GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E BELLE ARTI FONDATO E DIRETTO DA !.. T. BELGRADO ED o ANNO QUARTO GENOVA ΠΤΌΟΙΙΛΠΛ DEL R. ISTITUTO SORDO-M'JTl M DCCC LXXVII * GIORNALE LIGUSTICO Dr ARCHEOLOGIA, STORIA E BELLE ARTI SCAVI DI SAVONA Lettera al prof. Jf'olfgang IIcibi « Segretario dell’ Iinp. Instituto Archeologico Germanico (i). Parma, novembre 1876. Nell’ agro Savonese, lunghesso il tbahveg della Val di Legino percorso dal torrente Molinero, quasi all’ altezza della villa detta La Chiabrera dove una tradizione abbastanza accreditata colloca la cuna e la dimora dell’ insigne lirico omonimo, e poco al di sotto della vetustissima e diruta cappella di S. Anastasia, non è gran tempo che il corso d’ acqua, deviato dal primitivo suo letto per la rovina d’un muro adiacente, nel corrodere per ragion di pendenza la sponda destra del nuovo alveo, mise allo scoperto alcune lastre di terracotta, o embrici che dir vogliamo, che si riconobbero per materiali di un antico sepolcreto. Ultimamente, due giovani signori che villeggiavano in quelle circostanze diedero opera con lodevole intento, sebbene con mezzi poco appropriati, a proseguire gli scavi inziati dal torrente , cosi che in breve vennero esumate parecchie tombe, e (!) RiprnJuciamo dalla Liguria Ocàdentaìe di Savona questa Lettera, avendone ottenuto gentile assenso dal eh. cav. Poggi ; il quale si è inoltre compiaciuto di farvi alcune aggiunte. Speriamo che i lettori cc ne sapranno gr.nio, c riconosceranno aneli'essi con noi il pregio di si fatta scrittura. La DrecztoxE. 4 GIORNALE LIGUSTICO tutto porta a credere che molte altre sieno per uscire all’ aprico. Dico mezzi poco appropriati, in quanto che trovandomi giorni addietro in Savona, invitato da un amico feci un’ escursione lassù, e, per quanto si può giudicare da una ispezione di pochi minuti, ho dovuto arguire che i lavori di sterro non sieno stati fin qui eseguiti con tutta la dovuta circospezione, nè diretti con quel metodo scientifico che è di rigore in simili operazioni. Sembra, infatti, che in questi scavi si abbia avuto anzitutto di mira la soddisfazione d’ una curiosità che, per quanto nobile in se stessa, non ha però nulla di comune coi veri interessi della scienza; e che coloro i quali hanno frugato per entro a queste tombe si sieno preoccupati piuttosto del rinvenimento di qualche oggetto d’ arte o d’industria antica, che di raccogliere e coordinare una serie di fatti e di osservazioni che valgano ad arricchire di nuovi materiali il campo degli studi archeologici. Dai numerosi frantumi di embrici sparsi pel terreno ho giudicato trattarsi indubbiamente di un sepolcreto a inumazione dell’epoca romana. Gli embrici, di buona fattura, sembrano prodotti di fabbriche locali, fiorenti allora come oggidì. Dalle assunte informazioni ho potuto rilevare che il tipo generale di questi sepolcri consiste in prismi triangolari, di cui la faccia inferiore è costituita dal suolo e le altre due da larghi embrici ad orli rilevati (tegulae), con lungo lo spigolo supcriore una fila di tegole semicilindriche (imbrices) imboccate Γ una nell’ altra in modo da impedire che le filtrazioni dell’ acqua penetrassero frammezzo alle commessure degli embrici. In tali arche mortuarie, oltre a poche ossa, si rinvennero fin qui alcuni vasi fittili piuttosto rozzi e parecchie .impolle di vetro, che trovansi ora presso i direttori degli savi. Nessuna iscrizione è venuta finora a somministrare qualche più preciso indizio circa alla cronologia dei sepolcri e alla qualità e condizione dei sepolti : cosi le tegole e gli embrici GIORNALE LIGUSTICO 5 mi si assicurò essere del pari anepigrafi, da alcuno di questi infuori, su cui parve a taluno di ravvisare qualcosa come una sigla graffita, forse un marchio di fabbrica. Questo è quanto mi è dato per ora di segnalare in ordine alle scoperte archeologiche di Val di Legino; e mentre mi riserbo di comunicare all Istituto il risultato degli ulteriori scavi, non so abbastanza raccomandare agli egregi giovani che ne presiedono l’esecuzione, di procedere colle maggiori cautele e riguardi nei lavori di esumazione ; al qual effetto non tornerà superflua 1’ opera d’ un buon disegnatore o d’ un fotografo, per fissare 1’ imagine degli oggetti scoperti nell’ ordine e nella posizione precisa in cui giacevano. Nò si ommetta di compilare un diario degli scavi, in cui descrivere e inventarizzare ogni singolo oggetto scoperto, prendendo appunto di ogni benché menoma accidentalità, e, per quanto possibile, si cerchi di ricomporre in luogo adatto, coi materiali più integri, alcuna delle tombe scoperte, quelle almeno che costituiscono varietà di tipo. Che se nel processo del lavoro venisse ad allargarsi il campo delle scoperte, occorrerebbe attingere esempi e norme pratiche là dove si eseguiscono attualmente simili escavazioni, p. es., a Hologna; senza dire che in tal caso all’azione privata sottentrerebbe quella della Direzione generale degli scavi di antichità, la cui giurisdizione sarebbe nella fattispecie tanto meno contestabile, in quanto che il luogo delle scoperte non è altrimenti di proprietà privata, bensì parte del greto di un fiume. Insisto vivamente su queste raccomandazioni, essendoché le scoperte di questo genere hanno in Liguria una speciale importanza, per chi consideri come al di sotto dello strato romano, il solo fin qui esplorato, è probabile che abbia a rinvenirsi quando che sia uno strato ligure, la cui esplorazione ci fornisca finalmente qualche nozione sulla etnografia e sullo stato sociale di quelle antichissime e misteriose popolazioni 6 GIORNALE LIGUSTICO che le induzioni meglio fondate fanno credere aver preceduto qui e altrove ogni più antica immigrazione delle schiatte italiche , e i cui progenitori già forse erravano per lo foreste del nostro continente allorquando i primi fiotti della immigrazione ariana ancor non aveano toccato le rive di Europa. È nota la tendenza dei popoli antichi a stabilirsi nei luoghi stessi che furono sede alle razze a cui essi si sovrapposero : e come in Bologna proprio sottesso il moderno cimitero si è trovata la necropoli di Felsina etrusca, cosi è lecito augurare, non senza fondamento, che al di sotto di un sepolcreto dell’ èra romana abbia a rintracciarsi uno strato contenente reliquie «ielle razze abitatrici degli stessi luoghi in epoche anteriori. Di vero, sia che si guardi alla loro posizione sulla prima e più naturale via di migrazione dei popoli provenienti da ponente, sia che si abbia l’occhio ai loro caratteri fisici, tutto induce a credere che fin dai tempi più remoti questa di Lcgino e le altre vallate in cui si scoinparte il territorio Sabazio, abbiano invitato ed accolto a stabile dimora alcuno dei sciami di popoli avanzantisi lungo la Riviera. Se è logico argomentare che là dove la dolcezza del clima e la fertilità del suolo offrivano maggiori attrattive, ivi dovessero a preferenza soffermarsi e prender stanza i primi coloni, certo in niun luogo avrebbero questi potuto trovare una più benigna guardatura di cielo, e un suolo la cui spontanea fecondità offrisse loro con meno fatica maggior copia di naturali prodotti. E infatti, attraverso la bellezza e la magnificenza delle moderne ville, tutto qui riporta il pensiero ad una alta antichità. Ecco a pochi passi verso ponente i Vada Sabalia di Strabone (IV. VI. I.) e di Plinio (/*/. N. Ili, 7); a uguale distanza .1 levante il Savo oppidum alpinim di Γ. Livio (XXVili, 46); alquanto più in là 1’ Alba Docilia dell’ Itinerario di Antonino. Nè alle testimonianze storiche manca il riscontro delle prove archeologiche; imperocché, senza qui parlare dell’uomo pliocc- GIORNALE LIGUSTICO nico, i cui resti trovati in queste vicinanze non potrei far soggetto di discorso senza invadere il dominio delia paletnologia, abbondano d’ ogni intorno le venerande reliquie dei tempi antichi. A poca distanza dal luogo ove si eseguiscono gli attuali scavi furono trovate in altri tempi preziose anticaglie, fra cui basti citare il marmoreo bassorilievo di villa Naselli con magnifiche rappresentanze di animali (Torteroli, Mon. di pitt. scult, ecc., Proem.) ; nè men note sono le insigni scoperte di monumenti d’ogni classe fatte nell’agro Vadense, specialmente nel 1671 (Lamberti citato dal Garoni Guida st. c-con. e art. ecc., p. 47), nel 1717 (Polleri, Il tripl. vassall. 1719, p. 43), nel 1776 (Chabrol, Stjitist. du Dcpart. de Monteiwttc, IL p. 24), e le tante dei nostri giorni dovute all’ opera del rev. cav. Cesare Queirolo; alle quali si collegano quelle non meno interessanti che ebbero luogo a più riprese in Savona, e i ruderi che insieme ai molti oggetti d’arte e d’industria ivi raccolti determinano 1’ ubicazione dell’ antica Alba Docilia nel piano di Aibissola Superiore. Il terreno L· dunque adatto per le esplorazioni archeologiche, e tutto permette di sperare che indagini ben dirette abbiano ad essere coronate da felice successo. In uno spazio relativamente ristretto, abbiamo qui i due estremi d'una immensa serie, quali da una parte gli avanzi dell’ uomo pliocenico, e dal-1’ altra le reliquie del mondo romano: o come non potremmo riprometterci di rintracciarvi alcune vestigia de’ periodi intermedi ? Non dimentichiamo, anzitutto, che anche lo strato romano ha gran bisogno di essere attentamente esplorato e studiato; essendoché, pur troppo, tetti o quasi i monumenti epigrafici che dal medesimo vennero tratti fin qui alla luce, sieno andati miseramente dispersi o distrutti (1). Non pure non sappiamo ( 1 ) Sarebbe un lavoro utilissimo a tarsi c dc*no all’ intutto che vi si affatichi intorno alcuno fra gli studiosi delle patrie memorie, di cui non s GIORNALE LIGUSTICO quasi nulla della costituzione, dell’ organamento politico e delle condizioni economiche e civili ; ma ignoriamo perfino il preciso nome dell’ antica città o contrada che Pomponio Mela chiama Sabatia (II. 4, 9), Strabone Σχβάτο: (V. i, 10 sq), Tolomeo ο Σάββατα (III. 1) e da cui derivano ed al quale appellano i Σαβχτων Οϋάδα dello stesso Strabone (IV. 6. 1), i Vada Sabatia di G. Capitolino (Pertin. 9), il portus Vadmn Sabatium di Plinio (//. N. III. 7, 2), i Vadis Sabbatis 0 Sabatiis dell’itinerario di Antonino (pag. 295 e 502), i Vadis Sabates della Tavola Peutingeriana (segm. II. f) (1). Qualche sprazzo di luce sarebbe potuto uscire da una lapide con iscrizione di nove linee esumata nella vicina valle di Segno, ma di essa narra il Lamberti che fu mandata a male, non essendovi chi si sentisse diletto di cotali studi! Sento del pari deplorare la perdita d’ un marmo proveniente dalla chiesa che tu di S. Maria di Castello in Savona, il cui titolare C. Gellio havvi penuria in Savona, quello di compilare un catalogo ragionato e diviso per classi di tutto il materiale archeologico del paese, cominciando dalle scoperte di cui si trova memoria negli scritti del Lamberti, del Monti, del Polleri, dei Belloro, dello Spotorno, del Casàlis, del Torteroli, dei Rocca, dell’Issel, del Garoni e di altri, e venendo ai cimeli che tuttora sussistono disseminati qua e là in luoghi pubblici e nelle private collezioni ; rispetto ai quali temo per altro che un sentimento di superlativa ammirazione per le cose del proprio paese abbia per avventura fatto velo al giudizio, d’ordinario sì limpido e retto, dell’ ultimo fra i prefati scrittori, là dove afferma che nonostante lo sciupìo e la dispersione d’ un sì gran numero di monumenti, resta in paese ancor tanto da costituire un magnifico museo di antichità patria. (1) Gli è forse per sottrarsi all’ imbarazzo della scelta fra tanti nomi, che 1 autore d’ una recente pubblicazione ha creduto d’inventarne di pianta un nuovo (Alba Docilia e Vadum Sabatia, di Perasso Eugenio Giacinto). Per chi noi sapesse, dirò che il libro a cui si accenna attribuisce la fondazione di Savona nientemeno che a Jafet figlio di Noè: e questo libro porta la data del 1876! GIORNALE LIGUSTICO 9 sarebbe stato, secondo le antiche lezioni, Pontefice Massimo, e secondo le moderne, uomo oscuro morto in età di anni cinquantuno, più o meno. Così il eh. Garoni (op. cit. p. 45); dal che apparisce evidente che leggevansi nell’ epigrafe le sigle P. M. e che queste vennero da alcuni interpretate Pontifex Maximus, e da altri plus minus ; la qual ultima lezione ritengo più probabile; abbenchè il canone stabilito dall’ Orelli (2149) che Pontifex Maximus extra Urbem nullus est agnoscendus sia oggidì abbastanza screditato, potendosi citare alcuni sicuri esempi di Pontefici Massimi municipali (Henzen, 5956). Osserverò in tal caso che la forinola plus minus non permette di assegnare al titolo un’ età anteriore al IV secolo. Nè men dolorosa riesce a quanti s’interessano allo studio delle antichità sabazie la • o distruzione di altro marmo funerario con belle scolture già trovato nel gettar le fondamenta del Magazzeno dei Sali, e sul quale era menzione di un Seudone Emiliano, e della di costui consorte Chenesia. Trattandosi di scoperta avvenuta in epoca a noi vicina, non sembra infondata la speranza che fra le schede di qualche erudito del tempo abbia a rinvenirsi un apografo della iscrizione in discorso. Così come si cita, il titolo non presenta altra singolarità che quella del nome barbarico; di cui, se mal non m’appongo, ho visto altro esempio in lapida dei dintorni di Torino; onde mi confermo nell’ opinione che esso abbia a riferirsi all’onomastico ligure, anzi che al gallico siccome ad altri sembrò. Del resto, la nomenclatura stessa esclude che il titolare debba aversi in conto di persona insigne, designandolo piuttosto come uomo di bassi natali; chè anzi, la mancanza del gentilizio e il soprannome JEmìlianus fanno pensare al costume in vigore nei primi tempi dell’ impero, quando i servi, che le donne andando a marito portavano secoloro in dote dalla casa paterna, ritenevano allungato in anus il nome della famiglia a cui avevano dapprima appartenuto, e così quelli che per eredità passavano da una famiglia ad IO GIORNALE LIGUSTICO un’ altra (i). Sotto questo punto di vista, il Seudone dell’epigrafe savonese m’ ha 1’ aspetto di un ligure che abbia appartenuto in uno dei suddetti modi a qualche ramo della gente Emilia stabilitasi nel territorio sabazio o possessore in esso di latifondi. Per quanto poi riguarda l’accennata questione circa l’incertezza dell’ onomastica locale, non sarà mai lamentata abbastanza la perdita delle due lapidi, di cui Γ una trovata in Vado nel 1671 esibiva, al dir del Lamberti, la leggenda SABATIA, e l’altra proveniente dalla cittadella di Savona portava, secondo il eh. Garoni, la sigla SAB. Se la lezione di queste due epigrafi fosse accertata, non solo se ne avvantaggerebbe la serie importantissima delle iscrizioni geografiche, ma resterebbe finalmente determinata la vera ortografia d’una sì controversa denominazione. Queste iscrizioni sarebbero per Savona ciò che sono per Albenga la Muratoriana 1021, 7 e per Ventimiglia le due, di cui la prima in Fabretti cap. Ili, n. 104 p. 135, e l’altra in Muratori 1022, 1. Ma come fondare un pronunciato scientifico su dati così incerti? Se il eh. Garoni avesse visto e trascritto egli stesso le due epigrafi, sarebbe chiuso ogni adito al dubbio che gli apografi da lui esibiti fossero men che esatti e fedeli ; ma le notizie che egli ci porge in proposito sono di seconda, e fors’ anche di terza mano. Or come non mettersi in guardia, allorquando si sa che il Lamberti, a cui fa capo la notizia del marmo vadense (1) Cosi nel Colombario dei liberti e servi della gente Statilia testé scoperto sull’Esquilino ed illustrato dal eh. Brizio , i servi che una Cornelia passando nella casa degli Statilii avea portati in dote chiaraansi Corneliani (Brizio, Pitt. e sepolcri scoperti sull’Esquil., num. 113 e 114). Così un Epitteto liberto cesareo chiamasi Acteanus, perchè appartenne ad ad Acte amica di Nerone (Orelli, 2755); così su altra lapide edita dal Fabretti (p. 319, 422), un Febo liberto di Tito porta la denominazione di Othonianus, perchè proveniente dalla eredità dell’ imperatore Ottone ecc. GIORNALE LIGUSTICO colla leggenda SABATIA, era talmente preoccupato dall’ idea, d’altronde comune agli eruditi savonesi eziandio di tempi posteriori, di trovar questo nome sui monumenti che uscivano dal suolo della sua patria, da interpretar perfino come Sabatia civitas le tanto ovvie sigle S. C. delle monete imperiali di bronzo? In altro mio scritto (Sigilli ant. rom. p. 8, nota 16) , ho dimostrato con esempi desunti dalla odierna letteratura archeologica a quali equivoci possa dar luogo Γ interpretazione di presunti nomi topografici su monumenti antichi, allorquando l’ermeneutica subisca l’influsso di idee preconcette, e special-mente se c’ entri di mezzo il patriotismo, che è sempre pessimo consigliero in questioni di scienza; ond’è che nella fattispecie non sembra potersi per ora accettare una lezione, a sostegno della quale non militano sufficienti garanzie. Ma non prolungherò più oltre questa intramessa sulle iscrizioni savonesi dell’ epoca romana, bastandomi aver accennato come la maggior parte delle molte che uscirono in diversi tempi e luoghi alla luce sia oggidì perduta, senza che alcun profitto siane derivato allo studio della storia patria, e come occorra perciò chiedere con insistenza allo strato che li racchiude nuovi documenti che aggiunti ai pochi che tuttora ci rimangono, e di cui mi riserbo tener dicorso in altra occasione, ci aiutino a sollevare qualche lembo del denso velo che ancor ricopre il quadro della vita ligure in quel periodo. Solo allorché ci sarà dato di tratteggiare almeno i principali contorni d’ un tal quadro, potremo dirci in possesso d’ una sicura base d’ operazione, da cui col mezzo dei riscontri e per via di induzioni, procedere passo passo alla conquista di ulteriori nozioni circa la vita ligure delle epoche preromane, ciò che costituisce il desideratum della scienza e 1’ obbiettivo a cui debbono sopratutto mirare le indagini archeologiche che si istituiscano in questa parte d’Italia. 12 GIORNALE LIGUSTICO Ma non è soltanto da un punto di vista locale che lo studio sistematico delle antichità liguri inspira oggidì uno speciale interesse : esso si connette alla soluzione d’un problema scientifico più vasto e più complesso. Le antichità classificate sino a questi ultimi tempi sotto il titolo uniforme ma troppo vago e generico di antichità preromane,· constano in realtà di gruppi diversi, separati l’un dall’ altro da caratteri intrinseci che sono il risultato e la prova della differenza delle epoche e delle stirpi a cui i gruppi stessi si riferiscono. Fra questi, il principale e più cospicuo è senza dubbio l’etrusco, di cui abbondano oggi le reliquie non pur nell' Etruria propriamente detta e ad ostro di essa, ma ben anche nella Valle del Po, dove gli etruschi immigrarono in tempi antichissimi, diffondendovisi dalle Alpi all’Apennino. Ma nella serie dei gruppi extraetruschi, uno ve n’ ha che sebbene ostenti numerosi punti di contatto,da una parte collo, stesso strato etrusco, dall’ altra con quello delle stazioni lacustri e palustri dell’ alta Italia e delle terremare dell’ Emilia, coi quali soventi volte lo si confonde, possiede tuttavia caratteri tipici speciali che si vanno di giorno in giorno più accentuando e delineando, mercè gli studi comparativi intorno a cui si travaglia con tanta assiduità e abnegazione la scienza odierna, dopo che, verificatesi inefficaci le prime sintesi, fu riconosciuta la necessità del metodo analitico come d’ una via più lunga ma più sicura per giungere ai grandi veri. A distinguere questo gruppo, del resto non ancor abbastanza determinato, già nei diversi tentativi di classificazione metodica delle antichità extraetrusche si sono proposti parecchi appellativi, fra cui quello di umbro parve dapprima raccogliere una considerevole quantità di suffragi (i). (i) Questo appellativo trova appoggio nelle osservazioni craniologiche del Calori, che constatò nella Etruria circumpadana un mescolamento di due tipi, umbro ed etrusco. Ben osservava però il eh. Conestabile che su questo punto occorre esser molto cauti nel giudicare. GIORNALE LIGUSTICO 13 Se non che il risultato di ulteriori osservazioni, pur confermando Γ applicabilità di tale appellazione per quanto ris-guarda uno strato archeologico rappresentato nella regione circumpadana da alcune terremare dell’ epoca del bronzo, tenderebbe ad escluderla da altre varietà dello stesso gruppo, quale ad esempio la terramara di Monte Venera nel Reggiano, alla quale il eh. prof. Chierici crede convenirsi invece il nome di ligure. Lo stesso prof. Chierici, la cui competenza in quest’ ordine di studi è al di sopra di ogni eccezione, qualificava testé per ligure il sepolcreto di Bismantova del periodo più arcaico della prima età del ferro (Bull, di Paletn. ital. I, p. 42 segg.) ; attribuzione che verrebbe singolarmente avvalorata da congeneri sepolcri testé scoperti a Velleia dall’ egregio mio amico Dott. Mariotti, i quali troverebbero alla Jor volta importante riscontro in necropoli or ora esumate nel Comasco, altro paese ove secondo ogni tradizione stanziarono popolazioni liguri; mentre altri eruditi attribuiscono siEitta denominazione al contenuto di strati archeologici più bassi : e fórse non è lontano il giorno in cui sarà oggetto di studio iP quesito se non sia piuttosto nei fondi di capanne (i) che abbiano a riconoscersi le primitive vestigia di un popolo, il cui stabilimento in Italia fu presso gli stessi antichi ritenuto come anteriore a qualsiasi immigrazione di altre schiatte (2). (1) Ho dato maggior sviluppo a questa questione nella recente pubblicazione : Una visita al Museo di Storia Patria di Reggio dell’ Emilia. (2) Diffusa era l’opinione citata da Dionisio di Alicarnasso (I, 10) circa l’identità di stirpe fra i Liguri e gli Aborigeni. Nè a Catone, grande indagatore delle antiche memorie, riuscì di rinvenire alcun che sull’origine dei Liguri (Servio ad Aen. XI, 715), per quanto si sforzasse di risalire nella notte dei tempi. Nota è poi la tradizione, riferita da Filisto Siracusano (Dionis. I, 22), e da Silio Italico (XIV, 33), giusta la quale, i Siculi, il più antico popolo di cui si avesse contezza nella Valle del Tevere, altro non erano che Liguri. In fondo, gli è dunque alla stirpe ligure che fanno cipo le più vetuste memorie circa le origini italiche. 14 GIORNALE LIGUSTICO Che la stirpe ligure fosse nei tempi antestorici molto diffusa in Italia, è attestato dalle tradizioni raccolte da Filisto di Siracusa, da Silio Italico, da Euripide, da Servio e da altri (i), c confermato da considerazioni filologiche dedotte da numerose traccie di nomenclatura locale, ossia di onomastica topografica (2), non che dalle osservazioni antropologiche del Nicolucci e di altri, i quali hanno riscontrato i resti di questa razza brachicefala in quasi tutte le parti della penisola. La diffusione della stirpe ligure per la quasi totalità del territorio italico è probabilmente sincrona all’ apogeo del dominio della razza ibera sulla maggior parte del mezzodì di Europa, dalle Esperidi alla Sicilia. Non fu che al sopravvenire dei popoli di stipite ariano, che la razza ligure vide ristringersi successivamente la cerchia del suo territorio, finché, incalzata da diverse parti, si ridusse, parte nella Liguria propriamente detta, parte nell’alta valle del Po ove già la troviamo in sul primo albeggiare dei tempi storici, e ove sussiste tuttora, conservando que’ caratteri tipici che son propri della sua stirpe, e che niuna mistura 0 educazione è stata capace di obliterare. La lotta dei Liguri cogli Umbri e cogli Etruschi forma il soggetto delle più antiche tradizioni storiche : come il mito relativo alla pugna di essi con Ercole, 1’ eroe prototipo della razza indo-europea, adombra e simboleggia il contrasto e il fato diverso delle due stirpi. Stando adunque nei termini della filosofia induttiva, egli è assai verosimile che nella serie degli strati archeologici preromani, i quali rispondono alle diverse fasi della vita italica (1) Vedi la nota antecedente. Euripide (Troad. 437) afferma l’isola di Circe trovarsi in Liguria. Servio colloca nella Valle del Tevere il teatro d’una lotta fra i Liguri e gli indigeni della stessa (ad Aen. Vili, 328). (2) Il Mommsen ha additato 1’ omonimia di Uva col ligure Ilvales, d’onde sembra potersi dedurre che il dominio dei Liguri si sia esteso anche sul-l’isola dell’ Elba. GIORNALE LIGUSTICO ' V 15 nell ordine cronologicd in cui si sono succedute, il ligure debba occupare una considerevole estensione e profondità. Rimane ora a vedere se ulteriori scoperte confermino o meno queste razionali induzioni : al quale effetto nulla potrebbe meglio conferire quanto le indagini nel cuore stesso della Liguria propriamente detta; donde si potrebbe verificare in quanto e fin dove i caratteri del suolo preromano corrispondano qui a quelli della stratigrafia archeologica nelle regioni circumpadane, ove questo ramo di antichità fu più a fondo e su più larga base studiato. Ecco i problemi a cui preventivamente si connettono le esplorazioni del sottosuolo ligure, massime in questa parte della Riviera, dove gli studi antropologici dell’ Issel e le ricerche paietnologiche del Rev. D. Perrando, la cui collezione in Stella Santa Giustina già costituisce un interessante campionario delle antichità preistoriche del Circondario, hanno, a cosi dire, preparato il terreno, e porgono un addentellato a cui connettere e coordinare le ulteriori scoperte. Al contrario di quanto fu detto e scritto, la Liguria è ricca di tesori archeologici, lo studio dei quali potrà affrettare la soluzione di importanti quesiti storici ed etnografici. Varie razze si sono in essa sovrapposte, e tutte vi hanno lasciato delle traccio che fa gran mestieri trovare e interrogare. Gli è perciò che troviamo persino in essa monumenti che si son creduti fin qui esclusivamente propri di altre regioni. Non è gran tempo che il sig. David Pareto, distinto letterato di Oneglia, mi ragguagliava per lettera della scoperta da essolui fatta in que’ monti d’ un monumento megalitico sul fare dei dolmens celtici. Si tratterebbe di due enormi monoliti disposti uno sul-1’ altro, in luogo e circostanze da escludere ogni dubbio che il loro accoppiamento possa esser dovuto al ' caso. Sarebbe questo 1’ unico esempio in Italia di simili monumenti, onde ne verrebbe modificata la carta della distribuzione dei dolmens testò compilata dal Fergusson, in quanto che dovrebbe cosi ι6 GIORNALE LIGUSTICO prolungarsi la grande zona trasversale dei monumenti di pietra rozza che si estende nella Gallia dal sud al nord-ovest delle rive del Mediterraneo, fino ai promontori estremi della Bretagna (i). Del resto, 1’ etimologia ci insegna a distinguere nella Riviera ligure tre differenti schiatte, Γ italica, la celtica e Γ iberica. Molte parole ancor sopravvivono, nelle quali la scienza linguistica può leggere intiere pagine di storia: molti nomi di paesi, di fiumi e di monti, per quanto degenerati per l’alterazione fonetica particolare ad ogni dialetto, conservano ancora i segreti del passato, e possono far conoscere a chi li interroghi convenientemente, le vicende di questo paese, la patria e le migrazioni di coloro che lo abitarono. Chiamare l’archeologia in sussidio delle induzioni filologiche, è degno compito di quanti s’interessano alla cognizione delle patrie memorie. Ricomporre pezzo a pezzo, per mezzo del-1’analisi delle parole e delle reliquie archeologiche, l’insieme della vita d’un popolo preistorico, è tal lavoro che onora altamente non solo chi lo compia, ma chiunque cooperi in qualche modo alla sua esecuzione. Gli è perciò che richiamando il discorso all’ intento che mi son dapprima proposto, che è quello di segnalare un ordine di fatti che ha tanti diritti all’ attenzione del pubblico colto, e trarre da ciò argomento per invitare la gioventù del mio paese a prender parte alla nobile attività che ferve oggidì in tante parti di Italia e altrove allo scopo di cooperare all’ incremento degli studi archeologici, mi congratulo di cuore coi distinti giovani che con sì lodevole assunto hanno mosso i (i) Occorrono, è vero, nella provincia di Como monoliti che qualificansi da alcuno per monumenti megalitici ; ma oltreché non è affatto dimostrato che tutti portino le tracce del lavoro dell’uomo, non sembra potersi ravvisare neppur negli altri il complesso di que’ caratteri che permettano di determinarne 1’ assegnazione a detta classe di monumenti. GIORNALE LIGUSTICO t. 17 primi passi su d’una via che può riuscire ad ottimi risultati, e li esorto a voler proseguire verso la nobilissima meta, non senza prendere in qualche considerazione quanto possa esservi di giusto e di utile nei suggerimenti che una maggiore esperienza e sopratutto il vivo interesse che prendo al buon successo dell’ intrapresa m’ hanno indotto a qui esporre, affinché F opera a cui si sono accinti riesca maggiormente profìcua agli studi della scienza archeologica in generale, e della storia patria in particolare. Vittorio Poggi. DELLE MISURE E PROPORZIONI NEI MONUMENTI Le misure che servirono alle proporzioni nelle costruzioni nacquero dal costruttore stesso, cioè dall’uomo. Per quanto spingansi il più remotamente le ricerche archeologiche fra i primi popoli che abitarono la terra troviamo nelle nomenclature delle loro misure le più positive prove della verità suenunziata. Presso gli Ebrei, gli Egiziani, i Greci, i Romani, tutto misuravasi a dita, a palmi, a cubiti, a passi; misure tutte dedotte dal corpo umano, dal quale pure derivarono più tardi la tesa, il braccio, il piede, il pollice. Se però dalle misure in genere noi passiamo alle relative delle parti architettoniche nei monumenti, è opinione di molti che i Greci lavorassero su modello, e poco si occupassero di proporzioni. Non può negarsi che l’architettura greca presenti poca varietà ne* suoi monumenti. Ciò può osservarsi singolarmente nei monumenti greci in Sicilia, dove direbbesi che quelli più grandiosi sono un istesso modello eseguito in maggior scala. Osserva però il eh. Selvatico non parere credibile che i Greci, dotati di sì squisito sentimento d’ arte, Giokk. Ligustico , Anno IV, iS GIORNALE LIGUSTICO mancassero di questo principio armonico che noi ignoriamo, come lo ignorò Vitruvio stesso. A questo proposito il dotto francese Viollet Le Due (i) confronta l’architettura greca colla romana, e previe osservazioni sull’ una e sull’ altra conchiude che se nella prima risalta la perfezione dell’arte formo lata su franche basi, e come d’un sol getto, nella romana svelasi invece la necessità e la convenienza ; e siccome queste riferisconsi all’uomo, quindi si adottarono tosto in essa scale di misura in rapporto con lui, dando però talora adito eziandio all’ armonia convenzionale idolatrata dai Greci. Ma lasciamo in pace i Greci ed i Romani, chè anche troppo dovemmo nei nostri verdi anni ingerirsi negli inevitabili fatti loro, ed occupiamoci del medio evo, nei maestosi monumenti del quale, le scale e le proporzioni esercitarono cotanto le loro imperiose leggi. Ed è appunto allora, singolarmente nel XIII secolo, che rapporti di proporzioni basati sui principii geometrici e matematici produssero nei monumenti quell’incantevole armonia di assieme la quale rimase per tanti anni ignorata e misteriosa. Primi a scoprirne l’arcano sistema furono i tedeschi, Stiglitz ed Hoffstadt. Questi dopo avere con nordica pazienza misurate ed analizzate le maestose cattedrali gotiche del proprio paese, persino ne’ più minuti particolari, accertarono che le loro proporzioni non erano che deduzioni dello sviluppo del poligono e del quadrato fondamentale prescelto a servire di schema per l’impianto del coro (2). Volendo però appoggiare a documenti l’epoca dell’ adozione di questi principii sistematici, non potrebbe risalirsi che oltre (1) Vedi Entretiens sur l’Architecture, T. I. pag. 395, c Ί)ΜοηηαίΓ( raisonné de l’Archit. franfaise; Paris, Morel. (2) Vedi Mella, Elementi di Architettura Gotica, parte 2.*; Milano, 1857. Ristampata nel 1876, Milano, Ronchi. giornale ligustico 19 la metà del secolo XIV. Ma non può recarsi in dubbio che già esistessero un buon tratto prima, se applicati a monumenti anteriori a tal epoca, si trovano quadrarvi perfettamente. Il eh. Selvatico anzi ammette una certa uniformità nelle costruzioni sacre fin dal secolo IX. Senza però voler spingere troppo oltre 1 ipotesi, è un fatto in oggi non più contrastabile che principi geometrici sistematici erano già usati nel- 1 epoca anteriore allo stile gotico, vale a dire nel periodo dell’ arte romano-bizantina. Primo a dame contezza fu il già citato Viollet Le Due, il quale nel restauro d’ antiche chiese di quello stile, ebbe a compenso delle sue dotte indagini il risultato che egli riassume nella teoria che segue. Nel modo stesso che il triangolo equilatero col suo arco in terzo appunto, detto acuto, generò le proporzioni slanciate dell’ architettura ogivale, un altro triangolo meno elevato, ch’egli chiama Egiziano, perchè già in uso presso gli Egizi, determinò quelle più moderate e meno pretenziose dell’ architettura romanica. Questo triangolo egiziano avrebbe il rapporto della diagonale del cubo coll’ altezza del medesimo, e matematicamente espresso, come 4:2-^-, e non volendo frazioni come 8:5. A comprova della sin qui esposta teoria egli cita in Francia la chiesa di san Saturnino a Tolosa, monumento dell’ XI secolo, della quale dà il disegno nel volume VII del citato Dizionario alla parola « proportion ». Ed è appunto nel restauro di essa che sccvrate da posteriori aggiunte risultarono proporzioni che il Le Due riconobbe dedotte dal triangolo egiziano, prototipo di sistema che egli dice aver pure verificate in altri monumenti. Quanto successe al signor Viollet Le Due, avvenne del pari allo scrivente nel 1876 ora cessato, studiando sulle proporzioni della chiesa cattedrale di Ventimiglia, distile roma- 20 GIORNALE LIGUSTICO nico, giudicata pure dell’ XI secolo, e del restauro della quale era stato pregato. Quelle proporzioni apparentemente sistematiche, misurate colla scorta dell’ autore succitato risultarono perfettamente in accordo colla teoria su esposta del triangolo egiziano. La qui unita tavola metterà alla portata di tutti la conferma di detta teoria.' Avvertasi soltanto che la base delle misurazioni è stabilita al livello superiore delle basi, dal quale dice il Viollet Le Due come da capo saldo partivano le misure, sendo che spesso la diversità d’ altezza delle basi serviva appunto per appianar le accidentalità del terreno e stabilire quel piano. Avvertasi pure l’irregolarità in una delle navi minori, che è una di quelle tante ’ anomalie che sempre incontransi nelle antiche costruzioni e per le quali chi volesse infastidirsi sul serio o determinarne anche soltanto il vero motivo sarebbevi a morirne tisico. Dopo le scoperte del Viollet Le Due il signor Parvillee nella bellissima sua opera De 1’Architectare arabe provò la verificazione di quésta teoria applicata a varie moschee orientali, il che ivi dimostra con disegni e studi da lui fatti sul sito. Il sistema pertanto del triangolo egiziano pare possa accettarsi come sufficientemente provato. Edoardo Mella. LEGA TRA GENOVA E VARI SIGNORI FEUDALI DI SIRIA Doloroso ma potente argomento del vigore delle Repubbliche Italiane è la storia delle lotte tra loro combattute. L’Italia sparpagliata per guisa che la sua non ha riscontro che nella condizione dell’ antica Grecia, pur fu di nuovo maestra di civiltà e di civiltà che brillò di luce più pura della romana, perocché non diffusa colla tirannide, e informata a Mu ι 1 •'1=4= H' Proporzioni sistematiche Η«.Ί1 ;i Cattedrale di \ entinuplis ( Scc.^\.I^ Eri Mdia. ,dai Ziro :\VìV:! · l . . . si - 1 . ■ . . . . _ giornale ligustico 21 più alti concetti di umanità. E se il precipitare della romana grandezza fu morte di grande colpevole, rintristire dell’italiana fu fine di grande sventurato. Perciocché quella forza di vita che 1 Italia allor non volse all’ ingiusto conquisto di altri popoli nè a conculcarne i sacri diritti di nazionalità, ritorse in se stessa, con quelle lotte intestine, onde la convenzione che qui si presenta è uno degli aspetti. Nel fascicolo II, anno primo del Giornale Ligustico (pag. 69) veniva pubblicato un documento del 1207 ove si stringeva alleanza tra il Podestà di Pisa e il Doge di Venezia, per mandare 40 galee pisane e altrettante veneziane nei paraggi di Messina, onde offendere januenses ubicumque eos invenerint et offendere illos poterint, e ricuperare quelle città ed altri luoghi di spettanza imperiale che fossero tenuti dai Genovesi; obbligandosi ciascuna parte a non venire a patti coll’avversaria senza il consenso dell’altra. Posteriore, ma con fine presso a poco identico, è la convenzione che segue (1), per cui alcuni signori feudali di varie terre in Soria, e segnatamente Giovanni d’Ibelin signor di Borito, si obbligano a non fare accordo alcuno coi Pisani, entro il termine di cinque anni. A questa convenzione accenna il Mas Latrie in una nota apposta al trattato di alleanza offensiva e difensiva conchiuso tra Genovesi e Cipriotti a’ 2 decembre 1233 (2). Si dalla nota che dal detto documento e da altri possiamo determinare i nomi appellativi dei signori rammentati nel seguente trattato: /(ohannes) de Ibelino. O(done) di Montbéliard conestabulus regni Jerosolimitani. S(alianus) dominus Sy donis. /(ohannes) dominus Cesareac. (1) La pergamena si custodisce nel nostro Archivio di Stato, Materie Politiihe, mazzo IV. (2) De Mas Latrie, Histoire de File de Chypre, toni. II, pag. 56. 22 GIORNALE LIGUSTICO R. dominus Caiphae: forse Renaud ο Rohard di Caifa che era stato ciambellano di Cipro nel 1201 (Paoli, Cod. diplom., tom. I, pag. 91, 493, 514), o uno de5 suoi figli portante il suo nome /(acobus) de Amandoleto. Si trova un signor Jaques di la Mandelèe in una carta del 1257 (Paoli, tom. I, pag. 157). In conseguenza dell’unione de’suoi avversari, Federico II di Svevia perdette sempre più della sua influenza nelle città di Siria, e principalmente in Accone, onde i Genovesi intendevano ad acquistare il possesso, 0 almeno ad accrescere le casalie e le rendite che vi avevano. G. Grasso. Nos J. de Ybelino dominus Berithi, 0. conestabulus Regni Jherusalem, B. dominus Sydonis, J. dominus Cesareae, R. dominus Caiphae et J. de Amandoleto, promittimus et convenimus tibi Petro de Mari Januensium in Syria consuli et vicecomiti prò communi recipienti promissionem hanc et conventionem vice tua et college tui Picamilii Januensium in Syria consulis et vicecomitis absentis, nomine communis Janue et prò ipso communi: quod ab hodie usque kalendas junii proxime venturas, et a kalendis junii proxime venturis usque ad annos quinque expletos, cum Pisanis aliquam conventionem, aliquod foedus aut aliquam societatem sive aliquod collegium non faciemus per nos neque per aliquos nobis faventes neque fieri permittemus sive consentiemus, in qua conventione, pacto, federe, societate, aut collegio, eis in aliquo teneamur vel astringamur nos vel aliquis nostrum, absque scientia, consensu et voluntate non coacta tui Petri et Picamilii consulis et vicecomitis Januensium in Syria college tui absentis vel successorum vestrorum pro communi Janue in dicto consulatu pro tempore existentium. Et ut presens scriptum firmum robur obtineat, quisque nostrum suo sigillo proprio eum roborabit et roborare promittit. Et in publicam formam eum redigi precipimus. Actum Accon in palacio Regine veteris. Millesimo ducentesimo trigesimo tertio, indictione sexta, die vigesimo quarto octubris in vesperis. Testes Symon Bolletus et Montanarius de Marino. f Ego Petrus Petri Rufi notarius interfui, et jussu predictorum baronum scripsi. GIORNALE LIGUSTICO 23 CRISTOFORO COLOMBO È EGLI NATO IN CALVI DI CORSICA? Omero, il sommo Omero, se lo disputarono sette città; ma egli avea cantato i suoi meravigliosi poemi quando non si scriveva ancora la storia. Cristoforo Colombo scopre un nuovo mondo in pieno secolo storico; eppure se lo disputano almeno diciotto città o paesi: Genova a cui ronzano intorno le altre contendenti, tentando di strapparglielo. Quinto colla sua Terrarossa, Nervi, Bogliasco, Chiavari, Cicagna colla sua Terrarossa le stanno a levante; e dalla opposta riviera di ponente Cogoleto, Albissola, Savona, Oneglia colla sua Terrarossa di Gazzelli. Alle spalle di Genova, oltre giogo, pretendono a tale invidiato onore Cosseria, Cuccaro di Monferrato e Pradello di Piacenza, anzi qualche altra terra del Milanese; anzi non so quale parte della Francia e perfino l’Inghilterra; e più vicina a Genova la città di Calvi nell’ isola di Corsica. Ormai però sembrava che il rumore si acquetasse; troppo e troppo ammesse generalmente essendo le prove a favore di Genova; quando a un tratto vediamo tornare Calvi alla riscossa d’après de nouveaux documenti. La Rcvue politique et lit-téraire del 22 aprile 1876 ed un articolo ivi del signor Tous-saint Malaspina ci parlano di questi nuovi documenti, aguzzandocene il desiderio invece di saziarcelo. Si tratterebbe nientemeno « vieti moins que de l’acte de naissance de Christophe Coìomb et des actes de baptéme, oh il figure cornine par t ain. Il est dii dans l’acte de naissance que Cristoforo, fils de Domenico Colombo et de Susanna Fontanarossa épouse est de la ville de Calvi. Ma queste, caro signor Toussaint, non sono cose nuove, ma vecchie assai. Ventiquattro anni fa (1852) ne parlava l’Enciclopédie da XIX Siicle (voi. Vili, pag. 82), a cui si pretende essere stato inviato l’atto autentico della nascita di Colombo; ed essa, birbona, invece di farne prò e per se e 24 * GIORNALE LIGUSTICO per la sua Francia, si ritenne il documento, a quanto dicono , e si contentò di scrivere che Cristoforo nacque a Calvi nell’isola di Corsica, si l’on croit quelque mannscrits récemment dicouverts : asserzione invero assai modesta e a cui il signor Malaspina non sa aggiungere verbo. Di ciò stesso aveva parlato molto prima della Enciclopedie il Galletti nella sua Histoire illustrée de la Corse, 1843; e prima del Galletti 1’ autore dell’Histoire de San Piero Corso (Bastia 1842) e la Revue de Paris (voi. XXXII, pag. 53) nel 1841. Quest’ ultima Rivista fa ancora risalire la notizia fino ai principii del secolo, affermando che distrutti dagli Inglesi gli archivi dell’isola, il Guardasigilli di Francia, M. De Serre ordinò un nuovo censimento; e che fu allora che il Prefetto della Corsica Giubega trovò nei registri parrocchiali di Calvi il certificato di nascita di Colombo. Il recente articolista si procaccia aiuti, invocando l’autorità di scrittori córsi che lo precedettero: i signori Arrighi e i Savelli padre e figlio ; quest’ ultimo di nome Ortensio autore di un Discours sur l’origine, de *Chr. Colomb. È poi naturale che il signor Toussaint non dimentichi gli articoli dell’ab. Casanova, due anni fa inseriti in una Revue de Naples. Noi pure conosciamo le tre appendici di febbraio e marzo 1874 (num.‘ 816, 837-8) che nel Contemporaneo di Napoli, stese sulla quistione presente il signor Martino Casanova già Consigliere Generale in Corsica. Questi non si contenta di ripetere le. cose dette dagli altri, ma aggiunge che um copia autentica di tale atto di nascita si conserva in Calvi nello studio del notaio Ceccaldi. Fuori dunque una buona volta! fuori presto quel documento insigne, che se fosse stato subito pubblicato avrebbe troncato in radice tante quistioni che tormentavano ancora recentemente D’Avezac e Peschel ; e aveano tormentato Humboldt, Washington Irving, Spotorno e mille altri, per sa- GIORNALE LIGUSTICO 25 pere se Colombo sia nato nel 1435-6, oppure'nel 1445-7, od anche nel 1456! Fuori quei registri parrocchiali, quella preziosa rarità di un tempo, quando il Concilio di Trento non era ancora venuto ad ordinarne la compilazione. Sarà bello vedervi altresì Cristoforo indicato come padrino chi sa a qual periodo della sua vita; e saremmo pure curiosi di sapere se alla Enciclopedie, sia stato inviato tutto il registro, oppure uno o due fogli soltanto, stracciati di là pel maggior comodo dell’ invio. Fuori almeno almeno quella copia autentica che deve essere nello studio del notaio Ceccaldi ! Che anche i dotti possano esaminarla e impararvi la data precisa; giacché, come i precedenti, così il signor Toussaint non si cura nemmeno di somministrarci tale data che per loro sarà così facile a darsi. Essi si contentano dirci nato Colombo vers l’an 1440; ciò che, a dir vero, non ci par conciliabile con alcuno dei documenti su cui lavorarono i ricercatori da noi sopra lodati. Senonchè l’ab. Casanova ci presenta altri argomenti. nei suoi articoli che il signor Toussaint loda come remarquables. Lasciamo andare la via Colombo che è in Calvi, e la casa e la famiglia Colombo che· ivi era pure e potentissima almeno dal 1530. Tutte notizie belle e buone, ma che possono anche arrogare per se più altre città e terre; per esempio Cogoleto che aveva e cognomi e nomi omonimi, ed ha tuttora la casa con un bel ritratto di Cristoforo e una iscrizione bella e lampante postavi sotto. Rileviamo piuttosto la gravità delle altre prove degli articoli del Contemporaneo. Figuratevi che Colombo aveva con se non solo degli ufficiali e marinai córsi (come ne avea dei liguri), ma perfino dei cani còrsi che gli furono di molto aiuto nelle sue spedizioni. E che cosa ne dite di un fatto piuttosto unico e raro (!), quale sarebbe 1 imagine di san Cristoforo con Gesù sull’ omero che sta tuttora dipinta in una chiesa di Calvi?!! Che se per cocciutaggine voi non credete nè a questa rarità 2 6 GIORNALE LIGUSTICO di un san Cristoforo, nè a questo argomento dei cani còrsi, nè specialmente al certificato di nascita e nemmeno alla copia autentica, Γ ab. Casanova sovrabbonderà di cortesia; egli vi promette una filatessa di testimonii pronti a dichiarare che ebbero veduto o sentirono di padre in figlio attestare essere stato veduto quest’ atto di nascita, il quale ora cosi perfidiosamente pretende stare rintanato. Infine se nel testamento suo, ormai non posto in dubbio da veruno, Cristoforo adopera le testuali parole : essendo io nato in Genova., niente paura ; è pronta la risposta. Si sa che fra le continue ribellioni dell’ isola, Calvi si mantenne costantemente fedele alla Repubblica di Genova; onde ebbe il bel titolo di fidelissima civitas. Ciò posto, le due città, la capitale e la suddita, possono considerarsi come una sola; e sarà lo stesso il dire nato in Genova come se si dicesse nato in Calvi. Noi sebbene teniamo a grande onore 1’ essere concittadini di Colombo, non esiteremmo un istante a rinunziare a Calvi questo privilegio per amore della verità; e ciò con tanto minor pena, quanto che l’isola di Corsica allora appunto facea parte del dominio genovese. Ma non saremo troppo esigenti, speriamo, desiderando che per rimoverci da una radicata sentenza ci si offra qualche documento che sia più nuovo che non quelli del signor Toussaint, e più solido che non i remarquables articoli del signor Casanova. Ciò tanto più quando il signor Harrisse ci assicura che due lettere venutegli da Calvi nel 1867 gli danno per non vere queste pretese asserzioni del Giubega e compagnia. Tanto peggio poi, quando un giornale di Parigi che s’intitola Revue politique et litteraire mostra d’ignorare i libri che si pubblicarono dalla libreria Tross appena nove anni fa e che levarono grido di se anche fuori di Francia. Alludo alle Navigations Francaises et la Revolution maritime da XIV au XVI siècle par Pierre Margry, Paris, 1867. GIORNALE LIGUSTICO 27 Il signor Toussaint Malaspina vada a leggervi le pagg. 366-70, e 432-3^· Troverà che anche al signor Margry furono poste sott’ occhio simili osservazioni per parte dei fautori della Corsica, e che perciò avendo egli fatto fare in buona fede delle ricerche, fu reso consapevole della piena insussistenza di tali pretese. Nientemeno che il signor Giubega figlio del-Γ antico Prefetto si levò a negare a nome del padre e suo la scoperta di qualunque documento in proposito; e una smentita tanto uffiziale avrebbe dovuto bastare per tutti, come bastò per l’autore delle Navigations. Il quale vi fa sopra alcune considerazioni piuttosto severe che noi non amiamo aggravare : ma ci sarà permesso riprodurle qui colle sue proprie parole, alfine di troncare per sempre ira noi questa controversia. « À cette heure mème où vous m’enviez peut-ètre les joies d’une ètude arrivant à son terme, peut-ètre aussi pour avoir cherché la vérité sur un point en vue de vous l’exposer, vais-je me trouver sous le coup d’une vendetta corse, ni pìus ni moins. » Il y a là, après la « moralité » du poete que je viens de résuiner, celle de l’historien qu’il me reste à vous donner, pour vous montrer comment peuvent se glisser dans l’hi— stoire des erreurs dont il devient impossible d’arrèter le cours. » Vous n’avez pas oubliè sans doute que je vous ai promis une enquète au sujet d’une assertion toute nouvelle, par laquelle l’auteur d’un article de la Revue de Paris du mois d’aoùt 1841 gratifiait la Corse d’une gioire qu’on ne lui con-naissait pas jusqu’alors. » Cette enquète, je l’ai terminée gràce au concours aussi empressé qu’intelligent de M. le docteur Matei ; mais le resultat n’est pas celui que faisaient attendre les terrnes pres-sants dans lesquels l’auteur excitait M. Giubega, ancien préfet de ce dòpartement, à publier l’acte de naissance de Christophe 28 GIORNALE LIGUSTICO Colornb, trouvé par lui dans les registres de la ville de Calvi, au dire de M. O. « Oai,-ceci est vrai, quoique publié pour la première fois, , » écrivait ce dernier. Cristophe Colornb est nè a Calvi, en » Corse; Cristophe Colornb est, par conséquent, compatriote » de Napoléon. Les preuves de ce fait existent, et je les dé-» nonce corame étant entre les mains de l’honorable M. Giu-» bega, qui tarde trop à publier sa découverte ». » Eh bien, le fils de l’ancien préfet va parler. Il répond à M. le docteur Matei, qui l’a invité, à ma demande, à faire eonnaìtre enfin la vèrité sur ce sujet: « Calvi le 22 juillet 1867. « Mon cher Docieur, » Pardonnez-moi, je vous prie, en raison de la cause qui v> l’a déterminé, le retard que j’ai mis à répondrc à votre » bonne lettre du 4 juin dernier. J’y ai été forcé par une » longue maladie dont je ne suis pas encore entièrement » guéri. Voici ce qui s’est passé au sujet du lieu de naissance » de Christoph. Colombo. — Il y a bien des années, le » commandant Siméon, que vouz avez peut-ètre connu, » écrivit à mon pére qu’il avait ou'i dire par plusieurs per- » sonnes, et notamment par un moine très-éclairé, le Pére » Dionisio, que Colornb avait pris naissance à Calvi. Mon » pére et moi, dont cette joie flattait le patriotisme, nous » fìmes dans les archives de Calvi de minutièuses recherches, » mais infructueusement; seulement nous trouvàmes qu’une » de nos rues portait anciennement le nom de Colombo, » indice ayant bien peu de valeur, car combien de villes sur » le continent dont les rues, les quais, etc. portent les noms » des grands hommes qui n’y sont pas nès! Au reste, » nous eùmes sous les yeux une vie de Colombo òcrite » par son fils et dans laquelle il était dit que son pére avait GIORNALE LIGUSTICO 29 » pris naissance dans une localité, dont le nom m’échappe, » de la Rivière de Gènes. Ce témoignage, que nous dumes » considerer comme décisif, dissipa nos illusions, et ce que » la Revue de Paris a pu dire en 1841, au sujet de la dé-» couverte à Calvi de l’acte de naissance de Christoph. Co-» lombo, est tout à fait inexact. Comment, en effet, supposer » que mon pére et moi eussions pu garder pour nous, sans » lui donner une èclatante publicité, un document si hono-» rable pour la ville de Calvi?... » Adieu, mon cher docteur, conservez-moi, je vous prie, » votre bonne amitié, et croyez bien à la vivacité de celle » que je vous ai vouée. » Giubega ». « Voilà certes une lettre dont nous pouvons avoir lieu d’ètre surpris, si nous l’opposons aux faits avancés avec tant d’assurance par l’auteur de l’article de la Revue de Paris. » Peut-ètre faut-il chercher l’origine de cet article dans des conjectures auxquelles aura donné lieu la connaissance d actes de l’état civil de Calvi où figure plusieurs fois le noni de Colombo; mais, cornine l’écrit de Latoggio en date du 11 juil-let 1S67 le docteur Antonini au docteur Matei, son ami, les registres de J’ctat civil de Calvi ne commetant qu’à 1530, il n’est pas possible d’affirmer que ce nom soit celui de la famille du navigateur, et, quoique la rue Colombo existe tou-jours sous son premier nom dans la citadelle, il n’est pas permis non plus do penser pour cela que ce soit la qu il a τεςυ le jour. » J’en ai dit assez sur ce point pour laisser voir ce qu il faut penser et des assertions de la Revue de Paris et de ce qui fùt advenu si M. Giubega, l’auteur de la lettre que j ai citée, n’eùt pas pris part aux recherches de son pére, où sii fùt mort avant mes dèmarches auprès du docteur Matei. Evi-demment, en l’absence des registres de la paroisse de Gènes, 30 GIORNALE LIGUSTICO sur laquelle parait ètre né Colornb, de mème que par le manque à Calvi d’actes civils antérieurs à 1530, l’article de la Revue de Paris passait à l’ètat de tradition et prèparait de nouvelles tortures aux écrivains qui n’acceptent pas tout ce qu’on leur dit, mais qui ne croient pas non plus, cornine Walter Raleigh, l’histoire impossible, lorsqu’on a la patience de chercher la verité entre les divers témoignages et de re-monter à leur source ». Est-ce clair ? aggiungeremo noi. Eppure è d’ uopo convenirne : il dire e ridire la stessa cosa comecchessia produce sempre un qualche effetto': vedemmo difatti dopo l’articolo della Revue politique più giornali anche genovesi cavarne il sugo e ammanirlo ai propri lettori, senza nemmeno avvertirli se il caso si abbia a prendere in serio 0 per burla. Il venticello che sale a poco a poco fino ad uno strepito assordante che più non 'consente contraddizione, è proprio non soltanto della calunnia, ma e della reclame; della quale giacché gli italiani non hanno la parola, sarebbe bene che neanche avessero la sostanza. E se la calunnia procede cosi sapientemente digradata e crescente sulle ali della magnifica musica di Rossini, la reclame procede altrettanto montata gradatamente sulle macchine, e portata sulle ali dei non sempre belli, ma sempre letti giornali, dal più piccolo fino al maggiore lenzuolo. Fortuna che certe reclames arrivano tardi, quando la verità è già sufficientemente assicurata. Dappoiché a proposito di Colombo stesso e della rubatagli proprietà della scoperta e del nome d’America, il signor D’Avezac ha fatto una spiritosa osservazione. Quando (egli dice) Γ errore precede la verità, le choix du vulgairc ne saurait ètre douteux ; l’erreur... demeurera consacrée. Quindi ben poterono alzarsi contro l’errore quelques esprits d’élite; mais l’impulsion était donni et cornine toujours les moutons de Dindennault sautèrent apr'es celili de Pa- giornale ligustico 31 nurge, bélant cornine lui le nom d’Amérique ; et ce nom ainsi répéti par tonte la gent moutonniire devint général, exclusif et de-sormais indelèbile. Il che in sostanza si riduce all’ incisiva, notissima, ma pur sempre opportunissima sentenza di Dante sulle pecore che ... e quel che I' una fa e V altre fanno ... e lo imperché non sanno. C. Desimoni. Sulle diverse (pretese) patrie di Colombo si veda specialmente P Americano Barrisse nella sua ‘Biblioteca Americana vetustissima, Nuova-Jork, 1866, pagg. 2-3, e nell1 Appendice, ossia Additions, Parigi, Tross, 1872, pag. XIX. Ivi sono diligentemente indicati, coi titoli delle loro opere e le pagine, tutti gli autori che assegnano Γ una o 1’ altra patria ; per es. : per l’Inghilterra Molloy, per una origine francese Rochefort Labouisse ecc., per il milanese Ludovico de Valtenas, per Nervi Oviedo, per Cogoleto Eden ecc. Soltanto è da rettificare (cosa non strana in stampe estere) alcuni dei nostri nomi; Cossena si corregga in Cosseria (nelle Langhe Savonesi) ; Cugureo e Cogoleto sono un solo luogo ; le] indicazioni del signor Musso all’ illustre Marsch si riferiscono a Terrarossa di Gazzelli (non Garrelli) nella valle superiore d’Oneglia. Del resto nulla sfugge alle inchieste del Bibliografo americano in tutto ciò che riguarda Colombo. Perciò cita anche la poco nota fra noi e rimasta incompiuta Storia della Valle di Fontanabuona dell’ avv. Dondero, Genova, Sordo-muti, 1853; in cui questo appassionato illustratore della valle nativa, come già avea tentato d’attirarvi l’antica romana Libarna (posta veramente da Plinio ab altero Appennini latere versus Padum), così trovò in buon punto anche colà una Terrarossa, su cui medita stabilire la patria di Colombo con lunghi studi da più anni annunziati. Agli scrittori che accennarono Calvi come patria di Colombo, vuol essere aggiunto Claudio Gay, Historia fisica y politica de Chile, Parigi 1844, I, pag. 68, ove parla del sefior Guibega (Giubega) antiquo pre-fecto de Corccga, e dice che è la Francia quien habra de vindicar la lionra de baber producido un Colon. GIORNALE LIGUSTICO LA VITA E GLI SCRITTI DI FILIPPO CASONI I. Sentenziava molto opportunamente Bacone da Verulamio essere la biografia occhio della storia, imperciocché niun retto giudizio potria recarsi de5 fatti onde questa si compone, se gli uomini che ne formano il principal subbietto non si rivelano quali veramente furo.no in ogni parte della lor vita. Ciò che avviene nella storia civile intorno allo svolgersi delle politiche gesta di un popolo, accade del pari nella letteraria dove 1’ umano intelletto è tolto a disamina e ne son divisate le vicende; quindi è che di utilità grande venne reputato il racconto della vita di coloro, i quali consegnando alla repubblica letteraria alcuna opera del loro ingegno, cooperarono in qualche guisa alla coltura del secolo in cui vissero. Fu perciò grave giattura per la nostra letteraria istoria che Γ opera ponderosa del conte Mazuchelli se ne sia rimasa a’ principi, alcuno volenteroso del pubblico beneficio, facendo tesoro delle molte memorie da lui lasciate, siasi tolto carico di porre in luce le vite de’ letterati inscritte sotto la terza lettera del-1’ alfabeto quasi preste; alla stampa, e di proseguire Γ utile lavoro : oggimai questi manoscritti sen giacciono per avventura dimentichi ed inaccessibili nell’insigne Biblioteca Vaticana. Ma 1’ età volta ad una strana maniera di letteratura chiaccherina e fanfullesca , come argutamente la dice il De Gubernatis, dimentica nell’invadente empirismo i gravi studi, ed ammanisce alla generazione ventura una fucata parvenza di dottrina, madre di quella levità d’intelletto che rinnegherà Galileo e bandirà 1’ ostracismo a Vico. E voglia Iddio che i saggi alle buone discipline adusati abbiano podestà, mercè GIORNALE LIGUSTICO 33 I adoprarsi continuo, di raddrizzare il contorto cammino togliendo ad insegna dell’ opera rigeneratrice quel motto predicato teste dal Celesia — rifatevi antichi per essere più compiutamente moderni —. L opera su cennata avrebbe senza meno recato non lieve sovvenimento alla storia letteraria del secolo XVIII, la quale pur si manifesta degna d’ uno storico simile in tutto ili gran Tiraboschi ; chè non sopperiscono affatto all’ uopo i lavori del Lombardi, del Corniani e dell’ Ugoni, la raccolta del Ti-paldo, ed altre di così fatta ragione, dove non si veggono rammentati molti e molti di quegli scrittori, che senza prec-cellere pur lasciarono utili scritti a benefizio della storia e in argomento del loro amore agli studi. Di maggior colpa notandi paionmi que’ raccoglitori di speciali memorie, e ne ebbe molti il passato secolo , i quali ne’ loro zibaldoni, nè manco ci dicono il nome de’ contemporanei saliti in qualche fama ; onde giustamente il Carutti lamentando la mancanza in Italia di scritti aneddottici, che ci procaccino i particolari intorno ai costumi e alla vita privata dei nostri maggiori, aggiunge esser uopo ricercarli in scritture private e nei libri stranieri i quali naturalmente accennano antiche narrino le cose nostre. Per tal cagione pochissime notizie abbiamo alle stampe del nostro annalista Filippo Casoni, non ricordandolo i più degli storici letterarii, altri toccandone di passata, cotal che nemmanco mi sarebbe dato a questa pezza far parola della sua vita, se non mi avessero sovvenuto, avvegnaché non secondando in tutto il mio desiderio, i documenti dell’ Archivio di Stato, dei quali vorrei la mia pochezza avesse saputo valersi in satisfacente guisa. Mi starò tuttavia contento di aver tolto il nostro storico alla immeritata obblivione, e mosso forse altri a dirne quandochcssia con larghezza maggiore e più dicevole stile. Debbo ascrivere in vero pel mio proposito a singoiar Giork. Ligistico, Anno IV. 1 34 giornali; ligustico ventura che tratti dalle spudorate e venali menzogne genealogiche dei Ceccarelli, dei Zazzaroni, dei G amurrini ed altri sì fatti, non volessero anche i Casoni ricercare la loro origine fra i Longobardi o in più remota età, ma si contentassero dichiararsi discendenti dalla nobile famiglia de’ Torriani di Valsassina, narrando d’un tal di nome Casone, o vuoi Cassone, che fuggito da Sarzana ove era dal Visconti confinato, siasene ito nel vicino castello di Trebiano, posseduto allora dalla Repubblica di Genova per vendita fattane dai Mascardi nel 1285 (1); e quivi statosi appiattato per qualche tempo, reietto per tema il cognome de’Torriani abbia voluto esser nomato solamente Casone, onde la nuova famiglia. La qual conghiettura toglie fondamento da un brano delle Ristori e dell’ antica Milano del padre Morigia, laddove narrando di Matteo \risconti nel 1292 scrive: il Cri quivi (in Milano) si fermò poco perché avvisato come- i Torriani con molti dilla loro fattione erano sul Cremasco per venirlo ad affrontare et levargli lo Stato, per la qual cosa Matteo con grande ordine gli andò contro, et si fecero diverse scaramuccie, oltre che prese molti Torriani fra quali fu Ubaldo, et due figliuoli di Uberto et amici loro, et mandolli prigioni parte nella foriera di Serenava et parte in quella di Tre^o (2). Alcuno di nome Cassone trovo sì nella famiglia Torriani descritta dal conte Pompeo Litta, ma di questo fatto non havvi memoria. In quel castello della Lunigiana ligure aveva stanza senza meno questa famiglia nel secolo XV, chè ci occorre un Leonardo notaro imperiale e riformatore degli Statuti di Trebiano nel 1450, ed è per avventura quel desso che quivi nel 1471, 1476 e 1477 roga tre contratti di ragion privata da me posseduti nelle originali pergamene; sappiamo altresì cs- (x) ÌVfon. Hist. Pai., Libar Jurium Reip., Gen., T. II, col. 76-81. (2) Pag. 92 dell’edizione di Venezia, Guerra 1592. giornale ligustico 35 sere egli proceduto da Casone e questi da un tal Pietro, onde si può argomentare che già sul mezzo del milletrecento Trebiano noverasse questa fra le sue famiglie. E poiché assegnano al 1292 la venuta in Sarzana del Torriani, ha preso cetto color di verità, in quanto alle date, la ridetta origine loro ; intorno alla quale serbava un curioso ragionamento Gio-van Michele Casoni, padre dell’annalista, veduto da Bonaventura de Rossi sul cadere del seicento (1). Lo stemma eziandio de Casoni, da quel de’ Torriani diverso sol pel difetto di due gigli allato della torre, o, come oggi apparisce, grossa casa turrita,. ha pòrto non lieve appicco alla summentovata narrazione. Famiglia agiata eli’era ed a Trebiano seconda soltanto ai Mascardi, i quali per antichissimi privilegi avevano signoria in quel castello. Discesa poi nella prima metà del secolo XVI a Sarzana, di che mi fan prova e i documenti, e il Landi-nelli e il De Rossi nelle istorie, fu ascritta al primo ordine de’ cittadini ed ebbe parte al governo del Comune. Nè tutti i Casoni si partirono da Trebiano, e così altri posero poi stanza alla Spezia, altri per avventura altrove, e poscia un dei Sarzanesi a Genova, come andrò sponendo ; ma tutti d’ un sol ceppo uscirono, sì come scrive il pittore Giambattista Casoni in una sua lettera all’Aprosio: essendo un sol albero la famiglia Casona per quanto ne fossero quà in Genova, in la Spezia, e in Sarzana, tutti però discendiamo da un sol fonte (2). E qui prima di passare oltre piacemi far breve ricordo di coloro che i rami propagatisi in Lunigiana illustrarono; primo quel Filippo, dimenticato dal Gerini, che fu vescovo insigne di S. Donnino , e delle buone lettere cultore, come quegli che raccolse non poche opere manoscritte de’ suoi conterranei, (1) De Rossi, Collcttaliet mss. Descrizione di Lunigiana. (2) biblioteca Universitaria di Genova, nis. E· II. 5. GIORNALE LIGUSTICO eccitò Γ Ughelli al dotto lavoro dell 'Italia Sacra, e gli fu largo di consiglio (i): Gio. Agostino, minor riformato, che gli inni corali in nuovo metodo di canto compose e con speziali caratteri die’ fuori in Genova nel 1646 per cura del suo fratello Giambattista (2), pittore non volgare, cognato e scolaro del gran Fiasella, quel desso che ordinò per la stampa Le Vite dei Pittori dal Soprani lasciate imperfette, aggiungendone ben ottanta di nuove : Francesco Antonio, alunno dell’ insigne collegio Pio dementino, morto giovanissimo, lodato poeta ed un de’ fondatori d’ Arcadia, come il Crescimbeni ci lasciò scritto (3); Leonardo, eziandio allievo di quel collegio, poeta rammentato con lode dall’ Oldoini; e basta accennare i nomi dei due Cardinali Lorenzo e Filippo, essendone oggimai conta la fama per averne gli scrittori narrate con larghezza le virtù. Infine deesi forse annoverar di questa prosapia altresì il carrarese scultore Baldassarre, e quel Guido veneto, notissimo poeta, se aggiustar fede possiamo al Taravacci, là dove nella sua Topographia Lunensis orae canta: Trebiani castrum doctis insigne Casonis Sunt Veneti testes adriacusque sinus. Seguendo ora il proposto subbietto, facciomi a discorrere del ramo trapiantatosi in Genova. Leonardo Casoni, figlio di Filippo e di Caterina Ivani, medico di non lieve riputazione, come nota il Pescetto (4), uscito di patria nel 1581 quivi pose sua stanza, e nel 1584 nacquegli da Camilla Contarda quel Filippo, dottore di Collegio, che ebbe nome assai chiaro fra (1) Ughellus, Italia sacra (aedit. saec,), T. II, col. 71. — De Rossi. op. cit. (2) Soprani, Scrit. Lig., p. 136; cosi gli altri Oldoini e Giustiniani. (3j Memorie di Giambatista e Francesco Antonio Casoni per A. Xeri; Sarzana, Ravani 1872, in 8." (4) Biografia medica ligure, 'Γ. I, pag. 167. giornale ligustico 37 i giureconsulti, servì in negozi importanti il governo della Repubblica, ed assistè molti anni in qualità di consultore alle giunte senza ricevere onorario di sorta (i). Alcune allegazioni stampate rimangonci a documento di sua dottrina : una singolarmente a prò del signore di Masone, cui erano contesi vetusti dritti dai sudditi, palesa come nella storia e nel gius pubblico e’ fosse versato. Nè pose in dimenticanza la città onde ebbe i natali il padre, chè validamente s’ adoprò in suo benefizio ne’ piati che Sarzana sostenne con la Repubblica a cagione de’ suoi privilegi', come rilevo da una scrittura di Filippo nel Registro nuovo di quell’Archivio Comunale; di guisa che gli Anziani con onorevolissima lettera chiesero fosse egli ascritto alla nobiltà genovese, il che avvenne li 31 Gennaio 1635 (2). La quale onorificenza non potè redare secondo (1) Della Cella Ag. , Famiglie genovesi, Ms. — De Rossi, loc. cit. (2) Ecco la lettera: Serenissimi Signori, Questa nostra città che gode Γ honore d’ essere stata sempre singolarissima nella devocione e fedeltà verso la Serenissima Repubblica non veduto da lungo tempo in qua alcuno dei suoi ammesso all’ honore della nobiltà di Genova, ancorché essendosi più volte aperta la Porta habbi veduto conferirsi simile honore alle altre terre del dominio. Supplica per tanto a non lasciarla indietro alle altre, anzi a darle questo contrassegno di gradire la sua fedeltà e devocione, con ammettere a detto honore il M. Filippo Casone, Dottore di conosciuta virtù e bontà, che trahe la sua origine da Sarzana dove la sua famiglia ha luogo principalissimo, et della quale Città egli per molti conti è benemerito; che lo reputerà la nostra Città a favore singolarissimo et lo riceverà per contrassegno, che la sua devocione c fedeltà sij gradita, et a VV. SS.ic Ser.mc fa humilissima riverenza. Sarzana, li X Gennaro 1635. Gli Antiani di Sarzana Humilissimi e 'devotissimi sudditi Bartolomeo Bertolini — Gio. Francesco Masinello — Andrea Bardi — Bernardino Landini — Sigismondo Pecini canc. Arch. Genov., Div. Collegi ad annum. 38 GIORNALE LIGUSTICO le leggi suo figlio Giovan Michele, perchè già nato in questo tempo dal maritaggio con Antonia Bovona ; nè fu egli perciò manco reputato, essendo stato ascritto di buon’ ora fra i Dottori di Collegio e per due volte eletto Rettore; lo deputarono eziandio i Collegi della Repubblica ad assistere al congresso che dovea tenersi col senatore Castelli, com-messario del Duca di Savoia, pei confini di ponente ; egli, secondo afferma il Somis, fu fra quei giureconsulti, che ebbero gloriosa fama nel foro genovese, dove sono ricordati siccome dettatori di iscritture piene di dottrina, e di acume, onde gli studiosi raccolgono ancora al dì d'oggi aiuto efficace (i). Oltre gli studi legali coltivò eziandio con amore le belle lettere e la poesia, scrivendo Bonaventura de’ Rossi, col quale ebbe famigliarità, aver Gio. Michele tradotto in versi tutto il Saltero di David, gli Inni del divino Ufficio, e fatte molte nobili composizioni (2). Della storia patria piacevasi in ispezie, e le notizie, e i documenti, e i libri da lui raccolti, augumentando i redati dal padre, mossero il nostro annalista e lo aiutarono a comporre quell’opera che giusta e bella fama gli ha procacciato (3). Di lui è tempo oggimai eh’ io favelli. II. Li 13 Aprile del 1662 di Giovan Michele e Giacinta Cheri usciva i natali Filippo, che seguendo Γ esempio del-Γ avo e del padre si dedicò agli studi legali e fu pur egli di buon’ ora posto nel novero dei Dottori di Collegio. Ma eccitato dal naturale talento e dai paterni insegnamenti, molto si piacque della storia, di guisa che, non abbandonando al (1) Dello allegare nel fóro i dottori, “Discorso, pag. 39. (3) Op. cit. (2) Casoni, Amali, nella Prefazione. GIORNALE LIGUSTICO 39 tutto il fóro, con ogni diligenza coltivò sì fatta disciplina, e ne porse al pubblico, primo frutto, la Vita del Marchese Ambrogio Spinola uscita in Genova nel 1691 pei tipi d’ Antonio Casamara. Con grandissima trepidazione ei pose fuori quest opera, alla quale, come si legge, intendeva Giusto Lipsio negli ultimi mesi di sua vita ; e’ sperava che la diligenza nel ricercare le notizie e la fedeltà in rapportarle avvrebbero supplito 111 qualche modo al mancamento dell’ingegno. Nè dee esser taciuto il gentile pensiero che a questo lavoro lo persuase , vo’ dire un debito di riconoscenza, e verso il Marchese Ambrogio pei benefizi all’ avolo suo compartiti, e pei singolari favori che ebbe poi la sua casa da Filippo e da Paolo, 1’ un figlio, nepote 1’ altro del celebre capitano. È laudabile poi oltre ogni dire il proposito di procacciarsi titolo di veridico, non impedendogli la servitù eh’ ei professava agli Spinola di esporre fedelmente i fatti, sì come vuole debito d’imparziale istorico : i quali confessa aver tratti da non pochi scrittori da lui divisati, e dimostra sdegnare, così adoperando, il reo costume di coloro che senza bricciolo di pudore, spacciano, vuoi scrivendo, vuoi ragionando intorno a discipline che non conoscono, con gravità magistrale, in conto di propria 1’ altrui derrata ; restandosi egli in quella vece contento d’ aver raccolti e collegati quei gesti in modo acconcio, e coll’ ordine proprio d’ un ben composto racconto. Intanto non si ristava dal raunare materiali in servizio della patria istoria, dando opera a compilare gli Annali genovesi, pei quali gli furono di gran prò tutte le memorie e le scritture riguardanti pubbliche faccende poste insieme dall’ avo Filippo, nell* opportunità eli’ egli ebbe di servire, come accennai, la Repubblica in affari d’importanza. Ma quest’ anno 1691 riuscì per lo appunto fatale al nostro scrittore, cliò la notte de’ 7 settembre, preso dalla corte del Capitano di Polcevera ne’ pressi di N. S. dell’ Incoronata 40 GIORNALE LIGUSTICO dove stivasi la sua famiglia in villa, e sostenuto alcuni giorni iu Rivarolo, fu rinchiuso poi nelle prigioni della Torre in Genova. Ne dirò in breve la cagione. Amoreggiava da pezza con certa Apollonia Acquarone di famiglia doviziosa, e non veg-gendo alcuna via d’ ottenerla dal padre in isposa avea fermato di rapirla in quella stagione che sulle alture di Promontorio abitava, e nel sopramentovato di, sapendo come dovesse recarsi per certe sue devozioni alla vicina chiesa di N. S. di Belvedere. Itosene perciò in città e fatto accolta di quattro soldati còrsi e due contadini di Polcevera, erasi condotto di brigata sulla stradicciuola che da Promontorio mena alla cennata chiesa ; e dato ordine a quel che dovevano operare i compagni aspettò la giovane, la quale poco stante se ne venia in bussola con una sua governante ed alcuni servi. In quella che passavano, i soldati sotto colore d’ attaccar briga, posto mano alle armi attraversarono la via; in cosi fitto tramestìo posata la bussola successe un fuggi fuggi, di guisa che fra le grida ed i clamori la giovane fatta entrare nella vicina porta si trovò rinchiusa in una stanza insieme col Casoni, e di qui sull’ annotare ben guardati dai córsi e scorti dai due polceveraschi si ridussero alla Incoronata ; d’ onde, poi che fu preso la notte stessa Filippo, la giovane al padre venne poi ricondotta. Levò grandi rumori questo fatto, e di subito tutta la famiglia Casoni fu altresì sostenuta, poi a Giovan Michele assegnata la sua casa per carcere, concessogli quindi licenza d’ire per la città a’ suoi negozi mercè sccu-ranza di scudi 2000. Giambattista De Marini con risentite parole propose ai Collegi si avvocassero il giudizio, il che consentito, egli e Luca Invrea furono deputati al processo. I due patrizi raccolte con molta fretta le testimonianze e quanto era di mestiere, presentarono in breve la relazione ai Collegi, i quali udito il voto del consultore Filippo Della Noce GIORNALE LIGUSTICO 41 li 4 Marzo 1692 condannarono Filippo a venti anni di carcere nella Torre, coll’espressa condizione che niuna grazia potesse concederglisi se non dai Collegi coi quattro quinti dei voti, e con altrettanti sancita dal Minor Consiglio. La qual sentenza parrà per avventura soverchia ove si vogliti osser-vere come fosse provata la lunga corrispondenza amorosa dei giovani, del che erano manifesto argomento le lettere d’Apollonia, e la testimonianza d’un suo servitore destro’e compiacente messaggere ; la scienza della madre che non avversava sì fatti amori; gli indizi gravissimi d’antecedente accordo tra gli amanti pel rapimento ; ed infine il perdono concesso dalla parte offesa nel Novembre del 1691. Era però del pari provata la violenza contro la governante ed i servi che tentarono reagire, 1’ uso delle armi, e peggio poi lo scandalo altamente stigmatizzato dal De Marini in Consiglio, e le dicerie infinite che d’ ogni parte s’ erano levate spezialmente dagli ascritti, nel qual novero non era la famiglia Casoni; tanto che intorno a questo fatto un pessimo licenzioso sonetto si trovò appiccato alle colonne di Banchi, nel quale sono a notarsi i due versi seguenti della seconda quartina : « Ma credo fosse l'oro e non l’arsura » Che scordar gli abbia fatto il galateo » (r). Deesi arrogere a tutto ciò lo spirito pubblico che incominciava a ribellarsi contro ogni maniera di violenza usata dai giovani in quel secolo XVII, nel quale non eravi ornai più ombra di moralità, di tolleranza e di rispetto ; il vizio imperava, sua ministra la forza. Il seicento andò famoso per mali così fatti, terribil frutto (1) Tutti questi ,fatti ho raccolti nelle diverse Fil^e dell’ Arch. Genov., Criminalium, Divers. Collegi, Secretorum, Senato. Quivi si trovano molti documenti sparsi intorno al rapimento ; manca però il processo. 42 GIORNALE LIGUSTICO delle intestine discordie e della spagnolesca dominazione, ed un quadro bellissimo ne delineava il Manzoni nel celebre suo libro, cui deonsi porre a costo gli eruditi discorsi del Cantù intorno alla Lombardia in quel secolo. Genova, già divisa fin dal cinquecento in quelle nobilesche parti di vecchi e nuovi, delle quali scrisse con ira faziosa il Foglietta, con acerbità 1’ autore dei dialoghi satirici, e con saggia ragion politica il Senarega per tacer d’ altri, s’attaccò il mal di fuori, e le gare partigiane stremato ogni senso di morale virtù in ispecie ne’ giovani finirono col minare in tutto 1’ educazione civile. Qui, ove siamo hor in gabbia bor in sentina, son parole di Andrea Spinola, secondo il caldo e l’instante delle passioni e privati interessi, scorazzavano coihe altrove per la città baldanzosi i patrizi a capo de’ lor bravi, i quali se peri’ adietro, così 1’ autore citato, erano quasi tutti forestieri hoggi dì sono in gran parte qui della città , o pure delle montagne convicine cominciando dal Bisagno e poi di mano in inano più in là verso levante; nè contro costoro erano giovate le gride più volte bandite, imperciocché aveano trovato modo di cansarne le pene; ce lo insegna pure lo Spinola là dove scrive: L’ordine che anticamente si dava in Genova ai bargelli di prendere coloro che fossero vestili da bravi, hoggi dì sarebbe inefficace, perchè fra le cautele dei nostri giovani v’ è, subito che hanno appresso alcuno di questi tristi, sia egli forestiero o del paese, di farlo vestir di negro con un gran ferrarolo, che serve a coprir Γ anni et a dargli mostra di ciltadino (i). In cosi fatta compagnia si facean lecito ogni libito, i vecchi contro a’ nuovi imperversavano, e le due parti a maleficj concordi vituperavano nell’ o-nore, danneggiavano nelle sostanze i non ascritti, tendendo agguati altresì alla lor vita; il dirò col Manzoni, s’erano avvezzi ad insultare e chiamarsi offesi, schernire e domandar ra- % (i) Spinola Andrea, Dizionario filosofico, Ms. passim. GIORNALE LIGUSTICO 43 {ione, atterrire e lagnarsi, essere sfacciati ed imprensibili. Le leggi perduta ogni podestà s’erano ridotte in mano de’ padri, de’ parenti di cotesta patrizia plebaglia, così che la turpitudine della colpa ben spesso s’ attenuava, più volte veniva affatto abbuiata ; la rota criminale, recita lo Spinola, procede a segno che de delitti gravi seguiti pochissimi ne vengono a luce, e venuti s’intorbidano e non si castigano (i); le pene non adeguavano la reità, e teneansi in conto di giovanili scappate delitti da forca. Era altresì attraversata la giustizia dal diritto d’ asilo, che veniva accensentito non solo alle chiese, e alle abitazioni degli ecclesiastici e de’ patrizi, ma eziandio a quello spazio posto innanzi a queste e chiuso da piuoli e da catene sì come veggonsene anche oggidì le vestigia. Alla coltura dell’intelletto nè manco si volgea pensiero,* di guisa che lo stesso Spinola in capo alle piaghe della Repubblica genovese predicava l’ignoranza grandissima nella nobiltà sen~a educazione e disciplina ; e Luca Assarino in una sua lettera a Carlo Sauli, quel ch’io affermo avvalora uscendo in questa sentenza: « E veramente io non finisco di deplorare la malvagità di quella costellatione, che regnando hoggi nel ligustico cielo fa gli animi de’ Genovesi in guisa abborrenti la coltura delle lettere, che non solo non si curano di scrivere le historie che sono utili e necessarie alla politica del governo, ma con essempio singolare tra tutti gli altri popoli, non hanno al presente veruna Accademia ove possino essercitar gli Ingegni co’ trattenimenti de’ piacevoli studi (2) ». Ond’ L· che a ragione il dotto P. Spotorno bandiva chiusa l’èra delle buone lettere in Liguria nella prima metà del seicento, quando spenti gli egregi uomini levatisi in giusta fama la gioventù crebbe nell' ignoranza, nell’ orgoglio e nella viltà di cuore (3). Niun prò (!) Spinola, Piaghe politiche della Repubblica di Genova, Ms. (i) Lettere, Venezia 1640, pag. 145· (}) Slor. Leti. Lig., T. IV, pag. 297. 44 GIORNALE LIGUSTICO recarono gli aurei precetti pel Cittadino di Repubblica, all’ uopo dettati con penna maestra da Ansaldo Cebà, il quale sostenuto alquanti giorni per futile ragione standosi in ufficio di Commissario del Castello di Savona, si ritrasse da ogni pubblico carico stante che conobbe, scrive lo Spinola, che la sua moneta d’oro non aveva corso (i). Tempi codesti infetti da impudente corruzione, la quale dai governanti scese ai governati, s’introdusse, ed in quanta misura, nei claustri, non rispettò nè il sacrario della famiglia nè la casa di Dio, giu-gnendo ai più miserevoli estremi; onde il più volte citato Andrea Spinola, che pagò col carcere la libera verità della parola e degli scritti sì poco noti e pur utili tanto (2), dicea quella sua una età in cui la virtù non ha premio, e il vizio non ha pena, e perciò i buoni non hanno vantaggio alcuno in essere stimati ed onorati pili de’ cattivi, i quali sono senza distinzione ammessi agli onori massime se hanno ricchezze, le quali qui tra noi ricoprono ogni bruttura (3). Il flagello degli anni 1656 e 57 attutì non spense cotanto strazio della pubblica morale, imperciocché reputando dappoi aver placato Dio collo ergere nuovi templi ed oratorii di disciplinanti si tornò all’ opere malvagie. Son prova delle verità fin qui discorse le carte dell’ Archivio di Stato, come chè vi si desiderino molti ed importanti documenti; e con esse innanzi siamo pur costretti a credere interamente allo Squarciafico, il quale sotto nome di Salbriggio divisò in un ben noto libro i brutti costumi del diciassettesimo secolo: nè in vero tutto disse (4). (1) Dixion. cit. (2) Ragioni della carcerazione di Andrea Spinola, Ms. Bib. Brignole-Sale. (3) Piaghe cit. (4) Le malattie politiche della Repubblica di Genova, Francoforte 1655 e Amberga 1676. Vedi Belgrano, Vita privata, pag. 462-464. Questo bel libro può essere anche consultato con frutto pei costumi del secolo XVII, GIORNALE LIGUSTICO 45 Educato il Casoni in mezzo a cosi fatta società, dovette redarne alcun difetto, e lo inquieto spirito che il muove nei narrati avvenimenti chiaro cel dimostra. Nè io voglio per ciò scagionarlo della colpa onde fu punito, ma piacemi porre in sodo come sulle umane azioni abbia tragrande impero Γ andazzo dei tempi, alla cui stregua vuol essere conformato eziandio il criterio dei giudizi ; ed a ragione sentenziava Giovambattista Baldelli, che il secolo in cui si vive è come Γ aere che ne circonda, che anco nelle robuste nature, loro malgrado, influisce. Nella solitudine del suo carcere ottenne Γ autor nostro i suoi manoscritti e pochi libri, mercè i quali lavorando di lena riuscì a dar compimento alla prima parte degli Annali, presentata ai Collegi dal padre suo li 7 Dicembre del 1693 nella speranza potessegli giovare per chieder grazia. In questo mezzo Filippo cadde ammalato d’ una distillazione salsa al petto, come allora dicevasi, che minacciava volgersi in tisi ; la pessima carcere assegnatagli e Γ applicare soverchio ne erano cagione; supplicò il padre più fiate fossegli mutata stanza, s’ ebbe un specie nelle note. — Quanto a ciò che tocca la depravazione del clero, oltre a molte cose sparse nei Secretorum, una vera iliade di mali ci discoprono li Jurisdictionalium e li Jurisdictionalium et Ecclesiasticorum ; colpa anche molta di Roma la quale era di manica molto larga, tanto più perchè intinta della stessa pece. E chi volesse ad esempio una pittura vivissima della Corte iomana a’ tempi di Alessandro VII, Clemente IX e X, legga la lunga corrispondenza dell’agente genovese Ferdinando Raggi, e poi sarà persuaso che se il Leti e Ferrante Pallavicino caricarono le tinte dissero nonostante la verità. II signor Alessandro Adamolo, che scrive sui diaristi romani di quel secolo, comincia ad alzare il fitto velo che ricopriva gelosamente un periodo di storia anco inesplorato. Sappiamo che il eh. Berchet sta raccogliendo le relazioni di Roma degli ambasciatori veneti, dove sono cose importanti e curiose, come noi stessi abbiamo rilevato leggendone alcune manoscritte nella Biblioteca della R. Università di Genova. 46 GIORNALE LIGUSTICO costante rifiuto : severità singolare cotesta da che grazia così fatta erasi pur poco innanzi concessa a rei di ben altri deisti, a sacrileghi e micidiali. Sul cadere di quest’ anno Gio. Michele perdette due figli ; Γun d’essi fu per avventura quell’abate Anton Francesco, che diciottenne pose in luce co’ tipi del Franchelli Lei Reggia di Nettano, Panegirico, nelle nozze di D. Gio. Andrea Doria-Carretto Duca di Tursi e D. Livia Grillo, dove oltre ad una maniera di poetico stile men guasta dalla usata nel seicento, si rileva non comune conoscenza della storia, della genovese in ispecie. Codesti dolori domestici faceangli sentire più grave il peso degli anni, e temendo pel figlio prigione fu mosso con ogni sollecitudine nel Gennaio 1694 a domandare la grazia; non ricusarono i Collegi ma preser tempo, ed egli a’ 12 Febbraio veggendo volgere a totale ruina la salute di Filippo chiese a seconda delle leggi il procedimento sommario, che fu decretato. Li 24 Marzo si approva dai Conservatori delle leggi il Sommario del processo e lo si trasmette ai Collegi, i quali non reputarono per allora darvi alcuno spaccio, adoperando in sì fatto modo anche intorno ad una nuova domanda pel cambiamento di carcere; onde il nostro prigioniero scriveva ad essi la seguente notabile rappresentanza: re Io Filippo Casoni faccio nuovo ricorso a VV. SS. Ser.me perchè si degnino di accordarmi la trasmissione della mia causa al Minore Consiglio, rimostrandole, che per quanto alcuni di' VV. SS. Ser.me possino restare in forsi se io meriti questa grazia, ad ogni modo pare che per questa cagione non debbino ritardarmi questa trasmissione, che non è che una mera permissione perchè al Minor Consiglio venghi ventilato e riconosciuto il merito della mia causa, e se non apparirà che tutte le ragioni della giustizia e dell’equità mi assistano, in questo caso, dovendo la mia posta passare sotto la rigorosa condizione di quattro quinti, sarà riprovata; ma il GIORNALE LIGUSTICO 47 negarmi al presente la trasmissione è un impedire, che il Minor Consiglio, che è giudice di questa causa, riconosca se io ho fondamento di giustizia per ottenere il supplicato sollievo. Sig.ri Ser.mi, il non essersi trattato il merito della mia causa avanti di VV. SS. Ser.me, ed il non esserle state ìappresentate le mie ragioni intorno alla sussistenza del preteso latto violento, è stato cagione della mia condanna. Ne io eio in istato di fare le mie parti, e di consultare le cose mie, et al presente che ho tirate qualche riflessioni dal mio processo, le ho trasmesse al Mag.co Giulio Cesare Baldissoni; dalle quali spero debba venire in luce, che il mio delitto non è di quella sorte, come la città è rimasta persuasa. Non mi niegono VV. SS. Ser.m,: questo sollievo che vegga trattata la mia causa nel Minor Consiglio, con quelli principii e fondamenti, che alla mia passione appariscono stabili e concludenti; e col differirmi questa grazia, non mi diano Γ accesissimo dolore di vedere prima estinto il povero mio genitore nelli travagli, e nell’andare a torno per questa causa, che io riceva questo sollievo. La grazia, che al presente domando a VV. SS. Ser.rae è minima, trattandosi di una semplice mutazione di carcere dalla Torre al Pallazetto; e la clemenza di VV. SS. Ser.me non mi deve mancare in una urgenza, che importa la mia vita; perchè non può la mia fiacca complessione, debilitata dallo studio continuo, reggere nelli caldi della state in una stanza senza il minimo respiro; e non tanto la mia urgenza quanto le lagrime de’ miei genitori, li quali in quell’età che sono, ed in tanta desolazione della nostra famiglia, perduti gli altri figliuoli, e doppo di bavere ancor essi, per quanto innocenti, provato il riggore della priggioma, richiedono a VY. SS. Ser.mc la consolazione di vedermi fuori di tanta strettezza, e di poter vedermi e parlarmi. Finalmente se mi è lecito rappresentare qualche mio merito proprio a 4S GIORNALE LIGUSTICO VV. SS. Ser.mc, Γ havere spese le vigilie, e Γ applicazione di tre anni continui della mia più florida gioventù in servaggio di questo Ser.mo Governo nel comporre Γ istoria che ho presentato, mi deve pure servire di qualche merito per farmi ottenere qualche sollievo; tanto più che ho operato in tempo, che non poteva nè meno cadérmi nel pensiero di cadere nella disgrazia della priggionia, e così ho operato senza il minimo motivo d’interesse proprio, e per mero zelo della gloria di VV. SS. Ser.m% quali supplicando umilmente della trasmissione, resto ecc. ecc. ». Palesa questa scrittura un grave mancamento nel modo onde fu condotto il giudizio criminale contro Γ autor nostro, nè dee recar maraviglia in un governo banditore di molte leggi vessatorie ed impositrici, ma schivo al tutto da quelle che riescono a guarentigia dei governati. Quindi è che nei processi o perdevasi un tempo infinito in sofisticherie senza costrutto, ovvero con una affrettata dannazione, dettata spesso dallo spirito di parte o da privato interesse, si con-tradiceva ai più sacrosanti canoni della giustizia. Troppo lungi dal mio proposito condurrebbemi più ampio ragionare intorno a si fatta materia, oltre che saria per me ponderosa soma; ben vo’ dire tuttavia qual grandissimo prò, chi togliesse a scriverne da senno, potrebbe cavare dallo esame delle carte criminali di quest’ evo, dalle quali apparisce questa gravissima piaga. La domanda di Filippo dovea muovere i Collegi a tramutargli almeno la carcere, specie conoscendo dalle affermazioni de’ medici stessi che si esponeva il vero; ma cosi non fu, la proposizione non venne approvata. Non valsero nuove petizioni del padre, non 1’ offerta per anni dieci delle pigioni in lire 900 d’una sua casa; i voti non raggiunsero mai i quattro quinti. Il misero Gio. Michele si tacque fino al Giugno del 1695, nel qual tempo con un dono alla Camera Eccellentissima di scudi 1000 d’ argento in tre biglietti di cartulario, GIORNALE LIGUSTICO 49 supplicava in questa guisa: « Ricorre di nuovo alla clemenza di VV. SS. Ser.me il Mag.co Gio. Michele Casoni, e le ra-presenta, come Filippo suo figlio è in stato molto pericoloso di sua salute, ridotto in letto, estenuato di carne, e di forze, et opresso da distillazione salsa sul petto, onde se non resta solevato con la mutazione dell’ aria, s’inca-mina alla terminazione de’ suoi giorni, come si può comprendere dalla fede, che presenta del Medico Molassana, dal quale viene curato. Prende per tanto animo di suplicare VV. SS. Ser.me della transmissione per la gratia di detto suo figlio all’ Ill.mo Minor Consiglio, per poterla ottenere in quelli termini che parerà alla benignità di VV. SS. Ser.mc e delli MM.' Sig.ri Consiglieri; e con ogni somissione loro ricorda, che sono vicini quattro anni, che detto suo figlio subisce la pena di secreto carcere nella Torre; e che in questo tempo ha sempre procurato di correggere il suo sproposito grande, con impiegarsi virtuosamente in studij dell’Historie della Repub.ca Serenissima, che ha ottenuta la pace dalla parte offesa, e che questa dal suo sproposito non ha patito danno alcuno; e loro rappresenta ancora che esso supplicante è povero vecchio, che ha perduto in queste sue disgratie due altri suoi figli, et ha patiti dispendi]’ gravissimi ; onde supplica la bontà di VV. SS. Ser.mc a compatirlo, non solo con la transmissione per la gratia, ma ancora di pronto solievo per la necessaria commodità di poterlo curare ecc. ecc. ». Se venne ricusato il dono primamente, offerto forse perchè non si reputava securo gran fatto, noi fa questa fiata ed ebbe anzi così grande potenza da far consentire la chiesta transmissione al Minor Consiglio in un colla proposta di grazia, la quale finalmente si decretò ai 3 di Agosto; e cinque giorni dopo il Casoni era posto in libertà. Ritornato in tal guisa in seno alla famiglia e riavuta poco Giorn. Ligustico, Anno IV. 4 j 0 GIORNALE LIGUSTICO a poco la perduta salute, volse il pensiero al suo lavoro, e per opera del padre porse sollecitazioni agli Inquisitori di Stato, cui era stato trasmesso nel 1693, affinchè ne facessero opportuna relazione ai Collegi. Di questo magistrato che sopraintendeva alla stampa, non sarà inutile dire qualche parola. La congiura di Giulio Cesare Vacchero mosse i reggitori della Repubblica ad istituire un novello Magistrato che esercitando Γ alta polizia nel dominio, avesse speciale ufizio di prevenire qualunque occulto maneggio indiritto ad introdurre novità nel governo; e questo fu degli Inquisitori di Stato. Con legge de’ 10 Novembre 1628 se ne bandiva la podestà per un anno, il quale trascorso si rinnovava per sei, e finalmente nel 1635 ne era sancita l’esistenza a beneplacito del governo. Vennegli concesso grandissimo imperio cosi nel modo di scovrire le reità, come nel punirle ; poteva da solo giudicare e fare eseguire la sentenza ex informata conscientia, come dice la legge, senza processo e scn^a osservare solennità alcuna legale ne statuaria, salvo fosse di morte, chè allora doveasene rimettere a’ Collegi. Questo nostro Magistrato, che arieggiava in qualche guisa l’omonimo di Venezia, sopraintendeva altresì alle scritture ed alle stampe, ond’ è che niuno poteva dar fuori libro nè altro senza licenza de’ superiori. A sì fatto ufizio era preposto innanzi il 1584 un Prefetto della stampa senza più, il quale governandosi per avventura troppo liberamente ebbe appunto in quest’ anno riciso comando, mercè un breve decreto, di non permettere quindinnanzi pubblicazione di sorta nisi obtenta licentia a Serenissimo Duce et Illustrissimis Senatoribus pro tempore residentibus in pahtio; onde, nota il mio erudito Giuliani, essere dopo la promulgazione di questo decreto, che nelle edizioni genovesi s’incontra notato il permesso dei superiori (1). È poi a reputarsi sia (1) Notiae della Tipog. Lig., negli Atti Soc. Lig. Stor. Pai., T. IX, pag. 160 e 291. * giornale ligustico 51 in quelli rimasto cotal carico, in fino alla mentovata istituzione degli Inquisitori di Stato, ai quali passò forse in virtù di qualche speciale decreto, ch’io non sortii ritrovare, ossia per lo spirito della stessa legge fondamentale del Magistrato, la dove deputa autorità di sopravvegliare agli scritti d’ ogni ragione, che potevano in qualche guisa recar danno alla Repubblica. E che eglino avessero di tal sorte balìa innanzi al 1654 m è fatto palese da una grida di quest’anno, colla quale si ricorda agli stampatori il divieto di por fuori qualsivoglia scrittura senza il permesso d’ essi Inquisitori, imponendo qual pena la multa di lire 300 a 500 e la privazione del diritto di stampare; e così leggo un altro decreto del 1665, che rinnovando ordini già banditi, statuisce non potersi leggere le orazioni per la coronazione dei Dogi se non sono rivedute dagli Eccellentissimi di Palazzo, né stamparsi senza il consentimento degli Inquisitori (1). Finalmente nella breve relazione che precede la legge in materia di libri e stampe promulgata nel 1679, è detto come la censura fosse da pezza speciale in-cumbenza del nostro Magistrato; al quale mi è quindi avviso sia stata fin dal suo inizio commessa (2). Dai gelosi e sottili disaminatori allora in ufficio aspettava adunque Filippo la relazione intorno al suo lavoro, la quale indi a non molto fu presentata. Io la riproduco, sembrandomi non debba recar molestia, se più presto che dare aridi sunti adopro trascrivere interi tutti quei documenti dai quali, secondo panni, possono ricevere conforto i fatti narrati, ed acquistare il soggetto la vera fisionomia del suo tempo. Gli Inquisitori scrivevano: « Transinessero VV. SS. Ser.me con loro decreto de’ 7 Decembre 1693 all’ Ecc.m0 et Ill.m0 Mag.t0 (1) Belgrano , Feste e giuochi dei genovesi, nell 'Archivio Stor. Ita/., Ser. 3.*, T. XIII, pag. 211. (2) Vedi la Raccolta di leggi, ms. nella Bib. Universitaria. 52 GIORNALE LIGUSTICO d’ Inquisitori di Stato il primo volume degli Annali di questa Ser.m;1 Rep.ca contenente i successi del 1507 sino per tutto l’anno 1598, composto dal Mag.co Filippo Casone, e presentatole dal Mag.co Gio. Michele suo padre, a finché lo stesso Magistrato lo conoscesse per doverle riferire ciò, che sopra del medesimo libro le fosse potuto occorrere. Et instando presentemente lo stesso Mag.co Gio Michele per la relazione, ha il medesimo Mag.‘° deliberato riferire a VV. SS. Ser.me che contenendo detto primo volume i successi assai noiosi del secolo passato, havendone già scritto molti historici, fosse a proposito, in primo luogo la precisa deliberazione di VV. SS. Ser.mc del permetterne, 0 non permetterne la stampa', et in secondo luogo quando le SS.ie loro Ser.mc risolvessero per il darsi alla stampa, si degnassero dare l’incombenza a più persone, non solo prattiche delli affari di questa Repubblica Ser.ma, ma ancora prudenti, quali havuto particolare riguardo, a che lo stesso libro vien dedicato alle SS. loro Ser.mc, non contenga cose che per avventura non potessero essere di loro gradimento, e riflettano con tutta attenzione a tutto ciò che meritasse di corregersi, di migliorarsi, di levarsi, e di aggiunger visi, per dovere il tutto rapportare alle SS. loro Ser.me, alla benignissima censura de’ quali esso Mag.to sottopone ogni suo sentimento ecc. ». Questo documento ci porge un esempio luminoso del modo che usava adoperare il Magistrato degli Inquisitori, nel dar giudizio di quelle opere, che desiderava non venissero in luce, imperocché la somma di tutte le difficoltà, di tutte le riguardose osservazioni era questa: il libro è dettato con animo indipendente e veridico, di guisa che spicca negli opportuni luoghi il biasimo alle azioni men rette del governo nostrale 0 straniero; occorre dunque correggere, migliorare, levare, ed aggiugnere, onde far scomparire, 0 almanco orpellare certe verità. E i Collegi, che sapeano intendere di colta i reconditi GIORNALE LIGUSTICO 53 sensi dell avveduto Magistrato, deliberano incontanenti che il Mag.10 degli Inquisitori di Stato abbia V incombenza di far rivedere il volume suddetto da que’ soggetti di valore et esperienza e prudenza che giudicherà più a proposito, con far risecare o aggiungere tutto ciò che stimerà di maggior servigio pubblico con portarli poi aggiustati e corretti che saranno all’ approvazione dei Ser.”“ Collegi. E come chè le correzioni fossero fatte da Gio. Battista Calissano e Gio. Andrea Spinola innanzi al termine di quell’ anno 1696, ed il Casoni nel Gennaio del susseguente domandasse licenza di addivenire alla stampa, gli Inquisitori non solamente si tacquero, ma il volume degli Annali ten-ner gelosamente custodito nella loro Cancelleria. Se non che, sul finire d’ Aprile, Filippo è di bel nuovo costretto per comando dei Collegi ridursi nelle carceri criminali, avendo tentato in sua casa un matrimonio clandestino innanzi al Preposto delle Vigne, persuaso a recarsi colà sotto colore d’ un consulto domestico. La donna era una vedova protestante nomata Anna Maria Stistom di nazione inglese, la quale doventò poi sua moglie dopo che, accomodata dal padre ogni differenza coll’autorità ecclesiastica, egli venne nel Maggio scarcerato, e furono adempiute le disposizioni de’ Concilj intorno alle diversa religione degli sposi, e le forme del rito. In mezzo a così fatte peripezie e’ non si perdeva d’animo, dando opera a nuovi lavori; non dimenticava tuttavia gli Annali, chè negli ultimi anni del secolo li rammentò più fiate agli Inquisitori, ma sempre indarno. Avendo intanto preparata la Storia di Ludovico il Grande, e desiderando licenziarla alle stampe ne domandò facoltà 1’ anno 1701 ; la quale concessagli sotto certe condizioni, stampati appena i primi dieci libri gli fu vietato proseguire, e non riuscendogli rimuovere gli Inquisitori dal preso partito, se ne richiamò ai Cpllegi, a petizione dei quali quel Magistrato esponeva in tal guisa le ragioni del suo operare: « Ser.mi Sig.ri II Mag.co Filippo 54 GIORNALE LIGUSTICO Casoni ha in sua supplica rappresentato a VV. SS. Ser.me che fatti stampare a sue proprie spese, con permissione del-Γ Ecc.m0 et Ill.mo Mag.10 degli Inquisitori di Stato, dieci libri dell’ Istoria del moderno Re Cristianissimo non gl’ era sin’ ora riuscito ottenerne dal medesimo il proseguimento della stampa di dett’ opera e nè meno la pubblicazione de’ libri già stampati, che perciò supplicava volerle conceder loro SS. Ser.me delli dieci libri già stampati la pubblicazione, affinchè il stampatore Antonio Casamara, che li tiene appresso, potesse rilasciarglieli. » Il prefato Mag.t0 in decreto de’ 2 corr.te Maggio comandato a riferire quanto prima i motivi in non consentire il solito pubblicetur di dett’ istoria, dopo avergliene dato l’imprimatur deve rapportare, che ricorso in 1701 ad esso Mag.‘° detto M. Casoni 1’·espose in sua supplica il desiderio aveva di dare alla stampa dett’ Istoria, che dovea avere distinta in quinterni trenta, con istanza di facilitargliene l’imprimatur a quinterno per quinterno, in che concorse il Mag.t0, negandogli l’altro di poter il stampatore farle consegna de’ fogli che s’ andassero stampando. Di detti quinterni ne restarono in 1702 con la dovuta precedente revisione stampati dieci, in quali visto Γ autore si conteneva nella composizione con frase che si poteva dire panegirica, et istorica, diede ciò motivo al Mag.t0 di considerare, come un simil modo, tessendo l’autore elogij a chi dedicava l’opera, sariasi potuto regolare, senza dar ombra di parzialità all’ altri potentati, nella discrizione de’ successi che le restavano a narrare, e particolarmente le rovine del-1’ Algeria, l’incendij del Palatinato, la mossa contro l’Imperio, 1' ambasciaria del marchese di Lavardino, i disturbi di Roma, la sorpresa d’ Avignone, bombe nel 1684 et altro; onde stimò sospendere la permissione di continuare l’imprimatur a quinterno per quinterno, e fece rispondere al Casoni presentasse dell’ opera i quinterni tutti, il che apprese fosse da praticare GIORNALE LIGUSTICO 55 su la riflessione, che non ritrovandoli ne’ termini dell’ equità, e dovendo negargliene 1’ imprimatur potesse far concepire l’ombra d’offesa in quel Re medesimo, di cui ne scrive la vita, vedendone interrotto il racconto. Aver ricusato il Casoni di fare Γ ordinata presentazione per intero de’ quinterni et invece fatta instanza per il pubblicetur delli dieci già stampati, il che ha negato il Mag.t0 accordarle su la considerazione suddetta, e perchè non venisse appresa violenza fatta al scrittore, il tralasciar la continuazione dell’ opera, essersi regolato il Magistrato con sentimenti e riguardi suddetti per aver appreso richieda Γ opera stile assai purgato e circospetto, affinchè niun possa dolersene, mentre trattandosi di scrittor natio-nale et indipendente darà luogo che se nell’ opera sarà qualche cosa, o non vera o creduta ingiuriosa, invece di condannarne 1’ autore, corrirà risico se ne incolpi il pubblico per la permissione data eh’ esca da suoi torchi. Sopra 1’ espresse ponderationi aver stimato il Mag.t0 dar al detto M. Casoni la negativa dell’instanza, ch’ora porta a VV. SS. Ser.me, et in qual negativa ha stimato doversi confermare, quando non venghi in contrario giudicato dalle sempre assennate loro deliberazioni, alla censura de’ quali il tutto sottopone. 16 Maggio 1704. Luca Casanova Canc.re ». I Collegi davano interamente ragione agli Inquisitori, ed il Casoni era costretto a disperdere i fogli già stampati vendendoli in conto di inutile carta con suo gravissimo danno. Quindi è che quest’ opera uscì nel 1706 a Milano pe’ torchi di Marco Antonio Pandolfo Malatesta, in due volumi, che appunto conducono il racconto a quel tempo, promettendo in fine Γ autore riprender la penna quando avesse raccolto la materia per compilare 1’ ultima parte. Alcune sue scritture legali, che deggionsi assegnare ai primi anni di questo secolo dicimottavo, addimostrano aver egli coltivato con onore la sua professione di giureconsulto, e 56 GIORNALE LIGUSTICO piacerai rammentare fra le molte una grave controversia in materia d’ eredità, nella quale nodo della quistione era il chiarire se lo Statuto di Sarzana avesse avuto o no conferma dal governo della Repubblica per aver forza di legge. Reputava Filippo non fosse stata concessa sì fatta approvazione, ed allegava in suo prò eziandio il celebre Ayroli: opponevasi ad essi con dotte e sottili ragioni del pari, quel chiarissimo ingegno che fu Carlo Mascardi. Nelle convenzioni fermate li 30 Marzo del 1249 fra i Pisani e i Sarzanesi, questi vollero balìa di governarsi co’ propri statuti ; onde prima di quell’ anno si assegna la compilazione degli stessi. Rilevasi poi dal primo libro come intorno al 1320 fosse in parte da essi regolata la municipale legislazione. Nel 1527 vennero riformati dai dottori Benedetto Celso e Niccolò Mascardi e stampati quindi in Parma l’anno 1529. Allorquando Sarzana si sottopose al Comune di Genova nel 1407 ebbe la confermazione de’ suoi statuti subordinata a diverse condizioni; più chiara ed esplicita fu quella ottenuta nel 1484 dai Protettori di S. Giorgio, la quale però venne al tutto cassa coi capitoli del 1496. Tuttavia avrebbe pur sempre dato cagione di controversia se gli statuti fossero rimasi quali esistevano all’indicato anno; ma la riforma eseguita nel 1527 rivelavasi contraria in sì fatta guisa ad una delle convenzioni sancite nel 1484 e ripetuta nel 1496, da por giù ogni dubbiezza. Imperciocché domandando i Sarzanesi facoltà di far nuovi statuti, provvisioni ed ordini, ovvero gli antichi rinnovare ed a loro uopo riformare, rispondono i Protettori quod concedunt, Ime tamen conditione, quod non valeant nisi fuerint per ipsos Protectores comprobata; ora essendo certissimo che niuna comprovazione venne mai concessa dal Magistrato jii S. Giorgio agli statuti riformati ed usciti pe’ tipi del Viotto nell’ indicato anno, si palesa aperto il difetto di validità. Nè si può manco affermare aver essi avuta una tale sanzione nel 1562, quando GIORNALE LIGUSTICO 57 cioè il dominio di Sarzana fu dai Protettori restituito alla Repubblica, chè nelle convenzioni da questa rinnovate cogli uomini di quel Comune concede e conferma que’ soli statuti già comprovati dai suddetti Protettori di S. Giorgio. Avvalorato Filippo da fondamenti storici così chiari, rispose strenuamente alle ingegnose ragioni del suo avversario, ponendo a corredo di tanto suo dire quella erudizione legale onde apparisce maestro. Con molta accortezza poi egli avvisa che per avventura non si volle mai confermare lo Statuto sarzanese per la copia di singolari disposizioni ivi bandite, ed egli molte ne divisa stigmatizzate già dal suo avo Filippo e dai giureconsulti sarzanesi Alberto Forlano e Francesco Cicala, le quali ragguardano in ispecie la seconda e la terza parte, del diritto civile cioè e del criminale; quello vuol sanciti privilegi eccessivi, questo non serba gradazione di sorta nelle pene afflittive , e impone lievi multe pecuniarie per delitti gravissimi. In questa parte lo Statuto sarzanese si manifesta di gran lunga più largo che quelli di molte altre città italiane; come che poi si vegga in tutti spiccata la memoria della legislazione longobarda, onde furon tratte da prima, secondo i dotti, molte norme statutarie. L’autor nostro nell’anno 1705 porse domanda a fine d’essere ascritto all’ordine nobile, rammentando con tale opportunità la prima parte degli Annali che giaceva pur sempre appo gli Inquisitori; ma il numero de’ raccolti suffragi non fu tale da far paghi i suoi voti. Tornò innanzi ai Collegi con nuove istanze sul cominciare del 1708 e si offerì a por fuori a sue spese gli Annali, quest’opera, com’ei dice, primogenita delle mie fatiche, promettendone in breve la continuazione; e poiché vivamente desiderava poter apporre al suo nome titolo di nobile, domandava eziandio l’ascrizione. Ma 0 fosse viva tuttavia la memoria della condanna del 1692 come la era stata tre anni innanzi, 0 non stimassero i reggitori s’avesse GIORNALE LIGUSTICO egli procacciate benemerenze sufficienti da esser messo in quel novero, nè manco questa fiata consentirono. Eragli bensì concessa la stampa dell’opera sua, essendosene contentatigli Inquisitori, i quali accagionando pel ritardo nella revisione, le molteplici cure del grave ufficio, avendo eziandio reputato opportuno sottoporre il lavoro alla disamina d’ altri soggetti, dopo la già eseguita dal Calissano e dallo Spinola, tenuto poi conto in singoiar modo dell’ offerta dell’ autore di stamparlo a. sue spese e di seguitare la storia anche per tutto il seicento, son di parere concedere sul riflesso, così scrivono, riuscirebbe V istoria di sommo vantaggio, perchè varrà a far conoscere i successi in quella sincerità che sono occorsi e produrrebbe l’avanzo di quelle somme, che in conformità delle deliberazioni di VV. SS. Ser.me sono state pagate ad istorici forastieri a motivo fossero dati alla luce i successi per la sola verità, il che è stato sempre senza venni profitto, mentre ο V hanno variati, o occultati con svantaggio notabile della Ser.ma Repubblica. Il giudizio del Magistrato di quest’ anno 1708, vuoisi singolarmente notare, si palesa ben diverso da quello dato nel 1696; e per giunta si ha la preziosa rivelazione delle somme mal pagate ad istorici bugiardi o di mala fede. Queste parole che sono per poco lo sfogo d’ un mal celato dispetto non ancora estinto, intendono a ricordare la malaugurata Istoria d’Italia di Girolamo Brusoni, della quale pur si giovò con soverchia fidanza Carlo Botta. Alcune inesattezze rilevate dagli Inquisitori nella prima impressione di quel libro, ed in ispecie là dove ragiona dei successi del 1625, 1628 e 1648, aveano dato appicco ad ufficiose relazioni coll’ autore, perchè si studiasse in una nuova edizione correggere quel racconto a seconda degli avvisi inviati da Genova. Il contagio del 1656 e 57 impedì fosse condotto a buon fine il negozio, ed il Brusoni ristampando negli anni successivi riprodusse gli errori, anzi ne accrebbe il novero. Ma nel 1675 curando egli in Venezia la ristampa delle Istorie, GIORNALE LIGUSTICO 59 col proposito di seguitarle fino a quell’ anno, mercè il P. Molinello cassinese ebbe dal Magistrato degli Inquisitori e le note necessarie per modificare ciò che non piaceva nei libri già editi, e documenti e relazione ampia ed intera in servigio della giunta toccante la guerra del 1672; accompagnato il tutto da una buona somma di ducati. Ed egli scrisse in vero il racconto del mentovato successo secondo i desideri dei Genovesi, e in sì fatta forma sarebbe per avventura venuto fuori, se in questo mezzo corrotto dalla Corte di Torino, eletto poi isto-riografo ducale non avesse per amor di denaro istranato la narrazione in quella guisa che vedesi alle stampe. Ma egli era tal uomo rotto a sì fatti mercimoni, e ce lo ha di fresco chiarito il barone Gaudenzio Claretta nella sua erudita monografia sulle avventure di Luca Assarino e Gerolamo Brusoni, dove si legge in particolare il modo adoperato ne’ maneggi col mezzano di Savoia per porre a prezzo la sua penna; e ciò nel tempo stesso che vendeva buone parole e grandi promesse in cambio di bei ducati agli Inquisitori genovesi, sì come ho lingua dai documenti dell’Archivio genovese. Gli è poi fuor dubbio essersi l’inverecondo scrittore giovato delle scritture e del denaro dei genovesi per tener alta la derrata, mercanteggiando vilmente col confidente ducale. Onde gli Inquisitori di Stato che s’ argomentavano per fermo averlo in loro potere, rimasero nelle secche segnando in conto avarie i 600 ducati circa regalati allo storico: ed è singolare il leggere com’ essi stessi confessino avergliela colui accocata correggendo sì i vecchi errori secondo l’aveano sollecitato, ma dettandone poi di nuovi e più madornali a danno della Repubblica, di guisa che s’ affannarono a indire la crociata al nuovo libro, vietarne Γ introduzione nello Stato e dannare a pene gravi chi lo possedeva. Volendo poi opporre la verità alla ribalda menzogna, non avendo sopperito al loro desiderio la nota operetta del Marana, dettero carico a Fran- 6 ο GIORNALE LIGUSTICO cesco Viceti di comporre quella storia che giace inedita tuttavia (i). Torna perciò a grandissimo onore del nostro Annalista il giudizio del Magistrato sopra riprodotto, imperciocché lo si predica storico onesto e veritiero. Cionondimeno tosto che fu divulgata per le stampe nel 1708 la prima parte degli Annali, ne uscirono gravi lamenti per le imprudente grandissime in essa contenute; e non solo molti si pentirono d’essere concorsi alla permissione, ma si giunse persino ad accusare il deputato per la revisione d’ aver troppo facilmente ceduto agli uffici ed alle adulazioni dell’ autore e de’ suoi amici (3). I domestici dolori avevano in questo mezzo angustiato 1’ a-nimo di Filippo: eragli morta la madre, a breve intervallo vide rapirsi il padre e la consorte dalla quale non ebbe prole; onde rimasto solo e manincoj.iioso, niun miglior conforto trovava che nei prediletti studi, adoperandosi di lena a perfezionare la continuazione degli Annali che egli avea promesso al governo della Repubblica condurre al settecento. Il qual lavoro già da lui disegnato' fin dal tempo che offerì a’ Collegi la prima parte, avea poi quasi colorito l’anno 1706, chè nel volume secondo della storia di Ludovico il Grande, passandosi dal narrare i successi del 1684, dice appunto non voler ripetere quanto distesamente s’ era fatto a narrare negli Annali, che doveano indi a poco, secondo egli sperava, uscire in pubblica luce. Dava opera altresì a patrocinare nel fóro, chè le sostanze redate dall’ avo, le quali in soli immobili sommavano nel 1636 a lire 52533, eransi di molto assotti- (1) Arch. Genov. Misceli. Polit. Econ. N. 4. Il Casoni negli Annali confutò alcuni errori del Brusoni; ma la vera istoria di quella brutta guerra del 1672, e della congiura di Raffaele della Torre viene ora narrata dal mio amico il eh. Claretta nella sua opera sul regno di Carlo Emanuele II in corso di stampa. (2) Arch. cit. Secretorum, 1708. GIORNALE LIGUSTICO 61 gliate a cagione della numerosa figliolanza di Gio. Michele (ebbe tredici figli), e delle strane avventure di sopra ricordate; e non poco eziandio per la ruina della sua casa accaduta nel 1684 pel fulminare delle bombe, si come narra egli stesso nella inedita storia di quell’ avvenimento. Il desiderio ardentissimo di lasciare un erede del suo nome 10 mosse a contrarre nuovi legami nel 1710 con Maria Cat-terina della nobile famiglia Ricci d’Albenga, e fu letiziato nel 1719 dell’unico figlio cui vennero imposti i nomi di Gio. Michele Tommaso Visconte Maria. Nei tredici anni che corsero dal 1708 al 1721 rivolta ogni cura agli uffici famigliari, al suo ministerio legale ed agli studi, ottenne copia di alcune scritture dagli archivi della Repubblica, e condusse così a buon fine, non.solo gli annali del secolo XVII, ma anche la storia della peste degli anni 1656 e 57. Nel Gennaio del 1721 stralciando dalla seconda parte degli Annali buon tratto del libro ottavo, in cui era narrato distesamente il bombardamento di Genova del 1684, neprofferse la dedicazione -al Senato sì come di speciale lavoro, domandando altresì fossegli consentito il pubblicarlo; se non chè alcuni biglietti di calice pongono di subito i Padri sull’avviso, affermando essere in quel racconto molte cose al governo pre-giudicevoli, e consigliano non permetterne la stampa all’autore 11 quale è un bell’ ingegno via con poca prudenza. Perciò gli Inquisitori, poi che l’ebber letto ed in ogni parte considerato, non volendo ricisamente negare e nè manco concedere, sot-ponendo a’ Collegi la loro relazione, rammentano come avesse il Casoni promesso fin dal 1708 di continuare gli Annali, e si mostrano molto ammirati che dopo 13 anni egli presenti in quella vece la narrazione d’un solo fiuto del secolo diciassettesimo; se avesse compito all’offerta, così ragionano, colla composizione del secondo volume averia potuto con maggior brevità descrivere i successi suddetti, li quali apposti nella continua- 62 GIORNALE LIGUSTICO ’ione dell’ annali cogli opportuni avvertimenti da regolarsi dal Magistrato, si notino bene queste parole, sariano rimasti men soggetti alla critica di mal affetti, e non fatto comprendere usciti ad oggetto di vantaggio alla Ser.ma Repubblica tanto più per portare in fronte quest’ opera la dedica a VV. SS. Ser.me, onde il Magistrato apprende di maggior sicurezza, che restino i successi suddetti descritti unitamente coll’ annali e non a parte. Nella qual sentenza convennero eziandio i Collegi, e dierono incum-benza al Magistrato stesso di far intendere al Casoni che allora quando volesse comporre il secondo volume degli Annali e stamparlo a sue spese, potrà con maggior brevità, dice il decreto, in esso descrivere i successi seguiti nel 1684, et in questo caso il detto Mag.c° Magistrato dia al detto Fdippo Casoni quegli avvertimenti che stimerà circa il modo con cui doverà contenersi circa i detti successi, riconosca poi esso Mag.co Magistrato la detta descrizione terminato che V avrà il detto M. Filippo Casoni per riferirla. Ricevuta comunicazione di quanto aveano statuito i Collegi, incontanente fece palese agli Inquisitori essere già pronta ed affatto compita la parte seconda degli Annali, dove già in più breve forma avea ristretta la narrazione del bombardamento; e con tale opportunità s’ adoperò appo il medesimo Magistrato affinchè facendone l’usata relazione, non dimenticasse ricordare la non liève spesa occorsagli nella stampa dell’altro volume, ed il danno notabile cui s’ era dovuto assoggettare per il divieto posto alla continuazione della vita del Re di Francia; le quali cose tutte furono benignamente esposte ai governanti, onde ne tenessero conto a pro’ di Filippo quando, sì come proponeasi, avesse domandata l’ascrizione. Ed a questo fine in fatti egli scrisse ai Collegi nel Maggio del medesimo anno 1721, presentando insieme e la seconda parte della sua opera maggiore, e la storia del contagio ; dopo di che dai due Consigli li 27 e 30 Giugno era noverato fra i nobili. Ma egli, GIORNALE LIGUSTICO é3 divisando per avventura la sua prossima fine, non s’ acquetò, se non il di in cui, mercè solleciti uffici, vide ascritto altresì suo figlio, e fu a’ 30 Gennaio del vegnente 1722. Usciva intanto alla pubblica luce in Milano il terzo volume della storia di Ludovico, che narra gli avvenimenti occorsi dai 1704 alla morte di quel monarca. Non eragli tuttavia consentito godere quindinnanzi per lungo tratto, quella pace procacciatasi a fatica, dopo una vita travagliata da varia fortuna; l’umana natura sembra il più delle volte soggiacere ad una legge singolare che d’ un tratto vuol troncata la via resa agevole e piana con inauditi conati, e ciò per avventura è inteso a dimostrare la caducità di questa miserabile creta, e lo impero dello spirito immortale eli’ al suo Fattore onnipossente s’innalza. Il nostro Filippo standosi in aspettazione dell’ opportuna licenza per mandare alla luce la seconda parte degli Annali, e adoperandosi perchè fosse in breve, soprapreso da grave infermità e sfidato al tutto dai medici, dato assetto alle sue domestiche faccende, si volse alle cose celesti e coi religiosi conforti piamente se ne passò il terzo giorno di Giugno del 1723 ; e celebrate in orrevol forma le funebri cerimonie nella chiesa parrocchiale delle Vigne, ai cinque dell’ istesso mese la sua salma fu deposta entro l’avito sepolcro nella chiesa insigne della SS. Annunziata. Se vogliamo giudicare con giustizia il nostro annalista alla stregua de’ fatti discorsi, dobbiamo pur riconoscere, passandoci delle giovanili imtemperanze cagionate senza meno da inquieta natura vinta dalle condizioni del suo secolo, non già da perverso animo, aver egli mai sempre affermata quella dignità ed interezza che ad uomo indipendente s’addice; prega sì dalla sua carcere, ma non s’avvilisce; libero, molte volte ai governanti si rivolge, ed 0 proferisca le sue opere o domandi nobiltà, la sua parola suona modesta sempre, adulatrice non mai. 64 GIORNALE LIGUSTICO È ctabito eh’ io consacri una parola alla memoria del figlio da lui lasciato, solamente a fine di ricordare come egli altresì abbia applicato alle discipline storiche, di che si ha documento in quella sua operetta manoscritta conservata nella Civica Biblioteca di Genova colla data del 1771, il cui titolo è come segue : Note sopra varii passi storici in confutazione di due opere uscite alla luce negli anni 1768 e 1769 con i titoli Memorie RIGUARDANTI LE SUPERIORITÀ IMPERIALI SOPRA LE CITTA DI Genova e S. Remo come pure sopra tutta la Liguria, raccolte da Tomaso Casoni. III. * Dopo la morte del Casoni furono fatte dai Padri sollecite istanze ai fedecommissari, perchè, secondo Γ obbligo preso, curassero la stampa degli Annali; ma i consueti biglietti di calice dissuadono al governo il concedere l’imprimatur per le solite ragioni politiche, e questa volta eziandio private; per ciò dopo maturo consiglio se ne vieta la pubblicazione. L’ opera pertanto di Filippo, intorno alla quale egli avea lavorato con tanto amore, si rimase appo il Magistrato degli Inquisitori posta al tutto in dimenticanza, fino a che venuta alle mani del patrizio Giambenedetto Gritta, poeta allora di qualche grido,, e per amicizie e per pubblici uffici molto dimestico degli uomini di governo, fece proposito di mandarla in pubblico. Se non che reputando lo stile usato dal Casoni non proprio alla gravità dell’istoria, ed umile troppo la locuzione, di pulitezza e d’armonia di numero manchevole, s’avvisò sarebbe tornato a gran vantaggio dell’ opera il raffazzonarne il dettato: nè pago di questi conceri volle-altresì, male interpretando la sentenza del Mascardi intorno al superfluo, recidere, così egli dice, quanto per avventura rassembrasse 0 minuto, 0 rimesso, 0 vano, 0 affettato, 0 superfluo. Compiuto giornale ligustico il lavoro lo trasmise a’ Collegi nel 1730 colla dedicazione al Doge ed ai Sènatori, e queglino vollero intenderne di beinuovo il parere degli Inquisitori di Stato. Per quali cagioni non uscisse allora alle stampe mi riusci impossibile rilevare dagli archivi, e potrebbesi attribuire alla morte del Gritta avvenuta forse in quel mezzo. Finalmente nell’ anno 1799 co’ tipi del Casamara vide la luce l’intera opera, esemplando l’editore la prima parte sulla impressione del 1708, l’altra sopra l’inedito manoscritto del Gritta : chi presiediesse alla stampa, a me non è noto, ma dovette essere tale per fermo cui non era famigliare cosi fatto magistero, veggendosi, la seconda parte in ispecie, deturpata da molti e gravi errori tipografici. La prefazione dell’ editore palesa aperto il tempo in che fu scritta, e sebbene v’ abbiano verità incontestabili, le furono vestite d’ una forma sì vibrata, che sente dell’ esaltamento onde quegli anni andarono famosi. Parrebbero quindi soverchie, ove a questa stregua non si giudicassero, le lodi quivi profuse al nostro storico, le quali, secondo par mi, sommano a questo, che egli liberamente scrisse, colla dignità propria al suo istituto, guidata da spirito di sana filosofia, a fin che l’opera sua fosse scuola a’ suoi concittadini; dalla lettura della quale, com’ egli stesso divisa, potrà per avventura il prudente lettore conseguire qualche giovamento, ravvisando nella moltitudine degli esempi, che cadranno sotto alla sua riflessione, ciò, che a se stesso ed alla sua condotta sia utile 0 dannoso, ciò che debba fare, e ciò che debba isfuggire, riconoscendo dagli eventi giudici non imperiti de’ consigli, e delle deliberazioni, a quanta instabilità, ed a quali vicende siano sottoposte le cose umane; quanto influiscano alla naturale felicità de sudditi la virtù, e la prudenza de’ governatori; quanto pregiudichino alle private fortune non meno che allo stato pubblico le sì egolate passioni, e i consigli mal misurati degli uomini; raccogliendo in fine in tanta varietà di successi, per se e per beneficio della patria Giorn. Ligustico, Anno IV. 5 66 GIORNALE LIGUSTICO quei salutari documenti, che dalla cognizione delle cose passate sogliono derivare. Nella guisa stessa che il Casoni si conoscea ò <■' della ragion filosofica della storia, instrutto si manifesta della ragion letteraria, e ciò chiaro apparisce là dove tocca del-Γ ordine in che scrisse il suo libro, seguendo in tutto le regole poste dal Mascardi nell’ aurea sua opera àeìl’Arte isterica, norme eh’ io veggo bandite dopo di lui dagli scrittori più reputati, e per citarne un de’ recenti, dall’ elegantissimo Vito Fornari; il quale altresi consente nell’opinione di quel nostro ligure illustre intorno alla differenza che havvi fra gli annali e la storia, recando come quegli ad esempio l’impareggiabile Tacito, cui aggiugne per l’età nostra il celebre Muratori (i). In quel poi che ragguarda al debito suo di storico e’ si governò, o io m’inganno, nella forma propostasi, di narrare cioè il tutto senza alcuna lusinga di stile e con giudizio tutto sincero non alterato punto nè da adulazione nè da malignità; imperciocché reputava esser quella figlia d’un cuore tutto servile, questa di un animo insolentemente libero, amendue ugualmente pregiudiziali alla pubblica fede, e alla riputazione dello scrittore. Quind’ è che nelle brevi parole a lui consacrate dallo Spotorno hassi un giusto giudizio del suo valore: «la storia civile di Genova, così l’erudito letterato, può ricordare con onore· Filippo Casoni di famiglia patrizia, il quale, oltre alla vita di Ambrogio Spinola ed alla storia di Luigi XV, compose gli Annali di Genova con bell'ordine, con gravità, e senza studio di parti. . . Non isdegnò le concioni dirette che piacquero pur sempre a5 grandi storici, non usa citazioni minute , ma non lascia d’indicare alcuna volta quali scritti consultò per compiere il pregiato lavoro » (2). (1) tArte del dire, Napoli 1866, voi. I, pag. 85, 219 e passim. Sul-V Arte isterica del Mascardi veggasi una bella lezione del Ranalli, Le{icmi di storia, tom. II, pag. 31. (2) Op. cit., tom. V, pag. 38. GIORNALE ligustico 67 Era nondimeno comunal credenza che il Gritta riformatore della seconda parte avesse recato grave offesa al testo originale correggendo, togliendo, aggiungendo in guisa da aversi la stampa del 1799 e 1800 in quanto alla parte inedita, non più conforme al dettato dell’autore; onde lo stesso Spotorno scriveva come il Gritta avuto il manoscritto ne risecò molte cose, altre volte acconciare a suo grado, tolse allo stile quella semplice dignità che si legge nel primo volume (1). Se non che trovatasi ne’ regi archivi la copia stessa fatta esemplare dal Casoni sull’originale, e presentata insieme a questo ai Collegi , copia già riveduta dagli Inquisitori di Stato e sulla quale il Gritta avea fatte le correzioni, fu affermato nel Giornale Ligustico del 1831 non essersi toccata la sostanza del racconto, solamente tolto, aggiunto e corretto qua e là qualche parola e modo che parve più acconcio, producendosene a prova quattro esempi tolti, si dice, dalla prima carta del codice (2). L’ autore dell’ articolo dice aver riscontrato il manoscritto, e lo dimostra recandone una sufficiente descrizione ; io con tutto ciò noto innanzi tratto due inesattezze le quali non doveano in alcun modo sfuggire dalla penna d’un diligente bibliografo, specialmente in cosi breve e singolare scrittura ; la prima che gli esempi citati leggonsi a tergo della carta seconda, Γ altra che la breve dedicatoria al Doge ed al Senato soppressa nella stampa non è del Casoni, come si dice nell’ articolo , chè questi non avea uopo rinnovare quanto aveva fatto pubblicando la prima parte, si di Giambenedetto Gritta, e veggendosi chiaro dalle tre sigle G. B. G. poste in fine e rispondenti al suo nome, ed essendo indirizzata al Doge Francesco Maria Balbi ch’ebbe ufficio nel 1730, e trovandosi in due carte volanti che non son parte del volume, nelle quali havvi al- (1) Op. cit., pag. 39. (2) ‘N.uovo Giornale Lig., anno 1831, pag. 611. 68 tresì la prefazione del Gritta stesso ai lettori. Nè manco io posso menar buono esser quivi proposito di semplici mutamenti di parole per abbellire lo stile, imperciocché in un rapido ragguaglio m’è occorso notare non lievi cancellature d’interi periodi, che non deggionsi confondere con quelli dannati dagli Inquisitori, i quali per converso si leggono nella stampa. Il Casoni, ad esempio, nel primo libro apre il racconto della seconda parte con una introduzione : or questa ristretta e ridotta a metà fu tolta dal suo luogo e preposta al sommario. All’anno 1602 narrata l’infruttuosa impresa degli Spagnuoli tentata contro Algeri, manca alla stampa quanto segue: « Ma que’ vantaggi che in questi di i Ministri del Re Filippo non aveano riportato sopra de’ nemici li riportarono sopra degli amici, essendoché entrarono primieramente al possesso del Marchesato del Finale. Il Conte di Fuentes Governatore di Milano rivolta la sua maggiore applicazione ad unire questo piccolo Stato alla Lombardia Spagnuola, fece passare D. Diego Pimentello suo nipote con alcune truppe di sua nazione ad impadronirsene. Era di presente il castello del Finale guardato in nome dell’ Imperatore da guarniggione tedesca, la quale guadagnata collo sborso di sei paghe, delle quali era creditrice, non fece difesa veruna, e vi fu posto di presidio D. Pietro Toledo con dugento fanti spagnuoli, il quale intese a rendere più sicura con nuove opere la fortezza ». L’ ultimo periodo che chiude nella stampa quest’anno è sì fattamente congiunto a quello resecato, da indurre chi legge a discervellarsi per cavarne costrutto. Nel successivo 1603 si racconta la morte di Federico Spinola fratello d’ Ambrogio, e tolse cagione l’annalista di far conoscere ai lettori questo celebre capitano, intorno al quale dettò una bella pagina encomiastica rimettendo in fine alla special vita eh’ ei ne scrisse, cui fosse vago saperne di vantaggio; il Gritta cancella P elogio e con poche righe se ne sbriga. Esponendo GIORNALE LIGUSTICO 69 all anno 1624 i maneggi del Duca di Savoia, reca l’autore le considerazioni che per mezzo dei suoi ministri egli rappresento al Re di Francia ed alla Repubblica Veneta, come ad alleati, onde indurli ad aiutarlo nella impresa contro Genova, alche diceasi mosso per menomare la potenza degli Spagnuoli, a quali la Repubblica sovveniva con danaro e ben fornite galee; quivi parlandosi del porre in atto il disegno, il Casoni, che senza meno ebbe sott’ occhio i documenti, scriveva in persona de ministri ducali: « L’ impresa poi essere in se medesima, e per le conseguenze sue giovevolissima, e di facile adempimento: i genovesi da un canto impegnando la propria libertà agli Spagnuoli, e rendendosi strumenti delle violenze loro offendere la sovranità degli altri principi conservandosi sempre uniti agli oppressori d’Italia, e vilipenderli colla fiducia di ricorrere al patrocinio di quella Corona; agevole dall’ altro sarebbe l’impresa e quasi di certissimo riusci-mento ». ecc. ecc. Il correttore tolse interamente il periodo che suona insinuazione in odio de’ genovesi verso gli altri principi, ed acconciò eziandio quel che segue omettendo frasi poco benevole pel governo ed i nobili: opera dannabile qui tanto maggiormente, in quanto che lo scrittore riproduce un documento diplomatico. Reputo bastevoli questi esempi a dimostrare quanto mal s’ appose 1’ autore del ragguaglio recatoci dal Giornale· Ligustico, affermando essersi contentato il o J Gritta cambiare qualche frase 0 vocabolo; intorno al qual proposito potrei di leggieri porgere una lunga nota di correzioni mal fatte, di frasi omesse e di vocaboli non rispondenti al concetto dell’ autore. Giovami a conforto trascriverne alcuni. Al Vassallo, dice il Casoni, gli era riuscito d’ insinuarsi nella grazia della Regina di Francia, e il Gritta gli era succeduto d’ insinumsi; il desiderio di procacciarsi fama è mutato nell’ ingordigia di procacciarsi credito; cercar forma in tracciar la maniera;il proibire a’ mercatanti la contrattazione della poi- ηO GIORNALE LIGUSTICO __._.__—-—---S-— vere, nell’ amministrazione della polvere; i Giusdicenti in Rettori del Dominio; i disegni d’un armata negli sforzi; l’esperienza del capitano nell’ uso ; V assoluto comando delle galee, nell’assoluta amministrazione; il Principe in Dominante; confederati, detto di due Stati, in avviticchiati; dare gli ordini opportuni per le leve, in ordini proporzionali; il disordine della plebe in scomponimento ; l’utilità della cosa pubblica, nell’ utilità dell’ universale ; accesa la mischia in appiccatasi la scaramuccia (e si parla d’ un fatto d’ arme sostenuto da un ora di sole alle venti fra piemontesi e genovesi); ferito a morte in mortalmente impiagato; ed altri molti che non è uopo trascrivere-, potendo ognuno dal fin qui detto persuadersi in qual guisa abbia il Gritta raffazzonato, com’ei dice, lo stile, e con quanta giat-tura del testo originale. E si noti altresi eh’ io mi passo dal-l’offerire esempi di periodi rabberciati, ne’ quali paiono omesse appostatamente frasi od incisi, che davano al dettato mirabile verità e vivezza, mentre le sostituite locuzioni non ci riproducono la mente dello scrittore, ed attenuano di molto la storica veridicità. Era proprio riserbato ad un Arcade, e per soprassello vice custode della ligustica colonia, giudicare così a sproposito dello stile del nostro annalista, il quale sì manifesta studioso imitatore degli storici classici, se non nella purgatezza della frase, certo in quella semplice e dignitosa gravità del dettato, onde principalmente dee essere scritta la storia. Ed in vero la lettura della prima parte non riesce in verun modo fastidiosa, chè il costrutto v’è scorrevole ordinato ed il senso si coglie a prima giunta; non così nella riformata, dove i vocaboli trasposti per amore di render pieno e sonoro il periodo producono ingratissimi intoppi, ed obbligano alcuna volta a riandare il già letto. Che il Gritta guastasse sciaguratamente 1’ opera dell’ autore nostro mostrò aperto lo illustre prof. Scarabelli, porgendo contezza dell’ originale Casoniano acquistato dalla Civica Bi- giornale ligustico 71 blioteca di Genova (i), ed io gli tengo bordone di gran cuore nel notare di supina asineria il riformatore. Mi discosto alquanto da lui là dove afferma nulla recidesse, e più esempi di tagli ho recato qui innanzi; nè vorrei si prendesse proprio alla lettera, come ha fatto il celebrato Cantù (2), quel suo dire che il Casoni ancora non aveva scritta la seconda istoria quando morì, e che gli originali cui si accenna sono gli appunti presi d’ anno in anno per fare la continuazione· degli annali, poiché i buoni distendimenti già bell’ e composti formano in vero la maggiore e miglior parte del volume, e le note, e pro-me-moria e i vuoti cadono qua e colà non si frequenti come potrebbe parere a prima giunta leggendo la notizia dell’ egregio erudito. Certo è che il Casoni presentò ai Collegi Γ opera sua come compiuta consegnando due volumi, 1’ uno cioè contenente ΓOriginale l’altro la buona copia fatta eseguire in colonna per maggiore comodo della revisione; e mi persuade in ciò il vedere come quel manoscritto esistente nell’ Archivio di Stato, sul quale il Gritta ha fatto le sue pretese riforme, è appunto di quelli stessi copiatori che vergarono molti dei lunghi distendimenti dell’ originale, primo fra di essi visibilissimo Buonaventura de’ Rossi. Non mi dilungo in maggiori dimostrazioni, chè il semplice confronto de’ due codici potrà far capace chicchessia. Ben piacemi scagionare il Casoni dal-accusa cui potrebbesi sottoporre, dello aver dato come finito un lavoro semplicemente abbozzato, poiché, 1’ ho già detto, il racconto era in massima parte ridotto al suo termine, e per fermo proponevasi l’autore ridurlo più compiuto nel mentre si faceva la stampa (3). Maggior biasimo invece dee comparii) 82 GIORNALE LIGUSTICO al cartografo Gerolamo Costo, di cui si conosceva una carta fatta in Barcellona senza data, ma giudicata non anteriore alla seconda metà del secolo XVI. Si rileva ora di fatti che il medesimo si presentò nel 1607 al governo della Repubblica promettendo di stabilire in patria Γ esercizio della propria professione: e che ottenne perciò dal Senato la pensione annua che si soleva concedere a tale ufficio; ma, qualunque ne fosse il motivo, il Costo non pare abbia effettuato tale disegno, nè percepì alcuno stipendio, il quale fu invece accordato a Cornelio Maggiolo succeduto al padre Giovanni Antonio e allo zio Giacomo figli di Visconte; lo stipite quest’ ultimo della famiglia cartografa, della quale ci par bene produr qui un alberetto genealogico, tracciato sulle indicazioni che dai citati documenti si desumono. Giorgio Maggiolo Giacomo 1465 . i ! 1 Visconte Gio. Antonio 1511-1550 circa Gio. Antonio Giacomo 1525-1588 1529-1604 Baldassarre Cornelio 15S3-1604 1607-1614 Chiara Bacigalupo j moglie 1588 J tre figlie maritate Gio. Alntonio Nicolò Baldassarre d’ani 19 nel 1614 d’anni 16nel 1614 d’anni7 nel 1614 morto 1615 1616-17 1644 1. 1612, die sabbati 12 maii in vesperis ad bancum residentie mei notarii infrascripti sit in amili pallatii ducalis Genue. D. Augustinus Grillus qtn. Francisci testis per me notarium summarie receptus et examinatus ad instantiam d. Cornelii Magioli, infrascripta re-spective per ipsum testem testificanda probare volentis etc. Interrogatus et GIORNALE ligustico 83 .. S’ SU0 'Urament0 testificando dixit: « Io conosco detto M. Cor- ^ " C. ^la*,eta ne^a piaza del molo in una sua casa propria et in . ' a ^ essei citio di carte maritime bussole et altre cose spettanti alla navigatione » (1). Hoc est ... In causa scientie respondit : « Perchè sono suo vicino e giornalmente dalla sua natività in qua ho visto detto M. Cornelio con suo fratello e padre essercitare, detto esercitio come è notorio a tutti quelli che lo conoscono » etc. Jacobus Monleonus Joseph, testis vocatus, productus et nominatus ad instantiam dicti Cornelii super predictis, etc. « Suo iuramento testificando dixit « E vero che detto M. Cornelio habita nella piaza del molo in una casa in bottega della quale fa non solo carte da navicare ma ancora bussole et ampolle concernenti alla navigatione, nella quale bottega si è esercitato con il padre et fratello che facevano ll'medemo esercitio etc. Ancora 10 habito al Molo, e perciò havendo conosciuto suo padre e fratello ancora so esser vero il testificato per me». Hieronymus de Honeto notarius. II. Relatione, che fa il Sindico di Camera sopra quanto le è stato comandato per parte del Ser.”‘° Senato intorno la supplica di Gio. Antonio Maiolo, per la quale ricerca stipendio di L. 100 come havevano li suoi ascendenti per fabricar carte di navigare L anno 1519 a 12 di magg>o in tempo di Ottaviano Campofregoso, e poi in 1520 a 11 di luglio fu risoluto che maestro Vesconte Maiolo ispe-rimentato di fabricar carte da navigare, et altro necessario circa la navigatione, avesse dal pubblico lire cento annue a beneplacito con obligo di habitar continuamente alla città, e ciò per utile e comodo di detta città e di tutti li Genovesi, massime per consistere la negociatione di essi nel navigare. 1521 a 7 di maggio fu decretato che le L. 100 si pagassero al Visconte (1) L’ubicazione della casa del Maggiolo è anche più precisamente indicata da una domanda del 1608 (nei fogliazzi Diversorum Communis, ad ann. ), colla quale esso Cornelio « supplica per poter fare certi lavori alla sua casa sita al Molo, e dietro la quale vi è la strada del Ponte dei Cattanci ». 84 GIORNALE LIGUSTICO non a beneplacito, ma liberamente sinché vivesse, tanto essendo habile quanto non ad esercire detta arte. 1529 a 16 d’aprile in atti del M. Lorenzo (1), '1 Senato concesse, 0 sia si contentò di far associatione a richiesta del Vesconte in lo stesso pri-vileggio di doi suoi figliuoli Giacomo e Giovanni Antonio in vita loro, 0 sia di un di loro, mentre che 1’ altro non volesse essercitar la professione, con obbligo però che dovessero promettere di esercitarla tutto il tempo della vita loro qui a Genova. 1544 a 28 genaro in atti del M. Ambrogio (2), detto Giacomo solo figliolo del Vesconte promesse di habitar continuamente a Genova et in essa esercitarsi in fabricar dette carte ; et attesa questa promessa il Senato deliberò che si facesse il mandato delle L. 100 al Giacomo, procedente questo di volontà del Vesconte, al qual Giacomo si sono continuamente pagate di Camera sino al 1605, nel qual tempo pare che passasse a miglior vita. 1607. Comparve Geronimo Costo di Sestri di Ponente, e pare che ottenesse lo stesso privilegio ; però pare ancora che assai presto morisse ; nè in Camera si vede esserle stato fatto pagamento alcuno. Detto anno 1607 a 2 d’ ottobre il Ser.™ Senato sentito Cornelio Maiolo, il quale diceva esser figliolo del Gio. Antonio fratello di Giacomo figlioli del Vesconte, e che per la vecchiaia del Giacomo Zio haveva lu-nelli ultimi auni del Giacomo tutti li fastidij. e che haveva atteso alla professione come li altri suoi parenti, comesse al Pr.m0 Magistrato delle Galere il prendere cognizione dell’ isperienza di detto Cornelio, e per all’hora non si vede che fussi fatta altra riferta. È vero che in 1611 facendo Cornelio nuova istanza per l’ispeditione, et essendo stato posto in dubio se doveva detto Magistrato sopra una commisione del 1607 prender in 1611 risolutione, fu di nuovo dal Ser.m° Senato decretato che il Magistrato vedesse e riferisse; il qual Magistrato a 6 di febraro 1612 riferse che all’ hora non si ritrovava, salvo il Cornelio, chi facesse carte da da navigare, e perciò esser di parere che si dovesse tener conto della sua persona. 1611 a 10 di maggio il Senato Ser.m° concesse a detto Cornelio lo stesso stipendio di lire cento in sua vita come fu concesso in 1529 a 15 d’aprile a Giacomo Zio e Gio. Antonio padre, e questo con le istesse condizioni et obblighi contenuti nel privilegio suddetto del 1529 a 15 d’aprile; il qual Cornelio promesse in atti del Secretario Corregia a 17 di maggio (1) Lorenzo Lomellino-Sorba. (2) Ambrogio Gentile-Senarega. GIORNALE LIGUSTICO 85 1611 d habitare nella città, et in essa esercitarsi nella suddetta professione, e dal suddetto tempo sino alle sua morte seguita a 13 d’aprile 1614 la Camera li ha fatto pagare dette L. 100. Detto Cornelio, per quanto s’intende, ha lasciato tre figliole maritate, e tre maschi: Gio. Antonio d’ età d’ anni 19, Nicolò di 16 e Baldasare di 7; e pare che il maggiore Gio. Antonio habbi sempre atteso a questo me-stiere, e che il minore se le vada aplicando. 11 Gio. Antonio è quello che hora ricerca la stessa provisione di L. 100 1 anno; e quanto alla sua suficienza, ne resta già fatta prova e relatione nel Pr.m° Magistrato dei Conservatori del mare a 22 decembre 1614. III. Ser.11» et Ecc.mi S.ri Cornelio Magiolo come esperto e pratico nella professione di fabricar le carte di navigare, e come successore di Vesconte Magiolo suo avo, e di Gio. Antonio suo padre, a quali per particolar lode della lor virtù in tal professione le fù da VV. SS. Ser.me assignato annuo stipendio di libre cento, come dalli privileggi e decreti che is presentano, desideroso di continuar in quella professione, nella quale già molta lode s’have-vano acquistata , e che ne faceva fede il concorso che d’ogni parte per tal opra a lui ricorreva, supplicò VV. SS. Ser.™ acciò volessero anche ad esso assignar il detto annuo stipendio; per onde presa informatione della sua suficienza, gratiosamente fu da quelle compiaciuto ; fatta però promessa d’habitar in questa città, in tutto come da decreti che parimente si presentano. Et perché hora è morto detto Cornelio, e fra 1’ altri ha lasciato Gio. Antonio suo figlio il quale sotto la disciplina del padre ha atteso al detto essercitio e già è un pezzo eh’in quello è riuscito suficientissimo, nè al presente vi resta in la presente citjà altro che vi attendi et essendo suo pensiero di fermarsi in la città e perseverare in detta opera, massime confidato in la clemenza di VV. SS. Ser.me che risguardando a meriti de suoi antenati et alla suficienza in tal professione d’esso, debba anche a lui assignare detto annuo stipendio. Perciò ricorre da quelle supplicandole che voglino favorirlo e farle mercede in sua vita di dette annue libre cento, che con tal stipendio spererà poter maggiormente perseverare in detto esercitio in publico benefitio della patria , com’ han fatto i suoi antecessori ; che tanto confida da VV. SS. Ser.™ ottenere, che nostro Signore le feliciti. Giovanni Sanguineti. 86 GIORNALE LIGUSTICO 1614 die 16 maij. Responsum Ser.ml Senatus Reipublice Genuensis ad calculos est quod Prestantissimi Conservatores maris supplicata superius aliaque videnda viedeant et considerent indeque. DD. SS. Serenissimis referant quid super supplicatis censeant providendum. Ser.mi Sig.r> Habbiamo vista la supplica presentata dinanti a VV. SS. Ser.mi per Gio. Antonio Maggiolo figlio di Cornelio e la commissione fattaci sotto li j6 Maggio prossimo passato, et fatto per noi le debite dilligenze ed examinato et interrogato bene il detto Gio. Antonio Maggiolo sopra il particolare di far le carte da navegare, il nostro parere è che detto Gio. Antonio sii sufficiente a fare dette carte da navegare, et tener buona regula in farle, et esser buono et sufficiente per detto essercitio; et così referimo a Lor Sig.rie Ser.me sotto lor benigna correttione. Data nella nostra solita Camera li 22 decembre 1614. Giuseppe Repetto notaro e delli M. e Prest.™ Sig.r! Conservatori del mare scrivano d’ ordine. 1615 die 26 Januarij. Ser.mus etc. Lectis ante hac suprascriptis precibus presentatis per dictum Jo. Antonium Maiolum et nunc relatione Prestantissimorum Conservatorum maris de qua supra; re examinata; ad calculos omni modo etc. dicto Joanni Antonio supplicanti assignaverunt et assignant libras annuas quinquaginta in eius vita tantum, ex his libris centum quas pater habebat, cum iisdem oneribus, et in omnibus pro ut serviebat pro dictis libris centum ; contrariis non obstantibus. f Anno predicto die sabbati quarta julii in tertiis ante ostium audientie Serenissimi Senatus extivi tempori?. Supradictus Joannes Antonius Majolus qm. Cornelii sponte etc. et omni meliori modo promisit et promittit Serenissimo Senatui, me notario sub-cancellario stipulante, moram trahere in presenti civitate Genue et in ea se exercere in predicto exercitio fabricandi Cartas de quibus supra, et w omnibus et per omnia iuxta formam decreti conditi die 15 aprilis 1529 giornale ligustico 87 et de quo in privilegio eidem Cornelio eius patri concesso die 10 maii 161 r sermo habetur. IV. 1616 22 Ottobre. Ser.mi et Ecc.mi Sio·.ri O Cornelio Magiolo come esperto e pratico nella professione di fabricar le carte di navigare, e come successore di Vesconte Magiolo suo avo e di Gio. Antonio suo padre, a’ quali per particolar lode della lor virtù in tal professione le fu da VV. SS. Ser.me assignato stipendio di libre cento, come dalli privileggi e decreti che si presentano, desideroso di continuar in quella professione nella quale già molta lode s’haveva acquistata, e che ne faceva fede il concorso che d’ ogni parte per tal opra a lui ricorreva, supplicò VV. SS. Ser.™ acciò volessero ancho ad esso assignare il detto annuo stipendio, per onde presa informatione della sua sufficienza, gratiosamente fu da quelli compiaciuto, fatta però promessa d’habitar in in questa città, in tutto come da decreti che parimente si presentano; e perchè hora è morto detto Cornelio, et anche Gio. Antonio suo figlio ai quale concessero 1’ istesso privilegio con stipendio annuo di lire cinquanta , come consta dalli privileggi che si presentano, il quale fu pro-dittoriamente ammazzato et poco godè la detta gratia, et doppo egli gli è restato Nicolò figlio di detto Cornelio et fratello del detto Gio. Antonio, il quale ha atteso allo detto esercitio sotto la disciplina del padre e fratello, e è già un pezzo che in esso è riuscito sufficientissimo, nè al presente vi resta in la presente città altro che vi attendi, et essendo suo pensiero di fermarsi in la città et perseverare in detta opera, massime confidato in la clemenza di VV. SS. Ser.me che riguardando a meriti dei suoi antenati et sufficientia di tal professione di esso debbino anche a lui assignare detto annuo stipendio di lire cento. Perciò ricorre da quelle snpplicandole che voglino favorirlo e farli mercede in sua vita di dette annue lire cento, che con tal stipendio spererà poter maggiormente perseverare in detto esercitio in publico beneficio della patria , come han fatto i suoi antecessori; che tanto confida'da VV. SS. Ser.me ottenere, che Nostro Signor le feliciti. Di VV. SS. Ser.me Servitor detto Nicolò supplicante. 88 GIORNALE LIGUSTICO f 1616 22 Octobris. Prestantissimi Conservatores maris videant et considerent supplicata etc. Ser.™· Sig.ri Habbiamo visto la supplica presentata innanzi a VV. SS. Ser.me per Nicolò figlio di Cornelio Maggiolo, la commissione fattaci sotto li 22 d’ottobre 1616 prossimo passato; e fatto per noi le debite diligenze, et examinato et interrogato bene il detto Nicolò Maggiolo sopra il particolare di far le carte da navigare, il nostro parere è che detto Nicolò sii sufficiente a fare dette carte da navigare et tener buona regula in farle, et esser buono e sufficiente per detto essercitio; e così riferiamo a lor SS. Ser.“e sotto lor benigna correttione. Data nella nostra solita Camera li 9 Gennaio 1617. Giuseppe Repetto notario e delli M. e Prest.m> Sig.ri Conservatori di mare scrivano d’ordine. f 1617 die 7 Novembris. Serenissimus etc. Auditis etc. Volentes rationem habere dicti Nicolai tum ob propriam peritiam tum ob merita eximie scientie in conficiendis chartis navigatoriis Joannis Antonii eius fratris, Cornelii patris, Joannis Antonii avi, Jacobi patrui magni, et Vescontis abavi eiusdem Nicolai supplicantis , ad calculos eidem Nicolao ex ere publico quotannis.... solvi mandaverunt stipendium librarum quinquaginta etc. CIFRARIO GENERALE DI FILIPPO II Lo studio dei carteggi diplomatici ha di necessità condotto a quello di tradurre le corrispondenze cifrate, nelle quali, come è facile il comprendere, si ascondono ordinariamente le parte più curiose ed importanti di quei documenti. Di tale studio a’ dì nostri si è in ispecie occupato il eh. Pasini; e già se ne è reso benemerito pubblicandone lodatissimi saggi (1). (1) I dispacci di Giovanni Michiel, ambasciatore veneto in Inghilterra deciferati da Paolo Friedmann, rettificazioni ed aggiunte di Luigi Pasini; Venezia, Grimaldo, 1869. — Delle scritture in cifre usate dalla Repubblica Veneta, di Luigi Pasini; Venezia, Naratovich, 1872. Que- GIORNALE LIGUSTICO 89 Alcune cifre annesse alle istruzioni che i Protettori delle Compere di San Giorgio consegnavano ai Consoli mandati a reggere la colonia di Caffa, vennero prodotti per fac-simile dal eh. Vigna nel Codice diplomatico delle colonie tauro-liguri (1); e più recentemente due giovani-studiosi delle discipline paleo-grafiche, i signori Alfredo Luxoro e Giacomo Grasso, riuscirono con rara felicità a decifrare per intero la lunga e importante corrispondenza di Luca Massola, agente segreto dei genovesi in Venezia nel 1481-82. D’altre cifre appresta i fac-simili 1 egregio sig. Carlo Prayer, amantissimo degli studi storici, e raccoglitore intelligente di monete e disegni antichi. Vari anni addietro il rimpianto comm. Antonio Merli presentava alla Società Ligure di Storia Patria la Cifra generale che il re Filippo II aveva adottata salendo al trono di Spagna e delle Fiandre nel 1556. Trovolla il Merli nell’Archivio del Principe D’Oria a Fassolo; e noi oggi la pubblichiamo sulla considerazione che possa tornare di non poco giovamento all’ interpretazione della corrispondenza degli ambasciatori e ministri di quel potente monarca (2). Occupa tale Cifra tutto il recto di un foglio assai grande, sul tergo del quale si legge: st’ultimo lavoro fa parte dell’interessante volume uscito l’anno successivo, col titolo: Il Regio Archìvio Generale di Venezia. (1) Atti della Società Ligure di Storia Patria, voi. VI, tav. I, II, III, fra le pagg. 830-31; e voi. VII, par. I, tav. unica, fra le pagg. 872-73. Dove sono le cifre dei futuri consoli Martino Giustiniano, Bartolomeo Gentile, Luca Saivago (a. 1458) ed Antoniotto di Cabella (a. 1472). (2) Nel sunto del processo verbale della tornata che si tenne il 18 dicembre 1869, pubblicato allora nella Gaietta di Genova e riprodotto nel Giornale degli Studiosi (a. 1870, voi. I, pag. 216) si legge: « Il comm. Antonio Merli.....presenta infine il Cifrario generale del Re di Spagna, in data dell’8 novembre 1556... La Sezione (artistica) delibera che di questo Cifrario sia, a cura del socio Belgrano, cavato un fac-simile ». 90 GIORNALE LIGUSTICO + Nueua gifra generai del Rey de Espana, y de Inglaterra Nuestro Senor con la Ser."^ Princesa de Portugal Gou.ra de Espana ; Duque de Sabova Gou.°r de Flandes; Visoreyes de Napoles, Sicilia, y Cataluna; Cardenal de Trento, y Marques de Pescara en Milan; Cardenal de Burgos en Sena; Principe Andrea Doria; Embax.res de Su Magestad en Roma, Venecia, Genoua, Francia, e Inglaterra/. En Gante a vnj de Nouiembre M. D. lvj. / La Cifra comincia col pezzo che noi diamo per fac-simile nella Tavola qui allegata e segniamo colla lettera A. Indi succede il vocabolario che trascriviamo più sotto, e che nell’originale è distribuito in otto colonne ed altrettante colonnine. Per ultimo vengono le avvertenze che nella Tavola anzidetta si leggono alla lettera B. L. T. Belgrano. A Alemana . . . . ab Arcabuzes. . . ol Alla...... Alemanes. . . . eb Amigo..... . ul Alli...... Arsel..... . ib Amistad. . . . Ay...... Africa..... . ob Ano..... Alexandria . . ub Auiso..... Armas..... . al Amotin . . . . Allende. . . . Armada. . . . el Aca...... Adonde. . . . . it Artilleria . . . . il Aqui..... B Beat.d..... ut Berueria. . . . . bo Bateria . . . . bli Bohemia . . . ba Barcelona. . . . bu Bastimentos. . blc be Bonifacio. . . . bla Bastante . . . . blu Bugia...... bi Batalla . . . . c Cartagena. . . bra Corfu..... Campana . . . ca Cerdena. . . . bre Candia . . . . Chriandad . . ce Corcega. . . . bri Ciudad . . . . . bil Carestia Calabria. . . . bro Castillo.... . boi Cardenal . . . co Costantinopoli bru Campo . . . . . bui Concilio . . . cu CIFRARIO GENERALE DEL RE FILIPPO II NEL MDLVI a. (. C. if. Λ / • 8 β. /- f. jn- n·. Φ0' f ί r S t u & y ^ ij i D 1' 4 h f * /f f T. _L r ■ L -/ 8 ’Zf X 0 D ■ $ Ji 7 V -t 1 Ϋ ì> co ■dr r *1 / L t A U a- a -A Of. ** e i r 1 m n 11 1 z /? iAr iS · 16 V 1S 19 -LO τι -7.Z -2? z4 •Z/ -z& -z 7 X/ *1 ■36 31 Ji S5 , 7+ fa vir fi fio /)U Jar le y l· Ju fa [e ti io fu ma me /«/ rno m m nc ni no rru 1 4f 4 (&■ & 4r i -i- &■ w 5- J S y- Sf co¬ ci) -CO (M u>f 0- ί · ~o 0+ 0? ì 56 37 ΊΪ 79 q.o .41 42. ff A! 4-6 47 4/ f? So si S Z . ^ . Jf JJ S6 J7 Sì S9 j Fa r yo pu Sii i pu jut CfUO tfUU ra re Π tù w Sa se Si JO JU -tu it ti io tu ! / IL 1 M u+ # c. / -r Yf r ί -f n φ/ V ce net rf oc y- a ■ II* r 6l ó z 6Ί 6<\ fs 66 67 61 v 70 71 7Z 73 14* 7J 76 77 7S 7? si n sr ò 4' ss va ye yi ve yu y!a ye pel ·» yo yu ya ■ye y* yo > età e~e 'Zi 'X0 zu efia che chi cfo efiu / P~ / -P pfi Pf 4 r r a> yf e- i -C è* tf s- 5 r P ó u SC y/ W S9 y0 n 9f \96 97 n 99 c i era ere eri ero cru p ■jff A7' Ito fin sra m & yo r pia ?\e pti pl'p ylu Fa pn pri prò fru r 4. 1 r ff y- Jó 9 t V r % n- H H m Hf il· 9\ -$ V 1 L --- ^ ^ ^ ^ jsuuasjuan tvaaf taj /etra} o caracrntrcj . yn- cifrOy atte f-ullietc./2 doJjpuntvJ £7?cn/ta e cu^d-jro, co puntojo/o encùn#; o(fi/>nid(}?rtJi;feat mi za caia mnnjj/j^/· fS ktjtfpj/iveaj^ dtcejejijjueri/ cft’^ea Co?mfntv B m. i. ìi ù γ- 6? y. γ/ ‘zs -L qo ^7 /ί φ rz j-ζ ψ~ 1 -za j~ f /2 ■$■ F -6 ii μ Λ itu yi >' -u v f- fj t? fi 7/ } γ ? x -cu 7/ fy =/ c*> -L -U y 7f GIORNALE LIGUSTICO Collegio.....eia Consejo.....eie Capitan generai, eli Capitan.....ciò Coronel.....clu Cauallos . . . era Caualleria . . ere Carta .... Correo . . . Compania. . . cru Capitul . . . Correspon . . cim Como. . . . . com . cum D Dios......car Duque de Saboya cer Duque Octauio. cir D. de Alua. . . cor D. de Cleues. . cur D. de Florencia. da D. de Ferraria . de D. de Mantua . di D. de Vrbino . do Duque......du Duquesa.....dra Ducado.....dre Dorgut.....dri Dano ...... dro Designo.....dru Despach.....dal Dinero.....del Diligencia . . .dii Donde......dol Despues.....dui Desde......dar Demanera. . . . der E Esperada . . . . dir Exercito. Espana . . . . Effecto . Espanoles. . . . dur Empresa Escocia . . . . das Enemigo Embaxador. . . des Estado. . Embaxada. . . dis Espia . . Escri . . . . . fu . . fa Elio .... . . fe . . fli . . fi Ella .... Escudo . . F Flandes .... Fragata . . . . fil Fauor . . . Francia . . . . . fre Flota . . . . . fol Fortific . . Franceses. . . . fri Fuer?a . . . . fui Florencia . . . . fro Fructo. . . Fiorentino . . . fru Fusta . . . Firme . . . Ferrara . . . . . fai Forma. . . . . for Frontera . . . . fel G Genoua.....fur Ginoueses. . . . ga Grecia......ge Grisones . . . . gi Goleta. ..... go Galeata.....gu Gente......già Guerra.....gle General.....gli Guarda.....gio Galera.....giù Gouierno. . . . gra Gouern.....gre Gast. ...... gri Grande.....grò Guarnicion ... gru 92 GIORNALE LIGUSTICO H Honrra.....gal Herman. .... gel Hecho......gii Hiziesse.....gol Hareis......gul Hombre.....gar Humil......ger Hasta......gir Imperio.....gor Italia......gur Italianos .... ha Inglaterra. ... he Ingleses.....hi India......ho Isla.......hu Lombardia . . hir Leuante. . . . hor La Romana. . hur La Marca. . . has La Morea. . . hes Luca..... . his Luqueses . . . hos Legado . . . . hus Liga..... I Infanteria. . . . hai Infantes. . . . . hel Importante. . . hil Import .... . hol Instruction . . . hul Impedimento. . ham L Luteranos. ... le Ley.......li Libertad.....lo Libre.......lu Lugar......lam Lexos......lem Luego......lim Legua......lom Licencia.....lum Intencion.... hem Intelligencia . . him Iusticia.....hom Iuez.......hum Iuizio......har Iuntamente . . . her Lo qual.....lar La qual.....ler Los quales . . . lir Las quales ... lor Lo que.....lur Lieu.......las Larg.......les Limit......lis M Mundo......los Marques.....lus Milan......lat Milaneses . . . . let Mallorca.....lit Menorca.....lot Malaga.....lut Marsella.....ma Malta ...... me Mecina.....mi Monago . . . Monasterio . . . mu Moros.... Mar..... Marina. . . . Muralla . . . MiU..... Miìicia. . . . Municion . . . men Ministro. . . Merescimiento mon Merced .... mun Memoria . . . mar mer Manera .... . mor mur mas mes Menester . . . mis N Napoles . . . . 'Napolitanos. . mus Nauarra . . . . na Negroponte. . ne Niqa...... Nuncio . . . . Negocio. . . Naue..... Necessidad . . nel Necessario . . nil Neglicencia. . noi Nuestro. . . Nuestra.....nam No obstante '. . nem Numero.....nim No sepu. .... nom Nunca......num GIORNALE LIGUSTICO 93 O Otranto.... . ner Obispo .... . nir Opportunidad. . nor Obligacion . . . nur Obliga..... . nas Offresciraiento . nes Offresc......nis Occasion .... nos Occurre.....nus Orden......pa Officio......pe Obediencia ... pi Obede......po Occupacion. . . pu Occup......pia Papa.......pie Principe.....pii Pr.c d’Espana. . pio P. Andrea Doria più Potentado. . . . pra Portugal.....pre Portugueses. . . pri Piamonte .... prò Pomblin.....pru P Pulla......pai Puerto......pel Puerto Hercules, pii Prouincia . . . .poi Principal .... pul Persona.....pan Poluora.....pen Pelota......pin Pacific......pon Paz.......pun Prouision .... qua Proue......que Para.......qui Para que .... quo Porque......quu Pero.......qual Q Quando.....quel Quan ...... quii ■ Quanto.....quol Quantidad. . . . quul Qual.......quam Quaiidad .... quem Question Quasi . . quim quom Roma......quum Rey.......quar Reyna......quer Reyno......quir Rey d’Espana. . quor R. de Inglaterra. quur R. de Romanos . quas Rey de Francia, ques R R. de Portugal. quis R. de Bohemia. quos R. de Escocia. . quus R. de Polonia . ra R. de Danimarca, re R. de Tunez . . ri R. de Argel . . ro Ragusa.....ru R.m0..... Religion. . . . rei Republica. . . rii Remedio . . . rul Resolucion . . ram Resolu . . . Respuesta. . . rim s Sancto padre. . rom Su Sanct.d . . . rum Su Beat.d .... ras Su M.d.....res Su Alteza. . . . ris Su Ex.*.....ros Sede apostolica, rus Ser.m°......rat Ser.ma......ret Saboya.....rit Suyga......rot Suycos.....rut Sicilia......ta Sena.......te Secretario. ... ti Secret......to Senor......tu Senoria .... tra Satisfacion. . '. . tre Sazon..... . tri Soccorro . . . . tro Summa .... Successo. . . . Seruicio.... Siempre.... 94 GIORNALE LIGUSTICO T Toscana. . . Tierra. . . . Trento . . . . tum Tregua . . . Turquia. . Trigo T ureo. . . . Tracto . . . Tunez. . . . Tractado . . . . vi Tiempo. . . . . vii V V. Magestad . . voi V. de Mallorca vor Victoria. . . V. Alteza. . . . vul V. de Menorca . vur Vitualla. . . V. Ex.a..... vani Venecia.... vas Vizcocho . . . . xal V. S....... vem Venecianos . . . ves Vandera. . . V. Merced . . . vini Vngria..... vis Vela..... . . xil Virevde Napoles vom Vn^aros. . . . vos Vuestro . . . v. de Sicilia . . vum Villa franca. . . vus Vuestra . . . V. de Cataluna. var Villa...... . xa V. de Nauarra. ver Verdad .... . xe V. de Cerdeiia. vir Virtud..... • z Zante...... Ι Zabra...... xom SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Anno Accademico 1876-77. XX dalla fondazione dell’ Istituto. I. Assemblea Generale. Tornata del 10 Dicembre 1876. Presidenza del Presidente comm. Antonio Crocco. Dichiaratosi dal Presidente aperto il novello anno accademico, il Segretario Generale cav. Belgrano legge la Relazione sui lavori e l’amministrazione della Società nell’anno 1875-1876. E innanzi tutto porgendo un tributo di mesta ricor- GIORNALE LIGUSTICO 95 danza alla memoria lagrimata del socio march. Raffaele De Ferrari Duca di Galliera, cosi si esprime: « Il 12 Dicembre dell’anno decorso, inaugurando in questo recinto la XIX sessione accademica, plaudivamo altamente commossi al compimento di un atto magnanimo che risvegliava tutte le più belle tradizioni della storia genovese. Vol-gevasi il nostro primo pensiero al Patrizio munifico il cui Nome echeggiando per tutta la Penisola italica, si diffondeva colla rapidità dell’elettrico in ogni terra del mondo civile; e noi acclamavamo al Cittadino benemerito che facendo paghi i voti di molti secoli, rendeva questa diletta Genova pari alla grandezza della sua missione e all’altezza de’ suoi destini. » Un anno appena è trascorso, ed oggi eziandio aprendo il vigesimo delle nostre tornate, rivolgiamo il pensiero a quella splendida Immagine. Ma ahi ! quanto diverso e come ispirato a mestizia profonda, ineffabile! Genova, che a buon diritto si diceva superba di avergli dato i natali, or lo piange estinto; e sulla tomba che ce ne invola le care, sembianze, siede pensoso il Genio della Patria e fidente l’Angiolo della Riconoscenza. » La Società Ligure di Storia, alla quale il Principe di Lucedio si dichiarava onorato d’appartenere, rammenterà sempre con affetto il Socio illustre: oggi, in questa solenne adunanza, al dolore d’ogni ordine di cittadini unisce il tributo sincero del suo profondo cordoglio ». Dopo la Relazione Belgrano, la Società vota per acclamazione un indirizzo di condoglianza a S. E. la Duchessa di Galliera. Vengono in seguito distribuiti due nuovi fascicoli degli Atti, cioè : Voi. X, fascicolo IV. Contiene: Leggenda ed bini di san Siro vescovo di Genova, pubblicati dal socio Vincenzo Promis. — Libro degli anniversarii del Convento di san Francesco di Castel- 96 GIORNALE LIGUSTICO letto in Genova, pubblicato dal socio Vincenzo Promis. — Due Opuscoli di Jacopo da Varatine trascritti dal socio P. Amedeo Vigna, ed ora per la prima volta pubblicati (con Introduzione e note di L. T. Belgrano). — Continuazione della Cronaca di Jacopo da Varagine , dal i2yy al 1332, pubblicata per cura del socio Vincenzo Promis. — Cronaca di Giovanni Antonio Faie, tratta dall’autografo e per la prima volta pubblicata dall’ avv. Jacopo Bicchierai. — Tre Cantari dà secoli XV e XVI concernenti fatti di storia genovese, ripubblicati dal socio Cornelio Desimoni. — Relazione dell’ attacco e presa di Bonifazio, di Leonardo Balbo, ristampata sull’edizione del secolo XVI dal socio Vincenzo Promis. — Arredi ed armi di Sinibaldo Fieschi, da un Inventario del 1532, con avvertenza e Glossario di Antonio Manno. — Glossario delle voci militari che si incontrano nell’ Inventario Fieschino del 1532, di Angelo Angelucci. — Descrizione sincrona del terremoto di Genova, seguito il 10 aprile 1536, ripubblicata dal socio Vincenzo Promis. Voi. XI, fascicolo II. Contiene: Iscrizioni greche della Liguria , raccolte e illustrate dal socio Angelo Sanguineti. — Le iscrizioni bisantine del Santo Sudario, pubblicate e dichiarate dal socio P. C. Remondini. II. Sezione di Belle Arti. Tornata del 15 Dicembre 1876. Trcsiden\a del Preside cav. prof. Giuseppe Isola. Il Vice-Preside comm. Varai dà lettura di vani Appunti su documenti da lui trascritti nell’ Archivio della Basilica di Carignano. Sono prime fra essi non poche lettere di Galeazzo Alessi, del quale nota come entrasse nel servizio de’ Sauli correndo l’anno 1549. Avverte che la fabbrica di quel tèmpio insigne prese cominciamento nel 1552; ma aggiunge che del giornale ligustico 97 *555 gii era proceduta per forma, che i nobili anzidetti si accordavano co maestri Giacomo Ponzello e Stefano Gandolfo per la provvista e il lavoro delle pietre di Finale acconce a rivestire gli imbasamenti. Però soltanto nel 1564 si volsero i pensieri alla gran cupola; nè questa fu condotta a termine innanzi i piincipii del secolo XVII, ad opera del maestro Giovanni Basso. Dell Alessi nota quindi il Varai i seguenti particolari: affetto e sollecitudine a vantaggio della gran fabbrica; diligenza nel corredare di schizzi dimostrativi le istruzioni contenute, nelle sue lettere; dalle quali inoltre si paiono manifesti e l’alternarsi della dimora di Galeazzo tra Genova, Milano e Perugia, e l’andamento degli egregi lavori che nelle due prime citta lo tennero occupato con grandissimo onore. Entra poscia il Disserente a dire di due altri artisti, i quali sono Pietro Fanelli e Pietro Puget; e di quest’ultimo più specialmente s’intertiene, accennando come le statue di san Sebastiano e del beato Alessandro Sauli rimanessero da lui ultimate nell’anno 1668. Sui principii del 1669 il Puget lasciava Genova per assumere la carica di direttore della decorazione dei vascelli a Tolone, cui l’aveva eletto il celebre Colbert; ma non sembra doversi punto credere (come ne corse finora la tradizione) eh’ egli abbandonasse la nostra città per dispetti coi Sauli. I documenti prodotti dal Varai mostrano anzi che l’insigne artista si mantenne sempre in ottime relazioni con que’ patrizi; i quali ancora nel 1691 lo invitavano all’opera (ch’egli accettava) di una statua di san Girolamo , onde si proponevano vieppiù crescer decoro alla Basilica. Parrebbe invece che il Fanelli, sostenuto in carcere per debiti e liberato dai Sauli collo sborso di lire 186, si allontanasse da Genova, insalutato hospite, nel 1668 0 in quel torno, lasciando i patrizi medesimi in credito di buona somma, a proposito della quale nel 1677 così scrivevano nei libri della Giorn. Ligustico , Anno IV. 1 7 98 GIORNALE LIGUSTICO lor chiesa: « Non essendosi mai aggiustato il suo conto, ed essendo assente, non pare farne capitale ». III. IV. Sezione di Archeologia. Tornate del 22 Dicembre 1876 e 12 Gennaio 1877. Presidenza del Preside cav. can. Angelo Sanguineti. Il socio Belgrano dà lettura di una sua rassegna degli Studi bibliografici e biografici sulla Storia della Geografia in Italia pubblicati per cura della Deputazione Ministeriale istituita presso la Società Geografica Italiana (Roma, Tip. Elzeviriana 1875), e della Storia dei viaggiatori italiani nelle Indie Orientali compilata da Angelo De Gubernatis (Livorno, Vigo 1875). Quanto agli Studi, il Belgrano dice che all’illustre Cesare Correnti, il quale presiede alla Società Geografica, voglionsi tributare amplissime lodi per aver egli voluto e potuto in assai breve spazio di tempo dotare Γ Italia di un’ opera così nuova, onde furono solerti collaboratori il cav. Amat di San Filippo, il prof. Gustavo Uzielli, ed il bibliotecario cav. Enrico Nar-ducci. Però la « tirannia del giorno fisso » appunto come la chiama il Correnti, impedì che iì lavoro riuscisse in tutto di quella perfezione che la ben nota valentia de’ citati scrittori faceva attendere, e che al certo ' non mancherà di rivelarsi in una nuova edizione della quale il Correnti medesimo ci dà fondata speranza. Per contribuire adunque a siffatta ristampa, anziché per satisfazione di una sterile critica, il recensente ha distesa la rassegna che ora può leggersi intera nell 'Archivio Storico Italiano di Firenze (serie III, voi. XXIV, pagg. 469-499), e della quale qui si porge un compendio coll’aggiunta eziandio d’ alcune notizie che pervennero all’ autore dopo la citata edizione. Diede 1’ Amat la Biografia dei viaggiatori italiani e bibliografia GIORNALE LIGUSTICO 99 delle loro opere·, e il Belgrano avvisa col Correnti: « Facile il vedere che i viaggiatori sono piuttosto ricordati che istoriati ». Si accorda col Bongi laddove scrisse che « indagini anteriori al dugento non pare che siano state tentate » (Nuova Antologia, maggio 1876, pag. 171); e addita i nomi d’alcuni viaggiatori i quali altrimenti non sarebbero stati dimenticati. Si aggiunga ora agli altri quello del genovese Grimaldo, stipite della famiglia di questo cognome, il quale, secondo il Taube (Beschreibung des Kònigreichs Slavonien, III Bd. Vor-bericht), viaggiò nel 1120-22 attraverso la Schiavonia e Beh grado (oggi Serbia) nella Tàna. Scrive il Taube medesimo d’ aver veduta manoscritta la relazione di tale viaggio ; e da noi se ne ebbe contezza per una lettera del eh. prof. Pietro Matkovic al socio Desimoni in data di Zagabria 22 dicembre 1876. Tocca poscia il Belgrano delle relazioni avute dai martiri francescani di Ceuta coi mercanti genovesi colà stabiliti nel 1221; e proponendo una nuova interpretazione del passo del Waddingo che a quei rapporti si riferisce (Annal. Ordin. Min., a. 1221, § XXXVII), opina che la lezione del nome Hugoni debba scambiarsi in Hotoni, e sia quest’ ultimo da identificare coll’ arcivescovo di Genova al quale i detti martiri avrebbero mandate lettere nunziatrici della prossima loro fine. Avverte inoltre nell’Amat la mancanza di ogni memoria de’ viaggiatori genovesi Ugolino e Guido Aivaldi, e Lanze-rotto Malocello ; ed a proposito di questo scopi itore dimostra come un recente articolo inserto nel ‘Bollettino della Società Geografica (a. 1876, pag. 153) continui con grave errore a ritenerlo per francese. In omaggio alla verita devesi però dichiarare che l’Amat non e punto 1 autore del citato articolo, sì come nella rassegna era stato supposto. Sono anche passati in silenzio Andalo Di Negio e Marin Sanuto ; nè paiono copiose ed esatte abbastanza le notizie di 100 GIORNALE LIGUSTICO CMerico da Pordenone ; del cui viaggio ci è grato il rammentar qui due codici posseduti dall’ illustre bibliofilo march. Girolamo D’Adda in Milano. L’ uno è veneziano del secolo XIV ; l’altro è latino de’principii del XV, con molte varianti dal testo del Ramusio. Similmente è passato in silenzio frate Filippo Busserio da Savona; ma a dissipare un nostro dubbio, soggiungiamo che non è opera sua il Liber Terrae Sanctae onde si conserva un esemplare in codice membranaceo del secolo XIV nella Nazionale di Napoli. Un eruditissimo signore francese, della cui corrispondenza ci onoriamo, ne scrive: « Le Liber Terrae Sanctae de Naples n’est pas autres chose qu’un fragment de Burcardus de Monte Sion, correspondant aux pages 38-94 de l’édition Laurent; seulement le Ms. est excellent, et con-tient une suite inèdite sur l’Egypte, développement de l’avant dernière phrase du texte imprimé ». Rispetto a Cristoforo Colombo.ed Amerigo Vespucci, conclude il Belgrano che tutta la bibliografia vorrebbe essere rifatta dopo istituite più mature ed accurate ricerche. Nè qui sappiamo ristarci dall’avvertire come tra le Lettere autografe di Colombo edite del 1863 nella ‘Biblioteca Rara di Milano erroneamente si accenni che « questa raccolta contiene il testo spagnuolo della prima lettera (1493) del. Colombo, tradotta in latino da Aleandro di Cosco ... È un prezioso documento il cui originale manoscritto conservasi nella Biblioteca Ambrosiana di Milano » (Studi, pag. 91). Ora benché, a discarico del eh. Amat, si debba concedere che a lui mancò il tempo necessario per condurre a buofr fine le ricerche, vuoisi però notare in omaggio all’esattezza, che egli ha scambiata la lettera diretta da Colombo a Raffaele Sanchez in data del 14 marzo 1493, con quella che Γ Ammiraglio ave-va indiritta a Luis di Santangel il 15 febbraio del medesimo anno, aggiungendovi quindi un poscritto che reca anch’esso la data del 14 marzo 1493; e ciò mentre sino dal 1866 il GIORNALE LIGUSTICO ΙΟΙ eh. march. D’Adda, ripubblicando appunto a fac-simile l’edizione spagnuola di quest’ ultima « dall’ unico esemplare a stampa finora conosciuto che si conserva nella Biblioteca Ambrosiana », aveva messo in aperto come « gli editori milanesi della ‘Biblioteca Rara vadano grandemente errati nel-1’ asserire questo essere il testo originale spagnuolo della lettera inviata da Colombo a Raffaele Sanchez ». La quale « non è conosciuta che nella versione latina di Leandro di Cosco, nè il testo spagnuolo fu rinvenuto sinora » (D’Adda , Lettera ecc., pag. XI). Inoltre si additerà qui, per cortese indicazione avutane dallo stesso illustre patrizio milanese, la esistenza nella Comunale di Fermo di un esemplare della edizione romana della citata lettera al Sanchez, pei tipi del Planck 1493. Dove è anche da notare il nome di Gabriele ivi dato al Sanchez medesimo, a vece di quello di Raffaele; rilevandosi pure col D’Adda che con sì fatto nome di Gabriele è egli chiamato appunto in alcune antiche edizioni: « quelle precisa-mente dove la regina Isabella, Helisabet, è nominata unitamente al re Ferdinando » (pag. XII). Notiamo ancora fra i cimelii del D’Adda un codice fiorentino sincrono della prima lettera di Andrea Corsali a Giuliano De Medici, rispetto al quale il eh. Amat non cita che stampe. Rammenta pure il Belgrano altri viaggiatori onninamente pretermessi: Cassiano Camilli, Andrea Colombo, Francesco Belli, l’abate Pacichelli, fra’ Carlo Orazii. Aveva eziandio ricordato il P. Filippo della SS. Trinità; ma qui dee confessare che quest’ ultimo appartiene alla Francia. Aveva infatti sortiti i natali in Malaucène nella contea d’ Avignone , ed al secolo erasi chiamato Spirito Julien. A titolo di ammenda dira invece ora che nell’ Itinerarium Orientale di esso Filippo occorre memoria di un viaggiatore genovese, il P. Paolo Simone di Gesù Maria, de’ nobili Rivarola, qui primus ob eximium animarum Zelum,... ad Persicam missionem ci Clemente octavo destinatus est 102 GIORNALE LIGUSTICO (lib. I, cap. II); per la qual missione s’avviò quindi nel 1605 in compagnia del P. Giovanni Taddeo da Sant’Eliseo. Costoro iter sttton per Poloritam et Moscoviam versus Persidem dirigunt; in Polonia a Rege benevole suscepti remanere coguntur, et Cra-coviae conventum fundare·, in Moscovia autem capti, et carceribus mancipati, plurimos sunt passi labores·, sed tandem pericula mortis evadentes in Persidem pervenerunt (lib. Vili, cap. III). Fu poi il detto Rivarola nel 1623 Superiore Generale del suo Ordine. Un altro viaggiatore onde per la prima volta pigliamo nota è Nicolò Barti (0 meglio Barsi) da Lucca. Di questi ha dato notizia al Desimoni il eh. Filippo Bruun con lettera di Odessa a’ 24 giugno 1872: « Dans le livre de M. Seymour, Russia on thè Blac-Sea, London 1855, p. VI (cosi egli scrive), se trouve le passage suivant: I bave also to thank .. . for thè sight of a translation of a curious Italien Ms. describing thè travels in Crimea of one Nicolò Barti of Lucca in thè XVII century ». E aggiunge ancora lo stesso Bruun la memoria del « moine Jean de Lucca qui à laissé la description de son voyage en Crimée vers 1625 ». Vorrebbonsi anche veder figurare nel lavoro dell’ Amat quei molti missionari che in tempi recenti si resero benemeriti della religione e della civiltà. E qui additeremo fra essi monsignor Giuseppe Novella, da Carpasio in Liguria, creato vescovo di Patera nel 1847, coadiutore del Vicario Apostolico dell’ Hu-quang, morto a Cimella presso Nizza il 26 febbraio 1872. Monsignor Novella delineò le « carte topografiche dei Vicariati Apostolici della Cina..., indicando in esse le città e i luoghi precipui coi propri nomi sì nel linguaggio chi-nese, che in quello del Lazio e di Francia, a comodo d’ogni fatta missionarii: carte che dedicate da lui alla Congregazione de Propaganda Fide, furon giudicate di sì alto rilievo da farle pubblicare colla litografia » (Ved. Giornale degli Studiosi, a. 1872, primo semestre, pag. 252). GIORNALE LIGUSTICO 103 Il prof. Uzielli iscrisse del proprio nome Γ Elenco dei mappamondi , carte nautiche e portolani del medio evo e dei secoli delle grandi scoperte marittime, costruiti da italiani 0 trovati nelle Biblioteche d’Italia; ma di suo propriamente non vi ha che Γ Introduzione, dove ragiona del progressivo svolgimento delle scienze geografiche. E qui il Belgrano ripete i vari 'appunti mossi già all’ Uzielli dal eh. Paoli nella Revue Historique (a. 1876, I), mostrando come le difese del primo (ibid., II) non possano accettarsi che in parte. L’Elenco è un lavoro da rifare; ed il recensente ne dà più ragioni ed esempi. Aveva anche detto il Belgrano, citando le ricerche del Desimoni {Giorn. Lig., a. 1876, pag. 344), che le carte di Marino Sa-nuto, già nella collezione Canonici, « trovansi probabilmente nella Biblioteca di Oxford » ; ma ora il Dotto francese po-c’ anzi lodato gli ha scritto : « Malgré des recherches tres-bien faites en 1869 par un homme compètent, on n’a pas retrouvè à Oxford le Sanudo de Canonici; mais il y a tout lieu de croire que c’est celui qui est entré il y a peu d annees -au British Museum sous le numero Addenda 19519 »■ Il recensente porge anche notizia di varie carte di Francesco Pizigani: ristabilisce la verità su alcuni punti concernenti quelle di Bartolomeo Pareto, Grazioso Benincasa ed altre; e dimostra eziandio che il sommo Leonardo da \^inci avrebbe dovuto trovar luogo onoratissimo fra i cartografi. Doveva il cav. Narducci dare il catalogo delle Opere geografiche esistenti nelle principali Biblioteche governative dell Italia ; ma la brevità del tempo non gli consentì di rassegnare che i manoscritti, i quali sommano a 259. Le Opere stampate si fermano alle già dette lettere di Colombo a Luis di Santangel ed al Sanchez. Se non che il Belgrano stima che anche qui sieno da correggere alquante indicazioni. Passando alla Storia dei viaggiatori italiani in India, dettata dal eh. De Gubernatis, il Belgrano ne toglie specialmente 104 GIORNALE LIGUSTICO Γ opportunità per ristabilire il vero, quale risulta da documenti e da altre attendibili fonti, riguardo ad alcuni vescovi della seconda metà del secolo XV, che recentemente il eh. m j P. Marcellino da Civezza nella sua Storia delle Missioni Francescane aveva scambiati in arcivescovi di Cambalu o Pechino. Sono essi: Bartolomeo Capani o Capponi, ed Alessandro di Caffa. Giovanni Pelletz, che pur si vorrebbe arcivescovo di Cambalu, sarebbe invece -stato preposto al governo di una Ecclesia Simbaliensis o Cunabulensis in Grecia, dichiarata dal Le Quien prorsus ignota (Oriens Christ.,111. 1109). Dimostra eziandio che fra’ Nicolò da Tivoli non fu già nominato, come scrive lo stesso Civezza (IV. 482), ricoglitore generale dei proventi spettanti alla Santa Sede a Pechino, ma a Cembalo ed in altri possessi de’ genovesi ; che la città nomine Coprum (e meglio Cumuζ come leggesi nel Codice Ansaldo) di Ode-rico da Pordenone non è « Cum 0 Comesciah a mezzodi d Ispahan » (Civezza, III. 743), che trovasi propriamente 64 leghe a nord di Ispahan, ma Cumisch 0 Comescià 15 leghe a sud-est di Ispahan medesima. Altrove il eh. P. Marcellino ricorda « Comesciach nell’Ispahan » (IV. 479); e così quest ultima non sarebbe più una città, ma un regno od una provincia. Oltreché quella che egli traduce a questo luogo per la chiesa di Comesciach, è invece la Ecclesia Cumuchensis in Tartaria prope montes Caspios, come la indica una bolla di papa Martino V (Waddingus, tom. X, Reg. Ponti/., n. LXXIX), e perciò risponde all’ odierna Cumiche 0 Cu-muchi nel Daghestan settentrionale, fra i fiumi Coissu e Terek. Soggiunge il recensente alquante notizie attinenti alla storia delle navigazioni genovesi-indiane nel 1505-1506; e dopo vari altii ragguagli, conclude ripetendo il voto così espresso dal De Gubernatis: « Io vorrei... che... alcuno studioso dei nostri si persuadesse che come primi furono gli italiani a ri- GIORNALE LIGUSTICO trovar 1 India, sarebbe onorevole che fosse un italiano quello che avesse un giorno a dire sull’india l’ultima parola ». V. VI. Sezione di Storia. Tornate del 19 e 26 Gennaio 1877. Presidenza del Preside cav. avv. Cornelio Desimoni. Il socio Claretta fa dar lettura delle memorie da lui raccolte intorno i casi della Guerra di Genova nel 1672. Questo lavoro fa parte della Storia di Carlo Emanuele II Duca di Savoia, che ora è in corso di stampa; e noi ci riserbiamo di darne un sunto allorquando la lettura sarà giunta al fine, onde il lettore possa formarsi un più esatto concetto dell’opera. VII. Sezione di Belle Arti. Tornata del 2 Febbraio 1877. Presidenza del Preside cav. prof. Giuseppe Isola. Il socio Staglieno legge i seguenti Appunti e documenti sul- V uccisore di Pellegro Piola. La sera del 25 novembre 1640 sulla piazza di Sarzano avveniva un deplorabilissimo fatto. Il giovane pittore Pellegro Piola, del quale in quei giorni s’era collocata nella via degli Orefici la bella Madonna che tuttora vi ammiriamo, mentre avviavasi a casa sua in compagnia di alcuni amici, era da uno di questi, per isbaglio mortalmente ferito, in una baruffa attaccata con altra comitiva incontrata presso quella piazza. Trasportato a casa l’infelice pittore al dimani moriva, con immensa commiserazione di tutti, per vedere spenta sul principio della sua carriera una vita che prometteva cotanto nel campo dell’ arte; e volendo cercare in questo la causa GIORNALE LIGUSTICO del triste fatto, si accagionava più all’ invidia che ad una disgrazia. Il biografo de’ nostri artisti, il Soprani, che viveva contemporaneo al Piola, che ne era amico, e da cui si gloria di aver appreso gli elementi del disegno, con siffatte circostanze ci narra la fine di questo pittore. Ma il Ratti, nella ricompilazione che fece dell’ opera di quello, alcune ne aggiunge sulla fede di persona che diceva di averle apprese dalla bocca di Angela Piola sorella del Pellegro, le quali inducono al sospetto che non accidentale ma premeditato fosse quel ferimento. Ci dice egli infatti come Pellegro se ne stasse quella sera tranquillamente a casa sua, quando una comitiva di amici ne lo venne a togliere, per andare, nè si capisce perchè, a girovagare per la città; che la contesa nascesse in piazza Sar-zano fra di essi stessi senza che da altra compagnia fosse provocata; dice anzi chiaramente che venisse a bello studio eccitata, designa col nome di sicario il feritore, e riporta come dette da costui, poich’ ebbe colpito il Piola, tali parole: Pellegro mio perdonami ch’io non t’avevo conosciuto. Sulle cause del fatto esce poi in questi precisi termini: Ninno vi fu che non tenesse per fermo esser venuto quel colpo da uomini invidiosi della virtù e degli avanzamenti di così esperto pittore, e come in simili casi avvenir suole v era chi per mezzo di forti congetture nominatamente attribuiva a certuni il delitto. Io non ardisco tacciare alcuno. Facil cosa è l’ingannarsi. Si sa pei'o che l infame sicario giunse a notizia de’ parenti dell’ucciso; ma eglino seppero usare una così eroica e veramente cristiana mo-deiazione, che mai dalla loro bocca non se ne udì n'e lamento nè accusa. Soltanto dopo qualche tempo ebbero a dire, che l’esecutore di quella scelleraggine già n’ avea pagato il fio. Ma mentre egli non vuole accusare alcuno, e non nomina alcuno, la tradizione che giunse sino a noi non si peritò di GIORNALE LIGUSTICO 107 supplire alla mancanza del Ratti, chiaramente indicando come autori del delitto i Carloni, pur essi pittori, e particolarmente il Giovanni Battista. Dei primi che accogliessero e divulgassero questa tradizione, credo sia stato il Bertolotti nel suo Viaggio nella Ligurià marittima stampato nel( 1834, e qualche poeta pure di quei tempi che in un dramma intitolato Pellegro Piola faceva commettere il delitto da Taddeo e Giovanni padre e figlio Carlone. Ma come osservava il prof. Alizeri nella sua Guida di Genova sin dal 1847, il Taddeo ed il Giovanni all’epoca dell’uccisione del Piola erano morti, l’uno da ventisette e l’altro da dieci anni; e tutti gli indizi testimoniavano più in favore che a carico del Giovanni Battista, altro figlio del Taddeo, pittore rinomatissimo e già molto in onore quando il Pellegro cominciava i primi passi nell’arte. Così stette la cosa sino al dì d’oggi, e quantunque in altra delle tornate della nostra Società nell’anno 1864 se ne parlasse sull’ eccitamento del prof. Alizeri suddetto, a fine di scuoprire la verità sopra questo argomento interessante cotanto .l’onore dJuno de’ primarii nostri pittori, il Giovan Battista Carlone, per la mancanza di documenti, la vertenza non potè fare un passo in avanti (1). Ora alcuni di questi, rinvenuti nel nostro Archivio di Stato, avendomi posto in grado di conoscere il nome dell autore di quel ferimento, e di sapere diverse delle circostanze che lo seguirono, ho creduto bene non tardare a comuni-carveli, gettando così un po’ di luce sopra un tal fatto. Colla scorta pertanto degli indicati documenti dirovyi che l’uccisore del Pellegro Piola è un Giovan Battista Bianco, figlio di Vincenzo, che univa la doppia qualità di chierico o prete e di pittore; il quale, commesso il delitto, sfuggiva alla (1) Atti, voi. Ili, pag.1 cxxxv. ιο8 GIORNALE LIGUSTICO punizione della giustizia umana, che non pare Γ abbia mai potuto raggiungere. Del fatto l’autorità fu subito informata. Si fece processo, anzi due processi, l’uno dalla Rota criminale e l’altro dalla Curii arcivescovile. Al domani mattina, prima di mezzodì, in tercus, l’avvocato fiscale fu a visitare il povero Pellegro; ma questi o per la gravezza del male, o per altro motivo, non nominò il suo feritore. Più tardi, in nonis, vi andarono i ministri della Curia arcivescovile, e non trovarono più che un cadavere. Il Piola dovette spirare verso mezzogiorno. L esito dei processi fu questo. La Curia addì 29 gennaio 1641 condannava il Bianco a dieci anni di esigilo dalla città e diocesi di Genova, ed a lire mille di multa da applicarsi ad opere pie; e la Rota addì 12 maggio dello stesso anno a 5 anni di galera, ed a due di bando; i primi pel ferimento, e gli altri per il porto del pugnale. Fra le due autorità, della Rota e della Curia, non tardò a causa di ciò a nascere un conflitto; e, probabilmente, sulle rimostranze del condannato, a cui interessava fosse cancellata la sentenza della Rota come più grave, il Vicario arcivescovile nel gennaio del 1642, pronunciava che essendo il Bianco chierico, godente percio del privilegio del foro, la sentenza della Rota dovevasi considerare come nulla, e tale la denunciava. A questa dichiarazione l’avvocato fiscale si oppose, non constando da’ suoi atti del chiericato del Bianco, ed appel-lossi a Roma; ma per non so qual termine lasciato trascorrere, a 30 di luglio del 1642 il Vicario decretava la sentenza sua passata in giudicato, e doversi perciò il Bianco cancellare dal libro dei banditi del foro secolare. Il fisco però non se ne diede per inteso, e ve lo mantenne; onde egli nell’agosto del 1648 inoltrava supplica alla Signoria GIORNALE LIGUSTICO IO9 affinchè si compiacesse di togliernelo; e ad indurla a ciò senza offendere il giusto risentimento della famiglia dell’ucciso, univa copia di un atto rogato dal notaro Giovan Francesco Sovero, addì 19 di marzo 1646 nella chiesa di Carignano, con cui il padre ed i fratelli del Peliegro gli accordavano pace e perdono. Il Senato rimetteva la pratica ai Deputati alle cose ecclesiastiche, perchè prese le debite informazioni riferissero sul da farsi. Costoro rilessero i due processi, cavarono degli appunti dai medesimi; ma sfavorevole fu il loro rapporto, compendiato in queste parole trasmesse al Senato il i.° di gennaio del 1650: Nihil esse in presenti causa innovandum. Perciò il nome del Gio. Battista Bianco rimase tuttavia nel libro dei banditi dalla Repubblica. Confrontando la presente narrazione delle circostanze che seguirono il lacrimevole fatto, da me compilata sopra irrefragabili documenti, con quella fatta dal Ratti, chi è che non si avvede di importantissime discrepanze? Il continuator del Soprani usando di quella fraseologia che è comune a coloro che vogliono dire e non dire, comincia dall’ insinuare che nel fatto fossero immischiati più individui : altri direi, come mandatarii 0 istigatori, 0 consiglieri, ed uno come esecutore, il sicario; e dice che ciò era la voce pubblica. Su questo punto i documenti da me citati sono muti affatto, nè io perciò posso dir verbo. Ma in quanto al feritore, il sicario, del nome del quale il Ratti fa in certo modo un mistero, che dal complesso del suo dire sembra fosse ignoto a tutti, e dà motivo a credere giungesse non si sa come all’orecchio dei parenti del Piola, i quali lo avrebbero religiosamente taciuto, cristianamente perdonandogli, è chiaro e manifesto che cade in errore, perchè il nome del Bianco feritore del Piola, doveva essere al dimani sulla bocca di tutta la cittadinanza, e sfido io a non esserlo con due processi che colui si aveva sulle spalle. I IO GIORNALE LIGUSTICO > Dal modo con cui egli dice che i Piola perdonarono al feritore, sembrerebbe che per questo la giustizia non venisse a condannarlo. Ma ciò non è assolutamente vero; chè se può darsi benissimo che i Piola nei processi fatti contro dell’uccisore non abbiano aggravato la di lui posizione, con sollecitazioni ed instanze, non è men vero che la pace datagli sia posteriore di circa sei anni alla sua condanna. Infine se altri dalle parole del Ratti, che dicono come il sicario dopo qualche tempo pagava il fio del suo delitto, argomentasse che dopo due o tre o quattro anni morisse, o fosse colpito da qualche grave disgrazia, s’ingannerebbe di molto; chè noi lo troviamo vivo, e fare istanze per rientrare, in patria, dopo otto, e direi anzi dieci anni, chè la pratica si chiude colla data del 1650. Nè certo l’aveva colto ancora alcuna sventura, perchè ne avrebbe fatto cenno nei suoi ricorsi onde impietosire gli animi di coloro che dovevano fargli la, grazia. Per la qual cosa se il Ratti nell’apprezzamento delle circostanze che seguirono la morte del Piola, evidentemente fu tratto in errore da persona che si diceva ben informata, non potrà esser pure stato tratto in errore nel valutare le circostanze che lo precedettero? La diceria perciò della complicità di altri nel delitto, circa i mandanti cioè, 0 gli istigatori, non può esser nata più tardi, ed aver solo ottenuto qualche valore dal vedersi stata ne’ suoi volumi registrata? E quando pur fosse che questa avesse un fondo di vero, è egli supponibile che il Ratti volesse alludere a Giovan Battista Carlone del quale parla sempre coi termini della massima stima? Non sarebbe invece in tal caso più probabile che alludesse a qualche altro degli artisti di cui non era penuria nella nostra città, e che con più ragione del Carlone poteva essere invidioso del Piola ? Certo di maggiori lumi ed indizi ci potrebbero sovvenire i due processi fatti a carico del Bianco, ove saranno le interrogazioni e le deposizioni dei testimoni. Ma per quante GIORNALE LIGUSTICO III ricerche io m’abbia fatto nelle carte criminali del nostro Archivio di Stato, non l’ho potuto trovare. Nè più fortunato fui presso la Cancelleria arcivescovile, chè dopo molte indagini e ricerche ottenni lo stesso risultato negativo. Il fogliazzo degli atti criminali del 1640, in cui si cominciò la causa nella Curia, manca affatto, mentre vi sono quelli degli anni precedenti e seguenti; e chissà dove saranno stati allogati i processi nella controversia di giurisdizione fra le due autorità. I documenti che fornirono materia alla presente lettura sono poche ma importanti scritture, formanti il complesso di una pratica che serbasi nel nostro Archivio di Stato nel mazzo secondo Jurisdictionalium 1638 a i6jo. E prima di tutte la domanda fatta . da Giovan Battista Bianco onde essere cancellato dal libro dei banditi, presentata alla Signoria addi i.° settembre 1648, del tenore seguente: Serenissimi Signori, Dell’anno 1641 a 29 genaro il chierico Gio. Batta Bianco fu condannato dal foro Ecclesiastico per titolo di preteso homicidio in anni dieci di bando fuori della presente città e diocesi, e più in lire mille da applicarsi in opere pie per sentenza di contumacia che passò in giudicato. Fu di nuovo per la medesima causa a 11 maggio di detto anno condannato in cinque anni di galea e di due anni di bando per Γ arma per sentenza della magnifica Rota criminale, che poi dal medesimo Vicario Archiepiscopale fu dichiarata nulla in contradditorio giudicio col magnifico Avvocato fiscale per essere fatta contro persona ecclesiastica; e sebene il magnifico fiscale appellò a Roma, fu però di nuovo a 30 luglio 1642 pronunziato che per il trascorso del termine assignato a proseguire detta appellatione detta sentenza fosse passata in giudicato, e che per essecu-tione d’essa detto chierico si dovesse scancellare dal libro de’ banditi dal foro secolare, il che non essendosi finora esseguito perciò si supplica Vostre Signorie Serenissime si degnino dichiarare che detto chierico Gio. Batta Bianco non è più bandito, facendolo levar dal libro dei banditi, 0 provederli come meglio etc. E del che etc. Di V.V.'S.S. Serenissime Detto supplicante. 112 GIORNALE LIGUSTICO 1648 die prima septembris. Ex.mi et III.™* deputati ad res ecclesiasticas supplicata videant et referant. Per Ser.mum Senatum ad calculos. Jo. Thomas. A corredo della stessa domanda è unita la copia autentica dell’ atto rogato da pubblico notaio, con cui il padre ed i fratelli dell’ ucciso Peliegro accordavano la pace all’ uccisore, atto bellissimo nella sua semplicità, e che merita d’essere riferito. f In nomine Domini amen. D. Petrus Baptista Piola quondam Hyero-nimi, Hyeronimus, Dominicus, et Joannes Andreas eius filii, constituti coram me notario et testibus infrascriptis, sponte etc. et omni meliori modo etc. Occasione homicidii secuti in personam quondam Pelegri Piolae filii dicti Petri Baptistae, et fratris dictorum Hyeronimi, Dominici, et Joannis Andreae, patrati per Reverendum Joannem Baptistam Blancum, remiserunt et remittunt dicto Reverendo Joanni Baptista omnem injuriam et offensam, eique dederunt et dant meram puram et perfectam pacem, et hoc amore Dei. Et suprascripta fecerunt et faciunt dicti Hyeronimus, Dominicus, et Joannes Andreas in presentia, cum consilio, consensu, auctoritate et voluntate dicti domini Petri Baptistae eorum patris, praesentis, consentientis, auctorizantis et jurantis. De quibus omnibus etc. Per me Joannem Franciscum Suverum notarium. Actum Genuae in colle Jani in ecclesia Sancti Jacobi anno a nativitate Domini 1646, Indictione 13 secundum Genuae cursum, die lunae 19 martii in vesperis, presentibus dominis Philippo Delia Cha quondam Bartholo-mei et Benedicto Savignono quondam Hyeronimi testibus ad praemissa Tocatis et rogatis. Extractum salvo etc. Joannes Franciscus Soverus notarius. GIORNALE LIGUSTICO ”3 Viene poscia un’ estratto della particella che riguarda la condanna fatta del Bianco dalla magnifica Rota, o come di-rebbesi adesso il Certificato criminale cavato nel 1648 dai Deputati a riferire sul di lui ricorso, ed è così concepito: 1641 die XII maii. Joannes Baptista Blancus filius Vincentii ob vulnus per ipsum illatum in personam Pelegri Piolae modo et forma etc., ex quo vulnere inde obiit, in contumaciam damnatus in poenam quinquennalis remigii ad triremes Serenissimae Reipublicae, poena sic arbitrata attenta facti qualitate et respectu teli cum quo in biennalem exilium ad formam proclamatis cum tercio. Die 13 dicti. Publicatum. 1648 die 3 septembris. Ex registro Archivii Criminalis Genuae, licet salvo etc. Joannes Thomas Baficus notarius dicti Archivii criminalis. Seguono poi diversi appunti fatti estrarre a cura dei Deputati suddetti dai due processi, onde formarsi un giusto criterio dei fatti. I quali appunti, scritti sul dorso del foglio della supplica, sono importantissimi; nè io voglio di essi privare i miei cortesi ascoltatori. 1640 26 novembris in tertiis. Visitatus vulneratus a fiscali curiae criminalis non- nominat vulneratorem. Testes deponunt fuisse vulneratum a Joanne Baptista Bianco pictore. Nemo de testibus deponit de clericatu. 1641 11 maii. Damnatus a Rota in contumacia in poenam remigii. 1640' 26 novembris in nonis. A ministris curiae ecclesiasticae visum fuit cadaver etc., et facto processu in quo. aliqui testes deponunt delinquentem fuisse presbiterum joannem Baptistam BlancumJ fuit damnatus in decennale exilium a dioecesi et L. 1000. Giorn. Ligustico, Aniio IV. £ ii4 GIORNALE LIGUSTICO 1642 7 januarii. Denuntiatum a Reverendo Vicario dictum Joannem Baptistam fuisse et esse clericum et in constitutione eiusdem clericatus, et privilegii fori gaudere debere, et per consequens sententiam Rotae nullam, eamque ad cautelam talem declarat. In margine: Citato fisci advocato. Chiude in fine tutta la pratica la relazione dei Deputati in \ queste parole: 1650 a 7 Gennajo. La Giunta rifere 'nihil esse in presenti causa innovandum sub correctione. Come avrete osservato, l’atto di pace che vi ho letto è stipulato nella chiesa di san Giacomo di Carignano. Questa era la parrocchia sotto la cui giurisdizione stavano allora le case dei Piola poste nella salita di S. Leonardo, ed alla stessa era probabilmente addetto il Gerolamo fratello a Peliegro, altro degli intervenuti all’ atto ; il quale in un volume intitolato Descrizione generale del clero fatta nel 1652 d’ordine del Cardinal Durazzo Arcivescovo di Genova, conservato nella nostra Curia arcivescovile, trovo indicato come sacerdote che si esercita in ogni azione di vero religioso. All’ epoca dell’ atto non doveva essere ancora ordinato, non trovandolo io designato con alcun distintivo di Presbiter 0 di Reverendus; e detto registro nota che lo fu appunto in quell’ anno. Probabilmente con un atto di pace e di perdono volle Gerolamo Piola cominciare la sua carriera sacerdotale; nè certo lo poteva in modo migliore. Il notaro che accolse ne’ suoi rogiti 1’ atto, ho trovato che pure abitava in Carignano ed era di quella parrocchia; ed in ultimo qualche indizio mi fa sospettare che anche il Bianco abitasse da quelle parti. Ma chi era costui? Egli dai documenti su riferiti appare indicato come chierico 0 prete e pittore. giornale ligustico Nessuna memoria di pittore a nome Giovan Battista Bianco figlio di Vincenzo è giunta fino a noi. Viveva bensì intorno a quei tempi in Genova un G. B. Bianco scultore, che pure trovasi nominato come pittore; ed è quegli che gittò la bella statua in bronzo della Madonna, che tuttora s’innalza sull’altare maggiore del Duomo, e che morì di peste nel 1654. Ma egli nulla ha che fare con 1’ uccisor del Piola. Questi è figlio di un Vincenzo e l’altro di Bartolomeo architetto lombardo. Villeggiando io molti anni addietro sulle colline dell’ alto Bisagno, nelle mie autunnali peregrinazioni in quelle località, mi occorse di vedere la chiesa di Fontanegli dedicata a san Pietro, e quale non fu la mia maraviglia in trovarne la volta dipinta con tre medaglie raffiguranti fatti della vita del principe degli Apostoli, le quali sono, non dirò copie, ma imitazioni di quelle dipinte da Gio. Battista Carlone nella nostra chiesa di san Siro? Ben inteso che ciò è per la composizione, chè in quanto alla esecuzione si palesa anche al-l’occhio men pratico quella distanza che corre da chi occupa nella scala del merito uno dei più elevati gradi, a chi appena appena è giunto sui primi gradini. Naturalmente domandai il nome dell’autore, ma mi fu risposto non conoscersi, solo correr tradizione che uno scolaro del Carlone bandito da Genova per non si sa quale delitto, rifugiato vivesse per molto tempo in quella chiesa, e vi eseguisse le pitture. Tali circostanze mi colpirono, per la relazione che potevano avere colla tradizione circa l’uccisore del Piola, e ne tenni memoria nei miei fogli. Laonde quando appresi che colui era un G. B. Bianco pittore, non tardai a far ricerche in quella parrocchia e nelle circonvicine per vedere se mai da antiche scritture dei loro archivi si poteva aver indizio che il dipintore delle medaglie di Fontanegli fosse costui, 0 che egli in quei luoghi a quei tempi avesse dimorato; ma nulla, assolutamente nulla ho potuto conoscere. GIORNALE LIGUSTICO I testimoni che deposero nella Curia arcivescovile lo dissero prete: Testes deponunt delinquentem fuisse presbiterum Jo-annem Baptistam Blancum ; e nell’ atto di pace datagli dal Piola precede al suo nome la qualifica di Reverendus, mentre nessuna trovasi attribuita al Gerolamo Piola, che come vedemmo era allor allora per essere ordinato sacerdote. Il citato registro del clero compilato l’anno 1652 segna un prete a nome Gio. Battista Bianco nato l’anno 1585 sulla parrocchia di S. Vitto, ed ordinato a Madrid l’anno 1650. Sospettai un momento potesse esser lui, ma verificato il registro dei battesimi di quella parrocchia, sotto la data del i.° di marzo, trovai che il nome del padre di costui era Vitto e non Vincenzo, e che perciò nulla ha di comune col Bianco uccisore del Piola. Ma comunque si fosse 0 semplicemente chierico 0 prete, non è a far le grandi meraviglie trovandolo colpevole di tal delitto. I tempi correvano ben tristi in fatto di costumi, checché ne vogliano dire i continui biasimatori dei presenti, i quali ingannati da apparenze di pietà e di religione dirigono le loro aspirazioni ai passati, éd imprudentemente ce li propongono a modello, credendo che tutto quello che vi riluce sia oro puro, mentre chi scava oltre la corteccia non trova il più delle volte che orpello. Il clero seguitava l’andazzo generale, ed è cosa comunissima, e forse rimarchevole appunto per la sua frequenza il trovar sacerdoti regolari e secolari mischiati in deolorabilissimi e turpissimi fatti. Turbe di giovani scapestrati dopo aver fatto d’ogni erba fascio, 0 coll’intenzione di farlo, vestivano l’abito chiericale, per isfuggire l’azione della giustizia , godere dei privilegi del foro ecclesiastico, uccellar qualche benefìzio, burlarsi dei creditori e di quei che offendevano; e seguitando poi nella intrapresa carriera, lascio a voi giudicare quali buoni sacerdoti divenissero. Ciò ripeto era allora comunissimo, e si può dire se non per tutti, per molti, e quasi quasi per la maggioranza. Pro- GIORNALE LIGUSTICO prio il contrario di quel che avviene al di d’oggi, in cui la più parte del clero cerca di conciliarsi la stima ed il rispetto e colla dottrina e colla condotta, onde se avvi alcuno che devii non costituisce che una minima minoranza. E qui ha fine quanto io potea dire sull’autore della morte del Pellegro Piola. Certo non è il tutto che si desidererebbe, ma nell’ assoluta mancanza di notizie anche il poco diventa molto e non privo di importanza. Con ciò si solleva gran parte del velo che cuopriva il fatto, onde ora che se ne conosce il nome dell’ esecutore, che si ha cenno dei processi fatti a di lui carico, e delle altre circostanze che sopra vi ho esposto, lice sperare che, proseguendo nelle ricerche, il velo possa essere completamcnte levato, ed apparisca in tutta luce la verità sopra un delitto che giunse a noi circondato dalle tenebre del più cupo mistero. Vili. Sezione di Archeologia. Tornata del 23 Febbraio 1877. ‘Presidenza del Preside cav. can. Angelo Sanguineti. Il socio Desimoni legge le seguenti sue ‘ALuove considerazioni sui Oliarti di danaro genovesi. Nel Periodico fiorentino di Numismatica e Sfragistica (voi. VI, fase. 5) l’illustre suo Direttore, il march. Carlo Strozzi, mi fece l’onore di accogliere un mio articolo sui Quarti di denaro genovino, dei quali io primo porgeva qualche illustrazione, ricercandone l’origine, il titolo, il peso, il valore e le varie denominazioni (1). (1) Sui Quarti di danaro genovese e sui loffi nomi volgari; Firenze, 18^4.; pag. 260-72. nS GIORNALE LIGUSTICO La mia comunicazione, come avviene e si desidera avvenga, ne provocò due altre, che, se invece di sciogliere moltiplicano le difficolti, giovano tuttavia a crescere il novero dei pochi fatti conosciuti finora a questo proposito. Mi sarei quindi affrettato a renderne partecipi in ispecial modo i cultori delle cose numismatiche, se il lodato Periodico non avesse troncato nel suo bel fiore le proprie pubblicazioni, senza ispirarci almeno la speranza di vederle ripigliate presto. Ciò posto, 10 non trovo in Italia altro mezzo che il Giornale Ligustico; 11 quale non si occupa di proposito di questo soggetto, ma per indole sua ha diritto di accettare tuttociò che ha tratto alla storia genovese, ed ha infatti già fornito qualche saggio della nostra sfragistica. Però prima di annunziare le novità, ravviso opportuno di esporre almeno in compendio ciò che fu già da me detto nel Periodico fiorentino; per la ragione speciale che quella pubblicazione· forse è poco conosciuta fra i consueti lettori del Giornale Ligustico. Da più anni alcuni Nummografi andavano a vicenda chiedendosi, se fosse della Zecca di Genova e che cosa significasse una monetina di rame o quasi di rame, la quale dal mio compianto amico avv. Gaetano Avignone fu descritta nelle sue tuttora inedite Tavole di Numismatica genovese nel modo seguente : D. Nel campo un Grifo rampante. In giro f q.v.a.r.t.a.r.o. R. Nel campo la croce. In giro f C.V.N.R.A.D.VS. Rame. — Diametro mill. 15; peso gr. 1.010. Notissimo è nella Zecca di Genova questo rovescio più 0 meno modificato nella ortografia e nelle giunte di Rex, Con-radus II, ecc. Noti son pure i Griffoni, cioè animali alati imaginari , che la Repubblica impresse in tempi più recenti ne’ suoi GIORNALE LIGUSTICO ii9 scudi d’argento e in altre grosse monete. Ma della monetuccia onde qui si parla non si era trovata alcuna chiave e nemmeno una supposizione. Io dunque nel citato articolo cercai dimostrare che la leggenda Quartaro e la bassissima lega doveano significare un pezzo monetato del valore di un Quarto di denaro, perciò la infima delle monete a que’ tempi corrente in commercio. Sapevamo già di fatti che correva allora un’ altra monetina chiamata medaglia perchè equivalente alla metà del danaro stesso, di cui dodici faceano un soldo di Genova; quantunque tutti questi spiccioli non si batterono più poi, presto o tardi; e segnatamente sul cadere della Repubblica il minor pezzo effettivo fosse un da quattro danari (un terzo di soldo). Del Quarto di danaro provai il corso in commercio nel 1383 per mezzo dello Statuto delle Grascie formato al tempo del Doge Leonardo Montaldo, ove è sancito che un uovo pieno 0 fresco costa un danaro, ma se non così intero, valga solo tres quadrantes: evidente traduzione nel latino statutario del predetto Quarto. Ho aggiunto che probabilmente il nome primo di questa monetuccia era Quartarolo, sull’esempio di Milano e di Piacenza che aveano anch’ esse già nel 1219 i loro quar-taroli. A Genova stessa sappiamo che era in uso il nome di Quartarola, e quello di Ter^arola per indicare un quarto e un terzo, ma dai pochi documenti che ci restano di que’ tempi, troviamo questi nomi soltanto applicati ai piccoli pezzi d’ oro fino, che valevano un quarto e un ter^o della maggiore moneta, detta fiorino, ducato 0 genovino d’oro (1). Ho notato che la rapida degradazione del titolo nelle mo- (1) Sulla parola Quadrans ved. il detto Statuto delle Grascie a carte 126 del Cod. cartaceo dell’Universitaria. Sulle Quartarole e Ter^arole d’oro, ved. i Registri di Zecca nell’Archivio di San Giorgio. In quello di Governo Cod. num. 103, quaderno penultimo, è un mandato di pagamento di Quartarole il 19 agosto 1345. 120 GIORNALE LIGUSTICO nece deve aver presto reso inutile, e sbandita perciò dalla Zecca la coniazione dei Quartari come delle medaglie; onde viene la somma rarità di tali pezzi nei medaglieri. Dall’ altra parte la grande scarsità di documenti monetari pei primi secoli della Repubblica ci priva di nozioni particolareggiate in proposito. Ma non v’ è dubbio che essendo in corso il Quarto di denaro nel 1383, a maggior ragione ci dovea già essere fin dal principio della Zecca una tale frazione quando il denaro era molto più caro e composto di maggior quantità d’argento. E tuttavia non ci mancano affatto le traccie di quella moneta molto anteriormente al 1383, purché la cerchiamo nascosta sotto altri nomi più volgari. Difatti negli Statuti di 1 Nizza troviamo una disposizione dell’anno 1287., in cui tre cosi dette Pie te Januenses valgono meno d’ un danaro, come ivi 1’ obolo januensis significa quella da noi chiamata medaglia. Nel mio articolo ho notato che i nizzardi d’allora servendosi della moneta genovina, la battezzavano però alla maniera di Francia, dove obolo appunto significava metà e pietà era il quarto di danaro (1). Ma in Genova stessa questa moneta correva sotto un nome, anzi sotto due nomi speciali, i quali però non possono ingenerare il menomo dubbio sulla identità della cosa diversa-mente nominata. Il grave cronista e cancelliere della Repubblica Giorgio Stella all’ anno 1320 scrive che si presero a battere in Genova Grifoni, così detti perchè da una parte aveano il Grifo, mentre dall’altra avean la croce: ed erano di rame misto a poco argento. Dalle quali parole noi deducemmo l’origine del nome oggi ancora usato dal volgo del gioco a croce e a grifo. Allo stesso modo i fiorentini, per esempio, dicevano giocare a (1) Ved. Άίοηιιηι. Hist. Patr. Lcgmn l, col. 177. GIORNALE LIGUSTICO 121 giglio e santo dalle particolari imagini che portavano le due facce delle loro proprie monete. Indicammo altresì la relazione di questo grifo nella moneta col contemporaneo Grifo che formava lo stemma e il sigillo guelfo di Genova (i). Questo è l’unico cenno da noi incontrato sui Griffoni-monete; ma è sufficiente per mio avviso il nome, il tipo e il metallo per riconoscervi il pezzo di cui discorriamo. Ma verso lo stesso tempo ne’ documenti comparisce il ricordo d’ una monetuccia chiamata in latino Clapucini. Questo nome che in italiano si rende Chiapuccini e in genovese Ciapussin, venne senza dubbio dal rame di cui era quasi in tutto fabbricata tale moneta a differenza delle altre di biglione e d’ argento; essendoché negli statuti delle arti di quel tempo si appellavano Chiapucci i lavoranti in rame, come ancora nel dialetto odierno Ciapusso significa un lavorante di grosso ossia poco preciso. Nelle Regole del Capitolo anteriori al 1326 (che sarebbero ora come i Regolamenti di pubblica finanza) è proibito al Tesoriere di oltrepassare in moneta di clapucini la quarta (1) Ved. lo Stella nei ‘Rerum, Italicar. Scriptores, XVII, col. 1040. Scrivendo il citato articolo in campagna senza aver sott’ occhio tutte le mie schede, ho posticipato di troppo l’introduzione del sigillo del Comune Genovese col Grifo. Bisogna farla risalire alla prima metà dello stesso secolo XIII, e forse più precisamente intorno al 1222, nel quale anno il Comune accordavasi con un maestro Oberto perchè gittasse in bronzo !a figura di un Grifo, che divisava rizzare nel Duomo di S. Lorenzo. Ved. Belgrano, Sigilli genovesi, nella Rivista numismatica, Asti, 1864 , pag. 57; Alizeri, ‘Isi.otixie dei professori del disegno dalle origini ecc., voi. IV, pag. 63; Giornale Ligustico, 1874, pag. 475. Ai più noti esempi di tale sigillo si aggiunga poi quello rammentato dall illustre Amari nella Guerra del Vespro Siciliano (ediz. 1876, voi. I, pag. 27;) sì come pendente da una lettera del 1285, con cui la Repubblica ricusa gli inviti del re Filippo l’Ardito che le aveva proposto di collegarsi col Papa e Carlo d’Angiò contro il Re d’Aragona. 122 GIORNALI· LIGUSTICO parte del pagamento a farsi ai creditori dello Stato. Negli atti del notaro Bartolomeo Pareto che fu cancelliere della Zecca troviamo più d’ una volta nominata la coniazione di clapucini tra il 1328 e il 1330, ed abbiamo la prova che il loro titolo nel 1328 era di -j- di oncia d’argento fino per libbra (mill. 21). Nella Massana Comunis Januae (Registro d’entrata ed uscita della Repubblica) pel 1369 si ha una sicura prova che il cla-pucino valeva un quarto di danaro, come la medaglia ne valeva la metà. Ecco dunque come tutti questi dati sommati insieme dimostrino l’identificazione del Quartato, del Griffone e del Clapucino in una sola moneta (1). Finalmente trovando grammi 1.01 il peso di un ben conservato Quartaro, nello stesso articolo cercai render ragione anche di questo fatto, riflettendo che grammi x. 099, ossia — d’oncia genovese, sono il peso originario d’un denaro. Alla stessa guisa che, come altrove ho provato, i sistemi primitivi si ripetono sovente nelle monete sebbene cambiate di valore e di metallo, e come il Grosso in argento non è in sostanza che una restituzione del danaro degradato, ma con valore multiplo; cosi mi penso che il Quartaro-clapucino non sia che una restituzione del peso normale del denaro, ma restituzione fatta col metallo più ignobile, il rame. Ma se questo pezzo di quasi rame comparve solo verso il 1320, come dice lo Stella, ciò non significa punto che non vi fossero quartari (1) Pei clapucini e le medaglie e loro valore rispettivo, ved. il Cod. del ' 1369 SCassaria Comunis Januae nell’Archivio di San Giorgio a carte 45. Pei pagamenti in clapucini vtd. ‘Regularum Capituli, Cod. nura. 5, cart. 40 verso, nello stesso Archivio. Il Cuneo stampando parte di queste Regole nelle sue S[Cem. sopra l’antico debito pubblico, pag. 54, ha letto per errore Clapuani. Sulle coniazioni dei clapucini e loro titolo nel 1327-30, ved. gli atti del Cancelliere della Zecca di quel tempo, Bartolomeo Pareto, a carte 47 e 72 nell’Archivio Notarile; dei quali atti devo la conoscenza alla gentilezza del eh. Istoriografo delle arti genovesi, il cav. Federigo Alizeri. GIORNALE LIGUSTICO 12 3 anteriori; come abbiamo difatti veduto le pitte genovesi fin dal 1287 e dicemmo che vi dovessero essere già nei primordi della Zecca verso il 1140. Senonchè i quartari anteriori al 1320 saranno stati di biglione migliore e probabilmente con tipo diverso, di che vedremo più sotto un oscuro indizio. Col sopravvenire della lega del clapucino, naturalmente i pezzi anteriori furono disfatti o rifusi; donde il mancare, nei Medaglieri, di alcuno dei cosi antichi e nelle più antiche collezioni così poco pregiati esemplari. Ora venendo a dir delle giunte a farsi al mio primo articolo , il eh. signor Luigi Rizzoli di Padova con gentile lettera del 28 luglio p. p. mi avverte conservarsi in quel Museo Bottacin due Quarti di danaro genovese; uno de’ quali con tutti i caratteri della monéta da me descritta, l’altro con una variazione importante. Nel rovescio di questo secondo, invece del consueto Cvnradvs, vi legge t.o.m.a.i.n.v.s. Ma nel diritto la solita figura del Grifo e la leggenda che lo attornia assegnano (a me pare indubitato) tale moneta alla classe dei Quarti o Griffoni di cui sopra. Essa leggenda veramente non é intera, perchè, il conio 0 torsello spostandosi nel tondino, rimase fuori una o due delle lettere di mezzo; onde si legge soltanto q,.v.a...a.r.o.r. Ad ogni modo ne è chiaro il senso; resta però a spiegare l’ultima lettera R. Questa dapprima dal eh. Rizzoli era considerata come la iniziale del Zecchiere 0 soprastante di Zecca come dicevasi a que’ tempi; e per tale pareva e pare ancora a me. Ma il cortese signore (come mi scrive con altra sua del 19 ottobre p. p.), riesaminata la monetina rilevò che lo spazio vuoto entro la predetta leggenda non consente che 1 interposizione di una sola lettera: onde egli vi leggeiebbe piuttosto q.v.a.t.a.r.o.r, e la ultima R sarebbe secondo lui una trasposizione della lettera dal mezzo alla fine per un errore dell’ artefice del conio. 124 GIORNALE LIGUSTICO li peso di questo pezzo è di gr. 0.80;.il che per una moneta di si bassa lega non si può riputare troppo disforme dai gr. 1.01 circa che già notai dover essere il peso d’origine; ciò tanto più, che a parere del eh. Rizzoli e, come anche mostra il calco da lui cortesemente inviato, la forma alquanto più gentile delle lettere e del grifo accusano una data relativamente recente, perciò anche naturalmente importano una maggiore leggerezza nel peso. Al lodato Signore che m’interrogò sul senso della leggenda del rovescio, t.o.m.a.i.n.v.s, e se sia dessa una sola pa-sola o staccate iniziali, non saprei troppo che cosa rispondere. Nelle monete genovesi finora non si è trovato esempio di cosa somigliante, ed avrei dubitato di giusta lettura (come suole avvenire anche ai più esperti, se in monete non patrie); ma il calco diligente e la conservazione relativamente buona del pezzo mi persuasero che non vi si può leggere diversa-mente. La stessa forma della M in Tomainus che pare piuttosto una N è appunto usata anche nelle nostre antiche monete. Ciò posto, la supposizione più ragionevole parrebbe quella di leggervi la parola intera Tomainus; e spiegarla come diminutivo di Tomaso, usata nel linguaggio famigliare, specie a que’ tempi. Ne’ quali non è difficile trovarla nei documenti anche ufficiali cosi e senza la giunta del cognome; come vi si trovano allo stesso modo altri diminutivi: p. es. in conti, in mandati di pagamento negli Archivi di San Giorgio, fra un cancelliere e il Tesoriere, ecc. Che se tali carte da me vedute finora non rivestono propriamente un carattere solenne e di pubblicità, come sarebbe il caso per una moneta, può anche notarsi che il Cancelliere della Repubblica firmava col solo nome di battesimo i decreti fino a tardi tempi. E ristringendoci alla Numismatica, l’illustre Longperier, nella pubblicazione delle monete genovesi dei due Carli re di Francia, accolse il parere del nostro compianto GIORNALE LIGUSTICO 125 avv. Avignone, che cioè le lettere impresse in tali monete fossero le iniziali del solo nome di battesimo dei soprastanti di Zecca (1). Nelle monete di più bassa lega anche in altre zecche credo si possano trovare esempi di leggende 0 di nomi degli ufficiali di grado minore, i quali non si sarebbero impressi nelle altre monete più nobili. Altrettanto potrebbe essere di questo Quar-taro; nel quale caso un Tomasino soprastante della Zecca (di cui però manca memoria nella troppo scarsa nostra serie) avrebbe avuto agio di distendere il suo nome intero in sostituzione delle solite leggende. Ma sorge una difficoltà; poiché dal lato opposto segue alla parola Qu artaro la lettera R che si suole tenere come l’iniziale del zecchiere, vi saranno dunque due zecchieri? E se si rispondesse che i soprastanti erano appunto due per anno (come sappiamo ed appare anche dalle predette monete franco-liguri), resta sempre a spiegare il perchè uno di quegli ufficiali scriva tutto il suo nome e il suo compagno la sola iniziale. Molto meno probabile si presenta l’ipotesi che Tomainus significhi il Doge; sia perchè ciò non pare compatibile colla dignità del Capo della Repubblica, sia perche Tomaso Cam-pofregoso (il primo Doge a cui si possa applicare) sembra troppo recente relativamente al tempo in cui i Quartari do- veano ancora durare in corso. Ciò non ostante ebbi per un momento il sospetto d’ aver realmente trovato uno di questi pezzi colle iniziali di questo Doge. Ciò mi porge occasione a passare alla seconda monetina, onde promisi un cenno al principio di questo articolo. Il mio colto amico e socio nostro, il dottor G. B. Pisano, possessore di parecchie scelte monete romane e genovesi, mi fece conoscere una di queste ultime; essa pure di bassa lega (1) Ved. D/Connaies de Charles VI et de Charles VII Rois de France frappées à Gcnes; nella Revue Numismatique 1868, Paris, Cusset. 126 GIORNALE LIGUSTICO e col grifo invece del castello, la quale perciò pare doversi annoverare tra i Quartari o Griffoni. Tuttavia questa ha varianti molto notevoli. Intorno al Grifo, in luogo della solita parola Quartaro, è scritto Cunradus Rex ; la quale ultima leggenda e senza il Rex suole invece figurare sul rovescio delle altre sue compagne. Ma la parola Quartaro non si trova scritta nemmeno dalla parte opposta della moneta; e vi è invece la leggenda Janua. Il peso ne è di gr. o. 90, e il diametro di mill. 15 come sono in genere le altre monete simili. Ora le due predette leggende Cunradus Rex e Janua che abbiamo nella monetina del dottor Pisano, sono, come è noto, le solite a imprimersi nei pezzi superiori al Quartaro (denari, grossi ecc.) benché con varie modificazioni nell’ortografia, con abbreviazioni e giunte. Senonchè in que’ pezzi superiori 1 ordine delle leggende è inverso; il Janua colà più ragionevolmente è disposto intorno al Grifo che rappresenta lo stemma del Comune, e il Cunradus gira intorno alla croce. Inoltre la moneta del dottor Pisano ha anch’ essa un difetto per cui la leggenda Cunradus non lascia vedere che le ultime quattro flettere, mentre lo spazio antecedente è più ampio di quello cne richiedono le prime quattro C V N R della stessa leggenda. E qui è ove mi balenò un istante quella illusione da cui il lodato Dottore mi guari. Al principio del giro ci vedevo invece della lettera C una T, poi mi ci pareano due tracce di curve, onde mi chiedevo se non vi si dovessero leggere prima del Cunradus le due iniziali T. C, rappresentanti per 1’ appunto Tomaso Campofregoso, come si scriveva nelle monete del Doge XXI. Ma è chiaro che quella lettera somigliante ad una T non era 111 fatto che i tre bracci della crocetta, mancante del braccio superiore per guasto della moneta. Si sa che con una tale crocetta cominciano tutte le due leggende, diritto e. rovescio, non solo ne Quartari ma e in ogni altra antica moneta genovese. D altra parte mentre il Campofregoso fu Doge XIX dal 1415 al 24 e Doge XXI dal 1437 al 42, la monetina Pisano nel suo fare accenna ad essere piuttosto più antica che non più recente dei Quartari ordinari. Il che mi pare anche concordi col modo abituale di. fare delle varianti nelle Zecche. Le leggende Janua e Cunradus Rex essendo comuni a tutte le monete genovesi le più antiche, è più naturale il supporre che siano state impresse in origine anche nei quarti di danaro: la parola Quartaro sarà stata invece introdotta più tardi, come cosa nuova e allo scopo che tale infima monetuccia si distin- GIORNALE LIGUSTICO guesse a colpo d’ occhio dalle altre piccole monete in corso; essendocchè i denari e mezzi danari cominciavano anch’ essi a farsi sempre più scadenti ed oscuri, più facili perciò a vicendevolmente confondersi e più bisognosi di contrassegni diversi. Se ad alcuno parrà che dalle nostre ricerche non sieno usciti punto o poco risultati oltre quelli già ottenuti nel nostro primo articolo, noi risponderemo ammettendo essere ciò vero. Ma frattanto nuovi fatti sorgono e s’intrecciano agli antichi, e quando il frutto sarà maturo si spiccherà non v’ha dubbio. In questa sorta di studi si sa che i più felici son quelli che vengon più tardi; sono essi che raccolgono con poca fatica quello che altri lentamente e sudando hanno seminato. Ebbene non importa, sieno pure i ben venuti! RASSEGNA BIBLIOGRAFICA. Ambasceria della Repubblica di Lucca per le none di Vittorio Amedeo di Savoia e Cristina di Francia. MDCXX. — Lucca, Tipografia Giusti 1877. In-8.° di pag. 41. Con lodevole pensiero il eh. cav. Giovanni Sforza poneva fuori testé, in occasione di nozze, la relazione che Nicolao Fran-ciotti leggeva ai 28 febbraio 1620 al Consiglio Generale, della sua ambasciata a Torino per gli sponsali di Vittorio e Cristina; ambasciata che oltre alla cortesia mirava altresì a stringere viemaggiormente quei legami politici, che erano rimasti rotti per alcun tempo innanzi. Il Franciotti arrivava a Genova li 15 gennaio « dove fui alloggiato da un amico mio in una villa, et vi stei ritirato per non haver occasione di trattenermi con visite » ; ond’ è che in fretta proseguì il viaggio e giunse li 21 a Torino, e quinci, fatte le visite di convenienza e sbrigatosi del suo ufficio, se ne ritornò, ripassando per Genova, dove questa fiata si trattenne in pubblica forma. Infatti troviamo nei Cerimoniali la seguente memoria : « 1620 a’ 16 Febbrajo. Passò a Genova il signor Nicolao Franciotd ambasciatore della Repubblica di Lucca et che veniva da Turino per complimento delle nozze; fu fatto instanza per la visita et fu visitato da due gentilhuomini in nome publico, che furono li MM. Gio. Senarega et Cesare Durazzo figlio di S. Serenità; siedè a fronte, hebbe titolo di V. S., et domandò una galera per ritornare a casa, che le concesse sino a Lerice ». Il Franciotti stesso non manca di riferire siffatta sua dimora e visita, ed i complimenti che gli furono fatti, siccome le proteste di amicizia e di buona armonia fra le 128 GIORNALE LIGUSTICO due Repubbliche, e di più aggiunge: « Dalla Principessa Doria fui riceuto con honori straordinarii, poiché mi fece incontrare dal Principe et dal fratello due stanze et dai medesimi accompagnare fino alla scala, sempre dandomi la man dritta. Nè riferisco all’ EE. VV. i propositi passati, poiché non passarono i complimenti ordinarii di servire alla Republica in ogni occasione. Il Sig. D. Carlo Doria, trovandosi ammalato, non potei visitarlo ». L’ egregio editore non si è contentato di por fuori questa inedita scrittura, ma l’ha voluta arricchire di una importante avvertenza storica, dove viene divisando le relazioni politiche fra Lucca e Savoia dal 1562 al 1620, dicendo specialmente delle cagioni onde eransi rallentate, appunto perchè nella infelice guerra del Monferrato Carlo Emanuele contò fra suoi nemici eziandio i Lucchesi, i quali a petizione del Re Cattolico aveano spediti duemila soldati al Governatore di Milano. Le buone relazioni poi fra i due Stati si ristabilirono mercè l’opera dell’inviato straordinario Andrea Sbarra, al quale Carlo Emanuele li 6 agosto del 1619 dichiarò che il passato era ornai sepolto, e che egli riteneva il governo di Lucca in qualità di buono amico. Verso il fine dell’erudita avvertenza, troviamo affermato che la Repubblica di Genova si era già affrettata ad inviare apposita ambascieria a Torino per congratularsi con gli sposi. A dimostrare quanto ciò sia inesatto, riportiamo la memoria che se ne legge nei citati Cerimoniali: « 1620 a’ 27 di Marzo. Essendosi molto prima di ora trattato nei Ser.mi Collegi se si debba far complimento di Ambascieria col Duca di Savoja per haver maritato il Prencipe suo figlio nella sorella di Re di Francia, et fatto vedere quello che seguì l’anno 1584 quando egli prese per moglie la Infanta di Spagna secondo-genita , et vistosi che per sue lettere di quell’ anno di Ottobre ne diede parte alla Republica, la quale li mandò Ambasciatori a rallegrarsene, et che questa volta non ne ha scritto nè dato parte, oltreché ultimamente essendole andato il M.co Giorgio Centurione Ambasciatore mandato dalla Republica per complir intorno alle pratiche della guerra passata, delle quali egli haveva con Ambasciatore già dato parte, li venne anco propo-posito con buona occasione havuta ragionando col Duca di dirli qualche cosa di queste nozze, risolsero non farne altro per non introdurre questa forma del far complimenti quando non ne danno avviso ». Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 129 DISSERTAZIONE intorno alle, negoziazioni diplomatiche tra la Repubblica di Genova ed il Re Litigi XIV negli anni 1684 e i68j. I. Genova, come altre principali città d’Italia, si gloria di possedere vari annalisti e storici antichi e moderni assai pregiati. La qual cosa non toglie eh’ essa abbia da lamentare la mancanza d’ una storia documentata scritta con acume critico, imparzialità ed erudizione come oggidì richieggono gli studi progrediti; ond’è che molti avvenimenti se non rimasero del tutto ignorati, sono poco o mal conosciuti. Questo grave diletto notasi maggiormente nel periodo della storia genovese appellato dei Dogi biennali, perchè da molti reputati ed eruditi studiosi delle cose liguri fu tenuto in poco o nessun conto. II. I dolorosi avvenimenti degli anni 1684 e 16S5 , i quali recarono tanto lutto e rovina a Genova, devonsi collocare nel numero dei poco 0 mal noti. In vero il bombardamento della città di Genova effettuato dall’ armata francese sotto ii comando del marchese di Seignelai, e le dure condizioni imposte alla Repubblica di Genova dal prepotente Re Luigi, sono tutti descritti od accennati dagli storici coetanei o posteriori, specialmente francesi e genovesi. Ma le relazioni degli antichi scrittori francesi per inesatte informazioni , ovvero per effetto di parzialità o di malevolenza, riescono incompiute e racchiudono falsi ragguagli, su cose di somma importanza ; il che è agevolmente ammesso da chiunque legge le narrazioni poco sincere o prive di critica dell’abate Renaudot, Limiers, La Hide, Larrey, Réboulet, non che quelle inserite nel Secolo di Giorn. Ligustico, Anno IV. 130 GIORNALE LIGUSTICO Luigi XIV scritto da Voltaire, e ne\Y Arte di verificare le date del monaco benedettino Francesco Clément. Le due ultime storie, sebbene sieno più stimate delle altre e proseguano ad essere tenute in gran pregio, tuttavia per quanto si riferisce agli affari di Genova sono intinte di molti errori. Infitti il Voltaire, meritamente lodato perla leggiadrìa dello stile e per la concisa e. ben ordinata esposizione dei principali avvenimenti politici, civili e religiosi, in questo lavoro fallì a se stesso. E ciò derivò dallo aver egli voluto piaggiare Γ orgoglio della sua nazione, a fin d’elevare un monumento di gloria alla Francia e distruggere le impressioni odiose, che in Europa si conservavano contro il Re Luigi. Cercò egli raggiungere questo fine, notando attentamente quanto ridonda in gloria del Monarca francese e celando od attenuando le di lui azioni biasimevoli ; e così adoperò nel riferire i fatti di Genova, tralasciando a studio le considerazioni critiche sulle intollerabili esigenze poste innanzi dal governo francese, a fine di colorire il disegno del Re Luigi di dare un esemplare castigo agli olandesi d’Italia, sì come egli, a dispregio, nomava i genovesi. Enumerando il Voltaire le cagioni che mossero il Monarca della Francia ad ordinare il bombardamento di Genova, si restrinse ad accusare la Repubblica di aver venduto delle munizioni di guerra agli algerini, costrutto quattro galee, ed armatele in servizio della Spagna. Quanto al bombardamento scrisse che le galeotte francesi gettarono quattordici mila bombe, e ridussero in cenere molti palazzi marmorei della Superba città, e che il Seignelai fece sbarcare quattro mila soldati nel sobborgo di San Pier d’Arena, i quali marciarono fino alle porte della città e bruciarono il predetto sobborgo ; per il che i genovesi sbigottiti, onde evitare maggiori disastri s’ umiliarono, pregando il Seignelai di conceder loro la pace; ciò che ottennero a condizione che il Doge di Genova accompagnato dai più cospicui Senatori si recasse a Ver- GIORNALE LIGUSTICO saglia ad implorarla dal Re. Tacque però la maggior parte delle eccessive pretensioni del Re Luigi, le quali sicuramente egli non ignorava, poiché furono indicate dagli scrittori francesi che lo precederono, e risultavano dalle Memorie * pubblicate dai governi belligeranti. Non si può ammettere che i reggitori di Genova somministrassero merci di contrabbando agli algerini, perciocché non è supponibile eh’ essi per aver il gusto di sussidiare il Dey d’Algeri, col quale da nessun trattato d’alleanza erano vincolati, fossero sì poco accorti da rompere la neutralità fin allora conservata nella lotta fra le due corone di Francia e di Spagna. Ed è altresì manifesto che le quattro galee armate dai genovesi non furono costrutte in ispeciale servizio del Re Cattolico, ma coll’intendimento di giovarsene in difesa della Repubblica. Per quanto concerne lo sbarco delle truppe francesi nei sobborghi d’Albaro e di San Pier d’Arena, attenendosi alle relazioni pubblicate dalle gazzette francesi, il Voltaire dimenticò di notare che lo sbarco in Albaro non ebbe effetto ed i pochi soldati scesi in terra rimasero prigionieri ; come pure che le truppe francesi appiccarono fuoco solamente a varie case di San Pier d’ Arena collocate presso la spiaggia, quando respinte dalle milizie genovesi furono costrette a rimbarcarsi; il che dimostra la falsità dell’ asserzione che il suddetto sobborgo fosse compiuta-mente incendiato. Finalmente il Voltaire commette un gravis-simo errore, affermando che Genova s’ umiliò col chiedere la pace ed accettar le condizioni dettate dal Seignelai; imperciocché è noto che 1’ armata francese abbandonò l’assedio di Genova dopo esaurite tutte le munizioni di guerra, e senza aver ridotto i genovesi a sottoporsi alla volontà di Luigi XIV ; laonde i suoi ministri e cortigiani, sebbene vantassero moltissimo il bombardamento, rettamente giudicarono che il Seignelai non aveva conseguito lo scopo della impresa spe- 1 dizione. I32 GIORNALE LIGUSTICO La narrazione del Clément (i) al pari di quella del Filosofo di Verney, è poco esatta. Infatti egli passa sotto silenzio la maggior parte delle pretensioni poste innanzi dal Governo francese, all’ intento d' avvilire la Repubblica di Genova o di sforzarla a risentirsi e far sorgere un pretesto per muoverle guerra; e considerando ragionevoli le proposte di pace significate dal Seignelai, biasima la Repubblica di non averle accettate. Sentenza invero stravagante per chi conosce in che consistessero, giacche tutte erano contrarie alla giustizia ed alla indipendenza d’ un libero Stato. In quanto tocca della commiserazione del papa Innocenzo XI, e dell’incarico da lui dato al Nunzio residente in Parigi di riconciliare la Repubblica di Genova col Re di Francia, è da osservare che il Pontefice romano fu mosso a questa azione non già dalla simpatia verso i genovesi, ma a cagione del timore che 1’ avvenuto bombardamento della metropoli della Liguria potesse recar nuove complicazioni diplomatiche, le quali recassero disturbo alla quiete d’Italia e insieme a tutta la cristianità, per la diversione che avrebbe operato nell’animo dei Principi che s’erano uniti in lega per far guerra ai Turchi (2). La rimostranza fatta al Re Luigi dal nunzio Ranucci fondata su tali ragioni, venne da lui accolta con indifferenza, contentandosi di rispondergli: « Che 1’effettuato bombardamento era una burla, della quale in Italia se ne sarebbero risi; ma che se i genovesi non avessero mutato stile, egli ne avrebbe fatto delle altre maggiori ». L’interposizione diretta del Nunzio non ebbe luogo, e questi fu accettato soltanto come intermediario per trattare coll’ in- (1) iArt de verifier les dates, tom. III. (2) Carteggio ms. del Ranucci col cardinale Cibo nella Biblioteca Ci-vico-Beriana. Lettera dove il Nunzio riferisce il colloquio col Re Luigi XIV nell’ udienza in cui gli presentò le rimostranze di S. S. rispetto al bom-bard amento di Genova. GIORNALE LIGUSTICO 133 viato di Genova, il Marchese De Marini, ch’era tenuto prigione nella Bastiglia ; anzi Luigi XIV lo accettò solamente nel novembre dell anno 1684, allor quando consentì all’interposizione del Papa, per conchiudere un definitivo aggiustamento colla Repubblica di Genova. La relazione del Voltaire raffermata dal Clément venne ammessa e ripetuta da molti storici assai stimati, tra i quali devonsi particolarmente menzionare gli scrittori inglesi della Storia universale, Ancillon, Hume e Flassan. Gli scrittori italiani Casimiro Frescot, Muratori', e sopratutto gli annalisti genovesi Accinelli e Casoni, furono assai più veridici e più informati. Nondimeno le loro relazioni, a cagione dell’ umile stile in cui sono scritte e per essere state soprafatte dalla grande riputazione meritamente acquistata dallo scrittore del Secolo di Luigi XIV, rimasero in un immeritato oblio; dal quale non si sarebbero rilevate, se Carlo Botta nella Storia d’Italia non avesse fatto delle medesime un eloquente riassunto (1). L’autorità del Voltaire rimase così profondamente scossa, ma non distrutta; imperciocché, duole il dirlo, molti recenti storici proseguirono a ripetere la sua narrazione, se bene non ignorassero gli scritti del Botta, del Vincent e del Sismondi, i quali corressero in parte le narrazioni degli antichi storici francesi su quelle degli annalisti genovesi. In tale difetto cadde Enrico Martin nella sua lodata Storia di Francia; ed eziandio vi cadde il eh. Michele Giù- \ seppe Canale, cui certamente doveano esser note le storie del Botta e del Sismondi, gli annali dell’ Accinelli e del (1) Il Botta si giovò moltissimo della ΊRisposta al signor N. sopra la Relazione francese intitolata Giornale di ciò che dall' armata navale del Re é stato eseguito dinanti Genova nel mese di Maggio scaduto 16S4, dettata per ordine del Governo genovese da Bernardo Saivago. V. Giorn. Lig., anno III. pag. 42. I34 GIORNALE LIGUSTICO Casoni, non che molte Memorie sì stampate che manoscritte intorno a quell’avvenimento. Il Canale nel cenno storico inserito nella ‘Descrizione di Genova e del Genovesato afferma, che il Re Luigi XIV avendo in avversione i genovesi perchè reputavali alleati e dipendenti dal Re Cattolico, nominò nella qualità d’Inviato e residente in Genova il Signor di Saint Olon, dandogli istruzione di chiedere le soddisfazioni dovutegli per i torti che pretendeva aver ricevuto dalla Repubblica. Costui colla sua alterigia e col suo modo di procedere si rese odioso, ed impedì ogni accordo; dal che derivarono le prime ostilità operate dalle navi da guerra francesi, che catturarono vari bastimenti spettanti a negozianti di Genova, e dipoi la dichiarazione di guerra intimata dal Governo francese alla Repubblica. Conchiude la sua narrazione descrivendo brevemente il bombardamento, Γ interposizione del Papa, e Γ andata del Doge a Parigi. Nella sua narrazione sono indicate molte cose vere miste a varie inesattezze tolte dagli apologisti di Luigi il grande, le quali essendo già state confutate è superfluo qui ripetere (i). Infine tra i numerosi recenti scrittori francesi che trattarono del Regno di Luigi XIV, devesi far particolare menzione della Storia di Louvois di Camillo Rousset, e della Storia di Luigi XIV di Casimiro Gaillardin ; lavori a cui 1’ Accademia francese decretò il grande premio Gobert. I predetti scrittori per quanto concerne gli affari di Genova si restringono alle relazioni officiali del Seignelai e del Louvois, senza darsi la pena di rilevarne le esagerazioni confrontandole colle relazioni genovesi. Il Rousset riferisce la lettera che in questo senso scrisse (i) Il mio amico M. G. Canale, col quale non concordo nell’apprezzamento di molti fatti concernenti la storia di Genova, spero non si lagnerà di trovarsi collocato a lato di pregiati scrittori, che presero a fondamento della loro narrazione quanto scrisse l’Autore del Secolo di Luigi XIV. GIORNALE LIGUSTICO r35 il Louvois al maresciallo di Crequi (i); e per quanto spetta alla pace conchiusa in Versaglia, con molta giustezza scrive: « Genova dopo aver molto tempo e nobilmente protestato contro la violenza eh’ erale stata fatta, fu costretta a subire le condizioni impostele dal Re di Francia ». Il Gaillardin circa al bombardamento s’ attiene, come il Rousset, alle relazioni officiali del Seignelai o del Louvois, e circa alla pace conchiusa nel 1685 tra la Repubblica di Genova e la Francia segue ciò che ne scrisse il Dumont (2). Afferma poi che * Luigi XIV ordinando il bombardamento pretendeva colpire gli spagnuoli nello stesso tempo che puniva i genovesi, colpevoli ai suoi occhi di non prestare il dovuto ossequio alla sua persona e cercare invece d’ottenere la protezione del Re Cattolico, ed a quelli del suo ministro Colbert di far concorrenza al commercio francese nel mare Mediterraneo (3). Am- * bedue gli scrittori biasimano poi la condotta del Re Luigi XIV verso la Repubblica, eia considerano un abuso di forza; ciò non ostante pensano che la tenacità dei genovesi a non obbedire a si grande Monarca, se non giustificò nè rese plausibile l’ingiusta aggressione, attenuò in parte il biasimo che merita il Re Luigi, per i gravissimi danni cagionati ad una innocente città, e per il severo e fastoso castigo .inflitto alla libera ed indipendente Repubblica. III. Da quanto fu detto intorno al modo col quale vennero narrati gli avvenimenti derivati dalle controversie sorte tra la (1) Rousset, Histoire de Louvois, tom. Ili, eh. IV, pag. 274; Paris 1872. (2) Corps diplomatique, tom. VII. \ (3) Quanto l’abbassamento di Genova stesse a cuore al Colbert, si scorge dalla sua lettera all’intendente di Tolone 25 luglio 1685 inserita nella Collezione Clèment, citata dal Gaillardin, voi. V, pag. 37. 136 GIORNALE LIGUSTICO Francia e la Repubblica di Genova, consegue doversi i medesimi annoverare fra quelli poco 0 mal conosciuti. Non mancherebbero invero gli elementi per comporne una esatta relazione, quando ai diversi rapporti officiali ed alle lettere esistenti nell’ Archivio del Ministero degli affari esteri di Francia pubblicati dal signor Eugenio Sue (1) e da altri, s’unissero le notizie sparse nei lavori di vari scrittori francesi, riscontrandole colle narrazioni coetanee pubblicate in Genova coll approvazione del Governo, e specialmente con quelle di Filippo Casoni inserite ne’ suoi Annali, e colla sua Memoria inedita su i Disgusti passati fra la Corte di Francia e la Repubblica negli anni 16S4 e i6Sj sotto il Dogato del M;° Francesco Maria Lercaro. Nondimeno chi, giovandosi delle precitate notizie, vi si volesse accingere, dovrebbe sempre lamentale la mancanza di notizie complete intorno alle negoziazioni diplomatiche eh’ ebbero luogo tra la Repubblica, la Spagna e la Francia. Colla presente scrittura, oltre alla rettificazione d’ errori e fallaci giudizi di scrittori male informati, intendiamo appunto riempiere in parte la lacuna intorno alle negoziazioni diplomatiche. I documenti da noi tolti a guida sono : la Relazione letta al Minor Consiglio dal M.co Gio. Andrea Spinola del fu Gio. Stefano quando ritornò da Madrid, ove soggiornò dall’anno 1681 fin all’anno 1688 nella qualità d’inviato straordinario della Repubblica presso il Re Cattolico (2) ; il car- (1) Hist. de la Marine de Frana; Paris 1836, voi. IV. (2) I documenti citati, tranne il carteggio del Ranucci, sono nell’ Archivio di Stato in Genova, ed ebbi facoltà di prenderne cognizione mercè la gentilezza del soprintendente degli Archivi Liguri cav. Marcello Cipollina. Il carteggio dello Spinola coi Ser.mi Collegi esistente nel detto Archivio è assai interessante, perchè oltre alle cognizioni che fornisce sugli affari concernenti Genova, racchiude molte notizie intorno agli intrighi della Corte di Carlo II ed allo sgoverno del Consiglio di Stato. Il consultare e studiare GIORNALE LIGUSTICO 137 teggi° con i Collegi tenuto dal M.c° Paolo De Marini ambasciatore di Genova presso il Re Luigi XIV; diverse notizie estratte dai carteggi coi Collegi degli Ambasciatori genovesi a Vienna, a Ratisbona ed a Londra, cioè il M.co Giulio Spinola ed il segretario Bernardo Saivago, non che dalle lettere scritte dal cardinale di Santa Cecilia Giambattista Spinola protettore della Repubblica presso la Corte di Roma; e finalmente dal carteggio del Nunzio pontificio in Parigi monsignor Ranucci col cardinale Cibo (1). IV. Durante il dogato di Agostino Spinola del fu Felice, venne eletto ad Inviato straordinario della Repubblica presso la Corte di Madrid il M.co Gio. Andrea Spinola del fu Gio. Stefano. Nelle istruzioni dategli veniva incaricato di trattare alcune questioni sorte di recente ed altre pendenti da più lungo tempo. Tali erano : il sequestro ordinato dal conte di Melgar sopra le rendite di Milano appartenenti ai cittadini genovesi, in rappresaglia dello staggimento di varie barche finaline colle mercanzie, eseguito nell’anno 1668 dietro ordine dell’Ufficio di San Giorgio, per aver i padroni delle medesime ricusato di pagar le prescritte gabelle; il modo di contenersi rispetto alla pretensione del questo carteggio gioverebbe assai a chi imprendesse a scrivere la storia di Spagna durante il regno di Carlo II, la quale è poco nota e venne trascurata dagli storici spagnuoli, che la riguardarono un’ epoca nefasta e vergognosa. La copia autografa del carteggio e della relazione è posseduta dai fratelli Spinola Andrea e Stefano del fu Luigi. (1) ‘Ristretto del Ministero del Cardinale Angelo Ranucci, nel quale 'e in-chiuso il carteggio del Ranucci col Cardinale Cibo, nel quale si tratta del bombardamento di Genova fatto dai francesi sino alla conclusione dell’aggiustamento di quella Repubblica con S. M. Cristianissima. Manoscritto esistente nella Biblioteca Civica di Genova. i38 GIORNALE LIGUSTICO Re Luigi XIV dovessero le galee spagnuole e genovesi per le prime salutar lo stendardo di Francia, estendendo cotesto obbligo alle navi genovesi, eziandio allorquando fossero ancorate nei porti e nelle rade della Liguria o nella stessa Darsena del porto di Genova (i). Alle suddette pratiche n erano aggiunte altre di minor importanza, tra le quali primeggiavano le seguenti: opporsi alla vendita dei feudi di Aullaedi Monte-Vai situati nella Lunigiana, convenuta da Marco Centurione col Duca di Toscana previa Γ autorizzazione dell Imperatore; definire la controversia delle città marittime del Regno di Spagna, circa ai saluti che doveano restituire ai convogli con bandiera genovese; sistemare la pratica della catena ossia ligata di Milano. Nelle istruzioni date allo Spinola è degna d’ osservazione quella eh’ egli nello scrivere, nel discorrere e nei memoriali da consegnarsi ai Ministri spagnuoli, dovesse sempre adoperare la lingua italiana. Si fatto ordine mostra ad evidenza che la Repubblica di Genova, sebbene fosse esigua e debole, aveva a cuore la nazionalità italiana non ammettendo alcun idioma officiale. Le pratiche per le quali egli era stato inviato a' Madrid, furono da lui trattate con grande alacrità e molto ingegno; ciò non pertanto da principali divennero accessorie, imperocché in seguito a nuove istruzioni ricevute dai Collegi (i) Luigi XIV voleva che il suo stendardo fosse salutato dovunque si facesse vedere. Cotesta pretensione in riguardo alla Spagna la fondava su l’atto del 1662 segnato in Londra, nel quale 1’ ambasciatore spagnuolo dichiarò che i Re di Spagna ed i loro Ambasciatori non avrebbero concorso, ma riconoscevano ristabilito l’antico primato della Francia. Il Governo francese esigeva poi con tutto rigore ed esagerazione il saluto dai genovesi. A chi volesse formarsi un esatto concetto delle pretensioni della Francia in riguardo al saluto dello stendardo imposto alla Repubblica, lasciando anche da parte gli annalisti genovesi, basterebbe leggere il Vincent, Storia della RepuMica di Genova, voi. Ili, pag. 209; Parigi 1842. giornale LICUSTIGO Ϊ3 9 nell autunno dell anno 1682, egli volse tutte le sue cure a negoziare un efficace assistenza armata per parte della Spagna a pio della Repubblica, contro le ostilità di continuo minacciate , se non consentiva a soddisfare le esorbitanti esigenze del Re Luigi-XIV. V. Gio. Andrea Spinola faceva intendere al Consiglio di Stato del re Carlo II per mezzo del Marchese di Moncera col quale trattava direttamente che, se non voleva ridurre la Repubblica di Genova nella dura necessità di dover abbandonare 1’ antica amicizia ed alleanza colla Spagna, e sottoporsi alla protezione e predominio della Francia, dovesse assicurarla d’ un efficace soccorso per sostenere la guerra, che indubitamente le moverebbe il Re Cristianissimo. L’Inviato genovese per raffrenare i disegni ambiziosi di Luigi XIV sopra Genova e la Lombardia, suggeriva si stabilisse nel ducato di Milano un forte esercito, acciocché una parte potesse accorrere in difesa di Genova; e s’inviasse una poderosa armata nel mare ligustico, capace non solo di proteggere i littorali della Liguria , ma eziandio atta ad impedire qualunque impresa contro le possessioni marittime degli spagnuoli in Italia. Nello stesso tempo assicurava che la Repubblica avrebbe provveduto alla propria difesa, assoldando numerose truppe spagnuole, italiane ed alemanne; avrebbe armate le sue galee ed unitele a quelle del Duca di Tursi; lasciando intendere che non sarebbe aliena d’anticipare, a titolo d’imprestito, rilevanti somme in denaro di cui il Governo spagnuolo aveva bisogno. Infine insisteva sulla convenienza di formare una Lega difensiva degli Stati italiani colla Spagna e coll’ Impero, lasciandone fuori il Papa a cagione della sua qualità di padre comune di tutti i cristiani, con che però ne fosse il mediatore per renderla più autorevole. 140 GIORNALE LIGUSTICO Le proposte dello Spinola andavano a genio ai Ministri spagnuoli. Infatti i consiglieri del Re Cattolico erano convinti fosse intenzione di Luigi XIV di rendersi padrone di Genova, riputata la porta d’Italia, per agevolare il suo disegno d insignorirsi del ducato di Milano. In conseguenza eglino promettevano a Gio. Andrea d’accrescere Γ esercito spagnuolo nella Lombardia fino a sedici mila fanti e quattro mila cavalli , e che Γ armata sotto gli ordini dell’ ammiraglio Duca di Tursi ben tosto dai porti della Spagna si recherebbe in Italia, stanziando nel porto di Gaeta. Rispetto alla Lega, suggerivano che i reggitori di Genova la proponessero e Γ effettuassero. Le buone intenzioni manifestate dal Consiglio di Stato soddisfacevano allo Spinola; nondimeno circa al modo di stabilire la progettata Lega, egli stimò opportuno essere assai circospetto, a fine di non compromettere la libertà d’azione del proprio Governo, perchè conosceva le difficoltà che opponevansi a poterla costituire; difficoltà che derivavano dalle passioni e dagli interessi contrari dei diversi Stati italiani, come pure dal ben noto sistema del Governo spagnuolo, largo nel promettere e corto nell’attendere. Restringevasi perciò ad insistere presso i Ministri, affinché aumentassero 1’ esercito nel Ducato di Milano ed accelerassero 1’ armamento della flotta destinata a permanere nei porti d’Italia. In questa ultima parte con molta lentezza egli venne appagato, perchè il Duca di Tursi dopo non pochi indugi salpò dai porti di Spagna e recossi in Genova coll’armata spa-gnuola, che impedi al Re. Luigi d’eseguire nell’anno 1683 l’eccidio di Genova da lui deliberato. L’iniqua intenzione del Monarca francese è affermata da Gio. Andrea, che a questo proposito riferisce una conversazione avuta coll’ ambasciatore veneto residente in Madrid; dal quale seppe che nel suo soggiorno in Parigi essendosi un di trovato a veder gli esperimenti delle bombe fatti in presenza del Re, intese il Duca di GIORNALE ligustico 141 Crequi esclamare: « Se oggi, Sire, le avessimo sopra Genova, non ci farebbero litigare i saluti ». Alla qual voce rispose il Re sorridendo: « Parlate piano, che non ci senta l’ambasciatore di Venezia ». La deduzione tratta dallo Spinola è confermata dalla lettera di Colbert all’intendente di Tolone dei 25 luglio 1683 , pubblicata nella Collezione Clément e riferita dal Gaillardin (1), dove Colbert notificando l’intenzione del Re di bombardare Genova, scrivea che per tal motivo era stato colà mandato un ingegnere con incarico d’ esaminare il molo , il numero dei cannoni, i luoghi d’ ancoraggio, in fine tutto ciò che poteva contribuire alla riuscita di questa impresa, aggiungendo: « Non ci è stato mai affare nella marina che sia stato tanto a cuore del Re quanto questo di Genova, ed io vi confesso che se possiamo ottenere con le nostre cure la soddisfazione di veder l’insolenza dei genovesi punita nello stesso modo in cui lo fu quella degli algerini, ne avrei un ineffabile gaudio ». Il beneficio recato dalla armata spagnuola comandata dal Duca di Tursi fu di breve durata; imperciocché i Ministri del Re Cattolico avendo intenzione di nuovamente dichiarare guerra alla Francia, ordinarono all’ammiraglio di condurla nei porti della Catalogna. Questa deliberazione fu estremamente dannosa alla Monarchia spagnuola; perchè il Duca di Tursi obbedendo all’ordine avuto, nel novembre del 1683 prescrisse ai capitani di restituirsi nei porti di Barcellona, di Tarragona e di Cartagena; ma l’armata non riusci a pervenirvi se non nell’aprile dell’anno 1684, a cagione delle ripetute tempeste che dispersero e causarono gravi danni alla flotta , essendo alcune navi naufragate nelle acque di Catalogna ed altre sulla costa di Tetuan in Africa, e le rimanenti malconcie e quasi distrutte approdate nei diversi porti della Spagna. Il disastro (1) Op. cit. tom. V, pag 37. 142 GIORNALE LIGUSTICO che colpì la flotta spagnola ebbe per effetto di dare alla Francia il predominio nel mare Mediterraneo. La Lega della Spagna coll’impero e coi Principi italiani non fu seriamente trattata, per essere stata accolta assai freddamente dagli Stati d’Italia. A questo proposito lo Spinola osserva nella sua relazione che la Repubblica di Venezia, il Gran Duca di Toscana e gli altri piccoli Stati della Penisola, memori e mal soddisfatti dell’ antico e del recente predominio fatto pesare dagli spagnuoli sulla nazione italiana, avrebbero ripugnato a consentire di far parte d’una Lega tendente a raffermare la potenza e 1’ autorità del Re Cattolico sull’ Italia ; e nota che qualora la Repubblica avesse presa l’iniziativa di trattarla, difficilmente sarebbe riuscita a conchiuderla, a cagione dell’antico ed ingiusto rancore esistente nei veneziani contro dei genovesi, per cui non dispiaceva loro che la Repubblica di Genova iosse umiliata, e del rifiuto del Papa Innocenzo XI d’ingerirsi in negoziati, i quali lo portassero più in là dei sentimenti religiosi da luì professati. Per quanto spetta in particolare al predetto Pontefice, Gio. Andrea scrive: « Santissimo Papa per verità, integerrimo di costumi, zelantissimo della religione, ma nè all’ una nè all’ altra di queste nobili prerogative avrebbe egli punto pregiudicato, se per deviare la nostra depressione s’avesse dato a conoscere più politico. Di fatti se si parla di Roma non è credibile il pregiudizio, che a noi cagionò quella Corte. Son palesi i strani concetti che di colà risonavano, dettati certamente nell’animo del Santo Padre da un zelo ardentissimo della pace, ma da altri con massime private e propense alla corona francese sotto la maschera del bene pubblico. Poco importava ai preti che fosse la Repubblica libera o suddita d’un principe più che d’un altro, purché essi vivessero al possesso di quella eredità, che godono della Chiesa e non possono tramandar ai loro posteri, al contrario di noi, che giustamente desideriamo giornale ligustico 143 trasmettere ai nostri figli la libertà dagli avoli ereditata. Parlando tutti di uno stesso tenore, fecero in ogni parte i Nunzi pontificii dal principio al fine quanto poterono per attrarre 1 infelice Repubblica all’ estremità in cui si vide costituita, di cedere per non affogare, di soccombere in parte per non perdere in tutto ». Alle giuste considerazioni qui trascritte si potrebbe aggiungere, che la proposta federazione degli Stati italiani colla Spagna, era effettivamente contraria egli interessi speciali dei medesimi, e ne sarebbe stata avvantaggiata solamente la Repubblica di Genova. In fatti mediante questa Lega si sarebbe rialzata la potenza spagnuola cotanto decaduta, e quindi avrebbe potuto più efficacemente tutelare e difendere i genovesi dalle minacciate ostilità della Francia; per 1’ opposto doveva spiacere ai Governi di Venezia e di Firenze, perchè riputavano la guerra tra la Francia e la Spagna esser causa del diminuito predominio spagnuolo, e del benessere materiale dei loro sudditi, per gli accresciuti traffici che nella loro qualità di neutrali facevano con gli Stati belligeranti. Il Duca di Savoia e il Duca di Mantova, partitanti ed alleati del Re Luigi XIV, si ricusavano d’ aderirvi sperando aver poi notevoli vantaggi nel difin itivo aggiustamento. Infine è evidente che il Papa Innocenzo XI, restringendosi nelle sue ambiziose preoccupazioni religiose, volgeva le sue cure unicamente a propugnare la guerra contro i turchi, e si beava nel pensiero e nella speranza di veder rinnovare i tempi delle Crociate. Quindi egli compiacendosi in queste illusioni, non si prendeva alcun pensiero degli oppressi ed abbandonati genovesi,' nè della libertà e della indipendenza d’Italia, purché si rimovesse ogni ostacolo ai Principi collegati per far guerra al-l’Impero Ottomano (1). (1) Il M.co Paolo De Marini nel suo carteggio ai Ser.™ Collegi ripete più volte che il Papa Innocenzo XI nella speranza d’ effettuare il suo I44 GIORNALE LIGUSTICO VI. Avendo dovuto rinunciare alla progettata Lega, non restava che conchiudere un trattato particolare tra la Repubblica ed il Re Cattolico. Questa pratica, quantunque iniziata in Madrid dallo Spinola, venne negoziata e conchiusa in Genova dalla Giunta di guerra coll’inviato spagnuolo Don Bazan, e col Governatore di Milano il conte di Melgar, a ciò delegati dal Re Carlo II. Nella convenzione da essi conchiusa, ma non ancora ratificata dalle parti contraenti, i genovesi obbligavansi di mantenersi fedeli nell’ alleanza colla Spagna, di fornirle una determinata somma di danaro a titolo d’imprestito, e di armarsi a proprie spese; il Re Cattolico in contraccambio s’impegnava di proteggere la Repubblica e difenderla, inviando una flottiglia nel porto di Genova e provvedendola d’ un discreto numero di truppe spagnole, le quali unite alle milizie genovesi formassero un esercito capace d’ opporre valida resistenza a quello che verrebbe mandato dalla Francia per assalire il territorio della Repubblica. Negli anni 1682 e 1683 in cui ebbero luogo le predette negoziazioni, il Re Luigi XIV aveva raggiunto 1’ apice della sua potenza, e quindi inorgoglito poneva ad effetto la politica invadente suggeritagli dal Louvois. Cercava per ciò giovarsi delle divisioni d’interessi esistenti tra i Principi dell’impero, per diminuire 1’autorità esercitata sopra gli stessi dall’imperatore Leopoldo, ed inchiudeva nei sogno di trasformare le moschee di Costantinopoli in altrettante chiese cattoliche, operava quanto poteva per impedire all’ Imperatore Leopoldo, al Re di Polonia ed alla Repubblica di Venezia di pacificarsi colla Turchia. In tal guisa, senza volerlo, cooperò a far prevalere il Re Luigi XIV, distogliendo la possibilità di formare una Lega che rimettesse Γ equilibrio europeo. giornale ligustico 145 suoi domini 1 paesi che in altri tempi avevario appartenuto alle città da lui acquistate in forza del Trattato di Nimega. Usurpazioni eseguite col pretesto di porre in atto le sentenze emanate dalle Camere di riunione di Metz c di Brisach. Protestarono bensì il Re di Spagna, l’imperatore Leopoldo ed i Principi dell’impero; ma di queste proteste Luigi XIV non teneva verun conto, e proseguiva ad unire al suo regno le città e le provincie come a lui più talentava. Il Re 'Cattolico vedendo sprezzati i suoi reclami c^ffiio il sistema d’ in-camerazione adottato dalla Francia, arme aver chiesto ed ottenuto il tacito concorso deirOland^^ delì’Imperatore, si riputò obbligato a porvi fine, dichiarando guerra al Re Cristianissimo; la qual decisione presa sul finire del mese di novembre 1683 fu giudicata in diverso modo, conforme alle passioni ed agli interessi dei vari popoli e governi. Di fatti essa fu approvata dai genovesi, e dal Principe d’Oranges, che nella Repubblica delle Provincie unite era il capo del partito avverso alla Francia; per l’opposto venne biasimata dalla maggioranza del partito contrario allo Statholder d Olanda, dall’imperatore Leopoldo ch’era occupato a sostenere la guerra contro i turchi, e dai Principi dell Impero e d Italia alleati della Spagna, ma contenti di godere una pace qualunque. In Francia venne considerata una millanteria, ed un atto tendente ad obbligare 1’ Olanda e l’Imperatore a rinnovare la guerra; ed ove si ricusassero, ad avere un motivo plausibile d’abbandonare le provincie dalla Fiandra e trarre profitto dalla cessione delle medesime. Come e noto, il risultato tu che le provincie fiamminghe non si difesero punto, gli olandesi prestarono inefficaci soccorsi, e le truppe spagnuoL combatterono malissimo e furono dappei tutto sconfitte dai fiancesi. Giorn.. Ligustico, Anno IV. IO 146 GIORNALE LIGUSTICO VII. Il Re Luigi XIV dopo che i suoi generali ebbero battuti gli spagnuoli tanto in Fiandra quanto in Catalogna, pensò di compiere la divisata vendetta sopra la città di Genova, e cominciar cosi ad effettuare i suoi ambiziosi disegni su Γ I-talia, ritardati dalla inconsiderata guerra accennata. Egli mo-stravasi irritatissimo contro i genovesi perchè s’ erano serbati costanti nell’amicizia spagnuola, ed avevano sempre preferito alla sua protezioni qiella del Re Carlo II; non ignorava le negoziazioni dello Spinola coi ministri spagnuoli, delle quali, se bene fossero tenute segrete, si ebbe notizia dell’ inviato francese a Genova il Conte di Saint Olon, in guisa da provocare tutto il suo sdegno. L’amor proprio di sì superbo Re fu profondamento ferito, e quindi fermò dare un pronto castigo ad una piccola Repubblica retta da liberi e coraggiosi patrizi, che osavano contraddire alla sua volontà; ciò non ostante celando il suo pensiero mostrò di rappatumarsi con essa. In fatti egli per mezzo del ministro degli affari esteriori il signor Colbert De-Croissij, fece conoscere al Senato di Genova d’aver dato ascolto alle lagnanze da esso dirette contro il signor di Saint Olon richiamandolo e sostituendovi il signor di Jouvigny. Il Saint Olon prima di partire da Genova chiese ai Collegi una udienza di congedo; ed ottenutala, espose con molta alterigia in nome del Re Luigi, dovesse la Repubblica acconsentire alle seguenti domande: i.° dichiarasse immediatamente d’abbandonare l’amicizia e l’alleanza della Spagna, ed invece si ponesse sotto la protezione del Re Cristianissimo; 2.0 le navi genovesi salutassero lo stendardo di Francia nel modo imposto dal suo Re; 3.0 si stabilissero in Savona i chiesti magazzini di sale. — Il Doge ed i Collegi rimasero maravigliati udendo questa inaspettata ingiunzione ; ma non perdendosi GIORNALE LIGUSTICO d animo, risposero che la Repubblica aveva sempre cercato di conservare buone relazioni colla Francia e sopratutto di rimanere nelle grazie del Re Luigi XIV, non aver mai cessato di far il possibile per mantenersi neutrale nelle guerre tra le monarchie spagnuola e francese , e rammemorando le ragioni altre volte addotte, conchiusero col dichiarare che se bene fossero dolenti di far cosa spiacevole al Re Cristianissimo, non potevano però accondiscendere alle imperiose domande che veniano loro significate. A questo discorso il signor di Saint Olon nulla replicò, e partì subito da Genova; ma il nuovo eletto, signor di Jouvigni, non si mosse da Parigi, e il Re Luigi ricusò di dare udienza all’ambasciatore genovese Paolo De Marini. In tal guisa rimasero interrotte le relazioni tra la Repubblica e la Francia, restando però in Parigi l’Inviato genovese. A questa rottura diplomatica non successe per parte della Francia alcuna dichiarazione di guerra alla Repubblica di Genova; di maniera che i genovesi, quantunque non ignorassero gli armamenti marittimi che facevansi con somma attività nei porti di Provenza, e sapessero correr va^a voce in Parigi che i medesimi fossero diretti contro più comodo di ritornare in Versaglia, per vedere nello stesso tempo le acque il Martedì o il Mercoledì. Io presi di là occasione di rappresentarle confidentemente che richiedendo il governo regolato della Repubblica il mio pronto ritorno dopo aver riverito S. M., che da questo poteva comprendere che la Repubblica non aveva avuto riguardo al suo scomodo per soddisfarla, io era obbligato a riparare il tempo inutilmente speso con privarmi dei contenti più sensibili ; che però io avevo risoluto di partire il Sabbato prossimo, se fra questo mezzo S. M. avesse la bontà di darmi 1 udienza di congedo, che a questo fine solamente avrei più tosto bramato il Martedì. La risposta essendo stata riportata al Re, Sua Maestà chiamò il 198 GIORNALE LIGUSTICO Delfino e la'Delfina ordinandoli che facessero apparecchiare un ballo per il Martedì, giorno destinato parimente per la visita delle acque, ed in tale occorrenza tutte le Dame interverranno con abiti senza duolo e superbissimi. Questa sera però mi ha fatto intendere il sopradetto Introduttore, in congiuntura della risposta datami sopra il particolare della visita di Monsìeur Croissy, di cui ne udranno dal signor Inviato gli accidenti, che rimane prorogato il trattenimento accennato per Mercoledì, insinuando parimente che per Sabbato ci sarebbe infallibilmente accordata l’udienza di congedo ; con che spero che Lunedì o Martedì susseguente dobbiamo essere in istato di ricondurci a riverirle costì di presenza, mentre intanto mi rassegno con tutto l’animo. Parigi 21 Maggio 1685. Francesgo Maria Imperiali Lercaro. IL PORTO DI GENOVA Fu già nel Giornale Ligustico accennato come nella seconda metà del sec. XVII si agitasse in Genova la questione di gettare un molo, che avesse capo alle falde del colle di Carignano (1). Or essendomi di questi giorni venuti alle mani alcuni documenti che a quel molo si riferiscono, credo utile mandarli alle stampe. Da questi si rileva come siffatto molo fosse già nel 1687 cominciato, e come generose alcune famiglie avessero stabilito di concorrere alle spese della sua costruzione. Non sapremmo poi dire per qual ragione più non esista il molo, avendo i Collegi addì 3 maggio x688 decretato si dovesse compiere il lavoro ; se pure ciò non voglia ascriversi al sistema con cui fu gettato, come pare dal seguente brano d’ una relazione di Francesco Filippo Staglieno scritta nei primordi del sec. XVIII. Ivi si legge : « Dette cassie (da collo- li) Giornale Ligustico, anno 1876, pag. 79. giornale ligustico 199 carsi nella scogliera del Molo Nuovo alla Lanterna) dovranno essere ben legate in quattro parti, acciò, non si possino muovere, per non dare nell’ istesso incontro 'che si diede nelle cassie' sotto Carignano, mentre a pena si cominciò la fabbrica che le medesime giocavano da una parte e dall’altra, et il tutto si perde, aggiontavi la poca dispositione de’ materiali et altro che vi era, dovendo in casi simili avanzare di gran lunga (1) ». Se tuttavolta non valsero contro le fortune del mare le opere dell’ uomo, il molo di Carignano è forte prova del buon volere dei padri nostri di curare quella bella gioia del nostro porto, come essi stessi lo chiamavano. Al qual proposito ai documenti che al molo si riferiscono faccio seguitare una domanda ai Collegi di Bartolomeo Vassallo, che in sua vita aveva sempre curata la purgazione del porto, affinchè volessero conferire al figliuol suo Agostino il medesimo incarico, coi benefizi e privilegi che ne derivavano. Il che venne di fatti accordato con decreto del 5 settembre 1580; nel quale ad esso Agostino assegnavansi curam, custodiam et habitationem turris et aliarum habitationum ad modulum,... et annuas libras XLVIII prout concessum (fuit) et assignatum Bartholomeo patri. C. Astengo. I. Serenissimi Signori Sopra un prudente ricordo, dato nel circolo di V. S. Serenissime, che loda assai la continuatione del mole in Carignano, anco con Γimpositione di tassa d’uno o mezzo per cento, hebbero V. S. Serenissime la bontà sotto li 14 del cadente d’incaricare il Magistrato di Guerra a riferire quanto prima il denaro che ha in pronto per detta fabrica, quale altro sia assegnato alla medesima e da scuodersi quando, quale spesa (i) Archivio Civico. Ponti e inoli; fogliazzo 1701-93· 200 GIORNALE LIGUSTICO sarebbe necessaria per proseguirla, fino a che segno, quando e come. Ad ogn’una di queste particolarità il Magistrato ha fatto i dovuti riflessi, et ubbedendo prontamente a’ loro riveritissimi cenni porta a loro Signorie Serenissime le notitie seguenti. Non s’ innoltra in primo luogo il Magistrato a portare i suoi sentimenti se convenga o no continuarsi il mole già cominciato, perchè V. S. Serenissime, che prima d’ora hanno preveduto il beneficio che se ne può sperare col tempo per la maggior salvezza della città, si sono degnate di sollecitarne il proseguimento, il quale quanto possa essere salutare, molto ben si conosce dall’approvai ione e dal gusto universale, che ne mostra tutta la cittadinanza. Oggidì non ha il Magistrato in cassa per questo conto altroché scuti 2000 circa, nè si può far capitale che d’altri scuti 2500 argento procedenti dalla magnifica famiglia Doria in tanti luoghi o sia monti donati e già da V. S. Serenissime rilasciati al Magistrato. In oltre di lire seimilla l’anno procedenti dalla magnifica famiglia Giustiniana, e queste somme sarebbero le più pronte per valersene in questa fabrica. La magnifica famiglia Spinola ha dato pure qualche intenzione di somministrare alcune partite in quest’ uso, ma havendovi il Magistrato prima d’ hora applicato l’animo, ha incontrate difficoltà, onde giudica che non si possa presentemente farvi verun capitale. Altre assegnationi non vede hoggidì il Magistrato esser state fatte per 10 proseguimenjo di questo mole. Onde quando il finissimo intendimento di V. S. Serenissime apprenda esser forzosa questa fabrica, sarà necessario che applichino l’animo a quelle impositioni di tasse 0 altro che possono essere sufficienti per questo lavoro, parendo al Magistrato che 11 carrico d’uno o mezzo per cento, conforme vien ricordato nel biglietto, possa essere troppo oneroso per cattivare gli animi a concorrere in un’opera per altro tanto plausibile, la quale non dispera il Magistrato che non dovesse condursi a porto con l’assegnamento d’uno per cento da scuodersi però in dodeci anni ripartitamente ad effetto di facilitarne con maggior prontezza l’essecutione, affidato che ogn’uno de’cittadini debba concorrere per la sua parte con spesa per così dire insensibile alla constructione di questo mole, che può in progresso di poco tempo riuscire di conservatione alli loro stabili. E la spesa si calcola di lire cinquanta-milla per ogni cassa al più terminata nella loro longhezza et altezza di mole fortificato; non dovendosi ogni cassa considerare di maggior spesa del nuovo mole sotto la Lanterna, perchè in questo il fondo dell’ acque è GIORNALE LIGUSTICO 201 doppiamente maggiore di quel che non è nella batteria sotto Carignano; e trovato che si fosse il denaro per questa construtione, e questo si potrebbe cavare dal rimborso annuo di detta impositione di uno per cento ripartitamente in dodeci anni, si potrebbero · commodamente ponere in mare due casse l’anno, come fu decretato gli anni passati dalla Serenissima Gionta, e queste perfetionare in maniera da potersene servire, quando gli accidenti del mondo cambiassero prospettiva, prima anche che fusse terminata la fabrica, regolando questa ne’ tempi più a proposito da travagliare e fare egualmente le proviggioni anticipate, acciochè fusse pronto tutto il materiale ne’ tempi opportuni senza soggiacere, come è seguito nelle due ultime casse, alla variazione de’ tempi per essere mancato il denaro nel maggiore calore della fabrica. Questo è quanto può succintamente rifferire a V. S. Serenissime il Magistrato, il quale lascia ponderare il tutto alla loro suprema intelligenza per attendere poi quelle risolutioni che giudicheranno più espedienti in affare di tanto rilievo. Ita decretum per excellentissimum et illustrissimum Magistratum belli etc. hac die 28 novembris 1687. Ant. Maria Roncus Cuncellarius. 1688 a’ 12 Gennaio. Letta sudetta relatione a’ Serenissimi Collegi e discorsa in appresso la pratica, è stato proposto di rimandare la medema relatione all’Illustrissimo Magistrato di guerra acciò che faccia maggior riflessione alla pratica con riferire a lor SS. Serenissime qual numero di cascie sarebbe necessario per arivare al ponto determinato, la spesa a calcolo che dovranno importare , qual denaro sarebbe necessario per la fabrica di due cascie l’anno, e quale altro si potesse cacciare tanto dalla magnifica famiglia Doria quanto da altre famiglie, con riflettere insieme alle derogationi già fatte per questo conto, quali altre si potrebbero fare, et insomma tutto ciò che gli potesse occorrere in questa pratica. Sumptis calculis, nil actum. Incontinente. Proposto da Sua Serenità di portare all’uno e l’altro Consiglio di deliberare una tassa generale di uno per cento da scuodersi ripartitamente in dodeci anni conforme in detta relatione, e di commettere insieme al- 202 GIORNALE LIGUSTICO l’Illustrissima et Eccellentissima Gionta della Marina acciò faccia formare la propositione opportuna da portare a detti Consegli. Sumptis calculis, pariter nil actum. * 1688 à 17 Μαιχο. Discorsa nei Serenissimi Collegi la pratica circa il nuovo mole, che si sta construendo sotto la batteria di S. Giacomo, la Sua Serenità propose di incaricare l’illustrissimo Magistrato di guerra pershè a risalva delle deliberazioni già prese da loro SS. Serenissime circa al ridurre a perfezione quella, parte di lavoro già cominciato faccia riflessione fino a dove possa inoltrarsi il mole già ideato, qual numero di cascie sarebbero necessarie, fra qual termine potrebbero ponersi in mare, e la spesa che vi vorrebbe, ed in particolare qual profitto ne potrebbe sperare la città con quel di più che vi possa occorrere. Raccolti i voti, è stata la propositione approvata. 1688, 3 Maggio. « Si rappresenti a’ Serenissimi Collegi che il Magistrato di guerra avea deliberato dispendere li scutÌ2$oo argento donati dalla magnifica famigliaDoria nel rifacimento del molo sotto la batteria di S. Giacomo, per ridurlo in istato di poter resistere alla tormenta del mare et alzarlo in maniera che non possa più essere danneggiato ». — Se non che, avendo i Collegi, con decreto del 26 antecedente aprile, deliberato di far accomodare la strada che conduceva a quella batteria, il Magistrato di guerra notava che si sarebbe trovato nella necessità di impiegare tal somma in' detto lavoro. Letta però la relazione ai Collegi « è stato deliberato che il sudetto illustrissimo Magistrato continui a fare in mare il lavoro divisato . . . , senza divertire il danaro che ha in pronto per detto effetto » (1). II. Serenissimi et Illustrissimi Signori Essendo 1 anno de MDXXXI, seguita gran fortuna et traversia nel porto con perdita de quattro navi le quali per se e per gli carichi loro rovinavano lo porto (2), mosse Dio l’animo et l’ingegnio di Bartolomeo (1) Archivio di Stato. Politicorum, mazzo XVU, num. 16 c 2$. (2) Questa tempesta è ricordata dal Bonfadio ne’ suoi Annali, dove però di due sole navi è fatta parola. « 11 giorno 17 di gennaio (cosi scrive sotto l’anno 1531), soffiando venti di Levante e Mezzodì, crebbe il mare in maniera, e cosi procelloso divenne, che a memoria d’ uomo GIORNALE LIGUSTICO 203 Vassallo figlio di messer Augustino a prendersi cura di cosi alta e difficile impresa non solo di ricoverar le navi et rnerse, ma di nettare quella bella gioia del nostro porto da sì notabil danno ; e benché suo padre e suoi havessero esercitato magistrati etiam di antianato (1), pur egli desideroso di benfar alla patria, espose la sua persona ad esser margone et a far sotto acqua quello che appena altri in terra fatto harebbe; e con Γ agiutto di Dio ricoverò e spedì et purgò in poco tempo · quel che poteva nocere al porto, di che maravigliandosi tutti, restò egli con somma lode. Nè guari stette a succedere la seconda fortuna, che sommerse una nave grossa Saivaga carica di ricche merce orientali, et indi a poco un grosso gallione di Rantaria, et più altri vasselli in molti tempi, che tutti col carico furono ricoverati, et così tanta bella artigliarla di metallo che era spersa in la spiaggia di Vioreggio con la Grossa di Caneto. Sopra che parendo alla Magnifica Camera di quel tempo dover far stima della virtù, si come è solito, le diedero oltre le mercedi ordinarie per suo trattenimento lire quaranta otto l’anno, con la custodia et possesso della torre et altre stanze del molo, et da’ Signori Padri del Comune come conservatori del porto lire cinquanta doe l’anno. Et al tempo che poi é seguito, havendo già sparsa la fama del suo valore, le fu per mezo del signor Laurenzo Bellocchio offerto sallario importantissimo dalla Reppublica Venetiana. Non volse esso Bartolomeo lassiar la patria sua per qual si voglia premio, ma continuando nel ben servire ha levato col suo ingegnio le centanara di piatte di scogli da esso porto in quelle pai ti dove segavano le agumene, loco più dificile et importante di tutto esso porto; e a questo modo ha servito presso a 50 anni, con quella fideltà, dilligentia et amore che si conveniva; nè crede che delli antichi servitori di questa Repubblica vivino più molti altri. Hora egli si trova vecchio; e benché ogni dì più gli cresca l’animo di servire, pur nell’età di ottanta anni li mancano le forze. Per questo dessidera,^ prima che venghi al termine di sua vitta, assicurarsi che la servitù né cosi gonfio nè cosi impetuosa già mai si vide nella Liguria. limolo del porto, tutto dall’impeto delle onde rovinato, e per le loro percosse gittato a terra; il muro della carcere vicino al porto, alcune botteghe, nelle quali 1’onde procellose percuoter poterono, caddero; al ponte dei Calvi sassi grandissimi dalle botteghe 5 226 GIORNALE LIGUSTICO prova venivano rigenerati i novelli credenti ? Appena occorre il dire, che con tale restauro, meglio che a riprodurre una vetusta forma architettonica, si concorrerà a risvegliare, se fia possibile, un fervore intiepidito. Vi concorrerà il laicato, poiché tale monumento fa parte del suo più prezioso patrimonio. — Chi ignora infatti, che Battistero ed Episcopio, Cattedrale e Palazzo del Comune sono nati ad un tempo, e non sono che Γ esplicazione di un solo concetto, la Società cristiana e civile del Medio Evo ? Potrà la generazione presente non riconoscere questa eredità, e riconosciutala non sentirà il debito di religiosamente farla rispettare ? Io non ne muovo neppur dubbio ; poiché se scorgo una straordinaria operosità in produrre il nuovo, ho dovuto ammirare non ha guari un vivissimo impegno a conservare 1’ antico. E intanto, nel far voti che Ella possa consecrare lunghi anni l’autorità del nome ed il frutto degli studj al decoro dei nostri monumenti antichi cristiani, godo sottoscrivermi con pienezza di stima Di Lei, egregio signor Conte, Ventimiglia, li 3 Maggio 1877. Dev."w ed Ajf.m0 Servo ed amico Girolamo Rossi. SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (Continuazione da pag. Ι2γ) IX. Sezione di Storia. Tornata del 2 Marzo 1877. Presidenza del Preside cav. avv. Cornelio Desimoni. Si continua la lettura dal socio Claretta, riguardante i casi della Guerra di Genova nel 16y 2. giornale ligustico 227 X. Sezione di Belle Arti. Tornata del 16 Marzo 1877. Presidenza del Preside cav. prof. Giuseppe Isola. Il Segretario Generale della Società comunica la seguente lettera a lui indirizzata. Onorevolissimo Signore, Nell ultimo quaderno del Ligustico (1) ho visto con gioia come il povero seme della mia parola, caduto su fecondo terreno, sia tornato in bella copia di riflessioni e di avvertenze opportune. Una tra l’altre, quella del Comm. Crocco, ho lungamente pensato: or mi sarà concesso di farvi intorno qualche breve nota? Fidato nell’animo grande di quel valoroso, parlerò franco; ed egli, ne son certo, non che volermene male, saprà crescermi il tesoro della sua preziosa benevolenza. — Degli Angeli, che veggonsi a’ lati dell’Arca di S. Domenico, quello operato da Michelangelo (così m’afferma il Salvini, giudice degno) non è già il destro, morbidetto e gentile, sì Γ altro, che reca visibili i segni di gagliardo scalpello, ma non vestigio di angelica leggiadria. Ad ogni modo l’Angelo del-l’Arca vuoisi riferire all’età più giovanile del Buonarroti: onde non è meraviglia, se poco 0 nulla e’ ritrae di quella fierezza 0 terribilità, che fu come il suggello dell’ arte michelangiolesca ; e ben sarebbe meraviglia, se già vi si scorgesse ferma e spiccata la maniera del Nostro. Nè V Adamo della Sistina panni da citare coni’ esempio di grazia o gentilezza d’ arte. ma sì piuttosto di sublimità d’invenzione 0 di semplicità solenne di stile : e veramente, chi ben lo miri, nella quiete possente delle membra e nella severa maestà del volto rammenta il David. Giambattista Niccolini, vagheggiando nel suo segreto quella superba immagine, fu tratto a ripensare l’epica sublimità della Genesi, e nobilmente scrisse: « La lettura sola di Mosè potea tanto sublimar Michelangiolo, ch’ei, per quanto è concesso ad uomo non divinamente ispirato, osasse coll’ ebreo legislatore contendere dello stile, quasi presente egli fosse a tanto mistero dell’Onnipotenza ». — Vegga l’ottimo Presidente, e insieme con lui cotesta (1) Anno 1876, pag. 450. r 228 GIORNALE LIGUSTICO illustre compagnia di valenti, se queste mie frettolose osservazioncelle abbiano alcun valore; e con generosa libertà mi correggano, o del loro ..utorevole giudizio raffermino la mia sentenza. Nel nome della Verità, amore comune, Lei e i Colleglli caramente saluto ed abbraccio. Di Modena, il 24 febbraio 1S77. Il suo dev. G. Franciosi. Non essendo presente alla tornata il comm. Croco, avverte il Preside che qualora la Sezione intenda tornare ad occuparsi dell’ importante e gradito argomento, la trattazione del medesimo potrà aver luogo in altra delle venture sedute. Indi lo stesso Preside legge le seguenti Considerazioni artistiche sull’Icona Edessena, detta il Santo Sudario, che si conserva a S. Bartolomeo degli Armeni in Genova. Di quel celebre cimelio conosciuto sotto il titolo di Santo Sudario, che si conserva nella chiesa di S. Bartolomeo degli Armeni, trattarono sotto vari aspetti uomini insigni per nobiltà d’ intelletto e vastità di erudizione, tra i quali annoveriamo con giusto orgoglio alcuni dei nostri consoci a tutti noti; per la qual cosa io meriterei la taccia di presuntuoso se osassi intromettermi fra loro, qualora Γ importanza mol-tiforme del monumento in discorso non offerisse per avventura anche all’ artista un campo sin qui inesplorato per farvi le proprie considerazioni, senza menomamente invadere quello di quanti già se ne occuparono. Imperocché se lo storico, 1’ archeologo ed il filologo vi trovarono ricca messe alle loro elucubrazioni (nè sarà mai che alcuno osi defraudarli del merito di somma diligenza nel farne loro prò, e del plauso della più lodevole riuscita), la parte artistica però, cioè quanto riguarda la pittura e la scultura che concorrono ad accrescere 1’ importanza del quadro celebrato, fu lasciata senza una vera illustrazione, naturalmente perchè non necessaria allo scopo prefissosi dai sullodati scrittori. È questo adunque un campo tuttora vergine, nel quale credo poter entrare liberamente giornale ligustico 229 senza tenia di mancare di riguardo agli uomini onorandi che mi pi credettero nell occuparsi di un oggetto intorno al quale, oltie alla sua importanza reale, si collegano tante memorie della possanza e pietà dei padri nostri. Dopo la diligenza e la proprietà colle quali questo insigne monumento venne descritto, così a riguardo della forma e delle proporzioni, come della disposizione dell’ argentea ed aurea ornamentazione, io mi credo dispensato dal parlarne ulteriormente, quindi entrando nella parte che mi concerne, stimo dovei indagare prima d ogni altra cosa la causa che diede origine alla pia tradizione, per la quale si tiene quel ritratto del Divin Salvatore in concetto di opera miracolosa. Per quanto tale quistione paia a tutta prima estranea al compito prefissomi, pure essa giova assaissimo per darci ragione di questo non solo, ma di altri simili innesti di arte e di fede, sinora passati inosservati oppure tenuti in conto di cose superstiziose. Quante volte ebbi a fissare gli occhi sulla celebre Icone, fui sempre colpito dalla singolare apparenza di quel volto circoscritto alla pura maschera dall’ aureo fregio sovrappostovi; e preoccupato dall’idea di trovarmi in presenza di un’effigie che la pia credenza tiene come opera prodigiosa, non potei sottrarmi ad un certo moto istintivo· di venerazione; tanto più riflettendo che nelle idee popolari che si ripetono per secoli vi è sempre un fondo di vero, per quanto alterato. Onde la Dio mercè seppi pormi al coperto dall’ assalto del cinico sorriso dello scettico, senza per altro piegare la ragione fino ad ammettere ciecamente ed intieramente la tradizione popolare ; e così mi surse l’idea di trovar modo di conciliare il maraviglioso col naturale. Perciò mi diedi ad investigare le cause che la resero veneranda, ed a cercare in qual modo Γ opera dell’ artista abbia concorso a perpetuarne la venerazione e a renderla famosa. 230 GIORNALE LIGUSTICO Esaminato diligentemente quel volto, per quanto esso sia di una intonazione indescrivibile e di una misteriosa esecuzione, pure non potei non riconoscerlo per opera manufatta eseguita sopra finissima tela distesa sovra un’ asse indorato. Senonchè io non limitandomi a giudicare la materiale essenza dell’ opera manuale, e fisso nel mio intento di giustificare la pia tradizione, cercai addentrarmi nell’ arcano che a mio giudizio è racchiuso nella rappresentazione contenuta nella terza tavoletta a basso rilievo: una delle dieci che contornano il quadro, le quali contengono la storia dell’ origine e delle vicende della preziosa Immagine fino alla sua venuta a Costantinopoli. A tali bassirilievi non puossi negare una grande autorità; imperocché eseguiti nel X secolo, d’ ordine dell’ imperatore Costantino Porfirogenito, non potevano che essere la fedele espressione figurata della storia di quella reliquia nel modo in cui era allora generalmente conosciuta. Conseguentemente il loro significato deve aversi per esatto e preciso, e deesi escludere il sospetto che l’artefice abbia di suo arbitrio rappresentato soggetti vani 0 bugiardi. — Or dunque facendoci ad esaminare la mentovata tavoletta, vediamo rappresentato Gesù, il quale riceve nelle mani un liquido che gli versa da un vaso a lungo collo un uomo che gli sta dinanzi tenendo in una mano un catino ed un pannolino. Al sommo del bassorilievo è incisa una leggenda dicente : Cristo che si lava le mani·, e se si considera che questo bassorilievo è preceduto da altro che rappresenta Anania che non può delineare Cristo, e che è succeduto da uno esprimente Cristo che dà il Sudario e Vepistola ad Anania, è forza inferirne che Cristo col liquido che raccolse nelle sue mani, naturalmente per bagnarsene il viso, compieva un’ operazione per la quale ne risultava l’impronta, 0 Sudario, che egli consegnava di poi ad Anania, come vedesi appunto espresso nella tavoletta che segue. Onde, a chi ripugnasse di dare questa interpretazione alla nostra ta- giornale ligustico 231 voletta sarebbe da chiedere: a che prò rappresentare Cristo Jie si lava le mani ? che cosa si suppone possa aver operato Gesù per abbisognare di questa abluzione? ovvero qual soita di operazione si prepara a compiere ? Risposta adequata io aedo non possa darsene, senza ammettere la mia induzione, che cioè Γ artista che scolpiva questo fatto da cui trae oiigine la Sacra Immagine non esprimeva un’ idea capricciosa e indecifrabile pei suoi contemporanei ; i quali dovevano conoscere il modo d’improntare dal vero mediante un liquido a ciò preparato, col quale bagnandosi il viso ed applicandovi un pannolino , questo riceveva naturalmente un impronta, come quella appunto che Cristo consegnava ad Anania. Niuno per certo vorrà credere, eh’ io supponga che da questa operazione dovesse risultare un vero ritratto riproducente le forme e 1’ espressione dell’ originale; nè ciò poteva essere nell’ intendimento di chi si valeva di tale espediente per avere un ricordo di persona interessante. Allora e in tutti i tempi, come al presente, si è sempre attribuita grande importanza ad un oggetto qualunque, rispetto al quale si potesse aver fede essere il medesimo appartenuto a persona cara 0 famosa; onde non è a maravigliare che ad uomini straordinari, 0 singolarmente cari, si cercasse un ricordo, come ora facciamo d’un autografo od oggetto qualsiasi che possa dirsi effettivamente venuto dalle loro mani e portarne un segno. Tale oggetto si riguarda e si custodisce col più grande interesse, e se ne fa mostra colla maggiore soddisfazione, tanto più quanta è l’importanza e la celebrità del personaggio a cui ha appartenuto. Onde io amo credere che sì fatta consuetudine sia il fondamento della pia tradizione intorno all’ origine miracolosa attribuita alla Sacra Icona ; come parmi ragionevole 1’ ammettere che una volta accettato per vero che quella tela era stata a contatto col viso del Nazareno e ne portava l’impronta, siasi poi creduto con- GIORNALE LIGUSTICO veniente di rendere sensibile alla vista dei credenti il Divin Volto facendovi dipinger sopra da un’ abile pittore, fors’ anco dallo stesso Anano, il ritratto di cui trattasi, sposando cosi l’arte al ricordo, direi quasi autografo, di Gesù Cristo. A conforto della mia supposizione, non credo inopportuno citare la stessa favola che gli scrittori greci registrarono sul-Γ origine della pittura. Narrano essi che la figlia dello stovi-gliaio Dibutade nel momento di separarsi dal suo diletto fidanzato e desiosa di conservarne le sembianze, profittasse dell’ ombra del suo profilo proiettato sul muro dal lume di una lampada, per fissarne il contorno. Aggiungono ancora che suo padre riempiendo di creta lo spazio entro il contorno e fattala cuocere, ne conservasse l’immagine. Come di leggeri si scorge, questo esser doveva un ben meschino ritratto ; eppure bastava per essi avere la certezza che quell’ informe modello proveniva direttamente dalla persona amata; locchè prova come la fede e l’immaginazione suppliscano provvidenzialmente al difetto della palpabile realtà. Ma esempi ancora più efficaci per dare appoggio alla mia induzione sono: i.° Il Sudario della Veronica in Roma, il quale non sarebbe che il ritratto del Divin Redentore, dipinte) sul sudario che la pia donna gli offeriva quando s’ incamminava al Calvario. 2° La Santa Sindone, che si venera nella Cattedrale di Torino, la quale porta P impronta d’ un corpo umano leggermente colorito, per affermare che in quel lenzuolo giacque il Divin Corpo di Cristo. 3.0 Finalmente la soglia marmorea che si conserva in S. Francesca a Roma coll’ impronta di due pedate umane; le quali sono evidentemente fatte collo scalpello, allo scopo di conservare la memoria che S. Pietro stette su quella soglia innanzi al Tiranno, e quella soglia è stata sempre tenuta in venerazione dai fedeli. Tali monumenti che la pietà cristiana ci ha conservati quali opere sovrumane, anche spogliati dal pre- GIORNALE LIGUSTICO 233 stigio della miracolosa loro origine, rimarranno pur sempre degni di grande considerazione per la tradizionale testimonianza eh’ essi ebbero immediato contatto col venerabile personaggio di cui portano le traccie. Ciò posto, ci resta da considerare il S. Sudario come oggetto d’ arte rispetto alla sua antichità ed al suo merito. Ma per far ciò con qualche fondamento, è d’ uopo dare uno sguardo retrospettivo all’ arte antica ed all’ origine della Iconografia cristiana. L’arte antica, cioè greco-romana, tendente alla ricerca del bello visibile e plastico personificato nelle Deità del paganesimo, consiste tutta nell’ armonia e venustà delle forme. Al contrario , Γ arte cristiana del primo e secondo periodo tende assai più al sentimento ed all’ e-spressione che alla ricercatezza delle forme. I primi cristiani, ossiano i gentili convertiti alla nuova fede, non potevano avere in fatto d’ arte che idee pagane verso delle quali la nuova legge ispirava loro un assoluto abborrimento. Se-nonchè i nuovi credenti nell’ Uomo-Dio, seguaci della dottrina dell’ immortalità dell’ anima e delle relazioni della creatura col Creatore, provando il bisogno di esternare i propri sentimenti religiosi, ricorrevano ai mezzi grafici come i più efficaci ad essere compresi, e divenivano istintivamente e per amore artisti e fondatori di una nuova scuola, tracciando nelle pareti delle Catacombe (che possono chiamarsi la culla del-l’arte cristiana) simboli e figure di forme e concetti affatto nuovi e incomprensibili per gli artisti pagani. Da questi principii nacque una lenta elaborazione, eh’ ebbe per risultato la completa trasformazione di sistema e d’ispirazione nell’ arte , tanto che di pagana si tramutò in cristiana. Quindi è che se non fosse tenuto conto di questa metamorfosi, molti monumenti dei primi tempi cristiani e molti del medio evo,-che sono più interessanti per l’idea che per la forma, sarebbero per noi po:o piacevoli 0 inintelligibili. 234 GIORNALE LIGUSTICO Tra i graffiti e dipinti che i primi cristiani tracciarono nelle Catacombe è notevole il ritratto di Gesù Cristo, il il quale insieme con altre ligure ed emblemi costituisce il primo periodo della trasformazione dell’ arte. Egli è pertanto dal raffronto di questo primo tipo del Cristo con quello del nostro cimelio, che noi siamo condotti a riconoscere come l’uno combini esattamente coll’altro. In essi sono difatti uguali l’ovale oblungo della maschera, 1’ attacco e la forma della barba, la lunghezza del naso, il taglio degli occhi, la partitura dei capelli ; e da ciò può si dedurre, quanto alla sua antichità, che 1 artista cui venne affidato Γ incarico di colorire sulla sacra tela il volto di Cristo operasse giusta i connotati che avevano lasciati i suoi primi discepoli, quali si contengono nella Limosa lettera di Lentulo , che però i critici moderni vogliono apocrifa. Quanto al merito artistico, esso è grandissimo. La regolarità delle forme lo dinota una derivazione dell’ arte greco- O romana; e Γ esecuzione è tale che. mal si potrebbe definire. Domina in esso una certa fusione, che non permette di indagare il metodo tenuto dall’ artista; se ne eccettuiamo il contorno delle palpebre superiori, il quale ci appare fatto d’ un sol colpo dato maestrevolmente. Il colore è caldo , quale si conviene a chi appartiene alla razza araba ; ma essendo eccessivamente scuro, dee credersi che ciò possa essere effetto di alterazione prodotta dal tempo che tende all’ annerimento dei colori. Per ciò che riguarda al disegno, vi si riscontra una non comune intelligenza, massime nelle parti più difficili, come sarebbero lo scorcio del naso, la bella forma degli occhi e della bocca ; nella quale, per una singolare combinazione, si riscontrano gli stessi principii usati dall’ Urbinate nelle teste delle sue figure più nobili e spirituali. Lo sguardo dolce e penetrante ad un tempo, e la bocca atteggiata fra il grave e 1 amabile, conferiscono a questa testa un’ espressione che af- GIORNALE LIGUSTICO fascina. Tutto in questo bello esemplare dell’Iconografia cristiana cospira a dimostrare essere il medesimo una rara cd interessante prova dell’innesto dell’arte antica colla nuova. Imperocché tutto ciò che riguarda la parte tecnica e classica è maestrevole, e nulla ha di comune colla sistematica arte bisantina, la quale per la sua condizione jeratica è stata condannata ad una perpetua immobilità. Epperò priva d’ inspirazione, costretta a ripetere materialmente lo stesso tipo, si mantiene tale tuttora nella Grecia e nella Russia, ove dopo la conquista di Maometto II ha trovato rifugio e si è confinata, vivendo alimentata dagli stazionarli monaci del monte Athos. Quanto a sentimento ed espressione infine, il nostro Santo Sudario raccoglie tutti i più rari pregi di un’ arte ispirata alle fonti più pure ed eccelse ; per cui è da credere che il pittore Anano, spedito dal re Abgaro a Gesù Cristo, fosse un distinto artista dell’antica scuola convertito alla dottrina del Salvatore. Solò abbiamo a dolerci che 1’ uso dei bisantini di esprimere la loro venerazione alle sacre immagini col ricoprirle d’ oro e di gemme, abbia occultato nel nostro dipinto 1’ insieme della testa col relativo andamento e volume dei capelli, nonché l’intera barba; le quali parti, se fossero visibili, accrescerebbero indubitatamente ancora la maestà e bellezza del volto medesimo. Nonpertanto quest’ uso ci compensa assai largamente, col-l’offerirci un’ inapprezzabile saggio d’oreficeria del medio evo quale non si saprebbe rinvenire altrove. Esempio che mi richiama ad una importante ed ultima considerazione intorno alla preziosità del raro cimelio, anche sotto Γ aspetto dell’arte scultoria dello stadio bisantino che concorre a maggiormente nobilitarlo. Io, come già dissi, non mi starò a descrivere il delicato ed ingegnoso lavoro di ornamentazione; ma fermerò invece tutta 236 GIORNALE LIGUSTICO la mia attenzione alle dieci tavolette argentee di bassorilievo, a sbalzo e cesellate, che lo contorniano. L’artista cui l’imperatore Costantino Porfirogenito affidava questi lavori non era per certo un semplice orefice, ma sibbene uno scultore; e che tale dovesse essere si ha da desumere, non dalla materia di cui sono formati i bassìrilievi, ma sì dai modelli che egli creava rappresentando i soggetti propostigli,! quali per loro natura e per merito artistico conferiscono loro il carattere di opera scultoria. — Che in antico la orificeria fosse la madre di quasi tutte le arti grafiche e plastiche, e che le professioni di scultore, tonditore ed orefice si riunissero in un solo artista, risulta dall eccellenza dei bronzi greco-romani, sia di statue che di medaglie, di vasi e d’infiniti accessorii, che arrivarono fino a noi; come pure si evince dall’ uso che si mantenne in Italia fino al celebre Benvenuto Cellini. Ond’ è che facendoci a considerare il merito di queste sculture relativamente all’epoca a cui appartengono, non possiamo negar loro il tributo di una ben meritata ammirazione; imperocché in quel tempo, nella Grecia come in Italia, la scultura era scesa all’ ultimo grado di decadenza, e la numismatica stessa, che ha tanta affinità con quest arte, giaceva in una miserrima condizione. il tempo in cui furono eseguiti questi bassìrilievi corrisponde all epoca dei Carolingi in Occidente; e noi, che ben conosciamo con quale rozzezza i maestri d’ allora lavorassero nella scultura figurativa, non possiamo non apprezzare vie-maggiormente simili pregevoli prodotti della scultura orien-tale. Ammirabile é in essi una certa spontaneità di movenze nelle nguie, e la quasi assenza di quella durezza che è il ca-1 aaere speciale del tempo, nonché un tale intuito della prospetti^ da ìendeie interessantissimo il fondo di alcuni dei quadri; che tali piacemi chiamarli, perchè le figure non sono sempre adeienti al piano, ma più 0 meno rilevate secondo la esigenza del soggetto e della composizione, arieggiando quelli famosi GIORNALE LIGUSTICO 237 ohe Γ ingegno straordinario di Lorenzo Ghiberti ci ha lasciati nelle celebri porte del S. Giovanni di Firenze. V abbigliamento delle figure è quello che costantemente usarono gli artisti del medio evo, sia nella pittura che nella scoltura e nel mosaico, tanto nei soggetti religiosi, che nei profani. La tunica pertanto e la clamide 0 toga è il costume usato pel Cristo, per gli apostoli e pei santi e personaggi eminenti; la corta tunica per gli altri indistintamente, quando non trattisi di costume speciale 0 di rito. Il modo di indossare la clamide era poi cosi prescritto. Doveasi gettarla per un terzo della sua lunghezza sulla spalla sinistra, di maniera che questo cadesse sul davanti della persona ; il resto passando sul dorso e voltando sotto il braccio destro, doveva attraversare il petto diagonalmente, e gettato sulla spalla sinistra ricadeva all’ indietro. La parte cadente sul davanti sarebbe stata naturalmente incommoda per la sua lunghezza; ma passandola sovra il braccio sinistro e rilevandola tra questo ed il petto, veniva ad essere sostenuta dal braccio medesimo, permettendo al destro di rimaner libero nei suoi movimenti. Egli è in tal maniera che sono vestiti i personaggi rappresentati nei nostri bassirilievi, tranne in quelli dove il protagonista è un Vescovo, il quale perciò indossa gli abiti sacerdotali. Se si pon mente alla condizione eccezionale degli artisti cristiani, è facile rendersi ragione del perchè eglino vestissero in tal foggia le loro figure. Essi nonostante l’abborrimento per Γ antico culto, pur dovevano loro malgrado addottare negli abbigliamenti delle loro figure le tradizioni pagane. I bassi-rilievi della porta di bronzo alla Basilica Vaticana, importante monumento che papa Eugenio IV fece eseguire da Antonio Filarete, sono un esempio che viene in conferma di quanto sostengo. Oltrecchè la statua di S. Pietro entro la stessa Basilica , fusa d’ ordine di S. Leone I, appunto per essere così vestita diede pretesto ad uomini di mezzana istruzione e di GIORNALE LIGUSTICO malevole intenzioni di scrivere e ripetere a iosa altro non essere la medesima che la figura di un Console, oppure di un Giove, tramutato maliziosamente in un simulacro di S. Pietro da esporsi all’ adorazione dei credenti. Ora se, come ho dimostrato, l’artista dei tempi del Porfirogenito è scusabile per aver seguito l’uso di quelli che lo precedettero e dei contemporanei nel vestire le sue figure, debbesi invece altamente lodare pel modo con cui vi è riuscito. Quanto sia difficile di panneggiare con proprietà e naturalezza una figura, è ben noto a chi per poco sia iniziato nelle arti del disegno. L’arte di ben dirigere il naturale andamento del panno intorno alla figura, senza che le pieghe ne occultino le proporzioni o contraddicano ai movimenti delle sue membra e mantengano mi contorno esterno la forma che la posizione della figura stessa richiede, e di più il modo di ottenere tutto questo senza apparente artifizio, fu sempre una delle maggiori difficoltà per gli antichi come pei moderni. Difatti osserviamo che nella scultura greco-romana sono preferibili le figure nude alle vestite; perchè in queste, tranne pochi esempi, tutto è convenzionale nel panneggiamento. Però è da avvertire che la convenzione degli antichi deriva immediatamente dai canoni stabiliti coll esempio dai grandi maestri, profondi osservatori del vero, e che tali canoni erano sempre rigorosamente osservati. Aggiungi che di tratto in tratto ingegni privilegiati venivano provvidenzialmente a richiamare, coll’ efficacia delle loro opere, all osservanza di que’ principii senza dei quali l’arte sarebbe inevitabilmente precipitata al livello di un mestiere. E così avvenne nel medio evo. L’ arte coinvolta nella ruma dell Impero Romano, e mancante dell’ alimento del culto pagano che veniva atterrato dal Cristianesimo, era incapace di piodurre uno di quegli ingegni vigorosi atti a salvarla dal precipizio. Nè valsero a preservamela gli sforzi dei GIORNALE LIGUSTICO Papi, i quali impiegandola a servigio e decoro del nuovo culto cercavano con ogni cura di promuoverla e incoraggiarla, che lo scadimento era inevitabile; e mal provossi ad arrestarla eziandio la potenza di Carlo Magno, che era Γ arbitro del secolo IX, ed ostentava per le arti protezione ed amore. La gloria della loro restaurazione era riservata all’ Italia; la quale riusciva nel nobile intento, mediante quell’amore di libertà che la condusse all’emancipazione de’ suoi Comuni. Egli è perciò che quando ci è dato incontrarci in una scultura di quel tempo, quale si è quella di cui c’ intratteniamo, dove i difetti inerenti alle condizioni dell’epoca vengono assai mitigati, e le traccie di una buona scuola non sono del tutto cancellate, dobbiamo rallegrarci coll’ autore che la produsse ed essere riconoscenti alla fortuna che ce Γ ha conservata. In queste storie del S. Sudario, quantunque non scevre dai difetti de’ bisantini i quali specialmente nel panneggiamento seguono un metodo sistematico, si scorge appunto che 1’ artista non opera meccanicamente, ma procede con sentimento e conoscenza di principii; per cui se la piega non è modellata convenientemente, è però ragionata nella sua origine e nel suo sviluppo, di maniera che la figura non viene ad essere tormentata da linee trite ed inutili con pregiudizio del suo insieme e della sua movenza. Nè meno lodevoli sono le teste, le quali si chiariscono di bella forma ed abbastanza espressive e caratterizzate; come pure sono rimarchevoli le parti nude di alcune figure e le loro estremità, per essere .condotte con un certo senso di naturalezza e vigoria rara a riscontrarsi nelle opere del periodo bisantino. Aggiungasi che le piccole proporzioni crescono pregio all’ opera, a motivo delle maggiori difficoltà che l’artista dee superare nel render conto dei,minimi dettagli, specialmente nelle estremità. Dal che consegue che 1’ artista cui il pio Imperatore di Bisanzio affidava il dilicato incarico di nobil- 240 giornale ligustico mente fregiare la preziosa reliquia, doveva essere uno di quei rari ingegni i quali, se per le condizioni dei tempi non hanno la potenza di dare un migliore indirizzo all’ arte, hanno bensì il merito di tenerla in onore col rispetto e la pratica dei buoni principii. Dalle esposte considerazioni intorno all’ antichità ed al merito del S. Sudario stimo dover concludere, che questo insigne monumento, il quale da cinque secoli abbiamo la invidiabile ventura di possedere, è uno dei più rari tesori artistici e religiosi che si conoscano. Considerato quale oggetto sacro e venerabile, la tradizione secolare ce lo raccomanda come quello che ebbe contatto col \rolto del Divin Salvatore. Riguaidato poi come opera pittorica, esso è una vera rarità, sia pei la eccellenza del suo merito, sia per essere uno (e torse 1 unico) esemplare di quadri mobili dell’ arte antica; della quale tranne gli affreschi di Ercolano e di Pompei e delle 1 er me e dei sepolcri di Roma, tutto andò disperso nelle 1 ovine del Romano Impero. Che tale esso sia ne abbiamo poi la ceitezza storica negli scrittori armeni, compreso lo stesso segretario del Re Abgaro il Lcrubnase, che appunto lo afferma opera di quell’ Anano pittore inviato da Abgaro a Cristo pei ritrarne le sembianze. Il che aumenta vieppiù la sua importanza, e come ritratto archetipo e come saggio di pittura del più bel tempo dell’ arte greco-romana. Quanto è finalmente dell opera scultoria, dee questa senza dubbio aversi come la più bella e interessante prova dello stato della scultura a sbalzo ed a cesello innanzi al Mille, constatandovi splendidi vestigi della scuola classica. Onde noi genovesi possiamo andar superbi non solo di questo prezioso monumento, che è testimonio della potenza e pietà degli avi nostri, ma abbiamo altresì motivo di ìallegiarci del modo tutt’affatto speciale con cui fortunatamente si trova custodito. La sua custodia saviamente ordinata, ci offre tutta la sicurezza che esso sarà con- 241 servato alla patria nostra ed all’ammirazione degli amatori del bello per lo avvenire, come lo è stato fino al presente ; e ci è caparra che andrà immune dallo sperpero vergognoso il quale come da gran tempo si è fatto delle opere d’arte, così va tuttora facendosi in questa'nostra Italia con grave danno della civiltà e della grandezza nazionale. XI. Sezione di Archeologia. Tornata del 23 Marzo 1877. ‘Presidenza del Preside can. prof. Angelo Sanguineti. Il Preside comunica il disegno di una iscrizione rinvenuta recentemente nel territorio di Tortona, inviato alla Società dal benemerito collega cav. Cesare De’ Negri-Carpani. La lapide misura centimetri 34 di altezza per cent. 29 dwlarghezza, ed è così concepita: B M HIC REQVIESCIT IN PACE LAVRICI A Q.VI VIXIT AN. PL . M . VIIII RC . SV . V KL . MARTIAS L’ epigrafe, come ognun vede, è in così perfetto stato di conservazione, che neppur vi si desidera una lettera. Ciò che manca perchè non vi fu inciso, e che si fa desiderare, è uno di quei dati da cui si rilevi Γ anno al quale la pietra appartiene. Tace dei Consoli, che è ciò che ne interesserebbe, e fa conoscere il giorno del mese che per noi non ha importanza. Anzi anche il giorno del mese, benché sia notato nella sua più esatta forma latina, cade in quel breve periodo unico Giorn. Ligustico , Anno IV. 242 GIORNALE LIGUSTICO in tutto l’anno, degli ultimi di febbraio, che lascia dubbio qual sia più l’uno che l’altro fra due giorni. Infatti se l’anno era bisestile, il v kl . martias sarebbe il 26 di febbraio; se nò, il 2j. Le sigle Bviae Memoriae basterebbero di per sè a farci accogliere 1’ epigrafe come cristiana; ma qui si hanno pure la formola reqviescit in pace che è cristianissima , il recessit per obiit, verbo anch’ esso dell’ uso comune dei bassi tempi, e la preposizione sxb abbreviata colla soppressione del b. Ma ciò che parla anche più chiaro , è la sconcordanza del femminile lavricia col maschile qvi; senza dire che la forma speciale delle lettere C e L, e la maggiore altezza della T che si osserva nella seconda e quarta linea, ci permettono di assegnare, benché molto latamente, la nostra pietra fra il V e il VI secolo dell’ era volgare. Lo stesso Preside presenta pure la copia di una iscrizione rinvenuta jj[ 22 febbraio p. p. nell’antica Certosa di santa Maria di Loreto presso Savona, e comunicatagli dalla gentilezza del socio canonico Luigi Cerruti. Eccone il testo: ANNO DOMÌNI MCCCCLXXXX CAPPELLA CON SEPVLCRO MANFREDI DE FVRNARIIS CIVIS IANVE et filiorvm svorvm ae EIVS SVCCESSORVM DE COGNOMINE TANTVM ET PROGENIE FVRNARIORVM ITA Q.V0D VLLO MODO VNQVAM DEBEAT AD ALIAS TRANSFERRI PERSONAS QVE FVIT PRIMA FABRICATA IN PRESENTI ECCLEXIA TEMPORE Q.VO IPSE MANFREDVS RESIDEBAT IN SAONA. La sostanza della lapide non presenta altro interesse, se non che riguarda un nostro concittadino; e la chiesa cui il marmo appartiene é anch’ essa di poco più antica del 1490. Sappiamo infatti dalle Memorie storiche di Savona del Verzel- GIORNALE LIGUSTICO 243 lino (1) che la Certosa di Loreto fu edificata a spese di Stefano Embruno, cittadino savonese, per voto da lui fatto nel 1479. Manfredo De Fornari, figlio di Nicolò e padre di un Alessandro , esercitò in Genova più cariche delle principali nella Repubblica fra gli anni 1480 e 1519, come di anziano, consigliere, custode del Sacro Catino, protettore dell’Ospedale, delegato alla fabbrica della chiesa di san Sebastiano, ecc. (2); ma non apparisce che avesse mai alcuna commissione governativa in Savona. Dall’ espressione della lapide sembra soltanto rilevarsi che la sua residenza in quella città abbia avuto luogo in tempi anteriori alla fondazione della cappella. Il socio Belgrano dà lettura, a nome del socio corrispondente prof. Girolamo Rossi, della Prefazione alla Bibliografia degli Statuti della Liguria compilata da quest’ ultimo. Accenna all’ utilità degli studi concernenti all* antica legislazione statutaria dei nostri Comuni, e dice quanto si avvantaggiassero ai dì presenti, per Γ opera dotta e amorevole di società e di di eruditi nazionali e stranieri. Tocca delle principali pubblicazioni, che sono appunto il frutto di tali studi; e fa onorata menzione del nostro ab. G. B. Raggio , che nei Monumenta Historiae Patriae mandò in luce il Breve Consolare genovese del 1143, arricchendolo di note importanti. A porgere un quadro completo della legislazione medio-evale, sembra al Rossi che nella Bibliografia da lui impresa, alle notizie sugli statuti si debbano far precedere quelle su le carte di franchigia concedute da’ principi e da’ feudatari alle città e terre sottoposte al loro dominio; avvertendo che « scopo della più parte di esse si è la sanzione del diritto di libertà perso- ^J Mss. nell’ Archivio di Stato e nella Biblioteca Civico-Beriana. (2) Federici , ^Abecedario delle familie nobili ecc. Ms. della Biblioteca della Missione Urbana. 2-H GIORNALE LIGUSTICO ule, e di quello di disporre dei propri beni; donde rampollano alcuni principii di diritto civile, e segnatamente del diritto di successione. Segue d’ ordinario Γ indicazione degli obblighi e delle prestazioni, onde i membri della costuma si legano inverso del feudatario ; e fra queste ultime, quelle da incorrersi nel caso di perpetrazione di qualche delitto sogliono recar seco prescrizioni di diritto penale e d’istruzione criminale ». Quanto è della Liguria, avvisa il Rossi la più antica di così fatta maniera di franchigie esser quella dell’anno 1040, in virtù della quale Ottone e Corrado conti di Ventimiglia ratificano una carta di libertà conceduta da Ardoino marchese d’Ivrea agli uomini di Tenda, Saorgio e Briga in sul principiare del secolo. Seguono per lo stesso secolo, la conferma delle consuetudini agli uomini di Genova fatta nel 1056 dal marchese Alberto di Opizone; le franchigie largite nel 1072 dal marchese Bonifacio di Clavesana agli uomini del castello di Diano; quelle concedute, 0 meglio rinnovate, nel 1084dal marchese Bonifacio agli uomini di Savona. Nessuna città italiana avendo (sì come nota il Muratori) pensato a raccogliere i propri statuti prima della pace di Costanza , avverte il Rossi essere quasi impossibile di riuscire per altra via che quella delle accennate carte a far tesoro di deposizioni legali riguardanti l’età precedente ; mentre per iJ epoche posteriori, se pur se ne incontrano ancora, non si riferiscono più che alle povere popolazioni de’ castelli subur-' -ai, dove si erano rifugiati e resi forti i discendenti de’ Conti .tati espulsi dalle città. Ed anche di sì fatta specie di carte produce alcuni esempi, che vanno fin presso al termine del ciolo XIV. Venendo a ragionare dell’ importanza degli statuti, osserva c’ic questa è varia, a seconda dell’antichità e del luogo cui .. riferiscono; e tocca di due esempi d’unificazione delle an-r z'ìt leggi, che ci porgono gli statuti di Monaco raccolti e GIORNALE LIGUSTICO 245 promulgati da quel principe Ludovico Grimaldi nel 1678, e gli altri emanati pe’ feudi dorieschi dal principe Gio. Andrea III D’Oria nel 1736. Spiega per ultimo il disegno a cui s’informa la sua Bibliografia·, la quale egli ha divisa in due parti, destinando la prima a registrare cronologicamente i titoli delle carte di franchigia e di tutti gli statuti stampati o manoscritti, e serbando la seconda all’*esame storico-critico dei medesimi. LETTERE DI CHIARI LIGURI TRATTE DAGLI AUTOGRAFI ED ILLUSTRATE DA G. BlGONZO E P. FaZIO I. Al Padre Angelico Aprosio da Ventimiglia, a Venezia (i). Molto III:1 e M.‘° R.d° Sig. mio Oss.mo, Ringrazio V. S. infinitamente del libretto del Tansillo (2), mandatomi con tanta prontezza, sì come La ringrazia quel mio amico per cui ha da servire. Se di qui io vaglio, V. S. non risparmi occasione alcuna, ch’io La servirò con pari affetto. Le robbe del Valente, per la malvagità della stagione non sono ancora venute; le sto attendendo per ricevere i libri (1) Angelico Aprosio, agostiniano, sorti i natali in Ventimiglia ai 19 d’ottobre del 1607, e mori ai 23 di febbraio del 1681. Veggasi Maz-ZUCHELLI, Scrittori d’Italia, tomo I, parte 1.* — Tutte le lettere che si pubblicano sono conservate nella autografoteca della R. Biblioteca Universitaria di Genova. (2) Luigi Tansillo, noto poeta italiano. 246 GIORNALE LIGUSTICO che V. S. e cotest’ altri Signori mi hanno favorito. È veramente Sig.re amabilissimo il Sig. Morando (1), e quanto più V. S. lo praticherà sempre Le riuscirà maggiore; tali conseguenze porta seco la virtù. Dal Padre Bernardi (2) non ho ancora avuto il libro, di che V. S. mi avvisa, a suo tempo gliene darò conto, sebben vorrei che V. S. se ne venisse a repatriare, come mi dà speranza. Intanto Le bacio le mani, e Le prego da Dio benedetto osni bene. O Di V. S. M.'° 111.* e M.’° Oss.mi Genova , li 51 Gennaro 1644. Aff.™ Scr.' Luciano Borzone (3). ^i) Conte Gian Carlo, letterato annoverato dall’Aprosio tra i suoi cordialissimi amici. (2) D. Basilio, Chierico Regolare Teatino, amatore di libri. Yed. Biblioteca Aprosiatia, pag. 95. (5) Luciano Borzone, pittore, nacque in Genova l’anno 1590, e vi mori l’anno 1645. Fu molto lodato per la sua valentìa nella pittura, e per la sua istruzione letteraria. Dettò parecchie poesie, alcune delle quali assai bizzarre in idioma genovese, si leggono insieme a quelle di Giangia-como Cavalli. Fu in corrispondenza con più letterati italiani, ed alcune lecere a lui dirette dallo Stigliam mostrano come egli avesse tolto carico di tar ristampare dal Pavoni in Genova il Mondo Nuovo di quel poeta; il che poi non avvenne per gli intrighi dei marinisti, e il Borzone da amico fattosi nemico allo Stigliani, s’ebbe da lui una pepata lettera. {Yed. Lettere dillo Stigliarli, Roma 1651, pag. 241-48). Di Luciano nacque tra gli altri Francesco, pittore assai celebrato, specialmente in Francia, dove visse ai servigi di Luigi XIV (Yed. Ratti, Vite ecc., L 254). Ci piace riportare qui due lettere inedite di quel Re alla Repubblica di Genova, che lo riguardano. I. Tres chers et grands amys. L’experieace et l’habilité que s’est acquis dans la peintnre le Sieur Borzoni Xous ayant conseies de l’employer pour GIORNALE LIGUSTICO 247 II. Allo stesso a Venezia. M.‘° lll.re e M.‘° Sig.°r Sig.°r mio Oss.mo, Dal P. D. Basilio de Bernardi, mi fu presentato il libro Sferra poetica (1) di che V. S. mi ha favorito. Lo vado leggendo con mio grandissimo gusto, così per la maniera dello nostre Service, et luy donner la charge de l’un de nous peintres ordinaires, Nous avons bien voulu-vous le recommander comme l’un de nos officiers ; vous asseurant que le soing que vous prendres d’appuyer ses interets de vostre credit et vostre authorité, et de luy procurér une prompte expedi-tion des affaires qu’il a a Gennes, Nous sera bien agreable. Sur ce Nous prions Dieu qu’il vous avt, tres cheres et grands amis, en sa sainte et digne garde. Escrit en nostre Chasteau de Vincennes le 20 aoust 1664. Louis. De Lionne. II. Tres chers et grand amis. Ayant ordonnè ou nommé Borzon nostre Peintre d’aller faire un vovage en Italie, tant pour en tirer certame quan-tité de Marbré dont Nous avons besoin, que pour divers autres commis-sions concernant sa profession dons Nous l’avons chargé; Nous aurons bien agreable que dans les rencontres ou il sera obligé de recourir a vous pour luy faciliter Pexecution de nos ordres, vous luy donnez la pro-tection et les assistances que Nous debvons Nous promettre de l’affection que vous Nous tesmoignez en toutes occasions, a quov Nons asseurant que vous serez bien disposez, Nous prions Dieu qu’il vous ayt, tres cheres et grands amys, en sa saint et digne garde. Escrit a Paris le 29 jour de Februier 1669. Louis. De Lionne. Arch. Reg. Lettere Principi, Mazzo 5. (1) Sferra Poetica ài Sapricio Saprici lo Scantonato Academico Eterocli-tico (P. Angelico da Aprosio da Ventimiglia), per risposta alla prima Censura delTAdone del Cav. Marino, fatta dal Cav. Tommaso Stigliani. In Venezia, nella Stamperia Guerigliana, 1643, in-12.0 248 GIORNALE LIGUSTICO scrivere, come per la frequenza dell’ erudizione. Sempre più V. S. mi carica di obbligazioni, e pure Ella sa eh’ io non ho maniera da potermene liberare. Comunque siasi, V. S. sappia, che se mi onorerà dei suoi comandamenti, Le farò vedere tale affetto, eh’Ella non mi biasimerà per difetto d’ingratitudine. Mi ami intanto V. S. al solito, e mi comandi sempre. Di V. S. M.t0 Ill.re e M.'° Oss.™·1 Genova, li 17 Aprile 1644. Luciano Borzone. III. Allo stesso a Genova. M.‘° Ill.n et M:° R.do Sig.re Sig.r‘ Colend.mo, Io mi ritrovo molto obbligato alla gentilezza di V. S. per il regalo fattomi della bell’ opera di Monsignor Bonifacio (1), come parimente alla cortesia di quell’Autore, che nel suo libro mi ha più volte onorato. Ne rendo all’ uno ed all’ altro le dovute grazie, come anco particolari a Lei per gli avvertimenti che mi porge intorno alla materia delle Lucerne antiche , de quali si può far menzione nelle aggiunte da farsi nella seconda edizione di quel mio volume, che si è preso assunto di ristampare il signor Cotnbi (2). Vidi mesi sono li due tomi di Mons. Scacchi (3) prestatimi dal signor Toldo Constantini (4)3 poiché dal P. Don Aloise Novanni Thea- (1) Baldassarre Bonifacio, chiaro letterato dei suoi tempi, compose molte opere piene di erudizione. (a) La prima edizione T)e lucernis antiquorum reconditis vide la luce in Venezia nel 1621, e la seconda con varie aggiunte in Udine nel 1650. (3) Dotto filologo ed antiquario. (4) Monsignore, oriundo di Serravalle. GIORNALE LIGUSTICO 249 tino (1) , mi fu richiesta la esplicazione della Lucerna ivi posta, massime di quelle tre L. C. I. notate sotto quel sacrificio, le quali lo Scacchi dice di non intendere, sì come nel Casali (2) le dichiara. L’ ho esplicate, e Dio voglia che bene: parimente vidi nello stesso Scacchi la Lucerna, con una donna ignuda, attorniata da un cerchio fatto di zucche, la quale parimente mi sono ingegnato di esplicare. Ho poi nel volume del Casuli, prestatomi da Mons. To-masini, osservato parecchie altre figure di Lucerne antiche, alle quali ho procurato di fare la convenevole dichiarazione, et ho mandato Γ istesso libro, col consenso di Mons. To-masini, al signor Combi, acciò faccia disegnare e intagliare le figure di tutte le Lucerne ivi poste, e da me dichiarate ; il che quando sarà compito, subito eseguirò la volontà di esso signor Tomasini (3) circa la restituzione del suo libro. Nel resto se V. S. ci ritrovasse qualche altra bella Lucerna antica, la quale fosse capace di nobile dichiarazione, e si compiacesse di farmela vedere, ovvero mandarmene la sua figura, io lo riceverei a grazia particolare, et gliene terrei particolare obbligazione. Con che la riverisco di tutto cuore. Di Ϋ. S. M'° Ill.re e M.t0 Rev.da Padova, 2 Gennaro 1647. Dev.mo Serv.rt Fortunio Liceti (4). (1) Nacque in Verona nel 1595 ed ivi mori nel 1650. Fornito di ferace ingegno dettò tanti volumi, che al dire di Lorenzo Crasso (Elogi d’uomini letterati; Venezia 1666, in-4.0) lunghissima vita d’nom faticoso appena basterebbe a trascriverli. (2) Dotto antiquario romano. (3) Nacque a Padova nel I597> morì nel 1654 a Città Nuova in Istria, dov’ era vescovo. Tra le diverse opere ei lasciò : Agri Patavini Inscriptiones; Historia Gymnasii Patavini; Tractatus de tesseris hospitalatis. (4) Fortunio Liceti nacque il 3 di ottobre del 1577 a Rapallo, e mori ottuagenario a Padova il 17 di maggio del 1657 ; filosofo e medico, venne chiamato per antonomasia la Fenice degli Ingegni. Compose non meno di 77 opere stampate in parte e molto ricercate ai suoi tempi. 250 GIORNALE LIGUSTICO IV. « Allo stesso a Ventimiglia. MADRIGALE Per un certo Talpa, ladro degli altrui scritti. Una Talpa tu sei, E pur conviene al Ladro esser occhiuto, Come dunque in rubar sembri sì astuto? Forse credi sia Notte, e il Ladro sai, Ch’ odia del Sole i Rai? Ben nei tuoi fasti, han sempre l’ombre regno, Se sì oscuro hai ΓIngegno. Molto mio R.d° Padre, e S.re On.'"0, Quando lasciai V.ra M.'° R.da Paternità, richiesi per servire al suo comandamento, anche per la via, un madrigale alla mia Musa in lingua genovese ; ella servì me, ma volle comporlo nell’idioma toscano; che colpa ho io? Credo però, che così innocente come io mi sono, quel ladro che me non può bestemmiar con. le mani, bestemmierà con la lingua. Se però egli è ladro, mentre la diffinizione del ladro, è solo, chi toglie altrui di nascosto, e i suoi furti sono a tutti palesi, io vorrei una volta gir in sua casa, non già per ivi porre in opra qualche furto, chè in casa dei ladri, è cattivo rubare, ma solo perche se la comodità fa ladro egli deve avere una bella libreria, e io di ciò son vago. Verrò un giorno a veder quella di V.ra M.'° R.da Paternità ; intanto legga il madrigale, e mi tenga per suo parzialissimo servitore. Di V. M.t0 R.da Paternità. Di casa, 11 Ottobre 1648. Ser.re Parzialissimo Pier Giuseppe Giustiniano (i). (1) Pier Giuseppe Giustiniani fu amico del Chiabrera, dal quale venne onorato di due Sermoni, il primo dei quali incomincia cosi : GIORNALE LIGUSTICO 25I V. Allo stesso a Ventimiglia. M.‘° R.do Padre P.ron mio Oss.mo, Benché 10 mi ritrovi divertito da noiose liti domestiche, non lascio tuttavia d’applicar Γ animo talvolta agli affari letterarii; sto perciò proseguendo il lavoro della seconda parte degli Scrittori Liguri (1) con quelle poche notizie che mi sono rimaste, e con Γ altre che si vanno giornalmente adunando. In ordine alla quale vorrei, che la P. V. mi continuasse le relazioni che tiene degli Scrittori, così stampati come da stamparsi, essendo io pronto di inserire le stesse parole delle relazioni, 0 la sostanza di esse nella maniera che Ella più inclina. Potrà riflettere sopra gli Scrittori stampati dal signor Soprani, e dilucidare qualche cosa da lui detta che non suste Giustiniani, a cui mio buon destino Mi fece amico, le parola ascolta » ecc. Nell’Accademia degli Addormentati di Genova, si chiamò l’Intirizzato. Ci lasciò egli parecchie poesie come: Il Canzoniere, alla maniera del Petrarca, le Odi Toscane, le Odi encomiastiche e morali, e le Rime varie nelle Coronazioni di diversi Dogi di Genova. Ci lasciò pure le Prose alla moda, dettate in uno stile ampolloso. . Nel voi. Ili, pag. 153 delle Lettere Memorabili dell’abbate Michele Giustiniani, edite in Roma nel 1667-75, havvene una di Matteo Pellegrini, primo custode della Bibliotera Vaticana, all’abbate Michele che contiene alcuni cenni biografici intorno al mentovato Pier Giuseppe; porta la data del 16 giugno 1651, e comincia cosi: Ecco in questo foglio descritto a V. S. Illlustrissima il nostro Pier Giuseppe Giustiniani: ben degno di vivere nella memoria de' secoli tanto per le virtù dell’ animo, quanto per la gloria dell’ingegno ecc. (1) Gli Scrittori Liguri, dei quali pubblicò in Roma la prima parte (A-G) nel 1667, dedicandola al Governo genovese. La seconda parte (H-Z) di cui parla nella presente lettera, non è mai stata pubblicata. 2$2 GIORNALE LIGUSTICO siste, ovvero aggiungere quelle particolarità da lui non toccate, specificando le Patrie e le qualità degli Scrittori, i tempi e luoghi della nascita, e della loro morte, affinchè mi possa regolare e corrispondere all’ obbligo d’accurato storico. Potrebbe ancora insinuarmi, per la cognizione eh’ Ella tiene, li compatriotti che si dilettano d’ avere simili notizie per ricercargliele , e sopratutto V. P. faccia una buona notomia sopra gli errori occorsi nella prima parte degli miei Scrittori, per emendarli nell’ aggiunta che farò e registrerò nella seconda, non avendo io potuto avere considerabili notizie nello spazio di otto giorni che mi trattenni in Genova 1’ anno passato. Proseguisco parimente il breve racconto degl’ Accademici Humoristi (i), per il quale potrebbe la P. V. somministrarmi le notizie che ne tiene, e gli Scrittori che fanno menzione d’essi, e delle opere stampate, specificando i luoghi dove si conservano 1’opere manoscritte, dopoché son morti; il che serve ancora per gli suddetti Scrittori Liguri, affinchè i lettori possano vederle se n’ hanno curiosità, ed accertarsene parimente della verità. Fra le lettere che compongo per registrarle nel quarto Tomo (2), che quanto prima si stamperà, ve n’ è una contro il canonico Campi, che pretende nella sua Historia Ecclesiastica di Piacenza, di provare che Christoforo Colombo sia stato Piacentino, e spero di far apparire vana la sua pretensione. Mi significhi V. P. ciò che sa del P. Poggi (3) fondatore, (r) Non pubblicato. (2) Lettere Memorabili; Roma, 1667-75. Pubblicati soli tre volumi. (3) Intorno al B. Gio. Battista Poggi, Agostino Giustiniani, accuratissimo annalista genovese, ci lasciò questa memoria. « In questo tempo (cioè l’anno 1472) fiori il molto venerando padre, frate Battista di Genova, della casata Poggio, dell’Ordine di S. Agostino, di osservanza religiosa certamente da Dio ben dotato e di integrità di vita, e di conveniente dottrina, siccome per le sue molto degne opere si può chiaramente co· \ GIORNALE LIGUSTICO se non m’inganno, della Congregazione in Lombardia del suo Ordine di S. Augustino, perchè credo che si potrebbe parlar di Lui negli Venerabili della Liguria (i). S’ aspetta quanto prima Γ uscita della stampa dell’ Atheneo Ligustico, compilato dal P. Oldoini (2). Mentre alla P. V. bacio affezionatamente le mani, et auguro da Dio veri conforti. D. V. P. M‘° R.da Napoli, 4 Settembre 1679. Aff.“'° Serv.T‘ di cuore Abb. Michele Giustiniani (3). VARIETÀ Andrea da Sestri ingegnere militare. — Il chiariss. sig. cav. Michele Caffi ci comunica gentilmente il documento noscere, perchè come molto desideroso del religioso e riformato vivere, per opera di Dio sotto titolo di S. Maria di Consolazione, ha istituito e fondato una degna congregazione di osservanti di S. Agostino, che portano li zoccoli, con maggiore strettezza e povertà di molte altre osservanze » ecc. Lo stesso annalista ci fa sapere che questo zelantissimo Agostiniano fondò non meno di dieci monasteri. Egli morì il 31 maggio del 1497, giusta la seguente iscrizione ricordata dal Gandolfo nella sua 1Dissertatio historica de ducentis celeberrimis Augustinianis Scriptoribus, (Rome 1704): — B. Fr. Joannes Baptista Podius Genuensis, Congreg. S. Mariae de Consolatione institutor 14η!. Obiit pridie Cai. Junii 1497. (1) I Venerabili della Liguria, opera non mai pubblicata. (2) Oldoini Aug., Atheneum Ligusticum seti Syllabus Scriptorum Ligurum etc. Perusiae 1680. (3) Michele Giustiniani nacque in Genova ai 10 d’aprile del 1612 d’ una famiglia patrizia, che si vantava di discendere dagli antichi sovrani dell’isola di Scio. Ottenne la laurea in ambe le leggi, fu Vicario Generale, Capitolare ed Apostolico in Aleria (Corsica), e poscia Abbate. Versatissimo com’egli era negli studii, dettò moltissime opere, che ove le avesse compiute tutte e date alla luce, avrebbe fornito agli studiosi una pregevole Biblioteca storica. Venne meno ai vivi nel settembre del 1679. 254 GIORNALE LIGUSTICO che qui pubblichiamo, da lui trascritto dall’ originale che si conserva nell’ Archivio milanese di Stato (Archivio dei Duchi di Milano), valendo a darci contezza di un nostro ingegnere militare del quale non ricordiamo di aver letto in altre carte il nome. 111."0 et Ex."0 Sia;, mio sinsr."0 o o In esecutione de la instructione me ha dato de ordine de la Ex. V. il S.re Conte de Caijathio circha la revisione dele castelle del Gienoese, heri sera gionsero qui m. Marco Antonio Malvezzo e mi de verso la rivera de ponente ne la qualle habiamo revisto le forteze de Saona, Noli e Ventimiglia, e in ciascuna facto le mostre de ogni cossa, et examinato qualle si converia per loro fortifkhatione e repparatione in ogni caso quelle potesse occorrere circha le offensione de jnimici ; e del tuto, excepto del modo de li reppari e bastioni, ne ho lassato il caricho al dicto m. Marcilo Malvezo qualle ne scriverà a complimento et secondo il parer de maestro Andrea da Sestri jnzignero e bombarderò qualle ho conduto cum mi per saver il suo parere, cum il qualle ho voluto examinare quanto ha judicato e designato il dicto m. Marco Antonio. La Ex.1 V. se ne potrà molto repossar, per haver demostrato haver gran inzegno e praticha in simile cosse, corno quella meglio potrà judicare per quello che luij scriverà circha questo facto. Ne la bona gratia de la Ex.1 V.1 humilmenti di continuo me ricomando. Genue, 16 maij 1496. E. IU."' D. V. Minimus seruitor Gaspar de Nigris. (A tergo) Ill.mo et Ex.m£> principi domino domino meo sing.mo domino Ludovico M.e Sphortie Anglo Duci Mediolani etc. Una mitragliatrice? — Il padre Vincenzo Coronelli, celebre cosmografo veneto, ebbe corrispondenza colla Repubblica di Genova e per la compilazione del suo Atlante e per la sua Biblioteca universale, il cui sesto volume dedicò appunto al. Governo genovese ricevendone in dono una ricca collana d’ oro (r). Or egli, seguendo il costume di moltissimi di (t) Archivio Veneto, tomo XI, par. II. giornale ligustico 255 quella età, proponeva alla Repubblica una macchina guerresca che molto assomiglia a quelle mitragliatrici onde fu fatto esperimento dai francesi nelle battaglie del 1870. Ed ecco senza più quanto il Coronelli scriveva intorno a ciò a Francesco Maiia D Oria, autore ben noto della Storia di Genova dal trattato di Worms alla pace d’A cquisgrana. 111·“° Sig.r Padrone Col."”, Come la sorte mi ha destinato per autorevolissimo Mecenate della Dedicatoria, che della mia Biblioteca feci a codesta Ser.”* Repubblica la Persona di V. S. 111."*, con il credito della quale spero eh’ incontrerà anche fortunato aggradimento ; così faccio ricorso ora fiducialissimo alla medesima, perchè credendo proficuo a cotesto Principato 1’ inventione accennata nell accluso foglio, si degni colla somma sua prudenza istruirmi del modo che devo tenere per fargliera proponere, 0 pure se V. S. 111."1 vuol assumerne l’impaccio. L’inventore non vuol essere nominato, ancorché sicurissimo dell’ esito di quanto propone, se prima non è certo d’incontrare il pubblico aggradimento ; allora sarà pronto di fargliene 1’ esperienza. L’ inventione per anche non è stata palesata a chi si sia, nè sarà fatta manifesta che colle debite cautele. Renovo in tal occasione a V. S. 111.®» profondissimi i miei rispetti, co’ quali mi soscrivo Di V. S. IH."* Venezia, 19 febbraio 1707. Ubb."° Obb."° Servitore F. V. Coroxelli. N. propone Macchina, colla quale un solo soldSto, senz’alcun ajuto de’ cavalli, nè di nessun altro, potrà condurre per terrà in pianura, cento e più moschetti, ancorché ciascuno fosse più pesante di cento libre, e più lungo del consueto. Anzi quanti più moschettti saranno e che più peseranno, daranno più facilità, e meno forza a chi li trasporterà. Questi si potranno con qualche maggior prestezza caricare di polvere e di palla, toties quóties occorrerà, e sbarrare dal solo medesimo soldato, o tutti in uno stesso istante, 0 pure 1’ un dopo 1’ altro coll’ intermedio di tempo che piacerà, colpendo a quel preciso segno che gli sarà prefisso, e ferendo col solito effetto. Et si come un solo soldato, 0 ogn’ altra persona può solo condurre, sbarrare e maneggiare cento e più moschetti, e la Macchina stessa, riti- 256 GIORNALE LIGUSTICO randola e trasportandola ove più sarà necessario: così potransi moltiplicare le macchine per disponerle in siti diversi, ovvero sostituirle alle altre, per ricaricare quelle fossero sbarrate. Sarà in oltre la Macchina durabile per molti e molti anni, ancorché di solo costo di scudi quaranta incirca. Servirà parimente questa in qualche modo di trinciera per difendere o scoprire da insulti nemici chi la maneggia. Esimerà dalle spese in necessità della consueta incassatura delle canne de’ moschetti e della fornitura degli accialini; le quali canne saranno con tal invenzione molto più riparate dalla ruggine, e dall’ umidità. Nè dalle pioggie possono ricevere alcun minimo detrimento, come fossero sotto al più cautelato coperto. La Macchina sarà guidata da un solo soldato come sopra, il quale non ostante potrà camminare, e fare le solite giornate, con quella sollecitudine che può marciare avendo un sol moschetto su le spalle, solo però in pianura ; ma che anche si potrà condurre per i monti, ma non con uguale facilità- Di più qualsivoglia altra persona con altra macchina alla predetta consimile, ma di minor spesa, potrà condurre colla medesima facilità diecimila e più libbre di polvere , ma meglio riparata dal-1’ umidità e dagli casuali incendii, di quello hora si fa trasportandosi nei soliti barili. Poi con ugual facilità e spesa si potranno parimenti da una sol persona trasportare palle di moschetto, farina, grani e diverse altre cose, ancorché oltrepassassero il peso di diecimila libbre. Anzi quanto maggiore sarà il peso, tanto più con facilità si potrà da un solo trasportare. Questa medesima macchina può servire ne’ bastimenti sopra il mare» potendosi affacciare a qualunque bordo 0 parte della nave, nella quale occupe rebbe poco più sito di quello occuperebbero i moschetti medesimi se fossero incassati. Ma con questa differenza che rinchiusi nella Macchina non possono essere danneggiati, anche trattenendola per sempre sopra coperta, ed ancorché fosse pugnata dalle onde del mare ovvero dalla pioggia. I Collegi cui ai 16 marzo era letta così la lettera come la la .proposta ordinavano fosse dal D’Oria risposto al Coronelli « che trattandosi di macchina atta alle pianure, non stimasi a proposito là medesima per la situazione in quale si trova il Dominio della Serenissima Repubblica » (1). (1) Arch. Regio. “Rerum Publicarum, filza ad annum. Pasquale Fazio Responsabile. giornale ligustico 257 BARTOLOMEO DE SALVO DA GENOVA INGEGNERE MILITARE DEL SECOLO XV Degl’ ingegneri ed architetti militari che resero grande e riverito anche presso alle altre nazioni il nome italiano parecchi hanno scritto, e negli anni più a noi vicini Angelo Angelucci e Mariano d’ Ayala. Il grande Archivio pubblico di Milano ed il comunale conservano memorie e documenti, che possono recare nuovi ed importanti lumi in tale materia e dai quali noi pure ricavammo notizie di persone e di fatti utilissime alle nostre ricerche storiche. Recentemente abbiamo rinvenuto nel Libro XII delle così dette Missive, ossia Lettere ducali, le cinque seguenti che pubblichiamo e concernono un ingegnere genovese Bartolomeo de Salvo (ovvero Salvi) valentissimo in aqua et industrioso ; il quale e come idraulico e come meccanico era stato mandato dal Doe;e di Genova al Duca di Milano Francesco Sforza I/ per operare nel fiume Adda, a danno dell’ armata dei veneziani in quel tempo guerreggianti contro i milanesi (1452). Questi ultimi tenevano allora, come apprendiamo da queste lettere, i loro accampamenti a Leno e a Calvizzano neha provincia bresciana. Dell’ ingegnere Salvo non abbiamo rinvenuta altrove alcuna memoria; nella stessa sua patria lo trovammo ignoto, eppure doveva essere un valent’uomo se per opere di guerra veni\a dal Doge di Genova inviato al Duca di Milano, probabilmente dietro ricerca di questi. Giorn. Ligustico , Anno IV. GIORNALE LIGUSTICO I. (fogl. 2)7) Domino Alexandro Sfortie (omissis) ......Insuper habiamo qui uno maestro ingegnerò (Bartolomeo Salvo) quale ne ha mandato el Serenissimo Duce de Zenova, quale e valentissimo in aqua et industrioso, al quale vogli fare carezze et honore circha el suo vivere, et non sia fatto corno ad quello Balestrerò venne ad proferire circa lo ponte, et la bastita etc. che pur voglimo che adda e grossa, et tucta hora ingrossa più ponere ogni studio et pensiero si per via de armata (i) o ciatte o zepate o ligni et arbori tagliati se si potessi guastare lo ponte de Cerreto (2) et per questa cagione mandiamo la dicto maestro. Datum in Castris apud Lenum die ultimo Septembris 1452. Jacobus. II. (fogl 247) Spectabili Militi et Egregio Doctori Dominis Locumtenenti et Referendario Laude dilectis nostris. Mandiamo la Maystro Bartholomeo de Salvo inzignero zenovese per exequire alcune cose importante al Stato nostro corno e informato Alexandro nostro fratello. Pertanto desiderando noy che sia acarezato, et non altramente ben tractato che noy stessi. Volimo che subito gli trovate una stancia in casa de qualche valenthomo, qual gli facia bona compagnia et voy referendario provedetili de le spese bene et diligentemente. Ita che non gli manchi cosa alcuna, più corno ad nuy propri). Et vuy Locumtenente andate almanco ogni duy dì una volta a vedere corno el sera tractato, proferendoli sempre ogni cosa che gli mancasse. Et demum fate chel conosca che 1’ havimo caro. Ceterum molto ne maravigliamo che vuy referendario may non ne habiate may mandata la descriptione de li Rebelli secundo ve e stato tante volte scripto. Et ideo volimo che subito ce la mandate, et ne avisate de la cagione che non haviti mandata fina mo. Ex Castris apud Lenum XI octobris 1452. Cichus. (1) Per armata intendi batteria da guerra. (2) Cereto, villaggio del Lodig.iano ov’ era una insigne Badia di Cisterciensi di cui esist ancora la chiesa simile nella costruzione a quella di Chiaravalle presso Milano. La chiesa di Cereto contiene ancora qualche buon dipinto, fra i quali uno bellissimo di Calisto da Lodi. GIORNALE LIGUSTICO 259 III. (fogl. 249, tergo) Domino Alexandro Sfortie. Nuy credevamo che tu havessi menato cum te Magistro Bartholonieo inzignero zenovese secundo lordine dato. Ma non siando venuto te lo’ mandiamo. Caricandole che tu lo accarezi et facij fare bollissimo traciamente non gli lassando manchare più che faresi a noy proprij. Advisan-dote che havimo scripto per nostre dupplicate a li nostri Locumtenente et Referendario li quanto bisogna circha ciò. Siche vedi che se facia tucto per tractarlo bene. Ex Castris apud Lenum die XIII octobris 1452. Cichus. IV. (fogl. 2}6, tergo) Referendario Laude. Havimo recevuto le vostre littere: et inteso quanto per esse ne scriviti ve respondemo. Primo ala parte de Maestro Bartholomeo de Salvo quale havimo mandato la della grata acogliencia li haviti facto corno ve scripsemo. Et perche non habia caxone de allargarsi cum niuna persona de quello ha in comissione da nuy lo haveti accepto in casa vostra che haveti facto bene et ve ne comendiamo. Et cossi siamo contenti perseverati in tenerlo in casa vostra. Facendoli honore et careze corno per altre nostre ve havimo scripto. Datum in Castris apud Calvisanum XXII octobris 1452. Marcus. Cichus. V. (fogl. 264). Nicolao de Palude. Havimo inteso quanto tu ne hai scripto circa lo facto de quello inge-gniero zenovese : dicimo che nui havimo scripto a Milano ad Angelo Si-moneta nostro Secretario che debia fare al dicto ingegniero chel sia satiffacto de quello monta la victura de quello roncino che lui ha tenuto et ultra ciò che gli facia dare tanti danari che gli bastino per ritornare a Zenoa. Siche vogli solicitare chel sia spazato subito. Datum apud Calvisanum V novembris 1452. Cichus. Questo Nicolao de Palude sembra fosse uno di quei vigi- 26ο GIORNALE LIGUSTICO lanti, che col titolo di provvisionati i Duchi nostri tenevano nelle fortezze e negli accampamenti. Posseggo le due lettere seguenti, autografe di quest’uomo, dirette allo Sforza, contenenti curiose particolarità di operazioni di guerra che face-vansi allora sulla iinea dell’Adda difesa dai milanesi e minacciata dai veneziani, i quali dopo la rotta avuta dallo Sforza collo sfacimento della divisione militare comandata dal fratello Alessandro, e colla prigionia del famoso bombardiere ducale Ferlino da Mortara, tentavano ogni via per rivalersi e ricuperare i castelli lungo 1’ Adda perduti e riconquistare Cremona. I. Illustrissime et excellentissime princeps et domine domine singularissime. Giunto a Picighitone trovaj che Zollane Cairn haveva facto disarmare la armata difexa zoso e tutte le armature haveva facto carichare suxo li carri e le fa condure a Lode de comissione de lo locotenencte de Lode e de li altri che sono li per la signoria vostra con intentione che subito dieta armata sia refacta per obviare chel ponte non se facia. Per fare gatti (i) serano a Lode nave segondo o conpreso per una litera de li officiali da Lode scripta a Zohane Caijm, e presto serano facti li gati predicti e tamen le nave de la prima armata si deno condurre a Sancto Columbano per lo Ambro (2) per che se bixognasseno con li carri posano fire (3) conducte a Lode prestissimo. Carri non sono qui suficienti a sustinere tali carichi. Se bene dieta armata non fusse guasta per dicto de Zohane Cairn e di maestro Zohane da Paviglia inzignero (4) e da altri, non era possibille de condurla suxo ad offendere a quili che fano el ponte, ni similiter lo Galeone poteria fire conducto suso nisi una de le piarde fusse sequra per (0 ^er n°rma dei nostri lettori non versati nell’ idraulica pratica lombarda, notiamo che il gatto, o meglio salto del gatto, è un tubo a due livelli uno più elevato dell’ altro, di guisa che P acqua, nel discendere acquista la forza per nuovamente salire. (2) Sancto Columbano per lo Ambro. Intendi la terra di S. Colombano, ov’ è un piccolo castello a’ piedi di un colle presso la riva destra del fiume Lambro nel Lodigiano. (5) F*re} ossia fieri, cioè esser fatte, essere condotte, eseguire, e simili. (4) Paviglia intendi Pavia, e quindi l’ingegnere qui nominato comprendesi essere Giovanni da Pavia, ingegnere assai riputato di quella epoca e di cui esistono documenti nel grande Archivio di Milano. GIORNALE LIGUSTICO 261 li conductori, e pure con vigneria fusse tirato con lalzana e per veruno modo a remi poteria assendere suxo. Li inzigneri sonno ritornati a Lode per essere a refare la armata. La cagione per che la armata non sia restata di sopra dal ponte e proceduto per desordene. Intendo che quilli che erano in aqua dicono esere stati constrecti da quilli che erano in terra a desendere e quilli che erano in terra dicono Io oposito, e che e stata colpa de li navaroli; a Lode sapero el certo. Vado a Castiglione et a Lode per fornire de exequire quanto me a c.omesso la D. V. e a la quale humilmetc me ricomando Dat. Picelo-nis (1). Die XX julij hora sextadecima 1452. E. j. d. Servus fidelissimus Nicolaus de Palude. II. Illustrissime et excellentissime princeps et domine domine mi singularissime. Zorzone e Zanpetro inzigneri de lo illustre S. Mesere lo Mar-chexo di Mantua mandati alla impresa de li molini e nave da fire armati, sono partiti con intentione de venire in campo contra volunte del S. Mesere Alexandro e de tuti nuij altri, e non e stato remedio che habiano voluto restare dicendo la armata e fornita e non havere altro a fare qui per debita cagione non lanno facto per che anno havuti due fiorini per cadauno e altri tanti haveva ordinato ge fusseno dati a sua posta e se avesseno dicto havere bixogno de una cosa più corno unaltra ge seria stato proveduto più per rispecto del S. Marchexo che per altro, con ciò sia sonno qui de quilli de la S. V. che meglio di loro sanno quelo che fare sé debe a questa cagione e per la parrita loro non ’restara che non se fatia quanto e ordinato e certo se extima siano partiti per paura de andare suxo la dieta armata. La illustrissima madona duchessa a facto venire da Pavia uno altro inzignero, si che se provedera al tuto e non resta mo se non che essa armata sia fornita de navaroli e de le altre municione necessarie, e circha questo se fa quanto se po. Rechiede lo segnor marchese Alexandro che facia provedere per lo (1) Intendasi Pi^ighellonc, fortezza considerevole fra Lodi e Cremona. 262 GIORNALE LIGUSTICO Refferendario e per lo Texaurario de qui del salario a navaroli da fire deputati a stare suxo la dieta armata e che siano exbursati et pronti li dinari e cosi per altre cagione a ciò necessarie e pare che dinari non se posano havere se non li deputati a la vostra illustrissima signoria. Com-prhendo non potere essere di mancho che non se facia per salvacione del Stato. Da laltra parte dubito fare cosa che non sia grata al S. V. e pure per lo manco reo partito delibero obedire la S. V. e fare quanto se vede essere bixogno e necessario. La vostra prelibata Signoria se degni avisarme del volere suo. La armata fornita suxo laqua fara fruto asaij, e ultra lo offendere al ponte, sera guardia a la terra, al ponte nero, e ali molini, e se non fusse tenuta fornita dubio seria che fusse bruxata, e cosi li molini, e maxime siando facta noticia qui che li nimici fanno provedimento de carichare nave pizole e grande suxo li carri. Me ricomando ala V. prelibata S. — Data Laude die secundo augusti 1452. E. jll.m‘ d. Servus fidelissimus Nicolaus de Palude. (Extra) Illustrissimo et excellentissimo principi et domino meo singularissimo domino Duci Mediolani et Papié Anglerieq. Comitti ac Cre-rnone domino, cito cito per postas. Molti documenti, come si disse, conservansi nei nostri Archivi mediante i quali potrebbesi formare una storia abbastanza curiosa ed istruttiva dell’ architettura ed ingegneria militare lombarda. Ma poi quale compenso alla lunga fatica, al non indifferente dispendio? Gli studii storici, specialmente quelli parziali delle arti, non hanno ancora acquistata tra noi una benche mediocre diffusione, e quel poco che si fa e che si pubblica difficilmente trova lettori. La storia delle arti si appaga ancora soverchiamente di tradizioni, di emanazioni tolte a scrittori precedenti poco amanti della critica, i quali non tolleravano la penosa ricerca dei documenti, non istudiavano a dovere i monumenti che ad essi venivano sotto gli occhi; laonde la storia era quasi tutta sintomatica come la medicina e coglievansi cosi farfalloni che fedelmente si trasmisero a GIORNALE LIGUSTICO 263 noi. Ne daremo probabilmente un saggio concernente artisti cremonesi, nel quale avremo a dire anche di quel Bramante Sacchi tanto in questi giorni nominato e che noi dubitiamo non sia mai esistito. Michele Caffi. PASSAGGIO DEL CARDINALE PIETRO ALDOBRANDINI NEL GENOVESATO l’ anno 1601 L’ egregio signor marchese Paris Maria Saivago ci favorisce il Diario di questo Passaggio, accompagnandolo dalla seguente lettera. 'Preg.mi Sigg. Direttori del Giornale Ligustico Genova. Nel 1601 il Card. Pietro Aldobrandini, nipote a Papa Clemente Vili, veniva incaricato coll’ alta dignità di legato a latere, di celebrare in Firenze il matrimonio di Maria de Medici con Enrico IV, e di recarsi poscia in Francia per trattale della pace fra il Duca di Savoia, Carlo Emanuele, ed il Bearnese. Mi fu dato leggere in Firenze un Diario del viaggio di questo porporato, fra i preziosi mss. appartenenti all egregio march. Piero Azzolino, che gli provengono in gran parte da un Cardinale Azzolino erede della rinomata Cristina di Svezia. L’ Aldobrandini partì da Roma con numerosa e splendida corte di prelati, di cavalieri, di famigliari; venne a Firenze per Viterbo* Radicofani, Siena; e poscia per Bologna e 264 giornale ligustico F Emilia si recò in Piemonte, di dove scese in Savoia per incontrarvi Enrico IV a Chambery. A Lione assistè all’arrivo di Maria de’ Medici, e quindi, compiuta la sua missione di pacificatore fe’ ritorno in Italia per la Provenza e la Liguria. Il viaggio è raccontato da un Agucchio, che nomina sempre « Monsignore suo fratello » rimasto a Roma per un impedimento che von è indicato. Si direbbe sia un segretario del Cardinale per la circostanza della Legazione 1’ A. di questo Diario eh è ricco di aneddoti e di ragguagli curiosi, di giudizi originali tanto sui paesi visitati quanto sui personaggi dei quali il Legato fu ospite, e co’ quali ebbe a trattare per motivo della sua ambasciata. . In quelle pagine si presentano descritti e giudicati da un contemperaneo Enrico IV nella sua vita intima, il Duca di Savoia Carlo Emanuele, il Fuentes Governatore di Milano, il Duca di Mayenne e il Duplessis, gli usi della Corte e dei prelati francesi, la Corte Medicea, e quella di Parma e Piacenza. In altro periodico renderò conto più ampio del Diario del-' l’Agucchio, ed ora mi prendo la libertà di inviare alle SS. VV. quella parte che riguarda il Genovesato, affinchè, se loro ne par degna, 1 accolgano nel Giornale Ligustico diretto con erudizione pari al patriotismo, degni 1’ una e 1’ altro d’imitatori. Feci trascrivere fedelmente il Ms., e di mio non v’ aggiunsi che poche note per correggere i nomi di alcuni paesi (1). Gradisca i miei rispetti. Badia del Tiglieto, Giugno 1S77. Dev.mo P. M. Salvago. ... A Frigius (1) arrivò un Gentiluomo del Principe Doria, mandato più di cento miglia lontano, per complire e per invitare à Loano, e (1) Frèjus. giornale ligustico 265 scusarsi se per essere indisposto, e per non haver Galere pronte, non poteva venire egli medesimo, ad incontrare, et accompagnare ancora ad alloggiare a Genova in casa sua, e certo con termini di molta amorevolezza, et osservanza insieme. — Questi inviti, et incontri ci fecero sentire 1 odore dell’ Italia prima di giungervi, e ne accesero più la volontà d esserci quanto prima. Restava il camino di undici leghe per andare a Nizza, che ben sono 40 miglia italiane, e voleva il Sig. Cardinale arrivarvi la sera seguente, non ostante li passaggi d’una montagna, e del ghiacci.0, che erano per impedire molto. Si fece dunque la Domenica mattina a buon hora una buona levata, e cosi per tempo, che partimmo di due grosse hore prima che levasse il Sole havendo molte torcie e buone guide, ma non -bastavano all’ oscurità della notte, ed alla malagevolezza di strade con i cavalli stanchi e mal ferrati a salire una mon-tagna (1) difficile, e carica di ghiaccio, e neve. Con tutto ciò havevamo fatte tre leghe al nascere del sole anzi dell’ alba per la diligenza che si usò in marchiare, ma levato il freddo rigoroso patito lino al giorno, più ci diede fastidio la pessima strada, che incontrassemo all’abbassare del-l’istessa montagna, nella quale cascarono molti e di male cadute. Gionti al piano ci ritardò tanto il passare d’ un acqua sopra una barca, che ne perdemmo d’ avantaggio del guadagno. La notte si arrivò a Cana (2) , terra posta sul mare cinque leghe lontana da Frigius che era già tardi. Il Sig. Cardinale disse la messa, poi desinò, e veduto che il mare era assai tranquillo, e che ne mancava il tempo per arrivare la sera a Nizza, accettò il consiglio datogli di far le sei leghe che vi restarono sopra batelli. Presine adunque cinque ben armati di remi, vi salimmo sopra in numero di 50 0 60 persone, e gli altri che temevano il mare, o non furono in tempo ad entrarvi, andarono per terra, et arrivarono appunto quando noi. Il tempo era dolcissimo, e ce ne andassimo con tanta agevolezza che ben si scontò il travaglio della mattina. A Nizza non ci aspettavano per quella sera sperando impossibile di far tanto viaggio in un giorno , e tanto ci aspettavano per mare; veduti poi arrivare i forieri ci.vennero incontro per terra, finche seppero, che eramo imbarcati, perchè diedero volta a riceverci alla Marina (3). La città di Nizza é posta sul fianco destro d’un promontorio che si avanza più d’ un miglio e mezzo in mare, e li serve di braccio a coprire il porto di Villairanca il quale le stà da fianco sinistro (1) Les Esterelles ? (2) Cannes. (3) Gioffredo, Stor. Alpi Mariti. , in Motum. Hist. Patr. Seriptores, T. II, col. 1705. 266 GIORNALE LIGUSTICO da Levante ; e la città è posta a Ponente, et è situata alla radice d’un monte di sotto parte del medesimo promontorio, e sopra essa sta edificata la fortezza. La città non è minore di Turrino, nè manco di abitationi, e di popolo, ha di belle case che tengono forma di palazzi, alte di più solari per la strettezza del sito, e fabbricate all’ italiana, e tenute politamente. Ci rallegrò la vista di questa città straordinariamente, e ci pareva tanto più bella, quanto che uscimmo da quelle catapecchie di Provenza. La fortezza è notabile egualmente per il sito, e per l’.arte, potendo difficilmente essere o abbattuta o assalita da alcuna parte, et avendo per 1’ ampiezza modo di far ritirata, et altra non vi ha più forte in quella riviera. Al- 1 arrivata del Cardinale, si scostò da terra in una barca il Marchese d Este, il Conte Boglio Governatore della città et altri Signori a ricevere sua Signoria Illustrissima, e la fecero smontare con la comodità di un ponte posto alla ripa. Era già arrivato il Vescovo apparato col Clero il quale diede a baciare la croce, e fu sintato (sic) e ricevuto sotto il Baldacchino. Vi erano Γ insegne di 6 compagnie delle militie del paese, e 2 compagnie di soldati terrazzani compartite dentro e fuori che fecero diverse salve di moschetti et archibugi, ma già le fortezze ne ha-vevano fatta una tremenda di pezzi grossi con i tiri di palla assicurati di poterlo fare verso il mare; e si andò alla Chiesa Cattedrale col concorso di tutto il popolo, e di là al palazzo del Duca, il quale non è molto grande, ma è fabbrica assai comoda con un bel giardino, e 1 appartamento del Signor Cardinale stava riccamente adobbato. La Signoria Illustrissima si risolse di fermarsi a Nizza il lunedi seguente che fu jeri, per aspettare che si mettesse all’ordine una Galera, perché ancora aveva risoluto di fare il viaggio per mare sino a Genove. Jer-mattina dunque il Signor Cardinale fu a dir messa al Duomo, ed il dopo pranzo andò a vedere la fortezza, et jersera Lodovico Martini che è di qua venuto da Avignone diede da mangiare in casa sua a tutta la famiglia, e ne fece una festa invitandovi tutte le Gentildonne della città per farci vedere li balli alla Nizzarda, che sono veramente gratiosi, e le donne non brutte, e non hanno l’aria troppo gentile. La lingua di questo luogo è corrotta dal franzese et italiano, ma più s’ accosta al provenzale ; ben è vero che si parla da tutti italiano, e le scritture et instrumenti si fanno in lingua nostra, perchè in effetto essendo la città di quà dal Varo una piccola lega viene ad essere dentro gl’ antichi confini d Italia ; il vestire et i costumi sono pure quasi affatto italiani. L’ amorevolezza e cortesia che ci hanno mostrato, m’ha dato maggior segno d esser giunti in Italia di qualunque altra cosa. Il paese è montuoso e GIORNALE LIGUSTICO 267 stretto, pieno di belle vailette, ha una riviera amena, et habitatissima, non di palazzi, ma di piccole case e colombare. La città è mercantile, gli huomini industriosi, et il vivere abbondante. Quivi abbiamo trovato le prime delicatezze italiane, per i bergamotti et altri frutti stupendi, carciofi, cavoli fiori, capparini, limonetti teneri, grossi cedri, et ottimi cedri anzi ottimi vini ; siamo stati trattati ottimamente, e lautamente nel mangiare, con commodità nell’ habitare, e honore e carezze in ogni cosa. Questa mattina non ho potuto esser fuora per attendere a scrivere, la presente diceria. Intendo che tra poco verranno da Villafranca le Galere che ci imbarcheranno, ma sento già far rumore per il desinare, onde qui troncheremo il filo, e se non viene altra occasione al più lungo di Genova scriverò a V. S. Reverendissima il resto; intanto le bacio le mani. Di Nizza li 13 Febbraio 1601. Sapendo il Signor Cardinale la difficoltà che havrebbe havuto d’ andare per il mare a Genova, il tempo lungo che vi avrebbe speso, pensò valersi della comodità della Galera del Sig. Duca di Savoja. Laonde quando il Marchese d’ Este invitò per quell’ huomo di cui scrivo per l’altre mie, gli ho fatto sapere il desiderio che si teneva di serivirsi lungo la riviera di una Galera di S. A. dove ne tiene il Sig. Duca una nuova grande, bella e sicura che è la Capitana, e 1’ altra vecchia, che è di inferiore conditione. Il Marchese le fece subito mettere all’ ordine ambidue, specialmente la prima di molte cose, che li mancavano, ma non potero essere tuttavia pronte se non per il martedì dopo pranzo alli 13, che furono fatte venire dal porto di Villafranca su la spiaggia di Nizza con li stendardi inalberati, e le bandiere piantate all’incontro coperte, ed ornata la poppa nobilmente. Fu mal considerato il farle venire in quel luogo per l’imbarco, perchè.essendo in quel giorno il mare grosso e fortunoso s’incontrò pericolo d’imbarcar tanta gente, e robbe sopra piccoli battelli in una spiaggia difficile, e condurle alla galera, che si era ferma alquanto lontana da terra senza ricever danno d’annegare qualcuno, 0 bagnare molti; ma il Signor Cardinale per non farle ritornare a dietro, e non perdere il tempo, per muovere, e sollecitare con il suo esempio ogn’ uno ad imbaicare, che altrimenti pareva che non vi fosse ordine di dar principio, si risolse di montare esso stesso fra li primi su la Capitana, e vi andò francamente, e furono all’ hora sparate l’artiglierie delle Galere e della città seguitammo Sua Signoria Illustrissima sn otto battelli uno dopo l’altro, li quali avendo stentato a scaricarsi non volle che ve n’ andassero più; ma ordinò che il rimanente della fami- 2é« GIORNALE LIGUSTICO glia, marchiasse per terra con le robbe a Villafranca un miglio e mezzo, dove si sarebbero potuto imbarcare sicuramente, et ella fece vogare le galere con sicurezza, et il giorno dopo pranzo subito ; e tale fu 1’ agitatione de battelli, e quella de’legni grossi, che trovandoci cibati di fresco cominciarono alcuni a sentirne nocumento et a mareggiare, e particolarmente il Signor Cardinale, il quale siccome fu all’ hora de’ primi a patire, così se li è passata appresso tanto bene, quanto tutti gli altri hanno travagliato lungamente, e parve che in un sol colpo si scaricasse tutto il male che ne poteva avvenire. Il porto di Villafranca è posto alle spalle di Nizza, et è formato da due promontori, che si formano con egual distanza spingendosi nel mare, e come due braccia si formano un seno, il quale se si stringesse alquanto davanti, né havesse 1’ apertura tant ampia, siccome è de’ più grandi, così anco sarebbe de’ più belli e sicuri porti del Mediterraneo ; ma la grandezza del lito, e la larghezza della bocca non lo rende sicuro altrove che nella parte più di dentro terra, e nella Darsena riserratavi con un molo, che non è molto grande. La 1 erra è posta sopra il salire di un colle, e tiene sopra di se una fortezza munita non meno dal sito che dall’arte; al nostro ingresso ci ricevette con una gran salva d’ artiglierie, et il medemo fece un forte che sta sopra un monte, a cui è appoggiata Nizza, e guarda una parte e 1 altra, ma principalmente 1’ entrata del porto. Cresceva tut-tavia la forza del vento, e si faceva la maretta maggiore, onde li marinarii giudicarono, che si doveese aspettare a partire fin passata la mezza notte seguente, che sarebbe calato il mare et abbonacciato il tempo. Intanto il Signor Cardinale smontò a terra col Marchese d’ Este, a pigliare aria, et andorno a poco a poco giungendo, et imbarcando gli altri della famiglia con le robbe, sicché ogni uno si fu accomodato verso il tardi, e perchè la Signoria Illustrissima, non voleva condur seco, che la Galera Capitana la rinforzano di ciurme mettendole a cinque per banco, e scegliendo le . migliori; il Marchese fece ancora fornire la Galera di viveri, e di vini in abbondanza e lautezza, e la sera il Sig. Cardinale stette allegramente in poppa con la sua compagnia, e vi si fecero dei giochi ingegnosi, e vi si dissero de’ motti piacevoli, nel qual genere, ed in ogni sorta di conversatione e galante Principe, Monopoli (i) è riuscito il meglio d ogni altro. Dopo la sera il Signor Cardinale dormì su la poppa, gli altri principali nelle stanze da basso, noi sopra coperta di poppa nella corsia, e dove si potè, perchè essendo in gran numero si (0 Era un frate cappuccino favorito dal Cardinale. giornale ligustico 269 stemmo addosso 1 uno all’ altro, il che ci giovò alquanto a ripararci dal freddo, che sentimmo dopo la mezza notte e sul fare del giorno , quando levando la tenda si cominciò a vogare. Partimmo verso le 8 hore con venti grecali contrarij e freddi , e col mare ancor glosso andammo sempre proveggiando, et a forza di remi, senza poter ne anco alzare il turichetto (1) ; e con tutto ciò al nascere del Oiorno ci trovammo a canto la città di San Remo 30 miglia distante. È luogo grosso del dominio de' Genovesi, notabile per li boschi che vi sono, di melangoli, limoni e cedri, del profitto de’quali essa \i\e, la Signoria di Genova haveva spedito il Sanarega mastro delle poste, per venire ad incontrare et invitare il Signor Cardinale fino in Francia, ma egli ritardate prima dal tempo, e per l’impedimento del mare presa la strada di terra, non potè avanzarsi più oltre che verso li suoi confini di Ventimiglia, di dove essendo noi passati di notte non 10 potè sapere, e se n’andò indarno un pezzo avanti. Haveva però lasciato ordine per tutta la riviera, che fussimo salutati con tiri di cannonate, e dove ci fosse bisognato fermarci visitati, serviti, e regalati di rinfrescamenti: e cosi siamo stati in effetto, perciocché secondo che si giungeva al rincontro d’ ogni piccolo villaggio, che i luoghi sono tanto frequenti per la riviera, che quasi si toccano 1’ un 1’ altro , si sentivano spagnà (2) tre o quattro tiri, et 8 e 10, e da noi, ad essi, si rispondeva, 0 con uno o con due. La mattina delli 14, gonfiatosi ancor più il mare, ci si travagliò ben bene, e le so dire che' pochissimi furono gl’ esenti dal mareggiarsi, a quali non rincrescesse' d’haver provato in quella maniera, et in quel tempo 1’ andare su le galere, si diede fondo per desinare e rinfrescare la ciurma al diritto Maglia (3), terra forte, che solo tiene in tutta la Riviera il Duca di Savoia, comprata da un Signore particolare, e la tiene come stecco negl’ occhi a’ Genovesi. Fummo visitati dai Consoli del luogo, ed il Cav. Clemènte, perchè più d’ ogni altro pativa 11 mare, smontò per andarsene, come ha fatto, per terra sino a Genova. La sera venimmo a fermarci su la spiaggia, overo cala d’Ala^e (4). La quale coperta dal Capo delle Mele, e dall’ Isola d’Albegna (5) è sicura come porto. La terra è grande e bella, e piena di mercanti di coralli, che li vanno a pescare in Sardegna. — Li Consoli vennero a visi- (1) Trinchetto. (2) Sparare. (3) Oneglia. (4) Alassìo. (5) Albenga. 2-0 GIORNALE LIGUSTICO tare il Signor Cardinale e gli mandorno appresso un regalo nobile di vini e frutti e biscotti. Era venuto di là da Oneglia un Cavaliere mandato dal Marchese Spinola,- ad invito fatto a Firenze, quando si andava in Francia. Sua Signoria Illustrrissima che si persuadeva, ancorché noi sapesse di certo, che la Repubblica Γ havrebbe parimente invitato, Γ accettò con conditione d’ antepporre il pubblico al privato. Ella è stata di più invitata per corrieri espressi sino a Ciamberij, et ad Avignone dal Sig. Gio-vannni Giustiniani, e dal Vice legato di Bologna, oltre al Principe Doria a Fregius. — Si stette quella notte nel Alazze (i) assai bene, essendosi tranquillato la sera il mare, e la mattina d’un hora innanzi giorno partimmo, per Loano, che è 13 miglia distante e 70 da Nizza, e vi si giunse di buon hora, et il Principe venne sopra di un battello sopra una Galera e stette con Sua Signoria Illustrissima, fintantoché fu finita di sbarcare tutta la gente , poi smontò in terra, con comodità d’un ponte disposto su la spiaggia, e ne sentì una salva terribile d’artiglierie, e si trovò alla porta della terra il Clero de’ preti e frati, che ricevettero il Sig. Cardinale processionalmente col baldacchino, portato da Gentiluomini, del Principe, e dentro la terra medesima una compagnia di archibugieri spagnoli, che pur fece una bella salva, oltre la guardia degli Alabardieri Tedeschi, che l’accompagnò di continuo Andato alla chiesa il Signor Cardinale vi si fermò ad udire la messa, nè fu così tosto finita che il Principe vi si trovò per condurre Sua Signoria Illustrissima nel Palazzo, e la pose in un appartamento nobile. — Trovammo in questo luogo il C.e Marliano che ci stava attendendo, venuto da Torino col concerto dell’abboccamento per Alessandria e Tortona, o per un luogo ivi vicino, onde la Signoria Illustrissima lo rispedì subito al Signor Conte di Fuentes per il medesimo effetto. Stette il Signor Cardinale più di due hore col Principe tra innanzi e dopo pranzo, et esso Principe si ritirè a mangiar solo per la guardia, che fa come indisposto, ma fece ben servire Sua Signoria Illustrissima con nobile banchetto, più d’ogni altro che n’ habbiamo forse ancora veduto dopo la nostra partita da Roma, non per la quantità e l’apparato delle robbe, ma per la delicatezza delle vivande, e politezza del servitio ben simile allo stile di Roma, ma che l’avanza facilmente in alcune esquisitezze di condimenti. Posero una tavola sola per il Signor Cardinale sotto il Baldacchiuo, e sopra un tavolato, e più a basso due palmi, vi misero giornale ligustico un altra tavola larga, per. la compagnia, e lo servirno sempre inginocchi e con molta riverenza. Il Principe entrò da Sua Signoria Illustrissima incontinente levata la tovaglia; essendo poi venuta l’hora del partire per Savona, l’accompagnò fino sopra la galera, e vi si trattenne finché fu finita di montare tutta la famiglia. Sua Signoria Illustrissima gli diede un Cavaliere di gioie con la medaglia, e fece donare L. 500, d’ oro per la famiglia, ma non volsero in modo alcuno accettarli. Si navigò verso Savona con bonaccia, benché sempre con vento contrario, salvo che voltato il Capo di Vaia (1) si fecero le cinque miglia che ristorno in un terzo d hora con ottimo vento. Erano arrivati in Savona cinque Ambascia-tori di Genova con quattro Galere della Signoria per incontrarci, riceverci et accompagnarci, ma giuntivi quel giorno tardi, nè aspettandoci prima del seguente dì, non ebbero tempo di preparare 1’ alloggiamento per la sera, e lassorno fare al Vescovo, che già si trovava aver fatta la spesa a Vaja. Oltre 14 navi grosse di quelle che hanno sbarcato li soldati napolitani stavano 8 Galere pure di Napoli distese in fila ad aspettarci al nostro passare; ci salutorno con una salva seguita di 4 pezzi per legno, poi presa due d’ esse la nostra per mezzo, e seguendo 1’ altre, ci accompagnorno sino in Savona, e fuori di porto eran le 4 di Genova, e fra esse la Capitana, che ci ricevette ; il Castello sparò 70 tiri, quali durorno tanto che il Signor Cardinale fu smontato. Ma prima Sua Signoria Illustrissima fu visitato su le Galere dal Governatore della città, e dal Vescovo, e Don Garzia di Toledo luogotentente generale delle Galere di Napoli; la sera poi vennero li Ambasciatori nel Vescovado, che con molta dimostratione di honore et amorevolezza significaro il desiderio della Repubblica, con larga scusa di non havere potuto far più, per brevità e malvagità del tempo , poiché tenevano ordine di arrivare ed incontrare Sua Signoria Illustrissima fino a confini dello Stato, et instorno grandemente, perchè ella fosse servita d’essere alloggiata dal pubblico, e mostrorno di desiderare grandemente che facesse Γ entrata solenne in Genova. Il Vescovo la sera fece un nobile banchetto, e la mattina seguente delli 16 udita la messa il Sig. Cardinale s’imbarcò sopra la medesima Capitana di Savoia parendogli che non gli convenisse di lasciarla, benché i Genovesi io pregassero di montar su la sua; et ivi entrorno con Sua Signoria Illustrissima li cinque Ambasciatori et altri nobili, e per il contrario la maggiori parte de’ nostri se trasferì sopra le (1) Vado. 272 GIORNALE LIGUSTICO loro galere, dove furono banchettati e regalati splendidamente. Nell’ u-scire dal porto, sparò di nuovo il Castello, e la nostra galera fu tolta in mezzo delle due Capitane di Napoli e Genova andandoli avanti quasi vanguardia le altre 3 di Genova, e seguendole per retroguardia le sette di Napoli. Così andorno per due miglia 0 poco più. Indi trattisi li Napolitani da parte, si posero in schiera e con trombe et con una salva d’ artiglierie ci salutorno , e diedero volta al camino destinato di portare (anterie spagnuole a Nizza. Noi seguitammo il nostro viaggio con vento contrario, ma con bonaccia di mare, e lo facemmo a forza di remi, come i giorni precedenti. Si desinò a metà cammino senza allentare punto il navigare, poiché era sopravvenuta un poco di mareta , che travagliò il pranzo, e fece calare .sotto coperta a mareggiarsi ' alcuni di quei Genovesi, che noi credevamo Nettunni di mare, arrivati a Utri (1), dove comminciorno i Palazzi della più bella parte della riviera dieci miglia longi dalla città incontrammo il Marchese Spinola con altri signori, in sopra gondola coperta, e li ricevemmo in la Galera , e di mano in mano, un miglio o due e più innanzi, s’ ebbero gl’ incontri di Don Carlo Centurioni, Castello Pinelli, Giovan Francesco Giustinianti, di lui fratello, ael ATicelegato di Bologna , del Generale delle Galere di Savoia, e diversi altri Signori sopra cinque o sei gondole coperte. All’appressarsi al porto, s alzarono i stendardi, e piantarono le bandiere delle due Capitane, et si procurò che tutte e cinque le galere, entrassero unite e con bella maniera. Potrei difficilmente, 0 se non con lunga scrittura rappresentare la vista d’un teatro di un giro di due miglia con una scena di habitationi magnifiche, un fianco del molo con 13 navigli grossi a canto un altro d’un scoglio, una gran Torre sopra il sasso pieno di gondole e piccole barchette, alcuni bastioni, baloardi, e diversi piccoli moli, che spuntano fuori della corona ogni cosa carica 'di popolo, e i monti, e i tetti, e le finestre, e i moli, e le torri, e le navi, e le gabbie delle arbori de’ navigli, e quanto ci era di capace a sostenere gente. Cominciò ad un canto il Bastione della Lanterna, e poi seguirono i baluardi della città posti appresso il Palazzo del Principe Doria indi i revelini del molo, indi i navigli più grossi a sparare 1’ artiglierie in tanta quantità ι-he durorno una mezza hora, e con il rimbombo che si può immaginare dal rimpercuotere che facevano i colpi delle montagne, che quasi mure altissime circondano il porto e la Città. Havevano disteso un Tavolato ampio sopra una nave cintolo di ballaustre con due ponti leva- ( 1) Voltri. giornale ligustico 273 tori ai capi, e con tela dipinta a onde, che pendendo d’intorno d’intorno copriva la nave e le genti, che vi stavano dentro a governarla. Tutto era dipinto, et il pavimento coperto di panno verde ; et ivi stava sopra una sedia di velluto rossa, et uno teneva un’ ombrella rossa. Lo condussero alla galera tirato da funi che non da tutti erano vedute, e vi fecero montare sopra il Sig. Cardinale ; ma prima erano saliti su la galera a visitare Sua Signoria Illustrissima, il Principe di Massa et altri Signori principali, da’ quali e dalli Ambasciatori fu accompagnato in quel Bucentoro, et condotto al molo di mezzo, che sta avanti 1’ Ufficio di S. Giorgio (1). Quivi erano usciti otto senatori con le loro robbe longhe di velluto, e berrette magistrali in testa, con la famiglia del Palazzo, e la guardia di Tedeschi. Non vi venne il Principe (2), perchè non suole uscire se non a’ legati che entrano in Pontificale. Dalla vista del popolo, che si trovava ne’ contorni del Porto, si sarebbe creduto che le strade dentro la città fossero vote, e non di meno tanta ve n’ era per tutto d’ onde si haveva a passare in andando alla Chiesa Metropolitana, quanta ve ne poteva capere ; e non ostante la diligenza delle guardie si stentò un pezzo a penetrare sin là, e molto maggiormente nel passare della porta della Chiesa all’ altare maggiore. Stavano dentro la porta della città sino a 20 lettighe, et una in particolare molto bella per condurci il Signor Cardinale, quando le fusse piaciuto di entrarvi; ma Sua Signoria Illustrissima volle andare a piedi. Facendosi già notte, furono accese torcie in gran numero, con le quali si potè vedere la moltitudine delle donne che occupavano le finestre. La Cattedrale era apparata di panni rossi bellissimi, et aveva la cappella grande coperta di broccato, con sedie, e due baldacchini pur di broccato ; il faldistorio coperto dell’ istessa quantità di argento su 1’ Altare ; et assai torcie accese tenute in mano per il longo della Chiesa alla porta della quale fu data al Sig. Cardinale a baciare la Croce (3), e ricevuto sotto il Baldacchino, con tutte le solite cirimonie, egli benedì il popolo solennemente; et uscito di Chiesa montò in lettiga con la compagnia delli stessi Senatori, et Ambasciatori (4), e fu condotto alla casa preparatagli dalla Signoria. Questo è uno dei palazzi della Strada nuova, non de’ maggiori, ma de più belli che vi siano, e compito che non vi manca un chiodo Egli, è del Signore Arrigo Saivago cortesissimo (1) 11 Ponte Reale. (2) Il Doge. . (3) Cioè la Croce gemmata degli Zaccaria, che solea presentarsi sempre che si doveva ricevere nella Cattedrale qualche illustre personaggio. (4) Il palazzo oggidì appartiene ai marchesi Domenico ed Orso fratelli Serra. Giorn. Ligustico, Anno JV. 274 GIORNALE LIGUSTICO gentiluomo (2); ma appresso la bellezza della stanza, si trova addobbata la la sala di velluti rossi con oro, et tre. camere seguite di broccati di oro una sorte più bella dell'altra, con baldacchini simili, ma uno in specie, che fu della Regina madre, accomodato hora con P arme della Repubblica , che non può essere nè più ricco nè più nobile. I tavolini sono di hebano et avorio, le banche longhe e le sedie coperte di velluto rosso, la credenza e bottegliaria cariche tutte di vasi dorati e lavorati. foeni e torcieri grandi d’ argento, et in sostanza corrisponde ad una superba magnificenza ogni cosa. Hanno dato a Sua Signoria Illustrissima la guardia dei Svizzeri, officiali e serventi di varie sorti, et apparecchiano le nostre solite tavole con servitio nobile ; alla famiglia bassa hanno fatto dare dall' hosteria il mangiare. Poco doppo smontato il Sig. Cardinale, venne il Duce in lettiga a visitarlo con buona compagnia, et con il suo habito longo tutto di velluto rosso. Hermattina poi Sua Signoria Illustrissima hebbe tante visite, che ne rimase stracca, e andò a celebrare al Duomo la messa con grandissima corte di questa nobiltà. Dopo pranzo fu a render la visita al Duce in lettiga seguitata da buon numero di lettighe ; nell’ entrare in Palazzo e nell’uscire la guardia de’ Tedeschi fece una bella salva. Il Duce vestito del medesimo habito rosso lo ricevette alle scale, et l’accompagnò sino alla porta. — Questa mattina Sua Signoria Illustrissima è stata a pranzo nell’Arcivescovado, banchettata dai fratelli del Vice legato di Bologna, con tutti i regali che si possono fare a gran Principe. Domattina andarà à mangiare con Don Cosimo Centurione, fratello di Monsignore, dal quale e da’ suddetti fratelli Spinola è cosi honorata e servita Sua Signoria Illustrissima, che pare faccino a gara chi più può accarezzarla. \ erso.il tardi è entrato nel Duomo a vedere le ceneri che si conservano di San Giovan Batista, in una Cassetta d’ argento, con alcuni pezzetti d osso, e li hannq anco mostrato quel catino di gioie famose, del quale raccontano varie cose. Veramente Sua Signoria Illustrissima resta così soddisfatta, e nel pubblico e nel privato di questa città, che non potrebbe più ; anzi sono tanto assidui in volerla servire, che le pare faccino troppo, et invero, se Nostro Signore scrisse al Conte di Fune-tes et al Duca di Savoia in segno di gradire le carezze fatte al Signor (;) Nel Ceremoniale ili Arch. Regio (pag. 142 e segg.) dove t descritto ampiamente il soggiorno del Cardinale in Genova . e che confronta colla presente narrazione, si aggiunge a questo luogo: .Se ne montò solo in lettiga ; e gli altri 111.-' Signori e così alcuni di suo. Prelati, con molta confusione e sena lumi, che parse una Casacci» vK.nd.ta, per la eran molt.tudine di popolo eh’ era dentro e fuori della chieda . tutti al (min ·. GIORNALE LIGUSTICO 275 Cardinale quando passò per la Lombardia, questa Signoria non meriteria minor dimostratione (1) ; ma le dico bene che in pochi altri luoghi d’ Italia si potrebbe mostrare eguaie magnificenza, poiché in pochissimi si trovano gli ori, gli argenti, le gioie e drappi e le ricche suppellettile che si vedono qui, oltre li palazzi et habitationi regie, che non hanno paro altrove, ma sopra tutto l’abbondanza del danaro contante. E ora tornando al fatto nostro, il Sig. Cardinale ha stabilita la partenza per Mercoledì 21 del presente; piglieremo la strada di Tortona per inviarci poi verso Alessandria, e dove sarà stabilito per Γ abbocamento ; nè forsi ci moveremo da quella città. Intanto il Sig. Conte di Fuentes, ha inviato il Sig. Antonio Tassi per invitare il Sig. Cardinale, nel passare nello Stato Milanese; et è arrivato quà o poco prima era giunto di costì, il Segretario Zimenes, dopo l’arrivo del quale c’è parso di poter sperare maggiormente che dal primo abboccamento si sia per cavare il fatto della rattificatione. Io credo che ande-remo a finire il Carnovale verso Parma, non vedendo che si possa più essere in tempo di farlo a Ferrara , come haveva pensato e desiderato, e pure ci arriveremo verso 1’ ultimo giorno. Io non ho altro da dire per hora a V. S. Reverendissima, havendo anco scritto la presente in molta (retta, in questo mentre gli bacio le mani. — Di Genova li 18 di Fe-braro 1601. Quattro giorni siamo stati in Genova: il primo che fu Sabbato alli 17, il Sig. Cardinale celebrò nella Metropolitana, et attese a ricevere le visite della città, et andò a renderla al Duce et al Senato. — Il secondo Domenica celebrò alli Teatini (2) , et fu a pranzo nell’ Arcivescovato . (1) Infitti il Pipa scrisse all» Repubblica un Breve di ringraziamento, che era trasmesso Jal-Γ Aldobrandini colla lettera seguente (Letlrre Cardinali. Mazzo i). Ser.”» et 111."1 SS.rl Sono stati così segnalati i favori eh' io ho ricevuti in colesti città da \. Ser.·* et SS.”' III.” . che havendone dato parte a N'. S.«, com’ ero obligato di (are. ha voluto S. S.tà gradirli con l’alligato suo Breve; et io con occasione d’inviarglielo ho voluto renderne nuove p-atie a V. Sr.ti et farli anco anco nuovo testimonio dell' obbligata volonti che tengo di servirli sempre in tutte 1' occorrenze di cotesta Ser."‘ Republica, nelle quali spero che da gli effetti conosceranno la mia prontezza, et il desiderio che tengo d'ogni lor sodisfattione. Con che a V Ser. » et SS.rte IH."* bascio le mani, et auguro ogni prosperità et contento. Di Milano li 5 di Marzo 1 01. Di V. Ser.u ct SS.'" Hl."e Servitore 11 Card. A LDOHR ANDINO. (2) Cioè nella basilica di S. Siro 276 GIORNALE LIGUSTICO con i fratelli dell Arcivescovo, et vidde doppo le ceneri di San Gio. Batista. Arrivò de costì il Segretario Ximenes, e da Milano Antonio Tassi mandato dal Sig. Conte de Fuentes ad incontrarci, i quali Sua Signoria Illustrissima fece ricevere et alloggiare. Di tutto ciò avvisai V. S. Reverendissima quella sera, per un corriere che spedimmo a cotesta volta. 11 Lunedì terzo giorno, il Sig. Cardinale fu a dir la messa alle monache di San Leonardo, Chiesa posta nella più alta parte della città (1), e vi andò non meno perchè vi fu invitato da loro per udir la loro musica, et particolarmente la voce d’una monacha Bolognese figlia del musico Ferabosco (2), che canta divinamente, che per vedere il corpo et sito della medesma città, et il teatro della superba valle di Betago (3) ricca di tanti palazzi e magnifiche habitationi. Di la su vennero a piedi a casa di Don Cosimo Centurioni fratello di Monsignore, dove pranzò ad un appaiato nobilissimo, il doppo Sua Signoria Illustrissima scrisse, e negotiò <.on diversi. Già havevano quei Signori invitate sino a 30 o 40 gentildonne, delle prime e più belle della Città, per farli vedere un festino, e come essi dicono una veglia all’ usanza loro ; questi si radunarono al tardi, et si cominciò a ballare a notte. Siamo stati tutti ,d’ un parere, che in Italia non siano donne che ballino meglio e con maggior gratia «.orne quelle, che non usando chiaranzane e passeggisi esercitano continuamente in quei balletti alla spagnola. Vestono poi tanto politamente e senza affettione alcuna stravagante, che non sapremo che aggiun-geni, ma sopra tutte ci piacque la conciatura della testa, che ò in parte alla romana; et osservano la pragmatica nel vestire, che è senza oro e recami, sebbene in tal occasione si erano potute carricarc di gioie e perle. Il Sig. Cardinale poteva vedere dalla sua camera per una gelosia, ma fatti 1 primi balli se ne ritornò a-casa in lettiga. — 11 Martedì ultimo giorno Sua Signoria Illustrissima fu a celebrare a’ Gesuiti (4), e dopo pranzo col Marchese Spinola, il quale habita nel Palazzo Gio: Batista Doria, stimato il più bello e più commodo di Genova, massima-mente per non essere moderno. Il Marchese, il più ricco della città, et etiamdei del Principe Doria, avanzò tutti nell’apparato del Banchetto, nell ar0enterie et addobbi di stanze, fra quali haveva particolarmente una camera con paramento e letto di velluto leonato riccamente d’ oro ' k.on le figure come colonne delli primi 12 Imperatori, et altro che ser- U) La chiesa di S. Leonardo di Carignano. (?) SgT,™’ Bhtnphu *“**■»· T· '»■ w (4) S. Ambrogio. giornale ligustico 277 vivano per termine (1) di non minor grandezza, et le loro medaglie, insegne, et li fregi istoriati, è fatta ogni cosa in tela d’ oro con disegni di buona mano. Non habbiamo veduta cosa più ricca nè reale, nè crediamo clic vi sia I rincipe che habbia una tale. Dicono che fusse fatta per Don Giovanni d’Austria, et sia pervenuta in mano del Marchese per la metta del prezzo che costò. L’ argenteria della Credenza e bottegliaria era tutta dorata, e lavorata di figure, e per lo più di Lavoro e fattura alla spagnola. L istesso habbiamo osservato al nostro alloggiamento, e nelle altre case dove siamo stati ; ma questa era facilmente più copiosa, et si poteva ben mettere sopra lo scritto che sta tuttavia in lingua spagnola et italiana sopra il Palazzo del Principe Doria: Por gratia de Dios y de Rey en està casa non ay cosa a imprestada, il quale dicono, che vi facesse scrivere quando alloggiò P Infante (2), per rispondere al Contestabile che aveva detto a Sua Altezza, che havrebbe veduto grand’ apparato in casa del Principe, ma che erano cose prestate, poiché i Genovesi in simili occasioni erano soliti prestarsi le robbe. L’uno con l’altro, in questi tre banchetti hanno usato di far sedere il Signor Cardinale sotto il Baldacchino ad un tavolino più alto della Tavola longa·, come fece il Principe Doria a Loano. Ci hanno fatto venire nasuea di confetture, e di canditi, ma non di Cavoli fiori d’Insalata, di Bergamotti, et altri frutti esquisiti, et sebbene ne abbiamo sempre havuti. Il doppo pranzo fummo trattenuti un pezzo ad aspettare il Duce, et il Senato , che vennero a cavallo su le mule con gran comitiva a visitare il Signor Cardinale con ogni dimo-stratione di cortesia et amorevolezza ; indi partimmo accompagnati dalla nobiltà, parte sino ad un pezzo fuor della porta et parte sino a tre milia dove si volta su per la valle di Ponsevera (3). Vedemo da vicino su questo spatio, buona quantità di Palazzi della Riviera stupendi, et quella magnificenza della quale sono fabbricati. Nell’entrare della Valle si heb-bero incontro un Colonello et un Capitano delle militie paesane e di corsi che mantengono nelle Riviere, et successivamente di quattro insegne di soldati che ci ricevettero , et bella salva ; e ci accompagnarno per tre miglia vicine; trovammo dclli altri che fecero il situile per un’ altro spatio, e cosi siamo camminati per tutto lo Stato loro da quella parte per 21 miglia. Il Cardinale si fermò a far colatione, a Pontede- (1) Servono per termini. (2) Don Filippo d’Austria, poi Filippo II sul trono di Spagna, splendidissimaraente albergato da Andrea D’ Oria nel 1548. (3) Polccvcra. 2?S GIORNALE LIGUSTICO cimo, mezzo cammino per Ottaggio (i), dove aveva preparato nobilmente ; iiidi salita la montagna, et passato. P Appennino con strada buona , e viaggio piacevole, calammo verso Ottaggio, dove si gionse il giorno. La terra è grossa et con buone habitationi, in una delle quali alloggiorno il Signor Cardinale; nè quasi più havrebbero fatto se fussero in Genova propria, havendo apparato le stanze di broccati e velluti con baldacchini, la Credenza e ta\o!e da mensa con argentale. Vennero sin qua due gentiluomini deputati a servire a Suà Signoria Illustrissima et accompagnarla fino ai confini, et inoltre il Marchese Spinola, il Generale delle Galere, Don Carlo Centurioni et altri diversi nobili. Vi gionse ad un hora di notte, con otto gentiluomini, il Principe di Piombino, venuto su la posta per baciar la mano al Sig. Cardinale, et forse anco per qualche negotio. Sua Signoria Illustrissima lo fece alloggiere con tutti li honori, et lo tenne seco a cena. Egli è un giovane di 16 in 18 anni, di molto garbo, e che mostra gravità d’huomo in ciera. — Il Lunedi mattina li 22 partimmo, detta la Messa; e licentiati da questi Signori a un pezzo di strada ; ce ne andammo alla volta di Serravalle. NOTIZIE SULLA VITA E SUGLI SCRITTI DI MONSIGNOR AGOSTINO FAVORITI La famiglia Favoriti trasse ad abitare in Sarzana sul mezzo del secolo \\I (2), e poiché noverava uomini di levatura, (3) \roltaggio. — Da questo luogo scriveva il Cardinale alla Repubblica cosi : Ser.mo Duce et Ill.m‘ Gover.rl Non sono bastati gli honori et favori che V. Ser.tA et V.r* Sig.rl· 111.-" hanno voluta tarmi costi, che 1 è piacciuto ancor d’ honorarmi in questo luogo con alloggio et regali, che ben mi dimostrano anche più al vivo la benignità loro, se bene non si poteva accrescere il concetto eh’ io ne tengo almeno altrettanto , qiianto P obligo eh’ io le ne havró sempre. Li SS.r‘ Stefano Spinola et Francesco Brignola che mi hanno fatta compagnia sin qui le potranno rendere testimonianza del mio affetto sicomc io la rendo alla Ser.tà V.* et VV. SS.r*« 111.-· della diligenza et cortesia che hanno usato nel ricevermi qua. Hora non desidarel altro se non eh’ elle aggradissero così la volontà che havrò continuamente di servirle, come io riconosco Γ obligo et mi commandassero in ogni occorrenza, ringhiandole intanto infinitamente et baciando loro le mani. Di Oitaggio li 22 di Febraro 1601. Di V. Ser.tA e VV. SS.r,c 111.»»* Ser/· aff.*° 11 Card. Aldomumuno. '2) De Rossi, Collettanee mss. ; Targioni, Viaggi, XII. p. 94. GIORNALI-: LIGUSTICO venne ben presto ascritta al primo ordine dei cittadini, di guisa che più volte alcuni de’ suoi ebbero pubblici uffici. Infatti troviamo sul cadere del secolo un giureconsulto di nome Giacomo, il quale sostenne e il carico di anziano e quello di priore, nè lasciò in seguito di adoperarsi in benefìcio del suo paese, avendo patrocinato e sostenuto innanzi al Senato di Genova i diritti e gli antichi privilegi della città di Sarzana. Più fortunato in ciò e più avveduto ^el suo concittadino Francesco Cicala, il quale pei virili suoi scritti in prò della patria soffri non breve prigionia, e forse peggior sorte lo attendeva se non si fosse interposta in suo favore l’autorevole parola del D’ Oria, appo il quale abitava in quei di in qualità di auditore (i). Dissi il Favoriti più fortunato in quanto che, al dire di Buonaventura De Rossi, seppe regolarsi in difesa di Sarzana con minore strepito e con fondamenti non meno eruditi , facendo senza suo pericolo unitamente risplendere le sodissime sue consultazioni, la modestia verso il Principe e l’affetto profittevole verso la città natale (2). Rimangono in prova delle sopra esposte affermazioni varie scritture di sua mano nell’ archivio municipale di Sarzana, le quali sì come il dimostrano leggista di vaglia, così ci attestano la sua erudizione in fatto di economia e di storia. Chiudeva egli i suoi 11 ) Abbiamo di questo nostro giurisperito noti poche e belle notizie tratte in ispecie dal Regio Archivio di Genova, dalle filze Secretorum, Confinium, Criminalium, Jurisdictionalium, Diversorum Senatus et Collegiorum. Mi piace intanto recar qui un breve documento donde si rileva il tempo della sua liberazione dal carcere. — f i6$6 die XVII Augusti. Spectabilis Franciscus Cicala qm. Antonii sar^anensis, carceratus in carceribus Turris, ad quas fuit damnatus per biennium sententia illustris Magistratus Inquisitorum Status diei secundae Augusti anni proximi praeteriti 16$), liberatus cx gratia a restanti tempore poenae praedictae per Serenissimum Senatum ad calculos, lecto prius processu a quo procedit dicta sententia. Io. Benedictus. (2) De Rossi, op. cit. 28ο giornali; ligustico giorni ai 5 di Maggio del 1673; ^ tìglio Pietro Antonio voleva ne fossero serbate le ceneri nella chiesa di S. Francesco, ed a perpetua ricordanza faceva incidere la seguente iscrizione : D.O.M. Iacooo Favorito Nobili Sar^anensi utriusque Juris peritissimo, cujus egregiam pietatem, caeteraquc priscae sanctimoniae et virtutum decora excellens Augustini filii ingenium ; doctrina, eloquentia, honorum, caeterarumque caducaium rei um contemptus, animi magnitudo, invicta constantia, et Sedi Apostolica^ sub Alex. VII. Clemente IX. ac. X. et Innoc. XI. per XXVIII anni s sh, nue pi oliata, fides illustriora fecerunt, Petrus Antonius Fàvoritus Patri optimo et clarissimo amoris monumentum posuit. Obijt anno MDCLXXIII die V. Maij. Da Giacomo e da Elisabetta Casoni, anch’ essa di chiara -prosapia, nacque Agostine» li 3 Gennaio del 1624; e compiute le prime scuole in patria, si ridusse a Roma dove abitavano alcuni suoi parenti per parte di madre, e quivi venne altresì raccomandato non solo ad uomini di bella fama, ma eziandio a caidinali da Filippo Casoni suo zio, vescovo illustre di San Donnino. Ma fu per lui non picciola sorte il poter entrare in qualità di famigliare nella corte del cardinale Fabio Chigi; imperocché poco dopo assunto al soglio pontificio, n’ ebbe favori ed uffizi singolari. A Roma ei fu ordinato sacerdote, come rilevasi da una sua elegia, ed incontamente entrò nella carriera prelatizia (1). Giovane ancora dimostrò quanto egli λ alesse mercè alcune sue composizioni latine, che correvano manoscritte per le mani dei letterati ed amici, di guisa che \enne ben presto ascritto all Accademia degli Umoristi dove s’ accoglievano i migliori letterati così di Roma come d’ altronde; e poiché fra di essi preecelleva il cardinale Fabio (1) Septem illustrimi virorum poemata; Amstelodarai, Elsevirius 1672; pag. 80. GIORNALE LIGUSTICO Chigi, è a credere venisse da lui stesso favorita Γ ascrizione del nostro Agostino (i). Un fitto avvenuto in questo mezzo, diè luogo a far vieppiù conoscere le cognizioni letterarie e Γ acume cri-, tico del sarzanese. Veniva' rappresentata in Roma in un privato palazzo, l’anno 1653, una tragedia di Gio. Battista Filippo Ghirardelli intitolata il Costantino; questa rappresentazione mosse un terribile vespaio, poiché divise in due fazioni Γ uditorio , altri ne la portavano a cielo siccome commendevole lavoro, altri l’attaccavano con acerbità: la critica cadeva specialmente sullo essere stata scritta la tragedia in prosa. Pochi giorni dopo girava per Roma manoscritta una critica del nostro Favoriti, il quale coprendosi col nome di Ippolito Schiribandolo esponeva il suo parere in forma di lettera diretta a Teofilo Zenzadoro. Lo scritto appariva composto subito dopo la rappresentazione ; era breve, ma incisivo ed acerbo. Non si tacque il Ghirardelli, e d’ umore impetuoso come era, scrisse in dodici giorni una lunga ed erudita difesa, la quale fece incontanente stampare a corredo della tragedia ed insieme alla ricordata opposizione; ma il povero autore tanto s’arrovellò nel comporre si fatta scrittura, che sorpreso da una violenta febbre in breve se ne passò (2). Moriva intanto Innocenzo X ed era eletto a succedergli (1) Non so con qual fondamento il Gerini (Meni, storiche, T. I, pag. 136) abbia affermato eh’ egli appartenne, e fu principe dell’ Accademia dei Lincci di Roma; imperciocché per quanto accuratamente mi sia dato ad esaminare e le memorie di quell’ insigne Accademia dettate dall’ Ode-scalchi, e lo scritto intorno alla stessa inserito da l*rancesco Cancellieri nel fascicolo 55 del Giornale Arcadico del 1823, non ebbi in sorte trovarne fatta parola. Che fosse ascritto all’Accademia degli Umoristi, ci afferma il Crescimbeni ed egli stesso, trovandosi una delle sue poesie ivi recitata (Op. cit., pag. 67). (2) Fontanini, Biblioteca ecc., T. I. p. 501 (ediz. Parma 1803); Cre-scimbf.ni, Stor. volg. poesia., lib. VI, p. 386. 282 GIORNALE LIGUSTICO Fabio Chigi col nome Alessandro VII, il quale amante come ei fu delle buone lettere, e specie della poesia latina, non dimenticò di porre fra gli altri dotti, onde erasi circondato, il Favoriti. Lo creo infatti suo camerario; e sovente intrattenevasi con lui, con 1 abate Ughelli, mons. Magalotti, Leone Allacci, il P. Bona, il Gradi e il Pollini in discorsi eruditi; nè andò molto che chiamato in Roma il nipote Flavio, e poi elettolo cardinale, volle che il nostro Agostino gli servisse da segretario. Un avvenimento strepitoso minacciò di conturbare a quei dì la pace di Roma; intendo accennare alla collisione fra i corsi ed i hancesi, succeduta nel mentre trovavasi colà ambasciatore di Francia il Duca di Crequi. Le storie ci dicono quanto divampas-seio in questo fatto le passioni, e come s’inalberasse Luigi XIV sobillato ed eccitato dal noto Vittorio Siri, il quale stanziando allora a Parigi in qualità di agente del Duca di Parma, s’argomentava potesse uscire da sì fatte turbolenze una buona risoluzione a prò del suo principe, pel controverso dominio di Castro (1). Mercè lunghi e vivissimi negoziati, alfine i contendenti si acquetarono, non senza però essere obbligato il Pontefice a porgere al Re soddisfazioni al tutto esorbitanti. (2). Fra queste una fu 1 invio a Parigi del cardinale Flavio, il quale doveva recare al Cristianissimo le più ampie discolpe intorno all’ occorso. A propiziare il viaggio al cardinale legato sciolse il Favoriti un carme, dove descrivendo in eleganti versi l’itinerario della nave che doveva condurlo a Marsiglia, di preferenza s intrattiene a cantare della ligure riviera e in ispecial modo di Luni e del suo porto così: ................Sei jam ratis ostia Macrae Praeterii. Alta vides Lunae monumenta vetustae, ίι) Gazzotti, Stor. delle guerre d’ Europa, T. II, pag. 28. (2) Fra 1 molti che ne scrissero basterà citare il Muratori negli Annali, anni 1663-65. GIORNALE LIGUSTICO 283 Nec procul albenti fecundum marmore montem , Quo dives Pietas Divum saepe imbuit aras, Vel levis Ambitio Regales excitat aedes. Invitat fessas longo 'discrimini proras Lunae olim dictus, Veneris nunc nomine portus, Delitiae Nerei, statio fidissima nautis (1). 1 Se non che questi turbamenti dovevano essergli cagione di qualche amarezza. Sembra infatti che inasprito dal modo violento onde il Re di Francia si apri contro Roma, dettasse un sonetto nel quale lo paragonava al Gran Turco; venuto ciò a cognizione del ministro Lionne, ne scrisse in alti termini all’ambasciatore, affinchè ne recasse le più vive lagnanze in Corte pontificia (2); e pare fosse il Favoriti eziandio allontanato di palazzo, del che ci fanno fede alcuni suoi versi, ne’ quali letiziandosi· per essere stato richiamato ad abitare in Vaticano alcune stanze graziose e ben esposte , aggiunge. ............me, qui nuper improbae nutu Sortis reductum in angulum relegatus, Qua bubo, qua dirae striges catervatim Ferale ab altis carmen integrant nidis, Longe a sodalium atque solis aspectu Vitam in tenebris ac timore ducebam (3). Ma se ragion di Stato aveva per avventura costretto il Pontefice a togliersi d’ accanto uno de’ suoi bene affetti, ciò fu per poco; chò richiamato indi a breve, ottenne eziandio nel Febbraio del 1666 un canonicato in Santa Maria Maggiore (4). (1) Loc. cit., pag. 109. • (2) Arch. Regio. Lettere Ministri, Roma, Mazzo 29. Lettera dell agente Ferdinando Raggi, 21 Giugno 1664. (3) Loc. cit., pag. 69. (4) Arch. cit. Lettere cit. Mazzo 30. 284 GIORNALE LIGUSTICO Abbiamo recato qui sopra un accenno suo alla patria, nè quello è il solo ; poiché al mirabile golfo della Spezia ed alla pittoresca isola della Palmaria si riferiscono altri versi di un carme diretto a Stefano Gradi custode della insigne Biblioteca Vaticana (1). E degno d’ essere riferito è il biano d un elegia a Matteo Naldi, archiatro pontificio e suo medico, in cui narrandogli dal letto la violenta febbre ond’era soipreso nella sua malattia, e la sete che il divorava, dice come i suoi sogni fossero sempre di ruscelli, fonti, laghi e fiumi, ìappresentandoglisi in ispecie alla mente il rigonfio Magra : Pi aecipue menti desiderioque recurrit Qui Ligurum saxis Tuscos discriminat agros, Appennini genas inter non ultimus amnes Macra parens, longaeva salix cui litus inumbrat, Cui centum herboso pascuntur margine Cvcni Aeia tranantes liquidum pernicibus alis. Illius algentes ingressi saepius undas, Squalida rimosus cum Sirius ureret arva, Vidimus innantes vitreo sub gurgite Nymphas, Et manibus nexus molles glomerare choreas. Macra per umbriferam vallem pellucidus ibat Flexibus incerti s, atque inter cana volutus Saxa, sinus omnes nudabat pauperis alvei, Suadebatque manu latices haurire rigentes. Quamquam ubi contristat caelum nimbosus Orion Diluviem tonitrusque ciens; exuberat ille Spumeus, aggeribus ruptis, lateque Tyrannus I11 mare fert pinguem limum, quo vendicai arvis Litus, et antiquae profert confinia Lunae (2). Le cure del suo ufficio di segretario particolare del cardinale Chigi, e quello assai più grave di segretario del sacro (1) Loc. cit., pag. 101. (2) Loc. cit., pag. 112. giornale ligustico 285 Collegio dei cardinali non laseiavangli certo grandi ozi per dedicarsi alle muse ; ond’ è che i versi rimastici di lui debbono ritenersi composti nelle annuali villeggiature di Castel Gandolfo. Di ciò fa fede egli stesso in una lettera al Padre Bartolomeo Beverini, scrivendo cosi : « Io non composi quasi mai poesie se non in Castel Gandolfo, e veramente le cure di questa città e di questa Corte sono troppo nemiche dell’ olio poetico ». (1) Ed eziandio volge a Sigismondo Chigi villeggiante in Albano i versi seguenti : Carminibus nostris non indonatus abibit Pomifer Autumus, cui rustica musa quotannis Sacra facit, floremque novum suspendii ad aras. Nam mihi, dum dilecta tenent nos otia ruris, Ludere quae vellem magnus permisit Apollo, Et cantare levi levia argumenta cicuta (2). La sua fama poetica era giunta di già a ben alto segno, fin da quando nel 1662 erasi pubblicata in Anversa una raccolta dei latini carmi di quei sette illustri, che venivano il più delle volte contradistinti col titolo di Plejas Alexandrina, perchè appunto fiorirono e poetarono nel pontificato e sotto gli auspici di Alessandro VII; e di questa pleiade era il Favoriti. Ma quanto ei valesse eziandio nella prosa latina ben dimostra la bella ed elegante vita che ei compose dell’ illustre Virginio Cesarini, dove fra le altre cose divisa i principi e la fondazione della celebratissima Accademia dei Lincei ; onde sopra la sua autorità rettificò il Gimma 1’ errore del-1’ Eritreo intorno allo inizio di quello istituto. E se ci fosse concesso argomentare dall’aurea latinità, saremmo indotti ad attribuire alla sua penna 1’ elogio che di Natale Rondinini leggesi innanzi alle sue poesie; tanto più in questa credenza (1) Lettere inedite; Lucca 1877, pag. 5. (2) Loc. cit., pag. 113. 286 GIORNALE LIGUSTICO ci conforta la qualità dell’elogiato, figlio di quella Felice Zac-chia da Vezzano, filia, mater, cognata cardinalium, della quale quivi pure sono dette le lodi in un con quelle di sua illustre prosapia. Anzi leggiamo a lei diretto dal Favoriti un venusto carme elegiaco, nella morte immatura del già famoso suo figlio. Fra coloro poi che a questo tempo avevano altamente celebrato l ingegno del nostro sarzanese, va innanzi tutto ricordato Ferdinando di Furstemberg, il quale gli serbò costante amicizia per tutta la vita e ne volle onorare egli stesso la memoria. In grande estimazione ei lo aveva; e basterà riferir qui alcuni suoi versi a lui indiritti nella morte del Rondinini, per averne la prova. Toccate adunque le lodi del defunto, segue in questa guisa: 2(i quoque Pieridum decus, Augustine, sororum, Quo Latium, et tumidis Macra superbit aquis, Ingenuos mores, et vitam puriter actam, Cordaotie non ullis tacta cupidinibus, Virtutesque alias cari memorabis amici Carmine, quod possit nulla abolere dies (i). Nè si rimasero dallo indirizzargli poesie laudative Alessandro I ollini e Giovanni Ruggero Torck, il quale enumerando le allegrezze della villa cantava: Docta Favoriti nobis mutescet arundo, Tritaque bucolicis labra canora modis (2). Di non picciola gloria è altresi pel nostro Agostino 'la stima e 1 onore in che era tenuto dal celebre cardinale Sforza Pallavicino, e di ciò abbiamo manifesta prova nelle lettere (x) Loc. cit., pag. 205. (2) Loc. cit., pag. 312. GIORNALE LIGUSTICO da questi a lui indirizzate; donde ben si pare eziandio di quanta estimazione il proseguiva quel dotto scrittore, non solo in opera di poesia ma di prosa latina; imperciocché avendogli il Favoriti mandato da Castel Gandolfo la traduzione del discorso, che egli avea posto a corredo della sua tragedia YErmenegildo , dopo lodatolo grandemente aggiungeva: ne manderò un esempio in Germania, che varrà per esempio appuntò nel ben traslata,re (i). Cosi Γ erudito Einsio lo ponea in un col Dal Pozzo nel novero degli uomini più illustri coi quali egli ebbe in Roma dimestichezza (2). E può in egual modo valere ad onoranza sua la corrispondenza che ei tenne col già ricordato Bartolomeo Beverini, la cui reciproca estimazione, anziché dalla conoscenza personale, venne dal culto alle buone lettere, nelle quali tutti due senza meno mostraronsi maestri (3). A cementare poi (1) Lettere del Card. Sforma Pallavicino; Roma 1848; T. I, pag. 13-21. (2) Vedi sua lettera all’ab. Pacicchielli inserita da questi nelle Memorie-dei suoi viaggi, T. Ili, pag. 703. (3) Pongo qui volentieri due lettere del Beverini al Favoriti, tratte dalle minute che conservansi a Lucca nella R. Biblioteca e gentilmente comunicatepii dall’ amico Giovanni Sforza. 11 Giugno 1678. Sono restato sommamente confuso et ammirato della parte che V. S. 111.”* ha fatta con il signor Cardinal Spinola nostro Vescovo circa la mia persona, riconoscendola per un tratto di un cuore magnanimo e nobile quale è il suo. In riguardo d’ un tale uffìtio ho ricevuto sommo honorc da detto signor Cardinale, quale mi ha prevenuto con mandarmi un suo Cappellano ad invitarmi a sè, non havendo prima io ardito di infastidirlo, per ncn haver titolo con il quale senza affettatone io potessi farlo, e le dico con somma ingenuità che anche così ho havuto qnalche rossore, per quel sospetto che potesse cadere in animo di quel signore che io havessi voluto usar mezzi per introdurmi alla sua gratia, del che V. S. 111."' me n’ è ottimo testimonio quale per far ciò non ho avuto altro stimolo che la sua incomparabil benignità, come da me non meritata cosi del tutto inaspettata. Io ne le rendo quelle gratie che posso più 288 GIORNALE LIGUSTICO maggiormente fra loro siffatti vincoli giovò la comune origine lunigianese, poiché come il nostro poeta gloriavasi d’ aver tratto i natali in Sarzana, il Beverini dichiarava con compiacimento essere derivata la sua famiglia da Beverino, terra della diocesi Lunese; terra in vero che può dirsi ben fortunata per vantare fra suoi figli un Lorenzo Costa, onore non sol di Lunigiana e di Liguria ma sì d’ Italia tutta. Non ci dobbiamo finalmente passare dell-' amicizia che egli ebbe con Γ abate Stefano Gradi, Leone Allacci e Cristoforo Lupo, dei quali due ultimi soleva dire, intendendo parlare di alcune speciali loro opere, come la Chiesa nulla avesse a temere, essendo difesa così validamente da un Leone e da un Lupo. In mezzo a così alti onori gli si avventò contro, a guisa humili, benché io conosca che il suo gravissimo giuditio mi habbia posto in un grande impegno, al quale non so se potrò sodisfare e cavare indenne V. S. 111.™·' d’una tal malleveria e credo che Sua Eminenza, come 1’ ho detto, da per se stesso si accorgerà quanta parte habbia havuto 1’ affetto e la cortesia in quest’ uffitio più che la verità. Il Signore renda a V. S. 111.'"1 il premio di questo buon cuore, come io vedrò sempre volentieri e stimerò come proprii tutti quegli avvanzamenti che sono dovuti al suo merito et io sommamente le desidero come quello che sono ecc. 18 Agosto 1680. Troppo rossore haverei che la mia traduttione di Virgilio capitasse a V. S. 111.”* da altre mani che dalle mie. Mi faccia pertanto 1’honore di accettarla e con la medesima benignità di scusare i suoi difetti, quali dal suo purgatissimo giuditio saranno scoperti per molti. Ella è fatta per passatempo e non per fine di pubblicarla ; ma sono state sì grandi le importunità degli amici, che m’ è convenuto precipitarla. Se incontrasse così bene il gusto di V. S. 111.”* come pare che habbia incontrato quello d’altri letterati, potrebbe camminare molto sicura. Haverò caro che quando ad altro non serva, almeno le sia una continua memoria che io vivo di V. S. 111.1”* ecc. GIORNALE LIGUSTICO 289 di botolo ringhioso, un invido poeta in cui l’acrimonia tenea luogo di atticità e di dottrina; imperciocché e il Furstemberg con un saporito epigramma rilevava nel critico errori prosodiaci, ed il Gradi ribadendo la nota di asinità chiamavaio col virgiliano nome dell’ inetto Bavio (1). Ma perchè, la vita di corte è troppo spesso cosparsa di triboli e spine, deve aver passato anche il Favoriti nostro giorni non lieti, ne’ quali desiderava esser lungi dai rumori e godere le dolcezze serene e tranquille della solitaria campagna, augurandosi vivere fra le rupi e in mezzo alle delizie dell’agricoltura; ond’ è che scioglieva in questi versi di sapore ovi-diano e nè manco indegni dell’ immortale autore delle Bucoliche : Felix qui curis, et iniquo foenore liber, Exercet bobus rura paterna suis, Ordine nunc aequo gaudens disponere vites, Nunc oleis sobolem substituisse novam. Interdum juvat arboribus decerpere poma: Interdum nemoris fingere falce comam: Irriguosque jugo rivos inducere campis, Cum pluviam tellus poscit hiulca Iovem. Non illum vigiles curae, non somnia turbant, Pestis et humani pectoris ambitio : Nec metuit fraudes, nisi quas caper improbus uvis, .4ut parat e nimbo grando inimica satis: Limina nec Regum trepidanti poplite calcat, Irati metuens damna supercilii. O milìi si rupes has inter vivere detur! Sorderet rubri gaia colorque maris. O ego dum possim tam leni vescier aura, Et liquidos fontes, et nemora alta sequi; Si qua mihi a Latiis speratur gloria Musis, Occidat, et venti nomen inane ferant (2). (1) Poemata cit., pag. 260 e 404. (2) Loc. cit., pag. 93-94. Oiokx. Ligustico , .Inno IV. 290 GIORNALE LIGUSTICO Gravissimo fu il dolore che ebbe a sostenere il Favoriti per la morte del suo più gran protettore, il pontefice Alessandro VII; in suo onore egli disse nella basilica Vaticana Γ orazione funebre, nella quale volle esprimere il supremo attestato del suo riconoscente affetto. « Tu vero Sanctissime Pontifex, egli esclamava, (quando versa est in luctum cithara nostra, assueta tuis laudibus personare) veniam dabis dolori meo, si tua clarissima decora, rudi et incompta oratione infuscavi potius, quam laudavi. Ad me quidem quod pertinet, cum ego haberi malim debitor gratus, quam orator eloquens, facilius id assequar, omnem, si qua in me est, ingenii famam abiiciendo, ut supremum hoc, qualecumque tandem est, cineri tuo munus exsolvam » (1). Non minor favore egli godè nei due brevi pontificati successivi, cioè di Clemente IX e X; ed anzi del primo recitò pure le lodi nella Basilica Vaticana in occasione dei solenni funerali ; e nel tempo che fu Papa il secondo, rimanendo sempre nell’ ufficio di segretario del Sacro Collegio, venne chiamato a coadiuvare Mario Spinola scrittore pontificio delle lettere latine; specialmente nelle corrispondenze di grave momento , non avendo quegli le qualità necessarie a disimpegnare un cosi difficile incarico (2). Servì perciò nell’ istessa guisa ed in momentosi frangenti Innocenzo XI succeduto a Clemente X, ed ebbe anzi da lui prove non dubbie di grandissima benevolenza. Non fu lunga la quiete che permise, sullo inizio del pontificato, ad Innocenzo di attendere alla riforma del clero e dei costumi, imperciocché gran fuoco si destò fra la Corte di Roma e Luigi XIV per Γ editto da questi promulgato sulla estensione della Regalia; nè questo doveva essere il solo moti) Loc. cit., pag. 164-165. (2) Bonamicus , De claris pontificiarum epistolarum scriptoribus, pag. 284. giornale LIGUSTICO 291 tivo di discordia, poiché un fatto accaduto in un monastero di monache presso Parigi dette luogo ad amarezze ed a pubbliche e violente scritture. La cosa stava in questi termini. Morta la Badessa delle monache canonichesse di S. Agostino di Charonne , Γ Arcivescovo di Parigi volle introdurvi altra superiora d ordine diverso ; ma questa non ebbe mai il placet pontificio. Non si acquetò l’Arcivescovo; e venuta essa pure a morte, ne creò altra nuovamente di regola diversa; allora le monache non stettero più all’ obbedienza e ricorsero al Papa, il quale pubblicò una bolla dove dichiarava intrusa la Badessa, e dava podestà fessele negata obbedienza. La bolla iu presa in mala parte alla Corte di Francia, certo istigata dall’ Arcivescovo, e si addivenne alla pubblicazione di un arresto che rivendicava i diritti regi contro Roma. Fu allora che uscì manoscritta una Lettera di un curiale di Roma ad un suo amico in Parigi, nella quale si contraddiceva virilmente alle ragioni esposte nell’ arresto (1). Questa scrittura, che veniva fuori poco dopo per le stampe, era opera del nostro Favoriti, fatta, come ognuno può immaginare, di commissione del Pontefice stesso. Ben sapevasi alla Corte di Francia che non solo egli era autore dello scritto accennato, ma eziandio dei più violenti brevi spediti dal Papa intorno alla quistione della ricordata Regalia, e contro le deliberazioni della famosa Assemblea di Parigi; cuoceva specialmente quello di oltre quaranta pagine dell’ ri Aprile 1682, nel quale, pur lodandosi il Re, si condannava acremente l’Assemblea, rispondendo così alla lettera indirizzata dal clero francese al Pontefice (2). Quanto ne volessero male al Favoriti e laici ed ecclesiastici francesi non è a dirsi; quindi 1’ ira disfogarono (1) Gaillardin, Hist. de Louis XIV, T. V, pag. 68. (2) Rousset, Hist. de Louvois, T. Ili, pag. 229; Martin. Hist. de France, T. XIII, pag. 623. 292 GIORNALE LIGUSTICO ___0__ ■ m critiche acerbe ed in pasquinate contro di lui, e fu ventura ve non gli incolse peggior danno, si come mancò poco non accadesse al suo successore e parente Lorenzo Casoni, il quale nel 1688 fu a un pelo di sperimentare la collera di Luigi XIV (1). Onorevole è quanto in si fatta opportunità scriveva di lui la celebre Cristina di Svezia all’abate Bourdelot: « Favoriti est un tres-honnète homme, qui' sert fort bien son Prince, et qui mérite une bonne fortune, malgré toutes !es pasquinades qu’on fait contro lui en France qui lui sont tort glorieuses; mais il ne craint rien que ce qu’un homme d’honneur doit craindre, qui est de faire mal son devoir » (2). Da ciò rilevasi quanto ei fosse caro alla Regina, altrice magnanima delle scienze, delle lettere e delle arti, alla quale ei fu consigliero in quella sua raccolta di medaglie storiche, che meditava tar coniare a ricordanza di sua famiglia, proponendole i soggetti dei rovesci e le relative iscrizioni (3). In lode di lei pronunciò il Favoriti eleganti versi laudativi, quando Cristina si recò a visitare il Vaticano; versi che furono scolpiti a guisa d’ iscrizione sopra la fontana vicina alla grotta posta sotto al gran porticato (4). Tanti servigi resi alla Romana Corte, avevano indotto 1 a-nimo benevolo d’ Innocenzo a ricompensare degnamente il prelato sarzanese; ond’è che, per consentimento degli scrittori, a lui riserbava il cappello cardinalizio. A confermare questo vero possiamo recare un argomento di qualche peso, e cioè lo aver noi stessi veduto nell’ atrio della già sua casa in Sar-zana lo stemma di sua famiglia adorno delle insegne cardinalizie; stemma che fatto forse eseguire quando gli si era dato (1) Gerin, Innocent XI et la Revolution de 1688, nella Revue des questioni historiques, Octobre 1876. (2) Arckenholtz, Memoires concernant Christine etc., T. IV, pag. 113. (3) Op. cit., T. IV, pag. 180. V4Ì Editi a pag. 64 dei Poemata cit. GIORN ALt J-lOUbTiCO voce della sua promozione, non fu poi più collocato a luogo per l’avvenuta morte repentina; la quale il sorprese li 13 ^>υ vembre del 1682 con gravissimo cordoglio del Pontefice, dei cardinali, dei prelati e del non picciolo numero de’ suoi amici cosi nostrani come stranieri, che amavano 111 lui le doti del-1’animo e ne onoravano 1’ ingegno singolare (1). I letterati suoi parziali ne piansero la perdita con elogi e componimenti, recitati eziandio nell’Accademia degli Umoristi, della quale, come accennammo, fu si orrevol parte; e numerosi concorsero anche alle solenni esequie iattegli nella chiesa (1; Ecco due brani di lettere in cui il Beverini dolevasi della morte del Favoriti. — A Sebastiano Baldini a Roma scriveva li 22 Novembre 1682 « V. S. carica di tante lodi i miei versi latini, che quando ne meritassero una quarta parte ne potrebbono andar contenti. Io mi godo in vedere che il purgatissimo giuditio di V. S. nel preferirli ai vulgari, si accordi con quello di tanti altri insigni letterati e singolarmente della felice memoria di monsignor Favoriti, nel quale ho perduto un gran padrone et un fedelissimo e vero amico, che non havendomi mai vedute nè conosciuto di taccia , mi ha tanto amato e favorito in ogni mia oc correnza, prevenendomi ancora in tutto ciò che credeva mio vantaggio, oltre 1’ honoratissimo testimonio che tante volte ha latto di me e con la penna e con la voce; onde acerbissima m è stata la sua morte, ί come con ragione V. S. 1’ ha pianta, che se ne trovava sì fedel menti servito ». Ed al P. Antonio Trenta pure a Roma li 20 Dicembre: « Amarissima m’ è stata la nuova della morte di monsignor l avoriti, nel quale in tutti i conti s’ è perduto un grand’huomo e chea rifarlo si stenterà molto. Se uscisse imagine alcuna di lui per gratia me la mandi, acciò almeno possa veder dopo morte quello che non ho veduto in vita e nondimeno così sconosciuto m’ ha tanto amato e stimato, λ . H. se ne condolga per me coi signori suoi nepoti, e gli assicuri che la servitù havuta con Monsignore sarà sempre una delle più care memorie, chi consolino et addolorino il mio cuore ; egli però ha vissuto in modo da non morire nè in questo mondo nè in quell’altro, havendo lasciata di qua tanta fama e così gloriosa del suo nome, e portati di là tanti meriti di virtuose e sante operationi ». GIORNALE LIGUSTICO di S. Maria Maggiore, dove uno de’ suoi amantissimi, il dotto Ferdinando di Furstemberg, vescovo di Paderbona e Munster, volle ne fosse eternata la memoria, facendogli innalzare un sontuoso monumento marmoreo con tre grandi statue, rappresentanti il defunto, la Religione, la Fortezza, ed ornato da bassorilievi in cui sono esemplate le virtù dell’ insigne trapassato. Al qual monumento appose lo stesso amico la seguente iscrizione (i) : D. 0. .li. Avgvstino Favorito Sar^ancnsi Hvivs Basilica canonico Qvi illvstri ingenio excellenti doctrina avgvsta et Sedis Apostolica incestate digna cloqventia Et in primis latina orationis copia nitore ac gravitate carminvm etiam gloria Jlorentissimis Veteris avi scriptoribvs amvlvs per odo et viginti annos in Palatio clarvit Alexandro VII. Clementi IX. et X. ac Innocentio XI. Ab epistolis aitjve tn Cardinalivm catv qvem Consistorialem appellant a secretis fvit Ab eodem Innocentio nvnc ecclesiam sancte et feliciter administrante gravissimis negotiis admotus Cvrarvm molent invicta constantia fortitvdine fide ac integritate svstinvit Prisca sanctimonia el honorvm acpecvnia caterarvmqVe cadvcarvm rervm contemptv et omni christiana Virtvte maxime vero charitate erga pavperes qvibvs vivvs el valens quicquidpaves contento svpererai Assidve distnbvebat veras divitias insontem claritvdincm felicitatem et gloriam invenit Ferdinandvs Dei et Apostolica Sedis gratia Episcopus Paderbonensis et Monasteriensis S. R. I. Princeps etc. Liber Baro de Fvrslenberg amico intimo evi vivo propter incredibilem eiv> Abstinentiam nihil vnqvam largiri polvit morivo cvm Ivclv Μ. Η. P. Vixit annos LXVIII. men. X. dies X. obyt anno M.DC.LXXXII. die XIII. novembri!. Simile al celebre cancelliere Bacone, non poteva soffrire Agostino 1 odore della rosa. Accontentavasi di un solo e frugalissimo pasto al giorno, tale da sorprendere come potesse vivere in quella guisa. Fu di natura modestissimo, e gli uffici affidatigli disimpegnò con diligenza e zelo, dimostrando mai sempre la fortezza, la sincerità e l’integrità del suo animo, dispregiando sopratutto le cose mondane e transitorie. Come ^he ottenesse pe suoi servigi pingui benefìzi, e non picciole (i) Ved. Forcella, Iscridi Roma, T. XI, pag. 83, num. 161. GIORNALE LIGUSTICO 295 rimunerazioni dovute al suo grado, tanta fu in lui la carità verso i bisognosi che pochissima fortuna ereditò il nipote. Quanto al fatto delle lettere niun può negare come ei fosse insigne latinista così in verso come in prosa, imperciocché educato alla scuola degli scrittori del miglior secolo seppe imitarne gli esempi ; e nè manco gli fu al tutto nemica la musa italiana, secondo ci afferma il Crescimbeni. Certo è che e dalle testimonianze dei contemporanei, e dalle lettere del Cardinal Pallavicino, e dalla sua corrispondenza col Beverini, e finalmente dai suoi scritti, deesi ritenere in conto di soggetto erudito, elegante poeta, e critico non comune (1). A complemento di queste notizie non dobbiamo rimanerci dal ricordare alcune cose che riguardano i parenti del nostro poeta ; e direm prima di Vincenzo Favoriti fratello ad Agostino, il quale scrisse una canzone in lode del cardinale Sforza Pallavicino inviandogliela con una lettera; e come quel valente letterato giudicava la prima nobile, chiara, naturale, così l’altra scritta con stil canuto in giovami etade (2). Faremo poi memoria del già citato Lorenzo Casoni, cugino del nostro sarzanese, che assunto da Innocenzo XI in luogo del defunto, levò poi non lieve fama di sè e prima e dopo il cardinalato confertogli nel 1706 da Clemente XI; finalmente non sarà inutile conoscere che il nipote ed erede, Giacomo Maria Favoriti, non solo ebbe pubblici uffici in patria, ma volle altresì a tutte sue spese rendere di pubblica la ragione storia della Reliquia del Prezioso Sangue, dettata da Bonaventura De-Rossi e dedicata alla citta di Sarzana (3). (1) Biografia Universale, Supplemento. Ivi il W eiss, che ne ta un breve cenno biografico, Io dice per errore di Lucca. — Casoni, Annali di Genova, VI. 212-13; Gerini, Memorie ecc. I. 155-37· (2) Lettere cit., I. 184-85. (3) Si vegga la prefazione di questo libro stampato a Massa nel 1708. GIORNALE LIGUSTICO BIBLIOGRAFIA 1. Septem illustrium virorum poemata, Alexandri Pollini, Augustini Favoriti, Ferdinandi de Furstemberg, Natalis Rondinini, Stephani Gradii, et Virginii Caesarini. Antuerpiae, Plautinus, 1662 in 8.° — Nel novero dei poeti manca Giovanni Ruggero Torck. 2. Editio altera. Priori auctior et emendatior. Amestelodami, apud Danielem Elsevirium 1672 in 8.° Se dobbiamo credere al Weiss ( Biografia Universale, art. Furstemberg Ferdinando J, la prima edizione di questa raccolta fu fatta in Roma nel 1656. A pag. 41 della edizione Elzeviriana, sola da me veduta, trovasi: Poemata Augustini Favoriti sacro collegio cardinalium a secretis. Incominciano quindi le poesie alla pag. 43 e finiscono alla 156. Dalla p. 157 alla 165 leggesi: Oratio in funere Alexandri VII. P. M. habita ab Angustino Favorito in Basilica Vaticana. Dalla pag. 166 alla 172 stà: Orati) in funere Clementis IX. P. M. habita ab Augustino Favorito in Basilica Vaticana. Dalla pag. 421 alla 438 si legge: Virginii Caesarini vita, auctore Augustino Favorito. Precede le poesie del Cesarini. Nel Γ. IV pagg. 208-51 della raccolta: Carmina illustrium poetarum italorum —Florentiae, Tartinus et Franchius, 1719-26, T. II in 8.° — trovansi riprodotte alcune poesie del Favoriti. 3. Oratio in funere Alexandri VII Pont. Max. habita in Basilica Vaticana. Romae ex Typ. Rev. Cam. Apost. 1667 in 4." 4. Oratio in funere Clementis IX habita ad Cardinales in Basilica Vaticana. Romae, Typ. Pauli Monetae, 1669 in 4." 5· Vita Alexandri VII Sum. Pont. — Stà nel Ciacconio aggiunte dell’ Oldoino, T. IV, pag. 708. È il Moreni colle (Bibliog. Toscana, I. 362) che 1’afferma del Favoriti. GIORNALE LIGUSTICO 6. Lettera d’Ippolito Schiribandolo (pseudonimo del Favoriti) sul Costantino, tragedia in prosa di Filippo Ghirardelli. Roma 1653. — Sta insieme alla Difesa di Gio. Battista Filippo Ghirardelli dalle opposizioni fatte alla sua tragedia del Costantino stampata in Roma, per gli heredi del Manelfi 1653 in 12° La quale operetta va unita al Costantino tragedia ecc., stampata in Roma, 1653, appresso Aìitonio Maria Gioiosi, in 12.0 Le ragioni della diversità del tipografo son recate dal Fontanini (Bibliot. Ital. con le note dello Zeno, T. I, p. joi). Nel 1660 Bernabò del Verme ristampò il frontispizio ed il primo foglio con nuova dedica a mons. Franzone fatta da Gregorio An-dreoli; alla Difesa fu solo rifatto il frontispizio. Non v’ ha edizione speciale della lettera di Schiribandolo, la quale reca in principio: Al signor Teofilo Zen^adoro espone il suo parere intorno alla tragedia del Costantino Ippolito Schiribandolo ; ed è critica, per quanto si rileva, fatta il giorno dopo la rappresentazione e solamente udita la tragedia una sol volta. Fu posta in luce manoscritta, ed una copia ne ebbe il Ghirardelli, che è la stampata colla sua lunga ed erudita difesa. La critica usci nel marzo, e nell’aprile si sparse un dialogo pur manoscritto fra Partenio e Temisto, nel quale si ripetono gli argomenti del Favoriti e si strazia con più ira Γ autore e i suoi amici. A questo rispose un Girolamo Silenzio, vivamente offeso nel dialogo, con alcune postille poetiche ben saporite; ed eccoti iu giugno un Lucido Serenone scatenarsi sopra la lettera premessa da quegli alle sue note. Era scrittura troppo acerba, e se ne indignarono i romani : un anonimo sorse a difenderla con una sua pistola, e questa vuoisi attribuire allo stesso Favoriti. Veggasi per ciò la prefazione al lettore posta dal Ghirardelli innanzi alla tragedia. Il dialogo è per avventura quello istesso pubblicato dal Savaro e qui sotto ricordato, al quale si aggiunse la risposta alla Difesa citata, che è forse opera dell’ autor nostro. 298 GIORNALE LIGUSTICO 7. La stessa ampliata e divisa in più dialoghi intitolati : Il Partanio. Roma 1655. (Ne fu editore Battista Savaro del Pizzo). L’ ab. Quadrio suppone che tale critica fosse fatta dallo stesso Ghirardelli, per aver cagione di scriverne la difesa. (Storia e Rag. della Volg. poesia, T. Ili, pag. 113)■ È però fuor dubbio che fu opera dell’ autor nostro. Ecco come ne parla il Cre-scimbeni nella Istoria della Volgar Poesia (lib. VI, pag. 386): « Circa 1’ approvazione delle tragedie in prosa nacque non leggier disputa tra Agostino Favoriti e Gio. Battista Filippo Ghirardelli; imperciocché avendo il Ghirardelli pubblicata la sua tragedia del Costantino, il Favoriti, sotto nome di Ippolito Schiribandolo, censurolla, spezialmente come scritta in prosa, in una lettera, alla quale rispose il Ghirardelli λ assai dottamente e pienamente con la Difesa del Costantino, impressa in Roma l’anno 1653. Ma nel 1655 Gio. Battista Savaro del Pizzo, fattosi difensor del Censore, rifriggendo la lettera sopracitata di lui, e ampliandola, diedela alla pubblica vista, divisa in più dialoghi intitolati II Partenia, nei quali si contiene anche la replica alla mentovata Difesa del Ghirardelli, come si conosce dalla stampa che ne uscì il detto anno in Roma ». 8. Lettera di un curiale di Roma ad un amico di Parigi contro un arresto del Parlamento. — Sta nella Raccolta di scrittile sopra gli affari tra la S. Sede e la Francia, tomo IV, pag. 147 (Melzi). 9. La stessa. In Rhegio (an^i RomaJ, senza stampatore, 1680 in 4.0 Nella prima carta in luogo del frontispizio, stà una lettera del tipografo ai lettori, nella quale dichiara che non essendo bastate le copie manoscritte, si reputò bene far questa stampa, che esce emendata e ragguagliata sopra il ms. originale. È datata Di Casa 29 Dicembre MDCLXXX ; e subito sotto leggesi: In Rhegio — L’anno 1680. Con licenza de’ superiori. GIORNALE LICUSTIGO 299 La carta corrispondente è bianca. Segue la Lettera in pagine numerate 42; nelle 43-44 trovasi la Bolla pontificia in favore delle monache canonichesse di S. Agostino di Charonne pressa Parigi, la quale dette luogo alla pubblicazione dell’ arresto. 10. Qual fosse la patria della Rossa Sultana moglie di Solimano secondo Gran Turco. — Stà nel volume I, pag. 531-538, delle Lettere memorabili di Michele Giustiniani, Roma, Tinassi 1667-1675, in forma di lettera d’ Incerto ad Incerto, tolta dai manoscritti della biblioteca del card. Spada. Che sia scrittura del Favoriti si rileva da un codice della biblioteca di Nicolò Rossi (Catalogus select. bibliothecae N. Rossii, Romae, Palearini anno 1786, pag. 6 cod. LUI) passato ora alla Corsiniana di Roma ; dove la medesima scrittura, ma senza nome d’autore, trovasi pure nel cod. 696 col. 35 c. 2. Ha dato cagione a questa scrittura la diceria posta in giro che Alessandro VII fosse parente del Gran Turco, al quale si pretendeva legata la famiglia Marsili di Siena, donde voleasi appunto discendesse la Rossa (Vedi Bayle, Dict. art. Chigi). 11. Il P. Affò (Scritt. Parmig., voi. V, pag. 144) ha sospettato che il Favoriti voltasse in latino la tragedia del cardinale Pallavicino l'Ermenegildo, argomentandolo da una lettera di questi a lui diretta; ma nella bellissima edizione delle lettere di quell’ illustre Cardinale, procurata in Roma dal Gigli e dal P. Domenico Boeri, aumentata delle inedite e ragguagliata sui manoscritti, trovo innanzi alla ricordata lettera aggiunte per la prima volta le seguenti parole: sopra la traduzione fatta da lui in latino del discorso interno alla tragedia dell’ Ermenegildo scritto da Sua Eminenza; ed è appunto quel discorso che trovasi dopo la tragedia, nel quale vuol difendersi dalle opposizioni che gli potevano esser mosse, per aver fatto uso della rima, e che venne dedicato nella seconda edizione al Favoriti (Vedi Lettere card. Pallav. ediz., romana, T. I, p. 16-17). Il Crescimbeni nei Commentari all’ Istoria della Volgar Poesia 300 GIORNALE LIGUSTICO (T. IV, pag. 208) afferma avere il Favoriti composto alcune poesie italiane, che si conservano in un codice della Biblioteca Chisiana, Variorum Carmina Italica, e ne produce a saggio un sonetto. Un suo distico trovasi impresso a piè del ritratto del prete Benedetto di Virgilio fatto incidere da Alessandro VII. 12. Lettere inedite. — Lucca, coi torchi di D. Canovetti 1877, in 8.°' Sono cinque lettere al P. Bartolomeo Beverini edite con alcune note da Giovanni Sforza, per le nozze Remedi-To-netti. A pag. 12 sono cinque distici per la morte del cardinale Sigismondo Chigi. SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (Continuaiìonc da pag, 24;). XII. Sezione di Storia. Tornata del 6 Aprile 1877. Presidenza del Preside cav. avv. Cornelio Desimoni. Seguita la lettura del socio Claretta sui casi della Guerra di Genova nel 1672. XIII. Sezione di Belle Arti. Tornata del 13 Aprile 1877. Presidenza del Preside cav. prof. Giuseppe Isola. 11 socio Neri legge le seguenti Noterelle Artistiche intitolate Al ch. sig. march. Giuseppe Campori a Modena. Permetta ch io mandi fuori col suo nome queste noterelle, e quali a Lei più che ad ogni altro si addicono, si come a GIORNALE LIGUSTICO 301 cultore indefesso delle cose artistiche, e benemerito poi per più cagioni della storia lunigianese, alla quale esse in gran parte si riferiscono. Ella non vorrà credere eh’ io mi proponga dipartirmi dal modesto titolo onde ho annunziato questo scrittarello, e per amore di lunghi e reboanti periodi sfoderare una dissertazione, la quale sovente essendo giudicata dalla mole riesce a dar aria d’ uomo grande a chi non è. Ma io che non ho la fanciullesca fisima di voler essere e nè manco di voler parere siffatto, registrerò alla buona e come proprio mi vennero trovate le noterelle e gli appunti razzolati nel pandemonio delle mie schede. Le si diranno pietre slegate e neppur tutte pulite. Concedo; ma anche dai lapilli delle roccie un abile artefice sa congegnare maravigliosi mosaici. L’ artefice se non è nato, Deo f,avente, nascerà; ed allora facendo tesoro di tutti i granelli di sabbia, dei sassi, degli embrici e dei laterizi cumulati prima di lui, edificherà quella storia critica e vera dell’ arte in Liguria che fino a qui si desidera. I. Già s’ intende, ed Ella immagina, che per la maggior parte si parlerà di cose sarzanesi ; ma Sarzana non fu e non è forse nobile parte del ligustico dominio e della regione luni-«nanese? Ciò premesso, eccomi ad esporre le mie noterelle. Poco oltre San Stefano possedimento della Repubblica, e proprio laddove il pittoresco paesello di Caprigliola, notevole per le belle mura onde fu cinto da Cosimo I, trovasi a riscontro della terra di Albiano al di la della Magra, veg-gonsi nell’ alveo di questo fiume gli avanzi di un ponte, che la tradizione accolta da tutti quanti gli scrittori vuole edificato dalla contessa Matilde (1). Un documento del 1443 > (1) De Rossi, Collettame tris.; Targioni, Viaggi, XI. 130; Fontani, Viaggio pittorico, II. 308. 302 GIORNALE LIGUSTICO tratto dall’archivio fiorentino, ci afferma invece che il ponte fu edificato appunto in quel torno da un prete Antonio rettore della chiesa di Castiglione Lunense ; al quale Antonio la Signoria di Firenze concede facoltà di condurlo a fine facendosi aiutare dai circostanti vicini, con che siano poi liberi ed esenti da qualsivoglia tassa di pedaggio (i). Dal ponte passiamo alle campane della cattedrale di Sarzana; al qual proposito troviamo che nel 1433 una ne eseguiva un Bartolomeo da Pisa, il che ci dimostra come la celebre famiglia degli insigni fonditori pisani tanto encomiati dal Morrona pei secoli XIII e XIV fioriva anche in questo, e col magistero perpetuava altresi i nomi di battesimo (2). Cosi nel 1511 e nel 1527 vediamo per gli atti di Frediano Griffi come gli operai di S. Maria convengono con maestro Agostino figlio di Tartarino dal Borghetto, casale non molto lungi da Spezia, della rifonditura di due campane rotte (3); e non ci apparisce ignoto questo artefice, poiché già lo vediamo rammentato da Lei sulla fede dei cronisti Rocca ed Aniboni siccome fonditore delle campane di S. Francesco di Massa Ducale (4). Nè va passato sotto silenzio un fonditore cappuccino, cioè fra Tomaso da Sarzana, il quale fuse a pubbliche spese, 1 anno 1678, nel patrio convento la campana maggiore di S. Andrea effigiandovi lo stemma della città (5). Le campane ci richiamano alla mente gli orologi che pur troppo vanno ben sovente soggetti a guasti, di guisa che (1) Minutario di lettere interne dal 1441 al 144], car. 166. Classe XI. 58. (2) Arch. dell Opera di S. Maria e S. Lazzaro, ora nell’ Ospedale di S. Bartolomeo. Libro Cassa dal 142] al 1466, car. *io tergo. (3) Arch. cit. Libro scrittura 1495-1516, car. 119; e Lib. scritt. 1521-1532, car. 164. (4) Campori, Memorie biografiche ' degli scultori ecc. della provincia di Massa, pag. 263. (5) Arch. Comunale. Lib. Delib. 1664-88, car. 192. GIORNALE LIGUSTICO 3O3 - - -----------———---—--- - - nel 1464 essendosi riscontrata la necessità di rifare quell’ u-nico di uso pubblico quod est destructum, gli anziani ne danno carico a maestro Matteo da Parma qui est optimus et suficiens in dieta arte, accordandone la mercede in tre ducati d’ oro, vitto ed alloggio per lui ed il compagno (i). Anche nel 1664 troviamo deliberata dagli operai la esecuzione di un orologio nuovo da collocarsi sul campanile di S. Andrea, incaricando del lavoro maestro Bartolomeo Buratto e fissandone il prezzo in lire 325 di Genova. Ma nel 1693 1’ opera del Buratto era già interamente distrutta, poiché leggiamo elargita una conveniente elemosina a frà Tomaso da Sarzana per aver fatto il nuovo orologio di S. Andrea (2). Ed ora ricordiamo alcuni lavori di oreficeria. Nel 1453 i protettori dell’ Opera di S. Maria e S. Lazzaro, desiderando arricchire le loro chiese di sacri arredi d’ oro e d’argento, fecero venire dalla vicina terra di Fivizzano i maestri Filippo e Gabriele, ai quali allogarono l’esecuzione di calici, croci ed altri oggetti sacri intagliati e cesellati in bella forma; ed allo stesso fine chiamarono da Lucca Nicolo De-Lupporini di quella città, ed Onofrio di Giovanni Onofri da Sarzana ivi abitante per l’esercizio di sua arte ; e rimane per avventura di mano d’alcuno di costoro una bella croce d’argento, con graziose figure e rabeschi (3). Lavorarono poi di oreficeria in Sarzana e Giovanni Fiasella padre dell’ insigne pittore celebrato dalle istorie, e Giuseppe Furiano genitore di un gentile poeta (4). Ma sembra che con costoro, vissuti al cadere del secolo XVI, siano mancati in quella città artefici di tal magistero; poiché nel 1615 essendosi voluto rifare in (1) Arch. Com. Liber Deliberat. 1457-66, car. 190. (2) Arch. dell’Opera. Lib. Deliberai. 1639-72, car. 135; e Lib. 1672-1720. car. 101. (3) Arch. cit. Lib. scritt. 1450-1466, car. 7, 8, 9, 21, 22. (4) Arch. cit. Lib. scritt. 1592-94, car. 8, 50, 53. 5 04 GIORNALE LIGUSTICO bella c magnifica forma 1’ ostensorio che dovea racchiudere Fampolla dei Preziosissimo Sangue, se ne commise il disegno a Genova e s: incarico Nicolo Saluzzo, fratello del commissario allora in ufficio, di procurarne Γ esecuzione (i). Nel modo tesso & d’ uopo rivolgersi nel 1649 a Massa, e dar carico ai fratelli Gismondo e Gio. Battista Martuzzi di un palio d/argento per l’aitar maggiore di S. Maria, convenendone il prezzo in lire genovesi 3043. 2. 3. (2). Lavoro diligente d’ intaglio doveva esser quello di un fra Benedetto da Levanto, cappellano nel 1502 nella cittadella di Sarzana, che trovo ricordato in una lettera di Ottobono Spinola capitano e commissario di quella città. Egli raccomandando ai protettori di S. Giorgio la riconferma del suddetto rrate come persona da bene et che ha ben servito aggiunge : e Ι· del 179>- (2) Ivi. Divers. Collegi, Fil. 2.1 del^ 1795. 320 GIORNALE LIGUSTICO Genova Giuseppe Ceracchi architetto e scultore romano, a fine di costrurre un monumento ordinatogli dall’ Elettore Palatino; quel Ceracchi che finì poi sul patibolo, avendo congiurato insieme al pittore Lebrun contro la vita di Napoleone (i). IV. Le dirò ora del ritrovamento non solo di una lettera autografa di uno scultore insigne, le cui opere formano uno dei più belli ornamenti della città nostra, ma eziandio del disegno originale di una sua scultura oggimai perduta. Nel mio scritto di sopra citato fra le altre cose ragionai di una statua eseguita da Matteo Civitalì rappresentante S. Giorgio, che \ enne innalzata sopra apposita colonna nella maggior piazza di Sarzana l’anno 1500. Io rilevava tutto ciò da alcuni documenti dell Archivio di S. Giorgio; ora nel rovistare altre carte in quel ricchissimo emporio, ebbi la ventura di scoprire il disegno originale a penna dell’ insigne artefice e la lettera con cui lo spediva da Carrara al Capitano di Sarzana dal quale veniva rimesso ai Protettori delle Compere, e che dice così : (Extra) « Mag.co Capitanio di Sargiana quanto padre honorando etc. (Intus) η A dì 12 Aprile 1499. » Mag.1:0 Capitanio e quanto padre honorando etc. Vostra mag.CI2 sa quando noi ci ritrovamo chostì dinansi a li magnifici signori di s. Giorgio a chossì in presencia vostra. Se rimase che noi devesimo dare hordine al santo Giorgio e (i) Arch. Stato. Divers. Collegi, Fil. 5.* del 1792; Cahtù, Storia Universale, XIX. 1 q5. v'i b C ^ - * ’β ? * κ I i 4 tilt Φ ? Τ te5.1 ji ^ s *> i s -S " *" ■H i-1 >2 4, v4o*.f GIORNALE LIGUSTICO 321 a la cholona chono li loro fornimenti, e chosì abiamo dato modo a tuto. E per che el precio non si fermò, siamo chon-tento sia remiso in messer Acellino, el quale à sperimento di tutto. E vedete di mandare al presente duchati dodisi per li marmor,j e daretili a maestro Jeronimo aportatore di questa che non manchi, e chosi vi mando un pocho di desegno di ditta cholona; e non guardate al desegno l’opera sarà quella che supeirà, Non achade altro salvo siamo a li piaceri vostri e Idio vi chonsori in la sua grada. » Per lo vostro Matteo Civitale » in Charara ». lo aveva anche detto come 1’ opera andasse distrutta nelle rivolture della fine del passato secolo, e come ne rimanesse solamente il torso del cavallo dissotterrato poco tempo fa in mezzo a certe macerie. Secondo quanto io ho veduto co’ miei propri occhi e per quel che si può rilevare dal bozzetto, il cavallo era in lunghezza dalla testa alla coda un novanta centimetri, e il cavaliere dovea quindi essere in codesta proporzione; di guisa che si palesa alquanto esagerata la descrizione che ne dà il cav. Alizeri, nel recentissimo fascicolo della sua citata opera, dove scrive per appunto così: « Dico adunque che i cartularj della Banca mi danno contezza d’un S. Giorgio, grande figura e magnifica che operò il Civitali a singolare ornamento della maggior piazza di Sarzana » (1); e segue per tre buone pagine a parlare del bel monumento. Donde ogni logico lettore dee senza meno rappresentarsi alla mente una statua equestre monumentale, come quelle, puta caso, di Firenze 0 di Torino. Ma oltreché la misura della colonna doveva pur dare indizio allo' scrittore della modestia di tutta l’opera, non poteva invero sfuggirgli che con circa 500 lire ( 1) Op. cit., p. 259 e segg. Giorn. Ligustico , Ar.no JV. 21 322 GIORNALE LIGUSTICO non eravi certamente modo di eseguire un monumento grande e magnifico, se pure i mercanti di Carrara non avessero regalato il marmo e per poco Γ insigne artefice la sua opera; lasciando stare che nè manco il tempo ristretto a nove mesi avrebbe sopperito al bisogno. Ma anche s’inganna l’Alizeri aggiungendo: « Quanto ne dorrà che quella piazza ne sia vedova da tempo sì lungo, che bastò a cancellare dalle menti non pur questo eh’ ella andasse distrutta, ma ch’ella esistesse ne’ secoli andati »! Imperciocché sebbene sia vero che non ne abbiano scritto quanti toccarono del Civitali, pure della statua e della sua collocazione ha lasciata memoria Bonaventura De Rossi nei suoi manoscritti esistenti nella nostra Biblioteca Civica, e dopo di lui il celebre Targioni-Tozzetti nei notissimi Viagai stampati, senza però divisarne l’autore; oltreché gli era agevole vedere dal mio scritto ricordato che un frammento dura tuttavia. Chi poi fosse vago di conoscere la precisa postura del monumento, potrà vederla in una pianta di Sarzana fatta nel passato secolo dall’ ingegnere Vinzoni, ed esistente nell’Archivio di Stato genovese (i). V. È noto che la riviera di Levante è ricca di marmi colorati vaghissimi e di una singolare saldezza, marmi che per fermo furono conosciuti e posti in uso fino dai tempi romani, sì come provarono con gravi argomenti il San Quintino, il Guidoni ed il Promis (2). Non raramente si mostrano all’ occhio nostro eziandio nelle antiche fabbriche della nostra città; il che giova a palesarci quanto fossero pregiati dai genovesi, specie vedendosi adoperati negli ornamenti del nostro maggior tempio. (1) Confinium, Città e Paesi, Mazzo lett. S. (2) Cordero di S. Quintino, De’ marmi lunensi, 42; Guidoni, Le miniere di rame e i marmi tricolorati della valle di Levante, 8; Promis. Antica città di Lutti, 78. giornale ligustico 323 Abbiamo poi documenti dai quali se ne rileva Γ uso cosi in opere pubbliche come private fino dal secolo XII; ed è accertato dai medesimi che gran parte dei marmi verdi, rossi e di mischio onde sono composti gli ornati e le colonne della chiesa di S. Lorenzo, provengono dalla valle di Levanto, e più precisamente dalle cave del Capo delle Colonne e di Bonassola di proprietà dei Signori di Passano, i quali appunto eransi accordati co’ reggitori di Genova per fornire tutti quei marmi lavorati (1). Nè si rimasero nei successivi secoli di giovarsi di quelle stesse pietre nei restauri o nelle nuove opere eseguite nella nostra cattedrale ; del che potrebbero citarsi molte prove. Ma io ne recherò una solamente della metà del secolo XVI, e perchè non è, eh’ io mi sappia, prodotta da alcuno, e perchè toccando di uno scultore della famiglia insigne dei Carloni, ci discopre altresi un artefice veneziano che attendeva fra noi a segare, pulire ed acconciare gioie, pietre e marmi. Adunque nel 1550 a di 4 d’Agosto era emanato dai Padri il seguente decreto: « Duce e Governatori delia Repubblica di Genova. » Havendosi a reparare et instaurare la Chiesa nostra Cattedrale di S. Lorenzo che minava di verso i tetti, in la cui reparatione sarà necessario et espediente trovar qualche pietre da fare 0 fassiare pilastri, incrustar li muri e far anche il pavimento alla detta chiesia, mandemo il presente mastro Jacomo Carlone scultore per riveder quei loci ovunque sii o si possi far cava di pietre delle qualità che sijno convenevoli a una casa di Dio e un tempio tale quale è il Domo di Genova. E co-mandemo et ordinemo ad ogni nostro capitano, podestà e giusdicente che non solamente permetino in ogni loco della giurisdition nostra cercar dette cave e pietre, ma li prestino ( i ) Guidoni, Op. cit., p. 9; Belgrano, Vita privata dei genovesi, p. 12 e 13 · 324 GIORNALE LIGUSTICO ogni agiuto comodo e favor espediente e necessario ac-ciochè possi eseguir la comissione che ha dai M.ci Deputati sopra detta reparatione e fabrica per quanto ognun tien cara la gratia nostra. In fede del che. Die mj augusti 1550 » (i). Ed il Carlone si pose all’opera con tutta sollecitudine; di guisa che visitata la riviera orientale poteva a’ 4 di settembre scrivere al Governo in questa sentenza : « 111."“ et magnifici S.n patroni imi oss.”li » Ho mandato a le Signorie Vostre de più sorte de prete che ho trovato per li nostri lochi del Genovese. In le quale de tuto aspeto la satisfazione di quelle; maxime fazandoli quele dar el lustro a mastro Paulo, si conoscerà la loro perfitione. Io ho de andare, subito auto resposta da quelle, in uno altro locho unde penso anchora trovare qualche altra vena; da me non mancharà fare hogni diligentia. » La mostra de la petra che ho mandato da Monte rosso si è granitto saldo et bono: li antiqui ne usavano asai in coione, corno si po ogi giorno vedere per la tera di Genoa in più lochi, et cosi in Roma et altri lochi; et ge n’è copia assai pocho lontano da la marina. Ne ò mandato de eso de tre sorte, un più biancho che l’altro. » Circa le altre mostre non replicharò altro, perchè sa-rebe superfluo replichare le cose due volte. » Circa la deliberatione de li barconeti et archi et scornisa-menti de la chiexia, desidero bene saperle; perchè tanto che sono in questi paexi accanzarerremo tempo ; però de tuto in tuto me reporto a la voluntà di quelle, a le quale li baso le (1) Arch. Stato. Senato, Actorum, Fil. 17. GIORNALE LIGUSTICO 32J mani et de continuo me rechomando. De Sarzana a li 4 se-tembre 1550. » De loro Signorie sempre bono servitore » Jacomo Carlono » (1). Noterò che il granito di Monterosso lodato qui dal Cartone, sì come anco posto in opera dagli antichi, è quello che dai geologi viene distinto col nome di serpentino del Mesco, promontorio che partendo appunto il paesello di Monterosso da Levanto si prolunga e cade in mare. Marmo del quale parlano il Repetti, il Guidoni, il Viviani ed il Cappellini; i quali divisano altresi le diverse qualità di belle pietre che racchiudono quelle nostre montagne, e specie curiose varietà di diaspri attissime alla lavorazione, di vaghi colori e che acquistano una lucidezza mirabile. La distinzione poi che troviamo nella lettera del Carlone delle tre sorte di granito uno più bianco dell’altro, vuoisi intendere discretamente , e cioè nel senso del colorito e delle venature più o meno cariche e pronunziate. Abbiamo ivi pure veduto che egli nomina mastro Paulo sì come lustratore di marmi, ed ecco qua un documento che lo riguarda : « Ecc.ni et III.™ S.ri » Essendo io Paolo Gioii, venetiano, di V. E. servitore, già anni dui in questa mag.cl città accasato con la sua famiglia, e conciosia che le Ecc. VV. habbino la chiesa di S.to Laorentio ricca di rarissime pietre da pochi intese, e havendo io Paulo apresso gl’ intelligenti questa virtù data da gli Cieli in accontiate serar e pulir e lustrar gioie d’ogni sorte e altre pietre, come corniole agate calcedoni diaspri christalli di rocca por- (1) Arch. Stato. Lettere al Senato, ad annum. 326 GIORNALE LIGUSTICO ridi e serpentini, allabastri e altre diversità di pietre d’ ogni .sorta, dure e tenere e massiccie, pulire e lustrare marmi grechi e nostrani. Io per tanto, Ecc.rai et Ill.mi S.ri, conoscendo questa nobile città bisognar di simile virtù si pel publico che per el particolare, si come per altri tempi dalle Ecc. S. V. fu cercato di condurne, humilmente ricorro alle 111. S. V. e supplico che da quelle mi sia concesso la solita piazza quale già havevo dall’ 111. S. V. sì benignamente concessami, e siami insieme tal grazia e privilegio concesso che per anni xij niuno possi mettere ne venire a metter questa arte nella gloriosissima sua città, massime non essendo a preiudicio de niuno de essa, anzi a nobilità e gloria, perchè il più delle volte gli rari virtuosi da prencipi, o vero Republiche si fanno \^enir da levante a ponente quando nelle loro città non se ne trovano. Al che assentendo le S. V. 111. io Paulo sopradetto mi offero e prometto a V. Ecc. S. di fare le solite tationi de soldato occorrendo el bisogno e necessità; in cipresso volendo le S. V. Ill.me retifìcare la chiesa di S. Laurentio , e occorrendo bisognar dell’ opera mia e faticha in quella, e V. Ecc. S. degnandosi di addoperarmi, mi troveranno pronto e affettuosisimo servitore, remettendo e me e la opera e le fatiche mie al sano e pio e prudentissimo loro giuditio e retta voluntà. In apresso di più mi offero di pigliare dui giovani de suoi sudditti e insegnargli questa mia virtù, acciò dopo la morte mia tal nobilissima virtù resti in genovesi. E così prego el sommo Iddio che felicissimamente conservi le S. V. Ill.me e insieme col Mag.co suo Stato e Rep.ca secondo el voto e desiderio loro. MDL die XXX Julij » (1). Al che il Senato fece pienamente ragione, concedendo tutto quanto il Gioii domandava. (1) Arch. Stato. Senato, Actorum, Fil, 17. GIORNALE LIGUSTICO 327 Di Giacomo Carlone da Scaiera porgono notizia il Varni c Γ Alizeri, ed Ella altresì nel più volte ricordato suo libro ; ed a testimonio della sua abilità nell’ arte scultoria, citerò solo la bella statua di Pietro Gentile sulle scale del Palazzo delle Compere da lui eseguita nel 1556. E altresì opinione del ricordato San Quintino che dall’isola Palmaria cavassero i romani quei marmi onde furono primamente adornate le loro case e di monumenti di Roma; ma sembra che fossero di poi affatto abbandonate, perchè nessuna memoria se ne ha fino al cadere del secolo XVI. Inflitti troviamo che li 26 Agosto del 1596 il Senato concede allo scultore ed ingegnere Giovanni Morello, quello stesso del quale ho toccato di sopra, e che abitava a questo tempo in Sarzana, la facoltà di cercare e cavare marmi nella riviera orientale, salvo nella podesteria di Portovenere, dove, per antecedente privilegio, era stato ciò conceduto a Domenico Casella scultore e provveditore di pietre al Comune di Genova, noto per documenti .accennati dal Varni (1). Ma il merito di aver riaperte le antiche e trovate nuove cave nella Palmaria si deve tutto al Morello, il quale ai 10 Febbraio del 1600, in atti del notaro Agostino Pisano di Portovenere, conclude un contratto coi monaci olivetani delle Grazie, proprietari dell’ isola, con cui riceve ampia concessione per anni 20 di poter cavare in fodinis per eum inventis vel inveniendis qualsivoglia qualità di marmi, pagando al monastero 13 soldi genovesi per ciascuna carrata dall’ isola asportata. A dare più sollecita opera al lavoro, si associò il Morello in quei primi tempi Tommaso Sarti da Carrara e maestro Ugolino della Spezia, i quali spedii ono in molte parti d’ Italia le mostre de’ bellissimi marmi venati di bianco e giallo; di guisa che in breve salirono in grande (1) Arch. Stato. Senato, Levante, Fil. 2.' del 1596; Varni, Documenti cit., p. 10. 328 GIORNALE LIGUSTICO estimazione e colle molte richieste, non poco utile ne veniva alla società. Fu allora che le chiese circostanti s’ adornarono di quei marmi in opere di varia ragione, e primissimi lavori usciti dall’ isola e dallo scalpello de’ sopra nominati scultori furono il battistero della principal chiesa di Spezia e le colonne della porta dei Castagnola, nobile famiglia della medesima città. Intanto il Morello cedeva le cave di Framura a Francesco e Niccoloso Zini, e mancatagli la compagnia del Sarti e dell’ Ugolino stringeva società in Genova nel 1602 con Giambattista ed Andrea Carloni. Le ragioni del Morello furono indi a breve acquistate dal capitano Diana e dagli scultori Pietro Pelliccia ed Orazio Pellegrini; e perciò a’ 27 di Aprile del 1604 rinnovarono col Carloni 1’ atto di compagnia eleggendo in arbitro per le differenze, che per avventura potessero insorgere, il P. Marcello Pallavicino gesuita, al quale promettono fornire tutti i marmi che abbisognassero per la chiesa di quei Padri in Genova, sì come infatti, secondo si vede, quella non solo ne fornirono, ma eziandio 1’ altra chiesa del medesimo sodalizio in Palermo. Dallo stesso atto rilevasi che i Carloni eseguirono due colonne di palmi 14 per la chiesa di Lucca, e due di circa palmi 13 pel nostro S. Siro. Rimaste in processo di tempo le cave in mano dei soli Carloni, ed accortisi i monaci del magro censo che ne rilevavano in confronto dei pingui guadagni dei concessionari, mossero lite perchè fosse rotto il contratto ; controversia ghe al solito durata lunghi anni, si chiuse con un soddisfacente componimento. Certo è che lungo tutto quel periodo di tempo in cui si trassero marmi dall’ isola nel secolo XVII ne furono asportati in grande quantità, sì come ci affermano le molte testimonianze prodotte nella lite qui sopra toccata; donde ci è manifesto che in uno dei primi anni se ne vendettero ben 70 carrate, e che dall’abbondevole vena, con assiduo lavoro, GIORNALI- LIGUSTICO 329 avrebbe potuto trarsi una buona barcata di marmi ogni dì. Le ricerche che se ne avevano allora da Napoli, Roma, Palermo, Livorno, Torino, non che dalla Francia, erano moltissime; ed il prezzo ne andò si alto che una sola partita fu venduta scudi 600, e ben oltre 3000 di utile netto ne cavarono in un anno i Carloni (1). Ma quel commercio venne man mano scemando: cagione precipua il diminuire assai rapido delle vene, di guisa che nulla fu ai dì nostri 1’ escavazione nell’ isola e ben lieve nei monti che coronano il golfo di Spezia. La Palmaria poi riconosciuta adatta a fornire pietre comuni venne, mi si passi il secentismo, sviscerata testé con potentissima mina a fine di trarne materiale necessario a costrurre la diga subacquea, che dee essere schermo al primario nostro stabilimento marittimo. Le mie noterelle sono qui finite; nè so se mi debba più presto compiacere dello averle scritte, 0 della consueta cortesia, colla quale Ella vorrà accoglierle. In ogni modo mi permetta ripetere con Orazio: Est quodam prodire tenus si ιιοη datur ultra. F, con ciò distintamente La saluto (2). Tutto suo Achille Neri. (i; Notizie tratte da due miscellanee di documenti nell’Archivio Comunale di Sarzana, intitolate: Scritture pel Monastero di S. Maria delle Grafie, num. 117 e 140. (2) Unisto a queste 'Noterelle il disegno, nella proporzione di un decimo, della tomba di Mercadante di Pezamezana di cui a pag. 315, favoritomi dalla cortesia dell’egregio sac. D. Marcelo Remondini ; nonché il facsimile della lettera del Civitali recata a pig. 520, e il bozzetto di S. Giorgio mentovato a pag. 321.' 3 30 GIORNALE LIGUSTICO XIV. Sezione di Storia. Tornata del 20 .Aprile 1877. Presidenza del Preside eav. avv. Cornelio Desimoni. Si continua la lettura del socio Claretta, intorno la Guerra di Genova del ι6ηι. XV. Sezione di Archeologia. Tornata del 27 Aprile 1877. Presidenza del Preside can. prof. Angiolo Sanguineti. Il Preside fa relazione di una Tavola di bronzo stata scoperta nel maggio dell’anno 1876 nella miniera di rame d’A-ljustrel in Portogallo, ed illustrata dal prof. Augusto Soromenho con un Rapporto al Ministro portoghese dell’interno, cui va unita 1’ esatta riproduzione eliografica del monumento (1). La Tavola è dell’altezza di cent. 72 per cent. 53 di larghezza, ed incisa dalle due parti; colla scrittura rispettivamente capovolta. Perciò con 1’ una faccia si compie quanto manca nell’altra; diversamente lascierebbe molto a desiderare essendo d’ alto in basso corrosa la fine di tutte le righe. L’iscrizione che vi si legge, se non presenta un neculiare interesse per la nostra storia patria, ne ha però uno generale da che riguarda la legislazione romana ed un soggetto forse unico finora nell’epigrafi 1, oltre a qualche curiosa specialità filologica. E infatti parte di un contratto strettosi fra il so-praintendente delle miniere del Portogallo (Procurator metallorum) ed una società che ne assumeva l’esercizio. E diciamo (1) La Table de bronce d’Ajustrel etc. ; Lisbonne, Imprim. National 1877. GIORNALE LIGUSTICO 33 I parte, perchè appiè della Tavola è il numero III, messo come richiamo all’altra Tavola che doveva seguire e che mostra la presente essere la seconda. Il luogo della miniera dicevasi Ficus Pispascensis-, e se ne cavava argento, rame, ardesia e creta. Siccome intorno ad una miniera si aggruppa una popolazione che viene a formare il borgo ('vicus), cosi in questo contratto sono compresi speciali appalti per varii rami d’industria esercitati a servizio di essa popolazione. Nel tratto che abbiamo sono compresi i seguenti: i.° della stipulazione dell’uno per cento; 2° della scrittura di bando; 3." dell’uso del bagno; 4.0 de’ calzolai; 5.0 de’ barbieri ; 6.° de’ lavatoi di panni; 7.0 dei lavoranti di scorie e terre cotte; 8.° de’ maestri di scuola; 9.0 dell’ usurpazione dei pozzi. Nel percorrere questi diversi capi, il Preside fa quelle osservazioni che la natura dell’argomento richiede; , ed altre ne fanno quindi i soci Garbarino, Lodovico Bensa, C. Desimoni, Grassi e Belgrano, specialmente riguardo alla spiegazione di' certi vocaboli e frasi. XVI. Sezione di Storia. Tornata del 4 Maggio 1877. Presidenza del Preside cav. avv. Cornelio Desimoni. Si dà termine alla lettura del socio Claretta intorno ai casi della Guerra di Genova nel 1672; della quale lettura, giusta le promesse da noi fatte in principio, si porge qui un sommario. L’ autore lasciando di accennare a più antiche cagioni di attriti fra i due Stati del Piemonte e di Genova, avverte come il Duca di Savoia di buon grado si fosse accinto a tal guerra in seguito a più recenti questioni, che a bella posta si erano GIORNALE ligustico lasciate indecise, e che risguardavano futili contese insorte tra gli abitanti della Briga e di Triora, delle quali si servì come di pretesto per coprire i suoi disegni. Il disserente considera anzitutto il vero fine propostosi dal Duca di Savoia, che di quei dibattiti volevasi giovare per ottenere, se possibil fosse, una parte del litorale ligure colla città di Savona. Questo concetto era dal Duca manifestato al Marchese di S. Maurizio, ministro di Savoia a Parigi, che egli aveva altresì incaricato di indagare , se alla Corte del Cristianissimo O 7 spicasse aura favorevole ai suoi propositi, e se eseguendo questo avrebbe potuto farsi conoscere digne prince de cette maison et de ne degenerer pas de mes antecesseurs qui ont en pour ìeur garde la pruderne et le courage. La sorte ed i maneggi latenti aprivano nuova sequela di guai e novello fomento alle mire ambiziose del Duca, in seguito a conflitti nati fra gli abitanti di due terre alpestri dell’apennino ligure, Cenova e Rezzo, l’una dizione di Savoia e 1’ altra di Genova. Ancor qui 1’ inasprimento faceva velo ad ogni accordo, e dava ansa al Duca di tentare altra volta il Re di Francia ad aiutarlo contro i genovesi, querelandosi anco che il sale neccessario ai suoi dominii dovesse provenire da Nizza per aspro e malagevole cammino, mentrechè passando per Oneglia, si sarebbe ricevuto con maggiore speditezza. Ma la Francia sdebitavasi col Duca mercè la semplice missione d’ un suo legato. Senonchè a fomentare viammaggiormente il lievito della discordia, insorgeva per mala disavventura di Genova un suo cittadino stesso, Raffaele Della Torre , che bandito per delitti comuni, sperava col mezzo della rivoluzione sconvolgere il pubblico reggimento della sua patria e crearsi un lieto avvenire , da lunga mano agognato. J O O O Intesi i fatti succeduti fra i due Stati vicini e conosciuto 333 quanta fosse Γ ambizione del Duca di Savoia, e da quali mediocrità venisse pure attorniato, pensò che coi suoi altisonanti progetti n’avrebbe fatto suo prò; e col mezzo del Marchese di Livorno, figlio del Marchese di Pianezza, un dei più vecchi ed influenti consiglieri della corona, ebbe mezzo di avvicinarsi al Duca stesso, a cui fece parte di un suo piano che copriva colla parvenza di essere spinto dal nobile desio di chiamare a libero reggimento la cara patria, sconsolata da dominazione tirannica di maggiorenti del ceto patrizio. Il Duca, che era destro assai ne’ maneggi politici, ben s’accorgeva che il progetto del profugo genovese lasciava indecisi molti punti essenziali, ed altri definiti molto leggermente, e promettenti debole ed incerto risultato ; ma fu modificato dai-Γ accorto Torre, il quale, sebbene non credesse nè a Dio nè a santi nè a cose sacre e venerande, tuttavia seppe mascherarsi al punto da vincere gli scrupoli e la prima ritrosia dal Duca manifestata. Avuto il consentimento del Duca, il fellone awiavasi al Finale, dove teneva amici pari suoi ; e racimolando gente raccogliticcia, facevaia tener pronta al primo avviso che avrebbe dato. Visitato un’ altra volta il Duca, e confortato da questi con buona dose di sonanti doppie, il Torre muoveva alla rea impresa, che dovea seguire la notte del S. Giovanni, 24 giugno, in cui per la ricorrenza della festività del patrono di Genova, non si sarebbe badato ai movimenti ed ai rumori di fuori. La soldatesca awiavasi per due diverse vie. La ducale per 1’Altare muoveva alla volta di Savona, e il Della Torre coi suoi, per la valle del Bisagno. Ma il Governo genovese addatosene, diè tosto segni di maravigliosa prontezza, inviando verso Savona parte della soldatesca, ed ordinando a Girolamo Spinola governatore di quella città di provvedere a quanto potesse succedere e vegliare ^ * I >3-4 GIORNALE LIGUSTICO ai confini. Rivelata poi la trama dal Vico, complice del Torre, ne rimase impedito sul momento il progresso ; e fu ventura se il Torre ebbe scampo nel parmigiano, dove potè abbruciare molte carte compromettenti, ed una bandiera di color perla , che aveva il bugiardo motto : Libertà. Ridottosi poi a Torino il Duca prendeva a confortarlo, dolendosi che paresse un cadavere pel dolore di vedersi mancare una cosa sì gloriosa per lui e per me, e risentiva il dolore per me e non per lui, onde lo consolai il più che potei, e lo feci ritirare in una casa e consolar la sua moglie ammalata, dicendoli chi le avrei dato quello che bisognava per tutto il tempo della sua vita per V affetto che mi avea testificato. E qui cominciava la guerra aperta sull’ Apennino ligure : ma pare che ad indicar la reità della causa che sostenevasi da Savoia, concorresse ed il dissenso fra i capi stessi del-Γ armata, conte Catalano Alfieri e Marchese di Livorno, e Γ abilità mediocre da loro spiegata. Il 27 di giugno Γ esercito poteva entrare nella Pieve, ove consegnava ai rettori delle terre una dichiarazione che la sovranità della Repubblica sarebbe rimasa intatta, e che si mirava soltanto a provvedere alla difesa degli uomini di Cenova, fondo del Marchese del Maro vassallo di Savoia, semprechè fossero molestati da quelli di Rezzo, feudo di un vassallo della Repubblica. Ma a tal punto il Governo genovese prendeva gli opportuni provvedimenti ; e rinforzate le milizie e disposta gente atta e fidata ai confini ed al governo della piazza e dei forti, si preparò validamente a sostenere la guerra mossagli dal vicino ambizioso. Il Duca di Savoia non intralasciò di mettere in moto la diplomazia , e con note e memoriali trasmessi ai suoi ministri a Parigi e a Madrid tentava di legittimare la sua impresa, e se possibile ottener favori e sussidi. Ma i piati del Duca non incontravano alcun favore a Parigi, ove persino lo stesso GIORNALE LIGUSTICO 335 ministro di Savoia veniva censurato, perchè compiendo il suo uffizio sostenesse con soverchio calore la causa del proprio principe. Nè le cose della milizia procedevano quiete affatto, nè senza urti : le gare fra i capi si facevano sentire assai gravi, onde a duce supremo dell’ armata il Duca stimava di eleggere il suo zio Don Gabriel di Savoia, affinchè coll’ autorità di principe del sangue potesse dar soggezione agli altri capitani. E come Genova prendeva a suo soldo un bandito denominato il Turco, così il Duca si provvedeva del braccio c dell’ardire di un consimile masnadiero, Sebastiano Contrario. Intanto il conte Catalano Alfieri stava intento a patteggiare la resa della Pieve ed a provvedere alla distruzione di Rezzo. Fu allora che la Repubblica col miglior nerbo de’ suoi soldati, guidati dal corso Pier Paolo Restori, movea al soccorso della Pieve, e ad impigliare in qualche zuffa i savoiardi. Per consiglio però di Don Gabriel, e contro l’avviso degli altri generali, decidevasi di dividere 1’ esercito in due parti, inviandone una metà a sostenere Oneglia, e 1’ altra ad occupare Zuccarello per ricongiugnersi alla marina verso il* Testico. Occupata Oneglia, il conte Catalano atterate le fortificazioni della Pieve, in pochi giorni riusciva ad ottenere Castelvecchio. Ma qui spiegossi 1’ abilità dei duci dell’ esercito genovese : poiché lasciato l’Alfieri chiudersi in Castelvecchio, seppesi poi col mezzo dei corsi guidati dal Restori impedire che il conte Catalano si potesse congiungere a Don Gabriel che da alcuni giorni aveva eseguite fortunate operazioni. E siccome Don Gabriel, che invano aveva chiesto soccorsi al conte Catalano, non potè averli da questo, perchè d’ altra parte molestato dal maggiore Frediani, così si volle poi a lui imputarne male, e con altri successivi avvenimenti darne a lui grave carico, il che contribuì al principio della sua ruina. 336 GIORNALE LIGUSTICO Don Gabriel riducevasi indi alla Briga, ma senza essere incalzato dai genovesi, in cui preda lasciava armi e munizioni ; nè senza iattura dell’ onore dell’ armi piemontesi. Stretto poi il conte Altieri in Castelvecchio e circondato dalle milizie nemiche, rinvigorite dell’ eletta dei combattenti per la patria pericolante, aveva tentato invano ogni mezzo di uscirne e congiungersi ai piemontesi. Nè un manipolo di questi capitanati dal conte Pinasco valse a recar aiuto all’Alfieri, perchè impedito dal Restori ; onde il Conte, radunato consiglio di guerra, deliberò di tentar la via più acconcia , sebben fuori misura rischiata, d’ uscirne o morire da prodi. E così fece, e ben glien’ incolse; comechè molti fossero gli uccisi e i feriti che costò quell’ azione coraggiosa. Rimasto il Marchese di Parella in Castelvecchio, fu cogli altri fatto prigione da’ genovesi, a’ quali riusci di impadronirsi di un considerevole bottino : armi, munizioni, e quel che più monta delle carte rivelatrici dì quella impresa. Codesta splendida vittoria diè animo ai genovesi, che onori e pensioni conferirono ai loro soldati, e menarono nella lor metropoli gli sconfitti piemontesi. Il Duca di Savoia fu costernato, ma non si lasciò perdere d’ animo, e di nuovo accingevasi a bussare alle porte del Ministero di Francia. Ma il Marchese di S. Maurizio dal Re rinviato ai ministri, e da costoro al Re, solo otteneva consiglio e suggerimento, che sarebbe stato meglio pel Duca di addivenire a negoziati di pace coi genovesi. Intanto però ricominciarono le fazioni guerresche, ed i genovesi si rivolsero al riacquisto di Oneglia, la cui custodia era affidata al Conte di Castelgentile; il quale forse compro dall’oro genovese, tosto trattò della resa, che fu conclusa senza molte ambagi. Dopo Oneglia i genovesi conquistavano la Briga; ma nè dall’ una parte nè dall’ altra si accennava ancora a tregua. GIORNALE LIGUSTICO 337 Allora la Francia inviava in Italia il Signor di Gomont, come legato straordinario, che presentossi il i.° di settembre 1672 a Torino, per offrire al Duca l’appoggio di Francia, e la mediazione sua a negoziare la pace. Qui il Claretta si distende a narrare i lunghi preliminari che precedettero la conclusione della tregua, a cui il Duca non sapeva decidersi. Racconta come anzitutto fosse in cima de’ suoi pensieri di conquistare Oneglia, per rialzare Γ onore dell’ armi piemontesi; dice de’ sospetti che aveva sul Gomont , che riteneva parziale a’ genovesi, dell’ afflizione e titubanza del Duca, che martoriava il Marchese di S. Maurizio per ottenergli qualche nuovo provvedimento da Parigi. E fisso nel suo proposito, mirava intanto a conseguire con nuove fazioni Ovada ; ma se Savoia pel momento faceva acquisto di Perinaldo, perdeva con insconfìtta la Penna. Nel-1’ ottobre però si conseguiva Ovada, e poco dopo la valle colia città ritornava in dominio del Duca. Senonchè codeste vittorie nuovamente infondevano ardire al Duca , a cui cuoceva di seguire i consigli del Signor di Gomont. E qui 1’ autore espone in tutta la loro particolarità i lunghi negoziati del ministro francese e le nuove titubanze da parte del Duca, che di continuo cercava di appigliarsi a pretesti per impedire la definitiva conclusione della pace. Accenna alle fanciullaggini usate dal Duca, che per non segnare la ratifica che erasi da parte di Genova consegnata al Gomont, del quale procurava di cansare perfino 1’ abboccamento ; e rivela come il segretario di stato, Marchese di S. Tommaso, abbia in questo col mezzo della sua autorevole posizione coadiuvata assai la buona causa. La sentenza veniva pronunziata dal Re di Francia a S. Germano in Lago solamente il ik gennaio 1673, rimettendo però la decisione della differenza fra Cenova e Rezzo a giudici da scegliersi dalle due parti in Italia, colla clau- Giorx. Ligustico, Anno IIr. 338 GIORNALE LIGUSTICO sola che ove le parti dissentissero, sin d’allora restava scelta Γ Università di Ferrara. Osserva Γ autore, che se Γ autorevole sentenza impose il veto al furor battagliero, non impedi che coi cavilli si arzigogolassero mille pretese per contrariare la decisione definitiva di quelle differenze ; e confortato da nuovi documenti, accenna alla missione che ebbero in Ferrara alcuni magistrati inviati dal Duca, senza che se ne ottenesse un risultato finale. Il Claretta avverte pure che la guerra di Genova fu una sequela di molte querele per alcuni piemontesi. E qui a lungo narra i particolari, su cui già aveva scritto alcunché il cavaliere Lamarmora, per dipingere Γ orditura di una cabala di Corte, che alimentata dal desio del Duca di vendicare l’onor villipeso dell’ armi piemontesi, riversossi sul conte Catalano Alfieri e sul Marchese di Pianezza, contro cui covavano forti ragioni di privata nimicizia. , Racconta, come comprati alcuni testimonii, i quali aggravarono la fama di lui per la sortita di Castelvecchio, per la non operata congiunzione coll’ armi ausiliarie, e per le carte compromettenti lasciate in quel tafferuglio, s’ ebbe materia più che sufficiente per fabbricargli addosso un processo cominciato col confine suo nel castello avito di Magliano. Osserva poi che se il Governo poteva sino a certo punto ordire un processo, non mai può giustificarsi il raffinamento di rigore, che confinava colla crudeltà, usato inverso la famiglia Alfieri; avendo anche divelto dal fianco dell’ infelice padre il figlio conte di Magliano , che mandavasi a servire in Francia in quella milizia ausiliaria che il Louvois aveva forzatamente obbligato il Duca a mantenere in aiuto al suo Re nella guerra d’ Olanda. Riferiti da un inedito epistolario interessanti ragguagli sulla tristissima condizione del padre e figlio Alfieri, accenna allo giornale ligustico 339 sconforto del povero conte Catalano , rinchiuso indi in una delle torri del castello di Torino, e tormentato dalla insultante presenza del presidente Blancardi, scelto ad istruire il processo, perchè nemico suo personale. Riferisce un brano di lettera del maggiore Carlo Umberto suo procuratore, ove confusamente s’ accenna a veleno , ed a supposta connivenza del Duca; e infine narra la morte inopinata dell’ infelice conte, accaduta la vigilia di essere dannato al supplizio. L’ autore avverte pure alla sensazione prodotta in Francia da quella sentenza, e dalla condotta tenutasi col conte in tutto quel lungo procedimento; ed osserva che forte prova a crederlo innocente è questa: che con uguale ingiustizia, poco dopo 1’ odio e rigore usati contro di lui, si riversavano sullo stesso presidente Blancardi, che veniva poi condannato alla pena capitale, e tenevasi mano ad un processo agitatosi in Parigi, ove la corruzione del Governo piemontese ebbe larga parte nell’ estorquere rivelazioni odiose alla fama del Marchese di Livorno, il quale accortosi della piega che avevano preso le cose sue aveva stimato prudente di rifugiarsi in Francia. Finalmente il sig. Claretta, ad episodio della guerra genovese, racconta le ultime vicende del ribelle genovese Raffael Torre. 11 quale se fu ricompensato con generosa annuale pensione , ebbe poi a soffrire, sotto la reggenza della vedova duchessa Giovanna Battista (rimasa orbata del Duca nel luglio del 1675), tali e tanti infortuni, che non lo abbandonarono nè nel suo soggiorno a Torino e nella vai d’Aosta , dove viveva quasi confinato , nè nell’ Olanda , nè nella Francia , ov’ erasi per poco condotto, sinché veniva pugnalato a Venezia. 340 GIORNALE LIGUSTICO LETTERE DI CHIARI LIGURI TRATTE DAGLI AUTOGRAFI ED ILLUSTRATE DA G. BlGONZO E P. FaZIO. (Continuatione da pag. 2f)) VI. Al P. Angelico Aprosio a Ventimiglia. Molto Rev.do P.re e P.'“ Col.™ U immortai gloria, che sento spargersi da ogni banda della singoiar virtù e glorioso nome di V. S., mi spinge a rendermele colla presente umilissimo servitore, avendo delli virtuosi e scienziati fatto sempre quella stima che merita il lor valore, e mi spinge la mia innata inclinazione : non dico di vantaggio per non essere stimato adulatore. Secondo il prurito del mio rozzo ingegno, e opportunità del tempo, mi vado diportando negli studii, come fan fede i componimenti, il titolo d’alcuni dei quali, sotto il mio nome si è degnato onorarmi senza mia saputa, e contro ogni mio merito, di collocare 1’ 111."10 signor Raffaele Soprani nelli suoi Scrittori della Liguria, fra i quali godo che V. P. meritamente porti illustrissimo vanto. Ora, mentre mi trovo per le mani le sacre sposizioni del misterioso e miracoloso quadretto rappresentante il glorioso transito della B. V. Maria del Mont’ Allegro di Rapallo, di cui l’acchiudo un ritratto, dilettandomi d’inserire nel principio del trattato gli elogi degli autori di diverse città e paesi, che ne parlano, siano sonetti, madrigali, epigrammi, anagrammi, o citazioni ecc., prego pertanto V. P. (per le molte notizie e pratiche, eh’Ella conserva di varii scrittori) se ne ha qualcheduna, che di Nostra Signora parli, a farmene consapevole; cosi anco se qualcheduno al presente volesse compiacersi di onorarmi; tanto maggiormente quando fosse di suo proprio GIORNALE LIGUSTICO 341 marte, che vieppiù mi sarebbe caro e gliene resterei con perpetua obbligazione. Pregandola altresì a darmi occasione con questo di cominciar ad incontrare i suoi bramati comandi, con mantenermi vivo nella sua stimatissima grazia, mentre baciandole riverentemente le mani, mi dico ora e sempre Di V. P. M.t0 R.11* Rapallo, 8 Dicembre 1670 Dev.’’w ed Obbl.’”0 Serv." Dott. Gio. Agostino Molfino (i). VII. Allo stesso a Ventimiglia. Molto R?° P.re 1 P.nt Coi"'0 Rapito in un medesimo tempo mi vedo e obbligato dalla facondia dell’ eloquenza di V. P., e dalla copia de’ favori alli quali devo compiere; ma l’angustia del tempo, e le mie gravissime occupazioni mi costringono a differire. Rispondo solo per adesso alla stimatissima di V. P. ieri avuta, con un epi- (1) Gio. Agostino Molfino fu medico assai stimato. Diede alle stampe trattati di cose mediche, operette filosofico-morali, le Memorie Isto-riche della Madonna del MontAllegro di Rapallo, e le Sacre Sposinola' sopra la misteriosa e miracolosa imagine rappresentante il glorioso transito della B. V. Maria del Mont’Allegro di Rapallo. Mori in Rapallo sua patria l’anno 1718, in età d’anni 80. Di lui fanno menzione Raffaele Soprani negli Scrittori Liguri, pag. 157; Agostino Oldoini nell’ Ateneo Ligustico, pag. 158; Pier Francesco Minori nelle Allegrine poetiche; Angelico Apro sic nella Biblioteca Aprosiana ; Agostino Coltellini nelle sue Rime aarif, Parte 2. pag. 29; Gio. Battista da Dece, vescovo di Brugnato, nel libro intitolato La salute temporale c spirituale cagionata dall assistenza de’ medici, pag. 131; ed altri. 342 GIORNALE LIGUSTICO gramma fatto in fretta dalla mia fugace musa (i). Invierò (avuto il riscontro del rimanente, che V. P. mi avvi'sa, per non moltiplicar ora gli enti senza necessità) per mare due o tre copie della mia piccola Omologia (2) per V. P. e per il signor dott. Minozzi (3), dal quale mi vedo tanto improvvisamente favorito contr’ ogni mio merito, che mi fa restare un Arpocrate di silenzio (4). Mi spiace solo, che nè all’uno nè all’ altro io possa per adesso mostrar contrassegno delli miei grandi obblighi e gratitudine, bisognandomi esser Argo e Centimano (5) per il trattato di nostra Signora del Monte Allegro, che mi forzerà ancora per qualche mese a differire di darli 1’ ultima mano. Sapendo per altro quanto io sia ob- (1) Ecco 1’ epigramma: R. P. Angelico Aprosio Augustiniano de Rep.ca Literaria Benemerentiss.’"0 ac Bibliothecae Aprosianae Erectori Magnifico. DECASTICHON. Ambrosia hic, et apes, et apex Aprosius alter; Nam meliora letent, dum meliora paras. Ingenii sed apex, et apes dulcedine linguae; Nectare, et ambrosia, quod rapis astra Dei. Mellificant et apes ventri: mentisque supernae At mage tu sapiens, pabula honoris habes. Junge typis nomen, venient ad pocula fontis Cuncta tui Ligurum tunc, sophos, ora virum. Fallor ! at expectant iatn te tua magna Minervam ! Jactabunt pompam Pontus, et astra tuam. (2) Oenologia, idest, Vmi Dissertatio, in qua demonstratur vinum propinari posse in Destillatione. Ubi obiter nonnulla de vino, tum adversus vinolentos, tum vini detractores. In Genova, per Gio. Battista Tiboldi, 1667. In-4.0 (3) P‘er Francesco Minozzi, di Monte San Savino, fu professore di leggi > ed a’ suo> tempi occupò un bel posto nel Parnaso italiano. (4) Arpocrate, dio del silenzio presso gli Egizi. È rappresentato con un dito sulle labbra in atto d’ imporre silenzio. (5) Cioè tutt’ occhi e tutto mani. GIORNALE LIGUSTICO 343 bligato, a luogo e tempo sottoporrò alle loro dotte censure le mie inezie. Le lettere od altro per me saranno ben inviate a Genova al signor mio cognato Gio. Batta Bardi in Piazza Nuova negoziante. Non so poi se V. P. abbia nella sua libreria, Narciso al fonte del P.re Falcone, e le Questioni medicolegali di Paolo Zachia, perchè quando che no procurerei far diligenza, se o 1’ un ο Γ altro potessi fargliel’ avere ; benché per il primo mi bisogni scriver forse lontano più di 800 miglia. Un altro nostro autore degnissimo d’ ogni ben ordinata libreria, se V. P. potesse avere, stimerei molto a proposito, nel quale però mi dispiace non poterla servire, per non saper dove trovarlo, ed è: Petri, Andreae Canonherii Patritii Romani philosophiae, medicinae, ac theologiae doctoris in Aphroismos Hippocratis. Antuerpiae, 1618 (1). Con che baciandole 'riverentemente le mani, come faccio al signor dott. Minozzi, mi rassegno Di V. P. M. R.·*1 Rapallo, 28 Febbraro 1671 Dev.m0 ed Obbl.”'0 Serv.TC Gio. Agostino Molfino. • (1) Pier Andrea Canoniero da Rossiglione fu d’ ingegno bizzarro e versatile; ora soldato, or medico, poi teologo, politico, viaggiatore, moralista, scrittore di quistioni amatorie, menò vita agitatissima. Oltre 1’ opera sovranotata ei lasciò pure queste altre : Quaestiones in duos libros Amai. Cornelii Taciti, Romae 1609; Flores illustrium axiomatum, Antuerpiae 1615; Oratio de laudibus litterarum, Florentiae 1605; Epistolarum Laconicarum, ibid. 1607; Infelicità e disgrafie de letterati, Anversa 1612. 344 GIORNALE LIGUSTICO Vili. Allo stesso a Genova. Molto R:>0 P:e e P."r Sin?:"0 Resto confuso in vedermi continuamente favorito con tanta liberalità d’ affetto dalla singular gratia di V. P. M. R.da, che ben posso dire in prò dell’ ascendente della mia così ben avventurata sorte : non comincia mai fortuna per poco, dalla parte di V. P. M. R.da in favorirmi, e dalla mia in obbligarmi. In riscontro della di lei favoritissima delli 9 cadente, hebbi hier 1’ altro una lettera dal signor dott. Legati (1) degna veramente d’ ogni stima', dalla quale son venuto in conseguenza del di lui non ordinario valore ; oltre 1’ obbligo che li devo per la stima, che vedo fa delle mie inezie, con desiderio dell’ Oenologia, e la promessa di favorirmi delle sue spiritose poesie. Non sapevo se componesse in versi precisamente italiani o latini, perciò non li motivai cosa alcuna circa del comporre sopra Nostra Signora del Mont’ Allegro ; lo farò quando V. P. M. R.da me lo lodi con inviarli 1’ argomento, perchè il ritratto di essa, credo che horamai l’haverà havuto coll’ Oenologia dai lei inviatali. Dal signor dott. Minozzi non ho havuto altra risposta. In ordine all’ Accademia degli Apatisti (2) (della quale benché habbia qualche notizia, non so però Γ istruzioni e formalità, che mi sarebbero care) io gliene rendo infinitissime grazie, e sarà mio obbligo con altra posta passarne lettere, trovandomi al presente molto occupato in (1) Lorenzo Legati da Cremona dettò poesie latine e volgari. (2) Tra i quali il nostro Mollino ebbe l’onore d’essere noverato. Chi desiderasse poi avere alcuni cenni soprala mentovata Accademia, ricorra al Mazzuchelli (Scrittori d'Italia, Tomo I, parte 2/, pag. 875-77) e sarà appagato. GIORNALE LIGUSTICO 345 lettere responsive per Roma, e al dott. D. Gaspar Bravo (i) medico di Sua Maestà Cattolica. Per la stampa del mio libro delle Sacre Sposizioni di detta Nostra Signora, ho fatto stampare in Genova ed in Parma il frontispizio, nè resto soddisfatto; stimo tentar Lione od altrove, per veder di migliorare nella carta e correzione della stampa, con più facilità della licenza de’ Superiori. Del resto offerendomi alli di Lei stimatissimi comandi prontissimo con baciarle umilmente le mani, mi confermo Di V. P. M. R> Rapallo, 26 Maggio 1671. Dev.'"° e Obbl.mo Serv/' Gio. Agostino Molfino. IX. Allo stesso a Ventimiglia. Molto RevJ° mio Sig.rt e P. Oss.mo Mi pensai sempre che V. P. fatta pescator d’ anime dovesse nella reggia de’ pescatori avere abbondanza di pesci, e che cotesti scogli fossero come la rupe coronata al lido, della quale come narra Olao Magno : tanta piscium multitudo bine inde inspicitur, ut magnum stuporem visui generet, e quello che più importa, omnimodam stomaco adferat satietatem. Ma sperimentando il contrario, mi darò a credere che cotesti pescatori non sanno cosa si peschino. V Aristarco sta bene, nè la quadragesima lo debilita; anzi ogni giorno e cresce e si fa più gagliardo ; e sebbene le prediche, i sermoni e qualche negotio dimestico lo diverta, (1) Era di Aquilar del Campo, diocesi di Burgos. Fu medico di Filippo IV e Carlo II. Le sue opere non gli procacciarono gran fama. 346 GIORNALE LIGUSTICO tuttavia dalla partenza di V. P. sin all’ hora presente ha in 14 fogli distese le sue ragioni. Hanno avuto luogo tutti quelli signori che V. P. desiderava: Montalvano, il Grimaldi parlano ancora, e nel ricevere la lettera dando principio al dialogo 28.0 è stato introdotto il Crescenzi. I saluti di tanti letterati vagliono per dar vigore ad Aristarco. Farò il sonetto in lode del signor Passerini e lo manderò per la via accennata. Quanto ai predicatori, io non so parlar d’ altri che del Padre Avellino del quale non ho perduta una parola, e ho procurato per ogni via che sia favorito da ogni sorte di persone; mi ho fatto onore nel procurargli uditori, perchè è gradito, e ha sempre avuta buona udienza. Egli ha ottimo modo di porgere, per la voce, per la lingua e per l’azione; introduzioni mirabili, spiriti e vivacità infinite; sentenze gravi, cavate dalle occasioni che somministra il discorso; concetti scritturali con acutezza sublime accoppiati con un successo delle mondane istorie molto adeguato, e poi l’autentica del S. Padre, provando sempre le cose con sentenze ed esempi notabili che cagiona dolcezza grande con 1’ erudizione della quale e un Oceano. Con un sermone che fece nella Chiesa della Nunciata del Guastato si fece onore. Il giorno della Nunciata predico in S. Bernardo alla presenza de’ Serenissimi Collegi con applauso di quelli signori notabili. Veramente fu cosa d ingegno grande, portata poi con una felicità mirabile; prima e poi e stato favorito da senatori, da letterati, da religiosi e da persone nobili. Se verrà, come si dice, alle Vigne nel 1654 ha da far stupire il mondo. Carlo Borzone mandò il disegno la seconda settimana di quadragesima per quella via che V. P. ordinò. Orazio De-Ferrari non ha potuto trovare la nota che aveva posta in mezzo ad un libro, se V. P. la manderà di nuovo la farà subito: ho fitto seco più che ordinaria amicizia, e desidera GIORNALE LIGUSTICO 347 darmi gusto. Fiasella è tanto melanconico che più non splende; non dipinge per lui, stimo che sarà negozio lungo il disegnare per altri. Il pronostico non è ancor venuto, ha avuto mali incontri in Verona ed in Venezia. Gio. Pavolo bacia le mani di V. P., io faccio Γ istesso. Genova, primo Aprile, due giorni dopo aver ricevuta la sua, 1650. Di V. S. M.'° R.da Dev.m° Aff."w Tommaso Odekico (i). (1) Tommaso Oderico, che, come dice lo Spotorno (Stor. Letter. della Liguria, voi. V, p. 99), non valsero a smuovere dall’astrologia tanti esempi di Liguri, che lasciate le sottilità degli arabi e le vanità degli astrologi, tennero dietro le orme del Galileo, pubblicò tra il 1640 ed il 1660 molti scritti di tale argomento; fra i quali il Ligure vaticinante, il Ligure risvegliato, Il libro celeste per ritrovare le significazioni degli eventi dell’anno. Tra i mss. della nostra Universitaria havvene uno acquistato di fresco ed intitolato: Raccolta di oroscopi e giudici astrologici di autori diversi, fra i quali alcuni autografi di Tommaso Oderico. Diè fuori altresì un lodatissimo manuale e di molta utilità al suo tempo, cioè II Perfetto Giusdicente; dove con ottimi precetti apre la via a questo ufficio, uno de’più importanti nell’amministrazione giudiziaria della Repubblica. Ebbe una contesa molto acerba col P. Noceto, teologo della Repubblica, che gli costò la carcere. Fu eccitato il Noceto dal Cassini, ricredutosi sulle dottrine astrologiche, a predicarvi contro in S. Ambrogio; lo fece e prese appunto di mira un recente libercolo dell’ Oderico intitolato II cielo aperto. Da ciò l’acerba contesa, che si estrinsecò a mezzo di scritti anonimi; finché trascesa in vituperii, pensò bene il Governo porre ΓΟ-derico alle frescure della Torre di Palazzo, affine gli sbollissero gli ardori , e proibire in un tempo al Noceto di stampare e introdurre i suoi scritti nel Dominio. Di ciò ii hanno più accenni in libri ed in carte del-1’ Archivio Genovese. GIORNALE LIGUSTICO ANNUNZI BIBLIOGRAFICI Nelle recenti dispense dell’ ottimo. Giornale di erudizione artistica (volume V, p. 193-220), il eh. nostro corrispondente cav. Antonino Berto-lotti ha pubblicati vari documenti riguardanti Agostino Tassi ed i suoi scolari, dai quali si ricavano alcuni aneddoti concernenti alla storia pittorica genovese. Appariamo infatti che intorno al 1609 il Tassi lavorava di pittura in Genova, aiutato da Filippo Francini, che poi gli fu cognato; e questo nome è da aggiungere al Soprani, il quale per altro ricorda i lavori del Tasso nel palazzo degli Adorni e nella villa Di Negro a Fassolo (Vite, ediz. antica, p. 312). Conosciamo altresì che dieci anni più tardi Giambattista Primi, altrimenti detto il Boccalaccio, dovette fuggire di Roma a Genova per disgusti avuti col Tasso medesimo, il quale, a udire le deposizioni del pittore Lorenzo Sinibaldi, si era proposto nientemeno che di fargli tagliare un braccio. Ed era uomo da mantener la parola! Il citato Soprani (p. 332) scrive che il Primi giunto nella nostra città, acconciossi dapprima a dipingere piatti di maiolica, poi vedute marittime eseguite in gran numero e con diligenza ammirabile; e che accasatosi in Genova stessa, quivi mori nel contagio del 1657. Segue nel 1635 un processo per colpi di coltello e d’archibugio onde nel febbraio di quell’anno, in Roma, rimase ferito il pittore genovese G. B. Greppo, detto il Tittarella. Del delitto è incolpato il pittore romano Tommaso Donnino soprannominato Caravaggino ; e depone il Greppo che questi gli sparò contro per nimicizia ; ritenendo che la stessa avrebbe avuto origine da gelosia, perchè, frequentando ambidue il pittore Andrea Sacchi valenthomo, questi faceva più gentilezze al Greppo. _ » L odio aumentò (cosi prosegue) perchè io in una commedia, recitata da diversi pittori in casa del signor Soderini, facendo la parte del francese, scagliai qualche frizzo ai maldicenti, e per ciò egli fu colui che, mascherato da tedesco, mi tirò già un colpo di coltello. Mascheratosi altro giorno con un pittore, detto per soprannome Gallieno, portavano il mio ritratto con iscrizione che diceva Noti si dà più bianco via di turchino. Era per dar la burla a me, che in casa dell’eminentissimo sig. Cardinale Crescentio dipinsi in .una sala tre figurine, le quali per dar gusto al fratello del Cardinale disfeci, et in cambio di darli il bianco gli diedi il turchino con intenzione di rifarle poi a gusto suo. Ieri essendo in carrozza con il signor Agostino Tassi, Petruccio suo paggio ed altro giovane chiamato Antonio, il suddetto Donino ci vide nella strada del Ba- GIORNALE LIGUSTICO 349 buino, e si turbò. Alla sera ritornando da casa del Tasso ebbi T archi-bugiata. Mio padre venendomi a trovare vide sulla porta un iscrizione su carta, che alludeva al mio frizzo nella commedia. Quel frizzo riguardava tal Benedetto genovese pittore, ora in Napoli, il quale dipingeva spesso li viaggi di Giacobbe » (p. 210-11). Quest’ ultimo è il nostro Gian Benedetto Castiglione, più noto pel soprannome di Grechetto; ma se avevamo già dal Lanzi qualificato si come stupendo il suo ritorno di Giacobbe, veniamo ora soltanto ad apprendere che « tale soggetto era il s'uo favorito » (p. 196). Nega per altro il Caravaggino d’aver commesso il delitto ascrittogli; e venendo a parlare de’ suoi lavori, « narra aver fatto una Concezione della Madonna in grande pel Cardinale Spinola » (p. 214). D’ altra parte se uno dei testimoni ritrae il Greppo sì come « giovane quieto » e tale che « si porta bene nella professione » ; non manca chi lo descriva per « homo bizzarretto, » ed anzi, benché un po’ vagamente, si spinga fino a dargli carico « che una volta ammazzasse un tal Paolo pittore » (p. 215). Nè era poi stato solo il Castiglione a patire i morsi del Tittarella ; chè il pittore Antonio Chiusano afferma avere il Greppo già disgustati varii maestri « con i suoi strambotti nelle commedie, » e ricorda fra gli altri « un certo Giovanni Antonio pure pittore genovese » (p. 216). Nel quale ultimo forse è da riconoscere Giovanni Antonio Carosio, di cui si tocca nell’articolo seguente; o forse anche quel Giovanni Antonio Vassallo, discepolo del Borzone, che il Soprani (p. 184) encomia special-mente come abile ritrattista.. iArtisti subalpini in Roma nei secoli XV, XVI e XVII, Notizie e Documenti raccolti nell’Archivio di Stato romano da A. Bertolotti. Torino, Stamp. Reale 1877, in 8.° Estratto dagli Atti della Società i’ archeologia e belle arti per la Provincia di Torino, voi. I, fase. 4.0 Più ampia messe di notizie racchiude ancora per noi quest’ altra pubblicazione; da che Genova si vuole annoverare tra le città che diedero a Roma un buon contingente d’artisti. Simone Caldera fattoci prima-, mente conoscere dallo Staglieno come un egregio argentiere, talché ebbe parte nel lavoro dell’arca per le ceneri del Battista, quantunque l’insigne monumento rechi soltanto il nome di Teramo Danieli (1), comparisce (>) Stagliino , Appunti c inumati sopra diversi artisti poco o nulla conosciuti; Genova, Sordo-muti .870. Il Danieli era di Portoni:..,mio ; dove la sua fanghi contavi da ant.co fra le primarie. Il Calder» era di Andora. 350 GIORNALE LIGUSTICO ora nella Tesoreria papale segreta del 1454 come gioielliere « per uno zafiro grosso forato avemo da lui per mettere a la rosa di N. S. » (p. 8). Nel 1471 s' pagano 100 fiorini Francisco de Genova carpentario, csponendos per eum in talamo faciendo ad gradus sancti Petri et ad sanctum Johannem Lateranensem pro coronatione S. D. N. (p. 7)· E di certo egli é una stessa persona con Francisco de Insulabona ianuensi, al quale nell’ anno stesso si vedono pagati altri 193 fiorini pro certis palchis apud sanctum Johannem Lateranum et sanctum Petrum ad vincula (p. 8). Fra i maestri che nel 1474 erano impiegati nella fabbrica del Palazzo di San Marco, si legge il nome di Pietro Giovanni di Bulgaro, che al cognome dovrebbe ritenersi per genovese. Nell’anno appresso Tommaso da Savona lavorava nel Palazzo Apostolico ; Galeazzo e Gasperino della Spezia erano tra gli scarpellini addetti alle opere della strada per cui si aveva accesso al Palazzo medesimo. Fra il 1484 e il i486 Battista Adami di Portovenere era addetto alle riparazioni delle galee pontificie in Civitavecchia. Gio. Antonio Sormanno savonese, rammentato con brevi parole dal Soprani, scolpiva nel 1552 per la vigna Giulia « un putto in marmo che tiene un cagnolo » (p. 13). Stando al servizio delle Dogane faceva poi « risarcire le mura alle porte di Roma » ; ed era inoltre agente dell’ architetto fiorentino Giovanni di Lippi. Leonardo, fratello del precedente, quello stesso che il Soprani, il Ba-glioni ed il Gerini appellano con facile errore Lionardo da Sar%ana, « cominciò come tutti i grandi artisti col racconciare statue antiche» (p. 14), si come lo dimostrano vari importanti documenti fra il 1551 e il 1553; e certo egli è pure quel Leonardo savonese di cui nel 1554 si querelava al Governatore di Roma lo scultore portoghese Antonio Colmenares in un processo di poco momento, che poi non ebbe seguito.' Scolpì Leonardo una statua di S. Paolo destinata a sormontare il portone di Castel Sant’ Angelo, lo stemma papale sull’ingresso della Dogana, la sepoltura del Carenale di Carpi, una figura di San Pietro che voleasi collocare sulla Colonna Traiana, e le statue della cappella del Presepio in Santa Maria agg'ore· *585 era in società di lavori con Tommaso della Porta· ed un pagamento del 1588 « ci dà per certo quanto il Baglioni faceva conoscere dubbiosamente, cioè che fosse impiegato a render meno sproporzionato il Mosè della Fontana dell’Acqua Felice, s?olpito da Prospero Bresciano » (p. 14). Ultima opera del Sormanni sarebbe poi « il racconciamento dei cavalli e giganti al Quirinale in compagnia di Flaminio acca e Pietro Paolo Olivieri, i quali percepirono insieme 1600 scudi » (P- 15)· Un mandato del 1564 ci dà contezza di un Domenico da Sarzana, spedito « a Nettuno dove stette alcuni giorni per ritrovar certe statue che erano state pescate 111 mare per commissione di Nostro Signore ; le quali statue andarono in mano del signor Bonifazio Sermonetta » (p. 18). Dei Gioardi, famiglia d’antichi e celebrati bombardieri, già il Berto- GIORNALE LIGUSTICO lotti aveva parlato in altra pubblicazione da noi pure annunziata (i); ma ora si apprendono con più larghezza i diversi uffici ne’ quali furono impiegati, e può dedursene miglior giudizio del loro valore. Maestro Ambrogio Gioardo nel 1500 provvedeva i moschetti per Castel Sant’Angelo, ed all’epoca del celebre assedio forniva la polvere ai difensori di Roma contro il Borbone. Nel 1530 era ancora provveditore del mentovato Castello; e nel 1534 nominava suo procuratore Lorenzo Grosso (o Groppo), orefice genovese, « con facoltà, occorrendo, di vendere medietatem unius domus in oppido de Lergo (Lerca) vocatae la fundaria et ville posite in hurgo Pegli jurisdictionis civitatis Janue, che teneva indivise con Vincenzo, figlio quondam Georgii Johardo ipsius nepotem » (p. 19). Il qual Vincenzo era a sua volta tormentorum seu artellarie pro Sanctissimo D. N. et Camera Apostolica fabhricator; e per giunta teneva il grado di capitano d’ artiglieria. Nello stesso anno 1534 il detto Vincenzo fondeva la campana di Castel Sant’ Angelo, e più tardi (1541) una colubrina per la rocca di Ostia. Serafino e Gregorio Gioardi, capitani, gittarono anch’ essi vari pezzi d’ artiglieria nel 1545. Il Grosso, o Groppo, citato più sopra, era pesatore alla Zecca papale nel tempo del già detto assedio; e Giovanni Semino, chierico genovese, era in pari tempo gemmario del Papa (1543-44), da cui ebbe in premio 1’ assegnamento di una pensione vitalizia. Sotto Pio V compariscono due altri orefici genovesi: Luca e Gian Paolo Cecchini (1574-85). Di Genova si fornivano anche i fogli d’oro battuto opportuni alle indorature; e nel 1542 se ne trafficava specialmente con maestro Gio. Battista Braida, forse figlio a quel Giacomo che nel 1520 era console fra noi della corporazione de’ battiloro, e che ci è fatto conoscere per un documento stampato dal Varni (2). Ciascuno sa poi a quanta eccellenza fossero pervenuti i ricamatori ferraresi; e però farà giudizio della bravura di un nostro, Giuseppe Rodoano, che nel 1594 era in società di lavori con Domenico Pinaccio da Ferrara. Nel 1653 Giacomo Maria Carrozzo (così deve tradursi il latino Carretto, più presto che Carrosi) era nominato saggiatore della Zecca, e risulta morto tre anni dopo; ma nel 1685 veniva chiamato allo stesso ufficio un altro genovese, Nicolò Brusco, vissuto ancora un decennio. « Da’ registri delle parrocchie di Roma del 1656 si conosce che Francesco Castaldi di Genova, pittore, d’anni 35, abitava nel vicolo dei Schiavoni. Gio. Antonio Carosio genovese, pittore, d’anni 50, aveva 1’ abitazione nella via Condotti ... — Il Carosio trovasi pure registrato nel Zani, come bravissimo pittore vivente nel 1618, padre di Anseimo anche pittore vivente nel 1665 » (p. 53)· Infine il cav. Bertolotti opina che possa esservi qualche probabilità per credere nativo della Liguria un Giacomo della Riviera, che si trovava (1) Giornale Ligustico, anno iS7$, pag. 286. (2) Appunti artistici sopra Levanto, pag. 119. 352 GIORNALE LIGUSTICO in qualità di capo mastro di arazzi impiegato nella ben nota manifattura fondata o ripristinata in Roma a’ tempi di Urbano Vili. Ivi assieme a maestro Giacomo era del pari Gaspare Rocci suo genero (1635-40). Concludendo diremo che il nostro solerte ricercatore può a tutto diritto chiamarsi soddisfatto per avere ristorati da un’ antica ed ingiusta oblivione parecchi artisti meritevoli di onorato ricordo ; e vivere certo che i compaesani dei medesimi faranno grata accoglienza al suo lavoro, che non è punto pretenzioso e potrebbe anche dirsi un’ opera buona. LMemorie dei più insigni pittori, scultori e architetti domenicani del P. Vincenzo Marchese. Quarta edizione, notabilmente accresciuta di notizie e di documenti; con due lettere del Conte di Montalembert. Allorché nel 1845-46 queste Memorie videro la luce in Firenze co’ tipi di Alcide Parenti, i più autorevoli giornali della Penisola furono concordi nell’ appellarle una delle opere più importanti intorno le arti belle che si pubblicassero in questi ultimi tempi. Lodata assaissimo nella Francia e nella Germania, ebbe eziandio il raro onore di una versione inglese. Esaurita prestamente la 1.* edizione, fatta a non molti esemplari, il tipografo Le Monnier ne imprendeva una 2/ in Firenze nel 1854, assai più copiosa della precedente, e notevolmente migliorata e accresciuta, .ma che non bastò alle molte dimande degli amatori delle arti. Continuando frattanto 1’ Autore nelle sue ricerche, queste gli fruttarono sempre nuovi e pregevoli acquisti ; di guisa che gli venne fatto di aggiungere il nome di parecchi artefici di raro merito, e dei già noti accertare opere e fatti sconosciuti agli storici delle arti nostre. E di grandissima importanza furono le notizie aggiunte dall’autore intorno al celebre Alberto Magno, riconosciuto ornai come uno de’ più valenti architetti del secolo XIII, e al quale molti dotti alemanni oggi attribuiscono 0 in tutto o in parte il disegno delle due celebri cattedrali di Colonia e di Strasburgo. Finalmente fu dedicato un intiero capitolo ai pittori e agli architetti della Sicilia. sfuggiti alle ricerche precedenti. Tanta copia di notizie e di documenti aggiunti a quest’ opera, pei quali essa era, non pure cresciuta del doppio, ma quasi rifatta, fecero sorgere il desiderio d’una terza ristampa nell’ animo dell’ egregio cav. Federico Mylius; il quale, con quella splendidezza che gli é propria e che tanto l’onora, dispose perchè ne fosse fatta in Genova una nuova edizione a sue spese nel 1869-70 co’ tipi della. Gioventù, che riuscì elegantissima e assai corretta. Volle però che di questa non fossero tirati se non cento esemplari , ch’egli inviò in dono alle principali Biblioteche d’Italia e d’ oltremonti. Ciò non fece che accendere vieppiù negli amatori delle arti belle il desiderio che fosse reso comune a molti 1 acquisto d’un libro destinato a pochissimi. A soddisfare a questo desiderio, ora ^ si offre volonteroso il libraio-editore Gaetano Romagnoli in Bologna, il quale, ottenutane facoltà dall’Autore, imprenderà sollecitamente una quarta impressione di queste Memorie anch’essa accresciuta e migliorata. Al Romagnoli pertanto dovranno essere esclusivamente indirizzate le domande d’associazione (Bologna, via Toschi, n. 1232). Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 353 DISSERTAZIONE del Canonico Luigi Grassi intorno all ultima clausula della Sentenza inscritta nella Tavola di Porcevera. Questo monumento d’immensa importanza che riguarda una lite pubblica tra Genova ed i Veturii, e che memora altri popoli convicini, cui fortunatamente Genova possede intero, dopo aver avuti (cominciando dal nostro Annalista Mons. Giustiniani e venendo fino ai tempi nostri) più di cinquanta editori, era riservato ad ottenere per mezzo della nostra Società Ligure di Storia Patria una perfetta esattezza di materiale pubblicazione e grammaticale intelligenza, ed insieme varie trattazioni erudite per illustrarne il contesto. Negli Atti della Società prelodata occupano al tomo III le pagine dalla 357 fino alla 744 per iscritture assai rilevanti di tre socii, cioè dei canonici Angelo Sanguineti e Luigi Grassi, e del cav. Cornelio Desimoni. Il canonico Grassi; oltre alla sua Trattazione passo passo illustrativa, curò la retta lezione è la riproduzione litografica del prezioso cimelio per gli Atti suddetti. Se non che, quanto all’ ultima clausula, noYi essendo stato nella correzione della pietra annullato abbastanza' profondamente, ma solo a fior di superficie, un erroneo tratto ; dopo alcune prove d’impressione dal Grassi medesimo trovate esattissime, logorata ben presto la debole correzione, ricomparve Γ errore, ed in quella sigla mise per istrana disdetta in falso tutta quanta Γ edizione degli Atti del nostro Istituto. Ognuno intende che il Grassi non poteva immaginare, nè provvedere al gravissimo sconcio in un sito sopra cui appunto sollevaronsi controversie. Della prima controversia per la interpretazione della clausula fu attore il compianto comm. Giuseppe Morro in una Dissertazione latina, che lesse nella Sezione archeologica Giorn. Ligustico, Anno IV. 23 354 GIORNALE LIGUSTICO della nostra Accademia, essendovi Preside lo stesso Grassi; il quale gli rispose eziandio latinamente colla Dissertazione che intendiamo ora di pubblicare nel nostro Giornale. E dopo la lettura della Dissertazione si proseguì dal Morro e dal Grassi a discutere la vertenza, adoperando del pari il latino coerentemente, finché Γ Assemblea convenne nella lezione del detto Canonico. Della seconda controversia .sulla sigla medesima è autore l’illustre Teodoro Mommsen nella seconda edizione, ch’egli procurò della nostra Tavola nel Corpus Inscript. Latvoi. V, n. 7749, a cui si risponde dal Grassi colla giunta d’un Appendice segnatamente pel Mommsen, che qui farà seguito alla predetta Dissertazione. La vertenza col Morro risultò fortunata indirettamente; poiché avendo dato occasione a rinnovate osservazioni, fece sì che il Grassi compiesse 1’ opera di riuscire a dar la vera lettura di tutto il testo senza ulteriori dubbi ed eccezioni. La controversa sigla composta di due lettere con un punto in mezzo (rilevato nel tempo della disputa col Morro) è I T e non E T ; e dà un chiaro senso di formola giuridica, come può meglio vedersi nella Dissertazione seguente, del cui contenuto e della disputa in proposito fino dal 1873 aveva dato ragguaglio il Segretario generale della predetta Società nell’annuale Relazione dei lavori della stessa; la quale Relazione fu pubblicata nell’ Archivio Storico Italiano., anno 1874. Vedasi il voi. XIX della III Serie, pag. 477. . · Quanto al nome proprio del primo Legato o procuratore appiè.della sentenza, e ciò relativamente al eh. Mommsen, il Grassi nella· sua Appendice constata doversi -leggere, come egli pubblicò nella citata litografia della Tavola; vale a dire che dopo MOC esiste un punto incavato col bolino; dòpo l’O di OMETICANI la cavità ampia.ed irregolare che si trova sul bronzo non è un punto artefatto, ma un guasto di GIORNALE LIGUSTICO 355 superfìcie dipendente dalla rozza fusione del bronzo, e dalla mancanza dell’arte a ben rispianare con successivo lavoro una tavola metallica. E per questo guasto fu costretto l’incisore, dovendo scavalcarlo, a dividere 1’ O iniziale dal rimanente vocabolo. Chi possede scorretta, come sopra si è detto a riguardo dell’ I T, la detta litografia può facilmente correggersela obliterando colla punta di una matita la metà a sinistra della linea che, servendo a compiere superiormente laT, corre inesattamente fino alla punta dell’ I, dovendo invece quella finire in libera punta perfettamente isolata. Ma lasciamo la parola al canonico Grassi. La Direzione. De Tabulae Porcoberanae Postrema Clausula acroasis QUAM'an. MDCCCLXXIII. NON. APRIL. LEGERAT Aloisius Grassius Canonicus Genuae coram Coetu PATRIARUM ANTIQUITATUM STUDIIS PROMOVENDIS Coram vobis, ornatissimi, cordatique sodales, in hac una inter statas studiis rerum ligusticarum promovendis concjones ego nunc discussurus de monumento pretiosissimo aeque ac latinissimo (liceat uti vocabulo sequioris aevi), si latine loqui praetulerim, minime reprehendar, optimum sequutus exemplum postremae acroaseos oratoris, egregii sodalis Morri, qui de eadem re magna eruditionis copia, elegantique stilo latinorum lingua peroravit. Immo exemplum sequimur eruditorum omnium, qui concordi ferme consilio, cum de antiquis monumentis interpretandis, illustrandisque laudabilem navant operam, romanorum linguam adhibere solent. Hoc tamen nobis ad tempus contingit"; approbo enim commendo- 356 GIORNALE LIGUSTICO que nostrae sodalitatis legem, qua passim moderni sermonis, nunc temporis opportunior usus statuitur ; in iis prorsus, quae nostrae Academiae jussu evulganda sunt, quibus nostrorum commentariorum series, faustis auspiciis, quotannis ampliatur insignibusque scriptis locupletatur. Meipsum scitis, auditores, quum de eodem monumento porcoberano scribere instituissem, ejusque integram explanationem utcumque tentassem, antequam in Athenaeo nostro Bibliothecae Praefecturam dimitterem eamdem inchoavisse (mdccclvi) latina lingua ; sed tunc eventus interpellavit opus, aliisque studiis convertit animum, usquequo, hac nostra auspice Academia, vobis notam, pro aeris celeberrimi explanatione in Actis nostris edendam disceptationem, juxta Societatis legem, usus lingua italica, exaravi. In hanc spartam exornandam Morr.us voluit consilio commendando incumbere et ipse, quaeque disputaverit vir clariss. ex nuper praelecto in illa concione dictorum compendio vos probe audistis; labor est, mea sententia, utilissimus, saltem ex eo quod de tam insigni singularique monumento nunquam satis est loqui ; ut scilicet melius patescat, ac rectius pleniusque intelligatur. Veritatem assequimur praesertim optimae notae disputationibus, si unico veritatis amore ducimur, verorumque acquisitione procedimus ; inventa bene fundata remanent, dum ex adverso opinionum commenta delet dies, ut scite affirmabat Cicero. Saepe enim de aliqua re disputatio felici exitu nov'is studiis, novisque observationibus ansam praebet. parituris meliores amplioresque interpretationes, et, quod’optimum est, veritatis assecutionem. Hinc maximas'Morro gratias ago, quod hujusmodi mihi ansam dederit; nec, ut opinor, frustra, ad hanc provinciam renovatis ac penitionibus curis perlustrandam. Quam Morrus igitur Tabulae Porcoberanae postremae formulae tentabat interpretationem nos hic retractabimus, ami-caque disputatione novam meam explicare nitar opinionem, veteris opinionis parte solida non dimissa. GIORNALE LIGUSTICO 35 7 Antequam porro enunciatum disputationis argumentum, in quo praesertim per oppositas diversasque partes videntur abire de nostra Tabula disceptatores, operae pretium est, ad rem clarius discutiendam, ejusdem inscriptionis, verbis paucissimis, summa capita, jurisdicasque deductiones, formulasque perstringere, ac illius quasi diagramma, ut ita dicam, sub auditoris oculis ostendere. Petentibus Veturiis in re actoribus de suis agris a Genuen-sibus eorum finitimis injuriam passis, patique in posterum timentibus, Senatus Urbis de ea re auctoritate suprema dederat judices, qui ratione litis dirimendae finium scilicet re-gundorum, propria appellatione dicebantur Arbitri, quemadmodum judices a Praetore dati de facto ac injuriarum aestimatione sententiam dicturi, Recuperatores vocitabantur, quasi jurium recuperationem addicturi. Nil praeterea in aere nostro legitur, ex quo partes, litigantes in Minucios sponte compromisisse appareat; forte autumari queat ex debili conjectura fratres Minucios, potius quam alios arbitros, partes invicem litigantes comprobavisse. De judiciis, enim generis hujusmodi instituendis terminandisque haec habemus M. Tullii verba: « Quid est in arbitrio? Mite, moderatum, quantum aequius, melius id dari. » Immo et de judiciis universis Ulpianus ('Lib. 77 ai Edict.y hoc romanae jurisprudentiae servavit effatum: « Si convenerit inter litigatores quid pronuncietur, non abs re erit judicem hujusmodi sententiam proferre ». Casterum Minucios, e gente patricia, qui a Senatu arbitri dati sunt, par est credere Romae in magistratu aliquo fuisse;. Marcumque novimus ex Fastis Consularibus, septem tantummodo elapsis annis ab hoc arbitratus munere, consulatum gessisse, ac triumphasse. Hujus legitimi arbitratus tempore, quocumque jure titulove id foret (quod nunc percontari non vacat) regio nostra, qua late patet, Romanorum subjiciebatur imperio, alicuique jurisdi- 35δ GIORNALE LIGUSTICO ctioni. Rei testimonium est Via Postumia penes nos a Postumio Censore strata an. V. C. DXX (i) ; testimonium est a Ma gone Carthaginiensi, fratre Annibalis, impetu inopinato oppugnatio Genuae, ejusque eversio an. DXLVII; belloque annibalico concluso, vix post biennium Senatus romani jussu ejusdem oppidi a Sp. Lucretio propraetore duabus huc adductis legionibus restitutio. Arbitri a Senatu dati, apud nos ad tempus suo fungentes munere, magistratus proprii· appellationem titulumve negli-gunt in prima cera, initio scilicet sententiae, eo quod totius contextus opera satis eorum munus et auctoritas declarabatur, ac insuper ex publicae causae genere a S. C. derivatio. Id quod in nostris magistratibus his temporibus haudquaquam imitari perspicimus. Quoad nominum situm in documentis penes Romanos, veluti facile omnes videre queunt, ea scripturae initio exarabantur perpetua consuetudine, non solum In publicis documentis magistratuum, sed et in privatis scriptis epistolicis. Monumenta omnia, quae tempus edax, rara sorte integra, vel saltem aliquatènus tantum vexata, ad nos transmisit, semper hoc pacto auspicari reperiemus. Opinatur Brissonius in arbitriis praecessisse interlocutionem arbitrorum in rem praesentem solitae translationi. Ex sententiae nostrae proemio, quod actorum expositionem continet, in agro Langensi habita est praevia interloc.utio; namque in (i) De anno,·quo strata haec via fuitj, post Sardos, Corsos, Ligures, Insubresque subactos, nostrae opinioni, etsi dubitanter, accedit Gaspar Ode-ricus, magni nominis archaeologus (Lett. Ligust., pag. 44). At ille L. Postumio A. F. A. N. Consuli opus tribuit. Anno eodem Censor erat A. Postumius A. F. L. N. qui forsitan ipsius Consulis pater; cum ad censuram maturiores legerèntur. De Postumio Cos. an: ab V. C. DCVI. Veronensis inscriptionis loqui omittimus; quippe inde nil certi deduci potest ; an scilicet ipse primus viam straverit, an in ejus Consulatu protracta; an lapis ille sit cippus vialis hujus Consulis jussu statutus. GIORNALE LIGUSTICO 359 re praesenti controversiae acta omnia evenisse Tabula declarat evidenter, excipitur tantum sententiae pronunciatio facienda Romae ex S. C. Castellum igitur Langense, ubi Veturiorum poplicum (quod nunc appellaretur Residenza dell’ Amministrazione Comunale') tribunalis'locus'extitit; ubi idcirco. Q. et M. Minucii inter. GENVATEIS.ET. VEITVRIOS. IN. RE, PRAESENTE. COGNOVERVNT. ET. QVA. LEGE. AGRVM. POSSIDERENT. ET. Q.VA. FINES. FIERENT.. DIX- servnt. eos. fines, facere, (sic actorum in re praesenti prosequitur expositio) TERMINOSQVE. STATVI. IVSERVNT. VBEI. EA. FACTA. ESSENT. ROMAM. CORAM. VENIRE. IOVSERVNT. (hucusque eorum historia quae facta sunt in Langensibus) : rom^e. coram. SENTENTIAM. EX. SENATI. CONSVLTO. DIXERVNT. EIDIBVS. DECEMB. L. caecilio. q.. f. q. Mvvcio. Q.. F. cos. Sic praefantur Arbitri prolixo sententiae textui pro Langensibus de eorum agris, privato scilicet, publico compascuoque ; eorumdemque agrorum jura finèsque definiunt ad amussim. Praetereundum heic esse puto, brevitatis ergo, vobis notissimum sententiae digestum , de quo, sicuti bene scitis, multa disputavi in mea ejusdem monumenti interpretatione. Liceat nunc tandem properare ad controversam conclusionem, et ingenue quae ego'in praesentiarum sentio, ut promiseram, ea coram vobis satagam exponere. Nodus admodum tenax in sententiae cauda inventus, scilicet in quatuor compendiariis notis, id est prima : I1, quam sequitur T; secunda: HONO. ; tertia: PVBL.;'quarta : LI, quas notas sodalis, nostef Morrus suo modo, explicatis verbis, interpretatur: itidemque honorariis, publicisque liberabuntur. Utut ingeniosa credi velit, in multas difficultates -haec offendit explicatio. Novum et inauditumr omanarum rerum priscae antiqui-tatiscultoribus litteram Q suppressam supponere,. cum in epi-graphis enelitica legenda est. Id hac autem sodalis egregii, utut speciosa putari possit interpretatione bis in ejusdem suppres- 360 GIORNALE LIGUSTICO sionis particulae copulativae suppositionem incurrimus; quapropter ea de re vel ex hoc tantummodo capite, ejusdem omnino labascit, ut reor, interpretatio. Ad haec: honorarium, et publicum (sensu quo hic sumuntur) voces senescentem sapiunt latinitatem; neutrum in priscae classicaeque aetatis monumentis inveniri posse jure merito dubitamus. Praeterea vox publicum, substantive sumta latinis etiam aetatis illius, quam argenteam nominare solemus, ignotum est, si aliam notionem exerat praeter eam, quam repraesentat'in nostra Tabula, aliisque similibus monumentis vox antiquata Poplicum, significans Rem-publicam, quod serius Populi Universitas, moderna formula, appellatum est. Vox honorarium Augusti aevo Ulpiana significatione, ne dicam Tabulae nostrae aetati, adhuc inaudita erat. Accedit insuper : si propositam hujusce finalis formulae explicationem veritati niti paulisper supponamus, in digesti ordinata exaratione nimium Minutiana sententia peccaret, quum in superiori scripturae contextu rite fuisset adjicienda haec clausula, ubi ab Arbitris hinc inde aliae jussae referuntur. Hanc enim ad sententiae .calcem amandasse oblivionis Arbitros notaret incredibilis. Siquidem cum de cera Sententiae pronun-ciarentur, antequam eorum transcriptio in aes caelatori committeretur, facile et jure poterant Arbitri jubere correctionem. Jure, inquam ; nam Arbitri a magistratu, a quo dabantur, ad-stricti haudquaquam erant judicii praescriptionibus, quodque bonum aequumque ipsis videbatur de eo statuere muneris jure poterant. Immo ‘et minoris notae judicibus· a Praetore datis, quibus ab eo praefinita erat actionis datio, vel in gravissimis pronuntiationibus, licebat eodem sententiae die opportuna correctio; et hoc licebat quamvis appellationis remedio sibi jure possent consulere litigantes. Id quod nequibat evenire de aeris nostri sententia, quum elapso tempore constituto, in rem transisset judicatam. Erat 'igitur prorsus aequum praefinire tempus, intra quod GIORNALE LIGUSTICO qui damnum vel dolo malo vel errore patiebantur, remedio aliquo uterentur quoadusque Arbitrorum munus perdurabat ; eodem magistratu, sive Honore, arbitratus jure constituente temporis intervallum, intra quod sententiae universa praecipieba-batur executio. Quae in casu nostro usque ad Idus sextiles primas, propt in aere legimus, ob locorum distantias, ut arbitror, a Minuciis prorogabatur. Hinc ea die, et non ante, ab Arbitrii munere sive Honore, se abdicabant, eorumque sententia, etiam quoad jura privata solidae legis vicem de judicatis agris obtinebat. De clausula disputata in emissa olim opinione, quod privatos possessores praesertim respiceret concessa ab Arbitris actionis prorogatio, mihi persistendum esse existimo. Ast tandem aliquando, ne nimium prolixae elocutionis vos tàedeat, ad sententiae conclusionem procedamus. Quomodo igitur digladiata formula explicanda est? De ea dicam, sodales eruditissimi, quod nunc temporis sentio, priorem meam opinionem ex parte respuens. Incisorem Tabulae calumniati sumus, quicumque virum diligentissimum oscitandae insimulavimus. Optime scripsit ille, ac notas quae antiquitas adhibebat, vulgoque Romanis cognitas eum probe caelasse novis observationibus deprehendi. Et hic non erit abs re nosse historiolam. Cum ab artifice lithographico Tabulae editio parabatur ex optimo exemplari photographico, me in ipsomet ergasterio coram sollicite curante, mendum quod malo fato irrepserat in petra corrigere jussi. Produxerat enim lithographus lineolam supra litteram T usque ad apicem I praedentis, quae cum medio punto legi ex conjectura poterat pro E, non satis tamen regularis formae: correctio facta est; nec illinc abii quoadusque aliquas castigatas impressiones examinassem, quarum unam ego ipse adhuc possideo simul cum exemplo photographico. At correctio in petrae plano pessime peracta fuit, absque omnimoda erroris abrasione ; ac post impressiones nonnullas ite- 362 GIORNALE LIGUSTICO rum comparuit deploratos error, omnemque foedavit publicationem. Quis casum incredibilem supposuisset (1) ? Eiusmodi ergo aenigmatos prima littera est evidentissima I quam sequitur punctum; et hoc nunc res judicata videtur: .secunda est T, quam largiori interjecto spatio, quatuor elementorum sequitur nota, 'quae estHONO, post quam et alia nota quatuor pariter elementorum consequitur, nimirum PVBL, tandem sequitur L, quae videtur sociata ab I ; de hoc autem ego vehementer ambigo : sulcus enim' accedens ad formam litterae I forsitan est potius ex praecedenti non bene fusae Tabulae defectu, quam caelatoris opus. Quomodocumque nihilominus hoc ambiguum elementum velit accipi, nullum pro bona et integra textus interpretatione facessit negotium ar-chaeologo. De I et T dicemus postea. Compendium vocis HONO, frequentius HON, teste Sertorio Ursato, aliisque veterum notarum romanarum interpretibus, aliquem casum vocabuli Homr indicat; nec aliud unquam in priscae 'latinitatis ifionume'ntis invenitur significare. Nota PVBL potest esse vel adjectivum Publicus, vel adverbium Publice. Bifariam- hanc vocem adhibuerunt Latini veteres, vel eam incipientes a POP (Populicus ), vel a PVB; illa primigenia originem sequitur, haec autem postmodum alterata fuit. Aliquando utriusque formae intermixtio locum habuit eodem tempore in eodem-que monumento ; quamvis inter utramque, ut plurimum, delicato sensui videatur inesse distinctio. Tandem non sero admodum primitiva forma evanescit. Distinctio autem est: si adhibeatur ut epitheton alicujus Poplici, ea significatione quem • « ’ · (1) Elapso mense augusto hujus anni (1877) itinerans, etiam eruditionis gratia, constitit Genuae dies aliquot late insignis archaeologus, cujus sat est indicare nomen, I. B. De Rossi cum eorumdem studiorum famaeque participe P. Aloysio Bruzza C. S. P. Audito de lithographi erroris superius enarrato casu, ipse V. C. De Rossi aeream Tabulam inspexit, mecumque omnino de vera lectione convenit. giornale ligustico 363 supra explicavimus, illius indicans rerum' propriarum dominium, vel jura communia, Poplicus scribi Solet; hac excepta significatione vocabulum Publicus antefertur. Hinc ager poplicus in nostra Tabula, af in ferme coaeva Praetoris Epistola ad Tiburtios. Quid mirum igitur, si in aere nostro porcòbe-rano praeter Poplicum et Ager poplicus in praenotata significatione, aliam quoque prolationis formam (publicus) inveniamus? De nota L aut LI omnes conveniunt unanimiter, eam juridico ex Cicerone verbo legentes liberabuntur (De Off. I, io). Ad trutinam tandem revocemus controversiae nodum. Finales sententiae notas duabus litteris incipere videmus; et medio inter eas stigmate aut male deprehenso, aut tamquam id inesset pro complemento litterae E: aut incisoris errore; utrasque litteras in unicam notam compactas legimus , nonnulli per ET, et alii per IT, quibus ego quoque adhaeseram, ac pro ITERVM explicaveram. Isthaec explicatio, etiamsi vera modo non inveniatur, sensum tamen digesti· enormiter haudquaquam labefactabat, aliquas, quascumque forent, actiones inter constitutum tempus penes Arbitros eosdem reservans. I et T litterae ab invicem, quemadmodum per interjectum punctum de industria nimis evidens, dispescuit caelator, separandae sunt, et tunc, ni mea me'fallat opinio, sine Oedipo aenigmatis patescet enucleatio, apparebitque, etsi contra sententiam universam juridice non detur actio, romana aequitate ducti pro privatis damnum passis Arbitri proprium prorogant juris remedium. Quod autem notae I et T usurparentur a magistratibus, testem habemus praedictum Sertorium Ursatum, qui ciet etiam Valerium Probum, Jac. Zaba-rellam, Steph. Rhodium, Magnum (qui Notas Juris singulari opere collegit), Petrum Appianum, Wolfgungum Lazium, Aldumque Manutium, quas intra tempvs universi legendas esse concordant. Immo de simili praefiniendi temporis formula etiam A. Gellius, lib.-XII. c. 12, disputavit. 364 GIORNALE LIGUSTICO Concludamus explicaturi universa notarum compendia, quibus Minucianae sententia explicit digestum, praemissis nonnullis per quae sensus periodi completur : ante . eidvs . sextilis . primas . (quae ab hac die primae occurrent) sei . oyoi. (inter privatos homines ex sententiae, quoad utrumque litigantium Poplicum, executione damnum patientes) de . ea . re . iniqvom . (ex proprii juris laesione) videbitvr . esse . ad. nos ADEANT . PRIMO . QVOQ.VE . DIE . ET . AB . OMNIBVS . CONTROVERSIS . i (utra) . t (empvs) . hono (m) . pvbl (ice) . L ( ibe-rabvntvr), scilicet intra praefinitum tempus, quo honoris nostri duratio desinet et auctoritas, eademque interim perseverante de privatis juribus cognitis juridice per nos pronun-ciabitur. Qui autem honoris vocabulo apud Romanos majorum magistratuum munus, eorumque officium passim audivisse sibi omnino persuadere cupit, adeat, si libuerit, ante annos abhinc octo in commentariis nostrae Academiae evulgatam, quam possidetis, sodales optimi, de universa Tabulae Porco-beranae explanatione, eamdem quam secundis nos curis exaravimus tractationem. APPENDIX EXARATA MENSE SEPT. AN. MDCCCLXXVII. Peroravi sermone superiori, sodalis tunc nostri, Josephi Morri I. C. observationes oppositas curans eliminare. Nunc autem hic mihi res agenda est ut cum Theodoro Mommsen V. C. in hisce studiis aliisque facile principe, eisque sedulo promovendis, curandisque summopere meritissimo, qui nuper Tabulam nostram in Corp. Inscript. Latinar iteratis curis evulgavit. Id mihi novisse contigit ab amico oretenus, qui et per epistolam dein (de qua re illi maximas ago gratias) controversiae verba transmisit; quum hic Genuae postrema volumina Sylloges celeberrimae, jam edita, mala fortuna desiderentur. GIORNALE LIGUSTICO 3é 5 En insignis Archaeologi verba: « De singulis cum ad litteram constet, variam lectionem non addo; hoc solum notabo duobus locis, quibus errasse me in aere legendo Gras-sius dixerat, me anno 1871, ipso praesente, praesentibus aliis, viris doctis aes denuo examinasse et hoc repperisse : v. 45, in eo esse non IT, ut contendit Grassius pag. 485, sed et; v. 46, inter moc et 0 cavum quod adest, et propter formam et propter collocationem nequaquum pro puncto habendum esse, neque igitur legendum esse cum Grassio Pag· 493 = moc . ometìcani . ometiconi . f ». Hucusque Momseni verba de lectionibus, tantummodo locis in aeris inscriptione inter me et illum differentibus. Quoad meum I. T nil ultra hic addere opus est mihi post ea quae superius per me discussa fuerant. Quoad autem momsenianum moco . me-ticani quod ille suffecit lectioni meae moc . ometìcani , aere iterum inspecto, etiam armatis oculis, ac diligentissime examinato, in mea bis edita lectione persistere omnino cogor. Punctum enim post MOC, affabre caelatum, forma et collocatione convenit cum plurimis certissimis in eadem Tabula, sed, quod post O sequitur, haud caesim factum evidenter apparet, sed contrario est mera cavitas abnormis in rudi et passim male complanata superfìcie; ut videtur, ex imperitia fusionis. Haec unico veritatis amore conscripta sunto; quamvis enim illustribus viris de quaque re peritissimis obsequentem me profitear, veritati tamen obsequentiorem me cupio profiteri. S66 GIORNALE LIGUSTICO DELLE ANTICHITÀ’ DI VADO Al rev. Cav. Cesare Queirolo Arciprete di Vado (I)- Poiché nella recente occasione eh’ ebbi il piacere di rinnovare la vostra conoscenza e visitare 1’ interessante collezione di oggetti archeologici da voi esumati nel territorio della vostra parrocchia di Vado,, mi esprimeste il desiderio ch’io mi occupassi della illustrazione di tali antichità, di buon grado mi arrendo al gentile invito, e solo m’incresce che la mia competenza in questa materia non sia tale da permettermi di corrispondere in modo meno inadeguato alla fiducia di cui voleste onorarmi. Ed entrando senza' altri preamboli in argomento, dico anzitutto che 1’ insieme della vostra collezione, sia che si guardi al luogo ed al modo del rinvenimento, sia che si abbia 1’ occhio al carattere generale degli oggetti che la compongono, conferma mirabilmente quanto la tradizione e Γ o-monimia già indicavano come molto probabile circa Γ ubicazione degli antichi Vada Sabatia nell’ agro dell’ odierno Vado. Non si tratta, invero, di un fatto isolato, nè del ritrovamento di pochi oggetti in un dato punto, d’onde possa trarsi generico indizio dell’ esistenza in quel punto d’un antica stazione. Trattasi d’una quantità non indifferente di (i) Dobbiamo alla squisita gentilezza dell’ egregio cav. Vittorio Poggi la presente illustrazione, da lui dettata per servire di appendice ad una Storia di Vado della quale attualmente si occupa quels olerte Arciprete cav. Queirolo, già noto per varie pubblicazioni che trattano con grande amore delle memorie sabazie. I lettori che già'accolsero con favore lo scritto sugli scavi di Savona (Ved. la presente annata, pag. 3 e segg.), faranno buon viso, ne siamo certi, a questo nuovo lavoro del eh. Autore de’ Sigilli romani e d’ altre pregiate monografie archeologiche. La Direzione. 1AJULH 1 η GIORNALE LIGUSTICO 367 cimeli raccolti sparsamente entro un perimetro abbastanza esteso, e quel che è più, in relazione con una lunga seguenza di trovamenti'congeneri di cui si ha menzioni in memorie di scrittori. e in tradizioni orali. Queste scoperte si connettono a quelle di cui parlano il p. Angelo Lamberti (Memorie di Savona, manoscritto del secolo XVII citato dal Garoni nella sua Guida stor. econom. e art. di Savona, p. 47J, prete Agostino Maria de’ Monti (Conrp. delle mem. hist. della città di Savona, Roma 1697, p. 62 seg.J, Filippo Alberto Polleri (Il triplice vassallaggio ecc., Genova 1719, p. 43), il· conte di Chabrol (Statisi, du Départ. de Montenotte, Paris 1824, II, p. 24) ecc., nonché ad altri di cui sopravvive il ricordo presso i longevi del paese; tanto che costituiscono Γ ultimo anello d’ una serie non interrotta di esumazioni e di rinvenimenti archeologici avvenuti negli stessi luoghi durante un lungo periodo di tempo. Inoltre, non è qui il caso, come altrove, di oggetti aventi un carattere meramente sepolcrale, 0 tale che basti a spiegarne la presenza in questi luoghi il presupposto d’ un fundus, e nè tampoco d’ un pagus 0 d’ un vicus ivi esistenti; bensì di nobilissimi avanzi di lavori architettonici, di opere d arte figurativa e ornamentale, di prodotti dell’ industria applicata ai bisogni della vita ordinaria e di monumenti spettanti alla vita pubblica, il cui complesso non può non attestare 1 attività, il rigoglio e 1’ alto grado di sviluppo d una popolazione civile quivi stabilita e fiorente per lungo volger di tempo. Aggiungasi finalmente che tutti gli oggetti fin qui rinvenuti, così nella tecnica come nello stile e nel carattere delle rappresentanze portano evidentissima 1 impronta dell arte romana, e in generale dei tempi a cui, per quanto può arguirsi in proposito dalle antiche testimonianze, hassi a riferire il periodo di maggior lustro della vita sabazia, ed ecco come tutto concorra a far ritenere che le preziose 368 GIORNALE LIGUSTICO reliquie da voi raccolte e conservate, valgano a somministrare ai cultori delle patrie memorie un sicuro criterio per determinare nel modo più preciso la controversa ubicazione della vetusta città, il cui nome, menzionato con diversa dicitura da geografi e da storici dell’ epoca romana, ancor sopravvive in quello dell’ umile ma ameno paesello che copre un lembo del suolo stesso donde emersero quelle reliquie (i). Ciò per quanto concerne 1’ assieme della collezione. Passando alla specificazione dei monumenti che la compongono, è naturale eh’ io mi rifaccia dalla classe che più attira lo sguardo del visitatore, ossia dalla scultoria; classe rappresentata da pochi ma nobili soggetti; fra cui tengono il posto d’ onore due insigni frammenti statuari in marmo bianco, degni all’ intutto di figurare nelle collezioni più ricche in questo genere di monumenti. Il primo è un magnifico busto, di grandezza oltre il naturale, frammento forse di statua virile stante, e rappresenta un giovine nudo di nobili fattezze e di eleganti ed armoniche proporzioni (Tav. I, num. i). L’ altro è un frammento minore di statua analoga, e consiste in una testa il cui tipo ha molta rassomiglianza con quello del busto ora descritto (Tav. I, num. 2). I due marmi trovati a poca distanza Γ uno dall’ altro, si corrispondono nelle dimensioni; e oltre la citata rassomiglianza dei tipi, salta agli occhi di chiunque li contempli una singolare analogia di stile e di esecuzione che accusa in essi il lavoro d’ una stessa mano; attalchè è presumibile che le statue a cui appar- (1) Ho accennato in altro mio scritto (Scavi di Savona) alle diverse lezioni che della nomenclatura di questa città offrono i testi antichi. A comodo di coloro cui possa interessare, esibirò qui uno specchio di tali varianti. D. Bruto scrivendo a Cicerone della fuga di Antonio dopo la battaglia diModena, narra come alla banda di Ventidio riuscisse di congiungersi giornale ligustico 369 tennero stessero fra loro in rapporti di riscontro o di altra convenienza estetica. Io li credo ritratti, poiché, per quanto condotti con stile largo e nobile, i lineamenti del viso nulla ritengono di quel- 1 idealismo e di quel sentimento che caratterizzano nell’antichità figurata le fisionomie delle divinità e degli eroi; oltreché l’acconciatura dei capelli, i brevi pizzi (barbula) che fanno cornice alla parte inferiore del volto e altri particolari realistici si oppongono recisamente ad una simile attribuzione. Giudicandoli fisionomie individuali, non stimerei peraltro doverli assegnare alla nota classe delle statue-ritratti di efebi con Antonio ai Vaia (Cicer., Epist. ai. iiv. XI. 10). So bene che dalle parole trans Apeminum con cui Bruto designa la posizione del luogo, altri volle trarre argomento onde inferirne che i Vadi di cui é qui cenno non fossero punto i marittimi, ma bertsì altri sull’ opposto versante del-1’ Apennino, d’ onde poi tolse origine e nome 1’ odierno paese di Ovada. Sta in fatto però, che Bruto scriveva la sua lettera da Tortona; onde rispetto a lui i Vadi Sabazi erano appunto transapenninici. Arrogi che 10 stesso Bruto in altra lettera (id. id. XI. 13) dice che i Vada ove Ventidio aveva effettuata la sua congiunzione con Antonio erano posti inter Apenninum et Alpes; il che si attaglia perfettamente alla situazione geografica dei Sabazi', segnando questi il punto dove le Alpi finiscono e cominciano gli Apennini. Strabone che viaggiò in questi luoghi sul principio dell’ èra volgare, 11 designa genericamente col nome di Σαβάτοι, (Y. 1. 10 seg.) e in particolare con quello di Σαβάτωυ Οδαδα (IV. 6. i). Così Plinio seniore descrivendo la Liguria marittima, nomina il porto Vaium Sabatium (III. 8. 2); parole che ognun vede essere al secondo caso plurale. Eppure v’ ha chi ne ha fatto un nominativo singolare ! Invece Pomponio Mela (De situ Ortis, II. 4. 9) registra in questo tratto della riviera un oppidum sotto il solo cognome di Sabatia ; nel che gli fa riscontro Tolomeo, colla differenza che trasforma il cognome in Σάβατα σ Σάββατα (III. 1). Vuoisi inferirne che il cognome stesso fosse diacritico, ossia che nell’ uso volgare si chiamasse il paese col solo cognome? Non crederei: penso anzi il contrario, cioè che comunemente Giorn. Ligustico , Anno IV. 24 570 GIORNALE LIGUSTICO o palestriti che dir si vogliano, e ciò a motivo anche della loro attitudine di calma e di riposo incompatibile coll’ essenza delle immagini palestritiche, di cui è proprio esprimere sempre un esercizio corporeo. Cosi crederei doversi prescindere dal supposto che pur s’ affaccia più spontaneo nella fattispecie, ed è che appartengano alla categoria dei ritratti così detti municipali, ossia di cittadini ricchi o influenti, ai quali, sia per aver profuso denari in feste, in giuochi, in abbellimenti della città o in altre pubbliche liberalità e beneficenze, sia per essersi adoperati in altri modi a vantaggio del municipio, veniva da questo decretato Γ onore d’un simulacro marmoreo. Le statue municipali, spettanti il più delle il paese fosse chiamato col semplice nome di Vada, e che il cognome, derivatogli dalla regione di cui era il capoluogo o dal popolo stanziatosi in essa al· antiquo, si adoperasse soltanto nel linguaggio ufficiale, o per distinguerlo dagli omonimi; del che hassi una riprova nella diversità delle lezioni sotto cui questo cognome ci è pervenuto, e più ancora nel fatto che del cognome stesso non si riscontra traccia alcuna fuorché nei testi antichi, laddove il nome di Vado è vivo oggidì dopo tanti secoli come ai tempi di Bruto. , Proseguendo in ordine cronologico, troviamo ancora le seguenti denominazioni. In Giulio Capitolino (Pertin. 9): Vada Sabatia. Nell’ Itinerarium maritimum (Itin. Anton. Aug. et. Hierosolym. edid. G. Parthey et M. Pinder, Berol. 1848, n. 502. 4. 5) : Vadis Savadis, colla variante Suadis. Nell Itinerarium provinciarum (id. 29/. 3) : Vadis Sabatis, colle varianti Sauatis, Sabadis, Sabloatis, Sabbatis, secondo i diversi codici. Nella Tavola Peutingeriana (segm. II. f.): Vadis Sobates. Nel Dizionario geografico di Stefano Bizantino (De uri. ad v.) Σάβατα. Nella Cosmografia dell’ Anonimo Ravennate (ed. Parthey e Pinder, Berol. 1860, 5): Batis Sabatis, colle varianti Vadis Sobatis, Vadis Savadis, Vadis Sobates. L· questa l’ultima menzione degli antichi Vadi Sabazì; al nome dei quali sottentra da indi in poi onninamente quello di Vado. GIORNALE LIGUSTICO volte ad individui ignoti, molti dei quali vani al punto da sostener essi stessi le spese del monumento decretato a loro onore, siccome ne fanno testimonianza le sigle H. C. I. R. (honore contentus impensam remisit), H. A. I. R. (honore accepto impensam remisit), Η. V. S. R. (honore usus sumptum remisit) e simili, abbastanza ovvie nelle iscrizioni onorarie, queste statue, dico, rappresentano il personaggio in tutta la pompa del suo vestimento ufficiale, cioè togato se il maggior ufficio da essolui conseguito nella carriera degli onori era civile, paludato nel più raro caso che Γ effigiato coprisse alti gradi nella milizia, non mai nudo, eh’ io sappia, come nei due marmi in discorso. L’uso della npdità nelle statue-ritratti, importato dalla Grecia verso gli ultimi tempi della Repubblica, fu da indi in poi sempre limitato alla rappresentazione di insigni personaggi; onde non esito ad esprimere 1’ opinione che i ritratti vadensi spettino ad illustri individualità dell’ orbe romano; di che si accresce la loro importanza dal punto di vista archeologico, piuttosto scarso essendo finora il numero dei ritratti romani, dalla serie imperiale in fuori. Ma qui m’ arresto per ora, non osando avventurarmi in congetture allo scopo di indagare quali personaggi possano con qualche probabilità supporsi effigiati nei marmi in esame. Riguardo alla questione cronologica, potrebbe fornir qualche lume la già citata particolarità della barbula, il cui uso per testimonianza degli scrittori e dei monumenti (ved. Borghesi Della gente Arria, Oeuvres, I, p. 104 segg.), ci riporta agli ultimi tempi della Repubblica e ai primi dell’ Impero. Potrei soggiungere che la foggia speciale dei pizzi continuati fin sotto il mento fa pensare più particolarmente all’ epoca di Nerone, il cui volto esibisce in molti nummi una simile acconciatura di barba, venuta perciò allora in gran voga nèlle classi più elevate della società romana. Ma la via è 372 GIORNALE LIGUSTICO larga, come dicevano i Greci; oltreché -la barbula venne ben presto adottata dall’ arte quale attributo caratteristico di alta distinzione e di formosità giovanile; siccome, a tacer di altri esempi, può vedersi dall’ insigne aureo coniato in commemorazione dell’ apoteosi di Giulio Cesare (Wiczai, Mus. Hederv. 11’ p. 54, tab. suppl. Aur. 3; Cohen, Descr. gen. des vionn. de la Rep. Rom., pi. XLII, Vipsania 2), dove il volto del Dittatore che in tutti gli altri suoi ritratti apparisce imberbe, scorgesi invece fregiato dei pizzi, a contrassegno del-Γ eterna giovinezza acquisita in virtù dell’ apoteosi: laonde se al periodo in cui fu di moda presso 1’ alta società romana Γ uso della barbula, come decorazione propria alla gioventù, può assegnarsi approssimativamente la data anzi indicata, sembra per contro che la rappresentazione di essa, come concetto puramente artistico, non debba ristringersi entro gli stessi confini di tempo. Forse mettendo in opera i numerosi mezzi di confronto che offrono, in materia di ritratti, i lavori di statuaria, le gemme incise e le medaglie, si potrebbe riscontrare nella serie iconografica romana alcun tipo a cui riferire le fattezze scolpite nei marmi vadensi. Se non che la retta applicazione di questo metodo, del quale si è, del resto, molto abusato nella classificazione del materiale iconografico, esige un conveniente apparato comparativo che non è qui a mia disposizione; senpchè non ho del tutto dimessa la speranza che in seguito a nuove ricerche abbiano quando che sia a rinvenirsi altri frammenti delle statue istesse, fors’ anche i plinti 0 le basi inscritte, con nuovi elementi d’induzione per la loro giusta attribuzione. Ciò che si può intanto asserire senza tema di venir contraddetto, è che i due pezzi appartengono al più bel periodo dell’ arte romana: nè forse andrebbe lungi dal vero chi li riferisse al ciclo delle rappresentazioni statuarie dette da Plinio achilleae (XXXIV. 10), di cui 1’ essenza GIORNALE LIGUSTICO 373 consiste nel rappresentare Γ individualità sotto un carattere elevato, cioè come eroe o come nume; ciclo che iniziò la sua evoluzione fin dai tempi di Augusto. Spettano del pari a buona epoca altri frammenti di marmi figurati, infra i quali parmi meritevole di particolare menzione una bella pantera (Tav. I, num. 3), che ricorda un ramo di decorazione molto coltivato ai tempi dell’ alto impero, come può riscontrarsi anche a Pompei, dove frequenti ricorrono le rappresentanze di caccie, di combattimenti di fiere, e altre composizioni di genere con figure di animali, e frequentissimo apparisce Γ impiego di simili figure in motivi ornamentali. Uno dei soggetti zoologici di cui Γ arte antica più si compiacque riprodurre le forme, fu senza dubbio la pantera; di che molti e svariati esempi offre ad ogni piè sospinto l’antichità figurata. Non parlerò qui dell’arte orientale, i cui prodotti antichissimi già ci additano nella rappresentanza della pantera un concetto decorativo comune tanto agli Egiziani quanto agli Assiri, d’ onde per mezzo dei Fenici, l’arte dei quali è un sincretismo di concetti egizi ed assiri, fu importato in Italia fin da quando la direzione artistica predominante appo gli Etruschi era tuttora scevra da ogni influsso ellenico; del che fanno fede, fra altri, taluni dei monumenti della celebre tomba Bernardini di Palestrina testé illustrati dall’ Helbig, dal Fabiani e dal Conestabile (Mon. dell’ Inst archeol. X, tav. XXXII. 2. 5; Not. degli scavi di ant. comun. all’ Accad. dei Lincei, Agosto 1876, p. 118). Restringendomi nel campo dell’ arte greco-romana, uno dei motivi della predilezione di questa per la rappresentanza della pantera può per avventura ricercarsi nella parte sostenuta da codesto animale nei combattimenti del circo; oltre che eziandio fuori del circo, gli artisti ebbero largo campo di famigliarizzarsi colla vista di siffatto animale: antica essendo l’usanza a Roma e al- 374 GIORNALE LIGUSTICO trove (i), che anche presso privati si allevassero individui addomesticati così di questa come di altre specie di bestie immanes o ferae, in modo analogo a quanto si pratica oggidì coi bull-dogiies ; la quale usanza degenerò, anzi, più tardi in tale abuso, da provocare un editto degli Edili con cui si proibisce di tenere animali pericolosi, e nel novero di questi è appunto specificata la pantera, slegati e in luogo di pubblico passaggio (Big. XXI. i, 40-52; Justin., Instit., IV. 9, 1). Ma il principale motivo della frequente ricorrenza di questo tipo nelle rappresentazioni figurate dell’ antichità, non vuoisi d’ altronde ripetere che dall’ idea religiosa di cui era simbolo. Il politeismo era una religione essenzialmente panteistica; epperò nella vita degli antichi i rapporti degli animali col-1’ uomo erano assai più intimi che nella nostra. Molti poi di questi erano sacri a qualche divinità in particolare, e rappresentavano una parte nella niitologia, nel culto e quindi anche nell’ iconografia di questa stessa divinità. Così la pantera appartenendo al culto di Bacco, ed essendo in stretta connessione colla mitologia di questo nume, si comprende come occupi un posto cospicuo nella ricchissima iconografìa del ciclo dionisiaco; dove la vediamo . spesso in symplegma col dio (2) non soltanto , ma coi membri tutti del tiaso bacchico, (1) Un vaso dipinto (Dubois, Catal. Panckoucke, 134, n. 45 della tavola) offre Γ imagine d’ un giovine che tiene a guinzaglio una pantera. (2) Bacco in groppa alla pantera, gemma della mia collezione; cf. Lippert Dactyl., I. 156. 157. 161. Lo stesso soggetto su vasi dipinti: Dubois-Maisonneuve Introd. à l’et. des vases , II. pi. XVII; Millin Vases peints, I. pi. LX; Monum. ined. dell’ Inst. arcò. Vili. tav. X; id. statua, Clarac Mus. de Sculpt. pi. 685. 1610. Bacco su carro tirato da pantere, bassorilievo, Visconti Mus. Pio-Clem. IV. tav. 24; id. moneta di Catania, Torremuzza Sic. vet. num., tab. XXII. 7. 8. Bacco in trono con pantera a’ piedi, pittura di Pompei, Mus. Borbon. VI. tav. 53. Stante, in atto di sottoporre la coppa a grappolo d’uva, GIORNALE LIGUSTICO 375 e più specialmente colle menadi (i); alle quali, infatti, è congiunta in strettissima parentela; imperocché, giusta la dottrina riferita da Oppiano (Cymg. III. 78 seg; IV. 230 seg.), le pantere del tiaso altro non sono che menadi metamorfosate. Si può dunque ritenere come plausibile la congettura che la scultura in discorso abbia un significato bacchico; e forse non diversa accezione vuoisi attribuire ad altro marmo della collezione, consistente in una statuetta acefala di donna sedente, il cui atteggiamento richiama al pensiero la nota figura di Arianna abbandonata da Teseo sullo scoglio di Nasso, sebbene confesso che a primo aspetto fui tentato di riferirla alla interessante classe delle statue iconiche di cui la scultura del primo secolo dell’ impero ci ha trasmesso insigni esemplari, e il cui tipo in generale, sia detto qui fra parentesi, già parmi riscontrarsi in quelle ammirabili terrecotte di Tanagra che hanno destato in questi ultimi tempi tanto entusiasmo nel mondo archeologico. mentre la pantera saltella avida di mosto, altra pittura murale: Gaiette Archèol. 1876, p. 18. Bacco che porge un grappolo d’uva alla pantera, statua, Visconti Mus. Chiar. tav. 27; id. gemma, Lippert, I. 160; II. 139. 140. In atto di spremere in vaso un grappolo d’ uva onde porgerne il succo alla pantera, Mus. Borh. tav. 50. In atto di dar da bere alla pantera in un scyphos, statua, Clarac, pi. 683. 1604. Combattente, colla pantera sul braccio, vaso di Vulci, Moti, dell’ Inst. 27.-35. Rivestito di pelle di pantera a guisa di armatura, Winckelmann Moti, ined.l. 6; Gaiette Archéol. 1875, pi. IV. (1) Pantere in simplegma con satiri: Stosch Gemm. ant. cael., 49; Wicar Gal. de Flor. III. 35. Fauni e Sileni indossanti la pelle di pantera a guisa di nebride, Visconti Mus. Pio-CL, II. tav. 30, IV. 27. 29. Menadi in groppa a pantère 0 scherzanti con esse, gemme: Stosch, op. cit., tab. XXII; Gori Mus. Flor. II. tab. VI ; Bracci Meni, di ant. incis. II. tav. XLW ; Lippert Suppi, I. 248 ; Zannoni Gali, di Fir. serie V, tav. IX. 4. Pantere allattate da menadi, Choice of thè gems of. thè Duke of Marlborough, I. pi. 50; Mùller-Wieseler, II. tf. XLVI. 579. 376 GIORNALE LIGUSTICO Fra i marmi più pregevoli della collezione non vuoisi passar sotto silenzio una lastra scolpita ad uso di facciata di sarcofago (Tav. I, num. 4), il cui centro è occupato da un clipeo, o medaglione circolare che dir si voglia, con entro una graziosa protome femminile a mezzo rilievo, mentre da una parte e dall’ altra ricorre simmetricamente una duplice serie di baccelli serpeggianti. Niuno ignora che l’uso di questo elegante fregio, dalla cui grata flessuosità derivò alle arche sepolcrali, che più comunemente se ne adornarono, il controverso appellativo di vjlutiks, risale a buoni tempi dell’arte (E. Q.. Visconti, Mus. Pio-Clem., V. 16). Ma in opera di sarcofagi, ben disse il Visconti (ibid.) che oltre lo stile dell arte e gli argomenti che qualche volta ne somministra 1’ epigrafe, non vi ha forse criterio più certo per assegnare a siffatti monumenti la lor vera cronologia, dell’ acconciatura delle chiome ne’ ritratti delle defunte. Ora la fronte del sarcofago vadense esibisce appunto un ritratto femminile, la cui pettinatura, pel riscontro delle medaglie e di altri dati iconografici, ci riporta al periodo da Giulia Domna moglie di Settimio Severo a Giulia Mammea madre di Alessandro, ch§ è quanto dire al primo trentennio del secolo III. Stimo superflua 1’ analisi degli altri frammenti scultori di minor conto, cosi figurativi come ornamentali e architettonici, cui giova peraltro custodir gelosamente, nella speranza che più fortunate ricerche possano tosto 0 tardi metterci sulla via di utilizzarli connettendoli ad altre parti meno insignificanti delle rispettive individualità. Intanto, siccome ogni parte, per minima che sia, inchiude l’idea d’ un tutto, così queste frazióni, qualunque sia il loro denominatore, riportano la mente al concetto delle proprie unità monumentali, e testimoniano eloquentemente del buon gusto artistico, non meno che del benessere materiale e delle istituzioni religiose e civili del popolo a cui si riferiscono. GIORNALE LIGUSTICO 377 Venendo ai monumenti epigrafici, non si può certo disconoscere che il loro numero è assai scarso in confronto alle serie congeneri onde si vantano a buon dritto altri paesi della riviera di ponente. Ma se per quantità di iscrizioni, Vado non può a gran pezza competere con Albenga, con Cimiez, con Nizza e con altre località della Riviera, il cui contributo di materiali al corpo delle iscrizioni liguri è comparativamente ragguardevole, non v’ ha dubbio però che per quanto concerne il pregio e 1’ importanza intrinseca delle stesse, poco ha da invidiare alle sue più doviziose consorelle: oltre che non vuoisi dimenticare che i monumenti scritti esumati in Vado non rappresentano finora il thesaurum epigraphicum dell’ antica Sabazia più di quanto gli altri cimeli della vostra collezione ne rappresentino Γ insieme artistico e industriale; trattandosi di monumenti la cui scoperta è dovuta al caso piuttosto che all’ applicazione d’un appropriato sistema di indagini, tanto che debbono aversi in conto di nulla più che un saggio, e quasi a dire un arra di quanto la scienza archeologica e la storia patria possono ripromettersi da metodiche ricerche che fossero per istituirsi in questo classico suolo, la cui produttività archeologica, non che esaurita, può dirsi oggi appena segnalata. Il seguente frammento su tavola marmorea (Tav. II, num. 5) appartiene alla classe delle iscrizioni sepolcrali: p . vatinio . i. . . . SECVNDC ....... L . F . QVART . . . . EIVS . WO....... Fu pubblicato, or son due anni, dal eh. prof. can. San- 373 GIORNALE LIGUSTICO guineti nel voi XI degli Atti della Società Ligure di Storia patria (n. 275), però con lezione alquanto diversa da quella che io propongo, in quanto che nella monca ultima lettera della prima linea egli vede un P(ubiti), laddove la più accurata ispezione mi persuade doversi leggere T(iti). Non ignoro esservi stato un periodo nell’ evo imperiale, in cui 1’ uso più comune fu che il prenome del padre trapassasse nei figli, distinguendosi questi fra loro piuttosto colla varietà dei cognomi. Ma quest’ uso, a cui il eh. prof, accenna in altro passo della sua dotta opera (Iscriζ. rom. della Lig., n. 3, p. 6), oltre che non fu mai così generale da dar luogo ad una regola fissa, divenne comune soltanto ad impero inoltrato, non prima dello scorcio del II secolo, epperó non potrebbe a verun patto invocarsi a proposito d’ una lapide, cui l’elegante sveltezza dei caratteri, e altri contrassegni paleografiai, fra i quali in specie 1’ A colla linea trasversale obliqua e il P col riccio aperto, assegnano ad un’ epoca assai più alta. In quest’ epoca era piuttosto in pratica lo stile di assegnare il prenome del padre al solo primogenito: ora, il cognome Secundus, dedotto evidentemente dall’ ordine di generazione, ben ci avverte che il P. Vatinio titolare della lapide non era tale. Se non che havvi un argomento che tronca d’ un colpo il nodo della questione, ed è che Γ asta perpendicolare della lettera controversa s’innalza al di sopra del comune livello delle altre; particolarità, appunto, esclusivamente propria a tutti quanti i T dell’ iscrizióne. Crederei superfluo diffondermi a dimostrare come siffatta particolarita grafica non osti menomamente a che l’iscrizione venga aggiudicata, come propongo, alla prima metà del secolo I, non mancando esempi dell uso del ΊΓ sopraeminente in monumenti di data assai più antica: imperocché, volendo GIORNALE LIGUSTICO 379 anche ammettere col Garrucci (Syll. inscript, latin, rom. rei pubi., I, p. 8) che tanto nell* epigrafe di L. Mummio Acaico, dell’anno 609 di Roma (id. 891; Ritschl, Prisca* latinit. mon. epigr., tab. LI), quanto sul denario di Q. Antonio Balbo pretore in Sardegna nel 672 (A. Fabretti, Raccolta nu-mismat. del R. Mus. di Torino, 788), questa lettera siasi allungata per difetto di spazio; non v’ ha dubbio però che la medesima affetta la forma sopraeminente per ragion di calligrafia non pure in molti nummi di monetieri di Augusto (1), e cosi sul noto sepolcro di M. Vergilio Eùrisace pistore (RitsJil, tab. LXXXVIIIì a, b, d) di età, certo, non poste-rioie all augustea, ma eziandio in parecchi monumenti del- 1 epoca repubblicana; dei quali potrei citare fra i nummi quelli di C. Annio del 673 (Fabretti, ibid. 767), di P. Lentulo del 680 (Garrucci, ibid. 320), di L. Lentulo del 705 (id. 374) di M. Arrio (Fabretti, 1064), di M. Antonio imp. (id. 828-830); e fra i titoli lapidari, 1’ aquinate della sacerdotessa Servia (Ritschl, tab. LXX, g), il beneventano di Elvia Prima (id. tab. LXXIX, b), il lunense di L. Titinio Petriniano (id. tab. XCm,F)', e altri ancora che ognuno è in grado di riscontrare sfogliando il grande atlante Ritsche-liano (2). Ho io bisogno di osservare come l’interpunzione a forma tricuspidale, quale ricorre sulla lapide, non che disdire allo stile dei tempi a cui ho riferito la lapide stessa, debba anzi ritenersi una delle più usitate in quell’ epoca e nell’ anteriore ? Nè contro 1’ assegnazione cronologica da me proposta sarebbe di maggior peso l’obbiezione dedotta dalla nomen- (1) A. Fabretti, op. cit., Adia 708; Asinia 1069- 1071; Cassia 1632; Gallia 2568; Licinia 3136; Marcia 3359; Plotia 4137; Quinctia 4337 seg.; Sanquinia 4492. (2) Ved. tab. LXXVIII.c. h;LXXX.c; LXXXIX. j; XC. g; XCII. a. 380 GIORNALE LIGUSTICO elatura dei due soggetti menzionati nell’ iscrizione, enunciando essi, oltre il nome personale e il gentile, anche il cognome, quando è risaputo che eziandio in epoca meno rimota, molte famiglie si appalesano tuttora prive del terzo appellativo, che rimase per lungo tempo un distintivo proprio della nobiltà. Rimando coloro nei quali quest’ obbiezione avesse sollevato qualche dubbio, alla mia monografia sui Sigilli antichi romani, dove (p. 83) ho dimostrato che se la mancanza del cognome nel titolare d’ una iscrizione lapidaria può somministrare un argomento negativo per riferire l’iscrizione ad un’ epoca anteriore all’ impero di Claudio, non potrebbe, e converso, dedursi un criterio cronologico dalla sola presenza del cognome medesimo, trovandosi menzione di tale appellativo, pogniamo che non costantemente, anche su epigrafi antichissime. Rilevasi adunque da questa tronca lapide che probabilmente nella prima metà del secolo I, un Publio Vatinio Secondo figlio di Tito era stanziato nella città dei Vadi Sabazi, dove alla sua morte vennegli eretto un monumento sepolcrale per cura del cognominato Quarto figlio di Lucio, suo parente ed erede. Altri particolari intorno a questo P. Vatinio non ci è dato rilevare nè dal titolo in esame nè da altri documenti; ed è molto probabile che dovremo rassegnarci a non saperne di più sul suo conto. Meno ignota, invece, può dirsi la di lui famiglia, 0 meglio la gens a cui la medesima appartenne. Imperocché sembra che questa fosse oriunda etrusca, e propriamente del territorio di Perugia, a giudicarne dai diversi titoli funerari perugini, sui quali ricorrono a caratteri etruschi le voci vatina (A. Fabretti, Corp. inscr. ital. antiq. aevi, 1827), vatini (id. 1464), vatinia (id. 1403), VATiNiAL (id. 1463), fatinial (id. 1124). La gente Vatinia ebbe un periodo di gran lustro in Roma, e ciò fu sullo scorcio della Repubblica, per opera di Publio GIORNALE LIGUSTICO 38i Vatinio Struma, figlio di Publio (1), che ebbe tanta parte nelle vicende politiche di quell’ epoca turbolenta. Tribuno della plebe sotto il primo consolato di Giulio Cesare, promotore della legge che a questi uscente di carica accordò poteri straordinari, e perpetratore di mille altre brutture stigmatizzate in parte da Cicerone nella celebre orazione che pòrta il suo nome (2) ; pretore sotto il consolato di Pompeo, che per farne riuscir 1’ elezione ad esclusione di Catone, non ebbe vergogna di mentire gli auspici e sciogliere i comizi (3) ; accusato di àmbito da C. Licinio Calvo per aver corrotto i comizi pretori (4) ; nella qual causa fu difeso per disciplina di partito dallo stesso Cicerone (5); augure in sostituzione di Appio (6), generale di Cesare, vittorioso nella guerra Alessandrina (7); console nel 707 (8); imperatore e pretore in Illiria sotto la terza Dittatura (9), battuto dai repubblicani a Durazzo dopo la morte del Dit- (1) Atteso la sua qualità di uomo nuovo, come dicevano, nella enunciazione delle sue note genealogiche, così sulle tavole trionfali come nei fasti consolari, non figura il prenome dell’ avo; ma noi sappiamo da Cicerone (De nat. Deor., II. 2. 6) questi essere stato quel P. Vatinio Reatinae praefecturae vir, il quale narrò al Senato essergli apparsi Castore e Polluce annuncianti la disfatta e la cattura di re Perseo per opera di Paolo Emilio; per la qual cosa, tradotto dapprima in carcere quasi temere de republica loquutus, allorché la notizia venne confermata dalle lettere di Paolo, et agro a Senatu et vacatione donatus est (ci Valer. Max., lib. 8. 1.). (2) In Vatinium I, seqq. (3) Plutarco, Pomp. (4) Asc. Pediano nel Proemio al commentario dell' orazione pro Scauro. (5) Fragm., p. 152; Ad. div., I. 9; V. 9, 10, 11. (6) Cic., Ad. div., V. 10. Edizione Lemaire. (7) Irzio, De bello Alexandr., XLIV seqq. (8) Fasti consulares ed. a Guil. Henienio, XX b. (9) Cic., FUI., X. 5. 6. 282 GIORNALE LIGUSTICO tatore (i); proconsole dell’Illirico e trionfatore in Roma nel 712 (2). Un altro Vatinio figura più tardi nella pleiade dei più sozzi mostri della corte di Nerone, dove, al dir di Tacito (XV. 34), primo in contumelias assumptus, deinde optimi cuiusque criminatione eo usque valuit, ut gratia, pecunia, vi nocendi etiam malos praemineret. Non sembra però che costui fosse della famiglia del precedente, qualificandolo lo stesso storico come sutrinae tabernae alumnus. Nulla autorizza a credere che i Vatini di Vado appartenessero alla famiglia storica di Roma; sebbene in pari tempo nulla siavi di inverosimile nella supposizione che un ramo di questa, o d’ altra a questa aderente per adozione o clientela, possa essersi in processo di tempo, come accade, trapiantato in provincia. Del resto è fuor di dubbio che così per le note genealogiche come dall’ indole del cognome schiettamente latino, il P. Vatinio Secondo del marmo vadense si rivela persona ingenua, e niente havvi che accenni ad origine servile 0 libertina della famiglia di cui era membro. Ciò che la parte mancante di questa lapide potrebbe contenere di più interessante consiste nella citazione della tribù che probabilmente, giusta l’uso del tempo, taceva seguito alle note genealogiche nella prima linea. Infatti, mentre le iscrizioni fin qui conosciute già somministrano dati sufficienti onde classificare tributim -una gran parte delle regioni della Liguria: cosicché per quanto riguarda la riviera di ponente, è ormai posto in sodo Genova essere stata ascritta alla Galeria (Sanguinati, Iscr. rom. della Lig., 20), Albenga alla Publilia (id. 92. 117), Ventimiglia e Nizza alla Falerna (id. 122. 146), Cernendo alla Claudia (3); per (1) Cic., ibid. ' (2) Acta triumphorum. Capitolina ed. a Guil. Hen%enio, XXIIX. (3) Id. 130. 135. 136. 251; Orelli, 2093. Si potrebbe obiettare che giornale LIGUSTICO 383 contro, niun monumeuto è venuto finora a rivelarci a quale tribù fosse censita la città dei Vadi Sabazi. E si che conosciamo benanche la tribù dei popoli che con essa confinavano a monte, sapendosi che i Vagienni appartenevano alla Ca-milia (id. 200. 297. 298; Orelli-Henzen, 76. 3070. 5Γ06), e gli Stazielli alla Tromentina (Sanguineti, 296; Orelli, 4927; Wilmanns, Exempla inscr. lat., 1446. 2866) ; laonde non potrebbe non ispirare un vivo interesse ogni indizio atto a diradare alquanto le tenebre che ancor ravvolgono questo punto della ligure archeologia (1). nell Henzeniana 5100 un cittadino, anzi Decurione Cemeneliese, si qualifica della tribù Quirina. Ma trattasi probabilmente di individuo la cui famiglia, oriunda d’ altro municipio, immigràndo a Cemenelo avea conservata la propria tribù; nulla ostando, infatti, a che cittadini d’uno stesso municipio potessero essere censiti simultaneamente a diverse tribù, per la semplice ragione che un cittadino potea benissimo essere ascritto a diversi municipi. La diversità della tribù in individui dello stesso municipio non è rara in epigrafia. Cosi, per non uscire dalla Liguria, è dimostrato da parecchie iscrizioni Luni aver appartenuto alla tribù Galeria (Sanguineti, 52. 54. 63. 82), dovechè in altra (id. 132) apparirebbe essere stata ascritta alla Palatina. Similmente nell’ Henzeniana 6426 un soggetto oriundo di Tortona e come tale, ascritto alla Pomptina, cita cionondimeno anche la Scaptia. Al qual proposito, confesso di non poter dividere 1’ opinione del eh. Sanguineti (Atti dilla Soc. Lig. di St. PatrXI, p. 72), che la colonia di Tortona appartenesse a due tribù, alla Pomptina cioè e alla Scaptia. La sola e vera tribù di Tortona era la Pomptina, come si evince dalle iscrizioni riportate ai num. 307 e 308 della Silloge del Sanguineti. Che se il L. Ennio Optato del citato titolo Henzeniano, oltre la Pomptina, enuncia anche la Scaptia, ciò prova soltanto che nella sua qualità di veterano, egli era andato a stabilirsi in una colonia ascritta a quest’ ultima tribù, pur conservando la sua tribù di origine. (1) Una lapide trovata a Millesimo (Sanguineti, 293) 'ha per titolare un C. METTIVS. C..F. CAM. VERECVNDVS . ALBA. Se vi fossero indizi sufficienti per supporre che 1’ Alba di cui si dichiara oriundo questo C. Mezzio, anziché la Pompeia, che difatto mai 11011 3S4 GIORNALE LIGUSTICO Eccezione fatta di questo particolare, ciò che rimane del-Γ iscrizione permette di supplirne agevolmente la parte perduta. Infatti lo spazio mancante della seconda linea altro non potea contenere che il prenome e il gentilizio dell’ autore del monumento, come il pronome eius con cui s’inizia la quarta presuppone nella fine dell’ antecedente 1’ enunciazione della qualità dell’ autore stesso rispetto al titolare, epperò plausibilissimo apparisce il supplemento proposto dal eh. Sanguineti in heres o nepos. Cosi il MON della quarta riga si qualifica a prima vista per iniziale di monumentum, e questo a sua volta arguisce un’ ultima linea colla solita formola P(onendurn) C(uravit), 0 F(aciundum) C(uravit). (Continua) trovasi menzionata senza il cognome, fosse la Docilia nel territorio Sabazio (Tab. Peuting., segm. II), si avrebbe un motivo plausibile per arguire che i Sabazi fossero censiti alla Camilia. Ma non mi nascondo che, allo stato attuale, la congettura poggia su debole fondamento. Così nell’ Asta registrata dall’ Orelliana 165 come ascritta alla Pollia, altri ben potrebbe ravvisare 1’ omonimo paese della Liguria Occidentale (Tab. Peuting., segm. II); ma non mi sono attentato di far caso di questo documento nella dianzi abbozzata classificazione per tribù dei paesi lunghesso la riviera di ponente, sulla considerazione che non consta abbastanza se 1’ Asta di cui nel marmo di Bonna sia quella appunto indicata dalla Tavola Peutingeriana come tramezzante fra ad figlinas e ad navalia, oppure 1’ Asta Regia della Betica, verso cui propende 1’ Orelli, o non piuttosto 1’ altra Asta della Liguria sul Tanaro, a favore della quale si pronuncia il Wilmanns (op. cit., 1422), e milita a dir vero la Murato-riana 760. 1. giornale ligustico 385 SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (Continuazione da pag, jjy) XVII. Sezione di Archeologia. Tornata del 18 Maggio 1877. Presidenza del Preside can. prof. Angiolo Sanguineti. Il Socio Desimoni legge la seguente Memoria sui più antichi scudi d’argento della Zecca di Genova. Se si stia alle nozioni ordinarie sulla moneta di Genova e ai pezzi conservati nei Medaglieri anche i più ricchi, il nostro scudo d’ argento non comparisce più presto che nel-Γ anno 1596; dal quale'tempo in poi continua ad essere in circolazione con peso e titolo presso a poco identico: prende più tardi anche il nome di scudo grande per distinguersi dai posteriori di tipo diverso e più leggeri; e rimane la base monetaria della Repubblica genovese fino alla sua caduta e incorporazione nell’ Impero francese nel 1805. Tuttavia, sia per gli amichevoli convegni miei coi compianti amici avv. Avignone e Luigi Franchini, possessori di ricco medagliere patrio; sia perchè nelle mie rapide ma ripetute e anche lontane scorse a grandi città non dimenticai la nostra numismatica; sia infine perchè io mi sono più specialmente travagliato intorno ai documenti e alla parte economica della storia genovese; per tutti questi motivi mi avvenne di scoprire alcune monete d’argento, 0 edite soltanto di fresco ma senza additarne il vero significato, 0 inedite affatto e sconosciute, 0 perfino non ancora scoperte ma la cui esistenza è provata da documenti. Tutte le quali monete devono precedere di tempo il noto scudo d’argento, e ci sembrano essere state destinate dalla Zecca a fungere un uf- Giork. Ligustico, Anno IV. 25 386 GIORNALE LIGUSTICO tìzio simile a quello per cui fu poi battuto il predetto scudo grande. Scopo appunto del presente articolo si è di mettere in luce tali fatti o compiuti o talora soltanto tentati; e di corroborarne 1’ esistenza per mezzo di documenti. Ma per procedere con ordine e chiarezza possibile in sì oscura materia, gioverà premettere un cenno sulle monete genovesi anteriori alla coniazione di esso scudo d’argento:· coniazione ordinata il 30 dicembre 1593. I. La più antica moneta della nostra Zecca fu il danaro da dodici danari a soldo e da 240 danari ossia da venti soldi a lira; lira e soldi che a que’ tempi non si battevano in effettivo , ma servivano solo pei conteggi. Il primo danaro dovette essere coniato nell’anno 1139 0 tutt’al più nel seguente: poco dopo cioè il dicembre 1138, quando la Repubblica ebbe ottenuto il diritto di monetazione dal Re d’Italia Corrado III. Quel pezzo fu al taglio di 24 per ogni oncia del nostro peso , e al titolo di oncie 4 per libbra (millesimi 333)5 onde pesando grammi 1.099, s* riduceva però in argento fino a gr. 0.366 (1). Il danaro allora non avea monete superiori a sè, bensì ne avea delle inferiori; vale a dire la così detta medaglia, ossia un mezzo danaro di titolo eguale al suo doppio, ma di peso (1) Documento del 1141 in Mon. Hist. Patr., Jurium Reip. Genuens. I. 77· La libbra genovese è pari a grammi 316.75, e.si divideva in 12 oncie da 24 denari o sei carati all’ oncia e di grani 4 a carato. — Gandolfi, Della moneta antica di Genova, Genova, 1841, ha il disegno del denaro al num. 2, Tav. I, e della medaglia al num. 1 ibid; ma nel testo a p. 219, voi. II, scambia il primo per un da due danari e la medaglia per un denaro. GIORNALE LIGUSTICO 387 proporzionato al proprio valore. Vi era pure il quartaro, ossia quarto di danaro, del che ho parlato non ha molto in questo stesso Giornale (1). Non fu però tardo a comparire, forse già prima del 1172, un pezzo superiore al danaro, denominato grosso; come avvenne in generale più 0 meno tardi in tutte le Zecche d’Italia e di fuori. A Genova questo grosso era di buon argento, del titolo di oncie 11 J2 per libbra (millesimi 958) e del peso di circa grammi 1.46; pari adunque ad uno steriino inglese' 0 ad un antico danaro italiano di Ottone I; e riducendosi in argento fino a gr. 1.39. Sebbene non vi abbiano documenti del valore per cui spendevasi questo grosso, io ho provato altrove che dovea equivalere a danari 4, ossia ad un terzo di soldo (2). Donde si capisce il perchè tali pezzi dicevansi grossi, come equivalenti ad un maggiore 0 minor numero di danari, i quali ultimi per reciprocità denominavansi anche senz’ altro piccoli o minuti. Un secolo dopo (versoli 1272 probabilmente) comparisce un nuovo grosso del medesimo titolo, ma di peso esattamente doppio; ed è a notare che per la degradazione dei valori che andò in tutte le Zecche peggiorando di rpano in mano sempre più, tale nuovo grosso non potè essere emesso pel valore .di danari otto come sarebbe valuto ai primi tempi predetti; bensì dovette essere dato fuori dalla Zecca per denari 12: onde fu il primo soldo effettivo in argento a Genova (3). (1) Giornale Ligustico, 1877, p. 117. Nuove considerazioni sui quarti di danaro genovese. (2) Jurium, I. 271. Documento del 1172, prezioso anche pel ragguaglio (fin qui non ancora ben conosciuto) dei danari imperiali, lucchesi e pavesi colla marca d’argento fino di Colonia (grammi 233.862); donde il soldo di 12 danari genovini torna a gr. 4.176, e un grosso genovino da den. 4 a gr. 1.392 fino, ma col titolo a mill. 958, peserà gr. 1.453. (3) Jurium, II. 117. Pace tra Genova e Pisa nel 1288; ivi marca di steriini (0 di Colonia) d’argento fino vale L. 4 di Genova; donde il soldo torna a gr. 2.924 in peso, cioè la metà del suo valore del 1172. 388 GIORNALE LIGUSTICO Per la stessa legge di degradazione progressiva, questo doppio grosso del peso di gr. 2.92 e del fino di gr. 2.78, dal valore di un soldo passò a quello di soldi due nel corso di un altro secolo (fino alla fine del Trecento); e continuò in questo aumento apparente di valori (ma in sostanza essendo un deprezzamento ) fino ai nostri tempi. Pel nostro scopo però basterà lo avvertire che il grosso medesimo con non gravi variazioni nel peso e nessuna nel titolo, si trovò sotto il Doge Battista Fregoso (1478-83) ammesso legalmente al valore di soldi cinque con un peso di gr. 3.574 (1). II. Tali erano le condizioni della maggiore moneta d’argento a Genova, quando nel 1488 il Duca di Milano Gio. Galeazzo Maria Sforza potè riavere la signoria della Repubblica, come (1) Cartularia introitus et exitus Ceche, in Archivio di San Giorgio. Nel Registro del 1365 vi è il taglio e il valore del grosso da due soldi, e del mezzo grosso d’egual titolo a mill. 958. Anche il Codice di Oberto Carrega Sacrista, in Archivio di San Lorenzo, ha al 1363 grossum unum sive solidos duos (Poch, Miscellanee di Storia Ligure, voi. IV. Reg. 3. p. 36. Ms. nella Civico-Beriana). Pel grosso di Battista Fregoso vedi il Foglialo di Cancelleria num. 39, anni 1475-82, in Archivio ^! Stato. Dee pesare carati 19 y2 (gr. 3.574); così anche in circa il grosso genovese di Scio contemporaneo (gr. 3.60). Del resto chi desidera vedere ridotta ai minimi termini tutta la serie cronologica delle monete genovesi d’oro e d’argento in peso, titolo, fino, valori antichi e moderni sino alla fine della Repubblica, consulti le mie Tavole dei valori in lire antiche e italiane dal 1139 al 1804, inserite come Appendice II al Belgrano, Della vita privata dei Genovesi, Genova, Sordo-muti, 1875, pp. 506-32. Per le monete correnti in Genova prima del 1139, si possono consultare le mie notizie inserite dal prelodato cav. Belgrano nella sua Illustrazione del Registro Arcivescovile (Atti della Società Ligure di Storia Patria, voi. II, parte I, pp. 590-600, Genova 1873). GIORNALE LIGUSTICO 389 già ne avevano goduto altri de’ suoi antecessori. Dapprincipio egli volle forse gratificarsi i Genovesi, 0 forse anche adempì un patto segreto, ponendo a rappresentarlo in qualità di Governatore ducale un patrizio genovese ; quale fu dapprima il cardinale e già doge Paolo Campofregoso arcivescovo nostro; e poi, cacciato questo dal popolo, gli fu sostituito Agostino Adorno. Per una eccezione assai rara nella nostra Zecca, entrambi questi Governatori furono anche privilegiati ad imporre il proprio nome, od almeno il proprio stemma, in alcune monete insieme al nome e ai titoli del Duca. Per quelle del Cardinale, lo dedusse giustamente a mio avviso il compianto amico avv. Avignone; acutamente restituendo una lezione sovra un ducato d’oro, evidentemente errata nelle tariffe d’ Anversa od altre (1). Per le monete di Agostino Adorno ne vedremo presto qualche esempio. In quello stesso tempo, fosse più abbondante Γ argento , fosse lusso 0 moda, in tutte le Zecche cominciossi a battere monete di tale metallo in grandezza fino a que’ tempi insolita. E fu appunto uno dei primi in ciò il Duca Gio. Galeazzo Maria Sforza, facendo coniare a Milano la prima lira effettiva d’argento; la quale dall’esservi impressa la testa del Duca fa denominata testone. Diversi essendo i sistemi monetarii di Milano e di Genova, la moneta che colà valeva soldi 20 fra noi non ispendevasi che soldi 14 e denari 8: onde (1) P: C: CA: DVCALIS: GVBER: IA (Petrus Campofregosus Cardinalis Ducalis Guiernator Janue), da leggersi invece della inintelligibile Ducatis Oublia Ia che si trova in nove almeno delle Tariffe e disegni di monete d’Anversa dal 1579 al 1683, in fiammingo e in francese sotto varii titoli: Ordonnantie, Placcaet, Beelienaer, Tresorofschat, Placcard du Roi, Carte et liste des monnaies. Il Cardinale fu Governatore dal gennaio al 7 agosto 1488, e dopo un’interruzione cominciò il 13 settembre Agostino Adorno. Nelle monete d’ entrambi in tale qualità sono eguali il rovescio e le lettere del zecchiere S. A. 390 GIORNALE LIGUSTICO il Duca, volendo anche avere a Genova un pezzo simile al testone di Milano, ma in relazione rotonda -col nostro sistema , fece coniare qui una moneta da spendersi per soldi genovesi 15. È perciò che la nuova moneta di Gio. Galeazzo battuta fra noi ha un peso alquanto maggiore del suo testone milanese; e se questo si ha da calcolare al peso di gr. 9.715, il pezzo genovese da soldi 15 si trova del peso di gr. 10.152 ed anche di gr. 10.118. Equivale in sostanza a tre grossi da soldi cinque predetti ; i quali però saranno stati in proporzione ridotti d’alquanto, cioè al peso di gr. 3.384 circa. Ma è certo egualmente che, o subito o non molto dopo che fu fatta l’emissione di tali nuove monete, si volle a Genova pure un pezzo da una lira effettiva 0 da venti soldi genovini. Nei documenti abbiamo la prova dell’ esistenza del pezzo da soldi 15 solo nel 1490, e di quello da soldi 20 soltanto nel 1493; ma credo che quest’ultimo sia anteriore di uno 0 due anni (1). Nei medaglieri si trovano, e non sono rare, delle monete del Duca Gio. Galeazzo Maria del peso di quasi gr. 13 '/2 (gr. 13.448 e 13.344 secondo due diverse e vicine indicazioni) ; e questo peso , posto a raffronto con quello delle monete da soldi 15 , indica chiaramente il valore in soldi 20 della moneta maggiore, e spiega il motivo e il nome della nuova emissione. Entrambi questi pezzi da soldi 15 e da 20 erano dapprima denominati grossom, per distinguerli dai grossi da soldi 5 ; e veramente non poteano dirsi testoni come a Milano , perchè (1) Trovo veramente nel Foglialo di Cancelleria num. 52 in Archivo di Stato (anni 1496-1503) già nominati nel 1488 e 1489 in due Gride i due grossi da soldi 15 e da soldi 20 di Genova; quello del peso di carati 54 (gr. 9.898), questo di car. 71 (gr. 13.014). Le dette Gride sono citate anche dal cav. Belgrano nella Rivista della Numismatica, Asti 1867, II, P· Ì39"41· Ma sospetto per più ragioni che questi documenti sieno di -data posteriore. giornale ligustico battuti col solito tipo genovese non portavano la testa ducale. Tuttavia abusivamente e -ad imitazione dell’uso milanese, anche i nostri grossoni si presero a chiamare testoni ed oggi ancora si usa cosi chiamarli. III. Passando ora alla monetazione della Repubblica nel metallo più nobile, il più antico pezzo d’ oro (lasciando da parte alcune specialità che non ebbero influsso duraturo) si chiamava gmovìno d’ oro, poi anche fiorino all’ uso di Firenze, in ultimo ducato all’uso di Venezia, ma conservava sempre il suo titolo finissimo a carati 24 (milles. 1000) e il suo peso in gr· 3-535 (0 — pari incirca al grosso d’argento di Battista Fregoso — 0 tutt’ al più modificando esso peso da grammi 3.527-a 3.567; Venuto nel 1499 alla signoria di Genova Luigi XII Re di Francia, dapprima conservò cogli altri tipi antichi la coniazione del nostro ducato, sostituendovi però il proprio nome e i gigli del suo regno. Ma in seguito (e pare dopo la rivoluzione del 1507, quando cambiò anche i tipi nell’ argento) introdusse fra noi la coniazione dello scudo d’oro all’uso di Francia : una moneta cioè peggiore del ducato perchè aveva il titolo di rtiilles. 932 e il peso di gr. 3.411 , donde un fino di gr. 3.179. Esso scudo fra noi, come il suo compagno o padre di Francia, era anche denominato del sole, per l’immagine ivi impressa del maggior astro sopra lo scudo nazionale gigliato e coronato. (1) Nel 1348, genovini d’oro 14 dovean pesare onde 1, danari 21; donde un genovino torna a gr. 3.535 come il fiorino di Firenze. Vedi Statuto dei Battiloro nel Foglialo dei Notari, voi. Ili, parte II, carte 63, ms. alla Civico-Beriana. Ivi è detto pure che l’argento si dee lavorare di lega di steriini (mill. 958), come del resto risulta da molti documenti dal secolo XIII al XVI. 392 GIORNALE LIGUSTICO Ricuperata l’indipendenza definitivamente nel 1528, Genova continuò tuttavia a battere scudi d’oro; un decreto del 18 febbraio 1541 ne determinò il titolo a milles. 911 e il pesoagr. 3.381, donde un fino di gr. 3.081. Questo scudo fu d’allora in poi chiamato delie cinque stampe, perchè cinque anzi più Zecche d’Italia e fuori si devono essere accordate per a\?ere la moneta d’oro di egual valore non ostante le rispettive e diverse impressioni. Esso non fu poi modificato che pochissimo, trovandosi, a cominciare dal 1571, del peso di gr. 3.361 e del fino di gr. 3.061; ed è quello di cui s’incontra frequentissima menzione negli istrumenti e contratti, perchè durò come base monetaria in tal metallo fino alla caduta della Repubblica. Ossia, per parlare più esattamente, la base monetaria diventò la doppia delle cinque stampe, la quale però non è altro che un doppio scudo di egual titolo e di peso proporzionato; e questa fu chiamata doppia vecchia dopo l’emissione di altre doppie nuove, ma sempre coordinate alla base vecchia (1). Il genovino d oro alla sua prima comparsa (non più tardi della prima meta del XIII secolo), considerati i valori di quel tempo non poteva essere speso che per soldi 8, avendo so tto di se due pezzi minori parimente d’ oro, il quartarolo o da due soldi, e 1 ottavo di genovino; monetina piccolissima quest ultima e poco nota, la quale dovea essere il soldo d oro effettivo quando non v’ era ancora il relativo soldo effettivo in argento. Ma verso la metà dello stesso XIII secolo, possiamo argomentare che il maggior genovino fosse salito da soldi 8 a 10; sappiamo poi di certo che dal 1260 in avanti tale moneta crebbe rapidamente a soldi 12, a 13, a 14. Aprendoci il secolo XIV il genovino stesso e il fiorino (1) Per gli scudi d oro del Sole, e per le denominazioni di cinque stampe e di oro in oro, basti rinviare al Gandolfi, op. cit., II, 249-51 e 265-6. GIORNALE LIGUSTICO 393 di Firenze (che era di egual valore, perciò presero a confondersi in una unica denominazione) valevano già soldi 16 e 17: nel 1309-10 raggiunsero i soldi 20 di Genova, formando cosi la nostra jDrima' lira effettiva in oro. Ma neanche li si fermò il valore del fiorino; chè salì presto a soldi 21 e sempre più fino a soldi 25. Quest’ultimo valore ebbe la più lunga durata, continuandosi a tutto il secolo XIV e forse anche ai primi del seguente. Quando, come vedremo, ripigliò a salire di prezzo, il genovino d’oro cambiò il suo nome in quello di ducato all’ uso di Venezia; forse perchè il fiorino di Firenze non continuò come quello veneto nell’antica stabilità di peso. E tuttavia rimase a Genova il nome di fiorino, ma soltanto nominale; tale denominazione cioè fu impiegata soltanto nel conteggio come equivalente a una somma fissa di 25 soldi in argento di moneta corrente, frattanto che il ducato d’oro andava di nuovo salendo in valore. La quale differenza da ducato a fiorino dal 1400 in poi è importantissima a ritenersi, pel giusto concetto della stima dei valori e delle spese contemporanee (1). (1) Un’oncia di tareni dell’Italia meridionale valendo a Genova soldi 40, per più documenti della fine del secolo XII e principio del seguente ; ed essendo pure certo e costante il ragguaglio di 5 fiorini all’ oncia di tareni , un fiorino 0 genovino d’oro (se vi era già a quel tempo) non potea valere che soldi 8. Dal 1260 in poi i documenti genovesi danno ragguagli più diretti del valore del fiorino e del suo aumento cosi notevole e rapido : e pel secolo XIV si consulteranno assai utilmente le Tabelle delle monete che ebbero corso negli Stati di Terraferma dell illustre Domenico Pomis (Monete de’ RR. di Savoia, Torino, 1841, voi. II). Ivi specialmente è il valore di una lira effettiva in moneta di Genova pel fiorino del 1309-10, e di nuovo il suo rincaro a soldi 21 e più. Il suo valore a soldi 25 (che poi rimase di conto) si trova, oltre che ne’ nostri documenti, già nella Pratica della Mercatura del Pegolotti che scrisse verso il 1340. Gli aumenti successivi del genovino d’ oro, scudo ecc., risultano da numerosi atti notarili e dal secolo XV in poi dalle Gride, 394 GIORNALE LIGUSTICO Di fatti già nel 1412 troviamo il ducato d’oro con leggere modificazioni di peso dall’ antico fiorino essere valutato a soldi 30, poi mano mano a soldi 32, 36, 38; poi a soldi 40 (lire due) nel 1434; indi a soldi 42, 44, 47, 50 (lire due e mezzo) nel 1454; e ancora a soldi 51, 54, 56 e a soldi 60 (lire tre) nel 1484-89. Il ducato va alzandosi di nuovo a soldi 62 e 64; ma allora (1507) Luigi XII re di Francia vi sostituisce il suo scudo d’ oro di valore inferiore al ducato e lo stabilisce al valore rotondo di soldi 60 (tre lire). Il ducato cessa di essere battuto d’indi in poi, sebbene resti ancora per molto tempo in circolazione. Senonche anche lo scudo d’oro ricomincia la stessa storia d alzamento continuo, e pei motivi stessi che già ebbero luogo per 1 antico ducato, fiorino o genovino; cioè in grandissima parte pel continuo peggioramento delle monete minori (soldo e danaro), ma in parte anche pel variare dei rapporti tra i prezzi dei due metalli, 1’ oro e Γ argento. È perciò che esso scudo si trova già salito da soldi 60 a 68 nel 1541; ed è a quest’ultimo valore che lo stabilisce la tariffa legale. Frattanto la Repubblica si concorda con altre Potenze, affinché tale moneta sia battuta nelle cinque decreti ecc. dell’ Uffizio delle monete in Archivio di Stato. Vedi anche Gandolfi, op. cit., II. 245-74. Sulla quartarola d’oro (quarto di genovinoj a soldi 6, den. 8, ho accennato un documento del 1345 nel mio articolo sui quarti di danaro genovese, nel Periodico di Numismatica, Firenze, 1874, p. 262. Ivi pure accennai le ter^arole d’oro (terzi di fiorino), che devono essere le prime cornate sotto i Dogi ; giacché non hanno che una leggenda col Dvx Janve senza numero d’ ordine, e credo sieno state emesse pel valore di soldi 8 (ricordo del valore originale del più antico genovino intero). Vedasene il tipo in Gandolfi, Tav. I, num. 12; ma altre hanno la lettera del Zecchiere V. — L’ ottavo di genovino, che io ritengo il primo soldo effettivo tra noi, e assai raro; ma fu pubblicato dall’ illustre Promis (Origine della Zecca di Genova, Torino 1871, Tav. I, num. 2). GIORNALE LIGUSTICO 395 stampe di titolo e peso identico. Nello stesso tempo vor-' rebbe il Governo che tale valore di soldi 68 restasse immutato ne commerci, ma ciò è impossibile ad ottenersi; resta bensì uno scudo nominale o fittizio (come per l’addietro un fiorino fittizio da 25 soldi) che serve pei conteggi e si calcola sempre a 68 soldi pure fittizi, detti anche soldi d’oro; ma continuerà nel suo aumento irresistibile lo scudo vero, effettivo; e questo scudo d’indi in poi si dirà d’oro in oro, perchè non si vuole d’ oro fittizio ma reale. Lo troviamo infatti a lire 3 e soldi 10 nel 1551 ; poi a L. 3.12, L. 3.14, L. 3.16 ecc., finché nel 1569 esso pervenne a L. 4, e nel dicembre 1593 a L. 4_e soldi 8 (1). Noi ci- arrestiamo qui : pel nostro· scopo non essendo necessario spiegare il come e per quali gradi lo scudo medesimo delle cinque stampe sia giunto alla caduta della Repubblica col valore di L. 12 '/2; 0 (che è lo stesso) la doppia delle cinque stampe abbia chiuso il suo corso a L. 25, che è il valore in moneta genovese dell’ odierno marengo. Dal complesso delle notizie fin qui esposte derivano i risultati seguenti. l.° Il ducato d’oro di Gio. Galeazzo Maria (1488-94) essendo allora, come si è detto, a lire tre, doveva equivalere a quattro grossoni 0 testoni d’argento da soldi 15 ciascuno; ed equivalere a tre grossoni 0 testoni maggiori che vedemmo pure battuti a soldi venti 0 ad una lira ciascuno. Io sono persuaso che questo ragguaglio rispettivo siasi voluto significare nel numero delle stelle figurate intorno alla croce in tutte queste monete d’argento. Ed invero i testoni minori o da 4 « (1) Per l’istituzione e spiegazione dello scudo delle cinque stampe, basti rinviare al Gandolfi, II. 250 e segg.: e perla differenza tra i soldi d’oro di conto e gli effettivi, ibid., p. 272. Aggiungi la Grida del 1576, la quale per quell’ anno ragguaglia il soldo d’ oro a soldi 1 '/4 correnti. GIORNALE LIGUSTICO a ducato hanno 4 stelle, mentre ne hanno 3 sole i pezzi maggiori 0 da tre a ducato. Di che se poniamo il ducato medesimo da lire tre al peso e al fino di gr. 3.527 in oro, mentre il testone da soldi 15 peserà gr. 10.152 ma avrà di fino gr. 9.729; avremo una lira genovese nel 1490 che sarà pari in oro fino a gr. 1.176, e in argento fino a gr. 12.972. Quindi in quel tempo per un peso qualunque d’oro ci volevano pesi 11^ in argento, mentre oggidì ce ne vogliono non meno di 15 '/2. 2.0 Lo scudo d’oro del sole introdotto da Luigi XII nel 1507 al valore di L. 3, equivaleva anch’esso a tre grossoni da una lira. Questi ultimi sono discesi al peso di gr. 12.694, ma si riducono in argento fino a gr. 12.166; nel mentre lo scudo del sole, al peso e titolo sovra indicato, si riduce in oro fino a gr. 3.145, e il suo terzo 0 lira a gr. 1.048. Fatto il conto su queste basi, il rapporto o proporzione fra i due metalli più nobili nel 1507 era di un peso d’oro per pesi d’argento 1 x 3.0 Lo scudo d’oro delle cinque stampe al peso e titolo pure sovraindicati si riduce al fino di gr. 3.081. Esso da L. 3.8 che valeva nel 1541 si alzò a L. 4 rotonde nel 1567-70; quindi in questi ultimi anni una lira in oro teneva di fino gr. 0.770. Nel 1567 un testone 0 lira in argento al peso di gr. 9.532 si riduceva in fino a gr. 9.135: donde un rapporto tra i due metalli di uno a 11·^ ossia di uno a 12 in cifra ' IOOO rotonda. Senonchè ben presto dopo, 0 al 1570 al più tardi, deve essere stato battuto per la prima volta uno scudo d’argento, come vedremo, il quale posto al valore di lire quattro e contenendo di fino gr. 35.817 riduce la lira nuova a soli gr. 8.954; quindi restando ferma la lira dello scudo d’oro a §Γ· °-77°> il rapporto legale tra i due metalli al 1570 divenne di uno a 11 — ('1'). IOOO ^ ' (1) Il rapporto o proporzione tra i valori dell’ oro e dell’ argento è utilissimo per lo studio delle monete ; necessario in specie per intendere GIORNALE LIGUSTICO 397 Qui, come da altri esempi che sarebbe lungo il recare, apparisce che Genova, come altri Governi, col rimpastare e modificare continuo le monete, tendesse a frenare il rialzo sempre crescente dell’ oro. Ma è impossibile andar contro agli effetti naturali; è assurdo il credere che con un decreto o una grida si possa da una Signoria, per quanto assoluta si voglia, rendere stabile, per lungo tempo e malgrado le gravi.crisi, il prezzo d’una moneta o d’una merce qualunque. Quindi vedremo pel decreto del 30 dicembre 1593 che la Repubblica dovette essa stessa riconoscere e confermare legalmente tra i due metalli quel rapporto di uno a dodici che avea già latto capolino nel 1567, ma che la Signoria avea tentato di ridurre a circa undici e tre quinti. IV. Questo stesso decreto del 1593, questa stessa occasione o meglio necessità di mettere in concordia la legge e la tariffa col corso naturale dei prezzi, diedero origine ad una nuova moneta d’argento che prese il nome di scudo. Tale pezzo nei Medaglieri a noi conosciuti non si trova finora di data anteriore al 1596; ma non v’è dubbio che debba essere stato coniato già nel corso del 1594· Esso è notissimo ai numismatici, cotalchè non importa indicarne il tipo, osservando soltanto che soprasta al cosi detto castello una corona; donde prese il nome di scudo coronato, oltre il nome più comune di scudo d’argento per distinguerlo dal contemporaneo scudo d oro. le monete dei secoli XIII e XIV, sebbene il dotto Cibrario abbia creduto, poter schivare la spinosa quistione, ed i Numismatici in genere non se ne curino. Nelle mie Tavole de’ valori sopra citate, essendo volte a scopo più umile, non ho aggiunto in colonna i rapporti rispettivi ; ma chiunque può dedurne almeno le fasi principali dal confronto fra le Tavole dell’ oro e quelle dell’ argento. GIORNALE LIGUSTICO Mentre quest ultimo dal 1571 in avanti lo vedemmo continuare ridotto al fino di gr. 3.061, nel dicembre 1593 il nuovo scudo d argento è stabilito doversi coniare del peso di gr. 38-395 e consueto titolo di mill. 958, restando così al fino di gr. 36.795. Nello stesso tempo l’uno e l’altro scudo dovano spendersi al medesimo valore di lire 4 e soldi 8, colla proporzione dell’ oro all’ argento come uno a dodici. Così è scritto nel decreto ed è vero; perchè gr. 3.061 stanno a §r· 36.795 come uno a dodici quasi esatto, o più precisamente come 1 a 12.020 (1). L·, chiaro da sè che tale introduzione di uno scudo d’ argento limpetto allo scudo d’oro di egual valore, ha lo scopo di ìendei meno necessario il metallo più nobile e così raffrenarne il continuo rialzo, come già abbiamo osservato. Ma se la Signoiia credette con ciò anche di mantenere stabile 1 eguaglianza in valore dei due scudi, essa s’ingannò a pezza. Già nel 1602 quello d’argento valeva L. 4.io, e tale restò come moneta detta di cartolario 0 di numerato nella Società, delle Compere di San Giorgio, ove si continuava a ricevere e a pagare lo scudo al medesimo prezzo. Ma nel commercio di piazza risale tanto, che nel 1685 si trova al valore di L. 7.12. In questo anno istituendosi un nuovo Banco nelle Compere di San Giorgio, lo scudo d’argento difatti vi si riceve al prezzo corrente di L. 7.12; ed anzi si stabilisce che al medesimo prezzo si continueranno a ricevere e a pagare (1) Dell’ istituzione dello scudo d’argento nel 1593 è copia, ma colla data 21 dicembre, nella i.a filza Mor.etarum dei Serenissimi Collegi in Archivio di Stato; ove pure è l’instituzione dello scudo d’ oro delle cinque stampe nel 1541. Di questi e moltissimi altri documenti monetam è un sunto nell’ Archivio di San Giorgio, nella busta di schede che archivista Lobero avea preparato all’ uopo, traendole dalle filze pre-e da quelle altre filze del Magistrato della Moneta che si conservano nella Torretta dell’ Archivio di Stato. giornale ligustico 399 tali scudi, come di fatti in esso Banco ciò si mantenne costantemente. Ma in piazza, o fuori Banco, lo scudo d’argento risali ancora e molto; attalchè alla caduta della Repubblica' e alla sua fusione coll Impero francese correva in commercio per L. 9.16. Che se per «tale guisa l’argento dal 1593 al 1805 venne ad acquistare rimpetto al danaro semplice un valore più che doppio, la moneta d oro entro lo stesso periodo sali da L. 4. 8 a L. 12.10, ossia guadagnò un valore quasi triplo: differenza proveniente dal predetto rapporto tra i due metalli nobili, che trovammo di uno a dodici nel 1593, ma che crebbe a I5 V2 al principio del nostro secolo e continua tale ancora, almeno legalmente se non nel fatto dei cambii. V. Io accettai fin qui come fatto primo e nuovo l’introduzione dello scudo d’argento col decreto del 30 dicembre 1593. Tale difatti dev’ essere la opinione generale dei numismatici che non conoscono scudi effettivi anterieri, ed è anche opinione in gran parte conforme al vero; dappoiché soltanto dal 1594 0 96 comincia e va sempre più consolidandosi e facendosi viva nei documenti e negli atti pubblici e privati la numerosa serie degli scudi d’argento che tuttora conservaci nei Medaglieri: Ma domando io, non si è mai dato prima del 1593 un caso simile tra le monete genovesi? Anteriormente a questo, non si sarà egli mai emesso dalla nostra Zecca un pezzo che riunisse le medesime condizioni che più tardi si vollero avverare nello scudo d’argento? Cioè che il maggior pezzo in entrambi i metalli avesse un idenr tico valore, cosicché il meno nobile potesse sostituirsi al più nobile e render meno necessario quest’ ultimo ? Ecco la quistione principale che mi proponevo e che ora mi 400 giornale ligustico accingo a sciogliere. Io farò vedere che tale caso si avverò e più d’una volta, sebbene non sia stato mai avvertito dai numi-•smatici; senonchè i pezzi coniati a tale scopo furono un fatto cosi isolato ed oscuro, che si possono chiamare tentativi piuttosto che effetti riusciti. D’altra parte se dal 1593 in poi le notizie della nostra Zecca si rannodano le- une alle altre con sufficiente certezza, nei tempi addietro corrono invece assai saltuarie ed oscure; per guisa che, non ostante alcune tonti prima ignote da me scoperte, mi ci volle non poca iatica e pazienza a stabilire una serie numismatica genovese continuata dai più antichi tempi; talora anche (sebbene di raro) avendo dovuto procedere per medie 0 per analogie di Zecche straniere e di corso generale de’ valori. Passiamo dunque a rassegna questi pezzi ignoti, questi tentata i, cominciando dai più vicini allo scudo del 1593 e rimontando a tempi sempre più antichi. VI. Scorrendo la nota Memoria sulla Origine dèlia moneta di Genova, che \a unita ai Saggi crenologici e ad alcune edizioni degli Statuti civili della Repùbblica, vi si legge che nel 1563 fu cominciato a stamparsi lo scudo d’argento sen^a corona valutato lire quattro. Della esisLenza di tale scudo in un certo periodo fanno anche ìede quattro dichiarazioni ufficiali del Alagistrato delle Monete fra il 1635 e il 1640, che il eh. Gandolfi ha riferite in compendio nella sua opera (II. 252-6). Esse constatano che \erso il 1570 e il 1588 correva una moneta d’argento di lire quaitro, della stessa bontà dello scudo che poi fu cominciato a coniare nel 1593, ma di peso alquanto inferiore; come si rileva pure dalla diversità di valore che in esse dichiarazioni si assegna all’uno e all’altro pezzo, e special- giornali, ligustico 401 mente dal taglio che per lo scudo piò antico è detto a numero 8 '/, per libbra, e in quello cominciato il 1593 è invece a b !/+ per libbra (il che tornerebbe al peso di grammi ìS 504 per quest’ ultimo e gr. 37.372 pel precedente). Oltre a questi documenti ne abbiamo altri nove simili non conosciuti finora, ma altrettanto ufficiali. Due di essi riescono importantissimi per le nuove particolarità che ci forniscono, e sono : X." La dichiarazione del 27 aprile 1641, ove si dice che il peso della moneta anteriore allo scudo del 1593 deve essere di un’oncia, denari 9 e grani 16 peso di Genova (che risponde a gr. 37.027, un po’ più leggero del peso indicato testé e forse dedotto dalla media delle pesagioni ). Vi ai aggiunge poi la descrizione di questo stesso pezzo che avevi da una parte la croce con quattro stelle e intorno: con-radvs 11 ROMAN, rex; dall’ altra parte il grifo (castello) fri due stellette, e intorno dvx et gvbernatores reip. genvexs. . col millesimo deiranno in cui si stampavano. 2.0 La dichiarazione dello stesso Magistrato degl; li Giugno 1646, dove si dice essere stata presentata una ri.e moneta avente la data 1567; e vista, fu appunto giudicali uno scudo da lire quattro del medesimo anno. Si descrìve avere la stessa da una parte il grifo sotto il quale è questo segno * 4 * con la leggenda intorno dvx et gvbernatores reip. genven. 1567; e dall’altra parte la croce con quattro stelle e la leggenda conradvs secvndvs romanor. rhx-a * s * Le ultime due lettere sono le iniziali del Zecchiere., le quali si trovano appunto anche nelle altre monete del- anno 1567, e significano Agostino (Porrata) Spinola. Tutte queste dichiarazioni poi fanno anche intendere che mentre il nuovo scudo dal 1593 ha sopra il castello o stemma della Repubblica una corona, il pezzo antecedente non doveva avere questo particolare, perchè e chiamato ripetutamente scudo sen^a corona. Giors. Ligustico, Anne IV. 2- 402 GIORNALE LIGUSTICO Anche Γ Archivio del Principe D’Oria a Fassolo ci fornisce un documento in proposito. Volendo quel Principe aprire la propria Zecca a Loano, fece chiedere ai Magistrati della Repubblica informazioni sul taglio e le varie specie di monete che si coniavano a Genova. Gio. Battista Saluzzo nel 1581 rispondeva all’Agente del Principe, Pompeo Arnolfini, fra varie altre notizie, che la nostra Zecca batteva delle monete d’argento da lire 4 della bontà di oncie 11 denari 12, colla tolleranza di un denaro purché non fosse troppo frequente, e al taglio di lire trentaquattro a libbra: il che collo scudo a L. 4 é lo stesso che dire al taglio di pezzi 8 ‘/2 a libbra. Finalmente, lo scudo d’argento di Genova viene nominato come corrente, e valutato in. una tariffa del Piemonte del 1571 (1). La dichiarazione predetta del 1646 aggiunge che tali scudi da L. 4 si cominciarono a battere del 1562 0 1563. Il che, per ragioni che sarebbe lungo ad esporre, mi pare poco probabile, ritenendo io che cominciò appunto nel 1567; come pure non mi fido molto del modo della descrizione, che varia dall’ una all’ altra dichiarazione in qualche minuto particolare. Per conseguenza sospetto anche che la cifra 4 sotto il castello fosse scritta alla romana IV, come si sa che è scritta la cifra II sotto i contemporanei mezzi scudi o da due lire. Ma nell’ essenziale la descrizione si può ammettere come abbastanza esatta, perchè tale tipo corrisponde a quello dello (1) Sul tempo, la differenza, i pesi ed i valori dello scudo senza corona e colla corona, vedi Gandolfi, opere e pagine citate nel testo. Degli altri nove documenti inediti, tra cui le importanti dichiarazioni del 27 aprile 1641 e 11 giugno 1646, si può trovar notizia nella busta delle schede Lobero citata nella nota precedente. — Per lo scudo d’ argento di Genova già citato nel 1571 come corrente in Piemonte, vedi Promis, Tabelle ecc. (Monete RR. di Savoia, II. 74). giornale ligustico 403 scudo posteriore salvo che nella corona, la quale, secondo ivi si dice, mancava. Ma non vi era dunque nulla al posto della corona? Io sospetto che vi dovesse essere un cerchio o fascia circolare sovrapposta al castello; ed eccone il perchè. Nei medaglieri Avignone e Franchini si trovano delle grandi monete d’ argento anteriori e posteriori al 1593. Quelle anteriori pesano grammi 55 a 56; quelle dopo il 1593 grammi 76 per lo più: si sa che il peso di gr. 76 indica un pezzo da due scudi colla corona, ma il peso di gr. 55 a 56 non può indicare che un pezzo da scudi uno e mezzo di quelli senza corona precedenti al 1593. Ora questi ultimi pezzi, al luogo della corona, hanno una specie di cerchio o fascia, come si è detto: il che fa supporre un simile ornamento nello scudo semplice senza corona (1). Si può perfino assegnare una spiegazione probabile di questo ornamento. È noto che i privilegi, anche soltanto onorifici, fino a tardi tempi si chiedevano all’ Imperatore de’ Romani non solo dai feudatarii, ma e dai Comuni e della Repubbliche per quanto indipendenti di fatto ; considerandosi l’Imperatore come Capo della Cristianità e fonte d’ogni diritto nelle cose (1) Vedi il tipo del pezzo da scudi uno e mezzo anteriore al 1595, nel Catalogne des monnaies en argent .... du Cabinet Imperiai, Vienna, Trattner, 1769, pag. 475 (il primo disegno a sinistra). Questo è dell’anno 1578, ed un simile è riferito in Madai, Wolstaendiges Thaler Cabinet, Konigsberg, 1767, III, p. 448, num. 1976. Lo ha anche il Medagliere Avignone; ma quello Franchini ne ha uno del 1570 (peso gr. 55.57). La Reichelsche Mùn{sammlung (S.t Petersburg, 1843) IX, num. 2154, ne descrive benissimo il tipo e ne ha il giusto peso in gr. 56; ma lo chiama impropriamente dobla, ed inoltre ha la data dell’ anno 1596. Ciò prova (come sappiamo da altre fonti), che anche per pochi anni dopo il 1593 si continuò a battere di questi pezzi col cerchio, mentre già coesisteva lo scudo coronato e il doppio scudo di gr. 76 404 GIORNALE LIGUSTICO civili. La Repubblica genovese, nello stesso più alto grado della sua potenza, non si tenne mai dispensata da questo debito verso l’impero. E come essa avea ottenuto privilegi dal Re Berengario alla metà del X secolo, e nel 1139 aveva avuto il diritto di Zecca dal Re Corrado, così continuò a chiederne altri dai seguenti Imperatori; e i privilegi ottenuti custodiva gelosamente nel proprio Archivio. Fra tali diplomi è noto esservene uno del i.° novembre 1536, in cui Carlo V concesse al Doge di Genova di poter imporre un cerchio d’ oro sul suo berretto, oppure di lar portare esso cerchio avanti di sè colle altre insegne ducali nelle solenni funzioni. Nel 1580 poi l’imperatore Rodolfo II largì con altro diploma al Doge e alla Repubblica il titolo di Serenissimi. Queste due concessioni furono seguite da fatti relativi, che il collega cav. Belgrano già rilevò nelle sue interessanti Dissertazioni sulle feste genovesi, ma non furono finora, eh’ io sappia, applicate a spiegare certe monete di quel tempo. Dopo il diploma imperiale del cerchio d’ oro, troviamo una specie di cerchio od anello sovrapposto allo stemma della Repubblica nel suo sigillo; e dopo ottenuto il titolo di Serenissimo, il Governo fece sovrapporre allo stemma una corona. Or bene, siccome la corona comparisce anche nel noto scudo cominciato nel 1593, e siccome le grandi monete del 1570 e 1578 hanno invece della corona un semplice cerchio, però lavorato per guisa da crederlo intarsiato di cose preziose; così io non dubito di asserire che lo svolgimento di questi due distintivi dee corrispondere allo svolgimento dei due privilegi : e ne cavo un indizio per supporre, che se un giorno si venga a scoprire uno scudo semplice del 1567, 0 d’altro anno anteriore al 1593, lo si troverà fornito anch’esso del cerchio, come lo abbiamo trovato nel pezzo da scudi uno e mezzo del 1570 (1). (1) Belgrano, Feste e giuochi dei Genovesi, nell’Archivio Storico Italiano, 1871, XIII, pag. 195. Il cerchio in cambio'della corona è nel sigillo GIORNALE LIGUSTICO 405 Non è nemmeno difficile spiegare il perchè conservandosi alcuni pezzi da uno scudo e mezzo, non si trovi più lo scudo semplice. I primi erano piuttosto monete di lusso, di specialità, che qualche famiglia patrizia fece battere e conservò; laddove gli scudi semplici saranno stati ritirati dal commercio , col sostituirvi il nuovo scudo coronato che era battuto su di un sistema diverso e con diverso rapporto fra i due metalli. Sebbene non è impossibile quandochessia rinvenirne alcuno nascosto e salvato dal generale naufragio. Infine non sarebbe temerario l’affermare che fino dal 1567 la Signoria di Genova ordinando questo scudo aveva la piena coscienza degli scopi che sopra notammo: di fare cioè un pezzo d’argento di valore eguale allo scudo d’oro che allora si spendeva per L. 4, e di introdurre un nuovo sistema regolatore che utilmente si surrogasse alla base d’oro divenuta troppo prepotente. Infatti il valore di L. 4 era cosi rotondo e comodo per poter battere contemporaneamente le frazioni pure rotonde da L. 2, da L. 1 e da soldi 10; come furono realmente battute allora colla denominazione di metà, quarto ed ottavo di scudo; e sotto la stessa denominazione continuarono a battersi ancora, dopoché esso scudo, aumentando di prezzo, non avea più conservato quel rapporto rotondo di 4, 2, 1 e '/2. Oltrecchè il seguito della storia monetaria genovese ci persuade, che un pezzo da L. 4 si ebbe sempre in vista nelle tradizioni della Zecca per farne il regolatore della moneta. Così nel 1666 si trova battuto un pezzo della Repubblica, che qui si riproduce dall’originale in cera all’Archivio di Stato, ricavato dal eh. comm. Varni ; è pure nello stemma genovese premesso all’ edizione degli Annali del Giustiniani del 1537 e fu riprodotto nelle Noti{ie sulla Tipografia Ligure (Atti della Società Ligure di Storia Patria, voi. IX, tav. V, pag. 72). Lo stemma coronato è nelle predette (tav. XIV, pag. 160), riprodotto da una Grida sulle monete stampata in Genova nel 1584. 40 6 GORNALE LIIGUSTICO detto di San Giorgio o da otto reali, ognuno dei quali reali (che sono i grossi, così detti alla spagnuola) ci pare dovesse valere allora soldi dieci; e così l’intero L. 4. E se questa non è che una induzione (mancando il documento) è certo almeno che nel 1670 cominciò ad emettersi per L. 4. il nuovo e notissimo scudo di San Giambattista: quando poi questo crebbe di prezzo fino a lire cinque e più, allora (1792) fu creato il nuovissimo scudo da lire quattro che cessò colla Repubblica. La differenza più importante in questa serie fu che per ogni volta il peso, 0 anche il titolo dei pezzi successivi, peggiorava sempre più in proporzione che peggiorava la lira e il soldo; onde se nel 1567 uno scudo da lire 4 pesava, come vedemmo, gr. 37.372, nel 1670 era già disceso al peso di gr. 21.287 (^ηο gr· 19.666), e nel 1792 non pesava più che gr. 16.635 (^ηο gr· 14-789). Se l’esistenza verso il 1570 di uno scudo d’argento sen^a corona rimane provata da più notizie e documenti che a vicenda si confermano e|sbcompletano, noi non possiamo dire altrettanto di un altro scudo anteriore, il cui solo indizio è un pezzo effettivo comparso alla luce da non molti anni, ed unico finora conosciuto. Si è questa una grande e bella moneta di buon argento, acquistata e gelosamente custodita nel suo Medagliere dal compianto amico signor|Luigi Franchini. Essa ha il diametro di mill. 43, il peso di gr. 37.780; porta impresso nel diritto il nome di Luigi XII Re di Francia, e nel rovescio la nota leggenda comvnitas ianve. Questi caratteri e la croce sovrapposta al castello e le iniziali del Zecchiere A. C., simili ad altri testoni genovesi dello stesso Re, significano che il pezzo, onde parliamo, appartiene al secondo periodo della signoria GIORNALE LIGUSTICO 407 di Luigi XII sopra Genova, cioè dopo la rivoluzione del 1507. Anche i due istrici aggiunti ai gigli, che sono cosa singolarissima rimpetto alle altre monete genovesi di quel Re, sono invece cosa comune nelle monete sue francesi del secondo periodo ed anche in alcune sue milanesi (1). Da un documento genovese di questo stesso anno 1507 abbiamo che i testoni nuovi da una lira dovean pesare in media carati 67 '/, (= gr. 11.342); perciò un pezzo in argento che valesse lire tre, come allora valeva lo scudo d’oro, avrebbe dovuto pesare gr. 37.026. Ciascuno vede quanto si approssimi tale peso a quello di gr. 37,780 trovato nella moneta Franchini; e, se si vuole ancora una ragione della differenza, si noti che in quell’ anno di torbidi politici la moneta abbassò rapidamente, come ne potremmo recare esempi. Ad ogni modo è naturale che il pezzo maggiore pesi piuttosto più che meno della sua frazione: ciò tanto più se il pezzo è raro, e forse venne emesso come saggio :o tentativo il quale non pare abbia avuto conseguenza. Del resto io non vorrò contrastare a chi la credesse piuttosto una moneta di lusso e di sola ordinazione privata, come in seguito abbondarono tali ordinazioni, non solamente per scudi doppi, tripli e quadrupli nei due metalli, ma perfino in pezzi d’argento da 10 scudi, e in pezzi d’oro da 12 '/2, da 25 e da 50 scudi, come ne conosciamo in più Medaglieri. Ma ad ogni modo tutti questi pezzi erano sempre di titolo eguale alle loro basi semplici, e di peso proporzionale al valore rispettivo che portavano : come vediamo il pezzo Franchini proporzionale al valore dello scudo d’ oro contemporaneo. Nè, per quanto unico, si può dubitare della sua au- (1) Vedi il disegno dello scudo genovese di Luigi XII, che qui si riproduce dall’ originale conservato nel Medagliere Franchini, e venne liberalmente posto a nostra disposizione a tale scopo dalla signora vedova di lui. 4θ8 GIORNALE LIGUSTICO tenticità; basta vederlo per restarne persuasi: e d’altra parte finché le cose della monetazione non fossero più al chiaro (come mi pare sieno solo da poco tempo), quale uomo anche il più ingegnoso avrebbe potuto ideare la falsificazione di una moneta cosi conforme alla verità storica -ne’ suoi caratteri intrinseci ed estrinseci, nei tipi e nelle lettere di Zecchiere e nei rapporti col valore dell’ oro ? Vili. Rimontando ancora più alto che i tempi di Luigi XII, va da sé che i risultati della nostra ricerca di scudi d’ argento di valor pari a quelli d’oro debbano riescire sempre più oscuri e dubbiosi. Anzi, a parlare propriamente, non vi può essere uno scudo d’argento anteriore al 1500, perchè la Repubblica non batteva allora scudi, bensì ducati d’ oro: donde se vi fosse stato fin d’allora un pezzo d’argento di quel valore, avrebbe dovuto chiamarsi ducato d’argento-, denominazione non insolita in altre Zecche. Ed anche di un tale che diremo ducato d’argento, non ci manca una traccia, sebbene non tanto chiara come nei casi più recenti che sovra descrissi. Secondo il già notato da me, il Duca. Gio. Galeazzo Maria Sforza volle introdurre pel primo un testone 0 lira effettiva nelle sue Signorie tanto di Milano che di Genova, nel quale ultimo dominio tale pezzo si trova del peso di gr. 13.448 al maximum e di gr. 12.380 al minimum. Ma lo stesso Duca non si contentò di avere innalzata la maggiore moneta dal grosso al grossone, da soldi 5 a una lira: chè volle ancora far coniare de’ grossoni doppi 0 da due lire : come ne aveva uno, e nelle,sue Tavole lo descrisse, l’avvocato Avignone, del peso cioè di gr. 25.990, del diametro di millimetri 34 (i semplici testoni l’hanno di mill. 29); nel resto GIORNALE LIGUSTICO 409 colla biscia sopra al castello, le lettere del Zecchiere F. S. e leggende in tutto eguali al testone-lira. Oltre a questo pezzo, di cui non conosco altro esemplare, si sono scoperti da tempo più 0 meno recente tre grossoni di pesi diversi, ma con una particolarità interessante che è eguale in tutti tre. Già accennai che quel Duca, dopo assunta la signoria di Genova nel 1488, vi pose a suo Governatore il patrizio nostro Agostino Adorno. Questi, certo per espressa 0 tacita intelligenza col Duca, potè apporre il proprio nome e titolo in una bella moneta genovese d’oro che possiede il Museo Numismatico di Brera a Milano : in cui oltre le iniziali già note del Zecchiere S. A. e la biscia sopra il castello in segno della signoria Sforzesca, si legge : avg : advrnvs : gvb : d : ia : e si ripetono le di costui iniziali A. A. ai lati del castello. Tale leggenda non si trova espressa chiara nei tre grossoni contemporanei di cui discorro, ma vi supplisce abbastanza lo stemma Adorno, che in essi intermezza sotto il castello la leggenda : 10 : gz : m : sf : dvx : m : vi : ac : ianve : d. Di questi tre pezzi l’uno si conserva nella preziosa Collezione numismatico-archeologica del cav. Morbio di Milano; l’altro è nel Medagliere torinese di Sua Maestà, ed è stato pubblicato dal compianto illustre Promis (1); il terzo con altre preziose monete genovesi si custodisce nella scelta Collezione numismatica degli eredi del fu march. Agostino Adorno in Genova. Il pezzo del cav. Morbio pesando, secondo la di lui indicazione, oncie 1 e denari 7 abbondanti del peso di Milano, torna a gr. 37.943 ; mentre quello del Medagliere del Re è dato dal Promis in gr. 19.050. Questa sola circostanza dei (1) Il tipo del pezzo collo stemma Adorno si vede in Promis, Origine della Zecca di Genova, Tav. II, num. 26, colla illustrazionè relativa nel testo. 4io GIORNALE LIGUSTICO due pesi fa capire che il primo pezzo è doppio del secondo, ancorché non esattamente concordanti; e se noi li poniamo entrambi in confronto col peso del testone-lira contemporaneo, che vedemmo di gr. 12 a 12 '/2 circa, si capisce che la moneta Morbio equivale a un da tre lire-testoni; mentre la sua metà varrà una lira e mezzo, ossia due testoni da soldi quindici. E siccome si sa che a quel tempo stesso il ducato d’oro valeva tre lire, cosi la moneta Morbio si potrebbe dire un ducato d’argento, e la moneta del Re un mezzo ducato: entrambi dunque sarebbero il più antico esempio dei casi qui da noi contemplati; di un saggio cioè o desiderio di creare una moneta d’argento pari in valore al pezzo d’oro allora dominante. Differente dall’ uno e dall’ altro di questi pezzi è il peso della moneta del Medagliere Adorno. Sebbene io l’abbia potuta vedere (con tutta la Collezione per graziosa concessione de’ signori marchesi possessori), tuttavia il peso mi fu indicato da altri senza che io abbia pensato a verificarlo : e sarebbe di gr. 30.500. Se tale peso è giusto, non vi sarebbe a spiegarlo altro mezzo che il seguente: introducendo cioè un nuovo anello nella scala, e considerando il pezzo Adorno come un da tre testoni da soldi 15 (soldi 45). Cosi avremmo una serie contemporanea di pezzi in relazione tra loro: i testoni semplici da soldi 15 e da soldi 20; il testone o mezzo ducato da soldi 30 a Torino; quello Adorno da soldi 45 e il pezzo Morbio 0 ducato d’ argento da soldi 60. Vedano i numismatici e i possessori de’ lodati Medaglieri fino a qual segno possa ammettersi la soluzione che io presento. Ma sorgerà in loro spontanea la domanda, se tali pezzi abbiano diametro diverso tra loro, come si richiede propriamente per monete di valore diverso; 0 non piuttosto sieno di quei pezzi di saggio, detti in francese pied-fort, i quali mantenendo un diametro eguale, hanno spessore diverso e GIORNALE LIGUSTICO 4ΙΓ proporzionale al valore rispettivo. I testoni di Gio. Galeazzo Maria, se da soldi 15, hanno il diametro di mill. 27, se da una lira sogliono avere mill. 29: però se ne conoscono due sottili col diametro di mill. 33. Il pezzo del cav. Morbio, o ducato che voglia dirsi, l’ha di mill. 36: dunque speciale; quelli del Re e del march. Adorno hanno l’eguale diametro di mill. 32. Perciò, se è giusta l’indicazione del peso loro, vi sarà tra i due ultimi la sola differenza di peso con uno spessore proporzionale ai valori di soldi 30 e soldi 45. Tutti questi tre pezzi, hanno al pari di altri testoni contemporanei, le lettere del Zecchiere Μ. P. (Manfredo Promontorio). IX. Se le riflessioni e conclusioni mie troveranno favorevole accoglienza presso gli intendenti, non si considererà più come primo scudo d’argento quello del 1593, detto coronato 0 scudo grande, del peso di gr. 38 '/2 circa, ma lo si farà precedere da uno scudo sen^a corona battuto verso il 1567-70 col peso di gr. 37 '/3 circa, al valore di lire quattro. Si converrà pure che, se non fu messo proprio in circolazione, deve essere stato battuto *uno 0 più esemplari di uno scudo d’ argento del valore di lire tre, sotto la Signoria del re Luigi XII verso il 1507; e che già verso il 1488 erano stati impressi collo stemma Adorno alcuni pezzi del Duca di Milano Signore di Genova, i quali col peso loro diverso, ma tra sè proporzionale, accusano un multiplo di testoni, il maggiore de quali al valore di lire tre come il ducato d’ oro contemporaneo. In tutte le quattro successive coniazioni è chiara l’intenzione di avere una moneta d’argento equivalente alla più comune d’oro; ma vi è una grande differenza tra le due prime e le due ultime di tali coniazioni. Quelle del 1593 e 412 GIORNALE LIGUSTICO del 1567 mirano all’interesse pubblico, a regolare e frenare i corsi monetarii, e riescono infatti più o. meno nel loro intento; i pezzi invece del 1507 e del 1488, se ebbero mai questo intento, non lo poterono guadagnare; ma più probabilmente furono saggi, tentativi, forse anche soli desiderii privati di famiglie patrizie da tenersi nello scrigno come specialità. Ed invero era spuntata allora la moda di medaglie di gran peso e di considerevole valore, come ne troviamo un esempio in un documento genovese del 1495 (1). Vedemmo lo stesso Duca Gio. Galeazzo Maria di repente triplicare e quadruplicare l’antico e solito grosso, colla creazione dei testoni a soldi 15 e a una lira; poi ancora duplicare e triplicare i testoni stessi, creando i pezzi da due e da tre lire; donde in breve tempo da un grosso di circa gr. 3 ‘/2 si sali a un pezzo di gr. 30 e più, e si fini un secolo dopo collo scudo a più di gr. 38. In tanta profusione d’ argento, il Duca medesimo non patì che il metallo più nobile rimanesse senza compenso. Il Museo Imperiale di Vienna possiede un bellissimo pezzo d’ oro genovese di Gio. Galeazzo Maria, che è disegnato da lunghi anni nelle pregiate Tavole che ognun conosce, ma il cui ragguaglio e denominazione furono scoperti soltanto da me nel 1872, quando lo potei esaminare a bell’agio per cortese permesso dei Dotti che presiedono a quel prezioso Istituto; e trovandolo del peso di gr. 9.270, ebbi il piacere di conoscere che il Duca avea qui costituito un triplo ducato d’oro, come altrove il triplo testone d’ argento (2). (1) Di 16 grossi medaglioni della Casa Ducale di Milano e di uno di essi presentato nel 1495 a^a Zecca di Genova e trovato del peso di chilogrammi 36, coll’ effigie di Bona moglie di Galeazzo Maria Sforza, vedi Atti della Società Ligure, Vili. 731-4, con altri fonti ivi citati. (2) Vedi Monnaies en or.. . du Cabinet de S. M. l’Empèreur, Vienna, Tratt-ner, 1759, col disegno posto a p. 249 fra le monete dei Duchi di Milano. GIORNALE LIGUSTICO 4X3 t noto poi come la scoperta d’America e di grandi miniere in essa nei due metalli, abbiano sempre più agevolato la coniazione di grosse monete, sconvolgendo in pari tempo le relazioni antiche tra i metalli fra loro e tra i metalli e le merci. X. Prima di chiudere il presente articolo, non sarà superfluo toccare di un altro pezzo d’argento non molto conosciuto, pesante meno del solito scudo, e variamente denominato or come scudo, or come tallero in certe tariffe; ma il cui vero nome nei documenti è quello di ducatene di Genova, ad imitazione dei presso a poco eguali ducatoni di Firenze, Milano, Savoia e Venezia. Dai documenti medesimi risulta che il ducatene genovese dovea avere il peso di gr. 32.288, il titolo di mill. 951 e così in argento fino gr. 30.705. Il suo tipo si sa essere una imitazione delle monete di Venezia : il Doge cioè inginocchiato, che riceve lo stendardo consegnatogli dal SS. Salvatore. Se la sua esistenza fosse constatata già dal x554, allorché compaiono dei pezzi minori con tipo presso a poco identico ed aventi senza dubbio il valore di una lira, e il peso di circa gr'. 10; in tal caso non esiteremmo anche qui ad assegnare al ducatone il valore di tre lire e 1’ uffizio di supplire allo scudo d’oro di pari prezzo. Ma è ignoto finora se vi fossero ducatoni veri fino all’anno 1593. Ne apparisce uno nei Medaglieri colla data del 1594, e continuano nelle collezioni colle loro frazioni della metà e del quarto, ma rarissimi, fino all’anno 1607; nelle tariffe poi durano i loro nomi dal 1598 al 1621. Se non che in tutto questo periodo il loro valore di tariffa non è più in rapporto rotondo colle lire genovesi, valendo soldi 74; e inoltre abbiamo detto che dal 1593 in poi la base monetaria resta lo scudo grande 0 coronato. Dunque 4i4 GIORNALE LIGUSTICO o si scoprirà forse un ducatone di data verso il 15545 base monetaria in argento prima dello scudo stilla corona del 15 67 : oppure si dovrà ammettere che il ducatone del 1602 non fu battuto in relazione alla moneta interna, ma sì pel commercio esterno con Firènze, Venezia ed altri paesi (1). Ci pare aver parlato, con sufficiente larghezza e con qualche frutto, di un periodo in cui il taglio, la denominazione e la ragione delle principali monete d’argento erano finora involte nella più grande oscurità. Dal 1593 in avanti gli scudi d argento coronati si moltiplicano di numero e di peso, doppio, triplo ecc., però conservando a un di presso le prime basi e le relative proporzioni, come accennammo ; cambiano anche di tipo dal 1638 in poi, sostituita al castello 1’imagine della Madonna con analoga leggenda; cambiano alcune loro serie di diametro, sebbene non di péso, distinguendosi gli scudi stretti di millim. 42 dai più sottili così detti larghi di mill. 60. Succede a questi, ma senza soppiantarli, nel 1670 lo scudo minore detto di San Giambattista, e nel 1792 1’ altro detto da L. 4 colle sue frazioni e col suo doppio, 0 da otto lire, che noi stessi abbiamo ancora veduto in circolazione, come moneta tollerata, accanto al nuovo scudo da cinque franchi. Ma tutto ciò dovrebbe essere soggetto d’un’altra Memoria numismatica; seppure vi è bisogno di farne una, essendoché (1) Del ducatone parla il Gandolfì, II, 257-9, dandone anche il peso in grammi 32.288; ma non ne conosce il tipo, che si può vedere nelle citate Monnaies en argent du Cabinet Imperiai, Vienna, p. 47 5 (il primo disegno a destra). Però la descrizione ne era già stata fatta nel Zanetti, Zecche d’Italia, III. 148, anno 1618, ove anche è cenno di altre tariffe. II più antico ducatone conosciuto è del 1594, ed oltre il Gabinetto Imperiale di Vienna (peso gr. 32.220) lo descrivono il Madai, op. cit., IV, p. 326, la Reichelsche Mùn\sammlung, op. cit., num. 2152 (gr. 31.80). Del 1595 v’ è di nuovo in Madai e in Reichel; e Franchini ha l’intero e il mezzo ducatone (gr. 15.83) dello stesso anno e del 1600, e un mezzo ducatone del 1601 (gr. 16.100). Mi passo dei più recenti. T GIORNALE LIGUSTICO 415 tutte queste monete d’argento sono comuni nei Medaglieri anche fuori d Italia. E intorno al loro aumentare continuo di valore e ai loro rapporti colle monete d’oro ne abbiamo già toccato forse quanto basti in un altro tenue nostro lavoro. LETTERE DI CHIARI LIGURI TRATTE DAGLI AUTOGRAFI ED ILLUSTRATE DA G. BlGONZO E P. FaZIO (Continuazione da pag. w/) X. Al sig. Francesco Carrega, Genova. Carissimo Nipote, Per quanto travedo dalla vostra lettera la giornata de’ 24, che dovea essere una giornata di scambievole consolazione, è stata di piccole altercazioni ; la qual cosa non saprei approvare. Non vorrei che vi formaste uno spirito di contradizione, che su tutto vuol far questioni, e sostener sempre l’opposto. Venendo alle vostre richieste, lodo il vostro desiderio, ma io non sono al caso di soddisfarvi, si perchè ho per le mani cose che non posso lasciare; sì perchè non ho nè posso avere quei molti libri, che mi bisognerebbero. La materia, è assai più vasta che non pensate, a volerla trattare conforme voi la bramereste trattata. Porrete vedere Natale Alessandro con le correzioni di Moneglia, che tratta l’una e 1’ altra questione, e la Prefazione premessa dai Mau-rini all’ opere di S. Giustino, ove dee parlarsi di Simon Mago, se ben mi ricordo; ed il Tillemont nelle Memorie per la Storia Ecclesiastica, e per un circolo ne avreste ab- 4l6 GIORNALE LIGUSTICO bastanza. Io grazie al Signore seguito, e bramo, che sia sempre lo stesso di voi. Sono in fretta vostro Torino, 2 Maggio 1789. Aff.mc Zio Gasparo Luigi Oderico (i). · XI. Allo stesso a Genova. Carissimo Nipote, · Leggerò volentieri le vostre Dissertazioni; mi dispiace però di sentire, che siano in cattivo carattere, perchè la vista mi va diminuendo a misura che cresconmi gli anni, e non posso sforzare molto gli occhi. Voi cominciate troppo presto a farvi rincrescere il ricopiare e mettere in pulito i vostri lavori: vi esporrete a non esser letto. Non vorrei sentirvi dire che avete faticato molto e molto studiato; lasciate che lo dica da sè Γ opera. Chi vuol far bene le sue cose conviene che ci fatichi intorno, e molto studi e legga; ed il voler restringersi ad un solo autore, anche ottimo, è un contentarsi di saper poco. Bisogna, massimamente in punti di critica, veder molti ed esaminar per sè stesso le materie; cosi uno le approfondisce e se ne impossessa, e dilata le sue cognizioni. Io non so cosa vogliate dire, dicendo che i frequenti incisi vi rischiarano le iJee; non mi pare che lo stile conferisca alla chiarezza delle idee di chi compone; può ben conferire uno stile netto e chiaro all’ intelligenza di chi legge, e Γ avere idee chiare e nette a scrivere con chiarezza. Ma io forse noji vi avrò capito. (1) Nato in Genova nel 172$, mono nel 1803. Fu dottissimo archeologo, c tale lo dimostrano i suoi scritti editi ed inediti. giornale ligustico 417 Ciedeva di avervi risposto sulla commissione datami rapporto alle opere dell’ Abate Ducreux. Esse trovansi e in francese ed in italiano. Nella prima lingua sono in 10 tomi e costano lire 30 di Piemonte, che sono lire 45, sol. 6 di costi, nella seconda sono in 9 tomi e vagliono qualche cosa di meno. Curate il vostro raffreddore, perchè nella stagione in cui siamo può divenir serio, se sia strappazzato. Io grazie al Signore godo assai buona salute. Il freddo si fa sentire qui ancora, ma fin adesso è tollerabile, massime per chi fa uso del camino. Vi abbraccio e sono vostro Torino, 12 Dicejnbre 1789. Zio Gasparo Luigi Oderico. P■ S. Ricevo le due vostre dissertazioni. XII. Allo stesso a Genova. Carissimo Nipote, Non è altrimenti una Medaglia quella di cui mi avete mandato l’impronta, ma sibbene una pietra intagliata dei Basi-lidiani eretici del secondo secolo, che troverete stampata nel-ΓAntiquité expliquà de Montfaucon, toni. II, partie II, planche cxxv, num. 7. Queste pietre sono comunemente conosciute sotto il nome di Abraxas, per le ragioni che leggerete nello stesso autore nel tomo e parte citata (1). L’inscrizione di codesta pietra è al rovescio, e per leg- (li Pag, 555 e segg. — Intorno ad una Abraxa rinvenuta a molta profonditi in un campo vicino a Oderzo nel 1835, può vedersi una Lettera del eh. Astorrc Pellegrini nel Museo Opittrgino del 1864; Bergamo , Tip. Colombo. Clou. Liat'irico, ,1mo IV 57 4i 8 GIORNALE LIGUSTICO gerla conviene rivoltarla. Queste inscrizioni però sono per lo più poco o nulla intelligibilii, ed è perder tempo il mettersi a cercarne il vero senso. L’autore citato ve ne dirà le ragioni. Le figure sono Arpocrate seduto sul fiore di loto, come comunemente si crede; nella sinistra tiene il flagello, uno dei simboli dati al Sole, che ben conviene secondo quella dottrina che la una cosa stessa Arpocrate ed il Sole. L’ uccello potrebbe essere uno sparviero, che assai spesso incontrasi nei monumenti egiziani, e sovente con il fior di loto sulla testa. La figura opposta sembra un cane compagno di Arpocrate in parecchi egizi monumenti, ma forse è Anubi. Questo figure sono dentro una barca, simbolo di Iside, alla quale gli Egiziani attribuivano l’invenzione delle vele da na-vigare, e sotto la cui protezione erano i legni che navigavano pel Nilo. I Romani aveano adottata questa dottrina degli Egizi, poiché nel loro Calendario rustico e in quel di Lam-becio trovasi tra le feste: Isidis Navigium, il di 3 avanti le none di Marzo, ossia ai 9 del detto mese; chè in tal mese si riapriva il mare e cominciava la navigazione. Ho detto che la barca era simbolo d‘ Iside; non contrasterei però che non potesse riguardare direttamente Arpocrate; ma troppo in lungo mi menerebbe il darvenc le ragioni. Di questo Dio egiziano ha lungamente e dottamente parlato Cu-pero; vedete questo, se ne avete voglia. Il di lui tìarpocraUs è nel Tomo 2 dei supplimcnti fatti da Polcni alle Amichiti Greche e Romane di Gronovio e di Grevio, che io ve ne ho detto abbastanza. Addio. Torino, 2j Giugno 1790. Aff.m Zio Gasparo Luigi Odericq. giornale ligustico XIII. Allo stesso a Genova. Carissimo Nipote, 10 non so dirvi la valuta di codesta pietra, si perchè con-\errebbe averla sotto degli occhi, quando anche m’ intendessi di pietre; sì perchè non mi sono mai applicato a valutare le antichità; cosa che più particolarmente spetta a quei che chiamansi Anticagliari dai Romani, e sono in sostanza negozianti di antichità. Quello, che posso dirvi si è, che queste pietre Basilidiane per sè stesse non hanno, nè meritano, che pochissima stima; ed io non ci perderei intorno il tempo. 11 sistema dell’ Abate Pluche è un sistema ingegnoso, ma non vorrei con esso e su di esso farmi a parlare della teo-logia egiziana: materia assai oscura e vasta, e che esige uno studio ed una lettura profonda degli antichi scrittori, che ne hanno parlato; onde vi consiglio di non mettervi al cimento di dire dei molti spropositi, parlando prima di avere bene approfondito questa materia. Le mie Lettere (i) saranno in mano o del Sig. Abate Massola, o dell’Eccellentissimo Giacomo Filippo Durazzo; presentemente non ne so nulla; sq si stamperanno le vedrete; non meritano che ve ne diate un’ anticipata premura. Mi dite di aver veduto la Medaglia da me ideata, e proposta a codesta Società Patria; vorrei sapere se avete veduto soltanto il disegno della Medaglia, oppure l’esecuzione di questa (t) Lettere Ligustiche ossia osservazioni critiche sullo stato geografici} della Liguria fino ai tempi di Ottone il Grande, con le memorie storiche di C'affa, dell'Abate Gasparo Luigi Oderico; Roma 1790, e Bassano 1792. Queste Lettere furono dall’Autore indirizzate all’Ab. Francesco Massola, e da costui dedicate al March. Giacomo Filippo Durazzo. 420 GIORNALE LIGUSTICO in metallo, che dovea farsi e che non so se sia stata fatta (i). Ho messo la testa turrita di una donna, perchè così esprimevano sulle monete le loro città i Greci e i Romani, che debbono essere in questo genere di cose i nostri modelli. Non ho messo il Giano perchè, quando anco questo personaggio fosse veramente esistito, cosa non così facile a provare, ma su cui non voglio ora decidere; Giano non ebbe che fare con Genova nè punto nè poco; ed è una scipitaggine il voler continuare ad autorizzare in pubblici e serii monumenti, che non debbono avere del poetico, un errore sì ridicolo. Questo è il mio sentimeuto, che esposi già in in una lettera alla Società. Del resto poi lascerò che ognuno pensi a suo modo. Sono di cuore vostro Torino, 3 Luglio 1790. Aff.m Zio Gasparo Luigi Oderico. (1) La Medaglia onde si fa cenno è quella che la Società Patria conferiva agli industriali e manifatturieri premiati nelle annue Esposizioni. L’Oderico era stato pregato dalla Società stessa di presentirne il progetto, e 1' avea fatto verso la meli del 1789. come può leggersi negli Avvisi del 22 agosto di tale anno. Nella lettera a cui la presente serviva di risposta, è probabile che il Carrcga volesse intendere di aver veduta l'esecuzione metallica; rilevandosi dagli Avvisi del ; giugno 1790 clic a questa data lavorava intorno alla coniazione di essa il bravo incisore Angelo Tessera. Ne furono battuti esemplari in oro, argento c rame; c può vedersene la descrizione nella diligente e dotta rassegna delle Medigli* dei Liguri t della Liguria del compianto avv. Gaetano Avignone, nel tomo Vili degli Alti della Società Ligure di Storia Patria, num. 587. GIORNALE LIGUSTICO 421 XIV. Allo stesso a Genova. Carissimo Nipote, Dell’Abate Requeno avea veduto il |Telegrafo (1) e VEncausto (2), non la Chironomia (3) che mi avevate mandata. L’ ho scorsa, e ve la rimando con tutti i ringraziamenti dovuti alla vostra attenzione. Non ne aspettate però quel compito e ragionato giudizio, che da me ne vorreste. Non sono al caso di darvelo: non ho qui quei libri che bisognerebbono, e non sono instruito nè della moderna nè dell’ antica Pantomina, che il dotto Abate, vostro malgrado come mi figuro, vorrebbe richiamata sui nostri teatri. Ma quando anche nulla mi mancasse per formar questo giudizio, non vorrei perdere il mio tempo in cosa cotanto frivola. Per quel pochissimo che ne so, direi che 1’ autore siasi un pò troppo lusingato se ha creduto di darci una scoperta. In due parti ei divide la sua operetta. Nella prima prova che gli antichi con la varia posizione ed intreccio delle dita, gli oratori principalmente, esprimevano i numeri e conteggiavano. Nella seconda mostra che le persone di teatro co’ mungesti delle mani rappresentavano in pantomina qualunque azione al compasso della musica: or Γ una e l’altra cosa era già nota. I commentatori di Giovenale per ispiegare quel-Yatque suos iam dextra computat annos, si sono serviti di questa Chironomia; e giuntosi uno di essi, che ho qui meco, a quel verso satira X, dice : veteres utebantur manuum digitis ad (1) Principii, progresso t ristabilimento dell’ arte di parlare da lungi iti guerra; Torino 1790. (2) Saggi sul ristabilimento dell' arte di dipingere all' encausto degli antichi; Parma 1798. (}) Scoperta dilla Chironomia (arte di esprimersi con le dita) ; Parma 1797. GIORNALE LIGUSTICO annos astatis numerandos, et laeva manu indicabant omnes numeros infra centenarium, digitis varie conformatis; dextra vero numeros supra centenarium. Come gli anni, poteano in simii guisa esprimere ogni somma e conteggio. Nè meno nota agli uomini dotti e colti dee essere Γ arte di esprimere con gesti muti in cadenza i fatti tragici, comici ecc. Io non ne ho in pronto gli esempi, perchè non ho i libri necessari; ne parleranno probabilmente i commentatori di Ateneo, di Polluce, e quei che hanno trattato dell’ antica pantomina. Alla fine dell·' opera trovansi incise in tre tavole le varie maniere di esprimere con le dita i numeri, che egli ha formate su quanto ne ha lasciato scritto Beda. Plinio al lib. xxxiv, § 16, dice che Numa dedicò una statua di Giano digitis ita figuratis, che esprimevano il numero trecentorum quinquaginta quinque dierum. L’ autore si è presa la libertà di lasciare il quinque, che trovasi nelle ottime edizioni, e nell’ ultima di Brotier che la giustifica con più mss. e con la seconda edizione di Arduino; sospetto, che l’autore siasi accorto della difficoltà di accordare il 355 della statua con le sue figure. In fitti per esprimere 55, due operazioni sono necessarie: F una che noti le diecine, l’altra le unità; ciò può tarsi facilmente da un uomo che ha libera la mano sinistra, ma non da una statua, che non può mutare la prima posizione datale cullo scultore. La stessa difficoltà può farsi al testo di Macrobio, che dice delle statue di Giano simulacrum eius plerumque fingitur manu'dextera trecentorum, ei sinistra sexagkia et quinque ?;umerum latens, ad demonstrandam ami dimensionem. So che il Pontadera, episL 34, p. 310, ha preteso che dopo Romolo sotto i Re l’anno fosse di 350 come il cu-uaico, e quindi ha preteso che in Plinio ed in Macrobio si dovesse leggere 350; ma non credo che abbia dimostrato la cosa: 355, o 565 che sia, la statua non poteva mostrar questi numeri, se le figure dateci sono vere; oppure aveanvi GIORNALE LIGUSTICO 423 anticamente altre figure con cui poterlo fare, e Broticr pretende che nella mano di Giano i tre ultimi diti curvati >. -primerent dies XXX; elatus index dies L, eunatus pollex dies V. La spiegazione è facile. Requeno vedrà se è vera e giusta, io non ne voglio saper più, e vi dò il buon giorno e la buona sera, P. S. Non vi mando ancora la Dissertazione di Gyssmann ( 1 ) perchè 1 Abate Saverio desidera di leggerla. Mi è piaciuta, e se costi se ne trovasse a comprare, mi fareste assai piacere" di prendermene una copia, chè ve ne farò pagare il costo. Pieve di Sori, 15 Giugno 1803. Aff."* Zio Gasparo Luigi Oderico. XV. Al Sig. Canonico Vincenzo Lotti a Taggla. HI.’* e M. R.i: Signore, Ritornato ieri sera da un mio viaggio a Verona e Venezia, mi fo un dovere di compiere ad un debito, che ho da molto tempo con V. S. Preg.^ e di cui tempo è che mi sciolga, pregandola a perdonare la tardanza. V opuscolo del Sig. Felice Isnardi (2), in cui è la lettera di V. S. al Sindaco di Cogoleto, Γ ho avuto in prestanza dall’aw. Balestrieri: nè mai ho comperato nè voglio comperare scritto alcuno di quel ciancione, in cui la inciviltà è (1) Sugli antichi Zodiaci dilT Egitto, di Franeti:c Gì::num versione tedesco): Venezia 1802. (2) Risposta di Felice Isnardi alla Revista critica fatta alla Dissertazione sulla patria di Cristoforo Colombo dalTegregio Signor Gian:B'.iyr-Genova, Tip. Frugoni 1839. 424 GIORNALE LIGUSTICO forse maggior dell’ ignoranza. Ond’ è che non posso compiacerlo del suo desiderio. Ma voglio credere che il Sig. Sindaco avrà conosciuto essere suo dovere di mandarle copia dell’ operetta in cui è la lettera relativa al P. Calvi (i). Ella vede per altro quanta sia la inverecondia del sig. Felice, nello spacciare che il brano riguardante al Colombo sia nella Storia non nella Cronaca; inventando un’ opera che non esiste : costume vilissimo, ma degno dell’ Isnardi. Alla inverecondia aggiunga la sciocchezza nell’inserire la lettera di λ . S. 111.®1, che distrugge la pretesa distinzione della Cronaca dalla Storia. Ritorno al P. Calvi. Quantunque il sig. Avv. Belloro affermi che nella Cronaca di Taggia esistente nella Civica Biblioteca non vi sia il passo in questione, esso vi è realmente, e colle parole precise da Lei pubblicate. L’ autorità dell’ Archivista Belloro persuase molti a credere ingannato 1’ Autore della Passeggiata (2); io medesimo fui in questo errore; ma la lettera di Lei mi consigliò a leggere cogli occhi miei la Cronaca, ed ho trovato verissimo quant’Ella affermava. Io non ebbi mai difficoltà di confessare gli abbagli ne’ quali mi accade inciampare; e nel Giornale (3) farò palese l’inganno del Belloro, che può dirsi anche mio. Un uomo onorato, un Sacerdote particolarmente, deve ad ogni cosa anteporre la verita. S Ella avesse qualche notizia del P. Calvi, che non si trovasse nella Cronaca, mi farebbe gran favore a commu-nicarmela, che me ne gioverei per dare un articoli} di questo Scrittore nel riferirne quanto e’ dice intorno al Colombo. Le mando copia di un mio articolo, estratto dal Giornale (1) Nicolò Calvi, domenicano, autore della Cronaca latina del convento di Nostra Donna di Misericordia in Taggia. (2) Passeggiata par la Liguria occidentali fatta nel 1827 Signor Giacomo Navone; Ventimiglia 1832. (3) Giornale Ligustico di sciente e lettere ed arti, fondato dallo Spotorno. giornale ligustico 425 per cura di riguardevole personaggio. Essendo cosa storica, Ella saprà compatirlo, benché tenue e scritto in frena. Non so se le abbia mai trasmesse tre mie Lettere (1) stampate sotto il titolo di un Accademico Labronico (Accademia di Livorno, cui sono ascritto): nel caso che no, sarà mia cura di trasmetterle per la posta. Che pensa Ella di fare delle illustrazioni sulle antichità scoperte costi, di cui mi favori due copiose relazioni ? Non è da trascurare un argomento cosi onorevole e rilevante (2). Viva sicuro, Signor Canonico Preg.m0, che nulla si è in nie scemata la stima per la sua degna Persona: e che sinceramente mi riconfermo con distinto ossequio Genova, 18 Ottobre 1839. Di V. S. Ill.ma e M. R.da Umiì. Dev.m° Obb.mo Servo G. B. Spotorno (3). (1) Lettere sopra la Lingua scritte da un Accademico Labronico; Genova, Tip. Ferrando 1836. (2) Crediamo che queste Dissertaiioni si conservino tuttavia mss. presso gli eredi del Lotti. Riguardano in ispecie gli scavi eseguiti verso il 1830 al Capo S. Siro, e l’eterna questione sull’ubicazione di Costa Balenae; ma l’autore fa prova di buona volontà meglio che d’ erudizione e sana critica. Più che per questi studi devesi adunque essere grati al can. Lotti, per avere egli insieme al conte Tommaso Littardi (1’ amico generoso e costante di Carlo Botta) favorita e protetta l’educazione artistica dell’insigne statuario Salvatore Revelli, così immaturamente rapito all’Italia. (3) Nato in Albissola nel 1788, morto in Genova nel 1844. Fu valente scrittore nelle lingue del Lazio e d’Italia. 426 GIORNALE LIGUSTICO VARIETÀ MUSEO PATRIO ARCHEOLOGICO. I- — Da moltissimo tempo era nei voti di ogni colto e gentil cittadino, che Genova fosse dotata di un patrio Museo; affinchè non mancasse un centro ove riunire que’ monumenti di pittura e di statuaria, che provengono dagli edifizi cui Γ esecuzione di grandiose opere pubbliche ha destinati a perire, e nel tempo medesimo s’inaugurasse un degno campo alla esercitazione degli studi archeologici, il culto de’ quali non fu mai tanto vivo e generale quanto a’ dì nostri. D’ altra parte si veniva considerando, che la capitale della Liguria non doveva per sì fatto rispetto mostrarsi da meno fra le sorelle anche minori nella grande famiglia italiana; e citavansi spesso e volontieri ad esempio Parma, Piacenza e Brescia, i cui Musei furono illustrati pei dotti studi del Lopez, del Pigo-rini, del Pallastrelli, e per gli splendidi volumi dell’ Odorici. Quant è delle città più cospicue, Venezia che già possedeva una bella raccolta ne’ marmi della Marciana -dichiarati dal compianto Valentinelli, accresce tuttodì quella suppellettile di varia natura che le pervenne pel generoso legato del Museo Correr. Milano compose anch’ essa da brevi anni il Museo di Brera. Torino, che va debitrice a re Carlo Alberto di parecchie celebri collezioni d’arte e d’antichità, volle pur di recente inaugurare il Museo Civico ; e già intorno a’ cimelii ivi adunati si leggono importanti memorie negli Atti di quella Società d’ archeologia e belle arti. Bologna apprestò del pari un Museo riputatissimo, mercè in ispecie gli scavi della Necropoli Felsinea, come attestano i sontuosi in-folio del Gozzadini e dello Zannoni. Torniamo a Genova; che a proseguire, la corsa si farebbe vertiginosa. Genova, di cui può dirsi che ogni palazzo vanti (o vantava almeno) una quadreria insigne, appena ora va orgogliosa di una pubblica Pinacoteca : non ultimo dei benefizi che ripete dalla inesauribile munificenza dei Brignole-Sale-Galliera, ed al cui indirizzo è meritamente preposto Giuseppe Isola riverito sì come artista addottrinato e valente. Nè manca di onorarsi del suo Correr, in quel Varni che ha fatto della propria casa un santuario dell’arte, dove tutti i cultori delle discipline archeologiche trovano di che far tesoro, e dove noi stessi vedemmo ristarsi con insueta ammirazione il principe degli archeologi tedeschi Teodoro Mommsen. Pure, quant’ è di un Museo propriamente detto e veramente pubblico, giornale ligustico 427 Genova aveva sinora veduto, non sapremmo per quale influsso di maligni, stelle, cader frustrati i suoi voti; nel mentre stesso in cui, per maggiore disdetta, altre città s’arricchivano delle sue spoglie. Infatti le lapidi e le monete delle colonie tauro-liguri pigliavano posto nei Musei di Pietro-burgo, di Caffa, di Odessa; e più recentemente le iscrizioni genovesi delle mura e delle torri di Galata venivano destinate al Museo Imperiale di Costantinopoli. Se non che questi avanzi gloriosi de’ quali si onorano e russi e turchi, possono almanco dirsi acquistati a prezzo di vittorie; e perciò assai pi li doloroso dee riputarsi per noi il passaggio dei nostri quadri e de’ nostri arazzi (per esempio) nel British Museum e nell 'Hotel de Cluny, o nelle Gallerie di Vienna e di Monaco, sì come il dimostrano i relativi elenchi ne’ quali accanto alle indicazioni delle opere si notano !e provenienze. Ora noi portiamo ferma opinione che fra gli atti pe’ quali l’onorevole marchese Negrotto può ripromettersi un tributo di riconoscenza e di lodu dalla generalità de’ suoi concittadini, uno fuor dubbio dev’ essere questo : che negli ultimi mesi del suo Sindacato egli abbia non pure divisato, ma voluto istituire in Genova un patrio Museo, recando per giunta ad effetto il disegno senza menomamente aggravare le poco liete condizioni delle civiche finanze. II. — Del nuovo Stabilimento soggiungeremo in appresso un qualche cenno ; ma innanzi tutto importa 1’ avvertire come durante il lungo periodo in cui non ebbero luogo che sterili voli, sola fra i pubblici Istituti l’Accademia Ligustica ne intravvedesse l’utilità; e cominciasse ad incarnarne il concetto in quella parte che poteva riguardarla più da vicino, componendo nelle proprie sale una raccolta di capi d’ antichità e d’ arte. Noi non vogliamo qui tessere la storia dell’ Accademia, e nò manco intendiamo parlare di quella eletta di stupendi esemplari che costituiscono la Galleria dei gessi, e sono per gran parte dovuti alla saggia liberalità di non pochi benemeriti cittadini. Ben rammentiamo il debito di riconoscenza che corre alla Ligustica verso quel dotto mecenate delle arti, che fu Marcello Luigi Durazzo, alla cui mente si affacciò appunto Γ idea di formar quivi una Galleria di dipinti di scuola genovese. La quale idea come sortì da principio assai propizio il Corpo Decurionale, così in progresso riscosse amplissimo il favore de’ privati; per guisa che oggidì la Pinacoteca accademica può mostrarci i più valenti artisti liguri rappresentati da alcuna delle migliori opere loro. Quando il Parlamento votò le leggi di soppressione de’ conventi, anche il Governo concorse all’aumento della Pinacoteca medesima, affi- 423 GIORNALE LIGUSTICO dando in deposito alla Ligustica non pochi oggetti d’ arte provenienti dagli Istituti monastici. Oltrecchè, intorno allo stesso periodo di tempo, il re Vittorio Emanuele II, generosamente donando alla Città di Genova il Museo del Principe Odone, esprimeva la volontà che anche questo fosse allogato (come ditatti seguì) nell’ Accademia. La quale non era nuova alle dimostrazioni di benevolenza da parte de’nostri Principi; perchè Carlo Alberto 1' aveva onorata di sì cospicui presenti, da meritare che una medaglia ne tramandasse ai posteri la memoria. Il pubblico però conosceva in modo assai scarso una così ricca e varia suppellettile; nè torse gli venne mai offerta l’opportunità di esaminarla riposatamente come l’ebbe per 1’Esposizione archeologica del 1868, la quale raccolse moltissime lodi e non restò senza frutti. Questi fra gli altri : che il cav. G. B. Villa, assiduo collettore d’ antichità, fu liberale verso 1’ Accademia di più tavole rarissime de’ principii del Cinquecento ; che il marchese Lodovico Pallavicino, il cav. Brown ed il compianto pittore Francesco Gandolfi donaronle similmente alcune belle collezioni di ceramiche onde aveano concorso a crescer pregio alla Mostra. Altre maioliche e porcellane nazionali e straniere ebbe più recentemente la Ligustica, pel munifico legato d’ Antonio Merli ; e con esse alcuni intagli in marmo e in avorio, dipinti, bronzi, vetri di Venezia, un superbo tappeto persiano, e la splendida raccolta mercè cui 1 ' Arundel Society riproduce i capi lavori delle diverse scuole pittoriche. E nuove dimostrazioni di stima riceveva ancora dagli eredi del Gandolfi e di Ernesto Rayper: da che agli uni piacque donarle il grandioso abbozzo dell’ istoria di Colombo, colorita nell’ aula del Palazzo Municipale; e agli altri parve pietoso il pensiero, che là dove il Rayper avea stampate le prime orme nell’ arte, non mancasse alcun saggio de’ suoi dipinti. Ben meritavano eziandio dell’ Accademia con pregevoli doni il cav. Federigo Mylius, G. B. Semino, gli scultori Scanzi ed Allegro, la Società Promotrice di belle arti. Poscia il Ministero della Guerra e la Direzione del Demanio le concedevano i briosi affreschi di Domenico Piola staccati dalla ex-chiesa di S. Leonardo in Carigaano; e il P. Vincenzo Marchese, nome carissimo alla patria, le faceva omaggio di una eletta Biblioteca artistica. ΙΠ. — All’ Accademia volse adunque il pensiero 1’ on. Negrotto, per costituire i principii del vagheggiato Museo ; e avutone, in quella parte che si rendeva necessario, il pieno consentimento dalla Giunta Comunale, dispose sollecito perchè tutti gli oggetti d’ archeologia e d’ arte che ser-bavansi ne’ vari uffizi civici, od anche in altri edifici di proprietà municipale, senza avervi una stabile od acconcia destinazione, si riunissero GIORNALE LIGUSTICO m deposito alla Ligustica. La quale sì come accolse con vivissima gran-tudine questa dimostrazione di nobile fiducia, così soscrisse volenterosa alla postale condizione che non pure dovesse curare Γ < irdinamento dei cimelii commessi alla sua custodia, ma a tempo opportuno ammettere il pubblico a visitare il Museo, affinchè torni a benefizio di tutti ciò che infatti è parte del patrimonio comune. — Da canto suo il R. Delegato straordinario cav. Segre continuò 1’ opera cosi felicemente iniziata, assegnando all’ Accademia altri oggetti di pregio. Fra gli oggetti pervenuti in. sì fatta guisa alla Ligustica, vuoisi in primo luogo accennare il Medagliere donato già al Municipio dal cav. Sereno Caccianoti di Biandrate, chiuso in uno stipo d’ ebano con tarsie di avorio, elegante fattura di Pietro Lagomarsino! Consta di 3133 monete, la maggior parte in argento e di famiglie consolari romane; nè vi mancano altri nummi: quinari, sesterzi, vittoriati e semivittoriati, gli assi e le loro divisioni, le monete incuse e quelle della Campania. Vengono in seguito gli archetipi dei pesi e delle misure, che a’ tempi della Repubblica si custodivano nella Metropolitana di S. Lorenzo, giusta il costume derivato dagli ebrei, dagli egizi e da’ romani, i quali affidavano sì fatti oggetti alle cure de’ lor sacerdoti nel tempio. Sono in tutto circa cento capi, senza contare quelli appartenenti al sistema metrico decimale introdotto nel periodo del Governo Francese sul cominciare del nostro secolo; e chi'fosse vago di conoscerne con precisione le età, i nomi e la storia, potrebbe consultare una erudita illustrazione che ne mandò a stampa il cav. Pietro Rocca allorquando il Municipio commise a lui peritissimo 1’ onorevole incarico di ordinare cotesti cimelii. Vi ha pure buona copia di medaglie antiche e moderne, e di ntonete di conio genovese. Ma tra le medaglie parrebbe doversi in ispecial modo notar quella commemorativa dell’ erezione di un monumento a Cristoforo Colombo in Avana, da che non la troviamo registrata fra le Medaglie dei Liguri e della Liguria, onde il compianto avv. Gaetano Avignone pubblicò una erudita e coscienziosa rassegna. Passarono ugualmente alle sale della Ligustica le non poche sculture che per l’innanzi vedeansi raccolte nell’atrio del Palazzo Accademico; cioè una statua virile panneggiata di stile greco, d\ie sarcofaghi romani, e parecchi intagli dei secoli XIV e XV scampati alla distruzione della chiesa di S. Domenico. Curioso lavoro è un quadretto in marmo col- V Agnus Dei, proveniente dalle demolizioni del Castelletto; e di non lieve importanza rivelatisi alcuni bassi rilievi dei secoli XV e XVI, come a dire una Nostra Donna col Putto, e una grandiosa composizione or- 450 GIORNALE LIGUSTICO namentale con iscudi cimati da elmi, ne' quali si scorgono le tracce delle scalpellate aquile Doriesche. Ma più che altro loderemo un portale in ardesia, rimosso or non è molto dall’ ingresso di una bottega in Via Luccoìi, sì come quello che è da noverare tra i più leggiadri intagli scolpiti ad ingegno di maestri toscani o lombardi nelle prime decadi del Cinquecento. E in mezzo a così vaghe fatture, troverà pur degna sede la medaglia del Salvatore, scolpita da Gian Giacomo Della Porta, e collocata sin qui a decoro degli Archi dell’ Acquasola. Nè mancano alcuni esemplari dell’ arte industriale ; tra i quali una carabina turca dj squisito lavoro, e un coltello da caccia mandato in dono dal Comune di Campobasso per saggio delle sue riputate officine, e con gentile pensiero ornato de’ ritratti di Cristoforo Colombo e Andrea D’ Oria. IV. — Quando 1’ Accademia aprirà le sue sale al pubblico, questo si convincerà che il Museo patrio archeologico è entrato ormai nel campo dei fatti, e non potrà a meno di far plauso al concetto per cui si volle che il tempio dell’ arte moderna diventasse pure la sede dell’arte antica. In nessun altro luogo gli oggetti qui raccolti avrebbero potuto riuscire di una utilità così pratica e continuata. Resta ora che i moderatori dell’ Accademia non rimettano di zelo nel profittare di ogni opportunità per crescere via via 1’ importanza del nuovo Stabilimento; ed è pure da sperare che nell’egregia impresa venga a sorreggerli il favore illuminato dei cittadini. Imperocché sarà di certo un bel giorno quello in cui 1’ industriale, il negoziante, il patrizio, possessore d’ alcun cimelio, vorrà portarlo in dono, o affidarlo in deposito al patrio Museo, dimostrando in tal guisa quanto sappia estimare il beneficio di una sì provvida istituzione. Mercè lo spontaneo concorso de’ privati crebbero e crescono infatti, specialmente nella gentile Toscana, non pure i Musei, ma le Gallerie, le Biblioteche, gli Archivi; e a noi pare che così debba essere appunto, e che ogni amatore sincero del proprio paese obbedisca agli impulsi di un lodevole sentimento, recando il suo tributo a ciò che chiamano ed è il patrimonio sacro della Nazione. Ma e perchè vogliamo noi parlare di sole speranze, quando già le precorsero gli esempi di alcuni generosi? Veniamo difatti a sapere che il lodato cav. Villa ha regalato al Museo un bassorilievo in marmo del secolo XV, nel quale è ritratta una composizione allegorica chi potrebbe alludere alla beneficenza; che il sig. Giacomo Lavarello ha donato una lesena del Cinquecento in cui è scolpita una gentil candeliera; e che l’imprenditore signor Natale Mongiardino devolveva in egual modo al GIORNALE LIGUSTICO 431 iluseo due bei cippi romani con iscrizioni mortuarie di liberti, scavati pochi anni addietro ne’ ruderi del Palazzo dei Fieschi in Via Lata. Con si lieti principii il Museo patrio archeologico non può fallire a gloriosa meta. ANNUNZI BIBLIOGRAFICI Lettere Apuane, Nuovi studi sulla Regione, del prof. Cesare Zolfanelli. — Firenze 1877. In 16.0 Molte ed interessanti notizie contengono queste Lettere, scritte e pubblicate da prima nella Gaietta Livornese, ed ora date in luce riunite a maggiore utilità degli studiosi. Hanno una unità di concetto che si compendia in questo : illustrare sotto ogni aspetto la regione Apuana. Le Lettere sono storiche, biografiche, bibliografiche, archeologiche, scientifiche ed artistiche, e si stendono molto a porgere notizia della vita commerciale e letteraria che si svolge in quel ricco territorio ; spesso si ab-bellano di autografi illustri, fra i quali notansi i nomi di Domenico Fia-sella, Antonio Canova, Pietro Tenerani, Metastasio, Rossini, Duprè , Carducci. Abbiamo letto con piacere le notizie biografiche raccolte qui della compianta memoria di quel valente che'fu Vincenzo Santini, scultore e storico di bella fama; e ci giunsero gradite le testimonianze di stima e d’ affetto onde venne proseguito dal Nibby, dal Tenerani e dal Carducci. Di lui stampa per entro a queste sue il Zolfanelli più lettere di ragione storica, ed egli 0 discorra degli Stagi, 0 della rocca di Pietrasanta, 0 dei Visconti di Versilia, intorno a’ quali ultimi intendeva dettare una monografia, sempre ci si manifesta scrittore acurato ed amorevole. Mercè la «operazione di non pochi suoi benevoli, eh’ egli nomina a ca-gion d’onore, ci istruisce l’autore di cose ignorate, o raccoglie quelle che potevano andare disperse; e la varietà stessa onde si compongono cresce il diletto senza danno dell’ utile e della unità cui si informano questi scritti. Raro è che uomini non usciti dai luoghi dove debbono pei loro doveri trarre la vita, tanto vi pongano d’affetto da cercare ogni via per manifestarne le glorie ; il eh. Autore è un di questi animosi, e noi che rechiam nelle vene sangue lunense, e tentammo con piccioli e modesti studi lumeggiare le patrie istorie, vogliamo porgergli una parola , non certo autorevole, ma schietta, che gli sia conforto ed eccitamento - GIORNALE LIGUSTICO a seguire la bella opera incominciata con quelle utili pubblicazioni che gli danno diritto alla comune riconoscenza. Vallecalda e la Vittoria, Bo^e-tto campestre di Alberto Libbi. —Genova, Schenone 1877. In 8.° Questo Bonetto del signor Libri (tutti sanno chi si nasconde sotto questo pseudonimo) è dettato con vivacità e con brio. Nè giova solamente al diletto, poiché istruisce eziandio il lettore di alcune cose avvenute nei luoghi ch’egli prende a descrivere; e l’ultimo capitolo in ispecie può dirsi veramente storico, toccando dell’ ultima scena di quella guerra che fu combattuta dal Duca di Savoia unito colla Francia contro Genova nel 1625. Permeglio Stabilire i fatti, non si tien pago 1’Autore di quanto ce ne dicono gli storick che abbiamo alle stampe, ma ricerca pregevoli manoscritti conservati nelle Biblioteche genovesi; facendo suo prò specialmente dell’ Historia deìli avvenimenti dei suoi tempi di Raffaelle Della Torre, eh’ egli ben a ragione chiama storico giudiziosissimo. Scorto da si fatta guida rileva come non potè dirsi vittoria quella che tanto fu decantata, ma un’operazione militare ben immaginata e condotta a compimento dal Duca di Savoia per salvare il figlio minacciato dai genovesi in Savi-gnone. Dopo di che seguì la ritirata delle truppe franco-piemontesi già decisa alcuni giorni prima, perchè aveano avuto avviso che il Duca di Feria erasi mosso da Milano con ventiseimila fanti e mirava a prendere alle spalle i nemici. Cose tutte confermate altresì dallo Schiaffino nella sua Cronaca manoscritta e dall’ Accinelli nei Compendi storici. Della vita dei santi martiri Naiario e Celso, con appendice di alcune notizie topo grafiche-storico ecclesiastiche di Arenxano, per Paolo Delucchi arciprete. — Genova, Tip. Arcivescovile 1877. 8.° È sempre lodevole il pensiero a cui s’informano i raccoglitori delle memorie del natio loco, o di quello in cui sono chiamati ad esercitare il proprio ministero; e noi vediamo con piacere cornea questo proposito si dedichino non pochi ecclesiastici. Naturalmente, nei piccoli centri, l’Archivio parrocchiale è una cospicua sorgente di notizie storiche. Mancandoci ora lo spazio, entreremo forse un’ altra volta a dire del merito di questo libro; ed in tal caso ci piacerebbe di esporre le ragioni per le quali stimiamo poterci accostare a coloro che opinano come i Santi onde qui si narra la vita appartengano ad un’ epoca meno antica di quella cui il Delucchi, accedendo alla più diffusa credenza, li ascrive. Pasquale Fazio Responsabile. τι : CJTLOR.ÌS giornale ligustico DELLE ANTICHITÀ DI VADO Al rev. Cav. Cesare Queirolo Arciprete di Vado (Continuazione da pag. 584) Maggiori ostacoli, cosi estrinseci, ossia dipendenti dal sub-bietto iti se stesso, come estrinseci, in quanto non rappresenta che una porzione troppo esigua ed informe del primitivo suo essere, oppone ad una restituzione anche parziale la seguente scheggia di marmo inscritta a caratteri non disdicenti in genere all’epoca degli Antonini (Tav. II, n. 6): ......3L........ , ,0. . . ASIAE.T^' ·' PI ‘T* V Γ' .pRIMIGEN iL. .R ·?* . . . PRO . PR . PROVII . . . fì :. CVRATORIOPE . . . . P ’ì * g ii LEGATO . AV£. . . . .....I ITALIA CV s. . . . .. C ! . . ? . TOIANO........ Questo frammento fu pubblicato dal prof. Sanguineti nel precitato voi. XI degli Atti della Società Ligure di Storia Patria, al num. 274; se non che il fac-simile che figura in testa alla dotta illustrazione del professor genovese lascia alquanto a desiderare dal punto di vista della fedeltà paleografica, come si può verificare confrontandolo con quello della nostra tavola desunto colla maggiore esattezza da una ri produzione fotografica del marmo originale (1). (1) All’ ora in cui scrivo queste linee (agosto 1877) non essendo ancor giunta qui a Parma la 2.a parte del voi. \ del Corpus inscrip. lai. degli Giorn. Ligustico, Anno ir. 454 GIORNALE LIGUSTICO È chiaro trattarsi d’nn titolo onorario affisso probabilmente alla base di una statua eretta dall’ ordine decurionale del municipio vadense ad un personaggio, cui le molteplici ed elevate cariche civili e militari, delle quali è cenno nel titolo stesso, qualificano amplissimo. Troppo è a deplorarsi che il tempo ci abbia invidiato il nome di questo inclito personaggio, la cui vita politica costituisce una pagina importante dei fasti, non tanto di un particolare municipio (chè non consta veramente per ora se egli fosse cittadino dei Vadi Sabazi, o semplice-mente patrono del municipio stesso), quanto dell’ orbis ro~ manus imperiale; trattandosi d’un dignitario investito dei più alti uffici e insignito dei massimi onori a cui si potesse aspirare sotto gli Augusti; in un’epoca, riguardo alla quale tanto più lamentabile è la scarsità dei documenti storici in quanto che mai come nel decorso di essa 1’ impero raggiunse un più alto grado di potenza e di gloria. A ricomporre taluna delle tante pagine che Γ ira del tempo ha lacerate dal libro dei fasti dell’impero, nulla può maggiormente conferire quanto la scoperta di nuovi monumenti, infra i quali la classe degli epigrafici vanta a buon dritto maggiori titoli alla considerazione degli eruditi, siccome quella a cui è dovuto quasi onninamente l’incremento operatosi in questo secolo negli studi diretti ad illustrare la disciplina della romana antichità, e a cui spetta in particolare il merito di aver risuscitato la memoria di molti insigni personaggi che ebbero una parte importante nel gran dramma della storia romana e dei quali tuttavia gli scrittori non ci aveano trasmesso alcuna notizia. Accademici di Berlino (*), ignoro se trovinsi in questa inserite tutte le epigrafi vadensi che formano il soggetto della presente illustrazione, nè mi è dato per conseguenza di rilevare le differenze di lezione che possano per avventura correre fra le due quasi contemporanee pubblicazioni. (’) E nemmeno è giuata qui a Genova oggi 31 dicembre, in cui rivediamo le bozze! • · La Direzione. GIORNALE LIGUSTICO 435 Laonde non potranno sfuggire ad alcuno, per quanto misero sia lo stato a cui lo indussero Γ edacità del tempo e l’incuria degli uomini, l’alto pregio e la singolare importanza di questo frammento di titolo riferibile ad un soggetto consolare, di cui, sebbene finora anonimo, è sempre interessante conoscere la fede di vita, lo stato di servizio , Γ enumerazione degli onori e degli uffici, la cronologia, le pro-vincie che furono teatro delle sue imprese, il paese che 1’ onorò come cittadino o come suo peculiare patrono ; nè del resto è a dirsi infondata la speranza che ulteriori scoperte, negli stessi luoghi o altrove, possano quando che sia fornirci nuovi dati per giungere, col mezzo di confronti e per via di induzioni, cosi alla determinazione del nome del titolare come alla conoscenza di altri particolari della sua vita politica (i). Vediamo ora intanto a quali indizi possa dar luogo l’ispezione esteriore del marmo. La forma delle lettere, in generale, accurata bensì, ma piuttosto tozza e inelegante; certe particolarità grafiche, come la traversa del τ non orizzontale ma serpeggiante, il G col labbro inferiore rientrante e le estremità delle aste verticali biforcantisi in sottili ramificazioni; tutto concorre a riportar (i) Talvolta, oltre l’iscrizione principale apposta sul davanti della base che sosteneva la statua, incidevasi sul fianco sinistro o destro della base stessa il sunto dell’ atto onde era stata decretata 1’ erezione, o autorizzata la collocazione del monumento. Abbenchè queste epigrafi preteriscano non di rado perfino il nome del personaggio onorato (Borghesi, Lapide di Giulio Silano, Oeuvr. V, pag. 223; Orelli, 4039), riescono però quasi sempre interessantissime per altri rispetti, sia col citare i consoli in carica al giorno del decreto, fissando cosi la data del monumento, sia coir enunciare il nome dei duumviri, dei quattuorviri o di altri magistrati , somministrando preziosi materiali per lo studio dei fasti municipali e dell’organizzazione politica e amministrativa dell’ente giuridico, municipio 0 colonia, a cui si riferiscono. 436 GIORNALE LIGUSTICO l’iscrizione, come gii avvertii, all’età degli Antonini : attribuzione cronologica a cui non contraddice il genio dell’ iscrizione stessa e nè tampoco Γ indole degli uffici in essa commemorati. La lapide essendo monca da tutti i lati, riesce impossibile determinare le sue primitive dimensioni, nò quante linee precedessero e quante altre facessero seguito alle superstiti, nè quale lunghezza misurassero le singole linee. Sonvi però dei criteri, coll’ aiuto dei quali si può addivenire a qualche plausibile induzione in proposito. È noto infatti che nei titoli onorari dei tempi imperiali, i diversi uffici sostenuti dal titolare sono generalmente enunciati nello stesso ordine gerarchico in cui furono da esso cronologicamente conseguiti, sia che si cominci dagli infimi per arrivare gradatamente ai più alti, sia che si percorrala scala in senso inverso, secondo lo stile più usitato. Risaputo è del pari che questa regola patisce ordinariamente due eccezioni: la prima risguardante la nota ipatica, che si citava subito dopo il nome, siccome quella che esprimendo il massimo degli onori a cui potesse pervenire un cittadino romano, aveva di buon dritto il passo su tutte le altre, senza riguardo al tempo in cui il consolato era stato conseguito, Γ altra relativa ai maggiori sacerdozi, l’enunciazione dei quali, sebbene men comunemente, in omaggio al carattere augusto che loro imprimeva la religione, usciva fuori dell’ ordine cronologico e prendeva posto subito dopo la nota ipatica, talvolta anche, ma più di rado, alla coda di tutte le altre magistrature, ossia alla fine del titolo (i). (i) L’apparente contraddizione che alcuni titoli oppongono al principio fondamentale della progressione gerarchica degli onori deriva da ciò che in essi gli onori sono ordinati non in una, ma bensì in più serie, e queste non sempre disposte secondo lo stesso metodo di progressione. Esempli- giornale ligustico 437 Di vero, se il titolare amministrò, come si evince dal v. 6, in qualità di Legatus Augusti pro praetore, che è quanto dire di delegato dell’imperatore con podestà giudiziaria, una provincia ove stanziava più d’ una legione, ossia cesarea, dovette di necessità, prima di occupare una tale carica , aver conseguito il consolato. E se ebbe l’esercizio dei lasci, .si dee credere con pari fondamento che sia stato insignito di qualche maggiore sacerdozio, essendo costante presso i Romani l’uso di consertare le dignità religiose alle civili e militari; tanto che, come afferma il Borghesi ('Iscridi Burbuleio, Oeuvr. IV, pag. 173), sotto l’impero appena si ha esempio di alcun consolare che se prima dei fasci non aveva già conseguito un sacerdòzio, non ne fosse poco dopo provveduto (1). Ora stando alla teoria dianzi esposta, che cioè il consolato e i maggiori sacerdozi si enunciavano subito dopo il nome e prima delle altre dignità disposte in serie cronologica, si evince grazia, nel titolo casinate di C. Ummidio Quadrato (Mommsen , I. R■ -V., 4234), dopo l’enunciazione extra ordinem del consolato e del sacerdozio, figurano in prima fila 1$legazioni delle provincie cesaree, poi il proconsolato, quindi gli onori urbani ordinari, finalmente gli onori urbani straordinari, ogni singola serie in progressione ascendente. Così in quello tiburtino di Q, Pompeo Senecione (Orelli, 2761), dapprima sono enunciati i sacerdozi pubblici in ordine discendente, seguono gli onori pubblici e le amministrazioni delle provincie in ordine ascendente, poscia gli uffici esercitati in Italia in ordine discendente, infine gli onori municipali. Invece nell’iscrizione romana di Balbino Massimo (Marini, Atti Fr. Arv., pag. 672) sono anzitutto registrate le magistrature ordinarie in ordine discendente, dal consolato alla questura, vengono poi in ordine ascendente la legazione e le cure fuori ordine, alle quali tien dietro il sacerdozio, venendo per gli ultimi gli onori minori conseguiti prima della questura. Rimane adunque per ogni singola serie intatta la regola della successione gerarchica delle cariche, effettuisi questa in ordine cronologico diretto, oppure inverso. (1) La regola fu che i sacerdozi più insigni non si conseguissero sotto l’impero se non dopo il consolato (Seneca, De ira, III. 31). 43» GIORNALE LIGUSTICO che la parte superiore al frammento superstite dovea contenere anzitutto la nomenclatura; e questa, vuoi per l’uso comune a quell’ età di essere scritta a caratteri più grandi, vuoi perchè il titolare sarà stato indubbiamente polionimo, come tutti i personaggi di qualche nascita in quell’ epoca, avrà occupato non meno di due linee; poi una terza linea scritta a caratteri alquanto minori di quelli della nomenclatura, ma pur sempre maggiori degli altri, avrà contenuto la citazione del consolato susseguita da quella 'del sacerdozio; riguardo al quale nessuna congettura plausibile potrebbe formularsi, potendo il titolare essere stato con pari probabilità pontefice, augure, quindecemviro de’ sacrifizi, settemviro epulone o sodale augustale. Veniamo ora all’esame del testo superstite, e vediamo di quale interpretazione sia suscettibile e a quali restituzioni meglio si presti ; di che ci si spianerà la via ad ulteriori supplementi e induzioni. Lasciando in disparte i miserabili avanzi del v. i che si rifiutano a qualsiasi congettura, e incominciando dalla parola asiae , unico referto del v. 2, duoimi di*non poter consentire col prof. Sanguineti riguardo al supplemento procos, asiae da lui proposto: e poiché il contraddire ad un erudito di tanta autorità importa l’obbligo di motivare la contraddizione, esporrò qui brevemente le ragioni sulle quali si fonda il mio rifiuto. Nel procedere all’ interpretazione dei titoli onorari, la prima cosa a farsi, se mal non m’appongo, è di porre in sodo se il cursus honorum sia registrato in ordine cronologico diretto 0 inverso, in altri termini, se le cariche sostenute dall’onorato sieno disposte nell’ epigrafe in serie ascendente, cominciando cioè dalle più basse e salendo gradatamente alle più alte, 0 viceversa, giusta l’uso più comune, in serie discendente. Ora nella fattispecie basta gettare uno sguardo sull’ e- giornale ligustico 439 pigrafe per convincersi che le singole cariche sonvi appunto disposte nel modo meno usitato, partendo, cioè, dalle minori per salire via via alle più eminenti. Ciò essendo, è chiaro non potersi a verun patto accettare il proposto supplemento. Se infatti è di regola, come già avvertimmo, che sui titoli onorari le cariche sieno registrate nell’ordine cronologico in cui furono conseguite, e se d’altra parte non può porsi in dubbio che nella fattispecie siasi seguito l’ordine cronologico diretto o ascendente che dir si voglia, ne consegue che stando al supplemento del eh. Sanguineti, il titolare della lapide dal proconsolato della provincia d’Asia sarebbe passato ad una legazione legionaria, ossia al comando d’una legione di cui è cenno nel v. 2. Ma a tutti è noto che a tenore d’ un articolo della costituzione di Augusto del 727, rimasto in vigore per oltre tre secoli, a conseguire il proconsolato delle due provincie maggiori d’Asia e d’ Africa non pure occorreva la qualità di consolare, ma esigevasi eziandio che dall’ esercizio dei fasci all’amministrazione della provincia corresse un intervallo, che limitato dapprima in diritto ad un quinquennio, si estese in fatto dopo Tiberio a circa tredici anni, e più tardi, ai tempi di Macrino, perfino a venti: mentre la carica di kgatus Augusti d’una legione, ufficio senatorio bensì, ma non consolare, ottenevasi generalmente dopo la pretura, anzi bastava per potervi aspirare Γ essere stato questore 0 anche semplicemente alletto fra i questori per rescritto imperiale. Se dunque il personaggio onorato dalla nostra lapide, dopo essere stato proconsole d’Asia fosse passato ad una legazione legionaria, chi non vede che avrebbe proceduto nella sua carriera al modo dei granchi, facendo non uno, ma parecchi salti indietro ? Ridotta la questione a tali termini, non rimane che a proporsi un supplemento da sostituire all’ impossibile proco(n)s(uli) asiae; e questo ben potrebbe essere uno dei due seguenti, 44 ο GIORNALE LIGUSTICO cioè quaesitori') prov(inciae) asiae, o legnato) />(ro) pr(aetorc) prov(inciae) asiae. Dei due crederei poi preferibile il secondo, e ciò per 1’ evidente ragione che adottando il primo sarebbe giuocoforza ammettere che dopo la questura d’Asia e prima della legazione legionaria, la cui memoria è argomento del v. 2, fossero state registrate le altre cariche intermedie, cioè il tribunato, ο P edilità, e la pretura; il che non sembra potersi abbastanza conciliare coll’ esiguità dello spazio disponibile : mentre plausibilissimo si affaccia il presupposto d’un legato di proconsole già insignito precedentemente della pretura; ricorrendo del fatto stesso molti esempi nelle sillogi epigrafiche (Orelli-Henzen, 798, 3143, 3177, 3179, 3306, 3658, 3^593 49^4> 6451, 6454, 6488, 6503; Wilmanns 1225 d.); come non mancano d’altra parte riscontri a giustificazione del passaggio immediato (Or.-Henz., 4964, 6911; Wilm. 1172), 0 mediato (Or-Henz., 2274, 3143, 3306; Wilm. 1217) dalla legazione di proconsole a quella augustale di legione. Il presupposto è reso vieppiù probabile dalla considerazione che trattasi di legato proconsolare della provincia d’ Asia, che è quanto dire d’ una delle due provincie maggiori , i cui proconsoli aveano ordinariamente per legati personaggi già molto innanzi nelle dignità e negli uffici (Wilm. 1184, 1185), e non di rado perfino consolari (Or.-Henz., 773 , 6483 ; Wilm. 1148). Si può pertanto arguire con fondamento che il titolare del marmo in esame, dopo aver conseguito gerarchicamente il vi-gintivirato, la questura, il tribunato 0 l’edilità, eia pretura, delle quali cariche sarà stata menzione nelle linee immediatamente superiori alla prima superstite; sia stato nominato legato, non già augustale ma proconsolare, funzionario sul tipo del Segretario generale degli odierni Ministeri, addetto, in forza della precitata costituzione di,Augusto, ai proconsoli delle provincie senatorie, allo scopo di coadiuvarli nell’ amministrazione degli affari provinciali. L’importanza di questo GIORNALE LIGUSTICO 441 ufficio essendo proporzionata a quella della provincia in cui si esercitava, non possiamo non formarci un alto concetto dei meriti d’ un soggetto, al quale sul fiore della gioventù (i) venne affidata la legazione di proconsole in una provincia dove tale magistratura fu, come dicemmo, spesse volte coperta da personaggi già insigniti della dignità ipatica (2). La parola superstite ^rimigen(zVk) del v. 3, indica abbastanza che il titolare fu Legatus Augusti, ossia comandante supremo di una delle legioni che portarono il cognome di (1) Posto per base che a conseguir la questura occorreva l’età di venticinque anni (Dion. , LII. 20), e che dall’ esercizio della questura al conseguimento della pretura dovea correre l’interstizio di un quinquennio (id. ibid), è lecito inferirne che l’anonimo vadense fosse poco più che trentenne quando venne promosso alla legazione del proconsolato d’ Asia. (2) Debbo essere tenutissimo alla cortesia del eh. cav. L. T. Belgrano per aver richiamato la mia attenzione sulla recentissima pubblicazione Memorie e Lettere di Carlo Promis raccolti dal dottor G. Lumbroso, dove in lettera diretta allo stesso dott. Lumbroso sotto la data dei 25 agosto 1870 (p. 303) è appunto questione dell’ epigrafe in discorso. In essa l’illustre archeologo torinese riconosce e proclama altamente la singolare importanza dell’ epigrafe vadense, tanto che non si perita di affermare riguardo alla stessa che, astrazione fatta dalla Tavola di Polcevera , è l’epigrafe di maggior valore che ancora siasi trovata in Liguria. Però, sia che i limiti d’ una lettera gli sembrassero troppo angusti per svolgere le sue idee sull’argomento, sia eh’ egli non fosse abbastanza sicuro dell’esattezza dell’apografo, e aspettasse l’occasione di accertarsi della lezione, come espressamente dice, stà in fatto che ben poco è il frutto che si può ritrarre dal contenuto della sua lettera in ordine all’ interpretazione della lapide che ne forma il soggetto. Per quanto risguarda più specialmente il v. 2, egli, indotto forse in errore dal non aver sotto gli occhi il marmo originale, credette che quanto rimane dell’ ultima lettera fosse il frammento d’un L, cui spiegò come iniziale di legato-, nè gli passò per la mente che ben poteva essere il fusto d’un E, adottando la quale ultima lezione si venivano issofatto ad eliminare quelle difficoltà appunto alle quali accenna scrivendo : quel-T Asia al i° 0 6° caso mi dà. molto fastidio. 442 GIORNALE LIGUSTICO Primigenia. Ora queste furono la XV e la XXII, ambedue istituite dall’ imperatore Claudio. Se non che la XV Primigenia fu sciolta sotto l’impero di Vespasiano, epperò la legione di cui l’anonimo soggetto della lapide vadense ebbe il comando non potè essere che la XXII; la quale ai tempi a cui assegnammo la lapide già aveva aggiunto alla primitiva denominazione di Primigenia 1’ altra di Pia Fidelis, che fu propria da principio delle Claudie VII e XI, poi verso 1’ età di Adriano cominciò a generalizzarsi, finché sotto Antonino Pio venne estesa a tutte le legioni. Crederei perciò inappuntabile il supplemento legnato) Augusti) [| legionis) XXII pRi-migen(iae) p{iae') fQdelis) ; nulla autorizzando il sospetto che il testo perduto citasse anche 1’'appellativo di Antoniniana, che che la legione XXII portò bensì, come ne fanno indubbia testimonianza due lapidi Renane (Or.-Henz., 402 , 5239), ma non prima dell’impero di Caracalla 0 d’ Elagabalo (1), essendo ormai fuori discussione che soltanto dall’ età di Commodo data nei corpi militari l’uso d’intitolarsi per onorificenza dal nome dell’ imperatore regnante. Queste considerazióni ci pongono in grado di conoscere eziandio il luogo dove il nostro anonimo esercitò il suo comando militare; sapendosi infatti che la legione XXII Primigenia fu sempre di stanza nella Germania superiore, colla sede del comando a Magonza, come si evince dalle molte iscrizioni che rimasero di essa nella valle del Reno, eccettuato un breve periodo di tempo sotto Traiano, in cui fece parte dell’ esercito della Germania inferiore. Il che fu probabilmente all’ effetto di rilevare la legione I Minervia dislocata da questo imperatore per prender parte alla guerra Dacica (1) Cosi più tardi sotto Alessandro Severo la stessa legione assunse la denominazione di Primigenia Pia Fidelis Alexandrina, di cui in lapide di Magonza (Brambach, C. I. Rhen., 1067. Cf. Orel. , 181, 5027;. giornale ligustico 443 (Borghesi, Iscri^. rom. del Reno; Oeuvr. IV, pag. '254, nota dell’ Henzen). Ciò che rimane del v. 4 si supplisce agevolmente legnato') augusti) prò pr (cietore) provin (ciaé)....., e si riferisce alla carica di Legato Propretore d’ una provincia, il cui nome riempiva il resto della linea, occupando probabilmente anche il principio della successiva. Nonostante che la frattura del marmo ci abbia defraudati del nome di questa provincia, si può tuttavia arguire non senza fondamento che la medesima appartenesse al novero delle pretorie anziché delle consolari; a ciò persuadendoci la considerazione che il titolare dell’ epigrafe quando passò al governo della provincia in questione, proveniva immediatamente dalla legazione legionaria, che è quanto dire era tuttora vir praetorius. Di che si evince come mal s’apponesse il Promis, proponendo la restituzione Hispaniae I citerioris (Op. cit., p. 304), mentre è notorio che la Spagna citeriore fu sempremai amministrata da uomini consolari (1). Per questi riflessi, e fatta ragione dell’estensione della lacuna a colmarsi, la quale sembra infatti richiedere un nome composto di due parole, la scelta del nome a supplirsi parrebbe dover più probabilmente cadere su uno dei tre seguenti, cioè Asturiae || et Gallaeciae, 0 Lyciae || et Pamphiliae, o Ponti [[ et Bithyniae, che sono i soli geminati che offra il catalogo delle provincie pretorie. Se non che i limiti della questione si possono ancor ristringere, tanto da non lasciar luogo ad alternativa, osservando come Γ Asturia e la Gallecia non furon'o erette in provincia imperiale che sotto Caracalla (Henz., 6914), e come allorquando il Ponto e la Bitinia divennero provincia imperiale da senatoria, sia che ciò abbia (1) Il Q.. Glizio Agricola di lapide torinese (Henz., 5449) che sembra fare eccezione a questa regola altro non è, molto probabilmente, che un legato di legato. 444 GIORNALE LIGUSTICO avuto luogo sotto Traiano nel ni, sia che invece, secondo che altri opinano, tale avvenimento debba riferirsi ai primi anni di Adriano, cessarono in pari tempo di esser tale la Licia e la Pamfilia cedute in cambio di quelle al Senato (Dione, LXIX. 14). L’ enunciazione della successiva carica si può restituir con sicurezza cvratori ope (rum) locor(um) q(ue) || publicor (unì), essendo comune ai tempi della lapide lo stile di ommettere per brevità nella denominazione di tale magistratura la forinola aedium sacrarum, contuttoché la cura dei sacri edifìzì fosse allora come nei tempi anteriori inseparabile da quella dei luoghi e delle opere pubbliche. Il Borghesi avendo dimostrato (Iscr. di Burbul. Oeuvr. IV, pag. 155) che questo curatorato, a differenza delle altre cariche, non ebbe regola fissa (tanto che ad arbitrio degli imperatori fu affidato indistintamente così a provetti pretori, a titolo di avanzamento, come a novelli consolari in attesa che si aprisse Γ occasione di dar loro la legazione d’ una provincia cesarea), non si può desumere di qui un dato sicuro per decidere se il nostro anonimo abbia ottenuto il consolato prima 0 dopo di esso, e solo si può affermare così in genere che ai tempi di cui si tratta, stando allo stile più comune, avrebbe dovuto conseguirlo piuttosto prima che dopo. Certo dovette ottenerlo prima dell’ ufficio enunciato al v. 6, il quale, avuto riguardo alla successione gerarchica delle cariche, non potè essere che consolare: sia che si tratti di legazione ordinaria d’una provincia consolare il cui nome occupava il rimanente della linea, sia che come è più probabile, la legazione augustale ivi menzionata sia straordinaria e abbia relazione coll’ z'n italia del v. susseguente. Quanto è chiaro, infatti, che questo referto del v. 7 è P avanzo della memoria d’ un ufficio esercitato dal titolare in Italia, altrettanto oscuro è il supplemento dell’ufficio stesso; onde con- giornale ligustico 445 vien ricorrere alla supposizione d’un legato corrector delegato stiaordinanamente dall’ Imperatore in Italia, sul fare di C. Giulio Proculo leg. aug. p. p. regionis transpadanae (Orelli, 2273), e dell anonimo legato aug. ad corrigendum statum Italiae della nota lapide casinate (Mommsen, I. N., 4237); non essendovi altro modo di connettere 1’ ecunciazione della carica di legato imperiale col nome d’ una regione non governata da presidi. Che se facesse difficoltà la formola in Italia invece della più comune al genitivo, potrei additare un riscontro nell’ analogo in Thessalia adoperato sulla lapide africana di un congenere legato correttore P. Pactumeio Clemente (Henz. , 6483). Resta il cvoratori) del v, 7, che il prof. Sanguineti crede riferibile ad una annona 0 ad una via, sulla fede di noti esempi, ma che io crederei piuttosto in stretto rapporto coll'enigmatico referto oiano, ovvero olano dell’ultima linea, che m’ ha tutta la fisionomia d’un frammento di nome geografico. Avevo dapprima pensato a cv(ratori) rei |j publicae KOLANomm, supplemento suffragato dall’autorità del eh. professor Henzen, col quale ne conferii, non però senza il dubbio che le reliquie delle lettere, quali risultano dall’ apografo fotografico, non si prestassero abbastanza spontaneamente a questo restauro, nel qual caso sarebbesi dovuto rintracciare un altro nome che calzasse colla lezione oiano, per esempio: atigu-stoimorum da Janus Augustus, città sul Beti menzionata su parecchi cippi miliari di Cordova (Hiibner, C. I. L., II. 4701, 4716). Ora finalmente ragioni, particolari che svolgerò più sotto m’inducono a proporre colla massima fiducia il supplemento puteoikmrum. Ed ora che abbiamo passato a rassegna lo splendido cursus honorum di cui è rimasta qualche memoria in questo frammento di titolo, e riandato le diverse fasi della vita politica del titolare; ora che abbiamo rilevato l’altro pregio di questa 446 GIORNALE LIGUSTICO misera scheggia di lapide e P onorifico posto che le compete fra i più insigni incisa notis marmora publicis per quae spiritus et vita redit bonis post mortem ducibus (i) di cui si vanti la Liguria ; essendo fin qui 1’ unica epigrafe in tutta la Riviera dedicata ad un personaggio successivamente Legato di Proconsole, Comandante in capo di legione, Preside di provincie, Console, Curatore delle opere pubbliche, Legato Correttore extra ordinem, Curatore imperiale di città ecc.; un altro obbligo m’incombe assai più arduo, ed è quello di indagare nel limite del probabile a chi possa personalmente spettare questo titolo onorario, cercando di rimovere per via di razionali induzioni un lembo del denso velo che ci nasconde il nome e l’individualità storica del personaggio ' in esso onorato. Nell’ accingermi all’ esecuzione di siffatto compito , punto non mi dissimulo le difficoltà dell’impresa; ma non potrei esimermi dall’ affrontarle senza incorrere nella taccia inflitta dal Winckelmann alla maggior parte degli archeologi, di essere cioè come i torrenti, i quali gonfiansi quando sovrabbonda 1’ acqua, restando poscia a secco quando questa più sarebbe necessaria. Le difficoltà consistono in ciò che essendo perito il pezzo di lapide che conteneva il nome del titolare, le congetture che hanno per oggetto di restituire questo nome mai non potranno asseguire quella · certezza assoluta che scaturisce da prove dirette, ossia dall’evidenza del fatto. Per contro, ciò che mi incoraggia ad esporre le mie idee in proposito si è che queste, sebbene non possano aspirare ad uscire dai confini d’una semplice congettura, raggiungono (i) Horat. , Od. IV. 8. GIORNALE LIGUSTICO 447 tuttavolta, se pur mal non m’appongo, quel grado di verosimiglianza che costituisce la più alta cima di cognizione a cui si possa pervenire per via di criteri desunti da prove indirette. Prendendo le.mosse da un fatto generalmente conosciuto, ricorderò come per espressa testimonianza di Giulio Capitolino (in Pertin., I), il padre dell’imperatore Pertinace, P. Elvio Successo, che nella prima metà del secolo II teneva una taluna coctilicia ed esercitava commercio di legna nella città dei Vadi Sabazi, fosse quivi cliente del considaris vir Lolliano Avito. Lasciando in disparte la controversa questione sul preciso luogo di nascita dell’imperatore Pertinace (i), ricorderò del paii come a detta di Aurelio Vittore (Hist. Aug. Epitome), questo luogo, qualunque si fosse, faceva parte dei ppssedi-menti del prefato Lolliano (2). Nè è men notorio che fu per gli uffici dello stesso Lolliano, che Pertinace potè conseguire (1) Mi consta che il eh. cav. Pietro Rocca il quale con rara passione alterna lo studio dellaSnetrologia, in cui è riconosciuto maestro, con quello delle patrie antichità, sta oggi attendendo ad un lavoro sulla vera patria e professione vera dell’ imperatore P. Elvio Pertinace. Non dubito che 1’ esimio autore della Giustificaiione della Tavola Peutingeriana circa l andamento della via litorana che da Genova metteva ai Vadi Sabe^i saprà gettar nuova e più viva luce su questo controverso argomento; epperò affretto coi voti 1’ ora in cui egli si deciderà a render di pubblica ragione il suo scritto, dal quale è lecito ripromettersi una soddisfacente soluzione dell’ ormai secolare questione. (2) Vittore dice che Pertinace vide la luce apud Ligures, in agro squalido Lolliani Gentiani, cujus in praefectura quoque clientem se esse libentissime fatebatur, vale a dire nell’agro posseduto da Lolliano Genziano all’epoca in cui Pertinace era prefetto di Roma. Ma questo Lolliano Genziano era figlio del Lolliano Avito designato da Capitolino come patrono di P. Elvio Successo padre di Pertinace e protettore di quest’ ultimo ; laonde se Pertinace all’ epoca della sua prefettura gli si professava cliente, è segno evidente che il Lolliano Avito era morto a quel tempo e i suoi diritti di patronato non meno che i suoi beni erano trapassati per eredità nel figlio. 44S GIORNALE LIGUSTICO la dignità di centurione (Capitol., ibid.), primo gradino della scala per cui sali fino al trono. Di che tanta era la deferenza e la gratitudine che professava per la famiglia dei Lolliani, che più tardi, quando già era prefetto di Roma, compiacevasi tuttavia nel dichiararsi cliente di Lolliano Genziano figlio del-Γ Avito e in allora possessore dell’ agro dove avea sortito i natali (Sex. Aur. Vict., ibid.). Conseguita dal sin qui detto che già nei primordi del secolo II, la famiglia dei Lolliani, che si prova essere stata un ramo della gente Hedia, esercitava diritti di patronato nei \^adi Sabazì, e aveva in questa regione estesissime proprietà fondiarie, come è tuttora attestato da parecchi nomi locali, e specialmente da quelli di Valleggia, evidentissima corruzione di Val Hedia, Fallis Hedia, e di Teasano, di cui non meno palese è la derivazione da Tiziano (Titianusf undus), noto agnome di altro membro storico della famiglia dei Lolliani (i).