio pur inutile voto contrario, basato sulla necessità di salvaguardare da pressioni politiche l’autonomia dell’Università, alcuni tra i colleghi se ne stupirono: non così Franco Borlandi, il cui sguardo e le cui parole di solidarietà me lo fecero sentire ancor più vicino. Vennero i bombardamenti del 1942, colla distruzione di Pammatone; venne l’avventuroso sfollamento della Facoltà a Santa Margherita, ove ci trovammo al fianco a tener vivo quel che si poteva del nostro insegnamento agli studenti non alle armi; venne il 25 luglio colla caduta del fascismo; venne l’8 settembre, coll’armistizio e il crollo dell’esercito, in cui fummo entrambi coinvolti, perchè da poco le cartoline di richiamo ci avevano fatto tornare in grigioverde; per me ne seguirono l’internamento in Germania e i due anni di prigionia nei Lager; per lui, un avventuroso ritorno a casa da Cremona, ove fuggì dalla caserma. Cominciò allora, come tutti sappiamo, la Resistenza, nei vari modi in cui impegnò tanti italiani, dentro e fuori i confini: cominciò il periodo dei travestimenti, dei cambi frequenti di ricovero, della vita alla macchia, della cospirazione, o addirittura della salita in montagna. L’Università di Genova godeva di pessima fama agli occhi del risorto regime, soprattutto per effetto dell’allora notissimo appello dei 44, che quasi come un inno alla libertà riconquistata Achille Pellizzari aveva redatto nelPagcsto e in 44 professori avevamo sottoscritto per esprimere l’adesione al nuovo corso dell’alta cultura genovese. Fummo così deferiti al Tribunale Speciale, e del « processo dei 44 », che avrebbe dovuto costituire una esemplare lezione a carico dei traditori, molto si parlò nella stampa repubblichina dell’epoca (come io appresi solo quando tutto era — ÌO — finito, al ritorno dalla prigionia in Germania), finché un atto di eccezio-na e coraggio di Antonio Falchi, che si offerse di pagare per tutti, e la comprensione del suo allievo Carlo Alberto Biggini, allora Ministro per e ucazione nazionale della Repubblica di Salò, posero fine, con un intervento veitice, all’indegna gazzarra. £ r ^?n Posso ^re ccn sicurezza se il nome di Borlandi fosse tra i 44: e i suo richiamo alle armi, lontano da Genova, lo tenne fuori dal-ìativa, cui era certo intimamente associato. Nella sua Pavia già dalla ^ijera^° stesso 1943 era entrato a far parte del movimento co-VO> amico Avv. Gian Paolo Ferrari aveva avuto copia del predella Dp6 3 ^ ^ clandestina e delle notissime «Idee ricostruttive» jQra ç ^ Demofilo (De Gasperi); fu ccsl vicino a Bruno Fassina, ai-organi ^?m^ssar^° provinciale della D.C. pavese, e, per suo tramite, degli naie A lrCttlV1 D.C. milanese e del comitato di liberazione nazio- tolica d or*ent:amento politico lo portavano la radicata tradizione cat-tenne H & SUa ^am*^a e sua personale attività giovanile, in cui appar-* a '^^■C-I., e fu presidente diocesano della Gioventù cattolica, di alt 6 •^eriCC^0 dell’occupazione tedesca Borlandi occupò una posizione .^° riliev° nella Resistenza pavese. La figlia maggiore lo ricorda, sem-^ rnovirnento, in bicicletta, con una gran barba incredibilmente rossa... chel'3arteC'^a2^0ne 3^e r^un^on* clandestine presso l’Oratorio di S. Mi-delPOl1 C°ntatt^ con * gmppi armati cittadini e con le formazioni partigiane ttepò pavese, l’attività all’Università, ove con temeraria audacia CVa ^a raccolta integrale della stampa clandestina dell’epoca ed al tempo tesso, nell insegnamento di Storia e politica coloniale, di cui era stato aricato per forza di cose, teneva lezioni che coll’Africa non avevano a cun rapporto e del cui spirito informatore testimonia eloquentemente ar o Cipolla nella sua autobiografia, lo impegnarono a fondo, misero in uce le sue singolari capacità di uomo attivo, energico e responsabile, sicché quando alla vigilia dell’insurrezione fu deciso a Pavia di affidare alla Democrazia Cristiana la carica di Prefetto, la designazione ad essa di Franco Borlandi fu unanime. Nei giorni dell’insurrezione Franco Borlandi partecipò con gli altri armati della D.C. e con Piero Gatti, che li dirigeva, all’occupazione degli uffici pubblici a Pavia e alle trattative con il comando germanico, che venne indotto alla resa; si insediò in Prefettura quando ancora i tedeschi non avevano lasciato Pavia e la città non era stata ancora occupata dai partigiani della montagna, ma solo da quelli della città. — 11 — La carica di Prefetto in tempi così turbinosi tenne con energia e con intelligenza e la resse fino all’arrivo del Prefetto di carriera, nel febbraio 1946. Nel periodo in cui resse la Prefettura di Pavia Franco Borlandi fu il Prefetto di tutta la popolazione della provincia di Pavia, senza distinzione di partito, e agì sempre in stretto contatto con il C.L.N. provinciale, che sedeva in permanenza nel palazzo della Prefettura. Della sua attività come Prefetto della liberazione ho raccolto in questi giorni alcune testimonianze. Chi scendeva dalla montagna lo ritrovò in Prefettura « teso, magro, con i segni delle fatiche e delle emozioni di quei giorni eccezionali », come scrisse Augusto Vivanti in un suo necrologio. Tutti sono concordi nel mettere in luce il suo grande equilibrio, la sua umanità, la sua dirittura. Leggo ancora dal necrologio citato: « Borlandi non aveva mai perduto quel suo sorrisetto angolare, tra il beffardo ed il provocatorio, che gli permetteva di essere tetragono, giudice e arbitro, in quella tramoggia di avvenimenti, di contrasti, di equilibri, di diplomazie, che caratterizzarono quel primo avviamento alla difficile normalità. Lo superò per la sua intelligenza, il tatto, l’autorità stessa del suo carattere e della missione che aveva accettato, e della quale i Pavesi gli debbono essere grati. Con semplicità, come un dovere compiuto e quasi da non ricordare ». Queste sue doti gli conciliarono unanime simpatia ed ammirazione anche tra i militanti in partiti politici diversi dal suo. Ricordo un episodio tra tutti, che mi fu riferito dal mio vecchio compagno di scuola, Italo Pietra, il giornalista di parte socialista, che tutti conoscono, e che combattè nell’Oltrepò pavese le sue battaglie per la libertà. Giunse in quei giorni a Pavia un reparto partigiano, che aveva sequestrato a una colonna di militari tedeschi caduti prigionieri una robusta valigia, colma di biglietti di banca di grosso taglio. La valigia fu portata in Prefettura, ove si cominciò a discutere sull’uso cui destinare quel denaro; ma Borlandi troncò subito la disputa, fece chiamare un notaio e gli ordinò di formare un inventario del contenuto della valigia, redigendo un regolare verbale e curando il deposito della somma alla Banca d’Italia. Un tale scrupoloso rispetto della legalità non era proprio, in quei tempi, di tutti, e temo non lo sia neppure oggi. Del suo equilibrio, della sua sensibilità, della sua bontà, doti che rifulsero nel periodo clandestino, nei giorni della liberazione e nel breve periodo in cui resse la prefettura di Pavia, è bene detto nel testo del saluto della cittadinanza pavese al Prefetto che lasciava l’incarico: « A Franco Borlandi, che nella lotta per la libertà contro l’oppressio- ne fascista e contro l’invasione nazista portò il valido contributo del suo coraggio e della sua intelligenza organizzativa. Prefetto della Provincia di Pavia per volontà concorde delle forze clandestine nei giorni della liberazione, guidò con mente lucida l’insurrezione: quindi in dieci mesi di tenace attività pose le fondamenta per la risoluzione di ardui problemi, affinchè sulle rovine materiali e morali del fascismo potesse iniziarsi l’opera della ricostruzione ». Lasciata la carica di Prefetto di Pavia appena compiuta la norma-izzazione, Borlandi tornò a Genova e alla sua Università, pronto a riprendere con rinnovato fervore e coll’entusiasmo, che allora tutti ci per-va eva, il suo compito di docente: la scuola era allora, per lui, ragione prima di vita, in quanto consentiva quell’educazione dei giovani, che egli sentiva come somma esigenza perchè un mondo nuovo sorgesse. Non percio cessarono i rapporti con la sua Pavia, che lo volle come Segretario cittadino alla testa della D.C. pavese fino al 1949; in tale veste toccò a ui il compito di dirigere la battaglia elettorale del 18 aprile 1948. Sempre 3 av*a> fu per parecchio tempo, fino al 1955, Presidente della Camera di Commercio. Rientrato a Genova, Franco Borlandi non partecipò alla vita politica genovese, se non intervenendo nella vita amministrativa della Città come attivo consigliere comunale dell’amministrazione, che ebbe a capo 1 Sindaco Pertusio, in cui lo si ricorda come uno dei cosiddetti « magnifici dieci » democristiani di minoranza, che diedero all’Amministra-zione pieno e leale appoggio, pur manifestando con chiarezza la loro divergenza di fondo dall’indirizzo politico di alleanza, che quell’Amministra-zione comunale pose in atto. Anche se volle desistere dalla partecipazione attiva alla lotta politica, desiderando restare fuori da tutte quelle miserie, grandi e piccole, che spesso avviliscono la vita dei partiti, e troppo spesso ne fanno rifuggire quanti provano ripugnanza per lo spirito di conventicola e l’adattamento ai compromessi, che non di raro 1 inquina, aveva ciononpertanto le sue convinzioni e le sue inclinazioni, e non ne faceva mistero: gli debbo a questo riguardo un particolare ringraziamento per avermi aiutato a fondare, qui a Genova, il Centro Studi Luigi Sturzo, che svolse e svolge un’opera non inutile per cercare di mantenere la Democrazia Cristiana nella fedeltà alle sue idee tradizionali, e per avere accettato di esserne il Presidente (prima effettivo, poi onorario) quando venne a morte il suo primo presidente, Sen. Prof. Antonio Boggiano 13 — 4 Pico. Il lustro del suo nome di galantuomo era garanzia di serietà, e questa garanzia egli generosamente ci ha dato. Nel frattempo, un nuovo settore di attività si schiudeva a Franco Borlandi. Il nuovo clima europeo dava nuova espansione ai rapporti culturali coll’Estero, che la guerra aveva interrotti. Era indispensabile riprendesse, su presupposti diversi e con uno spirito di collaborazione adeguato, per l’instaurazione del quale occorreva fossimo rappresentati, nelle capitali straniere, da uomini prestigiosi, che fossero all’altezza dei difficili compiti che venivano loro affidati. In questo spirito, conscio della delicatezza della missione da compiere, e assumendo il grosso sacrificio di rinunciare temporaneamente a quell’insegnamento che tanto amava, Borlandi accettò l’invito rivoltogli, nel 1950, dal Ministro degli affari esteri e si recò a Bruxelles, in veste prima di direttore di quell’istituto Italiano di cultura, poi di addetto culturale a quella nostra Ambasciata, dalla quale passò poi, dal 1955, colla stessa veste, all’Ambasciata di Parigi, donde fu anche inviato a Stoccolma per un’importante missione straordinaria. Furono anni di attività intensa e di lavoro fecondo, che portarono, tra l’altro, alla stipulazione dell’accordo culturale italo-francese, alla costruzione del padiglione italiano presso la Città Universitaria di Parigi, alla ricostruzione dellTstituto italiano colà. Una documentazione completa di questa attività si conserva al Ministero degli esteri, e mi auguro possa essere pubblicata, almeno nelle sue parti più essenziali, che attestano la serietà e la concretezza del lavoro da lui svolto. Rimaneva però in lui la nostalgia della scuola, che coltivò anche in Belgio, come « Maître de conférences » alle Università di Gand e di Liegi, e poi anche a Parigi, attraverso un importante incarico di insegnamento aìVEcole des hcntes études; proprio per questa nostalgia, chiese al Ministero di poter rientrare in Italia, e tornò alla sua Università verso la fine del 1958. Doveva poco dopo avere inizio la sua attività di governo della nostra Università. Dopo la morte di Federico Chessa, che era subentrato a Fasiani, prematuramente scomparso, e dopo una triennale presidenza del Prof. Sergio Ferrarini, poi passato alla Facoltà di giurisprudenza, nella presidenza della Facoltà di economia e commercio subentrò nel 1960 il Prof. ^ Borlandi, per unanime volontà dei colleghi, e vi rimase attraverso successive conferme fino al 1968, tenendo la carica con così alto prestigio ed illuminata competenza, che Pallora Rettore Prof. Girolamo Orestano lo volle a suo diretto collaboratore in veste di Pro Rettore. La fiducia dei — 14 — colleghi lo chiamò quindi a Magnifico Rettore dell’Università, carica che tenne peraltro per poco tempo, perchè, manifestatisi allora i primi sintomi del male che doveva poi condurlo alla tomba, e sembrando esso più grave di quanto in realtà allora non fosse, con alto senso di responsabilità volle subito dimettersi dalla carica, temendo di non poter adeguatamente tenere un posto, che oggi richiede tanta energia e tanta fatica da parte di chi lo ricopre. E dello stesso periodo l’assunzione da parte di Borlandi della presidenza della Società ligure di storia patria, benemerita promotrice della odierna commemorazione. Eletto Consigliere nel 1962, fu chiamato alla Presidenza nel 1963 e la tenne fino alla morte, per conferma elettiva del 1966, del 1969 e del 1972. Fu una presidenza operosa e fattiva, cui Franco Borlandi diede il meglio di sè: il suo nome resterà legato per sempre dia rinascita della Società, di cui andò alla testa in un momento assai difficile, e che soprattutto per merito suo fu ricondotta agli antichi splendori. opportuno dare qui lettura di qualche brano del discorso che Borlandi tenne 1’ 11 dicembre 1967, inaugurando a Palazzo Carrega la nuova sede della Società: ^ « Quindici anni or sono, la Società Ligure di Storia Patria, costretta ad abban-cic'nare la sede di Palazzo Rosso, che l’ospitava dal 1908, aveva subito un colpo mor- likandono di quella sede era certo giustificato ed indilazionabile, legato come eia a. esecuzione di un impegno che assicurò al Comune la contestata proprietà di a azzo Rosso, ed al palazzo il ripristino al primitivo suo nobile stato. Ma per la ocieta Ligure di Storia Patria quello sfratto assumeva i caratteri e le dimensioni di un dramma... Lo « sfratto » da Palazzo Rosso ed il precipitoso trasferimento di tutto il ma-tuia e della Società (libri, manoscritti e mobili) in locali che solo eufemisticamente si potevano chiamare di fortuna, sembrarono segnare irreparabilmente il destino della oocietà Ligure di Storia Patria, una delle prime società storiche sorte in Italia ed una delle più note e delle più reputate... Non si trattava soltanto — e sia ben chiaro — di una ferita « al prestigio », ma di una ferita al cuore. Un trasferimento precipitoso, un ammezzato malsano e praticamente inagibile, una coabitazione mal sopportata: mancanza di spazio e conseguente impossibilità di sviluppo di scaffalature; materiale praticamente alla rinfusa, con larghe possibilità di dispersione ed assoluta certezza di deperimento. Un patrimonio sperperato, oltre che praticamente inattivo... A molti dei soci, vecchi e nuovi, la realta di oggi sembrerà forse un miraggio. In realtà, se da oggi, nel centodecimo anno della sua fondazione, la Società di Storia Patria si trova nelle condizioni ideali per rinascere a nuova vita, lo si deve ad un evento dissueto: ad un incontro felice fra una notevole sensibilità pubblica ed una nobilissima visione privata degli alti valori della Cultura e della Storia. Siamo lieti — 15 — di darne atto al Sindaco di Genova ing. Pedullà, ai suoi collaboratori neH’Ammini-strazione Comunale di Genova •— primo fra tutti, l’assessore Federico Mario Boero — ed alla nostra padrona di casa, la Contessa Giuseppina di Carpenetto Mazza, che ci onora oggi della sua presenza... Al Sindaco di Genova dobbiamo la brillante soluzione di due problemi: quello della vita di una Società che, come la nostra, ha portato in alto il nome di Genova, indagandone la storia così ricca e così singolare; e quello — non meno meritorio — di aver rianimato uno storico edificio, consentendo che in esso si accendesse un attivo focolare di cultura... Alla padrona di casa, la Contessa Carpenetto Mazza, dobbiamo una comprensione commovente: il sacrificio della sua libertà e della sua tranquillità personale, la sorridente sopportazione dei nostri andirivieni, forse non sempre discreti, 1 offerta disinteressata e spontanea di conservare alla nostra sede qualche traccia sensibile dello splendore dell’antica dimora... ». Quanto a questo risultato abbia contribuito l’opera personale del Prof. Borlandi, aiutato dall’instancabile Segretario della Società Prof. Dino Puncuh, che Borlandi stesso definì « eroe, vittima e protagonista della reincarnazione della Società», possono dire i soci della Società, che vide in questo periodo, oltre all’ entrata in funzione della nuova sede, decorosa ed accogliente, la ripresa regolare della stampa degli atti sociali, divenuti pubblicazione semestrale e trasformati nella veste e nelle rubriche, un forte impulso al riordinamento della biblioteca, l’impostazione di nuovi programmi per ricerche e pubblicazione di fondi, per la compilazione degli indici della prima serie degli Atti, per conversazioni mensili su temi di storia ligure, etc. Nè va dimenticata la mostra storica del notariato medievale ligure, curata dai Prof. Costamagna e Puncuh sotto la guida di una commissione scientifica presieduta da Borlandi. Con spirito di estrema cordialità, con disinteresse, con sagace opera di diplomazia, quando era necessaria, con spontanea affabilità, in ogni momento, Franco Borlandi seppe crearsi, tra i soci della Società, una piattaforma di affettuosa amicizia, che sopravvive alla sua scomparsa. Anche 1 odierna commemorazione, che la Società ha voluto, ne è testimonianza eloquente. Ma altre cose rimangono da dire, se non si vogliono tralasciare altri aspetti importanti della multiforma figura di Franco Borlandi. Un’esperienza preziosa di lavoro da me vissuta negli ultimi anni con Franco Borlandi fu a Roma, nell’Università internazionale di studi sociali Pro Deo. Questa istituzione, creata nell’immediato dopoguerra nella Capitale dall’intuizione feconda del domenicano fiammingo Padre Morlion, ebbe per oltre tre lustri una vita «extra ordinem legum », ricca di ini- — 16 — ziative molteplici, in campi diversissimi, tendenti soprattutto a fare oggetto di studio, illuminato da spirito di fede e saldamente ancorato alla realtà dei tempi nostri, settori in precedenza estranei ad ogni tentativo di penetrazione scientifica: ad esempio, il campo dell’opinione pubblica, il mondo del cinema e dello spettacolo. Fu solo intorno al 1960 che si pensò di far nascere dall’iniziativa un’Università libera, strutturata secondo le leggi dello Stato e da esso riconosciuta, con regolari corsi di laurea in economia e commercio e, successivamente, anche in scienze politiche. Me ne presi 1 impegno, con alcuni valorosi Colleghi deH’Università di Roma, tra cui mi piace ricordare Egidio Tosato e Giuseppe Di Nardi; si dovettero superare molti ostacoli, ma il risultato fu raggiunto, con due successivi decreti del Presidente della Repubblica, del 1964 e del 1965; la nuova Università sorse, ed io ne fui il primo Rettore, designato dall’Ente promotore e nominato dal Ministero della Pubblica Istruzione. Mancando oscamente gli organi universitari consueti, occorrevano i Comitati tecnici, cui fosse affidato il governo dell’Università nel suo difficile avvio, eie volevamo avvenisse su piano di serietà degli studi ed insieme di mo-ernità degli ordinamenti, consoni allo spirito dei tempi e alle prospettive aperte ad un Università libera, abilitata a rilasciare lauree riconosciute nell’ordinamento statale. Fu allora, che, sapendo quali doti fossero necessarie, pur conscio e sacrificio che gli chiedevo, mi rivolsi a Franco Borlandi, gli esposi e necessità cui si trattava di provvedere e gli domandai, in nome della nostra amicizia, di entrare a far parte del Comitato Tecnico della libera Università. In nome dell’amicizia, egli aderì subito al mio invito, e su mia richiesta fu designato dall’Ente promotore e nominato dal Ministro della Pubblica Istruzione membro del Comitato tecnico per la Facoltà di economia e commercio, carica in cui era l’unico che non fosse professore del-1 Università di Roma. Tenne la carica fino alla sua morte, e posso testimoniare la sua costante presenza alle sedute, per le quali spesso doveva venire appositamente da Genova, e soprattutto l’illuminata opera di governo che in quella sede condusse, portando il contributo cospicuo della sua cultura e della sua rara esperienza alla soluzione dei molti problemi, accademici e non, che i Comitati tecnici dovettero in questi anni affrontare. Le sue idee, le sue prospettazioni, le sue indicazioni, i suoi suggerimenti ci furono, in tutti questi anni, preziosi, e soprattutto furono di conforto a me, che con maggiore tranquillità imprendevo e seguivo le strade, che incontravano la sua approvazione, e non di raro anche attraverso una — 17 — sola parola pacata, detta quasi a mezza voce, interpretabile talvolta magari come semplice battuta di spirito, giungevo ad intuire i pericoli di altre soluzioni, a prima vista attraenti. Per questo affiancamento fraterno che egli mi donò, è doveroso, da parte mia, un ringraziamento sentito. A più alto livello, di rilievo nazionale, fu l’attività svolta da Franco Borlandi, pure a Roma, nello stesso periodo della sua vita, presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche, di cui fu membro eletto dalla fiducia dei Colleghi universitari, dal 1964 al 1972, e presidente del Comitato per le scienze economiche, sociologiche e statistiche; fu anche, dal 1968 al 1971, vice presidente del Consiglio Nazionale medesimo per delega fattagli dal Presidente Prof. Caglioti, che apprezzava particolarmente l’impegno costante del Prof. Borlandi nella trattazione delle pratiche a lui affidate. Fu il periodo nel quale più intenso fu lo sviluppo del C.N.R., che per i suoi nuovi ordinamenti fu portato ad estendere la sua azione, in origine orientata verso ricerche di scienza pura, anche al settore delle discipline umanistiche, alle scienze morali: è risaputo il travaglio cui per forza di cose diede luogo questo ampliamento di compiti, cui di necessità si accoppiava l’adozione di nuovi procedimenti di selezione, nuovi metri di valutazione, e via dicendo. Quanto a questo fine siano state valide da un lato l’esperienza di Franco Borlandi e la conoscenza profonda che egli aveva di uomini e cose di ogni settore del mondo degli studi, dall’altro le sue eccezionali doti umane di tatto, di diplomazia, di savoir faire, anche in ambienti sotto più profili alquanto difficili, come era ed è quello del C,N.R.^ soprattutto dopo ia cosiddetta sua democratizzazione portata dalla nuova legge, è chiaramente dimostrato dalla profonda stima che per lui ebbero quanti vennero a contatto suo in quella sede, e dalla sua ripetuta elezione alla carica, testimonianza eloquente della grata soddisfazione dei Colleghi. Nè è da dimenticare che, per la sua particolare attitudine, fu chiamato, sempre nel C.N.R., a presiedere la Commissione relazioni internazionali dal 1964 al 1972; in essa ebbe modo di esprimere tutta la sua saggezza ed esperienza per il miglioramento dei numerosi rapporti che il C.N.R. ha con corrispondenti organizzazioni straniere. In tale veste egli partecipò alla stipulazione di accordi culturali, guidando le delegazioni C.N.R. all’estero e intensificando così la collaborazione e quindi lo scambio di studiosi ricercatori fra l’Italia e gli altri Paesi. Chi sulla base di questa così larga e varia serie di impegni e di incarichi pensasse che in tutti questi anni della sua maturità scientifica Franco — 18 — Borlandi abbia trascurato per forza di cose, come spesso accade, la sua attività di studioso e di ricercatore, cadrebbe in grave errore. Della sua produzione scientifica preconcorsuale ho già parlato. Ma la sua operosità di studioso continuò immutata anche durante la guerra e nei decenni successivi, anche se i nuovi suoi interessi tendevano a soffocarla. E del periodo di guerra la sua Storia della popolazione della Corsica (1942), che è in realtà, oltre ad una storia demografica, anche una esposizione di questioni sociali sulle quali egli tornerà negli ultimi anni della sua vita per un’indagine, rimasta incompiuta, sull’usura in Italia nel sec. XVI. Del pari, il saggio su L’età delle scoperte e la rivoluzione economica dell’Europa nel sec. XVI (dello stesso 1942) è illuminante per comprendere il formarsi di una nuova società e di nuove classi, non soltanto in Italia, ma nel più vasto àmbito europeo; e proprio partendo da tale saggio, successive meditazioni indussero Borlandi a mettere a fuoco alcuni problemi fondamentali di storia dell’imprenditorialità (Futainiers et fu-taines dans l’Italie du Moyen-Âge, del 1954, e Affari e storia di affari, del 1961), ' Laboriose e feconde indagini iniziate già prima della guerra gli avevano consentito di raccogliere un materiale imponente sui monti e le banche in Italia agli inizi del Settecento, su Antonio Greppi, grande uomo d affari del Settecento, cui dedicò una preziosa « voce » nell’Enci-clopedia Italiana e sull’industria dell’Italia centro-meridionale in età napoleonica; purtroppo gran parte del materiale raccolto venne distrutto nel già ricordato bombardamento del 22 ottobre 1942, insieme con i locali della Facoltà di Economia e Commercio, in cui era conservato; le ricerche su quei temi affascinanti restarono malauguratamente interrotte. L ultimo lavoro edito dal Borlandi [Alle origini del libro di Marco Polo, negli Studi in onore di F anfani, del 1961), è forse la sua opera migliore. Si pensi ad un testo celeberrimo come II Milione, ed alle generazioni di studiosi che l’hanno considerato esclusivamente sotto 1 aspetto letterario o della storia delle esplorazioni geografiche. Si direbbe, quindi, un testo sul quale non v’era più nulla da dire. Il Borlandi, invece, grazie alla lunga e collaudata dimestichezza con i manuali medievali di mercatura, dimostra che nella stesura della narrazione marcopoliana Rustichello dovette avere sotto gli occhi una vera e propria pratica di mercatura, redatta in volgare italiano dallo stesso Marco Polo, ed evoca 1 esistenza di questo testo mercantile, oggi perduto, attraverso un acuta e diligen- — 19 — tissima indagine e con una serie di argomenti inoppugnabili, che sono, nello stesso tempo, una testimonianza della sua immensa cultura e della sua geniale capacità di trascendere il documento in una visione storiografica di eccezionale valore. Non sarebbe però completo il richiamo alla produzione scientifica di questi anni se non si ricordassero la cura delle due riedizioni (1948 e 1963) del lavoro sull’E/à delle scoperte e la rivoluzione economica, dianzi citato, le Note per la storia della produzione e del commercio di una materia prima: il guado nel Medio Evo (1949, studi Luzzatto) ed altro sullo stesso argomento, Il commercio del guado nel M.E. (nel volume di Storia dell’Economia italiana, curato dal Cipolla nel 1959), oltre a varii studi minori, taluni tra i quali pubblicati su riviste belghe nel periodo di sua permanenza colà, e alle affettuose rievocazioni di Federico Chessa, negli Atti della nostra Accademia Ligure di Scienze e lettere (1960), e di Mario Garino, negli « Atti della Società Ligure di Storia Patria » (1971). Di questa sua ininterrotta attività di studio innumerevoli furono i riconoscimenti, per Franco Borlandi, dall’Italia e dall’estero. Non dirò delle tante sue onorificenze, italiane e straniere; Egli non gradirebbe quest’elenco. Una soltanto rammenterò, perchè a lui particolarmente congeniale: la medaglia d’oro per i benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte. Non farò neppure l’elenco delle tante istituzioni culturali, che lo vollero membro: in primis, l’istituto Lombardo di scienze e lettere e la nostra Accademia ligure di scienze e lettere. Ricorderò invece che, nel quadro del noto gemellaggio tra l’Università di Genova e quella di Bordeaux, gli fu da quest’ultima conferita, nel 1967, la laurea honoris causa. Mi è caro leggere qualche frase della presentazione fatta in quella circostanza dal Preside di quella Faculté de Droit, Mr. Lajugie: « En proposant le Professeur Francesco Borlandi pour le grade de Docteur honoris causa de notre Université, la Faculté de Droit et des Sciences économiques de Bordeaux a voulu souligner les mérites de l’un des plus éminents spécialistes italiens de l’histoire économique, d’un historien qui est, en même temps, un homme d’action dont la personnalité a largement débordé les frontières de son pays et qui a toujours témoigné d’un attachement particulier à la France et à la culture française... ». Segue, nella presentazione, una lunga rievocazione della figura di Borlandi, poi così si conclude: « Cependant, à ces palmarès, il manquait un titre rappelant les liens privilégiés que le Doyen Borlandi a toujours entretenus avec notre pays et les services qu’il a rendus à la culture française. - 20 - L Université de Bordeaux était toute qualifiée, par l’accord de jumelage qui 1 unit à 1 Université de Gênes, pour combler cette lacune, en appelant dans ses rangs le grand savant, dont l’attachante personnalité cumule, avec tant de bonheur, les qua îtés de 1 économiste de pensée et le rayonnement de l’économiste d’action ». « Les qualités de l’économiste de pensée et le rayonnement de l’économiste d’action »: una formula, questa, che mi pare particolarmente indovinata. In questo richiamo dei riconoscimenti stranieri della sua figura di uomo e di studioso è oltremodo probante il più recente tra essi: la sua nomina, da Parigi, a Vice presidente dell’Ist. Internaz. « F. di Marco Datini ». Mi sembra illuminante la lettura di una sua lettera, del 23 feb-raio 1974, a chi gli comunicava la cosa, il Prof. Alberto Tenenti: « Caro Tenenti, rispondo alla tua lettera del 18 corrente, molto lusingato, ma for ..^'jeoccuPato Pet la proposta che tu mi fai anche a nome di amici, che sondiS1 * U 0n° SU^ ^ve^° attuale della mia efficienza e delle mie possibilità per- Sarei quindi tentato di ringraziarvi, pregandovi di non insistere in una scelta potrebbe rivelarsi deludente. Ho però speso la parte migliore della mia vita ervizio di attività o di iniziative che mi hanno imposto dedizione e sacrifici anche vo ì. Se veramente voi ritenete che una mia accettazione potrebbe essere di q a c e utilità all Istituto, sarei quindi indotto a non rinnegare il mio passato, anche P re e la fiducia di Fernand Braudel rappresenta per me un riconoscimento troppo ezioso. iò che mi preoccupa è il timore di non essere all’altezza della situazione, orrei quindi consigliarvi di considerarmi come ”in prova”, anche perchè non so no a quando le mie risorse fìsiche, largamente attenuate, potranno reggere allo orzo i affrontare problemi e difficoltà, che presumo notevoli. utto questo ti scrivo con la più elementare schiettezza, lieto se troverete una so uzione migliore, ma rassegnato qualora voi la pensaste diversamente ». Considero questa lettera un estremo documento, quasi un testamento spirituale, in cui rifulgono le doti di generosità, di spirito di sacrificio, di bontà d animo, che contraddistinsero tutta la sua vita. La bontà d’animo è, tra le tante doti di Franco Borlandi, quella che ricorderanno di più quanti lo conobbero e gli furono amici; una bontà spontanea e radicata, che traluceva da ogni suo atto e suscitava simpatia per lui in chiunque veniva con lui a contatto. Una bontà che dava origine ad una costante serenità di spirito, e non gli impediva, come è giusto, di sottolineare gli errori altrui e di metterli in luce quanto fosse necessario ad evitarne perniciose propagazioni, ma soltanto a fin di bene, mai per amor di maldicenza o calunnia, e tanto meno per invidia, sentimenti questi a lui del tutto sconosciuti. Si esprimeva sempre con affabilità e con bonomia; nelle polemiche - 21 — sapeva usare a meraviglia l’arma dell’ironia, in cui era maestro, ma lo faceva sempre senza offendere, con un certo tono di indulgenza per le debolezze umane, che restava impresso in chi lo ascoltava, e che tanto più suscitava ammirazione, quanto più si sapeva che da quelle debolezze umane, che accettava negli altri, egli era personalmente del tutto immune. Di ben poche altre persone di mia conoscenza potrei attestare con altrettanta certezza l’assoluto disinteresse e l’amore del bene per il bene. Certamente di questo suo abito mentale furono matrici originarie la sua educazione cristiana e la sua fede profonda: una fede non bigotta, ma ragionata, che nasceva dall’intelligenza non meno che dal cuore, una fede di cui evitava esibizioni pubblicitarie, ma di cui in nessuna circostanza fece mai mistero: una fede per la quale era convinto che la sua vita terrena dovesse essere preparazione alla vita di Lassù. Non tocca a me, in questa sede, parlarne: ne abbiamo avuto attestazione eloquente dal suo parroco, nella Chiesa di Carignano, la mattina dei suoi funerali. Ma non si comprende appieno la figura di Borlandi, se si tralascia questo elemento essenziale. Ho lasciato per ultimo, nell’enumerare gli aspetti caratteristici di Franco Borlandi, il suo affetto per la famiglia. Ne accenno appena, perchè penso che Egli non gradirebbe che se ne parlasse, geloso com’era della sua intimità famigliare, che non fu mai, per lui, oggetto di conversazioni di circostanza. Ma gli amici sanno quanto profondo sia stato l’affetto che egli portò alla sua buona Consorte e alle sue figliole, Antonia e Roberta, che erano la gioia della sua vita; gli amici sanno l’ansia con cui seguì la malattia della sua Signora, quando fu colpita da un male che non perdona, le premure di cui la circondò in quel triste periodo, il dolore che provò quando gli fu prematuramente sottratta: un dolore che la fede gli permise di superare, ma che lasciò impresso sul suo volto, da quel giorno, un solco di tristezza, che male riusciva a mascherare. Con la morte di Franco Borlandi molto ha perso PUniversità di Genova, molto ha perso la Società ligure di Storia Patria, molto hanno perso la Scuola e la Scienza, molto hanno perso le sue figliuole, molto abbiamo perso noi suoi amici; ma più di tutti può dirsi abbia perso l’Umanità intera, che sempre si impoverisce, quando giunge alla fine dei suoi giorni un Uomo giusto, quale fu Franco Borlandi. In questo momento, che è anche per me, come per voi tutti, di commozione profonda, sale alla mia mente il ricordo della visita che gli feci, — 22 - in una stanzetta della clinica di S. Martino ove egli era ricoverato, quando da pochi giorni era stato per la prima volta colpito dal male, ed ancor non si sapeva la prognosi precisa sugli sviluppi della malattia. Era sereno come sempre, e volle descrivermi nei particolari i sintomi che aveva accusato all insorgere del male, che non coincidevano con quelli che la sua e mia ignoranza in materia medica ritenevamo proprii dell’infarto. Parlava obbiettivamente, tranquillo, come se dovesse spiegare agli studenti i risultati di una sua indagine su una realtà storica inesplorata, come se dovesse mettermi affettuosamente in guardia per il caso che analoghi sintomi io dovessi un giorno sentire, e fosse del tutto dimentico che, in quel momento, la sua vita era in gioco. Anche allora, pensava agli altri, non pensava a se stesso. Di lui si sarebbe occupata, nei suoi imperscrutabili disegni, la Divina Provvidenza... In questi giorni ho sentito dire da più parti che oggetto di particolare ammirazione nei confronti di Franco Borlandi è aver egli concepita la vita come servizio. E Borlandi stesso che conferma questa interpretazione . In una sua relazione, pubblicata negli Atti della Società Ligure nel 1970, si legge: « Ad un certo punto, anche se l’azione è fervida ed intensa, ci si deve pur volgere indietro, per considerare ciò che è stato fatto, non in termini di rendiconto, ma in termini di servizio ». Non credo potrei concludere meglio questa mia evocazione, se non attestando che Franco Borlandi ha servito la sua Scienza, la sua Scuola, la sua Patria e la sua Fede con fedeltà ed onore, come si diceva nei tempi lontani a chi chiudeva la sua milizia. Nessun altro riconoscimento ritengo potrebbe essere a lui più congeniale. Roberto Lucifredi Direttore responsabile: Dino Puncuh, Segretario della Società Autorizzazione del Tribunale di Genova N. 610 in data 19 Luglio 1963 Tipografia Ferrari-Occella - Alessandria