GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E BELLE ARTI FONDATO 1£ DIRETTO SA L. T. ‘BELGRANO ED 'KLERI ANNO TRR 7.0 GENOVA TIPOGRAFIA DLL R. ISTITUTO SORDO-MUTI M DCCC LXXVI GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E BELLE ARTI DI UN RECENTE GIUDIZIO SULLA IMPORTANZA STORICA DELLA BATTAGLIA DI LEGNANO (i) § I. Ai giorni nostri una scuola audace si arrabatta per iscalzare O i fondamenti in ogni ordine di discipline; religione, filosofia, morale, politica, arte e storia: essa vuole che noi bruciamo ciò che si adorava finora, discrediamo ciò che abbiamo creduto , operiamo tutto al rovescio di quello che operando gli avi nostri, secondo clic ne pareva, aveansi guadagnata 1 ammirazione Be’ contemporanei e una gloria immortale. So bene che vi furono sempre spiriti bizzarri, i quali po-neano loro studio principale in contraddire alle più comuni opinioni ; per esempio il celebre I3. Hardouin diceva non volersi alzare da letto tutte le mattine alle quattro, per ripetere soltanto quel che altri aveano insegnato. So altresi che la scienza e 1’ arte sono suscettivi di uno svolgimento mirabile c sempre nuovo; e clic le agevolate comunicazioni nei viaggi, nei libri, fra i dotti accelerano tale svolgimento, e ne raffor- (i) Pubblichiamo subito, per ragion1 di tutta opportunità, questo scritto di cui venne dita lettura nella tornata della Sezione Archeologica della Società Ligure di Storia Patria, tenutasi il i » gennaio corrente anno 1876. La Direzione. 4 GIORNALE LIGUSTICO zano i risultati col riscontro di vasta erudizione c d’acuta critica. Ma io intendo parlare della scure che si vuol porre a dirittura alla radice dell’albero; parlo di que’ sentimenti ed idee fondamentali che si tenta strappare da noi, e che formavano il nostro orgoglio, la nostra vita, la norma per l’educazione de’ nostri figli e nipoti. Di che si vedono condannati i vecchi e studiosi a ritornare in certo modo ad ogni istante sui banchi della scuola e riesaminare ogni cosa; dal catechismo, dalla grammatica, dalla scienza sociale, dalla storia nazionale fino ai supremi principii del buono, del vero, del bello. Devono interrogare sò medesimi se per avventura non ebbero consumata la loro vita in una falsa via, anzi se non abbiano errato con noi tutti i secoli passati; se non bisogni cominciare da oggi il mondo nuovo, colla sua propria civiltà e il suo proprio ordine d’idee e di operazioni. Frattanto tra coloro a cui sta poco a cuore lo studio serio e non guida almeno l’amore alle tradizioni, avviene di peggio. Altri alzano le narici ad ogni vento che spira, per ripetere da pappagalli, come grandi trovati, le novità che variano come le mode ogni giorno ; ma i più, stanchi dal frastuono e sfiduciati, si adagiano nello scetticismo, nell’indifferentismo che non può che avvelenare la vita delle venture generazioni. Le idee qui da me espresse c più volte agitatesi nella mente al sorger dell’uno o dell’altro caso ritornarono a crucciarmi di fresco, vedendo posta in questione per la prima volta dopo sette secoli una gloria nazionale, la battaglia di Legnano: gloria proclamata fin qui, non che da nostrali, da stranieri anche nemici; definita fondamento delle libertà politiche italiane, affermazione della dignità nazionale rimpetto alio straniero, fatto capitale che a Federico Barbarossa, al-T Imperatore più terribile per le qualità dello ingegno e dell’animo, tolse il vezzo di considerarci come pecore da tosare GIORNALE LIGUSTICO 5 di credersi in diritto di farsi proclamare dai giureconsulti quod principi placuit legis habet vigorem, sull’antico stampo dei Cesari della decadenza romana. Tuttavia noi affitto alieni dalle lotte giornalistiche riputavamo inutile rispondere a certi fogli moribondi della giornata; i quali non si peritano di gittare il fango su i Comuni e su tutto il medio evo d’ Italia, mostrando con ciò non solo il più abbietto cinismo, ma una compiuta ignoranza della storia nazionale e generale. § IL Senonchè (non cercherò per quale strana ragione) il Prof. Bertolini, di cui è chiara la dottrina e 1’ erudizione storica , sorse aneli’ egli testò, non già a far pieno coro a quelle invettive, ma a provarsi di ridurre al nulla la cosi celebrata importanza della battaglia di Legnano (i). E, salvo un infelice principio che non vogliamo raccogliere, ci piace confessare clic egli adoperò armi più severe nello svolgimento del suo tema; il restringersi al subbietto; il trattarlo con una certa moderazione nel linguaggio, colla diligente analisi dei documenti e delle cose dette prò e contro dai cronisti e contemporanci ; il rafforzarlo per mezzo di considerazioni nuove e in parte ricavate dalla acuta erudizione tedesca. Lgli è perciò che mi parve francasse la spesa di riesaminare colla medesima diligenza gli scritti e gli argomenti recati dal eli. Autore, e sul suo esempio, in modo anzi più severo del silo, astrarre da tutto ciò che non ha attinenza necessaria alla nostra quistione; sia perchè di tal guisa il concetto co’ suoi risultati riesce più lucido e convincente; (t) Nella Nuova Antologia, dicembre 1875, pag. 818-59. 6 giornali; ligustico sia por non doverci ingolfare in altre quistioni, che per essere ben discusse vorrebbero troppo ampio svolgimento. Il Prof. Bertolini pretende dimostrare : i.° Che gii otto anni avanti alla battaglia di Legnano una pace tra Federico I e la Lega lombarda era stata conchiusa da una sentenza de’ Consoli di Cremona a seguito di un compromesso tra le parti, del 16 aprile 1175 ; 2.0 Che questa sentenza o lodo accettato dall’ Imperatore fu ricusato dai Lombardi, i quali aveano pur giurato di stare all’arbitraggio di que’Consoli; donde la Lega non può evitare la taccia di spergiura, e le si deve imputare la rottura della pace ed i pericoli che per la succeduta battaglia potevano toccare alla nazione; 3." Che il lodo, come sovra pronunziato dai Cremonesi, conteneva condizioni assai migliori di quelle che i Lombardi poterono ottenere dal Barbarossa dopo la battaglia di Legnano : donde essi, dopo aver vinto, si trovarono in peggiore stato di prima; 4." Che anche sotto 1’ aspetto militare la battaglia di Legnano non fu un gran fatto, per cui si abbia a menarne troppo vanto. S III. Ecco esposte in compendio le gravissime accuse del lodato Professore; ed ecco la nostra risposta, la quale confidiamo ridurrà al nulla tatto lo scritto da lui con tanto artificio architettato. Ma mi affretto a dichiarare che sul primo punto stabilito dall’ Autore non v’ ha dissentimento fra noi. É noto che il Barbarossa, dopo aver tenuta assediata Alessandria per quattro mesi e mezzo senza risultato, fu avvertito il di di Pasqua 13 aprile 1175 clic Tarmata della Lega traeva al soccorso GIORNALE LIGUSTICO 7 della città. Allora per non essere colto tra due armate levò l’assedio, e andando incontro al nemico lo trovò accampato a Casteggio mentre egli si fermava a nove chilometri di distanza a Voghera: -dico Voghera e non, come erratamente scrive 1’Autore, Vigevano lontano da quei luoghi (i). Il mercoledì, 16 dello stesso mese, la Lega e gli Imperiali si accostano ancor più fino a un tiro di saetta, e si preparano a battaglia divisi dal fiume Coppa presso Montebello : nome questo strategicamente e storicamente famoso da Annibaie a Napoleone I nel 1800, e nuovamente nel 1859 per la vittoria franco-italiana sugli Austriaci. Però al tempo onde parliamo, lo scontro non ebbe luogo, perchè furono mosse trattative di pace: se ciò avvenisse per iniziativa dei Lombardi o della parte contraria non è ben chiaro tra le contraddizioni degli annalisti e non mette conto decidere ; tuttavia un poco ne toccherò più avanti. A queste trattative segui un compromesso il cui testo fu edito dal Muratori (2) ; furono ivi eletti sei arbitri, tre da parte della Lega, tre da quella dell’ Imperatore ; i quali entro un mese dovessero giudicare sulle questioni reciproche, e, dove essi in qualche punto non potessero accordarsi, fosse deciso definitivamente dai Consoli di Cremona, giurando le due parti di starsene a tale lodo o sentenza. Veramente sapevasi già per le storie e le cronache contemporanee questo fatto delle trattative iniziate, e sapevasi pure che la pace era stata conchiusa e posta in iscritto per opera dei Cremonesi. Ma la parte nuovissima che qui ci ap- (1) *Ad parles Viguriae, negli Annales Piacentini Guelfi. Vcd. Pertz, Mnnum. Germait., XVIII. 414. Ad par Us Vogeriae, negli Annales Piacentini G ilici lini ; Pertz, ibid., pag. 462. Inter Clastidium et Vùjueriam; Vedi Tristano Calco, Histor. pair., in Graevius, Tbesaur. Antiquii. Ilaliae, II. par. I. pag. 277. (2) Jlntiquil. ital. medii aevi, IV. 275. E meglio in Pertz, op. cit. IV. »45. 8 GIORNALE LIGUSTICO prende il Prof. Bertolini si è il testo stesso della sentenza da que’ Consoli pronunziata. Eppure anche questo testo era stato edito dal medesimo Muratori tra gli atti della pace di Costanza (i); senonchè il mancar esso di data ed il trovarsi misto a questi ultimi atti, finora avean fatto credere che il documento appartenesse all’anno 11S3 e venisse considerato non come sentenza, bensì come una tra le varie proposte dibattutesi in quella occasione. Per confessione del eh. Bertolini, al dottissimo ed acuto dottor Ficker d’Innspruch devesi ascrivere 1’ onore e il merito d’aver egli primo, fin dal 1869, saputo discernere la vera natura di questo documento, la data e il posto a'cui va assegnato (2). Io non ripeterò qui le ragioni convincenti che si possono anche leggere nello scrino dal Professore italiano; ma reputo non inutile aggiungere uno schiarimento che c accennato, ma a mio avviso non bene afferrato dal eh. Bertolini. Il Muratori pubblicando tutti quegli atti ebbe cura di distinguere con tipi diversi il titolo, che egli poneva del pro- (1) lAtUiquil. ctc., I\. 299, sono il titolo: Concordia pictorum inter Fre• dericum eie., poi con caratteri corsivi: De exemplo laudi inltr Dominum Imperatorem el Lombardes. Il Peru, IV. 169, reca invece il titolo: ‘Petitio Societatis. (2) Ficklr , Zur gescbicbte ier t.ombardenbunAes, nei Resoconti (Sit\uu;-berichu) delle sedute della Imp. Accademia delle Scienze di Vienna, cla^e filosofico-storica, 1869, vol. LX. Io non ho letto questo scritto, ma conosco la maggiore e più recente opera del medesimo autore : Forschmgen \ur Rriebs-und-Rechii-çeicbicbte Italiens (Ricerche per la storia dell' Impero e del diritto in Italia), Innspruck, volumi 4, 1868-75. Lavoro dottissimo e pieno di considerazioni acute, dove tocca anche di ciò che ha detto nel precedente suo scritto. Perciò citerò spesso questo Autore, e tanto piti volontieri in quanto è tedesco, e naturalmente pende un poco dalla parte sua; ma raccoglie e connette con gran cura i fani, e ne ricerca la veriti storica senza le mire politiche e religiose della giornata. GIORNALE LIGUSTICO ' 9 prio a ciascun documento, da ciò eh’ei trovava scritto nelle pergamene. E appunto nel nostro caso, dopo il titolo mura-toriano, in più grosso carattere si vede scritto in principio e nel solito corsivo dei documenti de exemplo laudi (e non laudum semplicemente come pone 1’ Autore) inter Dominum Imperatorem et Lombardos. La storia diplomatica del medio evo ci dà lume a capire che la pergamena in discorso deve essere una copia della sentenza che la Signoria di Modena, come partecipe della Lega, avea consegnata al proprio Plenipotenziario per norma od aiuto nelle trattative pendenti; la quale copia dopo la pace del 1183 era stata rimandata all’ Archivio con tutte le carte analoghe. Anche l’Archivio della Repubblica Genovese ci conservò simili esempi di due e più copie d’ uno stesso trattato, annesse a negoziazioni diverse sul medesimo argomento (1) ; e per quanto mi professi ignaro degli odierni usi diplomatici, non credo che la faccenda debba correre diversamente oggigiorno. Ammesso dunque che il lodo dei Consoli Cremonesi siasi trovato e che se ne possa ormai leggere il testo, si presenta la seconda e importante quistione: il perchè esso non sia stato accettato; quale delle due parti fu quella che lo ricusò, e che col suo rifiuto recò la nuova rottura e la seguitane battaglia di Legnano. Vedemmo il Prof. Bertolini nettamente incolparne i Lombardi e perciò chiamarli Spergiuri. Veramente alla più parte degli statisti e scrittori politici vorrà parere troppo dilicato 1’ Autore che non sa distinguere tra le relazioni private e le pubbliche, e non capisce che la linea curva è tante volte, e senza rimorso, da preferirsi alla (1) Ne ho recato altrove un esempio nelle istruzioni /a Grimaldo inviato dalla Signoria di Genova all’Imperatore Bizantino nel 1174, ove si trova copia del precedente trattato del 115;. Ved. il mio scritto: Sui Quartieri genovesi a Cottmlinopoli nel XII suolo (Giornale Ligustico 1874, Pag- *55)- IO GIORNALE LIGUSTICO retta, tuttavolta ehe si tratti della suprema utilità dello Stato o del popolo. Ciò non ostante noi siamo pienamente del suo parere, ed ingenuamente confessiamo che la giustizia è il primo dovere tanto col minimo individuo, come tra le più grandi nazioni e le loro relazioni più intricate. Ma non saremo troppo esigenti, io spero, nel chiedere all’Autore un’altra delicatezza, quella che anche un privato ha diritto di chiedere a un altro privato; di non essere cioè tacciato di spergiuro prima che si abbia buono in mano da provarglielo. Incorrerebbe nota di assai leggero, per non dir peggio, colui che non avesse tali prove e di riconoscinta evidenza; supponendo anche, se vogliasi, che tra le contraddizioni dei testimoni scritti od orali non si riesca a ben vedere da qual parte sia il torto. Una condizione poi specialissima nel nostro caso per incorrere lo spergiuro, sarebbe questa, che il lodo rifiutato sia dettato con buona fede, chiaro e riciso nella sua forma ed espressioni. Ma, soltanto a prendere in globo lo scritto da noi confutato, vi appariscono già a priori gravi indizi, che non siansi potute trovare quelle evidenti ragioni d’ accusa contro la Lega. Me ne appello alla minuziosa e sottile analisi che il eh. Professore ha dovuto fare sulla redazione del lodo medesimo, alle contraddizioni tra i cronisti delle due parti che egli non dissimula, e in alcune delle quali apparenti contraddizioni confessa esservi un fondo di vero dall’una parte e dall’altra; me ne appello alla via tenuta da lui per interpretare il documento, pel quale fu costretto a proporre una nuova versione in favore della propria tesi ; onde, per sua confessione, lo tradusse al tutto diversamente un autore grave e recente, e (aggiungo io) lo interpretarono in guisa contraddittoria i contemporanei ed interessati medesimi, come vedremo più innanzi. Questo riflesso da per se solo mi rammenta il fatto d uno scrittore, al quale molti anni fa dai ma- GIORNALE LIGUSTICO levoli fu apposto aver egli dovuto stampare due interi volumi per dimostrarsi netto da una brutta pecca. Discendendo ai particolari, il signor Bertolini non è lontano dall’ ammettere che gli Arbitri cremonesi nel pronunziare il lodo pensarono, più che ad ogni altro punto, ad assicurare gli interessi del loro Comune ; donde quelle ivi ripetute condizioni del non doversi più riedificare 1 abboirita Crema, nò ricostrurre fortificazioni tra l’Adda e 1’ Olio entro il distretto del Vescovato cremonese; quistioni dipendenti dalle loro ruggini antiche coi Milanesi, e per le quali Cremona avea voluto riservare con somma cautela i propri diritti gii nell’atto della sua accessione alla Lega nel 1167 e nel patto sociale del 1173 (1). Al contrario sopra un punto importantissimo pei Lombardi, come vedremo essere la conservazione della recentemente fondata Alessandria, gli Arbitri scivolarono dettando un periodo il cui latino confessa 1’ Autore essere letteralmente chiaro, ma nel significato oscuro; e noi aggiungeremo essere pensatamente equivoco. Alessandria doleva essere distrutta o no ? e rimandati si o 110 riccamente i suoi abitanti alle antiche ville e sotto la dominazione dei signorotti di cui diremo ? lìcco il punto essenziale, ed ecco su ciò i termini della sentenza: L’Imperatore permetta agli Alessandrini di uscire dalla città e ritornare alle loro case ed ivi abitino e dimorino. Il permesso ai cittadini di andare in villa dovrà egli equivalere ad una ingiunzione di uscire da una città destinata alla distruzione ? Ma il eh. Vignati non la intese cosi, e tradusse nel modo seguente : Conceda (l’Imperatore) che gli abitanti di Alessandria abbiano per si e per le cose loro libera e sicura via alle loro (1) Vcd. pel documento del 1167, Vignati, Storia diplomatica della Lega Lombarda, Milano 1866, pag. li3 c 114: c pel giuramento del 1175 Anliquit. liai., IV. 171. 12 GIORNALE LIGUSTICO terre (s’intende per coltivarle) come ebbero i loro antecessori (i). Il signor Bertolini non approva questa traduzione e preferisce il significato, per cui un permesso vale un ordine; ne riconosce 1’ equivoco, ma lo scusa col dire che gli Arbitri si do-veano servire di una forma melata per non irritare i Lombardi. Ma questi doveansi più irritare pei fatti che per le parole, e d’altra parte erano essi proprio obbligati a stare ad una sentenza concepita sotto una forma melata? Giudichino gli imparziali se la, Lega avrebbe avuto torto a richiamarsene; supponendo anche (il che vedremo non esser vero) che la rottura abbia avuto origine unicamente dal rifiuto di accedere a condizioni, le quali furono intepretate contradditoriamente due anni dopo tra le parti medesime, ed ancora oggi sono dibattute tra gli storici. Ma vi è una seconda quistione importantissima pei Lombardi, trattata nel lodo; e su questa gli Arbitri parlarono chiaro : La Lega, decidono essi, possa rimanere nell’ unità della Chiesa sempre; e l’Imperatore non costringa le città e persone ad essa Lega appartenenti in tutto ciò che riguarda l'osservanza e l’obbedienza alla Chiesa ed al Papa. Noi ritorniamo alla domanda : quale sia stata la parte che non accettò il lodo ? L’ Autore ammette, come gii dissi, che vi è un fondo di vero anche nelle asserzioni dei cronisti che ne incolpano Federico I ; ma poi gira la quistione invece di afferrarla nel suo vero punto, e mi duole il dover dire che questa è la parte più avviluppata e più infelice del suo scritto. Poniamo che i Lombardi desiderassero anche il ritorno dell’ Imperatore al-l’uniti della Chiesa ; ma l’essenziale per essi era di esser liberi loro a mantenersi fedeli ad Alessandro III. Il dotto Professore dopo aver detto che la questione ecclesiastica era (t) Vcd. pel testo del lodo. ^Antiqui!. hai, IV. 299-300; e per la traduzione del Vignati la »ua op. cit.. pag. jj8. GIORNALE LIGUSTICO 13 stata esclusa nel compromesso di Montebello, aggiunge che tuttavia per sovrabbondanza Federico consentì che tale quistione fosse ammessa nelle trattative ; che questi pertanto tentò di porsi d’accordo col Papa, ma non vi riuscì per le eccessive pretese reciproche. Donde l’Autore conchiude, in modo mi pare non troppo logico, che Federico fece bene a non aderire alle esorbitanze della Curia romana; che aderendovi avrebbe fatto un atto d’ingenua debolezza; che tutta\ia i Lombardi ebbero torto di non contentarsene, e non contentandosene meritano la taccia di spergiuri. Io rispondo semplicemente: la questione ecclesiastica fu decisa nel lodo cremonese e lo fu previe trattative, come Voi stesso consentite. Federico non volle acconciarsi al lodo, come implicitamente confessate ; dunque ha egfi torto, e fu egli lo spergiuro e non i Lombardi. Del resto, che appunto questo rifiuto dell’imperatore sia la principale anzi 1’ unica causa della rottura, ne abbiamo una prova certissima, che l’Autore ben conosce. Parlo dell arcivescovo salernitano Romualdo, storico non solo grave, ma presente ai fatti a cui qui si allude. Egli, come Legato del Re di Sicilia, assisteva ai congressi di Ferrara e Venezia previi alla pace di Costanza; riferisce per disteso i discorsi pronunziati dalle due parti in accusa e difesa, previa solenne di lui avvertenza che quanto egli, scriveva era verità: e difatti alcuni di questi discorsi inseri il dotto Pertz nel suo volume di Leggi, considerandoli come parte degli atti uffiziali della predetta pace (1). Qui adunque lo storico Romualdo introduce a parlare Gerardo Pisto il plenipotenziario milanese e uno dei capi della Lega, e gli fa dire nel congresso e senza essere (1) Romualdi Salernitani Cbronicon. In Muratori, ‘lier. Italie. Script. VII. 217, 240; c per le parole pronunziate da Gerardo Pisto, ibid, pag. 223. Pertz, op. cit., IV. 154-60. M GIORNALE LIGUSTICO contraddetto dagli Imperiali, che i Lombardi ancora oggi erano pronti ad accettare le condizioni di pace trattate nel lodo cremonese: la quale pace, continua a dire, sarebbe stata compiuta jìn dal tempo di quel lodo, se V Imperatore non avesse insistilo nel volere che ci dipartissimo dall’ unità della Chiesa <• negassimo gli onori pontificii ad Alessandro. Le due quistioni fin qui discusse, non v’ ha dubbio che erano di molto rilievo entrambe per la Lega. In quella del volersi conservate Alessandria era impegnato (lo confessa 1’ Autore) I’ onore dei Lombardi ; i quali non dovean lasciare in asso e rimandare ai tirannelli della campagna i poveri alessandrini convenuti sulla loro fede nella nuova città, e con tanto valore, tenacità e riuscita sostenutisi nel lungo assedio in un inverno rigidissimo, cinti da soli fossati e paludi e privi delle cose più necessarie alla difesa ed al vitto. Onde ben disse Romualdo che se i nemici d’Alessandria per derisione la chiamavano città di paglia, essa ben dimostrò che era di ferro (i). Ma oltre all’onore della Lega, aggiungiamo noi, vi era impegnato un grandissimo interesse a non lasciar perire la già a buon segno condotta e difficile opera d’ una fondazione, la quale (vedremo meglio più avanti) fu un capolavoro di politica, non meno che di strategica a difesa della libertà dei Comuni. Che se 1’ onore e l’interesse movevano i Lombardi ad insistere sulla conservazione d’ Alessandria, l’onore, l'interesse e, che più monta, la coscienza doveano renderli tanto meno pieghevoli ai desiderii di Federico sulla secondi quistione, massime quando il lodo cremonese in ciò dava loro apertamente ragione; l’onore, dico, di non mancare ai patti della Lega contratta con Alessandro IH; l’interesse di mantenere dalla loro parte una immensa forza morale, a que’ tempi (i) Op. cit., in R. I. S., VII. li}. GIORNALE LIGUSTICO specialmente cosi potente che dovea agire ed agi ditatti sugli stessi Imperiali ; di che questi costrinsero l’Imperatore a venire a patti colla Chiesa. Infine vi entrava la coscienza a comandare a’ Lombardi di non partirsi da quello che essi riconoscevano il vero, il legittimo Capo della religione : e questo omaggio alla coscienza lo devono sentire e rispettare anche coloro che nutrono sul punto, onde qui si tratta, opinioni diverse. La Lega dunque poteva bensì cedere sulla prima questione per quanto le costasse; e deduciamo dai detti di Gerardo Pisto che essa era pronta a fare anche questo sacrificio per la pace; ma non doveva, nè le fu imposto dagli Arbitri, di cedere sul secondo punto. § IV. Se ho ben provato che non venne da parte dei Lombardi il rifiuto di eseguire la sentenza cremonese, e che in ciò essi poterono salvare fortunatamente tanto 1’ utilità quanto la giustizia, non sono a loro imputabili le conseguenze della nuova rottura, nè si dee farne loro rimprovero; anche supponendo, come pretende l’Autore, che le condizioni a loro fatte colla predetta sentenza fossero più favorevoli che non quelle ottenute colla posteriore pace di Costanza. L’uomo, la nazione che sente implicata in un caso pratico la voce della rettitudine e della propria dignità non bilancia i pericoli, nè i vantaggi che potrebbero venire deviando dal proposito ben ponderato. Tuttavia non ci spiace di seguire*1’ Autore anche su questo nuovo terreno; ed esaminare se proprio, come ci sostiene, la Lega abbia perduto nel cambio fra il lodo del 1175 e la pace del 1183. Lid anche qui ci sembra di non poter consentire ne’ suoi giudizi; le differenze, eh ei trova fra i due documenti, ai nostri occhi sono di poco o niun rilievo. Difatti : i6 GIORNALI-: LIGUSTICO 1.° La fedeltà all’Imperatore che secondo l’atto del 1183 doveano giurare tutti quei della Lega dai 14 ai 70 anni, non è niente più, nientemeno, che la fedeltà che gli si dovea giurare pel lodo del 1175 da tutti i cittadini secundum mores civitatum; essendoché era appunto in costume cotal giuramento dai 14 ai 70 anni (talora ma più raramente dai 15 ai 60 o 50) ogni volta che una città faceva alleanza con un’ altra città o coll’ Impero. Vedansene più esempi nel Muratori, nel Vignati, nel Moriondo, ecc. (1). 2.“ L’obbligo nel 1183 di aiutare l’imperatore contro le città o persone che rompessero la pace giurata, è implicitamente compreso anche nel lodo del 1175; ed invero non si vede a che gioverebbe un trattato di pace od alleanza, se quando vi sono più contraenti, e alcuno di questi si ritrae dai patti del convegno, gli altri non s’intendessero obbligati ad aiutare la parte offesa. 3.0 L’abuso delle prestazioni in danaro all’Imperatore per pane dei Comuni, proibito nel lodo del 1175 è aneli’esso implicitamente abrogato nella pace di Costanza; perchè sono ivi indicate nominatamente quelle prescrizioni legittime, di che continueranno a riconoscersi debitori i Comuni della Lega. 4.0 Più gravose sembrano a primo aspetto altre condizioni imposte nell’atto del 1183; per le quali le città dovrebbero farsi confermare le elezioni de’ propri Consoli o Podestà, chiedendone le investiture ogni anno dal Nuncio imperiale od ogni quinquennio dall’ Imperatore stesso. Ma qui risponderà al signor Bertolini il dottor Ficker; uomo di cui non si (1) Il solo Vignati, op. cit., riferisce sci documenti ove si promette il giuramento di Tutti i cittadini da 14 e da 15 a 70 anni. \ed. le pag. 56, 76, 189, 193, 24}, aio. Il Moriondo, Monum. Aquemia, ne ha, fra più altri, due notevoli perche non riguardano l'Imperatore: I. 78 all’anno uSo, e 1. 107 al 1197. Anche a favore di Genova giurarono i Vcmimigliesi da »4 anni io su. Pektz, op. cit., XVIII, pag. 27 al ttj8. GIORNALE LIGUSTICO »___ vorrà rifiutare 1’ autorità, nè eccepire la parzialità, perchè anzi quel dotto Professore in gran parte di questo soggetto concorda con lui. Ora quest’ ultimo ben riconosce che l’articolo predetto delle investiture non avea significato serio ; era una pura formalità, della cui esecuzione non si trova alcun esempio nè documento, nemmeno per la prima volta subito dopo la pace. Nè, segue il dottor Ficker, si capisce come l’Imperatore avrebbe potuto rifiutare con probabilità di riuscita un Console già eletto dal Comune (i). Ma, secondo me, il fatto è che Federico, pieno di un’ altissima idea della propria dignità, voleva almeno salvare le apparenze quando non poteva la sostanza; e presto vedremo altri esempi di tale suo costume. , Tale è la mia risposta alle obbiezioni dell’ Autore sulla maggiore gravezza delle condizioni della pace di Costanza rimpetto a quelle del lodo cremonese. Ma oltrecciò, se ben guardiamo, si troveranno e nella pace del 1183 e nelle conseguenze della battaglia di Legnano alcuni risultati che non si eran potuti ottenere nel 117 5, e che sono da apprezzarsi assai più. In previdenza che potessero sorger nuove liti sulla estensione e qualità delle regalie riservate all’impero, il lodo cremonese stabiliva che si sarebbero in tale caso eletti sei arbitri .1 giudicarne, tre da parte della Lega, tre dall’ Imperatore. Invece, secondo la pace di Costanza, gli arbitri si eleggeranno entro il distretto della città o del Vescovato, e tali che sieno persone probe e non parziali nè del Comune stesso nè del-P Imperatore. Ciascun vede quanto sia più favorevole per la Lega questa seconda modificazione, nella quale non è detto che l’Imperatore abbia voto nella scelta, e ad ogni modo la scelta si dee fare soltanto tra le persone del distretto medesimo interessato. Inoltre Federico segue a dire che lascerà optare (1) Forscbungat, ecc., II. »93- iS GIORNALI. LIGUSTICO i Lombardi, se per avventura per troncare anticipatamente ogni quistione, non torni lor conto accettare fin d’ ora la determinazione della somma d:i lui chiesta; e si offre perfino a ridurre tale somma quando se gli mostri essere esagerata; come sappiamo che in fatti egli presto si aggiustò con Milano in 300 lire imperiali all’anno (1). Infine, se non esplicitamente nella pace di Costanza, implicitamente e come conseguenza della ripetuta battaglia, la Lega ottenne piena vittoria su entrambi i punti che vedemmo le stavano molto a cuore. I Lombardi non voleano essere inquietati nella coscienza da uno scisma inventato solo dal Barba-rossa per dividere le forze e pescare nel torbido: voleano che non pericolasse la fondazione d’Alessandria, troppo caro interesse per essi ; e questi due punti furono sciolti a loro favore e in modo permanente soltanto dopo vinta la battaglia. Il eh. Professore ammette il primo di questi punti; obbict-tando tuttavia che ciò non portò guadagno che alla Curia romana. Ho detto di non voler entrare in quistioni che non si attengono strettamente alla tesi dell’Autore, e che d’altra parte vorrebbero troppo spazio ad esser trattate convenientemente. Rrisponderò dunque soltanto una osservazione: che, anche guardando il solo aspetto politico dalla quistione, era già grande guadagno per la Lega potersi tener fedele al Papa, riconosciuto dalla grande maggioranza de’ popoli interni ed esterni all’ Italia. Fu solo per la costanza e tenacità de’ Lombardi che, seguita la battaglia e perduta da Federico in modo imprevisto e straordinario, i di lui partigiani italiani e tedeschi vi ravvisarono il giudizio di Dio: perciò o lo abbandonaci) ^4ntiquit. IlaIV. jo8. Episcopi loci et homines tam de chitale quam dt episcopatu eligantur etc. Lo si confronti col rispettivo S del lodo cremonese, ibid. pag. 299; Gtclini, Memorie della città di Milano, edizione del 185}, IV. ti. GIORNALE LIGUSTICO 19 rono, o sotto minaccia d’ abbandono lo costrinsero a pensare seriamente alla pace. Non dissimula ciò nemmeno l’Autore, e si potrebbe aggiungere che forse 1’ Imperatore stesso si convinse essere stato giudicato da Dio : o per lo meno stanco d una lotta incessante e infruttuosa, capi finalmente che valeva meglio cessare da questa via: come di fitti, e lo vedremo tosto, Federico dopo la pace di Costanza cambiò condotta colla Lega. Ma l’Autore non vuole ammettere il guadagno dei Lombardi sul secondo punto, osservando che Alessandria poco prima della pace di Costanza passò alla parte imperiale, cambiando perfino il nome in quello di Cesarea. Di che inferisce che pei Lombardi non francava la spesa d’insistere tanto nel 1175 e porre a rischio il molto già ottenuto per conservare una città che otto anni dopo doveva essere perduta per loro. Anche qui per mio avviso il ragionamento del eh. Bertolini non è convincente. Le persone se ne vanno, le istituzioni restano. Federico si persuase che in ispecie dopo la battaglia non avrebbe ottenuto dalla Lega quel consenso che tanto stavagli a cuore: ma al sommo irritato dello smacco toccatogli nell’inutile ed al suo esercito cosi dannoso assedio di una città di paglia, volle prima di fermar pace colia Lega un segno, un’apparenza almeno da soddisfare un poco il suo orgoglio. Non potendo quindi conseguire la distruzione effettiva si contentò d’una fittizia; gli abitanti d’ Alessandria dovettero uscire, per subito ritornare alla città ribattezzata col nome di Cesarea, come se si trattasse d’una nuova fondazione. E questo un secondo esempio del vezzo sovrannotato nel Barbarossa del voler almeno salvare le apparenze; citerò in proposito l’autorità del dott. Ficker, il quale in sostanza non disconviene che con una pura formalità si evitò lo scoglio di una quistione, la quale si prevedeva non possibile a conciliare tra le parti (1). Ed io posso (i) Forschungen, ti. io$. 20 GIORNALE LIGUSTICO inferire da tali esempi che per lo stesso motivo l’imperatore preferì di trattare la pace separatamente col Papa, prima di conchiuderla coi Lombardi ; perché non si dicesse eh’ egli vi fu costretto dalla Lega. Ma ripeto: le persone se ne vanno e le istituzioni restano. Federico e suo figlio Enrico VI passarono, od Alessandria riprese subito l’antico nome e gli spiriti italiani, se pur si può dire che li abbia mai perduti. Dappoiché nel frattempo essa avea potuto riservarsi 1’ elezione de’ proprii Consoli e il diritto di contrarre società e vincoli coi territorrii e città vicine. Essa profittò di questo diritto per crescere in influsso contro i signorotti, e per obbligare per patto gli alleati e deditizii a lavorare nelle sue proprie fortificazioni, riservandosi ai futuri eventi. E morto che fu Enrico \ I, ecco tosto rinnovazioni di alleanza della ridivenuta Alessandria con Asti, riscossasi anch’ essa dal duro freno già impostole, e con Vercelli e altre terre e coi rettori della nuova Lega dal 1197 al 1199; come si vede per documenti riferiti dal Moriondo o accennati dal Ficker (1). Del resto, crede egli proprio il Prof. Bertoiini che non valesse la pena ai Lombardi di tanto agitarsi acciò non si distruggesse Alessandria ? Che avrebbe detto Carlo Alberto ai di nostri se, nella funesta distretta, fra le condizioni della pace il nemico avessegli voluto imporre la demolizione di una città che conta fra i punti più strategici e vitali per la sicurezza d’Italia? Nè ciò soltanto per le condizioni presenti: la posizione topografica è sempre la stessa; le armi offensive e difensive cambiarono bensj, ma ne’ diversi stadii mantengono tra sè una relativa uguaglianza. Allora anzi il terreno impaludato, come attestano gli annalisti, per l’agro deserto ed il non regolato corso di più fiumi ivi confluenti, rendeva e rese difatti imprendibile la (1) Moriondo, op. cit., 1. 9}, ili'anno 1191; 1. 9} al 1192; e li. 107-22; Ficklr, Forschungen li. 285-6, III. 4)8. GIORNALE LIGUSTICO 21 città coll’ arte così imperfetta degli assedii. Ma alla importanza d’ Alessandria, ben più della natura del luogo, contribuivano le condizioni politiche del tempo. Il territorio su cui essa era fondata era sul confine tra Asti, Pavia, Tortona ed Acqui; e tutto intorno, perfino sul luogo stesso della città, esercitavano e pretèndevano signoria i Marchesi del Bosco, di Monferrato, di Gavi, de’ Malaspina, appoggiati più o meno da lontano dai Marchesi del Vasto e di Ponzone e dai Conti di Lomello e di Biandrate. Si sa clic tutti questi signori e ttrannelli si tenevano più in generale dalla parte dell’ Impero, anche per odio ai Comuni i quali andavansi allargando sempre più, a danno degli antichi feudi. Il più forte e pericoloso tra que’ nemici era il Marchese di Monferrato, che qui appunto si dava la mano colla più fiera e potente delle città ghibelline, Pavia. Proprio qui adunque era non solo utile, ma essenziale tagliare a mezzo la catena e la rete, fondando una forte città della Lega; la quale per una parte mantenesse le comunicazioni tra Asti e Tortona, per 1’ altra impedisse quelle tra i nemici, raffermasse i deboli, tenesse in soggezione i fautori equivoci. Onde tale fondazione dagli storici tutti amici e nemici fu proclamata un colpo d’ occhio, un pensiero mirabile, magnifico. Gli Alessandrini usciti dalle ville dominate da que’ feudatarii erano tanto persuasi clic dipendeva la loro libertà avvenire dalla stabilità della nuova fondazione, che vollero sostenere il lungo assedio con una tenacità e virtù militare che i cronisti anche tedeschi confessano da non ammirarsi mai abbastanza. E questo fu senza dubbio per Federico un grande smacco: il primo gradino che lo persuase a scendere alle prossime trattative di Montcbello, e che lo condusse alla battaglia di Legnano e alla pace di Anagni e di Costanza (i). (t) ^Inimici Coìmiensts maximi, in Pi.RT7., op. cit., XVII. 787: Città munita minuti in modum ahsquc murorum ambitu: e ibid., Continuatio Ger- 22 GIORNALE LIGUSTICO § V. Crediamo avere più del bisogno risposto agli appunti del eh. Professore sul valore storico e politico che deve attribuirsi al lodo cremonese rispetto alla pace di Costanza. Rimane ad esaminare l’ultima quistione da lui sollevata: l’importanza militare della battaglia di Legnano. Dove veramente ci è duopo confessare la nostra incompetenza a trattare tale soggetto; tuttavia vedendo che nè anche il sig. Bertolini ha preteso fare grande sfoggio di tattica, ci rincoriamo noi pure a parlarne sullo stesso tono, vale a dire coll’ aiuto del semplice buon senso. Si sa che, andate a vuoto le pratiche per la non acettazione del lodo cremonese, furono richiamati dall' una e dall’ altra parte gli eserciti che si erano in parte dileguati all’ avviso delle fondate speranze di pace. I Tedeschi giungevano per Bellin-zona e Como guidati dall’ Imperatore che era andato ad incontrarli per Cariate e la Valle d’Olona cogli altri Imperiali. I Lombardi subodorando questo disegno tagliarono loro la comunicazione ponendo il campo tra l’Olona e il Ticino. Per tal guisa lo scontro principale ebbe luogo il 29 maggio 1176, colà dove si stende la pianura di Legnano e Bustoarsizio : due nomi che sentii pronunziare, ancor non ha molto, alle stazioni della ferrovia che da Milano conduce a Varese e al Lago Maggiore. L’ autore ricerca se qui fu maggiore 1’ esercito dei Lombardi fact Abbaiti, XVIII. 687; Son murorum ambilu std positione faci tl vallo wr edibili ter magno in quo vicinum derivaverunt fluvium. Uri quoque virtutis in ea plurimi fortiter resistentes. Otto de Sancto Bla.mo, in Rrr.. Ital. Script, VI. 881.: Territorium paterne etc. Obsidio nulli pricrum comparanda tum faci munitione, tum civium resistentium atrocitatc, tum Caesarianorum occisione, tum temporis diuturnitate. Cito i‘soli Tedeschi. GIORNALE LIGUSTICO 23 0 quello degli Imperiali: ed anche attenendosi alle cifre più moderate, sostiene che i nostri prevalevano di numero. Frova altresì che la battaglia era già quasi perduta per la Lega e il suo esercito fuggiva: senonchè i pochi rimasti resistendo intorno al Carroccio e i già fuggiti ripigliando coraggio, le parti furono invertite e infine gli Imperiali soccombettero. Ebbene sia pure. Io starò al proposito non mischiandomi di tattica; non chiederò quindi se quella prima fuga de’ nostri non fosse una fina arte di guerra, per rendere meno cauti i nemici e scompigliare le loro file; frattantocchè l’imboscata dei Bresciani, notata dagli Annali di Colonia, veniva loro alle spalle e li poneva, come or si direbbe, tra due fuochi (1). Nè cercherò se non fosse almeno un ben ordito disegno di battaglia quello della Lega, di scegliere il suo campo per guisa da impedire la congiunzione dei due eserciti imperiali, di mandare avanti 1 cavalieri a riconoscere le strade, tenere parte degli alleati in riserva, e raggruppare attorno al sacro Carroccio i più arditi che si erano votati alla morte per la libertà della patria. Nulla di tutto ciò: io accetterò il racconto semplice come lo esposi testò. Ma che significa ciò? Se i Lombardi erano dapprincipio molti contro i pochi, in breve tempo divennero pochi contro i molti: pochi scoraggiati dalla sconfitta de’ compagni contro i molti caldi dalla imminente vittoria e guidati da Federico; il quale dotato sempre di insigne audacia e virtù militare, fu notato specialmente qui aver fatto a sua possa le parti di ottimo capitano e combattente. Tuttavia a stento potè salvarsi colla fuga: Cesare vix evadente, confessano i cronisti tedeschi. fi) Otto de Sancto Blasio, op. cit., pag. 881.: ove altre notizie del Saivago. 46 GIORNALE LIGUSTICO nunziata costrutta sul modello delle celebri di Bologna e di Roma ; nei nobili genovesi che spendevano in severi studi gli ozi loro concessi dal pubblico servizio, come fanno ora gli inglesi; nel favorire gli ingegni di giovani non agiati, loro procacciando il mezzo di segnalarsi fra i dotti; nel rendere infine popolare la scienza. È perciò che noi raccogliemmo con amore e non senza pazienza nomi ora ignoti fra noi, ma che ci allegrano nel vederli colla fantasia far lieta corona al nostro Patrizio nel convegno di Carbonara; e spargerne la fama per la citta, annunziando il giorno posto per 1’osservazione dell e:lisse, della cometa, di altri fenomeni, i trattenimenti meteorologici e fisici. E vi troviamo giovani vantati uagli occhi di lince per le più acute osservazioni celesti; e l ingegnere Doggio e l’orologiaio Lanzinotto e l’ottico Fassara e bravissimi dilettanti in questa difficile costruzione deue lenti, come il cav. Nicolò Maria Pallavicini e il già lodato Degola. Anche Antonio Pizzorno arciprete della terra di Palmaro riesce pel nostro Saivago un corrispondente, dacché ■sediamo quello trasmettere a questo dalla sua parrocchia una osservazione solare e sottoscriversi il suo astronomo di villa. Non parliamo degli abbati Imperiali e Grimaldi, nè degli inviati o applicati alla Legazione di Francia o ivi convenuti : Bernardo Saivago, Gio. Batta ed Ippolito De Mari, Nicolò Du-razzo, il conte Gentile, i marchesi Brignole e Rivarola, Canevari, i due Sorba. I quali tutti assai volentieri si prestavano ad agevolare la corrispondenza tra gli accademici francesi e il Saivago; non è a dubitare perciò che ritornati alla patria avranno preso nobile parte all’onorevole brigata. Ma due giovani sacerdoti, come già accennai, vogliono essere notati di speciale encomio, dacché il loro nome è il più frequente nelle corrispondenze dei celebri amici del Saivago, e passò anche nelle Memorie da questi stampate; voglio dire Francesco Rava e Francesco Maria Barrabini. E al secondo tra i due siamo lieti GIORNALE LIGUSTICO 47 di poter consacrare alcune linee rivendicandolo dall’oblio in cui fu tenuto finora. L’abbate Barrabini aveva casa propria, parva sed opta inibi, egli dice; ma più sovente lo vediamo abitare presso Giambattista De Ferrari signore dovizioso e di grandi affari. Il quale oltre il palazzo da san Lorenzo aveva una villa a Nostra Signora degli Angeli e un’ altra suburbana a piedi della salita di Santa Maria della Sanità ; quest’ ultima villa, come deduco dalla descrizione del Barrabini, equivalente alla odierna ma molto modificata casa Favaro, che precede il viale Gruber. A ponente di questa e quasi di faccia stava la casa dell’ allora vescovo di Noli Marco Giacinto Gandolfo che risponde alla odierna Villa De Andreis. Il nostro Abbate era ammesso in quella casa, pare come prete di compagnia, ma all’ uopo sostituiva anche lo scritturale ; per esempio quando questi accompagnava Santino, figlio del signor Giambattista, a Venezia, accorso là per fallimento di un corrispondente o lo accompagnava a Parigi; ove, come già accennai, De Ferrari figlio e un Cambiaso si erano recati a studiare le asserite maraviglie del Law. Barrabini adempiendo con serietà, se non con piacere, questi doveri meno nobili, era tutto lieto quando poteva attendere alla letteratura ed alla scienza. E il signor De Ferrari, non solo se ne contentava, ma ne pigliava gusto ed esempio; era già amico delle arti belle, per cui lo vediamo commettere una ben ornata e preziosa cornice d’ argento dorata al Santo Sudario del vicino san Bartolomeo degli Armeni; adesso dedica anche le ore avanzate agli affari, allo studio della scienza severa; apprende trigonometria dal Barrabini, legge i libri del Bianchini il quale si piace rammentare la conversazione avuta a Genova sulla cronologia col dotto cavaliere (il De Ferrari). Il Mecenate del Barrabini, amico come era del Saivago e fra i frequenti nei convegni di Carbonara, volle anche imitarlo nell’ erigere alla villa di Santa Maria della Sanità un 4« GIORNALE LIGUSTICO piccolo osservatorio ; di cui e de’ cui strumenti (come d’un Quarto di cerchio costrutto a Bologna sotto la direzione di Manfredi) abbiamo parecchie notizie nelle lettere del Barrabini. Ivi si parla delle osservazioni fattevi ; e piace leggervi a vivi colori ritratta una emersione del primo satellite dal cono d ombra di Giove, la sera del 19 novembre 1714. Due osservatori vi si erano apparecchiati, il signor Giambattista sul terrazzo della casa con un cannocchiale, il Barrabini colla macchina sulla piazzetta dinanzi. Era una sera bellissima: nel profondo silenzio dell’ aspettazione il paggio maggiore stava al pendolo contando i minuti secondi; il minor suo compagno stava col prete astronomo al tubo e ripeteva que’ minuti ad alta voce ; compiuto il numero di 60, il minuto primo era pronunziato in coro dalle signore che dalle finestre in giro stavano intente allo spettacolo. Questo buon sacerdote già a 25 anni fattosi conoscere nelle veglie del Saivago per uomo piacevole e molto istruito, è poi ripetutamente lodato dai corrispondenti Manfredi, Bianchini, Lavai, come molto addentro nella trigonometria, nelle altre matematiche e nella pratica. Nelle sue lettere scrive talora anche in francese abbastanza corretto, in generale però un po’ alla lesta e senza troppo sapore italiano ; ma non senza cognizione di letteratura anche straniera e di filosofia; come mostrano quà e là certi tratti venutigli in taglio per appiacevolire con qualche fiore le aride discussioni astronomiche. Cosi egli va a visitare la vicina biblioteca de’ Cappuccini, fa assennate osservazioni sul Boccaccio, scherza sul P. Tacchetti e sui sonetti prò e contro i Gesuiti, notando che la loro scala (quella dell’ odierna Università) è guardata da due leoni. Dalla letteratura salta alla critica filosofica, morde il Saivago perchè a guisa di Montaigne è subbiettivo ossia misura gli altri da sè stesso. Difende Cartesio e Galileo contro il P. Rapin; il quale tutto aristotelico spera di veder egli stesso morire i GIORNALE LIGUSTICO 49 sistemi di tali novatori, come gli ha veduti nascere. E queste osservazioni mi rammentano altre simili che il P. Lavai scriveva a Paris, rimbrottando que’ genovesi che si erano mostrati contrari a Copernico. Il Barrabini fa pure degli esperimenti in ottica e studia la Ncosfatica del concittadino Saccheri; ma più di tutto ama quella eh’ egli dice la sua trilogia astronomica; il cannocchiale del Campani, il Quarto di cerchio e il pendolo a cicloide. Bada alla declinazione magnetica, alla longitudine di Genova da Parigi, alle differenze tra le sue osservazioni e le effemeridi a stampa; e se ne appella al Maraldi, o, come egli si esprime, ad Caesarem. Questi gli parla dell’ atmosfera della luna e dell’aurora boreale; e invita lui e il Saivago con lettera del 23 novembre 1716 ad osservare la prossima congiunzione di Giove colla stella Propo de’ Gemini (H di Bayer), molto utile per determinare il moto di quel pianeta; confrontandovi l’osservazione fattane da Gassendi nel 1633. Il Barrabini osserva le macchie del sole; accuratamente disegna la veduta del nostro Faro, e quella della Corsica e sue montagne cogli angoli di posizione per rispetto a Genova; ad illustrazione delle osservazioni sui medesimi Faro ed isola inviate dal Saivago al Maraldi (1). Sorride anch’ egli dell’enfasi del P. Lavai, (1) Sulle osservazioni della Corsica dall’ Osservatorio del Saivago, vedi le citate Mémoires de l’Acadetnie dell’anno 1722; sebbene fatte dal Sai-vago e dal Barrabini fin dal 1715. Sulla latitudine e longitudine di Genova, le altezze del suo Faro e dell’Osservatorio di Paris Maria e la declinazione magnetica, vedi 1’Appendice al presente scritto; avvertendo che le poche notizie che ho potuto raccogliere su questa declinazione concordano in sostanza coll’ andamento generale notato dal Prof. Multedo nella Memoria Meteorologica del 1802 (Memorie dell’ Istituto Ligure, 1806, pag. 219); che cioè prima del 1666 l’ago magnetico declinava a Est e dopo quel tempo si è rivolto a ponente. Sul confronto del piede di Parigi o del Re col palmo di Genova, come era stimato da Cassini, Maraldi e Sai vago, vedi le succitate Mèmcries, i.e serie, VII, 2.‘ part., pag. 507, 4 50 GIORNALE LIGUSTICO il quale con un solo aiutante vide la luna mezzo mangiata dall’ombra; se di aiutanti ne avesse avuto due (pensa il Barrabini) l’astronomo 1’ avrebbe veduta mangiata tutta. Di questa torma il buon prete condisce la sua corrispondenza con motti non sempre felici, ma arguti talora, anche un poco (rizzanti; e non ne risparmia nemmeno al Saivago, sebbene entro limiti che non gliene alienassero 1’ animo. Piace il vederlo, dopo 1 affetto per la vecchia madre, esprimere la sua più viva passione per la scienza, ed anche in frasi bizzarre. Costretto a supplire, come dissi sopra, lo scritturale, non vorrebbe che 1 astronomia gli rubasse il tempo, ma non può tenersi che non guardi i diletti strumenti colla coda dell’ occhio, come fa il cane col bastone; sbircia la costellazione della balena senza potervi fare le sue osservazioni, e si paragona al fanciullo a cui sia tolta, appena vista, la colazione: nei conti scambia la marca degli scudi, come usava in Genova, col somigliante emblema onde si rappresenta Saturno. Talora non è bene in salute o guasto degli occhi, forse anche per aver troppo osservato in cielo; oppure si lagna che le tavole del Cassini gli hanno fatto perdere porzione del cervello che però va riacquistando. E tra siffatte distrazioni forzate pensa all Osservatorio di Paris; e dalla sua, come la chiama, capanna astronomica, si volge continuo colla fantasia alla Regia di Carbonara, alla Cattedrale degli osservatorii, ove abbondano ogni sorta di strumenti e occhi esperti e lincei. Ep-puie egli aggiunge con fina ironia non essersi avveduto prima d ora che quel maggiore Osservatorio avesse le gelosie. Finalmente il Barrabini ha un bel compenso. Già dal 25 novembre 1721 egli avea potuto fare una osservazione sul pia- fi più lettere del Maraldi che ne danno la proporzione :: 1113 : 1440; oppure la fanno oscillare tra : : 144 : 189 e : : 146 ■/,<, : 189. Oggidì la proporzione legale è :: 21,800 : 32484. GIORNALE LIGUSTICO 51 neta Mercurio che il Manfredi trovò ben singolare. L’Astronomo bolognese vi ritorna più d’ una volta nelle sue lettere; dice che gli accademici francesi pretendono averne veduto di simili, ma che egli ne dubita e quanto a sè l’ha tentata invano finora, e ne perpetua la memoria nella introduzione alle sue Novissimae Ephemerides del 1726-37 (1). Ma pel novembre 1723 tutti gli astronomi sono in moto, attendendo il passaggio dello stesso pianeta sul disco del sole con quell’ansia onde abbiam veduto i recenti nostri aspettare un simile passaggio di Venere. Cassini, Maraldi, Manfredi, Bianchini, Saivago ecc., se ne avvertono 1’ un 1’ altro ed appuntano i cannocchiali; e vedono diffatti Mercurio il sette dello stesso mese, e se ne discorre poi a lungo nelle Memorie a stampa. Il Barrabini che era ritornato a bella posta di villa in città 10 vide anch’ egli e vi fece sopra osservazioni che il Manfredi trovò utilissime per la teoria del pianeta. Il buon prete ne batte le mani di gioia infantile, gridando: L’ho veduto! l’ho veduto ! eureka ! Nune dimittis ! Oh se fosse ancor vivo il signor Giambattista (De Ferrari), hi che tanto desiderava questa veduta ! Ed invero non era piccola difficoltà per que’ tempi simile osservazione. I Greci chiamavano Mercurio stilbon, vale a dire lo scintillante; certamente il clima loro purissimo e 1 aere sottile doveano agevolarne la cognizione; ma Copernico tra le nebbie del settentrione andava esclamando con dolore che dovrà morire senza vedere Mercurio. Gassendi si vanta essere il primo, nell aver colto questo pianeta al suo passaggio sovra il sole: e dal gran contento che ne prova indirizza a Scikardo uno scritto ove col brio francese descrive 11 metodo da lui usato a ciò e le circostanze dell’osservazione. (x) Ved. queste Effemeridi citate sopra in nota alla pag. 44, e ivi si trova accennata la dissertazione del Manfredi sul passaggio di Mercurio nel 1723. Anche nelle Mémoires de l’Academie del 1723 sono più altri articoli analoghi. GIORNALE LIGUSTICO « Il furbo Mercurio (egli racconta) pretendeva passare sconosciuto ; entrò (nel sole) prima che io non lo dovessi attendere (secondo le effemeridi), ma non ha potuto scappare ; il 7 n0‘ vembre 1631 l’ho colto, l’ho trovato, l’ho veduto; eureka hai eoraha (eìipr^a yoù. stipala). Chi potrebbe imaginare che Mercurio chiamato trismegisto (tre volte grandissimo) fosse tanto piccolo? Lo si dovrebbe appellare piuttosto triselachisto (tre volte piccolissimo) (1) ». Di tal fatta sarcasmi ed invettive caricano questo pianeta Maraldi e Manfredi, dicendolo capriccioso, cocciuto, impertinente, fastidioso ; i cui movimenti non si lasciano finora regolare con esattezza e che pur sarebbero tanto utili alla scienza. Ma tutto ha fine quaggiù. Paris Maria Saivago aveva avuto egli pure il contento di vedere il passaggio di Mercurio e ne avea scritto al Maraldi, e continuava a ricevere lettere dai corrispondenti fino al 21 gennaio e 12 febbraio del 1724. Ma queste ad un tratto cessano e noi troviamo nell’ Archivio di Stato genovese il 29 marzo dell’ anno medesimo la surrogazione di un senatore al Saivago nuperrime vita functo (2). Ed ecco troncate le fila di sì dotte e sì amorevoli corrispondenze. Il primogenito dei suoi figli Gian Luca vedemmo aver dato il suo nome all’ Oratorio di san Filippo Neri; e aver colà sostenute le prime parti, con lode volontieri a lui tributata dal confratello Giscardi. Il secondogenito pare seguisse i nobili esempi e gusti paterni, essendocchè lo vedemmo consultato ed apprezzato dall il lustre Delisle. Ma colla prole di lui s’ estinse quel ramo della nobile famiglia, e ne furono eredi, come dissi a principio, i (1) Arago, Astronomie populaire, Paris 1855, II, 492; Hoefer, Histoire de l’Astronomie, Paris 1873, pag. 407-8. (2) Archivio di Stato, Manuale Decretorum Senatus, num. 12 (1710 34)-Il De Zac, opera e luogo cit., erra certamente assegnando la morte di Paris al 1745; ma la sua data del giorno 14 marzo mi pare ben concordi coi documenti sovra accennati. GIORNALE LIGUSTICO Pinelli pronipoti di Paris per mezzo della figlia Eugenia. L’ astronomo francese La Lande viaggiando in Italia nel 1765-66 visitava il Palazzo di Carbonara abitato da uno de discendenti, Costantino Pinelli; e vi trovava ancora alcuni strumenti, resti dell’antico Osservatorio (1). Se e quanto rimanesse di studi astronomici in Genova sul cadere del secolo che precorse il nostro, non è cosa da dirsi in poche parole e forse avremo a ragionarne altra volta più di proposito. Basti ora accennare che non ci mancheranno nemmeno a quel tempo nomi onorati e degni di elogio in professori come Domenico Gerra, Francesco Reggio, Gio. Maria Della Torre, Francesco Maria Gaudio; l’ultimo de quali, insieme agli stranieri ma insegnanti fra noi, Correard e Sanxay, scrissero dotte Memorie sui lavori da farsi al porto di Genova , come vedemmo averne scritto pure il P. Lavai e Gian Domenico Cassini. E contethporaneamente non mancheranno alla nostra rassegna i patrizi mecenati e dilettanti, come il Doge Agostino Lomellini onorato dal D’Alembert della dedica del suo libro sulla precessione degli equinozi. Come più tardi Giacomo Filppo Durazzo insieme alla rarissima collezione d’intagli a stampa , di libri di storia naturale ed un gabinetto fisico, erigeva pure un Osservatorio astronomico doviziosamente fornito di macchine ed ingegni all’uopo. E meglio allora si parrà, anche per le scienze matematiche, il frutto della civica liberalità di un altro patrizio, Ansaldo Grimaldo. Il quale fin dal 1535 fondò un moltiplico, col cui frutto accumulato a capitale d’ingente somma, si potessero poi sovvenire grandi bisogni di pietà, di beneficenza privata e pubblica; ed una parte cospicua riservò a dotare quattro cattedre pubbliche, che comprendessero (1) La Lande, Astronomie, Paris 1771, I, pag. XLV; e Voyage d’un Français en Italie, Venise 1769, Vili. 523. Anche qui (VIII. 514-5) vi è il paragone delle misure e monete genovesi con Francia. 54 GIORNALE LIGUSTICO Li intera scienza secondo que’ tempi, o, come ora si direbbe, 1’ Università di Genova (i). Ma se è giusto lodare i vicini alla nostra età, non lo si ha da fare a scapito dei più antichi. Allorché si parla di osservazioni meteorologiche in Genova dagli storici della nostra letteratura, viene indicato, come il primo che si adoperasse a tenerne tavole giornali, il patrizio Domenico Franzone. Nò io intendo fraudarlo del merito dovutogli d’ avervi durato sopra quattordici anni dal 1782 al 96, con pazienza non comune e con esattezza, abbondanza e larghe viste scientifiche, come provò il dotto prof. Multedo (2). Rammenterò tuttavia quel die dissi sopra, che Paris Maria Saivago già dai principii del secolo XYIII teneva simili osservazioni; e dal 1705 in poi, imo alla sua morte, ne mandò tavole regolari a Parigi disposte giorno a giorno, mese a mese, in cinque colonne; pel giorno, pel termometro, pel barometro, pel vento e per lo stato del cielo (3). La parte più difettosa in queste tavole sarebbe per noi la colonna del termometro, a causa non del Saivago ma (1) \ ed. la fondazione e disposizione nell’Archivio di san Giorgio, Cartulario Originale B. carte 15 e segg. (2) Ved. sopra la nota a pag. 49. (3) Dopo letto alla Società questo scritto, il prelodato sig. Neri trovò, nel giornale genovese del secolo passato intitolato Avvisi, la prova non solo che si osservava fra noi già nel 1709, ma che continuò ad osservarsi nel 1740-42, 1754, 1766-7; e che dal 1784 al 1789 le osservazioni meteorologiche appariscono fatte regolarmente, raccogliendosi poi in riassunti mensili. Il nostro amico cosi ben ne deduce, che, dopo morto il Saivago, qualcuno (forse il figlio o altri eredi) continuarono a tenere tavole giornali, e che queste si rannodano con quelle continuate dal Franzone; infine che i riassunti mensili, posti negli Avvisi, devono essere stati dedotti dalle osservazioni giornali di questo Patrizio, che ora paiono perdute. Ved. il Giornale Ligustico 1875, Pag- 494-5. II sig. Neri mi ha pure avvertito che dei quaderni del sig. Perroni, di cui sotto, è già tatto cenno nel Giornale degli Studiosi, Genova 1871 , pag. 51. GIORNALE LIGUSTICO 55 della scienza d’ allora ; dappoiché il suo strumento proveniva da Parigi ed era regolato su quelli dell’Accademia Reale delle scienze; ove il minimum e il maximum del calore in un periodo assai lungo in quel clima fu tra i gradi 5 */4 e gli 82° colla media di 48°. Ma tale cognizione era di poca o nessuna utilità al generale, non essendo comparabili gli strumenti tra loro ne’ diversi tempi e in diverso paese o strumento. La ragione ne è la mancanza allora della cognizione dei due punti fìssi del termometro, al che la scienza non era ancor pervenuta. Solo, dopo morto Paris, nel 1730 il Reaumur presentò all’Accademia Parigina il suo nuovo, ora celebre e ancor da molti usato, strumento, che scacciò il termometro fin allora in uso colà; il quale quarant’ anni addietro erasi fitto costrurre dal fisico De la Hire padre; ed era una imitazione del più antico, detto di Firenze perchè inventato in questa città e descritto nei Saggi di naturali sperien^e dell’ Accademia del Cimento. Il Reaumur vide la necessità di rendere comparabili per qualunque luogo e tempo i termometri; e ne indicò il mezzo col determinare i due punti fissi, 1’ estremità inferiore e superiore, costanti in ogni tempo e luogo, quali sono il ghiaccio che si fonde e 1’ ebollizione. Egli profittò all’ uopo della scoperta di queste due leggi fisiche, da lui primo e poi da tutti accettata nella pratica, ma da più anni tentata e discussa: gli italiani dicono già nel 169^ dal conte Rinaldini di Ancona, mentre i Francesi ed il Reaumur stesso l’attribuiscono al fisico Amontons nel 1702; e pare possa assegnarsi anche meglio ad un brevissimo ma importante scritto di Newton del 1701 (1). (1) Ved. Mémoires de l'Academie, 1702, p. 155; 1703, p. 50; 1706, p. 432 ; 1710, p. 139; 1730, p. 452 e segg. Ved. gli articoli Termometro ntìì' Enciclopedia del Pomba e nel Dizionario tecnologico; Besso, Le grandi invenzioni, 1873, I. 48; Saggi di naturali esp'rien\ediz. del 1841, pag. 12 e 73 ; nonché gli articoli Reaumur, Amontons, Newton nella Biografia universale. >6 GIORNALE LIGUSTICO E giacche mi cade il discorso sul Giornale meteorologico del patrizio Franzone, aggiungerò una notizia che credo essere il primo a rendere pubblica. Contemporaneamente, anzi prima e dopo di lui, cioè dal cadere del 1775 fino alla morte tenne simili quaderni di giornali il dottore Filippo Perroni, medico primario a Pammatone; caduto nel maggio 1800 vittima del suo dovere nell’ epidemia che funestò allora la nostra città. Quel benemerito Dottore osservava dapprima nella sua abitazione sulla piazza del Carmine, ora del barone Podestà ; e passò poscia in Via Nuova sotto il terrazzo del marchese Brignole-Sale, i cui interessi amministrava il signor Gerolamo Perroni di lui fratello. Così in certo modo le notizie patrie scientifiche si intrecciavano a quelle notizie patrie storiche, che nello sperpero degli Archivi e delle chiese raccoglieva con amore operoso, nel tempo stesso e nel palazzo medesimo, il testé lodato Marchese Antonio: i cui frutti opimi d’arte e di scienza vedemmo ora largiti a perpetuo uso pubblico dalla illustre sua figlia Marchesa Deferrari; con liberalità tanto più singolare perchè tra vivi, e superata soltanto dal nuovissimo, e fino a nostri tempi inaudito, dono patrio del Duca Raffaele di lei consorte. Le tavole tenute dal signor Perroni pervennero a mani del dotto chimico Giovanni De Negri, nostro socio ed amico che liberalmente le pose a disposizione della Società; e quantunque non così compiute nei particolari, come le contemporanee del Franzone, hanno sovra queste il vantaggio che si possono tuttora consultare, e segnano pure a quando a quando alcun fatto pubblico 0 privato. Chiudendo la mia lettura mi si conceda ancora un riflesso. Vedemmo Paris Maria Saivago a 82 anni vegeto ed occupato de’ cari studi, ma alternandoli coi doveri verso la patria nei pubblici uffizi. Dell’ aver sostenuto i quali con affetto e con onore ne è pegno la qualità stessa degli uffici, lo invio a GIORNALE LIGUSTICO 57 Parigi col Doge nel 1685 , la dignità senatoria rinnovatagli cinque volte e nella quale mori. Ma questi bei doni di lunga ed integra vita (lunga appunto perchè integra ed operosa) non erano cose proprie soltanto del concittadino onde ci onorammo di ragionare. Dal semplice, affettuoso e operosissimo Maraldi ebbimo il vivo ritratto di suo zio Gian Domenico Cassini ; mancato a 87 anni, mantenendo fino all ultimo dì i costumi severi appresi sulle ginocchia della madre e mescendo alle aridezze della scienza il fuoco della poesia. Potremmo citare altri meno notevoli, ma altrettanto operosi cittadini; i quali, come il Saivago, come il senatore Federico Federici e il cancelliere Antonio Roccatagliata, senza troppo far parlare di sè, spesero la lunga vita col senno e colla penna a pro’ della patria. E degno di speciale memoria fra questi sarebbe Raffaele Della Torre, ben giudicato dal Somis non meno profondo giureconsulto che sommamente esperto politico. Egli nei non pochi scritti palesa appunto quella limpidezza d’idee e serenità d’ animo, che si accompagna soltanto colla integrità morale e fisica e colla dignità dell’ uomo educato ad ogni nobile cosa. Quasi ottuagenario si mostra ancora modello di critica robusta, arguta e festiva a difesa delle sue teorie cambiarie; e muore a 89 anni dopo aver dettato un consulto legale. Adempieva per tal guisa alla promessa che faceva soli tre anni prima in altro suo scritto: Restaurandae antiquae jurisprudentiae conatas ; ove dopo chiesta scusa in grazia dell età chiude colle seguenti parole al lettore: Saltem amabis studium nunquam nisi cum vita defuturum (1). Ma più di tutti questi valentuomini ci si presenta, per le condizioni della vita, somigliante al marchese Saivago il già (1) Raphaelis De Turri Rejectiones, redargutiones, vindicationes ai tractatum suum de cambiis ecc. 1655. Id., Restaurandae antiquae jurisprudentiae conatus, 1666, pag. 253: Me haec qualiacumque tentasse annum agentem aetatis meae octuagesimum sextum. 58 GIORNALE LIGUSTICO lodato Giambattista Baliani. Morto a 82 anni quasi colla penna in mano egli lasciò scritti pochi, ma col germe di molti e profondi concetti che non poterono distendersi in libri, distratto come fu dagli uffizi pubblici. Potea dirsi d’entrambi e di più altri genovesi ciò che il matematico Antonio Santini (1) opinava di Ansaldo De Mari, l’autore delle opere alle mura ed al molo nuovo ; che cioè questi sarebbe stato eccellente e pari ad ogni compito, se non fosse che le dignità e i bisogni della patria, richiedendo doveri più pratici, non gli lasciarono libero il volo alle sublimi ispirazioni della teoria E m imagino che più d’ una volta lui e i suoi simili ebbe a pungete il segreto sentimento dello ingegno, l’aere puro della idea non soffocato da brighe meno nobili. Essi consi-deravansi più dilettanti che scienziati; ma non ismetterono mai il culto del vero e del bello; come per riguardo alla scienza vedemmo e forse altre volte vedremo; e per riguardo alle arti e alla vita intima i miei egregi colleghi vanno sollevando sempre più quel velo che la negligenza de’ contemporanei vi lasciò appiccicare troppo stesso. E bello fu 1’ aver visto, in tempi non lontani dai nostri, dal palazzo Baliani in Canneto, rimpetto all’ archivolto che ne serba il nome, disseppellita una lapide romana e uno squisito bassorilievo di greco scalpello ; ma più bello ancora il leggere nel testamento del senatore Giambattista le gravi raccomandazioni ai figli» (1) Questo P. Somasco è detto genovese dal P. Mersenne in lettera a Torricelli. \ ed. Ballettino di Bibliografia e Storia delle Sciente matematiche ecc. del Principe Boncompagni, 1875, luglio, pag. 412. Il quale dottissimo Bibliografo, ibid. pag. 387, lo dice nato a Lucca; ma probabilmente esso è oriondo di Pietrasanta, territorio ambiguo tra il Gcnovesato e il Lucchese, ove fiorisce ancora il Santini storico della Versilia. Ad ogni modo Antonio Santini scrisse da Genova più lettere; tra le quali una il i.° giugno 1641 ove parla di Ansaldo De Mari e del Baliani. Ved. Giornale de' Letterati, Modena 1876, XXXIII, 32. GIORNALE LIGUSTICO 59 perchè mantengano la concordia in famiglia ma ad ogni privato interesse antepongano la patria (i). Per mio avviso a questo gruppo di personaggi, onde non so distaccarmi, si addice lo stemma che sta soprapporta della antica onorata casa d’ un mio conterraneo, vicino ed amico : Recte et laete. E vorrei anzi che questo fosse lo stemma del-r intera nazione ; nel quale si comprende un temperamento equanime, non abbattuto ne’ disastri, non gonfio dalla fortuna; dotato della civile operosità tanto inculcata da Cesare Balbo, ma non quaquero e piagnone che per amore del vero distrugga il bello o lo neghi vedendolo in altri ; non pedante ringhioso lector unius libri, ma neppure facile enciclopedico che tutto impara stans pede in uno. In una parola: recte et laete come dicemmo che operassero quegli antichi valentuomini ; alternando cogli onesti piaceri i gravi uffizi, e ponendo sopra ogni cosa l’ossequio alla giustizia, la carità e la gloria della nazione. (i) Testamento di Giambattista Baliani del 27 maggio 1660, in atti di Giuliano De Ferrari num. 174 (Archivio Notarile). E giacché mi avviene di ritornare sul Baliani, colla scorta del prelodato Bullettino del P. Bon-compagni, loc. cit. pag. 356, aggiungerò che negli scritti lasciati dal P. Mersenne furono trovate lettere a lui indirizzate dal Baliani, come viceversa nelle opere di quest’ ultimo abbiamo una lettera del Mersenne. Come ibid., pag. 403, allo stesso Mersenne è parlato di Baliani dal Torri-celli; altresì più volte vi si rammenta il nostro Renieri sopra lodato, e si notano nove lettere a lui scritte da esso Torricelli (pag. 354), e due altre lettere scritte al Torricelli da un G. B. Renieri che forse è identico col nostro Vincenzo (pag. 273). Finalmente non mi sfuggirà l’occasione di aggiungere che nel Figuier, Vies des savants illustres du XVII siècle, Paris 1869, vi sono particolari notevoli sulla prima dimora del Cassini in Genova, suoi maestri, amici, mecenati, studi ecc. 6 o GIORNALE LIGUSTICO TAVOLE CRONOLOGICHE IN APPENDICE ALL’ OSSERVATORIO SALVAGO I. TAVOLA DELLE LATITUDINI E LONGITUDINI DI GENOVA. Le cifre di latitudini e longitudini date ai numeri i, 2, 4> 5» 7"11 sono desunte dal Lelewel, Géographie du moyen âge; il num. 3 dal Rei-naud, traduzione d’Abulfeda. In tutti gli altri numeri le cifre sono prese direttamente dalle Effemeridi o scritti degli autori rispettivi. Quanto alla latitudine di Genova, il nostro Renieri (1639) fu il primo ad accostarsi al vero, colle proprie osservazioni recandola a gradi 44, 27', mentre prima la si calcolava a 430, 50'. Il Cassini (1694-5) anche più esattamente la fissò a 44°, 25'. Quanto alla longitudine, nella nostra Tavola, ove non sia dichiarato diversamente, s’ intende che sia espressa in gradi o in arco ; e che il suo punto di partenza sia dalle Isole Canarie. Ma da quale di queste Isole e con quale grado d’ esattezza debba calcolarsi, non fu conosciuto che dal 1700 in poi. Prima di questi anni la longitudine dalle Canarie a Parigi si reputava di gradi 23, 30. Il Cassini cominciò a ridurla a 22°, 30; il di lui allievo Delisle con Memorie del 1700 e 1726 provò e dopo lui adottarono tutti la cifra di gradi 20 rotondi da Parigi all’ isola del Ferro, la più occidentale delle Canarie. Cosi la longitudine da queste Isole a Genova, che da Tolomeo in poi si stimava comunemente di gradi 30 a 31, dal Riccioli con calcoli faticosi fu recata a 320, 14', 53", e da Parigi a Genova a 7°, 44', 53". Cassini e Saivago nel 1685 la ridussero ancora a 7", 30 da Parigi; poi a 6°, 26' nel 1694-5. Maraldi, Saivago e Barrabini a 6°, 30' nel 1710-12; mentre ora è di 6°, 35 da Parigi e di 26”, 35 dall’isola del Ferro; poco più o poco meno secondo i diversi luoghi della città, donde si osserva. SECOLO. AUTORI. LATITUD. longitud. I. IL Tolomeo . . 42. 50 - 30.-- 2. » Abul Hassan .--- 31.40.--- 3- » Ibn Said . 1 31-3 --- O - 5 — 19. 1678. Saivago Paris . . . .44.29 —--- 20. 1685. D.° e Cassini. Differ, da Parigi .--- 7. 30 — ai. 1694-95. Cassini, padre e figlio a Genova 44.25 —--- con diversi metodi . . . 44. 25. 4--- 44.25.12--- 44.25.15--- Detti, Differenza da Parigi . .--— — 25.3 in tempo e con diverse prove.---— 25.15 ---— 25. 20 ---— 25.25 ---— 26. 20 e differenza in gradi. . .---6. 26. — essi stimano dalle Canarie a Parigi........22.30, totale fino a Genova . .---28.56. — 22. 1699. Saivago e Cassini, Differenza da Parigi in tempo . . • —--— 24.7 0 62 GIORNALE LIGUSTICO SECOLO AUTORI LATITUD. LONGITUD. 23. 1701. Mezza vacca, Effemeridi. . . 44.27 __31.__ 24. 1703. Saivago e Maraldi . . . 44.25 ____ Detti Diff. da Parigi in tempo .---- - 26._ —--— 26. 23 --— — 26. 27 e in gradi . . . .---6.23.— 25- 1708-10. Detti da Parigi in tempo . . 44.25.— — 26.10 ---— 25. 52 e in gradi........6. 30. — 26. 1712. Barrabini secondo i dati di La Hire da Parigi in tempo. . .----7- 30 _ e da Canarie a Parigi . .--------20. 30 — totale fino a Genova . .___28 __ _ ma secondo le proprie osservazioni da Parigi a Genova in tempo . . . . #____ 2(5 _ e in gradi . . . .---6. 30 — 27. 1714-16. Cassini figlio, Delisle, Maraldi, Saivago.....44. 25 —--- Maraldi e Saivago da Parigi in tempo........ --- 26 --- --- --- 26. 6 --- --- 26. 12 e da Roma . . . .___ --- 15- 35 Saivago e Manfredi . . . 44. 2 5 _ Diff.a da Bologna in tempo circa. --- --- --- - 9% mentre Lieutand la stimava . --- --- --- --- IO. IO 29- r745- Pappiani, Sfera: da Parigi in gradi 44. 25 — 6. 16 — 30. 1818. De Zac, Corresp. astron.: a San Bartolomeo degli Armeni . 44.24.^2 26.37.54 31' 1820. Almanacco Nautico di Genova: alla Lanterna . . . . 44.24. 18 26, ■ 36 • 15 alla Università. 44. 24. 59 26. 37- ■ 39 Connaissance des temps. 44. 25 --- --- --- da Parigi in gradi . --- 6. 37- 45 Descrii, di Genova: alla Lanterna 44- 24. /8 6. 34- 45 al Collegio di Marina 44.25.4 6. 35- 8 Arago, Lei_. Astr., traduz. Capocci OO 6. 34 --- T+- GIORNALE LIGUSTICO SECOLO AUTORI LATITUD. 35- 1866. Annuaire du Bureau des Longitud. 44.24.16 al Faro e da Parigi in tempo .---- 36. 1830-46. Rev. Giacomo Garibaldi Dirett. delFOsservator. dell’Università 44. 24.59 37- 1871. Prof. Pietro Maria Garibaldi suo successore : differenza E. da Parigi determinata colle correnti elettriche e stelle cadenti. .---6 differenza O. da Roma a Genova — — — 3 e da Parigi E. al Faro . .---6 II. TAVOLA DI DECLINAZIONI MAGNETICHE OSSERVATE A GENOVA. SECOLO. GRADI I- XVII, ia metà. Portolano ms. all’Università, già di Silvestro Saivago gradi . . . 5. 58 Gaietta di Genova 12 marzo 1817 . 5. 58 P. Martini, gesuita (in Riccioli Geographiae reformatae) . . 5.55 P. Kirker (in Riccioli, ibid.) . . 5 — Cassini padre e figlio . . .9 _ e i detti alla loi1 patria Perinaldo 8 — Paris Saivago al suo Osservatorio . io'/3 io'/, II % _ 1651. 1660-72. » 1694-95. 6. 1713-14. 7. 1802. Prof. Multedo (Mem. Accad. sciente di Genova, 1S06) in media circa .23__ 8. 1846. Descrizione di Genova, in media . 17.36.4 9- Prof. P. M. Garibaldi Direttore del- l’Osserrvatorio al’ Università Costanti in declinazione . . . 16. 0.— 1870. 1873. 1874. 1875. . 11. 3.41 • ir. 3.4.25 . 11. 18.— 63 LONGITUD. — 26. 16 • 3 5- 54 9/i° ■ 3'- 39 '• 34- 7 a greco » )) )> a maestro » » » » » » » )) » » III. TAVOLA DELLE ALTEZZE DEGLI OSSERVATORII. 1. 1715-22. Osservatorio Saivago. — Dal livello del mare fino al livello del cannocchiale orizzontale nel Quarto di GIORNALE LIGUSTICO METRI cerchio secondo il Maraldi tese parigine 50. . 97-45 che secondo i suoi riscontri sarebbero palmi 388’/,, ma palmi 388 V» secondo i riscontri legali d’oggi 96.35 2. 1846. Osservatorio della R. Marina. — Dal livello del mare al livello del centro dello strumento dei passaggi, secondo la Descrizione di Genova . . -77-93 3. — Osservatorio dell’ Università. Dal livello del mare al pavimento della galleria e terrazzo, secondo la citata Descrizione.......47- 18 e fino alla origine della scala del barometro . 48. 03 4. 1873. Anemometrografo registratore (Prof. P. M. Garibaldi) 56.86 Pluviometro (id.).......56.40 IV. TAVOLA DELL’ALTEZZA DEL FARO DI GENOVA VOLGARMENTE DETTO LA LANTERNA. PALMI. ONCE METRI 1. 1660-72. Dal Riccioli (Geograph. reform.) . . 440. — 109.— 2. 1715-22. Saivago e Maraldi : dal livello del mare fino al luogo ove è il fanale, tese 61 474. — 118.89 ma coi riscontri legali odierni . . 474. — 117- 53 3 » Detti. Dal livello del mare fino alla palla che corona la cupola del Faro. 496. 11 123.24 4. 1846. Descrizione di Genova, altezza della torre del Faro comprendendovi la cupola . — — 76. — e dallo scoglio al livello del mare . — — 42- 5& totale dalla cupola al mare (vol. I. 32) — — 118.50 ma altrove (vol. III. 260). . . — — 125.— Sovra i predetti dati il Maraldi calcolava che il fanale di Genova illuminerà uno spazio in mare fino alla distanza di quasi 7 leghe da 20 a grado, circa . . chilometri 38.888 Oggidì si calcola che col nuovo sistema illumini fino a 10 leghe simili.......» 5 5- 555 È noto che il nostro Faro deve essere per lo meno anteriore al 1128, dove comincia nei nostri documenti la menzione del Capo di Faro e sua torre. Però lo Stella al 1326 soltanto riferisce come fatta allora lanterna magna super tur ri moduli et super tur ri capitis faris, ut in eis accensis lampadibus etc. Anche nella Masseria del Comune di Genova (Archivio di S. Giorgio) del 1354, pag. 11-12, sono scritte spese prò lanterna ca- GIORNALE LIGUSTICO pitis fari fienda e in copertura lanternae capitis faris. L’ apparente contraddizione si spiega, ammettendo che nelle diverse date si adoperarono nuovi sistemi o almeno rilevanti migliorie per l’illuminazione, come nel 1841 quest’ultima si stabili a nuovo col metodo alla Fresnel. Difatti il sistema primitivo fu di tener acceso il tuoco nella notte come segnale del Faro, e s’impose per le spese una gabella da pagarsi dalle navi che dal pelago venivano per approdare in porto. Questa notizia s’impara dal Breve consolare del 1161 : tenebor . . . quotiescumque venero in aliquo ligno de pelago, prò igne faciendo in capite fari (queste due ultime parole mancano nel testo stampato negli Atti della Società Ligure di Storia Patria , vol. I, pag. 193). Ma ivi e nel Registro Arcivescovile illustrato dal cav. Belgrano (Atti, vol. II, parte 2.", pag. 389) è citato altro capitolo del Breve della compagna del 1166: Ego postquam rediero ex aliquo, itinere antequam exhonerem solvam drictum moduli et ignis. Il Faro comparisce già nelle carte nautiche, dal Beccario almeno in poi (principio del secolo XIV), ed è pure ricordato nel portolano del fiorentino Uzzano del 1440. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Indagini storiche artistiche e bibliografiche sulla Libreria Vi-sconteo-Sfor^es'ca del Castello di Pavia, compilate ed illustrate con documenti inediti per cura di un Bibliofilo. — Parte Prima. — Milano, Brigola 1875. I. La storia della letteratura non si tien paga oggidì, come per lo passato, di aride enumerazioni di scrittori; de’ sunti più o meno diligenti delle opere loro, delle minutezze biografiche, 0 di giudizi, che sovente non riescono ad esplicare un chiaro e vivo e vero concetto ; ma intendendo a più alto fine, domanda un ben definito quadro dello svolgersi dello spirito intellettivo attraverso i secoli, col proposito di ricercare la ragione intima del vario grado di coltura onde ebber 5 66 GIORNALE LIGUSTICO vanto alcuni periodi speciali di tempo, alcune regioni, o le singole città. Non fu per fermo con un concetto sì fatto che il celebre Modanese dettava il monumentale suo lavoro, nel quale cionondimeno ognuno troverà preziose notizie spesso adorne di utili osservazioni, e vagliate alla più sana critica; ma egli riconosceva pur anco la necessità dì quanto abbiamo innanzi accennato, e ce ne porgono non dubbia prova quei proemii onde arricchì le singole parti dell’ opera sua. Se non che a colorire un disegno sì vasto, per chi amasse soltanto scrivere della nostra Italia, converrebbe rifarsi alle secure fonti dei documenti; e comechè già molti, illustrati da uomini d’ alto intelletto, abbiano veduto la iuce, pur ve n’ ha copia non picciola che giace sempre negli archivi vuoi esteri vuoi nostrani, e così pubblici come privati. Di che consegue la impossibilità in un solo uomo di tutto vedere, tutto coordinare a dar vita ad un divisamento di sì grande utilità. Ond’ è a dar lode grandissima a que’ prodi ingegni, i quali si studiano con speciali lavori apprestar materiali alla nostra storia letteraria, e intendono del pari a discoprirci nuovi tesori in maggior lustro della patria. In questo novero dee senza meno aver luogo insigne l’erudito sig. Marchese Girolamo D’Adda, il quale sotto titolo di « Bibliofilo » ha già regalato al pubblico altre pregevoli scritture. Egli sen va di conserva con quella schiera di patrizi italiani, non molto numerosa ma altrettanto dotta, che non reputa derivare dalla vanità d un titolo, d’un nome, o dalle avite ricchezze quella supremazia morale onde si onora il cittadino; e fa stupendo contrasto con quella burbanzosa ed ignava nobiltà che si è fatta adoratrice o dell’ obesa oziosità o della lurida avarizia, nemiche insieme del proprio decoro e dannose al civile consorzio. Il eh. autore dando opera alla pubblicazione annunciata, rende un servigio grandissimo alle lettere ed alla storia; im- GIORNALE LIGUSTICO 67 perciocché mentre palesa una insigne accolta di stupendi manoscritti, donde ponno desumersi nuove giunte alla bibliografia, discopre una pagina non in tutto nota del reggimento ducale Visconteo-Sforzesco ; vogliam dire la parte presa da que’ duchi, non tutti degni di lode, allo svolgimento degli studi, nella lor famiglia o ne’ loro Stati : di più riempie bellamente una lacuna nella istoria delle antiche biblioteche italiane, essendo che della Pavese si ebbero fino a qui notizie monche ed inesatte, ed a proposito della sua dispersione furono scritti, specie dagli stranieri, i più badiali errori. Il Sig. D’ Adda nel mandare al palio questo suo lavoro ha voluto tenere un modo diverso dal consueto; facendo cioè precedere alla parte storico-illustrativa la raccolta dei documenti, sebbene egli ci avverta che non pochi si troveranno pur nella seconda incorporati nel testo. Lo ha indotto a cosi operare il desiderio molto lodevole di migliorare, colmare lacune e meglio entrare nello spirito proprio del soggetto. Intanto già ci previene col prospetto dell’ opera, mostrandoci di quali parti sarà composto il volume secondo ; ed ivi si leggeranno le Ricerche sulla fondazione e successive vicende della Libreria Viconteo-Sfor^esca, un capitolo sulla Biblioteca di Francesco Petrarca a Garegnano, un altro intorno ai Codici francesi della Libreria Pavese, la illustrazione delle Imprese ed emblemi Visconteo-Sfor^eschi quali incontratisi nei codici di Pavia, e quindi il novero dei Codici pavesi oggigiorno conservati nelle biblioteche europee, esclusa la Nazionale parigina; al che farà seguito un Saggio storico-biografico dell’ arte del minio nel ducato di Milano, chiudendosi l’opera con una Bibliografia ed opportune Appendici. La prima parte, che noi qui annunciamo, si apre con un erudito e diligente discorso preliminare, dove toccandosi dei principii generali onde s’ informano lavori di tal ragione chiarisce chi legge sugli intendimenti deH’ 'autore. Egli da più 68 GIORNALE LIGUSTICO tempo s’era posto a raunare documenti, a consultare opere di erudizione e di bibliografia, a fin di colorire il suo disegno; quando un dotto francese, il Sig. Delisle, nella sua pregevole Storia generali di Parigi, data fuori nel 1868, scriveva un in-■ tero capitolo per illustrare i manoscritti che esistono nella Nazionale parigina, provenienti dalla Biblioteca pavese. Se non che seguendo egli un largo concetto nel delineare il suo quadro storico non si rifece alle vere fonti, nè corredò la sua narrazione di tutti quei particolari, che, singolarmente per gli italiani, debbono riuscire del maggiore interesse e meritano perciò uno studio più accurato e più attento ; confessò poi il Sig. Delisle di aver ritrovate lacune che non era in sua podestà di colmare. Ed ecco 1’ opera dell’ autor nostro mostrarsi non solo proficua, ma improntata eziandio a quella novità, mercè cui si aumenta a gran pezza l’importanza dei lavori storici e letterari ; imperciocché mentre il francese produceva i suoi studi come picciola parte d’ un più grande lavoro e sotto un aspetto prettamente, espositivo , il Signor D’ Adda volge ad indagini più profonde nel vasto campo della storia, della letteratura e dell’ arte. Di guisa che recando nuova e più splendida luce alle penombre che riscontratisi nell’ 0-pera del Delisle, la vince ancora per ricchezza di notizie 0 da questi toccate di volo 0 al tutto ignorate. Il fatto doloroso della gran copia di cimelii nostrani iti ad arricchire gli istituti stranieri trova un punto di contatto coi più deplorevoli avvenimenti della nostra storia ; e questo secolo stesso vide spogliazioni ributtanti, le quali non furono sanate da un incompleto restituire. Ma se la rapace prepotenza altrui ci privò di capi d’ arte, di manoscritti e di libri oltre ogni dire preziosi, diciamolo pur con franchezza, non in tutti i petti italiani prevalse sempre quello spirito di religiosa conservazione, onde si veggono animati gli altri popoli d’Europa; nè al disamore de’ privati sopperì il buon volere e il retto senno GIORNALE LIGUSTICO 69 de’ reggitori della cosa pubblica. Gli esempi che si potrebbero addurre di tanta giattura sono infiniti, e noi ce ne passiamo volentieri; ne è prova la vendita avvenuta teste per egregia somma della bellissima porta degli Stanga in Cremona, di recente illustrata con un pregevole scritto dal Sig. Mon-geri (1). La preziosa collezione pavese lasciata immune , non si sa come, da Carlo Vili, doveva essere disertata dal suo successore. In fatti dopo i notissimi avvenimenti che si chiusero colla cattura dell’ imprudente Ludovico il Moro, il cardinale di Roano fece spedire in tutta fretta a Blois più casse di quei codici, che oggi adornano la massima Biblioteca di Parigi, multarum italicarum spoliis superba, secondo dice il Casobono. Non è improbabile, anzi 1’ autor nostro 1’ afferma reciso, che la celebre Anna di Brettagna avesse molta parte in così fatta rapina ; tanto più Se si riguarda all’ amore suo grandissimo pei manoscritti miniati, ed al trasporto in Francia della Biblioteca angioina di Napoli, avvenuto per sua istigazione. E qui si fa l’autore a ridurre al vero alquante inesattezze corse nelle opere d’ alcuni scrittori illustri, specie per ciò che riguarda i danni recati all’Italia artistica e letteraria dagli stranieri, rilevando una esplicita confessione del Delisle in quanto tocca la Biblioteca di Napoli, sul cui trasporto avea innanzi esposti più dubbii. E tornando alla Libreria del Castello di Pavia egregiamente egli assevera che se nel 1426, epoca in cui venne compilato l’inventario ora prodotto , aggiungevasi la cospicua cifra di circa mille codici, ben il doppio doveaseue noverare a’ dì di Luigi XII, avendosi da tener gran conto delle opere stampate, le quali, nella seconda meta del secolo X\, senza meno avranno arricchito quella stupenda raccolta, specie (1) Arch. Stor. Lomb., Bullctt. della Consulta Archeolog. Dicembre 1875, pag. 88 e segg. 70 GIORNALE LIGUSTICO riscontrandosi molti di quelli incunaboli dedicati a que’ duchi allora regnanti. E certo gli esemplari destinati loro in dono dovevano essere vaghissimi per nitidezza di pergamena e per gli ornamenti miniati, non che per le singolari legature ; e la Parigina ha più esempli di sì fatti splendidi volumi, porgendo così una prova di quanto espone il Sig. D’ Adda. Il quale ricordando come dall’ epoca dell’ avvenuta spogliazione e del relativo trasporto a Blois della Libreria pavese, le vicende di questa si confondono e si rannodano a quelle delle raccolte alle quali venne riunita, esamina con rapidità, ma con altrettanta diligente chiarezza, tutti gli scritti ne’ quali si tocca di quella Biblioteca francese che divenne nel XVI secolo l’ammirazione d’ Europa, e che passata poi sotto Francesco I a Fontainebleau fu trasferita a Parigi all’ epoca del grande Enrico IV. Il tempo preciso in che avvenne la fatale spogliazione porge cagione al nostro autore di accurate investigazioni negli scrittori sincroni, o in quelli che si occuparono fino ai dì presenti della storia di quegli anni, sì in ispeciali lavori come in generali o poligrafi. Gli archivi non danno alcun lume su ciò e molto meno i libri ch’egli cita, l’un de’ quali, anzi, ed e sincrono, pone la Libreria pavese come sempre esistente nel castello Visconteo ben vent’anni appo il 1500. È questo il commento al Vitruvio di Cesare Cesariano, impresso a Como nel 1525; se .non che l’autore spiega felicemente questo fatto ammettendo, 0 che il 4 Cesariano aveva compilato 1 opera sua già da’ oltre 21 anno, e le sciagure dalle quali fu perseguitato durante l’impressione gli impedissero correggere questo errore ; oppure che sussistendo sempre parte della Libreria, rapita poi essa pure dal Lautrec , non ricordasse il celebre architetto (mentre scriveva) la precedente spogliazione di Luigi XII. Del resto se nulla rilevasi sul mese e giorno in cui accadde quel fatto, nè dai documenti inediti, nè dalle stampe , alcuni brani dei Diarii di Marin Sanuto, GIORNALE LIGUSTICO 71 prodotti dall’ originale Marciano nell’ appendice, ponno dare qualche lume a fissarne la data nei giorni che seguirono il 26 agosto 1499. Nel novero dei libri citati dall’ autore nostro ne troviamo uno che riguarda Genova, e del quale è opportuno rimanga qui ricordo in servigio della bibliografia storica ligure. Vogliam dire una cronaca rimata giorno per giorno « sur les deux heureux voyages de Gênes et Venise, vi-_ ctorieusement mys à fin par le très chrestien Roy Loys dou-ziesme de ce nom, Pére du Peuple. Et véritablement escriptz par iceluy jean Marot, alors poëte et escrivain de la très magnanime Royne Anne Duchesse de Bretaigne et depuys valet de chambre du très chretien Roy Francoys premiere du nom » etc.: operetta molto rara edita nel 1532, alla quale potrà stare daccosto quell’opuscolo rarissimo stampato in Napoli senza anno, ma attribuito al 1501, che ha per titolo: « Questa è la historia e la guerra del populo genovese e gentilhomini e del Re di Franza e di tutto suo exercito e triumpho de la intrata che fece in Genova e una barzeletta della discordia de Italia » ; poemetto o cantare che si voglia dire in ottava rima, intorno al quale, se fosse noto dove trovasi dopo aver fatto parte della Biblioteca del troppo celebre Guglielmo Libri, potreb-besi fare un utile studio comparativo, ponendolo a confronto coll’altro non men raro poema latino di Valarando de Varani uscito a Parigi nel 1507 > un bell esemplare del quale conserva fra i suoi cimelii la Biblioteca Universitaria genovese. È così intitolato : Carmen de expugnatione genuensi cum multis ad gallicam historiam pertinentibus. Lo spirito ond’ è informalo questo poemetto si ravvisa afflitto ostile ai genovesi; nonpertanto hannovi alcuni tratti caratteristici non privi d’interesse, e per dire d un solo, ricoi-derò come in brevi non colti ma incisivi versi si danna il costume rilassato de’ genovesi, appunto in quella guisa Jie 72 GIORNALE LIGUSTICO ce lo presentò il Belgrano nel suo libro e contro il quale tuonava dal pergamo di santa Maria di Castello frate Silvestro da Prierio proprio in quel tempo (i). Vero è che molte cose intorno agli avvenimenti accennati lasciò scritto il d’Au-ton, 1 istoriografo reale; ma vuoisi ricordare come nelle più singolari pubblicazioni si trovano sovente notizie, che invano si cercano altrove (2). II. Belle e curiose cognizioni ci porgono le Appendici che seguono il Discorsa proemiale. Un breve ma diligente studio sulle relazioni del Petrarca con Riccardo di Bury è il soggetto della prima, donde rilevasi il tempo in che strinsero amicizia i due uomini insigni alla Corte papale di Avignone; non senza ricordare come il Petrarca avesse anche potuto incontrarsi, secondo recita il Pecchio , col poeta inglese Goffredo Chaucer in Genova, quando questi vi fu spedito nel 1371 da Edoardo III per trattare della compera d’ alcune navi. I punti di contatto che fra il poeta italiano e 1’ autore del Pbilobiblion ricerca ed espone il D’ Adda, sono la sintesi d’un accurato studio delle loro opere. Il quale concetto stesso ha presieduto alla compilazione della seconda appendice, dove (1) Belgrano , Della vita privata dei genovesi. Edizione seconda. Genova, Tip. Sordo-muti 1875, cap. 79 e passivi. - De Prierio Silv., Qudmgesi-male aureum; Vinegae 1515. Sermo XVII habitus Januae dominica 2* in quadragesima: De conditionibus ipsius civitatis, car. 25 ree. (2) Di Giovanni d’Auton si ha un rarissimo opuscoletto in 4 picc. carat, got. senza indicazioni tipografiche cosi intitolato: L’exile de Gennes la superbe faiet par frere Jehan Danton (sic) historiographe du Roy; poemetto in versi decasillabi che fa parte del libro di Giov. Divry, Les faitr et gestes de M. le Legai,, ma che trovasi anche separato. Fa parte eziandio delle Cromques, e trovasi nel T. IV, pag. 153-165. GIORNALE LIGUSTICO 73 1’ amore per le raccolte artistiche innato in Valentina Visconti, alla quale manca pur sempre un buon biografo, e in Anna di Brettagna, che n’ebbe uno forse troppo passionato, indusse ilv Nostro a presentarle qui riunite al lettore, rilevando quel tanto di lor vita che riusciva d’ uopo a chiarire il suo soggetto. E doppia ragione egli aveva d’ adoprare in tal guisa, chè avola 1’una moglie l’altra di Ludovico XII ebbeio tut-tadue molta parte nei lutti italiani. Alla terza appendice intitolata I ritratti troviamo cosa che assai più da vicino tocca Genova nostra, vogliam dire la descrizione della medaglia rappresentante Filippo Maria Visconti riprodotta in fotografìa dal eh. D’Adda a capo del suo volume. Noi ne abbiamo un esemplare in bronzo nella raccolta ricchissima del compianto Avignone; ed una breve descrizione di essa già comparve per opera di quest’ ultimo negli Atti delia Società Ligure di Storia Patria (i). Il D’ Adda ce ne dà qui una più ampia notizia, avvertendo come l’effigie del Duca deve essere stata tenuta in conto di somigliantissima, da che i molti suoi ritratti non sono se non la riproduzione di quello scolpito nella medaglia. Anche intorno al cesellatore Vittore Pisano, detto Pisanello- da Verona, accenna più utili cose. Ma quel che a noi importa sono le parole seguenti: « Il rovescio di questa medaglia non fu interpretato da alcuno. La veduta della città sulle alture, nel fondo della composizione, si pensa da molti rappresentare la città di Genova» (2). Questo fatto, di cui si tace negli Alti sopra citati, non ci sembrava da prettermettersi, essendo molto probabilmente vero. Al proposito poi d una raccolta numismatica lasciata dal Conte Taverna al Municipio Milanese e da questo affatto trascurata, leggiamo saggissime osservazioni generali, sul dovere che incombe ai moderatori (1) Vol. Vili, pag. 594. (2) Pag. L. 74 GIORNALE LIGUSTICO dei Comuni di non falsare l’intenzione dei legatarii, col tener nascosto al pubblico tutto quello di che egli è il solo e vero erede, ed implicitamente sopra l’obbligo che eglino hanno di incoraggiare in giusta misura gli studi e le arti : osservazioni che ponno senza meno aggiustarsi al dosso di non pochi Municipii italiani e del genovese in ispecie. I cenni intorno agli inventarii e loro vicende, e più specialmente di quello del 1426 che vede qui la luce, chiudono la serie delle Appendici, e fanno conoscere le cure che ponevano i Duchi alla conservazione ed allo augumento della loro Biblioteca. Tre furono i cataloghi compilati in diversi tempi: il primo del 1426, di cui ora esiste copia sincrona nella Braidense di Milano; 1 altro del 1457 edito dal Delisle, il quale se vince il primo pel numero dei volumi ne sta al di sotto quanto alle descrizioni. E questo secondo reputa inutile 1’ autore di ripubblicarlo , perchè quanto agli accrescimenti ce li farà conoscere nella parte successiva, là dove diviserà quali codici entrarono in Libreria sotto ciascun Duca. Il terzo finalmente lo si conosce soltanto per documenti ora editi la prima volta, e si sa vi presiedettero padre^ e figlio Calchi per ordine di Ludovico il Moro fra il 1490 e il 1497. — Oltre ai libri erano insieme alla raccolta pavese alcuni oggetti da museo, e gli archivi che andarono più tardi miseramente dispersi in terra straniera. Poche parole diremo sullo inventario che nella sua integrità leggesi appo le Appendici, e solo loderemo la diligenza ed il buon senno del Sig. D’ Adda per avercelo prodotto nell’ ordine e nella forma in che fu scritto, imperciocché possiamo così farci quasi una perfetta idea della guisa ond’ era composta materialmente la Biblioteca. Sono poi importanti le brevi descrizioni delle legature; e ponno dar luogo ad utili osservazioni quelle note preposte a buon numero di codici, nelle quali è dichiarato quando e da chi 0 per chi si tolse il libro dalla Biblioteca, e il tempo della restituzione. Noi GIORNALE LIGUSTICO 75 potremo ad esempio vedere come al Decembrio piacesseio molto gli studi della classica antichità greca, cliè il veggiamo di preferenza e più volte rifarsi sopra libri di quella ragione; nè sarà al tutto privo d’interesse il rilevare quali erano le opere predilette dai Duchi stessi, o concesse ai figli a cagion di studio. Oltre di che ci offrono un bell’ esempio della condiscendenza di quei Principi, nello accomodare gli studiosi dei tesori per le loro sollecitudini raccolte. Fatta ragione de tempi quasi direbbesi questo esempio di pubblica libreria. L’importanza poi della pubblicazione di questo inventario fia manifesta a qualsivoglia, sol che rifletta col Rejna « che tra i cataloghi delle biblioteche disperse, alcuni, non solo accrescono il patrimonio dell’erudizione, ma prestano ottimi servigi a chi si faccia ad indagare le vicende della civiltà ». « Infatti (aggiunge a ragione il Nostro) gli Inventar] delle antiche librerie sono i cataloghi delle cognizioni e delle idee, nulla potendo fornire la misura più esatta e precisa della tendenza di queste, dell’ importanza di quelle in una data epoca » (i). I documenti coi quali si chiude il volume sono in numero di 76, e tutti di grande importanza o di speciale curiosità, come quelli che mentre recano conforto allo esposto nel proemio e nelle appendici, formano la base della illustrazione rimandata alla seconda parte. La corrispondenza di Facino da Fabriano è di molto interesse per le particolarità che toccano 1’ ordine materiale e lo stato della Libreria, si çome pel lustro che già godeva e in Italia e altronde. Curioso è il documento indiritto al Prete Janni per richiedergli le opere di Salomone; al quale troviamo premessa una interessante illustrazione, dove in fine ricordandosi un cantare di Giuliano Dati in ottàva rima sopra quel re leggendario comparso alla d) Pag. IX. 7é GIORNALE LIGUSTICO vendita Libri del 1847 > 1° si afferma libretto « rarissimo e forse unico ». Or bene nella Universitaria genovese esiste di quel poema una edizione ben diversa dalla sopra citata, seguendo la quale noi ne diamo fuori una ristampa che uscirà nel venturo fascicolo del Propugnatore di Bologna. E diciam vero, furono appunto le parole del Bibliofilo milanese che ci mossero. Molte altre carte si riferiscono non solo a compre di libri, ma a rilegature, alluminature e minii, non che a spese di copie fatte eseguire in servizio dei Duchi. Sono altresi degne di osservazione le corrispondenze per ricerca di libii fuori Stato ed all’estero; e merita una menzione singolare quel documento che riguarda il celebre Nicolao Jenson, donde appare come il celebre tipografo avesse un deposito di libii in Pavia, per comodo degli studenti che a quella Uni-\ersità concorrevano. Circostanza rimasta ignota al Sardini e al Bernard. Di questo bello ed utile libro non abbiamo detto, lo sappiamo, quanto basta; ma ci e d’ uopo far punto, esprimendo il desiderio vivissimo di vedere presto 1’ altra parte, ben certi che se la presente tiene luogo molto onorato fra le opere di erudizione letteraria quella non « meriterà di venir buttata fra il ciarpame de ferravecchi librarj sui muricciuoli » (r). ANNUNZI BIBLIOGRAFICI La Valle della Vara, Passeggiate apennine di Emanuele Celesia ; Genova 1875, in-8.vo di pag. 52. Dopo la Val di Scrivia ecco un’altra guida attraverso le montagne che s’adergono nella riviera orientale, e dall’ime fosse, dove fra Sestri e Levanto la possanza dell’oro giunse ad aprire insperato e festeggiato varco, s’alzano quasi a perpendicolo le scoscese catene, che furono già (1) Pag. XV. GIORNALE LIGUSTICO 77 conteso confine di due Stati, ed ora amministrativamente partiscono due provincie. Questa gran zona che toglie il nome dal fiume ond’ è attraversata, descrive qui il eh. autore, e fa suo prò’ di tutte le memorie storiche che i diversi luoghi gli richiamano a mente, non dimenticando le tradizioni popolari da lui volte in vivaci leggende. Noi intanto conosciamo, mercè questo scritto, una cronaca di Varese del secolo XVI attribuita a certo Antonio Cesana, e ne pigliam nota per la bibliografia. E poiché siamo qui a parlare del Celesia reputiam debito 1’ annunziare come egli abbia prodotto testé una sua tragedia di soggetto genovese, Paolo da Novi la cui fine infelice è nota per le storie; lavoro che gli procacciò meritamente il plauso generale. Di alcuni nuovi giudizji intorno a Cristoforo Colombo, per Bernardo Pallastrelli; Piacenza, Del Maino 1876, in-8.vo di pagg. 16. Son note le polemiche sollevatesi poco fa per la pretesa canonizzazione di Colombo, specialmente fra il Conte Roselly de Lorgues ed il Cav. Can. Sanguineti. L’egregio Conte Pallastrelli, discendente dalla famiglia stessa della, moglie del Gran Navigatore, e già noto pel suo erudito lavoro: Il suocero e la moglie di Cristoforo Colombo. (Atti e Meni, della Deput. di Stor. Patria di Modena, vol. VI), ha creduto opportuno in una calma e severa esposizione riassumere le ragioni dei contendenti sul gran punto, se cioè Fernando fosse o no legittimo figlio dell’ Ammiraglio. Esaminati i testi e le citazioni, dichiara che legittimo non era. Egli poi meraviglia come il Roselly s’ affanni a gridare che la calunnia lanciata contro Colombo proceda da bassa passione, ed esce nella assennata osservazione seguente: « Ma poteva egli formarsi un tale giudizio degli scrittori singolarmente italiani e genovesi? L’Italia tutta sempre si è gloriata di un tanto suo figlio, e Genova d’ avergli dato la culla. Che se alcuni accennarono ad una debolezza di lui, non cercarono di sminuirne la gloria, ma di servire alla manifestazione di quanto fu tenuto per vero, senza preoccupazione di sognati secondi fini ». E questi sono eziandio i concetti nostri, chè non abbiamo mai inteso menomare la fama del celebre Genovese (abbia 0 no gli onori degli altari), poiché siamo bastevolmente istrutti nella storia intima della società, per chiamare colpa tanto tremenda ciò che allora era così comune ad ogni classe di persone dal Re all’ ultimo suddito. Ci siamo invece ribellati e ci ribelliamo contro il fanatismo di coloro, i quali per farne un santo predicano Colombo un idiota; e in ciò assai più stimiamo sì renda manifesta la nostra carità di patria. Si grida che siamo pochi; meglio pochi colla verità che molti colla menzogna. Il tempo e la logica provvede 73 GIORNALE LIGUSTICO ppi al cambiamento delle parti ; 1’ esempio di Galileo informi. L’ umane cose poi sono sì fatte, che si intende sovente difendere altrui per scagionare sè stessi. Quanto a noi, reputiamo Colombo il più grand’ uomo del suo secolo, anche con un figlio illegittimo ; non è men grande s’ egli ha commesso un fallo; « fallo, conchiuderemo col eh. Pallastrelli, che le storie nel loro complesso ammettono, e che le infedeli interpretazioni, le sonore frasi, e le vane superbie non giungeranno a cancellare ». Punto e basta e per sempre, checché si abbai. Memorie storiche del casato Rusca o Rusconi, raccolte e pubblicate dal March. Alberto Rusconi; Bologna 1875, in foglio. Seguendo il metodo del Litta, l’erudito autore ha esposto in 22 tavole la discendenza di sua famiglia, altro dei rami della celebre famiglia dei Rusca che ebbe signoria in Como, e dalla quale discendono altresì i Ruschi di Lunigiana eh’ ebbero stanza a Monti, a Pontremoli, a Levanto , e che durano tuttavia in Sarzana, in Pisa ed in Genova, ond’ è che una tavola è destinata a questo ramo che possiamo dire nostro. Abbondano in questo lavoro le notizie storiche, raccolte con perspicacia -e diligenza, dall egregio March. Rus coni, il quale promette farlo seguire da altre tavole di monete, vedute e monumenti. Le materie politiche relative all’ estero degli Archivi di Stato piemontesi, indicate da Nicomede Bianchi Sovraintendente ai medesimi; Bologna, Zanichelli e soci 1876, in-8.vo di pag. XXIV — 750. Ci gio\a annunziare per ora la comparsa di questo libro utilissimo, disegnando occuparcene più di proposito dopo averlo esaminato con agio. Intanto ci sia lecito far voti che tutti gli Archivi, come già quelli di Firenze , Lucca ed ora Torino, diano opera alla pubblicazione di regesti in servizio degli studi. Nè vogliamo fin d’ora passarci dal richiamare 1 attenzione de dotti sopra un libro che ci apre la via a tanti tesori, la ragione de’ quali vi en lucidamente divisata dall’ egregio Autore nei Cenni storici proemiali alle materie politiche relative all’estero. Canti popolari delle Isole Eolie illustrati da L. Lizio-Bruno; Messina, D’Amico 1871, in-8.vo di pagg. VI — 243. Se v’ ha regione d’Italia in cui sono coltivati gli studi dialettologici, questa è per fermo la Sicilia, che vanta uomini dottissimi in opera di lingua. Nel valente drappello tiene orrevol luogo il Prof. Lizio-Bruno, che dando fuori questa raccolta mostrò bene non solo quanto ei sia addentro alla ragione filologica del linguaggio, ma sì ancora come siagli famigliare l’erudizione letteraria. Resa piana l’intelligenza del testo mercè una facile ed elegante traduzione in prosa, reca poi i canti nel loro originale, GIORNALE LIGUSTICO 79 facendoli seguire da studi comparativi, e colla lingua comune, e coi molti dialetti italiani. La diligenza onde sono prodotti i canti, e la chiarezza colla quale sono esplicati cogli studi accennati porgono bella prova del sapere dell’ egregio autore e rendono utilissimo il suo libro. Notizie storico-genealogiche sulla famiglia Galleani di Ventimiglia, pei cura di Girolamo Rossi; Lodi, Dell’Avo 1875, in-8.vo di pagg. 55, con stemma e tavola. Premesse alcune brevi notizie intorno a Ventimiglia, e dopo parlato più largamente della divisione in tre ordini de’ cittadini di quella terra ricerca le prime memorie della famiglia Galleani, e delineati i rami che ebbero stanza in Genova, in Nizza, in Avignone ed in Torino, si fa a descrivere la discendenza di quello rimasto in patria e ne divisa i più degni personaggi, ponendo a conforto della sua esposizione 18 importanti documenti. Ci giova rilevare come il Rossi abbia attinte non poche notizie (cosi dichiara) da un manoscritto dell’ autore delle inedite Memorie universali della città di Ventimiglia, P. Agostino Galleani gesuita, conservato appro il Conte Giorgio dell'' istesso casato e cosi intitolato : Raccolta di notizie varie appartenenti alla città e famiglie di Ventimiglia (1776); nè sarà inutile tener nota d’ un libretto a noi ignoto che troviamo quivi citato: Epicherema, cioè breve discorso per difesa di sua persona e carattere fatta da Filippo Alberto Poliero notaro collegiato di Savona; Torino, 1696 per Giov. Zappata, in-8.vo, e così della Relazione fatta dal M. Giov. Girolamo Lanieri delli successi nella città di Ventimiglia in occasione della guerra fra Genova e Savoja negli anni 162j e 1626, operetta inedita inserita dal Galleani nella sua Raccolta ; del quale Lanteri si ha eziandio manoscritto un Discorso dell’ antichità della città di Ventimiglia. Il Prof Rossi è sì noto nella repubblica letteraria, che il dar lode a’ suoi lavori sembraci soverchio. Studi, sul miglioramento e sull’ ampliamento del porto di Genova. Relazione dei signori Prof. Comm. Fort. Ciocca e Cav. W. Chiavacci ("Nella Rivista Marittima, anno Vili, Fase. XII). Progetto di ampliamento e sistemazione del porto di Genova, per Luigi Corsanego-Merli; Genova, Tip. della Gioventù 1876. Si compie, col primo di questi scritti 1’ elaborato lavoro cui intesero con ogni diligenza i due eh. autori, e del quale toccammo a pag. 488 del precedente volume ; e si propone col secondo un modo novello di sciogliere una intricata quistione. Le proposte del Sig. Corsanego-Merli consistono precipuamente in queste tre: i.° prolungare l’attuale molo nuovo fino alla riva opposta, cosicché venga a congiungersi colla via di circonvallazione a mare; 2.0 tagliare 8o GIORNALE LIGUSTICO lo stesso molo alla distanza di 350 metri dal margine della calata del Passo nuovo, formandovi una bocca di 200 metri la quale venga difesa da un pennello in direzione di mezzogiorno ; 3.0 lar partire dalla punta di Capo di faro un altro molo, il quale correndo prima in linea retta verso mezzogiorno, si distenda poi con ampia curva e si prolunghi in direzione di levante di fronte alla punta della Cava. ì^oi incompetenti a giudicare tecnicamente di siffatte proposte, le segnaliamo al pubblico, perchè ci sembrano ispirate dal fine laudabile di rendere più ricca e più illustre la nostra città. Aggiungiamo piuttosto, come semplice notizia storica , che la costruzione di un molo alla Cava fu pure vagheggiata da Paolo Sauli nel suo testamento del 2 settembre 1609, rogato da Giulio Morinello e noto per le stampe; e che le opere di questo molo vennero effettivamente cominciate innanzi il 1683, sì come pare da certi documenti dei quali non è improbabile che in appresso ci occupiamo. Commentario della vita e delle opere del conte Guidobaldo Bonarclli della Rovere, scritto da Giuseppe Campori. Modena. Tip. Vincenzi 1875 in-8.vo di pagg. 90 (Estr. dal vol. Vili degli Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria di Modena'). L’ autore celebrato della Filli di Sciro, che vien posta a ragione a paro col Pastor fido, non avea fino a qui trovato un degno biografo. Il eh. March. Campori volle sopperire alla mancanza, e scorto da documenti affatto sconosciuti ristabilì la cronologia della sua vita, manifestando in Pesaro, dove nacque ai 25 dicembre del 1563, la fortuita patria del poeta, come che di famiglia anconitana colà sbalestrata in persona del Conte Pietro suo padre dai capricci di avversa fortuna. L’ autore ci fa seguire tutte le fasi della vita di Guidobaldo, de’ suoi studi, delle disgrazie e de’ suoi trionfi, fino al dì che viaggiando alla volta di Roma, richiesto dal Cardinale Alessandro d’Este d’onorare la sua Corte, cessò di vivere in Fano li 8 gennaio 1608. Una diligente rassegna letteraria della Filli, ed il novero delle molte edizioni e traduzioni che ebbe, colla nota di altri scritti del Bonarelli, chiudono la pregevole monografia; la quale è seguita da 15 lettere del poeta stesso. Il Sig. March. Campori che si piace di ricerche in Biblioteche ed Archivi, è altresì fortunato possessore d’una pregevole raccolta di codici e d’autografi, il Catalogo de’ quali viene ora compilato dal eh. Sig. Luigi Lodi; e già ne abbiamo la prima parte (Modena, Toschi 1875) c'ie comprende i secoli XIII-XV. Fra gli autografi notiamo una lettera di Carlo VIII (27 nov. 1496), colla quale dichiara suo luogotenente generale Antonio da Campofregoso ; un altra di Galeotto Del Carretto al Duca di Milano (22 febb. 1479); un frammento d’Innocenzo Fieschi (3 febb. 1454); una lettera di Gio. ;Ludovico Fieschi al Marliano vescovo di Piacenza (23 marzo 1498); altra del Mac-chiavelli ad Alberico Malaspina (13 febb. 1499). Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 8l SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (Continuazione da pag. 65). XXII. Sezione di Storia. Tornata del 19 Giugno 1875. Presidenza del Preside avv. cav. Cornelio Desimoni. il socio can. Sanguineti legge una sua Dissertazione indi-ritta a mostrare con esempi contemporanei: Quanto fallace, consigliero sia in materia storica il sentimento. Avvertito perciò come chiunque si lascia trasportare da questo sentimento si tiovi condotto a rappresentare gli avvenimenti non quali sono in realtà, ma quali la commossa fantasia glieli dipinge; soggiunge che con sì fatto procedimento lo storico si cambia in declamatore, e mentre scade di ogni autorità presso gli uomini di sana critica, il più dei lettori è da lui tratto in inganno, e beve per istoria genuina ciò che non è altro che immaginazione. Tra gli esempi che a confortar la sua teorica per mala ventura oggidì non iscarseggiano, il Sanguineti ne sceglie due che bastano a chiarire il suo assunto ed a mettere altrui sul- 1 avviso. Il primo gli viene somministrato dalla recente Guida di Savona pubblicata in essa città nel 1874 dal signor Nicolò Cesare Garone; e specialmente richiama l’attenzione dei colleglli sul capitolo VII, laddove si accumula contro di Genova una serie di accuse, le quali svelano anzi la passione dell’ autore che i torti di questa città. Il secondo esempio è tratto dal libro L’Ambassadeur de Dieu et le Pape Pie IX pel signor conte Roselly de Lorgues; e per quanto si riferisce al medasimo, può vedersi la Dissertazione del Sanguineti prodotta testualmente nel secondo volume di questo Giornale (pag. 401-15). 6 82 GIORNALE LIGUSTICO XXIII. Sezione di Belle Arti. Tornata del 20 Giugno 1875. Presidenza del Preside cav. prof. Federigo Alizeri- Il Preside comincia a leggere le ^bL.oti^ie di Antonio da Semino e Teramo di Piaggio e della loro epoca. Dice come con questi artefici si chiuda fra noi la serie dei pittori volgarmente appellati antichi, e come a ragionar di loro non poche appariscano le difficoltà, rimanendo oscuro s’eglino uscissero di certa scuola, oppure sorgessero per ottime imitazioni, o togliessero forma dal proprio genio. A gittare luce in tal tenebra, disegna l’Alizeri in tre parti la vita di Antonio e di Teramo, per guisa che la prima si attenga al passato, la seconda corra le orme di Perino del Vaga, la terza inchini alla licenza 0 come altri direbbe alla pratica. Indarno si tenterebbe scoprire l’anno di loro nascita ; nè è da aggiustare intera fede al Soprani che segnò quella del Semino intorno al 1485. Ben si accorda a quel biografo rispetto al Piaggio, laddove ci mostra i costui maggiori prima in Zoagli e quindi in Genova. Ma innanzi che di proposito si tratti dei due maestri, dei quali per amicizia stretta e sincera una era la mente ed uno il cuore, è mestieri che si tocchi delle condizioni dell’ arte e del tempo in cui quei valorosi ebbero meriti ed opportunità a primeggiare. XXIV. Sezione di Archeologia. Tornata del 3 Luglio 1875. Presidenza del Preside avv. Pier Costantino Remondini. Il socio Belgrano legge le seguenti Avvertente circa una iscrizione dipinta nella fronte de Palalo di Pagano D’Oria. GIORNALE LIGUSTICO 83 Se alcuno di voi mi ha fatto l’onore di leggere, la mia nuova edizione della Vita privata dei genovesi, rammenterà forse quel eh’ io scrissi nel principio della terza parte, a proposito della epigrafe che ricorre sotto una delle storie dipinte a fresco nella facciata del palazzo che fu del glorioso ammiraglio Pagano D’ Oria. Benché dopo ciò che ne ha scritto 1’ Alizeri (1) , quelle storie non possano verisimilmente più attribuirsi al pennello di Carlo del Mantegna, non vi ha dubbio però che esse spettano a’ principii del secolo XVI ; sì come è chiaro che tutte intendono a celebrare le gesta del nostro eroe. Rimase però in discussione fra gli intendenti quale sia propriamente la battaglia navale che il dipintore volle ritrarre nello scompartimento che riesce sovra del portico, dove è finta come in un cartellino una breve epigrafe; stimando altri che vi si avesse dà ravvisare la battaglia del Ponto combattuta da Pagano nel 1352, ed altri quella della Sapienza, che fu di gran lunga più memorabile, e dalla quale il D’Oria uscì con intero trionfo nel 1354. La iscrizione come si legge prodotta nella Illustrazione della chiesa di S. Matteo del rimpianto nostro collega Jacopo D’ Oria, direbbe così : INSIGNI CAPITANEO AC GE NEROSO MILITI D . PAGAN . . . AVRIE VITORIA (Sic) FELICI P____ IANSIS IMORTALIS MEMORIA. Secondo questa lezione, come ognuno vede, le parole con cui finisce la terza e comincia la quarta riga verrebbero a dire naturalmente populi ianuensis. Ma poiché nei recenti restauri del palazzo, impresi dalla Banca di credito dell’industria na- (1) Alizeri, ‘M.o/içte dei professori del disegno ecc., vol. II, pag. 126-27. 84 GIORNALE LIGUSTICO zionale, 1’ epigrafe è stata ripulita e si è potuta esaminare da vicino, apparve chiaro che se. al P della terza riga succede la lettera O, quasi a giustificare la lettura populi, non si poteva però da questa prima sillaba correre con certezza alla formazione di siffatta parola, perchè la successiva iansis non era si chiara come pareva ammetterla il volume del D’ Oria. Tutto quello che se ne potè rilevare di meglio fu una L al principio, e poscia un insieme di altre lettere mal definito che si credette però sufficiente per coniare di sana pianta la parola laudis che venne quindi scritta nel finto cartello. Richiesto da taluno fra gli amministratori della detta Banca di quello ch’io ne pensassi, ho creduto dovermi mostrare assai circospetto nell’ accogliere la nuova interpretazione; sostenni che a ben diciferare l’epigrafe del palazzo conveniva raffrontarla con altra di quelle che ricorrono scolpite in marmo sulla facciata di S. Matteo, ed hanno il vantaggio di essere ' DO sincrone ai fatti che rammentano. Or poiché questa ricorda che il di 4 novembre 1354 idem... dominus Paganus... in insula Sapiencie in P ortu Longo debelavit et cepit galeas XXX VI cum navibus IIII venetorum, et condusit januam homines vivos carceratos y CCCC cum eorum capitaneo, opinai che appunto le due parole fraintese nel dipinto abbiano in origine dovuto esprimere il nome di Porto Longo. Si noti che appunto per questa vittoria e non per alcun’ altra ottenuta da Pagano, la Repubblica di Genova aveva fatte straordinarie dimostrazioni di gioia; che per questa avea voluto si rendessero grazie a Dio in perpetuo con 1’ annua offerta d’ un pallio e di cerei, ed « al capitano Pagano (dice il Giustiniani) fece dono di tanta somma di denari per comprare 0 per fabbricare una casa nella contrada di S. Matteo ». Ma io non poteva pretendere che la mia opinione, anzi la mia convinzione, la vincesse su quella degli altri; e pur troppo mancavami un documento qualsiasi per confortarla. Quando GIORNALE LIGUSTICO negli scorsi giorni studiando per tutt’ altro scopo ne’ Cartolari della Masseria della Colonia di Pera, mi avvenni in questa nota che è del 6 novembre 1392: Pro brandonis quatuor oblatis m ecclesia sancti Georgii, pro festo victorie Portus Longi, more consueto: Perperi 5. j. È dunque chiaro (e lo è eziandio per molti altri riscontri) che le colonie genovesi al pari della madre patria serbavano vivo il ricordo dei prosperi casi e lo solennizzavano con acconce offerte ; e| che la spesa testé citata ha origine dalla celebrazione del fatto che è rappresentato nel palazzo da S. Matteo, e che propriamente nella lapide sincrona della chiesa omonima e nei documenti officiali si appella la vittoria di Porto Longo. Dopo ciò credo che niuno vorrà più trovare ostacolo alla mia interpretazione; ma converrà che la lapide non bene letta fin qui, si ha da restituire nella sua lezione originaria in questa forma : INSIGNI CAPITANEO AC GE NEROSO MILITI DOMINO PAGANO AVRIE VITORIA (sic) FELICI PORTVS LONGI TMORTALIS MEMORIA. Ma non basta che la convinzione della giustezza di siffatta lettura sia entrata negli animi nostri. Bisogna che noi ci adoperiamo a fare scomparire dal dipinto quel laudis che vi ‘sta affatto a pigione, e che oltre all’ alterarne la genuina lezione lascerebbe affatto in sospeso intorno all’ argomento dell’ affresco, potendosi dar lode a Pagano sì della vittoria della Sapienza e sì d’altre parecchie. E questo giovi del pari a sempre meglio confermare quanto giustamente diceva il nostro egregio collega D. Marcello Remondini: i restauri alle vechie lapidi si eseguiscano con tutto lo scrupolo, e da persone intelligenti; a sciuparle con uno sgorbio si fa più presto che non si creda. 86 GIORNALE LIGUSTICO Il socio Desimoni comunica varie notizie ed opere concernenti alla storia ligustica, di recente pervenute alla Società, cioè: 1.° Un estratto del manoscritto preparato dal socio corrispondente signor Belin per la seconda edizione del lodato suo libro Histoire de VEglise Latine à Constantinople. In questo estratto si toglie a speciale esame la denominazione del celebre quartiere genovese presso quella capitale, ‘Pera o Ga-lata, e si ricerca 1’ età in cui si fatte denominazioni cominciarono ad usarsi o si trasformarono. La Storia accennata, di cui si annuncia prossima la ristampa, riuscirà il doppio della prima edizione, in grazia de’ nuovi studi compiuti e de nuovi libri consultati dal eh. autore. 2.° Un esemplare dell’ opuscolo del genovese Adamo di Montaldo sulla conquista di Costantinopoli per Maometto II nel 1453. Questo opuscolo scoperto nel 1867 da Carlo Hopf in un codice della Biblioteca di Utrecht, e pubblicato dal eh. Dethier nel vol. XXII dei SICommenta Hungariae Historica, sarà ristampato dal Desimoni negli Jltti della Società con opportuni commenti (1). Anche la comunicazione del del detto opuscolo è dovuta alla cortesia del sig. Belin. 3.0 La copia di due brevi scritti inediti, serbati nella Biblioteca Nazionale di Parigi, procurata alla Società dalla gentilezza del socio onorario signor conte Riant. Nell’ uno il genovese annalista Bartolomeo Senarega racconta all’ amico Giovanni Fontano, che ne lo avea chiesto, il celebre fatto di Megollo Lercari a Trebisonda; e sembra al Desimoni che-un tale scritto avesse dipoi sott’occhio il Giustiniani, da che questi fu il primo a parlarne nei suoi *.Annali, nè si discosta punto nella sostanza da quanto narra il Senarega. Nell’altro si riferisce una orazione latina pronunciata da Gottardo Stella t (1) Lo fu difatti nel vol. X, fascicolo 3.0, pag. 287-354. GIORNALE LIGUSTICO 8? al cospetto di Pio II (1). Questa orazione fu già nota allo storico Girolamo Serra (2), ed è anche citata da Michele Giustiniani come esistente nella Biblioteca V aticana fra i codici di Cristina di Svezia (3). Quando e dove 1 orazione sia stata detta non lo accenna il codice ; ma e il nome del Papa cui è indirizzata e la signoria di Francia alla quale vi si accenna essere Genova sottoposta, nonché altre circostanze ivi toccate, ci recherebbero ad ascriverle come data certa il 1459 > e come luogo il Concilio di Mantova. Se non che a questo Concilio era presente uno Schiaffino, conosciuto però fin qui soltanto col nome di Prospero da Camogli. Egli era allora Segretario del Duca di Milano, ed in una sua lettera da Mantova riportata dal socio Vigna (4), appunto si lagna che la Repubblica Genovese non siasi fatta rappresentare al Consesso , perchè sebbene più d’ogni altra potenza interessata alla impresa contro de’ turchi, ne era stata impedita dalla Francia avversa alla crociata. Il Disserente esprime quindi il desiderio che alcuno de’ colleghi voglia applicarsi alla soluzione di questo nodo. Quanto è poi dello Schiaffino su nominato, il Desimoni porge a mo’ di digressione le seguenti avvertenze. (1) Il racconto del Senarega si legge a car. 220-22 del Codice latino cartaceo 5900, intitolato Historia Januensis; e vi è scritto in fronte: Ad magnum et preciarum virum J. Pontanium Serenissimi Regis (Neapoli) majorent secretarium. La Historia Januensis del Codice non è poi altra cosa che gli Annali degli Stella. L’orazione di Gottardo si trova a car. 188 del Codice latino cartaceo 8576 (olivi Balutianus), e reca per titolo: Gotardi Stellae civis ianuensis oratio ad Pium II papam. (2) Storia dell’antica Liguriae di Genova; edizione di Capolago, vol. IV, pag. 268. (3) Gli Scrittori Liguri; Roma, 1667; pag. 484. (4) Codice Diplomatico delle Colonie Tauro-Liguri; negli Jltti della Società, vol. VI, pag. 951. / 88 GIORNALE LIGUSTICO Camogli fu finora considerato essere il cognome di Pro-speio; donde il Fazio (Varale e suo distretto, 1867, pag. 141) lo attribuisce a questa terra della Riviera occidentale. Ma un documento notarile ci apprende invece che Camogli era la sua patria, e Schiaffino il cognome (Procura in Prosperum de Camulio ad exigendum etc., in atto di Oberto Foglietta 13 dicembre 1481; Archivio di Stato: Richeri, Libro fasciato di cartina, pag. 269). Difatti Schiaffino è cognome comunissimo a Camogli; ed un altio Schiaffino, 1 autore degli lAnnali ecclesiastici (all’anno 409), 0ià osservava che il nome di Prospero era frequentissimo colà per venerazione al santo titolare. Si sa che in que’ tempi la patria era sostituita spesso al cognome ne’ letterati, specie nei religiosi. Prospeio da Camogli fu personaggio importante ed astrologo riputato (Giustiniani, Annali, all’anno 1519); fu poi consigliere dell-’imperatore Federico III (Richeri, loc. cit., e pag. 261). Ivi è poi chiamato pure vescovo Cattanense o Cattaniense, ma se s intende di Catania, non è compreso tra que vescovi dall Ughelli, e forse non sedette mai come ta e, giacché in atto del 2 aprile 1479, a rogito di Oberto o0lietta, egli è eletto da quell’imperatore Console in Ge-no\a per la nazione tedesca. La recentissima pubblicazione ( el eh. march. D Adda) sulla Libreria Visconteo-Sforzesca, ricorda a pag. ijo lettere dirette a Prospero Camulo da a&ramoro da Rimini. Costui è forse il Governatore di Genova pel Duca di Milano nel 1468; ed è assai probabile che quella corrispondenza tratti della politica di que’tempi. Con questo Prospero da Camogli non è a confondere (seb-ene saranno d una stessa famiglia) il suo omonimo che ne la prima metà del secolo XV era Cancelliere della Repu blica, uomo aneli egli di vaglia, una cui erudita lettera si dice inserita tra quelle del Cardinale di Pavia (Ammannati); GIORNALE LIGUSTICO 89 e fu lodato come dotto archeologo da Flavio Biondo compagno di lui alle rovine di Cuma (Italiae, illustratae, Basil. 1531, v- 3T3)- Egli era figlio di Nicolò; ed un Nicolò appunto da Camogli, a Genova ebbe uffizi rilevanti nello stesso secolo, e fu ivi conosciuto e lodato di erudizione da Ciriaco d’Ancona (Spotorno, Stor. Letter., III. 396). Lasciamo andare un altro Gerolamo da Camogli vescovo di Scio nel 1470, ed altri; ma osserviamo come riunendo le sparse notizie, una famiglia illustri sè stessa e la patria Camogli, ora fiorentissima per commerci e navigazioni. 4.0 Il socio Desimoni comunica del pari un esemplare della memoria del dottore Paspati di Costantinopoli, inserita nel volume VII degli Atti di quella Società scientifico-filologica. Questa memoria fa seguito all’ altra già pubblicata dal medesimo autore, e ne completa gli studi sui quartieri genovesi a Costantinopoli (1). Il cav. Desimoni si riserva di istituirne una accurata analisi nel corso del venturo anno accademico. 5.0 Lo stesso socio accenna infine alla pubblicazione fatta dall’ illustre Pertz nel volume XII dell’ Archivio per la cognizione della storia tedesca (Annover, 1872-74). Contiene le notizie desunte dagli Archivi e dalle Biblioteche d’Italia ; e se, anche tenuta nel debito conto la circostanza eh’ esse furono raccolte in massima parte dal dotto e benemerito Bethmann fino dal 1854, hanno da giudicare alcun poco antiquate; in complesso però il volume non manca di presentare una speciale utilità pel gran numero delle indicazioni, le quali invano così riunite si cercherebbero in somiglianti lavori italiani. Degna inoltre d’ogni lode è la parte bibliografica per gli artë tichi Stati Pontifici, e quella delle Biblioteche romane che racchiudono e celano tuttora tanti tesori. In questa parte appunto il Desimoni trova registrati alcuni codici delle cronache (1) Ved. Giornale Ligustico 1874, pag. 157 e segg. 90 GIORNALE LIGUSTICO genovesi di Caffaro e del Varagine; altri di notizie sulle famiglie nobili della nostra città; una lettera della Signoria di Genova all* Imperatore intorno ad una vittoria riportata contro il Re d’Aragona; una poesia su Genova, in ottantatrè esametri, del principio del secolo XV ; ed un frammento di statuto genovese. Quest’ultimo specialmente meriterebbe di essere esaminato, per conoscere se abbia per avventura fatto parte di un prezioso Codice che già custodito negli Archivi della Repubblica Genovese ora si deplora perduto. XXV. Sezione di Storia. Tornata del io Luglio 1875. ‘Presidenza del Preside cav. avv. Cornelio Desimoni. Il socio Neri legge: Delle prepotente di Luigi XIV, a proposito di un recente scritto dell’avv. D. Penero. I. Chi si piace trattare argomenti storici, convien scelga a secura guida i documenti, la ragione e la critica, abbandonando affatto quel pernicioso lirismo, che troppo sovente allontana lo scrittore dalle pure fonti della verità, e cambia il severo suo ufficio in quel di lodatore e panegirista. Per sì fatta ragione si palesa rettissima la sentenza di Voltaire, che « l’histoire ne doit être ni un panégirique, ni une satyre, ni un ouvrage de parti, ni un sermon, ni un roman » (1); se non che ad essa non si conformarono invero nè l’illustre filosofo, nè molti degli scrittori che del regno di Luigi XIV in più guise discorsero: altri peccarono coll’adulazione dell’applauso, altri colla malignità d’una critica soverchia. (1) Défense de Louis XIV; Oeuvres, T. IV, pag. 310. GIORNALE LIGUSTICO 91 _i------------------ Più fiate quella mano onnipossente, reggitrice delle cose, ha provveduto alla fama di molti uomini singolari, troncandone lo stame vitale quando appunto la loro stella segnava il dechino; così non avvenne a Luigi XIV. Se dopo ricondotta la pace nell’ Europa, e restaurata la potenza della Francia colla pace fermata in Nimega quel re fosse morto, niuna fosca nube s’ attraverserebbe oggi ad oscurare la sua gloria. Con quei famosi trattati egli aveva raggiunto il fine cui mirava la politica consigliata dal celebre Mazzarino, ed a questi lasciata in redagio dal Card. Richelieu, sì ben condotta fino a quel punto dall’ intraprendente suo genio. Spezzata quella poderosa alleanza mercè cui si manteneva in Europa la non lieta preponderanza d’Austria e di Spagna, e dato assetto all ordinamento politico, amministrativo ed economico della sua nazione , 1’ avea locata nel più alto seggio fra gli altri coevi. Ma se le imprese guerresche di questo primo periodo, come che di lor natura aggressive, trovano una scusa nella ragione di stato, le susseguenti non ponno a questa stregua giudicarsi; ond’ è uopo adagiarsi alla sentenza del Carutti, che « le guerre intraprese da Luigi sì giustificavano piuttosto colle finzioni che colla realtà del diritto, movendole 1’ ambizione adonestata con dei pretesti che sogliono servire di coperta alle mire dei potenti » (i). E di vero come non condannare 1’ esorbitanze d’ un re, che sanciva sì come singolare massima di politica la mancanza di fede ai trattati? E questo inonesto consiglio tramandava ne’ solenni ricordi al Delfino? Infatti pretendendo giustificare la sua mala opera nel misconoscere il trattato di Aix-la-Chapelle, recando innanzi la necessaria rivalità fra la Spagna e la Francia, con sottil cavillo rileva doversi tenere in conto di speciose le clausole d’ amicizia sancite nei trattati; poiché se in pubblico non apparirà dimostrazione veruna (i) Storia del regno di Vittorio Amedeo li, pag. 27. 92 GIORNALE LIGUSTICO di malvolenza, sarà però in segreto spiata 1’ opportunità d’infrangere i patti; di guisa che « on pourrait dire qu’en se dispensant égalment d’observer les traités, à la rigueur on n’y contrevient point, parce qu’on n’a pas pris à la lettre les paroles des traités, quoiqu’on ne puisse employer que celle-la, comme il se fait dans le monde pour celles des complimens, absolument nécessaires pour vivre ensemble, et qui n ont qu’une signification bien au-dessous de ce qu’ elles sonnent » (i). Siffatto modo di ragionare non è conforme a quei dettami della morale, onde converrebbe si rifacessero i reggitori dei popoli; ma il regno di Luigi fu inquinato da ben altri atti di immoralità politica e civile, che se da l’un lato e si faceva banditore di perfidi principii di governo e insegnava coll’ esempio a porli in atto sfacciatamente (gli aiuti dati sotto mano ai turchi informino), dall’ altro lasciava libero il freno alla corruzione ed al mal costume, e la corte, come sempre, n’ era scuola e focolare. Fu dunque detto a ragione che Luigi XIV troppo spesso disconobbe l’eterne leggi della morale (2). Ed in questo concetto ci conforta un dottissimo autore vivente dell’ istoria di quell evo, il quale nel chiudere il quarto volume della sua opera di recente venuta in luce, ci presenta con grande verità la più oscura parte del quadro di quel regno. Egli spiega dinanzi agli occhi di chi legge le conseguenze funeste del lusso smodato e del libertinaggio di Luigi, sopra i costumi e la cosa pubblica; le pompe ed il fasto di Versaglia e degli altri palazzi reali; i giuochi e le lotterie; il riconoscimento ufficiale delle cortigiane e dei bastardi del re (3) ; l’immane (1) Oeuvres de Louis XIV, Instructions pour le Douphin. T. I. (2) Capefigue, Trois siècles de l’histoire de France, T. I, pag. 119. (3) A questo proposito riferiamo alcune notizie aneddote tratte dalla corrispondenza di Ferdinando Raggi, agente genovese a Roma. Ai 29 ln-glio 1664 scriveva: « Avvisano di Francia che vedendo il Re proseguire GIORNALE LIGUSTICO 93 corruzione dell’ alto ceto, e gli sforzi inutili di Colbert per restaurare le rumate finanze (i). Abbiamo detto qui innanzi, che il regno di Luigi XIV chiuse colla pace di Nimega la sua epoca gloriosa, ed è questo pur anco il giudizio da gravissimi storici recato. Ma come sembraci ben definito il sistema politico ond’ erano informati gli atti e le imprese di quel periodo, così noi scorgiamo nel seguito una inconcepibile contraddizione a quelle massime fondamentali; e ci accostiamo in ciò all’opinione di Ranke, espostaci dal suo brillante e dotto biografo Grenier, che cioè Luigi XIV reagisse contro l’idea che apparecchiava la sua grandezza. La guerra d’Olanda, la revoca dell’ editto di Nantes, 1’ appoggio dato agli Stuardi lo ravvicinano al principio spa-gnuolo, quantunque l’idea fondamentale della sua politica sia non tanto quella dell’ unità religiosa, quanto 1’ esagerazione dell’ unità nazionale. La Francia, sotto quel regno, è come una fortezza a cui si tolgono l’un dietro all’ altro i lavori dei posti avanzati. Isolato nella sua potenza Luigi XIV si trova alla fine del la Regina in gran melanconia disse al marchese della Fuentes che procurasse di farla parlare; rispose la Regina: malamente io soffro che il Re habbia un bastardo. Disse l’ambasciatore: che dirà Vostra Maestà che il Re suo padre (Filippo IV) ne ha havuto trentatrè, e ne sono vivi sedici, et io così vecchio come sono mi trovo cinque maschi e tre femine? Sì!...... ripigliò la Regina ». E a’ 13 gennaio 1666 soggiungeva : « Il Re di Francia essendo in cappella et havendo ivi vicino in una tribuna o gelosia madama di Vallier, faceva un gran burlare e parlar seco. Finitala cappella prese il Re per mano 1’ Ambasciatore di Spagna li disse : V. S. si sarà scandalizzato. Rispose : Sire no, il mio Re ne haveva nel medesimo tempo 18 ». (Arch. Reg. Genov., Lettere Ministri, Roma, Mazzi 29-31). Si vegga altresì Mémoires historiques, critiques et anecdotes de France, Amsterdam 1764, T. IV, pag. 411 e 414. (1) Gaillardin, Histoire du règne de Louis XIV, T. IV. Vedi Polybi-hlion, T. XIII, pag. 149. 94 GIORNALE LIGUSTICO suo regno, in un sistema politico totalmente diverso da quello che gli era stato lasciato da Mazzarino (i). Posti questi principii, ognun vede di per sè quanto importi alla intelligenza storica del regno di colui che fu detto per antonomasia il Grande, la ben delineata divisione delle due epoche; imperciocché se nella prima, dato assetto allo interno ordinamento, raffrenata la potenza austriaca, difesa la dignità della nazione contro Roma e la Spagna, egli vide la Francia prosperosa e felice, nell’ altra, avvegnacchè quasi sempre fortunato nelle sue imprese aggressive, si studiò scalzare le fondamenta del glorioso edifìcio; e in cambio d’ essere il legislatore e benefattore del suo popolo, pur mantenendosi sul più alto piedistallo in Europa, spinto dall’ ambizione e dai perfidi consigli dell’incendiario Louvois, pel quale la guerra era un bisogno assoluto, diventò il più ingiusto e prepotente conquistatore (2). Questo re, cui niuno vorrà contendere un ingegno straordinario, non si contentò d’ avere, colla rivalità spagnuola, gettate le basi dell’equilibrio europeo; volle andare più oltre, tentò affogarlo nella sua potenza mirando ad assoggettare ad un solo principato tutti gli Stati; se non che sì fatto principio distruggitore produsse 1’ effetto contrario, consolidò in quella vece la politica bilancia. Quindi è che se noi eziandio ammiriamo col signor Gaillardin il periodo glorioso ond’ ebbe splendore il trono di Luigi XIV, con lui pur condanniamo da poi una politica esterna ben lontana dal mirare alla sicurezza ed all’onore della nazione, uno spirito di conquista aiutato da una diplomazia priva d’ onestà, la cui migliore ma inammissibile scusa si è il dichiarare eh’ ebbe a fare con (1) Saggi e Riviste, Milano 1865, T. II, pag. 35. (2) Schoell, Cours d’histoire des états europennes, T. XXVII, pag. 263 e seguente, T. XXVili e XXIX. — Heeren, Manuale stor. del sistema polit, degli Stati d’Europa (trad. di G. Parola, Milano 1842), T. II, pag. 18 e seg. GIORNALE LIGUSTICO 95 governi nè più leali, nè più disinteressati; un orgoglio in fine che voltò tutta 1’ Europa contro la Francia (i). Adunque se il primo periodo potrà, in qualche guisa, chiamarsi delle riparazioni gloriose ; il secondo avrà sempre nome esecrabile dalle più inaudite prepotenze. II. Non è qui uopo che per noi si ricordi, come Genova fosse nel novero di quelle prime città, contro le quali Luigi XIV volse i suoi cupidi e prepotenti propositi; osserviamo cionondimeno che egli addivenendo a quell’inconsulta ruina, e peggio poi imponendo gli umilianti patti a tutti noti, aggiunse un grave peso alla ornai traboccante bilancia della universale detestazione. Ed è osservabile che un possente crollo alla sua ambiziosa jattanza dovea venirgli da cui sperava, e forse imponeva, aiuti d’ ogni maniera a rendersi padrone della Repubblica genovese, che secondo Saint’Olon e Le Noble sarebbe stata il fiore e la gemma più preziosa della sua corona (2). Ad ognuno ricorre ovvio alla mente il nome di Vittorio Amedeo II, il quale da prima dipendente, come che di mala voglia, dalla Francia, era poi destinato ad aprirsele ostile, e contrastare sì bene alla invadente politica di Luigi da farsi per poco arbitro nelle guerre ch’egli ebbe insieme ai coalizzati, spazzare gli stranieri dal Piemonte, sconfessare una sudditanza oltraggiosa e porsi a paro di tutte le altre potenze d’ Europa. Luigi XIV aveva per avventura immaginato, che il Duca (1) Gaillardin, Op. cit.; Polybiblion, loc. cit. (2) cRelatìone mandata al Re di Francia da Mons. di S. Olon residente-in Genova l’anno 1683. Ms. esistente in molte Biblioteche. — Le Noble, ‘Relation de l'état de Gennes; Paris, 1685; pag. 106. 96 GIORNALE LIGUSTICO di Savoia redando gli ambiziosi divisamente dei suoi maggiori sul dominio genovese, avrebbe potuto giovargli mirabilmente tenendo in mostra un esercito pronto sempre a scendere in campo ai danni del Genovesato. E dava infatti cagione a sospettare un sì fatto accordo, 1’ accampamento dispiegato dai piemontesi in quel terribile anno 1684 nel territorio di Piozzo un trenta miglia lungi da Savona; ma erano ben altri i di-visamenti del Duca, e se forse volle anche in ciò contentare la Francia, egli prevedendo il futuro, finamente pensava rendere atti di buon ora e di proposito i suoi popoli alle armi. Sparì poi ogni più lieve dubbio eziandio nell’ animo dei genovesi, quando nel verno tolse il campo e si ridusse alla capitale. Tanto più perchè a fine di conoscere le mosse e gli intendimenti del Duca, avevano ordinato ad Ottaviano Raggio di seguire destramente l’esercito; ed egli riuscito in tutto ad informarsi dei propositi di Vittorio Amedeo, dava ai Collegi le più ampie assicurazioni (1). ìli. Il Duca essendosi destreggiato in guisa da mandare a vuoto il matrimonio, che gli si volea imporre dalla Francia colla Infanta di Portogallo per i fini ben noti, ed avendo invece sposato in via di transazione Anna d’ Orleans, eh’ era poi da lui, più presto a ragione di certa resistenza che per disistima, poco curata, aveva fatto nascere in cuore a Luigi XIV fondatissimi sospetti sulla sua devozione; ond’ egli spiava ogni più piccola opportunità per accertarsi se in quell’ animo si covassero sentimenti di aperta ribellione. Ma Vittorio seppe porre in opera sì bene quella politica à’ aspettazione, di che ebbe vanto la diplomazia piemontese, da non rivelarsi minimamente, (1) Arch. Reg. Genov., Confinium, Fil. ad anum. GIORNALE LIGUSTICO 97 se non quando potè non solo aprirsi nemico ma imporsi alleato (i). Fra le molte cagioni del mal’ animo del Duca verso il prepotente Re una ve ne fu affatto dimenticata dagli storici, e pure di tanto peso, come quella che ebbe forma di brutale comando, e colpiva un ben affetto di sua famiglia. Intendo parlare delle nozze compiutesi nel 1684 fra il principe Emanuele Filiberto di Carignano e Catterina d’Este, nozze sì fieramente avversate dal Sire di Francia. L’ egregio sig. Avv. Perrero volle riempiere sì fatta lacuna, e sulla scorta dei documenti dettò intorno a codesto soggetto una pregevole monografia (2). L’ autore svolge largamente il suo tema, e dimostra come il Principe di Carignano, sebbene sordo e muto (3) ed in matura età, cedendo alle vive istanze della madre, acconsentisse a toglier moglie; non potendo ammettersi fosse perpetuata la famiglia dal Conte di Soissons, figlio del principe Eugenio fratello al mentovato Emanuele Filiberto, perchè invaghitosi della figlia d’uno scudiero di Condè se l’era bravamente sposata. Caduta quindi la scelta della sposa in Catterina d’Este, ne fu domandato il consentimento al Duca Vittorio, il quale di gran cuore assentì ; se non che appena giunte le novelle a Versaglia,. Luigi XIV levatosi su tutte le furie perchè niuno aveagli domandato il permesso (1) Canestrini, Discorso sulla politica piemontese nel sec. XVII, passim. — Carutti, Op. cit., pag. 1 $0 e seguenti. — Heeren, Op. cit., T. II, Pag- 39- (2) Curiosità e ricerche di Storia Subalpina; Torino, Bocca 1875; volume I, pag. 585-648. (3) « Le comte. Tesauro fit sur ce prince les premiers essais d’un art que l’abbé de l’Epèe a perfectionné. Tesauro porta son élève au point de comprendre ce qu’on lui disait et d’exprimer ses propres idees ». Saluces Alexandre, Histoire militaire du ‘Piémont, Turin 1859, T. V, pag. 52. 7 98 GIORNALE LIGUSTICO di stringere sì fatti nodi, e pretendendo egli essere arbitro eziandio sul fatto dei matrimoni collo imporsi anche in qualità di parroco necessario, com’ebbe a dire argutamente Gio. Francesco Brignole-Sale (i), comandò al Duca impedisse in ogni modo gli sponsali divisati. Il Principe non si voleva piegare in guisa nissuna all’ imperativo ordine, ma persuaso a dissimulare s’achetò apparentemente, e ritiratosi a Rac-conigi riflettendo che poi alla fin fine cosa fatta capo ha, alla chetichella affrettò il negozio, e la mattina degli 11 Ottobre 1684 i buoni Torinesi strabiliarono all’udire che proprio la notte innanzi a Racconigi s’ eran fatti gli sposi. E il Duca n’era davvero affatto ignaro?.... Non è credibile. Tuttavia dice la storia che si giustificò appo il Cristianissimo, e tanto basta! Quando il terribile Re seppe che un povero principe, e per giunta sordo e muto , gli avea giuocato un tiro sì piacevole, apriti cielo ! andò in iscandescenze, ed ingiunse a Vittorio Amedeo cacciasse incontanente da Torino il ribelle destinandogli a stanza Bologna; se no gli dichiarava la guerra ; così almeno scrisse la gazzetta ufficiale d’allora; ed era tomo da farlo, chè i mortai serviti a domar Genova erano sempre caldi. Alla Principessa madre di Carignano vietò il condursi a Corte, e la figlia, principessa di Baden, confinò a Rennes; all’Abate Razzini residente di Modena fece fare un involontario e celere viaggio in Inghilterra (2). Il Principe di Carignano con la sposa e tutta la sua (1) Arch. Reg. Genov. Lettere Ministri, Roma, Mazzo 41. Lettera 14 dicembre 1684. (2) II conte Alberto della Marmora ricordando questo fatto ('^sLoti^e della vita di Carlo Emilio S. Martino di Parella; Torino, Bocca, 1863, pag. 88) scrive la seguente nota:_ « Per far vedere a che punto giungeva la prepotenza di Luigi a tale riguardo, noteremo che il detto residente di Modena avendo ricevuto l’ordine di allontanarsi sul campo da Parigi, fece sapere che non poteva partire in quel giorno, la diligenza per Calais GIORNALE LIGUSTICO 99 casa andò in esiglio, e vi rimase fino al giugno del successivo 1685, in cui ebbe benigna grazia del ritorno dopo una lettera di umile scusa; contento d’altra parte di non essere stato costretto ad irsene in Francia a chiedere perdono di persona, come in quel mezzo istesso era avvenuto al Doge e Senatori genovesi. IV. Ognun ben vede che i narrati avvenimenti svolgevansi in-tantochè si dava opera sollecita ai negoziati per comporre la pace fra Genova e la Francia, auspici il Papa e il Re britannico; e perchè qualsivoglia fatto accadesse, atto a gettare la Corte di Versaglia in qualche nuova ed inopinata complicazione, doveva essere raccolto ed all’ uopo usufruito dagli ambasciatori genovesi a Parigi ed a Londra, cosi di quello onde noi parliamo veggiamo fatta memoria da Paolo De Marini e da Bernardo Saivago, degnissimi uomini cui era affidato quello ufficio nelle cennate capitali. Il primo più largamente ne scrive, e le sue parole ci danno modo di rilevare alcune maggiori particolarità da aggiugnersi alla monografia del eh. Per-rero. Nanzi tutto mi sia consentito ricordare come il De Marini fosse egli stesso una vittima della prepotenza di Luigi XIV, poiché dopo avergli impedito per lunghi mesi di presentarsi a Carte un bel dì, e fu ai 5 Giugno, lo fece imprigionare alla Bastiglia, contradicendo non tanto a quei riguardi dovuti ad un pubblico ufficiale, quanto al giure delle genti che sancisce l’inviolabilità degli ambasciatori. Or tacendone le essendo occupata ; ed il Re spiccò immediatamente un ordine per cui le persone che avevano preso i loro stalli in detta diligenza non potessero partire, ed il legno fosse per l’ab. Razzini (Corrispondenza del march. Tom. Ferrerò negli Archivi di casa Della Marmora) ». IOO GIORNALE LIGUSTICO nostre istorie stampate (i), piacemi narrare il triste caso colle sue parole medesime : « Stamane » egli dice « alle sei hore di questi horologi, mentre io era ancora a letto, è venuto a mia casa Mons. Girò sotto introduttore degli ambasciadori, insieme col Baron della Somerie ufficiale delle Guardie del Gran Prevosto di questa Città accompagnato da alcuni soldati o sia arceri come vogliamo chiamarli. Mons. Girò mi ha fatto aprir la camera ed in sostanza mi ha detto, che havendo Sua Maestà inteso il macello crudelissimo che si era fatto costi di tutti i francesi che vi si son trovati, haveva creduto che io non fossi sicuro in Parigi, e che per prevenire tutti quei mali a cui potesse essere soggetta la mia persona in tali contingenze, giudicava che non vi fosse miglior partito da prendere che farmi andare alla Bastiglia. Io gli ho risposto che come non sapeva nulla dell’ accennato macello seguito costi, così non temeva punto di alcuno inconveniente o disordine alla mia persona, mentre per ogni caso apprendeva per molto diverso il mio da quello di quei francesi che si fossero trovati costì, quando dall’ armata di questa Corona si procurava di mettere tutta in fuoco ed in cenere cotesta Città; che però era nelle mani, non che in casa del Re di Francia, e che dopo haver veduto tante altre cose, che non havrei creduto di dover vedere in questo mio ministero, non mi restava più a vedere che di essere condotto un ministro di Prencipe alla Bastiglia, dopo che il Prencipe medesimo è stato attaccato nella forma ben nota. Mons. Girò mi ha replicato tutte le civiltà imaginabili tanto in riguardo a VV. SS. Ser.me come a me, e che questo non si faceva che per meglio assicurare la mia persona e cose somiglianti che per brevità tralascio; onde io mi sono ve- (i) Ne dice una sola parola per incidenza il Casoni, senza nulla spiegare (yìnnali, T. VI, pag. 224). GIORNALE LIGUSTICO 101 stito et entrato in una carrozza col detto Baron della Somerie et un altro ufficiale col mio scudiero siamo venuti qua, dove io mi truovo al presente con poca speranza di uscirne se non quando il tutto sarà accomodato. Io le supplico però instantissimamente a non rifletter punto alla mia persona in questo, perciò che anche a me preme più assai l’interesse pubblico che il mio, il quale non solo son pronto a soffrire con somma equanimità in loro riguardo il travaglio della Carcere, ma ancora a spargere il sangue e perder la vita se bisognasse in servizio pubblico; nè qualunque gran rischio che corressi io, vale di gran lunga appresso di me un minimo pregiudizio della Republica Ser.ma e della mia Patria; e come se fossi io costì, e un altro qui in mio luogo io non mi muoverei punto in riguardo di lui, così sono sicuro elleno debbano fare, e faranno lo stesso anche per me, a cui basta solamente acquistare il merito di havernele supplicate, non meno che di havere precendentemente approvato tutto ciò che faranno per servizio pubblico, che potesse risultarne in mio pregiudizio » (i). Queste alte e nobili parole ricevevano rincalzo in una successiva lettera, dove il De Marini piacevasi ripetere : « Non si prendano pena alcuna di me, perchè io starò benissimo, e sarò sempre più contento; quanto meno per mia disgrazia ho saputo operare gran cose, tanto più sarò contento di soffrirle, e come il servizio pubblico è sempre stato l’unico mio oggetto, così mi consola fuor di modo la certezza che ho, che elleno ancora non havranno mai altro riguardo che questo, e in ordine a me, anche di bel nuovo ne le supplico » (2). Paolo De Marini (1) L’annalista Filippo Casoni nella sua inedita storia del bombardamento , narra questo fatto quasi colle stesse parole del De Marini ; il che manifesta aver egli consultata la sua corrispondenza. (2) Arch. Reg. Genov. Lettere Ministri, Francia, Mazzo 26. 102 GIORNALE LIGUSTICO seppe mantenere a Parigi tutta quella dignità che ben si addice a rappresentante di Repubblica, nè la prigionia durata sino al Dicembre di quell’ anno lo piegò, anzi gli accrebbe forza e prestigio in faccia ai governi d’ Europa. Non dissimile condotta tennero mai sempre e gli Ambasciadori e gli Agenti e i Consoli cui affidava la Repubblica genovese il carico di politici negozi; ne sono manifesta prova i loro carteggi e le importantissime relazioni, che meriterebbero esser poste al cospetto del pubblico in servigio della storia. La quale si vantaggerebbe a gran pezza sì per 1’ esatto conoscimento dei fatti e dello spirito dei tempi, sì per dedurne giudizi spogli di passione o d’ ire partigiane. E dico che ne verrà gran prò alla verità storica, imperciocché solamente allorquando si avranno sott’occhio quelle lettere e quelle relazioni, potranno tutti, come intanto lo possiamo noi che ne ab-biam letti gli originali, dichiarare non vera la taccia d’ abiezione e di viltà onde si volle di corto contraddistinguere 1’ animo dei nostri legati alle varie corti e repubbliche d’Europa (i). Nò non furono d’animo abbietto e servile, e noi fu quel Francesco Ageno ministro a Londra dalla cui corrispondenza si pretese per fermo desumere l’inesatto e generico giudizio ; ed ogni discreto potrà in breve di per sè sentenziarne (2). Dalle carceri della Bastiglia proseguiva il De Marini nel suo ufficio del trattare negozi, corrispondere liberamente coi ministri delle altre Corti, e trasmettere alla Repubblica non solo le relazioni sopra le faccende di che gli era dato speciale incumbenza, ma eziandio le più importanti notizie degli (1) ^Archivio Storico Italiano, T. XXI della terza serie pag. 24, in uno scritto del signor De Cesare. (2) La corrispondenza dell’ Ageno è sotto i torchi, ed uscirà per le cure del comm. Colucci. GIORNALE LIGUSTICO 103 avvenimenti politici, corredandole di sennate riflessioni e d’ utili avvisi. Quindi è che appena si bucinò a Parigi del matrimonio di Emanuele Filiberto egli subito ne fu istrutto, e così seppe come il Conte di Soissons, nipote del Principe ed erede del Ducato mancando la linea di Savoia e la primogenita di Carignano secondo si sperava, erasi di gran furia recato a Torino a fine di far pressione sull’animo del Duca perchè rifiutasse il suo beneplacito; se non che reputando tutto ciò un semplice chiatto di famiglia, come egli dice, non ne scrisse per allora al suo governo. « Ma adesso » così egli ai 13 ottobre « che presento che questo negozio possa avere considerazioni più alte e radici più profonde non ho voluto tacerglielo. Vuole adunque taluno che questa Corte consideri non solo come possibile, ma anche per probabile, che il Duca di Savoia non abbia figli, forse anche corta vita, e che si sia già concertato che venendo a toccare quegli Stati al detto Conte, egli riceverà presidio francese in alcune piazze del Piemonte, e che a questo effetto qui si desideri e si procuri con grande impegno, che non si mariti il Zio. » Il fatto del viaggio a Torino del Conte di Soissons, non accennato dal Perrero, sembrami di qualche importanza ; imperciocché essendo riferito dal De Marini come avvenuto moke settimane innanzi al 13 Ottobre, e mentre si era udito trattarsi il matrimonio con una sorella del Duca di Parma, e l’essere di più andato munito di uffici molto pressanti di S. M. appresso il Sig. Duca di Savoia, affinchè anche a riguardo di far cosa grata al maggior segno alla Corte di Francia volesse ancor’ egli traversare et impedire al possibile le dette no^e, mi Pare c* dia buona ragione per affermare, aver proprio il Conte in persona recata a Torino sul mezzo di Settembre, la famosa lettera imperativa del divieto regio di cui ragiona il citato autore. Il complesso di questi avvenimenti e la cagione assegnata dal De Marini all’ appoggio di 104 GIORNALE LIGUSTICO Luigi XIV verso il Conte di Soissons, contraddice a quanto espone il Perrero, che cioè il Re volesse mantenersi neutrale in sì fatta contesa, poiché secondo 1’ autore sarebbe stato abnorme che per vantaggiare il ramo secondogenito della famiglia, avesse preteso di condannare esso principe ad un celibato perpetuo. Il Perrero riconosce per converso naturale la parte attiva presa dal Re in questo matrimonio, pel fatto della scelta della sposa che voleva a sè solo serbata. Ora a noi sembra non fosse questo il fine cui mirava la politica aggressiva di Luigi, consigliata dal Louvois, verso il Piemonte ; sì quello di preparare a Vittorio Amedeo, nella desiderata e allor creduta eventualità di prossima morte senza prole, un successore devoto, anzi vassallo della Francia. Ne porgono palese e valido argomento le parole del De Marini, e la missione a Forino del Conte di Soissons. Ciò viene anche più palesemente dimostrato dalle successive comunicazioni fatte dal-1 Ambasciatore genovese in questa guisa : « Pare che qui si pretenda in primo luogo che detto matrimonio debba disfarsi, non so poi su qual fondamento, e che quando anche non si disfacesse, e che venisse a nascerne della prole masculina , questa non possa mai pregiudicare al Conte di Soissons nella successione al Principato di Carignano, e molto meno al Ducato di Savoia, attese le dichiarazioni e le rinunzie fatte dal detto Principe quando il Padre del detto Conte, e fratello secondogenito di lui, si maritò nella nipote del fu Cardinal Mazzarini, per quale si suppone che si dicesse incapace di qualunque successione per esser muto e sordo in quel modo che l’è, e che sol gli bastasse godere in sua vita del detto Principato ». Tutte queste notizie derivavano certamente dalla Corte, e il De Marini, uso nelle sue corrispondenze a rettificare anco i minimi particolari quando ne conosceva la erroneità, queste sempre man- GIORNALE LIGUSTICO I°5 tenne e confortò con sennate osservazioni. E poiché parevagli dover dubitar della vantata rinunzia di Emanuel Filiberto in favore del fratello, alle riferite parole soggiungeva : « ma dall’ altra parte pare strano che se ciò fosse si prendessero tanti impegni e si facessero si gran passi affinchè non si maritasse ». La cagione poi che egli assegna, secondo le sue informazioni, all’ ordine dato dal Re al Duca di Savoia di cacciare gli sposi, si è per havergli (il Principe) mancata la parola datagli di non maritarsi; riferisce poi come si credesse generalmente poter aver gran peso sugli impegni della Corte contro il Principe, 1’ essersi questi mostrato più presto inclinato a Spagna che a Francia. Ma i segreti accordi passati fra il Conte di Soissons e il Re Luigi oltre al ricevere conforto da tutta la corrispondenza del De Marini, 1’ hanno altresì dalla lettera del Principe di Carignano scritta dall’ esilio a’ 20 Dicembre, dove recando ogni cagione’ di sua disgrazia ai mali uffici del nipote, si rallegra sia stato chiamato a Parigi e quindi tolto d’intorno al Re il fomento contrario. L’ affermazione della sopra discorsa neutralità il sig. Per-rero 1’ avrà per fermo desunta dalle lettere della Principessa madre, la quale, fautrice caldissima delle nozze del figlio, anche in questo caso aveva forse tramato un inganno a fine non sorgessero ostacoli da parte del Duca, e nel suo intento era pienamente riuscita. Tanto più poi in quanto sappiamo dall’ Ambasciatore genovese, che il Re aveva mandato sì a lei come alla Prrincipessa di Baden Mons. di Croissl, e Mons. Rosa suo segretario del Gabinetto, per chiedere loro di frastornare et impedire al possibile il figlio e fratello respettivamente dal maritarsi ; rimanendo così provata la loro scienza della volontà regia affatto contraria al matrimonio del Principe ; la qual cosa nel mentre palesa la poca avvedutezza da loro mostrata nel ricevere i pubblici complimenti d’alcune persone della Corte alle prime notizie dell’ avvenute nozze, spiega benis- IOé GIORNALE LIGUSTICO simo i preparativi fatti da entrambe alla chetichella per passare in Bretagna, secondo ci rivela il nostro De Marini. Le due principesse madre e figlia erano appunto colte in questo mezzo dal regio comando di non muoversi da Parigi la prima e non comparire alla Corte, di recarsi l’altra entro 24 ore assistita dal signor di Bussiere a Nantes; il qual confino le fu commutato nella notte in quello di Rennes, dove si recò accompagnata dal suddetto gentiluomo allo spirare del tempo prefissole. Intanto quelli stessi e più altri che eransi rallegrati con madama di Carignano per il maritaggio, ora recavansi in pubblica forma a condolersi della toccatale disgrazia ; ne fra costoro mancarono il Duca e la Duchessa d Orleans e tutti i Principi del sangue. Le ire del prepotente sovrano colpivano altresi e in un tempo, come accennai, la Corte di Modena. Infatti veniva cacciato dalla Francia l’Abbate Razzini residente del Duca Francesco II d’Este, perchè questi sebbene conoscesse la volontà assoluta del Re intorno al matrimonio, pure v’ avea consentito. Il Razzini presa la via di Calais si recò a Londra ; ma questo suo viaggio fu fatto, secondo c’ insegna il De Marini, con segreto accordo della Corte di Luigi XIV, essendosi egli indettato con milord Preston e il signor di Croissy, e ciò a fine d’impegnare la Duchessa d’ York ad interporsi per mezzo del Re britannico in favore di Francesco suo fratello, ed acquetare così con certe prestabilite condizioni la collera francese. I patti che s’imponevano erano di togliere dalle mani di Cesare d’Este le redini del governo e farlo di più uscire dal Ducato, essendo egli più inchinevole all’ Austria che alla Francia, e costringere il Duca Francesco a prendere in moglie una principessa francese, cosa alla quale si era fin’ allora recisamente rifiutato. Se non che le lunghe pratiche fatte all uopo dalla Duchessa d’ York, eziandio dopo che fu innalzata alla dignità di Regina d’Inghilterra nel 1685, si con- GIORNALE LIGUSTICO 107 elusero finalmente coll’ ottenere soltanto il temporario allontanamento di Cesare d’Este, senza però smuovere il Duca Francesco dal suo rifiuto di ammogliarsi secondo i desiderii di Luigi, di guisa che questi fu costretto per ciò cessare dall insistere più oltre, e contentarsi poi quando nel 1692 quegli si disposò alla figlia del Farnese (1). Quanto al Duca di Savoia, s’affrettò a spedire uno speciale corriero a Versaglia onde scagionarsi da qualunque taccia di complicità, e rimuovere il sospetto d’ aver anche tacitamente assentito alle nozze ; ma poca fede gli era data in Corte, sebbene al suo amba-sciadore impartisse ordine altresì di non più recarsi dalla Principessa di Carignano e troncare qualsivoglia commercio d’uffici con quella casa. Intanto cedendo all’ imperiosa volontà di Luigi, egli faceva uscire gli sposi dal Ducato e solo allora e dopo che il Conte Pertengo, giunto a Parigi li 27 Novembre in qualità d’inviato straordinario, riuscì a rimovere ogni dubbio intorno alla persona di Vittorio Amedeo, Sua Maestà ebbe la gran degnazione di ripetere in pubblico che il signor Duca di Savoia avea interamente giustificata la sua condotta appresso di lui. Nondimeno il nostro De Marini osservava, come molti fossero persuasi si volesse coprire colla dissimulazione il mal talento contro il Duca, e ciò nella speranza d’averlo amico in un possibile conflitto contro i genovesi. Era inflitti sempre viva la minaccia d’ una nuova guerra alla Repubblica, ove alle soddisfazioni pretese dalla Francia non si mostrasse presta a consentire ; e perchè appunto le domande di Luigi XIV si rivelarono esorbitanti, ogni lor possa faceano i Padri, specie fidando ne’ buoni uffici del Re d’Inghilterra, a fin che venissero alquanto moderate. Ben s’ augurava adunque il De Marini che da questo nuovo (1) Abbiamo rilevate queste notizie dal carteggio di Bernardo Saivago. Arch. Reg. Genov., Lettere Ministri, Inghilterra, Mazzo 3. io8 GIORNALE LIGUSTICO rumore potesse venirne qualche beneficio, poiché doveva riuscire manifesto ai principi d’ Italia di quanta importanza sarebbe stata quella lega, della quale si andava già parlando a bassa voce, indiritta a porre un argine all’ invadente politica di Luigi e del suo famigerato ministro Louvois ; ond’ egli soggiungeva come quei Principi dovessero in fine risolversi, e per la tragedia di Genova, e per gli affari di Mantova « et anche per queste nuove occorrenze insorte a riguardo del matrimonio del Principe di Carignano, vedendosi ora mai che chi non è francese , e non corre verso questa corona, 0 con un’ ubbidienza cieca, o con servitù, non può più vivere, non che maritarsi se gli piace, et a suo modo ». V. Nè di questa nuova prepotenza lasciò di giovarsi accorta-mente il ministro Saivago a Londra, collo scopo di spingere il Re ad occuparsi con maggior vigore delle cose della Repubblica in ordine alla sua mediazione presso la Corte di Francia. Bernardo Saivago, che in qualità di segretario della Legazione aveva già rappresentato la Repubblica presso la Corte di Francia per ben 13 anni, e da solo sbrigava gli affari dopo la partenza del residente Paris Maria Saivago, avea dovuto subire pur egli gli effetti della prepotenza di Luigi, coll’ essere per poco cacciato dalla Francia. Ciò avvenne nel- 1 Ottobre 1681 in cui i Collegi lo richiamarono improvvisamente, facendogli noto che Giuseppe Domenico Giustiniani agente francese in Genova, aveva loro communicata una lettera del signor di Croissy, nella quale si diceva per parte del Re, che non essendo soddisfatto della condotta del Saivago desiderava fosse subito richiamato e spedito incontanente altro ministro in sua vece. Il zelante diplomatico in una dignitosa risposta mostrava quanto la malvolenza e la doppiezza dei ministri francesi avesse procacciato a lui co- GIORNALE LIGUSTICO desta novissima ingiuria, ma s’ allietava nell’ onesta rettitudine di sua coscienza soggiungendo: « mi rimarrà sempre la consolazione di non haver cosa alcuna da rimproverarmi, non havendo in verun modo contribuito ad attirarmi meritamente una tale dichiarazione di S. M., nè a rendermi, in tal guisa, indegno della continuazione di quel generosissimo gradimento, di cui VV. SS. Ser.me hanno fin qui honorato le mie fatiche, attenzioni e sforzi di buona volontà, co’ quali ho usato ogni mio studio per incontrare le loro soddisfazioni, unica meta d’ogni mia operazione e pensiere ». Nè si rimase dallo esporre sensi di ben giusta protesta nella lettera di congedo da lui diretta al Croissy, lettera che fu recata nel reale consiglio, dove si stabilì far dono al Saivago, in nome del Re, d’una ricca catena d’oro, quasi a mitigare la violenza del prepotente comando. La disdetta del Segretario genovese si assegnava a due cagioni: alla sua grande perspicacia nello indagare le cose politiche della Corte, e alla sua dimestichezza col rappresentante di Spagna. Ne troviamo la prova nel seguente brano di lettera del suo successore Paolo De Marini. « Da persona molto bene informata delle cose di qui, mi è stato riferto, che non ostante che S. M. ha-vesse ordinato che si facesse un regalo di una collana d oro molto ricca e bella al M.co Segretario Saivago per una apparenza di buona soddisfazione, ad ogni modo ne fosse così poco soddisfatto che havendo inteso che si fermava in Lione ordinasse a quell’ Arcivescovo e Governatore insieme che gli facesse intimare che subito ne partisse ; e pure, come elleno molto bene sanno, egli vi stette sol quanto convenne peL aspettare che io ci arrivassi, e dopo il mio arrivo quattro o cinque giorni e non più per darmi qualche infoi inazioni e notizie. Ma qui erano talmente ingelositi della sua grande habilità, et eguale attenzione unite ad altrettanta entratura e confidenza con tutti i ministri degli altii Piencipi, no GIORNALE LIGUSTICO che un’ hora ne sembrava mille, fin che egli uscisse di Francia » (i). Ricondottosi il Saivago in patria ebbe poi ufficio di legato straordinario a Vienna nel 1684, per sollecitare aiuti diplomatici e materiali nelle presenti distrette della Repubblica, e subito dopo venne eletto residente a a Londra in luogo di Carlo Ottone. Segui egli le pratiche da questi iniziate per ottenere la interposizione di Re Carlo fra Genova e la Francia, e si giovò eziandio, come accennammo, del recente fatto del matrimonio di Emanuele Filiberto; ma non ebbe quel felice successo che ripromettevasi da principio; imperciocché il Britannico non rinnovò alla Corte francese col dovuto calore le promesse istanze, e fini col non occuparsene affatto, lasciando ampia balia al Cristianissimo di prendersi quelle soddisfazioni che più tornavangli a grado. E questo suo procedere rimane spiegato quando si sappia eh egli subiva l’influenza dell’ambasciatore di Francia, il quale godeva la protezione della reale favorita la Duchessa di Portsmouth (2). Ma la stella del gran Luigi, come che già volgesse al dechino, era pur sempre si possente che a Genova non fu risparmiata 1 onta di un clamoroso perdono; non valsero contro il prepotente e superbo volere gli uffici del Papa, il cui (1) Questo fatto che tocca il Saivago può leggersi eziandio nella citata storia manoscritta del Casoni, il quale anche qui mostra aver letta la corrispondenza ufficiale. —Arch. Reg. Genov., Lettere Ministri, Francia, Mazzi 23 e 24. (1) Ciò narra anche il Casoni nel luogo citato, e la corrispondenza del Saivago lo prova. Nuovo argomento in favore del nostro annalista. — Arch. Reg. Genov., Lettere Ministri, Inghilterra, Mazzo 3. — Sulla preponderanza della Duchessa sopra Carlo II, veggasi Macaulay, Storia d Inghilterra, T. I, pag. 269, II. 155 (ediz. Pomba). Circa alla Lettera sul bombardamento scritta dal Saivago, veggasi Giorn. Ligustico, anno III (1876), pag. 42. GIORNALE LIGUSTICO 11 1 Nunzio peraltro, a testimonianza del De Marini, manifestò a Parigi una condotta ostile ai genovesi, versipelle e codarda. Nè il Duca di Savoia fu lasciato in pace, chè oltre allo aver dovuto concedere due suoi reggimenti alla Francia, fu indi a poco costretto ad uscire in campo in una guerra miseramente ingiusta contro quei valdesi fedelissimi, dai quali doveva poi ricevere prove di grande devozione e non comune eroismo. Da questi avvenimenti ebbe principio lo scadimento morale e materiale d’un Re, che poteva, mercè il suo genio e la sua potenza dare un assetto stabile e duraturo all’ Europa, senza che questa avesse poi uopo di ricostituire con un mezzo secolo di terribili guerre 1’ equilibrio dei suoi Stati. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Scritti Danteschi di Giovanni Franciosi. — Firenze, Successori Le Monnier 1876. La bella fama che il Prof. Franciosi si è ornai acquistata ira i cultori delle lettere per le sue eleganti poesie e le prose piene di garbo e di verace sapere, ha senz’ altro da raffermarsi ed accrescersi dopo la pubblicazione di questi Sci itti Danteschi. Non sono commenti freddi ed incresciosi del Poema sacro, ma vivaci e dotte dimostrazioni delle Ragioni Supremi dell’ Istoria secondo la mente dell’Alighieri, dell Evidenza dantesca studiata nelle metafore, nelle similitudini e ne simboli, e di alcune altre parti tra le più rilevanti e difficili. Condotto da verità a beitela, 1’Autore mette fondo di salda dottrina in ogni concetto, e mostra apertamente come Dante, nutritosi lo spirito alla Sapienza cristiana ne abbia informato, da grande filosofo, tutta la Divina Commedia. Altii ci 'vegga il 112 GIORNALE LIGUSTICO poeta ghibellino, 1’osteggiatore de’ Papi, il lodatore di questo o quel principe, di questo o quel tirannello; il-Franciosi assai meglio il comprende, perchè procaccia, in quella guisa stessa che fece il sommo Poeta, di levar l’animo ad altezza eminente sovra le contingenze umane, per cogliere le universali relazioni delle cose, e quindi apprenderne i fini ed i principj assoluti. E però nelle Ragioni supreme, dell’istoria la prima parte tratta dell’ umana famiglia nella Storia, e vi si discorre dell’ Unità che viene all’ Istoria dall’ unico reggimento di Dio, di G. C. principio di altissima distinzione e di accoglimento nell umana istoria, del come le virtù de’ popoli antichi e nuovi s accolgano in Cristo per amore, del cammino del- 1 umanita dal suo partire al suo posarsi, della perfezione nel tempo e della perfezione nell’eternità, indi dell’umana famiglia innanzi e dopo Cristo. La parte seconda è intitolata Degli Angeli cooperatori degli uomini, e la dottrina dantesca è esposta qui ancora da maestro. La parte terza riguarda Dio nella vita dell’ umana famiglia, cioè la Trinità di Dio nella sua provvidenza, e la provvidenza di Dio e l’umana libertà nell’ istoria. Questo scritto mi sembra il più grave del libro, tanto da meritarsi le assidue meditazioni de’ savj. Il che non è detto perchè si disconoscano i pregi degli altri, chè non sono minori, ma è il soggetto nuovo e solenne che dà a quello una importanza affatto particolare. Insomma, a raccogliere il tutto in uno, non posso non rallegrarmi coll’illustre Professore modenese, che abbia arrichita la nostra letteratura, oggimai così umile, nonostante il vociare ed il gloriarsi continuo, d un volume che fa realmente onore a lui ed alla patria. Prof. I. G. Isola. DUE CORREZIONI. A pag. 22 linee 15-16 si legga: era andato ad incontrarli, e cercavano per Cariate e la Valle D’ Olona ricongiungersi in Pavia cogli altri Imperiali, ^ Pag’ 44 linee 8-9 si legga: colle correnti eletriche e in occasione di confronti cronometrici fatti per le osservazioni sulle stelle cadenti. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO ESPORTAZIONE DI OGGETTI DI BELLE ARTI NELLA LIGURIA , LUNIGIANA , SARDEGNA E CORSICA NEI SECOLI XVI, XVII E XVIII L’Archivio di Stato romano conserva una lunga serie di registri del Camerlengato, in cui fra migliaia di provvedimenti diversi si trovano delle licenze per esportazione di statue, quadri ed altri oggetti di belle arti. Dalle notizie, che ne provengono, si vengono a conoscere sempre l’origine ed il trasportatore di sculture e pitture, soventissimo il soggetto delle stesse e talvolta anche l’artista, le quali cognizioni, in molti casi, da gran tempo sono dimenticate. N’ ebbi prove dalle pubblicazioni di consimili notizie pella Sicilia, pel Piemonte e pella Francia, poiché si vennero a verificare varie erronee credenze per riguardo alla provenienza od al tempo della medesima, al soggetto ed alla più o meno antichità di marmi e dipinti. Si è pertanto con isperanza di far cosa grata agli studiosi di storia patria della Liguria, che io qui presento quanto mi fu dato trovare di loro interesse. Tenendo conto che la Repubblica genovese dominò od ebbe strette relazioni con isole e provincie confinanti, unii alle notizie della Liguria altre, e sono poche, appartenenti alla Lunigiana, alla Sardegna e Corsica. Forse potrà qualcuno pensare che le molteplici spedizioni non avessero sempre per meta Genova, ma di qui andassero talvolta per altre parti dell’ Europa; io invece crederei tal pensiero non ben fondato. Infatti i cognomi stessi indicano quasi sempre trattarsi di genovesi, come i Pallavicino, Spinola, Pinelli, Costa, Botta ecc. ecc., riducendosi a pochissimi quelli aventi dello straniero; per altra parte quando la 8 ii4 GIORNALE LIGUSTICO esportazione era per i Paesi Bassi e peli’ Inghilterra, toccando Genova, ciò io trovai ben specificato. Fatta pertanto eccezione dell’ esportazione di medaglie comuni, di cui, mercanti genovesi potevano far traffico, crederei che tutte le statue ed i quadri sieno restati nel luogo, ove furono da Roma mandati. Gli studiosi di storia locale potranno con le indicazioni mie, accertarsi se e dove esistano gli oggetti di belle arti venuti da Roma nei secoli XVI, XVII e XVIII. Di registri più antichi del 1571 l’Archivio di Stato romano non possiede; si dice che ve ne siano negli Archivi del Vaticano, i quMi ben inteso sono inaccessibili. S’ingannerebbe poi chi credesse che solamente gli oggetti d’ arte esportati con la necessaria licenza e relativo pagamento fossero quelli venuti da Roma nella Liguria, Sardegna, Corsica e Lunigiana, poiché a giudicare dai frequenti editti con punizioni severe pei contrabbandieri', questi devono essere stati molti e frequenti. Oltre questa supposizione devesi conoscere che talvolta, e spessissimo poi nel secolo XVIII, le licenze non portano specificata la vera destinazione, bensì si nota soltanto che gli oggetti andavano fuori dello Stato ecclesiastico. Resta pertanto difficile di conoscere la destinazione, e tanto più quando al nome del possessore vien sostituito quello dello spedizioniere o dell’agente, che accompagnava la spedizione, come accadeva talvolta. Ho raccolte pure queste licenze senza specificata destinazione, le quali non potendo entrare nelle varie regioni, costituenti un mio lavoro sull’esportazione generale da Roma, pubblicherò poi nell’ Savona, 22 ottobre ifSj. — Ottavio Costa manda a Savona cinque busti di marmo con loro testa, un busto con la testa di Venere, due statuette attaccate insieme, una statuina piccola, una lupa con Romolo e Remo piccolissima, un cagnolino , tre aguglie, dieci palle di mischio tre pietre da mettere sopra scritture; cose tutte moderne. ( £3 Genova , 9 febbraio 1588. — Tommaso Pallavicino riceve a Genova una tavola di marmo mischio, lunga palmi dieci. Genova, 17 maggio 1590. — Il magnifico Mareto Sebastiano spedisce a Genova tre statue di marmo bianco, cioè una Venere con un Cupido, un Adone con il cane ed un Mercurio. Chiavari, i.° febbraio 1/92. — G. B. Costaguta genovese manda a Chiavari sopra la barca di padron Vincenzo Descalzo una tavola di marmo mischio, incassata, lunga palmi tre in circa e larga palmi 2 ’/,. Genova , 16 settembre 1595. — Gio. Henriquez de Herrera spedisce a Genova per servizio di un suo amico un mortaro di porfido rosso con il suo pestello. SECOLO XVII. - ' Genova, 18 maggio 1600. — Tommaso Pallavicino conduce a Genova un tavolino di marmo mischio. 2 Genova, 19 aprile 1602. — Orazio Negri porta a Genova 26 statue non specificate. ï Viareggio, 2$ maggio 1602. — Il cardinale Bonvisi manda a Viareggio 19 teste di marmo ; 11 antiche, parte imperatori, parte donne, il restante moderno, e due tavole moderne di marmi mischi intarsiati per suo servizio. U Sardegna , 18 maggio 1602. — Salvatore Ischierdaes spedisce in Sardegna un Crocefisso in legno grande di palmi sette incirca, nuovo, dipinto , dentro cassa chiavata. S Genova, i) novembre 1604. — Bessio Tartaglia milanese conduce a Genova 30,000 medaglie e 14 quadretti in rame di diversi. Savona , 28 febbraio 1604. —■ Ottavio Costa porta a Savona un arme di marmo di Clemente Vili con un’ iscrizione d’ un altare privilegiato ed un vaso da tener acquasanta con i suoi ornamenti di marmo. Genova, 6 aprile i6oj. — Stefano de Nobili spedisce a Genova le seguenti statue'di peperino: un pastore con sei pecore ed un cane, con due altre statuette di tre palmi 1’ una. i r 8 GIORNALE LIGUSTICO Genova, i6 febbraio 1607. — Li Padri di Sant’Andrea della Valle fanno venire a Genova per servizio della loro chiesa un paio di colonne pidocchiose con il loro finimento per un altare ; e a dì 4 luglio ricevono la metà di un altare, cioè pietre pilastri ed altre cose. Genova, 30 marzo 1607. — Ottavio Costa manda a Genova tre leoncini di sasso piperino moderni. Genova, 30 maggio 1607. — Il Duca de Alviso (o Alsisto?) spedisce a Genova due tavole di marmo : una di marmo pidocchioso liscia lunga 7 palmi e larga 5 e I’ altra in ottangolo di marmo bianco intarsiata, j Genova, 21 giugno 1607. — Ambrogio Pozzobonelli manda a Genova una Diana cacciatrice, un Paride, una Roma, un villano, una ninfa, una musa, altro villano, un Esculapio, statue tutte parte moderne o restaurate in gran parte. Savona, 25 maggio 1608. — Giov. Stefano Gavotti manda a Savona un paio di colonne giallo moderne e loro finimento che sono per un altare ; il tutto moderno. Genova, 31 maggio 1609. — Giovanni Antonio Guasco spedisce a Genova libbre 450 di medaglie; 12 giugno libbre 400 di medaglie di ottone. .Genova, / ottobre i6o<). — Girolamo Rocchi porta a Genova due cani grandi alti palmi 5 di peperino. Genova, 2 gennaio 1610. — Ottavio Costa spedisce a Genova due Fau-stine con i loro petti, un putto con un’anitra in mano, una Cleopatra con il petto : un Iddio che sta nell’ orto, un Ercole di piccola statura con una testa di filosofo, un Giulio Cesare ed una Minerva; statue tutte di marmo, moderne, per uso di sua casa in Genova. Genova, z.° maggio 1610. — Constantino Pinelli genovese manda a Genova 11 teste con i loro busti ed una statuetta di palmi due circa, tutte di marmo, che tendono più al moderno che all’antico, e sette altre teste pur di marmo tutte nuove senza busti. Savona, 14 settembre 1611. — Giovanni Stefano Gavotti di Savona vi manda marmi di sorte diversa che devono servire per una cappella, che egli intende fare costrurre, Genova, 17 settembre 1611. — Giovanni Antonio Guasco spedisce a Genova 27,000 medaglie di ottone. Genova, } marzo 1613. — Ottavio Costa porta a Genova due statue di peperino figuranti le persone di due tedeschi, nuove. Savona, 26 gennaio 1613. — Lorenzo Gavotti conduce a Savona due colonne di breccia alte palmi 11 e mezzo con i suoi capitelli di marmo, quattro pietre di pidocchioso pel telaro della pittura, ed undici pezzi di GIORNALE LIGUSTICO 1 r9 marmi mischi pel piedestallo, che posa sopra l’altare, con quattro pezzetti piccoli di marmo per detto piedestallino; il tutto in 16 casse. 24 Genova, 7 giugno ióiy. — Tullio Solaro porta a Genova sei pezzi di pietra, tre d’affricano e tre di breccia, cose di poco momento. Genova, 22 gennaio 1621. — Stefano Bonanni invia a Genova diversi marmi bianchi e misti con una testa per fare un deposito esistente in 14 cassette. 2; Genova, 31 agosto 1624. — Ottavio Costa manda a Genova le seguenti teste: Scipione moderna, Giulio Cesare moderna, di Sabina moderna, tre testine piccole con petto moderne, due teste ordinarie con petti di Vitellio Domiziano, moderne; due altre incognite moderne, due teste di filosofi con petto, moderno ; 4 figurette di putti di due palmi con un terminetto, moderne ; una testa di Cesare con petto ed un giovane incognito, moderno; 5 altre testine diverse con petto di mal maestro, 5 pezzetti di bassi rilievi antichi di goffo maestro ; due teste consolari in lavagna con un puttino, parte antiche e parte moderne; due figure di Lucrezia e Tarquinia, moderne di due palmi; un vaso ovato di porta santa con due vasetti d’alabastro moderni; una tavola di marmo commessa di varie pietre di 5 palmi moderna. 'l Genova, 16 febbraio 1626. — Ottavio Costa ottiene di condurre parte a Genova e parte a Malta e Napoli due colonne di giallo, di 13 palmi di altezza, un pilo di marmoro affricano con il suo piede ed un’ arme fatta in bottega di maestro Bartolomeo Angelini, due colonne di marmo bigio, di palmi 14, fatte in bottega di mastro Antonio Sofagi; due colonne di marmo bianco di palmi sette con capitelli ed architravi ; una colonna di granito di palmi nove ; due altre di granito di palmi sei ed un pilo di marmo bianco ordinario ; una lapide per uso di sepoltura commessa di marmore. Genova , 16 febbraio 1626. — Nicolò Botta genovese manda a Genova 10,000 medaglie di ottone. /; Albenga, marzo 1627. — Ottavio Costa spedisce ad Albenga una testa consolare grossa con peduccio di affricano moderno; una testa di Giulia Mammea con peduccio simile, restaurata parte antica e parte moderna, con una testa di un vecchio coronato di èllera di bassa maniera ; un petto antico, una testa grossa con petto e peduccio di vitello e parte moderna; una testa di Deità di donna parte antica con petto moderno del naturale ; una testa di Livia frusta ritocca sull’ antico con petto moderno del naturale ; una testa di vecchio incognito con petto e peduccio ordinarii, ritocca sull’ antico ; una testa di giovane riccio con petto consolare tutto 120 GIORNALE LIGUSTICO moderno; una testa del naturale di Scipione con petto tutto moderno; una figurina di un gladiatore di 5 palmi, parte antica con il resto moderno; una quadriga di due palmi di bassa maniera con un peduccio moderno ; una figurina di basso rilievo di 2 palmi con lettere di bassa maniera; 5 mascheroni, due grossi e tre piccoli moderni: 20 pezzi di tondi e quadri lisci d’ un palmo di pietra diversa, due cani a sedere di pipirino con due termini di peperino; due figure consolari che si pigliano la mano di palmi 3 di altezza, parte antiche e parte moderne, commesse in nero di bassorilievo corniciate di marmo bianco, modernamente restaurate, due teste del naturale con petto di Settimio Severo e di Giulia sua moglie in nero marmo di basso rilievo, parte antiche e parte moderne, con aicuni puttini tra essi, rifatte quasi tutte da maestro Egidio Moretti scultore. Genova , / dicembre 1629. — Gio. Vincenzo Imperiale porta a Genova sei figure di marmi restaurate cioè li sei pianeti: Saturno, Giove, Marte, \ enei e, Mercurio e Luna alti palmi 7 incirca, parte nude e parte vestite, con un amore e due fauni nudi di simile altezza con li torsi antichi rifatti e ritoccate modernamente, con braccia, gambe e teste rifatte con due due teste con petti di Antonino ed Adriano imperatori, tutte restaurate modernamente e cose ordinarie; due figure seminude di Bacco e di un imperatore greco alte sei palmi incirca, con un Apollo e Meleagro nudo di tre palmi, con due testine con petti ordinarie e tutte restaurate con gli torsi antichi e teste ed il resto moderne e tre altre figure di Venere, Bacco ed Apollo con un villano vestito alte palmi 6 a 7 incirca con amore in piedi et uno a giacere, con 4 teste: due di donne antiche e due consolari e figure diverse e due altre figure diverse comprate in tutto scudi 500. Genova, 4 ottobre 1631. — Vincenzo Moretti pittore manda a Genova tre quadri di frutta in tele d’imperatore, con un altro simile di palmi 4; due vasi di fiori da testa; 3 quadri in tela d’otto in sei palmi con la scarcerazione di S. Pierro e con Giuditta e con miracolo dell’ infrazione dei pani, moderno, 5 altri in tele di sette e 5 palmi con varie istorie del testamento nuovo, con uno che suona con una donna che canta; cinque altri quadri di tele d’ imperatore di santi e sante diverse con un Cristo coronato di spine ed una Madonna con il figlio, moderni; 4 altri quadri moderni di tela d’imperatore, cioè una Madonna con il figlio, altro più piccolo di palmi 4, un Cristo ed un transito di Gloria di palmi 4 moderni. Genova, 24 novembre 1632. — Claudio Francesco manda a Genova casse due di corone, di corde di liuto, di guanti e di medaglie. GIORNALE LIGUSTICO 121 3 Genova, 1633 (?). — Monsignor Lomellini spedisce a Genova 5 statue: una figura a sedere alta palmi 6, una imperatrice et una figura nuda alta palmi 7 ’/, d’ una imperatrice, una figura d’Apollo nuda alta palmi 9, una figura di un Bacco alto palmi 7 %, una di Alessandro alta palmi 9 le quali sono di poco valore. 5) Savona, io febbraio 1634. — Monsignor San Giorgio manda a Savona due quadri pari dei SS. Pietro e Paolo con cornice dorata , altro di S. Sebastiano in piede, un ritratto del papa Urbano Vili, altro del cardinale Francesco Barberino, altro del duca Carlo Emanuele di Savoia a cavallo ; altro simile di Vittorio Amedeo; altro del Principe Cardinale di Savoia; altro della felice memoria del cardinale S. Clemente; altro grande della Zingara ; sette quadretti tondi d’ uccellami; un Napoli con cornice dorata; un ritratto del Re di Polonia. 32 Genova, 27 novembre 1644. — Gio. Maria Verzellini invia a Genova 32 quadri moderni. 3^, Genova, 14 dicembre 1644. — L’abbate Gio. Girolamo Curio e per lui padrone Antonio Vellio porta a Genova 6 teste di apostoli in tela di 4 palmi; una santa Cecilia in tela; tre altri in tela d’imperatore, cioè altri paesi dell’istessa grandezza moderni e di bassa maniera. 3q- Genova, 14 dicembre 1644. — Onorato Gini a mezzo del Padron Ro-derigo Borbone manda a Genova pel marchese Villa sette quadri di marine, moderni, e due ritratti di Innocenzo X. 3f Nizza di Provenza, 27 gennaio 1645. — Il Padre Melchiorre Biancardi spedisce a Nizza 7 quadri moderni. Savona, 8 maggio 1645. — G. B. Valtabelze invia a Savona un S. Giovanni, un S. Girolamo in tela di palmi 12, altro S. Giovanni di-palmi 2, un Narciso in tela d’imperatore di mano di Michelangiolo di Caravaggio; altro paese in tela di 4 palmi di Grosseto; 3 paesini; una S. Caterina di palmi 2; S. Filippo con una testa di Madonna piangente; un’Annunziata con l’angelo, di palmi 2; una battaglia; una testa di vecchio moderno; 8 quadretti diversi ed alti da due a tre palmi, quadri tutti moderni. Genova, 3 dicembre 1648. — Monsignor Palazzi chierico di camera manda a Genova diversi quadri moderni. 2 Ventimiglia, 19 gennaio 1649. — Gian Matteo Olignani porta a Ventimiglia i seguenti quadri, cioè un Tancredi di 6 palmi ed 8; un spon-salitio della Madonna; una Pietà simile; un buffone di 4 e 6; e diversi altri quadri grandi e piccoli. Sardegna, 16 giugno 1649. — Antonio Paolo Muro manda diversi quadri moderni in Sardegna. 132 GIORNALE LIGUSTICO 6q Genova, 22 aprile 1631. — Cornelia Fucari de’ Gavotti mandavi quadri diversi. Genova, 9 giugno 1636. — Monsignor Scotti spedisce a Genova ed a Piacenza due putti di marmo moderni. . Savona, 19 agosto 1664. — I Protettori della Madonna SS.™3 della Misericordia di Savona vi portano un basso rilievo di marmo figurante la visitazione di S. Elisabetta (1). àò Genova, 6 maggio 1663. — Giuseppe Maria marchese Durazzi spedisce a Genova 60 quadri diversi. Genova, 20 marzo 1666. — Salvatore Bertarelli porta a Genova 4 busti diversi moderni con le loro teste. ;if Genova, 16 gennaio 1669. — Michele Imperiale spedisce a Genova 4 busti in alabastro con loro teste. SECOLO XVIII. i Genova, 3 aprile 1700. — Il marchese Sigisrrfbndo Raggi manda a Genova 3 statue moderne — 6 dicembre 1702, due statue ristorate di mediocre maniera — 4 maggio 1703, altre tre — 20 ottobre 1703, altre quattro moderne — 21 marzo 1704, tre altre di sei palmi ordinarie moderne. Corsica, 18 luglio 1703. — Li PP. Riformati di S. Francesco in S. Pietro Montorio spediscono a Capo acqua una statua di legno figurante S. Antonio di Padova, statua moderna. Savona, 22 luglio 1703. — G. B. Conti mandavi 15 tele dipinte a Roma. jj Massa di Carrara, 28 agosto 1703. — Gio. Arrighi vi porta 22 quadri piccoli e grandi, tutte copie. Genova, 27 giugno 1704. — Filippo Lombardi spedisce a Genova un paliotto d’argento lavorato da Francesco Monti argentiere al Pellegrino del peso di lebbre 153. ' Genova, 13 febbraio 1704. — Antonio Filippo Lombardi manda a Genova 20 quadri moderni. ^ Genova, 12 dicembre 1703. — Giorgio Morganti manda a Genova 15 quadri diversi tra grandi e piccoli, parte con cornici e parte senza, di diversi ritratti e figure moderne, ed un orologio con statua di metallo dorato di palmi 2 di altezza incirca figurante il tempo. (1) Questo bassorilievo, si come è noto, è del Bernini. GIORNALE LIGUSTICO 123 g PoNTREMOLi, settembre 1707. — Il conte Andrea Maruffi da Pontremoli vi porta sei palle di marmo mischio e due gugliette simili ed un piloccio giallo per acqua santa. ^ Genova, novembre 1707. — Il Duca di Monterotondo spedisce a Genova 4 tavolini di marmo impelliciati, due di verde antico e due di giallo tutti e 4 moderni. Genova , novembre 1707. — Marc’ Antonio Marchella invia a Genova 7 quadri moderni, u Genova, 3 gennaio 1708. — Tommaso Calvi vi manda 60 quadri dozzinali e non di stima. 1(7_ Sarzana , 18 marzo 1708. — Marzio Venturini vi spedisce 80 quadri e quattro statuette di marmo ed un tavolino di pietra impellicciato. Genova, 16 ottobre 1608. — Domenico Rizzi manda a Genova 6 tavolini di marmo d’ alabastro. <(4 Sardegna, 12 marzo 1709. — Padre. Giuseppe Correlli procuratore generale dei Conventi di Sardegna ed Ordine della mercede di redenzione degli schiavi, spedisce pella Sardegna 17 quadri moderni, i. *5. Garfagnana , 7 settembre 1710. — Il cav. Pellegrino Gianni vi porta una croce d’ argento di libbre 3 Yr ■ \G Genova, 20 gennaio 171}. — ■ Stefano Piastri manda a Genova un quadro antico di mediocre pittura. ì% Savona, 3 gennaio 171(1. — Il R. Paolo Pozzobonelli spedisce a Savona 6 candelieri d’argento di libbre 13. I ? Massa di Carrara. — 7 maggio 1712. — Il sacerdote Giuseppe Campi vi porta 20 quadri ordinari. I® Genova, / luglio 1712. — Il marchese Mari vi spedisce 20 quadri moderni, "io Sardegna, 21 aprile 1712. — Gio. Stefano Quirisi vi manda 13 quadri ordinari. S. Remo, io gennaio 171}. — Giuseppe Bosio vi spedisce 9 quadri moderni. , Genova, 17 giugno 171$. — Francesco Tossi manda a Genova un petto di marmo ; cinque modelli di cera con due quadri e due disegni in quadro. Genova, 6 dicembre 1715. — Il marchese Maccarani porta a Genova 5 quadri moderni ed una copia del Guercino. Massa di Carrara, 17 aprile 1716' — Gio. Ceccopieri mandavi 85 quadri moderni. ■2' Savona, 6 settembre 1717. — Il conte Bartolomeo Borelli porta a Savona 22 quadri ordinari. I24 GIORNALE LIGUSTICO Corsica, <) maggio 1709. — Gregorio Ciotti manda in Corsica 14 quadri moderni. Òi Savona, 4 novembre ijiy. — Girolamo Gavotti invia a Savona 4 pietre ossia tavoli piccoli di porfido. Massa di Carrara, ii febbraio 1721. — Il sacerdote don Giuseppe Pelliccia spedisce a Massa di Carrara 15 quadri dozzinali. Genova, 28 febbraio 1727. — Giuseppe Chiari spedisce a Genova una statuetta copia dell’Èrcole di Farnese con suo piedistallo di marmo moderno. Corsica, 9 giugno 1728. — Antonio Santini vi manda 13 quadri moderni. Genova, 3 dicembre 1728. — D. Pietro Giacchino gesuita porta a Genova due tavolini impellicciati di alabastro. Genova, 26 ottobre 172<).—Filippo De Rossi manda a Genova 27 quadri. Genova, 28 gennaio 1730. — Il marchese Antonio Correo manda a Genova 54 quadri 36 de quali in rame, tutti copie. Carrara, giugno 17^0. — Giuseppe Plansetta spedisce a Carrara 39 quadri ed alcuni piccoli sino al n.° di 15. Genova, jj febbraio 17)2. — Giacomo Filippo de Simoni porta a Genova 40 quadri ed una tavola di marmo giallo, ordinari. -^Genova, 17 febbraio 1741. — Monsignor Carlo Spinola chierico della R. Camera apostolica spedisce a Genova 4 candellieri d’argento ed ar-nesi d altare del peso di libbre 25. ,— Genova, 6 viario 1741. — Giacomo Terribilihi manda a Genova due casse di medaglie di ottone del peso di libbre 8,000. Bastia, 19 gennaio 1741. — D. Salvatore Lisco di Bastia in Corsica vi porta una cassa di carte da glorie, in lastra di argento, per uso della Confraternita della B. V. della Concezione di Bastia, e a dì ] ottobre 1741 un reliquiario d’ argento massiccio di oncie 22. Genova, 7 settembre 1741. — Francesco Morichetti vetturino conduce a Civitavecchia per Genova libbre 1,000 di medaglie di ottone. Genova, 21 dicembre 1741. — Carlo Rossi manda a Genova un calice e sua patena d’argento dorato. Genova, 18 gennaio 1742. — Giuseppe Filippi conduce a Genova 4 1e-liquiari d’argento alti due palmi. Sardegna , 28 febbraio 1748. — Gio. Antonio Brandani porta in Sardegna un quadro d’altare figurante S. Basilio, e due paliotti dipinti. Genova, //dicembre 17$9. — Monsignor Gio. Lercari manda a Genova 60 quadri di diverse grandezze, stimati scudi 180, ed un busto di marmo stimato scudi 3 > moderni* GIORNALE LIGUSTICO 125 Sardegna , 31 maggio 1761. — Giuseppe Vannò spedisce in Sardegna un quadro di palmi 15 in 10 da lui stesso dipinto e valutato dal Commissario di antichità per scudi 250. Genova , 17 gennaio 1777. — Il marchese Alessandro Luciano Spinola di Genova vi manda otto piccoli vasetti di moderno lavoro in porfido, stimati scudi 130. .. Genova, j gennaio 1787. — Licenza al Console di Genova di estrarre da Roma una statua, copia dell’ Antino Capitolino, lavorata da vivente artista e stimata scudi 200. SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (Continuazione da pag. 111). XXVI. Sezione di Archeologia. Tornata del 24 Luglio 1875. Presidenza del Preside avv. Pier Costantino Remondini. Il socio Neri legge : Dz Gottardo Stella e specialmente della sua legazione al Concilio di Mantova nel 1459. I. Sullo aprirsi del secolo XV ebbe Gottardo in Sarzana i i natali da Perone di Donato, si come ce ne porgono testimonianza i rogiti di Andrea Griffi degli anni 1408 in 1421, e quelli di Antonio da Villa del 1444 (1). Che egli poi fosse veramente di quella città e della famiglia Donati, ci dice la guisa in che vedesi apposta la sua firma ai pubblici atti innanzi al 1455, e il documento di sua elezione a legato appo il Pontefice nel 1454 dove sta scritto: Gotardus de Donatis de ♦ (1) Arch. Notari di Sarzana. Fil. ad annum — Bibl. Comunale ivi. Frammento di Notulario di Ant. da Villa. 126 GIORNALE LIGUSTICO Sarrana (i); ond’è tolto il dubbio posto dal Serra intorno alla patria (2). Nella città nativa, dove non era diffetto di scuole (3), diè opera agli studi e di buon ora venne elevato a cospicui uffici, tal che dopo essere stato cancelliere del Comune e priore degli anziani, venne spedito a Milano nel 1434 a fine di patrocinare appo quel Duca la causa dei sarzanesi contro quei dell’ Ameglia pel diritto di pesca nel fiume Magra (4). Recavasi poi a Genova, forse trattovi dal suo compaesano Jacopo Bracelli che già fino dal 1419 serviva in qualità di cancelliere la Repubblica, ed ivi ebbe pur egli ugual carico. Ma il suo sapere e 1’ avvedutezza nelle faccende di Stato addimostrata nei consigli dei Padri, furono cagioni che di lui si giovasse il governo nell’ ambascieria spedita l’anno 1438 al Pontefice, ed il vegnente 1439 alla Repubblica fiorentina; dopo di che dimorato in Genova col suo ufficio di cancelliere fino al 1447, strinse patto in quest’anno, consenzienti gli anziani, col re Alfonso, d’ Aragona, al quale venne spedito in qualità d’oratore insieme a Lodovico da Campofregoso (5), e col soldo di scudi 300 appo lui s’ acconciò segretario. Se non che indi a non molto dee per fermo essersi restituito a Genova, chè lo troviamo nel 1448 fra i legati spediti al Duca di Milano. Quattro anni più tardi a Roma è di bel nuovo inviato, dove (1) Arch. Reg. Genov. Instructiones. Fil. 1. (2) Stor. della Liguria, T. IV, pag. 270. (3) Delle scuole di Sarzana si ha memoria in una lettera di Giovanni Manzini del 1388 al march. Spinetta Malaspina edita dal Lazzeri nelle Miscellaneae, Romae 1754. T. I, pag. 185. Nei capitoli fermati 1’ anno 1407 coi genovesi è imposto 1’ obbligo dì pagare col prodotto della gabella del sale salarium magistri grammatice legentis et docentis in terra Sarrane (Landinelli, Relazione di Sarzana, ecc. pag. 97). (4) Arch. Com. Sarzana, Registro Vecchio, car. 41, *recto. Lettera di Gottardo scritta da Milano 21 decembre 1434, presso di me. (5) Arch. Reg. Genov. Reg. Litterarum ad annum, car. 116 e 167. GIORNALE LIGUSTICO 127 ei si reca altresì nel 1454 a fine di dare opera ad una composizione col Re d’ Aragona, auspice Nicolò V il quale con vivissime lettere avea fatto grandi premure ai genovesi affinchè soggetto di conosciuto valore gli fosse spedito (1). Egli sperava cogliere la buona opportunità di far cessare ogni guerra intestina e proclamare la pace generale, a fine di stringere una lega atta fiaccare la prepotenza turchesca, che ogni dì più minacciava il cuore dell’Oriente. Gottardo giunto a Roma quando i pontifici legati s’ erano già posti sulla via di Napoli ed abboccatosi col Papa fu sollecitato a seguirli, ond’ egli incontanente a quella capitale si condusse (2). Ma costretto tornarsene senza aver ottenuto onesto modo di includere la sua nazione nella pace, si dovè contentare, mercè le caldissime istanze di Calisto succeduto nel frattempo a Nicolò, di conchiudere agli undici giugno una tregua col re Alfonso a tempo indeterminato, coll’ obbligo per parte della Repubblica di passargli annualmente la solita coppa d’oro (3). Come serbasse i patti l’iniquo Aragonese è noto per le istorie, così ognun conosce il cinico e superbo messaggio di cui ci volle tramandar copia il Giustiniani. Nell’ anno stesso che Gottardo compì questo pubblico incarico, con atto rogato li 6 dicembre da Marino d’Andora venne accolto nella famiglia Stella , d’ onde il nuovo cognome. Per mala ventura non esistono i rogiti del mentovato notaro, e come che abbiano fermata 1’ attenzione del Federici, oggimai ponno tenersi perduti insieme agli altri molti nel terribile bombardamento (1) Facius Bart. De rebus gestis ab Alplionso, pag. 402-403 (ediz. Ba-siìeae 1566). (2) Facius, op. cit., pag. 403. (3) Facius, op. cit., pag. 405-406. — Arch. Reg. Genov. Materie politiche, Mazzo 15. Ratifica della tregua già citata dal P. Vigna nel Codice diplomatico delle coloni: Tauro-Liguri (Atti della Società Ligure di Storia Patria, vol. VI, pag. 462). 128 GIORNALE LIGUSTICO del 1684, certo è che fino al detto anno 1455 non occorre nelle carte l’aggiunto di siffatto cognome, mentre frequente lo si trova nelle posteriori. Intanto Genova tormentata dai nemici di fuori, nè lasciata tranquilla dalle interne fazioni andava vieppiù scemando di lena, quando nel 1458 il doge Pietro Fregoso propose, e vinse il partito, di offerirne la signoria a Carlo VII aperto nemico del re Alfonso, di guisa che si spedirono legati in Francia a fermare i patti opportuni, e Gottardo fu del novero. Ma la protezione o meglio la signoria dal Sire di Francia non fu abile a far cessare le molestie ond’ era afflitta la nostra Repubblica, anzi le accrebbe i nemici. Al re Alfonso s’ aggiunse il Duca di Milano, il quale proteggendo i fuorusciti ed i malcontenti studiavasi, per sue recondite ragioni, augumentare esca là dove sarebbe stato conveniente gettare acqua a piene mani. I genovesi nell’ intento d’oppore un qualche rimedio a tanto nemico, inviarono nel maggio del 1459 a re Carlo ambasciatori Antonio Lomellino e Paolo Giustiniani, a fine gli persuadessero la utilità d’ un provvedimento efficace a tutelare il dominio del quale egli era signore, ponendo innanzi la proposta d’ una lega coi veneziani, reputata di capitale vantaggio per contenere le voglie ambiziose del Duca di Milano (1). Gli Anziani stimavano opportuno a tale uopo una legazione regia a Venezia; la quale consentita, ordinarono (a petizione degli stessi oratori francesi) sui primi di ottobre a Meliaduce Saivago ed al nostro Stella si trovassero in compagnia di quelli e si governassero secondo le istruzioni che loro si affidavano (2). Se avvenisse 1’ accordo coi veneziani non è chiarito dalle carte ; certo è che questi due medesimi legati furono quelli che poco stante intervennero a (1) Arch. Reg. Genov. Instructiones. Fil. 1. (2) Arch. cit. Fil. cit. GIORNALE LIGUSTICO 129 Mantova in quell’anno medesimo 1459, come dirò più innanzi spacciatomi delle notizie biografiche di Gottardo. Il quale più altre ambascerie sostenne, sì come quella a Milano nel 1461 insieme a Baldassare Lomellino per definire certe differenze con Savona ed alcuni negozi della città (1), e nel 1471 a Sisto IV, e quelle del 1472, 1473, 1475 e *479? secondo abbiamo dal Federici, delle quali però non mi vennero a mano i documenti per dirne con più larghezza. Ben parmi da non passare in silenzio un avvenimento al quale Gottardo si trovò presente, e non toccato dagli storici nostri. Ciò fu la pace fermatasi a Capriana presso Cremona li 20 novembre 1441 fra i veneziani in lega con altri Stati d’Italia e il Duca di Milano (2); trattato dove ebbero lor parte i genovesi, poiché restava in esso stabilito che Filippo Visconti avrebbe cessato dal molestare la Repubblica ne’ suoi possedimenti, e sancita a questa il diritto di mantenere la propria libertà (3). Al convegno cremonese andò ambasciatore Battista Cicala, lo stesso che sullo aprirsi dell’anno era ito a Venezia, sebbene invano, ad uguale fine, e per comando de’ Consigli ebbe a compagno ufficioso lo Stella cui era affidata più specialmente la corrispondenza (4). I capitoli di questa pace esaminati dagli otto a ciò eletti ebbero la ratifica alli 29 novembre, ed il primo del vegnente mese si spedì Giovanni da Vernazza a Cremona latore dell’ufficiale istru-mento al conte Francesco Scorza , mediatore e parte principalissima dello accordo (5). Il fatto della presenza di Got- (1) Arch. cit. Diversorum, N. 83; e Materie politiche, Istruzioni, Mazzo 9. (2) Navagero, Stor. Venez., apud. Murat. Rer. ltal. Scrip., coi. 1107-8. (3) Romanin, Storia di Venezia, T. IV, pag. 201 e 202. (4} Arch. Reg. Genov. Diversorum, N. 960, 1441 ai 14 agosto, 12 ottobre, 25 novembre. — Istruzioni ecc., pag. 166. (5) Ivi, Divers, cit., 29 novembre e 1 dicembre. — Istruzioni ecc., pagina 175. — Li Iteraram, N. 115. 9 130 GIORNALE LIGUSTICO tardo a quella pace ci è da lui stesso accennato in una sua lettera al celebre Francesco Barbaro, nella quale manifesta aver ivi contratta amistà col senatore Francesco Barbarigo, uno fra i rappresentanti veneti colà convenuti (1). L’ultima memoria che ci occorre dello Stella, si è un atto di giuramento da lui ricevuto nella sua qualità di cancelliere 1’ anno 1488 (2). Condusse in moglie Moysia di Giannone Cibo, secondo rilevò il Federici dai perduti rogiti del 1482 di Lorenzo Costa; e fra i figli suoi ebbe fama non lieve Giuliano , aggregato più tardi alla famiglia Soprani, sì per pubblici uffici, come per valore militare; specie poi per quella celebre orazione detta innanzi a Sisto IV contro il re Ferdinando di Napoli, che gli valse la croce dello speron d’ oro (3). Gottardo Stella dee essere posto a buon dritto nel novero di quella schiera onorata onde s’ allietava nel secolo XV la patria letteratura, chè del suo valore ci recano bella testimonianza le lodi del Filelfo, del Biondo, del Barbaro e del Fazio co quali ebbe commercio di lettere. E senza meno debbono aver levato grido fuor di Genova le scritture sue, da che il Barbaro pregava nel 1451 Bertuccio Negro, legato veneto a. Genova, affinché nel suo ritorno recassegli le orazioni e lettere dei nostro Cancelliere non minus gravite.r quam eleganter scriptas (4). Che egli esemplasse il suo stile sui classici ben può giudicarsi, sol che si legga la sua lettera edita dal cardinale Quirini fra quelle di Francesco (1) Franasti Barbari et aliorum ad, ipsum epistolae, Brixiae 1843, Pag- !95- (2) Arch. cit., Diversorum ad annum. (3) Federici, Abecedario delle famiglie nobili genovesi, ms. nella Bibi, della Missione Urbana. — Guglielmotti , Storia della marina pontificia, T- n> Pag. 452, 458, 460. (4) Barbarus, Epistolae cit., pag. 192. GIORNALE LIGUSTICO Barbaro, e le molte altre scritte per ragione d’ufficio, che ponno vedersi nell’ Archivio genovese in più volumi contradistinti dal suo nome; quivi spesso occorre la frase latina culta e corretta del secol d’oro, ed alcuna volta s’avviene il lettore in appropriate sentenze di Cicerone o di Seneca, de’ classici greci o de’ Padri della Chiesa. Sì fatto giudicio conferma eziandio 1’ orazione a Pio II eh’ io pongo a corredo di questo scritto; il quale vorrei fosse sì possente da trarre alla luce il codice, forse autografo etnico , già posseduto dal march. Girolamo Serra dove hannovi un’ altra orazione a Galeazzo Duca di Milano, una lettera consolatoria ad Ambrogio Senarega in morte di suo figlio, un elogio storico a Gaspare Vimercato governatore ducale, e un’ esortazione agli Anziani di Genova dell’anno 1466, lavori tutti degni per fermo di starsene in compagnia onorata con quello che ora si produce. II. Il Pontefice Calisto III veggendo volgere a bene le sorti della crociata, infervorato più che mai nel suo proposito di annichilire affatto la potenza di Maometto, nel 1457 indisse nuova lega onde ragunare altre forze per far impeto sull’ armata nemica. Tutti i principi e le repubbliche furon larghi di promesse, e Genova pure per bocca dell’ oratore di San Giorgio s’ obbligò fornire dieci galere da armarsi coi denari delle indulgenze (1). Se non che i travagli ond’ era afflitta dal Re d’ Aragona e le poco liete sorti interne impedirono porre ad effetto il divisamento; nè meglio tenner fede gli altri Stati, di guisa che l’allegrezza con cui Calisto aveva salutato i prosperi successi del 1457, dovette nel susseguente anno cangiarsi in amari dolori, i quali sì acerbamente lo tor- (1) Vigna, Op. cit., in Atti cit., vol. VI, pag. 632. I32 GIORNALE LIGUSTICO meritarono da farsi precipua cagione di sua morte. « La lega universale, il passaggio, la riscossa di Costantinopoli, la cacciata del Turco dall’ Europa, svanivano ormai come fantasmi disperati. Per altri tutto questo non era che freddo rincrescimento, ma per lui erano spine pungenti e carboni accesi sul cuore, che lo tormentavano giorno e notte. Dunque nell’ età di ottantaquattro anni per queste ed altre brighe, colla successione del regno di Napoli, e i disgusti di famiglia, fu ridotto alla morte la sera dei sei d’agosto 1458 » (1). Tredici giorni dopo saliva il soglio pontifìcio Enea Silvio Piccolomini, assumendo il nome di Pio II. A lui caldissimo predicatore della crociata bandita da Calisto ben spettava raccoglierne il redaggio. Infatti non appena ebbero termine le pontificali cerimonie l’animo intese alla grande opera della guerra, e con virile e solenne bolla aprì il suo proposito e indisse un generale congresso in Mantova di tutti i potentati. Al solenne convegno in cui il Papa ed il Filelfo diedero prova di eloquente sapere, mancarono i legati della Francia e di Genova. Ciò manifesto apparisce da una lettera di Prospero Schiaffino da Camogli (2), dove esprime giusto rammarico ai Protettori di S. Giorgio perchè la sua nazione non s’ era mostrata in quell’ orrevole circostanza (3). Le cagioni perchè gli oratori genovesi non intervennero all’ apritura del mantovano consesso facili sovvengono a chicchessia, sol che si pensi in quali condizioni di sudditanza trovavasi la città di Genova verso Carlo VII tanto avverso alla crociata, da non aver in quel subito nemmanco risposto allo invito del Papa. Ciò nondimeno abbiamo dai commentari di Pio II che fino dagli inizi del (1) Guglielmotti, Op. cit., T. II, pag. 317, 318. (2) L’ egregio cav. Desimoni rilevò primo il vero cognome di Prospero. Vedi Giornale Lig., anno III, pag. 87 e segg. (3) Vigna, Op. cit., in Atti cit., vol. VI, pag. 884, 951. GIORNALE LIGUSTICO 145 9 i genovesi spedirono copertamente un buon vescovo di Corsica, coll’incarico d’ assecurare il Pontefice non avrebbono mancato al debito loro contro gli infedeli, ma non ardivano offerirsi aperto senza il consentimento del Re di Francia (i). Ora le nuove carte ci scoprono in Girolamo Montenegro vescovo di Mariana il legato genovese, che con speciali istruzioni si recò a Mantova a trattare delle cose d’ Oriente e profferire la nazione presta ad aiutare la crociata. Questo in termini generali, chè quanto al particolare delle navi da porsi in corso davano incombenza di parlarne con tutta segretezza al Papa solamente, perchè altrimenti ne verrebbe danno alla patria. Item rem quam vobis aperuimus de viribus parandis etc. in arcano referenda et nulli patefacienda sunt quam sue sanctitati quoniam omnis minima notitia esset occasio maxime ruine (2). Il danno e la ruina erano le temute ire di Carlo VII quando a sua insaputa, e forse nolente, si fossero apprestati i soccorsi. Riesce quindi spiegata eziandio 1’ altra affermazione dei citati Commentari, là dove noverandosi i convenuti oratori esce a dire 1’ autore: Genuenses nondum pubblice aderant, clam tamen auxilia pollicebantur (3). Certo è nondimeno che nel giugno il Pontefice fece istanze novelle perchè pubblici rappresentanti spedissero i genovesi, trovandosi a’ 18 di quel mese eletti all’ufficio Alessandro Spinola e Iacopo Bracelli; ma le sopravvenute difficoltà e forse il volere del Re di Francia ne impedirono la partenza (4). Intanto i travagli della Repubblica aumentavano ogni dì; il Villamarino colle napoletane galere infestava il mare ligustico, Pietro Fregoso mal soddisfatto dei francesi da lui stessi chiamati, volgeva contro (1) Pii II Commentarii etc. (Romae, 1584) pag. 153. (2) Vigna, Op. cit., vol. cit., pag. 878 e segg. e 898 e segg. (3) Pag. 151. (4) Arch. cit. Diversorum, N. 999. 134 GIORNALE LIGUSTICO ad essi le armi. In tanta disdetta non si pensava per avventura alla crociata, o meglio si spiava favorevole opportunità di porre in armi le navi promesse senza recar sospetto alla Francia, e con qualche prò delle pubbliche calamità. L’ occasione venne propizia, chè ai 13 d’agosto Giovanni d’Angiò e 1J Ufficio di Balia richiesero alla giunta sopra la colletta delle indulgenze, di consentire ai Protettori di S. Giorgio l’apprestare dieci galere col danaro destinato alla guerra in Oriente (1). La sollecitudine onde i delegati pontificii si mostrarono pieghevoli alla domanda, ne induce ad argomentare siano venuti in quella deliberazione col recondito fine di ag-giugnere poi a tempo opportuno le pronte galere all’ armata papale. Se non che anche questa fiata restarono delusi nella loro aspettativa, imperciocché Giovanni d’Angiò debellati i nemici di Genova e lasciato il governo della città a Ludovico la Vallee, itosene in Provenza si prese i ventisei navigli allestiti contro i turchi sul Rodano dal Card. d’Avignone, e passato quindi dal nostro porto si portò via altresì le sopra dette dieci galere, veleggiando alla tanto desiata impresa di Napoli (2). Come abbiamo veduto i soccorsi all’ impresa bandita dal dal Pontefice erano stati fino a qui promessi di nascosto da un oratore, che in tutta segretezza si era abboccato col Papa; ma ai genovesi era serbato anche in pubblica forma comparire a Mantova e orare ufficialmente al cospetto di Pio II. É ben vero che le parole dette in pubblico dovevano suonare assai diverse dalle altre già esposte in privata udienza, ma ciò stava appunto nelle condizioni in cui trovavasi la città e nelle circostanze che mossero l’ambasceria. Subito che venne determinato da Carlo VII accondiscendere alle istanze papali e (1) Vigna, Op. cit., vol. cit., pag. 875 e 944. (2) Guglielmotti, Op. cit., T. II, pag. 324. GIORNALE LIGUSTICO I35 spedire i richiesti legati, ne fu dato a Genova avviso toccando della opportunità d’ unire i suoi agli inviati francesi. Non appena adunque si seppe che costoro erano entrati in Lombardia e dirigevansi a Mantova, raunatisi i padri elessero li 25 ottobre a rappresentare la nazione genovese Meliaduce Saivago e Gottardo Stella, i quali trovavansi di presente a Venezia secondo ho di sopra accennato (1). Spedivano incontanente ai due eletti le lettere credenziali colle relative istruzioni compilate da Cristoforo Veneroso, Luciano Grimaldi e Giambattista Spinola; ma reputavano dicevol cosa far precedere il loro arrivo a Mantova da uno speciale inviato, il quale si presentasse da prima ai regi oratori ed esponesse le cagioni ond’ erano stati mossi i genovesi ad eleggere codesta ambasciata. Toccò il carico a Simone Calvo cui era ordinato rappresentare ai legati francesi, non aver potuto la Repubblica nella passata estate dare incombenza a quattro cittadini di recarsi alla Corte pontificia, secondo consigliava il Re, per trattare dei pubblici negozi, prima perchè 1’ assalto dato da Pietro Fregoso alla città ne li aveva distratti, poi perchè avevano saputo per certa scienza come 1’ oratore di Ferdinando re di Napoli in luogo di parlare delle cose turchesche, s’era lasciato ire a violente invettive contro i genovesi senza che il Papa gli imponesse silenzio, anzi visus est ea non invitus audire; facesseli quindi edotti della nomina de’ nuovi legati da unirsi a loro, per condurre a fine le faccende dalla Repubblica divisate nelle istruzioni (2). Notabilissimo è il fatto dell’ essersi rimasti i genovesi dallo eleggere i quattro oratori, perchè stimavano aver ricevuto offesa dal contegno di Pio II verso il legato di Ferdinando, e con ragione lo reputavano quale aperto segno d’animo ostile; notevole, dico, chè nei Commentari trovo (1) Arch. cit. Diversorum, N. 1004. (2) Arci-i. cit., Instructiones, Fil. 1. 136 GIORNALE LIGUSTICO proprio il contrario di quel che qui si afferma; ivi si dice anzi che il Pontefice gravemente riprese l’inconsulto parlare, indegno d’udirsi in luògo dove della pace e salute comune doveva trattarsi (i). Chi dica qui il vero arduo riesce il sentenziare, tutte e due le parti essendo in causa propria; quanto a me esaminando il complesso di ragioni politiche che traeva il Papa verso il Re di Napoli, e l’allontanava invece dai genovesi, inclinerei a credere inesatto I’ esposto nei Commentari: forse in seguito non fu cosi, e dettando a mente ri-posata piacque a Pio disapprovare con quel racconto un fatto per lui poco onorevole. Le istruzioni impartite al Saivago ed allo Stella si riassumono in questo , che ove richiesti siano della obbedienza si debbano governare col consiglio e coll’ esempio dei legati francesi, e se domandati degli aiuti contro il turco, rispondano esser presti a concederli ma dopo il Re e col suo permesso; si regolassero poi ne’ privati colloqui nel modo migliore che la loro sagacia suggeriva (2). L’ orazione di Gottardo s’informa interamente alle ricevute istruzioni e parve non dispiacesse al Papa, da che nella risposta non mancò lodare la devozione dei genovesi; non così andavagli a sangue quella loro servitù alla Francia, nè si tenne dal manifestarlo nei Commentari dove rammenta la cennata orazione: Broccardus (leggi Gottardus) genuensis orator pro sua civitate orationem habuit, ornatam quidem ; sed quae superbam olim urbem, iam servam ostenderet francorum arrogantiae ac tumori anciilantem. Come e perchè si sciogliesse quel celebre congresso di Mantova senza aver approdato a buon fine dicono le istorie; a nostro uopo giova ricordare, che sebbene dalle parole dette dal Papa nella chiusura appaia non aver voluto i genovesi (1) Pag. 133. (2) Arch. cit., Instructiones, Fil. 1. GIORNALE LIGUSTICO 137 promettere i soccorsi, ciò in fatto non avvenne. Indagare le ragioni delle parole abbastanza chiare di Pio II è inutile e vano, quando si ammetta il vecchio aforismo che in diplomazia certe bugie non inducono in peccato; certo è che i legati genovesi governaronsi in quella opportunità con molta prudenza, imperciocché giustamente non volevano seguire nelle larghe promesse i rappresentanti degli altri Stati, ben sapendo come le si riducessero per vecchia esperienza a sole parole; nè stimavano di lor prò gettarsi in una parziale impresa di dubbia riuscita; ma quando intesero l’intenzione ferma del Papa di intraprendere una generale crociata s’ affrettarono a riferirne al Consiglio, il quale deliberò « cooperare al vasto concetto di Roma » (1). Per Gotardum Stellam civem- Januencem oracio habita ad Summum Pontificem. Pium Secundum (2). Comunem omnium penè morem doctissimorum presertim virorum fuisse audio, Beatissime ac Sanctissime Pater, qui Apostolice Sedis conspectum adeuntes, exquisitis laudibus extollere eam cognati sunt; quorum quidem ingenium , consiliumque nec probare satis possum, nec sequi audeo, ubi quanta sit tante Sedis dignitas pro ratione considero. Est Apostolica Sedes, si recte sentimus, Christi sedes et celestis curie ymago suo ordine, sua auctoritate, suisque legibus ita discreta ut qui parere illi vellit, eternam jure videri possit gloriam consequturus. Cujus igitur tantum ingenii flumen esse potest aut tanta in dicendo vis, cujus tot vigilie, tot labores, t$tque studia non inania videri, que divinam hanc religionem suo imperio, suaque jurisdictione celos super egressam satis et pro meritis digne equare se posse arbitretur? Nonne quidem, Sedes hec inferior divine sedi esse non videtur, que sancta, imo et sanctissima appellata, auctoritate quidem par, ubi celorum claves illi permissas esse audivimus, et credimus, representacione quadam pene major, que nulla Deo major in terris posset reverentia exhiberi. Et (1) Vigna, Op. cit., in Atti cit., vol. VII. Parte i.\ pag. 20-21. (2) Circa la provenienza di questa orazione veggasi il Giornale Ligustico, anno III, pag. 86-87. 138 GIORNALE LIGUSTICO nos homunculi terrenis hiis tenebris obruti, quod supra celos est, extollere verbis nostris amictimur. Philosophorum enim sentencia est alia esse bona laudis, et hec in com-paracioneni cadunt humanam veneracionis alia, et hec soli Deo convenire videntur: ego enim illorum ingenium profecto non improbo. Si quid querunt consequentur, sed mutari ut predixi non audeo, omnino ingenio et animo impar, hoc certe verius et probo et sequor. Si tamen quod in terris ministerium representat nec equare nec superare verbis videar, sed tanto quidem consensu contentus fide ac tanto rex ordine ad-amirabili huic et divine sedi cultum et reverenciam exibuisse videor. Te igitur ut Christi vicarium, divine legis custodem, omnium pastorem, sanctissimumque pontificem et veneramur et credimus, personam quidem tuam Beatissime Pater, tot virtutibus laudibusque reffertam quod preteri-torum temporum, nemo pontifex vel superare, vel equare certe te potuit, quis dubitare potest divina sapiencia ad hec tempora fuisse reservatam, nisi ut hiis turbulentissimis temporibus crescente in dies Turchorum et Christiani nominis hostis feritate discordantes conciliare reges, segnes excitare, et contra infideles armare posset, hoc certe donum Christiano populo divinitus datum, quo quidem suscepto, exultare digne et nobis ipsis magis quam tibi congratulari possifmus. Memento , preclare Pater, tua opera , tuisque virtutibus excellere, ut Christianus populus, quos speravit ex te quam maximos fructus conse-quatus (sic), quod facile faciet si omnium pastor, si equus omnium judex esse volueris eque omnium paci, tranquillitatique consulens hoc quidem justo imperio per te suscepto, nemo erit qui suis finibus contentus et quietus esse non velit, paciaturque. Christianorum discordiis quam parare volueris adversus infideles facilior erit expedicio. Civitas enim Januensis inter primas fere tocius orbis civitates fuit, que Christi nomen, religionemque susciperet rebus adversus Christi hostes sepe numero feliciter gestis, nunc christianissimo potentis-simoque regi adiuncta, variis casibus, fortunisque vexata sit, qui chri-stianissimus rex et metuendissimus dominus noster jusserit sue etiam dignitatis et christiane fidei memor nunquam facere recusavit. Quippe que meminit se illi parentibus ortam esse quos nulli labores nullaque pericula pro statu romane ecclesie et defensione christiane fidei umquam terruerunt. Quod autem ad prestandum obedienciam pertinet, et nos Januenses chri-stianissimi et precellentissimi domini Francorum regis subditi, quam obedienciam, christianissima regia Majestas sua prestat, et nos eciam pre- GIORNALE LIGUSTICO 139 stamus, in nichiloque dissentimus ab ejus sentencia , parati ea semper facere in omni re que christianissima Majestas Sua nos facturos voluerit. Habuit enim Romana Ecclesia nos seniper erga illam devotos, et habitura nonquamque recusantes dignitati et amplitudini ejus in summis. Amen. XXVII. Assemblea Generale. Tornata del i.° Agosto 1875. Presidenza del Presidente comm. Antonio Crocco. Il Presidente legge 1’ elogio del comm. Giuseppe Morro, vicepresidente della Società, defunto il 17 luglio p. p. Percorso l’arringo degli studi nel riputato Collegio di Lucca, dal quale uscirono sì lodevolmente ammestrati altri due illustri liguri contemporanei, Lorenzo Costa ed Antonio Caveri, Giuseppe Morro palesò fino dai primordi del nobile suo tirocinio un’ indole temperata alla mitezza di soavi costumi, una mente pieghevole, atta a cogliere il vero nelle austere dottrine, ed insieme una imaginativa che con felice impeto lo traeva allo studio della poesia e delle lettere nella scuola •dei classici. Addottoratosi in legge, non rimise di fervore nel culto di quei grandi esempi, ma con sapiente armonia conciliò l’addentrarsi nei penetrali delle romane antichità col-l’elegante verseggiare nelle due lingue d’Italia. Enumerati gli scritti poetici del Morro, passa 1’ oratore a toccare quelli di prosa; indi si fa a commendarlo quale esperimentato giureconsulto , e guida autorevole nello studio del diritto agli alunni del patrio Ateneo. Rammenta in seguito come fino dal 1840 egli fosse chiamato a siedere nel corpo decurionale di Genova; e come appunto da tale epoca cominci a palesarsi per lui « quello spirito di generosa annegazione e di sacrificio volenteroso che lo sospinse a consacrare gran parte dei suoi pensieri, del suo tempo, del suo riposo al benessere 140 GIORNALE LIGUSTICO del Comune, massime in congiunture di pubbliche calamità, affrontando egli con tetragona costanza i pericoli e con serena alacrità le fatiche. Ripetute volte (così prosegue) prescelto dalla fiducia del Re a nostro Sindaco, ebbe sempre a cattivarsi P amore e la estimazione dei cittadini per la saggezza e lo zelo infaticato che arrecava nell’ adempier gli uffici della sua carica, e per 1’ attitudine a lui speciale di rappresentare con signorile decoro, spontanea gentilezza di modi, e il dono dell’ ornata parola, la diletta e superba sua Genova, massime in occasioni di civici festeggiamenti ». Enuncia per ultimo il comm. Crocco le disquisizioni archeologiche delle quali il Morro negli anni addietro diè saggio in varie tornate della Società; e soggiunge che lui sindaco, la Società stessa appena nascente fu accolta nell’ aula maggiore del Palazzo municipale, quindi ospitata nelle stanze della Biblioteca Civico-Beriana; mentre le giovò poi sempre col consiglio, coll’ opera e col-1’ autorità di un nome intemerato. L assemblea volendo porgere un ultimo tributo di riconoscente affetto alla memoria dell’ egregio e compianto vice-presidente , delibera che l’elogio pronunziatone dal comm. Crocco sia pubblicato negli Atti della Società; e dopo di ciò dichiara chiuso il periodo delle adunanze per 1’ anno accademico 1874-75, decimottavo dalla fondazione dell’ Istituto. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Curiosità e ricerche di Storia Subalpina. — Torino, Bocca 1875. Puntata V. Due delle nipoti del celebre Mazzarino e le relazioni che esse ebbero col duca Emanuele II di Savoia, hanno dato cagione al signor avv. Perrero di dettare una particolareggiata monografìa che apre il presente volume. Le due famose donne GIORNALE LIGUSTICO sono appunto quelle sorelle Mancini che furono disposate l’Ortensia al Duca di Mazzarino, la Maria al Principe Colonna. Costoro non allietarono gran fatto nè molto tempo di lor famigerata bellezza il talamo de’ rispettivi mariti, imperciocché fuggitesi quasi ad un tempo dal tetto maritale scorazzarono quinci e quindi seguite per lunga pezza ed annoiate dalle querimonie de’ maninconosi sposi; ma compensate ad usura dagli accoglimenti gai e festosi di magnati e di principi tocchi dalla inquinata corrente lasciva che muoveva dalla corte regale di Francia. L’Inghilterra accolse per fine 1’ Ortensia , che vi menò quella vita lumeggiata con brevi ma stupendi tratti dal celebre storiografo Macaulay, e descritta eziandio con doppio senso dalla penna sarcastica di Gregorio Leti; il quale ricordando altresì la sorella, itasene alla perfine nella Spagna, la dice con felice epigramma donna « che ha fatto parlare di sé nel mondo per le divisioni col marito, e così grandi che non vi fu altro rimedio per accomodarli che la croce all’ uno ed il monastero all’ altra ». Il eh. sig. Per-rero volendo riempiere non lievi lacune e correggere alcuni errori che si trovano, a proposito delle ricordate, nel bel libro di Amedeo Renée Les nieces de Ma^arin, narra con largo corredo di documenti scovati ne’ Regi Archivi di Torino, gli avvenimenti che si svolsero nella vita intima delle due profughe mentre dimorarono 1’una in Savoia l’altra a Torino , esplicando in più special guisa la parte che v’ ebbe il duca Carlo Emanuele II. Sembra che questi non si lasciasse soverchiare dai sentimenti di vivo affetto inspiratigli dalle belle sue ospiti, e giammai dimenticasse que’ riguardi eh’ ei doveva al duca Mazzarino e al connestabile Colonna; come che spesse fiate il giudicare di così fatto platonismo dalle apparenze sia molto fallace, e riesca vana al tutto la ricerca di documenti atti a provare il contrario. Lo scritto dell’ egregio Autore se può per avventura notarsi di prolissità non sempre 142 GIORNALE LIGUSTICO opportuna, merita esser letto si come fedele dipintura de’ costumi del secolo XVII, e porge esempio di quelli episodi secondarii che svolgevansi nelle corti, trascurati dalla storia generale, ma sempre profìcui a far giudicare degli uomini e degli avvenimenti con i criteri del loro tempo. Quanto riescano utili i documenti alla storia lo dimostra pur qui il comm. Nicomede Bianchi, il quale sì come riesce a ridurre al vero alcuni interessanti particolari della vita di Carlo Botta non esattamente narrati dai suoi biografi, così rivela notizie affatto nuove ed illustra quelle vuoi dai precedenti scrittori, vuoi dalle lettere dello stesso storico semplicemente accennate. Contrariamente a quanto fu detto dai biografi, dimostra 1’ egregio scrittore come il Botta non venisse arrestato per sospetto di congiura contro il Re e lo Stato nè l’anno 1792 nè il 1793, sì bene il successivo 1794, la sera de’ 27 maggio in Castelnuovo-Bormida. Egli trovavasi sulla via per fuggirsene oltre i confini piemontesi, dopo che era stato scoperto il club rivoluzionario di Torino, e l’infame Barolo, un dei caporioni, avea svelato vilmente il nome dei compagni. Dalle carte processuali che pone fuori la prima volta il eh. Bianchi manifesta apparisce la cagione del viaggio fatto a Genova dal Botta insieme al Pelissieri, cioè a fine d’intendersi col Tilly, ministro francese presso la Repubblica, onde promuovere una sollevazione repubblicana in Piemonte. Quel diplomatico era stato spedito in Liguria a bello studio per rinfocolare gli animi, e preparare quelle rivolture che finalmente scoppiarono nel 1797. La sua casa più presto che privata dimora potea dirsi un’ accolta di congiurati, dove si maturavano le sorti future della ornai decrepita Serenissima; quivi, mercè la qualità delle persone cui erano dirette, giungevano di Marsiglia le scritture clandestine che venivano sparse per tutta Italia; e sembra anzi quasi accertato come nelle sue stanze stesse si fosse collocata una tipografica officina. Egli GIORNALE LIGUSTICO 143 era uno dei più ardenti affigliati alla associazione de’ franchi muratori, e speciale incarico anzi aveva di spargerne in Liguria le fila; quindi è che convenivano ne’ suoi politici ritrovi molti de’ frammassoni genovesi capitanati da quel medico Andrea Repetto, che aveva accolto fin dal 1789 in una loggia di Carignano il celebre Cagliostro emissario poco lieto di quella società segreta; la quale teneva allora le sue adunanze nel palazzo Senarega, poi Sauli, vicino alla Porta Romana. Ed è notabile il fatto che mentre a Torino s’imprigionava il Botta ed i componenti il club rivoluzionario, venivano posti in carcere a Genova il menzionato Repetto, il Rivarola, il Bonomi, il Sauli, il Di Negro, il Della Torre e Gian Carlo Serra, sì come sospetti di giacobinismo e di connivenza cogli Illuminati o frammassoni. La cui associazione per altro più anni innanzi si riscontra radicata fra noi, chè nelle carte degli Inquisitori di Stato abbiamo memorie di tre distinte loggie costituite e in Polcevera e in Bisagno e nella città; i cui membri, secondo il parere de’ teologi della Repubblica, dovevano esser dannati di morte soltanto pel fatto d’aver giurato il segreto, e ciò secondo l’interpretazione eh’ essi davano alla bolla di Benedetto XIV. Nè riuscirà al tutto inutile sapere come fra questi novatori già si designasse quel Gerolamo Serra, che ebbe più tardi tanta parte nelle pubbliche faccende. Nè diremo noi perciò fosse egli un de’ frammassoni; ma possiamo affermare che i suoi liberi sentimenti eran noti fin da questo tempo alla Corte di Torino , e formano soggetto d’interessanti particolari nelle lettere dell’ ambasciatore genovese appo quel Re. Buon lume potrebbe recare per fermo sulla vita di questo nostro patrizio la corrispondenza copiosa che de’ suoi coevi serbasi nell’Archivio di Stato milanese. Deputato dal club di Torino erasi dunque condotto a Genova il Botta, ma senza trarre gran fatto dal Tilly, il quale 144 GIORNALE LIGUSTICO non trovava forse alcun fondamento ne’ progetti de’ piemontesi; e nel successivo anno avvenne la catastrofe di quella conventicola repubblicana. Le delazioni del Barolo dettero iuogo a quei processi che condussero al patibolo Junot e Chantel, ma si ridussero a nulla in quanto tocca lo storico nostro, imperciocché alle affermazioni della sua spia rispose con una ferma e costante negativa. Vennero altresì in suo aiuto i professori della Università, i quali dissero ogni bene di lui, e dipinsero il Barolo per quel che veramente egli era, tristo, facinoroso e menzognero. La sentenza che assolse il Botta ha la data de’ io settembre; nè prima de’ 15, argomenta 1’ Autore, potè esser fuori di carcere, e già ai 24 novembre scriveva al padre dall’ esilio; onde a ragione non trova verisimile il comm. Bianchi, abbia nello spazio di circa settanta giorni fatti tutti quei viaggi attribuitigli dai biografi, e siasi trattenuto tre mesi presso la famiglia Rossi in Borghetto nelle vicinanze di S. Remo come dice una scritta posta nel 1858 in quella casa e che pur tuttavia vi si vede. E qui facendo suo prò’ di tutte le lettere già edite, pennel-leggia l’Autore il doloroso quadro della vita infelice tratta dallo storico nell’ esiglio ; dei molti dolori che egli ebbe a soffrire; e della fermezza del suo carattere in mezzo ad ogni maniera di avversità. Le relazioni che ebbe il Botta con Carlo Alberto chiudono questa pregevole monografia ; e in quest’ ultima parte oltre ad aver posto in luce documenti importanti per la biografia, ha voluto aggiungere un autografo dello stesso Re nel quale veggonsi delineate schiettamente le poco liete condizioni in che trovavasi il suo Stato di fronte all’ Italia e all’ Europa quando salì al trono. Son poi disvelate le munificenze del principe verso il benemerito e valoroso scrittore, e il desiderio che quegli aveva fosse da questi posta mano ad una compiuta istoria di Casa Savoia derivandone 1’ origine tutta GIORNALE LIGUSTICO 145 italiana. Il comm. Bianchi sempre felice nella scelta de’ suoi soggetti, e sempre accurato illustratore, ha pur dritto a quel posto eminente fra gli storici moderni, che colla sua operosità ha saputo già da tempo conquistare, e siamo lieti di imparare da questo recente suo scritto, come nel corrente anno porrà in luce la Storia della monarchia piemontese dal regno di Vittorio Amedeo III alla fine di quello di Carlo Alberto. Libro per fermo utilissimo a lumeggiare un periodo storico molto interessante, il quale aumenterà la bella collana delle opere storiche piemontesi già edite dal Ricotti, dal Ca-rutti e dal Claretta. Il barone Antonio Manno esponendo il desiderio che gli studiosi pongano fuori documenti atti a far conoscere in ogni sua parte il vivere privato in Piemonte, mette in luce frattanto alcune vecchie scritture de’ primi anni del secolo XVII, donde s’imparano più utili notizie intorno al vestire ed al lusso delle corti. Un brano di un’operetta intitolata: Le ore odiose del vestire. civili e secondo V uso di corte, mostra in qual maniera si affazzonavano e componevano gli abiti, porgendoci maniera di conoscere in qual guisa si addattavano alla persona, sì pel taglio come pei colori, tanto nel vestire più rimesso come in quello di gala. E quanto al molto lusso ed alla magnificenza grande che regnava nelle corti, ce ne dà un bell’ e-sempio l’inventario del corredo per Isabella di Savoia fatta sposa nel 1608 di Alfonso d’Este duca di Modena. Quivi e gioie e ori e drappi e argenterie e tappeti e frangie e broccati e damaschi e tappezzerie e stoffe d’ ogni ragione, e vestiti ed ornamenti di più maniere. Nè manca in fine quanto deve servire pel primo nato, ugualmente ricco e copioso. Il eh. sig. Manno ha illustrato questi documenti con note erudite ed opportune. Il eh. cav. Vayra in una memoria che intitola: «.Attentati contro la libertà del matrimonio, descrive con molto brio le 10 146 GIORNALE LIGUSTICO lunghe e crudeli persecuzioni onde il pregiudizio e 1’ opinione pubblica si resero colpevoli contro gli sposi in seconde nozze: persecuzioni che col nome di cìabre durano tuttavia nelle campagne del Piemonte, e con quello di tenebre nelle nostre ville, per non dire eziandio nei quartieri più popolosi della nostra città. Siccome fra noi agli sposi in prime nozze solea farsi in sull’ uscir del giorno successivo al matrimonio, sotto le finestre di loro abitazione, un concerto di allegre musiche dette mattinate, così è naturale che per contrapposto si dicessero tenebre quegli altri concerti che ai binubi si regalavano la sera stessa delle nozze ed anche per più altre consecutive. Nè questi concerti erano già di liete armonie, ma striduli suoni di corni, di pentole fesse, e d’ altri arnesi assai, tutti discordanti e rumorosi da non potersi ridire a parole. Le Compagnie degli stolti, che con questo o somiglianti nomi (Abbazie degli asini ecc.) avevano nel medio evo esistenza legale e spesso anche privilegiata, si arrogavano la privativa di si fatte dimostrazioni, dalle quali era gran ventura che i ricchi potessero andare immuni, pagando a benefizio della società una taglia non piccola. Nella prosecuzione del nostro lavoro intorno le Feste dei genovesi, che or sono più anni cominciammo a pubblicare ne\Y^Archivio Storico Italiano, dovremo parlare distesamente, a proposito dei costumi nuziali, anche del triste vezzo delle tenebre-, ma intanto non sappiamo ristarci dallo inserir qui una grida, onde ci favorisce copia l’egregio signor Carlo Astengo, mercè cui la Signoria di Genova, nel 1498, voleva abolita la cattiva usanza. Il nome dell’ illustre giureconsulto Francesco Pammoleo, a cui non erano state risparmiate le tenebre, ricorre spesso negli annali e nei documenti della seconda metà del secolo XV tra quelli de’ personaggi che sostennero per la Repubblica i più svariati ed eminenti uffici. GIORNALE LIGUSTICO T47 f MCCCCLXXXXVIIII die XXVI aprilis. Lo illustre et excelso segnor messer Augustino Adorno etc. etc. Sapiando quanta iniuria et opprobrio li iorni passé sia stato facto a lo spectabile iurista messer Francisco Pammoleo chi ha pigiao una vidua per mogliere, e desiderando remove li exempli perversi e cative usanze e reprime lodacia de li homini iniqui e presentuosi acciocché li citadini possem pigiare e menare done vidue senza alcuna molestia et danno ac iniuria; pertanto per virtù de questo decreto et leze hano statuito e de-liberao quod de cetero nissuna persona de che età grado stado e condicion sia possia ni debia andare a casa di alcuno citadino chi avesse pigiato per mogliere dona vidua cum strepito sono de corno de trompa o pichiare de bacilli o qualche altro tumulto e qualità de iniuria e clamori, sive epsa dona sia a caza del marito sive nondum, ni da lui domandare denari soto pena de ducati da dexe usque in cinquanta da cadauno con-trafaciente exigenda; la quale pro dimidia ex nunc è applicata ad epso marito, laltra meità a la magnificencia de messer lo Podestà de Genua; et ultra soto pena de doi tracti de corda ad arbitrio de epso messer lo Podestà; et se epso marito per liberasse da simili tumulti e villanie fosse contrecto donare alcuna somma de denari ad simili contrafacienti, hano deliberato che da poi sia licito ad epso marito a domandare ognuno chi fosse stato contreficiente ; et ciascaduno de loro tumultuanti per lo tuto sia contrecto a la restitutione de epsi dinari desborzati cossi davanti lo magnifico Podestà chomo ogni altro magistrato de la terra, li quali debian farge rende a marito offeiso li soi denari; et tamen siano obligati li pre-dicti presentuosi a le pene predicte. Commettendo epsi illustri segnor Governatore et magnifici antiani a Io prefato domino Podestà presente et futuri che facino observare questa leze et decreto, e mandeno ad execu-tione senza rémission soto pena de ducati quinquaginta li quali ge siano retenuti da lo spectabile Officio de la monea se serano negligenti a fare observare et exequire lo presente decreto. Comandando a lo dicto spectabile Officio de la moneta soto la pena antedicta de suo proprio se non retinerano epsi ducati cinquanta da li podestà contrafacienti et negligenti ; et perché niuno ullo unquam tempore possia excursarse de non havere havuta noticia de questa leze, hano comandao se publiche per la cité a li modi consueti. In cancellarla Raphaelis Ponsoni cancellarii (i). (i) Archivio di Stato: Fogliazzo Diversorum Canccllariac ann. 1497-1500, num. 65. 148 GIORNALE LIGUSTICO La dispensa delle Curiosità si chiude colla relazione di un bai • letto intitolato Ercole e Amore, rappresentato in Chambéry nel febbraio del 1640. Si conserva questa insieme a due altre in tre volumi atlantici oblunghi nella Biblioteca del Re in Torino, e le relazioni sono corredate di disegni all’ acquarello. Il cav. Promis pubblicando questi balletti, de’ quali per ora si stampa solo 1’ accennato, rileva per confronti acutamente fotti che autore dei soggetti e delle poesie ed inventore dei disegni fu quel conte Filippo d’Aglié, che fu qualche cosa più di semplice consigliero ed amico della celebre Cristina di Savoia. Goodrich, A History of thè so-called Christopher Columbus. — New-York, 1875. Il carattere ed i fatti del così chiamato Cristoforo Colombo ! Prezioso titolo in vero che vale un Perù, per poter giudicare a priori tutto lo scritto che gli viene appresso. Per simil guisa di notte certi preludii di tono poco fermo e irregolare bastano a ben conoscere la qualità d’ una compagnia che s’ avvicina. Questo ci scusa la fortuna che non ebbimo di goderci il libro del signor Goodrich, del quale però ci porge un breve ma assennato articolo il Bollettino della illustre Società Geografica Italiana (1875. pagg. 772-3). Certe cose non si perde tempo e fiato a confutarle; basta averle additate. Ed eccone appunto il compendio quale ce lo dà il prelodato Bollettino ; merita proprio che non se ne frodino i nostri consueti e benevoli lettori. Colombo cominciò a navigare facendo il pirata: si appropriò le cognizioni e le scoperte fatte prima di lui da un Piloto che ne lasciò le note morendo in sua casa. Ingannò i Reali di Spagna per ottenere i mezzi del viaggio, nè ebbe in mira altro che lo arrichirsi in una terra che egli rappresentavasi piena d’ oro e d’ ogni cosa preziosa. Quel tanto che gli riesci nella traversata lo deve ai fratelli Pinzon suoi compagni e migliori GIORNALE LIGUSTICO 149 navigatori di lui. Infine egli fu un mentitore, un cacciatore d’oro, un mercante di schiavi, un truffatore e ciarlatano: e, come lui, così anche suo figlio Ferdinando falsò scientemente la storia per glorificarsi entrambi. Messieurs, excuseç du peu. Ma di grazia, se è lecito, da qual fonte, su quale autorità il sig. Goodrich ci va sciorinando tutte queste notizie ? Chi lo sa? probabilmente da uno dei frequenti medium americani che avrà evocato gli spiriti contemporanei al povero Cristo-foro. Senonchè 1’ Autore che sa tante belle cose antiche e così singolari, dovrebbe saperne una volgarissima, ancora più per lui che per noi. Che cioè proprio alla città stessa di Nuova York ove egli ha stampato il suo libro, appartiene come cittadino ed avvocato a quella Corte un altro americano, il signor Enrico Harrisse. Il quale conosce quant’ altri mai la vita di Colombo, viaggiò e viaggia per meglio conoscerla in ogni angolo del mondo ove può sperarne traccia, a Genova, a Parigi, a Siviglia, Lisbona ecc.; frugò e raccolse note e scrisse libri sulle più minute circostanze di Cristoforo e Ferdinando ; e manca di tutt’ altro che di ardimento e di dottrina per iscalzare qualunque opinione gli paja-più o meno impugnabile. Oh ! quest’ uomo ha la pazienza di spender tanti denari, viaggi, fatiche ed ingegno per un ciarlone, truffatore, incapace e va dicendo? E un Robertson, un Washington Irving, un Humboldt (per non citare che gli stranieri e i più celebri) vi hanno potuto consumare tanti studi; e l’impresa di Colombo ha potuto essere celebrata in istorie, in poesie, in belle arti per guisa da formare una biblioteca da sè ; prima che venisse il signor Goodrich a fore la luce su questo soggetto ! Abbiamo qui il sublime, il non plus ultra della teoria da noi deplorata non ha guari, sulla facilità ed audacia onde si tenta oggi rovesciare le più comuni, le più fondate convinzioni per avidità del nuovo e del singolare. Tuttavia nel recente caso a cui alludiamo, vi era almeno uno sfoggio di studio, di dottrina. 150 GIORNALE LIGUSTICO Allora uno scritto può recarci amarezza ferendo le fibre più sensibili del cuore, ma esercita l’ingegno delle due parti avversarie e fa pensare anche gli altri. Stia pur tranquillo il sig. Goodrich, che il suo lavoro non ci cagionò nè dolore nè fatica, ma soltanto una innocua, forse anche benefica, conseguenza. Ricordiamo una nota commedia di Goldoni, ove il così chiamatosi Don Piccavo di Catalogna invidia la fertilità del suo padrone nelle così chiamate spiritose invenzioni. E per imitarlo comincia a sgabellarle tanto grosse, che tutti, persino il padrone, persino la sua Colombina, alzano le spalle e gli volgono le reni piantandolo sul più bello. Noi fummo più indulgenti; era di fitto carnevale quando abbiamo letto e riletto le spiritose invenzioni dell’ Autore; perciò contro il costume nostro e dei nostri anni ci abbandonammo alla stagione, concedendo libero sfogo all’ ilarità. Ora però siamo di quaresima, tempo da ritornare a pensieri più serii e di misericordia: raccomanderemo dunque il sig. Goodrich alle pietose cure di quei dotti medici che a Nuova York studiano la malattia dell’ intelletto. ANNUNZI BIBLIOGRAFICI Su i fuochi da guerra usati nel Mediterraneo nell’XI e XII secolo, Memoria di Michele Amari, letta alla R. Accademia dei Lincei il 16 Gennaio 1876.— Roma, Salviucci 1876; in-4.0, di pagg. 16. Le ricerche dell’ illustre Amari precedono di un buon tratto la invenzione della polvere, e mirano a produrre i più validi argomenti storici mercè i quali si prova in qual guisa era composto il fuoco di guerra, quando se ne trovano le prime memorie, e come veniva usato. Appoggiandosi a più scrittori arabi, egli dimostra ricordata fino dal secolo X quella specie di razzi eh’ ebbe nome di fuoco lavorato e fuoco greco, e spiega qual fosse 1’ uso della nafta particolarmente adoperata negli scontri navali. Nota eziandio la maniera onde le navi si difendevano dal menzionato fuoco mercè coperte di feltro, e ciò fino dal secolo XII; non senza rammentare la miccia 0 esca alla quale allude uno scrittore musulmano GIORNALE LIGUSTICO del sec. XI. Passa in rassegna i diversi fatti d’ armi nei quali è memoria dell uso de suddetti fuochi; e conclude osservando come nell’Italia meridionale durasse fino alla vigilia delle artiglierie, adoprate da prima in Firenze, una tradizione tecnica della quale si ha vestigio nel navilio siciliano del 1185, nell’ affricano del 1120 e nell’egiziano verso la metà dell’XI secolo. « E il filo della tradizione tecnica sarebbe un solo ; poiché il navilio egiziano 1’ avrebbe ereditata da quello d’Affrica quando vi passarono i I atemiti di Mehdìa ; e i musulmani di Sicilia soggetti a quella dinastia medesima avrebbero attinto alla medesima fonte. Ed ove si torni a memoria la copia di dottrine meccaniche e fisiche recate ih Affrica dal Mehedi, fondatore della dinastia fatemita nel 910, non parrà inverosimile di rifeiire a lui l’introduzione di quello antico trovato, il quale si sa di certo venuto dall’ estremo oriente nell’Asia anteriore e successivamente peifezionato nel bacino del Mediterraneo ». Ricordi inediti delle cose avvenute in Massa di Lunigiana dal 1481 al i$6y scritti da Tomaso Anniboni d’Aiolà, pubblicati a cura di Giovanni Sforza. — Modena, Vincenzi 1875, in-4.0 (Estratto dal vol. Vili degli Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Pairia di Modena). L’ Anniboni è il più antico cronista di Massa, e in questi suoi ricordi accenna ad avvenimenti pubblici dei quali fu per la maggior parte spettatore ; ben è vero che vi si riscontrano alcune date non esatte, le quali sono corrette dal diligente editore. Questi volle aumentare importanza alla pubblicazione recando in nota documenti affatto inediti, che giovano ad illustrare la cronaca, e porgono notizie assai interessanti. Notiamo che un magistrum Michaellem de Levanto pictorem nel 1501 riceveva il pagamento occasione picture unius tabule ad altare Beate Annuntiate eretto dalla Compagnia dei disciplinati di s. Sebastiano nella Pieve di s. Pietro di Massa; e crediamo di apporci al vero riconoscendo in sì fatto artista quel Michele Da Passano di Levanto, il cui nome ricorre non raramente a nei fasti della pittura ligustica verso i principii del secolo XVI. Lettere inedite di Carraresi illustri raccolte ed annotate da Giovanni Sforza. — Bologna, Fava e Garagnani 1875; in-8.° Di varia ragione sono queste lettere : artistiche, storiche e famigliari; ma tutte giovano a far conoscere più intimamente gli autori e il loro tempo, specialmente essendo le più dettate da uomini la cui fama non si rimase ristretta nè alla loro regione nè all’Italia, ma valicò i monti e passò i mari. Se ne giudichi dal novero che qui poniamo: Emanuele Repetti, Carlo F incili, Pellegrino Rossi, Bernardo Raggi, Angiolo Pelliccia, Pietro Tenerani, Pietro Tacca, Andrea Baratta, Giovanni Lazzoni, Francesco * 152 Berrettari; letterati, filosofi, statisti, poeti, alternati coi più insigni maestri dell’ arte scultoria. Una breve notizia che precede alle lettere di ciascheduno ne dice in breve la biografia e indica dove può il lettore ricercarne di più; opportune note chiariscono i nomi ed alcuni avvenimenti de’ quali in esse si tocca. Della ColomMade in genovese del sacerdote Luigi Michele Pedevilla, traduzione libera dei primi quattro canti per l’avvocato Pietro Canepa. — Genova, Sordo-muti 1875, in-8.°. L’ egregio Autore ponendo da un canto Bartolo e Giustiniano ha trovato assai più conforme agli ozi autunnali votarsi alle muse , e senza seguire pedissequamente 1’ originale in vernacolo , s’ è proposto voltare in° ottave italiane il noto poema del Pedevilla. Questo ne è intanto il principio che noi commendiamo per eleganza e venustà di forme, e che -ci fa attendere con vivo desiderio la sua prosecuzione. Alba Docilia e Vadum Sabatia (sic) ossia Ricordi storici della Liguria occidentale da Genova fino a Savona di Perasso Eugenio Giacinto. — Genova, Schenone 1876, in-8.°. Abbiamo sempre di preferenza una parola d’incoraggiamento per quei giovani che si pongono sul cammino difficile degli studi storici, e si producono primamente con lavori modesti e pensati ; ma reputiamo stretto dovere la severità con quelli che mandano in luce i loro libercoli gravemente posando in aria dottorale. Il sig. Perasso ci sembra un di costoro; tanto sono assolute e dette in tuono magistrale le sue affermazioni! In fatti sul bel principio ecco che ci sfodera là sul viso come « conte del tutto ancora non sono le letizie di questo ligure elisi » ; ed egli si appresta a dircele, quasi che fino a qui nessuno ne avesse scritto di proposito. Cerchi bene, sig. Perasso, e troverà nelle storie genovesi e savonesi, ed in quelle di alcuni de’ simpli paesi della Riviera, e nel Ratti e nello Spotorno e finalmente nel Casalis quanto e più di quello la ci viene esponendo come non in tutto noto. Se studierà bene nei suddetti libri, e poi, ove non le riesca ostico il latino o il carattere non moderno, nei documenti pubblicati con illustrazioni o inediti, avrà modo di togliersi dal capo certi spropositi madornali ond’ è infiorato il suo libro. Si fatto studio che le consigliamo, unito a qualche buona lettura di classici italiani e corroborato da savii principii attinti alla grammatica, le risparmieranno di scrivere, per esempio, la nota seguente: « Secondo un epitaffio stampato per opera di istituzione di rettorica ed approvato dalle autorità nel 1581, si rileva che Colombo nascesse in Albissola marina. — Secondo il Chiabrera poi che fosse nato in Savona, ed il Verzellino invece concede a Genova questo gran navigatore. — Ma il fatto si è che Colombo, come la maggior parte dei scrittori il nota, nacque nel 1436 in Cogoleto da miseri genitori, e poi portato a Genova ove fece gli studi, e di lì passò a Pavia a terminarli. Fatto chiaro a’ suoi il suo progetto venne deriso. Allora -andò in Ispagna, e là, dopo varie vicende, riesciva nel 1492 a salpare dal porto di Palos munito di uomini e di navi da re Ferdinando ». Mirabile esempio di storica esattezza, di retta logica e di proprietà gram-matica’e! — Bella l’origine di Savona da Jafet, e piacevoli molti degli accenni storici dell’ epoca romana e della storia medioevale. Ma basti il fin qui detto, chè più spazio non vogliamo perdere intorno a una quisquiglia che con un errore nel titolo va innanzi infilzandone di badiali senza alcun presidio di studi nè storici nè grammaticali. Pasquale Fazio Responsabile. % GIORNALE LIGUSTICO x53 QUANTO V’ ABBIA DI VERO nell’ antico paragone FRA MICHELANGELO E DANTE CONSIDERAZIONI di Giovanni Franciosi Dacché Pierfrancesco Giambullari, per - amore della dolce memoria di Carlo Lenzoni ,ebbe toccato le mirabili somiglianze tra Michelangelo e Dante, tutti gli ammiratori e gli studiosi dell’ uno e dell’ altro lieti convennero in quella voce autorevole; ma niuno, ch’io mi sappia, attese a investigare se quella voce fosse manifestazione di profondo e pacato giudizio, o non piuttosto impeto lieto di generosa affezione. Oi io, pensando come alla istoria delle arti e delle lettere (per vivo amore congiunte nell’ animo mio) torni utile e bello il veder chiaro in cosa di cotanto rilievo, volli considerare di proposito l’intelletto, 1’animo e l’arte di que’ due Grandissimi, a discernere, se mi sia dato, quanto v’ abbia di vero in si celebrata sentenza. I. I minori intelletti molto ritraggono della gente, onde uscirono, e del paese ove furon nudriti; sì che, affisandoti nel-1’ opera loro, tu ne indovini senz’ altro la generazione e la patria. Ma gl’ intelletti sovrani accolgono in sè le glorie del-l’umanità, e, contemplando l’opera loro, tu sei tratto a chiamarli cittadini del mondo. Così, chi riguardi la Sistina o il Mosi, michelangiolesco, non gli vola il pensiero ai lieti colli che cingono Firenze, al gentile paesello di Settignano, ma più volentieri a terribile vetta, ove fan nido le aquile. Similmente, nel Poema sacro non pure tu vedi specchiaisi i giorni 11 154 GIORNALE LIGUSTICO sereni e le fiorite rive dell’ Arno, ma si ancora i ghiacci del settentrione e le aurore fiammanti, i deserti e le foreste e 1’ oceano. Onde somiglianza prima e palese tra Michelangelo e Dante è l’universalità dell’ingegno. Ma, addentrandoci ne’ segreti di que’ due spiriti magni, vedremo scaturire nuove somiglianze da più limpide e profonde sorgenti: dall’ intima coscienza, ove l’uomo genera e contempla la parte migliore di sè. Fortissimi nell’ amore e nell’ ira, nei mesti raccoglimenti del pensiero e negl’impeti generosi, Michelangelo e Dante ebbero quell’ animo fiero che vince ogni battaglia, quella gloriosa volontà che, quasi vento nella selva, percuote, abbatte e cammina trionfale. Focosamente innamorati della sovrana Bellezza e del Bene, non mai volsero l’occhio al basso, ma sempre in alto, verso le sommità luminose e 1’ ampia serenità dei cieli; e dall’ eccelsa veduta trassero lena e ardore al pensare e all’ operar generoso: onde all’ uno bastò 1 animo di rappresentare nella Sistina gli affanni e i terrori dell umana famiglia; all’ altro nella sua Visione veracemente divina di descriver fondo a tutto l’ universo. Da questa fortezza e nobiltà d animo e d’intelletto prese abito e forma 1’ arte dell uno e dell’ altro : vo’ dire evidenza di stile miracolosa, si che nella figura o nel verso ti si mostri vivo il concetto, ricco di potente idealità. Dalla superba fronte di Farinata balenerà in eterno il generoso disdegno, e dal guardo pensoso di Sordello metterà lume divino il virile amor della patria : cosi dal terribile simulacro del Mosè michelangiolesco, che ti ricorda la folta nugola e la bufèra del Sinai, parlerà sempre agli uomini la santità della legge; e dal bellissimo corpo del Vincitore di Golia, principio di nobile monarcato e re degl inni, spirerà la maschia bellezza dello spirito, che vince le cieche e scompigliate forze della materia. Anco nei più singolari ardimenti i due Valorosi, di cui GIORNALE LIGUSTICO 155 ragiono, rendono somiglianza tra loro ; dacché, pur dilungandosi da ogni cosa veduta, tutt’e due, guidati dall’estro divinatore, per via breve e sola si levano alla bellezza e al vero. Nuova e feconda immaginazione quella delle angeliche penne, dritte verso il cielo, che fan da vela al vasello snelletto e leggiero ; ma non men nuova e felice quella dell’ ale appiccate alla barca di Caronte nel Giudizio della Sistina: chè le virtù dell’intelletto e dell’amore, ali dell’anima, se levate in alto e scintillanti della luce di Dio, traggono 1’ uomo alle superbe cime della contemplazione serena e del gaudio; ma, se torte al male e ottenebrate, anco lo menano sulla cieca fiumana dell’ errore e del pianto. Nè le tradizioni impedirono 1’ opera dell’ alta fantasia, che le accolse e trasfigurò, spogliandole dell’ involucro corruttibile dei tempi e ritenendone l’intimo e non corruttibil valore. Però, come la Matelda dantesca non è donna dalla fronte gemmata e dal manto < regale, e intorno non ha calcato e pieno di cavalieri e d’armati, ma semplice e pura fanciulla, che canta e ride e sceglie fior da fiore sulla vetta lucente, che d’ ogni parte oliva; così il David michelangiolesco non ha segno esteriore d’imperio, ma serba ancora la fionda del semplice pastore, e si sta contento alla sua nudità, fatta casta dalla quiete possente delle membra e dalla severa maestà del volto. Similmente, come il solitario custode alle grotte del Monte sacro non è il Catone dell’istoria, ma il Catone rinnovellato dalla fantasia dantesca, il veglio onesto, nella cui faccia, fregiata di raggi lieti, scintilla il forte amore di santa libertà; così anco il Mosè del Buonarroti non è tanto il Duce dèlia tradizione, quanto 1 autore della Genesi vagheggiato dall’artista; onde viene quel non so che d’incomposto e di selvaggio e di strano, che fu cagione di tanto scalpore a’ maligni e a’ pusilli. Lasciamo eh’ essi gridino a lor posta ; ma noi, riguardando quel vivo simulacro, pensiamo 1’ abisso delle acque e gl’ impeti arcani 156 GIORNALE LIGUSTICO dello Spirito di Dio; e ammiriamo con gioia le non superabili altezze di un estro divinatore. Egli è manifesto a ciascuno, per poco eli’ ei vada cercando il Poema sacro, come la vita intima e terribilmente gagliarda vi si diffonda e propaghi sino alle minime parti; onde talora da un motto, da una frase ben si conosca, come dall’unghia il leone, la fierezza dell’ingegno sovrano. Or questo occorre anco nelle opere del Buonarroti: ogni bozzetto, ogni schizzo, ogni profilo, ogni linea ti apparisce pregna di vita; e se, leggendo del luogo d’ogni luce muto e della valle dolorosa, Che tuono accoglie d’ infiniti guai, sentesi dentro l’eco paurosa dell’eterno dolore; anco, chi guardi 1’ Anima dannata* òli Michelangelo, pargli uscire da quell’aperta gola un suono d’ira e d’ angoscia infinita. Se non che, i due mirabili spiriti % argomento al mio dire, levati verso la luce di bellezza infinita, mal potevano starsi contenti alle bellezze generate dell’ arte loro, benché potentissima e al tutto meravigliosa; onde i generosi sgomenti, le vereconde trepidazioni e quell’aura di mestizia, che spira dalle opere dell’uno e dell’altro: valgano ad esempio gli aspetti pensosi nella volta della Sistina, gli abitatori della sacra isoletta e gli specchiati sembianti del pianeta lunare. Detto così delle somiglianze, com’ io le veggo, tra 1’ Artista e il Poeta sovrano, stimo buon consiglio venire alle differenze, non avvisate da alcuno, ma pur nondimeno assai gravi e notevoli. II. Prima e solenne differenza tra Michelangelo e Dante si è questa; che 1’ uno tra le forme supreme dell’ Ente, che 1’ arte ritrae, predilesse l’Onnipotenza, in quanto si rivela nella iorza dell uomo; mentre l’altro, artista primo e universale della cristiana civiltà, seppe accogliere e specchiare nell’opera GIORNALE LIGUSTICO *57 sua tutt’ e tre quelle forme. 11 baleno vermiglio della Virtù, che vince e atterra, si ripercosse anco sulla fronte di Michele; ma 1’ aquila, che rapisce oltre la regione delle tempeste, nell’etere fiammante, e la pupilla, che s’avviva nel Sole, non operarono sull’ anima dell’ Artista, come già su quella dei Poeta divino. Ond’ è che il Buonarroti scelse più volentieri a soggetto dell’ arte sua i forti della mano, del volere o della parola, David, Mosè, le Sibille e i Profeti, ritraendone le forme vive dall’ intimo dell’ anima sua gagliardissima. Affigurare le forze della natura visibile ben si può, anco serbando epica tranquillità, come l’antico Omero; ma chi rappresenti le forze dello spirito, che lottando vince gl’ impedimenti della materia, dee riuscire terribilmente agitato e quasi dissi turbinoso, anco nelle creazioni dell’arte. Però nel Giudizio universale invano cercasi quiete e solennità di visione: è la virtù dell’uomo, che d’ogni parte irrompe e si palesa, virtù buona o malvagia, potenza di mano o d’intelletto, impeto d’ira o d’amore, d’allegrezza o d’affanno; le intime lotte della vita parventi sotto la vista del Giudice onnipotente: sì che tu, guardando, ripensi la bufèra dell’ Inferno dantesco, e il verso scompigliato e pauroso « Di qua, di la, di su, di giù gli mena » , ti par qui ricevere un meraviglioso commento. Studio supremo di questo Grande fu terribilità d’ evidenza e gagliardia di espressione. Vuol’ egli rappresentarci 1’ anima raccolta e meditativa ? E’ non vi fa capi dolcemente chinati, ma fieramente curvati, come ramo sotto ruina di venti. Gli occorre porgere immagine dell’ amorosa unità di quella famiglia, eh’ è ad ogni altra lume ed esempio? Non soltanto ravvicina e raccoglie, come il gentile Urbinate, ma striglie e addensa. A lui giova ritrarre la potenza della ispirata parola? Ebbene; e’ non vi porge aspetti sereni, o atteggiati d’amore, ma fieri gesti e volti arguti e irrompere veloce, talvolta furioso, di forze e di volontà più che umane: i58 GIORNALE LIGUSTICO tanto che nel Giona, contorto nell’ atto delle membra e quasi travolto, è visibilmente l’impeto della marèa e lo spirito arcano delle tempeste. Vissuto in mezzo ad una generazione fiacca e voluttuosa, mentre l’arte riducevasi a vanità di forma o di parola, Michelangelo volle ritemprare le menti e gli animi, ponendo nelle sue cose vigoria di pensiero, èmpito d’ affetto, saldezza di vita. Meglio che a’ versi, alle scolture e a’ dipinti michelangioleschi potrebbe convenirsi quello del Berni : Ei dice, cose e vgi dite parole. Pervenire, dopo molte pruove, all immagine viva, valeva per Michelangelo quanto trar fuori dal marmo la parvenza dell’ umano valore, e più specialmente della volontà vittoriosa; o dare al suo concetto le forme più rilevate e più fiere. Non ardisco affermare che il piccolo Mosè di terra cotta sia veramente opera dell’ artefice meraviglioso; ma, raffrontandolo alla statua, si naturali e michelangiolesche 111’ appaiono le differenze che non so rimanermi dall accennarle. Nel bozzetto d’ argilla la testa del Profeta è drizzata in alto, come per rapimento verso luce invisibile; la sua man destra si posa lenta, quasi con riverenza, sulle tavole sacre; e 1’ atteggiarsi della persona è come di un forte che riposi. Ma nel marmo l’immagine altera, perdendo alquanto d’ispirazione e di quiete, si veste d’ arcana terribilità: la testa volgesi a riguardare, e dalle ciglia aggrottate, come già dalla nugola del monte, lampeggia la pioccllosa maesta del Nume; e la mano preme violenta, sì che tu dubiti non si levi d’ un tratto a spezzare un’ altra volta quelle tavole sacre innanzi ai popoli prevaricati: corre poi in tutta la persona rapida virtù di moto, e d’ogni parte vi spira un anima consapevole della sua forza e terribilmente vaga d opera e di battaglia. Ma, lasciando stare il bozzetto d’argilla, eh altri dice libera copia, ben potremo affermare lo stesso magistero d arte, ove si raffronti il Demonio, profilato a matita nera, che serbasi nella Collezione degli Uffizi, a quello GIORNALE LIGUSTICO !59 operato nella Sistina : dacché l’uno guarda stupidamente angosciato , e, come vinto, poggia il ginocchio destro alla roccia vicina ; 1’ altro, sotto il cavo d’ una rupe, dagli occhi di bragia manda i vampi dell’ira, ed ha il piè sospeso, come se volesse avventarsi sulla preda fuggita; anzi, chi guardi i suoi piè con artigli e la movenza delle laide membra, par che tremi e si protenda, quasi falcone selvaggio, per bramosia di rapina. Or veggasi quanto più larga e più varia ci si dimostri 1’ arte del Poeta sovrano, intento com’ era a ritrarre 1’ Essere nelle sue tre forme, onnipotenza, sapienza e amore: onnipotenza paurosa nel mondo senza fine amaro, sapienza lieta nel monte, che Vanime cura, amore ineffabile nel ciel, che più della sua luce prende. Raccogliendo nell’ animo le sdegnose parole di Farinata, le forsennate di Mosca Lamberti, le fiere di Ugolino , tu ascolti un’ eco tremenda dell’ Onnipotente, come scroscio d’ acque rovinose, o come vento, che i rami schianta, abbatte e porta fuori; ma dagli atti soavi di Casella, dall’altero aspetto del mantovano Sordello, dal guardo sereno delle anime della valletta fiorita, dal sorriso di Matelda , esce lume tranquillo d’ ordine e di letizia ; mentre nelle schiere fiammanti che abitano i cieli, nella croce di Marte, nello scalèo del Sole, nella rosa dell’empireo, arde e sfavilla lo Spirito della vita , la divina Unità dell’ amore. Però la potente parola, che prende sua vita e si natura nell’ intimo affetto e nei segreti dell’estro, trasmutasi, come dee, in ciascuna delle tre Cantiche sacre: dapprima, ricca di rilievo e di moto, scolpisce; poi, lieta di colori e d’ ombre soavi, dipinge ; infine, bella di armonie e di splendori, inebria, solleva e rapisce. Certo che Farinata, sdegnosamente levato dalla cintola in su fuori dell’ arca infocata, lo diresti cognato al David o al Mosè ; ma la gentile accoglitrice di fiori sulla verde cima del monte, ben ti rammenta le vergini amorose della Scuola umbra; e i6o GIORNALE LIGUSTICO gli angeli festanti intorno a Maria ti svegliano nel pensiero le più care visioni di Giovanni da Fiesole. Altra differenza tra Michelangelo e Dante, differenza che si deriva dalla prima , io l’avviso in ciò : che l’uno ci ritrae 1’ uomo disgiunto dal mondo esteriore, solitario e come raccolto in sè stesso; l’altro ce ne porge, vivamente rappresentate, le relazioni con l’universo e con Dio. Michelangelo, intento a ritrarre 1’ Onnipotenza, in quanto specchiasi nell’ intelletto e nel volere possente, lasciando da parte ciò che sta intorno o sopra di noi, ci fa meglio sentire la signoria del-1’ uomo nella solitudine del suo spirito : Dante invece, abbracciando nell’ ampio dell’ arte anco la Sapienza e 1’ Amore, è tratto a riguardare all’armonia universale, e a raggiungere 1 uomo ad ogni cosa creata; dacché sapienza è ordine, amore è unione. Onde viene che nei dipinti del Buonarroti raro appare vestigio di paese; mentre nel Poema sacro intorno alle più leggiadre figure s’ apre e s’ avviva una dolce serenità di primavere e di cieli. Farinata, Capaneo, Ugolino sorgono solitari su lande infuocate o sul ghiaccio; ma Lia, Matelda, Beatrice sorgono sul verde e sui fiori, allegrate di sussurri amorosi e di garriti e di luce. Infine, vuoisi notare una terza differenza; differenza, onde si rivela il difetto dell’arte umana, che, se acquisti in profondità, perde in ampiezza. Michelangelo, dipingendo, scolpendo, architettando, non muta stile mai, o quasi mai; e come ne suoi dipinti tu cerchi invano la grazia dell’ Urbinate, 0 la gentilezza di Lionardo; cosi nelle scolture tu non vedi orma del soave profilare di Mino da Fiesole, e negli edifici suoi desideri la venosa gracilità (come 1’ Alberti 1’ ebbe chiamata) del mirabile Brunellesco. Dante invece, nell’ opera del- 1 arte, fu davvero trasmutabile di tutte guise, e seppe secondare la germinazione infinitamente varia del suo fecondo concetto. Raro si destò 1 animo del Buonarroti all’ amore di gen- GIORNALE LIGUSTICO 161 tile argomento; ma pur destandovisi, tutta mantenne la sua naturale fierezza. Basti considerare i Sepolcri medicei. Non soltanto il Giorno, lieta divinità dell’ opera e della vita, dalle braccia torose e dall’ omero acuto e superbo (ond è celata in parte la faccia, quasi dal monte il sole che sorge) si rivela a noi come un fortissimo iddio; ma sì ancora la TSLotte e 1’ «_Aurora e il Crepuscolo, soggetti gentili se altri mai, ne rendono immagine di più che umana fortezza. La clSL,otte di Michelangelo non è la notte di Virgilio dalle tacite rugiade, dalla rorida luna o dalla fioca lampa dell’ agile tessitrice; ma è la notte dagli austeri silenzi e dalle forti meditazioni, onde nelle rigogliose membra di lei, benché dormente, è palese l’intima virtù dell’ anima, che veglia. Nè Y di breve istituì scambii di manifatture cogli Arabi, pei porti dell’ Africa settentrionale e della Siria. Più esteso ancora fu il suo commercio coi Greci, ottenendo dall’imperatore di Costantinopoli varii privilegi ed uno stanziamento in quella città. Prima ancora delle Crociate avea relazioni e stabilimenti nella Siria, nella Palestina e nell’Egitto, e le sue monete avean corso su tutti i mercati d’ allora. Nel suo maggior fiore contò fino a cinquantamila abitanti; e furono le sue navi che trasportarono in Terra Santa quei pellegrini che, tornati, eccitarono il fervore delle Crociate. \eiso il 1082 1 Imperator di Bisanzio la fe’ in Oriente suddita dei A eneziani, perocché ella avea scossa la sudditanza all impeto, per darsi alla protezione dei Normanni. — Il territorio d Amalfi si componea di parecchie città, rette da un duca, ma come riferiscono gli storici, verso il 113x i Normanni la ridussero ad intiera soggezione. I suoi commerci continuarono ancora, finché vennero i Pisani a dar loro il tracollo, col ruinare porto e città. Tuttavia questa cruda percossa non fu, come crede il più degli storici (1), cagione di una subita rovina dei traffici; e una tale opinione dell’Heyd (2) trova conferma nel trattato con Genova che qui si produce, ed è a nostra notizia 1’ unico documento di relazioni fra le due città. Noi lo abbiamo trascritto dal codice membranaceo del Pedaggetto, che serbasi nel prezioso Archivio delle antiche Compere di S. Giorgio (Cod. num. 2, car. 103-105). (1) \edi fra gli altri: L. Torelli, Dell’ avvenire del commercio euro-peo ecc.; G. Boccardo, Storia del commercio. (2) Le Colonie commerciali degli Italiani ecc., vol. I, pag. 9. GIORNALE LIGUSTICO 165 L’ arcivescovo Andrea cui si accenna nel trattato fu, come riferisce 1’ Ughelli, confermato da Bonifacio Vili nel 1295 e morì nel 1330. Il rex Carolus secundus è Carlo II d Angiò re di Napoli e Sicilia, nipote di Luigi Vili di Francia, e che siedè sul trono dal 1285 al 1305. G. Grasso. Hoc est exemplum sive publicatio cyiusdam publici instrumenti scripti in pergameno tenoris infrascripti. In nomine domini Amen. Ad honorem Dei et Beate Virginis Marie et ad bonum et utillitatem communis et hominum civitatis Ianue et districtus et communis et hominum civitatis Amalphitanorum et ducatus sive districtus ipsius, necnon ad conservacionem et augumentum pure et sincere dilectionis, que commune Ianue gerit erga venerabilem patrem dominum Andream divina gratia dignissimum Archiepiscopum Amalphitanum exigentibus meritis ipsius venerabilis patris, et que inter dicta communia civitatum Ianue et Amalfie semper viguit et annuente Domino vigebit in posterum. Loysius Carvus notarius et canzellarius communis Ianue, Sindicus communis et universitatis Ianue ad infrascripta, ut plene patet ex tenore cuiusdam instrumenti scripti manu Iacobi de Albario notarii, presenti Millesimo die decimo octava Ianuarii, sindicario nomine pro ipso communi et nomine ipsius ex una parte, et Filipus de Massa de Passitano pertinendarum predicte civitatis Amalffie Sindicus communis et universitatis hominum Amalphie ad infrascripta, ut patet ex tenore cuiusdam instrumenti scripti manu Petri de Felice publici Amalffie notarii, anno ab incarnacione Domini millesimo trigentesimo primo, septimo decimo anno regnante domino Carollo secundo anno tercio, decimo mensis novembris, nomine et vice communis et universitatis hominum Amalphie et ducatus ipsius sindicario nomine pro ipsis communi universitate et hominibus, ex altera, ad infrascripta pacta et convenciones que continentur inferius, ut infra legitur, devenerunt; videlicet quia dominus Lodixius sindicus dicti communis Ianue, nomine et* vice dicti comunis , concessit dicto Philippo sindico communis et universitatis hominum Amalffie recipienti vice et nomine universitatis et communis Amalffie, quod homines Amalffie et ducatus possint et eis liceat venire Ianuam, et ad singulas terras et portus civitatis Ianue et iurisdicionis ipsius, vendere permutare et negociarc de rebus et mercibus eorumdem, et emere quecumque vo- 166 GIORNALE LIGUSTICO luerint in civitate Ianue et extra ubicumque per totam iurisdicionem et in singulis partibus iurisdicionis Ianue , et morari et discedere liberi et immunes, sine eo quod aliquid solvere debeant, seu teneantur, seu aliquis eorum teneatur, racione alicuius seu dricti. seu exactionis, quod seu que solvatur seu solvi consueverit seu de cetero solvetur, quocumque nomine censantur, in civitate Ianue seu portu, seu aliquo alio portu, seu loco iurisdicionis Ianue, ordinacione aliqua facta seu facienda a dicto communi Ianue seu officialibus presidentibus, seu qui de cetero preerunt ipsi communi seu aliquo alio modo, seu de consuetudine actenus introducta, seu de cetero introducenda. Set omnis Amalphitanus et ducatus ab omnibus presta-cionibus drictorum, toltarum et quarumlibet exactionum quocumque nomine censeantur in veniendo ad civitatem Ianue, seu aliqua loca iurisdicionis , inorando et recedendo, et in omnibus et singulis vendicionibus empcionibus permutacionibus et aliis negociacionibus quibuscumque in dicta civitate Ianue et singulis portibus et locis iurisdicionis ipsius sint omnino franchi liberi et immunes sani et naufraugui. Et versa vice dictus Filippus sindicus dicti communis Amalffie, nomine et vice ipsius communis Amalffie, et hominum ipsius, et ducatus ipsius, concessit dicto Loyssio sindico communis Ianue recipienti nomine et vice universitatis et communis et hominum civitatis Ianue et districtus et qui pro lanuensibus distringuntur et appellantur, quod homines civitatis Ianue et districtus et qui pro lanuensibus distringuntur et appellantur, possint et eis liceat ire ad Amalffiam et ad singulas terras et portus civitatis Amalffie seu districtus, vendere, permutare et negociare de rebus et mercibus eorumdem, et emere queeumque voluerint in civitate Amalffie et extra ubicumque per totum ducatum et in singulis partibus ducatus seu districtus Amalffie, et morari et discedere liberi et inmunes, sine eo quod aliquod solvere debeant seu teneantur, seu aliquis eorum teneatur, racione alicuius dricti seu exactionis qui seu que solvatur seu solvi consueverit, seu de cetero solvetur quocumque nomine censeantur in civitate Amalffie seu portu seu aliquo alio portu seu loco Amalffie, seu ducatus, seu districtus Amalffie, ordinacione aliqua facta, seu facienda a dicto communi Amalffie seu officialibus presidentibus, seu qui de cetero preerunt ipsi communi Amalffie seu aliquo alio modo, seu consuetudine actenus introducta seu de cetero introducenda. Set omnes et singuli Ianuenses et districtus et qui pro lanuensibus appellantur seu distringuntur ab omnibus et singulis prestacionibus drictorum, toltarum et quarumlibet exacionum, quocumque nomine censeantur, in eundo ad civitatem Amalffie, seu aliquo loco ducatu3 ipsius, morando et discedendo et in omnibus GIORNALE LIGUSTICO et singulis vendicionibus, empcionibus permutacionibus et aliis negocia-cionibus quibuscumque et dicta civitate Amalffie et singulis portibus et locis, ducatus et districtus ipsius sint omnino franchi, liberi et im-munes, sani et naufraugui. Et si contingeret quod dominus Rex Carollus, qui presencialiter dominatur in civitate Amalffie et ducatus pro dicto, seu aliquis dominus, seu baro, ad quem perveniret aliquo modo dominium dicte terre, imponeret seu introduceret aliquod drictum seu exactionem de novo seu introducta, actenus dricta, seu exaciones vellet exigere, seu exigi facere, promissit dictus sindicus communis Amalffie dicto nomine, quod universitas et commune Amalffie et ducatus faciet et curabit sic et taliter, omni exceptione remota, quod dictus Rex seu dominus astinebit ab exigendo seu exigi faciendo ab omnibus lanuensibus et qui pro lanuensibus distringuntur seu appellantur. Predicta quidem pacta, conven-ciones et concessiones et omnia et singula supradicta, promixit dictus Loyssius sindicus dicti communis Ianue, nomine quo supra, dicto sindico communis Amalphie recipienti ut supra, quod commune Ianue attendet, complebit et observabit et contra in aliquo non veniet, sub pena marcharum mille argenti; in quam penam incidat dictum commune Ianue et homines ipsius quociens per ipsum seu eius nomine fuerit contraventum. Ratis semper manentibus omnibus et singulis supradictis. Et eodem modo dictus Philippus sindicus communis Amalffie, et hominum ipsius et ducatus nomine quo supra promissit dicto sindico commuais Ianue recipienti ut supra quod dictum commune Amalffie et homines ipsius et ducatus, predicta omnia et singula attendent, complebunt et observabunt, et contra in aliquo non venient, sub pena quantitatis praedicte marcharum mille argenti ; in quam penam incidat dictum commune Amalffie et homines ipsius et ducatus quociens fuerit contraventum. Ratis semper manentibus omnibus et singulis supradictis. Et pro predictis omnibus sic observandis obligavit dictus syndicus communis Inuae nomine ipsius communis dicto sindico communis Amalffie, recipienti ut supra, pignori omnia bona dicti communis Ianue, que per capitulum obligari non prohibentur ; et dictus syndicus communis Amalffie , nomine ipsius communis, obligavit dicto sindico communis Ianue omnia bona dicti communis Amalffie. Actum Ianue in palacio communis Ianue in quo moratur dominus abbas populi ianuensis, anno dominice nativitatis MCCCII indicione XIV die XVIII Ianuarii in sero. Testes Levantinus de Levanto, Angelus Tartaro iudices, Guido Embriacus, Obertus de Padua, Iohanninus de Sexto speciarius, et Martinus de Oliva de Ripparolio. -j- Ego Iacobus de Albario notarius rogatus scripsi. 168 GIORNALE LIGUSTICO I GENOVESI ALLE FIERE DI BESANZONE E PIACENZA. Il sig. Augusto Castan in un pregevolissimo lavoro intitolato Granvelle a Besançon, comparso nella prima dispensa della Revue historique uscita a Parigi ne5 primi mesi del corrente anno sotto la sapiente direzione dei signori Monod e Fagniez, tocca dei banchi di cambio stabiliti in Besanzone dai genovesi nella prima metà del secolo XVI, accennando altresi, mercè un documento, all’ epoca in cui quei banchieri dovettero abbandonare la città e si trasferirono a Piacenza. Ecco quanto scrive il eh. Autore: C’est du mois de février 1535 que datent les négociations de la commune pour fixer à Besançon des banquiers génois qui y tiendraient des foires financières. Cet établissement eut du renom et de la prospérité, jusqu’au moment où ^.es guerres de religion le firent sombrer. Alors ce centre a’ affaires fut transporté à Plaisance, ainsi qu’en témoigne le passage suivant d’une requête à l’empereur, écrite le 8 avril 1609, par Jean de Bâle et Pierre Varin, banquiers de Besançon: « Jam, a pluribus annis, divus Carolus quintus, imperator felicissimae recordationis, Januensibus, Florentinis, Mediolanensibus, aliisque mercatoribus campsoribus, gratiose concessit privilegium nundinarum in civitate imperiali Vesuntinensi, pro exercitio cambiorum et recambiorum. Qui quidem eo sunt in civitate usi privilegio, ibique per multos annos artem campsoriam exercuerunt, talesque nundinas vulgo nuncuparunt la feria di Bisançone. Quae quidem nundinae, licet eodem nomine jam vocitentur, tamen, ob bellorum tumultus obque alias incommoditates, fuerunt, ratione exercitii et solutionum, translatae per dictos campsores italos in civitatem Placentinam...... » (Archives de la ville de Besançon). GIORNALE LIGUSTICO 169 SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA Anno Accademico 1875-76. XIX dalla fondazione dell’ Istituto. I. Assemblea Generale. Tornata del 12 Dicembre 1875. Presidenza del Presidete comm. Antonio Crocco. Il Presidente con ac:once parole dichiara aperte le tornate del nuovo anno; ed il Segretario Generale cav. Belgrano, giusta il consueto, legge una Relazione sull’andamento degli studi e dell’ amministrazione della Società per 1’ anno anteriore. Succede la nomina di parecchi soci effettivi, e la presentazione di due nuovi fascicoli degli Atti, cioè: Vol. X, fascicolo 3.° ; il quale contiene la Commemorazione del comm. Giuseppe Morro, già letta dal Presidente nella seduta del i.° agosto p. p., ed un opuscolo del genovese Adamo di Montaldo sulla conquista di Costantinopoli per Maometto II nel 1453 commentato dal cav. Desimoni. Vol. XI, fascicolo i.°; il quale contiene una Seconda appendice alle iscrizioni romane della Liguria, non che le Epigrafi cristiane della medesima regione dai primi tempi sino al mille, ordinate ed illustrate dal cav. prof. Angiolo Sanguineti. II. Sezione di Belle Arti. Tornata del 17 Dicembre 1875. Presidenza del Preside cav. prof. Federigo Alizeri. Il Preside fa omaggio alla Sezione di una copia sincrona della seguente lettera del noto storico genovese Francesco GIORNALE LIGUSTICO Maria Aeinelli, avvertendo come sia l’unico documento donde si apprenda aver lo stesso applicato l’animo eziandio al dipingere. Al Sig. Egidio Longliero. Amico caro. Io non sono potuto venire da voi attesa l’ernia e la podagra che mi travaglia e i miei ottantaquattro anni. Il manoscritto della relazione di Genova io l’ho già veduto in casa del sig. Ambrogio (i), e me ne sono servito. In quanto all’ illustrazione di tutte le lapidi della Liguria, adesso le lascio un poco dormire perchè ho altro da fare. Mi fu commesso di fare il ritratto del mio amico Prete Lorenzo Garaventa, il quale deve essere posto nella Chiesa di Gesù e Maria a Prè dove sono le scuole ai poveri fanciulli, e per ciò sono dietro a dipingere e non posso fare altro, perchè ho anche da farvi il pendant con molti putti (2). Un mese fa ho cominciato a copiare le lapidi del Bisagno, e le ho illustrate, come anche quelle della Foce e d’ Albaro, ma sono poche e se le volete vedere sono qui ai vostri comandi, ma sono male scritte. Se mai vedete il sig. Ambrogio, ditegli che il sotterraneo di S. Lazzaro 1’ ho copiato due anni fa al-1 aquarella, ma 1’ ho messo nell’ Archivio a istanza di quel signore di cui abbiamo parlato l’altro giorno (3). Il Padre Poggi vedendo che ha torto e che tutti mi danno ragione fino Monsignor Lercari, va dicendo male di me, dice che sono un asino piuvuto dalla riviera di Levante, che non so trattare ; ma io gli ho scritto che nella riviera di Levante sono già nati degli asini, ma che non vi sono mai nati dei birbi come lui. Basta, Dio glielo perdoni (4). Se vorrete aiutarmi, mio caro , appena ho finiti (1) Ambrogio Laberio che possedeva una ricca biblioteca di cose patrie, alcune delle quali passarono dopo la sua morte nella Civico-Beriana. (2) Ndle scuole maschili di Prò esiste questo ritratto e trovasi collocato sul ripiano della seconda scala; v’ha eziandio il pendant che rappresenta il prete Lertora , ma ci sembra d',altra mano e ci fu detto attribuirsi a Romano Gallino, pittore da non molti anni defunto. Dei ritratti del Garaventa uno assai bello ne possiede la Biblioteca della R. Università eseguito nel secolo passato, un altro è nelle scuole maschili sul colle di S. Andrea. (3) Parlasi del sotterraneo della distrutta chiesa di S. Lazzaro a Capo di faro , cui era ammesso 1 ospedale dei lebbrosi; forse questo disegno potrà trovarsi nell'Archivio dell’Albergo dei poveri dove passarono le scritture di quella chiesa ed ospizio. (4) Il P. Giacomo Poggi missionario di Fassolo, che fu anche teologo della Repubblica, volle farsi merito appo il Governo delle fatiche dell’ Aeinelli e sotto colore d’amicizia e di lauta mercede gli carpi il lavoro latino contro il Rehinard e la Storia ecclesiastica, come può vedersi GIORNALE LIGÙSTICO quei due quadri, voglio dipingere la facciata di tutti i palazzi più belli di Genova, e sapete che li ho già sbozzati, e il sig. Tagliafichi l’architelo (i) mi aiuterà, come mi ha detto. Basta, guardate di star bene, e appena l’avete veduto, mandatemi l’atlante della Liguria, che ne ho bisogno. A Dio. Di casa, mentre viene la neve, il 22 Gennaio 1774. P. Francesco M. Acinelli. Ripigliando in seguito lo stesso prof. Alizeri la lettura delle Notizie di Antonio da Semino e Teramo di Piaggio (2); dimostra 1’erroneità della tradizione e degli scritti che attribuiscono a Teramo la bellissima ancona di san Martino di Zoagli, provando per documenti come questa sia invece fattura di Agostino figlio di lui che ebbe a dipingerla intorno al 1572, e così un decennio all’incirca dopo la morte del genitore. V’ha pure esempio che Teramo si rendesse maestro all’ infuori della famiglia ; e ne è prova un Giovanni Maria di Rocca rammentato negli atti pel 1574. Antonio da Semino mancò ai viventi a metà del 1555: testimone Andrea, suo figlio primogenito, nelle carte del notaio Matteo Sivori. E Andrea ed Ottavio suo fratello ben mostrarono d’informarsi agli esempi del padre ; e del secondo è pregio che si rammenti la fronte del palazzo Saivago sull’omonima piazza da lui dipinta in età giovanile. Entra poi 1’ Alizeri a discorrere di Agostino Calvi, figliuolo di Marciano; ed al Soprani che gli dà vanto di avere smesso fra i primi il vezzo de’ campi dorati e agevolato così nelle Memorie sacro-profane di Genova edite nel 1772 senza note tipografiche, e più ampiamente nella Biografìa dell’Acinelli di P. A. Sbertoli (Giornale degli studiosi, anno II, semestre primo, pag. 229-30). Il Poggi uomo vanitoso e privo di soda erudizione dettò altresì le istorie di S. Remo giovandosi delle fatiche di Bernardo Poch; e sì fatta opera in più volumi serbasi nel nostro Archivio di Stato. (1) Emanuele Andrea Tagliafichi lodato architetto ed ingegnere (Ai.izf.ri. Notizie dei professori del disegno ecc., Tomo II, p. I). (2) Vedi a pag. 82. 172 GIORNALE LIGUSTICO il cammino alle forme moderne, risponde come già il Mazone ed il Brea ne fossero correttori. Tra le opere del Calvi rassegnate dall’ Autore emerge inoltre quella di un altare pei confratelli di san Giacomo in Gavi, dov’ebbe a rappresentare il santo apostolo fiancheggiato dal Precursore e da san Sebastiano; però non voglionsi ascrivere del pari ad Agostino i rilievi e gli intagli che faceano corredo all’ancona, essendo la cura dei medesimi stata commessa a un Battista Garibaldo espertissimo legnaiuolo. Oprò eziandio il Calvi nella tribuna di santa Zita in Bisagno, soccorrendolo i figli Lazzaro e Pantaleo; de’ ^uali il primo fu assai felice imitatore di quello stile disinvolto, elegante e pieno di brio che traeva cittadini e forastieri in Palazzo D’ Oria a Fassolo. Ragionando in seguito di Giovanni Cambiaso, il Disse-rente appunta il Soprani di aver lasciato costui nell incertezza per ciò che è di stile, rassegnandolo ai vecchi, mentre dee dirsi il novissimo di quegli antichi, ed il primo a innamorare e a far prove di novità. Soggiunge che pur avendo sempre dinanzi agli occhi il più semplice ed elegante lasciossi sedurre al più ardimentoso, di tal forma che ne’ suoi modi il grandioso divenne gonfiezza e l’iperbole affettazione. Assai più felice di Giovanni fu Luca di lui figliuolo, chè mescolato alle sue prime fatture qualche esempio del padre, seppe di poi farne ammenda savissima. E dove il Soprani nel fregio, che 1’ Accademia Ligustica strappò presso al tempio di san Domenico e poscia murò all’ attico delle sue scale, vide il solo esempio di Giovanni, 1’ Alizeri consente a chi stima che Luca vi avesse pur mano, solito com’ era a prestarsi in aiuto del genitore. Bensì tra 1’altre opere di Giovanni, è un quadro nella chiesuola di Brecanecca, paesello montano e solingo del Chiavarese. Viveva ancora sì fatto maestro nel 1577; ma una carta del 1579 ci chiarisce ch’egli era a quest’epoca di già passato di vita. GIORNALE LIGUSTICO III. Sezione di Archeologia. Tornata del 14 Gennaio 1876. Presidenza del Preside avv. Pier Costantino Remondini. Il socio Desimoni legge la sua Dissertazione Di un recente giudizio intorno l’importanza storica della battaglia di Legnano, che già venne integralmente prodotta in questo Giornale (pag. 3-32). IV. Sezione di Storia. Tornata del 21 Gennaio 1876. ‘Presidenza del Preside cav. avv. Cornelio Desimoni. Il socio Staglieno legge la prima parte di un suo lavoro intitolato : Degli Ebrei in Genova. I. Gli Ebrei sino dai tempi in cui la loro nazione era in istato di prosperità e di grandezza trovavansi nelle principali città del mondo allora conosciuto, esercitando, come che intelligenti ed attivi il commercio e le industrie, ed accumulando grandi ricchezze. Ma quando colla distruzione di Gerusalemme cessarono di avere una politica esistenza, e per le spaventevoli disavventure patite, la loro dispersione divenne generale ed il loro stato abituale, si introdussero in molte città e terre a loro prima sconosciute, ed a poco a poco si sparsero per tutto il mondo. Se prima 0 dopo 1’ accennata distruzione di Gerusalemme gli Ebrei siano venuti a soggiornare in Genova, non abbiamo I74 GIORNALE LIGUSTICO documenti che in modo positivo lo affermino. Ma essendo Genova, sino dai tempi i più remoti, emporio commerciale importantissimo, e trovandosi essi, secondo dice Strabone, in ogni città commerciale di rilievo, evvi tutta la morale certezza che anche qui ab antiquo avessero preso stanza. Le prime notizie che a riguardo dell’ esser loro fra noi si conoscano, non ascendono oltre la metà del quinto secolo dell’era cristiana, e sono che qui avevano una vecchia Sinagoga, e vantavano privilegi resi venerandi da una lunga antichità. Ciò è attestato da due lettere dell’ Imperatore Teo-dorico, conservateci da Cassiodoro, con le quali questo sovrano , in risposta ai loro ricorsi, permette che rifacciano il tetto della Sinagoga, ed ordina che siano rispettati i privilegi che loro erano stati concessi. Quali questi si fossero ed in quali relazioni vivessero gli Ebrei fra di noi allora e per molto tempo appresso ci è ignoto, nè si hanno documenti per indagarlo. Ma non è a credersi che gravi di molto ed umilianti fossero le condizioni loro imposte dalle leggi, nè che da parte della popolazione dovessero soffrire abitualmente strappazzi e violenze, meno forse quelli che come fatti isolati potevano talora suscitare straordinarie circostanze di religioso fanatismo e di individuale intolleranza. Dalle quali poi trovavano schermo e rimedio ricorrendo alle autorità vuoi civili che religiose, come ne abbiam provane’ riferiti atti di Teodorico, ove vo-gliansi credere originati da eccessi commessi dai nostri contro la loro Sinagoga e da attentati ai loro privilegi, e nella protezione concessa a quei di Cagliari dal Papa Gregorio quando turbati da un neofito cristiano nella loro Sinagoga fecero ricorso a quel grande. D’ altronde 1’ epoca della legale e direi uniforme persecuzione contro gli Ebrei non cominciò prima del secolo XI, e di essa furono prima causa i Crociati i quali nell’ impeto del- GIORNALE LIGUSTICO *75 P entusiasmo sfocavano la loro vendetta non solo contro i Turchi violatori dei luoghi santificati da Cristo, ma ancora contro gli Ebrei come quelli che lo misero a morte. Questi poi che numerosissimi erano in Europa, minacciati nell’esistenza, intaccati negli interessi, naturalmente reagivano a danno dei Cristiani ; e da ciò nacque quello stato di persecuzione loro intimato da tutte le nazioni cristiane, e quella di serie ordinamenti fatti per umiliare e vilipendere l’abborrita nazione, sanzionato dal disposto dei Concilii, dalle pontificie costituzioni e dalla pratica costante della Inquisizione. Ma mentre in molte parti dell’ Europa, e specialmente in Germania, i Crociati istigati da fanatici religiosi credevano non poter meglio cominciare la santa impresa della liberazione del Sepolcro di Cristo che versando a torrenti il sangue dei poveri Ebrei, o sottoponendoli alle più orribili persecuzioni , crudeltà biasimate, ma spesso invano, da molti Vescovi, da’ sommi Pontefici e dal grande abate di Chiara-valle S. Bernardo, nè le istorie cristiane, nè gli annali giudaici segnano che fatti consimili siano avvenuti in Genova; onde puossi inferire che qui restassero illesi da tale persecuzione. Eppure i nostri antenati presero la più larga parte alle Crociate, e come porto di mare la città nostra era luogo dove da molte terre convenivano i croce-segnati a prendere imbarco per recarsi in Oriente. Fatto rimarchevole pertanto e degno di considerazione, come altro fra le tante prove che a quei tempi le nostre popolazioni erano diggià più avanzate in civiltà e meno soggette al fanatismo ed alla superstizione che non molte altre e specialmente quelle del centro del-1’ Europa. Se però in tale occasione furono risparmiati dalle stragi gli Ebrei fra di noi, non è a credere che da quel trambusto e rimescolamento di popoli, da quel versarsi dell’ Occidente GIORNALE LIGUSTICO nell’Oriente, vi guadagnassero nei loro privilegi; che un lodo dei nostri Consoli sotto la data del 1134 ce li addita soggetti all’ annua tassa di soldi tre ciascuno, per mantenere accese le lampade all’ altare di S. Lorenzo, da pagarsi effettivamente in olio. Laudaverunt ut omnes 'Judei qui sunt vel qui fuerint habitatores fanne tribuant unusquisque per unum quemque annum solidos tres altari sancti Laurentii pro luminaria, et illi solidi dentur in oleo unde illuminetur altare. Prova evidente che già i loro privilegi, col farli contribuire alle spese di culto di una religione a loro nemica e da essi detestata, erano stati intaccati nonostante che conservassero ancora il soggiorno fra di noi. Neanche questo però dovette più a lungo durare, perchè da tal epoca e per molto tempo appresso non hassi più notizia degli Ebrei, e devonsi ritenere come espulsi intorno al secolo XII, quantunque ci manchi la data precisa di questo fatto, e da allora in avanti proibito ai medesimi di soggiornare a Genova oltre tre giorni, ove per cagion di passaggio ad altri luoghi o di qualche loro negozio qui fossero venuti. Le notizie che su ciò si raccolgono negli antichi nostri scrittori e nelle vecchie carte accennano a questa proibizione 0 limitazione di permanenza a tre giorni, come cosa antichissima. Bartolomeo Senarega all’ anno 1492, parlando della cacciata degli Ebrei dalla Spagna e del loro approdo in Genova, come dirò fra breve, lo afferma chiaramente. Venerunt in urbem nostram plures, diutius tamen non moraturi, nam ex antiquis patriae consuetudinibus ultra dies tres moram facere non possunt. E diversi bandi dei primordi del secolo XVI relativi ai medesimi, ove si legge: Sapiando che li nostri antiqui movuti da boni respeti non lassiavano che judei potessero habitare più de trei jorni itila cità ecc., lo confermano, come lo conferma una predica GIORNALE LIGUSTICO I77 del P. Silvestro da Prierio da lui detta intorno al 1500, quando priore di S. Maria di Castello vi declamò il quaresimale, ove1 parlando di Genova e degli Ebrei che vi stavano usa queste espressioni: Nec poterant olim ibi habitare judei in memoriam Passionis Christi. Ond’ è che quantunque non manchi il caso di qualche salvocondotto concesso ad Ebrei negozianti o medici per qui fermarsi oltre i tre giorni, lo si trova però rarissimamente sino alla fine del secolo XV. A ciò oltre il principio religioso non è estraneo il principio economico. Chè essendo i Genovesi popolo esenzial-mente dedito al commercio, e pratico di tutte le arti che si riferiscono ai cambi ed ai traffici del] danaro, costituenti la professione de’ banchieri, è naturalissimo non vedessero fra loro di buon occhio gli Ebrei, che pure queste professioni e specialmente quella dei negozi del danaro, attese le loro condizioni particolari, esercitavano di preferenza. Come d’ altra parte costoro non potevano ripromettersi grandi lucri fra di noi, ove avrebbero trovato negli abitanti una funesta concorrenza. Onde è che mentre presso altre nazioni vediamo spesso in mano degli Ebrei tutti i commerci, ed in ispecie il monopolio di quello del danaro, fra noi invece, come in tutta l’Italia, trovansi i medesimi anche sotto questo rapporto in uno stato di molto inferiore. La fine del secolo XV segna per gli Ebrei e per la storia dell’ umanità un’ epoca sanguinosa e funesta. Regnavano allora in Spagna Ferdinando ed Isabella che volendo liberare quel paese dagli Ebrei stabilitivi da antico, ricchi di numero e di dovizie e di influenze, decretarono che o si facessero cristiani o sfrattassero. Nella dura alternativa quelli che potevano fuggivano, gli altri si fingevano cristani. Ma qui nuovi guai, chè scoperti erano arrestati e senza re- i78 GIORNALE LIGUSTICO missione dal tribunale della S. Inquisizione presieduto dal feroce Torquemada abbruciati vivi. Orribili sono le traversie a cui andarono allora soggetti gli Ebrei, delle quali tutti gli storici parlano con un senso di raccapriccio; e la Spagna perdette con essi ottocento mila cittadini industriosi, mentre i regnanti Ferdinando ed Isabella si acquistarono il titolo di cattolici. In tale circostanza moltissimi Ebrei scampati alla persecuzione vennero a Genova. Lo storico Cesare Cantù parlando di questo fatto, usa tali espressioni : molti di essi sbarcarono in Italia, e ne furono visti morir di fame presso il molo di Genova, unico angolo dove fossero raccolti. Il nostro annalista Agostino Giustiniani, tacendo, e non saprei perche, del loro arrivo fra noi accenna alla loro cacciata di Spagna ed ai loro patimenti. E qui a di lui onore non posso ommettere che ciò dicendo lo fa in termini di grande commiserazione per loro, osservando che ancor essi erano creature di Dio ancor che fossero differenti dalla religione cristiana. Parole tanto più commendevoli in quanto che egli era domenicano e vescovo, che è quanto dire apparteneva in modo speciale ed eminente al clero, il quale pur troppo dava esempio della più grande intolleranza verso gli Ebrei. Ma se egli è muto a riguardo del loro arrivo in Genova, ce ne ha conservata notizia il precitato Bartolomeo Senarega, il quale visse contemporaneo al fatto, fu cancelliere del Comune, incaricato di scriverne le istorie ed è dal P. Spotorno nella sua Storia Letteraria descritto come uomo probo, pieno di carità veiso la patria, sincero senza adulazione e senza ira , degno veramente degli onori e dei carichi a lui addossati dal pubblico, quantunque forse troppo facile a prestar credenza a miracoli spacciati dal volgo. Egli adunque parlando della cacciata degli Ebrei dalla Spagna, se osserva che quei sovrani lo fecero per il bene della GIORNALE LIGUSTICO 179 cristiana religione, non può tacere che colle persecuzioni crudeli fatte soffrire ai medesimi, col condannarli al fuoco, coll’ impossessarsi dei loro beni, non poterono esimersi dalla taccia di avarizia. E compiangendo la sorte di quei tapini che 0 per esser privi di mezzi o per altro motivo non potevano andar via, e perciò erano o abbruciati vivi o fatti a forza cristiani, esclama: res haec primo adspectu laudabilis visa est quia decus nostrae religionis respiceret, sed aliquantulum in se crudelitatis continere si eos non belluas sed homines a Deo creatos conside- v / raverimus. Nè meno pietose parole adopera il nostro Annalista, descrivendo lo stato di quei che fuggivano ed il loro approdo fra noi. Io potrei forse essere tacciato di esagerazione e di parzialità se ne porgessi un estratto onde credo meglio offrirle per intero e letteralmente tradotte: Lagri-mevol cosa sarebbe stato il vedere le loro calamità. Molti per la fame perirono e primi fra questi i lattanti ed i fanciulli. Le madri semivive portando seco i loro piccini morenti nelle culle, insieme a costoro morivano. Molti dal freddo, molti dall’inedia e dalla sete erano uccisi. L’ agitazione del mare e la navigazione a cui non erano avvezzi ne fece perire una incredibile moltitudine. Io mi taccio quanto crudelmente, quanto avaramente vennero trattati dai loro conduttori. Non pochi furono sommersi per avarizia dei marinai, e coloro che non avevano da pagare il viaggio vendevano i figli. Vennero parecchi di essi nella nostra città, non però per fermavisi, perchè secondo le antiche consuetudini della patria non vi possono soggiornare più di tre giorni. Però fu loro permessa una sosta di qualche giorno, affinché si potessero riparare le navi sulle quali erano condotti ed essi alquanto ristorarsi dalla patita navigazione. Tu li avresti detti altrettante larve, tanto erano macilenti, pallidi, cogli occhi infossati; e se non era che alquanto si muovevano, li avresti scambiati per morti. Mentre le navi si riparavano, provvedendosi di ciò che è d’ uopo per un più lungo viaggio, passò una gran parte dell’ inverno, e frattanto molti ino- i8o GIORNALE LIGUSTICO rivano nei dintorni del molo, la qual parte vicina al mare, soltanto era stata destinata ad accogliere gli Ebrei. Però non vi fu alcnn timore di pestilenza; ma avvicinandosi la primavera, cominciarono ad apparire i buboni che stavano ascosi nell’ inverno; il qual malore nutrito nella città fece sì che V anno seguente fosse anno di peste. Così il nostro Annalista, il quale, essendo scrittore del Comune, insignito di pubblica carica, sulle disposizioni prese dal Governo a riguardo dell’ arrivo e soggiorno degli Ebrei fra di noi usa la più grande riservatezza, non fa commenti, non dà spiegazioni, registra solo i fatti senza alcuna apprezziazione. Ma io non farò ugualmente, chè avendo trovato negli antichi registri degli atti del Comune ed altrove con che completare il racconto del buon cancelliere e spiegarlo, special-mente per quel che ha tratto alla peste da lui accennata dopo la venuta degli Ebrei, ne userò largamente tanto più che non mi trovo legato da quelle convenienze che forse gli impedivano di maggiormante spiegarsi. Dirò pertanto che i nostri antenati sino dal momento in cui loro venne notizia di ciò che operavasi in Spagna contro gli Ebrei, a tutela dei proprii interessi, chè molte relazioni avevano colà e naturalmente cogli Ebrei, scrissero una lettera a quei sovrani Ferdinando ed Isabella onde impegnarli affinchè i mercanti genovesi fossero soddisfatti dei crediti che tenevano contro gli Ebrei, i beni dei quali (per essere i medesimi o fuggiti o dati al fuoco) erano caduti in possesso delle loro Maestà. Se queste abbiano soddisfatto ai reclami non saprei dire ; ma e probabilissimo lo facessero, essendo in buoni termini di amicizia con i nostri padri. Osserverò poi che la data di tal lettera e del 6 novembre 1481, e che la vera persecuzione contro gli Ebrei cominciò solo nove anni dopo; ed è a rimarcarsi che non agli Ebrei propriamente detti si riferisce GIORNALE LIGUSTICO 181 la medesima, bensì agli Ebrei che fintamente vivevano da Cristiani, distinti col nome di Marrani, contro i quali come contro i Mori si intraprese molto tempo prima la persecuzione. Cominciata questa nel 1492, il Consiglio della nostra Repubblica discusse lungamente sul contegno a tenersi a riguardo degli Ebrei fuggitivi. Contrarii erano i pareri; altri opinava che si dovessero accogliere ed altri no. I diversi Magistrati dell’ Ufficio di Balia e della Moneta non erano concordi. Si nominarono commissioni e sotto-commissioni, finché fu deciso di concedere salvocondotto agli Ebrei addì 23 maggio del 1492. Questa concessione non fece però tranquilli coloro che erano di opposta opinione, che perciò usando della loro influenza cercavano di renderla vana. E già sotto la data del 6 giugno seguente vediamo registrata la deliberazione che nessun capitano di nave genovese imbarcasse Ebrei che fossero debitori di genovesi, se prima non era ben certo che avessero soddisfatto ai loro debiti, colla comminatoria di dover pagare di proprio pel capitano e di essere esclusi dal salvocondotto per gli Ebrei ; e proibito agli speculatori nostrani di assicurare navi straniere ove fossero persone o robbe di Ebrei sotto pena di cinquecento ducati. Troviamo pure sotto la data del 29 gennaio seguente la proibizione fatta dall’ Ufficio di Sanita ad un padrone di nave, Gio. Giacomo Spinola, di far calare a terra gli Ebrei seco lui imbarcati, i quali erano dai trenta ai quaranta, e poscia al 25 febbraio del 1493 medesimo, il decreto che da allora in avanti non possa più venire nè per mare nè per terra alcun , Ebreo, sotto pena, oltre le altre, di due tratti di corda per essi e di 500 ducati per i capitani di nave. Prescrivendo che ove per qualche circostanza le navi contenenti Ebrei dovessero approdare alle nostre- spiaggie potessero essere provviste i82 GIORNALE LIGUSTICO di soccorso e di vitto, con tutte le cautele però che impedissero a’ nostrani ogni conversazione cogli Ebrei, o colle ciurme delle navi dove essi si trovavano. Le quali disposizioni mentre provano che il salvocondotto concesso non durò molto tempo, dal maggio al febbraio seguente , dalle restrizioni poste al medesimo si ha argomento dell’ incertezza di opinione che allora regnava nei consigli del Governo. A ciò non era estranea l’influenza religiosa, anzi possiamo dire ne fosse la principale cagione, e gli annali de’ Minoriti ce ne danno la prova. Percorreva in quei tempi l’Italia il P. Bernardino da Feltre, il quale come scrive Fra’ Marco da Lisbona: era nel dire grave e modesto, pietoso verso i bisognosi e riprendeva vivamente V usura. Per questa causa perseguitava grandemente gli Ebrei e gli altri infedeli che facevano tali contratti, et in ogni luogo dove potè li fece discacciare. Egli appunto nel 1492) trovavasi, non saprei se per la seconda 0 la terza volta, in Genova, ed in tale circostanza non mancò di scagliare come al solito i fulmini della sua eloquenza contro gli Ebrei esortando i genovesi a non accoglierli, e minacciandoli delle più gravi sventure. E siccome essi in tutto non soddisfecero alle prediche del Beato, i biografi di costui nella pestilenza che desolava la città 1’ anno seguente vollero vedere un castigo cagionato dall’ira di Dio pel temporaneo ricetto qui accordato agli Ebrei. Inde etiam utilis eius adventus, dice il Waddingo, quod suis predicationibus, consiliis et comminationibus effecerit ne illic reciperentur multa millia Hebreorum a Ferdinando Rege Catholico ab Hispanus expulsa, quorum tamen familiaritatem et commercium dum Genuenses vitare noluerunt, pestis flagellum praedixit et belli quae anno sequenti nobilem civitatem misere vexaverunt. Ciò è quanto a riguardo di tal epoca funesta si raccoglie negli annali dei Cristiani. Quelli degli Ebrei vi aggiungono GIORNALE LIGUSTICO 183 che i Genovesi vedendo quei tapini sparuti per cosi lunghe sofferenze e sprovvisti di danaro onde comprarsi da mangiare, andavano per le strade tenendo da una mano del pane e dall’ altra una croce. Essi offerivano il pane a quelli affamati alla condizione di adorare la croce. Questo strattagemma riuscì, e coloro che ebbero il coraggio di abbandonare la loro patria soccombettero a tale tentazione. Ma se dovere di istorico mi impose di registrare questo racconto, devo però dichiarare che dubito molto della sua veracità, od almeno che noi potrei ammettere se non qual fatto isolato ed individuale, sia perchè l’indole del nostro popolo essenzialmente commerciale, ed avvezzo a trattare ed a trovarsi in contatto con persone delle più differenti religioni, e perciò tollerantissimo in materia di credenza, vi si oppone, sia anche perchè nessuno degli scrittori religiosi vi fa la menoma allusione, non segnando siffatte conversioni di Ebrei. Trovo anzi che il Waddingo non nota fatta dal P. Bernardino da Feltre, quando fu in Genova, altra conversione che quella di una giovinetta Ebrea di Catalogna; mentre è certo e sicuro che delle conversioni spontanee 0 forzate che fossero avvenute a di lui persuasione, i pii scrittori e specialmente i frati suoi correligionarii non avrebbero taciuto, ma menato gran vanto. Da questa epoca e per molto tempo in appresso più frequenti si fanno nelle nostre carte le notizie sugli Ebrei, dei quali si vede che molti, quantunque precariamente, dovevano essersi qui fermati. Abbiamo diversi bandi dei primordi del secolo XVI nei quali si accenna all’ esistenza di un Magistrato ossia Ufficio per gli Ebrei, che prescrivono dover essi sì maschi che femmine portare un segno rotondo di drappo giallo sul petto, colla comminatoria di gravi pene pecuniarie; ed altri con cui si proibisce loro il soggiorno in città oltre tre giorni, rimet- 184 GIORNALE LIGUSTICO tendo in vigore le antiche consuetudini a pena d’ esser preisi, ritenuti 0 venduti come schiavi; infine altri ove se ne ordina lo sfratto generale dalla città, soto pena de essere confiscati loro beni et essere preisi per schiavi ei soto pena de la vita, fatta eccezione per quelli che godevano di particolare salvocondotto e per i medici. Le quali prescrizioni succedutesi e rinnovatesi in appresso a brevi intervalli non saprebbero spiegarsi, se non dal fatto che non fossero mai state pienamente osservate, e che gli Ebrei anche banditi venissero tollerati in Genova, o che allontanatisi per poco, cessato l’effetto momentaneo della proscrizione vi'ritornassero salvo ad essere di bel nuovo banditi. Così nelle influenze religiose si trova la spiegazione di quel succedersi e rinnovarsi di provvedimenti rigorosi o benigni, di quell’alternativa di tolleranza e di intolleranza più 0 meno legale a cui vennero fra di noi soggetti gli Ebrei. Nei proclami di sfratto generalmente si eccettuano coloro che erano stati graziati di salvocondotto dall’ Ufficio a ciò destinato ed i medici. Per i primi dirò che erano quasi sempre ragguardevoli negozianti, ed è naturalissimo che in una città come la nostra venissero eccettuati da odiose disposizioni. E per i medici che essi dovevano aver ottenuto licenza dal sommo Pontefice di esercitare la loro professione. Tutti sanno che dai secoli XII e XIII in appresso i medici Ebrei, Arabi, Spagnuoli e Portoghesi erano saliti in grande rinomanza, e che la scienza anatomica loro deve delle importanti scoperte. Ma l’esercizio della medica professione fra popoli cristiani veniva loro interdetto dalla ecclesiastica autorità, la quale riputava vergognosa cosa ricorrere ad essi per averne rimedii, e capace di farli andare orgogliosi e superbi, per il principio, considerato quasi di dogma, che gli Ebrei dovessero essere sempre di fronte ai Cristiani in uno stato di avvilimento e di servitù. Il Concilio GIORNALE LIGUSTICO 185 di Bezieres tenuto l’anno 1226 al canone 11, quello d’Alby al canone 69, quello di Avignone al canone 69 hanno di simili proibizioni; che furono poi confermate da Paolo III e da altri sommi Pontefici de’ quali alcuno oltre al punire il medico Ebreo che entrava in casa di un Cristiano, volle privo dell ecclesiastica sepoltura costui se moriva dopo essersi servito di tale medico. Codesto divieto, in prima assoluto e generale, a poco a poco andò perdendo del suo vigore, chè con speciali cautele i Pontefici ai medici Ebrei saliti in rinomanza permettevano 1’ esercizio della loro professione fra le nazioni cristiane. A costoro pertanto si allude nei bandi citati, e qualche nome di medici Ebrei qui dimoranti da diversi anni ricaviamo dalle nostre carte. Sembra poi che nei primordii del secolo XVI fossero qui in molto onore , chè il già citato P. Silvestro da Prierio si scaglia contro i medesimi dicendo che sono negromanti e consigliano i loro malati a non confessarsi. E poiché gli si poteva opporre che erano muniti di pontifìcia autorizzazione, dichiara le bolle carpite surrettiziamente e conclude dicendo che Domeneddio non approva tali licenze come che fatte con pericolo delle anime, biasimando così i Pontefici che le concessero. Nec credo quod Deus approbet tales licentias quae sunt in periculo animarum. Quanto vi possa esser di vero nelle accuse fatte ai medici Ebrei dal dotto Domenicano è difficile poter conoscere; ma dal vedere che i medesimi continuarono fra di noi ed in tutta la Cristianità, male non si dovrebbe apporre chi le credesse un artificio oratorio. Nè come gran frutto fecero le esortazioni del Beato Bernardino da Feltre e del P. da Prierio, pare abbiano fatto quelle degli altri religiosi che sulle orme di questi dottissimi qui predicando dedicavano un loro periodo contro gli Ebrei, che !3 i86 GIORNALE LIGUSTICO generalmente era allora cosa d’obbligo ; perchè da ora innanzi troviamo piuttosto favoriti che perseguitati gli Ebrei. Si rendono infatti più numerose le notizie che li riguardano, e moltiplicati sono loro i salvocondotti, finché sulla domanda di molti fra essi verso il 1550 viene loro concesso amplissimo permesso di qui per diversi anni soggiornare, aprir banco con interesse, e privilegi di non essere molestati: prova evidente che i nostri maggiori non consideravano la peste del 1493 come una conseguenza di aver disubbidito alle prescrizioni del Beato da Feltre, contrariamente a quanto parrebbe risultare dagli annali dei Minoriti. Cosi pure la intese il s'ac. Semeria ne’ suoi Secoli Cristiani della Liguria, ove tace affatto dell’ incidente della peste, quantunque fidandosi del nostro Giscardi creda e dica che per opera del P. Bernardino gli Ebrei che andavano sparsi per la c,ittà fossero rinchiusi in ghetto. Lo stabilimento del ghetto fra di noi fu opera di molti e molti anni posteriore, come vedremo in appresso. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Federigo Alizeri, Guida illustrativa del cittadino e del forestiero per la città di Genova e sue adiacente; Genova, dai tipi dell’editore Luigi Sambolino, mdccclxxv. Un voi. in-8.vo, di pag. Lxvi-678; con 12 tavole litografate, ed una carta topografica. Prezzo L.it. 12 per gli associati, e L.it. 14 pei non associati. I. La pubblicazione di questa Guida è stata fatta ad intervalli in sei dispense, l’ultima delle quali comparve soltanto da circa tre mesi: e noi 1’ abbiamo letta con quella avidità che ci ispirava non solo la nota perizia del eh. Autore, ma il GIORNALE LIGUSTICO conoscere come per opera sì fatta egli sarebbesi vantaggiato a gran pezza delle molteplici cognizioni acquistate per quei maggiori scritti, onde va illustrando a buon dato la storia delle tre arti nella Liguria. Nè dobbiam dire che sia all’ intutto rimasta delusa la nostra aspettazione: la Guida contiene indicazioni affatto nuove, e non raro si rivela per 1’ appunto si come il portato di coscienziose e diligenti ricerche istituite negli atti di pubblica e privata ragione. Bene è da dolere però che alle sollecitudini dell’Autore non siensi per conto alcuno associate quelle dell editore; il quale, a non dire dei caratteri che pur lasciano molto a desiderare ( creda chi vuole che sieno « fusi appositamente » sì come bandiscono le Condizioni d’ Associazione »), ha forse più sconciato che corredato il volume mercè 1’ aggiunta di dodici incisioni raccattate per buona parte fra i vecchiumi de’ nostri stabilimenti litografici, e messe a nuovo soltanto con certe tinte che arieggiano il cielo nebbioso delle regioni polari. Del resto sì fatte incisioni, appunto perchè sovr’ esse si sono accumulate parecchie primavere , falsano ormai bene spesso l’idea dei monumenti che si pretende abbiano a rappresentare. Così, per esempio, quella che s intitola dal « Teatro e Via Carlo Felice », non reca alcuna traccia delle nuove opere di Via Roma che pur mutarono tanto l’aspetto del luogo; e così la « Cappella di san Gio. Battista » offre tuttora « quell’ assurdo cancello » che 1’ Alizeri medesimo, proprio nelle prime pagine della Guida, riprova sì come un « vero eccesso del barocchismo », lodando « la pia liberalità* del patrizio Marcello Durazzo » che « rifatto nel 1848 il pavimento a disegno, ... vi sostituì pilastrini ideati dal Canzio e più confacenti al complesso del monumento » (p. 10). Così infine la « Pubblica Passeggiata dell’ Acquasola » continua a rappresentarci le siepi di corniolo, che pur da molt’ anni cedettero il luogo (non diremo con quanto savio consiglio) alle siepi di ferro fuso; mentre 188 GIORNALE LIGUSTICO ne’ costumi che indossano le figure onde è popolata, sembra volerci richiamare all’ epoca nella quale il genio del Barabino spianava quell’area a’ diporti dei nostri babbi. Il libro è dedicato « al Sig. Barone Andrea Podestà, Sindaco della città di Genova dal gennaio 1866 all’ottobre 1874;... perchè nell’ animo di chi (lo scrisse e di chi lo pubblica rimane il sentimento d’un debito gravissimo, ed è il significare comechessia la comune riconoscenza a Chi sopra tutti adoperò di promuoverla (Genova) con buoni istituti e decorarla di monumenti cospicui ». E segue pregando 1 illustre Barone d’ acquistar favore al libro medesimo, giacché non si « potrebbe mai credere che quel Benemerito dal quale la nostra Patria conosce i principii di tante opere insigni possa sdegnare quel libro che studia comechessia d’ associarle alle magnifiche imprese de’ nostri maggiori ». Simil dedica è firmata dall’ editore Luigi Sambolino ; ma oltre che in essa è cenno della comunanza d’intendimenti che questi ha con l’Autore, niuno può disconoscere ciò che troppo manifestamente si rivela: essere l’epistola dedicatoria uscita non d’altra penna che da quella del eh. Alizeri. Se non che, mentre noi stimiamo di non rimanercene indietro nè allo scrittore nè al tipografo, sempre che trattisi di rendere omaggio alle doti eminenti che costituiscono il carattere dell’egregio Barone, non sappiamo però difenderci dall’ idea che questi, da quel-1’ uomo di spirito eh’ egli è veramente e così esperto dei casi umani, sia stato il primo a ridere di gran cuore trovandosi lodato come uno dei più zelanti e scrupolosi conservatori in fatto di patrii monumenti. Il nostro ex-Sindaco ha troppi meriti reali per accattarne de’ fittizi; ma del resto laddove l’igiene 0 i progressivi abbellimenti della città da lui con tanto zelo amministrata mostrarono di richiederlo, ei non si tenne in forse dall’ abbandonare alle picche demolitrici gli edifizi che ci tramandarono i secoli scorsi, fossero pur designati col nome GIORNALE LIGUSTICO I$9 di monumenti. Il che è tanto vero che l’Alizeri nel corso del libro si vede più è più volte condotto a contraddire all’ epistola. Cosi, per esempio, accenna alle « deplorabili rovine » dell’antica chiesa di san Sebastiano (p. 173); nè si ristà dal considerare come la nuova pur 1110’ edificata dalle Agostiniane sulle al-tuie di Per aldo, si palesi a gran pezza « diversa dal primo tempio, per nostro scorno e a più gran lode de’ nostri maggiori » (p. 511). Lamenta del pari le tristissime condizioni del palazzo Spinola nei pressi dell’ Acquasola, e soggiunge che di tal monumento « è grave a pensare lo strazio imminente » (pag. 244), per « la inesorabile ragion d’una linea che fiede il palazzo sul lato sinistro » (pag. 243) : linea, concluderemo noi, caldeggiata e promossa in ispecie dal Barone Podestà. E ne pur si tace che per ciò stesso alla vicina chiesa di santa Marta « incombono forti paure », se mai la Galleria che fiancheggia via Roma « voglia indietreggiare a sua volta e trovare 1’ aperto sulle rovine del tempio » (p. 272); di che vieppiù s’aumenterebbero le ormai « troppe giat-ture » (ivi). E « forti giatture » subirà egualmente l’Acquasola per l’atterramento delle « magnifiche volte girate a gran costo del pubblico erario per ispianarla in un sol terreno » (p. 484 e 500). Altrove la stessa ragione della dedica rende il eh. Autore più cauto, se non più felice: ma allora gli è di ostacolo ad esporre con franchezza la propria opinione. Così se il Palazzo di san Giorgio è ora « sospeso fra due, o di lasciarsi mozzare a chi zela la nuova strada, o .di sentirsi salvato da chi si compiace delle patrie memorie », 1’Alizeri se n’esce dal bivio sciamando: «Lodevoli e questi e quelli; bella sorte ad ogni modo per noi il vederlo oggi intero, aspettando in silenzio che prevalga il concetto migliore, se tanto è a sperare dall’ età nostra » (p. 35). Qual sia però questo « concetto migliore », l’Alizeri non dice: l’attende « in silenzio ». Anche le « rovine del Rettilineo » 190 GIORNALE LIGUSTICO (p. 500) domandano le attenuanti; e l’Alizeri perciò finisce col dichiarare che lascierà « i nostri figli pronunzino se l’età che viviamo sia stata più forte all’imprendere o più animosa al distruggere. Noi vivi e presenti, nè scevri all’intutto d’affetto, ammiriam l’uno e l’altro d’un modo » (p. 269). La Guida è fatta dal eh. Autore, come si rivela nella ‘Prefazione, per ovviare a quei « libricciatti incompleti della materia, fallaci nelle indicazioni e negligenti d’ogni giudizio sia d’arte o d’antichità », i quali anche dopo eh’ egli nel 1846 ebbe a pubblicare la Guida artistica continuarono ad uscire alla luce, « anzi come traffico di librai che liberale intendimento di coscienziosi scrittori ». Degno proposito, diremo anche noi coll’egregio Alizeri, ma che pure continuerà a rimanere infecondo, dacché la « succosa brevità » promessa dal Sambolino nel manifesto di associazione è sfumata con esso. Quando si pensa alle diligenti, complete e veramente brevi Guide di Venezia pel Lazari e il Selvatico, di quest’ultimo per Padova, e del Gualandi per Bologna (costa una lira ed è ricca di belle incisioni), davvero non si resta capacitati che a conoscer Genova sia mestieri di un libro della mole e del prezzo di quello dell’ Alizeri. II. Rendemmo più sopra omaggio alle coscienziose ricerche dell’Autore nei documenti dei nostri Archivi; ma dove la scorta di questi gli fallisca, ed ei si affidi alle altrui scritture , non sempre si mostra abbastanza oculato nella scelta. Lungi dal seguitare l’immenso sviluppo degli studi storici, egli se ne è rimasto addietro un trenta e più anni, quando la storia nostra vagiva ancora bambina, allevata a gran cura dal P. Spotorno e dall’ avv. Canale, specie dopo l’iniquo strapazzo fattone dal dottor Varese (1); ed ha così avuta la sfor- (1) Poiché abbiamo ricordato questo scrittore, ne prenderemo occasione per riferire a titolo di curiosità la seguente lettera eh’ egli dirigeva al GIORNALE LIGUSTICO 191 tuna di chiedere il fatto suo specialmente a quella ‘Descrizione di Genova e del Genovesato, ordinata in gran fretta nel 1846 1 revosto Paolo Amedeo Giovanelli, il quale esercitò in Genova lungamente 1 ufficio di revisore delle stampe per la Curia Ecclesiastica. Voghera li 24 del 183}. Molto Reverendo Signor Preposto Mio cugino il Senator Gratarola mi scrisse d’ essersi recato a casa V. S. Molto Reverenda, per pregarla di sollecitare ia spedizione di quei fascicoli della mia Storia della Repubblica di Genova a Lei affidati per ciò che riguarda la Revisione Ecclesiastica. Soggiunse che, sebbene io non abbia 1 onore d’ essere da V. S. conosciuto, nonpertanto Ella s’ è compiaciuta assicurarlo della molta sua premura: la quale benigna degnazione recandomi io ad onore, mi trovo in dovere di porgerle per essa le più distinte grazie. Approfitto poi della cortese sua propensione per supplicarla di continuare a dimostrarmisi inclinata, col dar passo, il più presto che per Lei, senza molto suo disturbo, si potrà, ai successivi volumi; imperciocché la speditezza è per me d’ assai importanza; e se non temessi d’ essere troppo ardito , La pregherei anche ad usarmi qualche indulgenza nella revisione protestandomi del più profondo rispetto per la nostra Santa Religione. Mi stimerò ben fortunato, Molto Reverendo Signor Preposto, se mi sarà dato annoverarla tra i miei patrocinatori; e in questa speranza ho 1’ onore di riverirla coi sentimenti della più ossequiosa venerazione, e dirmi Di V. S. M. R. Dev. Obli. Servitore Varese Carlo. Si fatta lettera sta in un codice ms. della Beriana, segnato D. 2. 4. 17, unitamente ad un foglio intitolato : Pochi cenni di N. N. della Provincia d’Acqui sul « Manifesto » e sulla « Prefazione » d’un’ opera intitolata « Storia della Repubblica di Genova scritta da Carlo Varese ». L’ estensore di tali cenni è poi dichiarato in una postilla (che crediamo di mano del Giovanelli) essere il celebre oratore sacro P. Tommaso Buffa di Ovada; nè si manca di avvertire con altra annotazione che « 1’ animosità sfrontata dell’ Autore e il tristo suo fine di scrivere questa Storia ben si conoscono da un cenno che ne dà il dotto avv. Giuseppe Canale nel giornale dell’ Esperò, anno I, 1841, n. 32 ». Del resto i Pochi cenni, meriterebbero 1^2 GIORNALE LIGUSTICO dal nostro Municipio desideroso di presentarne gli scienziati qui convenuti per l’ottavo loro congresso. Lasciando stai e che la ‘Descrizione testé citata porta seco il peccato originale di tutte le opere a scadenza fissa, distribuite per necessita fra molti collaboratori e perciò manchevoli d’ogni unita di concetto ; dobbiamo però notare che certe tesi le quali si potevano allora sostenere con alcuna speciosità di ragione, oggi sono per universale consenso riprovate. Forse 1’ Alizeri medesimo ha compresa questa verità, ma non ha saputo trovar la via del rimedio. Bene spesso difatti il suo modo di scrivere accusa la poca chiarezza delle idee, ed allora i tortuosi avvolgimenti delle parole mal celano la incompleta sicurtà dell’ animo suo. Cosi nei Cenni storici v 1 ha un periodo, nel quale noi non sappiamo raccappezzarci, e crediamo che poco si raccappezzi del pari l’Autore. « Composti gli animi (egli dice) per l’intromettersi d Innocenzo II, Genova si mise in assetto delle cose civili...... istituendo un Senato che vegliasse al commercio; e da’ primordi del XII secolo a men che metà del XIV coniò tre volte moneta conosciuta sotto il nome di bruni o bruniti. Nel frattempo, per privilegio di Corrado II re di Germania fu battuta altresi moneta d’ oro e d’ argento » (p. xvii). Sfidiamo il eh. Ali-zeri a trovarci in tutti gli Annali di Caffaro e de’ suoi continuatori la notizia di un Senato, 0 d’ altra magistratura preforse di essere conosciuti. Recano essi per epigrafe il noto verso Parturient montes, e cominciano: « Certo il topo ridicolo non è per fallire a questo parto novello, secondo ne mostra il borioso di lui annunzio ossia Manifesto e più 1’ abbindolata Prefcnjone da romanzo che ne esprime, dirò cosi, le prime doglie sguaiate ». E seguita giustamente qualificando di «romanzesca millanteria » 1’affermazione del Varese che vantavasi di avere « disseppelliti come tra macie e sfasciumi dai pubblici Archivi e dalle private Biblioteche infiniti materiali ovvii ad ogni più splendido edilizio ». GIORNALE LIGUSTICO 193 posta in modo particolare alle cose del traffico; nè Genova, sì come ormai è incontrastato fra tutti i numismatici, coniò quando che sia bruni o bruniti. Coniò bensì denari grossi ed aurei genovini dal 1139-40, poiché n’ebbe concessione da Corrado. Difatti soltanto da questa data comincia nei documenti la menzione di tali monete; ed una pergamena che sembrava parlarne di già nel 1x09 fu riconosciuta appartenente al 1x79. Prima del 1140 correva in Genova la moneta pavese, anche nei pagamenti delle imposte e dei dazi, ridotta poi a genovini innanzi al 1149 (Ved. Lib. Jur., I. 142, num. CLI); e certo erano pavesi i bruni o bruniti onde parlano le carte anteriori, e specialmente i trattati Ira Genova e Pavia del 1130 e 1140 (Ved. Chartarum, II. 213; Jur., I. 68-70), dai quali si desume che sì fatto genere di moneta era comune alle due città. Tanto meno poi furono coniati bruni 0 bruniti in Genova, dopo che questa ebbe zecca propria. Veggansi un dotto articolo del eh. ab. Raggio nella Gazzetta di Genova del 1846 (num. 125 e 128), e la comunicazione fatta dal medesimo negli frequente negli verso: 1248, 3 octobris. Nicolaus Comes 'de Castello filius Coinitisse uxoris quondam Comitis de Malta Enrici. E in Richeri, filza I, foglio 118, colonna 3: 1263. suas domus positas in Castello quae fuerunt Nicolai Comitis de Castro et Admiragiae matris ejus. Se ne troveranno più altri nel-l’Indice del Richeri ; ed ivi anche un Petrinus quondam Nicolai Comitis (I, 169, 2). Nel 1243 ^ degli otto nobili Nicolosus filius quondam Henrici Comitis de Malta (Caffaro, pag. 209). Nel 1251 egli è degli otto discreti (Fogliano lì, parte I, pag. 40). I redditi in Malta e Gozo di Henricus Comes Maltae Dominus Cretae son ricordati nel 1210 (Foglialo, I. 174)-Orlando, Un codice di leggi ecc., Palermo, 1857, pagg. 104-117. GIORNALE LIGUSTICO 223 signoria di Malta un Alessandro nel 1236 e un Nicolò nel 1265. 'Di quest’ultimo parla anche 1’Abela. L’Orlando reca due diplomi del 1259 e 1260 in cui re Manfredi di .Sicilia tontei ma a questo Nicolosio la signoria che suo padre aveva in Malta, Cornino e Gozo. Ora del medesimo Nicolosio e delle entrate del padre in Malta e Gozo abbiamo più volte notizia ne nostri notari; ed ivi egli è chiamato di Castro o di Castello, Conte e figlio del Conte Enrico. Egli si trova più o meno a lungo abitante in Genova; vi possiede case nel 1248 e 1263; è scritto tra gli otto nobili che col Podestà governavano il Comune nel 1243 e 1251 ; la di lui madre è chiamata Contessa e Ammiraglia, e possiede anch’ essa case nel Quartiere di Castello. Il trovarsi il figlio d’ Enrico, ora Conte di Malta, ora tra i nobili in Genova, si spiega benissimo colla vita varia ed agitata di que’ tempi; chiamati dai Principi che ne aveano bisogno per le loro imprese, ora erano in grazia, ora ne ca- * devano secondo gli umori e le circostanze. Anche Enrico padre di Nicolò, essendo Conte di Malta e Ammiraglio di Sicilia, cadde in disgrazia del Re nel 1223, fu poi riammesso e visse fino al 1239. Ma se il figlio potè rientrare nella signoria di Malta verso il 1259, la dignità d’ Ammiraglio di Sicilia alla morte d’ Enrico passò ad un altro genovese, Nicolino Spinola, e quindi ad altri sempre genovesi: Ansaldo De Mari, An-dreolo De Mari figlio d’ Ansaldo, più tardi ai D’ Oria nel secolo XIV, ecc. In qual modo Enrico il Pescatore pervenisse alla signoria di Malta ed all’ Ammiragliato di Sicilia (che per allora pareano dignità unite), ce lo insegna il predetto Pirro, dicendo che quegli ebbe in moglie la figlia di Guglielmo il Grasso, predecessore di Enrico in que’ due uffizi (1). E noi nel precedente (1) Pirrus (in Graevii Thesaurus antiquit. Sicil. vol. V), Chronclogia Regum Siciliae, pag. 61; Abela, Descriptio Melitae, Ibid., vol. XV, pagg. 209, 212; Pirrus, Sicilia Sacra, Ibid., vol. III, pag. 1048-9. 22 4 GIORNALE LIGUSTICO articolo vedemmo che anche Guglielmo Grasso era genovese, che anch’egli pirateggiava ne’ mari del Levante nel 11-92; ed era Ammiraglio di Sicilia nel 1201, quando fu fatto prigioniero dal famigerato Marcoaldo; allora il Governo Genovese indarno si adoperò per la liberazione di lui. Tra gli amici invece del medesimo Marcoaldo è riputato, e agramente biasimatone da Innocenzo III nel 1199. E nelle carte nostre notarili abbiamo notizie di sua moglie Romana, di suo cognato Guglielmo Campanaro, e d’un suo testamento del 1184 ove nomina le sue case in Castello (1). Non saprei dire se appunto per questi suoi possessi possa riputarsi tra i discendenti di quella stessa casa a cui vedemmo appartenere Enrico di Malta e i Zaccaria. O se non piuttosto debba egli ascriversi all’altra Consolare e Viscontile famiglia dei Della Porta; trovando noi un Guglielmo Grasso Della Porta nel 1223; il quale ad ogni modo non può essere una sola persona col suo omonimo onde parliamo, ma forse un discendente. Cresce il dubbio e la confusione un detto di Rocco Pirro : laddove notando la serie degli Ammiragli Siciliani ei scrive: Guillielmus Grassus seu Porcus Admiratus Regni sub Friderico. Ora un Guglielmo Porco fu veramente anch’ egli e genovese ed Ammiraglio Siciliano. In quest’ ultima qualità accompagnò nel 1216 di Sicilia in Germania Costanza Imperatrice col figlio Arrigo ; ne. 1221 però egli è costretto a fuggire l’ira di Federico II; e, se crediamo al cronista Alberico Trinili fontium, egli è impiccato nel 1223 siccome imputato di brutti reati, commessi in società (1) Di Grasso e di Gafforio ved. Giorn. Ligustico, 1874, P^g- 166. Di Grasso e Marcoaldo ved. Caffaro al 1201, pag. 118, e Innocenta III epist., loc. cit., I, pag. 486 (1199). Sovra Grasso 0 Grosso e Porco ved. Amari, Storia dei Mussulmani in Sicilia, 1872, vol. Ili, pagg. 600-1, 606-7-\ed. pure l’indice succitato del Richeri per 1’Ammiraglio Porco e per le sue relazioni di famiglia; oltre i noti passi nel Caffaro. Ugo Per Marsigliese è pure nominato in un documento dell’ Archivio di Savona. GIORNALE LIGUSTICO 22/ col marsigliese Ugo 1-er. E questo Guglielmo Porco era già chiaio per valentie fin dal 1205 vincendo i Pisani, e insieme ad Enrico di Malta liberando Siracusa ; nel 1210 in un testamento di Guglielmo Porcello egli è dichiarato debitore di alcune migliaia di perperi e lo si intitola già Ammiraglio; nel 1210 prese due navi marsigliesi. Dal quale insieme di circostanze nasce a prima fronte il sospetto che abbia avuto ragione Rocco Pirro facendo una sola persona, come vedemmo, dei due Guglielmi Grasso e Porco. Ma, meglio considerando, crediamo non doverci accostare a tale opinione, poiché del Grasso si hanno notizie già dal 1184 almeno, ed a costui successe nell’ Ammiragliato e nella signoria di Malta il genero Enrico Pescatore ; or ciò non può essere avvenuto più tardi del 1201, e per ragione d’eredità. Onde è da inferire che Guglielmo Grasso era già morto, quando nel 1205 cominciano le notizie del suo omonimo di cognome Porco; anzi di costui, come Ammiraglio di Sicilia, pare non comincino che dal 1210. Ad ogni modo si badi che i nomi di Grasso e di Porco non avevano a que’ tempi in Genova un significato di una stessa natura. Grasso era soltanto un soprannome proprio dell’individuo, per distinguerlo da altri suoi omonimi nella stessa famiglia; di cui perciò è difficile arguire il vero cognome. Porco al contrario é cognome di famiglia già illustre ne’ fasti genovesi; e possiamo indicare il padre di questo Guglielmo in quell’ Enrico che fu console nel 1188; e probabilmente un figlio del medesimo Guglielmo è un altro Enrico del 1227. Vi sono altri suoi consanguinei capitani di navi; per esempio quegli Ogerio e Rubaldo quondam Lamberto Porco che nel 1206 tragittarono Agnese di Monferrato da Genova a Tessalonica al padre di lei marchese Bonifazio; donde passò sposa all’ imperatore Enrico di Costantinopoli. E viene a crescere la confusione in queste relazioni di fa- 226 GIORNALE LIGUSTICO miglia la recente Storia delia Grecia nel medio evo del compianto nostro amico il dott. Hopf (i). Il quale asserisce Guglielmo Grasso essere figlio del celebre Margarito il Re del mare, aneli’ esso Ammiraglio di Sicilia e Conte di Malta verso il 1191-95. Questi veramente nelle storie è denominato Margarito di Brindisi; ma il eh. Hopf lo crede nato colà di genitori genovesi ed osserva che anche il dotto Winckelmann lo crede tale, comecché al Tòcke non paia dimostrato. Osserva pure che Margarito fu sempre affezionato ai Genovesi e donò loro un suo palazzo in Messina; come pure genovesi furono gli Ammiragli che vedemmo avér governate le cose di mare in Sicilia lungo la prima metà del XIII secolo. Per quanto però sia lusinghiera per noi 1’ opinione del nostro amico, e sia questi riconosciuto come l’uomo il più profondamente versato nella cognizione de’ documenti pel medio evo del Levante, devo confessare che la cosa non mi sembra gran fatto probabile. Il nome di Margarito (seppur non è un soprannome datogli in que’ luoghi) è affatto straniero ai consueti nostrali; ed egli stesso pare piuttosto un coetaneo di Guglielmo Grasso che non un suo ascendente. Ma forse il nodo potrà sciogliersi e per la comunanza d interessi tra tutti questi (Margarito, Grasso, Enrico di Malta, Guglielmo Porco), ed anche più probabilmente per altri vincoli di cognazione 0 d’affinità che corressero tra loro; come ne vedemmo conservato dai cronisti un esempio nel Conte Enrico, erede perchè genero del Grasso.' Colla quale stregua si potranno forse spiegare altresì gli oscuri diritti di un altro pretendente all’eredità di Margarito; quel Majo 0 Matteo che 1’ Hopf ha poi rilevato appartenere alla illustre stirpe romana degli Orsini. Finalmente la contemporaneità dell’ Am- (1) Griechenland Ì11 Mittelalter; nel voi. 85 dell’Enciclopedia di Ersch e Gruber; Lipsia, Brockaus, 1867, pag, 180-2. GIORNALE LIGUSTICO 227 miragliato in Enrico di Malta e in Guglielmo Porco, come altre simili, si potranno spiegare non solo per la già notata varietà di favori e disgrazie presso il Re, ma anche, secondo una osservazione dell’illustre Amari (loc. cit.), perchè vi po-teano essere a quel tempo in Sicilia più Ammiragli (come difatti se ne nominava uno in Genova per ogni armamento) salva la dignità dell’Ammiraglio maggiore, quando vi era; il quale perciò era detto allora Ammiraglio degli Ammiragli. Compagno nelle spedizioni spalleggiate da Genova ed amico costante di Enrico di Malta fu altro suo concittadino, Alamanno Costa che la signoria di Genova, conquistata Siracusa, avea posto a Conte colà. Di costui conosciamo i figli Benevenuto e Carroccino, come conosciamo da documenti un suo fratello Rubaldo; ma de’ fatti di lui non sappiamo più di quello che ne racconta il cronista contemporaneo fino al 1217. Dei Zaccaria sovraccennati al contrario sono troppo conte le imprese eroiche, i lucri delle miniere e le vicende, perchè faccia qui mestieri di discorrerne. Lo stesso silenzio ci sta bene pei D’ Oria e per gli Spinola, che nelle guerre di Pisa, Venezia e Levante empierono di meraviglia i contemporanei ed ora empiono le storie. Vi erano allora altri meno celebri, ma valenti capitani di mare, Peschetto Mallone, Pietro Gri-maldo, Simone Grillo,'Lanfranco Pignataro, Marino (non Martino) Boccanegra (1) ecc. Sugli armamenti de’ quali, oltre quanto ne raccontano i noti storici, potremmo raccogliere negli atti notarili alcune notizie, ma piuttosto curiose che importanti. Non è però da pretermettere il nipote del sovra (1) Marino è nome noto in quella famiglia; Martino è uno sbaglio di non buoni codici del Caffaro, come Antonio invece di Ansaldo in più luoghi, per esempio in Sauli, Colonia di Galata, I, pag. 62. Vedansi per tali armamenti di galee i Fogliazzi de’ notari succitati: vol. II, parte i.\ carte 17, 42, 46, 7«. v. 115-6, 141, '5>-2. 224, 275- vo1- m> Parte l*> carte 46, 78, 106, 114 v. 228 GIORNALE LIGUSTICO accennato Gafforio, Andrea Gaffore, il quale aneli’ esso acquistò non piccola fama per le sue piraterie sovra i Veneti; e che tuttavia divenuto vecchio era 1’ amico di Marino Sanuto e si godeva pacificamente in Corfù il frutto delle sue rapine. Sanuto medesimo del resto confessava, che i nostri Genovesi erano molto meglio ben veduti in que’ mari che non i Veneziani. Ma giacché siamo su questo discorso, vogliamo ancora citare 1’ opinione del lodato Hopf sopra un altro capitano di mare in levante, Licario. Il quale fu fin qui creduto genovese e della famiglia dei Zaccaria ; ma il dotto Professore asserisce non esservi di ciò alcuna prova'; anzi il Licario essere oriundo di Vicenza, e l’errore essere provenuto dacché il cronista Muntaner tramutò il nome Licario o Icario ili Jacqueria, donde si fece Zaccaria (i). In questa lunga, forse noiosa, ma a mio avviso non inutile discussione, abbiamo passato in rapida mostra i principali personaggi i quali costituiscono la storia che si potrebbe dire veneto-genovese-orientale del secolo XIII. Ma codesta storia noi non ci assumemmo punto di scrivere; e perchè essa è stata trattata da più chiari ingegni (2), e perchè nostro consueto scopo è quello di toccarne per sommi capi; solo per pigliarne occasione d’inserirvi nuovi fatti 0 schiarimenti, secondo che recenti studi, in ispecie da stranieri, ci forniscono. II. Ritornando dunque alla conquista di Costantinopoli fatta dai Crociati nell’aprile 1204, vediamo tosto gli effetti delle mutate condizioni in Oriente tra i Genovesi ç i Veneziani (1) Hopf, loc. cit., pagg. 304, 310. « Tosto che (dice Sanuto) la bandiera genovese sventola (nell’Egeo), gli agricoli corrono a riva, portali pane e altro in abbondanza; trattano da amici e sono pagati pronto; mentre quella di San Marco non è salutata con eguale amore ». (2) Cito specialmente a cagion d’ onore la bella Storia Della Colonia dei Genovesi in Galata di Ludovico Sauli; Torino, 1831. Voi. 2. GIORNALE LIGUSTICO 229 in una guerra marittima, dapprincipio sorda e fatta apparentemente per conto privato, come già fu avvertito. I Genovesi adocchiano l’isola di Candia, che per loro sarebbe un qualche compenso alla perduta influenza in Costantinopoli; ne trattano la cessione dal marchese Bonifacio di Monferrato a cui P isola era toccata nella divisione dell’ Impero ; ma i Veneziani guadagnano loro di mano, comprandola per se stessi. Allora salta su Enrico Conte di Malta, e conquista Candia per conto proprio prima che Venezia ne abbia preso possesso. Egli ne è respinto colla forza, ma volgendosi alla patria ne ottiene soccorso d’uomini e di danaro (1206). Venezia si collega nel 1207 con Pisa, l’altra perpetua rivale di Genova; i nostri fermano nel 1210 un nuovo trattato con Enrico di Malta, ma questi dopo aver combattuto con varia fortuna è costretto a rinunziare ricisamente alla conquista di quell’ Isola. Frattanto il Papa ed i Principi cristiani non si stancano d’intromettersi a che cessi questo sempre più crescente e feroce battagliare tra se delle città marittime italiane; siccome quello che le distoglie da pigliar parte alle Crociate, vi reca in seno il turbamento e il disordine, e froda la cristianità dei soli mezzi commerciali e marittimi atti allo scopo. Pensiero che sarebbe glorioso pei Municipii nostri allora equiparati alle più grandi nazioni; se non fosse anche più doloroso per le passioni che vinsero in grandezza le virtù degli avi e ne recarono il decadimento. Finalmente al Papa riesce di conchiudere tra le città rivali una tregua di tre anni nel 1212; conciliandovi pure gli interessi dei Conti Enrico di Malta e Alamanno di Siracusa, ed anche quelli della famiglia Guercio genovese a Costantinopoli, a cui erano stati tolti i beni già da noi nominati nell’articolo precedente (1). Una pace più ferma si stabilisce tra Genova (1) Ved. Giorn. Ligustico, 1874, pag. 164-7, 230 GIORNALE LIGUSTICO e Venezia nel 1218, e uni terza volta nel 1232; una quarta nel 1238, una quinta volta nel 1251 (1). Ma la moltiplicità stessa di queste paci 0 tregue e di quelle che seguiranno in lungo ordine, come pure i fatti avvenuti negli intervalli tra le une e le altre, dimostrano che sotto la cenere covava il fuoco, pronto a ravvivarsi alla menoma occasione. Il ricordo del danno toccato, 1’ odio mantenuto dalle tradizioni di famiglia e di patria prendono il sopravvento ad ogni scontro di nave, di strada, di magazzeno: il privato soccorre al concittadino e si fa nodo : il pubblico medesimo troppo spesso ne assume le parti. Sebbene vi abbiano anche casi di lodevole imparzialità nel dar torto a’ suoi e nel compensare i danni toccati ai nemici. Ad ogni modo Genova non vuole nè può rinunziare al-1’ Oriente : quindi cerca sempre ed ovunque di che rivalersi. Distingue dalla parte veneziana gli altri crociati Franchi stabilitisi nel già Impero bisantino, e fra questi ultimi lavora a procacciarsi amici. In ispecie del suo vicino in Liguria, il Marchese di Monferrato, pregia 1’ alleanza; e le di lei navi (1) Ecco la nota più compiuta di tali trattati veneto-genovesi che mi sia riuscito raccogliere. Pel 1207 il documento del 5 agosto già da me accennato ( 223 e seguenti. — Nimfeo, oggi Nif nell’Asia minore, non lungi da Magnesia e Sardi. ‘Dafnusia, al principio del Mar Nero, è detta Fenossia o Fenoxia nel Sindacato di Pera 1403, cart. 32-34 che citerò più avanti, e nei Portolani del medio-evo (Ved. Atlante Luxoro, in Atti della Società, vol. V, pagg. 134, 268). Ved. Sauli op. cit. I. 59-68. giornale ligustico 233 leologo mantenesse i patti promessi ai Genovesi: non tanto perchè questi per parte loro non vi aveano mancato, quanto e più, perchè il nuovo Imperatore bisantino avea bisogno della potente alleata; e per cementare la fresca, e più fortunata che solida, conquista. 'Ed egli ne ebbe senza dubbio efficace cooperazionè : difatti il nostro Cronista ci fa sapere che entrato a Costantinopoli Paleologo consegna ai Genovesi il Palazzo del Pantocratore che era divenuto un castello veneto; e i nostri a gran furia lo demoliscono portandone pietre alla patria. Del resto si può ben conciliare 1’ asserzione apparentemente contradditoria de’ contemporanei: il bizantino Gregora che nega la cooperazione de’ Genovesi al ricupero, dice il vero se si intenda soltanto della prima entrata a Costantinopoli; ma dice il vero anche il Fiorentino Villani che con altri attesta il concorso dei nostri nel gran fatto preso in complesso. Tuttavia non può negarsi che gli eventi posteriori in quel-l’Impero non furono molto fortunati pei Genovesi per qualche anno. Urbano IV li scomunica per aver dato mano a un ritorno che ridesterà lo scisma tra le due Chiese; ed invano gli si spediscono legati sovra legati per discolparsi e pregare il Papa a togliere l’interdetto. Le discordie delle fazioni in città si stendono anche ai fatti di fuori, e per loro colpa Ottone Vento succeduto a Marin Boccanegra, tocca grave sconfìtta dai Veneti all’isola de’ Sette pozzi nel 1263 (1). Donde succede (1) Sulla surrogazione di Otton Vento al Boccanegra ved. la variante a piè di pagina in Caffaro , pag. 264 ; e la copia dell atto di sostituzione nelle Coliettanee del Federici all’anno 1262. Sull’isola de’ Sette pozzi ved. l’Atlante Luxoro (Atti della Società, vol. V, Tav. VI, nura. 177, pag. 97). Ben dice il dotto Heyd (vol I, pag. 321) che quest’isola dee cercarsi presso la bocca del golfo di Nauplia. Se ha ragione Piacenza, Egeo redivivo, pag. 571, distinguendo Settepozzi da e a mezzodì di Spetzia, quell’ isola non potrebbe essere che Spetze-pulo. Però Benedetto Bordone nel suo Libro delle Isole (edizioni 1528 e 1534) disegna tre isole l6 2j4 GIORNALE LIGUSTICO a Genova una severa inchiesta e punizione de’ colpevoli. Allora il Paleologo sdegnato rinunzia ad allargare le conquiste e licenzia la flotta genovese. Frattanto un grave fatto concorse ad accrescerne l’ira nel 1264. Guglielmo Guercio Podestà dei nostri a Costantinopoli congiura contro il Bisantino, alleandosi col re Manfredi di Sicilia. E per quanto non sia punto provata la complicità de’ Genovesi in tale fatto, l’Imperatore esilia tutta la Colonia , trasferendola in Eraclea sul Mar di Marmora lungi più di tre giornate. Sono invano mandati a placarlo Egidio Di Negro, Simonetto di Camilla e il già da noi lodato Benedetto Zaccaria. Paleologo giunse perfino a rivolgersi a Veneziani per contrar seco loro alleanza, obbligandosi a cacciare i Genovesi dall’ Impero. Buon per noi che tale trattato nel 1265 fermato dall’ Inviato Veneto, non si volle ratificare da quel Doge ; speranzoso sempre che colla riscossa latina risorgerebbe di nuovo a Costantinopoli 1’ assoluta dominazione de’ suoi. Le trattative furono riprese e finalmente conchiuse tre anni dopo nel 1268; ma allora Paleologo concesse ai Veneti soltanto patti peggiori di quelli del 1265: non volle più dichiararsi obbligato a cacciare i Genovesi, non volle nemmeno obbligarsi a restituire sedi fisse ai Veneti in Costantinopoli; permettendo loro solamente di pigliar case in affitto pel loro bisogno. Perchè quell’ Imperatore avea capito che con loro, avvezzi a far da padroni dal 1204 al 1261, non potrebbe aver mai pace nè amicizia durevole ; e dovrebbe quindi contare piuttosto sui Genovesi aventi interessi affatto contrarii (1). Difatti un documento, poco noto fin qui, accenna all’ arrivo ivi e vi dà il solo nome di sette pozzi ; in tal caso si potrebbe comprendervi anche la Spetzia che è la maggiore del gruppo. La Sette pozzi senza la Spetzia è pur nominata nel Nuovo Portolano . . . del levante e del ponente, Vinegia, Gerardo, 1544, pag. 33. (ij Ved. i documenti citati in Heyd, vol. I, pag. 320-4. GIORNALE LIGUSTICO 235 a Costantinopoli verso il 1265 di un nuovo Inviato genovese, Frexone Malocello, per negoziare coll’ Imperatore ; ma ancora più ricisa ed autorevole è k notizia data dal nostro Cronista ; che giunto colà nel 1267 Franceschino Di Camilla ferma un trattato, e riparte per Genova con esso trattato e con un Legato imperiale. A questo anno 1267 dunque ed al trattato col De Camilla pensiamo coll’ Heyd doversi attribuire la riconciliazione col Paleologo ed il ritorno de’ Genovesi dal-1’ esilio d’Eraclea ; non tenendo conto delle troppo vaghe indicazioni, per cui il eh. Canale ascrisse il fausto evento alla legazione del Malocello (1). Senonchè i Genovesi ritornati non furono già riammessi nelle antiche sedi all’ interno della città ; bensì fu loro destinato il sobborgo di Galata, al di là del porto o Corno d’oro, a rimpetto e a tramontana di Costantinopoli. Ed anche qui, per mio avviso, la semplice narrativa del cronista continuatore del Caffaro agevola la giusta interpretazione di quistioni che si continuano ancora a discutere. Niceforo Gregora crede che Michele Paleologo abbia assegnate ai Genovesi le stanze di Galata subito dopo l’occupazione di Costantinopoli nel 1261; ma ciò è contraddetto dal più coetaneo Pachimere bisantino e dal nostro patrio cronista, i quali parlano del trasporto dei Genovesi in Eraclea. Quando Egidio Di Negro nel 1264 tenta placar l’Imperatore e chiede il ritorno de’ nostri a Costantinopoli 0 almeno a Galata, queste parole del predetto Cronista fan palese per mio avviso che i Genovesi prima dell’ esilio erano (1) Canale, Op. cit., vol. II, pag. 637-42; Heyd, vol. I, pag. 329. — La legazione di Malocello già citata dal Federici al 12&5 non è precisa nè per la data nè per 1’ oggetto. Ora questo documento si sta pubblicando negli Atti dalla Società ed è anche stampato dal Conte Riant in Exuviae sacrae Constantìnopolitanae, Genevae, 1876, vol. II, pag. 185. La legazione del De Camilla è in Caffaro, pag. 262, ed è anche ricordata in atto notarile del 1269 di Azo de Clavica, cart. 10, nell’Archivio di Stato. GIORNALE LIGUSTICO entro la città, non nei sobborghi; in caso diverso il legato non avrebbe presa una buona via per placare il Paleologo, chiedendo più che essi non aveano avanti la colpa loro imputata. Veramente il eh. Sauli ed altri con esso son d’avviso che i Genovesi abbiano preferito il sobborgo alla città perchè egualmente sicuro e commodo, ma forse più ameno o più indipendente. Ma alla loro opinione mi paiono ostare le parole teste citate del Cronista, dove il luogo di Galata è accettato soltanto come minor male e in difetto d’ un luogo entro la città : e a queste parole concordano quelle altre già rammentate nell’articolo precedente, ove già prima del 1169 si dà istruzione al legato di chiedere dall’ Imperatore 1’ em- ' bolo in Costantinopoli, e, se colà non si può, almeno in Pera (1). Concorda pure il fatto dimostrato nello stesso articolo precedente, che Amico di Morta nell’ottobre 1169 ebbe un embolo nel luogo di Orco fuori della città, che dicemmo probabilmente essere stato in Pera; ma continuò il legato a trattare, nè si quietò finché nel marzo 1170 non ebbe ottenuto il trasporto dell’ embolo a Costantinopoli. Ben pensano dunque il eh. Hevd e con lui il dott. Paspati che già durante l’assedio dei Crociati nel 1203 e 1204 (salvo i casi d'incendio sovraccennati) e ancora durante l’impero latino, i Genovesi sieno rimasti nelle antiche sedi dèlia città da noi descritte nell’ articolo precedente : comecché dopo il 1204 vi <,1) Per Eraclea ved. Pachimere in Micbael Palaeologus, lib. II, cap. 55, e Caffaro. pag. 249, che la chiama Ricrea. Ivi il testo di Caffaro prova che Paleologo si era obbligato a tenere i Genovesi in città, ma il legato non potendo a meno chiedeva quod abitarent saltim in . . . Pewra. Ved. simili domande nel Giornali Ligustico. 1874, pag. 150, 155. Che vi abitassero anche durante l’Impero latino risulta dai trattati veneto-genovesi succitati. Heyd, vol. I. pag. 137, 329: Paspati, loc. c;t., pag. 100: Salti, Dilla Ccìcnia dei Genovesi in Galata, I. 65. giornale ligustico 137 sieno rimasti piuttosto tollerati e strozzati dalla preponderante influenza veneziana. Ed essi avranno naturalmente continuato a stan i dopo il ritorno dell’ Impero bisantino ; chè sarebbe stata impresa pazza nel Paleologo trasferire gli alleati necessarii ad un luogo meno favorevole di quello che tenevano sotto i proprii rivali. Ma si sa che questo Imperatore era sospettoso ed infido. Non parve quindi a lui vero di cogliere un occasione per tenere a freno i Genovesi; i quali vedeva energicamente disposti a profittare delle circostanze favorevoli per assicurarsi il predominio. Perciò avuta lingua della congiura di Guglielmo Guercio, volle involgervi i Genovesi come complici sebbene non provati; e dopo l’esilio di Eraclea si contentò di riammetterli, ma non più in città, sibbene in un sobborgo di cui dapprima distrusse le poche fortificazioni che vi erano. Ridotto a questo modo il quartiere genovese ei pensava non potergli dar molestia: esposto senza difesa, come era, alle macchine belliche, armate sulle mura della città dirimpetto (1). Il dott. Paspati però ha recentemente esposto una sua opinione al tutto diversa dalle precedenti. Secondo lui il Paleologo avrebbe assegnato Galata ai Genovesi, non per sospetto che avesse di loro, il che (dice egli) male si accorderebbe colla storia generale e col favore da lui accordato ai nostri; ma piuttosto perchè 0 allora od anche prima avea dovuto occupare colle nuove fortificazioni quel terreno alle mura del mare che costituiva l’antico loro Quartiere. Il dotto Greco rammenta i continui sospetti che nutriva l’Imperatore bisantino d’una riscossa latina, e le mal celate ^pratiche e i noti ardimenti di Carlo d’ Angiò che si era fatto cedere i diritti dall’ erede dell’ ultimo latino imperatore Bal- (1) Ved. Pachymere, loc. cit. 11 Varagine chiama Pera omnino immuniti: in R. I. S., vol. IX, pag. 56. He™, pag. 539. i38 GIORNALE LIGUSTICO duino. Rammenta anche' 1’ Autore un passo dello storico contemporaneo Pachimere, il quale dice che per tale causa Paleologo rafforzò la sua Capitale, ristorandone e alzandone qua e là le mura secondo l’opportunità. Aggiunge che di alcuni palazzi dell’ Impero situati verso la bocca del porto, e la cui sontuosità era stata celebrata dagli antichi scrittori, non si ha più traccia che sussistano dal ritorno di Paleologo in poi. Dal che tutto deduce che intorno al tempo e al luogo di cui parliamola parte delle mura ristorate, rafforzate, ingrandite, rialzate deve aver cagionato il trasloco dei Genovesi; laddove i Pisani e i Veneziani, stanziati più in là verso occidente lungo il porto, poterono rimanere indisturbati nelle antiche sedi. Il Quartiere dei Genovesi, come vedemmo nell’ articolo precedente, stava appunto verso la bocca del porto e a levante degli altri Italiani ; cioè tra la porta Neorii (Bagce-Kapussi) e quella di Eugenio (Yalli-Kiosk-Kapussi), in lunghezza da ponente a levante e in profondità da verso santa Sofia fino all’Acropoli di san Demetrio. — Quest’ultima è ora occupata dal Palazzo imperiale ottomano e sue dipendenze, e si spinge in mare fino alla punta detta del Serraglio, Serai Burnii. Anche più a levante e dietro ai Genovesi (continua il signor Paspati) stava una colonia di Saraceni colla sua Moschea; come egli deduce dalla descrizione che fit lo storico Niceta di uno dei due incendii sovra accennati durante gli attacchi dei Latini. E trova in questo stesso bisogno di ampliate fortificazioni la cagione, onde i Saraceni dovettero essi pure tramutarsi verso il mare della Propontide, alla porta di sant’ Emiliano, ora Daud-Pascià Kapussi, (i). (i) Paspati, loc. cit., pagg. 106-7; Pachimere, loc. cit., lib. Ili, cap. 9, lib. V. cap. 10. GIORNALE LIGUSTICO III. Con questi fatti noi siamo giunti al secondo periodo del secolo XIII, al periodo della incontestata superiorità che acquistarono i Genovesi sopra i Veneti dopo la cacciata dell’ Impero latino; la quale superiorità è anche riconosciuta dallo storico Pachimere (i). I nostri per ampie concessioni imperiali sono ora esenti da ogni dazio ed impaccio, e dentro la città e per tutto l’Impero e pel loro passaggio da e pel Mar Nero. Essi con giurisdizione de’ loro Consoli sovra i concittadini e proprii sudditi, e con diritto di rimborso e d’indennizzo dalla Curia imperiale per danni recati da bisantini od anche da esteri ; e con molte concessioni di stanze nelle più fiorenti città dell’ Impero ed altri privilegi che sarebbe ozioso ripetere, essendo cose notissime; laddove i Veneziani, anche dopo riammessi pel trattato del 1268, rimangono tuttavia in condizioni poco favorevoli, come già fu osservato. Era quindi naturale che ricominciasse in questo secondo periodo un giuoco inverso da quello del precedente : che cioè i Veneziani sotto colore privato 0 pubblico cercassero brighe coi nostri, affine di riottenere colla vittoria l’antica potenza. La guerra tra Genova e le due rivali, Venezia e Pisa, collegate fra se cominciò, come vedemmo nel 1255; e ravvivata nel 1258 continuò, invano frapponendosi il Papa e i Principi, fino al 1270; quando al Re di Francia riuscì far loro conchiudere una tregua. E simili tregue si rinnovarono più volte in varii anni, senza mai scendere ad una pace vera e stabile. Ponendo insieme i documenti degli Archivi genovese e veneto, troviamo un bel numero di atti relativi, celebrati sempre e per cura specialmente dei Pontefici nei Conventi Domenicani e in qualche città di Lombardia intermedia tra le parti nemiche; a (1) Loc. cit., lib. V, cap. 30. 240 GIORNALE LIGUSTICO Parma, a Cremona, a Brescia, a Mantova; nel 1280, 1283, 1286; e l’ultima di esse tregue nel 1291 (1). Questa dovea durare 25 anni, ma appena tre anni dopo fu rotta; e ricominciò una guerra tra Genova e Venezia più feroce che mai, finché una nuova pace si fermò nel 1299 per mediazione del Signore di Milano, Matteo Visconti. Ed anche in questo periodo di tregue, sebbene troviamo esempi di convivere tranquillo (per esempio nel 1274 i Veneti di stanza a Genova si eleggono il proprio Console) (2), tuttavia non mancano prove della continuazione di offese che vicendevolmente si recano i privati contro i patti giurati dai Comuni (3). Nel nostro Archivio abbiamo un lungo elenco del 1276 e più altri esempi di danni, che i Veneti pretendono aver subito da’ Genovesi ; e vanno uniti i richiami del Doge di Venezia, le inchieste d’ uffizio, gli esami degli accusati, le risposte ; e vi si vede la lodevole premura con cui la Signoria di Genova , riconosciuti giusti alcuni di quei richiami, ne or- (1) Andrei troppo lungi, anche solo accennando per singolo i >0 circa documenti di tali trattative veneto-genovesi dal 1270 al 1300, di cui ho preso nota dall’Archivio Veneto, ma più dal nostro di Stato nei mazzi, nel Federici, nei Notari ecc. Ivi intorno ai noti trattati fondamentali si rannodano atti preliminari e di complemento: procure, relazioni da Roma, da Orvieto, da Parigi, guarentigie di città amiche, proteste, interpelli, richiami di danni, inchieste, lodi, quitanze. Ved. anche Atti della Società vol. IV, pag. CXLX e segg. Aggiungo che di non pochi fra tali documenti hanno eseguita negli scorsi anni una fedele trascrizione i signori cav. Tito Franchi consigliere di Presidenza della nostra Società, e dott. Cav. Marc’ Antonio Violini assai amante dello studio della paleografia di cui frequentò gli studi in Padova e in Genova. Speriamo che verranno publicati negli Atti. (2) Elezione del Console veneto a Genova, in Foglialo predetto, voi. II, par. I, cart. 126. Ivi anche il Console pisano è nominato nello stesso anno 1274. Ibid, vol. Ili, par. I, cart. 87 v. (3) Caffaro al 1280 (pag. 290) si lagna di una simile rottura per parte de’ Veneziani. GIORNALE LIGUSTICO 241 dinava il rifacimento : e seguono le quitanze dei danneggiati 0 de’ loro procuratori. Mentre queste cose succedevano, una terza molla più segreta cercava agitare 1’ Oriente a danno dei Bisantini. Come già si accennò, Carlo Angioino, divenuto Re di Sicilia, uomo di alti spiriti e di un’ ambizione sconfinata, era riuscito a riunire nella sua famiglia i diritti dello scacciato Imperatore latino di Costantinopoli. Volendo egli tradurre in fatto tali diritti, tentava nel 1281 i Genovesi i quali ben lungi dall’aderirvi mandavano avviso delle trame a Costantinopoli (1). Rivol-gevasi al Papa chiedendogli appoggio ; ma questi stava esitante, sia per l’incertezza e la difficoltà dell’impresa, sia perchè Michele Paleologo, imitando la prudenza del di lui predecessore Vatace, destramente faceva sperare la riunione delle due Chiese e 1’ estinzione dello scisma. Le incertezze del Papa si ripetono nelle città o potenze, ora trattenute ora eccitate nelle trattative; ma Venezia dopo il 1268 capi che non avrebbe potuto rimovere il Bisantino dalla predilezione pei Genovesi. Allora dessa si rivolse a dirittura a Carlo d’Angiò, e stava con lui ordendo il disegno della riconquista di Costantinopoli. Senonchè alla mina venne opportuna la contrommina; il Paleologo, con Benedetto Zaccaria, i Genovesi, il da Procida e il Re d’ Aragona ordirono quella mirabile congiura la quale scoppiò coi Vespri Siciliani del 1282, privò 1’ Angioino della metà del proprio regno, e 1’ obbligò a pensare all’ incendio da estinguere in casa, piuttosto che a quello da ridestare al difuori (2). Ciò nonostante Venezia non si stanca di inviare legati a Genova nel 1283 e 1284, fra i quali Nicolò Quirini (3), allo scopo di distogliere 1 nostri dalla lega col Bisantino, ma senza frutto. (1) Caffaro, pag. 293. (2) Amari, La Guerra del Vespro Siciliano, vol. I, pag. 106. (3) Hopf, loc. cit. pag. 327 dal Registr. Angioino n.° *9 (1283). 242 GIORNALE LIGUSTICO Michele Paleologo, sebbene in generale più favorevole ai nostri che ai loro rivali, lo vedemmo tuttavia qualche volta mal fido od anche contrario, come nel 1263-67. Così pure lo troviamo energicamente operante contro i Genovesi nel 1276, allorché questi paiono sprezzare la sua autorità, passando dal Mar Nero innanzi a Costantinopoli coi carichi d’ allume e senza le condizioni da lui prescritte. Nel 1282 a Michele succede imperatore il figlio Andronico, il quale o per inclinazione o per debolezza di carattere si mostra assai più prono alla influenza genovese. Per tal guisa le cose di Genova in Levante procedono a gonfie vele. Nell’alleanza sua coi Fiorentini nel 1281 è convenuto il modo come questi possano navigare in Romania (1). Già ancora vivo Michele erano stati discussi amichevolmente ì reciproci interessi tra il di lui legato Ogerio e il nostro Lanfranco di San Giorgio nel 1272, ai quali era succeduto il trattato del 1275. Nel 1285-6 un dispaccio imperiale d’Andronico annunzia al nostro Podestà Enrico Petia 1’ arrivo a quella capitale del genovese Ambasciatore Jacopo D’ Oria e la fattagli amichevole accoglienza. Nel 1290 un altro inviato, Nicolò Spinola, ripiglia nuove trattative (2). Oltre questi documenti conservati tuttora, 0 per dir meglio, ritornati da non molti anni al nostro Archivio, troviamo altri cenni in quel diligentissimo e sicuro quasi sempre, se non nelle date nella sostanza, il senatore Federico Federici. Il quale, come è noto, fioriva 11) Archivio di San Giorgio, Cod. num. 2 (de ì Pedaggetto), car. 47 v. e 6r . cioè nel trattato tra Genova e Firenze del 7 febbraio 1281, e nelle dichiarazioni sovra lo stesso degli 8 aprile 1329; due atti che si riferiscono al noto trattato 13 ottobre 1284, e che mancano nel Jurium vol. II, col. 60 e ses:. (2) Membrane in Archivio di Stato nei mazzi predetti V, VI, VII, che sono già copiate dalli originali e che cogli altri documenti bisantini saranno pubblicate, speriamo, entro l’anno venturo. GIORNALE LIGUSTICO X43 nella prima metà del secolo XVII: e dall’Archivio, allora a lui e difficilmente ad altri aperto e contenente carte ora in gran parte perdute, potè estrarre moltissime notizie ; di esse conservò memoria in un gran numero di quaderni segnati con note progressive o particolari che legò con molte altre copie di storie e scritture genovesi all’ Archivio medesimo ; sei de’ quali quaderni ci avvenne di scoprire, sebbene fuori di luogo o sotto non esatte sembianze; ma una gran parte temiamo irreparabilmente perduta. Egli è dunque sulla fede del Federici che rechiamo come inviati nostri a Costantinopoli in varii tempi, nel 1265 quel Frexone Malocello, di cui vedemmo cenno in altra leggenda: nel 1281 un Lanfranco genovese, però inviato dai nostri stanziati a Messina; nel 1308 Barnaba Spinola nominato Podestà in Romania, ma non gradito dall’imperatore; come dal continuatore del Caffaro avevamo pure notizia di altro Podestà di Pera nel 1273, Oberto Sardena. Ed ora in fatti il commercio de’ Genovesi nelle acque del levante è nel suo più bel fiore. Il Cronista patrio nota il gran numero de’ nostri mercanti che trafficavano in Romania nel 1284 (1). E gli atti notarili contemporanei ci confermano tali notizie per questo stesso è vicini anni. Ivi è Montano De Marini che nello stesso anno 1284 salpa per Costantinopoli, e lo vedremo colà secondo una tradizione affacendato nel 1306 alla riedificazione od ampliazione di Pera. Ivi più cenni di famiglie genovesi che stipulano in patria atti di accomandita 0 mutuo; promettendo una data quantità d argento di steriini per ogni lira di Genova, appena sien giunti a Costantinopoli o a Caffa. E fra questi mutuanti ed armatori sono i » (1) Caffaro, pag. 306 al 1284, ma anche pag. 303 al 1283, pag. 290 al 1280. Nel Foglialo predetto de’ Notari abbiamo molti di tali atti, specie nel vol. II, par. I, cart. 127, 152-60, 275-83, per gli anni 1274-91- ^44 GIORNALE LIGUSTICO D’Oria, Tedisio, Ingeto e quel Paolino che nel 1289 ritroviamo Console a Caffa e venuto di là per dare un troppo tardo soccorso a Tripoli di Siria vinta dai Saraceni. Ma ecco di nuovo i tempi nefasti del furore tra Genova e Venezia, mentre Pisa giaceva fiaccata per sempre. Nicolò Spinola che vedemmo inviato all’ Imperatore Bisantino nel 1290, sveste nel 1294 la toga del Legato per assumere il giaco dell’Ammiraglio. Segue una serie di giganteschi duelli : Lamba Doria riporta la vittoria di Curzola ove Marco Polo e 7400 Veneziani rimangono prigionieri. Ma frattanto gli Ammiragli Mo-rosini, Soranzo, Schiavo, vendicano i danni di Venezia predando Focea dei Zaccaria, disertando Caffa nel Mar Nero, e la nostra Galata non ancora difesa da mura : tentano, sebbene invano, la stessa Costantinopoli e l’imperiale Palazzo -delle Blacherne; presso cui i Genovesi si erano rifugiati, abbandonando le stanze consuete (1). Ma colla pace del 1299 dato un respiro a cosi rovinosa rivalità, presto sopraggiunge a Costantinopoli la compagnia Catalana, altro soggetto di turbamento pei nostri; quasi fossero presaghi del nuovo popolo nemico che farà parlar tanto di se più tardi negli Annali genovesi. Per ora tuttavia e questa occasione e quella dei danni recati a Galata dall’ Ammiraglio Morosini sono un buon argomento ai Genovesi per ottenere finalmente licenza che l’imperatore li lasci fortificare il proprio Quartiere. Andronico in fatti aderisce, e dai suoi delegati fa misurare i confini di Galata e farne la consegna nel maggio del 1303; al che succede il diploma del marzo 1304, (1) Paspati. pag. 112, ben cita un passo di Depping: « Tout ce que ces deux peuples ont tenté au moyen âge pour se ruiner réciproquement «est incroyable ». Nelle leghe di Genova, Venezia, Pisa, Lucca, Firenze, Catalogna, le une contro le altre, è comune la formola ad confusionem, destructionem et exterminium finale; di cui dà un esempio PHeyd, vol. I, pag. 401. GIORNALE LIGUSTICO 24> ove sono anche rinnovati i più ampi privilegi a favore di Genova (i). Una Cronaca, che ora pare perduta, ma è citata dal Federici, ascrive l’onore di una riedificazione del nuovo sobborgo nel 1306 a quel Montano De Marini che testé dicemmo partito per Costantinopoli fin dal 1284; e forse anche è un indizio di ciò in quello stemma De Marini senza iscrizione che il sig. De Launay trovò nella parte più antica di quel luogo; sebbene, a dir vero, sovra altre mura di Galata sieno altri stemmi ed iscrizioni della medesima famiglia, ma di data assai più recente (2). Il lodato Sig. Paspati ha parlato di proposito di questo Quartiere nella sua nuova Memoria; come in quella precedente avea diligentemente esaminata e posta in bella luce la posizione ed estensione che ebbe l’embolo genovese entro la città di Costantinopoli nel secolo XII. E come noi avevamo profittato de’ suoi studi nel nostro primo articolo , cosi siamo ora ben lieti di giovarcene pel presente. Ma gli aiuti ci crescono spontanei e liberali; e ci vengono di colà stesso ove la ispezione de’ luoghi e dei resti, confrontata coi documenti e cogli storici, non può fallire che non gitti una luce, che è invano desiderata negli studi, quanto si voglia dotti, degli occidentali. Alle ricerche del dott. Paspati, alle edite e alle private informazioni forniteci dal Console Francese sig. Belin, possiamo aggiungere una bella pianta di Galata col tracciato y (i) Jurium, vol. II, coll. 455, 440. Copia cartacea nel mazzo Vili, • delle Materie politiche nell’ Archivio di Stato. (2) La Cronaca, che fino a questi giorni si sospettava soltanto per citazioni del Federici, t ora scoperta e fu posto mano a stamparla negli Atti. Essa percorre il tempo dei due Arcivescovi succeduti al Vara-gine. Ma la data della riedificazione di Pera (bruciata) va corretta al 1316. Del resto il De Marini si trova giù volte in Genova nel frattempo. Gli stemmi di questa famiglia sono accennati ai numm. 8, 21 della serie delle iscrizioni di Galata, di cui nella nota seguente. 246 GIORNALE LIGUSTICO delle mura i cui resti in parte sussistono ancora nell’interno, ma la parte esterna fu demolita nel 1864. Il sig. De Launay, già Ingegnere del Municipio di Pera, ebbe il felice pensiero di delineare questo tipo quando si distruggevano quelle mura ; trasse copia di tutte le iscrizioni e stemmi ivi trovati, e, che meglio è, ne curò presso l’ufficio pubblico la conservazione, per mezzo del deposito provvisorio dei marmi entro la gran torre di Galata. Il sig. De Launay fece inoltre seguire al tipo manoscritto una illustrazione pubblicata nel giornale di Costantinopoli l’Univers (1); e finalmente il Municipio di Genova a proprie spese si onorò di far fotografare que’ marmi, confortato a ciò dalla Società nostra; prestandole loro benevole cure il Ministero degli Esteri, il Diplomatico italiano a Costantinopoli e il lodato sig. Belin. Noi encomiando il sig. De Launay, dovremmo fare le nostre riserve per la parte più infelice del suo lavoro, quale è quella della traduzione ed interpretazione delle iscrizioni; ma ce ne passiamo volontieri, spettando questo ad un periodo posteriore a quello trattato da noi, e che formerà oggetto di studi per parte del nostro amico e collega cav. Belgrano. Ma qui dove chiudiamo l’articolo con uno sguardo generale sul Quartiere genovese, il sig. De Launay merita un elogio senza riserva, come gli altri Costantinopolitani sovra lodati. E noi facendone «prò , potremo aggiungere ancora qualche non inutile notizia inedita, desumendola da alcuni registri che si conservano nel nostro Archivio di S. Giorgio. (1) Notice sur le vieux Galata; fascicoli novembre 1874 a marzo 1875 nell’ Univers, Revue Orientale; Constantinople. Imprimerie M. De Castro. « GIORNALE LIGUSTICO 247 IV. Oggidì, lo si sa, Galata va distinta da Pera. Il primo nome significa il Quartier genovese onde facemmo parola; cioè quel sobborgo che dal pendio del colle scende al porto o Corno d’oro, e riguarda, al di là di esso porto, distesa in vaghissima vista la città di Costantinopoli. Il nome di Pera per contrario adesso significa il borgo che sta sulla cima del colle a sopraccapo di Galata; il quale luogo ai tempi di che parliamo era 0 disabitato 0 non aggruppato in abitazioni continue. La odierna Galata è dunque quella stessa che gli avi nostri chiamavano Pera esclusivamente ; sebbene già fin d’allora gli storici bisantini e i loro documenti usassero sovente il nome d’oggidì. Molto fu discusso sulla etimologia dei due nomi e con non molta concordia nè riuscita. Ma fra tutte le proposte sul nome di Galata, la meno accettabile mi pare quella del sig. De Launay, che la fa venire dall’ a-rabo Kalat (castello), sull’ esempio di altri luoghi occupati da Saraceni, per esempio in Sicilia: perciò appunto a parer nostro 1’ etimologia è ben giustificata colà ove furono frequenti e durevoli i Saraceni; ma non a Costantinopli, ove non si ha a addurre che assalti loro leggendarii, e dove la parola Galata era nota alle orecchie bisantine già d’ antico e per più esempi. Noi senza entrare in tale quistione, diremo soltanto quel che ci pare sul motivo de’ due nomi adoperato contemporaneamente per uno stesso luogo. Rimpetto a Costantinopoli vi era un castello 0 torre denominata Galata, prima che ci abitassero i Genovesi; e lo vedremo meglio più avanti. Ma questa torre 0 castello, almeno in principio, non fu dato a loro, bensì soltanto si diedero i terreni vicini; i quali come inabitati e indifesi non avevano un nome speciale, perciò si chiamavano col solo e vago nome di Pera 0 meglio Pcrea (al di là). 248 GIORNALE LIGUSTICO Questo nome dunque ne’ suoi inizii significava il tragitto da Costantinopoli al sobborgo posto al di là del porto, come il Ducange reca altri simili esempi bisantini e presso e lungi dalla Capitale; ma fabbricatavi la città genovese divenne Pera il suo nome proprio (1). Venendo alla presa di possesso, secondo il verbale del maggio 1303, ripeteremo colla succosa brevità del prof. Heyd: che il terreno concesso ai Genovesi consisteva in un quadrilatero, i cui lati di levante e di ponente misuravano l’uno 75 passi e 90 il secondo; il che, secondo vedremo poi, equivarrebbe a metri 130.05 e 156.06. I due lati di tramontana e mezzodì misuravano, quello a monte passi 217, l’altro al basso 0 al porto passi 339 (metri 336. 28; e 587. 83). Per conseguenza l’intero perimetro conteneva passi 721 ossia metri lineari 1250. 21. Il punto di partenza per determinare la posizione di quel terreno era il castello di Galata sovra accennato, il quale dovea distare 70 passi (metri 121. 38) dall’angolo orientale inferiore di esso quadrilatero. Dalle espressioni del documento si capisce che quel castello era situato presso al porto o mare; perciò ben fa il dott. Paspati (2) a porre in guardia i lettori contro 1’ equivoco già più volte avvenuto ; per cui si confuse questa torre 0 castello a mare con quello posto sul pendio del colle, il quale ultimo è noto sotto il nome di Castrum Sanctae Crucis, 0 anche di Torre del Cristo. Il Castrum Sanctae Ciucis fu certo costrutto dai Genovesi e in tempo posteriore, allor quando il Quartiere ampliato potè risalire fino a quel ripido clivo. Invece il cosi detto allora castello o torre di (1) De Launay nell Univers, pag. 27; Gyllius, De Topograpbia Con-stantinopoleos, lib. V, cap. 10. Ivi più esempi di Peraea. — Peraea (e non Pera) anche è chiamata talvolta Galata da Pachimere in Michael Palaeo-logus, lib. II, cap. 35, in lib. V, cap. 10 e altrove. Ducange, Constan-tinopolis Christiana, lib. I, cap. 22. (2) Loc. cit. pag. 88 e segg. \ ed. la Constantiniade sotto citata, pag. 162. GIORNALE LIGUSTICO 249 Galata si pretende costrutto per ordine d’ Anastasio Dicoro , Imperatore dal 491 al 518; e ad ogni modo esisteva ivi già prima che vi si stabilissero i Genovesi. Esso è quella stessa torre o castello indarno protetto dalla flotta bisantina, che i Crociati attaccarono nel giugno del 1203; e dal quale una grossa catena di ferro partiva, chiudendo il porto alle flotte nemiche, e andava a rannodarsi alla torre opposta sita sul-1’ Acropoli, alla punta del serraglio sovra accennata. Ciò premesso, il dott. Paspati colloca l’antica torre o castello di Galata sulla spiaggia a levante della odierna scala marittima di Karakeui presso 1’ Haviar-Han e più special-mente all’ angolo orientale del grande Han o Khan d’ Halil Pascià, ove sono ora gli ufficii di sanità; ivi egli trova muri e porte, alcuna delle quali ora chiusa, e la cui costruzione non sembra di fattura genovese, ma di più antica data (1). Poscia egli numera di là i 70 passi (m. 121. 38), e ritrova 1’ angolo orientale inferiore del terreno assegnato ai Genovesi nel 1303; lo ritrova, dico, al luogo ove si scende alla odierna scala del Caragio, e donde risalgono al colle antiche tracce di muro che tuttora esistono lungo la via ora detta Caragi-SoJialz (via del tributo 0 dell’ esattore del tributo). Il dotto Greco da questo angolo orientale procede lungo il lido marittimo passi 339 (m. 587.83), e giunge cosi all’angolo occidentale inferiore del predetto quadrilatero; e ritrova tale angolo nel luogo ora detto Kalafat-gere ( dei Calafatti ) al di sotto del così detto Quartieie ottomano. Di la altri 25 passi (metri 43- 35) secondo il verbale del 1303 conducevano (1) Questi due Han (nome che si scrive anche Khan, fabbricato o simile), secondo il sig. Belin, sono attigui 1’ uno all’altro; il primo è il gran mercato dei cambi e della borsa, l’altro è sul luogo dell’antica dogana turca, già genovese. Nella pianta del Bondelmonti a questo luogo vi è un fabbricato speciale che potrebbe benissimo figurare il Castello di Galata già modificato. 250 all’ Arsenale vecchio, vetus Tarsana. Avendo egli così determinato la linea marittima del primo recinto di Pera che va da levante a ponente, avverte che non così chiaramente sì possono riconoscere i confini ed i luoghi che salgono da mezzodì a tramontana ; tuttavia anche colà accenna a tracce di muri che ne danno qualche indizio. Noi lontani da que’ luoghi dobbiamo rimetterci al giudizio di persone così esperte come è il lodato Dottore; soltanto avremmo desiderato che ci avesse fatto conoscere il procedimento, ond’ egli calcolò il passo, non so se suo proprio oppure di quella regione; e ci indicasse come ne abbia fatto il confronto col passo che servì di misura nel documento del 1303, ivi detto passo di sette pa'mi. In ciò noi avremmo potuto aiutarlo; osservando che nei documenti genovesi del medio evo appunto si trova notizia di un passo di sette palmi di canna, denominato anche passo del mare (perchè probabilmente serviva a simili misure marittime). Il palmo di canna essendosi conservato fino a nostri tempi ed equivalendo' a millil. 248 e più precisamente a metri 0. 2477, ben calcola il cav. Rocca il passo del mare a metri 1. 734; e in tale conformità abbiamo noi sopra ridotto a odierna misura i lati del quadrilatero e le due distanze di esso sia dal castello di Galata a levante, sia dal vecchio Arsenale a ponente (1). Ora, se noi adot- (1) Rocca, Pesi e misure antiche di Genova, 1871, pagg. 60-107. lv‘ pure, pag. 59, si spiega il cubito che è di tre palmi = metri 0.743; e ben lo si dice identico colla marinaresca goa, goda 0 gova; come difatto trovo nella Massaria Comunis Peire 1390, car. 39, cubitis sive govis. Cosi anche cubitis sive brachiis, godiis sive blachiis, de altitudine palmorum trium è detto più volte nella Impositio Officii Gasane (Cod. num. 4. dell’Archivio di san Giorgio; oppure nella edizione delle Leges municipales nei Montini. Hist. Patr., coll. 313, 342, 421). Di tre palmi era pure la goa di Marsiglia che lo Jal ragguaglia a metr. 0.73. (Belgrano,. Documenti inediti riguardanti le due Crociate di san Luigi; Genova, 1859, pag. 377. Il cubito è anche detto di tre palmi nei Registri Angioini (Archiv. di. Napoli Registr. t 27 r. C. GIORNALE LIGUSTICO 251 tiamo questa base, ci pare che il passo odierno che piglia a termine di confronto il sig. Paspati sia di circa metri 0. 68; sebbene si vede aver egli mirato soltanto a una larga approssimazione. Il sig. De Launay non si occupa di simili confronti; ma in compenso ci porge preziosi ragguagli sulle mura esterne ora distrutte, e su quelle interne ove tuttora ne esistono tracce. Vi aggiunge le misure in metri lineari del totale sviluppo del perimetro e di alcune parti di esso anche interne; inoltre assegna le misure in metri quadrati della superficie totale del-1’ odierna Galata, come pure le superficie delle quattro sue divisioni formate dalle mura interne. Ragguagli tanto più preziosi in quanto che a noi lontani sono fatti sensibili dalla pianta manoscritta che ci volle favorire ; la quale, se m’ appongo, è fatta sulla proporzione di uno a 3000. Da questa pianta risulta che le mura fortificate di Pera, si rannodavano bensì ad un solo punto superiore, la torre di santa Croce 0 del Cristo, formando un sistema generale; andavano però dividendosi in cinque corsi, tutti discendenti da quel punto, ma diretti da tramontana a scirocco, a mezzodì, a libeccio. Di che si formavano quattro divisioni attigue fra se, ma ciascuna difendibile per se stessa. È notevole che già nel 1540-5 il viaggiatore Gyllius, nella sua descrizione di Costantinopoli e del Bosforo, lasciava memoria di tale moltiplicità di mura a Pera, e vi trovava appunto, come il De Launay, cinque corsi dal clivo al mare; de’ quali due a levante e tre a ponente, appunto come nella pianta dell’ odierno Ingegnere. Ma Gyllius per mio avviso, ben vide la causa di questa singolarità; nell’ ampliazione cioè graduale del primitivo distretto di Pera, e nella incorporazione dei borghi attigui che egli distingue dalla vecchia Galata o antica Sice posta nel centro. Precisamente come fu fatto a fol. 112-13); ove anche è il passo come misura (ivi Registr. 1268 A, fol. 120); due documenti notevoli assai per la costruzione delle galee, di cui traggo nota dal Fusco Gius.' M.% Dell’ argenteo imbusto di San Gennaro, Napoli, t86i. 252 GIORNALE LIGUSTICO Genova stessa colle successive cinte; delle quali, anche delle più interne, rimangono tuttora grandi tracce e più porte; si sa che dal borgo di san Siro, incorporato il primo fra gli otto quartieri, si passò ad assorbirvi quelli di S. Stefano e di Prè; più tardi quelli S. Vincenzo e di S. I eodoro, e recentemente ancora il Bisagno. H tuttavia non vogliamo nemmeno negare che la conservazione delle mura, divenute interne dopo l’ampliazione, possa essere stata dettata dallo scopo strategico che suppone il sig. De Launay. Dicemmo l’ampliazione di Pera graduale; difatti già lo storico Pachimere che avea 40 anni nel 1282 attesta che i Genovesi ingegnosamente seppero giovarsi di ogni occasione per aggrandire ed abbellire il concesso terreno. Dando poscia un’ occhiata alla carta disegnata d?l viaggiatore Bondelmonti verso il 1422, per quanto rozza voglia parere, si vede (e si vedrà meglio in seguito) che egli avea sott’ occhi la Pera che va delineando; colle sue torri, col castello di S. Croce , col palazzo del Podestà e colle sue chiese, alcune delle quali esterne alla città. Ora il Bondelmonti non disegna che soli quattro corsi, onde il quinto non era ancor costrutto al suo tempo ; vedendovisi però già alcune opere staccate ed avanzate. Finalmente le date delle iscrizioni conservateci dal sig. De Launay, la descrizione degli stemmi, la posizione antica di esse iscrizioni e stemmi ci porgono eguali indizi di successiva ampliazione e di sempre maggiore potenza e civiltà. Per esempio nelle mura più interne, e a cosi dire nel cuore della città, comparisce dapprima al posto d’onore, e a destra dello stemma di Genova, quello de’ Paleoioghi, ma esso manca presto negli altri marmi; ciò che indica lo scioglimento da quella iniziale soggezione verso l’Imperatore, per cui Pachi-mero chiamava ligii dello stesso i Genovesi (1). Così pure la (1) In Mieli. Palaeolog., lib. V, cap. 10. Per l’ampliamento di Pera ved. Pachimere in Andronicus, lib. VI, cap. 6; Nice foro Gregora, lib. XI. GIORNALE LIGUSTICO 253 mancanza di date 0 di iscrizioni sotto gli stemmi significa un tempo più antico, quando si è ancor parchi e severi negli elogi; laddove i marmi datati accusano al più presto la fine del secolo XIV; ed allora incomincia una regolare parata di scritto e di tre stemmi, ove al centro è la croce di Genova* a destra le armi parlanti del capo della Republica, a sinistra quelle del capo 0 Podestà di Pera (1). Ma se tale ampliazione successiva è abbastanza provata e tu da antico riconosciuta, non ci era fin qui manifesto alcun indizio delle denominazioni dei borghi attigui a Galata. Noi fummo più fortunati, avvenendoci di svolgere registri nell’ Archivio di S. Giorgio : parte intitolati Masseria di Pera e Sindacato di Pera appartenenti agli anni 1390, 1390 bis., 1391, 1402, 1403; parte col titolo di Ufficio di Romania degli anni 1424-27 e 1448. Dai quali registri raccogliamo il nome di essi borghi, chiamati di Spiga e di Lagirio o Largerio col nome di alcuni degli ivi abitanti ; e ci troviamo già il Castrum Sanctae Crucis con una delle sue porte deversus Spigam il che fa dunque capire che il borgo Lagirio dovea essere da una parte opposta a questo di Spiga. Troviamo altresì che nel i.° settembre 1448 la Signoria di Genova ordina al Podestà di Pera Benedetto Vivaldi l’immediato ristoro del muro di Largero che si dice in rovina; ed appunto una delle iscrizioni riferite dal sig. De Launay accenna nel 20 dicembre 1448 a questo ristoro fatto dal Vivaldi (2). E siccome il marmo relativo fu visto cap. 5: e il Mazzo Vili nell’Archivio di Stato; ove già al 1308 l’imperatore si lagna che i genovesi comprano e fabbricano fuori del fossato loro assegnato. Per la carta del Bondelmonti, ved. più avanti. (1) Non mi dilungo in queste iscrizioni, perchè ne parlerà più di proposito il cav. Belgrano nel suo prossimo lavoro. (2) Massaria Comunis Peirae, passim, in ispecie, 1390, cart. 33,69, 74. 162; 1390 bis cart. 27; e 1391, cart. 75. Officium Romaniae, 1448, lettera del i.° settembre. 254 GIORNALE LIGUSTICO incassato nel muro nel luogo ora detto Haviar-Han e Halil-Pascìà-Han; vengono da tutti questi confronti più conseguenze notevoli: i.° Il luogo o borgo di Largero o Lagirio era situato a levante della primitiva e centrale Pera; 2.° Il luogo, contrada e borgo di Spiga dovea essere dunque a ponente della medesima Pera; 3.0 Ha ragione il sig. Paspati ponendo P angolo orientale inferiore della prima Pera a occidente di Haviar-Han e Halil-Pascià-Han; e, se sono giuste le sue misure, questi Han che sono continuazione l’uno dell’ altro indicherebbero pure il luogo dell’antico castello 0 torre di Galata a mare; 4.0 il muro, che chiuse Pera a levante in seguito al verbale del 1303, deve essere quello stesso che è disegnato nella pianta del sig. De Launay che costeggia a sinistra da mezzodì a tramontana la gran via Yuksek kalderim; la via cioè per cui da Galata* si va per in su a Pera e per in giù alla scala marittima di Karakeui; per donde si tragitta a Costantinopoli con passaggio antichissimo e tuttora fra 1 più frequentati. Il che non è in sostanza diverso dal detto del dott. Paspati; giacché la via Caragi-Sokak è una paralella a quella di Yuksek Kaldirim; restandovi tra 1’una e l’altra le tracce del muro anzidetto, se bene intendo quanto mi comunica il sig. Belin. Non saprei con altrettanta approssimazione determinare l’angolo occidentale inferiore della Pera del 1303, nè della vetus Tarsana che ne stava 25 passi distante. Trovo, ne’ documenti, nominati diversi Navali de’ quali, lasciando i situati fuori del Corno d’oro (1), uno più recente fu trasportato dopo (1) Il Corno d’ oro che spesso dobbiamo nominare è quel braccio di mare che s’ingolfa entro terra fra Costantinopoli e il sobborgo di Galata, per la lunghezza di più di metri 6000, con larghezza varia, ma non mai minore di 600 metri. Si chiama anche porto; perchè è dovunque profondo e comodo agli imbarchi e sbarchi; e, come ben dice Procopio, è tutto porto. Vedi anche i viaggiatori citati da Heyd, vol. I, pag. 330. GIORNALE LIGUSTICO 255 il 1261 alla porta Neorii (Bagce Kapussi); ma questo sarebbe a levante invece che a ponente del quadrilatero di Pera ; un altro detto vetus Navale, e già usato al tempo dell’impero latino, era all’ altezza del Monastero d’ Everrete (ora Moschea del Sultano Selim). Quella vetus Tarsana del 1303 non sarebbe essa un solo luogo con questo vetus Navale di cui parla Pachimere, come anteriore al 1261 ? Giacché la prima era a ponente della Pera antica 0 centrale, e la Moschea del Sultan Selim è quasi in linea retta col confine della Pera ingrandita. Ciò tanto più se si rifletta che oggi di nuovo, subito oltre i confini di Galata, sono gli stabilimenti di marina,’1’Arsenale delle navi imperiali, 1’ Ammiragliato e le caserme. Confesso però che la cosa vuole più matura considerazione e maggior cogniziqne dei luoghi eh’ io non possède; perciò continuando per ora nel sistema di base e di misure in passi sovra proposto io dico; numeriamo dalla scala di Karakeui 339 passi (metri 587.83) e si avrà la fine della Pera del 1303; poi con altri 25 passi (metri 43.35) si troverà la posizione della vetus Tarsana-, badando a non pigliar la misura proprio alla spiaggia che certo in tanti secoli si è molto allargata, come già notava .Gyllius nel 1540-5; ma rasentando al possibile le antiche tracce di mura e di porte che tuttora vi si trovano. I sovra ricordati nomi di Spiga e di Lagirio o Largero mi suggeriscono altre analogie che non paiono da spregiare. La flotta dell’ Ammiraglio veneziano Morosini, onde si fece cenno al 1296, passato 1’Ellesponto venne a sfogare 1 ira contro i Genovesi e Bisantini, dapprima ad un luogo dal cronista Dandolo chiamato Largirò : per dove passò a devastar Pera, e inoltrandosi sempre più giunse fino alle Blacherne e a quel Palazzo Imperiale. Largirò dunque 0 Argiro era un - Ved. Navale vetus et novum in Pachimere, Mieli. Paieoi., lib. V, cap. 10. -Everrete Monastero, ora Moschea del Sultan Selim nella Costantiniade di cui sotto, pag. 44. 2)6 GIORNALE LIGUSTICO po’ più a levante di Pera : e noi troviamo difatti prima della odierna Galata un borgo chiamato Fondukli, ma che in antico si diceva Argyropolis (i). Non voglio già dire che questo fosse il borgo di Largirò di cui sopra, perchè sarebbe troppo staccato, nè potè essere incorporato nella città; ma domando: 1’ antica Argyropolis non avrebbe forse avuto una estensione maggiore verso ponente che non oggidì il borgo Fondukli? Cotalchè il borgo Largero ne fosse un resto estremo ? Passiamo a Spiga. Antonio Arcivescovo di Nowgorod, nella sua Descrizione di Costantinopoli nel 1200, vi trova un sobborgo col nome di Ispigas o Yspigas in vicinanza del tempio del Pantocratore (2). Richiamiamo alla memoria che Spiga do-vea essere dalla parte opposta a Lagirio, e così a ponente della prima Pera. Consideriamo al tempo stesso che da questo confine occidentale vi è la strada e porta di Azab-Kapussi, per cui con un ponte di battelli si tragitta a Costantinopoli; e di qui per la porta dirimpetto (Ayasrna) o per quella vicina di Un-Capa-ni-Kapussi si va direttamente alla Moschea Zeirek, o Kilisse Giami, che corrisponde all’antico tempio del Pantocratore. Con ciò parra assai probabile 1’ opinione mia che il sobborgo d Ispigas, che 1’ Arcivescovo russo indica in vicinanza di questo stesso tempio, sia un solo luogo col borgo Spiga di Pera ricordato ne’ registri dell’ Archivio di S. Giorgio. Il nome stesso d’ Ayasrna (fontana sacra) posto di fronte al borgo di Spiga ci suggerisce l’etimologia di quest’ ultima parola ; essendo noto che nel porto di Costantinopoli i nomi dei luoghi e delle porte o scale, poste al di qua e al di là (1) Danduli Chronicon, R. I. S., vol. XII, 406, usque ad locum vocatum Lalgiro, ecc. Ved. Argyropolis, ora Fondukli oltre Tophanà, in Constan-tiniade ou Description de Constantinople ancienne et moderne (del Patriarca Constantius). Constantinople, 1846, pagg. 43, 163. (2) Edizione di P. Sawaitow. Pietroburgo 1872, p. 159-60, gentilmente comunicatami dal dotto Conte Riant. GIORNALE LIGUSTICO 257 del mare non raramente si corrispondono. Spiga verrebbe dal greco Eis Pegas (alle fonti), coll’ incorporazione dell’ articolo ; allo stesso modo che da Argirio può essere venuto Largirlo, e da Tebe venne Stive, da Atene Setine, anzi da una simile Peghe in Bitinia (ora Bigha) venne nel medio evo il nome di Spiga 0 Espiga dato a quella città e al vicino golfo di Cizico; nome che si continua in un Vescovato in partibus infidelium. Ma qui sorgono gravi difficoltà. Il Ducange trova bensì nei documenti i luoghi di Argirio e di Piga o Peghe situati presso Costantinopoli, ma ne indica la posizione in modo diverso dal mio. Veramente vi potrebbero essere più luoghi con uno stesso nome, quando esso è derivato da circostanze naturali, come il fonte ecc.; ed un sobborgo col nome di Piga è ammesso , oltrecchè dal Ducange, anche dal Patriarca Constantius, e derivato appunto da una ivi celebre fontana; ma questo sarebbe situato, invece che sul Corno d’ oro, fuori delle mura di terra tra la porta Dorata e quella di Silivria. Quest’ ultima Piga a prima fronte parrebbe essere quella del russo Arcivescovo Antonio, giacché ivi era una chiesa di S. Maria, appunto come ei vi trovava. Ma lasciando da parte che le chiese di tal titolo erano, come sono sempre, molto numerose nella Cristianità, non ci quadrerebbe più 1’ altra indicazione di esso Arcivescovo che questa Piga fosse vicina al Pantocratore. Il Ducange,. fissato alla porta dorata (come dissi) il sobborgo di Piga, vi cerca pure il palazzo imperiale, detto perciò Pegano, nè pare che ciò dispiaccia al Patriarca Constantius; ma io trovo appunto qui la più grave difficoltà che contro la sua tesi mi suggerisce lo stesso Ducange. Perciocché egli prova che tale palazzo aveva la sua scala al mare (apobathrà), il che io non posso concepire in un borgo posto fuori delle mura di terra; nè so ammettere con lui che si possa dire scala di tale palazzo quella, a cui si giungerebbe traversando Co- 258 GIORNALE LIGUSTICO stantinopoli per trovare il mare. Finalmente il Ducange stesso riferisce un passo di Milaxo ove è detto che un paiamo Pegano fu già in suburbio Gaìathensi; il che faceva contro la sua ipotesi, e per contrario mirabilmente si attaglia alla mia, che pone Spiga accanto a Pera e con scale al mare che potrebbero essere quelle di Meit Yskelessi, o di Azab Ka-pussi (i). Checchenessia di tali identificazioni, non si può dubitare sull’ esistenza de’ nostri due borghi Spiga e Lagirio o Lar-gero a fianco alla prima Pera; cercheremo piuttosto la data della loro incorporazione alla città. Avvertiamo che il Castrum Sanctae Crucis si vede già disegnato nella carta del Bondelmonti del 1422 : ed anzi lo vediamo già nominato nella bolla imperiale d’ Andronico del 1352; la quale porta come tre confini di Pera,, il caput Gaìatae (la punta come a me pare, la più sporgente a mezzodi verso Costantinopoli, e cosi il confine occidentale); il Castrum Sanctae Crucis (il termine settentrionale) e la Turris Traverii (che sarebbe il termine orientale); quest’ultima desumendo, pare, il nome da un Genovese di tale famiglia che ne sarebbe stato il costruttore 0 forse anche il Podestà di Pera (2). I più antichi registri di Pera che ci rimasero, fanno memoria al 1390-91 dello stesso castello e torri di Santa Croce e di altre torri castri et burgorum Peirae e delle clavaturae ad portas burgorum: e di 13 campanelle poste in turribus burgorum de Spiga et de Lagirio, come di un’ imposta speciale per mantenere i custodi notturni burgorum de Spiga e de Lagirio. (1) Ved. Costantiniade sovra citata, pag. 27; Ducange, Constantinopolis Christiana, lib. IV, cap. 12; Palatia suburbana, num. 2; e cap. 15 > Monasteria suburbana, num. 13. (2) Jurium, II. 606. Riguardo alla famiglia Traverio, ved. Caffaro al 1280, pag. 291. Massaria Comunis Peyrae, loc. cit. e Sindicatus Peire 1402, ove la guardia alla torre Trapea. I GIORNALE LIGUSTICO 259 Il sindacato di un Podestà nel 1402 cita la guardia alla torre Trapea (forse identica con quella di Traverio del 1352). La carta del Bondelmonti segna soltanto, come fu detto, quattro cinte, ossia tre divisioni al 1422, le quali dunque devono rappresentare l’antica Pera nel mezzo, e i due borghi di Spiga e di Lagirio dalle due parti: a queste un poco più tardi sarà stata aggiunta a ponente una quarta divisione, incorporandovi altro sobborgo. E la medesima carta ci mostra chiaramente la Pera di mezzo (1’antica), cinta da tutti due i lati di mura e di quattro torri, e chiusa in cima ed al mare da altre mura e torri. Di queste ci sembra poterne ivi contare fino a 26 in tutto il campo ; fra le quali si alza maggiore d’ogni altra una tra le torri di cima che dunque dee rappresentare il Castrum Sanctae Crucis, sebbene non vi sia scritto sopra il nome. Le iscrizioni riferite dal De Launay e prima di lui, benché imperfettamente, dall’illustre Mas-Latrie, cominciano le loro date dal 1387 e seguono col 1397, 1402, continuando e sempre più spesseggiando fino al 1441-48-52. Ma pel nostro scopo, il più importante fra questi marmi (che pare ora perduto, non accennandolo il De Launay) sarebbe quella iscrizione riferita dal Mas-Latrie e veduta da lui colà dove il De Launay ne riferisce un’altra; entrambe dedicate al Podestà Filippo De Franchi, entrambe del 1430 (sebbene per errore, svelato dalla nostra fotografia, De Launay legga 1400). La posizione di tali iscrizioni nella via Moum-Hané, ma nella sua parte orientale come è disegnata nella pianta, mi pare coincida colla posizione che le assegna il. signor Mas-Latrie presso la porta di Kiregi (Kiregi-Èapussi). Dissi questo marmo il più importante qui, perchè determina all’ anno 1430 la incorporazione dei borghi alla città di Pera; il che veramente pare un po’ in contraddizione colle notizie sovra date, ma si può spiegare nel senso che alcune GIORNALE LIGUSTICO delle torri che mostrano le iscrizioni di data anteriore fossero opere staccate ed avanzate: o che la carta del Bondelmonti sebbene in origine del 1422 sia stata rimaneggiata da lui un poco più tardi, secondo le ultime notizie; come si sa aver egli o riveduto o avuto in animo di rivedere per alcuni anni la sua descrizione generale delle isole. Finalmente il Podestà del 1430 può alludere al compimento dell’ intero lavoro di congiunzione tra i borghi e la città, colla finale aggiunta della quarta divisione e quinta cinta (1). Siamo dunque ora pervenuti al più ampio perimetro di Pera o Galata, quale durò fino alla conquista dei Turchi nel 1453; quale lo vide Gyllius nel 1540-5, e quale lo descrive nella sua pianta il De Launay. Il quale recinto è descritto anche dal Mas-Latrie altro teste di veduta nel 1845; e questi lo assomiglia ad un triangolo irregolare, colla punta in cima al castello di Galata (5. Crucis), i due lati che ne discendono al mare, il gran lato che costeggia esso mare 0 porto di Costantinopoli. Ma più d’ un triangolo mi piace la somiglianza d’ un ventaglio aperto che gli danno il sig. De Launay e il mio.amico il P. Vigna, teste anch’ esso di veduta nel 1863. E questa somiglianza è anche acconciamente tradotta in quella d’ un arco teso dal Gyllius, il quale con maggiori particolarità bene aggiunge che la parte occidentale dell’ arco è il doppio lunga e la metà larga della parte orientale; e che da questa orientale sporge una specie di cuneo od appendice, che si vede (1) Ved. la Carta del Bondelmonti nel Banduri, Imperium Orientale, ■vol. II a principio ; De Mas Latrie, Notes sur un voyage archéologique en Orient nella Bibliothèque de l’école des chartes, Paris, 1845-46, pag. 464. Ivi, De Francis... Filip... litora moenia burgi coloniae urbi conjuncsit; e ved. De Launay, loc. cit., iscrizione num. 6, pag. no; oltre la sua pianta ms. Ved. Bondelmonti Christoph. Librum insularum edid.... De Sinner, Lipsiae, 1824, pag. 17. giornale ligustico 261 di fotti terminare in un rettangolo nella pianta De Lau-nay (1). Il viaggiatore del 1540 descrive con gran cura la posizione di Galata, il cui perimetro trova di passi romani 4400 (il sig. De Launay calcolandolo di metri 2800 circa, ne verrebbe il passo di Gyllius a metri 1. 571 che noi prenderemo a base dei confronti seguenti). Questi aggiunge che ci vogliono ancora passi 300 (metri 471) per giungere alla cima del monte partendo dal castello che è a cavaliere della città. La estensione in larghezza da esso castello al porto o mare sarebbe in media di passi 600 (m. 942. 60) ; dei quali gli ultimi 20 passi (m. 31.42) segnavano la distanza dalle mura marittime al filo dell’ acqua, essendo quest’ intervallo occupato da botteghe, officine, spazii vuoti da carico e scarico ; ma fin d’ allora questa spiaggia andava allargandosi pei sedimenti di terreno e spurghi. Tale era la larghezza di Galata nella parte centrale, ma le due estremità opposte sarebbero conformate per guisa che la parte di ponente si manteneva larga 500 passi (m. 785. 30) e quella di levante cominciando a 400 (m. 628. 40) si stringeva poi nel già citato cuneo o appendice, larga soltanto 261 passi (m. 408. 56). Si scende dal castello con una china a mezzodì da principio molto rapida; attalchè occor-ron talora scalini per passare da una casa alla seguente: ma infine si distende in pianura per 200 0 180 passi (m. 314. 20 a m. 282. 78). Alle estremità la china volge nelle due valli che ricingono Galata: ed è china più molle a levante, più ripida a ponente, ma quest’ ultima terminante in pianura più ampia che non sia quella del centro. Questi ragguagli preziosi per quel tempo antico sono ora vinti dalle misure metriche che colla esatta arte odierna ha ottenuto il sig. De Launay. Notammo che il perimetro di (1) Vigna, Di alcune Iscrizioni genovesi in Galata, Genova 1865. Gyllius, loc. cit., e specialmente a pag. 25-30 e 105-112 dell’ edizione veneta. 2Ó2 GIORNALE LIGUSTICO Galata secondo le misure del 1864 si ragguagliava a circa metri 2800. La pianura fra il colle e il mare è larga metri 367: dal livello del mare si alza dapprima metri o. 15, ed è ancora appena a metri 38 al piede della collina. Ma a un tratto il terreno si fa ripido, un percorso di soli 58 metri reca al castello; la base di questo è a metri 47 sul livello del mare; 1’ altezza del castello dalla base alla cima è di metri 42. 45. Dunque si ha una larghezza totale dal mare al castello di metri 425 ; inoltre si ha sull’ alto del castello una altezza totale sul mare di m. 89. 45, e un pendio generale di 11.02 per cento. Tale conformazione fa sì che le case sovrapposte non s’ impediscano a vicenda la vista, assomigliandosi ai gradini d’un anfiteatro; dall’alto della torre si abbracciano coll’occhio gli amenissimi dintorni nella giornata, e nella notte la guardia vi veglia tuttora ad avvertire gli incendii che troppo spesso infuriano colà. Il sig. De Launay cercò pure e descrisse con diligenza le torri, specialmente le tracce loro nell’interno della città; e il palazzo di Governo genovese, ora Han Franchini cioè il palazzo del negoziante Franchini di famiglia orionda nostrale. Il quale è posto nella strada di Perscembe Bazar, presso la Banca Ottomana, all’angolo delle quattro vie; e conserva quasi intatta 1’ antica sala del Consiglio, ma venne privato dello splendido scalone monumentale. Egli ci porge pure un concetto della Arab Giami (Moschea degli Arabi) che crede a torto fosse la Cattedrale genovese; laddove meglio il sig. Belin vi trova l’antica chiesa di S. Paolo servita dai Padri Domenicani, che poi passarono a S. Pietro (1). De Launay ne accenna ancora intatta la camera (1) Belin pel Khan Franchini pag. 98; pel trasporto da San Paolo a S. Pietro, pag. 91, della sua lodata Histoire de VÉglise latine de Constanti-nople, Paris, Challamel, 1872. giornale ligustico 263 delle campane e il campanile sebbene tramutato in Minaretto ; e tutt01a vedesi conservata la croce scolpita sul muro; e sotto il poitico della corte la tomba di Odone Saivago del 1323 , e 1 Pavtmento della già chiesa coperto tutto di iscrizioni e stemmi genovesi, che difende da guasti il triplice strato voluto dal culto islamitico, il legno, la stuoia e il tappeto. Le mura della città, egli aggiunge, sono costrutte di pietre squadrate (moellons) miste a quadrelli di marmo (quartiers). Pero la parte di esse mura verso il difuori della città fu con più vivezza che da altri descritta dal sig. Mas-Latrie (1). Il quale, più opportunamente che non dell’ordine cronologico da altri usato, si giova dell’ordine topografico; egli parte dal castello di Galata discendendo pel lato di ponente, quindi va lungo il mare, e pel lato di levante ritorna donde avea cominciato. Nota le diverse torri da lui vedute in tale percorso, e le iscrizioni da lui trovate; sebbene incorra in più lacune ed errori, perdonabili nella lontananza od altezza loro. Descrive assai bene la forma di esse mura, loro cortine e torri, se rotonde, quadrate, pentagone, se in buono stato o in rovina; se ancora coi merli 0 con tetti sovrappostivi, se con feritoie 0 con piombatoi (mâchicoulis) ; nota la costruzione delle parti più antiche con sole mensole incassate nel muro, su cui forse si ponevano all’ uopo pianerottoli di legno per passare dall’ una all’ altra parte. Ma le costruzioni più recenti sono assai ben fatte; specialmente le bellissime del Podestà Maruffo, a ragione lodate da una iscrizione del celebre viaggiatore Ciriaco d’Ancona; indicante che le mura orientali dal castello di S. Croce fino al mare furono innalzate del doppio. E terrazze si vede- (1) De Mas Latrie, loc. cit. Temo però che egli, ricomponendo a casa le note prese sul luogo, abbia un po’ confuso 1’ ordine del lato orientale verso il cuneo (pag. 495); come pure invece della Moschea del Sultan Achmet (pag. 490) secondo me sarebbe piuttosto quella del Sultan Selim, all’ altezza della quale finirebbe Galata a ponente. 264 GIORNALE LIGUSTICO vano girare intorno, solidamente appoggiate su archi in mattoni e questi su grandi pietre da taglio incastrate nel muro; con rinforzi a quando a quando e, controscarpe. Passa alla maggior torre ossia al castello di Galata, che è sulla forma di quello papale d’ Avignone; ove si sale con scala in pietra fino al primo piano, quindi con scale mobili di legno al secondo piano; dal suolo al primo piano si succedono cinque pavimenti di legno che occupano la sola metà dello spazio circolare ; l’altra metà resta vuota per poter alzare comodamente gli ingegni, le macchine e le provigioni alla difesa. In alto sono due file di finestre, e copre la torre un tetto conico che sembra di costruzione moderna (1). Finalmente accenneremo anche la corte del castello e il muro semicircolare che la chiude, e che ha le sue porte speciali. E qui è la casa Majer dove il sig. Dethier ha scoperta Tiscrizione del Podestà Lomellini del 1452, poco prima dunque della conquista dei Turchi. Il P. Vigna dice che tali mura aveano l’altezza di poco più di un uomo a cavallo; e il sig. De Launay aggiunge che esse aveano lo spessore medio di due metri e che correva all’in giro un fosso (Hendek) della larghezza di 15 metri. Le torri presentavano in alto una superficie di m. q. 36, ed avea ciascuna un nome speciale ; giacché troviamo sulle medesime dei bassi rilievi allusivi ai santi a cui erano dedicate, e iscrizioni coi nomi di essi santi; per esempio la torre di Santa Maria ove sedeva difatti la Vergine col Bambino; la torre di san Michele e la torre di san Bartolomeo non ben interpretate dal Mas-Latrie: forse anche la torre di san Nicolò, alle quali aggiungeremo quella che sovra fu detta di Traverio (2). (,i) Così pensa il sig. De Mas-Latrie: ma oltre i merli vi è già un tetto disegnato sopra il castello, nella pianta Bondelmonti del 1422. (2) Sovra una curiosa torre che si dicea progettata in Galata nel 1424 ved. Atti Società IV, pag. CXVII, notizia cavata da\YOfficium Romanie 1424-27. GIORNALE LIGUSTICO 265 La superficie della città di Galata per tal guisa occupata nella sua maggiore estensione sarebbe secondo il sig. De Launay di m. q. 369,137; ossia di quasi 37 ettari. Le quattro sue divisioni racchiuse tra le cinque cinte successive, secondo il lodato Ingegnere, contengono le seguenti superficie; proseguendo sempre da ponente verso levante, la prima sarà di m. q. 31,700; la seconda di m. q. 62,883; terza di m. q. I41,678, e 1’ ultima ossia la più orientale comprenderà m. q. 132,876. Il sig. De Launay aggiunge, che le mura e fortificazioni demolite nel 1864 lasciarono alla via pubblica uno spazio libero di più di 9000 metri, ossia un quarantesimo circa di tutta 1’ area della città genovese che vedemmo essere poco meno di ettari 37. Quali fossero le suddivisioni o quartieri non è ben chiaro; ma lo si può in parte arguire da uno di essi quartieri che fin dal 1390 si chiamava di san Michele, certamente dalla chiesa omonima che ■ vedremo Cattedrale de’ Genovesi colà. Un altro documento, sebbene assai recente, recato dal sig. Belin accenna ad un altro Quartiere, quello di san Francesco; e comprende i terreni posti verso 1’ odierna Moschea leni Giami che fu edificata sull’ antico Convento dell’ Ordine Francescano (1). Tali esempi ci fanno supporre che, come avveniva in Occidente non raro, cosi anche a Galata s’intitolassero i diversi Quartieri dalla chiesa del santo, la principale che iosse in ciascuno. Onde si può supporre che un altro Quai titre fosse dedicato a san Domenico e un altro a san Giorgio secondo le posizioni che presto diremo. Gittando ancora un colpo d occhio sulla pianta del sig. De Launay e confrontandola con quelle dei signori Lacroix (1) Massaria Connmis Peire sovra cit., 1390, car. 60; Belin, op. cit., 266 GIORNALE LIGUSTICO e Choiseul-Gouffier, vediamo Galata stendersi rimpetto a Costantinopoli dalla punta del Serraglio fino quasi all’ altezza della Moschea del Sultano Selim (1’ antico tempio dell’ Ever-gete) ; la città genovese gira in arco spingendosi in mare più nel mezzo, e ritirandosi dai due lati; da Top-Hanà (arsenale dei cannoni) a levante fino a Meit Iskelesi (la scala dei morti) a ponente. Lungo quest’ arco marittimo il sig. De Launay vi nota 12 torri, a distanza di 33 metri, 1’una dall’ altra; il Gyllius vi notava sei porte, tre delle quali di più frequente tragitto per Costantinopoli; e noi ve le troviamo ancora tutte tre ; cioè 1’ estrema scala di Top-Hanà, la intermedia ed antichissima scala Pcrainatis (del passaggio) che ora è detta di Karakeui; e 1’ estrema scala dei morti (Meit Iskelessi) preceduta dal ponte in legno ad Azab Kapussi. Al di là di quest’ultima scala vi è il borgo ora di Kassim Pascià, 1’ Arsenale marittimo, l’Ammiragliato; e salendo sempre più al colle lungo le or distrutte mura e il così detto Hendek (fossato) andiamo costeggiando il cimitero detto dei piccoli campi, i Zaptie (le Guardie di Polizia) fino a raggiungere il nodo principale, il Bÿjjuk KaU (vale a dire la gran torre 0 il castello di Galata) colle relative porte ‘Bujuk KaU Kapussi e KaU Kapussi (1). Procedendo oltre il castello a levante, troviamo sempre il fossato ove era già la porta della grande strada che conduce (1) Choiseul-Gouffier, Voyage pittoresque de la Grèce, vol. II, part. 2, Paris, 1822; la pianta è a pag. 453. — Lacroix, Guide du Voyageur a Constantinople, Paris, 1829. — I chiari storici Serra (Storia della Liguria, Capolago, IV, 55) e Canale (Storia de’ Genovesi, 1845, H > 641) hanno frainteso Gyllius sul numero delle porte verso il mare. Qanale inoltre (ibid. pag. 636) erra confondendo la famiglia genovese dei Guercio col Marchese Enrico Guercio e i Del Carretto. Froissart Cronista Francese contemporaneo, lib. Ili, cap. 21, all’anno 1385 descrive il modo, come i Genovesi tengono Pera, la quale « sied sur une roche et il n’i è qu’une seule entrée et les Genevois l’ont fortifié grandement ». GIORNALE LIGUSTICO 267 all odierna Pera sul monte; poi lungo il fossato le proprietà dei Lazaristi o Missionarii francesi di S. Vincenzo De Paoli, i quali succedettero ai Gesuiti, come questi erano succeduti al- 1 Abbazia di san Benedetto; finalmente ci troviamo al Top-Hanà e sua scala donde partimmo. Entro l’area di questo perimetro riconosciamo nella pianura al basso la trasversale e grande via di Galata ; e più in giù la sua paralella, detta di Moum-Hané che costeggia il lido nella parte orientale della città (1) ; mentre nella parte occidentale si vede in basso il Quartiere detto Ottomano e in alto il Quartier franco; e presso a poco tra questi due quartieri è la Moschea Arab Giami che fu già il convento di san Domenico sotto il titolo di chiesa di san Paolo (2). Un po’ più a greco sta 1’ attuale Parrocchia di Galata e di Costantinopoli, ufficiata dai Domenicani che da san Paolo si trasferirono qui e le diedero nome dei ss. Pietro e Paolo. Più a greco ancora e più a monte è la chiesa, tuttora aperta al culto, di S. Giorgio. La parte centrale di Galata è percorsa da mezzodi a tramontana da due grandi vie; dalle quali una a levante è la già nominata di Yuksek-Kalderim, che mette a monte nella grande strada a Pera, e a mare mette nella frequentata scala e tragitto di Karakeui per Costantinopoli. L’ altra via più a ponente si chiama Perscembe-Bazar ; e mette a monte al castello di Galata, in giù riesce al mare per la porta Eski-Yagh-Kapussi. Queste due grandi vie sono attraversate da levante a ponente da un’ altra strada che taglia presso a poco a metà la pianta di Galata e si domanda la via Voivoda (del Governatore): in questa via ne sboccano più altre intermedie e parallele alle due predette di Yuksek-Kalderim e di (1) La grande strada di Galata è quella per cui il Sultano, dal suo Palazzo suburbano di Dolina Bagce al di là di Top-Hanà, discende a Karakeui e tragitta a Costantinopoli, per la sua entrata solenne. (2) Belin, loc. cit., pagg. 89 e segg. 268 GIORNALE LIGUSTICO Perscembe-Bazar ; in una di queste parallele vedremo ben tosto la posizione della distrutta chiesa di san Francesco. La chiesa di san Michele era l’antica Cattedrale, ove risiedeva il Vicario dell’ Arcivescovo di Genova, come ben provò il eh. Heyd contro 1’ opinione dei signori De Launay e Mas Latrie; il primo de’ quali vedemmo che battezzava per tale 1’ Arab-Giami, e il secondo la asseriva identica coll’ o-dierna chiesa di san Giorgio (i). La posizione di san Michele fu a buon diritto accennata verso la scala di Karakeui, secondo un Autore citato dal sig. Belin (2) ; e più precisamente al principio della predetta via Yuksek-Kalderim; forse anche sul medesimo suolo ove la pianta De Launay pone 1’ odierno Han (palazzo) municipale. Ed invero Gyllius la vide tuttora in piedi al suo arrivo, sebben presto mutata in un Zeno-dochio e nel foro 0 piazza ; ed aggiunge che era posta in planicie vicina portui. Da canto suo il registro di Pera del 1390, sovra nominato, fa cenno di due case poste nel Quartiere di S. Michele che guardavano la marina e furono atterrate per farne un granaio pubblico. La chiesa di san Francesco ora ridotta in leni Giami (nuova moschea) era più in alto e più a ponente di san Michele; secondo le indicazioni favoritemi dal lodato sig. Belin, essa giaceva entro il quadrato che formano le due vie Yuksek-Kalderim e Perchembe-Bazar colla via traversale del Voivoda e col mare: più precisamente sta nella quarta delle parallele sovraenunciate contando da Yuksek-Kalderim verso Perscembe-Bazar , la quale parallela sbocca anch’ essa nella via del (1) Heyd, I. 357; De Launay, pagg. 30-108; De Mas-Latrie . pag. 496. (2) Belin, pag. 88 ; non però ci sembra da ammettere sul posto dell’ora Haviar-Han, bensì presso la scala e via predette. Gyllius, loc. cit.. Massaria Com. Peire, 139°; car- 60. Ma lascio su queste chiese la parolafal cav. Belgrano ; come pure su altri atti inediti che riguardano di Pera le case, i legati 0 testamenti, i nomi de’ Podestà e dei Mercanti. GIORNALE LIGUSLIBO 269 Voivoda e si chiama ora Medrese-sokak (via del collegio; unito alla Moschea). I registri di Pera del 1390-91 nell’Archivio di san Giorgio, tra gli Instituti a cui donava il Comune una strenna a Natale, annoverano le chiese di san Michele e di san Giorgio, i conventi di san Domenico e di san Francesco, il monastero di santa ; Catterina e gli ospedali di san Giovanni e di sant’Antonio. Lo spagnolo Clavijo viaggiatore del XV secolo nota egli pure tra le principali chiese di Pera san Domenico, san Francesco e san Michele. Crusius nel secolo XVI vi nota otto chiese; san Francesco, san Giorgio, san Pietro, san Giovanni, san Benedetto, santa Maria, sant’ Anna e santa Chiara. Gyllius fa cenno di dieci chiese, compresa quella di santa Chiara che pone fuori delle mura a levante e presso Top-Hanà; che è probabilmente quella stessa che ivi disegna il Bondelmonti (1). Nella pianta del quale ultimo non è malagevole distinguere S. Michele nel centro verso il mare, ed altre chiese all’estremo occidente della città (2). Per sant’Anna, per l’ospedale di S. Giovanni e per quello di sant’ Antonio (identico forse alla cappella che tuttora è al posto dei Zaptie nel bagno penale), pel trasporto dei Domenicani da san Paolo mutato in Moschea al non lontano san Pietro, come pei più recenti documenti di tutte le altre chiese di Galata vedasi l’opuscolo pieno di notizie del più volte lodato sig. Belin. Il quale anche per lettera ci fornì nuove informazioni, e quivi ci paria appunto di un Monastero (che (1) Massar. Cornuti. Peire, 139®’ car' 7°> I39I car' ^9- Clavijo ved. Heyd, I, 3 58. Pel Crusius ved. Belin, pag. 3 5 e passim. (2) Questa Chiesa di San Michele, come altre Chiese e il fabbricato che pare accenni all’antico castello di Galata amare, appariscono, meglio che nella pianta in stampa del Banduri, in un Codice manoscritto del Bondelmonti posseduto dagli Eredi del mio compianto amico 1’ Avvocato Francesco Ansaldo. -7o GIORNALE LIGUSTICO sarà quello di S. Caterina) da cui furono tramutate le monache per ivi stanziarvi i suddetti Domenicani col nuovo titolo di san Pietro; e ci parla dell’Abbazia di san Benedetto per notizie inedite eh’ egli ebbe dai Gesuiti. Ma quanto a quest’ ultima Abbazia io non la credo anteriore al 1426 quando per lettera della Signoria di Genova il Podestà di Pera è avvertito dell’arrivo colà del P. Gregorio Da Corsanego; il quale intende stabilirvi i suoi Benedettini in una delle chiese esistenti o in altra che si potrà costrurre (1). Lasceremo pure al sig. Belin le importanti notizie sovra S. Maria Draperis perchè fondata da una Chiara Drapperio, famiglia d’ origine genovese, ma rimasta illustre e ricchissima in Oriente anche dopo perduta Pera, come altrove avvertimmo. E diremo soltanto che una S. Maria di Pera de’ monaci della nostra Cer-vara è nominata dallo storico di quest’ ordine il P. Spinola: come di S. Maria di Galata e della Vergine di Caffa si trovano nominate le rendite legate da pie persone e già assegnate ai Domenicani nell’ Archivio di san Giorgio (2). Ritornando a tempi più antichi vediamo le iscrizioni funerarie fino dal secolo XIV nelle chiese di san Paolo e di san Francesco: queste ultime conservateci dal Waddingo, delle prime una restituitaci dal Sig. De Launay ; il quale ci avverte che un gran numero di simili iscrizioni giace nascosto sotto il pavimento della Moschea Arab Giami succeduta a S. Paolo. Qualche documento del secolo XIV accenna ad una chiesa di san Clemente di Pera: il verbale inoltre più volte citato del 1303 e la bolla imperiale del 1304 notano tre chiese appartenenti al rito greco e uffiziate dai loro preti sotto la direzione del Patriarca. Altre chiese antiche di Galata si trovano (ï) Registro dell Officium Romanie 1424-27 in data 8 gennaio 1426. (2) Belin per S. Maria Draperis pag. 84; per la Vergine di Caffa a pag. 23. Atti delia Società. X, 307. 271 nominate e in altri documenti, e specialmente nel verbale del I3°3j dico san Gio. Battista, san Teodolo, san Nicolò, san Giorgio , i ss. Anargiri (santi Cosma e Damiano), sant’Irene ecc. Della quale ultima mi sembra sbagliata la posizione che altri le ha assegnata a Top-Hanà; sbagliata forse anche quella che le assegna la pianta di Costantinopoli nell’ Atlante dello Sprüner (1). Noi non abbiamo mezzi esatti per collocare simili chiese, ma credo si possa ottenere qualche approssimazione da non ispre-giarsi. Perchè, come sia ben determinato in misura metrica il percorso di Galata verso il mare, e i suoi principio e fine secondo che fu sopra proposto, non sarà nemmeno difficile percorrere gli altri tre lati di ponente, tramontana e levante; applicando le relative misure metriche e la figura del quadrilatero che ne deriverà alla natura dei luoghi attuali. Ed ivi forse anche a certi passi si troverà qualche resto delle predette chiese greche: cioè sul lato occidentale il pozzo e la chiesa di sant’ Irene a 28 passi (m. 48. 45) dal confine a sinistra, ove era già il Cimitero de’ Genovesi; poi le chiese di san Gio. Battista e di san Teodolo; poi pel confine di levante ritornando s’incontrerebbero i luoghi ove erano già le chiese dei santi Anargiri predetti e di san Nicolò. Confido pure che la natura del terreno ivi osservato ci spiegherà la ragione di quella linea un po’ frastagliata che forma il lato di ponente; ed anche la ragione, onde i varii corsi delle mura fossero costrutti più qua che là : vale a dire piuttosto in alto che in basso, e lungo i rilievi o spigoli del colle a scopo strategico. Ma sovratutto con tale misurazione potremo avere un’ idea più esatta del lato di tramontana ; cioè fin dove giungeva partendo dal lido il piano di Pera secondo il verbale del 1303. Forse anche ca- (1) Historisch-Geographischer Hand-^itìas. Gotha 185}; ivi carta del-1’ Impero Bizantino. GIORNALE LIGUSTICO piremo, se come accenna il Mas Latrie, l’odierna chiesa di san Giorgio sia la medesima o sul luogo medesimo ove era la chiesa greca omonima, indicata in quel verbale. Frattanto per avere una lontana idea dell’area di Galata contenuta nel documento del 1303, prendemmo l’apertura di 84 gradi pel detto angolo orientale inferiore, quale ci pare risulti dalle tracce segnate nella pianta del Sig. De Launay; e, con questo angolo e i quattro lati sovra ridotti da passi a metri, un nostro Amico ha stimato quella più antica superficie a m. q. 58,393; vale a dire circa sei volte e un quarto minore della Galata giunta al pieno suo fiore. Al primo sguardo sulla pianta del sig. De Launay paragonata ai luoghi delle iscrizioni parrebbe che il lato sudetto di tramontana nel 1303 dovesse immedesimarsi colla grande strada traversale del Voivoda che dicemmo distendersi ora all’incirca nel mezzo della Galata odierna; avendo a destra e sinistra iscrizioni e le porte di Karakeui, di Horos e del Voivoda colla torre di quest’ultimo nome. Parrebbe altresì (sempre a occhio) che il lato occidentale del 1303 dovrebbe seguitare il muro della terza cinta segnato nel piano De Launay; ma temo che le misure così prese sarebbero troppo alte da parte del settentrione e troppo corte da parte di ponente. Si osservi colla ' medesima occasione quella grand’ opera quadrangolare in essa pianta disegnata dietro Arab-Giami (san Paolo 0 san Domenico); la quale è rammentata anche dal sig. De Launay come comprendente una superficie di m. q. 365 (1). E'Si consideri se quest’opera forse non costituisca la testa di fortificazione della Pera del 1303; e partendo da questa testa in linea retta verso il muro orientale (il meno (1) De Launay, pag. 30. Ivi è anche detto che nella 2.“ cinta (cioè tra il 2.0 e 3.0 corso di mura che termina a Arab Giatni) si penetrava per le quattro porte di Haryb, di Ianek (nomi delle vie corrispondenti) e di Kulé e Kulé Dibi (nomi delle torri corrispondenti). GIORNALE LIGUSTICO soggetto a dubbio) del 1303 , si veda se per avventura non ne risulti la larghezza di metri circa 156, quale abbiamo detto dover avere il muro di tramontana secondo il verbale di quell’anno. Ma di ciò giudichino i più esperti di noi in matematica e nella cognizione de’ luoghi; a noi basta avere, se non risoluto, posto delle quistioni; essendocchè la posizione netta nella quistione ne agevola anche la soluzione. All’ organamento materiale di Pera del 1303-4-6 si accompagna 1’ organamento civile ; perchè fortunatamente si sono ritrovati da non molti anni e pubblicati dal eh. nostro amico il cav. Vincenzo Promis gli Statuti di Pera, che piangevamo perduti: dico gli Statuti dal 1304 al 1317 proclamati colà dai Podestà Rosso D’Oria e Gavino Tartaro. Verso lo stesso tempo si curavano simili ordinamenti materiali e governativi in Caffa del Mar Nero ; e ne riuscivano queste due città fiorenti per popolazione, per commercio, per ampiezza e bellezza di edifici: e la Signoria di Genova le proclamava i suoi occhi del levante, i membri più notabili del ligustico impero (1). Una vita nuova parea dover risorgere, dopo che la pace del 1299 con Venezia nulla toglieva ai privilegi de’ Genovesi in levante; e 1’ Imperatore bisantino andava sempre più accomodandosi alla nostra influenza. Ma appunto perchè qui si apre un nuovo periodo, troncheremo il nostro troppo lungo articolo, lasciando la parola all’ amico e collega Belgrano. Ed a lui pure lasceremo esporre quelle condizioni di finanza, di diritti di dogana, od altrimenti economiche ; le quali fanno anche oggetto dell’ ultimo paragrafo della lodata Memoria (1) Promis, Statuti della Colonia genovese di Pera; nella Miscellanea di Storia Italiana, Torino, 1871, XI, 513 segg. — Sauli, Impositio officii Gasane, già citata, passim.— Pera e Caffa chiamati i due occhi e membri nobili della Repubblica in Levante; in Vigna, Cod. diplomai, tauro-ligure-(Atti, della Società, VI, pag. 112); e in Heyd, I, 369. 274 GIORNALE LIGUSTIGO del sig. Paspati (i). Perchè se tali privilegi ed esenzioni hanno veramente la prima radice nelle bolle imperiali dei secoli XII e XIII da noi notate, tuttavia solo nel secolo seguente se ne scorge il pieno sviluppo; e se ne vede 1’ esatta descrizione negli scritti del Pegolotti dal Paspati stesso riferiti; j quali scritti appartengono al settimo lustro del secolo XIV (2). C. Desimoni. (1) Paspati, pag. 117-26; Pegolotti nel vol. Ili; Della Decima ed altre gravezze (del Pagnini), Lisbona e Lucca, 1766. (2) I nomi dei luoghi che ho sopra adoperato si scrivono dai Dotti in modi diversi e secondo le Nazioni ; secondo la mia abitudine cercai vestirli di forma italiana che il più possibile si avvicini alla loro pronunzia. Però vf sono aspirazioni su cui non seppi decidermi vedendo che sul luogo altri le scrivono in modo più forte, altri in più debole (Han, Hanà che altri scrivono Hanè, Haviar-Han, Halil-Han, oppure Khan, Khané, Khaviar, Khalil-Khan). Per la spiegazione di questi nomi abbiamo già veduto quella di Han 0 Hané: e si è potuto capire che Kapu, Kapussi significa porta; Iskelé, Iskelessi scala; Sokak, Sokagi strada; Giami, Giamisi Moschea; Medrese Collegio; Kule, Kulessi torre; Top cannone, ecc. Alla gentilezza del sig. Belin devo le spiegazioni seguenti : Iuksek-Kalderim (o Caldirim) le pavé haui: Karakeui (0 Qaraqeui) de plaiti pied; Kalafat-gere, le lieu du carinage ; Mum-Hané (0 Khané) Jalrique de chandelles. Caragi è il tributo che pagano i Cristiani e gli Ebrei (abbiamo questo nome nello stesso senso moltissime volte ne’ nostri documenti di Caffa): Meit Iskelessi, la scala dei morti (presso il cimitero). Azab Kapussi, la porta e strada della Milizia che si chiama A\al>. L'avv. Costantino Re-mondini, Preside della nostra sezione archeologica, mentre mi spiega la ragione grammaticale della desinenza « aggiunta alle parole Kapu-Ischele-Kule ecc., mi suggerisce anche la spiegazione del nome Pescembe Ba\ar dato ad una delle vie principali: il che dee significare via del Mercato del Giovedì; e ciò mi ha rammentato che in simil modo avevo io già dedotto, da non so più qual fonte, la dichiarazione dei nomi di acque del gio\edi e del mercoledì che oggi si danno ai due già celebri fiumi del- I Asia minore, il Thermodon e l'Iris (ved. Atti della Società, vol. V, pag. 266). 11 Paspati ha pure assai utili spiegazioni di nomi antichi o medioevafi nei moderni: delle quali profittammo nel testo quando ci occorreva, ma GIORNALE LIGUSTICO 275 SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (Continuazione da pag. 186) V. Sezione di Belle Arti. Tornata del 28 Gennaio 1867. Presidenza del Preside cav. prof. Federigo Alizeri. Il Preside discorre delle seconde opere nella Cappella di san Giovanni Battista nel Duomo di Genova (1), e delle statue di Matteo Civìtali. Dimostra come gli inizi di tali opere sieno da recare all’ anno 1492, mentre erano Priori della Consorzia di san Giovanni Tommaso Giustiniani ed Accellino Saivago; e per ciò che appartiene all’ esterno della Cappella, non du- non possiamo inserirvi quelle che escono dallo spazio da noi percorso. Più uiile per la storia nostra è la spiegazione del nome Cressea o Crissea che si trova più volte, per esempio nella Massaria Coni. Peire, 139°’ car. 66, 67 e 1390 bis, car. 31. Esso significa il luogo ove i Genovesi tragittando il porto andavano a visitare l’Imperatore. Or questo luogo mi ( pare non possa essere altro che la porta verso terra anticamente detta Crysea e ad esso con significato identico porta dorata; al di fuori della quale l’Imperatore aveva il suo Palazzo e Castello detto già Cyclo-bium o Strongylum (rotondo), equivalente ora al celebre Castello delle sette torri (Ducange, Constantinopolis Christ., lib. I, cap. XV). Difatti una porta Cressea viene appunto indicata nella corrispondente posizione sulla Pianta del Bondelmonti che è nel predetto ms. Ansaldo. Veramente la Pianta stampata nell’ Imperium orientale vi pone invece il nome di porta S. Ioannis de Studio, ma è un errore evidente ; perchè quest’ ultima porta è invece verso il mare della Propontide (ora Emir Achor Giamisi secondo il Paspati pag. 89). (1) Delle prime già aveva discorso nella tornata del 20 marzo 1875. Ved. Giornale Ligustico, vol. II, pag. 355. 2 j6 GIORNALE LIGUSTICO bita punto che il prospetto marmoreo reiato a merito di Pier Domenico da Bissone, non fosse raggrandito da nuovi disegni benché con ingegno devoto alle prime fattezze. E riforme da ascriversi a quest’ epoca giudica essere gli archi sui quattro lati dell’edicola, eleganti ed arditi a un medesimo tempo. Nota come il Giustiniani ed il Saivago fossero pure quei dessi che già un triennio avanti si commettevano in Michel d’Aira per le nuove forme della destra navata in Duomo (i); ed accenna ad un rogito mercè cui Accellino faceva grossa provvista di marmi carraresi col proposito di abbellir la Cappella, dove lavoravano ad un tempo e il detto Michele e il fratello Giovanni, i quali però si distinguono nello stile. Le statue del Civitali, che in tutte sono sei distribuite in tre coppie, si legano giusta l’avviso dell’Alizeri a tre distinti concetti, e rappresentano Adamo ed Èva, Zaccaria ed Elisabetta , e due profeti l’un de’ quali è Abacuc e l’altro probabilmente Isaia. Descrivendo gli atteggiamenti de’ primi genitori, non lascia di correggere i giudizi che ne reca il Maz-zarosa (2); e il simile fa per la statua di Zaccaria, dove scopre virtù rara di pensiero e di espressione. E nè manco rispetto all Elisabetta accoglie 1’ avviso dello scrittor lucchese, mostrando come bene le convenisse l’atteggiarsi onde è qui ritratta, ancorché non neghi una cotal secchezza ne’ panni. Nell Isaia, eh’ altri disse un Abramo, allo stile, alle pieghe, al volto, alle carni, sospetterebbesi un’altra mano; e 1’Ali-zeri non manca di avvertire la fama che correva nel Carrarese , avere cioè Stagio Stagi cooperato col Civitali in alcuna di queste figure. Pero non osa proferire giudizio, tenendosi pago di additare le loro bellezze. (1) Giorn. Lig., vol, II, pag. 422. (2) Mazzarosa, Ragionamento secondo sopra alami monumenti di belle arti. GIORNALE LIGUSTICO 277 VI. Sezione di Archeologia. Tornata del 4 Febbraio 1876. Presidenza del Preside avv. Pier Costantino Remondini. Il socio D. Marcello Remondini legge la seguente Interpretazione di due antiche epigrafi esistenti a Trebbiano ed alla Spezia. I. Nel bel volume di iscrizióni messo in luce dalla nostra Società il p. p. Dicembre, al num. 268 è una epigrafe pagana rimasta senza la tanto amata spiegazione. Il nostro illustre commentatore can. Sanguineti raccoltala dal libro stampato dal signor Falconi di Spezia (1), e saggiatala finì con abbandonare il pensiero di esplicarla. Essa è quella che accenna ad un’ ara eretta al dio Lare in tempi remoti e che il signor Falconi ci dà in questi termini: ARVS • PETI...... VIAE • POSILLA. . . . VILIC • COMPA---- ARAM • LARI S • V • L • S • L • M Ma la iscrizione letta a dovere nel marmo originale, ond io rilevai il disegno che qui produco nelle dimensioni di un decimo (2), non è così. In primo luogo la parola arvs, non ci dà il vero principio della iscrizione. Argomentando dallo spazio manca qui una (1) Falconi, Iscrizioni del Golfo della Spezia', Pisa, 1874, Pag- 10, num. 5. (2) Ved. l’annessa Tavola, fig. 1. 278 GIORNALE LIGUSTICO lettera innanzi all’a di arvs, non meno non più: lettera o unita al nome, come sarebbe un v che ci dia varvs, ovvero staccata come un l, un c od un q, che ci facciano leggere per esempio lucius arvs, cajus arvs, quintus arvs e simili. In mal punto cadde a questo luogo una rottura, che portò via lo spigolo destro del cippo e con esso il principio della prima riga, e intaccò eziandio qualche poco il principio della seconda. In secondo luogo il sig. Falconi vide in peti che segue ad arvs una parola monca, segnando la mancanza supposta con punti, e a capo del secondo verso lesse viae, il che non va. — La prima lettera del secondo verso non è un v, quantunque guardando alla leggera lo sembri, ma è una n a cui manca la prima asta per la rottura anzidetta. Lo dicono chiaro 1’ asta estrema che è perfettamente a perpendicolo e la molta inclinazione dell’ asta di mezzo, dacché per un v (in questa iscrizione ve ne hanno degli altri con cui venire al confronto) quella dovrebbe essere inclinata e questa esserlo meno. Poi dopo peti non han che fare i punti indicanti mancanza. La rottura che si trova su questo secondo spigolo del nostro monumento ebbe tanta discrezione da non accostarsi troppo all’1 di peti; ma star così discosta da lasciar scorgere chiarissimo il margine del marmo, e la riga è perfettamente compiuta; di modo che non abbiamo la parola peti smozzicata e viae intera come dà la lezione Falconi, sibbene il nome femminile petiniae diviso in due parti tra le due linee. Il nostro socio can. Sanguineti nella sua molta perizia vide che il peti e il viae del Falconi doveano essere parti di un solo nome, dicendo : « Se invece di quel » v al principio della seconda linea fosse un l ci darebbe il » nome Petilliae Posillae ». Qui non un l, ma abbiamo un N che ci dà un nome somigliante, e crederei non meno legittimo in epigrafia. GIORNALE LIGUSTICO In fine il signor Falconi mette dei punti indicanti mancanza dopo la parola posilla, con cui terrhina la seconda riga, e dopo comp con cui la terza. Se questi punti nell’ intenzione del sig. Falconi sono qui a denotarci mancanza per qualche guasto del marmo, non vi hanno proprio che fare. Posilla, nome conosciuto nel regno epigrafico, manca certo di un e finale onde possa accordarsi con Petiniae, ma non per guasto, si per colpa dell’ incisore che lo tenne nello scalpello, cosa non insolita, dice il nostro Sanguineti, in più di un caso consimile. In comp poi è certamente abbreviazione, ma non mancanza. Il marmo in questa parte è sanissimo, i caratteri, ripeto, sono chiari. Anche i fiorelli o cuoricini che servono di punti si scorgono benissimo, son tutti al loro posto tra parola e parola, e non lasciano nulla a desiderare. In conclusione, l’iscrizione non è come l’abbiamo dal Falconi, ma in quest’ altro modo : ...arvs o peti NIAE & POSILLA VILIC o comp ARAM o LARI SoV'ü'L'ôS'ü’L'ü’M Ravviata cosi 1’ epigrafe veniamo alla spiegazione. Arvs come dicemmo è una parola smozzicata. Il nostro canonico Sanguineti senza vedere l’originale 1’ ha subodorato, e infatti dice di essa qiftl primo frammento di parola : ma non è possibile, soggiungo io, che in essa si celi il ter^o nome, come egli dice, di costui che s’intitola \nucus. Perchè sia il terzo, bisogna che interi o abbreviati ne precedano due, e qui di questi non c’è traccia, nè, tutto ben calcolato, c’è posto per essi. Appena una lettera, come avvertii già sopra, ha qui luogo; sarà dunque questo il solo nome, o tutto al più il 28o GIORNALE LIGUSTICO secondo del soggetto che s’intitola Vilicus e regge tutta la proposizione dell’ epigrafe. Diremo dunque, giusta le già fatte osservazioni, varvs., ovvero Lucius arvs, Quintus arvs, o cosa simile. Che se il nome arvs non avesse esempi, sarei quasi per ripetere qui quel che il Sanguineti a proposito di Saevius scrive al num. 316, cioè, resterà solo. Tanto più che qui non si vuol procedere con tanto scrupolo, trattandosi di un’iscrizione che per quei fiorellini o piccoli cuori, che stanno in luogo di punti, mostra di non appartenere a’ tempi del classicismo : quindi non è a cercare in essa nè la regolarità dei tre nomi, che ne’ tempi della decadenza andarono in disuso, nè la legittimità del nome, trovandone in tempi bassi anche de’ più stravaganti. Poi supplito nel Posilla della seconda linea a un e che manca certamente per incuria del quadratario, abbiamo i nomi di una donna Petiniae Posillae, la quale, quando il vilicus che segue significhi (come probabilissimamente il significa) fattoi" di campagna, sarebbe la padrona di Varo o Lucio o Quinto Aro, che vogliam dire. Seguitano poi le parole comp • aram • lari , e le sigle s • v • l • s • l ■ m. — Aram • lari è chiaro e non ammette contestazioni: indicano queste due parole 1 oggetto di tutta l’iscrizione, cioè 1’ altare o la cappelluccia eretta o comunque dedicata al dio Lare da questo Varo gastaldo di Petinia Posilla. Non cosi il comp. e le sigle di iormola. Cominciamo da queste e poi diremo di quello. Il già tante volte lodato canonico nostro dice: Le ultime tre sigle sono in tutta regola e presentano la nota forinola Solvit Libens Merito. E bene sta. Noi siamo- perfettamente con lui. Continua per altro dicendo : Ma le tre precedenti ne rispondono a forinola usata, ne si vede come si colleghino colle seguenti. Sarà così se per formola usata dobbiamo intendere una formola comune, ovvia e che s’incontri per cosi dire ad ogni passo. Ma come formola straordinaria , se posso così esprimermi, non si troverebbe ? Io avanzerò ti- giornale ligustico 281 mido una parola al mio maestro, e poi egli giudicherà. Dunque secondo me il v che segue la prima S parmi che poti ebbe giustificare Votum. La forinola votum solvit libens mento 1 abbiamo anche in più di una iscrizione della nostra raccolta (1). La S che sta per prima sigla non potrebbe indicare la parola susceptum? Io trovo al num. 295 del volume ultimamente distribuito (Atti, XI) spiegate le sigle m-v-s per memor voti suscepti ; e al num. 34 della prima appendice (vol. III) le sigle v • s • l • s per votum susceptum libens solvit. Qui dunque potremmo dire, susceptum votum solvit libens merito. Ma non siamo ancora in porto. Ci è ancora una l che starebbe tra il votum e il solvit. E questa come si spiega ? Io non ho qui esempi da addurre trahi dalle nostre iscrizioni, ma mi ricordo aver veduto nel Corpus Inscriptionum, che ci viene dai dotti prussiani, una conchiusione di epigrafe in queste sigle l-m-v-s-l (2) spiegate così: Libens Merito Votum Solvit Laetus. Or dietro a questo esempio parmi bene che noi potremmo spiegare le nostre per Susceptum Votum Laetus Solvit Libens Merito. Ma veniamo al comp. — Comp è parola abbreviata, o meglio principio di parola, che se la vogliamo riferire al varvs o l • arvs viLicvs e con questo accordarla, ci potrebbe dare compar nel senso di marito, o anche solo nel senso di compagno ; ma non mi piace troppo nell’ uno come nel-l’altro senso. Non mi piace nel significato di marito, perchè mi urta che un marito sia gastaldo di sua moglie : prendiamo pure il vilicus nel senso più nobile di agente di affari, di cassiere 0 tesoriere se vogliamo, sarebbe sempre un che di servitore che colla qualità di marito si accoppia male, e quand’ anco si desse nella realtà avrebbe, mi pare, mai garbo (1) Veggansi i num. 33, 35 e r8o. (2) Ved. Corpus inscript, tal., voi. Ili, num. 1362. 282 GIORNALE LIGUSTICO un epigrafista di cosi spiattellarlo in pubblico. E poi forse preso in questo significato il compar non sarebbe nemmeno al suo posto; esso mi pare andrebbe là dove è vilicus, cioè unito immediatamente al nome della moglie. Non mi piace nel senso di compagno, si perchè aneli’esso parmi che leghi poco colla qualità di vilicus per le ragioni già dette, sì perchè quand’ anche al vilicus si desse il significato a cui pur si presta di villaticus, come a dire Lucio Aro o Varo compagno villereccio di Petinia Posilla, che cosa poi verrebbe mai a dire ? Dunque a parte il compar. — Comp sempre volendolo accordare con vilicus, ci potrebbe dare compitalis nel senso di sacerdote dei Lari, parola che in questo senso il nostro socio can. Sanguineti al num. 30 della nostra collezione mostrò desiderio di veder registrata nei Lessici, e che monsignor Cavedoni (1) dice aver fatto il dotto De-Vit. Si dirà forse: ma che? un fattore di campagna sacerdote? Sì, veramente la dignità sacerdotale non ci trova troppo il suo conto, ma se nel secolo scorso e a’ principii del nostro potemmo noi vedere (e così non fosse stato mai) sacerdoti del Dio vero tener 1’ agenzia di non pochi patrizi, sarebbe a meravigliare che ciò facesse qualche sacerdote pagano? Ma cerchiamo altro. Forse il comp ci dà compitum, cioè crocicchio di strade, e metonimicamente la cappelluccia che si usava costrurre agli iddii Lari nei crocicchi. Per questo senso sta il signor Falconi, il quale specchiandosi, io penso, in un’altra iscrizione ed ara appartenente a’ contorni della Spezia, registrata anche al num. 30 della nostra collezione vorrebbe unirlo all’aram che segue, e farci avere così il crocicchio come 1’ ara per due oggetti consecrati al Lare. Ecco l’iscrizione citata : (1) Atti, vol. Ili; Appendice, pag. 8 , num. 30. 283 TELLIVS • CENSORINVS VILICVS • COMPITVM • ET ARAM • MVNVS • LARIBVS D • SVO LIBENS • MERITO Ma innanzi. Forse il comp nasconde un aggettivo di aram. È il nostro illustratore delle lapidi liguri che ne mette ciò in memoria. Quel comp, dice l’illustre Sanguineti, che sia compitaliciam da accordarsi con aram? Potrebbe essere, quasi son per rispondere io; senonchè ci è a fare ancora qualche considerazione che diremo poi. Intanto diciamone una. II comp ci potrebbe dare eziandio, pare a me, il verbo composuit o meglio comparavil. Nel campanile della metropolitana di Genova è un’iscrizione riportata nei nostri ^Atti, al num. 5 (vol. III), dove si legge questa espressione bella e distesa: For-tunius Alexander etc. comparaverunt sarcofagum patrono dignissimo. — Comparare in questo luogo io tengo che significhi innalzare, erigere, fabbricare, costrurre, ordinare, e non già soltanto preparare, disporre e simili; perchè che un vivo prepari a se stesso la tomba è cosa che cammina co’ suoi piedi, ma che al degnissimo patrono, ancor vivo, come bisogna supporlo trattandosi di preparazione, faccia altri questo ufficio', mi sembra non troppo bel complimento. Quindi se a questo significato si presta la parola comparavit, qual difficoltà ad ammetterla nell’iscrizione di Trebiano? Ed ecco qui, lasciato in disparte il compar, ecco qui quattro modi di spiegare questa abbreviazione: compitalis, ovvero compitum, ovvero compitaliciam, oppure composuit 0 comparavit. Ora a quale ci appiglieremo noi ? Io non ardisco di sentenziare. Per altro direi ancora una parola. Se la nostra epigrafe può stare senza un verbo espresso, 284 GIORNALE LIGUSTICO bastando il da sotto intendersi fecit, erexit o simili, come quella di Spezia riportata più sopra, e nello stesso tempo il dio Lare nominato nella lapide ci consente di poter supporre dedicata a lui una cappelluccia in un crocicchio di strada, allora io mi atterrei al compitaliciam del nostro illustre Sanguineti, dacché noi in questo caso avremmo una iscrizione che ci direbbe: Varo, o L. Aro, gastaldo di Petinia Posilla, eresse quest’ara da crocicchio (ovvero qual si suol fare nei crocicchi) al dio Lare e sciolse così volentieri a ragione e con allegrerà un voto da lui fatto. varvs ovvero lucìus arvs • peti NIAE • POSILLAe viLiCKJ • couvitaliciam aram • lari (si sottintenda fecit o erexit) susceptum ■ votum • Laetus ■ solvit • Libens • Merito Se non che il Lare, vedendolo qui messo in singolare , sembra che accenni propriamente al Dio che presso i gentili presiedeva soltanto al focolare domestico, e non punto alle strade. Nei crocicchi di esse infatti, come ne insegna la citata iscrizione della Spezia, si dedicavano tutto al più altari o cappelluccie ai Lari in plurale, come quelli che rappresentavano tutte le case e le famiglie componenti quel dato vico o paese,'e non a un solo di essi, chè non avrebbe avuto ragione di stare colà. Ciò posto, la parola abbreviata comp potrebbe invece interpretarsi pel verbo comparavit; ed allora le penultime due linee dell’ epigrafe si avrebbero da leggere vilicvs comparavit aram lari etc. II. Ora di un’ altra iscrizione. Il sig. Agostino Falconi nel medesimo libro da lui stam- GIORNALE LIGUSTICO 285 pato sotto il titolo di Iscrizioni del Golfo di Spezia, ecco come reca un altra scritta appartenente però al medio evo. .......IO • T 2 MSF • GEN • IPER • AU GUSTIO • ADURN ■ GUBNATE • BNITO ADUR • CAP • IO FACIO .... APNE BGNNO • SINDCS • PU • DC. Egli ne fa sapere che questa leggenda esisteva a Spezia incisa alla sommità del capitello d’ una colonna sulla piazza del Palazzo Civico, sovra la quale colonna era collocata una piccola statua di san Rocco. E là dove ad una ad una traduce in volgare le iscrizioni latine della sua raccolta, non altro ne dice riguardo ad essa se non che queste poche parole : Dalle indicazioni che si trovano in questa lapide rilevasi che la colonna di S. Rocco fu eretta nel 1412. Quel che non fece pero egli due anni fa, il fece o egli o altri in un almanacco uscito alla luce sotto il nome di Strenna del Golfo di Spezia per 1 anno bisestile 1876; e nell’io con cui comincia 1’ epigrafe legge la parola Marchiane, nel t che succede vede il nome Theodoro, il due in cifra arabica che fa tener dietro al t per lui è il numero ordinativo secundo, nelle tre- sigle MSF legge Montis Ferrati-, indi seguita: Genuae imperante Augustino Adurno gubernatore. Benedicto Adurno Capitaneo. Johanne Facio et capitaneo Bregantino Sindicis Publico Decreto. « Perciò il significato di questa iscrizione, son parole dell’ almanacco, sarebbe il seguente: Imperando in Genova Teodoro secondo Marchese di Monferrato (essendo ivi per) Governatore Agostino Adorno (e) Benedetto Adorno Capitano (di Spezia) nonché Giovanni Fazio (ed il) Capitano Bregantino Sindaci (fu) per publico decreto (eretta questa colonna). — In questa iscrizione (continua sempre l’almanacco) non è fatto cenno di alcuna data; e se è stato asserito che la colonna di san Rocco fu eretta l’anno 1412, si è ciò desunto dalla storia, la quale 286 GIORNALE LIGUSTICO ci fa sapere che quando Genova ebbe, nel 1410, scacciati i francesi coll’aiuto di Facino Cane signore di Alessandria, e di Teodoro II Marchese di Monferrato,'quest’ultimo fu eletto Capitano di Genova per un anno collo stipendio di lire 1505; ma ei tenne invece tal carica sino al 1413, in cui, a’27 di Marzo, veniva eletto per Doge della Repubblica Giorgio Adorno. — Questa iscrizione ci addita pure che in quel tempo era Governatore in Genova Agostino Adorno, e che Spezia aveva per Capitano Benedetto Adorno e per Sindaci Giovanni Fazio, ed il Capitano Bregantino ». E detta qui una parola sopra Giovanni Fazio, e un’ altra sopra il capitan Bregantino, accenna a’ documenti ne’ quali si rinviene questo nome, senza però dirci verbo del perchè egli giudichi che il Benedetto Adorno sia da riputarsi sindaco di Spezia; passa poi a discorrere della causa di quel monumento, e giudica poter essere stato un voto di riconoscenza per essere stata la Spezia preservata da epidemia. Ciò egli desume dal vedere che sulla colonna era l’effigie di di san Rocco, tenuto per ispeciale protettore contro le pestilenze, e dallo aver trovato negli Annali dello Stella come in altre carte memoria di pestilenza nel 1411. Passiamo il Publico Decreto ch’egli vede nelle ultime due parole abbreviate pu e oc, passiamogli i due Sindaci di Spezia Giovanni Fazio e il Capitan Bregantino, i quali per altro stando agli argomenti sopra cui si appoggia in discorrendo di loro tanto vale il dire che -esistevano nel 1412 quanto nel 1490 e oltre. Ma come gli possiamo menar buono quel secondo in cifra arabica, appiccato al nome di Teodoro Marchese di Monferrato ? e peggio ancora il governo di Agostino Adorno sotto Teodoro? A quello si oppone la paleografia, a questo la storia benché da lui invocata. La paleografia per due ragioni, secondo me, non può ammettere quel secondo in cifra arabica. Prima ragione perchè i numeri in cifra ara- GIORNALE LIGUSTICO 287 bica, specialmente nelle epigrafi, appena è che si mostrino sul finire del secolo XV, e non già sui primi anni nei quali cade la presidenza di Teodoro Paleologo. Seconda ragione perchè ad ogni modo in cifra arabica si mostrano appena le date, ma non mai, nè allora, nè prima, nè dopo, eh’ io sappia, quel numero che si annette a un titolato per distinguere il grado eh ei tiene in una data serie. Qùesto si è sempre usato segnare con numeri romani come si usa ancor tuttodì, e come usò il medesimo almanacco in questa sua interpretazione, là dove ci vuol mettere sott’ occhi quel che fa per lui riguardo a questo suo Teodoro II. La storia poi nega affatto la simultaneità dei due graduati, il Marchese Teodoro e Agostino Adorno, come porterebbe la lapida secondo che la spiega l’almanacco. È vero che nel 1413 era tuttavia Capitano di Genova Teodoro di Monferrato, e Giorgio Adorno in questo tempo fu eletto Doge ; ma per prima cosa Giorgio non è Agostino, e poi Giorgio succedette a Teodoro, non governò simultaneamente. Il governatore Agostino Adorno è del 1488 e nulla ha che fare col Marchese di Monferrato Teodoro , il quale lasciò la presidenza di Genova nel 1413 , e nel 1418 morì. Ben 76 anni passarono tra il governo dell’ uno e il governo dell’ altro. L’uno adunque dei due si debbe qui eliminare. Se non che Agostino Adorno si vede nell’ iscrizione troppo chiaramente nominato per avere lo sfratto, dove il Teodoro non sarebbe che appena indicato con sigle che hanno del sibillino. Via dunque Teodoro. — E le sigle ? Mutiamo il t in g , e ci daranno subito ottima ragione di se in piena armonia con 1’ Agostino Adorno, e con tutto il resto forse non meno. Il rilevamento è del cav. Desimoni, la cui acutezza in siffatte materie è assai conosciuta. Egli mi fece osservare la scritta che portano molte monete del Duca Galeazzo Sforza di Milano, la quale è precisamente così 10 • g accom- 288 GIORNALE LIGUSTICO pagliato questo g da un segno di abbreviazione formato a guisa di un piccolo c arrovesciato , e terminante in una coda più o meno arricciata da parere dove un 3 e dove un 2 in cifra arabica, poi m, indi sf • dvx • m • vi • ac • ian • d , cioè: loannes Galeatius Maria Sfortia Dux Mediolani sextus ac Ianue Dominus. Ora, aggiungeva egli, chi ne dice che i punti indicanti mancanza, i quali l’almanacco mette innanzi alla iniziale 10, non abbiano il valore medesimo di quelli che noi vedemmo posti a indicare difetto nell’ara di Trebiano, vale a dire nessuno ? In questo caso l’iniziale 10 darebbe piecisamente il nome ioannes come nelle monete; e chi ne dice, continuava ancora, che in luogo del t nell’originale non ci fosse propriamente g? Lo scambio non è poi difficile, -anLO più, aggiungerò io, che nel medio evo si trovano dei t aventi la gamba rotondeggiante a guisa del c. Ora unite a questo g il segno d’ abbreviazione detto testé, e preso qui dal nostro almanacco per un due in cifra arabica, e voi avete senz altro il Galeatius delle monete. Indi le tre lettere msf volute spiegare Montisferrati quando si stacchi un tantino la m dalle altre due, sono senz’altro il Maria Sfortia. Di modo che la lapide verrebbe a dirci: Ioanne Galeatio Maria Sfortia Genuae impelante Augustino Adurno gubernante, con quel che segue. E vedete mirabile accordo colla storia. Il Giustiniani ci fa sapere che nell’anno 1488 fu ceduta Genova al Duca di Milano Giovanni Galeazzo Sforza, e contemporaneamente Agostino Adorno fu dichiarato Governatore ducale per dieci anni. E poco dopo soggiunge: « E 1’anno seguente di mille quattro-cento ottantanove rimaneva la città sotto la signoria di Giovanni Galeazzo Duca di Milano, e sotto il governo di Agostino Adorno in pace, attenta al negozio, e alla mercanzia ». E il san Rocco ? dirà qui forse 1’ almanacco, e il san Rocco e la peste con tutto il resto? Ma e forse che li disagiamo GIORNALE LIGUSTICO • 289 noi ? Se 1’ almanacco per dar gloria a san Rocco vuole la peste, pazienza ! la peste sia. Ma perchè quella lapide sottoposta alla statuetta di san Rocco abbia a valere il modesto monumento voluto dall’ almanacco, è forse necessario darle la data del 1412? Se le storie ne accertano che sventuratamente infierì la pestilenza nel 1411, non viene di conseguenza che dal 1489 fino al 1494, in cui morì Giovanni Galeazzo, la Spezia non potesse avere un somigliante motivo da mettersi sotto la protezione di quel santo, quand’anche le storie lo tacessero. E il Giovanni Fazio se non potrà essere uno degli antenati del celebre scrittore Bartolomeo Fazio di Spezia, quale ce lo dà l’almanacco, ne sarà uno dei nipoti; e se il Bregantino non potrà essere quello del 1409, Sindaco di Trebiano, o il Pietro nominato nel libro delle franchigie di Portovenere del 1449, ovvero il Bachonio della cui casa si trova menzione in un antico Catasto di Spezia, secondo che insinua 1’ almanacco medesimo, sarà qualcheduno dei loro discendenti. In fin dei conti, sarà men male che traballi un poco il motivo assegnato alla esistenza della colonnina e della iscrizione, che non il dar corso alla mostruosità di quel secondo in cifra arabica, e all’anacronismo di quell’Agostino Adorno Governatore dal 1488 al 1499, sotto l’imperio di Teodoro Marchese di Monferrato che fu Capitano di Genova 75 anni innanzi e morì nel 1413. Per altro non traballa nemmeno il motivo assegnato, dacché pur troppo nella primavera del 1493, sotto il dominio di Giovanni Galeazzo e il governo di Agostino Adorno, ci attesta il Giustiniani che in Genova fu una terribile pestilenza onde rimasero vittime i quattro quinti di coloro che restarono in città. Ma oggimai non occorre più andare per divinamento. Una visita a quel mutilo avanzo di statua e al sottoposto capitello istoriato, giacenti nel fondo di un magazzino alla Spezia, consentitaci in questi ultimi giorni dalla gentilezza dell’odierno 290 Sindaco di quella città signor Bruschi, ci mette in grado di confermare l’osservazione fatta dal cav. Desimoni colla quale vien corretto 1’ errore più grave che era nella lezione dell’almanacco, e nello stesso tempo ci dà buona occasione di rettificare la scritta in altre cose di minore importanza. Di queste la prima è che invece di Benedetto ci è Bricio: nome non estraneo alla famiglia degli Adorno. Anzi nel-1’ Abecedario ms. del Federici, che abbiamo nella Biblioteca della Missione Urbana, trovai cosa molto al proposito nostro. Egli ha a registro colle date estreme 1413 e 1425 un Bricio Adorno figlio di Raffaele, poi colle date dal 1425 al 1459 un Paolo Adorno figlio di Bricio al quale, dice egli, fu consegnata la Spezia nel 1443, ove, soggiunge ancora, restò capitano. Nessuno di questi due Brizii è certamente quello della nostra lapide; chè troppo ancora sono distanti dal tempo di Giovanni Galeazzo Sforza e di Agostino Adorno. Ma chi ne dice che un figlio di questo Paolo col nome dell’ avo subentrasse al padre nel posto? e tanto vi stesse da incontrarsi nella carica sua coi mentovati Signori? Noi lasceremo la cura di appurare ciò a chi meglio di noi può avere accesso agli archivi della Spezia, ma asseverantemente diciamo che l’iscrizione ha britio e non bnito , e che questo Brizio è capitano della Spezia non per semplice supposizione, come sembrerebbe al modo che tiene T almanacco nell’affermarlo, ma per 1’ esplicita dichiarazione dell’ epigrafe stessa mediante le due lettere sp tfalasciate dall’almanacco e dal sig. Falconi. A proposito poi del secondo de’ due Sindaci, dove 1’ almanacco legge .....apne e spiega Capitaneo è raph cioè Raphaele in abbreviazione; e nella parola che tutti leggiamo bgnno, senza veramente impugnare il Bregantino dell’ almanacco, afherei leggere piuttosto b^gènno. Per aver Bregantino, a parer mio, resta a desiderarsi troppo oltre le cinque lettere che abbiamo, dove invece per Bergenno basterebbe GIORNALE LIGUSTICO 291 supporre una traversa pel b che ci dia Ber (traversa simile a quella che un po’ più sopra abbiamo alla parola gvber-nawte), ed ammettere che la seconda vocale e è compresa nella consonante g, giacché i nostri vecchi leggevano 1’ alfabeto A, Be, Ce, De, G e, e questi E talvolta non si credeano obligati di produrre esplicitamente nelle scritture che cercavano abbreviare a più non posso. Ad ogni modo piacemi constatare che le famiglie Berghini e Bregantino sono entrambe di Spezia o delle sue vicinanze. Un’ altra osservazione è che la scritta non termina con pv , dc come mette 1’ almanacco, spiegando Publico Decreto ; ma sibbene ha pv-dicar-op, avente questo ultimo p un segno di abbreviazione. La rottura dello spigolo non lascia bene discernere se ci siano altre lettere in modo da poter leggere in abbreviazione, per esempio, pvblice mc\mmt opus pro veneficio oppure publice Dicarunt opus senz’ altro. Finalmente risulta che il capitello e la statua di san Rocco impernatavi sopra non sono coevi. Parecchi anni passarono tra l’uno e l’altro lavoro ; e il più antico è il capitello. Lascerò ad altri il dedurre ciò dallo stile della scultura che rappresenta il santo: io lo deduco da una iscrizione che è nel plinto della statua, e che non fu avvertita dall’ almanacco nè dal signor Falconi. Essa dice : d • o • M M.vs D • PAVLVS VINCENTIVS LVMELLINVS CAP.™ D • D • D Paolo Vincenzo Lomellino visse fra il 1516 e il 1586, anno in cui fece testamento (1). La statua adunque è 0 fu (1) Albero genealogico della famiglia Lomellitii con sue prove. MS. della Biblioteca Universitaria. 292 GIORNALE LIGUSTICO * posta sulla colonna non prima del secolo XVI. Se noi dicesse a sufficienza questo nome, lo direbbero lo stile dell’ epigrafe e la forma de’ caratteri. Veggasi 1’ annessa Tavola, fig. 2. Quando è infatti che si cominciò l’uso di mettere in capo alle epigrafi la formola Deo Optimo Maximo in quelle iniziali d • o • m ? Quando si usò il titolo di Magnificus Dominus ? Quando i nomi scritti con iniziali più alte e via dicendo ? Or dunque il capitello precede la statua che vi è sopra, la quale sarà un gran che se potrà dirsi nata intorno al 1528, alloraquando un’ altra desolante pestilenza travagliò forse la Spezia o minacciolla da vicino, come si può argomentare dalla seguente memoria che si trova scritta in marmo nella parrocchiale di Rio-maggiore, vale a dire quasi alle porte della Spezia. ras MARIA DEL 1528 FO LA PESTA IN OSTA TERRA DVRO SETE MEXI SI FECE VOTO DE ANDARE TVT1 ALE LETANIE LA VIGILIA DE S TOMAXO APOSTVLO E CESSO E FARE FESTA EL DI DE S.T0 ROCHO E DE S.TO SEBASTIANO La diversità di queste due parti del nostro monumento, cioè colonna e statua, mi fa nascere sospetto di una di queste due cose. O che a’ tempi di Galeazzo fu eretto il monumento, cioè fu posta la colonna col capitello, e poi il Lomel-lino più tardi lo compiè con porvi la statua rimasta per avventura in sospeso; 0 che eretta la colonna sotto di Galeazzo in quella piazza od altrove con altro scopo, fu poi a’ dì del Lomellino volta ad essere base del nuovo monumento. In questo secondo caso la iscrizione del capitello avrebbe da fare colla statua che le sta sopra e colla pestilenza quel me- GIORNALE LIGUSTICO desimo che il celebre bassorilievo venuto di Grecia ed ora murato nelle gallerie del palazzo nostro municipale ebbe già con Francesco Spinola quando ne sorreggeva la statua equestre, o quello che colla famiglia Cevasco ha ancora oggidì nel Cimitero a Staglieno la iscrizione e il sarcofago di Giulio Castricio. Vale a dire un bel nulla; quando però non si fosse data la congiuntura, troppo rara invero per non dire quasi impossibile, che due monumenti in tempi diversi nel medesimo luogo siano stati eretti per motivi e in condizioni al tutto somiglievoli. Ma dirassi come mai tante varianti in così breve iscrizione? Par soverchio davvero; però non è a maravigliarne trattandosi di almanacchi o simili. Vedetene altro esempio. A due miglia da Spezia sulla via di Sarzana è P antica Pieve di San Venerio, e presso la chiesa è una vecchia casa che servì già di canonica, con una lapidetta che dice in caratteri non troppo difficili: MCCLXVIIII indit ione xi martin’zw arch ifBR (archipresbiter) fecit hoc op’us Ora il signor Falconi la lesse in modo da tradurcela poi a pagina io6 del suo opuscolo in questa maniera: Anno 1269 il giorno 11 di Marzo il Marchese Ildebrando fece fare questo lavoro. Per venire dunque al nostro caso, io non troverei punto strano che un occhio il quale vide in die ove è inditione, Martii ove è Martìnus, e marchio Udebrandus dove è Archipresbiter, avesse anche potuto vedere e leggere Marcinone Theodoro 2 Montisferrati con tutto il resto che qui abbiamo chiamato ad esame. 294 GIORNALE ligustico Il socio Desimoni riferisce che il prof. Teodoro Wiistenfeld avendo appreso dal Giornale Ligustico (i) come la Società abbia fatto divisamente di pubblicare ne’ suoi Atti, unitamente ad una serie dei Podestà forastieri in Genova ( intorno ai quali esso Professore già porse importanti notizie), l’elenco dei genovesi che tennero lo stesso uffizio in altre città d’Italia, si è affrettato a trasmettere anche per questa parte non poche indicazioni. Nel presentarle alla Sezione, soggiunge poi il Desimoni che esse si estendono anche a quei nostri concittadini che furono capitani, vicarii, consoli ecc., nelle isole italiche, od anche fuori d’Italia e in Terra Santa; oltre che vi è pure annessa la serie di que’ forastieri che governarono Genova a’ tempi della signoria di Roberto d’Angiò (1318-35). Comunica inoltre la fotografia della prima carta di un Atlante nautico procurata alla Società dalla gentilezza del dotto monsignor Giullari Bibliotecario della Capitolare di Verona presso cui si conserva. L’Atlante è fattura di Giacomo Scotto da Levanto, già conosciuto per altri lavori che il Desimoni vide a Bologna ed a Venezia e registrò nel suo Elenco di carte ed atlanti nautici di autore genovese ecc. (2); ma questo gli era sin qui rimasto ignoto, benché tra le opere del nostro cartografo abbia a giudicarsi come la più notevole, sia per bellezza e conservazione, e sia perchè consta di nove carte mentre i precedenti erano di un solo foglio. Fu costrutto in Civitavecchia, ed appunto nella carta di cui si ha la fotografia è scritto : Jacobus Scottus Genuensis loco Levanti me fecit Civitate veteri anno Domini 1592. Anche nell’ Elenco dei mappamondi ecc. pubblicato dal eh. Uzielli nel bel volume di Studi bibliografici e biografici sulla (1) Anno 1875, pag. 375-6. (2) Giornale Ligustico 1875, pag. 41 e segg. GIORNALE LIGUSTICO 295 storia della Geografia apprestato dalla Società Geografica Italiana pel Congresso tenutosi nell’agosto del 1875 in Parigi, manca la notizia del detto Atlante, il quale forse giunse troppo tardi a cognizione della medesima Società. Altri lavori invece, di cartografi genovesi, non prima noti al Desimoni, veggonsi ivi stesso registrati, e sono: un Atlante di Visconte Mag-giolo-, del 1549, nella Comunale di Treviso; un Portolano di Giacomo Maggiolo del 1558, nella Casanatense di Roma; e una Carta marittima di Giovanni Costo, presso 1’ Ufficio Idrografico della R. Marina in Genova (1). VII-VIII. Sezione di Storia. Tornate dell’ 11 e 18 Febbraio 1876. Presidenza del Preside cav. avv. Cornelio Desimoni. Il sig. Cesare Quarenghi, tenente nel R. Esercito, comincia la lettura di un suo lavoro intitolato : Ricerche storico-illustrative sulle fortificazioni di Genova. Sulle traccie del Cevasco e del Banchero (2) 1’ Autore si fa anzitutto a ragionare delle prime quattro cinte murali che Genova ebbe da epoca ignota fino al 1276, toccando eziandio, per quanto lo richiede il suo soggetto, della topografia della città nel medio evo; seguendo a tale scopo le opinioni dei mentovati scrittori, e riportando del pari alcuni documenti. Descrive in appresso la storia dei varii forti che vennero mano a mano innalzati; e specialmente porge buon numero di notizie su quelli di Capo di Faro, di Castelletto e del Castellacelo. Rammenta come la quinta cerchia fosse (1) Studj ecc., pag. 361, 363, 365, num. 193, 206, 220. (2) Cevasco, Statistique de la ville de Gènes; Banchero, Genova e le due Riviere. 296 GIORNALE LIGUSTICO costrutta fra iJ 1320 e il 1347; ed accenna ad un atto del 1319 ch’egli ravvisa importante alla storia delle artiglierie presso di noi. Parlando della sesta cinta, dimostra coll’autorità del Bon-fadio che sì fatto nome ben si conviene alle opere che vennero imprese nel 1536, le quali a torto da taluni si vorrebbero considerare un semplice restauro di quelle cui i genovesi avevano posta mano nel 115 5; ed estendendosi quindi a trattare dell avvenuto cambiamento' nel sistema delle fortificazioni, porge alcuni ricordi dell’ingegnere Giovanni Maria Olgiati che diresse i lavori e merita di essere fatto noto alla Storia. Quanto ha tratto alla settima cinta riesce poi così abbondante di documenti, che il Quarenghi ne ragiona in cinque capitoli. Nel primo esposte le cause che produssero la guerra del 1625 contro il Duca di Savoia, e notato degli eventi di essa quel tanto che si appartiene alla intelligenza del suo lavoro, discorre della Giunta preposta alle opere di difesa, e della parte grandissima che ebbe in questa il celebre P. Vincenzo Maculano da Firenzuola. Nel secondo racconta, come ie molte trincee provvisorie fatte costrurre dalla Repubblica durante i corsi pericoli, avessero fatta sorgere ne’ più intendenti 1 idea di rendere quelle opere stabili e durature, traducendole in un lungo circuito di mura fortissime. E il grandioso disegno finì per essere abbracciato dalla Signoria, la quale aveva all’ uopo voluto raccogliere il parere de’ più valenti ingegneri ed esperti militari, come il capitano Bai-duino ingegnere maggiore del Re Cattolico, Giambattista Pecchio, Carlo Petrucci, il Conte d’ Ognate, fra’ Lelio Brancaccio, Girolamo Spinola ed altri ancora. Nelle loro relazioni, scoperte e prodotte dal Quarenghi, tutti i succitati esprimevano 1 avviso che si dovessero fortificare le alture, e che la cerchia progettata si avesse a condurre dalla Lanterna a Pe-raldo e in Bisagno; e per sì fatta opera appunto gli archi- giornale ligustico 297 tetti Bartolomeo Bianco e Sebastiano Ponzello presentavano una perizia, nella quale tutte le costruzioni occorrenti stima-vansi ascendere ad un milione di fiorini d’ oro. Stava però contro la citata opinione quella autorevolissima del Firenzuola, il quale avvisava a sua volta che potesse bastare una cinta di più stretti confini, in modo da evitare Promontorio e il Bisagno. Nel 1626 il Senato si commise in una Deputazione di quattro soggetti : Giambattista Baliani, Giambttista Saluzzo, Giorgio Centurione, Gian Vincenzo Imperiale, e quindi ancora nella autorità grandissima dell’ ingegnere Dell’ Arena di Milano. Nel capitolo terzo enuncia i provvedimenti emanati dalla Repubblica per dar principio alla fabbrica; e descrive la cerimonia del solenne collocamento della prima pietra sulle alture di san Benigno il 7 dicembre 1626. Inoltre con legge del 15 gennaio 1627 veniva creato un Magistrato detto appunto delle nuove mura, e per diligenza di questo s’incominciavano tosto le opere di costruzione, benché non molto appresso venissero sospese a cagione probabilmente della scoperta congiura del Vacchero. Nel quarto ricorda come fossero poi ripresi i lavori correndo l’aprile 1630, sotto l’impulso di Ansaldo De Mari nominatone direttor generale. E poiché il Senato aveva oggi-mai approvato un modello definitivo della cinta, alacremente si procedeva per condurla al suo termine. Fa cenno inoltre il Quarenghi delle contestazioni che nacquero in seguito fra il Baliani, il Firenzuola e il De Mari intorno le porte e i portelli che dovevano aprirsi lungo la cerchia; e tocca eziandio delle difficoltà incontrate da quest’ ultimo per l’apertura della grande strada che dalla porta dell’ Arco doveva condurre al nuovo ingresso della Pila. Nel quinto finalmente racconta come la fabbrica rimanesse ultimata nel 1632, e come il Firenzuola, nel luglio di tale 20 298 GIORNALE LIGUSTICO anno, visitandone i lavori li trovasse degni d’approvazione e d’encomio. Descrive quindi il perimetro della cinta ; e ricorda come la fama di sì grand’ opera corresse in breve per tutta Italia. Anche il papa Urbano Vili espresse il desiderio di vederne il disegno; e la Repubblica, dichiarandosi paratissima a soddisfarlo, si commise nel valente pittore Andrea Ansaldo perchè avesse a ritrarlo in prospettiva ed in pianta. Accennando per ultimo ai miglioramenti che in processo di tempo vennero praticati, alla costruzione della strada per le ronde, ed al ristauro delle vecchie mura per opera dell’ingegnere Beretta, il Disserente si riduce all’anno 1648 nel quale le fortificazioni dal lato di terra si coordinarono a quelle dal lato di mare, mediante la costruzione del Molo nuovo che venne anch’ essa egregiamente diretta dal De Mari, cui la Repubblica decretava pubbliche lodi e un donativo di ventimila pezzi da otto reali. La lettura del sig. Quarenghi è seguita da una discussione, alla quale prendono parte i soci Belgrano e Desimoni. Il primo di essi dopo aver reso omaggio alla diligenza che ben rilevasi adoperata dall’ Autore nelle ricerche attinenti al commendevole lavoro da lui impreso, e riconosciuto come tra le opere che corrono a stampa ei non potesse, rispetto alle più antiche cinte murali, consultarne altre migliori di quelle del Cevasco e del Banchero, mette innanzi alcune obbiezioni le quali perciò devonsi intendere fatte a questi autori piuttosto che allo scrittore che di necessità fu tratto ad attingerne le notizie. Avvisa pertanto il Belgrano come l’opera della prima cerchia non sia punto da ritardare, come vogliono gli autori su citati, fino al periodo delle incursioni saraceniche nel secolo X ; perchè già nella Cronaca di Fredegario si legge che Rotari nell’ anno 641 impadronendosi con altre città della Liguria marittima anche di Genova, muros... earum usque ad fundamentum destruens, vicos has civitates nominare praece- GIORNALE LIGUSTICO pit (x). Sta bene che le mura non erano per anco rialzate nelle prime decadi del secolo X, giacché i saraceni poterono agevolmente impadronirsi di Genova a più riprese nel 918, 934 e 936; laonde Galvano Fiamma, che derivò il suo racconto da antiche ed attendibili tradizioni, lasciò scritto che sarraceni... civitatem idnuensem nondum muratam sunt aggressi. Pare anche, secondo lo stesso cronista, che ai milanesi verso de’ quali Genova aveva allora assai titoli di dipendenza, sia dovuta la iiedificazione delle nostre mura: Januenses, resumptis viribus, insulas invaserunt (la Corsica e la Sardegna), et mediolanenses murum urbi cinxerunt satis parvum, cuius vestigia adhuc apparent (2). Tuttavia non è da credere che la riedificazione seguisse cosi dappresso alle invasioni saraceniche, come il brano qui recato parrebbe lasciar supporre, e molto meno che rimanesse a que’ giorni compita l’intera cerchia ; perchè se gli atti ci porgono contezza delle mura dal lato di ponente sino dal 952 (3), tardano invece a chiarirci l’esistenza di quelle dal lato di levante sino al cadere del secolo XI (4). Un’altra osservazione è suggerita al Belgrano dall’opinione di alcuni scrittori, i quali stimano essersi all’ epoca della costruzione della cinta nel 1155 guadagnata sul mare quella distesa di terreno che conosciamo coi nomi di Guastato e Campo. Non nega già egli che si fatto terreno sia di una formazione relativamente recente; ma contesta che lo sia tanto quanto opinano ir detti autori. In questa regione sorgevano da anti- (1) Fredegarii Cbronicon, presso il BouauET, Rer. Galticar. Script., II. 440. (2) Galv. Flammae Chron. Maius, nella Miscellanea di Storia Italiana, V. 578; Lumbroso, Conienti sulla storia dei genovesi ecc., pag. 27 e segg. (3) Belgrano, Cartario Genovese, negli Atti della Società, vol. II, par. I, pag. 196 e segg. (4) Atti della Società, I. 279. — Vineam positam... iuxta muros et atrium beatissimi Syri confessoris etc. 300 GIORNALE LIGUSTICO diissimo tempo le chiese de’ santi Marcellino, Pancrazio, Fede e Sabina; v’erano (per testimonianza di sincroni documenti) alcune praterie che dalle chiese omonime tolsero poscia i nomi di sant’Agnese e santa Marta; e le solcavano alcuni fossati che scorrevano .liberamente all’ aperto fino alla non discosta marina (i). Quanto è poi delle opere della sesta cinta, loda il Quarenghi per aver diligentemente ricercato i nomi degli ingegneri sotto la direzione de’ quali vennero esse compiute; ed a proposito dell’ Olgiati rammenta eziandio la parte che questi ebbe grandissima nei progetti di erezione d’una cittadella vagheggiati da Carlo V e da’ suoi ministri, ma virilmente osteggiati da Andrea D’ Oria. Le carte che vi si riferiscono possono leggersi per disteso negli Atti della Società fra i Documenti ispano-gemvtsi dell’ Archivio di Simancas (vol. Vili, pag. 226 e segg.). Ricorda del pari un altra circostanza di sommo interesse rivelataci testé dal eh. Alizeri (Guida illustrativa ecc., pag. 314), laddove narra come nel 1537 la Signoria facesse vivissimi uffici presso il duca Alessandro dei Medici onde avere da Firenze l’insigne ingegnere ed architetto Antonio da Sangallo; il quale difatti recatosi in Genova l’anno appresso, commendava i primi lavori e lodava i disegni della cinta. Il socio Desimoni ammette anch’esso che la questione delle prime cinte murali è stata dal signor Quarenghi trattata colla scorta dei nostri migliori scrittori; ma conviene che si potrebbe viemaggiormente corroborare mercè il sussidio dei documenti. Gioverebbe, egli dice, ben considerare in questi certi nomi che di per sè indicano 1’ estendersi gradatamente della città: per esempio, il Borgo Sachero, oggi ancora detto Borgo Sacco, che da levante limitava essa città alla chiesa di sant’ Am- (j) Atti, vol. II, par. I, pag. 457. giornale ligustico 301 brogio; e il Borgo Nuovo, dove sorgeva il tempio di san Siro, che la limitava a ponente, innanzi che per la cinta del 1155 sorgesse l’altro Borgo di Pr'e o di san Tommaso, e poi ancora quello più occidentale di san Teodoro. VARIETÀ 'Di un insigne ostensorio mandalo in dono nel 1676 dal Marchese Gio. Batta Cassana alla chiesa collegiata dei SS. Giacomo e Filippo di Taggia sua patria. Per la munificenza del cardinale Girolamo Gastaldi essendosi preso ad erigere sul volgere del XVII secolo, in Taggia una novella chiesa parrocchiale, la quale rispondesse meglio ai bisogni della popolazione di molto accresciuta , nel corso di poco più d’ un lustro si vide condotto a termine sui disegni del Bernini 1’ attuale spazioso e ricco tempio, alla cui decorazione concorsero poi oltre il fondatore altri cospicui cittadini. I trenta sedili del coro, già costrutti per Nicolaum Al-hertum de Vintiviilio an. mdlxxxi, vennero fatti ristorare dal generoso porporato per Hortensium Simonetam mediolanensem an. mdclxxxi; le due belle statue in marmo rappresentanti i protettori SS. Giacomo e Filippo, opera del Pincellotto allievo del Bernini, furono offerte in dono dal M.co Domenico Maria Lombardi, Depositario generale della Camera apostolica in Roma; le dodici cappelle laterali furono con nobile emulazione fatte ricche di marmi e di preziose tele dalle famiglie che ne avevano il giuspatronato ; gli armadii in noce poi della sagrestia ed una bellissima lampada d’ argento vennero eseguiti a spese dell’ egregio Gio. Batta Cassana, ambasciatore dei Cantoni Svizzeri a S. M. Cattolica. 3 02 GIORNALE LIGUSTICO Era questi un modesto tabiese divenuto straricco in grazia della sua attività, e forse più di tutto in grazia del benigno sorriso di quella cieca Dea che compartisce a capriccio i suoi ambiti favori. Giovinetto era stato inviato dalla madre Benedetta Vivaldi in Roma, dove la sua famiglia fatta ricca col traffico viveva in grande agiatezza e apriva facile la via a formarsi uno stato a chi avesse portato dalla natura doti acconce a un tal genere di vita. E il Cassana sagace, previdente, e più che operoso instancabile, accattivossi in breve la confidenza del zio materno Marco Vivaldi, il quale avendo a quei giorni interessi gravvissimi nella Spagna a nessuno meglio credette di poterne affidare il disbrigo che a questo giovine suo congiunto ; il quale essendosi governato in questa occasione con una poco comune perizia, si vede confidato il mandato d’invigilare a negozi di ben maggiore rilievo dal ricco negoziante Girolamo Vivaldi, per vistosi imprestiti fatti alla Corona di Spagna divenuto proprietario di alcune tonnare della Sardegna. Agevole il comprendere come il Cassana riuscisse in cosi fatto modo ad accumulare nel correr di pochi anni cospicue ricchezze, e come queste gli valessero quindi ad ottenere dignità ed onori. E colla dignità appunto di ambasciatore dei Cantoni Svizzeri alla Corte di Spagna noi lo vediamo rivestito in una iscrizione apposta a basso d’ una statua in marmo della Vergine da lui inviata in dono all’ oratorio di S. Sebastiano di Taggia. ILL.MVS IO. BAPTA CASSANVS APVD CATHOLICAM MAJESTATEM PER RE.MPVBLICAM HELVETIORVM CATHOLICORVM LEGATVS HOC OPVS SVIS SVMPTIBVS fieri mandavit. E del pomposo titolo di marchese noi lo vediamo a fregiarsi negli ultimi anni della sua vita, chiusa onoratissimamente in Madrid 1’ anno 1704. GIORNALE LIGUSTICO 303 Ai tratti di sua generosità di già riferiti, aggiungeremo ancora come egli a totale suo carico facesse ingrandire il convento dei Cappuccini, e come nel suo finale testamento volesse beneficato l’Ospedale che non versava in troppo prospere condizioni. Ma. 1’ atto di liberalità che tenne vivo per alcuni anni, anche fuori dei confini della terra natia il suo nome , si fu quello con cui intese ad arricchire la suppellettile della chiesa parrocchiale collegiata, col dono d’ un ostensorio di tanto pregio e valore, che 1’ autorità ecclesiastica non vide altro modo a tutelarne la conservazione che col minacciare la scomunica maggiore contro chiunque osasse estrarlo sotto qualsivoglia pretesto dal tempio, tranne in occasione di pubbliche processioni. Gli è proprio grave peccato , che di esso non^ ci sia rimasto un disegno; che allora potremmo far ragione del pregio suo come lavoro d’ arte. Ora più non resta che di ristringerci a pubblicare il qui unito documento , dal quale apparirà non meno il quantitativo d’ oro e d’ argento , che il numero stragrande di diamanti, gemme e pietre preziose, onde superbamente si adornava un cosi magnifico lavoro, non isfuggito al sequestro degli oggetti sacri ordinati nei primi anni della Repubblica Ligure. Gerolamo Rossi. DOCUMENTO. In nomine Domini amen. Anno a nativitate ejusdem millesimo sexcentesimo sexto, indictione decima quarta, die vero mercurii decima quinta aprilis in vespris. Cum sit quod ex insigni pietate et charitate ili.™* domini Joannis Baptistae Cassani qm. doimni Joannis Mariae Tabiensis, modo oratoris Rei-publicae Hei- vetiorum catholicorum cum Majestate Catholica Regis His-paniarum confederatorum, et apud eamdem catholicam majesatem commorantis ln regali villa Matritis, fuerit ad presentem ejus patriam summopere dilectam per dictum Ill.">um D. Joannem Baptistam transmissum tabernaculum indicibilis considerationis et valoris, partim ex puro auro, partim 304 GIORNALE LIGUSTICO ex argento deaurato confectura , cum insignis familiae ejusdem 111.™ domini Cassani, distinctum praetiosis lapidibus, ut ex nota que in praesenti instrumento infilatur, inclusum in quadam capsula ex veluto et auro cooperta, ad finem et effectum ut dictum tabernaculum conservetur et inserviat pro parrochiali et collegiata ecclesia lAijus loci, sub titulo SS. Apostolorum Jacobi et Philippi, ad majoretti Dei gloriam et honorem, ac Beatae Maria semper Virginis dictorumque SS. Patronorum et protectorum dicti loci Tabiae, quod tabernaculum fuit per illustrem et admodum Reverendum D. Joannem Baptistam Roggerium qm. Bartolomei ejusdem loci Tabiae consignatum perillustri ac admodum R.do Domino Joanni Lombardo qm. Antonii juris utriusque dolori etiam Tabiensi, ad praesens praeposito dictae parrochialis et collegiatae ecclesiae, ex commissione et ordine praefati 111.mi domini Cassani, prout ex litteris dicto perillustri domino praeposito directis, sub die 16 octobris 1675, in recessu facto per dictum perillustrem Roggierum a dicta villa Matritensi Italiam ac patriam versus, ut ipse perillustris e praepositus fatetur: et considesans transmissionem et consignationem gratuiti doni dicti tabernaculi fore et esse valide commendandam, ut iam ab universo populo tabiensi cum indicibili alacritate et animi affectu fuit commendata, etiamque multoties ab admodum Reverendo Clero dictae ecclesiae ac universo populo ad divina audienda congregato, effusae ad Deum praeces pro dicto 111.™° Joanne Baptista ejusdemque domo : consideransque donum dicti tabernaculi merere perennem memoriam, summam ac solertem custodiam supra ceteris ornamentis et suppellectilibus dictae ecclesiae ; et volens (quantum in se est) in hoc sua vires et industriam adhibere, ut dictum tabernaculum caeteris aliis suppellectilibus pretiosis cantius et diligentius conservetur, attenta ejus praetiositate, et cum inservire debeat ad gloriam et honorem omnipotentis Dei; propterea constitutus coram me notario et testibus infra-scriptis, sponte et omni meliori modo etc. I11 primis fassus est et fatetur sibi, tamquam praeposito, fiiisse sub hoc die sabathi, undecim mensis praesentis, consignatum dictum gratuitum donum dicti tabernaculi a dicto perillustri ac adm. Rev. d. Jo. Bapta Roggerio, ex ordine, ut supra, dicti 111.™ domini Cassani, quod summopere commendat ut donum maximi valoris, praesertim ad illum usum, pro quo est inserviendum ; declaratque illum reponendum et conservandum fore inter praetiosiora munera et sup-pellectilia dictae ecclesiae in loco tutissimo (1), habendunque perpetuam (0 Si conservava in un armadio fasciato di ferro a due porte, nella cappella di S. Benedetto, e chiuso con tre chiavi, una tenuta dal Sig. Proposito, l'altra dal Magnifico Podestl, c la terza dal Priore degli anziani del Comune. ___giornale ligustico 305 memoriam et curam tam praetiosi doni per successores , qui agnoscendo tam gratum beneficium in suis orationibus et sacrificiis participem faciant dictum 111.mum D. Jo. Baptam, ut ita factum fuisset et fieri per universum populum et admodum Rev. Clerum fuit, et facit idemmet puillustris dominus Praepositus etiam in gratiarum actione aliorum munerum retroactis temporibus collatorum dictae ecclesiae per dictum Ill.mum D. Jo. Baptam. De quibus omnibus etc. per me Marcum Aurelium Dulmetam notarium. Actum Tabiae , domi solitae habitationis dicti perillustris domini Praepositi, praesentibus testibus M.«> domino Augustino Lombardo qm. magnifici domini Antonii de Tabia, et domino Joanne Baptista Balestra qm. Bernardi de Linguilia, ad praemissa vocatis et rogatis. Marcus Aurelius Dulmeta notarius. NOTA INFILATA A SUDDETTO ISTRUMENTO. La custodia resta composta delle gioie seguenti: Primieramente diamanti: n.° dieciotto stelle da ventun diamante per stella , sono diamanti........ N.° CO Più una rosetta di otto diamanti sotto la croce . )) 8 Più due diamanti all’ ultimo del sole che son vicini al piede. » 2 Sono in tutto diamanti N.° UJ co CO Vi è un topazio bianco in mezzo della croce, che pare dia¬ mante, però è topazio orientale di qualche stima N.° 1 Vi è un zaffiro sotto il circolo, che per essere assai grande è di qualche stima........ )) 1 Seguitano gli smeraldi Una croce di sei smeraldi grandi...... )) 6 Sotto la croce vi sono sette smeraldi mezzani che servono di base alla croce . ....... I) 7 Nel circolo vi sono quattro smeraldi fatti a faccette . )) 4 Nel medesimo circolo vi sono sedici smeraldi quadrati di buona proporzione........ » . 16 Sotto il circolo vi sono venti smeraldi e tra essi una goc¬ cia grande .......... » 20 Vi sono diciotto razzi retti, ossia dritti, che tengono nove smeraldi per raggio . . . M 162 Vi sono inoltre sedici raggi circolari, ossia fatti a spira, di dieci smeraldi per raggio....... » 160 3o6 GIORNALE LIGUSTICO N.® 6 M Sotto il sole vi è una rosa di smeraldi e perle, nelle quali sono cinque smeraldi....... Sotto la detta rosa vi è un lavoro ovale di smeraldi e perle, nel quale sono sei smeraldi, tre da una parte e tre dall’ altra......... Vi sono pure in detti lavori quattordici goccie di smeraldo Più sotto vi è un’ altra rosa di smeraldi e vi sono goccie di smeraldi.......... Più sotto vi sono cinque rose di smeraldi e perle : la rosa di mezzo tiene nove smeraldi, le due che seguono uno smeraldo per ognuna e le due degli estremi cinque smeraldi per caduna ; vi sono smeraldi..... Sono in tutto smeraldi Seguitano le perle. Nella croce vi sono cinque perle...... Nel circolo vi sono venti perle d’ assai grande proporzione Nelle diciotto stelle vi è una perla per ogni stella Sotto il circolo vi sono tre perle Nella prima rosa del piede vi sono diciotto perle. Nel lavoro ovale di sotto vi sono tra tutte perle 185. In una rosa più a basso vi sono perle 25 Nelle cinque rose più basse vi sono in quella di mezzo perle 74, in quella a mano dritta 36, in quella a mano sinistra 35. nelle due estreme 80, che in tutte cinque costituiscono perle. 0 21 N* 429 N.° 5 a 20 » 18 0 3 a 18 » 185 » 25 Somma totale: diamanti Topazio orientale . Zaffiro . Smeraldi. Perle Sono in tutto perle N.° N* » » » n J2S 499 388 1 1 429 499 In tutto N.* 1318 lutto quello che contiene il sole ed i raggi, è oro puro; e pesa lib-bre due ,n circa; tutto quello che contiene il piede è argento dorato, che pesa libbre dieci, ad esclusione del lavoro, dove sono incastrati gli smeraldi, che e parimente d' oro puro. GIORNALE LIGUSTICO 307 ANNUNZI BIBLIOGRAFICI Saggio storico civile-religioso del Comune di Portofino. Genova, Letture Cattoliche 1876, in 8.° Fra i libri che debbono noverarsi nella ligure bibliografia storica è questo, volto ad illustrare un vago luogo della nostra riviera orientale, del quale si discorre qui la storia civile ed ecclesiastica con diligenza e con molto affetto. Ciò che a fatica negli scrittori varii cercherebbesi, può trovar qui raccolto il lettore , insieme a notizie peregrine tratte da manoscritti e da pergamene. Studi spettroscopici e chimici sulle materie coloranti di alcuni molluschi del mare ligure, e gelazione di altri lavori eseguiti nel Laboratorio di chimica generale della R. Università di Genova per Antonio e Giovanni De-Negri. Genova, Sordo-muti 1875, in 8.° con tav. (È il vol. Ili degli lAtti della R. Università, pubblicati a spese del Municipio). Quest’ opera riesce di molto onore al nostro Ateneo essendo dettata con profonda dottrina e non comune erudizione, tanto più eh’ ivi sono poste in rilievo osservazioni affatto nuove sul regno animale del nostro mare, dove ritrovansi molluschi che racchiudono nel loro corpicciulo stupendi colori ; ed oltre al murice, donde è tolto il colore di porpora, fu rinvenuta dai diligenti autori ne’ porti di Genova e Camogli 1’ elysia viridis, la quale esaminata produsse diverse gradazioni di verde. Le ricerche sulla porpora degli antichi, e la dissertazione intorno alla materia colorante ritrovata nell’ urna di S. Ambrogio di Milano, della quale assai si parlò scientificamente or non ha molto, palesano ne’ due egregi nostri concittadini una rara acutezza ed un corredo di gravissimi studi, da procacciar loro valida e ben meritata fama. Sulle noti\ie biografiche e bibliografiche degli scrittori napoletani fioriti nel secolo XVII, compilate da Camillo Minieri-Ricdo Lettera di Giuseppe Salvo-Cozzo al barone prof. Starabba. Palermo, Virzì 1876, in 8.° Con acutezza di critica ed un non comune corredo di notizie bibliografiche, storiche e letterarie si fa a correggere 1’ egregio autore un notevole numero di sviste lasciate ire in pubblico dal eh. Minieri-Riccio nella lettera A della sua opera sugli scrittori napolitani, sola uscita fino a qui. E comecché sia impossibil cosa licenziare alle stampe scritti bibliografici perfetti, pure è a sperarsi vorrà 1’ egregio autore far suo pro’ degli avvedimenti consigliatigli dal eh. sig. Salvo-Cozzo, a fine di rendere il suo lavoro di sempre maggiore utilità agli studiosi. GIORNALE LIGUSTICO PROTESTA DEL SIG. LUIGI SAMBOLINO Il sig. Sambolino ha rimessa al Gerente del nostro Giornale una sua Protesta concernente la rassegna dell’ opera del chiar. prof. Alizeri, Guida illustrativa ecc. della città di Genova; e l’ha associata ad una lettera nella quale esprime la speranza che non vorrassi obbligarlo « ad invocare la legge » per la relativa inserzione. Il sig. Sambolino ha fatto benissimo a risparmiare la carta bollata e 1’ usciere ; giacché i principii di deferenza e di cortesia costituiscono per noi de’ vincoli tanto forti quanto quelli che sono creati dalle leggi. Sig. Gerente, Un articolo contenuto nel fascicolo V. VI. anno III. maggio e giugno 1876 del vostro Giornale s’ affatica per ogni maniera a denigrare la mia recente pubblicazione della Guida Illustrativa per la Città di Genova del Prof. Alizeri. Non è mio ufficio difendere il valore dell’ Opera dopoché i più autorevoli periodici della nostra Città ed alcun’ altro della Penisola con plauso unanime pronunciarono il loro giudizio (1), ma è stretto mio obbligo il difendere il mio libro (1) Però il plauso unanime pronunciato dai più autorevoli periodici, ed al quale noi ci associamo di buon grado, non potrà mai cancellare gli abbagli di fatto che nella rassegna si vengono enumerando. — A proposito, abbiamo inteso da taluni che ci si fa carico di aver voluta negare l’esistenza del Senato genovese nel secolo XII. Di certo costoro hanno fraintese le nostre espressioni ; le quali erano limitate soltanto a non ammettere che vi avesse « un Senato od altra magistratura preposta in modo particolare alle cose del traffico » (p. 193), come chi dicesse in giornata una Camera di Commercio. A mostrare che non ignoravamo il Senato o Consiglio, dalla cui autorità venivano assistiti i Consoli in tutte le faccende di grave momento, basterà il considerare che altri di noi riportò già nella lllustr a\ioiie del Registro Arcivescovile (p. 404) il GIORNALE LIGUSTICO 309 laddove il vostro Giornale si studia a menomare nella pubblica opinione la mia Onestà di tipografo editore. È falso quanto asseriste che io fallissi alle condizioni del mio programma stampando il volume con tipi già usati in iscambio di nuovi ed appositamente fusi. Il vero si è che quei caratteri adoperati per la Guida furono espressamente gittati dalla Fonderia del Sig. Giacomo Comoretti di Milano e giunti alla mia Tipografìa alla data 19 marzo 1875 che a vista dell’ Autore furono distribuiti nei cassettini e poscia composti dal principio dell’Opera fino alla fine; caratteri che possono quandochessia verificarsi da qualunque esperto fonditore della nostra Città, unici e soli periti da poterli spassionatamente giudicare (1). Intorno poi al biasimo sulle vedute che adornano la Guida che Voi dite raccattate per buona parte fra i vecchiumi dei nostri stabilimenti litografici, vi dirò che un Editore il quale proposta una volta la qualità ed il numero delle incisioni si affida per la loro esecuzione ad una delle migliori officine, qual si è quella dei Signori Armanino e Casabona, è più che disobbligato inverso il pubblico , nè deve ammettersi d’ altra parte che 1’ autorità del vostro Periodico in fatto di belle arti sia tale da imporsi in istile tanto scortese sul giudizio di tanti altri che valutarono con non timida lode la mia pubblicazione la quale fu accolta con plauso benigno da tutta Genova. passo di Caffaro dal quale risulta il concorso di esso Senato nella elezione dell’arcivescovo Ugone Della Volta; e che le Tavole genealogiche recate in appendice alla detta Illustrazione rammentano più volte i consiglieri o senatori, riferendosene ai documenti che se ne hanno nel Liber Jurium. Del resto su cotesto primitivo Senato di Genova abbiamo raccolte parecchie notizie, le quali forniranno quandochessia argomento di uno speciale articolo. (Nota della Direzione). (1) Crediamo necessario avvertire che stampiamo osservando scrnpo-losamcnto la sintassi dell’ originale. (Nola della Direzioni') 310 GIORNALE LIGUSTICO Ma la bile inquieta del vostro Giornale si volta anche a mordere (se potesse) la Persona a cui piacque intitolare il volume; e non trovando appiglio nei termini della lettera dedicatoria, non rifugge dal basso artifizio di falsarli nella loro sostanza. Così la lode che giustamente le è attribuita come ad iniziatore di grandiose opere pubbliche si viene a torcere in quella di caldo conservatore d’antichi monumenti, e cambiata la qualità della lode si tira a rovescio per misdire dell’ editore e tacciar di menzogna la dedica. È uso costante che gli scrittori di Giornali letterarj sottoscrivono i singoli articoli ; ma il vostro articolista ha creduto meglio coprirsi colla firma del gerente, non avendo avuto il coraggio di mostrare il viso in faccia alle Persone che volle così malignamente censurare. Genova /9 agosto 1876. Luigi Sambolino. Or che abbiamo riferita la Protesta, domandiamo anche noi la facoltà di parlare. E prima di tutto il sig. Sambolino consenta che avvertiamo come il muovere alcuni appunti di fatto ad un libro ed anche al modo onde venne stampato non sia propriamente lo stesso che denigrarlo; in ciò ce ne rimettiamo al buon senso, ed anche un poco alla buona fede. E quanto ai caratteri sui quali gli preme tanto d’insistere, ci permetta di osservare che noi non abbiamo già negato riciso che sieno stati « fusi appositamente », ma semplice-mente detto « creda chi vuole ». Or in tempi che si vantano di tanta libertà, ci sembra che quella di credere 0 discredere non abbia proprio da patire alcuna restrizione. Rispetto alle incisioni avevamo sin qui stimato che un editore non fosse punto disobbligato dal vegliarne attentamente P esecuzione, anche affidandosi « ad una delle migliori officine »; ma se.il sig. Sambolino preferisce l’opinione GIORNALE LIGUSTICO 3 II contraria, si serva pure chè la è questione di gusti. Erano però i nostri apprezzamenti, più presto che artistici, indiritti a constatare un fatto, cioè che varie fra le dette incisioni non rappresentano lo stato attuale dei monumenti, ma piuttosto quello avanti gli anni Domini 1846. Ci provi, a ca-gion d’ esempio, 1’ egregio editore che la tavola esprimente la « Cappella di san Giovanni Battista » non è quella stessa che, disegnata dal Cambiaso, veniva stampata dalla Litografia Armanino nel detto anno, e che tutti possono vedere inserta fra le pagine 102-103 del' volume III dell’ opera allora uscita dai tipi Ferrando col titolo Descrizione di Genova e del Genovesato. Ci provi che in questa tavola è ritratto quel cancello dai « pilastrini svelti ed eleganti » apposto allo ingresso della Cappella nel 1848, e non già quello che v’ era innanzi di tale anno, quello insomma che il chiar. Alizeri chiama « assurdo » e giustamente qualifica « un vero eccesso del barocchismo ». Neghi a sua posta il sig. Sambolino ogni autorità al nostro Periodico in fatto di belle arti, chè noi siamo ben lontani dal voler sostenere ne abbia altra al-l’infuori di quella del senso comune ; ma non ricusi il giudizio che emana dall’. Autore del libro stesso dove egli ha inserito la tavola. Le insinuazioni che si fanno a proposito della dedica, noi non le raccoglieremo davvero, perchè temeremmo dover ritorcere contro di esse le espressioni di « basso artifizio ». Abbiamo detto che « stimiamo di non rimanercene indietro nè allo scrittore nè al tipografo, sempre che trattisi di rendere omaggio alle doti eminenti che costituiscono il carattere dell’ egregio Dedicatario » ; e lo ripetiamo altamente, senza che alcun atto della nostra vita faccia diritto a chicchessia di mettere in dubbio la lealtà dei nostri sentimenti. Del resto la « bile » del nostro Giornale non è altro che 1’ amore coraggioso della verità; e ben sappialo che veritas odium 312 GIORNALE LIGUSTICO parit. È poi così poco « inquieta » , che il Ligustico cansando sempre con fermezza di propositi le questioni troppo ardenti, è venuto in tre anni di esistenza a trovarsi una sola volta di fronte ad un tentativo di polemica, nel quale per fatalità figurava anche allora il nome rispettabilissimo del cav. Ali-zeri. Ma le dichiarazioni da noi fatte in quella circostanza possono attestare della moderazione e della temperanza del-l’animo nostro. Piace in ultimo al sig. Sambolino di darci una lezioncella sull’ « uso costante » per cui « gli scrittori di Giornali let-terarj sottoscrivono i singoli articoli » ; e noi ameremmo ringraziamelo, se non dovessimo dirgli invece clic lo hanno male informato. Se vorrà darsi il disturbo di esaminare alcun poco i più dotti e riputati periodici italiani e stranieri, dovrà toccar con mano che si fatto uso non è punto costante. È invece costante la massima (e ci facciam lecito di rammentargliela a titolo di grato ricambio) che gli articoli non firmati si riconoscono come scritti dalla Direzione la quale ne assume tutta la responsabilità. Veramente credevamo che ciò si sapesse da tutti; ma poiché vi ha chi prosegue ad ignorarlo, teniam molto a dichiarare che tale precisamente è e sarà la condizione di quegli scritti che sono comparsi o compariranno nel Ligustico senza alcun nome in calce. Perciò anziché mancare di coraggio e « coprirci colla firma del Gerente », noi ci dichiariamo disposti a dare qualunque legittima soddisfazione del nostro operato; ben vogliamo si sappia come intendiamo qui chiusa ogni ragione di polemica, che non risponderemo a qualsivoglia altra scrittura, la quale non riguardi la parte storica, letteraria, od archeologica degli articoli stampati nel giornale. L. T. Belgrano. A. Neri. PASQUALh Fazio Rfspcnsnbilf. GIORNALE LIGUSTICO 313 DOCUMENTI RIGUARDANTI ALCUNI DINASTI DELL’ ARCIPELAGO PUBBLICATI PER SAGGIO DI STUDI PALEOGRAFICI DA -ALFREDO LUXORO e GIUSEPPE TINELLI-GENTILE ( Continuazione dalla pag. 297 del vol. II) N. 26. A Dorino Gattilusio per raccomandargli Nicolò Adorno. 1443, 26 settembre. (Ardi. Gov. Registro Litterarum num. 12). Magnifico civi et amico nostro carissimo Dorino Gatilusio Mitilenarum etc. domino. Cupimus, magnifice civis et amice noster carissime, ut dilectissimus noster Nicolaus Adurnus quam celeriter in patriam ad suos redeat. Hunc audimus multiplicibus negociis ita implicitum esse, ut illiuc egre se expedire possit sine adjutorio Magnificentie vestre. Ex quo statuimus eum sibi ex animo commendare: rogantes eam ut velit expeditioni sue favere, eumque studiose iuvare, quod certe nobis erit haud mediocriter gratum. Parati semper in omne decus et amplitudinem vestram. Data xxvi septembris (1443). Raphael Dux. N. 27. Allo stesso, per invocarne la giustizia in favore di Saivago e Valerano Spinola. 1444, 21 aprile. (Arch. Gov. Reg. num. 19). Magnifico et preclaro viro civi et amico nostro carissimo domino Dorino Gatilusio Mitilenarum etcetera domino. Cum accepissemus magnifice et preclare civis et amice noster carissime, supplicationem de manu generosorum virorum Salvagi et Valarani Spinule, visum nobis est cius copiam his literis inclusam mittere Magnificentie vestre ut ex lectione ejus planius intelligatis ea omnia que et narrantur et petuntur. Utque rem ad ipsum effectum perstringamus, 21 3H GIORNALE LIGUSTICO queruntur hi cives nostri nobilem virum Baptistam Gatilusium debitorem suum ad ea que iuris sunt cogere non posse, propter nimiam eius potentiam et favorem quibus in illa curia ceteros superegreditur. Nos cum minime dubitemus non esse mentis vestre ut ulla eius gratia contra cives nostros eum tueatur, Magnificentiam vestram rogamus et pro iusticia poscimus ut hunc Baptistam cogi jubeat ad standum iuri summario et plene satisfaciendum his civibus nostris, ita ut veritas et justicia omni gratie et favoribus eius preferatur. Quod quidem et si facili impetratu est quare equissimum est, et quare nihil tam arduum ac difficile est quod petenti vobis negaturi essemus, nos tamen accipiemus loco muneris. Parati semper in omne decus et amplitudinem vestram. Data die xxi aprilis (1444). Raphael Dux et Consilium. N. 28. A Dorino e Palamede Gattilusio per conoscere se vogliono essere compresi nel trattato di pace testé concluso da Genova col Re d’ Aragona. 1444, 28 aprile. (Arch. Gov. Reg. cit.). Magnifico et preclaro viro civi et amico nostro carissimo domino Dorino Gatilusio Mitilenarum etc. domino. Scimus, magnifice et preclare civis et amice noster carissime, nulla unquam tempora fuisse in quibus hec respublica de vobis ac magnificis quondam maioribus vestris singularem sibi non susceperit curam, adeo ut omnia seu secunda seu adversa ad statum vestrum pertinentia ad se quoque spectare arbitrata sit. Inter que scimus quotiens cum serenissimis dominis regibus Aragonum ad pacem aut alios ejusmodi contractus deventum est de vobis semper habitam fuisse mentionem specialem (1). Itaque cum etiam nuper, hoc est die vii mensis huius pacem cum Maiestate sua contraxerimus curavimus ibi apponi articulum quo licet Magnificentie vestre ct magnifico Eni domino in ea si volueritis pace comprehendi. Invenientis igitur eum literis istis inclusum, quem cum perlegeritis, si pace includi volueritis, implende erunt condictiones que ex eo declarantur; si minus utile erit, et id nobis vestris literis significetur. Et tamen utroque casu gratum erit nobis ut scripto vestro certiores reddamur animi vestri. Si quid aliud erit a nobis, agendum pro statu ac dignitate vestra, (i) Ved. » Documenti X. 10-u GIORNALE LIGUSTICO 315 id si indicaveritis experimento cognoscetus quantum cupide prò comodis et amplitudine vestra laboremus. Data die xxvm Aprilis (1444). Raphael Dux et Consilium. Similes litere facta sunt magnifico et preclaro civi et amico nostro carissimo domino Palamedi Gatilusio Eni domino etc. N. 29. Lettere a Dorino Gattilusio Signore di Metellino e a Domenico figliuolo dello stesso. 1447, J3 marzo. (Arch. Giov. Reg. num. 15). Il doge Ludovico Fregoso raccomanda loro Giovanni Matteo Pellegrini olim Marenco , il quale si reca a Metellino come procuratore dei fratelli del fu Gentile Marenco di Novi, già vicario di Dorino predetto, per racccoglierne 1’ eredità. N. 30. Ad Jacopo Crispo, Duca di Naxos, per sollecitarlo a pagare il prezzo di una trireme vendutagli da Cristoforo Dentuto. 1447, 2 maggio. (Arch. Gov. Reg. num. 13). Magnifico et preclaro principi domino Jacobo Crispo, Naxi et Aegei pelagi duci etc., amico carissimo. Narravit nobis, magnifice et preclare princeps amice carissime, vir nobilis Cristophorus Dentutus carissimus civis noster nondum sibi persolutum fuisse pro illius triremis precium quam Magnificentie vestre superiore anno vendidit, et affirmavit ab se constitutum fuisse procuratorem cum latissimo arbitrio residuas pecunias ab amicitia vestra petiturum. Nos quoque et triremis nostra est, et pecunie in nos perventure sunt; breviore vobiscum sermone agimus, quoniam scimus amicitiam vestram ad ea que ius equumque poscunt; neque precibus neque adhortationibus indigere ; cum satis sit Magnificentie vestre proponere id quod faciendum sit. Erit igitur integritatis et iustitie vestre curare ut aurei trecenti, vel quoctumque pro reliquo precio eius debentur statim persolvantur procuratori ipsius Christophori, quemadmodum ab ea faciendum esse non dubitamus: in cuius amplitudinem nos nostraque deferemus, et quidem cupide parata. Data 11 Maij (1447). Janus Dux. 3i 6 GIORNALE LIGUSTICO N. ji. A Palamede Gattilusio per notificargli la morte di Giano Fregoso e la assunzione del costui fratello Lodovico al trono ducale. In pari tempo il nuovo Doge gli accusa ricevuta delle doti di Ginevra sua moglie. 1448, 28 dicembre. (Arch. Gov. Reg. num. 15). Ludovicus de Campofregoso Dei gratia Januensium dux. Magnifico patri et civi nostro carissimo domino Palamedi Gatilusio Enii domino etc. Quamquam arbitramur, magnifice pater et civis noster carissime, Magnificentiam vestram ante receptionem presentium literarum cognituram fore acerbum occasum bone memorie illustris quondam domini Ducis germani nostri et que inde secuta sunt: statuimus nihilominus hec ipsa literis nostris vobis significare, ut illa cujusmodi sint ex nobis etiam in-telligat: persuasimus enimiam diu nobis quecumque prospera adversaque suscipiamus nobis fore communia, ex quo non indignum existiniiamus si que apud nos sunt vobiscum comunicemus. Absumpto quippe die xvi mensis presentis ipso illustri germano nostro, universa domus nostra decrevit ut illi in ducatu succederemus; et sic magno totius civitatis consensu, sine armorum strepitu tumulto vel contentione aliqua, in ducem cum solenmitatibus opportunis togati et creati fuimus, accepimusque huius illustris comunitatis sceptrum quod pacifice et quiete tenemus, tenebimu-sque in futurum Deo favente; propter quod Magnificentie Vestre deferimus hunc statum nostrum qui suus est : exhortantes illam ut eo utatur libere in queque sibi grata. Ceterum multiplicatis literis scripsisse meminimus non fuisse nobis satisfactum pro dotibus illustris consorte nostris Genevre(i). Nunc autem dicimus quetos et contentos pro illis reditos fuisse a nobili Luca de Auria; quod Magnificentie vestre significamus ut intclligat Lucam honori ac debito suo satisfecisse. Data Januae die xxvm decembris (1448). (1) Ginevra figlia di Palamede Gatulusio ave» sposato Lodovico Fregoso, come gii m è at-▼mito al doc. 25. GIORNALE LIGUSTICO 317 SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (Continuazione da pag. joi). IX. ■ Sezione di Belle Arti. Tornata del 10 Marzo 1876. Presidenza del Preside cav. prof. Federigo Alizeri. Continuandosi il Preside nelle notizie intorno a Matteo Civitali (1), osserva essere costante opinione dei dotti che a quell’ artista debba recarsi l’intaglio che tutto prende il lunetto dell’ arco sulla sinistra della Cappella di san Giovanni Battista in Duomo, dove è rappresentata la storia del martirio. Nota il Disserente che quelle rappresentanze risentono troppo gli esempi di Donatello e degli altri sommi che in Firenze operarono in addietro; e quanto agli abiti ed alle fogge delle persone che compongono i quattro intagli, non sapere Matteo dipartirsi dal fare de’ suoi coetanei. Nullameno nel lunetto voglionsi ammirare la parsimonia, la semplicità e P eleganza. Dalla data poi del 1496 scolpita sul fregio che limita il semicerchio nel basso, toglie argomento a dipartirsi dal giudizio del Varni e del Trenta, i quali rispettivamente vorrebbero condotto quel lavoro a metà del secolo oppure tra il 1470 e il 71, senza dire del Mazzarosa che recossi a crederlo frutto di età giovanile. L’Alizeri sta saldo nella sentenza che chiama il lucchese alle opere della nostra Cappella nel 1492 o in quel turno, e ne dà le ragioni. Primieramente non vuoisi ammettere che il Civitali fosse a mezzo del secolo inteso alle prime costruzioni del bel santuario, perchè essendo nato nel 143 5, ripugna che a tre lustri (1) Ved. a pag. 275. 3i8 GIORNALE LIGUSTICO fosse chiamato a lavori di sì grande momento. In secondo luogo dimostra che fino al 1471 il pio Sodalizio del Battista essendo inteso ad onorare di dipinti l’altare, non poteva provvedere a decoro di statue; nè tampoco gli risulta dagli atti che vi provvedesse per gli anni prossimi. In terzo luogo constando che il nuovo ornato della Cappella fu singolarmente promosso da Accellino Saivago, e leggendosi che questi fu Priore della Consorzia nel 1492, non si avrà pena a dedurre che le sei statue onde già si è parlato fossero dal Saivago medesimo commesse a Matteo; anzi 1’ opera durava forse tuttora, quando il Civitali applicò lo scalpello alla statua del san Giorgio che doveva essere innalzata sulla maggior piazza di Sarzana (1). Parla eziandio l’Alizeri di un altro basso rilievo, ed è quello che sta di contro al succennato, ove è la storia del Battista nel deserto col Battesimo di Cristo nel mezzo. Combatte 1 errore del Mazzarosa che lo ascrisse al 1606; ma quanto alla mano, il Disserente si metterebbe alle tracce dei lombardi, opinando che un tal lavoro sia stato condotto da quel Pace Gazino da Bissone noto per altre opere e per più documenti. Dà peso alla sua congettura il vedere che nel 1496 era Priore della Consorzia Francesco Lomellino, dal quale appunto il Gazino ebbe molti inviti ad operare. Tocca poi dei due simulacri di Nostra Donna e del Precursore, fatture stupende di Andrea Sansovino; ed istituendo un raffronto tra questo artefice ed il Civitali, Ji proclama entrambi degni rampolli dei sommi che li precedettero, osservando come da siffatti esemplari si generassero a mille i valenti; e il buon gusto cosi dell’imaginare come del costrurre edifìzi e del comporre ornamenti si diffondesse in ogni parte d Italia; e Genova avesse in copia gli artisti dando loro occasione di vantaggiarsi. Conclude che alla felicità di questa (1) Su questa statua ved. il nostro Giornale, a. 1875, pag. 22.) c segg. GIORNALE LIGUSTICO ! opera conferì molto l’affettuosa amicizia fra lombardi e toscani, i quali, stringendosi in fratellevole nodo, davano nobile e splendido incremento all’ arte che professavano. X. XI. XII. .1 U r Sezione di Storia. Tornate del 17 e 24 Marzo e 7 Aprile 1876. Presidenza del Preside cav. avv. Cornelio Desimoni. Il signor Cesare Quarenghi innanzi di continuare la lettura delle sue Ricerche storico-illustrative sulle fortificazioni di Genova (1), presenta una tavola nella quale ha delineata la pianta e la prospettiva del castello e della prima cinta di mura, seguendo un andamento diverso da quello a cui si informa una consimile tavola nell’ opera del Cevasco, ma più consentaneo alle indicazioni che si rilevano- dagli storici e dai documenti. Espone quindi alcune notizie eh’ egli ha di recente adunate; e ricordata la distruzione di Genova per opera di Magone cartaginese, e il carico dato dai romani al console Lucrezio di riedificarla, opina che Y oppidum allora costrutto per testimonianza di Tito Livio sorgesse sul colle di Ma-scherona, e che il castello ivi stesso edificato ne serbasse le proporzioni e la forma. Fece il detto castello indubbiamente parte della prima cerchia, ed aveva tre torri una delle quali ritiene esser quella che al presente si denomina degli Embriaci; e ciò perchè la medesima trovandosi nella periferia di esso castello non potè in origine appartenere a privati. D’altra parte la sua altezza è tale che sorpassa di molto la misura consentita alle torri particolari delle famiglie; ed oltre a ciò il Quarenghi ebbe a constatare nel palazzo attiguo alle torre P esistenza di una cortina che appunto andava ad unirsi alla (1) Ved. a pag. 295 e segg. 320 GIORNALE LIGUSTICO torre istessa. Poiché gli Embriaci dovettero dunque ottenere il possesso della torre soltanto allorché il castello ebbe perduto della sua importanza, egli esprime il desiderio che venga modificata in questo senso l’epigrafe illustrativa che fu da pochi anni murata nella torre medesima. Il socio Belgrano accede in massima parte ai rilievi del sig. Quarenghi rispetto alla edificazione del castello medioevale sull’ oppidum romano ; e cita a conforto di questa opinione il fatto constatato dal diligentissimo cav. Rocca nella sua opera Tesi e misure antiche di Genova ecc. (pag. 51), laddove scrive che i mattoni i quali esistono ancora appiè del muro meridionale che sostiene il convento di santa Maria di Castello sono lunghi un piede romano e larghi un submisse; nè più nè meno che il tetradoro di Vitruvio e di Plinio. Quanto è della forma che avrebbe il detto castello, giusta ' D la pianta con cui il sig. Quarenghi ha inteso raffigurarlo, osserva il Belgrano che questo presentando una specie di triangolo equilatero, risulterebbe analogo ad uno dei metodi che allora più comunemente si praticavano, come avverti già il dottissimo Carlo Promis nella sua monografia del celebre forte di Sarzanello. Che la torre oggi appellata degli Embriaci non sia stata costrutta da questa illustre famiglia, ma abbia in origine fatto parte delle fortificazioni di Genova, è opinione già ammessa da taluni scrittori; e certamente la sua altezza di 165 palmi genovesi accrescerebbe peso alla congettura, sapendosi che il podestà Drudo Marcellino aveva ordinato nel 1196 che tutte le torri e fabbriche private non superassero gli 80 piedi, e le già soverchiami si mutilassero. Cionondimeno è da consi- ^ derare se possa farsi grande assegnamento sulla durata ed efficacia di quel decreto, messo fuori in tempo di furiose contese civili. A proposito della torre rammenta quindi l’accurata monografia che lesse alla nostra Società il collega GIORNALE LIGUSTICO 321 canonico Grassi nella tornata del 17 febbraio 1869; e dice che dai documenti enunziati in sì fatto scritto risulta che quel monumento dagli Embriaci poi Giustiniani passò nei Cat-tanei (1511) e da costoro in Giulio Sale (1583), donde derivò nei Brignole-Sale che ne conservarono il dominio fino ai dì nostri. Ripigliando il sig. Quarenghi a leggere le sue Ricerche, tocca innanzi tutto del bombardamento patito da Genova nel 1684; descrive la numerosa flotta francese avanzatasi fin presso alla bocca del porto, e 1’ ordine di battaglia in cui si dispose; ricorda la poca valentia spiegata da’ bombardieri genovesi , tanto che furono surrogati con altri venuti di Milano, la pochissima efficacia dei fuochi delle galere e batterie contro le galeotte nemiche, le quali erano costrutte giusta nuovi modelli e portavano a bordo dei mortai da bombe. Parla dei due sbarchi tentati dai francesi in San Pier d’Arena ed Albaro valorosamente respinti da’ nostri; ed avverte come dopo di ciò 1’ armata si ritraesse da Genova senza speranza di soggiogarla. Passando alla guerra di successione austriaca nella quale Genova trovossi involta per ben quattro anni, s’intertiene peculiarmente sui mezzi di difesa della città apprestati nel 1745; descrive le numerose batterie, e rassegna gli ordini emanati dal Governo, nonché i molti progetti a questo indirizzati da cittadini amantissimi della patria. Però la fortuna secondava di quei giorni le armi degli alleati ispano-franco-liguri, i quali erano già entrati fino nel Milanese. Tuttavia non durò troppo; chè anzi dopo la perduta battaglia di Piacenza fu un continuo ritirarsi del loro esercito; e Genova stessa si trovò sola a sostenere l’impeto del nemico. Cedette, perchè impotente, al tedesco; ma presto l’insurrezione popolare del 1746 la ebbe restituita a libertà. Allora si pensò seriamente a trincerarsi e difendersi con opere staccate. La Repubblica prese a’ suoi stipendi il 322 GIORNALE LIGUSTICO valente De Sicre, il quale si diè tosto a trincerare il colle di Belvedere (posizione importante perchè rafforzava il lato più debole della cinta), e ad erigere parapetti e scavar fossi a Santa Tecla, a Quezzi, al Diamante, ai Due Fratelli, alla Madonna del Monte. Per suggerimento poi dello stesso De Sicre i soldati di Genova, tenuta con grandi sforzi quell’ ultima posizione, obbligarono gli austriaci a ritirarsi dalle %Ti-cinanze; poi le nuove vittorie dei collegati li costrinsero a sloggiare dal territorio della Repubblica. Al buon esito delle operazioni erano concorse poche migliaia di francesi condotti dal maresciallo Duca di Boufflers; ma a torto vantaronsi poi d essere stati i soli liberatori della città. Il *he spiacque tanto al Governo Genovese, che mandò a’ suoi ambasciatori presso le varie Corti espressa commissione di chiarire come la Repubblica non avesse trascurato alcuna cosa per la salvezza di Genova, ed i suoi abitanti si fossero comportati da valorosi. Cessata la guerra, il De Sicre continuò a tutta possa nel- 1 opera di migliorare le difese della citti e d’aggiungervene delle nuove, secondato in ciò dal colonnello De Catte e dagli ingegneri genovesi Matteo \ inzoni, Alberto Medone, Domenico Carbonara ed altri. Riporta in seguito il Quarenghi la bella Relazione del De Sicre sulle accennate difese datata del 1748; e porge quindi speciali notizie de’ forti denominati Santa Tuia, Diamante, Richelieu, Sperone, Tenaglia e Que^i. Discorre del Corpo degli ingegneri militari della Repubblica, e di notizie biografiche si de’ preaccennati, e si del Codeviola, del Brusco e di quant’altri ne fecero parte fino al principio del nostro secolo. Parla inoltre delle batterie che vennero fatte a difesa del porto negli anni 1779 e ,780; e nota come la Repubblica, preoccupandosi d’ un possibile attacco da questo lato, invitasse tutu 1 suoi ingegneri militari a presentarle relazioni ragionate GIORNALE LIGUSTICO 323 sul da farsi. Ne presentarono parecchi, limitandosi però a proporre nuove batterie, ed una tra le altre di quaranta cannoni nel seno di mare detto di Santa Margherita. Però si fatte provvidenze giudicaronsi poco efficaci; e contro la loro adozione sorse a protestare il patrizio Giambattista Grimaldi, sostenendo che si dovessero adottare dei mezzi ben più potenti di offesa, come le batterie casamattate, le barche cannoniere e P uso delle palle arroventate. La Repubblica ebbe il torto di non prendere in seria disamina queste proposte, nè quella eziandio per cui lo stesso Grimaldi consigliava al Governo la costruzione di alcune torri, giusta il modello ideato dal Maresciallo di Sassonia, a tutela dei principali varchi alpini ed apennini. Intanto cadde la Repubblica aristocratica, e Genova fu colta alla sprovveduta dal famoso blocco del 1800. Soli il genio, l’operosità e l’energia del Massena valsero a procurare quella resistenza di ottanta giorni agli austriaci che strettamente assediavano la città, e che rimarrà eternamente famosa. Unita la Liguria nel 1815 al regno di Sardegna, una commissione austro-anglo-sarda studiò e propose nuove fortificazioni, la costruzione delle quali venne diretta dai generali Barabino e Chiodo e dal colonnello De Andreis. E qui il sig. Quarenghi conclude coll’ accennare come l’importanza militare della piazza di Genova dal lato di terra essendo molto, diminuita, le vecchie sue mura tornino inutili, anzi vadano alla spicciolata qua e colà scomparendo sotto il martello demolitore pel tanto richiesto ampliamento della città. Il fronte di mare, per le grandi opere del porto, dovrà invece fortificarsi di bel nuovo completamente; ed i nuovi lavori qualor si vogliano realmente valevoli ad una buona difesa, egli opina che debbano collegarsi coi due estremi, che sono il colle di Coronata e il monte Fasce. La Sezione applaudisce alla lettura del sig. Quarenghi, ed 324 GIORNALE LIGUSTICO il Preside a nome della medesima lo ringrazia di averla fatta così partecipe di un coscienzioso ed importantissimo lavoro, non senza esprimere il voto che possa prestamente essere reso di pubblica ragione. XIII. XIV. Sezione di Archeologia. Tornate del 21 e 28 Aprile 1876. Presidenza del Preside avv. Pier Costantino Remondini. Il socio David Invrea legge un suo lavoro intitolato : Ricerche storico-legislative sull’ istituzione del Portojranco in Genova. Toccate le varie cagioni per le quali in sullo scorcio del secolo XVI il commercio di Genova si trovava nel massimo scadimento, e notato in ispecie come i gravi dazi onde erano colpite le merci e le navi straniere impedissero a quest’ ultime di approdare nel nostro porto, enuncia per quali risoluzioni il Governo intendesse di provvedere alla tutela della pubblica prosperità. Accordatasi pertanto la Signoria coi Protettori delle Compere di San Giorgio, bandiva la concessione della libertà d’ingresso nel porto alle mercanzie ed ai legni forestieri, sotto 1’ osservanza di certe norme atte a guarentire allo Stato un provento su quelle di esse merci che erano destinate a smaltirsi nel territorio della Repubblica, oppure che durante la loro permanenza nel porto formavano oggetto di contrattazione. Sì fatta concessione appunto chia-mossi di portofranco. — Discorre in sèguito l’autore della legge temporanea emanata su questo proposito dalla Repubblica nel 1608, e delle successive che la mantennero periodicamente in vigore. Avverte che in queste leggi si gittarono le prime basi del - sistema dei depositi fittizi e dei depositi reali per le merci in franchigia di dogana; nota che in quella del 1645 occorre menzione dei primi magarmi pubblici de- GIORNALE LIGUSTICO stinati appositamente al deposito di esse merci; ed aggiunge che nell’ altra del 1660 è fatto cenno della costruzione di nuovi e grandiosi locali, cominciati dopo il 1655 e ridotti a termine per una parte nel 1661. In tale anno veniva eziandio pubblicato il primo regolamento sull’ amministrazione di quei magazzini per cure dei Protettori della Banca di San Giorgio, la quale appunto li aveva costrutti e ne era proprietaria, e che destinavali in parte ad essere dati in affitto sotto speciali discipline a privati negozianti. Prosegue il socio Invrea porgendo una breve analisi del citato regolamento nonché de’ posteriori; in conseguenza dei quali soppressa ogni giurisdizione della Banca, il benefizio del portofranco venne con legge del 28 marzo 1799 esteso a tutti i Comuni del littorale e del confine di terra aventi la residenza dell’ amministrazione municipale. Sì fatto benefizio facevasi allora consistere nella facoltà di fare qualsivoglia uso e trasporto delle merci previamente denunziate, mediante il pagamento di un diritto di stallaggio portato da apposita tariffa. Quanto è poi de’ magazzini del Portofranco, la Commissione di Governo il 20 gennaio 1800 decretava la conservazione dei regolamenti in vigore sino a nuove determinazioni. Se non che fino dal 29 dicembre dcll’anuo precedente la stessa Commissione ordinando l’alienazione dei beni stabili della Banca di San Giorgio, aveva pur compresi in sì fatta vendita i detti magazzini che salivano al numero di 355, e che perciò passarono aneli’essi in proprietà di privati. Accennate quindi le crisi gravissime che travagliarono il commercio genovese durante l’impero di Francia, parla in appresso della conservazione del Portofranco stipulata il 1814 nel trattato di Vienna e delle concessioni fatte il 1831 da Re Carlo Alberto, per cui si aboliva l’obbligo della registrazione delle merci alla loro introduzione in quel recinto, e dichiaravasi immune da qualunque disciplina e formalità doganale il movimento di esse nel recinto medesimo. 326 GIORNALE LIGUSTICO Tocca per ultimo delle leggi del 1867 e 1872, le quali decretando la conversione del Portofranco in magazzini generali vennero a rivocare la concessione del 1831 ed a mettere a grave repentaglio la floridezza del commercio genovese; ma conclude esprimendo la fiducia che il presente stato di cose sia da riguardare piuttosto come una crisi che come un colpo mortale. Genova che per la saviezza, la prudenza e la perseveranza dei propri cittadini superò già tante crisi, trionferà anche di questa; nella sagacia e nell’operosità dei suoi figli essa porta i germi del suo risorgimento. Il socio Desimoni facendosi a parlare delle recenti pubblicazioni del conte Riant, l’illustre fondatore della Società francese dell’ Oriente latino, ne segnala ai colleghi la dotta memoria che s’intitola: Innocent III, Philippe de Souabe et Boniface de Montferrat. — Le cause intime degli avvenimenti che si svolsero nella quarta Crociata (dice il Desimoni) sono tuttora vivamente disputate, ma il conte Riant distingue a proposito delle medesime due teorie: quella che si potrebbe chiamare del caso, e quella di un secreto disegno per cui l’impresa bandita contro i saraceni fu pensatamente fatta deviare dal suo scopo e finire nella conquista di Costantinopoli. L’ autore rigetta però la teoria del caso rappresentata da uno dei più influenti partecipi della Crociata, e storico della stessa, il Villehardouin, benché recentemente ancora l’abbia difesa l’illustre De Wailly editore dello storico medesimo; ma penetrando invece nelle più intime pieghe della politica di quei tempi, conferma la tesi già più o meno vagamente sostenuta da altri, cioè che la Repubblica di Venezia cominciò a deviare la spedizione dall’Egitto, combinando con quel Sultano un convegno che le assicurava grandi privilegi di commercio, mentre Filippo di Svevia compiè 1’ opera sia per vendicarsi di papa Innocenzo III e distrarre 1’ attenzione di lui dagli GIORNALE LIGUSTICO 327 affari di Germania, sia per aiutare il cognato Alessio a rioccupare col padre il trono di Costantinopoli, e sia fors’anco per usufruire 1’ opportunità che gli si poteva presentare di riunire nella sua famiglia i due imperi d’ Oriente e di Occidente , come già più volte aveano tentato i suoi predecessori germanici. Altre pubblicazioni testé licenziate per le stampe dal Riant sono quelle che si intitolano: Exitviae sacrae, constantinopoli-tanae, fasciculus documentorum etc., e Dépouilles religieuses enlevées a Constantinople au XIII siècle par les Latins. E il riferente accennando all’ importanza che ora a buon diritto si attribuisce a simili pubblicazioni, per l’utilità che da esse deriva anche alla storia non ecclesiastica, reca esempi di quelle che in materia sì fatta potrebbero imprendersi fra noi. Intanto è lieto di sapere che non tarderà molto a comparire negli «.Atti, per opera del socio Promis, una leggenda di san Siro finora sconosciuta, e il libro degli anniversari del convento di san Francesco di Castelletto. Accennando per ultimo ad una relazione inserita di fresco dal eh. Ceruti nell’^Archivio Veneto sui documenti veneziani serbati nell’Ambrosiana di Milano, rileva in essa relazione la forma speciale di un documento del 1228, già compreso nel nostro Liber Jurium (tom. I, col. 815), per cui i genovesi ed i veneti, si obbligano reciprocamente a non navigare alla Tana (Azof) per un triennio avvenire (1). Or chi voglia penetrar meglio nelle cause e negli effetti di questo articolo, soggiunge il Desimoni, può chiederne alle storie del Canale e dell’Heyd, ma più ancora alla men nota pubblicazione di documenti veneto-ge-novesi fatta dal Volchow nel tomo III degli 223> per la traduzione in francese, ibid. nn. 83-5, in, 146, e Additions nn. 48,87 ; per quella in tedesco ivi nn. 57-188 e Addit. n. 29. Il eh. Amat di San Filippo alle edizioni del Vespucci, dell 'Itinerarium e dei Paesi ne ha aggiunto una che sarebbe la riproduzione de’ Paesi fatta a Vicenza stessa, collo stesso titolo e formato di quella del 1507, ma dell’ anno seguente 1508. Per verità io ne dubito un poco, non trovandola citata nelle mie fonti abbastanza recenti. Ved. Studi bibliografici e biografici sulla storia della geografia in Italia pubblicati per cura della Deputazione Ministeriale presso la Società Geografica Italiana; Roma, tip. Elzeviriana 1875, p. 113. D uno de’ cui esemplari sono gratissimo a codesta illustre Società. — Per le altre fonti, ved. Ramusio, Sommario dell’Hist. delle Indie cit. sopra; D Avezac, M. Hylacomylus, pp. 78-85, e Consid. gèograph., 218-26; Humboldt, IV. 75-91. Per tutte le edizioni citate nella mia Memoria, chi non ha di meglio 350 GIORNALE LIGUSTICO 1 ■ -- ‘ ✓ Il Libro ottavo (il terzo viaggio del Vespucci) tu stampato in tutte le medesime edizioni salvocchè nella più antica di esse, il Libretto del 1504. Così ne avremo coll’ Harrisse il numero di dicianove : ma questi ci avverte che di questo opuscolo da per se si eran già fatte da antico parecchie stampe: nei due soli anni che corsero dal 1503 al 1505 egli ne numera quattordici latine sotto varii titoli; di Epistola Alberici Ve-spucii, di Novus Orbis soltanto o colla giunta de natura et moribus, di De Ora antartica. Più egli enumera sette edizioni di una traduzione tedesca diversa da quella delle raccolte suaccennate; e aneli’ esse stanti da per se col titolo: Vonden new gefunden Région ecc. Alle quali potrebbesi aggiungere una traduzione olandese stampata in Anversa nel 1506-10 col titolo: Van der nieuwer Werelt oft landscap. Quest’ultima fu omessa dall’Harrisse nella B. A. V., forse perchè solo più tardi pervenuta in possesso del di lui amico e compatriota il signor Carter Brown, zelante e ricco collettore di tali cimelii. Il quale fece stampare a proprie spese in quattro volumi la sua Bibliotheca Americana, ossia il Catalogo di tutte le edizioni di storie americane dal 1493 al 1800 eh’ egli possiede. E donandone un esemplare alla Biblioteca Ambrosiana volle aggiungervi uno dei fac-simili che fece fotografare della predetta traduzione olandese del Vespucci; come noi ebbimo il piacere di ammirarlo sulla cortese indicazione del dotto Prefetto dell’ Ambrosiana, il dottor Ceriani. Le edizioni dunque del terzo viaggio del Vespucci descritto nella lettera al Medici, fra separate e miste con altri lavori, in italiano, latino ed altre lingue ci vengono dal sig. Harrisse annoverate per 42. Alle quali si aggiunga l’olan* consulti il Graesse, Trésor de livres rares, Dresda 1859-67, vol. 7 ; e specialmente il Brunet, Manuel du Libraire, Paris, Didot 1860-5, voi. 6, la quale ultima opera suole e dovrebbe essere in tutte le biblioteche pubbliche. GIORNALE LIGUSTICO 351 dese come sopra, le due del Novus Orbis posteriori al 1550; le cinque edizioni del primo volume del Ramusio (1550, 15 54 ? 15^3 > I(3o6 e 1613) ove quella lettera figura coll’inesatto titolo di Sommario; e le collezioni di tutti gli scritti di Vespucci che si hanno in Bandini, in due edizioni del Canovai, in Carrer, in Varnhagen; ci verrà una somma di cinquantacinque stampe (1). II. Fin qui noi abbiamo considerato il codice Ferrarese quasi solo nella parte sua materiale od esterna; ora addentriamoci un poco più, per esaminare il modo come il Prof. Ferraro *ìo ha illustrato e le quistioni che si possono agitare sul contenuto del libro. A pagg. 10 e 41, ove si parla di due statue collocate sovra serpenti, il eh. Prof, dice che in questo particolare il codice differisce dal racconto di Pietro Martire e da ogni altro racconto sullo stesso secondo viaggio di Colombo. Noi per contrario lo possiamo assicurare che il medesimo fatto di due (1) Oltre le 19 edizioni indicate nella nota precedente (dedotta cioè quella del Libretto), Ved. in B. A. V, per la traduzione latina i nn. 21-31, 39, e Additions nn. 12-14; per la tedesca ivi ai nn. 33-4, 37-8, 40-1, 50, e Addit. nn. 20-1. Ved. all’Ambrosiana il fac-simile del Dutch Vesputius, being thè celebrated letter of A. Vespucius to Laurentius De Medicis trans-lated from thè . . . latin into Dutch (olandese) from thè unique copy printed at Antwerp 1506-10 in thè possession of lohn Carter 'Brown 18J4. — Le altre edizioni sono: Bandini, Vita e lettere di A. Vespucci, Firenze 1745; Canovai, Viaggi d’A. Vespucci, Firenze 1817 e 2." edizione 1832; Carrer, Relaxioni di Viaggiatori, II, Venezia, pel Gondoliere 1841; Varnhacen, A. Vespucci, Lima 1865, pp. 13-26. Sull’ordine delle più antiche stampe del Vespucci ved. D’Avezac, Hylacotnylus, pp. 73-8, 90-4. E benché un po’ antico, merita essere consultato Napione , Del primo scopritore del continente del Nuovo Mondo, Firenze 1809. 352 GIORNALE LIGUSTICO statue sopra due biscie è narrato nella prima Decade del-l’Anghiera, nell’ Itinerarium e nel Novus Orbis; di guisa che lo possiamo credere pure esposto allo stesso modo nel Libretto e nei Paesi. Il simile dicasi del fatto ove si parla della benda strappata al Cacico e del nessun segno di ferita trovato al di lui braccio (pp. 9655 dell’ edizione Romagnoli) (1). A pag. 44-45, nominandosi nel testo l’isola Matinino, trovata (qui dicesi) dall’Ammiraglio nel secondo viaggio, il Sig. Ferraro aggiunge in nota che tale isola corrisponde a quella dell’odierna Santa Lucia tra le piccole Antille. Tra le Antille va bene, ma equiparare quelle due isole è un errore evidente. È vero che Navarrete ed altri opinano Matinino essere Santa Lucia, ma essi intendono di una Matinino scoperta nel quarto viaggio. In quella serie d’isole a guisa di semicerchio che da tramontana a mezzodì fanno barriera al mare delle Antille, la Dominica sta circa alla metà; Santa Lucia è più in basso a mezzodì-levante: la Matinino invece del secondo viaggio fa d’ uopo cercarla più in alto e a tramontana della Dominica; per poter seguitare il viaggio di Colombo che per Portoricco raggiungerà la Spagnuola (San Domingo). Se nel quarto viaggio 1’ Ammiraglio scoprì prima un’ isola Matinino verso Santa Lucia, gli è perchè secondo suo costume, si dirigeva ogni volta sempre più in basso per riconoscere più largamente il campo marittimo: ma ivi giunto si rialzò a tramontana-ponente, trovando nuovamente la Dominica e di lì rifacendo la via alla Spagnuola già percorsa nel secondo viaggio. Tuttavia confessiamo esser difficile determinare a quale isola odierna corrisponda la Matinino, del cod. Ferrarese la quale Colombo deve aver riveduto nel quarto viaggio, (1) Petrus Martyr, Colonia 1574, libro II, pp. 14, 17; Itinerarium, 1508, capp. 92. 93, foli. LV-VII; Novus Orbis, Basilea 1532, pp. 95, 99- GIORNALE LIGUSTICO 353 più o meno da lontano ma al di sopra della Guadalupa. Forse anche v è un po’ di confusione nel racconto che ne fanno il codice Ferrarese e tutte le riproduzioni del Trevisan sulle traccie di Pietro Martire, mentre ne tacciono le altre fonti conosciute. E questa confusione può provenire dacché il nome di Mati-nmo era già pronunziato dagli indigeni fino dal primo viaggio come di isola a levante della Spagnuola; donde un malinteso e una vaga applicazione, a più isole, d’ uno stesso nome, che però non ebbe durata (i). E, giacché siamo su) discorso, non ometteremo che nemmeno si può dire con sicurezza che l’isola Matinino del quarto viaggio sia la odierna di Santa Lucia. A questa opinione del Navarrete io preferisco quella del Washington Irving che immedesima Matinino colla Martinica, isola nella stessa direzione ma un pò più lontana che Santa Lucia. Ciò mi pare più giusto, non tanto per la maggiore somiglianza di suono tra i due nomi Matinino e Martinica, quanto perchè corrispondono meglio le distanze indicate in questo quarto viaggio; ma sovratutto ciò penso, perchè le carte marittime quasi contemporanee dal 1507 al 1529, disegnano ivi le isole di Santa Lucia e di Matinino, tacendo della Martinica. La prima di esse isole adunque avea già da antichissimo il nome odierno, e quello di Matinino deve essere sfumato nel nome poco dissomigliante di Martinica. Mi spiace il dover notare a pag. 50 un errore geografico (1) Matinino del 4.0 viaggio in Washington Irving, libr. XV, capo i.°; in Fernando Colombo., Vita dell’ Ammiraglio, cap. 87; Navarrete, op. cit., I. 282; Marmocchi, II. 86. — Nel i.° viaggio W. Irving, lib. V, cap. 1; Navarrete, I. 134. —Nel 2.0 viaggio P. Martyr, op. cit., libr. II, p.'17; Itinerarium, cap. 92, foli. LV verso; Novus Orbis, ediz. cit., p. 96. — Per le carte marittime di quel tempo, ved. KoHL,.D/'e beidem àltesten generai Karten voti America, Weimar 1860, p. 100; e Kunstmann, Die ent-deckung Americas, Monaco 1859, colle relative carte, in due magnifiche edizioni che si trovano alla nostra Civico-Beriana. 554 GIORNALE LIGUSTICO ancora.più grave. L’isola Bunchema scoperta da Colombo nello stesso secondo viaggio si suppone dal eh. Prof, (in modo a dir vero soltanto interrogativo) che possa essere Bahama. Ma anche qui, se egli avesse seguito coll’ occhio una carta geografica qualunque mano mano che leggeva il viaggio, avrebbe riconosciuto di leggeri, che l’isola o meglio l’Arcipelago di Bahama non si trova sulla strada percorsa qui da Colombo: è in una direzione assai più settentrionale, ed appartiene al primo non al secondo viaggio. Consultando inoltre, non dirò l’Irving 0 quegli altri libri che non possiede, ma almeno il Marmocchi, avrebbe capito che la Bunchema del suo testo non è che una storpiatura di Burichema o Burichen: e che questa, che Colombo doveva appunto incontrare per recarsi alla Spagnola, non è altro che la grande isola che l’Ammiraglio chiamò San Giovanni, ma ora e notissima sotto il nome di Portoricco (i). A pag. 95 il testo dice che Colombo entrato nel golfo di 1 aria vi corse per venti leghe trovando sempre acqua dolce: e il Ch. Prof, annota che Las Casas dice ventisei leghe invece di 20, e Navarrete dice leghe 13 2/3_ Ora qui è corso senza dubbio un equivoco. Non saprei donde sia stata desunta questa citazione di Las Casas, ma Navarrette e Colombo stesso che ne parla in una sua lettera al Re di Spagna non alludono punto all estensione dell’acqua dolce entro il golfo, ma bensì alla larghezza della bocca od entrata del golfo stesso fra due piomontorii. Colombo scrive che eçli stimava tale apeitura leghe 26, Navarrete osserva in nota che le misure moderne non le assegnano che leghe 13 2/3. Del resto è vero che vi e differenza a ogni modo tra il codice Ferrarese e le edizioni simili che mi fu dato consultare. Perchè e V Itinerarium Portugalensium e il Novus Orbis e lo stesso Pietro Mar- (1) P. Martyr, lib. II, p. 19 ; Itinerarium, cap. 92, fol. LVI verso ; W. Irvin’g, libro VI, cap. 3; Marmocchi, I. 450. GIORNALE LIGUSTICO 355 tire all acqua dolce navigata in quel golfo danno l’estensione di leghe 26 e non di 20 (1). Non farò certamente alcuna colpa al Prof. Ferraro se egli non seppe qualcosa di meno vago sul Marchione di Siviglia nominato a pagg. 54-57: personaggio autorevole che il Munos e l’Irving chiamano di cognome Maldonato, e l’Anghiera lo dice mandato Ambasciatore al Papa dai Re di Spagna, subito dopo la conquista di Granata (2). Ma non posso tacere che mi ha urtato non poco la sua nota a pag. 59-60, ove Colombo è rimproverato d’ aver voluto impedire gli scoprimenti altrui. Ciò è in contraddizione col testo stesso che dice aver Cristoforo mandato gli ufficiali suoi per l’appunto a scoprire: soltanto aver loro ordinato che, fatta appena la scoperta, venissero a riferirglielo senza prendere provvedimenti di loro arbitrio. Ma anche in ciò egli aveva tutte le ragioni: non sempre potea fidarsi del loro senno o della loro buona fede; oltrecchè ci voleva qualche disciplina e unità di direzione per raggiungere un buon risultato. Fu appunto tale mancanza di disciplina, furono la ribellione e la pretesa indipendenza degli scopritori dopo Colombo, aizzate dalla diffidenza del Re e dall’odio di Fonseca; furono queste, dico, le cause di tutti i mali che non tardarono a rovinare 1’ America e distruggere i poveri indigeni. Il che in sostanza viene pure ammesso dal Prof. Ferraro, a pag. 194, annotando un altro passo di Colombo: ove questi si lagna che ogni sarto ora è buono a discoprire, ma a comporre pochi maestri si trovano : e saviamente qui 1’ annotatore aggiunge che molti per rapacità o per ignoranza non erano atti a reggere le colonie. (1). P. Martyr, lib. VI, p. 73 ; Itinerarium, cap. 105, fol. LXIV. verso; Novus Orbis, p. 112; Navarrete, I. 247, 249-50, 258; Marmocchi, II. 25. (2) P. Martyr, lib. II, p. 22; Itinerarium, cap. 93, fol. LVII; Novus Orbis, p. 99; W. Irving, lib. VI, capp. V, VI; Munoz, Historia del nuevo Mondo, Madrid, 1793 » 1 ^9~97* GIORNALE LIGUSTICO Prima di abbandonare i viaggi di Colombo col quinto libro del sig. Ferraro, vogliamo pigliarne occasione per notare una novità annunziata nel Ballettino della Società Geografica Italiana del maggio passato (1876, p. 338). Il sig. Gustavo Borde nella sua Storia inedita dell’ isola della Trinità scrive che Colombo seguitando la costa fino alla punta detta del-1 arenai, gittò le ancore delle sue due paranzelle fra questa punta e le roccie che si trovan lì presso (questa punta del-1 arenai, ora chiamata Icacos, che termina Pisola della Trinità, forma colla opposta punta del continente americano quella stessa apertura del golfo di Paria che sopra dissi aver Colombo stimato 26 leghe e Navarrete ridotto a 13 a/3). Ora si pretende che in certi scavi fatti su que’ luoghi sia stata scoperta quell’ àncora che il Borde scriveva essere stata perduta dall’Ammira-glio nei fortunali che lo afflissero ivi nel terzo viaggio. Di ciò diede notizia un giornale di que’ luoghi, l’Echo de la Trinidad. Poco abbiamo a dire sui libri sesto e settimo del codice. Feri arese. Già fu avvertito che si deve raddirizzare in Nino quell Alonzo Negro e Nigro che troviamo e in questo codice e in tutte le traduzioni latine dei Paesi: ma l’errore fu corretto dal Ramusio. Dei viaggi del Nino, come di quelli dei Pinzon, ha ben parlato al suo solito il Washington Irving nel- 1 opuscolo The Companions oj Columbus (Parigi, Baudry 1821). E se il Signor Ferraro avesse potuto leggere questo o altri simili libri, avrebbe evitato la confusione in cui cade (pagina 106) ponendo una nota sui Pinzon al libro 6.° ove si parla solo del Nino; laddove il proprio luogo da metterla era nel libro 7.0 La famiglia Pinzon, che è di Palos , nulla ha a che fare con quella di Pier Alonzo Nino che è della città di Moçuer. Più importante che questa osservazione è una variante del libro 7.0 che offre il codice Ferrarese rispetto a tutte le edizioni finora conosciute dei Paesi. Il Signor D’Ave- GIORNALE LIGUSTICO 357 zac (i), colla consueta sua oculatezza, avea rilevato nelle date successive dal viaggio di Pinzon una differenza tra Pietro Martire e le edizioni o traduzioni del Trevisan. L’Anghiera scrive di una delle traversate del Pinzon che cominciò il 13 gennaio 1500 e finì col 26 dello stesso mese; il che concorda, dice D’Avezac, con un altro documento, cioè con la testimonianza di Pietro Ramirez che tale traversata durò 14 giorni. Laddove le edizioni fino allora note del lavoro del Trevisan ponevano 1’ arrivo del Pinzon al 20 gennaio , ma senza indicare il giorno della partenza. Ora il codice Ferrarese (unico) porge questa data del giorno di partenza, e la pone al 6 gennaio; come poi va d’ accordo colle edizioni sue sorelle nel giorno 20 termine della traversata. Qui dunque sono proprio i 14 giorni d’intervallo attestati dal Ramirez, anzi vi sono meglio che nella Decade dell’Anghiera, perchè in questa dal 13 al 26 gennaio non corrono 14 ma solo 13 giorni di viaggio. Non è inutile osservare col D’ Avezac che 1’ Anghiera in qualche luogo pare aver modificato, stampandolo, quel suo originale su cui avea lavorato Trevisan; ed anche questa unica variante da noi osservata conferma il pregio di maggiore antichità che già attribuimmo al codice Ferrarese. Del quale il libro ottavo (pp. 125-54) contiene una lettera di Americo Vespucci che fu scritta probabilmente verso il marzo od aprile del 1503, e fu da lui indirizzata al suo Mecenate, Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici. Questa lettera racconta il terzo viaggio di Vespucci, e porgerebbe abbondante materia a discorrere se lo spazio ce lo concedesse; non tanto per notare errori del eh. Editore, si piuttosto per esporre le quistioni che sopra vi agitano i Dotti, specialmente stranieri. (1) Considerat, geograph., pp. 70-71 e le note in specie; Navarrete, III, 550; Novus Orbis, cap. 92; Ramusio, III, nel Sommario sovra citato; se del-1’ ediz. 1565 a carte 15, se del 1606 a carte 12. v. GIORNALE LIGUSTICO Veramente, se avesse avuta maggior copia di libri all* uopo, egli avrebbe anche qui potuto evitar alcune inesattezze ; come quando dice la costa del Brasile (p. 131) prima del Vespucci intraweduta da Alvares Cabrai ; il quale non la intravvide solo, ma vi sbarcò e mandò al Re di Portogallo una delle navi ad annunziare la scoperta. Nè egli avrebbe chiamate (p. 150) numerose le lettere del Vespucci, quando non se ne conoscono che cinque: tre delle quali sono dal Varnhagen considerate apocrife, non giudicherò se troppo facilmente, come dice il Prof. Ferraro: non contando un altra lettera pubblicata dal Bandini, ma che è rifiutata da tutti e si sa essere invece scritta da Gerolamo Sernigi (1). Inoltre non avrebbe il eh. Professore (pp. 10,11,250) data come cosa nuova, come ormai indiscutibile, come troncante ogni quistione, la notizia di due viaggi fatti da Vespucci prima di questo. Egli stesso cita (p. 125) le molte copie di questo terzo viaggio, e noi sópra ne recammo il numero che ce ne venne a cognizione finora. Ma la quistione fra i Dotti non istà propriamente li, che cosa abbia scritto nelle sue lettere il Vespucci, bensì quale fede meritano le scritture attribuitegli e le edizioni conosciute di tali lettere; piene tutte di dubbi, di errori di data, di vaghe indicazioni ed anche di contraddizioni. Specialmente non tanto si quistiona, se sieno uno o due i viaggi antecedenti a quello narrato in questo libro ottavo : ma piuttosto quando e come i due viaggi sieno stati eseguiti, sotto quali capitani, con quali risultati. Su questi punti le vive e dotte discussioni dell’ Humboldt, del D’ Avezac, del Varnhagen non poterono riescire a concordia ; ma io non ripe- (1) B andini, pp. 87-99; D’Avezac, Voyages d'iA. Vespucci, p. 105; Humboldt, IV. 156, che annovera sette lettere perchè di quella al Soderini ne fa quattro: e pare che egli ignori 1’ altra pubblicata dal Bartolozzi, Ricerche istorico-critiche circa alle scoperte d’A. Vespucci con l'aggiunta di una relazione del medesimo inedita, Firenze 1789. GIORNALE LIGUSTICO 359 telò qui ciò che altra volta ebbi ad accennare a tale proposito (i). Del resto, ripeto, che il Vespucci nel 1504 avesse compiuto quattro viaggi (i primi due per conto del Re di Spagna e gli altri pel Re di Portogallo), era cosa notissima già almeno dal 1507 ; quando nel collegio e tipografia di Saint-Diè (Sancti Deodati') nei Vosgi uscirono in un solo anno quattro edizioni della Cosmographiae Introdhctio, colla giunta di questi quattro viaggi in un corpo 0 lettera intitolata: Quatuor lAmerici Ve-spucii navigationes. Le quali edizioni di Saint-Diè saranno per sempre memorabili: perchè quivi per la prima volta Martino VValtzemiiller (che grecizzò sull’ uso de’ suoi tempi il proprio cognome in Hylacomylus) propose il nome d’America al nuovo mondo scoperto : e presto lo adottò la voga letteraria e popolare: e le carte geografiche, introducendolo dal 1520 in poi, resero irrevocabile questa grande ingiuria e danno alla gloria dovutane a Colombo. Della Cosmographiae Introductio la seconda edizione del 1507 è alla nostra Biblioteca Universitaria, insieme col rarissimo Globus di Strasburgo del 1509. Un esemplare della terza edizione dello stesso anno 1507 fu venduto L. 700 a quell’asta parigina di che già parlai: l’unico conosciuto esemplare della prima edizione, comprato già per una lira sui Quais di Parigi, nella medesima asta sali a lire duemila, e passò 1’ Atlantico per ricoverarsi tra i cimelii di Mr. Almon W.' Griswold di Nuova Jork. Di questa medesima opera furono fatte altre due edizioni, 1’una a Strasburgo nel 1509, nel formato del so-vraccennato Globus e talora con questo accompagnato e legato, I’ altra a Lione 1515. Gruninger, l’editore della Cosmographiae e del Globus di Strasburgo 1509, stampava nell’anno mede- (t) Nella mia memoria: Sugli scopritori genovesi, nel Giornale Ligustico, 1874, pp. 318-9. j60 GIORNALE LIGUSTICO simo una versione tedesca dei quattro viaggi col titolo: Diss buchlin saget ecc. Ma il testo stesso originale italiano di questo opuscolo era già stampato, se non forse prima, almeno al tempo della prima edizione della Cosmographiae, col titolo: Lettera d*Amerigo Ve-spucci delle ìsole nuovamente trovate in quattro suoi viaggi, senza data, ma coll’indirizzo da Lisbona 4 settembre 1504. Anche questa stampa è rarissima, conoscendosene appena da poco tempo cinque esemplari. Ed è ora generalmente ammesso che tale lettera era indirizzata a Pietro Soderini, il noto C011-faloniere di Firenze, e non già al Re Renato II di Provenza come portava la traduzione latina inserita nelle edizioni della Cosmographia. Nel 1532 s’incominciò ad inserire, cavandolo dalla Cosmographia, questo opuscolo in tutte le nuove edizioni delle raccolte di viaggi sovranominate: le più antiche stampe non contenendo che la lettera del Vespucci al Medici sul suo terzo viaggio. I quattro viaggi insieme descritti dal Fiorentino vennero dunque inseriti nelle tre edizioni latine del Novtis Orbis Parigi 1532, Basilea 1532 e 1535, e nella traduzione tedesca dell’Or/;ù (Die newe IVelt der Landschaften) che sovra dissi essere uscita a Strasburgo 1532. Edizioni tutte queste che annovera fino al 1550 1’Harrisse e fanno la dozzina; alla quale è da aggiungere i due Novtis Orbis 1555, e 1616 toccati sovra. Poi accoglievano l’opuscolo Sebastiano Miinster in varie edizioni della sua Cosmographia Universalis e il Giuntini nello Speculum astrologiae, Lione 1583. Poi i De Bry ripartivano i quattro viaggi a due a due nella celebre loro collezione in latino e in tedesco : Des Grands (parte X) et Des Petits (parte XI) Voyages: e il Navarrete nel volume III inseriva il testo della Cosmographiae colla giunta della traduzione spagnola: e il Marmocchi nfcl vol. Ili vi sostituiva la traduzione italiana. Naturalmente non lo poteano omettere quelli scrittori che GIORNALE LIGUSTICO 361 di Vespucci riferivano tutte le lettere: cosi il Bandini nel 1745; e Canovai nelle due edizioni postume del 1817 e 1832; e il Varnhagen nel 1869 pubblicava i due testi latino e italiano in confronto dei quattro viaggi, con una particolare accuratezza di tipi e di silografie. Non conto gli scrittori che di questo opuscolo pubblicarono solo la 2.a parte ossia i due ultimi viaggi del Vespucci; come fece il Ramusio nel volume I della sua Raccolta, e dietro a lui il Carrer nelle Relazioni di viaggiatori già citate (1). Ora quello stesso terzo viaggio, che Americo descrive nella lettera a Lorenzo Dc-Medici e che troviamo nell’ ottavo libro del ms. Ferrarese, è raccontato eziandio, ma con diversità di redazione e con più ampi particolari per certi riguardi, dal Vespucci medesimo nella terza delle predette Quatuor Navigationes indirizzate al Soderini. E qui per ventura concordano, (1) Nella B.A. V. edizioni dei quattro viaggi: in italiano n.° 87; in latino nella Cosmographie Introductio nn. 44-7, 60, 63, e Additions nn. 24, 25, nel Novus Orbis nn. 171-3, 223; in tedesco nn. 62, 188, e Addit. n. 31. - D’Avezac, Hylacomyl., pp. 28-5 ], 116-23. Bandini, Vita e lettere, op. cit. pp. LVII-IX, e Hylacomyl., pp. VII-VIII, ove si rettifica una inesatta citazione del Bandini. — Sugli esemplari delle antiche edizioni che tuttora si conservano, ved. Hylacomyl., pp. IX.X; Varnhagen, A. Vespucci 1865, pp. 27-31; e Ainda A. Vespucci, 1874, p. 9; Harrisse, Fernand Colomb che sotto citeremo, p. il: ove si indica un quinto esemplare del testo italiano de’ quattro viaggi, scoperto recentemente e posto in vendita a Firenze presso Giovanni Dotti. Si badi che il Munster e i De Bry riferiscono soltanto in compendio i quattro viaggi. Del Munster ho veduto qui due buoni esemplari ; alla Biblioteca Brignole-Sale-De-Fcrrari, ora Municipale, è l’edizione latina del 15 50 con molte e belle silografie: e alla Biblioteca della Missione Urbana è la traduzione italiana de. 1558 accennata dal Brunet con silografie e parecchie carte geografiche; entrambe stampate coi tipi d’Enrico di Pietro di Basilea, come lo sono tutte le edizioni latine, tedesche, italiane di questa Cosmographia Universalis che la B. A. V. reca in n.° di 17, dall anno 1343 al 1621; non contando la traduzione francese di Belleforest, Parigi 1 >7 5 > di cui abbiamo il solo primo volume. 24 ï<$2 GIORNALE LIGUSTICO i nel resto sempre dissidenti tra se, i Signori D’Avezac e Varnhagen : rilevano cioè l’importanza di questa navigazione dalle denominazioni date a una lunga distesa di terra; sebbene, a dire il vero, tale importanza non emerga per se stessa dall’ uno o dall’ altro racconto d’ Amerigo, ma piuttosto dall’ ingegnoso commento che vi fanno i lodati signori, confrontando altre narrazioni storiche e specialmente le carte marittime delineate poco prima e poco dopo di quella spedizione: la carta del 1500 di Giovanni Della Cosa con quelle del Tolomeo di Roma 1508 o di Strasburgo 15 13; dell’ultimo de’ quali le due carte rappresentanti il nuovo mondo erano già preparate nel 1507 o 1508 (1). Dal quale commento si chiarisce che la navigazione fatta dai Portoghesi col Vespucci nel 1501-2, giunta ai Capi di San Rocco e Sant’Agostino del Brasile, s’inoltrò sempre più a mezzodì, battezzando le singole terre toccate o viste col nome del Santo 0 della festa che indicava mano mano il Calendario ecclesiastico. Cosi toccavano il Capo di San Rocco al suo giorno 16 agosto 1501; e devono aver toccato quello più in giù di S. Agostino al suo giorno del 28 stesso mese. Ai 29 settembre avranno visto o toccato il Rio di S. Miguel e all’ indomani il Rio di Sao Jeronimo. Ai 4 ottobre il Rio de Sao Francisco, come ai 21 di quel mese il Rio das Virgens (le 11,000 vergini); ai 13 dicembre il Rio de Santa Lu^ia; ai 21 di quel mese il Cabo de Sao Thomé, al 25 (Natale) la Bahia do Salvador. E passando al 1502, il i.° gennaio avran battezzato il Rio de Janeiro : ai sei (i Re xMagi) l’Angra dos Reis ; ai 20 di quel mese l’isola de Sao Sébastian; e il 22 seguente il Rio (1) La Carta del Della Cosa è per facsimile ridotto nel Lelewel sottocitato; ma molto meglio nel Jomard, Monuments de la Géographie: due rare opere nella Biblioteca Universitaria. La stessa carta per la porzione americana è nell’ Humboldt, vol. V in fine. Per le altre carte qui indicate, vedi le due note seguenti. GIORNALE LIGUSTICO 363 o Porto de Sao Vicente (1). A questo Rio di San Vincenzo succede nelle carte di que’ tempi un ultimo nome, 1’ ultima tappa nella terra incognita; nome anch’esso di senso incognito, nemmeno tentatosi spiegare dai lodati signori' che ci accompagnarono fin qui: il nome di Cananea 0 Cananor. Ma il dotto Kohl (2) cominciò ad aiutarci, suggerendo che è da preferire la lezione Cananea perchè così scritta nelle più e migliori carte d allora, e perchè ne è tuttora vivo il nome nelle carte moderne. Ed egli acutamente trovò che la Cananea fa parte aneli essa del Calendario ecclesiastico; il quale, come si sa e si vede, que’ marinai del medio evo aveano più alla mano che (1) D’Avezac, Cousid. géograph., pp. 174-5 ; Varnhagen, A. Vespucci, pp. 109-10; Kunstmann, Die enldeching Americas sovra cit., p. 77. Anche Colombo nella sua lettera ai Re di Spagna, invece di dire il 28 ottobre, usa I’espressioné del Calendario: Vespro de’ SS. Simone e Giuda. (2) Kohl, op. cit., p. 143; Kunstmann, 1’Atlante dell’ op. cit. E ved. le edizioni di Tolomeo di Roma 1508 e di Strasburgo 1513, nelle carte relative al Nuovo Mondo: delle quali edizioni ci manca la romana, ma alla Universitaria abbiamo quella di Strasburgo 1513 tanto lodata dagli intendenti ; come ivi sono pure le stimate riproduzioni fattene a Strasburgo stessa nel 1520 e 1522; e la edizione fattane dal Silvano nel 1511 ; e quella del secolo XV colla data di Ulma i486. Ritornando alle due del 1508 e 1513, esse sono riprodotte ed illustrate dal Lelewel,' Géographie du moyen âge, II. 143 e segg., e nel suo Atlante: ma la prima di esse (1508) è anche riprodotta in parte nell’Humboldt, vol. V in fine e nell’altro suo opuscolo, Ueber âltesten karien des neuen continent, Norimberga 1S53. Recentemente ancora la diede Varnhagen, Ainda A. Vespucci 1874. - La Tubula terrae novae del Tolomeo del 1513e riprodotta in Varnhagen, Nouvelles recherches. L’Autore della carta del 1508 si sa essere Gio: Ruysch (han Roxo Aleman in Navarrete, I\'. >54)- Ee due carte, Orbis typus universalis e Tabula lerrae novae, sebbene poste soltanto nel-1’edizione del 1513) £ provato che erano gii fatte nel 1507-8 dal ^alt-zemüllcr (D’Avezac, Voyag. d'A. Vespucci, pp. 4I_53)- ^ vero *lue_ ste carte non hanno quella quantità di nomi nell ordine del Calendario, che sopra copiammo dal D’Avezac ; il quale li avrà tolti in parte da altri documenti contemporanei 0 di poco lontani. 3 6 4 GIORNALE LIGUSTICO non quelli del nostro secolo. La Cananea dunque cade nel giovedì dopo la prima domenica di Quaresima, ed è così detta per l5 evangelio che vi si legge su questo soggetto ; come altre feste prendono il nome di Quasimodo, di Lactare ecc. Su queste traccie io riconobbi che quel giovedì nell’ anno 1502 cadeva il 17 febbraio; ed era, il decimo mese di navigazione del Vespucci. Ora questi nella lettera de’ quattro viaggi narra appunto che nel decimo mese della terza navigazione , dopo aver percorso la costa con poco profitto, la spedizione decise di porsi sotto la direzione di lui, si appri-. vigionò per sei mesi, e il 15 febbraio cambiò rombo dirigendosi a terre incognite. Non ostante i due giorni di differenza dal 15 al 17 febbraio (vi sono altri simili errori, per es: tra il 16 e il 17 agosto al Capo di S. Rocco), non corre egli per avventura una bella conformiti di date tra il giorno della Cananea, il luogo omonimo, e l’ultimo distacco dalla costa per avventurarsi nell’ignoto mare meridionale? Ma non basta. Colà dove erano le navi il 17 0 il 15 febbraio 1502, dice Amerigo che 1’ Orsa minore era sparita e la Grande era molto bassa e quasi sull’ orizzonte. Navarrete qui osserva che tale fenomeno dee accadere tutto al più a 26 gradi di latitudine meridionale; e Humboldt con maggiore esattezza calcola a 250, 35' il rasentare della Grand’Orsa l’orizzonte, avendo egli ridotto all’ anno 1500 le declinazioni del Piazzi. Ora il Capo e porto della Cananea è appunto oggi collocato dai Geografi a gradi 25 di latitudine meridionale. Vero è che Vespucci colloca a gradi 32 il luogo ove vide il fenomeno; ma sul rasentare della costellazione non potea sbagliare, vedendolo cogli occhi proprii; sul calcolo della latitudine invece, si sa quanto erano ancora inesperti a que’ tempi i migliori astronomi; specialmente in mare, ove si adoperava l’astrolabio coll’anello sospeso al pollice dinanzi agli occhi ed esposto alle scosse ed oscillazioni della nave. Di che il Sig. D’ Avezac notò che l’isola Spagnola ora è posta tra » GIORNALE LIGUSTICO 3^5 * i gradi 17 e i 20, ma le carte di quel tempo la ponevano tra il 22 e il 27 con sei e più gradi di differenza (1). Ad ogni modo, e per questa stessa ragione d’inesperienza, il luogo stesso della Cananea è posto, invece che alla sua vera latitudine di 25 , a gradi circa 34 (con maggior esagerazione che dal Vespucci) nell’edizione di Tolomeo stampata il 15 13 a Strasburgo alla Tabula terrae novae. E così fa anche presso a poco la Universalior orbis cogniti tabula della edizione di Tolomeo di Roma 1508. Delle quali edizioni già sopra da noi accennate, le Tavole del nuovo. Mondo sono altamente stimate dai Dotti, Humboldt, Lelewel, D’Avezac e Varnhagen; siccome recantici i primi risultati delle spedizioni e le informazioni dei navigatori medesimi. Noi non ci spingeremo oltre sulle traccie del Vespucci, per vedere quale sia la terra orribile a cui le navi approdarono a 52 gradi, bastandoci notare che varie su ciò sono le opinioni; ma il più recente, il Varnhagen, sostiene trattarvisi del-l’isola, la Nuova Giorgia Australe. Rileveremo però di passaggio un errore di calcolo, che offre il Codice ferrarese insieme a tutte le edizioni del terzo viaggio nella lettera al Medici. Ove si dice che Amerigo arrivo a gradi 51 (invece del 52 della lettera al Soderini), avellilo così oltrepassato di gradi 17 l/j, il tropico di Capricorno (2). Ma essendo questo tropico, come ognun sa, a gradi 23 somma verrebbe a gradi 41 e non a 51: onde 1’ Humboldt pensa che la cifra di 17 sia errata, dovendovisi piuttosto leggere 27 */2 al di là del tropico; col che si otterrebbe abbastanza concorde la più alta latitudine a cui sieno giunte quelle navi, in gradi 51 a 52. (1) D’Avezac, Voyages d’A. Vespucci, p. 62; Varnhagen, Le premier voyage de Vespucci, p. 5. (2) Varnhagen, A. Vespucci, pp. 17. ni. 119; Humboldt, V. 18; N.\- VARRLTE, Op. cit., Ili, pp. 274-6. 366 GIORNALE LIGUSTICO Chi era il Capitano di quella spedizione mandato dal Re di Portogallo ? Vespucci al solito non lo dice, ma almeno confessa che non era lui stesso; giacché fu assunto alla direzione J O soltanto dopo un momento difficile. È noto del resto che egli non fu capo mandato in verun viaggio; e ciò ammette anche il Barone di Varnhagen, pure tutto caldo ad esaltare la gloria del suo Amerigo. Egli stesso Amerigo al principio della sua lettera al Sederini dice essere stato chiamato ad aiutare a discoprire; onde si può concedere coll’ Humboldt che Vespucci fosse 1’ Astronomo della spedizione (i)- Sulla quistione di questo Capitano del terzo viaggio correvano varie sentenze. Alcuni, coinè nota il Kohl, attribuivano il comando a Christoval Jacques; ma Humboldt, D A-vezac, Varnhagen asseriscono essere ciò impossibile. Altri pensavano a Gonzalo Cohelo; ma sembra ormai provato che . quest’ ultimo capitanò, invece del terzo, il quarto viaggio di Vespucci. Ora D’Avezac e Varnhagen concordano nel credere assai probabile che il comando del terzo fosse stato affidato a Nuno Manuel, come pare lo accenni un documento a vero dire tardo ed oscuro (2). Ultima si presenta la quistione dei traduttori di questi viaggi in latino. Il Signor D’Avezac fin dal 1867 ha dimostrato che la lettera dei quattro viaggi al Soderini tu tradotta da Giovanni Basin di Sendacourt nei Vosgi; invece la lettera del solo terzo viaggio al Medici, quella che è inserita nel Codice ferrarese, fu tradotta dal Domenicano Veronese Fra Giovanni Del Giocondo, celebre architetto al servigio di ^ enezia, ma chiamato a Parigi a condurre la costruzione di due ponti 1) Humboldt, IV. 179-85; D’Avezac, Voyages d’A. Vespucci, pp. -7 ì ed ivi stesso la citazione delle fonti. (2) D’Avezac, Considér. gèograph., p. 174, e Voyages d’A. Vespucci, p. 120; Varnhagen, Amerigo Vespucci, p. 1145e Nouvel!. Rechercb., pp. 8-9; Kohl, op. cit., p. 137; Humboldt, V. 110. 147. GIORNALE LIGUSTICO 3é7 sulla Senna : quello di Nôtre Dame e il Petit Pont. Con questa notizia ricavata da chiare e contemporanee testimonianze, il Sig. D’Avezac avea già nove anni fa distrutta la opinione che per 1’ addietro era comune e che il Prof. Ferraro accoglie tuttora (p. 153); che cioè il traduttore sia Giuliano di Bartolomeo del Giocondo, amico e socio del Vespucci. Al D’Avezac ora fanno eco il Barone di Varnhagen e il Sig. Harrisse; quest’ultimo aggiunge opportunamente che Fra Giovanni era appunto a Parigi verso quel tempo, quando in quella città si stava stampando dal Lambert la edizione del Mundus novus di questo terzo viaggio; che perciò il traduttore colà stesso deve averne corrette le bozze; onde anche questa edizione, nello scrivere il giusto nome di Lorenzo di Pier Francesco De’ Medici, è riescita più corretta di tutte le altre dove era tralasciata la parola Francesco', salvocchè conservarono questa parola le traduzioni tedesche, le quali professano espressamente essere state eseguite sovra un esemplare venuto da Parigi (1). Abbiam toccato sopra delle contrastata autenticità di altre tre lettere attribuite al Vespucci, pubblicate per singolo dal Bartolozzi, dal Bandini, dal Baldelli-Boni, e tutte recentemente dal Varnhagen. Noi non v’entreremo salvo che per ricordare che Simon Verde, nominato nella lettera riferita dal Baldelli, è quello stesso Simon Del Verde fiorentino, una cui lettera del 2 gennaio 1490 da Cadice a Matteo Cini fiorentino in Venezia si trova nel Codice magliabecchiano del Zorzi, ed è ora pubblicata dall’ Harrisse (2) insieme alla Nota su Bartolomeo Colombo in Roma, a cui sovra accennammo. E dal (1) D’Avezac, Hylacomylus, pp. 67-9, 65, 88-9; Varnhagen, Le premier voyage de Vespucci, p. 25, e-specialmente Harrisse, B. A. V., Addit., n. 14. (2) B. A. V., Appendix, pp. 470 e segg- 5 Varnhagen, A. Vespucci, p. 11; Baldelli, op. cit., pp. LUI. e LXIX; Giornale Ligustico, 1875, pp. 180-1. 368 GIORNALE LIGUSTICO giornale bolognese il Propugnatore noi già altra volta prendemmo e pubblicammo la notizia di due lettere scritte da Vagliadolid da Simon Verde da Borgo da San Lorenzo in Mugello. Delle quali lettere sventuratamente il solo estratto si conserva in un Codice Palatino delle carte di Macchia-velli ; ma ora e il Palatino e il Magliabecchiano si potranno consultare insieme nella riunita gran Biblioteca Nazionale di Firenze. t Arrestatici, più che non era nostro pensiero , sull’ ottavo libro del Codice ferrarese, ci rimane a discorrere ancora delle due Appendici. Si sa, e lo dice pure il Prof. Ferraro (pp. 150, 201) , che la lettera di Colombo del quarto ed ultimo suo viaggio fu pubblicata dal Morelli nel 1810 (s’intende dopo l’antica pubblicazione che abbiam detto fattane dai Bayuera nel 1505 coi tipi di Simone Lovere). Egli sa altresi che il Marmocchi la riprodusse (nel 1841) sull’ esemplare del Morelli; ma non capisco come il Sig. Ferraro possa dire a p. 176, che il suo ms. ha qui un brano che manca in Morelli, in Navarrete e in tutte le copie di questa lettera da lui vedute. La cosa è tutto all’opposto. È il Cod. ferrarese che qui tronca ex abrupto il senso e il periodo, senza (pare) nessuna lacuna o avvertenza; e salta di netto un brano che è lungo forse più d’ un quinto della intera lettera : e questo brano, mentre continua il racconto, è dei più belli fra gli scritti dell’ Ammiraglio; onde 1’ Humboldt ci vede il sublime religioso e poetico (1). Le note marginali del Codice, delle quali parlammo a principio, spesseggiano in questa lettera e, se non sempre ne chiariscono il senso, danno almeno a divedere come lo inten- (1) Questo brano mancante si trova in Navarrete, I. 302-6; in Morelli, pp. 16-23; in Marmocchi, II. 120-30; in Daelm, pp. 24-29. Confronta con Humboldt, III. 231-41, e in altra sua opera citata da Marmocchi ibid. GIORNALE LIGUSTICO 369 deva 1 estensore loro. Tale modo d’intèndere è talora in opposizione colle note opinioni di Colombo; per esempio, dove quell annotatore calcola le leghe a 5 miglia per acqua e a 4 per terra, non concorda con l’Ammiraglio che valuta sempre quattro miglia per lega in mare. Parimente, dove Colombo si attiene costante al calcolo degli Arabi di miglia "V3 a grado (equatoriale), quell’antico annotatore stima invece 60 miglia a grado, secondo la più frequente pratica degli astronomi (p. 169). E tuttavia egli non è coerente a se stesso, perchè altrove (pag. 166) ragguagliando miglia 1360 a gradi 24, viene ad ammetterne, come 1’ Ammiraglio, 56 % per ogni grado. Talora quell’ antico appunta di cattiva traduzione un brano della lettera a ragione, talora senza troppa ragione; e qualche volta la poco esatta traduzione c’è senza eh’ ei la rilevi. Per esempio, vi è un tratto che si capisce meglio leggendo il testo spagnuolo. Tolomeo avea calcolato la distesa del continente in 12 ore, ossia 180 gradi di longitudine, ma a questa (secondo Colombo) erronea opinione 1’ Ammiraglio dice nel testo spagnuolo che avea ben rimediato Marino (di Tiro), allungando tale estensione a 15 ore ossia a gradi 225. L’antico annotatore ben vede che Colombo aveva torto nella sostanza ; ma dovendo esprimere il concetto dell’ Ammiraglio non sa correggere la traduzione ; la quale ha sostituito le improprie parole ben soddisfatto a quelle di ben rimediato che usa il testo spagnuolo e che sono di chiaro senso. D’ altra psrte però il Cod. ferrarese ha quivi stesso una lezione più appropriata che non quella di ogni altra edizione, migliore anche della lezione del testo spagnuolo. Colombo, dopo accennata l’opinione di Tolomeo (che egli appunta di errore) soggiunge tosto, nel nostro Codice: et adesso si trova sua scrittura ben lontana dal vero. Qui il senso corre benissimo ; al contrario nelle altre edizioni che hanno e adesso si trova sua scrittura ben propinqua al vero, vi è contraddizione 570 GIORNALE LIGUSTICO coll’inciso precedente; e non si può raddirizzare il periodo se non istorcendo la traduzione come ha fatto il Marmocchi. Notevole è pure la parola ore che adopera il solo ms. Ferrarese incambio di quella di linee usata dalle altre edizioni, la spagnuola compresa. Il dire ora per significare 15 gradi di longitudine è voce più propria ed usata dagli antichi, specie da Tolomeo; sebbene anche la parola linee s’intende nel medesimo senso, come hanno spiegato il dotto Sig. Major e una erudita nota del traduttore francese, inserta nell’edizione di Marmocchi (r). Del resto si capisce che 1’ antico annotatore avea sotto gli occhi alcuna delle effemeridi 0 calendarii astronomici di quel tempo. Perchè, dove Colombo parla di alcuno di tali fenomeni occorsogli in viaggio, quegli-vi aggiunge in margine il mese, il giorno e l’ora. L’Humboldt ha già avvertito che Vespucci nel I499~500 si serviva d’ un almanacco del Monteregio, cioè di Giovanni Müller di Kònigsberg (città il cui nome significa Monte del Re') in Franconia; almanacco calcolato pel meridiano di Ferrara. Lo stesso Humboldt, e dopo lui anche il Brunet e il Graesse, annoverano le parecchie edizioni di tali opuscoli che correvano allora per le mani degli astronomi e navigatori: tutti dettati dal precitato Monteregio detto anche Regiomontano; incominciando dal 1473 0 74 fino al 1514, stampati a Norimberga o a Venezia, e comprendenti anche la serie delle eclissi di sole e di luna prevedute fino al 1530. Alla nostra Universitaria abbiamo quattro di tali edizioni tutte di Venezia: la bellissima del Ratdolt del 1483 citata anche dall’ Hum- (1) Ved. la pubblicazione del Prof. Ferraro a pp. 159, 116-9; e con' fronta con Navarrete, I. 300; Marmocchi, IL 114-15 ; Daelli, pp. 120-1 ; Major, op. cit., p. 183; Vita di C. Colombo descritta da Ferdinando suo figlio, Londra 1867, cap. VI. — W. Irving, op. cit., libro I, cap. V ; La Geografia di Cl. Tolomeo, libro I, cap. VII e XI. Io ho la traduzione di Ruscelli, Venezia, Valgrisi M.D.LXI. GIORNALE LIGUSTICO 371 boldt; quella del Benalio 1492 (però dimezzata, a mio avviso, non contenendo che le regole generali per 1’ uso delle effemeridi) ; 1 edizione del 1507 con giunte dello Stòfflerino e di Pflaum, e quella del 1514, entrambe coi tipi del Lich-tenstein. In due di questi opuscoli (1483 e 1514) ho trovato nella serie delle eclissi quella totale di luna del 1494, citata da Colombo in questa stessa lettera ai Re di Spagna che ci occupa; e la vidi determinata pel 14 settembre, ore 59, minuti 45 ; colla differenza dunque d’un solo minuto dalle cifre segnate in margine del nostro Cod. ai 14 settembre, domenica, bore iç) m. 46 (p. 166-7); osservando anche che veramente in quell’anno 1494 il giorno 14 settembre correva in domenica. Si badi però che 1’ edizione del 1483, sebbene stampata in Venezia, è calcolata pel meridiano di Norimberga ove abitava 1’ Autore ; ma a que’ tempi (nota il dottissimo Prussiano che citai testé e più volte) in pratica non si teneva gran conto di differenze di longitudine da città a città che oggi parrebbero mostruose. Ma qui stesso cade un altra differenza del Codice ferrarese da tutte le edizioni note; in ciò che quello pone le parole in termino de sei ore, laddove queste concordemente scrivono di nove ore, compreso il testo spagnuolo. Ad ogni modo la frase di Colombo non è nè chiara nè giusta nel modo come è scritta. La si capirà forse un po’ meglio, confrontandola col capitolo 59 della Vita di Cristoforo per Ferdinando suo figlio. Ove parlando di quel viaggio del Padre, che era il secondo, scrive che ai 15 settembre del 1494 questi diede fondo in un canale tra la Spagnola e una isoletta a levante; e quella notte vide l’eclissi della luna, la quale ei (Cristoforo) dice che fa una differenza da Caliz (Cadice) al luogo dell’ osservazione di ore j minuti 23. L’ edizione di Londra 1867 pone l’impossibile cifra di minuti 230; ma la prima edi- 372 GIORNALE LIGUSTICO zione (Venezia 1571, carte 120) ha in cifre romane ore V et XXIII minuti. Questa differenza di longitudine a ponente deve essere ciò che 1’ Ammiraglio nella sua lettera chiama termine; ma invece di 24 gradi (come si legge in tutti, compreso il Cod. nostro) bisognerebbe leggervi gradi 80 3/v Ed 10 crederei la cifra XXIV un errore del primo copista che dovea leggervi XX volte IV, all’incirca come nelle carte medievali di Francia si scriveva per 80 IV. XX (r) e oggidì ancora si dice quatre vingt. Nè fa difficoltà che Ferdinando dica 15 settembre, mentre il Calendario dice 14. Si sa, ed e anche avvertito nel metodo di usare esso Calendario, che il giorno astronomico comincia a mezzogiorno e dura 24 ore; (1) Per uno fra i tanti esempi citeremo i conti del Tesoriere di San Luigi, che nota la spesa di 80 lire per un elemosina in cifre romane ed arabe nel seguente modo : Moniales des Moreteul per elemosinarium (debent) IIII. XX. L. (librae) — 80. Ved. Tabulae ceratae Ioanms Saraceni, in Bouquet, 'Recueil des Historiens de... France, XXI. 355. Anche la traduzione di Ruscelli del Tolomeo sopra citata usa la parola termine o fine australe (lib. I, ca£. VII) per 1’ estremo della latitudine meridionale, ma lo pone a gradi 16, min. 25 (cap. X) invece dei 15 Vs che scrive Colombo. Ma questi ha scritto probabilmente 161/s; perchè 11 testo greco di Tolomeo (la piccola edizione del Nobbe, Lipsia 1843) pone questo peras ( finis o terminus) a parti 16 ’/. e '/,s; il che poi equivale ai gradi 16, min. 25 del Ruscelli. Il titolo esatto della prima edizione del 1571 citata nel testo è Historié del S. D. Fernando Colombo: nelle quali s' ha particolare et vera relatione della vita et de fatti dell’ Ammiraglio D. Christophoro Colombo, suo padre.... nuovamente di lingua spagnuola tradotte nell’ italiana dal S. Alfonso Ulloa... In Venetia MDLXXI. Appresso Francesco de' Franceschi Sanese. Il sig. Harrisse lo dice ristampato nel 16x4, 1676, 1678, 1685, 1709, 1728, 1867; e probabilmente anche nel 1597, nel 16x8, 1672. Ed oltre la nota traduzione francese del Cottolendy (Parigi 1680), egli cita due altre traduzioni: in inglese per Churchill, Londra 1704; e in spagnuolo per Barda, Madrid 1749 (Ved. Harrisse, I’ Histoire de Ch. Colotnb attribuée à son fils Fernand\ Parigi, 1875, pp. 1, 25). GIORNALE LIGUSTICO 733 onde un eclissi ivi predetta pel 14 settembre ore 19 min. 46 si deve aspettare il mattino vegnente a ore 7 min. 46. Difatti anche V Art de verifier les dates pone il mezzo dell’eclissi medesima a ore 6 */2 del 15 mattina; nè io cercherò qui se, oltre le differenze de’ meridiani da Norimberga a Parigi, si debba spiegare il divario per la maggior finezza del calcolo moderno del tempo vero, tanto più che Y Art stessa ammette ne’ suoi calcoli un errore possibile fino a mezz’ora. Ma stando al Regiomontano, che era il testo a que’ tempi, se nelle acque della Spagnuola Colombo trovò la differenza di ore 5 min. 23 a ponente di Cadice, vuol dire che egli osservò il fenomeno a ore 2. 23 del mattino invece delle ore 7. 46 notate nel Calendario. Tuttociò correrebbe abbastanza, se non vi fosse l’altro imbroglio di lezione : in termino di ore nove, secondo le note edizioni, ma di ore sei secondo il nostro Codice. Colombo usò qui la parola termine nei due sensi relativi di principio e di fine, sia nella longitudine come nella latitudine; in quest’ultima di nuovo rimproverando Tolo-lomeo che pone il primo termino a gradi 15 l/3 a mezzodì della equinoziale, e dando ragione a Marino che lo estende fino a 24 gradi. Ma tornando al predetto termine della longitudine occidentale, la lezione del Codice dicendo ore sei invece delle 5 e min. 23 di Ferdinando può correre; sia come cifra rotonda, sia perchè Colombo dal luogo dell osservazione vedeva ancora dietro di se, e sapeva esservi molta terra a ponente che potea giungere al rotondo di ore sei (giadi 90). La lezione invece di ore nove (gradi 135) è troppo lontana dal senso della lettera di Colombo, e mi pare da rifiutarsi. Finalmente non è una difficolta che 1 Ammiraglio ponga il sole in Libra già ai 15 settembre. È vero che l’equinozio comincia ai 22 di questo mese; ma ai tempi della lettera e avanti la riforma del Calendario si notava nelle effemeridi, astrolabii e simili 1’ entrata dell’ autunno ai 14 settembre. 374 GIORNALE LIGUSTICO Il fenomeno astronomico fin qui discusso ce ne rammenta un altro simile:- la celebre eclissi lunare che tanto giovò a Cristoforo nella terribile distretta a cui l’avevano condannato gli Indiani. Come ognun sa, 1’ eclissi avvenne alla Giamaica donde mandò ai Re di Spagna la lettera che ci occupa, ma dopo avere scritto e inviato questa lettera. Non so se sia stato ricercato ancora da alcuno il tempo preciso del fenomeno. Nelle edizioni sovrariferite del Regiomontano trovo una eclisse lunare totale il 29 febbraio 1504, ore 13 min. 36, che viene a dire, come sovra avvertii, il primo marzo ore 1 min. 36 (s’intende in Europa). E anche qui l’Art de verifier les dates ce la dà al giorno i.° medesimo, ma con qualche variazione, cioè a mezza ora del mattino. Checchenessia, non v’ ha dubbio esser questa l’eclisse di cui approffittò Colombo; suo figlio Ferdinando non ne reca la data, ma la conferma indirettamente per 1’ ordine cronologico dal suo racconto. Il mese di luglio 1503 (capitolo 100) partirono Diego Mendez e Bartolomeo Pieschi per la Spagnola a chiedere aiuto; il 2 gennaio 1504 scoppiò la ribellione dei fratelli De Porras contro Cristoforo (cap. 101). I ribelli separatisi dall’ Ammiraglio vanno vagando (cap. 102), e alla fine di questo stesso capitolo succede 1’ eclissi. Comincia il capo seguente 103 colle parole: passati otto mesi dopo che erano partiti Mendez e Fieschi, il che dal luglio 1503 ci fa passare al marzo 1504, appunto nel mese stesso e poco dopo dell’avvenimento del fenomeno celeste. Una terza osservazione astronomica, o a dir meglio astrologica, è 1 opposizione di due pianeti che Colombo cita ivi (P- 174) come prevista nella domenica e Natale del 1502, e eh ei temeva apportatrice di maggiori disastri alle sue navi già sbattute da tanti infortunii. Su tale fenomeno vi è discussione fra i Dotti pel modo diverso come è espresso nelle vane lezioni; perciò può essere diversamente interpretato. Il testo spagnuolo, che pare debba essere il più autorevole, GIORNALE LIGUSTICO 375 scritto come è nella lingua originale, dice che 1' Ammiraglio non si arrischiò ad uscire dal porto stante la prossima opposizione di Saturno con marcs tant desbaratados in costa brava poi que las mas delas veces trac tempestad ó fuerte viento. L italiano dell’edizione di Morelli, che segue l’antica edizione del 1505, traduce « stante l’opposizione di Saturno con Marte tanto disbaratato in costa brava ». La nota soggiunta a questo passo nella riproduzione del Morelli fatta dal Marmocchi obbietta che mares spagnuolo vuol dire mari e non Marte; perciò mancherebbe il pianeta che faceva opposizione a Saturno ; ma quell’ annotatore opina indubbiamente che 1’ opponente si debba sottintendere il Sole. Tale è anche 1’ opinione dell’illustre Major, in nota al testo spagnuolo da lui riprodotto con traduzione inglese. Ma il cod. Ferrarese ha ancora una modificazione qui : Colombo non ebbe ardimento aspectare la oppositione, tanto disba-ratado in costa brava. E il Prof. Ferraro aggiunge che il testo, sebbene non faccia parola di nessuno de’ due pianeti, potea stare benissimo anche cosi (p. 174). A noi però sembra altrimenti. La parola opposizione richiede due termini; e se potea già sembrare poco probabile il sottintendere 1’ uno di essi termini quando. gli opponenti possono essere molti, tanto meno è da ammettere che si taccia e dell’ opposto e dell’ opponente ad un tempo. Ciò tanto più in quanto 1’ edizione del eh. Prof, per mio avviso scioglie la questione. La nota marginale dà ragione al testo del Morelli che vi ravvisava 1’ opposizione di Saturno con Marte, avvertendosi ivi che tale fenomeno accadde il 25 dicembre 1502: appunto, cioè in quel giorno di Natale, ossia di domenica, di cui parla Colombo con diverse parole secondo i testi, ma con identico senso. Nei libri del Regiomontano, che sovra potei consultare, non ho trovato l’indicazione di tali fenomeni planetari, come in un caso simile per Vespucci ha potuto verificarlo 1’ Humboldt 37 6 GIORNALE LIGUSTICO colle effemeridi dal 1484 al 1505. Ma che 1’ opposizione di Saturno con Marte fosse considerata da quegli astrologi come foriera di gravi mali, l’ho verificato in genere colle edizioni nell’Universitaria dell’Albumazar (Venezia, Pentio 15x5), dell’ebreo Abramo Avenario (Venezia, Lichtenstein 1507), e più precisamente ancora nelle sovra citate effemeridi del Monteregio (1492 Benalio) ove è detto che 1’ opposizione e il Quarto di Saturno con Marte spessissimo generano pioggie con fulmini e tempeste (al capitolo Influentiae tam lumi-narium quam piandarum). Humboldt ha rilevato che Colombo come Vespucci tenean gran conto di simili opposizioni e congiunzioni di pianeti, e ne ha recato fra altri un esempio nel diario del primo viaggio di Colombo. Ma stando al caso nostro, a me pare che l’omissione di uno de’ due termini possa essere spiegata per una naturale sbadataggine del copista. Allorché vi sono due parole di eguale o simil suono che si succedono a breve intervallo, è facilissimo saltare alla seconda omettendo la prima; così accade non raramente anche nelle bozze e recentemente proprio a me in due versi popolari che terminavano entrambi colla parola Marte. Sebbene dunque sia vero che lo spagnuolo mares significhi mari e non Marte, un testo dicente oposicion de Saturno con Marte in mares tan desbaratados sarà stato copiato per tale inavvertenza de Saturno con mares, donde poi sarà passato in tutte le riproduzioni (1). (1) Per tutta questa parte astronomica, oltre i libri recati nel testo, ved. Humboldt, I. -274, III. 316-17, IV. 312; e il Cosmos dello stesso autore, Milano 1849, 25 5- Ved. L'Art de verifier les dates, nella serie delle eclissi e negli avvertimenti preliminari. Delle osservazioni fatte da Colombo sono esempi in Navarrete, I. 13 3, II. 280. Sulla opposizione di Saturno, ibid. I. 301 ; Morelli, p. 15; Marmocchi, II. 119; Major, p. 185. Sul principio dell’ equinozio nel medio evo, ved. Clavius , In sphaeram Ioannis de Sacrobosco, Venezia 1596, p. 275. GIORNALE LIGUSTICO 377 La lezione di Las Po%as (isolette vicine alla Giamaica) nel testo italiano, compreso il cod. ferrarese p. 177, è da preferirsi a quella di Las Bocas del testo spagnuolo tradotto Le Bocche dal Marmocchi. Qui il Prof. Ferraro reca opportunamente dal Marmocchi stesso le parole di Fernando Colombo che si riferiscono a questo quarto viaggio e a questa circostanza, e bellamente spiegano il perchè della denominazione di Le Pone ( Vita di C. Colombo descritta da Ferdinando suo figlio, cap. 88). Senonchè citando questo passo, fedelmente quanto alle parole, ma di seconda mano e con titolo poco esatto, il eh. Professore ebbe anche un momento di disattenzione, onde gli corse detto Relazione del 4.0 viaggio fatta da Don Diego Colombo, ultimo figlio dell’ Ammiraglio ; egli che poteva dire delle cose dette intorno al padre quorum pars magna fui. Tutte le quali particolarità convengono benissimo a Ferdinando, non a Diego che era il primogenito e che non accompagnava il padre in questo viaggio. Questa è cosa che si sa da tutti, nè io intendo rettificarla pel Sig. Ferraro che certo non la ignora, ma solo per que’ lettori novizi che se ne stessero a parole sfuggite come dissi per disattenzione. Tanto meno intendo appuntarlo sul senso delle parole citate: Relazione del figlio di Colombo. Veramente è noto che da più anni il sovralodato Harrisse virilmente combatte, negando essere Ferdinando autore di quella Vita; ma adhuc sub judice lis est, disputatagli altrettanto virilmente dal Signor D’Avezac; al quale, se la morte impedi di rispondere nuovamente all’ultimo scritto comparso poco prima, speriamo che sottentri nella lotta qualche suo degno discepolo od amico. Di ciò toccai altrove; e frattanto vedo che anche altri, come ho fatto io stesso in questo articolo, continuano a citare all’uso antico. Del resto: concediamo pure le gravi difficoltà ed anacronismi de’ quali alcuni non erano già sfuggiti ai Dotti, ma il Signor Harrisse meglio e più numerosi e più gravi li dimo- 25 578 GIORNALE LIGUSTICO strò, e d’invero non sono degni di Fernando, nè per la sua nota dottrina nè per la cognizione che dovette avere delle cose paterne; ma dopo ciò rimarrà sempre quel libro importantissimo, come fu fin qui considerato da tutti gli storici di Colombo e delle scoperte americane. E di quel che dico non voglio miglior giudice che lo stesso Sig. Harrisse. Il quale tiene come assai probabile, che gli errori addebitati a Fernando sieno fattura dell’ Ulloa traduttore di quella Vita dell’ Ammiraglio; e che il libro stesso, o almeno il tessuto del libro, sia opera di Ferdinando Perez De Oliva, écrivain de grand mérite.: scritto probablement, sous les y eux de Fernand et avec des documents fournis par lui; documents authentiques aujourd’hui en partie perdus. Un trattato dell’ Oliva de vita et gestis D. Christophori Colon difatti era già nella Libreria Colombina di Ferdinando, ma non vi si trova più. Dopo tutte queste belle e nuove notizie che ci insegna 1’ Harrisse, egli si contenta d’ ammettere che il residuo del libro attribuito a Fernando è d’une certaine valeur. Ma tale conclusione a me, e credo a chiunque, dee sembrare sproporzionata e troppo inferiore alle premesse. Un libro scritto sotto gli occhi e con notizie private e documenti avuti da un amico, da un mecenate che parla di cose di casa sua; e questo mecenate liberale delle sue preziose raccolte in lettere ed arti, e ricco d’una rendita annua valutata in moneta d’ oggi L. 180,000; il quale se fu dotto ed autore egli stesso, poco però conosciamo di opere sue che sono scritte, almeno in parte, di mano del suo segretario; un tale libro io ripeto che Fernando allogò nella propria Biblioteca, si differenzierebbe poco in sostanza da uno che fosse dettato da Fernando stesso,. se non fosse che per la sua modestia, 0 forse anche per altri motivi personali, lasciò che portasse in fronte il nome dell’Oliva. Starei anzi per dire che col severo criterio voluto dal dotto Americano temo sarebbero non pochi i libri che dovrebbero giornale ligustico 379 cambiar nome (i). Al postutto tale libro non può essere soltanto di qualche ma di molto, di essenziale valore per la storia dell’ Ammiraglio. Fra le osservazioni di minor rilievo che si potrebbero fare su questa lettera di Colombo, è l’interpretazione della parola Bianca nel testo spagnuolo equivalente a Quattrina nella traduzione italiana (Ferraro, pag. 199). Questa è una moneta che tutti riconoscono di non grande valore, ma il cui significato un po’ più esatto non credo sia stato spiegato finora. Bianca in spagnuolo, come Blanc in francese, indicarono lungo tempo una moneta che conteneva maggior copia d’ argento, era perciò di miglior colore che la più piccola moneta detta nera per opposizione. Ma anche il bianco o bianca andarono peggiorando sempre più di lega: attalchè dagli 11, 10 e 9 dodicesimi d’ argento che dapprima conteneva, passò ad averne due 0 anche un solo dodicesimo; tutto il resto essendo di rame. Nei conti d’ amministrazione delle nostre famose Compere di san Giorgio abbiamo nel 1461 1’ acquisto di una quantità di bianche vecchie di Spagna (libbre peso di Genova 3647) per farne denari minuti della nostra moneta. Il costo in più volte di una libbra (grammi 316.75) di tali bianche viene in media a soldi 3 6 3/4 di Genova. Ora le mie Tavole dei valori di monete genovesi dal 1149 al 1S04 indicano che dal 1454 al 1480 una lira (venti soldi) di Genova in argento dovea (1) Harrisse, Fcrnand Colomb, sa vie, ses oeuvres, Parigi, Tross 1872; un cui esemplare 1’ Autore liberalmente donò a questa Civico-Beriana ; D’Avezac, Le Livre de Ferdinand Colomb, Parigi 1873 ì Harrisse, L’ Histoire de Chr. Colomb attribuée à son fils Fernand, 1875. Quest’ultima Memoria, come quasi tutte quelle che io cito del D’Avezac, le possedo in estratti per grazioso dono dell’ Autore ; ma nel Bullettai de la Société Géographique de Paris si possono consultare alle annate rispettive ; salvo VHylacomylus che è estratto dagli Annales des voyages, Parigi 1866. Le notizie di Fernando eh’ io reco nel testo sono tratte' dal primo dei qui citati libri, specie pp. i)-29> 151_3- 380 GIORNALE LIGUSTICO contenere di questo metallo line grammi 15 • 177 ^ Perciò una libbra in peso di bianche di Spagna nel 1461 al costo di soldi 363/4, si dee ragguagliare a grammi di fino 27 sopra grammi 316. 75 di pasta monetata. In questa proporzione il suo titolo risulta di millesimi 85 ; circa cioè o poco più di un dodicesimo che sarebbe millesimi 83. La Quattrina (resa così in femminino in Ispagna come la Bianca) non è altro che l’italiano Quattrino o pezzo da quattro danari, che a que’ tempi era in uso a Roma, a Firenze, Siena, Macerata, Verona ecc., e i cui pezzi delle migliori Zecche si dicevano anche quattrini bianchi. Il titolo di questi era vario; naturalmente i più buoni erano i più antichi, ma verso la fine del secolo XV aneli’essi da due dodicesimi erano discesi a un dodicesimo 0 poco più; onde il traduttore ben avea reso nella quattrina il significato della spagnuola bianca. Del resto anche Ferdinando il figlio di Colombo nelle sue compre di libri in Italia (Roma luglio 1516, giugno 1517 ed altrove) nota il loro costo in cuatrines. L’inglese Sig. Major paragona invece le bianche a un quarto di danaro; ciò non camminerebbe se s intendesse confondere il quattrino (moltiplo di 4 danari) col quarto sua frazione, come altrove notai aver confuso le due parole un dotto italiano. Ma forse va abbastanza bene nella moneta inglese, la quale, come ora, così allora era assai superiore alla genovese ed italiana. Da più conti d’ un’ Am-mistrazione per indennità inglesi (nell’ Archivio di s. Giorgio) "vediamo la lira sterlina tra il 1460 e il 1471 valutata in moneta di Genova d’allora a lire 12, soldi 18, den. 7; il che, secondo le mie Tavole sovra citate, ragguaglierebbe un quarto di denaro steriino a centigrammi 20 d’argento, mentre quattro danari genovesi risponderebbero a centigr. 19 circa (1). fi) Bianca m Navarrete, I. 312. Quattrina in Morelli, p. 136; in Daelli, p. 140. Cuatrines spesi dal figlio di Colombo in Harrisse, B. A. V., GIORNALE LIGUSTICO 38i ina mente giungiamo alla seconda Appendice, e con essa al tei mine del Codice ferrarese (pp. 201-8). Parlo della lettela di Gerolamo Vianello, agente diplomatico della Si-gnoiia di Venezia presso la Corte di Spagna. Il quale in data di Buigos 1506, 23 dicembre (stando alla fonte che fin qui era conosciuta), porge notizia di un viaggio del Vespucci di fi esco compiuto, che perciò sarebbe iL 5.0 (è certo un errore del proto che fece stampare 4.0 alla pag. 208, mentre il Prof. Ferraro a pag. 153 lo avea già ben numerato pel quinto). Il Sig. Professore sa che tale lettera era già stata comunicata, ma soltanto in estratto, dal Ranke all’ Humboldt e che questi l’avea pubblicata tale quale. Egli sa pure che il Dott. Ranke la dichiarava di data impossibile e perciò apocrifa; al che ei giustamente risponde che tale accusa è troppa e troppo ricisa. Noi abbiamo già accennato che fin dal 1869 quella lettera fu pubblicata per intero e per .la-prima volta a Vienna dal Barone di Varnhagen, che la trasse da quelli stessi Diarii di Marin Sanuto alla Marciana dove l’avevan vista il Dott. Ranke e il sig. Rawdon Brown. Il Varnhagen avea già adempiuto al desiderio del Prof. Ferraro, vagliando le ragioni onde la lettera stessa si pretende apocrifa, e non Addit., nn. 28,47; e in Fernand Colomb sovra citato, pp. 11-18; ove quattrini a Roma, Firenze, Ferrara ecc. dal 1512 al 1525. Ved. su tali quattrini e loro titolo Zanetti, Zecche d’Italia, I. 70, 341, III. 332,1V. 325, 452, 488, 507 ecc. Bianche veteres in Cart. Officii s. Georgii nell’ Archivio omonimo, 1461, car. 95, 194, 295. Pel valore del farthing inglese dall’Archivio medesimo in Officii Angliae 1460; Damnificatorum in Regno Angliae, Cart. 146; e Administrationis Rerum Anglie 1471 ; ove altre notizie su cose inglesi in conseguenza di una pirateria di Giuliano Gattilusio. — Desimoni, Tavole dei valori ecc., in appendice a Belgrano , Vita privata dei Genovesi, Genova, Sordo-muti 1875; ivi Tavole delle monete d’argento al num. 15.— Colombo indica pure le Blancas nuevas nel testo spagnuolo della lettera del primo viaggio ; di che vedasi in D’Adda facsimile sovra citato ; in Daelli, pp. 77, 89; e Major, op. cit., p. 7 con nota relativa. 382 GIORNALE LIGUSTICO trovandole conclusive. Cosi pensa anche il Sig. D Avezac. È vero che Vespucci negli anni 1505-8 si trova più volte occupato in Ispagna in affari importanti, come dimostrano le carte a lui relative che il Navarrete pubblicò. Ma il D’ Avezac vede in queste carte medesime due intervalli di tempo, duranti i quali non si sa che cosa sia avvenuto di Amerigo ; un intervallo di più di 14 mesi dal 5 giugno I5°5 2 3 agosto 1506; e un altro di più di 16 mesi dal 15 settembre 1507 al i.° febbraio 1508: entrambi questi intervalli sono piucchè sufficienti a compiere l’andata e il ritorno d’America anche a que’tempi; poiché si sa che Diego Lepe nel 1499-1500 lo compiè in soli sei.mesi. Perciò secondo lui la data 23 dicembre 1506 della lettera dovrà forse cor-reggèrsi in 1507 a cagione della diversità del principio d’anno secondo i diversi paesi; onde per esempio lo stile pisano differisce d’ un anno intero dallo stile comune. A sua volta il Barone Di Varnhagen crede che il 5-° v^aS§^° di Amerigo siasi compiuto indubitatamente nel I5°5 prima del 23 dicembre; e che Vianello abbia scritto 1506, o per la citata diversità di stile nel contar gli anni, o per la sbadataggine dello scrittore dei Diarii che copiando forse la lettera nel 1506 vi lasciò cadere questa data, per abitudine in cambio della vera. Egli crede inoltre che tale viaggio siasi fatto tra il i.° maggio e il 23 dicembre del 1505; al che per dire il vero si può opporre che nei documenti pubblicati dal Navarrete, nel 5 giugno dello stesso 'anno Vespucci pare tuttora in Ispagna. Bisognerebbe dunque ristringere il viaggio entro i termini dal 5 giugno al 23 dicembre : questo intervallo sembra un po’ troppo breve, tuttavia rimane ancora entro i sei mesi che al Lepe bastarono per la sua navigazione. Il lodato Barone di Porto Seguro è tratto probabilmente a preferire questa data del 1505, perchè è provato d’altronde che realmente in quest’ anno Vianello era 1’ agente veneziano in GIORNALE LIGUSTICO / ... 383 Ispagna. Nel 1508 vi era invece il successore del Vianello, Francesco Corner; e a compier la prova occorrerebbe sapere 1’ anno che questi successe. Noi non ci faremo giudici in questa intricata questione; ci basterà notare che, se veramente il viaggio è avvenuto nel 1505, la difficoltà della data sarebbe ora pienamente sciolta colla nuova lezione che ci offre il Cod. ferrarese, apponendo il 28 dicembre invece del 23 male scritto 0 mal letto nei Diarii del Sanuto. Già prima d’ aver badato a questa differenza di lezione, mi ero proposto il dubbio, se invece di 23 non vi si dovesse leggere per es. 25. In Ispagna come a Genova e in più luoghi a que’ tempi col Natale cominciava il nuovo anno 1506: avea dunque ragione Vianello di scrivere 28 de-cembrio ijo6. E questa, come altre migliorie a’ suoi luoghi notate, confermano sempre più la importanza del Cod. ferrarese. In ogni caso, siccome secondo il Vianello questo viaggio di Vespucci sarebbe stato fatto in compagnia di Giovanni il Biscaino, cioè del celebre Della Cosa cartografo e già piloto di Colombo, cosi ben avverte il D’Avezac che bisogna pure tener conto delle notizie che si hanno sui viaggi di questo compagno di Vespucci; senonchè nemmeno qui le cose sono molto chiare, nè l’Humboldt è molto coerente a se stesso. Nel vol. IV, pp. 228-29, Pone due viaggi di lui nel 1504-5 e 1507-8; nel vol. V, p. 163, pone invece il primo di essi viaggi ^1^1504-6 (1). Il Cod. ferrarese (pag. 203) nella lettera di Vianello ha una lezione di parola migliore di quella data dal Varnhagen, (1) Humboldt, V. 156-67; D’Avezac, Voyages d’A. Vespuce, Paris 1858, pp. 36-48; Varnhagen, Nouvel!. Recherch. pp. 12-14, 51- Ma eg1* Pare dimentichi, e non registra a suo luogo (pp. 27-8), i due conti che suppongono la presenza in Ispagna di Vespucci ai 17 maggio e 5 giugno. Ved. D’Avezac, loc. cit., p. 37; e Navarrete, III. 302. 384 GIORNALE LIGUSTICO loc. cit. p. 12. Targhe di un legno molto leggeri come soveio (in francese liege) è di senso chiarissimo; non corre invece come legge Varnhagen levier conio scuro. Vi sono alti e differenze di dizione, ma di poca rilevanza, salvo che il Cod. fei-rarese omette affatto la parola alseshìi che nella lezione Varnhagen figura come nome di luogo indiano; e scrive cosi (p. 204) : et furono a uno loco dove si dice navigarono 400 lige verso il ponente; laddove Varnhagen: et furono ad uno loco dove se dice alseshii e seguìteno 400 hge suso al ponente. Certe altre lezioni avea già cercato di correggerle il D’ Avezac sul frammento fattone conoscere dall’ Humboldt ; coll ordinaria sua sagacità ha indovinato che le parole erano nudi sono da emendare e vano nudi; crediamo abbia pure ragione nel-1’emendare le forze in fozze ó foxe (fauces) d’Èrcole, ma il testo materiale dei Diarii scrive proprio forze- Non ammetteremmo altrettanto facilmente la sua correzione di coppello (coppa 0 ciotola) invece del testo materiale il quale non dice zoppello (piccolo zoppo), ma zopolo 0 che in dialetto veneziano forse meglio equivale a una specie di zattera, gozzo o simile (1). Chiuderemo (che ben ne è tempo) la nostra rassegna, ripetendo doversi lodi e sentite grazie e al Signor Romagnoli che pubblicò questo prezioso volume e più al eh. Prof. Ferraro che promosse e curò la diligente edizione. Per dire tutto il nostro pensiero, avremmo da lui desiderato talora maggiore attenzione nello esprimere il proprio concetto colla chiarezza di chi pensa prima di scriverè. A cagion d’ esempio : più volte egli torna sulle controversie di priorità nella scoperta del continente americano; ma confrontando i diversi luoghi ove ne parla (pp. 33, 74, 101, 127) non si capisce bene quale opinione egli preferisca; si contraddice perfino in una (1) D’Avezac, Voyages d’A. Vespucci, p. 34. GIORNALE LIGUSTICO 385 stessa nota (p. 127), sembrando dar ragione a Vespucci sul principio e a Colombo sulla fine del periodo. Anzi egli mischia ancora, sebbene per un fuggevole cenno, un terzo nella quistione; ma questo terzo non è un’italiano (come altri qui aspetterebbe naturalmente il nome di Giovanni Caboto), bensì uno spagnuolo, il Pinzon; il quale non 'na proprio nulla a che fare a questo proposito (p. 123). Infine non potendosi dir cose nuove e sostanziose (il che concedemmo non esser sua colpa), valeva meglio a nostro avviso lasciar da parte anche le scarpe strette (p. 140) e altre notizie più dotte, ma poco ad rem. Minuzie! si dirà. Sì certo, minuzie; ma che non cureremmo di rammentare a chi non avesse, come il Prof. Ferraro, dato saggio di amante delle cose patrie e di operoso nel renderle di pubblica ragione. Preferendo egli la serietà del lavoro, sia pure arido, al consueto cinguettio giovanile di tutti e su tutto, non si nascose le difficoltà dell’ impresa, ma ruppe gli indugi ; pur mescendo all’ audacia propria della sua età quella modesta professione che sopra lodammo, e che ci sta bene anch’ essa, ma è assai più rara e tra i nuovi e tra i vecchi. Il terreno giovine, che rompe da se la tenace crosta con quel vivo scoppiettio ben noto agli agricoli, promette bene; ma badiamo a rimondare mano mano il folto delle frasche colla cura lenta e severa di chi mira all’ avvenire. Il succo costretto al midollo rintenzerà le piantine, crescendole diritte, rubeste e gravide de’ frutti più squisiti. Noi non ci arroghiamo nessuna autorità in nessuna parte del sapere; ma, se non altro, l’età che china e qualche tenacità negli studi ci scusino alcune parole che forse saranno parse burbere , ma certo sono lontane da ogni men retto fine. Non siamo di coloro che letta la prima e 1’ ultima pagina d’ un libro, subito pongono mano alle stereotipe forme entusiastiche a piacer dell’amico o del compare; ma nemmeno 386 GIORNALE LIGUSTICO ci piace .aggrapparci alle falde dell’ abito per tirar giù un autore e farsene sgabello a menare rumore di sè. Il nostro fu esercizio di studi j^er noi stessi e pei consueti e benevoli nostri lettori; ma fu insieme un desiderio che ce ne possa venire qualche conforto un giorno; dacché incontrammo sulla nostra strada uno dei rari italiani che accenna a farci compagnia ; e docile chiede indirizzi a quella qualunque esperienza che altri possa aversi guadagnato battendo da più antico la via medesima. Possa tale conforto scendere nell’ anima nostra ancora in tempo! Possa adempiersi il nobile voto espresso dall’autore d un articolo che sovra allegammo (i); che cioè là dove i Dotti stranieri si affollano a scoprire, a combattere, a rivendicare le glorie nostre prò e contro, l’Italia non abbia a desiderare invano fra i propri figli un degno campione! C. Desimoni. ANNUNZI BIBLIOGRAFICI 7' Memorie per la storia ecclesiastica di Sestri Levante. — Genova, Tip. Arcivescovile 1876, in 8.° È un libretto scritto con bel garbo, di cui si vuole saper grado all’ arciprete can. Vincenzo Podestà. Discorre le vicende dell’ antica parrocchiale intitolata a S. Nicolò Mirense e della nuova fondata in onore di Santa Maria di Nazaret ; dell’ abbazia de’ SS. Giovanni ed Antonio in Capo Borgo; poscia di alcuni altri conventi, monasteri ed ospedali. Nè a proposito di questi ultimi è da pretermettere il testamento del cardinale Ottobono Fieschi (poi papa Adriano V) datato del 1275, laddove dispone: fiat hospitale in Valle Sigestri . . . sub nomine beati Thorne Cantuariensis specialiter pro anglis; parendoci che sia un nuovo documento del passaggio frequente degli inglesi nella riviera ligustica fino da tempi così discosti dai nostri. (1) Ved. la pag. 348 e il Bollettino ivi citato. GIORNALE LIGUSTICO 387 Ai cultori delle memorie artistiche si deve peculiarmente raccomandare il capitolo che enumera le « opere d’ arte più insigni nelle chiese di Sestri » , benché sieno da ritenere tutt’ altro che « corretti » i lavori di scoltura di Francesco Schiaffino (p. 43), dal momento che si era già confessato essere costui « allievo del Bernini » (p. 13). Nè le ancone delle cappelle in S. Maria di Nazaret si possono riguardare come probabili fatture di Benedetto e Bernardino Bolasco, Castellino Castello e Lazzaro Tavarone, mentre si reputano « tutte di scuola genovese del secolo passato » (p. 43). Ma quanto a cronologia ameremmo che 1’ autore si fosse mostrato più cauto nell’accogliere certe date di soverchia antichità, come a dire che nel 345 venisse eretto in Voltri un tempio dedicato a S. Nicolò, e peggio che sia del 408 una lapide recante espresso in cifre romane quest’ anno. Chiunque abbia una lieve tintura di epigrafia, sa che gli anni si computavano allora dai Consolati e Postconsolati; e d’altra parte è noto che l’uso di contarli dalla venuta di Cristo non cominciò a praticarsi innanzi la prima metà del secolo VI, tardando anche non poco a farsi consuetudine generale. Di questo imbroglio d’epigrafe giudichi del resto il lettore, a cui vogliamo sottoporla. D . MADTO -. DMI . N . A . CO . . . TMLM . OC . CLTO . SRUM . . . S---- CLARO . EO . P....... IDIS . SPSIS . TERE . ROM . I . SEGTE . . . A . S . CCCCVIII . A . V . . . . E un antico raccoglitore, citato dal eh. Podestà, tradusse cosi. « De mandato domìni nostri, segue il nome di chi governava forse allora il paese, e che puossi ritenere fosse A. C. Augusto Cogorno ..., Templum hoc sacrum .. . culto Dei... Sancto Claro episcopo ... Idolis superstitiosis tempore Romanorum Imperii in Segesta, anno salutis 40S Augusti Ouinto. A non fargli torto, si vede subito che l’autore di sì fatto volgarizzamento era un bell’ umore, pieno di spirito, forse, ma non di dottrina. Lasciando stare tante altre -considerazioni, che non vale la pena di esporre, noi ci limiteremo a chiedere se quell’ A della prima linea invece di Augusti, non potrebbe egualmente significare Antonii, e riferirsi in tal caso a quelite Antonio de’Conti di Cogorno sestrese, che, per testimonianza dello stesso Podestà, del 1548'fu assunto all’episcopal sede di Brugnato » (p. 28). E le parole mis spsis, invece idolis superstitiosis, non potrebbero 388 GIORNALE LIGUSTICO essere una storpiatura di idibus septembris? E quelle lettere e cifre a.s. ccccviii. a . v.....che appunto si spiegano anno salutis 40S augusti quinto non potrebbero essere una cattiva lezione dell’ anno m . D . xxxxvm a Virginis partu? Ci pensi cui tocca. Storia del Comune di Santa-Margherita-Ligure, ecc. — Genova, Tip. della Gioventù 1876, in-8.°. Autore di questo libro è il ch. sac. D. Fedele Luxardo, il quale già in più ristretti confini pe’ tipi del Faziola aveva pubblicato sino dal 1857 le Memorie storiche del Borgo e Comune di Santamargarita. L’ opera è distribuita in cinque parti; e naturalmente, poiché bisognava bruciare un qualche granellino d’incenso all’ eterna controversia dell’ ubicazione di Tigulia, 1 autore ne discute subito nella prima parte, riconoscendo nella borgatella di Trigoso « il nome corrotto » di quell’antica città; e manco male che soggiunge: « almeno così ci pare », Con più solida base discorre in seguito delle antichità di Santa-Margarita e delle sue vicende fino ai dì nostri (cap. II e VII), del valore dei sanmargaritesi nei commerci, nelle manifatture, nell’agricoltura, nella navigazione e particolarmente nella pesca dei coralli; degli istituti di beneficenza e di educazione; delle nuove strade, del nuovo porto, del cantiere navale, del rettilineo di S. Siro ecc. Nella parte seconda risale ai Tigulii per indagarne la religione prima dell’era volgare, e studia per tale proposito l’urna cineraria di Lucio Taiezio Pepso, i cui bassi rilievi accennano a misteri del culto di Mitra. Divaga poi 1’ autore sui tempi ne’ quali santa Margherita tu eletta protettrice della terra che una volta dicevasi di Pescino ; e quindi ragiona di più chiese e santuarii e delle opere d’arte che li nobilitano. Delle altre parti la 3.a descrive la storia di due famose badie, S. Fruttuoso di Capodimonte e S. Girolamo della Cervara; la 4.3 dà le biografie degli illustri Sanmargaritesi; la j.a chiude coi documenti. — Insomma il libro del eh. Luxardo è pieno di utili cognizioni, e se alcuna cosa lascia a desiderare ella è una più oculata scelta delle fonti e una più illuminata critica nello accogliere i documenti. Niuno p. e. si servirebbe oggi della così manchevole e guasta edizione del testo muratoriano di Caffaro, dopo la comparsa di quello del codice parigino che il Pertz ne diede nei Monumenta Germaniae Historica; niuno vorrebbe ancora ricevere per buona moneta 1 amplissima donazione dell’imperatrice Adelaide al monastero di S. Fruttuoso nel 999. Su tale impostura si consultino gli .Atti della Società Ligure di Storia Patria (vol. II, par. I, pag. 44) > laddove a riscontro del falso istrumento fu pubblicato il genuino. GIORNALE LIGUSTICO 389 Curiosità e ricerche di Storia Subalpina, pubblicate da una Società di studiosi di patrie memorie. — Torino, Bocca 1876. Puntate VI e VII. Abbiamo debito, secondo nostro costume, di segnalare all’attenzione de’ lettori quanto venne stampato nella importante pubblicazione torinese qui sopra citata; e comechè in ritardo, confidiamo che i nostri cenni non riusciranno sgraditi. I. Le vicende del noto istoriografo abate di Saint-Réal porsero argomento al eh. sig. Perrero di tessere un pregevole scritto, dove la figura di quell’ uomo versatile e dello specioso scrittore, apparisce ben più spiccata di quella poteva rilevarsi dalle scarse notizie recateci fino a qui dagli storici. E tanto più degna di attenzione ci parve questa monografia, in quanto la si vede redatta sopra i più sicuri documenti lasciati dallo stesso Saint-Réal, e studiati in fonte dall’autore nel Regio Archivio di Torino. Ciononostante a noi sembra lavoro fatto alquanto in fretta, manchevole di certa coesione, ed anzi in qualche punto ci parve scorgere interrotto il racconto ; così non vi sarebbero state a disagio alcune di quelle osservazioni che sono la sintesi ed il risalto di qualsivoglia scrittura. Ben più studiato e fin troppo prolisso come già osservammo, é invece il lavoro sulle famose sorelle Mancini, che lo stesso autore conduce al suo fine nella VII puntata, narrando diffusamente le avventure di Maria in Ispagna e di Ortensia in Savoia, sempre che tocchino alle relazioni con esse avute dal Duca Carlo Emanuele II. E quivi sì come ricorrono aneddoti solleticanti ed anco procaci, afti a riprodurre un idea abbastanza esatta dei costumi cortigiani di que’ tempi, hanno luogo altresì documenti storici e biografici affatto nuovi, donde buon lume può trarne lo storico. E noi che veggiamo per questi stessi torchi incominciata la stampa della nuova opera dell’ erudito amico nostro barone Gaudenzio Claretta, sopra al regno ed ai tempi di Carlo Emanuele II, siamo certi trovare ivi riprodotto come in ben dipinto quadro il suco di queste avventure ben conoscendo coni’ egli da lungo tempo abbia con mirabile pazienza ricercati gli archivi, e sappia con degna maestrìa condensare i fatti e recar gravi e indipendenti giudizi. II. Ed entrano in dominio del pubblico in qualità di storici documenti le scritture dei grandi uomini che morte rapì ; quasi a dimostrare come si chiuda per essi l’epoca de’ fatti, e s’ apra in quella vece sopra di loro il grave sindacato, il giudizio sereno e pacato della storia imparziale. Ond è che se l’illustre comm. Bianchi dee lodarsi per la pubblicazione delle poche lettere di Camillo Cavour, molta attenzione meritano senza meno le rimembranze sopra quel celebre uomo di stato dettate dal eh. conte 390 GIORNALE LIGUSTICO Sclopis ; come quelle che rappresentano scolpitamente alcune pagine della sua vita, vuoi ci richiamino a’ tempi della sua giovinezza in cui divinava la futura sua celebrità, vuoi ci facciano riflettere gravemente sulle fasi del suo ministero e sullo svolgersi di que’ grandi avvenimenti preparati in ardita guisa dalla sua mente, e ridotti a felice compimento dalla sua abile destrezza. III. L’ erudito barone Antonio Manno discorre le origini e vicende dello Stemma Sabaudo, giovandosi all’ uopo di nuovi e curiosi documenti. Gli studiosi delle cose liguri troveranno specialmente importante il § XII, laddove il eh. autore racconta come il re Vittorio Emanuele I, dopo 1 unione di Genova alla corona di Savoia, commettesse al conte Napione e al conte V idua « di proporre una nuova e conveniente riduzione dello stemma reale ». Nè spiaceranno altre notizie, come questa che « Emanuele Filiberto nobilitava (PP. 14 febbraio 1561) Domenico Poncello genovese, per aver designato e fabbricato il forte di Montalbano, volendo che nello stemma vi fosse un compasso, una scadra et una rega ». L’ ègregio Barone però ci permetterà di non sottoscrivere a quanto egli rammenta di Oberto da Passano, che « per avere portato (a Genova) le ceneri del santo Precursore, aggiunse alle sue armi il capo di rosso crociato d’argento ». Che Oberto da Passano portasse da Mira quelle reliquie vien discreduto da gran pezza; e l’iscrizione scolpita sulla fronte della nostra chiesa di santo Stefano, che gliene dava il merito, è una ben nota impostura del 1607. — La conclusione del dotto lavoro ci piace assai; e noi ci associamo di cuore al voto dell’ autore perchè « 1’ araldica, fra noi, non rimanga in perpetuo oblio » ; ma « nelle accademie la s’insegni ai pittori ; nelle scuole d’ archivio, dove troverebbe sede propria e conveniente, sia seriamente spiegata agli studiosi delle patrie memorie ». Ci è tornata poi molto gradita la continuazione del Tesoretto di un bibliofilo piemontese per alcun tempo intermessa dall’ autore sopra ricordato ; il quale colla consueta erudizione discorre degli studi de’ Duchi di Savoia, chiarendo mercè documenti inediti quanto altri già disse, e porgendo nuove affatto ignorate e sull’ amore de’ Sabaudi ai libri, e a speciali discipline da essi predilette, o alle arti belle coltivate, sì come ne sono prova due disegni riprodotti qui dagli originali di Carlo Emanuele II. IV. I castelli delta valle d’Aosta hanno trovato nel sig. Giacosa uno spigliato narratore, il quale delineata la generale intonatura di tutti quelli onde la regione s’ abbella, più presto che colla gravità dell’archeologo sa ricondurre il pensiero del lettore a’ tempi feudali, solo mercè la vi- GIORNALE LIGUSTICO 39I \acità della descrizione ed il facile stile. Aspettiamo poi il seguito di codesta monografia per toccarne più di proposito. . Chi conosceva il Padre Giambattista Boetti e le sue curiose avventine? 1 ochi o forse nessuno. Or bene eccone qua una diligente istoria biografica, donde si trae come sotto nomi ed aspetti diversi abbia tenuto fronte agli Imperi russo ed ottomano sollevando contro di essi quel nerbo di gente accogliticcia eccitata dal fanatismo d’ una cotal sua nuova religione, della quale e’ si spacciava profeta. Il sig. Ottino facendo tesoro di scritture trovate negli archivi, ha posto in sodo il nome dell’ardito avventuriero, discoprendo altresì in Piazzano nel Monferrato la patria sua dov egli sortì alla luce nel 1743. Nè prive di curiosità e di sapore sono le corrispondenze sue e co’ superiori dell’ ordine domenicano, il cui abito avea indossato dopo una vita non certo esemplare, e colla corte romana. VI. Quei due anni di regno di Ludovico Duca di Savoia che corsero dal 1460 al 1462, e sopra i quali non molto dissero gli storici reputandoli quasi indegni di ricordanza, hanno eccitato il sig. Saraceno a dettarne una larg ; narrazione, confortata dalle carte molteplici conservate negli Archivi. VII. E nello intendimento di chiarire con validi argomenti la storia piemontese, dava fuori l’instancabile del pari che erudito sig. Promis una importante istruzione del card. Maurizio di Savoia al suo agente il conte Masserati, dalla quale rilevasi quali fossero i sensi a’indipendenza serbati nell’animo da quel Principe che ebbe tanta parte nelle guerre intestine del Piemonte ai tempi della Reggenza di Cristina. — Lo stesso erudito scrittore in prò’ della storia, delle lettere e delle arti segue ragionando di quei singolari manoscritti illustrati, dove sono descritte alcune Feste o Balli, o vogliam dire rappresentazioni fatte alla Corte Sabauda nel 600, curando di porre in rilievo tutte quelle particolarità utili alla cognizione così del bibliografo come dello storico e dell’ artista. VARIETÀ Gli alberi della libertà innalzati in Genova nel 1797. — Il sig. Giuseppe Sbertoli, possessore dì buoni manoscritti patrii ed amantissimo delle memorie storiche del nostro paese, ci ha favorite alcune note 'sincrone concernenti gli alberi della Libertà che vennero innalzati nelle vie e piazze di Genova poco dopo la caduta della Repubblica aristocratica avvenuta per la rivoluzione del 22 maggio 1797- Il fatto che diede luogo a tale innalzamento fu la solenne installazione del Governo Provvisorio democratico, solennizzatasi il 14 di giugno ; e 392 GIORNALE LIGUSTICO verificossi non solo in tale giorno, ma eziandio in parecchi de’ successivi. Però l’albero che presso gli annalisti e gli storici va specialmente ricordato, è quello di Piazza dell'Acquaverde, essendo che a’ piedi del medesimo vennero bruciati il Libro d’oro della nobiltà, l’urna del Seminario donde si estraevano i nomi dei senatori, e la portantina ducale. Degli altri appena è che faccia motto la Galletta Nazionale del 17, cosi scrivendo coll’ enfatico stile che era entrato allora di moda : « Appena spuntò il giorno 14 corrente, in cui ... - dovea seguire F installazione del nuovo Governo Provvisorio, la benemerita Guardia Nazionale de’volontari cittadini, che vegliava alla pubblica sicurezza, non potè contenere la libera espansione del cuore, impaziente di solennizzare con fervid’ inni di riconoscenza e d’amore 1’ aurora della rinascente libertà. Cresceva il giorno, e crescevano intanto le acclamazioni e le gnda festevoli della commossa Nazione, e superbo de’ riacquistati diritti scorreva per le vie il Genio della Liguria, e scrivea sulla fronte ai liberi cittadini la bella imagine d’un fortunato avvenire.....Si vide in un tratto al suono de’ marziali stromenti, e fra gli evviva e il voto universale sorgere e moltiplicarsi sulle pubbliche piazze 1’ Albero, emblema della Libertà. Un grato sentimento d’Eguaglianza e di Concordia' si sparse e si comunicò, come elettrica scintilla, in tutti i cuori. Le danze, i canti patriotici si succedevano instancabilmente, e in cosi ro-moroso tripudio, in tanta festa, e nel bollente entusiasmo di libertà non sorse* il più lieve disordine ad interrompere o turbare la comune allegrezza. Ma non regge la penna e manca l’espressione , che non può ascendere a! diheato e nobile argomento ». Ponendo in disparte, secondo è nostro costume, le frasi vuote e altisonanti: e lasciando che il Genio passeggi e scriva a sua posta , preferiamo la prosa delle note onde lo Sbertoli ci é stato cortese. Son queste redatte dal attuino Giambattista Gambaro, il quale tenendo un deposito di legnami, ebbe appunto a fornire ai nostri democratici le emblematiche antenne ; e non facendo troppo a fidanza colla memoria , via via che le consegnava, tenne notizia de’ luoghi ove si dovevano erigere. Pigliamone contezza anche noi ; e piaccia ai lettori che a titolo di curiosità ne diamo qui l’enumerazione. 'Piazza Nuova, dirimpetto al Palazzo Nazionale (già Ducale) — Piazzetta delle Mele — Piazza della Posta — Piazza De Marini *— Piazza di Cmappa — Piazza della Maddalena — Piazza di Pellicceria — Piazza di S. Domenico — Piazza deli Albergo de’ poveri in Carbonara — Piazza di S- Matteo — Piazza di S. Bartolomeo dell’ Olivella, presso il Carmine ~ <^e^° Scalo a Pre — Piazza interna della Darsena — Piazza di b. \ ittore Piazza di S. Sebastiano — Piazza di Santa Chiara in Cangnano Piazza in Canneto ! sic; forse quella delle ancore?) — Pmza deLe A igne — Piazza degli Asdenti —•_ Piazza di Soziglia — Piazza di Santa Caterina in Portoria — Piazza di Rodolo (?) da Castello degli Orefici — \ìa Giulia, presso la chiesa di N". S. del Ri- — Quattro canti di S. rrancesco — Ponte delle legna. D. più. aggiunge il cittadino Gambaro « altre quattro (a ni ri rie) che aarmo preso di sera e perciò non si sa dove possano averle piantate a. _ an«.Oi.i. « -t. 20 giugno, a ore 24 di sera, ne hanno preso uno (attiro) con tutto silenzio, chè cosi riferisce chi à veduto, e lo hanno conuo-.o \erso Pre. t più quelle che hanno prese nei çriorni testivi, che non si sa ». 1 Pasquale Fazio Ristcassìiìi. _giornale ligustico 393 POSCRITTO ALLA RASSEGNA DELLA PUBBLICAZIONE FERRARO Era appena stampata la mia Rassegna bibliografica sulla Relazione delle scoperte di Colombo ecc., che spogliando il Na-\ arrête, Colleccion ecc., II. 272, mi avvidi che Colombo rende, conto eji smesso e di propria mano delle due eclissi da lui \edme nel 1494 e 1504, cita i luoghi dove egli allora si tro-' aVf e ne assegna- le longitudini, a dir vero assai inesatte. Ho poi anche \eduto che ne trattano in poche parole, ma con dati scientifici, Peschel, Gescbichte des Zeitalters der Entdeckungen, 1S5S, pag. 124, 258, 386; Humboldt, Voyages aux Régions Equinoxiales, 1831', XIII. 9, il quale cita anche Herrera, Dec ad. I, pag. 58, ma dell’ediz. del 1601, pag. 73. Rimando a quegli autori non potendo io qui riprendere la quistione di cui ho trattato sopra a pag. 371-4; aggiungendo soltanto che io non aveva errato nell’assegnare la data in Europa di quella eclisse del 1504. Lo stesso eh. Peschel, pag. 340, ci fornisce una prova di ‘-io che io avevo dedotto da altri indizii: che cioè la spedizione di A espucci fu alla Cananea nel 1502 (ved. le mie pa-gine 363—5). Il Diario del Souza del 1531 ci informa che fu allora trovato su quella costa un Portoghese, il quale una trentina d’ anni prima era stato colà abbandonato per punizione. Ora mi tocca di correggere un grave errore sfuggitomi a Pa§- 354> di cui mi avvidi quando non fui più a tempo a ripararvi. La distanza di leghe 26 secondo Colombo (ma di i ^ leghe 13 2j2 secondo Navarrete) è bensì tra due capi; ma non tra due capi dello stesso stretto. Tale distanza corre invece tra un capo dello stretto o bocca del Serpente, e un capo dello stretto o bocca detta del Dragone; è insomma la lunghezza del viaggio percorso da Colombo lungo la costa 26 394 GIORNALE LIGUSTICO _$______ interna dell’isola della Trinità e fino al capo occidentale della bocca grande del Dragone. I nomi di questi capi e le loro posizioni geografiche vedansi in Navarrete, II. 247-5° e 257_8- C. Desimoni. SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA (Continuazione da pag. 32S). XV. 9 Sezione di Storia. Tornata del 5 Maggio 1876. Presideuia del Preside cav. avv. Cornelio Desimoni. Il socio Staglieno legge la seconda parte del suo lavoro ,intitolato: Degli Ebrei in Genova (1). II. Le condizioni fatte agli Ebrei verso la metà del secolo XVI, erano larghissime in ragione dei tempi e dei costumi di allora. Con quelle si permetteva loro di soggiornare in Genova ed in altri luoghi del dominio per un dato numero d’anni piuttosto lungo, di tener banco ad interesse, di esercitare traffici e negozi, e, quel che è più da rimarcarsi, non si prescriveva alcuna di quelle odiose disposizioni, come di andar distinti con un segno, di star rinchiusi in un ghetto, che li facevano apparire diversi dagli altri cittadini, e li esponevano a dileggi e strappazzi. Parecchi anni continuarono siffatte concessioni, nè avendo mai cagionato lagnanza alcuna, furono successivamente rinnovate or per cinque ed or per sei anni nel 1578, nel 1582 e nel 1586. Stavano pertanto gli Ebrei fra di noi già da quasi mezzo & (1) Ved. la parte I a pag. 175-186. GIORNALE LIGUSTICO 395 secolo, tranquilli e, si può dire, sconosciuti, occupati dei pro-piii afllui, quando improvvisamente un decreto del Governo del 17 luglio 1587, loro ingiunse, a pena d’essere cacciati, di andar distinti tutti, uomini, donne e fanciulle, con un nastro giallo posto sopra il cappello 0 la berretta, o qualsiasi altra acconciatura del capo, in maniera da essere facilmente conosciuti per Ebrei. Non e a dire se essi si turbassero per questo. Immediatamente fecero i loro ricorsi, allegando, nè senza ragione, che tali disposizioni erano contrarie ai capitoli ed alla fede pubblica con cui si trovavano convenzionati, e che sino al termine di questi non si poteva farvi alcuna modificazione. Osservavano pure che quanto veniva imposto era un onere gravissimo che li esponeva agli insulti del popolaccio, specialmente in viaggio, se pe loro negozi avessero dovuto andare fuori di città; e per ciò supplicavano venisse il decreto revocato, od almeno in loro favore mitigato. Così fu fatto. A’ 29 luglio 1587 l’ordine fu modificato, che non più sul capo dovessero portare il segno del nastro, ma sul vestito a destra e sinistra della cappa o del saio ; che ne fossero esenti le donne, perchè dalla loro acconciatura del capo così differente da quella delle Genovesi, venivano facilmente dalle cristiane distinte, mantenendolo però per le fanciulle ; che in viaggio non fossero obbligati a portarlo, nè per due giorni ne’ luoghi dove si fermassero, e che invece dell’ espulsione dovessero i contravventori pagar la multa di venti soldi. Nello stesso tempo poi a garantirli da ogni molestia, si bandivano gravi pene a chi si fosse permesso di insultarli o di maltrattarli. Come ognun vede, più miti di molto erano queste innovazioni che non le precedenti ; ma, comunque si fossero, 1’ e-braica comunione volere 0 non volere dovette subirle. E qui è ovvia la domanda, perchè questo improvviso rigore contro gli Ebrei? 396 GIORNALE LIGUSTICO L’editto del 17 luglio 1587 è muto afflitto a questo proposito; ma cercando nella deliberazione dei Collegi che lo ha motivato, in una riga posta in fine, se ne trova la spiegazione. Ivi si legge: Andito super praedictis ante hac Multum Reverendo Vicario Archiepiscopali nomine et Rev.ml Archiepiscopi. Onde niun dubbio vi ha di andar contro al vero, facendo risalire a lui la responsabilità di tale prescrizione. E ciò tanto più che da altri riscontri trovo che intorno a questi tempi Monsignor Arcivescovo presentava al Governo un memoriale contro gli Ebrei. Tale recrudescenza di rigore fatta in omaggio dei pregiudizi religiosi, generalmente 11011 divisi dalla parte più colta della popolazione e da chi reggeva la cosa pubblica, era il preludio della revoca del permesso di soggiorno concesso all’ ebraica nazione. Imperocché non essendo con tutta esattezza osservate le odiose disposizioni, sia dagli Ebrei che cercavano con ogni mezzo possibile di eluderne il disposto, sia dagli ufficiali incaricati di vegliarne all’osservanza, avevano luogo novelli reclami, nei quali naturalmente gli Ebrei apparivano come non osservanti delle leggi; onde il Governo, a togliersi d’ogni impiccio, s’appigliava all’espediente di revocare la concessione e di espellerli. Nè credo fuor di proposito osservare che di tutte le disposizioni prese in odio degli Ebrei, le quali andrò in seguito accennando, come di volerli distinti con un segno, di rinchiuderli in un ghetto, di costringerli ad andare alla predica, di cacciarli dalla città ed altre, la iniziativa non venne mai dal Governo, ma 0 dal Padre Inquisitore, 0 dall’Arcivescovo, 0 da frati e da monache 0 da altri che facendo alcunché contro i degli Ebrei, credeva far opera meritoria. Curiosi sono questi reclami, istanze, memoriali, rapporti, 0 con qual altro nome si vogliano nominare, che piovevano di tanto in tanto alla Signoria 0 direttamente dalla religiosa GIORNALE LIGUSTICO 397 autorità, o indirettamente per via dei biglietti di calice nelle votazioni dei Consigli e dei Collegi, e di lettere anonime se provenienti da privati. Di essi non poco numero si conserva nei 'fogliazzi del no-stio Aichivio. E mentre quelli dell’Arcivescovo e dell’Inquisitole hanno per punto di partenza i sacri canoni, per cui il Governo non vi poteva giustamente che opporre, essendo al-loia le disposizioni canoniche parte del diritto pubblico, gli altri tutti si fanno forti sulle prediche del B. Bernardino da Feltre, sulla peste del 1493 quale pretendevano attribuire a castigo , per aver disubbidito alle di lui ammonizioni di non accogliere gli Ebrei profughi dalle Spagne; o sopra sognate visioni, apparizioni e colloqui con Dio, colla Madonna e coi santi, sdegnati di vedere i Genovesi trattare in modo umano gli Ebrei. Come vedemmo pertanto cagionato dai reclami dell’Arcivescovo l’editto del 1587 che li obbligava ad andar distinti con un segno, così ad altri di consimili reclami o rapporti devesi attribuire il decreto di espulsione deliberato sul fine del 1597 e pubblicato addì 8 gennaio del 1598. Questa disposizione, come ogni altra di sfratto che andrò in seguito notando, se considerata come principio, non si può a i _. meno di caratterizzare un passo indietro nella via della civiltà, in pratica non era così dannosa agli Ebrei, quale a prima vista si'potrebbe immaginare. Perchè, animato com’era il Governo da sentimenti benevoli verso gli Ebrei, costoro, benché scacciati e non più riconosciuti come nazione, continuavano a dimorare fra noi con particolari permessi, e sfuggendo, come che individui, più facilmente alla inquisizione religiosa, potevano vivere quieti e tranquilli, aspettando che fosse calmato il pio entusiasmo, per cogliere qualche propizia occasione, far nuove istanze, ed essere di bel nuovo riconosciuti, e favoriti di altri capitoli. 398 GIORNALE LIGUSTICO Espulsi nel 1598, continuarono pertanto gli Ebrei come privati in Genova, senza obbligo di alcun segno distintivo; eri-stabilito questo nel 1629 dal Magistrato della bolletta, che era quello donde partivano i permessi di soggiorno per i foiastieri, non fu mai posto in esecuzione, finché nel 1636 il Governo permetteva che il Magistrato potesse dispensarne gli Ebrei pui-chè pagassero otto reali per testa al mese, da erogarsi all o-pera pia di togliere i mendicanti dalla città; Cosa sotto qualche aspetto commendevole, ma che non corrispondeva al fine che i sacri canoni si erano prefissi volendo gli Ebrei distinti dai Cristiani. Ed in ultimo bandito nel 1648 un ampio poito-franco per tutte le merci e per tutte le nazioni, il Governo dichiarava compresa in queste anche l’Ebrea, le concedeva dei capitoli, e la dichiarava posta sotto la sua proiezione. v Ciò non bastava però a salvarli del tutto dalla persecuzione religiosa. Onde li vediamo costretti, in tempo di quaresima, ad andare ogni sabato alla predica, in mezzo a’ dileggi ed agli strappazzi della plebaglia, e spesso citati dai Padri Inquisitori dinanzi al loro tribunale, per futili pretesti, come ne assicura, oltre altre prove, in una lettera del 22 aprile 1656 il Padre Gio. Battista Noceto della Compagnia di Gesù, ove si legge. Che i frati inquisitori sogliono pretendere sopra di essi (gli Ebiei) maggiore autorità di quella che permetta la ragione canonica, onde molte volte prendono occasione di travagliarli e smunger danaro ancora a titolo di multa, in casi che non toccano al S. Ufficio, concludendo il suo scritto con suggerire al Governo di soi vegliare questo tribunale, come facevano i Veneziani, onde impedire che trasmodasse sia contro gli Ebrei che contro i cristiani. Quantunque la Repubblica non avesse bisogno di sollecitazioni per porsi in guardia e provvedere contro gli eccessi dell’ecclesiastica autorità, la quale dopo la pubblicazione del Concilio di Trento, minacciava ad ogni istante di invadere le at- GIORNALE LIGUSTICO 399 tiibuzioni del potere civile, il consiglio datole da un religioso, e pei dippiù rinomato teologo, non poteva a meno di essere di un gran peso, e certo doveva grandemente confortarlo nella lotta che dovette sostenere sia contro gli Inquisitori che contro gli Arcivescovi. Scadendo il portofranco del 1648 col lasso di dieci anni, un nuovo ne fu bandito nel 1658, e con questo nel primo articolo, ove si dichiarava esservi compresa, ogni persona di qualsiasi nazione, si stabiliva esplicitamente che anche gli Ebrei potevano essere ammessi con quei modi che avrebbero determinati i Serenissimi Collegi. Di fatto a metà del 1658 si pubblicavano i capitoli, ove erano le prefisse condizioni, concertati fra i Deputati ai negozi di S. Giorgio, i Collegi, e due rappresentanti la nazione Ebrea, certi Abramo Da Costa di Leon ed Aronne De Tovar. Lungo e forse tedioso sarebbe se qui enumerassi tutte le disposizioni sancite in tali capitoli o privilegi. Basterà che accenni solo ad alcune più importanti per quanto sarò per narrare. Stabilivasi primamente che del salvocondotto potevano godere tutti quanti gli Ebrei e le loro robbe, senza essere molestati per qualsiasi titolo 0 delitto, ed ancorché fossero vissuti altra volta sotto nome di Cristiani, esclusi solo i delitti di crimen lese, di-congiura o di danno contro la Repubblica, ed i debiti e gli obblighi contro i sudditi della medesima; che ad essi sarebbe assegnato un luogo per stabilirvi la loro sinagoga ed il ghetto ove abitare, nel quale dovevano star chiusi da un’ora di notte al mattino, e tutto il giorno il giovedì, venerdì e sabato santo, colla dichiarazione di immunità per la sinagoga dalle esecuzioni della giustizia; che non potrebbero tenere nutrici cristiane senza licenza de’ Protettori, ma sarebbe loro concesso avere schiavi, purché non cristiani; che avrebbero potuto comprarsi un campo per seppellire i loro morti ; che non potrebbero introdur libri in città senza permesso dei 400 GIORNALE LIGUSTICO Protettori, e vietati particolarmente i talmudici ed altri, nè comperar quadri od immagini sacre; che invece degli otto reali per capo ogni mese, fissati nel 1636, pagherebbero solo uno scudo d’oro all’anno se stabiliti in Genova; che per segno avrebbero portato un bindello verde; infine che i due Senatori detti gli Eccellentissimi di Palazzo sarebbero i Protettori degli Ebrei, incaricati di far osservare le dette concessioni, durature anni dieci dal primo gennaio 1659, e prorogabili di dieci in dieci anni, con obbligo però al Governo di diffidarle cinque anni prima quando non ne volesse più la continuazione. Quantunque, come ognun vede, questi capitoli non favorissero molto gli Ebrei, e venisse disposto che formassero una categoria di abitanti distinta e separata dagli altri, come volevano le leggi ecclesiastiche, non tralasciarono però di dar luogo ad appunti e reclami. I capitoli furono stampati e diffusi, onde gli Ebrei che qui già si trovavano e quelli che volevano giungervi potessero averne conoscenza ed acconciarvisi. E già si parlava di famiglie che dalla Spagna e da altri luoghi avrebbero qui aperto case di commercio e stabiliti diversi traffici, quando qualche anima eccessivamente pia, che dal legale stabilirsi degli Ebrei fra di noi temeva il finimondo per la Repubblica, fece avere una copia dei concessi capitoli al S. Ufficio di Roma, accompagnata da note ed osservazioni. Sottoposti da quella Inquisizione ad esame, si trovò che vi erano diversi punti lesivi i diritti della religiosa autorità e contrari a’sacri canoni; onde monsignor Vissoni, uno degli assistenti a quel tribunale, ne faceva, a nome di Sua Santità, lagnanza al nostro Residente in quella Corte il magnifico Agostino Franzone, che addi 20 luglio 1658 ne informava il Governo. Gli articoli che più spiacevano a S. S. erano : il primo ove' si prometteva di non molestare gli Ebrei ancorché altrove fossero vissuti da Cristiani, intaccando con ciò l’autorità del Padre giornale ligustico 401 Inquisitole che non avrebbe potuto punirli come apostati; il teizo che permetteva da parte del GovernQ un luogo per il ghetto e per la sinagoga, spettando solo al Pontefice il diritto di questa concessione : il decimo che attribuiva ai Protettori di poter concedere la facoltà di tener nutrici cristiane, auto-uta pure solo propria del Papa; ed il duodecimo che a riguardo dei libii stabiliva ne’ medesimi Protettori, ad esclusione del Padie Inquisitore, il diritto di rivederli e di permetterne la in-tioduzione. Ma quel che più di tutti urtava, era il primo sopì a citato, che dava salvocondotto agli Ebrei ancorché altrove fossero vissuti come Cristiani. Comunicata la lettera ai Collegi, grande fu la commozione che vi produsse; ma incerti sul partito a prendersi, nè volendo con una precipitata risoluzione far cosa pregiudizievole alla dignità della Repubblica o spiacente al Papa, deliberavano una risposta evasiva, nella quale si diceva che non potendo, causa la brevità del tempo per l’imminente partenza del corriere, risolvere la pratica, si riservavano a maturamente esaminarla e provvedervi in soddisfazione di Sua Santità. Poco dopo infatti scrivevano al Franzone proponendo come mezzo di troncare la vertenza, che avrebbero pubblicata una dichiarazione dicente che colla concessione dei capitoli agli Ebrei il Governo non intendeva che restasse fermo estabile se non quello che ai sacri canoni, apostoliche costituzioni, et universali concilii non ripugna, in quella forma che a detti Hebrei è permesso ovunque ne’ stati de’ principi cattolici, ove hanno privilegio di stanziare. Questa dichiarazione non bastò però al S. Padre, il quale mentre affermava di aggradirla quale espressione dei sentimenti della Repubblica, non la giudicava sufficiente ad ovviare agli inconvenienti risultanti da capitoli lesivi della sua autorità e contrarii alle leggi ecclesiastiche, stampati e diffusi fra tutte le nazioni. 402 GIORNALE LIGUSTICO Intanto la Romana Inquisizione rivedeva minutissimamente le bucce ai capitoli medesimi, e trovava, oltre i già fatti appunti, qua e là non poche frasi ed espressioni che non poteva permettere; onde da parte del Papa manifestassi il chiaro ed espresso desiderio che fossero rivocati e sostituiti da altri da concertarsi di comune consenso. Nel quale tanto più si cominciò a star fermi da parte di Roma, quando per ragguagli pervenutile di qui ebbe notizia dell’incertezza che regnava in seno della Signoria, ove erano alcuni che per debolezza di spirito e per timidezza di coscienza si mostravano proclivi ad accondiscendere a quelle pretese, anche a costo di sacrificare la dignità della Repubblica. Per la qual cosa, certo che questa avrebbe ceduto, il Papi?incaricava di comporre la vertenza monsignor Arcivescovo di Genova ed il Padre Inquisitore, ed i Collegi, due del loro numero, che furono gli eccellentissimi Giovan Battista Deferrari ed Agabito Centurione. Ma i nostri si trovavano sopra un falso terreno. E mentre appariva ovvio combinare quasi tutti i punti controversi, il solo che offriva grandissima difficoltà, era il primo articolo, non potendo la Signoria, senza offesa alla sua dignità, ri-vocarlo, mancando cosi alla fede pubblica, e non accontentandosi Roma di una dichiarazione o spiegazione. Invano i nostri delegativi instavano, volendo, a riguardo del salvocondotto per gli Ebrei che altrove fossero vissuti da Cristiani, distinguere quelli che erano in paesi dove l’esercizio della loro religione non era permesso, da quelli che si finsero Cristiani ove senza pericolo potevano rimanere Ebrei, dichiarando perciò intendersi concesso ai primi e negato ai secondi. Invano osservavano che presso molte nazioni cattoliche gli Ebrei, -quantunque altrove vissuti da Cristiani, non erano molestati dall’autorità ecclesiastica, e che questa sopra gli altri punti controversi regolavasi appunto in modo da lasciar le cose come erano indicate nei capitoli in quistione. Chè il Padre GIORNALE LIGUSTICO 403 Inquisitore, ammettendo i fatti accennati, replicava altro es-seie che ciò procedesse per via di tolleranza del potere religioso , altro che per capitoli concessi dal civile, stampati e diffusi. E promettendo che da parte sua avrebbe usato di simile tolleranza, d’ordine di Roma si manteneva irremovibile per la revoca dei medesimi. Le trattative durarono parecchi mesi. Si consultarono legisti e teologi, si proposero espedienti e mezzi termini diversi , finché a farla finita, i Collegi nel gennaio 1659, per compiacere a S. S., ordinarono la estensione di altri capitoli e la revoca di quelli in quistione. Nella nuova compilazione ebbe larga parte il Padre Inquisitore, frate Agostino Cermelli, del quale furono accettate tutte le osservazioni, e la clausola espressa che erano esclusi dal benefizio de’ capitoli gli Ebrei che altrove fossero vissuti da Cristiani, non fatto conto della distinzione voluta dai delegati della Repubblica, avendo però il Padre Inquisitore fatto le più solenni promesse, anche a nome di monsignor Vissoni e di S. S., che nonostante detta clausola, gli Ebrei provenienti di Spagna e di Portogallo, ancorché colà vissuti da Cristiani, non sarebbero stati molestati. Questi capitoli, duraturi per anni dieci come i precedenti, furono approvati il 13 marzo 1659, e comunicati agli Ebrei, coll’assicurazione però "della tolleranza promessa dall’Inquisitore di cui si fece cenno. Combinata così ogni cosa, le famiglie ebree che qui si trovavano si disposero pel loro stabile soggiorno fra noi; ed altre, specialmente di Spagna e di Portogallo, vi giunsero. Il Governo poi con pubbliche gride procurava onde nessuno facesse loro insulto 0 recasse molestie; e ad imitazione di quanto praticavasi altrove provvedeva per l’assegnazione di un ghetto, ossia luoeo dove avessero ad esclusivamente abitare. o Per questo in prima si erano cercate certe case nella con- 404 GIORNALE LIGUSTICO trada del molo, dalla parte della marina, ma poscia per difficoltà insorte, se ne destinarono alcune nella contrada del Campo presso quelle dei Vacherò sul territorio della parrocchia di S. Agnese, in un vicolo quasi rimpetto all’ altro che porta alla chiesa ,di S. Marcellino. Le quali, poiché furono dai Protettori combinati gli affitti con i rispettivi proprietari, vennero circondate da cancelli di ferro, con due soli accessi uno a tramontana e l’altro a mezzogiorno, le chiavi dei quali si consegnarono ai Massari della nazione ebrea, che sotto la loro responsabilità dovevano tenerli chiusi dall’una di notte sino al mattino, onde gli Ebrei non potessero uscirne, nè i Cri-! stiani avervi accesso. Ivi furono ridotte tutte le famiglie degli Ebiei sul finire del 1660; e questo è il primo ghetto di cui si abbia notizia in Genova, e dove gli Ebrei abbiano avuto la loio sinagoga, meno quella già citata nella prima parte di questa memoria nel secolo V a tempi di Teodorico. In quest anno il Governo si trovò impigliato in una vertenza a causa di diversi Ebrei fatti arresfare dal Padre Inquisito! e, della quale non posso tacermi perchè si collega colla osservanza dei capitoli ultimamente combinati, e colle promesse di tolleranza in quell’occasione fatte dall’Inquisitore medesimo. Airivava nel maggio del 1660 nel porto di Genova una -nave nazionale procedente da non so quale città della Spagna, ed a\e\a a bordo assieme ad altri passeggeri, due famiglie di Ebrei molto agiate dirette per Livorno. Sulla stessa trovatasi pure un Padre Domenicano che vi faceva da confessore, ed a cui parecchi di quelli, ai quali rincresceva nel viaggio di essere conosciuti per Ebrei, si confessarono, manifestando ,pero 1 esser loro. Ciò bastò perchè appena giunto in Genova li denunziasse, all Inquisitore, il quale subito si mise in moto per tradurli al suo tribunale. Ma prevedendo che dalla Signoria avrebbe trovato ostacolo ad ottenere man forte, cioè bar- giornale ligustico 405 I " " -—■--------------------------------------- gello e birri, o come chiamavasi il braccio di giustizia, ove avesse palesato trattarsi di Ebrei provenienti di Spagna, usò dell inganno, e cogliendo l’occasione in cui il Senato stava in seduta’col Minor Consiglio, mandò il Padre Maestro a chiederlo del braccio, dicendo, trattarsi di materia grave, e di a-trocissimi delitti contro la santa fede. Il Senato nulla sospettando, occupato com’era in materia di Stato, lo concesse immediatamente , e le due famiglie furono sul bastimento arrestate, ed uomini e donne con alcuni bambinelli lattanti condotti tutti alle carceri del S. Uffizio. Come però la Signoria venne certificata del fatto, ne fu indignatissima. Chiamò immediatamente il Padre Inquisitore ad audiendum verbum, ed il Doge a’ 9 di giugno gli faceva una buona paternale invitandolo a rimediare al mal fatto. Egli vi si rifiutava con cavilli e pretesti dicendo, fra le altre cose, trattarsi non già di Ebrei, ma di cristiani battezzati; onde la cosa minacciava di andar per le lunghe, quando la Signoria avute le prove della sua doppiezza, dalla di lui corrispondenza col S. Uffizio in Roma, giornalmente intercettata per mezzo del magnifico Gio. Pietro Spinola nostro Residente colà, se ne doleva col Pontefice, il quale, contrariamente al parere di alcuni Cardinali, ordinava fossero messi in libertà, i detenuti, e a dar maggior soddisfazione alla Repubblica, rimoveva poscia il P. Cermelli dalla sua carica. Dell’occorso la cittadinanza informata, generale fu il mormorare contro dell’ Inquisitore, ed il disgusto pel suo procedere, che fece apparire il Governo come violatore della fede pubblica. Nè mancarono altri e meno benigni commenti, trovandosi fra gli arrestati qualche giovane donna e di bellissimo aspetto. Ma chi fe’ più triste figura fu il Padre confessore, giacché, come osservava il Governo, gli arrestati 0 erano Ebrei, ed allora, a tenore delle fatte promesse, non potevano essere inquisiti , od erano veramente Cristiani, ed allora la deposizione GIORNALE LIGUSTICO di lui non poteva a meno d’essere criminosa, per aver violato il sigillo della sacramentale confessione. Durante il decennio pel quale erano stati concessi i capitoli del 1659, gli Ebrei, senza contar quelli che si dicevano di passaggio, e vi stavano temporaneamente come forestieri, debberò in discreto numero, ascendendo nel 1662 ad oltre duecento individui, qui domiciliati ed abitanti nel ghetto presso via del Campo o nei dintorni, giacché essendo questo insufficiente a tutti contenerli, i Protettori concedevano licenza a molti e dei più agiati e ragguardevoli, di non abitarvi, dispensandone anche moltissimi dal portare il segno, non senza una grande tolieranza usata dagli ufficiali del Governo, onde, relativamente, gli Ebrei non si trovavano malcontenti della loro condizione. Quello però che più loro dava noia in questo periodo di tempo ed impediva che negozianti ricchi e distinti vi si feimassero stabilmente, era l’obbligo di andare diverse volte all anno alla predica, in seguito agl’inviti dei zelanti predicatori e sulle istanze dell’autorità ecclesiastica. Già sino del 1649 trovo notizie di loro lagnanze per es-seie costretti a ciò, in opposizione alla loro coscienza ed alla libertà del portofranco di cui godevano, e del 1661, del 1662, del 1664 e del 1666 ordini del Senato di andare alla predica m tempo di quaresima alle Vigne od a S. Siro. Quando questo doveva aver luogo se ne spargeva la notizia diverbi giorni prima fra la cittadinanza, la quale vi accorreva numerosa come ad uno spettacolo straordinario. Il Governo mandava alla chiesa buon numero di soldati tedeschi per mantener 1 ordine, e difendere, il più che fosse possibile", gli Ebrei da ogni molestia. I poveretti circondati dalle guardie stavano ridotti i.i una cappella di contro al predicatore, dalla quale erano stati tolti 0 coperti in qualche modo tutti gli emblemi della cristiana religione, ed ivi rimanevano esposti beffe ed alle ingiurie di tutta i’udienza, suscitate talora an- t GIORNALE LIGUSTICO 407 che dalle parole frizzanti dei predicatori; onde più d’una volta la Signoria tu costretta, prima di permettere il sermone, ad ammonirli perchè trattassero gli Ebrei con dolcezza e senza parole offensive. Il più bello poi era finita la predica, quando scortati dai tedeschi uscivano di chiesa. Allora un accorrere, un urtarsi, uno spingersi a vicenda per veder questo e quello, un vociare, un gridìo, finché lasciati dalle guardie ed avviatosi ciascuno pe’ fatti suoi, urli, fischi e schiamazzi, non senza che volassero per aria al loro indirizzo i torsi di cavoli e le tradizionali bucce di limone, ben lieti gli Ebrei se, come qualche volta avveniva, non erano sostituiti da lordure, calcinacci e mattoni. Quali frutti ricavassero i predicatori con sermoni accompagnati da consimili circostanze ognuno se lo può immaginare. Onde i Protettori nel 1666 deliberarono che gli Ebrei non 1 potessero più essere costretti dai predicatori ad andarvi, avocando a sè, sulle costoro domande, il decidere se e come gli Ebrei avessero ad assistere alle prediche. Nè di queste pel resto del decennio e per molto tempo appresso trovasi più notizia; onde è a ritenersi che rimanessero esenti da comparire a così umiliante spettacolo. Intanto il termine dei dieci anni, prefisso ai capitoli, si avvicinava, e grande era il discutere ne’ consigli del Governo, se si dovevano rinnovare, 0 a dirittura licenziare gli Ebrei. Come al solito, diversi erano i pareri; ma infine ne fu decretata l’espulsione, da eseguirsi entro cinque anni, come fu loro intimato per pubblica grida il 25 aprile del 1669. Nel frattempo più vivaci che mai continuavano le discussioni fra i due partiti, di chi li voleva tollerati e di chi espulsi. Speciosissime, oltre le solite accuse di delitti più 0 meno gravi di cui venivano imputati, sono le ragioni che generalmente si esponevano contro gli Ebrei, e la maggior parte iti opposizione ai canoni della più volgare economia commerciale; 4o8 » GIORNALE LIGUSTICO sopra tutte però primeggiavano le religiose considerazioni. Le cronache dell’ordine di S. Francesco, colle solite citazioni delle prediche del B. Bernardino da Feltre, secondo ne scrìve il P. Cimargli, appaiono ad ogni istante come indiscutibile argomento. Altri si appiglia perchè non si levano il cappello quando suona 1 avemaria; altri cita non so quale profezia che predice agli Ebrei la desolazione e l’abbominio per mille seicento quaranta anni, ed altri infine l’essere Maria Vergine Santissima patrona e regina della Repubblica, e potersi essa aver a male dal vedere qui proprio in casa sua e dominio suo i nemici di lei e di suo figlio Gesù Cristo. Parecchi anni si continuò a discutere prò’ e contro; si nominarono commissioni per esaminare a fondo la pratica; e per bilanciare le ragioni da ogni parte avanzate, si fece una specie di giudizio; e poiché fra le corporazioni delle arti, quelli che più facevano guerra agli Ebrei erano i mereiai, i correggiai, i venditori di panno, volgarmente detti pattéri, ed i rigattieri, ; si diede a quelli un avvocato nella persona del cancelliere, il Magnifico Felice Tassorello, onde li difendesse dalle contrarie allegazioni. Alla fine però il buon senso e la ragione si fecero strada e la \ insei o. I due senatori a cui era commessa la pratica, sotto tutti i rapporti dimostrarono insussistenti le accuse dei delitti imputati agli Ebrei, e fecero il più ampio certificato della loro buona condotta in tutti i tempi in cui furono ammessi a qui soggiornare. In seguito a che la Signoria, dopo unghe e contrastate discussioni, revocando la intimazione di s ratto, deliberava di conceder loro nuovo permesso di soggiorno per anni dieci, revocabile però a beneplacito del Governo, con alcune prescrizioni e varianti a’ capitoli circa i modi con cui dovevano regolarsi; fra’ quali non sono a’ tacersi, i obbligo di portare il cappello di color giallo, la proibizione di andare nelle riviere senza permesso, una tassa proporzio- GIORNALE LIGUSTICO 409 naie per capo estensibile a cinque scudi d’argento all’anno, e la predica ogni mese. Ciò succedeva nel settembre del 1674; e poco dopo il ghetto e la sinagoga, che dal 1660 erano stati presso via del Campo, furono trasportati nelle case attigue alla piazza dei Tessitori vicino a S. Agostino, le quali furono perciò, come al solito, chiuse e rinserrate onde non avessero comunicazione colle attigue e coll’ esterno. I cambiamenti fatti ai capitoli peggioravano la condizione degli Ebrei. L’obbligo di andare col cappello giallo li rendeva ridicoli, ed il popolaccio ne prendeva occasione per ischernirli; talora perciò essi vi contravvenivano, ed erano arrestati e multati severamente. Gravosissima la tassa del testatico, e non pochi stentavano a pagarla, ma più d’ogni cosa loro era di peso dover andare alla predica. Per cui, quando nel dicembre del 1675 vi si vollero astringere, il ghetto ne fu sollevato. Molti già avevano imbarcato le loro donne ed i figliuoli, e quasi tutti erano pronti ad abbandonare la città, come certo avrebbero fatto, se la Signoria, col pretesto di salvare gli interessi dei loro creditori, non lo avesse impedito, facendo chiudere le porte del ghetto, e proibendo quindi agli Ebrei lo allontanarsi dalla città. Finché si stabiliva che non più tutti i mesi, ma solo quando i Protettori lo avessero creduto dovessero gli Ebrei andare alla predica. Ed a renderlo men grave, onde non traversassero la città per recarsi a qualche chiesa, si destinava un oratorio detto di S. Crispino, nella via di S. Agostino, vicino al ghetto, appartenente alla corpo-razione dei calzolai, e da molti anni non uffiziato. Il quale, a spese degli Ebrei, ridotto all’uso voluto, spoglio d’ogni distintivo della cristiana religione, accolse per la prima volta l’ebraica comunione alla predica il dì 28 febbraio del 1676. Le cose però non potevano durare così. Molti Ebrei ai quali era duro tal vivere se ne andarono. Quei pochi più ric- 27 4io GIORNALE LIGUSTICO chi che rimasero si facevano esentare dal segno, e consideravano come lettera morta le odiate disposizioni; gli altri miserabili, così maltrattati, erano piuttosto d’impaccio al Governo che altro, onde la proposta di dichiarare finito il beneplacito con tutto il 1679 fu facilmente accolta, decretata e messa in esecuzione. Il ricinto del ghetto pertanto fu distrutto, le case ridotte alla primitiva destinazione, il tutto a spese degli Ebrei, i quali ritornarono alla usata condizione dei personali e temporanei permessi, di più 0 meno lunga durata secondo le persone, e rinnovati talora per diversi anni sino alla concessione di nuovi capitoli. Da questa epoca e per molto tempo appresso la storia degli Ebrei fra di noi non offre alcuno speciale interesse. I capitoli loro accordati nel 1700 per dieci anni e nel 1710 per venti, presso a poco si rassomigliano. Il ghetto, il segno distintivo, la proibizione di tener serve cristiane, sono in tutti accennati. Ma mentre gli Ebrei nel 1707 provvedevano alla costruzione di una sinagoga nelle vicinanze della Mal apaga, nonostante che moltissimo e per lunghi anni se ne sia parlato, nonostante i diversi progetti presentati per il ghetto da farsi di bel nuovo, ora in piazza dei Tessitori, ora sul Colle presso la chiesa della Madre di Dio, ora dal molo, ora in piazza dell’Olmo, o per un motivo 0 per un altro, non si venne mai a conclusione alcuna, e non fu mai più eseguito. Al segnale del cappello giallo trovasi sostituito un nastro giallo da portarsi sul petto; ed in quanto alle prediche, dopo quella citata nell oratorio di S. Crispino, non se ne ha più notizia, nè credo vi siano mai più stati obbligati gli Ebrei, benché non poche sollecitazioni di ecclesiastici pervenissero al Go\ erno. Chi si mostrava più zelante in questo erano gli E-brei convertiti al cristianesimo e divenuti religiosi; i quali a-nimati da santo zelo volevano ad ogni costo convertire i loro GIORNALE LIGUSTICO 411 antichi correligionari. Di costoro accennerò due domande: la prima colla data del 1715 di Luigi Pisoni, già Ebreo gerosolimitano e rabbino, da venti e più anni convertito, e predicatore, 1 altra del dottor Paolo Medici, che del 1725 faceva il quaresimale in S. Lorenzo, anch’egli Ebreo convertito, ed autore di un’operetta sopra i riti ed i costumi degli Ebrei, che anche a di nostri ebbe l’onore di parecchie edizioni. Ma le loro istanze riuscirono senza frutto, chè il Governo non volle mai più sapere di prediche per gli Ebrei. L inosservanza di tutte queste prescrizioni volute dalle leggi ecclesiastiche dava luogo a continui reclami della religiosa autorità e delle persone divote; onde di bel nuovo nel 1732 si trattò di revocare i capitoli, come in fine, dopo molti intrighi e maneggi, fu fatto sui primordi del 1737, intimando agli Ebrei di lasciare la città entro sei anni. Ciò per altro fu il preludio di un miglior trattamento per essi; chè sbarazzatasi la città degli Ebrei più poveri, i ricchi ottennero, come sempre, il permesso di rimanervi, finché nel 1751 vennero sanciti loro de’ nuovi capitoli, i quali, avuta considerazione all’epoca sono liberalissimi, non facendovisi parola nè di prediche, nè di ghetto, nè di segno. Considerazioni commerciali avevano spinto il Governo a far questo-, avendo per esperienza conosciuto come i ricchi commercianti Ebrei avrebbero sempre preferito Livorno, ove godevano estesissimi privilegi, a Genova se questa non facilitava nelle concessioni. I nuovi capitoli furono stampati nel 1752, e diffusi per le piazze commerciali onde attirar qui gli Ebrei, la notizia degli stessi non tardò a giungere alla Corte di Roma. Benedetto XIV allora regnante, non vedendovi nominata alcuna delle prescrizioni volute dalle leggi ecclesiastiche, delle quali ripetutamente ho fatto cenno, ne fu molto indignato’; e per mezzo del cardinal Valenti in lettere al nostro Residente colà, il Magnifico 412 GIORNALE LIGUSTICO Agostino Spinola, in un Breve diretto al nostro Arcivescovo per alcune indulgenze, ed in un colloquio avuto col Padre Luigi Centurione della Compagnia di Gesù, che era andato ad ossequiarla, Sua Santità lamentossi acerbamente della Repubblica perchè aveva concesso i capitoli senza concertarli coll’autorità religiosa, e manifestò il desiderio di vederli revocati. Saputa la cosa dalla Signoria, sollecitamente fece giungere a S. S. l’espressione de’ suoi sentimenti religiosi, e dell’ intenzione di non aver mai voluto offendere i diritti dell’autorità religiosa, e simili generiche espressioni; ma nello stesso tempo stava risoluta a non rivocare i capitoli, come cosa contraria alla sua dignità, non volendo nemmeno udir parola di averlo fatto nel 1659. Fedele poi alla massima che dice piglia tempo e camperai, andava temporeggiando nelle decisioni; onde il Pontefice minacciava di porre all’indice i contrastati capitoli, quando il P. Centurione cogliendo l’occasione di non so qual parola fattagli dal Papa, gli insinuò destramente che porgesse egli stesso in iscritto quanto credeva conveniente di notare sui medesimi, offrendosi di far avere le osservazioni di S. S. come cosa propria, e per mezzo di Agostino Lomellini suo nipote, alla Repubblica. Piacque la cosa al Pontefice ed alla Signoria; per cui tutte le trattative passarono privatamente fra il Papa ed il Padre Gesuita, tenendosi la corrispondenza fra questi e la Repubblica dal Lomellini suddetto. Moltissime erano le osservazioni fatte da S. S. ai capitoli, confortate dall’autorità dei sacri canoni e delle costituzioni dei Sommi Pontefici. Come tutti sanno, Benedetto XIV era uomo molto dotto, valentissimo in diritto canonico; e posta la questione sopra questo terreno la Repubblica naturalmente non poteva che essere vinta. Si valse perciò dell’astuzia, e dando ad ogni punto controverso vaghe promesse, pronte evasioni, e convenienti spie- GIORNALE LIGUSTICO 413 gazioni sul modo con cui intendeva che i capitoli fossero interpretati ed applicati, ottenne il suo intento. Sua Santità, persuasa dalle belle parole del Padre Gesuita, il quale con ogni mezzo si insinuava nel di lei animo, recedette dal primiero proposito di voler revocati i capitoli, ed accontentossi di una privata dichiarazione che la Repubblica li avrebbe interpretati ed intendeva applicarli nei modi espressi dal P. Centurione al Pontefice. E cosi sullo scorcio del 1752 ebbe fine la vertenza; ed il maggior merito ne spetta al P. Gesuita suddetto, che mostrossi veramente in questa circostanza un abilissimo diplomatico ed un buon cittadino, zelante dell’onore e della dignità della sua patria. Dopo questa nessuna cosa d’importanza si può più segnare a riguardo degli Ebrei. Di un fatto però piuttosto grave e spiacente, cagionato dalla superstizione, venuto in luce nel 1756, non posso a meno di parlare, tanto più che ha una qualche somiglianza con quello del fanciullo Mortara occorso alcun anni addietro in Roma, e che fece tanto rumore. Correva allora fra il volgo, e forse non è sradicata affatto, la falsa credenza, che chi battezzava un Ebreo assicurava alla propria anima la gloria del paradiso; onde una donnicciuola impiegata come fantesca nella casa di un dovizioso negoziante qui da antico stabilito, certo Moise Foa, amministrava il battesimo ad una costui primogenita allora in età tenerissima. Nessuno per diversi anni seppe del fatto, finché la donna non lo palesava all’ Arcivescovo ; il quale fatto certo che il sacramento era stato amministrato colle formule volute, fece istanze al Governo per aver assistenza, affinchè la ragazza fosse tolta ai parenti ed allevata nella religione cristiana. Rincrebbe'grandemente tal cosa al Governo; ma conoscendo, anche dietro il consulto de’ suoi teologi, che non poteva rifiutarsi, aderì alla richiesta, e d’ordine degli Inquisitori di Stato a’ 12 di giugno del 1756 la bambina (era allora in età 4i4 GIORNALE LIGUSTICO di quattro anni), mentre accompagnata da un paggetto si trovava a diporto per la città, fu dal bargello rapita, e collocata presso una dama delle più ragguardevoli, la magnifica Teresa Pallavicini-Spinola, che presesi cura di farla istruire nella cristiana religione. Non è a dire se i poveri genitori se ne addolorassero. Il padre desolato fece suppliche e ricorsi senza fine per riavere sua figlia, dando le più ampie assicurazioni e promesse di restituirla a quattordici anni, onde fosse libera di scegliere a quale delle due religioni volesse appartenere. Invano; chè la ragione ecclesiastica è inesorabile a tale riguardo, anche urtando i principii della natura, e la fanciulla non fu più restituita. Ammaestrata nei rudimenti della religione cristiana, dopo qualche tempo era condotta in Duomo, ove da monsignor Arcivescovo in persona si suppliva alle sacre cerimonie del battesimo, con gran pompa e solennità e molto concorso di popolo. Questa sacra funzione, alla quale si volle dare troppa pubblicità, fece un pessimo effetto sugli animi del volgo, il quale la considero come un’approvazione dell’operato dalla donna che aveva amministrato il battesimo; ed avvalorandosi la falsa credenza di far opera buona conferendolo in tal modo a’ bambini Ebrei, si andava incontro a gravi inconvenienti. Onde il Governo seriamente pensava a paralizzarne la mala impressione; e si convenne, che oltre ad altre pubblicazioni, mi-glioi mezzo non vi sarebbe, di una circolare dell’Arcivescovo diretta a sradicare l’errore in cui sono coloro £he battezzando bambini Ebrei credono salvare l’anima propria. Monsignor Saporiti aderì sinceramente e lealmente alla proposta, e poiché una prima redazione della pastorale non era piaciuta alla Signoria per alcune considerazioni, che ora è inutile enumerare, ne compilò una seconda che approvata nel luglio del 1757 fù diffusa per la diocesi. GIORNALE LIGUSTICO 415 Gli Ebrei però intorno a questi tempi erano piuttosto pochi in Genova, attesa la grande concorrenza che vi faceva Livorno, ove i Granduchi di Toscana li ebbero sempre favoriti di molti p ; ilegi. Sul cadere del secolo crebbero alquanto di numero, e vi presero stanza case commerciali ricchissime e di molta importanza. Ma, come che confusi col resto de'’ cittadini, gli Ebrei diedero raramente occasione a che alcuno si occupasse di loro, meno qualche raro caso di intolleranza, particolarmente al giovedì santo, andando a battere alle loro porte, uso che fra ragazzi del volgo continuò, quantunque ridotto a minime proporzioni, sino ai dì nostri. I rivolgimenti avvenuti in prima sulla fine del secolo XVIII, e poscia dal 1847 in appresso, che fecero cambiare totalmente la faccia all’Europa sia sotto il punto di vista politico, come nell’economico e sociale, completarono la emancipazione degli Ebrei presso tutte le nazioni colte e civili. Le quali ebbero la soddisfazione di veder sanzionata la loro opera dalla veneranda autorità del Sommo Pontefice Pio IX, che nel 1847 atterrò le mura del ghetto e mise fine alla secolare schiavitù degli Ebrei in Roma. E per la sua iniziativa un’immensa fa-raggine di costituzioni apostoliche, di canoni conciliari, di responsi pontificii e d’altre ecclesiastiche disposizioni che servirono per tanto tempo come punto di partenza di quanto si operava contro gli Ebrei, fu nella capitale istessa dell’orbe cattolico posta nel dimenticatoio, d’onde, speriamo, non verrà mai più tratta in luce, purché non sia a fine di cavarne documenti per servire alla storia delle umane aberrazioni. \ 4x6 GIORNALE LIGUSTICO XIV. XVII. Sezione di Archeologia. Tornate del 17 e 26 Maggio 1876. Presidenza del Preside avv. Pier Costantino Remondini. Il Preside che già nell’ anno decorso aveva cominciato a porgere un saggio della musica genovese più antica, e fatte sentire le canzoni di frate Giovanni da Genova, ponendole a confronto d’altre composizioni contemporanee al citato musicista (1), ne offerse in quest’anno un secondo e più ampio, tenendo la seduta del 17 maggio nella bella ed armonica Sala Sivori, la quale brillò di numerosa, colta e simpatica udienza. Ed anche in questa volta, frammiste alle nostrali, si udirono diverse composizioni non genovesi a guisa di confronto, come risulta dal seguente prospetto : a) Canto carnascialesco del secolo XV, a 3 voci, d’autore ignoto, pubblicato da Adriano De la Fage; da un codice ms. della Biblioteca Magliabecchiana di Firenze. b) Canzone a voce sola di Carlo duca d’Orléans (1415); da un ms. della Biblioteca Nazionale di Parigi, pubblicata da J. B. Wekerlin. c) Libera me Domine (versione francese), canto assolo estratto dal Thesaurus harmonicus divini Laurencini Romani — Colonia, 1603 — esistente nella Biblioteca della R. Università di Genova. d) RJcercare di Francesco da Milano e Passemezo di Jacomo Gorzanis, tratti da alcuni Libri d’intavolatura di liuto esistenti nella Biblioteca della R. Università (1534-63) ; eseguiti sopra un arciliuto costrutto in Genova da Michele Zelas alla Stella, 1’ anno 1656. c) « Mi parto, ahi sorte ria », Villanella a 3 voci del cefi) Ved. il Giornale del 1875, pag. 438. GIORNALE LIGUSTICO 417 lebre Luca Marenzio, estratta dal Thesaurus harmonicus divini Laurencini Romani. f) Villanella d’autore ignoto, con accompagnamento d’ar-ciliuto, cavata dallo stesso Thesaurus 1 g) « Mi piace stare in vita », Madrigale a 4 voci di G. B. Dalla Gostena, allievo di Filippo De Monte e maestro di cappella del duomo di Genova; dal suo Trimo libro di Madrigali a 4 voci — Venezia, Gardano, 1582. h) Toccata del 2° tono per organo, composta da Gioseffo Guami da Lucca, maestro di cappella del principe Gian Andrea D’Oria I (1585), tradotta da un ms. dell’epoca in intavolatura tedesca, e appartenente a un illustre patrizio genovese. i) ^Adoramus te Christe, antifona a 4 voci virili di Vincenzo Ruffo da Verona, maestro di cappella del principe Andrea D’Oria il Grande (1545); estratta dal vol. I della Musica divina del can. Proske di Ratisbona. h) « Vezzosi augelli », Madrigale a 3 voci di Simone Molinaro, allievo e nipote di G. B. Dalla Gostena e maestro di cappella nel duomo di Genova (1617) ; estratto dal People’s Music Book — Londra, 1853. I) ‘Bergamasca di G. B. Bésard, dal Thésaurus harmonicus etc., eseguita sopra una mandòra del secolo XVII, accompagnata dall’ arciliuto. m) L’amour au moi de mai, Canzone a voce sola di J. Le-fèvre (1613); dall’ Echo du temps passé di J. B. Wekerlin. n) Madrigale alla zmoese di Vincenzo Ruffo, in dialetto dell’ epoca, con lievi sostituzioni di parole; dal suo Ter^o libro di Madrigali a 4 voci — Venezia, Gardano, 1560. Come appunto rilevasi da quest» prospetto, provvide il Preside che il saggio si conducesse fino al punto in cui comincia a far capolino l’accordo di 7.® di dominante, che caratterizza la moderna tonalità. Onde i due già fatti esperimenti 4iS GIORNALE LIGUSTICO si legherebbero tra sè e con un terzo, che si darà nell’anno prossimo: cioè l’Opera in musica della seconda metà del secolo XVII. Volle inoltre il Preside aggiungere una piccola, ma curiosa esposizione di strumenti antichi : un cembalo del celebre Transuntino del 1560, tutto ornato ad oro e colori, liberalmente comunicato dal socio cav. Federico Mylius ; l’arciliuto del predetto Zelas ed una cornamusa in avorio intagliato, con borsa di seta, per graziosa concessione del loro proprietario il march. Giuseppe Centurione ; una mandòla ed un mandolino di elegante materia e lavoro, posti a disposizione della Sezione dai soci cav. G. B. Villa e cav. avv. Tito Franchi. Lo spazio non ci consente di spendere molte parole a lodare gli egregi esecutori della musica di cui si tratta: le signore dilettanti marchesa Giovannina Piuma ed Elena Sciallero-Carbone, che spiegarono una magnifica voce di soprano la prima, di contralto la seconda, e insieme una squisita intelligenza musicale; il signor Giuseppe Rombo che piacque moltissimo nella Villanella —« « Mi parto ahi sorte ria » — e per la musica e per 1’ esecuzione. Meritano del pari di essere encomiati i professori cantanti Barabino, Giorgi, Firpo e Romanelli; e quest’ultimo in ispecie, che zelò il buon esito della tornata: il prof. Capurro che in brevi giorni studiò e benissimo interpretò l’arciliuto, e il prof. Domenico Valle che, diretto dal Capurro, ben maneggiò la mandòra nella graziosa ‘Bergamasca. Il maestro Bozzano eseguendo sovra un perfetto armonium dell’ avv. Remondini la Toccata del Guami, ci fece rivivere a quei tempi antichi, e riudire una musica calma, legata, variamente intrecciata, squisitamente sentita, che ricerca le più intime fibre del cuore senza violenza di strappi, come senza il sonnifero de’ papaveri. Nè dimenticheremo al certo il bravo maestro Giuseppe Valle, appassionato per la scienza musicale, e che in questo secondo come nel primo esperi- giornale ligustico 419 mento ebbe le principali parti nella direzione e nella riuscita del difficile compito. . Di tutto ciò e dell’ordine delle.singole cose trattate nella arata seduta parlarono con lode tutti i giornali di Genova, e alcuni corrispondenti di qui ad altri periodici musicali d’Italia. A noi basta il dire che la soddisfazione dei presenti fu intera, dei soci come degli invitati, segnatamente dei musicisti che accorsero al nuovo e singolare spettacolo; e se ne levò un generale desiderio non solo dell’annunziato terzo sperimento, ma e della ripetizione di quelli dati ora e nello scorso anno. Aggiungeremo soltanto che il dotto maestro cav. Gaetano Gaspari, si rallegrò singolarmente per l’annunzio di un tentativo che egli non isperava potesse esser fatto in Italia ; e che prosegui con ogni sorta d’incoraggiamenti ed offerte di musica antica. Noteremo anzi che gli Accademici del Conserva-torio musicale di Bologna, desiderosi, anch’essi d’introdurre cotali saggi, sarebbero volontieri intervenuti al nostro se non 1’ avessero impedito circostanze involontarie. Fece eziandio il Preside acconciamente precedere al saggio una breve Introduzione'sulla musica in Genova nel secolo XVI e nei primi anni del XVII; e quindi in più ampia guisa ne discorse nella tornata del 26, in cui il signor Rombo ripetè cortesemente la Villanella, e il prof. Valle esegui di bel nuovo la ‘Bergamasca, congiuntamente al Ricercare e T assenterò che nella tornata anteriore, per un lieve guasto sopraggiunto al-1’ arciliuto, s’ era dovuto eseguire sopra un più moderno strumento. Non è qui il caso di riassumere le cose dette dal Remon-dini, giacché il suo lavoro sarà pubblicato per intero negli Consiglieri » (ij. » Benedetto Moneglia ) (i) Intendi Console e Consiglieri della Nazione genovese in Anversa. Arch. cit., Litterarum cit. donde sono eziandio tratti tutti i documenti che seguono, fuor solo la risposta che trovasi nelle citate Minute. giornale ligustico 447 Alla quale rispondevano cosi : « Duce et Governatori etc. » Mag.co et diletti nostri. M. Pietro Brizari è stato da noi et ci ha presentato il libro delle historié et annali da lui fatti in lingua latina; ma per essere il detto libro longo et per solecitare lui la sua espeditione non havendo potuto farlo vedere come conviene non si è fatto rissolutione alcuna, se non che se li sono fatti dare certi denari per le spese del viagio. Veduto che sia il libro vi scriveremo ciò che ci occorrerà; frà tanto per havere dimostrato si bono animo verso la Republica non mancherete di favorirlo et di beneficarlo venendo l’occasione. Di Genova il vi di maggio 1579 ». Questa risposta dimostra chiaramente come il Governo avesse in animo di riconoscere con qualche donativo 1’ autore, on-d’ egli con sensi di gratitudine ed insieme perchè ne restasse viva la ricordanza scriveva la lettera che qui riferisco : « Eccl.mo et 111."1' Signor Duce et Governatori della Eccelsa Repubblica di Genova. » Dalla lettera di V. Eccl.za et V. S.ne Ill.me scritta alla Nation Genoese residente in Anversa, ho preso fermissima speranza, che un giorno sia per gustare, almeno in qualche parte, il frutto di quella gratitudine, che meritamente si deve sperare, et aspettare da una tanta Repubblica da quelli, che 0 per valor militare, 0 per chiarezza d’ingegno le hanno mostrato qualche fedel servitù et osservanza. Et benché la virtù ha se stessa il vero premio et guiderdone d’ ogni fatiga, e gli animi generosi nelle loro honorate attioni non habbiano altra mira, nè bersaglio, che la gloria, nondimeno se da Principi e Repubbliche segue alla giornata effetto alcuno di ricompensa, essi tanto più s’infiammano a raddoppiare il pregio delle lor lodi con nuovi accrescimenti de’ fatti gloriosi et imortali, per i quali in un medesmo tempo quelli, ne’ quali è conferito il benefìtio, tanto maggiormente se li ren- 448 GIORNALE LIGUSTICO dono obligati, e a se stessi partoriscono fama più inclita et più perpetua. Io tra tanto a V. Eccl.za et Sig.ric Ill.rae con debita riverenza offerendo humilissiinamente ogni mia servitu, prego N. S. Iddio a conservarle in ogni felicita, et me parimente nella lor buona gratia. D’Anversa li xx Giugno 1579. ;> Di V. Eccl.za et Sig.rie 111.™ » Perpetuo et humil.m0 Servitore » Pietro Bizari ». Ma ben tre anni passarono senza che dalla Repubblica si tenesse la parola, e fosse presa deliberazione; ond io sospetto siano stati distolti i governanti dal concedere un qualche dono, 0 dalle rimostranze di Roma, sebbene manchino le prove per affermarlo, 0 dalla lettera accusatrice del Foglietta; fatto è che nel febbraio del 1582 il Bizaro nuovamento scriveva: « Serenissimo Principe et ili."11 Signori Governatori » Non dubito punto, che et V. Ser.tA et cotesto Ill.m0 et Ecel.,no Collegio sia pienamente informato delle mie continue grandissime fatighe et sudori impiegati nel pregio et dignità dell’eccelsa et gloriosissima Repubblica Genoese, et così parimente della gratitudine promessami in una lettera scritta alla sua nobilissima Natione sedente qui in Anversa. Hor io, di questa sì amorevole offerta et promessa gratitudine sin qui non ho havuto altro che parole, delle quali però ho fatto sempre grandissima stima, venendo da una tale et tanta Repubblica, et ho havuto fermissima speranza, che un giorno ella si sarebbe adempita con gli effetti. Et benché ne habbia scritto alli Ser.mi Predecessori di V. Ser.tà et a essa Ser.ma Repubblica, et con ogni humiltà et debita riverenza rinnovato la memoria di essa benignità et promessa munificentia, nondimeno sin qui il mio negotio si ritrova ne’ medesimi termini di prima, et pure va hormai per tre anni, da chè mi fu data occasione di tal speranza. Nel quale spatio di tempo son stato fieramente assalito da gravissime indispositioni, di GIORNALE LIGUSTICO 449 maniera eh’ io pensava già lungo tempo fa esser gionto al fatai corso prefissomi dalla divina et celeste providenza, a la quale sua mercè, per anchor piace riservarmi in vita, per illustrar più, quanto si può dalle mie debil forze, la sua immensa gloria, et condurre a fine la grand’.Opra delle cose Persiane, da me, alquanti anni sono cominciata, et dopo finalmente ritessuta, et condotta hormai tanto avanti, con la Dio gratia, che fra dui mesi ella s’incomincierà a dare in luce (i), nella quale non mancarò di lasciare amplissimo testimonio della mia humilissima servitù et perpetua osservanza verso di V. Ser.tà della inclita et IU.ma Republica et insieme di tutto il potentissimo et gloriosissimo Dominio, pregando 1’ Altissimo Signor Iddio a conservarlo insieme con Y. Ser.ta et Ill.ma Republica, eternamente in ogni lieto prospero et felice stato. D’Anversa li xvm Febraio 1582. Di V. Ser.tA et Ill.m Signorie » Humilis.mo Servitore » Pietro Bizari ». H questo 1’ ultimo documento da me trovato dell’ istorico nostro, nè sortii scoprire se approdasse a buon fine; forse non ebbe neppure riscontro essendo molto comodo in certe circostanze il tacere, costume del resto adoperato più volte dalla Repubblica, e allora e in ogni tempo da tutti i Governi. Chiudendo finalmente la presente comunicazione di documenti inediti, piacemi dichiarare che mal si apporrebbe chi volesse notarmi di poca reverenza verso uno dei più eleganti nostri letterati qual fu il Foglietta; io so nella misura della mia scarsa intelligenza pregiare 1’ ingegno dovunque si trovi, ma sono ben lungi da quella idolatria che non permette discernere i difetti e giudicarli con severità. Le mie osservazioni (1) Uscì in fatti in Anversa nel 1583 col titolo: Persicarum rerum historia in XII libros descripta. 450 GIORNALE LIGUSTICO sono più tosto volte a porre in luce il carattere dello scrittore che a sindacarne le opere, e la mia critica su queste riguarda specialmente la sostanza, la forma non mai; della quale, dico schietto, io sono poco amorevole quando non s’unisce alla prima, il perchè ho in conto di leziose seccaggini e di stupendi sonniferi quelle lucubrazioni adorne di belle e ben tornite frasi, ma vuote afflitto di pratica utilità (i). XX. Sezione di Belle Arti. Tornata del 23 Giugno 1876. Presidenza del Preside cav. prof. Federigo Alizeri. Il Preside, togliendone 1’ opportunità dalle Considerazioni di cui diede lettura il socio Franciosi, intorno l’antico paragone fra Michelangelo e Dante, invita la Sezione a discutere l’importante argomento. E cominciando ei medesimo, espone doversi quanto più si possa entrar da presso nell’ animo di que’ grandissimi, e interrogare i casi e le cagioni di loro celebrità. Michelangelo essere uscito in grido sul primo entrare nel campo dell’ arte, e aver vinti gli artefici passati co’ suoi esempi, da che in lui operava non solamente la grandezza dello spirito, ina la novità della forma. Dante, piacendo infinitamente, rimane però solitario nella propria altezza, da che in lui nuova è non pure la forma, ma la sostanza del concetto. Da questo anzi trae principio la grandezza dell’ Alighieri, per richiamare la forma; nel Buonarroti si. comincia (1) Sono però anch’io del parere dell’illustre critico Francesco ,De-Sanctis che dallo estrarre il fondo dalla forma ha preso radice quel divorzio delle lettere e delle sciente che ci dà spesso scienziati barbari che guardando al fondo trascurano la forma, 0 letterati vuoti de’ quali si può dire pulchra species sed cerebrum non habent (Saggi Critici, pag. 295). GIORNALE LIGUSTICO 45 1 da questa, collegandovisi poscia lo spirito e la potenza del pensiero. Il Presidente comm. Crocco è d’ avviso che non possa affermarsi aver Michelangelo espressi sempre con fierezza anche i soggetti gentili; e ne appella in testimoni l’Angelo presso l’Arca di san Domenico in Bologna, e l’Adamo dipinto nella volta della Sistina. Il Vice-Preside cav. Isola, riguardando la questione anche da un altro lato, rileva nuova e importantissima cagione di differenza anche questa: che all’immaginazione del poeta si consente spaziare un campo la cui vastità è ognor contesa all’ artista, massime nelle rappresentazioni d’ alcun fatto isto-rico. Potranno entrambi trovarsi a contatto nell’ allegoria; e per vero Michelangelo ritrasse nel Giudizio Universale tai concetti, i quali col magistero e la potenza del verso non avrebbe espressi altri che Dante. Finalmente il Preside, recando nuovi argomenti concluder sola competere a Dante l’universalità nel concepire, nell’ ideare, nell’ esprimere. XXI. XXII. Assemblea Generale. Tornate del 25 Giugno e 2 Luglio 1876. Presidenza del Presidente comm. Antonio Crocco. Dovendosi procedere a norma dello Statuto alla rinnovazione parziale dell’ufficio di Presidenza, i soci Crocco, Bei-grano, Sanguineti Angelo e Staglieno sono confermati nella carica di Presidente, Segretario e Vice-Segretario Generale, e Tesoriere; ed i soci Francesco Podestà e G. B. Pisano sono anch’ essi confermati nell’ ufficio di Consiglieri. Il cav. Desi-moni è nominato Vice-Presidente, e sono eletti nuovi Consiglieri i soci Grassi, Spinola e dott. Beretta. Sono del pari eletti parecchi soci effettivi. 452 GIORNALE LIGUSTICO Il socio Belgrano richiama 1’ attenzione dei colleghi sopra un fatto di molta importanza quale è quello del prezioso dono fatto da S. M. l’imperatore e Re d’Austria-Ungheria all’on. deputato Quintino Sella, del famoso Codice Malabaila del Comune d’Asti, perchè venga rimesso nell’Archivio del Comune medesimo. Questo atto dell’ imperiale munificenza spera il Belgrano che possa valere di esempio alla Francia, e muoverla ad una consimile donazione, rispetto al celebre codice degli Annali Genovesi di Caffaro e de’ suoi continuatori fino a Jacopo D’Oria, che sta nella Nazionale di Parigi. Riferendosi in ispecie alle cose narrate dal compianto collega avv. Ansaldo nel primo tomo degli Atti, ricordali Belgrano come il Codice si conservi a Parigi in conseguenza di una violenta spogliazione, patita dalla Repubblica di Genova per opera del maresciallo Bucicaldo, che in nome del Re di Francia la governava nei primi anni del secolo XV ; dice che se il Libro d’Asti è tuttavia inedito, gli Annali Genovesi essendo stampati da più anni con sufficiente diligenza nel tomo XVIII dei Monumenta Germaniae Historica del Pertz, il Codice sembrerebbe oggidì d’interesse locale, e degno di essere custodito più che in altro luogo qualsiasi nell’archivio della Repubblica Genovese ; avverte infine che sarebbe pure un bel fatto quello di solennizzare col suo ritorno in Italia il nono centenario dalla nascita del nostro primo Annalista che viene fissata al 1080. Propone perciò che l’Assemblea voglia dare incarico al Presidente di esprimere questo voto al Consiglio Municipale, eccitandolo a rivolgersi al Ministero per ottenere dalla Francia con sì fatta restituzione un nuovo pegno della sua amicizia verso l’Italia. Aperta la discussione sulla proposta parlano a fine di appoggiarla, con nuovi rilievi, i soci cav. Isola, Giuliani, Paolo Emilio Bensa, P. Rossi e can.C0 Grassi; il quale ultimo j per la parte attiva che allora vi prese, fornisce eziandio GIORNALE LIGUSTICO 453 importanti spiegazioni sulle pratiche tenutesi parecchi anni addietro a mezzo del march. Antonio Brignole-Sale ambasciatore di Sardegna a Parigi, per avere il Codice, almeno a titolo di prestito, in Genova, allo scopo di giovarsene nella progettata edizione degli Annali da eseguirsi nella nostra città. Conferma che il Codice fu asportato da Genova dal, Bucicaldo ; ma soggiunge che non venne allora egualmente in dominio del Governo di Francia ; essendosi constatato per documenti che la Nazionale Parigina ne entrò in possesso per compra fattane soltanto nel secolo scorso. Replicano i soci Bensa e Belgrano che sebbene le particolarità enunciate sieno di grande momento, pure sta sempre il fatto della violenza patita da Genova; nè debbono esse rattenerci dal muovere la domanda. 11 Codice d’Asti era ancora nella Biblioteca dei Reali di Savoia correndo il 1667, nè capitò agli Archivi Imperiali di Vienna che assai più tardi, e forse per titolo di legittima compra; ma queste considerazioni non rattennero punto l’imperatore Francesco Giuseppe dal compiere l’atto lodatissimo di sua munificenza. Torna dunque il Belgrano ad esprimere la fiducia che la Francia sia per imitarlo. L’Assemblea delibera che la Presidenza abbia da redigere un Indirizzo al Municipio nel senso della proposta Belgrano, e si riserva di approvarlo a suo tempo innanzi che ne venga fatta la spedizione. Nella tornata del 2 luglio, dopo la nomina di ventiquattro nuovi soci effettivi, il Presidente legge una Commemorazione di Gino Capponi. Deplora la morte dell’ illustre Fiorentino come un lutto d’Italia; e considera che la perdita del venerando vecchio, benché vissuto sino all’ età di 84 anni « parve immatura a tutti che erano in grado di apprezzare in lui l’uomo infaticabile nel beneficare, promotore intelligente de’ più vividi ingegni dell’età nostra, lo scrittore filosofo, 454 GIORNALE LIGUSTICO esempio vero di cristiano e di cittadino ». Toccando poi « delle speciali benemerenze eh’ egli pel corso di molti anni acquistò verso gli studi storici », enumera i lavori ai quali diede opera sapiente od anche offerse opportunità; e rileva quanto sia stato giustamente detto del Caponi, « che nella pensata brevità de’ suoi scritti è sempre il risultamelo di lunghe e faticose ricerche; ond’è eh’egli sembra spesso appagarsi di porgere la conclusione degli arguti suoi raziocinii in una frase, talora in una parola che costringendo a meditare, riesce di gran lunga più profittevole che non sono le prolungate disquisizioni ». Ragiona della Storia della Repubblica fiorentina alla quale attese come a lavoro di predilezione; e si accorda nella sentenza del Gelli, il quale scrisse che quella Storia riassume gli studi e gli affetti di tutta una vita. Prestò eziandio nello intero corso dell’ opera sua testimonianza coraggiosa ed aperta del culto eh’ egli professò ognora ai Veri divini; e da questo culto nonché dalle sublimi tradizioni della scuola filosofica italiana, « derivò a Gino Capponi quella morale dignità della vita che in lui ammiravano gli italiani commossi e presi di venerazione a quelle maestose sembianze, a quella vena inesausta di eloquio lucido da cui il pensiero emergeva sfavillante e sereno; talché di lui fu scritto: Tarlò sereno in secolo confuso ». Ricorda per ultimo il comm. Crocco la benevolenza ed il favore coi quali il Capponi « sempre sollecito aiutatore delle opere che intendono a vera civiltà, riguardò e- incoraggiò la Società Ligure di Storia Patria fino da’ suoi primordi » ; e conclude recandone in documento una lettera a lui diretta, onde reputa grato e doveroso il far dono alla Società medesima. Ecco la lettera: « Treg.mo Signore, » Ricevo il Diploma eh’ io debbo in gran parte sicuramente alla benevolenza sua. Renda Ella per me grazie a cotesta II- GIORNALE LIGUSTICO 455 lustre e benemerita Società, com’ io le rendo a Lei sincerissime. Io pure avrei voluto portare il mio sassolino a questa opera della Storia d’Italia che pur bisogna raccorre a pezzi : avrei voluto quel che non ho fatto; il fatto essendo troppo meschina cosa, e me ne duole. Genova è campo dei più ricchi e meno esplorati : loro Signori mi pare che abbiano pigliato la via, e se ne può attendere del grande. Io bado a queste più che ad altre cose, e aspetto l’Italia da questo concerto e dal concorso di fatiche gravi più che di ciarle ventose. Dissi che aspetto come se a me 1’ aspettare fosse dato ; ma dico che spero 1’ opera compiuta, quella cioè che vuole farsi dentro noi medesimi e che è ogni cosa. Di nuovo ancora le rendo grazie, Egregio Signore, che tanto mi è caro d’aver personalmente conosciuto, come tra quei pochi che sono conforto a ripensare di loro. » Si ricordi Ella pure di me con quella schietta sua bontà e cordialmente mi creda sempre » Firenze, 4 Marzo 1862. » Suo Dev.mo ed Obb.mo » Gino Capponi ». A questa Commemorazione, succede quella di Luigi Franchini dettata dal Vice-Presidente cav. Desimoni. « La Società nostra nel breve giro di questi ultimi anni ha sofferto lutti veramente gravi. Non era ancor mitigato il dolore per la morte dell’avv. Gaetano Avignone, che si riapre la tomba ad accogliere un altro de’ Numismatici che alla Società recavano e grande onore e grandi servigi. Il signor Luigi Franchini mancò a’ suoi e agli amici quasi d’improvviso il •giorno 20 dello scorso febbraio. » Egli fu uno dei primi a dare il nome al nascente nostro Istituto; ne fu membro dell’ Uffizio di Presidenza più volte e questo anno stesso; e porse spontanea ed efficace la sua cooperazione per allargare il cerchio delle corrispondenze. A lui si 456 GIORNALE LIGUSTICO deve la conoscenza del dottor Paspati di Costantinopoli che ci onorò delle dotte memorie sui Quartieri Genovesi nell Impero bisantino; a lui una memoria del signor Lambros d Atene sui ducati d’ oro genovesi battuti in Pera ad imitazione delle monete veneziane. » Amore ed opera costante di sua vita fu il raccogliere monete, specialmente patrie, e farne, non tanto serbo, quanto liberale copia agl’intelligenti, agli amici, alla Società. Lo seppero il comm. Domenico Promis, il signor Adriano Long-perier dell’ Istituto di Francia, il signor Hoffmann numismatico, i quali poterono de’ suoi pezzi, de’ suoi calchi giovarsi pei loro studi sulle monete, specialmente di Genova sotto la dominazione francese, oppure di famiglie liguri signore di feudi imperiali o dinasti in Oriente. Lo sappiamo e dolorosamente lo rammentiamo noi, che senza l’aiuto dell’avv. Avignone e suo non avremmo, non che potuto fare, nemmeno imaginato quegli studi tenui ma coscienziosi e forse non inutili che occuparono molti anni della nostra vita. » L’ardore delle ricerche consumava i nostri due amici : e se il signor Avignone precedeva 1’ altro pel tempo, per una sceltissima collezione di libri anche recenti e stranieri e per documenti manoscritti, il socio Franchini fu favorito non raro dalla sorte di acquistare pezzi rarissimi ed anche unici: nè badava al rialzo de’ prezzi che ogni anno cresce e si fa enorme. Egli inoltre estese i suoi acquisti anche alle monete d’oro e d’ argento di Zecche italiane non genovesi ; e gli riuscì una bella serie di ducati dei Papi, di Venezia, di Rodi e Malta. » L’avv. Avignone, dopo la pubblicazione delle medaglie dei Liguri e della Liguria negli Atti della Società, avea posto mano ad una serie di Tavole, in cui per ordine cronologico fossero descritte tutte le monete genovesi colle opportune indicazioni del peso, titolo legale, metallo, leggende e stemmi, segni di GIORNALE LIGUSTICO 457 Zecchieri o altre varianti : e dove si conservi la moneta in natui a e dove sia disegnata o descritta. A questo lavoro che speriamo vedere impresso negli Atti, concorremmo anche noi secondo potere, e il signor Franchini vi concorse più d* ogni alti o, arricchendo le Tavole della descrizione delle monete proprie e d’ altre che in una recente scorsa avea veduto in Lombardia. Nè pago di ciò egli stava lavorando per offrire alla Società impresse in gessi le più rare sue monete e medaglie. » La vedova sua, consapevole di questo suo pensiero, ci fu liberale di questi lavori che egli avea preparato in ben acconce bacheche, condolendosi che la salute e la vita non gli era bastata a compiere il suo disegno. Ed aggiunse in dono quella copia delle Tavole Avignone che il Marito di lei avea trascritto di propria mano colle addizioni di che abbiamo toccato. » Al signor Franchini i dolori d’ una lenta malattia intristirono gli ultimi anni d’una vita troncata appena sui 54. Ma forte gli pesava il cordoglio d’ aver veduto sperperi di lunghe veglie'fatti col cuor leggero; ed altre lunghe veglie non desiderose di sperperarsi, ma invano chiedenti aiuto per rimanersi all'onore delle patrie sedi. Onde anch’egli forse, e senza forse, pensava alle veglie sue e troncava cogli intimi un discorso che vedea non poter riescire che a sempre più amari pensieri. Oh ci pensassero alcun poco anche coloro che hanno col diritto il dovere di custodire il decoro della Patria, e che volendo seriamente troverebbero i mezzi da provvederci ! Badino bene che non troppo facilmente ai tempi che corrono, un medagliere patrio si può più costituire, come già, si poteva in tempi più lontani con spesa non grave e in anni non lunghi. Le modeste fortune degli studiosi e le loro già giornaliere ricerche presso gli orefici possono ornai abbandonare ogni speranza, dopoché la carta fece scomparire i metalli , e col continuo rialzare de’ valori sono a pari passo cre- 30 458 GIORNALE LIGUSTICO sciuti gli acquisti dei grandi musei e gli amatori talora più ricchi che intelligenti delle cose rare. » Dovremo noi assistere pure a questa sciagura ? E la città nostra che si piace essere chiamata la superba, si lascerà umiliare sottostando per questo, come per altri aspetti scientifici ed artistici, a parecchie delle minori sorelle italiane, Siena, Brescia, Parma? » Checchenessia diaftio una lagrima sui sepolcri de’ nostri due Amici; ringraziamoli d’avere cercato per quanto fu da loro, di soddisfare ad una delle parti non tra le meno nobili della patria storia: e alla riconoscenza de’ successori nel nostro faticoso arringo raccomandiamo l’onorato nome del-l’avv. Gaetano Avignone e del signor Luigi Franchini ». XXIII. Sezione di Storia. Tornata del 7 Luglio 1876. Presidenza del Preside cav. avv. Cornelio Desimoni. L’avv. Jacopo Bicchierai dà lettura della sua Prefazione alla Cronaca di Giovanni Antonio di Faje. Prefazione e Cronaca potendosi ora leggere nel tomo X degli lAtti delia Società, di cui rimase testé compiuta la stampa, basterà qui 1’ averne fatta questa semplice memoria. XXIV. Sezione di Archeologia. Tornata del 14 Luglio 1876. Presidenza del Preside avv. Pier Costantino Remondini. Il socio Desimoni proseguendo le Comunicazioni delle quali aveva intertenuto i colleghi nella tornata del 28 aprile (1), (1) Ved. a pag. 326. GIORNALE LIGUSTICO 459 rammenta come i suoi rilievi su le monete di Caffa sieno stati accolti e confermati testé dal dotto Kòhne (i), benché per consentimento comune rimangano tuttavia da sciogliere alcune non lievi difficoltà. Tocca inoltre di una moneta dei Gattilusio pubblicata dallo Schlumberger nella Revue Archéologique (2), e addita quali sieno le più recenti notizie diplomatiche e genealogiche attinenti a questi dinasti genovesi. Dice di una cronaca araba inedita, di cui gli comunicava da Vienna la scoperta il eh. Karabacek, esibendo spedirne alla Società Ligure un importante brano che tratta della prigionia patita davanti Alessandria d’Egitto dal famoso ammiraglio genovese Benedetto Zaccaria, nel 1297. Presenta per ultimo la copia di una relazione del viaggio di Magellano, scritta da Battista da Genova, piloto e compagno dell’ insigne navigatore, procurata al nostro Istituto dalla cortesia del socio corrispondente comm. D. Antonio Viale, dimorante in Lisbona. Quivi appunto venne stampata nel 1831 fra le Loticias para a historia e geographia das naçoes ultr amar inas ; ma la difficoltà di trovare in giornata un’ opera siffatta, aveva sin qui reso vano il desiderio di possedere in Genova un esemplare di quel documento. Il quale per altro vedesi compreso dal Desimoni nell’ Elenco di carte ecc.. stampato 1’ anno scorso in questo Giornale (pag. 68, num. 92). (1) Ved. Kòhne, Les monnaies génoises de Kaffa; nella Revue belge de numismatique, 1875. (2) Ved. Monnaies des Princes Chretiens d’Orient, 1875. 460 GIORNALE LIGUSTICO XXV. Sezione di Belle Arti. Tornata del 28 Luglio 1876. Presidenza del Presidente comw. Antonio Crocco. Il socio Varni legge il seguente Catalogo descrittivo dei dipinti dì Teramo Piaggio e d1 altri artefici nel Santuario di N. S. delle Grafie presso Chiavar i, altrimenti detto della Pineta. Questo santuario sorge un miglio circa ad occidente di Chiavari, a mezzo di una montagna piantata di roveri e di pini. La chiesuola non presenta nel suo esterno alcuna particolarità architettonica; anzi venne alquanto deformata da restauri, per essere in parte stata coperta d’intonaco. L’interno è ad una sola nave, ha la lunghezza di m. 23. 30, e la larghezza di m. 8; e nel tetto formato con travature di legno serba i caratteri dell’antichità. Il presbitero ha al suo ingresso un grande arco sostenuto da due colonne con capitelli a festone: la qual foggia s’incontra assai frequente nelle vetuste fabbriche della nostra riviera orientale. Le pareti poi sono tutte dipinte con istorie distribuite in due ordini, come, ad esempio, si vede nella cappella degli Scrovegni e nella Sala della Ragione in Padova, non che in più chiese di Firenze. Che autore della miglior parte delle storie precitate sia Teramo Piaggio da Zoagli, è cosa che niuno ha posto in dubbio, nè si potrebbe; una però vuoisi di Giovanni Cambiaso, o, secondo altri, di Luca suo figlio; e v’ha chi opina finalmente che vi avesse pur mano Antonio Semino, amico e compagno al Piaggio in moltissime opere. Comunque siasi, tutti questi nomi sono egualmente cari alla storia delle arti nostre e del paese. Soggiungerò quanto al Semino, ch’io non ho mancato di far molte e ripetute osservazioni sui detti dipinti; talché se dovessi avventurare una mia opinione, sarei per attribuire GIORNALE LIGUSTICO 461 a questo artefice quelli in ispecie fra gli scomparti che sono nell’ordine inferiore, e nei quali si rappresenta la Circoncisione, l’Adorazione de’ Magi, la Fuga in Egitto, la Deposizione di croce; dove la composizione è improntata con pochi ma dotti segni, e l’impasto e la maniera più succosa del colorito ricordano la classica scuola. L’esecuzione di queste pitture si differenziano da quelle del presbitero; conciossiachè le teste sono ivi segnate in quel modo che praticasi negli schizzi a penna, ed i tratteggi s’intersecano rare volte l’un l’altro, ma sono semplici accompagnando il giro che fanno le parti le quali si vollero per tal guisa indicare. Tutte le accennate pitture volgono però da molti anni in deperimento, a cagione dell’umidore delle pareti e dei guasti del tetto; e ciò con dolore di quanti privati ed Istituti i quali porsero reiterate istanze perchè vi si ponesse riparo. Volendo noi pertanto serbare almeno la memoria di esse, verremo qui descrivendole partitamente, giusta l’ordine in cui sono disposte. I. Il Giudizio finale. Questo dipinto vedesi nella parete che sovrasta all’ingresso della chiesa, ed oramai può asserirsi che non se ne scorgano più che le traccie. In alto, e ritto in piedi, è il Salvatore a-vente ai lati alcune figure panneggiate e sedute, forse la Beata Vergine ecc., come vedesi nel Giudizio del Buonarroti; nè doveano mancarvi alcuni angioli svolazzanti. Un angelo eziandio è quivi posto a sedere, e tiene aperto un gran libro tutto scritto, additandolo colla destra; al disotto una figura di donna ignuda è contrastata da un altro angelo e due demoni. Un’altra donna egualmente, esce a breve tratto come dalla terra, e stende la mano ad un angiolo che si appresta ad al- 462 GIORNALE LIGUSTICO zarla. Al basso un uomo barbuto è schiacciato sotto il peso di un masso enorme, e gli è vicina un’altra figura d uomo rovesciato a terra come morto; e presso di lui sono scheletri e teste umane. A destra scorgonsi ancora più gruppi di diavoli che recano seco i dannati 0 li tormentano; e sono figure espresse di scorcio, molto bene intese e disegnate da una mano veramente maestra. Fra i macigni finalmente spuntano altre teste in mezzo alle fiamme. Nel mezzo poi del dipinto leggesi l’iscrizione seguente, danneggiata anch’essa dall’umidità non meno che dalle fenditure della parete, ma che noi possiamo agevolmente restituire nella sua integrità : HOC . OPVS . FATVM (sic) FVIT . IN . feWPORE . MA SARIORVM . FRAN CHIN2 . ET . SOCII . I55O (i). Siffatta pittura affermasi da alcuni opera di Luca Cambiaso, e lodasi come spettante alla sua più gagliarda maniera. Se non che altri la reputano invece opera di Giovanni padre di Luca ; ed io mi limiterò ad accennare come lo stile del dipinto sia identico a quello adoperato da Luca nella gran medaglia dei Figli di Niobe, onde si pregia il palazzo dei signori marchesi Spinola (2). Che se la intonazione del colorito è in tutta la (1) Sospeso alla parete è qui un dipinto colla veduta d’Algeri, ed alcune barche, e fra esse una piena di remiganti e d’altre persone. L’iscrizione che leggesi in un cartellino finto al basso del quadro medesimo, è meritevole di essere riferita, e dice: « la fuga che fece il — cap.0 giacobo fontana — di chia(v)ari d’algeri —- con sua familia e — cinquanta cristiani — da lui liberati — del 1600 — li 15 agosto ». (2) Intendo il palazzo posto nella salita di santa Caterina acquistato recentemente dal Municipio di Genova. GIORNALE LIGUSTICO 463 composizione del Giudizio alquanto rossastra, ciò può credersi che dipenda dallo averla voluta adattar meglio al soggetto. Pitture che sono nella parete destra ENTRANDO IN CHIESA. II. Parte superiore. — Il dipinto è affatto perduto. Parte inferiore. — La Fuga in Egitto. Questa composizione, abbastanza conservata, ci rappresenta la B. Vergine veduta quasi di schiena, col putto in braccio, e seduta sopra un giumento. Ha in capo un velo bianco, ed è avvolta in ampio panno il quale doveva essere di tinta celeste, benché oggi, per lo sbiadito della pittura, appaia cinericcio; e le pende dagli omeri un cappello di paglia. S. Giuseppe, in atto di guidar l’animale, veste una tonaca rossa, con sopravi un panno giallognolo fermato sul petto, e con in capo un turbante bianco a più giri: alle gambe ha maglie bianche, e calzature giallo-scure. Nel rimanente poi della scena, per quello che ancora se ne può scorgere, si vedono monti, palme ecc. Siffatta storia, con più altre, ci è inoltre testimone del come Teramo Piaggio facesse tesoro grandissimo delle opere dei grandi maestri. Nè al certo gli erano ignote le stampe di Alberto Durerò esprimenti le storie di Cristo, della B. Vergine, dell’Apocalisse, ecc.; anzi si vedrà che Teramo ebbe a ripetere in parte quei concetti, coll’aggiunta di altre figure. Diremo di più: che lo scomparto in discorso è tolto affatto dall’incisione del Durerò esprimente lo stesso concetto, per modo che le variazioni si stringono a pochi e semplici accessori. Soggiungeremo in ultimo che la testa del S. Giuseppe è così bella, che si direbbe del Luino; e che l’insieme delle figure non è ,punto indegno di sì gentile maestro. 464 GIORNALE LIGUSTICO III. Parte superiore. — Incontro della B. V. con S. Elisabetta. Bella composizione; vere e semplici le mosse delle figure; eleganti i partiti delle pieghe. Ma è così guasta e coperta dai salino e dalla muffa causata dell’umidore, che non ci permette distinguerne alcun maggiore particolare. Parte inferiore. — La Circoncisione. Anche questa storia è molto danneggiata; ma le figure sono da porre fra le più accurate per quello che è dello stile e del disegno, talché il loro fare ricorda la maniera peruginesca. Nè qui l’autore pose in dimenticanza le composizioni del Durerò; anzi la figura della B. Vergine è identica a quella della grande stampa del 1511, nella quale Alberto ritrasse la vita della Madonna. IV. Parte superiore. — L’affresco è perduto. Parte inferiore. — La Purificazione della B. V. Quésto affresco non incontrò miglior sorte del precedente della Circoncisione; per modo che oggi se ne scorge appena una metà. La causa però fu diversa; giacché quivi fu addossato un altare di muratura. Quanto avanza ricorda le belle cose della scuola lombarda. V. Parte superiore. — Lo Sposalizio della B. V. Dagli avanzi che se ne vedono, la composizione, quando anche non sia affatto di gitto del Piaggio, è da collocare però fra le belle opere di lui per la semplicità e nobiltà delle figure. GIORNALE LIGUSTICO 465 Parte inferiore. — L’Adorazione dei Magi. Il dipinto è benissimo conservato, e così ben colorito e •disegnato che si direbbe senta la maniera peruginesca. La composizione è bella e sobria; e sonvi dei lodevoli getti di panni in tutte le figure. La B. Vergine, seduta, presenta al più prossimo dei tre Re il suo Divin Figlio che fa atto di benedirlo; ed il Re, prostrato, sta come per toccare un piede al Bambino onde baciarlo. S. Giuseppe, all’indietro, ha fra le mani un cofanetto contenente l’oro offerto dal Re medesimo; e dall’opposta banda vedonsi intanto sopraggiungere gli altri due Magi coll’incenso e la mirra. Notiamo che anche in questo scomparto il Piaggio imitò la stampa del Durerò esprimente lo stesso soggetto; nè l’imitò solamente nelle figure, ma anche negli accessori. Così il Re moro ha fra le mani un conio ornato sì nell’affresco e sì nella incisione. Pitture che sono nella parete sinistra ENTRANDO IN CHIÈSA. VI. Parte superiore. — La Risurrezione di Gesù Cristo. Lo scomparto è quasi perduto. Parte inferiore. — Affatto perduto. VII. Parte superiore. — Gesù al Limbo. In questa composizione della quale rimangono ora non più che gli avanzi, ma che pur bastano a farla giudicare molto bella, si vede Gesù in atto di rialzare un patriarca. Dietro stanno Adamo ed Èva prendendosi per mano; e al disopra vedonsi alcuni demoni. 466 GIORNALE LIGUSTICO Parte inferiore. — Il centro di questo dipinto ebbe egual sorte di quello che già notammo dello scomparto al num. IV, essendo stato cancellato per adattarvi un quadro di nessun merito. Ai lati però miransi ben conservate due figure dei santi Cristoforo ed Antonio abate; le quali sono così belle, che paiono opere del Pordenone. i / Vili. Parte superiore. — Gesù dinanzi a Pilato. L’argomento della composizione è appena riconoscibile dalle traccie. Parte inferiore. — La Deposizione di croce. Gli avanzi di questo scomparto sono tali da farlo annoverare tra i migliori; vi è forza di colorito e di espressione. Le figure della B. Vergine e di quelle due fra le pie donne che più le stanno vicine in atto di contemplare l’esanime spoglia del Redentore, sono veramente ben disegnate, ed in parte anche ben conservate. Al contrario quella della Maddalena che bacia la sinistra a Gesù, e del S. Giovanni, sono quasi perdute. IX. Parte superiore. — Gesù presentato al popolo. Bella composizione, quantunque in più parti guasta o perduta; ben variate le linee, eleganti e di bella forma i panni; e tra le figure notevolissimo un soldato con maglie bianche listate di rosso, che sta dinanzi*# Gesù. La suddetta figura poi ne ricorda alcune che s’incontrano nelle composizioni di Gaudenzio Ferrari. Parte inferiore. — Il dipinto è affatto perduto; senonchè al basso dello scomparto si legge la seguente iscrizione: GIORNALE LIGUSTICO 467 HOC OpUS FACTM fuit tempore fran chino (?) vachar/o ET SOCII 1540. PRESBITERO. Parete sinistra — Parte inferiore. X. La Coronazione di spine. Seguitando l’ordine dei dipinti, è prima ad incontrarsi la Coronazione di spine. Gesù è seduto sovra un gran basamento, colle mani legate e la canna fra esse, mentre due manigoldi stanno conficcandogli in capo la corona. All’indietro è il tiranno collo scettro, il quale è vestito di tonaca giallo-scura, con una specie di turbante in capo, e sorge come da un pergamo, in atto di dirigere il comando ai manigoldi medesimi. Sotto del pergamo finalmente vedesi ritratto il Piaggio, con un berretto rosso, avente una specie di scapolare giallo, al disotto un girello 0 tunica di color verdognolo, le gambe coperte di maglie morelle, e calzari gialli: costume il quale s’incontra eziandio somigliante in opere del secolo XIII (1). La composizione però di questa figura si riscontra già in una delle piccole incisioni del Durerò, dove è Gesù mostrato al popolo. Deesi però notare che questa è senza barba, e porta al fianco uno stiletto. Sotto il ritratto si legge: THERAMV S D. PLAZIO OPVS (2). (1) Ved. Bonnard, II. 125. (2) Al disotto una mano moderna aggiunse: fecit. Di Teramo si ha 46S GIORNALE LIGUSTICO Nello stesso affresco, accanto alla figura di Gesù, ed in un cartellino, è poi quest’altra iscrizione: HOC OPVS FACTVM FVIT IN TEMPORE MAS ARIE FRANCHINO VACHARIO ET socii . 1539. XI. La Flagellazione. Nel mezzo del dipinto, il quale in alcune parti è ben conservato, vedesi Gesù legato per le braccia alla colonna, mentre a manca dell’osservatore è un manigoldo intento a flagellarlo. Questi ha in capo un berretto di tinta rosea con trafori, all’uso fiammingo, veste un girello rosso-lacchiccio con larghe maniche bianche al disotto, ed ha i calzoni stretti sopra il ginocchio e listati di fetuccie color caffè sopra fondo rossastro. Dietro di lui ricomparisce sul pergamo il già detto tiranno, che il pittore espresse con le medesime tinte dello scomparto precedente, e pel quale fors’anche si giovò dello stesso spolvero. Dall’opposta parte poi vedonsi ancora gli avanzi di circa sei figure, alcune delle quali armate di scope, ed altre coperte di berretto 0 cappuccio. — Notiamo qui come la figura di Gesù quale è rappresentata nel presente scomparto, abbia molta pure il ritratto nella preziosa tavola della cappella del Precursore in Duomo; colla differenza che nell’affresco è rappresentato colla barba affatto canuta. E forse anche il ritratto del Piaggio e del Semino si ha nella tavola di sant’Andrea, della quale per altri rispetti diremo nella conclusione. GIORNALE LIGUSTICO 469 analogia con quella di una piccola incisione del Durerò esprimente il soggetto medesimo; mentre che nelle incisioni grandi, eseguite dallo stesso nel 1510, è posta in una attitudine diversa, c-ome si riscontrerebbe, ad esempio, nel S. Sebastiano del Civitali in S. Martino di Lucca. Tuttavia non è da concludere che il Piaggio ignorasse queste incisioni; anzi mostrò di ricordarle nella azione di quello fra i manigoldi che con una mano tira Gesù pei capelli, e con l’altra gli scaglia un pugno. La qual figura si vede nella Coronazione di spine di esso Durerò. Parete sinistra. — Parte superiore. XII. L’ ultima Cena. Nel grande lunetto che abbraccia lo spazio inferiormente occupato dai due preaccennati scomparti, è espressa l’ultima Cena. E siccome dopo quella di Leonardo alle Grazie in Milano, tutti i pittori che trattarono lo stesso argomento s’ispirarono a quell’affresco sublime, così non è a dire quanto siasene qui rammentato il nostro Teramo. Il quale però, oltre all’averla composta da valente maestro, vi adoperò molto nerbo di colorito, ritrasse con grande vivezza e varietà i caratteri delle teste, e vi adoprò una esecuzione che si avvicina alle opere di Pierino del Vaga. — Per giunta la pittura è assai bene conservata. Parete destra. — Parte inferiore. XIII. Il Bacio di Giuda. La maggior parte delle teste è quivi perduta; ma al contrario sono ben conservati i tre gruppi nei quali è distribuita 470 GIORNALE LIGUSTICO la scena, e rappresentano: Gesù abbracciato da Giuda; i soldati che sopraggiungono alle spalle del Redentore; S. Pietro che ha atterrato Malco. La composizione è semplice; le due figure principali sono di un colorito robusto, ed il panno giallo onde è coperta quella di Giuda, sì per la forma delle pieghe che per la semplicità del partito, rammenta la scuola antica. Malco è vestito di un cappuccio color giallo e d’un girello rossastro; ha maglie bianche alle gambe, e brevi calzature nere. Anche in questo scomparto la somiglianza colle piccole stampe del Durerò è moltissima. XIV. Gesù condotto dinanzi ad Anna. Il tiranno è assiso in seggio ornato, sotto di un rosso padiglione; indossa una giubba gialla con sottomaniche verdi, ha in capo un berretto di stile fiammingo, e tiene il braccio sinistro alzato, in atto d’interrogare Gesù che gli sta dinanzi legato e posto in mezzo a’ soldati, l’uno de’ quali tiene stretta per l’un de’ capi la fune onde è avvinto. Queste tre figure sono ancora ben conservate; d’altre invece non si scorgono più che le tracce. PARETE DESTRA. — PARTE SUPERIORE. XV. L’ Orazione di Gesù al Getsemani. Di questo dipinto che, a somiglianza di quello dell’opposta parete, occupava quanto è grande il lunetto, non si discerne ora che qualche pezzo, e precipuo fra essi un gruppo di a-postoli. GIORNALE LIGUSTICO 471 Parete in capo alla chiesa. XVI. La Crocifissione. La composizione è delle più ricche, ma sfortunatamente quasi perduta. Però a chiarirne l’interesse bastano gli avanzi, lasciando essi ancor visibili circa cinquanta figure oltre a diversi cavalli. Al basso ed a manca del riguardante è la B. Vergine svenuta, e sorretta da due delle Marie, nonché da S. Giovanni: figure veramente piene di vita e nobiltà; mirabili eziandio pei caratteri. Dietro all’indicato gruppo stanno poi due cavalieri, l’uno dei quali è coperto di ermellino, con berretto rosso a-cuminato; l’altro veste una cappa gialla, con cappello piatto e berretto al di sopra. Altre figure d’armigeri con girelli di maglia vengono appresso, brandendo lunghe aste e guardando al Crocifisso; e riesce sovr’essi il buon ladrone penzolante dalla croce, donde per mezzo di una scala è intento a discendere un manigoldo armato di mazza. Accanto all’indicato gruppo la terza delle Marie, in atto di desolazione e colle braccia aperte, rimira al Cristo; e al di sopra è un cavaliere con barba bianca, avente in capo un berretto rosso acuminato, e vestito di tunica gialla con ampie e corte maniche, volto ^.nch esso al Crocifisso, con occhio devoto e giungendo le mani. Questa figura è identica a quella che già incontrammo nello scomparto della Incoronazione-, ed in essa io ravviso perciò ripetuto il ritratto del Piaggio. Dall’ opposta banda occorrono ancora le tracce di pju figure, e fra esse è un gruppo di tre soldati i quali hanno gittate le sorti sopra la veste del Redentore, cui 1 uno di essi, ritto in piedi, fa atto di volere abbrancare con entrambe le mani, mentre un cavaliere colla testa inclinata guarda ai due 47 2 GIORNALE LIGUSTICO perdenti e sorride, additando loro con la destra Gesù. Episodio ritratto quasi da tutti i pittori, ma in ispecial modo da Gaudenzio Ferrari nei due grandi affreschi ai Francescani in Varallo ( 1512), ed a S. Cristoforo di Vercelli (1). Della parte di mezzo, che dovrebbe essere stata anche più ricca e però di viemaggiore interesse, più non si vede al basso che qualche figura d’uomini d’armi a’ piedi della croce del Salvatore, mentre da certi solchi tuttavia impressi nella calce si scorge non esservi pur mancata la Maddalena. Egualmente poco potei scorgere della parte superiore, cioè del Cristo, degli angeloni, ecc.; cionondimeno ritengo che, in ispecie, colla scorta de’ solchi, qualora si prendessero in tempo gli opportuni provvedimenti, buona parte della composizione da un esperto artista potrebbesi ancora rilevare. Ma anche in questo gran quadro occorrono diverse analogie colle stampe del Durerò ricordate più volte: nel gruppo della Madonna svenuta, in quello de’ soldati che gittano le sorti sulla veste di Cristo, nel manigoldo che discende dalla croce del buon ladrone; la qual figura non solamente è identica con quella del Durerò quanto all’azione, ma lo è eziandio in quella specie d’arma che tiene fra le mani. Finalmente, rispetto all’esecuzione, il dipinto si vede improntato con molta facilità, essendo le figure segnate con dotti e sicuri contorni, e dotate di vigoroso colorito. Soffitto del Presbitero. Il fondo di questo soffitto è tutto messo a stelle d’oro in campo azzurro, e diviso da costoloni ne’ cui lati veggonsi de’ bellissimi ornamenti. Oltre ciò, in quattro medaglie, sono ritratti in mezza figura gli evangelisti: assai belle e ben conservate, ad eccezione di una sola che è attraversata da una (i) Ved. Bordiga, Opere di Gaudenzio Ferrari. GIORNALE LIGUSTICO 473 larga fenditura. Lodevolissima ò poi la composizione, anche rispetto allo spazio non ampio, e le tinte sono di una singoiar vigoria; ma specialmente mirabile è il S. Giovanni, il quale al carattere della testa ed alla semplicità arieggia il Perugino. Del resto io volli osservare queste medaglie anche da vicino, per rilevarne i lucidi delle parti meglio conservate; e posso assicurare che le figure sono segnate con tanta facilita e spontaneità, da renderle degne di qualsiasi provetto artefice. Sagrestia. All’ ingresso della sagrestia sovrasta una lapide in marmo con istemma, fiancheggiata da due piccole figure della Madonna col putto e di un santo, e vi si legge: M. . PETRUS . VACCA . I. V. D. UT . SINGULO DIE . FESTO . MISSA . HIC . SUMMO . MANE CELEBRETUR . ANNUAS . LIBRAS . CXL . DONAVIT IN . ACTIS . ANG. . LODIS . BORZONASCAE NOT. . VIII . KAL. . OCTOB. . MDCXVI. Nell’interno è una tela, la quale mi si disse già appartenuta ad altra chiesa, ed a me pare che si possa attribuire a Bernardo Castello. Vi è espressa la Madonna, col Putto ed angioli; e sonvi alcune figure di devoti in ginocchi, le quali, anche pei costumi che indossano, presentano un qualche interesse. Avendo replicatamente notato quanto il Piaggio si vantaggiasse nelle sue composizioni delle migliori stampe e delle opere de’ più valenti maestri, soggiungeremo qui a modo di conclusione alcune altre considerazioni circa siffatto argomento. E rispetto al nostro Teramo, ci starem paghi alla tavola 1 S. Andrea nella chiesa del Gesù in Genova; dove le figure che campeggiano nel piano inferiore ricordano la scuola del- 31 474 GIORNALE LIGUSTICO l’Urbinate; e quella in ispecie che appoggia il mento alla mano ha tanta rassomiglianza con le opere dei discepoli di quel Sommo, da poterne sostenere degnamente il confronto. Al contrario le figure all’indietro rammentano i modi del Brea e de’ maestri fiamminghi, fors’ anche perchè indossano i costumi di que’ tempi. La quale ultima maniera essendo propria di Antonio Semino; ci lascia indovinare qual parte spetti a costui nella tavola in discorso. Vorrebbonsi pure avvisare in quelle due figure che stanno in atto di conversare i ritratti de’ due artisti compagni: il Piaggio in quella che è avvolta in un panno giallo ed ha barba canuta; il Semino nell’altra che ha un berretto scuro. Non è però da ommettere una particolarità, che nei ritratti certi del Piaggio, sì alle Grazie che nella tavolina di S. Lorenzo, egli si vede sempre vestito in costume (i). Del resto non solamente il Piaggio ed il Semino faceano tesoro di buone stampe e vi attingeano largamente; ma anche più altri insigni maestri, fra i quali Ottavio Semino, il quale ne’ grandi freschi del palazzo delle Peschiere dimostra quanto ritraesse alle composizioni di Raffaello e di Polidoro (i) Il quadro di sant’Andrea reca ai piedi ed entro una specie di tavoletta questa iscrizione: ANTON II.CEMI NI . ET . THERAMI ZOALII . SOCIOR. opvs . 1532. Un quadro che si avvicina al suddescritto quanto allo stile, è poi quello che mirasi in san Pietro di Novi, e dicesi appunto opera dei due socii, benché non sia segnato del nome di alcuno. In tale tavola è ritratto san Pietro seduto in trono e vestito degli abiti pontificali, con. ai lati i santi Rocco e Giuseppe. Il gradino che le è sottoposto si distribuisce in due piccoli riparti, nell’uno dei quali Gesù consegna le chiavi all’apostolo, nell’altro è la pesca; il qual soggetto parrebbe quasi una replica di quella dipinta dal Semino, che serbasi nella nostra Accademia Ligustica. 475 da Caravaggio. E a questo proposito chiuderemo con un a-ncddoto, il quale ci è riferito dal Soprani. Avendo un bel mattino, egli dice, Ottavio prenominato e Luca Cambiaso, eh’erano allora in giovane età e gran famigliar ì, finita la loro accademia, « uscirono di casa, et avidi di veder qualche cosa di nuovo intorno al disegno, si condussero sotto la Ripa, dove ne’ giorni di festa si solevano vendere le carte stampate in rame et in legno, e v’accorrevano molti sì per vedere in esse la perfettion dell’intaglio, che in quei tempi per l’industria di Marc’ Antonio Bolognese era giunta al colmo, come anche per contemplarvi il compendio di molte nobili fatiche d’huomini celebri, quali erano Raffaele d’Urbino, Michel’Angelo, Francesco Panneggiano, Andrea del Sarto et altri gloriosi fondatori del buon disegno. Giùnsero pertanto Ottavio e Luca alla vista di esse, et havendo trovato nel-l’istesso luogo Pierino del Vaga, doppo vicendevoli e cortesi saluti, s’accostarono a lui, e con quella curiosità che suol esser propria de’ giovani, P interrogarono di molte cose spettanti al disegno, secondo che le stampe istesse in quello instante ne porgevano loro l’occasione, ricevendone mai sempre adequate le risposte. Succédé adunque che havendo essi osservato qualche difetto in una stampa di legno, cavata dalle opere di Titiano, eccitarono Pierino a discorrere sopra di quella, interrogandolo s’egli ancora vi giudicava mal dissegnato un certo contorno. Ma il prudente vecchio, il quale, tuttoché conoscesse l’errore, non perciò biasimar voleva 1 autore delle stampe suddette, saviamente rispondendo, disse loio. Figliuoli miei cari, nelle opere di questa sorta lodate sempre il bene e tacetene il male. Risposta veramente degna di quel-l’huomo che la proferì, confondendo 1 ardire et in un istesso tempo edificando gli animi di quei giovani » (i). (i) Soprani, Vite, ecc., pag. 62, ediz. prima. 47 6 GIORNALE LIGUSTICO Il socio Neri legge una breve di un quadro affatto ignoto di Domenico Fiasella. Egli ne rilevò la notizia dai libri dell’antica Opti a della Cattedrale di Sarzana ; donde apparisce come l’artista lo esegui in patria nel 1618 per la chiesa di san Lazzaro, discosta un due miglia, dalla città. Quivi ritrovasi anche oggidì discretamente conservato, e rappresenta la figura del santo Patrono, stupendo nudo degli anni giovanili del Fiasella, e dall un lato Nostra Donna col Divin Pargolo figura non troppo felice. Accenna quindi ad altre anticaglie esistenti in quella chiesa e degne d’ essere conservate (i). XXVI. Assemblea Generale. Tornata del 6 Agosto 1876. Presidenza del Presidente comm. Antonio Crocco. Il socio Neri, a nome de’ suoi colleghi, dà lettura della Relazione della Commissione incaricata di esaminare le proposte di nuovi soci onorari e corrispondenti ; e l’Assemblea, accogliendo le conclusioni di sì fatto Rapporto, elegge a socio onorario il Principe D. Baldassarre Boncompagni, ed a corrispondenti il comm. Bartolomeo Cecchetti Sovrintendente degli Archivi Veneti, il cav. Gaetano Gaspari di Bologna, il cav. Giovanni Veludo Prefetto della Marciana di Venezia, ed il prof. Teodoro Wustenfeld di Gottinga. Il Presidente legge un breve Discorso di conclusione del-l’anno accademico 1875-76, decimonono dalla fondazione dell’ Istituto ; augurando che questo proceda ognora fidente e animoso nella sua via, « come famiglia ben promettente, ben voluta dai savi, accetta ai buoni, perchè sempre modestamente operosa e fraternamente concorde ». (1) ‘Di un quadro affatto ignoto di Domenico Fiasella ; Sarzana, Ra-vani, 1876, in-8°. GIORNALE LIGUSTICO INDICE DEL VOLUME DOCUMENTI ILLUSTRATI Esportazione di oggetti di belle arti da Roma nella Liguria, Lunigiana, Sardegna e Corsica nei secoli XVI, XVII e XVIII (A Bertolotti) . . . . . Pag Trattato commerciale del 1302 fra Genova ed Amalfi ('G. Grasso) . . . . ' . . . » I Genovesi alle fiere di Besanzone e Piacenza ...» Documenti riguardanti alcuni’Dinasti dell’Arcipelago (A. Lu-xoro e G. Pineìli-Gentile)..........» MEMORIE ORIGINALI Di un recente giudizio sulla importanza storica della Battaglia di Legnano (C. Desimoni) . . . . . Pa Lettera intorno ad un sepolcro romano scoperto all’ A- venza (G. L. Oderico).......» Notizie di Paris Maria Saivago e del suo Osservatorio Astronomico in Carbonara, con Appendice di Tavole cronologiche (C. Desimoni)......» Avvertenze circa un’ iscrizione dipinta nella fronte del Palazzo di Pagano D’ Oria (L. T. Belgrano) » Delle prepotenze di Luigi XIV, a proposito di un recente scritto dell’avv. D. Perrero (A. Neri) » 47§ GIORNALE LIGUSTICO -Jéf Di Gottardo Stella e specialmente della sua legazione al Concilio di Mantova nel 1459 Neri) . . . Pag. 125 Quanto v’abbia di vero nell’antico paragone fra Miche- , langelo e Dante (G. Franciosi).....» 153 Lettera di F. M. Acinelli ....... » 170 * Degli Ebrei in Genova (M. Stagliene) .... « 173-394 I Genovesi e i loro Quartieri in Costantinopoli nel secolo XIII (C. Desimoni).......» 217 Interpretazione di due antiche epigrafi esistenti a Trebbiano ed alla Spezia (M. Remondini) ...... 277 Jp- Notizie e documenti inediti intorno ad Oberto Foglietta e Pietro Bizaro (A. Neri) ....... » 421 Lettera ad Antonio Crocco (G. Capponi) . . . » 454 Necrologia del socio Luigi Franchini (C. Desimoni) . . » 455 Catalogo descrittivo dei dipinti di Teramo Piaggio e d’altri artefici nel Santuario di N. S. delle Grazie presso Chiavari , altrimenti detto della Pineta (S. Varni) . . » 460 NOTIZIE VARIE Sunto della Dissertazione letta dal can. A. Sanguineti alla Sezione di Storia, intitolata: Quanto sia fallace consi-«liero in materia storica il sentimento .... Pa*. 01 o Sunto delle Notizie di Antonio da Semino e Teramo di Piaggio e della loro epoca lette da F. Alizeri .... » 82-171 Comunicazioni di notizie ed opere concernenti in ispecie la storia ligustica, fatte da-C. Desimoni ...» 86-326-458 Sunto dell’elogio di Giuseppe Morro letto nell’Assemblea Generale del i.° agosto 1875 dal Pres. A. Crocco . » 139 Verbale dell’Assemblea Generale 12 dicembre 1875. . » 169 Sunto della lettura di F. Alizeri : Delle seconde opere della Cappella di san Giovanni Battista nel Duomo di Genova e delle statue di Matteo Civitali . . ■. . . » 275-517 Sunto delle Ricerche storico-illustrative sulle fortificazioni di Genova di C. Quarenghi......» 295-319 t Sunto delle Ricerche storico-legislative sulla istituzione del Portofranco in Genova di D. Invrea . . . » 324 - GIORNALE LIGUSTICO 479 Verbale delle due tornate musicali della Sezione Archeo- logica ..........Pag. Sunto della discussione seguita nella tornata della Sezione di Belle Arti, 23 giugno 1876, intorno l’antico para- gone fra Michelangelo e Dante.....» 'y Verbale dell’Assemblea Generale 25 giugno e 2 luglio 1876 » Cenno della tornata della Sezione di Storia, 7 luglio . » Sunto della notizia di un quadro affatto ignoto del Fia- sella lette da A. Neri............» * Verbale dell’ Assemblea 6 agósto VARIETÀ Di un insigne Ostensorio mandato in dono nel 1676 dal marchese Gio. Batta Cassana alla chiesa collegiata dei SS. Giacomo e Filippo di Taggia sua patria (G. Rossi) Pag. Gli alberi della Libertà innalzati in Genova nel 1797 . » RASSEGNE BIBLIOGRAFICHE Indagini storiche artistiche ecc., sulla Libreria del Castello di Pavia di G. d’Adda.......Pag. Scritti Danteschi di Giovanni Franciosi (I. G. Isola). . » Curiosità e ricerche di Storia Subalpina. Puntata V. . » A history of thè so-called Christopher Columbus '. v . » Guida illustrativa del cittadino e del forestiero per la città di Genova e sue adiacenze di F. Aligeri ...» Protesta del signor Luigi Sambolino a proposito della Guida, e risposta della Direzione......» Relazione delle scoperte fatte da C. Colombo, da A. Vespucci e da altri dal 1492 al 1506, tratta dai Manoscritti della Biblioteca di Ferrara e pubblicata per la prima volta ed annotata da G. Ferraro (C. Desimoni) ...» Poscritto alla Rassegna della pubblicazione Ferraro . . » ANNUNZI BIBLIOGRAFICI 416 450 451 458 476 ivi 301 39/ 65 in 140 148 186 308 328 393 La Valle della Vara per E. Celesia, pag. 76. — Di alcuni nuovi giudizi intorno a Cristoforo Colombo per B. Pallastrelli, 77. — Memorie storiche del casato Rusca o Rusconi per A. Rusconi, 78. — Le materie 48o GIORNALE LIGUSTICO politiche relative all’ estero degli Archivi di Stato piemontesi indicate da N. Bianchi, ivi. — Canti popolari dell’isole Eolie, illustrati da / Lino-Bruno ivi. — Notizie storico genealogiche sulla famiglia Galvani di Ventimila per G. Rossi, 79- - Studi sul Porto di Genova di F. Ciocca e W. Chiavacci ; Progetto di ampliamento del porto di Genova per L. Corsanego-Merli, ivi. — Commentario della vita e delle opere del conte Guidobaldo Bonarelli per G. Campori, 80. — Su i fuochi di guerra usati nel Mediterraneo nel XI e XII secolo pei M. Aviari, 150. — Ricordi inediti delle cose avvenute in Massa di Luni* giana dal 1481 al 1569, scritti da T. Anniboni, pubblicati da G. Sforma, _ Lettere inedite di carraresi illustri raccolte ed annotate da G. Sforza, ivi. — Della Colombiade in genovese di L. M. Pedevilla, traduzione libera dei primi quattro canti per P.Canepa, 152. — Alba Docilia e Vadum Sabatia (sic), ossia Ricordi storici della Liguria occidentale da Genova fino a Savona di E. G. Perasso, ivi. |— Del Finale Ligustico, cenni storici di E. Celesia, 216. — Paolo da Novi, tragedia dello stesso autore, ivi. — Saggio storico civile-religioso del Comune di Portofino, 507. — Studi spettroscopici e chimici sulle materie coloranti di alcuni molluschi del mare Ligure, e Relazione di altri lavori ecc., pei A. e G. De-Negri, ivi. — Sulle notizie degli scrittori napoletani fioriti nel sec. XVII, compilate da C. Minieri-Riccio, Lettera di G. Salvo--Cozio, ivi. — Memorie per la storia ecclesiastica di Sestri Levante, 386. — Storia del Comune di Santa Margherita Ligure di F. Luxardo, 388. — Curiosità e ricerche di Storia subalpina, Puntate VI e VII, 389. Pasquale Fazio Responsabile.