ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XIX — Fascicolo I. GENOVA TIPOGRAFIA DEL R ISTITUTO SORDO-MUTI \ MDCCCLXXXVIII ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE . - DI STORIA PATRIA VOLUME XIX. GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. ISTITUTO SORDO-MUTI MDCCCXXXLVII i « REGESTI DELLE LETTERE PONTIFICIE RIGUARDANTI LA LIGURIA DAI PIÙ ANTICHI TEMPI FINO ALL’ AVVENIMENTO D’INNOCENZO III RACCOLTI ED ILLUSTRATI CON DOCUMENTI DAL SOCIO CORNELIO DESIMONl INTORNO ALLE PUBBLICAZIONI del Prof. GIULIO PFLUGK-HARTTUNG E INTORNO ALL’ ORIGINE DEL PRESENTE STUDIO Lettura fatta alla Società Ligure di Storia Patria nella tornata plenaria del j.° agosto 1886 1’ onore di presentare un Volume di cui si piace tare omaggio alla nostra Società T Autore, Dottor Giulio von Pflugk-Hart-tung, libero docente alla Università di Tubinga nel Regno di Wiirtenberg (1). Egli, nell* inviarlo a me, ebbe anche la cortesia di accompagnarlo con una lettera ove ricorda con compiacenza il suo soggiorno a Genova a scopo di studi storici; dice che tale soggiorno fu tra quelli che più gli andarono a sangue in Italia ; accenna eh’ egli (1) Ora è Professore nella Università di Basilea. — 8 - é nato ad Amburgo, h città regina del mare Germanico, come Genova é la regina del Mediterraneo. Vuole gentilmente rammentare i poveri aiuti e servigi che a lui sconosciuto potei somministrare; come credo dover fare con ogni studioso serio, e come ebbi a provare io stesso da ogni studioso serio in ciascuno de' miei brevi ma ripetuti viaggi. Del resto il sig. Harttung me ne avea già più che a sufficienza compensato, nelle linee che mi fece 1’ onore di scrivere in questo stesso volume; dove loda pure il caldo accoglimento avuto fra noi dagli altri Instituti, specie dal nostro collega il Prof. Neri. L’Autore é uno di quei non rari Tedeschi, robusti di corpo come d’intelligenza, che amano scrivere ancora latino per l’universale; e che ad una pazienza senza fine accoppiano 1’ ardore del missionario, sia in cerca della scienza, sia nella propagazione della scienza stessa quando 1’ hanno trovata. Nel che hanno a vero dire un vantaggio non comune fra noi, quello dell’appoggio e sussidii delle Accademie o di altri Instituti, come nel caso presente l’appoggio dell’Accademia delle scienze di Berlino (i). E per confessarlo senza reticenze in famiglia (salve le insigni ma troppo rare eccezioni che la Dio grazia abbiamo ancora), noi siamo ben lontani da quei tempi, in cui l’Italia anche in questo era la maestra delle nazioni ; quando Ciriaco d’Ancona bruciava del bisogno di muoversi da una in altra regione, studiando i monumenti e le iscrizioni, a Costantinopoli, in Grecia, a Scio, nell’ Asia minore ; ed egli trovava da 11 Però egli aveva già compiuto a tutte sue spese e per iniziativa propria un primo viaggio, che (ruttò la pubblicazione del suo primo volume degli Acta Pontificum. fare dotte ed amichevoli discussioni coi genovesi Nicolò Cebà ed Andreolo Giustiniani. Al tempo stesso Flavio Biondo interrogava i ruderi per ritrarne Roma e l’Italia antica; ed incontrava visitatori intelligenti e come lui appassionati, ad esempio il nostro Prospero Camogli. Il Cardinale Ammanati ammirava allora il genovese Eliano Spinola, lodandolo della sua numerosa collezione di monumenti raccolti dalla Grecia, dall’ Asia e da altre provincie. Ma per non essere infinito ricorderò soltanto Enea Silvio Piccolomini ; primo a raccogliere in alti concetti la descrizione delle regioni sotto il titolo di Cosmografia; primo a ritrarre gli avvenimenti storici in relazione alle loro cause ed effetti ed ai costumi; primo ad accoppiare allo esame accurato dei fatti 1’ eleganza del dettato. Il volume che presento reca il titolo di Iter italicum; essendo esso il compendio, la descrizione del viaggio fatto nella Penisola dall’ Autore. Siffatto titolo ci richiama alla memoria un lavoro compiuto, ha due secoli, dal benedettino Mabillon, come pure altri abbastanza noti del Montfaucon, del Zaccaria e quello più recente del tedesco Bluhme. E sebbene non con lo stesso titolo di Iter italicum, si potrebbe così appellare quella descrizione o catalogo di documenti storici, che fu compilato già nel 1854 dal Bethmann-Holweg, ma che soltanto nel 1872 a 74 fu stampato dal Pertz nel volume XII del suo Archivio per la cognizione dell’ antica storia germanica (1). Il lavoro ultimo citato ha anche maggiore affinità che non i precedenti col nostro volume, in quanto (1) Archiv der Gesellscbaft fùr altere Geschichtkunde..... XII, Annovcr, Hann, 1872-74. Il lavoro ivi del Bethmann corre da p. 201-246 per Roma, e p. 474-758 pel resto d’Italia. entrambi si ristringono a ricerche di storia e di storia italiana. Se non che il Bethmann-Hohveg, tanto benemerito per altri dotti lavori, e per questo stesso in quanto alle biblioteche di Roma e d’altre parti, é cosi male riuscito nella parte genovese, che noi crediamo abbia tatto benissimo a non chiamare Iter la sua compilazione; egli deve aver dettato questi cenni assai da lungi, attingendo a tonti impure e che amiamo credere non genovesi. Il Pflugk-Harttung ha viaggiato proprio; lo si conosce non solo per la nostra particolare esperienza, ma e dal vedere la diligenza e la esattezza dei ragguagli, il modo onde passa a rassegna i singoli Archivi od Instituti, i personaggi ad essi preposti, l’importanza e credibilità dei documenti, originali o copie, ed anche le pagine delle collezioni in cui si trovano, talora perfino il segno esterno degli scaffali ove sono riposte; moltissima materia in brevi parole. Ne raccolgo che 1’ Autore ha visitato 89 città e in esse città 247 instituti. Il suo libro si distingue ancora dagli Itinera precedenti, non solo perché ristretto alla ricerca di cose storiche, ma ancora ristretto ad un solo scopo storico ; gli Atti e Regesti dei Romani Pontefici, che giacciano finora inediti 0 poco noti o dubbi. In vero, mentre gli insaziabili divoratori di libri ameni o viaggiatori in ferrovie vanno per la maggiore, pronti a discorrere di tutto e d’ altro ancora, stantes pede in uno, una parte insigne di Francia e d’Italia, ma segnatamente la dotta Germania, abborre questi enciclopedici, che con vocabolo poco bello ma non improprio chiamano peste dilettantistica. E, considerata la pienezza a — II — cui ormai ascesero non solo le scienze; ma ogni ramo di scienza, anzi ogni suo virgulto, ristringono sempre più la cerchia delle loro investigazioni e delle cure a quel virgulto per crescerlo a ramo, ad albero; esaurendo in quelle cure tutta l’energia, l’anima loro. Che se non si può negare, talora essere eccesso in tal fatta conati, è vero d’altra parte che ogni, anche tenue, risultato e sudore conscienzioso é dono del buono Iddio; necessario non che profittevole in ultimo riassunto a profitto di quelle intelligenze sovrane, che vi stendano sovra l’ala potente dello ingegno e ricostituiscano 1’ unità della scienza come della famiglia umana. Una appunto di tali imprese gigantesche è la ricerca e la ricostituzione dei Regesti ed Atti pontificii che, come si capisce, riguardano la storia del mondo intero da Cristo in poi, e sono talvolta 1’ unico filo nel laberinto del primo medio-evo. Il Jaffé (i) oltre alla pubblicazione degli A età Gregoriana, compiè i Regesti de Papi fino al 1198; egli si fermò qui a ragione, ed ha ragione 1’ autore d’imitarlo, per procedere adagio a ben raffermare il pronao dell’ immenso tempio. Al Jaffé fece seguito il Potthast (2), con altri tre volumi che conducono 1’ opera fino ai primi quattro anni del secolo XIV. Frattanto venivano fuori sui lavori già editi le osservazioni critiche dell’ Abate Pres-suti (3), gli Analecta Vaticana del Posse (4), e documenti (1) Regesta Pontificum Romanorum ab condita Ecclesia ad annum post Christum natum 1198, pp. 951, Berlino, Veit, 1851. (2) Regesta Pontificum Romanorum inde ab anno (>ost Christum natum 1 ìyS ad annum 1^04. Volumi tre, Berlino, Decker, 1874 e segg. (3) I Regesti dal 1198 al 1504 per Potthast; Roma 187}, pp. 384. (4) Ab anno 1254 usque ad ann. 1278 ; Innspruch, Wagner, 1878. — 12 — innestati in pubblicazioni diverse o nelle migliorate edizioni dei Concilii. Si sentiva ad un tempo il bisogno di una nuova edizione del Jaffé conforme al risultato dei nuovi studi ; ed anche a questa seconda edizione hanno già posto mano dotti illustri in simili studi, il Lòwenfeld in società coll’ Ewald e il Kaltenbrunner (i). Il Pflugk-Harttung da canto suo avea già dato fuori il primo volume degli A età Pontificum Romanorum inedita (Tubinga, 1881). Egli ne toglie occasione per tributare la dovuta lode a S. S. Leone XIII; il quale a sua petizione gli fece senza difficoltà aprire l'Archivio segreto Vaticano. Inoltre, acciò gli studiosi potessero a colpo d’ occhio farsi un concetto del suo lavoro, accertarsi del suo modo di procedere, della sua credibilità e diligenza, ha ben pensato di far accompagnare 0 seguire agli A età inedita da lui riferiti per esteso, questo Iter italicum (2) che porge ragione della sua opera e delle fonti a cui ha attinto. Aggiunge in una seconda parte i Regesti, 0 sunti in ordine cronologico, degli Atti pontificii da lui veduti. L’Iter verrà prossimamente compiuto con un altro fascicolo comprendente la prefazione, il glossario, le miscellanee, un’ appendice e le correzioni. 'Lenendo dietro, come é nostro costume, alle pubblicazioni straniere, per vedere ciò che vi si presenta di 11 Regesta Pontificum Romanorum..... edidit Ph. Jaffé, editionem secundam correctam et auctam auspiciis Gull. IValtenbach.... curaverunt S. Loewenfeld, ]. Kaltenbrunner, P. Ewald, Lipsia, Veit, 1881 e segg. Anche questa seconda edizione è ora quasi compiuta, arrivando già al fascicolo XIII, a Clemente III e al-1'anno 1193. Io lo citerò sotto le iniziali J. L. (Jaffé Lòwenfeld), per brevità, come il più antico e il più recente dei compilatori. (2) Unternommen mit unterschùt\ung der Kgl. Akademie der Wissenschaften \u Berlin, 1.* parte, Stoccarda, 1883. — n — nostrale, abbiamo potuto altra volta cavar qualche scheda genovese dagli Analecta del Posse ; allo stesso modo nel i.° volume degli Acta del Pflugk-Harttung troviamo notizie, da carte del Monastero di Lerino , di una lite nel 1146 fra quel Monastero e la Chiesa di Ventimiglia; e di una causa nel 1107 affidata da Pasquale II al vescovo di Genova per la decisione contro un intruso Vescovo di Embrun. Ma in numero notevole sono le indicazioni di Atti pontificii inediti riconosciuti dall’Autore in Liguria, durante il suo nuovo viaggio ; dei quali, a dir vero, noi conoscevamo già abbastanza il contenuto pei manoscritti patrii, ma che ora per tal guisa giungono meglio alla cognizione universale ed al comune profitto degli studiosi. Tuttavia non dubitiamo che vi saranno ancora spighe da mietere in quegli stessi manoscritti e documenti: uno di questi appunto, di Alessandro III, relativo a quistioni del Comune di Genova coi Templari, fu rinvenuto non ha molto ed è pubblicato negli ultimi fascicoli del Giornale Ligustico (1). Confidiamo che la Società nostra vorrà mostrarsi riconoscente al dotto Tedesco che amò distinguerla sovra parecchie altre della Penisola; essa vorrà anche pigliarne animo a ben sentire di sé, ed a sempre meglio concorrere co’ propri studi alla gara nobile e degna degli avi, che ci lasciarono esempi gloriosi e magnanimi. Queste parole io leggevo alla Società Ligure di Storia Patria il 12 agosto 1883 appena ricevuta la prima parte dell’ Iter italicum ; laonde gli uditori vollero onorare non tanto il Dott. Pflugk-Harttung quanto sé stessi, ac- (1) Due bolle pontificie, Genova, 1883, p. 161-165. — i4 - clamandolo a membro corrispondente. Da quel tempo in poi ci pervennero le altre parti delle opere sovra accennate, e più avanti ne terremo discorso. Frattanto nuovi nostri studi su questa materia, ne fecero meglio apprezzare il valore e 1’ alacrità dell’Autore pei numerosi e dotti suoi articoli. Dal 1879, se non forse anche prima, egli scrive senza posa ne’ periodici più accreditati della Germania e dell’Austria; quali sono il Giornale storico dello Sybel, l’Annuario storico della Società Gòrres in Monaco, il Xuovo Archivio di Perlz, le Mittheilungen o comunicazioni dell’Instituto austriaco, il Periodico per la storia del diritto ecclesiastico, ed altri delle regioni del Reno e di Gota. In queste sue memorie l’Autore piglia ad esame punti speciali, quelli segnatamente che sono tra i più difficili o più nuovi della paleografia e diplomatica pontificia. Ivi si discutono i criteri per distinguere fra le bolle e brevi od altri atti; le loro forme originali, le imitazioni degli originali, gli svolgimenti e le modificazioni. Ragiona del Chrisma, ed insegna come dalla croce e dalla salutazione (bene valete) siansi sviluppati da una parte la rota o circolo, dall’altra il monogramma; da quando appari il comma e quanto durò; quali le nomenclature per distinguere le qualità della pergamena, della scrittura, del titolo, del proemio, del contesto, della chiusa. Su tutte queste parti (scopo del resto agli studi in genere fra i dotti in diplomatica) egli, accumulando la sua personale esperienza nudrita dai viaggi, fa nuovi rilievi e prepara germi di più profonda discussione. Applica inoltre egli stesso i propri criteri ai documenti pontificii da lui recati per disteso, e procura di adope- — i5 — rare forme, lingua, segni convenzionali, proprii a rendere nel modo più conciso possibile il carattere del documento nelle varie sue parti. Non ignoriamo che sui risultati delle sue faticose ricerche 1’ Autore ha incontrato acuti e vivaci oppositori; i quali fanno quindi tenere sospeso il giudizio di chi , come noi, non può e non pretende vestire la giornea di maestro. Egli fu specialmente notato di non apprezzare abbastanza i lavori dei grandi suoi predecessori, specie quello stupendo e sovra lodato del Jaffé. Gli fu apposto di voler mutare tutta la nomenclatura e le espressioni tecniche, sostituendone altre vaghe, inutili e, peggio, dannose alla chiarezza ed alla precisione; lodano i critici per converso i sommi antichi, come Mabillon e Montfaucon, i quali procedeano cauti, come in altre, cosi in questa parte. L’operare del Pflugk-Harttung fu denominato per guisa di critica un lintteismo grafico, ne so a dir vero con quanta ragione. Fu merito appunto del gran Linneo di distinguere nella storia naturale con appropriata e concisa nomenclatura gli enti per classi, per famiglie e per note individuali ; cosi fondando un sistema generale, che può essere ed é stato modificato dai successori nelle varie sue parti, ma sarà sempre un miracolo di acutezza e di dottrina. Il lin-neismo per sé non é dunque un male, ma un bene ; rimane solo a vedere se fu qui bene o male applicato al ramo di studi di cui discorriamo. Quanto a me, se potessi ardire un mio avviso, tengo che in questa viva lotta prò e contro il nostro Autore vi si mesce un po’ di passione personale dall’ un lato e dall’altro. Vedo il grande Archeologo romano Giambat- — l6 — rista De Rossi lodare senza riserve il Pflugk-Harttung, e dirlo sagacissimo conoscitore delle fasi e formole della Cancelleria papale (i). Vedo le lodi che gli concede volentieri un altro illustre italiano, il Canonico Carini (2), di cui parlerò più sotto. Gli stessi oppositori più temperati, come il eh. Cesare Paoli (3), lo chiamano benemerito. L’illustre Diekamp (4), sebbene più energico in biasimi su certi punti in questione, non lascia di rilevare nell’Autore la gran divozione alla causa abbracciata, la operosità fruttuosa nel numero de’ documenti da lui scovati e pubblicati, la finezza di parecchie osservazioni; infine confessa di aver da lui imparato, molto imparato. Un merito speciale del Pflugk-Harttung é quello di aver tratto dalla oscurità manoscritti inediti 0 poco noti, e questi recati presto a notizia comune ; laddove il Jaffé ed i suoi ripubblicatori e continuatori si attennero per lo più alle sole collezioni stampate, per quanto in queste dimostrino larghissima erudizione. L’Autore ha anche il merito di aver riprodotto per disteso que’ documenti che gli vennero veduti più nuovi ed importanti, mentre il (1) \ ed. Studi e documenti per la storia del diritto, Roma, voi. V, 1884, P- 343- (2) Le lettere e i registri dei Papi in ordine al loro primato, Roma, Monaldi 188$, p. 32. (3) In Archiv. storico italiano, voi. XII, 1883, p. 306. Ved. anche ivi voi. XI, p. 120. (4) Die neueste literatur der papstlichen diplomatili, Monaco, 1883, nell ' Histo-rische Jahrbuch (Annuario storico) della Società Gòrres, voi. IV, pp. 210-261 e 361-394. Eccellente tutta questa rivista del Diekamp sulla più recente letteratura della Diplomatica Pontificia. Peccato che un giovane di sani principi, cosi dotto e molto più promettente, sia mancato ai vivi a Roma il Natale del 1885. Ved. l'affettuosa necrologia che ne dettò Cesare Paoli nell 'Archiv. stor. Hai, 1886, voi. XXVII, p. 299. — 17 — Jaffé e continuatori si contentarono di darne il sommario. Infine l’Autore ha aggiunta alle precedenti una nuova fonte, ripescando nelle bolle od altri atti la notizia di bolle ed atti papali dei quali non si era fatto caso finora; onde trattele di là, le collocò come meglio potè nella serie cronologica. Vi inserì pure i documenti emanati dai Papi nella loro qualità di Vescovi di diocesi particolarmente da essi amministrate. L’ uno e gli altri altamente benemeriti ; perché non é dato a tre a quattro o più, per quanto dotti, uomini il far tutto; ma è dato loro di completarsi a vicenda, lavorando ciascuno per conto proprio e discutendo, invece che sulle personali passioni, sui criteri della scienza da loro trattata, affinchè si possa giungere a concordia sui punti almeno essenziali. È noto difatti, che la diplomatica imperiale mercé i lavori dello Sickel (i), del Mùhlba-cher (2) e del Ficker (3), é già pervenuta ad un grado di esattezza da contentare i più schifiltosi. La diplomatica pontificia invece versa tuttora in gravi discordie ed incertezze; i documenti che già si teneano per dubbi o sospetti ora si vogliono genuini e viceversa; i criteri per giudicarne , che gli uni propongono, non hanno 1’ approvazione di altri. Pure vede ciascuno quanto importi venire alla pace; la diplomatica pontificia eguaglia, anzi supera, quella imperiale nei vantaggi che se ne possono trarre; se questa forma l’intelligenza sto- (1) Acta regum et imperatorum Karolinorum digesta et enarrata, ai quali è proemio l’Urkundenkhre, un famoso trattato sulla dottrina delle carte, Vienna 1867. (2) Regesta Imperii, Regesten der Karolinger, Innspruch, Wagner, 1880. (3) Bcitràge iur Urkutidenlehre, celebre trattato anch’esso, Innspruch, ibid. voli. 2, 1877-78. Atti Soc. Lic. St. Patria. Voi. XIX. 2 — i8 — riui del medio-evo, quella é la base della storia del mondo cristiano. I criteri esterni, di che toccammo fin qui (i), agevoleranno, fermati che sieno, lo svolgimento di quelli interni che sono ancora immaturi, ma sui quali 1 Autore ha anche fatto studi degni di considerazione. 1 ossano compiersi questi voti dalla devozione degli studiosi con grande vantaggio della storia e della verità ! E già fin d’ ora l’alta sapienza di Leone XIII agevola il faticoso compito coll’aprire gli Archivi segreti del \aticano; contando, come é verissimo, che sotto ! esame di uomini dotati di forti studi e di severo metodo, non intinti del filosofismo volteriano, sieno pure protestanti od ebrei, la verità palesata non può nuocere alla storia religiosa né recarle disdoro; molte volte vince i pregiudizi della nascita o della educazione; sempre impone rispetto. È dunque giunto felicemente il tempo opportuno, gioviamocene. Il grande Pontefice ha chiamato all opera i dotti senza distinguere le nazioni; volontari concorrono da ogni parte uomini illustri con doni e pubblicazioni. L’inglese Ashburnam offre una parte dei Regesti d’Innocenzo III, che era andata smarrita. L illustre Prefetto della Nazionale di Francia, il De lisi e (2), é modello di acutezza e di critica ne’ suoi studi sui documenti pontificii come sui regii di Francia; la Scuola Francese di Roma, fiorente colonia e madre (1) Sui criteri esterni delle carte pontificie al XII secolo, si veda anche un t eli articolo del Kaltenbrunner nelle « Mittheilungen * dell’Instituto per la ricerca della storia austriaca, Innspruck, 1880, 1, 373-410. (2) Memoire sur les actes d’Innocent IH, nella Bibliothèque de l'École des chartes, 1857. Melanges de Paléographie et de Bibliographie, 1880; e molte altre sue Memorie, tanto lodate anche dal Diekamp. — r9 — d’ingegni sani ed eruditi, pubblica Registri di Papi e li illumina con dotte discussioni (i). Dei Tedeschi già ricordammo ed accenniamo per ora soltanto all’ Ewald, che va ricostruendo in nuovo ordine il Registro di San Gregorio, che è il più antico cimelio di questo genere al Vaticano. Si affollano edizioni simili, e vi contribuiscono le nuove scoperte, la ormai celebre collezione britannica, il codice canonistico della Universitaria torinese, le nuove edizioni del Dcusdedit e del Liber diurnus, gli studi sui varii codici di Berardo di Napoli (2). Anche fra gli Italiani, si aggiunsero, la Dio mercé, buoni collaboratori, i quali dalla provvida istituzione di Leone XIII guadagnano lena a tener alto un compito che deve essere a cuore segnatamente dei nostri concittadini. E qui, senza allungarmi a citare nomi già illustri da lungo tempo, come i Tosti, i Balan, i Pres-suti e come le Eminenze che si onorarono anche della parte di semplice operaio nella critica storica, ricorderò un solo e recente esempio il Canonico Isidoro Carini. Sua Sanità lo chiamò a se; lo fece sotto-archivista al Vaticano e fondatore e maestro ivi di una scuola di paleografìa e diplomatica pontificia. Uomo invero, per varia e profonda dottrina e per ogni parte di mente e di cuore, degno di questo onore. Di che messosi all’ opera senza guardare indietro, mentre attende a pubblicar Regesti di Papi, tratta in iscuola di quei criteri appunto (1) Ivi Berger pubblica i Registri d’Innocenzo IV ; Grandjean quello di Benedetto XI; Dégard i Registri di Bonifacio Vili, ed altri di Nicolò IV, ed Ono* rio IV, oltre al Liber censuum ed al Pontificalis. (2) Di Berardo ved. più avanti. Di recente la Revuc ics Questions historiqucs (aprile p. p.) pubblicò Lcs élcmcnts de la diplomatic pontificale, compendio istruttivo e lucido come tutti i lavori del Conte di Mas-Latrie, che ne è l'autore. — 20 — esterni ed interni di cui sopra è parola; e contribuirà largamente, ne abbiamo fede, a rischiarare questo campo ed a vantaggiare la concordia fra i contendenti. Già abbiamo di lui due splendidi saggi nella nuova sua carriera: una Prolusione e un Discorso, posti come a capo dell’ uno e dell’ altro ufficio, d’insegnante e di critico ; due lavori di fresco pronunziati e mandati alla luce (i). Passando al particolare dei libri del Pflugk-Harttung che sopra annunziammo, l’Iter Italicum ora compiuto si compone di tre parti. La prima parte è l’Iter proprio, 1’ escursione di lui per le città, gli archivi e le biblioteche ed anche nelle collezioni private d’Italia; notando i singoli documenti ivi trovati. Completando le indicazioni da me date nel 1883; mercè le miscellanee e le giunte al secondo fascicolo dell’/ter, si viene a conoscere che 1’ Autore, oltre le città personalmente da lui visitate, somministra notizie sugli archivi italiani di cento novantatre città fornitegli in gran parte da’ diligenti e benevoli corrispondenti; fra i quali accenno a cagion d’onore e d’importanza gli illustri Cantù e Silvestri per le rispettive provincie Lombarda e Siciliana. La seconda parte dell’ Iter è come il risultato della prima. In quella gli atti e documenti sono disposti per ordine delle città e delle collezioni visitate; in questa seconda parte i documenti più notevoli, inediti 0 quasi, (1) Le lettere e i Registri dei Papi, sopra cit. Ivi, p. 112 e segg., un eruditissima rassegna del movimento storico suscitato dalla lettera del S. Padre ai tre Cardinali. — Altre sue Memorie: Prolusione al corso di Paleografia e critica storica, 1885. — Sommario delle legioni di Paleografia tenute nella Scuola Faticana, 1886, — I Lapsi e la deportazione in Sicilia del Papa S. Eusebio, 1886. Argomenti di Paleografia e Critica storica trattati nella Pontificia Scuola Faticana, 1885-87. Epigrafia e Paleografia del Papa Damaso; edizioni della Tipogr. Vaticana. — 21 — sono ordinati cronologicamente. Così si evitano duplicazioni ; si vede a colpo d’ occhio quali e quanti Papi ricevano nuova luce da’ propri atti, e come questi ben si possano inserire nella grande collezione dei Regesti del Jaffé, seconda edizione. Già questi ripubblica tori, di cui abbiamo parlato, se ne poterono vantaggiare a cominciar dal fascicolo IV. La seconda parte de’ Regesti papali nell’iter si compone di settantatré documenti, formando colla precedente un totale numero di mille-settantotto. Segue una terza parte intitolata Miscellanee. Questa, come già indica il nome stesso, comprende molte cose, che a dire il vero, escono dal compito assunto dall’Autore; ma noi siamo ben lontani dal lagnarcene, poiché ci manifestano e ci conservano cognizioni rilevanti sulla più oscura storia del medio-evo. Accenneremo segnata-mente alle notizie e alle dotte discussioni che il nostro antico amico, il Prof. Teodoro Wustenfeld di Gottinga, ha comunicato all’Autore colla consueta ed instancabile sua liberalità, nota a tutti gli studiosi. — Anche questi ha viaggiato più volte e con lunghe fermate in ogni parte d’Italia; ha raccolto sugli originali una messe immensa di sommarii fino al periodo di Ludovico il Ba-varo; ha compilato le genealogie di tutte le più illustri famiglie principesche o feudali, e le serie dei Consoli, Podestà, Vicarii, e dei primarii uffiziali in ogni parte della Penisola. Ha giustificato le sue asserzioni colla con-scienziosa citazione di ogni sorta documenti ; le ha fecondate colla sagacia, ravvicinando alle induzioni i dati di libri e manoscritti ch’egli conosce come un italiano delle singole regioni. Se si ha a fargli un appunto si é che, pur comunicando così liberalmente altrui le sue cognizioni , tardi troppo a darci egli stesso il risultato compiuto delle proprie indagini. Imagine in qualche modo di un altro tedesco, Carlo Hopf; il quale ha fatto simili viaggi, ristretti però alla ricerca della dominazione degli Occidentali in Oriente, ma dalle insigni raccolte tattene ha pubblicato troppo poco e quasi d’occasione, morendo in verde età. I numerosi materiali lasciati dal-1’ Hopf speriamo vederli pubblicati per opera del dotto prussiano, il Dott. Streit di Anklam, a cui furono raccomandati. Il Prof. Wùstenfeld ha poi un merito speciale, dello aver rivangato una parte italiana molto importante, eppure eh’ io sappia quasi trascurata fino a tempi non molto lontani (i); gli Archivi medio-evali cioè delle città intorno a Roma ; la regione suburbicaria, la campagna e il patrimonio di San Pietro. Egli ci ha dato nell’ Iter saggi particolari di questa regione ; dimostrando con ciò quanto sia valente nel coordinare le sparse membra e nel rifletterne la luce raccolta sugli avvenimenti storici del paese. Alludo ai suoi articoli che questo volume contiene su Corneto, l’antica Tarquinii, sulla genealogia degli Orsini, e sulla serie dei Senatori e Vicarii di Roma. L’Iter ora compiuto si chiude con un buon indice generale; e vi è premessa una introduzione ove 1 Autore discorre del metodo adottato, dei benevoli che lo aiutarono nelle sue peregrinazioni o durante la pubblicazione. Fra questi benevoli egli distingue il eh. nostro collega e Segretario della R. Deputazione di Storia per (l) Intendo prima della fondazione delle due benemerite società: Romana di storia patria e quella per gli studi e documenti della storia del Diritto. le antiche Provincie, Barone Antonio Manno, al quale per maggiori titoli giustamente dedica il volume medesimo. Ma 1’ Autore non si volle fermare sugli allori ; egli considerò che, per quanto sieno necessari non che utili i Regesti Pontificii, tuttavia vi era una cosa anche più necessaria ; vale a dire la pubblicazione in extenso non dirò di tutti i documenti relativi (ché sarebbe impresa né matura né possibile in un sol uomo), ma di que’ documenti che più meritano e giacciono tuttora inediti o si trovano solo in rari ed oscuri volumi. Ciascuno capisce come una forinola, una espressione, una qualunqne altra qualità interna od esterna, che appaia meglio chiarita da un documento fin qui ignoto, specie se posta in nota a confronto di altri già conosciuti, promuova il giusto apprezzamento dell’ insieme. Ed a questa ultima parte pensò anche il Pflugk-Harttung e la pose in opera con quella seconda pubblicazione, che accennammo: gli Acta Pontificum Romanorum inedita, di cui, come già dissi, é uscito il primo volume a Tubinga nel 1881 ; ne fu pubblicato il secondo a Stoccarda (Kolhammer) 1884; ed ora annunzio la fresca comparsa della prima parte del volume terzo (Stoccarda) 1886. Tale opera, che racchiudesi sempre entro i limiti di tempo stabiliti dal Jaffé al 1198, é bensì disposta cronologicamente, ma ogni volume sta da sé ricominciando daccapo dai tempi che sieno più vicini al possibile a quello di san Pietro. Così fatto ricominciamento é comandato dalla ripetizione dei viaggi e dal desiderio di pubblicarne il frutto quanto più rapidamente si possa. Chi volesse attendere che 1’ opera fosse finita, correrebbe — 24 - il rischio di lasciar disperdere forse preziosi materiali, frattanto che se ne ritarda la pubblicazione. D’altra parte un buon indice, a lavoro compiuto, può mettere tutto a suo luogo. Per questo motivo il primo volume, composto specialmente da fonti francesi, comincia dall’ anno 748 , consta di 45 3 documenti e di 406 pagine. Il secondo, formato in gran parte da fonti italiane, comincia molto più in su, nientemeno che dagli anni 97-105, con documenti che sono più o meno sospetti a dir vero fino al settimo secolo, ma ad ogni modo utili a conoscere. Si compone in tutto di 460 atti pontificii e di 466 pagine. La prima parte del volume terzo, cominciando da San Gregorio, contiene pagine 410 e documenti 484 con appendice di altri tre. Nelle introduzioni a ciascuno dei due primi volumi 1 Autore rende conto del metodo tenuto, delle avvertenze con cui vuole si comprenda questo metodo; si difende dalle accuse lanciategli, spiega i segni da lui adoperati, la natura delle note e de’ commenti posti prima e dopo dei documenti. Per tale guisa in ciascuno di essi atti egli può distinguere in brevi termini la fonte, l’atto vero, spurio 0 sospetto; la sua data, il corpo, la pergamena, il modo delle piegature, e perfino le grandezze e distanze in millimetri, tra di sé o dal margine, delle linee, della rota, del monogramma. Con note segnate ora per numeri ora per alfabeto, cura la accurata lezione, indicando le raschiature, le correzioni, le varianti, il modo di migliorarne il senso per mezzo di parentesi senza alterarne la natura. Infine, in casi a dir vero rari, non — 25 — lascia anche di aiutarne il senso storico, indicando la qualità delle persone che vi prendono parte, i luoghi, o gli avvenimenti storici coi quali il documento si collega. Come ho già detto, si potranno criticare alcune o parecchie delle sue innovazioni in questi commenti ; la troppa suddivisione della materia, il conato di stabilire, tutto in una volta da sé e con segni convenzionali, le classificazioni de’ diametri, della rota, del monogramma ecc., esempio eh’egli prende forse da simili segni che adoperano i Numismatici pei diametri delle monete e per la loro rarità. Ma non si potrà che ammirare la pazienza e la diligenza costantemente da lui adoperata in questi conati ; augurando che si venga una volta a concordia anche di linguaggio e di altri segni convenzionali ; formandosi come un breve e semplice dizionario comune. Nella quale faccenda, come per esempio pel significato della croce e dell’ asterisco, trovo che l’autore talora non concorda nemmeno con sé stesso ne’ vari suoi lavori. Del resto il Pflugk-Harttung, quanto a sé, compierà questo lavoro con una terza pubblicazione: dico le Tavole o Specimina (i), pure da noi sovra accennate, dove con esempi grafici di facsimili parla all’occhio, mostra l’applicazione pratica di quei criteri estrinseci che ha cercato di stabilire nei numerosi articoli da lui pubblicati, e che infine ha voluto riassumere nelle opere che abbiamo sott’occhio. Non vogliamo uscire dai confini, che ci siamo imposti, di una generica ricognizione dei meriti dello Pflugk-Harttung ; anche per non ripetere cose già dette, meglio che da noi, da altri. — Chi voglia appieno co- fi) Chartarum Pontificum Romanorum specimina scicela; ioo tavole circa, delle quali pubblicate gii 55 almeno. — 26 — noscere le fasi della discussione, confronti colle sue opere quelle de’ suoi chiari avversari, Kaltenbrunner e Lòwenfeld (i), ma specialmente, come più imparziale nella questione e pieno di belle cognizioni e di completa bibliografia, lo scritto già lodato del Diekamp sulla recentissima letteratura della diplomatica pontificia. Quanto agli italiani accennerò i brevi ma sugosi accenni datine nell’ Archivio storico dal mio amico Prof. Cesare Paoli, che godo vedere salutato dal predetto Diekamp (2) come il primo fra i diplomatici della nostra nazione. Infine si legga lo scritto diligente e, come sempre, acuto dell’ altro amico nostro Conte Cipolla (3) fra gli Atti dell’ Accademia torinese delle scienze. Imiteremo piuttosto e rapidamente, come utile esempio pei nostri studi, il Periodico per la Storia Patria di Napoli (4) ; il quale ricercò nel secondo volume degli Acta ciò che si trovava di particolare alla propria regione. Allo stesso modo 1’ amico e collega nostro Prof. Bei-grano ricercò e ci communico le notizie genovesi nella splendida relazione, che il lodato Carini fece del suo viaggio agli Archivi e Biblioteche di Spagna (5). (1) Kaltenbrunner, Relazione alt Accademia delle sciente di Vienna, vol.XCIV, 1879. lo stesso nelle Mittheilungen dell’ Instituto austriaco sovra cit., I, pp- 449 e se8S-1880. — Lòwenfeld, (Accademia Viennese) (citato da C. Paoli, Arch. stor. Hai. XII, 1883, p. 306). — Lòwenfeld nell’ Histor. Jahrbucb sovra lodato, 11, 1881, p. 107, segg. ed altrove. (2) Die neueste liUratur, citata, IV, 214. Il Programma di Paleografia Ialina e di diplomatica del Paoli, Firenze, 1883, fu creduto degno di esser tradotto in tedesco, cosa più singolare che rara in quella Nazione e in quel ramo di studi. (3) Lettera informativa sul? « Iter italicum », Torino, 1883 ; Atti, XVIII, gennaio. (4) Archivio storico per le Provincie Napolitane, IX, 1884, pp- 743'770, (5) Giornale Ligustico 1885, pp. 151-154, in rassegna alla Relazione dal Carini. Sugli Archivi c le Biblioteche di Spagna in rapporto alla Storia d'Italia in generale e di Sicilia in particolare, Palermo, 1884. — 27 — I documenti pontificii, che riguardano in largo senso la Liguria, riferiti dall’Autore, ascendono tra originali e copie al numero di ottantanove, togliendone le duplicazioni. L’Autore ne ha pubblicato cinquantanove in disteso; sembrerebbero così ridotti a trenta gli atti liguri, che sono notati solo per sunto ; ma realmente non sono che quattordici, poiché sedici furono prima d’ora pubblicati , e gli altri sono per lo più cenni risultanti da atti posteriori (i). Se potessimo fidarci di un atto, che però é tenuto dall’Autore ed é certamente falso, avremmo negli Acla (II, p. i) un nuovo e preziosissimo documento. Ivi Genova é già capo di diocesi tra gli anni 189 e 199 del-1’ era volgare ed ha un vescovo di nome Carino ; a cui risponde Papa Vittore I su una quistione di divorzio. Un documento più sicuro notammo sopra negli Acta (I. 95), il quale ci porge una di più fra le rare notizie del nostro vescovo Airaldo; egli é ivi nominato da Pasquale li arbitro in una lite per causa del Monastero di Lerino. Un terzo atto del 10 febbraio 1192 (Acta li. 398) appartiene a Celestino III, ed il Poch l’avea già raccolto dal Registro B dell’ Archivio di san Lorenzo ; esso fu tuttavia poco notato finora, eppure é importante per la notizia di una chiesa in Nervi, posseduta da una congregazione di fratelli del santo Sepolcro. L’ averlo l’Au-tore trascritto sulla copia del Poch e pubblicato in intero, svegliò la dotta curiosità dell’illustre Conte Riant, a cui nulla sfugge di ciò che riguarda 1’ Oriente latino e le Crociate. Forse le ricerche che si vogliono intra- (1) Due de’ pubblicati sono i frammenti dell’Abbazia di san Siro, che l'iter nota a pp. 230 e 284, rispondenti ai nostri nn. 93, 151. Vedi le due note seguenti. - 28 - prendere potranno meglio chiarire l’esistenza di una tale congregazione, ignota finora per altri documenti. Queste sono le notizie che più trovammo notevoli tra le carte pubblicate o recensite dall’Autore; non tenendo conto di una nuova informazione, che porge Alessandro III della sua dimora in Genova colla bolla del 7 febbraio 1162, a favore dei Canonici di Chalons sulla Marna {Acta I. 231). Del ìesto il sacerdote sarzanese Bernardo Poch, già \erso la metà dello scorso secolo, si era mostrato inde-esso e fortunato ricercatore negli Archivi genovesi ; aveva copiato per esteso tutti i documenti di data anteriore al secolo XII, e datone altri moltissimi dei secoli posteriori o in extenso 0 per estratto. I suoi manoscritti ora si conservano, come é noto, nella Biblioteca Civico-Beriana, per dono gentile dell’Avv. Ageno, ma i documenti vi sono posti quasi a caso, senza ordine di materie e di cronologia; né supplisce abbastanza 1 indice generale, ricco si, ma male digerito e con richiami difficili- ad applicarsi da chi non sia famigliare con que volumi. Per questo motivo, ha molti anni, vidi necessario un nuovo ordinamento per la parte più antica; apporre le date dell’era volgare alle singole carte anteriori al secolo XII e farne la serie cronologica ; operazioni tutte tanto più necessarie in quegli anni, quando si conservavano ancora nell’ Archivio di Torino le pergamene originali, che solo più tardi furono restituite alla sede nativa di Genova. Frutto della quale fatica fu dapprima il manoscritto, che possiede la Società, delle Chartae Genuenses da me curato in compagnia del compianto Avv. Francesco Ansaldo e da questo fatto tra- — 29 — scrivere in bell’ ordine, il lavoro servi poi di base al Cartario Genovese, compiuto ed ampliato dall’altro mio amico e collega il Prof. Belgrano, che lo inseri negli Atti della nostra Società (voi. II, par. I), come appendice alla sua Illustrazione del Registro Arcivescovile. Altre carte che non entravano in quel mio disegno, ma che nel Poch mi pareano di maggior rilievo, furono da me trascritte allo stesso tempo in quaderni separati; e furono questi i materiali che mi recai ad onore di comunicare al Dott. Pflugk-Harttung e che egli corte-semente ricorda nel suo Iter. Ma, come era naturale, egli non si é limitato a conoscere queste mie copie, sibbene volle vedere personalmente i manoscritti stessi del Poch e i fonti citati da questo e i manoscritti di tutti quegli altri investigatori di storie genovesi di cui potè aver notizia. Ne cita con ogni diligenza ed esattezza i nomi e luoghi ove trovò cose per il suo proposito; notò gli originali de’ Papi che si conservano tuttora ; assoggettò le carte all’ ordine cronologico, secondo i dati odierni della scienza; ciò specialmente per la parte tanto difficile, come anche notò il Conte Cipolla, del riordinamento delle carte di Alessandro III, le quali sono abbondanti bensì, ma troppo spesso segnate colla sola data del mese e del giorno, senza quella dell’ anno e nemmeno del Pontificato. L’Autore inoltre vi pose a riscontro, ogni volta che ne era il caso, il numero sotto cui Jaffé avea fatto cenno delle carte medesime. Sono queste le cose che ci parvero meritevoli di rilievo nei lavori dell’Autore sotto l'aspetto nostrale. Dopo ricerche tanto coscienziose ; dopo la pubblicazione sua, specie nel terzo volume degli Acta, di quasi tutte le — 30 - ^arte trovate ne nostri manoscritti e stampati, parca dif-ule a noi stessi il poter aggiungere qualche spiga. Dapprima ci occorse un piccolo breve di Alessandro 111, rinvenuto di tresco tra le carte dell’Archivio di Stato, ma in non buono stato di conservazione. È una cir-co are ai Patriarchi, Vescovi ecc., relativa a collazioni di benefizi canonicali fatte per autorità della Santa Sede, oppure dai Capitoli delle singole chiese. Più notevoli sono due piccoli brevi dello stesso Pontefice, già fàcienti parte^ dell’ Archivio segreto della Repubblica, poi dispersi , furono questi rinvenuti recentemente per fortuna in una collezione privata francese, riscattati dall’ illustre Conte Riant, da esso colla consueta liberalità donati alla i ìoteui della nostra Università, e finalmente comunicati al pubblico scienziato nel Giornale Ligustico (1883, P-P- 161 e seguenti). Richiameremo pure l’attenzione so\ra due frammenti: del medesimo Papa l’uno, di Innocenzo II 1 altro; i quali e per la materia e per la data sono citati troppo imperfettamente dall’Autore; eppure molto ri evano per le notizie storiche che porgono sulle fannia ie ei Visconti, sui guai delle discordie al tempo della guerra delle investiture e sulle decime dai Visconti usurpate al Vescovo. Queste due carte sono conosciute per a trascrizione del Poch e per la pubblicazione fattane a 01i\ieri (1) e dal Belgrano (2); ma giova avvertire che se ne sono ritrovati gli originali nell’Archivio (in non buono stato invero e non interi). ,0Q \ ?' Consoìl dl Genova , in Atti della Società Ligure di Storia Patria, I, 309-311. — itert p 2 & — Pflu<4 Ham^ ?" ArClVescoviìe> neg!i Atti medesimi, II, par. 2.‘, p. 445-Pflugk-Harttung, lur, p. JJ0, num. , p ^ ^ m — 3* — L’Autore non ha lasciato d’ accennare, ed anzi talora di pubblicare in extenso, atti non emessi direttamente dal Papa, ma da Cardinali o delegati suoi e perfino dalla sua Curia, come ad esempio il curioso documento del 1121 riguardante la giurisdizione ecclesiastica sulla Corsica. Quanto alle carte imperiali, delle quali anche per una eccezione al^suo disegno ha voluto parlare (1), si potrebbe aggiungere il cenno (sgraziamente il solo cenno) di donazione al Vescovo di Genova, fatta da alcuno degli Ottoni imperatori e da re Berengario. Veggasi su ciò il Registro Arcivescovile del lodato Belgrano (2), ove si trova pure il cenno del più antico documento medio-evale di cui abbiamo memoria fra noi, una sentenza del re Liutprando (3). Il Dott. Pflugk-Harttung nota eziandio la esistenza nel nostro Archivio di Stato di un esemplare della nota collezione di Berardo di Napoli, segretario e scrittore apostolico della fine del secolo XIII. Il volume era rimasto fin qui nascosto nella collezione del benemerito Senatore Federici, sotto il titolo vago ed improprio di Variarum antiquarum Historiarum... Memoria (4). Io lo (1) I tre documenti genovesi di Enrico VI accennati dall’Autore, pp. 339-340, sono stati pubblicati dall’ illustre Ficker nelle già cit. Mittheilungen (comunicazioni) dell’Instituto per le ricerche riguardanti la storia austriaca, V, 1884, p. 313-19. Furono ripubblicati da me nel Giorn. Ligust., 1884, p. 232-235. (2) Nel Registro della Curia or cit., pubbl. e illustr. da lui, voi. II, par. 2.» , p. 412. (3) Ibid., par. 1., pp. 11-12. (4) Membranaceo, al nurn. 55 dei Mss., di carte 227, ma troppo mutilo passivi e non finito. A carte 193: Explicit tractatus Magistri Berardi de Neapoli domini Pape Notarii, parole cancellate. Ma vi precede già una bolla di Clemente V, mentre Berardo pare sia morto verso il 1285. Su Berardo ved. il lodato Delisle, No-tice sur ; mss. de la Biblioth. Nailon, ecc., nelle Notices et extraits, voi. XXVII, parte 2.a, p. 89 segg. Testé ne trattò largamente il Kaltenbrunner, Die Brief-sammlung des Berardus de Neapoli, nelle cit. Mittheilungen dell’ Istituto austriaco, VII, 1886, pp. 21-118, e 555-635. potei scoprire al tempo stesso che l’illustre Leopoldo Delisle richiamava l’attenzione dei dotti sovra altri esemplali del Berardo. Credo questo nostro in alcune parti di-\erso dagli altri conosciuti, anche perché contiene giunte posteriori alla morte di quel raccoglitore. Reco ad esempio la dichiara di Bonifazio Vili della sua bolla Super Cathedram; e la ri vocazione fattane per Benedetto XI; oltre a bolle, trattati, consulti dal 1315 al 1335, credo perfino al 1340. L Autore si lagna a ragione che non gli sia stato aperto 1 accesso agli Archivi de’ Capitoli di san Lorenzo e di santa Maria delle Vigne, mentre ha potuto vedere quello dell Arcivescovo e trascriverne un documento; egli loda per converso di liberalità e cortesia i benemeriti e fortunati conservatori di altri e molto più importanti Archivi capitolari, come di Y erona, di Lucca ecc. Confidiamo (e ne abbiamo già saggi) che anche fra noi i Canonici del resto \enerandi, specie i nuovi aggregati, vogliano una volta superare gli antichi pregiudizi ed imitare il santo ardimento di Leone XIII. Quanto all’Archivio della Basilica di Carignano, non vi potea essere nulla per lui, essendo essa stata costrutta più secoli dopo; e quanto all’Archivio di S. Maria di Castello, esso si conosce appieno per le pubblicazioni, all Autore note solo in parte, del nostro operoso amico e collega il Padre Amedeo Vigna. La piccola collezione delle carte deir antico archivio del Monastero di san Teodoro e di altri Mortariensi si conserva ed é visibile nella Civico-Beriana con altre pergamene di quell Ordine, sebbene 1 autore al suo tempo per un caso momentaneo non abbia potuto consultarla (1). (1) Tali pergamene sono in una busta segnata D i. 2. 25. — 33 — Oltre le carte dal Pflugk-Harttung vedute o citate come esistenti in Genova, egli ci indica (p. 752) altri luoghi al di fuori dove si conservino nostri documenti. Cosi prende dal Wùstenfeld la notizia che nell’ Archivio di Stato in Torino rimangono tuttora carte non restituite; come sarebbe un Registro notarile del 1179-1202, un altro d’atti misti per gli anni 1248-49 e 1272-73; ed atti del Governo del 1337-46. Ho motivo di credere che il Wùstenfeld abbia confuso le sue ricerche fatte in Italia in diversi tempi, prima cioè e dopo che le carte genovesi ritornassero dall’ Archivio torinese alla sede nativa ; perchè precisamente i due Registri citati sopra si custodiscono nell’ Archivio nostro fra i manuscritti (1). Della collezione del Galletti: Inscriptiones Genuensium, che l’Autore cita (p. 133) solo come esistente nella Vaticana, abbiamo un esemplare nella Civico-Beriana (2). Più importante di tutti questi accenni è la notizia di una copia dei libri Jurium, che 1’ Autore (p. 28) dice conservarsi nell’ Archivio del Principe D’Oria. Questa copia è sfuggita alle ricerche mie e del Cav. Belgrano in quel-l’Archivio, né ora le potremmo rinnovare essendo esso stato trasportato a Roma e, come si assicura, in istato di riordinamento. 11 vederla mi sarebbe utile anche più di prima, dappoiché ora conosco pienamente l’ordine, il numero, la qualità e il contenuto della intera serie (1) Ai nn. 102, 103. Questi stessi col seguente num. 104 sono i Registri a cui accenna Biòrnstàhl nelle sue lettere a Giòrwell (parte 2., p. 277), chiamandoli protocolli della Repubblica per gli anni 117) a 1417 in tre volumi in foglio, come esempio di scritto in carta di cotone (Wehrs, vom papier, Halle, 1789). Devo questa notizia alla cortesia del signor Briquet di Ginevra, tanto versato in questo ramo di studi. (2) Inscriptiones genuenses que antico nel modo seguente. p n a ar’2^> ‘fapheatus (al nostro Archivio di Stato); il Jurium della è allaghi ^7/ dal IUOg° °Ve Si conservava e al cui Collegio serviva. Questo Juriun * !t°\ niVerS,taria’ insieme con un duplicato del secundus. L'editore dei le inilr A" r °ne " ^ ^ P- ha inteso citarli per con r • in v * r'Scrvan<^° ® a^ Duplicatus, ma nel testo ha variato, citando -n C ,1 DupUcatus dell’Archivio e con A e B il ,, e ,» Universitari;. — 35 — di Savona, situato come fu nella isoletta di Bergeggi presso a Noli. Cosi (rettificando però in nota) egli attribuisce alla diocesi nostra il Monastero dell’ isola Gallinaria (Acta 111. 218), il quale appartiene al Vescovato d’ Albenga. Né Civitatula (ibid. 193), ha punto da fare con Cittadella presso Novara; né col Novarese ha da fare il Monastero di san Bartolomeo, che é proprio il nostro conosciuto col sopranome del Fossato e che stava a cavaliere di Sampierdarena. Parimente (Acta li. 325) il monastero nostro di san Benigno di Capo di Faro, all’entrata occidentale di Genova, pare lo confonda l’Autore con quello omonimo di Fruttuaria in Piemonte. Quello bensì dipendeva da questo; ma sono due distinti e diveisi Monasteri. Infine la bolla di Clemente III, 27 gennaio 1188 (Iter, p. 313, n. 867), nulla ha che fare con quella di Celestino III, 10 febbraio 1192 (Iter, p. 324, n. 932), sebbene comincino colle medesime parole. La prima riguarda la nostra chiesa di san Luca, l’altra Nervi e i fratelli del santo Sepolcro. Non porta il pregio di rivelare altri piccoli nei, che certamente sono errrori di stampa, per es. san Sisto e san Giro per san Siro, Sarzana per Sarzano (cose ben diverse), Otto Ghilina per Ghilini ; G. VII, 33, dee correggersi in C., Guiscardi per Giscardi (1); quest’ ultimo essendo il benemerito laico oratoriano, che nello scorso secolo spese la vita in ricerche e compilazioni umili, ma utilissime per la storia ecclesiastica, nobiliare e monumentale genovese. (1) Mi avvidi dopo la stampa che Guiscardi, è sbaglio eh’ egli ha preso dal rilegatore dei tre volumi della Storia Sacra del Giscardi. Ci parrebbe inoltre nostro dovere il ben determinare que nomi di persone e di luoghi i quali, lasciati dal-1 Autore indecisi, possono condurre, se spiegati, ad una migliore cognizione della storia nostra. A cagion d’esempio il Monastero di san Giorgio di Brinate (Iter, p. 318-323) sarà egli identico col nostro di Brugnato in unigiana, che tu convertito più tardi in Vescovato e che^ fu poi riunito a quello di Sarzana (1)? E sebbene usciamo alquanto dall’antico Genovesato, crediamo aver a astanza \icino a noi il Monastero di san Salvatore i Friarolo, del quale l’Autore non ci suggerisce la situazione (Iter, p. 304). Si dee qui trattare della terra 1 regarolo, stazione di ferrovia intermedia fra Alessandria e Novi. Sarà stata una colonia del Monastero omonimo di Pa\ia, bidente parte della pingue donazione c e a quel monastero fece Adelaide imperatrice, insieme a molti altri luoghi vicini lungo la Bormida e l’Orba. . Che se 1 limiti di spazio e di tempo che ci siamo imposti non cel vietassero, saremmo tentati di allargarci con simile disamina nelle altre regioni vicine, del Tor-tonese e dell Alessandrino; per cui troviamo nell’Autorc vari documenti più 0 meno noti, ma che darebbero luogo a maggiore luce per la nostra storia, quando vi fossero raccordati, ciò specialmente pei monasteri nei monti così detti Liguri, san Pietro di Savignone, san Pietro di recipiano, sant’Onorato di Torriglia, san Fortunato di en ersi, dei quali se ora appena rimane tradizione, restano però cenni in antichi documenti. So&getto m°lto importante, ma anche molto avvi- (1) Ho poi riconosciuto che no. — si — luppato sarebbe la ricerca degli antichi confini fra le Diocesi di Tortona e di Genova, lungo lo spartiacqua dell’Appennino; la passiamo in silenzio perché esce fuori del campo propostoci, appartenendo il frammento relativo ad Innocenzo III. Oltre alle cognizioni generali sulla diplomatica pontifica, un frutto opportunissimo pei nostri studi potea trarsi dai lavori dell’Autore ed era quello di raccoglierne tutto quanto riguarda la Liguria presa in senso largo ; aggiungervi quel che si é potuto trovare dopo le prime fatiche, e farne una serie cronologica di Regesti pontificii colla indicazione delle singole fonti manoscritte o stampate. Ed é questo appunto il compito che ci siamo proposti, seguendo in minima misura l’esempio del lodato Autore; e lo abbiamo condotto a termine come meglio sapemmo, inserendo a seguito del presente scritto quella parte della serie che dai più antichi tempi scende fino allo avvenimento d’Innocenzo III. All’ opera si riconoscerà che il numero degli Atti da noi registrati é salito a più alto grado che non isperassimo da principio ; dagli ottantanove di cui dicemmo aver tenuto nota il Pflugk-Harttung, siamo giunti a tre centinaia; non già perché l’Autore ignorasse i restanti, almeno per la massima parte ; sì perchè era fuori del suo disegno il compren-derveli. Abbiamo potuto, tra i sunti dati da lui, pubblicarne otto per disteso, aggiungervi poi sedici documenti nuovi ; inoltre, considerato 1’ essere fra noi poco note le pubblicazioni sue, credemmo utile ristamparne altri cinque fra quelli già da lui editi. Così sono ventisei atti, che noi daremo in fine dei Regesti, e già nei Regesti stessi ne saranno con asterisco avvertiti i lettori ad ogni volta. — 38 - Abbiamo la fortuna di darne quattro dal prezioso Codice Peìavictno del Capitolo di Luni-Sarzana, e questa fortuna dobbiamo alla squisita cortesia di quel Rev.mo Ar-ctdiacono Monsignor Luigi Podestà; il quale, oltre allo in icarceli, si compiacque anche di trascriverli di proprio pugno, per cui siamo lieti qui di offrirgli le nostre maggiori azioni di grazie. Non ci siamo di proposito occupati dei sinodi genera 1 in cui sieno intervenuti i Vescovi della Liguria; perchè questo soggetto fu già trattato dai nostri soci e amici, i chiari Canonico Grassi e Prof. Belgrano (i). er quanto parecchi degli atti abbiano ora perduto importanza, giova conoscerli per la storia come per circostanze di nomi propri o locali, per gli Instituti a cui senivano, pei Pontefici da cui emanavano. Parecchi ino tre contengono notizie ecclesiastiche ed anche polire e di rilievo (2), o ridondano ad onore della patria. 1 si vede la devozione costante dei Genovesi verso la e e Apostolica, e il loro coraggio di esporsi per essa ai più grandi pericoli; di rimpetto emerge I’affezione che nutre il Papa per Genova, le lodi e i privilegi di cui la neo ma (3), la sollecitudine onde si sforza rimetterla in 71ioni Ai p '’■ StrÌt dtl vtscovl dt Genova, Genova, 1872. — Belgrano, Illustra-e segg. r° ardVtSC0VÌle> in àilk Società Ligure, II, parte r.\ pp. 28 scovi dMV0,e t f,n°ra ign0t0 U framment0 di Ie“era d‘I Papa contro .1 ve- ImportanteT $' m°Stra tr°PP° parziale Per Federico 1 (ved- nuni- *74)-fine del secolo^VI ^ ddla C°"etta g'à in 1,50 a Genova fin dalla ' sì Zi rer, pubbliche imposte ** n e anche oiùTTi ' ^ * 6v0n’ 'argiti ai Genovesi da Innocenzo II rossa (nn. 88^9.^9” VÌrÌ'mente S°Stenner° C°ntr° il d’affetto la lnr-. ir. 48) 149. *70, 171, 175, 197). — Bellissima e tera consolatoria a Clemente III per la perdita di Gerusa- — 39 — pace cogli eterni rivali, i Pisani (i). Questa stessa rivalità ha la sua origine in un principio glorioso pei due Comuni ; all' alba della loro indipendenza, alla chiamata del Papa cacciano i Saraceni non che dalle coste, dalle isole della Sardegna e della Corsica, e loro ritolgono il troppo lungamente usurpato dominio del Mediterraneo (2). La Santa Sede conosce necessario al bene dalle Crociate P intervento comune dell’ uno e dell’ altro popolo. Noi non ci tenemmo cosi strettamente legati alla Liguria, da escluderne tutto ciò che a prima fronte sapesse d’alieno. Come fu sopra accennato, certi atti estrinseci, tortonesi per esempio, acquesi, alessandrini e perfino milanesi, hanno tratto a luoghi o persone che rischiarano la nostra storia; tornano anzi opportuni a vederli qui riuniti, tanto più quanto più è difficile che uno studioso nostrale vada a pescarli di fuori. Segnatamente ci parve lemme; a cui serve come di risposta quella di esso Papa annunziante al mondo la terribile notizia (nn. 261, 267) — Spiccano le cure a vantaggio dei Genovesi prestate da Adriano IV e da Urbano III per assicurarne gli interessi, specie in Oriente; sia per farne reintegrare l’iscrizione a lettere d’oro magnificante il concorso da essi prestato alla Crociata (il cui costo fu di 2000 bisanti d’oro): sia per ricondurre alla conciliazione con loro i Templari « Ugo di Gibelleto sconoscente verso la propria patria (nn. 129-134; 128, 180-181; 197, 199-201; 239-249; 199, 239-240, 238-247). — Finalmente il ritrovamento in Genova di una lettera pontificia al vescovo di Gebail in Terrasanta (num. 92), benché non toccasse direttamente interessi nostri, fa rimpiangere il numero non certamente piccolo di altri documenti simili che ci hanno dovuto essere, ma che il destino invido ci rapi. (1) Si vedano la decisione di Calisto II pei Vescovi di Corsica, la lettera d’Innocenzo II ai Pisani e quelle di Clemente III felicemente coronate dalla pace tra i Comuni rivali (nn. 71, 89, 142, 264, 266, 271, 298). (2) Notinsi le chiamate dei Pontefici ai Genovesi e Pisani, esaudite nella guerra contro re Musaito 1016-1017, ne"a vittoria contro Mehedia d’Africa 1087, e in quelle contro Almeria e Tortosa 1146-1147, che strapparono ai Saraceni la signoria dei Mediterraneo (nn. 53, 62, 117). — 40 — non usur fuori del nostro campo, inserendovi gli atti tutti di san Gregorio, relativi agli Arcivescovi di Milano urante la prima occupazione longobarda. Infatti Genova era allora la sede di quegli Arcivescovi, e spesso vi si tratta di cose genovesi. Anche gli atti dei Vescovi di uni e di Bobbio furono da noi inseriti, e nella Liguria oca entale giungemmo fino a Monaco; non perché quelle regioni fin da antico dipendessero da Genova nell’ ec-cesiastico, ma perché formano parte della Liguria in qua eie modo. Figurano pure nella serie quegli atti che ontefici emanarono dimorando in Genova, o quegli a tri che attinenti a cose esterne furono però registrate ne nostri manoscritti. Il tempo assai ristretto, che consentono i doveri d’ uf-zio, non ci lasciò agio bastante a percorrere colla do-attenzione il Jaffé e i suoi continuatori, per cui certamente ci saranno sfuggiti buoni materiali. Ma mi con orta il pensiero che i colleghi e i benevoli vorranno ar buon viso a quel pasto qualunque, che ho potuto oro ammanire; vorranno anzi pigliarne animo compier questa prima parte, ed a continuarla per guisa a formare il Bollario della Liguria. Quod est in votis. REGESTI DELLE LETTERE PONTIFICIE RIGUARDANTI LA LIGURIA DAI PIÒ ANTICHI TEMPI FINO ALL’ AVVENIMENTO D’INNOCENZO III ' m É|h| VITTORE I. 1. — 189-99. A Carino vescovo di Genova. —Il divorzio non si deve ammettere, se non dopo ben conosciuta la parentela dei coniugi. — Duo ad minus. Pflugk-Harttung, Ada li. p. 1, num. 3 — Bibl. Naz. di Torino E. 44 p. 61. (Apocrifa). S. GREGORIO I. 2. — 591, agosto. — A Lorenzo vescovo di Milano, che pretende parte del danaro esatto nel patrimonio della Sicilia. — Scripta fraternitatis. Troya, Codice diplomai, longobardo, in Storia d'Italia del medio evo , IV , par. I.* p. 225 — Jafle 786 — JaflTé-Lòwcnfcd, 1149. 3. — 593, marzo. — Assolve il prete milanese Magno, scomunicato dal fu vescovo Lorenzo; esorta clero e popolo ad andar d’accordo nell'eleggere il successore. — Sicut exigente. Troy», loc. cit., j>. 285 — J. (Jafft), 866 — J. L. (Jaffè-LòwenfcM), 1130. 4. — 593, aprile. — Ai preti, diaconi e chierici, che vogliono eleggere a vescovo Costanzo. Insegna le virtù richieste a quell’ ufficio. Manda il suo sud-diacono per consacrarlo. — Epistolam dilectionis. Troya, j86 — Jaffé, 869 — Jaffé-Lòwenfeld, 1133. 5. — 593, aprile. — A Giovanni suddiacono. Vada a Genova ove sono accorsi molti milanesi costrettivi dalla barbarie ; e se consenton tutti in eleggere Costanzo, lo (accia consacrare dai propri vescovi. — Quanto apostolica sedes. Troya, 289 — J. 870 — J. L. 1234. 6. — 593, aprile. — A Romano patrizio ed esarca d'Italia. Raccomanda il vescovo eletto Costanzo. — Obitum Laurentii. Trova, 290 — |. 871 — J. L. 123$. — 44 - 7. — 593 > settembre. — A. Costanzo vescovo consacrato. Si congratu lui e gli manda il pallio. — Scripta fraternitatis. Troya, 197 — J. 906 — J. L. irji. 8. — 593, settembre. — Al vescovo Costanzo. Gli invia una Iute p^ ^ regina Teodolinda, la quale si separò dalla comunione del Papa per l*1 L* Capitoli condannati. — Dilectissimus filius meus. Troia, »98 — ]. 907 — ]. L. 1175. 9. — 593, settembre. — Al vescovo Costanzo. Gli invia una Ltter. p‘ ^ vescovi, i quali colla regina si separarono dalla di lui comunione per tre Capitoli condannati. — Dilectissimus filius meus. Troya , 298 — J. 908. 10. — 593, settembre. — Nega che il vescovo Costanzo a Roma, nel danna dei tre Capitoli, facesse cauzione ecc. — Penenit ad nos qued. Troya, 301 — J. 908 — J. L. 1274. 11. — 593, settembre. — Alla regina Teodolinda, cui raccomanda il m-Sl Costanzo. — Quorumdam ad nos. J 909 — J- L. 1575. 12. — 594, maggio. — A Venanzio vescovo di Luni. Vieti agli ebrei tenere servi cristiani. — Multorum ad nos. J. 918 — J. L. 1293. 13. — 594, maggio. — Al vescovo Costanzo. Aiuti il vescovo \ ln'anzio ristorare la disciplina nel clero di Lodi. — Quorumdam de. Troya, 309 - J. 929 — J. L. 1294. 14. — 594, luglio. — Al vescovo Costanzo. Come debba diportarsi nel rispondere ai bresciani sui tre Capitoli; ed altro. — Scriptis Sanctitatis. Troya, 3x4 — J. 944 — J. L. 1309. 15. — 594, settembre. — A Venanzio, vescovo di Luni, condotto nell is0'-1 Gorgona. Scomunichi 1’ ex-prete Saturnino, se intenda celebrare. — Accedens a . J. 956 - J. L. 13J1. 16. — 594, novembre. — A Venanzio vescovo di Luni. Ne lodai industria, si duole della salute di lui. Non permetta all’ex-prete Saturnino di celebrare, nè richiami alle cose sacre il diacono e l’abate di Portovenerc ed altri caduti. — Relectae textus. J. 965 - J. L. 1331. — 45 — 17- — 594> novembre. — A Costanzo vescovo di Milano. Non restituisca Saturnino nè quelli che furono privati dcH’ufficio, dell’abbazia o del presbiterato. Ma nel punire Giovanni notaro non si lasci trascinare dall’ira.— Si lapsis ad. Troya, 326 — J. 966 — J. L. 1332. 18. — 596, novembre. — A Costanzo vescovo di Milano. Tolleri pacificamente le ingiurie de’ malevoli. Faccia eleggere il successore ad un vescovo rimosso. — Antiquus humani. Troya, 387 — J. 1092 — J. L. 1460. 19. — 597, ottobre. — A Venanzio di Luni. Dà licenza di consecrare il monastero de’ santi Pietro, Giovanni e Paolo, e d’Erma e Sebastiano. — Fraternitatis vestrae. Troya, 489 — J. 1126 — J. L. 1492. 20. — 597, novembre. — Al vescovo Costanzo ed a parecchi altri. Gli obbligati alla milizia o alla contabilità non vestano abito ecclesiastico nè monacale. — Legem quam. J. 1131 — J. L. 1497. 11. — 599, gennaio. — A Venanzio di Luni. Mandi al giudice Fidenzia , volontaria o no, acciò soddisfaccia alla figlia Adeodata, ancella di Dio. — Quae sit Adeodatae. J. 1188 — J. L. i6n. 22. — 599, gennaio. — A Venanzio di Luni. Manda farsi l’ordinazione di preti e diaconi nella città di Aldione maestro de’ militi. — Quoties ea quae. Troya, 415 —J. 1193 — J. L. 1627. 23. — 599, gennaio. — A Costanzo di Milano. Protegga Giovanni, che fa le veci di prefetto, salve le cose di Chiesa. — Quamvis ita paternitas. Troya, 416 — J. 1194 — J. L. 1628. 24. 599, febbraio-aprile. — A Venanzio di Luni, chiedente una abbadessa pel monastero lunese, manda una monaca. — Fraternitatis vestrae. Tioya, 489 — J. 1328 — J. L. 1650. 25. — 599, maggio. — A Venanzio di Luni. Conferisca 20 soldi a riparazione della chiesa di Fiesole. — Quid petitito. Trova, 489 — J. 1329 — J. L. 1668. — 46 — maggio. A Costanzo vescovo di Milano. Insieme al vescovo a\enna giudichi di Massimo Salonitano. Vi si parla di Castorio Chartulario. — Maximus Salernitanae. Trova. 437 — J. n6S - |. L. 1675. ,? . A Costanzo di Milano. Pel diacono Hvenzio invia <1 san Paolo Apostolo e dei santi Giovanni e Pancrazio. — Lalor Praesentium. Tro>*. 4M - |. .j4I _ j. l. ,7I0. S99» luglio. a Costanzo di Milano. Dice essere pronto a conse-chierici di Como (se si ravvedono ritornando alla Chiesa) la villa Mau-a loro pretesa. Latore praesentium communi. Troy*, 424 j> ,#|1 _ j L J7ii 9 599» luglio. Ad Anatolio diacono a Costantinopoli. Raccomanda nunz> del vescovo milanese Costanzo. - Reverendissimus frater. J- «*«* - |. L. ,7,4. Fir ir- 599> a0osto. a Costanzo di Milano. Non lasci vessare il cieco fra oV°i, 3g ' U°mini della Chiesa milanese, nè dagli esattori della colletta fatta a ri a itanti ni Genova, nè dal vescovo tortonese. — Licet multum. Troy». 465 _ J. ,28j _j L I?6j •’ ^ Costanzo di Milano. Non può giudicare con suf- 1 j C0gnizl0ne ,a causa di Pompeo vescovo, Dè quella degli alamanni ; ma C°SU,"° P” >' ">»«»» informazioni. - t,ll lf„J, Troy», 480 _ j. ,3,4 _ j j CALnD,n ’ iettem^re- Al popolo e clero milanese. Morto il compianto notaro ^ Sl °rdln' da lor° a vescovo Diodato, presente Pantaleone aliment- !•' mpetÌU)re e,ett0 ^ longobardi. Stieno di buon animo; gli S r r, 'C' ■ SaM'A"‘b'W« "» »no nelle „u„i de' «mici, ma si in 'd a,,K P"' *«* ««P-Wta. - fi»» no, ,,, Ml, Troya, 494 j_ l}.6 _ j L ^ milanese c- obref ^0 m ■ Al popolo, ai preti, diaconi e clero della Chiesa cal a 1 Ar ,Sr° DUOVO Ves“TOal Castorio , e si lermini la «usa d. Aretoa fem,M cWu.s.mt _ Ulr.xprmni.im ’*• '• <» - J- '1*.-J. I ,10,. — 47 - 54’ — 6oo, ottobre. — A Pantaleone notaro. Si rechi a Genova e faccia ordinare Diodato diacono, che i milanesi elessero a vescovo; curi le ragioni della Chiesa romana. — Experientia tua. Troya, 493 _ J. ,37S _ j. L. 1804. 35. — 602, maggio. — A Diodato vescovo. Non arroghi per la sua Chiesa le cose acquistate dal predecessore Castorio prima del costui vescovato, le quali egli legò a Luminosa ancella di Dio. — Nulli dubium est. Troy», 516 — J. 1471 — J. L. 1864. 36. — 603, aprile-maggio. — A Diodato di Milano. Nella quistione tra lui e Teodoro vescovo ha posto giudice Venanzio di Luni ; al quale indirizzò Teodoro e un difensore della Chiesa milanese. — Frater et coepiscopus. Troya , 541 — J. 1514 — J. L. 1898. 37. _ 603, dicembre. — Alla regina Teodolinda. Risponde alle lettere di lei venute dalle parti di Genova, c si rallegra del felice suo parto. — Scripta quae ad nos. Troya, 552 — J. 1544 - J. L. 1925. 38. — 590-604, marzo 1. — Conferma conte d’Italia e privilegia Alione nunzio d’ Inglexio figlio del re d’Italia, promosso a quella dignità dal vescovo milanese Costanzo in unione a cardinali, tre patriarchi e Foca imperatore (1). Chronica Danitlii, cap. 2.0; nelle Fonchun^in ^ur Deulichtn Getchichlt XXI, 323 — J. L. 1929. (Apocrifa). ONORIO I. 39. — 628, giugno 11. — In favore di Bertulfo abate e monaci del monastero di Bobbio. — Si semper sunt. Trova, IV, paite 2.*, p, 20. Ved. ivi Dissertazione sull* autenticità dei primi documenti di Bobbio. — H. P. \{.t Chartar. I. 5 — Pfl.-H., Forschungen, p. 62. — J. 1563 — J. L. 2017. 40. — 634 circa. — Ad Asterio vescovo di Genova. Consacri vescovo Birino, che va a diffondere i semi della santa fede oltre alle parti degli angli. Beda, Storia Ecclesiasticaì lib. Ili, cap. 7 — Semeria, Secoli cristiani della Liguria, I, 26 — J. 1569 — J. L. 2023. (Manca il documento). TEODORO. 41. — 643, maggio 4. — All’abate e monastero di san Colombano di Bobbio. Lo riceve in protezione. Troya, IV parte a.«, p. jo — H. P. M., Chartar. 1. col 6 — J. 1590 — J. L. 2053. - 48 - GIOVANNI Vili. 42. 872, dicembre 4. — A Suppone conte. Si adoperi presso gli imperatori, acciò \\ ALiAuio portatore della preseute succeda al defunto vescovo di Luni. — Obiisse Lunensis. nella collezione delle bolle di questo papa nel Museo Britannico, epist. 2. — |. L. 29$$* 45- 878, aprile-maggio? Genova. — Data de civitate Genuensiper Anspertum medìolanensem archiepiscopum. Carlomanno re, stanco della persecuzione de’ pagani e de marchesi, sali su una nave per recarsi in Francia. Lo esorta a venire coi vescovi al sinodo indetto a Parigi. — Qu vita denique. M.gne, Pi trai. Lai., CXXVI, p. 7-0. — Mansi, One ilior. XVII, num. 89, p. 78 - J. 236« -J. L. 3139. Atti della Società Ligure, voi. II, parte !.*, p. 12, pubblicato dal cav. Belgrano; c vi si parla di Sabbatino vescovo di Genova. 44’ giugno-luglio. — A Carlomanno re. Si maraviglia non abbia egli risposto a due lettere indirizzategli; una pel vescovo (di Genova) Sabbatino, 1 altra per Ansperto arcivescovo di Milano. — Sabatinum episcopum. Mansi, Conciliorum, XVII, p. 78 _ j. 2388 - J. L. 315S. ^8» aprile-maggio ? a Genova ? — Ad Ansperto arcivescovo di Milano a tutti i suoi suffraganei. Li chiama al sinodo che intende celebrare in Francia. — Pro innumeris. ,loDei /7' J- 2367 J. L. 3140. Vedi parecchie altre loro chiamate ai sinodi in Jaflì nn. 2*49. M61. 247*-73, »488-89, 2512-13, 2533, 2550, 2557. 46. 878, aprile-maggio, a Genova. — Ad Angilberga imperatrice (vedova di udo\ico II). Le raccomanda Pietro cardinale inviato al re Carlomanno Reminiscentes omnium. «igne. p. 77’ - J. 2368 - j. L. },4I. MARINO I. 47 882, giugno 22. Conferma i beni e i diritti del monastero di Sa-vignone, conferto al vescovo di Lodi. - Te narrante. I IlaJ‘“Sj‘'a • 1V > 6S'> ““’errore: Savonitttis o Savifmeenii,. - Vignati, CoJtx Unitoti,. ■ r. M., Coi. Longobari,, p. 534, - Mignc, Patrol. CXXVI, col. 860 - j. 26,6 - j. L. 3389. ANASTASIO III. r»f\~ ~ A faV°re dal mona5tero Bobbio. Conferma la bolla ac- re azione del vescovo Sicardo ad Innocenzo III, novembre 1207. — 49 — — Vidimus privilegia Honorii..., Adriani IV et praeterea litteras Anastasii 111, Lucii II, Kugenii III, Anastasii IV bullatas.... Ughclli, IV, 935. GREGORIO V. 49. — 996-98. — Al vescovo Bernardo di Vado in Liguria. Lo autorizza a trasferire la sua sede vescovile in Savona. Monti, Compind. Mei». Stor. di Savona, 1697, p. 36 — Verzellino, Mem. degli Uomini illustri di Savona; ivi 1885, I, 156. (Dubbia), SERGIO IV. 50. — 1011, primavera.— A lui scrivono gli abitatori di Genova, di Venezia, ecc. Hanno inteso la distruzione del Santo Sepolcro fatta dal califfo Hakem e preparano armamenti marittimi per andar a vendicare l’insulto al nome cristiano. Riant, Inventaire des lettres historiques des Crcisades, negli Archivesde VOrient Latin, I, 39. (Apocrifa). Anche al Guglielmotti, Storia della Marina Pontificia I, 206, già parve sospetta. — Ved. il num. seguente. 51. — 1011, dalla primavera fino a settembre. — A tutti i re cattolici, governi ecc. Annunzia la distruzione del S. Sepolcro, e Tarmarsi che fanno le città marittime per recarsi a vendicare l’insulto; esorta a concorrere o mandar sussidi. — Cum nos pretioso. Pflugk-Harttung (nelle Forschungen jrir Deutsche» Geschichlt, XVII, 391-93), l’ha dimostrata falsa.— Riant completò la prova, loc. cit. p. 40. — J. L. 3972. BENEDETTO Vili. 52. — 1015, gennaio 3. — Suo sinodo in Laterano, a cui assistono quarantacinque vescovi, fra i quali Landolfo di Genova e Ariberto arcivescovo di Milano. Ughclli, I, 157. — Mansi, XIX, 361. — Migne, CXXXVII, p. 1597. È dubbiosa questa data, perchè (come avverte J. L., tom. I, num. 4007, con Enrico Bresslau) Ariberto non fu eletto prima dell’anno 1018 e Landolfo prima del 1015. Ora aggiungo che Giovanni, predecessore del vescovo di Genova Landolfo, reggeva ancora nel 101950 in questo stesso anno soltanto comincia il successore. Vedi Belgrano, Illustrazione dii Registro Arcivescovile, negli Atti della Società Ligure, II, t.*, pag. 310 e le fonti da lui citate. 53. — 1016-17. — Ai pisani ed ai genovesi, invia legato il vescovo d’Ostia. Li chiama a Luni contro l’invasione del re Musaito e dei saraceni. Il re è vinto Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XIX. 4 - 5° - . Sardegna. 1 \incitori si rivolgono al Papa per l’investitura dell'isola : donde 1 origine della rivalità fra i due Comuni. Guglielmotti, op. cit I „ _ ri ‘ ' ■ ' Amari, Stona Jti Mtttlmjn i* Sicilia, Firenze 1868. Ili, pp, 4.0 “ * *• I- VI, 167. - J. }070 - j. L. . LEONE IX. sti»rrt 20' Pav'a- — Bolla di conferma a favore del mona- P icnsedi santa Maria di Castiglione. Lo fondò il marchese Adalberto ■ StUnd°8li *a ^ecima de’ suoi beni, fra i quali a Gavi, a Parodi, a Tassarlo, e ne, comitati di Genova e di Luni. - Convenit apostolico. Affò, S/or. di Parma II ,,, . 11 4,6, ’ 3°S ~ Murator'. Elici, I, 98. — J. JIÉ9 — J. L. 4167. _ Vedi solto 4i ^ joj> iog » J J NICOLÒ II. . f °’ aPr^e > Roma. — Nel sinodo Lateranense, coi vescovi, abati da r Da U La a^ate ^eno *e dec‘me della corte di Montelungo , pretese da Gui°o vescovo di Luni. GREGORIO VII. di Ir"73’ D0Vembre 28 > Argenta (fra Ravenna e Ferrara). — Ai monaci SA\-mn ri ar'a ^ d‘ Sam’ AIbert°) di Butri°- Respinge una bolla falsa di Ales-sia eirr r ' PCrSUade abate a rinunziare, vuole che la Chiesa di Tortona J ““ 0rdÌMU- ~ ^ * »«"» tracia., Botimi u, “ Ji B.lri., lliljoo, Agnt||i, itój ; mi conJ.u crron,,. J. 1. ,L“ ■ “*** " P.te». XX. SS -J.,* sendo 6- 81. — 1130, agosto 2, Genova. — Agli arcivescovi e vescovi di Spagna. Non impediscano dallo sciogliere i loro voti i re, principi e fedeli. — Reges, principes. J- 531$ — j- L. 74*7- 82. — 113°. agosto 2, Genova. — All’arcivescovo di Braga. Restituisca le ville all’ arcivescovo di Compostella, e non impedisca ai suoi diocesani di sciogliere voti a san Giacomo. — Carissimus frater. J- 53=6 — J. L. 7418. 83. — H3°> agosto 2, Genova.— All’arcivescovo di Braga. Lo rimprovera di non aver ubbidito alla chiamata di Onorio II, e gli ingiunge di recarsi a lui pel giorno 2 febbraio 1131. — Praedecessor noster. J- 53*7 - J- L. 7419- — 1130, agosto 7, Genova. — A preci del vescovo Bernardo, conferma i privilegi e le possessioni della Chiesa pavese. — Sacrosancta Romana. J. 5518 — J. L. 7420. ®S* — H jo, agosto 12, Genova. — Al re Enrico d’Inghilterra. Raccomanda il vescovo Laudunense (di Laon). — Honor Dei est. J. L. 7421. 113°» agosto 12, Genova. — All’arcivescovo di Cantorberv, riguardo ai diocesani del vescovo Laudunense. — Equitati et iustitiae. J. L. 7422. — 55 - 87- — 1132, luglio 26, Brescia, anno 3.0 — Al monastero di santa Maria e santa Croce di Civitatula (Tiglieto). Conferma i suoi beni e diritti, a preci del vescovo d’ Acqui Azzone e del marchese Anselmo. — Ad hoc universalis. Moriondo, Mon. Aquens., I. 48 — Semeria, 11. $98 — Migne, CLXXIX. 151 —J. 5418 — J. L. 7587. 88. — 1133, marzo 20. Grosseto, anno 4.° — Siro vescovo di Genova è fatto da lui arcivescovo, e gli concede pallio e suffraganei. — Justus Dominus. Ughelli, IV, 859 — Bilicherò , 147. — Jurium velini, fol. 51 — Jurium della Camera, cart. 51 — Jurium duplica/ut (in Archivio di Stato, cod. num. 38, c. 18) — Jurium, in H. P. M. I. 41 — Federici, Coliti!, c.40, ove pure accenna al seguente del ijmaggio — Semeria, II. 557 — Migne, CLXXIX. 174 — Ne 6 cenno in Caffaro (Pertz), p. >8, ma colla data di Corneto —J. 5448 — J. L. 7613, colla dita marzo 19. *89. — 1133, marzo 20, Grosseto. — Ai consoli di Pisa. Loro notifica i ca pitoli da lui stesso formati per la cessazione della guerra coi genovesi, e ne ingiunge 1’ osservanza. — Ego Innocentius papa praecipio vobis et omnibus pisanis. Origin. in Archiv. di Stato, Mater. polii, mazzo I.“ —D. ni e D. 316 — Pfl.-H., Ada, II. 273. num. 312. — J. L. 7614. *90. 1133, maggio 25, Laterano, anno 4.° —A Siro arcivescovo. Gli conferma la concessione del 20 marzo, colla giunta che l’uso del pallio si stenda ad altre feste, oltre quelle primamente assegnate, e statuisce che l’amministrazione dell’ Abbazia di Tiro passi ai successori. — Justus Dominus. Jurium duplicat, ms. cit. c. 19 — E vedi nota nel Jurium H. P. M. I. 42-43 — Pfl.-H. Ada, II. 273 num. 313 — J. L. 7620. 91. — 1133, maggio 27, Laterano, anno 4.° — Erige Brugnato in vescovato e lo fa suffraganeo all’arcivescovato di Genova. — Quemadmodum Sedes Apostolica. Giscardi, Storia Eccl., p. 112 — Ughelli, IV. 984 — Semeria, II. 590 ; — Cod. diplom. della Repubblica (Bibl. Civica, D. 3, 4, 17) p. 17 — Migne, CLXXIX. 178 —J.S4S2 —J. L- 7®21- 92. — 1133, maggio 27, Roma. — Conferma a Romano vescovo di Gabala (Gibello, patriarcato d’ Antiochia) i beni della sua Chiesa liberata dai saraceni. — Ubi furor in causa. Poch, Miscellan. di Storia Ligure, V. 58 — Pfl.-H. Ada, 11. 275, num. 314 — J. L. 7627. 93. — 1134, gennaio n, Pisa, anno 4.0 — A Adalberto abate ed ai monaci di san Siro in Genova. Stabilisce che le decime dovute dai Carmandino e dalla famiglia Delle Isole, già loro donate dal vescovo Oberto 1052 ed ora pretese dal Capitolo di san Lorenzo, sieno percepite sempre da quel monastero. Frammento in Archiv. di St^to (S. Siro) — Atti della Società, I. 309-311 — Ibid. II. 2.* 44$ — Schiaffino, II. 241, ex monummlis antiquis Bernardi Castelliti. — Isnardi, Storia deir Università di Genova, 1. 417-20, — D. 66 — Pfl.-H. Iter, 230 num. 361 , ma da lui non bene capito e posto sotto la data 1130-43. — J. L. 7643, sotto la giusta data. Ved. i nn. 137, 1JI. 94- — 1154, aprile 8, Pisa. — A Pietro abate di santa Maria di Butrio. Riceve Cavigna-Singiuluui, Abbazia ii tanf Albino ii Suino, p. 60. - J. L. 7648 , che U crede tal falsa bulla xmì male Jtscrìpta. 95. — 1134. — Scrive al papa Pietro abate di Clugni, lagnandosi di insulti e violenze inferte a luì ed a’ suoi compagni di viaggio, mentre erano reduci dal Concilio, per opera dei satelliti di re Corrado fra i quali Filippo vescovo di Luni. Bironio, Am*. Ecdts. XII, ad ma. — Semeria, li. 37-58. 96- — 1135. giugno 16, Pisa. — A Giovanni abate di santo Stefano di Genova, conferma i beni di questo monastero. Pfl.-H. lUr, 235, num. 331. — Semeria (11, 471) oc f» cenno, nu *1 lljé; comprendendo fri le dipendenze un monastero a Sin Remo. — J. L. 7713. 97. — 1136, dicembre 7, Pisa, anno 7.“ — Al prevosto Guido e al Capitolo Ughclli, IV. Séo. — D. 127 — H. P. W., C’J. Jipbm. Sardiniae, I. jij. — Archiv. vin Lorenzo, P. B. c. 32. — Migne CLXXIX, 299 — J. 5565 — J. L. 7800. 98* — 1137» febbraio 9, Pisa, anno 7.° — A Lanfranco prevosto di santa Maria di Castello in Genova. Riconosce e conferma le consuetudini e privilegi della sua chiesa. — Piae postulatio voluntatis. D- ' >• — Vigna, Illutri-ioxt itila diti* ii latta Mari» ii (Usuilo , p. 468, che KMtiene la daU 1137 migliore che il 1138. — H. P. SI., Ciarlar. 11.117. — Ncgrotto, p. 139, colla data li))- — Giscardi , Slor. Eecles., p. 310. — Muzio, Il sacro Ordini U Prtiictlori (mi. alla Civica). — Il can. Grassi e il prof. Belgrano la qualificano falsa. — J. L. 7814. \ 99- — H4i) febbraio 20, Laterano, anno 12.°— A Ansaldo abate di santo Eugenio in Liguria (dioc. Savona). Piglia in protezione il monastero c gli conferma i beni. — Apostolico moderamine convenit. Federici, Celiti!. 1, 41 — Schiaffino 11, 363. — Poch V, 84 — D. MI. —Pfl.-H. Acu, li, )i(, num. 352. — J. L. 8129. 100. — 1142, marzo 8, Laterano. — PrenJe in protezione il monastero di Bobbio e ne conferma i giuri. — Desiderium qttod. Margarini, Ballar. Cassinense, II, 158. — Pfl.-H. tur, p. ijj, dill'Archiv. ili Stato a Torino. — J. 5841. — J. L. 8208. IQI- — u42, ottobre 29, Laterano. — All’abate Manfredo di Fruttuaria. Conferma i beni al monastero. — Cum universis Sanctae Ecclesiae. In Registro Arciitscoiilt ms. B. f. 175. - Schiaffino II, 267. - Federici, CtUtU. 4«. citando il Re- gistro Arcivescovili — Pfl.-H., Acia II, 315, num. 364, — J. L. 824). — Atti itila Stenti L ig*rt, XVUI. 387. il monastero in protezione e gli conferma i beni. — Piat desiderium voluntatis. di san Lorenzo di Genova. Ne conferma i beni e i privilegi. — Apostolicae Sedis. — 57 — 102. — 1130-43. — Al vescovo di Genova. Faccia restituire ai monaci di santo Stefano e seppellire presso di loro il corpo di Pi.... di Castello. — Fraternitatem luam ignorare. Migne 1. c. 626 — Decretai. Gregor. IX., lib. Ili, tit. 18, cap. 3 — J, 5884. a. — J. L. 8275. Forse trattasi di Primo di Castello, di cui si arrestano le notizie al 1129. Ved. Belgrano, Tavole genealogiche, in Alti delta Società, II, 1. *, tav. xxx. 103. — 1130-1143. — All’abate e monaci di san Caprasio dell’Aulla. Dichiara esente il loro monastero dalla giurisdizione del vescovo di Luni. — Bolla citata da Alessandro III e da Lucio III, che dichiarano abrogato tale privilegio. Vedi ai num. 77, no. 104. — 1139-1143. — Conferma i possessi della Chiesa di Betlemme, 4ra i quali saranno stati compresi i possessi in Liguria (Varazze ecc.). Ne è cenno nella bolla di Clemente IV, 1266. Fazio, in Epoca (giornale di Varazze), a. 1874. — Riant , Une dependauce italienne de V Egitti de Bclhltcm, in Atti della Società Ligure, XVII, 643. — J. L. 8285. 105. — 1143, aprile 13, Laterano, anno 14.0 — All’abate di santa Maria di Castiglione di Parma. Gli conferma beni e chiese, fra i quali quelle di sant’Euse-bio di Gavi, san Remigio di Parodi, san Giacomo di Tassarolo e i possessi nei comitati di Genova e Luni. — Desiderium quod. Affò, Stor. di Parma, II, 352 — J, 5918 — ]■ L. 83$7- LUCIO II. 106. — 1144, marzo 15, Laterano, anno 1/ — A Oglerio abate e monaci di san Colombano di Bobbio. Ne riceve in protezione il monastero e gli conferma i beni. — Piae postulatio voluntatis Ughelli, IV, 977. — Migne, CLXXIX, 823 —J, 6031 — J. L. 8518. — Pfl.-H. Iter, p. 235, num. 395, ne cita una alla stessa data dell’Archiv. di Stato a Torino (San Colombano, Bobbio), ma che comincia colle parole: Pura sinceritas. — J. L. 8519. Ved. sopra num. 48. 107. — 1144, aprile 5, Laterano. — A Pietro vescovo di Nizza. Conferma i beni e i possessi della sua Chiesa, fra i quali santa Maria del Porto di Monaco e le chiese di Olivo (Villafranca), il monastero di san Ponzo, ecc. Pfl.-H. Acta III, 55, num. 56. 108. — 1144, maggio 10, Laterano. — Prende in protezione il monastero di santa Maria di Castiglione di Parma e conferma i suoi beni, fra i quali sant’Eu-sebio di Gavi, san Remigio di Parodi, san Giacomo di Tassarolo ed altri nei comitati di Luni e di Genova. — Desiderium quod. Muratori, Anliquit. Itat., V. 819. — Affò, Stor. di Parma, II, 356. — Migne, loc. cit., 863 — J, 6061 - J. L. 8597. / - S8 - 109. — 1144, settembre-dicembre. — Conferma ai genovesi i diritti e privilegi che hanno 0 devono avere in Sicilia, e rimette loro il censo della libra d oro che la città pagava alla S. Sede per l’isola di Corsica. Citìaro (Perti), p. ao — J. L. 8689. — Manci il documento. no- — ”4 Hi- — Al vescovo di Luni. Gli dichiara sottoposto il monastero di san Caprasio dell’Aulla. Accennata nella bolla d’ALESSANDRO III del 1179, aprile 25. Cenni in Semerii, 11, 59, 43, 153. II!- — H44'45- — Conferma i beni e privilegi della Chiesa di Betlemme e d Ascalona. Accennata in bolla di Clemente IV, 1266. Faxio, in Efota (giotu. «li Virine) 1874, I, 17, 19, 36. — Runt, Uue etc., p- <56 — |. L. S699. 112. — 1145, giugno 16, Viterbo. — All’abate di santa Maria di Castiglione (Parmense?). Conferma beni e monasteri dipendenti. Ved. sopra, nn. 54, 105, 108. — Quotiens. Plancher, Hìst. de Bour gogne, 1, preuw, p. u. - Migne, CLXXX, toso - J. été» - J. U 8769. Probabilmente questi appartiene ad iltra chiesa d'egual titolo, ma fuori d’ Italia. EUGENIO IH. — H45> agosto 18, Viterbo, anno i.° — A Giovanni abate del monastero di santo Stefano di Genova. Gli conferma la protezione e i beni. — Ad hoc in Apostolica Scdis. Ptì.-H. Ada 111, 70, num. 68. — Poch., op. cit. II, 9 — D. p. 81.— Rutilo camtmli [t*ot tiì »11» Bibl. L'niverj. segnato C. VII, jj, p. 17 — J. L. 8778. 114. — 1145, novembre 22, Viterbo. — A Gotofredo vescovo di Luni ed agli altri di Siena, Volterra, Firenze e Lucca. Non facciano ostacoli a chi vuol recarsi a pregare all’ altare di san Giacomo di Compostella nella chiesa di Pistoia. — Ad vestram notitiam. Ughelli, MI, 398. - Migne CLXXX, 1063 - J. «175 - J. L. 8794- 115* — 1145-46. maggio 21, Viterbo. — A Ogerio arcidiacono, Guiberto preposto e Capitolo di san Lorenzo di Genova. Circa alla refezione dovuta dal monastero di santo Stefano al Capitolo. — Pervenit ad aures nostras. Negrotto, p. 171. — Archiv. di S. Lorenzo, P. A. e. <9 e P. B. c. }J. — Poch., op. cit. V, 436, — D. 119. — Pfl. H. Ada II, j4j, num. J90 — J. L. R8ié. 116. — 1146, maggio 13, Sutri. — A Guido cardinale di san Lorenzo in Da-maso ed altri cardinali. Conferma la sentenza pronunziata da loro come delegati — 59 “ nella causa tra il monastero di Lerino ed il Capitolo di Ventimiglia. — Quoniam per nos. / Pfl.-H. Ada I. 187. — Rossi , Storia di Ventimiglia, p. 360. — Cais di Pierlas , I Conti di Vcntì-miglia% in Miseellan, di Stor. Italiana, Torino, 1884, XXIII, 116, colla data 1145 , che non va nemmeno come anno fiorentino — J. L. 8919. 117. — 1147. — Januenses... per Apostolicam Sedem a Deo menili et vocati, exercitum supra saracenos Almariae iurarefecerunt et parlamentum. E fecero l’impresa, conquistando con insigni vittorie Almeria e Tortosa. Caffaro (Pertz), p. 36. Cfr. H. P. M.t Jurium I, col. 117-118. 118. — 1148, novembre n, Pisa, anno 4.° — A Gotofredo vescovo di Luni. Riceve in protezione la sua Chiesa e gli conferma i beni. — In eminenti sedis. Cod. Pelavicino f, 49, num. I, ove reca la data pisana 1149* — Ughelli, I, 845. — Migne CLXXX, IJ7I» — J- 6459 — J- L* 9302. 119. — 1 x50, aprile 14, Laterano. — A Guiberto preposto ed al Capitolo di san Lorenzo di Genova. Piglia in protezione quella chiesa, e gli conferma la donazione del conte Raimondo di Barcellona. — Officii nostri. Arch. S. Lorenzo, P. A. ioé e P. B. 33. — Ncgrotto, p. 167. — Giscardi, Stor. Sacra, ai anuum.— Ughclli, IV, 863. — D. 121. — Migne, CLXXX, p. 1411 — J, 6514 — J. L. 9380. 120. — 1150? — A Siro arcivescovo di Genova. Piglia sotto la sua protezione la Chiesa genovese e le conferma i diritti e possessioni, indicandole nominativamente. — Ex commisso nobis a Deo. Ughelli, IV, 865. — Registro Arcivescovile A. (in Atti Soc. Lig.. II, par. 2.*, p. 454, ove è la nota per la data). — Schiaffino II, 292 — D. 56. — Migne, p. 1562. — Federici, Collett., I, 54, che cita un membranaceo antico presso Bernardo Castelletto. — J, 6680, in data 1145-53 — J* 9646. 121. — 1145-1153. — Giudica la controversia tra 0[glerio] vescovo di Bobbio e il monastero di san Colombano. —Accennata in bolla di Onorio III, 1218. Ughelli, IV, 937. — Horoy, Mei. Aevi Bibl. Patr., Parigi, 1879, li, 660 — J. L. 9650. ANASTASIO IV. 122. — 1153, dicembre 7, Laterano. — A Gandolfo abate del monastero di san Marziano di Tortona. Gli conferma i beni, fra i quali l’abbazia di sant’Ono-rato di Patrania (Torriglia), la chiesa di sant’Andrea in Gattorba (presso Serra-valle Scrivia), e nel Comitato genovese locus qui dicitur Saltus in Messenia (Mcsema? presso Passano), in castellatila Paxani sive Sigestri. — Religiosis desideriis. Bottazzi, Carli inedite dell'Archiv. Capitol. di Tortona, Tortona, 1833 , p. 138. — Pfl.-H., Iter, 248, num. 473. — J. L. 9768. Ved. sotto, num. 204. — 6o — I25* — 1 1 53* 54* — A favore del monastero di Bobbio. Conferma accennata nella relazione del vescovo Sicardo. — Ved. sopra, num. 48. Ughelli, IV, 93j. I24‘ u54> marzo 18, Laterano. — Riceve in protezione la chiesa di santa Maria di Luni a preghiera del vescovo Gottifredo, e ne conferma i giuri — Ex commisso nobis. Cod. Ptìaviciuo, fol. 50, num. xi, ove ree» 1* data fiorentina 1153. — SemeriaII, 40, 15». — Ughelli, I, 846. — Migne, CLXXXV111, 1046 — J. 6786 — J. L. 9850. I25- 1154» maggio 18, Laterano. — Per la chiesa di sant’Andrea di Carrara. La riceve in protezione e ne conferma i beni. — Religiosis votis. Pfl.-H., Acla, III, 1^9, num. 141. — J, L. 9904. r2^- 1154> maggio 18, Laterano. — A Lanfranco priore ed al Capitolo di san Frediano di Lucca. Conferma la chiesa di sant’Andrea di Carrara, donatagli dal vescovo Gotofredo. Pennoto, Ori. clcr. ««., p. 734 _ J. L. 9905. ADRIANO IV. I27- 1 *55# febbraio 14, apud S. Petrum. — All’arcivescovo ed ai consoli di Genova. Esige il ristoro dei danni dati a un suo fedele. — Dilecti filii et fidelis nostri S.... Originale in Archiv. di Stato, Bolle e Brevi Pontificii — Poch, IV, reg. 8.», p. 21. — D. 385. — Pfl.-H. Acta, II, 357, num 405 — J. L. 9994. I2^- — II55- — Sono a lui indirizzate dai genovesi invettive contro il re di Gerusalemme, il conte di Tripoli e il principe d’Antiochia, che fecero togliere dal santo Sepolcro l’iscrizione posta in lode de’ loro egregi fatti : Praepotens ge-nuensium praesidium. — Reverendissime Pater. Caffaro (Pertz), p. 24. — Coi. iiplom. iella Rep., I. p. 30. I29- — 1155 » novembre-dicembre, Benevento. — Al re di Gerusalemme Balduino. Faccia restituire il danaro tolto ai genovesi, e permetta loro di possedere il viscontato d’ Acri ed altri diritti. — Ad hoc in eminenti. Caffaro (Pertz), p. 24 — Schiaffino, II, 311 — Federici, Lettera a 0. Sdoppio, Genova, 1641, p. 54 — Migne, CLXXXVII1. 1440 — J. 6903 — J. L. 10107» *3° 115 5» novembre a dicembre, Benevento. — A Raimondo conte di Tripoli. Perché sieno conservati i diritti dei genovesi. Caffaro (Pertz), p. 24 — J. 6904 — J. L. 10108. — 61 — i}!. — 11 s 5» novembre-dicembre, Benevento. — A Rainaldo principe d’Antiochia. Per lo stesso scopo come sopra. Caffaro (Pertz), p. 24 — J. 6905 — J. L. 10109. 132. — n 55, novembre-dicembre, Benevento. — Al patriarca d’Antiochia. Costringa colla scomunica il principe Rainaldo, se non ubbidisce come sopra. Cafiàro (Pertz), p. 24 — J. <906 — J. L. iojio. 133. — n55, novembre-dicembre, Benevento. — Ai vescovi di Beziers, di Agde ecc. Costringano Bernardo Attaracense (di Aire) a restituire il danaro tolto ai genovesi. Caffaro (Pertz), p. 26 — J. 6907 — J. L. ioni. 134.— 1155,— Ai Genovesi. Dopo scritte le lettere predette (nn. 124 e segg.) il Papa congeda il legato, consegnandogli un anello e pronunziando le parole : Istud sit signum dilectionis. Caffaro (Pertz), p. 26 — Federici, loc. cit., p. 63 — Federici, Cclletl., I. c. 57; dove rileva dal Caffaro clic il legato era Manfredo canonico di san Lorenzo, nobile genovese (dei conti di Lavagna), poi cardinale. Vedi Belgrano, Tavole genealogiche, in Alti della Società Ligure II. i.a, tav. IV). 135- — 1155, aprile 12, Laterano. — A Oberto vescovo di Tortona e successori. Conferma l’Abbazia di san Pietro di Precipiano e il suo castello (presso Arquata), le abbazie di sant’Onorato di Patrania (Torriglia), di san Fortunato di Vendersi, i luoghi di Savignone, Monte Oblò (Montobbio), Croce (dei Fieschi) ecc. — In eminenti. Bottazzi, Monumenti dell' Archivio Capitolare ài Tortona, p. 29 —Pfl.-H., Iter, 257, num. 527 — J. L. 10271. — A san Fortunato di Vendersi appartiene senza dubbio il documento dell'anno 946 in H. P. M. Chartar. I. col. 158, benché il guasto della carta non lasci chiaro il luogo. *136. 1154-1 j 57. — A Siro arcivescovo di Genova, a Giovanni abate di san Bartolomeo del Fossato ed a Gregorio monaco di san Stefano. Li delega a comporre la controversia fra il Capitolo di san Lorenzo ed il cappellano di santa Maria di Quarto intorno alla metà delle oblazioni fatte a quella cappella. Accennata nella sentenza relativa promulgata in san Lorenzo il 13 agosto 1157. D. iij. — Pocli V. 157. — Archiv. di san Lorenzo P. A. 44. 137. — n57, gennaio-agosto, Laterano, anno 3.° — All’abate Beltramo ed al monastero di san Siro di Genova. Gli conferma i beni, fra i quali le decime della prosapia dei Carmadino e Delle Isole, già aggiudicategli per sentenza d’iN-nocenzo IL — Vedi sopra al 1134 num. 93. — Effectum insta. Originale in Archivio di Stato (san Siro) — D. $8 — Pfl.-H., Acta III, 183, num. 172 — J. L. 10300, 1)8. n 58. giugno 14, Sutri, anno 4.0 — Agli abati di Civitatula (Ti- 0 teto) e di ^.111 Bartolomeo (del Fossato). Loro attribuisce il giudicare nella fra il Capitolo di san Lorenzo ed i monaci di santo Stefano di Genova, pti la reiezione al Capìtolo dovuta. — Vedi sopra num. 115. — Causas quae inter. D. no _ Ncgrotto p. ,?s _ Arch_ san Loren20> p A< Jo8 _ pfl .H Act ui ,93( aum- |8o num. 65--J. L. 10413. x59- 1158, giugno 15, Sutri, anno 4.0 — A Ugo arcidiacono, Oberto pre-P o l Capitolo di san Lorenzo di Genova. Conferma i beni loro — Effectum insta. Ughelli IV L°re"20’ P' A' ,o8> p- B- 11 - Negro»» >77 — CtJex diplom. Sardi»., 1. p. 223, «-ghelh, 1\. 865 _ D. ,3+ _ J. 7 dicembre 13, Anagni. — Agli arcivescovi, vescovi, prelati, ecc., per a Liguria, 1’ Emilia, l’Istria e il ducato di Venezia. Contro l’antipapa Ottaviano. — A eterna et immutabilis. 1058- io;o2 t nn ’ P ,4' ~ ^ 7136 ~ ■*' L‘ I0600‘ Cfr‘ J' 7ij7i 7119. 7130 — J- L. 10584, >059*. pauets mutatis. P f °’ aPr**e !9> Anagni. A 0. prevosto di santa Maria di Castello. Conte™, aotlchl usì e CODC£(le nuov. pr.vi|eE, _ Tmc "M ^ J.TT\T‘J *"“• “• ” ■ T.1-, n_ Vi,.., p. 472, con nota per giustificar la data. Nor/ maSS'° 9» Anagni. — Ai fratelli dell’Ordine Mortariense. *on sottraggano le decime alla Chiesa genovese. - J** vohmus vobi, 43 Poch, \. 264 PA..H. Acta, in. 239 , num. 241 _ j. L. 12567 colla data 1160-117«. — 63 — *146. — ii6o, agosto 18, Anagni, anno i.° — Ai patriarchi, vescovi, abati capitoli ecc. Per l’ammissione ai benefici canonicali, fatta per autorità della santa Sede oppure dai capitoli delle singole chiese. — Contigit pro quibusdam interdum. Archivio di Stato, Bolle e Brevi Pontificii — Inedita. 147- — 1160, dicembre 21, Anagni. — A Verno, priore di san Frediano di Lucca. Conferma il possesso della chiesa di sant’Andrea di Carrara. — Quae a fratribus. ' Pfl.-H. Iter, p. 262, num. 558. — Lo stesso, Ada, III. 202, num. 193. 148. — 1161, aprile 9, Laterano, anno 2.0 — A Siro arcivescovo di Genova. Gli conferma Li dignità confertagli da Innocenzo II, e gli dà a suffraganeo il vescovo d’Albenga; con altri favori. — Superna et ineffabilis. Ughelli, IV. 867 — Federici, Lettera a G. Sdoppio, p. 60 — Federici, Collettanee, I, car. 62 *— Gi— scardi, Storia Eccles., p. 128 — Poch, V. x8i — D. 131 — Schiaffino, II, 4 56, tutti all’anno 1161. Però quest'ultimo mantenendo lo stesso anno nel testo di cinque esemplari da me veduti, contiene nella copia della Civica una nota marginale d’inchiostro più scuro e che cambia la data al 1162, marzo 25, del Pontificato anno 3.0 11 Dott, Pfl.-H. (Iter, 264, num. 572) ne ha preso motivo per adottare soltanto quest’ul-tima data , e il J. L. per farne due bolle al 9 aprile 1161 e al 25 marzo 1162. A me pare più sicuro attenersi all*Ughelli, che dice tratta la carta dall’Archivio della Repubbl., e collocarla perciò qui solamente. — Migne, CC., p. 115 — J. 7169 — J. L. 10663 — J. L. 10707. 149. — 1161, aprile 9, Laterano. — Ai patriarchi di Gerusalemme e d’Antiochia. Loro notifica aver nominato legato trasmarino l’arcivescovo di Genova. — Apostolicae Sedi, cui. H. P. A/. Jurium, I. 307 — Jurium della Camera, c. 67 — Jurium VII, ras. all Archivio del Ministero esteri a Parigi, c. 67 — D. 133 — Federici, Coìteli., c. 63. » 150. — 1161, luglio 14, Palestrina, anno 2.° — A Oberto preposto, Ugo arcidiacono e Capitolo di san Lorenzo di Genova. Conferma beni e diritti. — Justis petentium desideriis. Negrotto, I, giunte in fine. — Archiv. san Lorenzo, P. A. 109. — D. 134. — Pfl.-H., Acta, III, 206, num. 197. — J. L. 10672. *151. — 1161, Anagni. — Per la conferma delle decime dovute alla chiesa di san Siro dalle famiglie Carmadino e Delle Isole. — ... Decimas vero civium. Era una gran bolla, colla rota e monogramma e colle sottoscrizioni dei cardinali; vi pendeva ancora il piombo quando il Poch la trascrisse. Ma già fin d allora, come ora, non restava che la metà inferiore ed illegibile nella data, salvo la parola Aitagli... e alcune lettere in fine che dovean compiere le note cronologiche, H[ermanni] [indict]ione [inc]arnatfionis]. Nel dorso, di mano del Seicento, è scritto 1161, Alessandro III, anno 4° Quest’ultima cifra è errata senza fallo; — 64 — ma il luogo c i cardinali che sottoscrissero convengono benissimo al 1161. Dilatti di Ottone diacono al \ elo d’oro cessan le memorie note al 30 settembre; e quelle di Giovanni diacono di santa Maria in Portico cominciano col 26 febbraio dell’anno medesimo. jj a a t.'t° 0ri6inal<' *" Archivio Stato (san Siro, mauto 1.°), — Alti Mia Società Ligure, I, 311 ; con data^u' S *93* — Pfl.-H., Iter, 184 , num. 688 , ma espressa vagamente e dola da>li iti''CJ' S°^rJ’ DUm’ ^«H’anno 1162-63, senza data di luogo, desumen-f 1 , }lt, e richiamandosi al proprio num. precedente 7643, cioè alla bolla indi-at I e /' ^U**U 4 C01ltcrm*. — J. L. 13147, colla data 1159-79, ripete questa stessa gii indicata a. loSo6, tracndola da. Pfl.-H., ,84; e cos, fa di una sola due Mie. !5— 1162, gennaio, in Portofìno nel suo viaggio a Genova. — Consacra ripino vescovo di Luni. Marangone, Ciro,. «*■., ir. Ardi*. slor. it< vl> p„. p. J? _ } L ^ j, pJg. i>3- H62, gennaio 23, Genova (vi è giunto il 21). — Alla chiesa di san • k • Gamundio (Castellazzo d’Alessandria). Promette protezione e conferma 1 beni. — Quotis a nobis% 0«. Aquensia, 1. 61. — J. CCCCX1V — J. L. 10691, (ma colla data d'Anagni falla). 54 1162, gennaio 24, Genova. — Ai canonici della chiesa di sant’Avito (Urieans). Concede una chiesa de Escoboliis - Justis petentium. I. L. 10692. 155* IIÓ2> gennaio 26, Genova. — A Villano arcivescovo di Pisa. Assog-g ue vescovati in Sardegna e uno in Toscana, in compenso di quelli che nnunziò alla santa Sede. - Tunc Apostoìicae. H., Iter, p. 262, num. 562, ma colla data del 1161. — J. CCCCXV. — J. L. 10693. lJ.6\ ~ U62> febbraio 7, Genova. — Ai canonici della santa Triniti (dioc. d« Chalons sulla Marna). Dichiara libero il seppellire in quella chiesa. - Justis petentium desideriis. Pfl.-H., Acta, I, 231, num. 248 - J. L. 10694. rn 1 T r”62’ febbrai° 9' Gen0Va- ~ A1 re di Franda J-uigi VII. Raccomanda la Chiesa di Ferrara. - Decet clementiam. “igne, CC, 129 _ j. 7,83 _ j. L. ^ Mauri7t eì- p ” ■ fe^bra'° ^ ’ ^enova* — Ai vescovi Enrico di Beauvois e e DoT f"®’ C“,ìl,,iece eiudi“ ”'»« 1« fra Uco arcivescovo di Sens O Dodone abate F- 85 (ove avverte la confusione che il Pertz, in nota al Caffaro, p. 29, fece di questa bolla con quella del 2 settembre „59). _ J. _ j. L. ^ Ved ^ num> ^ I^1‘ n^2> g'ugno 7> Montpellier. — A Siro arcivescovo, al cleroe popolo Oeno\ese. Contro Federico I e l’antipapa Ottaviano. Li avvisa di pratiche fruttuose da lui tenute per la loro conciliazione col conte Raimondo di Saint-Gilles, del rice\imento a\uto a Montpellier, dove fu ben accolto e riconosciuto dai principi, li esorta all unione con lui e confida nella buona riuscita. — Sincera vestrae fidei. Originale m Archiv. di Stato, Mater. Polii., mazzo 1.» - Poch, V, 190 - D. 135. - Pfl.-H., Ada. il, 366. num. 416 — J. L. 10729. "2*. 11^2’ ottobre M> Tours (Francia). — All’arcivescovo di Milano. Con-a i beni della sua Chiesa, e fra essi quelli di cui godeva nella Marca di tova^ colle quattro pie\i di Recco, Uscio, Rapallo, Camogli, il palazzo e brolio 1 sant Ambrogio. — In eminenti sedis. Belgrano, in Ani S(*. Lig„ li, 2.. 458. - j. 7228. - j. L. ,0764. 73 1159 1163. A Siro arcivescovo di Genova. Conferma la sentenza da ha pronunziata a favore della chiesa di santa Maria di Castello contro quelle osmo e Nazario. Accennata in altra dello stesso Papa, del settembre 1170. Ved. sotto, ai nn. 184, 185. Vigna, Illustracit., p. 82. _ 67 — *I74- — 1166? novembre 15, Anagni (senza il nome del Papa). — Al Vescovo di Luni. Lo rampogna come fautore di Federico I. — Licet devotionem. — .... servus servorum Dei —... ad mandatum et suggestionem F[riderici] non dicimus imperatoris, sed vehementis persecutoris Ecclesie, dilectis ianuensibus qui ab ipso exordio promotionis nostre fideles ex[lite]runt P[orlu]m Veneri\s]simul cum pi-sanis consulibus voluistis auferre. Pocli, IV, rcg. 8.°, p, 36, che la dice autentica con resto di canepa da cui pendeva il piombo. Quantunque manchi il nome del Papa, non può esservi dubbio su ciò; ed anche l’anno il66 sembra coincidere cogli avvenimenti del 1165 narrati dal continuatore del Caffaro e colla nota amicizia del vescovo Pietro con Federico I. Non risulta che nel 1166 il Papa fosse in Anagni, ma potea esservi giunto dal Laterano; del resto non mi pare probabile altra data. — D. 421. — Frammento inedito; era già nel-1‘Archivio segreto, cantera 33. 175. — 1166-67, gennaio 18, Laterano. — All’arcivescovo di Genova. Annunzia il felice ritorno ed ottima accoglienza a Roma: ammonisce i genovesi a difender la Sardegna che i pisani tentano sottrargli. — Statum et continentiam. Originale in Archiv. di Stato, Mater. polii., mazzo 1.° — Cod. diplom. Sardin., I, 223, num. 68, con data erronea uéa, come avverte anche Langer, op. cit., p. 116. — Dove, De Sardinia, al 1166, p. III. — Pfl.-H. Ada, 111, 214, num. 207. — D. 341. — Poch, IV, rcg. 8.°, pag. 56. — J. L. 11311. 176. — 1166-67, marzo 2, Laterano. — A Ugone arcivescovo, al prevosto e Capitolo di san Lorenzo di Genova. Si facciano osservare le sentenze fatte per santa Maria di Castello sul conto degli altari dedicati alla B. V. — Relatum est auribus. Vigna, Illustraj. cit., p. 475, che la crede piuttosto del n66. — Perasso, op. cit., VI. 256. 177. —• 1166-67, maggio 16, Laterano. — All’arcivescovo Ugone, al Capi-pitolo ed ai consoli di Genova. Conferma le terre e i diritti che il Comune e la sua Chiesa possedono nei giudicati di Arborea e di Cagliari in Sardegna. — Sacrosancta Romana Ecclesia. Cod. diplom. Sardin., I, 224, sotto la data erronea 1162, quando il Papa non era in Italia. — H. P. M. Jurium II, 20, con data 1179. — J. L. 13227, con data 1166-79. 178. — 1168, febbraio i\, Benevento. — A Giacomo abate di Vallombrosa. Gli conferma i beni e monasteri dipendenti, fra i quali san Bartolomeo del Fossato (presso Genova) e san Giacomo di Latronorio fra Varazze e Cogoleto (dioc. di Savona). Schiaffino, II, 418; il quale non la riferisce, ma la cita ex monumentis Abbat. S. Barlbol. de Fossato Gen. *179. — 1168, novembre 29, Benevento, anno 10.° — A Bonifacio priore di san Teodoro e fratelli. Conferma l’ordine Mortariense ivi istituito, le donazioni fattegli e i possessi a Fasciolo e a Capodifaro. — Quoties illud a nobis petitur. Originale, Bibl. Civica, carte di S. Teodoro, Busta segnata D. i. 2. 25. Ne è cenno in Olivieri, Carie e cronache, 1855, p. 239 — D. 24. 293. — Pfl.-H., Iter, 267, num. 592 — J. L. 11422. Ved. a« J. I.. 11423, dicembre 1. — Quanto Ecclesia. — 68 — I^0, 1167-1169, ottobre 12, Benevento. — Al re di Gerusalemme Amalrico. Perché sia ricollocata l’iscrizione tolta al tempio del santo Sepolcro; e i genovesi godano dei loro antichi usi e diritti.— DilectiJilii nostri ianuenses cives. H. P. Jurium, 1 , 22S , colla data 1170. — Jurium dell'Ecc.1"* Camera, c. 67. — Jurium VII , 7 Schiaffino, 11, 560. Federici, Lettera cit., p. 53. — Ne è copia in Archiv. di Stato, Mater. ia„o I. Tutti (.olla data 1170. — Stornale Ligustico, a. 1883, p 164, Originale all’ Universi!., segnato D. Vili. — J. L. 1x441. I^1* 1167-1169, ottobre 13, Benevento. — Ad Amalrico patriarca di Gerusalemme, ed agli arcivescovi, vescovi e maestro del Tempio. Per la reintegrazione della iscrizione in lode de’ genovesi nel santo Sepolcro. — Dilecti filii. H. P. M. /unum, I, 229. _ Jurium di Camera e jurium vn, _ j L II(|4J I^~' 1168-69, agosto 28, Benevento. — Ad Ugone arcivescovo di Genova. Dona l’isola Gallinaria (dioc. d’Albenga). - Nulli amplius quam. g . . S,i — D. 144 — Poch. V, 154, che la dice pergamena autenticala nel 1274. — Seteria, II, 463, £on dau II?7< _ Gi$c4rdì( Slgr Eeelts^ p _ M- e_ cc ss. _ j ?7J4 _ J- L. 11S73* ,I^9> aprile 2, Benevento, anno to.° — Al monastero dell’isola Gallinaria. Ne riceve in protezione l’abate e i monaci. — Religiosam vitam. o^h, \, 316. D. 138. — Pfl.-H. Acia, III, 218, num 211. — J. L. 11610. 184. 1170, settembre 16, Ferentino. — Ai suoi delegati Ugone arcivescovo e Gerardo abate di Civitatula (Tiglieto). Per la causa tra la chiesa di santa Maria di Castello e de’ santi Nazario e Damiano. Conferma la sentenza da essi pronunziata. Quoties super re aliqtia. Originale in Archiv. santa Maria di Castello. - Perasso, op. cit., c. 253, verso _ Vigna, Illustratone at-> P- 477- Ivi anche la sentenza dei Delegati, del 27 giugno p. p. 185. 1170, settembre 17, Ferentino. — Ai chierici di san Damiano e di san Nazario. Intima 1 osservanza della sentenza predetta a favore di santa aria di Castello. Ea quae de mandato romanorum pontificum. Perasso, op. cit., 255, verso - Vigna, op. cit., p. 478. 186. 1163, febbraio settembre 1173. A Manfredo cardinale diacono, egato in Piemonte e in Lombardia. Lo manda a Ventimiglia per comporre ecidere la lite vertente fra quel Capitolo ed i monaci Lerinesi, sulla privativa di certe funzioni ecclesiastiche. Accennata in altra bolla diL,c.o 111 del ,8 gennaio ,883. - Ved. num. 2,9. - La data si r-cava empo in cui anfredo dei conti di Lavagna fu cardinale diacono : ved. J. L. II, pag. 145-146. Egli l P°‘ SUb,W r" ^ S- “ 60011 »* 1-do fu promosso a vescovo di PalestL, mori ne. . .77 #Ver ~ COn AleSS4ndro 1,1 •» di Venezia. Cfr. Belgrano. Ta,oU gene*,, cit., tav. IV. - b — *I®7- — H6I-7J, agosto 19 a settembre 6, Ferentino.— A Siro arcivescovo ed ai consoli di Genova. Ne loda la fede, la pura dottrina, l’amore alla Chiesa ed al Papa, e li ringrazia. Li prega a scrivere a Costantinopoli, acciò sieno ben accolti dall’imperatore Manuele i suoi legati Enrico aicivescovo di Benevento e B[onadies] cardinale di san Grisogono. — Super illo dilectionis fervore. Pocli. IV, reg. 8.®, p. 56 (senza data). — Podi, V, 173, che la dice pergamena autentica con resto di cordicella da cui dovea pendere il piombo, carattere del secolo XII. — D. 127, 340. — Pfl.-H. Iter, 27$, num. 635, colla data 1161-75. — Ma il cardinale Bonadies mori nel 1173, o prima. Ved. Ciacconio, I, p. 1090. — J. L. 12409. *188. — 1170 (1161-1175), maggio 22, Ferentino. — Ai consoli di Genova. Raccomanda loro la chiesa di san Rufo e le sue dipendenze ; fra le quali san Nicolò di Capodimonte e le chiese di san Michele (di Fassolo, già presso l’attuale stazione ferroviaria di Piazza Principe) e di san Salvatore : li prega a dare degno compenso per questa chiesa del Salvatore, presso cui muri ad munitionem eiusdem civitatis sunt noviter erecti. — Ecclesiam S. Rufi. Pocli, IV, registro 7.°, p. s6 — D. p. 341. — Frammento inedito. 189. — 1175, giugno 21, Ferentino. — Dice al Capitolo genovese d’aver commesso al vescovo di Tortona (Oberto) di definire la causa tra esso Capitolo e 1’ arcivescovo per varie quistioni. — Causam quam inter. Archiv. san Lorenzo, P. A. 85. — Poch, V, 264 — D. 142. — Pfl.-H., Ada, III, 237, num. 237. — J. L. 12498. 190. — 1175, giugno circa, Ferentino. — Al vescovo di Tortona. Per la causa tra l’arcivescovo ed il Capitolo di san Lorenzo. Accennato nella carta precedente. 191. — 1175 (1170-75) settembre, 20, Ferentino. — Al vescovo di Tortona (Oberto) e all’abate di sant’Andrea. Definiscano la causa vertente tra l’arcivescovo ed i monaci di Monte Cristo, per la chiesa di san Marco del Molo in Genova. — Causam quae. Archiv. san Lorenzo, P. A. 50. — Poch, V, 278 — D. 150. —Pfl.-H. Ada, 111,237, num. 236. — J. L. 12429. 192. — (1159)- [ 170, novembre 21, Anagni. — Ai vescovi di Sagona e Neb-bio in Corsica. Loro commette di curare che le decime di santa Maria di Capo Corso vengano corrisposte non al parroco di Luni, ma si al convento di santa Maria dell’isola di Gorgona (allora diocesi Lunese). — Ex transmissis litteris. Pfl-H., Ada, III, 238, num. 238. 193. — 1160-76, maggio 12, Anagni.—Ai vescovi di Ventimiglia e d’Antibo. Compongano la controversia tra il Capitolo di san Lorenzo ed i monaci di san Siro di Genova, per l’obbedienza e la benedizione dell’abate. — [)2K»]a nuntii. Originale guasto in Archiv. di Stato (san Siro). — Poch, V, 309. — Pfl.-H. Ada, III, 240, nani. 242. — j. L. 12568. — 7o — 194- — 1166-1178, agosto i.° Laterano. — All’arciprete di Lucca. Gli delega il giudicare sulla controversia tra il cappellano di san Giusto e quello di san Giovanni di Vezzano (in Lunigiana?). — Dilecti filii nostri. Pfl.-H., Jcta, 111, 262, num. 173. — J. L. IJ994. *95’ — 1160-79, ottobre u, Anagni. — All’arcivescovo ed ai consoli di Genova. Non invadano il porto di Guglielmo di Montpellier. — Dilectus filius noster. Migne, CC, 1191.— Bouquet, XV, 947. _ J. 8619 — J. L. 13151 , colla noti: aliena mania ad-didit « pontificai... «a». X • ; che sarebbe il 1:69. 196* — 1160-79, o^obre 11, Anagni. — Ai consoli ed al popolo di Genova. Non offendano con ingiurie Guglielmo signore di Montpellier. — Frequens et replicata. Bouquet, XV, 947 _ J. 8610 — J. L. 13151. *97* — 1179» aprile 9, Laterano. — AI re Amalrico, al patriarca di Gerusalemme ed al clero trasmarino. Raccomanda sia ben accolto l’arcivescovo di Genova, se andasse colà come suo legato, avendogli il Papa concessa quella legazione ed il pallio pei meriti dai genovesi guadagnati in occasione dello scisma ed altro. — Apostolicae Sedis cui. H. P. .V., Jurium I, 307 — Jurium di Comen e Jurium VII, 67. — J. L. 1337$. 198. — 1179, aprile 25, Laterano, anno 20.'’ — A Pietro vescovo di Luni. Conferma la bolla di Lucio II, che gli sottoponeva il monastero di san Caprasio dell Aulla, colla facoltà di benedire gli abati. — Cum universa quae a praedecessoribus. Ughelli, I, 847. — Semeria, II, 43, 153. —Archiv. di Stato (Bollii Scritture di un Caprasio, quad. U.) — Torgioni-Tozzetti, Viaggi, XI, 169-70, dal Cod. Pelavieino, f. 55 num. XVI. - J. 8719-J. L. 13399, ml coll’ errore Arelensis per Jvultnsii. l99' 1179» aprile 25, Laterano. — A Ugo (Embriaco) signore di Gibel-leto. Lo esorta a voler riconoscere dai genovesi il suo feudo, pagarne censo e giurar fedeltà. — Pervenit ad nos. ^ Jur'um I, Jo8. — Jurium I di Camera, I. 67 verso — Jurium VII c. 67 v.° — Ncgrotto, giunte in fine. — J. L. 13401. 200- 1179» (?) aprile 26, Laterano. — Al maestro dei cavalieri del Tempio. Si accordi coi genovesi sulla quistione di proprietà per certe case fuori d* Ar-chas (in Terra Santa). — Venerabilis frater noster. Originale in Bibliot. dell’Universiti, segnato D. Vili. — Giornale Lignst., a. 1883, p. 164. - Pfl.-H. Acta, III, 272, num. 287. — J. L. 13402. — 7i — 2°i- — 1179» aprile 26, Laterano. — Al re Balduino di Gerusalemme. Faccia rimettere nel tempio del santo Sepolcro l’iscrizione in lode de' genovesi. — Significarunt nobis. M. H. P., Jurium, I, 309 — Jurium della Camera c Jurium VII, 67 — J. L. 13402. 202. — 1179, maggio 15, Laterano. — A Rolando abate del monastero di san Quintino di Spigno (già diocesi di Savona). Lo riceve in protezione e gli conferma i beni, fra i quali ius quod habetis in Veragine et Albi^ola. ■— Officii nostri nos. Moriondo, Mon. Aqucm., I, 74 — J. 8723 — J- L. 13413. 203. — 1170-1180, dicembre 2, Tuscolano. — A Pietro giudice di Cagliari. Lo rimprovera di molestie recate dai suoi fedeli ai beni del Capitolo di san Lorenzo di Genova. — Periculosum est universis. Archiv. san Lorenzo, P. A. 39. — Negrotto, giunte in fine — D. 140. — Cod. dipi. Sardin., I. 225 - J. L. 13533. 204. — ji8o, marzo 28, Velletri, anno 21.° —All’abate ed ai monaci di san Marziano di Tortona. Conferma la bolla in loro favore d’Anastasio IV, del 7 dicembre 1153 (ved. sopra, num. 122). — Piae postulatio voluntatis. Bottazzi, Carte inedite dell'Archiv. Capital, cit,, 1833, p. 141. — Bottazzi, Monum. cit., p. 40. 205. — 1159-1181. — A favore della chiesa di santo Stefano di Lavagna. Ne conferma le possessioni e diritti. Accennata in altra di Celestino III, del 1193, aprile 23. — Cfr. num. 291. 206. — 1159-1181. — All’arcivescovo di Genova. Sulle usure. — Ne si qui piper. In civitate tua. Federici, Colteti., c. 79, suppone la data 1180. — Decretai. Gregor., lib. V, tit. 19, cap. 6. — Mansi, Conci/. XXII, 408. — Schiaffino, II, 382 — J. 9027. — J. L. 13965. 207. — 1159-1181. — All’arcivescovo di Genova. Non conceda più d’un luogo in chiesa a ciascuno; nè imiti la chiesa Gallicana nel dare più benefizi ad un solo. — Cum non ignores. Ne uni persone locum. Decretai., lib. Ili, tit. 5, cap. 15. — Mansi, XXII, 343 — J. 9028 — J. L. 13966. 208. — 1159-1181. — All’arcivescovo di Genova. Intorno a B. canonico di santa Maria delle Vigne, che percosse un suddiacono. — Ex tenore litterarum. Decretai., V, 39, 10 — J. 9029— J. L. 13967. 209. — 1159-1181. — All’arcivescovo. Intorno alle appellazioni. — Ad haec sicut. Decretai,, II, 28, 30 — J. 9030 — J. L. 13968. — 72 - 2io. — 1159-1181. — All’arcivescovo. Intorno a certi sposalizi. — luti nos fraternitas. lUud quoque nihilominus. De iìlis autem qui. De aliis verum coram te. Decretai., II, 23, 11, eie. — Mansi, XXII, 443-44 — Schiaffino, 11, 381 — |. 9031 — J. L. 13969. 211- — 1159-1181. — All’arcivescovo di Genova. Intorno i parrochiani chiamati a purgazione. — Cum inter alios. Nos inter aìios. Ex parte ttui nobis. Utrum vero. Decretai., V, 34, 6, — Minsi, XXII. 310 — J. 9032 — J. L. 13970. 212- — 1159-1181. — All’arcivescovo di Genova. Intorno ai laici che chiamano i chierici in giudizio. — Si presbiter. Si vero presbiter. Decretai., II, a, 5 _ J. 9033 _ J. L. 13970. 21 >• — 1159-1181. — All’arcivescovo di Genova. Intorno allo estorcere le testimonianze. — Super eo vero quod. Super eo quod certificari. Decretai.. II, 21, 3. - Mansi, XXII, 306 — J. 9034 — J. L. 13970. 214* — 1159-1181. — All’arcivescovo di Genova. I chierici creditori su pegno lo restituiscano appena ricevuto il capitale, nè pretendano usure. — Quoniam non solum viris. Mansi, XXII, 344. — Schiaffino, II, 382. — Pfl.-H., Iter, 289, num. 710. 215- — 1171-81, aprile 30, Tuscolano. — Al monastero di santo Stefano in Genova. Conferma il possesso del suo spedale. — Justis petentium. Originale in Archiv. di Stato (santo Stefano). — Poch, li, 52 verso — D. 94. — Pfl.-H., Ada, III, 284, num. 311 — J. L. 14287. 216. — 1181, gennaio 13, Tuscolano, anno 22.° (ma ivi 1180, stile fiorentino). A Oberto preposito e Capitolo di san Lorenzo di Genova. Lo riceve in protezione, e gli conferma privilegi e consuetudini. — Quoties a nobis petitur. Originale nell Archiv. di san Lorenzo, ex fasciculo tallarum. — Ughclli, IV, 871. — Migne, CC, 129 J. D. 139. — Pfl.-H., Ada, III, 286, num. 315 — J. 9337 — J. L. 14)37. LUCIO III. 217. — 1182, maggio 31. — Guido vescovo di Savona e Pietro prevosto di sant Antonino di Piacenza, delegati dal Papa, sentenziano in causa fra l’arcivescovo Ugone di Genova ed Ottone prevosto di santa Maria delle Vigne. Registro Aràvesctnile, ms. B., f. 170, v.° - Atti, Soc. Lig , XVIU. 374. 218. — 1182, novembre 14. — Delegati da lui, i vescovi Pietro di Luni e Tebaldo di Piacenza pronunciano la sentenza in Milano, in una causa di riti fra quell’arcivescovo ed il suo clero. Semeria, II, 44. « Giulini, Mem. di Milano ^ VI, 2I9- 1181-1183. — Al vescovo di Luni. Gli commette la causa fra il prete Gerardo e la chiesa di santa Maria di Castello, pel possesso della chiesa di san Marco al Molo in Genova. Accennata nella carta 31 maggio 1184. Ved. avanti, nn. 225,226. — Pfl.-H., Iter, 296, nn. 759. — 73 — '220. — 1182-1183, maggio 27, Velletri. — A Pietro vescovo di Luni. Seco si congratula per l’amichevole composizione delle differenze fra lui ed il Capitolo, e la convalida colla sua autorità. — Quia quae concordia. Coi. Peìavicino, (. 53, num. V. — Inedita. 221. — 1183, gennaio 18, Velletri. — Approva l’aggiustamento fra i monaci di Lerino ed il Capitolo di Ventimiglia, procurato da Guido vescovo di Savona e dalla buona memoria di Manfredo cardinale, diacono di san Giorgio al Velo d'oro, poi vescovo di Palestrina. — Vidimus scriptum. Cais de Pierias, I Conti ii Ventimiglia, in Misceli, ii Stor. Itui., XXIII, 127, dall’Archivio di Stato a Torino, ma colla data 1181 — J. L. 14822. 222. — 1183, luglio 24? Segni. — Ai fratelli di san Valario. Facciano celebrare l’anniversario del fu Pietro vescovo di Tuscolano, loro benefattore. Le spese saranno fatte dagli esecutori testamentarii Ugo genovese ed altri due. — Cum bonae memoriae. Loewenfeld, Epistolae, 21; — J. L. 14902. 223. — 1183, ottobre 26, Anagni. — A Ugone arcivescovo, ai consoli e al popolo di Genova. Non dividano coi pisani nè altrimenti aggravino 1’ isola di Sardegna, che è della Santa Sede. — Si diligenter considerare velitis. Coiex diplom. Sardin., I, 214, che erroneamente l’attribuisce a Lucio II, anno 1144 — J. L. 14921. Difatti Lucio III e non Lucio II si trovava in Anagni il 26 ottobre. *224. — 1184, febbraio 28, Anagni. — Agli arcivescovi, abati, priori, prelati, ecc. In favore dei cavalieri di san Giovanni di Gerusalemme. — Cum fratribus Jerosolimitani hospitalis. Bibliot. dell’Univers. Priviteli apostolici alla Religione ii san Giovanni A. IV, 36, c. 7. — Pfl.-H., Iter, p. 33. 225. — 1184, maggio 31, Sora. — Al prete Gerardo. Conferma la sentenza a lui favorevole di Pietro vescovo di Luni, nella sua lite con santa Maria di Castello per la chiesa del Molo in Genova. — Ea quae a fratribus coepiscopis. D. 154. -» Poch, V, 279. — Pfl.-H., Ada, III, 313, num. 345 — J. L. 1 SOSi- 226. — 1184, maggio 31, Sora. — Commette all’arcivescovo ed al Capitolo di Genova di curare che, in conformità della sentenza del vescovo di Luni, la chiesa del Molo sia consegnata al prete Gerardo conlro il Capitolo di santa Maria di Castello. — Vidimus scriptum autenticum... Lunensis episcopi. D. 155. — Poch, V, 280. — Pfl.-H. Acta, III, 313, num. 344, colla nota: confrontare la carta 12 settembre 1184-5 c 1* presente 1884, maggio 31 — J. L. 15052. 227. — 1181-1185, agosto 18, Verona. — A maestro Ugo genovese, preposito di santa Maria de Castellello (Castello?), e al decano di Mans. Commette di - 74 — prescrivere le testimonianze de’ testi nella controversia Ira le chiese di Dol e di Tours. (Vi era difatti allora un preposito Ugo nella nostra chiesa di Castello. Cfr. Vigna, Illustrazione, p. 479, e qui sotto, num. 257). — Cum dilectus filius. Migne, CC, 1317 - J. 9694 — J. L. 15134. 228. — 1181-1185. — Bolla in conferma dei privilegi della chiesa di Betlemme. Accennata in altra di Clemente VI, 1266. Riant, Uut diptudaact ecc. — Ep-Xd (di Virine), a. 1874 — J. L. 15159. 229. — 1181-1185. — Dichiara soggetto alla Chiesa di Bobbio il monastero di san Colombano; e le conferma i privilegi di Anastasio e di Adriano, malgrado le raschiature maliziose in essi fatte a danno di quella Chiesa. Ughelli, IV, 938. — Horov, Ucd. Jni BUI. ptlr., Il, Epiil. Homor. IH, p. 660 — J. L. 15160. 230. — 1181-1185. — Ai vescovi d’Acqui e di Vercelli. Loro commette a conoscere la causa che si agita per la chiesa del Molo fra il Capitolo di san Lorenzo e la chiesa di santa Maria di Castello. Accennati in altra di Urbano 111 degli u marzo 1186-1187. 231. — 1184-1185, settembre 9, Verona. — A 0[berto] preposito ed al Capitolo di san Lorenzo di Genova. Conferma parecchi loro diritti, sentenze ed «istituzioni. — Exbibita semper circa Romanam Ecclesiam. Archiv. san Lo remo, P. A. 114; P. B. 35. — D. 157. — Negrotto, p. 115. — Pfl.-H., JeU, III, 315, num. 350 — J. L. 15246. 232. — 1184-85, settembre 12, Verona. — Al vescovo di Tortona ed all’abate di san Siro di Genova. Per la causa sulla chiesa del Molo fra il Capitolo e santa Maria di Castello. — Causam quae inter. Archiv. san Lorenzo, P. A. 46. — D. 156.-Pfl.-H., AcU, 111, 316, num. )$i. — J. L. 15251. — Ludo III, 0 prima o dopo della presente, avea commesso la causa ai vescovi di Vercelli e d’Acqui. Vedi il num. 230; e più sotto, num. 251 e 256. 233. — 1185, aprile 28, Verona. — Fidelibus per Siciliam, Tusciam et Januam. Per l’ospitale di Stagno (presso Porto Pisano). — Quoniam ut. Originale in Archivio Capitolare a Pisa. — Pfl.-H., Jet*, III, 330, num. 360. — J. L. 15413. Vedi avanti, num. 253. *234. — 1185. giugno 13, Verona. — All’abate ed ai monaci di san Caprasio dell’ Aulla. Conferma la sentenza di Lucio II, che li dichiara soggetti al vescovo di Luni, essendo abrogato il privilegio d’immuniti loro concesso da Innocenzo II. — Cura unh’ersarum ecclesiarum. Cod. Pelai-iciHo, (. 54, num. VI. — Archiv. di Stito, ms. num. 656, quid. S, ma senza data (però una mano posteriore vi ha aggiunto: 1183). — Inedita. URBANO III. 235. — 1185-1186. — Al vescovo di Savona. Richiami alla sua presenza le vecchie e le nuove deposizioni dei testi nella causa tra il Capitolo di san Lorenzo di Genova ed il priore de Colle Montis (cioè san Nicolò di Capodimonte). Ptl.-H., Iter, p. jo6, num. 82$. — Accennata nella carta 19 luglio 1886. Cfr. num. 251, 252, 254. *236. — 1186, febbraio 4, Verona, anno i.° — A Guidone abate di santo Stefano di Genova. Conferma i possessi del suo monastero. — Monet nos Aposto-licae Sedis. Poch, II, 14 ("che la dice autentica) — D. 95. — Pfl.-H., Iter, 305, num. 814. — J. L. 15529. 237. — 1186, febbraio 27, Verona. — Riceve in protezione il monastero di santa Maria di Civitacula (Tiglieto: leggi Civitatula), e ne conferma i giurì e le possessioni. — Religiosam vitam. MorionJo, Monum. Aquentia, I, 84. — Migne, CCII, p. 1364- — J- 9800. — J. L 15536- 238. — 1186, marzo 11, Verona. — A Ugo (Embriaco) signore di Gibelleto. Paghi il censo stabilito e giuri fedeltà al Comune e alla Chiesa genovese. — Quoniam fides et devotio. H. P. M., Jurium, I, 336. — Jurium di Camera, 68 v.° — Jurium VII, 68. — J. L. 15546. 239. — 1186, marzo 11, Verona. — Al patriarca d’Antiochia. Costringa Ugo (Embriaco) di Gibelleto a pagare il censo e giurar fedeltà al Comune ed alla Chiesa genovese. — Sicut piae recordationis. H. P. M., Jurium I, 336. — Jurium di Camera 68 v.° — Jurium VII, 68. — J. L. «5547. 240. — 1186, marzo 12, Verona. — Al re di Gerusalemme (Balduino V). Restituisca ai genovesi le cose ed i privilegi concessi dai suoi predecessori. — Ad audientiam potuit... pervenire. H. P. M., Jurium I, 331. — Jurium della Camera, 67 v.° — Federici, Lettera cit., p. 52. — Federici, Collctt., I, 82. — J. L. 15549. 241. — 1186, marzo 12, Verona. — Al conte di Tripoli (in Terra Santa) curatore del re Balduino. Faccia restituire il tolto ai genovesi. — Non ignorat tuae Nobilitatis industria. Originale nell’ Archiv. di Suto , Mater. politiche. , mazzo I.° — Schiaffino , II, 39s. — H. P. M., Jurium I, 332. — Jurium della Camera, 68. — Jurium VII, 67 t.“ — J. L. 15550. 242. — t 186, marzo 12, Verona. — Al patriarca di Gerusalemme. Costringa i canonici del santo Sepolcro a ricollocare nel tempio l’iscrizione de’ genovesi. — Non ignorat tuae fraternitatis. H. P. M.t Jurium I, 334. — Jurium di Camera 67 — Jurium VII 67 v.° — J. L. 15SS7- _ 7 6 - 24>* — i iS6, marzo 15, Verona. — Al vescovo di Tripoli. Costringa Ugo (Embriaco) di Gibelleto a pagare il censo e giurar fedeltà al Comune ed alla Chiesa genovese. — Sì cut pine. H. P. -V., Jurium 1, JJ7. — Jurium di Camera 68, — Jurium VII, 68 v.“ — J. L. 15548. 244. — 11S6, marzo 15, Verona. — Al vescovo di Tripoli. Costringa quel conte a restituire ai genovesi la terza parte di Tripoli, che loro ha tolta. — Proposita nobis. H. P. -V., Jurium, I, 358. — Jurium diCam. c Jurium VII,68. — Jurium Jupli.Jtui, c. >29 v.° —. J. L- ISS59- 245. — 1186, marzo 15, Verona. — All’arcivescovo di Nazaret ed ai maestri del Tempio e dello Spedale (in Gerusalemme). Li costituisce giudici inappellabili sulle quistioni del re Balduino coi genovesi. — Proposita nobis dilectorum. H. P. M., Jurium, I, 334. —■ Jurium della Cara. 67 V.® — Jurium VII, 68. — J. L. «5554. 246. — 1186, marzo 15, Verona. — Al patriarca di Gerusalemme. Induca il re ed il suo curatore a restituire il tolto ai genovesi. — Suscepta conquestione civium. H. P. -V., Juiiam I, 333. — Jurium di Camera, 6j — Jurium VH, 67 ».“ — J. L. •$$$)• 247. — 1186, raar/o ij, Verona. — AI conte di Tripoli, curatore del re. Induca Ugo (Embriaco) di Gibelleto a pagare il censo e giurar fedeltà ai genovesi. — Sicut piae recordationis. H. P. M„ Jurium I, 337. — Jurium di Camera 68 — Jurium VII, 68 v.* — J. L. 15555. 248. — 1186, marzo 13, Verona. — AI conte di Tripoli. Restituisca ai genovesi la terza parte della città loro tolta. — Proposita nobis. H. P. il., Jurium I, 338. — Jurium di Camera e Jurium VII, 68. — Jurium Dupliulus, »30. — J. L. 15558. 249. — 1186, marzo 13, Verona. — AI priore cd ai canonici della chiesa del santo Sepolcro in Gerusalemme. Facciano ristorare l’iscrizione a lettere d’oro in lode de’ genovesi, concessa a questi dal re Balduino (primo di tal nome), poi cancellata per opera di alcuno dei canonici medesimi. — Gravis et culpabilis praesumptionis enormitas. Giscardi, Stor. EccUs., p. 89. — Federici, Celiti!., I, 81 v.° — Federici, Lettera cit.. p. SJ. — Schiaffino, II, 396. — Negrotto, giunte in fine. — Ughelli, IV, 874. — H. P. SI., Jurium I, 335. — Jurium di Camera 67 v.° — Jurium VII, 68. — J. 99oa. — J. L. 1555«. 250. — 1186, giugno 26, Verona. — Alla badessa ed alle sorelle del monastero di sant’Andrea della Porta in Genova. Ne conferma i beni e diritti. — Justis petentium. L’originale era (ma ora manca) nella Bibliot. Univtrsit. — Muzio, Ah,irta dilla Por!*, ma. alla Civica D. 3. 3.6, cart. 11 — D. 309. —Schiaffino, li, 404. — Vigna, Colhgiata di tanta Mani ili Castello, p. 204. — Giscardi, Stor. Eedcsml., p. 93. — J. L. 15881. - 77 — 2$i. — 1186, luglio 19, Verona. — Ai vescovi di Savona e d’Acqui. Deiega loro la controversia fra il Capitolo di san Lorenzo di Genova ed il priore del Colle (Capodimonte) per la chiesa di san Salvatore di Sarzano. — Receptionem testium qui super causa. D. in. — Poch, V, J58. — Schiaffino, II, 397. — Pfl.-H. , Ada, III, 338, num' ?84- — Vedi ‘ due nn. seguenti 152, 2S4, c sopra il num. 236. — J. L. 15899. 252. — 1186, agosto 12, Verona. — Agli abati di san Siro, di sant’Andrea (di Sestri) e di san Benigno di Genova. Per la controversia tra il Capitolo di san Lorenzo ed il priore del Colle (Capodimonte). — Cum controversia. Poch, V, 358. - D. 112. — Pfl.-H., Ada, III, 339, nuro. 386; il quale nell’intestazione confonde Sarzano, chiesa in Genova, con Sarzana città. — J. L. 15911. 253. — 1186, dicembre 6, Orvieto? anno 2° — Al prevosto della chiesa di Ventimiglia. Gli ordina di far restituire al monastero di sant’Onorato di Lerino i beni, le decime ed altri diritti, i quali erano stati indebitamente alienati o concessi ad altri a lungo tempo. — Ad audientiam nostram. Cais de PierLas, op. cit., p. 129, dalPArchivio di Stato in Torino, ma sotto la data 1187 quando Ur-bano era morto. Tuttavia suona strana agli orecchi questa data d’Orvieto, mentre per tutti questi tempi il Papa sembra non abbia abbandonato Verona. Che sia in settembre dell’87? 254. — 1186, dicembre 12, Verona. — Al Capitolo di san Lorenzo di Genova. Conferma la sentenza nella causa fra esso Capitolo ed il priore del Colle, per la chiesa di Sarzano, pronunziata dai delegati pontificii, abati di san Benigno, di san Siro e di sant’Andrea. — Cum olim adversus vos. Schiaffino, II, 400. — Pfl.-H., Ada, III, 323, num. 364, con data 1185-86. — J. L. 15496. 255. — 1185-87. — Ad Ambrogio vescovo di Savona. Lo delega a ridurre in osservanza il monastero di S. Quintino di Spigno. Ne è cenno in Semeria, II, 206, 287 ; m? la bolla manca. 256. — 1186-1187, marzo 11, Verona. — Ai vescovi d’Acqui e di Savona. Loro commette la decisione della causa tra il Capitolo di san Lorenzo e santa Maria di Castello, per la chiesa del Molo. Dice che la stessa causa era già stata commessa da Lucio (III) ai vescovi d’Acqui e di Vercelli. Nota in Poch, V, 358. 257. — 1186-87, gennaio 3, Verona. — Al maestro Ugo preposito ed ai fratelli di santa Maria di Castello in Genova. Riconferma le sentenze precedenti e gli statuti d’ALESSANDRO III sugli altari dedicati alla beata Vergine; interdice l’altare eretto nella chiesa di san Giorgio. — Causarum exitum et progressum. Perasso, op. cit., VI, 2$$, v*° Vigna, Illustrazione cit., p. 479. — 78 - 2sS. 1186-87, luglio 16, Verona. — Agli arcivescovi, vescovi e prelati. Sui privilegi di san Giovanni di Gerusalemme. — Cum fratribus. B.bl. dell' Università, Privici apostolici *11* Religione ii un Gì*.»,*,-, A. IV, )6, c. 6. — Pfl.-H., Iter, p. 508. - J. L. 15896. 259* i 186-87, settembre 13, Verona. — A Pietro vescovo ed al Capitolo di Luni. Dichiara mantenute in vigore le disposizioni de’ suoi antecessori Alessandro e Lucio, circa le indennità dovute alle loro chiese. — Cutn ecclesiarum iura. Coi. Pelavi.-ino, f. 54, num. XII. _ Inedita. !I^7» luglio 19, \erona, anno 2°— Al prevosto, all’arcidiacono ed ai canonici di san Lorenzo di Genova. Ne conferma i possessi e diritti. — Quoties a nobis petitur. Archiv. san Lorenzo, P. A. uS. - Poch, V, ,8,. - D. ,59. - Pfl.-H.. Iter, ,«0. num. 84$. 261. 1187. — Lettera consolatoria dei genovesi ad Urbano III , dopo la rotta dei Crociati a 1 iberiade. — Ex celebris famae relatu. A ti della Sunti Ligure, 111, p. xcvm , trascritta dal testo di Benedetto Petroburgente, De rila et gesti, Henrici 11 (Oxtbrd, 1735), li, «?1. _ Bouquet. XVII, 47,. GREGORIO VIII. 2^2- ll%71 dicembre 7, Lucca. — Al monastero di sant’Andrea della Porta in Genova. Conferma la concessione dell’arcivescovo, che nelle collette a farsi esso monastero non debba conferire ad altri fuorché a santa Maria di Castello. — Justis petentium. Originale nella Bibliot. Universit., Ani i. pergam,.», voi. 1. - Arch.r. un Loreuxo, P. A. 58. -Schiaffino, li, 406. Muoio, Sant Andrea delta Porla, c. 11 verso — D. 309. — Vigna, Collegiata ecc., P' 204- ~ Aeta, 111, 554, num. 406. — J. L. 16092. 263. 1187, dicembre 2, Pisa, anno i.° — Al Capitolo di san Lorenzo di Genova. Ne conferma i beni e diritti. - Effectum iusta postulantibus. Ughelli, IV, 875. - D. 163. _ Migne, CCI. p, 1564. - Pfl.-H.. Iter, 311, num. 855 - I. 10017 - J- L. .609). CLEMENTE IU. 264. 1187-1188, Pisa? — A Ugone arcivescovo di Genova. Conferma i diritti e possessi dell’Arcivescovato. — Superna et ineffabilis. Schiaffino, li, 415. — Poch, \, 182 — D. 133. — Federici, Colletl., 1, 83, v.° — Pfl.-H. Iter, jll, «“• 857, 8S8 ; essendo certamente identici i due atti, come già lo stesso Pfl.-H. sospettava. - J. L. .6107. - 79 - 265. — n88, gennaio 16, Pisa. — Fidelibus per Siciliam, Tusciam et Januam. Per l’ospedale di Stagno. — Quoniam ut. Pfl.-H., Ada, IH, 356, num. 408. —■ J. L. 16132. — Ved, sopra il num. 233. 266. — 1188, maggio 19, Laterano, anno i.° — Ai pisani, consoli e popolo. Manda due cardinali, Pietro e Soffredo, per far la pace tra Pisa e Genova per la lite sulla Sardegna. — Pro sedandis. Dal Borgo, Diplomi pisani, p. 139. — Cod. diplomai. della Repubblica di Genova, ms. alla Civica , toc. cit. I, 99. _ D. 298. — Copia in Archiv. di Stato, Mater. polii, mazzo I.° — Migne, CC1V, 1346. — J. 10077. — J- L. 16238. *267. — 1188, maggio 27, Laterano, anno i.° — All'arcivescovo, all’arcidiacono, ed ai prepositi di san Lorenzo e di santa Maria di Castello in Genova. Freme per la perdita di Gerusalemme ed invoca aiuto alla Crociata. — Quam gravis et horribilis. Poch, V, 291, che la dice autentica con piombo in cui Clemens III. — D. 163. — J. 10131. — Pfl.-H., Aela III, 363, num. 417. — J. L. 16252. Non trovo nel Jaflì d' analogo altro che una lettera all'imperatore di Costantinopoli. 268. — 1188, giugno 8, Laterano, anno i.° — Al preposito di santa Maria di Castello in Genova. Indulgenza a chi intervenga alla processione in santa Maria di Castello nella Purificazione di Maria. — Dignum est et rationi. Originale in Archivio di essa chiesa. — D. 163. — Vigna, Illustrazione cit., p. 473. 269. — 1188, luglio 7, Lucca. — I suoi delegati, cardinali Pietro di santa Cecilia e Soffredo di santa Maria in Via Lata, ordinano e compongono la pace tra Genova e Pisa, presente pei genovesi il console Nicolò Embriaco ed altri. — Inter caetera quae summo Pontifici. Dal Borgo, Diphmi pisani, p. 140 — D. 298. Il giuramenjo dei due Comuni di stare ai precetti del Papa fu fatto il 13 febbraio 1188. Vedilo in Dal Borgo, c più correttamente in Olivieri, Serie dei Consoli, negli Atti della Società Ligure, I. 368-81. 270. — 1188, luglio 16, Laterano, anno i.° — Ai cardinali P[ietro] di santa Cecilia e S[offredo) di santa Maria in Via Lata. Pel castello di Seria in Sardegna. — Dilecti filii nostri consules. Piccolo originale in Archiv. di Stato, Mater. polii., mazzo 1.°, colla data 1187 e la nota a tergo: ponatur in armario de Sardinia. — Dove, De insula Sardinia, Berlino 1866, p. 113, num. 49. — Cod, diplom. Sardin., I. 262. — D. 366. — Pfl.-H., Iter, 316, num. 884. — J. L. 16304. 271. — 1188, dicembre 12, Laterano, anno i.° — Conferma la sentenza e composizione di pace fra Genova e Pisa, pronunziata da’ suoi delegati. — Inutiliter inter discordantes. D. 298 — Migne, CCIV, 1407. - Dal Borgo, 140-144; ed altri citati nelle carte analoghe precedenti. — Ved, sopra, ai nn. 266, 269. L’originale è all’Archiv. di Stato a Firenze. — 8o — 272> — 1187-89. — Al preposito ed ai fratelli di santa Maria di Castello in Genova. Costituiscano procuratori nella causa contro il Capitolo di san Lorenzo. l'fl.-H., Iter, p. jiS, num. 893. — Ne è cenno uclla carta 9 dicembre 1189. *273- — HS9, gennaio 27, apud S. Petrum, anno i.° — A Bonifacio arcivescovo di Genova. Sulla relazione di luì, non esservi ostacoli legittimi, consente si conceda ad Oberto Spinola di costrurre una chiesa di san Luca nel distretto del monastero di san Siro. — Cum a nobis petitur. Poch, \ , 51, verso. — D. 116, 19J. — Schiaffino, li, 425, 426, dall'Archivio di san Siro. — Ne é cenno nel Registro notarile di Guglielmo Cassinense (Archivio di Stato), ann. 1191-1206. c. 79, v.° ; ove segue al 14 settembre 118S la licenza che dÀ l’arcivescovo per la costruzione , sentito l’abate, più una dichiarazione analoga dei tondatori della chiesa del 14 febbraio 1192. — Ptl.-H. (Iter, p. 313 num. 867), non avendo veduto l’atto, dice che non é in ordine e lo crede uno scambio con altro di Celestino III del 10 febbraio 1192. Cosi anche J. L. 1625S: ved. avanti, num. 281. Veramente la copia è datata del 1188, ma va recata al 11S9, dopo la sentenza di Bonifacio del 14 settembre. Schiaffino ebbe il documento ex viouumeutis Jokannis Baptistae Grimaldi, una delle famiglie cofondatrici di san Luca. — Inedita 274- — 1189, dicembre 9, Laterano, anno 2.’ — Al vescovo d’Albenga, ed agli abati di Tiglieto e di san Benigno (Genova). Commette loro la causa tra il Capitolo di san Lorenzo e la chiesa di santa Maria di Castello, per la chiesa di san Marco al Molo. — Causam quae vertitur. Archiv. san Lorenzo, P. A. 52 — D. 167. — Pfl.-H., Ada, III, 375, num. 433. - J. L. 16457. 275* — 1187-1190. — Al vescovo di Bobbio ed al cardinale (Pietro) di santa Cecilia. Per comporre lite tra l’arciprete di Nervi ed i fratres Dominici Sepulcbri. Pfl.-H., Iter, p. 320, num. 904. — Accennata nella carta analoga, 1192, 10 febbraio num. 284. 27^- — 1187-91. — Ai consoli ed al popolo di Genova (e all’arcivescovo). D. suddiacono, che involontario uccise un fanciullo, dopo qualche tempo di sospensione, possa riprendere il ministero. Non sia però promosso, per non generare scandalo nel popolo, a meno che non si veda opportuno dispensarlo o sia per entrare in un monastero. — Suggestum est auribus nostris. Baiuzio, Misceli. Ili, 383. — Mansi, XXII, 566. — Migne, CCVI, 1496. — J. 10209.—J- ^S7S• 277- — 1190-91. — Al vescovo di Vercelli, all’abate di Lucedio ed al cantore di Novara. Per comporre la lite per la chiesa del Molo. Pfl.-H., Iter, p. 321, num. 914. — In notaio Guglielmo Cassinense (Archiv. diStato), a. 1191-1206, c* 39 v* » è la sentenza pronunziata da questi delegati il 28 giugno 1191 e 1’ acccttazione di essa dalle parti. — Giscardi, Stotia Ecclesiastica, p. 133. Accennata nella carta del 22 aprile 1193. — Cfr. num. 290. 278- 1190-91, circa. — Pietro cardinale di santa Cecilia come delegato del Papa. — A Ogerio preposito ed al Capitolo di san Lorenzo. Conferma la — 8i — decisione della lite per la chiesa del Molo fatta dal vescovo di Vercelli e congiudici. Poch, V, 321. — Pfl.-H., Iter, p. 508, per esteso. — Il tempo si deduce da questa e dalla carta di Clemente III, 9 dicembre 1189. Ved. anche carta 22 aprile 1193, num. 290. *279. — 1191, febbraio 13, Laterano, anno 4.0 — Al monastero di santo Stefano di Genova. Conferma la chiesa di san Giuliano de Naboli (di Noli). — Justis petentium. Originale in Archiv. di Stato (santo Stefano). — D. 115. — Pfl.-H., Aclo,ìli, 380, num. +40. — J.L. 16669. 280. — 1191, febbraio 22. — Il Papa avendo delegato a giudicare sopra una controversia per validità di matrimonio Ottone arcidiacono di san Lorenzo, Guido abate di santo Stefano e Stefano abate di san Benigno, questi pronunziano sentenza contro i contumaci, scomunicandoli. Manca la bolla di delegazione. Atti del not. G. Cassinense, in Archiv. di Stato, a. 1191-1206, c. 12. 281. — 1191. — A Bonifacio arcivescovo di Genova. Gli delega la decisione della causa fra Tedaldo (o Tebaldo) vescovo di Piacenza e l'arciprete di Ma-zasco da una parte, e l’abate Airaldo di Tolla dall’altra (ma il breve non c’è). Atti cit., c. 71 v.° — Bonifazio pronuncia la sentenza il 2 dicembre 1191. CELESTINO III. *282. — 1191, novembre 17, apud S. Petrum, anno i.° — Ad Opizone abate di S. Fruttuoso de Capite montis. Lo delega sopra una causa di matrimonio fra Bartolomeo qm. Bonifazio Tarigo ed Elena del qm. Guglielmo di Acquabella. — Ad nostram noveris audientiam pervenisse. Atti cit., c. 78 v.°. 283. — 1192, febbraio i.° — Ad Ogerio prevosto ed al Capitolo di san Lorenzo di Genova. Conferma la facoltà di fare una cappella nella città di Tiro (in Terra Santa), secondo la concessione di quell’arcivescovo Jocio. — Sacrosancta Romana Ecclesia. Giscardi, Storia Sacra, ad ann. — Ughclli, IV, 877. — Migne, CCVI, 91 j. —J. 10352. — J. L. 16808. 284. — n92, febbraio 10, apud S. Petrum, anno 2° — A Bonifacio arcivescovo di Genova. Delega una causa fra l’arciprete di Nervi e i fratelli del santo Sepolcro ivi stanziati. — Cum a nobis petitur. Dall’Archiv. di san Lorenzo, in Poch, V, 305, clic la dice autentica con piombo, — D. 181. Pfl.-H., Acta, II, 398, num. 454. — J. L. 16815. Atti Soc. Lio. St. Patria. Voi. XIX ® 285. 1192, marzo 18, Laterano, anno 2.0— A Bert[ramo] abate di san Siro di Genova. Gli concede facoltà di portar la mitra e l’anello. — Ea quae ad Ecclesiam Dei. Originale nei documenti in pergamena dell'universitaria, rilegati in volumi, I. num. 32. —Apografo membranaceo sincrono nell’Archivio di Stato (san Siro) - D. 185. - Pfl.-H., Ada, III; 383, num. 446. 2S6. 1192, luglio 7, Roma, anno 2° — A Guglielmo preposito ed al Capitolo di santa Maria di Savona. Ne conferma i possessi e diritti. — Quoties a nobis petitur. Giscardi, Si. Sacr., ad ann. — Ughelli, IV, 735. — Semeria, li, 107. - Migne, CCV1. 953. -erzellino, Memorie... della eiltà di Savona documentale dal?Arciprete A. Astengo, Savona, 1885, I, 466, colla data erronea del noi. _ J. ,0}g9. _ L. 16913. 287. — 1193, febbraio 14, Laterano, anno 2° — A Guidone abate di santo Stefano in Genova e fratelli. Ne conferma i possessi e diritti. Estratto nella Bibliot. Universi!., volume di Documenti genovesi, C. VII. 33, p. 17 (non c'è che il sunto). _ Pfl.-H., Iter, p. 3,7, num. 949. 2SS. 1193, aprile 15, Laterano, anno 3.0 — Concede indulgenza a chi visiterà o riceverà il battesimo in santa Maria di Castello in Genova, dalla vigilia a tutta l’ottava di Pentecoste. — Licei ex commisso. Vigna, Illustrazione cit., p. 471. 289. 1193> aprile 19, Laterano, anno 3.0 — A B[ertramo] abate di san Siro in Geno\a. Conferma i possessi di cui gode il monastero da 40 anni. — Viris religiosis. Originale in Archivio di Stato (san Siro) - D. ,86. _ Pfl.-H., Mia, 111, 387, num. 455. -J. L. 16987. 290. — 1193, aprile 22, Laterano, anno 3.° — Ad Ogerio preposito ed al Capitolo di san Lorenzo di Genova. Conferma la transazione fatta da loro con santa Marta di Castello, per la quistione della chiesa al Molo. — Cum tu, dilecte fili. Poch, V, 324. _ D. 176. - Ughclli, IV, 879. - Pfl.-H., Ada, 111, 388, num. 456. ~ n93> aprile 23, Laterano, anno 3.0 — A Bardone arciprete di santo te ano di La\agna. A favore della sua chiesa conferma una bolla di Alessandro III. — Quoties a nobis. Giscardi, Origine delle chiese ecc., ms. della Missione Urbana, p. 487. citando un transunto in not. Andrea de Cario, 4 dicembre ,45* - Ravenna, Memorie della contea e del comune di Lavagna («dii. J.*), Chiavari, 1887, p. 234. — Cfr. num. 203. - 83 — 292. — 1193» aprile 24, Laterano, anno 3.° — Ad Ogerio preposito, Ottone arcidiacono ed ai canonici di san Lorenzo di Genova. Conferma beni e diritti. — Effectum iusta. Archiv. san Lorenzo P. B. 37. — Mansi, XXII, 619. — Negrotto, p. 219. — Federici, Colici!., c- 9J. —1 Ughelli, IV, 879. — Migne, CCVI, 992. — Giscardi, Stor. Sacra, ad ann. — J. (0424. — J. L. 16989. 293. — 1193, circa. — Il suo legato Fidanzici, cardinale di san Marcello, scrive al Capitolo di san Lorenzo e conferma la transazione fattasi nella causa per la chiesa del Molo. — Ea quae. Poch, V, 321 — Pfl.-H., Iter, p. 509 (tu extenso). 294. — 1194, febbraio 4, Laterano, anno 3.0 — A Guido abate di santo Stefano di Genova. Conferma la chiesa di san Giuliano di Noli. — Justis petentium. Originale in Archivio di Stato (santo Stefano) — D. 99. — Giscardi, Stor. Sacra, ad ann. 119), — Pfl.-H., Acla, III, 391, num. 462. — Ved. sopra num. 279. 295. — 1194, novembre 15, apud sanctum Petrum. — All’abate di san Colombano di Bobbio. Induca i chierici di santa Maria di Castello ad osservare la transazione, convenuta tra essi ed il Capitolo di san Lorenzo di Genova, sopra la chiesa del Molo. — Conquesti sunt. Podi, V, 325.— Pfl.-H., Acta, III, p, 397, num. 471. — Vigna, Collegiata, p. 293, dal Negrotto. La trovo anche in D. 180, tratta dal registro del not. Guglielmo Cassinense (Archivio di Stato); ma i in tutto eguale. 296. — 1196, marzo 26, Roma. — Iscrizione in suo onore, per occasione della dedica da lui fatta di san Lorenzo in Lucina. — Pontijicatus domini Celestini anno VI. Schiaffino, II, 460. — Pfl.-H., Iter, p. 333, num. 986. 297. — 1196, marzo 26. — Iscrizione in suo onore sulla porta di bronzo del palazzo Lateranense. — Pontijicatus domini Celestini III, anno VI. Schiaffino, II, 460 dal Panvinio : De leptem urbis Romae ecclesiis. 298. — 1196, febbraio-marzo. — Nomina Pandolfo cardinale suo delegato in Genova, per trattar la pace fra questo Comune ed i pisani. Egli è giunto in marzo. Continuatore di Caffaro (Pertz), p. 1:3. 299. — 1196, luglio n, Laterano, anno 6.° — Ad Alberto vescovo di Vercelli ed a Pietro abate di Lucedio. Compongano pace tra 1' arcivescovo Bonifacio ed il Capitolo di san Lorenzo in Genova. — Laudabile propositum. Negrotto, giunte in fine. — Bibl. Universit. C. VII. 53, p. S9 bis. — Giscardi, Storia Sacra, ad ami. —Ughelli, IV, 881. — Migne, CCVI, p. 1178 — J. 10601. 300. — U97. febbraio io, Laterano. — A (Ottonk) vescovo di Bobbio. Ksorii Lanfranco vescovo di Pavia a non privare delle decime di Port’Albera il Capitolo di Piacenza. — Significarunt nobis. Migne, CCVI, 1101. — J. 10651. 301. — 1191-1198. — Al vescovo di Brugnato. Risponde a certi quesiti sui preti bigami. — Quoti de bis. De bigamis presbyteris. Baluiio, MuctU., Ili, 580. - Mansi, XXII, 637 — J. 10677. DOCUMENTI . . AVVERTENZA I ventisei documenti che seguono saranno graditi, speriamo , al lettore ligure specialmente; come quelli che porgono un concetto più chiaro ed intero delle relazioni fra i Genovesi e i sommi Pontefici fino a quasi tutto il secolo XII. A questo fine abbiamo voluto ripubblicarne cinque, benché già editi per esteso dal Dott. Pflugk-Harttung, ed un sesto già prodotto dal Canonico Ravenna. Questi sono troppo importanti, perchè vi sia ragione di metterli più facilmente alla portata comune, mediante una pubblicazione genovese. I rimanenti erano inediti, ed alcuni di essi richiederebbero una non breve discussione per stabilirne più profondamente il carattere; ma noi stretti dal tempo ed accennando ai motivi della nostra opinione, li abbandoniamo al più posato giudizio dei dotti. Come dicemmo nella Prefazione, 1’ asterisco nel Regesto indica il documento relativo che viene inserito nella presente serie, ripetendosi ogni volta, oltre la data, il numero del Regesto a cui fa capo. Con questi ventisei, con altri cinquantacinque pubblicati dal Pflugk-Harttung e con pochi altri dell’ Ughelli, del Vigna e simili, da noi indicati a’ luoghi rispettivi, rimane compiuta e in extenso la serie dei documenti contemplati in questo nostro lavoro ; almeno per quanto poterono raggiungere le più diligenti ricerche nostre ed altrui. » * I. GREGORIO VII. Num. 57 — 1074, febbraio J5. I Gregorius episcopus, servus servorum Dei. Dilecto filio Priori de Carraria, Lunensis diecesis, salutem et apostolicam benedictionem. Lunensi Ecclesie in iuribus suis providere volentes, cui pro dilectione quam habemus ad personam venerabilis Fratris nostri W[ido-nis] Lunensis episcopi intendimus causam gratam exibere, ipsius Episcopi precibus inclinati, discretioni tue per apostolica scripta mandamus quatinus cum, sicut is asserit, predicta Ecclesia de multis possessionibus et iuribus, que pacifice obtinet, authentica scripta non habeat, de quibus qualiter ad ipsam pertineant ad pre-sens potest fieri plena fides : ne forte processu temporis copias valeant reperire, testes omnes quos ipse super hoc duxerit pre-sentandos, diligenter tu audire patiaris et depositiones ipsorum redigi facias in publica instrumenta, denunciando hiis quod iuvare videbitur negocium, ac recepto testium, si velint, iuramento , et faciendo de denunciatione sic facta confici publicum instrumentum. Dat. Laterani, v kalend. martii. Pontificatus nostri anno primo. Dal membranaceo Codice Pelavicino, fol. 54, num. xi, di cui vedi nella Prefazione, p. 38. — 90 - II. ONORIO II. Nnm. 77 — 1126, maggio 29. Honorius episcopus, servus servorum Dei. Dilecto filio Tedaldo abbati monasterii sancti Caprasii de Aulla, eiusque successoribus regulariter substitutis (?) in perpetuum. Pie postulatio voluntatis efftectu debet prosequente compleri, quatenus et devotionis sinceritas audabiliter enitescat, et utilitas postulata vires indubitanter assumat. uio igitur, dilecte in Domino fili, Tedalde abbas, petitionibus annuentes, et prefatum monasterium, cui (Deo authore) presides, sicut a prodecessoribus nostris in tutelam et protectionem Apo-stolice Sedis susceptum est, nos quoque suscipimus. Quod videret monasterium ab Aldeberto comite Lunensi et marchione, in honorem gloriose Virginis Marie et beati Caprasii, ac etiam eati Benedicti patris nostri edificatum cognoscitur. Statuimus enim, ut nulli ecclesiastice secularive persone liceat districtum ullum in loas quibusdam ipsius monasterii, seu placitum, absque Abbatis licentia facere, seu fodrum vel mansionaticum, seu repar-titum, aut paratas seu aliquas pubblicas functiones exigere. Abbas autem, ubicumque per eadem loca voluerit, mercatum, nemine contra ‘c.ente, constituat vel edificet, districtumque servorum seu li-erorum teneat. Nec Episcoporum quemquam in prefato monasterio dictionem aliquam habere permittimus, et missas publicas preter Abbatis voluntatem illic agere permittimus. Confirmamus gitur eidem \ enerabili monasterio possessiones priorum temporum, est capellam de Bibula, capellam de Podenzana, cellam de ar arasco , cellam Arb.nretule, cellam Ulmete, capellam sancti "an ri in Pontremulo, ecclesiam sancti Joannis de Burgonovo, P am de Castro Burcioni. Preterea quecumque predia, qua-Possessiones, vel catholicorum Regum, vel aliorum fi-e ìum egitimis oblationibus in presenti vestro monasterio per-, si\e in futurum, largiente Domino, pertingere Contigerit -9i — firma tibi tuisque successoribus illibata permaneant. Decernimus ergo, ut nulli omnino hominum liceat idem monasterium temere perturbare, aut ei possessiones auferre, aut ablatas retinere, minuere, vel temerariis vexationibus fatigare; sed omnia integra conserventur, eorum pro quorum substentatione et gubernatione concessa sunt usibus omnimodis profutura. Decimas atque primitias predecessorum nostrorum auctoritate monasterio vestro concessas, nullatenus deinceps ab Episcopis vel Episcoporum ministris permittimus usurpari. Chrisma, oleum sanctum, consecrationes altarium, sive basilicarum, ordinationes monacorum, sive ceterorum clericorum totius Abbatie, qui ad sacros fuerint ordines promovendi , quo malueritis catholico accipietis Antistite. Obeunte te, nunc eius loci abbate, vel tuorum quolibet successorum, nullus tibi, qualicumque subreptionis astutia seu violentia, preponatur , nisi quem fratres communi consensu, vel fratrum pars consilii sanioris, secundum Dei timorem et beati Benedicti regulam, elegerint. Electus autem ad Romanum Pontificem consecrandus accedat; qui profecto habeat castella et ecclesias faciendi ubicumque voluerit in terris ad prefatum monasterium pertinentibus. Piscarias ad ipsum monasterium pertinentes in fratrum usus omnimodos confirmamus, ut nulli facultas sit eas invadere, aut quibus libet occasionibus alienare. Vos igitur, filii in Christo dilecti, ut hac scraper gratia digniores censeamini, Dei semper timorem in vestris cordibus habere satagite, ut quanto a secularibus tumultibus liberiores estis, tanto amplius placere Deo totius mentis et anime virtutibus anheletis. Si quis igitur in crastinum Archiepiscopus, Episcopus, Imperator aut Rex, Princeps, Dux, Comes, Marchio, Vicecomes, aut ecclesiastica quelibet secularisve persona, hanc nostre constitucionis paginam sciens, contra eam temere venire tentaverit, secundo tertiove commonita si non satisfactione congrua emendaverit, potestatis honorisque sui careat, reamque se divino iudicio existere de perpetrata iniquitate cognoscat, et a sacratissimo corpore ac sanguine Dei et domini redemptoris nostri Jesu Christi aliena fiat, atque in extremo examine districte ultioni subiaceat. Cunctis etiam (?) eidem loco iusta servantibus sit pax domini Jesu Christi, quatenus et hic fructum bone actionis — 92 — percipiant u apud discretum (j/V) Judicem premia eterne pacis inveniant. Amen. Amen. Anien. (R.) Ego Honorius Catholice Ecclesie episcopus. Indictione iv. ncarnationis Dominice anno millesimo centesimo vigesimo sexto, onti catus domini Honorii n pape anno i. Dat. Ferentini, per manum Aimerici sancte Romane Ecclesie cancellarii, mi. kal. iunii. Archivio di Stato. Copie di privilegi e scritture deir Abbaca dell' Aulla, cod. tacto del sn.olo X\ II (mss. num. 656). II documento vi è per iscritto e per s ampa, ed in quest ultima vedesi autenticato da parecchi notai, cominciando secolo xi\. Pure è notevole che i Papi posteriori citino tale privilegio come ^ato da Innocenzo li. Ved. documento XVI ed il Regesto num. 233. III. INNOCENZO II. Num. 89 — UJ3, marzo zo. In nomine domini nostri Jesu Christi, amen. Ego Innocentius papa precipio vobis et omnibus pisanis per illa iuramenta que fecistis nobis et nunciis nostris et facturi estis, ut de omni guerra et discordia quam usque modo cum ianuensibus habuistis, pacem firmam et finem cum eis et eorum adiutoribus habeatis et firmiter observetis; neque personas neque bona eorum, terra vel mari, studio malo ledatis. Et precipimus vobis ut de omnibus que damus ianuensibus , sicut in eorum privilegio continetur , per vos vel per summissam personam nullam eis contrarietatem vel molestiam malo studio inferatis ; et si quis eos de his molestare voluerit, nullum ei auxilium prebeatis. Precipimus autem ut ianuenses usque ad proximam Pentecostem, absque malitia, eligant quattuor pisanos sapientes et discretos viros, et precipimus ut illi quattuor iurent honorem , salvamentum et bonas antiquas consuetudines tam - 93 - ianuensium quam pisanorum ; quorum arbitrio et diffinitione que-cumque offensiones inter vos et ianuenses orte fuerint, infra duos menses postquam clamorem acceperint, emendentur, et quod ab eis constitutum fuerit tam vos quam ianuenses firmiter observetis. Si vero de consuetudinibus questio emerserit, quod isti quattuor et alii quattuor qui Janue similiter constituentur, omnes simul aut maior pars eorum laudaverit, irrefragabiliter observetis. Et que-cumque per vos ianuensibus ablata sunt infra unius anni terminum ante quam ianuenses guerram vobis communiter facerent, quantum quisque pisanorum inde habuit, sub suo iuramento restituat ianuensibus, tertiam partem usque ad proximum festum beati Mi-chahelis in septembri, aliam tertiam usque ad sequens proximum Pascha, reliquam tertiam usque ad aliud proximum festum beati Michahelis. Et ea que abstulistis ianuensibus a proxime preterita nativitate Domini usque ad hunc diem, usque ad proximum Pentecosten eis reddatis. Ad hec precipimus ut pacis confederationem singulis viginti annis per iuramenia renovetis. Datum apud Gros-setum, xm kalend. aprilis. Originale in Archivio di Stato, Materie Politiche, mazzo i.° (num. gen. 2720); ma già stampato dal Pllugk-Harttung, Ada, II, 273, colle a lui consuete indicazioni della qualità, misura, piegatura della pergamena, dei fori da cui dovea pendere il sigillo, ecc. IV. Num. 90 — 1133, maggio i$. Innocentius episcopus, servus servorum Dei. Venerabili fratri Syro, Januensi archiepiscopo, eiusque successoribus in perpetuum. Justus Dominus et iustitiam dilexit equitatem vidit vultus eius, si pro homine perdito humanatus est Dei filius, et pro eius redemptione atque salute mortem ignominiosam pertulit. Catholica igitur et sancta mater Ecclesia, ne filii sui dannentur perpetuo, bona sua — 94 — ilaii \ultu et mente iocunda, quoniam id ipsum equitatis et iu-sticie rado postulat debet impendere. Quocirca sacrosancta Sedes Apostolica, animarum saluti providens, quoniam pro discordia et 0uerra, que inter inclitam Januensem civitatem et Pisas olim, arbustissimo id laciente inimico humani generis, orta est, incompara iles hominum clades, christianorum captivitates et ecclesiarum estruuiones innumere provenerunt, ut de cetero tam detestabilis is ct dissensio conquiescant, personam tuam et per te Januensem ecclesiam ad prefate civitatis, que beato Petro ac sancte Romane Cc esie tidelis et ad serviendum prompta extitit, et de cetero id acturam propensius pollicetur, decorem et exaltationem preroga-a gloriosa sublimat. Te igitur, frater karissime Syre archie-piscope , pallei genio decorantes et gratia ampliori donantes, in m" *f^St0Puni Promovemus, et tres episcopatus in Corsica, [ijanensem \ idelicet, Nebolensem , et tercium , cuius sedem onstituimus Ecclesiam sancti Petri de Atho (Acci), cui concedimus nam plebem de Marana et aliam de Aleria, atque Bobiensem et ;uUm ®runa^e cuin ecclesiis suis, quas circa se et in castellis i s ha et, quem modo novum statuimus, tibi tuisque successo-metropolico iure subicimus. Verumtamen episcopatum Ja-1 asem, et te \ idelicet ac posteros tuos, ab omni emancipatos su-ctione in manu propria libere retinemus. Statuentes, ut Ja-nsis archiepiscopus eo ordine, quo et Pisanus, a solo Romano tifice consecretur. Quod si forte Pisanus archiepiscopus a suis neis fuerit consecratus, Januensis quoque a suis nichilo-similiter consecretur. Denique, ut ianuensium civitas, que ce estis Numinis de inimicis Christiani nominis victoriam q ter obtinuit, et eorum urbes plurimas subiugavit, tuis tem-P s amp ius honoretur, equo albo cum nacco albo in proces-i ■ Ut^ ’ et crucem > vexillum videlicet dominicum , per su- 'o is Prov*nc>am portandi tibi tuisque successoribus li-cìr amus. Preterea ianuensi civitati medietatem insule Cor-nCC ,lmUS’ *ta Sc'**cet> ut michi meisque successoribus ia* D -SIS P°Pulus’ cum requisitus fuerit, fidelitatem iuret et pro I06 * ^ aUr^ S*n^u^s ann*s no*?is successoribusque nostris Persolvat, salv.s nimirum feodis, tam vestris, quam etiam pisa- - 95 — norum, sicut a decem annis et supra optinuisse noscuntur. Palleo vero infra ecclesiam perfruaris his diebus : in cena Domini, pasca, ascensione Domini, pentecoste, in festivitate apostolorum Petri et Pauli, sancti Johannis Baptiste, sancti Laurentii, tribus festivitatibus beate Marie, in sollennitate omnium sanctorum, sancti Syri, natale Domini, epiphania, et in die anniversario consecrationis tue, in consecrationibus quoque episcoporum, basilicarum, et ordinationibus clericorum. Abbatiam quoque de Tyro ad meliorationem, salva sancte Romane Ecclesie proprietate ac censu, tibi, venerabilis frater Syre archiepiscope, successoribusque tuis committimus. Si qua igitur in futurum ecclesiastica secularisve persona, hanc nostre constitutiouis paginam sciens, contra eam temere venire temptaverit, secundo ter-ciove commonita, si non satisfactione congrua emendaverit, potestatis honorisque sui dignitate careat, reamque se divino iuditio exi-stere de perpetrata iniquitate cognoscat, et a sacratissimo corpore ac sanguine Dei et domini redemptoris nostri Jesu Christi aliena fiat, atque in extremo examine districte ultioni subiaceat. Cunctis autem hec nostra statuta servantibus sit pax domini nostri Jesu Christi, quatenus et hic fructum bone actionis percipiant, et apud districtum iudicem premia eterne pacis inveniant. Amen. Amen. Amen. (Rota) Ego Innocentius Catholice Ecclesie episcopus ss.(Monogravma). -j- Ego Guilielmus Prenestinus episcopus ss. -j- Ego Johannes Hostiensis episcopus ss. -J- Ego Conradus Sabinensis episcopus ss. -j- Ego Johannes tit. sancti Grisogoni presbiter cardinalis ss. -j- Ego Gerardus cardinalis presbiter tit. sancte Crucis ss. f Ego Anselmus cardinalis presbiter ss. f Ego Lucas presbiter cardinalis tit. sanctorum Johannis et Pauli ss. f Ego Martinus presbiter cardinalis tit. sancti Stefani in Celio monte ss. 7 Ego Romanus diaconus cardinalis sancte Marie in Porticu ss. f Ego Gregorius diaconus cardinalis sanctorum Sergii et Bachi ss. f Ego Guido diaconus cardinalis sancte Marie in Via lata ss. •J- Ego Oddo diaconus cardinalis sancti Georgii ss. f Ego Guido diaconus cardinalis sanctorum Cosme et Damiani ss. — 96 — Dat. Laterani, per manum Aimerici sancte Romane Ecclesie diaconi cardinalis et cancellarii, viii kal. iunii. Indictione xi. Incarnationis Dominice anno mcxxxiii. Pontificatus vero domni In-nocentii pape ii anno mi. Archivio di Stato, membranaceo (mss. num. 38). — Jurium primus duplicatus, car. 19. — Pfl.-Harttung, Acta, II, p. 273, num. 213. V. ADRIANO IV. Num. 15É — 11 S4*i 1S7- Cum olim controversia de medietate oblationis ecclesie sancte Marie de Quarto, specialis capelle sancti Laurentii nostre matricis Ecclesie, in festivitate beate Marie mensis augusti inter canonicos sancti Laurentii et Rubaldum presbiterum eiusdem capelle atque vicinos exerceretur; contigit quod per predictum sacerdotem Romani. Curie denotaretur negocium. Quo facto, dominus Adrianus papa iv discretioni domini Syri Januensis archiepiscopi causam predictam cognoscendam terminandamque mandavit. Unde prefatus Syrus Januensis archiepiscopus, una cum honestis et religiosis viris, scilicet domino Johanne sancti Bartholomei abbate de Fossato et domino Gregorio sancti Stephani monaco, rationibus et allegationibus ex utraque parte auditis, visis et cognitis, per idoneos testes sacramenta firmantes a parte canonicorum sancti Laurentii, cognovit quod medietas oblationum, denariorum videlicet et candelarum, predicte capelle specialis sancti Laurentii, in festivitate eiusdem beate Marie de Quarto mensis augusti, per longissimi temporis spacium a canonicis iam dictis iure ac quiete foret accepta, et in vigilia predicte festivitatis cenam, si necesse foret, et in sero duabus equitaturis fenum et annonam sufficientem, et duobus beati Laurentii clericis in die festivitatis prandium a parte sacerdotis prefate ecclesie de - 97 - Quarto quiete datum esset. Quapropter, sine contradictione sacerdotis Rubaldi et parrochianorum iamdicte specialis capelle de Quarto et omnium successorum eorumdem, sancti Laurentii canonicos in vigilia et solemnitate prefata, predictum servicium promulgando ex sententia, dominus Syrus archiepiscopus una cum predictis assessoribus suis optinere perpetuo statuit. Actum in ecclesia beati Laurentii , millesimo centesimo quinquagesimo septimo, die xm mensis augusti. Indictione iv. Testes : Presbyter Berardus sancti Damiani Janue. Presbyter Petrus sancti Damiani de Strupa. Presbyter Jor-danus de plebe Reci. Presbyter Anselmus sancti Stephani. Presbyter Obertus sancti Andree de Porta. Presbyter Albertus sancte Margherite. Presbyter Joannes sancti Martini de Via et consul de Quarto. Bonus Johannes de Plazastrello. Airaldus de Pasteno. Wilieltnus Cairaldus de pi. Bertramus Antelami. Ego Philippus notarius rogatus iussu prefati Archiepiscopi scripsi. Poch, Miscellanee di Storia Ligure, V, 157 (Bibl. Civ. i, 3, 39). Dall’ Archivio di san Lorenzo. VI. ALESSANDRO III. Num. 141 — 1159? Processus contra pisanos. Declaramus etiam et denuntiamus civitatem et comune pisanorum omnibus privilegiis, libertatibus et immunitatibus ubilibet eis tempore privationis predecessoris ipsius, seu hiis facte, ipsis competentibus omnique iure, si quod ipsis contra ecclesiam, comune et alios lu-canos eorundem tempore competebat, ratione castrorum seu terrarum vel in ipsis castris aut terris que ydem ecclesia, comune, aliquis lucanus tunc possidebant vel quocumque tempore antea possederant, fore privatos. Nec non omnes societates et confederationes post inhibitionem predecessoris eiusdem preter conniventiam Sedis Apostolice Km Soc. Lio. St. Pinu. Voi. XIX. 7 - 98 - cum ipsis initas, vel de cetero ineundas, etiam si iuramento vel quolibet alio fuerint vinculo roborate, carere omni robore firmitatis. Ac nichilominus universis et singulis, cuiuscumque sint preminentie, dignitatis, conditionis aut status, etiam si imperiali, regali vel alio quocumque honore perfulgeant ; nec non universitatibus civitatum, castiorum et aliorum quorumcumque locorum, districtius inhibemus ne cum ipsis civibus , civitate vel comune pisanorum in pertinatia huiusmodi persistentibus, sub quovis ingenio, colore, machinatione \<-l arte, societatem aliquam seu federationem contrahere aut inire piesumant; et si secus presumptum fuerit, omnes singulares personas conti arium presumentes, non obstante qualibet indulgentia sub quacumque forma verborum vel expressione ipsis ab eadem Sede concessa vel in posterum concedenda , quam quoad hoc viribus \olumus omnino carere, sententiam excomunicationis, quam ex nunc in ipsis ferinius, incurrere volumus ipso facto, et terras ipsorum nec non et universitates predictas que secus presumserint, prout expedire viderimus, ecclesiastico subicere curabimus interdicto, ad pri\ationem omnium bonorum que a quibuslibet tenent ecclesiis , et ad penas alias spirituales et temporales prout utile putabimus processuri. Et nichilominus societatem et confederationem ipsas, etiam si penarum et iuramenti adiectione vel quacumque fuerint alia firmitate vallate, omnino viribus vacuamus et esse decernimus vacuas, irritas et inanes. Memoratos quoque cives, civitatem et comune Pisanum monemus districte, mandantes eisdem ut infra tres menses, quos eis ad hoc pro peremptorio prefigimus termino, de memorata insula Sardinie gentem suam, si quam illuc miserunt, revocent, et eandem insulam et specialiter dictos iudicatum et locum Sassari nobis, Ecclesie Romane ac nunciis nostris libere et in pace dimittant, nullam de cetero super illis molestiam per se 'el per alios aut cum aliis illaturi. Quodque infra instans festum purificationis, quod eis pro peremptorio termino assignamus, humiliter ad nostra et ipsius Ecclesie studeant redire mandata, satisfa-tionem de premissis impensuri plenariam et nostris precise beneplacitis parituri. Alioquin ex tunc ad privandum ipsam civitatem Pisanam episcopali dignitate, que illi sola remansit, ac iure civitatis seu universitatis et cuiuscumque territorii seu districtus, - 99 — iurisdictione, insuper ac vasallis quibuslibet, nec non ad invocandum contra ipsos cives, civitatem et comune brachii secularis auxilium tam per regalem potentiam quam per alios magnates et comunia civitatum aliorumque locorum ac alias gravius specialiter et temporaliter, prout expedire viderimus, procedemus. Ut autem huius-modi noster processus ad comunem omnium notitiam deducatur, cartas sive membranas processum continentes eundem in presentis maioris ecclesie Urbevetane appendi vel affigi hostiis sive superliminaribus faciemusque processum ipsum suo quidem sonoro preconio et patulo iudicio pubblicabunt (sic); ita quod predicti cives et comune Pisanum, ac alii quos processus ipse contingit, nullam postea possint excusationem pretendere quod ad eos talis processus non pervenerit vel quod ignorarent eumdem, cum non sit verisimile remanere quoad ipsos incognitum vel ocultum quod tam patenter omnibus pubblicatur. Actum in eadem ecclesia Urbevetana, in festo dedicationis basilice principis apostolorum. Pontificatus nostri anno primo. Archivio di Stato. Materie politiche, mazzo i.° — È una pergamena contenente il frammento inferiore del documento, mancante perciò della intestazione e del nome del Papa ; e nemmeno nel contesto vi sono nomi propri. Io 1’ ho trovata classificata fra le carte sotto Alessandro III, però colla data 1169, che non corrisponde al primo anno del Pontificato. Cercando se vi potesse corrispondere la storia conosciuta, dapprima mi parve trovare un lontano appoggio applicandovi i favori a Pisa del Re Corrado, che sarebbe il predecessore ipsius, se questi fosse Enrico I. Vedi Langer, op. cit., p. 46. Le quistioni sulla sovranità delle isole fra la Santa Sede, i genovesi ed i pisani, sebbene di lunga durata, si attagliano abbastanza bene ai tempi d’ Alessandro III. Ma d’altra parte vi sono obbiezioni molto gravi contro 1’ ammettere l’autenticità del documento : ne aggiungo alcune. La pergamena non è del secolo xii, ma presenta il carattere del xiv 0 poco più. Ivi si dice che Pisa ha perduto 1’ onore del-1’ Arcivescovato ; non so se e quando ciò sia avvenuto, ma non sotto Alessandro, perchè 1’ Arcivescovo pisano contro i suoi propri cittadini aderiva al legittimo Papa. Il brachium seculare da adoperare, se in sostanza è già indicato da Gregorio Magno, nella espressione letterale non mi par trovarlo fino al :413 (Rymer, Foedera, IV, 2.*, col. 50). Altre formole mi urtano un poco. Tuttavia ho creduto bene inserirlo qui, sottomettendolo ai dotti che ne giudicheranno l’importanza. — 100 — vir. Num. 146 — 1160, agosio 18. Alexander episcopus, servus servorum Dei. Venerabilibus fratribus universis, patriarchis, archiepiscopis, episcopis, dilectis filiis abbatibus, prioribus , decanis , archidiaconis , archipresbiteris , ple- banis et aliis ecclesiarum prelatis, nec non capitulis........ collegiis eorundem, salutem et apostolicam benedictionem. Contigit pro quibusdam interdum sub hac forma vel simili nostras litteras emanare, ut non obstante iuramento , privilegio vel statuto, si de voluntate procedat capituli seu etiam prelatorum, recipiantur in ecclesiis in canonicos et fratres. Verum quia a multis multocies hesitatur, an tales auctoritate Sedis Apostolice seu illorum qui receperint easdem in eisdem ecclesiis intelligantur admissi ; nos ambiguitatem huiusmodi taliter duximus declarandam, ut si ad illos quibus sic nostre littere diriguntur alias spectat canonicorum receptio in ecclesiis memoratis, tales non nostra set auctoritate recipiendum censeantur recepti. Si vero non ad ipsos recipiendorum huiusmodi spectat receptio, set ex viribus litterarum nostrarum recipiant potestatem, tunc hii non sua set Sedis duntaxat Apostolice auctoritate recepti canonici reputentur. Datum Anagnie, decimo quinto kalendas septembris. Pontifi catus nostri anno primo. Archivio di Stato. Bolle e Brevi pontificii, mazzo 1.°, num. gen. 2775. — 101 — Vili. Num. 151 — 1161 usibus omnimodis profutura, salva (Sedis Apostolice auctoritate et)... canonica (iustitia). Decimas vero civium cognationis de Insula et Carmadino atque heredum ipsorum, quemadmodum per sententiam predecessoris nostri felicis memorie Pape Innocentii diradicate sunt et scripto suo firmate, per presentis scripti paginam confirmamus, easque de cetero vobis in perpetuum solvendas esse censemus. Si que vero possessiones, quas prenominatorum cogn.... cives tempore late sententie possidebant, ad alios quolibet titulo iam noscantur fore translata, vel in futurum quolibet contractus genere transferentur libere, vobis liceat a quibuslibet earumdem possessio.... tatoribus decimas exigere et exactas nullius obsistente contradictione retinere. Si qua igitur in futurum etc. (11 resto come in fine del documento iv). • (Rota) Ego Alexander Catholice Ecclesie episcopus ss. (Monogramma), •J- Ego Hubaldus Ostiensis episcopus ss. f Ego Bernardus Portuensis et sancte Rufine episcopus ss. f Ego Galterius Albanensis episcopus ss. -J* Ego Johannes presbiter cardinalis sanctorum Johannis et Pauli titulo Pamachii ss. 7 Ego Johannes presbiter cardinalis titulo sancte Anastasie ss. -j- Ego 0[ddo] diaconus cardinalis sancti Georgii ad Velum aureum ss. -j- Ego Jacyntus (diaconus) cardinalis sancte Marie in Co-smydin ss. ■J* Ego Petrus (diaconus cardinalis) sancti Eustacchii iuxta templum Agrippe ss. •j- (Datum) Anagn... (per manum) H[ermanni].... [indictjione... incarnfacionisj D[ominice] a[nno].... — 102 — Archivio di Stato. Pergamene dell' Abbazìa di san Siro, mazzo i." , num. gen. 1525. — Vedasi sopra nel testo, al num. 151, la mia spiegazione. IX. Num. 171 — ii6j, giugno 7. Alexander episcopus, servus servorum Dei. Venerabili S[yro] archiepiscopo, et dilectis filiis arcidiacono, preposito , canonicis, consulibus, et universo clero ac populo ianuensi, salutem et apo-stolicam benedictionem. Sincera vestre fidei constant[ia], pure affectionis devotio, quam erga sacrosanctam Romanam Ecclesiam et specialiter erga personam nostram plurimis rerum effectibus exhibuistis] , nos ad amorem vestrum ferventius inducunt et, ut de profectibus vestris, tanquam de propriis, sollicitemur , invitant modis omnibus et hortantur. U[nd]e litteris vestre integritatis, a nobis hylari mente susceptis, dilecto filio nostro , cancellario vestro, qui ad pacem inter vos et comitem Sancti Egidii et ho-min[es] eius, pro illis offensis, quas vobis intulerant, reformandam, a vobis fuerat destinatus, consilium et auxilium, sicut ipse plenius vobis narrare poterit, quantum divina gratia nobis contulit, efficaciter impertivimus, in eo animo et voluntate firmius exsistentes , ut ad honorem , commodum et exaltationem vestram et civitatis vestre affluentiori caritate debeamus omni tempore non immerito aspirare, et vestram commendabilem devotionem pectori nostro infixam memoriter retinere. Statum autem eiusdem Ecclesie ac nostrum tanto vobis libentius aperimus, quanto magis vos circa eum prosperari et plurimum gaudere atque sollicitos esse aperte cognoscimus. Noverit ergo vestre dilectionis discretio, quod tam nos, quam fratres nostri apud Montem Pessulanum , ubi honestissime fuimus per Dei gratiam cum plenissima reverentia et celeberrima omnium devotione recepti, sani ad presens et incolumes commoramur, atque ab archiepiscopis, episcopis, regibus, principibus et — 103 — universa occidentali Ecclesia honoramur propensius et devotissime veneramur. Specialiter autem fratres nostros Senonensem , Turo-nensem, Aquensem et Narbonensem archiepiscopos, de quibus unum, Narbonensem videlicet, in eadem terra consecravimus, et Autisiodorensem, Macloviensem, Eduensem, Nivernensem , Mori-nensem, Magalonensem et Tolonensem episcopos de regno Francorum recepimus, cum quibus in die ascensionis Domini publice excommunicationis sententiam in illum heresiarchain Oct[avianum], et Fred[ericum], Ecclesie persecutorem , atque in omnes eorum complices promulgavimus. Ibi etiam eodem die dilectum filium nostrum Petrum, fratrem illustris Francorum regis, et postea venerabiles fratres nostros, Bituricensem archiepiscopum, et Claro-montensem, Petragoricensem, Caturcensem , Carnotensem et Ne-mausensem episcopos, atque Ovetensem electum, suscepimus, cui sequenti dominica post festum ascensionis munus consecrationis inpendimus. Ibidem quoque dilectos filios nostros Hen[ricum] et W[ilhelmum], Romane Ecclesie cardinales, cum venerabili fratri nostro, Ebroicensi episcopo, et aliis quibusdam nuntiis illustris anglorum regis nos noveri[ti]s recepisse. Remensi quoque archiepiscopo pallium nuper transmisimus, firmam spem fiduciamque tenentes, quod summe Divinitatis clementia pacem et tranquillitatem Ecclesie sue sancte celeriter indulgebit. Quocirca discretionem vestram per apostolica scripta rogamus, monemus et exhortamur in Domino, quatinus, sicut bene cepistis, ita vos ipsos et alios exemplo vestro in devotione beati Petri ac nostra confortetis, quod vestre sinceritatis constantia cum gratiarum actione debeat a nobis omni tempore commendari. Ad hec vos, dilecti filii consules, attente rogamus, ut dilectum filium nostrum B[osonem], sanctorum Cosme et Damiani diaconum cardinalem, quem pro negotiis vestris utiliter agendis in partibus illis duximus reliquendum , cum ea honorificentia ad nos faciatis secure deduci, ut ex hoc devotionem vestram possimus non inmerito commendare. Datum apud Montem Pessulanum, vn idus iunii. Originale nell’Archivio di Stato. Materie Politiche, mazzo i. Edito dal Pflugk-Harttung, Acta, II, 366. - IO.-) - X. Num. 174 — ii«} novembre 1$. .... servorum Dei. Venerabili fratri Lunensi episcopo salutem et apostolicara benedictionem. Licet devotionem ...(tuam erga?) nos et Ecclesiam Dei ferventem usque nunc multis argumentis et rerum indiciis agnoscamus, q.... [ajudivimus de quibus super fraternitate tua non possumus admodum non mirari. Pervenit siquidem ad audientiam nostram, quod ad mandatum et suggestionem F[rederici], non dicimus imperatoris, sed vehementis persecutoris Ecclesie, dilectis filiis nostris ianuensibus civibus, qui ab ipso exordio promotionis nostre fideles nobis et devotissimi ex[tite]runt, P[ort]u[mJ Veneri [s] simul cum pisanis consulibus voluisti auferre et in hac parte illius potentia qui... ad Ecclesie quam ad nostrum excidium omnibus modis intendit et qui nos de die in (diem) vehementissime persequi non desistit. Potentiam siquidem et robur illius imbecillitatem et detrimentum Ecclesie reputamus, sicut e contra minoratio ipsius Ecclesie est promotio et exaltatio extimanda. Per apostolica itaque scripta fraternitati tue mandamus, quatinus sicut gratiam beati Petri et nostram tibi diligis conservare, ne ex hoc eiusdem F[redericij augeri potentia videatur, et ne iam dictis filiis et fidelibus nostris ianuensibus damnum super hoc perveniat vel iactura, ab huiusmodi de cetero presum-ptione abstineas, atque ab obsequio memorati tiranni, in quantum licet et expedit, te ulterius subtrahas, ne forte immundum tangens et sordibus inquinatum tu ipse morbo simili maculari et eadem debeas sorde et contagione respergi. Datum Anagnie, vi kal. decembris. * Pergamena autentica con resto di canapa, da cui pendeva il piombo che manca, e fori laterali da' quali vedesi che fu sigillata col canape e piombo suddetto ». Poch, Miscellanee cit., iv, Registro 8.° , p. 36 (Bibl. Civ. D. 1, 3. 3®)> c'" tandola come esistente nella cantera 33 dell’Archivio segreto della Repubblica. Si vedano nel Regesto, num. 174, le mie osservazioni in proposito. - io5 - XI. Num. 179 — 1168, novembre 29. Alexander episcopus, servus servorum Dei. Dilectis filiis Bonifacio priori ecclesie sancti Theodori (et) eiusdem fratribus tam pre-sentibus quam futaris regularem vitam professis in perpetuum. Quociens illud a nobis petitur quod religioni et honestati dino-scitur, animo nos decet libenti concedere et petencium desideriis congruum impertiri suffragium. Ea propter, dilecti in Domino filii, vestris iustis postulationibus clementer annuimus, et prefatam ecclesiam , in qua divino mancipati estis obsequio, sub beati Petri et nostra protectione suscipimus, et presentis scripti privilegio, communimus. In primis siquidem statuentes ut ordo canonicus, qui secundum Dei timorem et beati Augustini regulam et institu-cionem ordinis Mortariensis in eodem loco noscitur institutum, perpetuis ibidem temporibus inviolabiliter observetur. Preterea quascumque possessiones, queeumque bona eadem ecclesia in presenciarum iuste et canonice possidet, aut in futurum concessione pontificum, largitione regum vel principum, oblatione fidelium, seu iustis aliis modis, prestante Domino, poterit adipisci, firma vobis vestrisque successoribus et illibata permaneant. In quibus hec propriis duximus exprimenda vocabulis : possessionem quam iam-dicte ecclesie Ermelina quondam abbatissa sancti Bartholomei vendidit, et abbatisse Anthonie et fratribus qui eamdem ecclesiam adepti sunt, vobis, salvo sibi censu unius denarii ianuensis monete, postmodum confirmaverunt, vobis et per vos ecclesie vestre auctoritate apostolica confirmamus. Addimus insuper et presenti scripto sancimus ut qui, relictis seculi voluptatibus, conditori nostro elegistis in arte contemplationis servire et a popularibus tumultibus quieti existere, in comunibus solemnitatibus non cogamini matris ecclesie processionibus interesse; sed ad decorem ipsius ecclesie unum pluvialem, si a vobis requisitum fuerit, illuc transmittatis. Verum in singularibus et precipuis festivitatibus predicte ecclesie sancti Laurencii, videlicet sancti Syri et de- dieacionis ecclesie, cum invitati fueritis, processionibus interscitis (jfV) et eidem ecclesie reverenciam sicut consuetum est impendatis. Ad hec quidquid iuris in Faxolo et quicquid etiam in Capite fari habetis, vobis nihilominus confirmamus. Decernimus ergo ut nulli omnino hominum liceat supradictam ecclesiam temere perturbare, aut eius possessiones auferre, aut ablatas retinere, minuere, seu quibuslibet vexationibus fatigare; sed illibata omnia et integra conser\entur, eorum pro quorum gubernacione et su-stentacione concessa sunt in usibus omninodis profutura. Salva Sedis Apostolice auctoritate et diocesani episcopi debita reverencia. Si qua igitur in futurum ecclesiastica secularisve persona hanc nostre constitutionis paginam sciens, contra eam temere venire temptaxerit, secundo tertiove commonita, nisi presumptionem suam congrua satisfactione correxerit, potestatis honorisque sui dignitate careat, reumque se divino iudicio existere de perpetrata iniquitate cognoscat, et a sanctissimo corpore ac sanguine Dei et domini nostri Jesu Christi aliena fiat atque in extremo examine districte ulcioni subiaceat. Cunctis autem eidem loco sua iura servantibus sit pax domini nostri Jesu Christi, quatenus et hic fructum bone actionis percipiant et apud districtum iudicem premia (congrua inveniant). Amen. Amen. Amen. {Rota) Ego Alexander Catholice Ecclesie episcopus ss. (Monogramma). y Ego Bernardus Portuensis et sancte Rufine episcopus ss. T Ego Hubaldus presbiter cardinalis titulo sancte Crucis in Je-rusalem ss. i Eg0 Joannes presbiter cardinalis titulo sancte Anastasie ss. i Ego Boso presbiter cardinalis sancte Pudenciane titulo Pastoris ss. i Ego 1 etrus presbiter cardinalis titulo sancti Laurencii in Da-maso ss. f Ego Theodinus presbiter cardinalis sancti Vitalis titulo Vestine ss. T Ego Ardicio sancti Theodori diaconus cardinalis ss. T Ego Manfredus diaconus cardinalis sancti Georgi in Velo aureo ss. — 107 — f Ego Hugo diaconus cardinalis sancti Eustacchii iuxta templum Agrippe. Datum Benevent. per manum Graciani sancte Romane Ecclesie subdiaconi et notarii, m kalendas decembris. Indictione prima. Incarnationis Dominice anno millesimo centesimo sexagesimo octa\o. Pontificatus vero domini Alexandri pape anno decimo. Bibl. Civico-Beriana. Originale fra le pergamene riguardanti la Chiesa di san Teodoro, D. 1,2, 25. XII. Num. 187 — 1161-1173. Alexander episcopus, servus servorum Dei. Venerabili fratri Syro archiepiscopo et consulibus ianuensibus salutem et apostolicam benedictionem. Super illo dilectionis fervore ac sincere fidei puritate , quam circa unicam et singularem matrem vestram sacrosanctam Romanam Ecclesiam, et circa personam nostram multis rerum indiciis habere noscimini, et super honorabili receptione legatorum qui a Sede Apostolica destinantur, uberes vobis gratiarum referimus actiones, et vestre devotionis ardorem et fidei constantiam attendentes, vos inter speciales et devotissimos Ecclesie filios non immerito reputamus, et tanto arctiori vos ecclesiam et civitatem vestram caritate diligimus, et quibus modis expedire viderimus honori et augmento eius et vestro promptiori desiderio intendere volumus, quanto ad obsequium et exaltationem Ecclesie ac nostram vos cognoscimus fidelius aspirare et heretice scismati-corum pravitati resistere atque illam virilius impugnare, per presenta scripta dilectionem vestram rogantes, monentes et exhor-tantes in Domino, quatenus bonum principium optime consuma-tionis fine perficiatis, et sicut nos de vobis indubitanter confidimus — io8 — et speramus, tamquam viri catholici et in fide ferventes pro incremento et honore ipsius matris vestre Romane Ecclesie ac nostro usque in finem totis viribus laboretis. Nos siquidem propositum et voluntatem ferventem habentes petitionibus vestris quantum tUm Domino et iustitia fieri potest facilem prebere assensum, et tam vestre quam ecclesie ac civitati vobis commisse utilitati volentes utiliter providere, quamvis ad concedendum difficile videatur quod canonici ecclesie sancti Laurentii commodum et honorem ecclesie sue velint aliquatenus impedire, qui pro ipsius utilitate debent pre ceteris ferventius laborare ; ad preces vestras canonicis ipsis Scripta nostra direximus, ut si absque gravi dampno fieri potest , pro illa domo diruenda que formositatem maioris porte ipsius ecclesie dicitur impedire, concambium terre ipsi domui adia-centis, de qua modicum sicut accepimus percipiunt emolumentum cum Ogerio (?) scriba ianuense ad commonitionem dilectorum filiorum nostrum sancti Syri et sancti Andree abbatum facere nullatenus malitiose recusent. Unde predictis abbatibus dedimus in mandatis ut huius negotii veritatem subtilitate qua convenit indagantes, si commutationem ipsam absque gravi eiusdem ecclesie detrimento posse fieri cognoverint, eosdem canonicos diligenter commoneant et instanter ut concambium eiusdem terre non differant adimplere. Ceterum, si forte nec sic commutatio ipsa fieri potuerit, iidem abbates iuxta mandatum nostrum veritatem huius rei nobis significare debebunt; et nos cognita veritate, secundum quod ratio dictat auctore Domnino procedemus atque utilitati et iustitie sepedicte ecclesie nequaquam deerimus. Ad hec, cum venerabilem fratrem nostrum Henricum Beneventanum Archiepiscopum et dilectum filium nostrum B[onadieni], titulo sancti Grisogoni presbite-rum cardinalem, ad dilectum filium nostrum Emanuelem illustrem Constantinopolitanum imperatorem pro negotiis Ecclesie destinamus, per presentia \ os scripta rogamus quatenus civibus vestris in ipsius Imperio morantibus litteras vestras dirigatis, illos affectuose et diligenter exhortantes, ut predictum archiepiscopum et cardinalem tamquam Apostolice Sedis legatos benigne recipiant, honeste pertractent et pro negotiis Ecclesie illis fideliter et reverenter adsi-stant. In eisdem quoque litteris vestris quam fidelitatem et devo- t — 109 — tionem circa eamdem Romanam Ecclesiam et circa personam nostram habetis plenius denotare studeatis, ut vobis predictorum legatorum fides plenior debeat adhiberi, et scismaticorum heresis validius confutari. Datutn Ferentini, vim idus septembris. Pocli, Miscellanee v, 173, che la cita come esistente nella cantera num. 10 dell’ Archivio segreto della Repubblica. XIII. Num. 188 — 1170, 0 almeno 1161-1175. Alexander episcopus.... Dilectis filiis consulibus Januensis civitatis salutem et apostolicam benedictionem... Ecclesiam sancti Rufi et illas que ad eius dispositionem spectant ecclesias... diligimus... Inde est quod ecclesiam sancti Nicolai de Codomonte, ecclesiam sancti Michaelis et ecclesiam sancti Salvatoris, que ad ius prescripte ecclesie sancti Rufi spectare noscuntur... Rogamus attentius quatenus pro terra iam dicte ecclesie sancti Salvatoris, in qua muri ad munitionem eiusdem civitatis noviter sunt erecti, sicut aliis iam reddidistis concambium, ita condignam eidem ecclesie compensationem facere studeatis. Datum Ferentini, ii kal. iunii. Poch, voi. iv, Registro 7.° , p. 56, citando una pergamena autentica della cantera num. 1 x dell’ Archio segreto della Repubblica. XIV. LUCIO III. Num. aio — 1182-1183, maggio 27. Lucius episcopus servus servorum Dei. Venerabili fratri P[etro] Lunensi episcopo salutem et apostolicam benedictionem. Quia — no — que concordia vel iudicio statuuntur in sua debeant firmitate consistere, et ne per cuiuscumque maliciam (ad) contentionem pristinam reducantur, apostolico robore premunirà Quapropter, tuis iustis postulationibus annuentes, compositionem que inter te et dilectos filios nostros archipresbiterum et canonicos tuos, super quibusdam rusticis, de comuni assensu partium intervenit, sicut in scripto publico continetur, auctoritate apostolica confirmamus. Nulli igitur omnino hominum liceat hanc paginam nostre confirmationis infringere, vel ei ausu temerario contraire. Si quis autem hoc attemptare presumpserit, indignationem omnipotentis Dei et beatorum Petri et Pauli apostolorum eius se noverit incursurum. Dat. Veliterni, vii kal. iunii. Cod. Pelavicino, fol. 53, num. v. XV. Num. 224 — 1184, febbraio 28. Lucius episcopus, servus servorum Dei. Venerabilibus fratribus archiepiscopis, episcopis et abbatibus, prioribus et universis ecclesiarum prelatis, ad quos littere iste pervenerint, salutem et apostolicam benedictionem. Cum fratribus Jerosolimitani hospitalis etc. Datum Anagnie, secundo kalendas marcii. Copia autentica dei privilegi apostolici della Religione di san Giovanni di Gerusalemme, Membranaceo dell’Universitaria, car. 7: A. ìv, 36. 11 restante come nella carta analoga di Urbano III; vedi documento XVIII. — Ili — XVI. Num. 2)4 — 1185, giugno 13. Lucius episcopus, servus servorum Dei. Dilectis filiis abbati et monachis monasterii Avulensis, salutem et apostolicam benedictionem. Cum universarum ecclesiarum regimen nostre sollecitudini, disponente Domino, sit commissum, tunc recte officium nostrum exequimur, cum unicuique ecclesie sua iura integre conservamus. Nam a nobis esset merito in extremo examine requirendum , si ex dissimulatione nostra ulla ecclesia suis iusticiis fraudaretur. Recolentes igitur quomodo inter vos et Lunensem Ecclesiam, tempore felicis recordationis Lucii pape predecessoris nostri, hec eadem questio mota fuerit et per eiusdem sententiam termi ^ nata, in qua lite etiam privilegium felicis recordationis Innocentii pape, quod Ecclesie vestre per vestram fuerat sollicitudinem im petratum, cassatum fuerit penitus et conscissum non ambigimus quod monasterium vestrum Lunensi Ecclesie sit subiectum, et • * * Lunensi episcopo sicut proprio pastori debeat subiacere et ipsius providentia gubernari. Quia vero vestre professioni non conve niat ut pastorali provisioni illicite vos subtrahatis et iurisdictioni, ideoque apostolica auctoritate mandamus atque precipimus , qua tenus prefato episcopo sicut pontifici et pastori obedientiam et reverentiam debitam impendatis, et constitutiones ac statuta regularia suscipiatis humiliter et servetis. Dat. Verone, idus iunii. Cod. Pelavicino, fol. 54, num. vi. — Scritture di san Caprasio, in Archivio di Stato. — 11 a — XVII. URBANO III. Num. 336 — 1186 febbraio 4. Urbanus episcopus, servus servorum Dei. Guidoni abbati monasterii sancti Stephani ianuensis eiusque fratribus tam presentibus quam futuris regularem vitam professis in perpetuum. Monet nos Apostolice Sedib auctoritas, cui licet immerito presidemus, pro salute omnium ecclesiarum provida circumspectione satagere, et ne malignorum rapinis vel molestiis exponantur apostolicum illis patrocinium impertiri. Ea propter, dilecti in Domino filii, vestris postulationibus clementer annuimus, et prefatum monasterium sancti Stephani ianuensis, in quo di\ino estis obsequio mancipati, ad exemplar felicis recordationis Innocentii et Eugenii predecessorum nostrorum romanorum pontificum, sub beati Petri et nostra protectione suscipimus, et pre-sentis Scripti privilegio communimus. Imprimis siquidem statuentes ut ordo monasticus, qui secundum Deum et beati Benedicti regulam in eodem monasterio noscitur institutus, perpetuis ibidem temporibus inviolabiliter observetur. Preterea quascumque possessiones, queeumque bona idem monasterium iuste et canonice possidet, aut in futurum concessione pontificum, largitione regum vel principum, oblatione fidelium, seu aliis iustis modis, prestante Domino, poterit (adipisci), \obis vestrisque successoribus illibata permaneant. In quibus hec propriis duximus exprimenda (vocabulis).... locum ipsum in quo...., sancti Nazari i de capite Albarii, cum decimis, primitiis ct oblationibus.....ecclesiam de.....castello Janue, ecclesiam sancti Stephani de Sezaido, ecclesiam sancti Stephani de Villa Regia, eccl.... (cum omnibus) ad easdem ecclesias pertinentibus. Hospitale quoque mxta monasterium vestrum et in territorio........ ^ Regiam cum omnibus possessionibus et rebus ad ipsam pertinentibus ex donatione.....quas hactenus m monasterium quiete noscitur habuisse, vos et clerum et populum Sancti Romuli super diversis gravaminibus..... - ii3 - ex delegatione predicti Lucii antecessoris nostri canonice promulgata .....esse dece .... noscitur institutum, ut vobis liceat horis competent[ibus] campanas pulsare, et pro capellano..... .....tantum canonicos in processionibus recipere, et par- rochianis vestris . . . ntibus in extremis pen.....anteferre. Sepulturam preterea vobis liberam esse decernimus, ut videlicet eorum qui se illic sepeli.....[excomunicjati vel interdicti sint, nullus obsistat, sed sine molestia quiete vobis permaneat, salva iustitia parrochiali. Antiquas quoque ac rationabiles consuetudines et libertates, seu etiam dignitates, in monasterio vestro vel ecclesiis supradictis hactenus observatas, sicut in privilegiis predictorum antecessorum nostrorum continetur, ratas habemus et perpetuis temporibus illibatas permanere sancimus. Obeunte vero nunc eiusdem loci abbate vel tuofrum quorumjlibet successorum, nullus ibi, qualibet subreptionis astutia seu violentia, preponatur, nisi quem fratres comuni consensu vel fratrum pars consilii sanioris, secundum Dei timorem (et) beati Benedicti regulam, providerint eligendum. Ad hec adiicientes statuimus, ut postquam Sedis Apostolice ad audientiam in vestris gravaminibus appellaveritis, nulli facultas sit gravamen vobis vel iniuriam irrogare. Decernimus ergo ut nulli hominum liceat prefatum monasterium temere perturbare, aut etc. Si qua igitur in futurum ecclesiastica etc. Amen. Amen. Amen. (Rota) Ego Urbanus Catholice Ecclesie episcopus ss. (Monogramma). f Ego Theodinus Portuensis et sancte Rufìne episcopus ss. f Ego Henricus Albanensis episcopus ss. -J- Ego Theobaldus Hostiensis et Velletrensis episcopus ss. f Ego Johannes presbyter cardinalis titulo sancte Marie ss. f Ego Laborans presbyter cardinalis sancte Marie Transtiberim titulo Calixti ss. f Ego Pandulfus presbyter cardinalis titulo XII apostolorum ss. f Ego Albinus titulo sancte Crucis in Jerusalem presbyter cardinalis ss. t Ego Melior sanctorum Johannis et Pauli presbyter cardinalis ss. ■{■ Ego Adelardus titulo sancti Marcelli presbyter cardinalis ss. Atti Soc. Lio. St. Patui a. Voi. XIX. 8 — 114 — -j- Ego Ardicio diaconus cardinalis sancti Theodori ss. -j- Ego Soffredus diaconus cardinalis sancte Marie in Via Lata ss. -j- Ego Rolandus sancte Marie in Porticu diaconus cardinalis ss. -f- Ego Petrus sancti Nicolai in Carcere Tulliano diaconus cardinalis ss. -}* Ego Radulfus sancti Georgii ad Velum aureum diaconus cardinalis ss. Dat. Verone, per manum Transmundi sancte Romane Ecclesie notarii, ii nonas februarii. Indictione quarta. Incarnationis Dominice anno mclxxxv. Pontificatus vero Urbani pape m anno primo. Poch, op. cit., voi. ii, p. 14, D. i, j, 36. Dai fascicoli delle pergamene del-l’allora Archivio di santo Stefano. — Autentica. XVIII. Num. 158 — 1186-1187, luglio 16. Urbanus episcopus, servus servorum Dei. Venerabilibus fratribus archiepiscopis, episcopis, et dilectis filiis abbatibus, prioribus et universis ecclesiarum prelatis ad quos littere iste pervenerint, salutem et apostolicam benedictionem. Cum fratribus Jerosolimi-tani hospitalis a predecessoribus nostris et a nobis indultum fuerit, ut semel in anno pro colligendis elemosinis recipiantur in ecclesiis, quidam vestrum , ardore avaricie detenti, in adventu ipsorum confratrias suas eorum confratrie preponunt eadem die, et sic fratres ipsi confusi modicum aut nihil percipiunt. Quia igitur hoc indedecens est, et in contemptum Dei et Romane Ecclesie noscitur plurimum redundare, universitati vestre per apostolica scripta mandamus, quatenus cum fratres ipsi ad loca vestra pro elemosinis colligendis advenerint, eos benigne recipientes et honeste tractantes, ipsos in ecclesiis vestris populum admonere et ab eis elemosinas querere libere permittatis, et confratrias vestras, quas quotidie facere potestis, eorum con fratrie, que fit semel in anno, nullatenus preponatis, ne occaxione illarum elemosine - ii5 - Christi pauperum depereant vel quomodolibet impediantur. Sane quum a predecessoribus nostris est et a nobis ipsis statutum est ut eos excommunicare vel oratoria sua interdicere nemini liceat, vobis presentium auctoritate precipimus, ut predictos fratres aut ecclesias suas interdicere vel excommunicare nullatenus presumatis. De parrochianis autem vestris, qui domos illarum violenter invadunt vel infringunt, aut fratres ipsos indebitis molestiis opprimunt, tam deposita quam res proprias diripiunt, cum inde vobis conquesti fuerint, talem eis et tam districtam iusticiam faciatis, et ita iura eorum defendere et manutenere curetis, quod ipsi ad nos pro defectu iusticie non cogantur semper recurrere, et nos solicitudinem vestram et obedientiam debeamus non immerito commendare, et vos quoque beneficiorum illorum que in sancta domo illa fiunt mereamini esse participes. Preterea liberas et absolutas personas, que se domum eorum in sanitate vel in infirmitate reddiderint, libere et sine molestia recipere permittatis, et nullum super hoc eis impedimentum prestetis. Illud autem non mediocriter nos movet et ecclesiastice derogat honestati, quod quidam vestrum, contra in-stitucionem sanctorum Patrum et contra decretum in Turonensi concilio editum, corpora ipsorum fratrum, cum decedunt, nolunt sine precio sepellire; et quia tam prava exactio et iniqua non est aliquatenus tolleranda, vobis in obedientie virtute mandantes precipimus, ut nullo modo ab ipsis fratribus vel aliis pro sepultura quodcumque exigere vel accipere, nisi quod spontanea decedentium liberalitas vel parentum devotio vobis contulerit, acceptetis , sed absque ullo precio mortuorum corpora tumuletis; et si quis ulterius hoc attemptaverit, in eum taliter vendicetis quod amplius similia non presumat. Ad hec vobis presentium auctoritate precipimus, ne ab eis contra tenorem privilegiorum Romane Ecclesie de nutrimentis animalium suorum, seu de ipsis animalibus, aut de laboribus quos propriis manibus aut sumptibus colunt, decimas exigere presumatis. Cum autem oratoria vel cimiteria, id quod eis beneficio privilegiorum Romane Ecclesie est indultum , construxerint, vos fratres archiepiscopi, episcopi, pro se tantummodo et familia sua oratoria sua dedicare et cimiteria benedicere non postponatis, nec aliquis vestrum contra eorumdem privilegiorum — r 16 — tenorem id impedire aliquatenus vel disturbare presumat. De cetero fratres hospitalis in vestris episcopatibus constitutos, qui crucem \J habitum deponentes per illecebras seculli abruta (?) vitiorum vagantur, et illos etiam qui prioribus suis contumaces et rebelles existunt ec contra voluntates ipsorum balivas detinent, instanter admoneatis, et pro vestri officii debito compellatis ut habitum depositum in se resumentes in obedientia suorum prelatorum humiliter et devote persistant, et balivas sive alia officia per violentiam duinere nulla ratione presumant. Quicumque autem nostrorum mandatorum contemptores extiterint, in eos excommunicationis sententiam innodetis; et eamdem sententiam usque ad dignam satisfactionem faciatis inviolabiliter observari. Preterea, quicumque de facultatibus sibi a Deo collatis eisdem subvenerit et in tam sanctam fraternitatem se collegam statuerit eisque beneficia persolverit, an-nuatim et de beatorum Petri et Pauli apostolorum auctoritate confisi septimam partem iniuncte penitencie relaxamus. Datum Verone, decimo septimo kalendas augusti. Bibliot. Universitaria. Copia autentica dei privilegi ecc., car. 6. Ms. cit. in calce al documento XV. XIX. Num. ij9 — 1186-1187, settembre. Urbanus episcopus, servus servorum Dei. Venerabili fratri Lunensi episcopo et dilectis filiis archipresbitero et canonicis Lunensibus, salutem et apostolicam benedictionem. Dum ecclesiarum iura tueri pro suscepto ministerio teneamur, dignum est et rationi conveniens ut indempnitati earum quantum de iustitia possumus intendamus : inde est quod, ad exemplar felicis recordationis pre-decessorum nostrorum Alexandri et Lucii romanorum pontificum, qui remedium simile quibusdam adhibuit (sic) scismaticis . . . . ............presentium auctoritate statuimus ne tempus elapsum......................Ecclesiam vestram - ii7 — in prescriptione a quocumque valeat computari. Nulli igitur omnino hominum liceat hanc paginam infringere nostre constitutionis, vel ei ausu temerario contraire. Si quis autem hoc attemptari presumpserit, indignationem omnipotentis Dei ac beatorum Petri et Pauli apostolorum eius se noverit incursurum. Verone, idus septembris. Cod. Pelavicino, fol. 54, num. xii. XX. Num. 260 — 1187, luglio 19. Urbanus episcopus, servus servorum Dei. Dilectis filiis preposito et arcidiacono et canonicis ianuensibus, tam presentibus quam futuris, in perpetuum. Quoties a nobis petitur quod iuri et honestati convenire... animo nos decet libenti concedere et petentium desiderii congruum suffragium impertiri. Ea propter, dilecti in domino filii,... vestris iustis postulationibus clementer annuimus, et ecclesiam vestram, in qua divino mancipati estis obsequio, ad exemplar felicis recordationis predecessoris nostri Alexandri pape, sub beati Petri et nostra protectione suscipimus et presentis scripti privilegio communimus. Statuentes ut quascumque possessiones, quecumque bona eadem ecclesia in presentiarum iuste et canonice possidet, aut in futurum concessione pontificum, largitione regum vel principum, oblatione fidelium, seu aliis iustis modis, prestante Domino, poterit adipisci, firma vobis vestrisque successoribus et illibata permaneant. In quibus hec propriis duximus exprimenda vocabulis. Ecclesiam videlicet sancti Laurentii in Accon, cum pertinendis suis. Ecclesiam sancte Marie Magdalene , cum pertinentiis suis. Ecclesiam sancti Jacobi de Calignano, cum pertinentiis suis. Ecclesiam sancte Margherite de Maraxi cum pertinentiis suis. Ecclesiam sancte Marie de Quic. (Queci), cum pertinentiis suis ; et ecclesiam de Veguli. Ecclesiam sancti Bartolomei de Staliano, cum omnibus pertinentiis suis. — 11 s — Ecclesiam sancti Antonini de Auripalatio, cum pertinentiis suis omnibus. Ecclesiam sancti Salvatoris de Sarzano, cum omnibus pertinentiis suis. Ecclesiam sancti Johannis de Sexto, cum decima et possessionibus eiusdem loci. Donationem Gibelleti et aliorum locorum quam Bertrandus, comes Sancti Egidii, rationabiliter ecclesie vestre fecit, sicut in eius instrumento habetis et legittime possidetis. Antiquam quoque consuetudinem et rationabilem, quam in perceptione antiquarum oblationum ecclesie, vel in aliis proventibus, vel processionibus ecclesie ipsius, habetis, vobis vestrisque successoribus auctoritate apostolica confirmamus. Cum autem generale interdiotum terre fuerit, liceat vobis, clausis ianuis, exclusis excommunicatis et interdictis, non pulsatis campanis, suppressa voce, divina officia celebrare. Auctoritate quoque apostolica prohibemus, ne quis in vos vel ecclesiam vestram excommunicationis suspensionis aut interdicti sententiam, sine manifesta et racionabili causa, promulgare presumat. Decernimus ergo ut nulli omnino hominum etc. (Rota) Ego Urbanus Catholice Ecclesie episcopus ss. (Monogramma.) j Ego Henricus Albanensis episcopus ss. -j- Ego Paulus Prenestinus episcopus ss. -j- Ego Theobaldus Ostiensis et Velletrensis episcopus ss. 7 Ego Petrus de Bono presbyter cardinalis et sancte Susanne ss. 7 Ego Laborans presbyter cardinalis sancte Marie in Transtiberini titulo Calixti ss. 7 Ego Pandulfus presbyter cardinalis titulo xu Apostolorum ss. 7 Ego Melior presbyter cardinalis sanctorum Joannis et Pauli titulo Pamachii ss. 7 Ego Adelardus titulo sancti Marcelli presbyter cardinalis ss. 7 Ego Jacintus diaconus cardinalis sancte Marie in Cosmydin ss. 7 Ego Gracianus sanctorum Cosme et Damiani diaconus cardinalis ss. 7 Ego Octavianus sanctorum Sergii et Bacchi diaconus cardinalis ss. 7 Ego Rolandus sancte Marie in Porticu diaconus cardinalis ss. 7 Ego Petrus sancti Nicolai in Carcere Tulliano diaconus cardinalis ss. — ii9 — Dat. Verone, per manum Alberti sancte Romane Ecclesie presbiteri cardinalis et cancellarii, xiv kal. augusti. Indictione v. Incarnationis Dominice anno mclxxxvii. Pontificatus vero domini Urbani pape ni anno secundo. Poch, op. cit., voi. v, p. 287. Dall’Archivio di san Lorenzo. XXI. CLEMENTE III. Num. 264 — 1187-1188. Clemens episcopus, servus servorum Dei. Venerabili fratri Ugoni Januensi archiepiscopo , eiusque successoribus canonice substituendis in perpetuum. Superna et ineffabilis providentia Maiestatis sacrosanctam Romanam Ecclesiam omnium ecclesiarum matrem instituit et magistram, ut prelata ceteris merita aspiceret singulorum, et ad similitudinem eterni et iusti Judicis unicuique pro meritorum qualitatibus responderet; unde et eadem sancta Ecclesia eos quos fideles filios reperit ferventiores clementiori tractare gratia consuevit, et quos ferventius circa suum obsequium intuetur, multiplici prerogativa honoris est solita sublimare. Nos igitur qui in Sede Apostolica beato Petro apostolorum Principi, licet non suffragantibus meritis, ex divina dispostione successimus, quantam devotionem, reverentiam et sedulitatem obsequii (i) quam Januensis Ecclesia, et tota civitas (2) Ecclesie Romane tempore necessitatis exhibuit (3) diligentius attendentes ; considerantes etiam quanto nobis et successoribus nostris incrementa et commoda per (4) civitatem Januensem poterunt pervenire, antecessoris nostri bone memorie Innocentii pape vestigiis inherentes, (1) Tempore isto procelloso et turbido. (2) Omni mundano timore postposito nobis nostrisque nuntiis exhibuerint. (3) Nos magnificentia ct honore susceperit. (4 Sublimem et inclitam. qui (i) Januensem Ecclesiam arcliiepiscopalis dignitatis excellentia sublimavit ad honorem et exaltationem et gloriam predicte civitatis que beato Petro et sancte romane Ecclesie fidelissima, et ad serviendum ei (sicut dictum est) promptissima perseverat, et de cetero idem se facturam propensius pollicetur; et ad exemplar tam ipsius Inno-centii, quam felicis recordationis Alexandri pape predecessoris nostri, eamdem dignitatem tibi et successoribus tuis, de communi fratrum nostrorum consilio, duximus confirmandum, quod enim (2) iam dieti antecessores nostri Innocentius et Alexander Januensem civitatem insignem rediderunt, gratia ampliori nos ratum habentes et auctoritate apostolica roborantes, tres episcopatus in Corsica, Marianensem videlicet, Nebolensem, et tertium cuius sedem memoratus Innocentius ecclesiam sancti Petri de Atho (Acci) constituit, et in qua unam plebem de Mariana et aliam de Aleria concessit, Bobiensem quoque episcopatum et alium de Bruniate cum ecclesiis suis, quas circa se et in castellis suis habet, quem idem antecessor noster de novo constituit, tibi tuisque successoribus, sicut et ipse antecessor noster fecisse dignoscitur, metropolitico iure subiicimus. Tamen episcopatum Januensem et te videlicet et posteros tuos ab omni emancipatos subiectione in manu nostra libere retinemus, statuentes ut Januensis archiepiscopus a suf-fraganeis suis episcopis consacretur, palium pontificale ad officii plenitudinem a Sede Apostolica recepturus. Preterea illam sincerissimam devotionem tam tuam quam civitatis tue, et multimoda obsequiorum officia que Romane Ecclesie fideliter et liberaliter impendistis, in memoriam retinentes, ut ianuensis clerus et populus ad ser\itium et honorem Ecclesie tanto ferventius accendatur, quanto Ecclesiam et civitatem Januensem a Sede Apostolica cognoverit amplius honorari, comunicato fratrum consilio, ad exemplar iam dicti Alexandri predecessoris nostri, legationem transmarinam tibi tuisque successoiibus in perpetuum duximus concedendam, ita quidem ut singulis octennis cum episcopo vel cardinali sancte Romane Ecclesie illuc accedere debeatis, a nobis et catholicis (1) Persona m tuam et per te. (2) Te frater «chiepiscope, Un, dictus antecessor noster Innocentius palle, honore lecoravit et in arcoiepiscopum promovit. successoribus nostris eamdem auctoritatis et potestatis plenitudinem recepturi, quam episcopus vel cardinalis habuerit qui a nobis et successoribus nostris illuc de corpore Ecclesie fuerit destinatus. Monasterium quoque in insula Gallinaria situm et ad ius sancte Romane Ecclesie specialiter pertinens, et ecclesias in castro et suburbio Portus Veneris a iurisdictione Lunensis episcopi exuentes, tibi et qui post te successerint in perpetuum , apostolica auctoritate concedimus et presenti privilegio confirmamus. Albinga-nensem insuper episcopatum tibi et successoribus tuis, ad exemplar iam dicti antecessoris nostri Alexandri pape, concedimus (i) et nihilominus confirmamus. Denique ut Januensis civitatis, que ce-lestis numinis adiuta favore de inimicis crucis Christi triumphum frequenter et victoriam reportavit, et plurimas eorum urbes mira quadam et invincibili potentia subiugavit, ampliori honoretur fastigio dignitatis, equo albo cum nacco albo in processionibus uti, et crucem, vexillum videlicet dominicum, per subiectam vobis provinciam portandi, sicut prenominati antecessores nostri concessisse noscuntur, tibi tuisque successoriqus licentiam damus et liberam vobis concedimus facultatem. Ad Januensem civitatem medietatem insule Corsicane, ad exemplar eorumdem predecessorum nostrorum, concedimus, ita scilicet, ut nobis nostrisque sucessoribus ianuensis populus, cum exinde fuerit requisitus, fidelitatem iuret, et pro pensione unam libram auri singulis annis nobis et successoribus nostris exolvat, salvis nimirum feudis tam vestris quam pisanorum, sicut a decem annis ut supra obtinuisse noscuntur. Palio vero infra ecclesiam perfruaris his diebus: in cena Domini, pascha, ascensione Domini, pentecostes, in festivitate apostolorum Petri et Pauli, sancti Johannis Baptiste, sancti Laurentii, tribus festivitatibus beate Marie, in solemnitate omnium sanctorum, sancti Syri, natale Domini, epiphania, et in anniversario tue consecrationis die, in consecrationibus quoque episcoporum, basilicarum et ordinationibus clericorum. Abbatiam quoque de Tyro ad meliorationem , salva sancte Romane Ecclesie proprietate ac censu, sicut predicti antecessores nostri Innocentius et Alexander fecisse noscuntur , tibi, frater archiepiscope, tuisque successoribus duximus (i) Ita quod a biennio postquam pax fuerit Ecclesie restituta, eundem episcopatum perpetuo habeatis. — 122 — committendam. Si qua ergo in futurum ecclesiastica secularisve persona Iianc nostre constitutionis paginam sciens, contra eam temere venire tentaverit, secundo tertiove commonita, nisi reatum suum congrua satisfactione correxerit, potestatis honorisque sui dignitate careat, reumque se divino iudicio existere de perpetrata inquitate cognoscat, et a sacratissimo corpore et sanguine Dei et domini redemptoris nostri Jesu Christi aliena fiat, atque in extremo examine districte ultioni subiaceat. Cunctis autem eisdem loco suo iura servantibus sit pax domini nostri Jesu Christi, quatenus et hic fructum bone actionis percipiat, et apud districtum mdicem premia eterne pacis inveniat. Arnen. T Ego Clemens Catholice Ecclesie episcopus ss. t Ego Theobaldus Ostiensis et Veletrensis episcopus ss. T Ego Laborans presbiter cardinalis sancte Marie Transtiberini titulo Calisti ss. T Ego Melior presbiter cardinalis sanctorum Johannis et Pauli titulo Pamachii ss. ■j* Ego Jacintus sancte Marie in Cosmidin cardinalis ss. i Ego Octavianus sancti Sergii et Bacchi diaconus cardinalis ss. T Ego Petrus sancti Nicolai in Carcere Tulliano diaconus cardinalis ss. T Ego Radulphus sancti Georgii ad Velum aureum diaconus cardinalis ss. Manca a questo privilegio la data. Schiaffino, Annali eccles. della Liguria, II, 415 ; Biblioteca Civica, D. 3, 6, 5. e note a pie di pagina indicano le varianti che si trovano in altra quasi tutto simile bolla d Alessandro III, notata sopra nel Regesto num. 148, anno 1161. Tali varianti hanno la loro ragione nella differenza dei tempi, notoriamente torbidi sotto quest’ ultimo Papa e più calmi sotto Clemente III. XXII. Num. 267 — 1188, maggio 27. Clemens epsiscopus, servus servorum Dei. Venerabili fratri.... archiepiscopo, et dilectis filiis archidiacono... preposito ianuensi et. .. sancte Marie de Castello preposito, salutem et apostolicam benedictionem. Quam gravis et horribilis persecutionis calamitas in ie-rosolimitanis partibus, communium peccatorum multitudine fa-ciente, nuper ingruerit, tum ex ipsa atrocitate facti quod iam fama circumquaque dispersit, tum etiam ex literis que per diversas partes orbis super hoc fuerunt transmisse, discretionem vestram non credimus ignorare. Interest autem Reipublice christiane ut ad subventionem illarum partium tam maiores ecclesiarum prelati, quam etiam minores, diligenti sollicitudine partes suas fideliter interponant, ne, si forte illi terre opportuna non fuerit celeritate subventum, Ysmaelis illa servilis ac nefanda proienies, que iam cepit in eisdem partibus peculiarem hereditatem Domini hostiliter demoliri, virium suarum interim augmentum assumat et in sua prevalens vanitate contra filium libere, populum videlicet christianum, quod absit, calcaneum insolentius erigat et eum acrius persequatur. Cum igitur ipsius ierosolimitane terre, sicut in qua Jhesus Christus humanum genus sua morte redemit, iacture seu incommoda generaliter contingant christicolas universos, placuit nobis, cum consilio fratrum, vobis et aliis religiosis viris ad destinanda subsidia ipsi terre dirigere scripta nostra. Prohinde rogamus vos, exhortamur in Domino, et per apostolica scripta mandamus, quatinus vos ipsi ad succursum eiusdem provincie tam in personarum quam rerum missione auxilia competentia transmittatis, ut alii, cum vos viderint hec agentes, ad imitandum vos exemplo vestro facilius provocentur. Subiectos quoque vestros efficaciter inducatis ad hoc ipsum agendum, ut cum vos et illi socii fueritis passionis, debeatis esse, quemadmodum inquit Apostolus, et participes consolationis ac remissionis illius, que proficiscentibus Jerosolimam vel congrua — 124 — suffragia transmittentibus prius a bone memorie Gregorio predecessore nostro et post modum a nobis generaliter est indulta. Volumus autem ut tu, trater archiepiscopo, clericos qui tue iurisdictioni subsistunt auctoritate nostra et tua compellas, ut de bonis que habent terre illi contra saracenos non differant subvenire. Constituas quoque per diecesim tuam clericos discretos, fideles et providos, qui subventionis pecuniam studiose colligere debeant, et cum consilio vestro aliorumque prudentum virorum, ubi necesse fuerit, fideliter dispensare. Sane quicumque vere penitens in propria persona iverit illuc et ibi pro Christianitatis defensione perstiterit, remissionem habebit omnium peccatorum. Qui vero de rebus suis competens subsidium direxerit ad partes easdem, sive pro se aliquem miserint qui ibi pro christiani populi defensione debeat immorari, arbitrio tuo, frater archiepiscope, committimus de remissione peccatorum, considerata qualitate persone subventionisque quantitate pensata, ipsis \cre penitentibus concedenda. Preterea, si qui sunt inter proficiscentes illuc qui ad prestandas usuras sacramento tenentur astricti, creditores eorum canonica censura sine appellationis impedimento cogatis, ut eos a sacramento penitus absolventes ab usurarum ulterius exactione desistant. Si quibus vero pro solvenda sorte teneantur et ad presens illam solvere nequeunt, volumus ut de possessionibus aut aliis bonis eorum sufficienti cautione recepta, usque ad eorum reditum, vel, si ibi forte decesserint, receptionem nuncii certi de obitu solutionis terminus prorogetur, ne huiusmodi occasione commodum tam necessarii hoc tempore itineris interim debeat retardari; ita tamen ut cum redierint, sive rumor certus insonuerit de morte ipsorum, creditori de sorte possit demum satisfieri competenter. \ erum , quia nisi Dominus custos fuerit civitatis frustra vigilant custodes illius, nec proficit, imo deficit humana solertia si divino fuerit suffragio destituta, misericordiam Dei sedulis ante omnia precibus invocate, et per ecclesias predicate iu-giter invocandam, ut non attendat iniquitates populi sed sola miseratione respiciat sanctuarium suum et ex alto sanctam civitatem suam tueatur, nec eam nefandis manibus impiorum conlaminari permittat. Satagite etiam ut, ubicumque inter se repereritis discordantes, eos ad pacem bonam et animorum concordiam exhortatione - 125 - aut districtione canonica revocetis, ut cunctis simultatibus et odiis amputatis , animosiores et magis concordes efficiantur ad illam gentem superbie conterendam et de illis partibus cum auxilio Domini penitus effugandam. Nos etiam omnes illos qui in personis propriis eo vadunt, eorumque familias sub beati Petri et nostra protectione, donec redierint, inde suscipimus, et omnium bonorum suorum grata volumus interim securitate gaudere. Dat. Laterani, iv kalendas iunii. Pontificatus nostri anno primo. Pergamena autentica con piombo a seta gialla. Poch, voi. v, p. 291, che non dice donde sia tratta. — Sul Poch l’ha pubblicata il Pflugk-Harttung, Acla, ni, 363. XXIII. Num. 27j — 1189, gennaio 27. Clemens episcopus , servus servorum Dei. Venerabili fratri Bonifacio ianuensi archiepiscopo salutem et apostolicam benedictionem. Cum a nobis petitur, quod iustum et honestum est, tam vigor equitatis quam ordo exigit rationis, ut id quod per solici-tudinem officii nostri... ad debitum perducatur effectum. Ea propter, venerabilis in Christo frater, tuis postulationibus... compositionem quam inter dilectos filios abbatem sancti Syri et nobilem virum Obertum Spinulam super quadam ecclesia fecisse..., illud tamen , sicut rationabiliter facta est, et ab utraque parte recepta et in scripta autentica et in facto continetur, auctoritate apostolica confirmamus et presenti patrocinio communimus, quam de verbo ad verbum presenti pagine iussimus annotandam. Cuius tenor talis est: Ego Bonifacius, ianuensis electus, suscepi in mandatis a domino Clemente summo pontifice, quatenus ad postulationem nobilis viri Oberti Spinule concedamus sibi edificare ecclesiam iuxta domum tuam ad remedium anime sue, si absque gravi detrimento circumjacentium ecclesiarum fieri posset, et hoc appellatione remota. Quia igitur intra parrocchiani sancti Syri, ut dicitur , eamdem ecclesiam edificari postulabat, abbatem predicti monasterii citavimus, ut si in aliquo detrimentum nobis posset ostendere evidenter designaret ; sepe ac sepius sollecitatum, post multas dilationes impetratas, non ostendit nobis illud damnum vel detrimentum quo ipsa possit impediri ecclesia. Mandatis itaque summi Pontificis obtemperantes, auctoritate apostolica, et cum consilio fratrum nostrorum , licentiam impertimur predicto Oberto et filiis et nepotibus, qui sunt de domo Spinula, et Guidoni atque Oberto Grimaldo genero eius, et Oberto Raputio, pro se et uxoribus et familiis tantum, edificandi ecclesiam. Verum quia in solo curie nostre eadem edificatur ecclesia, et quia inde annuatim percipiebat pensionem , ei concedimus, salvo iure patronatus , et pro pensione annuatim in natale Domini denarios xii nostre curie reservamus. Volentes etiam indemnitati monasterii sancti Syri providere, cuius dicti homines parrochiani erant, et in cuius parrochia ipsa ecclesia (ut fertur) construitur, statuimus et in perpetuum presentium auctoritate firmamus, quatenus singulis annis prefatus Obertus et heredes sui in festivitate beati Syri eidem monasterio solidos xx ianuensis monete conferre teneantur, in recompensatione oblationum quas ab eisdem in solemnitatibus iure debito percipiebat. Salvo etiam quod idem monasterium missas sponsalitias eorumdem nobilium, et de partis uxorum ipsorum habeat, quod sane beneficium, etiam si illuc secure non possint accedere, nihilominus monasterium consequatur, salvo iure cimiterii eiusdem monasterii, si quod habet vel habere debet. Hoc autem ita concedimus, salvo in omnibus iure diocesano et salva debita matricis Ecclesie reverentia, et salvo eo quod nulli alie ecclesie possit vel debeat eadem ecclesia supponi. Que omnia ea qua potuimus cautela et prudentia libravimus , videntes, et a consulibus cognoscentes, quod prefati viri non poterant ad predictum monasterium esse secum; providentes utilitati monasterii et eius detrimentum vitare volentes; presertim cum iam dictus Obertus Spinula cum omni domo sua , et alii quam plures parati essent iurare quod de cetero apud ipsum monasterium non sepelirentur. Actum Janue, in palatio domini ianuensis Archiepiscopi , presentibus et rogatis testibus domino Ogerio preposito, — 127 — magistro Causa, presbitero Thoma, presbitero Jordano, presbitero Guidone, presbitero Augustino et Bonovassallo Bianco canonico , nec non Balduino Guercio, Simone Auria, Fulcone de Castro. Anno Dominice nativitatis mclxxxviii. Indicicione v. xiv die sep-tembris. Nulli autem omnino hominum liceat hanc paginam nostre confirmationis infringere, vel ei ausu temerario contradicere. Si quis autem hoc attentare presumpserit, indignationem omnipotentis ei et beatorum apostolorum eius Petri et Pauli se noverit incursurum. Datum Rome, apud sanctum Petrum, vi kalendas februarii. Pontificatus nostri anno primo. Schiaffino, op. cit., voi. 1.. p. 245 : copia scorrettissima. - Poch, voi. v, parte i.-, p. 38, ha riveduto soli’originale dei notaro Guglielmo Cassinense parte che contiene la sentenza di Bonifacio. XXIV. Num. »79 — 1191, febbraio ij. Clemens episcopus, servus servorum Dei. Dilectis filiis Gui[doni] abbati et fratribus monasterii sancti Stephani, salutem et aposto-licam benedictionem. Justis petentium desideriis dignum est nos facilem prebere consensum , et vota que a rationis tramite non discordant effectu prosequente complere. Ea propter, dilecti in Domino filii, vestris iustis postulationibus grato concurrentes assensu, ecclesiam sancti Juliani sitam in territorio Naboli, cum omnibus pertinentiis suis, a venerabili fratre nostro Saonensi episcopo pia vobis de[liberati]one concessam, et scripto ipsius authentico roboratam], sicut eam iuste et canonice possidetis, vobis (et) per vos ipsi monasterio auctoritate [apostolica confirmajmus et presentis scripti patrocinio communimus. Ad hec universis ecclesiasticis secu-laribusve personis artius inhibemus, ne seculares vel ecclesiasticas exactiones illicite et contra consuetudinem hactenus observatam a vobis vel successoribus vestris exigere vel in posterum extorquere — 128 — presumane Nulli ergo hominum omnino liceat hanc paginam nostre confirmationis infringere, vel ei ausu temerario contraire. Si quis autem hoc attentare presumpserit, indignationem omnipotentis Dei et beatorum Petri et Pauli apostolorum eius se noverit incursurum. Datum Laterani, idus februarii. Pontificatus nostri anno quarto. Originale nell’Archivio di Stato. Pergamene dell’Abbazia di sauto Stefano, mazzo II.° , num. gen. 1509. — Pubblicata dal Ptlugk-Harttung, Acta, ni, }8o. XXV. CELESTINO III. Num. 281 — 1191, novembre 16. Celestinus episcopus, servus servorum Dei. Dilecto filio abbati sancti Fructuosi de Capite montis salutem et apostolicam benedictionem. Ad nostram noveris audientiam pervenisse, quod Roasa, Janue civis, neptem suam Helenam invitam et renitentem, et contra voluntatem matris sue Sophie, coegit, ut sustineret se a quodam Bartholomeo ianuensi suburrari, nec in ipsum postea ullo tempore Helena dicta consensit, nec ab ipso cognita fuit. Nunc autem et quia in eumdem B[artholomeum] non consensit, et contra tantum fatuus est ut si eum acciperet mortem sibi timore (timeret?) infligi, alium virum sibi desiderat copulare. Cum igitur nobis de rei veritate non constitit, experientie tue causam ipsam duximus commendandam , per apostolica scripta mandantes, quatenus, inquisita de propositis diligenter veritate, si probatum non fuerit prefatam Helenam in dictum B[artholomeum] spontanee consensisse, aut si probatum fuerit eam ad hoc per violentiam fuisse arctatam, non compellas eam dictum B[artholomeum] habere vel accipere in virum ; sed ei, apellatione remota, nostra fretus auctoritate, licentiam — 129 — tribuas alium virum accipere , sisi forte post factam ipsi Helene violentiam in sepe dictum Bfartholomeum] consensisse legitime probaretur. Nullis litteris veritati et iustitie prejudicium facientibus a Sede Apostolica impetratis. Datum Rome, apud sanctum Petrum , xv kalendas decembris. Pontificatus nostri anno primo. Copia autentica in notaro Guglielmo Cassinense, ann. 1191-1206, cir. 78 v.°, dell’ Archivio Notarile in Archivio di Stato, sala vi, scansia 2.' , num. 6. XXVI. Num. 291 — >193, tprile 23. Celestinus episcopus, servus servorum Dei. Dilectis filiis Bardono archipresbytero ecclesie sancti Stephani de Lavania, eiusque fratribus tam presentibus quam futuris canonice substitutis in perpetuum. Quoties a nobis petitur, quod religioni et honestati convenire dignoscitur, animo nos decet libenti concedere, et petentium desideriis congruum suffragium impertiri. Ha propter, dilecti in Domino filii, vestris in predictis postulationibus clementer annuimus, et prefatam ecclesiam sancti Stephani de Lavania, in qua divino estis obsequio mancipati, ad exemplar felicis recordationis Alexandri pape predecessoris nostri, sub beati Petri et nostra protectione suscipimus, et presentis scripti privilegio communimus, statuentes ut quascumque possessiones, quecumque bona eadem ecclesia in presentiarum iuste et canonice possidet, aut in futurum concessione pontificum, largitione regum vel principum, oblatione fidelium, seu alias iustis modis, prestante Domino, adipisci , firma vobis vestrisque successoribus et illibata permaneant. Igitur hanc quartam partem totius decime de plebeio Lavanie, sicut eam bone memorie huius ianuensis Archiepiscopus vobis contulit et scripto proprio roboravit, vobis et ecclesie vestre , quam nos auctoritate apostolica confirmamus. Insuper enim vestras antiquas et rationabiles consuetudines confirmamus , et per- Atti Soc. Lig. St. Patri». Voi. XIX. 9 — 130 — petuo illesas et illibatas manere sancimus, ex quibus lias nominatili! duximus exprimendas. Ut videlicet quotiescumque aliquis de parffdiia vestra obierit, et in eius exequiis duo sacerdotes fuerint invitati, archipresbyter ecclesie vestre sit tertius, vel aliquis de fratribus suis; et si specialiter fuerit de corpore et vicinia plebis, et alibi sibi elegerit sepulturam, ecclesia vestra de testamento ipsius canonicam habeat portionem. Adiicimus quoque ut capella, quam propriis sumptibus apud Clavarum construxistis, cum hominibus qui de plebeio vestro ad capellam ipsam post constructionem eius convenisse noscuntur, vel in posterum convenient, plebi vestre sit iure parochiali subiecta. Decernimus ergo, ut nulli omnino hominum liceat prefatam ecclesiam temere perturbare, aut eius possessiones auferre, vel ablatas retinere, minuere, seu quibuslibet vexationibus fatigare ; sed omnia illibata et integra conserventur, eorum pro quorum gubernatione ac substentatione concessa sunt usibus omnimodis profutura, salva Sedis Apostolice auctoritate et ianuensis Archiepiscopi canonica iustitia. Si qua igitur in futurum ecclesiastica secularisve persona hanc nostre constitutionis paginam sciens, contra eam temere venire tenta-verit, secundo tertiove commonita, nisi reatum suum congrua satisfactione correxerit, potestatis honorisque dignitate careat, reumque se di\ino iudicio existere de perpetrata iniquitate cognoscat, et a sacratissimo corpore ac sanguine Dei et domini redemptoris nostri Jesu Christi aliena fiat, atque in extremo examine divine ultioni subiaceat. Cunctis autem eidem loco sua iura servantibus sit pax domini nostri Jesu Christi, quatenus et hic fructus bone actionis percipiant, et apud districtum iudicem premia eterne pacis inveniant. Amen. Amen. Amen. 1 Ego Celestinus Catholice Ecclesie episcopus ss. 1 Ego Albinus Albanensis episcopus ss. t Ego Octavianus Ostiensis et Velletrensis episcopus ss. 1 Ego Johannes Prenestinus episcopus ss. T Ego Petrus Portuensis et sancte Rufine episcopus ss. 7 Ego Pandulphus basilice xn Apostolorum presbyter cardinalis ss. - i3i - t %o Melior sanctorum Joannis et Pauli presbyter cardinalis titulo Pamachii ss. 1" Ego Ludovicus presbyter cardinalis sancte Pudentiane ss: 1* Ego Joannes titulo sancti Clementis cardinalis Tuscanensis episcopus ss. 1" Ego Joannes Felix titulo sancte Susanne presbyter cardinalis ss. f Ego Romanus titulo sancte Anastasie presbyter cardinalis ss. Ì* Ego Joannes titulo sancti Stephani in Celiomonte presbyter cardinalis ss. f Ego Cinthius titulo sancti Laurentii in Lucina presbyter cardinalis ss. f Ego Sofredus titulo sancte Praxedis presbyter cardinalis ss. f Ego Fidantius titulo sancti Marcelli presbyter cardinalis ss. -j- Ego Gratianus sanctorum Cosme et Damiani diaconus cardinalis ss. *{* Ego Gregorius sancte Marie in Aquiro diaconus cardinalis ss. ■f Ego Gregorius sancti Georgii ad Velum aureum diaconus cardinalis ss. f Ego Lotarius sanctorum Sergii et Bacchi diaconus cardinalis ss. f Ego Petrus sancte Marie in Via Lata diaconus cardinalis ss. f Ego Cencius sancte Lucie in Orfea diaconus cardinalis ss. Datum Laterani, per manum Egidii sancti Nicolai in Carcere Tulliano diaconi cardinalis, nono kalendas maii. Indictione undecima. Incarnationis Dominice anno millesimo centesimo nonagesimo tertio. Pontificatus vero domini Celestini pape in anno tertio. Ravenna, Memorie della Contea e del Comune di Lavagna (2.* edizione), pp. 234-236 ; il quale cita « la copia autentica che si trova nell’Archivio parrocchiale » (di santo Stefano di Lavagna), e il testo che ne fu prima di lui riportato da altri. Ma 1’ attento lettore non durerà difficoltà a persuadersi che quella « copia » non è scevra da gravi errori. Anche le soscrizioni ne erano piene zeppe ; ma queste ci fa agevole di correggere sulla scorta dei Regesta Pontificum. .. * I. INDICE DEI MANOSCRITTI CITATI NEI REGESTI N.B. — Qui c nell’indice seguente la crocetta, clic precede diversi articoli, indica che questi non furono consultati in fonte, ma dati sulle citazioni altrui. Archivio di Stato (Genova). Bolle e Brevi Pontificii Mazzo I (num. generale 277$)* Id. Materie Politiche. Mazzo I (num. gen. 2720). Id. Pergamene dell'Abbazia di san Siro. Mazzo I (num. gen. 1525). Id. Pergamene dell’ Abbazia di santo Stefano. Mazzo II (num. gen. 1509). Id. Negrotto. Notizie storiche della Metropolitana di S. Lorenzo. Classe dei Mss. num. $52. — Ve n' è una copia alla Biblioteca Universitaria. Ved. Olivieri, Carte e Cronache, pp. 210*219. Id. Federici. Collcttanee 0 Fasti della Repubblica di Genova, in tre volumi. Mss. num. 46, Voi. I. Id. Registro della Curia Arcivescovile di Genova, Reg. A. membranaceo. Mss. num. 159. Id. Liber Jurium Duplicatus , membranaceo. Mss. num. 38. Id. Raccolta di privilegi e scritture spettanti al monastero di san Caprasio dell’ Aulla , in Lunigiana. Un volume. Mss. num. 656. Archivio Notarile in Archivio di Stato (Genova). Alti di Guglielmo Cassinense, anni 1191-1206. Sala VI, scansia 2.*, num. 6. *J* Archivio di Stato a Torino. Perasso. Le Chiese del Genovesato. Volumi 12; 1’ Indice dei quali fu pubblicato nel Giornale degli studiosi, anno 111, Genova, Tip. Sociale, 1871, pp. 285-88. 7 Arch. Arcivescovile (Genova). Registro della Curia Arcivescovile di Genova. Reg. B, membranaceo. 7 Archivio del Capitolo di san Lorenzo. Volumi due segnati P. A. e P. B. (Privilegiorum i.% e 2.* membranacei). — Non ho cercato di consultarli, vista la ben nota perizia ed esattezza delle trascrizioni del Poch. •j* Archivio del Capitolo dei Canonici di Luni-Sarzona, Codice Peiavicino (membranaceo). — Vedi ciò che ne dico nella Prefazione, p. 38. f Archivio Capitolare a Pisa (Originale nell’). -j* Archivio del Principe D’ Oria-Panfili in Genova (Originale nell’). *j- Archivio di Stato a Firenze (Oiiginale nell’). Archivio del Ministero degli Affari esteri di Francia. Liber Jurium I Vetustior — Liber Jurium VII (,Septimus), membranacei. Sebbene quell’ Archivio di Parigi vanti possedere la collezione completa degli Jurium già dell’Archivio Genovese, ciò non è esatto che in un certo senso. La numerazione progressiva dei volumi è eguale a quella adottata a Genova fin dalla metà del secolo scorso almeno, quando la descrisse il Poch. Ma effettivamente mancava fin d’ allora un volume fra il III e il IV; e questo volume è descritto dalle Pandette più antiche del nostro Archivio, come Parvulus omnium, di carte 59, coopertus in toto coreo incarnato. Difatti il Tertius Jurium finisce all* anno 1496, ed il Quartus comincia col 1528 : il Parvulus copre dunque la lacuna dall* anno 1499 al 1511 o più. Questo apriva i documenti colla descriptio Tabulae aeneae scoperta allora in Polcevera, e continuava cogli atti del dominio francese a Genova di quel tempo -esso pare perduto. Vedasi il num. 220 fra i Mss. dell’ Archivio di Stato (Botto, Pandetta B , carte 75-76). Aggiungerò che tutti questi volumi sono membranacei, salvo 1’ Octavus ed il Nonus cartacei. Bibl. Civico-Beriana a Genova. Poch. Miscellanee di Storia Ligure. Volumi 8 (il IV è suddiviso in otto registri a pagine speciali. Il V ha una piccola parte precedente che, dove la cito, chiamo A). D. 1,3,35 a 42-Id. Schiaffino. Annali Ecclesiastici della Liguria. Volumi 5. D. 3, 6, 4 a 8. — Di quest’opera è copia in tutte o quasi le Biblioteche pubbliche di Genova. L’autografo è presso gli eredi del compianto avv. Francesco Ansaldo. Id. Giscardi. Storia Sacra di Genova. Volumi 3 (in ordine cronologico e senza paginazione). Mss. D. 3, 6, 1 a 3. - 136 Bibl. Civ. Ber. Codice diplomatico della Repubblica di Genova. Volumi 5. D. 3, 6, 17 a 19. Id. Peraamene riguardami la Chiesa dì san Teodoro e V Ordine Moriar ienst. Busta D. I, 2, 2$. Id. Muzio. Il Monastero di sant' Andrea della Porta. Un volume. D. 3,3, 6. Id. Muzio. Il sacro Ordine dei Predicatori. Un volume. D. 3, 5, j. Bibl. della R. Università dì Genova. Atti in pergamena,, rilegati in due volumi. F. Vili. 6, 7. Id. Due originali in pergameua, segnati D. Vili. Id. Copia autentica de' Prix. A. IV. 36. Id. Liber Jurium I (dell* Eccell."?* Camera). Membranaceo segnato B. IX, 2. Bibl. R, Univ. Liber Jurium li (id, di Camera). Membranaceo B. IX, 3. ld. Indice dei Libri Jurium (Gabinetto Mss.). B. VI. 22. Id. C. VII. 33, Documenti genovesi. Voi. unico. Pfl-H. erra, ponendo quasi sempre G. VII, 33. Id. della Missione Urbana. Giscardi, Storia Ecclesiastica della Liguria. Un volume, segnato 50, 8, 1. Id. Giscardi. Origine delle Chiese e luoghi pii. Un volume, segnato 31, 7, 5. f ld. Nazionale di Torino, Cod. H. V. 44. D. (Desimoni). Sono questi i quaderni che Pfl.-H. mi fece 1’ onore di ricordare. Mi sono deliberato a citarli anch’io, non per vanagloria, ma quasi per gratitudine dell’aiuto prestatomi assai sovente nei miei studi e di quello che mi prestarono ora per poter risalire alle fouti. II. INDICE DEI LIBRI A STAMPA CITATI NEI REGESTI Affò. Storia della cittì di Parma. Parma, Carmignani, 1781. Volumi 4. Amari. Storia dei Musulmani in Sicilia. Firenze, Le Monnier, 1854-1868. Volumi 3. Archives de VOrient Latin. Genova, Sordo-muti, 1881, voi. I. Ivi Riakt. Intentane des lettres histo-riques des Croisades, pp. 1-224. Atti della Società Ligure di Storia Patria/voi, I. Ivi Ansaldo. Cronaca della prima Crociata scritta da Caffaro ed altra dei Re di Gerusalemme. Genova, Ferrando, 1859, pp. 1-75. voi. I. Olivieri. Serie dei Consoli del Comune di Genova, pp. 154-626. Genova, Ferrando, 1860. voi. II. Il Registro della Curia Arcive-scox’ile pubblicato ed illustrato da L. T. Bel-grako. Parte 1.» e 2.*. Genova, Ferrando e Sordo-muti, 1862-1873. voi. ili, p. xcvm. Bekedicti Petrobur-GENSIS. De vita et gestis Enrici II. Oxford, x73 S - voi. XVII. Riant. Une dependance de l’Eglise de Bethlecm et Varale en Ligurie, pp. 545-705. Genova, Sordo-muti, 1886. voi. XVIII, nel quale è pubblicato il Registro Arcivescovile B. Genova, Sordo-muti, 1887. Balutics. Miscellanea novo ordine di gesta. Lucca, Giuntini, 1761-64. Volumi 2, Id. Id. Id. Id. Id. Barokio, Annales Ecclesiastici. Roma, 173®“S9* Volumi 12. Bedà. Ecclesiastica Historia gentis Anglorum ; in Bedae. Opera omnia. Colonia, 1788. Voi. HI. Dal Borgo. Raccolta di scelti diplomi pisani. Pisa, Pasqua, 1765. Bottazzi. Carte inedite dell’ Archivio Capitolare di Tortona. Tortona, Rossi, 1833. Id. Monumenti deli Archivio Capitolare di Tortona. Tortona, Rossi, 1837. Bouquet (Reeueil des Historiensde France), voi. XV e XVII. Caffari et continuatorum. Annales Januenses, edidit Georgius Henricus Pertz; in Mon. Germ. Hist. XVIII. Annover, 1862, pp. 356. Cais di Pierlas. I Conti di Venti miglia.,. e il Principato di Seborga; in Miscellanea di Storia Italiana. XXIII, pp. 150. Torino, Bocca, 1884. Cavagka-Saxgiuliaxi. L'Abbazia di sant'Alberto di Butrio. Milano, Agnelli, 186$. Cerchiari. Breve Compendio dell1 origine e discendenza della famiglia Belmosto. Napoli, Roncagliolo, 1632. Ciacconius. Vi la e et res gestae Pontificum Romanorum et Cardinalium. Roma, De Rubeis, 1677. Voi. 4. Chronicon Pisanum; in Rerum Italicarum Scriptores, voi. VI. — Vedi Marangone. Decretalium Gregorii IX ; nel 2.0 volume del Corpus Juris Canonici. Torino, Tip. Regia, 1776. - 137 — Dove. De Sardinia insula contentioni inter Pontifices Romanos atque Imperatores materiam prae-bente, Corsicanae quoque historiae ratione adhibita. Berlino, Mittlero, 1866. Fazio, in giornale VEpoca. Vara?ze, 1874. Federici. Lettera a Gaspare Sdoppio. Genova , G. M. Farroni e compagni, 1641. •j- Forsehungen %ttr deutsche Geschichte, voi. XVII. Giornale Ligustico di Archeologia, Storia e belle arti, fondato e diretto da L. T. Belgrano ed A. Neri. Genova, Sordo-muti. Volumi 14,' 1874 e segg. — Ivi : Due Bolle pontificie, ann. 1883, pp. 161-65. Giulini. Memorie spellanti alla storia c al governo di Milano. Milano, Colombo, 1854. Volumi 7. Guglielmotti. Storia della Marina pontificia nel medio evo. Firenze, Le Monnier, 1871. Volumi, 2. H{istoriae) P(atriae) Monumenta). — Liber Jurium primus. Torino, Stamp. Regia, 1854. — Liber Jurium II. Ibid., 1857. Id. Codex Diplomaticiis Sardiniae. Torino, St, Regia. I, 1861. Id. Chartarum I. Torino, St. Regia, 1836. — Chartarum II. Ibid., 1853. Id. Codex diploma'.icus Longobardiae. Ibid., 1873. Riànt. De liberatione civitatum Orientis ; negli Historicus Occidentaux des Croisades, voi. V, pp. 41-73. •j* Horoy. Medii aevi Bibliotheca Patr. Parigi , 1879. Issar di. Storia della Università di Genova fino al 1773. Genova, Sordo-muti, 1861. Jacobi de Voragine. Chronicon Genuense; in Rerum Italicar. Scriptores, voi. IX. Jafpè. Bibliotheca Rerum Germanicarum. Berlino , Weidmann, 1865-1873. Volumi 6. Id. Re gesta Pontificum Romanorum ab condita Ecclesia ad annum post Christum natum'1198. Berlino, Veit, 18$ 1. Jaffè-Lòwenfeld. Regesta Pontificum Romanorum edidit JaJfc, editionem secundam correctam et auctam auspiciis G. JVattenbach curaverunt S. Loevuenfeld, J. Kaltenbrunner, P. Ewald. Lipsia, Veit, 1881. Laxger. ‘Politische Geschichte Genuas uni Pisas in XII Iahrhundert. Lipsia, Veit, 1882. Lòwenfeld. Epistolae Pontificum Romanorum ineditae ; Lipsia, Veit, 188$. Mansi. Sacrorum Conciliorum nova et amplissima Collectio. Firenze, Zatta, 1779-92. Volumi 24. Marangone. Chronicon Pisanum, in Archivio storico italiano, voi. VI, par. 2.*, 1845. — Se Marangone sia o no l’autore degli Annali Pisani, vedi Langer, op. citata, ivi in line Excurs \ur Kritik der Annales Pisani ; Kap-herr, Bernardus Marango nelle Mittheilungen dell’Instit. austriaco, V, pag. 83-9$, 1884. E vedi contro Kap-herr A. Schaube, Bernardo Marangone doch der Verfasser der Annales Pisani; nel Nuovo Archivio di Pertz, X, 1884. Margarini. Bullarium Cassinense. Venezia e Todi, 1650-70. Voi. 2. Memorie e documenti per servire alla storia dii Principato di Lucca. Lucca, Bcrtini, 1813-31. Volumi 12. Migne. Patrologiae cursus completus . . . Series latina prior a Tertulliano ad Innocentium III. Pa- rigi, Migne, 1844-1864. Volumi 221, compresi gli ultimi quattro d’ indici. Miscellanea di Storia Italiana, volume XXIII. Torino, St. Regia, 1884. Mittheilungen des Institui fur Oeslerreichische Ges-chichlsforschung redigiert von E. Mùhlbacher. Innspruck, Wagner, 1880-87. Volumi 8. — Ivi, voi. I : Kaltenbrunner. Bemerkungen uber die aussere tnerkmale [decr. Papslurkunden der XII Iahrhundert. p. 373. — Id. Acta Pontificum Romanorum inedita hg. von J. v. Pflugk-Harttung. I, p. 455, 460. — Id. Diplomatisch-historische Fors-chungen von J. Pflugk-Harttung, p. 449, 455. Monumenta) G(er?naniae) H(islorica) , Scriptorum voi. VI: Ekkeardi Chronicon. — Id. vedi Cajfari. Id. Legum II. Monti. Compendio di memorie storiche della città di Savona. Roma, Campana, 1697. Moriondo, Monumenta Aquensia. Torino, Stamperia Reale, 1789-90. Voi. 2. Muratori. Delle antichità Estensi ed italiane. Modena, Stamp. Ducale, 1718. Voi. 2. Muratori. Antiquitates italicae medii aevi. Milano, Società Palatina, 1738-42. Volumi 6. Muratori. R(erum) I(talicarum) S(criplores). Milano, Società Palatina, 1723 e segg. Volumi 25. — Ivi il Varagine_al volume IX e il Chronicon Pisanum al volume VI. -j- Museo Britannico. Collezione Britannica di Lettere Pontificie. — Vedi nelle Mittheilungen dell* Instituto austriaco la recensione dello studio di P. Ewald. Die Pàpstbriefe der Brittischen Sammlung, ann. 1881. Voi.* II, p. 336. Olivieri. Carie e Cronache per la Storia Genovese. Genova, Sordo-muti, 1855. Panvinius. De praecipuis Urbis Romae ... basilicis, quas septem ecclesias vulgo vocant. Roma , Biadi, IS7°. Pennotus. Historia tripartita generalis totius Ordinis clericorum canonicorum. Roma, Tip. Apost., 1624. Pflugk-Harttung. Iter italicum. Stoccarda, Kohl-hammer, 1883. Id. Acta Pontificum Romanorum inedita. I, Tu-binga, 1881. Id. II. Stoccarda, Kohlharamer, 1884. Id. III, par. 1.* Ibid., 1886. •j* Plancher Histoire de Bourgogne I, preuves. Ravenna, Memorie della Contea e Comune di Lavagna. Chiavari, Borzone, 1887, ediz. 2.*. Rossi. Storia della città di Ventimiglia dalle origini fino ai nostri tempi. Torino, Cerutti e C., 1857. Rubeus. Historiarum Ravennatum. Venezia, Guerri, 1589. Semerla. Secoli Cristiani della Liguria. Torino, Chirio, 1843. Volumi 2. Targioni-Tozzetti. Relazione df alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana. Firenze, St. Granducale, 1768-1779. Volumi 12. Troya. Storia d'Italia nel medio evo. Napoli, 1S39- 51. — Ivi Codice Diplomatico-Longobardo, nel voi. IV. N.B. — Nel disporre le lettere di san Gregorio I, ho seguito non Troya nfc la I.* edizione del Jafìò, ma l'ordine della a.* editione curata in questa parte da Paolo Ewald, che ha fatto studi protondi sul Registro di questo Papa e ne prepara una nuova edizione pei Sion uni, Germaniae Historica. Vedi l'art. Ewald, Studiai ;ur usiate des Resister Grtgort I; nelle SUttbei-lungen citate, 11, i8jl, p. 556. Ughelli. Italia Sacra. (Venezia, Coleti, 1717-3$. Volumi 9. Verzellino. Delle memorie particolari t degli uomini illustri della città di Sivona. Savona, Bertolotto e Isotta, 1886 (edizione curata dall'Arciprete Astengo). Voi. 1. Vieni. L'antica Collegiata di santa Slaria di Castello in Genoi’a. Genova, Rossi, 1859. Vigna. Illustratio uè di sauta Slaria di Castello. Genova, Lanata, 1864. Vignati. Codice diplomatico Laudasi (I, 1879); nella Bibliotheca Historica Italica della Societi Storica Lombarda. Milano, Tip. Bemardoni e Bertolotti, 1876-85. Volumi 4, Zaccaria, Dell* antichissima Badia di Leno. Venezia, Marcuzzi, 1767. III. INDICE DELLE PERSONE, DEI LUOGHI E DI ALTRE COSE NOTABILI CITATE NEI REGESTI N.B. — 1 nomi di persona sono riferiti in caratteri maiuscoletti ; quelli de' luoghi in maiuscoli e Accìuabella (Guglielmo d’), 182. Adalberto, abate di san Siro, 93. Adalberto, marchese, 54. Adeodata, 21. AFRICA, 62. Slehedia, 62. Airaldo, vescovo di Genova, 68. Aikaldo, abate di Tolla, 281. Alberto, vescovo di Vercelli, 299, Aldiose, maestro de’ militi, 22. Alfonso, re, 80. Alione, 38. Amalrico, re di Gerusalemme, 180, 197. Amalrico, patriarca di Gerusalemme, 181, 197. Ambrogio, vescovo di Savona, 253. Anatolio, diacono, 29. Angilberga, imperatrice, 46. Ansaldo, genovese, 58. Ansaldo, abate di sant' Eugenio in Liguria. 99. Anselmo, marchese, 87. Ansperto, arcivescovo di Milano, 43, 44, 43. Aretusa, 33. Ariberto, arcivescovo di Milano, 52. Asterio, vescovo di Genova, 40. Azzone, vescovo di Acqui, 87. B., canonico di Santa Maria delle Vigne, 208. Balduino, re di Gerusalemme, 129, 201, 240, MI. Balduino, abate di san Pietro in Ciel d’ oro, 70. Bardose, arciprete di Lavagna, 391. Belmosto Giacomo e Ottobono, 63. Belmosto Ruggero, $9. Beltramo , abate di san Siro, 137, 168 , 185 , 289 (1). Benevento. — Suo arcivescovo, 187. Bernardo Attaracense (d’Aire), 133. Bernardo, vescovo di Vado, 49. Bertulfo, abate di Bobbio, 39. Biriso, eletto vescovo, 40. Bobbio. — Abbazia di san,Colombano, 39, 41,48. . Castorio, cartulario, 26. (1) Questo nome nei documenti talora è scritto abbreviato, Beri; talora chiaramente Beliramus ; talora Bertrandus. Essendo tali atti vicini ed anche come incrociati, è probabile che si tratti di un solo e medesimo abate, scritto in varie forme dal notaro, ma che in dialetto sari stato pronunziato Bcrtram 0 Bertrau. — 139 — Ciriaco, vescovo di Genova, 64, Corrado, vescovo di Genova, 60. Corrado, re, 95. Costantinopoli, 19, 187. Costanzo , vescovo di Milano con sede in Genova , 4. 5> 6» 7> 8i 9. >o. 11> ‘3, 14. ‘7. l8< 2°. 25> 26, 27, 28, 29, 50, 31, 38. Daimderto, patriarca di Gerusalemme, 66. Delle Isolb, famiglia, 137, 151. Diodato, vescovo di Milano, 32, 34, 35, 36. Dodone, abate a Ferrara, 158. D' Oria Martino, genovese, 76. Elena qm. Guglielmo d'Acquabella, 282. Emdriaco Ugo, di Gibelleto. — Vedi Ugo Embriaco Nicolò, console in Genova, 269. EMILIA, 143. Ferrara, 1 s 7, 158. Parma. — Santa Maria di Castiglione, 54, 105, 108, 112 ? Piacenza. — Chiesa 163, 300. — Vescovo 218 , 281. — Sant’ Antonino, 217. — San Giovanni di Vicolo 163. — Tolla, abbazia, 281. Ravenna. — Vescovo, 26. Enrico, arcivescovo di Benevento, 187. Enrico, vescovo di Heauvais. 158. Enrico, re d’Inghilterra, 85. Evbnzio, diacono, 27. Federico I, imperatore, 174. Fidanzio, cardinale di san Marcello, 293. Fidenzia, 21. Filagrio, cicco, 30. Filippo, vescovo di Luni, 95. Foca, imperatore, 38. FRANCIA c PROVENZA. Agde. — Vescovo, 133. Aire, 133. Antibo. — Vescovo, 68, 193. Beauvais, 158, Bcycrs. — Vescovo, 133. Chitone sur Marne. - Canonici della SS.Triniti.156. Cluny, 95. Dot, 227. Escoboliis (Chiesa de), 154. Francia. — Re, 157. Gallicana Chiesa, 207. Sainl-Gilles, 171, Grenoble. — Vescovo, 65. Laudunense (di Laon). — Vescovo, 85, 86. Lerino. — Abbazia di sant’ Onorato, 116, 186, 221, 253. Mans, 226. Montpellier, 171, 195, 196. Orange. — Vescovo, 65. Orleans. — Sant’Avito, 154. Parigi, 43. >S8- Pontisariense (di Pontoise), 162. Prcinonstrateiisi (monaci), 159. Seni. — Arcivescovo, 158. Tours, 227. San Valario (Fratelli e monaci di), 222. GENOVA (fedeltà al Comune e alla Chiesa di), 177, Ì38, 239, 243, 247. Marca, 172. Comitato, 54, 105, 108. Colletta, 30, 238. Genovesi, 1, 5, 34. 37- 4°. 43. 44. S°> S2> 53. 54, 58, 62, 6s, 66, 67, 73, 74, 79, 88, 89, 93, 109, 117, 120, 128, 129, 134, 142, 153, 180, 199, 200, 201, 222, 233, 240, 241, 242, 245, 246, 247, 248, 249, 261, 269, 271, 298. Duomo, 69. Consoli, 127, 134? 177, 187, 188, 195, 196, 223, 269, 276. Arcivescovo, 88, 90, 120, 127, 136, 141, 143, 148, 149, 170, 171, 173, 17S, 176, 177, 182, 184, 187, 189, 190, 195, 197, 206, 214, 217, 218, 223, 226, 262, 264, 267, 273, 276, 281, 284, 299. Arcivescovo, legato trasmarino, 149, 197. Vescovi, 1, 40, 44, 52, 58, 60, 64, 68. Legati, 67, 73, 134. Genova, Chiese, abbazie, monasteri : Genovese Chiesa, San Lorenzo, Capitolo, 72, 97, 115, 119, 136, 138, 139, iso, 169, 176, 177, 189, 190, 193, 203, 216, 217, 230, 231, 232, 238, 239, 243, 244, 256, 260, 263, 267, 272, 278, 283, 290, 292, 293, 299. Sant’ Ambrogio. — Broglio di S. Ambrogio (Orti di sant’ Andrea), 172. San Cosmo, 173. San Damiano, 184, 18;. San Giorgio, 257. San Luca, 273. San Marco al Molo, 191, 219, 225, 226, 230, 232, 256, 274, 277, 278, 290, 293, 295. Santa_Maria delle Vigne, 208, 217. Santa Maria di Castello, 98, 144, 173, 176, 184, 185, 219, 225, 226, 227, 256, 257, 262, 267, 268, 272, 274, 288,^290, 295. Santa Maria di Castelello (sic), 227. San Matteo, 76. San Michele di Fassolo, 188. San Nazario, 173, 184, 185. San Rufo, 188. San Salvatore di Sarzano, 188, 251, 254. San Teodoro (Mortariensi), 179. Abbazia di san Bartolomeo del Fossato (dell’ Ordine di Vallombrosa),’sita sopra San Pier d’arena, 136, 138, 178. Abbazia di san Benigno di Capo di Faro , 252 , 254, 274, 280. Abbazia di san Siro (Benedettini) , 95, 157, 168, 193. 232, 252, 254, 28S, 289. Abbazia di santo Stefano (Benedettini) , 96, 102, 115, 115, 136, 158, 215, 236, 279, 180, 287, 294. — Suo Spedale, 215- Sant’Andrea della Porta (monache), 250, 262. Gerardo, ubate del Tiglieto, 184. Gerardo, prete, 219, 215. 226. GERMANIA. Alamanni, 3 I. Brixen (Bressanone), 60. Imperatore, 165, 174. Sal^burgo. — Arcivescovo, 16$. Giacomo, abate di Vallombrosa, 178. Giovassi, abate di santo Stefano, 96, 113. Giovassi, notaro, 17. Giovassi, suddiacono, 5, Giovassi, vescovo di Genova, 52. Giovassi, vice prefetto, 25. Gotofredo, vescovo di Luni, 114, 118, 124. Gcarxero, vescovo di Bobbio, 60. Guglielmo, signore di Montpellier, 195, 196. Guglielmo, proposito di Savona, 286. Guglielmo, vescovo d’ Orange, 65. Guiberto, preposito di san Lorenzo, 119. Guido, abate di santo Stefano, 236, 280, 287, 294. Guido, cardinale di san Lorenzo in Damaso, 116. Guido, preposito di san Lorenzo, 97. Guido, vescovo di Luni, 57. Guido, vescovo di Savona, 217, 221. Harem, califfo, 50. INGHILTERRA. Sant’ Albano. — Abbazia, 166. Angli, 40. Cantorbcry, 86. Ciccster, 166. Lincoln, 166. Norvich, 166. Ixglexio, figlio del Re d’ Italia, 3S. ISOLE. Corsica, 73, 74, 109. » Vescovi, 71, 7s, i9j. » Capo Corso 192. Gorgona, 13. — Santa Maria, 192. Monte Cristo, 191. Sardegna, 53, 67, 155, 173, j77> 225. » Arborea, 177. » Cagliari, 177, 205. » Scria, 270. Sicilia, 2, 109, 233, 265. Istria, 143. Jocio .arcivescovo^ Tiro, 283. Landolfo, vescovo di Genova, 32. Lasfranco, vescovo di Pavia, 300. Lahfrakco, prevosto di santa Maria di Castello, 98. Lasfranco, priore di san Frediano di Lucca, 126, Letiliko, abate Pontisariense, 162. LIGURIA, 143, 233, 263. Liguria, Riviera Orientale fino a Luni. 140 ~ AuIla. — San Caprasio, 77, 103, ”0, **34• Bortoni. — Monastero di sant’ Andrea, 70. Brugnato. — Vescovato, 91, 301. Camogli, 172. Capodimonte. — San Fruttuoso, 167» 28i, Capodimonte. — San Nicolò, 188, 235* Carrara. — Sant'AnJrea, 57, 11$, >J6, M7' Chìavari, 7o. Colle di monte e Codinomi, 233, 251, 1S1, Ji4-Lmiglili, 205, 291. Luni. — Chiesa c Capitolo, 33, 37> l24' '92> *59- — Vescovato, 42, 33, 103, i*°> "4> ,l8-124, 132, 198, 218, 219, 220, J»S> J2^> 259* — Comitato, 34, 105, 108. — Monastero de santi Pietro ecc., 19, 24. Maidico {Satri di Levante), 281. Misenia, 0 Mucina f o Mesima ì, 122. Nervi. — Fratelli del santo Sepolcro, 273, 284. Passano, 122. Portoji no, 152. Portovenere, 16, 7S, 174. Quarto. — Cappella di santa Maria, 136. Rapallo, 172. Rccco, 172. Sestri di Levante, 122. Uscio, 172. Vedano. — San Giovanili, 194. — S. Giusto, 194 LIGURIA, Riviera Occidentale. Abbazia di sant1 Andrea. — Vedi Sestri Ponente. Albenga, 68. — Vescovo, 148, 182, 274. Aitinola, 202. Bergeggi. — Sant’ Eugenio, 99. Cogoleto, 178. Gallinaria (isola), 182, 183. Latrouorio (Ira Varale e Cogoleto). — Chiesa di san Giacomo, 178. Monaco. — Chiesa del Porto, 107. Ni{{a, 107. Natoli (Noli).— Chiesa di san Giuliano, 279, 294. Olivo (presso Villafranca), 107. Sun Polipo, 107. San Remo, 96. Seslri Ponente. — Sant'Andrea, 191, 232, 234. Savona. — Vescovo, 49, 99, 178, 202, 221, 233, 231, 233, 256. — Chiesa e Capitolo, 286. Vado, 49. Varale, 104, 202. Ventimiglia. — Capitolo, 116,186, 193, 221, 233. LIGURIA antica oltre l'Appaino. Alpepiana, circondario di Chiavari, 70. Borbera (Pobbio, Val di), circ. di Novi, 70. Butrio, circ. di Voghera. — Abbazia di santa Ma-ria, $6, 61, 94. Castellano (Gamundio), circ, di Alessandria, 153. Civitatula (Tiglieto), circ. di Savona. — Vedi Tiglieto. Croce (dei Fiescbi), circ, di Genova, 135. Gamundio (Castellalo), circ. d’Alessandria, 153. Gaitorba (Serratalle), circ. di Novi, 111. Gavi, circ, di Sovi, 54, 105, 108. - I4I - Moniobbio, circ. di Genova, 135. (Valle di), circ. di Savona, 70. Parodi, circ. di Novi, 54, 105, 108. Patrania (Torriglia), circ. di Genova, 122, 13$. Pobbio (Val di Borierà), circ. r/i Novi, 70. Precipiano (Arqualà), circ. di Novi.—Abbazia di san Pietro, 135. Savignonc, circ. di Genovaf 47, 135. Serravalle, circ. rfi Novi, 122. Spigno, circ. d’Acqui, 202, 2$$. Tassarolo, circ. di Novi, $4, 10$, 108. Piglielo, circ. di Savona, 138, 184, 237, 274. Torriglia, circ. di Genova, 122, 13$. Vendersi, circ. di Novi, 13$. Liutprando, re dei Longobardi, 70. Lorenzo, vescovo di Milano con sede a Genova, 2,3. Luigi vii, re di Francia, 157. Luminosa, 3$. Magno, prete, 3. Manfredo, cardinale, 186, 221. Manfredo, abate di Fruttuaria, 101. Manuele, imperatore d’Oriente, 187, Massimo, vescovo Salonitano, 26. Maurizio, vescovo di Parigi, is8. » u di Porto, 66. MILANO e LOMBARDIA. Legato, 186. Bresciani, 14. Como, 28. Leno (Brescia'), 55. Lodi, 13. — Vescovo, 47. Longobardi, 32. Milano, 2, s, 17, 30, 32, 33, 34, 36. 43.44.45. 52, 172, 218. — Sant’ Ambrogio, 32. — Arcivescovo e clero, 218. Pavia, 70, 84. — Vescovo, 300. — San Pietro in Ciel d’oro, 70. Montelungo, 55. Musaito 0 Musetto, re dei Saraceni di Spagna, 53. O., prevosto di santa Maria di Castello, 144-Oberto, vescovo di Genova, 58, 93. Oberto, vescovo di Tortona, 135, 191. Oberto, preposito di san Lorenzo, 150, 169, 216, 231, 290, 292. Ocerio, arcidiacono di san Lorenzo, 11$. Oglerio, vescovo di Bobbio, 121. Oglerio, abate di Bobbio, 106. Opizone, abate di san Fruttuoso, 282. Ottone, vescovo di Tortona, 60. Ottone, vescovo di Bobbio, 500. Ottoì.e , prevosto di santa Maria delle Vigne, 217. Ottone, arcidiacono di san Lorenzo, 292. P[rimo?] di Castello, 102. Pandoi.po, cardinale, 298. Pantaleonb, notaro, 32, 34. PAPI (1). Adriano, (229) Adriano, iv, 127-140(48, 169): 1154-1159-Alessandro ih, 141-216 (257, 259): 1159-1181. Anastasio, (229). Anastasio iii, (48): 911-913. Anastasio iv, 122-126 (48, 204): 1153-1154' Benedetto viii, 52, 53 : 1012-1024. Calisto ii, 70-75: 1119-1124. Celestino in, 282-301 : 1191-1198. Clemente ih, antipapa (Guiberto) , 60: 1086-1100. Clemente ih, 264-281. 1187-1191. Clemente iv, (104, ni, 228): 1265-1268. Eugenio ih, 113-121 (48): 1145-1153. Gelasio ii, 69: 1118-1119. Giovanni viii, 42-46 : 872-882. Gregorio i, 2-38: 590-604. Gregorio v, 49 : 996-999. Gregorio vii, 56-59, 61 : 1079-1085. Gregorio viii, 262-263 : 1187. Innocenzo ii, 78-105 (137, 148, 234) : 1130-1143. Innocenzo iii, (48): 1198-1216. Leone ix, 54 : 1049-1054. Lucio, (259). Lucio ii, 106-112 (48, 198, 234): 1144-1145. Lucio ih, 217-234 (103, 256): 1181-1185. Marino i, 47: 649-655. Nicolò ii, 55 : 1058-1061. Onorio, (48). Onorio i, 39, 40: 625-638. Onorio ii, 76, 77 (83): 1124-1130. Onorio iii, (121): 1216-1227. Ottaviano (Vittore tv, antipapa) 143, 159, 171 : 1159-1164. Pasquale n, 66-68: 1099-1118. Sergio iv, 50, 51: 1009-1012. Teodoro, 41 : 642-649. Urbano ii, 63-65: 1088-1099. Urbano ih, 235-261: 1185-1187. Vittore i, i : 193-202. Vittore in, 62 : 1086-1087. PIEMONTE e MONFERRATO. Legato ivi, 186. Acqui. — Vescovo, 230, 251, 256. Aosta, 160. Fruttuaria, — San Benigno, 101. Lucedio. — Abate, 277, 299. Mortara. — Mortaricnse Ordine, 145, 179. Novara. — Cantore, 277. Pori’Albera (Voghera), 300. Ttrtona, 30, 56, 60, 122, 135, 161, 189, 190, 191, 232. — Vescovo, 60, 135, 161, 189, 190, 191, 232. _ Monastero di san Marziano, 122, 204. Vercelli, 230, 277, 278, 299. (1) I primi numeri riguardano gli atti fatti durante il loro pontificato ; i numeri fra parentesi sono citazioni posteriori degli atti medesimi ; t numeri finali indicano la durata di quel pontificato. - 142 - Pietro, cardinale, 46. Pietro, cardinale di santa Cecilia, 266, 269, 370, a7S> 27S. Pietro, abate di Butrio, 94 Pietro, abate di Clugni, 95. Pietro, abate dì Lucedio, 199. Pietro, abate di san Fruttuoso di Capodimonte, 167. Pietro, giudice di Cagliari, 205. Pietro, prevosto di sant' Autonino di Piacenti, 117. Pietro, vescovo di Luni, 198, 218, 220, 22$, 259. Pietro, vescovo di Nizza, 107. Pietro, vescovo di Tuscolano, 222. Pompeo, vescovo, 51. Pipino, vescovo di Luni, 152. Raimondo, conte di Barcellona, 119. Raimondo, conte di Saint-Gilles, 171. Raimondo, conte di Tripoli, 130. Rainaldo, principe di Antiochia, 131, 132. Rolando, abate di Spigno, 202. ROMA. — Santa Sede, 146, 225. — Vedi Papi, Patriarchi, Arcivescovi, ecc. Romana Chiesa, 34. Cardinali, 46, 298. Cardinal i vescovi : Cardinale, d’Albano, 68. » d’ Ostia, 53. a di Palestrina, 221. » di Porto, 66. Cardinali preti : Cardinale, della Basilica de’ xu Apostoli, 298. » di santa Cecilia, 266, 269, 270, 275,278. » di san Grisogono, 187, > di san Lorenzo in Damaso, 116. * di san Lorenzo in Lucina, 296. » di san Marcello, 293. » di s. Maria in Via Lata, 266, 269, 270. Cardinali diaconi : Cardinale, di san Giorgio al Velabro, 186, 221. Palazzo Lateranense, 297. Tuscolano. — Vescovo, 222. Romano, patrìzio ed esarca, 6. Romano, vescovo di Gibello, 92. S....... 127. Sabbatino, vescovo di Genova, 44. Saturnino, ex-prete, 15, 16, 17. Sicardo, vescovo di Cremona, 48, 123. Siro, arcivescovo di Genova, 88, 90. 120, 148, 170, 171. 173, 187. Soffredo, cardinale in Via Lata, 266, 269, 270. SPAGNA e PORTOGALLO, 79, 80, 81, 117. — Arcivescovi e vescovi, 81. — Re, 80. Almcria, 117. Barcellona, — Conte, 119. Braga. — Arcivescovo, 82, 83. Compostila. — San Giacomo, 79, 80, 82. Tortosa, 117. Spinola Oberto, genovese, 273. Suppone, conte, 42. Stefano, abate di san Benigno a Capo di laro, 280. Tarigo Bartolomeo, qm. Bonifazio, 282. Tebaldo, vescovo di Piacenza, 218, 281. Tedaldo, abate dell’Aulla, 77. Teodolinda, regina de’ Longobardi, 8, II, 37. Teodoro, vescovo, 36. TERRA SANTA e SIRIA, 65. - Arcivescovi e vescovi, 181. Atri. — Viscontado, 129. Antiochia, 128, 131, 233.— Patriarca, 132, 149, 239. — Principe, 128, 131. Archas, 200. Ascaloiia, ut. Betlemme, 104, m, 228. Cabala (Gibello), 92, Gerusalemme, 66, 128, 132, 149. — Re, 118, I*9> 180, 197, 201, 240, 245. — Patriarca, 66, 149, 181, 197, 242, 246. — Maestro dello Spedale, 245, Gibello, 92. Gihtllelo, 199, 238, 243. Iscrizione onoraria de1 Genovesi, — Vedi Santo Sepolcro. Laoiicea, 66, Nazaret. — Arcivescovato, 245. San Giovanni di Gerusalemme, 224, 258. Santo Sepolcro, 50,51, 128, 249. — Fratelli del Santo Sepolcro, 275, 284.— Iscrizione al Santo Sepolcro, 128, 180, 181, 201, 242, 249. Tempio, 200. — Maestro del Tempio, 181, 200, 24$. Templari, 181, 200. Tiberiade, 261. Tiro. — Abbazia, 90, 283. Tripoli, 128, 130, 243, 247, 248. — La terza parte è dei Genovesi, 244, 248. TOSCANA. Vescovati, 155. Fiesole. — Chiesa, 25. Firenze, 114. Lucca, 114, 194. — San Frediano, 126, 147. Pisa, 26$, 269, 271. — Consoli, 67, 89, — Pisani, 53. <*. 73. 74. 75. '4J. >75. JJ3. — Arcivescovi, 66, 155. Pistoia. — Ivi san Giacomo di Compostclla, 114. Porlo Pisano, 233. Quiesa, — San Michele, 164. Siena, 114, Stagno. — Spedale presso Porto Pisano, 233, 265. Toscana, 233, 265. Vallombrosa, 178. Volterra, 114. Ugo, arcidiacono di san Lorenzo, 139, 150, 169. Ugo, arcivescovo di Gènova, 176, 177, 182, 184, 2'7. «3-Ugo, arcivescovo di Sens, i;8. Ugo, genovese, preposito di santa Maria di Castelello (sic), 227. — 143 — Ugo, preposito di santa Maria di Castello, 227, 257. Ugo (Embriaco), signore di Gibelletto, 199, 238, 239» 243, 247. Ugo (di Chàtcauneuf), vescovo di Grenoble, 65. VARIA. Arcivescovi e vescovi in generale , abati, priori, prelati, 224, 258. — Vedi Roma. Cardinali. — Vedi Roma. Censo, 109, 163. Colletta pubblica in Genova, 30, 262. Comitati. — Vedi Genova e Luni. Conte d’Italia, 38. Conti, 42, 119, 128, 130. Difensori della Chiesa, 36. Ebrei, 12. Fedeli del Papa, 73. Fedeltà alla Chiesa ed al Comune. — Vedi Genova. Laici contro chierici, 212. Libri Jurium (notizie sui), pag. 34 e 135. Maestro de* militi, 22. Malachini (moneta saracena), 163. Marca dì Genova, 172. Marchesi, 43. Pagani, 43. Patriarchi ed arcivescovi in genere, 132, 143, 14». — Vedi Roma. Patrizio ed esarca d’ Italia, 6. Viceprefetto, 23. Principi, 128, 131. Purgazione (in giudizio), 211. Re d’Italia (figlio del), 38. Saraceni, 50, 53, 62, 92. » di Spagna, Almeria, Tortosa, 117. Viscontado, 129. Venanzio, vescovo di Luni, 12, 13, 1$, 16, 19, 21, 22, 24, 25, 36. Venezia, $o. — Ducato, 143* Verno, priore di san Frediano di Lucca, 147. Villano, arcivescovo di Pisa, 155. Villano, preposito di san Lorenzo, 72. Waliario , eletto vescovo di Luni, 42. AGGIUNTE E CORREZIONI Pag. 18, nota 1. — Agli studi sui criteri esterni, si aggiunga quello del compianto Diekamp: Sulle carte pontificie de’ secoli X, XIj XII e prima meta del XII, con tavole di disegni dei diversi bolli, nelle Mittheilungen dell’Instituto austriaco, III, 1882, pp. 565-627. Imparo dal Prof. Paoli (Archiv. stor. ital., XIII, 1884, pp. 478), che il Diekamp ha continuato il suo studio fino a Giovanni XXII nel medesimo Periodico, voi IV, 1883. Pag. 26, nota 1. — Trovo nell’ Archiv. stor. ital., XVI, 1885, p. 150, un nuovo articolo contro le pubblicazioni del Pflugk-Harttung, dettato dall’ illustre Teodoro Sickel nelle Mittheilungen sovracitate, VI, 1885, fascicolo 2.0. Il eh. Paoli dice che l’articolo è scritto con molta vivacità ed anche con asprezza. Pag. 34. — Alle notizie che qui comunico sui libri Jurium, si aggiungano quelle altre che ho posto all* articolo relativo nel-l’Indice de’ manoscritti citati nei Regesti, p. 135. Pag. 37. — Ho detto qui che i Regesti sono 300 precisi, ma riuscirono poi di 301, per una giunta potuta inserire a tempo col num. 217, la quale mi fu cortesemente indicata dall’amico Prof. Belgrano, che ebbe la compiacenza di rivedere il mio lavoro sotto stampa e mi suggeri più altri miglioramenti. Ai Regesti, nn. 77, 103, no, 198, 234 riguardanti san Caprasio del-1’ Aulla. — Dal loro complesso è chiaro che quel Monastero fu sottoposto al Vescovo di Luni da una bolla di Lucio II. Resta a vedere se la bolla precedente, che ne proclamava l’indipendenza, provenisse da Onorio II o da Innocenzo II. Tale Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XIX. 10 — 146 — quistione è antica, come si rileva dal tratto seguente in Targioni-Tozzetti, XI, p. 170 : Monachi quidem sancii Coprasi de Aulla electum suum bone memorie Ceìeilinum presentarnnt et occasione cuiusdam privilegii quod a felicis recordationis PP. Innocentio vel Honorio II noviter acquisiverant, ipsum ab eo in abbatem instanter postularunt. Tuttavia i Papi posteriori non parlano che d’un privilegio d’esenzione accordato da Innocenzo II; e la bolla da noi riferita, che l’attribuisce ad Onorio II, si vuole non sincera. ^aS- 69, num. 1S7 ; e pag. 107, num. XII. — Lo spazio di tempo al quale è assegnata la lettera di Alessandro III a Siro arcivescovo ed ai consoli di Genova, deve restringersi al 1161-63; perchè l’ultimo giorno di settembre del 1163, come abbiamo da Caffaro, Sirus bonae memoriae et laudabilis vitae . . . debitum naturae solvit. PaS' 74> num. 22S. — Clemente VI. Corr. Clemente IV. AGGIUNTE E CORREZIONI AI NUOVI RICORDI ARABICI SU LA STORIA DI GENOVA DEL SOCIO Prof. MICHELE AMARI SENATORE DEL REGNO Al Cav. Avv. CORNELIO DESIMONI Egregio mio Signore, professor Karabacek dell’ Università di Vienna ha cominciato a dare nella nuova rivista intitolata Wiener Zeitschrift fur die Kunde des Morgenlandes (i.° voi., i.a parte, Vienna 1887) una serie di articoli su la storia di Genova tolti da sorgenti arabiche, nel primo de’ quali è messa ad esamina la piccola raccolta eh’ io pubblicai dodici anni fa negli Atti della Società Ligure di Storia Patria (V. 549, segg., con testo arabo in fine del volume), col titolo di Nuovi ricordi arabici su la storia di Genova. Erudito e cortese com’egli é, l’autore fa la critica con — 150 - garbo; ond io sono il primo a ringraziarlo del lavoro che ha intrapreso sopra una parte si bella della storia d Italia. Del resto Ella sa bene, conoscendomi ormai da un pochino d’anni, che nelle quistioni letterarie io non patisco d’irritazione nervosa: se altri mi dimostra che io abbia smarrita la verità storica, fo di cappello e ini correggo; se poi le censure non mi capacitano, rispondo. Rispondo, ben inteso, alle censure serie, quelle che muovon da zelo della scienza e del vero, cd alle altre non soglio badare. Ciò che mi preme é che si appurino i fatti alterati da me, o dagli altri. Mi conceda dunque di indirizzarle qualche osservazione su la critica del chiaro professore di Vienna, e giudichi poi come s’abbiano a definire i punti controversi. Premetto che qualche vocabolo arabico, sopratutto i nomi di persone o di luoghi, sarà qui scritto con lezione talvolta diversa da quella che usai nei Nuovi Ricordi. La cagione é che intendo seguire un metodo di trascrizione, il quale allora non era per anco accettato dalla più parte degli orientalisti europei e adesso mi par che lo sia. Consiste nel rendere invariabilmente ogni lettera arabica con una delle romane, segnata, ove occorra, con punti, lineette o asterischi, e la lettera ayn con una apostrofe rovescia e non altro. Si risparmiano così molti errori di fatto e molte difficoltà materiali nella stampa: e chi sa l’arabo può ristabilire con certezza il testo ; chi non lo sa indovina presso a poco il suono, e, quel che più preme, può accertare la identità del vocabolo senza andar cercando se il tal nome letto in un libro sia lo stesso che gli occorre in un altro, per esempio in quale parte del mondo sia la G'iddah, - i5i - eh’ ei vede scritta Djedda da un francese, Jidda da un inglese e Dscheddah da un tedesco. Io ricanto questa nenia ogni volta che il posso a proposito o no, perché mi pare che gli eruditi europei si potrebbero accordare almeno in queste bagattelle. Metterò dei caratteri arabi in un luogo solo nel quale si propone di correggere il testo. Il primo articolo del prof. Karabacek riguarda il num. Ili de’ Nuovi Ricordi (V. 606, segg.), ch’é estratto dalla Cronica di Qalawun (Kelaun nei N. R.) pubblicato la prima volta dal barone Silvestre De Sacy con traduzione francese, ristampato da me con traduzione italiana. L’ anonimo cronista racconta come Genova si fosse rappacificata col sultano d’ Egitto, dopo certe rappresaglie troppo violente che avea fatte sopra i Musulmani il nostro grand’ uomo di mare Benedetto Zaccaria ; quindi inserisce il testo del giuramento prestato a di 13 maggio 1290 dall'ambasciatore genovese Alberto Spinola, nel quale atto sono ripetute le condizioni principali del nuovo accordo. Or il cronista afferma che le geste di Benedetto Zaccaria erano state forte biasimate dai Cristiani d’Acri e perfino dal Lascari. A questo nome il baron De Sacy annota che il personaggio designato con quel nome sia Michele Paleologo, tutore di Teodoro Lascari. Il prof. Karabacek all’ incontro dimostra (pag. 34, segg.) che non si può trattar di questo Teodoro; che allora Michele Paleologo era morto da parecchi anni, e che il personaggio designato é Andronico lì Paleologo, poiché gli scrittori arabi dal XIII al XV secolo solean chiamare genericamente col nome di Lascari gli imperatori bizantini di qualsivoglia dinastia. A questo proposito ei cita lbn al A tir, Abulfeda, Ibn . - >52 - Haldùn, Baybars e Maqrizì: e non v’ ha replica. Trattandosi di un personaggio nominato per incidente, io non badai allo sbaglio di M. De Sacy. Di certo avrei fiuto meglio a notarlo; e ora lodo il professor Karabacek che ha chiarita la cosa con sovrabbondanza di erudizione. Egli poi tratta a lungo (pag. 37, segg.) una quistione di nome. Tra i titoli di Qalawun (Kelaùn ne’ N. iv.) si legge suìtàn al Quds wal bilàd al muqaddasah (pagina 13 del testo), che io tradussi « sultano di Gerusalemme e della sua provincia » (pag. 609). 11 prof. Karabacek vuol correggere assolutamente « sultano di Gerusalemme e di Terra-Santa » ; al qual effetto ei cita Ibn al AUir, I. 132, Yaqiìt, IV, 602, il Marósid, III, 132 e Diimsqi, p. 201. Ma il vero è che questi autori dicono tutti di al-ard al muqaddàsah, che significa « la terra benedetta » o a santificata » come si voglia chiamare, mentre il nostro testo ha al bilàd, cioè « i paesi » e dobbiamo intendere di quelli della regione, che avea per confini a levante il Giordano, a ponente il Mediterraneo, a mezzogiorno 1’ Hebron ed a settentrione il monte Sunir (Hermon), come la definisce il Dimis'qi nel luogo citato: e sembra circoscrizione amministrativa ben nota a questo scrittore che visse oltre la fine del XIII secolo, onde torna contemporaneo del diploma di cui si tratta. Che se guardiamo la geografia di Al Muqaddàsi, scrittore della fine del decimo secolo e nato in Gerusalemme come 1 attesta il nome, egli dopo una lunga descrizione della sua patria ci dirà: « 1 limiti di al Quds » (ossia il territorio gerosolimitano) son quaranta miglia » intorno Iliyà (Aelia Capitolina, nome romano di Geru-» salemme), compresavi la qasbah (ossia la rocca) e i - 153 — » quartieri contigui, e dodici miglia verso il mare con » Sugar e Maàb, e cinque miglia del deserto; dalla parte » del mezzodi il paese che si stende dietro al Musayfah e » quel che le sta a fronte; e dalla parte di tramontana i » confini di Nabulùs (Naplusa): e cotesta é terra benedetta » come dice l’Altissimo (i), i monti della quale son co-» perti d’ alberi, le pianure coltivate senza irrigazione » [artificiale] né fiumi » (testo arabo, edizione di Leida pag. 173). Donde si vede che al Muqaddàsi pendeva al concetto biblico della Terra promessa; che tre secoli dopo di lui prevalse la tradizione del reame di Giudea o della provincia di Palestina, e che in ogni modo la denominazione di Terrasanta appo i Musulmani ebbe significato diverso da quello che prevaleva appo i Cristiani al tempo delle Crociate. Non contento degli scrittori arabi, il prof. Karabacek vorrebbe allegare anche i latini, anzi un documento officiale, ch’egli crede analogo al nostro testo arabo, dico il trattato del 13 maggio 1290, che fu pubblicato da M. De Sacy e poi di nuovo, sopra il testo originale latino, nel Liber jurium reipublicae genuensis, II, 243, segg. E si rammarica di non avere alle mani questa nuova e più corretta edizione. Intorno a ciò possiamo assicurarlo che la nuova dice come l’altra: soldanus iehrusalem et benedictarum domor uni (Lib. jur., II, 245): il qual passo non giova a lui né a me, perché le benedette case o tempii di questo documento non abbracciano il significato di Terra Santa nè quello di paesi dipendenti da Gerusalemme, ma si limitano agli edifizii sacri, se pure, com’ egli è più verosimile, (1) Corano V. 24. - i54 “ 10 scrittore genovese non volle tradurre altro con gli ultimi due vocaboli che il solito predicato de’ sultani di Egitto i quali si vantavano di essere anco inservienti dei due harem, ossia « sacri ricinti », alludendo alla Mecca e a Medina. Potrei aggiugnere che in questo, come in cento altri documenti simili, il testo latino per lo più non é traduzione letterale, nè fedele, del-1’ arabico, nè questo di quello, ma si presentano come due compilazioni diverse dello stesso atto, distese da ciascuna delle due parti a comodo suo proprio. Basta guardare le sei colonne in foglio grande del Liber jurium e le tre pagine e un terzo de’ Nuovi Ricordi, in 8.° per comprendere che il primo testo non va chiamato neppure parafrasi del secondo. Ma questo subietto non si dee trattare qui di passaggio. Nella prefazione ai Diplomi arabi del reai Archivio di Firenze, Firenze 1863, io notai già (pag. v. e lxxii) l’abituale divario dei testi latini dagli arabici. 11 conte di Mas-Latrie dell’istituto di Francia, nella dotta opera intitolata Traités de paix et de commerce.... concernant les rélations des Chrétiens avec les Arabes de l’Afrique septentrionale (Paris 1866, in-40), non ammise la mia opinione sulla divergenza abituale dei testi, ancorché avesse dato su tutto il mio lavoro un giudizio che più benevolo non si potrebbe. Egli ribatte adesso il chiodo in un libro che ha pubblicato l’anno scorso sul medesimo argomento allargando la materia e rendendo popolare la forma (Rélations et commerce de l’Afrique Septentrionale ecc., Paris 1886, in-16.0), e però io mi propongo di riesaminare i documenti e poi rispondere al dotto contradditore, il quale forse ha ragione insieme e torto, e lo stesso anch’ io dalla mia parte, e per avventura saremmo di — 155 — accordo se si scrivesse l’uno e l’altro in termini meno assoluti. Ma di ciò tratteremo un’ altra volta : per ora ritorno al professore Karabacek e ad una sua correzione, che a dir vero io non mi sarei aspettata. Nel paragrafo delle guarentige date ai naviganti musulmani (AT. R., testo pag. 15, lin. 2, versione p. 610, nota 3) io serbai il vocabolo arwàhihim (nelle loro anime), ma avvertii in nota che mi pareva erroneo e che nemmeno io credea di correggerlo, con la aggiunta de’ punti diacritici, a^wàg'ihim che avrebbe significato « le loro mogli ». Si appiglia per l’appunto a cotesta lezione il professor Karabacek, se non che, come il singolare \awg' vuol dir moglie o marito ed anche coppia in generale e in particolare coppia di buoi aggiogati, cosi egli trasporta il significato a’ buoi in generale e vuol correggere, proprio in italiano, nelle, bestiame, il luogo della mia versione al quale precedono le parole (p. 610, lin. 14) « che [anzi i detti Musulmani] siano sicuri e guarentiti nelle persone, negli averi e.... ». Capisce bene, egregio mio signore, eh’io non metto addosso al professore lo sbaglio del compositore viennese il quale non era obbligato a sapere l’italiano: dico bensì che l’autore avrebbe dovuto riflettere che la metafora de’ gioghi di buoi, usata per designare il bestiame, sarebbe stata troppo poetica e che i mercatanti di Siria 0 d’Egitto di certo non navigavano traendosi dietro i buoi dei loro poderi. Pur cotesta correzione fallita ha fatta trovar quella che adesso parmi la vera lezione. M. Clermont-Ganneau, direttore aggiunto della scuola degli Alti Studii in Parigi, leggendo la rivista viennese, non si persuase di quella guarentigia de’ buoi imbarcati coi mercatanti musulmani, - ij6 - orni ei mi scrisse apposta per propormi un’altra lezione, eh io non accettai, e invece lo pregai di confrontare il passo nel codice unico della biblioteca nazionale di Parigi. 'Ma trovatevi da lui le stesse parole che M. De Sacy avea stampate, balenò alla mente di M. Clermont-Ganneau il pensiero che il copista avesse latto a dirittura uno sbaglio, saltati cioè alcuni vocaboli e mutate alcune lettere in un altro. Ne' Nuovi Ricordi (testo p. 14 ult. lin. e 15 prima linea) si legge la clausola là fi mag'ihim wa là fi rawahihim, che nella versione pag. 610 è resa « sia nell andata o sia nel ritorno ». Or egli pensò che la stessa clausola dovea venire replicata nel testo pag. 15 lin. 2, il quale nella versione risponde a pag. 610, lin. 16, e notò che nel testo il vocabolo arwàhihim (da rùh, anima) veniva ad occupare il posto di rawàhihim (da rawah, ritorno) il quale ne differisce solo per la mancanza della prima lettera. Cosi egli propose di correggere la 2.4 linea della pag. 15: ^31 ^ j V che porterebbe nella versione (pagina citata) il cambiamento: « e negli averi, sia nell’andata 0 sia nel ritorno, di parte ecc. », dove le parole « sia nell’andata » sarebbero la restituzione dei due vocaboli che il copista omise e « sia nel ritorno » la correzione della parola che com essa era nel testo, andava tradotta « anime ». M. Clermont-Ganneau ha poi pubblicata cotesta restituzione del testo in un articolo del Journal Asiatique del secondo trimestre 1887, pag. 492 segg. S’io non m’inganno a partito, chiunque conosca l’arabico ed abbia pratica di manoscritti accetterà volentieri questa restituzione del testo com’io l’accetto, e non dubito che il prof. Karabacek sarà per fare altrettanto. - *57 — A pag. 49 del suo scritto il professore di Vienna nota com’errore il vocabolo « soprannominato » messo innanzi (pag. 6n, lin. 24) « Giacomo Pellegrino ». Ed errore é di certo, ma di stampa o di copia, perché io sapea bene che né il Pellegrino é nominato di sopra né potea prendersi per soprannome Giacomo Pellegrino. Ma se il prof. Karabacek intende che io abbia errato traducendo col participio « nominato » ed anche « soprannominato » la frase ‘urifa seguita dalla proposizione bi, egli non ha presente 1’ uso che fecero di quel verbo al passivo e del suo participio passivo ma'ruf, con la proposizione bi ed anche senza quella, gli scrittori arabici del XII secolo dell’ era volgare ed anche di qualche secolo innanzi. Gli citerò il notissimo dizionario del Dozy (Supplément aux dictionnaires arabes, II, 115, 2a colonna) che rinvia a Edrisi; la iscrizione sepolcrale di Malta pubblicata da me nelle Epigrafi arabiche di Sicilia (II, nn. xxxij e xxxiij, pag. 114 e 120); i Diplomi Greci e Arabi del professor Cusa (pag. 61, lin. 6, 101, lin. 7, et passim) e soprattutto l’antico scrittore Baiaduri, ediz. del De Goeje (pag. 274, lin. 17). Quel benedetto nome di Giacomo Pellegrino dà luogo ad un’altra censura del prof. Karabacek, il quale (pagina 49) vorrebbe dare al primo vocabolo la lezione hàkim, che significa « giudice » ; ond’ ei suppone che fosse non già nome di magistratura, ma casato italiano tradotto in arabico, e del secondo vocabolo ne fa un Berlinghieri ed anche un Filangeri, mutandolo in nome di battesimo e mettendolo dopo il casato come si usa oggidì negli uffizi pubblici, ma nel medio evo non credo ve n’abbia esempio. Qui mi trattengo, non vo- - ij8 - lendo innoltrarmi in un labirinto per combattere al buio contro il valente professore di Vienna, che già vi ha messo il campo fin dalla pag. 42, mutando ad arbitrio punti diacritici e lettere incerte eh’ io avea messi ad arbitrio. Come si fa a litigare sopra nomi italiani, sia proprii 0 sia di famiglia, passati per le mani di copisti orientali, quando non v’ abbia ricordi storici 0 documenti su i quali fondar le conghietture? A me par molto mal sicuro il supporre un uso frequente dei casati tradotti, ma il prof. Karabacek ci prende gusto, poiché dopo il Giudici ci vuol dare un Capello, trovando nel testo il vocabolo s'ilàr che in verità sarebbe plurale e significherebbe peli e perciò anche capelli. Lo replico, non andrò più innanzi in questo argomento perché la presente lettera voglio finirla. Metterò in calce le soscrizioni de’ testimonii come le rende il prof. Karabacek in tedesco: ed Ella vedrà, egregio mio signore, vedranno i lettori, di farne lor prò’ se potranno. Dal mio canto, per chiuder la lettera con piena serenità di coscenza, accetterò un’altra correzione fattami (p. 57). Innanzi il nome di Daniele Boccanegra (testo pag. 17, lin. 11, e versione pag. 612, lin. 20) é il participio muhtasim scritto al solito senza vocali, il quale al passivo, ossia mettendo a nella penultima sillaba, significa « riverito, spettabile ecc. » e all’attivo, cioè mettendo 1, sarebbe « rispettoso, timido, modesto ». Poco felicemente io preferii la voce attiva: il prof. Karabacek, traduce « nobile » con la voce passiva; e sta bene. Eppure io mi era accorto dell’errore prima di lui, quando avea letto quello stesso vocabolo innanzi i nomi dei due ambasciatori catalani che stipularono per Giacomo II di — 159 — Aragona il trattato conchiuso da quel principe e dai re di Castiglia e di Portogallo col sultano di Egitto il 29 gennaio 1293. Pubblicandone il testo e la traduzione negli Atti dell’Accademia de* Lincei (3/ serie, voi. XI, pag. 431) nel 1883, io avea tradotto quel titolo « spettabile » : e atteso il valore radicale, credo stia meglio che “(c nobile ». Gradisca, egregio mio signore, l'affetto e l’osservanza con che mi profferisco Pisa, 10 Giugno 1887. Suo Devotissimo M. Amari. KARABACEK, OP. CIT., PAG. $7- Ich war gegenwàrtig bei dem Eidschwur und bejeugte tbn: es schrieb (eigenhàndig) der Presbyter, welcher anwesend war und das ist Vater Arsenius. Ich war ecc. Arsenius der Abt im Kloster d Koseir. Ich war ecc. der Diacon Menas. Es war ecc. Michael der Monch vom Kloster Thur Sina. (es folgen ecc.) Bonifacio der genuesische Consul. Der Sclìiffspatron und Kaufmann Angelino. Der Kauffmann Daniele Capello. Der Consul Raffo. Der nobile Rawerio Boccanegra. * . ■ TRATTATO DEL SULTANO D’ EGITTO COL COMUNE DI GENOVA NEL MCCLXXXX RIPUBBLICATO DAL SOCIO L. T. BELGRANO Atti Soc. Lig. St. Pìhua. Voi. XIX. versione latina del trattato conchiuso il 13 maggio del 1290 fra il Comune di Genova, rappresentato dall’ ambasciatore Alberto Spinola ed il sultano d’Egitto Qalawun, era serbata a far parte di una lunga serie di documenti riguardanti le relazioni politiche e commerciali dei genovesi cogli Stati musulmani (1). E vano ora l’esporre come questo disegno, pel quale il collega Desimoni ed io avevamo in parecchi anni di pazienti ricerche adunato un buon materiale, non siasi potuto fin qui mandare ad effetto. Troppe altre cure ed altri uffizi ce ne hanno distolti, forse per sempre; ma se alcuno s’invoglierà mai di completare le nostre fatiche, (1) Ved. Alti, voi. V, pag. 359 e 606. — 164 — e giovarsene a pubblico vantaggio, diciamo schietto che saremo i primi a rallegrarcene con tutto 1’ animo. Intanto le Aggiunte c correzioni dell’ illustre senatore Amari ai Nuovi ricordi arabici su la storia di Genova, nelle quali dell’ importante trattato e della sua interpretazione si torna a discorrere, mi hanno consigliato •di dare senza maggiori indugi negli Atti nostri almeno 1 accennata versione. Nè questa è veramente una novità ; perchè gli studiosi possono pur leggerla nelle pubblicazioni del De Sacy e del Liber Jurium (1). Se non che al-1’ uopo della presente ristampa venne istituito un novello confronto dei due codici, che del mentovato Libro si conservano nella Biblioteca Universitaria e nell’Archivio genovese di Stato (2), non senza cavarne qualche utile per assicurar meglio qua e colà la lezione; ed al testo si è poi aggiunto un corredo di note più razionale e più copioso di quello che non abbia fitto il De Sacy, per chiarirne in vari luoghi il senso. Anzi del miglior numero di esse è da ringraziare l’Amari medesimo, come il lettore vedrà per l’iniziale [A] posta in fine fra parentesi quadre. Gli editori dell’ Jurium han fatto seguire al trattato questa avvertenza : Lacuna in utroque codice extat in pagella, quod, ut videtur, sat abunde ostendit car tam hanc mutilam esse. E di vero, come rileva il eh. Heyd, mentre il testo arabo si compone di quattro parti, che sono le concessioni fatte dal Sultano, la formola con cui il nàyb (1) De Sacy, nelle Notici! et extraits des mss. de la Bibl. du Roy, XI. 34-41; Jurium, II. 243-48. (2) Cod. dell'Arch. di Stato, car. 235-36; Cod. dell’Universitaria, car. 426-27 verso. — i65 — Turuntai ne giurò l’osservanza, gli obblighi assunti dallo Spinola in nome del suo Comune, e il giuramento del medesimo ambasciatore ; la versione, o meglio la compilazione latina, reca per intero le due prime parti, ma si arresta avanti la fine della terza, la quale è stata invece benissimo riprodotta assieme alla quarta nella anonima Cronaca di Qalawùn (i). Del resto mi sembra importante 1’ osservare, che non poca analogia corre fra il trattato presente e la convenzione stipulata da’ veneti col sultano Abu Baqr II nel 1302 (2), si come vedremo pei richiami fatti di mano in mano a’ luoghi rispettivi. Noterò da ultimo che in ambi i codici Jurium il trattato coll’ Egitto segue immediatamente a quello concluso da’ nostri col re Leone III d’ Armenia nel 1288. Or anche questo diploma presenta una singolarità, della quale é qui opportuno di tener conto : dico il titolo apposto per imitazione dal notaio Rollandino di Riccardo, in caratteri arabici, alla notificazione che del trattato medesimo venne fatta alle autorità di Laiazzo, e che reca in questa guisa il nome del cancelliere di quella dogana (3): Cioè, « Lettera (4) di Malik figlio di Abbas, figlio di (1) Heyd, Hist. du commerce dii Levant au moyen-dge, I. 416. — Per la Cronaca di Qalawùn, ved. Atti, V. 606-14. (2) Ved. De Mas Latrie, Traités etc. avec les arabes de l'Afrique septentrionale. Supplement, pp. 83-85. (3) Cod. Ardi di Stato, car. 234 verso; Cod. Univ., car. 425 verso. (4) Oppure libro, e qualunque scritto piccolo 0 grande; giacché a tutto questo si acconcia ii significato di Kitdb. — 166 - Mah[e]r » (Kitàb el Alni ih ibn ’Abbàs, ibn Màhr); caratteri e nomi i quali attestano abbastanza l’origine araba di quell’ uffiziale (i). Dicembre, 1887. (1) J. de Saint-Martin , nelle Notices et extrails etc., XI. ut; Recutil des Hìs-toriens des Croìsades — Documenti arminiens — pp. xcu, 753. Pax et conuentio inter comune Janue et Soldanum Babilonie. In nomine Dei patris onnipotentis, amen. Mcclxxxx, indicione secunda, die xiii madii. Pax et conuentionem (sic) factam per dominum soldanum Melech elmansor, soldanus Egipti altissimus super omnes soldanos, qui omnia cognouit et qui diligit iusticiam, spata mundi et legis, dominus Sirie Damasche et Alepe, soldanus eliemen et meridiei, soldanus Jherusalem et benedictarum domorum, soldanus Sirie et aperitor terrarum quas alii reges ceperunt, soldanus usque ad Tripolini Barbarie, soldanus soldanorum et rex regum et dominus barbarorum araborum alaagem (i), soldanus omnium sarracenorum Calaris salai (2) et eius filius Melech laserat (3), rector mundi et legis calil, quem Deus manuteneat in dominiis ex una parte. Albertus Spinula messaticus delegatus ex parte dominorum capitaneorum comunis et populi Janue, senium ancianorum et consilii duitatis eiusdem, firmauerunt (4) ut scriptum est ut infra. Capitulum primus (sic), quod omnes ianuenses saluentur et custodientur cum personis et rebus in omnibus terris domini soldani (1) Al 'ai'am, come oggi si usi trascriverlo, vuol dire o non Arabi, stranieri » [A], (2) Si dovea leggere Ctslaun salai, che or trascriviamo Qalawùn sihht [A], (3) Si dovea leggere lastra/, che oggi trascriviamo al As'raf. Questo è titolo: il nome proprio ealil va trascritto Halli [Al. u (4) Dovrebbe dire firmavi!. — 168 - quas habet nec (sic) de cetero acquisierit in mari et in terra sani et naufragi in fide Dei et nostra. Item quod omnes mercatores ianuenses possint ire et redire licenter personaliter et realiter ad suam voluntatem, eundo et redeundo, nauigando et stando in omnibus terris domini soldani quas habet nec (sic) de cetero acquisierit, possint ire et reddire ad suam \ oluntatem, nec possint esse detenti nec impediti in suo itu, sed ire possint libere ad suam voluntatem, nec pro itus domini soldani nec per aliquam rem nec causam que posset dici nec cogitari non detineantur. Et precepit dominus soldanus quod pro suo itu in exercitu in Siria vel in alia parte, nec per suos messaticos vel mercatores nauigantes vel per aliquam aliam causam, non possit detineri vel impediri aliqua nauis nec galea, nec alia ligna ullomodo non possint esse detenti (i). Item quod omnes ianuenses qui venerint vel ierint sint sub consulatu comunis Janue in Alexandria ad faciendam racionem. Et si sarracenus aliquis habuerit questio cum aliquo ianuense, debeat esse questio sub consulatu ianuensium. Et si alius christianus habuerit questio cum aliquo ianuensi, similiter sit questio sub consulatu ianuensium. Et si aliquis ianuensis habuerit questionem cum aliquo sarraceno, sit questio ad duganam ante milum (2). Et si aliquis ianuensis nollet se distringere per consulem et esset fortior consulo, dugana vel milus teneatur dictum ianuensem accipere et ponere in potestate consulis et facere illam racionem quam opportet. Item quod omnes ianuenses soluant pro drictu de auro bisantios vi charattos xvi pro centenario tantum de bisantiis, sicut consuetum est, et de argento bisantios mi et charatos xii pro centenario isantiorum tantum. Et si aliquis aportauerit monetam coniatam auri ardenti, soluat pro centenario bisantiorum bysantios mi cha-atos xii .antum, et non possint nec debeant ianuenses compelli ad soluendum aliquem drictum dacitam nec collectam de pennis (1) Questo ed il precedente capitolo rappresentano uni redazione più diffusa, ma conforme in buona parte nella sostanza all’articolo i.° del trattato veneto del 1302. (2) Ossia ‘ami/, letteralmente « fattore » ed anche « governatore » [A]. variis et de pennis ermerinorum de beuaris de luciis et de omni pellizaria nec de lapidibus preciosis (i). Itetn quod ianuenses habeant scribam unum in dugana, prò scribendis racionibus ianuensium qui sint in concordia in dugana, ut consuetum est (2). Et si aliquis ianuensis dare debuerit aliquid in dugana, vel nauis ianuensis debeat dare in dugana, et voluerit de dicto loco recedere et dictus scriba voluerit remanere prò eo, non debeat mercator ille impediri nec nauis qui voluerit recedere et dimiserit scribam loco sui, et ille mercator vel nauis possint recedere ad suam voluntatem; et si dictus scriba noluerit stare prò fideiussione, detineatur principalis donec satisfecerit. Item quod omnes ianuenses et qui se ianuenses distringent non detineantur pro aliquo maleficio facto per aliquem ianuensem in in mari vel terra nec pro debito alicuius nisi malefactor; saluo quod si dictus malefactor dedisset securitatem, tunc securitas possit impediri et non alius. Et si forsitan aliquis ianuensis faceret aliquam raubariam vel damnum hominibus domini soldani, dominus soldanus debet facere per suas litteras scire comuni Janue. Item quod si aliquis ianuensis fecerit aliquod mercatum vendendi seu emendi, et fuerit factum in presentia testium vel torcimani dugane vel duchelle (3), dictum mercatum sit ratum et firmum et teneri debeat (4). Item quod ianuenses dare debeant dugane domini soldani pro drictu, de mercibus per eos delatis apud Alexandriam que ponderabuntur seu ponderari consuete sunt ad staeriam, bisantios xii pro centenario bisantiorum, pro drictu tantum, et tunc quando merces vendite fuerint et non aate, et quando bisantii fuerint recuperati. Item de iamellotis, de pannis de seta, et de seta et de cendatis (1) All'ultima parte di questo capitolo corrisponde l'articolo 2° del trattato sovra citato. (j) Ved. il trattato cit , art. 1J, espresso anche pii nettamente colle parole : icribanum unum lalinum. Privilegio per altro di già riconosciuto ai veneti colla convenzione del 1138, in Tafel e Thomas, II. 540. (}) Sembra forma latina arbitrariamente data al vocabolo dachiera , ufficio e quindi emolumenti del dachicri. che alla sua volta è trascrizione dall’arabico dahiri 0 dubri, come fu chiamato in Egitto ne’ - fc» — O secoli XIV e XV il tesoriere del sultano. Veggansi I diplomi arabi del r. Archivio Fiorentino, pubblicati da me, Firenze 1863, in 4.0, pag. nS- 379. 438- 44S. 48S- * ' ar«bi qu!vì ciu,i- cf- De p«>. Tariffa, ecc., Venezia, 1540, foglio 60, verso ecc. [A], (4) Trattato veneto 1302, art. 19 — 170 — et de xamitis et de pannis lane cuiuscumque coloris sint, et de telis de kens (1) et de aliis telis, et de auro filato et de lignamine bisantios x prò centenario bisantiorum tantum. Item quod si aliqui ianuenses ponent in duganam ad incalegan-dum (2), (merces) per eos positas in dugana Alexandrie et totani men_antiam quam dicti ianuenses retinerent ad calegam scribi debeat in dugana super ipsos ianuenses in ipsa quantitate quantum incalegatum fuerit, sine aliqua additione precii. Et si obtulerit de dicta mercantia dictus mercator unum charactum plus quam alia persona, dori ei debeat et super illum scribi faciat ad illuni precium quod incalegauerit, et de illo precio soluere drictum debeant et non de maiori quantitate ; tunc sic quando dicte merces vendite luerint et non ante et quando denarii vel bisantii de dictis mercibus recuperati fuerint. Et qui dictam mercandam emerit de ea drictu aliquo non soluatur (3). Et si noluerint vendere, possint extrahere ad suam voluntatem sine soluere aliquem drictum. Item quod si aliqui ianuenses apportabunt mercantiam Alexandrie, \ el aurum vel argentum, vel in terris domini soldani, possint vendere ad suam voluntatem; et non sit factum eis forcium ullo modo eas \endendi. Et si forsitam noluerint vendere dictas merces, possint extrahere et portare ad suam voluntatem sine soluere aliquem drictum. Item quod si aliqui ianuenses vendent aurum vel argentum alicui sarraceno, debeant esse soluti de presenti in pecunia et non dare terminum aliquem (4). Item quod omnes inquisitores dugane debeant saluare et custodire res et merces ianuensium in duganam et extra duganam (5). Item quod si aliqui ianuenses portabunt vel portent mercantiam in Alexandria %el in terris domini soldani et non vendent eas vel \ endere noluerint, possint extrahere franchas sine soluere aliquem drictum (6). CO Tele di Reims. (2) Vendere ia caliga, cioè all’ incanto [Al. (3) Trattato dt., art. 20. (4) Trattato cit., art. 3. (5) Trattato cit., art. 4. (6) Trattato cit., art. 17. 1 ——————— - 171 — Item quod si aliqui ianuenses vendent aliquam mercantiam cum testibus vel cum censariis dugane, dugana teneatur pro emptore ; et si ianuenses vendent sine testibus vel censariis dugane et debitum fuerit denegatum, debeat esse questio ante archadi (1) pro diffinire ipsam questionem. Item si aliqui ianuenses debuerint aliquem drictum dugane et ipse ianuensis voluerit recedere, et aliquis sarracenus debuerit dare dicto ianuensi, dugana se debeat teneri super debitorem de tanto quantum ei debuerit (2). Item si aliqui ianuenses venerint ad terras domini soldani et voluerint ponere pro suo usu intus illarum terrarum, videlicet caseum et alia victualia, possint ponere et portari facere ad fondicum sine soluere aliquem drictum (3). Item quod omnes ianuenses habeant magasenos in dugana bonos et sufficientes, et claues eorum ; et dugana ponat custodem vel custodes ad custodiendum res dictorum ianuensium (4). Item quod dugana non debeat ponere aliqui ianuensi dacitam nec pensionem aliquam donec stabit in terra domini soldani, nec debeant soluere aliquid inquisitoribus nauium. Item quod omnes ianuenses possint onerare et exonerare naues eorum cum barchis suis ad suam voluntatem, sine aliquo impedimento (5). Item quod si aliqua nauis vel ligna ianuensium applicuerit in portubus domini soldani, possint ibidem refrescare, et non debeant nec possint modo aliquo detineri; nec compellantur ianuenses qui in terra fuerint aliquem drictum soluere, nisi si vendiderint vel emerint (6). Item quod ianuenses habeant ecclesiam unam in Alexandria nomine sancta Maria, quod consuetum est; et non leuent eam nisi si dirruerit. (1) Il cadi [A]. (а) Trattato cit., art. ai. ()) Trattato cit., art. 6. (4) Trattato cit., art. 7. (5) Trattato cit., art. 10. (б) Tratuto dt., art. 11. — 172 — Item quod si aliqua iniuria facta fuerit alicui ianuensi in terra domini soldani, et consul ianuensium vellet ire vel mittere ad curiam domini soldani, possit dictus consul ire et mittere ad suam voluntatem cum nuncio milis (1); et milus debeat dare nuncium ad voluntatem consulis ; et consul vel eius nuncius'debeat ire ad expensas curie. Item quod si aliqua nauis vel ligna vel mercatores ianuensium applicuerint in portubus vel in terris domini soldani et pax esset fracta, dicti ianuenses et naues et merces eorum sint salui et securi tanquam pax esset firma Item quod ianuenses possint sine contradictione alicuius intrare et exire in Alexandria per portas consuetas, et non faciant eis aliquam nouam consuetudinem. Item quod non compellantur ianuenses aliqui aliquam mercantiam accipere vel emere, nisi illam quam emere voluerint sua voluntate; nec compellantur merces (emere) de dugana nec de duchella (2) nec de asona (3) nec res alicuius amirati, nisi illas quas emere voluerint. Item si aliquis ianuensis vendiderit aliquam mercantiam dugane, dugana faciat ei fieri solutionem in auro vel arcento. Item quando ianuenses voluerint exonerare naues vel ligna, faciat milus ad presens exonerare, et soluant ianuenses sicut est statutum per alios missaticos ianuensium et per illos qui sunt in dugana barchis bastaxiis et asinariis ; et de dictis tantum onerando quantum exonerando (4). Item quod si aliqui ianuenses ement aliquas merces et voluerint ipsas gaibellare possint licenter gaibellare (5) ad fondicum tantum cum testibus dugana (sic). Item quod si aliquis ianuensis decesserit vel morietur cum testamento in Alexandria vel in terris domini soldani, fiat factum (1) ’Amil, come sopra [A]. (1) Dacbiera, come sopra [A]. (3) ^ Oc Sacy legge altana (arsenale); e il senatore Amari stima che abbia pensato giusto. ■ Volean gittare (egli mi scrive) la cattiva roba addosso ai nostri mercatanti, dicendo or eh' era della dogana, or d’ un emiro, ora dell’ arsenale. L’ uso sembra radicato, poiché nell’ arabo de’ bassi tempi loro si 4 dato a un verbo questo significato particolare, di gittar la mercanzia su le spalle di chi non la vuol prendere .. (4) Trattato veneto, art. 34 in parte. W Meglio certamente, garbellarc (crivellare, mondare), come nel trattato cit., art. 34, cui il presente in parte consuona : Merces que emuntur per venetos debeant garbellari in torum fonino coram testibus. — i73 - secundum suum testamentum; et si non testatur, deferantur res eius et merces coram consulem ianuensium qui ibi fuerit. Et si non esset consul, consignetur (sic) ianuensibus qui ibi fuerint. Et si non esset consul nec ianuensis, faciat dominus terre ipsas res et merces saluare et custodire quousque fuerint requisite per litteras vel per nuncios co munis Janue (i). Item quod mercatores ianuenses possint licite argentum (sic) et habere ceram in Alexandria, et soluere pro drictu et mesionis da-remos c. vi. pro miliario de daremis (2). Item quod mercatores portent vel portare possint dictos daremos ad implicandum apud Carium (3) sine soluere aliquem drictum. Item quod si aliquis ianuensis emet cambiet vel aquiret merces aliquas in Alexandria ab aliqua persona, de quibus sit solutum drictum et ipsas merces reuendet in Alexandria seu baratabit, non compellantur ianuenses aliquid soluere pro drictu nec pro aliqua dacita, imo ipsas possit (sic) vendere et baratare libere et expedite. Item quod ianuenses qui deferent oleum in vegetibus in Alexan- (1) Trattato veneto, art. 16 e 31. (2) Leggasi : pollini licite (percutere) argentum et hahert ceeam : zecca [A]. — Il che si spiega coi privilegi goduti dai veneti, i quali aveano stipulata la facolti di far monetare, in dinar e dirhcm, le verghe d'oro e d' argento che avessero per ciò portate alle zecche musulmane. Cosi nella loro convenzione del 1138 : Si (mercator venetus) valuerit percutere ad ceccam , solvat dricturam secundum usum et eostumen, et faciat perculere (Tafel e Thomas , II. 340). Il trattato del 1290 conferiva adunque la stessa facoltl ai genovesi, limitatamente peri alla zecca d’ Alessandria, e fissava a lofi dirhcm ciò che essi dovean pagare pel diritto (di signoria) e le spese della coniazione di ciascun migliaio di si fatte monete : tassa molto grave, ne convengo, ma non già in disarmonia con altre, quella, per esempio, del peso alla stadera di 12 bisanti per ogni cento. 11 De Sacy (p. 39) proponeva di leggere prò drictu et missoriis, vocabolo quest' ultimo adoperato a significare i piattelli delle bilancie, giusta quanto si può vedere nel Du Cange ; ed in tal caso sarebbe da tradurre diritto (di signoria) e pesatura. Ma il Blancard (Elicti sur les monnaies de Charles I comte de Provence; Paris, 1868-79), commentando quest’ articolo, preferisce a buon diritto la lezione mes[s]ionis, da messiti, che vale spesa. E soggiunge queste osservazioni, che non mi sembra di dover pretermettere: « L’acte de 1290 ne mentionne que le darhcm ; mais il est possible quc les genois aicnt eu egalement le droit de frapper le dinar ad pensum Alexandriae, car c’est la monnaie qui apparait le plus souvent dans leur commerce. Quoiqu’il en soit, il est certain qu’ils fabriquaient dans leur atelier d'Alexandrie, à la fin du XIII.* siède, des derhams musulmans, avec lesquels ils allaient, sans paier des droits, trafiquer (implicare) au Caire, etc. Ces derhams egyptiens de fabrique gènoisc ... ne peuvent pas ctre classès dans la categorie des contrefafons, etant émis legale-ment et payant le seigneurage » (pag. 542). Infine è curioso qui l’uso del verbo percutere, nel significato di battere moneta; perchè l’illustre Amari mi fa osservare : « Gli arabi, che in casa loro non avean la cosa, tradussero darah (percuotere) il latino ferire; e i nostri del medio evo si appigliarono a tradurre l’arabo, anziché il latino cudere ». (3) Il Cairo [A). - 174 - dria ntc possint nec debeant compelli pro tara, nisi tantum quantum ponderabunt vegetes in quibus esset oleum ponderatum. Item quod ianuenses non compellantur nec compelli debeant ad so uendum de rebus et mercibus quas deferent apud Alexandriani, et e mercibus quas ement apud Alexandriani, nec feda (i) nec aliquid a na , nec drictum quod est superius dictum. tem quod si ianuenses ement aliquas merces, non possint ei per a ìquam personam impediri, sed possint ipsas extrahere ad suam vo untatem vel portare, si emerint illas per manus torcimanorum de dugana. oc est sacramentum quem fecit dominus mirus Osemedinus, nai o altissimi soldani (2), in anima domini soldani et super caput eius Melec elmansor. Confitetur dominus mirus Osemedinus et iurauit de ore suo P oprio, loco vice et nomine domini soldani Melech elmansor. Juro per ominum soldanum Melech elmansor, per Deum per Deum per eum magnum altissimum qui celum et terram creauit, et per legem q am Deus dedit sarracenis et per domum meridiei domum Meche t per coranum sarracenorum, quod omnia capitula et conuentiones quibus insimul accordauimus cum domino soldano Melech mansor tenentur firma et stabilia et non mutet ; nec officiales ^ommi soldani Melech elmansor non rumpent, nec officiales domini e ec lasserat, nec per aliquos sarracenos qui sunt in dominio omini soldani;ista pax fiat stabilis et firma in vita domini Melech or et in \ ita domini Melech laserat filius eius et in vita domini capitaneorum Oberti Spinule et Conradi Aurie capitaneorum ms Janue> dictus dominus soldanus et dicti officiales sui non pent, ut diximus, nec exient de preceptis suis; et si exierint quo quod promiserunt, quod dominus Jhesus Christus sit (0 AU vuol dire . riscatto . e Pluione di sptg01r£ [A] Malit al Mansir ii *'■’ Turu"“i f-'"° «àyb (vicario) del sultano Qalawùn al -■ -, St IZ’/nT8? DeUa bl,MgIU di ^ ■*" < Tartari, c in altri fcti uccidere confiscando?!- • ' * " ^ '' figl‘UOl° * 8ucccssore Halii al Màlik al Ai'raf, lo fece sione di Quatremère, U, pa'rT n^A] ^ ^ ^ *famlo,‘h' VCr' - 175 — ei in contrarium et sint cani chefati (i) extra legem suam. Et omnia compromissum et firmatum fuit et iuratum in presentia domini Alberti Spinule messatici comunis Janue. Mcclxxxx, die xm madii, secunda indicione. Versa vice Albertus Spinula messaticus delegatus ex parte dominorum capitaneorum comunis et populi Janue, senium antiano-rum consilium duitatis eiusdem, ex nomine comuni promisit ut infra. Primitus quod omnes ianuenses comunis Janue saluabunt et custodient omnes sarracenos de domino soldano in mari et in terra et in terris comunis Janue quas habent nec (sic) de cetero acquisierint, et saluabunt eos sani et naufragi; et similiter saluabunt omnes sarracenos mercatores domini soldani, sclauos momolucos et sclauas, eundo et reddeundo ad terras domini soldani. Item quod omnes sarraceni domini soldani possint ire et redire licenter salui et securi ad terras comunis Janue quas habet nec (sic) de cetero acquisierit ad suam voluntatem ; et non possit detineri aliquem sarracenum domini soldani naues vel ligna in dictis terris comunis pro aliqua occasione, sed primitus facere ad sciendum domino soldano. Item quod aliquis saracenus domini soldani non possit detineri in terris comunis Janue per aliquem alium sarracenum malefactorem nec pro debito alicuius ; sed malefactor vel debitor vel securitas pro alterius possit impedire. Item quod si sarraceni vel mercatores domini soldani nauigarent vel irent in nauibus inimicorum comunis Janue et naues predicte essent capte per homines ianuenses, dicti sarraceni domini soldani sint sani et salui sine detrimento. (i) Leggasi chtfari. Kifàr t plurale di Kafir « ingrato, infedele, miscredente » [A]. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO FASCICOLO Desimoni C., Regesti delle lettere Pontificie riguardanti la Liguria ( ^a' più antichi tempi fino all’avvenimento d’Innocenzo III...... Amari M., Aggiunte e correzioni ai nuovi ricordi Arabici su la Storia di Genova..................... Belgrano L. T., Trattato del Sultano d’Egitto col comune di Genova nel ........................... Pag. S » M7 » 161 f ///f. ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA VOLUME XIX — Fascicolo II. GENOVA TIPOGRAFIA DEL R. ISTITUTO SORDO-MUTI MDCCCLXXXVin LE PRIME MONETE D’ ARGENTO DELLA ZECCA DI GENOVA ED IL LORO VALORE [1139-1493] PEL SOCIO CORNELIO DESIMONI Atti Soc. Lto. St. Patm*. Voi. XIX. 12 - ■ • > ' ■ . i j T/fv > Cav. Brambilla proseguendo a mettere in onore le monete della sua patria, ha pubblicato di fresco un supplemento (i) alla sua splendida illustrazione della Zecca di Pavia (2). In pari tempo vegliando sulle rare apparizioni di monete, che tratto tratto si verificano, ebbe la fortuna di metter mano a buona parte di due ripostigli stati sepolti in tempi antichi, ed in un altro separato articolo ne dedusse fatti od induzioni notevoli (3). (1) lì Tremisse di re Rotari, iì ducato pavese di Filippo Maria Visconti, Postille alla moneta di Pavia. Pavia, Fusi, 1887. (2) Le monete di Pavia raccolte e ordinatamente dichiarate. Ibid. 1883. (3) Due ripostigli di monete battute sul cadere del secolo XII ai primi anni del XIV. Nel Bollettino di Numismatica, di Camerino, 1887. Accenno nel mio studio al ripostiglio di san Martino Siccomario (Pavia). — i8o — Da parte nostra, attenti sempre a tutto che di gcno vese si manifesta e cortesemente informati da lui, covammo indicata dal più antico di que’ due ripostigli qualche cosa anche per noi, e fummo lieti di ammirare come il eh. autore anche nel nostro ramo, secondario per lui, veda giusto in un periodo dove finora è buio pesto, e ci presenti osservazioni degne di tutta la nostra meditazione. Premesso che il tempo del nascondimento di questo tesoro è da lui attribuito (e ci pare con buone ragioni) agli anni fra il 1220 e il 1230, vi scorgo descritti danari genovini eh’ egli trova del peso di milligrammi 800, e stima del titolo di millesimi 250 d’argento fino, ossia del quarto del loro peso. Lochè gli fa conoscere non esser dessi i danari primitivi del 1139-1141» 1 quali, secondo un noto documento, devono riuscire al peso di gr. 1.099 e a^a le&a di millesimi 333, ci°^ ^ terzo del peso. Ma assai più che questi pezzi, destò la nostra attenzione un grosso di buon argento conservatissimo e con caratteri di sufficiente antichità per poter essere attribuito al periodo sovra indicato; avendo al diritto la semplice leggenda lamia nel campo, ed al rovescio le parole Cunradi rex in giro alla croce invece dei più tardi Cunradus e Conradus. La differenza più notevole, che corre fra questo e 1 grossi anteriori, sta nel peso maggiore che qui è di grammi 1.70, laddove i primi grossi oscillavano verso 1 gr. 1.40. Tale circostanza d’aumento in opposizione al peso dei danari 0 piccoli, che vanno invece diminuendo col tempo, suggeri all’autore una induzione che pienamente approviamo, ed é: che a quel tempo il grosso - 181 - abbia cessato dall’antico valore di quattro piccoli od un terzo di soldo, sia anzi salito a valerne sei, cioè la metà d’un soldo genovino contemporaneo. Per verità non v’ ha documenti precisi ad appoggio di codesta induzione, ma ve ne sono di analoghi come vedremo più avanti; frattanto ce li suggerisce un confronto fra i tempi che precedono e quelli che seguono al periodo di cui trattiamo, il decennio 1220-1230, ed è ciò che ora ci proponiamo dimostrare tanto più opportunamente perché non ne fanno parola i Nummografi nostri e non nostri. In un lavoruccio precedente (1) abbiamo provato per documenti quello che dicemmo testé: che cioè nel 1141 in un’ oncia di pasta monetaria, composta di un terzo d’argento fino e due terzi di rame, si tagliavano ventiquattro pezzi chiamati denari, dodici de’quali andavano per un soldo genovino; col noto antichissimo peso della nostra oncia, ragguagliata a grammi metrici 26.396 (2), un danaro tornava a gr. 1.099 e ^ suo fino argento riduceasi al terzo, pari a gr. 0.366. Così un soldo dovea contenere di fino gr. 4.396; s’intende un soldo imaginario e di conto, perchè quello effettivo non esisteva ancora. Un nuovo documento di circa il 1172 (3) ci palesa (1) Sui più antichi scudi d’argento della Zecca di Genova; nel Giornale Ligustico, 1877, p. 386. — Hist. Patr. Monum. Jurium 1. 77. (2) Rocca (P.), Pesi na\ionali e stranieri dichiarati e ridotti. Genova, Casa-mara, 1843, p. 4 — Ivi, pag. 6, ragguaglio della libbra di Genova di peso sottile in grammi 316.75. Trovo infatti nelle Tavole di Numismatica genovese, di cui parlo più avanti, un danaro del peso di grammi 1.06, dunque quasi perfetto. '3) Jurium cit., 1. 371. — Sui più antichi scudi cit., p. 387, — Pel peso della marca di Colonia ved. Rocca cit., p. 57, ragguaglio ammesso dal Brambilla. — 182 — già una leggera diminuzione, perchè ivi si ragguaglia a soldi 56 di Genova una marca d’argento fino del peso di Colonia. Si sa che questa marca va stimata a gr. 233.862; quindi il nostro soldo a quel tempo tornava in argento fino a gr. 4.176, cioè di 22 centi-grammi inferiore al soldo del 1141. Verso questo stesso tempo deve essere stato introdotto il nuovo grosso genovino; il cui peso considerato soltanto nei pezzi più comuni (come ben nota il cav. Brambilla) versa sui gr. 1.40. Però sia per altri pezzi ben conservati, sia per certe mie idee teoriche che esporrò tosto, ritengo più probabile che legalmente dovesse salire fino a grammi 1.46; di che il fino argento, dal titolo di 1}lu che più sotto accerteremo, si riduce a grammi 1.40 per ogni grosso. Ora è chiaro, che gr. 1.40 stanno quasi precisamente tre volte nei gr. 4.176 contenuti nel soldo del 1172; quindi il grosso è un terzo di quel soldo, ossia vale danari quattro. Ho accennato che alcune idee teoriche mi recano a stimare piuttosto a gr. 1.46 che a 1.40 il peso di quel grosso. È naturale che nella Zecca, come nelle altre istituzioni, vi abbia una ragione di tradizione e d’imitazione al momento di ammettere un sistema piuttosto che un altro. Da Carlo Magno in poi una libbra d’ argento si divideva in 240 danari effettivi, dodici dei quali facevano un soldo di conto e venti soldi facevano una lira ; così la libbra di peso era anche la lira di danaro, come di fatti le due parole sono sinonime ed egualmente scritte in latino. Più tardi, verso il principio del secolo XI, fu sostituito alla libbra di peso il marco 0 marca ; ciò per una ragione che a me sembra chiara, ma - i83 — che qui sarebbe troppo lungo lo sviluppare. Ma il nuovo marco era legato colla libbra antica, di guisaché questa essendo di 12 onde, il marco ne prendeva otto ossia i due terzi; e siccome la libbra si divideva in 20 soldi o 240 danari, così il marco a rata era di 160 danari ossia soldi tredici e danari 4, ed appunto in parecchi documenti, anche in tre genovesi, é indicato questo marco a soldi 13.4 (1). 11 marco predominante, quando l’impero germanico era in forza, fu quello, cosi detto, di Colonia da una delle sue città principali; ma essendo adottato anche dall’ Inghilterra, fu più noto in seguito col nome di marco di steriini; chiamandosi con quest’ ultimo nome i denari del medesimo peso battuti in quell’isola. Sulla base già detta di gr. 233.862 un danaro 0 steriino, da 160 a marco, torna come sovra accennai al peso di gr. 1.46. In principio esso fu di buon argento e tale si conservò anche tardi in Inghilterra; ma, specie in Italia, andò gradatamente scadendo nella lega da 2,/24 a poscia a 9, a 8, a 7 dodicesimi. Nel primo secolo delle Crociate, rincarando tutto come si sa, ne soffri molto anche 1’ argento; la sua lega decadde ancora da 7 a 6, a 5 , e a 4 dodicesimi di metallo fino, anche nelle migliori zecche, peggio nelle altre; a Genova lo vedemmo già a 4 dodicesimi fino dal 1141 (2). (1) Marco d’Inghilterra a soldi 13, den. 4, in Muratori, Antiq. Ital., II. 807; in Garampi, Memorie della B. Chiara, Roma, 1755, p. 232; in Pegolotti, Pratica Ma Mercatura (secolo XIV), p. 259; in Richeri (Spoglio di atti dell’Ar-chivio notarile genovese, Ms. nell’Archivio di Stato) I, 10, 3; II, I, 2; li. 139.7. (2) Vedi la mia Dicroissance graduelle du denier du XI au commenccnient du A'111 siicle, nelle Milangts Numismatiqius, Paris, 1878. — 184 — Cosi la moneta diveniva sempre più spregiata e di più bmtto colore pel rame cresciutovi, e diminuiva pure il peso. Si senti allora nelle nuove zecche la necessità di tornare ad una moneta di buon argento, però senza scacciare anzi coordinandola con quella corrente; cosi quest ultima prese l'ufficio di moneta spicciola 0 d’appunto. In simil guisa il buon danaro antico, che era dapprima la sola base monetaria, avea per moneta d’appunto la sua metà 0 medaglia e il suo quarto 0 quar-taro, che sparirono più tardi dalla circolazione. Perciò la nuova moneta ebbe il nome di denaro grosso, 0 grosso semplicemente, e piccoli ossia minuti furono detti i pezzi di bassa lega, un numero dei quali equivaleva ad un grosso; e siccome quest’ultimo nel titolo di J,/J4 (millesimi 958) riproduceva l’antico denaro, così anche in più zecche lo si riprodusse al peso stesso di gr. 1.46 e al numero di 160 a marco di steriini (1); ciò ad esempio nell Emilia ed in Roma, dove persino quel grosso ebbe 1 identico nome di steriino (2). Ora vedendo noi in Genova, e prima che in altre città, un pezzo che nel titolo si agguaglia e nel peso molto si approssima agli steriini; vedendo inoltre che, un secolo dopo, il nuovo (1) A questo stesso ritorno all’antico taglio nel grosso allude un passo del arampi, loc. cit., ove il conto parla di certi migliaresi a soldi 20 (den. 2jo) per libbra. (2) Garampi, loc. cit. Lo steriino, detto anche sanpietrino, vien poi raddop-p o col nome di romanino, come è succeduto in Genova e con valor quasi eguale. Da questo ritorno al peso base del denaro, venne che anche il grosso osse conteggiato a 12 grossi a soldo e a 20 soldi 0 pezzi 240 a lira come i P oli, ma con valore 12 volte maggiore. Ciò in Venezia ne’ conti ufficiali, a enova almeno in Zecca. — È per altro possibile che la nostra Zecca adottando danaro, ne abbia un po modificato il peso, e ne vedremo altro esempio più avanti. - i85 - suo soldo peserà precisamente un doppio steriino, potremo, ci sembra, indurne che già verso il 1172 la creazione del primo grosso fosse ispirata da simile sistema di riproduzione dell’ antico denaro. Della generale decadenza del soldo, che si stese anche a Genova, potremo aver già tosto un indizio nell’anno 1201 (1); allora Alberto Malaspina vendeva 26 libbre in peso di argento per la somma di 100 lire. A tale stregua un soldo riesce al peso gr. 4.118 e al fino gr. 3.947, supponendo l’argento al solito titolo dei grossi; quindi resta di nuovo il soldo un po’ inferiore a quello del 1172, visto qui sopra a gr. 4.176. Ma di questo esempio, essendo unico, non facciamo gran caso per ragioni che spiegheremo più avanti. Certamente ad ogni modo il piccolo danaro continuava a peggiorare ancora più notabilmente in tutte le zecche fin dal principio del secolo XIII. In tali condizioni dovea sorgerne uno squilibrio di valore in relazione al grosso, se questo conservava il suo peso e lega. Bisognava, per rimediarci, aumentare il valore di questo pezzo oppure modificarne il peso per ristabilire 1’ equilibrio. Il tatto del nuovo grosso scoperto dal Cav. Brambilla mostra che il peso ne fu aumentato ; il che, aggiunto al peggioramento del piccolo deve avere recato il suo valore di denari 4 a 6, ossia a mezzo soldo, e ciò anche gli avrebbe dato un valore rotondo e comodo. Disgraziatamente non possiamo addurne in prova documenti esatti per quegli anni; per trovarne (1) Cicala, Miscellanee di storili ligure ad ann., ras. civico, citando il registro notarile di Guglielmo Cassinense. — 186 - uno hi d’ uopo correre fino al 1288 al trattato politico ra Genova e Pisa (1). per l’adempimento di alcuni ^rtkoli di esso trattato, fu stabilita la moneta genovese 1 ire quattro (80 soldi) per ogni marco di steriini ; onde, pel noto ragguaglio di quel marco a gr. 233.862, torna un soldo a gr. 2.923, che è il peso preciso d’un oppio steriino, come poco fa accennavamo. Esiste in atti questo pezzo colla leggenda aumentata: lumia quam eus ProteSal', ed è comune nei medaglieri; sebbene non so die akuno finora l’abbia qualificato per soldo, come e meramente. Non trovo invece notizia del grossetto, 0 mezzo soldo corrispondente, il quale pure ci doveva essere, di tatti lo troviamo notato ancora assai tardi (I39°) nei libri di Zecca con peso proporzionale ed al medesimo titolo del soldo a 1J/J4 (2), ma durò più poco; <-0 crescersi 1 alterazione del piccolo, il mezzo soldo u sostituito dalla patachina 0 sexino a 6/u di fino sotto il dominio in Genova di Carlo VI (3). Con queste considerazioni noi ci crediamo in diritto di ammettere pel I288, almeno in massima, un grosso da sei danari del peso di grammi 1.46; e vediamo che il grosso di uno stesso peso nel 1172 valendo soltanto 4 danari, vi era stato nell intervallo il rincaro sensibile della metà nei a ori dell argento. Un pezzo da sei danari, se ci fosse già stato nel 1172, avrebbe dovuto pesare gr. 2.19; quale succedendo il grosso del 1220-1230, che pesava tica di C If'p117 ~ ^lU aultchi sctldi> P' 387. — Gandolfi, Moneta antica di Genova. Ferrando, 1841. II. ,46. (2) Ceche introitus et exitus, ,390, tra’ i simili cartolarii dell, categoria Zecca - Ar h di Stat0) proveniemi ^ ^ ^ ^ (3) Vedi più sotto, pag. 211, „0ta 4. — 187 — grammi 1.70, quest’esso sta bene come scala fra i grammi 2.19 del 1172 e i gr. 1.46 del 1288, ottenuti entrambi * con documenti ufficiali. Importerebbe cercare tuttavia se al di dentro di questa scala non si potesse raccogliere qualche gradino di più, per sempre meglio ravvicinarci ad una esatta prova della opinione che è dell’autore e nostra, pel citato periodo 1220-1230. Dirò anzi tutto che di questi giorni avendo consultato le Tavole di Numismatica genovese, che ha lasciato manoscritte alla nostra Società il compianto Avvocato Avignone (1), vi trovai notato un pezzo simile col peso di gr. 1.719, che però non è più possibile il consultare in natura fra noi. Inoltre, nelle mie Tavole di valori delle monete genovesi pubblicate fin dal 1875 (2), vedo che per l’anno 1244, poco distante dal decennio sovra segnato, io avevo dato al soldo il valore di gr. 3.20, che torna per un mezzo soldo a grammi 1.60 di fino e gr. 1.67 di peso, poco differente da quello di 1.70 del Brambilla. Fra le mie schede non mi vengono più all’occhio gli elementi donde trassi tale risultato. Ma ne trovo altri non guari distanti. In un atto notarile del 1241 (3), il prezzo dell’ argento è segnato a soldi 7 e den. 8 per un’ oncia peso di Genova; donde al già notato ragguaglio un soldo viene a gr. 3.299 in peso e cosi per un mezzo soldo gr. 1.649, fino 1.581. (1) Queste Tavole furono compilate con diligenza da quel benemerito col concorso dello scrivente e del pure compianto Luigi Franchini; e se ne ha in mira la prossima pubblicazione negli Atti della Società. Quel grosso apparteneva alla collezione Gazzo ora dispersa. (2) Vedi l'appendice al Belgrano, Vita privata de'Genovesi, Sordo-Muti, p. 514. (3) Richeri. ms. cit. I, 140, 2; e l’atto originale in Archivio notarile, Registro di Gio. Vegio ed ignoti, 1235-1264, foglio 142. — i ss - Non ignoro ciò che si può opporre a siffatto genere di raffronti. Quando leggiamo in atti notarili compre d argento a certi prezzi, sorge subito il dubbio, se il venditore o il compratore non siano per avventura costretti a vendere o a comprare dal bisogno o indotti a largheggiare da occasioni favorevoli per altri loro negozi; di che il prezzo di vendita sarebbe maggiore o minore del giusto per 1’ usura, i rischi ecc., che vi si saranno mescolati. Ma nell’atto predetto del 1241 sembra che il venditore abbia voluto prevenire tali dubbi ; protestando che il suo prezzo era il vero valore dell’argento a quel tempo, come risultava dalla fattane inchiesta. D’altra parte, quando si presentano numerosi (come avviene ne’ nostri notari) gli atti di simil genere, è anche probabile che i bisogni degli uni si elidano coi vantaggi degli altri, e che cosi la media dei prezzi annunzi il giusto valore. Può anche nascer dubbio sulla qualità ossia lega dell’ argento comprato, quando essa non sia espressa nell’atto; ma in genere può supporsi la lega di 23/24, consueta in Genova ed anche nelle principali zecche del secolo XIII, come vedremo più avanti (1). Nemmeno è da passar in silenzio l’obbiezione, che cioè il prezzo dell’ argento non coniato é inferiore al prezzo di quello coniato, in grazia della spesa che ci vuole per ciò, e ben sovente ancora atteso il diritto che il signore prende sopra la battitura. Ad evitare possibilmente tutti questi dubbi, si dovranno per ogni singolo caso ben esaminare le circostanze del contratto, che non raramente si rivelano più o meno dalle espressioni. Se dopo tutto (1) Vedi più sotto, p. 195, note 1-6, p. 196, nota 1. — 189 — ciò si saranno ottenuti risultati che abbastanza calzino colla serie già fondata su altri dati e sui fatti principali, non é egli vero che avremo buono in mano a sperare di aver trovato il bandolo della verità? È appunto ciò che cercammo fare noi, non senza molta pazienza; ma, non pretendendo sottoporre i lettori alla stessa noia, ci contenteremo di additar loro alcuni atti tra i meno soggetti a difficoltà e la cui interpretazione, non tentata finora, ci somministri nuovi elementi all’uopo. Troviamo nel 1253 (1) e nel 1266 due contratti, uno dei quali già indicato, ma non spiegato dal Gandolfi. Si tratta in entrambi di bisunti di migliami e, specie nel 1253, di tali della Zecca di Genova e di Toscana. Fermiamoci a chiarire dapprima questi due vocaboli : migliarese e bisante. Migliarese (miliarensis) è parola di moneta già in uso ai tempi dell’ imperatore Costantino, e si crede derivata dacché mille di quei pezzi avessero il valore di una libbra d’oro. Il nome continuò sotto l’Impero romano e giunse al medio evo ; dove, volendoci tenere dal secolo XII in poi, troviamo i miglia-resi specialmente al Garbo 0 iMagreb, cioè nell’ Africa occidentale e nella Spagna mussulmana. Già ai tempi di Leonardo Fibonacci di Pisa (1202 -1220) (2) e (1) Non parlo del grosso colla leggenda Civitas Ianua del 1252, perchè sebbene nc consti per gli Annali e pei Medaglieri, ha bisogno più di ricever luce dalle altre monete che di comunicarne. Si sa che è di lega eccezionale, inferiore agli anteriori e posteriori suoi, perciò rifiutato in commercio e presto ritirato. 11 suo biglione però sembra durato più a lungo. (2) T arcioni-Tozzetti, Viaggi. Firenze, 1868, II. 62. — Zaccarie, Excursus... per Italiam. Venezia, 1754, p. 251, ma ora è integralmente nella bella edizione del Principe Boncompagni, Roma, 1857, Opere di Leonardo Pisano, Liber abaci, 1. 92. — 190 — poi parecchie volte a Bugia ed a Tunisi nel 1254, a i lurcia nel 1258 e 1267, a Maiorca nel 1232, 1257 e 1282, a Tunisi di nuovo nel 1263, 1278 e nel seguente secolo (1). Il Pegolotti (1335-40) li trova colà come in a tre citta africane, a Saffi, a Marocco, all’isola di Gerbi, ma li lammemora pure dove nacquero, a Costantinopoli (2). In Francia sono indicati a Marsiglia nel 1212, e pei paiecchi anni di seguito a Mompellieri e alla vicina Maghelona dal 1259 al 1266 (3). Per l’Italia, li abbiamo in Sicilia già nel 1104 e 1133, a Messina nel 1257, e 'i si ripetono nel 1278; a Napoli, a Pisa, a Montieri e lle^ rest0 di Toscana, del 1243, I253> 1278; a Rimini nel 1240 (4). Ma tra tutte le città d’Europa, e più che a Mompellieri, sono frequenti le indicazioni dei migliatesi in Genova, in grazia del suo vivo commercio col-1 Africa allora fiorente, cotalché ne parlano i nostri atti notarili del 1191 al 1282 almeno (5). I Fieschi, signori di Savignone, in altro di questi atti trattano una impresa per far battere per proprio conto migliaresi • ;p^E "^AS ^ATRIE> r,ait*s de paix et de commerce avec les Arabes, au tnoyen g aris, Plon, 1666-72. Vedi Miliarenses nell’indice in fine, ove anche mezzi q arti di migliaresi — Garampi, loc. cit. — Fusco, Moneta di re Roggero ' (2) Pegolotti et. (nel Paghimi, Della Decima. Lucca, ,766), III, p. 23, 139. 27«. — Fusco cit., p. 26. CHE*U> 1> I03> Jurium lì. 47. _ Cartier, in Rèvue Numismatiquc, 5>, p. 208-209, 2ii, ove anche migliaresi di Carlo d’Angiò. m 4! .. S^°’ M’ 2"' ~ Garampi, loc. cit. — Carli, Zecche d’Italia, volume delle Opere. Milano, 1784, p. 300. - Lami, Novelle Letterarie. Firenze, 1752 , P- 370. - Zanetti, Monete d'Italia. Bologna, ,783, IH. 372. (5) Sono più di venti nel Richeri gli atti che parlano di migliaresi; scelgo 7 1 Sl l mÌglÌ3reSÌ dCl,a ivi> '> ”3. 3; I, 1.4, /, 1, 100, 0 e 7. — i9i — di peso e lega conforme ai battuti a Genova e col consenso della Repubblica (i). Non é già che tutti i migliaresi qui rammemorati avessero il medesimo valore e lega; no; anzi ne troviamo dei migliori nella meridionale Italia e in Africa e dei peggiori a Mompellieri (2); ma il loro carattere comune é di essere pezzi d’argento abbastanza buono, in una parola essere sinonimi al nome più comune di grossi dei quali si é sopra parlato. Ciò é tanto vero, che i noti grossi tornesi di Francia nel trattato dei Crociati con Tunisi del 1270 si chiamano da quel re dirmi dei franchi (3), e i nostri viceversa chiamavano col nome di migliaresi i diremi musulmani, come migliaresi li appella il sovra citato Leonardo Pisano. Inoltre, in altro trattato di Tunisi con Pisa del 1353, il testo latino dice miliarenses quelle monete che il testo arabo appella diremi (4). Spiegati i migliaresi, passiamo al bisunte. Aneli’ esso è nato a Costantinopoli e da Costantino, ma era di oro, ed in principio e per lungo tempo fu chiamato soldo, poi anche iperpero (cioè di purissimo metallo). Presso gli occidentali prese il nome di bisunte da Bisanzio, valea dire Costantinopoli, suo luogo d’ origine; (1) Richeri, I, 83, 1. (2) Pei diversi titoli o leghe, vedi Pegolotti, 139, 278. — Fusco, p. 27. — Cartier, cit., p. 208, 209. (3) Amari, Diplomi Arabi nell' Archivio Fiorentino. Firenze, Le Monnier, 1865, p. 89, 102. — Amari, Vespro Siciliano, docum. ultimo; benché egli erri, a mio avviso, tenendo che quei diremi franchi fossero i parisis. Ma questi non erano grossi d’ argento, sì biglione un po’ migliore del piccolo tornese ; senza dubbio vi si tratta di grossi tornesi di san Luigi. (4) In Leonardo Pisano , 1. c. — Amari , Diplomi cit., p. 102. — De Mas Latrie, Traitis cit., Documenti, p. 157. — 192 — e siccome tu per secoli l’unica moneta d’oro che corresse dovunque, turono appellate bisanti anche le imitazioni che se ne fecero in seguito fra gli Arabi e nell Occidente cristiano. Per rapporto all’ argento, il bisante valeva un certo numero di migliaresi, 14 in origine, poi lungamente 12, infine dal XII secolo m poi 10 soltanto. È noto che dieci diremi (migliaresi) si agguagliavano a un dinar (bisante) ai tempi di Abd - el - Mumen , il forte Almoade, signore del Garbo (1154-63), ed ancora sotto i suoi successori, L°me appare nei trattati coi Pisani (1). Di nuovo il pisano Leonardo Fibonacci ci assicura, al suo tempo (1202-1220) continuare tale rapporto decuplo tra il bisante e i migliaresi del Garbo. È attestata la stessa cosa per Tunisi nel 1273 (2), in occasione del pagamento del tributo che quel re faceva a Carlo I d’Angió; si trova eguale rapporto al 1282 nel trattato fra i Genovesi e il re di Maiorca; sebbene l’editore del libro Jurium, ove il documento si legge, non abbia saputo interpretare le iniziali che accennavano a questa specie di monete (3). Lo si trova ancora nel seguente secolo in Marocco e Saffi, per testimonio del Pegolotti (4). Né era differente (1) Leonardo, loc. cit. — Amari, loc.cit. e p. 398, e confronta ivi le pp. 129, 44> 158, 322, 332, 424. Nel complesso delle quali risulta il rapporto decuplo. — De Mas Latrie cit., p. 224, ancora al 1356. *2) Fusco, p. 26. — De Mas Latrie cit., Documenti, p. 94, 157. (3) Jurium II. 47; dove l’edizione interpreta l’iniziale b per barbarugini in- 7. ' ^'sant'> la sillaba mir (dell Emiro) per miranda; miliariis invece di siis. Qui il rapporto decuplo risulta dal confronto dei migliaresi coi soldi reali di Valenza. (4) Pegolotti, p. 23, 139, 278, ove anche migliaresi di Tripoli e di Gerbi. Capmany, Memorias historicas sobre a marina, commercio........ de Barcellona. Madrid, 1792, IV, append. 4.*, 130-133. — »93 “ da questo rapporto decuplo la consuetudine dell’ Occidente cristiano contemporaneo; ciò vediamo dimostrato dal eh. Fusco pel tempo dei Normanni nella inferiore Italia, ove dieci ducati d’argento (migliaresi) equivalevano a un iperpero (bisante) (i). Quindi crediamo poter fermare in genere che, ogni qualvolta trovisi 1’ e-spressione : bisanti di migliaresi, si debba intendere un numero di dieci migliaresi equivalenti ad un bisante. E ciò malgrado il dotto Cartier (2), il quale non avendo avuto sott’occhio che un solo documento di Mompellieri, ove si trova una simile ma vaga espressione, ne suppose il ragguaglio a dodici; indottovi senza dubbio dall’analogia del soldo, che una antichissima e radicata consuetudine continuò a ragionare a 12 danari fino al secolo passato. È chiara tuttavia la ragione della differenza fra i due casi; l’uno e l’altro, il soldo e il bisante, cessarono di essere pagati in oro effettivo, essendosi verificata una sproporzione di valori fra questo metallo e l’argento ; e siccome ai tempi diversi, ne'quali operaronsi i due stacchi, il soldo (più antico) correva per dodici danari , il bisante più tardi correva per dieci migliaresi, così avvenne naturalmente che si continuasse a ragionare a dodici il soldo, a dieci il bisante ; entrambi divenuti di conto, cioè pagati non più in oro, ma in pezzi rispettivi d’argento, come più vantaggiosi e favorevoli al commercio. Né si badò più allora se i danari e i migliaresi andavano sempre più scadendo; attalché, secondo un mio computo sui migliaresi del Garbo, nel solo (1) Fusco, p. 37. (2) In Révue Numismat., 1855, p. 208. Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XIX. *5 — 194 - secolo XIII calarono essi da due grammi e più ad un grammo e meno. Quanto al soldo, basti dire che da principio alla fine della Zecca genovese calò da 97 centesimi a quattro; e tuttavia si durò a chiamare soldo una collezione di 12 danari qualunque fossero, mentre 1 originario soldo d’oro oltrepassava le lire italiane 15.50. Tale fenomeno avvenne sovente edavviene ogni qualvolta si verifichi la sproporzione fra i due metalli; essendo naturale che ciascuno paghi in quella moneta che costa meno, e viceversa nasconda 0 mandi fuori il metallo più caro. Dopo il soldo e il bisante accadde altrettanto al fiorino d’ oro, che diventò aneli’ esso di conto, ragionandosi in argento a un certo numero fisso di soldi correnti: a Genova 25, a Firenze 29, a Milano 32, a Venezia 64, mentre in oro era costante a italiane lire 12 e più. Altrettanto dopo il fiorino avvenne allo scudo d’oro; di guisa che quando un creditore volea la restituzione proprio nella specie di moneta da lui data, dovea pattuire il pagamento in scudi d’oro in oro, espressione letterale. Ed ora spianatami la via con questa, torse lunga, ma spero non inutile digressione, posso passare alla indicazione ed alla interpretazione dei documenti sovra promessi. Nel 1253 si tratta tra privati l’acquisto di una partita di bisanti di migliaresi, della Zecca di Genova, a ragione di bisanti 20 e migliaresi 7 per libbra (1). Secondo gli schiarimenti dati testé , sono dunque migliaresi 207 , tagliati in una libbra del peso di Genova, pari a gr. 316.75. (1) Richeri, I, 113, 4; I, 114, 7. - i95 - Perciò ogni migliarese viene al peso di gr. 1.53, già dunque nel 1253 molto decaduto dal peso di gr. 1.70 che vedemmo al 1220-1230; il nuovo migliarese si va così accostando al peso digrammi 1.46, che notammo doversi raggiungere più tardi nel 1288. Da altro documento del medesimo anno 1253 , risulta che i migliaresi della Zecca di Genova sono di titolo eguale a quello della Zecca di Toscana (1); anzi da più altri atti contemporanei si vede che l’argento di queste monete era la stessa lega che quello dei grossi di Venezia e dei grossi antichi di Genova (2), e pare anche di quelli di Mompellieri (3). Più tardi, cioè nel 1287 e 1291, invece di bisanti di migliaresi compaiono parecchi acquisti di verghe d’argento della Zecca di Genova , di lega di steriini marcate col marco del nostro Comune (4). Ora si può provare con documenti sicuri che gli steriini erano del titolo di ,}/J4 d’ argento fino, come erano anche i grossi tornesi (5), i toscani e i piacentini a quel tempo (6); dunque della stessa lega si debbe intendere l’argento di Genova del 1253; della (1) Richeri, loc. cit., e. I, 113, 1. — De Cecha Janue vel de Cecha Tuscie, Gan-dolfi cit., II. 146. — Foglialo de’ Notari, ms. Bibl. Civica, I, 518, che è una copia del Richeri, ma in ordine differente. (2) Richeri, I, 113, 4 e 7; I, 114, 5. (3) Ibid., I, 103, 8. (4) Ibid., I, 158, 1; 158, 5, 159, 3; II, 12, 1 pel 1287; e pel 1291 I, 180, 6 e 7. (5) De Wailly, in Acadèmie des Inscriptions, XXI, 2.e partie, 121, 165. — Cartier, in Revue Numismat., 1847, p. 139. — Le Blanc, Monnaies de France, Paris, 1690, p. 171. (6) Per la Toscana eguale a Genova, vedi sopra. — Per Pisa Lami, loc. cit. — Per Siena, eguale alla lega veneta, in Banchi, Breve (Archiv. Stor. Italiano, 1866, III, 80, 82). — Per Piacenza al 1219 in Rcgistrum magnum Placentie, fol. 199 v.°; ms. in quell’ Archivio Comunale. — 196 — stessa lega i suoi grossi antichi 0 primi, che é ciò che abbiamo promesso in principio di dimostrare. Arrogi che il medesimo titolo si trova indicato negli Statuti po-steiiori, quelli del 1348 e del 1403, ed anche più specificamente si conferma dai registri di Zecca, cominciando dal 1365 quando compariscono, fino a tutto il secolo XV (1). Ammesso ciò, l’argento di ,5/M del migliarese del 1253 si riduce dal peso di gr. 1.53 al fino di gr. 1.465. Ma questo migliarese vale egli mezzo soldo? Perché duri tale il suo valore, bisognerebbe che il bisante in quegli atti fosse ragionato soldi cinque, siccome costituito da 10 pezzi. Ma é qui dove troviamo quella oscillazione di prezzi che già abbiamo notato osservarsi negli atti privati, dove al giusto valore si mescolano rischi, usure, dilazioni a pagamento, bisogni, comodi, ecc. Nel contratto in discorso si dice che per ogni bisante non pagato si dovevano restituire soldi sei; si vede qui chiaramente stipulata una specie di multa che aggrava il prezzo. In altri contratti simili e del medesimo anno si 'ede il bisante di migliaresi abbassato invece a soldi 4 e den. 8 ed anche a soldi 4 e den. 7 % (2). Una semplice considerazione scioglierà credo questa difficoltà. Il (r ) Regole pei fabbri, a. 1348, nel Foglialo de' Notari, ms. cit. Ili, 2.‘, fol. 67. -Statuto genovese di Bucicaldo, del 1403, ms. già del nostro Archivio, ora al Mi-estero pang.no degli Affari esteri, fol. 4,f 385. £ ben vero che a questa ultima e lo steriino do\ea essere scaduto di lega, e cosi lo statuto gli as-d titolo di once 11 /u (milles. 923), e di più non si tratta qui di mo-™a dl arSemo de °Pere grosso. - Ma già nel secolo XIII Paolo a , dell abaco, poneva i grossi genovini a «/., (in Zanett. cit. III, 373I. (a) RiCHER. bisante a soldi 6, I, „4, 7; a soIdi den. 8 , n so|dj 4- 7 V„ I, 116, 2. _ Gandolfi, II. 150. - '97 — bisante è di conto, i dieci migliaresi che lo costituiscono non possono essere emessi dalla Zecca pel valore frazionario che avrebbero, se il bisante valesse soldi 6 0 soldi 4, 8, oppure 4, 7 ma devono avere un valore rotondo ogni danaro e cosi non il valore di danari 7 '/s 5 5S/.oo 5 6/.o, come avrebbero per quei documenti , ma sì il valore quasi medio e certamente rotondo di denari sei pel migliarese e di soldi cinque pel bisante. Ciò tanto più, perché si trova precisamente al prezzo di soldi cinque il bisante di migliaresi nell’anno 1266, che é il secondo dei documenti da me promessi (1). Ivi per verità si contratta 1’ argento a peso diverso da quello della libbra, ma é un peso pure genovese e che sta in rapporto diretto colla sua libbra; é il marco di Genova che, quivi stesso e più volte altrove, é dichiarato equivalere a onde nove ossia a tre quarti di essa libbra (2); di che é agevole fare il confronto tra 1 due documenti allegati. In questo del 1266, si fa il contratto a soldi 5 per bisante di migliaresi e se ne acquista una certa quantità, ragionata a bisanti 16 per marco di Genova; perciò col predetto rapporto decuplo sono bisanti 22, ossia migliaresi 220 tagliati in una libbra di Genova; e questo torna a grammi 1.439 Per migliarese in peso e a gr. 1.379 m ^n0 ar~ gento. (1) Gandolfi, loc. cit. — Richeri, II, 19. 2. - Foglialo it’ Notari, III, 1/, p. 69. (2) Richeri, I, 16}, 6; II, 19, 2. — Gandolfi, loc. cit. — Rocca , Pesi e misure antiche di Genova, Sordo-Muti, 1871, p- 114, ove unii buona dissertazione sul marco di Genova. — 198 — Ricapitolando i dati raccolti fin qui, ne riesce la serie e scala seguente: 1139-1141. Un soldo di Genova di conto tiene d’argento fino gr. 4.399. ”72, ’ » » » > > » 4.176. I201‘ * » ». 1 > > 3.947. ma probabilmente anche meno, perché qui si tratta d’argento non coniato. i2_o 1130. Ln soldo di due migliar, di 1.70 in peso tiene d’arg. fino 3.259. 1241. Un soldo di conto a gr. 3.299 in peso, resta fino 3.162. 1253- Un soldo di due migliaresi di gr. 1.53, in peso iestafino 2.933. * » » » 1.46, > > 2.798. 1288. Un soldo effettivo , 2.932, » , 2.8oi. Non deve far meraviglia se nelle ultime due cifre si tiovi una tenuissima eccezione al sistema consueto di sempre maggiore scadimento. Tali casi accadono talora anche in altre zecche per buone ragioni, di floridezza, di onore, del finir d’ una crisi passeggera ; ma restano sempre fra limiti ristretti e non intaccano a lungo la regola generale. Del resto, che tale veramente fosse il valore del soldo a que’ tempi, oltre al preciso documento ufficiale del 1288, risulta pure, almeno approssimativamente , dai prezzi dell’ argento che s’incontrano in parecchi atti notarili del 1287 e 1291 : argento che già dicemmo descritto di lega di steriini in verghe inarcate col inarco del Comune (1), Come ho già avvertito, in simili atti privati non si può aspettare il giusto e preciso valore; ma, quando ce n’é un discreto numero, ci mettono sulla via ad ottenerlo (l) Vedi gli atti citati a pag. 195 nota 4. - r99 — abbastanza soddisfacente. Il grosso o soldo dell’ ufficiale documento 1288, al peso di grammi 2.93 tornerebbe pel calcolo a lire 5, 8, e den. 4 '/* (0; ora 1 prezzi dell’ argento in verghe della lega solita ondeggiano ne’ nostri documenti fra le lire 5.5 e le lire 5.9, cosicché il peso suddetto a gr. 2. 93 si può presso a poco considerarlo come la media. Va qui notato per la storia che la maggior parte di questi ultimi atti notarili hanno tratto ad operazioni per emigrare a Caffa in Crimea, città da non molti anni occupata dai genovesi e che divenne presto colonia fioritissima, l’occhio destro della madre patria sul mar Nero. Ed uno di questi contraenti é Paolino D’Oria (2), che si prepara a partire in febbraio 1287, e che noi troviamo due anni dopo il primo noto console di Caffa; lodato in patria, perché udendo di Tripoli di Soria oppu-pugnata dai Saraceni, si affrettò ad accorrere al soccorso con una squadretta, benché non giungesse più in tempo. Ancora una osservazione generale. I nostri lettori forse avrebbero desiderato che noi, invece che a grammi d’ argento fino, avessimo dato il valore del soldo in centesimi di lira italiana. Ma l’esperienza ci apprese, che la lucidezza e il confronto dei risultati nella scala si afferra e si precisa molto meglio col nostro metodo; abbiamo anzi dovuto deplorare più volte che gli antenati non avessero a loro disposizione un mezzo simile, noto al mondo moderno; le traduzioni dei valori delle (1) Valore della libra d’argento del solito titolo, a lire 5, 5, in Richeri, I, 167, 6; a lire 5,6, ibid. 1, 180, 2; a lire 5, 8, 5, ibid, I, 114, 3; a lire 5, 9, ibid, I, 11 j, 7. — Gandolfi, II. 146. (2) Richeri, I, 158, $• — 200 — monete che tacevano gli antichi in baiocchi, in ducatoni, in scudi romani o simili, furono un impaccio agli stessi contemporanei, e quanto più lo sono ai posteri ! Ci recò grandissimo piacere il vedere che sia venuto al nostro parere, contro 1 uso comune e suo proprio precedente, un Nummograto così dotto e segnalato come é il signor Blancard di Marsiglia (i). D’altra parte chi desidera a\ ere gli stessi valori in lire italiane ha un mezzo semplicissimo : traduca i nostri grammi in centesimi di ira a 22 centesimi per grammo d’argento fino, o, per essere ancora più esatti, a 222 millesimi. Daremo fine a questa parte esprimendo ringraziamenti a nome nostro e crediamo ancora, a nome della Società Ligure, al dotto e liberale Cav. Brambilla, il quale alla già lodata cortesia volle aggiungere quella maggiore i lasciare a tutto agio nelle nostre mani la sua moneta; 1 che ci pose in grado di farne ritrarre il disegno a enefizio di tutti noi e degli intendenti di Numismatica. II. Qui mi arresto quanto al primo mio scopo, che era soltanto d’illustrare del mio meglio i grossi coniati dalla Repubblica fino al cadere del secolo XIII. Senonché (1) Blancard (L.), Monnaies des Barons et des Prélatsde la France. Marseille, 1883, p. 60. fai reconnu que ce procède (di calcolare il valore al solo metallo tino, e non a lire e centesimi) employè par un savant fort distingui, M. Desimoni, pour donner un idée exacte de la valeur intrinslque, était préfirable d celui, dont j ai precedemment use, e di cui aveano usato tutti, compreso l’illustre De VVailly. — 201 — parecchi amici o benevoli mi espressero il desiderio che continuassi 1’ opera, almeno in quanto a tutti quei grossi che finiscono nel testone sul cadere del secolo XV, lasciandosi allora corrompere e cambiare di nome. Di j. questo avevo già toccato nel citato articolo sugli scudi d’argento, ma di sfuggita soltanto e come preparazione a quel lavoro. Oltreciò nelle pure sovracitate mie Tavole di valori avevo indicata la serie intera dei grossi, il loro peso, il titolo legale, il loro fino, il valore in lire del tempo e in moneta odierna; ma il tutto stava sovra la sola mia parola, quella pubblicazione non comportando la citazione delle fonti e molto meno la discussione; senzaché il nuovo studio mi ha dovuto suggerire alcune modificazioni. Ora la discussione é specialmente necessaria pel periodo che segue immediatamente a quello testé chiuso, cioè dal 1288 al 1365, perché qui mancano affatto i documenti di Zecca od altri fra le memorie genovesi, ma la mancanza si può supplire con molta approssimazione da fonti estranee. Con queste parole alludo sovratutto ai ragguagli della moneta piemontese, che in questo periodo cominciano ad abbondare; ne sieno rese grazie alle diligenti pubblicazioni di Domenico Promis (1) e del conte Cibrario (2), illustri entrambi ed altamente benemeriti verso la patria ma anche verso la mia umile persona. Ma, come si sarà già notato ed io stesso notai nei miei tenui lavori, non pretendo punto alla qualità di (1) Monete RR. di Savoia. Torino, St. R. 1841. — Montti dei Piemonte inedite, Meni. I, ibid. 1852. (2) Economia politica del medio evo, ibid. ediz. 5.a, 1861, le Tavole nel 2. volume. nummografo ed appena mi curo di descrivere 1 esterno delle monete, bastandomi il dirne quanto bisogna per lo scopo del ragionamento. Le piene notizie descrittive si possono avere nei libri e disegni del lodato Pronus, del Gandolfi, del Banchero, del Ruggero, della Descrizione di Genova ecc., e non piccolo aiuto si potrà ritrarre, io spero, dalla pubblicazione che è in vista delle Tavole generali di Numismatica genovese sovra annunziate. Pero 1’ utilità maggiore , che dallo studio delle monete può venire alla storia economica ed anche politica, è quella per mio avviso che è meno curata; voglio dire 1 esame dell’ intrinseco della moneta ; il suo valore rimpetto ai pezzi paesani od esteri, specie ove più fiorisca il com-mercio e la civiltà ; gli indizi che ne risultino rispetto al rialzo o al ribasso dei metalli preziosi ed al rapporto o proporzione fra 1’ oro e 1’ argento ; infine, allorquando si sarà potuto veder meglio in impresa tanto difficile, si vorrebbe compierla col definire l’influsso di tali mutazioni sui prezzi delle merci e sulla misura della soddisfazione degli umani bisogni. Un lavoro simile fu tentato sul finire del secolo scorso dal conte Carli con molto ingegno, erudizione e pazienza, ma allora i documenti e i fatti monetarii erano troppo poco conosciuti per poterne dedurre conseguenze sicure; fu tentato in seguito dal conte Cibrario con risultati meritevoli d’ attenzione e di lode senza dubbio, ma a mio avviso insufficienti all’ uopo ; segnatamente per aver egli trascurato (credendolo a torto evitabile) lo studio delle proporzioni tra i due metalli preziosi. Nè io intendo assumermi una soma troppo grave per le mie spalle, tengo anzi sia impossibile che si compia l’impresa da — 203 — un solo : onde, mentre proseguo con simpatia i rari che vi si vanno affaticando intorno (fra i quali il mio amico Dott. Luschin di Graz), mi adopero qua e là collaborando a mio potere dove mi si porga la fortuna e le mie precipue occupazioni mi consentano. Ciò dichiarato una volta per tutte, ripiglio il mio esame. Dal 1288 all’anno 1300I sembra che il grosso non cambiasse nè peso nè valore, stando almeno al suo rapporto col fiorino d’ oro, che è allora giunto a soldi 17 '/2 dopo il suo rapido rincaro da 12 a 14 e a 16 soldi di Genova. Ma presto, 0 poco prima del 1305, è certamente avvenuto un grave mutamento ; il fiorino d’ oro è cresciuto a venti soldi, dunque ad una lira effettiva che finora era stata soltando di conto ; ma questi soldi non sono più altrettanti grossi, come doveano esserlo fra il 1288 e il 1300. La crisi sempre invadente deve aver recato un rimaneggiamento nella monetazione; il grosso, restando fermo 0 all’ incirca, il soldo ora é indebolito notabilmente, ed eccone la prova. Nel 1305-6 il conte di Savoia Amedeo V (1) ordinò la battitura di un nuovo grosso a somigliànzà di quello che è il celebre tornese di san Luigi, ma apportandovi una tenue modificazione nel peso, che rendeva il savoiardo eguale ai grossi viennesi e a quelli detti fior di giglio. Il tornese di san Luigi si tagliava a pezzi 58 in un marco di Troyes 0 del re (gr. 244, 7529) (2), il (1) Promis, Monete di Savoia, I. 79, 393. Si noti che il monetiere ne era un Pietro Aloyer (?) di Genova. (2) Le Blanc, Traiti des monnaies, cit., p. 189. — Rocca, Pesi nazionali, cit., p. 54, pel ragguaglio del marco di Troyes o del re. — 204 — «-he rende un peso per grosso di gr. 4.219, e un fino di gr. 4. 044. Amedeo V invece lo volle al taglio di pezzi 58 /5 al medesimo inarco, donde il peso è ridotto a 4*195 e il puro argento a gr. 4.020. Quest’ ultimo grosso \ aleva don. 20 viennesi, detti poi anche speronati, e grossi 12 ossia soldi venti di que’viennesi valevano un fiorino d oro; così, den. 20 convertendosi in grammi di fino 4.020, denari 12 ossia un soldo viennese doveano contenere di puro argento gr. 2.413. Ora trapela per di\ ersi ragguagli di quel tempo in Cibrario e Promis '-he tali denari viennesi si eguagliavano in valore ai denari genovini (i), e quello che trapela da questi documenti è confermato letteralmente da un documento di Zecca dell imperatore Enrico VII del 1312 (2), dove è dato un identico valore ai genovini e ai viennesi speronati. Quindi possiamo essere sicuri che dal 1288 al I3°5 il soldo di Genova era scaduto da grammi 2.80 a gr. 2.413. Ma non si termo li; che già forse intorno al 1320 vi è un qualche peggioramento, giudicandone dal trovare il grosso savoiardo a danari 21 genovini invece dei 20 del 1305. Tale risultato, che trapela ancora dai ragguagli in Promis e Cibrario, é meglio constatato da Ilo Statuto Comunale di Tortona del 1327 (3), ma anche qui non senza un resto d’oscurità. 11 grosso che in quella città corre per 21 genovini non é detto di Savoia, I) Promis, loc. cit.; e vedi pei parecchi ragguagli ivi, voi. II nelle Tavole, pp. 8-12, e Cibrario, II, pp. 168-176. (2) In Doenniges, Acta Henrici septimi, Berlino, Nicolai, 1859, parte 2.*, P^g. 29, num. 16. (}) Promis, Monete del Piemonte cit., 1852, p. 51. — 20) — né viennese , né liordigiglio, ma si grosso tornese all’ o spedato. Si sa difatti che di que’ tempi correva, special-mente in Francia, un pezzo di quel nome e che esso era inferiore al grosso di san Luigi; questo essendo ora a sua volta contraddistinto come tornese all’ o rotondo , certo a cagione della forma di questa vocale diversa nelle due specie di moneta. Ma non avevo finora trovato nei documenti un punto d’ appoggio, per istabilire con qualche esattezza la differenza di valore tra i due grossi. Il Ducange porgendone due ragguagli ben distanti fra loro, non fa che accrescere i dubbi. Finalmente trovo un documento che me ne porge lume sufficiente, e lo trovo fra i ragguagli piemontesi più volte citati ed all’anno 1335. Come saremo a quel punto, si mostrerà che il tornese all’ 0 spedato non può eccedere i gr. 3.779 d’argento puro. Può darsi (lo direi anzi probabile, visto il grave disordine della Zecca francese di quel periodo) che 1’ 0 spedato nel 1327 tenesse un po’ più d’argento che nel 1335; ma noi, non sapendone nulla, dobbiamo attenerci al valore che ci accerta il documento pochi anni dopo. Su tale base un grosso all’0 spedato, tenendo di fino gr. 3.779 e ragguagliandosi a 21 denari genovini, il soldo di questi ultimi torna a gr. 2.159, non più ai 2.413 come al 1305. Anche il rapporto del soldo col fiorino d’oro é passato dai soldi 20 ai 21. Nel 1335 abbiamo ancora un prezioso documento piemontese (1) che, come or ora accennai, ci dichiara la differenza fra i due tornesi all’ 0 rotondo ed all’ 0 spedato, e ad un tempo ci illumina sulle monete genovesi, (1) Promis, Monete di Savoia, II, p. 12. — 206 — astigiane ed altre correnti a quel tempo ; ma esso vuol essere interpretato e rannodato ad una buona base, L questo il decreto o, come diceasi, Vordinato della città di Torino, dove figura un nuovo grosso detto gigliato, che ha un valore inferiore agli altri sovranominati e che pure conserva il valore di 21 danari genovini. Attenendoci allo stretto necessario per non accrescere la confusione, notiamo soltanto che questo nuovo grosso aggiunto a un suo ventottesimo agguaglia il valore d’ un pezzo all 0 spedato, aggiuntovi invece tre ventottesimi eguaglia un grosso tornese all* 0 rotondo. Basta quindi conoscere uno dei tre, per giudicare degli altri due; io non trovo base migliore di quella presa dall’ 0 rotondo, che si sa essere 1’ antico grosso tornese di san Luigi e che sovra mostrammo contenere d’ argento puro gr. 4.044. A tale stregua eseguiti i dovuti calcoli, si riconoscerà che il tornese all’ 0 spedato riesce, come dissi sopra, a grammi 3-779> e che il nuovo gigliato riducesi al fino di gr. 3.649; onde siccome quest’ultimo vale genovini 21, così 12 genovini ossia un soldo tornano a gr. 2.085. Ma nell’ordinato torinese del 1335 v’é ancora di più. Esso ci scopre un altro danaro genovino più antico, però ancora in corso, venti del quale sono pari ad un grosso tornese all’ 0 spedato. Su questa seconda base un soldo dei danari antichi risale al fino di gr. 2.349. Si osservi come tale risultato si approssimi ai gr. 2.41, che ci dava un soldo di Genova nel 1305; e, considerata l’impossibilità di raggiungere precise identità matematiche in materia di ragguagli di piazza, non andremo lungi dal vero attribuendo al 1305 0 circa, questi genovini che compariscono in corso ancora trenta anni dopo. — 207 — Riassumiamo di nuovo, sull’esempio del lodato conte Carli, questo secondo periodo che corre dal 1288 al 1 3 3 5- Nel 1288, (ine del periodo antecedente, avemmo in arg. f.°per un soldo gr. 2.801. Nel 1305-6 trovammo » » » 2.413. Nel 1327 » » » » 2.159. Nel 1335 » » » » 2.085. Si avverta che in questo secondo periodo abbiamo parlato solamente di danari piccoli o minuti, e non di grossi come nel periodo precedente. Di questi ultimi si tace affatto nei documenti a noi noti per questo tempo e nemmeno possiamo cavarne notizia dai medaglieri, siamo dunque ridotti a induzioni probabili. Essendo certi che il minuto continuò a peggiorare nella scala dei valori, e supposto per contrario che il grosso siasi mantenuto fermo di peso e di lega (e pare veramente che restasse così o presso a poco), questo pezzo dee valere un sempre maggior numero di minuti. Di ciò non pos-siam dubitare, anche per la ragione che non più tardi del 1363 vedremo il grosso contare per 24 minuti, mentre nel 1288 ne valeva dodici ossia la metà; è cosa nota, di senso comune e di uso nelle zecche, che una sì grande differenza di valori non possa essere succeduta di colpo, ma soltanto per gradi. Abbiamo l’esempio nella Zecca pontifìcia (1), dove sulla fine del XIII secolo i due grossi doppio e semplice (il romanino e lo steriino) erano all’ incirca di egual valore del genovino (1) Garampi, Appendice al saggio di Osservatoti! sul valore delle antiche monete pontificie, p. 11. — 20S — intero e mezzo; eppure nel 1320 il grosso papalino, succeduto al romanino, valeva piccoli 16 invece dei 12 di prima; un fiorino d’oro valeva grossi papalini 16 o soldi di colà 21 7j, assomigliandosi anche in quest’ ultimo rapporto ai 21 soldi genovesi a fiorino che dissi sopra. Più tardi trovo altro esempio crescente nella moneta savonese (1), nella quale al 1350 un suo grosso contava per denari piccoli 18; cosi tocchiamo con mano il come gradatamente anche il grosso genovino possa essere pervenuto in simile modo ai minuti 24 dell’ anno 1363. Ma siccome la moneta savonese per documenti si mostra in genere più debole di quella di Genova, non rischieremo gran che supponendo che sia venuto al valore di 20 minuti il nuovo grosso battuto tra noi nel 1339 per la creazione del primo doge Simone Boc-canegra. Tale grosso abbonda nei Medaglieri, ma non mancano le oscurità ; trovandoci noi nel dubbio quale ammettere come primo fra i pezzi distinti colla leggenda ora di Dux lanue semplicemente, ora di Ianuensium primus, ora di Dux lamie quam Deus protegat (2); sembrando più ragionevole la priorità di quest’ ultima leggenda, come quella che più si rannoda alla precedente del 1288, segnata Ianua quam Deus protegat. Ma questo è più affare dei Nummografi che si travagliano sui segni esterni ; quanto a noi supponendo il primo grosso ducale eguale in peso e titolo a quello del 1288, e supponendolo ora al corso di 20 piccoli, un soldo di 12 sarebbe disceso a gr. 1.68 di puro argento; né potrebbe molto (.1) Promis, Monete della Zecca di Savona. Torino, St. R., 1864, p. 21, 25. (2) \ edi il Maggiore Ruggero, Annotazioni Numismatiche (la 4.*). Palermo, 1881, pp. 21-27. — 209 — scostarsene. Più dubitativamente ancora si potrebbe presumere che grossi 15 al tempo stesso valessero un fiorino d’oro, perciò questo pari a soldi 25; a tale prezzo di fatti lo vediamo ne’ documenti, se non proprio nel 1339, molto presto; e la diminuzione del numero dei grossi per un fiorino é un fatto che si avverò a tal punto, che bastarono poi grossi 12 quando cioè il grosso salì a soldi due verso il 1365 , restando fermo il valore del fiorino a soldi 25. Effetti tutti questi di una sequela di crisi divise in due serie inverse, la prima di esse verificatasi pel rincaro crescente dell’oro e del fiorino rimpetto all’ argento (dal 1260 fino al cadere del secolo XIII); la seconda pel rincaro contrario dell’ argento rimpetto all’ oro e al fiorino fino al 1360 circa. Per tal guisa il rapporto fra i due metalli preziosi dopo un secolo ritornò presso a poco lo stesso di prima, cioè sul dieci e mezzo, passando pel tredici e più (1). Finalmente cominciamo a trovarci sul sodo e fuori delle induzioni, mentre c’introduciamo nel terzo ed ultimo periodo del nostro studio, che corre dal 1365 al 1493. Dove, appunto per ciò che possiamo citare documenti nostri e le più volte precisi, non avremo più bisogno di molte parole, ristringendoci a dare la serie quasi nuda e cruda dello scadimento del soldo genovino colla citazione di fonti fin qui ignote. (i) Di queste due serie ho trattato di proposito in uno studio ancora inedito: II rapporto fra l'oro e l’argento nei valori monetarii dal secolo XII alla fine del XIV. Atti Soc. Lia. St. Pithu. Voi XIX. 14 — 210 — III. Un passo prezioso, che il benemerito abate Podi (i) traeva dall’Archivio Capitolare di S. Lorenzo, c informa del valore di soldi due a cui era equiparato il grosso genovino del 1363: grossum unum sive solidos duos. Ma quale era questo grosso? Esso non poteva essere guari diverso da quello di due anni dopo, quando ci si apre la serie, se non compiuta in discreto numero, dei Cartolari dei conti di Zecca da noi scoperti nell Archivio di S. Giorgio ed ora riuniti alle carte sorelle nella Finanza dell’ Archivio di Stato. Nel Cartolario del 1365 (2) la lega dei grossi é data di I5/:4 (mill. 95^)» il consueto titolo che vedemmo; ivi l’argento di quel titolo si compra in Zecca a lire 10, 1,6 ogni libbra di peso genovese, ma coniato che sia vale lire 10.8, ossia grossi da due soldi numero 104; donde si ricava il loro peso a gr. 3.045, il fino a gr. 2.918, ed un soldo o mezzo grosso a gr. 1.459 di puro argento. Il Cartolario del 1380 non ci reca notizie che di coniazione di danari o minuti e delle loro metà note col nome di medaglia. (1) Miscellanee di Storia Ligure, ms. alla Biblioteca Civico - Beriana, IV , Registro 3.0, p. 36, da un Codice contemporaneo d’Oberto Carrega. (2) Ceche introitus et exitus, 1365, fol. 25 v.°; 27 v.°; 37 v°. — 2i r — Del peso e titolo di questi minuti toccherò in line, per quanto è possibile, non volendomi intrattenere ora che dei pezzi maggiori; e quanto al quartaro, o quarto di minuto, rimando ad altri due miei piccoli scritti (i). Passiamo al 1390; e qui vediamo notato, come tuttora in corso, il mezzo grosso effettivo di lega eguale e di peso proporzionale al grosso intero; il che ci servi già per dedurne P esistenza fino dal 1288 come mezzo soldo e dal 1365 come soldo, non potendosi supporre che il mezzo grosso di tale bontà siasi tardato a fabbricare solamente nel 1390, mentre pochi anni dopo esso appare corrotto in petachina e abbassato in lega alla metà in argento e metà in rame, come si vedrà. Il grosso del 1390 é indicato dal Cartolario (2) al taglio di 106 pezzi per libbra, e rispettivamente il mezzo grosso al taglio di 212. Cosi un grosso a due soldi torna al peso gr. 2.988, al fino gr. 2.861, e un soldo al fino gr. 1.431- I Cartolarli del 1404 e 1405 (3) ci danno il taglio dei grossi a numero 105 '/2 per libbra, al solito titolo di mill. 958; per cui il loro peso singolo é di gr. 3.002 e il fino di gr. 2.877. dura fin qui il valore di un mezzo grosso per un soldo, questo sarebbe al fino di gr. 1.438, di pochissimo superiore a quello del 1390. Ma non crediamo che sia così; il Cartolario del 1404 (4) (1) Sui Quarti di danaro genovesi e sui loro nomi volgari; nel Periodico di Numismatica e Sfragistica. Firenze, 1874, pp. 260 - 72. — Nuove considerazioni sui Quarti di danaro, nel Giornale Ligustico, 1877, pp. 117-127. (2) Ceche cit. 1390, fol. 20 v.°; 42 v.°; 45. (3) Ceche, 1404, fol. 2; 1405, fol. 1. (4) Ceche, 1404, fol. 2, 14, 19, 19 v.° — 212 _ e J annalista Giorgio Stella (i) fin dal 1402 c’ intorniano della creazione di un nuovo pezzo, che per valere sei denari o mezzo soldo si chiama scsìno, ed anche si chiama pe-tachina per dispregio e per la corruzione della sua lega che é di soli 6/„ di fino (mill. 500). Il taglio di questo nuovo pezzo è a 244 per libbra, donde il suo peso torna a gr. 1.298, il fino a gr. 0.649, e un so^o di due petachine al fino di gr. 1.298. É naturale e d’uso in Zecca, che la moneta di biglione resti un po’ al disotto dei pezzi di buon argento in effettivo valore, mentre sono identici i valori legali; e ciò, sia per la maggiore quantità di materia che ne richiede la fabbricazione e per la maggiore spesa, sia pel benefizio che intende trarne la Zecca in momenti di crisi; ma é di troppo grande qui la differenza fra un soldo di gr. 1.438 e un altro di gr. 1.298 contemporanei. Se il Governo tenta nasconderla questa differenza, il commercio tosto se ne awede e produce il rincaro del grosso come tra poco vedremo. Il tipo esterno della petachina nel seguito fu distinto dalla cornice, formata di un semplice circolo di perline; ma nella sua primitiva introduzione, sotto il dominio di Carlo VI, ha il diritto inquartato dalle armi di Francia, come mostrano i medaglieri e come ben la descrive il lodato Stella contemporaneo: Hoc anno (1402) in pecunia que de auro non est, ab ea parte ubi non fit crux, prò dumdia fieri mandatum est Regis insignia, et pro dimidia reliqua id quod vetusto tempore Jiebat ibi (il castello). Voglio ancora notare qui che la patachina, essendo 1) In Muratori, R. I. S., XVII, col. 1196. — 213 — tagliata nel 1404 a pezzi 244 e nel 1438 a num. 238, dimostra nel principio della sua emissione di volersi rimettere sul sistema originale monetario di 240 danari effettivi per ogni libbra ponderale, con lievi modificazioni occasionali ; é insomma un nuovo esempio di quel ritorno ai principii di cui toccai sopra nel grosso o steriino, quando furono primamente introdotti. Il rincaro del grosso genovino, che trapelava già nel 1404-5, si trova chiaro e sensibile nel Cartolario di Zecca del 1412 (1), dove esso è ragguagliato a danari 29, cinque di più che nel 1390. Ivi inoltre si vede in esso grosso ripristinato il taglio del 1365 a pezzi 104 per libbra; donde ne riesce il peso a gr. 3.045 e il fino a 2.918; ma pel suo cresciuto valore in soldi 2 e denari 5 , il suo soldo resta ridotto a gr. 1. 207 di puro argento. Nel 1421 abbiamo informazioni un po’ più superficiali dal Cartolario di quell’ anno (2). L’argento della solita lega di J5/*4 valeva allora lire 13. 6. 8 per libbra. A tale stregua un soldo viene al fino di gr. 1.138, ma non appare il taglio del grosso né il suo valore. Verso questi anni però figurano nei Medaglieri due grossi del nuovo signore Filippo Maria Visconti, un maggiore e un minore, l’ultimo de’ quali probabilmente eguale o simile ad altro che vedremo ancora in corso nel 1456 e che in origine forse dovea valere due soldi. (1) Ceche, 1412, fol. 3 v.°, io, 13. (2) Ceche, 1421, fol. 2, 30 v.°, il quale Cartolario, benché contenga alcuni dati di Zecca, è piuttosto dei cosi detti Officia Provisionis Communis ed è molto importante sotto questo rispetto. - 214 - Passando al 1429 ci soccorre, meglio che i Cartolarli, un decreto ufficiale del Governo (1) in cui si manifestano emessi nuovi grossi genovini al valore di denari 37 (soldi tre più un danaro) ; sfortunatamente non ce n’ é dato il taglio, ma è probabile quello di 100 a libbra di cui troveremo notizia ben tosto. In tale caso il peso ne sarebbe gr. 3. 168 e il fino di 3.036, un soldo di 37 danari a grosso si riduce al fino di gr. 0.984 rispondente al consueto decadimento della moneta. In questo stesso decreto é una notizia preziosa. Un danaro del 1429 accresciuto della sua metà eguaglia un antico danaro genovino, qui detto d’ argento e che pare ancora in corso; il calcolo di 0.984 + 0.492 fa grammi 1.476, che accenna ad un periodo verso l’anno 1365. Nel 1437 5 se crediamo a notizie monetarie raccolte nel Seicento e in genere di buon conio (2), sarebbe stato emesso il grosso al taglio testé indicato di 100 pezzi per libbra (altri ha letto 101) a 15/J4; colla differenza, che laddove nel 1429 esso valeva denari 37 ora sarebbe salito a un denaro di più (soldi 3, den. 2), cosi il peso e il fino del grosso sarebbe eguale a quello del 1429, ma pel rincaro un soldo sarebbe disceso a grammi 0.959. Ma qui ci soccorre il Cartolario di Zecca del H38 (3), dove sotto il 9 dicembre 1437 ^ dato fi) Diversorum Communis Janue, Registro segnato 17.512, a. 1428-1430, in data 11 gennaio 1429. (2) Gandolfi cit., II. 234. — Codici cartacei ms. dell’Aw. Avignone, in originale e in copia : Officii monetarum leges, statuta....... in compendium redacta per Jo. Th. Bajicum cancellarium, 1641; ivi specie il capitolo 15 De valutationibus monetarum e il capit. 5 De liga. (3) Ceche, 1438. fol. 3 v.° — 215 — il taglio a 104 a libbra; donde il peso del grosso torna a gr. 3.045, il fino a gr. 2.918, il soldo (se a denari 38 per grosso) torna ora al fino di gr. 0.921. Perciò appunto dobbiamo credere anteriore al 1437 il taglio a 100 per libbra, e probabilmente già nel 1429, come si é detto sopra. In questo anno 1437 e nel medesimo Cartolario ecco una novità, l’apparizione del soldino al taglio di 175 per libbra ponderale e alla lega di 7,2 (mill. 500); questa lega essendo già propria della petachina, ora la peta-china discese al titolo di 4/.2 (mill. 333), ma un po’ ingrossata al taglio di 238 per libbra. Con questi elementi, il soldino torna a gr. 1.810 peso e 0.905 fino; la petachina o sesino a gr. 1. 331 peso e 0.445 fino> donde due petachine fanno un soldo del fino di gr. 0.890, che resta un po’ inferiore al soldino, come è naturale. Degna di nota è questa nuova apparizione che muta il sistema. Il soldino è ora un soldo effettivo che , restando quindi innanzi fermo e costante al proprio nome, degenera però e si abbassa in proporzione dello scadimento del soldo di conto, fino a divenir tutto rame a suo tempo; laddove prima d’ora e dopo che il grosso o soldo del 1288 era andato sempre più rincarendo, non esistevano più soldi effettivi, ma erano rappresentati da due petachine o da 12 minuti. 11 soldino si distingue facilmente per la sua forma esterna, racchiusa entro una cornice a sei segmenti di circolo con altrettante palline ai loro angoli. Le notizie monetarie sovra accennate attribuiscono pure al 1437 questa emissione di soldini e petachine al medesimo titolo, ma con taglio poco differente da questo ufficiale; il che cresce i dubbi sulla loro attendibilità almeno a riguardo della data ed altri accessorii. Nel Ceche Introitus del 1444 (fol. 18, v.°, 25, 32 v.°) non si ha cenno che di petachine al noto titolo e di minuti ; di grossi non ne troviamo che dieci anni dopo, e ciò nemmeno nei Cartolari di Zecca sì in quelle notizie monetane di cui parlammo. Secondo le quali nel *454 si tagliavano a 96 pezzi per libbra a *}/J4, valendo il grosso soldi 4, den. 2 (den. 50) (1). Un grosso allora torna a gr. 3.299 peso e gr. 3.162 fino, un soldo a 0.759. Trovo ancora che una libbra d’argento si contava del valore di lire 19 e soldi 16, con qualche differenza di risultato dovuta alla spesa della riduzione del-l’argento in moneta. L’ esistenza di tale nuovo grosso a soldi 4. 2 é confermata da un conto del 1456 in un Manuale dell’ Archivio di S. Giorgio (2), che ci avverte ancora del correre in quel tempo altri grossi di Genova a prezzi diversi, che sono calcolati in quel conto a soldi 3.2 uno e a soldi 2 '/2 il più piccolo. Sulla base del grosso maggiore al fino di gr. 3.162, l’altro da soldi 3.2 verrebbe gr. 2.403, il più piccolo a soldi 2 1/, gr. 1.897; i loro pesi al solito titolo tornerebbero, pel secondo a gr. 2.507, pel minore a gr. 1.979. Specialmente nel peso di gr. 2.507 ravviserei uno dei grossi di Filippo Maria Visconti, benché il peso effettivo nei Medaglieri ne sia un po’ minore. (1) Nel Cod. Bafico cit. (2) Indulgentiarum, 1456, fol. 11; è una colletta per li Crociata in difesa di Caffa contro i Turchi. — 217 — Il taglio a 96 a libbra del grosso 1454 é poi confermato nel 1458 ufficialmente, in un decreto o grida del Registro di Governo (1); ove si notifica il peso d’ogni singolo pezzo a carati 18, che viene all’identico del 1454 in gr. 3.299; essendo ufficiale e noto il ragguaglio di quattro grani a carato, quindi di carati 144 a oncia e 1728 a libbra, peso di Gnoeva. Dopo ciò dobbiamo saltare al 1479 , per trovare nella prima filza Monetarum (2) un nuovo grosso del valore di soldi 5 e del peso di carati 19 '/2 rispondenti a gr. 3. 574. Ciò torna al fino gr. 3.425 e per un soldo a gr. 0.685 5 e questi due degli anni 1458 e del 1479 sono i grossi più antichi conosciuti, di cui sia dato il peso diretta-mente in carati, grani, oncie ecc., nel mentre che prima d’ ora bisognava ricavarlo dal taglio dei pezzi in una libbra. In questo stesso anno 1479 i signori della Maona di Scio (3) facevano coniare per quell’isola un grosso quasi eguale al genovino predetto, cioè al taglio di 88 a libbra di Genova che riesce perciò a gr. 3.599. Allora undici di questi grossi tanto genovini che di Scio si spendevano per un nostro ducato d’ oro a soldi 5 5. Verso il principio del Cinquecento il grosso da cinque soldi ricomincia a rincarire. Ma frattanto era sorta una (1) Diversorum Communis Janue, Registro 69. 561, a. 1458-1460, in data 2 dicembre 1458. (2) Filza 1.» Monetarum e di Zecca 1475, febbraio 13. — Codice Bafico cit. , anni 1479-81. (3) Promis, Zecca di Scio durante il dominio dei Genovesi. Torino, 1865, pp. 52, 64. — Archivio di Stato: Monelarum, filza i.a — Diversorum Communis Janue, Registro 130. 625, a. 1483, 6 giugno. - 218 — gran novità, voglio dire un pezzo d’argento di peso inusato finora in Italia e credo anche fuori. É il cosi detto testone degli Sforza, duchi di Milano, che prese il nome dalla testa ducale impressavi. Genova sotto il dominio dei medesimi duchi ne imitò l’esempio, mo-ificandone un poco il peso, per renderlo al giusto va ore di soldi 15, mentre a Milano fu emesso per una lira effettiva di colà; ma si conservò il tipo patrio consueto e senza la testa, per cui dapprincipio quel genovino fu denominato grossonc soltanto, seb-ene abusivamente anche questo prendesse poi il nome di testone. Abbiamo notizia di questa novità dal 1490 (i), in cui ne è indicato il peso a carati 55 s/13 (gr. 10. 152), a consueto titolo di mill. 958, perciò al fino di grammi 9-729> ora valendo esso soldi quindici, torna il soldo al no di gr. 0.649. Tre anni dopo (1493), si ve^c notata nalmente la prima lira d’ argento effettiva che mai fosse v e uta in Genova. La grida che ne parla (2), ne dà il v a ore a soldi 20, ma non il peso né il titolo. Però lo possiamo supplire da documenti piemontesi ; i quali, se bene sieno molto più recenti di data, non possono attribuirsi che a questo grossone durato a lungo in circo azione per la sua bontà, mentre nei documenti geno-vesi del 1498 e 99 lo troviamo già di peso inferiore. In Piemonte e Nizza esso é denominato terxo di ge-novmo, perchè tre di questi valevano un ducato d’ oro (1) Constitutiones et ordines Ceche, Cod. membranaceo'nell’Archivio di Stato, ms. num 15, fol. 14, marzo 18; ne è copia alla Universitaria. — Cod. Bafico cit. 12) Constitutiones cit., fol. 24. — Cod. Bafico cit. — 219 — a soldi sessanta. Nella prima di queste regioni il peso piemontese ridotto al metrico diventa gr. 13.448, ed ivi é detto del titolo di 2J/24. A Nizza e in Savoia é di poco inferiore, e si ragguaglia a gr. 13.344 (1). Se accettiamo come più antico il peso maggiore in gr. 13.448, un grossone a soldi 20 rende il fino di gr. 12. 888, e per un soldo gr. 0.644. Ricapitoliamo anche questo terzo periodo dal 1339 al 1493. 1339. Supposto un grosso Dux primus o simile al peso del 1288 e al valore di danari 20 darebbe pel soldo un fino di.......grammi 1.680. 1365. Un soldo consistente in mezzo grosso d’argento un fino di » 1-459 1390. » » » » » » » 1.431 1404-5. » » in due petachine da sei denari ciascuna » 1.298 1412. Un soldo a ragione di soldi 2.5 per grosso......» 1.207 1421. » » di lire 13.6.8 per libbra argento solito » 1.138 1429. » a soldi 3.1 p. grossoe supposto ungrossoa 100p. lib. » 0.984 1437. » col grosso a soldi 3.2.........» 0.921 » » ma in soldini nuovi..........» 0.905 e in petachine...........» 0.890 1454. » coll’argento a lire 19. 16 per libbra .... » 0.800 » col nuovo grosso coniato a soldi 4.2 .... » 0.759 1479-80. » col grosso a soldi 5..........» 0.685 1490. » col grossone a soldi 15.........» 0.649 1493. » * ’ 20.........* 0.644 (1) Promis, Monete di Savoia, li, pp. 56, 238, 288, anni 1514, 1529, 1541 ; pesi di Piemonte indicati in den. 10, grani 12. e in den. 10, grani 10. — 220 — IV. Ho promesso toccare anche dei danari o minuti, soggetto molto più scarso e difficile per manco di documenti. Tuttavia ci resta almeno il principio e la fine della monetazione de’minuti dal 1139 1490; e vi sono alcuni pochi intervalli che ci permettono di formai cene una qualche idea approssimativa e graduata. Il minuto nei primi tempi è abbastanza noto pel suo tipo esterno e semplice, colla leggenda lamia. Dal dominio di Carlo VI in poi si distingue per una forma costante e singolare, una gran croce che giunge fino all’ orlo della moneta tagliando la leggenda in quattro parti. Nel 1139-41 > come vedemmo a principio di questo scritto, il taglio del danaro era di 24 a oncia, 0 288 a libbra, al titolo di 4/i2 (mill. 333); donde il peso a gr. 1.099, il fino a 0.366, e per 12 danari 0 un soldo gr. 4.399. Nel 1490 (1) il minuto si tagliava invece a soldi 49 dan. 5 in una libbra (pezzi 593), ed era al titolo di un oncia (/„, mill. 83). Cosi un minuto restava di peso gr. 0.5 34 e di fino gr. 0.0445; un soldo perciò a grammi °*5 34* Tra questi due estremi vediamo che cosa ci suggeriscono i documenti. Nel 1380 (2) il taglio dei minuti é a soldi 30 (pezzi 360) per libbra, alla lega di (1) Constit. Ceche, fol. 54*55; in data 1492, ma pel 1490. (2) Ciche, 1380, iol. 12 v.° — 221 — oncie una e mezzo (’/a4, mill. 125). Considerato il peso dei denari ne’ Medaglieri che sono attribuiti a tempi subito dopo l’origine, possiamo persuaderci che già verso il 1220 o 1230 il taglio non poteva essere guari disuguale da quello del 1380; quindi, se vi fu veramente uno scadimento notevole, ciò non potè dipendere che dalla decrescenza del titolo disceso da mill. 333 a 125. Secondo il Pegolotti (1), il danaro genovino è indicato del titolo di oncie 3.16 (mill. 298); ma, se ciò è vero, non lo potè essere ancora al tempo di quello scrittore verso il 1340, si piuttosto ne’ minuti molto più antichi e probabilmente verso il 1220-1230 del grosso Brambilla. In tale supposizione un minuto d’allora, del taglio a 360 per libbra, torna al peso di gr. 0.879 e al titolo di mill. 298 resta fino a gr. 0. 262 , donde un soldo a gr. 3. 149. Nel 1305, supposto il titolo a oncie 2 '/j (mill. 223), verrebbe il minuto al fino di gr. o. 195 e il soldo a 2. 344; tanto questo del 1305 , come quello del 1220-30, interiori si, come è giusto, ma abbastanza coerenti al soldo in grossi ricavato da altre fonti. Nel 1380, col preciso titolo sovra enunziato di mill. 125, il minuto viene fino a gr. 0.1098 e il soldo a 1.318. Da ora in poi troviamo alterato il taglio da soldi 30 a 36 (pezzi 432) per libbra, restando ferma la lega a millesimi 125; ciò nel 1404-5 (2); di che il minuto ha il peso di gr. 0.733, ^ ^no di 0.916, e il soldo a 1.100. Nel 1444 (3) nuovo abbassamento della lega a oncie 1 4/a4 (1) Pratica della Mercatura, p. 294. (2) Ceche, 1404, fol. 2, 19, 19 v.°; e 1405, fol. 1. (3) Ceche, 1444. fol. 32 v.° (mill. 97), ma non si sa del taglio per libbra; supposto le questo non sia mutato, un minuto torna al fino di »r. 0.071 e un soldo a 0.853. Finalmente pel 1490 trovammo testé precisi il taglio e la lega; questa a un on-eia d’argento fino per libbra (mill. 83), quello a soldi 49 ?n* 5 (pezzi 593); cosj un minuto riesce al fino 1 0.0445, e un soldo a 0.5 34 come testé notai (1). Né tarerà a peggiorare di nuovo; ma noi abbiamo determinato di arrestarci qui, facendo la solita ricapitolazione eie &io\erà confrontare con quelle precedenti del soldo calcolato sui grossi. muto di peso gr. 0.879, titol. mill. 198 fino 0,162, un soldo (ino gr. 3.149. . . • 2.344. 1305. 1580. 1404-5 >444- >490. • • 213 • 0.195, • » 125 » 0.1098, • » * I.JI8' 33 125 > 0.0916, • ■ * • » » 97 » 0.0710, » • » 0.853. 534 » » 83 • 0.0445, * * * °-S 34- Con questo finisce il nostro studio indirizzato particolarmente a chiarire la specie monetaria intitolata dei grossi; 1 quali dal 1490 in poi smarrirono la loro importanza, soffocati come furono dalla sopravvenienza di pezzi maggiori , il testone dapprima, poi anche più dallo scudo dargento, donde il grosso divenne una moneta d’appunto. E questa importanza perduta fu causa che portò anche la corruzione nel titolo de’ grossi fino allora mantenutisi di buon argento ed ora, ossia ben presto, discesi rapidamente a lega di é/I2 (mill. 500), come già al loro ( ) denari minuti della Zecca genovese, ved. anche la mia Memoria nel Giornale Ligustico, ,882, pp. 209-226; ed ivi stesso (pp. 289-302) quella del • ' °dat0 Maggiore Ruggero: Sulla interpretatone del rovescio del denaro rnnuto d, Ottaviano di Campofregoso. 11 quale Autore ha pure con diligenza cd notar “ r'JSSUnt° h SCne dei minuti genov«> conosciuti finora nella sua An-notaVone numismatica (X) nella Gaietta Numismatica di Como, ,885, p. ,1-47. — 223 — tempo vi erano discesi i soldini. Anzi i grossi cosi avviliti perdono perfino il nome, appellandosi d’ora in poi cavallotti sull’ esempio di monete straniere di pari titolo, sebbene del resto quelli di Genova conservino 1’ antico tipo senza il cavallo. Non ci pare gran fatto necessario continuare la storia nostra monetaria coll’ esame dei vari testoni e degli scudi d’ argento. Dello scudo in specie abbiamo già in altro articolo studiato i primi tentativi che se ne fecero sotto la signoria di Luigi XII sui principii del Cinquecento, e quelli altri che si succedettero fino al definitivo asses-stamento dello scudo nel 1594. Dell’abbassamento sempre crescente della lira di Genova, e per conseguenza del suo soldo, fino al cader della Repubblica, abbiamo detto nella nostra già citata Appendice al Belgrano: Tavole de valori genovesi. Che se fino al 1493 importava non solo dar le cifre, ma dimostrarle, a cagione del buio che fino allora le circondava, ciò non é altrettanto necessario da quel tempo in poi ; potendo facilmente raccogliersene il materiale nelle gride, nei contratti ed in altri documenti che vanno abbondando segnatamente nella categoria della Zecca tra le carte di Finanza dell’ Archivio di Stato. Ne lasceremo dunque ad altri la cura volontieri, abbastanza soddisfatti se i nostri lettori a-vranno creduto trovare qualche novità ed aiuto nelle nostre lunghe e pazienti meditazioni. ■ _ LE CARTE NAUTICHE ITALIANE DEL MEDIO EVO A PROPOSITO DI UN LIBRO DEL PROF. FISCHER pel socio CORNELIO D ESIMO NI Atti Soc. Lic. St. Patria. Voi. XIX. n « iù chiaro ogni giorno si rivela il genio italiano nella storia del medio evo, in ogni ramo di scienza, lettere, arti e coltura in genere ; e questo genio è studiato special-mente dai Tedeschi i quali non si saziano di venir fra noi in persona ed aiutarci, additarci anche eglino stessi i nostri tesori ignoti o negletti. Fra i diversi studi così coltivati per l’età di mezzo, spicca prominente il valore degli Italiani nei viaggi, nella cosmografìa e nella nautica ; ed è sulle due ultime che un tedesco pose recentemente a nostro servigio la sua dottrina ed acutezza d’ingegno. Il Dott. Fischer, professore di Geografìa al-l’Università di Marburg, incoraggiò il benemerito editor — 228 — veneto Cav. Ongania a far eseguire e pubblicare in fac-simili le più antiche carte nautiche italiane, e ne volle assumere egli stesso la direzione e l’illustrazione (i). E il Cav. Ongania, che ci aveva già dato in simile modo il Mappamondo di fra’ Mauro e 1’ Atlante di Andrea Bianco (2), preceduto quest’ ultimo da una prefazione del Dott. Peschel, si sobbarcò volenteroso all’ impresa e ci fornì le fotografie di Pietro Visconte del 1311 c 1318, di Giovanni da Carignano (principio del XIV secolo), dell’Atlante mediceo-laurenziano del 1351 ; tutti quattro genovesi, l’ultimo almeno probabilmente (3). Seguirono e seguiranno altri parecchi lacrimili, fra i quali la Carta ambrosiana del Pizigani del 1373, i due Andrea Bianco del 1436 e 1448, la palatina genovese del 1447, la catalana di Firenze del secolo XV, il Mappamondo vicentino di Leardo del 1452, la Carta d’Alberto Cantino del principio del secolo XVI; la quale ultima, rimasta quasi ignota fino a’ nostri tempi, diverrà celebre per la illustrazione e splendida riproduzione fattane dal signor Harrisse in relazione alle scoperte nell’ America. Finalmente, con una Carta araba di cui riparleremo in fine di questo scritto e con altre minori che si emettono per brevità, l’editore ci ha dato la fotografia del veneziano Atlante di Giambattista Agnese, che fu residente colà ♦ (1) Catalogo di una Raccolta di Mappamondi e carte nautiche dal XIII al XV J secolo. — Venezia, 1881. (2) L’Atlante di Andrea Bianco in dieci Tavole con illustrazione di 0. Peschel. — Venezia, 1881. (3) Fischer D.r Theobald, Sammlung miltelalterliche IVell-und-See-Karten ita-lietiischen ursprungs ecc. (Raccolta di mappamondi e carte marittime del medio evo d’origine italiana e da Biblioteche ed Archivi italiani). — Venezia, Ongania, 1886. In 8° grande, di pagg. 254. — 229 — sebbene genovese e fu uno dei più fecondi ed eleganti cartografi del secolo XVI. Veramente non si può dire che tali facsimili sieno riusciti secondo i nostri interi desideri ; certe carte sono un po’ troppo ridotte; lo stato di alcune di esse non ha permesso che ne risalti chiara la nomenclatura ; la mancanza di colore fa che certe parti si presentino come una massa nera e un po’ confusa. Migliore sarebbe stato 1’ uso della elio-incisione, di cui si vide esempio alla esposizione di Parigi del 1875, e si servi anche di fresco il cliiar. signor Marcel (1) direttore del Deposito delle Carte alla Biblioteca Nazionale di Parigi; il quale con tale metodo diede lodati facsimili di carte francesi. Tuttavia si dee lode al Cav. Ongania così per l’ardire della non facile e costosa intrapresa, come pei risultati che ha ottenuto e che ci mettono in grado di studiare, paragonandoli insieme, questi monumenti ; tanto più gli si deve lode, perchè li possiamo studiare sotto la guida del signor Fischer. 11 dotto Professore, accingendosi a questa illustrazione, avvisò con sano consiglio di farle precedere una Memoria che riassuma il merito degli Italiani in tal fotta di lavori ; ci ha esposto 1’ origine e lo sviluppo delle loro opere e della loro arte marittima, la loro influenza sulle altre regioni e le cognizioni che da tali influssi derivarono ; il metodo scientifico e tecnico che adoperarono ; gli aiuti che ebbero in questo esercizio da altri strumenti o mezzi accessori, come la calamita, il martelogio, il calcolo, ecc. Son desse le materie di cui egli si occupa (r) Recueil de Portulans; Paris, Gaulthier, 1886. — 230 — nella prima parte del volume che annunziamo, riservando la seconda parte alla illustrazione delle singole carte marittime. L’autore incomincia col difendere la priorità degli Italiani in questo ramo, tacciando d’ingiusta parzialità il Visconte di Santarem (1) e Luciano Cordeiro (2), i quali pretendeano privilegiarne i loro connazionali portoghesi. Nè vanno esenti dalla stessa taccia i signori Major (3) inglese e Peschel (4) tedesco, dotti invero, ma offuscati per questo lato da predilezioni; né i francesi Rosny e Gaffarei (5 ), i quali, non contenti dei veri servizi prestati dai connazionali, si sforzano di gonfiare azioni marittime poco conosciute e poco conoscibili pei tempi di cui ci occupiamo. Egli loda a buon diritto il signor D’ Avezac (6) di non aver soggiaciuto a siffatti pregiudizi; avere anzi con documenti irrefragabili e con (1) Recherches sur la priorité des dècouvertes des pays situés sur les cóles occidentales d’Afrique ; Paris, 1842. (2) De la part prise par les Portugais dans la dècouverte de l'Amèrique ; Lisbona, Rodrigues, 1876. Vedi anche nel Compte-rendu du Congrès internatwnale des Amiricanistes; Nancy, 1875. Al Cordeiro rispose il chiar. genovese Cav. Prospero Peragallo nell’opuscolo: Cristoforo Colombo in Portogallo; Genova, Sordo-muti, 1882. (3) The life of Prince Henry thè Navigator ; Londra, 1868. (4) Geschichte des Zeitalter der Entdeckungen ; Stuttgard, Cotta, 1858. Al Peschel rispose il chiar. Prof. Dalla Vedova per quanto a Colombo, coll’articolo: Cristoforo Colombo e il signor 0. Peschel; Padova, 1867. (5) Per questi e per Margry e le pretese di Dieppe, vedi il citato Major pagine 117-20, 123-4, 126-30, 350, 418, e la introduzione alle pp. XXIV, XXXVUI-XLIX. (6) No tic e des dècouvertes faites au moyen dge dans l’Ocean Atlantique antè-rieurement attx grandes esplorations portugaises; Paris, Fain, 1845. ~ Note sur la I.' expèdition aux Canaries et sur le dégré d’habileté des Portugais; Paris, 1846. — L’expédition gènoise des fréres Vivaldi, 1859. — mot ancore sur les navi-gations génoises. Postscriptum 4 décembre 1859. — 231 — logica potente ricollocato i nostri al posto che loro compete di priorità; e saggiamente soggiunge che vi é luogo per tutti lungo la storia dei tempi, ciascuno abbastanza ricco della propria gloria. Invero gli Italiani furono prodigiosamente operosi e signori del commercio e delle marine nel medio evo ; come si può vedere ad esempio nella Storia del commercio del Levante del Dottor Hevd, che 1’ autore ben definisce opera classica (1). Le vie più lontane da quella parte d’oriente, come da ponente e da mezzogiorno, sono solcate da loro e tramandate ai posteri con racconti e con segni grafici o carte, che ci fan conoscere 1’ estensione delle cognizioni geografiche ai tempi rispettivi. Vediamo già, sui principi del secolo XIV, il Mediterraneo e il Mar Nero descritti con pienezza ed esattezza tale, da essere ancora oggi ammirata e fino alla fine del secolo XVII non mai più eguagliata dai geografi che pure pretendevano agire con metodo scientifico. Vediamo alla metà dello stesso secolo XIV il Caspio col suo asse in direzione buona, contro la falsa ereditata da Tolomeo e che era adottata fino allora generalmente. La potenza guadagnata dai Genovesi e Pisani, combattendo i Saraceni, segnò il principio della decadenza di questi ultimi e li costrinse a relazioni tollerate coi Cristiani, frutto delle quali furono le cognizioni nei cartografi delle regioni meridionali; dove oltre il disegno perfetto delle carte nord-africane ed egiziane, comincia già a trasparire la notizia delle oasi di Ualata, di Timbuctu e di Sigilmesa. (1) Heyd, Histoire du commerce du Lcvant au moyen dge, traduzione dal tedesco di Furcy Raynaud ; Lipsia e Parigi, Harrassowitz. Due volumi, 1885, 1886. Il Dott. Peschel (i) rileva infatti che. senza le recenti scoperte del Barth in questa parte del mondo, parecchi dei nomi segnati nelle carte medievali sarebbero tuttoia incomprensibili, e lo stesso succederebbe per le regioni dell’ India senza le dotte investigazioni del Lassen; prova certa che le indicazioni delle carte predette poggiavano sopra buone fondamenta. Giovanni di Carignano, sui principi del Trecento, addita la fonte di alcune sue notizie nel testimonio orale di un genovese che avea visitato Sigelmesa; e Benedetto Dei nel secolo seguente dichiara essere egli stato a Timbuctu (2). Già sul cadere del Dugento il genovese Vivaldi, cercando 1 India per via del ponente, avea naufragato nel paese di Gezula (l’antica Getulia) ; e suo figlio Sorleone, andandone in traccia, si era inoltrato fino a Magadoxo (3). Dal lato opposto gli italiani si erano avanzati nell’ Atlantico fino alle Canarie e alle Azorre e le scoprirono primi, come ne sono prova le posizioni di quelle isole nella carta mediceo - laurenziana del 1351. Altra prova notevole sono i nomi italiani, 0 conservati ancora, oppure tradotti semplicemente in portoghese da que’ naviganti posteriori. L’isola Lanzarotta segnatamente, col vicino scoglio Malocello e la bandiera genovese che vi sventolò a lungo nelle carte, addita evidentemente il nome di Lanzerotto Malocello genovese di cui altrove (1) Geschtchte der Erdkunde bis auf Alexander von Humboldt und Cari Hitler, (edizione S. Ruge); Monaco, Oldenburg, 1887; pp. 117-124. (2) Vedi Studi biografici e bibliografici della Storia della Geografia in Italia; Roma, 1882, i, 154, pubblicati dalla Società Geografica Italiana. (3) Belgrano, Nota sulla spedizione dei fratelli Vivaldi nel 1291; in Atti della Società Ligure di Storia Patria, xv, i88,,pp.,lw. Presso Vìsoh di Mozam- VaSC0 dl Gama trovò Poi compassi genovesi. Vedi Major, p. 396. - 23? — constatai 1’ esistenza per atti notarili, e credei poterne protrarre 1’ approdo colà verso i principi del Trecento, mentre il D’Avezac lo facea rimontare a verso il 1275 (1). Sulle nazioni occidentali l’influsso dei nostri é dimostrato dal Fischer, citando i nomi e latti loro nell’ Inghilterra, Spagna e Portogallo; dove spesseggiarono ammiragli e costruttori genovesi, chiamati ad addestrare le nazioni all’ arte e all’ imprese marittime: ciò segnatamente in Portogallo, il cui ammiragliato era ereditario nella genovese famiglia dei Pessagno coll’ obbligo di mantenervi costantemente venti ufficiali della sua patria (2). Nomi gloriosi questi ammiragli, i Pessagno, i Zaccaria, i da Levanto, i Boccanegra, e quell’Ogerio che fin dal XII secolo trasse in Ispagna ad insegnare la costruzione delle galee (3). Nomi anche degni di eterno ricordo gli Usodimare, i Recco, i Noli, i Pancaldo, i Cabotto, senza parlare dell’ incomparabile Colombo. La parte più debole nelle carte disegnate a que’ tempi è il settentrione d’ Europa al di sopra della Fiandra. Colà, come nota il Fischer, dominava la Lega anseatica colle sue numerose città, sulle quali vegliava gelosa, non consentendo agli estranei il commercio se non ai confini; ed era d’altra parte ignara o non curante dell’uso (1) Desimoni, Gli scopritori genovesi nel medio evo; nel Giornale Ligustico, 1874, pp. 224-229. Opinione seguita dal eh. Amat di San Filippo, nella sua memoria Delle navigazioni e scoperte marittime degli Italiani (Bollettino della Società Geografica Italiana, 1880, p. 66). Ove pure a pag. 129 e segg. ripete i miei argomenti sulla non identità delle persone di Antonio Noli e Antonio Usodimare, clic era supposta dal Major e da altri. Vedi Giorn. Ligtist., loc. cit., p. 272. (2) Belgrano, Documenti e genealogia dei Pessagno genovesi, in Atti della Società Ligure, xv, 1887, pp. 241-316. (3) In Atti predetti, xv, 1881, p. 248, anno 1120. — 234 — della calamita; il che non tacca bisogno tra quei mari stretti e trastagliati Quindi tutta questa distesa, abbandonata dalle vere carte nautiche, si mostrava soltanto nei mappamondi di una maniera imperfettissima. Ed è appunto il settentrione tino alle isole occidentali, che occupa buona parte dello studio dell’ autore. Descrive egli il modo e i nomi con cui era ivi rappresentata la Germania ; inoltre, per mezzo di acuti e pazienti confronti nelle diverse carte, rileva lo stato e il progresso delle cognizioni sull’ Inghilterra, l’Irlanda, il Baltico e via dicendo. Parla delle relazioni coll’ Inghilterra e la Fiandra; ove accorrono presto Genovesi e Veneziani e s’ introducono quelle colossali banche fiorentine che si arricchirono, ma anche si rovinarono, prestando danaro ai re. Gli Italiani in mezzo a grandi disagi poterono pure raccogliere notizie e far viaggi alle isole più settentrionali , se si deve aver fede, come io credo aver dimostrato doversi (i), ai racconti di Zeno, e a quelli del Querini commentati dai chiari Bullo (2) e Pennesi (3). La carta di Zeno, per testimonianza d’imparziali nella quistione, specie dell’ illustre Nordenskiòld, presenta nell’ insieme tale una somiglianza nelle relative posizioni delle Feroe, delle Scetland, dell’Irlanda e perfino dalla Groenlandia, che non può ammettersi fosse designata senza viaggi personali del cartografo, poiché (1) 1 Viaggi e la Carta dei fratelli Zeno, Studio i.° in Archivio Storico Italiano, 1878, voi. 11; e Studio 2°, ivi, 1885, voi. xxi.— Nordenskiòld, Ohi broderna Zenos resor; Stockholm, 1883. (2) Il Viaggio di M. Piero Querini e le relazioni della Repubblica di Venezia colla Svezia; Venezia, Antonelli, 1881. (3) Viaggio del Mag. M. Piero Querino; in Boll, della Società Geografica Italiana, Roma, 1885. 1» - 23 5 — non poteva aver modelli dinanzi a sé. Il Fischer, cercando anche lo scioglimento delle leggende mezzo favolose, propone fra altri il problema del mare pieno d’isole a ponente dell’Irlanda, celebrato nelle saghe di quei monaci, e crede vedervi 1’ odierna baia di Clew chiusa all’ entrata dell’ isola Clare. Fermate dunque nelle carte le posizioni che vogliono maggior interpretazione per la loro difficoltà, 1’ autore passa a considerare le carte medesime in generale , discorrendo paratamente delle loro età , dei loro aiuti e succedanei, e della loro natura. E prima della loro età. La più antica carta che abbia data scritta è quella del 1311, costrutta dal genovese Pietro Visconte (1) e conservata all’ Archivio fiorentino di Stato. A questa segue altra dello stesso cartografo colla data del 1318, di cui sono due esemplari, uno al Museo di Venezia, l’altro alla Imperiale di Vienna. Ma si hanno altre carte, che, sebbene senza data scritta, mostrano ne’ loro caratteri essere più antiche od almeno contemporanee. Già l’illustre Amari (2) acutamente vide e dimostrò, che un pezzo delle carte arabe d’Edrisi del XII secolo deve essere ricavata da altra di data anteriore rappresentante la Sardegna. Guglielmo di Nangis racconta che nel 1270 i Crociati, trovandosi sul mare in gran tempesta, consultarono le carte che avevano a bordo per riconoscere la posizione nel mare. Altra Carta, ora nota col nome di (1) Paoli, Una carta nautica genovese del 1311 ; Firenze, Bellini, 1881. Ora sono venute fuori altre due carte colla data 1330 e 1339 di un Dulcedo certamente ligure. Vedi più avanti, pag. 261, nota 3. (2) Il libro di re Ruggero ossia la Geografia d'Edrisi, in Atti della R. Accademia dei Lincei, sez.' 2.\ voi. vai, 1883, pp. 19-20; c in Bollett. della Società Geografica Ital., 1882, p. 9. — 2 36 — pisana e conservata al Dipartimento delle carte nella Nazionale di Parigi, viene attribuita alla fine del secolo XIII; e tale la mostrano le sue rozze fatture generali , 1 abbozzo delle isole Britanniche e specialmente la costruzione della rosa dei venti differente dalla forma seguita da allora in poi, come diremo più avanti. Colà pure esporrò come per questo stesso motivo, senza trasandarne altri, si dimostra la maggiore antichità dell’A-tlante del Prof. Luxoro in Genova. L’ormai celebre mappamondo di Giovanni da Carignano delFArchivio fiorentino non può non appartenere ai principi stessi del Trecento, siccome si hanno nei documenti genovesi ed altrove notizie personali di questo Rettore di san Marco al 1306 e al 1314 (1). Dello stesso tempo è Marin Sanudo, famoso per i suoi Secreta Fidelium Crucis a cui andava unito il disegno del Mediterraneo in più carte, smarrite da prima ed ora riscoperte al Museo britannico (2). La seconda metà del medesimo secolo, si inaugura col già nominato Atlante mediceo-laurenziano, a cui seguono i Pizigani del 1363 e 1375. Troppo lungo sarebbe il proseguire la serie, che va sempre crescendo in autori e nella loro fecondità ; serie che del resto si può vedere nel Catalogo distesone dal benemerito Conte Amat di San Filippo (3). Dirò soltanto che dopo li) \ ed. la mia Memoria: Intorno alla vita ed ai lavori di And alò Di Negro matematico e astronomo genovese, in Bolle!!, di Bibliografia e Storia di Scienze Matematiche del Princ. Boncompagni, vii, 1874, p. 332-334. - Atti della Società Ligure, voi. 111, p. cix e voi. iv, pag. cxlvii-cxlix. (2) Tra le Additions Ms., n.° 27376. Vedi Simonsfeld, Intorno a Sanato il veccmo, in Archivio Veneto, voi. xxiv, parte 2.->, 1882, in fine. (3) Studi biografici ecc. sovra citati, voi. n; ivi Mappamondi e carte nautiche ecc., Roma, 1882, con appendice del 1884. - 237 — il secolo XVI la fecondità non manca, ma l’arte va sempre più decadendo ; incomincia perfino a mancare talora la pergamena sostituendovi carta. Pochissime sono prima del secolo XVII le tavole perpetuate coll’incisione: ne ideò un tentativo il bravo Visconte Maggiolo genovese nel 1534, ma non si sa se sia rimasto eseguito (1). Passiamo ai succedanei ed altri aiuti della Cartografia. 11 più importante é il così detto Portolano: un manoscritto cioè o un libro che non ha tavole a disegno, ma soltanto scrittura e descrizione graduata di coste che additano le distanze da porti a porti, da capi a capi; nota le forme o indizi estrinseci che fanno distinguere i più notevoli punti a colpo d’occhio, il miglior luogo d’accesso , gli scogli e le secche, la profondità dell’ acqua , il flusso e riflusso, tutto insomma che giova meglio od è necessario rappresentare collo scritto piuttosto che col disegno. La parola portolano fu più volte abusata anche ad indicare le carte nautiche proprie; donde venne l’abitudine quasi generale di chiamar collo stesso nome di Portolano l’Atlante mediceo-laurenziano, ma è da evitare tale confusione. L’autore loda l’Amat di San Filippo di aver ben distinto nel Catalogo del 1885 sovra accennato le carte dai portolani ; ma mi si concederà d’avvertire che io già nel mio elenco delle carte genovesi del 1875 (2) aveva usato la stessa precauzione, anzi feci una nuova distinzione tra i portolani, le carte nautiche (di una sola tavola) gli atlanti di più tavole e i planisferi, come avevo già appellato Atlante idrografico la collezione delle (1) Vedi il mio Elenco di carte ed atlanti nautici di autore genovese, ovvero in Genova fatti o conservati; in Giorn. Ligust., i8fs, P- 56. (2) Vedi nel mio Elenco testé citato la prima delle avvertenze a pag. 42. — 2}8 — carte del Prof. Luxoro (i). I più antichi portolani italiani conosciuti sono quello di Marin Sanudo (per una parte almeno) nei Secreta Fidelium verso il 1325, quello del- I Uzzano al 1440, il Benincasa in Ancona, il Loredano, il ^ <-'izi ed altri veneziani; è noto fra gli stampati, benché rarissimo, quello così detto del Cadamosto (2). 11 Fischer, fa vedere per confronti che il più antico di tali lavori in Fiandra (il Seebuch) non é che una imitazione del Cadamosto. Alcuni dei portolani comprendono pure altri aiuti all arte del navigare; notizie sulle vele, sui fanali ecc., e specialmente l’aiuto principale il martelogio, che si trova anche unito al già citato Atlante nautico di Andrea Bianco del 1436. Viva é tuttora la disputa sul- 1 origine od etimologia di questa parola; di che il Professor Breusing (3), non soddisfatto delle opinioni altrui, ne propone una nuova, e deduce il martelogio dalla parola francese matelot (marinaio). Questa spiegazione a me non pare accettabile, considerata la inverosimiglianza dell essersi introdotta nell’italiano parola da una lingua che allora non avea influsso sulla nostra, specie in questa materia. Ma non mi piace nemmeno la derivazione che altri già ne avea fatto da omartologio, od altra simile ( 1 ) Desimoni e Belgrano, Atlante idrografico del medio evo posseduto dal Professor T. Luxoro, pubblicato a facsimile ed annotato; negli Atti della Società Ligure, voi. v, 1867, PP- 1-168. - Desimoni, Nuovi studi sull' Atlante Luxoro; ibid. 1868, pagine 171-271. (2) Uzzano , Compasso a mostrare a navigare; in Pagnini , Della decima ed grave\\e, Lisbona e Lucca, 1766, iv, pp. 199-284. — Ho veduto un porto ano ms. col martologio, di cui sopra, nella Imperiale di Vienna: Cod. 3345. . Porto,ani in Itali* vedi il citato Catalogo del eh. Amat di S. Filippo e il mio cit. Elenco, p. 47. (3) La toìeta de Martelojo und die loxodromischtn Karten; nel Zeitschrift fùr Wis-senschafthcbe Geographie, Lahr, ,881,11, pp. ,29.,33 e lio.1% . ivi< p , J0 c segg. - 239 — parola greca che suoni alcunché di matematico e d’imbarazzante a comprendersi. Quanto a me vi supporrei cosa jnolto più semplice, la tela o rete del mare, perchè tale è appunto l’uffizio del martelojo; ciocché pare anche potersi dedurre della parola toletta del martelojo ; titolo che ha Andrea Bianco invece di somma o di raxon del martelojo che si legge in altri. Vediamo 1’ uffizio che ha questa tavola di cifre. Il piloto dovendo dirigere la nave alla sua meta ha bisogno di conoscere ad ogni istante la posizione della stessa nave in mare; e se e come si avvicini o si allontani dalla via diretta. Il sole, la luna o la calamita colla rosa dei venti gli mostrano questa direzione secondo i 32 rombi o venti, che dividono l’area circolare in cui egli si trova; l’orologio di sabbia, la maggiore o minore gonfiezza della vela e la lunga esperienza l’istruiscono della velocità della nave misurata in miglia. Con questi due elementi per base (la direzione e la velocità) egli ricorre al martelojo, che gli presta un calcolo ingegnoso e gli insegna di quanto la forza dei venti contrari lo ha allontanato lateralmente dalla sua meta (questo dicesi allargare') e di quanto ad ogni modo ha potuto progredire più o meno verso la meta stessa (avanzare). Che se il vento contrario cessi per dar luogo al favorevole, il martelojo gli insegna quanta via dee fare per rimettersi sulla diretta (ritornare) e quante miglia dovrà ancora impiegare per raggiunger la meta (avanzare di ritorno). Tutto questo é esposto in quattro colonne di cifre, fondate sulla ipotesi di una navigazione di cento miglia; egli non avrà che a sostituire nella scala uno degli elementi guadagnati colla sua osservazione — 240 — particolare, per ottenere gli altri colla semplice regola aritmetica, detta del tre. Questo ingegnoso stromento, dopo aver torturato parecchi intelletti per trovarne la spiegazione scientifica, fu indonnato dal Prof. Toaldo di Padova, ma si egli che il Formaleoni (1) ne vollero dedurre la cognizione della trigonometria nell inventore; il signor Breusing con più v erità la bastare alla originale costruzione l’uso del compasso e della riga, insieme alle semplici cognizioni deiaritmetica. Tuttavia é facile il comprendere come sia ora molto più comodo spiegar ciò per mezzo della trigonometria e dei logaritmi. 11 lodato Professor Breusing riprende a dichiarare il martelojo più chiaramente che non a\ea fatto il Dott. Peschel, e nota alcuni errori insinuatisi in qualcuno degli esemplari di quella tavola; ma anch’egli a I^0’ dopo avere spiegato minutamente i due primi elementi dello allargare ed avanzare, salta con troppa rapidità agli altri due; omettendo quelle nozioni intermedie che legherebbero il tutto insieme in guisa da arsi intendere anche da un intelletto mezzano. Né noi qui pretendiamo supplirvi ; diremo solamente, per chi ha qualche pratica di trigonometria, che i sovra accennati quattro elementi corrispondono in ogni colonna al seno, coseno , cosecante e cotangente di ogni quarta di vento; c ii desidera aver di ciò conferma in modo piano e sgombro di logaritmi, ricorra ai libri matematici meno Sa^\jl SuWantlca Nauiica ** Vesani, 1783. - Toaldo , Saggi di Studi t; enez,a> StortI> 1782. - Peschel, nell’illustrazione dell' Atlante di Andrea Biavo pp. 7-8. - Uziell, , nella Introduzione al Catalogo cit. - citato Fi LIPPO’ PP- 29-32- — Ricordo d’un martelogio del 1390 nel mio eneo, pp. 47, 273-4, e in Atti della Società Ligure, ih, p. cxvm. — 241 — recenti, per esempio alle tavole dei seni del Ulacq (1) e dell’ Ozanam (2). Ivi troverà che quei quattro elementi si riscontrano a verbo nelle cifre colla stessa relazione e corrispondenza che hanno nel martelojo corretto; colla sola differenza che naturalmente nelle tavole dei citati due autori vi sono, non numeri rotondi come nelle medio evali, ma precisi colle più piccole frazioni che erano trascurate nel martelojo. Altro strumento è la bussola ossia l’ago calamitato ; non si sa al giusto quando questo entrasse in uso, si sa che era ignoto agli Indiani e non praticato dai marinai delle città anseatiche. Noi ne abbiamo la più antica menzione in Alessandro Neckam (1180-1187), poi in Gujot de Provins (1218); se ne parla ancora nel 1242, e in Pietro de Maricourt (1268), in Baylak musulmano al Cairo (1282) e in Raimondo Lullo (1268-1295). Vi si capisce un po’ confusamente come la calamita fu dapprima impiegata soltanto sussidiariamente per manco del sole 0 delle stelle; e come fu oscillante il modo di usarla, ora attaccata ad un pezzo di canna o paglia che la facea stare sospesa sull’acqua, ora sospesa ad un filo e nuotante in acqua a capo libero; ora con due aghi uno sull’acqua l’altro sospeso al filo; e finalmente, come al presente, sospesa sopra un pernio. A schiarimento di tale questione il Fischer rimanda giustamente ad una memoria del signor D’Avezac (3), ma egli avrebbe potuto anche citare le dotte ed acute indagini del (1) Tabulae sinuum, tangentium et secantium; edizione Hentschio, Francfort, 1757. (2) Cours de Mathimatiques, Tables de sinus ecc.; Paris, Jombert, II, 1697. (3) Aper(u historique sur la Boussole; nel Bulletin de la Soditi Giographique, Paris, 1860. Si aggiunga il cit. Major, p. 57, con notizie precise e documentate. Atti Soc. Lio. St. Patria. Voi. XIX. 16 — 242 — barnabita italiano P. Bertelli (1), che furono lodate dallo stesso D’ Avezac. _ Sulla storia di altri strumenti 0 mezzi (la stima del piloto, il solcometro, l’astrolabio, l’orologio a polvere, 1 laii, ecc.) 1 autore poco accenna: si può consultare con frutto la dotta Introduzione del prof. Uzielli alla 1.] e 2. edizione degli Studi sovracitati della Società Geografica Italiana (2). Ma già Raimondo Lullo annovera 1 ^ quattro strumenti principali di cui si servono i piloti : la carta, il compasso (circolo 0 rosa dei venti), I ago (calamitato) e la stella (per la direzione della nave) (3). _ ^ 01 a Paliamo della natura delle carte. La pergamena di cui son fatte é il piano di proiezione; tale proiezione benché si possa dire eguale in tutte le carte nautiche, tut-ta\ ia presenta qualche variazione in quelle più antiche. Il Fischer ha infatti notato, come dissi sopra, ed ha diligentemente descritta la forma della Carta pisana della fine del secolo XIII; per mia parte (4) ho rilevato nell’Atlante Luxoro, come uno dei principali caratteri della sua antichità , che esso non ha propriamente rose, ma si ogni ) opra Pietro Perugino di Maricourt e la sua Epistola de Magnete. Memoria -oso t ! ’ ne^ ^u^ettlH0 di Bibliografia del principe Boncompagni sovracitato, i, 18- £rv ^r°la ‘UtCrn0 a ^ue codlc‘ Picani dell’ Epistola de Magnete; ibid, iv, 7i. - Avezac, nei Compte -rendus de la Acadlmie des Sciences, t. lxx, *070, n. 20. (2) Pagg. 14, 15, 19, 35 e passim. Pari! ■ hC> »rP ^ °e^ ^stor^ue sur ^ proiection des Cartes de Géographie ; II 1 5’ P' 58’ ~ 1jIBRI' nel,a Hist' ies Sc’ «» IMù (1838, sito dei' V j° j13"20 popoIare Guerrino il Meschino del xiv secolo, a proposito del modo di dirigere la nave. (4) In Atti della Società Ligure di Storia Patria, i„, p. CVI. — 243 — sua carta segna due punti centrali ai capi superiore ed inferiore; su questi s’appuntano tutte le linee, che aliai -gandosi nell’ interno formano pel loro incrociamento la rete di proiezione. Ma già il Pietro Visconte del 1311 comincia il sistema non più mutato d’ allora in poi. Questo consiste in un circolo o rosa collocato nel mezzo della carta, i cui raggi stendendosi al di fuori si combinano con altre rose tutto all’intorno; i nodi di scontro fra gli uni e gli altri formano altrettanti centri di circoli subalterni alla rosa principale. Nel piano così occupato si cominciano a distinguere i quattro raggi o linee che corrispondono ai punti cardinali del cielo, tramontana, levante, mezzogiorno e ponente; poi altri quattro raggi intermedii ai precedenti corrispondono al greco, al scirocco, al libeccio o garbino e al maestro. Questi otto in marina si chiamano semplicemente venti e nelle carte nautiche si distinguono pel color nero. Seguono altri otto rombi intermedi agli otto predetti ; e questi si chiamano mezzi venti, e pigliano il nome dai venti a loro prossimi sì a destra che a sinistra, greco-tramontana, greco-levante, levante - scirocco, scirocco - mezzogiorno, mezzogiorno-libeccio, libeccio-ponente, ponente-maestro, maestro-tramontana (1); essi sono distinti col colore verde. Infine v’ é di nuovo una suddivisione in sedici venti, intermedi ai sedici precedenti, che si chiamano quarte di vento, si distinguono pel colore rosso e prendono nome dai vicini nel modo seguente: quarta di tramontana verso greco, quarta di greco verso tramontana ; (1) D’Avezac, Aperfu historique sur la rose des vents; in Bollettino della Società Geografica Italiana, 1874. — 244 - quarta di greco verso levante, quarta di levante verso greco, ecc. Il totale adunque di quelle divisioni e suddi-v izioni forma trentadue venti o rombi, ossia trentadue raggi di circolo ; il quale, come si sa, essendo di 3 60 gradi, dà ad ogni quarta di vento gradi 11 '/4, ad ogni mezzo vento gradi 22 '/2, ad ogni vento gradi 45. L’insieme forma come una stretta rete, sulle cui maglie si scrivono i nomi dei luoghi, dei porti, isole, secche e simili, in modo che corrispondano alla loro naturale posizione e direzione, secondo che la bussola e 1’espe-ìienza hanno insegnato. Quindi il pilota non ha che a tenere a guida la carta; partendo da uno di que’ punti N ei so la sua mela, vi giungerà diritto se col vento in poppa o\ v ero più adagio pei venti contrari, allargando, avanzando, ritornando, coll’uso dei calcoli applicati al martelojo. Per verità la declinazione magnetica era ignota a que naviganti i quali, seguendo l’indicazione della calamita, credevano andar diritti a tramontana e nella direzione dei rombi voluti. Da tale errore provenne che le loro carte hanno una inclinazione ed obliquità generale , e ne seguono altri vizi speciali nel passare da un mare all altro, dove il frastaglio delle coste impedisce di orientarsi e di continuare la direzione incominciata. Parimente la cura di far bene risaltare il contorno dei golfi, porti, capi e simili, fa che si aggiunga 0 si tolga un poco di spazio al mare e alla terra su quei paraggi. Simili inconvenienti furono già notati da altri, e più di tutti dal Lelewel (1); ma non aveano gran presa sul- (1) Géographie du moyen dge; Bruxelles, Filliet, ,852, n, 44-45, 109, 165.— •d, Epilogue, p. 134. _ Peschel, L'Atlante di A. Bianco, p. 8. - Uzielli, sovracit., p. 33. _ Desimoni, Elenco, p. 43. — 245 - l’uso pratico; anzi i risultati con questo uso ottenuti furono tanto splendidi, che, come già accennai, destano ancora oggi l’ammirazione dei Geografi per la precisione tanto dei particolari che dell’ insieme. Si capisce quindi come i naviganti e i cartografi non sentissero il bisogno della scienza astronomica, incomin-minciata a risorgere col secolo XV e colla nuova traduzione di Tolomeo. Tanto meno sentivano questo bisogno, quando vedevano i dotti aderire servilmente al loro corifeo e con esso commettere errori gravissimi, fino a prolungare il Mediterraneo venti gradi più del vero; un errore che durò fino al Delisle nel secolo scorso. Il Dott. Peschel (i) se la prende ripetutamente col Lelewel, che ha rilevato questo giusto punto; come se il dotto polacco avesse mirato a sprezzare la scienza a vantaggio della pratica; ma il Peschel ha torto, gli astronomi aveano bensì alla mano i buoni principi scientifici che permettono ogni progresso, ma essi non ne sapeano ancora profittare, e disegnavano carte contraddienti alla esperienza dei piloti con grave rischio della navigazione. Il Peschel (2) erra ancora su di un altro punto, come notano il Fischer e il Dott. Breusing. Vedendo quegli che le carte nautiche non sono fondate sulle basi matematiche della longitudine e latitudine, pretende negar loro ogni valore; anche per la ragione che variando col tempo la declinazione magnetica, deesi mutare la posizione della carta rispetto al mare navigato. Ma di che maniera può loro negarsi valore, quando ancora (1) Atlante citato, p. 8. — Idem, Geschiclite der Erdlcunde, cit., p. 218. (2) Gesch. d. Erdkunde, p. 215, 217. — 246 — oggi lo si ammira dai dotti non meno che dai pratici? OD ed esse servirono così bene tanti secoli senza, anzi contro, la pretesa scienza? Che, se la declinazione magnetica variava, era facile al piloto (benché ne ignorasse la ragione) emendare sulla rosa la viziosa direzione, mediante l’osservazione del sole 0 delle stelle e col far girare la rosa della carta nel verso analogo. Al Breusing (p. 183) non piace nemmeno la denominazione, che dà il Peschel alle carte, di Kompass-Karten (carte munite del compasso 0 rosa); non parendo questa proprietà segno abbastanza distintivo della loro natura. Egli preferisce chiamarle lossodromiche (a corso curvo), nome che ammette il Fischer e che pare vada generalizzandosi presso i dotti. Quanto a me non saprei se anche questo nome sia segno abbastanza distintivo, nè ardirei decidere se per avventura non sia meglio conservare la tradizione antica, denominandole carte nautiche o navigatorie, nome chiaro 0 facilmente inteso dall’universale. Continua ancora il Professore Breusing (p. 187), convincendo d’ errore coloro che ravvisano in tali carte la proiezione cilindrica, mentre è chiaro non potersi applicar loro altra proiezione che la conica. L’autore ne dà la prova e il Fischer l’appoggia, recando un esempio da carta recente che il Petermann ha costrutta secondo quest’ultima proiezione. Noi ne toccheremo in guisa più popolare, anzi più grossolana, chiedendo venia ai matematici dello esserci introdotti fra loro, qui e un po’ più sotto, noi semplici dilettanti. E noto che niun sistema veramente scientifico ebbero in mira a questo riguardo i cartografi del medio evo, i quali a non altro badavano che alla esperienza tradizionale e propria; ma se si tratti di applicare in qualche modo — 247 — un metodo scientifico ai risultati da loro ottenuti, sono ora convinto aneli’ io che hanno ragione il Breusing e il Fischer contro il Peschel e il D’Avezac (i) e contro l’opinione manifestata già da me e da altri italiani; son d’avviso cioè, che la proiezione da applicarsi debba essere la conica e non la cilindrica. Infatti la proiezione a sviluppo cilindrico importerebbe che le verticali intersecanti la longitudine fossero tra se equidistanti in tutta la loro altezza, cotalché i gradi resterebbero sempre eguali agli equatoriali; laddove in realtà i gradi in longitudine devono diminuire ognora più, fino ad annullarsi in un punto della sfera. Da una proiezione cilindrica per tale guisa non può risultare che una configurazione mostruosa, a misura che il paese figurato si scosta dal-1’ equatore ; ed a questa mostruosità non v’ è rimedio , se non temperandola e rendendola innocua col mezzo di una mostruosità contraria, cioè col sistema, ignoto al medio evo e inventato dal Mercatore, delle carte a latitudini crescenti o ridotte (2). Ma il fatto è, che quei cartografi collocavano i luoghi, città, golfi, ecc. pratica-mente, non coll’aiuto della scala mutabile de’gradi, ma con quella costante delle miglia o leghe. Con questo mezzo adoperato ripetutamente e in tutte le direzioni, d’alto in basso e da sinistra a destra, riuscivano a for- (1) Coup d’ocil historique cit. Vedi il Tableau Synoptiquc in fine. — Peschel , Gesch. d. Erdkunde, p. 216. — Breusing, p. 187. (2) Però fu già intravveduta nei principi nel secolo xvi da Pietro Reinel la necessità di scale diverse, quando si voglia applicare la misura in gradi alla misura in miglia 0 leghe. Vedi la tavola I del Kunstmann , di cui sotto. Questa importante osservazione sfuggita a tutti, compreso il Kohl, fu acutamente rilevata e spiegata dal Breusing sovra citato, pp. 194-95- — 248 — mare un immagine abbastanza vicina al vero; dove perciò la scienza può applicarvi più 0 meno esattamente la scala a gradi di longitudine diminuenti. Ora conceduto questo, e considerato che il disegno è su carta piana e non sierica, è chiaro che niuna forma vi si adatta meglio di quella dello sviluppo conico, dove si hanno i due effetti : accorciare cioè ognor più i paralleli fino a terminale in un punto e poter rappresentare i meridiani con linee rette. Finalmente il Breusing (pag. 192), trattando dell origine e spiegazione del nome Carta applicato a questi lavori nautici, esprime il desiderio che qualche filologo italiano imprenda esso a trattare lo stesso soggetto. Noi non ci crediamo da tanto; però, esaminato quel che se ne conosce già e vista 1’ ultima edizione della Crusca, ci pare (quel che del resto è consueto nel linguaggio) che tale nome oscilli dal significato originario ai derivati, senza che se ne possa dedurre il senso proprio per ogni volta se non per mezzo delle parole che gli si accompagnano : del resto già i cartografi del Trecento e poi i seguenti danno alle loro opere indifferentemente il nome di carta, tavola e simili. Le carte sogliono essere di dimensioni diverse : alcune così piccole, altre così splendide ed ornate, che si capisce non aver dovuto servire ad uso pratico, ma solo ad esempio, a studio di gabinetto, ad ornamento di case principesche. Ma in parecchie si conserva tuttora la traccia dell’ uso loro, dell’ impiego del dito, di parole e e^gende più o meno scancellate pel lungo esercizio. A cune hanno in sé congiunta la bussola reale, altre la figura, m°ltissime sono coll’immagine in testa del Salvatore, della B. Vergine e di Santi. La loro scala — 249 — è differente (si capisce) secondo le dimensioni, varia, per quanto dice il Fischer, dal minimum di uno a un milione, al maximum di uno a dieci milioni o più nelle carte generali ; ma in quelle di regioni particolari (ad esempio dell’ Adriatico o dell’ Arcipelago) si ristringe talora da uno a 2400. Vi è sempre descritta in margine la scala-base, divisa in spa^i 0 quadri, e suddivisa in punti a 10 punti per spazio ; ma rarissimamente vi è soggiunto a quante miglia corrisponda ognuno di tali spazi (1). Però abbiamo già esempio di ciò in Giovanni di Cari-gnano, che attribuisce ad ogni spazio miglia cinquanta : le miglia sono italiane e corrispondono, secondo il D’Avezac, a metri 1481 (2). Giovanni avverte altresì la differenza, che dee correre fra le vie diritte per mare e quelle tortuose per terra. L’ orientazione loro talvolta è eguale alla odierna, col meriggio abbasso ; ma se ne trovano anche all’uso degli Arabi, col meriggio in alto e il settentrione abbasso : qualche mappamondo ha in alto il levante. La nomenclatura loro non è in direzione costante, come nelle carte moderne, ma gira all’ intorno or diritta or rovescia, seguendo il giro delle coste; onde è mestieri volgere e rivolgere la carta tutto all’intorno, per poter leggere i nomi dei luoghi. L’interno delle carte nautiche é vuoto 0 quasi, non importando al navigante; (1) Abbiamo più esempi del numero di miglia indicato nelle scale per ogni spazio. Così Prete Giovanni, Visconte Maggiolo del 1512, e 1’Anonimo della Riccardiana hanno miglia 50; Visconte Maggiolo del 1519, Battista Agnese, Gramolirt del 1630 e l’Anonimo Barozzi hanno miglia 100. (2) D’Avezac, Considèrations gèographiques sur l’Histoire du Brésil; Paris, Mar-tinet, 1857, p. 97. — Idem, Les voyages d'Amèric Vespuce; ibid, 1858, pp. 158 e segg.— Uzielli, loc. cit. 1, p. 16 e 17, citando fra’ Mauro, che pone la lega marittima a 4 miglia italiane. — 250 — ‘ ^ a soltanto vi si segnano alcuni fiumi, capitali e strade P cipa 1 ad aiuto del commercio, ciò in ispecie nei appamondi ove spesseggiano più che nelle nautiche le . . lere 5 1 ^se§ni di città e porti, e figure di re spe- 2 mente orientali sotto tende, con carovane, cammelli atre rarità. Questi disegni talora indicano la sco-p rta originale delle terre, come la bandiera genovese sul-r1S° a Lanzarotta delle Canarie; alcune hanno il nome di 0 ora 0 Sciitto nell America; ma più spesso dinotano L e oggi si dice il colorito politico, e che giova alquanto a significare il tempo in cui la carta senza nome e senza data può essere stata composta. E dico giova a quanto, pei che non è a fidar troppo su questi segni (1). ^ sa che i Beni Marin estinti nel 1407 , e la croce dei a\a ieri scacciata da Rodi pei Turchi nel 1522 continuarono a figurare per secoli come se vi fossero tuttora; cosi anche durò la croce dei Genovesi su Galata di Costan-inopoli e la croce dellTmpero latino su Costantinopoli stessa, mentre quest’ ultima già dal 1266 era ridivenuta cantina e poi turca nel 1453. Tuttavia giovano questi ^bni almeno ad indicare il tempo 0 il limite più antico 1 quale la carta non potè essere stata tracciata, trovandovisi fatti che non poteano essere indovinati 1 ima di sussistere. Così, per recare un esempio, la a carta, scoperta dal eh. signor Sorghero nella Bi-„ teca PIsana del Duca Salviati, male fu attribuita al V, poiché vi si scorgono le bandiere di Spagna carte marittime ?SS^VU^toni S0Pra due Portolani... e sopra alcune proprietà delle * «- p. -iviv d * Carte 3 pp- 268 > 271 ' wrae Pure del marteloio 73 75 , della scala d.v.sa in spazi a P. 2?9; dell'orientazione a p. 283. - 251 — sopra Orano, Tripoli e torse Tunisi, conquistate soltanto dal 15 io in poi (1). Nemmeno la paleografia é indizio sufficiente a rilevare la data, a cagione del servilismo onde i cartografi copiavano materialmente con antica scrittura i modelli dei loro padri e predecessori, come mestiere di famiglia 0 di consorteria. Pure vi era sempre qualcheduno che usciva di carreggiata e badava al progresso, anche quando da italiano era divenuto progresso portoghese 0 spagnuolo ; ne abbiamo buoni esempi in Grazioso Benincasa , in Visconte Maggiolo , in Giambattista Agnese. Per tale guisa si allargava di mano in mano la carta , racchiusa dapprima fra le coste occidentali dell’ Atlantico e il Mar Nero. A ponente di Sale, ultima città romana, progrediva a Saffi, a Mo-godor, al Capo Bojador, e sempre avanti finché furono rotte le dighe colla scoperta del Capo di Buona Speranza nel i486; tuttavia (mirabile a dirsi) l’estrema punta dell’ Africa meridionale era già intravveduta e vagamente delineata nel 1351 Sull’Atlante mediceo-laurenziano. Scoperta in seguito 1’ America, si vedono il Maggiolo e 1’Agnese delineare carte all’uopo, secondo le nuove fonti a cui poterono attingere ; come hanno mostrato i chiari Kunstmann e Kohl ed ho mostrato io stesso con un rozzo schizzo del Maggiolo dell’ Ambrosiana (2). (1) Vedi Atti dell’Accademia Pontificia dei Nuovi Lincei ; Roma, Tipografia delle Scienze Matematiche, 1884, pp. 161-167. Ivi Presentazione della Carla nautica di Lopo Homen, relazione del chiar. Borghero e mie osservazioni alla stessa. (2) Desimoni, Allo studio secondo intorno a Giovanni Verranno, appendice terza; negli Atti della Soc. Lig., xv, 1881, pp. 353, 358. — 2J2 — Finalmente si giunse nei primi anni del Cinquecento alla graduazione di carte secondo il Tolomeo risorgente, senza però abbandonare il sistema della rosa dei venti. Per verità il Lelewel (i) dice che la graduazione, almeno in latitudine, figura già nel Quattrocento in Grazioso Benincasa, ma non dice in quale dei costui lavori, ed io che ne ho veduti parecchi non rammento aver notato tale graduazione. Ad ogni modo il dotto Polacco confessa, che i gradi di latitudine furono posti colà come ad ornamento o parata, senzaché punto influissero nella costruzione che resta la consueta. Ancora nell’ anno 1500, la famosa carta del Della Cosa piloto di Colombo non è graduata ; sebbene fossero già comparse al pubblico le Tavole tolemaiche nelle edizioni del 1470, 1482, i486, seguite da altre nel 1511, 1513 e va dicendo. Si domanda come e quando cominciò inflitti nelle carte nautiche la graduazione in latitudine e longitudine ? Il Breusing già lodato (2) pretenderebbe farne onore ai ai Portoghesi, siccome i primi che uscendo dal Medi-terraneo si distesero a distanze tali che gli antichi metodi pratici più non servivano a nulla. Tuttavia è certo (e Breusing lo confessa) che non si conoscono carte portoghesi di quel tempo e carattere, né se ne ha notizia 0 cenno in alcuna fonte ; aggiungi che i loro capitani nell’ inoltrarsi verso le Indie si staccavano dal continente il meno possibile ; per ciò non poteva essere ancora abbastanza sentito il bisogno di nuovi mezzi per orientarsi in mare. Questo bisogno doveva invece essere (1) Gèographie cit., u, p. 17, 160. (2) Loc. cit., p. 188. — Fischer, p. 96. - 2J3 - ben sentito nel lungo viaggio all’ America per ponente, in alto mare senza vista di terra. Frattanto la geografìa di Tolomeo pigliava sempre più piede fra i dotti ; le nuove esigenze delle scoperte é naturale che incoraggiassero questi ad applicar lo studio a questioni tanto ardenti, mentre ne pigliavano animo i principi e le Repubbliche ad interrogare gli astronomi e promettere larghi premi. Ma i risultati furono a lungo molto poveri. Behaim, il gran Behaim, di cui i connazionali tedeschi vollero fare un prodigio di scienza, nel suo Mappamondo del 1492 commette errori non meno che di sedici gradi (1), e ciò in latitudine ; figuriamoci dunque in longitudine che, come si sa, fu il martello continuo dei secoli seguenti. Cristoforo Colombo sbaglia per questo secondo elemento fino a 18 o 20 gradi, mentre in latitudine egli e il Della Cosa alzano troppo l’isola di Cuba collocandola a tramontana del tropico (2), ed inducono così i cartografi della Florida a fissare le loro (1) Peschel, Eine Welltkarte mit der Iahresiahl 1489; nell’Ausland, 1857, pagine 154-58. — Idem, Gesch. der Erlmnde, p. 236. — Major, p. 352, 393 ascrive a Behaim ora l’invenzione, ora il perfezionamento dell’ astrolabio, non so su quale autorità. Altri (come Gelcich di cui sotto) fanno Peuerbach autore del perfezionamento; altri ne fanno onore al Regiomontano maestro del Behaim. Su tali quistioni e sul cosidetto bastone di S. Giacomo succedaneo all’ astrolabio, ved. Peschel, Gesch. cit., pp. 396-399. — Sophus Ruge , Storia dell’ epoca delle scoperte; Milano, Vallardi, pp. 124-133. — Checché ne sia, l’astrolabio era già illustrato nel secolo xiv in un trattato di Andalò Di Negro (vedi il mio articolo su quel celebre astronomo, nel Buìlettino di Bibliogr. e Stor. delle Sciente Matem. del Princ. Boncompagni, luglio 1874). Non mi par dubbio che il Di Negro, come genovese e viaggiatore e scienziato, abbia dovuto usare delle molte occasioni per mettere in opera l’astrolabio anche in mare. (2) Peschel, Zeitalter cit., p. 258. — Kohl, Die beiden àltesten Karten von America; Weimar, Istituto Geografico, 1860, pp. 7-10. - 254 - carte fino a otto gradi pih del vero, come ho notato nel mio Ferravano (i). Diego Gomez osserva una differenza notevole fra il suo quadrante e la carta che aveva del mare da lui navigato presso il Capoverde. Ne potea succedere altrimenti, quando per prender 1’ altezza del sole o delle stelle non si aveano che strumenti grossolani, e per tener fisso l’astrolabio in modo alquanto più utile, bisognava scendere a terra (2). Quindi è che la somma difficoltà per que’ tempi di stabilire la longitudine indusse papa Alessandro VI, e poi i re contraenti di Spagna e Portogallo, a fissare la linea di demarcazione fra le reciproche scoperte, misurandola in leghe e non in gradi, e specialmente nel 1494 a 370 leghe a ponente dall’ isola di Sant Antonio di Capoverde. Era questo insomma il metodo cosi detto di stima, che oggi ancora non é inutile in certi casi, ma allora era il solo pratico e il più sicuro a fronte degli errori gravissimi a cui andava soggetto ogni altro metodo per la misura delle longitudini (3). La graduazione, all’ infuori delle carte tolemaiche, pare cominci dal Mappamondo di Behaim del 1492 ; ma vi è accennata soltanto lungo 1’ equatore e intorno al gran circolo che circoscrive esso Mappamondo. In seguito troviamo qualche graduazione nelle prime carte della scoperta d’ America, pubblicate ed illustrate dal Kunst-mann (4) e dal Kohl: noterò fra queste la Carta di (1) Intorno a Giovanni Verravano,... Studio 2.0, in Atti delia Soc. Lig., xv, p. 136. (2) Major, pp. 54, 393. _ Peschel, Gesch. des Zeitalters cit., pp. 91-92 — e segnatamente Barros, L'Asia (Venezia, Valgrisi, 1562, fol. 63), pel viaggio di Vasco di Gama. (3) Kohl, loc. cit., p. 9. (4) Die Entieckung America ’s nach den àltesten quellen; Monaco, Asher, 1859. — Kohl, loc.cit. - 255 - Pietro Reinel del 1503-1505 , le due anonime III e IV del Kunstmann, la quinta ivi stesso del nostro Visconte Maggiolo del 1519, e le carte spagnuole del 1527 e 1529 (1). Non è qui il luogo di addentrarsi nel loro esame, mi limiterò a farvi avvertire ciò che mi pare non avvertito fino ora ; il rapporto cioè dei gradi colla scala di miglia o di leghe ; la quale nuova introduzione di rapporti fa capire, come in allora i Cartografi cominciassero un po’ a tentoni a congiungere alla vecchia pratica le misure astronomiche. Trovo nel Maggiolo che la sua scala di 100 miglia per spazio (o quadro, come egli si esprime) si riduce a millimetri 5, 857 per ogni spazio, laddove il suo grado posto lungo la famosa linea di demarcazione corrisponde a millimetri 4, 40 circa; ciò posto un grado equatoriale diviene eguale a miglia 75 italiane (di metri 1481), il che è meravigliosamente conforme alla verità. Nelle carte spagnuole del 1527 e 1529 lo spazio misura millimetri 4 e il grado millimetri 5,60; perciò, supponendo come io tengo per certo che ivi lo spazio risponda a miglia 50, un grado riesce a spazi uno e 2/s oss>a a miglia 70, ossia a leghe 17 72 come sappiamo che calcolavano cosi il grado a quei tempi i naviganti e scrittori più accreditati (2). Le altre carte non sono altrettanto chiare a questo riguardo e meritano studio maggiore ; però mi paiono alludere a simile misura le cifre 12 ’/2> 25> 37 5°> ecc-> clie trovo in una scala della Tavola III del Kunstmann ; (1) Vedile nel Kohl, scritto cit., con bellissimi fac-simili. (2) Harrisse, Les Corte-real, p. 75-76, benché altri le stimassero leghe di 16 '/„. — 256 — sarebbero cioè spazi di leghe 12 1/2 0 miglia 5°> e cosl poi leghe 250 miglia 100 e va dicendo. Fra le carte di quel tempo ce n’ è una comparsa recentemente ; quella d Alberto Cantino pubblicata, come già accennai, dallo illustre mio amico il sig. Harrisse (1), col quale, avendo il piacere d’ andar d’ accordo ordinariamente, mi duole dover dissentire alcun poco in questo. La Carta del Cantino non ha traccia di graduazione, soli indizi astronomici essendovi l’equatore ed i tropici. Ma il sig. Harrisse ci vuol trovare anche la graduazione sulla misura del raggio terrestre a 5 milioni di metri invece di sei; e tiene, come inutile e di nessun conto, la scala anzi le due scale che vi sono, laddove esse evidentemente rappresentano le misure delle distanze in miglia 0 in leghe, come era pratica generale. Non è già eh’ io voglia negare la possibilità e 1’ utilità di sottoporre alla graduazione i risultati ottenuti colla pratica; anzi lodo il Lelewel che con pazienza ed acutezza notevole fece tale operazione sulle terre lungo il mare Mediterraneo, e mostrò a colpo d’occhio la differenza di giacimento che corre fra le carte di quel tempo e la realtà (2). Ma dico, che se noi ora partiamo dalla cognizione dei gradi per istabilire la quantità delle miglia percorse, succedeva il contrario (1) Les Corte-real et leur voyage au Nouveau-Monde ; Paris, Leroux, 1883, pa-8ine 73'77- Sul metodo di quel tempo per misurare le leghe 0 gradi fino alla linea di demarcazione, vedi Gelcich , Beitràge \ur Geschichte des Zeitalters der Entdeckunden, in Zeitschr. der Gesellscliajtfùr Erdkunde; Berlin, Reimer, 1885, XX, 316-322. Memoria notevole, anche peichè l’autore difende dottamente Cristoforo Colombo contro le obbiezioni del Peschel e quelle più recenti del Breusing, di Cesareo Fernandez Duro, e di Sophus Ruge. (2) Vedi sopra la nota a pag. 244. - 257 - allorquando cominciò la scienza a riunirsi alla pratica. I Cartografi partivano dal numero delle miglia da loro sperimentate, per dedurre il numero dei gradi ; cosi ciò che per noi è secondario, era per essi principale ; la scala in miglia o leghe era la base dei loro calcoli (i). Ma vediamo ora in breve come 1’ Harrisse sciolga la questione. Partendo dalla misura della verticale fra l’equatore ed il tropico, egli ne deduce un grado di latitudine pari a millimetri 8 4/10. Ma come lo deduce ? Stabilendo senza ragione precisa a 24° 40' la distanza fra i predetti due punti ; onde dal numero dei gradi così misurati inferisce la misura di un grado come base a tutti i suoi calcoli in latitudine. Ma quella base non ha sufficiente fondamento. Al tempo in cui fu costrutta la carta del Cantino, il tropico di Cancro solea porsi bensì più in alto del vero, ossia a tramontana di Cuba, come fu toccato più sopra, ma con varia misura. Colombo errò di 3 gradi, il Della Cosa di 40; poi la posizione cominciò a migliorare , abbassandosi e tagliando queir isola invece di soprastarle, finché fu fermata al sud dell’ isola, al suo vero punto. A questo si venne, giusta l’avviso del Kohl (2), per le carte spagnuole del 1527 e 1529. Ora per la comparsa della Carta Cantino riconosciamo (1) Così il Toscanelli calcola a miglia e non a gradi la distanza da Lisbona ai pretesi Antiglia e Cipango, e per mio avviso qui si tratta di miglia letteralmente in qualunque latitudine senza preoccuparsi di gradi: per cui mi pare non solo erroneo il calcolo del Peschel, che Sophus Ruge corregge a p. 291, ma anche stimo problematica la stessa correzione del Ruge. (2) Loc. cit., p. 10. Atti Soo. Lio. St. Patru, Voi. XIX. «7 — 2j8 —- J già verso il 1501-2 il tropico in discreta postura, come vi troviamo già la linea di demarcazione, la quale secondo Kohl si trovava per la prima volta nella Tavola IV del Kunstmann creduta dell’ anno i5i8 (i). Tutto ciò é curioso a sapersi e dà ragione all Harrisse, che attribuisce tanta importanza alla Carta da lui pubblicata ; ma, ripeto, non si è sicuri del numero dei gradi in quelle linee contenuti, fino a che non si trovi la misura base del grado ; e questa bisogna cercarla nella mente del Cartografo e nella scala in leghe o miglia con cui ha scritto ed espresso questa sua mente (2). Tale scala misura 130 millimetri ed é divisa in 22 spazi, sicché ogni spazio vale mm. 5-909; figu* riamoci (come é probabilissimo) che il Cartografo, in conseguenza del trattato del 1494, abbia voluto porre a 37° leghe la distanza dell’isola S. Antonio dalla linea di demarcazione; noi troviamo questa distanza ivi misurata in millim. 180, il che equivale a leghe 2.055 per millimetro ; in tale caso uno spazio della scala, che vedemmo di mill. 5,909, corrisponderebbe a leghe 12.143. Ciò invero rigorosamente e supposte esattissime le nostre misure, ma si comprende facilmente che è impossibile riportare sulla carta distanze precisissime colà ove sono grossezze di linee ed estremità di capi da valutare; (X) Ricevo ora un opuscolo dalla cortesia del eh. Dott. Hamy: Notici sur une Mappamonde Portugaise, Paris, Leroux, 1887, che l’autore attribuisce all’anno 1502, e dove pure è già la linea di demarcazione con scala graduata. Vorrei invitare il dotto autore a farne l’esame sull’originale sotto il rispetto delle quistioni qui da me accennate. (2) È noto che in Ispagna pei viaggi di mare si calcolava la lega quattro miglia. Cfr. Pietro Martire, Decade 11, lib. x, p. 200. Cosi anche calcolò Cristoforo Colombo. — 259 — d’ altra parte é chiaro che i singoli spazi d’ una scala devono contenere un numero di suddivisioni rotondo e usuale. Quindi ci sarà permesso, io spero, di ritenere lo spatio eguale a rotonde leghe 12 o miglia 50, come già ne vedemmo esempio nelle carte spagnuole del Kohl e del Kunstmann. Ed ora, continuando questi stessi esempi, se applichiamo la misura dello spazio ottenuto alla misura del grado, supponendo il grado di leghe 17 72 o miglia 70 pari a spazi 1 2/s > ne ricaviamo pel grado millim. 8,273. Questa conseguenza non é molto discosta dal risultato dell’ Harrisse, ma per mio avviso è dedotta con metodo più razionale ; sebbene in pari tempo la loro quasi concordanza sia criterio confermativo di verità nella sostanza almeno. Ma se questo può passare finché si parla di gradi di latitudine o di quelli equatoriali, non posso convenire coll’ amico quando egli vuol fare costanti egualmente tutti i gradi di longitudine, però prendendoli alla latitudine di 450 e cosi ottenendo millim. 6 per ogni singolo grado. Il sig. Harrisse si fonda sull’osservazione di quelle linee che nella Carta si vedono parallele, alcune parallele all’ equatore, altre parallele al meridiano della linea di demarcazione, quasi queste ultime fossero altrettanti meridiani. Ma è questo un errore; quelle linee non accennano punto a idee astronomiche, non sono che i fili 0 le trame su cui si accentrano e s'intrecciano le rose dei venti in direzione dei punti cardinali del cielo. Simili trame si trovano anche nelle carte del Della Cosa , del Behaim, del Pizigani, del Bianco e in tutte in generale, alle quali nessuno e nemmeno 1’ Harrisse attribuisce base astronomica. Secondo il — 26o — istema suo si ìitornerebbe dunque a quella proiezione a SMuppo cilindrico, che abbiamo rifiutata più sopra; 3 111 1 > pei mio avviso, le risultanze da lui ottenute on ta e metodo devono essere affatto riprese in esame da capo. Qui é terminato lo studio generale delle carte sulle mie del 1 rof. Fischer; ma prima di passare agli studi spedai dei fac-simili dell'Ongania, 1’autore ci ha vo- 0 ancora fornire un concetto complessivo dei Carto-gra che nella loro arte più primeggiarono. Fornito un cenno sugli antichi stadiasmi, peripli, itinera picta dei ieci e dei Latini, toccate alquanto le cosi dette rote £ primo medio evo, formate su rozzi concetti cosmogonici e piene di favolose tradizioni, 1’ autore passa ai mappamondi i quali sono opera più del clero che dei seco ari. Succedono con grande progresso Prete Giovanni a arignano ed ancora più il camaldolese fra’ Mauro, quali s intrecciano anche laici come Marino Sanuto e eardo. I laici e tecnici presto occupano il campo . Ca^te nautiche > sebbene vi continuino ancora ecc esiastici come il genovese Bartolomeo Pareto. Attira imamente la nostra attenzione una folla fitta di nomi modesti, ma altamente benemeriti nel secolo XIV, Pietro isconte, i Pizigani e parecchi anonimi. Nel XV suc-ono Andrea Bianco comito (sotto uffiziale) di galea, ro di, e più di tutti Grazioso Benincasa fecondo di fere nitide e maturate sul vero, poi sulla fine i Cacto e i Colombo. Il secolo seguente supera gli altri ^ o sp endore dell arte, come nella vastità dei lavori aizzati dalle crescenti scoperte; si distinguono fra le n <- ue famiglie genovesi, Maggiolo ed Agnese. I — 261 — iMaggiolo cominciano dal Visconte del 15 n, e per una fila di discendenti proseguono almeno fino a Niccolò del 1648, contando un notevole numero di lavori la cui conoscenza va ora sempre aumentando ; fra questi sono alcuni del Giacomo figlio di Visconte, da me visti bellissimi (1). Giambattista Agnese si dichiara genovese , benché domiciliato a Venezia, supera i contemporanei per la quantità delle carte comprese ne’ suoi atlanti, alcune fino a 36, li supera tutti per la splendidezza della forma. Uno di essi, destinato all’infante poi re Filippo II, per le sue miniature fu creduto dapprima opera di Giulio Clovio ; ma il bravo geografo Prof. Wieser d’Innspruch lo rivendicò all’ Agnese (2). Ho già accennato che il Catalogo generale delle carte e dei loro autori si trova negli Studi della Società Geografica Italiana del 1882; ma il numero va crescendo sempre, ed io stesso potrei già aggiungervene un bel gruzzolo (3). (1) Ne ho visto una splendida a Parigi presso l’eminente orientalista il Professor Schefer, che fu cortese di lasciarmela consultare a mio agio Essa porta la leggenda : Jacobus de Majolo composuit batic cartam in lamia in hospilaleto, anno dui 1563, 20 mai. (2) Der Porlulan des infanten und nachimligen konig Philipp li von Spanigli; Vienna, Gerold-Sohn, 1876. (3) Fra le recentissime vi è un riscontro curioso in due carte; una delle quali del 1339, illustrata dal eh. Sign. Marcel, Conservatore delle Carte alla Nazionale di Parigi; l’altra del 1330 trovata a Firenze nell’Archivio del Principe Corsini. La prima, che pare catalana, si dice fatta da un Angelino Dulceri, l’altra da un Angelino Dulcedo ; io non esito ad ammettere che un solo sia 1’ autore d' entrambe e che sia un italiano, anzi un ligure dal nome della sua patria. Vedi le giuste osservazioni del Bollett. della Società Geogr. ital., 1887, giugno, p. 467; e meglio nel Bollettino del Marzo pp. l’articolo del chiar. Amat di San Filippo, Recenti ritrovamenti di Carte nautiche, in risposta all’opuscolo del sig. Marcel: Note sur ime Carle Catalane de Dulceri de 1330, Paris, Socièté de Geografie, 1887. — 262 — Infatti 1 impulso dato dalla lodata benemerita Società e le ultime esposizioni di Venezia e di Madrid hanno arrecato frutti e ravvivato ricerche di cui per lo addietro non si facea alcun caso; ci hanno anche posto in grado i cori ergere nomi errati, di identificare e di riconoscere intei e famiglie di Cartografi nelle quali la professione era ereditaria (i). Fra i numerosi autori a cui accennammo, il Fischer ne ha distinto diciasette, e viene ora nella seconda parte a discorrere di loro partitamente. Non però di tutti allo stesso modo, perchè di alcuni bastano poche linee ad in icare il posto che loro compete secondo il tempo ed merito, intorno ai più importanti invece egli spende mo te pagine, per rilevarne i pregi e gli errori e studiare e onti a cui ciascuno può avere, attinto; donde si fa 1 giorno in giorno più possibile ridurre que’ molti la-' ori ad una specie di gruppi o scuole di poco numero, copiantesi 1 un 1 altro più o meno felicemente. Al suo 'Copo 1 autore non si contentò di studiare i suoi fac-imi i, ma \i aggiunse, occorrendo, il paragone con quelli altri monumenti capitali che sono il Pizigani del 1363, •f pUC ^arte catalane, Marin Sanuto e fra’ Mauro, che 1 ischer trovava già pubblicati e più 0 meno illustrati. g 1 colla analisi paziente ed acuta esaminò nei punti Più importanti questi nessi e figliazioni, a cui finora anonimo^ dell’anno MaPPam°nd°’ dett0 di Enrico 11 > che si credeva Pietro Descelliers d’Arques ^ Leroux .a,, , S46- Vedi Harrisse, Jean et Sebastien Cabot; «. ";;7S'si —*—■ Toreno ascrive con probabilità a Nuno Garcia — 263 — poco si badava. Una delle più cospicue figure in tale soggetto viene a mostrarsi Giovanni da Carignano, i cui dati si trovano molte volte riprodotti, od analoghi almeno, ai dati si del mediceo-laurenziano, si della Carta catalana del 1375; i quali due ultimi lavori per 1’addietro poteano sembrare di prima mano. Così il Carignano dell’ Archivio di Stato fiorentino, di cui io forse il primo cominciai a rilevare l'importanza, sta ora come a capo d’ogni indagine su tale materia. Derivazioni analoghe a quelle di questo Cartografo si verificano nei Pizigani; notevoli e minute particolarità l’autore fa riconoscere nella Carta palatina genovese del 1447, la quale aveva già non brevemente occupato il Lelewel. Dicasi lo stesso del Mappamondo di fra’ Mauro, che è una sintesi meravigliosa delle conoscenze faticosamente guadagnate fino al suo tempo ; dove si vede perfino la traccia delle escursioni del Zeno all’ alto settentrione, un secolo prima che il manoscritto di esso Zeno fosse conosciuto. Siffatte sintesi non raramente hanno il difetto non solo di ripetere errori, ma di duplicare o anche triplicare sulla carta un medesimo oggetto vestito del nome antico e del nuovo, come se fossero diversi; così succede, per esempio, nella Carta di Mercatore del 1569; ad ogni modo però le verità stanno, l’ingombro e la moltiplicazione cadranno da sé col progresso, e frattanto aiutano a vedere le derivazioni dalle fonti. L’autore, come notammo sopra, era entrato in minuti particolari sulle conoscenze che si avevano nei primi tempi dell’ Europa a settentrione e a maestro e sul modo come quelle conoscenze erano rappresentate — 264 — nelle carte; ora in questa seconda parte egli estende simile esame ad altre lontane parti del mondo conosciuto, prendendo a base i tre principali monumenti da noi più volte citati: Giovanni da Carignano, cioè, l’Atlante me-diceo-laurenziano e la Carta palatina del 1447» c^ie ora S1 1 1 conserva alla Nazionale di Firenze; tacendo entrare nei-1’ esame, come si è detto, le Pizigani e la Catalana del 1375. L’Asia estrema e la centrale sono paratamente sottoposte a tali confronti, e sono possibilmente spiegati coll’ aiuto della odierna nomenclatura i luoghi più oscuri, che erano già ricordati come a strappi ed anche sconvolti nelle carte medio-evali. Ma ancora più dell Asia occupa P Africa luogo distinto e lungo esame nel libro del Fischer; notevole è la dimostrazione, eh egli fa, che P Euleze del Carignano risponde alla odierna Ualata, e crede con ragione che la Sigilmesa, famosa allora ed ora scomparsa, si debba cercare presso P odierna Tafilet. Mentre oggi ancora la curiosità dei dotti si deve appagare di molte congetture per P interno di quel continente, fa meraviglia come fin d’ allora sia potuto giungere a quelle conoscenze, con tante difficoltà di com“ mercio, di strade, di istruzione, con sì grande diversità di religioni ed antitesi nazionali. Uomini di terrò do-veano essere veramente i nostri antenati, ardenti della brama del nuovo e d’irrequieta intraprendenza ; animati spesso bensì da avidità di lucro, ma molto anche dalla gloria e dall’interesse della patria, moltissimo da zelo di religione. Quest’ ultimo potente sentimento è ormai raffreddato ; e se non disconosciamo i grandi servigi resi alla Geografìa da più illustri moderni anche italiani, non possiamo non rimpiangere, specie nella nostra — 265 — nazione, un grande decremento d’operosità rimpetto ai tempi di cui discorriamo. Gli agi delle comunicazioni, le ferrovie, i trams, i libri ed i giornali, che dovrebbero aizzarci e che aizzano di fatti tanti uomini oscuri o perduti nell’ immensità dello spazio per formarsi un capitale, non servono per noi se non che a renderci più pigri all’ opera ed allo studio severo e profondo ; contenti al più di giovarcene per muovere da congressi a congressi, a parole più che a fatti, e a concorsi a pranzi coronati da brindisi più o meno spiritosi. E qui abbandoniamo 1’ autore, non potendo nel breve spazio prefissoci racchiudere le tante e pellegrine cognizioni eh’ egli ci trasmette; solamente ancora prendiamo nota dell’ ultimo monumento da lui illustrato, che è una Carta in arabo conservata nella Biblioteca Ambrosiana. Di questa egli spiega pezzo a pezzo la nomenclatura, aggiungendovi le parole scritte nel linguaggio originale , e, ciò che più torna al nostro proposito, egli dimostra che essa non é lavoro di fattura antica ed indigena, ma sì una imitazione di carte italiane. Del resto, riconoscendo che il nostro non è che uno sparuto ritratto, esortiamo i desiderosi della scienza a ricorrere al libro del Prof. Fischer, il quale da lunga pezza é versato nel soggetto da lui preso a trattare ; egli inoltre si mostra molto amico d’Italia, alla quale ha già consacrate altre pubblicazioni. Noi infatti lo vedemmo, ha molti anni, fermare non breve soggiorno in Genova, lo rivedemmo a Venezia, e ci sentiamo legati di gratitudine pel modo benevolo onde ripetutamente rammenta gli studi nostri e de’ nostri amici ; ne abbiamo seguitato — i66 — la carriera ascendente fin da quando era libero docente, e leggemmo le sue osservazioni sul mare di Sicilia, come pure due suoi articoli di storia e di cosmografia marittima, coi quali preludeva al presente maggiore lavoro (i). (i) Fischer, Die Kùstenlànder Nord Africas in ibren Be^iebungen und tbrer bedeutung fùr Europa (Deustscbe Revue, vii). — Idem, Uber italieniscben See-karten und Kartograpben des Mittelaìtber. (Zeitscbr. d. Gesellscbaft fùr Erdkunde); Berlin, xvii. — Idem, Beitràge \ur pbysiscben Geograpbie der Mittehneerlander besonders Siciliens; Lipsia, Ives, 1877. LES P A PI E R S DES ARCHIVES DE GÉNES ET LEURS FIL1GRANES l’AR C. M. BRIQUET I. INTRODUCTION HISTORIQUE ET TECHNIQUE - Le papyrus. — Le parchemin. — Le papier chinois. — Le papier de chiffe arabe; son introduction en Occident; procédés de sa fabrication. — Caractères imprimes par la forme aux feuilles de papier: format, vergeure, pontuseaux , filigrane. — Indications fournies par le filigrane : date de fabrication, noni du fabricant, siège de la papeterie, format du papier, sa qualité — Papiers sans filigrane. — Papiers à filigranes doubles. I ’on admet généralement que le papyrus (i), ce délicat et frèle papier des anciens, a été employéenEurope jusqu’au commencement du X.' siècle. A partir de cette époque, la fabrication de ce produit, concentrée, dés la plus haute antiquité, (i) Voyez, sur ce papier des anciens, le très intéressant Mémoire sur le papyrus et la fabrication du papier che\ les anciens, de Durieu de la Malle, dans les Metnoires de l’Acad. des Inscript. et belks-leltres, tome XIX, p. 140 et suiv. Paris, 1851. — 270 — dans la Basse et la Moyenne Egypte, parait avoir été paralysée, pour ne pas dire anéantie (1). Les provisions de papyrus, accumulées dans les villes d’Occident ne tardèrent pas à s’épuiser, sans pouvoir se reconstituer, de sorte que le parchemin resta, durant deux ou trois siècles, la seule matière universellement usitée pour 1 Periture. Cette substance, connue de temps immémorial, n’est pas d’une production indéfinie ; aussi devint-elle rare et chère à son tour, et Pon imagina, au grand pré- judice des lettres, de gratter les documents écrits poui les utiliser une seconde fois. Cependant, à Pextrème Orient, en Chine, on fabri-quait, peu après Pére chrétienne, peut-étre mème avant, du papier fait d’écorces d’arbres, de bambou concassé et de chiffons brovés et réduits en bouillie. Cette industrie passa en Tartarie et, vers le milieu du VIILC siècle, les Arabes ayant appris à Samarcande les procédés, d ori gine chinoise, de cette fabrication, les transporterent (vers la fin du VIII.e siècle) à Bagdad, puis dans 1 Yemen, en Asie-Mineure, en Afrique et en Espagne. Le midi de PEurope recut ainsi des Arabes le papier de chiffe (2), (1) L’examen de 12,500 pièces manuscrites qui constituent le fonds, dit d’El-Faijum (réuni au Musée autrichien à la collection des papyrus de 1 archiduc Régnier), a permis à M. Karabacek (Das arabische Papier, p. 10 à 12 > t,raoe à part des Mittheilungen aus der Sammlung der Papyrus Er%htr\og Rainei, t. et III, Vienne 1887), de conclure que la fabrication du papyrus en Egypte avait cessé vers le milieu du X.e siècle, le dernier document daté qu’il ait trou\é étant de l’an 935 (325 de l’hégire). (2) Nous passons intcntionnellement sous silence le papier dit de coton, dont l’existence est controuvée. Voyez à ce sujet nos opuscules : La legende paliogra-phique du papier de coton. Genève 1884, p. 14 (extrait du Journal de Genève du 29 Octobre 1884); et Recherches sur les premiers papiers employis en Occident et en Orient du X.e au XIV.‘ siècle, Paris 1886, p. 60 (tirage à part des MimoireS de la Soditi des Antiquaires de France, tome XLVI, p. 188). — 271 — l’Empire grec, l’Espagne, l’Italie et la France le con-naissaient au XII.' et au XIII.e siècle sous les noms variés de papier de Damas, de parchemin d’étoffe et de papier de coton ou papier de soie. Ce papier, qu’on appelle à la main, à la cave ou à la forme, pour le distinguer du papier moderne , dit d la machine, sans fin ou mécanique, se faisait, cornine chacun sait, exclusivement avec des chiffons de toile blancs , battus et lavés aussi bien que possible. Les chiffons, coupés en petits morceaux, étaient ensuite triturés et ré-duits en bouillie à laide de procédés de plus en plus perfectionnés. A l’origine, cette opération s’est faite à la main ; mais, déjà en Orient, on ne tarda pas à s’aider de la force hydraulique et à employer des meules pour défibrer les chiffons. Plus tard on renonca aux meules et on leur substitua les marteaux-pilons. C’est aux papetiers italiens de Fabriano qu’on attribue ce perfectionnement et c’est ce besoin d’un moteur, joint à celui d’une eau trés-pure, qui conduisit à établir les premiéres papeteries sur des cours d’eau et aussi près que possible de leurs sources. Ce qu’on appelle une pile de maillets ou de pilons est une cuvette en bois ou en pierre, dont le fond est gami d’une masse métallique nommée platine. Sur cette platine viennent battre plusieurs maillets en bois, ordi-nairement ferrés à leur extrémité, lesquels sont mis en mouvement par un arbre horizontal armé de cammes ou de dents, qui les soulévent et les laissent retomber, en commencant par une extrémité du rang et en fìnissant par l’autre. Ces chutes successives des maillets finissent par réduire les chiffons à l’état d’une vraie bouillie dans laquelle on ne trouve plus trace du tissu. La pate trés liquide ainsi obtenue est amenée dans un réservoir appelé cuve, vaste récipient d’environ i.m 50 <-e cóté^ sur 1.“ 10 de profondeur. C’est dans cette cuve qu un ouvrier plonge la forme, ou moule destiné rece\ oir une ceitaine quantité de pàté de papier. Aujourd hui, dans l’extréme Orient ces formes sont composées d un cadre et d’un large treillage en bois, entre lesquels on interpose une claie de la dimension es feuilles que 1 on veut obtenir et formée de fines lame es de bambou, disposées parallélement et réunies par des fils de soie. 11 est probable que les Arabes ont emplojé à 1 origine des formes semblables, mais qu’iJs n ont pas tardé à remplacer les lamelles de bambou ou e ois par des fils de cuivre. Dés lors, la forme a été omposée d un chàssis de bois, au travers duquel sont tene lis des fils de cuivre, rapprochés les uns des autres, soutenus par de petites traverses en bois et maintenus eur place par d autres fils de cuivre, beaucoup plus pacés et posés perpendiculairement aux premiers. Les rapprochés les uns des autres et tendus paralléle-ment aux grands cótés de la forme constituent la ' òcnrc, les autres, perpendiculaires, sont appelés pon-useuux. Enfin, l’on soude, sur cette forme, un fil de re contouiné, représentant une figure, un objet quelle, cette marque constitue le filigrane. Un cadre , e ’ ^ont ^ épai'sseur détermine celle du papier, est P s ur a forme, qui, dans cet état, est plongée dans , 0’ ouvrier h retire remplie de pàté et lui imprime I ^ mouvements saccadés, dans le but d’égaliser a ma lére et d’en bien entreméler les filaments. L’eau a travers les fils du chàssis et la feuille de papier — 273 ~ se trouve ainsi produite. La forme, débarrassée du cadre mobile , est transportée et retournée sur un feutre où elle dépose la feuille de papier. On empile alternative-ment un feutre et une feuille de papier et 011 presse le tout, pour faire écouler le plus d’eau possible. Aprés cela, on porte les feuilles à l’étendage et on les dispose sur des cordes, où elles achévent de se sécher à l’air. Pour pouvoir supporter l’écriture, le papier doit enfin ètre collé. Cette opération parait s'étre pratiquée chez les Arabes à l’aide de l’amidon (1), ou de la gomme adragante, et par des procédés qui viennent fort heureusement d’étre remis en lumière (2). Mais en Occident on a recòuru très vite au collage animai et l’on trempait le papier, feuille par feuille, ou par petits paquets, dans un liquide chargé de gélatine et obtenu par la cuisson de débris de peaux, de tendons et de cartilages d’animaux. Signalons enfin une opération que l’on faisait subir assez généralement au papier, c’est le satinage. La feuille de papier était posée sur une table de marbré poli et on la frottait en tous sens avec une pierre dure , d’environ 10 à 20 centimétres de long, sur 5 de large et 3 d’épaisseur. La pierre a été remplacée parfois par un rouleau de bois dur poli, que l’on promenait en tous sens sur le papier, ou par un marteau de fer poli (3), (1) J. Wiesner, Die Mikroskopisclie Untersuchung des Papiers, p. 40 et suiv., tirage à part du mémoire inséré dans les Mittheilungen aus der Sammlung der Papyrus Er{her{0g Rainer, t. II et III, sous le titre : Die Faijùmer und Uschù-meiner Papiere. Vienne, 1887. / (2) J. Karabacek, Neue Ouellen \ur Papiergeschichle, dans les Mittheilungen aus der Sammlung der Papyrus Erxherxpg Rainier, t. IV. Vienne, 1888. (3) A Fabriano, d’après ce que m’écrit M. A. Zonghi, ce satinage était dòs le XV.e siècle l’objet d’une industrie spéciale exercée par les cialandratori. L’instrument employé à cet usage était en ler, il avait la forme d’une bouteille, Atti Soc. Lio St. Patum. Voi. XIX. 18 - 274 — et méme plus tard par une calandre. Certains papiers, du XV. et du XVI.e siècle, lissés de cette manière, sont remarquables par leur brillant et leur glacé. Tels sont, dans leurs traits essentiels, les procédés très simples, presque primitifs, usités jusqu’au commen-cement de ce siècle, pour la fabrication du papier. La feuille de papier, comme tout objet moulé, regoit donc une empreinte parfaitement distincte et caractéris-tique, image de la forme sur laquelle elle est faite. Ce sont ces empreintes, ou images, qui permettent de classer les papiers, de reconnaitre leur identité ou de constater leurs dissemblances. Les caractéres que la forme imprime à la feuille de papier sont de quatre genres : i.° le format; 2° la gros-seur et l’écartement des vergeures; 3.0 le nombre et l’écar-tement des pontuseaux; 4.0 le filigrane. La plupart des auteurs qui ont traité des papiers du XIV/ et du XV.e siècle ont négligé de parler du format. Ceux qui en font mention se bornent à dire qu’il n’y en avait que deux, dont l’un était le doublé de l’autre. Cette affirmation n’est vraie qu’approximativement. Sans doute, les formats, dans le sens que nous donnons au-jourd hui à ce mot, c’est à dire des intermédiaires gra-dués entre le trés petit et le trés grand, ne se manifestent guére qu’au XVI.e siècle; avant cette date on ne trouve que deux genres de papier, l’un de 30 centimé- haute de 30 centiniètres, dont la base bien polie mesurait 15 centimètres de diamètre. Plusiers filigranes, compris entre 1454 et 1510, représentent cet instrument. - 275 — tres sur 40 environ et l’autre doublé, de 40 sur 60 ; mais que de variétés dans cette apparente unité ! Le petit format oscille entre 27 centimétres sur 39 et 32 sur 46; le grand entre 40 sur 58 '/2 et 48 sur 66, différences qui ne sont point insignifiantes, surtout pour le premier. En effet, dans ces limites, l’ordonnance de Louis XV, du 18 septembre 1741, ne comprend pas moins de dix-sept espèces de papier, de neuf grandeurs , et Fon est en droit de penser que ces sortes que l’on ne réus-sissait pas à unifier, — malgré les petites différences qui les séparent, — reposaient sur d’anciennes habitudes et appartenaient, chacune en propre, à quelque région par-ticuliére. La vergerne du papier est produite par les fils de laiton de la forme qui retiennent la pàté suspendue dans l’eau et qui, en la retenant, y déposent leur empreinte. En regardant le papier par transparence, on y voit des lignes alternativement foncées et claires. Les lignes foncées sont produites par la plus grande épaisseur de pàté contenue entre les fils ; les lignes claires, au contraire , sont for-mées par l’incrustation du fil de laiton dans la pàté, c’est à dire par une épaisseur moindre. La grosseur et l’écar-tement des fils de vergeure a beaucoup varié. Fins et serrés à l’origine, ils deviennent gros et espacés vers le milieu du XIV.c siècle, puis redeviennent fins et serrés. Pour avoir une idée exacte de la vergeure d’un papier , le moven le plus simple est de compter, sur la feuille qu’on examine, un certain nombre de ces lignes claires et de mesurer l’espace qu’elles occupent. Si l’on prend cornine point de comparaison entre différents papiers, Fespace occupé dans chacun d’eux par vingt ver- — 276 — geures, on trouvera que cet espace varie, suivant les temps et les pays, entre les limites considérables de 16 à 80 millimétres; la moyenne ordinaire est de 25 mil-limétres. On trouve quelquefois, surtout dans les papiers du XIV.e siècle, une vergeure assez singuliére : à savoir des fils gros, alternés de fils fins; nous ignorons dans quel but on a eu recours à cette disposition. Parmi les papiers italiens, on remarque pendant une cin-quantaine d’années, soit de 1340 i 1390 environ, une particularité caractéristique : Fadjonction d’un fil de vergeure supplémentaire au milieu de la forme, de manière à marquer la ligne du centre par un trait beaucoup plus gros que les autres ; c’est sur cette partie ren-forcée de la vergeure qu’est posé le filigrane, (Voir aux planches, les n.os 9, 14, 23, etc.). Une autre particularité se présente dans certains papiers surtout dans ceux de la seconde moitié du XV.e siècle. Camus a le premier, croyons-nous, signalé cette singularité dans les termes suivants (1): « Le papier est, en quelque manière, rayé, paraissant alternativement plus épais et plus gris, plus mince et plus blanc, par intervalles de trois à quatre millimétres. » Pour abréger, nous signalerons cette disposition spéciale de la vergeure par la mention : aspect de musique, parcequ’elle rappelle la réglure de la musique: cinq portées grises, séparées par un espace blanc. Les pontuseaux sont les fils métalliques perpendicu-laires à ceux de la vergeure et dirigés, par conséquent, parallèlement aux petits cótés de la forme. De nos jours, les pontuseaux constituent une sorte de chaìne, destinée (X) Notte d’un livre imprimé à Bamberg « r4é2. Paris, an VII. - 277 — à maintenir en place les fils de la vergeure, entre cha-cun desquels iis subissent une ou deux torsions. Mais dans l’origine, ils paraissent n’avoir eu pour but que de soutenir la vergeure et d’empècher la forme de fléchir ou de se creuser vers son centre. Plus tard , à partir de la fin du XIV.* siècle, dans un but d’amélioration , et par le moyen d’un fil métallique trés fin, on a, dans quelques fabriques, fixé les fils de la vergeure à ceuK des pontuseaux. Nous ne saurions, du moins, expliquer d’une autre manière l’aspect que présentent certains papiers. (Voir aux planches les n.os 12, 63, 67, 89, etc.). Le nombre des pontuseaux a beaucoup varié, de métne que leur écartement. Dans les papiers de format ordi-naire, il va de 7 (espacés de 60 à 80 millimétres), à 24 (espacés de 8 à 20 millimétres). Dans la première moitié du XIV.c siècle, on en compte habituellement de 7 à 10 (espacés de 50 à 60 millimétres); plus tard, ce nombre s’accroit; dans la seconde moitié du XIV.C siècle et dans le XV.C, il est en général de 10 à 14 (espacés de 28 à 40 millimétres); à la fin du XV.C siècle et au XVI.% il va parfois à 20 et 24. Certains papiers, surtout ceux de provenance italienne, présentent cette particularité d’un écartement plus grand des deux pontuseaux entre lesquels est placé le filigrane. Dans cet intervalle plus grand, se trouve tendu un pontuseau supplémentaire qui supporte le filigrane. D’autres papiers, surtout à partir du XVI.' siècle, ont à chacun des bords de la forme un pontuseau supplémentaire, appelé tranchefile, lequel est séparé de son voisin par un espace de moitié plus petit que celui qui existe entre les autres pontuseaux, — 278 — La grosseur du fil métallique formant pontuseau a aussi varié. Dans le cQmmencement du XIV.C s., il est plus fin que celui de la vergeure; plus tard c’est le contraire Enfin, dans plusieurs papiers, les pontuseaux sont invisibles. Le filigrane (Wasser^eichen, marque d’eau) est cette empreinte laissée en creux, dans la pàté de papier, par l’ornement en fil de cuivre, qui a été soudé sur la foime. , i) Vu par transparence, il se détache en clair sur ensemble plus sombre de la feuille. De toutes les particu-larités qui différencierit les papiers, c’est évidemment la plus facile à saisir; aussi le filigrane a-t-il été habituel-lement, mais à tort, relevé et indiqué seul, — à 1 exclu-sion du format, de la vergeure et des pontuseaux, pour caractériser les papiers. Le filigrane n’occupe pas toujours la mème place sur tous les papiers. D’ordinaire il se trouve à peu pres au centre de la moitié gauche de la feuille ouverte, et, généralement aussi, il est placé perpendiculairement aux vergeures. Cependant cette règie est loin d’ètre absolue. En laissant de cóté les papiers de la fin du XIll.e et du commencement du XlV.e siècle, fabriqués avant qu une tradition se fut établie, on trouve des filigranes dont l’axe est perpendiculaire aux pontuseaux , ou qui sont posés au centre de la feuille ouverte, ou vers un des bords, ou au coin. En général, ces dérogations à la coutume sont voulues et constituent la tradition de certains moulins ou de certaines provinces, pendant un temps plus ou moins long. Dans quelques cas, cependant, on ne doit y voir que le résultat de l’ignorance de l’ouvrier chargé de fixer le filigrane sur la forme et qui, parfois, le fixait à rebours ou de travers. - 279 ~ On s’est fréquemment demandé dans quelle intention les filigranes avaient été imaginés et employés. C’est une question qui a fait l’objet de nombreuses discus-sions et sur laquelle on n’est nullement d’accord. Nous ne présenterons que quelques bréves remarques sur ce sujet, qui exigerait de longs développements, si on vou-lait le traiter à fond. Constatons d’abord que l’emploi général des filigranes démontre leur raison d’étre ; ils avaient une utilité, ou pour celui qui en faisait usage, ou pour Fautorité qui Fimposait, si tei a été le cas, ou pour le consommateur de papier qui l’exigeait. Quant au probléme intéressant de la signification des filigranes, on peut le formuler ainsi: Pourquoi tei mou-lin à papier a-t-il pris telle marque pour son papier, de préférence à telle autre? Est-ce pure affaire de fantaisie personnelle ou y a-t-il dans ce choix un motif sérieux ? Notre réponse à cette question ne saurait étre absolue ; elle variera suivant les époques et les pays; et si nous sommes obligé de reconnaìtre que la fantaisie a joué un certain ròle, nous pourrons cependant poser quelques régles. A l’époque la plus rapprochée de nous, les filigranes indiquaient cinq choses: — le format du papier, — sa qualité, — le nom du fabricant, — le siége de la pa-peterie, — enfin l’année de la fabrication. Les marques du pot, de la coquille, du raìsin, de la cloche, etc., se rapportaient au format ; la qualité était indiquée par un mot: fin, moyen, bulle, vanant ou gros-bon, écrits en toutes lettres, de mème que les noms de province ou de localité, tels que Auvergne, Angoumois, Annonay. Les noms de — 2S0 — fabricants Montgoljìcr, Johannot, Caprony, étaient souvent remplacés par leurs initiales. De ces cinq genres d’indications fournies par les filigranes, la cinquiéme, la date, a été le plus tar-divement et le plus rarement employée. L exemple le plus ancien que nous en connaissions provient d’un terrier de Meximieux (Ain) ; c’est un écusson armorié avec la date de 1655. Puis vient un docu-ment écrit à Genève en 1660, qui porte le nom du papetier Boy et la date de 1659. A Lyon, un do-cument de 1678 est filigrane à la cloche, surmontée du nom I. Jouber, avec la date de 1673. Ln autre papier, provenant de Marseille, est aux initiales PP et à la date de 1686. Ce sont là les plus anciens spécimens que nous ayons rencontrés. Au sujet de la date, il faut se garder d’une erreur facile à com-mettre. Le règlement de Louis XV, sur la papeterie francaise, du 27 janvier 1739, imposait aux fabricants l’obligation de faire des formes neuves pour conformer leurs produits à la nouvelle ordonnance. Afin de constater la mise à exécution de cette prescription, un arrèt du Conseil du roi du 18 septembre 1741 décida que lesdites formes devraient porter la date de 1742. A insi fut fait, et, pendant de longues années, tous les papiers fabriqués en France portérent la date de 1742. Les quatre autres indications fournies par les filigranes ont pu ètre cherchées et mème voulues, séparément ou simultanément à certaines époques et dans certains pays. On a cru longtemps que l’usage d’une marque faisant connaitre le novi du papetier ne remontait qu’à — 281 — la fin du XV.0 siècle (i); mais, depuis quelques années, on sait que cette indication a été, au contraire, une des premiéres et l’on a signalé des noms de papetiers à la date reculée de 1307. Un des plus anciens filigranes connus, relevé à la date de 1293, est formé des initiales I O, qui se rapportent certainement à un nom ; et les initiales F, I, M, B, S, C, G, A, P, qui sont dans le mème cas, sont aussi au nombre des plus an-ciennes marques relevées. Sans doute, cet usage a été trés vite abandonné, mais il est assez probable que les marques qui ont été employées en mème temps que les noms ou qui les ont immédiatement remplacés, étaient des marques individuelles. On ne savait guère écrire son nom à cette époque d’ignorance générale, et les grands seigneurs eux-mèmes étaient souvent em-barrassés pour le faire. Aussi les simples artisans recou-raient-ils à un signe quelconque , qu’ils apposaient sur leurs oeuvres et qui devenait leur signature, beaucoup plus facile à reconnaitre, par des tiers, qu’un mot qu’on ne savait pas lire. Plusieurs de ces signes revètent la formes de rèbus où Fon devine le nom du papetier ou de son battoir. Ce n’est que plus tard et avec les progrès amenés par l’instruction, que l’idée de filigraner le nom entier du papetier a reparu. Le premier exemple que nous en connaissions est de 1561 et se rapporte au nom de Soulier, accompagné d’une cloche. En ce qui concerne les noms de lieu ou de province, (1) ^ un autre papetier de Pignerol, Antoine Malamini. (2) Casella, sur la Stura, près de Turin, a possédé de très bonne heure et possède encore plusieurs papeteries. Au dire de Vernazza (Osservazioni tipografiche. Bassano, 1807, p 75), elles seraient antérieures à 1377. C’est de cette localité que sont sortis les frères Antoine et Michel Galliziani qui développèrent à Bàie, vers 1453, l’industrie papetière, déjà exercée dans cette ville (avant 1440) par le bàlois Heinrich Halbysen. (3) Outre celles de Pignerol et de Casella, le Piémont possédait au XV.e siècle plusieurs papeteries, dont trois à Savillian (Berlan , Introduzione della stampa in Savigliano, Saluzzo ed Asti. Turin, 1887, p. 29); deux à Mondovi, savoir celle de Borgato, antérieure à 1440, et celle de Margarita mentionnée dans un acte de 1456 (Vernazza, loc. citée, p. 72); une à Coni, antérieure à 1465; une enfin, située près de Turin, qui avait été concédée le 5 décembre 1466, par le due de Savoie, à Odino de Piccolpasso, de Pignerol. Ce dernier battoir devait ètre à quatre roues et construit sous les moulins et au moyen de l’eau descendant des dits moulins de Turin (Archives de Turin. Comptes des Trcsor. génér., voi. 112, f. 54). Un édit de Charles Emmanuel, en date du 18 mai 1613, fixe la répartition des chiffons récoltés dans ses provinces entre les battoirs existant à cette date et détermine la somme que chacun d’eux devait payer au fise pour lYxercice de ce droit. On y voit qu’à cette date il y avait à Casella 5 papeteries alimentant 8 */s cuves (*); à Coni 3 (6 cuves); à Beinette, près Coni, 3 (2 cuves); à Margarita, près Mondovi, 1 (2 cuves); à Bagnasco, 1 (1 ’/* cuve); à Pignerol, 4 (6 cuves); à Bielle, 1 (1 ’/a cuve); à Ivrée, 2 (1 ’/, cuve); à Nice, 4. Total 24 papeteries. (4) Parmi les anciennes papeteries italiennes, il convient de mentionner encore: i.° Celle de Bologne, fondée dans le dernier quart du XIII.e siècle, sur le canal de Reno, par Polese, papetier fabrianais (Zojjghi, loc. cit., p. 5). (*) Une cuve fqurnissait habituellement 70 kilos de papier par jour, ou 200 balles de 10 rames par année. Lorsqu'il est question d’ime moitié ou d’un tiers de cuve, il faut entendre par là que le battoir , en général parceque l’eau manquait une partie de l’année, ne pouvait marcher , que la moitié ou le tiers de l’an. — 288 — trés bonne heure, trois centres principaux: Fabriano (i), dans la Marche d’Ancóne ; les bords du Lac de Garde dans 1 Etat de Venise (2); et la Ligurie. La première de ces localités, Fabriano, a rencontré, en M.r le chanoine Auréle Zonghi, un historien aussi 2.0 Celles ile Pioraco, près de Macerata, de Sigillo, près de Pérouse, et de Fermignano, près d'Urbin, mentionnées par le mème auteur (p. 8), à la date de 1363-1366. 3- Celle de Forli, signalée dans la Descrizione di Bologna e della Romagna, du Cardinal Anglico, de 1370, en ces mots : « datium cartarie comunis cum membris suis » et dont le tenancier payait une redevance animelle de 200 livres de Bologne (C. Malagola , Di Sperindio e delle cartiere . . . in Faenza- Modène, 1883 , p. 19. Tirage à part de: Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le provincie di Romagna, III.® sèrie, voi. I, fase. V). 4- Celles de Brescia, ville qui, en 1421, faisait un bon commerce avec Venise. (V. Joppi, loc. citée). 5- Celles de Prato et de Pescia, en Toscane, dont les produits sont si- , gnalés par Fineschi (Memorie stor. sopra la stamperia de Ripoli. Florence, 1781, p. 26 à 48) dans la seconde moitié du XV.e siècle. 6. Celle de Faenza, construite en 1470 (Malagola, loc. cit., p. 17)- 7- Celles de Foligno, dont les produits rivalisaient, au commencement du XVI.e siècle, avec ceux de Fabriano. (1) Les papeteries de cette ville sont antérieures à 1276. De nombreux pro-tocoles de notaires de 1320 et 1321 font connaitre les noms de 22 papetiers fabrianais, témoignage irrécusable de l’importance d’une industrie qui devait, plus tard, fournir aux armoiries de la ville la devise suivante: Faber in amne cudtt cartam olim undique fudit (Zonghi , loc. cit., p. 29 à 34). (2) Le nombre des papeteries de l’Etat de Venise (non compris celles de Lergame) était en 1725, de 84, dont 34 sur le Lac de Garde (30, avec 38 /, cmes à Salò et 4, avec 5 cuves, à Limon). Le Vicentin en comptait 15 (avec 27 cuves) ; le Trévisan , 15 (avec 24 cuves) ; le Frioul, 7 (avec 15 cuves) ; le Padouan , 3 (avec 10 cuves); les autres provinces, 10 (avec 13 cuves). Iessier, Alcuni documenti de’ magistrati della Repubblica Veneta, iti materia di seta, carta e vini. \ enise, 1886, p. 66 et suiv Nous n’avons pas pu savoir à quelle époque remontent les établissements du Lac de Garde; quant à ceux du Frioul, M. V. Joppi (L arti della stampa in Friuli, dans Atti dell’Academia di Udine, serie II, 'ol. Ili;, nous apprend qu’il y avait, à Cividale, en 1293, une papeterie à la tele de laquelle étaient Prosperino e Giacomino de Bologne. Une autre existait, en 1349, à Venzone; une troisième, en 13,1, à Udine. — 289 — zélé que patient. Dans son récent ouvrage : Le antiche carte fahrianesi (1), cet auteur décrit près de 2000 filigranes relevés par lui aux archives de Fabriano. Il a ainsi démontrè l’importance et l’ancienneté de ce centre industriel. Venise avait trouvè en Dominique Urbani un travailleur qui s’était proposé de retracer l’histoire de la papeterie vénitienne ; mais une fin prématurée l’a empéché de terminer l’ceuvre qu’il avait commencée par la publication de ses Segni di cartiere antiche (2). L’histoire de la papeterie génoise est encore à faire ; on n’a guère publiè à son sujet, que de courtes et rares notices, et c’est en partie le désir de combler cette lacune qui nous a engagé a entreprendre le présent travail. Durant un court séjour fait récemment en Italie, nous avons cherchè à recueillir quelques renseignements historiques sur cette branche d’ industrie nationale. Ce n’est point une étude complète que nous donnons ici : le temps limité dont nous disposions ne nous permet-tait pas de l’entreprendre ; ce sont de simples notes d’un touriste en passage, apercu rapide et nécessairement im-parfait, pour lesquelles nous rèclamons l’indulgence de nos lecteurs. (1) Fano, 1884. Malheureusement, les filigranes sont décrits dans cet opus-cule, mais n’y sont pas reproduits. Or, un dessin fidèle, de grandeur naturelle, est le seul procède qui rende d’une manière satisfaisante ces signes, si variés de formes et de dimensions. Nous appelons de tous nos voeux une publica tion semblable, que projette d’ailleurs M. Zonghi. (2) Venise, 1870. Il est à regretter que, dans ce consciencieux travail, sans doute, pour diminuer le nombre des planches, l’auteur ait cru devoir réduire considérablement les dimensions des filigranes reproduits. Ce procédé, antérieu-rement adopté par Jansen, Gutermann, Rauter, etc., doit ètre abandonné. Encore une fois, il n’y a d’exact qu’une reproduction de grandeur naturelle. Atti Soc. Lio. St. Patm*. Voi. XIX. 19 énes possédait, au temps de sa gioire, un commerce important de papier, fabriqué, pour la plus grande partie, sur son propre territoire. 11 y a cinquante ans encore, , lre Cevasco (i), on comptait dans la province, a. °^r*’ a à Varazze, à Arenzano, — 160 papeteries, occupant prés de 3000 personnes et donnant leu a une expoi tation annuelle denviron un million et emi de francs. C’était néanmoins l’époque de la déca-ence de cette industrie, décadence qui n’a fait que s’ac-entuer a"\ec^ les progrés de la fabrication mécanique. a!s, du XVI. siede au XVIII.e, la papeterie était orissante A Génes et elle alimentait de ses produits tspagne, le midi de la France, l’Angleterre et la Hollande. Par suite de son commerce et de ses rélations éten-ues, Génes a connu et employé le papier à une époque, tres-ancienne. Nous avons parlé ailleurs (2) d’un do-cument ecrit et conservé à Gènes, remontant à 1154. es archhes de cette ville possédent également (Archivio Stat0 Materie politiche, mazzo 18 d. n.° 2737) plu-ìeurs lettres sur papier des empereurs grecs Isaac II et is IV, de 1188 à 1202 (3). . ^ra,ce a la parfaite obligeance de M.r Desimoni, sur-n ant des archives de la Ligurie, nous avons pu < minerva loisir tous les papiers que nous voulions ier, c est à lui et à M.r le prof/ Belgrano que nous (1) Statistique de la ville de Génes. Gènes 1828 , r W Dans les deux mémoires cit s piustaf ’ ’ ^ (7) vOVP7 lf>c , s pJus llaut> P- 270 en note. trZa Zdii J * gréC°‘byZamÌnS PubHés les Acta et diplomata Vienne, x86S ^ ^ et MflUer, tome IH. — 291 — devons l’indication de nombreux documents relatifs au papier, à son commerce, à sa fabrication. Qu’ils re^oi-vent ici tous deux l’expression publique de notre sincère gratitude. Les archives notariales avec leurs 15,000 volumes, source inépuisable de renseignements de tous genres sur la vie publique et privée des Gènois, leur histoire, leurs mceurs, leur industrie, «leur commerce, devaient avoir notre première visite. Nulle part, — sauf peut-étre à Venise, — on ne trouve une sèrie aussi considé-rable et aussi ancienne de documents écrits sur papier. Nous en avons examiné les 200 premiers volumes, et nous regrettons vivement que le temps ne nous ait pas permis de pousser plus avant cette étude. Nous avons cependant pu nous taire une idèe exacte des papiers employés à Gènes durant deux siècles, soit du milieu du XII.e au milieu du XIV.' Pour la période suivante s’étendant jusqu’au XVII.e siècle, nous avons dù abandonner la collection trop vaste des actes de notaires pour des recueils moins étendus. Nous avons fait choix, dans les archives gouvernementales, des registres appelès Diversor uni negotiorum, qui sont les procés-verbaux des delibèrations de la Seigneurie, et Litterarum Communis, recueil de minutes des lettres écrites en son nom. Nous avons examiné ainsi le papier de plus de 300 volumes embrassant la période qui s’étend de 1380 à 1667. Puis, comme ces deux séries sont constamment sur papier de mémes dimensions, nous avons encore consacré quelques jours aux archives de Saint-Georges, qui comptent en-viron 36,000 volumes, pour examiner des collections moins considérables, mais écrites sur des formats diffé- — 292 — rents, durant la mème période, soit de 1350 à 1650. Nous avons parcouru là 120 volumes environ. Enfin M.r le prof/ Belgrano a eu la grande obligeance de nous communiquer les calques de 115 filigranes (1) relevés, il y a quelques annèes, par M/ Villa, antiquaire bien connu de Gènes et membre de la Société d’histoire de cette ville. Nous nous sommes ainsi trouvè en présence de 650 à 700 dessins, qui, dèduction faite des doublets, ont été ramenés à 594 types, ou variétés de types, dont plus du tiers sont inédits. Cette collection, représentant les papiers employés à Gènes de 1300 à 1650, soit pendant trois siécles et demi, est certainement intéressante sous plus d’un rapport. Elle montre, reproduits d’une manière naìve,.mais fidèle, des objets usuels du moven àge et doit, à ce point de vue, rendre quelques services à l’antiquaire. Mais surtout elle peut aider à déterminer la date et la provenance d ouvrages manuscrits ou imprimés, d’autographes, de planches gravées et de reliures, non datés ou de date dou-teuse. En effet, les filigranes, mème ceux qui ont dure le plus longtemps, ont sans cesse varié dans leurs con-tours ou dans leurs dimensions. Ces marques, rappelons-le, étaient fa^onnées à la main et fixées sur la forme , à une place qui n’était jamais absolument la mème. Or une forme ne durait pas longtemps; tous les ans, tous les deux ans au plus, il fallait Ja renouveler, et en la renouvelant, il se produisait quelques modifications dans le dessin du filigrane, dans sa position sur la forme et (1) Ces calques n’indiquent malheureusement ni les vergeures, ni les pontuseaux , ni les dimensions des papiers- - 293 - mème dans la vergeure et les pontuseaux de cclle-ci. Ce sont ces variations successives qui, étudiées avec soin , permettent d’arriver à fixer, d’une manière trés approxi-mative, l’àge d’un papier. Les papiers du XII/ et du XIII.' siècle, encore dé-pourvus de filigranes, se ressemblent beaucoup ; leurs formats varient de 27 centimètres de haut sur 37 de large (Arch. notar, voi. 2, de 1180 à 1186) à 35 ‘/2 sur 56 (Arch. notar., voi. 12, de 1214 à 1240), soit du simple au doublé. On rencontre parfois le format de 3 3 centimètres sur 49, mais surtout celui de 32 sur 45. La vergeure en est généralement fine : 20 fils occupent de 20 à 24 millimétres dans les plus anciens de ces papiers. A partir de 1210 ou 1215 , elle devient plus grosse et les 20 fils occupent 35, souvent méme 40 millimétres. On constate dans le registre 7 (de 12 n à 1227) la présence d’un papier dont la vergeure, dans le milieu de la feuille, paraìt beaucoup plus serrée que dans les bords: vingt fils y occupent, au milieu, 28 millimétres, et sur les bords, 50. Ce fait, que l’on rencontre à d’autres époques, est difficile à expliquer. Quant aux pontuseaux, leur nombre varie de 8 à 10 et leur écartement de 40 à 60 millimétres. L’épaisseur de ces papiers n’est pas trés réguliére; ils sont cependant plus minces que ceux du milieu du X1V.C siècle. Quelques-uns sont d’une pàté trés pure, bien travaillée et fondue; d’autres, au contraire, sont pleins de noeuds et de fils, sans qu’on puisse attribuer ces variations d’apparence à une antiquité plus ou moins grande. En un mot, nous — 294 — na\ons su trouver, à ces papiers du XII.c et du XIII.0 siècle aucun caractére spécial qui permette de les dif-férencier entre eux ni de les distinguer des papiers non fi!igranés des siècles suivants. Tout au plus pourrait-on classer à part certains papiers de provenance orientale. Ainsi les lettres des empereurs grecs, signalées plus haut, sont écrites sur des fragments de papier rognés, qui paraissent tirés de feuilles de grandes dimensions; le plus important de ces fragments mesure 27 centi-metres sur 68. Durant un séjour fait, il y a quelques années, à Turin, nous avions déjà été frappé des dimensions exceptionnelles du papier de quelques ma-nuscrits grecs de la Bibliothéque Koyale. Nous cite-r°ns. 1. le ms. B. I. 9, écrit en 1214 (Nicetas, Chaine dts Pa es grecs sur les évangiles de Matthieu et de Jean), grand in-4.0, rogné, dont la feuille entiére, dépliée, me-sure 5i 'L centimètres sur 69; 2.0 le ms. B. I. 5, attribué au XIII.C siècle (Nicetas, Commentaires sur le 1 sauticr), également grand in-4.0, rogne, dont la feuille mesure 50 centimètres sur 69; 30 le ms. B. IV, 35, probablement du XIV.c siècle, qui est un recueil de sentences, de réflexions, etc., sans nom d'auteur, &rand in-8, rogné, dont la feuille dépliée aurait 48 cen-timétres sur 68. Le papier des lettres des empereurs ftrecs et celili de ces trois manuscrits a la méme appare, il est bien lissé, d’une vergeure irréguliére, par-courbée (20 fils mesurant de 24 à 38 millimétres), , C ces Pontuseaux espacés d’environ 50 millimétres, g nera ement indistinets, le plus souvent méme, invi-es On possédait donc, en Orient, au XII.e siècle ou •, un papier mesurant, non rogné, au moins - 295 — 52 centimètres sur 70 (1); ce sont des dimensions aux-quelles, en Occident, on n’est pas parvenu avant le XVI.' siècle (2), et qui dénotent des procédés de fabrication perfectionnés. Avec le XIV.' siècle, on commence à rencontrer à Gènes des papiers munis d’un filigrane. Ces premières marques sont : un petit cercle ou un O (fil. n.° 39), en 1301 ; un I (fil. 392 et 393), un F (fil. 383 et 384), un ni (fil. 399 et 400), et une sorte de croix (fil. 242), en 1302; la lettre b ou p minuscule (fil. 376), en 1304; une grande croix, pommée aux extrémitès des bras et à leur intersection (fil. 240), en 1305, etc. 11 n’y a pas encore d’usage fixe pour la place quc le filigrane doit occuper sur la forme ; ainsi 1’ 1 est placé au centre de la feuille ouverte, tandis que les autres sont posés à l’endroit habituel, soit vers le milieu d’une des demi-feuilles. On trouve aussi, de très bonne heure, des filigranes doubles, c’est à dire des papiers dont les feuilles sont munies de deux filigranes posés sur chacune des moitiés de la feuille; ainsi les lettres C et B (fil. 380), en 1306; ainsi encore une (1) D’aprés le prof. Karabacek, Das ambiscile Papier, p. 71 (tirage à part des Mittheilungen aus der Sammlung der Papyrus Er$er%pg Rainer, tomes II et III, Vienne, 1887), la feuille entière du papier de Bagdad mesurait 733 millim. sur 1099, et la demi-feuille ou Mausùrì, 488 sur 733. (2) L’incunable du plus grand format connu est une édition du Catbolicon de Jean Balbi de Gènes, imprimée avec les caractères particuliers qui renferment la lettre majuscule R de forme bizarre. Ces types ont d’abord été attribués à Mentelin; mais, d’après Madden, ce seraient ceux d’Ulrich Zeli, travaillant au monastère de Weidenbach à Cotogne. L’ouvrage, imprimé vers 1470, est en papier de 48 centimètres sur 66. Nous ne nous souvenons pas avoir rencontré, avant le XVI.' siècle, des papiers d’archives, mesurant plus de 42 centimètres sur 62. — 296 — sorte d’ i et un cercie tmversé par deux diamétres, se coupant à angle droit (fil. 40), en 13u. Dans le premier de ces papiers, les lettres C et B sont placées à la méme hauteur, chacune à peu près au centre du feuillet, tandis que, dans le second, les filigranes occupent les bords de la feuille. Mais ce qu’on trouve à Génes, en plus grande abon-dance qu’ailleurs, ce sont des papiers filigranes au nom d un fabricant, et cela durant une période trés courte (de 1307 à 1316). Nous avons relevé les marques sui-vantes : Andru^o A — Barioli — Cicco V — Filipo Z — Filipuio Z — Muso P — Mattalo P — Petri S — P lutavo Z — Paioli Z — Zovani G — Zu^o G. L’existence de ces noms de fabricants, déjà signalée par M.r Zonghi pour les papiers de Fabriano (1), ren-verse complétement les idées généralement admises à ce sujet et que Sotheby (2) formulait ainsi; « I venture to assert that, until after or probably thè dose of thè fifteenth century, there are no marks on paper which may be said to apply individuali}’ to thè maker of thè paper. » Cette idée précongue a conduit Sotheby à attribuer aux Pavs-Bas 011 à la Bourgogne le filigrane du P, initiale des trois ducs Philippe qui, à part le régne assez court de Jean sans Peur, occupérent le tróne de Bourgogne pendant plus d’un siècle (de 1350 à 1467), ainsi qu’un autre filigrane dans lequel il voit les initiales P et \ liées et qu’il rattache au mariage, en 1429, de Philippe le Bon de Bourgogne et d’Ysabelle de Portugal. (1) Le marche principali delle carte fabrianesi, Fabriano, 1881, p. 16; Le antiche carte fabrianesi. Fano, 1884, p. 43. (2) Principia typographica. Londres, 1858, tome 111, p. 8, en note. - 297 — Ce sont, croyons-nous, deux erreurs. La lettre P a été usitée d’abord en Italie; elle se rencontre à Fabriano des 1307, soit 43 ans avant Philippe de Rouvre; quant à l’autrc filigrane, il faut une forte dose de bonne volonté pour le lire PY ; c’est une marque qui nous parait indigene au Dauphiné et dans laquelle nous verrions plutót le monogramme de cette province DP ou DLPH. Il est difficile de dire d’où venaient les papiers non filigranes qui étaient employés à Génes dés un temps si reculé. Le premier des-volumes de notaires, écrit par Jean Scriba, de 1154 à 1166, l’a été, pour les premières pages du moins, sur les parties laissées blanches d’un manuscrit en grosses lettres arabes et sous chaque mot duquel figure la traduction latine. Cela autorise à préter à ce papier une origine orientale, ou du moins arabe (1). Mais quant à la provenance des volumes suivants, jusqu’à l’apparition des filigranes, il est sage de ne point hasarder d’hypothéses, tant qu’on ne possédera pas plus de lu-mières sur cet objet. La provenance des papiers filigranés est déjà plus aisée à déterminer et le sera toujours plus à mesure que le sujet sera mieux étudié. La plupart des marques relevées à Gènes dans la première moitié du XIV.e siècle ont été signalées dans les papiers de Fabriano et sont, par conséquent, originaires de cette région, sans qu’on puisse affirmer qu’elles en viennent toutes. Ce qui complique la question (1) Voyez Amari, Nuovi ricordi arabici su la storia di Genova, dans Atti della Società Ligure di Storia Patria, tome V, p. 633, planches li, III et IV. Gè-ncs, 1873. — 298 — et la rend presque insoluble, ce sont l’extréme diversité des filigranes de cette époque et le court espace de temps pendant lequel chacun d’eux a été usité. Il semble im-possible que chaque papetier n’ait employé qu’une seule marque, tant le nombre de ces signes est considérable. Un fait assez remarquable et qu’il nous faut signaler, c est l’absence à Gènes de papiers aux marques piémon-taises. A part les deux filigranes du char et de Yanneau, marques probablement originaires de Coni (voir les pa-ragraphes consacrés à ces deux marques), on ne rencontre aucune des nombreuses variétés de la grappe de raisin, de la tòte de boeuf à croix de Saint Andre, de la pomme de pm, de la couronne surmontée d’une croix, du boeuf, etc., filigranes si abondants en Piémont, en Suisse et en Alle-magne durant tout le XV.e siècle. Il semble que le trans-port de ce papier en Ligurie était trop difficile ou trop couteux, et que l’écoulement s’en faisait par voie de terre dans les pays du centre de l’Europe trop éloignés de la mer pour ètre servis par Génes ou par Venise. A partir de quelle époque voit-on apparaitre à Génes d’une manière positive des filigranes indigénes? Il est difficile de le dire. Il faudrait savoir d’abord à quels ca-ractéres certains on peut reconriaitre qu’un filigrane est indigéne. A défaut, bien entendu, d’autres indications plus précises, il n’en est guére que deux, à notre a vis, à savoir: i.° l’abondance du papier à cette marque; 2.0 l’emploi continu de cette marque, avec quelques variantes, pendant un temps assez long. Or, ces deux caractéres, le dernier surtout, ne se retrouvent guére à Génes avant le commencement du XV.csiécle, et seulement pour un petit nombre de filigranes, tels que la couronne, dont - 299 — nous possédons 20 variétés de 1415 à 1499, les ciseaux (56 variétés de 1432 à 1513), le croissant (23 variétés de 1496 à 1629), le gantelet(50 variétés de 1440 à 1598), une téte de boeuf particuliére (12 variétés de 1457 à 1500), et peut-étre les trois monts (27 variétés de 1356 à 1446), Nous reviendrons ailleurs sur ces-filigranes. Ces marques sont bien probablement génoises, mais il nous paraìt certain qu’il en a été employé beaucoup d’autres ainsi les lettres initiales posées à l’angle de la feuille (pendant tout le XVII.0 siècle), la petite oie (fin du XV.e siècle), le pclerin (fin du XVI.c siècle), les armes de Génes et le cercle surmonlè de la croix (1520 à 1557, peut-étre simple variante du croissant ou lune). Nous croyons cependant que la fabrication du papier a été exercée à Gènes avant le XV.C siècle. Cette indi-cation nous est fournie par des documents écrits dont il est temps de parler. Le premier en date est un acte du 24 juin 1235 , par lequel un anglais, nommè Gautier ( Gualterius englesius ) s’engagé pour un an envers Mensis de Lucques à travailler avec lui pour fabriquer du papier, et cela au prix de 27 sols de Gènes, par mois, avec promesse de ne travailler avec personne d’autre et de n’enseigner à personne ledit métier, jusqu’au terme du contrat, sous peine d’une amende de 10 livres de Gènes. Mensis s engage, de son cóté, à fournir tout ce qui sera nécessaire pour exécuter le travail. Un troisiéme personnage intervient dans cet acte. C’est Marchisius de Camo gli, qui promet de payer à Mensis 12 deniers pour chaque jour que le dit Gautier travaillera avec lui, Marchisius. Des termes, en peu vagues, de cette convention, il semble résulter que Mensis connaissait — 300 — déjà la fabrication du papier, puisque Gautier s’engage non pas à lui enseigner cet art, mais seulement à travailler avec lui, promettant en outre de ne pas divulguer les procédés de la profession (i). Si cette interprétation est exacte, il faudrait en conclure qu’en 1235, on con-naissait déjà la fabrication du papier (2) à Génes et que, non seulement Mensis s’en occupait, mais que Marchisius la pratiquait également, puisqu’il offre d’employer l’ou- vrier Gautier les jours où Mensis ne lui donnerait pas de travail. (1) Arch. notariale à Gènes. Notaro Gianuino de Predono ed altri, ann. 1230, fol. 304 recto : X In nomine Domini, amen. Ego Gualterius englesius promito et convenio tibi Mensi de Lucha laborare tecum causa faciendi papirum et de omni misterio quod facere scivero et quod facere volueris, usque ad annum unum proximum completum, dictum itaque laborerium bona fide facere et sine fraude, et cum aliqua persona non laborare usque ad dictum terminum, nec alicui persone docere sive monstrare dictum misterium, usque ad dictum terminum; et tu debes mihi dare pro mercede persone mee omni mense solidos viginti septem Janue. Predicta promito tibi attendere, sub pena librarum decem Janue et obligatione bonorum meorum, et ita juro attendere et contra non venire. Et ego Mensis predictus promito tibi dicto Gualterio dare tibi ad laborandum usque ad dictum terminum, et dare tibi omnia que necessaria erunt ad ipsum laborerium faciendum, et dare tibi omni mense solidos viginti septem, videlicet omni ebdomada pro eadem mercede, sub dicta pena et obligatione bonorum meorum. Et ego Marchisius de Camulio promito tibi dicto Mensi dare et solvere tibi, omni die quo Gualterius predictus mihi laborabit, denarios xij, sub dicta pena et obligatione bonorum. Actum Janue, in domo mei Mathei (*). Testes: Jacobus Capucius et Enricus magister de Predono (a. 1235), die xxiiij (Junii), circa terciam. (2) La fabrication du papier en Occident était déjà certainement pratiquée dans la première moitié du XIII.e siècle, puisque Sachàwi, mort en 1245, men- tionne dans son histoire des juges égyptiens, un ouvrage formé de 40 volumes en papiers de diverses provenances, dont quelques-uns consistent en papiers d’origine franque. Voyez Histoire des Mongols de Raschid-Ed-dìn , traduite par E. Quatremère, p. cxxxm. ( ) Mathicu de Predono, nouire, qui en cffct a ccrit l'acte. — 30i — Deux autres actes témoignent, sinon d’une fabrication, du moins d’un commerce de papier, fait à Gènes , au milieu du XIII.u siècle. Dans le premier du 29 mars 1253, on voit Simon de Chiavari reconnaitre avoir re<;u de Foulques Armanigra une certaine quantité de papier, pour laquelle il lui doit la somme de 26 livres et 13 deniers de Gènes (1). Par le second, du 10 mars 1257, le méme Simon de Chiavari, et Manuel de Domoculta reconnaissent tous deux avoir recu du papier de Nicolas Dentuto et s’engagent à lui en payer la valeur, soit 20 livres et 13 sols, dans un délai de deux mois (2). (1) Arch. notar. — Noturo Giannino de Predono, ann. J2$],fol. 38 verso. f In nomine Domini, amen. Ego Symonetus de Clavaro, qui sto ad Sanctum Syrum, confiteor me emisse et recepisse a te Fulcone Armanigra tot papirum, renuncians exceptioni non habiti vel non recepti papiri et omni juri; pro cujus precio debeo tibi libras viginti sex et denarios tredecim Janue, quos per me vel nieum missum tibi vel tuo certo tnisso dare et solvere promitto usque ad mensem unum proxime venturum. Alioquin duplum , nomine pene, cum dampnis et expensis proinde transacto termino factis vel habitis, tibi stipulanti spondeo ; te inde credito tuo solo verbo, sine juramento et testibus. Pro pena et predictis omnibus observandis, omnia bona mea habita vel habenda tibi pignori obligo; et non possem probare soluciouem hujus debiti nisi per hoc instrumentum incisum vel per aliud publicum instrumentum inde faciendum. Actum eo loco (Janue, ante domum canonicorum Sancti Laurentii), (a. 1253), die xxviiij Martii, ante terciam. Presentibus Oberto de Levanto spaerio et Girardino de Predis. Die xvij Aprilis. Cassum voluntate partium. (2) Arch. notar. Notaro Angelino da Sestri, anri. 1257-1258, fol. 67 recto. | Nos Syrnon de Clavaro, qui moratur ad Sanctum Petrum de Porta, et Manuel de Domoculta, quisque nostrum in solidum, confitemur tibi Nicolino Den-tudo nos emisse et habuisse a te tantum papirum, abrenunciantes exceptioni non habiti et non traditi papiri et omni juri; unde et prò precio cujus tibi, vel tuo certo nuncio, per nos vel nostrum missum, dare et solvere promittimus, quisque nostrum in solidum, libras viginti et solidos tredecim Janue usque ad menses duos proximos, sub pena dupli, cum omnibus dampnis et expensis elapso termino factis pro exigendo dicto debito tibi stipulanti promittimus. Propterea vero et predictis omnibus observandis, universa bona nostra habita et habenda tibi pignori obligamus. Acto quod de predictis omnibus quisqup nostrum in solidum te- — 302 — Cent et trente ans plus tard, le papier n’est pas seulement l’objet d’une vente locale, il donne lieu à un commerce d’exportation : En 1380, un navire à destination de l’Ecluse (Sluys en Zelande, Pays-Bas), chargé de gingembre, de fleurs d’oranger, de sucre, de fruits secs, de riz, de soufre, de salpétre et de papier pour ccrire ( viginti et duas balas paperi scri-vabilis), expédié par Jean Di Negro, Jean Ferrari, Pierre Spinola, et Baptiste Lomellino, de la société Gentile et D’Oria, fut pris par les Anglais, réclamé à Londres et rendu sous la caution de Gustave Pinello, marchand génois (1). Enfin, un document de 1424, nous apporte le nom d’un fabricant de papier et nous apprend en quel en-droit il était établi. Ce document n’est autre qu’une re-quéte à la Seigneurie de Gènes, adressée par Grazioso Damiani, de Fabriano, maitre fabricant de papier, aux fins d’obtenir un privilége pour l’achat des vieux cor-dages de la cité (2). Dans sa supplique, Damiani rap- neatur. Abrenunciantes nove constitutioni de duobus reis, epistole divi Adriani, juri de principali et omni juri. Testes: Joanninus de Rappallo scriba, Petrus Medicus de Sancto Donato. Actum Janue, juxta terram heredum Nicolai Ususmaris, anno Dominice nativitatis mcclvij, inditione xiiij, die x Martii, inter prinum et terciam. (1) Rymer, Foedera ad ann. 1380. (2) Gratiosi constructoris papiri. Illustri et magnifico domino domino Gubernatori ducali civitatis Janue, nec non dominorum Ancianorum provido Consilio, reverenter dicit Graciosus Damiani de Fabriano, magister construendi papirrum, quod veruni est quod ipse ab annis decem octo citra setnper continuavit exercere dictam artem, primitus in Sancto Petro Arene et deinde in loco Vulturi, nec unquam nec ante nec post fuit aliquis construens papirum in partibus istis, nisi ipse. Et cum dicto ministerio non posset bene vacare, adeo quod res necessarias pro costruendo papirum aliquando deficiebant ei’4em, aliquando ea emebat in cariori pretio sicut stracias; - 303 — pelle que depuis dix-huit ans (donc dés 1406), il a tou-jours exercé son métier, d’abord à Saint Pierre d’Arena (1), puis à Voltri (2), et que, jamais avant lui, il n’y a eu de fabricant de papier, dans ces localités. Il expose en-suite la difficulté que rencontre son travail, attendu que, panni les matériaux qu’il emploie, il en est, comme les cordages, qui lui font parfois défaut, ou qu’il est forcé d’acheter à un prix trop élevé. C’est pourquoi le seigneur Boucicaut, alors gouverneur de Gènes, avait décrété que nul ne put emporter les cordages de la cité, si ce n’est Damiani lui-méme. Il supplie humblement le Conseil de renouveler ladite ordonnance, pour une durée . de cinq ans au moins (3). Au vu de cette requète, le 12 avril 1424, « l’illustre et exposuit tunc domino Bociquaut, tunc gubernatori Janue, et Consilio, causam sui gravaminis. Qui, attenta utilitate tocius reipublice et dicto ministerio valde necessario , decreverunt quod nemo auderet extrahere stracias de civitate Janue, nisi ipse Graciosus. Quare humiliter supplicat, quatenus prefata illustris Dominatio et Consilium pie dignentur statuere, ordinare et mandare quod nemo possit ut supra stracias extrahere de civitate Janue quam ipse, ut possit dicto ministerio vacare; aliter opporteret a dicto ministerio ipsum desistere; et hoc per spacium annorum quinque, vel de quot dictis Dominationibus videbitur convenire, f mccccxxiiij, die xn.a Aprilis. Illustris et magnificus dominus dominus ducalis Gubernator januensium, et venerandum Consilium dominorum Antianorum in legitimo numero congregatum. Attendentes concernere publicam utilitatem quod ars conficiendi papirum in districtu Janue propagetur; annuentes requisitioni dicti Gratiosi, auctoritate presentium, statuerunt, ordinaverunt, mandaverunt quod nulli persone liceat de cetero extrahere de civitate Janue stracias, nisi dicto Gratioso soli, pro elaborando dictam artem suam, et non ob aliam causam, usque ad annos quinque proxime venturos. Ordinantes insuper quod Vicegubernatores presentes et futuri sint meri et summarii executores ejusmodi inhibitionis et decreti. (1) A 4 kilomètres de Génes. (2) A 31 kilomètres de Gènes. (3) Cette requète est tirée d’une liasse des archives d’État à Génes, intitulée : Artium, ann. 1424 à 1784. — 304 — magnifique seigneur gouverneur (i) de Génes pour le Due [de Milan] ainsi que le vénérable Conseil des Anciens, réuni en nombre légal, considérant qu’il est d intérét public que l’art de fabriquer le papier se propage dans le district de Gènes, approuvant la requète dudit Grazioso, ont mandé par les prèsentes qu’à l’avenir il ne soit permis à personne d’enlever les cordages de la cité de Gènes, si ce n’est au seul Grazioso, afin qu’il exerce son dit métier, et non pour autre chose, jusqu’au terme de cinq ans; ordonnent, en outre, que les Vice-gouverneurs, présents et futurs, soient striets dans l’exécution de cet ordre et de ce décret. » De cette pièce importante, il résulte que Grazioso Damiani, originaire de Fabriano, ville où l’on fabriquait dés le commencement du XIV.e siècle, un papier re-nommé, serait venu s’établir, vers 1406, d’abord à Saint Pierre d’Arena, puis à Voltri (où l’eau est plus abon-dante, plus belle et d’un débit plus régulier), et y aurait établi une papeterie, la première et la seule existante dans ces deux localités. Ce fait, sur la vérité duquel il ne peut s’élever aucun doute, expliquerait la remarque faite précédemment qu’on ne trouve l’emploi continu des mèmes filigranes, dans les papiers de Gènes, qu a partir du commencement du XV/ siècle. Toutefois de ce que Damiani a été le premier à s’établir à Saint Pierre d’Arena et à Voltri , il ne fau-drait pas conclure qu’il n’y ait jamais eu antérieurement de papeterie aux environs de Génes, mais seulement qu’on en avait perdu le souvenir à l’époque où cet (l) Le général Francois Bussone, conile de Carmagnole. - 305 — industriel vint de Fabriano s’établir sur le territoire de la République. Hffectivement, l’outillage de ces premiers établissements était très simple et nous connaissons plus d’un exemple de papeteries abandonnées après un temps trés court d’activité. Mais laissons de cóté cette question, sur laquelle de nouveaux documents viendront sans doute, un jour ou l’autre, jeter de la lumière. Un fait est incontestable : c’est le grand développement que prend la fabrication du papier, à partir de la seconde moitié du XV.e siècle, circonstance que l’on peut certainement attribuer à la découverte et aux progrés de l’imprimerie. Un jugement rendu le 17 décembre 1438 parie de 140 balles de papier, vendues par Martin Buscio, de Varazze, à savoir 80 balles à Ansaldus D’Oria et 60 à Raphael Lercari et à ses associés (1). Varazze possédait (1) Fazio, Varale t il suo distretto, p. 116. Copie ancienne, conservée par la famille Fazio à Varazze, dans un liasse in-titulée: Raccolta degli atti civili, n.° 16. (Au dos :) 1438, 17 decembris. Immunitas Varaginensium a cabella censariarutn. Immunitas apapirii. In nomine Domini, amen. Anno mccccxxxviij, indictione prima secundum cursum Janue, die mercurii xvij decembris, in tertiis. Nobiles et egregii domini tonradus Cigala prior, Georgius Carvallus et Andreas Calvus, consules calegarum et introitus communis Janue, pro tribunali sedentes ad eorum solitum juris bancum. Audita requisitione coram eis verbo facta et exposita per Christopharum Burnengum et socios, collectores introitus censarie nove et veteris anni mccccxxxv, petentes et requirentes cogi et compelli et condemnare debere per dictos dominos consules magistrum Martinum Buscium de Varagine ad sibi dandum et solvendum drictum eisdem Cristopharo et sociis suis dictis nominibus spectantem, pro ballis centum quadraginta apapirii venditis per ipsum magistrum Martinum de Varagine, Ansaldo de Auria scilicet ballas lxxx, et Ra-phaeli Lercario et sociis ballas lx, sive dictos emptores dicti apapirii, vel quem '‘Atti Soc. Lig. St. Patria, Voi. XIX. ao » - 306 — donc trés probablement une papeterie en 1438- Un autre document, sur lequel nous reviendrons, à propos d’un procés pendant, en 1450, entre' la corporation des chiffonniers (pedani) et deux papetiers de Gènes, Basile Acinelli et Jean Mangiavacca, parie, au pluriel, des fabricants de papier. A Voltri méme, Grazioso Damiani, * ou son successeur, ne fut bientót plus seul à fabriquer du papier ; d’autres industriels s’étaient établis dans la mème localité, ainsi que nous le verrons tout à l’heure. Toutefois, ce développement, à une époque et dans un pays où tout était réglementé, ne se fit pas sans de nombreuses difficultés, dont on trouve la trace dans les modifications apportées successivement aux réglements de 1 art des écrivains et papetiers. Nous avons vu le maréchal de Boucicaut (gouverneur pour le Roi de France de 1401 à 1409), et le gouverneur pour le Due de Milan, en 1424, confirmer à Damiani un privilége pour la récolte des*vieux cordages de la cité seu quos eorum conjunctim vel divisim veniunt condemnandi de jure et ex forma venditionis dicte cabelle. Audito superinde dicto magistro Martino, dicente se non teneri ad supradicta, eo maxime quia pro conventionibus hominum Varaginis est immunis et francus, auditisque etiam dictis emptoribus dicti apapirii, et visa venditione dicti introitus, per quam aparet quod si aliquod mercatum factum fuerit inter aliquem francum et immunem et inter aliquem non francum, quod nofl francus teneatur pro franco, et visis conventionibus hominum Varaginis exhibitis et presentatis per dictum Martinum et per Antonium Dondum, sindicum et procuratorem hominum Varaginis, et demum auditis partibus et earum juribus, ac omnibus iis que in predictis dicere voluerunt etc., omni modo etc., Christi nomine etc., videlicet quia absolverunt dictum Martinum a petitione dicti Christophari et sociorum, dictis nominibus, eo quia est immunis et francus vigore dictarum suarum conventionum ; et nihilominus condemnaverunt dictos emptores dicti apapirii ad solvendum suum drictum dicto Christopharo et sociis dictis nominibus de et pro occasione dicti mercati dicti apapirii. Et de predictis etc. — 307 — de Gènes. Combien de temps ce privilége subsista-t-il ? On 1 ignore. En tout cas il n’existait plus en 1446, car un règlement de cette date, que nous ne connaissons qu’en partie, par le fait des adjonctions qu’il subit en 1450, portait ceci : « Que celui qui n’appartient pas au dit métier (des chiffonniers et papetiers) ne puisse vendre de vieilles toiles et de vieux cordages. Qu’aucune personne étrangére audit métier ne puisse acheter, pour les revendre, dans la cité de Gènes, de vieilles toiles ainsi que de vieux cordages sous peine d’une amende de quatre florins pour chaque contrevenant et pour chaque fois, amende attri-buée pour une moitié audit métier et pour l’autre moitié aux travaux du port et de la jetée » (1). Ces articles mettaient les fabricants de papier dans la dépendance de la corporation des chiffonniers; aussi pro-testérent-ils, et deux d’entr’eux, Basile Acinelli et Jean Mangiavacca, mentionnés plus haut, ne voulant pas se soumettre au règlement, firent appel au Conseil, qui nomina une commissioni chargée d’examiner les contesta-tions et de réformer les ordonnances. Les quatre membres de cette commission, aprés avoir entendu les parties, pro-posèrent et firent adopter le 4 mars 1450 au Conseil des Anciens l’adjonction aux règlements antérieurs de deux articles : l’un concernant les mesures à prendre pour empécher les vols fréquents de cordages de navires, l’autre ordonnant : « Qu’il soit permis aux papetiers et (1) Archives d’État à Gènes, liasse citée. — Quod aliquis qui non sit de dieta arte non possit vendere vella vetera et sartias. Item quod aliqua persona que non sit de dieta arte non possit emere vella veterà causa revendendi in civitate Janue et similiter sartias veteres. Sub pena florenorum quatuor pro quolibet contrafacienti et qualibet vice, applicanda pro dimidia dicte arti et pro reliqua dimidia operi portus et moduli. — 308 — aux autres personnes quelles quelles soìent d’acheter les dits vieux cordages et de les envoyer, à leur gré, hors de Gènes, pour les vendre; qu’il soit également permis aux papetiers de vendre, dans Gènes et son district, les vieux cordages aux fabricants de papier et de les employer pour la fabrication du papier, mais non pour d’autres usages » (i). Ce dernier article donnait satis-taction aux fabricants, car non seulement les membres de la corporation devaient leur vendre les vieux cordages qu’ils pourraient recueillir, mais les fabricants obtenaient la faculté de faire récolter par leurs propres agents, la précieuse matiére, objet de la contestation. Dans ce règlement, de mème que dans ceux qui sui-virent, les fabricants de papier semblent ne pas faire partie de la corporation des papetiers. Celle-ci n’aurait donc été qu’une corporation de marchands, mais en ce cas, à quelle corporation se rattachaient les fabricants de papier? On ne le sait pas, mais il parait qu’ils n’au-raient eu une vie propre que beaucoup plus tard, car on lit, à la date du 28 avril 1518, que la Seigneurie a « accordé à une commission nommée à cet effet, com-posée de Pantaleon Delfino, de Simon Giustiniano et de Dominique Cattaneo, le pouvoir et le mandat de fixer et arrèter suivant quelles mesures, formes et régles doivent ètre fabriqués à l’avenir les papiers de tous genres et de toutes sortes; de quelle qualité et (1) Arch. et liasse citées. — Addantur hec verba, videlicet : Liceat, non obstantibus predictis, dictis cartariis et aliis quibuscumque personis dictas sartias veteres emere et mittere extra Januam ad eorum arbitrium, vendendi causa; necnon liceat dictis cartariis dictas sartias veteres vendere in Janua et districtu fabricatoribus appapiri et seu in fabricatione appapiri errogare e non in alios usus. - 309 — de quelles dimensions ils doivent ètre ; pareillement combien doivent peser les balles de ces papiers ; com-bien de papier vulgairement appelé meleti (mélé, casse ou tare) on peut mettre dans chaque balle ou s’il est défendu d’en mettre » (i). Le 23 juillet 1565, on trouve encore une requète des fabricants de papier de Voltri, tendant à ce qu’il leur soit permis de choisir des consuls et d’établir les réglements de leur art. Revenons aux ordonnances sur le papier. Un décret du 17 avril 1450 sur la corporation des libraires ne renferme rien qui nous interesse; un autre du 7 janvier 1471 modifie les réglements des papetiers sur des points de peu d’importance: il porte de 4 à 5 livres pour les Génois, et de 8 à 10 livres pour les étrangers, le droit d’entrée dans la confrérie; il èlève de 4 à 5 ans la durée de Lapprentissage ; enfin, il exige que l’habileté et la capacité de ceux qui veulent exercer le métier soient reconnues par le consul de la corporation et par deux recteurs du collège des notaires de Gènes. Le 11 mai 1471, on trouve un règlement intéressant sur la profession des libraires et des imprimeurs. C’est, sauf erreur, la première fois que l’on rencontre la mention (1) Archives d’État à Gènes. Diversorum Communis Januae ann. 1518-1), n.° 195. MDXvm, die xxvili aprilis. Illustris et excelsus dominus Octavianus de Campofregoso, regius Januensium gubernator , et magnificum Consilium dominorum Antianorum, etc., auditis Panthaleone Delfino, etc., statuerunt quod ipsimet Panthaleo et college potestatem et bailiam habeant statui et ordinari modos, ibrmas et leges quomodo de cetero fabricari debeant papiri cujuscumque generis et qualitatis, et cujus bonitatis et magnitudinis esse debeant; pari modo quantum ponderari debeant balle ipsorum papirorum, et quod in ipsis poni non possint mezeti , qui ita vulgo vocantur, vel quot ex ipsis in quolibet balla poni possint. cffiuellc de ces derniers (i); mais il nV est pas question ^bncation ou de la vente du papier. e 16 avril 148le Doge et le Conseil des Anciens promu guent une réforme des réglements des papetiers et copistes de la cité de Gènes, qui avait été proposée eur sanction quelques jours auparavant (le 10 avril) P^r es^ eommissaires chargés de préparer ces change-nents j la^ requète des intéressés. Les modifkations ap-portées à 1 ancien état de choses sont rédigées en douze artic es. Le premier traite de la vente des livres manuscrits imprimés, les articles 2, 3 et 5 concernent seuls le commerce proprement dit du papier: nous y reviendrons; article 4 est relatif à la vente du parchemin; les arti-c es 7> 8 et 9 édictent les conditions requises pour pou\oir s établir et tenir boutique, fixent la durée de apprentissage à six ans, et ne permettent à un maitre e prendre un second apprenti que lorsque le premier aura déjà fait un stage de trois ans; enfin ils n’auto-risent un maitre à recevoir pour travailler avec lui, un artisan du métier que si celui-ci a fait son apprentissage ans la cité de Génes; les articles 10 et 11, trés peu c airs , ont rapport au délai dans lequel doit s’effectuer a éclaration d un achat de papier et au délai dans lequel nraison doit en ètre faite. Le 12.c article, enfin, dé-ermine^ les pouvoirs concédés aux consuls et conseils u métier pour faire appliquer le règlement. aprés les articles 2, 3, et 5, la vente du papier pro- études de vt\f °nsu'ter’ pour ,es réglements sur Pimprimerie, les intéressantes le tome IX des 2ti della * S‘agl'en°: NotÌ}'e sul,a liP0Srafia <^ns consacré à L °°' '°Urt Storia Patria, volume presque tout entier 3 ld [yP°g^phie génoise des XV.- et XVI.' siècles - 3ii — prement dite comportait trois degrés. En bas de l’échelle étaient les épiciers, qui vendaient au détail, mais qui étaient obligés d’acheter à ceux du métier; au-dessus venaient les papetiers, faisant partie de la corporation, ayant seuls le droit de tenir boutique dans la cité de Gènes et ses faubourgs pour y vendre du papier et d’autres objets concernant le métier de copistes de livres. Il leur était interdit de vendre moins d'une rame de papier à la fois, dans les limites de la ville et des faubourgs. Hors de là, quiconque voulait vendre pouvait le faire à son gré. Enfin, venaient les fabricants de papier qui étaient en dehors du règlement. Cette ordonnance de 1481 parait avoir pleinement satisfai tous les intéressés, car une dérogation à ce régle-ment ayant eu lieu par un décret du 28 novembre 1491, les consuls des papetiers et libraires (on ne parie plus d'écrivains) viennent prier, le 15 novembre 1508, le gouverneur et le Conseil des Anciens de bien vouloir annuler le décret de leurs prédécesseurs et de remettre en vigueur, dans toutes ses parties, l’ancienne ordonnance de 1481. D’aprés cette supplique, on voit qu’à la requète de deux papetiers, Jean-Baptiste de Laviosa et Eugéne de Maniti, de Voltri, et sous le feint prétexte qu’ils fabriquaient le papier et le vendaient dans la ville (bien qu’ils n’en eussent jamais ni fabriqué, ni vendu au détail, dit la supplique) un décret avait été rendu en 1491, accordant liberté entière à tous et à chacun de vendre le papier au détail. Cette liberté aurait, dit-on, porté les plus tristes fruits, attendu que ceux qui n’appartiennent pas au métier vendent « des mains de papier incomplétes où il manque une, deux et quel- quefois plusieurs feuilles », ou bien vendent des mains dans lesquelles « il y a souvent quatre ou cinq feuilles déchirées et autant qui ne tiennent pas Tenere et qui méme, comme on dit vulgairement, la laissent couler. » Toutes ces choses étant nuisibles à l’intérèt général et portant au métier dommage et discrédit, on supplie le Conseil de vouloir bien aviser* dans sa sagesse; mais la chose était délicate, car il y avait des droits acquis en vertu d’un décret régulier et on était obligé d en tenir compte. On entra donc en négociations et, un mois aprés, fé ii décembre 1508, le gouverneur rovai et le Conseil des anciens, aprés avoir entendu « les avocats des deux parties, lesquels furent longtemps et beaucoup en désaccord, » cassérent et révoquérent le décret de 1491 et remirent en vigueur l’ordonnance de 1481. Toutefois, et pour ne léser personne, on autorise Eugéne de Maniti et Mariola, veuve de J.-B. de Laviosa, a vendre, leur vie durant, dans leurs boutiques, et non ailleurs, du papier au détail, à condition que le prix n’en dépasse pas 12 deniers la main. Il est entendu, en outre, que si ledit Eugéne destine son fils à 1 état de papetier, les consuis seront tenus de le faire recevoir chez un maitre du métier, et que s’il était refusé, mais dans ce cas seulement, il pourrait continuer, sa vie durant, à rester dans la boutique de son pére, pour v vendre du papier. Enfin, il est aussi permis à Muratore, qui a ouvert récemment une boutique, de vendre du papier au détail dans ladite boutique ou dans une autre, s’il vient à en changer, mais cela seulement pour le terme de effx ans et non au delà. * - 313 - Pendant de longues années, il n’est plus question des réglements des papetiers; mais, en revanche, le Conseil intervient dans les affaires des fabricants de papier. Leur industrie qui s’était étendue jusqu’à Quiliano (i) prés de Savone et à Loano, avait son centre principal à. Voltri et elle y avait pris un grand développement. Les papetiers de cette ville étaient mème en train de coloniser et d’aller s’établir dans les états voisins, au préjudice de la pros-périté industrielle et commerciale de la République. En 1464 déjà, un Génois, Louis De Franchi-Sacco, avait transporté son industrie à Coni et avait obtenu du due de Savoie l’autorisation de se fìxer sur ses do-maines, en prenant pour filigrane les armoiries des Giustiniani (2). En 1511, la Seigneurie apprend que trois papetiers, Bénédict Murato, Simon Nisardo et Nicolas Maniti, dit Bocho, et d’autres de leurs com-pagnons et associés doivent cesser, dés un jour convenu, d’exercer à l’avenir leur métier à Voltri et ont l’inten-tion de partir pour aller s’établir en Calabre ou autres lieux. Aussitót (2 décembre) l’ordre est donné au capitarne de Voltri de procèder à l’arrestation des coupables et de ne les relàcher qu’après qu’ils auront prèté caution . de ne point quitter le territoire de la République (3). Cet acte de vigueur n’était peut-ètre pas parfaitement légal; c’est pourquoi, peu de temps aprés, le 30 avril 1520, un décret est rendu, défendant de transporter et d’intro-duire l’art de la papeterie hors des Etats de Gènes, pro- (1) On signale une papeterie dans cette localité dès 1549 et à Loano en 1590. (2) Vernazza, Osservatori tipografiche sopra libri impressi in Piemonte, nel secolo XV. Bassano, 1807, p. 47.. (3) Archives d’État à Gènes. Diversorum Communis Januae, a. 1511 à 14, n.° 185. - 3i4 hibant en outre 1’exportation des appareils et instru- ments nécessaires à cette industrie (i). Ce décret est renouvelé les 23 Décembre 1550, 20 février 1593 ct 1 octobre 1615 (2). iMais tout cela ne servait pas à grand’chose; les fabri-bricants étaient sans doute secrétement encouragés du dehors à aller s’établir en France, en Espagne, en Italie, et lorsqu’ils résistaient à ces sollicitations, on cherchait à leur enlever de bons. ouvriers. On signale un papetier de Voltri, Jean-Baptiste Fravega, comme ayant installé un battoir, en 1625, à Segovia, prés de Madrid (3). Une supplique de 1730 (9 aoùt) mentionne le fait qu un 1 • * 4- 1A nommé Jean-Jacques Bonicelli, de Voltri, avait cree deux papeteries aux environs de Grenade et se proposait d’en construire d’autres (4). A Colle, au centre de la papeterie toscane longtemps réputée, les Chartreux firent venir, au milieu de XVII. siècle, des artisans de Voltri, pour établir à Spugna (un des faubourgs de la ville) une labrique de papier à la génoise. Cette entreprise fut la source d’un long proces avec les papetiers fabrianais établis depuis des siécles dans la localité, procès dont les Chartreux ne sortirent vain-queurs qu’en 1667 (5). Les actes des notaires de Marseille (6), témoignent (1) Cet arrèté est rappelé dans le préambule de celui de 1615. (2) Archives d’État à Gènes. Liasse Artium. (3) Ibid. (4) Ibid. (5) Storia di Colle di Val d’ Elsa. Florence, 1859, p. 39 et suiv. (6) Nous devons la communication de ces documents à M.r C. Cnusan, sous archiviste départementaì du Palais de justice à Aix en Provence : qu’il re?01'e l’expression de notre reconnaissance. - 3i5 - à leur tour des emprunts constants de maitres et d’ou-vriers que les papeteries de Provence faisaient à l’in-dustrie de Voltri; en 1620, on mentionne Antoine Ri-paille (actes de M.c L. Martinet); en 1622, Antoine Camouiran (actes de M.c L. Motet); en 1627, Guillaume Camoiran, fils de Bernard (actes de M.c L. Motet); en 1630, Antoine Fasson, Jean et Nicolas Dondo (actes de M.c L. Martinet), tous originaires de Voltri. Un ac-cord passé le 4 février 1634 (actes de M.e L. Martinet) pour fixer le salaire des ouvriers (le salaire, par le fait de la concurrence, allait sans cesse en augmentant), nous montre les six battoirs existant à cette date sur les ter-ritoires d’Aubagne, de Roquevaire et de Marseille, tenus et exploités par six maitres papetiers, tous « originaires de Oultry, en rivière de Gènes, » à savoir Jean Dondo, Antoine Fasson, Jean-Baptiste Paradon, Marc-Antoine Camoyran, Angelin Carbon et Nicolas Dondo. En 1635, Sébastien Pignon, maitre papetier, « originaire d’Outtry, en rivière de Gènes », afferme le battoir à papier du con-seiller Antoine de Bousset (actes de M.e L. Martinet). Signalons encore, en 1643, Philippe Chausson, « originaire de Loano, en rivière de Gènes » (méme notaire) et en 1648, André Sibelly, maitre papetier, « du lieu d’Outtry, en rivière de Gènes » (mème notaire). Nous n avons pas réussi à trouver un recensement un peu ancien des battoirs à papier de Gènes; mais un accord passé le 21 juin 167$ entre les propriétaires des établissements de Voltri et de Pegli, fournit les données suivantes: - 3i6 — i.° Barthélemy Dongo figure dans cettc convention pour les cinq battoirs (edifizi) qui travaillent à son compte..............• 5 2° Onofrio Scassi, pour quatre battoirs • • 4 3.0 Nicolas Delando, pour cinq battoirs qu’il loue, aussi longtemps que durerà la location, et pour d’autres s’il en faisait ....•• 5 4.0 André Gambino, pour cinq battoirs qu’il loue, et pour ceux du Seigneur Dongo . • -5 5.0 Jean-Antoine Dongo, pour quatre battoirs . 4 6.° Nicolas Enrile, pour ses deux battoirs . • 2 7.0 Jean-Augustin Grasso, pour deux battoirs . 2 8.° Jean-Augustin Ansaldo, pour un battoir. • 1 9.0 Jean-Marie Spinola, pour deux battoirs en con-struction à Voltri..........• 2 10.° Francois Pavia, pour deux battoirs en con-struction à Voltri..........• 2 11.° Jacques et Jean-Augustin Ottoni, pour cinq battoirs en construction à Voltri . • *5 12.0 Jean-Dominique Pavia, pour trois battoirs . 3 13.0 Jacques Avanzino, pour trois battoirs en construction à Pegli..........• 3 14.0 Jean-Dominique Gazzino, pour un battoir . 1 15.0 Jean-Benoit Rovereto, pour un battoir • 1 ié.° Louis Francesco, pour un battoir . • 1 17.0 Pierre Salvo, pour un battoir . . • 1 18.0 Barthélemy Carregha, pour un battoir . • 1 19.0 Jean Robalo, pour un battoir en construction 1 20.0 Antoine-Jules Rovereto, pour deux battoirs en construction.......J*_ Total: 20 papetiers possédant en propre ou exploitant 51 - 317 - battoirs à papiers, construits ou en construction (i). Ces chiffres sont éloquents et témoignent de la prospérité de la papeterie génoise au XVII.e siècle. Cette position brillante se maintint et s’accrut jusqu’au milieu du siècle suivant, si bien qu’en 1762, on comptait 40 fabricants à Voltri et 15 autres répartis entre Pegli, Arenzano, Cogoleto et Varazze (2). Mais, dèjà alors, des signes de décadence se manifestaient; le 10 mars 1736 les Censeurs avaient exhorté les fabricants à mieux soigner leurs produits (}); et le 7 décembre 1762 le Magistrat et les Censeurs publient une nouvelle ordonnance « pour arrèter la décadence de l’industrie » (4). L’article Vili de ce règlement nous renseigne sur les noms des formats usités à cette époque. Le papier qui se fabriquera dans chaque papeterie doit étre pareil en qualité et bonté aux échantillons-types conservés dans la chambre du trés illustre magistrat; à l’égard du format, ce papier ne doit pas étre inférieur auxdits échantillons. Les mains seront composées de 25 feuilles; les mesetti (papiers défectueux) seront mis en cahiers de 24 feuilles. Les rames seront de 20 mains, dont deux pourront étre prises dans les mesetti et une dans les speliciati (restes d’une fabrication antérieure) ou cantimutti (cassés), à con-dition que ces mesetti et speliciati ou cantimutti soient de mème qualité que le papier des rames. Les balles seront de 10 rames. 11 est, en outre, interdit d’intercaler des feuilles de papier ancien ou défectueux dans les bonnes (1) Archives d’État à Gènes. Liasse Artium. (2) Ces chiffres sont indiqués dans le règlement de 1762 mentionné plus loin. (3) Archives d’État à Génes. Liasse Artium. (4) Ibid. - 3i8 — mains; ces derniéres ne devront renfermer que des feuilles entiéres et en bon état. Les sortes dites pellegrino (pélerin) et cuore (i) (coeur) devront pese.r 12 lf2 livres; les papiers minces, c’est à dire de tre inondi (des trois mondes) et dell ochetta (de la petite oie), 11 '/, à r2 '/2 liv. la rame; les papiers de grand format destinés à l’exportation de 39 à 42 liv.; ceux à l’usage de la ville de 47 à 50. Les papiers d’exportation de rnoyen format péseront de 24 à 26 liv. la rame, ceux à l’usage de la ville de 28 à 30. Les papiers de libri (d’impression ?) pour l’étranger devront peser 18 à 20 liv. la rame, ceux destinés à la ville 20 à 22. Le papier de pliage pour le velours pésera de 37 à 40 liv. la rame. Le papier della bianchetta (nubiane), del turchino (azuré), le petit papier appelé aussi grillotto et stracciotto (petit chiffon), péseront 11 à 11 '/2 liv.; le straccio (chiffon) 17 liv.; le turchino 18 à 20 liv. la rame (2). Ces derniéres sortes, savoir le gru/gotto, le stracciotto, le straccio (3) et le turchino, n’auront que 24 feuilles à la main. En ce qui concerne le gru%-\otto, tout fabricant devra distinguer son papier par les premières lettres de son nom et de son prénom , ou encore par son sceau. Il n’était pas permis de fabri-quer d’autres papiers quc ceux indiqués ci-dessus, tant (1) Nous avons été fort surpris de rencontrer la mention de ce filigrane, très abondant aux environs de Genève durant tout le XVI.« siècle, sans le trouver une seule fois à Génes. (2) Les deux poids indiqués pour le turchino correspondent sans doute à deux formats. (3) A \ enise, parmi les papiers d’emballage signalés en 1725 comme s’ex-pediant en Occident, on trouve le Strano commercio et le Strano reale. Voyez : I essier , Alcuni documenti de’ magistrati della Repubblica di Veneria in materia di seta, carta e vini. Venise, 1880, p. 66 et suiv. - 319 — comme qualité que comme poids et format; toutefois, en cas d’une commande venant de l’étranger, il pouvait étre dérogé à cette défense movennant l’autorisation du magistrat. Ce règlement (et combien n’y en a-t-il pas eu d’aussi peu efficaces dans tous les pays et dans tous les temps!) n’a pas pu arréter le déclin de l’industrie papetière dans la Rivière de Gènes. La prospérité de ce commerce devait nécessairement diminuer à mesure que l’industrie se développait dans les pays jadis alimentés par la République. La Hollande et le midi de la Frante s’étaient émancipés les premiers. La Provence réussit, par son port de Marseille, à enlever à Venise et à Gènes la plus grande partie de leur exportation de papiers en Orient. L’Angleterre, qui, au commencement du XVI1L' siècle, tirait encore annuellement de Gènes 40,000 rames de papier blanc (1), se mit à s’approvisionner en France et en Hollande, en attendant de pouvoir s’affranchir de ce tribut étranger. Restaient l’Espagne (2) et ses colonies, qui auraient offert encore un débouché suffìsant. Mais l’introduction de la fabrication mécanique du papier, dans la première moitié de ce siècle, est venue bou-leverser, en tous pays, l’industrie papetière. Génes a par-ticulièrement souffert de ce progrès des temps modernes. 11 aurait fallu à ses fabricants de grands capitaux, beaucoup d’initiative, de hardiesse et de persévérance : ce sont là des éléments qu’il n’est pas aisé de réunir. Ce- (1) Ambroise Firmin Didot, L’imprimtrie, la librairic et la papeterie à l’expo-sition universelle de i8fi, 2.« édit., Paris, 1854, p. 112, note. (2) En 1720, l’importation du papier génois dans ce pays s’élevait encore à 500,000 rixdales. J — pendant on doit reconnaitre qu’ils ont fait ce qu ils ont pu. On compte actuellement, à Voltri et dans ses environs immédiats, 8 machines à papier ; à Pegli, 2 ; à Varazze et dans ses environs, 6; sans parler d’une trentaine de cuves qui fonctionnent autour de Voltri. Toutes ces usines ont encore une belle production et leur position, dans le voisinage immédiat de la mer, les met à méme d’exporter leurs papiers II est vial qu’une nouvelle revolution industriale les menace. Chacun sait, en effet, que l’insuffisance des chiffons a torce les fabricants de papier à chercher d’autres matières premie- res et qu’aujourd’hui le bois, la paille, l’alfa, pour ne parler que des principaux succédanés, ont permis de dou- bler, et mème de tripler les quantités de papier fabriquées. C’est en partie à ces procédés nouveaux et à sa richesse naturelle en forèts, que l’Allemagne doit la récente et considérable extension de son industrie papetière. Mais ici encore, la position maritime de Gènes lui vient en aide et, si le bois lui fait défaut, elle est à portée de l’alfa, que l’Angleterre achète en si grande quantité en Afrique et en Espagne. La vieille industrie de Voltri n’a donc, peut-étre, pas encore dit son dernier mot. Sàns doute, les anciennes conditions sont bien changées; mais aujourd’hui, comme autrefois, l’inteiligence, le travail et les capitaux réunis, font le succés des entreprises, et ce sont là trois forces qui ne manquent point à la Gènes moderne. — 321 — III. LES FILIGRANES DES PAPIERS DE GÉNES. Bibliographie des filigranes. - Ordre alphabétique préféré à l'ordre chronologique. — Notes sur les filigranes relevés: Agneati pascal, Aigle, Aile d’oiseau , Ancre, Ange, Arbalète, Are, Bague, Balance, Baril, Basilic, Boeuf, Casque, Cercle, Deux Cercles, Quatre Cercles, Cerf, Chapeau, Char, Chevai, Chèvre, Chien, Ciseaux de tondeur, Ciseaux, Clef, Deux Clefs, Giochi, Clou, Colonne, Cornet, Couronne, Coutelas, Deux Coutelas, Croissant, Deux Croissants, Croissant au dessus de deux lunes. Croix, Deux Croix, Echelle, Ecu à une croix, Ecu de Gènes, Endume, Etendard, Etoile, Feuille de trètie, Quatre-feuilles, Fer chevai, Férule, Fiole, Fleurs, Fleur de lis, Trois Fruits, Gan-telet, Grenade, Griffon, Hache, Lettres A , B, C, BC, D, F, G, J, L, M, N, P, PA, ZP, R, S; Une, deux ou plusieurs lettres initiales, Licorne, Lion, Miroir, Trois Monts, Navire, Noeuds, Noms de fabricants, Oiseau, Oie, Pèlerin, Poids, Poire, Poisson, Roue de S.,c Catherine, Roue, Saucisson, Serpent, Sirène, Soleil, Tenaille, Tète de boeuf, Téte' de chevai, Téte d’homme, Tète de licorne, Tour, Triangle, Trompette, Vase, Vessie, Signes divers. Nous pensons bien faire en signalant, en téte de ce chapitre, les principaux ouvrages dans lesquels on a re-produit des filigranes. Ces ouvrages sont peu nombreux; voici la liste de ceux qui sont cités dans le cours de notre travail ; c’est à peu prés tout ce qui existe sur le sujet. Camus, Notice d’un livre imprimé à Bamberg, en 1462. Paris, an VII; 3 filigranes. Jansen, Essai sur l’origine de la gravure en bois et en taille douce et sur la connaisance des estampes des XV et XVI: siècles, etc. Paris, 1808; 287 filigranes, dont Atti Soc. Lio. St. Patria. Voi. XIX. 21 — 322 — beaucoup sont malheureusement réduits et quelques uns défigurés. Ces dessins sont au surplus reproduits d’aprés les ouvrages suivants: a. Fischer , Beschreibung typographischer Seltenheiten. Sechste Lieferung. Mayence, 1801. b. Von iMurr, Journal %iir Kunstgeschichte und qur allgemeinen Littera tur, tome II. Nuremberg, 1776, tomès V et XIII. c- G. Sardini , Esame sui principi della francese ed italiana tipografìa. Lucques, 1797. d. C. G. Schwartz , Opuscula quaedam academica vani argumenti. Nuremberg, 1793. e. De la Serna Santander, Catalogne des livres de sa bibhothcque, tome V. Bruxelles, an XI (1803). I. Koning, Verhandling over den Oorsprong de Uitvin-ding Verbetering en Volmttking der Boekdrukkunst. Haarlem, 1816 ; 23 filigranes. Bijdragen tot de geschiedenis der Boekdrukkunst. Haarlem, 1818; 10 filigranes. Hassler, Vertrag ùber die àlteste Geschichte der Fa-brikation des Leinenpapiers, dans Verbandlungen des Vereins fùr Kunst und Alterthum in Ulm und Oberschzvaben. Ulm, 1844; 8 filigranes. F. Gutermann, Die àlteste Geschichte der Fabrikation des Leinen-Papiers, dans le Serapeum, 1845, n.os 17 et 18; 64 filigranes, malheureusement réduits. S. Sotheby, The typography of thè fifteenth century. Londres, 1845 ; prés de 600 filigranes reproduits avec soin. S. Sotheby, Principia typographica, thè block-books or xylographic delineations of scripture history, issued in Holland, Flanders and Germany during thè fifteenth - 323 — century, etc. Londres; 1858, 3 voi. Le tome III renferme prés de 500 filigranes. Vallet de Viriville, Notes pour servir à Vhistoire du papier, dans la Gaiette des Beaux-Arts des 15 Mai, 1 Aout et 1 Novembre 1859; 91 filigranes. B. Hausmann , Albrecht Dùrer’s Kupferstiche, Radi-rungen, Hol^schnitte und Zeicbnungen. Hanovre, 1861 ; 57 filigranes. G. Manzoni, Annali tipografici torinesi del secolo XV, dans Miscellanea di Storia Italiana, tome IV, Turin, 1863; 33 filigranes. A. Rauter, Ueber die Wasseneichen der àltesten Lei-nenpapiere in Schlesien, dans Sechster Bericht des Vereins fùr das Museum schlesischer Alterthùmer. Breslau , 1866; 173 filigranes, dont beaucoup sont réduits. E. Bodemann , Inìmnabeln der hòniglichen Bibliothek {u Hannover. Hanovre, 1866; plus de 200 filigranes. Weigel et Zestermann , Die Anfànge der Drucker-kunst in Bild und Schrift an deren frfihesten Erqeugnissen in der Weigel'schen Sammlung. Leipzig, 1866, 2 voi.; près de 100 filigranes. E. Midoux et A. Matton, Etudes sur les filigranes des papiers employès en France, aux XIV‘ et XV* siècles. Paris, 1868: 600 filigranes, reproduits avec soin. D. Urbani, Segni di cartiere antiche. Venise, 1870; plus de 150 filigranes malheureusement réduits, quoique avec beaucoup de soin. Ch. Schmidt, Mémtire sur les filigranes des papiers employès à Strasbourg de 134] à 1525, dans le Bulletin de la Sociétè industrielle de Mulhouse, novembre 1877. Le travail complet de M. Schmidt, dont il a bien voulu - 324 — nous donner communication, contient 272 filigranes, dont une partie seulement ont été reproduits dans le mémoire que nous venons de citer. F. Wiribal, L’iconographie d’Antoine Van-Dyck, d’après les recherches de H. Weber. Leipzig, 1877; près de 100 filigranes. Desbarreaux-Bernard , Catalogne de la Bibliothèque de Toulouse, i."‘ partie, Incunables. Toulouse, 1878; environ 350 filigranes, A. Claudin, Origines de I’imprimerle à Alby en Lati-guedoc. Paris, 1880; 5 filigranes. Quellen \ur Geschichte Siebenbùrgen s aus sàchsischen Archiven I." Band-Rechnungen aus dem Archiv der Stadt Hermannstadt und der sàchsischen Nation, 1." Band. Her-mannstadt, 1880; 53 filigranes. A. Zonghi, Le marche principali delle carte fabrianesi dal 1293 al 1599. Fabriano, 1881. Description de plus de 200 filigranes, malheureusement sans dessins. M. Zonghi a bien voulu nous donner communication des calques des filigranes décrits dans cet ouvrage. A. Zonghi, Le antiche cartefabrianesi alla Esposizione generale italiana di Torino. Fano, 1884. Mention de 1887 filigranes relevés par l’auteur, mais sans dessins. L. Merlet, Des filigranes du papier, dans le Magasin pittoresque du 31 janvier 1885; 25 filigranes. C. M. Briquet , Recherches sur les premiers papiers employès en Occident et en Orient, du X: au XIV/ siècle. Paris, 1886, tirage à part desT Memoires de la Société nationale des Antiquaires des Trance, tome XLVI; 18 filigranes. 11 convient d’ajouter à cette liste d’auteurs les noms de - 325 — De La Pons-Melicocq., Noms des diverses sortes de papiers, employès au moyen dge dans le Nord de la France, leur prix, leurs marques, etc. dans le Bulletin du Bouquiniste de A. Aubry Paris, 1858, p. 482 et suiv. Schuler von Libloy, Noticeli %ur Geschichte der deutschen Diplomatili in Siebenbiirgen dans An^eiger fùr Kunde der deutschen Forfeit, 1858; n.os 11 et 12. Ces deux auteurs donnent la liste et la date d’un certain nombre de filigranes, qu’ils décrivent sommai-rement. Enfin nous avons eu communication du travail fait par M.r E. Kirchner sur les papiers des archives de Francfort-sur-le-Mein du XIV/ siècle (environ 130 filigranes), travail actuellement sous presse. Les indications de provenance des papiers filigranés de la Provence, du Dauphiné, de Lyon, de la Bresse, de la Savoie, du Piémont et de la Suisse sont dues à nos recherches personnelles dans les archives et bibliothèques de ces pays. Le présent mémoire, pour avoir un réel intérèt, devait étre accompagné de planches, reproduisant aussi fi-délement que possible, les notnbreuses marques du papier. A vrai dire, ce sont ces dessins de filigranes mémes qui constituent notre travail, le texte qui les accompagné n’étant qu’un commentaire. C’est pourquoi nous avons apporté le plus grand soin à leur exécution. Recon-naissons toutefois que, malgré toute la minutie mise au relevé des calques de filigranes, il est difficile de garantir une exactitude absolue. Dans beaucoup de feuilles, 1’ em- — 326 — preinte est indistincte, mal venne, et a été plus ou moins effacée dans les opérations du relevage, du séchage et du collage da papier. Ailleurs, l’écriture, tombant sur la marque, en cache les contours et ne permet pas de la reproduire avec une parfaite fidélité. Souvent aussi, 1 éclairage des salles d’ archives est insuffisant ou défectueux. Pas plus que nos devanciers, nous n’avons donc la prétention d’avoir toujours exactement interprété un filigrane, et peut-étre quelques-uns de nos dessins seront-ils corrigés par nos successeurs. Autant que possible nous avons placé nos marques à chevai sur les pontuseaux qui les accompagnent, en cherchant à donner à ces derniers l’apparence spé-ciale qu’ils offrent dans certains papiers. Nous avons de méme cherché à figurer la vergeure et les particularités qu’elle présente, en marquant entre deux lignes horizon-tales l’espace occupé dans le papier par vingt fils de la vergeure, les points placés entre ces lignes correspondant à chacun des fils. Quant au format, nous l’exprimons, sous chaque dessin, en centimètres, en ajoutant la lettre R, quand il s’agit d’un papier rogné. Enfin chacune de nos figures est accompagnée de la date du document auquel elle est empruntée. Il eut été rationel de disposer nos planches par ordre chronologique. Mais ce systéme avait le grand incon-vénient de mélanger tous les filigranes et de piacer còte à còte des marques trés differentes, n’ayant qu’un point commun, à savoir d’étre contemporaines. 11 nous a paru préférable d’adopter un ordre différent, de grouper ensemble Ics filigranes similaires, d’en faire une sorte de - 327 - famille, de manière qu’on puisse juger des modifications apportées à chaque variété dans le cours des années. L’ordre alphabétique a en outre l’avantage de faciliter les recherches; il permet de trouver immédiatement toutes les variantes d’un mème type. Son seul inconvénient est qu’il exige la connaissance des noms de marques. Or, dans la plupart des cas, si les filigranes ont un nom qui s’impose, dans d’autres cas ils sont d’une interpré-tation douteuse ou demeurent incompréhensibles. Pour faciliter toutefois les recherches nous donnons plus loin une table chronologique dressée année par année, des filigranes relevés aux archives de Gènes. 11 ne nous reste plus maintenant qu’à fournir sur cha-que espéce de filigranes les quelques renseignements que l’on possède à son égard, soit comme provenance et dis-sémination géographique, soit comme variations succes-sives dans la forme. § i. Aoneau pascal, i. — i variété, de 1332. Variété inèdite (relevée en outre à Avignon, en 1328) d’une marque assez abondante, disséminée par toute l’Europe et qui a persistè au moins jusque vers 1670 (1). § 2. Aigle imperiale à une tète, 2 et 3. — 2 variétés, de 1325 et 1372. Notre n.° 2 se retrouve en Provence en 1319, à Grenoble en 1328, à Chambéry en 1337. A Fabriano, des variétés de cette marque sont signalées de 1333 à 1599. (i) WlRIBAL, fil. 14, 14", 14*- - 328 — § 3- <4ile d’oiscau pcrcéc d'une flèchc, 4. — 1 variété, de 1461, marque inèdite. § 4. Ancre dans un cercle, j. — 1 variété, de 1572. Variété inèdite d’une marque certainement italienne, si-gnalée dés 1421 (1) en Transylvanie et répandue dés le dernier quart du XV.e siéde dans le centre et le midi de l’Europe: à Turin de 1475 à 1491, à Venise (2) de 1475 à 1482, à Passau en 1474, à Genève en 1478 (3), à Coire, en 1488, en Provence en 1536. L’ancre dans un cercle se trouve ìi Fabriano depuis 1456 (4), jusque vers la fin du XVI/ siècle: il est donc possible que les papiers à cette marque proviennent de cette localité ou de ses environs. Toutefois il nous parait assez probable que d’autres battoirs, soit en Vénétie, soit en Piémont, ont utilisé cette marque. § 5. Ange tenant une croix à la main, 6. — 1 variété, de 1338. Sous ce type, assez rudimentaire, l’ange se ren-contre en Provence de 1337 à 1341 et à Fabriano en 1338. Cette marque, plus ou moins modifiée, a persistè jusque vers le milieu du XV.e siècle. § 6. Arbalète, 7 à 9. — 3 variétés, de 1327 à 1345-Ce filigrane fort ancien et répandu par toute l’Europe est signalé à Fabriano en 1324, et son emploi y a persistè jusqu’en 1582. Fineschi (5), citant le prix des papiers (1) ScHULER VON LlBLOY. (2) Urbani, pi. Vili, fil. 9 à 12. (?) Dans une impression attribuéc à Adam Steinscliaber. (4) Zonghi, Le antiche carte fabrianesi, pag. 67 et 68. (5) Memoria storica sopra la stamperia di Ripoli. Florence, 1781, p. 26 à 48. - 329 - de quelques manufactures italiennes, mentionne celui de Fabriano, au filigrane de l’arbalète, qu’il cote 3 livres 10 sols la rame. La provenance de cette marque nous parait donc hors de doute. § 7. Are, 10 à 16. — 7 variétés, de 1335 à 1446. Ce filigrane aussi répandu en Europe que le précédent, a pro-bablement la mème provenance. Il a été relevé de 1333 à 1422 à Fabriano. Fischer Pavait trouvé dans le Pala-tinat rhénan dés 1330, et il n’est pas rare de le rencon-trer jusque vers le milieu du XV.C siècle. Mais il était alors sur son déclin et on ne l’a signalé que dans quatre incunables, tous de Venise (1), ce grand entrepót des papiers de la péninsule. § 8. Bague ou Anneau, 17 d 20.— 3 tvpes, de 1483 à 1509. Type a) sans ornement, n.° 19, de 1505 et 1507. On trouve cette variété d’anneau en Piémont, en 1461 (à Suze) et 1473 (à Verceil); à S.' Gali en 1467 et à Nuremberg (2), dans un incunable de 1447. Type b) surmonté d’une étoile, n.os 17 et 18, de 1483 et 1509. Ce second type a été signalé à Londres en 1483 (3) et à Barcelone en 1481 (4). (1) Jansen, fil. n.° 28, de 1477; Bodemann , n.’ 26 de 1480; Desbarreaux Bernard, n.° 182 de 1481 ; Urbani, pi. VII, fil. 15 de 1482. (2) Bodemann, n.° 15. (3) Sotheby, Principia, impressions de Caxton, fil. 59. (4) Desbarreaux-Bernard, pi. XVI, n.° 149. - 330 - Type f) surmonté de la lettre B., n.° 20, de 1506. Ce troisiéme type est inédit. Le papier au filigrane de l’anneau est de provenance piémontaise. Cette marque a certainement été usitée à Coni, et peut-ètre dans d’autres localités voisines. On trouve en effet, à la date du 12 février i474> LlLl une autorisation avait été accordée par la régente Yolande de France au marchand Antoine de Piccolpasso de marquer le papier qu’il fabriquait d’un diamant, ttùic el sans ctoile (ces deux variantes correspondant probablement a deux qualités) (1). Rien de plus naturel, dés lors, que la présence de ce papier dans quelques villes du Pié-mont, d’où il aurait passé les Alpes, et que son trans-port à Gènes pour y étre expédié à Londres, à Barcelone et ailleurs. La date de 1461 (2), à laquelle on rencontic cette marque, prouve qu’elle était déjà employée par A. de Piccolpasso avant l’obtention de son privilége, et que celui-ci n’avait pour but que de confirmer sa pro-priété et d’empècher un rivai peu scrupuleux de. s ap-proprier le bénéfice d’une réputation établie. § 9. Balancc, 21 à 24. — 4 variétés, de 1341 à 1404. Ce filigrane a été usité à Fabriano, de 1375 à 156° (1) Recepit ab Anthonio de Parvopassu, de Cuneo, mercatore, de et prò li cencia sibi per dominam data, papirum per ipsum et suos ab inde construendum signandi et signari faciendi signis et effigiebus carrete coronate, ac dyamantis cum stella ac sine stella, ac illis uti et gaudere, et hoc tam liberaliter quam mediantibus infrascriptis viginti florenis parvi ponderis. — Archives de lei Cour des Comptes à Turin: Comptes des trésoriers généraux de Savoie, voi. CX1X, fol. 97- (2) Berlan (La introduzione della stampa in Savigliano, Saluto ed Asti. Turin, 1887, p. 30) cite un fragment de lettre du chanoine Turletti, qui signalé dans un manuscrit de 1430-31 le filigrane de l’anneau « un anello con diamante e fregi, ma senza corone ». - 33i - environ, dans deux types trés répandus, soit à plateaux ronds et à plateaux triangulaires. Les variantes relevées à Gènes ont un grand air de parenté entre elles et avec la plus ancienne des marques de Fabriano , qui est de 1375. Il est toutefois singulier, que l’on trouve cette marque à Gènes 34 ans avant son apparition à Fabriano. Dans le Dauphiné, entre 1349 et 1366 et à Lyon en 1389 et 1392, nous avons relevé des variantes de ba-lance, se rapprochant beaucoup de notre n.° 22. § 10. Baril, 2; et 26. — 2 variétés, de 1326 et 1345. Ce filigrane parait n’avoir été en usage que fort peu de temps. On le signalé à Fabriano en 1324, en Provence de 1323 à 1348, en Savoie en 1324, en Dauphiné de 1345 à 1349, en Suisse dans quelques manuscrits non datés (Bibl. Abb. S.1 Gali, ms. n.° 887. Bibl. de Bàie, ms. D. II. 9.'). §11. Basilic ou Dragon, 27 à 34. — 8 variétés de 1325, à 1476. Les deux variétés les plus anciennes de cette marque (nos n.os 27 et 28) n’ont pas encore été signa-lées. Quant au n.° 29, de 1361, on le trouve en Provence en 1366 et 1368, en Savoie en 1366, à Lyon en 1371, en Dauphiné en 1374, en Piémont (à Suze) en 1374, en Suisse (Vaud) en 1376 et 1377 et en 1393 (Zurich), ainsi que dans un manuscrit (n.° 748, à partir du f.° 29) de la Bibl. Abb. S.‘ Gali. Urbani (1) l’a relevé à Padoue en 1412, et Midoux et Matton (2) l’ont (1) PI. IX, fil. 15. (2) fil. du XIV.” siècle, ii.* 50. - 332 - rencontré dans un ms. de la Bibliothéque de S.' Quentin. Nous avons un dragon relevé à Fabriano, en 1372; mais le papier à cette marque v est déjà signalé en 1365 (1), et il provenait de la papeterie de Pioraco prés de Macerata. Aprés une disparition de quatre-vingts ans, le basilic se retrouve à Génes, de 1441 à 1475; on s^na^e dans des variétés analogues à Venise, sous les presses de N. Jenson (2), et à Mantoue en 1478 (3). § 12. Boeuf, 35. — 1 variété, de 1416. Le boeuf a été employé comme filigrane dés la première moitié du XIV.' siècle; on le trouve en Suisse (Neuchàtel) dés 1333, à Fabriano en 1341, en Dauphiné et à Lyon en 1347, en Provence en 1354. Ce type primitif est de dimensions passablement plus grandes que notre n.° 35, rencontré à Lyon en 1409 et à Draguignan en 1404. A partir de 1430, environ, et jusqua la fin du XV.' siècle, ce filigrane reparait abondamment et en plusieurs variétés en Piémont, en Savoie, en Dauphiné, à Lyon et en Suisse. La marque du boeuf, dans cette dernière période parait avoir été usitée par une papeterie piémontaise, proba-blement des environs de Turin. Le taureau figurant dans les armoiries de cette ville, le choix de cet animai comme filigrane s’expliquerait aisément. § 13. Casque, 36 à 38 — 2 types, de 1323 à 1342. Type a). N.os 36 et 37, de 1323 et 1333. Est-ce bien un morion que le filigraniste a voulu re- (1) Zonghi, Le antiche carte fabrianesi, p. 8 et 34. (2) Jansen, fil. n.° 275. (3) Sotheby, Typography, n." 32. - 333 — présenter ? ce n’est pas certain. Quoi qu’il en soit, on retrouve cette marque, jusqu’ici inèdite, à Zurich au XIV.' siècle, et dans le Dauphiné de 1326 à 1355. Type b). N.° 38, de 1342. Cette variété n’a été signalée à Fabriano qu’à la date de 1391; on la trouve en Dauphiné de 1350 à 1360, et en Provence en 1367. § 14. Ccrcle, à 47. — 5 types, de 1301 à 1557. Type a). N.° 39, de 1301. Ce filigrane est le plus ancien que nous avons rencontré à Gènes. Peut-étre faut-il y voir la lettre initiale O et le rapprocher de la marque I O. relevée à Fabriano en 1293. Type V). N.° 40, de 1311. Ce filigrane doublé, un des plus anciens que nous connaissions, est encore inédit. Une de ses moitiés (le cercle avec deux diamétres se coupant à angle droit), mais sans la contre-marque (en forme d’I), se retrouve à Lyon au XIV.e siècle. Type c). N.° 41, de 1316. Faut-il voir, dans cette marque inèdite, les initiales N. 0. posées l’une au dessus de l’autre? Type d). N.os 42 à 46. — 4 variétés, de 1520 à 1557. Ces filigranes paraissent génois, le n.° 45, aux initiales M J. de 1520, est le prédécesseur du croissant, aux mèmes initiales, de 1526 (n.° 216). Type e). N.° 47, de 1490. La lettre (si c’en est bien une) qui figure à l’intérieur du cercle est indistincte - 334 — § 15. Deux Cercles, 48 à 60. — 13 variétés, de 1306 à 1398. Ce filigrane est un des plus anciens, des plus abon-dants et des plus répandus qui existent. On le trouve sous de nombreuses variantes et de toutes grandeurs. Dans le méme type qua Gènes, on la signalé: en Suisse de 1297 à 1442; en Dauphiné de 1303 à 1400; en Provence de 1306 à 1389; dans le Palatinat rhé-nan (1) de 1315 à 1376; à Fabriano (2) de 1321 à 1383; en Bresse en 1330; en Silésie (3) de 1336 à 1383; en Savoie de 1339 à 1374; à Lyon de 1340 à 1400; à Francfort-sur-le-Mein (4) de 1348 à 1410; à Strasbourg (5) de 1350 au commencement du XV.' siècle; à Padoue (6) en 1361 et 1368. Chose singuliére pour un filigrane dont les variétés sont aussi répandues, Midoux et Matton n’ont rencontré qu’une seule fois les deux cercles, et cela dans un ma-nuscrit de la Bibliothèque de Laon, de provenance et de date indéterminées. De méme, De La Fons-Melicocq ne parait pas l’avoir vu dans les papiers du Nord de la France; il ne cite qu’un autre type « une barre de fer terminée par deux boules, » en 1474. La marque des deux cercles était hors d’usage à l’é-poque de l’invention de l’imprimerle: on ne la signalé dans aucun incunable. (1) Jansen, fil. 12 et 46. (2) Zonghi, Le antiche carte fabrianesi, p. 43 à 45. (3) Rauter, fil. 8, 9, 28, 98. (4) Calques communiqués par M. E. Kirchner. (5) Schmidt, fil. 11 et 12. (6) Urbani, pi. IX, fil. 27. - 335 - § i6. Ouatre Cercles tangents, 61. — i variété, de 1323, filigrane inédit. § 17. Cerf ou Daini coupé à mi-corps, 62, 6),— 2 variétés, de 1381 et 1403. Ce filigrane a été signalé à Fabriano en 1373 et 1407; en Provence en 1374; en Dauphiné en 1374 et 1386; en Suisse en 1422 (Bibl. Abb. S.' Gali, ms. n.° 794). § 18. Cerf ou Daim, 64. — 1 variété, de 1373. Marque relevée à Fabriano de 1360 à 1400; en Provence, de 1376 à 1386; en Suisse (Bibl. abb. Saint Gali, ms. n.° 718) et en Dauphiné, sous une forme trés rudimentale, en 1338. § 19. Chapeau, 65, 66. — 2 variétés, de 1342 et 1377. Cette forme primitive se retrouve dans le Dauphiné en 1344 et 1363; en Provence en 1358 et 1360; à Fabriano en 1363, à Lyon en 1389 et 1428; en Savoie en 1398 et 1400; en Suisse: à Genéve en 1377/90, à Bàie en 1379 et dans quelques Bibliothéques (Bàie ms. A. V. 39, fin du volume, Abb. S.' Gali ms. n.° 344“ f.° 118 à 165). En plus petit, la mème marque se trouve à Laon (1) en 1394. Le chapeau a continué à étre en usage comme filigrane: à Fabriano on le rencontre jusqu’en 1558. Il a certainement été adopté comme marque par plusieurs (1) Midoux et Matton, fil. du XIV' siècle, n.” 24 et 25. - 336 - battoirs, notamment à Venise. On en signalé les variantes dans de nombreux incunables italiens. § 20. Char à deux roues, 67 à 74. — 8 variétés, de 1414 à 1458. Des variantes de cette marque, d’un dessin un peu conventionnel, se trouvent en Piémont de 1413 à 1481; à Fabriano de 1424 à 1470; en Provence de 1433 à i486; en Suisse de 1434 à 1466; à Lyon de 1469 à 1472. On l’a signalée, en outre, dans une édition xylo-graphique de Y Apocalypse (1) (1450 à 1460) et dans un Speculum humanae salvationis imprimé par Richel (2) (vers 1475) ; puis à Strasbourg (3) en 1468, à Venise (4) en 1470 et 1471 (5), à Mayence en 1473 (6), à Ulm (7) en 1473, et à Rome (8) sous les presses de Schwevnheim et Pannartz. Cette marque présente un intérét particulier, par ce fait qu’elle était sur son déclin à l’époque de la décou-verte de l’imprimerie (9) et qu’elle ne se trouve que dans les premiers incunables; elle peut donc aider à dé-terminer la date d’impressions non datées. Ce filigrane (1) Sotheby, Principia, pi. T. (2) Ibid., pi. U. (3) Schmidt, fil. n.° 213; et Jansen, fil. n.° 131. (4) Jansen, fil. 56 et 57. (5) Sotheby, Typography, n.° 60. (6) Jansen, fil. 131. (7) Dans le Rationale de G. Durand, imprimé par J. Zeiner. (8) Jansen, fil. n.° 250. (9) Nous ne l’avons pas rencontrée dans des documents d’archives posrérieu-rement à i486. è * * • - 337 - provient certainement d’iyae ou de deux papeteries ita-liennes. Nous disons d’une ou de deux, car, si la présence de sept variétés à Fabriano (i), de 1424 à 1470, témoigne en faveur d’un battoir des environs de cette ville, d’autre part, sa fréquence en Piémont (à Turin, Suze, Luzerna San Giovanni), à Génes, en Provence, en Savoie et en Suisse (2), parait démontrer qu’un moulin à papier piémontais se servait du mème filigrane. Nous pensons que cet €tabìissement est celui d’Antoine de Piccolpasso, de Coni, que nous avons vu, en 1474 (§ 8. Bague), obtenir le privilége de marquer son papier, non seulement de l’anneau, mais encore du char couronné (3) (carreta coronata). Seulement, de méme que pour Panneau, le privilége obtenu parait n’avoir été que la confirmation d’un droit de propriété dont jouis-sait, depuis longtemps, A. de Piccolpasso. § 21. Chevai, 7;. — 1 variété, de 1367. Marque signalée à Fabriano en 1347; en Dauphiné en 1349; à Lyon en 1366; en Suisse (Neuchàtel) en 1375 et 1383 et à la Bibliothéque de Bàie (ms. D. II. 14). (1) Dont M. Zonghi a bien voulu nous communiquer les calques. (2) À Genève en 1449, * Fribourg en 1463 , à Zoug en 1466, et dans plusieurs manuscrits des Bibliothèques de Genève (ms. frani;, n." 183) de Berne (A. 260, f.° 85 et 327, f.° 121) et de Bàie (ms. A. IV. 23 et A. IV. 15, fin du volume). (3) Le terme de carreta coronata n’est pas clair. Nous n’avons jamais rencontré le filigrane du char accompagné d’une couronne, c’est pourquoi nous pensons que le scribe savoyard a voulu indiquer un char à deux roues, tels que ceux qu’on employait dans les courses antiques, où l’on couronnait le vain-queur, ou encore le char de triomphe des césars couronnés. Il aura employé cette expression pour qu’on comprit qu’il ne s’agissait pas d’un char coramun, à quatre roues, qui était usité comme filigrane à la méme époque (de 1442 à 1459). Atti Soc. I.ig. St. Patria, Voi. XIX. « - 358 - 6 § 22. Chèvre ou Bouc, 76 eUyy. — 2 variétés, de 1358 et 1373- Ce filigrane, qui parait n avoir *été usité que peu de temps, se trouve en Dauphiné en 1343 et 1352; en Provence de 1346 à 1349; à Fabriano de 1350 à 1373; à Francfort en 1360; à Lucques (1) de 1371 à 1373; à Nuremberg (2) au XIV/ siècle. § 23. Chien, coupé à mi-corps, 78^ 75?. — 2 variétés, de 1435 et 1446. Marque inèdite, mais de mème style que le Chien entier relevé par Zonghi à Fabriano en 1478. § 24. Ciseaux de tondeur, 80 et 81. — 2 variétés, de I452 et 1458. Ce filigrane n’est pas abondant; on le trouve, gé-néralement de dimensions plus grandes qu’à Gènes, en Dauphiné en 1345; en Provence en 1368; en Silésie (3) en 1369; à Lyon de 1371 à 1397; en Savoie vers 1428; en Suisse à la Bibliothéque de Berne (mss. n.os 527 et 579); à Venise en 1483 (4); enfin sur une gravure de la fin du XV.e siècle (5). § 25. Ciseaux, 82 à 137. — 2 types, de 1432 à 1513. Type a). N.os 82 à 88. — 7 variétés, de 1442 à 1449. Des variétés de ce dessin un peu rudimentaire se (1) Jansen, p. 349. (2) Gutermann, fil. 52. (3) Rauter, fil. 80 et 152. (4) Urbani, pi. VI, fil. 16. (5) Weigel et Zestermann, n.° 428. - 339 - rencontrent en Suisse en 1402 (à Lausanne) et 1495 (à Soleure); à Turin en 1410; en Provence de 1415 à 1476; à Lyon en 1463; puis dans un incunable lyonnais (1) de 1488, dans un autre de Naples (2) de 1485; dans deux de Venise (3) de la méme époque; enfin à Londres (4) dans une impression de 1481. Ce type parait donc avoir été usité pendant tout le XV.e siècle, mais il n’a jamais été trés abondant. Type /;). N.os 89 à 137. — 49 variétés, de 1432 à 1513. Les variétés de ce type sont beaucoup plus fréquentes que celles du précédent. On en trouve à Fabriano (5) de 1351 à 1523; à Lucques (6) de 1434 à 1482; à Her-mannstadt (7) en 1438; à Strasbourg (8)au XIV.' siècle; dans le Dauphiné en 1356; en Provence de 1360 à 1470; en Piémont (Suze) en 1475 et (Turin) 1493; à Feldkirch en 1484; en Savoie (Sallanches) en 1491 ; enfin dans plusieurs Bibliothéques (Berne, mss. B. 32, A. 36, A. 38, 327 et 579; Bàie, ms. E. I. 2 , écrit en 1449; Abb. S.‘ Gali, mss. n.os 1046 dès le f.° 75 , 937, f.os 1 à 24, 344% f.os 50 à 66; Turin, B. I. 9, f> 373 à 77). Ce type est fréquemment signalé dans les incuna- (1) Intitulé: Chroniques du très-cbrestien et très-victorieux Loys de Valoys, on-tesine de ce nom. Lyon, 1488. (2) Bodemann, n.° 54. (3) Desbareaux-Bernard, pi. XI, fil. 71 et pi. XII, fil. 90. (4) Sotheby, Principia, Impressions de Caxton, fil. 53. (5) Zonghi, Le antiche carte fabrianesi, p. 38. (6) Jansen, fil. 67. (7) Schuler von Libloy. (8) Calque communiqué par M. Ch. Schmidt. - 540 — bles itaJiens, à Venise (i), à Rome (2), à Ferrare (3), à Foligno (4), à Florence (5), à Naples (6), et dans quelques impressions de Caxton à Londres (7). Le papier fìligrané à ce second type des ciseaux appar-tient incontestablement à deux provenances : Fabriano et Génes. Les nombreuses impressions du midi et du centre de 1 Italie, ainsi que de Venise, sont sur papier d’origine tabrianaise, de mème que celui à cette marque, antérieur au XV.e siècle. Quant au papier génois fìligrané aux ciseaux, il apparaìt sùrement en 1432 et Fon peut supposer qu’il sortait du battoir de Grazioso Damiani ou de ses successeurs: la lettre G ou D qui l’accom-pagne de 1433 à 1478 semble l’indiquer. Mais nous croyons que cette marque a été utilisée dans la Rivière de Génes par plusieurs papetiers, car on trouve, vers J473> les ciseaux accompagnés indifféremment des initiales G, V, B, J, O, et d’une étoile, ce qui parait cor-respondre à six établissements distincts et démontrer que ce filigrane n’était plus à cette date un signe personnel, mais servait plutót à indiquer une provenance, une qualité ou un format. § 26. Clef, i]8 à 14).— 3 types, de 1315 à 1342. Type a). N.os 138 et 139. — 2 variétés, de 1316 et 1321. (1) Jansen, fil. 67, 68 et 251 ; Urbani, pi. VI, fil. 17. (2) Jansen, fil. 67, 68 et 251 ; Sotheby, Typograpby n.‘° 29 et 48. (3) Bodemann, d.° 6. (4) Sotheby, Typography, n.° 82. (5) Jansen, fil. 67 et 68. (6) Desbarreaux-Bernard, pi. Vili, fil. 30. (7.) Sotheby, Principia, Impressions de Caxton, fil. 54 et 55. - 341 — Ce type se trouve à Fabriano en 13io, et en Provence de 1312 à 1315. Type b). N.° 140, de 1328. Peut-ètre faudrait-il voir un F majuscule dans ce filigrane inédit. Type c). N.os 141 à 145. —5 variétés, de 1315 à 1342. Ce type est fréquent dans le Dauphiné de 1326 à 1349 , et dans la Provence de 1324 à 1341. Nous l’avons en outre relevé à Lyon en 1324 et en Suisse (Biblio-thèque de Bàie, ms. D. II, 9.1). On l’a signalé à La Haye (1) en 1373. § 27. Deux Clefs, 146 à 149. — 4 types, de 1308 à 1429. Type a). N.° 146, de 1308 à 1313. Cette marque n’a pas encore été signalée. Type b). N.° 147, de 1345. Ce filigrane a été relevé en Dauphiné de 1344 à 1362; en Provence en 1354 et 1355; à La Haye (2) en 1356; en Suisse (à Zurich en 1357 et à la Bibl. Abb. S.‘ Gali, mss. n.os 937, f.° 25, et 465 f.° 157) et en Piémont (Bibl. royale de Turin, A. VI. 40). Type c). N.° 148, de 1374. Ce type se rencontre, en plusieurs dimensions, en Provence dés 1314, en Silésie en 1359 (3) et en Suisse, (Lausanne, 1386 ; Valais, 1397; Bibl. de Berne, ms. n.° 227 f.° no). Type d). N.° 149, de 1429. (1) Sotheby, Principia, p. 56. (2) Ibid. p. 55. (3) Rauter, fil. 138. — 542 — La marque des deux defs liées se trouve en Dauphiné en 1382, et en Provence en 13 91. § 28. Cloche, 130 à 162. — 6 types, de 1313 à 1462. Type a). N.os 150 à 155. — 6 variétés, de 1313 à 1330. Cette forme, qui parait la plus ancienne et que quelques personnes ont prise pour une peau d’animal, a été relevée à Fabriano en 1324; en Provence de 1325 à 1351 ; en Dauphiné de 1327 à 1350; en Suisse de 1328 à 1401; à Padoue en 1329 (1); à Ravens-bourg (2) avant 1324 (?); à Francfort (3) de 1335 à 1392; à Strasbourg (4) en 1350; dans le Palatinat rhénan (5) en 1375; dans un ms- de Bibl. de S.' Quentin (6) au XIV.e siècle. Type li). N.os 156 et 157. — 2 variétés, de 1315 et 1318. Sous cette forme, qui rappelle beaucoup celle d’un ter de hache, la cloche a été signalée à Fabriano en 1315, et en Provence en 1323 et 1324. Type c). N.° 158 et 159. — 2 variétés, de 1333 et 1340. La cloche ajustée dans une pièce triangulaire se trouve dans le Dauphiné de 1342 à 1355, et en Provence en 1346. Ce type n’a pas été reproduit jusqu’ici. Type d). N.° 160, de 1357. 11 ) Gloria, Compendio di paleografia e diplomatica. Padoue, 1870, p. 377. (2) Gutermann, fil. 2. (3) Calques communiqués par M. Kirchner. (4) Schmidt, fil. 6. (5) Jansen, fil. 53. (6) Midoux et Matton, fil. 53. - 343 - Nous avons relevé la cloche d’une forme semblable à celle du t.ype A, mais avec un anneau, à Bàie en 1366, et à Zurich en 1369 et 1408. Type è). N.° 161. — 1 variété, de 1448, qui n’a pas encore été relevée sous une forme aussi simple. Type/). N.° 162. — 1 variété, de 1462 qui se trouve à Lausanne en 1461, à Sion en 1464. La cloche, certainement un des filigranes les plus anciens , a été signalée à Fabriano, en plusieurs types jusqu’en 1472; cette marque, usitée par plusieurs battoirs dés la fin du XIV/ siècle, est devenue banale et a persévéré jusqu’à nos jours en donnant son nom à un format de papier. § 29. Clou, 16j à 167. — 5 variétés de, 1306 à 1347. Se rencontre en Provence de 1329 à 1342 et en Dauphiné de 1343 à 45; ce filigrane n’a pas été signalé ailleurs. § 30. Colonne, 168 à 170. — 3 variétés, de 1326 à 1336. Sous cette forme trés rudimentaire, la couronne se trouve à Fabriano de 1309 à 1373, et dans le Dauphiné de 1329 à 1334. La colonne surmontée d’une croix est un filigrane abondant en Piémont et dans les pays voisins où nous en avons relevé de nombreuses variétés entre 1479 et 1614. La colonne, au chapiteau en forme de couronne, armoiries de la famille Colonna, constitue un troisième type de ce filigrane assez répandu depuis 1420 jusque vers 1500. — 344 — Ces deux types ne semblent pas étre parvenus jus-qu’à Gènes. • * » v § 31. Carnet, lyi à 184. — 14 variétés, de 1323 à 1456.' Ce filigrane est 1111 des plus abondants, des plus variés de forme et des plus répandus. En Suisse nous l’avons note dans plus de 200 documents à partir de 1366 jusqu’au XVIII/ siècle; à Fabriano il a été relevé de 1321 à 1446, et en Provence on le trouve.de 1339 à 1635. On peut admettre que cette marque a été usitée à l’origine par quelque papeterie des environs de Fabriano et que les papiers de Gènes en proviennent, pour une partie, du moins; mais d’autres battoirs, en particulier ceux de Ravensbourg, s’en sont servi à leur tour; ceux de Hollande leur ont succédé(la maison d’Orange.porte le cornet dans ses armories), et ce filigrane, devenu banal, a fini par donner son nom à un format de papier. § 32. Couronne, 18) à 208. — 5 types, de 1313 à 1499. Type a). N.os 185 à 187. — 3 variétés, de 1313 à 1338. La couronne, sous cette forme primitive, ressemble beaucoup au filigrane des Trois iMonts, et peut-étre n’en est-elle qu’un premier spécimen. Le papier à ce type est trés répandu. On le trouve en Provence et en Dauphiné dans le premier quart du XIV.C siéde, à Genève de 1320 a 1350, à Fabriano en 1358, à Franc-lort en 1392. Type b).*N.° 188, de 1381 inédit. - 345 - Des variétés non identiques, mais trés proches parentes, se rencontrent en Bresse et à Lyon de 1373 à 1391. Type c). N.° 189 de 1415 et 1416. Des couronnes de ce méme style, mais non identiques à celle de Génes, se trouvent à Zurich en 1412 et à la Bib. Abb. S.' Gali, ms.. n.° 467, f.° 270. Type d). N.os 190 à 207. — 18 variétés, de 1424 à 1499. Bien qu’assez differentes de tormes, toutes ces marques sont suffisamment nombreuses et suivies pour les faire considérer comme génoises. Quelques unes de ces variétés (n.os 192 à 194 de 1424 à 1433) se rencontrent à Zurich en 1427, à Sion en 1434 et à la Bib. Abb. S: Gali (ms. 531, f.° 331 à 351). Type e). N.° 208, de 1465, inédit. Le filigrane de la couronne était un de ceux qu’em-ployaient les papeteries vénitiennes au commencement du XVIIP siècle; il a persiste jusqua nos jours et a donné son nom à un des formats les plus usuels. § 33. Couronne de feuillage? 209. — 1 variété, de 1335 Cette marque, non encore signalée, se trouve à Grenoble en 1334, ainsi qu’à la Bibliothéque de Bàie (ms. D. I. 2). § 34. Coutelas, 210 et 211. — 2 variétés, de 1316 à 1322.. Ce nom étant devenu celui d’un format de papier, nous l’appliquons au filigrane, de préférence à ceux — 34<$ — d’épée et de poignard. Des variétés trés semblables à celles relevées à Génes ont été signalées à Fabriano en 1340, à Grenoble de 1349 à 1354, à Chambéry en J352, en Provence de 1353 à 1361 , à Lyon en 1361 , à Fribourg (Suisse) en 1362. § 35. Deux Coutelas en sauto ir, 212, — provenant d une lettre du Khan de Tartarie. — 1 variété de 1481. Ce filigrane a été relevé à Venise (1) en 1487, mais mentionné comme y étant trés rare. Midoux et Matton en donnent une variante tirée d’un ms. de la Bibliothéque de Laon (2). Les premiers spécimens de cette marque de grandes dimensions se trouvent en Dauphiné de 1328 à 1355, en Province de 1330 à 1370, et à Fabriano en 1383. De dimensions plus petites que notre n.° 212, on trouve les deux coutelas à Verceil et à Bielle en 1473. § 36. Croissant sur montò d’une tige, 21}. — 1 variété ■ de 1374. Ce filigrane n’a pas encore été signalé. § 37. Croissant de lune, '214 à 2)6. — 23 variétés de 1496 à 1633. Par sa persistance, cette marque a tous les caractéres d un filigrane locai. Nous ne connaissons pas de marques identiques, hors de Gènes, mais seulement quelques variétés du méme type: ainsi le croissant dans le genre de notre n.° 232, mais sans lettres à l’jntérieur, (1) Urbani, pi. VII, fil. 15. (2) Midoux et Matton, fil. 406. - 347 - rencontré à Grenoble en 1413, à Lausanne et à Genève en 1468; puis deux autres, dans le style de notre n.° 222, mais portant, au lieu des initiales, une couronne, et sous la lune, les lettres B F, variétés relevées à Mar-seille en 1550 et 1556. § 38, Deux Croissants opposés, 237. — 1 variété, de 13 69. Ce filigrane, encore inédit, est assez abondant en Provence (7 variétés) de 1358 à 1369, en Dauphiné de 1343 à 1392, en Piémont (Suze) en 136$, et en Savoie (Chambéry) en 1396. § 39. Croissant au dessus de deux lunes, 238 et 235?. — 2 variétés, de 1626 à 1643. Ce filigrane est probablement celui qui était désigné sous le nom de tre mondi à Gènes de trois lunes à Venise et aux Trois 0 en France. Il est trés fréquent dans le midi de la France et en Piémont; quelquefois, au lieu d’un croissant, il y en a deux ou trois, ou bien, au contraire, ce sont trois lunes sans croissant. Nous en possédons plusieurs variantes de Provence de 1552 à 1657, du Dauphiné de 1561 à 1639. Mais c’est en Piémont qu’on trouve de bonne heure ce filigrane, par exemple à Pignerol et dans les Vallées vaudoises, de 1481 à 1651. Nous l’avons rencontré sur des lettres datées de Genève 1646, de Deux-Ponts 1652, de La Haye 1661 et surtout sur des piéces émanant de la chancellerie espagnole écrites, soit à Madrid, soit à Bruxelles, entre 1607 et 1670. — 348 — § 4°- Croix, 240 à 242. — 2 types, de 1302 à 1318. Type a). N.° 240, de 1305, relevé à Fabriano, en plus grande dimensions en 1294. Type b). N.° 241,'de 1310 à 1318, se retrouve à Zurich au XIV.C siècle et à Francfort en 1335* Type c). N.° 242, de 1302, inédit. § 41. Deux Croix, 243 et 244. — 2 variétés, de 1318 et 1320. Ce filigrane n’a pas encore été signalé. § 42. Echelle, 243 et 246. — 2 variétés, de 1314 à 1324. Cette marque est signalée en plusieurs variantes en Dauphiné en 1400, à Fabriano de 1451 à 1568, a Genéve en 1474/95, à Nyon en 1501, et dans plusieurs incunables italiens de Foligno, de Florence, de Venise et de Rome. Ce filigrane est bien certainement italien. § 43. Ecu à une Croix, 247. — 1 variété de 1316. Ce filigrane, d’une interprétation douteuse n a pas encore été signalé. § 44. Ecu de Génes, 248 à 230. — 3 variétés, de 1629 à 1675. Nous avons un filigrane relevé en Provence, en 1633, est trés semblable aux n.os 249 et 250, mais avec les initiales G P. Cette marque se trouve fréquemment et en plusieurs variétés sur des lettres de la chancellerie espagnole, datées de Madrid, de Bruxelles et de Malines, entre 1670 et 1680. - 349 - § 45- Enclume, 231 et 2; 2. — 2 variétés, de 1331, de 1422 et 1423. Ce filigrane est assez rare: nous ne l’avons rencontré que dans quelques manuscrits (Bibl. Berne. A 38 et Bibl. Abb. S.' Gali, n.° 483). Enfermé dans un cercle, à la mode italienne, il a été noté par Rauter (1) à Breslau en 1496, et dans d’assez nombreux incunables de Venise, de Rome et de Foligno. § 46. Etendard, 253 à 2;;. — 3 variétés, de 1332 à 1347. Dans le genre du n.° 253, nous avons rencontré cette marque à Grenoble en 1330, à Sion (Valais) en 1331, en Provence de 1367 à 1370, et à Zurich (copie du XIV.e siècle d’actes de 1292 à 1371). De La Fons-Melicocq la signalé pour le Nord de la France à la date de 1370. Quant à la variété à manche tréfìé, elle se trouve à Grenoble en 1345 et en Provence en 1348 et 1349. L’étendard a été usité une seconde tois à partir de la seconde moitié du XV.e siècle. Urbani (2) donne cette marque en 1483, et la mentionne comme trés rare. On l’a signalée en outre à Hermannstadt en 1482 (3) , et dans un incunable vénitien (4) où il figure accompagné d’une contre-marque, à la mode de Venise. Nous en avons trouvé une autre variété, également avec une (1) Filig. 67. (2) PI. VI, fil. 19. (3) SCHULER VON LlBLOY. (4) Desbarreaux-Bernard, pi. XI, fil. 72. — 350 — contre-marque vénitienne, sur uno lettre datée de Cons-tantinople, 1636. § 47. Etoile, 236 à 260. — 2 types, de 1311 à 1330. Type a). N.os 256 à 259. — 4 variétés, de 1311 à 1330. Sous cette forme rudimentale, l’étoile a été relevée à Fabriano en 1310, et en Silésie en 1354. Type b). N.° 260, de 1325. Formée de deux triangles isocéles se coupant symé-triquement, l’étoile se trouve à Nuremberg (1) en 1319, à Fabriano en 1349, en Savoie et en Provence en 1330, en Dauphiné en 1332, en Suisse dans le dernier quart du XIV: siècle et en 1402 (4 variétés à Sion, S.' Gali et Zurich), et à Lyon en 1410. L’étoile a donné son nom à un format de papier. § 48. Etoile au dessus du Croissant, 261. — 1 variété de 1328. Cette marque, encore inèdite, qui se retrouve aussi en Provence, est le prélude d’un filigrane assez répandu durant la première moitié du XV.e siècle. § 49. Feuille de trèfle, 262 à 2(6. — 2 types, de 1316 à 1345. Type a) N.os 262 à 264. — 3 variétés, de 1316 à 1321. Sous cette forme, la plus ancienne, la feuille de trèfle se trouve en Dauphiné en 1338. (1) Von Murr, loc. cit., tome II, p. 83. # - 351 - Type b) N.05 265 et 266. — 2 variétés, de 1344 et 1345; relevées en Provence de 1325 à 1417. A la fin du XIV.e et dans le premier quart du XV.e siècle, on trouve assez fréquemment en Dauphiné, en Savoie et en Suisse, une feuille de tréfle avec la queue tordue en forme de tire-bouchon. La feuille de tréfle est en outre mentionnée par le chanoine Turletti (Berlan, Introduzione della stampa in Savigliano, etc., Turin 1887, p. 30), comme figurant avec l’anneau et le comet dans un manuscrit de Savillian de 1430-31. § 50. Feuille de trofie à quatre ou Quatre-feuilles, 267 et 268 — 2 variétés, de 1331 et 1341. Cette marque se rencontre en Provence dans la première moitié du XIV.e siécle, à Grenoble en 13 31, à Francfort-sur-le-Mein en 1350, et à la Bibliothéque de Genève, ms. grec, n.° 23). § 51. Ver à chevai, 269. — 1 variété de 1322. Cette marque inèdite, qui pourrait ètre la lettre C, a été relevée en Provence à la date de 1300. ♦ § 52. Ferule, 2jo à 272. — 3 variétés, de 1323 à 1350. Ce type se trouve en Provence de 1314 à 1362, à Fabriano en 1322, à Ravensbourg en 1326 (1), en Dauphiné de 1322 à 1365 (à cette derniére date, avec vergeure supplémentaire), en Savoie en 1337 , à Frane-fort (2) en 1342; à Genève de 1342 à 1354. (1) Hassler, fil. 7' (2) Calque communiqué par M. Kirchner. — 352 «- Le filigrane de la férule a persévéré jusque vers la fin du XIV.e siècle, mais#en se modifiant plusieurs fois. § 53. Fiole ou Gourde, 273. — 1 variété de 1332. Cette marque, qui parait n’avoir été employée que fort peu de temps, a été relevée à Fabriano en 13 31, à Grenoble en 1333, en Suisse en 1333 (à Sion) et 1336 (Lucerne). § 54. Fleur à cinq pétales, 274.— 1 variété, de 1409. Ce filigrane d’un dessin régulier, rappelant la per-venche, est signalé en Provence en 1408, à Fabriano en 1413, à Ravensbourg en 1434 (1), et dans un ms. de la Bibliothéque de S.' Quentin écrit en 1443 (2). ♦ § 55. Fleur à six pctales, 273. — 1 variété, de 1420, inèdite. § 36. Fleur accompagnce de deux feuilles, 276. — 1 variété de 1439. On connaìt plusieurs types de cette fleur. Celui de Gènes se retrouve identique dans un ms. de la Bibliothéque de Laon (3), du milieu du XIV.e siècle. Un autre type trés voisin est signalé dans un ma-nuscrit de la méme Bibliothéque (4), daté de 1443, et dans un autre de la Bibliothéque de Berne (n.° 539, t.° 49), ainsi qu’à Fabriano en 1576. (1) Gutermann, fil. 58. (2) Midoux et Matton, fil. 411. (3) Ibid., fil. 393. (4) Ibid., fil. 392. - 3 5 3 - Un type plus ancien de la méme fleur a été relevé à Padoue en 1366, (1) en Provence en 1367, à Fabriano en 1376 et à la Bibliothèque de Bàie (ms. D. II. 14). Jansen (2) donne en outre deux variétés de fleur du méme genre, sans indiquer la date, mais tirées des im-pressions de Janson à Venise. § 57. Fleur (Bouton de), 277 a 28$ — 9 variétés, de 1313 à 1382. Ce filigrane, qui varie beaucoup cornine dimensions, a été rencontré à Fabriano de 1321 à 1373; en Provence (io variétés) de 1322 à 1388; en Dauphiné de 1326 à 1361 (à cette derniére date avec vergerne sup-plémentaire) ; en Suisse (Sion) de 1331 à 1381; à Lyon de 1348 à 1361; en Silésie (3) de 1369 à 1373 ; en Savoie en 1382; à Strasbourg (4) au XIV.' siécle. § 58. Fleur ou Ornemcm, 286 à 288. — 3 variétés, de 1317 à 1328. Filigrane inédit. § 59. Fleur à quatre pétales ou Quatre feuilles, 289 et 290. — 2 variétés, de 1320 à 1328. Nous avons rencontré cette marque en Suisse (Sion) en 1384. § 60. Fleur à six pétales, traversie par me croix, 291. — 1 variété, de 1328, inèdite. (1) Urbani, pi. IX, fil. 16. (2) N.os 65 et 66. (£) Rauter, fi!. 82 et 156. (4) Calque communiqué par M. Ch. Schmidt, atti Soc. Lio. St. Patria, Voi. XIX. 15 - 354 — § 61. Fleur à huit pétales, avec un cercle au centrc, 292. — 1 variété, de 1440. Des variétés de cette marque se trouvent en Suisse (Valais, Zurich, Schaffouse, Sargans) de 1415 à 1477, à la Bibliothéque de Bàie (ms. E. I. 1. tom. II, vers 1449), à la Bibliothéque de Soissons (1) et dans de nombreux incunables de Venise (2), Pavie (3), Milan (4), Mayence (5), Ulm (6), Nuremberg (7), Esslingen (8), Paris (9), Weidenbach près Cologne (10), Lubeck (n) et Rostock (12). § 62. Fleur de Lis, 29} à 296. — 4 types, de 1317 à 1456. Type a). N.° 293, de 1317. Sous cette forme, la fleur de lis a été relevée à Fabriano en 1314. Type b). N.° 294, de 1324. Le mème fleur de lis se rencontre en Provence en 1322. Type c). N.° 295, de 1364 à 1373. La fleur de lis épanouie est signalée en Dauphiné (1) Midoux et Matton, fil. 413. (2) Jansen, fil. 124. (3) Dans une impression de Franciscus de Gvrardenghis de 1487. (4) Jansen, fil. 124. (5) Ibid., fil. 130. (6) Ibid., fil. 130; Bodemann, n.°s 11 et 37. (7) Desbarreaux-Bernard, pi. II, fil. 17. (8) Impression de C. Fyner de 1473. (9) Desbarreaux-Bernard, pi. XXI, fil. 29, (10) Ibid., pi. 1, fil. 1. (11) Bodemann, n.° 107. (12) Ibid., n.° 217. - 355 - de 1344 à 1370; en Provence de 1348 à 1358; en Si-lésie (1) en 1358; à Fabriano en 1363; dans le midi de la France (2) en 1364; à La Haye (3) en 1366. Type d). N.° 296, de 1456, type inédit. Dés la fin du XIV.C siècle, la fleur de lis est trés répandue comme filigrane, et elle revét des formes et des dimensions trés variées. Cette marque a donné son nom à un format de papier. § 63. Fruits (Trois) ou trois Cerises, 297 à 299. — 3 variétés de 1317 à 1346. Ce filigrane, de grandeur variable, se trouve en Provence, de 1325 à 1359; en Dauphiné de 1331 à 1356; en Savoie de 1332 à 1336; dans le Palatinat rhénan (4) en 1336; à Fabriano en 1340; en Silésie (5) en 1350 et dans quelques manuscrits (Bibl. de Bàie, D. III. 2, et Bibl. royale de Turin, G. IV. 34. f.° 126). § 64. Gantelet, }oo à 349. — 4 types, de 1440 à 1598. Plusieurs auteurs ont unifié le gantelet avec la main. Nous croyons qu’il faut réserver cette dernière qualificatici] pour les marques où l’on a figuré les ongles ou les phalanges des doigts, ou pour la main du serment représentée avec deux doigts fermés. Le gantelet a été un des filigranes les plus abon-dants et les plus répandus ; il a certainement été usité (1) Rauter, fil. 137. (2) Midoux et Matton, Fil. Au XIV' s., n.* xxii. (3) Sotheby, Principia, p. 36. (4) Jansen, fil. 28. (5) Rauter, fil. 30. - 35^ — par pJusieurs battoirs, et on le rencontre depuis la fin du XIV.'- siécle jusquau XVIII.e Les noms de main et de double-main sont restés attachés à des formats de papier. Le gantelet n’a été signalé que trois fois à Fabriano, en 1322 et en 1456 (2 variétés), et n’y a pro-bablement pas été indigéne. Fineschi (loc. cit., p. 26 et suiv.), le mentionne corame la marque de la papeterie de Pescia. Il a été incontestablement une des marques usitées par un papetier génois et méme par plusieurs. Type a). N.° 300, de 1466 et 1467. Le gantelet surmonté de la croix n’est pas trés rare en Suisse, où nous l’avons noté 9 fois (Genéve, Fribourg, Sion et Zurich) entre 1437 et 14^9- On trouve aussi dans un Ars moriendi xylographié (1). Type b~). N.° 301 , de 1511. Surmonté d’une croix de S.‘ André, le gantelet a été signalé dans une impression de Turin (2) de 1515. Type c). N.os 302 à 307, de 1471 à 1495. Les variantes (au nombre de six) du gantelet ayant les doigts serrés les uns contre les autres, celui du milieu surmonté d’une étoile, nous paraissent, malgré leur fréquence, avoir une provenance étrangére , ou plutót devoir étre une contrefa^on. En effet, les comptes des Trésoriers généraux de Savoie nous ap-prennent que cette marque (3) était, anciennement, celle (1) Sotheby, Principia. L’auteur assigne à cette production la date de 1420 à 1430; cela nous parait un peu hasardé. (2) Desbarreaux-Bernard, pi. Vili, fil. 34 ter. (3) Manus extensa, digitis clausis, cum stella supra digitum de medio, dit le scribe. — Archives de Turin, volume 218, f.° 102, 5 février 1473. - 357 — d’Antoine Malanimi de Pignerol et des siens, et que la propriété lui en avait été reconnue par décision du Conseil ducal de Turin. Or, ainsi que nous l’avons signalé précédemment, on ne rencontre pas à Gènes de papiers aux marques piémontaises ; c’est pourquoi nous pensons que les filigranes à cette variété du gantelet sont une imitation des papiers de Pignerol, probablement faite à Gènes. On rencontre souvent des variantes de ce type, à une date reculée, ainsi à S.' Gali en 1411, à Soleure en 1444, à Sion en 1448 et 1449, à Lyon en 1470, à Turin de 1481 à 1485, et dans plusieurs mss. des Bibliothéques de Genève (latin n.° 72), de Bàie (A. VI, 15 et A. IL 9) et Abb. S.' Gali (n.° 336, f.° 263 à 273). Les cinq variantes de ce type primitit que nous possédons sont plus petites que celles du type relevé à Gènes : elles mesurent au plus 70 millimétres de haut, et l’étoile touche le doigt du milieu. Type d). N.os 308 à 345, de 1440 à 1598. La persistance du type à doigts écartés et les initiales variées qui l’accompagnent donnent lieu de penser que ce filigrane était utilisé par plusieurs papetiers qui, pour distinguer leurs produits l’accompagnaient de leur marque personnelle, soit de leurs initiales. Il est curieux, toutefois, de constater, dans l’emploi de cette marque à Génes, une lacune de prés de quarante ans (de 1446 à 1484). Ce dernier type du gantelet se rencontre souvent dans les lettres émanant de la chancellerie de Charles-Quint et datées de Toléde ou de Barcelone entre 1534 et 1540. - 35§ - § 65- Gantelet de fer? 330. — 1 variété, de 1388, relevée en outre à Lyon en 1391 et 1393 et en Silésie en 1380 (1). § 66. Grenade, 331 et 332. — 2 variété, de 1368 et 13 6 5°7 — Noms Andruzo A et Zovanni G (filigrane doublé), 508. — Signe indéterminé, 587. 1311. Absence — Cercle traversò par deux diamètres en croix et lettre I (filigrane doublé), 40 — Croix, 241 — Etoile 256 — Nom Andruzo A, 485, 486 — Nom Cicco V, 490 — Nom Maso P, 500 — Nom Mattolo P, 501 — Nom Puzoli Z, 506 — Triangle surmonté d’une croix, 571, 572, 573 — Trois triangles, 585 — Signes indéterminés, 588, 589, 591. 1312. Absence — Etoile, 256 — Trois triangles, 585. 1313. Absence — Deux clefs, 146 — Cloche, 150, 151 — Clou, 164, 165 — Couronne, 185 — Etoile, 256 — Bouton de fleur, 277, 278 — Signe indéterminé, 592. 1314. Cloche, 150 — Echelle, 245 — Etoile, 257 — Navire, 477 — Poisson, 525. 1315. Deux cercles traversés par une barre, terminée en croix, 49, 50 — Clef, 141, 142 — Cloche, 152, 156 — Echelle, 245 — Etoile, 256 — Lettre A, 373 — Lettre G et Croix (filigrane doublé), 385 — Lettre L, 397 — Lettre P, 409 — Navire, 478 — Roue à six dents, 528 — Roue à trois dents, 529 — Signes indéterminés, 582, 590. 1316. Cercle surmonté de la lettre n, 41 — deux cercles traversés par une barre terminée en croix, 51 — Clef, 138 — Coutelas, 210 — Ecu à une croix (?), 247 — Feuille de trèfle, 262 — Lettre G, 388 — Nom Puzoli Z, 507 — Tète d’homme, 561 — Signe indéterminé, 583. 1317. Cloche, 153 — Coutelas, 211 — Fleur ou ornement, 286, 287 — Fleur de lis, 293 — Trois fruits, 297 — Noeud de Salomon, 481 — Roue à trois dents, 529 — Tète d’homme, 562 — Tour, 569. 1318. Cloche, 157 — Croix, 241 — Deux Croix posées Fune au — 381 — dessus de l’autre, 243 — Lettre B, 378 — Lettre G, 389 — Poisson, 526. 13r9* Clou, 167 — Trois fruits, 297 — Lettre L, 397 — Mi-r°ir (?), 449 — Noeud de Salomon, 481. 1320. Deux Croix posées l’une au dessus de l’autre, 244 — Etoile, 258 — Feuille de trèfle, 262, 263 — Bouton de fleur, 280 — Heur à quatre pétales ou quatre-feuilles, 289 — Lettre A, 373 — Navire, 479 — Tète de licorne, 563. 1321. Clef, 139 — Feuille de trèfle, 264 — Bouton de fleur, 280 — Fleur à quatre pétales ou quatre-feuilles, 289. 1322. Coutelas, 210 — Fer à chevai (?) 269 — Bouton de fleur, 280 — Lettre S, 419. 1323. Casque, 3 6 — Quatre Cercles tangents, 61 — Cornet, 171 Couronne, 186 — Férule, 270 — Bouton de fleur, 279, 280 — Lettre B, 377 — Tète de boeuf, 538, 539. 1324. Clef, 143 — Echelle, 246 — Bouton de fleur, 280 — Fleur de lis, 294 — Lettres PA, 410 — Téte de boeuf, 538, 539 — Vase, 575. 1325. Aigle, 2 — Basilic, 27 — Clef, 143 — Cloche, 154 — Etoile, 260 — Bouton de fleur, 280 — Lettre B, 377 — Lettres P A, 410 — Lettre S, 42D — Tète de boeuf, 538, 539 — Vase, 576 — Signe indéterminè, 593. 1326. Baril, 25 — Deux Cercles traversés par une barre terminée en croix, 52 — Colonne, 168 — Tète de boeuf, 538, 539 — Vase, 576 — Vessie, 580. 1327. Arbalète, 7 — Fleur à quatre pétales ou quatre-feuilles, 290 Hache de bùcheron, 366 — Lettre A, 374 — Tète de boeuf, 538, 539- 1328. Clef (?), 140 — Etoile, 259 — Etoile au dessus d’un croissant, 261 — Fleur ou ornement, 288 — Fleur à quatre pétales ou quatre-feuilles, 290 — Fleur à six pétales, traversée par une croix, 291 — Lettre G, 390 — Lettre G et Croix (filigrane doublé), 386 — Lettre L, 398 — Lettre M, 401 — Noeud en forme de croix, 482 — Tète de boeuf, 538, 539 , 540 — Trois triangles, 586 — Signe indéterminé, 587. 1329. Tète de boeuf, 538, 539 — Signe indéterminé, 5^4. — 382 — 1330- Cloche, 155 — Etoile, 258 — Tète de boeuf, 538, 539. 1331- Enclume, 251 — Quatre-feuilles, 267 — Tète de boeuf, 533, 539- 1332- Agneau pascal, 1 — Etendard, 253 — Flasque ou Gourde, 273 — Bouton de Fleur, 281 — Hache d’arme, 361 - - Lettre A, 375 ~ Tète de boeuf, 538, 539 — Tète de chevai, 560. 1333. Casque, 37 — Cloche, 158 — Colonne, 169 — Cornet, 172 — Etendard, 253 — Férule, 271 — Bouton de Fleur, 282 — Tenaille, 537 — Tète de boeuf, 538, 539, 545. 1334- Bouton de Fleur, 283 — Tète de boeuf, 538, 539 — Tète de licorne, 564 — Tour, 570. 1335. Are, 10 — Couronne de feuillage, 209 — Bouton de Fleur, 284 — Tète de boeuf, 538, 539. 1336. Colonne, 170 — Nom Pintavo Z, 503 — Tète de boeuf, 538» 539» 541 — Tour, 570 — Vase, 578. 1337. Clef, 144 — Hache d’arme, 362 — Tète de boeuf, 538, 539. 1338. Ange, 6 — Deux Cercles traversés par une barre terminée en croix, 53 — Couronne, 187 — Téte de boeuf, 538, 539. 1339. Basilic, 28 — Deux Cercles traversés par une barre, 54 — Poire avec deux feuilles, 519 — Tète de boeuf, 538, 539, 542. 1340. Arbalète, 8 — Cloche, 159 — Téte de boeuf, 538, 539, 543. 1341 - Absence — Balance, 21 — Etendard, 254 — Quatre-feuilles, 268 — Tète de boeuf, 538, 539. 1342. Casque, 38 — Chapeau de Cardinal, 65 — Clef, 145. 1344. Feuille de tréfle, 265 — Hache de bucheron, 367 — Sau-cisson, 530 — Tète de boeuf, 544 — Vase, 577. 1345. Arbalète, 9 — Baril, 26 — Deux clefs, 147 — Feuille de tréfle, 266 — Férule, 272 — Trois Fruits, 298 — Hache de bucheron, 368 — Poire avec deux feuilles, 520 — Saucisson, 530 — Vessie, 581. 1346. Trois Fruits, 299 — Griffon coupé à mi-corps, 353. 1347. Clou, 166 —■ Etendard, 255. 1348. Poire avec deux feuilles, 521. 1349* — Deux Cercles traversés par une barre, terminée en croix, 55» 56. — 383 — 135°- Ferule, 272 — Lettre M, 402 — Téte de licorne, 565 — Signe indéterminé, 594. 1351- Poids, 518. 1354. Griffon coupé à mi-corps, 354. 1356. Balance, 22 — Trois Monts, 459. 1357. Deux Cercles traversés par une barre, terminée en croix, 57 — Cloche, 160 — Cornet, 173. 1358. Are, 14 — Balance, 23 — Chèvre, 76 — Poire avec deux feuilles, 522. 1359. Are, 11 — Deux Cercles traversés par une barre, terminée en croix, 58 — Poire avec deux feuilles, 523. 1361. Basilic, 29 — Hache d’arme, 363. 1363. Oiseau nimbé, 509. 1364. Fleur de lis épanou'fe, 295. 1366. Deux Cercles traversés par une barre, terminée en croix, 59. 1367. Chevai, 75 — Griffon, 355. 1368. Grenade, 351 — Licorne, 444. 1369. Deux Croissants adossés, traversés par une barre terminée en croix à ses deux extrémités, 237 — Grenade, 351, 352. 1370. Lettre A, 370. 1371. Navire, 480. 1372. Aigle, 3 — Griffon, 356, 357. 1373. Cerf ou daim, 64 — Chèvre, 77 — Fleur de lis épa-nouie, 295. 1374. Deux Clefs en sautoir, 148 — Cornet, 174 — Croissant, 213. 1377. Chapeau de Cardinal, 66 — Cornet, 175 — Lettre R, 413. 1379. Trois Monts, 460. 1380. Cornet, 176. 1381. Are, 12 — Cerf ou daim, coupé à mi-corps, 62 — Couronne, 188 — Hache d’arme, 364 — Licorne, coupée à mi-corps, 445 — Lion, 446. 1382. Bouton de fleur, 285 — Serpent, en forme de G, surmonté d’une couronne, 531. 1383. Griffon, 358 — Hache d’arme, 365. 1384. Are, 15. 1385. Cornet, 177. — 3$4 — 1386. Comet, 178. 1387. Griffon, 359 — Poire, avec deux feuilles, 524. 1388. Gantelet de fer, 350 — Griffon, 360 — Lettre A, 371 Lettre R, 414 — Trois Monts, 462 — Téte de licorne, 566, 367. 1390. Trois Monts, 463. 1392. Are, 16 — Lion, 447. 1394. Are, 16. — Trois Monts dans un cercle, 450. 1393. Are, 16. 1398. Deux Cercles traversés par une barre, terminée en croix, 60 — Trois Monts, 464, 463. 1399. Cornet, 179 — Trois Monts dans un cercle, 451- 1401. Trois Monts, 466. 1402. Lettre R, 414. 1403. Cerf ou daim, coupé à mi-corps, 63. 1404. Balance, 24. 1407. Trois Monts, 463. 1408. Lettre M, 403 — Trois Monts, 464. 1409. Fleur à cinq pétales, 274. 1410. Lettre D, 381 — Tète de licorne, 368. 1411. Lettre D, 382. 1412. Lettre D, 382 — Lettre M, 403. 1414. Char à deux roues, 67. 1413. Cornet, 180 — Couronne, 189 — Trois Monts, 467. 1416. Boeuf, 35 — Couronne, 189 — Trois Monts, 467. 1419. Cornet, 181 — Trois Monts dans un cercle, 432. 1420. Cornet, 181 — Fleur à six pétales, 273. 1421. Cornet, 181 — Lettre M, 404. 1422. Cornet, 181 — Enclume surmontée d’une croix, 252. 1423. Enclume surmontée d’une croix, 252. 1424. Couronne, 190, 192. 1423. Couronne, 190 — Trois Monts, 468. 1426. Couronne, 192. 1427. Cornet, 182 — Couronne, 181. 1428. Ch^r à deux roues, 68, 69 — Couronne, 193 — Lettre M, 403. — 385 — 1429- Char à deux roues, 69, 70 — Deux Clefs en sautoir, 149 — Couronne, 193, 194 — Trois Monts, 469. 1430. Char à deux roues, 69, 70 — Couronne, 193, 194 — Trois Monts dans un cercle, 453 — Trois Monts, 470. 1431. Char à deux roues, 70 — Couronne, 194. 1432. Char à deux roues, 70 — Ciseaux, 89 — Couronne, 190, 194. 1433. Char à deux roues, 70 — Ciseaux, 104 — Couronne, 194. 1434. Ciseaux, 104 — Couronne, 195 — Trois Monts, 471, 475. 1435. Chien coupé à mi-corps, 78 — Couronne, 195, 197 — Trois Monts, 475. 1436. Couronne, 195 — Trois Monts, 475. 1437. Couronne, 195 — Trois Monts, 475. 1438. Ciseaux, 90, 91 — Couronne, 195 — Lettre M, 403 — Trois Monts, 472. 1439. Ciseaux, 91 — Couronne, 195 — Fleur, 276 — Trois Monts, 472. 1440. Ciseaux, 92, 93 — Couronne, 195 — Fleur à huit pétales, 292 — Gantelet, 308 — Lion coupé à mi-corps, 448. 1441. Basilic, 31 — Couronne, 196 — Fleur à quatre pétales, 292 Gantelet, 308 — Lion, coupé à mi-corps, 448 — Trois Monts dans un cercle, 454 — Trois Monts, 473. 1442. Ciseaux, 82, 83, 84 — Couronne, 196 — Lion, coupé à mi-corps, 448 — Trois Monts dans un cercle, 454, 455 — Trois Monts, 473. 1443. Are, 13 — Basilic, 32 — Ciseaux, 85 — Lettre S, 421 — Trois Monts, 474. 1444. Are, 13 — Ciseaux, 85 — Lettre S, 421 — Trois Monts, 474. 1445. Are, 13 — Basilic, 30 — Ciseaux, 85 — Couronne, 198, 199 — Lettre G, surmontée de la croix, 391 — Lettre S, 421. 1446. Are, 13 — Chien coupé i mi-corps, 79 — Ciseaux, 85, 86, 94 — Gantelet, 308 — Lettre S, 422 — Trois Monts, dans un cercle, 456 — id. surmontés de la lettre S, 476. 1447. Lettre M, 406 — Lettre R, 415. 1448. Basilic, 33 — Ciseaux, 87 — Cloche, 161 — Lettre M, 406 — Lettre R, 415. Atti Soc. Lio. St. Patria, Voi. XIX. 25 — 386 — 1449* Ciseaux, 88, 95, 96, 105 — Lettre N ou H, 407. 1450. Char à deux roues, 71 — Ciseaux, 97 — Lettre N ou H, 407 — Lettre Rsur un bàton, au dessous de la lettre C, 416 — Lettre S, 423. 1451- Char à deux roues, 71 — Ciseaux, 106 — Lettre R, sur un bàton, au dessous de la lettre C, 416 — Lettre S, 423 — Trois Monts dans un cercle, 457. 1452. Char à deux roues, 71 — Ciseaux de tondeur, 80 — Ciseaux, 106, 107 — Lettre S, 423. 1453. Ciseaux, 106, 121 — Cornet, 183. 1454. Char à deux roues, 72 — Ciseaux, 108, 121, 124 — Cornet, 184. 1455. Ciseaux, 108, 121 — Cornet, 184. 1456. Ciseaux, 108 — Cornet, 184 — Couronne, 200 — Fleur de lis, 296. 1457. Ciseaux, 98, 108,,122, 125 — Couronne, 201, 202 — Téte de boeuf, 547, 548. 1458. Char à deux roues, 73, 74 — Ciseaux de tondeur, 81 — Ciseaux, 98, 109, 122, 125 — Téte de boeuf, 547, 548. 1459. Ciseaux, 109, no, 122 — Tète de boeuf, 548. 1460. Ciseaux, 99, 109, 114, 127 — Trois Monts dans un cercle, 458 — Tète de boeuf, 548. 1461. Aile d’oiseau, traversée par un flèche, 4 — Ciseaux, 99, ili/ 127 — Trois Monts dans un cercle, 458 — Téte de boeuf, 548, 550. 1462. Ciseaux, 99, 100 — Cloche, 162 — Tète de boeuf, 548, 550, 551, 552. 1463. Ciseaux, 99, 115, 116 — Tète de boeuf, 348, S51? SS2' 1464. Ciseaux, 99, 117 — Téte de boeuf, 548, 551, SS2 — Trom-pette, 574. 1463. Ciseaux, 117, 118 — Couronne au dessus des lettres S B, 208 — Tète de boeuf, 548 — Trompette, 574. 1466. Ciseaux, 101, 117, 119 — Couronne, 202 — Gantelet, 300 — Téte de boeuf, 546, 548, 549. 1467. Ciseaux, 101, 102 — Gantelet, 300 — Tète de boeuf, 346, 548, S49- — 387 — 1468. Ciseaux, 101, 102 — Tète de boeuf, 549, 553. 1469. Ciseaux, 102, 112, 128 — Roue de S." Catherine, avec initiales, I T, 527 — Tète de boeuf, 549, 553. 1470. Ciseaux, 102, 112, 128 — Roue de S.,e Catherine, avec initiales IT, 527 — Tète de boeuf, 553. 1471. Ciseaux, 112, 120, 128 — Gantelet, 302 — Roue de S.,e Catherine, avec initiales IT, 527 — Tète de boeuf, 553, 554. 1472. Ciseaux, 112, 128, 129 — Gantelet, 302 — Roue de S.,e Catherine, avec initiales IT, 527 — Tète de boeuf, 554. 1473. Ciseaux, 112, 128, 130 — Gantelet, 302 — Roue de S." Catherine, avec initiales I T, 527 — Tète de boeuf, 554, 555. 1474. Ciseaux, 112, 128 — Gantelet, 302 — Roue de S.tc Catherine, avec initiales IT, 527 — Tète de bceuf, 554. 1475. Basilic, 34 — Ciseaux, 131 — Gantelet, 302 — Téte de boeuf, 556 — Trompette, 574. 1476. Basilic, 34 — Tète de boeuf, 556. 1477. Téte de boeuf, 556. 1478. Ciseaux, 113, 123, 126 — Gantelet, 303. 1479. Ciseaux, 113, 126, 132 — Gantelet, 303 — Téte de bceuf, 557. 1480. Tète de boeuf, 557. 1481. Ciseaux, 133 — Deux Coutelas en sautoir, 212 — Gantelet, 304 — Tète de boeuf, 557. 1483. Anneau, surmonté d’une étoile, 17 — Gantelet, 305. 1484. Anneau, surmonté d’une étoile, 17 — Gantelet, 309 — Téte de boeuf, 558. 1485. Anneau, surmonté d’une étoile, 17 — Gantelet, 309. 1486. Gantelet, 309 — Oie dans un cercle, 510. 1487. Gantelet, 306 — Oie dans un cercle, 511. 1488. Gantelet, 310 — Oie dans un cercle, 511. 1489. Gantelet, 310. 1490. Cercle, à l’intérieur duquel est un signe indistinct, 47 — Ciseaux, 134 — Gantelet, 310, 311. 1491. Ciseaux, 134 — Couronne, 203 — Gantelet, 311. 1492. Ciseaux, 134 — Gantelet, 311. 1493. Ciseaux, 134 — Couronne, 204 — Gantelet, 307, 312. - 388 — 1494- Gantelet, 307, 312. 1495. Gantelet, 307. 1496. Ciseaux, 135 — Croissant surmonté de la croix, 214. 1497. Couronne, 206 — Gantelet, 313. 1498. Oie dans un cercle, 512 — Téte de boeuf, 559* 1499. Couronne, 205, 207 — Gantelet, 314 — Tète de boeuf, 559. 1500. Croissant surmonté d’une croix, 214 — Gantelet, 314 — Hache ou couperet, 369 — Téte de boeuf, 559. 1501. Gantelet, 314, 315, 316, 317. 1502. Gantelet, 314, 315, 316, 317, 318. 1503. Gantelet, 316, 317, 319. 1504. Gantelet, 317, 319, 320, 321. 1505. Anneau, 19 — Gantelet, 317, 320,>321. 1506. Anneau, 19 — id. surmonté de la lettre B, 20 — Gantelet, 317, 320, 321. 1507. Anneau, 19 — Gantelet, 322. 1508. Oie dans un cercle, 513. 1509. Anneau surmonté d’une étoile, 18 — Gantelet, 323, 324 — Oie dans un cercle, 51^. 1510. Oie dans un cercle, 513. 1511. Gantelet, 301 — Oie dans un cercle, 513. 1512. Ciseaux, 136 — Oie dans un cercle, 513. 1513. Ciseaux, 137 — Oie dans un cercle, 513. 1514. Gantelet, 325 — Oie dans un cercle, 513. 1515. Gantelet, 325, 326 — Oie dans un cercle, 513, 1516. Croissant surmonté de la croix, 215 — Gantelet, 325, 326 — Oie dans un cercle, 513. 1517. Gantelet, 325, 326. 1518. Gantelet, 325, 327, 328. 1519. Gantelet, 325, 328, 329. 1520. Cercle surmonté de la croix, 42 — Gantelet, 330, 331. 1521. Gantelet, 331. 1522. Gantelet, 332, 341, 342. 1523. Cercle surmonté de la croix, 42 — Gantelet, 332, 342. 1524. Cercle surmonté de la croix, 42 — Gantelet, 333, 334. 1525. Cercle surmonté de la croix, 42 — Gantelet, 333, 334, 335. — 389 — 1526. Croissant surmonté de la croix, 216 — Gantelet, 333, 534. 1527. Gantelet, 333, 334. 1528. Gantelet, 334, 336, 337. 1529. Gantelet, 336, 337. 1530. Gantelet, 337, 338. 15 31. Gantelet, 337. 1532. Croissant surmonté de la croix, 217 — Gantelet, 337. 1533. Gantelet, 337. 1534. Gantelet, 337. 1536. Croissant surmonté de la croix, 218. 1538. Croissant surmonté de la croix, 219. 1540. Cercle surmonté de la croix, 43. 1541. Cercle surmonté de la croix, 43, 44. 1542. Cercle surmonté de la croix, 43. 1543. Cercle surmonté de la croix, 43. 1544. Cercle surmonté de la croix, 43, 45 — Gantelet, 339. 1545. Cercle surmonté de la croix, 43, 44. 1546. Cercle surmonté de la croix, 43. 1547. Sirène, 532. 1549. Cercle surmonté de la croix, 45 — Croissant surmonté de la croix, 220 — Gantelet, 340. 1550. Cercle surmonté de la croix, 45. 1551. Cercle surmonté de la croix, 45. 1552. Cercle surmonté de la croix, 45 — Gantelet, 341, 342. 1553. Cercle surmonté de la croix, 45 — Gantelet, 342. 1554. Cercle surmonté de la croix, 45. 1555. Cercle surmonté de la croix, 45. 1556. Sirène, 533, 534. 1557. Cercle surmonté de la croix, 46 — Sirène, 533, 535. 1558. Sirène, 533, 534. 1559. Sirène, 533, 534. 1560. Sirène, 533, 534. 1561. Sirène, 533, 534. 1562. Soleil ou fleur surmontée de la croix, 224 — Croissant surmonté de la croix, 221 — Sirène 534. 1563. Soleil ou fleur surmontée de la croix, 224 — Sirène, 534. — 390 - 1564. Soleil ou fleur surmontée de la croix, 224 — Gantelet, 343. 1565. Soleil ou fleur surmontée de la croix, 224. 1566. Soleil ou fleur surmontée de la croix, 224. 1567. Soleil ou fleur surmontée de la croix, 224. 1568. Absence. 1569. Absence. 1570. Absence. 1571. Absence. 1572. Absence — Anere, 5 — Gantelet, 344 — Pèlerin, 514. 1573. Absence — Pèlerin, 514. 1574. Absence — Gantelet, 344, 345. 1575. Absence — Gantelet, 344, 345, 346. 1576. Absence — Gantelet, 344, 345, 347. 1577. Absence — Gantelet, 345, 346. 1578. Absence — Gantelet, 345 — Pèlerin, 515. 1579. Absence — Gantelet, 348. 1580. Absence — Gantelet, 345, 348 — Pèlerin, 516. 1581. Absence — Gantelet, 345 — Pèlerin, 516. 1582. Absence — Gantelet, 344. 1583. Absence — Gantelet, 344 — Pèlerin, 517. 1584. Absence — Gantelet, 344 — Pèlerin, 517. 1585. Absence — Gantelet, 344 — Pèlerin, 517. 1586. Absence — Gantelet, 344 — Pèlerin, 517. 1587. Absence — Gantelet, 344. 1588. Absence — Gantelet, 344. 1589. Absence — Croissant surmonté de la croix, 222 — Gantelet, 344 — Soleil, 536. 1590. Absence — Croissant surmonté de la croix, 222 — Gantelet, 344, 349 ~ Soleil, 536. 1591. Absence — Croissant surmonté de la croix, 222 — Gantelet, 349 — Deux Lettres initiales, 424 — Soleil, 536. 1592. Absence — Croissant surmonté de la croix, 222 — Gantelet, 349 — Deux Lettres initiales, 424 — Soleil, 536. 1593. Absence — Croissant surmonté de la croix, 222 — Gantelet, 349 — Deux Lettres initiales, 424 — Soleil, 536. 1594. Absence — Gantelet, 349 — Deux Lettres initiales, 424, 425. — 391 — 1595- Absence — Croissant surmonté d’un fleuron, 225 — Gantelet, 349 — Deux Lettres initiales, 425. 1596. Absence — Croissant surmonté d’un fleuron, 225 — Gantelet, 349 — Deux Lettres initiales, 425. 1597. Absence — Croissant surmonté d’un fleuron, 225 — Gantelet, 349 — Deux Lettres initiales, 425. 1598. Absence — Croissant surmonté d’un fleuron, 225 — Gantelet, 349 — Deux Lettres initiales, 425 — Trois Lettres initiales, 426. 1599. Absence — Croissant surmonté d’un fleuron, 225 — Deux Lettres initiales, 425. 1600. Absence — Croissant surmonté d’un fleuron, 225. 1601. Absence — Croissant surmonté d’un fleuron, 225 — Lettre J, 394. 1602. Absence — Croissant surmonté d’un fleuron, 225 — Lettre J, 394. 1603. Absence — Croissant surmonté d’un fleuron, 225 — Croissant, 232 — Lettre J, 394. 1604. Absence — Croissant surmonté d’un fleuron, 225, 226 — Croissant, 232. 1605. Absence — Croissant surmonté d’un fleuron, 226 — Croissant, 232. 1606. Absence — Croissant surmonté d’un fleuron, 226 — Croissant, 232 — Deux Lettres initiales, 427. 1607. Absence — Croissant surmonté d’un fleuron, 226 — Croissant, 232. 1608. Absence — Croissant surmonté d’un fleuron, 226 — Croissant, 232 — Vase, 579. 1609. Absence — Croissant surmonté d’un fleuron, 226, 227 — Vase, 579. 1610. Absence — Croissant surmonté d’un fleuron, 226, 227 — Vase, 579. 1611. Absence — Croissant surmonté d’un fleuron, 227, 228 — Vase 579. 1612. Absence — Croissant surmonté de la croix, 223 — Croissant surmonté d’un fleuron, 228 — Croissant, 233 — Vase, 579. - 392 — \ 1613. Absence. — Croissant surmonté de la croix, 223 — Croissant surmonté d’un fleuron, 228 — Croissant, 233 — Vase, 579. 1614. Absence — Croissant surmonté de la croix, 223 — Croissant surmonté d’un fleuron, 228 — Croissant, 233 — Vase, 579. 1615. Croissant surmonté de la croix, 223 — Croissant surmonté d’un fleuron, 228 — Croissant, 233 — Vase, 579. 1616. Croissant surmonté de la croix, 223 — Croissant surmonté d’un fleuron, 228 — Croissant, 233 — Trois Lettres initiales, 428 — Vase, 579. 1617. Croissant surmonté de la croix, 233 — Croissant surmonté d’un fleuron, 229 — Croissant, 233 — Trois Lettres initiales, 428. 1618. Croissant surmonté de la croix, 223 — Croissant surmonté d’un fleuron, 229 — Croissant, 233 — Trois Lettres initiales, 428. 1619. Croissant surmonté d’un fleuron, 229 — Trois Lettres initiales, 428, 429, 430. 1620. Croissant surmonté d’un fleuron, 229, 230 — Trois Lettres initiales, 428. 1621. Croissant surmonté d’un fleuron, 229, 230 — Croissant, 234. — Trois Lettres initiales, 428. 1622. Croissant surmonté d’un fleuron, 230 — Croissant, 234 — Trois Lettres initiales, 428. 1623. Croissant surmonté d’un fleuron, 230 — Croissant, 234, 235 — Trois Lettres initiales, 428. 1624. Croissant surmonté d’un fleuron, 230 — Croissant, 234, 235. 1625. Croissant surmonté d’un fleuron, 230 — Croissant, 234, 235. 1626. Croissant, 235 — Croissant couronné au-dessus de deux lunes, 238 — Une Lettre initiale, 431. 1627. Croissant, 235 — Croissant couronné au-dessus de deux lunes, 238 — Une Lettre initiale, 431. 1628. Croissant, 235 — Croissant couronné au-dessus de deux lunes, 238 — Une Lettre initiale, 431. 1629. Croissant, 235 — Cercle surmonté d’un fleuron, 236 — Croissant couronné au-dessus de deux lunes, 238 — Ecu de Gènes, 248 — Une Lettre initiale, 431 — Deux Lettres initiales, 432. — 393 — 1630. Croissant surmonté d’un fleuron, 231 — Cercle surmonté d’un fleuron, 236 — Ecu de Gènes, 248. 1631. Croissant surmonté d’un fleuron, 231 — Cercle surmonté d’un fleuron, 236 — Ecu de Génes, 248. 1632. Croissant surmonté d’un fleuron, 231 — Cercle surmonté d’un fleuron, 236 — Ecu de Gènes, 248. 1633. Croissant surmonté d’un fleuron, 231 — Cercle surmonté d’un fleuron, 236 — Ecu de Génes, 248 — Deux Lettres initiales, 433. 1634. Deux Lettres initiales, 433. 1635. Deux Lettres initiales, 433. 1636. Deux Lettres initiales, 433 — Une Lettre initiale, 434. 1637. Croissant au-dessus de deux lunes, 239 — Deux Lettres initiales, 433. 1638. Croissant couronné au-dessus de deux lunes, 239. 1639. Croissant couronné au-dessus de deux lunes, 239 — Deux Lettres initiales, 435. 1640. Croissant couronné au-dessus de deux lunes, 239 — Deux Lettres initiales, 435. 1641. Croissant couronné au-dessus de deux lunes, 239 — Deux Lettres initiales, 435. 1642. Croissant couronné au-dessus de deux lunes, 239 — Deux Lettres initiales, 435. 1643. Croissant couronné au-dessus de deux lunes, 239 — Une Lettre initiale, 436. 1644. Une Lettre initiale, 436. 1645. Une Lettre initiale, 436. 1646. Une Lettre initiale, 436. 1647. Une Lettre initiale, 436. 1648. Une Lettre initiale, 436. 1649. Une Lettre initiale, 436 — Lettres initiales, 437. 1650. Lettres initiales (filigrane doublé), 438 — Une Lettre initiale, 436 — Lettres initiales, 437, 438, 439. 1651. Lettres initiales (filigrane doublé), 438 — Lettres initiales, 437. 439- 1652. Lettres initiales (filigrane doublé), 438 — Lettres initiales, 439. — 394 — 1653- Lettres initiales (filigrane doublé), 438 — Lettres initiales, 439. 1654. Lettres initiales, 439. 1655. Lettres initiales, 439. 1656. Lettres initiales, 439, 440. 1657. Lettres initiales, 439, 440. 1658. Lettres initiales, 439, 440. 1659. Une Lettre initiale, 441 — Lettres initiales, 439, 440. 1660. Une Lettre initiale, 441 — Lettres initiales, 439, 44°- 1661. Une Lettre initiale, 441 — Lettres initiales, 439, 440. 1662. Une Lettre initiale, 441 — Lettres initiales, 439, 440. 1663. Une Lettre initiale, 441, 442 — Lettres initiales, 430, 440. 1664. Une Lettre initiale, 442 — Lettres initiales, 439, 44°- 1665. Une Lettre initiale, 442 — Lettres initiales, 439, 440. 1666. Une Lettre initiale, 442 — Lettres initiales, 439, 440. 1667. Lettres initiales, 439. 1668. Lettres initiales, 439. 1669. Lettres initiales, 439. 1670. Lettres initiales, 439. 1671. Lettres initiales, 439. 1672. Lettres initiales, 439. 1673. Lettres initiales, 439. 1674. Lettres initiales, 439. 1675. Ecu de Gènes, au dessus de deux lunes, 249, 250 — Lettres initiales 439. 1676. Lettres initiales, 439. 1691 à 1706. Lettres initiales, 443. FRAMMENTO DI POEMETTO SINCRONO SU LA CONQUISTA DI ALMERIA NEL MCXLVtl RIPUBBLICATO dal socio L. T. BELGRANO L frammento di poemetto in versi leonini, che io ripubblico, forma parte della anonima Chronica Latina del emperador Don Alfonso VII (i). Venne esso già stampato da Prudenzio Sandoval nella Historia de los Reyes de Castilla y de Leon (2) ; poi riprodotto da Enrico Florez nella Espaha Sagrada (3), su la scorta di un codice membranaceo che il Pellicer dichiarava originale (4), colle note e le varianti desunte sì dalla precedente edizione e sì ancora da un manoscritto che l’erudito benedettino Francesco de Sota aveva pure apprestato per una ristampa. (1) Alfonso Vii, re di Castiglia e di Leon, proclamato e coronato imperatore nel 113 5. (2) Pamplona, 1634; pp. 190 segg. (3) Tomo xxi ; Madrid, 1766; pp. 399 segg. (4) Pellicer, Bibliotheca de Don Joseph Pellicer etc. ; Valenza, 1671 ; fol. 146 segg. — 39§ — - Il poemetto dovea cantare la conquista di Almeria, città ragguardevole della Granata, compiuta nel 1147 su gli Arabi dagli Spagnuoli e da’ loro alleati, fra i quali si noveravano i Genovesi ed i Pisani : la stessa impresa, cioè, che il nostro Caffaro ha narrata, unitamente all’altra di Tortosa, seguita l’anno appresso, in un libro particolare che vien dopo de’ suoi Annali. Entrambi i' componimenti hanno così il grande vantaggio di essere sincroni all’ avvenimento ; e più l’altro di lumeggiarsi ed in alcun tratto anche di integrarsi a vicenda. Difatti il poeta, benché giustamente dichiarato barbaro da Nicola Antonio, et, si artem quaeras, ferrei oris (1), ci dà in peculiar modo gli antecedenti della spedizione; e passa in rassegna le milizie spagnuole e gli illustri baroni preposti al loro comando, tenendosi pago di rammentare appena in un luogo i poderosi e decisivi aiuti degli Italiani (v. 347) : Et gens Pisana venit insimul et Genuana. Ma nè i versi continuano descrivendo propriamente la conquista, né la Chronica conduce più avanti il racconto: 0 perché l’autore, di sua elezione, deponesse a questo punto la penna ; 0 perché, come sembra più probabile, il resto del suo lavoro sia andato smarrito (2). Meno parziale 1’ annalista genovese, ricorda più volte 1’ opera dell’ imperatore, del re di Navarra, de’ conti di (1) Bibliotheca Hitpatia vetus; Roma, 1696; voi. II, pp. 14. (2) A conferma di questa seconda opinione giova l’affermazione del Pellicer, foL 147, che nel Codice da lui posseduto, dopo il verso 387, mancavano vari fogli. - 399 - Barcellona e d’ Urgel, passando soltanto sotto silenzio il concorso di Pisa (i); ma certamente non dissimula il suo pensiero, che é quello di mettere in risalto speciale le forze ed il valore de’ propri concittadini. Nè altri potea farlo più e meglio di Caffaro ; vuoi per le doti particolari dello scrittore, vuoi perché egli stesso, nel 1146, eleggendosi a compagno Oberto Torre suo collega nel patrio consolato, tenne il comando supremo di una flotta con che i Genovesi apersero le ostilità contro i Mori delle Baleari e della stessa Almeria. La quale scossa la dipendenza degli Almoravidi, e cacciata la guarnigione che obbediva a Ben-Gamia, il più valente de’* lor generali, avea invitato a reggerla il caid Abu-abd-Allah-ibn-Meimùn di Denia, e rifiutando questi, esaltava al potere uno de’ suoi cittadini per nome Abd-Allah-ibn-er-Ramimi (2). Forse la mutazion politica coincide colla spedizione or ora accennata; e se cosi fosse, si spiegherebbero le parole dello stesso Caffaro, il quale narra che i Genovesi, stipulata co’ nemici una tregua a patto di riceverne il valsente di 113,000 marabottini, mentre numeravasi parte della somma, rex Almarie clam cwn duabus galeis . . . nocte recessit; laonde, mane veniente, Sarraceni alium regem elegerunt (3). (1) Nè pure di questo concorso è memoria nel Chronicon Pisanum sincrono, conosciuto sotto il nome di Bernardo Marangone; il quale dal 1146 al 1148 presenta una lacuna. Ma bene lo attesta, cogli scrittori spagnuoli, anche la Chronica di Roberto del Monte (Pertz, SS. vi. 498), a. 1148 (sic): Imperator Hispaniarum, cuius caput est civitas Toletum, adiutus a Pisanis et Genuensibus, Almariam nobilissimam urbem super Paganos cepit. (2) Amari, Diplomi arabi dell’Archivio Fiorentino , pp, xxxiv. M.vrrekosci, Storia degli Almoadi, testo arabo, pp. 149. (3) Cafari, Annales Genuenses, ed. Pert{, SS. xvm, pp. 21. — 4°° — Né eran coteste le prime imprese alle quali Genovesi e Pisani, uniti, accorreano contro gli Arabi di Spagna. Fino dal 1092 aiutaron essi il re Alfonso VI di Castiglia nella spedizione contro Valenza ed il Cid ; e campata quella città dal pericolo, in grazia della discordia messasi fra i collegati, le navi genovesi passarono, insieme col re Sancio di Navarrà e d’ Aragona e ’l conte di Barcellona, ad osteggiar Tortosa, sebbene anche di là tornassero respinti (1). I cronisti latini, rileva 1’ illustre Amari, dimenticarono, tra il rumore della prima Crociata, questa spedizione, qualora si tolga il ricordo che ne ha fatto Caffaro con le parole : in primo exercitu Turtuose, MXCI1I (2), lasciando fin anco in dubbio se avesse da intendersi la città della Spagna o l'altra di Soria. 11 Giustiniani si era anzi dichiarato per questa seconda (3); ma ora il dubbio é sciolto da un’ antica postilla marginale del codice Caffariano , già dell’ archivio di Genova, testé scoperto presso il Ministero degli Esteri in Parigi, laddove al nome di Tortosa succede la dichiarazione: que est in Catha-lonia. Ed anche un altra impresa fecero i nostri congiunta-mente ai Pisani (1114-16), se badiamo agli storici spagnuoli, aiutando colle lor navi il conte di Barcellona nella guerra mossa ai discendenti di Mogheid al ( 1 ì Amari, Dipi. cit., pp. xx. Dozy, Recherches sur l’histoire et la littér. de l’Espagne Musulmane, ed. 1881, pp. 140, e append., pp. xxv e lv. (2) Cafari, Annales Genuenses; de’ quali pubblicherò presto il primo volume nei Fonti dell’ Istituto Storico Italiano. (3) Giustiniani, Annali, 1. 127. — 401 — Amiri (i), i quali spingeansi dalle Baleari ad infestar le costiere settentrionali del Mediterraneo, e impossessandosi di Ivisa e di Maiorca (2). V’ ha chi aggiunge che i Genovesi, in riconoscimento di questi servigi ottennero dal conte Raimondo Berengario III di inquartare nell’armi loro la crocg rossa di S. Giorgio (3): il che per certo non é conforme al vero. Anzi Lorenzo Vernese, autor sincrono e, a quanto pare, testimone di veduta, disdice fin ancoT intervento de’ nostri, invidiosi della fortuna di Pisa. Auxilium bello Genuensis sola negavit Patria, quamque pctest Pisanos impedit actus. Ma il poeta era un pisano egli stesso; e l’avversione che manifesta contro di Genova toglie a noi di aver fede incondizionata nel suo racconto: Urbs igitur Janua, celeres mirala paratus, Livida demisso spectabat carbasa vultu (4). Nè è da pretermettere 1’ attestazione implicita dello stesso conte, il quale, in un suo diploma del 1117, o 1118, dichiarava: Ego ... pro commovendo cxcrcitu ad (1) Il Mugetus delle nostre cronache latine, sul quale, oltre le importanti notizie fornite dall’Amari nel voi. ili della sua Storia dei Musulmani in Sicilia, è da vedere un estratto di Alvaro Campaner, Dominacion de los regulos de Denia en las islas Baleares, nello Archivo, revista de ciencias historicas, de Denia, fase. dT giugno 1888, pp. 293 segg. (2) Mariana, Historia generai de Espana; Valenza, 1783 segg.; voi. iv, pp. 63 segg. Ferreras, Histoire d'Espagne (trad. D'Hermilly); Parigi, 1751 ; voi. ni, pp. 330-31. (3) Capmany, Memorias historicas etc. de Barcelona, voi. 11. append. v, pp. 4. (4) Laurentii Vern^nsis, De 1?elio Maioricano, lib. 1 e in. Pubblicato dal-1’Ughelli, Italia Sacra, x. 127 segg., e dal Muratori, 5. R. l.,vu 111 segg.; verrà prossimamente ristampato nei Fonti dell’ Istituto Storico Italiano, a cura dell’ Amari e di Leopoldo Tanfani-Centofanti , giusta un pregiato codice Atti Soc. Lig. St. Pàtria. Voi. XIX. 16 — 4° 2 — liberandam Ispaniarum Ecclesiam, cum hominibus meis de Bar chi nona Januam et Pisas adivi (i). ' Di nuovo poscia i Genovesi soli avean fatta una dimostrazione contro il caid Mohammed-ibn-Meimun d’Almeria (n37): quello stesso il quale in appresso comandò le armate del califfo almoade Ahd-el-Mumen (2). Ma tratto tratto alle guerre succedeano de’ periodi di tregua, i quali davano pur luogo a rapporti di commercio fra quei popoli ed i nostri naviganti (3); sinché Roncioniano del secolo xn, della cui importanza discorrono il Bonaini nel-V Arch. Stor. Ital., serie i, voi. vi, pp. xv, e 1’Amari stesso nei Transunti della R. Accad. dei Lincei, a. 1882, pp. 186 segg. (1) Martexe e Durand, Amplissima Collectio, i. 638. Capmany, 11, pp. 1. (2) Cafari, Ann., a. 1137. Amari, Storia dei Musulmani in Sic., in. 379. Langer, Poliiische Geschichle Gcnuas und Pisas in XII jahrliundert; Leipzig, 1882 pp. 16. (3) Di somiglianti rapporti con Almeria, fiorente d’industrie e abbondante di frutti, onde si trafficava coll’Africa, l’Egitto e la Siria, abbiamo documento importante in un capitolo dei Miracula beati Egidii, auctore Petro Guillelmo, il quale scriveva intorno al 1120. Merita di essere riferito. De quodam miilite captivo ab Almaria revocato. Viri quidam civitatis Januensis, causa lucri, cum mercibus suis maritimali itinere civitatem quamdam Sarrucenorum, in littore maris nostri positam, que Almaria vocatur, expetierant. Qui cum merces suas utiliter, sicut eis videbatur, profligassem, redire disposuerunt. Erat autem ibi miles quidam de comitatu Bi-goritano, qui in quodam prelio, quod rex Arragonensis Ildefonsus cum Sarracenis fecerat, interceptus, illuc captivus abductus fuerat (*). Is cum pro redemptione sua quantitatem auri, quantum dominus suus expetebat ab eo, dare nullo modo posset, summa instantia precum prefatos Januenses interpellare cepit, ut causa mercedis animarum suarum eum furto secum in navi allevantes asportarent. Quod cum facere absque maximo discrimine non possent, timore Dei tamen compuncti, aggredi temptaverunt ; et eum inter honera sua in navis sentina absconderunt. Cum vero custodes portus recedentium navim, sicut eis mos est, ne forte aliquem captivum non redemptum si haberent, curiosius scrutati essent, divina protegente eum clementia nullatenus r«pererunt. Cum autem post aliquos dies pelagus, quod inter Barchinonam et insulas Baleares late extenditur, navi- (") Allude forse alla vittoria di Daroca, o alla presa di Saragozza, avvenute per opera di Alfonsoi il Battagliero nel 11:8. - 403 — rifaceansi da capo alle ostilità, quando le piraterie cresceano d audacia, e 1’ altre violenze onde i Saraceni sfrenavansi ai danni di tutti i Cristiani, provocavano gli sdegni dei pontefici ed il conseguente loro appello alle armi dei fedeli (i). Adunque, nell’anno 1146 che ho già detto, i guerrieri di Genova aveano campeggiato sotto le mura di Almeria, piantando colà i gatti, le petriere, i mangani, e cominciato un regolare assedio della piazza; il quale', reso troppo difficile e di dubbia riescita da forze ineguali, fu poi sciolto al sopraggiungere dell’ inverno (2). Se non che i nostri aveano pure allora già provveduto al modo di ritentare nell’anno prossimo l’impresa e di assicurarne anche il successo, inviando legati ad Alfonso VII, i quali discutessero con lui le basi di un trattato di lega. garent; subito tempestas intolerabilis exorta ita per triduum eos perturbavit, ut penitus in quem sinum maris issent animadvertere non possent. Igitur omnes Omnipotentis clementiam, ut eos a presenti turbine liberaret, tota mentis intentione postulabant. Sed predictus miles in interiora navis positus, sanctum Egi-diutn, cuius se servum asserebat, maximo fletu et ululatu, ut eis in auxilium veniret, interpellabat. Itaque astitit ei palam, cum eo visibiliter, ut ipse postea referebat, loquens, et dixit: Sur gens ascende superiora et dic omnibus, ut vota sua voveant, quia sanctus Egidius eis in adiulorium venit, iamque ab hac tempestate liberandi sunt. Quo cum ascendisset, Extendite, inquid, manus in celum et vota vovete, quia sanctus Egidius mihi apparuit et nobis in auxilium a Deo missus 1 advenit. Quod cum animo gratanti fecissent, subito tempesta sedata est, et mare a fragore suo quievit. Post paucos vero dies, flante vento prospero, ad partum urbis Marsilie pervenerunt. Verumtamen ad villam sancti Egidii cursum suum reflectentes, ut merces suas venundantes exponerent, in die dominico cum ad . sanctum altare procederemus, astante universo populo, liec omnia nobis retulerunt, et laudibus declamatis, quatuor cereos mira varietate depictos, ob testimonium collati beneficii, super altare sancti Egidii optulerunt, qui et iuxta eius sepulcrum ex utraque parte appensi sunt. — Cfr. Pertz, SS. xii. 321. (1) B. Marangonis, Chron. Pis., a. 1114. Cafari, Annal., a. 1137 e 1146. Id., De captione Almarie et Turtuose, pp. 36. (2) Cafari, Annales, a. 1146. # — 404 — La Chronica Latina determina con precisione il tempo di si fatta ambasceria, narrando che l’imperatore la ricevette mentre si travagliava nell’assedio di Cordova (i); e noi sappiamo che di questa città egli si rese, dopo brevi giorni, padrone il 22 maggio del 1146 (2). Ma qualunque fossero gli accordi stabiliti tra Alfonso e Caffaro, da che non si può disconoscere come questi srd stato per parte di Genova il principale negoziatore del trattato (3), l’atto formale venne steso più tardi e giurato solamente nel settembre; spiegandosi a bastanza l'indugio colla necessità che aveano i Genovesi di notificare alla patria il progetto, per riportarne 1’ approvazione de’ consoli e del Parlamento. Forse anche delle definitive stipulazioni fu dall’ imperatore confidato il carico ad Arnoldo, vescovo di Astorga, della cui missione presso i comuni di Genova e di Pisa è cenno appunto negli storici (4). H forse Genova commise da canto suo il medesimo ufficio presso di Alfonso a quel Filippo di Lamberto, il quale, volgendo tuttavia il settembre, concluse pure un trattato con Raimondo Berengario IV, conte di Barcellona, che guarentì del pari a’ nostri il proprio intervento, a patto di averli poscia aiutatori nella espugnazione di Tortosa (5). Però la Chronica non é ugualmente precisa * (1) Cap. 99. (2) Florez, xxi. 398. Mariana, Historia generai de Espana; Madrid, 1783-96; iv. 125. (3) Langer, Poìitische Geschichte ^c., pp. 24 segg. (4) Ferreras, Histoire d'Espagne, ni. 148. (5) Liber Jurium Reip. Gen., 1. 118, 122, 123, 125. In quale luogo si giurasse il trattato, non è detto; ma dal numero grande e dalla qualità dei testimoni, si può congetturare che fosse un campo di guerra. Cfr. Langer, pp. 26. — 40)' — nel darci la somma delle convenzioni con Alfonso; clic furono 20,000 e non già 30,000, com’ essa dice, i marabottini del cui pagamento a due scadenze obbligossi l’imperatore verso de' Genovesi (1); né questi si accordarono di condur la loro flotta nelle acque d’Almeria per le calende d’ agosto, ma promisero invece: per totum proximum mensem madii faciemus exercitum ... , et bona fide erimus moti per totum illum mensem prefatum, eundo ad Almariam; mentre da canto suo il monarca assunse un identico impegno (2). E di vero il movimento del-T esercito spagnuolo incominciò appunto di quel mese, giusta quanto il poeta c’ insegna (v. 66 segg.) : Maius esi mensis, procedit Gallicieusis, Ripiglia poi Caffaro, che tutti gli apprestamenti per parte di Genova rimasero compiuti nello spazio di cinque mesi, e che la navigazione incominciò appunto allo scadere di questo termine; laonde, computando dal principio del 1147, dovremmo concludere che i patti vennero scrupolosamente eseguiti. Ma da che l’annalista premette la notizia della elezione dei nuovi consoli, i quali sappiamo che entravano in carica il 2 di febbraio, ed a questi magistrati esclusivamente dà il merito dell’ opera, io penso che quel periodo si abbia a contare invece dagli inizi del consolato di Ansaldo D’Oria e de’ suoi compagni, che furono anche i comandanti della gloriosa spedizione, e così la partenza dell’armata si debba ritardare sino alla (1) Marabotinos melechinos visisiuos murechinos, come leggesi nell’/wr. i, 123; cioè marabottini reali (melechinos da inekcli, re, signore) del Marocco. Quanto a visisinos, cosi scritto veramente nell’originale (Bibl. Univ. Genova, fol. 293;, non so che dire. (2) Florez, xxi. 398. Jurium, 1. 122, 123. — 4»ó — fine di giugno. Inoltre lo stesso Caffaro avverte die i Genovesi, approdati a Capo di Gata, vi stettero un buon mese all’àncora in attesa di Alfonso; e che, non venendo egli, spedirono a sollecitarlo Ottone di Bonvillano, il quale trovollo presso Baeza ove indugiossi dell’altro (i). Pertanto, innanzi di raccogliersi tutti all’impresa, i collegati sarebbero entrati realmente nell’agosto, che è la data posta dalla Chronica, come sopra ho notato, e che a questo modo pienamente si spiega. Del resto l’assedio onde Almeria fu stretta da terra e da mare, ebbe luogo dopo alcune fazioni navali, soltanto nel mese di giumadi, primo deiranno 542 dell’egira, corrispondente ai giorni 28 di settembre - 27 d’ ottobre del 1147. E noi non abbiamo invero cagione di dubitare di Ibn-el-Athir, che lo afferma (2), qualora ci facciamo a considerare il perfetto accordo delle fonti arabe col racconto di Caffaro. Narra difatti il nostro annalista, che la città, escluso il ridotto o cittadella (3), venne in potere de’ Cristiani la vigilia di S. Luca (17 ottobre); e questa data risponde appunto al venerdì 20 di giumadi, segnato per lo stesso fatto da Marrekosci. Caffaro dice inoltre che in quel giorno fu sparso dai vincitori molto sangue dei nemici , et . . . viginti (1) Cafari, De capi. Almarie etc., pp. 37. (2) Ibn-el-Athìr, Chronique ; nel Recueil des Historiens des Croisades : Hist. Orientaux, 1. 461. (3) Suda, subda, suela, cosi scritta variamente in Caffaro, pp. 38, e spiegata dal Pertz per la parte inferiore della città: subterior civitas. Ma è tutto il contrario, trattandosi invece dell’ultimo e più forte luogo di rifugio, come osservò bene il Langer, pp. 34, e come d’altra parte emerge chiarissimo, sia pel riscontro del nostro testo, il quale riparla della sueta a proposito della presa di Tortosa, e sia per quello che ce ne offre VJurium, 1. 132. Gli Arabi l’avrebbero chiamato kasba. Cfr. anche Du Cange , Glossar., v. Suda. — 4°7 — milia interfecti fuerunt, ... et inter mulieres et pueros decem milia Januam adduxerunt-, il qual numero, ancorché sembri peccare d’esagerazione, tamen, osserva il Wenrich, documento esse potest, Christianos praeclaram de Arabibus victoriam reportasse (i). Anche Marrekosci lamenta però la grande strage degli uomini, la schiavitù delle donne e dei fanciulli ; e Makkari, scendendo alle particolarità, piange fra i martiri dei Rum il cronista Arrosciati da Oriola, nella provincia di Murcia, ucciso in battaglia quel giorno medesimo eh’ eglino s’impossessarono della terra. Altri quattro di resistette invece la rocca; e da ultimo i Saraceni, i quali vi si difendeano, ne pattuirono co’vincitori la resa, pagando loro 30,000 marabottini e ottenendo salve le vite (2). I Genovesi, oltre al guadagno di un ricchissimo bottino (3), ebbero in proprietà la terza parte di tutto l’importante acquisto, si come portavano le stipulazioni con Alfonso; e di essa il Comune, con diploma del 5 novembre, concedette l’investitura per trentanni ad Ottone di Bonvillano su mentovato (4), imponendogli, fra le altre condizioni, il tributo annuo di due pallii alla chiesa matrice di S. Lorenzo (5), quale riconoscimento della sua giurisdizione in quelle parti e per adempimento (1) Wenrich, Rerum ab Arabibus in Italia insulisque adiacentibus... gestarum etc.; Leipzig, 1885; pp. 216. (2) Cafari, De capt. Almar., pp. 38. Marrekosci , testo, pp. 150. Makkari, Storia di Spagna, testo arabo, 11. 760. (3) Errano però gli storici spagnuoli, comprendendo nella preda il cosi detto Sacro Catino, che i nostri portarono invece dall’espugnazione di Cesarea nel 1102. Cfr. Mariana, iv. 128; Ferreras, iii. 148. (4) Jurium, 1. 132, 133. (5) Jurium, 1. 131, 132. Dove il Bonvillano promette: prò custodia civitatis tenebo soìdarios ccc, ..... qui omnes iurabunt salvare civitatem et Tudam. - 4oS - della condizione espressa nel trattato colle parole : ecclesia nostra eandem partem habere debet in spiritualibus, quam civitas nostra habet in temporalibus. Il che era strettamente conforme al principio, altrove da me dimostrato, per cui si volea che laddove arrivava il dominio di Genova ivi se ne estendesse anche la diocesi (r). Ma il possesso dei Rum non durò lunga stagione. Quando gli Almoadi ebbero spenta in Africa la minacciosa rivolta di Mohammed-ben-hud (1148), e consolidata pei trionfi ottenuti su gli Almoravidi da Abu-Saìd, figlio di Abd-el-Mumen, la loro autorità nella Spagna (1147-49), e’non tardarono a comparire davanti ad Almeria, incominciandone un novello assedio (1151). Lo stesso Abu-Saìd conducea le milizie ; le quali, narra Ibn-el-Athìr, in un primo scontro andarono respinte. Il presidio cristiano, anzi, resistette più anni, munendo la piazza con ragguardevoli opere di difesa : finalmente capitolò per fame nel 1157; ed i Franchi, conclude lo stesso cronista, ebbero la facoltà d’imbarcarsi per ritornare al paese dal quale un decennio addietro eran venuti (2). Genova, dicembre 1888. (1) Atti, it, par. 1, pp. 3 segg. — La stessa condizione fu perciò anche inserta, per rispetto a Tortosa, nel trattato col conte di Barcellona. Cfr. Jur., 1. 125. (2) Ibn-el-Athìr, Cbron., pp. 507, 508. Amari, Dipi, ecc., pp. xxxv, e le fonti da lui citate. Aggiungasi Rob. de Monte, pp. 506, a. n57: Agareni civitatem Almariam in Hispania super Christianos, quam amiserant, obsidione cum nonnullis castellis iterum ceperunt, fugato Anfoisio (sic) imperatore Hispaniarum, etc. PREFATIO DE ALMERIA IO. Rex pie, rex fortis, cui sors manet ultima mortis, Da nobis pacem, linguam prebeque loquacem, Ut tua facunde miranda canens et abunde Inclyta sanctorum describam bella virorum. Doctores veteres scripserunt prelia regum, Scribere nos nostri debemus et imperatoris Prelia famosa, quoniam non sunt tediosi: Optima scriptori, si complacet imperatori, Reddantur iura quod scribat bella futura. Dextra laborantis sperat pia dona Tonantis, Et bellatoris donum petit omnibus horis. Ergo quod eligi describam bella sub regi Facta Paganorum, quia tu gens victa virorum. J • 5- Convenere duces Hispani francigeneque, Per mare, per terras Maurorum bella requirunt; Dux fuit Imperii cunctorum rex Toletani, Hic Adefonsus erat, nomen tenet imperatoris. 20. Facta sequens Caroli (i), cui competit equiparar!, Gente fuere pares, armorum vi coequales. Gloria bellorum gestorum par fuit horum, Extitit et testis Maurorum pessima pestis, Quos maris aut estus non protegit, aut sua tellus; 25. Nec possum visum mergi, vel ad ethera sursum Suspendi victa, scelerata fuit quia victa; Non cognovere Dominum, merito periere, Ista creatura merito fuerat peritura, Cum colunt Baalim, Baalim non liberat illos, 30. Barbara gens talis sibimet fuit exitialis, Adorat menses, venturos nuntiat enses. Non tulit impune, quidquid male fecerat ante Numero maiores, divino numine minores, Comsumpsit bellis, non parcens puero nec puellis, 35. Cetera gens gladiis ceduntur more bidentum, Nec remanet teneri quicumque valent reperiri, Celestis dira super hos dimittitur ira. Ne nos longa mora turbet vis tardior hora, Est opus incepti redeamus ad alta laboris. (1) Carlo Magno. — 412 — 40. Pontifices omnes Toleti, sive Legionis (i), Exempto gladio divino, corporeoque , Orant maiores, invitant atque minores, Ut veniant cuncti fortes ad prelia tuti. Crimina persolvunt, voces ad sydera tollunt, 45. Mercedem vite spondent cunctis utriusque, Argenti dona promittunt cumque corona, Quidquid habent Mauri rursus promittunt auri. Pontificum (2) clangor tantus fuit et pius ardor, Nunc promittendo, nunc lingua vociferando, 50. Ut vix iam tèneri possent armati teneri. A canibus cervus velut in sylvis agitatus Desiderat fontes, dimittens undique montes, Plebs Hispanorum, sic prelia Sarracenorum Exoptans, eque non dormit nocte dieque. 55. Turba salutaris resonat per climata mundi, Vox Almarie cunctis est agnita dire. Dulcius ac nihil est per secula consona vox est, Hec invenum cibus est, vetularum florida dos est, Parvorum dux est, adolescentum pia lux est, 60. Pontificum lux est, Moabitarum (3) ultima nex est, Francorum fors est, Maurorum pessima mors est, Lis Francis pax est, Mauris licet inclyta fax est, Hispanis dos est, bellandum denique mos est, Argenti pars est, auri promissio fors est, 65. Longa que crux est, bellandi gloria lux est. Maius est mensis, procedit Galliciensis Precepta Iacobi primo dulcedine sancti Ut celi stelle sic fulgeat spicula mille, Mille micant scuta, sunt arma potenter acuta, 70. Et plebs armata, nam cuncta manet galeata, Ferri tinnitus, equorum nempe rugitus, (1) Intendasi del regno di Castiglia, di cui era capitale Toledo, onorata del titolo di città imperiale; e di quello di Leon, unito al precedente. (2) Erroneamente nel Florez: Pontificus. (3) Gli Almoravidi. - 4ij - Surdescunt montes, exsiccant undique fontes, Amittit tellus pascendo florida vellus, Pulvere pre nimio vilescunt lumina Lune, 75. Splendor etliereus frustratur lumine ferri. Strenuus hanc sequitur turbam consul Ferdinandus (1), Regali cura moderando gallica iura. Imperatoris erat nati tutamine fultus: Hunc si vidisses, fore regem iam putavisses, 80. Gloria regali fulget simul et comitali. Florida milities post hos urbis Legionis, Portans vexilla, prorumpit more Leonis. Hec tenet Hispani totius culmina regni (2), Regali cura scrutatur regia iura, 85. Eius iudicio patrie leges moderantur, Illius auxilio fortissima bella parantur. Ut Leo devincit animalia, utque decore, Sic cunctas urbes hoc vincit prorsus honore. Lex fuit antiqua, sunt eius prelia prima, 90. Sunt in vexillis (3) et in armis imperatoris Illius signa, tutantia cuncta maligna, Auro sternuntur quoties ad bella geruntur, Cetus Maurorum visu prosternitur horum , Nec valet in parvo consistere territus arvo. 95. Ut lupus urget oves, maris ut premis corda Leoni, Hec lux vitatos sic perterruit Hismaelitas, Aula primo pie consulta voce Marie, Concessa scelerum venia pro more piorum, Velis extensis procedit flammeus ensis. 100. Occupat et terram virtus fortissima totam; Gramina pascuntur, palee sine fine teruntur. (1) Don Fernando Joanez, il quale, col nome di comes Feniandus de Galleria, figura nel novero de’ signori che doveano giurare i patti della lega tra Alfonso vii ed i Genovesi (Jurium, 1. 124). Comandava egli i Galliziani. (2) La città di Leon reputavasi, infatti, capo della Spagna. (3) Gli stendardi di Leon teneano, nella guerra, il posto principale. — 4H — Hos Radiniirus sequitur comes (r), ordine mirus, Prudens et mitis Legioni cura salutis. Forma preclarus, natus de semine regum, 105. Est Christo charus, servans moderamina legum, In cunctis horis visum (2) tenet imperatoris, Pervigili cura, cui servit mente benigna. Flos erat hic florum, munitus arte (3) bonorum, Armis edoctus, plenus dulcedine totus, 110. Consilio pollens (4), iusto moderamine fulgens, Pontifices omnes precedit in ordine legum, Exsuperatque pares trucidanda (5) cacumina regum. Quid dicam plura? Superat omnes sua iura. Non comiti tali pigritatur quis famulari, 115. Consule cum tanto, Legio fera bella requirit; Irruit in terra non ultimus impiger Astur (6). Hec gens exosa nulli manet, aut tediosa, Tellus atque mare numquam valet hos superare, Viribus est fortis, trepidans non pocula mortis, 120. Aspectu pulchra, spernit suprema sepulchra, Venandi facilis, venando nec minus apta, Rimatur montes, agnoscit et ordine fontes, Vitare glebas, ac ponti despicit undas, Vincitur a nullo quidquid cernit superando, 125. Hoc Salvatoris deposcens omnibus horis Auxilium, tumidas equitando deserit undas, Et sociis aliis expansis iungitur alis. Dux fuit illustris istis Petrus Adefonsi (7); Nondum consul erat, meritis tamen omnibus est par, (1) II conte Ramiro Florez di Guzman, comandante le schiere di Leon. (2) Nel ms. del Sota: iusum. (3) Ivi: munitus et arce. (4) Ivi : plenus. (5) Ivi: trucidandus. (6) Il poeta celebra qui il valore degli Asturiani. (7) Pietro Alonzo, capitano degli Asturiani: « qui fue (dice il Sandoval, pp. 195) uno de mas senalados cavalleros por su persona y sangre que vuo en so tiempo ». - 415 “ 130. Et nulli mestus, in cunctis extat honestus, Fulget honestate, superatque pares probitate, Pulcher ut Absalon, virtute potens sicut Sanson, Instructisque bonis documenta tenet Salomonis, In reditu factus consul, sic consulis actus 135. Obtinuit meritis, magno ditatus honore, Inter consortes veneratur ab imperatore, Regalique pia fulgens uxore Maria (1), Nata fuit comitis, merito fiet comitissa, Gemma surgentes, sic erit per secula phenix. 140. Post hec Castelle procedunt spicula mille, Famosi cives per secula longa potentes, Illorum castra fulgent celi velut astra, Auro fulgebant, argentea vasa ferebant. Non est paupertas in eis, sed magna facultas, 145. Nullus mendicus, atque debilis, nec male tardus; Sunt fortes cuncti, sunt in certamine tuti. Carnes et vina sunt in castris inopina, Copia frumenti datur omni sponte petenti, Armorum tanta, stellarum lumina quanta; 150. Sunt et equi multi, ferro seu panno suffulti, Illorum lingua (2) resonat quasi tympano tuba. Sunt nimis elati, sunt divitiis dilatati, Castelle vires per secula tuere rebelles, Inclyta Castella ciens sevissima bella. 155. Vix cuiquam regum voluit submittere collum, Indomite vixit, celi lux quandiu luxit, Hanc cunctis horis domuit sors imperatoris. Solus Castellani domitavit sicut asellam, Ponens indomito legis nova federa collo, 160. In virtute sua durans tamen inviolata. Fortis Castella procedit ad intima bella, Velis extensis pavor oritur Hismaelitis, (1) Maria, moglie di Pietro Alonzo, che era di sangue reale. (2) Nelle precedenti edizioni, per errore, Ugna. — 416 — Quos, velut evenit, rex post mucrone peremit. Innumerabilis, insuperabilis, et sine cura, 165. Estrematura, prenoscens cuncta futura, Augurio docta quod erat mala gens peritura, Visit tot signis, audaciter iungitur illis. Si celi stellas, turbati vel maris undas, Si pluvie guttas, camporum «ec non et herbas 170. Ordine quis nosset, populum numerare valeret? Vina bibens multa, largo cum pane suffulta, Ferre valet pondus, estatis despicit estus. Opperit hoc terram velut innumerata locusta, Celum sive mare non sufficit hoc satiare; 175. Disrumpunt montes, exsiccant ordine fontes, Quando consurgunt, celorum lumina tollunt, Gens fera, gens fortis, metuens non pocula mortis. Pontius ista comes regit agmina, nobilis hasta (1), Virtus Sansonis erat hic et gladius Gedeonis, 180. Compar erat Jonathe, preclarus Jesu Nave, Gentis erat rector, sicut fortissimus Hector; Dapsilis et verax, velut insuperabilis Ayax, Non cuiquam cedit, numquam bellando recedit. Non vertit dorsum, numquam fugit ille retrorsum, 185 Immemor uxoris, cum pugnatur, vel amoris, Dapsia spernuntur, certamina quando geruntur. Spernuntur mense, plus gaudet dum ferit ense, Dum quatitur hasta, mala gens prosternitur hasta. Hic numquam mestus tolerat certaminis estus, 190. Dextra ferit fortis, resonat vox, sternitur hostis. Cum dat consilium, documenta tenet Salomonis, Pro fulcris enses mutat, numerandoque menses, Escas ipse parat, pro se sua vina propinat Militibus lassis, dum tollitur horrida cassis, 195. Mauris est pestis, fuit Urgi postea testis. Pontius hic consul fieri gliscit magnis exui, (1) È il comes Poncius de Zamora et Salamantica, rammentato nell 'Jurium, X. \2\. Comandava le genti dell’alta Estremadura. - 417 - lemperet bellandi quam linquat ense potiri, Pro merito tolli, semper placens imperatori, Pro victis bellis ditatur munere regis, -CO. Omnia quam regna domitat virtute superna, Fungitur his cunctis Ferdinandus et ipse Joannis (i), Militia clarus, bello numquam superatus. Rex Portiigali (2) metuebat eo superari, Campo fulgentem cum vidit bella gerentem, 205. Nam quo vertebat vultum, vel quo veniebat, Cunctos terrebat, cunctos simul ense premebat. Nemo manet sella cominus sua quam ferit hasta, Sepius hic bellis Mauros devicit acerbis. Nec dubitavit eos paucis invadere multos, 210. Nam cuncti fugiunt Ferdinandi qui fore noscunt. Adfuit ast largo bello generosa propago, Et natos multos peperit sibi iuncta virago. Qui bene patriscant, Agarenosque ense truncant, Securus tales pater est qui commovet enses, 215. Hunc bello mota sequebantur limina tota, Extremi populos sibi gaudet iungere multos. Militibus tantis gratulatur rexque receptis, Magnificeque virum suscepit in ordine mirum. Alvarus ecce venit, Roderici filius alti (3), 220. Intulit hic lethum multis, tenuitque Toletum, Et pater in nato laudatur, natus et ipse, Fortis at ille fuit, nec nati gloria cedit. Pater patri magnus, natus sed pollet avo, plus Cognitus et omnibus est avus Alvarus, arx probitatis, 225. Nec minus hostibus extitit impius urbs bonitatis, Audio sic dici, quod est Alvarus ille Fanici: (1) NelVJurium, loc, cit-: Fernandus Johannis de Gallicia; ossia Fernando Ibanez, signore di Limia, comandante le milizie della bassa Estremadura. (2) Alfonso Enriquez, primo re di Portogallo, celebratissimo per la vittoria di Caleva de Rcye{, riportata il 25 luglio 1139 contro cinque re mori; in memoria della quale inquartò nelle proprie armi altrettanti piccoli scudi. (3) Alvaro Rodriguez, nipote di Alvaro Fanez, comandante le genti di Toledo. Atti Soc. I.ig. St. Patria, Voi. XIX. 27 — 418 — Hismaelitarum gentes domuit, nec earum Oppida vel turres potuerunt stare fortes; Fortia frangebat, sic fortis ille premebat. 230. Tempore Roldani si tertius Alvarus esset, Post Oliverum, fateor sine crimine rerum, Sub iuga Francorum fuerat gens Agarenorum, Nec socii chari iacuissent morte perempti ; Nullaque sub celo melior fuit hasta sereno. 235. Ipse Rodericus, Mio Cid semper vocatus (1), De quo cantatur, quod ab hostibus haud superatur, Qui domuit Mauros, comites domuit quoque nostros, Hunc extollebat se laude minore ferebat, Sed fateor virum quod tollet nulla dierum, 240. Meo Cidi primus, fuit Alvarus atque secundus. Morte Roderici Valentia plangit amici, Nec valuit Christi famulus ea plus retinere: Alvare, te plorant iuvenes lacrymisque decorant, Quos bene nutristi, quibus et pius arma dedisti; 245. Fovisti paryos, firmas certamine magnos, Talibus ac tantis tractus patribus generosis Alvarus arce fuit Mauros quam probus odit. Navia dat vires, Mons niger dat quoque plures, Terraque Lucensis munimina prestitit ensis. 250. Nec desunt equites, tribuit quia plurima dives. Omnibus instructis, et sumptibus ante paratis, Mulos conscendunt, et equi vacui quoque pergunt, Quos pueri ducunt, humerisque scuta reponunt. Jamque propinquabant castris fumosque videbant, 255. Pulveream nebulam terram comprehendere totam Rex videt, et totam iussit conscendere scholam, Magnificeque viros sic demum suscipit istos, Natus Fernandi domibus iubet arma rebelli, Martinus dictus magnos Mauris dedit ictus, (i) Rodrigo Diaz di Bivar, il Cid Campeador, celebrato nel Poema de Mio Cid; morto a Valenza nel 1099. — 4*9 - 260. Huic gaudet Hita (i), quoniam dominatur in ista, In vultu niveus, membris et corpore largus, tormosus, fortis, probus est et cura cohortis; Diffugiunt Mauri, cum vox tonat, pavefacti. Hic pulchros pulchris armis armavit ephebos, 265. Castraque Martini turba resonant iuvenili, Ii mortem spernunt, audaces sic quoque fuerunt, Plus gaudent bello, quam gaudet amicus amico. Vexillis altis intrant tentoria regis, Hortantes ad bella duces: Cur estis hic pigritantes? 270. Alia post dicta, que iurant non fore ficta, Cuncti descendunt, regem simul ordine querunt, Atque genu fiexo: Bone rex, dixere, valeto. Sicque sedent; patris tandem studuere novellis. Nolo sit oblitus comes inclytus Hermenegildus (2): 275. Inter consortes micat hic, quasi stella cohortes, Et Sarracenis est charus Christicolisque, Si partim fari satis valet equiparari, Regibus exceptis, hic armis more receptis, Cum virtute Dei fretus multo comitatu 280. Ad pugnam venit, qua plures ense peremit. Tardius ad bellum Gutterius et Ferdinandi (3) Non venit; est regis quoniam tutamine fretus. Sancius est nostri qui filius imperatoris, Cum primum natus huic traditur ille docendus; 285. Nutrit eum chare, quem vult omnes superare, Consors maiorum Gutterius extat honorum. Ipsi catervatim properans ad prelia pergit, Ad bellum properat, regalia signaque portat. Laxatis loris charus gener imperatoris, (1) Nelle edizioni anteriori : Fita. Accennasi a Martino Fernandez, capitano di que’ di Ita e Guadalaxara ; il quale era figlio di Fernando Garzia, governatore di Ita. (2) Il conte Ermenegildo iv di Urgel, detto il Castigliano. (3) Guttiero Fernandez di Castro, aio dell’infonte Sancio, primogenito dell’imperatore, al quale succedette sul trono nel 1157. Egli comandava.i Casigliani, unitamente a Don Manrico figlio del conte Pietro di Lara. — 420 “ 290. Nomine Garsia (1), sed Pampilonia tota Jungitur Alve, Navarria fulget et ense. Omnibus his fultus, gaudet certamine tutus, Ramiri natus regis (2) si postea virtus, . Huius in adventum gaudens Hispania tota 295. Suscipit et dominum, nam scit regi fore gratum, Regibus haud dispar, sed et hoste turbine compar. Talibus auxiliis, ac tantis, Hispania fulta columnis Erectis signis Anduxeris occupant oras (3). Primitus Anduxar degustans vina doloris 300. Augusti iussu circumdatur imperatoris; Sumitur hoc castrum, sed et Urgi sternitur ipsum. Clamat et Baalim; Baalim, descita dista, Denegat auxilium, quia non valet his dare ullum. Sic per tres menses amittunt ordine messes, 305. Amittunt cuncta fuerant que parta labore; Viribus exhaustis, consumptis omnibus escis, Obsidibusque datis, iam pacis federa querunt, Vivere cum requirunt, regi sua se quoque dederunt. Redditur (4) et Banos, castellum nobile quoddam (5)? 310. Inclyta Bayona, sumpta (6) non sponte corona, Redditur invictis vexillis imperatoris. Nobilis urbs alia, que fertur voce Baeza, (1) Garzia Ramiro iv, re di Navarra, genero dell’imperatore Alfonso vii, di cui avea sposata (1144) la figlia naturale Urraca. (2) Sancio, che fu poi sesto di tal nome sul trono di Navarra. figlio primo genito di Garzia Ramiro iv e della sua prima moglie Mergerina o Margherita dei conti del Perche. (3) Andujar, città dell’Andalusia e rifugio di Handalm emiro indipendente di Cordova, fu nel 1146 difesa da questi e dalle truppe di Alfonso vii, momentaneamente a lui alleate, contro le soldatesche di Ben-Gamia colà giunte ad assediarlo. Cfr. Rosseeuw-S.'-Hilaire, Histoire d'Espagne ; Parigi, 1884; tom. HI, pp. 447. (4) Nelle precedenti stampe: Redditus. (5) Banos, castello situato non lungi dalla riva destra della Pisuerga e dalla città di Palencia, della quale Alfonso crasi pure impadronito. (6) Nelle edizioni anteriori': scripta. — 421 — Visis tot signis, magno concussa timore, Deposito prisco collum summittit honore 315- Et gaudet reddi, cum non valet esse rebellis (1). Cetera castella, Mauri, que sunt ea circa, Omnia cum redduntur, vitam pro munere poscunt; Vita concessa, recreant sua corpora fessa. Urbibus his cunctis strenuus preponitur armis 320. Consul Manricus, Christi non fictus amicus (2); Complacuit cunctis, complacuit simul imperatori, Ut Sarracenis fulgeret Christicolisque. Forma preclarus, cunctis erat ipseque charus, Dapsilis et largus, nulli per secula parcus, 325. Armis pollebat, mentem sapientis habebat, Bello gaudebat, belli documenta tenebat: Hic patri^abat in cunctis que faciebat. Larensis Petrus consul extitit pater huius, Qui rexit propriam per secula plurima terram; 330. Natus et in cunctis sequitur vestigia patris. Primevo flore, sed ob hoc ditatus honore, Atque suo more veneratus ab imperatore, Legis erat testis, Maurorum pessima pestis. Omnibus expletis que diximus, atque peractis, 335. Tempore consumpto, priscorum more parentum, Cum palma redeunt cives ad menia patrum, Exceptis paucis: tenet hos solertia regis, (1) Baeza fu acquistata dai Casigliani due volte. La prima nel 1146, unitamente alle truppe di Saìf-ad-Daulat, che gli abitanti di Cordova aveano gridato emiro, in luogo di Hamdaim levato al potere da una precedente insurrezione: la seconda il 12 giugno 1147, congiuntamente alle soldatesche di Ben-Gamia, contro lo stesso Sai'f, ricusatosi di riconoscere 1’ alta signoria di Alfonso vii. Cfr. Rosseeuw-S.'-Hilaire, in. 445, 447; Schott, Hispania illustrata, in. 48. E vedasi anche nel Florez, xxxvi, pp. cxcii, una carta dello stesso imperatore, facta... Palentie XXXVI ltakndas mai, era (di Spagna) MCIXXXVI, in anno quo ab eodem imperatore capta fuit Almaria et Bae\a. (2) Manrico, di Lara, cui l’imperatore aveva per l’appunto commesso il governo di Baeza. — 422 — Augusti nepta fuerat cum nuntia clara, Per mare Francorum veniunt multis, sed amara; 340. Atque salutato pro moribus imperatore, Nuntia sic fantur: Totius gloria regni, O de cus egregium, Francorum pulchra iuventus Expansis vellis (1), vos clara voce salutat, Ad maris et ripas armato milite sperat .345- Vester cognatus, uti promisit, Raymundus, Hostis adversum properat nimium furibundus (2), Et gens Pisana venit insimul et Genuana; Dux Pesullanus Guillelmus (3), in ordine magnus, Hos sequitur iuxta celsa fortique carina. 350. Sunt nimis armati, ad fera bella parati; Sunt memores pacti, portum nam denique nacti, Adversum muros (4) lapides portant quoque duros, Mille rates ducunt, te tardum iam fore dicunt, Armis et pictis onerati dulcibus escis. 355. Aurora rapto certabunt agmine facto, Et vestros hostes mactabunt nempe libenter. Indiget auxilio nullius turba venusta, Si fuerint vestra presenti duce suffulta. Nuntia dixerunt ut talia, sic tacuerunt. (1) Raimondo Berengario rv, conte di Barcellona, cognato dell’imperatore Alfonso, che aveva in moglie Berengaria sorella di lui, e governatore della Aragona , con titolo di principe, in nome della sua fidanzata Petronilla, figlia di quel re Ramiro 11 il Monaco, il quale nel 1137 aveva abdicato alla corona. (2) Arnoldo, vescovo di Astorga, già citato a pp. 404 ; il quale tenne la sede dal 1144 al 1152. Cfr. Gams, Series episcoporum eie. Il Florez, xvi. 207, cita una donazione fatta dall' imperatore Alfonso al vescovo Arnoldo ed a’ suoi canonici, « por el servicio que le hicieron en la guerra contra los Saracenos ». L’ atto recala data di Zamora, 11 gennaio 1188 dell’era di Spagna (1150, e. v.), terzo dalla presa di Baeza e d’ Almeria. (3) Guglielmo vi, signore di Mompellieri, il quale fece valorosamente sotto Almeria e sotto Tortosa le sue ultime armi ; essendosi dipoi ritirato fra i Cisterciensi della Grandselve, dove mori circa il 1162. (4) Nell’ edizione Sandoval: bellis. - 423 - 360. Talibus auditis, rediit mens imperatoris; Sed trepidant fortes sub tali duce cohortes. Proximus ad socium lacrymans sic fatur amicum : Usque modo bella bellis sunt undique mixta, Nuntia sunt chara regi, nobis sed amara, 365. Undique sunt hostes in itinere, quasi postes, Et via longa nobis, diversis consita spinis, Potus sive cibus in sacciis non manet ullus, Partibus e cunctis sequitur nos bellicus ensis. Heu lux argenti chari, fulgorve talenti, 370. Non esses nostris, utinam, collata sinistris (1); Auro pro parvo gladiis moriemur in agro, Et plaudent aliis uxores, nempe maritis, Et nati flebunt, alii cum lecta tenebunt, Et' carnes nostras volucres celi lacerabunt. 375. Inter pontifices presentes, Astoricensis Hoc cernens presul (2), cuius micat inclytus ensis, Plusquam consortes confortans voce cohortes, Alloquitur gentem iam prorsus deficientem Vocibus, et dextra sunt magna silentia facta: 380. Psallat in excelsis celorum gloria, dixit, Pax sit et in terris genti Domino famulanti. Nunc opus ut quisque bene confiteatur et eque, Et dulces portas Paradisi noscat apertas. Credite, queso, Deo ; Deus est profecto deorum, 385. Nec non cunctorum Dominus manet dominorum, Qui fecit letus nobis miracula solus, Constat et celi........ (Caetera desiderantur). (1) Ivi: Mauros. (2) Ivi, erron., escis. UN ASSASSINIO POLITICO NEL MCCCCXC [RANUCCIO DA LECA] MEMORIA DEL SOCIO L. T. BELGRANO I documenti, che costituiscono la parte principale di questa memoria, si conservano tutti nella sezione dell’ Archivio genovese di Stato, la quale si intitola del Banco e delle Compere di S. Giorgio. Alcuni erano stati esaminati e classificati da me, contano ormai parecchi anni, cioè quando apparteneva anch’ io al Personale di quell’ Archivio, nel quale ebbi la ventura di incontrare colleghi ed amici carissimi: una lieta e buona famiglia, cui non posso ripensare mai, senza sentirmi commosso nell’ animo. Ma altre carte, anzi il maggior numero, vennero teste scoperte ed a me gentilmente indicate dal signor Giulio Binda, della cui intelligenza e solerzia /’ illustre Sovrintendente comm. Desi-moni stimò giovarsi in modo peculiare, per dar opera ad un vero ordinamento razionale di tutto quell’ ampio tesoro — 42S — di scritti, ne quali si contiene il più bel monumento degli ordinamenti coloniali e della sapienza finanziaria dei nostri antenati. All’ egregio e cortese signor Binda, io intendo pertanto di porgere qui le grafie che so e posso maggiori. Genova, dicembre 1888. acopo D’Oria, l’ùltimo e il più insigne dei continuatori di Caffaro, nella cui opera mirabilmente si equilibrano l’acume del pensiero politico e la serenità pratica del giudizio, scriveva sotto l’anno 1289 queste memorande parole: « Abbenchè il Comune di Genova spendesse prima d’ ora e tuttavia seguiti a spendere grandissima copia di denaro, per tenere nella propria soggezione l’isola di Corsica, nondimanco e’ non riesci mai in questo suo pertinace proposito. Sono i Córsi una razza d’ uomini instabili e traditori, sì come ce ne ammonisce il detto, che corre per vanto fra di loro : Chi si fida nel Córso porta la testa in grembo (1). E per non rammentare altri fatti, che quelli del tempo mio, ben vidi io stesso la (i) * Qui se fia in Còrso, porta la testa in scoso ». •J - 430 — Corsica più volte e da varie genti soggiogata, quali i Pisani, i marchesi Malaspina, i Genovesi; ma vidi pure i Córsi agli svariati gioghi essersi in breve sottratti ». Questo il concetto del nostro statista su la naturale • r fierezza di quegli abitanti, e sovra l’intenso amore di libertà non mai potuto spegnere veramente da alcuna signoria nell’ isola generosa. Però le austere parole del D’Oria sonavano anche ammonimento alla patria (felice, se le avesse intese !) : cessasse Genova dal profondere tesori in una impresa, donde non caverebbe che odi accumulati su odi, ponendo sempre invano a repentaglio due beni supremi, la vita de’ cittadini e 1 onore dei governanti. Ma il egli parlava un linguaggio, che nè i suoi contemporanei ascoltarono, né meglio compresero i posteri. Eppure la Corsica, come il nostro annalista 1 avea preveduto, non s’acquetò mai sotto il dominio di Genova; il quale, lodato universalmente di moderazione persino nelle lontane colonie, apparve soltanto in quell isola, per ineluttabile ragion di Stato, oppressivo e tirannico. Né mutaron le sorti, allorché, a mezzo il secolo xv, dopo la guerra esiziale contro gli Aragonesi, la ruina di Pera e le minacce de’ Turchi ai danni della Crimea genovese, la Repubblica cedette la Corsica alla potente Società del Banco e delle Compere di S. Giorgio. L Aragona seguitò più che mai, dalla vicina Sardegna, a fomentar gli spiriti ribelli de’ Corsi; i signori interni, o caporali (cosi li chiamavano), si scissero in più partiti a seconda dei privati interessi; e non pochi si strinsero intorno alla persona di Tommasino Fregoso, venuto in mezzo a loro per sostener le pretese che la sua famiglia - 4Ì* — ripetea su l’isola da una investitura, che papa Nicolò V le avea conferita nel 1449.1 governatori spediti dalle Compere, come già quelli inviati dalla Repubblica , costretti a vivere in terra di nemici, non po-teano far mostra che di terrore: spesso agli inganni si opponeano gli inganni; ai prigionieri non si dava sempre quartiere; le teste cadeano mozze a centinaia da’ carnefici, e il sangue chiamava sempre dell’altro sangue. La ribellione, sedata appena in una provincia, scoppiava feroce in un’altra; e la voragine, divenendo via via più profonda, minacciava inghiottire la stessa fortuna del Banco, il quale difatti rasentò l’orlo del fallimento. In verità il Fregoso sperimentava, da prima, nemica la sorte dell’armi; tanto che i Genovesi, avutolo nelle mani, lo mandavan prigione a Milano, presso quel duca Giovan Galeazzo Sforza, allora signore della Repubblica. Ma nel 1480 e’ ripiombava su l’isola, munito per giunta di privilegi ducali, che proprio a lui ne riconosceano la sovranità (1); e presto ravvivata la fede degli antichi aderenti, si alleava a Gian Paolo da Leca, il più possente e stimato de’ caporali. Anzi le ragioni politiche rinvigoriano essi di alleanze domestiche; imperocché Tom-masino maritava la figlia Lucrezia a Ristoruccio di Gian Paolo, e questi impalmava Alda sua a Giano primogenito del Fregoso (2). Vigilava però su i lor passi Ranuccio di Giocante da Leca, congiunto di sangue a Gian Paolo, come lui signor (1) Cfr. il diploma del io febbraio 1478, nel Buìletin de la Sociètt des sciences historiques et naturelles de la Corse, fase. 43'44> PP- 611. (2) Tomniasino Fregoso era figlio di Giano, morto doge nel 1448, e di Anna Gentile dei signori di Brando. — 432 — di castella, e giovine del pari e audace. Uniti avrebbero, forse, radicata la loro supremazia nella Corsica; ma 1’ ambizione soverchiava in entrambi, e li rendeva nemici. Ranuccio adunque si argomentò di opporre alla novella calata del Fregoso nell’ isola un altro intervento ; e Jacopo IV Apppiano, signor di Piombino (i), fu con lusinghe di focili successi eccitato da lui a fare in Corsica una segreta discesa (1482). Pertanto, guidate da Gherardo di Montagnana, fratello di Jacopo, sbarcavano alla Porraia (2) un pugno di soldatesche fidenti e gioiose; e dopo la loro congiunzione a’ seguaci di Ranuccio , nella veduta di Lago Benedetto 1’ Appiano era proclamato conte dell’isola. Se non che il Fregoso trafficava poco stante coll’Ufficio di S. Giorgio, per due mila ducati d’oro, la cessione delle fortezze occupate e 1’ abbandono d’ ogni sua pretesa (3) ; Gherardo affrontatosi con Gian Paolo a Carco, e vinto con morte e prigionia grande de’ suoi, risaliva le navi mentre il suo alleato riparava in Casinca (1483). Così per breve posavano l’armi. Poi Gian Paolo, novellamente istigato dall’ irrequieto Fregoso, chiamava gl’ isolani alla riscossa contro S. Giorgio ; alle cui parti invece Ranuccio, venuto poc’ anzi a Genova, pareva essersi con deliberato animo convertito (1487). Assediato in Leca, scendeva a patti; e colla famiglia ed alquanti seguaci si ritraeva in Sardegna. Ma presto fra il Banco e Ranuccio si mesceano sospetti e disgusti; e Gian Paolo, stimolato da lui, tentava un altra insurrezione, ricomparendo (1) Figlio d Jacopo ih e di Battistina Fregoso, sorella di Tommasino. (2) Ora Foce di Golo. (3) Cfr. Bulletin etc., fase. 43-44, pp. 572. - 433 - alla testa di trecento Sardi nell’isola (1488). Ranuccio , il quale nell’ ansie dell’ attesa erasi a tutta possa fortificato in una sua altissima pietra appellata Zuriina, calavasi di là per incontrarlo; e ne’ loro colloqui i due antichi avversari, rinnovata la pace, con alcuni parentadi, secondo il costume, la suggellavano. Come 1’ Ufficio delle Compere ebbe notizia della ribellione, subito mandò commissario in Corsica Ambrogio di Urbano Di Negro, che lo storico Filippini si limita a rappresentarci « uomo pratico in molte cose e di grandissima astuzia » (1). Ma non provvide a munirlo di forze proporzionate al bisogno, mal giudicando da lontano tutta l’importanza di quei moti ; di guisa che, giunto egli appena nell’ isola, e considerata d’un tratto l’impossibilità di cimentarsi co’ ribelli in campo aperto, andò a chiudersi in Cinarca, sollecitando l’invio di rinforzi. Trionfavano frattanto gl’insorti. Le prime schiere di fanti, mandate da Genova al Di Negro sotto il comando di Rollandino Conte (2), erano incontrate da Gian Paolo e da Ranuccio a Bocognano, fatte vituperosamente depor l’armi e ricacciate indietro. Pure, se crediamo al Di Negro, la vittoria non valse a cementar 1’ unione fra i sollevati; imperocché a’ 27 dicembre del 1488, che é un dire subito dopo la rotta di Bocognano, appartiene questa relazione in cifra (3), che il commissario spe- (1) Già i Protettori lo aveano adoperato pure, in qualità di commissario, nella guerra di Sarzana contro i Fiorentini. Cfr. Federici, Abecedario delle famiglie nobili di Genova, ms. Bibl. della Missione Urbana. (2) Rollandone lo chiama il Filippini. Io ne trovo notizia nel Cartularium introilus et exitus Officii S. Gcorgii ami. 14SS, fol. 186: Rolandinus Conte, qui fuit conestabilis in Corsica et servivit cum Ambrosio De Nigro, etc. (3) Vi è però, di mano sincrona, la traduzione interlineare. Atti Soc. Lio. St. Patria, Voi. XIX. 28 — 434 — diva ai Protettori di S. Giorgio, datandola pomposamente ex felicibus castris nostris. Sono in pratica con Ranuccio da Lecha, lo quale est male contento de Joham Paulo, vedando che tuto lo favore et honore est atribuito ad Joham Paulo et lui est anichilato; et me ha mandato doe ambasiate, offerendose de darme Joham Paulo et figioli in le mane aut vivi aut morti, obligandome io de prendere suo fìgiolo, lo quale est obstatico, per uno fìgiolo (di Gian Paolo) , et darge mia figlia per mogliere (i) ; et faciando questo, est contento de darme quatro soi nipoti obstatici, che farà tale effecto aut da per elio aut cuoi lo mio aiuto. Io, considerando quello che me hano scripto V. M., che vogliando lui ritornare ad obe-dientia ge prometta maria et montes, ge habio dato audientia, et che serò contento fare quello riquere, faciando lui per soa parte quello manda a dire. Aspecto infra doi iorni risposta da lui cum conclusione. De che me est parsuto bene avizarne V. M., che, approbando questo, me commettano quello haverò da fare. Per vincere la guerra, ge habio promisso questo et più ge prometteria ancichè restasse, et poi V. M. fariano quello ge piacesse. Et perchè lui me riquere farli venire suo fìgiolo in queste parte, V. M. commettano a Raphaele de Gritnaldis, gubernatore, che mandando io a prendere dicto fìgiolo cum la fusta o altro vascello, me sia consignato, aciochè possa concludere et finire la guerra. Et non dubitati, che de lo fìgiolo non intervenirà cosa alchuna per ingano. Li tradimenti loro sono asai; per che de loro non me fiderò, salvo a ioco vincto (2). Assentivano alla richiesta i Protettori, e ne avvisavano solleciti il Grimaldi con una lettera del 16 gennaio 1489: (1) Dal suo matrimonio con Bianchina di Odoardo Carmandino, ebbe il Di Negro un maschio, di nome Urbano, e tre femmine: Franceschetta, la quale andò sposa a Stefano di Giannotto Spinola, Giorgetta e Giacominetta. Cfr. Buonarroti, Alberi genealogici delle famiglie nobili di Genova, ms. della Civico-Beriana, voi. 11, fol. 498. (2) Filza di Cancelleria — Governo Generale di Corsica, a. 1488. - 435 — Ne scrive Ambrosio commissario bavere una certa pratica cum Ranucio da Leca contra Joham Paulo, per conclusione de la quale scrive essere necessario che habia de là Francesco figiolo de ipso Ranucio..... Ex quo, se vi mandasse la fusta a prenderlo, ge lo farete consignare in Sancto Florentio (i). Ma, qual che ne fosse la causa, la sperata « conclusione » fallì ; né il gioco si potè guadagnare per astuzia d’ingegno. Ben fu ventura, che nuove soldatesche, guidate dal capitan generale Filippo Fieschi (2), sbarcassero a Calvi ; le quali unite alle genti di Ranuccio della Rocca, d’Alfonso di Ornano e d’altri « fedelissimi amici » (3), marciarono alla volta di Vico, con animo d’impossessarsi di una fortezza innalzata là presso , a Foce d’Orto, da Gian Paolo « con industria grande » (4) e da tutti riguardata « una terribilissima cosa » (5). Correva il 29 marzo del 1489; e quel di lavò 1’ onta di Bocognano per modo che due soli fra i Còrsi, Giudicello di Ranuccio e Michele d’ Orlanduccio, ambi da Leca, salvaronsi con la fuga: « gli altri tutti, scrive il Filippini, con grandissima crudeltà furono tagliati in pezzi. Alle donne fu usata miglior condizione, perciocché con molto riguardo dell’ onor loro furono in Leca mandate, e dopo alle lor genti con notabile carità restituite. Dicesi d’Alfonso da Ornano (0 fosse per vendicarsi di molte private ingiurie antiche, 0 per gratificarsi (1) Cod. Litterarum, a. i^y-yo. (2) Figlio di Ettore, e detto anche Filippino, per distinguerlo dall’ avo Filippo, che era'fratello del celebre Obbietto ed uomo di altissimo affare in Genova ed in Milano. (3) Lettera del Di Negro al governatore Grimaldi, 3 dicembre 1488. (4) Filippini, Isioria di Corsica; Pisa, 1827; voi. 111, pp. 98. (5) Lettera citata. — 436 — a’ Genovesi ), che il giorno di questa fazione, non senza macchia d’animo maligno, con grande e veramente incredibil piacere nel sangue di Leca orribilmente s’imbrattò » (i). E lo storico narra la verità, sebbene non intera,, dimenticando Arrigo figliuol di Mannone, il quale era pure un da Leca. Ma buona testimonianza delle azioni loro troviamo noi nel racconto di Pietro Cirneo e nella lettera spedita a Genova dal Di Negro, in data del 3 di aprile. Dum Lecensis (cosi di Ranuccio e dei suoi scriveva il Cirneo) intentus est ad hostes repellendos, filius Matnnonis cum aliis quinque et vigiliti Corsis per alteram viam difficilem, a proelio amotam, ascendit, ac illos superne adoritur. Pauci per praecipitia lapsi mortem obiere; pauciores centum fuga servavit (2). E il Di Negro : Altunso, et Enricho da Manorao (sic) se sono passati virtuosamente, et se sono molti acarnasati (3) in lo sangue de Lecha; et questo habiamo facto fare a loro per molti boni rispecti » (4). Ebbe la rotta di Foce d'Orto per conseguenza la diserzione della maggior parte dei ribelli, i quali tornarono nell’ obbedienza di Genova, con quella tacita offesa alla sincerità de’ patti dall’ una e dall’ altra parte che ciascuno può immaginare. Frattanto Ranuccio andava a rinchiudersi nella Zurlina; e Gian Paolo, con pochissimi fedeli, gittavasi alla macchia, « non già (1) Filippini, in. 100. (2) Petri Cyrnei, De relus Corsicis; in Muratori, S. R. xxiv. 502. (3) Dal verbo accarnarsi, frane, achtirner. (4) Fil. Cane., Gov. Gen. ecc., a. 1489. — E ved. anche la precedente lettera dello stesso Di Negro, col primo annunzio della vittoria, data da Foce d'Orto ie 29 mariti, bora vesperarum, nel Bull, cit., fase. 61, pp. 259. - 437 — (ripiglia il Filippini) perché più sperasse di poter vincere, ma per far l’accordo, se poteva, men dannoso » (i). Il succedersi rapido d’ altri eventi, troncava però anche il filo di questa estrema speranza. Aveva il Di Negro trasportata in Vico la sua residenza, per esser cosi prossimo al luogo dove stava oramai per impegnarsi la finale partita. E di là appunto, nella già citata lettera, mandava ai Protettori queste notizie : Per altre nostre (2) vi habio scripto corno habiamo preizo Foce d’Orto, loco fortissimo, unde se est adoperato lo magnifico ca-pitanio valorosamenti. Ha grande amore a questa impreisa, et ha voluntà presto presto de darli fine. Sia per aricomandato a V. M., perchè merita grande laude et premio... Joham Paulo et lo figiolo sono a la silva cum cinque aut sei compagni, de che non se ha novella dove se sia: ge metteremo de li brachi atorno per trovarli. Dio ne daghe la grafia! Ranucio est in la Jhorli.ia, in lo quale loco domane se daremo loco de restrenzerlo; et spero, per la providentia de lo capitanio., la dobiamo obtenere corno abiamo facto 1’ altra (3). De che Dio ne facia la gratia... Siamo in streita pratica cum Ranucio da Lecha: se fino a meza nocte non seremo de acordio, se acamperemo a la soa petra domane..... Se le cosse de questa reuscirano, corno speriamo, V. M. ne dagheno ordine corno se habiamo a tenere cum li soldati, et quanto numero ne habiamo a tenere fino che habiamo castigato li ribelli. Una cosa arricordo a V. M. Se voleno pacificare, bisogna desa-bitare questa pieve (4) et habitare Aiacio, et lì farge una fortessa, et desentegare questa ginea (5) da Lecha in tuto (6). (1) Filippini, iii. ioi. (2) Cioè con la lettera del 29 marzo testé citata. (3) Cioè Foce d’Orto. (4) Di Vico. (5) Cioè disperdere totalmente questa genia. (6) Filza cit. — 43§ — Ma agli accordi non si venne così presto: né il Fieschi si mosse altrimenti il dì successivo per investire la rocca; che questa reputavasi impresa quasi impossibile, senza la perfidia e gli inganni. Or vedasi in qual modo vi si avesse ricorso. Riferisce il Filippini come allo irrompere della guerra, trovandosi in Genova Francesco di Ranuccio da Leca, l’Uffizio di S. Giorgio lo facesse imprigionare; e come più tardi lo inviasse al Fieschi, che glielo avea domandato, persuadendosi meno difficile il ridurre quel capo ribelle alla volontà delle Compere, se alla voce dell’ interesse si mescolasse quella del sangue. Ma noi sappiamo già che Francesco da Leca non istavasi carcerato a Genova, bensì a Corte ; e conosciamo pure che egli non fu chiesto a’ Protettori del Banco dal capitano, ma dal commissario. Né qui sta tutto l’errore dello storico ; il quale vi si continua,, aggiungendo: « Rinuccio, ancor che l’affetto paterno lo strignesse molto a sperar di potere il figliuolo liberare e riavere, nondimeno, conoscendo i casi di fortuna, e a che pericolo esponeva la vita sua, non si voleva fidar di venire a parlamento con lui ». Però insistendo e protestando Filippo « che, poiché Rinuccio non si voleva fidar di lui, egli, con tutto quello che ne fosse potuto venire, si risolveva di fidarsi di Ranuccio, ascese solo e disarmato nella fortezza ; e quivi persuase talmente il mal accorto gentiluomo, che quegli____ sopr’alla fede sua scese dalla Zurlina, e se n’ andò a Vico con esso lui ». Dove il Fieschi, « scordandosi affatto di quanto haveva promesso, lo legò con le sue proprie mani, e lo mandò prigione... » (i). Ma (i) Filippini , ni. 101, 102. — 439 — la verità è un’altra; perocché o Ranuccio non abbandonò allora la fortezza, o se l’abbandonò un tratto non ne segui tradimento veruno; egli stesso dettò i patti e fu lasciato liberamente far ritorno alla rocca. Vedonsi poi cotesti patti descritti in una carta, la quale tra le lettere del Fieschi si conserva: recano la data del 7 d’aprile, e mostrano in calce l’annotazione seguente di carattere dello stesso capitano : « ... ne leveremo parte et corezeremo el resto » (i). Né pure é vero che mai si accettassero le proposte, e che alla loro stregua restasse fermata la resa. Sappiamo invece, per la testimonianza concorde del Fieschi e del Di Negro , che il commissario, avutane comunicazione, onninamente le rifiutò; e che pertanto fu mestieri dar opera, senz’ altro indugio, a stringere d’assedio la rocca. Scriveva difatti il capitano a Gaspare da S. Pietro, succeduto al Grimaldi nel governo dell’ isola, ex campo ad Zorlinam die, xi aprilis 1489: Noi siamo qui in campo a la Zorlina, quale est cosa tortissima a non dir più, et per bataglia da mano non est posibille se ge possa far niente sarvo a nostro dapno ; et per combatere et perdere non seria el fato nostro, nè lo bene de lo magnifico Officio. Per la qual cosa de novo agio temptato se era posibille po-dessemo reduere dieta fortesa in quarche pacti; a li quali non volendo el magnifico commissario in niente consentire, solo in volerla asidiare et prenderla per forse,... me agio proposto de scriverlo a V. M., quale porrà scrivere qualche cosa al magnifico commissario de quelo ge parrà se fatia, et simille a me. Et perchè lo magnifico commissario volia facese inpichare certi ostatichi sono (1) Non li riferisco per esteso, giacché sono riassunti con bastante larghezza dal Di Negro nella lettera del 15 aprile che reco più avanti. — 440 — qui, io non lo agio voluto fare; et poi, seando venuto qui predicto commissario, abiamo consultato de novo inseme se aspecti li altri. Et io lo havia doveato (i), asocliè li inimici non prendeseno la cosa loro più a la disperata; et questo est certo che se se impi-chase dicti obstatichi et li altri, quali credo V. M. haverà mandato corno a quela habiamo scripto, che li inimici sensa dubio se por-riano fidare 1’ uno de 1’ altro, qual cosa non est al presente, però che Joham Paolo non se fida de Renucio nè Renucio de Joham Paolo, et faciando morire el suo figliolo et li altri de soi amici lo porrian fare (2). Come si vede, il Fieschi non pativa di scrupoli né manco lui ; ma anche più si argomenta da quanto segue : A me parria, meglio considerato ogni cosa, de restringere questa praticha e pacti al meglio se po’, quali mando a V. M. in scriptis... V. M. sapie noi siamo qua a pane et aqua : lo pane est più tristo sia posibille, et lo più de ordeo de mancho la medita de quello doveria essere. Questo est lo nostro vivere ; et quarche volta se sta in campo tuto lo dì, che non habiamo nè pane nè altra cosa... Et ancora voglio dir questo , che abem se facese questo acordio et dicto Ranucio se imbarchase, (non ?) seria dificile a farge, el facto, et seguramenti, dovendo andare a Milano, conio dice et me consona, aut cum tosicho aut quarche altro modo, et forsa cum pocha spei^a. E poi non dubito ne poria capitare in le mane dicto Joham Paolo, poiché esendo questo (3) de acordio cum noi, elo non anderia solo in lo fugire ; et quando bene se imbarchase, qual cosa non podemo doviare solo a quelo ne serà de posibille (4), se porria etiam temptare de farge fare el simile (5). (1) Sviato, impedito. (2) Filza cit. (3) Intendasi Ranuccio. (4) Cioè: la qual cosa noi non possiamo impedire, in modo assoluto, ma solo fin dove ci riescirà. (5) Filza cit. — Tutte le parole in corsivo sono cifrate, ed hanno la traduzione nell’ interlineo. — 441 — Men circospetto ancora il Di Negro, a’ 15 d’ aprile cosi informava i propri mandanti, dalla consueta sede di Vico: Ranucio se est ritirato in la Jhorlina, a la quale siamo acampati intorno cum lo campo. Spero presto faremo qualche bono fructo, quamvix la rocha sia fortissima; perciochè Ranucio reque-riva certi pacti, li quali, non parendome honesti, non ge habio voluto consentire, per dare perpetua line a questa goerra, e che ogni anno non siati da capo. Lo capitanio et li conestabili erano et sono de opinione de fare lo partito a dicto Ranucio; lo quale, per avizo vostro, requeriva lo suo figiolo et sei altri ostatici de quelli hano qui V. M., et remissione de tuti quelli sono in la rocha cum elio, ducati cinquecento, lo passagio a vostre speize , redemptione de certe soe robe chi erano in pegno per libre lxx in circa, et altre certe cosse; et lui volea consignare la rocha a lo signor Ranucio de la Rocha, lo quale la tenisse a suo nome donec se fosse imbarcato per terra ferma, et volia tempo uno mese a imbarcarse. Io considerando che in la rocha non est da vivere per tropo tempo, et secundo se po intendere per uno meise 0 pocho più, non me est parsuto lo meglio farge tale partito; sed più tosto de strenzerlo et perseguitarlo fino a la fine cossi como hano commisso V. M...... Ora veramente Francesco da Leca appare su la scena, da che appunto a lui si riferiscono queste altre parole della lettera allegata: In questo puncto me sono partito per andare fino a Corte a prendere lo figiolo de Ranucio da Lecha et un altro ostaticho de la Casabiancha, et li conducerò qui; et juncti serano, credo che Ranucio se reduerà a nostra voluntà, altramenti se farà farge lo latino a cavallo (1). (1) Filza cit. — 442 — Ed ecco nuove informazioni della medesima fonte, le quali fanno seguito immediato alle precedenti. Portano la data del 27 d’ aprile, e preannunziano al governatore dell’isola l’epilogo della tragedia. Sono stato a Corte, de lo quale loco habio conducto qui lo fìgiolo de Rannucio et quelo de la Caza biancha. Joncto che foi qui, andai con deti ostatici, et facto restringere la Jhorlina et facto andare li bandi che infra jorni tre ne debiano aver dato la poses-sione de la Jhorlina, overo ge impicherò deti ostatici. Poi habiamo dato ordine a lo capitanio che segue tale efecto, et darli la batagia... In questo tempo, chi è stato de jorni tre , Rannucio est venuto a questo pacto de dare la Jhorlina , et quello sege da fare se est remisso in lo capitanio. Et se semo revisti lo capitanio et io, et est parsuto lo meglio consentire a tale efecto, et cosi abiamo facto. Se est obligato de darne la Jhorlina fra jorni sei, et ne ha dato in le mane lo fìgiolo de Antonello et Carlo da la Cazabiancha. Atendereò de avere la posessione et de farge cosa sia honore de lo Stato; avizando V. M. che non restano più salvo mine cento de grano, et se non havemo infra jorni x la Jhorlina ne era necessario levar campo. V. M. mande in Calvi, 0 vero de Sancto Firenzo, uno bergantino per inbarcare detto Rannucio cum certi altri sono in sua compagnia. Imbarcato che lo avereò, atenderò solum a la persona de Joham Paulo et alengeriremo de speiza a lo magnifico Officio (1). La resa a discrezione ebbe luogo difatti anche prima del termine convenuto, cioè il 29 dello stesso mese di aprile; ma il negozio non fu concluso col mezzo del figlio, bensì da un nipote di Ranuccio, come intendiamo dalle minute informazioni spedite poco stante all’ Ufficio dal Fieschi. Il quale é da dire che facesse qui la parte di Giuda, perocché dopo di avere, in onta alle opposizioni (1) Filza cit. — 443 — del Di Negro, consentito a Ranuccio di imbarcarsi e andarne a sua posta lontano dall’isola, mutò avviso, e richiamatolo a Vico, mentre già cavalcava su la strada di Aleria, lo tenne presso di sé, con animo di condurlo a Genova per ornarne il proprio trionfo. Ecco la sua lettera: Magnificis et prestantissimis dominis Protectoribus Comperarum Sancti Georgii excelsi Communis Janue, dominis meis colen-dissimis. Magnifici et prestantissimi domini, domini mei colendissimi. Vostre Signorie sano corno eremo a campo a la Zorlina, quale, per Dio gratia, habiamo fornita et conchistata cum minore fa-ticha et speiza che non credia. Dio sia laudato de tuto et Sancto Georgio, in la fusta de lo quale lo segnor Renutio de Lecha me manda uno suo nepote cum el quale preizi concluxione. Mandai uno homo de mei in dieta fortesa, a lo quale dicto Renucio dede la fede, et elo la preize a mio nome, soè di essersi remiso in mia descrecione et stare al male e bene quale ge farò, et sic lo aceptai; pur tuta volta non ne vosci (sic) fare altro, per fino a tanto fu venuto lo magnifico commissario, al quale in ilio stante subito scripsi, et molto presto arivò. La absentia sua era per esser andato a fare una cavalchata per lo paize, quale fu optima. Et junto che fu, mi disse che remetia questa cosa in me et in tuto quelo me paria el bene et honore de Vostre Signorie; et cossi mi dede la sua fede. Io poi dedi termine a dicto Renucio octo di a spahiare dieta fortesa; et asochè io me podese fidare distintamenti d’ elo, me dede per obstaticho lo fìgiolo de Antonelo suo fradelo et Carlo de la Caza biancha, quali poi che ebemo fornito dieta petra, quale fornimo adì 29 de aprille, li liberamo, et simille lo fìgiolo de dicto Carlo et lo fìgiolo de uno poveromo quali erano hostatici in prima. Lo signor Renucio li parlai, et vene in campo a lo mio alogiamento. Visto la sua bona volumptà, dispositione e fede, ge promissi de non lasciarge fare mancamento alchuno; et habiando animo de farlo imbarchare, elo cavalchi verso Serola per trovarse in le Grote de Aleria unde li se dovia imbarchare - 44 cum certi soi seguasi; poi me est parsuto el meglio de tenirlo cum noi per fino a tanto se partimo da Corsica, et condurlo a Jenoa davanti Vostre Signorie. Lo figiolo li agio promisso de re-stituirgelo in terra ferma per tuto unde elo vorrà; de lo quale, se non foseno venuti a questo efecto, ne haveriamo facto fine, et si-mille de li altri ostatici per li quali ji haviamo facto fare le furche. De ogni cosa posiamo laudar Dio, quale ne ha per sua gratia dato victoria contra nostri inimici et presto. Advisando Vostre Signorie corno in dieta fortesa era ancora da vive per qualche dì, se pur, a loro dicto, voliano abandonare una parte sotana et lasciare fornita la cima, quale est fortesa a biastemare; in la quale voliano lasciare homini x et fornirla per meixi tre ad minus; qual cosa, se fuse seguita, saria stata de grandissima speiza et forsa de quarche [in]conveniente quale ne poria essere seguito, masime seando stato stimullato dicto Renucio da Joham Paolo, quale ge havia proferto de la meditade de dieta fortesa bona et grande quantità de denari, qual cosa credo haveria fato lengieramenti se non se fuse venuto a questo efecto, quale me pare sia la fine de questa impresa, da prendere Joham Paolo in fora , quale est con molto pochi a le selve, de li quali la magior parte veriano vo-lentera da noi et ne dariano segurtà de imbarcharse et non tornare in questa insulla sensa licentia de V. S., qual cosa fatiandose seria grande tema per tuti questi paixi et maxime conducendo con me dicto Ranucio a Jenoa; et non seguendo, serà necessità de grande speiza a V. S., quale bizognerà tegnano due volta più fan-taria che non fariano imbarchandose dicti ribelli. De quelo para a V. S. se farà quelo ne darano de tuto advizo, pregandole mi vogliano dare licentia me ne posa venire in Jenoa, et se leverano questa speiza da le spale. V. S. sano corno io non me era fermato solo (i) per meixi doi, et al presente sono quattro; tanto quanto me est parsuto fosse importante, non ho facto resistencia alchuna, et al presente non habiando più fortese da prendere, nè homini quali posano stare a la resistencia contra di noi, nè fare fructo alchuno de niguna condictione, riquero a V. S. fatiano questo (i) Cioè: se non. - 445 — efecto. Quelo est più da fare sono questi rebeli sono a le selve cum Joham Paolo, quali fatiandoli imbarchare resteria aponto cum dicto Joham Paolo tre o quatro de li soi, quali porria seguire lo magnifico commissario chi cognosce la natura distintamente de questi Corsi, quali se alchuno de loro non sono queli lo fatiano prendere, me pare cosa strania a poterlo haveire. Sì che pertanto, non seando più bono in cosa alchuna, prego V. S. me leveno de qui et me dagano licencia come a quele scrivo di sopra. Infra questo mezo, aspectando la risposta de V. S., iusta mia possa cercherò de vedere se per qualche via aut modo ne podese capitare dicto Joham Paolo in le mane, quale pur spero non porrà semper fugire. Scavando et fatiando fine a la presente, agio ricevuto due de V. S. quale me sono state de grande consolacione; et habiando facto fine a la Zorlina et preizo novo partito, non bizognano de altra risposta. La Zorlina lo magnifico commissario ge ha posto uno castelano cum la sua compagnia, quale non ge vole più stare; et lo magnifico commissario ha deliberato de meterge lo mio can-celero Georgio de Caneto qm. Antonii, quale se est pasato in questa impreza molto bene, et in le bataglie per tuto unde era de bizogno del meglio modo, casu quo V. S. non haveseno posto in camino castelano alchuno; quale etiam prego me vogliano dare risposta et presto de lo predicto, fatiando V. S. una letera ex parte cum pauche parole e bone circa dicto Ranucio , asochè elo posa prendere animo et se posa fidare de venire a Jenoa cum me, qual cosa serà bene et honore de V. S. Ogi agio mandato per elo, quale est a Setola, che elo vegna qui in Vicho in lo torro cum me per fino a la risposta de V. S. ; quale facendo la letera predicta ex parte, confortandome circa questa cosa, se poria fare a dicto Renucio tanto animo che poria esser causa de la preiza de Joham Paolo, quale teme più elo che altra persona; et se si fu-seno fidati l’uno de 1’ altro non saria stata la cosa nostra sì presta; sed molto subito jonto che io fui, li misi geloxia l’uno contra 1’ altro per modo che poi non parlarom mai inseme, solo armati et tanti per tanti. Non altro. Semper me aricomando a V. S., quale prego me daghano risposta presta più podeno. Ex Vicho, die prima madii 1489. — 446 — Post scripto a V. S. corno havia mandato a Serola per lo segnor Renucio, est junto, et est qui in Vicho cum me. Lo magnifico commissario sono quatro dì che elo est andato per lo paize, quale aspectemo de hora in hora. Altro de novo al presente non acade. Ex Vicho, die v madii. Et M. V. Filipus de Flischo Corsice generalis Capitaneus etc. Georgius (i). Di tal guisa Filippo Fieschi antiveniva in parte il disegno, che i Protettori significavano collettivamente a lui e al Di Negro colle istruzioni cifrate del 6 di maggio: . . . Seando voi bene informati de la mente nostra et de quello totiens vi habiamo scripto et commisso, de metterse in cauto* de le persone de dicto Ranucio et de ogni altro principale..., vi commettiamo expressamenti, per quanto haveti cara la gratia nostra,... vi debiati mettere in cauto de le persone principalmenti de dicto Ranucio specialmenti... et tuti li altri principali erano in la Zerolina, cum tanta cautione et securità che della fuga loro non se possa dubitare; aut secondo che serano passate vel passe-rano le cose facte di là vi occorresse finire dicto Ranucio et qualche altri de dicti principali cum modo più tacito, che sei ia la via laudata da voi capitaneo per le... littere vostre de xr (aprile), vi mandiamo lo bisogno in una buxola alligata, cum lo quale po-tereti fare finire dicto Ranucio et li altri principali. Questa est la finale deliberatione nostra, che uno modo vel alio, nulla via penitus exclusa, a predicti sia dato fine quoquo modo, habiandone loro tante fiate rupta la fede cum tanta loro perfidia. Et quando ge fosse stato promisso alchuna cosa a Dio et a lo mondo (2), per la pace de uno tanto paise, è licito et honesto quod franai) Filza cit. (2) Cioè in faccia a Dio e al mondo. — 447 — genti fidem fides frangatur eidem. Crediamo, ultra lo debito de la obedientia nostra, sereti quelli veri citadini et amatori de la vostra patria in li quali noi et ognuno citadino habiamo reposita grande fiducia; et stagliiamo in maxima expectatione che la predicta exe-cutione serà talementi gubernata da voi, che ne resteremo consolati... Sì che cum tuta la celerità et destressa sia possibile, per tute le vie parirano a voi, corno presenti, nulla exclusa, per iocare de lo sicuro, iterum atque iterum ve commettiamo debiati fare tale effecto, de modo che de lo resaglio (i) non possa usire alchuno de predicti. Nè qui si arrestavano i sanguinari ammonimenti: atterrissero co’ bandi gli isolani, per forma « che alchuno da Lecha de cetero non possa ritrovare receptachulo in dicti paisi, et possano restare extincti ». Somma grazia adunque che eccettuassero dal macello i figliuoli, e scrivessero : De Francesco figliolo de dicto Ranucio da Lecha havereti bona cura et custodia, et lo salvereti per modo che de la fuga sua non se possa dubitare, seando garzone molto astuto et sagace, chi vale ex nunc molto più quam suo padre.... (2). Troppo tardi giungevano queste istruzioni. Già il Fieschi, disponendo di Ranuccio come di cosa propria, forse anche per cansare di esserne egli stesso direttamente il sicario, lo aveva imbarcato sopra la fusta di Francesco Bardella, corsaro audacissimo (3), e spedito a Genova (1) Nel dialetto genovese: resaggio, giacchio. (2) Filza cit. (3) Nel Cartularium introitus et exitus Officii S. Georgii a. 14S9, sotto la rubrica Expense Corsice e la data del 27 maggio (fol. 51), si registra infatti una partita di 14 lire pro expensis Ranucii de Lecha conducti cum fusta Bardelle de Corsica cum aliis captivis. E già il 20 dello stesso mese erano stati pagati due scudi Bello cavalerio (messo di giustizia) qui custodivit et conduxit cum suis Ranucium — 448 — con una lettera eh’ io immagino consegnata a lui stesso e dettata a bello studio per addormentarne T animo. Magnifici et prestantissimi domini, domini mei colendissimi. Io mando a mio barba, meser Johanne Lodixio de Flisco (i), quale non essendoge a lo magnifico domino Augustino Adurno gubernatore de Jenoa (2), lo signor Renucio de Lecha cum certi altri in sua compagnia, li quali serano apresentati a V. S., refermato primo lo salvaconducto fato a noi per lo magnifico commissario. La compagnia quale V. S. farano a elo, reputerò sia fata a me; da lo quale ese intenderano la sua volumptà, quale non est salvo bona; et certe, se non fuse stato elo non seria campato soldato alchuno da le mane loro, pertiò che haviano ordinato de tagliarli tuti a pezi;sì che per questo prego V. S. ge fatiano bona compagnia, pertiò che la merita, et etiam per havere observata la fede a me promisa et essersi miso in mie mani a mia discrecione. Et per questo conforto V. S. ge fàtiano grande presente et bono animo, asochè elo posa rescrivere et confortare queli sarano de qua. La stancia sua seri in caza de predicto mio barba, quale non essendoge serà in caza de lo illustrissimo gubernatore, per fino a la mia venuta, qual prego sia più presta sia posibille; et quando serò davanti V. S., farò che elo li darà tute quele jhairese (3) e segurtà quale vorano; e de questo quale ne stagano sopra di me, pertiò che non farà salvo ale volumptade loro, et ad ogni modo ha deliberato de esser bono servitore de V. S. quello volendo et non volendo : ogni cosa quale ha fato la ha fata sopra la mia fede, et sic est venuto in le mie de Lecha in barcha cum aliis Corsis captivis. Il Bardella era di Portovenere ; ed il Senarega (De rebus Genuensibus, in S. R. xxiv. 522), ricordando le grandi molestie da lui date a’ Fiorentini durante la guerra di Sarzana, lo chiama virum cordatum et ad omne audax facinus paratissimum. (1) Gian Luigi Fieschi, l’ammiraglio, altro fratello di Obbietto. (2) Agostino Adorno, governatore della Repubblica pel Duca di Milano. (3) Chiarezze, schiarimenti. — 449 — mane, quale ad ogni modo voglio li sia observata (i).....Ex Vicho, die vini madii 1489. Et D. V. Filipus de Flisco Capitaneus Corsia generalis et comes Lavarne etc. Del resto poteano dormire tranquilli i Protettori magnifici, se vegliava per loro il Di Negro. Il quale, temendo anche i propri pensieri non fossero intesi a bastanza, ne mandava loro nel suo cancelliere Barnaba di Cuneo, sovra la stessa fusta del Bardella, il più sicuro interprete. Perciò scriveva: « Suplirà Bernabé a bocha, lo quale è da V. M. (2) de tuto bene instructo. V. Al. de tuto ge dagano fede come a mi proprij ». E con olimpica serenità proclamava: « Ormai bisogna tra nostri pari più ingegno che virtù » (3). L’istruzione poi, onde Barnaba veniva munito dallo stesso Di Negro, é tutta un commento a questa massima: Exponereti.... primum , che per condictione de lo mondo non metano in libertà Ranucio da Lecha..., non obstante ogni promissione havesse facta lo capitaneo, a lo quale lo magnifico (Officio) scriva tuto quelo fa de bisogno per stabilità de lo Stato, et che non habia caxone de prendere alchuno sdegno.....(4) Ma già tutte coteste cautele doveano sembrar soverchie. Il tradimento covava nell’ assenza, che niuno (1) Filza cit. (2) Cioè: viene a V. M. ecc. (3) Filza cit. (4) Ivi. Atti Soc. Lio. St. Patria. Voi. XIX. 29 — 450 — vorrà attribuire a caso fortuito, di colui al quale il capitano avea raccomandato in primo luogo l’infelice Ranuccio : ed é messo in aperto dalla responsiva che i Piotettori spedivano il 19 maggio al Di Negro: Cum la fusta del Baldella per Barnabe vostro cancellerò habiamo riceputo lettere vostre date a Vico a die x de lo presente: ne sono state molto grate, presertim inteiso quello ne ha riferto dicto Barnabe... Per advisatione vostra, lo venetiano (1) ha posti in terra in Calignano Ranucio cum li compagni; et seando absente domino Johanne Lodixio de Flischo, li ha conducti a lo commissario ducale et deinde a lo ilustre gubernatore, li quali gratiosamenti ne li hano presentati; e noi, secundo li conforti vostri, li habiamo posti ad Illice cum bono modo, et commisso siano bene tractati, como vedereti per una breve nostra alligata, potereti monstrare a chi ve parirà (1). Così inferocendo gli uni più degli altri contro i caduti, aggiungeano, per acquetar gli spiriti, la menzogna al delitto; e scrivendo nel medesimo giorno al Fieschi, neppur sapeano risparmiargli i rimproveri : Habiamo preiso admiratione, che habiandove concesso lo oni- potente Dio tanta gratia de havere havuto in le mane a discretione vostra tuta la sentina de li ribelli nostri principali..., non habiati tenuto tale modo et ordine ne li havessi mandati cum dicto Ranucio ... (2). Adunque s’ingegnasse egli ancora di averli nelle mani; e procacciasse intanto la miglior custodia di Francesco (1) Cioè uno dei cancellieri del Fieschi, come mostrano i citati conti (fol. 51)» segnando al 27 di maggio: solutas Lodisio vendo, cancellario capitami Corsice, pro beveragio, libras HI. (2) Cod. Litterarum 1489-90. (3) Ivi. — 451 — da Leca, mandandolo sotto buona scorta a Cinarca, dove starebbe finche non si prendessero altre deliberazioni. Ma circa la « umanità » da lui mostrata, i Protettori non poteano proprio darsi pace: ancora ci tornavano sopra un mese dopo, con nuove ed amare considerazioni (i): Dio voglia sia stato lo meglio ad usarli tanta Immanità, perduta in simili homini salvatichi, chi tanta fiate ne hanno facto tanti tradimenti! Si vuole forse un saggio di ciò il Cuneo avea « riferto » anche per altri capi ? Eccolo in questa polizza, scritta di suo pugno ed allegata alle sue istruzioni ; laddove, premessi i nomi di diciassette ribelli (fra i quali tre Pozzodiborgo), seguitava così: Hos capiendos senseo et neci tradendos esse sine remissione, et ante recessum capitami. Capiantur omnia arma ojfendibilia et deffendibilia ac omnes equi ab omnibus Corcis (sic), et in opidis nostris reponantur ; comburatur et penitus deleatur tota plebs Vici ; occidantur omnes obsides quorum parentes vel patrui deliquerunt; funditus eradicetur locus.Bogo-gnani; et predicta laudo exequantur ante abitum capitanei. Focate ad vos Baptistam Pallavicinum (2), qui nominabit aliquos 0stiles ; et facite quod omnia cito succedant, quia tempus expossit. B amabas vester (3). La presa della Zurlina e la scomparsa di Ranuccio dall’ isola, fecero cadere del tutto le speranze di Gian Paolo; il quale, senza tentare più di ottener patti dai (1) Ivi. — Lettera del 20 giugno 1489. (2) Figlio di Francesco qm. Battista e di Isabella delle Colonne, consigliere delle Compere nel 1461, anziano nel 1495, deputato sopra gli affari di Scio nel 1496, protettore di S. Giorgio nel 1508. Cfr. Litta, Fani. Pallav., tav. ni. (3) Filza cit. - 452 — Genovesi, nell’ottobre del 1489, accolto a grande ventura su di una nave pisana, se ne tornò in Sardegna (1). Ma queste cose non aspettò il capitano Fieschi ; al quale i Protettori concedettero la chiesta licenza (2), munendolo inoltre di una commendatizia pel Duca di Milano, presso cui sembra che egli si ritirasse. Etsi, illustrissime princeps et excellentissime domine, alias fecerimus notas virtutes generosi Pbilippini de Flisco, mine in fine expleti negotii capitaneatus Corsice, in quo foto tempore sui stipendii fideliter et strenue se habuit, id conveniens nobis visum est Excellende Vestre significare; quam oramus, propter eius virtutes et contemplationem nostram, ipsum dignetur suscipere peculiariter commendatum; cuius clementie nos et Comperas commendamus. Data Janue, die xxim iulii (1489) (3). Non così solleciti furono essi però nel soddisfare al Di Negro ; benché egli pure, quasi contemporaneamente al capitano, bramasse il richiamo, e ne aggiungesse le urgenti ragioni : Sono mexi nove posso dire cum veritae non havermi cavato nè arme de dosso nè sproni de pede, in lo quale exercitio non fui mai costumato; et (è) ormai tempo cerchi de riposare alquanto, etiam che la mia compagna est inferma. Prego V. M. che me dagano bona licentia, et mandeno qualche valentomo che daga temia et... la pace ad ciasschaduno che ne vole, et che mantegna la parte de li amici che hano stentato a lo tempo del bisogno (4). Ma appunto nel dar timore e nell’ assicurar la pace, al modo che la intendeano i signori delle Compere, (1) P. Cyrnei, De reb. Cors., 502. (2) Lettera del 20 giugno cit. (3) Cod. Litter. cit. (4) Filza cit. — Lettera del 27 giugno 1489. - 453 — ninno era in grado di farsi valere meglio del Di Negro. Difatti Ambrogio, seguita il Filippini, « dopo la partenza di Giovali Paolo, prudentissimamente quietò ogni cosa, e ridusse l’isola tutta all’ ossequenza genovese ». Si capisce poi che la prudenza egli continuò ad esplicarla coi soliti mezzi; tantoché, come narra lo stesso autore, « non fidandosi bene dell’ ingegno de’ Córsi, fece prender Giocante dal Luco, uomo di dubbiosa e d’incerta fede, il qual era con essolui, sapendosi benissimo che nella passata guerra aveva tenute molte secrete pratiche con Giovan Paolo » (i). Del resto ce ne informa egli stesso, scrivendo da Vico ai Protettori il 12 d’ottobre: Abio preso Jocante de lo Locho era in questi tradimenti; et foi avisato che me devia dare la morte, possando, et era beni premiato da Joham Paulo e da altri. Da lui saperò tuti li tradimenti corno passano, et de quelli me posso fidare (2). Poi, quando ne ebbe l’intero, « subitamente gli fece tagliar la testa » (3). Alfine venne anche per lui il congedo (4) ; e già a’ 22 gennaio del 1490 egli trovavasi in Genova (5). (1) Filippini, iii. 103. Dove è però da avvertire l’errorea correzione di Giocante da Leca, scambio di « dal Luco», come si ha nella edizione di Tournon del 1594. (2) Filza cit. (3) Filippini, loc. cit. (4) Cod. Litter. cit. — Lett. del 22 dicembre 1489. (5) È questa la data di una lettera dei Protettori a prete Paolino di Mella, vicario del vescovo d’Aiaccio ; al quale scriveatio appunto che il Di Negro, tornato di Corsica, « ne ha certificato la vostra intemerata fede et purità de devotiones (Cod. Litter. a. 14SS-91). — Difatti questo prete era pervenuto, fino dal 1485, a voltare alle parti di S. Giorgio Ranuccio della Rocca (cfr. Filippini, — 454 — Nondimeno la sua missione dovea avere uno strascico lugubre e obbrobrioso. Imperocché i Protettori, fermatisi nel proposito di trar partito dalla prigionia di Ranuccio e degli altri ribelli, al par di lui sostenuti nel castello di Lerici (i), convertendo tutti quegli sventurati in altrettanti delatori, vollero di questo ufficio incaricare appunto il Di Negro e il suo fido cancelliere, sì come abbiamo dalla seguente istruzione. f mcccclxxxx, die veneris, secunda aprilis. Nos Protectores Comperarum Sancti Georgii communis Janue committimus et in mandatis damus vobis, nobili Ambrosio de Nigro, commissario etcetera, nostro nomine profecturo in castrum Ilicis, ea que dicentur inferius. Como vi havemo dicto a bocha, lo dexiderio nostro est che se intenda da Rannucio de Lecha, existente incarcerato in dicto castello, tuto quello sera possibile sapeire de le cosse perpetrate in m: appendice, pp. xl); ed esercitava sempre su l’animo di esso Ranuccio una grande ingerenza, la quale, come mostrano molte lettere, i Protettori sfruttavano con abilità singolare. (i) Quali rigori governassero le carceri di Lerici, si ricava dagli Ordini che i Protettori di S. Giorgio diedero a quel castellano Matteo Sai vago, il 25 gennaio 1490. Nessuno poteva entrare nel castello, senza un permesso scritto del-1’ Ufficio, eccettuati il podestà ed il suo scrivano, quibus liceat ingredi posse vi casu importande et non aliter. Nei di festivi si permetteva l’ingresso anche al cappellano, prete Bartolomeo di Morello, affinchè celebrasse la messa, intus ad primam portam, stando porta alia secunda clausa...,; et celebrata missa, stativi dictus presbiter recedere debeat sine comercio alicuius ; et pro serviendo missam mittatis unum ex fratribus vestris, pro maiori cautella, stando semper et in omnem casum persona vestra intra secundam portam (Filza di Cancelleria. Lerici, a. 1490-94). Una visita al castello di Lerici, che è mediocremente conservato, c monumento di molta importanza per la storia dell’architettura militare nella Liguria, gioverebbe di opportuno commento a questa memoria. Io ricorderò sempre con grande piacere la visita fatta a quella rocca nello scorso agosto, in compagnia di un erudito e carissimo amico, il prof. cav. D. Luigi Peretta. — 45 S — Corsica contra de noi cossi per lui como per altri, aciochè, como meglio advisati de dicte cosse, sapiamo como gubernarsi etc., et etiam non manebo possiati extirpare da lui la verità, liavemo deliberato che vi sia licito tormentarlo tanto quanto parirà a voi, donec habiati inteiso ogni cossa da lui perpetrata aut da altri de che abia noticia (i). Preterea perchè ne pare etiam apposito examinare quelli doi fratelli de la Rocha, li quali sono etiam incarcerati in dicto castello, ve incarreghemo, sub quello megliore modo vi parirà po-teire intendere da loro ogni cossa, li examinati cossi cum luzenghe como cum minacie, sparmiandoli tamen da lo tormento per bono rispecto. Sono anchora in dicto castello quelli doi fratelli de Nuncia incarcerati, da li quali edam dexiremo sapere ogni cossa machinata per loro contra de noi, maxime havendo fino a qui recusato de confessare la machinatione da loro perpetrata in totum , quia pur in qualche parte se est inteiso da loro cum tormento alcune cosse de le quali meritano grande punitione. Ideo , quando sereti in dicto castello et havereti inteiso da dicto Ranucio tuto quelo serà possibile, vi confortemo anchora, se vi lo ellegeriti de fare, (i) Ecco la ricetta della tortura, quale era stata applicata l’anno avanti, nello stesso castello di Lerici, a due altri Còrsi, cioè Carlo di Giudicello da Leca e Giovanni di Ristorucello da S. Antonino, compagni di Gian Paolo nel suo sbarco dalla Sardegna. Sta scritta in un foglietto unito agli atti del loro processo (Fil. cit.). « Forma tormenti sensa dano ne goasto de persona, licet sia forte et de grande passione. » Ligare la persona desteixa sovina in una tabulla et farge stare la testa apexa et ferma, poi metege una pecia subtille longa sopra la bocca et gittarge cum una stagnaria che habia lo bochino la aqua, vel cum uno instrumento simille , aciochè gitando la aqua in lo modo predicto la pecia ge vada in la golla per modo che li da grande recressimento, et quando se leva non ge resta dano de persona. Et quando non dixesse, retornargella statini a fare ut supra, continuando poi più fiate tanto che dica ». Curiosi anche i particolari sul tempo e i modi più efficaci di dare la corda, registrati nelle Istruzioni dei Protettori ai commissari spediti a Lerici nel 1480, perchè intervenissero nel processo di Jacopo Mancoso, vescovo di Aiaccio, imputato di intelligenze cogli Aragonesi. Cfr. Tola, Cod. dipi. Sardineae, 11. 114. — 456 — stringiati etiam cum tormento dicti doi de Nuncia, che vi dicano tuto quello hano facto dicto et pensato contra lo Stato nostro quoinodolibet, aciochè etiam sia satisfacto a lo dexiderio nostro. Et perchè ne pare a proposito che tuto quello confesserano tuti li prenominati sia noto cossi a lo castellano conio a voi inseme cum lo vostro scrivano, vi commettemo che in le diete examinatione faciati che sia semper presente lo dicto castellano solo et lo prenominato scrivano, lo quale prenda in scriptis tuto quello che confesserano ; quia fora de voi ac dicto castellano et dicto scrivano non vogiamo che sia saputo neque inteiso cossa alcuna de quello confesserano da persona alcuna , per digno rispetto; et cossi admonireti dicto castellano ac dicto scrivano che tegnano secreto tuto quello haverano inteisò. Quibus peractis , siamo contenti vi ne ritornati bene instructo de tuto quello seri intervenuto, ordinando tamen che dicti p:exoni siano posti in lo carcere più cauto de quello castello; et questo quando intendessi non fosseno stati tenuti bene cauti ac m caicere sicure, corno vi habiamo dicto a bocha. Habiamo ordinato che Bernabe de lo Conio venga cum voi, così corno haveti laudato; de lo quale vi servireti per scrivano in le examinatione predicte, essendo maxime praticho et asai instructo de simile cure. A lo dicto Bernabe habiamo facto consignare alcuni processi et examinatione facte a li prenominati incarcerati, aciochè possiati per quelli vedeire quello è staro inteiso da loro fino a qui et meglio consegiare. Habiamo facto dare a Bernabe predicto libre triginta, como haveti ordinato, aciochè possiati haveire de providerve et fare le speise : de le quali seti stato facto debitore usque quo havereti reiso raxone de diete speise (i). (i) Fil. Cane., Lerici, a. 1490-94. — La « raxone » si ha in queste due partite del Cartularium introitus et exitus etc. a. I49°> 23 e Pro Ambrosio de Nigro, inisso Illicem pro examinatione Ranutit, pro expensis ab eo factis..........Lib. 19 sol. 8. Barnabas de Cunio.....pro resto librarum 30 habitarum..... pro expensis faciendis tempore quo missus fuit Illicem . » 10 » 12. — 457 — Lasciamo i suoi compagni di sventura e teniamoci fermi a Ranuccio. Parlò egli, cedendo all’ umana fragilità davanti a quella riguardosa forma di tortura che ci é nota, o rimase impavido ne’tormenti? Io inclino più presto per la prima ipotesi, pensando a quel ribelle che non mostrò mai una tempra così salda, come la ebbero molti de’ suoi consorti; chè se meno avesse ceduto alle lusinghe, e meno si fosse fidato nella sincerità degli animi altrui, non avrebbe commesso la sua persona e la sua causa in balia di nemici non placabili mai. Forse le lusinghe di costoro, forse l’amore del figlio, lo spinsero alle rivelazioni; ed i Protettori, strappato dalle incaute labbra quanto poteano raccoglierne, non ebbero più che un pensiero: farlo sparire. A queste conclusioni appunto io mi induco, trovandomi a un tratto dinanzi agli occhi l’ultima scena della tragedia, che la lettera seguente ci rappresenta. È indirizzata ad Oberto Italiano, commissario per S. Giorgio in Lerici ed all’ Amelia, e dice così : Nobilli viro Oberto Ittaliano commissario etc. Protectores etc. Dillecte noster, havemo, corno sapeti, incarcerato in lo castello de Illice lo tradictore Ranucio de Lecha, a lo quale per punicione de li soi grandi demeriti havemo deliberato sia levata la vita, tamen in la carcere, aut in altro loco de castello dove ve parerà, facendollo prima confessare et comunicare, corno si convene fare in simile caxo a uno christiano. Et perchè vogliamo, per degno rispecto, che tale execucione sia facta tanto secreta quantum fieri poterit, aciochè non sia intexa da persona alcuna così de castello corno extra, nixi da quello chi farà la execucione, havemo deliberato mandarvi lo presente portatore Bernabè de lo Cunio, a lo quale s’ è facto noticia de tuto sub sigillo sacramenti, et da lo — 458 — quale intendereti, viva voce, lo modo chi se ha a tegneire in fare talle execucione. Propter quod ve commetemo et incarighemo che, quam primum havereti la presente, vi fitciati riferire a voi solo dal dicto Bernabè tuto quello ha havuto in comissione da noi de dirve per parte nostra circa lo modo se ha a tegneire per voi per ordinare et fare talle execucione; et havuta da ipso la dieta rellacione, in Dei nomine procedati a la execucione de dieta nostra deliberatione, comunicando tamen ogni cossa cum lo castellano sollo, a lo quale scrivemo per la alligata segue (i) tuto quello ge ordinereti per poteire mandare ad efecto la dieta execucione; admoniandovi che non permetiati trahere in modo alcuno de castello lo corpo de dicto Ranucio, lo quale, corno intendereti da lo dicto Barnabè, vogliamo sia sorto in mare, nixi prius inten-diati voi et lo dicto castellano coniuncti che sia veramente morto. Et perchè, corno havemo dicto de sopra, dexideremo che questa execucione sia tanto secreta quanto dire se possa, et non sia in-teisa da persona alcuna, cossi fora de castello corno in castello, nixi tantummodo da quelli pochi se haverano intermetere in la dieta execucione, li quali vogliamo etiam siano admoniti sub sacramento etc., ve incareghemo iterum che studiati cum sumraa dilligentia de gubernare taliter questa facenda, che sia pienamenti satisfacto lo nostro desiderio, corno siamo certi per vostra pru-dencia sapereti fare (2). Dacta Janue, die xxv iunii 1490 (3). Né altro, che ci dia lume più chiaro. Qual mezzo si elesse mai a spacciar l’infelice ? Opinerei pel veleno, rammentando che di questo erano da prima corse parole fra i Protettori ed il Fieschi; ma più mi persuade che lo finisse il pugnale, mostrandoci i conti dell’ Ufficio come il Cuneo fosse nel suo triste viaggio accompagnato da un esecutore. (1) Questa lettera al castellano non si trova. (2) Dopo fare, si leggono ancora le seguenti parole cancellate: « Et perchè intendemo bezognerà fare per la dieta execucione qualche speixa, senio contenti non mandiate de spender quello sera de necessità et non ultra ». (3) Filza cit. — 459 — Un’ altra circostanza rileviamo pure dai conti medesimi , cioè 1’ andata di Barnaba in quel turno di tempo a Milano, tacendone accortamente il fine. Certo la missione ebbe un intimo nesso colla tragedia di Lerici : forse la precedette per procacciare l’assentimento del Fieschi, colà ritrattosi, come dicemmo, in corte ducale, od anche quello del Duca stesso, tuttavia signore della Repubblica ; forse meglio la segui da presso, per recar nuova che giustizici era fatta. Notiamo però la somma circospezione de’ Protettori, i quali non patirono che si scrivessero nei loro libri più di queste parole (i): 1490, 6 iulii, et fuit ante. Pro Barnaba de Cunio, soluptis cuidam executori in Illice.......Lib. 7 — 7 decembris. Pro resto librarum ij habitarum per ipsum Barnabam, tempore quo fuit missus Illicem cum quodam executore (2) . . » 3 I7- 7 decembris. Pro Barnaba de Cunio, et sunt pro omni eo et loto quod petere et seu requirere possit, occasione laborum ab eo tolleratorum quomo-doìibet anno presenti prò Officio, tam eundo lllicem quam eundo Mediolanum, usque in diem pre-s entem........» 25 — Que partita ita scripta est mandato magnifici Officii in pleno numero congregati. L’uccisione di Ranuccio deve essere accaduta negli ultimi giorni di giugno, od almeno prima del 6 di (1) Cartularium a. 1490, fol. 23 e 56. (2) Il Cuneo in sostanza avea ricevuto da’Protettori un fondo di 15 lire. Ne diede sette all’ esecutori per sua mercede; ne spese 4 e soldi 3 in viaggio; perciò restituiva al Banco la rimanenza in 3 lire e 17 soldi. La giustizia puni-iva era a buon mercato 1 — 46° — luglio, come lo indica il fuit ante che segue, per migliore dichiarazione, a questa data; e certamente si compì con tutta quella segretezza, che i Protettori co-mandavano'all’ Italiano. Nulla invero seppe mai il Filippini, non dico del modo in cui essa avvenne, ma nè pure del tempo; il quale egli anticipò di circa un anno, scrivendo che il da Leca, venne fatto prigioniero insieme a Giudice di Carlo dalla Rocca ed a Carlo di Magliuolo, che tutti e tre furono « subito » spediti su le galere a Genova « e di quivi mandati all’ Elice », dove « Rinuccio in fondo di una torre miseramente in pochi giorni appresso si morì » (1). Or non istà che tra i ribelli condotti a Genova in compagnia di Ranuccio fosse il della Rocca; anzi e questi e Francesco da Leca viveano ancora sotto buona custodia in Corsica (forse alla Bastia) nel febbraio del 1490, sì come appare da due missive del Banco a quel governatore Gaspare di S. Pietro (2). Né lo storico si mostra (0 Filippini, in. 102. (.2) Lettera del 15 gennaio 1490. — « Como per... altre nostre seti stato advi-sato, fuo commisso a lo commissario (Di Negro) dovesse cautissimamente far conducere dentro de la Bastita Francesco fìgiolo de Ranucio da Leca et lo fìgiolo de q. Carlo da la Rocha, de modo che de la fuga loro non se possa dubitare..... Se non fosse stato exequito, vogliamo se exequisca sensa perder tempo, ita et taliter che non se possa dubitare de la fuga loro per via terrestre ; seando la maritima dubiosa per molti caxi poteriano accadere, perciò ne pare stagano male securi in Leca ». Lettera del 19 febbraio. — « Lo fìgiolo de Ranucio da Lecha, lo fìgiolo de Antonello da Lecha et lo fìgiolo de Carolo da la Rocha vogliamo siano bene custoditti. Et semper accaderà passagio sicuro, videlicet de nave aut galee de nostri per queste parte, vel le fuste de Bardela, li mandereti a recipere a lo castellano nostro de Ulice bene custoditi et bene goardati, aut qui in Jenoa a lo Officio nostro, et non ad altri ». ('Cod. Litter., a. 1489 - 90;. — 4 6i — meglio informato, quando soggiunge che i Protettori delle Compere alzarono nel loro Palazzo una statua ad Ambrogio di Negro, poscia che questi, rimandato nell’ isola, vi domò una nuova rivolta suscitata da Gian Paolo, e indugia così il fatto fino al 1501 (1). No : quel segno massimo di onore, emendò bene il Gregorj, fu votato al Di Negro reduce dalla sua prima missione, con un decreto del 5 di marzo 1490, registrato negli atti del cancelliere Accursio di Borlasca, ed inciso anche in tavola di marmo a pie' del simulacro , quale epigrafe dedicatoria (2). E né manco é da pensare che del voto si procrastinasse Y adempimento : anzi già nel maggio di quel medesimo anno i Protettori si erano commessi per l’opera della statua in Michel d’Aira, giovine ingegno e per fermo dei più valenti nell’arte dell’ intaglio che fossero in Genova (3). Di tal forma 1’ imagine del sanguinario pacificatore dei Córsi prendeva posto nel Palladio della Repubblica, là dove i Genovesi non aveano eretti infìno allora e non elevarono dipoi monumenti, che non fossero di cittadini esemplari nell’ esercizio della carità verso la (1) Filippini, iii. 134. (2) Cfr. Cuneo, Memorie sopra l’antico debito pubblico di Genova, ecc., pp. 217. Banchero, Genova e le due riviere, pp. 40$ e tav. lxiii. (3) Alizeri , Notizie dei professori del disegno in Liguria, dalle origini ecc., voi. iv, pp. 189. — Forse questa veramente straordinaria testimonianza d’ 0-nore l’Ufficio di S. Giorgio avea fatta balenare al pensiero del Di Negro subito dopo la presa della Zurlina, in qualche missiva che io non ho trovata, ed alla quale egli cosi rispondeva nella lettera del 10 maggio 1489 , in parte già da me riferita : « Ringratio V. M. de quello scriveno volere fare circa li facti mei, et lo bono animo me fano ; et le pregho che quello scriveno cum parole faciano cum effecto, aciochè ceda in bono exemplo a ciascaduno di fare per la patria ». — 462 — patria. Tanto potevano a que’ giorni, e possono sempre , i traviamenti degli animi umani ! Ma poiché la storia non si cancella , e offuscarla è delitto, sia quella statua in ogni tempo il documento di una politica astiosa ed impotente, la quale doveva chiudersi con una vergogna diplomatica: il trattato di Versaglia del 15 maggio 1768. Che se poi è atto di giustizia il dispensare a ciascuno la lode 0 il biasimo secondo le azioni, non sia la memoria del mandatario scompagnata da quella de’ mandanti; né si coprano di oblio i Protettori delle Compere, i quali macchiaronsi come lui di uno dei pochi assassini politici onde Genova dee chiamarsi in colpa. Furono essi: Antonio di Ambrogio Spinola, Giovanni di Andrea Gentile, Eliano di Anfreone Centurione, Paolo De Franchi - Bulgaro , Enrico De Camilla, Jacopo Paxero, Angiolo di Corvara e Francesco Giustiniani della Banca; Agostino di Domenico D’ Oria, Giuliano di Barnaba Grimaldi, Maurizio Cattaneo, Accellino Saivago, Giannotto Soprani, Girolamo llione, Angelo Maggiolo e Nicolò degli Amandola (1). (1) Cod. Contractuum ann. 1476-99, fol. 91 recto. Federici, Coìlettanae, ms., dell’Archivio di Stato e della Brignole-De Ferrari, a. 1489 e 149°- ^ primi otto erano in carica nel 1489, gli altri succedettero nel 1490; e furono rispettivamente priori dell’Ufficio lo Spinola e il D’Oria. AI REGESTI DELLE LETTERE PONTIFICIE RIGUARDANTI LA LIGURIA NUOVE GIUNTE E CORREZIONI DEL SOCIO CORNELIO DESIMONI ERMiNATO, come potei meglio, il mio lavoro sui Regesti delle lettere liguri-pontificie (i), non istetti molto tempo a vedere che il sig. Lòwenfeld ne era venuto in cognizione e ne aveva alcun poco profittato nella chiusa della seconda edizione del JafFé, sia nelle Addenda et corrigenda, sia nel Supplementum Regestorum. In pari tempo dalla cortesia di Monsig. Luigi Podestà ebbi alcuni appunti ed osservazioni per quanto riguarda la diocesi di Luni-Sarzana ; egli poi mi si rese ancora più liberale, permettendomi di consultare il bel volume manoscritto da lui composto, col titolo Studi sul Codice Peiavicino, e di estrarne quello che potesse giovare ai miei Regesti; aggiunse a tutto questo la comunicazione e la copia di una Bolla inedita (i) Ved. in questo stesso volume le pagine i a 146. Atti Soc. Lio. St. Patria. Voi. XIX. 3° — 466 — di Gregorio Vili. Finalmente il eh. Prof. Cav. Gerolamo Rossi di Ventimiglia si compiacque accrescere le mie Giunte, inviandomi copia di quattro documenti spettanti a quell’Archivio Capitolare, cioè tre di Alessandro III ed uno di Lucio III. Ai quali tutti mi é grato esprimere qui le maggiori azioni di grazia. Per questa guisa, oltre alle maggiori dilucidazioni che ho potuto dare ad alcuni punti dei miei Regesti, ho il piacere di aggiungere notizia di diciotto documenti (1), gli ultimi cinque dei quali pubblico per esteso, continuandone la numerazione fino al n.° XXXI ; non compresa la scoperta di Mons. Podestà sul frammento di Lucio II (2). (1) Sono i nn. 41, a,b,c,d; 46.3; 47,a\ 49.«; 62.a; n6.a; 117.a\ 121 .a; 13 5-a ; * 186; * 186- a ; * i86-£; * 217.0; * 263.0. (2) Ved. sopra nelle nuove giunte al n.° 110, p. 469. MARTINO I. 41 a. — 649 - 653. Ughelli IV. 936. — Mabillon, Ada ss. O. B. II. 50 — J. L. 2072. *. SERGIO I. 41 b. — 687 - 701. Ibidem. — J. L. 2137. a. GREGORIO II. 41. c — 715 - 731. Ibid. — J. L. 2228. a. ZACCARIA. 41. d — 741 - 752. Ibid. — J. L. 2302. b. Queste quattro Bolle riguardano privilegi, protezione e conferma di beni a favore del monastero di Bobbio ; e dicasi lo stesso delle Bolle di Giovanni vm, di Formoso e di Silvestro li, di cui sotto ai nn. 46. a, 47 a, 49. a. Notando però che di tutte è sospetta l’autenticità, ed inoltre non è ben chiaro se trattisi di Sergio I 0 del II, di Gregorio II 0 del III. GIOVANNI VIII. 42. — Correggi nella data, invece del 4 dicembre 872, dal 14 dicembre 872 al maggio 873, come pone J. L., n. 29s5- Monsignor Podestà mi scrive essere probabile che il Waliarius, qui indicato, sia una stessa persona con Walcherius (0 forse IValterius), che si sa essere stato appunto vescovo di Luni ; senonchè in tale caso la data non sarebbe esatta, perchè, secondo lui, sedeva e pare continuasse fin verso 1’880 a reggere quella Chiesa Teodelasio, succedendogli allora soltanto Walcherio. Forsecchè nella — 468 — copia è occorso uno sbaglio, dimenticando una X, e cosi leggendo 872 invece di 882? Io non so che rispondere. Il conte Suppone fra P871 e 1'876 governò Spoleto, e passò a reggere l’alta Italia, specie Torino ed Asti, dall’ 878 all’ 880, tutt’al più forse all’881 (1). È strano anche che qui si parli di imperatori in plurale, mentre al tempo di Giovanni vili e di Suppone non ve n’ era che un solo. Tuttavia la Collezione Britannica delle lettere di questo Papa è documento grave, e il trovarvisi questa elencata al n. 2 fa supporre che si tratti dei primi anni del Pontificato. 46. a. — 872-882. Conferma i privilegi ai monaci di Bobbio (vedi sopra). — J- L- 3363. b. FORMOSO. 47. a. — 891 - 896. Conferma agli stessi monaci, come sopra. — J. L. 3506. a. SILVESTRO II. 49. a. — 999-1003. Conferma come sopra. — J. L. 3937. a. GREGORIO VII. 57. — 1073, novembre 28. Non capisco perchè il eh. editore dei Regesta non abbia accolto fra le sue giunte questa lettera pontificia, la quale pure proviene dall’ autorevole Codice Pelavicino. Naturalmente ivi non si dice di quale dei Gregorii si tratti ; ma dalle note cronologiche e dalla sostanza mi parve non poterla assegnare che al VII. URBANO II. 1 62. a. — 1095, aprile 4, Piacenza. — Ai monaci di san Vittore di Marsiglia conferma, colle altre possessioni: apud Jenuam cellam S. Victoris in proprio Massiliensis cenobii iure constructam ; dunque la chiesa 0 accanto alla chiesa di san Vito di Genova ora distrutta. — Justis votis. Guérard, Cartulaire dcl’Abbaye de 5. Victor de Mandile, Paris 1857, II. 209. — Migne, voi. cli, 414. — J. 4160 — J. L. 556°. ONORIO II. 77. — 1126, maggio 29, Ferentino. J. L. 7265 (addenda, p. 715), nota che questo Papa non fu a Ferentino, si vi fu Onorio iii , per cui crede che i monaci abbiano preso da quest’ ultimo il (:) Ces. Balbo, Dei Conti e Marchisi dell’Italia settentrionale (Memorie dell’Accad. delle scienze di Torino, i.* serie, XXXVIII, 1835, p. 265. — Cibrario, Dei Conti d' Asti (ibid., p. 294). / — 469 — motivo a fabbricare la Bolla. Sarà; ma io ripeto che quella di Onorio iii, che conosciamo, dice tutto il contrario di ciò che esprime la supposta Bolla del 11. Del resto si veda fra le mie prime giunte e corregioni, a pag. 133-44, che i monaci stessi si mostravano dubbiosi se il privilegio dell’ indipendenza dal Vescovo lo dovessero a Onorio ii o ad Innocenzo ii. INNOCENZO II. 80. — 1130, agosto 2. — Aggiungi: Genuam navigio venit (il Papa); ibique primum Compostellani Archiepiscopi nuntii benedictionem spontaneam, scilicet XL marcas puri argenti, deferentes ei cum gaudio occurrerunt ; quos honorifice susceptos, eorum petitionibus benignam aurem accomodans, iucunde remisit. Cortese comunicazione del Prof. Belgrano, dal Florez, Espana Sagrada, xx, cap. 25, p. 521 ; Madrid, 1765. 95. — Non ostante l’affermazione del Semeria e d’altri storici, Monsig. Podestà sostiene non poter essere Filippo il vescovo di cui si lagna (senza indicarlo per nome) 1’ abate di Clugny. Ne è prova una pergamena di quell’Archivio Capitolare, in cui già nel 1129 si trova vescovo di Luni Gottofredo, e si sa che vi durò fino al 1153 e forse anche più. Veramente la notizia del Marangone pare confermata dal Tronci (Annali di Pisa, Pisa, 1868, I. 292) e dal Roncioni (Storie Pisane, in Archiv. Stor. ita!., 1.* serie, vi, parte 1.*, p. 307); ma si capisce che gli autori più recenti non han fatto che copiare l’antico. Pel tempo in cui fu vescovo Filippo, vedi qui sotto al n.° no. 104. — 1139-1143. — La donazione della chiesa di Varazze al vescovo di Betlemme datando dal 1139, non ho tenuto conto dei privilegi pontificii anteriori al tempo presente. Il vero titolo della Memoria del Conte Riant inserita negli Atti della Società Ligure, è: L'Églisede BethUem et Varale en Ligurie (voi. xvn, 1886, pagg. 543, 645, 657, 664). Or ora fu pubblicata come libro a parte, con giunte e col titolo : Études sur l’histoire de Tèglise de BethUem, voi. 1. Genova, Sordo-muti, 1888; e i nostri documenti vi sono a pp. 131, 143, 159. LUCIO II. no. — 1144-1145. — Il frammento più importante di questa Bolla ci fu conservato nel corpo dell’altra di Alessandro iii del 25 aprile 1179. (vedi sotto al n.° 198). È questa una bella scoperta fatta da Monsig. Podestà e ben da lui dimostrata (suo ms. cit., pp. 106-112) sia per le letterali espressioni nella seconda Bolla adoperate, sia pei due testi giurati, i quali, secondo il Codice Pelavicino, deposero non già avanti ai giudici d’ALESSANDRO in, si davanti a quelli di Lucio 11. Il frammento di questa Bolla corre dalle parole : Monachi siquidetn fino a silentium eis non imponimus. - 470 — Dalla medesima Bolla si ricava anche una notizia riguardo al tempo che (u vescovo Filippo iii, il che non apparirebbe da atti propri di lui. È detto ivi che Filippo, impedito da grave infermità, invitò il vescovo Bernardo di Parma a benedire in sua vece l’Abate del monastero di Aulla. Non si può trattare che di san Bernardo i, il quale, come sappiamo dall’Affò (Storia di Parma, n, 131, 169), resse quella Diocesi dal 1106 al 1133; e siccome a Luni abbiamo i vescovi Andrea i fino al 1126 e Gottifredo già dal 1129 (vedi Podestà, pp. 47, 54), così Filippo in dovette sedere in quell’ intervallo. EUGENIO III. 116. a. — 1147, febb. 11-17. — In questi giorni il Papa da Lucca passando a Pontremoli per recarsi in Francia, si abbocca a Luni col vescovo Gottifredo, il quale lo accompagna fino alla Cisa e gli sporge querela per l’ubbidienza negatagli dalI’Abate d’Aulla. — Podestà, p. 61, dal Cod. Peìavicino. 117. a. — 1148, ottobre a novembre. — Il Papa nel suo ritorno dalla Francia si ferma a Pisa, e vi decide la querela indicata al n.° precedente in favore del vescovo Gottifredo. Ved. Podestà a p. 61, dal Cod. Peìavicino come sopra. — Questa sentenza non può identificarsi coll’altra Bolla citata da noi al n.° 118, poiché ivi si tace affatto della quistione e perfino del nome di Aulla. 121. a. — 1145-1153. — A Ubaldo e Giordano preti e a G. diacono cardinali. Ordina loro di confermare la concordia stabilita dal Priore di san Frediano e dall’ Arciprete di Pisa, intorno a certe questioni fra il vescovo Goffredo di Luni e il suo capitolo. Se ne fa cenno nella Bolla di Gregorio vii 1187, dicembre 14, e di cui sotto al n.° xxxi. Giordano fu prete di s.* Susanna dal 31 die. 1145 7 g>ugno 1153. Gli Ubaldi erano due: uno prete di s. Croce in Gerusalemme dal 10 marzo 1145 al 16 giugno 1153; l’altro prete di s.* Prassede dal 21 die. 1145 al 16 marzo 1153. I diaconi colla iniziale G. sono troppi, per poter cavarne frutto. ANASTASIO IV. 122. a. — 115 3—1154. — In una pergamena, già del monastero di s. Venerio, oggi posseduta dalla signora Giuseppina Martelli-Bernucci, dimorante in Pisa, contenente uno strumento relativo alle ragioni del detto monastero su la cappella di san Nicolò di Arcola, ricevuto dal notaio Bartolomeo de Paverio addi 6 dicembre 1392, si cita un privilegio conceduto per sanctissimum . . . dominum Anastasium papam quartum ... de anno Domini millesimo centessimo quinquages-simo tercio . . . indicione secunda, pontificatus eiusdem . . . anno tercio. Dicesi — 471 — inoltre che iuxta tenorem et verba ipsius apertissime constat. .. prefatum . . . pontificem ìiberaliter donasse atque eydem monasterio et conventui tam in spiritualibus qtiam in temporalibus perpetue subiecisse capellam sancti Nicolai de Arcuila. La Bolla può essere stata data fra il 25 settembre quando comincia la 2.* indizione e il 25 marzo seguente quando cessa l’anno fiorentino 1153, come usava Anastasio iv. Ma 1’ anno terzo del suo pontificato è errore evidente, il papa avendo oltrepassato 1’ anno primo di soli cinque mesi (Cortese comunicazione del Prof. Belgrano). ADRIANO IV. 135. a. — 1154 dicembre 3 a x 155.— Conferma un lodo da lui pronunciato fin da quando andava legato in Norvegia, riguardante una vertenza fra il vescovo Goffredo di Luni e quel Capitolo per la chiesa di san Geminiano di Pontremoli. — Podestà, p. 62, da pergamena dell’Archivio Capitolare, senza data, ma che non può essere se non di questi anni, poiché fra il 1155 e 1160 l’autore dimostra doversi inserire un altro vescovo, di nome Alberto. ALESSANDRO III. 144. — 1160, aprile 19. — Aggiungi: J. L. 10640. a. 148. — 1161, aprile 9. Laterano, anno 2.0 — Aggiungi : Il dubbio manifestato al 11.° predetto su questa data, sarebbe ora giustificato da una copia autentica della Bolla Superna, che fu di questi giorni scoperta nell’Archivio Notarile, tra gli atti di Simone Francesco di Compagnono dell’ anno 1414, carte 231 verso. L’ autenticazione prima è di Guglielmo Caligepalio per mandato de’ consoli, poi del not. de Compagnono; e reca in fine il facsimile della rota e del monogramma e le sottoscrizioni dei cardinali. Ivi la data è: Janue per manum Hermanni . . . Vili? hai. aprilis, ind. X, 1162, pontificatus anno tertio: il che ci porta veramente al 25 marzo e alla dimora del Papa in Genova. Forse la Bolla fu preparata a Roma e consegnata qui. Nello stesso notaro, e alla carta seguente, è pure copia autentica dell’altra Bolla Nulli amplius, indicata nei nostri Regesti al n.° 182. 151. — 1161. Anagni. _ Il Lòwenfeld (n.° 10806 addenda, p. 721) si scusa dello aver fatto di un solo due documenti, adducendo che non era possibile indovinar ciò dai magri frammenti che avea sott’ occhio. Sta bene, nè io. ho inteso fargliene appunto; ma dovevo avvertir l’errore, perchè non fosse ripetuto. 161. — 1162. febb. 23. — Agg. J. L. 10698 a. - 472 — 174- — ii66? novembre 15. Anagni. — Agg. J. L. 12174. — Il chiaro editore, mentre accoglie da me questo documento portandolo al 1160-1176, novembre 26?, nota però che la mia interpretazione sul tempo della Bolla è nullius momenti. Ma io 1’ ho data soltanto come ipotetica, e desidero che altri sappia indicarci alcunché di più positivo. 184. — 1170, settembre 17. — Agg. J. L. 11837. a- 185. — 1170, settembre 17. — Agg. J. L. 11837. b. *186. — 1163 febb. a settembre 1173. —Agg. Più probabilmente 1170-1172, ottobre 21, Tusculano; dove il Papa risiedeva in questi ultimi anni. Questa lettera, che si conosceva soltanto genericamente per la conferma di Lucio hi, viene ora qui pubblicata per cortese comunicazione del eh. Cav. Rossi, il quale la copiò dall’Archivio Capitolare di Ventimiglia nella seconda delle pergamene ivi conservate. — Ex parte canonicorum. *186. a. — Ivi pure segue il testo di due altre lettere del Papa, dello stesso giorno, sullo stesso soggetto, e colle stesse parole iniziali. Una è indirizzata ai monaci di Lerino stanziati a san Michele di Ventimiglia, ai quali è imposto di non frastornare il Capitolo nelle funzioni a questo spettanti. *166. b. — L’altra è al vescovo Stefano di Ventimiglia, perchè curi l’ubbidienza dei monaci al decreto pontificio. Il Cav. Rossi aveva già accennato a questi documenti nella seconda edizione della sua Storia di Ventimiglia, Oneglia, Ghilini, 1888, p. 94. La data di questa e della Bolla precedente si deduce dal soggiorno d’Alessandro m in Tuscolano e dal tempo della diaconia del Cardinale Manfredo di Lavagna. 187. — 1161-1173j agosto 19 a settembre 6. — Agg. J. L. 10676.a., chela pone sotto l’anno 1161, sett. 5? 188. — 1160 (1161-1175) maggio 22. — Agg. J. L, 12485 a, sotto il 1175. 198. — 1179, aprile 25. — Questa Bolla si trova anche riprodotta dal Podestà p. 102, attentamente corretta sull’originale ed illustrata dall’autore. Vedi sopra al n.° 110 la sua importanza. 204. — 1180, marzo 28. — Agg. J. L. 13635. a. — 473 — LUCIO III. *217. a. — 1182, giugno 8, del pontificato anno i.° — Ai canonici di Ventimiglia. Conferma i privilegi e le possessioni della loro chiesa di santa Maria , nominandole partitamente. — Effectum insta. Dalla pergamena xxiv della già accennata Collezione di quel Capitolo, copiata e cortesemente comunicata dal lodato Cav. Rossi. Il quale ne diede anche una traduzione letterale italiana nella citata sua Storia, p. 95. 220. — 1181-1183, maggio 27. Correggi 26, ed agg. J. L. 14789. a. — Al quale consento anch’io che sia più probabile la lezione Ea que concordia, che non quella stampata Quia. 224. — 1184, febb. 28. — Agg. J. L., 14989, nelle addenda p. 726. 228. — 1181-1185. — Agg. Riant, Église de BethUem, 2.* ediz., libro e pp. citt. qui sopra al n.° 104. — Atti della Società Ligure citati, ibid. 234. — 1185 giugno 13. — Agg. J. L. 15434. a. URBANO III. 257. — 1186-1187, gennaio 3. — Agg. J. L, 15758. a. 258. — 1186-1187, luglio 16. — Agg. J. L. 15896, addenda p. 726. 260. — 1187, luglio 19: — Agg. J. L. 15995, addenda p. 726. GREGORIO VIII. *263.0. —1187, dicembre 14. Pisa. —Ad Ardizzone prevosto ed ai canonici della Chiesa di Luni. Conferma loro molte chiese, rendite e privilegi. — Pie postulatio voluntatis. Da pergamena dell’ Archivio Capitolare di Sarzana, contenente questa Bolla colla conferma di Nicolò v nel 1453. CLEMENTE III. 268. — 1188, giugno 8. — Agg. J. L., 16275. a. 273. — 1189, gennaio 27. — Agg. J. L. 16805. addenda p. 727. Qui però dice l’editore sembrargli haud satis valida 1’ attribuzione che io ne faccio a - 474 ~ Clemente IH. Per parte mia non capisco il motivo di dubitarne, quando il testo corre chiaramente sotto il nome e colla intestazione di questo Papa , con cui concorda anche il tempo del regime del nostro arcivescovo Bonifazio. CELESTINO III. 282. — 1191, novembre 17. — Agg. J. L. 16761. a, il quale pone il punto interrogativo alla data apud S. Petrum. 287. — 1193, febbraio 14. — Agg. J. L. 16955. 288. — 1193, aprile 15. — Agg. J. L. 16983. a. 289. — 1193, aprile 19. — Sta bene a questa data la Bolla, essendo ora già cominciato l’anno 3.0 del Pontificato; per conseguenza è da cancellare il du plicato che ne fu fatto ai 19 aprile 1194 dal Pfl. H., Iter, n.° 965, seguito dal l’J. L. al n.° 17090. 291. — 1193, aprile 23. — Agg. J. L. 16989. a, e nota che ben corregge Lòwenfeld 1’ errore sfuggito alla mia fonte ed a me, leggendo fra i sotto scritti al documento il nome di Ludovicus card, diacono di s. Pudenziana, mentre era allora un Jordanus. 294. — 1194, febbraio 4. — Agg. J. L. 17072. 295. — 1194, novembre 15. — Agg. J. L., 17161. 299. — 1196, luglio 11 — Agg. J. L., 17414* 300. — 1197, febbraio 10. — Agg. Campi, Stor. eccles. di Piacenza, 11, 375-Migne, voi. ccvi, p. 1202. — J. L. 17495. 301. — 1191—1198 — Agg. J. L. 17613. DOCUMENTI ■ XXVII (i). ALESSANDRO III. Num. 1S6. — 1170-1172, ottobre 2t. Alexander episcopus, servas servorum Dei. Domino Manfredo] sancti Georgii ad velum aureum diacono cardinali, apostolice sedis legato, salutem et apostolicam benedictionem. Ex parte canonicorum Viginlimiliensis ecclesie auribus nostris innotuit, quod quidam monachi sancti Michaelis ecclesie, que in loco Vigintimilii sita est, et capellani parrochianos eorum ad missarum solempnia et alia officia audienda variis illecebris attrahere moliuntur, in precipuis solempnitatibus oblationes eorum recipiunt, et ipsis in nativitate et resurrectione Domini comunicationem corporis et sanguinis Domini largiuntur, et sic falcem suam in alienam immittere messem presumunt. Verum quoniam hec ab honestate religionis et ordinis eorum penitus sint aliena et ecclesiastice contraria rationi, discretioni tue per apostolica scripta precipiendo mandamus , quatenus, si ita est, predictos monachos et eorum capellanos firmiter et districte precipias, ut proprios parrochianos Vigintimi-liensis ecclesie ad cotidiana officia, seu in precipuis solempnitatibus sive ad publicas penitentias vel ad sepulturam , nisi salva iustitia (1) Continuazione dei primi xxyi, per cui ved. sopra p. 85-131. — 478 — ipsi ecclesie, nulla ratione recipiant. Ceterum si preceptis nostris et tuis obtemperare contempserint, eos canonica non differas iustitia cohercere. Preterea eosdem monachos et capellanos moneas perpense et districte compellas, ut quod a sancte recordationis patre et predecessore nostro Eugenio papa inter ipsos et predictos canonicos statutum est firmiter et inconcussum observent (i). XXVIII. Num. 186. a. — 1:70-1173, ottobre 21. Alexander episcopus, servus servorum Dei. Dilectis filiis, abbati et fratribus Lerinensibus, salutem et apostolicam benedictionem. Ex parte canonicorum Vigintimiliensis ecclesie auribus nostris pernotuit, quod quidam monachi vestri et capellani parrochianos eorum ad missarum solempnia et alia officia audienda variis illecebris attrahere moliuntur, in precipuis solempnitatibus oblationes eorum recipiunt, et ipsis in nativitate et in resurrectione Domini comuni-cationem corporis et sanguinis Domini largiuntur, et sic falcem suam in alienam immittere messem presumunt. Unde quum hec ab honestate religionis et ordinis vestri penitus sint aliena et ecclesiastice contraria rationi, universitati vestre per apostolica scripta mandamus, quatenus, si res ita se habet, predictos monachos et capellanos a tanta presumptione omnino desistere compellatis, nec vos nec illi quod iuris est aliorum usurpare de cetero ratione aliqua presumatis. Si autem preceptis nostris obtemperare, quod non credimus, contempseritis, dilecto filio nostro M[anfredo] sancti Georgii ad velum aureum diacono cardinali, apostolice sedis legato, dedimus in mandatis, ut vos et illos canonica non differat iustitia cohercere. Preterea ex predictorum canonicorum transmissa nobis est relatione monstratum, quod cum controversia que inter tuos et eos canonicos vertebat in presentia sancte recordationis patris et predecessoris (1) Ved. sopra, al n.° 116. — 479 — nostri Hugenii pape agitata fuisset et definita, ne unquam monachi vestri de sancto Michaele contra eandem sententiam venire presumane Quia vero id nulla ratione tolerare debetis, quia aliis exemplum tenemini dilectionis et pacis prebere, nihilominus vobis presentium auctoritate iniungimus, ut eosdem monachos et capellanos sententiam predicti antecessoris nostri firmiter et inviolabiliter observare cogatis. Sacre namqne professionis habitus quem gestatis et integritas exigit equitatis, ut in iis que agitis modestie ac temperande servetis virtutem, et in vestris actibus operibusque apud Deum et homines studeatis irreprehensibiles apparere. Datum Tusculani, xii kalend. novembris. XXIX. Num. 186. b. — 1170-1172, ottobre 21. Alexander episcopus, servus servorum Dei. Venerabili fratri S[tefano], Vigintimiliensi episcopo, salutem et apostolicam benedictionem. Ex parte canonicorum ecclesie tue querimoniam gravem recepimus, quod proprii parrochiani Vigintimiliensis ecclesie cum ipsam matricem ecclesiam, a qua christianitatis accipiunt sacramentum , pro divinis audiendis officiis frequentare consueverint, ea contempta, missas a monachis et capellanis eorum publicas et so-lempnes audire presumunt. Unde quum periculosum est eis efficere que animarum suarum obvient et repugnent saluti, fraternitati tue per apostolica scripta mandamus, quatenus predictis parrochianis tuis sub districta comminatione inhibeas ne matrici ecclesie debitam reverentiam seu consueta presumant iura subtrahere, neque in solempnitatibus precipuis ecclesiis monachorum matricem postponere audeant, vel etiam eos ad officia cotidiana vel ad penitentias aut etiam ad alia sacramenta, que ad matricem ecclesiam pertineant, audeant frequentare. Datum Tusculani, xn kal. novembris. _ — 480 — XXX. LUCIO III. Num. 217. a. — 1182, giugno 8. Lucius episcopus, servus servorum Dei. Dilectis filiis canonicis Vi-gintimiliensis ecclesie, tam presentibus quam futuris canonice substituendis, in perpetuum. Effectum iusta postulantibus indulgere ut vigor equitatis et orao exigit rationis, presertim quando petentium voluntatem et veritas adiuvat et pietas non relinquit. Quapropter, dilecti in Domino filii, vestris iustis postulationibus clementer annuimus, et ecclesiam sancte Marie Vigintim iliensis, in qua divino mancipati estis obsequio, sub beati Petri et nostra protectione suscipimus et presentis scripti privilegio communimus, statuentes ut quascumque possessiones quecumque bona eadem ecclesia in pre-sentiarum iuste et canonice possidet vel in futurum, concessione pontificum, largitate regum vel principum, oblatione fidelium seu aliis justis modis prestante Domino poterit adipisci, firma vobis vestrisque successoribus et illibata permaneant. In quibus hec propriis duximus exprimenda vocabulis. Ecclesiam sancte Marie de Roccabruna, cum omnibus pertinentiis suis et totam decimam illius castri, et quidquid in castro habetis vel de cetero iuste aquirere poteritis; ecclesiam sancte Marie de Carnolese, cum omnibus pertinentiis suis; medietatem decime Podiipini; decimam quam habetis in braida comitis de Carnolese, et decimam quam habetis in Lacte; et quidquid habetis Agerbol(?) aut in eius territorio; ecclesiam sancti Nicolai de Bari et sancti Martini cum omnibus pertinentiis suis; tres procurationes trium festivitatum natalis Domini, resurrectionis et assumptionis beate Marie, quas vobis dat episcopus annuatim et toti familie vestre; omnes decimas quas habetis in Vigintimiliensi territorio, vel quascumque decimas parrochiani vestri vobis de cetero resignaverint; medietatem oblationum quas in consecrationibus ecclesiarum habetis, et quidquid in episcopatu Vigintimiliensi habetis. Sane libertates et antiquas atque rationabiles consuetudines — 481 — ecclesie vestre hactenus observatas, perpetuis decernimus temporibus valituras. Obeunte vero ipsius ecclesie preposito, vel ex manifesta et rationabili causa remoto, nullus ibi, qualibet surreptionis astucia seu molestia, preponatur, nisi quem fratres communi consensu, vel fratrum pars consilii sanioris, secundum Dominum canonice providerint eligendum. Liceat preterea vobis, salvo iure episcopi, decimas ad vestram ecclesiam pertinentes de manibus laicorum eripere et sustentiationis vestre usibus applicare; nec liceat cuiquam laicorum de terris vestris sub occasione aliqua extorquere. Interdicimus etiam ne quis infra metas parrochiarum vestrarum ecclesiam vel oratorium, sine assensu episcopi et vestro, de novo edificare pre-sumat, salvis tamen romanorum pontificum privilegiis. Porro, cum generale interdictum terre fuerit, liceat vobis, clausis ianuis, non pulsatis campanis, exclusis excomunicatis et interdictis, summissa voce divina officia celebrare, nec liceat episcopo, qui pro tempore fuerit, in vos vel in clericos vestros excomunicationis vel suspensionis sive ecclesias comunitatis vestre interdicti sententiam promulgare, nisi evidens et rationabilis causa precedat. In parrochia-libus insuper ecclesiis, quas habetis, liceat vobis idoneas personas eligere et diocesano episcopo presentare, quibus animarum curam ipse committat, ita ut illi de spiritualibus, vobis autem de temporalibus debeant respondere. Sepulturam etiam ecclesie vestre liberam esse decernimus, ut eorum devotioni et extreme voluntati qui se illic sepelliri deliberaverint, nisi forte excomunicati vel interdicti sint, nullus obsistat; salva tamen ecclesiarum illarum canonica iustitia, a quibus mortuorum corpora assumuntur. Decernimus ergo, ut nulli liceat prefatam ecclesiam temere perturbare aut eius possessiones auferre, vel oblatas retinere, minuere seu quibuslibet vexationibus fatigare, sed omnia integra conserventur eorum pro quorum gubernatione ac sustentatione concessa sunt usibus omnimodis profutura, salva sedis apostolice auctoritate et episcopi vestri debita reverentia. Si qua igitur in futurum ecclesiastica secula-risve persona hanc nostre constitutionis paginam sciens, contra eam temere venire tentaverit, secundo tertiove commonita, nisi reatum suum digna satisfactione correxerit, potestatis honorisque sui dignitate careat, reamque se divino iudicio existere de perpe- Atti Soc. Lig. Sr. Patri*. Voi. XIX. 31 — 482 — trata iniquitate cognoscat, et a sanctissimo corpore ac sanguine Dei ac domini nostri Jesu Christi aliena fiat, atque in extremo examine districte ultioni subiaceat. Cunctis autem eidem loco sua iura servantibus sit pax domini nostri Jesu Christi, quatinus et hic fructum bone actionis percipiant et apud districtum Judicem premia eterne pacis inveniant. Amen, Amen, Amen. Datum Velletr., per manum Alberti S. R. E. presbiteri cardinalis et cancellarii, vi idus iunii, indicione xv, anno incarnacionis Dominice mclxxxii. Pontificatus vero domini Lucii pape iii, anno 1. XXXI. GREGORIO VIII. Num. 265.0. — 1187, dicembre 19. Gregorius episcopus, servus servorum Dei. Dilectis filiis Ardi-tioni preposito et canonicis Lunensis ecclesie, tam presentibus quam futuris canonice substituendis, in perpetuum. Pie postulatio voluntatis effectu debet prosequente compleri, et ut devotionis sinceritas laudabiliter enitescat et utilitas postulata vires indubitanter assumat. Ea propter, dilecti in Domino filii, vestris iustis postulationibus clementer annuentes, et felicis recordationis Alexandri pape predecessoris nostri vestigiis ineherentes, prefatam Lunensem ecclesiam, in qua divino mancipati estis obsequio, sub beati Petri et nostra protectione suscipimus, et presentis scripti privilegio communimus. Statuentes ut quascumque possessiones, quecumque bona eadem ecclesia in presentiarum iuste et canonice possidet, aut in futurum concessione pontificum, largitione regum vel prin-cipum, oblatione fidelium, seu aliis iustis modis, prestante Domino, poterit adipisci, firma vobis vestrisque successoribus et illibata permaneant. In quibus hec propriis duximus exprimenda vocabulis. In plebe de Vignola capellam sancti Laurentii, capellam sancte Felicitatis de Succisa, et alios redditus quos ibi habetis. In plebe sancti Cassiani de Urceola, capellam sancte Marie de Mignegno, — 483 — capellam sancti Geminiani de Pontremulo, capellam sancti Cristo-phori de Campo, et omnes redditus quos ibi habetis. Redditus quos habetis in plebe dt Surano. In plebe sancti Cassiani de Bagnone, capellam de Taponeco, hospitale de Gropofusco, et alios redditus quos ibi habetis. In plebe de Venelia, capellam de Tabiano, capellam sancti Johannis de Campo Johannis, et alios redditus quos ibi habetis. In plebe de Vico, capellam de Luxolo et alios redditus quos ibi habetis. In plebe de Crespiano, capellam de Corsiano et redditus quos ibi habetis, et in plebe de Soliera. Redditus quos habetis in plebe sancti Pauli. In plebe sancti Laurentii, redditus quos ibi habetis. Redditus quos habetis apud sanctum Cyprianum. In plebe sancti Martini de Viano, redditus quos ibi habetis. In plebe sancti Basilii de Sarzana, redditus quos ibi habetis. Redditus quos habetis in plebe de Carraria. In plebe sancti Vitalis, capellam sancti Georgii et curtem de Seviliano, cum omnibus eorum redditibus, honore atque districtu. In plebe sancti Michaelis de Trebiano, redditus quos ibi habetis. In plebe de Amelia, decimam de Montemarcello, et decimam piperis et piscium qui capiuntur in clusa, et decimam totius curie Amelie, et redditus quos ibi habetis. In plebe Lunensi, decimam totius plebis in monte et in plano et in palude tota, et redditus quos ibi habetis, capellam sancti Martini de lliolo, cum omnibus redditibus quos ibi habetis. Burgum de Aventia, cum ecclesia sancti Petri eiusdem loci, cum honore et districtu et omnibus redditibus et pertinentiis suis, salvo censu decem soldorum imperialium et libre incensi ecclesie Bruniatensi annis singulis persolvendo. Hec autem omnia, cum decimationibus omnium dominicatorum episcopi vestri, et cum decimationibus herbatici, nemorum, pecorum et scatici porcorum, sicut ad mensam vestram, et spetialiter ad procurationem fratrum qui ecclesie deserviunt, pertinere noscuntur, vobis auctoritate apostolica confirmamus. Preterea concordiam quam prior sancti Frediani et archipresbiter Pisanus inter vos et Gotofredum quondam Lunensem episcopum, de voluntate et assensu utriusque partis, super quibusdam capitulis statuerunt, et quam Ubaldus et Jordanus presbiteri et G. sancte Romane Ecclesie diaconus cardinales, ^de mandato b. m. Eugeni i pape predecessoris nostri confirmasse noscuntur, nichilominus auctoritate Sedis Apostolice — 484 — roboramus. Predicti siquidem prior et archipresbiter electionem canonicorum atque priorum de comuni consilio vestro et consensu episcopi faciendam liberam probaverunt, et eam memorati cardinales ratam mandaverunt haberi. Statutum est etiam, ut redditus preben-darum defunctorum canonicorum in usus Ecclesie per duos canonicorum, qui de consilio et assensu vestro per episcopum ordinentur, tam in ornamentis videlicet quam in emendis possessionibus, sine detrimento ecclesiastici servitii expendantur. Quod vero de vocandis et eligendis fratribus atque prioribus in eadem concordia continetur i Nos firmum et illibatum volumus conservari. Redditus autem ecclesie, tam vivorum quam mortuorum, communi fratrum consilio, vel maioris et sanioris partis, disponantur; nec priores contra communem voluntatem fratrum sibi presumant exinde usurpari. Ceterum ab archidiacono, preposito et reliquis canonicis debitam obedien-tiam et reverentiam episcopo, sicut in eadem concordia statutum est, decernimus exiberi. Preterea archidiaconus in celebratione missarum, et in consecratione ecclesiarum, et ordinibus clericorum, episcopo, sicut statutum est, volumus deservire, et tamquam patri filium devotum assistere. Episcopus autem nullo[modo ?] ius suum sibi subtrahat; et secundum quod canones volunt, ecclesiastica negotia consilio suo disponat. Nec licebit archidiacono plusquam quatuor equitaturas ducere, quando ecclesias visitare et parrochias circumire debebit, nisi episcopus hoc forte mandaret. Servientes siquidem episcopi et canonicorum a rapina oblationum modis omnibus prohibemus. Preterea, secundum antiquam consuetudinem, a festo sancti Martini usque ad festum sancti Johannis evangeliste, et ab introitu quadragesime usque ad tertiam feriam post Pasca, et omnibus precipuis festivitatibus simul canonicos omnes benevalentes, nisi canonicam excusationem habuerint, ecclesie volumus et precipimus deservire. Per reliquum vero tempus, sex ad minus canonici, vel totidem idonei clerici loco ipsorum canonicorum, erunt in ecclesia servientes; quod si aliquo tempore tanta facultas ecclesie suppetierit, omni tempore, sicut canonicum est, mandamus canonicos omnes benevalentes in ecclesia tunc assiduos esse. Decernimus ergo, ut nulli omnino hominum fas sit prefatam ecclesiam temere perturbare, aut eius possessiones auferre, ac ablatas retinere, minuere, seu - 485 — quibuslibet vexationibus fatigare; sed omnia integra conserventur, eorum pro quorum gubernatione ac sustentatione concessa sunt usibus omnimodis profutura. Si qua igitur in futurum ecclesiastica secula-risve persona hanc nostre constitutionis paginam sciens contra eam venire temptaverit, secundo tertiove commonita, nisi reatum suum congrua satisfactione correxerit, potestatis honorisque sui dignitate careat, reamque se divino iudicio existere de perpetrata iniquitate cognoscat, et a sacratissimo corpore et sanguine Dei et domini redemptoris nostri Jesu Christi aliena fiat, atque in extremo examine divine ultioni subiaceat. Ceteris autem eidem loco iura sua servantibus sit pax domini nostri Jesu Christi, quatenus et hic fructum bone actionis percipiant, et apud districtum Judicem premia eterne pacis[inveniant]. Datum Pisis, per manum Moysis Lateranensis canonici, vicem agentis cancellarii, xim kal. ianuarii, inditione vi. Incarnationis Dominice, anno mclxxxvii. Pontificatus vero domini pape Gre-gorii viii, anno primo. È questa 1’ultima Bolla conosciuta di Gregorio via; e se è giusta la lazione della sua data (19 dicembre), egli non sarebbe morto il 17 come dicono l'Art de verifier les dales ed altri scrittori indicati in J. L. Nemmeno morì il 18 come dicono altri ; mentre altri pure indicati in J. L. pongono la morte al-l'vili kal. (2f) e fino al IV kal. ianuarias (29 dicembre 1187). . ■ ■ ' DESSINS AUTOGRAPHIÉS SUR LES PAPIERS ET FILIGRANES fragment 133% 3i/4€ R 12%5 131% Imimm'iii umili ------ • - . i o N» <3si &L- * M **/s7X 1 1483 iS \ 19 *1/S7 R ■ 15050.7 jnnnitftihimj E Pi'fò ™ÌM 3 R 34 35 horti yaui fte tU' ta tulle pontiU cau. r induniiictii 30/uit 7323 1333 40 filigrane do ubi e p ' « o 20/, 39 40 deux bords de la. fe u ili e 1311 .■ i hor 1385 i Hl — % R U%7 1313 _ _ 189 t 191 192 *9, 43 R iWkuse **■'/43 R 1U%8i30 w&/43 R 1W à 33 195 196 198 /M-5 205 • 104* 206 — 1 > SI CJ>' L '&— —^oj ^ZsjR 1499 207 1465 „pontiucaiix inviJihleJ /335 m 0 R 7496 et 1500 37 R /532 R /336 219 220 « ‘ //44 fi 156% 30'fa /6U a /S !t v 1/9/ 0/9/ ?,tosi- tosi- ''/±091 A /630 a' 33 233 35foR 235 /buo 234 3S/4&M 256 j 30/mR c 240 l l }— o i D /300 242 pontuseaux indishncfc filigrane poóé all centre de la jluillt' diverte M/u R im 243 245 t * 9 • 4 • « f l 9 • • • • « • • • 9 _ 3Yaó R 1314 et 5 ' 247 244 246 ^/jfG /324- 24-8 30 A3 /639 a 33 3Zm£ 16JS 251 /331 . 253 257 X JÒ14- 0&*/- mi■ i 0 m uz raì lcn'0*?n]liod vàrcfcurc*9 tP' litict€*$ povituJtzcuuc 1313 1^1S 280 /-! pontumeau.x in\'Uiblesi 32/tf 13 7/ 288 290 Ì9/Vi 1*40 a 1 294 ! pontllseaiLi: indi.>Liilctd 'i0/tf3 1324 i 1¥Ì1 à 75 304 ro 312 313 1502 324 325 * — _____ _ _ 328 329 » 332 J 340 341 /65% et 53 18 v 0891 d? risi 06y £99! 9 v H9l 'ZlSf- tt£ / 1SJS et 7] 15J9 d 80 %% /34-6 359 ( "&J59 R /388 362 u mj 364 ,r H/ssR 366 367 369 ———— — SiMh »07 li ì li I: filigrane doublé'* doni chayue partie eJtpojée. uu de chacfueJeuillet 7t 1306 382 ccntre v ». ► 384 milieu de la feuille diverte « 587 Z/jfj 130? £ 9 filigrane pose au centre de la feuille 388 voi et t m centra de la feuille ouverU-de. a houle droitc ole leu croijc ile 31 \rt.io est pelée au ceri tre de f R ms '316 389 o?'' -n ó%6 R 137$ 390 &/4J 1318 392 ■ sy±5 R '1302 filigrane jjoJe au ventre ite lafeuille ouvertc 394 ms 393 1601 à'ò 396 1310 395 ponlu4x invidi0U4 ■%r R 7338 / 399 400. 1 •er&eiireJ wdiàtincleJ 3Vus R 13°* 403 filigrane pod* etti centre de- la fcuilh ouvertt 33/jtj 73 OS 402 pi- 1350 (V 1408, 141%. 1428 M'Vsa mi 405 407 J c y\ **/s7 b o o / R M9 d 5o 1310 410 /3U et 56 411 /306 'ane poJe au centre de Lx j'cuillc- o averle W/uu n 1308 413 414 1388 vera cares et poiitx wdiJtiucU 13U —————— —— m m LA/L i ; 3y/y*9 1591 igjt 425 OàSS 3i/%9 1S9A-Ò.99 42 G .Li A fi/tarane pose a l anele de la feuille i AflB 3Styw Ì616 à%3 430 Wb/sj R 1619 427 H fdiarane pose d L anale. ! -7 /J ^ilU de !4n ' *’n/„R. 1650*7$ , }>*M % . 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Questa condizione di cose rendeva naturalmente difficile le relazioni fra i Fregoso e Giovan Mario, stretto specialmente da vincoli col ramo Del Carretto di Galeotto e di Giovanni e con quello di Spinetta, che pigliava il titolo di marchese di Savona e potentemente soccorreva i suoi parenti contro le armi genovesi (3). In quel frattempo accadde al figlio di messer Francesco — che, dopo essere rimasto a Savona fino all’ estate del 1450 e venuto poi in questo a Milano (4), era finalmente passato al servizio di Renato d’Angió — di fare un breve viaggio presso il padre e ritornar quindi a Marsiglia, dimora allora del pretendente, per la via di Genova. 11 maggior Filelfo gli diede lettere di raccomandazione per Tommaso Fregoso (5), ed a quest’ epoca precisamente vuol essere riferita, a mio parere, la poesia di Giovan Mario a questo illustre patrizio « inclyta lux Ligurum ». Però, per via trattenutosi presso i Del Carretto, non ostante l’insistenza del (1) Litta, /. c. (2) Mario Filelfo, Annales in historiam Finariensis belli ab anno £44/, Milano Tip. Palatina. Cfr. Giustiniani, Amali, ad annos 1447-1451. (3) Ciò risulta dall’opera citata di Giovan Mario Filelfo, che è dedicata al marchese Spinetta con poesie e lettere al marchese Giovanni. (4) Filelfo Fr., Epist., lib. VI, f.47, in data 26 ottobre 1450, al figlio Mario. (5) Epist., lib. VIII, f. 52, in data 26 novembre 1450. * — joS padre pei thè si recasse al suo posto presso Renato che o amava assai (i), forse per obbedir piuttosto alle altre sue sollecitazioni di guardarsi dalla peste che allora in-eii\a in Provenza (2), Giovan Mario non si mosse più per parecchi mesi, mentre ferveva sempre la guerra ra que suoi congiunti e la Repubblica genovese retta a co e Pietio Fregoso, con capitano generale Niccolò, tra allora la fine del 1450. Nel &'ugno del seguente anno 1451, avendo rinunziato ornai del tutto al servizio dell’ Angioino, scrisse pa re di voler tornare a Milano. Grave era la diffi-ta eie si opponeva'al suo passaggio pel territorio di enova, poiché veniva da luoghi nemici e coi nemici appunto in istretti rapporti (3). .Messer Francesco ^ scrisse al Ceba perche s’ adoperasse con Niccolò Fre-so a fine di ottenergli passaporti, e si rivolse a tale copo anche a due altri uomini ragguardevoli di Genova, sarzanesi Iacopo Bracelli e Gottardo Stella (4), en- 1 cancellieri della Repubblica, umanisti e scrittori (5), andando per di più incontro a Giovan Mario l’al- àl?fPtSt’’ hb' V111, f' 55 ’ in data 31 gennaio '4SI. Cfr. lib. Vili, f. 54, in data 9 gennaio stesso anno. (2) Epist., l,b. VII, f. 49, in _+_l__<> 7 8 9 Stefano Ughetlo dis. !■ - 539 — ottagono (i), divenuto distintivo della chiesa ambrosiana come si vedrà fra breve. Resa trionfante la religione cristiana ed essendo considerevolmente cresciuto il numero dei credenti, si presero a fabbricare appositi edifici, nei quali amministravano solennemente il battesimo gli episcopi, e nei quali chi poneva il piede era privilegiato del diritto d’asilo, tanto era il rispetto che per essi si aveva. Giusta quanto asserisce il Muratori, col rito ambrosiano il battesimo si conferisce non già coll' aspersione, ma con una specie di immersione, immergendo tre volte la parte deretana del capo del battezzando nell’acqua (2), riservata unicamente pel battesimo clinico l’aspersione ; sebbene siavi stato a giorni nostri chi si è accinto a provare, che tanto nella Chiesa romana, quanto nell’ambrosiana (3) fino dal III secolo fu in uso il battesimo misto d'immersione ed infusione. Fatto che vien confermato dalla AiSaxrj t&v 5u>5exa ànooiokm edita dal Briennios in Costantinopoli nel 1883, nella quale parlasi esplicitamente non solo dell'immersione, ma anche dell’ infusione dell’ acqua sul capo, come di rito non al tutto eccezionale pel solo caso di malattia , ma praticato frequentemente tuttavolta che non si aveva acqua corrente 0 raccolta, quanta bastasse all’ immersione (4). (1) C'est d l’epoque de Lonstantin (jij) que le ;£ parait pour la première fois d'une manière certame sur les « tituli » romains datés... En J47 on voit apparaitre d’autres formes.... C'est d’abord le monogramme où le type ci-dessus admet au milieu dii X une tigne transversale — Martigny, Dictionnaire des antiquitès clirttiennes; Paris, 1877, pag. 478. (2) Muratori, Dissertazione 57. (3) Graniello, Il Battesimo per immersione e infusione rappresentato nel paliotto di s. Ambrogio; Roma, 1864. (4) Resoconto delle conferenze dei cultori d’archeologia cristiana in Roma dal 1875 al 18S7; Roma, Tip. della Pace, 1888, pag. 346. — 54° - Ma sia per infusione, sia per aspersione, ovvero per infusione e aspersione insieme, il conferimento del battesimo in Milano rivestiva un carattere tutto suo proprio, rappresentato dal monogramma di Cristo ottagono , come ce ne sta a testimonio l’Allegranza, il quale cosi scrive di un tal segno : Hoc qtiod ambrosianum seu Ecclesiae huius mediolanensis signum in Baptismo adhibitum ex Landulfo et Beroldo asserui, puto me alio simili deinde producto satis explicasse, octo nempe eius radios Mathei beatitudinibus respondere, quas Christi fideles in nomine Jesu Christi baptismum adeuntes consequerentur (i); e tale monogramma, conosciuto col nome di Chrismon s. Ambrosii, si conserva tuttora nell’ abside del duomo di Milano (2), venerando monumento sul quale tante generazioni hanno impresso il suggello della loro fede. È naturale che per elevare menti rozze non atte ad abbracciare la fede in un ordine di idee soprannaturali, il grande Ambrogio ricorresse ad apparenze simboliche, quale si era appunto il monogramma su indicato, volendo egli accennare cogli otto raggi che dal centro vanno alla circonferenza, alle otto beatitudini, di cui è cenno nel vangelo di s. Matteo, beatitudini che non si possono avere e godere che in Dio, il quale appunto, come non avente né principio né fine, é indicato dalla stessa circonferenza o circolo. Landolfo il vecchio assevera, che questo misterioso cerchio serviva di primo elemento ai catecumeni per iniziarli nei profondi misteri della fede; e come cerimonia sim- (1) Allegranza, De monogrammate D. N.Jesu Christi et usitatis eius effingendis modis; Mediolani, ex tip. Marelli, 1773, pag. 25. (2) Franchetti, Storia e descrizione dei Duomo di Milano; pag. 91. - 541 ~ bolica, che dovea rendere immagine fedele delle cose che rappresentava, tale monogramma veniva formato sopra uno strato di cenere all’ ingresso della chiesa per la porta d’ oriente, dalla quale i competenti venivano introdotti dal suddiacono e dagli ostiari, dopo aver gustato il sale misterioso e bagnate le nari e le orecchie dello sputo del sacerdote, precedendo il diacono col santo evangelio chiuso, per dimostrare che non ancora potevano essere degni d’ ascoltarlo; con lumi accesi in mano per significarla grazia significante dello spirito santo (i); e 1’ Allegranza afferma che fino all’ XI secolo si continuò in Milano ad erudire i catecumeni con questo venerando monogramma (2). Non v’ ha dubbio impertanto, che alle otto beatitudini allude la forma ottagona che (da pochi in fuori) si ebbero i più antichi battisteri dipendenti dal metropolitano di Milano, non che i pozzi di consimile configurazione, costrutti nel mezzo degli edifici stessi, quali sarebbero i battisteri di Novara, Como (3), Pavia, Verona, Parma, Genova, Albenga e Ventimiglia; forma ottagona ha pure il battistero della Basilica Orsiana di Ravenna, dedicata l’anno 407, e probabilmente tale forma venne trapiantata in Africa dal grande Agostino, che ricevette il battesimo dal vescovo Ambrogio, leggendo che pochi anni or sono, lungo le mura di Cartagine il signor Delattre scopriva le (1) Lattuada, Desertione di Milano; Milano, 1737; tom. I, pag. no. (2) Allegranza, Spiegazioni e riflessioni sopra alcuni monumenti antichi di Milano; Milano, Tip. Scitori, 1757, pag. 18. (3) Como si è soltanto da! 1013 che si vede sottoposta ad Aquileia, sotto cui durò sino ai tempi di Giuseppe II e ne usò il rito patriarchino ; rilevava prima da Milano, dal cui metropolitano pare venisse staccata quando i mitrati milanesi si diedero a seguire le parti dell’ Impero. — 542 — vestigie d’ un battistero e d’ un pozzo ottagoni, nel quale si discendeva per due gradini (i). Provato adunque che il chrismon o il monogramma ottagono é un simbolo proprio esclusivo della Chiesa milanese, è chiaro che ove si rintracci un tale simbolo si viene ad averne uno dei più solidi criteri direttivi per istabilire 1’ esercizio del culto ambrosiano. Basta, ripeto, a senso mio, un tale simbolo per inferire di tutto il resto, poiché non v’ha bisogno di veder tutto; basta un frammento per riuscire a ricomporre l’intera figura, come bastarono a Cuvier poche reliquie d’ un animale antidiluviano , per ricostrurlo fedelmente nella sua interezza. VI. Or bene, grazie alla sagacia d’un colto ed oggi rimpianto patrizio genovese, veniva, pochi anni or sono, segnato all osservazione dei cultori d’ archeologia sacra un avanzo di decorazione cristiana di stile romano bizantino, trovato in Cogoleto, rappresentante il monogramma ottagono concentrico accostato da due croci quadrilunghe, alle quali disdirebbe il posto secondario quivi toccato, ove il simbolo che tiene il seggio d’onore non avesse rappresentato allo sguardo dei fedeli il fatto più importante della religione cristiana, voglio dire il segno della redenzione alla grazia, cioè il battesimo (2). Ed un simile monogramma aggiungeva egli esser riuscito a rintracciare sul coperchio di un (1) De Rossi, Bollettino d’archeologia cristiana; Roma, 1881, pag. 125. (2) Durazzo, Di un antico marmo col monogramma di Cristo, trovato in Cogoleto, lettera a D. Marcello Remondini; Genova, tip. Arciv., 1880, in 8.° pag. 28, con due tavole. - 543 - antico sarcofago della basilica di s. Apollinare in Ravenna in Classe, e sopra un altro marmo della stessa città. Riservando a far conoscere più oltre il significato che l’egregio march. Marcello Durazzo dà a questo simbolo, occorre prima d’ogni cosa avvertire qui, come la presenza di identici simboli trovati in Cogoleto ed in Ravenna, che altri attribuirebbe senza dubbio al caso, rechino seco, a mio credere, tali riscontri storici da porgere l’addentellato per poter congetturare quando e sotto quale mitrato venissero dessi eseguiti. Fra i vescovi di Milano che tennero dimora, come già si é detto, in Genova, trovo nel 593 Costanzo, prelato di grandi meriti ed onorato perciò di particolare affetto dal sommo pontefice Gregorio Magno. Si é a lui che il papa si rivolgeva, perché volesse aiutar Venanzio vescovo di Luni nell’ opera di richiamare il clero a più morigerati costumi ; si é pure a lui che s’indirizzava per raccomandargli l’uomo magnifico Giovanni, che si recava a Genova per esercitarvi le veci di prefetto dell’ Impero; e si é in fine a lui che il papa si rivolgeva per invitarlo a volersi recare in Ravenna, per giudicare la causa di un Marino procuratore della chiesa Salonitana (1). Lasciando ad altri più eruditi il compito di far conoscere perchè il papa commettesse al vescovo di Milano di recarsi ad alzar tribunale a Ravenna, e seguendo piuttosto il filo che dee condurci a rintracciare quali fossero le relazioni che a quei giorni correvano fra Genova e Ravenna, ci sarà agevole di riconoscere, che ove il pluteo 0 la quintanea che sia, di Cogoleto, ed il monumento indicatoci a Ravenna vengano posti fra loro a confronto, faranno chiaro, che se la mano che scolpi i due marmi (1) Belgrano, Illustrazione del Registro arcivescovile, pag. 265. » — 544 - non fu la stessa, stessissimo però fu il concetto, onde furono ispirati i due artisti, avendo dessi collocato in mezzo a due croci immisse il monogramma ottagono (i). Or bene, sarà egli troppo ardita ipotesi il supporre, che tanto il marmo lavorato per la chiesa di Cogoleto, dipendenza della diocesi savonese (2), quanto gli altri conservati in Ravenna, venissero eseguiti sedendo metropolitano Costanzo? Specie ove si consideri, che tale ipotesi è avvalorata da caratteri cronologici rispondenti all’ epoca di cui si tratta? Accennato a questo tatto, è debito tar conoscere quale sia il significato attribuito dall’ erudito scrittore al simbolo da lui preso ad illustrare, asserendo egli, sulla autorità del Garrucci, che il monogramma ottagono rappresenta una stella che in senso simbolico indica la figura del Cristo, il quale disse: lo sono l’astro splendido del mattino (Apocalisse, XXII. 16). Ma certo chi facea scolpire i due monumenti non poteva proporsi-lo scopo di rappresentare il simbolo di Cristo, dal momento, come lo stesso autore ammette, che tale opera appartiene evidentemente all’epoca in cui il trionfo della croce era compiuto, e ninna cautela, ninna prudenza consigliava a dissimularlo 0 ad innestarlo ad altri segni (3). Dunque, se non v’ era più ragione a nascondere sotto di un velo il segno della croce, la quale si vede infatti riprodotta nella forma più bella del monumento istesso, conviene di necessità (1) Vedi nella Tavola II, il n. i rapresentante il marmo di Cogoleto, ed il n. 2, che dà il disegno del sarcofago in s. Apollinare di Ravenna. (2) Diocesi savonese è una cosa istessa colla diocesi di Vado, di cui è cenno al § III. (3) Durazzo, Di un antico marmo ecc., pag. 15. # conchiudere che il monogramma ottagono avesse ben altro significato, quello cioè attribuitogli dall’ Allegranza, che si riferiva al primo dei sacramenti del Cristianesimo col quale i discendenti di Adamo venivano rigenerati alla grazia. A render completa la rassomiglianza del simbolo ottagono di Cogoleto e di Ravenna col chrismon del duomo di Milano, occorrerebbe la presenza dell’A e dell’-z^ e del riccio dell’asta superiore centrale formante il P. Circa alle due lettere apocalittiche su citate, avvertiva l’Allegranza, che vennero unite al monogramma come protesta d’ortodossia contro l’arianesimo (i); ed in questa sentenza concorre l’illustre Carini con una preziosa aggiunta riferentesi al tempo, scrivendo egli, che mentre dalla metà quasi del secolo IV ai primi lustri del V, il monogramma semplice cede il passo a quello coll’ A e w, la forma per altro monogrammàtica, senza le note lettere, tornò a prender voga nel secolo V, massime fuori di Roma e nelle monete (2). Il nostro monogramma adunque appartenendo al VI secolo, non dovrebbe più recar seco le due lettere. Resterebbe a dire della mancanza del riccio formante il P dell’asta mediana superiore del monogramma. Ma a questo riguardo osserverò, che alcuni di questi monogrammi taluni aveano il riccio a sinistra invece che a destra (3), e tale altro invece di trovarsi nell’ asta perpendicolare, si trovava all’ asta diagonale destra (4), e venne così (1) Allegranza, Spiegazioni e riflessioni ecc., pag. 77. (2) Carini, Il Signum Christi; Roma, Tip. Vaticana, 1888, pag. 8 e 9. (j) De Rossi, lnscript. urbis Romae, tora. I, pag. 61. (4) Allegranza, Spiegazioni e riflessioni ecc., pag. 77. — 546 — alterandosi col tempo, che finì per esser rivolto in modo da imitare la latina R (i); né è improbabile che un tale segno usato tanto capricciosamente finisse per essere abbandonato. 11 monogramma ottagono adunque, accostato da due croci immisse, scoperto dal marchese Durazzo a Gogoleto, e pur riprodotto sopra alcuni monumenti in Ravenna, non si deve ritenere che come simbolo del battesimo costantemente in tale forma rappresentato nella Chiesa ambrosiana, e deve per conseguente essere a noi prova indubbia, che il rito di tal nome era seguito nelle chiese sottoposte al metropolitano milanese. Se dal giudizio dei dotti verrà posto il suggello a questa mia interpretazione, io mi reputerò largamente ricompensato delle fatiche usate, perché 1’ erudizione è tanto più profìcua, quanto più le sue indagini si accostano alle origini delle istituzioni religiose e politiche dei popoli ; e risulterà chiaro doversi riguardare tale antico marmo, quale gemma preziosa, la quale, trovato il cerchio che le si conveniva e posta nella sua vera luce, dee servire a provare vittoriosamente quanto timida ed incerta avea fin qui affermato la tradizione. (i) De Rossi, Bollettino d' archeologia cristiana; Roma, 1880, pag. 154. FRAMMENTI DI LAUDI SACRE IN DIALETTO LIGURE ANTICO PUBBLICATE DAL SOCIO PAOLO ACCAME ' I. dicembre dello scorso anno, cercando nel-archivio parrocchiale di Pietra Ligure, Ho scopo di raccogliere memorie relative ila storia del mio paese, e consultando diversi volumi (i), m’avvidi che erano coperti da vecchie pergamene. Chiesi il permesso al m. r. cav. Don Giovanni Bado, nostro ottimo prevosto e vicario, di staccarle, per poterle a tutt’ agio esaminare ; ed egli non solo accondiscese, ma volle farmene un presente, del quale gli rendo pubbliche grazie. Esaminate le pergamene, potei constatare che tre di esse contenevano frammenti di Laudi sacre, in dialetto ligure antico; un’altra serbava un (i) Matrimoniorum liber 4, ab anno 1609 ad 1624. — Defunctorum, ifSf. Mortuorum ab anno i6o<) 16 augusti ad 1604 21 novembris. Status animarum Petrae, anno i6;j. — Matrimoniorum, a. 1JS4. — 55° “ frammento delle istituzioni di Giustiniano (i); l’ultima, riguardava l’erezione canonica della confraternita del Sacramento nella chiesa parrocchiale di S. Pietro apostolo in Borgio, dipendente dal vicariato della Pietra. Le tre pergamene contenenti Laudi, sono state sventuratamente tagliate, appunto per adattarle all’ uso di copertina; ed una fu pure danneggiata in diverse parti dal fuoco (2). Il carattere, come si può vedere dal facsimile, è gotico; le rubriche, scritte in latino, sono in rosso, e così anche le iniziali. Nella parte rimasta all’esterno, la pergamena é scolorita pel lungo uso, e le lettere sono in qualche punto scomparse o indecifrabili; invece la parte interna, che aderiva ai volumi, é tuttavia ben conservata, ed i caratteri sono assai nitidi. Queste Laudi furono già pubblicate in parte, su la scorta di un codice della Civico-Beriana di Genova, dai chiari professori Crescini e Belletti nel Giornale Ligustico (3), ma con notevoli differenze di forma e di sostanza; ed appunto in considerazione di queste, l’illustre prof. Bei-grano, cui io aveva partecipato la scoperta, mi ha incoraggiato a ripubblicarle. In quanto al metodo della pubblicazione, dirò che io mi sono attenuto fedelmente alla lezione delle pergamene: ed ho conservati i versi di seguito, quali sono scritti, invece di scinderli come hanno preferito di tare i primi editori. Fra una strofa e l’altra, nelle pergamene stesse intercede un piccolo spazio; ed io l’ho pur conservato, come (1) Lib. II, tit. xii e xiii: Quibus non est permissum facere testamentum; De exheredatione liberorum. (2) Ved. il n. II: In festo sancti Iobannis Baptiste. (3) Anno X, 1883, pag. 321-50 e 477. - 55i - ho conservato il punto che sempre divide un verso dal-1’altro, a differenza del codice della Beriana, nel quale questa punteggiatura per lo più manca. In quanto all’epoca parmi non vi sia dubbio che tali Laudi debbano farsi risalire alla prima metà del secolo XIV, e fors’ anco alla seconda del XIII, poiché le membrane della parrocchiale di Pietra Ligure appartennero senza fallo ad un codice molto più antico del Beriano, il quale rimonta precisamente al secolo XIV (i). In quanto alla lingua, bisogna convenire che le Laudi sono scritte in dialetto della riviera ligure occidentale e, per meglio precisare, nel dialetto dei paesi più occidentali, cioè della diocesi di Albenga o di quella di Ventimiglia, come lo attestano anzitutto le molte parole e i molti modi di dire che sono colà tuttora in uso. Inoltre lo confermano varie considerazioni, che scaturiscono spontanee dall’ esame di alcuni versi. Nel frammento II, per la festa di S. Giovanni Battista, laddove l’anonimo autore dice (vv. 38 segg.): O martiro pim de ueritae. prega Christe omnipotente Che en la riuera e la citae. mete amor e bona paxe. Zenoa beni se de’ alegrare. chi a lo tesoro sì precioso Como e lo to corpo dignitoso, or debi per Zenoa pregare. vi é quasi un sentimento di invidia verso di Genova, posseditrice delle ceneri del Precursore. Però l’autore stesso ci svela esser egli nato in uno dei tanti paesi della riviera ligure, laddove dice nella Laude VI (vv. 5-6) : Ihesu Christe De ueraxe. per tuto lo mondo mandai paxe. En questa terra e en tutte le atre, paxe e consolaciom. (1) Giorn. Lig. cit., pag. 321 - 552 - Or l’epiteto di terra si conviene benissimo ai piccoli paesi della riviera, ma non a Genova, che il poeta invece , nella citata Laude di S. Giovanni, chiama per- antonomasia la citae. Le turbolenze e le guerre civili che dominano sì gran parte della storia genovese del secolo XIV, spiegano altresì questa preghiera suprema, che esce sincera, spontanea dall’animo del cantore; il quale, rattristato da tante discordie, domanda a Dio pace e consolazione per la sua patria, ed assorge poi ad invocarla per tutta l’umanità, non diversamente dal Petrarca, che in mezzo alle turbolenze del suo tempo andava appunto gridando : pace, pace. Sono anch’ io d’avviso coi precedenti editori, che queste Laudi dovevano essere cantate da qualche confraternita di disciplinanti dell’ epoca ; ed agli indizi che essi hanno recato in appoggio di questa tesi, io ne aggiungo alcuni altri che non mi sembrano privi d’importanza. Basta infatti leggere le Laudi, per vedere che sempre vi si parla in plurale, locché precisamente si adatta a versi che dovevano essere cantati simultaneamente da molte persone. Cito alcuni esempi: Zoane da De mandao.....or debi De per noi pregare (i). Abiamo in lui ferma speranza.... per noi debia auocare (2). A la maiesta diuina. seai nostra auocata (3). Nortt laxai uergem beata, perire en le peccae (4). Maria nostro conforto, de noi uaregordai. E lo doce figlor uostro. per noi peccaor pregai (5). (1) Frammento II, versi 3 e 6. (2) Id. versi 29 e 30. (3) Id. Ili, verso 2. (4) Id. verso 7. (5) Id. versi 39 e 40. - 5 53 — Che poi si cantassero queste Laudi, si può anche desumere da molti altri versi. Cito a caso: Bem se demo alegrare. en questa festa de Maria. E a so honor cantare, canti de melodia (i). Ogni laude poi si doveva cantare in un giorno appositamente destinato; e ben lo dimostra la XXV fra le pubblicate dagli egregi professori, la quale ha per titolo: Questo si è lo pianto de la Intemerata e glorioxa Maria, lo quar se dixe lo venardì santo (2). II. Abbiamo già detto che il codice della Beriana è meno antico di quello cui appartenevano i nostri frammenti; e questa circostanza ci pone in grado di dimostrare la verità di quanto il Crescini ed il Belletti aveano intuito. Dicono essi che « questo MS. é certamente una collettanea di opuscoli 0 indipendenti o già attinenti ad altro codice, messa insieme dallo.stesso unico copista in quest’altro volume, al quale appose esso copista e raccoglitore una numerazione generale, ch’é la più antica da noi indicata » (3). E difatti gravissime sono le mutazioni, le varianti che le nostre Laudi hanno subite per opera di questo ignoto copista: dal che parmi si possa anche dedurre come queste doveano essersi molto generalizzate nella Liguria e forse mandarsi pure da molti a memoria. Un’ultima differenza, d’ordine generale, fra.i due codici, si é questa : che nel nostro i titoli delle Laudi (1) Frammento IV, versi 31 e 32. (2) Giorn. Lig. cit., pag. 347. (3) Id-, Pag- 323- Atti Soc. Lio. St. Patri*. Voi. XIX. Serie II. 36 - 554 “ sono scritti sempre in latino, mentre che nel Beriano son quasi tutti in dialetto. Confrontiamo ora ciascuna laude dei Frammenti con la laude corrispondente del codice Beriano. Anzitutto si deve osservare che i nostri numeri II, IV, VIII e X, sono più che una traduzione, una imitazione, e si cercherebbero indarno nel detto codice; e che l’ultimo di essi è pur tradotto, o piuttosto imitato, da una poesia di Iacopone da Todi. Il nostro primo frammento corrisponde poi al XXV poc’ anzi citato della raccolta Crescini-Belletti, il III al IX, il V al XIV, il VI al X, il VII all’ XI ed il IX al XIII. Se non che nella Laude XXV mancano i no- m stri primi due versi ; né si capisce come il lamento della Vergine, la quale narra in essa Laude tutti gli avvenimenti della Passione del divino suo Figlio, possa soltanto cominciare col verso 21, corrispondente al verso 5 del nostro frammento. Manca evidentemente il racconto dei fatti anteriori, cioè l’incontro ed il bacio di Giuda, che erano invece cantati nel testo membranaceo, sebbene oggi in parte si desiderino pure in esso, per causa della subita mutilazione. Frammento I. Altre varianti fra questo e la Laude XXV sono le seguenti : Verso 5. ìaxaua — Nel Cod. Beriano ìasava. Meglio assai laxaua, rispetto al modo con cui si pronuncia in genovese la parola lasciare. Verso 6. traia. — Cod. Beriano traira. Meglio troia, in causa della rima con bairia. Verso 9. gratti. — Nel Beriano gran. Nel nostro sempre gratti; così tur getti e non uergen, pim e non piti, salvo alcune eccezioni. ~ 555 - Verso io. Io me doce amor. — Nel Beriano, con rrfeno affetto, semplicemente: lo me amor. Verso il. alo me peito. — Nel Beriano in lo me peito. È migliore la nostra lezione. Verso 12. a li %uei. — Nel Beriano: ali farexei, i quali a questo luogo non hanno che vedere. Versi 13-20. — Mancano queste due strofe nel Beriano. Versi 25-32. — Mancano pure ivi queste altre due strofe. Verso 34. colona. — Nel Beriano: curona. Meglio assai colona, come lo stesso cod. ha pure nella Lode xxiv, verso 18. Versi 41-44. — Nel Beriano non è questa strofa. Frammento III. Nel Beriano questa Laude (IX) ha per titolo : De la Salutacion de la glorioxa vergen Maria, ed è un errore evidente del copista, non essendo dubbio che la Laude riguardi la festa dell’Assunzionedi Nostra Donna. Or chi porea pensare, quanto uoi ualegrasti O pietosa maire, chi en cel ancoi montasti. dicono i versi 23 e 24, i quali, salva qualche variante, si riscontrano eziandio nello stesso codice Beriano. Verso 11. nenia. — Nel Beriano: vegnivan. Meglio: nenia, per la rima. Verso 17. alitela. — Nel Beriano altera. Ma nel dialetto si dice auto ed anta, non alto ecc. Verso 34. pregamo. — Nel Beriano:pregnno; quindi manca la rima. Verso 36. gaia. — Nel Beriano: già. Meglio assai guia. Frammento V. Anche questa Laude, nel codice Beriano (XIV) ha cambiato il titolo, scrivendo esso: De beata virgine et de Iexu Cristo cum tati li santi. Verso 5. agrafia. — Anche così nel Beriano. Però gli editori stampano : à grada, e fanno soggetto ogni peccaor; di che il senso - ss6 - sarebbe questo : che ogni peccatore, il quale torna a Dio, ottiene grazia. Invece il senso dell’altra lezione sarebbe: Maria grazia (fa salvo) ogni peccatore, che a lei ritorna; e se ne avrebbe il verbo agrafia, tuttora usato nel dialetto genovese, e che significa per l’appunto graziare. Verso 14. seguir. — Nel Beriano servir; errore evidente. Tutti i versi successivi di questa Laude mancano nel codice Beriano. Frammento vi. Anche per questa Laude é differenza nel titolo. Il cod. Beriano (X) scrive più genericamente : Laude della beata vergine Maria. Verso 1. maire sei de lipeccaor. — Più affettuoso che nel Beriano: maire sei de lo salvaor. Verso 6. atre. — Nel Beriano: altre; ma in genovese propriamente si dice àtre. Frammento VII. (Ber. XI). I titoli sono identici. Verso 7. — Nel Beriano mancano meser e boni pastor. Verso 11. sani Nitolao. — Nel Beriano: san Nicheroxo. Versi 17-18. — Mancano nel Beriano. Frammento IX. (Ber. XIII). Concordano i titoli. Verso 7. prichaor. — Nel Beriano: predicaor. Verso 23. aviamo. — Nel Beriano: abiama. Dubitano i proff. Cre-scini e Belletti se si debba correggere in abianio o abiam’a; ma il dubbio svanisce, adottando la nostra lezione, per la quale si viene a dire: Noi, messer san Francesco, avremo salute. Queste sono le differenze che ci parvero più notevoli fra il codice Beriano ed i Frammenti; le altre le rileveranno da sé gli studiosi. Pietra Ligure, agosto 1889. I. Abra^ando lo Segnor. per la bocha lo baxaua 4 Lo me figlor lo spiaua. a che ei tu uegnuo amigo me. Questo chi a lo mondo en bairia (i). ligar si se laxaua Iuda chi lo traia. amigo lapellaua Li discipuli chelo (2) amaua. elo li uiua (3) si spauentai. 8 Or disse a queli seo me pigiai (4). laxae andar questi frai mei. m O Iuda traitor. tu ai faito gram peccao De Christe lo me doce amor, tu ai faito gram mercao E me lauea norigao (5). a lo me peito lo laitao (6) 12 E tu per trenta dinai. lai uenduo a li zuei (7). (1) Che ha il mondo in balia, in potere. (2) Chelo, cioè che esso. In vari paesi della riviera di ponente, elo, elio, vuol dire tuttora egli, esso. (3) Viua, vedeva, tuttora usato. (4) Solo me prendete. (5) Norigao, nutrito, tuttora usato in qualche paese di montagna. (6) Laitao, allattato, tuttora usato. (7) Qui ricorrono e si fondono i pensieri delle strofe u e 25 nell’ode xui, libro in di Jacopone da Todi (ved. l’edizione veneta del 1617, colle note del Tresatti) • 11. O Iuda (dicea), gran male facesti, Che ’l mio figliuolo si mi togliesti; Senza ragione lo ini tradesti, E trenta denari lo mi vendesti. • 2>. Diceati: Figlio, io ti lattai, ecc. O Iuda tristo, discipulo maluaxo Tu ai traio lo to maistro (i), cum segno de paxe Quela gente maluaxa. piglauam lo doce agnereto. 16 Elo romasse soreto. tuti fuzi.....(2). O doce creator, como tu ei desprexao En le mani de li peccaor. tu ei preso e menao Per li cauegli strasinao. e le toe mani ligae. 20 O angeli de pietae. como ua lo uostro Dé. Cum gram remor lam preso, como un ladro ligao. A casa dana (3) monto (4) streito. eli si lam menao. E da um seruo gli fo dao. una si gram mascà 24 Che de sangue fo arasa (5). la bocha a lo figlor me. Così ferio lo rei de cel. humelmenti preise a dir No te ofiesi mai frai me. perche me uentu a fierir (6). 28.................•. (7). • • Poi a Chaifas lo menam. cura le inara ligae deró. E fazamenti acusauam. lo docissimo figlor me O uoi acegai zuei (8). chi e questo che uoi acusai 32 Eie (9) quelo chi ua creai, segnor de la terra e de lo cel. (1) Maistro, per maestro, ancora in uso. (2) Rimase soletto; tutti fuggiti (siete da lui). (3) A casa di Anna. (4) Molto. (5) Che di sangue fu arrossita. (6) Perchè mi vieni tu a colpire? (7) Mancano due versi, perchè in questo punto la pergamena fu tagliata. (8) Accecati Giudei. (9) Egli è. - 559 — Lo me figlor beneito. tuto nuo despoglauam A una colona monto streito. eli si lo ligauam E tanto flagellauam. le soe carne sancte 36 Che lo so doce sangue, gle correa firn ali pei. Tuta la noite am tormentao. lo so beneito corpo. E lo me figlor amao. parea corno morto. No glera chi daise conforto, a lo rei de paraiso. 40 Ma spuauam per lo uiso. a lo doce figlor me. Quele gente lo scargniuam (1). e li ogi embindauam. Per la faza lo feriam, e la barba gle strepauam Su la testa si gli dauam. e de cane e de bastom 44 Poi criauam per derisiom. or adiuina chi te fer. Oi me lasa dolenta. perche no glere presente A portar tuta la pena, de lo me figlor innocente. Quela maruaxa gente, none aueam pietae. 48 Si grande maxelae. daxeam a lo figlor me. E lendemam alo iorno. e lasa tapinela. Per Ierusalem entorno. andaua la pouerela Figlor me persona bella, unde te done (2) trouare. 52 Tu non festi uncha mar. unde eitu doce amor me. .................(3)- (1) Schernivano : tuttora usato in qualche paese della riviera di ponente. (2) Nel Cod. Beriano don. Ma deve essere un errore, e vuole correggersi dona, cioè: ove ti dovea trovare. (3) Manca la continuazione. De festo Sancti Iohannis Ba[ptiste] (i). Zoane da Dò mandao. Christe per noi [pregai] 2 Chi fosti sanctificao. en lo uentre de [to maire]. # Zoane da Dè mandao. o propheta glo[rioso] Chi fosti sanctificao. en lo uentre ancor ascoso. Baptista sancto e uirtuoso. da tuto lo mondo honor[ao] 6 Entre li sancti exaltao. or debi De per noi pregar[e]. Tu fosti annuntiao. da l’aligero (2) chi da D6 uenia Gabriel chi fo mandao. a la doce uergem Maria. E disse Zacharia. auerai figlo no temi en toa uegeza. 10 De che sera grande alegreza. Zoane lo debi ihamare. Zacharia sapensaua (3). che lera for de [natu]ra. Ma> Elisabet figlor portaua. che lera st[eril]e de natura. Monto gle parse cosa dura, che mai enzenerase 14 Che Elisabet figlor portasse, si encomenza a dubitare: (1) Molti versi sono incompleti, perchè la pergamena in questa parte è logora dal fuoco. E cosi non si leggono che a metà cinque altri versi i quali precedono, in capo alla pergamena stessa, e formavano il compimento di una laude oggi perduta : E li discipuli tuti a....... Pensai o scrui lo........ Sam Pero era pescaor....... Ancoi auc tanta......... Lo no temea pu........ (2) Si pensava; pensava fra sè. (3) La r per l è tuttora usata in dialetto. Anche in italiano anticamente era usata: p. es. cinghiare, fiorino ecc. — )6i — « Zacharia chi dubitaua. de zo (i) che l’angero gle disse. Deuegne muto e no parlaua. si corno al ato Dé piaxea (2). Fin che Zoane nascerà, chi e mandao da lo Segnore. 18 [E lo] sancto so maiore (3). bem e degno da honore. 22...............ihamare. ...........la pena e si scrisse. ...........angero me lo disse. •...........ente se compia. 26.........[Segnjor preise a laudare. .....marauegloso. exempio de perfectione. ... [uentrje de soa maire ascoso, cognosce lo saluaore. . . . per lo so amore, e abiamo in lui ferma speranza 30 [Che la soa] gram possanza, per noi debia auocare. O Baptista pim damore. tu siei lucerna ardente. De Christe fosti precursore, en uirtue tanto excellente. Yhesu Christe omnipossente. en lo Iordam tu batezasti. 34 Lo doce agnelo tu monstrasti, chi era uegnuo per noi saluare. E alo deserto fantineto (4). tu entrasti a far penitentia. De scpte agni tenereto. uiueiui in tanta astinencia Quanta e l[a tu]a magnificentia, tu fosti sancto anti che (5) nao 38 Pu che pr[ophejta tu ei stao. Christe bem te uose laudare. (1) Di ciò. (2) Siccome all’alto Dio piaceva. (3) Non surrexit maior Ioamic Baptista. Vangelo di S. Matteo, cap. xi, verso xi. (4) Ancora fanciullo, tuttora usato ; e così dìcesi anche fante per garzone e servo. (5) Avanti che, prima che nato. — 562 — O martiro pim de ueritae. prega Christe omnipotente Che en la riuera e la citae, mete amor e bona paxe. Zenoa bem se de’ alegrare. chi a lo tesoro si precioso 42 Como e lo to corpo dignitoso, or debi per Zenoa pregare. III. De festo Assumptionis Beate Marie Virginis. Salue regina soure li angeri exaltata 2 A la maiesta diuina. seai nostra auocata. ...............(«> 6 Dauanti lo creator, seai nostra auocata. Seai nostra auocata. a la diuina maiestae. None laxai uergem beata, perire en le peccae. O fontana de gratia, maire de pietae 10 Per la uostra humilitae. da Christe tanto honorata. Christe cum tuti li sancti, madona a uoi uenia. E li angeri e li archangeli. en soa compagnia. Tuti cantauam canti, cum si doce melodia 14 Per uoi doce Maria, chi sei tanto exaltata. (i) Mancano i versi in causa dei solito taglio della pergamena. - 563 - Soure li angeli ue exaltaua. Christe pim.de doceza. E uoi madona ornaua. de sourana beleza En carega uasetaua (i). reina de tanta auteza 18 O cum quanta alegreza. uoi fosti encoronata. Coronata ne fosti en celo, da Christe lo nostro amore Doce maire de Deo. uoi auesti tanto honore La luna soto li pei. uestia sei de lo sole. 22 Corona de gram splendore, en testa a uoi fu daita. Or chi porea pensare, quanto uoi ualegrasti O pietosa maire (2). chi en cel ancoi montasti. Voi zesti (3) a regnar cum Christe, che uoi portasti 26 Lo figlor uostro abrazasti. chi tanto uauea amata. • • Li angeli salegrauam. per uoi doce Maria. 30................. ..............(4) Oi doce aitoriarixe (5) de bom cor ue pregamo. Seai nostra defenderixe. che noi no perisamo. 34 Noi peccaci tornamo. a uoi (6) nostra auocata. (1) Vi assideva. (2) Paire, maire, usitatissimo tuttora per madre e padre. Cosi frai o Jraire, per fratello. (3) Giste, andaste. (4) La pergamena in questo punto fu, al solito, tagliata per adattarla al Tusa di copertina. (5) Aiutatrice. (6) Ci rivolgiamo a voi. 4 * — 564 -A chi demo tornare, se no a uoi Maria. [Voi] sei la nostra maire, e la nostra guia. Or chi no de’ sperare, en la uostra cortexia. 38 Ognomo troua aia (1). en la uergem laudata. Maria nostro conforto, de noi uaregordai (2). E lo doce figlor uostro. per noi peccaor pregai. Doce maire condune (3) a lo porto, donde doce 42 Per uoi seamo saluai. doce nostra auocata. IV. De Nativitate Beate Marie Virginis. Laudemo lo creatore, ancoi nasce Maria. 2 Chi na mostra la uia. de andar alo Segnore. Laudemo lo creatore, chi na dao si bona aia. Ca mandao (4) si gram splendore, a la nostra tenebria. Ancoi nasce Maria, de ogni uirtue perfecta. 6 Per maire Dé la electa (5). laudemo lo creatore. Ancoi nasce Maria, da Dé santificata. De li angeli eie (6) reina. da li patriarchi amata. Dali propheta desirata, deli apostoli eie porto. 10 Ali martiri da comforto. laudemo lo creatore. (1) Aita. (2) Ricordatevi di noi. (3) Conduceteci. (4) Che ha mandato. (5) Per madre Dio 1’ ha eletta (6) Essa è. Maria esemo [descazai. - 5°5 - Maria ali comfessori. da exempio de humilitae. 14................. • ••...............(0- Sancta humel e compia (2). soure ogni creatura. Eie maire uergem pura, mai no gle fo semeglente (3). 18 La porta Dè en lo so uentre. laudemo lo creatore. Peccaor che eri morto, per lo peccao che Adam comisse. Ancoi nasce lo to comforto. Maria toa defenderixe. Maria de lo cel emperarixe. Maria de li peccaor speranza. 22 Maria de li iusti perseueranza. laudemo lo creatore. ♦ Per Eua forno maleiti. e de celo descazai. Per Maria semo beneiti. e in paxe retornai. Noi semo tuti saluai. per lo fructo de Maria. 26 La sea sempre en nostra aia. laudema lo creatore. Chi porea dir ni pensare, la doceza de Maria. Chi a lei se uor tornare (4). sempre troua en lei aia. De ogni gracia eie fioria. e maire de misericordia. 30 A noi dea paxe e concordia, laudemo lo creatore. Bem se demo alegrare. en questa festa de Maria. E a so honor cantare, canti de melodia. Per la soa cortexia. ne scampe de ogni pene. 32 E in cel tuti ne mene, a laudar lo creatore. (1) Pergamena tagliata. (2) Compia, compita, dicesi di persona ornata di tutte le doti, perfetta. (3) Mai non vi fu-somigliante. (4) Rivolgere. In festo Omnium Sanctorum. Laudato sea Christe, e la uergem Maria 2 E tuti li soi sancti, quela doce compagnia. .......... Chi e nostra auocata. dauanti de Dé paire. Ogni peccaor agratia. chi a lei se uor tornare. 6 Or gle piaxa de pregare, per questa compagnia. Laudemo li sancti angeli, chi seruem lo Segnore. E li beati archangeli. li spiriti pin damore. E li cantam si doce canti, laudando lo Segnore. io Or preghem per noi peccaere (2). e seam en nostra aia. Laudemo humelmenti. li patriarchi gloriosi. Chi a Dé fon (3) obedienti. cum grani fe e pietosi. Or preghem per noi docementi. queli paire uirtuosi. 14 Che li nostri cor seam disposi, a seguir la drita uia. Laudemo cum reuerentia. li propheti da Dé mandai Chi aue gram sapientia, da Spirito sancto illuminai. Da la forte sententia, per lor semo saluai. 18 E en cel acompagnai. ala lor compagnia. Laudemo tuti li apostoli, discipoli de lo Segnor Queli sancti gloriosi, illuminai de lo so amor. Or preghem lo creatore, e la soa gram possanza 22 Chelo dea perseueranza. a questa compagnia.' 4i (1) Lacuila prodotta dal solito taglio della pergamena. (2) Sic : peccatori. (3) Furono. - 5^7 — Laudemo a sancti martiri, chi fon passionai. E in li soi grandi tormenti, da .... martoriai. Lo Segnor pregai per noi. miseri peccaor ...............(0 30 Che per lo so doce amore, ne salue tuta uia. Laudemo li sancti hermiti. chi fem grande astinencia E cum sancti zazuni. e aspera penitencia. Or preghem docementi. lo rei de gram ualenza 34 Che a lo di de la sententia, lo sea en nostra aia. • Laudemo le sancte uergem. chi fom spose de lo Segnore E le uidue ensemelmenti. honeste e pine de amore. Lo so maistro preghem. per noi peccaore. 38 Che elo ne perdone. e ne meata (2) in sancta uia. Laudemo tuti li sanc'ti. e le sancte quanti sum. Chi portam pena e tormenti, cum grande affliction. Or preghem humelmenti. Christe pim de misericordia. 42 Chi ne dea paxe e comcordia. e ne meta en soa compagnia. VI. De Sancta Maria Virgine. Madona sancta Maria, maire sei de li peccaor. 2 Fai pregherà a Yesu Christe, che labia marce (3) de noi. 0 reina preciosa. maire de Dé gratiosa. 4 La nostra mente fai disposa, a demandar a Dé perdom. (1) In questo punto pure la pergamena è tagliata. (2) Ci guidi. (3) Mercè. - j68 — lhesu Christe Dò ueraxe. per tuto lo mondo mandai paxe En questa terra e en tute le atre, paxe e consolaciom. Ihesu Christe paire nostro, su la croxe fosti posto Tu gle fosti uiuo e morto, per saluar li peccaor. M................. .................CO- VII. De Sancta Maria Virgine. O uergem gloriosa, sempre seai laudata 2 Dauanti a Yesu Christe, seai nostra auocata. O meser sani Michel, archangelo uoi sei bom. 4 Pregai lo doce Christe, chelo ne faza perdoni. O meser sam Zoane. baptista de lo Segnore. 6 Pregai lo doce Christe, chelo ne faza perdom. O meser sam Pero, beneito apostolo e bom pastor. 8 Pregai lo doce Christe, chelo ne faza perdom. O meser sam Laurenzo. martiro pini damore. io Pregai lo doce Christe, per tuti li peccaor. O meser sam Nicolao, beneito accoriror. 12 Pregai lo doce Christe, che laccora li peccaor. O doce sam Francesco, beneito comfessor. 14 Pregai lo doce Christe, chelo ne faza perdom. (1) Manca la continuazione, a causa del solito taglio. *. • — 569 — O doce Magdalena. deuota de lo Segnore. 16 Lo uostro boni maistro. pregai per li peccaor. O sancti deuoti. amixi de lo Segnore. r8 Pregai lo doce Christe, per noi miseri peccaor (i). Vili. Frammento acefalo. La laude celebra manifestamente Maria Maddalena; poiché vi si parla di una santcl, la quale le sue gram peccae pianse sì forte cum pianto de humilitae. ali pei deio Segnore. Or queste parole non si possono riferire che a lei; e così pure a lei si hanno da riferire i versi 13-14. Narra infatti la leggenda, che S. Maria Maddalena, messa in una nave coi santi Labaro e Mas-sintino, per farli sommergere, giunse, dopo terribile tempesta, a Marsiglia, dove trasse vita eremitica nella solitudine, entro una grotta, posta nelle vicinante di quella città, nella quale ebbe una viva lotta col diavolo. 4 O spirito biao. pregai per li peccaoi. Quando Christe trouasti. tosto lo cognoscesti. E lo mondo abandonasti. e derer tosto gle zeisti (2). Grande uergogna uoi auesti. deli uostri peccai 8 Cum pianto de humilitae. ali pei de lo Segnor. (1) Segue una riga di scritto, coll’intitolazione di una nuova Lode, così: De uirgine Maria dedicatio ad eam prò omnibus. Ma della Lode non rimane più che 1’ 0, iniziale del primo verso. Forse corrisponde all’XI del Cod. Beriano: 0 stella matutina, ecc. (2) E dietro tosto gli andaste. Atti Soc. Liq, St. Patri*. Voi. XIX, Serie 11. 37 — 57° — Le uostre grani peccae. uoi pianzesti sì forte Christe naue pietae. e si ue scampa da morte Elo ua auerto (i) le porte, de quela gloria bia (2). 12 Voi si sei faita lucente, dauantt a lo Segnore. E lo cel ue fo auerto. per la uostra paciencia Che uoi auesti en lo deserto, per far gram penitencia Voi aueui la dispensa, dali angeri biai. 16 Chi sempre uam accompagnai, cuni canti de sì grani splendore. IX. De festo Sancti Francisci. O sam Francesco glorioso, paire de li frai menor 2 Piegai Christe glorioso, per tuti li peccaor. 0 sam Francesco doce paire. Christe tu debi pregare. 4 Chelo debia perdonare, a tuti li peccaore. Or prega Christe tuta uia. e la doce uergem Maria 6 Chi salue questa compagnia, en lo so beneito amore. 01 prichaor (3) de la ueritae. exempio de humilitae 8 Tu desirasti pouertae. per seruir lo to Segnor. Tu ai seruio perfectamenti. lo doce Christe humelmcnti 10 La soa morte e li tormenti, pianzeui sempre cum dolor. 12 (0 Vi ha aperto. (2) Beata. ^3) Predicatore. - S71 — • • ;................(0 14 Tu eri aceso e enfiamao. a morir per so amor Quante lachrime ti zitaui. quando la croxe comtemplaui. 16 Lo boni Yesu tu auardaui (2). morto cum tanto desonor. Or sum cambiai li toi pianti, en alegreza e doce canti rS Tu regni in cel cum li atri sancti, laudando sempre lo Segnore. Or talegra sancto paire. che tu porti en la toa carne 20 Li segni de le doce piaghe, de Yesu Christe saluaore. Per ti cor de gram reuerencia. ognomo uegna a penitencia 22 Li uceli e le bestie fan obediencia. a ti seruo deio Segnor. Per Francesco li ogi (3) sum illuminai, li frai infermi sum sanai 24 E pusor morti resuscitai, e noi per Francesco auiamo saluatiom. X. Disputatio inter Mortuum et Vivum (4). Quando tu talegri, homo daiatura. Bem poni mento, ala sepultura E li ne meti lo to. comtemplare E li pensa bem quelo. che tu dei tornare In quela forma che. tu me uei stare. 6 Homo chi iaxo. ini questa fossa scura (5). (1) Altro taglio della pergamena. (2) Guardavi. (3) Gli occhi. (4) Ved. libro iv, canto x di Jacopone da Todi: Quando f aiegri, 0 huomo di altura, ecc., nell’ ediz. cit. (5) Forse : Homo chi iaxo ecc. Jacopone dice così : In quella forma, che tu vedi stare L* huomo, che giace ne la fossa scura. Ma il resto non è che una imitazione compendiosa dello stesso e d’altri canti. E fui un homo de questo mondo passato. Quando era a Io mondo, tegnia sì gram stato. Aora me trouo in linferno ligato, io Lanima mea dì e nocte sta in arsura (i). E----mea mente, la morte Quando la me uegne. la trouai si forte 14............... (1) Dice invece frale Giacomino da Verona, Di Babilonia infirmi!: E ntro quel fogo c’ ardo Sempre mai gorno e noito. Ved. Monumenti antichi di dialetti italiani; Vienna, 1864. (2) Manca il seguito. quasi finita la stampa delle presenti Laudi, allorché nel num. 8 del m etimo deir Istituto Storico Italiano vennero in luce le Ricerche Abbruci del • incenzo De Bartholomaeis. Veggano, ad ogni modo, gli studiosi i raf-•['n1' Rle P°SS0n0 occorrere fra le nostre rime ed un antico poemetto sacro, che Bartholomaeis ha riferito (pag. 126 segg.) da un codice Corsiniano, osservando che anche in esso è il verso doppio rimato, come nei nostri componimenti, e \eggano altresì di riscontrare il Pianto della Vergine davanti alla croce, desunto da un codice Capestranese (pag. 151 seg.). AI REGESTI DELLE LETTERE PONTIFICIE RIGUARDANTI LA LIGURIA TERZE GIUNTE E CORREZIONI DHL SOCIO CORNELIO DESIMONI ON parrà strano a chi ha esperienza di studi, che io, postomi, per occasione più che per proposito, ad ordinare le lettere liguri-pontificie, mi veda per la terza volta condotto a farvi giunte e correzioni (i); ma, oltre alle mie proprie letture, i suggerimenti dei dotti e de’ miei cortesi amici non vogliono essere taciuti. Più telici coloro che venendo dopo e continuando,. come spero, la serie dei regesti al di là dei limiti che io mi sono imposto, troveranno rotto il ghiaccio e superati i primi e non lievi scogli. Oltre all’ illustre Dott. Lòwenfeld, di cui ho più volte parlato, son tenuto di particolare ringraziamento al bravo nostro giovane signor Arturo Ferretto, il quale, con amore ♦ '• (i) Ved. nel presente volume, pp. 5-146 e 468-485. ■4' — 576 - ed intelletto lodevolissimi, avendo già raccolto per la nostra Società otto centinaia di lettere pontificie inedite del XIII secolo e segnatamente d’Innocenzo IV, volle cortesemente comunicarmi ciò che ivi trovò appartenere al tempo di cui mi occupo. Per tale guisa il numero de’ miei Regesti, che colle Nuove Giunte era cresciuto di sedici oltre i 301, viene ora aumentato di otto e somma in tutto a trecento ven-■ ticinque; senonchè sottraendovi i tre che, a giudizio del Dott. Lòwenfeld, vanno assegnati ad età fuori del mio compito, risultano al netto di trecento ventidue. T i CLEMENTI: III antipapa (Giberto). 60. a. — 1092, giugno 13, apud Cesenam. — Ai Canonici di Reggio. Conferma le possessioni, i diritti ecc., e fra esse Cortem quae dicitar Nova in Terdonensibus (Novi Ligure) — Oportet nos. Muratori,- Antiquii. Ital. II, 185 — Bottazzi, Ruderi di Liburna. Novi, 1815, p. 119. — Migne Voi. CXLVIII, p. 839 — J. 4008 — J. L. $353. INNOCENZO II. * « 86. a. — 1132, luglio 14, Cremona, anno 3.0 — All’ Abate di san Savino di Piacenza. Conferma le possessioni ecc., fra le quali nella valle di Sestri (levante) il monastero di santa Vittoria colle tre cappelle annesse — Desiderium quod. Cortese indicazione, come la seguente al n.° 188. a, del sig. Ferretto ; dal Campi, Storia Ecclesiastica H Piacenza, I, 402 — Poggiali, Storia di Piacenza, IV, 119 — Pfl.-H. Acta, II, 269, n. 309 — J. L. 7582. % ANASTASIO IV. 122. b. — 1153. — Al Monastero di Vallombrosa. Conferma le possessioni, ivi compreso il monastero di san Bartolomeo del Fossato presso Genova. Montaldo, Sacra Ligustici Coeli sidera, Genova, Casaraara, 1732, p. 133. Vedi sopra, il n.° 178 dei Regesti. 11 Papa Innocenzo IV, anno X del Pontificato, conferma al monastero di Vallombrosa gli stessi diritti, comprendendovi i monasteri di san Bartolomeo del Fossato e di san Giacomo di Latronorio (presso Va-razzef) ad instar Alexandri, Adriani et Pascalis praedecessorum — Poch. III, p, 73 — Schiaffino, alPanno 1188. • ALESSANDRO III. i88.a. — 1173, marzo 28, Anagni. — Al Monastero di san Savino di Piacenza. Conferma fra le altre possessioni e dipendenze, in Marchia Ianuensi in valle Segestina, il monastero di santa Vittoria colle tre cappelle, ad instar praedecessorum Innocentii, Ludi et Eugenii — Officii nostri. Campi, op. cit. 11, 361 — Ughelli, li, 218 — Migne, CC. p. 90$ — J. 8208 — J. L. 12215. Vedi qui sopra, al n. 86. a. — 578 — 188. b. — 1175, aprile 28. — A Tommaso Spinola, signore dei castelli di Montesoro, della Rocca (forte), di Cattedra (Carega), di san Cristoforo e di Mongiardino. Conferma il gius patronato, di cui egli gode, sulla chiesa di san Giambattista di Carenzia (Caranza, ora pieve di Mongiardino ; vedi Belgratio, 11 Registro Arcivescovile ecc., in Atti delia Società Ligure, voi. II, par. 2.‘, pp. 472i 682). Deza, Istoria della famiglia Spinola, Piacenza, 1694, p. 6$, senza che accenni a fonti.—Veramente si sa che già da quei tempi gli Spinola, del ramo di Luccoli, erano signori più o meno perfettamente nel-1’Oltregiogo e nelle terre predette. Inoltre vìveva verso il 1184 un Tommtiso Spinola di Oberto dello stesso ramo (Battilana, Genealogia della famiglia Spinola, p. 72). 214. a. — 1159-1181— Alla Badessa del monastero di san Tommaso di Genova. Conferma, fra altre dipendenze, nel Vescovato d’Aleria (Corsica) ecclesiam s. Benedicti in Capite et s. Atanasii de Plano; ecclesiam s. Thonie Rapalìi, ecclesiam s. Juliani de Gavi, ecclesiam s. Naiarii de Pradasco , ecclesiam s. Jacobi de Pontedecimo, ecclesiam s. Martini et s. Egidii ; ecclesias de Pareto Aquensis diecesis. Da bolla di Gregorio IX, tertio idus februarii, pontificatus anno tertio, Perugia, ad exemplar Alexandri predecessoris. Indicatami dal sig. Ferretto, in atti di Giovanni Loggia ed altri notari, filza n. 2$6 . * (Archivio di Stato, sala 74). Per la chiesa di san Giuliano di Gavi, ignota fino a ieri, ho trovato nelle colonne di san Giorgio (1409, Cart. S.): Oraculum (oratorio)pro aptacione s. Juliani, sito nel castello di Francavilla (già dipendenza di Gavi), entro un gran paese che dalla attuale località di Rovereto si dovea stendere fino a Francavilla sulla strada di Alessandria. In quell* ampia distesa godevano proprietà o usufrutto, per concessione dei Marchesi di Gavi, i monasteri di Tilicto, della Badia di Ripalta di Tortona, e i Cavalieri Gerosolimitani. Francavilla e il vicino Bisio ed il non lontano san Cristoforo passarono agli Spinola di Luccoli. Ved. sopra, n.° 188. b. 214. b. — 1159-1181. — A Ugone arciprete della pieve di Sestri (Levante). Concede la quarta parte della decima di essa pieve. Da privilegio autentico presentato da un arciprete successore di Ugone a Papiniano Fiesco, vicario generale dell’arcivescovo B[ertrando] di Genova, e da esso vicario confermato il io novembre 13$ 1. Indicatami dal sig. Ferretto, dagli atti di Giberto di Carpena, in Archiv. Notarile, fol. J07. CELESTINO III. 299. a. — 1196, luglio 11. — All’abate ed ai monaci del monastero di san Vittore di Precipiano (succeduti ai Benedettini). — Li riceve in protezione e loro conferma la villa, il castello ed il monastero in esso luogo; la villa, il castello e la parrocchia di Rivodoloso (Rigoroso, già dipendente da Gavi, sito sulla Scrivia presso Arquata); la cappella di sant’Andrea di Rivodoloso, la decima e la cappella di s. Maria; le terre di Mauregasso (Morgassi presso Gavi); la cappella di s. Salvatore di Pratolongo (Gavi) colla parrocchia; san Martino del Cazzo, ecc. Bottazzi, Ruderi di Liburna, p. 88, da bolla che dice perdutasi al tempo della rivoluzione, ma di cui è sunto in un indice dell’ Archivio di Torino. CORREZIONI Nelle Nuove Giunte (pag. 468, n. 57), dicevo di non comprendere perchè il Dott. Lòwenfeld nel suo supplemento non avesse assegnato luogo al documento da me attribuito a Gregorio VII. Venni poi a sapere dal chiarissimo amico, conte prof. Carlo Cipolla, che quel signore ne avea parlato in altro suo articolo (Neues Archiv, XIII, 662), dove giudica che la lettera pontificia va assegnata a Gregorio IX ed al 25 febbraio 1228. Lo stesso Dottore, ivi annunciando i miei Regesti con benevolenza anzi che no, aggiunge doversene detrarre altre due simili lettere (n. 142 docum. IV, e n. 146 docum. VII). Il n. 146 afferma egli doversi attribuire ad Alessandro IV e non al III, e cosi alla data 18 agosto 1255, che concorda colla residenza del Papa in Anagni e coll’anno i.° del Pontificato. Il n. 142 deve essere trasportato a Gregorio X e al 18 novembre 1272. Lascio giudicare i più esperti di me in ordine ai documenti I. n. 57, e VII. n. 146, che ad ogni modo godo aver pubblicato, poiché li credo inediti, ignoti al Potthast, e da ripubblicare a loro posto nella serie; ma convengo pienamente coll’illustre autore sul documento VI n. 142, che, come egli avverte, è già citato dal Potthast n. 20,642, e trascritto per intero dal Dal Borgo (Diplomi Pisani, p. 249) : Licei non sine. Coliazionato col testo del Dal Borgo, il nostro frammento acefalo e anonimo concorda pienamente nel suo contenuto. Noterò per occasione altro simile errore, detto e ripetuto negli antichi nostri collettori di storia ligure (Roccatagliata, Memorie Genovesi, ms. in Archivio di Stato, II, 75 v.°, e Acinelli, Liguria Sacra, ms. nella Civico-Beriana, III, 186). Essi attribuiscono ad Alessandro III la lettera che aggrega alla Diocesi genovese i luoghi oltregiogo gii dipendenti da quella di Tortona, colla data di Napoli anno 1.«, e così al 1159. Ma in tutto il secolo XII la signoria di Genova era ancora troppo malferma in quelle regioni, che andava tuttavia sempre più invadendo. Le avvisaglie tra le due diocesi si rilevano dalla bolla d’Onorio II, 7 dicembre 1217 (Belgrano, Registro Arcivescovile, in Atii, II, par. 1., p. 472). D’altra parte il Libro dei Giuri ha già tolto la quistione, assegnando la lettera predetta ad Alessandro IV, Napoli, anno primo, 5 marzo 1255; ed il Potthast l’ha registrata sotto la stessa data, al n. 15,717. 1 RIASSUNTO DEI SUPPLEMENTI AGGIUNTI ALLA PRIMA SERIE DEI REGESTI (pag. 5-146) -V.tf. Il n. Il indica le Nuove Giunte (pag. 468-483) — Il n. Ili le presenti Ter^e Giunte. -12. a ; 649-653 II. N. 121. a; 1145-1153 II. 42. b ; 687-701 » » 122. a ; "53->'5S » » 7'S-73< » » 122. b ; *>S3 III. » d-, 741-7S* » » 135. a; "S4-i'5S 11. 46. a; 872-882 » » 186. a ; 1163-1171 » 47- a i 89I-896 » » 1S8. a ; 1175 III. 49. a; 999 » » 188. i; 117 5 n 60. a ; 1092 III. » 214. a; 1159-1181 11. 62. a ; »095 II. » 214. b; 1159-1181 111. 86. a; 1132 III. » 217. a ; 1182 11. 116. a ; "47 II. » 263. a ; 1187 » U7. a ; 1148 » ■ 299. a ; 1196 in. \ SUPPLEMENTI AGLI INDICI. INDICE DEI MANOSCRITTI. Acinelli. Liguria Sacra, alla Civico-Beriana. Archivio di Stato (Genova). Atti notarili di Simone Compagnono, Giovanni Loggia e Giberto di Carpena. Roccatagliata, Meni, genovesi, ibid. II. INDICE DEI LIBRI A STAMPA. Affò. Storia di Panna. Bàttilana. Genealogie delle famiglie nobili genovesi. Bottàzzi. Ruderi di Liburna; Novi, 181$. Campi. Storia Ecclesiastica di Piacenza. Deza, Istoria della Famiglia Spinola; Piacenza, 1694. Florez. Espatia Sagrada; Madrid, 1765. Guerard. Cartulaire de l’Abbaye de S.t Fictor de Marseille; Paris, 1857. Moxtaldo. Sacra Ligustici Coeli sicUra ; Genova, Casamara, 1732. Poggiali. Storia di Piacenza. Roncioni. Storie Pisane; in Arch. Stor. Ilal., serie I, voi. VI, par. 1. Tronci. Annali di Pisa; Pisa, 186S. in. INDICE DELLE PERSONE LUOGHI E COSE NOTABILI. Ardizzoke, prevosto a Luni, 263, a. Bobbio, 41 , a, b, c, A; 46, a; 47, a ; 49, a ; EMILIA. Piacenza, S. Savino, 86, a; 1S8 , a. Reggio, Canonici, 60, n FRANCIA. Lerino (Monastero di), 186, a. GENOVA. Marca, 18S a. Chiesa di San Vito ,62, a. Id. di San Giacomo in Poutedecimo, 214, a. Monast. di San Bartolomeo del Fossato, 122, b. Id. di San Tommaso, 214, a. Giordano, cardinale, 121, a; 291 (Nuove Giunte). Gotofredo, vescovo, di Luni, 16, a; 117, a; 13$, a. ISOLE, Corsica (Alerìa) , 214, a. LIGURIA, Riviera occidentale. Latronorio. San Giacomo, 122, a. Varale, 122, a. Ventimi glia. Cattedrale, 186, a, b ; 217, a. «— Chiesa di San Michele, 186, a. LIGURIA , Riviera orientale. Arcola, 122, a. Aulla, 116, a; 117, a. Luni i2i, a; 135, a; 263, a. Ptntremoli, 135, a. Rapallo, 214, a. Sestri di Levante, 86, a ; 188, a ; 214, />. LIGURIA antica oltre V Appennino* Arquata, 299, a. Bisioy 214, a. Caran^a, 1S8, Z\ Carega, 188, 5 Francavilla, 214, a. Gavi, 214, a; 299, <*. — San Giuliano, 214,«. fon giardino, 188, /*. Montesoro, 188, £>. Morgassi} zyy, a. Novi, 60, rt. Pratolongot 299, <1. Precipiano, 299, . Silvestro li, 49, a. Zaccaria, 41, PP- S°6esegg.; specie la Tavola delle Monete d’argento, nu. 32, 48, 51, 66. Ivi la lira delle Compere, detta di numerato o di Cartulario, dal 1602 fino alla fine del Banco, risponde a lire italiane 1.62. La lira corrente di Banco, dalia sua fondazione nel 1675 alla fine, vale L. 1.07; la lira fuori Banco o corrente ,in piazza dal 1792, vale L. 0.83; il tutto sulla base dell’unico e immutato scudo grande d’argento, che correva nelle tre epoche rispettive, cioè lire 4 '/2, lire 7,12, lire 9.16. Vi è anche verso il 1741 una moneta di permesso, cioè coll’ aggio per allora tollerato nel Banco al 15 %, e cosi colla lira a lire 0,95 ; indicazioni che prima di me non furono date da nessuno nè chiare, nè esatte. (2) Ordini intorno a monete e come si ballino a fare i pagamenti, in appendice al voi. Statutorum civilium Reip. lanuensis, edizioni genovesi del 1690, p. 303, e del 1702 e segg., lodatissimi quegli ordini dal Carli, Opere, VII, p. 254-61. — 599 — da dare dagli ufficiali pel buon governo si dessero in azioni di San Giorgio. Il grave debito pei disastri delle Colonie, avendo necessitato il ritardo a quattro anni degli interessi delle azioni colla approvazione del Papa, 1 Uffizio di San Giorgio pagava anticipatamente chi li volea collo sconto graduale e proporzionato alla mora. Fino dal 13 71 Francesco Vivaldi aveva fondato il moltiplico per estinguere il debito pubblico (i), cedendo i suoi novanta luoghi, i cui interessi, con religiosa cura destinati a comprare altre azioni non più messe in commercio, fecero salire nel 1467 il capitale ad 8,000 luoghi (800,000 lire). 11 buon esempio, ricompensato con una statua, valse a suscitare infiniti imitatori e le pie colonne lapidum; con che non solo furono alleggerite in vari tempi parecchie tasse, ma se ne giovò la previdenza privata a favore delle famiglie con sussidi perpetui per doti, per istudì, per conservare la vita dignitosa nelle generazioni; modello, ma molto più sicuro, delle odierne associazioni sulla vita e sugli infortuni. La Casa di San Giorgio aiutò sempre la Repubblica nei pericoli come nelle opere più grandiose del Porto e del Molo, delle mura, delle strade, degli istituti pii e degli edifizi a scopo religioso. Alla solidità del Banco concorse la sua indipendenza verso la Repubblica, giurata ogni volta dal nuovo Doge (2), e che si stendeva fino a poter punire del capo. Concorsero grandi privilegi fedelmente osservati e la ottenuta consolidazione perpetua ed irrevocabile del credito ed accessori diritti di finanza, il che fu ottenuto (1) Ved. gli atti della fondazione Vivaldi nel nostro documento II, posto in fine. (2) La forinola del giuramento prestato dalla Signoria genovese verso la Casa di San Giorgio è trascritta per esteso in Harrisse, op. uh. citata, p. 105. — 6o o — ici 1539. Ma \i concorse pur molto la buona tenuta della LHttura.X esempio ne era venuto dal Comune, che fin dai f ncipi del secolo XIV ordinava doversi tenere le ragioni l & 1 banchieri (i)5 vietate le lacune eie cancel-o.. C nC1 (2)> e prescritto che in principio dei re- posto f !CrÌVCSSe ^ numero delle carte di cui era com-■ , ’ c 1 nunieri già da allora si scrivevano sempre lih ‘U^ moc^» tLltte lettere e in cifre roman'e. Nei amministrazione del Comune, che abbiamo dal 34 > apparisce già il sistema della scrittura doppia (4) on ambino ma adulto, da dedursene che tale scrittura esse essere in uso fermo da pezza; senonché il malaugu- 0 incendio dei libri di finanza, avvenuto sulla piazza di orenzo nel 1339, ci privò dei registri precedenti (5). colo ed anz‘M^^a< Capituli approvate nel 1327, ma del principio di quel se-Ean r k 1! 3 CUnC eSSe certamente molto più antiche, colla formola personale: (antichi” h ^ S°n° ndl’Archivio di Sta“>* mss. membranacei nn. IV e XII np: 1/ 5 e 15 e 1 Archivio di San Giorgio). Questo testo di Regulae è ora stampato a "ol 10“ ‘Uonae Patriae> Leges Genuense?, Ili (non ancora pubblicato); e qui 1 . ’ n> r73. t il capitolo: De cartulariis faciendis ad modum banchi. Ved. anche m la coI. II4> n ^ de cartular'U^at c'tate> co*‘ n4>n. 190: Qaod scribe aliquid non abradant IvPnel C0^ ^ '' numero cartarum cartularii in principio scribendo. 1' • P e^eJente n. 97i è pure una buona prescrizione finanziaria, per istabire il 7 . C3SSa P^blica nel pagare in moneta di bassa lega: Quantum possint iTvp“Ml ^di daMro) (O S hi' eSem^' ^assar*a Communis lanuae 1340, nel nostro documento III. ene, a causa di questo incendio, manchino le serie dei registri di CC* anc^ie (luas' tutte quelle di quest’anno, vi si può in Cab't V *re C°n 3^tre f0nt'* ^°S1 C' rimanSono tuttora !e importanti Regulae . , ' S0Pra ^ notizia ; specialmente si trova nei nostri registri notarili solJUar d 3ttl COmmerciali e finanziari ; depositi in un Banco del Conpera d^T I3°°’ V£ndlta nd 1287 d‘ lu0ghi Scri,ti nel Cartulario della Com-sono \ I0°>000> ecc. Per questi atti e per le compere lungo il secolo XIII, a consu tare 1 sunti nel MS. che si conserva nella Biblioteca della Società — 6oi — Il eh. Prof. Besta, della R. Scuola superiore di commercio a Venezia, se ne assicurò cogli occhi propri nel nostro Archivio di Stato e si diede vinto, dichiarando non aver veduto né 1 Venezia né a Firenze, se non più tardi assai, esempi di simile tenuta di scrittura. Nè abbiamo soltanto il pregio materiale della duplicazione delle partite; ma ivi si uniscono gli altri vantaggi e cautele, che ne costituiscono il valore sostanziale. Così parecchie partite hanno il loro conto o colonna a sé come se fossero persone o enti morali : il conto di cassa, i conti separati dei due amministratori (massari), le varie mercanzie, gli attrezzi, la partita guadagni e perdite (i), devono o sono in credito, comprano e vendono, lasciano vedere a colpo d' occhio ciò che si ricava in bene o in male da ciascuno, e fanno indovinare i mezzi del crescere o del riparare; perfino gli errori che a volte trascorrono ne’ conti, non si cancellavano materialmente, ma anch’essi faceano colonna a sé, trasportati a debito o credito per ricondurre l’armonia del conto generale (2). Lascio 1’ annuo Uffizio della assegnazione delle entrate alle spese, che rappresenta l’odierno bilancio di previ- di Storia Patria e che (u compilato sugli originali colla consueta diligenza ed operosità dal nostro amico il Prof. Alessandro Wolf, ora a Udine. (1) Ved. nel nostro documento IV un esempio di ente morale nel conto particolare del pepe comprato e venduto dalla Massaria Communis lanuae Bel 1340. Ivi si riconosce che il conto finisce con un danno 0 perdita nel pepe di centanari 84 e libbre 12. Questo danno è trasportato nell’altro conto particolare dei profitti e delle perdite. Potrei citare molti altri esempi, come il conto dei fornimenti della galea di guardia nell’anno 1407; la Ratio lucri anni de 1707, la quale debet prò avariis anni presentis L. /4, ed è riportata per duplicazione nell’ Introitus presenti} Cartularii, ecc. (2) Errores debent ad damnum Banchi pro Capsia. — Errores ad utilitatem Banchi. — Errores debent pro Gubernatoribus Castrorum.... (nel Cartolario del Banco del 1445). Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XIX. Serie li. 39 — 602 — sione ; lascio 1’ annua rinnovazione di tutti i registri, inscrivendosi in fine dell’ uno e nel principio dell’ altro i debitori e creditori restanti, ossiano le singole partite riaccese e accollate nel registro seguente ai posti rispettivi ; lascio la trascrizione delle mutazioni di proprietà, obblighi ecc., ripetuta dal libro principale in registri separati d’ogni tassa e del loro complesso; lascio il libro generale annuo dell’ Uffizio di San Giorgio, i manuali delle deliberazioni ecc.: una mole per peso e per numero, che corre per venti sale odierne e spaventa la pazienza dell’ indagatore. Ma accennerò alla distinzione del Libro mastro dal Giornale, che troviamo già per lo meno nei principi del secolo XV (i), e noterò la facilità e semplicità dei giri di Banco, sia per sola parola data allo scrivano, sia per nota sul dorso del biglietto di Cartulario o di Banco; avendosi qui la scala per giungere ai cefo odierni, pagamenti cioè per assegni sul credito inscritto, specialmente per occasione di grandi e lunghe costruzioni (2). Così pure si apriva una scala alla odierna Clearing house (stanza di compensazione), col risparmiare giri di danaro mediante gli accordìi fra i banchieri che comunicavano colla Società di San Giorgio. 11 signor Harrisse, che parla di queste istituzioni e di altre che taccio per brevità, si piace accompagnarle con dotti ed eruditissimi raffronti storici sugli usi delle di-verse nazioni. Il Portofranco qui creato nel 1595 e (1) Ved. il nostro documento V, come esempio della corrispondenza fra il Manuale (Giornale) e il Cartolario (Libro Mastro). (2) I conti nell’ Archivio della Fabbrica della Basilica di S. M. di Cari-gnano contengono le notizie degli assegni, che i nobili Sauli facevano sul Banco di San Giorgio per pagare i costruttori e gli artisti impiegati in quel grandioso stabilimento e nelle -sue dipendenze. — 603 — generalizzato nel 1623, egli lo dice anteriore a quello stabilito in Francia da Colbert nel 1687, e al Portofranco in Inghilterra promosso da Walpole nel 1733, ma non effettuato che dopo 70 anni; negli Stati Uniti d’America non ha cominciato che dal 1846. Il fondo per 1’ estinzione del debito pubblico, che vedemmo introdotto fra noi dal Vivaldi nel 1371 , non trova imitatori fino al 1655, quando fu adottato in Olanda: la Francia lo deve soltanto al Conte Corvetto suo ministro di finanza nel 1815-18; ma il Corvetto era genovese e del Banco di San Giorgio era stato l'amministratore e lo storico (1). Secondo 1’ Autore, gli Stati Uniti d’America non ci pensarono fino al 1862 e al 1870. Sulle lettere di cambio 1’ Harrisse istituisce una seria e diligente discussione; ammette che fin dal principio del secolo XIII i documenti provino 1’ esistenza delle cambiali a Marsiglia (2); ma non si decide ancora di ammetterla per Genova, appuntando d’ errore il nostro eh. Comm. Canale sulla intefpretazione di un documento genovese del 1207. Avrebbe forse giovato alla sua investigazione il consultare fra i manoscritti della Nazionale parigina il n.° 17,809 de’ latini, e forse anche un seguente; ove molte carte rilegate a libro, non tutte ma parecchie certamente autentiche, sono contratti di imprestiti od anticipazioni di somme fra banchieri e crociati diretti alla Palestina fra il 1191 e il 1254. Riguardo alle operazioni bancarie 1’ autore consulta il iJn'jLrt'jqiLnr &}jb (.nu m rcuqjrù sub' il;. (1) Ved. la recensione del Prof. Belgrano sul libro del Barone De Nervo, Le Comtc Corvetto, etc.; in Ardì. Stor. Ital., serie III, voi. IX, p. 136 segg. (2) Blancard, Docuinents ùiidils sur le commerce de Marseille au moyen àge; Marseille, 1884; lavoro del mio amico edotto numismatico, che sgraziatamente non ho potuto leggere. — Harrisse, -op. cit., p. 109, nota 146. — 6c>4 — dettone dagli storici di Venezia e di Barcellona e non li trova chiari né poggiati su documenti; é d’avviso che siasi da loro confuso in una sola e antica età il prodotto di esperienze graduali lungo i secoli, e conchiude esservi tuttora da studiare con maggiore sforzo di critica. Né contento di ciò, egli sale a tempi antichissimi, vi cerca le pretese istituzioni simili nella Cina e nel- 1 India, nell’Assiria e nella Caldea, e distrugge le illusioni di chi s’ imagina averle colte sul fatto. Pare però a lui che si possa ammettere a Bassora 1’ uso dei ceks fin dal secolo XI. Per ultimo rammenta il noto fatto di Tobia (i), che prestò danaro in Ragles nella Media ricevendone il chirografo; dopo di che l'angelo, compagno del figlio di lui, presenta egli solo al debitore il chirografo e ne riceve pagamento. Il signor Harrisse, come protestante, non ammette fra i genuini il libro di Tobia, composto, come crede, sotto l’imperatore Domiziano, ma non nega che questo libro riferisce i fatti al VII secolo avanti Cristo, li paragona con espressioni simili scoperte su mattoni di Ninive in caratteri cuneiformi, e sostiene non trattarsi qui di cambiali ma di semplici ricevute, tutto al più di polizze provvisorie. Come chiusa della sua pubblicazione, l’Autore mette in bella mostra le virtù cittadine dei Rettori della Casa di San Giorgio e il rispetto senza limiti che per quelle virtù si impresse nel popolo verso la Istituzione. È cosa veramente meravigliosa, anzi esempio unico al mondo, di due imperi in una stessa città indipendenti fra di sé, pur sempre concordi, eppure di tale diversa natura, che mentre la Repubblica era così agitata dalle (i) Harrisse, op. cit., p. 112. — 6o; — fazioni politiche, così pièghevole a mutare ordini e signorie , cosi tempestosa, dal suo lato la Casa di San Giorgio formata de’ medesimi cittadini procedesse sempre quieta, ordinata e prudente attraverso le crisi terribili che minacciavano lo Stato. Cotale stranezza di casi fu posta in luce dallo storico Foglietta (i) e da altri, e colpi l’intelletto profondo del Machiavelli (2) ; il quale rimaneva dubbioso se col procedere degli anni la Casa di San Giorgio non avrebbe finito coll’ assorbire la Repubblica. 10 stesso, ha ora ventisei anni, avendo avuto l’onore di leggere nanti questa Società uno schizzo storico sull’Archivio della Banca, pronunziai parole che non mi sembra inutile ripetere oggi. Il Governo della Repubblica (dissi) giurava in principio del suo reggimento mantenere illesi i privilegi della Società di San Giorgio, e il popolo la riguardava come c'osa sacra, e sacristie intitolava le stanze ove custodivasi il denaro. Meraviglioso a pensarsi! L’onda delle rivoluzioni che infuriò sì frequente, e il foco che rompe così subitaneo nella indole genovese, si ammansava come per incanto ai piedi del Palazzo venerabile; 11 quale oggi ancora nella sua facciata del secolo XIII sembra sfidi la falce del tempo ed aspiri alla perpetuità (3). (1) Historiae Genuensium, Genova 1585, lib. IX, fol. 187 e 187 v.°— Harrisse, op. cit., p. 114, ne riproduce il testo. (2) Historie fiorentine, Firenze, Giunta, 1532', lib. Vili, f. 118. — Harrisse, p. 90 e p. 114, riferisce 1? parole, ed a p. 106 nota altri autori, l’annalista Giustiniani e Francesco Sansovino. Di questi giorni il eh. Tommasint, a nome della Società Storica romana, della quale è benemerito presidente, approvando la conservazione del Palazzo di San Giorgio, cita l’ammirazione verso questo Istituto professata dal Montesquieu e dall’Addison (Canessa, Per S. Giorgio, Genova, 1889, p. 35). (3) Belgrano, Rendiconto ecc., in Atti della Società Ligure di Storia Patria, III, p. LXXI-LXXVIII. — 6o6 — E fin d’allora, chiamato all'onore di conservare quel-l’Archivio, mi diedi con sollecitudine a studiarne le sorti; e leggendo e rileggendo quelle pagine con cuore di cittadino, mi si alternavano sensi di commozione, di consolazione e di dolore. Una pietà infinita mi pigliava leggendo il convegno del 1346 (1); in cui i quattro sapienti, a ciò eletti, rivedevano la litania di compere da ricomporre ed incorporare, quella compresa pel ricupero del Sacro Catino, il più prezioso, il più santo dei trofei genovesi delle Crociate, che crasi dovuto porre a pegno presso il cardinale Luca Fieschi. Una gran parte di questo fardello derivava dalle scellerate guerre fratèrne di guelfi e di ghibellini, che avean condotto la Repubblica all’ orlo del sepolcro e si erano chiuse per opera del re Roberto colla Gran Compera della Pace. Mi pareva vedere que’ sapienti, alla lunga enumerazione dei debiti, stringere i denti più volte a trattenere le lagrime. — D’altra parte mi consolava, vedendo come la carità patria trovi risorse inesauribili per sanare qualunque piaga ; perché il già lodato Francesco Vivaldi nel 1371 cedendo i suoi novanta luoghi ai Protettori della stessa Gran Compera della Pace, loro prescrisse il mezzo ingegnoso del moltiplico per acquistare cogli interessi annui un sempre maggior numero di azioni. Sfogliando infatti d’ anno in anno i registri di essa Compera, nei quali dovea sempre ripetersi per intero l’atto originale della cessione, meravigliavo nel vede» crescere a gonfie vele il capitale; e, quando nel 1454 fu estinta la Compera della Pace per essere trasferita nell’ Uffizio di San Giorgio, (1) L’intero documento è in fine delle già citate Regulae Capituli, cod. XII, (ant.° 13), fol. 233 e segg. — 607 — le colonne dei creditori erano ridotte a poche, e tutte o quasi in questo stesso ultimo registro travasate in capo alla colonna Vivaldi; di guisa che, come narra la iscrizione a piedi della statua del grand’ Uomo (i), il capitale di lui nel 1467 era salito a luoghi 8000 (lire 800,000); e si sarebbe ottenuto 1’ effetto desiderato di estinguere tutti i debiti, se il crescente bisogno di danaro per spese necessarie non avesse infine divertita quella fondazione dal pio scopo. Da ultimo non poteva frenare il dolore e 1’ indignazione, vedendo la statua medesima, già posta dai Protettori ad esempio pubblico, starsene ora nascosta fra assiti indecenti, come a stanzuccia d’ usciere della gran Sala. E questa gran Sala spogliata ai miei tempi del pavimento marmoreo, e le altre statue, le molte lapidi, i lavori d’ arte negletti , la polvere e le ragnatele signoreggiare impunemente ; ed ivi' un frastuono da non dire, di doganieri, commessi, bolli, spedizioni, estrazioni ; non dimenticando i biricchini, che per le scale faceano a sassi bersaglio di un affresco allora allora scoperto, con pericolo dei passanti ! Laonde mi figurava quelle statue, quei simulacri venerandi, allibire di rabbia per non poter cacciare col flagello i profani dal tempio. Oh ! possano le condizioni mutate fare giustizia una volta e ridonare al celebre, all’ unico Palazzo del medio evo il decoro dell’arte, il decoro perpetuo d’ un Istituto che ammaestri i presenti, rammenti e conservi le glorie alla diletta Patria. (1) Riproduco nel documento VI l’iscrizione a piedi della statua del Vivaldi, la quale, più esattamente che nel Cuneo, fu trascritta dal diligente nostro amico, march. Marcello Staglieno. DOCUMENTI i. [MCCCCVII], Die VII may. \ In nomine domini nostri Ihesu Christi benedicti, beateque Marie semper virginis gloriosissime matris eius et tocius curie celestis, amen. Parte illustris et magnifici domini domini Iohannis Lemeingre dicti Bouciquaut, marescalli Francie, locumtenentis regij et gubernatoris Ianuensium prò serenissimo Rege Francorum domino Ianue, venerandorumque consilij Antianorum, officiorumque provisionis et regulatorum locorum comperarum civitatis et communis Ianue, Preconate vos prèco publice etc. Quòd sit omnibus notorium et manifestum sicut in nomine onnipotentis Dei et prò evidenti bono publico, ac pro conservatione tocius rei publice Ianuensium et presentis felicis status regij, nec non comperarum predictarum et locorum ipsarum, dicti illustris dominus gubernator, consilium et-officia deliberaverunt anullare cassare et desbitare comperam mutuorum novorum sancti Pauli Regiminis vid. Et ideo quilibet particeps dicte compere [comparere] debeat per totum presentem mensem prope banca in mediano domus Nicolai Andree Lonidmi, coram dicto officio regulatorum sive provisorum locorum, et Iohanne de Vallebella notario et cancellario, ad scribi et notari faciendum loca sua et acipiendum solucionem suam ad rationem librarum centum ianuinorum pro singulo loco. — 6io — Item deliberaverunt dictis alijsque multis bonis laudandis respectibus, nec non pro maiori roboratione et favore dictarum comperarum, instituere et imponere comperam unam novam, que nuncupabitur compera novti Regiminis sancti Georgij, cum assignacione librarum septem Ianuinorum solvendarum pro proventibus omni anno pro singulo loco per quatuor pagas, et illa videlicet assignacione olim assignata dicte compere Regiminis desbitande, sub tali vero conditione et ordine quod de proventibus locorum predicto-rum respondebitur participibus ipsorum debitis congruisque temporibus sine dilatione. Item quod omne id quod supererit ex dicta assignatione facta dicte compere de novo instituende et imponende, et omne aliud emolumentum et utile habendum et percipiendum ex ea, sit et pleno iure pertineat ac convertatur ad utilitatem comodum et beneficium dicte compere. Quod quidem superfluum et emolumentum utile et beneficium dicti illustris dominus gubernator, consilium et officia deliberaverunt et ordinaverunt, cum opportunis solempnitatibus debitisque privilegijs et cautelis ac iuramentis, nullo unquam tempore tangi posse nec in alium converti usum quam ut supra dictum est. Item quod loca quorumcumque participum olim dicte compere Regiminis, qui non comparuerint infra dictum tempus coram dicto officio, vel coram dicto Iohanne, ad scribi faciendum ut supra expressum est, reducentur et scribentur in cartulario dicte compere nove. Et ipsi omnes quorum sunt dicta loca, dicto termino elapso, intelligantur esse et erunt participes compere nove predicte, ipsorum vel alicuius eorum contumatia vel negligentia non obstante, pro et de illis videlicet locis pro et de quibus erant et sunt participes in dicta olim compera Regiminis cum proventibus ordinatis. Securis omnibus et singulis dictis participibus et alijs quibuscumque volentibus esse participes de novo in dicta nova compera, quod eis dabitur et solvetur paga may de presenti (i). (i) Archivio di Stato in Genova. — Membranacei, eoa. XIII, car. 4 verso. — 611 — II. D. Franciscus de Vivaldis quondam Leonelis. Libras centum septuaginta unam milia, septingentas sexaginta tres, soldos octo et denarios novem. — L. clxxi, dcclxiii, s. vui, d. vuii. Eidem 1420, die 18 aprillis, scripte sunt de racione et columpna officij proptectorum comperarum Capituli de allio Cartulario compagne sancti Laurentij, car. 264, cum paga may et allijs venturis, libre septemmilia noningente. — L. vn, dcccc. Item eidem 1420, die 16 decembris, scripte sunt de racione et columpna Iacobi de Corssio quondam Philippi de allio Cartulario compagne Castri, car. 35, cum paga may de 1421 et allijs ventaris, libre quatuor millia quadringente quadraginta una et soldi sex. — L. fili, cccc xxxx 1, s. VI. Eidem 1420, die 24 maij, accipientibus dominis. Teodoro de Flisco et Casano Saliceto, massarijs officij dominorum proptectorum Capituli in se ipsis. — L. m, dcccxii, s. v. Item, die 30 may, accipientibus scribis presentium comperarum in se ipsis, pro dictis obligationibus. — L. 11, s. 10. .Item, die 14 iunii, accipientibus dominis Teodoro de Flisco et socijs, massarijs officij dd. protectorum in se ipsis. — L. clxxxxiiii. Item eidem 1420, die 16 decembris, scripte sunt de ratione et columpna teronimi de Montenigro notarij de allio Cartulario compagne Castri car. 59, libre ducente cum paga may 1421. — L. cc. Item eidem 1420, die 18 decembris, scripte sunt de racione Augusti filij Tliome de Castiliono, de presenti Cartulario compagne B., car. 251, cum pagis may anni de 1421 et alijs venturis, libre mille septingente. — L. m, dcc. Item, die ea, eidem scripte sunt de ratione et columpna Ieronirri filij Ttiome de Castiliono de presenti Cartulario compagne B., cartis 295, cum dicta paga may de 1421 et alijs venturis, libre duomilia ducente viginti tres et soldi 13. — L. mm, ccxxiii , s. XIII. Ihesus. De mandato et voluntate dicti domini Francisci de Vivaldis est quod loca nonaginta, sive libre novem milia, pro ipsis locis nonaginta computate, scripta et scripte super ipsum dominum Franciscum, stare debeant super ipsum et columpnam ipsius, nec desuper ipsum et columpnam suam dicta loca nonaginta possint aliquo tempore describi et scribi super aliquam personam corpus collegium et universitatem ex aliqua ordinacione communis Ianue condita seu condenda, nec super ipsum dominum Franciscum et eius nomine, donec infrascripta contenta in presenti instrumento inferius infra-scripto, et scripto et composito manu Aldebrandi de Corvaria no-tarij, 1371, die 12 aprilis, fuerint adimpleta; et quod de proventibus dictorum locorum, qui procedent de cetero et in futurum de locis ipsis, fiat et fieri debeat ut inferius dicitur et continetur in infra-scripto instrumento de verbo ad verbum. Presentibus testibus ad hec vocatis et rogatis Anthonio de Gavio et Anthonio de Pessina. Tenor supradicti instrumenti tallis est : In nomine Domini, amen. Nobilis vir Franciscus de Vivaldis q. Leonelis, sciens quod commune Ianue est quampluribus creditis oneratum, propter que per ipsum comune et ex ordinacione presidencium ipsi communi, qui pro temporibus imposite sunt quam plures compere, pro quibus et ex quibus solvuntur certe assignaciones civibus Ianue seu habentibus ab eis causam ; volens ipse Franciscus in hac parte, quantum in eo extitit, utilitati et comodo rei publice providere, ex causa donacionis inter vivos, que amplius revocari non possit iure ingratitudinis vel alia occasione vel causa, salvis semper infrascriptis et que infra dicentur, donavit et titulo donacionis concessit et traddidit seu quasi magnifico et potenti domino domino Dominico de Campofregoso, Dei gratia Ianuensium duci et populi defensori , atque suo provido consilio stipulanti et recipienti nomine communis Ianue, loca nonaginta in compera magna Pacis, sive libre vini milia, computatis pro ipsis locis nonaginta, modis formis et condicionibus infrascriptis, et ut ex dictis locis proventibus que procedent ex eis fiat et fieri debeat ut infra dicetur, et eo casu quo non fiat ut infra in omnibus et per omnia presens donacio habeatur penitus pro non facta, videlicet quod dicta — 613 — loca siut scripta super ipsum Franciscum nec desuper colunnam suam, possint aliquo tempore describi et scribi super aliquam personam corpus collegium seu universitatem ex aliqua ordinacione communis 'Ianue condita seu condenda, donec infrascripta omnia fuerint adimpleta; et voluit et ordinavit quod proventus ad dicta loca, et que in futurum spectabunt, habeantur et percipiantur per protectores comperarum qui nunc sunt et pro tempore fuerint, et qui accipiant proventus di^torun locorum et dictos proventus in fine anni vel ante, si voluerint, ponere et colocare in empcionem locorum dicte compere que scribantur super dictum Franciscum et in co-lunna sua, et que non possint describi aliquo tempore, pro ut de dictis locis nonaginta dictum est, donec infrascripta omnia et singula fuerint adimpleta; et que loca emi debeant ex dictis proventibus usque ad menses duos in sex ad plus finito anno sive ultima paga, que est de mense februarij, ita quod sint empta loca ex dictis proventibus et scripta super dictum Franciscum per totum mensem aprilis, seu edam augusti tunc proxime sequentis, et subsequentibus annis successive accipiantur proventus ipsorum locorum per protectores, et emantur finito dicto anno in dicta compera et infra dictum tempus seu tempora quo scribantur super dictum Franciscum, et sic successive annis singulis donec omnia loca dicte compere fuerint empta et acquisita que sint in dicta compera; nec ad alium usum proventus percipiendi converti possint in aliquo quovis modo vel ingenio, directe vel indirecte, quod dici vel excogitari possit ; et postquam satisfactum fuerit omnibus participibus dicte compere, tunc in dictum casum proventus assignacionis dicte compere accipiantur per dictos protectores ut supra et convetantur in empcione aliarum comperarum dicti Capituli, pro ut videbitur dictis protectoribus; que loca modo predicto scribantur super dictum Franciscum ; et sic fiat successive modo et forma predictis, donec fuerit satisfactum participibus omnium comperarum communis Ianue, comperarum Capituli tantum; et abinde in antea comune Ianue de dictis locis et proventibus faciat ad suam liberam voluntatem; et ut predicta melius execucioni mandentur, teneantur protectores qui nunc sunt, et illi qui pro tempore fuerint, in fine anni reddere et facere protectoribus et successoribus suis plenam et veram — 614 — racionem de gestis per eos vixitatoribus Capituli qui pro tempore fuerint. In casu vero quod predicta omnia non fiant ut supra, voluit ipse Franciscus presentem donacionem haberi penitus pro non facta, ita qupd ex nunc ex quo fuerit contrafactum dicta loca que" scripta reperirentur super dictum Francwcum spectent et pertineant pleno iure ad ipsum Franciscum, si tunc vixerit; et si non viveret, ad heredes suos, ita quod in dictum casum ipse et heredes sui de ipsis locis qui tunc fuerint et proventibus ipsorum possint facere ad ipsorum liberam voluntatem. Versa vice prefatus magnificus dominus dux et suum consilium, videlicet ipse dominus dux in presencia sui consilij ancianorum, in quo consilio interfuit plenus numerus dictorum consiliariorum, et quorum qui interfuerunt nomina sunt hec : d. magister Iohanes Bosihonus , prior , Manuel de Iuliano Dexerinus Bordonus Stephanus de Sancto Blasio Nicolaus Campanarius Lucianus Paihucius Iacobus de Franchis Franciscus Suliarius Iohanes de Bracelis Nicolaus de Recho Petrus Belogius Lanfrancus de Pagana, ac ipsi consiliari), in presencia consensu auctoritateque ipsius domini ducis, absolventes se se ad balotolas albas et nigras, et fuerunt ballotole tresdecim numero, nulla nigra et omnibus albis, observata forma regularum communis Ianue, nomine et vice ipsius communis Ianue aceptantes predictam donacionem modo et forma premissis, in observacione premissorum, promisserunt ipsi Francisco presenti et solenniter stipulanti, et recipienti pro se et heredibus suis, dicta loca et proventus ipsorum qui pro tempore fuerint, et proventus quorumcumque locorum propterea ex eis emendorum, in alium usum non convertere seu capere seu capi facere pro ut supra, et in omnibus et per omnia secundum voluntatem dicti Francisci de qua superius fit mencio; et eciam voluerunt et - 615 - consenserunt quod in regulis fiendis per regulatores primo elligendos presens donacio, et omnia et singula contenta in dicto instrumento, approbentur et raficentur et confirmentur in regulis eorum, ut voluntas ipsius Francisci efficacius observetur. Eciam predictis omnibus et singulis consensserunt et assensserunt, pro bono et utilitate dictarum comperarum, infrascripti officiales dictarum comperarum, videlicet protectores vixitatores et consules, quorum nomina sunt hec: d. magister Iohanes Bosihonus, prior , Dominicus Lercarius Bartholomeus Logius Aymonus Marocelus Nicolaus de Recho Andreolus de Mari et Ianus Imperialis. Nomina vixitatorum, qui sunt Valarianus Lomellinus et Damianus Gambonus ; Ianus Imperialis Damiani, unus ex duobus consulibus assignacionis mutuorum veterum; Anthonius de Gavio, unus ex duobus consulibus compere Pacis. Et est actum presenti contractu specialiter et expresse quod in primo iuramento quod dabunt Capituli protectores addatur sacramento ipsorum quod observabunt omnia et singula que in presenti instrumento continentur que sibi ipsi observare tenentur; qui sic ut supra promisserunt ipsi Francisco solenniter stipulanti ut supra facere et adimplere in omnibus et per omnia effectualiter secundum voluntatem superius expresatam. Ut predicta habeant maioris roboris firmitatem, tam dominus dux et consilium quam ipsi officiales comperarum voluerunt predicta pacta et dicta donacio ut supra sic facta scribantur in cartulario dicte compere et in carta in qua scripta erunt dicta loca nonaginta, et sic successive singulis annis, donec predicta omnia et singula fuerint adimpleta. Et eciam ponatur unus lapis super locum in quo consulunt proptectores, in quo lapide sint sculta ista verba : Notum sit omnibus quod dominus Franciscus de Vivaldis q.d. Leonelis assignavit [loca nonaginta] ad desbitandas comperas Capituli, modis et formis de quibus fit mencio in publico instrumento scripto et composito manu Aldebrandi de Corvaria notarij et cancellari) comunis Ianue, 1371, die 12 aprilis. — 616 - Que omnia et singula prefati dominus dux et consilium et offi-:iales [dictarum comperarum], nomine ipsarum, ex una parte, et dictus Franciscus ex altera, actendere complere et observare iuraverunt et promiserunt. Alioquin penam dupli eius in quo sive de quo et quo-ciens contrafactum fuerit vel ut supra non observaretur, cum resti-tucione omnium damnorum interesse et expensarum littis et extra. Ratis manentibus omnibus et singulis supradictis. Et proinde et ad sic observandum, bona dicti Francisci habita et habenda prefato domino duci et fonsilio ut supra stipulanti obligavit. Et dicti dominus dux et consilium dicto Francisco solemniter stipulanti obligaverunt et ypothecaverunt omnia bona dicti comunis habita et habenda, illa videlicet que ex forma capitulorum dicti communis non sunt prohibita obligari, et quod instrumentum registretur in registris comunis Ianue et Capituli. Quibus omnibus et singulis dominus Manetus quondam domini Boni de Esis, milex, potestas civitatis Ianue et districtus, presentem donacionem et omnia et singula supradicta tanquam legitima et legitime insinuata approbavit et ratificavit, et statuit et decrevit presentem donacionem et omnia et singula supradicta obtinere debere perpetuam roboris firmitatem quemadmodum donacionis legitime insi— nuacionis apud magistratum census ; et eciam infringi non posse aliqua racione vel causa que dici vel excogitari posset. Actum Ianue, in palacio ducali, in terratia ubi consilia dicti domini ducis et consilij celebrantur, anno dominice nativitatis millesimo trecentesimo septuagesimo primo, indicione octava secundum cursum Ianue, die duodecimo aprilis, circa terciam ; presentibus dominis Celestrerio de Nigro iurisperito, domino Marco Gentile iurisperito, Gregorio de Clavaro Raffaele de Goascho notarijs. Et testatum et publicatum manu Aldebrandi de Corvaria notarij et cancellarij (i). (i) Arch. cit., sala 42, n. 56. — Compera PacisrP. S.t a. 1420, car. 119 verso e segg. — Ved. anche Alizeri, Elogio di Francesco Vivaldi, in Giornale Ligustico, a. 1874, pp. 132 segg., che riferisce il documento dal Cartolario della stessa Compera, P. S., a. 1378, nel quale è trascritto dove più e dove meno correttamente. — é 17 — III. Massaria Communis Ianue de mcccxxxx. Carte 90 v. MCCCXXXX, die vigesima sexta augusti. Iacobus de Bonicha debet nobis prò Anthonio de Marinis valent nobis in isto in lxi. lib. xxxxviiii, s. nn. Item die quinta septembris prò Marzoclio Pinello valent nobis in isto in lxxxxii. lib. xii, s. x. Item mcccxxxxi die sexta martij prò alia sua racione valent nobis in alio cartulario novo de xxxxi in Cartis c . . . . lib. s. xvi. Summa lib. lxii s. x. Carte 61. MCCCXXXX, die mi iullii. Anthonius de Marinis debet nobis pro alia sua ratione etc. MCCCXXXX, die vigesima sexta augusti. Recepimus in racione expense Comunis Ianue valent nobis in isto in ccxxxi, et sunt pro expensis factis per ipsum Iacobum in exercitu Taxarolii in trabuchis et aliis necessariis pro comuni Ianue, et hoc de mandato domini Ducis et sui consilii, scripto manu Laafranci de Valle notarii mcccxxxx die decimanona augusti......lib. Lxn, s. x» Carle 61. MCCCXXXX, Recepimus eie. Item die xxvi augusti accipiente Iacobo de Bonicha in racione valent nobis in isto in xc. lib. xxxxviiii, Carle 92. MCCCXXXX. Marzochus Pinellus debet nobis eie. Carle 92. MCCCXXXX. Recepimus eie. Item die quinta septembris accipiente Iacobo de Bonicha in racione valent nobis in xc...........lib* xn, IV. Massàrià Communis Ianue de mcccxxxx. La colonna Pi per. Carte 7^. MCCCXXXX, dìe vii marcii. Piper Centenaria lxxx debent nobis prò Venciguerra Imperiali valent nobis in vini et sunt pro libris xxun sol. v prò centenario .........lib. MDCCCCXXXX. Ceusarius Luchas Donatus. Item die xvii marcii prò laboratoribus et sunt prò avaria dicti piperis de racione Pa-chalis de Furncto valent nebis in vini. lib. s. xmi. Item ca die accipiente Anthonio de Fra-mura garbellatore, prò garbellaturis dicti piperis centenaria xxxxi de racione dicti Paschalis, valent nobis in vini. lib. s. x, d. un. Item die xx marcii prò sachi xnn et prò garbellaturis dicti piperis de racione dicti Paschalis valent nobis in x. lib. 11, s. nn, d. un. MCCCXXXX die xxii marcii. Recepimus in vendea de centenarijs dicti piperis in Ioanne de Franco de Florentia, et prò eo in racione Cristiani Lomellini, valent nobis in ni.......lib. ccxxvn, s. v. et sunt prò Jibr. xxn, sol. xnn, d. vi ad numeratum. Itera die xxx marcii in vendea de centenario uno piperis in Iacobo Maria de Querio, et prò eo in racione Anthonii de Recho notarii, valent nobis in xnn prò libr. xxn, s. x. lib. xxn, s. x. Item ea die in vendea de centeu. xv et m quar. piperis pro libris xxii sol. x prò centenario, in Iacobo Tanso de Mediolano, et prò eo in Paschale de Furneto, valent nobis in .......lib. cccLnn, s. vii , d. vi Atti Soc. Lig. St. Patria. Voi. XIX, Serie II. 40 I — CrS — Item ea die pro ponderaturis dicti piperis de racione dicti Pascalis valent nobis in x termino kalend. iulii . . . lib. s. x, d. vm. Item quia scribi debebatur usque die vix marcii pro centanariis mi et libris xii 1/2 dicti piperis, pro libr. xxim, sol. v, pro centanario, de racione Venciguene Imperialis in vm.........lib. q, d. vr Item ea die pro ripa totius piperis cen-tanarii lxxxxiiii, et libre xii 1/10 de racione dicti Venciguerre in vim. . . . lib. xxv, s. x. Item ea die pro sachi xx dicti piperis de racione dicti Venciguerre in vim. lib. u, s. m, d.mi. Item die 8 aprilis pro certis avariis dicti piperis de racione avarie piperis valent nobis in Lxxiiii........lib. 1, s. x, d.x. Summa libre iilxxiii, s. mi. Carte 3. Illeggibili pcrchò stracciate e guaste dall’ umido. Item ea in vendea de centenariis 11 pro libr. xxii, sol. x, in Petro Bordino de Ast et prò eo in Paschale de Furneto, valent nobis in x.......• • Hb. xxxxv ltem die prodicta pro pluribus centenariis piperis in racione vendee dicti piperis valent nobis in isto antea in presenti carta lxxiii. lib. MCCLXXiiii, s. vini, d. vi. Item die vii novembris in dampno cen-tanariorum i.xxxiv et libr. xii i/iodicti piperis in racione proventuum in isto in xxxvii. lib. cxxxxviiii, s. xix. Summa libre iilxxiii, s. mi. (Riscontri di scrittura doppia ai diversi articoli della colonna Piper, carte 73). Colonna del Dare. MCCCXXXX. Recepimus eie. Carte 14, MCCCXXXX, die \ martii. Antlionius de Recho notarius debet nobis pro lacobo Maria de Querio pro centenario uno piperis.de racione dicti piperis valent nobis in lxxiii.......lib. xxii, s. x. Summa etc. Recepimus etc. Summa etc. Carte 10. MCCCXXXX. Pasqual de Furneto debet nobis etc. Item die xxx marcii pro lacobo Tanso de Mediolano et sunt pro centenariis xviix piperis pro libr. xxii, sol. x, pro centenario de racione dicti piperis valent nobis in lxxiii. lib. cccLiiii, s. vii, d. vi. Item ea die pro Petro Bordino de Ast, et sunt pro centenariis 11 piperis pro libr. xxii, s. x, pro centenario, de racione dicti piperis in lxxiii.......... -lib. xxxxv. Summa etc. Recepimus etc. Summa etc. Carte 75 verso. MCCCXXXX, die xxx martii. Vendea piperis debet nobis etc. Item ea die pro ratione piperis valent nobis in isto retro in presenti cartis lxxiii. lib. mcclxxiiu, s. vim, d. vi. Summa etc. Recepimus etc. Summa etc. Carte ^7. MCCCXXXX, dic x madii., Proventus Cambii et dampnum de rauba vendita debet nobis etc. Item ca die (7 novembris) prò dampno. (Illeggibile). Summa etc. Recepimus etc. Summa etc. Colonna dell’ Avere. Carte 9 verso. MCCCXXXX. Venciguerra Imperialis debet nobis etc. Summa etc. MCCCXXXX, die vii mareij. Recepimus in pipere centenaria lxxx prò libris xxiiii, sol. v ianuinorum prò centenario valent nobis in xxxxin. lib. mdccccxxxx. Termino (?) die vii iullii, Summa etc. Carte 9. * MCCGXXXX. Pasqual de Furneto debet nobis etc. Summa etc. Carte 10. MCCCXXXX. Pasqual del Furneto debet nobis etc. Summa eie. Carte 5. MCCCXXXX. Venciguerra Imperialis debet nobis ete. Summa etc. MCCCXXX. Recepimus etc. It. die xvii marci) laboratoribus prò avaria piperis in racione dicti piperis valent nobis in Lxxiii........lib. s. xxiii. It. ea die accipiente Anthonio de Framura garbellatore in racione dicti piperis valent nobis in lxxvhi...... (Poco leggibili entrambi e il seguente, ma abbastanza per capire l’identità del riscontro a scrittura doppia). Summa etc. MCCCXXXX. Recepimus etc. .... prò sachi xiv prò garbellaturis dicti piperis centen. xxi et prò laboiatoribus in racione dicti piperis valent nobis lib. n, s. im, d. un. It. usque die xx mareij pro ponderaturis piperis in racione dicti piperis valent nobis in lxxiii lib. s. x, d. mi. Summa etc. Recepimus etc. (Illeggibile affatto). — 620 — Carte 9 verso. » MCCCXXXX. Venciguerra Imperialis debet nobis, etc. Summa #/c. Carte 7.;. MCCCXXXX, die xxx martii. Avarie piperis et aliis debent ncbis, etc. Summa etc. Recepimus etc. It. ea die (vii marcii). prò ripa dicti piperis in racione dicti piperis in lxxiii lib. xxv, s.x. It. ea die prò saclii xx dicti piperis in racione dicti piperis in lxxiii lib. 11, s. in, d. ira. Summa etc. Carte 74. MCCCXXXX, die vm aprilis. Recepimus in racione piperis valent nobis in isto in lxxiiii.....lib. i, s. x, d. x. Summa etc. Recepimus die xxvii maij in Martino de Mari in ccccxxii........lib. cxxv. Item die vili maii in sua racione temporum in Dcxiii .... lib. cxx, s. xii, d. 1. Item die xxi iulii in racione temporum V. • Bancorum S. Georgii mccccviii. (Cartolario 0 Libro Mastro). N.B. L’ anno 1408 si sottintende ripetuto per ogni foglio, non essendo mai notato salvo che nc\ frontispizio. Colonna di Bartolomeo De Mari. Foglio 80. MCCCCVIII, die xxvii mareij. Bartolomeus de Mari debet nobis prò Francisco Iustiniano et socio massariis in cclvi. lib. xxxvii, s. x. Item die xxx mareij, accipiente Mateo de Casteletto et sunt prò lobanae de Podio ad complementum librarum l in capsia in clxxviiii lib. xxv. Item die un aprilis pro Petro de Mari in cccclxxxv.......lib. lxii, s. x. Item die viiii maij prò Vincentio Iha-vario in dlxxxxviii . . . lib. cxx, s. xii, d. 1. Item die xx iulij accipiente Montano de Mari in capsia in clxxxuii.....lib. xv. Item die v octobris prò Carolo Lomelino et dictus prò Cataneo de Vivaldis et dictus pro Marco de Vivaldis in ccccxxv lib. cccxxxx. Item die ni novembris prò Anthonio de Uuxilia pro solutionibus naulorum et dictus pro Simone de Auria in dlxiii .... lib. cc. Item die xv decembris pro sua racione mutata inferius in lxxx lib. lxxxiiii, s. vii. Summa lib. DCCCLXXXim, s. xvim, d. 1. lib. xvi. lib. c. in nexui......... Item die xvmi septembris in Alberto Grillo et de eo in Iohanne de Nairono in cccxxxn......... Item die xxn septembris in Alberto Grillo iu xvn .... lib. ccxxxxvi, s. xvi, d. vm. Item die m novembris in sua racione temporum in dcxiu......lib. clxxxx. Item die xmi decembris in sua racione temporum in dcxiii . . lib. lxxxvi, d. ini. Summa lib. dccclxxxuii, s. xvnn, d. 1. Riscontri nelle colonne del Dare alla colonna di Bartolomeo De Mari. Foglio 422. Martinus de Mari debet nobis etc. Item die xxvii May prò Bartolomeo de Mari in lxxx.........lib. cxxv. Sum a etc. Recepimus etc. 62J — Foglio 6i). (Qui la categoria dei Tempora die vm may. Bartholomeus de Mari debet nobis prò sua racione^de supra in lxxx. lib. cxx, s. xii, d i, Summa etc. Item die xxi iulij prò sua racione «de supra in lxxx........ . lib. xvi. N.B. La categoria Tempora corre dal foglio 602 al 713, ricominciando l’ordine alfabetico. Recepimus etc. Foglio 332 verso. Iohannes de Nairono debet, etc. Item die xvm septembris prò Alberto Francisco Domestico et dictus pro Bartho-lomeo de Mari in lxxx.......lib. c. Summa etc. Reccpflnus etc. Foglio 17 verso. Die xxii septembris. Albertus Grillus debet nobis prò Bartolomeo de Mari in solucione cambi de Sibilia in lxxx .... lib. ccxxxxvi, s, xvi, d. vm. Recepimus etc. Foglio 61 ) (Tempora). Bartholomeus de Mari etc. Item die 111 novembris prò sua racione de n.° (numerato? cioè a pronti contanti opposto alle Tempora?) in lxxx. lib. clxxxx, Item die xm decembris pro sua racione de n.° in lxxx . . . lib. lxxxvi, s. x, d. mi. Recepimus etc. Riscontri nella colonna dell’Avere alla colonna di Bartolomeo De Mari Foglio 2j6. Franciscus Iustinianus et socii debent nobis etc. Recepimus etc. It. die xxvii marcii in Bartolomeo De Mari in lxxx......lib. xxxvii, s. x. Foglio 179 verso. (Qui il conto generale di cassa dal foglio 179 al 194). Capsia nostra debet nobis etc. Recepimus etc. Item die xxx marcij in Bartolomeo De Mari in lxxx .......lib. xxv. Foglio 48;. Petrus de Mari debet etc. Recepimus die im aprilis*in Bartholomeo de Mari in lxxx......lib. lxii, s. x Foglio /9$. Vincentius lhavarius debet etc. Recepimus etc. die vini maij in Bartholomeo de Mari in lxxx.....lib. cxx, s. xn, d* 1. — 6.22 - Foglio 1S4. * Capsiii nostra debet nobis eie. Foglio 42s verso. Marcus de Vivaldis debet eie. Foglio /65. ^ Simon de Auria et socii bancherii debent etc. Foglio So. Bartholomeus de Mari debet nobis etc. N.B. Il Bilancio dei Debitori e dei Creditori del presente Cartulario è nei fogli no a 113. Recepimus etc. die xx iullij in Bartholomeo de Mari in lxxx..........lib. xv. Recepimus etc. Item die v oetobris in Cataneo de Vivaldis et de eo in Bartholomeo de Mari in lxxx..........lib. cccxxxx. Recepimus etc. Item die ni novembris in Antonio de Nuxilia et de eo in Bartholomeo de Mari in lxxx...........Hb. cc. Recepimus die xv decembri in sua racione mutata superius in lxxx. lib. lxxxiiii, s. vii. Termino (?) xxx decembris. Riscontri nel Manuale (Libro Giornale per ordine cronologico). Die xxvii marcij. Bartholomeus de Mari prò Fredericoi de Promontorio raassario et Francisco lustiniano socio.........lib. xxxvn, s. x. Die xxx mareij. • Bartholomeus de Mari prò Mateo de Castelletto ad complementum librarum L pro loanue de Podio........lib. xxv. Die lui aprilis. Bartholomeus de Mari pro Petro de Mari lib. lxii, s. x. Die vim may. ♦ Bartholomeus de Mari pro Vincentio . . . . lib. cxx, s. xu, d. 1. Ihavario . Die xx iuli). (manca questa partita). Die ▼ octobris. Bartholomeus de Mari pro Carolo Lome-lino in Carolo Lomelino in Cataneo de Vivaldis in Marco de Vivaldis . . . lib. cccxxxx Die ni novembris. Bartholomeus de Mari pro Anthonio de Noxilia in solucionibus naulorum in Simone de Auria...........cc. Die v decembris. (manca nel Manuale). Die xxvii may. (manca nel Manuale questa partita). Die vm may. (manca). Dic xx iuli). (manca). Dic xix septembris. (manca). Dic xxii septembris. Albertus Grillus pro Bartholomeo de Mari in solucionc cambii de Sibilia. lib. ccxxxxvi, s. xvi, d. vm Die m novembris. (manca). Die xvrni decembris. (manca). A.fi. Le partite che non si trovano nel Manuale pare sieno emesse siccome non consistenti in un nuovo articolo, ma riguardanti una ripetizione per comodo della tenuta di scrittura , un giro di cassa, un passaggio della categoria del conto a contanti (numerato) a quella dei pagamenti a termine (tempora). « QVESTA IMAGINE E MISSA COSSI PER MEMORIA DE LO PRESTANTE NOBILE MESER FRANCESCO DE VIVALDO FIGLIO DE MESER LEONEL LO Q.VA PER ZELLO DE LA PATRIA CONSIDERANDO LO GRANDE DEBITO IN LO QVA ERA QVESTO MAGNIFICO COMVN DE ZENOA COMPOXE IN LO ANO DE MCCCLXXI CON LO REZIMENTO DELLO DICTO COMVN DEVEI METTE IN LE COMPERE DE PACE DE CAPITOLO LOGHI LXXXX A DEVEI MVLTIPLICA CON LO TEMPO PER QVELLI LOGHI CON LO SVO MVLTIPLICO SE DEVESSE DESBITA TVTE QVELLE COMPERE DE COMVN COMO PER LI PACTI PER LVI FACTI CON LO PREFATO REZIMENTO DELO COMVN SE CONTIEN E ALA SVA MORTE ERAN ZA TANTO CREZVI LI DICTI LOGHI CHE ASCENDEVANO ALA SVMMA DE LOGHI CCCCXXXXVIII DE PAXE E HORA IN LO ANNO DE MCCCCLXVII SE TROVAM ESSERE LOGHI OTTOMILIA DE SAM ZORZO PER LI QVE LOGHI E SVO AVGVMENTO SE DE DESBITA LE COMPERE DE SAM ZORZO COMO SE CONTIEN PER LI PACTI FACTI IN LO ANO DE MCCCCLIIII PER LO REZIMENTO DELO COMVN CON LO MAGNIFICO OFFICIO DE SAM ZORZO IN LA TRASLATION DELE COMPERE DE CAPITOLO IN SAM ZORZO PERCHE PAR DEGNA COSSA DE TANTO EXCELENTE CITADIN E SVFRAGIO DA LVI FACTO A TANTO BENEFICIO DE LO DITO COMVN E DE QVEST A CITTAE FA COSSI COMMEMOR ATION PER MEMORIA DE LE VIRTVE SÒE E IN EXEMPIO ET ARREGORDO CHE DELI ALTRI VOGLIAM COSSI FA E CIASCVM PER- ANIMA DE Q.VELLO LO ALTISSIMO DEE PREGAR. I documenti III, IV e V furono cortesemente trascritti nella scuola di Paleografia dall’ antico alunno di essa, 1’ egregio avvocato Alarico Calvino. La ristrettezza del formato del volume non ha permesso di conservare nella stampa, come è nell’ originale, la disposizione delle cifre romane, una sotto 1’ altra, in colonna speciale per lire, soldi e denari ; il che faciliterebbe la somma e starebbe meglio. Nel Manuale, o libro-giornale del Banco, ogni singola partila è preceduta da una grande X che credo indichi il trasporto fattone al Cartolaro o libro-mastro. Ivi non è ancora, come poi, in margine il richiamo ai fogli del Cartolario. In esso Cartolaro ogni partita è preceduta in margine dalla lettera r ; il che indica essere passato il conto sotto la ispezione dei revisori od appuntatori. Al primo documento, ossia alla grida del banditore che è rivolta ai comperisti di San Paolo del Regime , si potrebbero aggiungere altre due gride simili del 20 luglio (carte 7, verso) e del 4 settembre (carte 13, verso) per invitare i partecipi della compera della Nuova Ga^cria del Capitolo e di quella di San Pietro. Abbiamo accennalo che la Compera della Paee uon fu incorporata che nel 1454. Nel secondo documento tutte le date nel corpo dell’ atto furono espresse nella stampa in cifre arabiche per comodo di brevità ; ma nell’ originale sono sempre scritte in cifre romane, secondo il costume del medio evo. DI UN CODICE GENOVESE RIGUARDANTE LA MEDICINA E LE SCIENZE OCCULTE PEL SOCIO « « L. T. BELGRANO el dicembre del 1886 la Civica Amministrazione di Genova, presieduta allora dal barone Andrea Podestà, mi commise l’onorevole incarico di concludere in Firenze, nell’ interesse del nostro Municipio, l’acquisto dalla Ditta libraria Franchi e compagni di ben novanta codici, rappresentanti nella maggior parte gli estremi avanzi della Biblioteca di quel Giulio Pallavicino, che nell’ ultimo ventennio del secolo XVI fu tra i fondatori in patria dell’ Accademia degli Addormentati, lodato per l’integrità della vita, l’ingegno prestante e la protezione illuminata conceduta agli studi. L’ acquisto rimase con reciproca soddisfazione sollecitamente stabilito; ed io, nel rendere conto al Sindaco dell’ eseguito mandato, non mancai di notare in una — 628 — breve relazione quelli tra i codici, i quali, per diverse ragioni, mi sembravano meritevoli di particolare segnalazione agli studiosi (i). Cosi appunto mi avvenne rispetto, ad un miscellaneo cartaceo del secolo XV ’e de’ principi del successivo, registrato nel catalogò della rendita sotto il numero 913 (2); sia perché ci conserva un nitido apografo del poemetto latino di Andreolo ìustiniani su la ditesa dell’isola di Scio contro i Veneti ne 1431 j onde avrebbe potuto vantaggiarsi l’edizione lattane dal compianto Giulio Porro-Lambertenghi colla scorta di un manoscritto Archintiano (3); sia per varie ettere d Jacopo Bracelli e d’altri chiari umanisti, dalle qua 1 eriveranno giunte e correzioni a più d’ un epistolio* sia infine per una copiosa raccolta di trattatali igienici, ricette mediche, forinole e segreti empirici, incantesimi e scongiuri, onde a me parve che i moderni storiografi dell arte salutare sarebbero per fare non mediocre estimazione. Le quali cose io specialmente affermo, considerando quel pochissimo che ci è noto fin qui dell’ antica farmacopea genovese; per modo che essa né pur figura nei Documenti storici spettanti alla medicina, di cui l’illustre professore Alfonso Corradi, per altre regioni d’Italia, raccolse una vera dovizia (4). E lo stesso dicasi rispetto alla biografìa medica; la quale già adunata con amorevole diligenza da Giambattista Pescetto, aspetta tuttavia un * (1) I codici Pallavicino vennero allogati nell’Archivio Civico; e vi si custodiscono insieme all* importantissima raccolta dei manoscritti già Molfino. (2) Catalogo 56, pp. 67. (3) Nella Miscellanea di Storia Italiana, voi, VI, pp. 541 e segg.; Torino, 1865. (4) Cfr. Annali universali di medicina e chirurgia - parte originale - annata 1885 e succ. 5 — 629 — efficace e abbondante sussidio da .phi voglia interrogare -gli archivi, e particolarmente le imbreviature dei nostri notari. Al quale proposito siami lecito di rammentare il notulario di maestro Salomone, donde si han notizie di più medici nostrani, arabi ed ebrei, viventi in Genova negli inizi del secolo XIII. Citerò fra essi, per allegarne almeno l’esynpio, un Giovanni di Parigi, del quale è certa la dimora nella nostra città l’anno 1222. Imperocché, sotto la data del 20 luglio, obbliga vasi egli a Guglielmo ferraio, per la mercede di dieci lire, di guarirlo dalla gocciola e da una macchia onde aveva affetto l’occhio sinistro; ed un mese appresso accordavasi con Enrico di Vedario, scudaio, per liberarlo dai calcoli, a patto di riceverne in premio quaranta soldi compiuta che fosse con esito felice 1’ operazione (1). Lo stesso notaro ci ha pur conservato un curioso scongiuro, stimato acconcio a guarire dalle morsicature velenose, dall’idrofobia, dagli sfregamenti(2); e Giovanni di Amandolesio, il quale rogava a mezzo il Dugento, ci tramandò a sua volta le formole per arrestare il sangue colante dalle narici, per guarire il « male maestro », per partorire felicemente, per cessare le emoraggie. Ad sanguinem stagnandum (portava così la ricetta) scribe de dicto sanguine in fronte ipsius hec tri a nomina tali modo: f agl a t aglala f aglalatri(3); ed io immagino sarà stato rimedio non peggiore di quello del Thesaurus pauperum di Arnaldo da Villanova; il quale suggeriva di scrivere « jn lu frunti, (1) Cfr. i Documenti I e II. (2) Cfr. il Documento III. (3) Archivio Notarile di Stato, in Genova. Lìber Johannis de Amandolesio, — 630 — si illu è homu f beretoms et beroniso, si é fimmina f bri-toni ssa et bironissa, et stagnirà lu sangui senza fallu » (1). Al « male maestro » giovava il succo di piantaggine, mescolato con vino generoso ; e perché le donne non si sconciassero, voleasi delineare un piccolo casellario con entro lettere cabalistiche e certi versi all’intorno (2), i quali pure occorrono al medesimo oggetto in un codice della Corsiniana di Roma (3). Infine, per le emoraggie: acctpe pollastram que non fecerit unquam ova, et de suis alis fac exire sanguinem, et de illo sanguine scribe cum ligno olive benedicte in quolibet pulso manuum et in quolibet pulso capitis: Consummatum est (4). La qual Irase altri stimava anche miracolosa « a incantare il tempo » (5). Quel famoso codice Speciale, che oggi si custodisce nella Comunale di Palermo e che fu già illustrato con singolare dottrina da mons. Isidoro Carini, tra più altre ricette ne serba pure alcune di Anseimo da Genova, ovve-ramente da Incisa, molto noto per un certo unguento composto in servigio di papa Bonifacio VIII, e fra noi anche pel sepolcro che di lui mirasi tuttora sotto la torre di S. Maria delle Vigne (6). Un altro codice, dei principi del secolo XVI, frammentario ed anepigrafo, si conserva nella nostra Universitaria, dove é iscritto ( 1) Bozzo, Su un Codice della Biblioteca Nazionale di Palermo ecc.; in Nuove Effemeridi Siciliane, serie III, voi. VIII, pp. 55. (2) Rossi, Storia di Ventimi glia, seconda edizione. Oneglia, 1888, pp. 79.— Lib. Johann, de Amandolesio, loc. cit. (3) Cfr. Amati, Ubbie, ciancioni e ciarpe del secolo XVI ; in Scelta di curiosità letterarie ecc., disp. lxxii, Bologna, 1866, pp. 48. (4) Rossi, loc. cit. (5) Ubbie ecc., pp. 53. (6) Cfr. Pescetto, Biografia medica ligure, Genova, 1846, voi. I, pp. 23. — 631 — al catalogo col titolo di Medicinalia quamplurima (1); ed è pregevole eziandìo per la memoria che vi s’incontra di parecchi medici, autori delle ricette in esso registrate. Rammento fra questi : il citato Arnaldo di Villanova, Giovanni di Sermoneta, Gherardo di Cuma, Francesco di 1 reviso, Galeazzo di Salerno, Giovanni di Ragusa, Benedetto di Norcia, ecc. ecc. Parimente di un curioso Manoscritto di segreti del secolo XVI diede già larga notizia il eh. avvocato Mat-tiauda (2), notando che trattasi di una raccolta fatta da un frate dell’ordine dei Minori, ed é «frutto di lunghi e faticosi viaggi, di studi pazienti, di molteplici e ripetute esperienze ». Difatti quei « segreti » furono in gran parte trovati 0 posseduti da personaggi d’ alto affare o periti di scienza medica in diverse regioni del mondo, e parecchi diconsi anche sperimentati o veduti sperimentar dell’ autore. Il quale ricorda averne avuti dal medico dell’Annunziata in Genova, dal nobile medico Damiano Spinola, da un gran chirurgo e da un frate del suo convento in Chiavari, da Pantaleo Canevari depositario di certe confidenze di un giudeo di Savona, dal P. Battista da Scio, da un greco di Caffa, ecc. . Ma l’amore delle ricerche non vorrà sviarmi più oltre dal miscellaneo che ho da principio annunziato, e del quale mi sono proposto di fornire più specialmente, sebbene in modo affatto sommario, alcuni ragguagli. Dico adunque che il codice Pallavicino 913 contiene innanzi tutto, nella parte da me segnalata, due opuscoli latini, l’uno de’ quali s’intitola Doctrina super conservatone (1) Segnato: F. VI, 4. (2) Nel Propugnatore, a. 1880, pp. 84 segg. — 632 — sanitatis, e l’altro ci porge un Consulto indirizzato ad uomo nobile e spettabile su lo stesso argomento (2). Se non che la Doctrina è presto identificata col trattateli De regimine sanitatis di Taddeo Alderotti di Firenze, o, come altri lo chiama, di Bologna, per l’insegnamento da lui professato in quel celebre Studio : trattatalo ben noto, non già per 1’ edizione rarissima fattane in Bologna stessa l’anno 1477, ma per la ristampa che ne diede il Puccinotti da un membranaceo dell’Ambrosiana. Il quale è probabilmente l’unico esemplare, cui non manchino il proemio e la rubrica ; donde è messo in aperto che 1 opuscolo venne scritto dal celebre medico in servigio del non meno celebre suo concittadino Corso Donati (2). Del Consulto invece mi rimane sconosciuto l’autore; e però io ne soggiungerò il principio, nella fondata speranza che altri possa con piena sicurezza identificarlo: Quoniam senno in longum protractatus multociens car et inteligentia, Jeronimo testante; igitur, prolixitati parcendo, visis videndis, consideratisque considerandis, ut brevius et melius potero, regimen vestrum inferius describam, ipsum in tribus generalibus intencionibus specificando. Qua-. rum prima discrasiqm vestram describit seu notificat; secunda ut materia discrasie vestre non generetur nec multiplicetur, et ut membra iam lesa et impressio ipsjs illata rcctificcntiir, regimen vivendi ordinat ; tercia, antidota seu medicinas discrasie vestre propria seu proprias manifestat. (1) Car. 124-26 e 133-34. (2) Cfr. Puccinotti , Storia della Medicina, voi. II, parte I, Documenti, pp. v segg., ed. Livorno, 1855. Se ne veda anche il volgarizzamento fatto nell’aureo Trecento, stampato dallo stesso Puccinottti sopra un cod. Laurenziano (pp. xlvi segg.), e dal Zambrini sopra uno Magliabechiano (Imola, Galeati, 1852). — é33 — Io darò anche un piccolo cenno di entrambi gli opuscoli ; non senza avvertire che la Doctrina riesce, nei suoi precetti, più circostanziata e minuta del Consulto. Maestro Taddeo consiglia, per esempio, i suffumigi periodici al capo, bruciando rose e sandalo, cinnamomo , garofani ed aloe: chi li usa ha sicurtà di bella chioma e viso pingue. Poi vuole molta attenzione nello scegliere le vestimenta; perché, indossando panni leggiadri e ricchi, ktificabitur animus. L’ appetito si stimola, masticando semi di finocchi o d’ anici, i quali corroborano lo stomaco; la melanconia si discaccia, usando elettuari d’ambra rosata. 11 lavoro, moderato sempre, si arresti all’ora del pranzo; i cibi eleggansi omogenei al temperamento, con predominio delle carni bovine e della cacciagione; ma si eviti la selvaggina acquatica, difficilissima a digerire. I pesci di mare e di fiume, purché ottimi, comprobantur; il vino gradisca all’olfatto ed abbia color d’ ambra. Seguace dell’ aforisma salernitano post cenam ambulabis, propone la passeggiata successiva al levar delle mense, purché si contenga entro giusti confini, non oltre i mille passi. E qui differisce essenzialmente dal Consulto; il quale invece consiglia che colui qui moderate rejicitur, sumpto cibo, sedeat et quiescat tam mente quam corpore, sedendoque non amara nec subtilia, sed que sunt facilis intellectus speculetur, velut sunt regum et sanctorum historie, vel musice melodie. Precetto, questo, il quale sembrami rifarsi alla dottrina di Marco Varrone sui conviti, che Aulo Gellio ci ha tramandata: Sermones id temporis (idest in convivio) habendos, non super rebus anxiis aut tortuosis, sed ineundos atque invitabiles, et cum quadam illecebra, et voluptate utiles; ex quibus ingenium nostrum Atti Soc. Lig. St. Patria, Serie 2.a Voi. XXI. 41 — 634 - venustius fiat et amemus (i). A dormire placidi sonni, ripiglia la Doctrina, occorre il capo ben coperto e molto sollevato; né si trascuri l’avvertenza del coricarsi da prima sul destro fianco, volgendosi poi sul sinistro e tornando nuovamente sul destro. Seguono infine i consigli particolari ad ogni stagione; fra i quali, rispetto alla primavera, è notabile quello della flebotomia, o, come più generalmente diceano, minutio sanguinis, che i Pr°f- Corradi ha testé illustrata con la solita sua erudizione stringente e persuasiva, dimostrando che uso del salasso era uno spediente di conservazione e difesa (2). In tempi nei quali erano così frequenti le pestilenze, é owio che a sfuggirle o guarirne si moltiplicassero 1 preservativi ed i rimedi; tra i quali noterò quello che il nostro codice distingue sopra gli altri come finissimo, piotestando della ricuperata salute di quanti ne aveano tatto 1 esperimento. Era in sostanza un beverone di indivia, ramerino, acetosa, rosa e scabiosa in aceto bianco, nel quale scioglievansi polveri di dittamo, tormentilla, genziana , coralli, boli armeni, sandali, margherite, canfora, terra sigillata e corna di cervo abbrustolite (3). Ma anche nei Medicinalia quamplurima, che ho sovra descritti, rinvengo qualche cosa di somigliante: Tommaso di Murta, speziale, affermava infatti di avere, nella pestilenza del 1505, guariti cinque sopra sei attaccati dal morbo, (1) A. Gellius, Noctes Atticae, XIII. ii. ( ) Cfr. Corradi, Delia minutio sanguinis e dei salassi periodici; nelle Memorie del R. Istituto Lombardo di Scienze, cl. di scienze fis. e nat., voi. XVI; ed a parte, in 2/ ediz., Milano, Rechiedei, 1888. (3) Car. 139 verso. - é35 — usando polveri di cardo benedetto, erba carlina, zedoa-ria, dittamo, genziana, boli armeni, corna di cervo e coralli (i). Gli ingrossamenti del fegato, secondo le prescrizioni di Antonio Saivago, guarivansi del pari con un decotto di radici di finocchio, indivia selvatica, cicérbita, assenzio e prezzemolo, ponendovi entro un bottoncino (bu-gatina) di cinnamomo e rabarbaro, e dolcificandolo con sciroppo (2). Altri però consigliava una bevanda, che dovea ottenersi da una miscela di luppoli, boraggini, capelvenere, prugne di Damasco, buglossa e cuscuta a bollire (3). Le virtù del rosmarino vedonsi poi celebrate nel codice 913, in due trattatelli latini; nell’uno dei quali si riassumono le notizie fornite direttamente all’ autore da un vecchio medico musulmano del Cairo, e nell’altro espongonsi quelle recate da un monaco inglese viaggiatore nell’ India (4). Entrambi cotesti trattatelli si leggono pure nei Medicinalia già ricordati (5); ed il secondo vi è riferito anche in guisa molto più ampia e completa, con grandi varianti nella disposizione e nella forma. Né affermano cose, che già non si vantassero di quella pretesa erba maravigliosa; anzi l’ultimo, dove nume-ransi le virtù fino a ventidue, si ha da considerare sostanzialmente come il testo di quel volgarizzamento attribuito a Zucchero Bencivenni, che fu stampato primieramente dal Zambrini nella sua terza edizione delle Opere • • * « (1) Medititi, quamplur., car. 346 verso. (2) Car. 140 recto. (3) Car. 141 verso. (4) Car. 123 recto e 134-35'recto. (5) Medie, quamplur., car. no segg. volgari.... dei secoli XIII e XIV (i). Ma ho detto sosti labialmente, perocché se il principio di esso volgarizzamento dichiara aperto che « qui comincia le nobilissime virtudi... del ramerino,... secondamente che uno monaco d’Inghilterra le recoe... d’india all’abate suo, dell’Ordine Cestella », gli articoli non mantengono sempre l’ordine dell’ originale latino, e le virtù miransi cresciute al numero di ventisei. Del resto anche noi possiamo considerare come una traduzione parziale del citato trattatello, quell’altro in volgare genovese che vedesi pure trascritto nello stesso codice 913, al loglio 134; perchè dei diciotto articoli onde essa consta, ben quattordici gli corrispondono: altri invece trovano il proprio riscontro in un codice Corsi-niano (2); e d’altri infine mi rimane tuttavia ignota la sorgente, perocché molti e troppi sono coloro che hanno esposte in antico le proprietà di quella pianta (3), la quale parea dovesse considerarsi come la panacea universale. « Prendi fiori de rosmarino (dice il nostro volgare) et (1) Bologna, 1866, pp. 26-28. Ristampato per nozze, a Fermo, nel 1867; e a Livorno, da Giuseppe Chiarini, per le nozze Scaravelli-Cerboni, Tip. di Fr. Vigo, 1868, in soli 30 esemplari. (2) Roma, Biblioteca Corsiniana. Cod. cart. sec. XV, di carte 150, segnato: 4>. B. 26. — Ivi, car. 37-38 : Le virtù del Ramerino ; incollatovi di fianco un cartellino di mano del sec. XVIII, nel quale diceva il possessore del codice: « Questo trattato è diversissimo da quello che ho in altri due mss. ». Cfr. Ubbie, ciancioni e ciarpe, pp. xvii, ove dalla descrizione del Codice rilevasi che questo è tutto di mano di Francesco di Fruosino Calderini, e che appartiene propriamente all’ anno 1445. (3) Un trattatello di 12 articoli, intit. La proprietati di la rosa marina, cavandolo dal già citato Thesaurus di Arnaldo da Villanova, riferì Vincenzo Di Giovanni, nel suo rarissimo opuscolo Ricette popolari... in antico volgare siciliano, Palermo, 1878, pp. 20-21. Un altro Trattato del Ramerino, contenente ben 68 virtù, fu additato da! Zambrini nel cod. Riccardiaiìo 2350. Cfr. Opere volgari ecc., 4." ediz., col. 1024. I - 637 — ligaie in panno de lino, et falle bogire in acqua che torni per meità, et beivi quell’acqua: vale a tutte le infirmità ». Gli stessi fiori, mangiati a digiuno con pane e miele, serbavano immuni dal contagio; le foglie guarivano la gotta, il cancro, l’etisia. Adoprando un cucchiaio fatto del legno di rosmarino, sei sicuro che « el cibo non te farà male » ;' e ponendo del rosmarino sotto I’ uscio della casa, non v’entreranno serpi nè scorpioni. Il rosmarino caccia i tristi pensieri e dispone gli animi alla giocondità; il viso lavato con acqua di rosmarino cresce in bellezza; il bagno di rosmarino è un balneum vitae, perché ridona la giovinezza. Similmente in altri capitoli del codice sono commendate le virtù del tanaceto, del dittamo e della serpentaria (1); la quale ne vanta un maggior numero, e proprio di superlative. Figurarsi che in tre giorni sanava qualunque pericolosa ferita, purché di data recente ; e che tenendone in casa, vietavasi ai nemici d’oltrepassarne la soglia.* Chi ne portava seco, trattando di pubblici negozi, vedeva accolte le sue proposte; tenendone sotto la lingua mentre si difendeano le cause, ob.bligavansi i giudici a dar favorevole sentenza. Aspergendosi il capo con polveri di serpentaria, nell’ atto di coricarsi, poteasi veder nel sonno chiaramente il futuro ; un pizzico delle stesse polveri, deposte sul petto di un dormiente, lo astringeva a rivelare i segreti più gelosi. Diffidi dei domestici , e temi che t’imbandiscano vivande avvelenate ? Cospargi la mensa di polvere di serpentaria ; et si erit venenum ibi..., pulvis fetedet. Chi ne stringesse nelle mani, appareret terribilis inter filios hominum. (1) Car. 128 verso e 129 recto. — 638 - Eccoci da ultimo ad una quantità di segreti e ricette spicciole, di che io recherò solamente un breve saggio. Sorvolando pertanto ai Remedia sterilitatis (1), cui somi- • gliano molto i suggerimenti eh’ io leggo allo stesso scopo nel codice Corsiniano testé ricordato (2), e passandomi dei precetti ad procreandos filios masculos (3), chiedo il permesso di riferire in primo luogo una incantagione, la la quale stimavasi ottima a sanar le ferite, donde è chiaro almeno che non tutti, su questo particolare, aveano cieca fede nel rosmarino. Die infrascripta verba per tres dies in die, ad ieiunium et cum devocione, supra vulnus, faciendo signum crucis continue; et dictis verbis, dicas tres Pater noster et totidem Avemaria, cum signo crucis precedente: Trei boni fradelh per una via se ne andavan, in mese Jhesu Christe se intopavan. Unde andai, voi trei boni frai? In monte Oli-veto a montar, per herbe cogler (4) e piaghe sanar. — Andai, trei boni frai, e piggiai olio de oliva e lanna geo\a (5), e %u\a (6) ge la metai: no possa pù spusar ni mal far, corno la piaga che Longin de una lanja lo passa (7). E qui sostiamo, facendo posto a varie considerazioni. In primo luogo questa incantagione, inedita certamente (1) Car. 135 recto. (2) Cod. 43. B. 26, car. 9-12. — 1 fogli precedenti contengono molti consigli sopra 1’ allevamento dei bambini ed il regime di vita delle nutrici. (3) Car. 135 verso. > (4) Cogliere. (5) Forse seo\a o soia: sucida. (6) Suia, sopra [la piaga]. *7) Car. 122 verso. - 639 nella sua veste dialettale, si trova già, con forma più estesa, in due redazioni italiane (forse anche in più) ed in altre tedesche dei secoli XIV e XV. Una delle italiane, desunta da codice Corsiniano, si può consultare nelle stampe che ne diedero l’Amati ed il Casini (i) ; l’altra ricavò gentilmente per me da un codice Magliabe-chiano 1’ egregio collega mio prof. Francesco Novati, ed è di questo tenore: Tre buoni frati per una via s’andavamo, nel nostro signiore Giesu Christo sissi reschontravano. Disse il nostro sigmore Giesu Christo tre buoni frati dove nandate; e quegli rcspuosono al nostro signiore Giesu Christo e dissono chan-davano a Montte Vliveto per chogliere erbbe e per fare unghuento per ssaldare fedite e perchosse. Respuose el nostro signiore Giesu Christo tornate adrieto e ttorrete olio duliva e liana sucida e ’ntigniete la lana sucida intto lolio e ugniete fedite e perchosse, e dite che non doglia, ne pubici no racholgha, ne nerbo ratragha, si chome feciono le piaghe del nostro signiore Giesu Christo che ffu fedito e perchosso da Llungino nel eliostato diritto che non dolse he chosse (2) puzza ne nerbo non ratrasse, cosi faccia questa piaga sì chome fede quella di nostro signiore Giesu Christo, amen (3). Gli scongiuri tedeschi, coi quali i nostri hanno somiglianza quasi perfetta, furono comunicati da G. M. Wagner all’Anzeiger jiir kunde der Deutschen Vorzeit (4), e da Antonio Scònbach alla Zeitschrift fiìr deutsches Alterthum (1) Ubbie ecc., pp. 52. — Casini, Scongiuro e Poesia; nell’Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, voi. V,', a. 1886, pp. 565. (2) Colse. (3) Bibl. Naz. Firenze. Cod. Magliab. Il, 68, fol. 177 verso. (4) Cfr. il numero 7, del luglio 1862, col. 234. ^Gentile comunicazione anche questa del prof. Novati. '— ■64° — di Lipsia (i); ed almeno quello del Wagner panni utile di offerir qui tradotto , acciò si possano da cui piaccia istituire confronti. « Tre buoni fratelli andavano per una strada... e nel nostro' signor Gesù Cristo s’incontravano. Egli disse: io vi prego, o fratelli, tutti e tre, che mi diciate per quale cagione siete qui. Essi risposero: Signore, noi cerchiamo un'erba, la quale giovi per tutte le ferite. Egli soggiunse: io vi prego mi promettiate, per mia madre Maria, che né lo terrete celato, né vorrete trarne guadagno (2). Andate sul monte Oliveto, e togliete olio d’ oliva e lana di pecora ; strofinatela su la ferita...., e dite: sia buona ferita, come quella che Longino fece a nostro Signore, la quale non dolse, né ebbe alcuna disgrazia.... Così alle tue ferite non avvenga disgrazia alcuna, nel nome di Dio , amen ». In secondo luogo è da avvertire quel predominio del numero tre; al quale sì nell’intervento di persone, e sì nella ripetizione d’invocazioni e d’atti, fu sempre attribuita una virtù prodigiosa. Cosi appunto sono tre gli angioli,'i quali, secondo una formola di cui si ha già esempio nel secolo X, incontrate sul monte Sinai alcune tra le più crudeli infermità onde si travagliano i corpi umani, le obbligano a retrocedere, sciamando ayos, ayos, ayos, sanctus, sanctus, sanctus (3). Spesso ancora Gesù si mostra in compagnia di qualche apostolo 0 discepolo, coi quali ragiona o cammina, e sono in tre, come avviene , ad esempio, nella leggenda tolta da S. Luca (Evang., IV. 30): Jhesus autem transiens per medium (1) Nuova serie, voi. VI, a 1875, pp. 78 segg. (2) Intendasi: il segreto ch’io vi darò. (5) Zeitschrift cit., nuova serie, V, 560, IX, 209, X, 246. — 641 — illorum ibat etc., impressa anche sovra monete e sigilli inglesi e genovesi come talismano contro i ladri (1). Infine, la memoria di Longino é pur essa molto frequente negli scongiuri immaginati a sanar piaghe ed a cessare perdite di sangue. E però nella formola contro il flusso sanguigno, registrata sotto l’anno 1355 in un codice Corsiniano, si legge : Sangue sta in te sì come stete Christo in sè... Longino judeo ferio Dio, fesse e trafisse, morio et revisse (2). E nel codice Riccardiano 1224: Lungino fu ebreo, 0 vuogli dire giudeo, colla lancia ferì Iddio, fori 11 uscì sangue e acqua. Gesù Cristo disse : basta. Cosi sta, sangue, nella vena tua, come Gesù Cristo nella fede sua (3). Alle quali formole possono anche riportarsene alquante tedesche (4), e queste due desunte da un codice Sloaniano e da un manoscritto della cattedrale di Lincoln del secolo XV. 1 .-Te coniuro, Longi[n]us miles lacus (corr. latus) domini nostri Jeshu (sic) Cristi lancea perforavit, et continuo exivit sanguis et aqua, sanguis redemptionis, aqua baptismatis, etc. 2.-lconjoure thè, laythely beste, with that ilke spere, That Longyous in bis hand gane bere And also with ane batte of thorne, etc. (5). (1) Cfr. il nobile aureo di Edoardo III d’Inghilterra, in Humphreys, Coins of England, Londra, 1849, PP* 45 > tav- VIII, n. 89, e nella Rivista Italiana di Numismatica, a. 1888, pp. 425; il festone di Lodovico II Fieschi, dei signori di Masserano, in Promis, Monete delle zecche di Masserano ecc., pp. 25, tav. II. Pei sigilli, cfr. Atti Soc. Lig. di st. patr., IV, pp. xci. (2) Bib^ Corsiniana: Cod. 33. E. 23. Comunicazione Novati. (3) Detti di filosofi e ricette del secolo XIV, Livorno, Fr. Vigo, 1870, pp. 12 (pubbl. da E. P. Rodocanacchi, per nozze Costì-Maurogordato). (4) Zeitsfhrift cit., serie I, voi VI, pp. 487; serie II, voi. XI, pp. 535; nuova serie, voi. VI, pp. 80, e voi. VIII, pp. 24. (5) Wrightet Halliwell, Reliquiae antiquae, tom. I, Londra, 1841, pp. 126,135. _ 1 — ■ — 642 — Torniamo alle ricette. — Una pelle di lepre, sotterrata in casa, ne vieterà 1’ ingresso alle mosche; le corna di i_eno, polverizzate e sparse nelle camere, avranno la stessa efficacia del rosmarino, fugandone i serpenti ; quelle di toio ne cacceranno gli scorpioni; le unghie di mula, abbruciate, ne sbandiranno i topi (1). Chi é dedito al vino, e brama sfuggir 1’.ubriachezza, mastichi l'erba quae vocatur centonia (2), la quale non è altro che il centone dei Toscani e Valsine media di Linneo: pianta in fri fidati va, e però buona a smorzare i bollori fumosi delle soverchie libazioni. D altro canto la betonica rende il vino suave, bonum et non fumosum ; la feccia di vin vecchio, stemperata nell olio, e fattone unguento da spalmare tutto il corpo, letificai cor hominis e gli fa veder mirabilia (3). Un po’ di biscotto, mangiato a digiuno, è rimedio efficacissimo pei collerici (4). Chi ha smarrita la memoria, può ricuperarla be\ endo aceto in cui si sciolgano semi di rosa ; e chi pro\a difficoltà nel parlare, beva del vino con rastiature di corna di giovenca, bruciate quando la luna é in quintadecima (5). Infine i cantanti che amano di chiarificare la voce, infondano nel vino de’ fiori di sambuco disseccati al sole, e 1 effetto è certo: probatum est (6). I Medicinalia dell Università suggeriscono per lo stesso caso una pozione ristretta di liquerizia, dattili e fichi bianchi (7); ma (1) Car. 121 recto e 122 recto. (2) Car. 120 verso. 9 (3) Car. 120 verso, (4) Ibid. (5) Ibid. (6) Car. 122 recto. (7) Medie, quamplur., car. 1024. - £>43 — io non 050 affermare che Tamagno o la Patti sarebbero oggi di questi pareri. L’empiastro di farina, assenzio e miele, liberava dal male noli me tangere, volgarmente detto lascimi stà; il tremito delle membra si guariva, bevendo succo di mentastro; chi soffriva di frenesia, dovea mescolare al vino bianco un po’ di succo di menta, e un po’ di giusquiamo; ma più pronto sollievo troverebbe il paziente che si facesse aprir le vene della fronte, lasciandone spicciar sangue in abbondanza (1). Quegli che era troppo facile al sonno, liberavasi dall’ incomodo con fumigazioni di cacio caprino; al contrario, chi pativa d’insonnia, dovea mescolare del fiele di lepre nel vino (2). Contro la gotta sono indicate le unzioni con fiele di bove 0 di caprone; ma pei gottosi disperati dai medici si ha da sperimentare un altro specifico. Salgasi nel nido di una rondine dormente e le si spicchi la testa avanti che apra gli occhi, nei quali si troveranno due pietruzze, una bianca ed una vermiglia. Lavisi la prima con acqua, che si farà poscia bere al paziente perché risani; serbisi la seconda, come un talismano, e chiunque la recherà seco, vedrà pago ogni suo desiderio (3). Però il seguente consiglio, per conoscere se un infermo guarirà 0 morrà, non vale a gran pezza quello tanto più semplice della Comare a Crispino : si ungano con pinguedine di maiale, i pie’ del malato, e poi la si gitti ai cani ; se la mangiano, è certa la guarigione ; se la rifiutano, é certo del pari l’appressarsi dell’ultima ora (4). (1) Car. 121 verso e 122 recto. (2) Car. r22 recto. (3) Car. 121 verso. — 644 — Vari segreti insegna altresì il nostro codice, per arrestare la incipiente calvizie (i); ed alcuni di essi, come quello che consiglia le pomate di midolla d’orso, tuttavia serbarci in molta riputazione. Ma più che intorno alla conservazione dei capelli, il ricettario si diffonde nel consigliare quella che chiamerei conversione. Già è noto che dove per legge del clima sovrabbondano le chiome corvine, le bionde capigliature furono sempre tenute in grandissimo pregio; e se, nei tempi dell’impero avanzato , i Germani facevano con Roma un grande commercio di capelli biondi (2), certamente i Romani conobbero assai prima le ricette, che Plinio il vecchio ci ha conservate, per tingere di vari colori i capelli, dal nero di ebano al rosso vivace (3). Le dame romane contavano fra i numerosi ingredienti della loro teletta il sapone gallico ed altri cosmetici, i quali conferivano alle chiome quel biondo acceso , dorato o cinereo, che era tra le spiccate caratteristiche di quante gelosamente curavano la propria acconciatura; e l’usanza continuò anche presso i Cristiani, non ostanti le esortazioni dei Padri della Chiesa e dei vescovi, come attestano i molti esempi di esorcismi, donde parerebbe indubitato che il demonio annidasse di preferenza tra i capelli biondi (4). Così del pari nell’ età del Rinascimento e nel più dei secoli successivi sino ai dì presenti, in cui la moda rivive tal quale. Perciò il nostro codice insegnava alle donne ge- (1) Car. 120'Vetso e 122 recto. (2) Duruy, Hist. Rom., V. 600, in nota. (3) Plin., ‘Hist. Natur., ed. Pomba; cfr. Index I, art. capillus. (4) Di qui, cred’io, il detto: avere un diavolo per capello. — Cfr. Le Blant, Quelques notes d'archèologie sur la chevelure feminine; nella Revue archeologique, a. 1888, II, pp. 90 e segg. novesi, che volendo acquistare il rosso ardente, aspergessero le chiome con sangue di pipistrelli ; e se bramavano averne fili d’ oro, le lavassero con lisciva infondendovi ceneri di edera (i). Suppergiù la ricetta di Arnaldo da Villanova, il quale, per fare cc li capilli multi brundi, belli et riczi », ordinava lisciva di ceneri di vite e di lentisco, messa a bollire insieme a feccia di vino bianco (2). Vediamo da ultimo qualche ricetta d’entità più grave. La tortura nei giudizi e le prove ordeali fiorivano tuttavia, specie la prima, nel secolo XV (3); laonde a riuscir vittoriosi nell’ una e nell’ altra continuava pure a spacciarsi qualche segreto. Io leggo difatti nel codice due capitoli, che insegnano a non manifestare cosa alcuna fra’ tormenti, ed anche a stringere un ferro rovente senza scottarsi alle mani. Ecco la forinola che s’acconcia al primo caso, e non diversifica molto da quella rammentata nella Practica criminalis del Marsigli, il quale riferiva la virtù anestetica alia schiacciata fatta di farina intrisa col latte di una madre e di una figlia (4) : Accipe lac mulieris, videlicet matris et filie dicte matris, et isti duo (1) Car. 120 verso. (2) Di Giovanni, Ricette popolari ecc., pp. 22. — Ricette di acque e tinture sono pur da vedere nel Libro dei segreti galanti, sec. XVI, edito a cura di Olindo Guerrini ; e curiose notizie raccolgono Luigi Valmaggi e Renzo Castellani su le Acconciature donnesche antiche, e su 7 capelli, nella Gaietta Letteraria di Torino, a 1889, nn. 7 e 19. Cfr. anche T. Canizzaro Csantophilia 0 Tamore del biondo, nella Letteratura, a. 1889, nn. 11, 12, 13, 14 e 15. (3) Abbiamo espressa menzione di questa prova negli Statuti di Cosio, del 1293, in due capitoli intitolati: Aliquis non possit produci ad ferrum calidum levare, ed anche nel successivo: De manifestatione furti. Ctr. Atti Soc. Lig., XIV, append., pp. 48. — Altre notizie in Atti cit., XIX, 535. (4) Corradi, Escursioni di un medico nel Decamerone; in Memorie del R. Istituto Lombardo, cl. di sciente fis. e nat., voi. XIV, pp. 150. — 646 — lactes simul miscantur, deinde dentur in potu antequam accedat ad tormentum; et non timebit (1). Quanto al secondo caso : Si vis tangere unum ferrum calidutn, quod tibi' non noceat, accipe sucum mircoyrolle (2), et unge cum eo manus tuas optime, et accipe ferrum in manu et uon nocebit (3). Qui tenterò una domanda. Sarebbe mai. possibile che usasse di si fatto anestetico quel Bertone di Bocchettino da Moneglia, di cui ci parla un documento del 1424 ? Avea Bertone, quindici anni addietro, comperati alcuni fondi da Michele Vernengo, il quale ora pretendeva da lui una residua somma sul prezzo convenuto. Negava 1 altro, protestando già da buon tempo satisfatto ogni debito, e proponeva di rimettersene alla prova del fuoco, levando giust© un ferro incandescente colle sue mani, le quali, bene inteso, non doveano riportare la più piccola ustione. Non dissentendo 1’ avversario , ebbe luogo lo esperimento, e fu pubblico e solenne. Bertone arroventata una sbarra, la tolse dalla fornace, e senza punto scottarsi mostrolla in giro serenamente, per meglio di dieci passi, agli astanti. La Signoria, informata dal podestà di Moneglia, ordinava che, appurato il fatto, Bertone fosse libero da ogni molestia ; ma soggiungea rispetto al Vernengo, che dove questi si reputasse aggravato, comparisse alla presenza del governatore e del suo consiglio-, i quali gli renderebbero intera giustizia (4). Disposizioni contradditorie, e che bene confermano la poca fede gene- (1) Car. 121 recto. (2) Dall’ital. mercorella, lat. mercuriali!; erba della famiglia delle euforbie, dal succo mucilaginoso. (3) Car. i2i recto. (4) Cfr. Documento IV. ralmente attribuita alla terribile prova, di cui non era difficile alterare la sincerità ed eludere gli effetti (i). Né io racconterò altro; bensì concludo esprimendo il voto, che taluno addottrinato in quelle discipline nelle quali io sono al tutto profano, ripigli in esame il codice 913, e allargando via via le indagini a somiglianti monumenti, arricchisca la nostra storia di un buono studio su le condizioni della medicina fra noi, specialmente negli ultimi quattro secoli del medio evo (2). (1) Cfr. Corradi, pp. 148 e segg. (2) Con questa occasione do anche conto di due codici di farmacia del nostro Archivio di Stato (Biblioteca). 1. Cod. cartaceo, num. 674. È acefalo, e contiene ordinatamente trascritte le ricette spedite da un farmacista della riviera occidentale, forse di S. Remo o di Gaggia, dal 12 giugno 1551 al 13 gennaio 1553. Mancano i nomi di esso farmacista e dei medici i quali scrissero le ordinazioni; nè tra gli ammalati, appartenenti nel più dei casi a famiglie sanremesi e taggiasche, costantemente registrati in capo ad ogni ricetta, compariscono personaggi di qualche importanza. In totale le ricette spedite sommano a. 1409, cioè: 413 pel 1551, 937 pel 1552, e 59 pel 1553; con una media di circa tre per giorno. Il farmacista spacciava anche qualche rimedio di sua invenzione. Cosi, ad esempio, sotto il 27 settembre 1551 si legge: Recipe piìlularum agrtgativarum, inventione nostra; ma di certo non era stato lui a inventar la grammatica. E sotto il 21 ottobre dello stesso anno * Recipe piìlularum stomaticharum inventionis nostre ». iiij, et reformentur pillule v, et capiat {infirmus) post mediam noctem. 11 19 febbraio 1559/è lo stesso speziale che prescrive per lo reverendo padre predicator: Recipe unguenti stomatheci invenctione nostra... e (sic) calido ungatur stomacho; e un altro unguento di cera, da ungerne similmente il petto ante prandium et ante cenam. Ma il quaresimalista non dovette risentirne gran giovamento; perchè il 22 lo stesso speziale gli ordina le pillole aggregative, ed una miscela di olio rosato, rodomele e zucchero, in brodo di gallina. 2.“ Cod. cart., num. 687. Liber officine aromatarie Bartolamei Botaci] et fratrum suorum. Comincia dal 16 febbraio 1642, proseguendo disordinatamente fin oltre il i66o;etien conto dello spaccio di medicinali a’clienti della spezieria, senza conservare però le formole delle ricette. Convenzione tra maestro Giovanni di Parigi e Guglielmo ferraio. 1222 , 20 luglio. Ego magister Iohannes de Parixio promitto et convenio tibi, Wilielmo ferrario, facere ita et curare quod tu videbis bene de oculo sinistro tuo, removendo inde omnem maculam et oscuri-tatem, et facere ita et curare quod te medicabo meis expensis de guta quam habes in capite et in celebro. Et ego dictus Wiliel-mus promitto et convenio tibi dicto magistro Iobanni dare et solvere tibi libras quinque Ianue, quando incipero videre de oculo meo sinistro, ita quod bene possim ire er reddire pro meis nego-ciis faciendis, et libras quinque quando penitus fuero servatus et liberatus de dicta guta et de infirmitate dicti oculi; et hec pro* tua mercede et labore , ita quod debeas facere tuis expensis quicquid necesse fuerit in predictis. Alioquin penam dupli et dampnum etc. Testes: Iohannes clavonerius et Manfredus calderarius et Rolandus ferrarius. Actum Ianue, in domo in qua habitat dictus Wilielmus, die xx iulii inter nonam et vesperas (i). II. Patti dello stesso maestro Giovanni con Enrico di Vedario. 1222, 22 agOStO. Ego Henricus de Vedario, scutarius, promitto et convenio tibi, magistro Iohanni parisiensi, dare et solvere tibi solidos quadraginta Ianue, infra dies quindecim postquam liberatus fuero penitus de malo lapidis quod habeo in vesica sive in corpore meo, vel (i) Archivio Notarile di Stato in Genova. Liber magistri Salomonis, a. 1222, car. 217 recto. Atti Soc. Lio. St. Patrii, Serie s. Voi. XXI. 41 ✓ — 6So — * • quod non doleat mihi nec obsit «mihi dictus lapis, faciendo tu quicquid necesse fuerit pro meis medicinis tuis expensis. Alioquin penam dupli tibi stipulanti promitto etc. Insuper iuro dicere tibi quando fuero inde liberatus, et diccre tibi inde veritatem ; et quod debeam credere pro meo iuramento. Testes: Facius Merenda et Alamannus gardator. Actum Ianue, in volta domus in qua habitat Wilielmus de Feno, die xxii augusti, inter terciam et nonam (i). III. Incantagione per le morsicature velenose. 1222. In nomine patris et filii et spiritus sancti, amen. Ego te insanto ad honorem Dei et virginis domine sancte Marie de serpe, de scorpione, de tarantola, de cesaro, de saiton, de laxerton ,- de straf, de buz . . . de scorfano, de lupo, de cane rabioso, de fasene et de maia, et de omni mala umbra. In nomine patris et filii et spiritus sancti. Ad honorem salvatoris et gloriosi Dei .patris, qui de virgine fuit natus, ad mortuos donavit requiem eternam et ad vivos pacem, sancta corpora que in Roma iacent, sancta duodecim altaria, sancti duodecim compatres fontai, sancte misse que canuntur in Pasca et in Natali, sanctus Petrus, sanctus Paulus, sanctus Marchus, sanctus Matheu.*, sanctus Lucas et sanctus Ioannes, per istos quatuor evangelistas .et per corpus Ihesu Cristi, liga lo serpente cum lo veneno ardente, liga lo scorzon cum lo veneno maiori, liga la tarantora quante Dó et quante paterne De, et omnia mala fiscula que venenum et tosicum in buca portant, quod in nullo tempore possint far mare Petro. In nomine patris et filii et spiritus sancti, amen. Sicut virgo beatissima sancta Maria non habuit malum ncc doliam de suo filio in ventre portare, ita per nullum tempus de mundo possit habere malum Petrus de serpe, de scorzono, de tarantora, de lupo, de cane rabioso, de fasene, de maia, et de omni malo, in nomine patris et filii et spiritus .sancti, amen. Et debet accipi filum filatum (i) Arch. cit. Liber cit., ultima carta delle sciolte e non numerate. — 6 5i — primo die veneris marcii a femina virgine; et debet facere tre nodos in filo, et per eam comburi; et non timebis postea venenum predictorum incantando (i). • • IV. Bertone di Bochettino chiede alla Signoria di Genova che lo prosciolga dalle pretese di Michele Vernengo, avendole già colla prova del fuoco dimostrate insussistenti. 1424, 19 dicembre. Pro Berthone de Bochetino de Monella. Reverendissime ac illustri Dominacioni vestre (2), vestroque venerando consilio dominorum antianorum civitatis Ianue, exponit Bertonus de Bochetino, de Monelia, quod iam sunt anni quindecim et ultra quod ipse emit a Michaele di Vernengis, de Monelia certas terras et possessiones positas in Monelia, certo precio. Item exponit quod dum ipse solvisset integraliter dictum precium, et dictus Michael peteret ab eo libras vigintiduas Ianue, quas asserebat sibi restare ad recipiendum, dictus Bertonus, in presentia fidedignarum personarum, pacto convenit cum dicto Michaele de accipiendo ferro uno callido prò testimonio .veritatis ; qui Michae 1 fuit contentus [et] dixit si eum acciperet et non lederetur ab eo . quod remittebat sibi id quod11 debebat. Et tunc dictus Bertonus confisus de Deo et veritate, obtulit se paratum recipere; et posito in fucina ferro quodam, ponderis librarum trium vel circa, ipsoque calefacto et accenso quantum fieri potuit, ipsum, invocato Dei nomine , accepit sic accensum in manu sua et ipsum portavit per passus decem et ultra; et ipso ferro proiecto in terram, accensa est terra igne ; et ipse Bertonus non fuit lesus in aliquo , Dei gratia mediante. • Dictus vero Michael, divinum iudicium non timens, sed in malo proposito obstinatus, nuper obtulit contra ipsum Bertonum * $ (1) Arch. cit. Liber cit., car. 140 verso. (2) Iacopo degli Isolani, cardinale diacono del titolo di S. Eustachio, governatore di Genova pel duca di Milano, Filippo Maria Visconti, allora signore della Repubblica. — 65 2 — unam peticionem, in qua petit dictum Bertonum condemnari ad restituendum sibi omnes dictas terras ab eo emptas. Quare cum ipse Bertonus sit impotens et non possit in litigio morari, pro Deo et pro tanto veritatis signo •„ supplicat per reverendissimam ac illustrem Dominacionem vestram et venerabile consilium predictum sibi in predictis misericorditer provideri, paratus coram vobis facere fidem plenissimam de assumptione dicti ferri accensi et calidissimi. f Mccccxxmi, die xvim decembris. Responsio reverendissimi patris et domini, domini cardinalis sancti Eustachii, ducalis gubernatoris ianuensium , et spectabilis consilii dominorum antianorum, in legitimo numero congregati, est quod potestas Monelie, si invenerit verum esse quod dictus Michael voluerit xstare iudicio ferri igniti, ut in supplicatione narratur, et quod ipse supplicans ferrum accensum sumpserit sine lesione, tunc dictum Bertonum supplicantem absolvat a petitione dicti Michaelis, nec illum ob eam causam molestari patiatur, admonens partem adversam ut si se gravatam senserit compareat coram ipsis reverendissimo domino gubernatore et consilio, integram iusticiam reddituris (i). # (i) Archivio di Stato in Genova. Politicorum, mazzo I. CONTRIBUZIONI ALLA STORIA DI GENOVA SPECIALMENTE NELLA POESIA PEL SOCIO L. T. BELGRANO studio della storia genovese nella poesia, la nostra Società ha recato più volte nei propri Atti il suo contributo. Ma 1’ argomento è ben lontano dall’essere esaurito; epperò a quanto hanno già stampato per questa parte il Desimoni, il Giuliani, il Promis, il Neri, il Ceruti, il Gabotto, aggiungo un altro manipolo di versi la'tini e italiani, di satire e di profezie, onde m’ avvenne d’attingere in questi ultimi anni diretta notizia, o di ricevere cortese comunicazione da benevoli ed amici. ' I. Questa prima non é veramente una poesia storica, mj religiosa; ed intende a celebrare 1’ assunzione di Nostra Donna. Io la riferisco dalle imbreviature del — 656 — notaio Gianuino di Predone (1), perchè forse trattasi di inno proprio della antica Chiesa genovese. • Salve dies gloriose, Manus Dei graciose, quando salus redditur (2). Salve tu, flos clericorum, In hoc loco conventorum, cuius (3) festum colitur. Pompam famam matri Dei, Splendore huius diei, nemo posset premere. Virtutes de celo mote Sunt pro hac hodie tote, • cum cepit ascendere. Natus pro matre descendit, Et cum ipsa mox ascendit ad sanctum palacium. Et sic est Virgo beata Super choros exaltata, angelorum omnium. Hec pro nobis * intercedat, Ut nos nulla culpa ledat apud suum filium. Sine ipsa nil valemus, Nam in ipsa spem habemus sit nobis presidium. amen. (1) Archivio Notarile di Stato in Genova% Liber Januini de Predono, atin. 1230-52, car. 230 verso. (2) Di fianco a queste strofe é la seguente variante: Salve Christi mater pia, Salve Christi mater pia, ora prò nobis Domina, (3) Nel ms. qtios. t - 657 — II. I seguenti esametri si leggono aggiunti alla fine di un codice di Virgilio dello scorcio del sec. XIV, 0 degli inizi del XV, che fu già di S. Vittore di Parigi, poi di Cristina di Svezia, ed ora è della Biblioteca Vaticana. Li segnalò il Bethmann (1), e n’ebbe copia di mano di Leone Clédat il comm. Desimoni, a mezzo del dotto e compianto nostro concittadino P. Luigi Bruzza. La poesia, celebrati da prima i trionfi guerreschi, la bellezza degli edifizi e lo splendore dei monumenti di Genova, si apre la via a tentare gli animi de’ suoi abitanti, per guadagnarli alla causa dell’ antipapa Benedetto XIII. L’allusione che vi si fa al governo del maresciallo Bucicaldo (vv. 45 segg.) e al disegno del concilio caldeggiato da questi, per cessare lo scisma mediante 1’ universale riconoscimento di Piero di Luna (vv. 56 segg.), ed infine 1’ accenno all’arrivo in Genova dello stesso pseudo-pontefice (vv. 69), ci insegnano che la poesia deve ascriversi al cadere dell’anno 1407 (2). * Ianva, quam perhibent Iano condente*locatam, Urbs antiqua, potens armis, preclara tropheis, - Multa tibi ingentes dabunt insignia laudes. Te penes imperium maris est, tu regna coherces 5. Perfida, ne nostras penetrent hostiliter oras. Tu Libicos Maurosque premis, totumque per equor Libera discurris: illasonique (?) et signa tremiscunt Cuncta tua. Nunc Oceanus Gadesque petuntur, Defessos ubi Solis equos Thetis hospita condit ; (1) Archiv der Geselleschaft fftr altere Deutsche Geschìchtkunile, tom. XII, Hannover, 1872-7.4, pp. 319, n. 1393. (2) Per la dimora dell’antipapa in Genova e per altri particolari, cfr. Belgrano, Feste e giuochi dei Genovesi, in Arci). Stor. ltal, serie III, voi. XIV, pp. 73 segg. — 65S — io. Nunc libet Eoas gentes invisere, gazam Inde domum multas gemmas mercesque referre, Occiduum, locuples, que totum mittes in orbem ; Sepe Arcton gelidosque adeunt tua vela Triones, Sunt ubi clara tui decus et monimenta triumphi. 15. Quid captum regem referam, Cypronque subactam, Atque tributa tibi poscenti pendere iussam ? Quid Peram Caphamque loquar sub iura redactas? Quid reliquas urbes bello parere coactas? Nec vero populus ulla formosior urbe est, 20. Nec gens ulla magis pergravis (1); adde decoram Structuram, adde domos celsas operumque laborem, Candida cum nigris et marmora, qualia summis Illicet esse solent turrita palacia regum -, Sunt vires animique viris, est marcia pubes, 25. Turbine docta gravi volucres torquere sagittas. Pretereo templa augusta exuviasque superbis Postibus affixas (2), rostra, immanesque cathenas (3). Non portum transire decet farisque (4) celebrem Navigio omni, crebro et vectore refertum, 30. Quem non curvati scopuli aut sinuatus (5) in arcum Tam pontus statuit moles quam actà profundo Et sumptu immenso [late alcius equor (?) Res mira et haud (6) facilis]. Protenditur alto In pelagus spacio murus sublimis et ingens, . 35. Tricenos latus cubitos, calcabilis ipse, Et mare prospectu longo calcabile prestat. Clauditur obicibus atque istis portus habenis, (1) Cosi crederei di poter correggere la lezione del ms., che ha fer gravis. (2) Le iscrizioni, le urne ed altri avanzi di romana antichità, recate dai Genovesi in patria, da varie contrade, come trofei di guerra, e murate al-1’ esterno delle loro chiese, specie della cattedrale di S. Lorenzo. (3) Le catene del Porto Pisano, recate in Genova nel 1284, ed ivi appese ai principali edifìzi religiosi e civili, dove stettero sjno al 1860. Oggi si veggono raccolte nel Camposanto di Pisa. (4) Nel ms. fanisque. (5) Posi corretto d’altra mano, nel margine, il firmatus del testo. (6) Nel ms., in luogo di haud, si legge fidei tuus; ma il verso non corre. - 659 — Et vastas aperit fauces; sed tuta recessu Interior stacio (i) claustroque ambita minori, 40. Dum tonat et sevis spumant fteta mota procellis, Excipit angusto metuentes ore carinas. O nimium felix atque imperiosa iuventus, Flos Italum roburque virum, si pace truaris, Nec funesta tuos agitet discordia cives ! 45. Inclitus hanc sortem rector tibi rite ministrat, Egregiis ad te Gallorum missus ab oris, Cuius ab auspicio, donec moderabere, tecum Pax et iusticie virtus laudata manebit, Et letos lucere dies tranquilla videbis. SO. Sed tibi cum tantos lapsum retro tempus honores Et tua prebuerunt magna ac prestantia facta, Attulit en ultro Deus oportuna perinde (2) Tempora precipue et memorande in secula fame, Te duce si pacem votis lacrimisque petitam 55. Ecclesia accipiat, tot iam lacerata per annos. Hoc unum est cuius te gloria tollet ad astra, Et protinus toto veneranda proferet evo. Cetera gesta decus proprium et privata dedere Commoda; non hac re tantum tibi consulis uni, 60. Consulis (3). Ecclesie morum fideique ruinis, Christicolis cunctis et toti consulis orbi; Fers primum Christo obsequium sedesque supernas Exhilaras, gemitum tenebroso immittis Averno, Errantes revocas* ad pascua recta bidentes, 65. Faucibus et certe (4) pereuntes eripis hostis. Agredere, 0 immortale decus laudemque perhennem Nec longas horresce moras longumque laborem. Res levis est factu et facilis, modo certa voluntas Afiuerit: iam Pastor adest Benedictus, et ultro % * (1) La Darsena. (2) Nel ms. peraiuie. . . (}) Nel ms. Consilio. (4) Nel ms. cetu. — 66 o — 70. Ipse tuas sedes, tua fida ad limina supplex , Accessit pacemque ferens pacemque requirens , Implorans operamque tyam auxiliumque fidemque, Congressum exposcens iustasque subire paratus ; Quas nolet acceptas pars altera ducere formas, 75. Dum modo conciliet pacem, nil ferre recuset; Si quamcumque viam pars equam adversa capesset In manibus res perfecta est; sin cuncta negabit, Et sponse in gremio virus letale fovebit, Nulli iam dubium quin sit sceleratus adulter. 80. Quis colet expertum huius? quis proferet ultra? Quis non indignum pastoris nomine linquet ? Sicque optata iterum veniet concordia caulis (1), Et tandem grex unus erit pastore sub uno. III. Alle varie Profezie fin qui note (2), e indirizzate ad ammonire i Genovesi, con linguaggio più o meno aperto, affinchè non lasciassero perire la patria libertà, insidiata % (1) Al disopra di caulis sta la glossa : Ecclesia est, (2) Per esempio quella di fra’ Tommasuccio da Foligno, del 1357, edita dal Mazzatinti nel Propugnatore, voi. XV, par. II, pp. 24, poi riprodotta nel Giornale Ligustico, a. 1882, pp. 477; e l’altra, cavata da un zibaldone notarile del sec. XV, in Atti Soc. Lig., III. di. D’ altra natura è la profezia , riguardante varie città d’Italia, ch’io lessi in un codice del sec. XV nella Corsiniana di Roma, segnato 43. B. 26, e dicesi copiata nel 1438, ma già da « più tempo fat£a » (car.* 48 verso). « Genova. — Nel 1449 e’ Genovesi metteranno in punto una grande armata la quale manderanno a Propiemante (?), e si vi staranno a champo insino a di xiiii di giugno 145°) e meteranola a sachomanno, e lievi grande ucisione daluna parte e da laltra. E chorrerassi un palio a Genova ». Ma gli annali domestici non riferiscono sotto il 1449-50 altra impresa, fuor quella contro i marchesi del Finale. Nè le corse al palio erano avvenimenti straordinari; perchè, in virtù delle Leggi del 1413, avean luogo ogni anno nelle feste di Pentecoste. — 661 — da cittadini ambiziosi e da principi cupidi di allargare 1 propri Stati, é da aggiungere questa prosa latina, eh’ io ricavo dal codice miscellaneo, già della biblioteca di Giulio Pallavicino ed ora dell’ archivio municipale di Genova, segnato 913 (1). Si riferisce essa di certo a quel periodo di turbolenze, che il Giustiniani descrive sotto 1’ anno 1462 (2) ; e figura in P e L il replicato palleggiarsi del dogato fra Paolo e Lodovico Fregosi, e colla iniziale T allude a Tommasino, figlio di Giano , il cui sopravvento diceasi costerebbe a Genova sciagure anche maggiori. Però i fatti diedero torto al profeta: la repubblica, uscita dalle domestiche tirannidi, si acconciò nel 1464 sotto il dominio di Francesco Sforza. fjec tibi Ianua mandat Albertus: sussipe , si vis, profetisaturum. Ve tibi et iterum ve: ecce conculcasti solem, destruxisti lunam, occidisti stellas; peribis. Ve matres, et beate steriles; ecce veniet super te dies una; ecce beati qui a tali ruina evadere poterint. Adsunt tibi dies miserrimi; vendicabit se inimicus de inimicis suis. Nam tamquam a fulgore (3) aggressa fueris, et sanguis decurret per plateas civitatis. Debellabunt turres, et iterum rediet P et regnabit L ; et beati qui talem diem poterunt videre. Post hec pacem, abundandam habebis; et diu in omnibus bonis perfecte abundaberis. Sed superveniente T, plura devastabit propter divixiones tuas. Maiores tui in quantitate peribunt in illa. Necesse est, ut ayt Matheus, ut veniant scandala ; et usque ad celum transibunt. (1) Car. 141 recto. (2) Giustiniani, Annali di Genova, II. 433. (3) Allusione chiarissima anche questa ai Fregoso ; il cognome de’ quali, che rammenta la modesta origine loro da Campo Felegoso (dial. Fregoso) in Polcevera, fu dagli umanisti del sec. XV nobilitato in Fulgosio. — 662 — IV. Le discordie fra i due Portici, che funestarono così dolorosamente Genova nella seconda metà del secolo XVI, * e le guerre della repubblica coi duchi di Savoia nel successivo, svegliarono aneli’ esse gli estri poetici, e, come notò il Neri, armarono di flagelli la satira. Così in uno de’ codici già posseduti dall’ avv. Ambrogio di Matteo Molfino, ma da più anni acquistati dall’ archivio civico (i), leggiamo il seguente sonetto caudato di un partigiano de’ nobili vecchi, cioè del Portico di San Luca, ai nobili nuovi ossia del Portico di San Pietro. A San Pietro de’ Banchi In la morte di Giovanni Scaglia. m Per una scaglia sol della tua pietra, Ch’è stata rotta, fai tanto schiamazzo? O, che ti soprastia maggior fracazzo, S' il mio desir il ver dal Ciel impétra ! Lasciate star San Luca, che se spietra Una sol volta il suo furor da pazzo, Vi vedo stesi sopra un matarazzo, Che ognun ne farà festa a suon di cetra. Il Duce, i senator, il Consiglietto, Parlo di quei che fanno del Catone, Han da ridursi tutti in un sguazzetto. Che pene poi, che bandi, o ribellione ! Vedrete suscitar un Garibetto Che ognun di voi si troverà coglione. (i) Cfr. Scritture spettanti alla Repubblica di Genova (sul dorso : Memorie Genovesi), voi. I, car. 337. - 663 - E se qualche mastrone Vuol saper chi ha rotto questa scaglia: Fu foco di carbone e non di paglia. . Però più assai ti caglia, Quando vedrai la brascia tutta ardente ; Chè per le strade correrà la gente, * Dicendo all’ insolente Canaglia di San Pietro: a ferro, a foco! Chè il popol tutto se ne farà gioco. All’ hor vedremo un poco Questi tuoi capi quel che sapran fare. • Andat[ev]i pur tutti a confessare; Ch’io vado tutti spettare, Quest’ altro Consiglietto, su quei canti Dove hora si castigano i furfanti. Il fatto va con molta probabilità riferito al tempo in cui una parte del popolo, istigata dalla nobiltà nuova, si sollevò, ed ottenne dalla Signoria” 1’ abolizione della legge del Garibetto. Orò in favore della revoca, con moltissimo vigore, 1’ ex-doge Giambattista Lercari ; e forse a lui corre diritto l’accenno ironico del poeta a quei che fanno del Catone. Quanto al foco di carbone onde fu morto lo Scaglia, é da credere sia per esso fatta allusione al senatore Tommaso Carbone, il quale, più specialmente nei processi che seguirono la rivolta infierì contro i colpevoli (i). * (x) Lercari (supposto, ma propriamente Scipione Spinola), Discordie e guerre civili dei Genovesi, pp. 114. Alla barzelletta già nota di Francesco Begni, per le vittorie ottenute 1’ anno 1625-26 da’ Genovesi sopra le armi collegate di Savoia e di Francia (1), può andar compagna questa gobbada (2), trascritta nel codice Pallavicino dell’ archivio municipale di Genova, num. 793. Gobbada da Condoianza che fa el Gobbo de Rialto con el Gobbo di Savoia , DEL TRISTO SUCCESSO DELLA GUERRA FATTA a’ ZENOVESI. Che disevo, sier Gobbo de Savoia, Della gran guerra fatta a’ Zenovesi Con tante arme d’heretici e Francesi, Che tanti non tur Greci a prender Troia? C’ havev mo’ fatto, zente moia moia ? Con quattro scarzi hora se son defesi; S’i han speso, in so buon hora, i han ben spesi: Vu’ sperso un reai campo con gran doia. I maiorenghi vostri conlegai Dovean pensar che nelle* vostre imprese Havei ziogado a perder sempre mai; Nè far a vostra voia tante spese, Nè dar ve tanto cargo doveiam mai Nè far sì gran misfatto alla palese. * « (1) Atti, XIII, 1049 segg. (2) Poesia di genere satirico, che ha il suo riscontro nelle góbbole tuttora in uso della Sardegna. Cfr. Guarnerio , Appunti di poesia popolare sarda, in Giornale Ligustico, a. 1889, pp. 465. - 665 — Trascorso il Zenovese Havó, quasi per tutto in ogni cao, E arso terre e chiese sachezzao. • Perchè no’ se’ vu andao , Zonto che fossi avanti alla Bochetta, Senza paura in quella cima stretta ? Però s’ andavi in fretta, Morto o preso del certo ghe restavi Da quei Ponzeveraschi, tanto bravi Como fur i loro avi, Chi han fatto za morir a Morigallo Miara de Francesi a pie’, e a cavallo. Nè zo xe burla o fallo; Chè Morigallo è sol mo’ nominado, Perchè de sangue Gallo fu sponhado (i). Ma che zanzando vado, Se nelle Istorie se ne parla a pieno, E n’ è da un piano all’ altro el mondo pieno ? Però el mortai veleno De lingue invidiose e mal dicenti An dito mo’ che questi' sì valenti * Han fatto arrobamenti. Ma no xe ver, chè tutto so per lista D’amixi, da spie e da novelista, * (i) Lo stesso che sponyido, cioè imbevuto come spugna del sangue de’Galli, i quali un antica tradizione, destituita di fondamento , narra che vennero presso l’odierno ponte della via Nazionale sulla Secca a battaglia coi Liguri, e furono da questi massacrati. Donde, come dice anche il poeta, il nome tuttora vivo di Morigallo. Atti Soc. Lig. St. Patri*. Voi. XIX, Serie II. * 4? — 666 — * Anzi che a prima vista Questi con Marragian, quel gran bandio (i) , A Savignon voltar vi han fatto indrio » In fretta sbigottio. E più non spera alcun d’entrar sì avanti, Come se* sta vu’ con tanti fanti. Ma gran mercè d’ alquanti Spioni, della Patria traditori, Che fuori o dentro v’ eran condottori ; Perchè palazzi e honori, E denari e poderi e dignitae Promessi havevi à loro iniquitae. Daspuo’ se son mutae Tante grandezze e preminenze rare , In case dispiantae e in manare. Al monte e in riva al mare Mo’ Zenovesi van fortificando El Stado lor (2), e ’l vostro consumando, Et han burle burlando Più milioni, che non havé vu Marchetti (3) Da mantener la guerra, lo’ soletti. ♦ E se ne vede effetti : Ch’ han mo’ ricuperà presto in un tratto Zo’ che ghe havevi tolto a fatto, (1) Battista Maragliano, capo di fuorusciti al soldo della repubblica. Cfr. Casoni, Annali della Rep. di Genova, ed. Casamara, V. 88. (2) Accenna alle nuove fortificazioni di Genova, deliberate nel 1626, ed a quelle aggiunte pur allora al castello di Gavi ed alla città di Savona. Cfr. Casoni, V. in e 121 ; Olivieri, Un medaglione storico genovese ecc., Genova, 1862. (3) Soldini veneziani di rame, così detti dall’ effigie di S. Marco. Con darve scaccomatto De pedina, Gobbetto, a quel che intendo, Che 7.0 v’ han tolto a vu lor van tenendo. Sento dolor tremendo Della gallia col stendardo presa, Dal galeazzo a lui sì presto aresa (i). E in fino al cor me pesa De tanti buo’ che v’ han menao via , Con tanti bei canon d’ artaglieria. Nè ghe speranza o via De rihaver più niente al mondo mai ; Perchè i canon son in salvo e i buo’ mangiai. E me condogo assai Che 1’ Aldighera, de’ Francesi cao , Nel più bisogno v’ habbia mo’ piantao (2). Me par che habbia smerdao, A dirvela sì sporca, el so valor, La fama, la braura, anco 1’ honor. E son de quest’ humor Ch’ harà sto laro mio la manza tolta, Per dar, com’ ha pur fatto , indrio la volta, Com’ anco fa ogni volta. Nè rispetto ha a vu, nè al Re di Franza , Che 1’ ha mandà in Italia con speranza (1) Trattasi di una galea di Savoia, la quale, uscita dal porto di Villafranca, avea sorpreso e depredato presso l’isolotto della Gallinara un legno mercantile de’ Genovesi. Cfr. Casoni, V. 119. (2) Il contestabile di Lesdiguières, comandante delle truppe francesi, alleate a quelle di Savoia; il quale, in conseguenza del trattato di Monzone tra Francia e Spagna, avea dovuto cessare le operazioni di guerra. _ 668 - De requistarghe stanza E via passarne (i) a fatto el Re di Spagna, Co ’1 fusse un can barbon della Bertagna ; E tesa han lù la ragna Haveva in Acqui al Duca Mantovan, Perchè venisse avanti a salva man (2) ; Ma gli è andao in van El so pensier, non za’ come se astima, Come quando inganò la moier prima (3). Ma dir doveva in prima Da quel da sie balotte gran Ducazzo (4) Che d’arme ha fatto han lui tanto fracazzo, Et ha da gran bravazzo Mandao zente a Zenova e galie Con arme, et inzegner con delle spie. Ma tante cortesie Contra Savoia, fatte prontamente Per Re di Spagna, è obligo corrente; E tien nascostamente In Pietrasanta grande provision De zente e d’arme, con intenzion (1) 0 anche spaiarne? Il ms. ha pararne. (2) Sul fatto di Acqui, cfr. Casoni, V. 91. (3) Allude al matrimonio di Ferdinando Gonzaga, duca di Mantova, con Camilla Faa di Bruno, contratto segretamente nel 1615, e poi annullato nel 1622. Cfr. Litta, Fam. Goti{aga, tav. VI. (4) Le palle dei Medici, arma del Granduca di Toscana, il quale avea mandate alcune sue galere in aiuto della repubblica. Cfr. Casoni, V. 81. — 669 — De soccorrer da buon Sarzana e Sarzanella confina, Come Spagnoli han fatto in Valtolina (1). Ma della picinina Signoria de Lucca no se tratta ; Se ben la perde sempre o che l’impatta ,* Mostrada almen s’ è atta Servir a’ Zenovesi prestamente D’ arme più de mille anni ruzenente, Con provision de zente Raccolte per le piazze, eh’ al Sol stava Grattandosi la rogna e speducciava. Mo te’, mi me scordava Del Duca Parmesian, del Modenese, Che s’ ha de zente desmorbà el paese Marza de mal franzese; E armada 1’ han manda, con si» gran mal, A Zenova a far guerra a 1’ ospedal. Ma , corpo mo’ de tal ,* Aodo dir che tante arme, o car Gobbetto, Tutte contra de vu fatto han traghetto. Perchè Don Filippetto (2) Ha visto de tìorghe havei disegno Milan, Sicilia, e Napoli col Regno ; (1) Evidente allusione alle continue mire dei Granduchi di Toscana, di impadronirsi di Sarzana e di Sarzanello sul confine genovese. (2) Filippo IV re di Spagna. — 670 — E per paura 0 sdegno Ogni so forzo a Zenova ha concesso , Più che per essa, per salvar sè stesso. Del che comprendo espresso, Che monsù Re de Franza ha stabilio De tior Italia moia al parer mio. Grattar se può da drio, E vu’ quietarve , che nè in mar nè in terra Vittoria alcuna harà di questa guerra. A11 lu Re d’Inghilterra Arme, zente ha romesso e galeoni, Per carcarli a San Remo di limoni! Nu altri Pantaloni Volemo mo’ le braghe zu’ calarve , Per T error fatto , e po’ ben sculazzarve ; Perchè podevi farve Non Zenovesi sol, ma Italia vostra, Con un campo el mazor dell’ età nostra (1). Ma l’error vostro mostra Che sie una bestiazza da ligar, Medexina che move e non fa andar. \ • Ma nu’ che dobbiam far, Che sem con vu concorsi alla nascosta? De nu che seguirà? Feme resposta • Con un corrier a posta, Sier Gobbo de Savoia. Signor alto Son, chi ve scrivo, el Gobbo di Rialto. (1) Merita di essere rilevata questa aspirazione a ridurre l’Italia in potere di Carlo Emanuele I, che è comune ad altri poeti contemporanei. Il eh. prof. Ferdinando Gabotto ci promette appunto un lavoro su La vita di Carlo Emanuele I, e Videa italiana nella poesia..... del tempo suo; e già ne ha dato un importante capitolo di saggio nel Giornale Ligustico, a. 1889, pp. 3 segg. — 671 — 11 nomignolo di Gobbo, col quale il duca di Savoia viene ripetute volte chiamato dal satirico veneziano , né solamente da lui (1), era derivato realmente a Carlo Emanuele I dalle spalle incurvate ; e nel Gobbo di Rialto è da riconoscere la statua di un uomo gibboso , posta colà sul mercato delle civaie, per sostegno d’alcuni scalini e d’ una colonna di granito egizio, donde si bandivano le leggi e 1’ altre ordinanze della Serenissima di San Marco. Se non che il popolo di Venezia attribui dipoi al Gobbo quel medesimo ufficio che il popolo romano commise a Pasquino, affiggendo alla sua persona, 0 alla base che la reggeva, le satire, i libelli ed i motti di spirito, che avrebbero potuto costare carissimi ai loro autori. Anzi il comm. Guglielmo Berchet, alla cortesia del quale vado debitore di questa notizia, mi avverte che de’ cartelli appiccicati al Gobbo esistono a Venezia intere collezioni; ed aggiunge che fra la statua di Rialto e ’l torso informe di Palazzo Braschi corsero altresì non infrequenti dialoghi, come mostra un bel volume raccolto dal comm. Federico Stefani, il solerte e dotto bibliofilo che tutti sanno (2). VI. Finalmente debbo alla gentilezza del prof. Giorgio Gambinossi l’apografo di un’ altra poesia satirico-popolare. « Lo trovai, mi scriveva da San Remo 1’ egregio insegnante, entro un bellissimo esemplare del Tasso stampato (1) Ved. per esempio, in Atti, XIII. 10^9, il sonetto anonimo che comincia: Be’, com va el me gobiu da ben? (2) Un esempio di si fatti dialoghi abbiamo oggi anche noi, nel codice Palla-vicino-Municipale num. 837; e concerne la scomunica lanciata contro Venezia per 1’ abolizione del Foro ecclesiastico. in Genova dal Bartoli nel 1590, che conservo, tuttora fresco come uscito dai torchi. La canzone mi pare inedita ; e dai nomi che vi sono, Ella potrà precisarne 1’ epoca e l’occasione. Se non m’inganno, v’ è qualche errore di copista ». Verissimo, rispondo io all’ultima parte; e quanto al resto, dico che il poeta celebra la vittoria di Castelvecchio ottenuta dai nostri sul conte Catalano Alfieri, generale delle milizie di Savoia, addì 5 agosto del 1672 (1). * Vien puro, 0 Cattalano, Non menar il taccone; Lasciasti i Piemontexi In man de’ Genovexi Chi morti e chi prigion. Alla Pieve venisti A far del bravaccione (2); Formasti ivi trincera, Rubasti quanto v’ era Come un crudel lad,ron. (1) Intorno alle trame ed alla impresa del duca di Savoia contro Genova, cfr. specialmente Marana, La congiura di Raffaello della Torre, ecc.,-Lione, 1682; Alb. Della Marmora, Le vicende di Carlo di Simiane, ecc., Torino, 1862, pp. 12 segg.; Claretta, Storia del regno e dei tempi di Carlo Emanuele li, Genova, 1877, voi. I, parte II, cap. V e segg., e il Memoriale dello stesso duca, ivi, voi. Ili, passim. (2) I reggitori e difensori della Pieve di Teco per la repubblica, dopo che l’Alfieri ebbe occupato il Passo di Nava, non potendo opporre valida resistenza, gli aveano fatte presentare eque proposte di accomodamento. Ma egli rispondeva di volere ad ogni costo entrar nella terra, minacciando di metterla a fuoco e di rinnovare i danni che già quel contado avea paliti nel 1625, se mai gliene fosse conteso l’ingresso. Tu, che esser ti vanti Al mondo un gran soldà, Dove hai imparato Venirsi l’altro Stato In pace a guerreggiar? • Con gente disarmate Mostrasti gran valor; Scrivesti manifesti (i), Minacce con pretesti, Per mettere timor. Non far tanto del dottor Con Bartolo e Giason (2); Perchè non ha Bologna, Per grattar questa rogna, Buone concluxion. In guerra i Genovexi Non curan i Latin (3); Ma solo monisioni Adopran con canoni, Millioni di quattrin. (1) Allusione al manifesto fatto mandare il 28 giugno al Governo genovese dal conte, il quale dichiarava di essere venuto, in nome del suo signore, a difendere gli uomini di Cenova, nel marchesato del Maro, sudditi di Savoia, contro gli uomini di Rezzo, feudo del marchese di Clavesana, suddito della repubblica, a cagione delle pretese che questi vantavano al compossesso di una montagna in vicinanza della Pieve, sopra il fossato di Pittone. Protestava egli però nello stesso di volersene ritrarre, qualora la decisione delle differenze vigenti da antico, si rimettesse nel Collegio dei dottori di Bologna, e la repubblica, dando anticipata malleveria, si obbligasse ad accettarne come definitivo il responso. Un altro manifesto su lo stesso argomento inviò pure l’Alfieri a Genova il giorno 8 del successivo luglio. Cfr. Viceti 1 Successi della guerra tra Genova e il Duca di Savoia, ms. della Civico-Beriana, foi. 11-12; Della Marmora, op. cit., pp. 25 segg., ed ivi anche il Doc. I. (2) Il celebre Giason del Maino. (3) Il latino dei dottori bolognesi. — 674 — Non hanno ancor mandato, Come quel tuo Buschet (i), Per governar i fanti, Le gioie e diamanti Ad impegnare in ghet (2). Come sarà venuto Da Cipro provegion (3), All’ hor, se tornerai, Forma[r] forse potra[i] Un nuovo trincieron (4). Intendo che sei vecchio, Che vai col capo cliin (5); Stavolta hai fatto presto (6), Ti sei mostrato lesto In menar il scappin. Soldati e cavaglieri Si sono lamenti, Perch’ hai fuggito i morsi Delli soldati còrsi, E lor sono ingabbi! (_i) Giovanni Battista Buschetti, gran cancelliere ducale. (2) Son note le angustie finanziarie, nelle quali, a cagione delle molte guerre, ebbe spesso a trovarsi Carlo Emanuele li ; ed è noto egualmente, che il prestar denaro su pegno era ufficio quasi particolare degli Ebrei, i quali in Piemonte ebbero molestie molto minori che altrove. (3) Si irride alla vanità del titolo di re di Cipro, portato dai duchi di Savoia. (4) Per le trincee, cfr. Casoni, VI. 178 segg. (5) Anche il Viceti (fol. 7 verso) dice del conte Catalano, che gli anni lo aveano reso « mal disposto di salute et assai fiacco ». (6) Nel ms. onesto. T’ aspettano il Restoro (i) « Et il Palavicino (2), Che venghi con Ligorno (3) E quel visetto adorno Del sgherro Rafelin (4); Che forse proveranno In Genova costor, Come tanta canaglia, Se taglia la mannaia Le teste ai traditor. Cittadi con castelli Volevano pigliar Con rape e con navoni; Ma poi tutti prigioni Qui si convien restar (5). Andati son per lana, E tozi son restà; Bagaglio con le genti, Cavalli con argenti Ha preso ogni soldà. (1) Il sergente maggiore di battaglia, Pier Paolo Restori, comandante delle truppe córse che la repubblica di Genova teneva al proprio soldo. (2) Francesco Maria Pallavicino, maestro di campo, già resosi illustre nelle guerre di Fiandra. (3) Carlo di Simiane, marchese di Livorno nel Vercellese, luogotenente del-1’ Alfieri e maestro della cavalleria ducale. (4) Raffaele Della Torre, di cui si erano poc’anzi scoperte le macchinazioni col duca di Savoia, a danno della repubblica. (5) I prigioni furono circa 1500, fra i quali quaranta di molto riguardo. A questi fu dato alloggio nel Palazzo pubblico ; gli altri vennero accolti nell’Al-bergo de’ poveri di Carbonara. Cfr. Della Marmora , op. cit., pp. 79 segg. Marchese di Ligorno Credeva guadagnar Savoneze foitessa, E piemonteze Altessa, Senza nien contrastar (i); Ma poi egli ha provato Che 1’ essere guerrier Non è rubar zitelle, Portar via verginelle Fuori del monaster. Haveva macchinato Gran cose nel cervel; Ma poi si è trovato Il Duca e lui gabbato, Come due ravanel. Sarebbe forsi bene » Mandar Don Gabriel (2); Che forsi, come mulo , Terrebbe forte il c____ A regger il duel. (1) Intorno alla sorpresa di Savona, tentata dal Simiane, il 26 di giugno, e sventata pei solleciti rinforzi mandati da Genova, cfr. Della. Marmora, op. cit., pp. 19 segg. (2) Gabriele di Savoia, zio naturale del duca ; il quale da prima lo spediva al campo per cessare i dissapori che correano tra il marchese di Livorno e l’Alfieri, e poi gli conferiva il comando supremo dell’esercito. AGGIUNTE E CORREZIONI A VARIE MEMORIE Al Frammento di poemetto su la conquista d Almeria. Pag. 405, nota 1. — Marabotinos melechinos visisinos. Quest ultima parola deve essere una cattiva lezione dell’ amanuense, che trascrisse nel Liber Jurium il trattato dei Genovesi con Alfonso VII di Castiglia, scambio di alfonsini. I marabottini anfurini o alfonsini, come variamente chiamavansi, erano difatti una moneta di quel re, e si conteggiavano assieme ai marocchini e ad altre specie, come 1» rn vediamo nell’istrumento della vendita di un terzo di ioitosa per gli stessi Genovesi al conte di Barcellona, seguita l anno H53‘ Cfr. Sauvaire , Matiriaux pour servir a l’histoire de la numisma tique et de la mltrologie musulmanes (extr. du Journal Asiatique), Paris, 1882, pp. 360-61. Alla monografia: Un assassinio politico. Pag. 430, lin. 27 -28: i signori interni, 0 caporali (cosi li >~hia mavano), si scissero ecc. — Corr. i signori interni si scissero ecc. Pag. 431, linea 21-22: il più possente e stimato de’ caporali. — Corr. il più possente e stimato dei signori. Alla memoria: Il Rito Ambrosiano ecc. Pag. 545, lin. 24: alcuni. — Corr. appunto. INDICE DEL VOLUME DECIMONONO DEGLI ATTI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (terzo della seconda serie) Regesti delle Lettere Pontificie riguardanti la Liguria, dai più antichi tempi fino all1 avvenimento d' Innocenzo III, raccolti ed illustrati con documenti dal socio Cornelio Desimoni ........ • Pag. s Aggiunte e correzioni ai Nuovi Ricordi Arabici su la Storia di Genova, del socio prof. Michele Amari . . . » /47 Trattato del Sultano d’Egitto col Comune di Genova nel 1290, ripubblicato dal socio L. T. Belgrano . . » 161 Le prime monete d’ argento della Zecca di Genova ed il loro valore (1139-1493), pel socio Cornelio Desimoni. . » 177 Le Carte nautiche italiane del medio evo, a proposito di un libro del prof. Fischer, pel socio Cornelio Desimoni . » 22j Les papiers des Archives de Genes et leurs filigranes, par C. M. Briquet........» 267 Frammento di Poemetto sincrono su la conquista di Almeria nel 1147, ripubblicato dal socio L. T. Belgrano . - ^ 395 Un assassinio politico nel 1490 (Ranuccio da Leca), Memoria del socio L. T. Belgrano.....» 425 Ai Regesti delle Lettere Pontificie riguardanti la Liguria, Nuove giunte e correzioni del socio Cornelio Desimoni . » 463 — 68o — A proposito di una Poesia inedita di Giovati Mario Filelfo a Tommaso Campofregoso, di Ferdinando Gabotto . Pag. 4.89 Il Rito Ambrosiano nelle chiese suffragarne della Liguria, Memoria del socio Girolamo Rossi . . . . » J2i Frammenti di Laudi sacre in dialetto ligure antico, pubblicati dal socio Paolo Accame •.....» /47 Ai Regesti delle Lettere Pontificie riguardanti la Liguria , Terze giunte e correzioni del socio Cornelio Desimoni . » /7^ Cristoforo Colombo ed il Banco di San Giorgio, Studio di Henry Harrisse esaminato dal socio Cornelio Desimoni. » 583 Di un Codice genovese riguardante la medicina e le scienze occulte, pel socio L. T. Belgrano . . . . » 62j Contribuzioni alla Storia di Genova, specialmente nella Poesia, pel socio L. T. Belgrano......» 6jy Aggiunte e correzioni a varie Memorie . . . . » 6yy INDICE DELLE MATERIE CONTEMUTE IN QUESTO FASCICOLO Gabotto. — A proposito di una Poesia inedita di Giovan Mario Filelfo a Tommaso Campofregoso........» 489 Rossi. — Il Rito Ambrosiano nelle chiese suffraganee della Liguria . » 521 Accame. — Frammenti di Laudi sacre in dialetto ligure antico . . » 547 Desjmoni. — Ai Regesti delle Lettere Pontificie riguardanti la Liguria, Terze giunte e correzioni . . . ......»573 Desimoni. — Cristoforo Colombo ed il Banco di San Giorgio, Studio di Henry Harrisse..........» 585 Belgrano. — Di un Codice genovese riguardante la medicina e le ■P scienze occulte...........» 625 Belgrano. — Contribuzioni alla Storia di Genova, specialmente nella Poesia............» 653 Aggiunte e correzioni a varie Memorie.......» 677 9