GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E BELLE ARTI m FONDATO E DIRETTO DA L. T. ‘BELGRANO ed ed è riportata ne’ monumenti del Tomo IV della Gallia Cristiana pag. 7 n. 8. In qual’anno precisamente fosse fondato noi trovo: lo era certamente nel 1020, come si rileva dalla citata carta di Beroldo. Nel secolo XII era Priorato, che tale il nomina Federico I, in un suo diploma dell’ anno 1162 inserito ne’citati monumenti pag. 19. Fu in appresso Abazia, eretta, cred’ io, quando separato da Urbano Vili dal-l’Abbazia di Savigny, restò unito alla congregazione di Santa Giustina, conforme scrive Mabillon (Tomo IV, 1. c.) : Hoc est Talueriense Monasterium dioecesis Gebennensis prope Aneciacum, Saviniaco subductum ab Urbano Vili nunc Abbatia sub Bene-dectina 'congregatione S. Iustìnae detta presentemente Γ Abazia di Taloires sul lago di Annecy; di cui 0 non parla Mons. della Chiesa numerando le Abbazie del Ducato Genevese; 0 tutt’altro ce ne dice , se Taloires è lo stesso che Taloira, di cui cosi ragiona questo scrittoi' piemontese (Corona Reai di Savoia Tom. i.° pag. 124 al. 62). « Nel Ducato Genevese si con- » tano le Abbazie..... quella di Taloira, che prima era Prio- » rato de’ Canonici Regolari è fabricata in un grosso borgo » di simil nome che in capo del lago si trova, ed ove di » presente servono Padri Riformati di S. Bernardo ». Lascerò ad altri ad esaminare questo punto, che potrà prevalersi dell’autorità del presente manoscritto se T aluere, Taloires, e Taloira, sono un medesimo luogo, come parrebbe; ma su di che non ardisco decidere, nulla interessandomi la decisione. Quello che può maggiormente interessare nella illustrazione 2 6 GIORNALE LIGUSTICO di questo Codice si è l’antichità del medesimo, della quale alcuna cosa ora è da dire. Se egli è vero, che la Divisione della Scrittura in Capitoli tal quale ora 1’ abbiamo, sia ritrovamento del secolo XIII, il nostro manoscritto non dee essere più antico della metà di questo secolo XIII, poiché esso segue esattamente tal divisione, a riserva dell’ ultimo capo di Daniele e di Michea, che è diviso in due; questo al verso 8, quello al 22. xMa è egli poi vero, che la Scrittura distinta in Capitoli conforme lo è presentemente sia lavoro del secolo XIII? Cosi credesi comunemente: e chi ne dà la gloria a Stefano Langthon Cardinale, ed Arcivescovo di Cantorbery, morto l’anno 1228; chi ad Ugone Cardinale, che fini di vivere l’anno 1264. Primus, scrive di Ugone, Genebrardo nella sua cronaca, anno 1244, Primus in capitulo libros sacros distinxit. Gio. Morino (Exercit. Biblicar. lib. II exerc. 17, c. 3), il Dottor Prideaux (Stor. de’ Giud. Tom. II), Riccardo Simone (Hist. Cris. V. T. lib. I c. 8. Tom. I pag. 159) ed altri parecchi hanno seguito Genebrardo. Al contrario Baléo presso Prideaux (1. c.) Pitsèo, riferito negli annali Cisterciensi anno 1213 n. 10, Le Land, Pope Blound, ed altri co’ quali par che si accordi lo Spon-dano, anno 1240 n. 10, si sono dichiarati per 1’ arcivescovo di Cantorbery di cui scrisse Henrico Knygthon (lib. II de Eventibus Angliae pag. 2430), ossivero Ranulfo Ceistrense copiato dal Knygthon: Stephaniis Cantuariensis Archiepiscopus obiit, qui Biblia apud Parisium quotavit, cioè, come spiega il du Cange, in capita distinxit; e Godivino presso il citato du Cange parlando di Stefano : sacram Bibliam primus dicitur in capitula distinxisse; ordinem abeo constitutum sequentibus omnibus, quae usquam iam inde ab eo tempore fuerunt Ecclesiae. Anche Nicolò Trivetto Domenicano presso d’ Achery (T. III pagina 189 nov. edit.) lasciò scritto all’anno 1228: obiit Stephanus Cantuariensis Archiepiscopus. Hic super totam Bibliam postilias GIORNALE LIGUSTICO 27 fecit, et eam per capitula, quibus nunc utuntur moderni, distinxit. Io non ho impegno nè per l’uno, nè per l’altro; l’antichità del Codice non mi cresce, nè mi scema che di pochi anni. Non lascia però di farmi specie la testimonianza del Trivetto scrittor Domenicano, e molto più che nè S. Antonino (Hist. Part. III, Tit. 19, c. V. p. 2), nè Sisto Senese, i quali danno ad Ugone il vanto di aver trovate il primo le così dette Concordante delia Bibbia, non diangli parimente la gloria d’averla il primo distinta in Capi. Anzi Sisto Senese, seppure ben m’ avviso, assai chiaramente ci insinua, che Ugone trovò la divisione già fatta. Apud latinos autem dice (lib. 3 Bib. Sanctae p. 154, edit. Par. a. 1610) apud latinos autem, qui ab anno salntis millesimo, usque in haec tempora nostra fuerunt, duplicem invenio capitum enumerationem, altera, et vetustiorum, ita numerosiorem.....alteram posteriorem, quam nunc in vulgatis Bibitis habemus contractiorem et paucioribus capitidis comprehensam, cuius numerali citatione usi sunt in commentariis suis Hugo Preshiter Cardinalis S. Sabinae, Alexander, Alessius, Albertus Magnus, Thomas Aquinas, Bonaventura et ceteri. Non è pero da tacersi, che questa stessa divisione di cui parliamo da Monsignore Huet si vuole molto più antica ; quod si recentis per capita divisionis quae tota insedit Bibita, aetatem quaeras, ante sexcentos annos repertam eam responderim. Eam certe tenuit Theophilactus, qui ante Saeculi XI finem floruit, ut declarant εχδεσεις quas Evangeliis praefixit; et illam hac aetate vetusti praeferunt manus cripti : Hieronymo tamen recentiorem putamus ; così egli nelle note a’ commenti di Origene pag. 19. Chi avrà la sorte di poter esaminare i manoscritti de’ quali esso parla, potrà esser arbritro e giudicare di questa lite. Ma di questa decisione io non ho presentemente bisogno. Di qualunque tempo sia la moderna divisione della Scrittura in Capi, il manoscritto non è, per quanto ne penso, anteriore al secolo ΧΙΠ. (Continua). 28 GIORNALE LIGUSTICO VITTORIO AiMEDEO II E LA REPUBBLICA DI GENOVA Nel tempo del famoso assedio di Torino (i7°0 ^ami' glia del duca Vittorio Amedeo II riparò in Genova e vi fu securamente accolta, ed alloggiata da par suo. Questo fatto sarà forse parso strano a chi ricordava le molte cagioni di gelosia e di animosità fra i due Stati; ma ora riceve nuova luce dal eh. signor Perrero il quale, mercè una sua recente pubblicazione intorno al presidente De Lecheraine, Γ amico di Madana di La Fafayette, ha colmato una lacuna degli storici particolari (i). A ragione osservava il Rousset che « l’action de la France en Italie » aveva tutto cambiato nelle relazioni dei varii stati, e ravvicinati secolari nemici, intenti soltanto a torsi di dosso la tirannide di Luigi XIV. Infatti il bombardamento di Genova del 1684, e l’umiliazione imposta al doge nell' anno successivo, anziché insegnare ai Genovesi « à devenir sages », come si riprometteva Louvois, ed incutere « une grande terreur a tous les princes qui ont des villes considérables au bord de la mer », riuscì ad un effetto contrario, e giustamente lo dice il Clément un « terreur funeste, que la France paya cher (2) ». La conseguenza ne fu la formidabile lega del 1687. Tutti sanno quali fossero i sentimenti di Vittorio Amedeo II verso il rè di Francia e come, spiato il buon momento, gli si aprisse nemico; al che, se conferirono assai le faccende d’ ordine pubblico, non furono aliene le cagioni private. E di questa verità si rimane subito convinti, ove si ripensino le fiere molestie eh’ ei dovette sopportare pel matrimonio del (1) Curiosità e ricerche di storia sul·alpina Puntata XIV. — Torino 1880. (2) L' llalie en ιβηι. Paris 1867, p. 45. GIORNALE LIGUSTICO 29 principe di Carignano, Emanuele Filiberto, con Caterina d Este, contratto Γ 11 ottobre 1684, contro l’assoluto divieto di Luigi XIV (1). Non ci farà dunque meraviglia se lo vedremo cogliere la prima occasione per mostrarsi benevolo verso la vicina repubblica, oggetto di continua cupidigia pei suoi predecessori, ed aneli’ essa oppressa dalle prepotenze del gran rè. Dovendo quindi passare pei suoi stati, il Doge ed i Senatori, che si recavano in Francia nel 1685, volle usar loro le più singolari cortesie , come ci è affermato dal Casoni : « Nell’ ingresso nei suoi Stati il duca di Savoia fece complimentare il Doge e i Senatori con le più fine espressioni e con oblazioni del pari obbliganti; ma avendo il doge fatto intendere al medesimo duca il desiderio che aveva di andare incognito, fu in ciò contentato. Non potè però schivare di non essere per il Piemonte con tutto il suo seguito spesato dal medesimo duca, il quale aveva fatto divieto, a coloro che lo dovevano alloggiare , di non ricevere sotto qualsiasi titolo ricompensa. Fu poi il doge servito dagli ufficiali di campagna del duca con attenzione e finezza quanto si conveniva all’ andare esso incognito , e secondo 1’ aperture che dava. Come fu esso doge arrivato al ponte Buonvicino, ultimo confine del Piemonte, spedì Ambrogio Doria del fu Carlo, uno de’ nobili genovesi del suo seguito , a rendere grazie al Duca per il trattamento ricevuto ne’ suoi Stati, ed il Doria, accolto con singolare umanità dal duca, fu dal medesimo regalato del di lui ritratto fregiato di diamanti (2) ». Nel qual fatto ci sembra d’intravvedere un principio di vendetta per le prepotenze francesi, avvalorata dal tono un poco beffardo delle parole colle quali, dando ragguaglio del (1) Cfr. Curiosità cit. Vol. I, 585-648. (2) Storia del bombardamento di Genova, pag. 257. 30 GIORNALE LIGUSTICO passaggio e delle usate cortesie al suo ambasciatore di Parigi, il Duca chiude la lettera : « gradiremo però di sapere cosa se ne dirà costì ». Furono gettate così le prime fondamenta di una relazione amichevole, la quale andò aumentando e divenne addirittura simpatia da parte dei Genovesi, quando videro Vittorio Amedeo prendere risolutamente il posto fra gli avversari della Francia. Ciò fu dopo che il duca di Vandòme, per ordine espresso di Luigi XIV, costrinse ai 29 settembre del 1703 i quattromila piemontesi suoi alleati a deporre le armi e a dichiararsi prigionieri, donde derivò la lega di Vittorio Amedeo con 1’ imperatore Leopoldo. Questo avvenimento porse occasione di rendere assai più manifesta la simpatia fra Genova e Savoia. Alcuni degli ufficiali, che avevano trovato modo di fuggire dal campo francese, s’erano condotti a Genova, e mentre aspettavano opportunità di rientrare in Piemonte, un dì « entrati in una feluca per osservare questo porto... il 'patrone di essa, inteso col capitano delle galere di Spagna, comandate dal duca di Tursi » li condusse « a portata di due barche armate pur di Spagna, che li hanno presi seco loro, e condotti al Finale». L’indignazione tanto della cittadinanza come del governo fu grande, e radunatisi incontanente ì Collegi «mandarono ad intendere dal duca di Tursi perchè si fosse tanto inoltrato. Rispose che il residente di Francia, Luciènes, tanto gli aveva imposto a nome delle due corone (Francia e Spagna). Mandarono pure dal Luciènes, qual rispose, che così voleva il suo re ». Su quel subito non fu presa deliberazione di sorta, perchè il governo si sentiva debole e impacciato; « si vorrebbero risentire (scriveva l’agente ducale Metildi), ma si vedono sprovvisti... ed il comune nemico, si può dire, nelle viscere». Spedirono poi Francesco Mari al Vandome in Milano, ma senza frutto; nè,a miglior fine approdarono gli GIORNALE LIGUSTICO 31 uffici del Bali Spinola col residente di Francia in Genova. Anche Antonio Brignole-Sale, inviato all’ uopo a Parigi, ebbe, secondo il Perrero, repulse; ma l’Accinelli nota invece 1’ opposto , anzi manifesta una grave deliberazione del Senato. Ecco le sue parole: « Fece Andrea Doria duca di Tursi con intelligenza di mons. di Luziènnes ambasciatore di Francia prigionieri nel porto di Genova due ufficiali piemontesi, e gli mandò in Francia. Congregossi alle cinque di notte il Senato , e risoluto di spianare il suo palazzo in strada nuova in pena del gius violato, molti patrizi ne ritardarono 1’ esecuzione , quando spedito in Francia Anton Brignole ottenne dal Cristianissimo de’ prigionieri il rilascio (1)». I cittadini tuttavia non si ristettero dal far qualche dimostrazione di sdegno contro il Doria , poiché, entrato un giorno in città « con una corte di settanta persone tra ufficiali, staffieri e schiavi, passò pella loggia di S. Siro, ed i cavalieri con occhio torvo e volto severo lo miravano, e, non potendo per allora far altra vendetta, chi si pose il cappello in capo, chi se lo calcò ». Fu questo forse un atto di spavalderia, per mostrare al governo che non temeva le sue deliberazioni. Sì fatti non dubbi segni di benevolenza e d’amicizia, furono quelli che certamente indussero Vittorio Amedeo a scegliere Genova come sicuro asilo per la sua famiglia. Mancano i documenti delle pratiche che certo furono fatte dai due governi per combinare questa venuta, e non senza meraviglia si trova negli archivi a questo tempo una lacuna , eziandio per quelle pubbliche ufficiosità solite usarsi in simili circostanze, e di cui s’ incontrano nelle nostre carte frequenti e minuti esempi. Sembra anzi gli accordi fossero presi in guisa, che Γ invito ufficiale alla famiglia del Duca di ritirarsi a Genova, dovesse venire dal governo della repub- (1) Storie di Genova, II, 4. GIORNALE LIGUSTICO blica. In fatti non appena la famiglia, composta della madre del Duca Giovanna Battista di Savoia Nemours, della moglie Anna d’Orleans, coi figli Vittorio Filippo e Carlo Emanuele, non che det principi di Carignano Emanuele Filiberto e sua moglie Caterina d’Este, partita da Torino e sostata a Che-rasco, Mondovì, Ceva, Garessio, Ormea, fu entrata alla Pieve « prima terra del genovesato », venne « accolta con ogni rispetto e dimostratione e arrengata ». E poiché ebbe preso stanza per alquanti di in Oneglia, la Repubblica « mandò cinque gallere con il S. M.se Negroni di Mulassano capo del-Γ Ambasciata con quindici nobili circa, con bell’ equipaggio per far P invito alle LL. AA. RR. di ritirarsi in Genova, che fu poi accettato (i)». Partì la Corte da Oneglia ai 16 di luglio e sulle galere genovesi si recò a Savona, dove trovo apparecchiati gli alloggi nei palazzi Gavotti e Ferreri, messi in comunicazione per mezzo di un ponte. Quivi si trovarono altri sei cavalieri genovesi appositamente inviati per complimentarla (2). Proseguì quindi il viaggio per Genova, « dove arrivò alle hore ventidue, et allo sbarco si ritrovò un’ infinita di popolo, nobiltà e guardie per accompagnare le LL. AA. RR. al destinato alloggiamento fuori della porta della Carsola (sic) detto S. Bartholomeo delli Armeni nel palazzo del sig. Marchese Pallavicini (3) per le reali persone, con dieci 0 dodici palazzi attigui per la Corte. » Il cav. De Lucey, che sopraintendeva alla casa della duchessa, ci manifesta come il governo a rendere maggiormente sicuro quel luogo, facesse chiudere una delle tre porte esistenti tra le due fortificazioni, accrescesse le guardie delle altre, ponesse buon numero di scolte a guardare i terrapieni, e mantenesse al palazzo una guardia speciale « commandée (1) Manno, Assedio di Torino nella Miscel. di Storia italiana, XVII, 485. (2) Miscel. cit. XIX, 539. (3) Ignazio. GIORNALE LIGUSTICO 33 d’une capitaine qui a une rangue distinguée », assicurava poi che la « republique est disposeé à tous ce que l’on souhaitera ». Quanto poi agli uffici di cortesia, sebbene la duchessa non accettasse « che un solo pasto dalla Republica», e non volesse « corteggio di dame a riserva della Marchesa di Mu-lassano » , avendola le altre « veduta due volte alli Monasteri », pure il Lucey aggiungeva: « Messieurs de la Republique envoyent tous les soirs carrosses et chaises pour servir LL. AA. RR. pour s’aller promener ; mais comme elles ne sont point entrées dans Gênes et ne vont que dans de petits jardins qui sont icy aux environs, non obstant que Madame la Duchesse Royale les aye remercie, ils continuent toujours, aussi bièn que leurs honnêtetez pour tout ce qui a du rapport au service de LL. A A. RR ». Non dissimili erano le dichiarazioni del De Lescheraine, sopraintendente della famiglia di Madama Reale, il quale scriveva : « La Republique nous comble par toute sorte de bons traitemens, et les particuliers nous font tant d’honnêtetez, et prennent soins d adoucir nos malheurs en tant de manières, que nous ne saurions assez nous en louer ». Giunse finalmente il 7 settembre, giorno in cui contro 1’ aspettazione generale avvenne il memorabile fatto, che li-* berò Torino dall’ assedio; e il Duca spedi incontanente il conte di Verrua ad avvertirne la famiglia. In mezzo alla gioia generale si fecero i preparativi della partenza, la quale ebbe luogo il 21 colle galere della repubblica alla volta di Savona. Pra i nobili che Γ accompagnarono v’ era Lorenzo Fiesco, che due giorni innanzi ne scriveva ad Antonio Gatti pubblico lettore a Pavia: « Martedì mattina andiamo servendo con questa squadra di galere le signore Duchesse sino a Savona. Qual sia il suo giubilo, e come maggiore de passati disgusti può ben ella imaginarselo ». All atto della paitenza vennero regalate « di dodici casse di cioccolata, dolci, et Giorn. Ligustico, %Anno VII e VII!. 3 34 GIORNALE LIGUSTICO aque, caduna di dette Reali Principesse ». Della qual munificenza trovo altresì memoria in una lettera allo stesso Gatti del noto gesuita padre Pastorini, il quale aggiungendo alcune altre curiose notizie e caustiche osservazioni, ben manifesta la sua avversione al Piemonte, e la sua simpatia per la Francia. « Martedì giorno di S. Matteo » egli scrive « partirono da Genova per Piemonte le signore Duchesse di Savoia, servite da cinque nostre galere e regalate dal Pubblico con 16 cassette di molto prezzo. Si calcola che la venuta, dimora, e ritorno di queste Reali Altezze, costi alla nostra Repubblica più di 300 mila lire di questa moneta. Se il Duca di Savoia vuol farci una terribile e sorda guerra, basta che ci mandi qualche altro di questi alloggi. Ho letta una lettera di Ministro di un Principe, che risiede in Torino, scritta ad un Abate claustrale, in cui riferisce, che essendosi lasera de’ 7 settembre, in cui seguì la fatai disgrazia de’ Francesi, portato dal Duca a congratularsi della liberazione di Torino e della insigne vittoria, ebbe in risposta, che poteva ancora congratularsi con tutta l’Italia, perchè presto resterebbe libera dà tutte le armi straniere (1). Come ciò possa seguire e come debba intendersi è un mistero ch’io lascio speculare all’altrui sagacità, perchè io non finisco d’intenderlo ». Si vede bene che al nostro gesuita non andava a sangue il pensiero generoso di \rittorio Amedeo, e che a lui, che un mese innanzi aveva scritto con gioia: «dell’assedio di Torino non posso dir altro, se non che i Francesi sperano di cantare il Te-deum nella Cappella del Santo Sudario il giorno dedicato a S. Luigi di Francia », doveva riuscire ostica quella splendida vittoria. Eppure era qui in giuoco quel medesimo re, da cui (1) Un anonima poesia del tempo, che ho sotto gli occhi, s’intitola appunto L Italia liberata, ciò che vuol dire come il pensiero del Duca fosse entrato nella coscienza pubblica. È dedicata al Principe Eugenio, e vi si fanno gran lodi a Vittorio Amedeo narrando il fatto dell’ assedio. GIORNALE LIGUSTICO 35 * e ia sua patria ebbe a soffrire tanto danno nel 1684, e per la quale egli scrisse un famoso sonetto. La Corte accolta con gran magnificenza e spesata in Savona , vi si trattenne circa sei çiorni, indi di nuovo s’ im- O ' barcò « per proseguire il viaggio verso Albenga dove la Repubblica haveva fatto grandi apparecchi » ; ma giunta « in faccia alla detta città convenne ritornare a Savona per cause di un vento contrario », e vi si fermò alcuni altri giorni, riducendosi quindi a Torino per via di Salicetto e Cherasco. Rimase così gradito il ricordo delle ricevute cortesie, che il Lucey non poteva lasciare senza un’ ultima parola di lode i Genovesi, i quali si erano mostrati ospiti tanto generosi. « Je m’acquite (ei diceva) de la justice, que je crois devoir a Messieurs de Gênes, en informant V. E. que le général et le particulier n’ont rien oublié de tout ce qui a pu contribuer à la satisfaction de LL. AA. RR. » Ma la memoria della venuta in Genova della famiglia ducale , e dei fatti dolorosi che la determinarono, deve pur essere rimasta nell’ animo dei genovesi; e mi pare di ritrovarla in un sonetto recitato da Giuseppe Maria Durazzo nell’ adunanza della Colonia Ligustica d’ Arcadia, tenuta in onore del nuovo Doge Domenico Maria De Mari nel 1708 (1). Eccolo : Misera famigliuola, e sbigottita Lunge fuggia da bellicose genti, Non più cercando i suoi perduti armenti; Ma sol riparo all’ affannosa vita. Il padre afflitto, cui la prole aita Ognor chiedea con lagrimosi accenti, De’ figli in ascoltar gli aspri lamenti Alta nel sen premea doglia infinita. (1) Il sonetto è stampato sotto il nome arcadico Italdo (G. M. Durazzo) nell 'Adunanza de’ pastori Arcadi della Colonia Ligustica nella esaltazione del Serenissimo Domenico Maria de’ Mari Doge ecc. Genova (1708) ; ma da una lettera del Durazzo al Gatti, rilevo che fu composto da quest’ultimo. 36 GIORNALE LIGUSTICO Pur giunto al fin là ’ve ’l Bisagno scende, In liete voci il mesto cor disserra , Non veggendo ivi più guerriere tende; E grida : Oh fortunata amica terra ! Viva chi regna , e chi cotanto intende Da serbar sì gran pace in tanta guerra. Il regno di Vittorio Amedeo andò distinto per fatti ben singolari, ira quali sono degni d’osservazione eziandio questi due: Γ aver cioè affidato la difesa della sua persona a quei Valdesi tanto travagliati ed oppressi da lui poco innanzi, e ricercato onorevole e sicuro asilo alla sua famiglia in mezzo ad un popolo, che non potea certo lodarsi del padre e degli avi, ed ebbe anco dai successori non lievi cagioni di disgusti. Infatti, mentre nel tempo di cui abbiamo parlato, vediamo i Genovesi accostarsi agli Austro-Sardi contro i Gallo-Ispani, dopo il 1715 ecco che subitamente cambiano parte, e ciò in seguito all’ invasione del rè sardo nella riviera di Ponente. Onde la musa popolare genovese, che rispondeva certo al pensiero comune, dopo aver detto, che delle promesse di nuovi dominii fatte al Duca dai potentati, fin il genovese se ne ride, soggiunge : Lo credeste spogliare Con semplice trattato (1) Del Final c’ ha comprato A prezzo caro (2). Dopo passato il Varo Da’ protettori suoi (3), Giano non teme voi Nè i vostri amici. Vengano pur nemici, E soperchiando in mare Si provino a sbarare Ogni bombarda. (1) Trattato di Worms 13 settembre 1743. (2) Pagò a Carlo VI un milione e 20,000 pezze da lire 5 ; contratto de’ 20 agosto 1713. (3) Alleanza con Francia, Spagna e Napoli; x maggio 1745. GIORNALE LIGUSTICO 37 La lor potenza è tarda In vostro aiuto, o Sire, E sol desterà l’ire Del vicino. Sovra il vostro Torino Ricaderà quel fuoco, Chè il genovese ha luoco A vendicarsi. Nè giammai può trovarsi Nemico più spedito D’ un vicino, eh’è ardito E all’ armi pronto. Faceste male il conto D’ insultare vicini, Ch’ ànno forza e quattrini Più di voi (i). Non era dunque certo da parte dei genovesi il torto s’ebbero a ricredersi, e mutarono parte ; perciò acutamente 1’ Accinelli giustifica questo cambiamento della Repubblica col noto adagio : Frangenti fidem fides frangatur eidem. A. Neri. VARIETÀ V ISCRIZIONE DELL’ANTICA PORTA DELL’AQ.UASOLA. Nel luogo dove ora apresi la strada, che attraversando la vecchia Aquasola, ricongiunge la via Roma con via Assarotti, e poco oltre la chiesa di S. Marta, in quel punto dove, or son pochi anni, innalzavansi i grandi archi sopra i quali correva il pubblico passeggio, era da prima edificata la porta detta del-l’Aquasola. Durando in Italia le guerre per le diuturne rivalità di (i) Libro di canzonette diverse construtto da persona dilettante del luogo di Varigotti dell’ anno i"]20 et in apresso Ms. presso di me. 3δ GIORNALE LIGUSTICO Carlo V e Francesco I, Genova, che s’ era affidata alla protezione del primo, molestata più volte dai nemici, nell’agosto del 1556 fu a un pelo di soffrire una nuova invasione francese ; ma difesa gagliardamente dai suoi cittadini coll’ aiuto del presidio tedesco, allontanò da se questo nuovo pericolo. Questo fatto però fece accorti i genovesi delle pessime condizioni in cui trovavansi le mura della città, onde in breve fu vinto il partito « che si fabbricassero nuove muraglie con fortissimi bastioni ». Si dava infatti principio alla nuova opera li 29 dicembre dell’ anno medesimo ponendo, coll’ intervento del Doge e del Senato, la prima pietra dello Sperone. Se non che nel gennaio del successivo 1537 nuovi rumori di guerra da parte del re di Francia e di Solimano, misero tal timore nell’animo dei genovesi, che fu eccitamento a sollecitare le fortificazioni. Chiamarono a dirigerle il celebre milanese Giovan Mario Olgiate (1), al quale fin da questo tempo affidarono il carico di munire Savona, come poi fece nel 1542 (2). a Summa industria (scrive il Bonfadio) urgent murorum opus, quod instituerant, atque omnis generis hominum, aetatum, atque ordinum descriptione, officiorumque vicissitudine constituta, naturam ipsam vincere agressi, complanatis anfractuum asperitatibus, et saxeis montibus pertinaci studio concisis, eam Speroni munitionem, quae primo fieri est coepta, totumque illum murorum tractum, qui ad portam Aqusolam pertinet, et nobilissimam partem illam, quae via Fasciolana ingredientibus alte sese ostendit, ea propugnaculorum magnitudine, quam videmus, brevi tempore perficiunt». Or volendo lasciare memoria di questo fatto, fecero scolpire sulla porta medesima la seguente iscrizione (3) : (1) Parthenopaeus, Annales, Ms. ad annum. (2) Promis, Gl’ Ingegneri militari che operarono 0 scrissero in Piemonte dal 1300 al i6;o nella Misceli di storia ital. XII, 515-16. (3) Banchero, Genova e le due riviere, 694. GIORNALE LIGUSTICO 39 DUX GUBERNATORES PROCURATORESQ.UE AMPLISSIMI ORDINIS DECRETO UT TUTELA AB HOSTIBUS RESPUBLICA JUCUNDISSIMA LIBERTATE FRUATUR SUMMA IMPENSA INGENTI STUDIO MONTIBUS EXCISIS, ET LOCI NATURA SUPERATA PERDIFFICILI OPERE URBEM FOSSA MENIBUS AGGERIBUS PROPUGNACULISQ.UE INCREDIBILI CELERITATE MUNIERUNT ANNO DOMINI MDXXXVIII RESTITUTAE VERO LIBERTATIS X. Questa epigrafe, alla quale come si vede si è ispirato il Bonfadio nel suo racconto , venne scritta da Pietro Bembo, secondo impariamo da questa lettera (i) : A Messer Jacopo Doria a Vinegia Mando a V. S. la inscrizion per le nuove mura della vostra bella Patria, che m’ avete richiesta. Nella quale non ho posto quella parola Dux, che è nelli essempi, che mi avete mandati, perciocché ella non è latina, in questa significazione. E poi dicendo ordo amplissimus, vi s’intende il Senato col suo capo. Non v’ ho anco poste alcune altre parti, che non si ponevano nelle loro inscrizioni dagli antichi, e non sono di quella gravità, che in tali scritture e memorie è richiesta. Siccome è quella della celerità dell’Opera, quando dicendosi intra biennium, si vede la celerità senza nominarla. Se io arò a V. S. soddisfatto, mi fia ciò caro, che certo disidero piacervi. Delle altre parti di cortesia, che sono nella vostra lettera, vi rendo io molte grazie, e mi vi profero di buono animo. State sano. Agli n d’agosto 1538. Di Padova. Si vede però che l’iscrizione non è, qual fu da prima dettata dall’ insigne latinista, e che i genovesi, non intendendo le ragioni letterarie esposte nella lettera, vi vollero quelle (1) Bembo, Opere (ed. 1729) III, 288. 40 GIORNALE LIGUSTICO espressioni che meglio loro garbavano. Tuttavia non possiamo supporre che essi abbiano ardito por le mani in opera di così celebre uomo, ma amiamo credere eh’ egli così la riducesse, piegandosi alle istanze degli amici. Ed amici genovesi ne contava il Bembo non pochi, come apparisce dalla sua corrispondenza; dalla quale si rileva in ispecie l’amicizia grande eh’ egli ebbe col cardinale Federico Fregoso. Sembra • O <·-? anzi che un manipolo di genovesi gli avesse proposto nel 1541 una ristampa, da farsi forse a Genova, delle sue rime, poiché a Girolamo Quirini scriveva (1) : « A quelli gentili uomini genovesi per le stampe delle mie Rime, renderete medesimamente grazie dell’ amorevolezza loro verso me, e direte che io accetterei di buono animo le proferte loro, se 10 fossi ora per tornare a mandarle fuora, come non sono ». UN ANTICO RICORDO GENOVESE NEL NOVELLINO. I libri di novelle, che per molto tempo furono riguardati come opere di semplice passatempo, oggi hanno acquistato una grandissima importanza, mercè gli eruditi studi di molti dotti critici, non solo nel campo della letteratura, ma altresì in quello della storia, accennandosi sovente in essi a fatti, a costumanze, ad uomini di cui non si trovano memorie nelle istorie, e che il novellatore 0 conobbe per la tradizione orale, o trasse da fonti ignorate 0 perdute. Di questo novero è il Novellino; tanto maggiormente studiato in quanto è uno dei primi esempi di prosa volgare. Uomini valentissimi stranieri ed italiani esaminarono il contenuto del libro, e basta ricordate il Bartoli, il D’ Ancona e il Biagi per farci un giusto concetto della sua importanza (2). (1) Ivi, 171. (2) Bartoli, I primi due secoli della letteratura italiana, 281; e Storia GIORNALE LIGUSTICO 41 Ora scorrendo queste novelle la mia attenzione si fermò sulla 85.ma secondo il testo Gualteruzzi, che io trascrivo qui seguendo la lezione del codice panciatichiano testé edito dal Biagi, poiché, accostandosi più alla forma primitiva, ci conduce più vicini alla genuina esposizione del narratore. Qui conia d’ una grande carestia lie fu a un tempo in Genova. In Genova si avea a uno tempo gran caro, et là si trovava sempre più rubaldi che ’nulla terra. Pensarano cosi che tolsero alquante galee et pagarono i conducitori et mandaro bando che tutti i poveri andassero a la riva et avereboro del pane del comune. Incontanente ve n’ ebe tanti che a maraviglia, et ciò fu perchè molti che non erano bisongniosi si travisarono et andarovi. Allora gl’ ufìciali dissero: Tutti quie non si po-trebero cernire; ma vadano i cittadini in su quello lengno et i forestieri ne 1’ altro, et le femine co’ fanciulli in quegli altri. Sì che tutti v’andaro. I conducitori furo presti, diedero mano a’ remi et andarono via et aportarono i’ Sardingna et lae li lasciarono, che v’ era dovizia; et in Genova cessò il charo. Gli storici genovesi non accennano minimamente a questo fatto, e non so come il Manni abbia potuto citare in prova del racconto Girolamo De Marini, il quale nella sua operetta Genita stampata nel 1666 non ne fa la più lontana allusione; forse 1’ editore volle riferirsi a quel luogo dove si tocca della sterilità del suolo genovese in fatto di cereali (1). della lett. ital. Ili, 183. —■ D’Ancona, Saggi di critica e di storia letteraria. — Biagi, Le novelle antiche dei codici Panciatichiano-Palatino e Lau-remiano-G ad diano. (1) Libro di novelle ecc. Firenze 1782, II, 117. — Genua sive Dominii, Gubernationis, Potentiae, Dignitatis Ser. Reip. Genuensis Compendiaria Descriptio, 79. 42 GIORNALE LIGUSTICO Se non che osservo che Γ avvenimento vien riferito dal novellatore a un tempo assai lontano da quello in cui egli narrava o scriveva; quindi opinando col d’Ancona che il libro possa essere stato dettato fra il 1280 e il 1290, e che lo scrittore « più che tutto conosceva i costumi e gli uomini del— l’età precedente », perchè « alla fine del dugento, l’età precedente era conosciuta nelle tradizioni che ne eran rimaste (1)», mi sembra si possa ragionevolmente recare quel racconto al secolo XII. Ciò posto trovo nel Giustiniani, che segue Oberto cancelliere, nairato all’ anno 1171, come avendo i genovesi accolto onorevolmente Cristiano Arcivescovo di Magonza, legato dell Imperatore, « i Lombardi molto sdegnati divietarono che non si portasse grano a Genova di Lombardia. Per il qual divieto, essendo nei luoghi circostanti 1’ annata sterile, montò la mina del grano in sino a dieci ducati, e durò questa carestia per spazio di sei mesi (2) ». Ed ecco, secondo me il gran caro di che si parla nella novella. Ma quivi si dice ancora che i convenuti sul mare furono portati in Sardegna; nè a ciò si oppone la storia, perchè l’isola era allora già venuta in potere dei genovesi, e per virtù d armi e per concessione dell’ Imperatore, al cospetto del quale 1 avea rivendicata contro i pisani Oberto Spinola nel 1166. Di più il citato annalista ci narra che nello stesso anno « si armarono quattro galere sotto la guida di Otto di Caftaro console, il quale insieme con molti altri gentiluomini portarono in Sardegna il re Barisone : il quale già otto anni si era detenuto in Genova per causa dei debiti che aveva col comune ». Ora si potrebbe benissimo credere, che sopra queste navi appunto, fosse trasportata tutta quella gente in Sardegna. (1) Op. cit. 293; (2) Annali di Genova, 1, 248. — Mon. germ. hist. Scriptores, XVIII, 90-91. GIORNALE LIGUSTICO 43 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA Studi di critica e storia letteraria di Alessandro D’Ancona. — Bologna, Zanichelli, 1880. Il nome dell’ autore come ci dispensa da ogni elogio, così dal segnalare F importanza del libro ; poiché oggimai siamo assuefatti a riconoscere in lui uno dei più valenti critici e dei maggiori eruditi. Niuno dimentica infatti di quanta nuova luce abbia vantaggiato le lettere la sua Storia del teatro in Italia, e quella della Poesia popolale; e neppure possono essere dimenticati gli scritti minori d’ estensione ma non minori d’ importanza , che man mano vien pubblicando il valente professore pisano, vuoi nei giornali letterari italiani come in quelli esteri. Il desiderio eh’ egli raccogliesse le diverse sue scritture si faceva ogni dì più vivo, e le sollecitudini degli amici maggiormente insistenti, ond’ ei volle in parte accondiscendervi. Nel volume uscito ai mesi passati egli ha riunite quattro sue scritture: Il concetto dell’unità politica nei poeti italiani; Cecco Angiolieri da Siena poeta umoristico del secolo XIII; Del Novellino e delle sue fonti ; La leggenda d’AItila flagellum Dei in Italia. L’ annunzio che noi \’ogliam dare di questo libro non ci consente di fermarci a parlarne con quella larghezza che 1’ opera meriterebbe ; saremo dunque contenti di accennare per sommi capi la sostanza dei singoli scritti. Il primo, che segue e completa il soggetto svolto da Ferdinando Ranalli nel 1871, ci porge una bella e compiuta sintesi dello svolgimento storico del pensiero italiano, e ricerca tutte quelle manifestazioni poetiche le quali s’intrecciano ai fatti della storia civile e mostrano come il concetto dell’ italica unità fosse sempre latente, attraverso ai fortunosi avvenimenti ai quali fu soggetta la patria. E queste testimonianze egli ran- 44 GIORNALE LIGUSTICO noda e ricongiunge con mirabile ordine cronologico, in guisa da fonderle insieme e creare un tutto vivificato dair ornata parola. Ma ben sapendo egli come mal si contenti l’erudito investigatore delle semplici affermazioni, ha voluto corredare il suo dotto discorso di molteplici e importantissime note, nelle quali ha discusso altresì punti importanti e controversi di storia letteraria ; come ad esempio la ricerca del perso-naggio a cui il Petrarca diresse la celebre canzone : Spirto gentil, eh’ ei ritiene sia il contradetto Cola da Rienzo ; e il tempo in cui fu scritta 1’ altra ai grandi d’Italia, eh’ ei giudica il 1370. Una serie di sonetti inediti del rimatore senese, Cecco Angiolieri, lo indussero a dettare una monografìa di non lieve importanza, non solo in quanto alle notizie di questo poeta, diversissimo dai suoi contemporanei, ma perchè egli ci dipinge un bel quadro della vita spensierata di quei nostri antichi, i quali non avevano sempre in mano i rosarii e non biascicavano continuamente paternostri, come è piaciuto ad alcuno di darci ad intendere. Il poeta è studiato sotto un duplice aspetto, della sostanza e della forma, e questo esame apparisce in ogni sua parte compiuto, e corredato di tutti quei riscontri atti a lumeggiare il soggetto. Ed era in vero meritevole di una speciale considerazione questo senese, nei cui versi tu non trovi quell’ ingenuo platonismo amoroso, o quelle sottigliezze scolastiche, di che tanto si piacquero i suoi contemporanei ; ma vi riscontri Γ allegro buontempone, lo scettico beffardo, il burlesco, il satirico, l’umorista; e ti par di sentire Γ ultima nota violenta e bizzarra dei vagabondi goliardi. — Ecco un esempio del suo modo di poetare : S’io fossi fuoco, arderei lo mondo, S’io fossi vento, io ’l tempesterei, S’io fossi acqua, io 1’ allagherei, S’io fossi Iddio, lo mandere’ ’n profondo. GIORNALE LIGUSTICO 45 S’ io fossi Papa, allor sare’ giocondo Che tutti i Cristian tribolerei : S’ io fossi Imperador, sai che farei? A tutti mozzerei lo capo a tondo. S’ io fossi Morte, io n’ andre’ da mio padre, S’io fossi Vita, non stare’ con lui, E similmente farei a mia madre. S’ io fossi Cecco, com’ io sono e fui, Torrei per me le giovane leggiadre, Le brutt’ e vecchie lascierei altrui. « Qui (soggiunge l’autore) a prima giunta si direbbe che parli un Caligola, e in fondo troviamo al più un innocuo Eliogabalo, amante solo della voluttà, e si capisce che i voti che il poeta fa da principio , sono vanti di odio e di vendetta ; ma a lui basterebbe esser quel che da ultimo chiede, cioè padrone e signore del fior del bel sesso. Il comincia-mento procede a suoni rotti, solenne, minaccioso, quasi mugghio di tempesta devastatrice, rapido come folgore, passando con orribile crescendo da una sventura e da un eccidio all’ altro : ma la fine è uno scroscio di grasse risate ; e del resto, così nella prima come nella seconda parte del sonetto, tutto in esso è vivacità, tutto è gfazia, tutto è lepore ». Di non minore importanza è lo scritto in cui si esamina il Novellino ; e qui si mostra la grande padronanza dell’autore in quegli studi di letteratura comparata che ottennero ai di nostri tanto favore, e che niuno può, senza taccia di ignavia, oggimai ignorare. Si può dire, senza tema di errare, che fra i non pochi scritti venuti fuori intorno a questo soggetto, quello del D’Ancona è il più importante e il più completo. Qui tutte le quistioni sono profondamente trattate, e non sono lasciati senza risposta anche i contradditori men noti; tanto è vero che il Cartoli, altra volta dissenziente, negli ultimi suoi scritti, ha dovuto convenire in alcune opinioni del nostro critico. Se potrà dirsi che il Biagi recentemente ha dato la più ampia e critica istoria esteriore del Novellino, niuno vorrà 4 6 GIORNALE LIGUSTICO negare come all* autore nostro spetti il primato della storia intrinseca. Quel libro che fu dapprima creduto opera di molti, e poi attribuito, ma non interamente, a Francesco da Barberino, or si dovrà dir col D’Ancona opera di un solo « non letterato di professione », ma popolano e mercante conoscitore di quasi tutti i libri sui quali si formava la coltura al cader del dugento, il quale volle forse compilare « un manuale pei bei favellatori, un memoriale per gli uomini di corte, sicché specialmente ne ricevessero incremento i bei costumi e le usanze cortesi delle residenze principesche ». Onde, se vi troviamo fatti desunti dalle tradizioni, dalle leggende, dalla cavalleria, e dalle istorie vi possiamo altresì riconoscere « i costumi e gli uomini dell’ età precedente a quella nella quale 1’ autore viveva, e dei quali i pregi e la fama si erano andati col tempo accrescendo, tanto da farne l’età eroica dell’impero e del feudalismo ». Nè diremo più, come ci faceva credere 1’ arbitraria compilazione del Borghini, che alcuni fatti si debbono assegnare al primo ventennio del secolo XIV, ma convinti dalle ragioni del D’Ancona, ritei-remo che il libro « potesse essere scritto tra il 1280 e il 1290 ». E in pien medio evo ci risospinge l’ultimo lavoro intorno alla leggenda d’Attila. Senza che ci facciamo a riassumere la genesi tradizionale e leggendaria di questo re barbaro, gioverà ricordare come non vi abbia quasi istoria d* antica città italiana, la quale in più o meno larga misura, non ricordi qualche danno sofferto da questo Flagello di Dio. E l’autore, riunendo insieme tutti questi accenni leggendari, viene ordinatamente divisando quale importanza ebbe siffatta tradizione nello svolgersi del concetto storico poetico italiano. Egli fa quindi suo prò’ di tutte le manifestazioni, sia che provengano da opere d’indole gravemente storica, oppure da canzoni e poesie popolari. Dal che si apprendono fatti e notizie 0 da GI0HNALE LIGUSTICO 47 altri ignorate , oppure credute disdicevoli alla gravità della storia. Nè importa eh’ io aggiunga come la trattazione sia anche qui piena ed intiera, e sopperisca alla mancanza del- 1 opera di Amedeo Thierry, il quale pur conoscendo lo scritto del D’Ancona fino dal 1864 « con poca premura letteraria e con cortesia poco francese » non se ne giovò mai nelle successive edizioni del suo lavoro. Chi conosce l’operosità dell’ autore e i molti altri suoi saggi> si duole che nel presente volume non vi sia 1’ aperta promessa di un secondo; è vero eh’ei sarà costretto a piegarsi anche questa volta al nuovo desiderio degli studiosi, e sarà vinto dal favore che incontrerà questa prima raccolta. E poiché siamo sul domandare, non ci darà tàccia d’indiscreti se lo ecciteremo a stampare le sue lezioni di letteratura ; le quali, a chi ne ha studiati i sunti raccolti da un valente discepolo nella scuola, sono sembrate la più nuova e chiara sintesi delle dottrine istoriche, filosofiche, filologiche e critiche, da lui coltivate con tanto studio e tanto valore. BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Della vita e delle opere di Pietro Tenerani, del suo tempo e della sua scuola nella scultura. Libri due di Oreste Raggi. — Firenze 1880. Di questo insigne scultore si avevano scarse notizie biografiche, e non certamente adeguate alla fama eh’ egli ebbe nel campo dell’ arte. Si sapeva però che da molto tempo attendeva ad illustrarne la vita il eh. Raggi, come quegli che gli fu amicissimo, ed a cui gli eredi confidarono il bel tesoro di carte lasciate dal defunto. Ed ecco il frutto delle sue lunghe fatiche in questo volume che non ismentisce la fama del chiaro scrittore, ed adempie pienamente l’aspettazione del pubblico porgendoci un bel modello d’illustrazione biografica, critica ed artistica. Infatti discorrendo del Tenerani, come quello in cui si assomma tutta la sostanza dell’opera, ci dà il Raggi una larga contezza della storia dell’ arte così innanzi al fiorire del celebre carrarese, come del tempo in che lavorò, per venire poi ad esporre quale e quanta importanza ebbe anco in appresso la sua scuola. Si potrà forse non convenire in alcuni giudizi dello scrittore, e 48 GIORNALE LIGUSTICO si potrà forse notare qua e colà qualche eccesso ; ma sarà mestieri riconoscere la maestria ond’ egli ha saputo, dalla serie di tanti documenti, mettere sotto gli occhi nostri cosi vivamente, un brano importante di moderna storia artistica. Ser Lapo Maxjei. Lettere di un notare a un mercante del secolo XIV, con altre lettere e documenti per cura di Cesare Guasti. Firenze, Le Monnier 1880, voi. 2. Questa importante pubblicazione, che può andar di conserva con le Lettere di una gentildonna fiorentina del sec. XIV, si scosta da tutte le altre raccolte di lettere, perchè ci rappresenta gli uomini quali veramente erano, coi loro vizi e le loro virtù, coi pensieri e i sentimenti pi opri del loro tempo, e non preoccupati dal fatto che quelle loro ingenue ed apei te scritture avrebbero veduto un giorno la pubblica luce. Di più si credeva che se la lettera non portava un nome illustre non fosse degna d essere tramandata alla posterità ; mentre chi cerca vedere non un lato della vita storica dei popoli, ma addentrarsi nella conoscenza della vita intima, bisogna appunto si rifaccia a quei documenti che di essa sono gli specchi più fedeli. Questo può fare chi voglia scorrere i due volumi che annunziamo, dai quali si spiccano sulle altre minori due figure, quella del mercante Fran^ cesco di Marco Datini e del notaro Lapo Mazzei tutti due da Piato. E dell’ uno e dell’ altro abbiamo ampia, nuova, erudita e piacevole illustra zione nel proemio del eh. editore. Mercadante il primo ridottosi da pie colo stato in grande fortuna, mercè 1’estensione dei commerci, lascio alla sua città natale ogni suo avere, fondando quell’ insigne opera pia che dicesi il Ceppo, onde a ragione si potè scrivere sotto la sua effigie . Francesco son di Marco che lasciai Le mie sustanze tutte alli pratesi Perchè la patria mia più eh’ altro amai. Anche a Genova egli ebbe fondaco, ed anzi di qui, dopo aveivi fatta compagnia, si afferma passasse a Valenza e a Barcellona poco più che ventenne. Certo sarebbe di grande importanza lo esaminare i molti car teggi commerciali che riguardano la nostra città, e che si conservano ordinati nell’ archivio del Ceppo. Il Mazzei, notaro ed uom publico, fu anch’egli a Genova nel 1391 in qualità di cancelliere con Filippo Adimari, Guido del Palagio e Ludo vico degli Albergotti ambasciatori deputati dai fiorentini a trattare la pace col Visconti, e loda 1’ aria della città che gli « fu buona », e a quando a quando ricorda una frase quivi imparata. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 49 OSSERVAZIONI DI GASPERO LUIGI ODERICO SOPRA ALCUNI CODICI della Libreria di G. Filippo Durazzo (Continuazione vedi pag. 27). CODICE III. Anche il presente Codice contiene i Libri Canonici dell’ uno e dell’ altro Testamento, e sono in esso disposti con quest’ordine : L’ Ottateuco, i quattro libri de’ Re, i due dei Paralipomeni , i tre di Salomone, la Sapienza, 1’ Ecclesiastico, i Salmi., Tobia, Giobbe, Giuditta, Ester, Neemia, il secondo di Esdra (cioè 1’ Apocrifo nelle nostre Bibbie detto il Terzo) il i.° de’ Maccabei, i XII Profeti minori, Isaia e alcun poco di Gieremia; appresso vengono i quattro Evangelii, indi gli Atti Apostolici, le Epistole di S. Paolo, le Epistole Canoniche, e per ultimo l’Apocalisse. La divisione de’ libri in Capitoli non è del tutto conforme alla nostra, ove cresce, ed ove manca, come mostra questa piccola Tavola: Manoscritto. Edizioni. Genesi Capitoli 51 . ......Capi 50 III. Regum c. 23........»22 Hester c. 9.........» 16 Neemias c. 14 . ......j> 13 II. Esdrae al. 3 c. 27.......» 9 Epist. ad Heb. 14 . ......« 13 » Iacobi 4........» S I. Pet. 4 . . :......» 5 I. Ioh. 4.........» 5 Apocal. 12 . · ......»22 Giorn. Ligustico, ^Anno VII e Vili. 4 50 GIORNALE LIGUSTICO Quella moltiplicità di Prologhi che vedesi nelle Bibbie anteriori alle Sistine, e quasi tutti quelli, che riporta il Codice Talauriense di cui si è parlato al η. II, trovasi anche in questo. Lo scrittore però è stato più circospetto nell’ attribuire a S. Girolamo la maggior parte di questi Prologhi. Due soli portano il nome del Santo, cioè il primo al principio del Codice, ed il ter^o di quei che precedono i Salmi : Γ uno e 1 altro sono infatti lavoro di S. Girolamo. Di tutti gli altri se ne tace 1’ autore, sebbene alcuni sieno veracemente del Santo. L’ Orazione di Manasse, forma qui il cap. 27 del secondo dei Paralipomeni; ed alla fine dell’ Ecclesiastico, come in altre Bibbie manoscritte, s’ incontra 1’ Orazione, di Salomone presa dal cap. VI del citato libro de'’ Paralipomeni. Il manoscritto è ricco d’oro e di miniature : del merito di queste io non deciderò; mi paiono migliori assai di quelle del Codice Talanriense : non direi cosa forse lontana dal vero, se dicessi, che il pittore ebbe innanzi agli occhi un qualche greco originale. Dal greco sembrano presi i ritratti di San Giovanni nella iniziale del di lui Vangelo, e quei di S. Paolo al principio di parecchie delle sue lettere. Quella, che precede il Vangelo di S. Luca, e la prima di quelle che abbelliscono il principio degli Atti Apostolici, sono somigliantissime a due Mosaici dell’ antica Chiesa di Monreale in Sicilia, fabbricata da Guglielmo II. Il P. D. Michele del Giudice che ha descritto quel reai Tempio e Monastero detto di Santa Maria Nuova (Paler. anno 1702), ci assicura che que’ Mosaici furono lavoro di greco artefice. (V. Lamin. XVIII n. 1. Lam. XXVI n. 8). Ma nè da questo copiò, per mio avviso il pittor del Codice, nè delle presenti pitture, si prevalse il Mosaicista. Un più antico esemplare servì all’uno, e all’altro di guida. A confermarmi che dal greco sieno copiate in gran parte le presenti miniature, osservo che greca si è Γ inscrizione del cartoccio posto in mano a S. Gio. Batta nella iniziale di GIORNALE LIGUSTICO 51 S. Marco: ΕΤΩ ΦΩΝΗ ΒΟΩΝΤΟΣ ΕΝ ΕΡΗΜΩ, Ego vox clamantis in eremo, parole di Isaia, che il S. Precursore si appropria presso S. Giovanni C. I v. 23. La poc’ anzi citata pittura degli Atti Apostolici, in cui è dipinta 1’ Ascensione del Redentore, non vuole lasciarsi inosservata : 1’ autore vi si è forse data più libertà che al soggetto non conveniva. Egli vi rappresenta il Signor Nostro Gesù Cristo sostenuto da due angeli nella sua salita; e al basso co’ Discepoli ha posta la Vergine Madre in mezzo ad altri due angioli. Or il Sacro Testo, non ci dice, che Maria fosse presente a questo fatto, e Gesù non avea bisogno del ministero degli angioli per salire al Cielo. Monsignor Ciampini ha cercato di darci ragione dell’una e dell’altra singolarità, ove tratta delle famose porte di bronzo della Basilica Pisana nelle quali l’Ascensione è in simil guisa rappresentata (Vet. Mon. P. i, pag. 49). Dell’ antichità del Codice nulla io posso stabilire con sicurezza; potrebbe darcene qualche indizio la miniatura posta al principio ; quando però non sia anzi copia che originale. L’ imagine di S. Girolamo vi è più volle ripetuta; si vede nella parte superiore della pagina, in due piccoli tondi del Rabesco, e tre volte nella Iniziale : in niuna mai con il Cappello Cardinalizio e con a’ piedi il Leone, conforme ce lo sogliono rappresentare i nostri pittori. Di queste bizzarrie si vanta d’ essere stato autore Giovanni di Andrea famoso Canonista morto l’anno 1348. Ego dictavi formam qua nunc in cathedra sedens pingitur (S. Girolamo) cum Capello quo Cardinales utuntur, deposito, et Leone mansueto sic in locis diversis multiplicando picturas (V. Act. SS. Boll. 30 Sept. Vit. S. Hier § 75). Se ciò è vero il presente Codice, sarà anteriore al secolo XIV, o al più su primi del medesimo. Ho detto bizzarrie il Cappello ed il Leone, perchè nè S. Girolamo fu mai Cardinale, nè ebbe dimestico a’ servigi del Monastero di Be- 52 GIORNALE LIGUSTICO thelemme un Leone, come molti si sono creduti, sull’autorità di un’ antica leggenda che niuna non ne merita. Il pittore del Codice ha vestito il Santo di una Tonaca, non saprei dire, se violetta o grigia e di una nera sopraveste, o pallio con cui si cuopre il capo : nella figura però che sta in mezzo ove il Santo è ginocchioni innanzi ad un Pontefice seduto in trono, a cui presenta un libro, ha invece del pallio, una cocolla o cappa con il cappuccio pendente sulle spalle, conforme aveanla gli antichi Monaci, de’ quali ha parimente la Tonsura. L’ artefice usò qui de’ molti privilegi della sua arte, e S. Girolamo ci è in abito non suo, nè de’ suoi tempi. Ma se in questo è da riprendersi 1’ artefice, gli si dee lode, d aver posto dietro al capo di S. Girolamo, il Nimbo d’oro contrasegno di onore e di Santità, delle cui varie epoche presso i Cristiani, nelle imagini di Cristo, degli angioli, e de Santi ha dottamente ragionato il Senator Buonaroti nelle sue osservazioni su’ Vetri Cimiteriali pag. 60 ecc. Qualche maggiore antichità potrebbe dare al Codice l'imagine del Pontefice poc’ anzi rammentato. La Tiara, che esso porta in capo non è ornata che di una sola corona, come usavasi inanzi a Bonifazio Vili, fin dal secolo IX, e forse prima. Bonifacio creato pontefice l’anno 1295, e morto l’anno I3°3 ? quello, per comune consenso de’ critici, che alla pontificia Tiara aggiunse la seconda corona. So, che non mancano scrittori, i quali hanno creduto di poter fissare 1’ epoca delle due corone nella Tiara pontificia, alla coronazione di Nicolò II fatta l’anno 1059, sull’autorità dello scismatico Benzone Vescovo di Alba, il quale racconta, che a Nicolò fu posta in capo da Ildebrando una reai corona cinta di due cerchi, nell’uno de’ quali leggeasi: Corona Regni de manu Dei, nell’altro: Diadema Imperii de manu Petri. Ma quel maligno scrittore impegnato a denigrare tutte le azioni di Gregorio VII chiamato prima Ildebrando non merita troppa fede: e se il fatto GIORNALE LIGUSTICO 53 fu vero non passò allora in esempio, nè fu imitato da’Pontefici successori di Nicolò, e anteriori a Bonifazio : anzi neppure da Bonifazio su’ primi anni del suo pontificato; conforme è stato osservato da’ dotti. Aggiungasi che il presente manoscritto non mostra sicuramente di essere del secolo XI; e qualora sia del secolo XIII è già la maggiore antichità, che, a mio giudizio, dar gli si possa. CODICE IV. La presente Bibbia non dee essere più antica del secolo XIII. L’ ordine de’ libri è uniforme a quello , che abbiamo nelle nostre; se non chè gli Atti degli Apostoli, sono in questa dopo le Epistole di S. Paolo; varietà che si trova in altre anteriori alla correzione di Sisto V. Uniforme è parimente la divisione de’ libri in Capitoli. Di questa divisione si è parlato nelle osservazioni premesse al Codice Talaurimse: ove pure si è parlato de’ Prologhi, nelle vecchie Bibbie, così manoscritte che stampate attribuiti a S. Girolamo. Uno o due in questa ne portano il nome, e sono infatti di S. Girolamo; degli altri si tace l’autore. Manca il prologo dell’Ecclesiastico di Gesù figliolo di Siractf che è parte del Sacro Testo. A’ Maccabei precedono i due Prologhi di Rabano Mauro, l’uno diretto a Ludovico Re di Francia; l’altro a Gerondo o Ge-roldo Arcidiacono del Sacro Palazzo. Alla testa della maggior parte de’ libri del V. T. sono i sommari de capitoli, ne quali il libro è diviso: questi sommari non corrispondono a quei che leggonsi presentemente nelle nostre Bibbie. Il famoso passo di S. Giovanni (Epist. I, C. V., vv. 7. 8), è mancante in questo ultimo verso di quelle parole: et hi tres unum sunt. Al fine della Bibbia ti trova la spiegazione dei nomi Ebraici in 20 pagine, che si suppone lavoro di Beda, 54 GIORNALE LIGUSTICO e trovasi nel Tom. Ili delle di lui opere. Lo scrittore di questo manoscritto ha lasciato fuori i libri apocrifi, che sogliono essere alla fine delle nostre Bibbie. Molte note marginali trovansi qua e là; altre più, altre meno copiose; non tutte della stessa mano, e probabilmente fatte in diverso tempo. Sembra, che alcune siano state cancellate, seppure non sono svanite per la debolezza dell’ inchiostro. Alla cattiva qualità della pergamena corrispondono gli ornamenti; iniziali andanti, poche e povere miniature e di cattivo gusto, le quali non presentano cosa, che meriti osservazione. CODICE V. Questo Codice scritto con molta diligenza, mostra di essere del secolo XV. Contiene i Sacri libri dell’uno e l’altro Testamento, con quello stesso ordine, e divisione di Capi, che sono nelle presenti Bibbie; eccetto che gli Atti degli Apostoli sono dopo 1’ Epistole di S. Paolo, e l’apocrifa Orazione di Manasse, è alla fine de’ Paralipomeni, ed il ter^o di Esdra similmente apocrifo, che qui è detto secondo, trovasi dopo Neemia. I Prologhi sono posti ciascuno a suo luogo senza nome di autore, a riserva de’ primi due, che si attribuiscono, e sono di S. Girolamo. Alla testa del Codice trovasi Γ Indice degli Evangeli, ed Epistole, che in quel tempo leggevansi alla messa delle Domeniche, ed in altre feste dell’anno. Alla fine del medesimo avvi in primo luogo la spiegazione de’ nomi Ebraici, in appresso un elenco delle materie contenute nella Storia Evangelica, e in quattro colonne il numero o capo corrispondente a ciascuno degli Evangeli in cui parlasi di quella materia. Le piccole miniature, che sono nelle Iniziali di ciascun libro o alludono all’autore del medesimo; o a qualche fatto raccontato nel libro. Curiosa si è quella, che vedesi alla lettera L GIORNALE LIGUSTICO 55 nella spiegazione de’ nomi, ove leggendosi « Laabaddon » Apollion graece exterminans, exterminator latine, il pittore vi ha dipinto un Apollo in atto di suonare il Violino. Ma quivi non si parla di Apollo, sebbene questo nome, venga dalla stessa radice απολλομι « Perdo, Extermino » da cui deriva Apollyon, voce corrispondente all’ Ebraico « Abaddon » e al latino Exterminans, conforme si dice al Cap. IX v. 11 dell’ Apocalisse, da cui sembran prese le sopradette parole. CODICE VI. Il presente Codice, in cui si contengono i sacri libri del-1’uno, e l’altro Testamento è assai verosimilmente creduto del Secolo XIV. I libri sono disposti con l’ordine medesimo che nelle nostre Bibbie dopo la correzione di Sisto V e Clemente VIII, a riserva, che nel Vecchio dopo Neemia, ossia il Secondo di Esdra, viene immediatamente il Ter^o diviso in 26 capitoli: dopo il 36 capitolo del II de’ Paralipomeni, siegue senza alcun titolo, e come parte dello stesso capo 1’ Orazione di Manasse: ove che nelle nostre l’uno e l’altra è al fine tra gli apocrifi. Al fine dell’ Ecclesiastico, si ripete, come nel codice Talauriense, l’Orazione, 0 piuttosto parte dell’ Orazione di Salomone riferita al cap. 6 del II de’ Paralipomeni : questa ripetizione è qui ancora diversa da quella della Volgata. Nel Novo gli atti Apostolici sono dopo 1’Epistole di S. Paolo. Nella divisione de’ libri trovasi qualche piccola differenza tra la nostra e quella del codice che qui noterò. Manoscritto Edi{iotu Giudici Capitoli 22 ......Cap. 21 Ruth » 5......» 4 Giobbe » 41 » 42 Salmi » 170......#150 5^ GIORNALE LIGUSTICO Manoscritto Edizione Baruch Capitoli 5......Cap. 6 I. Machab. » 14............» 16 II. Mach. » 14 . . . . , . » J5 II. Ad Tim. » 3 ..........» 4 II. Petr. » 2............"3 La notabile differenza, che passa tra la nostra Bibbia, ed il manoscritto rapporto ai Salmi, nasce perchè nel manoscritto il Salmo 118, è diviso in 21 Salmi. Lo scrittore aveva cominciato a mettere alla testa dei libri i Sommari de’ capi, ma questo lavoro, dopo i primi quattro libri del Pentateuco è interrotto, e ripreso di quando in quando. Per lo più i Sommari non corrispondono esattamente alla divisione de’ capi, essendo questa minore, che ne’ Sommari. Al fine voleva darci la spiegazione de’ nomi Ebraici, ma non si è terminata neppur la lettera A. De’ Prologhi, e degli Argomenti, si è trattato nel Codice Talauriense; il presente manoscritto non fornisce alcuna cosa nuova da aggiungere a quanto è stato detto in quella occasione. CODICE VII. Questo bello ed elegante manoscritto ricco di vaghe iniziali, e di parecchie miniature messe ad oro e a colori, fu scritto, e miniato l’anno 1472, a 19 di Giugno, da Carlo Maineri Sacerdote Cremonese conforme leggesi al fine del-1’ ultima pagina. Contiene una piccola introduzione intitolata Origo Prophetiae David: la Prefazione di S. Girolamo premessa dal Santo alla seconda correzione, che fece del Salterio tradotto in latino dal Greco dei Settanta: indi vengono i centocinquanta Salmi, che sono quei, che presentemente usa la Chiesa nella Liturgia, detti un tempo Salterio Gallicano, a GIORNALE LIGUSTICO 57 differenza della prima edizione detta Salterio Romano usato nella Basilica Vaticana. Siegue il Salmo 151, che la Chiesa non riconosce per autentico, e che non è nel Testo Ebraico, nella Parafrasi Caldèa, e nella nostra Volgata: leggesi però in molti de’ Greci esemplari; nelle versioni Siriaca, Arabica, Etiopica, Anglo-Sassonica; veggasi Calmet, che cita i Padri che di esso ne parlano. Le miniature che abbelliscono molte delle iniziali alludono a qualche passo del Salmo alla testa di cui son poste. Questo era un uso degli antichi calligrafi, che non si vede osservato regolarmente nelle nostre stampe. CODICE VIII. Contiene il presente Codice una breve esposizione dei quattro Evangeli. L’Autore vi spiega alla distesa S. Matteo; di S. Marco non tocca, se non ciò che non trovasi in San Matteo , e con lo stesso metodo, S. Luca, e S. Giovanni. Questa esposizione è falsamente attribuita a S. Girolamo, di cui nella iniziale del Prologo vedesi il busto in miniatura con un grandissimo cappello cardinalizio. Da simile rosseggiante cappello è facile il giudicare della età del Codice. Esso ci dice che non può essere anteriore alla metà del Secolo XIV, giacché, conforme osservai in altra occasione (Codice III), Giovanni Andrea famoso leggista morto 1’ anno 1348 fu il primo, che introdusse a dipingere S. Girolamo con le insegne cardinalizie. Probabilmente però il Codice è del Secolo XV, . copiato da un esemplare del XIII, a cui ascriverò io la constante mancanza de’ Dittonghi, e la moltiplicità delle abbreviature, che sono in questa copia, per non entrare qui ora in lite con qualche critico a cui è piaciuto di stabilire che dal 1400 le abbreviature cessarono per la maggior parte, e i Dittonghi ritornarono nei manoscritti. Per quanto apparisce servì il Codice ad uso di qualche Coro 58 GIORNALE LIGUSTICO trovandosi a mano a mano notati gli Evangeli delle Omilie per le Domeniche, e feste dell’ anno Ecclesiastico. E poiché i Titoliossia le Rubriche per gli Evangeli non sono secondo l’ordine del Calendario Ecclesiastico, ma a mano a mano, come dicea, a misura che gli Evangeli incontransi nel Testo; perciò, alla fine del Codice è posta Tabula ad inveniendum Evangelia secundum formam Missalis Romanae Curiae. Queste ultime due parole, e il non trovare nella Tavola tra i Santi confessori che il solo S. Francesco d’ Assisi, mi fa credere che il Coro per cui servì fosse de’ Francescani ; i quali adottarono officium breviatum Romanae Curiae; su di che sono a vedersi il Wadingo loro storico, all’anno 1244, se non erro, ed il Grancolao sul Breviario Romano al Cap. V. S. Francesco fu canonizzato l’anno 1228, due anni dopo la di lui morte, quindi la Tavola accennata non dee essere anteriore al detto anno 1228; nè posteriore alla Festa della Santissima Trinità, che non trovasi in essa, e fu fissata alla Domenica dopo la Pentecoste da Giovanni XXII, l’anno 1334. Scarsissimo è il Proprium Sanctorum. Della SS. Vergine quattro sole feste si notano; la Purificazione, Y Annunciata, 1’ Assunta e la Natività. Non so perchè manchino quelle della Concezione, e della Visitazione, che pure i Francescani celebravano fin dall’anno 1263 per ordine del Capitolo tenuto in detto anno in Pisa da S. Bonaventura; ed è certamente la Tavola posteriore a detto anno, trovandocisi la festa del Corpus Domini instituita da Urbano IV l’anno 1264, ma non celebrata forse in tutta la Chiesa prima del 1311 o 1316. Mi farebbe questo temere, che il Codice non sia stato per uso de’ Franciscani. Nè più saprei dire perchè lo scrittore della Tavola dopo avere scritta questa Rubrica in Vigilia Assumptionis B. Μ. V., cassasse la parola Vigilia; e citasse poi sotto, il Vangelo, che tuttavia leggiamo nel giorno della festa. Seppure non fu, perchè 1’ Evangelio di questa Vigilia, GIORNALE LIGUSTICO 59 che Nicolò I mette tra gli antichi digiuni della chiesa Romana, nella sua risposta ai Bulgari, è preso dalle Votive della Vergine, che non trovansi nella Tavola, siccome altre votive; onde è che sospetto che il Codice manchi d’una pagina, finendo la Tavola con 1’Evangelio In Dedicatione Ecclesie. Mancano tra gli Apostoli S. Bartolomeo, ed i SS. Simone e Giuda, la qual mancanza , siccome osservò il dotto Gesuita Lesleo nelle note al Messale Mozzarabo (pagine 587-597), trovasi in più antichi Sacramentari, e Calendari, e nei Capitolari di Monsignor Giorgi. Della Cattedra di S. Pietro, si nota una sola Festa, cioè quella di Febbraio; non è però da inferirne, che a’ tempi della Tavola non fosse per anco instituita quella che facciamo in Gennaio, per le giuste ragioni, che ne reca il citato Lesleo (pag. 569). S. Maria Maddalena è l’unica tra le Sante , che sia nominata nella Tavola. De S. Maria Magdalena, dice Lesleo (pag. 581) silent libri omnes Liturgici antiqui, practer Mis sale, et Breviarium nostrum, cioè il Mozzarabo. Passando dalla Tavola all’autore della esposizione, divide questi San Matteo in quattro parti e in 109 capitoli ; in soli 9 San Marco: San Luca in due parti, e 50 capitoli; San Giovanni in tre parti, e 56 capitoli. La divisione dei Capitoli non è certamente quella, che usiamo noi presentemente introdotta nel Secolo XIII, di chè parlai altrove, (V. Cod. II); se sia poi essa particolare dell’ autore, 0 alcuna di quelle, che erano in uso prima della nostra, noi saprei dire , nè ho qui modo di verificarlo. So che S. Matteo, per esempio, da altri dividevasi in 28, da altri in 87, 0 88, da altri in 117 capitoli, divisioni tutte diverse da quella del nostro Autore. Si vuol però avvertire, che essendosi esso proposto, siccome ho accennato, di esporre alla distesa S. Matteo, e di non parlare negli altri di ciò , che essi aveano comune col primo , questo piano dovea, o potea, portar seco una divi- 6o GIORNALE LIGUSTICO sione tutta particolare. Non entrerò poi a parlar del merito di questa esposizione che non sono in caso, per più motivi, di potere diligentemente esaminare; avvertirò soltanto, che alla pag. CXL, col. 2 dee esser corso un grave errore per colpa del copista. Parla ivi 1’ Autore del famoso passo di S. Matteo (C. 27, v. 9) in cui il S. Evangelista attribuisce a Geremia quel : et acceperunt triginta argenteos ecc. che non si trova in Geremia; ma sibbene in Zaccaria. Fu ciò avvertito da S. Girolamo, e con tutti gli altri interpreti lo avverte il nostro Autore; hoc autem exemplum, dice 1. c., non invenitur in Hier ernia, sed in Zaccaria, indi soggiunge: dicitur tamen in quibusdam Hieremiae exemplaribus hoc inveniri, quibus nos utimur. Or io sono persuaso, che o il nos debba mutarsi in non, o che questa particella negativa sfuggisse dall’occhio dello scrittore e dir debba, quibns non utimur o sivvero quibus nos non utimur, che niuno ha mai, ch’io sappia, veduto esemplare legittimo di Geremia in cui si legga quel passo. L’Autore allude per mio avviso a lì’Apocrifo Codice di Geremia, veduto e letto da S. Girolamo, siccome ei narra ne’ suoi comenti di S. Matteo (V. Tom. VII Oper. ed. Vallar, p. 228): legi nuper in quodam volumine, quod Nazareae Sectae mihi Hebraeus obtulit, Hieremiae apocryphum, in quo haec ad verbum scripta reperi. Diceva io sul principio che questa esposizione era stata falsamente attribuita a S. Girolamo, e ne ho delle prove, che non lasciano luogo a dubitarne. Chi trascrivendo quest’opera non se ne accorse, dovette essere 0 assai distratto, o ben ignorante. Lasciando da parte lo stile, che non sembra di questo Santo Dottore, e qualche espressione, che non si adatta ai tempi, ne’ quali ei visse, tre cose trovo nell’ opera, le quali mostrano ad evidenza, che non è, nè può esser ella di S. Girolamo. — 1. L’Autore così comincia il suo Prologo: Post Pentateucon Moisi, ut nova veteribus iungeremus ecc., avea GIORNALE LIGUSTICO 61 dunque 1 Autore travagliato sul Pentateuco. In fatti, cita egli nell opera i suoi comenti, o esposizioni che fossero, sulla Genesi, sull’ Esodo, sul Levitico, sul Deuteronomio (veggansi le pagine XLII, col. i; XCIX, col. 2; CXV, col. 2; CXXXII, col. 2; CXLIV, col. 3 ; CLVI, col. 1). Or S. Girolamo, se se ne traggano alcune questioni sulla Genesi che tuttavia abbiamo, non iscrisse, nè comentò i libri del Pentateuco. Che se volesse alcuno, che quel post Pentateucon Moisi abbia a intendersi della Traduzione Latina, che il Santo ne fece dal Testo Ebraico, sarebbe falso, che S. Girolamo dopo di essa, per variar di lavoro, e passai dal Testamento Vecchio al Nuovo, ut nova veteribus iungeremus, avesse intrapreso immediatamente dopo ad esporre gli Evangeli. La prima opera intrapresa dal Santo dopo la Traduzione del Pentateuco cominciata nel 398, e finita verso il 404, fu quella di Giosuè. Tandem, dice ei medesimo nel prologo di questo libro, finito Pentateuco Moisi, velut grandi foenore liberali ad lesimi Filium Nave, manum mittamus. Nel 398, in cui, come diceva, principiò la traduzione del Pentateuco, comentò il Santo l’Evan-gelio di S. Matteo, e nello stesso anno il terminò. Vespasi OO il Bollandista Stilting nella vita del Santo, ove assai diffusa-mente ragiona delle opere del Santo, e del tempo in cui chiascheduna fu fatta (Tom. ult. Sept. Vit. S. Hier. § 36, 79 ecc.) Oltre i comenti sul Pentateuco citò 1’ autor nostro alla pag. CLXXIII, col. 1, quei da esso fatti sull’ Apocalissi. Negano però i critici (V. Stilting § 77. 1. c.) che S. Girolamo abbia comentato l’Apocalisse, sebbene il dica Cassiodorio (Div. Lect. c. 29), Apocalypsis Hieronymi expositione conspicua est; e Tritemio la dica divisa in sette libri; seppure, questo numero, non è error di stampa. Comunque sia, quando anche S. Girolamo avesse comentato 1’ Apocalisse, non per questo sarebbe egli 1’ Autore della presente esposizione, che fu lavoro di un Vescovo ed è la seconda cosa delle tre da me accen- 62 GIORNALE LIGUSTICO nate. — 2. Leggesi alla pag. XVII, col 4: hoc et nos audiamus, nos, inquam, Episcopi, et Sacerdotes, e alia pagina CCLXXVIII coi. 4 parlandosi della pazienza con cui Gesù Cristo soffri Giuda in sua compagnia, e tra suoi Apostoli, dicesi : nemo igitur nos reprehendat, si iniquos homines toleramus, et cito ah Ecclesiae communione non separamus, cum ipse Salvator noster ludam pateretur, quem 11011 solum proditorem sed furem, et Sacrilegum esse sciebat. Or il separar dalla Chiesa apparteneva ai Vescovi tra quali non può certamente contarsi S. Gerolamo che mai noi fu.— 3. Per ultimo alla pagina LXXVIII, col. 4, vi si parla dell’ Eresia Nestoriana, e di Nestorio, cose di più anni posteriori alla morte di S. Girolamo: ille igitur, qui est Filius Dei vivi, idem ipse est filius hominis unde et B. Virgo Maria Theotocos vocatur, et Deum, et hominem pariens, quodquia Nestorius confiteri noluit, ab Ecclesia expulsus est, et dampnatus. Nestorio fu condannato nel Concilio Efesino l’anno 431, cioè undici o dodici dopò la morte di S. Girolamo, morto l’anno 420 ai 30 di Settembre. Queste tre cose mostrano ad evidenza, siccome diceva, che la presente esposizione sui quattro Evangeli non è, nè può essere di S. Girolamo, quando anche avesse egli veracemente comentati tutti e quattro gli Evangeli , secondo che hanno taluni creduto su di un passo di Cassiodorio nella Prefazione ai Salmi, e sull’autorità di Tri-temio, della qual cosa veggansi Vallarsi, Stilting ed altri critici ; chè 10 non voglio entrare in questa controversia non necessaria alla mia bisogna. Ma quanto è facil cosa il togliere a S. Girolamo la presente opera, altrettanto, e molto più, è difficile il dire di chi ella sia. Dee ella essere d’un Vescovo, d’un Autore che scrisse sul Pentateuco, e sull’Apocalisse, d’un Autore vissuto dopo Nestorio, e in tempi in cui il clero era macchiato di Simonia, contro la quale inveisce più volte in questa esposizione. Or chi mi sa dire chi sia costui? Io noi so. Se non GIORNALE LIGUSTICO 63 chè meco medesimo fantasticando, come quest’ opera sia stata attribuita a S. Girolamo , mi è nato sospetto, che il vero autore di essa avesse comune col Santo Γ iniziale del nome Hieronymus, cioè P H. Non è tra’ Dotti chi non sappia essersi costumato un tempo d’indicare i nomi delle persone con la sola iniziale : uso, e costume, che die’ luogo a molti equivoci, per cui una persona fu presa per un altra, e l’opere di un Autore attribuite a tutt’ altri che al vero. Cosi per esempio, se crediamo a Teofilo Rainaudo (Tom. XI, pag. 82) Sant Ambrogio è stato creduto autore di quella orazione Summe Sacerdos ecc. che i Sacerdoti recitano prima della celebrazione del Divin Sacrifizio, la quale è di Sant’Anseimo, perchè in qualche manoscritto il nome dell’ Autore non era scritto alla distesa, ma con la sola iniziale S. A. Ciò supposto, son ito imaginandomi, che un ignorante copista, digiuno di Storia, di Cronologia e di altre si fatte cose, per cui siamo guidati a ben giudicare del vero Autore di un’ opera, e del tempo in cui fu scritta, trovando nell’ esemplare che trascrivea, indicato 1’ Autore con la sola iniziale H, si credesse senza più, indicarsi Hieronymi, personaggio ben noto, e le cui fatiche su i sacri libri niuno nella chiesa potea ignorare. Che se la faccenda così andò , come io me la sono imaginata, da una in altra imaginazione passando, direi che 1’ Autore di questa esposizione su i quattro Evangeli fu forse Haimone Vescovo di Halbertstad, detto anche Hemo, ed Hemmo, pria Monaco Fal-dense, indi Abate di Hirsfeld. In esso facilmente si uniscono tutti quei caratteri, che come poc’anzi diceva, sono propri dell’ Autore di quest’ opera. Visse egli nel Secolo IX, quattro-cento e più anni dopo Nestorio, in tempi in cui pur troppo, il clero era macchiato di Simonia. Fu Vescovo dall’anno 841 al 853, e più opere scrisse, e particolarmente sul Pentateuco, sugli Evangeli e sull’ Apocalisse. Queste due ultime trovo essere state stampate in Colonia, l’ultima l’anno 1529, l’altra I 64 GIORNALE LIGUSTICO l’anno 1536; ma nè questa, nè quella ho io potuto vedere, per farne il confronto con la presente opera. Sia però il fin qui detto del vero Autore di questa esposizione, un mio immaginamento a cui non dò valore, nè peso alcuno. Altri più di me \rersati negli Scrittori Biblici, e di migliori mezzi forniti, saranno al caso di decidere, e di determinare, chi sia il vero, e legittimo autore di questt’opera. (iContinua). t -_ 1 UNA FAMIGLIA D’ARCHITETTI GENOVESI Dalla terra di Caravonica in quel dOneglia sul principio del secolo XVI venne in Genova, e vi si accasò, un Poncello o Pon-selo o Ponzelo, forse capo d’opera od architetto; ma di questo primo fattosi abitatore della nostra città, non vi è alcuna particolare notizia, onde non si può accertare s’ egli fosse Giacomo padre d’ un omonimo, oppure Battista da cui nacque Domenico. Di questi due discendenti abbiamo sicura memoria, poiché li troviamo nominati nella convenzione fatta li 3 dicembre 1555 dagli Esecutori della fabbrica della chiesa di Cari-gnano, per la provvista e lavorazione di una quantità di pietre di Finale; diversa è però l’arte da essi esercitata, il primo essendo indicato come scopelinus, 1’ altro in qualità d’ architector. Giacomo s’incontra poi in una istruzione di Galeazzo Alessi dell’ 11 maggio 1567, deputato ad alcuni lavori pel coro di detta chiesa. Trovasi eziandio un altro di questa famiglia per nome Giovanni fra i capi d’ opera, che ai 24 gennaio del 1574 danno il loro parere intorno al luogo da preferirsi per edificarvi la casa dei canonici (1). Ora a questo stesso (1) Varni, Spigolature artistiche nell’ archivio della basilica di Carignano, 4, 35, 61. GIORNALE LIGUSTICO 65 Giovanni ai 24 gennaio del 1575 viene concessa in locazione una casa sul ponte Spinola dai Padri del Comune, i quali a 3 febbraio dell’ anno successivo lo eleggono architetto del- 1 Ufficio. Sembra che in questa carica ei durasse fino al 1585, poiché gli otto febbraio vediamo nominato Andrea Ceresola-Vannone; ma l’anno dopo ai 26 settembre è richiamato in ufficio, e nel dicembre del 1588 gli viene aumentata l’annua retribuzione. Le carte ci affermano come nel 1590 fossero pagate a Giovanni lire cento « ob assiduam diligentiam et labores continuos adhibitam et latos auctione pontis Calvorum », e come i Padri il 9 maggio approvassero il modello presentato da lui, per la riforma della gradinata della chiesa di S. Domenico; ci danno altresi notizia di una cappella costrutta sopra i suoi disegni in Santa Maria delle Vigne nel dicembre del 1591 (1). In quest’anno medesimo opera più importante gli era commessa; derivare cioè le acque di una sorgente, che scaturiva fuori le mura dell’ Acquasola nella villa delle monache Interiane e condurle a Palazzo; ma, qual se ne fosse la cagione, l’opera non ebbe effetto (2). Nè queste soltanto furono le opere alle quali attese Giovanni. A lui si deve la chiesa di S. Ambrosio ricostrutta o sulla metà del secolo XVI, il palazzo Bianco in via Nuova incominciato nel 1565, e l’altro già dei Cambiaso, ora Gambaro, eh’ ebbe principio nel medesimo anno (3). Nel T575 1° vediamo spedito dal D’ Oria nel suo feudo di Loano, « il cui abitato, cinto di antiche mura, volle Giovanni Andrea più solidamente fortificare ed abbellire, mercè la edificazione di un palazzo con giardini, e varie opere di pietà ». Due anni più tardi lo incaricò « di dirigere (1) Varni, Elenco di documenti artistici, 20, 21.— Neri, Noter elle artistiche nel Giornale Ligustico, anno IV, 318. (2) Podestà, L’ acquedotto di Genova, 44. (3) Alizeri, Guida di Genova (ediz. 1875), 86, 155, 207. Giorn. Ligustico, tAnno VII e Vili. , 66 GIORNALE LIGUSTICO la costruzione della rocca e di un palazzo » nell altio feudo di Torriglia; e subito dopo gli affidava in Genova i lavori di quella parte dello storico palazzo, « che a partire dalla porta d’ingresso a levante si sviluppa verso il mare, e quivi piegando a ponente circoscrive il giardino fino alla sua estremità ». Nel 1581 disegnava « con rara eleganza » insieme a Giuseppe Forlano i loggiati dei giardini inferiori in conti guità della sottoposta marina, e nel 1592 presiedeva ai ie-stauri della chiesa gentilizia di S. Benedetto, aggiungendovi Γ abside e il pronao nella pubblica via (1). Una sola volta mi è occorso il ricordo di Simone Pon-cello architetto, che nel 1578 riceve dai Padri del Comune una certa somma per non so quale lavoro (2). Di Tommaso e Sebastiano fratelli lascio memoria il So prani (3), con pochi particolari, molte generalità, e lodi forse maggiori del vero. Afferma infatti del primo che « po chi furono gli edificii, che si dovevano fare in Genova, 1 quali non fossero da esso guidati, e con la pianta e con la direttione » ; aggiunge essersi la Repubblica servito di lui a preferenza d’ ogni altro « in opere di pregio e di valoie sia nella città come nel dominio » ; finalmente ci fa sapei e come sia stato ucciso di buona età da un suo cugino carnale. Ma io lo trovo deputato nel 1603 da Giovanni Andrea D’ Oria a costrurre una loggia presso al lago 0 serbatoio della villa soprana di Fassolo (4); nel 1605 presenta con altri architetti ai Padri del Comune i disegni pei magazzini (1) Merli e Belgrano, II palalo del Principe D' Oria negli Atti Soc. Lig. Stor. Pat. X, 51, 52, 53, 61, 72. (2) Varni, Elenco cit., 20. (3) Vite dei pittori, scultori ed architetti genovesi, ecc. Genova 1674 , 194, 195. (4) Atti cit., 20. GIORNALE LIGUSTICO dell’Annona (i); così per mandato dei medesimi studia nel 1607 e j6o9 intorno al prolungamento ed alle migliorie del pubblico acquedotto (2). Anche Sebastiano, secondo il Soprani, ebbe fama ed onori dai suoi concittadini, essendogli stati commessi molti lavori così pubblici come privati. Dal governo fu mandato a Savona per sovrintendere alle fortificazioni di quella città, sotto la direzione del P. Vincenzo Maculano da Firenzuola. Ma 10 vediamo comparire in altri documenti: espone nel 1626 11 suo avviso circa alcuni lavori all’ Acquasola; ottiene licenza due anni dopo dai Padri del Comune di estrar pietre dalla Cava, e domanda nel 1640 il saldo del suo credito, per l’opera prestata alla fabbrica della cortina tra il ponte Calvi e la Darsena (3). Per ultimo più volte è ricordato nelle carte che riguardano il pubblico acquedotto , intorno al quale insieme ad altri architetti fece molti studj dal 1623 fino quasi alla sua morte, avvenuta nella peste del 1657 (4). Ho tralasciato avvisatamente di parlare con ampiezza di Domenico, nominato appena sul principio, perchè meritava un cenno speciale, come quello che seppe procacciarsi maggior fama, anche per lavori eseguiti fuori della sua patria. Egli dunque comparisce per la prima volta nel 1548 preposto alla distruzione del palazzo Fieschi in Via Lata; quindi nella citata convenzione del 1555 ; e Γ anno seguente con altri maestri presenta due relazioni circa la fabbrica della canonica di Carignano, alla quale poi fa alcune addizioni approvate dall’ Alessi. Nel 1560 attende alla erezione del palazzo Imperiali, ora Scassi in Sampierdarena, a ciò pre- (1) Varni, Elenco cit. 21. (2) Podestà op. cit. 46, 47. (3) Varni Elenco cit. 22, 23. — Alizeri , Guida di Genova (edizione 1875), 250. Γ DESTA, op. cit. 50, 52, 55, 56. V 68 GIORNALE LIGUSTICO scelto dallo stesso Alessi, cui se ne deve il disegno, e cinque anni dopo insieme a Giovanni dà opera allo innalzamento del già ricordato palazzo bianco (i). Ma già fino dal 1/60 egli era entrato al servigio del duca Emanuel Filiberto; poiché pensando questi di condurre un canale da Cuneo a Casalgrasso in beneficio dell' agricoltura e del commercio « ne diede carico al molto diletto architetto nostro M. Domenico Pannello; aggiungendogli di trasferirsi per visitare et livellar i luoghi, dove detto naviglio avrà da farsi » (2). E poco dopo colla convenzione dei 29 dicembre gli commetteva la costruzione della nuova cittadella di Vercelli. Dell’ opera del nostro Domenico rimase tanto soddisfatto il duca, specialmente per la fabbrica del forte di Montal-bano e per la difesa del porto di Villafranca, che con patenti del 14 febbraio 1561 gli concedeva la nobiltà ereditaria, lasciandogli libera l’aggregazione alla cittadinanza nizzarda o di qualsivoglia altra città 0 luogo de’ nostri stati, dove gli sarà più comodo et a proposito di abitare, colla facoltà d’usare lo stemma gentilizio consistente in « uno scudo d’azzurro 0 sia celeste, nel quale vi siano un compasso , una squadra et una riga nella parte soprana, et nella inferiore vi sia un lioncorno bianco corrente per un verdeggiante prato, et sopra esso scudo un bollettino con questa iscrizione: « virtus nobilitatem parit ». Questa onorificenza gli era conferita dal duca con parole di gran lode : « Considerando le lodevoli et honorate qualità si d’ animo come della persona del molto diletto nostro messer Domenico Poncello, cittadino di Genova, il quale dalla tenera sua età sempre ha speso il suo tempo in oneste e lodate opere, (1) Varni, Spigolature cit. 6, 8, 10.— Alizeri, op. cit. 155, 357, 647. (2) Promis, Gli ingegneri militari che operarono 0 scrissero in Piemonte dal ijoo al 1650, nella Misceli, di Stor. Ital. XII, 464. GIORNALE LIGUSTICO et ritenuto nelli servitii nostri, sempre si è con molta sod-disfattione nostra adoperato in tutte le cose da noi commessegli et massime nel dissegnar et fabricar il nostro forte di Monteal-bano, et castello fatto per la difesa del nostro porto di Villafranca nel contado di Nizza, li quali col suo bello ingegno et industria si artificiosamente ha fabricati, che nel tempo delle passate guerre venendo grande armata de’ turchi per soggiogar il detto nostro porto, poiché ebbero veduto et riconosciuto essi forti, ancorché non fossero perfetti ed atti alla difesa di esso porto, non ebbero animo di assalirlo, il che non solo è stato di gran giovamento per la conservatione de’ nostri stati, ma universale beneficio a tutta la cristianità; et maiormente per aver poi ridotto esso castello in modo che se ne può rallegrare ogni nemico della maomettana setta. Et lasciando per brevità di esprimere particolarmente tante sue lodate] attioni, diremo solamente che per tutte sì ben si è adoperato nelli servitii nostri, et fattosi da noi conoscere sì meritevole del favore et gratia nostra, che ancorché l’abbiamo deputato architetto nostro generale per tutti i nostri stati, lo giudichiamo degno di essere onorato di maiori honori et premi ». Passarono dieci anni; nel qual tempo essendosi fatti esperti nella professione paterna anche i figli del Poncello, vennero dal duca nominati architetti ed ingegneri a’ 16 gennaio 1571. « Havendo noi negli anni passati tolto aìli servici nostri il nobile Domenico Poncello et deputatolo per nostro architetto ed ingegnerò, nella qual arte egli con soddisfattione nostra ha fatto quanto gli abbiamo commesso, et havendo notizia della sufficienza nella medesima arte di Bastiano e Cesare Poncelli suoi figliuoli; persuadendoci che all’imitar del padre debbano servirci con molto contento nostro, giunta 1’ affectione che hanno al servizio nostro, perciò ci è parso per queste di costituirli e deputarli, come li costituiamo e deputiamo per nostri architetti et ingegneri ». Altri documenti ci mani- 70 GIORNALE LIGUSTICO festano, come Domenico oltre ai mentovati lavori attendesse alle fortificazioni di Torino, di Cuneo e di Rivoli, per cui ebbe un donativo di scudi 1500 e l’annua pensione di scudi 600, coll’ obbligo di servire la corte ducale per tutta la vita. Il figlio Cesare lo vediamo occupato nei lavori di difesa a Villanova d’Asti, a Fossano insieme con Ferrante Vitelli, e poi a Villafranca intorno a certe opere di riattamento nel palazzo ducale (1). A giusta ragione il Claretta, correggendo il Promis, col conforto delle carte accennate, rilevava la patria di Domenico e dei figli, e mostrava come non debbano poisi nel novero dei semplici « impresarii 0 capomastri » esecutori dei disegni altrui, ma bensì in quello degli ingegneri. A.' Neri. VARIETÀ DUE CORRISPONDENTI GENOVESI DI SCIPIONE MAFFEI. Ippolito Pindemonte, accennando alla gioventù dell erudito veronese, tocca dei suoi viaggi in alcune delle principali città d’Italia, ed afferma che « in Genova si strinse d amicizia col gesuita Pastorini, che gli pose in mano il Chiabrera » , e ciò avvenne nel 1698. Or ecco una lettera che conferma sì fatta amicizia (2) : (1) Claretta, Ferrante Vitelli alla corte di Savoia, 10. — Promis, 1. c. (2) Si conserva autografa nella Biblioteca capitolare di Verona fra la Corrispondenza di Scipione Maffei, donde, col gentile consentimento di Monsignor Carlo de’ conti Giullari, la trascrisse il sig. avv. Pietro Sgul-mèro, del che mi piace qui ringraziarlo. GIORNALE LIGUSTICO 71 Ill:no Sig.re mio Sig.re e Proti. Col.mo. Da quel tempo, eh’ io ebbi l’onore di conoscere V. S. Ill.ma ancor giovanetto in questa Casa Professa (di cui per sua e mia disgrazia or sono al governo) , ho sempre avuta presente e viva nell’ animo la cara Immagine delle gentili maniere, dell’ indole generosa, del raro ingegno, e dell’ intensa voglia non men di sapere che di giovare alle Lettere, eh’ io scorsi assai tosto nella sua Persona. Molto più poi questa Immagine del suo valore s’ è renduta col tempo bella e perfetta nella mia mente, dopo che ho veduti con mio sommo piacere i bellissimi Parti della sua Penna. Due soli fin’ ora ne ho potuti avere sotto all’ occhio : ma bastar ben potrebbero a mio credere questi due soli per renderla gloriosa nel grido, et immortale nel Nome. L’uno è la Merope, di cui mandommi esemplare il Sig. Marchese Orsi : e di questo io non saprei altro dire nè di meglio nè di più vero, che confermando a bocca piena tutte quell’ alte e ben dovute lodi, che quel virtuosissimo e gentilissimo cavaliere ne ha pubblicate, ponendole in fronte della stessa Tragedia. L’ altro è il Dialogo in tre Libri diviso della Scienza che chiamasi Cavalleresca : e di questo (datomi solamente tre giorni sono in prestanza dal Sig. Lorenzo de Mari, e da me divorato nello spazio di soli due giorni) ciò eh’ io ne senta, ho creduto di doverlo in qualche foggia spiegare nel presente Sonetto, che caldo caldo m’ esce di testa, e che potrà dar un saggio a V. S. Ill.ma di quel poco eh’ io possa, e di quel molto eh’ io pur vorrei contribuire alla gloria del suo Nome già sì sonoro. Quando senza suo incommodo Ella potesse favorirmi d’ un esemplare di questo suo incomparabile componimento, come ancora degli altri fin’ ora pubblicati, ne resterebbe questa nostra Libreria non meno da Lei arricchita GIORNALE LIGUSTICO che a Lei obbligata ; giacché qui, per cercarne eh’ io m’abbia fatto, non m’è mai riuscito di poterli trovar veli. Ma osservi se sono importuno, e se voglio farle costar caro un miserabile mio Sonetto in sua lode; perchè aggiugner debbo altra preghiera per altro favore che molto mi preme. Un certo Signor Gian Maria Cambiagio, onorato cittadino di Genova, e molto agiato de’ beni di fortuna, pretende d’aver origine da’ Signori Scaligeri di Verona. Già sono più anni che va travagliando et indagando memorie antiche quante ne può per fondare il suo pensiero. E tanto ha fatto e tanto ha pescato, senza perdonare nè a fatica nè a spesa, che gli è riuscito di trovarne non poche favorevoli al suo disegno. Io più d’ un lume gli ho dato di non suo picciolo giovamento. Per compimento delle sue inchieste saper vorrebbe se trovisi in Verona istoria alcuna manoscritta o stampata di Francesco Canobio o d’altro Autore, la quale circa gli anni 1325 dica queste 0 simigliami parole: Alcuni di questi Signori Scaligeri si ritirarono nelle Valli Ligustiche. Amerebbe ancor di sapere se fra tanti Scrittori che han fatto raccolta d’Iscrizioni, trovisi la seguente : Sepulcrum Segurani de Camblasio, Haeredum et Successorum suorum, Oui fuit Vicarius Imperialis in Liguria anno 1327. Come ancora se altra memoria vi fosse di quel tale Vicario Imperiale ; poiché dicendo gli Storici Genovesi che tal dignità egli avesse da Lodovico il Bavaro, pare che di tal Uomo qualche luce aver si potesse dagli Archivj della Ser.ma Casa di Baviera. Mi perdoni V. S. Hl.ma un tanto ardimento di richiederla di queste notizie (0 mel rimetta, 0 mel condoni come meglio torna di parlare secondo le leggi della Scienza Cavalleresca) e mi creda eh’ io sono e sarò sempre fino eh’ io viva con tutto lo spirito e con tutto Γ ossequio Di V. S. 111.™ Genova 1715, 15 Giugno Dev.”'° ed Obb.”'° Ser.or vero Gian Batta Pastorini d.a Comp.a di Gesù. GIORNALE LIGUSTICO 73 In fine alla lettera si legge il sonetto nella stessa annunziato : Tempo verrà (deh tosto venga, o Dio) Che quel d’Italia in cuore alzato tanto D’ Onor bugiardo Idolo vano e rio , Cader $edrò da tua gran Penna infranto. Allor non più del fiero Nume a canto Fumar vedrò del più bel sangue un rio , Nè d’ orbe Madri o d’ orbe Spose il pianto Rigar le gote in negro manto e pio. Tempio allor di Virtù 1’ Italia io scemo (Che per falso valore or giace al fondo) E tornar la Vendetta al patrio Inferno (i). E già in quel Tempio (alto Scrittor profondo) Veggo ’l tuo Volto, e dico: ecco l’Eterno Mastro de 1’ Onor vero al nobil Mondo. Il Pastorini, nato in Genova ai 19 novembre 1650, entrato nella compagnia di Gesù nel 1666 dove professò nel 1684, e morto in patria li 26 marzo del 1732, ebbe fama di buon poeta e meritò le lodi del Salvini e del Muratori, dal quale venne onorato nella sua Perfetta Poesia. Del suo amore al-1’ arte poetica ci rimane in prova un zibaldone di studj sopra alcuni classici, e specialmente sopra Dante, dove s’incontrano qua e colà acuti rilievi (2). È curiosa quella parte della lettera in cui domanda notizie genealogiche intorno alla famiglia Cambiaso, perchè mostra il desiderio che avevano questi patrizi di derivare la loro origine dagli Scaligeri. Si rivolse perciò Gio. Maria anche al Muratori, e direttamente (3), e per mezzo di Buonaventura (1) Ria vendetta (variante autografa di G. B. Pastorini). — Farsi, e tornar vendetta al patrio Inferno (variante autografa di Scipione Maffei). (2) Ms. nella Biblioteca Universitaria di Genova. (3) Nell’ archivio muratoriano vi è una lettera di Giovan Maria Cambiaso del 1716 (Muratori, Scritti inediti; 263). 74 GIORNALE LIGUSTICO de Rossi ; ne ottenne qualche schiarimento, ma non in tutto conforme ai suoi desideri. Ben vi fu chi gli estorse danaro ingannandolo, come si ha da una lettera del de Rossi al Muratori in cui è detto : « Un nobile veneziano ha cavato da lui un gran profluvio di grossi denari per una piastra d’ argento trasmessagli con questa inscrizione, e con una serie di cani, di bandiere, di accette, armi, turcassi, come in festone scolpiti sopra Γ argento in forma di bandieruola, e con parole che dicono, in carattere figurato all’antica, ma con scaltrezza : Canis Francisons primus prae altitudine animi et corporis db omnibus dictus magnus, prae amabilitate vultus et tractus a pluribus dictus Basius, quasi basia seu oscula trahens. Floruit Veronae anno MCCCF ad MCCCXXVIII in quo omnium ploratu obiit Tarvisii. Nomine Magnus, opere Maximus. Se volessi c.......... il prossimo (compatisca V. S. Ill.ma questo termine) figurerei ancor’ io delle pastocchierie su un pezzo di marmo o di carta, ma perduto il concetto non si riacquista mai più, e la coscienza non mi permette di vendere falsità per cavarne borse d’ oro, come han cavato tanti birbanti che gli hanno portati quadracci vecchi, scritture chimeriche, ombre e simili c........ di casa Scaligera » (i). Di questa famiglia Cambiaso detto una compiuta istoria Pietro Paganetti, facendola, s’intende , derivare dagli Scaligeri (2). Ma tornando al Maffei, dirò come ei fosse in corrispondenza anche con un altro genovese ; e questi fu Domenico Maria Muzio archivista del Collegio dei Notari, raccoglitore esperto e sollecito di memorie patrie, secondo ne fanno (1) Delle lettere del Rossi ebbi copia dal eh. March. G. Campori, al quale concesse cortesemente di estrarle dall’Arch. Muratoriano il signor Pietro Soli Muratori. (2) Il manoscritto avea per titolo : Istoria genealogica della famiglia Scala Cambiaso; era alcuni anni or sono nelle mani di D. Luigi Grillo, ma dove sia finito non so. (Giornale degli studiosi, 1873, p. 34). GIORNALE LIGUSTICO 75 fede i molti manoscritti che si conservano nella nostra Biblioteca civica. Dobbiamo alle sue premure se il Muratori potè stampare nella sua gran raccolta lo Stella e il Mon-taldo, di che ci porgono manifesta prova le sue lettere all’insigne modanese, e le risposte; oltreché se ne ha ricordo nelle prefazioni agli autori ricordati (i). Ora il Muzio avendo letta la Storia Diplomatica, ed essendogli in un tempo venuti a mano non pochi documenti riguardanti la famiglia Maftei, così scriveva all insigne erudito. III.™ Sig. Sig. e Pad.ne mio Col:n°. Ho letto il libro dell’Istoria Diplomatica dell’arte critica di V. S. Ill.ma, che il Sig. Marchese Gio. Luca Pallavicino conserva nella sua scelta e preziosa libreria, quale mi favorì d’ imprestarmelo ; dico con tanta mia compiacenza per le molte erudizioni recondite che mi hanno illuminato. Onde mi trovo in obligo di contrarre con V. S. 111.™ la mia devota servitù , e la supplico ad accettarla. Confesso il vero che in Genova non ho veduto nè ritrovato scrittura di simile veneranda antichità, tuttoché il mio genio era sempre stato in rintracciare le antichissime scritture di questa mia patria, e poche ne ho ritrovate del 900 in 1000 scritte pero in carta pergamena. E che cosi poche scritture si ritrovino del secolo nono, si attribuisce all incendio, che pati questa citta da’ Saraceni. Ma io credo che li notari di allora non conservassero li originali delli contratti che rogavano, poiché in molte scritture sottoscritte dai notari si legge in un post scriptum : dedi et tradidi. (1) Nell’archivio muratoriano vi sono 8 lettere dal 1725 al 1731. Alcune minute esistono nel cod. D. 3, 4, 15 della Bib. Civica, altre in un codicetto posseduto dal comm. Santo Varni, dove sono altresì lettere a lui dirette dal Muratori. L’ egregio uomo me ne lasciò trar copia. 76 GIORNALE LIGUSTICO Nel secolo noo sino per tutto il 1200 si conservano milioni di scritture di contratti, scritti in carta di bombace di Levante morbida e grossa da conservali all’ eternità ; ma nel principio del 1300 si vede che li notari scrivevano in carta di lino, ma non di quella durata dell’ antiche di bombace. Con questa medesima occasione prego la S. V. Ill.ma a favorirmi se mi sapesse dire se vive la discendenza degli infrascritti signori della casa Maffei, poiché ritrovo un contratto latto in Genova l’anno 1397 a’ 4 Febbraio nel quale il sig. Bartolomeo deJ Maffei figlio ed erede del quondam Nicolò Maffei per la sua parte, e come procuratore di Leonardo figlio et erede per la sua parte di detto Nicolò, come per procura ricevuta in Pavia l’anno 1396, et a nome, et invece di Pellegrino e Raffaele suoi fratelli figli et eredi di d.° Nicolò, vendono una casa in Genova situata nella piazza di Banchi di non poca conseguenza, e fanno molti altri contratti. Se V. S. 111.”» ne havesse qualche cognizione, mi favorisca di dirmi se di questi Signori ve ne sia discendenza, poiché il notaro vi da il titolo di Dominus, cosa rara in quel tempo. Quando V. S. Ill.ma voglia degnarsi di rispondermi La prego ad indirizzare la risposta al detto sig. Marchese Gio. Luca Pallavicino, poiché son certo che mi pervenirà assieme con l’onore dei suoi pregiatissimi comandi, mentre di vero cuore con ogni ossequio e rispetto resto per sempre Di V. S. 111“ Genova a’ 18 Marzo 1728 (1). (1) Dalla minuta nel Cod. D. 3, 4. 15; seguono trascritti alcuni documenti riguardanti i Maffei, e diverse note genealogiche della stessa famiglia ricavate da contratti e dal Federici. GIORNALE LIGUSTICO 77 Alla qual lettera rispondeva il Maffei colla seguente : III.”10 Signore Signore. Oss.mo Mi professo tenuto al gradimento della mia Opera Diplomatica, eh’ ella con tanta bontà dimostra, e che nascerà dal suo bel genio accopiato alla molta cognizione di cosifatte materie. La quantità di contratti, e d’instrumenti eh’ ella mi dice conservarsi costì in carta bombicina del secolo del noo non è cosa comune agli altri paesi. Qui non abbiamo notizia alcuna dei Maffei eh’ ella mi accenna avere nel 1300 posseduto, e fatti molti contratti in Genova. Ben si ha per certa tradizione eh’ anche a Genova si portassero dei Maffei quando nel 1200 furono scacciati da Bologna. Non mi diffondo di più, perchè sono oppresso da infinità d’impacci, che non mi lasciano tempo, nè modo di coltivare le corrispondenze che più vorrei. Con che distintamente mi rassegno Di V. S. 111.™ Verona i.° Maggio 1728 Obl.m° Servitore Scipione Maffei (i). Questi frammenti di corrispondenza, ci fanno credere alla esistenza di un più largo carteggio, che doveva estendersi anche ad altri genovesi, fra i quali forse doveva essere quel Lorenzo da Mari ricordato dal Pastorini, e di cui rimane memoria nelle raccolte per alcune sue poesie; ed era di certo il Pallavicini nominato dal Muzio; quello stesso che raccolse una importante libreria, fu in corrispondenza col Muratori, e dopo aver servito Carlo VI prendendo gran parte alle guerre di quel tempo, venne creato governatore di Bologna, dove morì nel 1773 (2). (1) È autografa nel Cod. del Varni. (2) L’ egregio signor Giuseppe Biadego ha testé pubblicato per nozze alcune lettere inedite del Maffei (Verona, Franchini, 1881), esprimendo il 78 GIORNALE LIGUSTICO NECROLOGIA PROFESSORE LUIGI BRUUN. Il 16 giugno 1880 a Slavuta, nel Governo russo di Vo-linia ove erasi recato a curare una bronchite ostinata , moi 1 Filippo Bruun, professore di storia alla Imperiale ^ niveisita di Odessa, in età d’anni settantasei. Nato a Friedenchshamm in Finlandia da genitori tedeschi, educato a Pietroburgo, avendo fatto il corso degli studi alla Università di JJoipat, passò a visitare Berlino, Ginevra e Parigi tra il 1826 e 29, ascoltando le lezioni degli uomini più celebri del suo tempo , finché rientrato in Russia ebbe la cattedra di stona e vi spese in Odessa i suoi ultimi quarantatre anni. Modesto per indole, sebbene cavaliere di Sant Anna, consigliere di Stato in patria e dottore dell’ Università di Jena, si consacrò tutto agli studi che chiarissero la storia e la geografia comparata di quell’impero; dai Geti e dalla Scizia d’Erodoto (1) scendendo al medio evo 0 anche a temp^ più recenti; armato di critica acuta ma benevola, e con felici induzioni interpretando quistioni difficili; corredando anche le sue Memorie di Tavole bene ideate 0 riprodotte da fonti non volgari. Di tali memorie ottanta e più si trovano sPaip in parecchie collezioni autorevoli, come nell’ Accademia delle Scienze di Pietroburgo, nel Bollettino dell’ Accademia delle Scienze di Monaco, nella Società Archeologica di Mosca, nel Giornale di quel Ministero d’istruzione pubblica o negli Atti dell’ Università di Odessa, in Periodici di Londra ed anche nel nostro Giornale Ligustico (2); ma specialmente negli Atti della Società Odessiana di Storia ed Antichità.^ Egli conosceva perfettamente la bibliografia appropriata a suoi studi, esaminò e in gran parte tradusse i viaggi e le descrizioni degli stranieri che visitarono la sua patria. Questi ultimi lavori, inediti i più, doveano nel suo concetto formale, una collezione di tre volumi, ma la morte ne prevenne 1 ese- voto che si raccolga 1’ epistolario maffeiano, e si scriva una vita di quel-1’ erudito, atta ad illustrare i suoi studj ed il suo secolo. Le lettere sono pubblicate con la consueta diligenza, e con la ben nota dottrina del eh. editore. (1) Essai de concordance entre les opinions contradictoires relatives à la Scythie d’Hérodote; S.‘ Pètersbourg, 1873. (2) Vol. I, 1875, pag. 341 e segg. GIORNALE LIGUSTICO 79 cuzione. Fu più fortunato nel compiere Γ opera di riunire in due altri volumi le ventidue memorie illustratrici del Mar Nero che stavano sparse in alcuna delle pubblicazioni predette. Il secondo di questi non potè uscire che postumo e per la cura pietosa dell’ egregio suo figlio Luigi, ma il compianto autore fu ancora in tempo a darvi 1’ ultima mano in mezzo a. dolori della quasi agonia, e si vede che profittò ancora di pubblicazioni recentissime. Ivi sono i Peripli del Caspio e del Mar Nero interpretati e raffrontati alle carte marittime del medio evo, ivi dotte considerazioni sui nomi di Kiev, di Cherce, della Dobruscia, sui Goti della Crimea, sulla residenza dei Chan dell’ Orda d’ oro, sulla Bulgaria, _ le bocche dal Bug, del Dnieper, e le tracce d’una antica via fra quest’ ultimo fiume e il Mare d'AzofF. Quest’ opera intitolata Cernomorc (i) (il Mar Nero) è utile segnatamente per la storia delle colonie genovesi della Crimea e dei nostri Consolati del Mar Nero, sui quali egli avea già scritto una molto pregevole memoria in francese (2). Affezionatissimo, come era il prof. Bruun a siffatti studi, e sapendo ben trattare le lingue tedesca e francese, non tralasciava di porsi in relazione con chiunque attendesse a studi analoghi in Europa, sempre intento a promuoverne il progresso e sempre liberale delle proprie cognizioni. Onde ebbe amici parecchi illustri, il dott. Thomas di Monaco, il colonnello Yule di Londra; e per tacer d’altri, il signor F. Remy volle tradurre in tedesco 1' opuscolo di lui sui Goti del Mar Nero; opuscolo anche lodato dal Giornale storico di Barcellona (3). Il signor Remy tessè pure al compianto amico una affettuosa commemorazione nella Odessaer Zeitung del 18 agosto 1880, dalla quale prendiamo in parte queste notizie. Diciamo in parte: perchè noi pure onorava il prof. Bruun della sua amicìzia, avendoci invitato spontaneo egli primo e continuando a farci dono delle sue pubbli.cazioni. Siamo ancora commossi, apprendendo da cortese lettera del signor Luigi Bruun, che suo padre parlava di noi con affetto e che gli raccomandò di trasmetterci il secondo volume del Cernomorc. (1) Cernomore : Sbortiik Isledovanii po istoriceslcou Geographii Ioxnou Rossii ; Odessa, 1879-1880. (2) Notices historiques et topographiques concernant les colonies italiennes en Gasarle. Nelle Mémoires de ΓAcadémie des Sciences de S.* Pétersbourg, Ser. VII, Tom. X, 1866. (3) Die Goten ont Pontus, 1879; Revista de Ciendas historicas, Barcellona, 1880, pag. 393-404. 8o GIORNALE LIGUSTICO Nella grave perdita che fece del suo corrispondente la Società Ligure di Storia Patria, può consolarla almeno il pensiero che non è rotta la corrente delle relazioni sue colla Società di storia e di antichità di Odessa. Abbiamo colà altro socio corrispondente il Ch. Prof, e Cav. Ladislao Iur-gieviecz il quale si rese benemerito della nostra storia dottamente , illustrando negli Atti della Società Odessiana lo Statuto di Caffa, la serie delle iscrizioni e delle monete che perpetuano in quelle lontane regioni la memoria genovese. C. Desimoni. ANUNZI BIBLIOGRAFICI Ferrante Vitelli alla Corte di Savoia nel sec. XVI. Memoria storica di Gaudenzio Claretta. Torino 1879. Il distinto ingegnere ed erudito scrittore Carlo Promis, aveva già, in una sua importante opera storica, parlato del Vitelli riguardandolo più specialmente nella sua qualita d’ingegnere militare, parlando perciò delle sue opere di difesa e distendendosi nella parte bibliografica. Ora il Claretta, riprendendo lo stesso soggetto, e mercè i documenti nuovamente da lui ritrovati, espone intorno al Vitelli cose affatto nuove, ed allarga ed illustra certe particolarità solamente toccate di volo dal primo biografo. Infatti alcuni tratti della vita di Ferrante, che rimanevano nella oscurità, sono qui ben posti in luce, e certe manchevolezze ricevono adesso piena intelligenza ed opportuno sviluppo. Si rifà Γ autore dalla famiglia de Vitelli, e dopo aver accennato alla giovinezza di Ferrante ci dice quando e perchè fosse accettato in corte ducale. Quindi narra i casi della vita sua, e le traversie alle quali andò soggetto ; non che gli uffici e i delicati incarichi affidatigli dal Duca; e la legazione di Parma e le commissioni avute dalla repubblica di Venezia. Alle quali notizie particolari egli annesta quel tanto dei pubblici avvenimenti,, atti a dar rilievo al suo soggetto. Nè devesi passare in silenzio come le note giovino ancora a farci conoscere ignorate notizie intorno ad uomini nominati per incidenza nel testo, di che noi in ispecie gli sappiamo grado per un importante cenno sopra Domenico, Cesare e Sebastiano Poncello, di cui ci siamo giovati in altro luogo di questo giornale. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 8l LA R ΑΧΟΝ E DE LA PASCA (i) ALMANACCO GENOVESE DEL SEC. XV 0 LJ importanza di questo cimelio tipografico , già notata da altri bibliografi, è certamente grandissima per la storia del-l’arte. È desso uno dei pochissimi almanacchi dagl’ incunaboli della stampa fino a noi pervenuti, fra i moltissimi che pure se ne dovettero pubblicare, come di cosa di uso non men comune degli Speculum pietatis e dei Donati ; ma appunto perchè di uso passaggero e di poco o nessuno intrinseco valore, lasciati più facilmente andare perduti. Sappiamo dal Brunet (art. Almanae) che il D. C. Falkenstein avea supposto gli almanacchi silografici risalissero fino al *439) e che , trovatasi poi di troppo anticipata questa data, fu accertata quella del 1455 in uno degli stessi, intitolato Manung, del quale il medesimo Brunet (sotto questo articolo) ci fornisce i seguenti dati preziosissimi pel riscontro col nostro : « in tedesco , in 4.0 di 6 ff. — Exhortation contre les Turcs divisée en douze parties ayant chacune en tôto le nom d’un mois. Le tout est écrit en vers rimés, et imprimé d’un bout à l’autre sans ponctuation, et sans autre distinction qu’une lettre capitale au commencement de chaque vers .... Il y a en tout 9 pages, dont la i.ère, la 6.c et la 9-e ont chacune 21 lignes, et les autres 20; descritto poi con fac-similé da I. Wetter nella Geschichte der Erfindung der Biicbdmickerkimst ». (1) Cfr. Noti\ie della Tipografia Ligure negli Atti della Soc. Lig. di Storia Patria, IX, 26 e segg. — Possiamo meglio descrivere questo paleotipo, mercè la munificenza del Principe Baldassare Boncompagni, il quale ne fece eseguire dal valente sig. Enrico Giordani il fac-simile, e si compiacque donarne una copia alla Società di Storia Patria. Giorn. Ligustico, xAnno VII e Vili. (, 82 GIORNALE LIGUSTICO Da questo, e da quel che diremo del nosti o , come da quanto vediamo tuttodì (giacché la natura dell uomo non cambia), manifesto apparisce il costante costume dei compi latori d’almanacchi, d’introdurvi ciò che ai lettoli in genere, e a quelli in ispecie per cui lavorano, può tornare più accetto. Tutta l’Europa era al tempo del sopraddetto almanacco esterrefatta dalla recente conquista di Costantinopoli pei Turchi, onde il perchè della sua Esortazione. Si rivolgeva P Autore del nostro a’ pii Genovesi, e come poteva egli sperare di meglio obbligarseli, che coll istruirli e lodai li ? Così avess’ egli avuto per questo còmpito maggiore abilità letteraria , che il suo lavoro, per quanto rozzo nell esecuzione tipografica, non sarebbe divenuto sì raro , da essere ·1 -U> Λ finora unico riputato P esemplare bergamasco, e cio c molto peggio, indegno per poco che altri vi cerchi per entro alcun che di proficuo. Noi però costumati, fui per dir condannati, ad occuparci anche delle minime anticaglie, non vorremo neppure in ciò defraudare la curiosità di quei pochi, i quali possono in qualunque modo e grado partecipare delle nostre abitudini. E diremo in prima dell’ esecuzione di questo lavoro , poi dell’ autore di esso, e infine alcun che del contenuto. Si compone il nostro Almanacco di otto foglietti in 4.0, ed è scritto parte in volgare, parte in latino. Il carattere è romano, ma non ha rassomiglianza veruna con quello adoperato dal Cordero, che di quei tempi fu in Genova , nella. Summa Conjessariorum S. Antonini, stampata in Mondovi nel 1472, nè coll’ altro del Seneca di Mattia Moravo, stato pure in Genova, dove è chi pensa cominciasse la composizione di quel libro pubblicato poscia in Napoli del 1475. Oltre la rozzezza dell’esecuzione già notata da altri, si osserva nel «arattere del nostro grandissima irregolarità, vuoi nella forma, vuoi nella stessa misura delle lettere, spessissimo diverse, e GIORNALE LIGUSTICO 33 nelle tre ultime linee specialmente; cosicché si direbbe, per questo rispetto , lavoro eseguito per via di tavole intagliate in legno (silotipiche), anziché di caratteri fusi, salvo P ipotesi che il nostro compositore, non certamente tipografo di professione, fosse riuscito a raggranellare, comunque sia, questi caratteri dal rifiuto, in gran parte, di qualche fonditore. Il numero delle linee è generalmente di 32 per facciata, eccetto’ la 3.% 4.% 5.% e 6.% che ne contano 31, la 7-a 33, e l’ottava 34. Vi sono punti, e linee non terminate a distinzione d’ articolo ; non , per lo più, di versi, che principiano generalmente con lettera capitale e son divisi da due punti posti anche a profusione tra cosa e cosa d’un solo enun-ziato, come si vedrà da qualche esempio che ne daremo in progresso. Le abbreviazioni sono frequenti, e alcuna pure non comune. s Chi compilò questo almanacco? Un religioso certamente, e probabilissimamente un servita , poiché verso la fine della quinta facciata comincia « Lo canto de li fratri de la Nuciata de Fioreza: Ave Dulcis: Ave pia: Plena Gratia Maria: » ecc. Ch’ egli poi fosse ligure di natali si deduce dal volgare da esso adoperato, specialmente nella descrizione della Liguria, non che dall’ intestazione stessa dell’ opuscolo : La raxone ecc. Ch’ ei non fosse di Genova lo confessa egli stesso, alla metà della pag. 15 : No e genueise chi lo dice : ma proto: A scine (scrivere) a exeplo de ognuno: Questa oba a piati a monice al mudo : ecc. Dalle parole per esso adoperate, e dalla maggior cognizione che mostra avere della Riviera occidentale, si può argomentare senza tema di errore che a questa egli appartenesse; e che fosse probabilmente nato in S. Remo lo farebbe credere ciò eh’ ei dice verso il principio della pag. 9 in commendazione di esso : Fa romani potifici : e oni pte cateto (e ogni prete contento) , laddove il Braccelli ha semplicemente : 84 GIORNALE LIGUSTICO municipium.... Romanis etiam Pontificibus haud incognitum ; dei quale riscontro, e di altri ancora, diremo più innanzi. Dobbiamo qui ricordare dapprima, a maggiore schiarimento delle nostre ipotesi, che fioriva di quei tempi in Genova il sacro sodalizio dei Servi, che alcuni dissero esservi stato introdotto fin dal 1276 per favore del cardinale Ottobuono Fiesco, poi Papa Adriano V , epoca ridotta dal P. Giani (1) e monumentis ejusdem caenobii ad annum' Ι327· Leggiamo nello stesso Giani (2) che verso il 14^5 questo convento vantava eodem simul tempore duodecim spectatae sapientiae ' Viros Theologos, inter quos primos habuit Deodatus ille Bocconus a Portu Mauritio (3), ob eujus integerrimae vitae et profundae'doctrinae merita, Paulus secundus Ajacensi Ecclesiae in Corsica Episcopum destinavit; qua in insula ohm vit probus ab Ann. 1435 plura huic Ordini loca suis praeclaris concionibus adjungi curavit etc. Del quale Boccone leggesi altrove (4), che nel 1443 essendo Ordinis Procurator in Cuna (romana) , venne a capo di far liberare Caenobium nostrum Ianuense ab omni Monarchorum (S. Stephani) obligatione . . ■ per Diploma... Florentiae datum; e che nel 1471 (5) Xistlis quartus... vix ad apicem Pontificatus evectus D. Deodatum nostrum... Romanae Urbi Generalem suum Gubernatorem praefecit, cujus prudentiam, ei desteritatem cum vitae integritate conjunctam jamdudum noverat. Tempore deinde ineunte, cum nonnullas Tu-derti contentiones obortas Xistus sedari cuperet hunc summa legationis potestate praefecit, qui tandem rebus undequaque compo- (1) Annalium Sacri Oràiiûs Fratrum servorum B. Mariae Virginis. Luccae, 1719, tom. 1. pag. 255. (2) Ib. pag. 521. (3) Del quale parla pure con lode lo Spotorno nella sua Storia ìetter. T. 2.° p. 139. (4) Pag. 459. (5) pag. 534. GIORNALE LIGUSTICO 35 sitis et urbe pacata, senio demam, assiduisqüe laboribus confectus in pace quievit (1), cum prius de anno 1465 beneficiorum, quae a suo Ordine acceperat, non immemor reliquisset Caenobio Genuae super Magistratum Pauperum ammani quamdam pecuniae summam pro Cera et Oleo Sanctissimi Sacramenti, nec non pro sartatcctis chori Ecclesiae nostrae , quandocumque ea reficere oportuisset. Fra i molti altri conventi disseminati per P Italia ed oltre, giova qui riferire quei di Bergamo, dal 1371, di Venezia, dal 13 13, dell’Istria e di Praga. In quel di Venezia pare fosse stato, almen di passaggio, il nostro compilatore , essendo la Regina dell’ Adriatico la sola città italiana da lui ricordata, e con poca simpatia , oltre le sue predilette Firenze e Genova. Era egli probabilmente uno dei tanti che dall’ occidentale Riviera erano stati attratti al chiostro tanto illustrato dal loro Bocconi. Potè egli facilmente avere per tempo cognizione della stampa da qualche suo correligioso venuto da Praga; e che non gli fossero ignoti i Tedeschi, primi cultori e diffusori, com’ è noto, di quell’ arte, si potrebbe anche dedurre da quello eh’ ei dice al principio della pag. 13 , allontanandosi in questo , come in generale nelle piacevolezze, dal sempre grave e classico suo esemplare bracelliano, parlando dei vini delle Cinque terre: « Alamani gustadone : da qli licori so pixi. Dicedo su qusti lacrima cristi : pche no lacrimo 1 paixi todeschi ». Ingegnoso, industre, curioso e infarinato, più che colto, nelle lettere, doveva egli amare l’intrattenersi con coloro che nelle arti, anche manuali, e nelle lettere erano versati; ond’è più che probabile che , come accade non di rado in cosiffatti, (1) II Giani non dice quando. Ne parla sotto P an. 1471. Lo Spotorno ha 1473.’ 86 GIORNALE LIGUSTICO ei volesse pure imitarli, nel che, a tacere di altri esempj, ci fa correr la mente a quello scalpellino di Michelangelo, del quale, ad esilarare il lettore, ci serbò memoria il Vasari. Il buon Frate adunque udi portare a cielo in Firenze 1 Alighieri e magnificarne il divino poema; ed ei ne reco seco in Genova quell’ entusiasmo, procurandosene anche un elogio in versi latini; e concepito il disegno del suo Almanacco ve lo volle introdurre, non importa se in parte e non finito, com è generalmente il suo rozzo dettato : e, ciò che più ha dello stravagante , per non dire del presuntuoso, si credè autorizzato a tentare l’imitazione di quei divini terzetti, dei quali non conosceva egli forse che la versione del Pater noster, da lui riportata in parte, e guasta per giunta, come vedrassi più innanzi. Il più della materia però dell’ informe suo lavoro Γ ebbe dal Bracelli, che, religiosissimo com’ era, frequentava probabilissimamente, anche per sue pratiche divote, dalla sua villa suburbana, il Convento dei Servi. E del Bracelli infatti ei parla con molta riverenza, prima che di Dante, e ci dà sulla vita del celeberrimo Cancelliere e storiografo, quasi affatto ignorata dai posteri, qualche notizia, della quale è forza aver-glisi da noi gratitudine, per quanto egli ci abbia in questo ancora assai poco bene serviti, come siamo per dire nell e-sporre finalmente il promesso contenuto di quella eh’ ei volle intitolata niente meno che Opus aureum, ricordevole forse dell Aurea legenda del B. da Varagine, allora già stampata (i). Comincia dunque così : (i) Verso il 1470 a Basilea (Panzer e Brunet). Un’edizione veneta del 1468 « per magistrum Xforiim arnoldum » si vendeva in Genova alla stamperia Frugoni il 1817, come annunziava la Gaietta di Genova del 19 agosto; del quale Cristof. Arnoldo veneto nota il Panzer un’ ediz. del 1472. GIORNALE LIGUSTICO 8? « La raxone de la Pasca: e de la Luna: e le Feste Mcccclxxiiii la pasca sera a di x daprille: lxxv: a xxv de marso ». E seguita così, anno per anno, a due colonne, sostituendo pel 1489 all’ X la Z, come pure al corrispondente 1507 nel secondo colonnello , e alla numerazione romana le parole « otataciq otatasei otatasete» pel 1485-87, e «norataocto e noata-noue » pel 1498 e 99 fino al Mccqcc. Dopo di che, ritornando alle linee intere : « Mcccc setantaquatro lo meise de Genuariò di tretauno. La Luna fara a li xviii e a hore viii. E lo primo di del meise e la festa de la Circucisio ». E così via fino alla quart’ ultima linea della pagina seconda : « Inoceti uitoto. tomas uinoue. rafel teta : silueste finit ». Le ultime tre linee recano questa massima: «Petrarca: Sapies nullup republica picl’m euitabis (sic) etc. » ’ i La .terza pagina comincia col titolo sovrenunziato che daremo senza abbreviazioni : Opus aureum et fructuosum Religiosis et Secularibus. || Mulieribus sacris et Mundanis: vulgariter et latine || versibus et in prosa: Deum etc. (e qui altre massime cristiane fino a tutta la linea sesta). Et continens (ripigliando il titolo) verborum modestiam : oris : ac calami : clegan J| tissimam eloquentiam spectati viri lacobi de bracellis. |] olirn cancellarii genuensis. qui caelesti prope ingenio : II omni gravitate servata : multa de Urbibus: Oppidis: || Populis : Fluminibus: Insulis: Portibus: conditionibus || universe Ligurie: Summis Pontificibus : Praelatis: et || aliis illustribus Genuensibus : quos dum terrestribus || maritimisque triumphis clarissimis : prosperitate || non elatos : nec adversitate depressos : mirum in modum || adnotavit (1): studuit ad nostrum (1) Il iac-similt ha na dotavit. 88 GIORNALE LIGUSTICO exemplar stilo: memo || rieque mandare : ita ut dò co convenientissime concinamus, j] Semper honos \ nomenque suutn : laude-sque manebunt. Al qual verso virgiliano altri due ne aggiunge, certamente fattura sua, poiché destituiti non solo di misura, ma di senso. Meno male, che gli venne fatto di chiudere il mal tentato epitafio con un pentametro tolto a prestanza non saprei ben dire da chi: Plorat adhuc tanto plein viduata viro. Il qual verso ci fa conoscere che Iacopo Bracelli doveva esser morto poco prima del 1473. Lo Spotorno, nell’ e-logio che pubblicò di questo illustre non ci dice altro della sua mortale carriera, se non che fu Cancelliere della Repubblica « tra il 1430 e il 1457 »; su di che non mi fu dato di trovare altre notizie se non nell’Epistolario dello stesso Bracelli, pubblicato il 1520 in Parigi a cura di Mon-sign. Agostino Giustiniani, dove al fol. LXI è un’ Epistola Principi... Borsio duci Mutinae etc. degli 8 luglio 1460, scritta evidentemente a nome della Repubblica, nominando-visi legatus tuus Bonvicinus, latore di magnifica cesellatura in dono. E eli’ ei fosse ancor cancelliere nell’ agosto dello stesso anno parmi provato anche dall’ altra, che si legge al fol. XV : Claro ac doctissimo viro Eduardo Berzosnino apud o o Astam, scritta xv hai. septembris, dove lo consiglia a dar opera ne quid in urbe, ne quid in agro vestro injuriarum nostris inferatur. Dalle surriferite parole del nostro Anonimo chiaro pure apparisce ch ei si servì dell’ opera del Bracelli ad nostrum exemplar, non senza ragione ricordando omni gravitate ser-vata dal suo esemplare, quasi a chieder venia delle sue scempiaggini. giornale ligustico 89 Ma doveva prima commetterne altre a strazio di Dante, del quale dice che darà, Primo ad Matrem, sottinteso can-ticum, per vulgarem theologum ilium Qui cadum Cecinit·. Mediumque: Imumque tribunal: al qual verso ne fa seguire altri cinque, e così in tutto tre distici. E poiché il numero delle linee di questa terza pagina non ragguagliava quello delle precedenti, e gli mancava a raggiungerlo altro distico, ei credette uscirne discretamente bene, appiccicando ai tre distici, non suoi, un pentametro, con un suo Licet in fronte, forse per far piena la linea, a differenza delle cinque precedenti, non compite, e certamente per far sapere a’ suoi lettori che Dante (per sua fortuna) era morto : Licet: Orba parente suo Patria Moesta Gemit. E senz’altro, così comincia la quarta pagina: « Ave Vergine semper Sancta Tu sola digna : si chel spirito sancto: Per lo angelico verbo in te si pianta. Maria tanto manse nel tuo fiancho : Quello verbo » ecc. E basti questo a condanna del nostro anonimo, che ci fa veramente la figura dell’asinajo, e peggio. Comunque sia, vasse'ne egli di questo passo fin verso la fine della pagina seguente, a io canto, cioè, già sopra notato, de li fratri de la Nunciata. Alla metà della pagina settima però si rifa sul povero Dante, a carico del quale fa, per la rima, questa variante, degna in vero di sferzata: « O padre nostro chi in cieli stia. Sanctificato » ecc. Meno male che termina bene, e a proposito. « e tu perdona : Benigno: e non guardar a nostro mèrto ». Con altre otto linee d’ una preghiera latina tennina la pagina settima, e comincia l’ottava: « Fiorentini magni : e 1 eli— giosi e sancte done: Orano » ecc., con altri elogi che compiono 90 GIORNALE LIGUSTICO la linea quarta. Poi: « Venexia gran cha: superbe nave e gaiioni. Buscagie più che lavor fa: Loro grand ssima gente di Schiavoni. Genua risgoardando sensa ingano: Magna Superba eminente e forte: In mare e terra splende sensa fallo. Genua e no Janua » ecc. Segue qui a dir malamente ciò che il Bracelli in classico latino, alle fine della descrizione della Riviera di Ponente, riferendo a Genuo la fondazione di Genova. Anche più sgraziato è poi Y anonimo nostro nell’indicare;, sempre sulle traccie bracelliane, i limiti della Liguria; ma pare eh’ei poco se ne curi, tutto intento a sfogare la sua esaltazione per le grandezze di Genova, tanto più che di queste fu entusiasmato anche il suo « Dante Alegieri poeta fiorentino : Cum alto ingegno el cielo e purgatorio : El regno infernale a mezo camino Di nostra vita poze in bel lavorio » ecc., facendo cosi a fidanza, se pur n’ era consapevole, coll’ ignoranza dei suoi lettori circa la sanguinosa invettiva del Ghibellino fuggiasco — Ahi Genovesi ecc. — Ei raccomanda : « Ma legi bene tutto questo oratorio (la divina Commedia) : Pieno de sanctitade et he elegantino » ecc.; e poiché Dante è per lui « predicatore eloquente », si licenzia infine da esso con questa bella massima: « Che cosa piciola ha a vincer gente. Ma vincer su (per se) ha gloria glorifesa ». E torna, nella quartultima linea « a membri e virtù di liguria. E chi va in fréta (aggiunge) si pentirà per axio. Se voi grandese impara patientia. Lasciamo nisa (per Nizza) » ecc. e va via parlando, a suo modo, e sempre sui passi del Bracelli degli altri luoghi dell'occidentale Riviera. Recheremo qui qualche prova di più delle nostre asserzioni sul conto di questo nostro strano imitatore del Bracelli. Dice questi: Liguriae primus limen aperit Varus fluvius ab Alpibus effusus haud procul ab urbe Nicea; e il nostro, per le corte : « Varo fiume efuso a nisa da le alpe ». Di giornale ligustico Porto Maurizio nota quegli: hinc quoniam vicini populi jura petunt, fama locum celebriorem facit ; e questi : « Portomoricio vago in terra in mare ; cum dobia piagia da caricar navilli : Vanno più popli a raxone: e a mercantare ». Di Oneglia il primo, senz’altro: Unelia vallis aliquot introrsus vicis habitata·, e il secondo: « Unelia: ripa: e valle introrso habitata : Castelle: e podeiri de nobili doria: La fano richa: e molto nominata ». D’ Albenga non ricorda il Bracelli che la cacciata dell’ e-sercito di Filippo duca di Milano, e in poco più di dieci linee d’una colonna del Burmann sbrigatosi di essa, passa alla Pietra; e l’anonimo menestrello non giunge a « la pria », che dopo diciotto delle sue, traverso i « cento padu-lini Malsani e fangoxi... la centa (così detta dal volgo se condo il Bracelli quod centenis torrentibus augetur')... la pieive.., da Spinola magno con più terre governata », e gli abitanti « morbidi : grassi : e fideli : e polputi », il « borgeto, » , il « bel castel de lodano: Dedifìci: gaglion: e suo gran doiia ». Lasciata poi l’origine etimologica bracelliana del Finale a caeli salubritate, nè curandosi d’altro, ci apprende invece che « suo signor potente: marino e lombardo. Tremìlia boni subditi lue. Suoi mirabili casteli : borgi : e monti dan genti. Sun a boni a miseri: e a gente alamane: Utili e fano soi homini ben contenti ». Noli non è pel Bracelli che urbs portu ac turibus inclyta Λ ma il nostro non omette, con altre particolarità, « suo vescovato graso sensa ledame »; e molto più di dice poi di « Saona nobilissima tra· piano e monte. nove valle: e contadini piene » ecc. Se non che « A o porto un pocho mesto. Ma di darsena, darsenale. 0‘ si vede coda: Essendo mansueta con ognuno: Papa: cardinali soi li faran dota». E dopo quattro altre linee : « ao-nesi sani siate tra voi: e in tutto gravi. Come dece a gio i 92 GIORNALE LIGUSTICO papali : e cardinaleschi. Se procurate esser ben grati Haveti novi e vegi testamenti: E Pastor de sancta giexia e suo sacro senato. Lo piissimo signore Duca: conienti De rela-sciarve tuto lo pasato. Unde tra voi siati tuti sancti: E cor-teixi e urbani cura altri in ogni lato ». D’ altre siffatte amenità viene poi spargendo il resto, trasvolato dal Cancelliere, pago a pochi nomi, fino a « La Sanctissima coronata qui in colina : sopra la grande valle de poccivora. Da tuti cristiani riceve cera finna ». E ricordato il florido stato di questa valle, aggiunge: « Ma se Genua soa madona : e tante castelle; Busala: borgo: arqua : e altri : Non li governaseno cum parole belle Forse deventerebeno molto ingrati: A lor benigni cari citadini: Cum qualli ano gran denari goadagnati ». Da « sani pier darena », dove « tanto imborsano : mai non li dol schena », venendo a Genova nota che al «cavo: he la bislonga torre : A mare e terra fa lumi e sembianti : Per drita via un migio a la gran Genua corre. Genua: giexe: casteleti : palaci: piase: galaria. Darsena. Porto: molo: darsenal· : Cavalcature quanto in cita chi sia. Gran molo e tuto col fronte verso africani » (portum frontemque ad Africum versam Genua pandit — Bracelli). E ricordate le , distruzioni sofferte , e i distruttori da essa fatti « suieti cani », continua: « Inmensi borgi cum la porta de lerco e bisagno : Donsele e schiavi e schiave a bugate : Doe (dov’ è) aqua ben utile tuto lano Done de misericordia : e sacre velate : poi mondane, Bele savie: costumate: e scorte: Vanto ano da oniun judicate ». Passando poi alla Riviera orientale, non le dedica se non una pagina, e non senza inestricabili garbugli ; laddove gli bastarono appena tre per l’occidentale. Si direbbe che qui meno che altrove comprese il latino bracelliano. Così bistrattato « el grande golfo de Liguria », si fa a gua- GIORNALE LIGUSTICO 93 stare Γ altro lavoro del suo mal capitato esemplare, dei « grandi e.... summi homini », dal gran Cancelliere distribuiti in ordine bellissimo e ritratti con ammirabile maestria (i), e dal nostro messi, a dir poco, in commedia alla rinfusa. Basti questo solo esempio. Tra i virtuosi Genovesi annovera il Bracelli verso la fine dell5 aureo suo libretto Luciano Spinola a questo modo: Antonius Justinianus equestris ordinis vir, genere, opibus clarus cum in distributione publici tributi insignem se accepisse injuriam arbitraretur, haud aliter se domi continebat, quam si aliquem domesticorum lugeret. Ad quem consolandum cum Lucianus Spinula, vir praeter splendorem generis lenitate quadam et auctoritate nemini cedens, venisset: Oro, inquit, Antoni, ne hanc injuriam iniquo animo feras. Id cum longo sermone bis, terque iterasset, Antonius non sine stomacho : Cupio, ait, ex te, Luciane, praediscere, qua te humanitate injurias ferie soleas. At ille nihil permotus: Cogito, inquit, aut me gnaiuin, aut ignarum aliquando injurias dedisse: ac velut dandi, acci-piendique vicissitudo sit, illatis acceptas compenso. L’ anonimo nostro pose -costui fra i primi suoi « summi » così: « Antonio justiniano cavaler offeiso: Lucian spinola il fe ben paciente. Dicendo, io le iniurie aute cum le date compenso ». E non è questo certamente dei peggioii con trapposti, che si potrebbero moltiplicare. Con questa sua specie di gergo italiano genovese, e alquante delle solite sue intramesse all esemplare bracelliano, se ne va il Frate fin verso la fine della penultima pagina, esclamando in ultimo: Salve conficto in su la saucta cioce. Per cui genueise linagio e fato degno. E detto poi con latino delle benemerenze dei Genovesi veiso la Reli_,io Cristo, per essi conservata in Oriente, soggiuntele exclamare (e questa volta lo fa colle paiole, comechè i p (i) De claris Genuensibus libellus. 94 GIORNALE LIGUSTICO abbreviate, del Bracelli) cavi vere urbem: templum esse justitiae: et cives imperio dignos (i). E come in principio con Dante, riportandone qualche verso genuino, così si credette forse infine sdebitato col Bracelli, e più degno di perdono. Il quale perdono pare eh’’ ei chieda al principio dell’ ultima pagina anche a’ suoi lettori Superius: latine: vulgariter: versibus: prosa et orationibus fatigatos, non senza compiacersi dell’opera sua: Paucis etenim memoratis.... et aliam denuo ex-pectare dulcedinem quod viam posteris ad columen paret et gloriam. E niun discreto gli negherà certo d’aver esso lavorato a questo ottimo fine. Memore da ultimo della terza ripresa del titolo del suo Opus aureum, tractans etiam de Confessione facienda etc., riportato un tratto di S. Agostino de civitate dei, segue: « Dio comanda la confessione » ecc ; e termina con un passo latino del grisostomo omelia xxx di quasi quattro linee. Da quanto siamo venuti esponendo ci pare potersi a buon dritto conchiudere, che se questo opuscolo è, come parto letterario e tipografico, poco meglio che un aborto ; merita, come calendario, d’ essere salutato e quasi non dissi venerato fra i pochissimi salvatisi dall’ universale naufragio; nè crederemo peccare di generosità riconoscendo ne] buon frate il tentativo di fare avere in pregio anche fra noi il Divino Poema. Anche riguardo al Bracelli già gli esprimemmo la nostra gratitudine ; e poiché già tante conghietture facemmo, ci si passi da ultimo ancor questa; che dalla stessa penna cioè dalla quale fu vergato l’epitafio di Giano Campofulgoso, stampato colle altre cose bracelliane in Parigi del 1520, pos- (1) Il Bracelli fa dire a un Persiano, cui furono fatte rendere da Girolamo Giustiniano Console in Famagosta le perle stategli rubate: cani vere urbem templum esse justitiae, et qui eam regerent, vere dignos qui orbi imperarent. giornale ligustico 95 sano essere usciti i tre distici su Dante, che qui riportiamo, qual corona di questo qualsiasi nostro lavoro, giusta la lezione dello stesso Anonimo : Qui caelum cecinit, mediumque imumque tribunal, Lustravitque animo cuncta Poeta suo, Doctus adest Dantes, sua quem Florentia saepe Sensit consiliis et pietate patrem. Nil potuit tanto mors saeva nocere poetae, Quem vivum virtus, carmen imago facit. N. Giuliani. OSSERVAZIONI DI GASPERO LUIGI ODERICO SOPRA ALCUNI CODICI della Libreria di G. Filippo Durazzo (Continuazione vedi pag. 64). CODICE IX. Questo Codice è un antico Breviario dell’ ordine Francescano. Le armi gentilizie, che incontransi in parecchie pagine sormontate dal cappello cardinalizio, mostrano che esso fu già d’alcun Cardinale della illustre famiglia de’ Conti di Foix Visconti di Bearne ecc., giacché lo scudo quadripartito porta nel primo, e quarto spartimento le armi di Foix, nel secondo e terzo quelle di Bearne. Or due soli Cardinali ebbe, per quanto so, la Casa di Foix, Γ uno e Γ altro nel Secolo XV, 1’ uno e l’altro per nome Pietro. Il primo era figliuolo di Ar-cimboldo di Grailly, cap. de Buch; e di Isabella Castelbona, sorella ed erede di Matteo Conte di Foix, e Visconte di Bearne. Fu questi in prima religioso di S. Francesco in Morlat, 96 GIORNALE LIGUSTICO indi fatto Vescono di Lescar, e Cardinale dall Antipapa Benedetto XIII, sul principio del Secolo sostenne il partito del medesimo fino al Concilio di Costanza, in cui ìiconobbe Martino V, e fu da esso confermato nella sua dignità. Pi esso Martino e presso i seguenti Pontefici fu molto in credito, adoperato in rilevantissimi affari, ed in cospicue legazioni, sostenne sempre, ed accrebbe vie più la stima che di lui si avea. Morì nel 1464, Arcivescovo d’Arles, e legato di Avignone (veggansi Ciacconio, Wadingo , L. Àttichy ed altri scrittori). Il secondo fu figliuolo di Gastone IV, nipote del sopradetto Cardinale, e di Eleonora d’Aragona, creato Cardinale 1 anno 1477, da Sisto IV, e morto l’anno 1490. Se non· eguagliò il Prozio, non mancò di merito e di riputazione, per quanto ce ne attestano gli Storici Crederei, che il Breviario appartenesse al primo Pietro, poiché di esso è certo che fu religioso Francescano; non così deir altro. Ciacconio ed altri lo hanno creduto tale; tuttavia il Wadingo, storico dell’ordine, si protesta di non ne avere prove sicure e ben fondate. Comunque sia il Codice dee essere prima dell’ anno 1482 in cui fu canonizzato S. Bonaventura, il cui uffizio non è in questo Breviario. * L’ordine del Breviario è il seguente. 1. Il Calendario Festivo, che suole premettersi a simili libri liturgici. 2. L’Offizio de Tempore, che qui finisce con le litanie de’ Santi. 3. Gli Inni per tutto l’anno, e per le feste de’ Santi. 4. Breviarium ad usum S. R. E. dai Vespri del sabato dell’Avvento fino a tatta la Domenica IV di Novembre. 5. Festivitates Sanctorum per anni circulum da S. Saturnino a Santa Caterina detta della Ruota: sieguono l’uffizio di S. Luigi re di Francia, non so perchè fuori di luogo; e quello della Dedicazione della Chiesa. 6. Due Tavole di Rubriche. 7. Si replicano gli uffizi delle stimate di S. Francesco, della Invenzione ed Esaltazione della GIORNALE LIGUSTICO 97 Cioce, con qualche cangiamento. 8. De Comuni Sanctorum; officium extremae Unctionis ; pro vicino morti; ordo ad Benedicendam mensam; sieguono tre fogli bianchi, indi 1’officio della Concezione fuor di luogo. L’ Ufficio della Trinità nella prima Domenica dopo Pentecoste, non è quello composto già da Stefano di Liegi nel Secolo X, e che con qualche variazione fatta da S. Pio V, si usa presentemente ; ma sibbene quello, che fece circa l’anno 1296, Giovanni Pekano vescovo di Cantorbery, e religioso Francescano. Le miniature delle quali è ornato il Codice se abbiano merito per 1’ arte, non ne sono buon giudice : per 1’ erudizione nulla non ci somministrano di particolare e rimarchevole. S. Francesco, e Sant’Antonio di Padova, veggoncisi vestiti, secondo la mutazione già introdotta nell’ ordine , con abito lungo e ripiegato alla cintola, con ampio e tondo cappuccio; non quadro ed acuminato, ossia terminato in punta, oggetto di molti piati tra gli Osservanti e i Cappuccini, come può vedersi in Boverio Annalista de’ PP. Cappuccini nella sua operetta De vero habitus forma a S. Francisco instituta ecc. In quella che rappresenta la natività di Nostro Signor Gesù Cristo , troppa libertà si è data il pittore non conveniente alla santità del soggetto, e contraria al racconto degli Evangelisti. In quelle che sono Iniziali de’ Salmi 26, 52, 68, 80, si fa allusione alle parole: Illuminatio mea; Dixit Insipiens; Intraverunt Aquae; Date Tympanum, allusioni che ho vedute in altri Codici; quantunque le due campane battute con due martelli non sembrino corrispondere al Tympanum del Salmo 80, v. 3. CODICE X. Giorgio nativo di Creta, ed originario di Trabisonda, onde si disse latinamente Giorgius Trape^untinus, fu uno di quei Giorn. Ligustico , Anno VII e Vili 7 98 GIORNALE LIGUSTICO famosi Greci, che nel Secolo XV, vennero a stabilirsi in Italia. Per ordine di Nicolò V, trasportò dal greco in latino più opere; fra queste la Preparatone Evangelica di Eusebio, di cui il presente manoscritto è un esemplare. Questa traduzione però non piacque allora al Pontefice, che incarico Andiea Contrario Sacerdote Veneto di emendarla; ed è poi sempre dispiaciuta a’ Dotti: Eo interpretatio, dice l’Allacci de Georgiis (Tom. VIII, Hist. Byzant.) non multi fit a Doctis, tino a ple-risque; nec immerito vituperatur. Ex Eusebii namque textu multa Trape^untius detraxiì, adeo ut saepe integra capita omittat, et, quod nec ipse Trape^untius excusabit, totum ultimam librum. Saepe numero ordinem confundit; et, ut pluirmum, perperam vertit; adeo ut Eusebius, si rediret, illius Tradutionem ex scriptis suis factam esse, aut vix tandem, aut omnino non agnosceret. Un simile svantaggioso giudizio ne hanno portato Francesco Vi-gero, che ne die’una nuova compita traduzione l’anno 1628, Dionigi Petavio, Cori ado Gesnero, Mons. Uezio ed altri de’ migliori critici. (Veggansi Apostolo Zeno nelle Tossiane Tom. II pag. 6 ecc. L’ Abate Tiraboschi T. VI, parte I ecc. Fabricio ed altri). Il presente Codice fu scritto l’anno 146 come si rileva dalla rubrica posta in fine del libro ; e nove anni dopo, cioè l’anno 1470 ne fu fatta la prima edizione in Venezia da Nicolò Jenson, in foglio; ed altre in appresso rammentate da Zeno, Fabricio ecc.. CODICE XI. Dieci operette contengonsi in questo Codice, scritte da diverse mani, e forse in diverso tempo. I. De diversis quaestionibus LXXXIIl. Nella di lui prima rubrica leggesi: Incipit liber de libero arbitrio, quando il titolo di questa prima questione esser dovrebbe utrum anima a se lPsa *it, e quello della seconda de libero arbitrio. Non è questa GIORNALE LIGUSTICO 99 l unica svista dello Scrittore, che mostra d’ essere stato assai negligente. Dopo la questione XXVI, l'ordine con cui pro-sieguono le altre è molto diverso da quelle de’ Lovaniesi (Opera di S. Agostino Tom. VI, ed. Paris 1614), e da quello de Maurini (Tom. VI), diversità avvertita posteriormente, e notata nel margine. La questione XXXI di cui il primo scrittore si era dimenticato, è scritta nel margine da altra mano; ma non sembra la stessa, che quella delle due accennate edizioni; di dove sia presa noi so. Dopo la XLI siegue de Magis Pharaonis, che pare un piccolo compendio della questione 79 , seppure non è cavata da qualche altro luogo di S. Agostino. Dopo la LXXVII, viene un piccolo paragrafo : eum, qui ut vult vivit, beatum esse, trasportato da altra mano alla testa della pag. Q., e prima della 31 accennata. Dopo la LXXIX siegue de Pascha, che non è nelle 83 questioni di questa operetta. II. De bono Coniugali; comincia con il capo 22 del libro II, delle Ritrattazioni, in cui S. Agostino parla di quest’ opera. Lo Scrittore non 1’ ha divisa in Capitoli, conforme lo è nei Lovaniesi (Tom. VI, pag. 330), e ne’ Maurini, (Tom. VI, pagina 319): ma in due parti, delle quali la seconda principia da queste parole: Plures enim feminae, che sono 1’ ultimo periodo del n. 20 del capo 17. III. De videndo deum ad Paulinam, etc. Neppur questa è divisa in Capitoli, come ne’ Lovaniesi (N. CXII Tom. II), e ne’ Maurini (N. CXLVII, Tom. II), ma in due parti, delle quali la seconda comincia: Scimus etc. che è al N. 12 nei Maurini. IV. De libero Abitrio, cioè i tre libri di Sant’ Agostino su questo argomento, che nei Lovaniesi (Tom. I, pag. 265), e nei Maurini (Tom. I, pag. 569) sono divisi in Capitoli accennandosi a’ suoi luoghi gli interlocutori; essendo quest’ opera un Dialogo tra il Santo ed il Vescovo Evodio. L’una e 1 altra 100 GIORNALE LIGUSTICO cosa non osservasi nel presente manoscritto. Alla testa si legge il Cap. 9, del lib. I delle Ritrattazioni, che riguarda quest’ opera. V. Il libro di S. Bernardo de Gratia, et libero arbitrio ^ ad Willelmum Ab. S. Theodorici ecc. Nella edizione Mabillomana dell’opere di S. Bernardo frovasi nel Tom. II, opusc. IX; nella Regia dell’a. 1642, è nel Tom. Ili, p. 117· VI. De Trinitate ad Symmachum Socerum, cioè il primo libro di questo argomento di Boezio, (nella edizione di Basilea 1570 pag. 1120): dopo di esso sieguono poche righe del secondo libro indirizzato ad Ioannem Ecclesiae Romanae Diaconum, che fu poi Giovanni i.° Papa, e martire, onde è fotse, che in questo manoscritto ha il titolo di Santo. Il Codice è qui mancante, di quanto non saprei dirlo, forse di un quinternetto. VII. L’ operetta, che siegue non porta il nome dell autore, nel manoscritto; da mano posteriore è stato segnato in mai-gine, quello di Ugone di S; Vittore, di cui è infatti. Nella edizione Veneta dell’opera di Ugone del 15S8 (nel Pom. I, pag. 238) e in quella di Magonza dell’a. 1617, (Tom. I, p. 34°) porta questo titolo : In Explanationem Coelestis Hierarchiae magni Dionysii Areopagitae secundum traductionem Ioannis Scoti Prioris. Lib. X,uad Regem Francorum Ludovicum filium Ludovici Grossi, qui aedem divi Victoris Parisiensis aedificandam curavit. Altra intitolazione trovo, che ha quest’ opera in un Codice della Badia Gotwicense, cioè : Opus Hugonis Magistri in Hierarchias S. Dionysii Episcopi de differentia mundanae Theologiae atque divinae, et de Ministrationibus earum. (Chron. Gotwic. Tom. I, p. 6), ed altre forse ve ne saranno a me ignote. Il primo de’ dieci libri, in cui l’opera è partita, nelle accennate edizioni dividesi in cinque Capitoli ; il manoscritto con le Rubriche, e colle Iniziali mostra questa divisione ma non esprime la numerazione, ommessa similmente negli altri GIORNALE LIGUSTICO ΙΟΙ IX libri. In alcuni di essi osservasi della diversità tra il manoscritto e la stampa. Vili. Apologeticum Bernardi Abbatis Clarevallensis Abbatis ad Petrum Abbatem Cluniacensem. Questo indirizzo che ripetesi alla fine dell’ opera è falso, dovendosi leggere ad Wil-lelmum Abbatem S. Theodorici, a cui è certo, che fu indirizzata questa apologia : e cosi leggesi nelle stampe (nella Regia Tom. Ili, p. nella Mabilloniana Τοιη. II, opuscolo II), e così apparisce dalla prima linea di questo stesso manoscritto in cui leggesi Venerabili Patri IV. etc., la qual lettera, è manifestamente 1’ iniziale di Wilklmus. IX. L’ Enchiridio di S. Agostino. Precede 1’ indice de’ paragrafi in cui quest’ opera è divisa , che qui sono LXXATI, ove che ne’ Lovaniesi (Tom. Ili, p. 65, e ne’ Maurini T. VI, p. 195) sono CXXII. Indi leggesi: Incipit Praefatio S. Augustini in libro Enchiridion: questa prefazione non è altro che il capo 63 del lib. 2 , delle Ritrattazioni. Siegue : incipit liber Enchiridion. Dopo il § 8 de Humine etc. che ne’ Maurini è parte del Cap. XIV, vi è una gran lacuna; poiché dopo le parole ni si esset aliquod bonum etc. si ommette tutto il Cap. XV, il XVI, e parte del XVII, sino alle parole sunt enim quaedam, quae nescire, quam scire sit melius. X. De Virtutibus Claustralium, opera del sopracitato Ugone di S. Vittore, la quale nelle accennate edizioni (Ven. T. II, p. 15, Mogont, Tom. II), porta il titolo: De Institutione No-vitiorum. L’Oudin (Tom. II, p. 1142), pretende, che 1’opera sotto questo titolo sia di Guglielmo Peralt Domenicano fiorito circa la meta del secolo XIII ; ma niun’ opera sotto questo titolo trovasi tra quelle di Guglielmo, presso i PP. Quetif ed Eccard (Tom. I, pag. 134). Potrebbe forse aver preso abbaglio 1’Oudin e confuso il libro di Ugone, con quello de Institutione ovvero de Eruditione Religiosorum del Peralt, che 102 GIORNALE LIGUSTICO gli scrittori citati pretendono essere stato malamente attribuito ad Umberto quinto loro generale. Se questa opera comincia: erudire Hierusalem, ed è in sei libri divisa, come essi dicono (p. 148), è ben diversa da quella di Ugone, che trovasi in questo codice, e che è divisa soltanto in 15 capi, e nelle stampe in 19. Circa Γ età di questo Codice, io non trovo in esso alcuna sicura caratteristica per cui poterla fissare; credo, che non sia più antico del secolo XIV, e forse ancor più basso. Le pagine non sono distinte co’ numeri : quelle della prima operetta , sono contrasegnate con una lettera dell Alfabeto, il quale terminato si ripiglia l’A. a cui di mano, in mano se ne aggiunge la seguente lettera. Le pagine degli altri opuscoli non hanno segno alcuno. Appartenne un tempo alla canonica di S. Ulrico, posseduta da’ canonici regolari di S. Agostino presso le mura di Neustad in Austria, detta in latino Novacivitas. Questa canonica fu distrutta l’anno 1^29 da Ferdinando Re dei Romani per la venuta de’ Turchi in quella provincia, conforme leggesi nel supplemento Burschiano (Tom. I, Collect. Script. RR. Hist. Monastico. Ecclesiarum ecc. p. 149, 15°) 5 ec^ ^ ^°” dice nel 1645 passò ai monaci di S. Paolo primo eremita, che in Neustad hanno o ebbero un convento, secondo che si rileva dalla postilla messa nella prima pagina del medesimo. CODICE XII. Tutti i migliori critici e gli scrittori di buon senso convengono , essere una vera, e manifesta impostura la lettera di Eusebio cremonese a Damaso vescovo di Porto, vescovo fin’ ora ignoto ; e quelle di S. Agostino a S. Cirillo Gerosolimitano, e di questo a S. Agostino sulla morte, e miracoli di S. Girolamo, che trovansi manoscritte in questo Codice del XV, 0 al più del secolo XIV. L’ autore, o gli autori GIORNALE LIGUSTICO IO3 ignoranti non seppero che S. Cirillo era morto trenta e più anni avanti S. Girolamo ; e quello che scrisse la lettera di S. Cirillo , o per malizia , o per insigne sciempiag-gine, si scuopre eretico Monotelita, eresia nata due secoli e più dopo la morte di S. Girolamo. Fino da’ tempi di S. Antonino arcivescovo di Firenze furono queste lettere sospette di false, siccome vedesi nella Storia del medesimo (V. Parte II, tit. X, cap. VI, § I), e fu avvertito da Mariano Vittorio, nella censura premessa al T. IX dell’ opere di S. Girolamo. Il P. Stilting Bollandista, che dopo il P. Martianai le crede di un medesimo autore latino , e non greco, stima che queste tre lettere non fossero scritte, o almen pubblicate, prima del secolo XIII, inoltrato , o anche sul principio del XIV ; poiché di esse non hanno fatto uso nè il Bellovacense, nè l’arcivescovo da Varatine non mai avuti in conto di scrit- O tori critici, e che più abbagli presero parlando di S. Girolamo. (V. Act. SS. Tom. VIII, Sept. Comment. Proae. ad Vit. S. Hieron. § II, p. 420). Tuttavia in leggendo S. Antonino potrebbe credersi, che i due accennati autori Bellovacense e da Varagine, non sian-sene serviti perchè non le avessero per sincere. Sed quod non est authenticam tales doctores (Agostino e Cirillo) illa scripsisse, unde nec Vincentius in Speculo Istoriam, nec Iacobus de Vdragine\, nec alii historiographi de illis faciunt mentionem. I' primi a farne uso, a giudizio dello Stilting, furono Pietro Calo domenicano sul principio del secolo XIV, e verso la metà del medesimo Pietro de Natalibus, ed il famoso leggista Giovanni Andrea nel suo Geronimiano, che il citato Stilting crede sciitto tra il 1332 ed il 1348, in cui Andrea morì ; e parmi strano che S. Antonino non avesse di costoro notizia. Comunque sia è stravagante, e più che stravagante, 1 opinione che su di queste tre lettere spiego Casimiro Ondili, che dopo la sua doppia apostasia scrisse tre grossi volumi 104 GIORNALE LIGUSTICO in foglio sugli autori Ecclesiastici pieni di fiele, e d imposture contro Roma, e contro i difensori della Chiesa Romana. Vuole costui (Tom. II, de Vit. et Oper. Formosi Papae Cap. VII, p. 3S7) che sieno state scritte da Formoso Papa gran divoto, dice, di S. Girolamo, e che volea mostrarsi seguace della di lui dottrina, e che fu solito a pubblicare opere sotto finti, e supposti nomi. Pretende inoltre che Formoso, prima di esser Papa, si chiamasse Dainaso, e mutasse questo nome in quello di Formoso nel salire sulla Cattedra Romana. Donde abbiasi egli preso questa particolarità non sò dirlo. Veggo che Anastasio e Guglielmo bibliotecarii della Chiesa Romana, quello nella vita di Nicolò I (n. 608) questi in quella di Adriano II (n. 615) parlando della Legazione a’ Bulgari, a cui fu mandato Formoso essendo ancor vescovo di Porto, il chiamano Formosum Por-taensem, e con tal nome si legge nei Cataloghi de vescovi di Porto. Che poi Formoso sia l’autore di queste lettele e un mero sogno di questo fanatico scrittore, ed una calunnia contro Formoso, se si riflette al Monotelismo che trovasi nella lettera di Cirillo. Fu ben discreto il Vallarsi nel dire che gli argomenti di Oudin non usque adeo bona visa sunt, et gravia, ut rem persuadeant. (Tom. XI, oper. S. Hierony. p. 288). Da si impura fonte molto attinse l’autore della vita di S. Girolamo stampata in Venezia l’anno 1746 siccome scrive lo Stilting, sebbene quell’ autore riconoscesse non essere autentiche le lettere di S. Agostino e di S. Cirillo. Fece costui poca stima del sentimento di tutti i critici, che al dire di Vallarsi (loc. cit.) giudicarono in queste tre lettere nihil esse, in quo bonarum horarum pariem ullam quis collocet. Ma molto meno ancora ne fece il P. Giuseppe Bedekovich definitor generale de’ monaci di S. Paolo I eremita, il quale, come ri- ' ferisce il citato P. Stilting, intraprese a sostenerle, e a difenderle contro Baronio, che aveale impugnate, e nel 1752 GIORNALE LIGUSTICO IOJ stampò una grossa opera sopra S. Girolamo, con che il buon Padre definitore diedeci una nuova riprova che, siccome non v ha laidezza, che non trovi un qualche amatore, così non v ha sproposito che non abbia un difensore. Lo scrittore di questo manoscritto dà a S. Cirillo Γ aggiunto di Secondo, ommesso nelle stampe, che ho potuto vedere. S. Epifanio (her. 66) può aver dato luogo a credere, che vi sieno stati due Cirilli vescovi di Gerusalemme dei quali il nostro fosse il Secondo. So che qualche altro ha seguita simile opinione , or però non mi ricordo chi sia. S. Girolamo però vi, è apertamente contrario , parlando nella sua Cronica , di S. Cirillo. Il Papebrochio nel suo trattato Cronologico de’ Vescovi di Gerusalemme (V. act. SS. Tom. Ili, Mai, p. XVIII, etc.) si è dichiarato contro S. Epifanio; meno deciso sembra il P. Touttée Benedettino che ci ha data una nuova edizione delle opere di S. Cirillo ; ei cerca come poter conciliare le due opinioni : ma questa questione non interessa la presente bisogna ; chi vorrà, potrà vedere la dissertazione i.a premessa alla citata edizione (Cap. Vili, N. 48). Al fine delle lettere sopraddette, trovasi un antifona coi suoi versetti ed orazione da recitarsi ad onore di S. Girolamo. L’ autore dell’ antifona non lesse le lettere di S. Girolamo ; dopo questa lettura non avrebbe messo il Santo nel Coro delle Vergini. Non è però il solo caduto in simil abbaglio (veggasi lo Stilting. loc. cit). Seguono, perchè non rimanesse troppa carta vuota, tre messe; una di S. Rafaele, 1’ altra dello Spirito Santo, la terza della Santissima Vergine; messe che non hanno cosa particolare da osservarsi. ιο6 GIORNALE LIGUSTICO CODICE XIII. Incipit liber B. Isaac Abatis de Syria viri religiosissimis sermo primus. Questo libro, che in alcuni manoscritti intitolasi, de contemplationis perfectione, in altri: de perfectione vitae religiosae, è quello stesso che nella Biblioteche dei Padri va sotto il se guente titolo: Liber Isaaci Syri et presbiteri Antiocheni de contemptu mundi. Nella Lionese trovasi al Tom. XI, p· io19> e ne^a Veneta di Andrea Gallandi nel Tom. XII, p* 3 ove ^ ^ viso in 53 capitoli. Questa divisione però non è uniforme in tutte le Biblioteche, e varia ancora ne manoscritti che di esso ci rimangono. O Un ammasso di più sermoni uniti insieme a foimare^un sol corpo sotto un medesimo titolo, è in sostanza, quest o pera. Tritemio, ne conobbe, dirò così il fondo, poiché tra le opere di Isacco prete antiocheno (c. 137) enumeia XII Libelli di ciascuno de’ quali ci da il titolo, e le piime pa role. Or tutti questi XII Libelli trovansi nell’ opera de contemptu mundi, e Papebrochio, che forse il primo ne fece il confronto, osservò che ciascun Libello finiva con 1 invocazione della Santissima Trinità, con cui i nostri maggiori eiano soliti di terminare ogni loro sermone, e trattato, onde conchiuse (V. Act. SS. Tom. 2, Apr. p. 29): ideo evidens apparet magis genuinam, ei ex autoris mente divisionem eam esse, quam praefert Trithemius: et omnino perperam fecisse qui XII Libellos, sub titulum unum eumdemquae argumentis ipsorum valde incon-gruum describere malunt. Ma questi stessi sermoni accennati da Trithemio, e di cui è composta 1’ opera, sono essi pure un estratto di più sermoni originalmente Siriaci, tradotti poi in Arabico e in Greco secondo che diremo più abbasso. Nel presente manoscritto la divisione dell’ opera non è conforme nè a quella di Tritemio, nè a questa, che trovasi nelle Biblioteche de’ Padri. Lo scrittore avea cominciato a GIORNALE LIGUSTICO IO7 descriver Γ opera per Sermoni, ci dà il primo, il secondo ed il ter%o : i primi due che corrispondono a due primi Libelli di Tritemio; il terzo abbraccia, anco il quarto Libello: dopo questi lo scrittore comincia, Sermo quartus, ma poi si dimentica dei Sermoni, e prosiegue fino all’ ultimo in 3 6 divisioni, con a ciascuna il suo argomento , senza avvertirci se sieno Sermoni, 0 altra cosa. In queste 36 divisioni, si trovano gli altri 8 Libelli; se non che quello, che presso Tritemio è il XII, ossia 1 ultimo , qui sarebbe 1’ ottavo. L’ opera è sicuramente d’ un Isacco Siro, o per meglio dire, è presa da’ Sermoni di un Isacco Siro; ma quale questi sia, de’ parecchi, che ve ne sono stati, niuno prima di monsignore Giuseppe Evodio Asseman, ha saputo sinceramente dircelo. Tritemio attribuì i suoi Libelli ad Isacco prete antiocheno , di cui parla Gennadio al Cap. 66, morto circa 1’ anno 460 sotto Leone I e Maioriano Imperatori , scrittore coltissimo tra’ Siri, e cognominato da essi il Grande ed il Dotto, per le molte opere da lui scritte; altre di controversia contro gli Eutichiani, ed i Nestoriani ; altre di Ascetica in versi di sette sillabe : di esse e dell’ autore parla con molta erudizione, e critica Asseman nella biblioteca orientale (Tom. I, Cap. 16, p. 207 etc.). Possevino , Combefisio, ed altri forse, de’ quali non giova andarne in cerca, seguirono Tritemio: se ne allontanarono La Bignè, Lambecio, Mireo, Oudin Cave etc., e credettero, che questo Isacco fosse quello nominato da S. Gregorio nel lib. 3, de’ Dialoghi Cap. 14, il quale \7enuto de partibus Syriae ad Spoletanam urbem, visse monaco, ed Abate in que’ contorni. Lo scrittore di questo manoscritto avea preceduto tutti costoro , poiché alla fine del-1’ opera scrive : Finis libri sermonum B. Hysac de Syria viri religiosissimi, cuius verba sunt morum instructiva, gesta vero ipsius a beato Gregorio describuntur in III lib. Dial. Fabricio conobbe che 1’ autore di quest’ opera era un Isacco vescovo di Ninive : ioS GIORNALE LIGUSTICO Isaaciim episcopum urbis Ninive, verum esse aut orem opuscolorum illorum non permittunt dubitare codices, qui adhuc supersunt Syriaci, et Graeci manuscripti Hebediesu in Catalogo Librorum chaldaeorum. Isaac Ninivita septem tomos composuit de regimine Spiritus, de j\[i-vinis Mysteriis, de Indiciis, et Politia (V. Tom. X, p. 168 etc.). Quei codici greci, trovansi nella Vaticana, nella Cesarea, ed in altre biblioteche d’Europa. Niceforo Teotoky stampo a Lipsia 1’ anno 1770 la Greca traduzione di sopra accennata. Nel codice Cesareo rammentato da Lambecio (Comment, lib. V, p. 73), in cui cono 87 Sermoni, l’inscrizione Greca dice S. P. N. Abatis Isaac Syri, et anachoretae Ex-episcopis urbis Ninive Christum amantis Sermones Ascetici inventi (cioè translati) a venerabilibus PP. RR. Abate Patricio, et Abate Abrahamio Philosophis (cioè monachis) in Laura S. P. R· Sabae. Percio Lombecio e Cave pensarono, che il sopracitato Isacco Spoletino fosse stato vescovo di Ninive, e venuto in Italia dopo aver rinunziato il vescovato. Nel che essi s’ingannarono egualmente, che nel crederlo autore di quest’opera. Fu cei-tamente questo Isacco uomo di molta virtù: San Gregono ne dice gran lodi, e la chiesa lo venera tra’ santi agli 11 di aprile, nel qual giorno i Bollandisti, ce ne hanno data la vita. Se ei sia stato altresi uomo di lettere, noi noi sappiamo. Papebrochio (loc. cit.) sospetta, che esso fosse advena prorsus illiteratus. Che che sia di questo sospetto, niuna opera si ha d’Isacco Spoletino, e di lui non sono quei Sermoni dei quali è composta la presente. Fabricio se ne mostra persuaso, e come abbiamo veduto, non dubita che non siano d’ un vescovo di Ninive ; non ci sa poi determinare qual fosse questo Isacco e in qual tempo ei vivesse. Queste più distinte notizie noi le dobbiamo alla vasta erudizione del più volte lodato monsignor Asseman, che ne ha distintamente trattato nella Biblioteca orientale (Tom. I, Cap. 34 pag. 444 etc.). E primieramente ci dà egli la vita di questo Isacco detto Ninivita, pre- GIORNALE LIGUSTICO 109 messa alla collezione delle opere , che di esso sono in uno de Codici Nitriensi della vaticana, cioè nel XX. In detta vita di autore anonimo si racconta , che Isacco fu in prima Monaco nel monastero di S. Matteo, indi venne fatto vescovo di Ninive, ma dopo poco tempo videns sanctus vir solitariam vitam Episcopali officio perturbari, abdicavit se Episcopatu, et sanctam Scetensem eremum petiit; ubi ad obitum usque commoratus ad summum sanctitatis culmen pervenit. Crede, assai giustamente, monsignor Asseman, che questo scrittore vivesse verso la fine del secolo VI, tantopiù che di esso trovasi in Greco Codice Vaticano, una lettera a S. Simeone Stilita il giovine detto Taumastorista, che morì Tanno 593. Secondariamente monsignore ci dà un Catalogo delle opere d’Isacco, che trovansi ne’ Codici Vaticani. Hebediesu bibliografo Siro vescovo Sobense, scrive d'Isacco, che septem composuit tomos de Regimine Spiritus, de Divinis Mysteriis, de judiciis, et de Politia, di questi unum dumtaxat Syriace, et quatuor Arabice, mox recensendos, habemus; dice Asseman: questi quattro Arabi sono nel Codice Nitirense sopracitato, con questo titolo : Isaac Ninivitae ex-episcopi de institutione monastica lib. IV e Syriaco in Arabicum sermonem conversi. Monsignore numera ad uno ad uno i Sermoni contenuti in ciaschedun libro. Nel terzo, che ha per titolo de Amore Dei, si trovano quei Sermoni, che hanno servito di fondo all’opera de contemptu mundi; monsignore gli confronta con la divisione che è nella Biblioteca de’ Padri Lionese in 53 capitoli, e trova che 9 di questi sono estratti dal primo Sermone, il 10 dal quarto, dell’11 non ne parla, nè so perchè; il 12, 13 dal secondo; il 14, 15, 16, 17 dal terzo; il 18, 19 dal quinto, il 20 dal sesto; il 21, 22, 23 dall’ottavo, il 24 dall’undicesimo, il 25 dal decimoterzo, e de-cimoquarto, il 26 dal duodecimo, il 27 dal decimoquinto, il 28 non è preso da Isacco, ma sibbene dal XX Sermone di Giovanni Saba altro monaco Siro, e contemporaneo d’I- no GIORNALE LIGUSTICO sacco, del 29 non se ne parla: il 30 dal decimosesto, il 31 dal decimosettirao ; il 32 non si trova ncque in Syriacis, ncque in Arabibus; nel manoscritto porta questo titolo : de custodia cordis, et contemplatione subtiliori; il 33 ^al ventesimo; 34, 35, dal ventesimoprimo; il 36 dal ventesimoterzo ; il 37 ven~ tesimoquarto; il 38, 39, 40, dal ventesimoquinto ; 41, 42> 43> dal ventesimo sesto; il 44, 45» 4^ ^ ventesimosettimo, il 47 dal ventottesimo ; il 48 dal ventesimonono ; il 49> 5° dal trentesimo; il 51, 52 dal trentunesimo; il 53 non è d Isacco ma è preso all’Vili; del sopranominato Giovanni Saba. Questo è il rapporto, che i Sermoni Arabici del Codice Nittiense hanno con 1’ opera latina de Contemptu Mundi. Essa però non dee essere stata fatta nè su 1’ Arabo nè sul Siriaco : essa è per mio avviso un impasto de’ Dodici Libelli riferiti da Tii-temio, e questi sono ricavati dalla traduzione greca de medesimi fatta da Patricio, o da Abramo, come è stato già da altri osservato. In qual tempo siano stati tradotti, 0 più tòsto formati dal greco i Dodici Libelli ci è ignoto, così parimente ignorasi, chi di essi abbia formata l’opera de Contemptu Mundi. Grinéo, che la inserì negli Ortodossografi di Basilea avendo trovato alfine del suo manoscritto Vixit anno Dom. I4°7> cre' dette che quest’epoca appartenesse all’autore del libro. Fabricio vuole, che riguardi l’interprete ; chi sa però, che non riguardi il copista, ossia lo scrittore del Codice, principalmente, se de’ tempi di Dante è la traduzione Italiana che si ha di quest’opera; (V. Giorn. de’ lett. d’It. Tom. 32, p. 544)» e che sotto il titolo di Collazioni de’ Padri dell A-bate Isac & stata stampata in Firenze l’anno 1720. Questa traduzione in alcuni Codici porta questo titolo : Libro dellAbbade Isac de Syria, de quo agit Gregorius in Dialogo suo lib. 3, Cap. 14: come I’ anima, se deve posare in Deo , et in lo contempto dello mundo. Una più antica edizione dedicata a Fr. Jacomo da Parma priore di S. Salvatore di Venezia fu stampata in Ve- GIORNALE LIGUSTICO III nezia nel 1500 in 8.° con il titolo: « Libro dell’Abate Isaac de Syria della perfezione de la vita contemplativa ». La dedica è fatta a nome del traduttore anonimo : nel manoscritto s’intitola: a Libro del B. Isaac del dispregio del mondo» (V. Aggelati, Biblioteca Tom. II, p. 257, N. 5, 6). Comunque la cosa sia, pare, che Tritemio non avesse cognizione di quest’ opera de Contemptu Mundi. Papebrochio, che ignorava l’originale Siriaco, e non avea vista la traduzione greca, se non citata da Gesnero, non trova nel testo latino sapore alcuno, nè di Siriaco nè di Greco, e vi osserva delle voci usate in un senso che fu proprio soltanto de’ latini scrittori, come v. g. Religiosus Idiota. Ma tutte queste cose possono facilmente attribuirsi all’ interprete latino, che seppe allontanarsi da una servile traduzione. La prima stampa fatta di quest’ opera de Contemptu Mundi dee essere quella di Venezia del 1506 in 8.° citata da Papebrochio, seppure nel-1’ anno non v’ ha errore di stampa, in Papebrochio. Il nostro manoscritto è più, copioso, che non è 1’ edizione della Biblioteca di Lione ; e vi sono delle varianti, che potrebbero correggere la stampa, e degli errori da emendarsi, con questa. Lo crederei scritto verso la fine del secolo XV. CODICE XIV. Si contengono in questo Codice le opere seguenti : I. Magna Legenda S. Hugonis Carthusiensis Monachi, et Episcopi Lincolniensis. Sono cinque libri, l’ultimo de’ quali è seguito dal racconto di molti miracoli, e della canonizzazione del Santo fatta l’anno 1220 da Onorio III. L’autore, di cui s ignora il nome, fu contemporaneo di S. Ugone, e visse con esso gli ultimi tre anni della di lui vita in grande famigliarità, ed intrinsichezza (V. Proem. lib. 2). Dee avere scritto non molto dopo 1’ accennata canonizzazione. (V. lib. V). 112 GIORNALE LIGUSTICO Giovanni Capgraw Agostiniano, nella leggenda Sanctorum An gli ac da esso compilata circa l’anno 1460, e stampata in Londra l’anno 1516, inserì un compendio di questa leggenda, che, se non erro, è quello stesso , che Lorenzo Surio, con qualche mutazione di stile , ci ha dato a’ 17 di Novembre nelle sue vite deJ Santi. Dopo i miracoli e la canonizzazione trovansi due opuscoletti: nel primo si riferisce la Transazione del Corpo di S. Ugone, anno, dice Γ autore, a die, quo corpus eius traditum fuerat sepulturae, octogesimo fere completo, che è l’anno 1280; onde è errore quanto si legge in Surio (loc. cit.): qui fuit a beati viri exitu fere octogesimus sextus; ciò che ha dato luogo a parecchi di mettere la morte del Santo non nel 1200, in cui accadde, ma nel 1194. Su di che può vedeisi il Rainaldi negli Annali Ecclesiastici, (Tom. I, anno 1200, N. XVIII). Il secondo opuscolo è una breve lettera de canonici di Lincoln a’ religiosi della gran Certosa inviando loro un’ampolla del sacro olio, che 1’anno 1445 15 di Maggio vigilia di Pentecoste era in gran copia scaturito dal sepolcro del Santo. Dal che si rileva, che il presente Codice dee essere stato scritto sul finire del secolo XV. II. De inventione sancti corporis gloriosissimi.... Antonii. Questo è un vero romanzo, in cui si descrive l’invenzione del coipo di S. Antonio abbate nel deserto di Egitto, e il di lui tia-sporto a Costantinopoli, sotto non so quale impetatore Constantino, padre di una principessa Sofia.. Si dice nel titolo, che questa relazione fu stesa in greco da Teofilo patriarca di Costantinopoli, e tradotta in latino da S. Girolamo. Or niuno degli imperatori Constantini, ebbe, che sappiasi una figlia chiamata Sofia ; niuno de’ Patriarchi Constantinopolitani, si nominò Teofilo, e S. Girolamo era morto più secoli prima, che gli Arabi occupassero 1’ Egitto, nella quale occasione si pretende che il corpo di S. Antonio, trasportato già dal deserto in Alessandria sotto Giustiniano, fosse trasferito a Costantinopoli. GIORNALE LIGUSTICO II3 III. Revelatio nova itineris, et passionis XI millium virginum etc. Altio romanzo pieno di favole, e d’inezie, che cominciato nel il80, fu promulgato dopo il 1184; poiché nella lettera ad Virgines Christi universas, che serve di Prologo, e di primo Capo leggesi: Anno 1180 inspirante Domino, piaque ipsius genitrice cooperante.... novam XI millium Sacrarum Virginum historiam describentes etc., e nel Capo 2: Praeterea et Dominus.... ampliori eas adhuc volens gloria glorificare nuper anno 1184, quae huc usque super illarum peregrinationi itinere latebant etc. L autore si dice Frater C. sotto questa iniziale chi si asconda 10 noi so. Temo di qualche errore, e forse dovrà dire Frater R. cioè Frater Richardus. Riccardo Inglese ed Abate Premon-stratense, scrisse intorno all’anno 1180 la vita'di S. Orsola, e delle di lei compagne (V. Oudin Tom. II, p. 1521 etc.). Nella leggenda Sanctorum Angliae che ho già citata, trovasi una storia di S. Orsola e compagne , la quale dall’ estratto datone dal P. Michele da S. Giuseppe Trinitario Scalzo nella sua Bibliografia Critica, (Tom. 2, p. 45 etc.), e molto più da alcuni frammenti riferiti negli Annali Ecclesiastici d’Inghilterra del P. Alford (Tom. I, p. 579 etc.), sembra essere la stessa che quella del presente Codice. Se poi quella di Capgraw, sia 1’ opera di Riccardo, mi è ignoto. L’ Oudin (loc. cit.) pretende di sì, giacché vuole, che quella stampata da Giovanni Chrombach, e sia di Riccardo, e sia presa dalla leggenda Inglese. Narrationem hanc, (cioè di S. Orsola etc.) scripsit Richardus Praemonstratensis, dum, Anglia, relieta, in agrum Colo-niense abiecto onere Abatiali secessit in Abbatiam Arnsbergensem circa anno 11 So, quam Io. Chrombach edendam curavit Colon. Agrip. anno 1667 in opere inscripto: Vita et martirium S. Ur-sulae. IlUc Tom. 2, lib. 7 a pag. J13 ad 644, Libris duobus, quorum primus capp. 25 secundus capp. 29 continet, habetur Passio sive historia XI millium virginum? universis Chiis virginibus. Hoc autem opus accepit Chrombachius ex legenda Giorn. Ligustico , Anno VII e VIII 8 114 GIORNALE LIGUSTICO Angliae. Osservo però, che la storia pubblicata da Chrom-bach è divisa in due libri, 1’ uno di 25, l’altro di 29 capitoli, quando nel manoscritto presente la storia delle undici mila vergini è di soli 27 capitoli ; onde parrebbe, che fossero diverse. Ma non avendo sotto gli occhi l’opera di Chiombach, nulla si vuole per me decidere. IV. Vita S. Benedicti Abatis edita a B. Gregorio. Questo è il libro secondo de’ Dialoghi di S. Gregorio più volte stampato separatamente, e fra le altre l’anno 1723 dal P. Quirini Benedettino poi Cardinale, con accanto il testo greco di Papa Zaccaria, e le varianti di più edizioni, e manoscritti, a cui il nostro avrebbe potuto somministrare qualche aggiunta , sebbene di poca importanza. CODICE XV. L’opera contenuta in questo manoscritto, si è la traduzione latina del famoso Dialogo di S. Caterina da Siena dettato da essa, nella sua volgar favella, e reso latino non molto .5 dopo la di lei morte. Tre sono stati i traduttori di quest 0-pera secondo che narra Girolamo Gigli nella prefazione del Tomo IV dell’opere di questa Santa, che contiene questo dialogo ; e sono Ser Cristofano di Gano Guidini, il Beato Stefano di Corrado Maconi, ed il Beato Raimondo da Capua. Ser Cristofano notaio in prima, e poi frate dell’Ospedale di Siena lasciò scritto in una sua memoria riportata dal Gigli (loc. cit. p. iv): « poi, perchè detto libro, era, et è per volgare, e chi » sa gramatica, 0 di scientia, non legge tanto volontieri, le » cose, che sono per volgare, quanto fa quelle per lettara, » per me medesimo, et anco per utilità del prossimo mos-» simi, e fecilo per lettara puramente sicondo il Testo non » aggiungendovi cavelle: et me ingegnai di farlo el meglio » eh’ io seppi ; e pugnai parecchie anni a mio diletto quando, giornale ligustico » un poco , quando un altro ». Del secondo, stato uno dei segretari della Santa, indi Monaco Certosino e generale del suo Ordine, leggesi in un ricordo di mano del medesimo dietro ad un codice della biblioteca di Pavia, come esso avea cambiato quel tal libro, con il Dialogo quem S. Mater Ca-tharina composuit, lied in Vu1 gari, et ego latini^avi. Anche il Beato Raimondo da Capua Domenicano, e confessore della Santa, nel Prologo della Vita che di essa scrisse, attesta d’ aver messo in latino questo Dialogo, conforme racconta il sopralodato Gigli, il quale pretende che su la costui traduzione siansi fatte le più divolgate impressioni latine di questo Dialogo, siccome quella fatta in Brescia Γ anno 1496, giacché corrispondono al Saggio, che ne dà il Beato Raimondo, nel citato Prologo. « Intanto, che per queste cose, conchiude il Gigli, resta convinto oltre il bisogno Casimiro Oudin il quale ha scritto, che il libro de’ Dialoghi fu nel suo originale compilato in latino la prima volta, e che forse Raimondo da Capua sotto nome della Santa Vergine lo compose ». A chi debba attribuirsi la presente traduzione non saprei dirlo, non avendo sotto Γ occhio alcuna delle stampe, nè altro manoscritto; Γ essere stato il presente Codice della Certosa di Pavia , di cui il Beato Stefano fu fondatore, allorché Gio. Galeazzo Visconti eresse quella Certosa, come narra il Gigli nel Prologo (Tom. I, p. xiv), potrebbe farci credere, che sia quella del Beato Stefano, il quale fu anche il principale scrittore , allorché la Santa nelle sue estasi il dettava. Esso dee essere quel Certosino che vedesi nella Iniziale, in atto di scrivere, con al di sopra S. Caterina ginocchioni davanti al Signore. L’ opera è divisa in cinque trattati; il primo della divina Provvidenza; il secondo della Discrezione, che principia al Cap. 9; il ter%o dell’ Orazione e principia al Cap. 64; il quarto della divina Provvidenza, e principia al Cap. 134, 1’ ultimo dell’Obbedienza e principia al Cap. 153; in tutto 116 GIORNALE LIGUSTICO sono Capi 166, sebbene leggasi nell’ultimo 165 per errore di scritto. Nell’italiano cresce d’un Capo, e sono 167, e ciò perchè al traduttore latino è piaciuto di formare un sol Capo del 61 e 62. CODICE XVI. Cassiodoro stato un tempo segretario di Teodoiico Re d’Italia, e di parecchi altri successori di Teodorico, raccolse in un corpo le Lettere che a loro nome avea scritte, e unendovi le Forinole, con le quali conferivansi le cariche dello Stato, e quanto esso avea pubblicato allorché era prefetto del Pretorio, ne formò una raccolta di XII libri, che intitolò Variarum. Questa raccolta si trova nel presente manoscritto, ma ci si trova in un ordine assai diverso da quello che Cassiodoro le avea dato. I primi cinque libri contenevano le lettete di Teodorico, nel 6.° e 7.0 le Forinole, nell’ 8.° e 9.0 le lettere di Atalarico successore immediato di Teodoiico, nel io.0 quelle di Amalasunta, di Teodahado, di Gudelina, e di Vitige: gli ultimi due abbracciavano tutto ciò che esso avea scritto in suo nome. L’autore di questo manoscritto ha tutto sconvolto quest’ ordine che ci conservano le edizioni. Ei non si curò di farci sapere, qual lettera fosse scritta prima e qual dopo, chi scrivesse, e a chi fosse scritto : andò egli osservando qual detto sentenzioso potea da ciascuna lettela estrarsi, quale ne era l’argomento, quale il carattere; e di questi sentenziosi detti, argomenti, caratteri si formò un catalogo alfabetico secondo cui disporre, e distribuire le tettere di Cassiodoro. Alla prima classe appartengono Accusationes non sunt facile suscipiendae etc. — Coniugalis affectus debet esse magnus — Ecclesiae sunt in libertate tenendae — Nobilitas generis incitat hominem ad bonum etc. Alia seconda de Aedificiis reparandis, de justitia etc. de pace, de punitione etc. Alla terza Com- CIORNALE LIGUSTICO II? mendatoria cuiusdam. Exhortatoria etc. Il catalogo di tutte è alla testa della collezione, comincia : Accusationes etc. finisce Urbium ornamenta decet custodire. Dopo il catalogo vengono le lettere, ciascuna sotto la sua rubrica; sotto la prima è posta la lettera 9 del libro primo; sotto V ultima la 35 del libro II. Le forinole sono tutte sotto una rubrica, cioè Officialium curiae formulae diversae. Due prefazioni Γ una al principio dell’opera, l’altra alla testa de’ due ultimi libri, avea poste Cassiodoro nella sua raccolta; il nuovo collettore lasciando la prima, ha ritenuta la seconda sotto questo titolo : Quid sit Prefacio. Dopo 25 lettere, si trova una rubrica, che dice: incipit liber III, a cui siegue la lettera prima del libro III delle Varie. Cassiodoro in questo libro ci dava 53 lettere; nel Codice non ve ne ha che ir, prese di qua e di là secondo il piano del nuovo collettore. Dopo queste 11 leggesi : Incipit liber quartus, e alla testa di questo libro trovasi la lettera prima del libro II, ine3' sieguono da 180 e più lettere, terminate le quali leggesi: Incipit liber sextus, che combina con quello delle Varie; indi: Incipit liber septimus, che ancor esso combina con il settimo delle medesime; se non che il collettore ha lasciato le ultime sei, nè so per qual motivo. Più non si parla di divisione di libri, continuano le lettere, con 1’ accennato ordinò, ossia metodo sino al foglio 146, ove si legge: Explicit liber Cassiodori duodecimus, e comincia il libro de Anima, che Cassiodoro avea similmente unito ai libri delle Varie, diviso in 20 capitoli in alcune stampe, nel presente Codice in 25 rubriche ; terminato il libro leggesi: explicit liber magni Cassiodori Aurelii Deo gratias amen. Il marchese Maffei (Osser. lett. T. II Art. Vili pag. 299), oltre 1’ aver preteso che dir si debba Cassiodorius e non Cassiodorus e fosse questo nome gentilizio e non cognome, vuole altresì, 'che il prenome di questo grand’uomo fosse Marcus, e non Magnus essendo il primo prenome Marcus 11S GIORNALE LIGUSTICO assai comune nella famiglia Aurelia da cui crede che Cassiodoro discendesse. Ma che che sia di questo, dovea ceitamente scriversi dal nostro collettore Magni Aurelii Cassiodori, giacché quest’ ultimo , sia cognome , sia un secondo nome, si trova sempre dopo Aurelius. La mancanza del primo foglio di questo Codice, ci fa ignorare qual titolo il collettore avesse posto in fronte alla sua raccolta, e se quello, che ci è presentemente in un foglio di carta nostrale: Cassiodori Monachi de Institutione saecularium liturarum libri XII. Huiusdemqne auctoris libellus de ratione animae, sia veramente del collettore. Se lo è, si poti ebbe sospettare, che esso con questa sua nuova collezione avesse \ o-luto somministrarci come un esemplare, da cui impalare la maniera di scriver lettere. Qualunque però sia stata l’idea del collettore, su di cui •io non mi fo lecito di pronunciare, ei certamente non ci da· troppo buon saggio del suo criterio,-e pare che taloia non abbia inteso, quello di che si tratta nelle lettere da esso copiate , e delle quali formava il titolo e T argomento. Pei' esempio sotto la prima rubrica: Accusationes non sunt facile accipiendae maxime contra capitulum vel solemnem personam, è posta la lettera 9 del libro I. Teodorico scrive in essa ad Eustorgio Vescovo di Milano, qualmente rimetteva nell antico onore il Vescovo Augustano accusato falsamente di aver voluto tradire la patria. Vuole che gli accusatori siano puniti, ma poiché costoro erano chierici, perciò a lui gli rimette. Di Capitolo, di facilità, di lentezza nel ricevere le accuse non fa parola. Alla pag. 11 n. 36 leggesi: Commendatio Boetii de consolatione e siegue la lettera 45 del libro I, con la quale Teodorico ricerca Boezio, stimato in que’ tempi un valente matematico, di fabbricare per lo Re de’ Borgognoni, che aveali richiesti, alcuni orologi da acqua e alcuni a sole: molte lodi si dicono di Boezio, nulla non si dice del libro de Con- GIORNALE LIGUSTICO II9 soìaiione, che composto da Boezio nel tempo della sua prigionia per anco non esisteva; onde non si vede cosa ci abbia da fare quel de Consolatione. Forse il buon collettore volle con ciò indicarci che il Boezio, a cui quella lettera è diretta, era 1 autore del libro de Consolatione, opera che più d’ ogni altra lo ha reso celebre, conforme dimostrano le tante edizioni e le moltissime traduzioni, che in ogni lingua si sono fatte di essa. Alla pag. 130, sotto questa rubrica: de Sacrorum veneratione, si trova la lettera seconda del lib. I, in cui il Re Teo-dorico riprende la negligenza di Teonico, che non mandava, come era uso di ogni anno, la Porpora per gli abiti Regii, i quali si dicono ivi Sacrae vestes. La lettera si diffonde sulla origine della Porpora e sulla maniera di tingere con essa, e nulla vi ha, che abbia la menoma relazione con la rubrica preposta alla lettera. Il poco buon gusto, e discernimento con cui è fatta questa collezione, e la negligenza con cui a luogo a luogo è stata scritta ci obbligano a non tener conto delle varianti che si incontrano, le quali o sono di niun momento, o sono manifesti sbagli del copista. Circa al tempo, il manoscritto non ha alcuna sicura caratteristica per cui si possa determinarlo: non lo crederei però anteriore al secolo XIV. CODICE XVII. Sono nel presente manoscritto i venti libri delle Antichità Giudaiche di Giuseppe Ebreo tradotte dal Greco in lingua latina, o da Rufino o più verosimilmente da Epifanio Scolastico ad istanza di Cassiodoro suo amico. A^eggasi Cassiodoro de divin Insiit. lib. 2. e Tomaso Ittigio ne’ Prolegomeni a questa stessa opera. Manca il proemio da Giuseppe premesso a tutta 1 opera. Ciascuno de’ libri è preceduto da un indice de capitoli in cui 120 GIORNALE LIGUSTICO è diviso. Questa divisione non è di Giuseppe: poiché non solo gli indici greci variano dai latini; ma questi stessi sono diversi, secondo la diversità de'’ manoscritti, conforme è stato osservato da Fabricio, il quale ha parimente osservato , che ne’manoscritti al fine d’ogni indice si nota la somma degli anni de’ quali nel libro si dà la storia. Il manoscritto presente conferma questa osservazione: è bensì vero, che lo scrittore del medesimo ha dimenticata quella de’primi tie libri, e del XIX. Di queste sommi ha Fabricio formata una piccola tavola. La cronologia di Giuseppe è in poco credito; onde non mette conto il fermarsi sulle varianti, che somministrar potrebbe questo manoscritto. Al lib. XVIII. c. 4 trovasi il famoso passo in lode di Gesù Cristo, sul qual passo tante dispute sono state tra gli eruditi. A luogo a luogo incontransi delle note marginali di più mani. In una di queste citasi il libro de famosis mulieribus di Giovanni Boccaccio, libro composto il più presto dopo il 1343 secondo le osservazioni del sig. Manni. Se il Codice non è di questo secolo non lo farei più antico della fine del precedente; ma in questo posso ingannarmi. In più luoghi si veggono al margine laterale delle cifre numeriche dette comunemente Arabiche : quella che esprime il numero quarto è tale quale appunto è stata osservata negli antichi manoscritti, e su di che è da vedersi il P. Troinbelli al c. 20, pag. n 2, (Arte di conoscere l’età de’ Codici) e Beveregio, c. IV pagina 160, Aritrn. Cronol. (Continua'). VARIETÀ Una Lettera di Antonio Ivani a Donato Acciaioli (i). Fino dal 1469, quando l’Ivani era in ufficio di cancelliere a \rolterra, e 1’ Acciaioli doveva andarvi capitano per la reti) Dalle lettere dell’ Ivani ms. in 2 voi. nella Biblioteca comunale di GIORNALE LIGUSTICO 121 pubblica fiorentina, ebbe principio fra questi due letterati un amicizia sì ferma e sincera, che non fu sciolta se non dalla moite. Da gran tempo, essendogli noto il molto valore di Donato, desiderava Γ Ivani conoscerlo, « defuit hactenus occasio » ; ora la fortuna gliene porgeva il destro ed, egli no-veiava impaziente « non tantum menses sed dies » del suo fausto arrivo. Sapeva com’ei possedesse « egregiam · et ingentem bibiiotecam ; non dubitava che Γ avrebbe recata seco, e compiacevasi già col pensiero dei dolci studj e delle erudite conversazioni, essendo la città « solitaria et hiemali potissimum tempore omni genere ventorum exagitata et concussa ». Le accoglienze da parte del dotto fiorentino furono benigne, e quali si adicevano alla sua fama; onde le reciproche cortesie divennero frequenti. Molte sono le lettere a lui dirette dall’ Ivani, e ben può dirsi che egli diventasse il più fido suo consigliere. Sia che si tratti di cose toccanti la sua vita privata, ovvero i pubblici uffici sempre ama sentire il parere dell’amico, e a quello s’ acqueta. Ed egli, colla amorevolezza modesta degli uomini grandi, chiarisce le difficoltà, discute le dubbiezze, incuora, ammonisce, consiglia; -ne son prova le citate lettere, ed alcune poche di lui trascritte accanto alle missive. Il dolore dell’ Ivani per la morte di Donato fu grandissimo. Al comune amico Filippo Gheri scriveva : « Si vita Donati Acciaioli, viri nostra quidem aetate memorabilis, recuperanda esset lachrimis amicorum, diu quippe inter coe-teros lugerem, et una tecum intense deum precarer ut tantum nobis virum restitui dignaretur. Sed cum supervacaneae sint lachrimae, quae prodesse non possunt, summa eius doctrina, facundia gravis, et elegantia morum, integritas et continentia Sarzana. Per P Acciaioli cfr. Mazzuchelli, Scritt. ital. e Vespasiano da Bisticci, Vite di uomini illustri. 122 GIORNALE LIGUSTICO vitae, .decor atque maiestas, e memoria unquam mea, quoad vixero, non delebuntur............ Virum tante virtutis, pium, modestum, egregium, denique honesti cultorem, ad coelos evolasse non dubito, unde erat egressus. Ex quo sibi gratulandum est. Nobis compatiendum orbatis viro spectatissimo, et amico singulari, cuius obitum et eius fiorentina patua O ' permoleste tulit ». E raccogliendo a fin d’anno in una bella lettera,* diretta « Posteritati ac futuro generi hominum », gli avvenimenti più insigni del 1478, soggiunge. « Donatus Acciaiolus florentinus vir generosae familiae, formae praestantis, continentissima^ vitae, filosophia ac facundia pollens, legatus ad francorum regem, in mediolano recens aetate morbo correptus obijt : superstites cuius libeios pu blico decreto patria favore ac benefìcio prosequuta est ». Come testimonianza d’amicizia e d’affetto, 1’Ivani mandava all’Acciaioli nel 1473 un quadro colla veduta di Genova, accompagnandolo dalla lettera seguente: Antonius hyvanus Donato acciaiolo s. d. Eas urbis genue partes, que per picturam tradi possunt ad te mitto , non ut egregiam picturam, sed ut veram. Cum olim apud Volaterranos , quibus preficiebaris, de situ, et forma illius urbis invicem loqueremur, et sciam tibi haud ingratam esse notitiam rerum, que animo afferunt vel fructo vel delectationem, non indignum duxi amicicia nostra, si per hunc latorem picturam ipsam ad te mitto, representantem vere non totam urbem, sed eas partes que scriptoribus sufficere possint, quom loca eiusmodi ad propositum narrationis veniunt. Videbis igitur mollem, opus arduum manu factum, qua portus efficitur. In eius ingressu turris duas noctu facentes' duo magna luminaria portus ingressum ostendentia ; quarum sublimior in promontorio sita, uno aut pluribus velis clara luce solet ostendere civitati tot naves aut triremes, quot ex alto se of- GIORNALE LIEUST1CO 123 ferunt in conspectu. Cernes in ipso portu lapideos pontes, triremium et cimbarum stationes. In molle columnas, quibus onerarie naves alligantur. Extra portum vero ultra turrim illam sublimiorem, que caput faris appellatur, alium sinum cum suburbio quidem oblongo, ubi naves ipse fabricantur. Pars illa in occidentem vergit. Aliud urbis caput petit orientem. Quo in capite haud penitus per picturam expresso suburbium est magnum, distans a littore in convalle, que, a fluminis nomine, bisanne dicitur ; locus ortorum apricus et villis frequens. Hec pictor et alia plura loca insignia velut abdita, educere nequivit. Videbis insuper arcem in superbo colle menibus iunctam, et arces quoque sublimiores in montanis extra menia, que accessum ex gallia cisalpina, ut quidam putant, tutiorem faciunt, quom esset urbis arci succurrendum. Cerni pulcifera non potest, vallis ab amne nomen ducens. Est enim a latere occidentali frequens populo et villis, ducitque ad montana, incipiens a suburbio ubi naves onerarie fabricantur. Valiis ea planiciem habet amenam, non amplam, admodum, sed oblongam millia circiter decem passuum, que in galliam quoque cisalpinam ducit. Numerus est undique villarum longe maior quam pictura ostendit. Sunt enim frequentes et amene; utiles parum utpote, carentes amplitudine agri et ubertate. Singula quarum predia murorum ambitu cinguntur. Difficillimum esset mihi edocere te urbana edificia et aqueductus mirandi operis, fontesque per urbem scaturientes, et cuniculos in viis publicis urbanis pluviales aquas et sordes ad portum expurgantes ; quanquam ipse palatium publicum discernere poteris vexillo crucis rubee sig-gnatum, et cognoscere viam illam memoratu dignam, que ubi apparent lapidei pontes, longo itinere portum ambit. Refeita est enim officinis, tectaque domorum primis contignationibus cemento factis. Hec a latere maritimo lucem excipit pei fenestras, et transversas vias ex urbe ducentes ad poi tum. Si I24 GIORNALE LIGUSTICO quem istic illius urbis peritum inveneris, et picthuram se-cum discusserit, te genuam vidisse putes. Ab utroque autem latere, quantum genuensis ager protenditur inter Macram flumen et Varum, quod paulo ultra monachum castellum esse fertur ; in oris presertim maritimis oppida sunt plura, frequentes, vici et urbes pauce, inter quas pulcherrima Saona. Vale et hec amice ad te missa suscipe recreationis tue gratia in ipso cursu tuarum occupationum. Sarzane m ka-lendas Maij 1473. ANNOTAZIONE. Seguitando la nota inserita a pag. 267 del vol. II di questo Giornale, diamo alcune altre indicazioni delle vedute di Genova. Supplementum supplementi delle croniche di frate Jacobo Filippo dell ordine eremitano ecc. Venezia per Bartolomeo detto 1’ Imperadore 1 5 53· Raccolta di le più illustri et famose città di /tutto il mondo (incise da Francesco Valegio) in 8 oblungo. S. a. 1, e tip. ma sec. XVI. Ballino Giulio. Disegni delle più illustri citlà e fortezze del mondo, con una breve istoria delle origini ecc. Venetia pel Zaltieri, 1569. Civitates orbis terrarum collectore Geòrgie Broun et Francisco Hogen-bergio. Coloniae et Antuerpiae s. a (1576). Nel Lancellotti, Storia Sacra ms. autografo della Comunale di Perugia car. 484 si legge : « Il Marini di Milano 1’ honorò (Galeasso Alessi) con mandarlo per suoi negotij ambasciatore al Duca Emmanuelle Filiberto di Savoia, che gentilmente 1’ accolse, cortesemente lo regalò, disegnando per compiacere a quell’ Altezza con grande artificio la riviera di Genova et il Piemonte ». Nel frontispizio inciso de La Gerusalemme di Torquaro Tasso. Genova, Bartoli 1590. Caertboech Vande Midlandtsche Zee etc. door Willem Barentxpn. Amstel-redam MDXCV. Nel Frontispizio è la veduta di Genova con molte navi che accedono al porto. L’ opera è in francese. Theatrum urbium Halicarum collectore Petro Bertellio Patav. Venetiis 1599-Di quest’ opera vi sono altre edizioni anteriori, perchè nel 1568 era già stata tradotta in francese : Vues d’Italie par Bertelli. Iudocus Hondius. Nova et accurata Italiae hodiernae Descriptio. Lugdumi Batavorum apud Bonaventuram et Abrahamum Elsevir. 1627 in 8.° Oblungo. GIORNALE LIGUSTICO 12 5 Nel Casoni si legge: « E nel 1633 appunto mandò la. Repubblica in ono al Pontefice due grandi tele penneggiate da Andrea Ansaldo famoso ìpmtore di quel secolo; in una delle quali in pianta e nell’altra in prospetta a’ varj colori delineate, espressa la Città di Genova colle nuove mura ? II’intorno rimira vasi ». {Annali, V, 192). Nel lrontispizio inciso dell’ Arie isterica di Agostino Mascardi. Roma, Facciotti 1636. Francesco Venturini incisore del sec. XVII lavorò un rame in cui si vede Genova, il porto e S. Pierdarena. Rappresenta uno spettacolo o festa, essendovi molta gente sui moli, nelle alture, alle finestre e sui terrazzi, nelle navi, nelle galere e nelle barche. Vi è una corda che dalla Lanterna scende in un grosso barcone in mezzo al porto, ed un uomo che per quella si precipita in basso dalla sommità. Sembra eseguita a rLoido del seguente fatto ricordato dai Novellari (26 settembre 1643): « Con occasione che un famoso saltatore s’ era esibito di volersi precipitare, con l’appoggio d’un semplice, cavo dalla cima di questa altissima Lanterna fino a mezzo il Molo nuovo (come in effetto fece, e per premio della sua animosità fu regalato da questi cavalieri d’ una catena d’ oro con medaglia, e di buona somma di danari raccolti da particolari), s’hebbe comodità di godere d’un rarissimo spettacolo di più di cinquantamila persone, che ad un’ occhiata si vedevano ammucchiate nelle galere, navi, circa trecento felucche, barchette et altri simili vascelli, in ambi li moli, sopra li balovardi, per le finestre, terrazze e parapetti delle muraglie che cingono il porto ». Coronelli Vincenzo. Città, fortezze, isole e porti principali d'Europa. Venezia 1689. Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae etc. collectus cura et studio Ioannis Georgii Graevii. Lugduni Batavorum, Vander A A. 1704. Genua Incisione che porta queste indicazioni F. B. Werner Silesius deliri. A. 1731. — Joh. Georg. Hertel excud. Aug. V. Collection des vues pittoresques de l’Italie dessinées d’après nature et gravées a l’eau-for te par Dies, Reinhart et Mechan. Nuremberg 1799- ANNUNZI BIBLIOGRAFICI Notizie di Lorenzo e di. Stagio Stagi da Pietrasanta scultori del XV e XVI secolo raccolte da Gaetano Milanesi. Firenze 1881. Con ottimo consiglio il ch. autore ha estratto dalle illustrazioni importantissime di che adorna la nuova edizione del Vasari, questa breve scrit- 126 GIORNALE LIGUSTICO tura, perchè può stare benissimo da sè, chiarendo un punto speciale della storia artistica. Sebbene dal .titolo appaia com’egli si fosse proposto i parlare degli Stagi, pure vi si trovano introdotte peregrine notizie anche dei Riccomanni, che furono altresì scultori pietrasantesi, e dei quali ci un alberetto, desumendolo dai documenti. Bisogna dire tutt g^ a ciò fu condotto dallo stesso principal suo soggetto, da che g i scrittori antecedenti, per difetto di documenti, avevano fatto una cer < fra i contemporanei Lorenzo Stagi e Lorenzo Riccomanni. In fatti mentre fino a qui si è attribuito al primo la parte supeno e della facciata.del Duomo di Sarzana, e l’occhio o ruota che vi si t , sotto alla quale sta la scritta : O . F . M . LAVRENTII. DE PETR · MCCCCLXX1III, ora invece dobbiamo convenire col Milanesi che 1 avoro appartiene al secondo; cosi in lui riconosceremo quel maestr o Lore p rato nel 1470 nella costruzione del palazzo comunale della stessa cit non che facendosi in seguito a mostrare come non siano opcia dello « g cune insigni sculture, onde sono composti due altari della Cattedra sima, cade in diverse inesattezze che ci sembra debito dover rile·'. ar ^ far gran conto della opinione da- lui nuovamente accolta, che cioè ’ ^ drini, per gli altari ricordati vi adoperasse, « come è fama, 1 marn dall’anfiteatro dell’antica Luni »; mentre tutto ciò era già stato ^ detto dal Promis (2) ; non potremo certo accordargli che 1 ancona ^ ^ innalzare dal Calandrini all’altare maggiore vi fosse tolta « negli u t ^ anni del secolo XVI », perchè ciò avvenne nel 1640 (3)· E P01C volle, per desiderio popolare, rimettere nell’ alto del nuovo coro la m ^ donna scolpita nel mezzo dell’ ancona sopradetta, così vi si fece dal Sarti un bassorilievo rappresentante la Purificazione (4)) che ^ aP punto quello notato dal Varni di « goffo e pesante, » sebbene per materiale errore abbia denominato quest’ altare ricomposto, di san Tomaso, anziché della Purificazione. Onde le lodi compartite ai lavori, che, secondo il suo fino giudizio, sentono la maniera d’ Jacopo della Quercia, devono riferirsi al primo. Nè ci troviamo d’ accordo col eh. autore quando ci torna a narrare che il Calandrini « fece porre sopra il tim pano le statue de’ santi protettori della città ed insieme quella del Ponte (1) Vedi Giornale Lig. II, 226. (2) Ivi, 230. (3) Ivi, 227. (4) Ivi, 228. GIORNALE LIGUSTICO 127 fice Nicolò V », perchè queste statue vi sono state messe dopo il 1735 (1). Il notaro poi che rogò 1’ atto del 1463 non è « un ser Gianni », ma ser Gian Antonio Griffi (2). Ma lasciando stare sifatte quisquiglie, ci piace imparare dal Milanesi il vero luogo d’ otigine degli Stagi, che fu Campo Carbonajo villa del comune di Stazzema nel pietrasantino, cadendo cosi la supposizione del Santini, che li faceva derivare da Gravina nel napoletano ; poi veniamo in cognizione della nascita di Lorenzo, avvenuta circa il 1455, e di Stagio verso il 1496; come pure ci si manifestano non poche circostanze della loro vita e della discendenza , la quale riceve lume da un ben inteso al-beretto. Cosi, quanto è delle opere, e col lume dei documenti e di una savia critica, vengono divisate senza confusione quelle che appartengono al padre ed al figlio, indicandone inoltre di puove non accennate dai biografi. Infine per quel che tocca particolarmente Genova, riporteremo 1’ acuto giudizio dell’ egregio' autore intorno a certe sculture della cappella del Battista. « Corse già una tradizione per la Versilia e per la Liguria, che dura ancora, la quale vorrebbe che Stagio nella sua prima gioventù abbia lavorato con Matteo Civitali alle statue della cappella di san Giovanni nel Duomo di Genova. Il Santini che accenna a questa tradizione, si perita ad accettarla per vera, considerata la tenera età di Stagio in quel tempo. Ma il cav. Alizeri (3) -per contrario non solo le fa buon viso, e crede che chi pigliasse a difenderla avrebbe valevoli argomenti in suo aiuto ; ma spingendo le sue congetture più oltre, suppone che non sarebbe tanto inverisimile di attribuire al giovane scultore da Pietrasanta la statua dell’ Isaia così bella da disgradare le altre fatte in quel luogo dal Civitali e dal Contucci. Ma la vanità di questa opinione apparirà manifesta , quando si rifletta che nel 1496 , in cui pare che il Civitali desse fine a quella sua opera, Stagio non era forse neppur nato. Più credibile invece sarebbe il dire che in que’ lavori di Genova il Civitali abbia avuto per compagno maestro Lorenzo Stagi, il quale gli fu certamente d’ ajuto in Lucca, quando scolpì il tabernacolo e il coro di quella Cattedrale. Un’ altra congettura pone in campo , e pare a noi con miglior fonda-damento , il prof. Varni, la quale è che ne’ bassirilievi dell’ ombracolo della cappella suddetta possa aver lavorato il giovane Stagi ». (1) Ivi, 228, 229. (2) Ivi, 231. (3) Notizie dei professori del disegno in Liguria, Vol. IV. 128 GIORNALE LIGUSTICO Narrazione dello stato della Repubblica di Genova, scrittura del secolo A VI pubblicata per li prima volta dal prof. 1. G. Isola. Genova, Schenone 1881 (Nozze Ferrari-Remedi). Questa scrittura è stata trascritta dal Codice Magliabichiano Cl. XIII, n. 13, tenendo a confronto il Cod. Palatino, Serie Baldovinetti, n. 1S0, del quale sono notate le varianti; anzi l’editore ha preferito il nome del cav. Dionigi Portinari, a cui si vede in questo indirizzata, anziché quello di Giovanni Somai che si legge nel primo; ma è facile il ritenere che possa essere stata mandata a tutti due. L’autore è un Francesco Marcaldi, che da Firenze nel 1588, dilige con una breve lettera al Portinari « la presente narrazione dello stato della Repubblica di Genova, nella quale si tratta del governo, e sito suo, della grandezza, ricchezza, entrata, numero di persone, e delle principali casate, che in essa si ritrovano, col numero dei luoghi e stati loio, e finalmente il modo et ordine che tengono que’ signori dell Offizio e Ma gistrato di S. Giorgio, e molte altre degne, et honorate cose ». Sebbene però la lettera rechi la data innanzi indicata, pure la Narrazione sembrerebbe scritta prima del 1562, poiché si affermano come sempre di spettanza dell’Ufficio di S. Giorgio la Corsica e tutti gli altri luoghi di terra ferma (pag. 14, 15), tornati in potere della Repubblica coll atto di retrocessione del 30 giugno di quest’ anno. Se non che ricordando in se guito il palazzo del Principe Doria ed enumerandone le bellezze, non dimentica di far parola di « un bellissimo appartamento di stanze nuov e » fabbricato « appresso la marina » (pag. 16), la qual opera venne fatta eseguire da Gio. Andrea fra il 157.7 '1 (Ό· Donde si rileva che il nostro narratore non era esattamente informato di quel che scriveva. La relazione del resto non ci dice nulla di nuovo, ma è buon argomento per mostrare il desiderio che altri aveva di conoscere lo stato della Repubblica e rilevarne la saviezza del governo, facendo spiccare 111 ispecie la grande ed utile istituzione del Banco di S. Giorgio. Era facile in fine correggere le denominazioni di Moltade e Blacherinci (pag. 14) in Multedo e Bachernia; la famiglia Itaboni (pag. 19) hi Italiani; ed i vini recenti di levante (pag. 15) in vini razenti. (i). Merli e Belgrado, Il palalo Doria negli Atti Soc. Lig. di Slor. Pat. X, $2. ERRATA. Pag. 78, lin. 2, Luigi, corr. Filippo. Pasquale Fazio. Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 129 DELLA VITA E DEGLI SCRITTI . DI G. B. BALIANO I Baliano traggono origine da Levanto e vennero a stabilirsi in Genova nel secolo decimoquarto (1). Ma di questa patrizia famiglia, che ha tanti titoli di benemerenza, non si hanno precise notizie che nel secolo successivo. Dalle memorie di quei tempi attingo alcuni cenni. Un Carlo Ballano è Anziano di Genova, nell’ anno 1443 : un altro nel 1463 è Consigliere di S. Giorgio. Ad incontrare l’imperatore Massimiliano d’ Austria vien mandato un Baliano, che figura poi Anziano della Città negli anni 1502, 1504 e 1511, capitano e difensore del popolo nell’anno 1506 e Consigliere di S. Giorgio negli anni 15 13, 1515 e 1518. Un Giovanni è Riformatore deli U-nione nel 1525, e un Carlo riceve l’incarico nel 1526 di visitare il Duca di Borbone e giura l’Unione nel 1527. Parecchi Baliano nell’ anno 1528 vengono inscritti in famiglia Imperiale. Tra i primi otto Senatori della Repubblica è eletto un Pantaleo Baliano, e nel 154.7 il Senato incarica un Giovanni di abboccarsi col conte Gio. Luigi Del Fiesco, nella, notte della congiura, per intendere le sue pretese. Nell anno 1576 sono chiamati a Consiglieri della Repubblica un Antonio e un ^Nicolò, i quali riescono poi eletti Senatori, nel 1587 il primo, e nel 16x4 il secondo. Dal Senatore Nicolò e da Maria Francesca, figlia ed erede universale di Bernardo Clavareza, Doge di Genova, nacque, nell’anno 1582, il Giovanni Battista (2), del quale prendo a ragionare. fi) Giacomo Giscardi, Origine e fasti delle famiglie di Genova. Ms. (Biblioteca Civica). ... (2) Giscardi, Origine ecc.; Buonaroti, Origine e fasti delle fami genovesi. Ms. (Biblioteca Civica) ; Federici Federico, Scrutinio della nohila Ligustica. Ms. (Biblioteca della Missione Urbana)· Giorn. Ligustico , /inno VII e Vili GIORNALE LIGUSTICO Come abbia passato i primi anni di vita il nostro grande concittadino, non so : raccolsi soltanto che attese dapprima alle leggi e alle lettere, e le coltivò con plauso, sebbene la sua mente fosse piuttosto propensa — e lo scriveva egli stesso a Bonaventura Cavalieri (i) — a cercare le cause e gli effetti delle cose naturali. E perchè la matematica, siccome quella che vale ad assicurarci del vero, è fondamento dello studio della natura, si diede a studiarla, e vi fece tali progressi da essere universalmente ritenuto uno de’ migliori geometri della sua età. Avido di leggere nel gran libro della natura; forte l’ingegno di sode dottrine, non poteva non riuscire interrogatore valente e sagace. E avendo avuto occasione nell’anno 1611, mentre copriva la carica di Prefetto della fortezza di Savona, di osservare il moto delle palle di artiglieria, applicò l’animo a studiare le leggi cui obbediscono i corpi naturalmente cadenti. Chi interroga la natura non ottiene tosto un responso decisivo ed assoluto: essa non rivela i proprii segreti se non a colui che lungamente e con sapiente magistero la interroga. E Baliano così è fecondo nei mezzi, e nello sperimentare ingegnoso e accorto, da costringerla a svelargli i suoi misteri. E sulla caduta dei gravi già ha abbozzato un trattato nel 1627, e ne fa testimonianza una lettera di lui scritta da Savona a Benedetto Castelli (2); lettera che rivela anch’essa la tendenza (1) V. documento A. (2) Venturi , Memorie e lettere inedite di Galileo Galilei. Parte li, pag. 98.— Il padre Benedetto Castelli nacque in Brescia nel 1577· Professò matematica in Pisa e poi in Roma. Castelli, dice il Venturi, « conferiva i suoi trovati idraulici cogli scienziati di maggior nome ; fra gli altri col Baliano di Genova, come dalle due lettere da questi a lui dirette ...... U (, maggio 1615, Castelli scriveva a Galileo : « in Genova ebbi occasione di conoscere il sig. G. B. Baliano, quale mostrò restare soddisfatissimo delle cose mie ». (Supplemento delle Opere di Ga-lileo pag. 102). GIORNALE LIGUSTICO dell’ ingegno di Baliano a scoprir nuove cosè, anziché a perfezionare le trovate. « Mi duole bene oltremodo (scriveva all’ immortale discepolo di Galileo e maestro di Torricelli) di non poterle mandare il mio trattato del moto dei gravi, attesoché per una certa mia natura son più inclinato a cercare le invenzioni delle cose e farne una certa sbozzatura mal fatta, che a ripulirle ; e questo trattato è tale che non l’ho mai ridotto in netto, e non solo ha bisogno di tempo per dargli ripulimento, ma a ricopiarlo così come sta sarebbe cosa difficile senza la mia assistenza, nè io per ora posso attendervi. » Quell’abbozzo perfeziona mano mano, e arricchisce di nuove osservazioni ed esperienze, siccome è manifesto da una sua lettera del 1632 (1), nella quale si duole che la nostra lanterna, pel rialzo che ha nel mezzo, non si presti bene alle osservazioni sui corpi cadenti. Pubblica finalmente i suoi studi nel 1638, «affinchè scriveva a Bonaventura Cavalieri (2) — veduti e considerati da più dotti, gli dessero norma circa il risolversi di dar fuori altre cose. » E non poteva più splendidamente esordire nell arena scientifica. L’ opera sua infatti riscosse 1’ unanime plauso dei più eminenti scienziati del suo tempo (3). La teoria dei gravi stabilita dal Baliano, è quella medesima che Galileo annunciava ne’ suoi Nuovi Dialoghi pubblicati in Leida nello stesso anno 1638, in cui si diffuse 1 opeia del nostro concittadino. (1) Galilei, Opere complete, ediz. di Firenze, Tom. IV, pag- 265. (2) V. il sopraciLato documento A. (3) L’ opera del Baliano fu lodata da Torricelli, da Cavalieri, da Giovanni Ciampoli, da Fortunio Liceti, dal Padre Gio. Battista Riccioli, dal Padre Nicolò Cabeo, dal Padre Mersenne di Parigi, e da più altri otti di que’ tempi, come si scorge dalle Opere diverse del Baliano ristampate in Genova nell’ anno 1792. GIORNALE LIGUSTICO I due insigni geometri, pur calcando una diversa strada, a diverso metodo attenendosi, scoprirono le stesse verità. Ma il Baliano prese le prime mosse dall’ esperienza, e però il suo metodo è migliore, e lo afferma Vincenzo Riccati, dell autorità del quale, in cose di matematica, non è luogo a dubitale. « Io ammiro — scrive il Riccati (i) — la prudenza di Galileo nell’esporre la sua ipotesi alla sperienza, ma il metodo del Baliano mi sembra più risoluto e più franco, perchè e comincia dall’ esperienza, e costrigne, starei per dire, la natura medesima ad isvelare i secreti, che ella nasconde ». O * Con tutto ciò al grande nostro concittadino fu ripetutamente lanciata l’accusa di plagio. E primo a scagliarla fu il Padie Abate Don Ottaviano Cametti (2) nel 1758. Indarno valorosi maestri nelle scienze matematiche, Giovanni D’Andres (3) e il detto Vincenzo Riccati, levaronsi a oppugnarla: la replicarono e il Fabroni (4), e Targioni Tozzetti (5) e il Senator Cle*mente de’ Nelli, il quale anzi non pago di accusare il filosofo genovese di aver cercato « con ben colorita maniera (1) Rosasco, Della toscana eloquenza: discorsi cento. Lettera del Padre Vincenzo Riccati, professore di matematica in Bologna, a Salvadore Torricelli. (2) Il Cametti nella sua Lettera critico-meccanica, stampata a Roma , viene, a pag. 82, a questa conclusione: <; ..... quanto è certo che il Baliano si servì con destrezza delle invenzioni del Galileo, altrettanto è incerto che suo discepolo egli fosse. Non nego esser commendevole il Baliano pel nuovo e bellissimo metodo, eh’ei tenne nel dimostrare la teoria dei movimenti dei gravi, onde per un valente Geometra lo venero e lo stimo; ma di maggior lode certamente è degno l’incomparabile Galileo, sì per aver promossa la vera ipotesi assai più che il Baliano, sì perchè fu il primo ad inventarla ». (3) Raccolta Ferrarese di opuscoli. Tomo I, pag. 65. (4) Angelo Fabroni, Vitae 'italorum doctrina excellentium; Tom. I, p. 188. (5) Giovanni Targioni Tozzetti, Atti'e memorie inedite dell' Acca demia del Cimento; Tomo I, pag. 146. GIORNALE LIGUSTICO r33 -di insinuarsi» per autore della dottrina del moto (i), giunge a dire non esser degno di fede il Baliano là dove afferma di aver fatte osservazioni e sperienze, merttre era prefetto della fortezza di Savona, per istabilire la teoria della caduta dei gravi (2). Queste gravissime accuse il benemerito biografo del sommo matematico fiorentino (3), fonda sulla corrispondenza epistolare tra Galileo e Baliano, e sulla generosità con che quello rendeva partecipi gli amici delle sue scoperte. Ma chi vuol vedere la verità, venga al cimento. Nel 1613 trovavasi in Genova quel Filippo Salviati chia- ^ mato da Galileo « sublime intelletto che di niuna delizia più avidamente si nutriva che di speculazioni esquisite (4). » Il Salviati fa la conoscenza dël Baliano, ne ammira l’ingegno e la bontà dell’ animo, e ai 24 dicembre ne scrive al filosofo fiorentino ne’ termini seguenti : « Ho trovato qua un filosofo alla usanza nostra, garbatissimo gentiluomo, nominato il signor Gioan Battista Baliano, che filosofa sopra la natura e ride di Aristotile e di tutti i peripatetici. È buon geometra, e m ha (1) Gio. Battista Clemente de’ Nelli, Vita e commercio letterario di-Galileo, Tomo II, pag. 607. (2) A pag. 608 della citata opera del fiorentino scrittore leggesi : ...... « Il carteggio tenuto da esso Baliano col Galileo evidentemente dimostra che il Genovese fu notiziato in Firenze dal nostro sommo Geometra rispetto alla dottrina del moto, della quale non si dichiarò in\ en tore, anzi dimostrò prima d’ essersi abboccato col Galileo d esser quasi nuovo, talché quello che asserì nel citato opuscolo si comprende esser lontano dal vero, esponendo eh’ egli facesse delle esperienze pei \enire in chiaro in qual proporzione cadevano i gravi...... ». (3) Il Nelli ebbe la ventura di redimere dalle mani di un pizzicagnolo, al quale, dalla cieca infedeltà d’un servo infedele, veniva via via, a prezzo di carte inutili, venduta non piccola parte del commercio letterario di Galileo co’ più famosi matematici e letterati del suo tempo. E di esso si valse per tessere la sopraccennata vita del filosofo toscano. (4) Galilei, Saggiatore. 134 GIORNALE LIGUSTICO detto che andò a Venezia a posta per vedere V. S. Si ride di chi ha scritto contro il libretto di V. S., sebbene m’ ha detto che v’ ha notate alcune cose che non gli piacciono, e io 1 ho pregato che me le mostri, il che m’ha promesso fare, ma dice che ha il libro in villa. Desidero che me le mostri per vedere se è possibile che resti satisfatto. L· persona buona quanto uomo che abbia mai trovato, ma è un poco di sua opinione, nel resto garbatissimo e da piacere a V. S., e non desidera altro che la conversazione dei filosofi liberi (i). » Per quel tempo che il Salviati dimorò in Genova, prima di mettersi in viaggio per la Spagna, dove morte lo spense prematuramente (2), andò sempre conversando col Baliano, e preso da vivo desiderio che il valente matematico stringesse amicizia con Galileo, rivolse a questi, circa un mese dopo la prima, una seconda lettera così concepita : « Dissi al sig. G. B. Baliano quanto la mi scriveva per conto del pesar 1 aria. Mi rispose che desidera grandemente, con comodità però di V. S., di saper il modo o almeno quanto l’aria pesa rispetto all acqua. Di grazia, V.. S. quando ha un’ora disoccupata, gli scriva e gli dia qualche soddisfazione, perchè è gentiluomo garbato e stima assai V. S. È filosofo libero, e a molte cose m ha dato le stesse ragioni, che ho intese da lei, e se trattasse con V. S., in pochi giorni converreste in ogni cosa. Se la gli scrive, gli dia del molto illustre solamente... (3) ». Il 25 gennaio del 1614 Galileo scrive una gentilissima lettera a Baliano (4), e gli manda ad un tempo alcuni suoi scritti (1) Galilei, Opere, Tomo Vili, pag. 294. (2) Morì in Barcellona il 22 marzo 1614. (3) Ivi, pag. 295. (4) Notizie su la festa centenaria di Galileo Galilei, celebrata a Pisa il 18 febbraio 1864, coll’ aggiunta d’ alcune lettere inedite di Galileo possedute dalla Biblioteca Nazionale di Milano, e per la prima volta illustrate da Giuseppe Sacchi. Milano 1864. GIORNALE LIGUSTICO sulle macchie solari. S’ affretta il Genovese a rispondere, e rispetto al lavoro intorno alle macchie solari fa così profonde e acute osservazioni, che Galileo ne scrisse con maraviglia al Castelli, in allora professore di matematica a Pisa, il quale pregò il maestro « di dargliene copia perchè servisse d1 incentivo gagliardo a’ Genovesi suoi discepoli (i) ». La relazione epistolare tra i due sapienti scrutatori della natura è avviata, e la vedremo farsi vieppiù affettuosa. Fioriva in allora 1’ accademia dei Lincei, che aveva per nobilissimo scopo il progresso e la propagazione delle scienze naturali non solo in Roma, ma in tutto il mondo civile. No bilissimo scopo, ripeto, e che basterebbe da sè a rendei be nemerito il principe Federico Cesi che lo concepì e s a doprò à tutt’uomo per metterlo in atto; quel Cesi, che u anch’ esso dimenticato per due secoli, sebbene avesse tanti titoli all" ammirazione dei posteri; quel Cesi, che in que giorni tenebrosi in fatto di Storia Naturale, conosceva già * diversità dei sessi delle piante e la loro congiunzione, e p ^ altre cose, e fornì gran parte dei vocaboli tecnici^ e lasciò diligenti lavori, ai quali attinsero a larga mano 1 più rinomati botanici stranieri senza degnarsi, s’intende, di ricordarlo (2). Appartenere all’ Accademia dei Lincei era gran vanto, Galileo nel 1614 propose a Linceo il nostro G. B. Baiano, siccome ci apprende una lettera del Cesi, dalla quale scorgesi eziandio che il nome del geometra genovese suon* < D ^ onorato in Roma. - « Ho inteso - scriveva il principe Cesi al Galileo (3) - con soddisfazione particolare quello m accenna nella sua gratissima del soggetto in Genova, qua e sono ♦ (i) Galilei, Opere complete, Tom. Vili, pag. 297. (a Odescalchi, Memorie istorico-criticbe Principe Federico Cesi, secondo Duca di Acquasparta, fon della medesima; V. anche Latta , Famiglie celebri ditata. (3) Galilei , Opere complete, Tom. Vili, pag. 29 . i36 GIORNALE LIGUSTICO molti mesi che sentii lodare e vi feci qualche riflessione. Favorisca ora V. S. che il Salviati intenda il pensiero, e ci dia ragguaglio pienamente della qualitade, tentando destramente P animo di esso che subito lo proporrò ai SS. Compagni assicurandomi siano per riceverne tutti contento.... (i) ». Baliano nel 1615 si porta a Firenze e fa la personale conoscenza di Galileo, siccome si vede da una lettera affettuosa del Baliano che riferisco, perchè di essa specialmente si è valso il Nelli per asserire che in tale occasione appunto il fisico genovese fu dal fiorentino « notiziato » sulla caduta dei gravi (2). « Farei mia scusa — scriveva Ballano addi 17 giugno I^I5 (3) — con V. S. d’aver fatto partenza di costi, senza licenziarmi da Lei, se non tosse ch’io m’assicuro che V. S. sa benissimo eh’ io l’avrei fatto pur troppo volontieri per mio proprio interesse; ma mancai di farlo per non dar noia a V. S. pur (1) Il i.° marzo 1614 il Principe Cesi scrivendo a Galileo (V. vol. Vili delle Opere complete ) tocca di nuovo dell’ ascrizione del Baliano e del- 1 Antonini all’Accademia dei Lincei: « .... quanto alli Signori Baliano e Antonini io sento con V. S : aspetterò suo avviso perchè io possa con-terir il tutto coi SS. Compagni, che altro non desiderano che soggetti di tale eminenza, acciò, inteso il tutto, si venga all’ascrizione ». A queste parole il prof. Eugenio Albéri, direttore della pubblicazione delle opere del filosofo toscano, fa seguire una nota, che dice : ® e furono effettivamente entrambi ascritti ai Lincei ». A tutto giugno del 16x4 però Ballano non era ancora Linceo ; infatti nel Supplemento delle Opere c’ è un altra lettera del Presidente dell’ Accademia dei Lincei, da Roma il 14 giugno dello stesso anno, in cui richiede il Galileo « di mandare relazione secondo il solito, cioè qualità, ecc. » per fare la proposta del-1’ ascrizione ai Lincei di Baliano e di Antonini. (2) Qui, parmi, cada in acconcio una riflessione, fatta già dallo Spo-* torno nella Storia letteraria della Liguria; com’ è che il Nelli non fece di pubblica ragione la lettera di cui si valse per fare un’ accusa che ha gravità di calunnia, e si limitò in quella vece a citarla? (3) Galilei, Opere, Supplemento, pag. 103. GIORNALE LIGUSTICO troppo travagliata dalla sua infermità, che può pure immaginarsi eh’ io sia rimasto con estrema curiosità di saper la vera ragione di quelle tante conclusioni e così belle delle velocità dei moti : però mi conviene aver pazienza e pregare il Signore Iddio che gli doni quanto prima l’intiera sanità, acciocché, oltre mille altre cose belle, possa quanto prima dare in lùce il trattato che mi disse averne sbozzato; e se non le rincrescesse un giorno darmene qualche lume per lettera, lo reputerò a molto favore ». Il senso di questa lettera è proprio tale da giustificare le accuse del Nelli? O l’essere stato tema di quelle conversazioni la caduta dei gravi a preferenza di altre scientifiche cose onde quelle ' due vastissime menti potevano occuparsi, non è invece una prova che anche Baliano s’ era dato a cercare le leggi cui obbediscono i corpi naturalmente cadenti? 10 penso che avendo saputo il nostro grande concittadino, dal Salviati probabilmente, o in altro modo, come anche Galileo s’ occupasse della caduta dei gravi, se n’ andò a Firenze per vedere se nelle idee concordavano. E tornatosene con estrema curiosità di saper la vera ragione di quelle tante conclusioni sulla velocità dei moti, si diede di nuovo a meditare e a sperimentare, abbozzò un trattato, lo perfezionò e lo licenziò alle stampe. Ch’ io sia nel vero più cose lo provano. Baliano manda a Galileo un esemplare della sua opera accompagnandolo con modestissima lettera (i). E che risponde il toscano filosofo? Si lagna egli forse di plagio? 11 Nelli ignorava la risposta: essa non trovavasi tra i molti autografi del Galileo che avventuratamente e sottrasse alla di spersione: ma fu pubblicata il 18 febbraio 1864 quando in Pisa si celebrò il terzo anniversario secolare del sommo materna- (i) Opere cit., tomo X. La lettera del Baliano ha la data del 17 dicembre 1638. 138 GIORNALE LIGUSTICO tico. Quivi dice che avendo ottenuto d’aver presso di se il Padre Don Clemente delle Scuole Pie, compagno del padre Francesco di S. Giuseppe (1), si fece leggere il libro del Baliano « veramente con suo gusto particolare ». Soggiunge « d’ aver trattata la medesima materia, ma alquanto più diffusamente, e con aggressione diversa » : si duole che la ce cita completa, F età decrepita, e più altre indisposizioni, gli impedissero di render noti curiosissimi problemi che aveva in mente, e finisce dicendo restarsi pago del gusto che sentirà dai trovati di altri ingegni pellegrini, ed in particolare da quello del Baliano (2). Pubblicati appena i Nuovi Dialoghi, Galileo ne fa avere una copia a Baliano, il quale risponde sollecitamente, e avendo qualche dubbio intorno ad alcune cose nel libro contenute, chiede spiegazione (3). Ne segue, nel breve giro di pochi mesi, uno scambio di lettere, nelle quali la mente e il cuore scintillano del pari (4). Galileo aveva già varcato il 15·° ^ustr0 d’età era cieco e pieno d’altre gravi indisposizioni, nondimeno egli con lunghissime lettere dà compiuta soddisfazione ai dubbi di colui che tiene in conto del più competente giudice delle sue opere (5). (1) Il padre Francesco di S. Giuseppe è Famiano Michelini, il quale fu raccomandato a Galileo dal Baliano. V. documento B. (2) Annali delle Università Toscane: tomo Vili, pag. 37. (3) Galilei, Opere compiete, Tomo X, pag. 351. (4) Galilei, Opere complete, tom. X, pag. 351, 360, 369 e 365 ; e Annali delle Università Toscane, voi. Vili, pag. 41 e 45. (5) Da questo si vede che s’è apposto il signor Targioni Tozzetti inserendo negli Aggrandimenti delle Sciente Fisiche il paragrafo : « Motivi irragionevoli di nimiciiie e querele di Gio. Battista Baliano contro del Galileo », e scrivendo, a pag. 146: « fra i tanti che si fecero piacere di contrariare il Galileo, merita di essere rammentato con distinzione Gio. Battista Baliano, nobile Genovese, uomo assai ingegnoso e che fece alcune importanti scoperte di Fisica. Il motivo per il quale esso Baliano si GIORNALE LIGUSTICO IS? Questa stima, e questo affetto, vicendevoli e crescenti, non sono una smentita alle accuse fatte al Baliano ? Nè vale il dire, che il filosofo fiorentino era liberale della sua dottrina cogli amici. Io non lo contesto ; ne convengo anzi volentieri; ma non si potrà negare che, avidissimo di gloria, non era punto disposto a tollerare che altri, chiunque si fosse, gli involasse pur una parte dei frutti de’ suoi studi. E non si creda che dicendo esser Galileo avidissimo di gloria, 10 gli faccia ingiuria. No : giacché se vuoisi biasimare il presuntuoso che sfacciatamente cerca onori e lodi che non merita, non è però colpa aspirare al premio nobilissimo d’una gloria meritata. Taccio, della ' controversia per T invenzione del compasso geometrico ; taccio delle dispute sul cannocchiale e sulla scoperta de’ Pianeti Medicei ; taccio dei mostruosi anagrammi con cui Galileo annunciò ai matematici certe sue osservazioni astronomiche , tanto gli premeva assicurarsi il merito della scoperta (1) ; taccio de’ modi vivi con che ne Dialoghi alienò dalla stima e dall’ amicizia del Galileo, non 1’ ho potuto mettei in chiaro, se non fu gelosia letteraria. Certamente in gioventù s erano trattati con scambievole ufficiosità, come apparisce dalla lettera , colla quale il Baliano, raccomanda al Galileo il padre Famiamo Michelini........ Il chiarissimo padre abate Cametti ha posto in chiara luce i motivi della gelosia e inimicizia del Baliano col Galileo, mentre nella sua lettera critico-meccanica esamina diligentemente chi di loro, il Baliano cioè o il Galileo, sia autore della teoria dei gravi ». Qui mi corre alla mente il giudicio che del Targioni Tozzetti leggesi a pag. 237 del vol. I della Vita e commercio letterario di Galileo Galilei del Nelli: « se il Targioni meno avesse scritto, e quanto nelle sue opere ha avanzato lo munisse de" necessarii documenti, non v’ha dubbio che maggior fama avrebbe sciata nella Repubblica Letteraria, ma in più cose è da temersi che la di lui fama rallenti il volo ». (1) Rispetto alla controversia per l’invenzione del compasso geometrico, e alle dispute sul cannocchiale e sui pianeti Medicei, il lettore no\a 140 GIORNALE LIGUSTICO dei massimi sistemi rivendicò a sè la scoperta delle macchie solari, e mi limito ad un fatto solo. Tutte le volte che ho letto il commercio epistolare di Galileo, 1’ animo mio si commosse considerando il conforto grande che quelle due anime elettissime di Galileo e di Cavalieri dovevano trarre dalle loro lettere ; lettere riboccanti d’ affetto, e splendido testimonio d’ una lunga amicizia, dalla sventura cementata e non cessata che colla tomba. Una nube soltanto turbò brevemente quel sereno orizzonte, e fu quando il Cavalieri scrisse a Galileo avvertendolo aver stampato un trattato dello specchio ustorio, nel quale « aveva toccato qualche cosetta del moto dei proietti, mostrando che dovria esser per una parabola . , ; Attestando però d’ aver imparato da Galileo e rimettendo il lettore al libro, che sul moto si aspettava dal matematico toscano (1). » Bastò questo cenno, perchè Galileo vivacemente si risen tisse, e, scrivendone indignato a Cesare Marsili (2) , fortemente si dolesse di vedersi « sfiorata quella gloria che tanto avidamente desiderava e si riprometteva dalle sue lunghe fatiche ». Tale vivace risentimento del filosofo fiorentino per 1 atto, ampie notizie nel tomo V delle Opere complete di Galileo a pag. 15° > e nella Vita e commercio letterario di Galileo del Nelli a pag. 240. Della scoperta di Saturno tricorporeo e delle fasi di Venere, Galileo porse confidenziale annuncio a Belisario Vinta, Segretario del granduca della Toscana; ma ne diede avviso ai matematici con anagrammi. Eccone uno : Haec immatura a me jam frustra leguntur 0 y Queste parole enigmatiche, spiegate poi dallo stesso Galileo, dicono : Cyntiae figuras aemulatur mater- amorum (Venere imita le figure della Luna). (1) Opere complete, tom. IX, pag. 285. (2) Opere cit. Tomo VII, pag. 5, GIORNALE LIGUSTICO I4I che non potrebbesi dire indelicato, del Cavalieri, suo discepolo, è prova irrefragabile che se Baliano fosse stato plagiario , Galileo non avrebbe taciuto. E c’ è di più : cogli amici il Galileo loda altamente il libro del nostro insigne concittadino. Al Padre Famiano Michelini, in allora professore di matematica a Pisa, scrisse d’ essersi fatto leggere più volte P opera del Baliano, e dolergli che la cecità gli impedisse d’ acquistare una chiara intelligenza di cose a che stimava esser acutissime e bellissime (1) ». La importanza di queste lettere non è chi non veda, fa maraviglia che non sia valsa a trattenere il patrizio fiorentino dallo scrivere una pagina, che non gli fa punto onore. Inoltre, come non ha considerato il Nelli che se plagio ci fosse stato l’avrebbero avvertito e Bonaventura Cavalieri, ed Evangelista Torricelli, e Giovanni Ciampoli, e, in-insomma, i più eminenti scienziati d’allora, della gloria di Galileo tenerissimi, i quali lodarono invece e magnificarono il libro del Baliano ? (2) Cessiamo la disputa : ci conforti, il pensiero che due eletti figli d’Italia, trattando lo stesso argomento con « aggressione diversa », abbiano toccata la stessa meta, fornendo così altre prove del genio italiano. (Continua). (1) Ivi, pag. 231. (2) Nelle Opere diverse del Baliano ristampate in Genova nel 1792. ci sono parecchie lettere di eminenti uomini in lode del filosofo Geno·^ ese. Ne reco qui una soltanto, quella del Torricelli: « Ho ricevuto finalmente il libro di V. S. Ill.ma, il quale ha voluto osservare il costume delle cose più care, e più bramate, cioè di farsi aspettare un pezzo..... Ho ben letto qualche pagina così alla sfuggita, ed ho ammirato la ricchezza, sottigliezza, e nobiltà delle materie, e sopra tutto la brevità impareggiabile, con la quale V. S. 111.™, supera tutti gli -antichi e moderni scrittori di Matematica, non escludendone neanco Archimede, nè Appollonio n ed simo. Bisogna che io deplori la mia miseria, conoscendo la \ l mie leggierezze ». 142 GIORNALE LIGUSTICO OSSERVAZIONI DI GASPERO LUIGI ODERICO SOPRA ALCUNI CODICI della Libreria di G.* Filippo Durazzo (Continuazione vedi pag. 95)· CODICE XVIII. Sono nel presente Codice due opere. i.J Egesippus de Ju daico bello, et subversione Hierosolymorum. 2.Λ Hei molai Bai bai i Veronensis Episcopi Orationes contra Poetas. La prima opera scritta originalmente in latino, e non in greco, non è che un compendio della storia giudaica da Mac cabei fino alla distruzione di Gerusalemme sotto Vespasiano, estratto da’ libri di Giuseppe Ebreo, con qualche giunta del 1’ autore, di cui non tutti i dotti sembrano contenti. È diviso in cinque libri, come lo è nella edizione di Colonia del 1575» e in quella di Lioire del 1677, inserita nella Biblioteca dei Padri, e probabilmente in tutti i manoscritti. Varia il presente dalle due accennate edizioni nella suddivisione de libri, il primo è diviso in 21 parte, il secondo in 5, il terzo non ha divisione alcuna, il quarto ne ha 3 , ed il quinto 9 : ciò si conosce dalle Iniziali; le quali però non sono precedute, nè dalla voce Caput, nè da alcun numero. Assai cose ci hanno dette i critici e i bibliografi, per determinare chi sia questo Egesippo, ed in che tempo vivesse. Malgrado però le costoro ricerche, Γ una e 1’ altra questione resta tuttavia indecisa ed oscura. Quello che di meglio potrebbe dirsi, si è: i.° Questo Egesippo non è assolutamente 1’ autore de’ cinque libri della Storia Ecclesiastica, di cui parlano GIORNALE LIGUSTICO I43 Eusebio e S. Girolamo, ed altri antichi, il quale fiori nel secondo secolo, e di cui non restano che alcuni frammenti raccolti ed illustrati da Pietro Halloix. 2.0 Non essendo impossibile che vi sieno stati due Egesippi, come vi sono stati per esempio due Arnobii vissuti in diversi tempi, ed in diversi luoghi, sembra superfluo il cercare, se sotto di questo nome si asconda uno sconosciuto personaggio; ossia anche una corruzione del nome di Giuseppe Ebreo, scritto talora Josepus, Joseppus, Jo-sippus, come taluni hanno preteso, per essere questa storia estratta dalle opere di questo scrittore, conforme abbiamo accennato. 3.0 Che Sani’ Ambrogio non è altrimenti, nè autore, nè traduttore di quest’ opera, sebbene alcuni manoscritti gliela attribuiscano. 4.0 L’ autore, chiunque sia stato, dee essere vissuto al più presto tra il IV ed il V secolo, epoca della grandezza di Costantinopoli, per cui Antiochia, un tempo la terrei città dell’ Impero Romano, scesce al quarto rango ; Urbs Antiochia, dice questo storico (c. 5 del lib. 3), tertio loco ante ex omnibus, quae in orbe Romano sunt, civitatibus, aestimata est ; nunc quarto, postquam Constantinopolis excrevit civitas Bizantiorum Persarum quondam caput nunc repulsorum. Queste ultime parole Persarum quondam caput, nunc repulsorum, alle quali per dar qualche ragionevole senso il repulsorum è stato mutato, con 1’ autorità di qualche vecchio Codice, in repulsorium; queste parole, dico, hanno fatto credere ad alcuni critici (Vossio, Mireo) che Γ autore scrivesse verso la fine del X secolo, dopo che Niceforo Foca, l’anno 968, riprese Antiochia, che sAba-Obeidah generale del Califo Omar, avea tolta ai Greci l’anno 638. Ma oltre che due manosciitti, citati da Mabillon (Mus. Ital. T. I. pag. 14), a giudizio di questo critico mostrano, che lo scrittore dee essere anteriore al secolo VII, « il latino, 1’ aria, lo stile, dice Tillemont (Vit. S. Piet. n. 49), sono così differenti da quei del X, e del XI secolo, eh’ io amerei meglio credere, che quelle parole Pei- 144 GIORNALE LIGUSTICO sartun etc. sono giunta di mano straniera ». Aggiungasi, che se la mutazione di repulsorum in repulsorium accomoda il senso, essa non combina con la storia. Ê difficile, come osserva lo stesso autore, il poter dire, quando Antiochia sia stata capitale de’ Persiani. Le congetture di alcuni critici per assegnare un tal tempo nulla hanno di verisimile. Se il presente manoscritto fosse d’una più rispettabile antichità, ai direi di proporre una nuova congettura appoggiata ad una differente legione che esso ci dà di quel passo. Urbs, dice, tertio loco..... nane quarto postquam Constantinopolis excrevit, civitas Byçanti-corum, quondam caput, nunc repulsorum ; qui dei Persiani non si fa motto; ed il Caput si riferisce alla voce Civitas, e tale n è il vero senso: Constantinopolis civitas quondam caput By^anU-corum, nunc repulsorum : ma questo repulsorum non formando alcun senso, ed il repulsorium non cadendo in acconcio, io sono di sentimento, che a repulsorum sostituir si debba Romanorum, e tutto allora andrà a dovere* leggendo Constantinopolis civitas quondam caput By^anticorum, nunc Romanorum. Costantinopoli che prima era Capitale soltanto de Bizantini, cresciuta e ingrandita divenne Capitale dei Romani, cioè del-Γ Impero Romano. Io però non pretendo di far valere questa correzione, e lascio ogni cosa a suo luogo , e ciascuno in libertà di pensare come più gli piacerà. Ma non è da passarsi un vergognoso errore di Casimiro Oudin nel volere stabilire l’età di questo scrittore. Costui leggendo in Cedreno, che Niceforo Foca non volle prendere Antiochia per una· voce sparsa tra il popolo, che l’Imperatore sarebbe morto subito che la città fosse presa, arrestatosi a questo racconto, sostiene, che le citate parole Persarum quondam caput etc. debbano intendersi della presa di Antiochia fatta da’ latini nella prima crociata 1’ anno MXCVIII, (non MCXVIII, siccome è nella stampa, o per errore di Oudin, o più tosto dello stampatore); Quindi decide franco (T. II. pag. 1026 ecc.) che GIORNALE LIGUSTICO I45 questo Egesippo visse nel secolo XII, e di più rimprovera ai cattolici, detti da lui pontificii, di non aver mai avvertito hominem hunc (Egesippo) saeculi XII scriptorum fuisse. Dovea però il nostro Aristarco, che a diritto e a torto vuol baiare contro i cattolici da esso abbandonati con doppia apostasia, doveva, dico, non arrestarsi cosi presto nella lettura di Ce-dreno; proseguendo avria imparato, che se Niceforo lasciò di prendere Antiochia per 1’ accennata ragione e se ne ritornò a Costantinopoli, Michele Burtza, e Pietro Γ Eunuco rimasti al comando delle truppe, a dispetto di Niceforo, e contro i di lui ordini assalirono Antiochia, e la presero. La qual cosa non solo racconta Cedreno, ma Zonara altresì, e Michele Glyca ne’loro annali (Zonar. lib. XVI, n. 26, Glyca, Annali parte IV). Dopo questa conquista Antiochia restò in potere de Greci fino all’ anno 1084, in cui Solimano figliuolo di Coutoulmisch e cugino di Melek Schak Sultano di Persia se ne rese padrone, essendo Imperatore de’ Greci Alessio Comneno (Veggasi storia Comnena ne\YAlessiade lib. VI, Herbelot Bib. Orient, pag. 542). La seconda opera di questo manoscritto sono due piccole orazioni del vecchio Ermolao Barbaro Vescovo di Verona contro de’ Poeti. L’ una, e l’altra è diretta a frate Bartolomeo da Lendinara Minorità Francescano , che con iscandolo del pio Vescovo troppo li avea esaltati. Al fine della seconda leggesi: Verona Idibus Martii 14JJ. Il de Bure nel Catalogo della libreria del Duca dela Valiere (T. Ili, pag. 115) di esse parlando così scrive: Le premier discours d’ Hermolaus Barbarus est daté de Verone les calendes d’Avril 1455 , et le second de Verones les Ides de Mars. S’inganna il bibliografo : i due discorsi sono tutti e due sotto la data degli Idi di Marzo; quella che è in data del primo Aprile è una piccola lettera alla testa delle due orazioni diretta al cardinale Pietro del Titolo di S. Marco, cioè al cardinale Pietro Barbo, che fu poi Paolo, II a cui Ermolao mandò queste due orazioni pochi Giorn. Ligustico, Anno VII e Vili 146 GIORNALE LIGUSTICO giorni dopo di averle inviate a frate Bartolomeo. Parlano di esse tra gli altri Γ Agostini ne’Scrittori Veneti (Tom. I, pagina 251), ed il conte Mazzuchelli negli scrittori Italiani (Volume II, parte prima, pag. 256), il quale ha temuto, che la seconda orazione si fosse con molte altre perduta; il presente manoscritto ce la conserva. Nella prima pagina ornata di fregio arabescato a più colori, vedesi 1’ arma della casa di Urfè, una delle primarie del Forez di Francia, circondata dal Collare di S. Michele, come si vede in altri Codici stati della famosa libreria, che Claudio signor d’Urfè ^ Cavaliere di San Michele sotto Enrico II, amante delle lettere, si era formata in un suo castello. Questa arma deve esserci stata aggiunta posteriormente, come spesso si è usato, e non impedisce, che il Codice non possa essere scritto dopo la metà del secolo XV. CODICE XIX. Questo Codice contiene i soli primi cinque libri di Diodoro, non ostante che nel fine si legga explicit liber sextus; il sesto con altri parecchi degli XI scritti da Diodoro è perduto. Avea egli diviso il primo in due segmenti. Il traduttore ne ha fatto malamente due libri guastando l’enumerazione, ossia divisione che della sua opera avea fatta Diodoro. Vincenzo Opsopeo, Gian Gerardo Vossio, Brian Thwin, . Baston, ed altri hanno contrastato questa traduzione al Poggio, per attribuirla a Giovanni Phream Inglese, che insegnò le belle lettere in Italia verso la metà del secolo XV. A difesa però del Poggio hanno scritto non solo Gio. Battista Recanati nella vita del medesimo Poggio, ed Apostolo Zeno nelle Vossiane, e forse altri Italiani; ma tra gli oltramontani medesimi ha mostrata l’insussitenza di questa opinione Pietro Wesselingio nella prefazione all’edizione grec. lat..di Diodoro dell’ anno 1746, Amstel. F. GIORNALE LIGUSTICO M? Due edizioni di questa traduzione cita Fabricio nel lib. Ili della Bib. Greca, 1’ una Veneta dell’anno 1493, l’altra di Basilea del 1578. CODICE XX. Questo manoscritto contiene un’ opera di Leonardo Aretino divisa in tre libri, il primo de’ quali tratta della prima guerra Cartaginese co’Romani: il secondo di quella, che i Cartaginesi ebbero in Africa co’ loro ribelli : il terzo delle guerre avute da’ Romani con gli Illirici, e con i Galli dopo la prima Cartaginese, Con questi tre libri pubblicati da Leonardo l’anno 1421, a 14 di dicembre, pretese egli di supplire alla perdita di quelli, che sulla medesima materia avea scritto. T. Livio. Sono essi stati tradotti in italiano, e degli uni e degli altri trovansene più manoscritti e più edizioni, delle quali parlano il conte Mazzucchelli, e 1 abate Mehus nella vita di Leonardo dal medesimo premessa alle lettere (pag. 55). La più antica edizione latina citata dal suddetto conte è dell’ anno 1490, cinque anni dopo che il primo libro era stato stampato in italiano al fine di T. Livio in Venezia l’anno 1485 (V. Argelati Tradut. Ital. Tom. II, pag. 312), ove pare, che si attribuisca il volgarizzamento allo stesso Leonardo leggendosi: « Prologo sopra il libro chiamato della guerra Punica..... composto..... da messer Leonardo Aretino, prima in latino, poi in lingua materna ». Nella prefazione premessa a quest’ opera, si vanta Leonardo di darci un estratto di Polibio e di altri greci scrittoli, in aria piuttosto di autore, che d’interprete. Il P. Mittarelli ne pare persuaso scrivendo (Bib. S. Mich. ecc. pagina 659) esseie quest’ opera potius compilatio ex Polybio aliisque Graecis, vel deiforatio, quam interpretatio. Non così però il conte Mazzucchelli (pag. 2205). Ei pretende che Leonardo poco più a - 148 GIORNALE LIGUSTICO bia fatto, che tradurre Polibio in latino. Anche Fabricio (Bib. grec. lib. Ili, pag. 761) è persuaso, che questi libri sono in gran parte ex Polybio expressi; onde possa Leonardo ascriversi in qualche modo tra gli interpreti di questo storico. Infatti parecchie edizioni portano il nome di Polibio. In quella di Brescia del 1498 ha questo titolo : Polybius historicus de primo bello Punico Leonardo Aretino interprete. La cosa non merita d’ essere discussa con più parole. CODICE XXI. La maggiore antichità, che possa darsi a questo manoscritto che cl presenta la storia di Leonardo Bruni detto 1’ Aretino tradotta in lingua italiana, è di circa 300 anni. Donato Ac-ciaiuoli, autore di questa traduzione, non la terminò che ai 27 di agosto dell’anno 1473. Se non ha tutti quest’anni pochi gliene potranno mancare. Che 1’ Acciaiuoli terminasse in detto anno il suo volgarizzamento, si ricava da una nota che leggesi nel fine della edizione fattane in Venezia Fan. 1476 da Giacomo de Rossi riportata da de Bure nella sua Bibliografia, ove dà conto di questa edizione, che conseguentemente verrebbe ad essere la prima. Per prima infatti la riconoscono Maittaire (Annal, tipogr. T. I, pag. 331, not. 10) Apostolo Zeno (Diss. Vossiane T. I, pag. 92) e Γ Argelati (Volgariζ. itat. T. I). Al contrario i Padri Labbè, e de Negri, il Giornale de letterati d’Italia (T. IX pag. 209), Fabriccio, Bandini, Mazzucchelli, Tiraboschi ed altri, ne citano una anterióre dell anno 1473. Ma se la sopracitata nota è giusta, non pare assai verisimile, che in soli quattro mesi siasi potuta stampare quest opera, in un tempo, in cui la stampa non era così veloce, come lo è di presente; perciò Maittaire e 1’Argelati molto probabilmente credono, che siasi preso l’anno della traduzione per quello della stampa. GIORNALE LIGUSTICO I49 Dopo 1’ edizione del 1476 fatta due anni e mesi avanti la morte di Donato, successa Γ anno 1478 a’ 28 di agosto , un’altra dell’anno 1485, fatta parimente in Venezia, ne cita il conte Mazzucchelli, ed una terza in Firenze dell’ anno 1492 a 3 di giugno. Queste replicate edizioni in pochi anni, mostrano la stima, che si fece della traduzione, in confronto dell’ originale latino, di cui non trovo citata edizione anteriore a quella di Argentina del 1610. Francesco Sansovino ristampò in Venezia l’anno 1561 questa traduzione, con una piccola aggiunta della Storia Fiorentina dal 1403 al 1560. Il Codice è scritto con molta diligenza, ma con molta parsimonia di ornamenti. Le sole piccole iniziali de libri sono miniate. La prima dopo il proemio del traduttore, credo essere il ritratto di Leonardo, autore della storia: le altre alludono a qualche fatto principale di cui si parla ne rispetti i libri, alla testa de’ quali sono poste. CODICE XXII. Leonardi Aretini versiones a graecci lingua in latinam , et opera. — Così il titolo di questo manoscritto aggiunto posteriormente da una mano diversa. Cinque sono le traduzioni, e tre le operette che ci si danno in questo manoscritto, non tutte però di Leonardo, come vedremo. I. Magni Basilii liber ad Juvenes quatenus ex Gentilium libris, litteris que ; proficiatur; Ex Graecis litteris in latinas conversus per Leonardum Aretinum ad Coluccium Salutatum. Questo titolo era scritto in rosso, ed è 1’unico che sia dello scrittore del Codice, essendo gli altri della medesima mano del primo, aggiunto posteriormente. Il proemio ossia la lettera dedicatoria diretta a Coluccio principia: Ego 1 ‘ hunc librum, Coltici, ex media, ut aiunt, Graecia delegi Ubi etc Segue il trattato di S. Basilio pag. 1 che comincia: Multa sunt I50 GIORNALE LIGUSTICO Filii, quae hortantur me ad ea vobis consulenda etc. Più edizioni sono state fatte di questa traduzione, delle quali parla il conte Mazzucchelli ne’ suoi Scrittori italiani, (vol. II), ove con la vita di Leonardo ci di un catalogo delle costui opere, così stampate che manoscritte. La presente è al η. XI delle prime (pag. 2208), e nella nota 114 leggesi una nota deJ manoscritti della medesima. La diversità de’ titoli dati a quest’ opera, è stata cagione, che qualche meno accorto scrittore 1’ abbia divisa in due, non essendo che una sotto differenti titoli. Per esempio : Ad Juvenes religiosos quibus studiis opera danda sit. Dz legendis libris Gentilium. De liberalibus studiis et ingenuis moribus. Ad Juvenes de utilitate ex Gentilium auctorum lectione capienda etc. (Veggasi il citato Mazzucchelli, 1’ abate Mehus nel catalogo delle opere di Leonardo premesso alle lettere del medesimo, num. XXXIV, pag. 70. Il Lami, Bib. Riccardiana, pag. 62. Mittarelli, Bib. S. Mich. Ven. pag. 658. Bandini, Codici latini Lauren^iani T. I, II, III, ecc). II. Pagina 7. In Zenophontem prohemium. Questo proemio al trattsto di Zenofonte contra i tiranni, è una lettera di Leonardo ad un certo Nicolò che principia: Zenophontis Phy. quemdam libellum ego ingenii mei exercendi gratia, e graeco sermone in latinum converti; ad quem potius Nicholae scriberem, quam ad te, qui et litterarum nostrarum tantam peritiam habes, quantam nemo fere huius temporis alter et in graecis ipsi socius mihi adiutorque fuisti. Si è creduto da parecchi (ved. Bandini T. II, pag. 734, pag. 395, Mazzucchelli, Tiraboschi, Mehus) che questo Nicolò a cui s’indirizza la presente traduzione, sia il famoso Nicolò Nicoli, con cui Leonardo ebbe grande amicizia, rotta e riunita in appresso, conforme raccontano gli scrittori della vita di Leonardo e del Nicoli (v. Mehus Praef. ad Epist. Ambros. Camald. pag. .30). Ma leggendo io in questa lettera: lla ex^imes velim neminem esse ex omni iuventute, cuius ego GIORNALE LIGUSTICO iudiciwn pluris faciam quam tuum, mi nasce sospetto che a tutt’ altra persona essa sia diretta, poiché a Leonardo di sei in seti’ anni più giovane del Nicoli, non pare che convengano le sopracitate parole. Ho detto Leonardo più giovane del Nicoli, poiché questi nacque l’anno 1364, Leonardo nel 69 e forse nel 70. Egli è vero che 1’ abate Mehus in un opera da me non veduta, ma citata dal Tiraboschi (T. VI parte I, pag. 130), pretende che quelle parole: vel quem potius, Nicholae, scriberem etc. siano scritte da Leonardo al Nicoli, io peiò leggendole in questa dedicatoria, e non potendomi persuadere che sia diretta al Nicoli, penso di aver motivo di credere, che il fatto non sussista, e che il nome di Nicolò comune a più persone, abbia dato luogo all equivoco: il qual mio pen siero, qualora sussista, sarà tolta quella contradizione in cui si pretende che cadesse Leonardo, allorché scrivendo al Poggio, contro il Nicoli, disse che costui non sapea accoz zare insieme due parole latine. Tutto questo pero po^o ri leva al presente bisogno. Dopo la dedicatoria viene (pag. 8) il trattato di Zenofonte con questo titolo: Zenopbon conira Tyrannos e principia: Cum ad Hieronem Tyrannum Simonides poeta aliquando venisset etc. Parlano di questa traduzione il conte Mazzucchelli (1. c. η. XIII), e se ne citano più codici (n. 116), 1’ ab. Mehus (η. XXXV, pag. LXXI), ed altri bibliografi. III. Pagina 15. Oratio in laudes Florentiae. Comincia: Vellem mihi a Deo immortali datum esset etc. Il Mazzucchelli la mette tra le opere manoscritte di Leonardo (η. X^ ) con ques titolo: De nobilitate Flountinae urbis libellus ; in altri Codici e intitolata: Laus Florentinae urbis; in altri : De laudibus Florentinae, onde anche a questa è accaduto di essete 1 due. Si trova tradotta in italiano da frate Lazaro a a ova Domenicano; 1’ abate Mehus nella prefazione al suddetto Tomo delle lettere di Leonardo (pag. 21) ne dà il^nncipio. IJ2 GIORNALE LIGUSTICO IV. Pagina 31. De disputatione. Precede un proemio ossia lettera diretta a Pietro, che alcuni manoscritti chiamano Petrum Histrum. Pietro Histrio, è lo stesso che Pietro Paolo ^ ergerio Giustinopolitano (Veggasi Mehus Praef. in Ambr. Carnai, htt. pag. 30). Comincia la lettera: Vetus est cuiusdam sapientis sententia felici homini haec vel in primis adesse apporter e, ut. patria sibi clara et nobilis esset etc. L’opera è divisa in due dialoghi, de’ quali il primo (pag. 31) principia: Cum solemniter celebrarentur hi dies, qui post Resurrectionem ìhesu christi festi habentur etc. Il secondo (pag. 38): Post-ndie vero cum omnes, qui pridie fueramus, in unum convenissemus, additusque praeterea esset Petrus Mini etc.; gli interlocutori sono oltre Leonardo, Coluccio Salutato, Roberto Rosso, Nicolò Nicoli, a’ quali nel secondo dialogo si aggiunge Pietro Mini. Anche questi dialoghi, scritti l’anno 1401, o li intorno (v. Mehus 1. c.) trovansi con differenti titoli. Presso il conte Mazzucchelli (η. XX delle opere stampate pag. 2211) sono intitolati : Dialogi duo de disputationum exercitationisque studiorum usu, atque adeo necessitate in litterarum genere quolibet: nella Biblioteca Veneta di S. Marco : Dialogus in partes duas divisus de Dante, Petrarca, et Bocaccio ad Petrum; nella Riccar-diana : Dialogus ad Petrum de litteratura suorum temporum (v. Mehus Tom. I cit. η. Vili, pag. 57; Bandini ecc.) Il secondo di questi dialoghi in un Codice della Laurenziana (Tom. II, pag. 546) termina: ipso quoque Roberlo usque ad pontem veterem proseguente ; nel presente manoscritto : ut audem apud homines doctos loquens minutissima quaeque ac levia praetermisi ; quindi pare, che qui non sia çompito. Due edizioni di quest’opera, tutte due in 8.° si citano 1’ una di Basilea dell’anno 1536; l’altra di Parigi del 1538. V. Pagina 43. Plularcus cie ingenuorum educatione liberorum. Precede qui ancora un proemio, ossia lettera, che principia: majores nostros, Angele mi suavissime, non ammirati, et ma- GIORNALE LIGUSTICO 153 ximis laudibus, prosequi non possum. La traduzione principia: Quidnam est, quod de ingenuorum educatione liberorum dicere quispiam possit. II conte Mazzucchelli la mette tra le inedite (n. i) sotto questo titolo: Plutarchus de liberis educandis de graeco in latinum traductus interprete Leonardo Aretino. Si pretende, che 1’ Angiolo di cui si parla nella dedicatoria, sia Jacopo d’ Angiolo da Scarperia, uno degli amici di Leonardo, di lui competitore in Roma nel Segretariato Apostolico, ed uno di quei che molto si adoperarono, perchè venisse in Italia Manuello Grisolora, sotto il quale Leonardo ed altri impararono la lingua greca. Osservando però, che Leonardo vuole usare il nome, e non il cognome di coloro a’ quali dedica le sue traduzioni, dubiterei, che non fosse piutosto diretta ad Angelo Acciaioli a cui trovo che Leonardo indirizzò il suo commentario Rerum Graecarum, stampato nella raccolta di Gronovio (Tom. VI pag. 3387). Egli è però incerto se questa traduzione sia di Leonardo. Nella Riccardiana è attribuita a Guarino da Verona. Incipit liber de liberis educandis ti aductus ex Plutarco per Guarinum V. 1 n latinum. Majores nostios,An gele mi suavissime etc. — A Guarino lo attribuisce anche il Canonico Bandini (Tom. Ili pag. 663) il quale afferma tro varsi questa traduzione stampata nelle Opere Moialì di Pu tarco, pubblicate in Lione in 8.° l’anno 1549 T· Pa§- 241‘ Manca per quanto mi pare nel catalogo dell abate Mehus. VI. Vagina 54. Plato de servandis légibus prohemmm. Da ue proemii, ossia dedicatorie è preceduta questa traduzione, perchè. Il primo comincia: Et si laudes tuas enarrare, atque describere velim, Reverendissime Pater domineque, puss' chi sia questo Prelato non saprei dirlo, non dandon * tera indizio veruno. Al fine di essa leggesi ερρωσ^ j ^ immediatamente segue questo titolo, πλατονο, πρακτου latinus per rinucium factus, et primo prò lem Poi la dedica: Imperatori Caesari et perpetuo Augusto Ma- *54 GIORNALE LIGUSTICO ___ mieli Paleologo Rinucius Ladonicus salutem , che principia Saepe munero mihi cogitanti serenissime , atque gloriosissime romanorum princeps etc. Manuello II Paleologo a cui è diretta, sali sul trono di Costantinopoli l’anno 1391 > e ^a_ sciollo per morte l’anno 1425. Essendo venuto in Italia, e passando in Francia, nel ritorno, cioè l’anno I4°3> *n Genova, come narrano i nostri scrittori. Il dialogo tradotto (pag. 56) s’intitola: Socrates et Crito, e principia quid adhuc (forse Ime) venisti Crito, nondum lucesit diesi finisce: cum a Deo sic perducantur. Presso il conte Mazzucchelli (m XXXII delle opere manoscritte di Leonardo) è intitolato : Crito, vel de eo quod agendum, conforme il Greco Kpixov 7) περι πρακτου. Nella Laurenziana (Tom. Ili, pag. 1x5) porta parimente il nome di Leonardo. Al contrario nella Riccardiana (pag. 323) si attribuisce ad un Ranutio: Platoni dialogus, qui inscribitur Crito per Ranutium latinus factus ad Manuellum Paleoiogum romanorum serenissimum imperatorem. Quindi io ne argomento, che di questo dialogo v’ ebbero due versioni, 1’ una di Leonardo, l’altro di Ranutio, 0 Rinuccio: due cose me lo persuadono, Γ una.che nel Codice Laurenziano , ove la traduzione di questo dialogo si attribuisce a Leonardo, il proemio e il dialogo hanno principio e fine diverso da quello del presente manoscritto : Damnato Socrate, così principia il proemio, e finisce: ad cognitionem disciplinamque nostram; il dialogo comincia: quid tu hoc temporis venisti Crito, termina: quoniam Deus hoc agendum monstrat. La seconda si è, che nel suo proemio a Paleologo l’autore assai chiaro insinua d esser per qualche tempo vissuto in una città, suddita al* medesimo Imperatore, che fu forse Constantinopoli: Huiusce disciplinae (cioè della Filosofìa) cognitione prelectas, patriam, parentes ac dulcem tepidumque nidum deserens implumispraecepsque coelo volitavi remoto. Sed cum his studiis tantum iam insudaverim, ut egregiis disciplinis aliquid me nactum autumem, maximeque 111 ea GIORNALE LIGUSTICO ISS civitate, quae tuo imperio sapienter, inster, fortiter.... gubernatur etc. Or noi non sappiamo, che Leonardo, le cui azioni ci sono assai conte, fosse in Grecia e in Costantinopoli. Di questo Rinucio, di cui è la presente traduzione, detto anche Ranutio, Renuccio, e per errore Remicio, hanno parlato Monsignor Giorgi nella vita di Nicolò V , Apostolo Zeno nelle Vossiane (Tom. II, pag. 210, ecc.), l’abate Tiraboschi (Tom. VI, parte II, pag. 325), ed altri forse a me ignoti. In alcuni manoscritti si dice Fiorentino, in altri Tessalo, in altri Castilionensis, non si sa sa dal cognome, o dalla patria; nel nostro λαδονικος, di cui io non so reìidere ragione. Il sopraddetto mons. Giorgi, sull’ autorità di un manoscritto vaticano, se non erro, ha preteso che fosse Aretino, ed è stato in ciò seguito da Zeno e da Tiraboschi. Fiorì nel secolo XV, e fu maestro di greco di Lorenzo Valla, e segretario Apostolico. Nella Laurenziana vi sono di costui più traduzioni citate dal Canonico Bandini, il quale sembra distinguere Rinucius Castilionensis, da Rinucio Aretino. L’abate Mehus parla della tia-duzione di Leonardo nel citato Catalogo (n. XL\^II, pag. 76). VII. Pagina 62. De morte funeralique Pompa contemnenda Lu-kianus. Il proemio o dedicatoria, che va innanzi a questa traduzione principia: Saepe ac multo ea cogitavi etc. non saprei dire a chi sia diretta; ci si parla d’un Giovanni Symonico Protopapa, che mi è ignoto, e si dice: cujus industria opere et dilitigentia derivatum est, quidquid Graecarum litterarum, ad nos effulsit. II Canonico Bandini lo ha riportato tutto intiero nel Tom. Ili, pag. 652. L’opera di Luciano che qui si ha tradotta, è uno de’ Dialoghi de’ Morti, tra Caronte, Mercurio, ed altri trapassati. Nell’ ultima edizione delle opere di Lucia fatta in Amsterdam 1’ anno 1743 è nel Tom. I, η. X, pagina 363. Di questa traduzione non si parla nel catalogo delle opere di Leonardo dato dal conte Mazzucchelli. L’abate Mehus scrive a pag. 72 che in un Codice della biblioteca di i56 GIORNALE LIGUSTICO S. Croce di Firenze trovansi: nonnulla Luciani, tradotte da Leonardo, ma non individua quali siano. La presente credo essere del sopracitato Rinuccio, a cui si attribuisce nella Ric-cardiana (pag. 209), con questo titolo : De contemnenda morte, ei funerali pompa, latine Rinutio Tetalo interprete. Tetalo è qui per Tessalo: poiché i Greci dicevano Θετταλου e θεςςααλς. A Rinuccio si attribuisce parimente nel Codice Laurenziano sopramentovato. Pagina 63. È qui un frammento di pochi versi senza alcun titolo, che comincia: Ter ni fallor, miles egregie, coronationis regie pompas cerimoniasqùe: vidisti etc. Lo scrittore volea dai ci qualche cosa di più, mentre ha lasciato in bianco quasi due pagine. (Continua). ANNUNZI BIBLIOGRAFICI Ricordi della famiglia Sforma di Motitignoso. — Lucca, Giusti, 1881. A festeggiare le nozze di un suo cugino, Giovanni Sforza pensò saggiamente di raccogliere le memorie della sua famiglia, « la quale è sempre stata modesta, ma ammirabile però sempre per P unione, la concordia, l’affetto; esempio poi continuo d’amore disinteressato e operoso verso il paese nativo ». Senza ricercare nei tempi remoti una origine spesso problematica, molte volte ridevole, e sebbene il nome potesse invogliare a ricorrere ad un ceppo principesco, pur 1’ autore non volle partirsi dai documenti del paese natale, accennando sol per intramessa ad una tradizione domestica, che annesterebbe la sua famiglia con una delle maggiorenti già esistite nel ducato di Mirandola. Dal primo trentennio del Secolo X\ I fino ai nostri giorni, gli Sforza di Montignoso seppero per virtù propria divenire, non solo fra i più reputati della loro terra, ma altresì procacciarsi un degno luogo fra i più cospicui uomini del ducato Lucchese. Tre di essi maggiormente eccelsero, e la narrazione della loro vita si distende per molta parte del libro; sono questi Pier Domenico, Giovanni GIORNALE LIGUSTICO r57 e Carlo. I due primi, vissuti in quei tempi fortunosi in cui la rivoluzione francese aveva scosso lo spirito pubblico anche nei più piccoli paesi, ebbero gran parte ai fatti che turbarono l’alpestre loro paesello, posto Ira il Massese, il Toscano ed il Lucchese. E per un curioso fenomeno psicologico, tante volte ripetuto nelle famiglie, mentre Giovanni si mostrava ardente novatore, il fratello nei pensieri e nelle opere, se ne stava fermo coll’ antico reggimento. Ma convien dire a lode d’ entrambi come siffatta varietà d’ opinione non avesse cancellato nel loro cuore 1’ affetto, onde le opere loro, comechè diverse, non rallentarono nè legami di famiglia, nè il comune amore che portavano al paese nativo. Anzi nell’ora della prova suprema , quando parve a Giovanni che 1’ acquisto di Montagnoso da parte dei Cisalpini, nascondesse propositi di oppressioni e di rapine, non dubitò di prestarsi alla difesa de’ suoi. Curioso uomo questo Don Giovanni, che operando, non per spirito di partito, ma per 1’ amore e pel benefizio del suo paese, colla franchezza del suo carattere e colla lealtà dell’animo, riuscì ugualmente accetto al popolo e al principe, ai Napoleonidi ed ai loro successori in Toscana, tantoché Carlo Lodovico intesane la morte ebbe a dire: Ho perduto un amico. Ma se i due qui sopra accennati vissero in mezzo alle turbulenze politiche, e seppero vantaggiare le condizioni di Montignoso, Carlo si trovò a capo del paese in quegli anni, che con una tremenda insistenza il fiume devastò orribilmente e i casolari e le campagne. Quanto egli s’ adoperasse a menomare i danni de’ tanti infortuni sanno anche oggi i montignosini, che il nome suo con quello del duca munificente ricordano con affettuosa venerazione. Nè Carlo Lodovico, adesso conte di Villafranca, dimentica quei luoghi e i riconoscenti terrazzani, poiché anche di recente scriveva al nostro autore: « Ella sa che sempre fui e sono attaccato a Montignoso , anzi le uniche possessioni che mi restano in Italia, sono principalmente colà, cosichè sono italiano per cuore e per nazionalità, e montignosino come possidente ». L’ autore si ferma alla morte di Carlo, perchè la penna lo porterebbe a parlare dei viventi, ed egli vuol lasciare ad altri la cura di esporne i meriti e le virtù. Dal fin qui detto apparirà manifesto come lo Sforza abbia do\uto in trecciare sovente gli avvenimenti pubblici, con i ricordi privati di fami glia. Ed egli lo ha fatto con grande maestria, operando in guisa narrazione ricevesse dai documenti di cui si giova, quel vivace colorito atto a renderne accetta e molto gradita la lettura. Le copiose anno poste a corredo del suo lavoro racchiudono spesso ignorati particolari, 158 GIORNALE LIGUSTICO * ed è osservabile un’ inedita lettera di Pietro Giordani, nella quale accenna al soggiorno dei Napoleonidi a Serravezza. Sono stampati in fine i Ricordi Storici di Montignoso dal 2 Agosto 1798 al 21 Luglio i799< lasciati da Don Giovanni Sforza, ed a schiarimento 1’ autore gli ha fatti seguire da importanti note storiche desunte da inediti documenti. Finalmente un ben inteso albero genealogico compie questa interessante pubblicazione, la quale mentre serve di compimento alla Stona di Montignoso, già dettata quattordici anni or sono dal nostro Sforza, cosi può servire di utile seguito alle lettere di un giacobino sull’ occupazione di Massa pubblicate da lui nel 1879. Ma non vogliamo chiudere questo annunzio senza rilevare alcuni accenni storici che toccano di cose genovesi. Vediamo come un Bartolomeo Bertacchi montignosino, uomo di certa levatura, che lasciò una cronaca del suo paese, sia stato per sei anni in qualità di precettore nel passato secolo, presso le famiglie Lomellini e Pinelli. Ci è manifesto ^oi che, dopo la venuta dei francesi, i novatori di quel luogo e dei paesi circonvicini si giovavano più specialmente dei giornali genovesi, come II gioì naie degli Amici del Popolo, per le pubblicazioni che loro tornavano opportune. Una Luisa Angelini scrive fra le altre cose da Massa il 1 Ottobre 1797: « A Sarzana il Commissario Federigi (Marco Federici) vi ha messo il terrore. Sono stati esiliati diversi canonici e frati. Alcuni preti » sono stati condannati a morte, ma si sono salvati colla fuga. L però » stato dato il sacco alle loro case e canoniche. Passano di qui molti » emigrati genovesi. Perfino il Vescovo di Sarzana (Vincenzo Maria Mag-» giolo) e molti preti e frati si sono rifugiati costà a Seravezza, mi di-» cono. » E il 3 di dicembre : « Si è saputo che 1500 circa repubblicani » cisalpini e genovesi si trovano fra Sarzana e 1’ Avenza, e corre voce » vogliano inoltrarsi nel Capitanato di Pietrasanla ». Poi nel luglio del-1’ anno successivo : « Un club infernale di liguri, lucchesi ecc. si è fis-» sato qui ». Il Commissario di Montignoso Paolino Raffaelli riferiva alla Reggenza austriaca di Lucca li 5 giugno 1800: « Con la presente riceverà la fausta » notizia della resa di Genova, recata in Sarzana per mezzo di due cor-» rieri alle ore venti e mezzo di questo giorno a quel Comandante la » Piazza. In questi contorni magnifiche illuminazioni, grossi spari e » doppi di campane, pianto e disperazione grande dei detenuti nella for-» tezza di Massa, che non sono pochi ». Poi ai 21 giugno: « Abbiamo avuta in quest’ oggi Γ infausta notizia che Genova sia ricaduta in po- GIORNALE LIEUSTICO I59 » tere de’ Francesi. Avvalora questa notizia la fuga precipitosa fatta da » Monsig. Vescovo di Sarzana alla volta di Massa, allorquando fissato » aveva la sua partenza per Genova, ove gli era necessario trasferirsi » per la morte accaduta poco fa di suo fratello, stato rinchiuso in una » stanza del medesimo suo palazzo, e lasciato ivi morire di fame. Prima » dell’ arrivo in Massa di Monsignore si dava per nova certa essere a » Sestri ; dopo il di lui arrivo si è verificato che fossero entrati in Ge-» nova. Io le partecipo questa nova come si è intesa qua ; ma per anche » non la posso credere certa, quantunque la tristezza dimostrata dagli » interessati nella buona causa, faccia comprendere qualchecosa di tristo ». E in fine ai 26: « I Francesi sono padroni di entrare in Genova: al » Golfo gl’ Inglesi hanno demolito il Forte S. Maria, e portata via tutta » 1’ artiglieria; come lo stesso si dice abbiano fatto in Genova. In Sar-» zana, fino di ieri 1’ altro, fu abbassata la bandiera imperiale e tutte le » coccarde ; ma fino a qui non vi è alberata alcuna altra, nè tampoco si » vedono coccarde francesi, nè liguri. Pervenne in Massa ieri, circa le » ore 21, il Marchese Ollandini con tutta la famiglia e grosso equipag-» gio, fuggito da Sarzana, dove il popolo gridava per tutte le contrade. » viva la libertà! Invigili codesta Reggenza, perchè in codeste parti si » raggira incognito 1’ Aiutante Maggiore di Miollis. Dimani si attende la » scarcerazione dei detenuti, che si dice cosa trattata nell’ armistizio. In » queste parti si teme assai, e vi è confusione ». Curiose notizie, che dipingono a meraviglia il vario sentire, i turbamenti, le incertezze e il repentino avvicendarsi degli avvenimenti. Chittarin Zenei^e. Poesie inedite di Martino Piaggio (Sciò Reginn-a) con una prefazione di Anton Giulio Barrili — Genova, Sordo-Muti, 18S1 — Prezzo L. 4. Ecco un nuovo volume di poesie vernacole di quell’ arguto ingegno che fu Martin Piaggio ; ed esce degno d’ osservazione singolare non solo per la bella forma tipografica, ma assai più per le cure spesevi intorno dal 1’ editore G. Minuto (Partecipazio), e per la notevole prefazione di Anton Giulio Barrili, nella quale con la spigliatezza e coll acume onde va do tato, discorre dell’autore e delle sue poesie, allargandosi a conside^ razioni più alte intorno al dialetto. E ben dice del Piaggio, che i suoi componimenti sebbene « piccioli di mole » pur « son pieni di Qrazia , perchè veramente questa dote, cosi difficile in qualsiaoglia 0enere scrittura, si manifesta spontanea e naturale in queste poesie, anche a dove v’ ha qualche difetto di forma. Chi ne volesse un esempio non ha ι6ο GIORNALE LIGUSTICO che a leggere il gentilissimo sonetto per nozze Torazza-Botto (pag. 79). Nè questa dote va scompagnata dalla festevole urbanità, condita d’attici sali, come può vedersi, fra gli altri, nella Canzone per 1’ arrivo del pa-pagallo (pag. 99), e nel dialogo: Confessione di una monaca, ad un padre Cappuccino, « recitato dall’autore stesso una sera di giovedì grasso nel refettorio del convento delle monache di S. Silvestro, insieme all amico Delucchi » (pag. 239). Vediamo altresì innalzarsi il popolar dialetto a toccare le corde più riposte del sentimento, quando specialmente 1 animo ben fatto dell’ autore stende la mano al fratello dopo un lungo corruccio (pag. 71), e piange con sentito dolore al ricordo della perduta compagna (pag. 163), alla quale quanto affetto ei portava basta a provarlo, nella sua nuda semplicità, questo verso : Levamela d’in ti èuggi nisciun peu.... Tanto è vero che le più volgari espressioni, ricevono nobile e feconda luce dal cuore e dalla mano potente dell’ artista. Ma perchè oggi (lo dirò col Piaggio): I nèuvi vati andæti in procescion A tiâ e fadètte a-e Muse strapassae credono di aver scoperto non so quali nuovi mondi veristi, non voglio finire senza osservare che del vero, secondo natura, ce n’è molto anche qui, esempio il sonetto per una caduta (pag. 37); è però vero sano, e non di quello che, secondo la felice espressione di Cavallotti, riceve ispirazione dalle quattro corde della nova chitarra : Il letto, il cataletto, la latrina e la cantina. Lozzi. Della introduzione della stampa in Genova; nel Bibliofilo, Aprile 1881. Facciamo solamente cenno di questo scritto, per avvertire che l’autore non conosce i recenti lavori intorno allo stesso soggetto, che formano il volume IX degli Atti della Società Ligure di Storia patria, nè Γ articolo del Giuliani sulla Razone de la pasca da noi pubblicato nel fascicolo di marzo. Quanto agli Statuti editi dal Visdomini a Bologna, se ne ha notizia nello Spotorno (Storia lett. lig. II, 174) e negli Atti citati vol. XIV, pag. 82. Diciamo tutto ciò perchè si potrebbe credere, leggendo l’articolo del sig. Lozzi, che nessuno si fosse mai occupato di questa importante materia. Pasquale Fazio. Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 161 della vita e degli scritti c'· - G. B. BALIANO (Continuazione e fine, vedi. pag. 141)· Osservatore attento ed emulo della natura, il Baliano altri sensi reconditi ne comprese. Tanto è vero che mentre la natura nulla di sè scuopre al superbo che s’affida d’indovinarla, o all’ ignorante che superficialmente la osserva, sLrivela mano mano a chi sa con prudente magistero interrogarla. Quella scoperta che bastò da sola a· far quasi intieramente cambiare la fisica, la scoperta, voglio dire, della pressione atmosferica, prima che da Torricelli fu fatta dal nostro insigne concittadino. A tanto lo condussero gli esperimenti che, verso il 1630 , andava facendo per riuscire a portare all’altezza di 21 metro circa, valendosi di un sifone fatto di tubi di rame, 1’ acqua d’ una sorgente all’ opposto versante d un monte, valicandone la costiera. E vuoisi che siffatte esperienze fossero relative al monumentale nostro acquedotto. Certo è che quando la Signoria di Genova, in sul principiare del secolo decimosettimo , decise di prolungare 1’ acquedotto per potei raccogliere maggior quantità d’acqua fattasi necessaria alla cresciuta popolazione, i deputati all’ opera chiamavano a consiglio il Baliano , e gli commettevano poscia di visitare le costruzioni, state affidate ai più valenti ingegneri, e di ri ferirne (1). Non avendo i sopraccennati tentativi del sifone sortito l’effetto desiderato, il filosofo genovese richiese il toscano di spiegargliene la ragione, e gli mandò il disegno dello strumento, gli descrisse tutte le prove fatte per ottenere 1 intento (1) Francesco Podestà, L’acquedotto di Genova, pag. 50, 51 e 57. II Giorn. Ligustico, Anno VII c Vili GIORNALE LIGUSTICO nomeni osservati; espose, insomma, il problema nel modo il più esplicito (i). Rispose sollecitamente Galileo, dicendo potersi far salire Γ acqua in un sifone, o per attrazione o per impulso. nel-Γ alzarla per attrazione essere una determinata altezza di canna, oltre alla quale riuscire impossibile far montare 1 acqua un sol dito, anzi un sol capello ; e tale altezza parergli di 40 piedi e anche meno. — Dell’ assegnato limite indica però una causa lontanissima dal vero (2). La lettera di Galileo ha la data del 6 agosto 1630; ma, a cagion della peste, che tanta desolazione aveva recato alla Lombardia e alla Liguria, Baliano non la riceveva che quasi due mesi dopo, e cioè il 23 ottobre, come si trova notato di mano dello stesso Baliano sull’ultima pagina dell oiiginale di una sua lettera che si conserva nella Biblioteca Nazionale. Il nostro sommo filosofo aveva frattanto trovata la soluzione dell’ astruso problema, e, semplice come la natura stessa che gliel’aveva confidata, la sottomise al giudicio di Galileo, in una lettera che gli inviò il giorno 26 di detto mese (3), della quale reco qui i brani più importanti. « ..... Io non son già dell’ opinione volgare, che non si dia vacuo, però non mi potei dar a credere che si desse il vacuo in tanta quantità e così facilmente. E per non mancar di dirle la mia opinione intorno a ciò, io ho creduto che naturalmente il vacuo si dia da quel tempo che io ritrovai che 1 aria ha peso sensibile, e che V. S. m’insegnò in una sua lettera il modo di ritrovarne il peso esatto (4), ancorché non mi sia riuscito finora il farne esperienza. Io dunque allora formai (1) V. documento C. (2) Annali delle Università toscane, toin. Vili, pag. 31. (3) Galilei, Opere, tom. IX pag. 210. (4) La lettera cui allude il Baliano ha la data del 12 di marzo 1614 (Annali delle Università toscane: tom. VIII, pag. 28). GIORNALE LIGUSTICO 163 questo concetto, che non sia vero che ripugni alla natura delle cose che si dia vacuo, ma ben che sia diffìcile eh’esso si dia, e che non si possa dar senza gran violenza, e che si possa ritrovar quanto debba essere questa tal violenza che si richiede per darsi vacuo. E per dichiararmi meglio, essendo che, se Γ aria pesa, non sia differenza fra 1’ aria e l’acqua che nel più e nel meno, è meglio parlar dell’acqua, il cui peso è più sensibile, perchè poi lo stesso dovrà avvenire del-1’ aria. Io mi figuro dunque d’ esser nel fondo del mare ove sia 1’ acqua profonda diecimila piedi, e non fosse il bisogno di rifiatare, io credo che vi starei, sebbene mi sentirei più compresso e premuto da ogni parte di quel eh’ io mi sia di presente ; e perciò io credo che io non potrei star nel fondo a qualsivoglia profondità d’ acqua, la quale, crescendo in infinito, crescerebbe per mio avviso tal compressione in modo, che le mie membra non vi potrebbon resistere. Ma, per ritornare, dalla detta compressione in fuori, io non sentirei altro travaglio, nè sentirei maggiormente il peso dell acqua di quel ch’io mi faccia, quando, entrando sott’acqua la state bagnandomi nel mare, io ho dieci piedi d’ acqua sul capo senza che ió ne senta il peso. Ma se io non fossi entro Γ acqua, che mi preme da ogni parte, e fossi non dico in vacuo, ma nell’aria, e che dalla mia testa in su vi fosse l’acqua allora io sentirei un peso ch’io non potrei sosteneie che quando avessi forza a lui proporzionata in modo che, ancorché separando io violentemente le parti supeiioii dell acqua dalle inferiori, non vi rimanesse vacuo, ma vi subentrasse alia, ad ogni modo vi vorrebbe forza a separaile, petò non infi nita ma determinata, e via via maggiore, secondochè la profondità dell’acqua, sotto la quale io fossi, fosse maggiore, la quale, non vi ha dubbio, chi fosse nel fondo detto di sopra di diecimila piedi d’ acqua, stimerebbe impossibile far detta separazione con qualunque forza, come che egli mai 164 GIORNALE LIGUSTICO non ne farebbe la prova, e pur si vede che non sarebbe vero che fosse impossibile, ma che Γ impedimento gli veri ebbe da non aver lui tanta forza da poter fare all’ acqua una tal violenza che fosse bastante a superarla. « Lo stesso mi è avviso che ci avvenga nell aria, che siamo nel fondo della sua immensità, nè sentiamo nè il suo peso, nè la compressione che ci fa da ogni parte, perchè il nostro corpo è stato fatto da Dio di tal qualità che possa resistere benissimo a questa compressione senza sentirne offesa, anzi ci è per avventura necessaria, nè senza di lei si potrebbe stare; onde io credo che, ancorché non avessimo a respirare, non potremmo stare nel vacuo; ma se fossimo nel vacuo allora si sentirebbe il peso dell’aria che avessimo sopra il capo, il quale io credo grandissimo: perchè, ancorché 10 stimi che quanto V aria è più alta sia sempre più leggiera, 10 credo che sia tanta la sua immensità che, per poco che sia il suo peso, conviene che si sentisse quel di tutta quell aria che ci sta sopra, peso molto grande, ma non infinito, e percio determinato, e che con forza a lui proporzionata si possa superare, e perciò causarsi il vacuo. Chi volesse ritrovar questa proporzione converrebbe che si sapesse Γ altera dell’ aria e il suo peso in qualunque altera. Ma, comunque sia, io veramentè lo giudicavo tale, che, per causar vacuo, io credeva che vi si richiedesse maggior violenza di quella che può far Γ acqua nel canale non più lungo di 80 piedi ». La vera causa del sollevarsi dell’ acqua nel vuoto è chiaramente esposta in questa lettera, la quale quindi mostra la nobiltà della mente che la dettava, verissima parendomi la sentenza di Galileo che « il ritrovare la risoluzione di un problema pensato e nominato è opera di maggior ingegno assai, che il ritrovarne uno non pensato nè nominato; perchè in questo può avere grandissima parte il caso, ma quello è tutto opera del discorso (1) ». ii) Galilei, Saggiatore. GIORNALE LIGUSTICO Il fisico toscano non trovò giusta la spiegazione data dal Baliano, se pure, in sua mente rivolgendola, non l’accolse negli ultimi anni di vita, quando cioè con E. Torricelli, suo ospite e coadjutore (i), cercava di spiegare il fatto riferitogli da alcuni uomini di Firenze, i quali, volendo far salire acqua a certa altezza con la tromba aspirante, videro, maravigliati, che, per quanto s’ingegnassero, s’ innalzava a 9 metri e mezzo circa solamente, e non più (2). E fu appunto lo studio di questo fenomeno che condusse il Torricelli a immaginare (3), nel 1643, quel famoso esperimento, che ne porta il nome, esperimento che confermava pienamente la dottrina da Baliano professata da oltre 13 anni. Il discepolo e ospite di Galileo ignorava egli la spiegazione che del fenomeno del sifone aveva data il nostro concittadino ? La risposta è ardua, e io mi contento di avvertire che Torricelli nella spiegazione del suo esperimento ripete i concetti del Baliano (4). (1) Volendo Galileo, negli ultimi suoi anni, raccogliere in varii Dialoghi certe speculazioni che aveva in mente, ed essendo del tutto cieco e cagionoso, scelse a suo compagno e aiuto Evangelista Torricelli (Galilei, Opere complete, prefazione generale). (2) « I fontanieri del Granduca di Toscana avendo avuto bisogno di trombe di 50 circa piedi, videro con loro sorpresa, che, messe in azione, non facevano giungere l’acqua che fino all’altezza di 32 piedi circa ». (Enciclopedia generale italiana, barometro). (3) « Diciamo che Torricelli immaginò quest’esperienza, poiché egli la pensò e razionalmente ne previde il risultato ; mentr essa fu eseguita, dietro suo avviso, dal Viviani, altro discepolo del Galileo ». (Gio\anni Cantoni, Elementi di Fisica, pag. 159, nota). (4) «... Se trovassi una causa manifestissima dalla quale derivi quella resistenza che si sente nel voler fare il vacuo, indarno, mi pare, cherebbe d’ attribuire al vacuo quell’ operazione che deriva apertamente da altra cagione ; anzi che, facendo certi calcoli facilissimi, io trovo che la causa da me adottata, cioè il peso dell’aria, dovrebbe per se sola far maggior contrasto, che ella non fa nel tentarsi il vacuo. Dico ciò perchè ι$6 GIORNALE LIGUSTICO Si diffuse'ben presto la notizia dell’ esperimento di Toi ricelli , non la spiegazione, la quale dall’ autore era stata confidata soltanto a qualche intimo amico: e infatti il padre Mer-senne di Parigi la richiese al nostro concittadino. E il Baliano colse Γ occasione per rivendicare a sè la priorità della scoperta della pressione atmosferica (i). Indarno però : e in questo ingiusti furono i contemporanei, ingrati i posteri. È solamente da pochi anni che, studiando i suoi scritti, confrontandoli con quelli di Galileo, di Torricelli, di Pascal, e ìisco-ntrandone le date, fu proclamato il primo scopritore della pressione atmosferica (2). qualche filosofo vedendo di non poter fuggir questa confessione che la gravità dell’ aria cagioni la ripugnanza che si sente nel fare il vacuo, non dicesse di concedere 1’ operazione del peso aereo, ma persistesse nell asseverare che anche la natura concorre a repugnare al vacuo. Noi viviamo sommersi nel fondo di un pelago d’ aria elementare, la quale per esperienze indubitate si sa che pesa, e tanto, che questa grossissima vicino alla su perfide terrena, pesa circa una quattrocentesima parte del peso dell acqua. Gli autori poi dei crepuscoli hanno osservato, che l’aria vaporosa e visi bile si alza sopra di noi intorno a cinquanta 0 cinquantaquattro miglia, ma io non credo tanto, perchè mostrerei che il vacuo dovrebbe far molto maggior resistenza che non fa, sebbene vi è per loro il ripiego, che quel peso scritto dal Galileo, s’intenda dell’ aria bassissima dove praticano gli uomini e gli animali, ma che sopra le cime degli alti monti, l ana co minci ad esser purissima, e di molto minor peso, che la quattrocentesima parte del peso dell’ acqua ». (Legioni accademiche di Evangelista Tonicela Firenze, 1715). (1) Gio. Battista Baliano, Opere diverse, in Genova, 1666, pag. 277. Il Baliano rispondendo, il 25 di novembre del 1647, al padre Mersenne, espone le idee che aveva comunicate al Galileo nel 1630; e poiché il filosofo toscano era morto nel 1642, adduce la testimonianza del gesuita Ghiringhelli e di un Durazzo. Nella stessa lettera assegna alla colonna d’acqua ne’ tubi chiusi in cima l’altezza di 40 palmi e 5/7 circa (10.m, 142)· (2) Tra le cinque letture fatte nell’ adunanza generale del 15 giugno 1867 della Reale Accademia delle scienze di Torino per celebrare 1 inaugurazione del monumento a Luigi Lagrange, ci fu questa: Nota intorno GIORNALE LIGUSTICO Onde se giustamente il nostro sommo concittadino fu rappresentato col suo libro del moto in mano, con maggior ragione si deve aggiungere al libro il sifone. Altri titoli di gloria ha il nostro sommo concittadino. Per non riuscire soverchiamente lungo, tacerò delle opere in sua vita pubblicate (i), e sfiorerò soltanto le lettere che al primo scopritore della pressione atmosferica, del prof. Gilberto GovL In essa il chiarissimo professore di Fisica nella R. Università di Torino, valendosi della lettera del Baliano del 27 luglio 1630, e degli scritti di Torricelli , di Descartes e di Pascal, rivendica al matematico genovese M priorità della scoperta della pressione atmosferica. Alla fama di Lagrange, « che stabilì tutta quanta la meccanica sui principii posti da Galileo , e col suo nome immortale accrebbe ancora , se era possibile, lo splendore di quello del cieco prigioniero d’Arcetri », volle raccomandare «lame-moria dell’ amico di Galilei , del genovese matematico e meccanico insigne , che 1’ incuria degli uomini avea quasi condannato all’oblio ». « Libri però (fa osservare lo stesso prof. Govi) nella sua Histoire des sciences mathématiques en Italie (Paris 1841, tom. IV, pag. 270, nota) dice che « le premier qui ait eu l’idée d’expliquer 1’ ascension de l’eau dans les pompes par le poids de l’air extérieur, ce fut Baliani, savant génois d’un grande mérite, qui écrivit à ce sujet différentes lettres à Galilée ». Ma Libri non conosceva delle lettere di Baliano se non quei frammenti che ne aveva pubblicato il Venturi nelle sue Memorie e lettere inedite finora, 0 disperse di Galileo Galilei, Modena 1818 , parte II, pag. 105 e 106. Che se egli avesse potuto leggere per disteso la dimostrazione del Baliano , non ne avrebbe al certo quasi nascosto il nome in una nota. Anche Whewell nella sua History of thè inductive sciences frovi thè ear-liest to thè present time, ediz. del 1847, vol. II, pag. 66 e 67, cita un passo di Baliano relativo al peso dell’ aria , ma son poche parole appena della lettera a Galileo del 1630 e neppure attinte all’ opera di Venturi, si bene ad una Biografia di Galileo del Drinkwater ; cosicché il Whewell non dà al matematico genovese tutto quel merito che veramente gli appartiene » Atti della R. Accademia delle sciente di Torino, 1866-67, vol. II, pag. 562. (1) Eccone l’elenco: i.° De motti naturali gravium solidorum, Genuae 1639, in 4., e poscia , ivi, ex typogr. Io. Mariae Farroni, 1646, in 4. Questa seconda ediziorie fu notabilmente accresciuta ; infatti la prima si compone di un libro solo, i6S GIORNALE LIGUSTICO di lui si conoscono scritte a’ scienziati, nelle quali non sono infrequenti i lampi di genio. Il 31 gennaio del 1614 esprimeva a Galileo Γ opinione che « le macchie solari possano esser cagione di più o men caldo e della varietà de tempi... onde non sarebbe inconveniente farne qualche esperienza... laddove la seconda ne contiene sei, dei quali gli ultimi tre trattano de motu naturali liquidorum. 2.0 Trattato della pestilenza, ove si adducono pensieri nuovi in più materie: in Savona per Gio. Tommaso Rossi 1647, in 4,; e poscia in Genova fer Benedetto Guasco, 1653, in 4. 3.0 Opere diverse, in Genova per Gio. Calenxani 1866, in 4· Q.uest opere sono divise in 5 dialoghi, in tre trattati, e in 12 altre operette, e cioè. 1.° Della virtù morale , dialogo I. 2." Della filosofia naturale e suoi principii, dialogo II. 3.0 Degli atomi visibili, dialogo III. 4.0 Della luce e suoi effetti, e in particolare intorno alla iudiciaria, dial. IV. 5.0 Dell' anima del mondo , dialogo V. 6.° Dell’ amicizia , trattato I. 7.0 Della fortuna del mare, trattato II. 8.° Delle lettere di cambio, trattato III. 9.0 De logica , opusc. 10.0 De causis, opusc. H.° De metafisica, ecc. 12.0 Quomodo animal moveatur..... 13.0 An agetis agat in distans. 14.0 An detur vacuum. 15.0 De velocitate et de vi motus in vacuo. ^ 16.0 De ambitu terrae. 17.0 Gravia qua ratione descendant. 18.0 De trochlea. 19.0 De trireme movenda velocius. 20.° De curru commodiore. 21.0 Forma metiendi prisma laterum inaequalium. 22.0 Ducere lineam geometrice continentem quas partes libuerit. 23.0 De solari horologio ubicumque facile describendo. 24.0 De visione. 25.0 De coloribus a vitro trigono ortis. GIORNALE LIGUSTICO per vedere se fosse possibile dal numero e dalla situazione delle macchie prevedere il tempo (i) ». Tornava su questo suo mirabile concetto il 4 aprile , e a un maggior numero di macchie nel sole « attribuiva i tempi degli ultimi giorni di marzo più freddi e turbati di quel che pare comporti la stagione (2) ». Del galleggiare del ghiaccio , egli trovava la cagione « ne’ vani che i gruppi solidi possono lasciar fra di loro (3) ». Conosceva la trasformazione del moto in calore, e lo prova 1’ istrumento con cui faceva cuocere senza fuoco: « perchè (1) Galilei, opere, complete, tom. Vili, pag. 300. (2) Ivi, pag. 311. — Le acutissime idee del Baliano vengono oggidì professate da valenti cultori della meteorologia. La frequenza delle macchie solari soggiace a varianti, il cui periodo è in media di 10 a 11 anni. Nella durata d’un periodo il numero delle macchie passa da un minimum ad un maximum, per ritornare a un minimum. La periodicità delle macchie avrebbe influenza sui fenomeni meteorologici. Il signor Carlo Meldrum (Annuario scientifico e industi iale, 1878 , pag. 74) studiò le osservazioni raccolte sulla coincidenza della periodicità delle macchie solari colla quantità annua di pioggia e di neve, e analizzando i risultati di 102 stazioni pluviometriche venne alle seguenti conclusioni : 1. « Nelle diverse parti del mondo (salvo nell Asia , dove leosser-. vazioni sono molto scarse per uno studio serio) le pioggie sono più copiose negli anni corrispondenti ai massimi delle macchie solari che nelle epoche dei minimi ; 2. Dal 1815 al 1872, la media annuale della pioggia in Europa, dove le osservazioni sono le più numerose, è stata, invariabilmente più grande negli anni di maximum di macchie solari che non negli anni di minimum. , . 3. In generale le somme annuali della pioggia crescono dal mimmo al massimo di macchie, per decrescere in seguito fino al prossimo 1111- nimo ». . . Non mancano poi meteorologisti che affermano «ere le osservazioni provato che le macchie diminuiscono l’attività solare. (3) Galilei, Opere complete, toni. Vili, pag. 301. I70 GIORNALE LIGUSTICO V. S. — scriveva egli al Galilei — desidera che io le dica il modo di cuocer senza fuoco, io ho fiuto fare un vaso di ferro col fondo piano, rotondo, di diametro circa una spanna, e un altro ferro pur rotondo e piano dello stesso diametro, il qual ferro io faccio voltar velocemente o per mezzo d’una ruota grande o di acqua corrente, sopra il quale faccio posare il fondo del detto vaso, che stia ben fermo. Or dunque con lo stropicciarsi insieme si riscaldali tanto i detti due ferri, che si riscalda anche e si cuoce ciò che si pone dentro nel vaso (i) ». Dell’orologio a secondi erasi proposto fare bellissime applicazioni, tra le quali quella di misurare le grandi distanze « per mezzo della differenza del tempo, che è fra la vista e l’udito », ossia tra la velocità della luce e del suono : « facendo sparare (diceva nella sua lettera del 23 aprile 1632 al filosofo fiorentino) una artiglieria lontano circa 30 miglia, purché io possa vederne il fuoco e sentirne il tuono, dalla lor differenza verrei in cognizione della distanza precisamente (2) ». E non passerò sotto silenzio la spiegazione che dell’ origine delle fontane , intorno alle quali fantasticarono non poco gli antichi , egli esponeva a Famiano Michelini (3). Da questi cenni, benché brevi e incompleti, si vede quanto sarebbe importante per la storia della scienza il rintracciare le mólte lettere del Baliano, che, come si può facilmente arguire da quelle che già si conoscono, trovansi qua e là disperse e dimenticate. Lunga fu la vita del Baliano secondo il corso ordinario della natura : fu breve per la scienza, che non potè quindi avvantaggiarsi di tutti gli studi di quella mente elettissima. Nel corso quasi secolare di sua vita mantenne saldo e viti) Ivi, pag. 311. (2) Ivi, tom. IV, pag. 265. (3) V. documento D. GIORNALE LIGUSTICO 171 goroso l’intelletto. A 84 anni occupavasi della ristampa de’ suoi opuscoli, e attendeva a perfezionare altri lavori, tra i quali un trattato da ingegneri. Pressoché tutti gli scritti inediti andarono perduti. Indarno lo storico Soprani, contemporaneo del Baliano, sperò dalla benignità degli eredi che, per consolazione dei letterati, dovessero un giorno comparire alla luce (1). Di questa perdita è a dolere vivamente, in ispecie per il trattato da ingegneri, nel quale si sarebbero certo ammirate altre prove del-1’ eccellenza del Baliano nella matematica e nella meccanica. Morì nel 1666 e, pare, di apoplessia. Almeno ciò si può arguire da un avviso, con cui finì l’ultimo de’ suoi volumi pubblicati in Genova nello stesso anno. « A capo delle suddette materie stampate sinora (scriveva egli) m’è sopravvenuto ai 6 del corrente mese di agosto 1666 una occupazione di testa, con indebolirmi il moto della mano manca, con pormi in dubbio, che perseverando nello studio potessi incorrere in qualche male apopletico , onde ho deliberato di lasciar per ora di più stampare; se pero io ìitoi-nassi in istato di poterlo fare , penserò d’ andar seguendo le materie che già ho abbozzato, e sono : un trattato della febbre, uno di materie legali, uno di cose intorno 1 arte poetica, uno da ingegneri, e finalmente alcune quistioni teologiche. (1) « Gio. Battista Baliano, la finezza del cui intelletto avrebbe, senz a-doprar ferro, sciolto con vera maestria il più intricato nodo gordiano, collo stame dei suoi studii penetrò felicemente gl’intricati laberinti delle più difficoltose dubbietà , che considerar si possano in tutte le scienze, e particolarmente nella Filosofia, Matematica e Legai profession^, nelle quali più volte si dimostrò raro : in prova di che abbiamo di suo stampe 1’ opere seguenti, la perfezione delle quali rende niag0iorme ^ desiderabili molt’ altre, ch’egli mai si compiacque di spri0' suoi scrigni e gabinetti ; ma essendo a miglior vita passato pochi mesi sono nel 1866, si può sperare dalla benignità de’ suoi eredi, eie per * consolazione de’ Letterati debbano un giorno comparire alla luce.... » 0-prani, Scrittori della Liguria, pag. 144· GIORNALE LIGUSTICO » In tutte queste materie, come in tutte le altre mie, ho procurato due cose , la prima che per quanto può supplii e la debolezza del mio ingegno, siano ben provate ; la seconda, che non siano cose dette da altri, essendo io molto alieno da replicare altrui: se io non miglioro di salute, piego il lettore accettare la mia buona volontà. » Queste parole, mentre rivelano la semplicità e la bontà di animo del grand’ uomo, mostrano anche quanto egli, pei l’indole della mente avida del vero, sorpassasse la maggiot parte dei dotti de’ suoi tempi. E valga il vero: che cosa eia in allora la scienza? e anzi, c’era una scienza? Può così chiamarsi un insieme di errori in qualche sistema ordinati, frutto di parole, di citazioni, di cavilli, di menti non scevie di preconcette idee, e incapaci quindi di ribellarsi all autorità degli antichi maestri? La scienza, per dirlo con le belle parole di Humbold , è 10 spirito applicato alla natura : e però non incomincia che quando lo spirito s’ impadronisce della materia. Cadono allora le opinioni senza fondamento, le quali avevano preso 11 posto dei fatti : si rovesciano i miti simbolici, i quali, consacrati dal tempo, s’erano reputati quali teorie fondamentali: e su queste rovine s’innalza un nuovo edificio, a cui si porteranno bensì nuovi materiali a crescerne la mole, ma non più alcuno stromento per abbatterlo dalle fondamenta. Baliano, assetato del vero, nulla annuncia che non sia provato dall’ esperienza, da questo imparziale ed esatto giudice delle scoperte. Spezza cosi quelle catene che facevano strisciare ignobilmente per terra l’umano pensiero, quando la sua natura lo porta a spaziar nel cielo. E però come i suoi scritti e le sue scoperte sono testimonio imperituro di ingegno acutissimo, i suoi procedimenti sperimentali contribuirono a mostrare la via ai coltivatori dei campi sconfinati della scienza. CIGRNALE LIGUSTICO m Ecco i titoli dal Baliano acquistati all’ immortalità della gloria, la più alta ricompensa di cui possa disporre Γ umana società. E non è a maravigliare, che egli sia rimasto per tanto tempo sconosciuto ai più: questo pur troppo tocca in sorte frequenti volte a chi stampa le sue orme nelle sublimi regioni della scienza. Ma il vero merito è immortale. Passano i secoli con sacra missione sulla terra : rovesciano le false glorie , e scoprono le vere e le fanno splendere di viva e durevole luce. Per due secoli furono dimenticati col Baliano il Cavalieri e il Cesi, ma, rinnovellatisi gli uomini, vennero additati all’ ammirazione universale, e la fama loro durerà quanto il moto lontana (i). Senonchè non 'è intera la lode che 1’ uomo ottiene se col titolo di sapiente egli non merita insieme quello di buono. E Baliano fu e sommo filosofo e cittadino egregio. « Ha impiegato (lasciò scritto l’abate Giustiniani (2) suo contemporaneo) i suoi politici talenti in diversi magistrati della Repubblica con molta integrità e lode λ. Ebbe vivendo i sommi onori, e questi provano anch’essi l’alta stima in che era tenuto. Fu Prefetto della fortezza di Savona nell’ anno 1611, e Governatore della stessa città negli anni 1626, 1628 e 1647 (3)· E nella città natia copri sei volte la carica di Senatore (4). (1) A Bonaventura Cavalieri, nato in Milano nel 1598, professore di matematica in Bologna dal 1629 al 1647, autore immortale della geometria degli indivisibili, la città natale dedicava, inaugurando nel 1844 il sesto congresso scientifico italiano, una statua. (2) Giustiniani, Gli scrittori Liguri, tom. I, pag. 195. (3) Sotto la direzione del Baliano furono fatti parecchi lavori di fortificazione nella riviera occidentale. (V. Verzellino , Delle memorie particolari e degli uomini illustri della città di Savona. Ms. Biblioteca Civica). (4) Della Cella, Famiglie di Genova, tom. I, pag. 55 e 56· Ms· (Bl* blioteca della R. Università). V. anche i già citati manoscritti del Buo-naroti e del Giscardi. 174 GIORNALE LIGUSTICO Donde si vede che il nostro concittadino non poteva essere scienziato che quanto glielo permetteva 1 uomo pubblico. E chi sa quali altri arcani della'natura avrebbe penetrati se a’ suoi dilettissimi studi avesse potuto dedicarsi. Considerando poi le molte sue occupazioni politiche , gli scritti licenziati alle stampe, e gli altri rimasti inediti; il nobilissimo suo proposito di non affermar cose che non fossero ben provate, e i tempi in cui visse, ne quali non era comodità di strumenti, si vedrà altresì nel Baliano un esempio di mirabile operosità. Amava le arti gentili: e come avrebbe potuto non amarle se la mente ebbe sempre rivolta al bello e al buono? E pei fermo : « in tempi non dai nostri lontani fu disseppellita dal palazzo Baliani in Canneto, rimpetto all’ archivolto che ne serba il nome, una lapida romana e uno squisito bassorilievo di greco scalpello (i) ». Splendida testimonianza dell’ animo eletto del Baliano è pure il suo testamento (2), nel quale quelle virtuose opeie, a cui aveva coll’esempio educati i figli; raccomanda come tesoro inestimabile. Aiuole che il suo cadavere non abbia che il modesto accompagnamento di 3 frati di S. Lorenzo e di 3 dell Annunciata , e che sia sepolto nella Cappella de’ suoi maggiori al Vastato (3). Sebbene padre di 8 figli, 2 maschi e 6 (1) Desimoni, Notizie di Paris Saivago ecc. in questo Gioì naia II, 465, III, 41. (2) Ha la data del 27 maggio 1660. (3) Chiesa della Nunziata. Nella cappella del Crocifisso, e a sinistra della porta che mette al Convento, vedesi anche al presente la seguente lapida. ISTA CAPELLA EST THERAMI BALIANI ET HEREDUM SUORUM QUAM IPSE SUO PROPRIO AERE FIERI FECIT. ANNO DOMINI MDXXII. giornale ligustico 175 femmine, tutte monache, non dimentica di beneficare Γ Albergo dei 1 overi, lo Spedale di laminatone e dei Cronici. Esorta i figli a vivere nel timore di Dio ; a tenere gran conto delle sorelle , ad amarle più di sè stessi ; li esorta a star uniti, a vivete insieme per quanto sia possibile , cosa che sarà loro di utile e ìiputazione, e che conseguiranno se si onorino Γ uno coll altro ; gli esorta infine a procurar sempre la libertà della patria , ad anteporre il bene della patria al proprio. Dei tre palazzi (1) che possedeva fa due parti, ed instituisce un fidecommesso. E vuole che se alcuno dei figli o dei discendenti si renda ribelle alla volontà dei Reggitori della cosa pubblica, perda il beneficio del fidecommesso. Α1Γ esempio e alle esortazioni paterne corrisposeroi figli e i discendenti, i quali si resero anch’ essi benemeriti della patria, quando Senatori, quando Ambasciatori e quando Governatori di città soggette a Genova (2). Sotto a questa havvene un’ altra : CAPELLAM HANC QUAM OLIM TH. BALIANI FIERI FECIT FR. SERRA JAC. FIL. PERFICI PROPRIO AERE . CURABAT A. D. MDCCXLII. Lo stemma dei Baliano può vedersi nel tomo IV dei manoscritti di Piaggio intolati : Monumenta Gentiensia, tom. IV (Biblioteca Civica). (1) « Casa e villa in Carignano confinante da tutte parti con la via pubblica ; casa di Genova posta vicino a Piazza Nuova ; casa con bottega e giardino fuori Porta d’ Arco ». (2) Bernardo e Nicolò figli di Gio. Battista furono Senatori negli anni 1668, 1672 e 1681, il primo, nel 1662, 1677, 1684. e 1690 il secondo. Dal-1’anno 1663 al 1667; Bernardo copri la carica di Residente della Repubblica presso il Re di Francia, come si può vedere dalla relazione (V. Cose di Genova, da pag. 575 a 618, Ms. Biblioteca Bngnolc-Salc) che egli presentava alla seren.ma Repubblica. Nel 1678, fu eletto Governatore di Corsica. Carlo di Nicolò fu Senatore negli anni 1702, 1715 e 1729 (Giscardi, Alberi genealogici. Diìlla Cella, Famiglie di Genova). GIORNALE LIGUSTICO Dei due figli del Baliano Nicolò soltanto ebbe figli. Di questi tre morirono senza lasciar prole, e 1 altio, Carlo, non ebbe che una figlia, a nome Barbaretta, la quale andò sposa a Vincenzb Spinola, e si spense la stirpe (i)· D. Giusto. * DOCUMENTI A. La Biblioteca di Brera possiede 4 lettere del Baliano a B. Cavalieri, ne feci mandar copia, ed era mio vivo desiderio di fregiarne questo qualunque sia lavoro. Ma perchè la copiatura non mi pare senza errori, e lo arguisco dalle date e da parole omesse o frantese, debbo i.onten tarmi di pubblicare un brano d’ una, che ha la data del 23 settembre 1639. « Io pubblicai la mia operetta del moto, affinchè, veduta e censura da più dotti, mi desse norma circa il risolvermi di dar fuori molte altre mie cose. Fui avvisato da Milano che era venuta alle mani di vostra gnoria, e che ne avea dato il giudicio : non seppi però appunto qual ei si fosse, e perciò tentai di saperlo col mezzo del Signor Fortunio, il che mi è riuscito meglio che io non avea sperato, avendo Vostra Signoria voluto farlo, dandomene raguaglio sì distinto con la gentilissima sua let tera. Il che io ho riputato a grandissimo favore, di che le resto obbliga tissimo. » « Per quello che dice intorno alle supposizioni, dirò prima in genere che per esser il fondamento d’ ogni cosa , io ho avuto per bene di averle per principio di scienza per le ragioni accennate nella prefazione, e per dichiararmi meglio, ancorché io abbia fatto qualche studio nelle materna^ tiche, il mio genio è stato più tosto circa il cercare le cause e gli effetti delle cose naturali, de’ quali ho sempre stimate che se ne sappia poco, perciocché non ci serviamo, ove si può, dell’ aiato delle matematiche, le quali, ci assicurano del vero, onde io ho cercato di servirmene.... » (1) Giscardi, Origine e fasti delle famiglie di Genova. GIORNALE LIGUSTICO I?? B. Ecco la lettera con cui Baliano raccomandava il Michelini a Galileo. « Ancorché sia gran tempo, ch’io non abbia avuto lettere di V. S., nè scrittole, non è però eh’ io non sia l’istesso suo parziale eh’ io ero in tempo del sigrtor Filippo Salviati, che sia in cielo, e dopo, per quel tempo che di parole e con lettere io riceveva de’ suoi favori. Che perciò ho preso volentieri 1’ occasione di raccomandarle con questa mia il Padre Francesco di S. Giuseppe dei Padri delle Scuole Pie , il quale è avido dell’ amicizia di V. S., come io di cooservarla. Esso è giovane virtuoso e studioso, e in qualche parte delle matematiche, ha, a mio parere ecceduta la mediocrità. Prego V. S. a favorir detto Padre nelle occasioni che se le presenteranno , ed io gliene resterò obbligatissimo. Sto con desiderio di veder uscir fuori qualche nuovo parto di V. S., alla quale bacio con ogni affetto le mani e priego ogni contento. » La raccomandazione non fu indarno, e il Michelini non ismenti le speranze che di sè aveva fatto concepire. Matematico e filosofo valente, fu scelto dal Granduca di Toscana a precettore de’ suoi fratelli, Carlo e Leopoldo. « Ben conoscendo e valutando 1’ abilità del Michelini (scrive Targioni Tozzetti negli Alti e memorie inedite dell' accademia del Cimento, a pag. 189, tom. I) il Granduca lo impiegò in varii importanti commissioni di regolamenti di acque dello Stato, e specialmente nella pianuia di Pisa, nelle quali egli riusci felicemente, con soddisfazione del Principe e con utilità del Pubblico ». Tra gli scrittori d’idraulica è chiaro il nome del Michelini per il suo trattato: Della direzione dei fiumi, stampato a Firenz. nel 1664 a spese del principe. Lasciò più altre opeie imperfette, delle quali si può avere notizie nel I volume delle Lettere inedite di Uomini Illustri Era anche medico assai distinto, « ed anzi si può dire (ia osser citato Targioni To^etti) che nel paese nostro fosse uno de’ principali autori del miglior metodo del curare ». _ Della patria di Michelini si tace da que’ pochissimi che di lui occupati, il Targioni eccettuato, il quale nella sopì acitata sua p pag. 365 del tomo I, ha la seguente nota: * Sono poi stato favorito dal chiarissimo p. Carlo Antonioh de la medesima religione delle Scuole Pie, delle seguenti notizie: secondo .lpacr Vincenzo Talenti, scrittore molto esatto, nacque il Micie ini ’n -· verso il 1600: si vesti poi verso il 1615 Religioso delle Scuok: Pie qualità di Cherico operaio, e in tale stato, e perciò col nome di Frate 12 Giork. Ligustico, ..inno VII t Vili. GIORNALE LIGUSTICO Francesco, venne in Toscana nel 1630. Nel 1635 in circa fu maestro di matematica de’ Serenissimi Principi, Gio. Carlo e Leopoldo ; e colla protezione dei medesimi ottenne d’ esser promosso agli ordini sacri e al sacerdozio in sul finire del 1637..... » c. 9 Lettera di Baliano a Galileo, da Genova 27 Luglio 1630. « Io vengo di rado a ricercar favori da V. S. per non tediarla; ma mi occorre ora un dubbio, che, non sapendol sciorre, mi è forza ricorrere a Lei, pregandola che me ne dica ciò che le occorre. Ci conviene far che un’ acqua di due onde di diametro in circa traveisi un monte, e per farlo conviene che 1’ acqua salisca a piombo 85 palmi di Genova, che son circa 70 piedi geometrici; e per fello ab-biam fatto un sifone di rame conforme al disegno inchiuso , ove CA è il livello, A ove si piglia 1’ acqua, B ove ha da uscire, D 1 imbottatoio, per dove si empie il sifone, DE 1’ altezza a piombo che 1 acqua ha da salire. Però questo sifone non fa l’effetto desiderato; anzi apeito, an corchè chiuso dal di sopra, 1’ acqua esce da tutte due le parti, e se si tien chiuso da una parte in aprendo dall’ altra, ad ogni modo da questa esce 1’ acqua. Io non mi posso dar a credere che 1’ acqua abbia in questa occasione voluto appartarsi dalle sue proprietà naturali, onde è foiza che uscendo 1’ acqua, vi sottentri aria dalla parte di sopra, però non si ' ede di dove. « Avviene un’ altra cosa che mi fa stupire ; ed è, che aprendosi la bocca A, esce 1’ acqua sin che dalla parte D sia scesa per la metà incirca, cioè sino a F, e poi si ferma.· Io sono andato considerando se possa esseie che jl canale o sifone abbia qualche pori, ma che 1’ acqua non possa passarvi, e nè anche l’aria senza gran violenza; e perciò se il canale è pieno, l’acqua A sia tanto premuta, che faccia forza tale, che 1 aria sottentri per li pori che sono verso la parte di sopra, in modo che 1 acqua possa scendere per esso sino a F, senza che vi rimanga vacuo. Scesa poi in F, non restando nel canale altra acqua che la FA, questa non abbia forza di far violenza tale all’ aria, che possa sforzarla ad entrare per li pori suddetti. Il canale è di rame, e, come ho detto, di due oncie di vano, pesa circa 15 oncie per palmo, nè per diligenza usatavi si può veder che abbia meati sensibili. « Ho voluto narrarle questa cosa a fine che V. S. possa più facilmente ritrovare in che consista il mio errore, e favorire di avvertirmene. Sto GIORNALE LIGUSTICO 179 con desiderio aspettando che sia uscito qualche suo nuovo parto, e a V. S. bacio per fine con ogni affetto le mani, con offerirmi prontissimo a ricevere i suoi comandamenti ogni qualvolta le piacerà fare esperimento •della mia devota servirù ». Galilei, Opere complete, tom. IX, pag. 195. D. « Ad esso Famiano Michelini io sospetto — scrive il Targioni negli Aggrandimenti delle sciente fisiche, tom. I, pag. 204 — che sia stata scritta la seguente lettera , da Gio. Battista Baliano Genovese. Io la trovai senza soprascritta, fra le scritture del Cimento... Ella è tale: « In risposta della sua de’ 15, dirò che non posso se non aspettar con desiderio il tempo, che dia alle stampe il suo Trattato della Febbre. « Rispetto alla circolazione del sangue, se mi dicesse i motivi, che le hanno fatta stimare sicura l’opinione dell’Arveo, forse che le adduirei qualche cosa in contrario. « Quanto al mio libro della Peste (stampato in Savona nel 1647 in 4. col titolo: Trattato della Pestilenza di Gio. Battista Baliano) starò aspettando con desiderio che me ne dica il suo sentimento, quando 1 avrà letto, se pure le avanzerà tempo di badare a materie così leggieie. Il Pecquito e il Battolino, si stampano insieme qui in Genova; stampati, che siano, gliene manderò. « Quanto ni fonti, fin’ ora io non credo, che siamo contrarj. Io quanto a me, credo che di raro abbiano altra origine che dall’acqua piovana, o dalla neve, onde se perseverasse lungo tempo senza piovere io dubiterei, che pochi fonti vi rimanessero. Io andando pel mondo, ho osservato, ritrovando fonti, che per lo più nelle cime de monti \icini \i erano nevi, sì come anche ho osservato, che i monti sogliono essere ca\einosi, ove si raccoglie 1’ acqua piovana, che mi è avviso che dia momento alle fontane, e dove abbiamo le cagioni manifeste, non è da ìicorrere occulte: nè occorrendomi altro per ora, a λΓ. P. bacio le mani. Da nova 17 Gennaio 1653 ». ι8ο GIORNALE LIGUSTICO OSSERVAZIONI DI GASPERO LUIGI ODERICO SOPRA ALCUNI CODICI della Libreria di G. Filippo Durazzo (Continuazione vedi pag. i56). Vili. Pagina 65. De liberalibus adolescentiae studiis, et moribus proemium. Il proemio è diretto ad Ubertino da Carrara, e principia : Francisais senior avus tuus, cuius, ut extant plurime res magnifice geste, ita et multa passim ab eo dicta memorantur, diccre, ut accepimus, libertine solebat. Ubertino da Carrara, a cui quest’ opera, in altri manoscritti intitolata de ingenuis moribus è diretta, fu figlio di Francesco Novello da Carrara, che vinto da’ Veneziani, e spogliato degli Stati, fu ucciso in A7e-nezia l’anno 1406 ai 17 gennaio. Ubertino, che si trovava in Firenze, e su cui i Veneziani aveano messa una grossa taglia, vi mori sul fine dell’anno 1407, ai 7 dicembre di morte naturale. Lo scrittore di questo manoscritto ha distinta quest’ opera in otto parti, come si rileva dalle altrettante iniziali, che si trovano. La prima comincia: Omnino aut (deve forse dire autem') liberalis ingenii primum argumentum est studio Laudis excitari. II conte Mazzucchelli parla di quest’ opera tra le manoscritte di Leonardo (η. XIII, pag. 2213) sotto questo titolo: De institutione adolescentiae ad Ubertinum Carrariensetn; avverte però, che si trova stampata ed attribuita a Pietro Paolo Vergerlo, di cui parimente porta il nome in un Codice della Laurenziana (T. II, pag. 734): Petri Pauli Vergerli de Jus tino poli ad Ubertinum de Carraria, de ingenuis moribus, et liberalibus adolescentiae studiis; finisce come nel presente: Nihil tibi, nisi te ipsum videri defuisse. GIORNALE LIGUSTICO 18 r Di Pietro Paolo Vergerlo è sicuramente questo trattato. L’ abate Mehus, che ne avea prima dubitato, in appresso se ne dichiara persuaso, (T. II, pag. XVIII) per le ragioni, che ivi potranno vedersi. Ma ciò, che dee togliere ogni dubbio sono due lettere, una di Coluccio Salutato a Vergerlo, l’altra di Vergerlo a Coluccio pubblicate nel Tom. XVI, RR. Italie, da Muratori pag. 230, ecc. Nella prima Coluccio fa gran lodi di quest’opera al suo autore; due cose però nota, che vorrebbe emendate. La prima si é un detto di Temistocle ad un Serifio , cosi riferite da Vergerlo : Neque enim si tu athe-niensis esses, clarus extitisses: aut ego si Seriphius ignobilis ; Coluccio pretende, che Temistocle dicesse: Nec hercle, si ego Seriphius nobilis; nec tu si atheniensis esses, unquam clarus fuisses. La seconda ove parlando di Africano dicesi: Africanus nondum pubes patrem suum gravi confectum vulnere protegens hostibus eripuit. Sostiene Coluccio, che Scipione Africano era già entrato nella pubertà, allorquando difese e salvò il padre. Or Vergerlo nella sua risposta, sostiene la prima delle due cose criticate da Coluccio, e si mostra persuaso della seconda, di cui egli stesso si era accorto, e credea di avervi rimediato correggendo vix pubes invece di nondum pubens. Questa correzione trovasi nel presente manoscritto, ed il detto di Temistocle vi è, conforme Vergerlo pretendea dovervi essere. Due edizioni cita il Muratori di quest’opera, Γ-una Veneta, l’altra di Basilea; ma non dice in quali anni fossero fatte: ne parleranno probabilmente i Bibliografi, e quei che ci hanno lasciate memorie dell’ autore di essa. Da quanto abbiamo rilevato fin qui, è facil cosa il conchiudere , che delle opere contenute in questo manoscritto, le prime quattro sono sicuramente di Leonardo Aretino, dubbiosa è la quinta. A Rinuccio Aretino vogliono attribuirsi la sesta e la settima: a Pietro Paolo Vergerlo detto il Vecchio, contemporaneo di Leonardo 1’ ottava. Il manoscritto è di una i82 GIORNALE LIGUSTICO perfetta correzione, e probabilmente appartiene al principio del secolo XVI. CODICE XXIII. Lamberto Canonico di Sant’ Omer, sotto il bizzarro titolo di Florido, ci lasciò una raccolta di operette, della quale questo Codice è una copia scritta, per quanto penso, nel secolo XIV. Un piccolo prologo è alla testa della collezione, in cui 1 autore, e ci spiega l’oggetto del suo travaglio, e ci da ragione della bizzarria del titolo: Ego Lambertus filius Onulfi, Canonico S. Audomari libellum istum de diversorum autorum floribus Deo, sanctoque Audomaro propatrono nostro (^forse iuvante) contexui, ut tamquam de celesti prato Flore diverso coadunato fideles api-cule ad hunc confluerent, saporisque celestis inde dulcedinem haurirent, quem quoniam sic ratio postulat, Floridum intitulavi quia et variorum librorum ornatibus floret, rerumque mirandarum narratione prepollet; dopo il Prologo siegue un lungo catalogo di tutto ciò che nel Codice si contiene. Per nostra disgrazia il buon Canonico di,S. Omer manco di quella capacità, la quale era necessaria perchè P opera corrispondesse al titolo. Non è questo un prato di scelti fiori, ma sibbene una macchiozza, ove sono utili, e inutili cose, cose serie, e puerili, certe ed apocrife accozzate senza ordine, senza discernimento, e senza critica di sorte alcuna. Non saprei però decidere, se la confusione, che regna nell’ordine, si debba tutta attribuire a Lamberto. Me ne fa sospettare un’ altra copia manoscritta di quest’ opera, che fu già d’Isacco \^orsio, ed è ora tra’ Codici di Leiden. Trovo in quel manoscritto una diversa distribuzione, e più operette, che non sono in questo, e che non possono venire da Lamberto, il quale dee aver lasciato di scrivere prima della metà del secolo XII, per quanto rilevasi dalle opere cronologiche inse- GIORNALE LIGUSTICO 183 rite in questa raccolta, le quali non passano l’anno 1130. La piccola cronaca (pag. 20) termina all’anno 1112. La serie de’ Pontefici con il viaggio di Callixto II, da Rheims a Roma l’anno 1120 (pag. 116). La Genealogia de’conti di Fiandra, con la morte di Guglielmo l’anno 1128, e 1 elezione di Teodorico d’ Alsazia l’anno 1128 (pag. 70). Or nel Codice Leidense, trovansi lettere di Urbano IV, di Ctemente IV, lettere di Carlo I Re di Napoli, sulla vittoria da esso ottenuta di Corradino 1’ anno 1267, che è quanto dire 190 anni dopo' la morte di Onulfo padre di Lamberto, accaduta a 27 di gennaio dell’anno 1077, conforme scrive suo figlio. Anno 1067, VI Kal Fe.br. Onulfus Canonicus pater Lamberti, qui scripsit librum, obit (pag. 26). Quindi due cose ne interisco. L’ una, che i copisti variarono Γ ordine con cui Lamberto avea disposte le operette, 1’ altra che la raccolta cominciata dal Canonico di S. Omer fu accresciuta in appresso; ed io non assicurerei, che tutto quello, che abbiamo in questo Co dice ci venga da Lamberto. Comunque sia il nostro Cano nico non solo prese qua e là con che ingrossare la sua col lezione, ma molto di ciò che prese, compendio a suo talento, dandoci quello, che ei si credette il meglio, ed il Fioie, nella quale scelta non fu sempre di buon naso. Una gran libertà si è data nelle Cronache, e nelle Storie; quelle che egli attribuisce a Freculfo e a Isidoro, potrebbero portare il nome di qualunque altro, tanto poco di somiglianza hanno con le opere di questi due sciittoii. Peggio ancora è stato trattato Orosio detto qui Presbiter Hispalensis. ^ Sotto nome di questo storico trovansi (pag. 95) parecchie epoc e da Nino, ossia da Abramo fino ad Eraclio morto più secoli dopo Orosio. Or queste epoche marciano tutte con gli anni del mondo , quando Orosio adoperò gli anni di Romt ’ prima, che dopo la di lei fondazione. Per esempio al c del libro I, leggesi: Ante annos urbis conditae 1300 Ninus 184 GIORNALE LIGUSTICO rex Assiriorum primns..... arma foras detulit; e al capo XXIII del libro I: Anno ab urbe condita 1149 Arcadius Augustus..... et Honorius Augustus frater eius..... comune imperium tenere coeperunt. Sciempiaggini grandissime si fanno dire a Beda in un frammento di storia anglicana, che falsamente gli si attribuisce (PaS· 54 n· 58)· Britannia insula a Bruto romanorum consule pruno dieta est, qui ad istam transiens insula ex nomine suo vocavit Britanniam ; così principia, e prosiegue sullo stesso gusto. Beda non era uomo da scrivere sì fatta sciocchezza , basta leggere la di lui storia at Tom. Ili delle opere stampate. In un Codice della Biblioteca di Ginevra descritta da Se-benier (pag. 369) leggesi, che gli antichi storici inglesi così cominciano la loro storia: Eneas qui engendra Ascanius, qui engendra Sylvius, qui engendra Brutus, le quel conquista la gran Bretaigne appellée auparavant Albion environ Van après la création du Monde 4060: et l’an de grâce 386, après 83 Roys cy nommé, Maxime etc. Due frammenti ci si danno sotto nome di Egesippo. L’uno de Judaeorum Iudicibus etc. alla pag. 7, n. 8; l’altro de Arca Noe alla pag. 146, n. 131. Questo secondo trovasi quasi tutto ne Commentari sulla genesi falsamente attribuiti a Sant’Eucherio Vescovo di Lione (v. Bib. Pat. Tom. VI, pag. 884, ed Lugd.). Il primo non è certamente del vero Egesippo, che scrisse sotto Eleuterio Papa morto l’anuo 192; poiché vi si cita Africano scrittore posteriore a codesto tempo; e non lo trovo nell’opera del falso Egesippo; senza star ora ad esaminate, se questo sia 0 no anteriore al secolo X, (v. Cod. XVIII). Ma troppo sarebbe il voler dar conto delle molte cose che trovansi in questa collezione, che si risentono dell ignoranza di quel secolo, in cui fiorì Lamberto. Il P. Montfaucon stampò nel suo Diario Italico l’an. 1702 un operetta intitolata: De mirabilibus Romae (v. pag. 283). Questa è nel nostro Florido (pag. 3 n. 174), e molte va- GIORNALE LIGUSTICO 185 riunii potrebbe somministrare. Comincia: Uno eodemque tempo1 e Babylon cecidit, et Roma surrexit auno ante adventum Christi 752. Questo piccolo esordio manca nell’esemplare di Mont-fauLon, e parmi preso da Orosio, in cui il c. Ili del libro 2 poi ta questo titolo: quando Babylon illa cecidit, et Roma surrexit. Nel Codice degli antichi Canoni pubblicato da Pitéo trovansi alla pag. 370, le cosi dette Sortes Apostolorum e trovansi parimente in questa raccolta (pag. 173, n. 155) con alcune poche preci Super sortes Apostolorum; ma le une, e le altre sono alquanto diverse dalle Piteane. In una si gran farraggine di operette, e frammenti, non saprei determinare, se ve" ne abbia alcuna, che sia inedita; accennerò quelle poche di cui mi nasce sospetto. La prima è una lettera sull' Anticristo attribuita a Metodio (Pag· 72 n· CXIV) : Epistola Methodii de Anticristo, e comincia: Anticristo in omnibus Christo contrarius, ex populo Judaeorum nascetur de Tribu Dan, finisce : qua per acta, dies Domini sicut fur iu nocte, ita veniet. Non si dice di qual Metodio sia, che più ve n’ ebbero. Non può essere del famoso vescovo e martire sotto Diocleziano, poiché si parla in esso de’ Rè Franchi posteriori a quel tempo: ma è così poca cosa, che non merita la pena di cercarne l’autore. La. seconda sono sei poemetti di Pietro Canonico di S. Omer (pag. 92): Retri Johannis fili, S. Audomari Canonici versus. Prologus. Questo Prologo è in cinque strofe. La prima è la seguente: Transit honor temporalis, labat rerum firmitas Omnis labor huius vitae reputatur vanitas Prudentibus. Indi segue il primo poema intitolato : De Romani Imperii excidio, et Magnificentia Catonis, principia: Roma potens quondam caput Orbis honor Regionum Ambitione mala, modo fit spelunca latronum. 186 GIORNALE LIGUSTICO Il secondo è contra la Simonia preceduto da questo verso: Scribo stylo tali de crimine Simoniali. indi comincia : Vndique mundi stagna profundi turbine mota Exagitantur dampna minantur pace remota. Il ter^o : de Egestate, fame, siti, gale, di cui i due primi versi sono : Tribus malis agitatur vita praesens et gravatur Trina peste moribundus diu languet totus mundus. Il quarto: de Inopia mentis fame et siti animi, comincia: Dicitur una fames, mala dissimilisque priori Interius vexans animos motu graviori. Il quinto ha questo titolo: Incipit libellus Petri de Muliere inala comincia : Quisquis male mulieris artes scire queris que subscripsi coacerva lege disce mente serva. Il sesto è : de illa que impudenter filium suum adamavit, principia : De multis quamdam referam per secla nefandam Et reilque discant mulieres atque tremiscant. A questo medesimo Pietro crederei che si dovessero attribuire cinque altri piccoli poemetti, che precedono alla pag. 91? de’ quali il primo è intitolato : Fides catholica de essentia divina, principia : Esse quod est ex se Deus est: per quem datur esse Quod non est ex se Deitatis non habet esse. Il secondo: de Trinitate, comincia: Orthodoxa fides Personas res probat esse In deitate, deos sed tres negat in tribus esse; ogni verso di questi due poemetti termina in esse. GIORNALE LIGUSTICO 187 Il ter^o sono cinque versi de X plagis egypti. Il quarto ha questo titolo: Petrus de Natalis Domini; versus sono cinque distici, il primo de’ quali dice: Gaudeat omnis homo quod nos de sede paterna Christus dignatur visere factus homo. Il quinto è intitolato : de Denario, che nel Codice Leidense si attribuisce apertamente a Pietro; è una piccola elegia di 24 distici, de’ quali questo è il primo : Denarii solvete mei per quos ego regno Terrarum p:'r vos impero Principibus. Per non lasciar poi la pagina vuota, lo -scrittore ci ha aggiunto dodici versi delle Metamorfosi di Ovidio sull’ incendio de’ monti nella caduta di Fetonte, stroppiando il primo, che in Ovidio dice: Ardet Athos, Taurusque, Cilix, et Imolus et Oete e nel ms. : Ardet athos, Taurusque, Ciliyxque, tynolus et Oeth. Questo Pietro Canonico di S. Omer, e poeta, se non m’inganno, è lo stesso, che quel Pietro Canonico di S. Omer cognominato Pittore, di cui parlano il du Cange nel Catalogo degli scrittori premesso al Glossario Med. et infini, latin, e l’Oudin (T. II, p. 17 e 25), di cui si conserva un poema de Sacramento Altario, nella Biblioteca di S. Germano. In qual tempo fiorisse noi dice du Cange (1. c.); l’Oudin lo mette circa il 1200; dovrebbe però essere alquanto più antico, se queste di lui poesie, ci vengono da Lamberto, poiché questi, conforme abbiam detto, dee aver lasciato di scrivere prima del 1150. Di questi versi rimati molti hanno parlato, ne è qui luogo da farne parola. Si é preteso, che fossero ritrovamento di Leone parigino monaco di San Benedetto , che fiorì verso l’anno 1190. Il Muratori ha mostrato 1 in- 188 GIORNALE LIGUSTICO sussistenza di questa pretensione. Se Pietro fu anteriore a Lamberto, avremo una nuova conferma di quanto ha pensato il Muratori; un’ altra ce ne dà il Martirologio inserito in questo Codice (p. 16, η. XVIII), in cui ad ogni mese trovasi un verso Leonino, Sani prima furit, lux septima sanguinis urit Mors Februi quarta, mors tertia stat tibi parta. La terrei opera, forse inedita, è un Dialogo fra Maleo, ed un Sacerdote per nome Gesù, (p. 174, n. CLXIII): Dialogus Melchi ad Jhesum prèsbitèrum. Comincia il dialogo: Malco: Si mine ocio habundas volo tu mihi, te interroganti de quibusdam questiunculis respondens, finisce Gesù: Omnes ('unitatis) trascendit unitas Patris et Fili et Spiritus Sancti Dei unius omnipotentis, cui honores gloria, nunc et per omnia secula seculorum amen. Chi sia autore di qussto Dialogo, nè qui si dice, nè io il so. Il P. Mittarelli (Bib. S. Mich. Ven. p. 817) mette tra le opere di Ugone Cameracense Dialogum Malchi di cui non trovo che facciano menzione i Bibliografi, i quali hanno parlato delle opere di questo Vescovo, morto l’a. 1113. Di esso due operette abbiamo in questo Codice, 1’una Super canones Evangeliorum alla pag. 2, Γ altra Dialogus contra Judaeum alla pag. 187, ambedue stampate con altre di Odone nella Biblioteca de’ PP. Tom. XXII, pag. 221. La quarta ed ultima trovasi alla pag. 190, sotto questa rubrica: Liber differentiae inter animam et spirtum quem Constaben Luce cuidam amico suo scriptori cuiusdam Regis dedit et Johannes yspoliensis ex Arabico in Latinum Raimuudo Tollettano archiepiscopo transtulit. Comincia : Interroganti me, honoret te Deus, de differentia que est inter animam et spiritum, ut ibi scriberem, que antiqui dixerunt in eo; finisce : et hec sufficiant tibi in hoc de quo interrogasti, abstrahat a te Deus ornnem tristitiam, et expellat a te quidquid Juerit iniustum, et det tibi fortunatissime in hoc, et in futuro seculo vivere. GIORNALE LIGUSTICO 189 L Arabo autore di quest' opera Costan-ben-luce, conforme è qui scritto, non è altro a mio giudizio, che quel Costha-ben-luca, di cui parla Herbelot (Bibliot. Orientale) « Philosophe chrétien natif de Balbek en Syrie, qui vivoit vers 1 an 250 de l’Hegire (Cr. 864) sous le Kalifat de Monstain billah. Il a traduit beaucoup de livres en langue Arabique et entre les autres celuy des Spheriques de Teodose ». Più difficile si è Γ accertare chi sia il Giovanni Yispoìimse o Hispalense, come penso che debba leggersi. Un Giovanni Vescovo Hispalense vivea circa la metà del secolo Vili (V. Marian. Hist. hisp.} lib. VII, c. 3); ma questi non può essere il nostro, sì perchè Costha-ben-luea fiorì un secolo dopo, sì perchè Raimondo Vescovo di Toledo, per cui,· o sotto cui, fu fatta la Traduzione di quest’opera, morì verso l’anno 1150 dopo 24 anni di vescovato (v. Marian. Hist. cit., lib. X, c. 20). Non sasebbe inverisimile che il nostro Traduttose fosse quel Giovanni Hispalense, che più opere tradusse dall’arabo in latino, di cui Nicolò Antonio (Bib. Hisp. antiq.) non seppe né l’età, nè la condizione, secondo che scrive il Canonico Bandini (Cod. Laur. lat., tom. II, pag. 5, not. 1). Se così è, il nostro Codice ci scuopre che ei visse circa la metà del secolo XII; e quindi potrà sospettarsi, se questa operetta ci venga originalmente da Lamberto, ovvero sia stata aggiunta posteriormente. Copiose miniature sono sparse quà e là pel Codice, uomini, animali, alberi, piante, fiori d’ogni maniera, il tutto di cattivo gusto, per quanto a me ne pare. L’Apocalisse vi è rappresentata in figure che occupano più pagine. Staccata da queste vedesi in una pagina (9) il Salvatore seduto in trono, ed intorno dodici personaggi, quattro al di sopra, quattro al basso, due a destra due a sinistra del Redentore. Di questi, due sono in atto di presentare una corona, gli altri dieci, compariscono colla corona in testa, lo scettro in una mano, 190 GIORNALE LIGUSTICO ed una specie di borsa nell’ altra. All’alto d ogni figura leg-gonsi due nomi, fuorché nella seconda a sinistra, in cui ve ne ha un solo. I nomi sono, nella linea superiore Arun, Noe, Bidea, Abraham, Balea, Ysaac, Maÿa, Jacob: nella inferiore Schib, Isaias, Maym, Ieremias, Choreb, Joseph, Seroib, David, a destra F essor Moyses, Ioas Io su e, Esdra Haron, a sinistra Eiechiel. Sembra che l’autore abbia voluto alludere a 24 Seniori, giacché leggonsi all’ alto della pagina: procedebant XX1III Seniores mittentes coronas suas ante sedem. Lascerò poi ad altri il cercare perchè questi nomi e non altri; chi siano questi Bidea, Balea. ecc., giacché 1’una e 1’altra cosa io peifetta-mente ignoro. CODICE XXIV. Sono in questo volume due opere, La Cronica di Martino Polono, ed il Polyhistor di Solino. Al fine della prima leggesi in caratteri rossi : Explicit Cronica fratris Martini ordinis predicatorum capellani domini pape de imperatoribus romanorum feliciter transcripta in arce Spoletana. Anno domini MCCCCLXV1I1, quarta idus Aprilis. La seconda non porta data di tempo, ma essendo della stessa mano dee essere del medesimo tempo. Martino detto comunemente Polono religioso domenicano, Cappellano e Penitenziere di più Pontefici, morto in Bologna l’anno 1278 mentre andava a Gnosna di cui era stato fatto arcivescovo da Nicolò III, tra le altre sue opere, ci ha lasciata una Cronica compilata da varii autori e formata con questo metodo, secondo che racconta 1’ Echard negli scrittori Domenicani (T. I, pag. 362): Martinus in una pagina ad laevam exhibet Pontifices, in altera ad dexteram Imperatores ; quamque paginam in jo lineas dividit, et in margine ad caput cuiusque lineae annum adscribit: adeo ut in quaque pagina anni sint jo distincte notati; sicque Chronicon per quinquagenas currat a C. N. ad electionem Clementis IV. Nomen cuiusque Pontificis GIORNALE LIGUSTICO l9l ad initium lineae positum est cui iunclus est annus quo iniit pontificatum, totque sibi vindicat lineas, quot sedit auuis, licet uon 'omnes'plenas sed quandoque vacuas. Con qnesto stesso metodo erano descritti gl’ Imperatori. Due edizioni fece 1’ autore medesimo di questa cronica. La prima terminava con 1’ elezione di Clemente IV. La seconda con quella di Nicolò III. In questa seconda, Martino cambiò metodo, da Clemente IV in appresso, per le ragioni che esso medesimo ne accenna nella vita di questo Papa. Dell’ una e dell’ altra edizione parla diffusamente l’Echard. Ciascuna avea il suo particolar Prologo che l’Echard ha prodotto. In niuna edizione Martino pone il titolo ; onde quei che trovansi ne’ mss. e nelle stampe ci vengono da’ copisti. Il presente manoscritto appartiene alla seconda edizione come rilevo principalmente dal Prologo, il quale combina con quello che è nel Codice Navarreo citato dall’ Echard, Codice di cui questi fa grandi elogi,' e vuole che appartenga alla seconda edizione della Cronica Martiniana. Quanto si trova in questo manuscritto da Nicolò III fino alla morte di Onorio IV, non è lavoro di Martino, ma di altro scrittore che continuò questa Cronica. Lo scrittore di questo manuscritto, o quello di cui esso è copia, non ha seguito il metodo di Martino di sopra descritto. Comincia con la serie dei Pontefici, divisa in due parti; 1’una termina alla morte di Gioanni XIX; Γ altra con quella di Onorio IV. A queste due serie succede quella degli Imperatori, che da Ottaviano Augusto finisce colla morte del Re di Navarra in Sicilia, dopo l’infelice spedizione d’ Africa in cui morì S. Luigi Re di Francia. De’ molti manoscritti di questa Cronica, delle edizioni fattene con le stampe, delle Introduzioni e delle differenze, che trovansi sì negli uni, che nelle altre, parlano i Bibliografi e principalmente il più volte citato Echard. 192 GIORNALE LIGUSTICO La favola della papessa Giovanna che ha resa celebre questa Cronica, e cara a molti Protestanti, non manca nel presente manoscritto. L’Echard pretende che essa sia stata intrusa nella' Cronica di Martino; dello stessso sentimento furono Pietio Lambecio, Antonio Pagi. Al bel carattere con cui è sctitto non corrisponde la coi-rezione ; i nomi tra le altre cose, ci sono malamente corrotti e stroppiati. Per esempio ne’ Pontefici Marco è mutato in Marciale; Vigilio in Virgilio; Conone in Zenone; Sisinio in Tisino ecc. Fra gl’imperatori Nerva si chiama Vero, Antonino Antonio; errore che trovasi replicato in tutti quegli Imperatori che ebbero il nome di Antonino : Macrino è detto Martino; Massimino Massimiano ; Aureliano Aurelio; Caio Clario ecc. Tra Sergio I e Giovanni VI il Cronista ha posto un Leone, che ei chiama ter^o, escluso comunemente dai catatoghi Pontificii , quindi quello che i cataloghi chiama no III è qui detto quarto, e di mano in mano crescono di numero gli altri Leoni che vengono appresso. La seconda opera di questo volume è quella di Caio Giulio Solino, il cui nome lo scrittore si è contentato di mettere alla fine del libro : C. Iulii Solini finis, scrivendo 1 opera senza premettere il nome dell’autore, ma neanco quello del-1’ opera, che due ne ebbe da Solino nelle due edizioni, che ei ne fece. Avea Solino composta un’ opera intitolata : Collectanea rerum memorabilium, ed ave avi premessa una lettela dedicatoria, di cui i Bibliografi controvertono ancora a chi fosse diretta; non ostante che in qualche esemplare sia indirizzata ad Advento, creduto da taluni il Console dell anno 218 della nostra Era. Prima che quest’ opera fosse perfezionata, cadde nelle mani d’un amico dell’autore, e fu da esso resa pubblica senza saputa di Solino. Così almeno ei racconta nella lettera premessa alla seconda edizione, seppure GIORNALE LIGUSTICO T93 non è questa una piccola furberia di Solino, comune agli antichi letterati al dire di Salmasio, i quali soleano non di rado, si alicuius scriptionis poeniteret, quam prius in vulgum exire passi essent, altera editione priorem illam abrogare atque abolere. Se il fatto è vero, i letterati de’ nostri tempi hanno anco in questo imitato gli antichi. Comunque sia, Solino si credette obbligato a dare una seconda edizione della sua opera. A questa premise un’ altra dedicatoria senza togliere la prima, di cui si controverte altresì a chi sia diretta, mentre in alcuni esemplari porta il nome di Advento, in altri quello di Autio, cbe può essere una corruzione di Avito. Che queste due lettere siano indirizzate a due diversi personaggi è cosa certa; basta leggerle per esserne convinto; qual però sia diretta ad Advento, quale ad Autio o ad Avito, non è così facile il deciderlo. In questa seconda edizione due cose fece Solino, 1’ una di mutare il titolo alla sua opera intitolandola non più: Collectanea rerum memorabilium; ma sibbene Polyhstor, titolo nuovo se Salmasio dice il vero. L’ altra di aggiungervi un indice dopo la lettera, che dichiarasse le materie contenute nell’ opera. Questo indice secondo il Salmasio è diviso in 57 capitoli. Non tutti i copisti hanno seguito quest’indice, ossia quesla divisione; trovandosi divisa l’opera in 60, in 65, ed in 70 capitoli. Quest’ultima divisione, secondo il Fabricio, è quella della edizione di Venezia di Nicolo Ienson dell’anno 1473 in folio. Il nostro manoscritto manca, e della seconda lettera e dell’ indice, come ne mancano altri manoscritti per testimonianza di Salmasio; dalle iniziali che sono in esso, sembra che sia stato diviso in 72 capitoli. Se questa ■ divisione sia in altri codici, o sia particolare al presente, questo è ciò che non saprei decidere, e che poco monta il sapere, come non tutti hanno abbracciata la divisione fatta da Solino della sua opera, così non tutti si sono serviti del secondo titolo datole dal medesimo. Quindi è che si trova Giorn. Ligustico, Anno VII e VII. 194 GIORNALE LIGUSTICO intitolata da altri Polyhistor, da altri Collectanea rerum memorabilium: trovasi citata altresì: Solini memorabilia. De situ, et memorabilibus Orbis. De mirabilibus Mundi ecc. L’ opera di Solino non è di un gran merito. Ei non ha fatto che compendiare Plinio, onde è stato chiamato la scimmia di Plinio. Si pretende, che non sempre F abbia inteso e talora abbialo anche guastato. Con tuttociò non sono mancati de’ letterati, che siansi data la pena di commentarlo ed illustrarlo. Sono di questo numero, Giovanni da Camerino, Elia Vineto, Martino del Rio, Giacomo Granerò, Giorgio Dr audio, Andrea Reyler ecc. Niuno però con più dottrina, e con più sfoggio di scelta erudizione di Claudio Salmasio, di cui abbiamo due gran tomi intitolati : Exercitationes Plinianae in So-linum. Ei vuole, che quest’autore sia vissuto non molto dopo Severo Alessandro. Visse certamente molto dopo Plinio e la presa di Gerusalemme. (Continua). TORQUATO TASSO E I GENOVESI NOTIZIA BIBLIOGRAFICA L autore ben noto del Manuale Dantesco ha dato fuori testé un importante opera d’ugual ragione intorno al Tasso (i). Egli non ha certo bisogno delle nostre lodi per questo nuovo libro, accolto con grande favore dagli studiosi, e necessario a quelli che vorranno conoscere non solo tutto quanto riguarda la vita del grande epico, ma altresì quel che ha tratto alle opere sue, vuoi dal lato della critica vuoi, da quello della bibliografìa. Se egli ci darà, come promette, un lavoro consimile intorno all’ Ariosto, potrà andar meritali) Torquato Tasso, studi biografici-critici-bibliografici di G. J. Flrrazzi — Bassano, 1S80. GIORNALE LIGUSTICO *95 mente superbo d’ aver reso un bel servigio alla storia letteraria d’Italia ; ove pure a compiere Γ opera non gli piaccia d’illustrare in ugual modo il Boccaccio, la cui vita e gli scritti hanno a’ nostri tempi porta ampia materia a larghi e severi studi, cosi d’ italiani come di stranieri. Questa che abbiamo dinanzi non è una delle solite indigeste compilazioni, messa insieme con sola fatica di schiena e abborracciata senza criterio , senz’ ordine, senza garbo ; ma rivela una mente eletta adusata alla critica acuta, alla paziente erudizione, alla sintesi perspicace. Di più l’autore si manifesta padrone del suo soggetto, e conoscitore profondo delle opere tutte di Torquato , onde gli riesce agevole recarne i pensieri, gli intendimenti, i giudizi, sempre con scelta opportuna ed appropriata. La diligenza grandissima di questo libro, ci porge facile occasione di rilevare le relazioni che il Tasso ebbe con la città nostra. E prima di tutto vanno ricordati i suoi amici genovesi, fra i quali tiene il primo luogo il p. Angelo Grillo, non « solo amico per eccellenza , amico nel più alto significato e fuori d’ ogni paragone principalissimo, posto a raffronto cogli amici del Tasso , ma tale amico , per avventura da mantenere il principato anche a ralfronto con quanti mai gli antichi e moderni ce ne appresentano ad onore dell’ uraan genere ». Cosi il Cameroni (i); nè in modo dissimile giudicarono quest’affetto quanti ebbero a toccarne; de’ più recenti il p. Tosti (2Ì. Dimestichezza grande ebbe altresì con Giovanni Vincenzo Pinelli, di cui il Marini: « Era un Vieusseux del secolo XVI; studiosissimo , mosso dàlia celebrità dell’ Università nostra qui (in Padova) si trasferì nel 1558. Aveva (1) Cameroni Francesco, L’amico e liberatore di T. Tasso, Trieste, 1874. (2) Tosti Luigi, T. Tasso e i Benedettini Cassinesi. Montecassino, 1877. iy6 GIORNALE LIGUSTICO comuni le lingue ebraica, greca, latina, francese, spagnuola, italiana; le scienze filosofiche, matematiche, mediche; la musica, la giurisprudenza. Ricchissimo di proprio censo, aveasi formato in casa un orto botanico , facendo venire le piante più rare e più utili dai più lontani paesi. Costituì una biblioteca degna d’ un principe ; raccolse strumenti matematici astronomici, fossili, metalli, disegni, carte geografiche, ed ogni altra cosa che all’ arte ed alla scienza potesse servire. Largo d’ospitalità cogli eruditi, li faceva quasi padroni di casa sua, ch’era, si può dire, una continua accademia » (r). E due altri ancora convien ricordarne, Giulio Guastavino e Bernardo Castello, i quali non solo vollero visitare il Tasso a Ferrara, il primo nel.1584 (2) e 1’ altro nel 1586 (3); ma tutti e due, secondo loro potere, si studiarono illustrarne il poema, avendo di più il Guastavino tolto il carico di rispondere alle critiche del Salviati e del Talentone. Al Castello poi, che gli aveva donato un quadro rappresentante Cristo, scriveva, che il sonetto da lui dettato per quella pittura « sarà un altro testimonio a i posteri de la nostra amicizia ; la quale io vorrei che fosse durevole, e celebre »; e celebre fu mercè le bellissime figure onde volle il pittor nostro adornare le edizioni genovesi della Gerusalemme. Ma se questi furono i principali non dobbiamo tacere dei minori. Vediamo dall’epistolario che il Tasso ebbe corrispondenza con il p. Lattanzio Facio, Nicolò Giustiniano , Paolo Grillo, Girolama Grillo Spinola, Livio, Alessandro, Nicolò e Ottavio Spinola, Bartolomeo de la Torre, Giulio Pallavicino. Nè ci sembra fuor proposito rilevare come tanti uffici e tante dimostrazioni di stima e di benevolenza , da (1) Marini G. B. T. Tasso a Padova. Padova 1868. (2) Il Bernardi dice 1586 (p. 78) cfr. Serassi Vita di T. T. 11, 88. (3) Non nel 1584. (p. 252) cfr. Serassi 1. c. nota 3 del Guasti. GIORNALE LIGUSTICO I97 parte dei genovesi, valsero fors; a cancellare un qualche sentimento d’ animosità che per avventura avesse potuto concepire verso di essi negli anni giovanili, quando nel processo intentatogli in Bologna per libello famoso, in cui, se a lui si deve attribuire, feriva Filippo Cicala, ebbe testimonio contrario e de’ più acerbi un genovese, Francesco Negri; sebbene egli allora imparasse a conoscere Francesco e Daniele di Nicolò Spinola essi pure studenti, che vivevano in Bologna con molto dispendio, in casa dei quali s’accoglieva un’accademia, dove il giovane poeta lece le sue prime prove. Nel 1576 giustamente temendo le soperchierie dei librai o degli speculatori, per mezzo del Duca Alfonso fece fare i più caldi uffici presso diversi stati e signori italiani perchè tosse impedita la stampa del poema; e la repubblica di Genova aderendo a quelle istanze emanò un decreto proibitivo. Ma nel 1579 Cristoforo Zabata, avendo ordinato per la pubblicazione una S.celta di rime, volle inserirvi un canto della Gerusalemme venutogli « per buona sorte alle mani »; affinchè, essendosi sparsa la voce che 1’ opera gli era stata sottratta, « egli non possa essere defraudato della sua gloria », e « possano coloro c’ hanno desiderio di vederla, appagarsi per ora di questo piccol saggio, col quale benissimo potranno far giudicio della eccellenza dell’ autore ». Pietoso ufficio, e parole affettuose e commoventi, tanto più se si pensa che questo primissimo saggio del poema usciva per le stampe, mentre 1’ infelice poeta entrava in S. Anna. A liberarlo dal carcere doveva contribuire assai, com è noto, un genovese, il p. Grillo, e con qual animo il raccomandasse al Gonzaga ci è chiarito anche dalla seguente lettera, edita del Ferrazzi : « Il Tasso m’ ha inviato un sonetto, con pregarmi eh’ io lo faccia pervenire nelle proprie mani di V. A. S., affermandomi che tra mille altri egli safà ricono- GIORNALE LIGUSTICO sciuto come compositione fatta in sua lode. Io, et per l’affetto grande che porto a cosi segnalata virtù, et per la compassione eh’ io ho di tanta miseria et calamità, com’ è quella in cui si trova al presente il povero Sig. Torquato, volentieri ho accettata l’impresa , per poter con 1’ occasione di mandarle cotesto sonetto , raccomandarle insieme il suo Autore, il quale da Dio in poi ha posta tutta la sua speranza in V. A. si come di puro core l’ama, e con devota mente la riverisce. Nè io m’arrogherei tanto di raccomandarle persone, non havendo per alcuna mia passata servitù alcun merito appo di quella, s’io non sapessi che le molte virtù del Tasso possono et supplire al mancamento de’ miei meriti nel raccomandarlo, et disponer lei a farle qualche favore col Ser.mo suo cognato. Et credami S. A. Ser.ma che se ben la sua libertà non può dependere se non dalla sua sanità, cosi la sua sanità non può dependere se non da qualche temperamento della sua prigionia, il quale temperamento si tien per fermo eh’ egli otterrà col.mezzo di V. A., sapendo di quanta autorità ella sia appresso il S.m0 S.r Duca di Ferrara. Et per più non darle noia, humil Serv.re con ogni affetto di core me le dico, pregandole da Dio perpetua felicità. Dal Monastero di San Faustino in Brescia il di xviiii decembre 1584 ». Ma non si arrestava a questo benefìcio; e prevedendo che la corte del Gonzaga doveva riuscire non molto ac-cetta a Torquato, perchè sarebbe stata anch’essa una prigione , comechè più larga e più dolce, operava in guisa che l’Accademia degli Addormentati di Genova lo invitasse « a leggere l’etica e la poetica d’ Aristotile, con quattrocento scudi all’ anno di provvisione ferma, e con speranza d’ altrettanti straordinari ». Non era la prima volta che 1’ Accademia chiamava un pubblico lettore, poiché già fin dal 1563 erasi recato in Genova al suo invito Giovanni Pietro Maffei. Donde apparisce che l’incominciamento di GIORNALE LIGUSTICO I99 questo istituto conviene anticiparlo di ben 24 anni, ritenendo la data del 1587 come quella in cui avvenne qualche mutazione nell’ organamento dell’ Accademia, e ne fu forse modificato lo statuto. Infatti il Maffei nel gennaio 1563 scriveva a Paolo Manuzio : « Questi signori accademici sono occupati nelle lettere di cambio et ispeditioni delle fere . si che non hanno ancora potuto attendere al particulare mio ; ma dimani dovranno congregarsi, et si delibererà che sorte di lettione si habbia da eleggere , benché quanto posso con-gietturare così di lontano, ogni cosa si rimetterà al voler mio, il quale pare che stimino non solo dedito a loro , ma ancora come accompagnato da giuditio »; così veramente accadde e il Maffei scelse a soggetto delle sue letture le partizioni oratorie di Tullio. E se in quel subito non poteva « ancora scrivere esplicitamente delle cose » sue, ma gli pareva « di vedere ch’elle habbino a passare con ogni satisfattione » sua « et degli amici », più tardi si rallegrava perche « nessuna attione non » gli « riuscì mai così a disegno come questa di Genova ». Tanto più egli doveva sentirsene soddisfatto, perchè non solo era stato onorevolmente , e con ogni benevolenza accolto, ma l’insegnamento suo dapprima ristretto a giovani scelti venne in seguito reso pubblico : di guisa che « queste lettioni et 1’ auditorio nuovamente aperto ad ogn uno » lo forzavano , per l’onor suo « se non per altro a logorare qualche poco oglio » (1). Posta così in sodo 1’ esistenza dell’Accademia genovese innanzi al 1587, osservo come nel decreto dei 14 ottobre di quest’anno, col quale il governo ne approva i regolamenti, si dice che potrebbe piuttosto dirsi dei « Resvegiati »; accenno chiarissimo ad una istituzione da qualche tempo caduta e fatta rivivere ora con nuovi ordinamenti. (1) Lettere inedite di dotti italiani del sec. XVI. Milano 1S67 pag. 88-92. 200 GIORNALE LIGUSTICO Questa chiamata da parte dell’ Accademia e del Maffei e del Tasso , darebbe a credere che il governo della Repubblica non si occupasse per nulla della istruzione dei cittadini ; ma appunto nel luglio del 1587 trovo una relazione dei deputati alle pubbliche letture, nella quale riferiscono come dall’ esame fatto nelle colonne di S. Giorgio, non risultasse alcun lascito da potersi destinare alla istruzione di tutti in generale; e non reputando opportuno imporre a questo fine nuove tasse, consigliavano affidare l’ufficio dell’insegnamento ai Gesuiti, « li quali intendono di voler fabricare insieme con la chiesa di S. Ambrosio un luoco anche per il loro collegio , et in esso tenervi letture pubbliche in tutte le professioni ». Tuttavia, concludono, « quando paresse che per maggior dignità, et ornamento pubblico stesse bene di havere alla Città almeno una lettura di qualche huomo Ec-lente, la quale dipendesse totalmente dàlia Repubblica, si come si soleva havere nelli tempi passati, non possiamo non lodare grandemente, dicendo, che potrebbero assignare a questo effetto quattro o cinquecento scudi Γ anno ». Da ciò mi sembra si possa argomentare che il governo, rimettendosi in quanto alla elezione nell’ Accademia, sopperisse alla spesa nella misura indicata, la quale risponde appunto alla somma offerta al Tasso (1). Il Tasso era dunque chiamato a Genova nel luglio del 15^7, ed egli accettava « il carico di leggere », poiché gli dava « il cuore di far le lezioni e di scriverle ma non sapeva quanto doveva fidarsi della sua memoria, se non faceva « qualche miglioramento », il che sperava sarebbe avvenuto mercè i rimedi in Bergamo e poi in Genova. Ma al divisato viaggio si opponevano, oltre la grama salute, altre gravi difficoltà ; la mancanza di danaro, ed il permesso del duca C1) Arch. distato, Senato Città 1587, Fil. 2. GIORNALE LIGUSTICO 201 di Mantova. A questi egli non aveva fatto alcun motto del propostogli ed accettato incarico, perchè avendo prima desiderio di rivedere Bergamo, temeva non gli negasse l’andarvi, se avesse a lui discorso « di voler venire a Genova »; ma desiderava che il p. Grillo e tutti i genovesi a lui ben affetti trovassero i modi più acconci « per impetrar questa grazia », ed egli stesso suggeriva di rivolgersi ad alcune persone , le cui istanze avrebbero potuto molto sull’ animo del Gonzaga. Se non che a fare questi uffici nessuno, a quanto sembra, si moveva, e forse non era ultima cagione il sospetto in che erano presi dal governo coloro che carteggiavano coi principi esterni. Di siffatti indugi il Tasso si lagnava, e ripeteva che la sua povertà gli era « impedimento al partire », e che non era « sicuro d’aver licenza » dal duca, se non gli fosse « dimandata da persone d’autorità; le quali, non la volendo chiedere, devrebbeno almeno scrivere in » sua « raccomandazione così efficacemente, che le lettere facessero qualche effetto » e eh’ egli ne sentisse « qualche giovamento : perchè la poca sanità » gli « può impedire non solo questo servizio, ma 'quel de l’Academia, ed ogni altro simile ». Quanto ai danari per il viaggio gli erano stati promessi dal Grillo, ma non furono mandati mai, onde con amaro sarcasmo scriveva al Gua-stavini : « Se non vorranno i signori Grilli esser creditori di altro che di lodi e di ringraziamenti, potevano star sicuri d’essere pagati ». Chi si fa a leggere quelle lettere di Torquato che di poco precedono la sua partenza, o per dir meglio fuga, da Mantova alla volta di Roma, di leggeri vi scorge la condizione anormale del suo spirito. L’animo suo è travagliato da continue paure ; nelle sue operazioni si mostra sempre incerto ; teme continuamente degli agguati; è scossa persino la sua fede negli amici più sinceri; lo tormenta la lentezza del duca nel con- 202 GIORNALE LIGUSTICO sentirgli la partenza. Si ammala; sono « le dilazioni dei principi » che l’hanno « condotto a questo termine ». Questo scriveva al Grillo in risposta di sue lettere , e soggiungeva : « Io non desiderava cosa più che di veder Genova, e riveder Napoli e Sorrento ; sperando che la benignità e la clemenza di quel cielo, la fecondità e vaghezza del paese, la bontà de’ frutti, de’ vini e de le acque mi potessero risanare e ristorare. E se gli apportatori de le vostre lettere m avessero così portato la grazia del venire come la speranza, forse F allegrezza avrebbe superato la debolezza, laonde avrei potuto venire, o almeno essere portato ». Poco dopo ecco che date le spalle a Mantova corre difilato a Bologna, con grande sorpresa dell’amico Antonio Costantini, che si era adoperato tanto col Gonzaga affinchè lo togliesse di prigione a Ferrara, e lo chiamasse, sotto la sua fede, presso di se. Non si vorrà quindi accusare il marchigiano di malo animo o di vile tradimento verso 1’ amico, se, ben sapendo a quali condizioni era avvenuta la liberazione del Tasso da S. Anna, desiderava far tornare a Mantova il fuggiasco, e ad ottenere l’intento abbia usato mezzi non certo delicati nè corretti, ma quelli che in quel subito gli si presentarono più acconci al caso grave e impreveduto , all’ indole un po’ strana e allo stato di mente in che si trovava 1’ uomo. Anziché dunque seguire il Portioli nelle recise conclusioni contro il Costantini, 10 accolgo pienamente le giuste osservazioni del D’Ancona e del Ferrazzi, volte ad attenuare per buona parte le colpe addossategli (r). Il primo stratagemma adoperato dal Costantini per mettere 11 Tasso sulla via del ritorno, fu quello di fargli credere che (i) Portioli, Un episodio della vita di T. Tasso, nell’ Arch. Veneto, XIX, 258. — D’Ancona, T. Tasso e A. Costantini nella Rassegna settimanale, VI, 229. — Ferrazzi, Op. cit., 463. GIORNALE LIGUSTICO 203 1 Accademia di Genova tornava di nuovo ad insistere nella sua proposta di chiamarlo a leggere e a dare maggior faccia di verità alla cosa, gli presentò una lettera finta, come se fosse allora allora pervenuta da Genova. Il Tasso, pur non consentendo all* invito, non s’ accorse che quello era un inganno, di che è prova la lettera di risposta da lui scritta in tutta buona fede a Nicolò Spinola ; dalla quale possiamo argomentare di qual sorta fosse la finta lettera e con qual , animo ei l’accogliesse, vedendo com’egli scriva: «-l’infelicità è così grande che non merita d’essere schernita, perchè lo schernire i miseri non si conviene a chi è desideroso d’onore, come dee essere Vostra Signoria. Non voglia dunque burlarmi ». Quasiché si dovesse prendere per uno scherno l’invito fattogli dal genovese , mentre questi, secondo lui, doveva sapere che le condizioni di salute gli impedivano di accettare il propostogli ufficio. Era egli malatto sì, ma assai più della mente che del corpo, siccome non può revocarsi in dubbio dopo i dotti studi di psichiatria del Corradi. Ma il desiderio di recarsi a Genova non era spento nel-1’animo del Tasso, e sebbene trovasse ragionevole che mancando le sue speranze dovessero mancare ancora le altrui promesse, pure nell’ottobre del 1588 avvertiva il Grillo che ove gli avesse mandato « denari per viaggio » sarebbe partito. Il Grillo avevagli offerto di nuovo, per mezzo- del Licino, «\ la provisione di duecento ducati, oltre le spese e servitù », non che i denari pel viaggio ; ma egli non vedendo nè lettere nè altro si stimava burlato, e con vive parole dipingeva la sua miseria, il bisogno in cui si trova, e le pratiche fatte verso Paolo, fratello al Grillo , per ottenere denari. Ripete in fine il suo fermo divisamento di condursi a Genova, se per lettere sarà confermato nel suo proposito. Le domande però del Tasso non devono essere state appagate 204 GIORNALE LIGUSTICO allora, nè lo furono più tardi, perchè nel febbraio del 1590 scriveva a Nicolò Giustiniani : « Sarei venuto, se così avessero deliberato , o se le mie deliberazioni fossero approvate in guisa , eh’ io ne 1’ esecuzione avessi avuto pronto aiuto : e sperava di dover essere trattenuto come povero gentiluomo, amico loro, non come maestro ; perch’ io non feci mai professione d’insegnare, e questo sarebbe stato un nuovo ufficio: ma trattenimento per un paio di servitori, e per altre cose necessarie, non fu mai negato a mio padre, nè a me dovrebbe negarsi, se la clemenza avesse luogo nel mondo , o almeno la giustizia ». Dopo questo tempo non si parlò più della sua venuta a Genova ; sembra anzi si raffreddasse molto l’amicizia col Grillo, e cessasse ogni corrispondenza cogli accademici ; 1 quali tuttavia dovevano stimarsi abbastanza onorati, per aver dato cagione al gran poeta di tramandare ai posteri la loro memoria col seguente sonetto: Qual sonno è il vostro, o chiari, e pronti ingegni, Da cui rimedio avea 1’ altrui letargo ? E chi rinchiuder può tant’ occhi d’ Argo, Pur volti al Cielo, e ne’ superni regni ? Vi désti il suon degli amorosi sdegni , Mentre di bei colori i versi io spargo, Seguendo chi cantò di Troia, e d’Argo, E mostrò al poetar le mete, e i segni. Se pur è sonno, e se terreno affetto V’ adombra; ma se 1’ alma in voi non dorme, E se qui 1’ una è chiusa, e 1’ altra trista , E su nel Cielo aperta ; a qual diletto D’ immagine io vi chiamo oscura, e mista , Dal contemplar lucenti, e pure forme ? Se non che nel tempo medesimo di cui parliamo, i genovesi davano al Tasso una splendida testimonianza di stima GIORNALE LIGUSTICO 205 e di affetto. Già ho toccato della stampa d’un primo saggio della Gerusalemme ; a questo tenne dietro nel 1586 un volumetto di rime , riuscito poco accetto all’ autore perchè assai scorretto , e nell’ anno successivo « la nobile edizione » del Torrismondo; le quali pubblicazioni si devono all’amicizia del Guastavini. Ma quella che vinse tutte le altre fu la stampa del poema con le bellissime figure del Castello incise dal Caracci e dal Franco, e colle illustrazioni letterarie del Gua-stavini e del Gentili. Promotore di questa impresa fu lo stesso Bernardo Castello, che unitosi a tre altri compagni, un de’ quali era il libraio Giulio Talignano , si accordò per la stampa col Bartoli, designando a sopravegliarne la composizione e la correzione il Guastavini. Si fece fabbricare appositamente una carta speciale, e si mandarono a prendere a Venezia nuovi caratteri italiani e greci, non che le capitali, i fregi e tutti gli ornamenti adatti alla qualità e all’ importanza dell’ opera ; infine si volle usare tanta diligenza che non si perdonò a spesa alcuna. L’ edizione riuscì bella e magnifica, sebbene non al tutto completa, secondo il desiderio dei pubblicatoti ; poiché non vi si poterono inserire le copiose annotazioni del Guastavini, ma soltanto i riscontri dei luoghi imitati da poeti et altri scrittori antichi. E ciò a cagione del divieto posto dall’ Inquistore del S. Offizio ; onde il lavoro per intero venne poi indi a due anni messo fuori dallo stesso Bartoli in Pavia (1). Fin da quando il Castello si era recato a trovare il Tasso aveva ottenuto la sua approvazione intorno alle illustrazioni già da lui incominciate a disegnare ; ma più tardi,, essendogli venuto in animo di riformare il poema, non si mostrava più così contento della divisata edizione. Il Grillo e il Guastavini gli domandavano* queste correzioni e giunte, a fine d’introll) Il Ferrazzi (p. 285) erroneamente lo dice stampato a Genova nel 7590. 2o6 CIORNALE LIGUSTICO durle nella stampa, e far modificare, ove d’ uopo , le figure dal Castello ; ed egli al primo affermava non averle anche incominciate, perchè gli era mancato « comodità di attendervi » ; e all’ altro : « Io non potrei negare cosa, che fosse mia ai preghi del padre don Angelo, o più tosto a’ comandamenti, ma de le cose non fatte non posso ancora far certa deliberazione. Vostra Signoria mi scusi con tutti e particolarmente con P eccellente pittore, al quale ho tanto obligo ». E perchè si voleva mandare innanzi la stampa, alle nuove istanze del Grillo rispondeva : « In quanto al mio libro non muto opinione ; ma alcuna volta non ho potuto eseguire le cose deliberate : ma non sarebbe necessario di mutare molte de le figure del Castello, il quale è stato più veloce nel disegnare che io nel colorire : nondimeno il suo disegno do-\Trebbe essere simile a 1’ idea eh’ io n’ ho formata ». Da tutto ciò mi sembra dover argomentare, come il suo desiderio fosse che i genovesi dovessero aspettare la riforma del poema, uscita poi nel 1593 col titolo di Gerusalemme conquistata. Questo però, a quanto pare, non tornava comodo agli editori, i quali dopo aver alquanto indugiato, davano finalmente fuori l’opera sulla fine del 1590. Il Tasso, che « quante volte vedeva ristampato il poema, e tante erano le passioni che per ciò sentia », rompendo il lungo silenzio col Grillo cosi acerbamente gli scriveva : « Mi doglio con esso lei, e di lei, e di tutta Genova, c’ abbiano voluto mandar fuori con tanti ornamenti opera da me non approvata. Potevano aspettare qualche mese la perfezione e la riforma del poema, acciò eh’ io li ringraziassi, dove ora sono costretto d’ accusarli. È mia fortuna che m’ abbiano voluto più tosto per accusatore che per amico. Ma se con le accuse si può lasciar luogo a 1’ amicizia, io il lascio a le difese. In tanto, senza pregiudizio, la prego che mi faccia donare uno di questi miei poemi così belli ; acciò eh’ io possa compiacermi almeno de la lor GIORNALE LIGUSTICO 207 coitesia, se non mi compiaccio de la mia composizione ». Con questa lettera si chiude la corrispondenza del Tasso col' padie Grillo, e 1 amicizia, che già si era affievolita dopo il πολembie del 1588, a cagione di alcune lettere pungenti delle quali il Grillo si era stimato giustamente offesso , ora, per quel che si rileva dagli epistolari, cèsso affatto : ma se non abbiamo argomento per credere col Cecchi che il Tasso non ebbe « mai che dire una parola col P. Grillo, e ne conservò il nome caro e venerato fino alla tomba » (1), ben possiamo affermare che nell’ animo del cassinese rimase incancellabile un dolce sentimento di pietosa reverenza verso il poeta infelice, onde in seguito manifestò per la sua morte un dolore vivissimo. E nel Tasso per lungo tempo fu ardente il desiderio di 1 ifarsi nella quiete e nella salubrità della « riviera di Genova.... paradiso d’Italia, nel quale l’animo stanco del filosofare, 0 veio occupato da noiosi pensieri può discacciar tutte le noie, e ristorarsi in quel piacevolissimo aspetto del cielo e de la terra e del mare »; nè meno gli tardava il conoscere da vicino la patria di quel forte, reso più grande dai suoi versi immortali; quella « città fra le famose d’Italia », . nobilissima, ed albergo d’illustri ingegni, alla quale dedicava questo sonetto : Reai città, eh’ appoggi il nobil tergo All’erto monte, e ingombri i lieti campi, E co’ pie’ vaghi poi 1’ arene stampi, E ’n mar fondi alte moli, e forte albergo ; Poco nelle tue lodi io spazio, e m’ ergo, Che temo il Ciel turbato, e i tuoni, e i lampi ; E mi ricovro, ove umiltà mi scampi, E rado 1’ onde qual palustre mergo. Ma s’osassi spiegar libero volo, Menfi, Babel, Corinto, Atene, e Sparta T’ avriano invidia, e chi domolle in guerra. Tu gradisci il mio affetto, e quel eh’ in terra, Nel tempio della fede adoro, e colo, Fà, che le grazie sue meco comparta. (1) Torquato Tasso e la vita italiana del secolo XVI, 208. 2o8 GIORNALE LIGUSTICO Nè in Genova venne meno il ricordo di un tant’ uomo, chè Gianvincenzo Imperiale non solo dettò gli aigomenti alla Gerusalemme, ma in una rappresentazione di poeti volle presentarsi sotto le spoglie del Tasso; il Castello di nuove gure adornò l’edizioni del poema uscite coi tipi del Pavoni nel 1604, 1615 e 1617; Simone Molinaro pubblicava la partitura de madrigali musicati da Carlo Gesualdo, nove dei quali appar tengono al Tasso; Francesco Maria Viceti aveva incornili ciata la traduzione nel patrio dialetto della Gerusalemme, disegno colorito più tardi da un accolta di fecondi ingegni, e tentato nuovamente a’ di nostri da un Des^alzi di Chiavari. Tre soggetti per le sue tele toglieva dal poema il pittoie Fe e rico Peschiera; Paolo Giacometti dettava un dramma sulla vita del poeta; ed infine poco fa Emanuele Celesia con un scenico idilio ricordava il pietoso incontio di Torquato co l’amorosa sorella a Sorrento. A. Neri. ANNUNZI BJBLIOGRAFICI De vita Antonii Bri g noli-Salii Julii F. Marchionis Groppoliutn Patricii Genuensis Commentarius auctore Angelo Sommariva genuensi. enuae, Typis Paganianis, 1881 pag. 28 in 8.° _ Questo pomposo titolo riceve una profonda attenuazione da avverti mento al lettore, là dove gli si dice: « Brevi commentariolo tibi exioeo,.... rerum ab Antonio Brignolio Salio gestarum compendium quoddam sive potius anacephalaeosin ». E ce n’era proprio bisogno; perchè o\i- si to gano le tirate rettoriche, e alcune divagazioni che sono qua e colà sparse ne o-puscolo, poco vi rimane di propriamente biografico. Il nome del Brignole è così strettamente legato colla storia diplomatica dei primi cinquant’ anni del nostro secolo, ed in alcuni momenti tanto ne emerge, che ben meritava uno studio largo ed accurato, onde la nobile figura dell’ uomo ricevesse lume e rilievo dai fatti de’ quali fu gran parte. Nè a ciò mancava copia di buone fonti edite ed inedite , le quali non si potevano ignorare da chi si proponeva la trattazione di quel soggen-o. Oggi, bisogna persuadersene , non si possono più accettare le monogiafie che hanno tutta 1’ aria di esercitazioni scolastiche , e nelle quali si suole giudicare (ed è anche questo un errore) la sola forma. Concludiamo adunque augurandoci che alcuno, nella nostra bella lingua volgale , ci dia un libro intorno al Brignole degno dell’ uomo , ed atto a far conoscere i tempi in cui si svolse la sua vita. ___ Pasquale Fazio. Responsàbile. GIORNALE LIGUSTICO 219 PAOLO DIACONO E I SUOI CONTINUATORI NUOVI STUDI. Il monaco di San Gallo, primo raccoglitore delle leggende carolingie, nell’ intento d’esaltare il Franco monarca e crescergli riverenza ne’ posteri col baglior de’ portenti, anziché riferire agli Italiani, da Carlomagno tratti in Francia, il rigoglio de’ buoni studi in quella nazione, ne ascrive l’origine a casi insoliti e fuor dell’usato. Ei ci narra che alcuni mercatanti britanni avendo approdato ai lidi di Francia, mentre erano intesi allo spaccio delle loro derrate, due Scozzesi cacciatisi in mezzo alle turbe, si fecero con gran lena a gridare : « Chi vuole acquistare sapienza accorra a noi che ne teniamo a ribocco ». Senonchè gli astanti, ignorando che cosa fosse sapienza, nè veggendo posta in mostra suppellettile alcuna, gli ebbero in conto di sciatti e tirarono ol-’tre. La notizia del fatto giunse agli orecchi di Carlo, il quale avuti a se i due forestieri, e udito da lor confermare che avevano sapienza da vendere, ne gli richiese del prezzo. E quelli al monarca: « Non danajo si cerca da noi, si bene luoghi acconci ad insegnare e ingegni capaci ad apprendere, oltre quel po’ ch’è mestieri alle necessità della vita ». Il re lieto oltremodo del caso, ritenne per alcun tempo presso di se i due Scozzesi, e quando fu costretto a partirsi, travolto com’era in assidue imprese di guerra, ordinò che l’un d essi fondasse in Francia una scuola per erudirvi la gioventù, e l’altro venisse in Italia nel monastero di Sant Agostino in Pavia a darvi opera del pari a insegnamenti diversi. Il favore onde re Carlo accolse i due sapienti si divulgò per tutta Inghilterra, e mosse un tale Albino od Alcuino discepolo di Beda a ritentare la prova. Perchè salita una nave, fu in breve al cospetto del re, che gli fu largo non solo d oneste acco- Giorn. Ligustico, Anno VII e Vili. 220 GIORNALE LIGUSTICO glienze, ma il volle a suo precettore ed amico. Appi esso creavalo abate del monastero di San Martino di Tours, acciò potesse vacare tranquillamente agli studi, che per suo impulso crebbero a tale, da convertire la Gallia in una nazione emula d’Atene e di Roma. Questo racconto del monaco di San Gallo , oltre la inverosimiglianza del fatto, urta per ogni lato colle istoriche testimonianze, che tutte concordano nell’affermare 1 origine delle scuole francesi non potersi riferire a Scozzesi o a Britanni, bensì a quegli Italiani di cui più sopra toccammo, e in ispecie a Pietro da Pisa, a Teodolfo, a Paolino patriarca d Aquileja e parecchi altri. Ma fra i più saputi uomini che Carlomagno trasse d Italia ad indirizzare il suo regno nelle vie de’ civili progredimenti e a ridestarvi l’arnor delle lettere, niuno avanza, per quanto sien grandi i meriti del monaco di Jork, quel Paolo Vene-frido, più noto col nome di Paolo Diacono, che in tema di storia fu lo scrittore più eminente de’ suoi tempi e di molti secoli appresso. Non è agevole impresa narrarne a parte a parte la vita, e sceverare quanto di falso innestaronvi le leggende sparse a larga mano in tutte le cronache, massime in quelle di Leone Marsicano. Narrano alcuni che condotto in Francia dal re dopo il sacco di Pavia, e venuto in sospizione de’ cortigiani per la fede da lui serbata a Desiderio, suo antico signore, lo accusassero di tramare alla vita del loro monarca. Il quale avutolo innanzi a se, udì raffermare dal suo labbro l’immutabile sua devozione alla causa de’ Longobardi; perchè acceso d ira ordinò gli venissero tronche le mani. Senonchè tornato ad un tratto a più miti consigli « ove noi troveremo » diceva, « se gli si mozzano le mani, uno scrittore a lui pari? »· Allora i grandi soggiunsero : « Giusto è commiserare a tanto uomo; però ti consigliamo a fargli cavargli occhi, acciò non GIORNALE LIGUSTICO 221 iscriva più verbo contro di te ». E a sua volta re Carlo: « Dove troverem noi un istoriografo ed un poeta della sua tempra? » — Convennero quindi di mandarlo a confine nell’isola, di Tremiti: altri scrive per contro che veramente lo abbacinarono. Ma poste queste ed altre invenzioni da banda, noi ci faremo a coglier di lui que’ tratti di vero, che la pertinacia di lunghe ricerche ci pose dinanzi. Nacque d’ illustre prosapia in Cividale del Friuli a mezzo il secolo Vili, e fu educato in corte di Rachis alle discipline liberali; fra i suoi docenti ricorderò quel Flaviano, grammatico, cui serbò fino all’estremo riverente osservanza. Fu caro eziandio a re Desiderio che l’ebbe a' suo cancelliere. Pare che ascritto al chiericato passasse ad Aquileja ove esercitò l’ufficio di .diacono; dalla quale città tramutossi a Benevento, chiamatovi, per la fama del suo sapere, ad ammaestrar nelle lettere la gentile Adelberga consorte d’Arichi, duca di quella città. Era allora Benevento sede illustre d’ogni coltura, promossa alacremente da Arichi, autore egli stesso di non spregevoli versi, come quegli che a detta di Paolo « nostrae aetatis solus paene principum sapientiae palmam tenet ». E invero alcuni anni appresso Ludovico II vi rinveniva ben trentadue filosofi, o vuoi professori di lettere umane. Arichi ch’avea tolto in moglie la figliuola del re Desiderio, udita la cattività del suo signore, anziché prostrarsi dell’animo, ardi assumere titolo e insegne di principe, quasi volesse restaurare. nell’Italia cisti-berina il regno de’ Longobardi; ma Carlo con numerosa oste si rovesciò sopra lui, facendolo suo tributario, e traendo seco in ostaggio il suo primogenito. In corte d’Arichi, supremo rifugio del nome longobardo, Paolo dettò le iscrizioni per i sontuosi edifici cui il principe avea posto mano, fra i quali un monastero e una chiesa presso il suo palagio di Benevento, 222 GIORNALE LIGUSTICO consacrata alla Divina Sapienza, onde fu detta di Santa Sofia. A richiesta d’Adalberga dettò pure quel compendio di storia, che per essere compilata da brani di autori diversi, nomava Historia miscella. È divisa in ventiquattro libri; i primi undici son cavati dal Breviario d’Eutropio con parecchie addizioni : i cinque seguenti, i soli che appartengano a Paolo, comprendono il periodo che corre dal regno di Valentino a quello di Giustiniano. Gli ultimi otto voglionsi attribuire a Landolfo il Sagace e pervengono sino all’806, cioè fino all’elevazione di Leone IV all’ impero. Senonchè la caduta e la schiavitù di sua gente trionfata dai Franchi, gli erano spine all’animo già travagliato da domestiche disavventure: dall’esilio, cioè, del fratello che per aver preso parte alla insurrezione del Friuli giacea da ben sette anni in esigilo, collo strazio d’aver dovuto abbandonare nelle più fiere distrette una moglie amatissima gravata del peso di quattro figliuoli : e di una sorella a lui caramente diletta, che ridottasi monaca, avea pel soverchio lagrimare perduto -affitto il vedere. Ond’è che volte le spalle alla corte, divisò vestir l’abito monacale a Montecassino. In qual anno ciò avvenisse non c’è dato chiarire. Certo egli è, che nell’aprile del 771 furono presentati in Roma a Carlomagno alcuni versi elegiaci, coi quali Paolo implorava la reale clemenza a prò del fratello, acciò rendesse al captivo la patria e una parte delle" avite fortune. Septimus annus adest, ex quo tua causa dolores Multiplices generat, et mea corda quatit. Captivus vestris ex tunc germanus in oris Est meus, afflicto pectore, nudus, egens. Nobilitas periit, miseris accessit egestas: Debuimus, fateor, asperiora pati. Sed miserere, potens rector, miserere, precamur, Et tandem finem his, pie, pone malis. Non sembra che Carlomagno si porgesse arrendevole alle fattegli supplicazioni: talché l’anno appresso recossi in Francia GIORNALE LIGUSTICO 223 egli stesso per addolcire la sorte del fratello, e rinnovar le preghiere per la di lui liberazione. Carlo ascrisse a lieta ventura la venuta del monaco; chè in quel tempo travagliavasi appunto a cercar gente erudita per ammaestrare i suoi popoli ; onde commise a Pietro da Pisa di festeggiare poeticamente l’arrivo in corte di quell’uomo dottissimo, quasi inviato da Dio a coltivare co’ semi della sapienza gli ignavi intelletti de’ Franchi : « ut inertes aptes fecundis seminibus ». E Pietro rispose al desiderio del re con lodi a Paolo eh’ oggidì sembreranno eccessive , chiamandolo Filone nell’ebraico, Omero nel greco, Virgilio nel latino: ma tale era l’andazzo di quell’età e l’opinione che s’avea del buon cassinese, e gli uomini annosi ognora a giudicare coi concetti de’ tempi in cui vissero. Come stemperati gli encomi, così umili troppo e rimessi i sensi di Paolo, respingendo nella sua risposta ogni elogio, e affermando non possedere conoscenza veruna dell’ebraico e del greco, cosa ch’egli altrove smentisce, dicendoci aver nelle scuole appreso alcun che di quelle due lingue. E invero re Carlo, trattolo seco in Aix-la-Ca'pelle, gli commise di erudire nel greco i chierici destinati a scortare in Costantinopoli la principessa Rotrude allor fidanzata a Costantino figliuolo dell’ imperatrice Irene. Nei quattro o cinque anni ch’ei visse in corte di Francia e nel monastero di Metz, causa gli indugi del re a graziare il fratello e i suoi compagni d’esilio, tolse a insegnar la poetica e l’oratoria : a lui d’ogni parte traeano per udir 1’ esposizione dei classici latini di cui gran penuria era in Francia : i dotti stessi lui come sovrano precettore ammiravano. Questi insegnamenti che svegliarono in quella regione l’arnor degli studi, non gli impedirono di dar opera a scritti di varia ragione ; tali le inscrizioni funerarie per la regina Ildegarde e per due figliuole e due sorelle del re: tale la storia dei vescovi di Metz dettata per impulso d’Angelramo, vescovo di quella citta: tale infine 224 GIORNALE LIGUSTICO la collezione di omelie, cui intese per commissione di Carlo. . Questa raccolta trascritta in molti esemplari sotto la dilezione d’Alcuino, va preceduta da una lettera dello stesso monarca, che mette in sodo il metodo seguito da Paolo, e il vivo ardore e la pietà con cui il re ttavagliavasi a rialzaie gli studi teologici. « Essendo mio fermo intendimento » egli dice « d’immegliare le condizioni delle nostre chiese, con O t < assidua cura vegliamo ad avanzare le lettere, cui la ignavia degli avi nostri lasciò ire a ritroso, volendo che il nostto esempio sia stimolo a seguirci nello studio dei libri sa„i i. E già i testi dell’antico e del nuovo Testamento dall ignoranza dei copisti stranamente alterati, vennero sottoposti, la Dio mercè che in tutte cose ci assiste, ad una emenda acculata. Mosso dal desiderio di calcare anche in ciò le vestigia del nostro genitore Pepino, di veneranda memoria, che introdusse in tutte le chiese della Gallia Puso del canto romano, noi vogliamo che queste possano egualmente arricchirsi di scelte e opportune lezioni.... Ond’è che avendo accolto il disegno di riformare i testi scorretti, noi ne affidammo il carico a Paolo Diacono, nostro famigliare. Il quale dopo avere con indefessa sollecitudine compulsati gli scritti dei Padri della chiesa, doveva, a seconda dei nostri desideri, raccogliere dagli stessi, come da prato ubertoso, i più odorosi fiori e farne ghirlanda. Egli affrettandosi a compiere i nostri voti, rilesse i trattati, i discorsi e le omelie de’ Padri, e i brani più notevoli ne cavò fuora per comporne due volumi che ci presentò, e che comprendono una serie di lezioni ordinate, monde da errori e accomodate a ciascuna festa dell’anno. E siccome questo testo fu da noi sottomesso a minuta disaminazione, perciò munito della piena autorità nostra, lo inviamo alla vostra pietà, e ne raccomandiamo la lettura in tutte le chiese cristiane ». LOmeliario di Paolo sali in tanto credito, che GIORNALE LIGUSTICO 225 per parecchi secoli non vi fu libro più accetto e più divol-gato. Non ostante la domestichezza di Carlo e il benevolo, seb-ben tardo accoglimento delle sue supplicazioni per quanto ragguardava la cattività del fratello, molti fra i principali Longobardi e gl’ implicati negli insorgimenti friulani logoravano ancora nell’esilio la vita : e per essi s’adoperava il buon monaco, e indugiava il suo ritorno in Italia, che pur tanto sfavagli a cuore. Di che tenea ragguagliato Teodemaro, abate di Montecassino, accertandolo che non appena vedrebbe spezzati i lor ceppi, nulla potrebbe ritardargli la dipartita. « Sebbene io mi trovi » così egli scriveagli « fra cattolici e seguaci di Cristo : sebben tutti mi si porgano cortesi e usino meco benignamente per l'osservanza che nutrono verso il nostro padre San Benedetto e i meriti vostri, non pertanto a confronto del monastero la corte mi ha 1 aspetto d un carcere, e al paragone della calma che si gode costì, parmi di essere travolto in mezzo ad un turbine ». Ma venne il di finalmente che ottenuto l’assenso del re, non pose indugio a risalutare la patria e gli ermi recessi del monasteio. Noi lo troviamo infatti a Montecassino tra il 786 e il 787 assorto in opere di schietta pietà, e inteso a dettare la storia de Longobardi, dalla loro uscita di Scandinavia fino alla morte di Liutprando avvenuta nel 744. La solitudine in cui traeva i suoi giorni rese in lui più intenso Γ amore alla memoria del duca Arichi, che ferito nel più vivo del cuore per la subitanea perdita di Romualdo suo primogenito, usciva di vita il 26 agosto del 787 nell età di cinquantatre anni. La sua morte fu pianta a calde lagrime da tutto il suo popolo. Della bontà, della giustizia, del senno di Arichi fan fede le lodi tessutegli da Paolo in un facondo epitaffio ; la sua munificenza attestano parecchi edifici per ìstrut-tura ed ornamenti fastosi. Lasciava due figliuole e il giovi- 226 GIORNALE LIGUSTICO netto Grimoaldo, ostaggio di Carlo. Adelberga sua vedova prendea le redini del ducato, donna di mente sagace se altra fu mai, ornata di lettere e versatissima nelle filosofiche locu-brazioni. Paolo intese a consolarla nelle afflitte fortune, dipingendole dapprima il dolore dei popoli già soggetti ad Ari-chi e le lacrime per essi versate sulla salma del loro signore, ed esaltandone quindi le peregrine virtù , sebbene a degnamente onorarlo sia d’uopo, egli dice, posseder la vena di Cicerone e le armonie di Virgilio. Ecco a saggio del suo poetare alcuni versi su tale subbietto : Lugentum lacrymis populorum roscida tellus Principis haec magni nobile corpus habet. Hic namque in cunctis recubans celeberrimus heros, Praepollens Arichis, o]i! decus atque dolor. Tullius ore potens cujus vix pangere laudes Ut dignum est posset, vel tua lingua, Maro. Tam felix olim, num tamque miserrima conjux Regali in thalamo quam tibi junxit amor: Eheu ! perpetuo pectus transfixa mucrone , Languida membra trahens, te, moribunda, dolet. Viderat unius, heu! nuper pia funera nati: Ast alium extorrem, Gallia dura, tenes. Huic geminae natae vernanti flore supersunt, Solamenque mali, sollicitusque timor. Has cernens reddi vultus sibi credit amatos : Haec ne praeda fiant, fluctuabunda pavet. Fra le opere che dettò Paolo, oltre le già cennate, si hanno le vite di S. Gregorio papa, di S. Cipriano, di S. Arnolfo, quelle dei SS. Benedetto, Mauro e Scolastica : non che poesie lodatissime, fra le quali l’inno a S. Giovanni Battista, assai noto nell’istoria della musica per l’applicazione alla misura dell'ottava fattane da Guido d’Arezzo, non che i versi in omaggio dell’anzidetta Santa Scolastica Erano allor in uso gli enimmi, e Paolo da Pisa gliene indirizzava uno di qua-rantasette versi, al quale il nostro poeta rispose egualmente con altro enimma. Lo stesso re Carlo si compiacque di prò- GIORNALE LIGUSTICO 227 porgliene alcuni. Imperocché vivo era tuttora l’affetto ch’egli nutriva per lui, di che fan testimonio due rozzissime epistole a lui dirette, l'una delle quali incomincia: Parvula rex Carolus seniori carmina Paulo Dilecto fratri mittit honore pio : e si chiude col seguente commiato : Illic quaere meum per sacra culmina Paulum : Ille habitat medio sub grege, credo, Dei. Inventumque senem devota mente saluta : Et die: rex Carolus mandat aveto tibi. In un’altra sua epistola rende eziandio testimonianza di lode alla fioritissima scuola che Paolo aveva aperta in Montecas-sino; e volgendosi alla sua musa gl’impone di salutare gli almi fratelli del chiostro, dai quali fluia tanto miele di sapienza e i cui versi stillavangli tanta dolcezza nel cuore : ..........die vale fratribus almis Dulcia qui nobis doctrinae mella ministrant, Carminibusque suis permulcent pectora nostra. E qui non possiamo non dire come alla scuola anzidetta usassero coloro che amavano erudirsi nelle discipline sacre e profane; nè soltanto Stefano II vescovo di Napoli vi mandava i suoi chierici, ma dalla Grecia, dalla Germania, dal-l’Affrica, per testimonio di Leo, autorità non sospetta, traeano a Montecassino tutti coloro che aveano sete d apprendere. A completar pienamente la vita di questo illustre intelletto, è mestieri consultare il poema in versi acrostici, o, come allora diceasi, epitafio di quell’ Ilderico , che fu tra i suoi più strenui discepoli, e tale che per le sue molte virtù merito d’essere eletto nell’834 ad abate di Montecassino, sebben ne tenesse il governo per soli quarantatre giorni. Egli imprende a ricordare la chiarezza della stirpe dei Vanefrido, che soprastava per potenza e lautezza di censo a quante altre prosapie stanziavano in riva del Ί imavo , la dove colle chiare acque 228 GIORNALE LIGUSTICO irriga il pian d’Aquileja, Appresso ce lo addita in corte di Rachis che si compiacque informarne il cuore e la mente agli studi sacri, sperandolo un di gloria e presidio della nazione. Divino instintu regalis protinus aula Oh decus et lumen patriae te sumpsit alendum. Omnia Sophiae caepisti culmina sacrae, Rrge movente Pio Ratchis, penetrare decenter. E qui il poeta alludendo alla discesa dei franchi, lietamente rammemora i tempi dei re longobardi, quando l’ubertà della pace spandeva i suoi doni in Italia, e consentiva a suoi figli d’abbandonarsi interamente agli studi. E volgendosi al suo diletto maestro, « tu allor cominciasti » gli dice « a salite sotto la scorta del principe le più alte sommità della scienza, e ne raccogliesti tai semi, che da te fecondati avvantaggiarono le più lontane regioni ». Dopo aver infine toccate le sue peregrinazioni nella Gallia, lo segue in Italia alla corte d Arichi, l’eroico duca de’ Longobardi che tenne fronte da solo all immane potenza di Carlomagno, finché una ispirazione divina spinse Paolo a volgere le spalle ai tumulti del mondo, e umiliare la fronte sotto il giogo di San Benedetto. Da questo istante, prosegue Ilderico, l’umiltà, la pazienza e tutte le altre peregrine virtù fecero di Paolo la fiaccola del religioso consorzio. 0 Morì il 13 d’aprile del 790. Rado incontra trovar nelle istorie de’ bassi tempi chi al pari di lui alla gagliarda tempra deH’animo congiunga le più elette doti di mente e di cuore. A’ suoi dì fu comparato a Virgilio per la venustà de suoi versi: a Catone per la costanza e fermezza dell’indole. S è lecito dubitare della prima sentenza, ognuno converrà di leggieri sulla giustezza della seconda. La sua Historia Longobardorum, Libri VI, fu tenuta ognora in gran conto, come l’unica face che ci guidi attraverso le tenebre di quell’età. Fedele alle benemerenze de’ suoi re, e GIORNALE LIGUSTICO 229 alle glorie della propria nazione , ei ne raccoglieva le gesta, non per vendicare un abbattimento di cose ornai fatto irrevocabile, ma per legare ai posteri la memoria dei vinti. I favori e l’amistà del Franco monairca non ebbero forza a cancellar dal suo cuore la ricordanza di re Desiderio, ch’espiava in lontana cattività colpe non sue. Scrittore facile e per quei tempi purgato, innestava alla storia le saghe o tradizioni epiche del popolo longobardo, in ciò seguendo Giornandes, raccoglitore de’ canti leggendari e nazionali de’ Goti. \^ero è che a’ dì nostri, come osserva il Bertolini, per la compiuta conoscenza delle fonti onde Paolo derivò la sua stona , questa scadde alquanto di pregio: non pertanto i molti avvenimenti che in essa soltanto trovansi registrati e la riproduzione ivi fatta della Cronaca di Secondo, abate nel monastero di S. Giorgio presso Trento, morto nel 612, della quale non ci pervenne che un brano monco e scorretto , la rendono meritevole d’essere tuttavia compulsata. E invero prima di lui altra guida non ci soccorre se non Y Origo Gentis Longobardo) uni, opera d’assai lieve momento , per quanto ci abbia trasmesso le memorie di quel popolo, senza l’innesto delle alterazioni recatevi dalle leggende gotiche e franche. Un altro sommario di storia longobarda anteriore a quella del Vanefrido e più povero assai del Y Origo, si é il prologo premesso all Editto di Rotari. Fra gli stranieri ci restano le rozze cronache di Gregorio Turonese e di Fredegario, scolastico; ma la storia di Paolo, per quanto difetti talora di critica, sarà sempre il più pregevole monumento letterario di quell’età. Paolo ebbe di molti e valorosi discepoli, oltre il memorato Ilderico : fra i quali primeggiano Autperto che fu abate del suo monasteso dall’834 all’837, e dettò sermoni e omelie: non che Bassario che resse pure a sua volta quell’ archicenobio dall’837 all’857, e ci lasciò diversi trattati, specie un lodatissimo De exemplis naturalibus. Ma più che a suoi discepoli, 230 GIORNALE LIGUSTICO gioverà accennare ai continuatori della sua storia, cioc ad Erchemperto e a’ due anonimi, Γ un di Salerno e 1 altro di Benevento, che vissero a un dipresso nel tempo medesimo. Erchemperto, longobardo d’origine, sebben nato a Palano, terra oggi distrutta nel contado di Tiano, a breve tratto da Conca, esercitò dapprima il mestiere dell armi, ma fatto pii-gione nell’881 e spogliato d’ogni suo avere, ripaio a Mon-tecassino, ove si rese monaco. Ma l’ombre del chiostro non gli furono schermo contro altre avversità che gli occorsero, e ch’egli stesso ci narra nella sua Historiola; imperocché \e-nuto a mano de’ greci, gli fu mestieri riscattarsi a gran pi ezzo, per patir poi le violenze d’Atenolfo conte di Capua , che lo privò delle terre amministrate da lui per conto del suo monastero. Passò di vita nell’ 898. Ei dettava una cronaca dei principi longobardi di Benevento, che può riguardarsi come una prosecuzione di quella di Paolo ; serionchè a noi non ne giunse che uno scarno compendio, che movendo dal 774 > anno in cui re Desiderio perdè la corona, finisce nell anno 888. Fu scrittore acerbo, sdegnoso. Siccome, e’ scrive nel suo proemio, Paolo Diacono intese a trattar dell origine e dei gloriosi fatti de’ Longobardi fino al regno di Rachis, ma luppe a mezzo il suo disegno per non dire delle sventure che gli oppressarono, io, seguendo opposta sentenza, non vo le glorie discorrere di quella nazione, sì bene il presente suo vituperio. E abbominande invero erano le opere di quei principi longobardi, e tali da emulare le immanità de’ Saraceni e de’ Greci, che poneano a soqquadro quelle infelici contrade. La sua cronaca di cui tanto avvantaggiossi Leone cardinal d’Ostia, giacque negletta più secoli per l’ignoranza dei trascrittori che in mille guise ne sconciarono il testo : delle quali mende purgaronla Anton Caracciolo e il Muratori. L’Anonimo salernitano, forse di nome Arderico, condusse la sua cronaca, riboccante di leggende e di fole, fino all’anno 980 ; GIORNALE LIGUSTICO più accurato narratore ci si mostra l’anonimo di Benevento, che protrasse il suo lavoro fino al 996 , nel qual tempo si estinsero le picciole signorie che i Longobardi tuttavia conservavano nell’estrema parte d’Italia. Chiude la serie de’ cronisti del secolo X quel Liutprando, pavese di patria, che ci lasciava una storia delle cose più memorabili avvenute a’ suoi tempi. Ei seguì le parti d’Ottone I che nel <762 rialzò in Italia la potenza imperiale e assodò sul capo de’ re alemanni la corona dei Cesari. Uom dato agli intrighi di corte che gli procacciarono nel 948 il vescovado di Cremona, caro all’imperatore Costantino Porfirogenito e a Berengario II re»d’Italia di cui fu segretario, è riputato il più colto scrittore dell’ età sua. Dettò la sua storia dal 960 al 964 con istile acre, mordace e spesso anche faceto : pura la lingua, la sintassi talor scompigliata, ma franco e largo il concetto e sciolto da ogni nebbia scolastica. Poiché l’opera di Paolo Diacono ci spianava la via a dir di coloro che, seguendone le vestigia, salvarono dal naufragio dei tempi le memorie de’ Longobardi, parmi dover aggiungere alcune altre fonti di storia, che avvalorano le narrazioni de’ memorati cronisti, e ragguardano anch’esse que secoli in cui i Longobardi allargarono la loro dominazione in tanta parte d’Italia. Accenno, come ognun vede, all’Historici ecclesiastica, Chronica tripartita, Liber Pontificalis, la quale benché rimonti al VI secolo, ebbe il suo più compiuto svolgimento nel secolo Λ^ΙΙΙ, e venne appresso continuata da Anastasio bibliotecario de’ papi, col nome del quale va designata l’intera opera, vero tesoro di notizie sacre e civili. Dopo l’anno 891 smarrì assai della sua dignità, essendo invalso il costume di restringere le vite de’ Papi a poveri e loschi compendi; ma nel secolo XI i suoi continuatori le ridonarono, per copia abbondevole di fatti narrati, il primitivo valore. Parecchi anni appresso un Guido monaco di Ravenna di t- 232 GIORNALE LIGUSTICO tava parimente le Vita Pontificum romanorum che andarono perdute: in questo Guido peraltro noi dobbiam riconoscere l’anonimo di Ravenna, che ci legava cinque libri di geografia assai utili a consultarsi, per quanto lo s’accusasse più volte d’aver foggiato a sua posta nomi di citta, di fiumi e di monti OO 1 . · · 1 13 * che niuno conobbe inai, e una serie d autori ignoti a uni versale. Chi per altro togliesse a purgare la sua cosmografia dei molti errori che la cecità dei menanti v intruse, e a 1 ad dirizzare gli storpi delle topiche appellazioni, trofei ebbe il ravennate meritevole di men severa sentenza. Ben è a dolere che niuno de’ nostri scrittori abbia ancor rivolto il pensiero a portar nuova luce sia quell età sconso lata, facendo capo ad altre sorgenti tuttora pei la più pai te inesplorate ed intatte. E dacché questo periodo di storia si è quello appunto della signoria bisantina in Italia, parmi sai ebbe prezzo dell’ opera aggiungere al domestico patrimonio quelle particolarità che delle cose italiane ci porgono il Continuatore di Teofane, le Cronache di monaco Giorgio e quelle di Genesio, che sono le vere fonti originali per la storia di quell età. Che se a questa si unisse una serie d’indagini sugli altri croni catori del greco impero, cioè su Leo grammaticus, Joel, Jultos Polydeuces, Theodosios Militenos, Symeon magister, Giorgio Ce dreno, Ephraim, Costantinos Manasses, Johannes Zonaras e parecchi altri, niun dubbio che la storia d’Italia dei secoli Vili e IX sì intricati ed oscuri, 11e sarebbe lumeggiata d assai. E invero troppe son tuttavia le lacune che ad ogni pie sospinto s’incontrano da chi intende a tarsi un adeguato concetto dell’ età longobarda e della condizione de volghi italiani. Noi restringendoci a ciò che più direttamente s attiene al nostro subbietto, diremo che il fitto velame ond è involto tuttora l’idioma longobardo vuol essere alfine squarciato, non fosse che per iscalzare la sentenza di alcuni dotti tedeschi, i quali perfidiano a credere aver questo esercitato una poten- GIORNALE LIGUSTICO tissima azione sullo svolgimento del patrio nostro volgare. Sventuratamente nè Paolo Diacono, nè i suoi continuatori ci porgono lume in proposito. Alcuni mossero il dubbio se i Longobardi possedessero veramente una lingua scritta, dubbio originato dal titolo 386 dell’Editto di Rotari, in cui si legge: « inquirentes et remémorantes antiquas leges patrum nostrorum , quae scriptae non erant; » ma ogni dubitazione dilegua di fronte al titolo 225 sull’eredità dei liberti, a cui per istudio di brevità rimando il lettore. L’usuale loro dialetto, per quanto può giudicarsene dalle scarse reliquie che ne rimangono (poiché rado incontra che trovimi accozzati due loro vocaboli) e dalle inflessioni di alcune parole, ritraea più d’ogni altro dell’ odierno tedesco, massime di quel degli Svizzeri, e perciò assai discosto daU’armoniche eleganze del gotico, come dagli ispidi modi dei Franchi e degli Anglo-Sassoni, simbolo dei lor ferrei costumi. Chiamavano, a mo’ d’esempio, Reiks i lor condottieri, che i Franchi, aspreggiando, dicevano Relis e che i Latini confusero facilmente con rex ; appellavansi del pari Cyning o Kuhning (onde il moderno K'ònig) che valea prode, conforme al concetto che aveano di un buon capitano. Pochissime le aspirazioni e queste assai tenui, come appare dai loro vocaboli aidio , are, ohros; amavano le vocali : dal concorso di troppo aspre consonanti abborriano. E opinione del Bianchi Giovini che in iscambio del sch tedesco , di cui fan tanto abuso gli Svizzeri, dicendo sce, sci ogni s avanti a consonante, pronunciassero sii o ss semplicemente, come sogliono Danesi, Islandesi e Svedesi, a modo dei quali posse-deano forse un’ intonazione di vocali e sillabe lunghe e brevi. Pare eziandio che avessero la labiale th degli Scandinavi ed Inglesi, simili al th de’ Latini e al theta de’ Greci: per contro era loro estranea la lettera w, usando sostituire al v semplice, come appunto gli Scandinavi, 1’ u che profferivano a un dipresso come gli Inglesi moderni. È credibile eh’ e’ avessero 234 GIORNALE LIGUSTICO tre generi : il mascolino, il femminino ed il neutro , e che l’infinito de’ verbi terminasse con una vocale; ma da queste induzioni in fuori, nulla c’ è dato arguire sul loro assetto grammaticale. Pur v’ ha chi stima doversi ravvisare non pochi longobardici influssi vuoi sulla nostra pronuncia, vuoi nelle mutazioni del genere, vuoi infine nelle flessioni e nella sintassi: il Blume in ispecie certifica essere di manifesta derivazione longobarda nell’ uso dei verbi la prevalenza dell’ accusativo adoperato con qualsiasi preposizione, col verbo esse, coi verbi passivi, colla forinola incipit., invece del nominativo, come dell’ablativo assoluto e spesso con modi diversi, talché gli altri casi rassembrino meri ausiliari. Ma queste ed altre arguizioni se giovano per avventura a lusingai e la vanita della nazione tedesca, che vorrebbe perfino nella nostra favella scorgere i semi della spuria superiorità sua, non ponno \enire accolte dagli Italiani per ragioni che ci trarrebbero a tioppo lungo discorso; ed anzi tutto perche di questi modi ìiscon transi già esempi tra noi, prima che i Longobaidi ponessero stanza in Italia, senza pur accennare alla impossibilità in cui erano i vincitori così scarsi di numero, d’imporre una trasformazione qualsiasi ad una loquela che ìisuonava da secoli sulle labbra di una numerosa nazione. Più ovvio è il credere che giunti appena tra noi, il loro alfabeto cedesse il campo al romano e che la favella piegassero ad atteggiamenti latini, anzi appar certo ch’avrebbero in poco volgere d anni smesso del tutto il loro dialetto, se il concorso di molti Baveri, che usavano, per testimonio di Paolo Diacono , il loro istesso linguaggio e che con essi si mescolarono, non ne avesse mantenute vive per qualche tempo le profferenze e le forme. La romanità gli soverchiò d’ogni parte e con essa la lingua latina. Del che non vogliamo altra prova che quella somministratane da una lapide saluzzese del XII secolo , in cui già si rinviene la forma latina di Rothari invece del Hrolarit lon- GIORNALE LIGUSTICO 23) gobardo. Anzi un protocollo d’Aquino del 963 in un codice cassinese già ci offre in alcune deposizioni testimoniali modi affatto italiani usati in un atto giuridico; il qual fatto ha il suo riscontro in quello di Ludovico il Tedesco e Carlo il Calvo, che nell’842 anch’essi giurarono nel patrio loro linguaggio, anziché nel latino. Privi di un idioma comune, sentirono più vivo il bisogno di raccogliere in un sol corpo le nazionali lor consuetudini: ond’è che settantasei anni dalla lor discesa in Italia, Rotari (.Rot-her, signor della pace) pubblicava il 22 novembre del 643 in Pavia il suo celebre Editto, che contiene trecento novanta statuti; il più perfetto monumento di legislazione barbarica, come quello ch'è informato a temperanza, ad equita, aliamole della pace e della concordia co’ vinti, e che affatto va scevio di quella verbosità dottorale che offende le ultime compilazioni delle leggi romane. Ne fu principalissimo autore \;al-causo, notaio romano, che dettavaia in latino rustico , se ne togli forse un centinaio di voci teutoniche, che come tei mini tecnici gli era mestieri serbare, avendo cura per altio di collocare accanto ad essi la rispondente frase latina: il che û rinsalda nel credere che la lingua de’ vinti fosse già dagli invasori accettata. La niuna efficacia della lor parlatura è ai tresì confermata dai nomi corografici, che sono ovunque latini; nuovo argomento che mostra l’esiguo lor numero a fronte de’ popoli indigeni, e percio il pronto abbandono dei lor nativi dialetti. Bensì ritennero più lungamente alcune reliquie dell avito lor culto : e Paolo Diacono, che riempie tutto il primo libro della sua storia colla narrazione delle loro leggende, afferma aver per lunga stagione serbato quelle selvagge costumanze che ci son descritte da Tacito. Senonchè pei Longobardi la religione era cosa d’assai lieve momento , come quelli che non aveano nè sacerdoti, nè altari; e se più tai di poi sei o Giorn. Ligustico, Anno VII e VII. 236 GIORNALE LIGUSTICO facile orecchio ai vescovi goti della setta d’Ario rimasti ancora fra noi, non perciò deposero le lor patrie superstizioni, talché ai tempi di San Gregorio vediamo i Longobardi della Toscana e della Campania, già fatti cristiani, offrire ancora le loro adorazioni a una capra, forse a ricordo della capra Heidhrum, FAmaltea scandinava, abitante la reggia d Odino, dalle cui poppe si spremea Γ idromele, onde cibavansi gli Einheriar, ovvero gli eroi tratti in cielo. Adoravano del pari la vipera, ed aveano per sacra la quercia, da cui facean penzolare una striscia di cuoio, e colui che cavalcando a distesa ne staccasse, saettando, un brandello, tosto con venerazione e pietà recavalo a’ denti, aspettando da questo strano cibo ' il maggior pro’ per l’anima sua. Nella superiore Italia convertirono il Thorr delle loro leggende in S. Michele, come i Franchi avean tramutato i lor bellici numi Segomo, Camulw e Teutates in S. Martino, di cui recarono il culto nelle regioni per essi occupate. Emanuele Celesia. OSSERVAZIONI DI GASPERO LUIGI ODERICO SOPRA ALCUNI CODICI della Libreria di G. Filippo Durazzo (Continuazione vedi pag. 204). CODICE XXV. Contengonsi nel presente Codice: I. Cronicas Ordinis Carthusiensis che altro in sostanza non sono che gli elogi de" primi cinque Priori della Gran Certosa, cioè di S. Brunone fondatore dell’ordine, di Landuino, Pietro, Giovanni e Guigone, il quale fu eletto Priore l’anno 1110, e mori nel 1137. Questa Cronaca, che l’autore nel Prologo chiama Opusculum, è copia di un più antico scritto, il quale GIORNALE LIGUSTICO dovea conservarsi nella Gran Certosa, e si trova citato or sotto il titolo di Cronica de exordio ordinis Carthusiani; or sotto quello di Tractatus de narratione Historiae inchoationis et promotionis ordinis Carthusiensis, ed or sotto quello di Cronicon primorum quinque magnae Carthusiae Priorum. Giovanni Colombi nella Dissertazione de Carthiisianorum initiis citata da’ Bollandisti (Tom. Ili di ottobre pag. 492), vuole che Γ originale di questa Cronica sia stato scritto tra l’anno 1151 ed il τ 173, nel qual tempo fu Priore della Certosa Basilio. A giudizio però de’ sopradetti Bollandisti, l’opera è di data più recente. Osservano essi, tra le altre cose, che vi si dà il titolo di Università all’Accademia di Parigi: congregata ibidem Universitate Parisiensis ; titolo, che i migliori critici, e gli stessi scrittori della Storia Letteraria di Francia non le accordano, che dopo il principio del secolo XIII. Pensano dunque i medesimi (pag. 493), che questa Cronica non debba esser più antica del 1230, nè più moderna del 1313. Che non sia più moderna di quest’anno è chiaro, dicon essi, poiché trovasi inserita nel Trattato de Origine et veritate perfectae Religionis, il quale o sia di Guglielmo d’Elbura, o di Iporegia, come pretende Colombi ; ovvero di Bosone Priore della Certosa, come altri pensano, non può essere posteriore all’anno accennato 1313, poiché morì Bosone, e nel medesimo scrisse Guglielmo a giudizio di Colombi. Che poi la Cronica non sia più antica del 1230, se ne recano da’ Bollandisti varie conghietture, che io lascierò qui di riferire; tanto più che il nostro esemplare è una copia fatta molto più tardi, come diremo. L’ Elogio di S. Brunone, che solo è più lungo e diffuso che gli altri quattro insieme, è stato stampato tutto intiero da’ Bollandisti, ed è assai più corretto, che non è nel Codice nostro, giacché lasciando da parte alcune varianti di minor rilievo , che a luogo a luogo s’incontrano, leggesi nel nostro GIORNALE LIGUSTICO alla pag. Ili: non est locus Cartbusiae indignior indicandus ex eo quod postquam sex annis fa.rat divino dedicatiis cultui a praedictis, sanctis viris fuerit derelictus , tante virtutis fuerit quod suos incolas, meruerit et ÿrevaluerit revocare ecc., ove il senso non corre, se dopo il derelictus, e prima di tante vu tutis, non si inseriscano le parole seguenti: Sed potius propter hoc mirabilior, et dignior reputandus, quasi qui etiam derelictus tante virtutis fuerit, quod suas incolas ecc., che leggonsi nel l’esemplare Bollandiano, e sfuggirono al nostro copista, nel correr che fece 1’ occhio dal primo derelictus al secondo. Da questa medesima Cronica, che il nostro copista si tia-scrisse, mostrano d’aver copiato il Cronografo Cartusiano prodotto da Edmondo Martene (Tom. VI degli Aneddoti, pag. 152), e 1’ anonimo de Institutionibus Ordinis Carthusiani; pubblicato da Filippo Labbè nella Nuova Biblioteca manoscritta (Tom. I, pag. 638). In questo però Γ elogio di S. Brunone è infinitamente più corto : quello di Guigone è quasi lo stesso; se non che nel nostro dopo domus Portarum.... consecute sunt, non leggesi come nell’esemplare Labbeano: Sei et in Aqui tania prope Nannetensem Vrbem locus quidam dictus Alaunus nomine sub manu magistri Benedicti circa idem tempus susceperat ordinem eiusdem propositi. II. Dopo la Cronica sieguono: Consuetudines Ordinis Car-thusiensis divise in capitoli 81. L’ultimo de quali è: de com-meudatioae vite Solitarie, che trovasi ripetuto al c. 37 della seconda parte delle Antiehe Consuetudini di cui parleremo tra poco. Giugone V Priore della Gran Certosa ha qualche nome tra gli Scrittori Ecclesiastici, e maggiore tra i Priori dell Oi-dine. Fu egli il primo che mettesse in iscritto gli usi e le costumanze della Certosa per ordine di S. Ugone Vescovo di Granoble, come ei medesimo dice nel Prologo diretto. Bernardo Portarum Humberto S. Sulpicii, Miloni Maioreni, Prioribus et universis qui cum eis domino serviunt fratribus. GIORNALE LIGUSTICO 239 Di queste consuetudini ha preteso darci un saggio Giovanni Mabillon negli Annali Benedttini (Tom. V, lib. η\, η. V), ma convien dire che avesse sotto gli occhi un esemplare alquanto diverso dal nostro. Quello, per esempio , che ei dice nel c. 7 : quolibet sabato fratres post nonam in claustrum conveniunt, ut lectiones, et cetera necessaria recolantur, nel nostro non solo si legge nel c. 8, ma eziandio con qualche diversità: omni sabato post nonam in claustrum convenimus lectiones, et cetera necessaria recordamur. Guigone nelle sue consuetudini usa per lo più la persona prima del numero plurale convenimus, cantamus, tenemus. III. Vengono in terzo luogo le così dette Antique consuetudines ordinis carthusiensis divise in tre parti. Il fondo di queste sono le Consuetudini di Guigone, con aggiunte però e mutazioni fatte da’ capitoli generali dell’ Ordine ne’ tempi successivi. Sono esse precedute da due indici copiosi, il primo adattato sì a queste, che alle nuove consuetudini, che sieguono appresso: il secondo è per le sole ter%e parti di ambedue, cioè delle antiche, e delle nuove consuetudini. Dopo gli accennati indici, siegue un Calendario di tutte le feste, le quali doveano celebrarsi dall’Ordine, qual con maggiore, qual con minore solennità e rito. Questa Raccolta che i Certosini contano per la prima, si vuol fatta Γ anno 1259 da Rifferio, Priore in quel tempo della Gran Certosa; credo però che ella fosse in tal anno ordinata, ma non dovette essere terminata, che nel 1271; poiché alla fine della medesima leggesi: Aduni Anno Domini MCCLXXI nel quel anno non più Rifferio, ma sivvero Gerardo era Priore. Quindi è certamente sbaglio del nostro copista quello che leggesi al c.i della seconda parte: Anno MCCCLIX visum est Capitulo generali. Infatti Innocenzo Massoni Prioie della Gran Certosa sulla fine del passato secolo nel primo Tomo degli Annali Certosini da lui pubblicato 1 anno 1687, e ri- 240 GIORNALE LIGUSTICO stampato l’anno 1703, con più giusto titolo di Disciplina seu Statuta Ordinis Carthusiensis, mentre quel Tomo non è altro, che una raccolta delle principali Constituzioni, Statuti ecc. fatti in diversi tempi dai Capitoli generali dell’Ordine, Innocenzo Massoni, dico, ha stampato Anno MCCL1X. Queste consuetudini, sono divise, conforme ho già detto, in tre parti: la prima comprende 50 capitoli, che quasi tutti riguardano la celebrazione de’ Divini uffizi. La seconda e composta di 32 capitoli; nel secondo di questi si parla del Capitolo generale tenuto sotto Basilio ottavo Priore della Certosa, vi si riporta una lettera diretta al medesimo Basilio da Goffredo vescovo dì Granoble stato già Monaco Certosino. Questa lettera è stata stampata da Mabillon nel Tomo VI de citati Annali (pag. 505 edit. Lucen). La ter^a parte, che principalmente riguarda i Conversi, i Chierici, le Monache e quei che tra Certosini chiamavansi Donati, Redditi ecc. è divisa in 34 capitoli. IV. Succede in questo luogo un’ altra collezione di consuetudini , dette Alove consuetudines ordinis Carthusiensis. E anch’essa divisa in tre parti l’una di cinque capi; 1 altra di dieci, 1’ ultima di tre. Questa compilazione fu fatta sotto il priorato di Guglielmo Rinaldi, che governò la gran Certosa dall’anno 1367 fino al 1403. Nos itaque, si legge nel Prologo : Frakr G. Humilis prior ordinis Carthusiae, ceterique, definitores anno domini MCCCLXVIII, in generali capitulo congregati etc. Ma se la nuova raccolta fu ordinata in quest’anno, non dovette esser fatta ed eseguita, che tra il 1371 e il 1391. Non dopo quest’ anno, come io argomento dal non trovarsi in essa la festa della Visitazione di Maria Vergine, ricevuta tra le feste dell’Ordine nel Capitolo generale dell’anno 1391, e confermata ne’ due susseguenti anni, come leggo presso Massoni pag. 203. Non prima del 1371, conforme mel dimostra il Tricenario ordinato in èssa per suffragare Giovanna GIORNALE LIGUSTICO 24I Regina di Francia al cap. 4 della parte prima: « Item pro donna Iohanna regina Francie et Navarre, que dedit Capitulo C libras annuales et pro domino Karulo viro suo, ac liberis eorum : fiat circa principium mensis Marci. Due Giovanne regine di Francia trovo essere state maritate con un Carlo; Giovanna d’Evreux terza moglie di Carlo IV, morta ai 4 di marzo del 1371, secondo che vuole Baluzio (Vit. P. P. Avenionen., Tom. I, p. 1314), o nell’antecedente, secondo che altri scrivono. L altra è Giovanna di Borbone, moglie di Carlo V, morta nel 1337· Preferisco a questa la prima, poiché oltre la circostanza del mese di marzo, di questa si dice che andasse spesso a trovare i Certosini e che preparasse loro da mangiare, e gli servisse a tavola. (V. Hainault, Compend. Stor. di Francia, ecc.). Al margine di queste due raccolte trovansi parecchie postille, le quali ci richiamano a non so qual Car. Comè abbiasi a spiegare questa sillaba iniziale non saprei ben deciderlo, inclinerei a leggere Carthusia, giacché in una di dette postille scritta a pie’ di pagina del Cap. 8 della prima parte delle antiche-, leggo ex Carthusia. Io sospetto che sia questo quel _ Liber ceremonialis domus maioris Carthusiae citato nel prologo della raccolta degli Statuti ecc., fatta sotto D. Bernardo Ga-rossi, priore della Gran Certosa, l’anno 1578 e che bruciò l’anno 1676, allorché prese fuoco ed arse la Gran Certosa, come scrive Massoni (pag. 252). V. Alla fine di questa nuòva raccolta, che i Certosini contano per la Seconda, trovasi: Epistola de commendatione Ordinis Carthusiensium ad Domiuum Papam; autore di questa lettera è il famoso Giovanni Birel, che prioreggiò nella Gran Certosa dall’anno 1346 fino al 1360, con fama di sapere e maggior credito di santità, e che sarebbe stato eletto Papa dopo la morte di Clemente VI, se non si fosse opposto il cardinale di Perigord Elia Talairand, a cui faceva paura l’austero 242 GIORNALE LIGUSTICO e santo vivere del Priore Certosino. La lettera è diretta al suddetto Clemente VI, ed ha per oggetto di distogliere il Papa dal far veruna innovazione nell’ordine dei Certosini, sulla voce sparsasi che Clemente volesse riformare parecchie Religioni. Si vede che il Papa lo avea consultato, e che Giovanni per di lui ordine avea scritte altre lettere ad Concilium generale. Non saprei dire di qual Concilio si possa qui parlare. Il Patavino, tenuto l’anno 1350, i cui Atti monsignor Mansi ha inseriti nell’appendice al Tomo III de’ suoi Supplementi ai Concili, non fu generale. Lo storico Giovanni Cantacuzeno , che fu Imperatore e poi monaco, nel lib. IV della sua Storia al c. 9, parla veramente di un Concilio generale, che Clemente volea tenere per riunir nuovamente la Chiesa alla Latina : ma lo stesso storico, ci dice al c. 10, che differendosene la convocazione per le guerre insorte in Italia, Clemens Papa vivere desiit, et cura de Synodo in nihilum de recidit. Se questa lettera sia stampata mi è ignoto, mancando di quelle opere, ove, forse, potrebbe essere inserita. VI. Viene per ultimo un piccolo trattato: Petri Damiani de commendatione vite solitarie. Questo trattato manca nelle opere stampate di S. Pier Damiani, almeno in quelle da me vedute, tra le quali l’ultima più copiosa ed esatta. Chi ha pratica dello stile di questo scrittore, potrà decidere se questo trattato sia veramente di S. Pier Damiani. Or per dire alcuna cosa del tempo in cui può essere stato scritto questo Codice : La Cronichetta, le consuetudini di Gui-goue e le due raccolte di antiche e nuove consuetudini, con la lettera a Clemente VI ed il Trattatino di S. Pier Damiani sembrano essere tutte d’una mano ; sebbene le prime due operette sieno scritte in carattere più minuto. Tutto questo non può essere stato scritto, al più presto, che verso la fine del Secolo XIV ; poiché, come ho già osservato, la nuova raccolta, 0 sia le nuove consuetudini debbono essere state com- GIORNALE LIGUSTICO 243 pilate tra il 1371 ed il 1391. Al margine delle antiche e delle nuove consuetudini, si trovano delle postille, le quali, eccetto alcune pochissime, sono anch’esse tutte d’una mano. In queste postille veggo citarsi gli anni 1420, 22, 39, 41, 43 e 64: onde non può dubitarsi che queste postille non sieno state scritte dopo la metà del Secolo XV. Del medesimo tempo sono di opinione che sia il Calendario, posto, come ho detto, alla testa delle Antiche consuetudini. Oltre qualche somiglianza con il carattere delle postille, due osservazioni mi danno luogo a così opinare. Primieramente io trovo nel Calendario la festa della Concezione, enunciata sotto questo titolo: VI id. Dee. Conceptio B. M., quando nel XIV Secolo i Certosini celebravano detta festa sotto il titolo di Santificazione. È noto che l’introduzione di questa festa in Occidente die’ luogo a varie dispute e controversie, per isfuggire le quali i Certosini, secondo che avvertì il più volte citato Massoni (pag. 78), stabilirono che la festa si celebrasse nell’ordine sotto l’accennato titolo di Santificazione. Quindi è che in certi antichi Statuti di quest’ordine, che estratti da un Codice della Colbertina ha stampati Mabillon (Tom. VI, p. 636), si legge al n. 45: Infesto de Conceptione B. M. dicatur, loco Conceptionis, Santificationis. — Questa mutazione però dee essere posteriore alla introduzione della festa presso i Certosini; poiché ne’ medesimi Statuti, al n. 26 leggo : Priori et conventui liminati et aliis quibus placuerit conceditur, ut festum Conceptionis B. M. possint solemniter celebrare; et fiat festum sicut in Nativitate eiusdem, in nomen Conceptionis, nomine Nativitatis mutato ; di qual’anno siano questi Statuti non saprei dirlo: li credo di diversi tempi, e sono di opinione che l’intera raccolta non sia prima della metà del XIII Secolo. Si dice al n. 5 : Cum Dominus noster SS. Pontifex ordinaverit, et stricte praeceperit in virtute S. obedientiae solemniter celebrari ab omnibus festum corporis Christi, ecc. Que- 244 CIORNALE LIGUSTICO st’ ordine in virtute S. obedientiae si legge nella bolla di Urbano IV, che l’anno 1264 institui la festa del Sacramento. Si sa però che l’ordine di Urbano non ebbe troppo effetto, e che da Clemente V fu rinnovato nel secolo seguente, cioè l’anno 1312, e nuovamente da Giovanni XXII 1 anno 1316, e la bolla di Urbano fu inserita nella Clementina. Io non trovo questa festa nelle Antichi consuetudini, terminate l’anno 1271. La trovo nelle Nuove, raccolte sulla fine del Secolo XIV, al c. 2, parte prima; onde potrei inferirne che l’ordine posto sotto il n. 5 de’ citati Statuti è de tempi di Clemente V, e conseguentemente che la raccolta è del Secolo XIV; ma ciò finalmente poco monta al presente bisogno. Che poi quei Statuti non sieno tutti di un tempo , i due che qui si sono riferiti sulla festa della Concezione chiaramente il dimostrano. Comunque però sia, i Certosini dopo il 1368, nel qual anno fu ordinata la nuova raccolta delle consuetudini, come abbiamo detto, celebravano la festa sopraddetta sotto il titolo di Santificazione, leggendosi al c. 2 della parte prima delle medesime: In festo Sanctificationis B. M. fiat ojfiaio sicut in Nativitate eiusdem, nomine Nativitatis in nomen Sanctificationis transmutato ; e nel c. 2 della parte terza : Conversi a laboribus non cessant in solìempnitatibus, et festis que seruntur videlicet in solìempnitatibus Dedicationis Ecclesie et Sanctificationis B. M. quando transferuntur, ecc. Sotto questo titolo celebravasi parimente dopo la metà del Secolo XV, epoca, come ho detto, delle postille marginali che sono nel codice, giacché in una di queste posta al capitolo I della prima parte delle Antiche consuetudini, di contro al luogo ove parlasi del tacere la Gloria in excelsis e V Ite Missa est ecc. in tempo di Advento, si trova scritto : Excepto festo Sanctificationis B. M., in quo dicuntur ecc.; è vero che ivi medesimo sulla voce Sanctificationis leggesi Conceptionis ; è però manifesto che questa è giunta d’altra mano, dopo che la festa ri- GIORNALE LIGUSTICO 245 cuperò finalmente il primo e vero suo nome. Nella terza compilazione De’ Statuti ecc. dell’Ordine, [fatta l’anno 1509 sotto Francesco del Pozzo, e stampata in Basilea l’anno seguente, se non erro, della quale compilazione molti Statuti e decreti riferisce Massoni (c. 2, n. 46, p. 222) si legge: Festum gloriosae V. M. quod solemniter celebratur sub nomine Conceptionis iuxta Ecclesiae determinationenf, statuto non obstante de Sanctificatione mentionem faciente. Quest’ordine è certamente anteriore all’anno 1509 e dee essere stato fatto in occasione che Sisto IV ordinò la celebrazione di detta festa per tutta la Chiesa e ne pubblicò l’officio gli anni 1476 e 77, conforme può vedersi negli Annali Ecclesiastici sotto gli anni accennati. In secondo luogo nel Calendario medesimo trovo notato ai 21 di novembre: Praesentatio Beate Marie Virginis-Candelis; la qual ultima voce denota che la Presentazione era una di quelle feste che tra' Certosini chiamavansi Solemnitates Candelarum, per le ragioni che se ne danno nelle loro consuetudini. Queste solennità si enumerano al c. 32 delle Antiche consuetudini, parte prima, e la Presentazione non si vede tra esse, nè parola alcuna se ne fa nelle nuove; convien dunque dire che questa festa non fosse ancora introdotta allorquando fu fatta la detta compilazione. Non dee recar ciò maraviglia, mentre si pretende che fosse instituita nellOccidente l’anno 1374 sotto Gregorio XI, dopo che Filippo Maseri, ambasciatore del Re di Cipro ne portò ad Avignone l’officio. Carlo V, Re di Francia, si adoperò perchè fosse celebrata ne’ suoi Stati e ne scrisse all’Università di Navarra. È però assai facile che non fosse comunemente abbracciata ; poiché trovo che Pio II l’anno 1460 accordò a Guglielmo, Elettor di Sassonia, di poterla celebrare ne’ suoi Stati, la bolla però di tal concessione non fu spedita che l’anno 1464 da Paolo II, ed è riportata da Giorgio Colvenerio nel suo Calendario Ma- 246 GIORNALE LIGUSTICO riano (parte II, pag. 344 ecc). Non dubito che dopo questo tempo non divenisse comune nella Chiesa. I Certosini la riceverono tra le loro feste, e nella terza raccolta dei loro Statuti ecc., già citata al c. 2, n. 42, si ordina: Festis Prae-sentationis B. M. solemniter celebretur per totum ordinem 21 no- vembris, quoad Monacos tantum. Or da tutto questo parmi che si possa ragionevolmente inferire che il sopracitato Calendario, il quale è tutto di una mano e in cui non si vede cosa veruna aggiunta da mano posteriore, sia stato scritto dopo che fu ricevuta nell ordine Certosino la festa della Presentazione], e dopo che quella della Concezione lasciò di chiamarsi più festum Sanctificationis e riebbe l’antico suo nome di Concezione, che è quanto dire che questo Calendario sia stato scritto dopo la metà del Secolo XV. CODICE XXVI. Emone canonico Premonstratense e primo abate di Werum in Frisia, nato l’anno 1166 e morto sul fine del 1237, è l’autore di questa Cronica, che dal 1196 arriva fino all anno suddetto 1237. Due edizioni di quest’opera trovo citate, la prima di Antonio Mattei professore di Giurisprudenza in Leiden, che la inserì nel Tomo III de’ suoi Analecta Veteris Aevi, l’anno 1699 in 8. con questo titolo Chronicon Emonis abbatis primi in Werum; questo titolo è differente da quello che portano il Codice Frisio ed il Groningense citati dall Oudin, (Tom. Ili, p. 161) il primo dei quali dice: A-nnales Coenobii Witterwerumani Ord. Praemonstrat, in Frisia inter Amasim et Labacum ; il secondo : Incipiunt Chronica, et primo de Fundatione et fundatore novi Claustri, quod dicitur Floridus Hortus, titolo poco dissomigliante da quello del presente manoscritto. La seconda edizione è dell’anno 1725, fatta dal Priore Hugo Premonstratense, abate di Estivai, accresciuta di note, per quanto dice il Moreri. GIORNALE LIGUSTICO 247 Anche questo manoscritto è ricco di note marginali; se esse siano quelle della edizione dell’abate di Sstivai non si può dite, se non confrontando l’une con le altre. Il manoscritto è certamente moderno, e mostra pochissimi anni. Dopo la Chronica si trovano alcuni soliloqui dello stesso Emone, come si afferma in un piccolo epilogo che è al fine dei medesimi aggiunto da Mecone. Questo Mecone dee essere il secondo successore di Emone nella Abbazia, da cui fu continuata la Chronica di Emone fino all’anno 1273, stampata anch’essa da Mattei e dall’abate d’Estivai. Ubbone Emmio si è servito di questa Chronica nella sua storia di Frisia, secondo che leggesi nel sopracitato Oudin, che può vedersi unitamente a Moreri ecc. (Continua) ANNUNZI BIBLIOGRAFICI Epistola Peregrini de Belmesseris pontremulensis. Lucae, Justi 1880. Ecco un nuovo cultore delle muse latine di quel secolo XV, che tanti ne ebbe. Lo aveva indicato il ch. Bongi (1) , ed ora ne pubblica i versi il diligente ed esperto Giovanni Sforza, dalle carte dell’insigne Archivio lucchese, che riguardano la signoria di Paolo Guinigi. È un pontremolese antenato di un altro poeta laureato , di cui ci rimane un raro volume di poesie della prima metà del cinquecento (2). Anzi sembra strano, e ben lo nota l’editore, che questo Pellegrino sia rimasto ignoto al nipote, mentre ne’ suoi versi latini ricorda la sua agnazione. L’ epistola in versi elegiaci non senza garbo, è diretta a Guido Manfredi da Pietrasanta segretario e confidente molto intimo del Guinigi, poi traditore ingratissimo. Uomo assai valente non solo nelle cose politiche e amministrative, ma eziandio in opera di lettere, e stretto in amicizia col Barbaro, col Salutati e con altri scrittori di bella fama. Del quale suo amore alle lettere ci dà prova anche un documento curioso qui edito (p. *36); cioè la nota di parte dei suoi libri, ch’egli dovette impegnare (1) Paolo Guinigi e le sue ricche^, 24. (2) Questi e Paolo Belmesseri di cui vedi Gerini, Memorie storiche di uomini insigni di Lu-nigituia , 11, 247 e Lancetti , Memorie dei poeti laureati. 24S GIORNALE LIGUSTICO per 200 fiorini d’ oro, a fine di sopperire alle spese occorsegli nella opportunità che su^ figlio Francesco venne eletto vescovo di Luni. All’ epistola premette lo Sforza una notevole avvertenza , nella quale , prendendo occasione dal silenzio del Gerini intorno a questo pontremo-lese , si fa a riempire le molte lacune, che nell’ opera di quello scrittore si riscontrano a proposito degli uomini chiari di Pontremoli. Intorno a Bernardino Campi, di cui ricorda i lavori storici manoso itti (p. 20), trovo questo cenno : « Bernardinus a Pontremulo, Genuensis Provinciae Condonator, regularis observantiae integritate et orationis studio nemini secundus, ideoque ad conventuum praefecturas saepe assumptus. Obiit in Dominio Pontremoli 1716. Laboravit in condenda historia provinciae seu regionis Lunensis , addito elencho Cardinalium , Episcoporum ac virorum illustrium; imo et serie adjuncta ecclesiarum Parochialium ejusdem regionis, sub hoc titulo : Successi memorabili Iella Lunigiana. Ineditum opum remanet, et in nostra Genuensi Biblioteca servatum» (1). II quale manoscritto apografo con alcune correzioni di mano dell autore, si conserva nella Biblioteca dei Missionari urbani ; porta la data del 1714 e questa nota autografa: « Questa è la prima copia de’ successi memorabili di Lunigiana, raccolti e descritti da me Fra Bernardino Campi da Pontremoli predicatore capuccino ». Era questa la copia preparata per la stampa , come si vede dalle approvazioni, e da alcuni sonetti in lode del-P autore , uno dei quali è di quel Gerolamo Bozi, accennato dallo Sforza (p· 15)· Di Biagio Curini juniore, che lesse instituta civile nell’università di Pisa fino al 1748 (p. 15), si può aggiungere la seguente pubblicazione: « Orazione funerale per Γ esequie del Gran Duca Gio. Gastone I, recitata nella Chiesa conven. di Pisa il di 28 Nov. 17^7. In Pisa 1738, per Evangelista Puglia » (2). Trovo un Salvus de Pontremulo maestro di grammatica a Genova nel 1298 (3); e nelle « Composizioni di diversi per lo dottorato fatto in Parma di Carlo Antonio Ripa ecc. Parma, Viotto 1604 », veggo alcune rime di Francesco Uggeri (4). Si può anche aggiungere quest’altra notizia : « Joannes Baptista Pizzati a Pontremulo, in Genuensi Provincia cursum incoepit ardenter, perfecitque gloriose. Animum pietate non mediocri, ingenium studiis cujusque erudi- (1) Bernardus a Bohonia, Scriptores capuccinorum. (0 Moreni , Bibliografia toscana. (3) Da Passano, Origine e progresso della istruzione popolare in Genova, io. (4) Quadrio , Storia e ragione d’ ogni poesia. GIORNALE LIGUSTICO 249 tionis, hominum exteriorem modestia, et interiorem meritis bonorum operum coluit et instruxit. Ad Cathedras proinde Philosophiae , et Theologiae est electus, ad suggestus ut Condonator fervidus et expetitus, ad Comentuum praefecturas assumptus, ad ulteriores quoque gradus esset sublimatus, ni morte praeoccupatus in coelum ad trimuphos sublimiores evolasset. Ejus laborum fructus sunt : Avvertimenti Rettorici Sacri che compì endono il metodo di predicare Appostolico. Piacenza 1719 presso il Zam-belli in 8.° » (1). Scrisse ancora: Due novene una per anime del purgato-110 altra di passione in quarant’ore di Settimana Santa con aggiunte di alcuni altri discorsi recitati in varie funzioni. In Genova 1730, Franchelli. Finalmente quel Giovanni de’ Castellini, di cui lo Sforza cita una lettera a Nicodemo Trincadini, esistente in un codice della Riccardiana (p. 28), deve essere lo stesso che fu canonico a Genova , e che morì nel 1468 lasciando diversi libri de’ quali produco la nota (2) , donde si può argomentare non gli dispiacesse il culto delle buone lettere. MCCCCLXII die Iovis XV Aprilis. Hoc est inventarium seu repertorium rerum et honorum quondam venerabilis domini Iohannis de Castellinis de Pontremulo canonici Ecclesie la-nuensium repertorum in camera residentie dicti quondam Iohannis..... Primo etc. Liber unus Terentii in cartis copertus corio rubeo. Item alius liber in cartis copertus corio albo intitulatus opera virorum illustrium. Item alius liber in papiro corpertus corio rubeo intitulatus ah extra plura , et diversa opera. Item unus liber parvus synonima Tullii. Item alius liber iu papiro Virgilii cum suo comento. Item alius liber pulcer in cartis copertus corio rubeo qui incipit in rubro : Sanctissimo Domino qui sunt opera Blondi de Forlivio. Item alius liber in papiro copertus corio rubeo in quo sunt Demostenis orationes. Item alius liber in cartis copertus corio albo qui incipit in rubro: Mathei Palmerii de temporibus diffinitionum. Item alius liber parvus copertus corio albo, qui incipit in rubro: Clarissimi oratoris Guarini. (1) Bhrnardus a Bononia, cit. (2) Arch. Notarile, Atti di Andrea de Cairo, fil. iS , n. 77. 250 GIORNALE LIGUSTICO Item tragedie Scnece in cartis copertus corto nibeo. Item liber unus in papiro copertus tela qui incipit: Quoniam scire tempora. Item cassonum unum ferratum copertum corio piloso, in quo sunl volumina infrascripta. Liber unus in cartis copertus corio rubeo videlicet orationes Tulii. Item alius liber in papiro9copertus corio ruheo videlicet retorice Tulii nove. Item alius liber parvus in carta copertus corio rubeo historiarum lati-narum. Item liber unus Titi Livii in cartis non ligatus in duabus tabulis. Item alius liber in papiro copertus corio rubeo. Frondini Florentini De viribus (sic) illustribus Romanorum. Item alius liber in cartis copertus corio rubeo intitulatus ab extra pio-blema Aristotelis. Item alius liber in cartis Ethicorum Aristotilis translatus per dominum Leonardum Arietinum copertus corio rubeo. Item alius liber in cartis copertus corio' Leonardi Arietini Ysagogice. Item alius liber parvus in cartis copertus corio rubeo intitulatus: Institutio Pustronij (?). Item alius liber in cartis copertus corio rubeo intitulatus Francisci Fecim poete clarissimi ad beatam Virginem. Item alius liber in cartis copertus corio rubeo Marcheto intitulatus liber Svetonii. Item liber unus in quaternis non ligatis intitulatus Hystoriaruin Hero· dotis. Item alius liber in papiro copertus corio rubeo intitulatus Francisci Fi-lerfi hapostemata. Item alius liber in papiro copertus corio ruheo Marci Tullii Ciceronis ad Brutum de optimo dicendi genere. Item alius liber in cartis copertus corio albo intitulatus Iunii Iuvenalis. Item alius liber in papiro copertus corio rubeo videlicet annales. Item alius liber in cartis copertus rubeo coperto cario bono videlicet co-mentariarum Cesaris. Item alius liber parvus iu papiro diversorum orationum. Item certe carte laborate non scripte. Item breviarum unum. Item diurnum unum. Item mactum unum cartarum. Pasquale Fazio. Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 25I ALCUNE LETTERE DI DOMENICO SAULI Gli alti uffici che questo genovese tenne nel ducato di Milano, ed i negozi politici che gli furono affidati, fecero sì che il suo nome fosse tramandato alla posterità colle unanimi testimonianze di lode dei suoi contemporanei; onde, lasciando stare quel che ne dice il Foglietta, può ricordarsi 1 onorevole memoria lasciatane da Leandro Alberti, da Paolo Giovio, da Benedetto Varchi e da Matteo Bandello. Non voglio dire con questo che egli si debba mettere a paro dei grandi politici del secolo XVI; ma neppure gli si vorrà togliere quel merito riconosciuto in lui dai contemporanei, e dallo stesso marchese di Pescara, laddove lo additava a Carlo V come « uno de los que mas an entendido en las platicas de los potentados de Ytalya » (1). Del che siamo fatti pienamente sicuri quando lo vediamo scelto come confidente negoziatore fra Clemente VII e Girolamo Morone, nel-1’ardita quanto infelice congiura contro l’imperatore. Senza discutere se avesse o no capito il gran concetto dell’ illustre cancelliere (2), ben rileviamo che egli più finamente giudicava quel che si passasse nell’ animo del Pescara, onde invitato dal Morone a recarsi con lui a Novara, ricusò per « la mala opinione della mente del Marchese circa questo negozio » della congiura ; e quasi presago di quello che poi avvenne, gli disse « che pregava a Dio che gli desse più consolatione in questo negotio di quella che egli sperava » (3). Il risultato di quell’abboccamento ha dato subito ragione al nostro geno- (1) Müller, Documenti che concernono la vita pubblica di G. Morone nella .Misceli. di Stor. hai. Ili, 403. (2) Porro, Autobiografia di D. Sauli, Misceli, cit. XVII, 3. (3) Ragionamento di D. Sauli a Francesco suo figliuolo , nel quale si narrano alcuni particolari avvenimenti della vita sua. Ms. autografo nella Bibl. Universit. di Genova, E, VII, 29. Cito questo a preferenza della stampa del Porro. GìOrn. Ligustico, Anno VII e Vili. 16 2)2 GIORNALE LIGUSTICO vese, il quale poteva benissimo essere un affarista (i), intesa questa parola nel significato onesto, senza cessare di mostrarsi avveduto politico ; di che si può aver buon argomento da alcune sue lettere sparse in raccolte, e singolarmente da quella scritta nel 1526 da Venezia al Duca di Milano, intorno alla politica da seguirsi dopo la resa del castello al Borbone (2). Eccola: III.'”0 et ex."” segnor, et segnor mio oss.m0 Il mag.00 Taverna, oratore de V. Ex.cia, ritornato l’altro giorno qui. mi fece intendere per parte di quella, che io dovessi discorrere nell a nimo mio, et poner in scritto ciò che convenesse a V. Ex.a fai e cosl 111 questo stato de cose, come in ogni altro, nel qual la fortuna potessi ca dere con magior conservatione de la dignità de V. Ex.ia che fussi possi bile. La Ex." V. harà poi veduto per lettere del prefato oratore suo la causa, perchè si sia differto sino a qui, et perchè heri io vidi in una lit tera sua al sopradetto orator suo replicarmi de mano propria de Ex. el medesimo, non ho voluto differir più a far li comandamenti soi, agiongerò parole in escusation mia et del mio poco sapete, et dire, quanto V. Ex.tia se possia ingannare de la opinione che ha concetto me, perchè io voglio più presto con obedirle cadere da questa opinione sua, che conservarmi in quella, et non far prontamente tutto ciò, che da lei mi sia comandata. Tute le ragione, 111.”° et Ex.m° S.or, come si dice, divine et humane voleno, che la vittoria segui dal canto di questa sanct.mi> lega, et conse quentemente chella V. Ex.a abbia da restar libera et quieta nel stato suo. Imperochè par verisimile, che li particolari interessi debbino tenei cia^ scheduno de questi principi confederati constante in osbervatione de li patti de questa lega, et stando tutti loro così uniti, le forze sono et .se^ rano tale e tante, che senza molto operare, et conservandose integri non può seguir ragionevolmente altro, salvo che li inimici si consumino, et venghino in necessità tale, che li convenga cedere o perdersi, lo quale exito si vederà più apertamente, se si aquistassi Genoa, donde non po-tessino espettare dal canto de Spagna subssidij de denari, nè di gente, (1) Porro, loc. cit. (2) Müller cit., 593. GIORNALE LIGUSTICO 253 o se si exeguisse questa nova impresa del regno con gente nova, et armata per mare nova, come si designa, al qual effetto la* S.14 de N. S. et questo ili."10 dominio sonno resoluti ogni volta chel re cristianissimo vi concorra, dal qual si espetta ogni liora risposta ; per la qual cosa mi pare, che a tanti avantagli et tante forze essentiale et prompte non si possia desiderar altro, salvo che chi le administra sia de valor et consiglio tale, che basti a reggerle, perchè a dir quel ch’1o sento, io ho più paura, che questo peso sia maggiore de quello che si siano atti a portarlo coloro chil portano, et temo più di questo, che non facio de la bona mente de li principi confederati, et de la grandeza de le forze. Ma purché non si commetta sullo importante, et che si attendi a mantener la guerra senza danno, non per questo è da dubitare di ottener tandem vittoria, et quel che si desidera. Nel qual caso, come dissi, V. E. resterà nel stato suo libera et quieta, et spero che si conserverà in quello tanto, quanto Dio li presterà vita, imperochè io vedo a questa conservation sua gietati così gran fundamenti in la volunlà de N. S.re, et de questi S.ri Venetiani, come si po desiderare per questo effetto, per conservatione de li quali in questa voluntà et opinione a me non pare, che se li possia aggiùngere molto a quello che V. Ex. fa, et massime con costoro, perché io sento, che V. Ex. ha così guadagnati li loro animi, parte con li officij soi fatti già con lo ambasciatore veneto, parte con la prudentia et bon modi da lei tenuti in la obsidìon sua, che è cosa notabile. Aggionto che a queste occasione el mag.c0 Taverna ha accompa-pagnato cosi prudentemente et bene lo officio suo, che non meno mi allegro di riconoscere el valor di un simil ministro de V. Ex. chi li po venir a grande uso in tante cose, et così importante, de quello che faccio, vedendo quanta utilità la ne sia per prendere, et perchè per la conservatione che ho con molti di loro io posso intrinsecamente cognoscere ciò. che dico, nè parlo così assecuramente come faccio, parendomi etian-dio cosa chi pertenghi essentialmente alli consigli de V. Ex. Io vorrei essere, così securo de la perseverantia de quella voluntà, in la quale dissi de sopra essere N. S., non già, perchè sino a qui la senti ponto diminuta, ma per la naturai timidità di S. S.til io dubiterei più in caso di qualche notabil danno che si relevasse in questa guerra, che lussi homo per cedere alla propria voluntà et animo suo. Et per questo rispetto a me pare, che sia sopra tuto da‘meter più diligentia in continuar de li officij, et boni modi per parte de \. Ex. con S. S.t4, et appresso de monsignor datario, de l’animo del quale versole cose de V. Ex.ia certo io non saprei desiderar più de quello che dissi, 254 GIORNALE LIGUSTICO io giudico el rever. cavalere de Landriano molto apto, ma quando V. Ex.ia potessi mdure lo rever. Argillense, che de verso li bagni di Luca, ove si trova, fussi contento de andar, a Roma et star come solea privatamente appresso mons. datario, perchè questa forma et a me pareria migliore, et forsi esso per li interessi particulari soi non si ellegieva altramente, io reputarei che V. Ex. havessi satesfatto a questo negocio per adesso, essendo quel homo estimato et asai famigliare con mons. da tario per poter con domestica libertà ad ogni hora parlar de ogni cosa. Questa provisione é necessaria in qual si voglia caso, che le cose ca dino ; imperochè in quello de la desiderata vittoria non converrà meno a V. Ex.ìa bisognar de tal opera al conservarsi in satisfatione di S. S. , che se si dimorassi in queste difficultà, ove siamo, perchè alhora con verrà trattar del matrimonio de V. Ex.ia, cosa tanto importante per molti rispetti, et de altri importanti interessi del stato suo chi depen derano così da la cap.ne de la lega, come da altri, chi dependerano del stato de V. Ex., tra quella et sua S.t4·, a beneficio de le qual cose im portà asai darli una bona prima impressione et forma per lo avenire, al quale effetto V. Ex> intende, quanto possia giovare la qualità de una persona che abbia le parte che commemorai in 1’ Argilense, alla fede del quale et amore verso V.. Ex.tia non penso che si possia desiderar più oltre, che ho cognosciuto in 1’ animo suo odio grande contra li oppressori de V. Ex.*'% quando el Morone comunicò con lui li consigli soi. Ma quello che al presente acada più da considerare è quel, che V. Ex.tia convenghi fare, et a che consiglio volgersi de passare el tempo con più conservation de la dignità sua che si può, in caso che 1 exito de questa guerra per qualche inconveniente sortisse al contrario di quello che si vorria. Io giudico, 111.™0 S.re, che questo caso de sucesso contrario de le cose non possia vegnire; salvo in un di questi tre infrascritti modi ; l’uno, che per qualche gran rotta de giornata la vittoria resti dal canto de li inimici, l’altro; che con alcun più leggier danno, come o per favor so-pragionto a detti inimici, o disfavore seguito ne lo cose de la lega li execiti si resolvessino, et retrocessi ciascuno a casa sua, et che in qualsivoglia de questi casi N. S.re e questi condescendessino alle manco mal condicione di apontamento che potessimo, in ognun de li quali casi io presupongo per indubitato, che si tenerà ragione della Ex.ita V., et che non serà derelicta da li soi confederati, perchè oltre che serà sempre de loro interesse non passarsine negligentemente, serano etiando astretti de la ragione de li foederi (per dirle questo nome), et per ragione naturale GIORNALE LIGUSTICO 255 et de loro conscientie, sapendo loro, che li rispetti che V. Ex.tia ha ha-vuto de conformarsi alle loro voglie hano causata gran parte de la fortuna dp V. Ex., advisando quella in questo proposito, che quando mi è acaduto nel tempo che V. Ex. sa, io deti questa forma al negocio mio, per queste ragione adunque non posso, salvo tar presuposito, che in quelli casi seguirà ciò che dissi. Et da 1’ altro canto io son di coloro chi non posso darmi ad intendere, che per qualsivogli vittoria che questi cesarei per disgratia havessino, habbino mai a parersi cosi absoluti patroni, che non debbino venir sempre voluntera a tale apuntamento col resto de Italia, che la condicion et dimanda che fussi fatta, che si ha-vessi ragione de la persona de V. Ex.ia, non fusse allora sempre a(-ep-tabile, oltre che forsi per lo interesse loro li venerano voluntera, et se non fussi cosi favorevole el stato de le cose de Italia, che non li '.oles sino conceder Cremona, una simile cosa, come si trattò ne la deditione del castello non li mancherà mai, et quando V. Ex., stracca de le reso lutione et sorte del mondo, volessi volgerse alle cose de chiesia, io credo, che da loro veniria, et fursi anche più facilmente, el modo de mantenersi in un simil stato conveniente alla persona de \. Ex., et che N. S.re voluntera li daria tute le dignità chel potessi, et V. Ex. lechie dessi. Io pongo, che li modi del maatenere V. Ex. habb;ano a \enire da loro, et non da li confederati ; imperochè guadagnando loro, in qual caso si potea haver cosa più importante, et perchè non mi pareria cosi facil cosa cavar de qua xxx 0 xl millia ducati 1 anno, come seria el bisoDno de V. Ex., ma 'basteria, che per simili mezi et opportunità loro in tale caso si havessi lo effetto, fussi da che lato si volessi. Ho detto dui de Γ modi, ne’ quali per mio giudizio possino succedere le cose conti arie, ciò che in essi mi occorre, che abbia a essere de le cose particolare V. Ex., et ambi detti modi sono de qualità asai conforme, ma differeno che in un caso le condicione per V. Ex> possono esser più ampie et pm utile cha in 1’ altra, ma concludo, che necessariamente converrà che sia havuta conveniente ragione de lei. Resta che dica del terzo, quale a mio parere è questo, che li exerc.ti si retirino per qualsivoglia causa, et con si venghi ad execu : guerra, ma si produchino le cose non li animi inimichi; espettando torsi ognuno dal canto suo novi desegni per instaurar la guerra, el qual caso per quanto tocca a V. Ex. è asai simile a quello, nel quale a si trova ,1 presence, nel quale p« ,»an,o tocca . ,«.Uo che aperwgh, * V. Ex., che posa· io di, ateo, salvo confo-»,la · ..le™ * medesima fonuna che seri tollerata da li confede,,., so,, o almeno 256 GIORNALE LIGUSTICO resto de Italia, et star a benefìcio de natura et del tempo, perchè poco peggio pò succedere allongo andare de ciò, che io dissi in li dui casi de succumbentia et di accordo, et non venendo ad accordo de quello in che si sia ad esso. Et perchè adesso V. Ex.itt mi dirà, che li manca ogni cosa, et denique quel modo che la cerca, dirò ancora a questo ciò che mi occorre. Se Cremona si prende, come io spero, io stimo che V. Ex. non ricercherà altro, quanto per la provision de la persona et stantia de quella. Mancando questo a me par de necessità, che la Ex. V. rechieda sovegno alla S.tà de N. S. et a questo ill.mo dominio, et a me pare et conveniente et ragionevole, che le provedino, et penso chel farano. Io ho già introdutto un poco de pratica con mons. datario, dal quale hebbi risposta asai commoda, come V. Ex. harà veduto dala medesma littera de S. S.tó che lo mag.co oratore suo le ha mandato, et se V. Ex. mi manderà cosi, io continuarò più oltra ; ma quando si vedessi che la impresa presente de Cremona si difficultassi, io giudicherei bene a proposito per questa particolar materia la presentia del Argilense de di là, et quando pure non fussi modo de indurlo ad andarvi, laudo in ogni modo, o per mezo del cavalere, o de chi occorrerà più a proposito a V. Ex.‘ia, farlo con una sua particolar littera de credenza, così a N. S., come a mons. datario, et io non mancarò per mie littere tocar quelliìochi che mi pare-rano al proposito. Ottenuto questo a Roma serà poi facile qui a mio giudizio, de la qual cosa mi remetto però al mag.00 oratore de V. Ex.t,a' In somma, Ill.mo S.re, io concludo, che Roma sia la tramontana per adesso de V. Ex., perchè questi S.r! medesimi navigano ancor loro a quel segno, perchè replico, che V. Ex.tia faria bona provisione alli presenti casi soi et de 1’ avenire, havere lo amico che dissi in quel loco, chi provedessi al presente, et disponessi le materie in ogni caso in avenire, al che fare V. Ex.1'* sa, quanto importi haver la familiarità, le hore, le opportunità, come colui ha, le qual cose appresso lo valore et tede del homo mi fanno correr ogni volta quivi. Io vedo ben et confesso, IH·™0 Segnor, che io non seria al tuto inepto a questo bisogno, et veramente, che io mi sarei exhibito a V. Ex.lia, se non fussino doi obietti, li quali me importano troppo, 1’ uno, che essendo mezo scandalizzato con mei fratelli per li grandi loro interessi che li restano in Milano de quelli comodi, chi furono fatti alla camera ducale de V. Ex.tia, la maggior parte delle quali restano interdetti con quel pericolo che vede V. Ex.tia, ne le quali reputandose indutti da me si reputeriano ad iniuria, quando 10 mi scoprissi più contra li cesarei, persuadendosi, che questo mio scoprire li dovessi portar gran danno, come io credo; et l’altro per haver GIORNALE LIGUSTICO 257 uno nostro fratello in persona a Napoli, et molti beni in Spagna et altri loci, ove questi maligni nostri ne potriano metter molte insidie sotto pretesto così del passato, come del presente, perchè mi converria, oltre el pericolo de così gravi loro danni, venire in maggior discussione con loro, chi saria cosa a me mal fatta et contra el dovere, et quello che mi si convene, perchè quando non mi fussi salvo da considerar lo particolar interesse de me solo, prego V. Ex. che mi creda, che io non harei alcun rispetto non che de meterlo in periculo, ma lo perderei facilmente voluntera per ogni speranza de fare relevato comodo aV. Ex.“a· Questo medesimo respetto mi tenne che non m’ andassi a Roma, quando venni qua, perchè cognoscea, che questi cesarei hariano suspicato, che havessi possuto più operarmi in quel loco che qui, sì che supplico V. Ex.tia che acetti questa mia voluntà, perchè non mi move in questo caso tanto rispetto de interesse particular, quanto quello che per debito et conveniente mi apertene de fare. De la stantia de la persona de V. Ex. nel medesimo sopradetto caso, ■de difficultarsi la impresa de Cremona, a me piaceria, quanto più presto la potessi, o per quel bisogno che mi è detto, che la ne ha alla total recuperatione de la pristina sua sanità, o quando non havesse già tanto bisogno, che la facessi fìngere da li medici, et sparger voce de ha\er detto bisogno de venir alli bagni di Veronese o di Padoana, perchè mi pareria honesto pretesto a passar el tempo, et per rimoversi da le exe-cutione de la guerra con dignità sua, non possendoli havei quel loco, chi si converria. Alcuno altro, chi ha forsi più opinioni ne la intagrità dell’ animo de Cesare, comenderà etiandio questo fatto de V. Ex., et dirà, che honestamente ha schivato de irritar più sua M.‘“ Ces. , il '-he. se io credessi che havessi mai a giovare, piaceria ancora a me, ma non so se mi credessi questo, che se pur dovessi mai essere, potria seguire, quando sua M.u non potessi più reggere questa impresa, et che men prò vocato volessi far de la necessità virtù, et volessi mostrarsi autho voler V. Ex. in quel stato, come confidente suo, la qual cosa non sena già al tuto inutile, perchè serviria alhora summamente appresi Frantia et de li altri alla reputatione et stabilimento de V. x. ra questo mezo, che V. Ex. stesse alli bagni, li eventi del tempo danano conseglio et ocasione de pensar più inanzi, et per adesso lau ena a . Ex.“a scriver una littera al prefato Argilens* et aggiungere in quella qualche parole de man sua. lo ho pretermesso de sopra «» al.ro caso, .el quale .lem vorr.no forsi dire, che potessi», edere le cose, cioè chel chrisoan.ss.mo s, par- 258 GIORNALE LIGUSTICO tissi da questa lega, et accordassi con Cesare, nel qual caso questi tali vorran forsi dire, che non serà ciò che dissi de sopra, che convegna alli Cesarei ricercare accordo con li potentati de Italia, ma che per mezo di tale apuntamento con Francia o cum precessa vittoria in Italia o no resteria tanto patrone, et superior Cesare, che converria ad ognuno andarvi con la correggia al collo, nel qual caso costoro mi domanderano, ch’io proveda alli casi de V. Ex., perché vorranno dire, che in tal caso non vi pò esser consiglio chi vi servi, salvo star a mercè de sorte e de fortuna. A questi io rispondo, et in prima, che el presuponer, chel re si parta dal debito, presupone uno inconveniente, el quale è possibile, perchè di-rano lo exemplo de ciò che ha fatto poco inanzi con Cesarei, ma non è verisimile per lo interesse suo et del suo regno. Secundo, posito questo io non concederò già cosi facilmente, che convellessi in quel caso gietarsi cosi con la corregia al collo, imperochè le forze et iorteza del stato de Venetiani, et la authorità de un papa sono contese tale, che non posso indurmi a credere, che per potente che fussi 1’ imperatore, non sia sempre ben contento de venire con loro a bone conditione, fra le quale verisimilmente quella de far tenire ragione de V. Ex.,,a haverà sempre loco. Ma io facio male a concedere presupositi chi non hanno modo, nè mezo alcuno remoss.o, el quale non pò cadere in mente ad homo de lare questi argomenti. Et che così sia. Io domando a questi tali, chi vo-leno presuponer tale accordo, quel che voleno in questo acordo che preceda o la executione de quelle cose che lo imperatore domanda dal re, come seria dichiamo (sic) permissione o adiuto ad aquistar lo stato de Milano, o vero quelle chel re vole da lo imperatore, cioè la restitutione de le figlioli. Se mi dirano quello che el re vole da lo imperatore, et che esso imperatore si contenterà de star un’ altra volta alla fede del re, le rispondo, che el re mancherà un’ altra volta giustificatamente allo imperatore, convenendoli più servar quella che prima havea data al papa et a Venetiani, et lo faria indubitatamente, perchè gli meterà più conto far così per non permeter allo imperatore venir a tanta grandeza, che lo potessi un altra volta rovinare, come è ragione debbia temere el re, et per reputarsi Cesare, deluso da esso re, et per lo naturai odio cresciuto etiam per questo, et per quella insatiabil avidità de la Borgogna, sì che non è verisimile, che esso imperatore si fidi prima del re, et se s’e ne fiderà, molto meno si potrà temere, perchè ottenuto chel re habbia el fa11o suo, un altra volca di mera necessità si stringerà con la Italia. Et se dirano, che non credo però alcuno si ignorante, chel dica, GIORNALE LIGUSTICO 259 che el re serà esso el primo a fidarsi, et si contenterà de permettere allo Imperatore el stato de Milano per star poi alla mercede sua che li restituisca li figlioli, io non giudico, che contra cosi assurdo presuposito sia da rispondere, perchè non deve cadere in opinione de homo sensato, che mai el re si fidi prima de Cesare, sapendo esso Cesare si chiama deluso e tronipato, al quale deve el re estimare, che pareria sempre poter mancar de ogni fede fino a tanto, che havessi havuta quella Borgogna. In summa, Ill.mo Sig.or, in questo accordo tra quei principi è necessaria forza che giochi fede, nè senza fede si pò trovar fra loro alcun mezo de quella compositione che io dissi di sopra, o sia di qual altra si voglia, in la qual possiano venire, da l’altro canto fra loro è già disaminata tanta diffidentia, che a voler presuponere lo sopradetto accordo, e voler confundere la ragione del human discorso sì che non dico ciò, che V. Ex. habbia a fare in quel caso, non sapendo etiandio io medesimo entrarvi. Ma questo, che le cose tra li detti dui principi sijno così distratte, et per per dir così incomponibile, farà bene miglior facia et condicione alle cose de V. Ex.tia in ogni sinistro evento, advisandola per cosa certa, che questo proprio discorso fu quel chi mosse sua S.14 alla guerra, et chi lo mantene animoso, perchè queste sono ragione chiare et vedute da altri che da me, ma io me ne sono ben confirmato circa esse, vedendo così la opinione de quelli de Roma. Nè per questa dirò altro, essendo etiamdio forsi stato troppo longo, et so bene, che V. Ex.tia non vedrà cosa alcuna discorsa da me, che non che da lei, ma volgarmente non potessi esser veduta, nondimeno, come dissi di sopra, non è stato el fine mio, facendo questo, pensarmi de far cosa chi meritassi esser veduta da V. Ex.tia, ma solamente far ciò che da lei mi era imposto, alli comandamenti de la quale serò sempre obe-dientissimo, pregando Dio, che la prosperi ad ogni desiderato stato suo. In Venetia a xx de agosto 1526. Devoto servitore de V. Ex·*'1 Dominico Sauli. Alla quale non sarà inutile far succedere quest altra diretta al Sanga (1). (1) Lettere di Princìpi ecc. II, 17· 26ο GIORNALE LIGUSTICO La sig. Vostra sia la molto ben ritornata, et ancora che non le pare hauer riportato del suo uiaggio tutto quello che la uorria, a me però pare, che habbia fatto et delle opere buone assai di di là, et quando norr hauesse riportato saluo se stessa, saria secondo me assaissimo : oltra che qui è giudicato , che dalla prima lentenza de’ Francesi , a mandar di quella gente d’ arme in Italia, si siano ueduti, et si possi tener per certo di douer uedere maggiori effetti di ciò, che siano tenuti , et eccetto quel caso della prima lentezza , in effetto Monsignor di Baiusa, et quelli che fanno qui li processi delle cose, non uogliono, che se ci uediamo succedere cose sinistre, difficili, ò pericolose, sia da imputarne cosa alcuna a Francesi, ma parte a i poco buoni consigli nostri, parte alle paure ìma-ginatè maggiori, che non importi la uerità della cosa , et parte alla negligenza ; certo è, che qui si pecca, et dentro della Città, et fuori, cioè in campo, et da noi non mancano etiandio delli peccati, li quali però io sento giudicar da ogn’ uno , che se saranno corretti, come si può facilmente, quello che fosse seguito dal canto nostro, harà forse con se portata occasione più commoda a far qualche maggior effetto di ciò che il consiglio sapesse prouedere. Se voi Signor harete otto mila fanti a Roma, chi dubita , che non hauete ad hauer paura di quest’ armata negra di Spagna? et che possono uerisimilmente riuscir delle occasioni , che senz’ alcun negocio ui portano quel regno di Napoli in campo di Fiore al mercato ? O non c’ è modo da mantener quest» spesa ; non si ponno far tante cose, quest’ armata ci coglierà un dì all’ improuisa, come han fatto i Colonnesi ; Signor mio , io non trouo huomo , che ui creda, ne che ui admetta queste ragioni. Io dico, che questi signori Vinitiani se ne scandalizzano, et le attribuiscono a cause poco honorate, che non uoglio dirle. Deh per 1’ amor di Dio non ui gittate voi stessi a perdere: perchè oltre tanto et così universale , e tanto danno , anzi ruina, come si farà , farete, che gli amici, non che gl’ inimici non ui stimaranno , come io dubito assai, che come sono le nature de gli huomini, et delle cose mondane, facilmente seguirla: et V. S. mi parisca, et conceda dir queste cose con lei; perchè se sapesti Sig. mio, che guerre, che battaglie io sostengo da chi non pensereste , ui pareria certo, eh’ io meritassi questa licenza , non che da Vostra Sig. et Monsignor Datario, ma da sua Sant, fate conto, che quelli, che si sfogheriano volentieri con uoi altri, se gli fosse concesso , et eh’ essendo però animati niente manco di uoi, ò di me, mi assaltano, come s’io fossi il Legato , o Monsignor Datario , et dannomi battaglie fastidiose, et uogliono ragione da me d’ogni cosa, et si acuiscono tal’ hora più facilmente; perche quanto so, et posso, sostegno quella GIORNALE LIGUSTICO 261 persona, che mi danno. In insomma, quel ch’io uoglio dire è, ch’io desidero uederui un poco più magnanimi, et risoluti, et far un conto, che ’l peggio che sia , et che possa essere, uon può essere saluo trouar 300 o 400 mila ducati, per ogni uia, che si possa, quando doueste uen-dere le chiaui, et ogni cosa ; perchè, chi non uede, che questa impresa è sicuramente uinta, certo non uede da mezo giorno nel mese di Maggio. Mi scriuono li miei di Genoua, che se l’armata (come dice V. Sig. hauer inteso lei ancora) stà un mese là, et che uadino poche genti per terra ad impedirle le uettouaglie, che Genoua cada certamente; et se questo èy, chi dubita, che al sicuro in due mesi et Milano cade? et che quella negra armata non potrà forse metter piede in terra , restando la nostra ispedita da Genoua? che si metterà a seguirla in qualunque parte d’Italia la uegni per accostax'si : massime , che muniti due, ò tre porti, che saranno uostri hauergli, conuerrà, che la uadi per forza a uoler smontar a Napoli ; o doue uorrete uoi permetterli; poi Dio sa, che opinione io ho della uenuta a saluamento, et non con uana ragione , ma con molti essempii di quelle nauigationi, che le conuien fare. È uero, che M. Hieronimo Sauli mi scrisse di non so qual prouissione, che fece Monsig. per sicurtà dell’ armata delle cose nostre ; ma queste sono cose tanto ghiotte, che temo conuerria ogni giorno prouederle , et rammemorarle, pure non accaderà far altro, saluo, che prego λ . Sig. mi faccia prouisione in ogni modo per mezo di Monsignor d una lettera, accioche se sia tale , che possa ottener un buon saluocondotto per una Naue di M. Stefano Giustiniano , et suoi figliuoli, che deue uenir di Leuante , della quale haueua parlato in quelle lettere più che per rispetto delle nostre cose; perche io desidero di sodisfare più a quell huomc, che a persona, che sia in Genoua, per la incredibile uirtù sua ; et Monsig. et V. S. mi farà una tanta gratia, quanto se la Naue integra, con quanta roba ui sia, mi fosse da loro donata. Bisognaria hauer una lettera, 0 un Breue per il Conte Piero, et M. Andrea Doria ; prego \. Sig. che si af fatichi di sodisfarmi in questa cosa, quanto più presto la può. V. S. si degni di dire a Monsig. ò a M. Lattantio, che ho mandato , molti giorni sono, la cassetta de’ libri Greci già detti, ma che non com^ prai quelle opere di Basilio ; perchè furono comprate di pochi giorni innanzi per conto del Vescovo Sadoleto ; ma che mi ho pre. ' senza commissione di comprar un’ espositione di Chrisostomo sop ^ pistola di san Paolo ad Romanos a 40 carte il ducato; quale mi e detto esser rarissimo libro. Se pure non piacesse, λ . Sig· per me ; perche come si possa, lo farò mandar a Genoua. Et per questa « 2Ó2 GIORNALE LIGUSTICO « non le dirò altro, saluo, che in sua buona gratia humilmente mi raccomando. In Venezia, alli 27 d’Ottobre 1526. £); Sig. feruitore Domenico Sauli. La notizia del tradimento del Pescara e della cattura del Morone giunse ben presto a Milano, e il Duca « ne resto molto afflitto et affannato ». Pensando quindi che il Sauli poteva correre qualche pericolo, « mandò subito a predarmi (così egli stesso) per Gio Angelo Riccio suo secretano che 10 mi volessi ritrar in Castello; dubitare, che il Marchese, 11 quale sapeva che io era in Milano, dovesse haver dato or dine di far ritener me parimente, per haver poi il Morono et me testimonii contesti di quanto si eia per noi trattato. Vedendo io questo timore del Duca gli mandai a far inten dere et assicurarlo che quella notte medesima mi saiei par tito di Milano et sarei andato a Venetia sicuramente, coinè feci, per il Po; di che il Duca ne restò molto satisfatto, parendogli anco che io fossi andato in loco, dove gli ha\eiei potuto far più servitii, che restando serrato nel Castello di Milano ». E il Duca ben si apponeva, perche il ^Sauli coll’opera e col consiglio, bi adoperò sempre con zelo e fedeltà in servigio del suo signore. Il Morone intanto era da un anno sostenuto, quando gli imperiali, sperando col suo mezzo ristorare la borsa asciutta, tanto più che il credevano ricco, gli proposero come piezzo di riscatto 40,000 ducati, e per averli usarono tutti i mezzi, persino la minaccia di morte. Egli spero poter otte nere soccorsi dal Papa, dal Duca di Milano, dagli amici; scrisse a tutti e mandò il figlio al primo. Al Sauli in modo particolare si affidava uscendo, fra le altre in queste pietose parole: « Sig.01' Dominico mio. Io non ho homo al mondo de chi più me fida 0 che ami più o che stimi più de voi, GIORNALE LIGUSTICO 263 per le ragione de nostra amicicia, et lassando le belle pa-rolle, spero che nullo homo farà più per me di voi. Però vi prego, vogliate abbracciare questa mia cossa con tutti gli offitij possibili; corno saria in scaldarmi gli animi de nostro S.re et del sig.rc datario con le ragione che assai haveti a la mano, acciò che mio figliolo sia exaudito; item lì in quella republica potereti assai con vostra autorità et diligentia et facondia movere quelli Sigri et la loro prudentia ad adiutarme; item de quello puoteti fare del vostro et de vostri amici soc-corermi et adiutarmi, et credo fareti sì notabilmente, che de-monstrareti la generosità de Γ animo vostro et la verità del-P amore vostro verso me » (1). Ma Domenico non Fu punto commosso dalle vive istanze dell’amico, e mandò la lettera al Duca accompagnandola con questa sua (2) : Ill.mo et Ex.mo Sig.bf- et Sig.re mio Colendissimo. Sotto le littere dello ambasciatore qui de vostra Ex.‘'a ho havute le alligate littere dal S. Morono. Nè è però ancor venuto da me alcuno pei parte sua, come mi scrive; suplico vostra Ex.*ia, che mi advisi quello che le piace, che io facia et le risponda, come servitor de vostra Ex.',a, perchè oltre che in tutte le action mie io ho da mirar a questo segno, in questa precipuamente mi convien tarlo. Ancora che cosi da lontano mi par ben da giudicare, che varra poco nè mie opere, nè quelle d altrui, imperochè è troppo caristia de quello che lui cerca in ogni parte, e da l’altro canto non so, quanto habbia a piacere, che o per mezzo de lo riscato de la persona sua, o per qual altro si sia si accresci facultà de danari alli inimici. Sono hoggi littere de Francia de vi ; la M.tà Chr.ma si mostra in ot * 11’ tima perseverantia della impresa, havea expedito lo S. Renzo sino a 1 xxviii con modo di spendere xxm scuti il mese in servitio de la sede apostolica, et quando sua S.tA si risolva alla impresa de Napoli si offere (1) Müller , loc. cit., 618. (2) Ivi, 616. 264 GIORNALE LIGUSTICO di acrescier la soventione de ciò che le serà richiesto pei sua S. et questo dominio, et scrive per resoluto voler a tempo no\o rumper la guerra a Cesare de di là, et che sin de adesso cominciarà a prepararsi Lo ambasciatore de vostra Ex.tia mi ha detto haverle scritto de li officij et bone dimostratone che fa m.s Evangelista, citadino in servitio suo. Ad ogni modo questo era uno officio che haveva io in animo di % oler far un giorno, etiam non richiesto, nè instato ponto da ni. E\ angelista, perchè non acade, che lui sappia etiamdio, che io le possia venir a prò posito a questo effetto ; ma considerando et vedendo io quest homo in clinato al desiderio della bona fortuna de vostra Ex.t,a, della qual cosa ne ho veduto più de un segno, et essendo subdito de vostra Ex. , et estimandolo in uno homo et di bontà et di sufficentia et modo di fai raro, mi era venuto in mente, che fussi qualche volta venuto a gran proposito a V. Ex.tia servirse della persona sua, sapendo maxime, che col L. Teodoro non ha partito molto stabilito, et perchè io ho veduto quasi in ogni loco, ove io mi son trovato, poca copia di simili homini, mi e C λ ΤΓ Ih'γ tia parso de quelli serviti] che io giudico esser atto poter lare a v. racordarle questa cosa. Quella prudentissimamente ellegierà quello che le parerà, et quando V. Ex.tia mirassi a questo per adesso, non giudicarei che fussi da far altro, salvo farle dire qualche bone parole per nome di vostra Ex.tia, con chè se li potessino ancora far vedere le littere. Et V. Ex.,ia mi perdoni, se io usassi male a la indulgentia sua del scrivete mio liberamete che V. Ex.tia mi ha permesso fino a qui. In bona gratia sua humilmente mi raccomando. In Venezia a xxm de novembre 1526. Devoto servitor de V. Ex.t,a Dominico Sauli. Salvo che dal Papa, e fu lieve sussidio, il Morone s’ebbe rifiuti; dal Duca acerbissimi. Certo non può approvarsi Tatto del Sauli come uomo, come amico; ma riguardando la fredda ragion politica, potremo giudicare del pari ? II. Quantunque lontano, pure il suo pensiero si volgeva sovente alla patria, e teneva dietro con sollecitudine agli avvenimenti, che in quel tempo turbarono assai spesso il ge- GIORNALE LIGUSTICO 265 novesato. E sebbene di colà gli fossero state tese insidie alla vita quando erasi recato Γ ultima volta a Roma, onde non aveva stimato prudente ridursi a Genova dopo il fatto di Novara, pur non era scemato nel suo cuore Γ affetto ed il desiderio di esserle utile. In breve infatti gliene fu porta 1’ opportunità. Genova, mercè il d’Oria, si era francata dalla Signoria di Francia, ma questa mirava a rimetterla in soggezione. Riuscite vane le vie degli accordi s’apprestava ad usare le armi. Il San· Polo, già aveva radunate le milizie nelle vicinanze d’ Alessandria, e vedendo non poter disporre di forze baste-voli a sottomettere la città, richiese d’ aiuto il Duca di Milano. Allora i genovesi, che erano assai sprovveduti, fatti accorti del danno che ad essi sovrastava, presero il partito di muovere istanze al Duca perchè non accordasse i soccorsi ; e ricordando quanio in ciò avrebbe potuto il Sauli, se ne giovarono. Udiamone il racconto da lui stesso. « Si risolsero (i genovesi) col consiglio di Andrea d’Oria di mandare Ottaviano mio fratello dal Duca, per mano mia ricercandolo et pregandolo che uolesse hauer buona opinione et fede, che la riformatione della Republica di Genova sai ebbe ritornata tutta a beneficio et seruitio suo; il che si mostrava per molte ragioni ; le quali non accade hora replicare. Et al Duca fu facil cosa il persuadersi che di ragione più gli dovessi piacere la republica di Genova in libertà che soggetta a fian-cesi, o, all’Imperadore, essendo il Duca informato, che nell’accordio privato di Andrea d’Oria, l’Imperadoie ha\eva promesso di conservar in libertà quella republica, in quel modo che il detto Andrea d’Oria et i cittadini Genovesi l’havessero riformata. Et cosi fu fatta buona risposta ad Ot taviano; il quale ritornandosene a casa ben espedito, coi-rendo le poste s’incontrò in Voghera in un capitano fian-cese ; il quale intendendo che egli era Genovese, lo fece 266 * GIORNALE LIGUSTICO pregione; et essendo quivi d’intorno allogiata tutta la gente francese lo faceva condurre al suo alloggiamento, dove caminando s’incontrò con Ottaviano un capitano del Duca, che era alloggiato in Voghera con trecento fanti; il quale dimandando chi fosse questo pregione, intese veniva dal Duca, et che era mio fratello. Il capitano del Duca era amico mio, et inteso che Ott/° era Ambasciator, et che veniva dal Duca, havendo quella terra in governo si oppose perche Ott.no non fosse pregione, et cosi lo liberò et lo ricondusse in luoco sicuro. In tanto Mons/ di San Polo stringeva et solicitnva il Duca a darli tutta la sua gente per condurla a Genova senza dimora; sapendo che Genovesi erano sprovveduti di gente di guerra, et non ci faceva dubbio alcuno che mandando dieci mila fanti tra i suoi, et quelli del Duca, non havesse presto rivoltata quella Città. Io che sapeva quello che si trattava, et vedeva il pericolo delle cose di Genova, essendove sollicito et ansio, feci con tutta la diligentia a me possibile, in modo che si trovarono delle difficoltà per le quali la gente del Duca non si potesse levare, et andare a quella impresa; eccetto, che alcune poche bandere mal fornite di genti. Et per che Mons/ di San Polo caminava alla volta di Genova con la sua gente; mandai con diligentia ad avisare a Genova, che la gentè del Duca non sarebbe andata con èsso, eccetto che trecento o quattrocento fanti, et di ciò assicurai And.* d’Oria, et gli altri cittadini principali, che ne restarono confortati; in tanto che prima stando in gran timore per la presta venuta di Mons/ di San Polo, con dieci mila fanti, inteso questo si prepararono alla diffesa arditamente. Però Mons/ di San Polo senza la gente del Duca non si rissolse a passar il giogo ». Particolarità queste, che non vennero narrate dagli storici, e porgono buon lume ad intendere gli avvenimenti di quel- 1 anno 1528, che segnò una nuova epoca nella storia di Ge- giornale ligustico 267 nova, e fu di tanta importanza nella lotta fra Carlo V e Francesco I. Degli avvisi accennati dal Sauli, e delle sue relazioni col governo genovese, ci è valido argomento questa lettera (1): L III."·* et Ex.>‘ Domine al Cl.mi et Mag.ci Domini Col.mi Io ho mancato di scrivere a le Excellentie vostre da giorni in qua per boni rispetti, et ho mancato con tanto maggior sigurtà quanto ch’io non ho veduto cosa che importassi necessità di scriver al stato de le Excellentie vostre ; et ultimamente più presto s’ intese la recuperatione de la Città vostra di Saona , che li Francesi si movessero, come si moverono a li XXV del presente da valenza con fanti per venire ad soccorerla quando in quel giorno li venne la nova che 1’ havevano persa, et così si restò Mons.re Ill.mo di San Poi in Alessandria con detta gente, oltra quella del Signore Duca, quale si trova in quelle parti al numero di M . . _ _ t circa -jj- tanti molto boni et valorosi et ben pagati. Et perchè io scrivo ad Ottaviano mio fratello che di qui inanzi supplisca lui per me a le Excellentie vostre , quelle seranno contente più presto di usare de questo mezzo di farlo scriver lui, che di continuare lettere sotto nome loro, perchè così facendo serà con più dignità de le Excellentie vostre et con cautione mia, et così io serverò di qui inanzi. Ne mancarò ad fare il debito mio , si come Vostre Excellentie a la giornata intenderanno. Et havendo io scritto qualche altre cose al detto Ottaviano pertinente a le cose publice et havendole ordinato, che le riferisca a le Excellente Vostre non mi extenderò più oltra, congratulandomi con loro di tutti li soi pro-speri, et felici successi. Et in loro bona gratia quanto posso mi raccomando. Di Lode a li XXVIIJ di Ottobre M.D.XXVIIJ Obsequent.mo Citadino et servitore de Vostre Excellentie Dominico Sauli. Ora i « buoni rispetti » e i prudenti riserbi derivavano dalle molestie, che al Duca ed a lui erano venute a cagione della malignità di alcuni suoi concittadini. « Nè mancarono (0 Reg· Arch. di Genova Litterarum Fil. 5. Giorn. Ligustico, Anno VII e Vili »7 263 GIORNALE LIGUSTICO (cosi egli) in Genova alcuni cittadini invidiosi del ben publico , li quali avisarono Mons.r di San Polo dell’ aviso per me dato a Genova; et il Duca ne hebbe querela dai Francesi ». Pur tuttavia non si rimase in seguito di servire la sua patria, anche in quelle cose che non avevano tratto alla politica, come si vede da quanto scriveva nel 1531 (1)· lll.mi et Ex.li S.ri Oss.mi Per risposta de una de Vostre Signorie, per la quale ricercano la opera mia a far provisione contra alcuni banditi de Nove, quali si riducono in questo stato in li loci nominati ne le loro letere ; dico die ogni volta che io sia certificato da Vostre Signorie , il cui testimonio si farà sufficiente in questo caso, che costoro siano homini di mala sorte et facinorosi, et chi habbino commesso furti o homicidij, et per tale causa sijno banditi da Vostre Signorie, si farà fare quella prò visione che le Vostre Signorie desiderano, et per tanto piacendo a quelle potrano declarar meglio per loro letere questa parte, le quale come è conveniente farano ampio testimonio al bisogno. Et io in questa et in ogni altra cosa ove io possia' servire de 1’ opera mia Vostre Signorie lo faro come sono tenuto voluntera, et così mi offero et alloro Signorie mi recomando. — Date in Como 14 Junij 15 31. Al servitio de Vostre Signorie Dominico Sauli. III. Ma noi dobbiamo considerare il Sauli anche da un altro lato; da quello cioè delle lettere. Rileviamo la più splendida testimonianza del suo valore dal Bandello (2), col qnale strinse amicizia in patria. Partirono insieme da Genova, il Sauli diretto in Francia ed il Bandello a Milano. Si ritrovaci) Ivi. (2) Novelle, Par. 2.» Nov. VI. GIORNALE LIGUSTICO 269 rono più tardi a Lione e sebbene i negozi tenessero occupato Domenico tornato allora dall’Inghilterra, pur fece buona compagnia all’amico; il quale conobbe che negli studi delle buone lettere aveva fatto non poco profitto, e quando in seguito ritornò a Milano si trattenne in casa sua, e vide che lo attendere « alle cose della mercatanzia » non gli aveva fatto tralasciare « gli studii delle buone lettere e della filosofia » ; nella quale disciplina egli seguiva le dottrine di Platone. Nel tempo di cui parliamo v’ aveano nella famiglia. Sauli non pochi uomini che in fatto di studi si levarono in fama, de’ quali basterà ricordare Stefano, Filippo, Francesco e Marco Antonio ben noti per le istorie. Nè Domenico volle essere da meno. Egli stesso ci afferma che nel suo volontario esilio di Venezia ogni giorno era visitato dagli uomini più reputati di quella città, « et conversava con alcuni di loro in studii et trastulli honesti ». E noi abbiamo veduto che scrivendo di là al Sanga di cose politiche non tralasciava di parlargli di libri. Cosi la seguente lettera a Girolamo Quirini (1) mostra e la sollecitudine sua per gli eruditi, e il grido già procacciatosi Ira gii studiosi. Molto Magnifico Signor mio. Non mi è men grata 1’ occasione, la qual mi s’ offerisce di scriuere à V. S. accio che insieme con farle intendere eh’ io tegno continuo memoria di lei, le dia causa anchora a ricordarsi di me, di quello che mi sia per essere il frutto di queste mio scrivere ; quado io il cogliessi ben tale quale io spero, anchora che m’ habbia ad essere sopra modo gratissimo. Veda hora V. S. se l’animo et amor d’un tale amico, merita di essere gratificato all’ incontro di cosi poca et honesta cosa, quanto è questa eh’ io voglio. Il Magnifico et Eccellente Dottore di leggi M. Raphaelo da Godesco celebre Dottore nelli studii di Pisa, desidera essere condotto a Padova con quelle conditioni, le quali sono sofficienti più tosto ad ampliare 1’ honore eh’ insino a qui ha acquistato, che diminuire di quello eh’ ha havuto in Pisa. Et per molte ca- (1) Lettere volgari di diversi nobiliss, htiomini ecc. (Aldo 1544) Lib. i.°, 183. GIORNALE LIGUSTICO gioni che si ricercano à conseguire questo effetto, le quali egli ha cosi favorevole, si promette facilità à conseguirlo, ogni fiata che le sia dato T adito della gratia et buona dispositione del Clarissimo Signore M. Marino Giorgio suo suocero. Et io che non meno mi confido per la intercessione di V. S. di bastare ad ottenere questo, di quello che desideri far cosa grata per molti rispetti al ditto Magnifico M. Raphaelo, li ho liberamente promesso quello che li parea che li mancassi. Per la qual cosa priego V. S. che faccia sì che insieme con conservarmi nella oppe-nione buona che ho concetta di più opere di V. S. voglia adoperare tanto per quelle vie che la saprà tenere che faccia conoscere all’ amico mio, eh’ io non sono stato huomo leggero à prometterli cosa, che non gli potesse prestare : et qui fo fine pregandola la mi conservi nella buona gratia di quella Magnifica et honorata società, la memoria della quale mi resta sopramodo dolcissima ; et principalmente del Magnifico Priolo, al quale sono servitore. Io mi parto di qui per andar al Papa de commissione del Signore Duca di Melano, et spero dover tornare infra due mesi. Ovunque sia V. S. m’ hara per suo obsequentissimo servitore. Da Cremona. Dominico Sapli. Della sua amicizia con Marco Antonio Flaminio dà un cenno egli stesso , laddove afferma che dopo aver adempiuti alcuni difficili incarichi affidatigli dal Duca, tornato in Milano attese a riposarsi « et passare il tempo honestamente, massime havendo all’ hora in casa sua Marco Antonio Flaminio, della conversatione del quale pigliava grande consolatione ». Al che si può aggiungere che lo tenne alcun tempo presso di se in ufficio di precettore de’ suoi figli, e a testimoniargli la sua stima ed il suo affetto volle che il nipote Pasquale prendesse il nome di quell’ illustre scrittore (i). Un altro letterato allora in gran fama ebbero a maestro i figli di Domenico, e questi fu Giulio Camillo Delminio; il quale recatosi un dì con Girolamo Muzio per la consueta lezione, sorpreso da un violento affanno morì nella casa (>) Spotorno, Storia Uutr. iella Lig. III, 190. GIORNALE LIGUSTICO stessa del Sauli; ond’egli gli fece dare onorevole sepoltura nella chiesa delle Grazie, con una lapide che ne eternasse il nome (i). Con Giulio Cammillo e col Flaminio aveva per fermo contratta amicizia, quando essi si erano condotti a Genova- con Stefano Sauli ad instaurare quell’ Accademia fiorita nel primo trentennio del cinquecento (2), e che fu per avventura madre dell’altra sorta più tardi col nome degli Addormentati. Da un’ ultima sua lettera impariamo finalmente come egli fosse in corrispondenza con Giovan Giorgio Trissino (3). * Illustre Sig. honorando Io ho receputo de mano del messo di V. S. lo libro del poema suo , quale mi è stato gratissimo sia per la qualità del dono come per il segno, quale ho preso, che V. S. tegni memoria di me, benché senza mio merito. Et per hora non dirò quello giudicio che io iaccia dell’ excellentia dell’ opera, perchè già V. S. mi la havea fatta veder et a Quella havevo ditto quello, che io ne sentiva. Et cosi tacierò più presto, come si dice, che parlarne poco, non parendomi hora il loco. Da lo ditto suo messo ho inteso il desiderio, che V. S. tiene di haver informatione de quelli beni, o sia intrate , de le quali lo Imperator li potria far gratia et liberalità, sì come li è stato persuaso , che sia la mente di S. M. Et per il vero io non mi sono satisfatto a me stesso de la risposta, quale io le ho dato, perciò che non le ho saputo dir cosa alcuna a proposito de la sua intentione, essendo cosi che lo Imperator ha sempre procurato di alienai et vendere tutto quello, che ha possuto, dappoi che questo Stato li è ritornato a le mani. Et ha alienato tutte le terre, quali li restavano con le intrate de la Camera di quelle medesime terre, e de li loci più proximi secondo che era ricercato da li compratori. Et si vendevano a ragione di X e XII per cento con patto a liberar in venti anni, di maniera che io credo che vi ne restino poche, et di quelle che li restino non ne ho memoria, nè sapria far diligentia de intender , perché non mi tro\o più al servitio di S. M. Et così dico de le possessioni, salvo di un loco, (1) Lettere a G. Fontanilii, 206. (2) Spotorno, op. cit. IV, 255. (5) Lettere di prelati e diplomatici del sec. XVI a Giangiorgio Trissino, Vicenza 1880, η. IX. 272 GIORNALE LIGUSTICO quale si chiama Gambolo , qual è vicino a Vigevani circa a tre miglia, la intrata del quale non è più de cinquanta scuti, et il loco de Abbia, quale ha una fortezza, ove stanno Spagnoli in presidio , perchè del loco de Vigevani non mi par che V. S. li possa metter alcuna opinione per molti rispetti, che io non dirò al presente. Potria S. M. con loco o senza loco, dar delle intrate della Camera a V. S. per quella summa , che le piacesse, et ordinar con privilegio che quella summa fusse detratta a quello datiario exhibitor , che havesse da pagar tutta la summa de la intrata in camera, perchè cosi se usa. Et quando questo privilegio fusse passato per il Senato et per la Camera, crederei che fusse sicuro pagamento poi ne li altri tempi avvenire. Et credo , che se V■ S. cercar à di haver informatione da altro canto di quello, che 10 dico , credo che la trovarà il medesimo. Et anchora che io non mandi a V. S.'a'cuna conclusione, la m’ haverà per escuso, s’io non so et non credo che si possa saper più. Li anni passati ritrovandome due carte della descritione della Lombardia et del Piemonie, fatte fare a posta per uso de V. S. et ritrovandomi qui molto travagliato da li Fiscali Cesarei, per la qual cosa elessi d’assentarmi da Milano, in quel procinto detti quelle due carte al Mag. M. Benedetto Ramberti , secretario et ambasciator in questa terra per la 111.ma S. di Venetia, acciò che le facesse consigliar alla S. V. perchè cosi me disse che ’l faria. Accadette poi il ditto M. Benedetto passar all altra vita, et soi fratelli levorno di qui tutte le sue robbe. Et de lì a pochi giorni uno, che si chiama Hieronymo da Bianchi suo servitor, quale al presente sta in Venetia alla Speciaria del Leon d’ Oro, mi scrisse , che havevano trovato queste due carte, quale lui sapeva eh’ erano mie et riconosceva per mie. Et mi ricercava ciò, che se ne dovea fare. Et io li risposi per mie lettere, che le carte erano de V. S. eh’ io le havea date al ditto Ramberti, a ciò che le facesse risponder et dare in man de V. S. Et per confermation di questo mi è parso scrivere una lettera al ditto Hieronymo, quale mando aperta sotto questa, per virtù della quale V. S. potrà per mezzo di qualche suo amico procurar de haver ditte carte. che la mi perdoni, se in questo io ho usato negligentia, et lo attribuisca al caso della morte del ditto Ramberti et a li miei travagli, perciò che altramente io son tenuto d’ esser più diligente in servitio de V. S. che io non son stato questa volta. E a la sua bona gratia mi raccomando, pregando nostro Signore Iddio, che la conservi. Da Milano a li X di maggio 1548. al servitio de V. S. Domenico Sauli GIORNALE LIGUSTICO 273 Dalle lettere che ho qui raccolte si potrà agevolmente giudicare del valore di questo genovese, il quale ci ha lasciato altresì il racconto della parte più importante della sua vita. Questa scrittura venne pubblicata or non ha molto dal ch. conte Porro, ma sopra una copia evidentemente corretta dal menante secondo il suo gusto, come si vede ragguagliandola coll’autografo, in cui l’elocuzione apparisce più semplice e più spontanea, e quale si addice alla qualità dell’uomo ed al fine cui era destinata. A. Neri. OSSERVAZIONI DI GASPERO LUIGI ODERICO SOPRA ALCUNI CODICI della Libreria di Filippo Durazzo (Continuaz. v. pag. 247). CODICE XXVII. Il presente Codice nè é scritto in lettere gotiche nè è 1 originale della Chronica del nostro Arcivescovo Giacomo da Varagine, siccome è stato falsamente supposto per dar forse maggior pregio al manoscritto. Che non sia scritto in lettere gotiche è manifesto a chiunque ha qualche pratica del così detto carattere gotico. Che non sia l’originale credo di potei lo sufficientemente argomentare dal confronto fattone con ciò che di questa Chronica ha stampato il Muratori nel Tom. IX degli Scrittori delle cose italiche. Fra le moltissime varianti, ve ne ha parecchie che mostrano assai chiaro non esser questo manoscritto che una copia di altro manoscritto, se però non ha il merito di essere originale, potrà essere utile per 274 GIORNALE LIGUSTICO correggere il Codice Estense, su cui ha fatta la sua edizione il Muratori. L’edizione e il presente manoscritto si prestano uno scambievole aiuto : parecchie cose vi sono nel manoscritto che vogliono esser corrette con l’edizione; e molte altre ne ha 1 edizione da correggersi col manoscritto : ne darò qui alcune, chè tutte sarebbe troppo lunga cosa, e tediosa. • Edi^. Muratori, Tomo IX. Col. 2. — gentium faciunt mentionem, mirati sumus quod de Civitate Jar.uensi tam inclita, tam nobilissima, et potenti, satis modica ab ipsis initiis nihil inveniatur, formosas Historias communis Januae legentes, et eiusdem Chronicas revolventes, nec non et aliquorum authorum dicta scrutantes de Civitate Januae invenimus. Coi. 7. — quae praesenti stylo iu-dicavimus adnotanda, in quibus quidem civitatis januensis autlior, et tempus exprimitur ratio nominis exponitur. Col. io — In manibus peccatorum, et hostium. De manibus Saracenorum eriperent galeas XL fortiter armantes etc. Anno vero Dotnini MCXVI galeas XL. Col. 11 — Saraceni autem in quodam insula Sardiniae de Businariis quae insula Meror. Sed Januenses cum caeteris Christianis ipsos penitus fugaverunt. Manoscritto. legentium Faciunt mentionem, et precipue de Civitate Januensi, tam diviti, tam nobili, tam potenti satis pauca in ipsis inveniantur expressa. Famosas ystorias comunis Januae legentes de civitate Januae invenimus. quae praesenti stylo iudicavimus adnotanda in quibus autem civitatis Januensis auctoritas exprimitur ratio nominis exponitur. In manibus porcorum, et canum. de manibus Saracenorum galeas XL fortiter armaverunt. Anno vero Domini MCVI galeas LX. Saraceni autem in quodam insula Sardiniae quae Insula Montor dicitur. Sed Januenses cum ceteris Christianis penitus fugaverunt. GIORNALE LIGUSTICO 275 Anno Domini MCCXX galeas XL. Col. 12 — plurimum dilatare crevit et multum suam potentiam, et dominium ampliavit, et 111 tantum crevit quod suam potestatem experta est magnificentia Regum et gens Saracenorum , et civitas Pisanorum et quandoque etiam Venetorum, per antiqua exempla Anno quidem MCLX Fridericus sola tamen sibi fidelitas offeratur Coi. 13 — Ceperunt in ea XXmilia hominum Anno quidem Domini MCCXLIV Pisani galeas XLII. Coi. 15 — Anno ergo Domini MCCXCV. Impedimentum Coi. 16 — ita quod DCCC... supersigna tam serica etc. Col. 18 — usque ad annos Domini • MCCLII. Coi, 19 — usque ad annos Domini MCCLIV. Coi 22 — eo quidem tèmpore hoc fuit quo electus est. Coi. 23 — Episcopum Mariensem Flumine Monilia Coi. 24 — Valentinus a. DXXX. Romulus, qui fuit quartus cepit circa annos Domini DC , et secundum istam computationem. Coi. 25 — quod in Juvencula quam suscitavit patet. Flumen Sturlae a Bisamne Anno Domini MCCXXV etc. galeas LXXX. plurimum dignum crevit, quod eius potentia experta est magnificentia regum gens Saracenorum, et quandoque etiam Venetorum civitas nec non et civitas pysanorum. per pauca exempla Anno quidem domini MCLV Fridericus sola autem offeratur interfecerunt in ea etc. Anno quidem domini MCCLXXXIII Pisani, galeas LXXII. Anno igitur Domini MCCV, etc. expedimentur ita milia supersigna tam serica etc. usque ad annos Domini MCCLXX. usque ad annos Do^.ini MCXCI. eo quidem tempore electas est. Episcopum Attiensem Flumine Merula Valentinus a. DXL. Syrus circa annos Domini DC, et secundum istam computationem. quod patet per aviculam quam suscitavit. Flumen Sturbe a Lusane GIORNALE LIGUSTICO Col. 26 — Huius corpus positum fuit in Basilica XII apostolorum. Haec translatio circa an. CMXX. Col. 27 — et sub altare S. Laurentii in capsa marmorea venerabiliter collocavit. Sunt quadriga Dei doctrinis consulitur Viator..... coepit circa annos Domini DCCXLII. Coi. 50 — Scire debet quod Sigifredus genuit Actonem etc. Col. 32 — Ceperunt Genosam Ar-cotam. Coi. 35 —Pactum quoque Juatiuen-ses destruxerunt. Petram Luxariam, et quaedamalia castra praeliando ceperunt. Coi. 37 — Aleriensem S. Benigni de Fructuaria ultimo dicuntur Januini Coi. 38 — Annos Domini MCXL cum Ventimilienses rebellassent iverunt illuc Januenses cum magno exercito pedestri. Sic Maioricam perrexerunt Coi. 40 — Haec desunt. huius corpus posilica XII apostolorum. hec translatio circa annos Domini DCCCCXXXV. Et altare S. Laurentii etc. Sunt Dei Doctrinis compluitur Viator..... cepit circa annos Domini DCCXXXII. Sicire debet, quod Sigifredus fuit de partibus thuscie magnus princeps. Iste in Lombardiam venit, castra, et terras multas ibi acquisivit. Iste Sigifredus genuit actonem etc. Insuper ceperunt Cersonam Azotum. Plumbinum quoque Januenses destruxerunt. Petram bixariam preliando ceperunt. Acciensem S. Benigni de Fructeria ultimo expenduntur Januini Annos Domini MCXL cum Ventimilienses cum magno exercitu pedestri. Sic Minoricam perrexerunt Huius etiam Archiepiscopi (Hu-gonis) tempore definitum fuit per Judices delegatos, quod monasterium S. Bartholomei de fossato obediat Archiepiscopo in omnibus collacionibus Jauuensis Ecclesie, et in processionibus, et consecra-tionibusque Abbatum sive Episcoporum. GIORNALE LIGUSTICO 277 Col. 41 — Tunc Imperator... venit Liguriam. Ibuelluonus de Camilla Col. 42 — Rambertino de Lovarello Col. 44 — deFornariis nomine Do-deus Ipse enim praeliando cepit Rainerium Dandalum veneciarum cepit et caute emancipavit. Col. 46 — cum meretricibus Col. 49 — funditus destraxerunt.Iste Archiepiscopo impetravit. Col. 50 — Lanfrancus Barbarius Col. 53 — Istius operis Prologus sic incipit etc. Fecit etiam librum, quidicitur Marialis, qui totus est de B. Maria compositus , et secundum ordinem literarum Alphabeti distinctus. Hic liber post prologum sic incipit. Abstinentia etc. Brumacensis Abiensis Daciensis Abbas de Borsono Coi. 55 — per annos LX et amplius duraverunt. Coi. 56 — (Vi sono dei paragrafi Tunc Imperator...,, venit Lagna-num. Nivellonus de Camilla Rambertino de Buvallelo de Fornariis nomine Dondeusbos Ipse enim Cretam praeliando cepit Rainerium Dandalum ducem veneciarum cepit, et carceri mancipavit, cum nutricibus funditus destruxerunt. Eodem etiam anno galea Januen. ceperunt naves VI pisanorum. Iste Archiepi-scopus etc. * Lanfrancus Barborinus Istud opus post prologum sic in cipit. Haec desunt in manuscripto. Brunicensis Nebiensis Aciensis Abbas de Brosono per annos V et amplius duraveiunt. trasportati). CODICE XXVIII. II Codice presente, creduto assai verisimilniente del Secolo XV, contiene una gran parte delle Orazioni di Elio Aristide, morto l’anno dell’era volgare 189, o li intorno, pagine non sono numerate, e le Orazioni sono senza titolo, scritte però con diligenza. Comincia, non so pei qua e 278 GIORNALE LIGUSTICO golarità, dall’Orazione intitolata Μαντενδδι Αδηνά o sia In Minervam divinatricem, che nella greca edizione del Giunti è la ' O XXV (p. 70), e in quella di Oxford Greco-latina dell’anno 1722 è la seconda (Tom. I, p. 9). Seguono tre dei Prolegomeni attribuiti comunemente a Sopatro d’Apamea; ma dal Fabricio (Bib. Gr., T. IV, pag. 386) creduti di autore più recente. Samuele Jebb gli ha riportati alla testa della citata edizione di Oxford. Il primo di quelli che sono nel Codice principia: τρε:ς φοραι 'Ρητόρων ; il secondo : φασί τινες ; il terzo : Περί δέ τοδχαρακτηρος. In appresso viene la Tavola delle Orazioni contenute nel Codice, e di ciascuna si danno le prime parole. Alla testa della Tavola sono questi due versi: Πίρακασο προοδηκατ^ξ δε της βιβλοο ώς άπόνως σχης δνπεραν ΣητεΤς λόγον. Tabtilam tibi proposui huiusce libri Ut sine labore habeas quem quaeris sermonem. Onesti due .medesimi versi trovansi in un Codice della Laurenziana, descritto dal canonico Bandini (T. II, n. IX, P· 59^)* il quale contiene tutte le Orazioni di Aristide che ci restano. L’ordine con cui sono descritte le 31 di questo Codice , è il medesimo che quello tenuto dal Laurenziano, onde sospetto che ambedue sieno copia d’uno stesso originale. Le Orazioni sono con l’ordine seguente: i. Panathenaica, nella ediz. d’Oxford. Tom. I, p. 91. 2. Pro Pericle, id. id. id. II, » 116. 3. Pro Cimone, id. id. id. » 151. 4. Pro Miltiade, id. id. id. » 160. 5. Pro Themistocle, id. id. id. » 177· 6. Comunis Apologia, id. id. id. » 224. GIORNALE LIGUSTICO 279 Queste ultime cinque Orazioni in più manoscritti e nella citata edizione sono sotto un solo titolo : προς Πλατωνα υπερ των Τεσσάρων [Contra Platonem pro quatuorviris\. 7. De Rhetorica I, nella ediz. d’Oxford, p. 2. . 8. De Rhetorica II, id. id. » 75. Anche queste due nella sopraddetta edizione sono sotto uno stesso titolo: προς Πλατωνα ύπερ της Ρητορικές [Contra Piatone de Rhetorica]. L’Jebb ha fatto di questa la prima Orazione Platonica, e per la seconda ha posta 1 antecedente : ύτερ των τεσσάρων [pro quatiiorviris] ; e la seguente, che altri intitolano: III Platonica, è da lui detta: Defensio primae Orationis Platonicae. 9· De Rhetorica III ad Capitonem, ediz. d’Oxford, p. 315. 10. Leutrica I [detta: post pugnam Leutrica a. 2 Olymp. /02] ... id. Tom. I » 407. 11. Leutrica II .......id. id. » 427 12. Leutrica III.......id. id. ».448 13. Leutrica IV.......id. id. » 457 14. Leutrica V .......id. id. » 465 15· De auxiliis in Siciliam mittendis [Niciae] id. » 363 16. De auxiliis revocandis............id. » 376 17· Ad Athenienses de pace Lacedaemonis danda » 391 [a. 3 , Olymp. 88]. 18. Ad Lacaedemonios de pace Atheniensis danda » 399 [a. i , Olymp. 94]. 19. De Societate I [a. 3 , Olymp. 110] id. id. » 477 20. De Societate II......id. ici. » 490 21. De Paraphthegmate, sive apologia de laude sui » 490 22. Monodia in Smyrnam .... id. Tom. II » 365 23. Eleusinia........id. id. I » 260 28ο GIORNALE LIGUSTICO 24. Ad Imperatorem de Smyrna [a. Ær. Vulg. 178] p. 256. 25. Palinodia de Smyrna instaurata .....» 263. 26. Ad Rhodios de Concordia.......» 557- 27. In laudem Cyzici in dedicatione Templi . . . » 236. 28. In Natalem Apellae..........»68. 29. Laus Putei Pergamedi in Templo Aesculapii . » 252; 30. In Sophistas causam suam prodentes . Tom. II » 401. 31. Apologia ad ignaros auditores quod non saepius declamaret.............» 416. Questo è tutto ciò che di Aristide si contiene in questo manoscritto; mancano oltre 25 Orazioni per compire il numero di quelle che ci restano, e di più i due libri Rettorici De civili et simplici dictione, che trovansi nel Tomo II dell’edizione di Oxford. Dopo la sopranominata Tavola viene una pagina, che non ha che fare con Ariatide e credo sia qualche squarcio di alcun greco grammatico sui varii stati in cui può trovarsi una causa, de’ quali ne è poi formato una specie di albero. CODICE XXIX. Il presente manoscritto fu un tempo di Rafaello de Marcatei, vescovo titolare di Roso in Cilicia, ed abate di S. Ba-vone in Fiandra. Hoc volumen comparavit Raphael de Marcatellis Dei gratia Episcopus Roses, Abbas S. Bavonis iuxta Gondavum anno Domini 1490; cosi leggesi nel fine del manoscritto. Questo Raffaello, il quale avea in Gont una sceltissima libreria, era figliuolo naturale di Filippo il buono duca di Borgogna, e dalla madre prese il cognome di Marcatel. Fu monaco nel monastero Blandiniano in Gant; indi abate di S. Pietro in Oudenbourg, e finalmente l’anno 1478, abate di S. Bavone per rinunzia fattagliene da Giovanni IV di Sicleers. L’ anno GIORNALE LIGUSTICO medesimo, agli 8 di agosto, fu consacrato Vescovo di Roso in Bruges, ove fabbricò un gran palazzo e ove mori ai 3 di agosto dell’anno 1508, conforme scrivono gli autori della Gallia cristiana (Tom. V, pagg/ 183, 267). li Codice conteneva le Comedie di Plauto e quelle di Terenzio, con i comenti di Donato, e di Giovanni Calfurnio, ma per più comodo è stato diviso in due. Nella prima parte sono le XX Comedie di Plauto precedute da una lettera di Giorgio alessandrino, o sia di Giorgio Merula, diretta a Giacomo Zeno vescovo di Padova. Giorgio Merula stampò in Venezia, l’anno 1472, le Comedie di Plauto da lui corrette ed emendate, e dedicolle al sopraddetto Vescovo letterato di molto nome in quel secolo. Furono ristampate l’anno 1482 in Trevigi e nel 1490 in Milano. Dopo la dedicatoria siegue nel manoscritto la vita di Plauto ed alcuni estratti sulla comedia ; manca l’indice delle Comedie promesso nella rubrica posta al fine degli estratti, e che si trova nell’ edizione di Trevigi preceduto dalla medesima rubrica; onde mi nasce sospetto che queste Comedie siano copiate o sulla Veneta 0 sulla Trevigiana edizione. La seconda parte del Codice contiene le sei Comedie di Terenzio, con i comenti di Elio Donato e di Giovanni Calfurnio da Brescia. Di costui, vissuto nel Secolo XV, sono i comenti sull 'Heautontimorumenon, essendosi perduti quei che Donato avea fatti su questa comedia : gli altri cinque sono di questo antico grammatico, o almeno ne portano il nome; dico che ne portano il nome, perchè non mancano critici, 1 quali sostengono non aver noi i veri comenti di Donato ; e quei che vanno sotto il costui nome non essere che estraiti di quanto esso ed altri grammatici scrissero su questo comico, messi insieme da cattiva mano. Precede la vita di Terenzio, che si attribuisce allo stesso Donato, ma che altri vogliono di Svetonio. Dopo la vita 282 GIORNALE LIGUSTICO leggesi un piccolo trattato sulla Tragedia e sulla Comedia, creduto di Aspro e di Cornuto, antichi comentatori di Terenzio; e da Lindenbrogio voluto di Evanzio, altro vecchio comentatore di questo comico. Nella bella edizione di Wester-hovio fatta all’Haia l’anno 1726, questo trattato è diviso in due parti; la prima, che finisce: patefacta euntis cognitione gestorum, si attribuisce ad Evanzio; la seconda, che comincia : Comoedia est Fabula ecc., porta questo titolo: Donati fragmentum de Comoedia et Tragoedia, nel presente manoscritto è senza divisione e senza titolo alcuno. Al fine d’ogni comedia leggesi : Calliopius recensui. In un celebre Codice Vaticano, il quale si pretende sciitto sotto di Carlo Magno da Hrode-gario, si dà a Calliopio il titolo di Scolastico; titolo che in quei tempi, secondo Du Cange, era proprio di coloro i quali presiedevano alle scuole ecclesiastiche. Chi sia questo Calliopio nòn trovo chi cel dica. Un certo Eugrafio, che visse verso la fine del Secolo X e comentò Terenzio, vuole che Calliopio fosse uno degli attori, che terminata l’opera dicevano agli spettatori: Piaudite. Ma questa ppinione di Eugrafio, autore di niun merito presso i Critici, viene confutata da Lindenbrogio e da altri. G aspero Barzio ed Eustazio Swartz, citati da Fabrieio (Bibl. Lat., v. Terentius) hanno creduto che il famoso Alcuino, dotto uomo ed amico delle muse, siasi nascosto sotto questo nome preso da Calliope, la prima di esse. Sembra però più verisimile che Calliopio non sia un nome finto, ma vero e proprio, trovandosi nella storia più d’una persona con si fatto nome. Fabrieio ne ha raccolti più esempi (1. c.). Chiunque però si fosse Calliopio, ei fu uno di quei critici che davansi la pena di correggere e di emendare le opere degli antichi scrittori; occupazione un tempo di personaggi illustri e ragguardevoli, occupazione di Consoli, di Prefetti di Roma e fin di grandissimi Re. Veggansi Enrico Valesio, GIORNALE LIGUSTICO 283 nell Arte Critica (lib. I, c. 34); Pietro Burmanno nell’arte medesima (lib. cit., c. 7, 34); Fabricio (1. c.) ; Sirmondo nella Prefazione ad Ennodio, ed altri che ne riportano i nomi e le opere per costoro corrette ed emendate. Lo scrittore di questo manoscritto, che sembea oltramontano alla forma dei caratteri, fu poco amico del Greco, e per ciò ha lasciate tutte le citazioni greche, che incontravansi ne comenti: quindi a luogo a luogo si trovano delle lacune; forse anche avea in animo di riempirle finito il lavoro , ciò che poi o dimenticossi di fare o non ebbe tempo e flemma di eseguire. Maggior riprova d’ignoranza ci dà una nota marginale, non saprei se dello scrittore del Codice o di altra persona. Leggesi nel prologo degli Adelfi (v. 6) : Synapothnescontes Diphili Comoedia est. L’annotatore dividendo la parola Sina-pothnescontes, che latinamente dicesi commorientes, ed unendo le due ultime sillabe a Diphili, ci dà questa bella erudizione. Contesdiphilus comoedus fuit, qui composuit fabulam, quam copulavit Synapoihnes, quae latinis sonat commorientes. Gli ornamenti del Codice sono assai parchi e le iniziali molto semplici. A luogo a luogo si trova l’Arme di Raflaello, che el deve aver presa dalla casa di Marcatei, di cui era sua madre, come abbiamo detto. CODICE XXX. L’opera contenuta nel presente manoscritto nella edizioni, di Napoli dell’anno 1477, citata dal manoscritto De Bure (Bib. St. ed Arn. 1553) porta questo titolo: Macri Philosophi de naturis, qualitatibus, et virtutibus SS herbarum. nella edizione di Milano dell’anno 1482 presso 1 Argelati (S,.iia della Tipografi di Milano, p. 577) è enunciata sotto lo stesso nome : Macri de usibus herbarum ; al nome di Macro, Gue- Giorn. Ligustico, Anno VII e VII. 284 GIORNALE LIGUSTICO roaldo ed altri hanno aggiunto quello di Florido : più comunemente però l’autore è conosciuto sotto il nome di Emilio Macro, nome falso e supposto. Gaudenzio Merula nelle Antichità della Gallia Cisalpina (lib. I, c. X) dice d’ aver letto un antichissimo Codice in cui quest’opera era attribuita ad un certo Odone, medico. Nel presente manoscritto l’autore è chiamato Macrobio, leggendosi al fine : explicit liber Macrobii. Sospetto che lo scrittore abbia presa la voce Macri per una abbreviatura di Macrobii. Fabrieio nella Biblioteca Latina (lib. IV, c. 12), Haller nella Bib. Botanica (T. I,.§ 149, p· 215) e Morgagni sopra Sereno Sammonico (Lettera I) parlano del-1’opera e più dell’autore, ed il Morgagni con maggiori parole. In che tempo abbia scritto questo chiunque sia Poeta, Medico, Erbario (che Γ Haller sospetta essere stato Francese) non è ben sicuro. Il sopracitàto Morgagni stima che ei vivesse nel X secolo, certamente dopo Walafrido Strabo, che in quest’opera è rifiutato, ove trattasi del Ligustico. Or Strabo visse dopo Carlo Magno, circa l’anno 840. Molto ancor più recente esser dovrebbe, se, come ha creduto Haller, si cita la scuola Salernitana fiorita nel Secolo XI. Ma assai più ve-risimilmente pensa Morgagni, che la scuola Salernitana presi abbia da questo libro quei versi che si trovano comuni nelle due opere. Renato Moreau che ha comentata la scuola Salernitana, cita a luogo a luogo l’opera di Macro, e dalle di lui citazioni sembra che fosse divisa in due libri. Il manoscritto è mancante non solo di titolo, ma di più capi eziandio; poiché le Erbe dall’autore illustrate non sono qui che 75 0 al più 76; quando esser dovrebbero 88. Il primo verso in questo manoscritto comincia : Herbarum quasdam dicturus cannine vires. U Argelati ha stampato; Nomine. Penso però che la vera lezione sia quella del manoscritto. Circa il merito della poesia, l’Argelati la trova non inelegante; all’Haller e ad altri è parsa barbara. Di lui lo Scaligero nella Poetica GIORNALE LIGUSTICO 285 (lib. IV) : neque Poeta fuit, ncque bonus medicus, ncque sincerus versificator (p. 822). Delle varie edizioni, versioni, commentatori di quest’opera veggansi, da chi ne fosse curioso, i sopranominati Fabricio, Haller e Morgagni. CODICE XXXI. • In questo manoscritto sono i dodici libri Ruralium Commodorum di Pier Crescenzi, bolognese, che fiori tra il XIII ed il XIV secolo, e die’ compimento a questa sua opera l’anno LXX della sua vita, conforme ei dice nella Lettera Dedicatoria a frate Aimerico, Generale dell’ordine dei Predicatori. Da questa lettera principia il manoscritto: indi seguono le Rubriche di ciascuno dei XII libri, dopo de’ quali trovasi una seconda dedica a Carlo II re di Napoli, in grazia di cui Pietro intraprese la presente opera. Apostolo Zeno (not. al Fontanini, T. II, p. 333) la vuole scritta tra il 1307 ed il 13 li; al contrario l’abate Tiraboschi (lst. Lett., T. V, p. 189) ne fissa 1’ epoca della pubblicazione tra il 1304, in cui Pietro dopo un’assenza di 30 anni si restituì a Rologna, ed Aimerico fu eletto Generale, ed il 1309 in cui morì il Re Carlo. Scrisse Pier Crescenzi in latino, come stimarono i deputati alla correzione del Boccaccio seguiti da Apostolo Zeno , da Tiraboschi, ecc. e non in italiano, come ad altri ne parve. La traduzione in lingua volgare è posteriore di più anni, sebbene sia del medesimo secolo. I sopraddetti deputati la credono fatta in Toscana circa l’anno 1350. Questo Codice potrebbe essere tra il XIV e XV secolo ; ei non è ricco d'ornamenti, ma è scritto con diligente carattere. Due sole Iniziali sono ornate di miniature: nella prima Pietro presenta il libro al Generale Aimerico, nella seconda l’offerisce al Re Carlo. Più edizioni so.io state fatte dell’originale latino, delle quali, 286 GIORNALE LIGUSTICO secondo Apostolo Zeno, la prima è quella di Augusta finta da Giovanni Schuzler l’anno 1471 in foglio. CODICE XXXII. Sono in questo Codice: i.° Una parte delle Lettere Latine scritte da Antonio Ivano, sarzanese; 2.0 Parecchie Or a^ioncine di politico argomento recitate da esso, allorché era Cancelliere in Volterra; 3.0 Una piccola Laude in quartine da cantarsi in onore della SS. Vergine; 4.0 Una Frottola diretta a Giacomo Neri sopra i Ciarloni; 5.° Un Epigramma latino contro gli invidiosi. Il manoscritto è una copia in cui lo scrittore non ha osservato esattamente l’ordine cronologico delle lettere, conforme si avverte qualche volta al margine. Questa trascuraggine sarebbe meno spiacevole, se avesse ad ogni lettera notato l’anno della data, ciò che si trova in pochissime. Il nome di Antonio Ivano non è ignoto nella Repubblica letteraria. Ippolito Landinelli ne ha parlato con lode in più luoghi della sua Storia di Limi e di Sarzana. L’abate Giustiniani , Raffaele Soprani ed il P. Oldoini lo annoverano tra gli scrittori liguri. Il Muratori, l’abate Mehus e il cavaliere abate Tiraboschi ne fanno onorevole menzione. Tutti però ce ne danno scarse notizie; qualche più minuta ce ne somministra questa raccolta di lettere; ma non tali da contentare chi avesse voglia di darci una compita storia di questo letterato. Comunque però elle siano, andrò qui accennando quelle che mi sono sembrate più rimarchevoli. Gli Ivani, da cui discese Antonio stabilito in Sarzana, erano originarli di Brugnato, poiché Antonio chiama questo luogo antica sua patria (v. p. 158, 198). Nacque circa l’anno 1430 scrivendo egli (p. 214) cjie avea 36 anni quando andò Cancelliere a Volterra, il. che fu l’anno 1466, come vedremo. Dopo GIORNALE LIGUSTICO 287 essere stato in patria fino all’età di 18 anni (v. p. 1), passò a Narni ove era Governatore Gio. Pietro Parentucelli sarza-nese, cugino di Nicolò V. Ivi sotto Adoardo, giurisconsulto spoletino, e sotto il Meduseo letterato sarzanese attese a perfezionarsi nelle belle lettere : indi per opera del cardinale Filippo Calandrini, fratello uterino di Papa Nicolò, fu eletto Scriba di quella città. Terminato questo impiego, che probabilmente era annuo, tornò in Sarzana e tutto fu a’ servigi della casa Campofregosa, padrona allora di Sarzana e di molte terre all’ intorno cedute dalla Repubblica di Genova a Tommaso Campofregoso fin dall’anno 1421, dopo la cui morte restarono l’una e 1’altre a Gianus, indi a Ludovico, nipoti di Tomaso. Il primo carico da’ Fregosi addossato ad Antonio, sembra che fosse quello di accompagnare a Ferrara Tomma-sino figliuolo di Gianus, mandato alla corte di Borso dall’ava paterna, sotto la cui cura era rimasto dopo la morte del Padre. In Ferrara si fe’ Antonio conoscere al suddetto march. Borso, λ e trattò assai con il famoso Guarini, veronese, la cui Accademia frequentò finché stette in Ferrara. Sulle lodi di questo letterato, e sul metodo che esso teneva nell’ insegnare, si stende Antonio in una lettera scritta l’anno 1472 all’abate Girolamo Malaspina (p. 212). Ritornato a Sarzana con Tomasino, fu da Ludovico mandato in verie parti d’Italia, e scelto poi dal medesimo per suo segretario, allorché l’anno 1461 fu per la seconda volta eletto Doge della Repubblica. In Genova per opera del suo padrone fu fatto Cittadino e si fe’ molti amici. Ma cacciato di bel nuovo Ludovico, si trovò in gran rischio, fatto prigione; indi rilasciato ad istanza de’suoi amici; temendo di essere nuovamente arrestato, partì nascostamente da Genova e se ne ritornò a Sarzana (p. 29). Il primo pensiero di Antonio, tornato in patria, fu di mantenere fedeli a Ludovico le terre che questi v’avea; e particolarmente la fortezza di 288 GIORNALE LIGUSTICO r Sarzana di cui era Governatore suo suocero. In appresso passò a Firenze, a cui i Fregosi aveano venduta Sarzana, per rispondere alle querele del march. Giacomo Malaspina contro i Sarzanesi (p. 31), e ritornato a Sarzana fu di bel nuovo spedito a Firenze per servigio di Ludovico. Mentre era in Firenze fu richiesto per segretario del Cardinale dei SS. Quattro, che era allora il Cardinale Ludovico Milani, figlio d’una sorella di Callisto III (p. 31): ma non piacendo ciò a Ludovico Fregoso, Antonio rinunziò questa offerta. (Continua). DI ALCUNE EPIGRAFI ETRUSCHE E DI UN CALICE GRECO RELAZIONE Al Cav. Vittorio Poggi Capitano Aiutante Maggiore Archeologo chiarissimo Illustre Signore Partecipo alla S. V. Ill.ma la scoperta d’alcune epigrafi Orvietane che trovansi nel privato Museo del Collegio alla Querce in Firenze, perchè sieno pubblicate nell’accreditato Giornale Ligustico. Come vedrà non ho punto inteso di fare una lunga ed erudita memoria per provare ciò che tutti per avventura sanno * ma solo di rendere di pubblica ragione tali iscrizioni che avessero o il merito della novità dal lato paleografico, 0' vero importanza per lo studio dell’Etrusca lingua. La maggior parte delle iscrizioni sono graffite su vasi di bucchero cenerognolo e cotto al sole ; furono l’anno decorso scavate in Orvieto, e presentano note d’arcaismo, come CI OH ΝΑ LE LIGUSTICO 289 dall’ analisi dei trascritti esemplari Ella medesimo potrà di leggieri comprendere. Perchè poi a prima vista possa ciascuno aver un’ idea chiara dei caratteri usati in questi miei vasi ed in altri pochi che per ora non pubblico , faccio seguire un saggio di alfabeto. Noto che al segno X posto in fine non intendo dare verun significato di lettera , credendolo nota di fabbrica, ma che trovandosi graffito sotto il piè di un vaso già descritto non ho creduto bene escluderlo. Non sarà finalmente fuor di proposito pubblicare una tazzina figurata ed iscritta, pur essa trovata in Orvieto, la quale, benché già edita, richiede tuttavia che vi si ritorni sopra ancora una volta. Tanto ho giudicato premettere a maggior chiarezza del 1’ epigrafi che sottopongo al giudizio dei dotti e studiosi in Archeologia, nella speranza che questo mio qualsiasi la\oro sia per riuscire a monumento di stima e riconoscente affetto per chi mi spronò ad una sì difficile intrapresa. Gradisca, egregio Signore, i miei ringraziamenti e mi creda Devotissimo Servo Leopoldo de Feis Barnabita. • i. l+flq30VM Suthera Ti. — Graffito intorno ad una tazzetta di bucchero cenerognolo alt. 0,05, larg. 0,10 la quale seni di <.0 perchio ad un’ anfora od olla cineraria : in fondo al piede e segnato X. — L’epigrafe mi sembra doppiamente interessante, chè da un nuovo segno all’Etrusco alfabeto nel a lettera 0 colla linea trasversale, cosa finora non conosciuta, od almeno non ben chiarita (1), e ci ìitoina alla (1) Questo segno trovasi però nelle più arcaiche monete di Tebe e di Atene. 290 GIORNALE LIGUSTICO parola Suthera tanto vagheggiata dal Lanzi e dai suoi seguaci, per poter spiegare il famoso Suthi o Suthina col greco σώζω, e che comunemente s’interpreta per sepolcro o per cosa a questo appartenente. — Insomma a me pare che il nostro Suthera sia lo stesso che il ΑΦ3ΤΩ2 della striglie Orvietana pubblicata dal eh. Fiorelli. (Notizia degli Scavi ecc... 1S77 p. 259) ed il più arcaico fìq!3T02 parimenti di striglie trovata in Orvieto, che il Korte interpreta per la Dea tutelare dello stabilimento balneare (Ann. 1877 pag. 163). Se altri poi opponga potersi unire alla voce Suthera la seguente Ti e tenerle entrambi come una sola, che io giudico meglio considerarle staccate anche dal lato paleografico , dirò che la questione si riduce allo stesso, non essendo la seconda che 1111 suffisso della prima , od in altri termini il nome Suteratius che vogliasi vedere , un derivato dell’ altro proprio Suthera 0 grecamente Σωτείρα. — Per finirla, considerando come nella voce σφζω è inclusa l’idea anche di difesa, ed essendo note per altro le solenni forinole esprimenti auguri di felicità per i trapassati , come Felicitati aeternae, Securitati , Securitati aeternae etc... tradurrò, forse senza timore di cader nel falso, il nostro· titoto — Saluti o Incolumitati Titii. Il Ch. Fabretti stesso, principe in tal materia, non sarebbe alieno da questa interpretazione dicendo : « La pre-» tesa dimostrazione dei nomi di donna nelle voci Suthi e » Suthina non può essere accettata in alcun modo, ma F an-» tica interpretazione di Salus, Σωτηρία potrebbe avvalorarsi, » se certa fosse la leggenda ΣΙΜΟΝ ΘΕΟΙΣ ΣΩΤΗΡΙΟΙΣ ». (I Suppl. 1872 pag. 64). 2. finiovM « Suthina. » Σωτήρων, Salutare. Nell’orlo di un gran vaso di bronzo; la bocca ha cent. 14 di diametro. giornale ligustico 291 3· MIMV«fM3V_MA Aphi Eparusis. È questo un titolo graffito intorno ad una Oenochoe dell’ altezza di m. 0,20. Mentre la voce tessalica Apln non è nuova nei bronzi, rarissima la credo sui vasi fittili Etruschi ed Umbri. Unico poi è Γ attributo di Eparusis ad Apollo dato, e di cui niuna traccia si ha nei cento nomi dall antichità attribuitigli. Pure, considerando da una parte come 1 epigrafe ha sapore tutto attico, e dall’ altra i benefici effetti che Apollo personificato nel sole apporta all* agricoltura } credo poter affermare con grandissima probabilità che esso derivi da επί (sopra) (x) ed άροσις ('arvum latinamente ed in Etrusco); in guisa che se avessi a voltare in greco il nostro titolo, non potrei far meglio che tradurlo » Απόλλων Έπαρόσιος. Questa opinione trova conferma negl’ inni Orfici ove Apollo è invocato quanto παντοθ’άλης, germogliatore universale, quanto σπέρμοε, àoòxoiz che il Salvini traduce: « Soprantendente al seme ed all’ arato » (Inno ad Apollo, 3, 16). Se poi ad altri talentasse un’ altra interpretazione vegga se possa derivare il nostro Eparusis da έπαρύω (affundo, verso) dandoci cosi un vaso proprio da libazione. Nè il caso sarebbe nuovo, trovandosi VOLCANI POCOLOM, ME-MERVAI POCOLOM, VENERES POCOLOM in tazze presso il Ch. Gamurrini (Suppl. ecc. pag. 71) ed il Ch. Garrucci (Sylloge N. 483). (1) Cf. Oi έπ£ των πραγμάτων (qui summae rerum praefaecti sunt) Deniost. p. 309, 9. 292 GIORNALE LIGUSTICO 4· flmv μ Siipna. — Parimente anziché un nome della gente Supunma, ravviso uno di divinità in questa voce graffita intorno ad una Oenochoe simile in tutto alla precedente ; senonchè sotto il labbro da Γ alto al basso ha tre linee graffite le quali credo sieno fatte a pure ornamento. — Il Ch. Fabretti (Arch. Stor. Ital. n. s. v. Disp. 2.a Pag. 44-48) fondandosi sulla sincerità della iscrizione Supunnae Sacrum pubblicata dal. Muratori, (102, 8) dal Lanzi (Saggi ecc. 11, 277) e per tacermi di altri, dall’Orelli (Inscr. Lat. Sei. N.° 1864) credette \?edervi il fiume Topino innalzato agli onori divini., mentre che il Conestabile (Mon. Per. II p. 74) convertiva il medesimo fiume nell’Etrusco Tinia. — A me pare invece, pur rispettando l’autorità di sì grandi maestri, e tenendo conto anche del dubbio lanciato dal sagacissimo Henzen (Coll. Orell. Suppi. V, III Ind. pag. 38) sull’ autenticità del-Γ epigrafe fulcinatense , che la voce in questione possa derivare dalla radice Sanscrita upa (cf. de Gubernatis. Piccola Enciclopedia Indiana p. 169) e dalla greca υπ onde l’antico latino supus, supino. La terminazione na sarebbe indizio di aggettivo, come, per portare un esempio già noto in queste pagine, suthina da suthi. In sostanza io credo che la divinità Supna o Supunna non sia altro che il Giove Supinale riportato da S. Agostino (De civit. Dei VII //) detto così dalla potestà che gli si attribuiva di tutto rovesciare ed abbattere, lovem dixerunt... Supinalem... quod facultatem habeat omnia supinandi. 5· VMVIVfl Aurunu. — Piacerai veder risorto in un Kantharos alto 0,08. giornale ligustico 293 largo 0,10 la città degli Aurinini (1) situata fra Telamone e Volsinio , nell Agro Caletrano, la quale come fu colonizzata da Romani 1 anno 569, prese il nome di Saturnia (Livio XXXIV, 55 _ Plinio m, 5). 6. >ΙΨΙ + Tichì. Egualmente la città di Tigulia sul ligure mare, quando non vogliasi un nome come Tigìa o Teda, ravviso sci itto nel fondo di uno strano vaso di terra rossa, di fabbrica non Orvietana di certo , o dei luoghi circonvicini. Questo vaso è largo centimetri 20, su altrettanti circa di altezza, a quanto può argomentarsi dagli avanzi, ebbe almeno otto anse disposte in giro su due linee orizzontali ; per la qual cosa, se pur gli si voglia dare un nome, non si potrebbe meglio chiamare che πολύωτον. +ΊΙ νΦ3Μ Sechuilt in olla cineraria alta 0,22. — È la prima volta che ci appare la famiglia Sequilia in monumenti Etruschi (2). Coll’ aiuto di questo titolo si potrebbe spiegare il tanto controverso [Tinscvil] della Chimera del Museo Fiorentino e di altri bronzi cortonesi riportati dal ch. Fabretti [o. c] e scorgerci un Tinio Sequilio, o se i lavori voglionsi considerare quali donarì, un Sequilio che offriva a Tina 0 Giove. — Veggano poi i dotti se la lettera + non abbia qualche speciale significato di rito, 0 fosse iniziale di una parola ap- (1) Cfr. questo titolo coll’Osco SVMHVOVR in monete di Aurunca. (2) Questa famiglia sembrebbe derivata dalla gente Sequia , intorno alla quale V Gamurrini o. c. p. 45 e seg. 294 GIORNALE LIGUSTICO partenente a sepolcro come ταφή ecc. — Il Conestabile (Iscr. Etr. in Monum. ecc. p. 170) inclinerebbe a supplirla colla parola Tcce. ; ma tal supplemento almeno in questo caso non può aver luogo mancando il nome di chi pose il monumento. Singolare è poi che si trovi anche in fondo al seguente indeciso titolo di anfora, parimenti esistente presso di me, della stessa provenienza e della medesima terra , 8. +VKAIII (Vedi Tav.). che potrebbe darci un gentilizio delle famiglie Appia, Aponia o più probabilmente Mania. Misura cent. 30 di altezza su 15 di larghezza. 9- l+fl Ali. —.Notisi la stranissima forma della lettera A graffita intorno ad una tazzetta di bucchero cenerógnolo , come ancora il seguente titolo graffito dentro una tazza della medesima forma , ma di terra biancastra. 10. m Ani. — Le famiglie Alia ed Ani a sono notissime nel-Γ Etruria e nell’ Umbria. è 11. >ivtit Finché altri non proporrà meglio, leggerò Tifi Tucci, nome raro nella Etrusca epigrafia. ex < \ C/D -J A /νΛ. Λ. Magnani dis.dal vero - GIORNALE LIGUSTICO 295 12. ΧΛΙΙΙΙ 19· — Li Oeiiochoe di terra rossa dell’altezza di cent. 13, non compresa 1’ ansa che si eleva sull’ orlo cent. 4. i3- Hfì + Forse Tari. — Epigrafe leggermente graffita dentro un calice a vernice nera. 14. 111 + Tili. — Leggerei Alili scritto Tili per Aferesi. — L’ epigrafe è graffata intorno ad un vasello di terra verniciata. Dubito aisai della sua sincerità. *5- lfl impiego che non tenne che per quattro soli mesi, costretto a partirsene ob asperitatem Regionis, et corruptos hominum mores, come dice egli stesso. Trovansi in questo Codice due lettere scritte da Biguglia dopo il suo ritorno a Nicolo di Lucca, in cui descrive quest’isola (p. 2-3-6), e parlando de Vescovati che erano in essa dice : Sex Corsica episcopatus continet: Alertement, Maranensem, Sagonensem, Gla-cianum, Ampugnanicttm, Nebiensem; i primi tre e l’ultimo sono noti abbastanza e serbano tuttavia il loro nome: Aleria, Mariana (ad error di scritto attribuiscasi il Maranensem invece di Marianensem), Sagona e Nebbio; il quinto è quello di Accia che fu poi unito a Mariana da Pio IV, il cui Vescovo per essere distrutta Accia, risedendo nella Pieve d’Ampugnani, die’ luogo a questa denominazione, siccome ha osservato l’abate Cambiagi nella sua Storia di Corsica (Tom. I, lib. II, pag. 125), ove riproduce un’antica carta pubblicata già dal Muratori (T. IV, Antiq. Med. Aevi, p. 235) in cui parimente si trova nominato Episcopatus Ampugnanicus. Il quarto altri esser non può che quello di Aiaccio; ma perchè Antonio il Giorn. Ligustico, Anno VII e VII. 19 300 GIORNALE LIGUSTICO chiami Glacianum non saprei dirlo. Dubito che sia errore del copista e legger debbasi Adiacianum. In Sarzana non si fermò lungamente il nostro Ivani, obbligato di portarsi a Milano per affari di Ludovico, che forse riguardavano la restituzione di Ponzano (p. 55)· Mentre era in Milano, Bartolomeo Borella cercò di screditarlo presso il suo padrone. Dalle costui accuse si difende Antonio in una lunga lettera scritta a Ludovico da Sarzana (p. 25), dopo essere ritornato da Milano. I replicati viaggi di Antonio a Firenze lo aveano fatto conoscere in Toscana. I Volterrani, informati del di lui merito nella lingua latina, lo ebbero per loro Cancelliere, secondo il costume di que’ tempi ne’ quali, come osserva il Muratori (Tom. XXIII, p. 3), Civitates Italiae Cancellarios sibi deligebant latinis litteris probe excultos. Antonio, avutone il consenso di Ludovico, accettò Γ invito. Il Muratori ha pubblicato (1. c.) la lettera che Antonio scrisse a’ Priori di Volterra: essa trovasi nel nostro Codice (p. 18) in data de’ 24 gennaro del 1466. L’anno ed il mese combinano con la Muratoriana, non così il giorno, che presso il Muratori è il 22. Ove sia lo sbaglio non saprei dirlo, nè giova mettersene in pena. Chi bramasse sapere quali fossero esattamente le incombenze del Cancelliere Volterrano, non ha che a leggere la lettera scritta da Antonio a Nicolò Gambarella (p. 22) in cui minutamente si accennano. Terminato l’anno i Volterrani, soddisfatti di Antonio, il confermarono pel seguente; e questa conferma fu rinnovata per altri anni in appresso fino al 147 r, in cui tra il 23 di febbraio e il 31 di marzo lasciò l’impiego e la città. II soggiorno di Volterra non fu per Antonio nè così lieto nè così vantaggioso come ei se lo era promesso. Il primo anno fu amareggiato dalla prigionia di Gio. Filippo suo primogenito, preso da un corsaro genovese e condotto alla Spezia, dal cui Governatore non potè ottenerne il riscatto, se non a GIORNALE LIGUSTICO 3OI forza di denaro e di maneggi fatti a Milano e a Firenze. Nel terzo anno si scuopri la peste in Volterra, per cui fu obbligato a ritirarsi in campagna, di dove passò per qualche tempo a Sarzana. Di questa assenza profittarono i malevoli di Antonio. Si pretese che non gli si dovesse contare ne’ di lui appuntamenti, tutto il tempo che era stato fuori di Volterra. La pretensione era ingiusta per molti titoli, che ei fa valere in parecchie sue lettere : ma tutte le sue buone ragioni non produssero effetto alcuno, per quanto apparisce da queste lettere. Ritornato a Volterra dopo la pestilenza, si eccitarono acerbe discordie tra cittadini a motivo dell’appalto delle miniere d’allume. Antonio si adoperò per estinguere il fuoco di questa discordia, ma indarno : l’incendio andò crescendo sempre più e terminò con la guerra, che i Fiorentini portarono a Volterra, descritta dal nostro Ivano,e stampata dal Muratori, come diremo tra poco. Tutto questo però non fu quello che obbligò Antonio ad abbandonare Volterra: ve lo costrinse Ludovico, il quale lo aveva destinato per accompagnare suo figlio Agostino alla corte del Re di Napoli. Perciò fattolo venire a Siena, dove egli era, con promesse di un perpetuo stipendio e di' alcuni poderi nel territorio di Sarzana — promesse che 0 non mantenne o malamente mantenne — lo costrinse a lasciare il Cancellierato. Tornato dunque Antonio a Volterra, dimandò la sua licenza. I Volterrani si fecero assai pregare, e mentre esso si maneggiava per ottenerla, Ludovico mutata idea, mandò Agostino alla corte di Forlì presso Girolamo Riario suo parente, fisso però che Antonio dovesse andare in di lui compagnia. Ottenne questi dopo quattro mesi la chiesta licenza, e portatosi a Siena da Ludovico, con esso passò a Roma. In Roma si accorse che il suo padrone avea nuovamente mutata destinazione ad Agostino e lo volea, non più nelle corti, ma nelle armate. Questa mutazione riuscì sensibile, anzi disgus- 302 GIORNALE LIGUSTICO tosa del tutto ad Antonio, che si trovava obbligato a seguire Agostino in una professione del tutto contraria al pacifico suo genio. Ei se ne duole altamente in due lettere di questo Codice, una scritta ad Antonio Sauli (p. 170), l’altra a Γο-masino Campofregoso, nipote di Ludovico (p. 171)· L’impegno era preso : Antonio, malgrado ch’ei se lo avesse a male, dovette accompagnare Agostino. — Post niéum a vobis discessum voluntarium, scrive egli a’ Volterrani (p. 254), quum essem in Turrite, oppido miles non voluntarius, et inter oppidanos, et stationarios milites vehemens esset horta seditio, in foroque publico utrimque staret concursus armatorum.....ego inter tela steti medius inermis detestando furentem impetum, et pacem obsecrando: arma ceperunt, ecc. Questo è quanto si rileva dalle lettere di questo Codice della militare spedizione del nostro Antonio. Dopo sei mesi, mal soddisfatto della milizia, e poco contento di Agostino, se ne andò a Sarzana con dispiacere e di Agostino e di Ludovico (p. 250). In Sarzana attese a’ suoi domestici affari e non trascurò quei del pubblico. Abbiamo in questo Codice una Orazione italiana recitata da esso nel pubblico Consiglio della città, a cui si vede che fu ammesso. Da Sarzana scrisse più lettere a Ludovico per essere soddisfatto di quanto da esso avanzava, ma forse inutilmente, almeno fino alla metà del 1473. L’anno 1472 fu Antonio stimolato da Battista Bulgaro (p. 203) a portarsi a Roma. Ignorando egli il motivo di queste premure, ne scrisse al Datario del Papa, che era in allora Gio. Battista Cibo, Vescovo di Savona (p. 203), e in appresso Pontefice, sotto nome di Innocenzo Vili: qual risposta ne avesse, e se questo viaggio avesse effetto, il Codice noi dice. Sul principio del 1473 fu mandato per pubblici negozi a Firenze, sotto il cui dominio continuava tuttavia Sarzana; indi tornò in patria, ove le lettere di questo manoscritto ce GIORNALE LIGUSTICO 303 lo mostrano fino a’ 23 di maggio di questo stesso anno, che è la data dell’ ultima scritta a Donato Acciaioli. Cosa di esso seguisse in appresso, se continuasse in patria, 0 passasse altrove in qualche impiego, non è a mia notizia. Trovo in queste lettere che Tomaso Fregoso procuravagli un impiego in Ferrara, presso quel Duca (p. 197); e trovo che Antonio si maneggiava per essere fatto scrittore apostolico. Avea egli concepite non vane speranze di conseguire questa carica prima di essere Cancelliere di \^olterra. Cosimo de Medici , avo di Lorenzo, aveagli offerto quattrocento scudi d’oro per comprarla; ma mentre egli sta aspettando il restante della somma necessaria, promessogli da un falso amico ; e questi il pasce di buone parole, le circostanze mutarono e le speranze si perdettero. Il viaggio di Roma, di cui abbiamo parlato , gliene risvegliò 1’ idea e riaccese 1 antico desiderio. Superioribus diebus, scrive a Donato Acciaioli suo amico, Romae fui : illum ultro deserui, qui me, ut perpendi, non ea qua putabam mente subtraxerat a Volaterranis : placebat mihi esse in Curia, si facultas affuisset manendi, verum ea voto parum sub-veniente, in patriam redii, cupidus eodem reverti, quo abunde videntur virtutes, et vitia plurium nationum confluere; et inter quae Fortunam plurimum dominari compertum est ». A questo effetto si propose di bel nuovo di comprare la carica di scrittore apostolico, che dovea essere in que’ tempi venale; e poiché le domestiche finanze non erano da tanto, prega 1 amico Donato che voglia ottenergli da Lorenzo de’ Medici una qualche somma di denaro, con promessa di restituirla ottenuta la carica. Cosa succedesse non mi è noto. Ho poc anzi lasciato incerto se Antonio andasse a Roma, chiamatovi dalle premure del Bulgaro; le parole citate della lettera di Antonio all’Acciaioli, posteriore agli inviti del Bulgaro, nn fanno credere che Antonio veracemente andasse a Roma. Ebbe Antonio moglie, e da essa tre figliuoli, due maschi 3 04 GIORNALE LIGUSTICO ed una femmina. Il primo chiamossi Gio. Filippo, come abbiamo già detto; il secondo Gaspare, che die’ al padre speranze di molto riuscimento nelle lettere, e dopo essere stato con Gio. Galeazzo Fregoso (p. 129) e con altri, passò a Roma con idea di entrare nella strada ecclesiastica : ma non saprei dire cosa ne avvenisse. In grazia di costili fece Antonio la raccolta delle sue lettere, e ad esso indirizzolle con una lettera che è alla testa di questo manoscritto. Queste sono le principali notizie che di Antonio Ivano ci somministrano queste lettere fino alla metà dell anno 1473 > in cui, come ho detto, termina il Codice. Ma le lettere qui raccolte non sono, come accennai, che una parte di quelle che Antonio scrisse e lasciò in due Tomi per attestato del Landinelli. Così in fatti convien che sia; poiché di tre lettele che esso cita, niuna si trova in questo manoscritto. La puma a Giovanni Marinetto da Vezzano (c. 4), la seconda a Nicolò Michelozzi fiorentino (c. 5), la terza al cardinale Calandrai (c. 47); a cui per altro più d’una ve n’ha nel nostro manoscritto, ma non quella citata dal Landinelli. Nella Ma-gliabecchiana, conforme attesta l’abate Mehus (p. 54)> evvl una piccola raccolta di 50 lettere brevi del nostro Ivano, ex pluribus suis excerptae, dice Mehus, ad Andreatn Cresciuta civem Florentinum Sar^anensem Praefectum. Eae sunt ad Borsium Mar-chionem Estensem Mutinae et Rhegii Ducem, ad Nicodemum Tranchedinum Ducalem Legatum Florentiae commorantem, ad Lilium Tiphernatem, ad Bartholorneum Scala, aliosque. In epistola Io. Petro Leostello scripta notanda sunt haec verba : Lactantium et Ciceronis epistolas ad Atticum in manibus nostris esse cupio. Rescire igitur vellem a te, quantocicius fieri possit, an ex Urbe istuc Senas allata sint aliqua volumina ex his, quae Germani homines absque calamo, sed formulis ordine quidem miro, componere didicerunt, et utrum, quae cupio istic reperiantur quoque precio consequi illa possimus. — Fides epocham, prosiegue Mehus, invectae GIORNALE LIGUSTICO SOS ex Urbe in Etruriam Typographiae, atque adeo Florentiam, ubi annos 1471 iam exercebatur. Nam Cl. Michael Maittairius Florentinam Typographiam ad annos 1472, falso rejicit, deceptus ab editione Servii, ad cuius calcem annus ille legitur. Al si eiusdem Servii editionem ad calcem Georgicorum consuluisset, iam ab o ' anno 1471 Typographiam Florentiae fuisse cognovisset. Le lettere citate da Mehus a Borso, a Tranchedino, a Scala ' ed a Leostello dei Codice Magliabecchiano, sono probabilmente quelle stesse che trovansi in questo manoscritto. Oltre le lettere e le orazioni di cui abbiamo parlato, scrisse Antonio un trattato Della Fortuna, diretto a Marsilio Ficino, « da cui — dice il Landinelli —.fu molto amato e stimato », una commedia, ossia Tavola morale, come la chiama il Soprani , e la Storia della guerra Volterriana, che ho di sopra rammentata. Il Muratori stampolla ne’ suoi Scrittori Italiani (Ύ. XXIII, p. 1) con questo titolo : Commentariolus de Bello Volaterrano a. 1472 a Florentinis gesto. — Ei crede che ad istanza de’ Fiorentini fosse fatta questa storia e sparsa per Γ Italia a fine di dissipare la sinistra fama, che andava spargendosi, della loro tirannide e violenza. Nelle molte lettere che su di questo fatto trovansi nel presente manoscritto, Antonio mostra che i Volterrani si tirarono addosso con la cattiva loro condotta le disgrazie che li oppressero. Oltre a queste opere, note ai nostri Bibliografi, scrisse Antonio in grazia di Agostino Fregoso un opuscolo: De claro adolescente instituendo, di cui ci dà egli stesso notizia in una sua lettera a Giano della Porta. L’opera era stata composta allorché i Fregosi erano padroni di Sarzana. Venduta questa ai Fiorentini da Ludovico, e non isperando più Antonio che Agostino dovesse comandar nella sua patria, soppresse l’opera e portolla seco a Volterra, di dove mandolla al sopraddetto Giano della Porta, con l’accennata lettera. Essa si trova manoscritta nell’Archivio della Cattedrale di Novara (V. Allegranza, Opuscoli, 3o6 GIORNALE LIGUSTICO p. 281) con questo titolo: Antonius Hyvanus Augustino de Campofregoso adolescenti clarissimo : de claro adolescente instituendo. Il citato abate Mehus (1. c.) novera il nostro Antonio tra quei letterati che nel Secolo XV coltivarono lo studio delle Atitichità, e ne adduce in prova un opuscolo di Antonio diretto a Lorenzo de’ Medici l’anno 1481, iv id. apr. che conservasi manoscritto nella Laurenziana, intitolato: De vetustis aedificiis civium et Principum Romanorum, diviso in 18 titoli. Quest’opera è un estratto 0 compendio di quella che Biondo Flavio scrisse in tre libri col titolo : Romae instauratae, conforme lo stesso Antonio dichiara nella lettera premessa al-1’ opera, e diretta ad praesentes et posteros in questi termini : Quamobrem non ut quidquam detrahatur auctoritati praestantis viri (Biondi Flavii) cui plurimum posteri omnes iure optimo debemus ; verum ut plerisque morem geram, qui nudam solamque rerum memorabilium veritate affectant, summatim quae a Biondo hausisse profiteor, in hoc brevius volumen conjiciam ; et sic singula quaeque ad sua loca restringam, ut vetustatem perquirentibus, facilior aperiatur aditus ad inveniendum ecc. CODICE XXXIII. Nella presente opericiuola trovasi un breve catalogo dei primi Re di Roma e degli Imperatori, fino a Costantino : indi una nota delle Indulgenze e Reliquie che erano a tempi dello scrittore nelle sette chiese principali di Roma , e in moltissime altre della predetta città, verso la fine del Sec. XV. Siegue una lista delle Stazioni, dopo la quale si descrivono le principali fabbriche di Roma, sotto questo titolo : Mirabilia Urbis Romae. L’autore, chiunque sia stato, dovea essere un uomo molto credulo e di niun criterio, essendo pieno di puerili racconti e di false tradizioni, che ei ci narra come CZGKNALE LIGUSTICO 307 verissime storie. Cita sovente Librum Virorum, Librum Mulierum, Librum Civitatum, come se fossero sue opere; e cita uno scritto sopra Dante': Pro quo re (relege) plenum illud scriptum in VI. C. Para, quod edidi super Dan te. Se nelle opere da esso citate l’autore ha usato dello stesso criterio, non dee molto rincrescere che esse, o siansi perdute, o si giacciano dimenticate in qualche angolo. Dee avere scritto sul finire del Secolo XV, poiché parlando d’una immagine della Beata Vergine, che era nella chiesa di S. Agostino, la chiama famosa per molti miracoli: Tempore Innocenta Vili, anno Domini 1485. Lo scrittore avea cominciato ad abbellire il suo manoscritto con ornati e figure a penna; ma cominciato appena il lavoro , lo abbandonò. CODICE XXXIV. Sono in questo Codice due opere latine di Francesco Petrarca : La Bucolica ed alcune delle molte Lettere che ei scrisse in versi. Alla fine delle dodici Egloghe, che compongono la Bucolica, in caratteri rossi della stessa mano, leggesi: Explicit carmen Bucolicum Francisci P. F. poetae Flor, sumptum ex originali sua propria manu scripto, in quo talem inveni subscriptionem. — Bucolicum carmen meum explicit, quod ipse qui ante annos dictaveram, scripsi manu propria apud Mediolanum anno huius aetatis ultimae 1357. — Dopo queste due rubriche siegue la terza, che ci mostra il tempo in cui fu scritto il Codice: Scriptum est hoc opus per me Jeronymum de Pasqualinis anno Domini 1456 die 23 novembris. Questa rubrica messa in questo luogo, mi fa sospettare che le sole Egloghe sieno copiate dall’ originale dell’autore e non le lettere, che vengono appresso. Dee essere questa una giunta fatta posteriormente dal medesimo Pasqualini (essendo il Codice tutto duna mano) il quale dalle molte lettere lasciate dal Petrarca, scelse quelle 3oS GIORNALE LIGUSTICO che più gli piacquero e diede loro quell’ ordine che tornogli più comodo. Nella edizione di Basilea dell’anno 1534, le lettere in versi sono divise in tre libri : di queste sole dieci sono nel Codice con questa corrispondenza alla citata edizione: Manoscritto Εάίχ. Basii. 1. Ad quemdam amicum suum...... 18 Libri II 2, Ad D. Barlholomaeum de Vicecomitibus Mediolanensem Romae......... T7 . » » . 3· Ad D. Ioh. Card. Columpnensem. . . H » » 4· Ad D. Ioh. Barilem de Neapoli. . . . 8 » 5· Ad Magistrum Dionys. de Burgo. . . 4 » I 6. Ad Benedictum XII S. P....... 2 » » 7- Ad Clementem VI S. P........ 5 » II 8. Ad D. Jacobum de Columpna..... 4 » I 9· Ad Benedictum S. Eliae P....... 3 » )> IO. 11 » III. La prima e l’ultima di queste lettere nella edizione citata di Basilea sono dirette Gulielmo Veronensi. La quarta Nicolao Alfienensi; la seconda Zoilo, nome comune a tutti i maligni censori delle opere altrui. Nel manoscritto se ne individua la persona, cioè Bartolomeo Visconti. Chi sia costui non mi è riuscito dLtrovarlo. Giovanni Visconti, Arcivescovo di Milano, ed i nipoti che gli successero nel principato, molto stimarono e molto accarezzarono il Petrarca. Ma la gente Visconti era divisa in più famiglie, nelle quali si potrà trovare qualcuno che non fosse troppo amico del Petrarca e si facesse a censurare le di lui Poesie. Il Codice, sebbene scritto con diligenza e copiato nella più gran parte dall’originale, non manca di errori. Non so se tra questi contar debbasi il titolo della prima Egloga, che qui GIORNALE LIGUSTICO 309 leggìi Parthenus, dove che nella edizione di Basilea ed in altri manoscritti trovasi Parthenias. Errore è sicuramente il Dune nella Egloga III, dovendo dir Daphne, siccome dice nella edizione sopraddetta e manifestamente mostrano le prime parole che questa pastorella dice a Stupeo: Quae Phoebum sprevit, quem non spretura putetur ? Ma non è pregio dell’opera il rilevare tutti gli sbagli che possono essere accaduti e tutte le varianti che questo Codice ci potrebbe somministrare. Alla fine trovasi un. esametro di 60 versi con questo titolo: Descriptio Italiae per D. Franciscum Peirarcham. Nella più volte citata edizione vi sono questi stessi versi indirizzati a Luchino Visconti, tra le epistole in versi (Lib. II, n. 12) ove l’ultimo verso termina commendet abunde invece di commendet amico, conforme leggesi in questo manoscritto. CODICE XXXV. La Divina Commedia di Dante, un Capitolo di Jacopo di lui figliuolo ed un Esametro di Giovanni Boccaccio, tutte d’un carattere e d’una mano, sono le tre cose che si contengono in questo Codice cartaceo. Se noi avessimo una storia delle Cartiere Italiane, come si dice esservi di quelle di Germania fatta dal signor Murr di Norimberga, che ci istruisse del tempo in cui cominciarono e de’ marchi che usarono , non sarebbe difficile il determinare la precisa età di questo Codice, nelle cui carte incontransi due marchi, 1’ uno dei quali è una S, l’altro un Uccello. Ma questa storia manca alla nostra Italia, o almeno non è a mia notizia; e non avendo il Codice alcun carattere cronologico per cui fissarne l’epoca, non mi è facile il decidere se esso appartenga più al Secolo XV che al XVI, giacché non istimo che e’ sia del XIV, sul finir del quale 310 GIORNALE LIGUSTICO morirono il Petrarca ed il Boccaccio: questo l’anno 1375 e quello l’anno innanzi. L’arme gentilizia posta al fine della prima pagina è sì mal concia, che non dà luogo a distinguere i due colori, nei quali lo scudo è originalmente diviso, per trarne quindi qualche lume di chi sia stato un tempo questo Codice. Nel testo della Commedia incontransi a luogo a luogo delle varianti, alcune delle quali sono state notate nel margine; molte più però se ne potriano notare, per quanto mi è parso. Oltre di ciò vi sono parecchi errori del copista, immancabili in uno scritto di sì lunga tratta. Dopo la Commedia viene il Capitolo di Jacopo di Dante, intitolato nel nostro Codice: Breve raccoglimento di tutta I’ opera di Dante fatta per messere Jacopo suo figliuolo, in cui l’autore scuopre Γ ordine e la condotta di quest’opera. Il Crescimbeni (Vol. Ili, p. 130), il Quadrio (Vol. II, p. 177) ed il conte Mazzucchelli (Tom. I, parte I, p. 493) pretendono che questa sia la più bella 0 almeno la più famosa fatica di Jacopo, noto per altre sue italiane poesie. Il marchese Maftei nella Verona Illustrata (Tom. Ili, p. 102), e prima di lui Sertorio Quat-tromani, hanno preteso che questo Jacopo fosse lo stesso che Pietro, altro figliuolo di Dante, il quale commentò in latino 1’ opera di suo padre, e vogliono ch’ei si chiamasse Pietro-Ja-copo. Il Crescimbeni però ed altri parecchi si sono dichiarati contro sì fatta opinione, sulla quale io non sono in caso di far parola; dirò solo che se questo Jacopo visse sempre in Firenze, come afferma il signor Pelli, ei dee essere distinto da Pietro, vivo l’anno 1342. Questo Raccoglimento si trova in più altri testi a penna. Il Crescimbeni (1. c.) ne cita uno dell’anno 1399, stato del Muratori, ed altro, a detta del conte Mazzucchelli, trovasi nella Ambrosiana in Milano descritto da Giuseppe Anton Sassi (Storia Tipografica della Letteratura Milanese, p. cxxxv) : Codex GIORNALE LIGUSTICO 3 11 chartaceus in magno folio anno 1399 scriptus, in quo omnia continentur , quae Jacohus Dantis filius elaboravit, ut celebrem patris sui Comoediam explanaret; io non so se questa descrizione ci dia una ben chiara nozione dell’opera di Jacopo: ma, che che sia di ciò, sospetto che questo Codice esser possa quello stesso che viene attribuito al Muratori. Oltre questi, qualora sieno due, il Raccoglimento si trova, a mia notizia , in tre Codici Fiorentini, cioè in uno stato già dei Gesuiti in Firenze, di cui parla l’abate Zaccjria ne’ suoi Excursus litterarii (p. 314) e in due della Laurenziana, il primo nel pluteo XL (n. 9, p. 101), l’altro al X (p. 79) e in questo s’intitola : Proemio di Jacopo figliuolo di Dante Alighieri sopra la Commedia ecc. Finalmente trovasi nel Codice LXIII della Libreria di S. Marco in Venezia descritta dal signor Anton Maria Zanetti, che parlandone alla pag. 248, lo ha segnato con l’asterisco, come se fosse inedito ; lo che, se non è error di stampa, è una piccola svista dell’erudito autore, perchè esso è stampato unitamente al Capitolo di messer Bosone da Gubbio, nella famosa edizione di Dante fatta in Venezia l’anno 1477 da Vendelino da Spira in cui si legge: Questo Capitolo fece Jacopo figliolo di Dante Alleghieri di Firenze, il quale parla sopra tutta la Comedia del dicto Dante. Convien dire che 1’ esemplare di questa edizione, citato da M.r Bure nella sua Biblioteca (Belles lettres, p. 618), mancasse di questo Capitolo, giacché ei nulla ne dice. L’ultima delle tre opere del Codice , si è un Esametro di quaranta versi con questo titolo : Pistola di messer Giovanni Boccacci a messer Francesco Petrarca quando gli mandò l’opera di Dante, la quale non avea ancor veduta. Questi versi che trovansi in qualche altro Codice, per esempio in uno della libreria Guadagni, citato dal conte Mazzucchelli (Tom. II, parte III, p. 1325, n. 66) furono già stampati da monsignor Beccadelli nella Vita del Petrarca, che è stata poi premessa GIORNALE LIGUSTICO all’ edizione Cominiana di questo poeta F anno 1722 ; e ristampati nuovamente 1’ anno 1742 dal signor Manni nella sua Illustrazione· del Decamerone (Parte I, c. X, p. 25). Nè l’uno nè l’altro di questi due autori ci dicono in qual anno fossero essi scritti e mandati: questa epoca non ci sarebbe inutile per sapere quando il Petrarca.leggesse la prima volta l’opera di Dante, di cui si è preteso che ei non facesse gran conto. Il Beccadelli (p. xxvi) dopo aver detto che il Boccaccio £u l’anno 1364 in Venezia, e vi si trattenne tre mesi con il Petrarca, parla di una copia di Dante, scritta di propria mano dal Boccaccio e da lui mandata in dono al Petrarca, e riporta i versi con cui l’accompagnò. Ma con ciò non intese, penso, di darci l’epoca di questo dono e di questi versi. Il Petrarca si sarebbe ridotto ben tardi a legge1·' l’opera di Dante. Quello che può ricavarsi dalla lettera medesima, e dal di lei titolo presso il Beccadelli, si è che essa è posteriore a 6 di aprile dell’anno 1341, in cui il Petrarca fu solennemente coronato in Campidoglio, conciosiacosachè e nel titolo della lettera il Petrarca vi è detto laureato: Illustri viro D. Francisco Petrarcae laureato, e la lettera così comincia: Italiae iani certus honos, cui tempora lauro Romulei cinxere duces, ecc. Il Boccaccio nella sua Genealogia degli Dei, scritta circa la metà del Secolo XIV, come pretende il signor Manni (op. cit. c. XXII, p. 68), dice (Lib. XV, c. 6) che l’esilio tolto avea a Dante la corona, poiché era risoluto di non volerla se non in patria; la qual cosa ci potrebbe far credere, dice l’abate Tiraboschi (Tom. V, p. 388), che si pensasse ivi, cioè presso gli Scaligeri, di conferirgli Γ onore della corona d’alloro..... ma di questa circostanza niun altro ci ha lasciata memoria. Or in questi GIORNALE LIGUSTICO cenni dà il Boccaccio della incoronazione che Dante ottenere; l’uno al verso 7: Frondibus ac nullis redimiti, crimine iniquae Fortunae ecc. l’altro ai versi 31 e 22: .....meritis tamen improba lauris Mors properata nimis vetuit vincire capillos. Questo secondo passo non pare che possa combinarsi con quanto si legge nella Genealogia (1. c.) Lo scrittore di questo Codice ha assai malamente trattata questa Pistola; ove manca un piede, ove una sillaba, ove il senso è guasto e corrotto. Eccone le prove: Manoscritto Edizione Dantis opus vulgo mirabile nullis Dantis opus vulgo quo numquam doctius ullis Exulls et patrio Exulis ex patrio Frondibus ac nullis redimiti crimen inique Frondibus ac nullis redimiti crimine iniquae Fortune exilium reliquum voluisse futuris Fortunae hoc etenim exilium potuisse futuris • Traxerit liunc invenem studiis Traxerit ut iuvenem Phoebus - Julia Pariseos dudum serusque Britannus Julia Pariseos dudum extremosque Britannos Agnomen, factusque fere est gloria gentis Agnomen factusque est magnae gloria gentis -.....meritis tamen improba laurus .....meritis tomen improba lauris - Insuper, et nudas curam quas ire Ca- Insuper, et coram si nudas ire Camenas Forte veris [menas Forte putas - Ménte quidem reseres tota montemque Mente quidem reseres amnem montemque su- - Atque veretur ovans [superbum Et veneratur ovans [perbum - Suscipe itinge tuis cole perlege com- Suscipe iunge tuis lauda cole perlege, nam si [proba : nam si - Feceris ipse tibi facies multumque fa- Feceris hoc magis et te decorabis, et illum [voris - Exquires, et magne vale decus urbis et Laudibus o nostrae eximium decus urbis et orbis [orbis Di queste varianti, delle quali alcune, conforme ho accennato, sono manifesti errori, i quali guastano il verso, sarei d’opinione che dovesse ritenersi quella del v. 17, poiché chi legge in questo luogo il Beccadelli è tentato di condur Dante ? - V. 6 — V. 7-8 — V. 13 — V. 17 — V. 20 — V. 21 -V. 25 -V. 24 -V. 25 -V. 32 -V. 38 - V. 39 -V. 40 - yersi due non potè 314 GIORNALE LIGUSTICO in Inghilterra, ove niuno, ch’io sappia, lo ha fatto andare. Ecco il passo, secondo il Beccadelli, seguito dal Manni : ...........novisti forsan et ipse Traxerit ut iuvenem Phoebus, per celsa nivosi Cyrrheos, mediosque sinus, tacìtosque recessus Naturae, coelique vias, terraeque marisque Aonios fontes, Parnasi culmen, et antra Julia, Pariseos dudum extremosque Britannos. Or se dopo l’antra si faccia punto, e leggasi in appresso conforme sta nel nostro manoscritto Julia Pariseos dudum, serasque Britannus Hinc illi egregium, sacro moderamine virtus Theologi vatisque dedit, simulatque Sophiae Agnomen questa lezione, dico, toglie ogni sospetto di viaggio fatto da Dante in Inghilterra, e il Boccaccio dirà, o avrà voluto dire, che siccome Parigi avea già molto prima dato il nome di Teologo Filosofo a Dante, così questi stessi nomi gli accordava ora, comechè tardi, anche l’Inghilterra. È qui da notarsi il titolo di Giulia dato a Parigi dal Boccaccio, Julia Pariseos, cioè Julia Parisiorum: e Giulia Parigi la chiama parimenti nella Genealogia (1. c.). Per qual ragione e su quale autorità, non potrei attestarlo. Sospetto che potesse aver egli in vista il libro de Disciplina Scolarium, malamente attribuito a Boezio, ove al c. 2. Parigi vien detta Città di Giulio Cesare. In civitate Julii Caesaris, quae Parisinci dicebatur, come sta nella edizione veneta del 1513· In quella di Basilea del 1570, leggesi: in civitate Julii Caesaris, quae Lutetia Parisiorum dicebatur, autorità certamente di niun peso, poiché quel libro a giudizio de’ migliori critici nè è di Boezio nè di lui degno. L’ autore fu d’assai posteriore a questo GIORNALE LIGUSTICO grand uomo ; sebbene sia più antico di Dionigi Rikelio a cui lo avea attribuito il Labbé; su ai che sono da vedersi il Fabricio nella Biblioteca latina , il conte Mazzucchelli (vol. Ili, parte III , p. 1427^, ed il P. de Rubeis de gestis et scriptis S. Ί homae (Disp. Vili, c. IX, p. 95). Quest’ultimo ne fa autore Guglielmo di Moerbeka Domenicano, morto sul fine del secolo XIII in Corinto, vescovo di quella Chiesa: i primi due sembrano aderire a Giacomo Tommasi che il vuole scritto circa l’anno 1250 da Tommaso Cantipatrano. Delle costoro opinioni, io non vorrei entrare mallevadore, se quest’ opera è veramente citata nello Specchio dottrinale di Vincenzo Bellovacense lib. I, c. 30; citazione, che io non ho potuto verificare. Vincenzo morì nel 1264 al più tardi. Temo che lo Specchio non sia anteriore al 1250; o almeno tanto vicino a quest’ epoca che il falso Boezio non fosse abbastanza noto e diffamato. Comunque però sia, il nome di Boezio fece acquistare a quest’ opera un commentatore, per un pezzo creduto S. Somaso d’ Aquino : ma oggi mai sono i Dotti ri- ' venuti da questa falsa opinione, e più verisimilmente si crede lavoro di Tommaso Walleis Domenicano, detto anche Gal-lense e Anglico, il quale vivea ancora nel 1338, di cui ampiamente si parla nella Biblioteca Domenicana da Quetis ed. Eccard. Or questo commentatore ci dà o pretende darci ragione perchè Parigi venga chiamata città di Giulio Cesare Parisius quondam Lucotetia civitasque Julii, non quia fundavit, sed quoniam ampliavit (p. 75). La Cronica Jorvallense attribuita a Giovanni Brompton, abbate Cisterciense, addotto questo commento (Scrip. R. R. Angi. I. 1, p. 817) e Pocloco Sincero nel suo Itinerario delle Gallie scrisse (p. 194) che Boezio nel libro de Disciplina Scholaria avea nominato Parigi città di Giulio, perchè forse costui avea quivi fabbricate molte case per ampliare la città : Civitatem Julii Boethius lib. de Discipl. Scholar. nominat., quod is multa fortean illic aedifica- Giorn. Ligustico, Anno VII e VIII. Si6 GIORNALI- LIGUSTICO verit. Ma di siffatta ampliazione io non trovo parola in antico scrittore; nè so che Giulio Cesare alcuna colonia^conducesse in Lutesia, come chiamavasi a’ suoi tempi. Due volte ei ne parla ne’ Commentari delle guerre Galliche. L’ una al lib. 17 (p. 214, ed. trastel. 1661) ove dice, che ei trasferì Concilium Lutetiam Parisiorum; l’altra nel lib. VII (p. 325 > 27) ove racconta che i Galli Lutetiam incendi, pontesque eius oppidi rescindi iuhent, perchè Labieno non se ne impadronisse. Se dopo questo incendio e questa rovina, ei lo facesse ristorare e ingrandire, io noi so. Cesare di ciò non parla e nulla non dicono gli scrittori che ho potuto vedere. Nell Accademia delle Iscrizioni (Tom. XIX, p. 669) si dice qualmente la strada- che da Pontoise conduce a Parigi da quei del paese vien chiamata Le chemin ferri o La chaussée de fuies Cesar. Se quest’ ultima denominazione non è una di quelle nostre tradizioni popolari, che ben sovente non hanno fondamento veruno nella Storia, si potrebbe da ciò inferire che Giulio in quelle parti di alcuna opera sia stato autore. Nella vita di S. Baboleno presso du Chesne (I. 1, p. 661) narrasi che Cesare fece fabbricare appresso a Parigi il così detto una volta Castrum Bagaudarum nel luogo detto presentemente 5. Maur aux Fosseζ. Ma io lascierò a’ Francesi sì fatte ricerche ; essi ci sapranno, forse, dir qualche cosa di più preciso. (Continua). STORIA DEI GIUSTINIANI DI GENOVA del prof. Carlo Hopf Questa Storia fu pubblicata in tedesco dall’ illustre e compianto autore nell’ Enciclopedia Generale delle Sciente ed Arti, (Lipsia, ed. Brockhaus, 18jS; Sezione I. vol. LXVIII)· La traduzione è stata fatta, molti anni addietro, dal ch. Alessandro GIORNALE LIGUSTICO 3 X7 Wolf, attualmente professore nel R. Istituto Tecnico di Udine; e 4’egregio Hopf non solo avea conceduto la permissione di stamparla, ma si era alresì impegnato a corredare il lavoro di importanti note ed aggiunte (i), oltre 1 albero genealogico della famiglia, che inseri poscia, con più altri di dinasti italo-greci, nel suo volume delle Chroniques grécs-romanes (Berlino, 1873). Ma la morte, che lo colse nel vigore degli anni e delle forze, impedì 1 esecuzione di quest’ ultimo disegno. Ad ogni modo, pubblicando noi oggi la versione di questa importantissima Storici, intendiamo anche dì rendere omaggio alla memoria di un uomo, cui per lunghi anni siamo stati uniti dai vincoli della più schietta amicizia. Al prof. Wolf, che fu per molto tempo tra noi, cercatore indefesso de’ nostri archivi e delle cose genovesi zelantissimo sempre, diciamo pure grazie per la sua dotta fatica, e glielo diciamo con tutto il cuore. La Direzione. Capitolo Primo. Cenno sull’ origine dei Giustiniani. — Le vicende di Scio nei secoli XIII e XIV- — Le nc-cS dell’isola. - 11 mastice. - La prima colonia genovese fondatavi nel ,,ίι. - L .sola devastata dalle scorrerie dei pirati. - Gli Zaccaria _ Manuele Zaccariasignore d, Focene allumiere di Focea. - Tedisi., e Benedetto I SgU “no Benedetto II ed i suoi nipoti Martino e B, nel o III - Martino acquista dominio in Acaia ; sue relazioni con Filippo di Taranto p inlc di Acaia, che lo nomina re dell’Asia minore. - Guerre contro i Catalan, ed , Turch . — Moneta battuta dagli Zaccaria. - Scio ricade in potere deU’imperatore JWo -. Benedetto III tenta invano riconquistarla. - Morte gloriosa d, Martino - I suoi figli Bartolo e Centurione I in Mori - Scio e Focea sotto il dominio Bizantino; t governatori imperiali Calotcte e Kybos. Uno dei più illustri casati di Genova era quello dei Giustiniani, celebre nei fasti della Repubblica, come quello che (i) Ved. Atti della Società Ligure di Storia Patria, vol. IV, pag. CXIV, Giornale Ligustico, ann. 1874 , pag. 81. 3ï8 GIORNALE LIGUSTICO esercitò per lungo lasso di tempo il dominio sulle isole principali del gruppo delle Sporadi (Scio, Samo, Enussa, Icaria e Cos), e sulle due città di Focea vecchia e Focea nuova, già fiorenti empori commerciali del continente dell’ Asia minore. L’origine del casato fu sempre avvolta in dubbi e con' traddizioni, originati dall’ errore di considerarlo come parentela congiunta dai vincoli del sangue, e dal volere far risalire allo stesso stipite i Giustiniani genovesi e quelli veneti. Indi la nota leggenda, che fa discendere i due grandi casati da due fratelli Marco ed Angelo, successori del grande Giustiniano, vissuti verso il 720; leggenda accolta da quasi tutti i cronisti e storiografi, e per puntellar la quale si rimpastarono e falsificarono le genealogie documentate dei Giustiniani genovesi. Attalchè persino quell’ instancabile indagatore, che fu il compianto conte Pompeo Litta, disperando di trovare il bandolo della matassa, non potè adempiere la promessa, con cui avea fatto sperare che alla storia dei Giustiniani veneti da lui pubblicata, avrebbe tosto tenuto dietro quella dei Giustinani genovesi. Valendoci delle disparate notizie da lui raccolte, noi terremo un’ altra strada, mettendo a capo di questi studi il concetto che i Giustiniani, anziché una parentela unita dalla comunanza del sangue, erano uno di quelli artificiali aggregati di famiglie, detti alberghi. E questo si farà più chiaro, quando avremo prima chiamato ad esame la storia dell’ isola di Scio (1), che si collega segnatamente con quelle origini, (1) Della storia medievale di Scio trattano : Jerome Justinian, La description et l’histoire de l’île de Chios. Paris 1606. 8.° — Michele Giustiniani, La Scio Sacra del rito latino. Avellino 1658. 4.° — Χιακα ήτοι Ιστορία τής νήσου Χίου υπ? του ϊκτρου Άλεξ-βλα ατού. Έν Έρμονπόλει. 1840. 8.», 2 vol. C. Pagano, Delle imprese e del dominio dei Genovesi nella Grecia, libri IV. Genova 1846. 8.° — Vinc. Giustiniani, Storia di Scio. Paris Bibliothèque Nationale. MS. Supplèm. 6721 — ed altri mano- GIORNALE LIGUSTICO principalmente duranti i decennii successivi alla conquista di Costantinopoli per i crociati. Nella divisione dell’Impero Bizantino, avvenuta nel 1204, Scio (1) fu aggregata con Lesbo, Samo e Cos (Sango) al- 1 Impelo Latino, del quale fece parte sino al 1247 (2), quando Giovanni Vatace la assoggettò al suo scettro. Gli Imperatori Latini continuarono bensì anche dopo a considerarla come soggetta alla loro corona, come si vede dal trattato di Viterbo (27 maggio 1267) (3), in cui BalduinoII cedendo i propri diritti sulla Grecia a Carlo d’ Angiò, si riservò esplicitamente, oltre le isole di Lesbo, Samo e Cos, anche quella di Scio; ed ancora nell’ atto d’investitura del regno di Romania a Filippo di Taranto (15 maggio 1294} (4), la vediamo qualificata parte dell’ Impero. Ma queste pretese non cambiavano le condizioni di fatto, e Scio rimase dopo la conquista sempre soggetta al regno di Nicea, soventi sturbata dalle scorrerie dei scritti esistenti in Genova, Milano e Roma, che avremo occasione di citare più sotto. — Altre opere scrìtte su Scio, Samo e Focea, si limitano alla storia antica , come per es. Poppo, Contribuzioni alla storia di Scio. Francoforte sull’Oder. 1822. 4.0 — Korais, Χιακης άφχωιολσγίας δλη, nel vol. Ili delle ’Έτακτα. Parigi 1830. 8.° — Kofod-lVilte, De rebus Chiorum. Havniae, 1838. 8.°. Echenbrecher, L’isola di Scio. Berlino 1846. 8.° — /. Gor-girenos, Description de Samos, nelle Nouv. annales des voyages. Serie I. T. XXV. — Panofka, Res Samiorum. Berlino, 1822. 8.“— Thisquen, Phocaica. Bonn 1842. 8.°. (1} Tafel e Thomas, Documenti della storia del commercio di Venezia. Vienna 1856. 8.° Vol. I, p. 47g. —Chronique de-Martin da Canale (Arch. stor. itv vol. VIII), c. 59 e seg. (2) Nie. Greg., lib. II, c. 3 ; lib. IV, c. 6 (ed. Bonn. Tom. 1. p. 29-98). (3) Paris, Trésor de chartes. Layette: Empereurs de Constantinople, n. 7 (Régistre XLIX, pièce 242). — Ducange, Hist. de Constant, (éd. Bu-chon) tom. I, p. 455 463 , η. XXIII. — Buchon, Recherches et matériaux, tom. i, p. 32-37. Ideili, Chroniques étrangères, p. 148-151 not. (4) Paris, Trésor des chartes. Layette: Contrats de mariages des grands, n. 33. — Ducange, op. cit., tom. II, p. 326-330, η. VII. 320 GIORNALE LIGUSTICO pirati (i), come quasi tutte le Cicladi e le Sporadi, Scio si trovava però in condizioni molto più vantaggiose: mercè 1 suoi vini squisiti, gli splendidi marmi ed altri prodotti pie-ziosi onde abbondava, e che allettavano stuoli di trafficanti vicini e lontani a stabilirvisi. Era anzi tutto il mastice, alloia prodotto esclusivo di Scio, e merce ricercatissima nel medio evo per cui.l’isola dava negli occhi delle repubbliche commerciali italiane; e Veneti, Genovesi e Pisani miravano ad appropriarsene il monopolio. La parte meridionale dell isola, sopratutto i dintorni del promontorio che ancora al giorno d’oggi si chiama Capo Mastice, era coperta di folte foreste di piante di mastice (Pistacia lentiscus) che promettevano larga messe di ricchezze, e la cui coltivazione non fu mai interrotta, nemmeno nei tempi più tristi dell’impero Bizantino. La licenza di stabilire una colonia in Scio, fu quindi uno dei punti principali su cui insistettero i Genovesi nei negoziati che precedettero al celebre trattato di Ninfeo da essi conchiuso li io luglio 1261 col « nuovo Constantino » Michele Paleologo. Il quale, anche troppo loro debitore, concedette ai loro mercadanti chiesa, bagni, mercato, case e giardini in Scio, un palazzo con loggia al loro Console, investito, per virtù dello stesso trattato, della giurisdizione suprema civile e criminale sopra tutti i Genovesi dell isola, e con competenza di decidere nei casi dubbi se i litiganti fossero da considerarsi come Genovesi oppure come Greci. Con un altro articolo, l’imperatore s’impegnò che tutti i Genovesi da lui accolti come vassalli rimarrebbero sempre soggetti alla giurisdizione della loro patria. « (1) Liber iurium Januae, A. fol. 260 b. seg., C. fol. 225 b. seg. ed. Ricotti, Monumenta historiae patriae, tom. I, p. 1350 seg. n. 945· Pagano, op. cit., p. 249-258. — Ducange, op. cit., tom. 1, p. 438 seg. n. LXIX. Buchon. Rech. et mat., tom. I, p. 462-472. appendice F. GIORNALE LIGUSTICO Tale fu l’origine dello stabilimento genovese in Scio: ed era, come si vede, un semplice fondaco mercantile, e non già un diritto di sovranità; ma gli storiografi genovesi, e con essi tutti i moderni, non paghi d’interpretare la convenzione del 1261 nel senso di una cessione di Scio e di Smirne a Genova (1), fanno figurare come padrone dell’ isola l’ammiraglio imperiale Lercario, attribuendogli gratuitamente oltre i natali genovesi e la discendenza da casa Zaccaria, ancora il merito d’avere strappato l’isola ai Franchi (2). Ma lasciando stare che 1’ eubeota Licario (3) non ha nulla da fare con gli Zaccaria genovesi , tutte queste allegazioni sono una tela di favole; ed è un sogno il dominio di Genova sopra Scio avanti il principio del XIV secolo. Tanto è vero, che essa era soggetta all’impero Bizantino ancora nel 1292 (4), quando v’ approdò la spedizione di ventura , capitanata dal siciliano Ruggero di Loria; il quale, sbarcati fanti e cavalieri, e mandate a guasto le terre, strascinò via prigioni molti isolani, caricò due galere di mastice rubato, e corse poi depredando (1) Ag. Giustiniani, Castigatissimi annali di Genova. Genova 1537 loi. Lib. III. fol. XCVI b. — P. Interiano, Ristretto delle historié genovesi. Lucca, 1551 4.0 lib. Ili, fol. 69 b. — Uh. Folieta. Historia Januensis, in Graevii Thesaurus antiq. ital., tom. 1. par. I, lib. IV. p. 367 (ut. aliqui tradiderunt). Hieron. De Marinis, De Genuensi dignitate, cap. IV. sect. 3. — Ibid. tom. I, P. II, p. 1436. — Petr. Binari, Senatus populique Ge-nuensis res gestae. Antuerpiae 1579, fol., lib. IV, p. 76. Idem, De bello veneto, lib. I, p. 320. (2) Niceph. Greg., lib. IV, c. 5. (Tom. I, p. 95 - Tom II, p. 1170 not.). Georg. Pachym., De Michaele Palaeoi., lib. λ , c. 25, tom. I, p. 4J0) 411, 413. (3) Marin Sanudo, Istoria di Romania. Cod. Marcian. Ital. cl. VII, 712, fol. 7 .a. (4) Barthol. de Neocastro, Historia Sicula, cap. CXXII, presso Muratori XIII, 1185. — Ramon Muntaner (ed. Lanz). c. 115. — Livre de la conqueste (ed. Buchon), p. 362. GIORNALE LIGUSTICO Γ arcipelago e le coste orientali della Morea, sino in ottobre, quando fece ritorno a Messina. Nè fu minore la rovina recata all’ isola dalle soldatesche dal corsaro catalano Ruggero de Fior, che la manomise nel 1303 (1) ; nel qual medesimo anno, o poco dopo, vi presero terra trenta vele turche del-1’ Asia minore, e la misero a ruba, uccidendo molti abitanti, altri vendendo come schiavi, mentre quei che s’ eran gettati nelle barche con le donne ed i figliuoli, cercando salvezza nella fuga, perirono miseramente naufragando presso Schiro (2). Per effetto di questa incessante sequela di devastazioni, l’estrazione del mastice rimase durante qualche tempo sospesa. La colonia genovese si era ritirata, e 1’ imperatore Andronico, vedendo Γ ignavia dei suoi governatori e la propria impotenza a difendere l’isola contro i Turchi, i quali sin d’allora cominciavano a farla da padroni nell’Asia minore e nelle isole adiacenti, cercò tra’ forestieri un uomo potente ed energico a cui potesse affidare il governo di Scio. Prescelse Benedetto Zaccaria, allora signore di Focea, rinomato pel suo valore in Oriente ed Occidente , e che spiava già da molto tempo l’occasione di por fine alle condizioni desolanti di Scio con un intervento armato. Gli Zaccaria de Castro erano nel secolo XIII tra i casati più doviziosi e potenti di Genova. Zaccaria dei Zaccaria (3), coetaneo al trattato di Ninfeo (1265) , era morto nel I2$9 (4)5 carico d’anni, lasciando una numerosa discendenza. Dei di lui figli maschi nominiamo soltanto Manuele, Bene- (1) Pachym., De Andronico Palaeologo, lib. V, cap. 26, tom II, p. 436. (2) Pachym. Ibid. lib. VI, c. 17. Tom. II, p. 510. (3) Notulario di Bartolomeo de’ Fornari. — Questo, come gli altri notularì citati qui sotto, si trova nell’Archivio Notarile di Genova. — Pandette Ri-cheriane, fogliazzo I, fase. 119, c. 3, 8. (4) Notulario di Manuele di Albaro. Atto del 19 feb. 1289. Pand. Ricber. fogl. II, fase. 25, c. 6. CIORNALE LIGUSTICO 323 detto I e Nicolò. Il primogenito Manuele si era trasferito in verde età a Costantinopoli, dove la sua prodezza ed accortezza lo fecero ben presto entrare in grazia dell’ imperatore Michele, che gli infeudò nel 1275 (1) la città di Fo-N:ea, o più precisamente le due città di Focea vecchia e Focea nuova, con la vicina montagna e le cave d’ allume sorgenti di lucri immensi (2); dai quali imbaldanzito, Manuele sfidava per molti anni l’invidia di Venezia. Non sembra che il suo affetto per la patria ardesse sempre di fiamma viva e pura, poiché eran sue le istanze che indussero l’Imperatore a chiudere il Bosforo alle navi genovesi che venivano dalla Crimea cariche d’allume, provocando con tal misura una spedizione della Repubblica contro Costantinopoli, che non ebbe però risultati. Giovò grandemente a Giovanni da Frocida, nelle pratiche che prepararono i Vespri di Sicilia, ottenendo che l’imperatore Michele lo sovvenisse con una grande somma di danaro (3). Nel 1287 lo vediamo ancora in Focea impegnato in grandi speculazioni finanziarie, che faceva in comune CQn gli Spinola (4). Morì nel 1288 (5), poco prima del genitore, lasciando la moglie Clarissa e nove figliuoli quasi tutti minori d’età. Il primogenito Tedisio (detto anche Tedisino e Ticino') (6) governò (1) Pand. Richer. fogl. II, fase. 23, c. 1. — Bdchym., lib. V, c. 30, tom. I , p. 420. — Federici, Scrutinio della nobiltà ligustica. MS. L. Sauli, Della colonia dei Genovesi in Galata, Torino 1831 8.°. Lib. II, tom. I, pag. 89. (2) Notulario di Enrico Rosso. Atto del 7 sett. 1285.— Not. di Angelino di Sestri. Atto del 24 genn. 1286. — Pand. Richer. Fogl. II, fascicolo 10, c. 14. — Fogl. I, fase. 178, c. 1. (3) Gerol. Serra, Storia dell’antica Liguria. .Torino 1834. Tom. II, p. 254. (4) Notulario di Manuele di Albaro. Atto del 17 aprile. Pani. Richer. fogl. II, fase. 20, c. 5. (5) Pand. Richer., fogl. II, fase. 25, c. 4. (6) Atto del 9 maggio 1298. Pand. Richer., fogl. II, fase. 27, c. 7. GIORNALE LIGUSTICO Focea buon tratto degli anni susseguenti ; e gli succedette nel possesso della città e delle miniere d’ allume il fratello Benedetto I (i), che non derogò dall’energia del padre e del fratello, e che aveva condotto in moglie la sorella dell’ imperatore Michele nel medesimo anno (1275), in cui il padre era stato investito del feudo di Focea. Nel 1284 capitano genovese contro Pisa (2), procuratore del fratello (3) in Genova nel 1287, ebbe nel 1288 la triplice missione di andare in Cipro come procuratore di Genova, di capitanare la superba squadra genovese, che condusse all’ imperatore Andronico la fidanzata (4) Jolante di Monferrato , e di recarsi a Tripoli (di Siria) per comporre le gravi contese insorte tra la contessa Lucia e la Compagnia genovese (5). Appena giunto in Palestina, rinnovò gli antichi trattati tra Genova ed i Lusignani di Cipro (6), pose fine alle discordie con la contessa Lucia col trattato di Nephyn (7), si assunse la difesa di Tripoli assediata da Kalaùn sultano dei Mame-luchi; e se il suo valore non valse contro il numero sovei-chio degli assediatori, egli ottenne almeno, quando la citta si arrese li 12 aprile 1289, di poterne tradurre gli abitanti salvi a Cipro. Indi volò alla difesa di Acri allora 1 ultimo (1) Notulario di Bartol. de’ Fornari. Atto del 22 marzo 1263. — Pand. Ricber., fogl. 1, fase. 119, c. 3. (2) Notul. di Angelino da Sestri. Atto del 20 giugno. Pand. Richer. fogl. I, fase. 174, c. 3. — Continuator Caffari, presso Muratori, VI. 586. (3) Notul. di Guglielmo da S. Giorgio. Pand. Richer., fogl. I, fascicolo 159, c. 3. (4) Jaicna, Hist. génér. des royaumes de Chypre., etc. Leyde, 1747· 4· * Lib. XIII, c. 6. Tom. I, p. 705. (5) Sylv.de Sacy, Çhrestomathie arabe. Paris, 1806. 8.°. Tom. III, P· 534· (6) Questo trattato venne poi revocato li 17 maggio 1292, Matteo Zaccaria essendo podestà genovese in Cipro. Lib. Jur Jan., C. fol. 233, ed. Ricotti, toni. II, p. 275-276, n. CXI. (7) Notulario di N. N. di Portovenere. GIORNALE LIGUSTICO baluardo cristiano in Palestina; ma visto che Cipro e Genova stessa facean la loro pace con Γ Egitto, si recò in Armenia, dove conchiuse, a nome della sua patria, una convenzione col re Hethum II, assicurando ai suoi compatrioti libertà di traffico e sicurezza dei loro fondachi. Poi torno ad incrociare lunço le coste occidentali dell’ Asia minore, dando la caccia alle navi mamelucche e prendendone molte; ma avendo il Sultano risposto con rappresaglie contra cittadini genovesi , dovè Benedetto restituire la preda e prendete un solenne impegno di non commettere nuove violenze contro i sudditi di Kalavun (i). Nel 1290 tornò a Genova, dividendo la sua dimora negli anni susseguenti tra questa città e Focea. Nel 1296 lo incontriamo alla Corte francese, impegnato in trattative con Filippo il Bello per la riconquista di Terra Santa. Fu durante quel soggiorno che gli giunse la notizia, essere Focea stata miserabilmente devastata e quasi spianata da una flotta veneta sotto Ruggero Morosini (2): vi accorse in fretta, insignito dell’ alto titolo di ammiraglio di Francia cui depose solo nel 1301 (3); diede opera a ricostrurre le mura e felucche distrutte; e la città risorse tosto dalle sue ceneri, mentre le cave d’ allume continuarono ad arricchirlo. Nel solo anno 1298 potè vendere 650 cantara d’ allume, per l’enorme somma di 1,500,000 lire (4)· Nè eran minori le sue entrate negli (1) Continuator Caffari. 1. C; tom. VI, p. 595"9^· ^Sultan Kalavun, traduite par S. de Sacy, nelle Notices et extraits des Mss. de la Biblioth. du Roi. Tom. XI, ρ· 41 se»· (2) Jac. a Varagine, Chron. Januen. ap. Murat. IX, p. 56. Chron. Fran-cisci Pipini lib. IV, c. 43, ap. Murat. IX, p· 743· Caresmi, ibid. XII, p. 406. — Navagero, XXIII, p. 1008. (3) Moréri, Le grand Dictionnaire historique. Basle 1740, fol. Tom. I, p. i486. (4) Notul. di Andriolo de Laneriis. Pand. Richer. fogl. II, fase 16, c. 3. 326 GIORNALE LIGUSTICO anni successivi. Dalle sostanze che andavano così crescendo a smisurata grandezza, egli continuava ad erogare somme vistose nella promozione dei progetti per la riconquista di Terra Santa; per la quale impresa armò ancora nel 1301 parecchi vascelli assieme a Jacopo Lomellino ed altri (1), ed ebbe nel-1’ agosto dell’ anno medesimo da papa Bonifazio Vili una lettera d’encomio per lo zelo manifestato in prò’ della Crociata deliberata da lui e dalle donne e fanciulli genovesi (2). Anche dopo mandata a monte la Crociata dalla discordia delle città marittime italiane, Benedetto si mantenne a Focea; e non potendo dimorarvi sempre in persona, nominò nel 1302 a suo luogotenente il nipote Tedisio, che battè l’orma delio zio. E mentre nè i baluardi nè l’altezza delle mura giovavano a mettere le città bizantine al sicuro, bastava la fama del valore italiano a proteggere Focea da ogni assalto. Ben più triste era la condizione delle vicine Sporadi: Scio, Samo e Co. Indispettito al vederle sempre deserte e convertite in nidi di pirati, Benedetto, che nel 1303 era tornato in Oriente, eccitò l’imperatore Andronico che gli cedesse Scio 0 almeno vi mandasse un suiìiciente presidio, e vedendo che questi esitava e strascinava in lungo la decisione, ruppe gli indugi ed occupò senz’ altro l’isola (1304) (3). Compiuto il fatto, giunse anche la risposta di Andromco, che gli concedette Γ isola per dieci anni come feudo imperiale, col patto che la bandiera bizantina continuerebbe a sventolare sul castello e che Benedetto fornisse una contribuzione volontaria per le spese dalla flotta greca, unico tributo che gli fu chiesto. (1) IVaddingus, Annales minorum. Tom. Ili, Lugduni 1636, fol. p. 4· ad ann. 1301, η. 53-54. (2) Iscrizione nel palazzo di S. Giorgio di Genova. H. de Marinis, c. IV, sect. 10, p. 1445-1446. (3) Pachym. 1. c. lib. VI, c. 34, t. II, p. 558. — Gregor, lib. IX c. 9. Tom. I, p. 45g_ — Cantacuxen. lib. II, c. 2. Tom. I, p. 370. GIORNALE LIGUSTICO Benedetto vi stabilì incontanente la sua dimora, ristorò le case decadenti, cinse la capitale con alte mura e fossi (i), e s applicò con grande diligenza all’ estrazione del mastice. Alla sua morte (1307) lasciò Scio a suo figlio dagli uni detto Paleologo (2), secondo la famiglia della madre, mentre altri lo chiama Benedetto II, dal nome del padre, col quale gli storici bisantini lo hanno sovente confuso. Benedetto II resse Scio dal 1307 al 1314; ed ebbe poco prima della morte Una nuova conferma dell’isola per altri cinque anni. Suo cugino Tedisio, che era rimasto a Folea come luogo-tenente di Benedetto I, aveva intrapreso nel 1306 con due galee una spedizione contro Taso (3), nido principale dei pirati - greci. Dopo breve lotta espugnò il castello e vi stabili sua residenza: acquisto che gli venne poi molto a taglio, attesa la cattiva piega che prendevano le cose di Focea dopo la morte dello zio. Benedetto II gli chiese conto della sua quinquennale amministrazione, e rimanendone poco soddisfatto, lo destituì, surrogandogli Andreolo di Andreolo Cattaneo della Volta di Genova, marito della sua sorella Eliana (4), e disponendo ad un tempo, che, dov’ egli (Benedetto II) morisse senza prole, il dominio di Focea sarebbe devoluto ad Andreolo (5). Questi trattenuto in Genova dai preparativi della (1) « και ώχύροο την πδλιν » in Cantacu^en. Nella traduzione latina: « Ochyrum oppidum » ; e quindi Buchon (Rech. et mat. I, 459. Appendice D. Vili); « il restaura Ochyros » ! Traduttori traditori! (2) Notul. di Enrico Gugl. Rosso. Pand. Richer. fogl. 1, fase. 181, c. 4. Atto del 26 apr. 1291. (3) Il convento Seropotamo sul monte Atos, teneva ancora nel 1302 parecchi feudi in Taso dal? imperatore. Ίόνιος Ανθολογία (Έν Κερκύρ^ 1835· 8.°) σελ. 567-57°· (4) Notul. di Guidotto de’ Bracelli. Pand. Richer. fogl. A. fase. 67, c. 6. (5) Federici, Scrutinio , fol. 70. — Notul. di Guglielmo Osbergerio ; Pand. Rich., fogl. A, fase. 7, c. 8. — Notul. di Damiano da Camogli; Pand. Rich., fogl. A, fase. 13, c. 4. 328 GIORNALE LIGUSTICO spedizione (400 fanti e 52 cavalieri) (1), mandò innanzi suo figlio Domenico, con la missione di occupare Folea e d’impadronirsi della persona di Tedisio; il quale, avvertito da Domenico stesso, si recò da Taso a Gallipoli e propose alla Compagnia Catalana una spedizione contro Focea. La Compagnia aderì e mise a sua disposizione cinque navi, con le quali Tedisio comparve verso la Pasqua del 1307 avanti Focea e ne investi subito le mura. Gli abitanti si difesero con valore; ma furon tosto messi a mal partito; il presidio, ridotto 'a 350 guerrieri, si rifugiò nel castello, e la città allora stanza di 5000 Greci occupati nella fabbricazione dell’ allume, fu presa e messa a ferro e fuoco. Nel bottino fatto da Tedisio eran pure molte preziose reliquie, enumerate dal Muntaner, tra esse la così detta Croce dei Zaccaria che si conserva ancora al giorno d’ oggi nella Cattedrale genovese (2). Ma questa conquista si risolse in una sterile vendetta: il reggersi nel pos sesso di Focea non era cosa da pensarci, tanto meno che in quel punto giunse la notizia essere Taso minacciata da dieci galee imperiali comandate dall’ammiraglio Marnilo (3)· Tedisio tornò in fretta all’ isola, ed aiutato dal suo congiunto Odoardo (4) vi si mantenne sino al 1313 (5), quando dovè renderla ari Greci. Andrea Cattaneo ristorò Focea, e ne divenne padrone nel 1314, e morì nel 1331 in Genova. Ebbe sepol tura a S. Domenico, annoverato tra i Paleoioghi dalla lapide sepolcrale adorna dello stemma degli imperatori di Bizanzio.-Gli successe suo figlio Domenico, che imprese una spedizione a Lesbo (1333) e perdè tre anni dopo Focea ai Greci. (1) Mirabilia descripta per fratrem Jordanum de Severaco. Nel Recueil de voyages, publié par la Société de Géographie, T. IV. p. 63, Paris, 1839. 4· · (2) Ramon Muntaner, cap. 234. (3) Pachym. 1. c. lib. VII, c. 37. T. II, 638. (4) Lettere ducali, fol. 79 b. (5) Commemoriali. Lib. II. fol. 168 b. 172 a. GIORNALE LIGUSTICO Paleologo Zaccaria, che nel 1307 s’ era trapiantato da Pera a Scio (1), vi continuò le grandiose speculazioni finanziarie del padre (2), ritraendo immense ricchezze dai boschi di mastice dell’ isola e dalle allumiere di Focea. Nel solo anno 1311 vendette 1000 cantara di allume raffinato e 1500 cantara di allume greggio, per somme sterminate, ad Eliano Saivago e Luchetto De Mari (3). Non avendo prole, egli conferì poco prima della sua morte, seguita nel 1314, Focea al Cattaneo e 1’ isola di Scio ai suoi nipoti, figli di Nicolò Zaccaria, ricordato in documenti degli anni 1286 e 1287 (4), che aveva sposato, secondo una notizia di dubbia fede, Anna figlia dell’ Etalo Joannes Contostefanos (5). I figli di Nicolò, Martino e Benedetto III, succeduti nel 1314 al loro cugino nel possesso delle isole del mastice, ne ottennero nel 13 19 una nuova investitura da Andronico. Martino il maggiore aveva acquistato vasti possessi in Acaja, sposando Jacqueline de la Roche (6), la quale dopo la morte del fratello Renaud (accaduta nel 1310 presso Halmyros) rimase erede della baronia di Veligosti in Morea e dei castelli di Damala e Galanuzja· R suo valore e risolutezza gli cattivarono il favore di Filippo di Taranto, principe di Acaja ed imperatore titolare di Costantinopoli, tanto che questi e la sua consorte Caterina di A^alois lo nominarono, con diploma dei 26 maggio 1315 (« Martinus Zaccariae dominus insulae Chii et castro- (1) Notul. di Damiano di Camogii. — Pand. Rich., fogl. A, fase. 13, c. 5. (2) Ibid. fase. 10, c. 2. Atti dei 13 gen. 9 e 10 febbr. 1311. (3) Atto dei 27 febb. in Foliatium notariorum, t. Ili, par. I, fogl. 28, ms. nella Biblioteca Berio. (4) Notul. di Angelino di Sestri e di Nicolò della Porta. — Pand. Rich., fogl. I, fase. 178, c. i ; fogl, II, fase. 14, c. 4. (5) Genealogie. Cod. Cicogna n. 1631. — D’Outreman·, Constantinopolis Belgica. Tornaci 1643. 4·°· Nell’appendice « De excidio Graecorum », c. 4e 5. (6) Notul. di Giovanni Gallo. Atto del 16 maggio 1327.—Pand. Rich., fogl. A, fase, i, c. i. 33 ο GIORNALE LIGUSTICO rum Calanuzae et Damala^') re e despota dell Asia minore t concedendogli inoltre le isole di Enussci, Marmora, Tenedo, Lesbo, Scio,°Samo, Nicaria e Co, con tutte le regalie ed insegne d’ impero (i)· In ricambio Mai tino s obbligo di aiutare Filippo con 500 uomini a riconquistale Costantinopoli. Intento a propugnare i diritti del nuovo suo soviano, egli s’ opponeva con energia alle usurpazioni della glande Compagnia Catalana, che aveva posto 1 occhio addosso ad Acaja. Fu durante queste guerre, che il suo primogenito Bartolomeo, caduto nelle mani della compagnia (1317) fu da questa strascinato in Sicilia e quivi cacciato in una prigione, poi liberato mercè i buoni uffizi interposti con lettera dei 25 giugno 1318 da Papa Giovanni XXII presso Federico II ìe di Sicilia (2). Bartolomeo si stabilì in Negroponte, e tolse in moglie Guiglielmina Pallavicini, marchesa di Bodonizza e suddita veneta (3) ; ma avendo omesso di ottenere il consenso della Repubblica, ne nacquero dissapori con questa che vennero però presto composti (4). Martino e Benedetto esercitavano intanto in comune il dominio di Scio, facendo la guerra ai Turchi (5) ed ai pirati catalani (6). Sempre vittorioso nelle sue spedzioni conti a i primi, Martino ebbe fama di averne mandati a macello 10,000 durante i quindici anni che regnò in Scio (7). Il piogetto dello storico Sànudo, di formare una lega delle potenze cii-stiane contra i Turchi (1325), ebbe in lui uno de caldi fautori (8). (Continua). (1) D. Luis de Gongora (Sperone Speroni), Reai Grandeza de la Serenissima Republica di Genova, traduc, por D. Carlos Esperon. Madrid 1665, Genova 1667, fol. Tit. Vili, n. 22, p. 200-203. (2) Epist. secret. Lib. I, ep. 580. — Raynaldi, Annales, (ed. Lue.), Tom. Ili, p. 22-23, ann· 1318, n. 34. (3) Mar. Sanudi, Secret, fidel. crucis. Lib. I, p. IV, c. 7. (4) Misti. T. X, fol. 19, 79. Indice, fol. 203 b. 205 a. (5) Idem. Epist. 5 (ed. Bongars). (6) Jordanus de Severaco 1. c. p. 63. (7) Misti. T. X, fol. 75. Indice fol. 205 a. (8) Misti. T. XI, fol. 93. Indice fol. 190 b. Pasquale Fazio. Responsabile. giornale ligustico 331 OSSERVAZIONI DI GASPERO LUIGI ODERICO SOPRA ALCUNI CODICI della Libreria di Filippo Durazzo (Continuaz. e fine. Ved. pag. 330) CODICE XXXVI. E questo un secondo Codice di Dante in pergamena, che io credo della stessa antichità dell’antecedente cartaceo; cioè lo credo scritto tra il fine del secolo XV, e il principio del XVI. Sono tutte d’ una mano il testo, e le molte postille, che lo accompagnano. Chi sia di queste 1’ autore non saprei dirlo; e dir non saprei se esse siano originali, oppure estratte da alcuno de’ tanti commentatori, che ebbe Dante nel secolo XIV, e nel seguente: quorum pars maxima delitescit adhuc in Bibliothecis, dice 1’ abate Mehus nella vita di Ambrogio Camaldolese (p. 180). Il Muratorri (Tom. 1, Antiq. M. Aevi) ci ha degli estratti di Benvenuto da Imola, che fu uno di questi commentatori, e principiò il suo commento nel 1379, e fi-nillo nel 1388. Con Benvenuto si accorda in più cose il nostro Chiosatore : per esempio nel canto Vili del Purgatorio dice Benvenuto (p. 1179), che Nino Giudice di Gallura iu Sardegna fu degli Scotti di Pisa; lo stesso leggesi in queste postille. « Nino nobile, e potente cittadino Pisano della famiglia degli Scotti ». Al contrario Giovanni Villani (Lib. VII, c. 20), seppure non è una giunta fatta al testo, il dice de l isconti, opinione abbracciata dal Landini, Velutello ed altri moderni commentatori , tra’ quali il priore Pompeo Venturi. Nella stessa cantica, canto XVIII, l’abate di S. Zeno figliuolo na- Giorn. Ligustico , Anno VII e V III. 33 2 GIORNALE LIGUSTICO turale di Alberto della Scala, di cui Landino, Velutello ed altri tacciono il nome, da Benvenuto (p. 1210) è chiamato Giuseppe, e Giuseppe similmente si chiama in queste note. Nel canto III del Paradiso, ove si parla di Piccar da, sorella di Corso Donati, monaca di Santa Chiara, che tratta a forza dal monistero fu dal fratello sposata a Rosellino della Rosa, dice il nostro Postillatore « e perchè ella pregò Dio che ella non perdesse la sua verginità, mori prima che andasse a marito ». Questo stesso leggesi in Benvenuto (p. 1255). Pie-carda perseverans in sancto proposito devotissime supplicavit Deo, ut incurreret mortem vel infirmitatem per quam posset servare virginitatem , et continuo morbus invasit carnem eius, quo illa mo-riens transivit ad meliorem sponsumIo non so se questo combini co’ versi di Dante : forse hanno avuta più ragione quei che credono che Piccarda vivesse in matrimonio con Rosellino. La famosa Costanza moglie di Enrico VI e madre di Federico II, fu figliuola postuma di Ruggieri I Re di Sicilia, sorella di Guglielmo il cattivo, e zia di Guglielmo II il buono: non sono però mancati degli scrittori poco istruiti, che la ci hanno fatta figliuola di Guglielmo il buono; tra questi Benvenuto. Haec Constantia, dice (1236), fuit filia. Guil-lielmi quondam optimi regis Siciliae, in cuius ortu quidam Ioa-chim calaber spiritu prophetico dotatus praedixit Guillidmo natam Siciliae et Italiae desolationem futuram. Dietro a Benvenuto, o con lui, o prima di lui, le nostre postille: « Questa Costanza fu figliuola del buon re Guglielmo di Cicilia, et fu molti anni monaca e rimanendo il regno senza erede, et in confusione, per dispensazione del Papa uscì dal monistero, e rimaritossi a Arrigo imperadore figliolo di Federico I, et d età d’anni 55 partorì Federigo II, il gran nimico di S. Chiesa, e tutto questo fu profetato per lo Abate Giova-chino ». Che Costanza fosse monaca, che il Papa la dispensasse dal voto, che di 55 anni partorisse Federico e che ΓΑ- GIORNALE LIGUSTICO 333 bate Gioachino profetasse su questi fatti, sono vecchie fole, che Baronio ed altri critici hanno già confutate. Se negli accennati esempi il nostro Postillatore si accorda con Benvenuto, in altri se ne allontana; eccone due esempi. Nel canto XIII dell’Inferno, parlando di Pietro delle Vigne cancelliere di Federico II, dice « per disdegno della grazia di Federico II perduta, tosto s’impiccò ». Che Pietro si togliesse violentemente la vita è comune opinione degli storici; ma che ei la si togliesse impiccandosi, non altri che il nostro scrittore lo afferma , per quanto mi sappia. Altri vuole che stando in Capua si gettasse da’ balconi del suo palazzo, nel-1’atto che Federico passava per disatto : altri che si uccidesse con scuotere la testa nel muro ; sebbene non tutti convengano ove ciò accadesse, conforme può vedersi in Landino. Nel canto XXIX della stessa Cantica, ove si parla di Gerì del Bello ucciso da uno di casa Sacchetti, dice il nostro commentatore: « et dopo trent’annine fece la vendetta con suo fratello , che uccise uno de’ Sacchetti sull'’uscio suo ». Sembra però più probabile quanto scrive Benvenuto (p. 1127), seguito da Landino e da altri : « Finaliter filii Domini doni (fratello di G eri), et nepotes praefati Gerii, fecerunt vindictam interficiendo umun de Sacchettis in ostio suo. Nel canto XII, del Paradiso, ove si parla di Rabano, il Postillatore dice: (( Rabano fu poeta et dottore inghilese, e fratello del venerabile Beda ». Due spropositi in queste poche parole. Beda nacque in Inghilterra nel 677 e vi morì nel 735 ; Rabano nacque in Magonza, ove morì 1’ anno 856, centoventun’ anno dopo la morte di Beda. Il Landino ed il Velutello sono caduti in somigliante errore rifiutato da più critici, e particolarmente dai Bollandisti nella vita di Rabano (T. r, Febr. p. 501 et seg.). Dopo la Comedia trovasi una lettera di Gio. Boccaccio, di cui si è parlato nelle osservazioni al codice precedente (n. 35). 33 4 GIORNALE LIGUSTICO Nella rubrica posta alla testa di questa lettera si legge. « Veisi di messer Gio. Boccacci a messer Francesco Petrarca mandatigli ad Avignone choll’ opera di Dante, ne’ quali loda decta opera e persuadegli che la studi ». Ed in una postilla laterale si aggiunge, che questi versi sono estratti ex originalibus ipsius Boccaccii. Questa lettera, come si disse, fu scritta dopo i 6 di aprile del 1341, in cui il Petrarca fu coronato in Campidoglio ; giacché del Petrarca vi si dice: cui tempora lauro Romulei cinxere duces. Or dicendosi in questa rubrica che la lettera fu mandata ad Avignone, veniamo a conoscere che ella fu scritta prima del 1353 , dopo il qual anno il Petrarca partito da Avignone, e tornato in Italia, non ripassò più in Francia nè più tornò in Avignone. Il fissai e in quale degli anni intermedii, tra il 1341 e ^ 1353 ? e^a sia stata scritta, non è così facile. Nel 1342 ^ Petrarca era in Avignone; nei 43 andò ambasciatore a Roberto Re di Napoli ; nel 44 fu nuovamente in Avignone ; nel 47 passò a Genova, indi A Firenze e a Roma: nel Giugno del 51 tomo in Francia e in Avignone; nel 53 ripassò in Italia, nè più rivide Avignone. Se il Petrarca fu uno de’ sei soggetti che Giovanni Visconti scelse per commentare la Comedia di Dante, come pare che voglia ΓAbate Mehus, p. 181 (si conferas banc Jacobi (della Lana) ac Petrarchae glossam cum ea quae profluxit a Sexviris illis ab Ioanne Vicecomite electis , bene inter se conveniunt, quo facile cognosci posset utfumque in praestantium sexvirorum fuisse numero quos elegit Vicecomesy, se questo, dico, fosse vero, e vero fosse che il detto commento comincio intorno al 1350, siccome crede il citato Mehus, la lettera sarebbe tra il 1342 ed il 1347. Ma nulla io vo’ qui affermare, forse un altro manoscritto ci darà de’ maggiori lumi, per fissare più·esattamente quest’epoca di cui nelle citate osseiva-zioni si è veduto 1’ oggetto. Nella prima pagina di questo manoscritto trovasi un’arma; GIORNALE LIGUSTICO 335 ma i colori sono sì sbiaditi, che non è possibile conoscere cosa rappresenti, e quindi non v’ ha luogo a cercare per chi fosse scritto_ o chi ne facesse un tempo Γ acquisto. CODICE XXXXII. Il Codice presente fu primieramente di Tommaso Dini; nel foglio di riscontro posto alla testa del medesimo leggesi : « Questo libro è di Tommaso di Domenico Dini ». La famiglia Dini, nobile e antica famiglia fiorentina, fu già divisa in più rami, de’ quali quello del nostro Tommaso sono oramai circa cent’ anni che restò estinto. Questo ramo ebbe per arme gentilizia il cervo rampante· trammezzato di colori contra-rianti rosso e bianco, come si vede nella prima pagina del Codice e conforme è dipinta in più Prioristi fiorentini, secondo le notizie comunicatemi dal signor Dei famoso genealogista fiorentino. Dopo 1’ anno 1515, per privilegio di Leone X, posero i Dini alla testa del loro scudo 1’ azzurra palla medicea, con i tre gigli d’ oro in mezzo alle sigle L. X. Leone decimo. Sulla fine di detto anno Papa Leone, andando a Bologna per abboccarsi con Francesco I Re di Francia, passò per Firenze, ove fu ricevuto con grandissimi onori ; e ove dispensò molte grazie e privilegi. Fra gli altri privilegi che accordò agli otto Priori e al Gonfaloniere di Giustizia, creati Conti Palatini con facoltà di creare Notari e legittimare bastardi, fu quello di apporre nelle armi proprie la palla di color celeste con i tre gigli d’ oro in ea depictis, quam nos, dice Leone nella bolla data V. Kal. Januar., inter signa gentilitia dictae nostrae familiae gerimus..... ct si videbitur nomen titulum et deno minationem nostram, videlicet Leo pp. X, in huius memoi iam beneficii, cicuniscribereque. I Priori attualmente in carica al pas saggio del Papa erano i seguenti : GIORNALE LIGUSTICO » Anno ijij a prima die Novembris ad primam Ianuarii : » Baptista Baptistae Bartolomei Aloisii de Dinis. » Laurentius Jacobi Laurentii de Mannucciis. » Giannottus Bernardi Marci de Salviatis. » Bonarrotus Ludovici Simonis de Simonis. » Cosmas Francisci Tommasii de Saxettis. » Pierus Leonardi Francisci de Tornabonis. » Bartolomeus Francisci Pieri de Panciatichis. » Bernardus Andreae Bernardi de Carnesecchis. » Petrus Nicolai D. Laurentii de Ridolfis Vexillifer Justitiae. » Ser Iulianus Petri Antonii de Vincio notarius eorum scriba. Or Battista de Dinis, che è alla testa di questi Priori, era Bisavolo del nostro Tommaso. Ecco questo piccolo albero Genealogico favoritomi dal citato signor Dei. Dini Luigi I Bartolomeo Batista I Batista De’Priori l’anno 1515; creato conte Palatino da Leone X in detto anno, e prima era stato de’ Priori nel 1469 e 1506. T OMMASO De’ Priori 1’ a. 1480. Domenico nato 1’ a. 1485. Tommaso proprietario di questo Codice. Quindi si rende ragione perchè Tommaso di Domenico Dini abbia dia testa della sua arma l’accennata palla e le sigle GIORNALE LIGUSTICO 337 L. X. Per lo stesso motivo, 1’ una e Γ altra si vedono in un sigillo de'’ Mannucci stampato ed illustrato dal Ch. sig. Domenico Manni, Tomo 2° delle Osservazioni sugli antichi sigilli, p. 37. So ancora che le famiglie Bencivenni e Cherichini portano nelle loro armi la stessa palla e le stesse sigle. Non so poi se per essere elleno discendenti da alcuno degli indicati Priori, o perchè Papa Leone accordasse un simile privilegio a qualche loro antenato. Dal fin qui detto si scorge in primo luogo quanto poco sia stato informato colui, che ha preteso che 1’ arme distinta nel. nostro Codice fosse la Corbinella. La famiglia Corbinella portò, è vero, un cervo rampante· nel suo scudo; ma il cervo era tutto d’ argento ossia bianco e il campo celeste, onde le armi Corbinella e Dina eran tra loro diverse. Con ciò io non intendo di negare che questo Codice non possa essere stato anco del famoso Jacopo Corbinelli, siccome si è detto. Il quale Jacopo visse in Francia sotto Caterina de’ Medici ed Enrico III, ove era passato con Raffaello suo padre, esule da Firenze , per la parte che esso ebbe nella congiura di Pan-dolfo Pucci contro Cosimo I, scoperta l’anno 1559· Prima di quest’ anno ne avea Jacopo dovuto fare acquisto, 0 per morte di Tommaso Dini, o per altro titolo; e seco portar-losi in Francia. Jacopo e Tommaso furono contemporanei. Domenico, padre di Tommaso, come abbiamo veduto, nacque 1’ anno 1485, il figlio sarà nato probabilmente dopo il 1505, o in quel torno: e circa il 1616 dovè nascere Jacopo, se questi morto nel 1616 contava più di cent anni, come afferma il Moreri; nella cui edizione però leggesi /7i6, errore non avvertito nè dal Ladvocat, nè da altri copiatori di Moreri. Apparisce in secondo luogo dalle accennate notizie, che troppo facilmente decise già Monsignor Botteri, che questo Codice era stato di Leone decimo. Le due sigle L. X. non sono un fondamento bastevole per una si franca decisione. Sono assi- 338 GIORNALE LIGUSTICO curato che i codici di Firenze della Laurenziana stati già di questo Pontefice hanno tutta intera l’arma Medicea; e niuno di essi non ha le sopradette sigle. Se queste sieno ne’ codici romani, io noi so, non avendoli mai veduti: ma esse, per mio avviso, o non saranno nell’ arma di Leone, o saranno, come nel nostro Codice, alla testa d’ una qualche arma diversa dalla Medicea e si saranno, tai codici, malamente creduti di Leone X. Ora per ciò che all’ età del Codice si appartiene, esso sarebbe assai moderno se fosse contemporaneo al suo primo padrone, cioè a Tommaso di Domenico Divi. Sono di sentimento che sia più antico, e che Tommaso avendone fatto acquisto, vi facesse dipingere 1’ arme di sua famiglia. La vivezza de’ colori della medesima, assai più freschi e brillanti, che non quei dell’ ornato e del fregio, sono per me un non leggero indizio che l’arme vi è stata aggiunta molto tempo dopo. Questi ornamenti, fregi, rabeschi, si facevano sovente molto prima che il libro fosse posto in opra, e si tenevano i codici belli e pronti per chi yolea comprarli. Spesso chi il comprava non avea l’ambizione di marcarli con la sua arme, e lasciava luogo ad un altro possessore di poter far ciò. La qual cosa assai chiaramente ci si rende manifesta dall’ osservare in parecchi codici lo scudo destinato per l’arme, non ne aver niuna. Con tutto questo, non crederei che il Codice non fosse di maggiore antichità della metà del secolo XV. Ho anche qualche lieve sospetto che non sia di penna italiana; potrei però ingannarmi, onde lascerò la cosa indecisa. Del Canzoniere di Messer Francesco Petrarca si è tanto detto e ridetto e tornato a dire, che non resta luogo a far parole. L’ ordine de’ sonetti e delle canzoni del presente Codice, è quello che hanno seguito molti editori di quest’ opera, e tra questi Gesualdo e Castelvetro; ordine e disposizione conforme agli antichissimi testi a penna osservati da Gesualdo. CIORNALE LIGUSTICO 339 In essi dopo il sonetto proemiale veniva quello « Per farmi una leggiadra »; indi seguiva « Era il giorno »: sulla precedenza de quali vi è stata tra gli studiosi del Petrarca non poca lite, come avverte il citato Gesualdo. I Trionfi co’quali termina il manoscritto sono senza titolo. Nel Trionfo d'amore, il secondo capitolo « Stanco già di mirar » è posto in quarto luogo. Castelvetro ha notato (p. 194), che quello delle stampe non era il vero sito, co-mechè ei non sapesse accertare qual luogo convenisse a questo capitolo. Nel Trionfo della Morte, dopo il secondo capitolo siegue quello che incomincia « Nel cor pien d’ amarissima dolcezza· »; il quale si vuole rigettato dal Petrarca, e che comunemente vien posto alla fine di tutti i Trionfi, oppure tra i frammenti, come nella edizione del Muratori (p. 716). Avea già avvertito Castelvetro (p. 277), che il capitolo secondo di questo Trionfo « La notte, che seguì Γ orribil caso » si continuava con 1’ accennato « Nel cuor pien d’ amarissima dolcezza », e non con i capitoli della Fama « Dopo che morte » « Pien d’infinita » ; e che probabilmente il Petrarca avea rifiutati i sopradetti due capitoli « La notte » « Nel cuor ». Dopo la voce Finis leggesi; Canton E. La qual voce cosa dir mai si voglia, confesso di non saperlo. La correzione di questo Codice non corrisponde alla bellezza del medesimo. Oltre il non esservi mai nè punti, nè virgole, si trovano assai frequentemente delle unioni di parole contrarie ad ogni buona regola di ortografia. Per accennare alcune cose che mi hanno dato all* occhio scorrendo il libro, e la più parte delle quali non possono essere varianti, ma sono errori manifesti; farò qui un piccolo indice notando al di contro come leggesi nelle edizioni in istampa. 54° GIORNALE LIGUSTICO Codice. Edizione. Pag. 26. Viu Più » 54. Per chalviso Perchè al viso » 105. In e mezo In mezzo » 130. Voi che al camin Poiché 1 camin » 148. v. p. Trigo Tigre » 164. Oor Aor » 180. Portarne Portartene » 19S. L’ aura soave al sole L’ aura soave ch al sole » 224. Una fede amorosa S’ una fede amorosa » 264. v. s. ogni giorno il el fin Ogni giorno il fine » 267. Ome Oimè » 279. O lamentar Augelli Se lamentar Augelli » 309. O alto, et nuovo L’ alto et nuovo s 319. O di miei I dì miei. Il Trionfo del Tempo comincia: Nel Codice Nelle Edizioni « Nel Taureo Albergo « De l’aureo Albergo Alcune di queste cose sono state già avvertite da chi lesse il Codice, e corrette al margine con piccolissime lettere. CODICE XXXVIII. Guglielmo de Guilleville o de Guigneville, come il chiama Carlo du Fresne, monaco cisterciense e Priore dell’Abbazia di Chalis in Francia, è Γ autore dell’ opera contenuta in questo Codice: opera scritta in vecchie rime franzesi, e in versi di otto sillabe. Essa è conosciuta da’ Bibliografi franzesi sotto questo titolo: « Le Romant de trois Pelerinages, scavoir le i.er de l’homme durant qu’est en vie; le 2.d de l’ame separé du corps; le 3.me de Nôtre Seigneur Krist en forme de Mo-notesseron ». Così nella edizione di Parigi, citata da M.r de Bure nella sua Bibiografìa (B. L., n. 2991). Perchè si dica in forma di Monolesseron è spiegato in altra edizione anche GIORNALE LIGUSTICO 34I \ ~ — _. · essa di Parigi, di Bartolo e Gio. Petit, registrata nel suo Catalogo della libreria di M/ Gaignat del citato de Bure (n. 1783) « Monotesseron c’ est à scavoir les IV Evangiles mises en one : le tout magistralement composé par ecc. ». Lo che forse riguarda più particolarmente il 3.0 Pellegrinaggio, cioè quello di Gesù Cristo, il quale trovasi in qualche codice separato dagli altri due, e di cui M.r Gallaud non sapeva Γ autore, quando scrisse sugli antichi poeti franzesi (v. Accad. Inscr., Tom. II, p. 678 ecc.). De Guilleville vivea circa la metà del secolo XIV, scrivendo egli sul principio del terzo Pellegrinaggio: «.......quant une nuit » L’ an mill CCC cinquante et uit » Songe qu’estoie Pelerin ecc. ». M.r Senebler, nella Biblioteca Missionaria di Ginevra, dice che quest’opera sembra scritta nel 1330 (v. p. 439): ei deve certamente ingannarsi. Nel suddetto anno 1358 Guglielmo era nel 63 di sua età , se egli era nato nel 1295, come affermasi nelle note a du Verdier (Tom. II, p. 80). Nel Dizionario di Moreri si dice che Guglielmo era conosciuto « sous le nom de Guivilla et de Caro loco, parce qu’il estoit religieux de Chalis ». Se non vi è errore di stampa, si confondono qui due luoghi e due Abbazie, assai distinte: Carus locus e Caroli locus. La prima detta Char liai, nella diocesi di Mascon; l’altra Chalis o Chaalis, come la chiama il nostro autore, in quella di Saulis. Due edizioni di quest’ opera trovo nel citato Dizionario, 1’una di Lione dell·’'anno 1499, l’altra di Parigi del 1511, delle quali non fa parola M.r de Bure. Le parigine di cui esso parla e che ho poc’ anzi rammentate, non hanno data di tempo : della seconda parla la Croix du Maine all’ articolo Guilleville. Il P. Labbé, presso Casimiro Oudin, Tom. III, p. 976, cita una traduzione di quest’ opera in prosa francese 342 GIORNALE LIGUSTICO di Giacomo Galopes esistente in manoscritto nella Regia Biblioteca, cod. 577. Io non so se questa sia quella di cui parla M.r de Bure nel sopralodato catalogo (n.° 1784), stampata in Parigi da Michele le Noir, l’anno 1506, con questo titolo: « Le Pelerinage de la vie umaine composé en ryme françoise » par Guillaume .... translaté de ryme en prose a la re-» queste de Dame Jeanne de Laval, Reyne de Hierusalem, » et corrigé par Messire Pierre Virgin ». Giovanna di Laval, seconda moglie di Renato d’Angiò Re di Napoli e di Gerusalemme ,c fu sposata l’anno 1454 e mori l’anno 1498, se Moreri dice giusto. Nelle note citate a du Verdier, si dice che Giovanna mori nel 1382 e che questa traduzione « paru peu après la mort de Guilleville »; la qual cosa certamente non può essere. Giovanna sopravvisse a suo marito, morto 1 anno 1480. M.r Senebier (1. c., p. 439) si è lasciato ingannare da queste note, e fa morire Giovanna nel 1382: il che è falso.^ Questa traduzione trovasi tra’ manoscritti di Ginevra (v. Senebier, p. 438, n. 181). Un’ altra traduzione trovo presso il medesimo M.r de Bure (B. L., n. 2991), stampata in Lione da Matteo Huss nel 1485, sotto il titolo di Pelerinage de la vie humaine: sotto il qual titolo quest’ opera è citata ancora da Fabrieio. Chi sia 1’ autore di essa non è compreso. Carlo du Fresne ha sovente fatto uso di quest’opera, e nelle osservazioni alla storia di Gioffredo de Ville Hardoin, e nel Glossario che va unito a dette osservazioni, citandola ora con il titolo di Pelerinage de VAme, ed or con quello di Pelerinage de Vhumaine Lignée. De due presenti manoscritti, quello che è in tre tomi distinti abbraccia tutti e tre i sopra detti pellegrinaggi; l’altro in un sol tomo contiene i primi due con parecchie variazioni, non so se provenienti dall’autore medesimo, o da qualche capriccioso copista. Sulla fine del primo pellegrinaggio, trovasi in questo tomo GIORNALE LIGUSTICO 343 una lunga parafrasi del Pater, Ave e Credo, in versi latini di quattro piedi, sullo stile delle Sequenze; nel primo manoscritto non vi è che quella del Pater. Sembra che Γ autore volesse dividere la prima parte in più libri, giacché trovasi : explicit liber primus, explicit liber secundus: non pare però che siasi curato di proseguire questa divisione. Quanto al merito di quest’ opera, Γ Oudin (1. c.) la chiama « opus scriptum carmine rudi et barbaro, quale aetas illa » habuit, quod risum magis quam pietatem hodiernis lecto-» ribus pareret ». Se lo stesso giudizio ne abbia formato Carlo de Wisch nella sua Biblioteca cisterciense, mi è ignoto, - non avendo potuto trovare quest’ autore. Della età di questi manoscritti nulla io so determinare di preciso, senonchè essi sono anteriori all’ anno 1475 in cui 1 Cisterciensi per ordine di Sisto IV presero lo scapulare nero, lasciando il tane che prima portavano. Di questo colore tanè osservo essere lo scapulare del monaco dipinto alla testa di questi manoscritti. Benedetto XII, 1’anno 1334? avea ordinato a’ Cisterciensi « ut omnes monachi pannis brunis vel albi-color is uterentur »: quindi usarono essi sulla tonaca bianca lo scapolare tane. Sisto IV, Γ anno accennato, dichiaro che bruno dovea intendersi nero', perciò i monaci cangiarono il tanè in nero. CODICE XXXIX. Il presente manoscritto contiene la Cronica franzese dalla prima origine de’ Franchi fino alla morte di Filippo VI detto Valesio, cioè fino all’ anno 1350 della nuova era. Dee essere stato scritto in due diversi tempi, e per due diversi personaggi. La varietà del carattere, e molto più dell’ortografia, mi danno indizio della prima cosa; e dalle due armi gentilizie con cui è marcato in più luoghi, conghietturo la seconda. 344 GIORNALE LIGUSTICO Dividono queste il manoscritto in due parti : la prima contiene 379 fogli, Γ altra 195, che in tutto formano un volume di 574 fogli, ossia 1148 pagine. Niente più naturale, che scritta la prima parte per un tal personaggio che la volle marcata con le sue armi, passasse il manoscritto in- altre mani e ad altra persona, la quale alla prima fece aggiungere il resto della Storia franzese pubblicata fino a’ suoi giorni, e vi volle ancor essa le sue armi. Quei che sono pratici del-deir araldica franzese potranno facilmente conoscere a quali famiglie esse appartengano. La prima parte, tutta d’ una mano, e dirò così, tutta d’un inchiostro, abbraccia la Storia francesca fino all’anno 1223, ultimo di Filippo Augusto. La seconda prosiegue fino all’anno 1350, in cui mori l’accennato Filippo Valesio. Il C, iniziale del manoscritto, racchiude una pjccola miniatura, che rappresenta un monaco benedettino, il qude sta scrivendo su di un libro posto su di un alto leggio. Altre miniature non incon-transi in questa prima parte; se non ge alcuni rabeschi al cominciar d’ ogni nuovo libro, con qualche figura d’ uomo 0 di animale, talora grottesca, tutte di un gusto e di una maniera. La seconda parte, al carattere, come ho detto, e alla ortografia, è di altro tempo e di altra mano, e forse di due; giacché qualche diversità di carattere parmi di travedere dopo il foglio 453. Lo scrittore, che dovea unire questa parte alla antecedente e formarne un solo corpo, procurò di renderla uniforme alla prima; quindi le iniziali de’ libri e de’ capitoli, e i piccoli tratti rossi e azzurri lungo il margine delle colonne a ogni nuovo capitolo, sono di un medesimo gusto, in tutto il manoscritto. Alquanto diversi si osservano i rabeschi al principiar d’ogni libro: sono questi sjnza figure, eccetto quello che è al foglio 418, il quale va a terminare in un animale grottesco. GIORNALE LIGUSTICO 345 Dodici miniature, qual più e qual meno ricche d’oro, abbelliscono questa seconda parte : quasi tutte ci rappresentano la coronazione di quel Re, alla testa della cui vita sono poste. In quella di Filippo Γ Ardito (foglio 443), vedesi un canonico con sottana rossa e lunga cotta fino ai piedi, ed al mudici quadrata in testa. Quest’ almu%ia è nera, conforme usavanla anticamente non solo i canonici regolari, ma i secolari altresì, e fu anche propria de’ cardinali, seppur Macri nel suo Lessico dice il vero. Si potrebbe quindi inferire che verso la fine del secolo XIV, età la più antica che dar si possa a questa parte del manoscritto , i canonici di Reims, ove Filippo si coronò, non aveano peranco mutata in bigia la nera almuzia. Non saprei dire se la sottana rossa sia capriccio del pittore 0 uso della chiesa di Reims, come lo fu per lungo tempo di quella di Tournai du Vert. Chi avea interesse di siffatti esempi e di moltiplicarne il numero, cita i canonici della seconda e non parla di quei della prima (Expl. de la Messe, T. 2, p. 357). Nella coronazione di Filippo il Bello (f.° 460 verso), il pittore ha rappresentato un monaco nero tra gli assistenti: questo esser dee uno dei due Priori Benedettini, o di S. Remigio di Reims o di S. Dionigi di Parigi: giacché l’uno e l’altro, come è ben noto, hanno diritto d’ intervenirvi, il primo perchè in S. Remigio si custodisce la sacra ampolla; il secondo perchè in S. Dionigi conservami lo scettro, la corona, la spada ed altri ornamenti che i Re usano in quest’ occasione. Curiosa è 1’ ultima di Filippo Valesio, in cui veggonsi il Re e la Regina sedenti uno accanto all’altro, e la Regina alla destra del Re. Se questa circostanza sia rito di questa cerimonia o capriccio pittoresco, noi so. Non ho potuto vedere il cerimoniale franzese di Dionigi Godefroy; e il cerimoniale romano nulla ce ne dice, ove parla del coronarsi i Re unitamente con le Regine. Quello che trovo nel cerimoniale di Sens, citato da Giuseppe Catalani (Not. in Pontif. 346 - GIORNALE LIGUSTICO —----»-- Rora., Tom. 1, p. 404), si è che il trono della Regina deve essere più basso di quello del Re : « debet parari ei, alla Regina, solimi in modum solii Regis, debet tamen aliquantulum minus esse ». Infatti pare che la Regina segga più bassa del Re; ma il poco esperto pittore non ha bastantemente bene distinto le due sedie. Nè si vuol lasciare di osservare che egli ha molto usato de’ suoi diritti, cioè quidlibet audendi, poiché primieramente ei rappresenta i Re e le Regine sedenti nell’atto della loro coronazione, quando, secondo il cerimoniale, si coronavano genuflessi innanzi al prelato a ciò destinato. Forse che in Inghilterra si coronavano anco in piedi, seppure è vero quanto scrive nella sua Cronica il monaco Gervasio (Script. RR. Angl, p. 15 87). In secondo luogo le Regine, in queste miniature sono coronate da due vescovi (f.° 446 e 523), quando il cerimoniale prescrive che sia un solo: « imponatur ab Archie-» piscopo solo corona capiti ipsius (Reginae) , quam ìmpo-» sitam substentent undique Barones » (Cod. Ms. ap. Catalan. 1. c., p. 407). Ho poco innanzi accennato che questa seconda parte non può essere più antica della fine del secolo XIV, ma forse potrebbe essere della fine del XV. Quanto alla prima parte, direi che fosse del secolo XIV. La precisione però di queste materie non è così facile. Veduto l’esterno, dirò così, del manoscritto, alcuna cosa si vuol dire di ciò che esso contiene. È dunque il presente manoscritto una copia delle Croniche franzesi, che per essere state già compilate e conservate nell’Abbadia di S. Dionigi di Parigi, si dissero, e tuttavia diconsi Les Chroniques de Saint Denys, titolo posto alla testa del manoscritto da più fresca mano. Di queste croniche ha molto parlato il signor de la Curne nelle Memorie dell’Accademia delle Inscrizioni, Tom. XV, p. 580 ecc. Egli ha ben distinto due sorta di GIORNALE LIGUSTICO 347 Croniche di S. Dionigi: le prime in latino, non mai stampate per quanto io sappia ; le seconde in vecchio francese, delle quali, trattone il Prologo, quattro edizioni si sono fatte in Parigi dall’anno 1476 fino al 1514, tutte in tre tomi in foglio e in caratteri gotici. Le prime due furono fatte da Pasquale Bonhome l’anno 1476; la terza da Antonio Verard l’anno 1493 ; la quarta da Guglielmo Eustachi l’anno 1514. In quest’ultima la Storia arriva fino al 1513. D. Martino Bouquet ha inserito queste Croniche nella raccolta degli storici franzesi ove il collettore « de chronici autore, et de variis interpretibus » accurate diligenterque disserit, multosque recenset manuscri-» ptos codices quibus usus est, ut suam novam editionem ador-» naret », dice lo storico de’ codici della Reai Libreria di Torino, T. 2, p. 481. Questa raccolta io non ho veduta, nè le osservazioni di D. Martino; 1’ una e Γ altra mi sarebbero state di molto uso, per illustrare questo manoscritto e tra le altre cose per accertare se queste Croniche sieno state tradotte in lingua italiana, cosa di cui potrebbe soddisfarci Francesco Haym , che le annovera tra’ libri rari di lingua italiana (Bib. ital., p. 62, n. 8). Dubito però che Haym abbia preso abbaglio, e siasi immaginato che esse fossero italiane perchè in italiano si citano tra’ libri rarissimi da Pellegrino Orlandi (p. 88, c. 319, Origin. progress, della stampa). Osservo però che Orlandi nomina Γ edizione di Pasquale Bonhome, che ei mette nell’anno 1475, se non è error di stampa; e di Antonio Verard dell’ anno 1493 : dal che inferisco che esso parla della edizione franzese, come era 1’ una e 1’ altra; ed in fran-zese si citano da Maittaire negli Annali tipografici, agli anni 1476 e 1477. Crede il Sig. de la Curne (p. 591) che Sngero famoso abate di S. Dionigi, ministro del Re Luigi il Grosso e reggente del Regno dopo la costui morte, formasse il disegno di unire in un sol corpo le varie istorie o annali che conservavansi in Giorn. Ligustico, Anno VII t Vili. 22 348 GIORNALI· LIGUSTICO San Dionigi e formarne le Croniche latine, e che sotto questo Abate si mettesse mano all’ opera, continuata in appresso nei regni susseguenti. Pretendesi (Acc.· d’Inscr., Tom. XXXVI, p. 2X2, Hist.) che questa Cronica latina si trovi manoscritta « à la Bibliothèque du Roy (η. 5925)· Elle finit à la mort » de Philippe Γ Hardi : voiez la Dissertation de M.r de la » Curne ecc. ». Io ho ben veduta questa Dissertazione, ma di questo manoscritto non vi si fa parola, e da quanto leggo in essa (p. 601, not. *), sospetto che il medesimo fosse ignoto all’ accademico. L’oculare ispezione di questo manoscritto deciderebbe se la Cronica francese sla una traduzione della latina o anzi una Storia francese estratta dalle Croniche latine, come pretende il sig. Leboeuf (Acc. Inscr., Ί. XVI, p. I79> Hist.), nonostante che in alcuni manoscritti (e tra questi il Regio, n. 8301) si legga: « Prohime de Fauteur qui translata » les croniques de France de latin en françois » (v-. la Curne, p. 604). Si sa in primo luogo che la Cronica latina principiava da Adamo (la Curne, p. 601), ciò che non si verifica nella franzese. Osserva inoltre Leboeuf come ne’ versi fran-zesi posti nell’ ultima pagina del manoscritto di .Santa Genoveffa, Γ opera non è altrimenti detta Cronica, ma bensì Roman des Rois, cioè Storia dei Re : . giacché il nome di Roman innanzi a Francesco I davasi anche alle storie più serie e veraci, per le ragioni che se ne danno nel Dizionario di Trévoux (v. Roman). Di più 1’ autore, nel prologo, parlando della sua opera, la chiama « une histoire décrite selon la lettre, et » 1’ ordonnance des chroniques de l’Abbaje de S.' Denys »; e appresso prega coloro i quali « ceste histoire liront » di riguardare « aux chroniques de S.‘ Denys » per accertarsi se egli abbia scritto il vero; e finalmente in altro luogo dello stesso prologo dice essere « ceste histoire mireors de vie ». Checché sia di queste ragioni, sulle quali io non sono in grado di decidere senza il testo latino, ma che non istimo GIORNALE LIGUSTICO 349 troppo forti e concludenti, la Cronica francese compresa in questo manoscritto è una traduzione di storici latini fatta con molta liberta da più traduttori, or seguendo, or abbandonando il testo originale, a misura che al traduttore veniva fantasia di aggiungere e di mutare, senza troppa critica e discernimento; trovando io assai conforme al vero il giudizio che di queste Croniche ha dato il Sig. di Brequigny (Acc. Inscr., T. XXXIX, p. 638),'cioè esser elleno « une compilation faite sans examen » et sans critique » ; nè più favorevolmente ne ha pensato il P. Le Long nelle sua Biblioteca degli storici franzesi, citato da de la Curne (p. 611), sebbene esso si studi di rilevarle dal discredito in cui sono elleno al presente. Questo dotto accademico ci dà un minuto ed esatto novero degli autori latini compilati e tradotti, che io qui accennerò secondo Γ ordine del presente manoscritto e notando il foglio in cui ciascuna traduzione finisce. 1. Dal principio fino a Carlo Magno la Cronica è per lo più traduzione dell’opera di Aimoino monaco Floriacense, intitolata de Gestis Francorum, continuata dopo il capo 41 del libro IV da più anonimi. La traduzione abbraccia quest’opera fino al c. 67 del libro suddetto, e nel manoscritto termina al f.° 123. 2. Tutto ciò che riguarda Carlo Magno, è preso puramente dalla vita di questo principe scritta da Eginardo prete e da altr’opera del medesimo, intitolata Annales f rancor uni dall’anno 7^9 anno 813. Il traduttore ci ha dati i primi quattro capi della vita, f.° 127/ , indi gli annali fino al f.° 149/ e nuovamente la vita fino al f.° 153/. Siegue un estratto della favolosa Cronica attribuita all’arcivescovo Tarpino, per raccontarci la spedizione di Carlo contro i Saraceni di Spagna, fino al f.° 185. 3. La storia di Ludovico Pio, che arriva fino al f.° 214, è presa dalla vita di questo monarca, scritta da un canonico che vivea in corte del medesimo in qualità di astrologo. 350 GIORNALE LIGUSTICO 4. Ritorna in campo al f.° 216 la continuazione del monaco A imoino, ripresa al c. 21 del lib. V (ed. Paris, Andr. Wechel 1567) e arriva fino al f.° 267 , con delle aggiunte parecchie che non trovansi nel testo latino; per esempio la visione di Carlo il Grasso, riferita da Guglielmo Malmesburiense (de Gestis RR. Angi., lib. II, c. 11, p. 39), e dal cronista Sandionisiano malamente attribuita a Carlo Calvo; errore preso da altri cronisti. Il barone di Zur-Lauben, riproducendo questa visione con dotte e critiche osservazioni (Tom. XXXVI, Acc. Inscr., p. 207, Hist.), ha avverito che ne’ manoscritti del secolo XII e XIII, e nello storico inglese, S. Pietro e S. Remigio sono nominati soltanto quai protettori del Regno de’Franchi; ma che « le Moine compilateur n’a pas manqué de ranger dans » cette vision Saint Denis son patron entre Saint Pierre et » Saint Remys ». Il presente manoscritto conferma questa osservazione, trovandosi in esso due volte il nome di S. Dionigi in questa visione. Nelle croniche franzesi vedute da Zur-Lauben il glomerem fili dell’ originale latino è tradotto un luis sel de fil; avrebbe voluto il dotto critico mutare il luissel in linsel, per trovarne così la radice nella voce Un. Nel manoscritto leggesi (f.° 229/) una volta lemissel e un’altra loissel; nella prima delle quali voci non so se ci si presenti Γ origine del nominativo genov. lumescello per gomitolo. Ma ritorniamo in cammino. Di questi autori 0 de’ loro estratti dovea esser formata la prima parte delle Croniche latine compilate sotto Sugero e condotte fino a Luigi il Grosso. A questa prima parte si andarono unendo di mano in mano le storie de’ regni susseguenti, tradotte poi ancor esse in franzese; quindi, dopo il di già accennnato, viene nel manoscritto : 5. La storia di Luigi VI detto il Grosso, fino al f.° 309, tradotta dal latino di Sugero che scrisse la vita di questo principe ed è forse l’autore dell’altra (v. la Curne, p. 605), che siegue. GIORNALE LIGUSTICO SS! 6. Gesta Ludovici VII, della quale si dà la traduzione fino al f.° 322: ciò che segue di questo Re fino al f.° 326 è preso da una piccola storia di autore anonimo , che porta il tìtolo di Historia Ludovici VII. 7. In appresso si narrano i fatti di Filippo Augusto, fino al L° 379» tradotti dal latino di Maestro Rigordo, cronografo del medesimo principe, e continuati da Guglielmo Bretone: il traduttore ne ha fatto tre libri, divisione che non è nell’originale , con una aggiunta in cui si contengono, dice la Curne (p. 607), « les legs pieux faits par Philippe Auguste mourant » conforme a son testament, que nous avons, page 261 du » V tom. de du Chesne » : ma questa giunta nel manoscritto presente è di gran lunga più corta che non è nell’ originale latino. 8. Il Regno di Luigi Vili,* che arriva fino al f.° 383, è traduzione di un’ opera conosciuta sotto il titolo di Gesta Ludovici Vili, di scrittore anonimo. 9. Prosiegue la storia di Luigi IX, venerato tra’ Santi, fino al f.° 435, e quella di Filippo III l’Ardito fino al f.° 460: l’una e l’altra tradotta dalle vite latine di Guglielmo de Nangis , con delle aggiunte avvertite già da de la Curne e Leboeuf. 10. Vengono appresso-le vite di Filippo il Bello, f.° 498, di Luigi Hutin, f.° 500, di Filippo il lungo, f.° 507, di Carlo IV il Bello, f.° 321, di Filippo Valesio, f.° 574, con cui termina il manoscritto. Tutto questo, trattone gli ultimi dieci anni del Valesio, cioè fino all’anno 1340, vuole de la Curne che sia traduzione della Cronica del citato de Nangis, dal medesimo condotta fina all’ anno 1301, e della prima continuazione di essa che termina appunto nel 1340. Anche queste traduzioni sono fatte con la medesima libertà e mancanza di critica: al fine dell’anno accennato, f.° 550/, trovasi una lettera del Calif di Baudaz al Re di Bdemarine et Maroc, che il tra- 352 GIORNALE LIGUSTICO dlittore chiama Garbus, ed è probabilmente quel Boniacob, qui dicebatur rex de Gerbo, di cui parla il nostro storico Stella (Annal., an. 1342). Questa lettera manca ne’ continuatori della Cronica Nangiana. Non saprei dire da chi sia preso il resto della storia di Filippo fino all’anno 1350, in cui morì e con cui termina il manoscritto. Crede la Curne che tutto ciò che trovasi nelle Cronache di S. Dionigi dopo l’anno 1340 sino al 1380, cioè fino alla morte di Carlo V, sia 1’ opera di uno o più autori « qui ecrivoient les faits, dont ils avoient été les témoins ; » mais rrucun né nous est connu ». Or due cose cercansi di questa traduzione. La prima da chi sia stata fatta; la seconda in qual tempo. E quanto al tempo, de la Curne la crede eseguita nell’anno 1274, non ostante che Filippo Mouskes' e Guglielmo Guiart, poeti fran-zesi, de’ quali Γ uno morì sulla fine del secolo XIII, 1’ altro scrivea sul principio del XIV, possino far credere questa traduzione di data assai più recente, mentre affermano di aver travagliato per le loro storie poetiche sul testo latino delle Croniche di S. Dionigi (p. 589). Io però di Filippo Mouskes non mi prenderei molta pena, se egli è, come si vuole, quel Filippo Mouskes canonico di Tournai, che l’anno appunto 1274 fu fatto vescovo di quella città. Ei scrisse essendo ancor canonico e prima di essere promosso al vescovado (v. du Cange, Tom. XXIV, Hyst. Byzant., p. 87); e conseguentemente prima dell’ epoca assegnata alla traduzione. Di Guiart io non ho potuto trovar notizie distinte; ma potrebbe ben essere che sul principio del secolo XIV, in cui si dice che abbia scritto, i monaci di S. Dionigi non avessero pubblicata la traduzione delle Croniche. Ciò non ha niente d’ inverosimile. Ma pubblica dovette certamente essere, allorché l’autore del romanzo intitolato Doohn de Mayence, scrivea la sua opera ne principii del secolo suddetto, come si pretende (v. p. 602); GIORNALE LIGUSTICO 353 mentre ne’ seguenti versi riferiti da de la Curne (p. 391) Les sages Clers d’adont par leur signifiance En firent les chroniques, qui ont grant vaillance Et sont en l’Abbaye de Saint Denys en France Puis ont ésté extraites par moult belle ordonnance De latin en rommant etc. si vede manifestamente che le Croniche erano tradotte en rommant , cioè in franzese (che tal significato avea questa voce ne conviene de la Curne e lo insegna il Dizionario di Trévoux (1. c.); onde mi fa maraviglia come il citato de la Curne si obbietti anche questo autore contro Γ epoca stabilita. Più forza aver potrebbe il testo stampato delle medesime Croniche, in cui nella piccola cronologia de’ Re franzesi posta nella vita di Filippo Augusto, e dal traduttore condotta fino a Filippo ΓArdito, cioè fino all'’ alino 1274, si legge qui regnoit. Inoltre ivi medesimo si dà il titolo di Santo a Luigi IX, che non fu canonizzato prima dell’anno 1297. L’una e l’altra cosa però si vuole attribuire ai copisti posteriori delle Croniche, sulla cui copia fu fatta la stampa. E della prima sembra non potersene dubitare in verun conto, giacché ne’ manoscritti delle Croniche et les plus anciens et les plus authentiques, dice la Curne (1. c.), e tra gli altri in quello di San Germano dei Prati (n. 1462), invece di qui regnoit leggesi qui or r.egne en 1274. H nostro manoscritto ci presenta ancor esso questa lezione al f.° 3 3 5 .r (qui or regne en Van de l’incarnation 1274)· È vero che in questo medesimo foglio Luigi IX è detto le Saint home e le Saint, il che pare 11011 ben si accordi con il qui regne di Filippo nel 1274. Vuol però riflettersi che Luigi IX visse e morì 111 tale concetto di santita, che in tempi meno de’ nostri rigorosi sul culto de’ santi, non dee recar maraviglia se un privato scrittore abbia anticipato a Luigi quel titolo che gli die’ poi la Chiesa solennemente. Stabilito assai probabilmente 1’ anno in cui le Croniche si 354 GIORNALE LIGUSTICO tradussero in franzese, resta a vedere chi ne fosse il traduttore. « Il me paroit assez vraisemblable (dice la Curne, » p. 602) que Guillaume de Nangis en fut le premier auteur; » d’une part on y retrouve presque mot à mot la traduction, » qu’il avoit donnée de sa propre Chronique latine; d’autre » part le prologue des Chroniques de Saint Denys ressemble » en plusieurs endroits à celuy qu’il avoit mis lui même à » la tête de sa Chronique françoise». Io non sono in grado di esaminare queste conghietture, non avendo Γ opera franzese di de Nangis, e sottoscriverei di buon grado al dotto accademico ; se non che mi tengono sospeso alcuni versi fran-zesi che sono nel manoscritto di S. Genoveffa, del quale manoscritto ci ha data distinta notizia il sig. Leboeuf (Tom. X\7I, Acc. Inscr., p. 175 , Hist.). Nell’ ultima pagina di questo manoscritto di S. Genoveffa trovasi una miniatura che rappresenta un Re sedente tra’ suoi uffiziali, con corona e scettro, in atto di ricevere un libro che gli presenta un monaco innanzi a lui genuflesso : dietro al monaco sta in piedi un personaggio vestito con cappa violetta, foderata di rosso, sopra una bianca veste (camice o cotta che sia) con mitra e pastorale; stende la destra sulla testa del monaco e accenna il libro : dopo il prelato veggonsi tre altri monaci, vestiti anche essi donerò come il primo. Sotto la miniatura leggonsi più versi franzesi e latini, tutti indirizzati al monarca a cui si presenta il libro. I franzesi così cominciano: Philippe Rois de France, qui tant ies renommez Ge te rent le Roman qui des Rois est romez (forse nomes) Tant à eu travaillé, qui primaz et nommez Qu'il est Dieu merci parfait et consummez. Vuole Leboeuf che questo Filippo sia Filippo l’Ardito, figliuolo di S. Luigi, tanto più verisimilmente che ne’ versi latini si legge : Sancta patris vita per singula sit tibi norma; CIORNALE LIGUSTICO 355 e conghiettura che il prelato esser possa Matteo di Vendôme abate di S. Dionigi, dall’anno 1258 fino al 1286, stato già nel consiglio di S. Luigi, e da lui lasciato reggente del Reame allorché partì per l’Africa, come si vede anche nel nostro manoscritto (f.° 430.··). « Le Roy fit son testament, et bailla » son Royaume à garder à messire Simon de Neel, et à » 1 abbe de Saint Denis en France, qui avoit nom Matieu de » Vendôme ». Congettura inoltre che Matteo avendo progettata e fatta eseguire la traduzione delle Croniche di S. Dio-mgi, forse dal monaco de Nangis, la presentasse per mezzo dello stesso monaco a Filippo. Quindi 1’ una e 1’ altra Cronica, la latina e la franzese, si dovranno alle premure di due Abbati di S. Dionigi; a Sugero e a Matteo, l’uno e l’altro grandi uomini di stato; l’uno e 1’ altro reggenti del Regno di Francia; quello dopo la morte di Luigi il Grosso, questi nell’ assenza di S. Luigi. Il sistema e le conghietture hanno un non so che di brillante: ma temo che esse non abbiano in tutta la loro stesa (ìz’c) altrettanta sodezza. Lasciamo la bizzarria pittoresca di mettere un abate benedettino in abiti pontificali in una azione che nulla ha di sacro, fuor di cui non era permesso agli abati di usare la mitra: il solo pastorale lo avrebbe bastantemente distinto da’ suoi monaci: chi si persuaderà così facilmente, come se lo è persuaso Leboeuf, che quella voce Primai negli accennati versi, non sia anzi il nome del monaco traduttore, cioè Primasio, conforme sembra più naturale, ma sibbene un nome di dignità che disegni Y abate Matteo per le cui premure fu l’opera tradotta? Io ben so quel verso che esso cita « dicatur Primas populo qui primus habetur » ; vorrei però esempi chiari che un primo ministro, quando anco Matteo avesse questo grado sotto Filippo 1’ Ardito, siasi assolutamente detto Primas, e parlando al suo Re abbia preso questo titolo. E se un monaco di S. Dionigi potea chiamare il suo abate Primate tra gli abati di Francia, come si pre- 356 v GIORNALE LIGUSTICO tende ideando Γ esempio dell’ abate di Fulda, che fu detto Primate degli abati di Alemagna? Vorrei altresì esempi della stessa chiarezza, i quali mostrassero che Γ abate di S. Dionigi siasi caratterizzato con questo titolo senz’ altro aggiunto ; e molto più che un monaco lo abbia fatto così parlare al Re; giacché il sig. Leboeuf vuole che in que’ versi sia 1’ abate che parla. Trovo inoltre assai stravagante che quelle parole « tant a tu travaillé » si vogliano applicare piuttosto a chi ha soltanto avuto il pensiero « d’ordonner l’ouvrage et d’en » presser l’execution », cioè all’ abate, che al monaco traduttore, il quale ha tradotto le croniche e procurato di .rendere perfetta la traduzione. Sia però chiunque si voglia il traduttor delle Croniche di S. Dionigi, o Primae o de Nangis, io accorderò facilmente a Leboeuf che la traduzione dal primo suo autore non sia stata condotta che fino alla morte di Filippo Augusto , cioè fino all’anno 1223: non perchè in detto anno termini il manoscritto di S. Genoveffa, che ciò per molte altre cagioni potè succedere, ma sibbene perchè la traduzione della storia, che viene appresso, mostra di essere stata scritta con altra ortografia e dialetto; 1’una e l’altra delle quali cose non è così facile di attribuire alla diversità dei copisti. La Francia è ricca di manoscritti di quest’opera; diciotto ne conta la Regia Biblioteca e cinque quella di S. Germano de’ Prati; e non v’ ha libreria di qualche riguardo che non ne abbia qualcuno, dice la Curne (p. 613). Il presente fu di Cristoforo Justell, che ebbe gran nome tra’ letterati del secolo passato, come si legge nella carta di risguardo al principio del manoscritto. Il regio notato col n.° 8305, il San-germanico col n.° 1462, sono quelli a’ quali veggo data la preferenza da de la Curne. Il primo è come il nostro di due mani e di due tempi ; la prima parte arriva fino all’ anno 1316, e la seconda fino al 1380. Quello di S. Germano ab- GIORNALE LIGUSTICO 357 biascia lo stesso corso d’anni che il presente; cioè finisce anch esso con la morte di Filippo Valesio l’anno 1350. Tiovo avvertito che il prologo di questo manoscritto, stampato da de la Curne (p. 600), ed è lo stesso che il prologo del nostro, resta diviso in due parti .delle quali una ha per titolo: « Prologue des chroniques de France », 1’altra « Prologue de 1 auteur ». Nel nuovo il prologo non ha alcuna divisione, nè titolo. Il sig. Leboeuf crede che il manoscritto di S. Genoveffa sia più antico de’ due accennati; egli osserva che ove quei due manoscritti usano oevre, ceux, eux, estoire ; in quello di S. Genoveffa leggesi ouvre, ciaux, taux, hystoire ecc. Gli antiquarii franzesi potranno decidere se questi siano indizi bastevoli per togliere a questo manoscritto il pregio di più alta antichità. Diversità somiglianti s’ incontrano nel nuovo, e si trova nella prima parte di esso euvre, comance, plusors, aus, Looys ecc., invece di oeuvre, comence, plusieurs, eux, Louis ecc. Le croniche del manoscritto di S. Genoveffa vi sono condotte fino all’anno 1223, non altrimenti che nel nuovo; e siegue dopo la vita di San Luigi, d’altra mano e d’ altro tempo. Forse che da questo si potrebbe argomentare che la traduzione delle medesime dal primo autore di essa fu condotta fino all’anno accennato, cioè fino alla morte di Filippo Augusto. Di altri manoscritti non trovo particolare notizia se non se di quello della Reai Libreria di Torino, descritto nel Tom. II, p. 481, ornato , ancor esso come il nuovo e i tre già nominati multis aureis imagunculis. Il prologo, secondo che riferisce l’editore, comincia come il nuovo, non così la storia la quale nel torinese così principia: « Cy commence la Ge-» nealogie des Rois de France, et comment ils descendirent » primierement des princes de Troye ». Queste parole non, trovansi nel presente manoscritto. Dopo il prologo e l’indice leggesi immediatamente : « quatre cens et quatre anz avant 353 GIORNALE LIGUSTICO » que la cite de Rome fu fondee regnoit Prianz en Troie » la grant ecc. ». I più volte lodati accademici de la Curne e Leboeuf hanno osservato, che i manoscritti da essi prodotti ci davano alcune notizie mancanti nelle Croniche stampate. Ecco gli esempi che essi ne recano: 1. Nella storia di S. Luigi le croniche raccontano l’amore che per la regina Bianca si accese in Teobaldo conte di Sciampagna e re di Navarra, e le canzoni che questo Re poeta fece per la Regina: esse però non dicono che con Teobaldo travagliasse in queste canzoni Gate^-Bruletζ, antico poeta fran-zese: questa notizia si deve al manoscritto di S. Germano e a quello di S. Genoveffa. La medesima si trova nel presente manoscritto (f.° 391): « Si fist entre li et Gatebrule les plus » belles chancons et le plus belles et mélodieuses quionques » fussent oies en chancon, ne en viele et les fist escrire en » sa sale a Provins et en celle de Troies, et sont appelees » les chancons au roy de Navarre ». Questi amori di Teobaldo, o veri o falsi che sieno, raccontansi in queste Croniche in maniera da non fare alcun torto alla virtù della Regina; nè esse dicono che il soçaetto delle canzoni fosse la Regina. A OO 2. Nella medesima vita si parla della protezione che la Regina suddetta prese degli abitanti di Chastenai contro i canonici di Parigi loro oppressori. Il manoscritto di S. Genoveffa unisce a quei di Chastenai gli abitanti di Orly: lo stesso si vede nel nuovo manoscritto (f.° 412). « Dont il avint, que » les chanoines de Paris pristrent tous les hommes de la » ville Doli, et de Chastenai, et d’autres villes voisines qui » estoient tonantz de leur eglise ». 3. Finalmente ivi medesimo si racconta che S. Luigi fece celebrare in Nazareth una messa a chant et dechant; or il manoscritto di S. Genoveffa aggiunge et a triple: questa aggiunta dopo le due suddette voci trovasi parimente nel nuovo GIORNALE LIGUSTICO 359 manoscritto, sebbene, per errore credo dello scrittore, leggesi trible. Il nuovo manoscritto poi dice che il matutino e non la messa fu cantato in simil guisa; ecco le sue parole (f.° 413) : « Tantost comme il ot fait son disner de pain et dyaue il » fist chanter Vespres hautement; et le Lendemain 3 laube » du iour Matines a chant et decljant et a trible: après il » fist chanter la messe en la place ou l’ange Gabriel salua » nostre dame ecc. ». Lo storico dell’Accademia (T. XVI, p. 184, Hist.) ha avvertito che questa triple prova « l’ancien-» neté de la pratique du second accord sur le plain-chant. » CODICE XL. Sono in questo manoscritto: 1. La ricognizione fatta l’anno 1518 da monsignor Domenico de’ Valdettari, vescovo di Aiaccio e vicario generale di Gio. Maria Sforza Visconti, arcivescovo di Genova, d’una Bolla di Leone X, con cui 1’ anno antecedente, ad istanza di Lorenzo Fiesco, vescovo di Mondovì, eresse nella cattedrale di S. Lorenzo di Genova un collegio detto Cantoria, composto di sei o otto preti, intendenti di musica, con altrettanti fanciulli cantori pel servizio della chiesa. Pel mantenimento di questo collegio, oltre altri fondi somministrati dal vescovo Fiesco, assegnò Leone il priorato di San Giovanni di Pave-rano, che. detto vescovo avea in commenda e avea rinunziato al Papa. Veggasi il Federici, della Famiglia Fiesca, p. 48. 2. I regolamenti fatti pel detto collegio o cantoria, approvato da Filippo Saoli, vescovo di Brugnato e vicario arcivescovile, l’anno 1519 agli 8 di giugno, pochi mesi dopo la morte del vescovo Fiesco. 3. Un breve di Innocenzo Vili al priore di S. Matteo, di S. Luca, ed al Magiscola della cattedrale di Genova, col quale li costituisce difensori e custodi de’ privilegi accor- 3^0 GIORNALE LIGUSTICO dati a’ Genovesi da’ suoi antecessori e da e da esso confermati con una sua particolar Bolla del 1485, che è inserita nel Breve. I privilegi de’ quali si parla nella Bolla sono: i.° che i Genovesi non possano essere interdetti, sospesi, scomunicati, nè la città, nè il distretto, da alcun giudice, esecutore, delegato ecc. ; 2° che niun cittadino o abitante del distretto possa essere citato o convenuto in giudizio fuori della città o diocesi per qualunque lettera anche apostolica. Seguono due brevi, uno di Alessandro VI del 1493 agli anziani e comune di Genova in confermazione di quanto avea fatto Innocenzo Vili, l’altro di Giulio II dell’anno 1504, al priore di S. Matteo , di S. Luca e al Magiscola, che negavano la loro assistenza a quei che ad essi ricorrevano per essere mantenuti in possesso dei sopraddetti privilegi. 4. Un Breve di Leone X al priore di S. Matteo, al magiscola ed al preposto di S. Luca, con il quale incarica ciascheduno di essi a fare osservare una Bolla da esso data, che ■ qui si riporta. In questa Bolla Leone conferma gli accennati privilegi concessi a’ Genovesi; inoltre conferma la licenza, che Alessandro λ I avea accordata a/ Genovesi, di poter per venti anni portare o mandare in Siria ed in Egitto stagno, rame, piombo, ottone ecc., e venderle agli infedeli. La qual licenza Giulio II avea prolungata a cent’anni, e stesa anche all’Africa. CODICE XLI. La lettera contenuta in questo manoscritto è una di quelle che piene di zelo scrisse da Pechino in Europa il P. Ferdinando Werbiest, gesuita fiammingo e missionario alla Cina, per aver soccorso di compagni, giacché la missione cinese assai in que’ tempi scarseggiava di missionari (v. da Halde, Hist. de la Cine, Tom. Ili, p. 115). Al foglio i.° si accenna la persecuzione suscitata contro i GIORNALE LIGUSTICO 361 missionari, per cui Werbiest fu sei mesi prigione carico di nove catene. Se ne fissa qui Γ epoca all’anno 1674; ma al foglio 9, in cui nuovamente se ne parla, si dice accaduta l’anno 1664. Sospetto che questo sia il vero anno ; ma non ho documenti per assicurarlo. Al f.° 5 si tocca il molto vantaggio che poteano recare alla religione nella Cina le scienze matematiche sostenute da una soda virtù, e da un zelo ardente. Werbiest ne parlava per prova; il di lui profondo sapere in questa scienza giovò infinitamente alla propagazione del Vangelo in quel vasto impero; ed Innocenzo XI, Sommo Pontefice, informatone, gliene scrisse un breve di lode e rallegramento. Al f.° 6 parlasi della controversia che esso ebbe con gli astronomi cinesi, pel calendario di non so qual anno da essi fatto di ij lunazioni, contro i veri moti del cielo, che non voleano quell’ anno intercalare. Controversia famosa nella storia della matematica cinese. Werbiest, come presidente del Tribunale di Matematica, presentò un memoriale all’Imperatore perchè Γ errore fosse corretto. « Postquam totius Tribunalis Mathe-» matici cura nobis' tamquam Praefecto commissa est (scrive » egli stesso) ■statini dedi libellum supplicem Imperatori, ut » lunam embolismarem ex calendario illius anni currentis ab » adversariis confecto expungendam mandaret, utpote quae » coelesti motui contradiceret ». Canghi, che era allora sul trono cinese, ordinò più conferenze a quest’ oggetto, trattandosi di cosa che molto interessava 1’onor de’Cinesi, e del-l’Imperatore medesimo, a nome di cui esce ogni anno con grandissime cerimonie il calendario, portando in fronte un editto imperiale che sotto pena della testa proibisce non solo Γ uso di qualunque altro calendario, ma anche il togliere 0 aggiungere a questo il menomo che. Si tennero le conferenze, e in esse Werbiest, e con parole e con iscritti, mostrò sì chiaramente l’errore dei calcoli Cinesi, che 1’ Imperatore ordinò con suo editto che dal Calendario già publicato si 362 GIORNALE LIGUSTICO togliesse il mese· embolismare con immenso crucio de’ Matematici cinesi, e con grandissimo onore e riputazione del-l’Astronomia europea , e di Nanhoaigin (così chiamavasi alla Cina Werbiest). Dalle sopra citate parole di Werbiest « postquam totuis Tribunalis Matematici cura ecc. », si vede l’inganno di quegli storici che attribuiscono al successo di questa disputa la presidenza che Werbiest ebbe del Tribunale di Matematica; ei n’era in possesso prima che la disputa nascesse. Comunque sia, il sapere di Werbiest lo mise in altissima stima presso Canghi, che il volle suo maestro, e sotto di lui studiò Euclide e più trattati di Matematica, secondo che dice Halde. La savia e religiosa condotta di Werbiest, oltre la stima, gua-dagnogli altresì 1’ affetto di quel gran Principe, di cui in più congiunture non meno esso che gli altri missionari si ebbero singolari e luminose riprove; delle quali alcuna cosa si accenna al f.° 2. L’anno 1682 Canghi andò nella Tartaria orientale, e nel seguente anno portossi nell’ occidentale : nell’uno e nell’ altro viaggio Werbiest dovette accompagnare 1’ imperatore, e ne ricevè finezze e distinzioni non ordinarie. Morì questo insigne e virtuoso Missionaro nel Gennaro dell’anno 1688, con sommo dispiacere di Canghi, che ne compose e ne scrisse 1’ elogio, e volle che si leggesse nelle solenni esequie che a sue spese gli fece celebrare. STORIA DEI GIUSTINIANI DI GENOVA del prof. Carlo Hopf, trad. da A. Wolf (Continuaz. v. pag. 330). # Cresciuti in ricchezze, Martino e Benedetto esercitarono anche il diritto della zecca, come re dell’Asia minore; ed esistono ancora monete d’ argento che portano il nome GIORNALE LIGUSTICO 363 dei due fratelli e F effigie di S. Isidoro, santo tutelare di Scio (1). Ma la soverchia fortuna destò la gelosia del nuovo imperatore Andronico III, e li mandò in rovina. Gli Scioti, intolleranti degli oppressivi dazi imposti dagli Zaccaria, spedirono di soppiatto a Costantinopoli il primate Leone Kaloteto, che riusci ad adescare Γ imperatore esaltandogli le ricchezze dell’isola e facendogli lucicare dinanzi le 120,000 monete d’oro riscossevi ogni anno a titolo d’importo ; senza dire che tutti gli isolani lo benedirebbero, se li liberasse dal giogo genovese. Andronico acconsentì; e la.costruzione di un forte castello stato cominciato da Martino, e l’imminente scadenza dell’ investitura che questi aveva ottenuta nel 1324 per un altro quinquennio, fornirono il pretesto della guerra, per coonestare la quale Andronico sostenne anche le doglianze di Benedetto III, indispettito contro il fratello perchè indugiava a sborsargli le 6000 monete d’ oro assegnategli a titolo d’ appannaggio sulle entrate dell’ isola. Avendo Martino respinta l’intimazione di smantellare il castello e di venire in Costantinopoli per farsi rinnovare 1’ investitura, l’imperatore mandò a Scio (nel 1329) una superba flotta di 105 navigli. Aiutati dagli isolani, gli imperiali s’ impadronirono presto dei punti principali : Martino affondò le sue tre galee e si ritirò nella cittadella ; ma visto che il suo presidio s’ era ridotto a soli ottocento cavalieri, (1) Costantino Cumano, Illustrazione di una moneta argentea di Scio sul disegno del matapane di Venezia. Trieste 1852. 8.° — Peso: 43 grammi, diametro =0,021 m. — Diritto: Un santo coll’aureola, che tiene un libro nella destra, e porge con la sinistra un vessillo ad un altro fregiato del pallio. — Leggenda : « S. Sidorus Syi. M. et B. Z. Asye (?) Imperii ». — Sull’asta del vessillo : « Dux ». — Rovescio : Cristo sul trono, con la leggenda IC — XC; in fondo a sinistra il segno dello zecchiere. La moneta somiglia molto all’ antico grosso veneto. Giorn. Ligustico, cAnno VII t Vili, 23 GIORNALE LIGUSTICO dovette capitolare dopo pochi giorni. Sua moglie Jacqueline ed i figli Bartolomeo e Centurione ebbero franca Γ uscita con i tesori; ed agli uomini d’ armi fu fatta facoltà di rimanere nell’ isola o di partirsene. Martino stesso fu tradotto in catene a Costantinopoli; Kaloteto e gli altri arconti greci vennero largamente guiderdonati. A Benedetto fu offerto, come premio del tradimento, il titolo di prefetto greco con metà delle entrate di Scio; ma il superbo pretendeva Γ isola intiera, e respinse 1’ offerta. Licenziato con le mani vuote, si recò con tre galee a Galata, di dove imprese nel-1’anno seguente (1330) una spedizione contra Scio, aiutato da otto navi genovesi; ma l’attacco fu respinto con una perdita di trecento uomini, e Martino morì otto giorni dopo d’ un colpo apopletico , pel dispetto che gli fece provare lo smacco (1). Non lasciò prole; sua moglie Ginevra, figlia di Corrado D’Oria, gli sopravvisse molti anni, essendo ancora ricordata come vivente in documenti del 1340 (2). Suo fratello Martino, uscito nel 1337 mercè l’intercessione del papa dalle prigioni di Costantinopoli, in cui avea languito otto anni (3), s’uni nel 1343 alla Crociata bandita contro Omar principe d’ Aidin per la conquista di Smirne, e morì la morte dei bravi nella sanguinosa battaglia dei 15 gennaio 1345 (4): uno degli ultimi paladini di quella cavalleria (1) Ved. i particolari in Cantacuzen. lib. II, cap. 10-13. T. I, p. 37°'39I-Niceph. Greg., lib. IX, c. 10. T. I, p. 438. — Phrant^es, lib. I, c. 8, p. 38. — Jordanus de Severaco, 1. c. p. 63. — Ludolphi a Suchen, Libellus de tenere ad Terram Sanctam (ed. Francof. 1670, fol.), vol. I, p. 822.— Sauli, . c. lib. IV, t. I, p. 241. (2) Notul. di Giorgio di Camogli. — Pand. Rich., fogl. A, fase. 73, c. 4; asc. 74, c. 4. — Notul. di Benvenuto de’ Bracelli. — Pand. Rich., ogl. A, fase. 66, c. 5. (3) Raynaldi, Annal, ad ann. 1337, n. 34. 4) Ibid. ad ann. 1343, n. 9-10; 1344, n. 23; 1345, n. 1. —Clementis apae VI, Epist. secr. Lib. Ili, 963, 969. Lib. IV. 132. (Ducange, 1. c. GIORNALE LIGUSTICO 365 greco-Iranca di cui il mondo non vide la migliore, e ben degno d* essere glorificato come eroe nazionale da Oberto Foglietta negli Elogia clarorum Ligurum (1). Il suo primogenito Bartolomeo lo avea preceduto nella tomba (2) già nel 1334, lasciando un’unica figlia Manilla (nata nel 1333), che mancò ai vivi poco dopo in istato nubile; gli sopravvisse di molti anni la moglie Guilielma di Bodonizza, che sposò in seconde nozze il veneto Nicolò Giorgi. Discendenti spuri di Bartolomeo viveano in Negroponte ancora nel 1463 (3). Il secondo figlio di Martino, Centurione, che s’ era anch’ esso unito alla Crociata di Smirne (4), ereditò i possessi del padre in Morea, ed ebbe suo soggiorno principale in Pera, dove firmò come primo dei testimoni latini il trattato conchiuso nel 1352 fra la Repubblica di Genova e l’imperatore Giovanni Canta-cuzeno (5). Suo nipote, Centurione li Zaccaria, figlio di Asano, ascese nel 1404 il trono di Morea; e morì nel 1432, ultimo principe occidentale della penisola. Scio rimase sotto il dominio greco dal 1329 sino al 1346; ed era, durante questo tratto di tempo, una delle stazioni principali, donde la flotta bizantina dava la caccia ai corsari toni. II, p. 229). — Cantacui. lib. Ili, c. 95. T. II, p. 582. — Georg. Stellae, Annales. Murat. XVII, 1080. — Guìl. et Alhrigbetti Cortusiorum Historiae, Murat. XII, 914. — Caresini, Murat. XII, 417. — Navagero XII, 1031. — Matt. Villani lib. I, c. 25. — Istorie Pistoiesi, Prato 1835 8.” p. 448. — Oberto Foglietta, 1. c. p. 441. (1) Graevii, Thes. T. I, p. II, p. 797. — Serra, 1. c. t. II, p. 513. (2) Cod. Trevisaneus, n. CCLXIV, fol. 442 a.; — Exempl. Contarin. Tom. I, fol. 748 a. — Carte Molin., Cod. Marcian. Ital. Cl. X, 181, fol. 338 a. (3) M. Barbaro Nozze. Cod. Marc. Cl. VII, 156, fol. 126 a. (4) Histoire du Dauphiné (Genève 1721, fol.). Tom. II. Preuves, η. CCXXII. (5) La data della convenzione è il 6 di maggio. — Liber Jurium Jan. B, fol. 330; ed. Ricotti, tom. II, n. 203, p. 606. — Sauli, 1. c. toni. II, doc. ir. 366 GIORNALE LIGUSTICO Turchi (i). La fesse dapprima Leone Calotete, nominato governatore (1329) in premio dei suoi servizi; ma caduto in disgrazia dell’ allora onnipotente granduca Alessio Apocnuco, gli fu sostituito Joannes Kybos (2) (Calojanni Cibo), ricco primate di Scio, sotto la cui amministrazione i Genovesi tentarono di nuovo la conquista dell’isola e riuscirono ad assoggettarla al loro dominio (3). Al pari di Scio, anche Focea era stata riconquistata dai Greci e subordinata ad un Megadula bizantino, col quale i Veneziani ebbero nel 1345 molte e fastidiose contese in causa della riscossione di dazi illegittimi (4). \ (1) Cantacu^., lib. II, cap. 38, lib. Ili, cap. 29. tom. I, 540, t. II, p. 184. — Gregor., lib. XIV, c. 4, t. II, p. 702. — Ducas. c. 7, p. 27. — Notul. di Giov. Gerardo, nell’ Archivio Notarile di Candia. Atto del 24 die. 1341. (2) Append. ad Oh. Folietae Histor., p. 743. (3) Fonti principali per la storia di Scio dopo il 1346 sono le Conventiones insulae Chii inter commune Janue et Justinianos. — Potei giovarmi di- due mss. diversi, 1’ uno in tre voi. in 4.0, in Genova presso il marchese Pantaleo Giustiniani, che sarà citato come Cod. Giust. I—III ; — il secondo, un voi. in 4.0, nella Biblioteca del principe Luigi Barbiano di Beigioioso (Cod. Belg.) e già posseduto dal Federici.— Una copia incompleta si trova presso il principe Leonardo Giustiniani a Roma ; e un’ altra era, verso lo scorcio del secolo XVIII, nelle mani d’ un avventuriere a Got-tinga. — Pochi sono i documenti editi di questi codici, e si trovano in Pagano, nella « Scio Sacra », e nel vol. II del Lib. Jur. Jan. (4) Misti, T. XXII, fol. 124 a., t. XXIII, fol. 186, 51 a. — Carte Molin, Cod. Marc. Ital. Cl. XIV, 40. T. IV, p. 70. GIORNALE LIGUSTICO 367 Secondo Capitolo. Genova nel 1346. — Minacce dei fuorusciti. — Le casse pubbliche essendo vuote, ventinove cittadini privati armano a proprie spese una flotta , salvo il rimborso. — Simone Vignoso scaccia i fuorusciti e conquista Scio e Focea. — Il Governo non potendo rimborsare agli armatori le spese , concede loro il dominio utile di Scio e Focea. — Costituzione della Maona vecchia. — Il Vignosi respinge una invasione dei Greci. — Ritoglie loro Focea Nuova. — Guerra con Venezia. — Costituzione della Maona nuova, che subentra alla vecchia. — I Mao-nesi assumono il nome di Giustiniani. — Gesta di Pietro Recanelli. — Nuove convenzioni tra il Governo e la Maona. — I Turchi prendono Samo e le due Focee: la Maona è ridotta a pagar loro un tributo.— Caduto il Governo popolare in Genova, i Maonesi tentano farsi indi-pendenti dalla madre patria; ma sono ridotti all’ obbedienza da Corrado D’ Oria — Sconfiggono una squadra catalana. — Il Governo si fa prorogare più volte (1413, 1436, 1507) il termine della convenzione con la Maona. —Nel 1525 le cede in perpetuo il dominio utile di Scio e Focea. — I Giustiniani devon crescere il tributo al Turco e fare omaggio a Maometto I. — Focea sotto Giovanni Adorno e Percivalle Pallavicini. — Scio assediata da una flotta veneta. — Gesta di Cipriano Spinola. — Le minacce e vessazioni turche vanno ingrossando, segnatamente negli anni 1470, 1472, 1473, i47$> 1477. — La Maona abbandona Samo, Nicaria e Co. — L’ isola di Scio devastata da uno sbarco Turco. Minacce di altri sbarchi. — La Maona sollecita i buoni uffìzi degli agenti diplomatici francesi in Oriente. — Viene tradita e rinnegata dalla madre patria. — P-ialì con 80 galee turche (1576) s’ impadronisce di Scio. — I Giustiniani condotti prigioni a Costantinopoli. — I 18 martiri. — Il Governo genovese sordo ai reclami dei Maonesi. — Scio sotto i Turchi. Nel corso delle lotte secolari e sanguinose che laceravano la Repubblica di Genova, uno stuolo di fuorusciti s’ era annidato nel 1331 in Roccabruna e Monaco, castelli dei Grimaldi, in lega coi quali cominciarono nel 1345 ad allestire un esercito di 10,000 uomini ed una flotta di 30 galee. A tale avviso, il .doge Giovanni da Murta nominò incontanente quattro ufficiali che provvedessero alla difesa della città : Giovanni Tarigo, Domenico Garibaldi, Pasquale di For-neto, e Tommaso Morando di Levanto. Il tesoro pubblico trovandosi vuoto, il Parlamento deliberò di fare armare a spese di privati 25 e più galee : la Repubblica s’obbligherebbe a compensare agli armatori tutte le spese e i danni eventuali, offrendo in sicurtà il prodotto dell’ appalto di varii dazi dell’ ammontare di lire 20,000, col patto addizionale che gli armatori, finché non fossero del tutto risarciti, avessero 368 GIORNALE LIGUSTICO a rimanere in possesso di tutte le eventuali conquiste da farsi nel corso della guerra. Aperto il concorso, si presentarono quarantaquattro « probi viri », sette nobili e trentasette popolani, che si dichiararono pronti ad armare una galea ciascuno ; ma quando i quattro provveditori chiesero che gli armatori depositassero lire 400 ciascuno, per sicurtà d’ adempimento da parte loro , quindici dei quarantaquattro diedero indietro. I rimanenti ventinove armarono altrettante galee (1), delle quali fu nominato ammiraglio, li 19 gennaio 1346, il prode popolano Simone Fi-gnosi (2), anch’ esso uno dei ventinove. Li 22 del mese medesimo, il Doge gli porse con grande solennità lo stendardo della città in piazza di S. Lorenzo; e tre mesi dopo (li 24 d’ aprile) egli salpò alla testa di un esercito di 6000 uomini, e circondato da una splendida comitiva. I fuorusciti in Monaco, colti all’ impensata, fuggirono a Marsiglia; ed entrati più tardi al servizio della Francia nella guerra contro gl’ Inglesi, molti trovarono la morte nella battaglia di Crecy. Scacciati i ribelli senza colpo ferire, il Vignosi tornò a Genova, annunziò la loro fuga, e partì di nuovo li 3 di maggio per proteggere le colonie genovesi in Crimea contro (1) Erano i tre nobili Cosma Saivago, Filippone Alpane e Lodisio Panzano. I popolari erano, oltre il Vignosi, Lanfranco Drizxacorne, Guglielmo Arangio, facopo Morando di Savona (i quali tre accompagnavano l’ammiraglio come consiglieri), Guglielmo de’ Solari di Varazze, Nicolò Tarigo, Matteo Babo di Savona, Francesco di Coronato, Nicolò Cicogna, Francesco Gattegario, Pietro Norasco, Andriolo Pesario, Andriolo di Setta, Ansaldo Oliverio, Ampegio Camello, Leonardo de Comasca, Federigo Osbergerio, Jacopo de Olivo, Antonio de Viviano, Tommaso degli Illioni, Raffo de Piscina , Lodisio Perrone, Agostino di Bennato , Melia-duce Adorno , Giovanni di Setta e Luchino di Goano. Li accompagnò come cancelliere il notaio Pellegrino Bracelli. (2) Suo elogio, con un epigramma intitolatogli da Battista Guarina, in Folieta Elogia, 1. c. p. 781. GIORNALE LIGUSTICO 369 i Mongoli. Strada facendo, mandò a guasto Terracina e Trajetto soggette al conte Nicolò Gaetani di Fondi, nemico della Repubblica, e intimorì nella sua capitale la regina di Napoli. Li 8 giugno prese terra nel porto di Negroponte, dove s’imbattè in ventisei galee di Veneziani e Rodesi, comandate dal Delfino Umberto II, che eran sulle mosse di tentare la conquista di Scio. Il Vignosi, appena informato del loro disegno, protestò: l’isola, al pari di Focea, essere proprietà genovese e venuta in potere dei Greci solo per vii tradimento; essere quindi sua . 1’ impresa, e 1’ opera della vendetta. Invano Umberto lo invitò ad unirsi a lui, offrendogli un donativo annuo di 10,000 monete d’ oro, e promettendo per gli altri armatori 30,000 fiorini d’ oro in contanti e gioie. Gli ruppe i sonni il pensiero che 1’ isola potesse andare in mano ai Veneziani, e lasciò il porto in tutta fretta veleggiando dritto per Scio, dove diede fondo li 15 giugno. Lo avevano preceduto tre sue galee, incaricate di dare avviso a Kybos del disegno di Umberto e di offrirgli 1’ aiuto della flotta genovese, a patto che inalberasse sul castello la bandiera della Repubblica e vi accogliesse dodici o quindici genovesi come « clienti » : chè se mai tal cosa dispiacesse all’ imperatrice Anna di Costantinopoli, si troverebbe il modo di appianare ogni difficoltà. Kybos ed i primati di Scio accolsero 1’ offerta con ischerni : « non avere essi bisogno d’ aiuto, sentirsi da tanto da tenere a segno anche cento salee genovesi 0 altre che fossero ». — Alla o o quale risposta fu poi conforme l’accoglienza fatta a Simone, la cui flotta venne ricevuta col grido « abbasso i Genovesi », accompagnato da una pioggia di freccie, giavellotti e sassi. Inasprito dalla baldanza , Simone giurò di non partirsi che dopo avere assoggettata 1’ isola intiera. L’indomani 16 giugno — era un venerdì — egli cominciò subito ad investire la capitale dalla parte di terra e di mare; e 370 GIORNALE LIGUSTICO dopo una lunga ed accanita lotta, in cui furono feriti 500 degli assalitori, I3. pertinacia dei Genovesi sforzò la città ancor prima che fosse tramontato il sole. — Nei giorni susseguenti occuparono essi tutta la contrada del mastice e sei castelli vicini, tra cui Cardamile, Valisso e Lo Petio. Il giorno 21, Kybos era già ridotto alla sola Acropoli di Scio, nella quale s’era trincerato. Il Vignosi le alzò di contro un’ alta muraglia munita di torri e feritoie, e serrò l’ingresso del porto sino alla chiesa di S. Isidoro con una catena lunga 1800 braccia (1). Kybos . sostenne il blocco tre mesi; ma finalmente la fame lo costrinse ad arrendersi. La capitolazione fu firmata li 12 settembre, nella chiesa di S. Nicolò, dal Vignosi, dagli altri capi della flotta e da Costantino di Scio procuratore di Kybos (2). Il quale ultimo, intento anzitutto a provvedere agli interessi suoi e dei prossimi congiunti, giurò fedeltà ed obbedienza alla Repubblica, ed ebbe in ricambio amnistia piena per i fatti del 1329, la cittadinanza genovese sotto il nome di « Giovanni Cibo », la conferma dei suoi beni e dei privilegi (1) Atto del 26 febbr. 1347. — Georg. Stella, lib. II, Murat. XVII, 1086-1090. — Agost. Giust. lib. IV, fol. CXXXII b. CXXXIV b. — P. Interiano lib. IV, fol. 1076-1086. — Oh. Folieta lib. VII, p. 444*447· P. Bi\ar. lib. VI, p. 129-131. — Ant. Roccatagliata. Storia di Genova, ras. nell Archivio genovese di Stato ad ann. 1346. — Istorie Pistoiesi p. 454. — Giov. Villani (ed. Dragomanni) Fir. 1845-8. Tom. IV, lib. XII, cap. 70. — Cantacu\. 1. Ili, c. 95, T. II, p. 582-584; Idem. lib. IV, C. II, T. III, p. 68. — Niceph. Greg. I. XV, c. 6, T. II, p. 765-767. — Ducas. c· 2, p. 14. — Epirotica. P. I, p. 207. — Chalcocon. Ducas. 1. X, P· 524· — Serra. T. II, p. 321. — Sauli. 1. IV, V, T. I, p. 288; T. II, p. 28 e seg· — Anche Nicaria e Samo s’ assoggettarono tosto dopo al Vignosi. Coronelle Descrizione di Rodi, Venezia 1697-12, p. 359-^61. — Boschmi, L’arcipelago venez. 1658 4, p. 72. — Dapper, Naukeurige Beschryving der Eilanden inde Archipel (Descrizione curiosa delle isole dell’Arcipe-tago). Amst. 1688, fol. p. 85-86, 234. (2) Cod. Giust. T. I, fol. i a. b. — Cod. Belg. fol. 216 b. 219 b. — Pagano 1. c. p. 261-262. GIORNALE LIGUSTICO 37r concedutigli dall’imperatore, e l’immunità da tutte le tasse dirette per sè stesso, suo fratello Costa e suo nipote Michele Coresi. Inoltre, gli sarebbero pagati nel corso di tre anni 7000 perperi in tre rate; ed il monastero di S. Maria presso la torre Sicilia, soggetto al patronato del Cibo, conser-\rerebbe le sue entrate. Preso possesso del castello, Simone promise di difendere 1 isola contro l’imperatore; gli abitanti, d’ora innanzi, retti da un podestà genovese e secondo le leggi della Repubblica, sarebbero sicuri delle loro persone e dei loro averi, ed eserciterebbero liberamente il loro culto religioso; i nobili continuerebbero a godere dei loro privilegi e crisobulli. Quanto alle case destinate nella città ad abitazione del podestà e del suo seguito, si addiverrebbe ad un amichevole accordo, sia pigliandole in pigione, sia comprandole, avanti il i.° maggio 1347.— Delle case nel castello se ne occuparono subito 200, per potervi collocare un sufficiente presidio (1). Mite verso i vinti, il Vignosi manteneva tra i suoi una disciplina ferrea; e gli Scioti ebbero ben presto occasione di apprezzare 1’ inesorabile rigore, con cui attendeva a far rispettare.la loro proprietà ed a proteggerli contro ogni sopruso. Avendo egli proibito ai suoi, sotto pena di frusta, di entrare negli orti e vigneti, gli venne un giorno denunziato come trasgressore del divieto il proprio figlio Francesco. Genovesi e Scioti invocarono la sua clemenza, allegando la giovinezza dell’ offensore. Invano : importargli più, rispose, la giustizia del capitano che non la tenerezza del padre ; ed ordinò che il giovinetto, cinto il collo dell'’ uva rubata, fosse frustato in pubblico. Nè pago di tale esempio di austerità romana, Simone lasciò più tardi agli Scioti un legato di 500 (1) Cod. Giust. T. 1, fol. 2 a - 4 b. T. II, fol. 159 a -163 b. — Cod. Belg. fol. 205 a. 209 a. — Pagano p. 262-266. 372 GIORNALE LIGUSTICO ducati da erogarsi in doti di povere fanciulle , volendo che giovassero in qualche modo a compensare il danno da lui per avventura recato agli isolani. Lasciato un presidio nel castello, Simone mise, li 16 settembre, alla vela per Focea Vecchia, dove diede fondò la sera del 17. Respinta l’intimazione della resa dagli abitanti, lusingati dalla speranza di essere liberati da un corpo Turco che s5 avvicinava, i Genovesi con la consueta prontezza diedero 1’ assalto subito l’indomani, ruppero le mura ed espugnarono il castello dopo quattro ore di lotta. Indi mossero per Focea Nuova, residenza di Leone Petronas di Ninfeo, sin dal 13 3 ^ luogotenente imperiale delle due città. Avversato dalla popolazione, gli giovarono poco i suoi mercenari Turchi; e dovè rendersi li 20 settembre (1). La capitolazione faceva agli abitanti le identiche condizioni proposte agli Scioti; e disponeva in un articolo addizionale, che nessun membro delle antiche dinastie degli Zaccaria e de’ Cattanei potesse possedervi beni nè occupare cariche pubbliche. Lasciato Giovanni Cibo, Γex-governatore di Scio, in Focea vecchia come comandante genovese, il Vignosi stava per accingersi alla conquista di Tenedo e Lesbo; ma Γ impresa gli venne attraversata dall’ opposizione delle sue ciurme, e dall avviso che Scio era minacciata da una squadriglia imperiale condotta dal Facciolati. V’accorse: sbaragliò i Greci, non senza perdita; e ordinata ancora qualche disposizione per la sicurezza delle conquiste, tornò li 9 novembre a Genova, dove il popolo radunato sul molo lo accolse con grande giubilo. Le casse pubbliche essendo sempre vuote, il Governo non potè soddisfare all’ obbligo assuntosi di rimborsare al Vignosi ed a’ suoi soci le spese dell’ armamento, che ammontavano (1) Secondo lo Stella li 24 sett.; ma la vera data è il 20, secondo 1 atto di capitolazione in Cod. Giust. T. I, fol. 177-179 b· T. II, fol· a· J74 b. — Cod. Belg. fol. 216 b-219 a. — Pagano p. 266-270. _ GIORNALE LIGUSTICO 3 73 a lire 203,000. Per uscire dall’impiccio, si addivenne finalmente li 26 febbraio 1347 ad un compromesso del tenore seguente (1): La Repubblica avrebbe il dominio eminente di Scio e Focea, con la giurisdizione suprema civile e criminale da esercitarsi mediante podestà e castellani; il diritto di presidiare i castelli, e Γ obbligo di assumere la difesa militare delle nuove conquiste. Ai ventinove armatori (Mahonenses — ecco la prima comparsa del nome Maona (2)) spetterebbe il dominio utile, sopratutto la riscossione dellle imposte dirette ed indirette, ed il monopolio del mastice. A loro carico sarebbero le eventuali spese di guerra. La Repubblica estinguerebbe entro vent’ anni il debito di lire 203,000, riacquistando col fatto del rimborso il dominio utile. Qualora lasciasse trascorrere il termine prefisso, conserverebbe solo il dominio eminente. D’ altronde i Maonesi continuerebbero a riscuotere il prodotto delle gabelle genovesi avute in pegno nel 1346. La convenzione sarebbe valida solo durando in Genova il Governo della parte popolare; se la città mutasse stato, i soci sarebbero sciolti da ogni vincolo di soggezione. ( Continua). (1) Cod. Giust. tom. I, fol. 5 a - 15 b; T. II, fol. 1 a - 14 b. — Cod. Belg. fol. i a-17b. — Lib. Jur. Jan. fol. 327, 368; ed. Ricotti, t. II, n. 193, P- 5 58 571 e n. 397 p. 1498-1512. —Pagano p. 271-285.— Stellai, c. — Oh. Folieta, 1. X, p. 582. (2) In altra nota verranno esposte le.varie opinioni sull’origine del nome, che fu anche adottato da altre società genovesi stabilite in Cipro ed in Corsica. # 374 GIORNALE LIGUSTICO VARIETÀ IL BILANCIO DELLA REPUBBLICA DI GENOVA nel 1541 (i). I. — ENTRATE L’ ordinario del Magnifico Ufficio, principiato questo anno de 541 ......... L’ avarie delle riviere....... Redito della cabella del vino di Savona Rediti di là del Giogo: Gavi . . . L. 3500 ) Novi . » 2700 ; . Ovada . . . » 800 ) Rediti di Godano e Brugnato . Il Censo della vena del ferro . Il fisco cosi della città, come riviere, carculato uno ; per l’altro . ....... II. — SORTITE li salario dell’ Illustrissimo Duce .... Salari de’ VIII Signori Governatori . » » XI Procuratori..... Salario del Magnifico Podestà .... » Vicario . . .... » Giudice ...... » del Procuratore fiscale degli auditori di Rota dei cancellieri dell’ Illustrissima Signoria. » sotto cancellieri..... » cancellieri dei Magnifici Procuratori . » tragieta..... » sei cavalieri..... » de’ doi Massari..... del Capitano della Scala, dei quattro custodi delle porte della Città del Custode del liuto de guardia _. » fabricator de carte da navegare Da riportare· L. 50,000 » 24,000 )) 4,5°° » 7,000 > )) 200 » 3,000 » 3,000 L. 91,708 L. 4,000 » 8,000 » 3,700 » 1.950 » 600 » 500 » 400 » 7,000 » 1,448 » 152 1,440 » 863 » 1,200 » 270 » 230 » 522 » 100 » 100 L. 32,475 (1) Dobbiamo la comunicazione di questo notevole documento alia cortesia deli egregio amie nostro, sig. cav. Antonio Gavazzo, console generale dell’ Uruguay. GIORNALE LIGUSTICO 375 Riporto L. 32,475 Salario de 1’ Ufficio delle bollette ...... 120 » del Conservator delli orologi.....» 100 » » del lume de la torre del Molo . » 48 8 * Custode del Darsenale.....» 180 Stipendio della piazza, calculati fanti 340 fra soldati ufficiali e bombardieri, e qualche pagemorte .... » 54,680 Baricelli 4 con uomini 34.......„ 3,144 Salario della custodia del Castellalo, il castellano con due uomini » 354 Salario della bastida de Promontorio, il castellano con due uomini..........» 354 Salario della Bastida de Per aldo......» 100 » » guardia del Castello di Gavi, con compagni XVII » di quel di Nove con uomini XI. . . » 1,890 » di quel di Uva da con quattro uomini . . » 1,890 » di quel di Savona con dodici uomini . » 1,920 » del sonar la campana grossa.....» 21 » della messa quotidiana in Palazzo .... » 36 » del lector pubblico e scrittor degli annali. » 250 » » notaro de Magnifici Supremi 1. 50 ed il messo 1.36 » 86 » » custode delle munitioni......» 260 » » scrittor delle cose pubbliche in bona lictera. . » 69 Salari dei capitani di Chiavari e Speza di L. 1500, quali si hanno da dedurre da 1’ ordinario . , . . » 1,500 Ricompensa si fa alla cabella del vino per il consumo de Palazzo. .... ..... Li sei musici ......... La spesa di Natale col confoco...... Le custodie di Arenzano, Portofino, e Manara e Crovo Spese per bisogno di Palazzo...... Consumo di cera, computate quelle delle processioni . » de la cancelleria de libri, paperi et altre cose [. Sortite L. 103,809 ilicognizione e conferma del feudo di Genova e di Savona al Duca di Milano, fatta dal re Carlo Vili di Francia il 25 di maggio 1491 (1). Ratifficatio Cristianissimi Regis Francorum eorum que per magnificos eius oratores confecta fuerunt circa recognitionem feudi status Genue et Savane ad illustrissimum et excellentissimum dominum Ducem Mediolani. Charles par la grâce de Dieu Roy de France. A tous ceux qui ces présentes verront, salut! Comme en faveur et à la requeste de nostre tres- (1) Questo documeuto, del quale dobbiamo copia alla ben nota liberalità e cortesia dell’illustre signor conte Riant, si legge in un volume della Biblioteca Nazionale di Parigi (Collect. Dupuy, cod. 453, fol. 135). 376 GIORNALE LIGUSTICO cher et tresamé cousin Jean Galeaz Marie Sforce duc de Milan, nous, pour de plus en plus demonstrer nostre bienveillance, Iuy eussions clairement et naguières envoye nos ambassadeurs, c’est assavoir noz amez et feaulx conseillers Beranti Stuard chevalier, nostre chambelan ordinaire, et Charles de La Vernade aussy chevalier, maistre des requestes de nostre hostel, et en leur compagnie Jean Rouy de Visques, des Cointes, de Sainct Martin, chevalier, nostre chambelan, maistres Théodore de Pavie nostre conseiller et medecin ordinaire, et Jacques Dondieu nostre secrétaire, afin de requerir nostredit cousin a nous faire les fed, foy, hommage, lige et serement de fidélité des citez, seigneuries et territoires de Gennes et Savonne et leurs apartenances et dépendances quelconques, sauf et retenu à nous en tout et par tout la directe seigneurie; et à ceste cause eussions donné a nosdits ambassadeurs plein et entier pouvoir, faculté, autorité et mandement especial par ïioz lettres patentes dont la teneur s’ensuy etc. Et il soit que nostredit cousin le Duc de Milan, par l’advis et conseiel_ de nostre trèscher et trèsamé cousin Ludovic Marie Sforce de Bar, son oncle et gouverneur, nous ayt faict lesdits fied, foy et hommage lige et serement de fidélité ès mains et aux personnes de nostredit ambassadeurs qui les ont de luy receus pour et en nom de nous, ainsy qu’il apartient et comme plus applain est contenu es lettres patentes publicques et auten-ticques sur ce espediées audit Millan en ce present an le XI your d’ap-vril après Pasques; au moyen desquelz fied, foy et hommage lige et serement de fidélité nostredit cousin le Duc de Milan e'st entenu de avoir et traicter nos amis pour amis et noz ennemys pour ennemis, et de faire paix et guerre a nosdits ennemis toutes les fois que bon nous semblera, ainsi que adviserons estre pour le mieulx ; scavoir faisons que nous cognoissant le tresgrand et tressingulier désir que nostre cousin le Duc de Milan et aussy nostredit cousin le Duc de Bar, son oncle et gouverneur, ont de nous faire tous services et plaisirs à eulx possibles, nous, ensuivant les investitures faictes par nostredit feu seigneur et pere, que Dieu absoille, aux progeniteurs de nostredit cousin le Duc de Milan et a luy, et selon la forme d’icelles investitures, avons agrée, aprouvée et ra-tiffié , et présentement agréons, ratifiions et aprouvons entièrement ce qui a esté faict par nos dits ambassadeurs touchant la reception desdits fied, foy et hommage et serement de fidélité ; et volons que lesdits fied , foy et hommage lige serement de fidélité ainsy à nous faict en nostre absence par nostredit cousin le Duc de Milan és mains et aux personnes desdits ambassadeurs, touchant lesdits citez, seigneurie, territoires dé A J GIORNALE LIGUSTICO 377 Gennes et de Savonne et leurs appartenances, soient du valeur et effect que sy nous mesmes l’en avions pris et receuz en personne. Promettans pour nous et nos hoirs garder et entretenir ceste presente ratiffication. En tesmoing desquelles choses nous avons signées ces présentes de nostre main, et à icelles faict mettre nostre scel. Donné aux Montilz les Tours, le vingtcinquiesme jour de Ma)', lan de grâce mil quatre cens quatre vingtz unze, et de nostre regne le huictiesme.. Charles. Par le Roy Le Comte de Montpensier. Vous les sires d’Albret, de Lesparre, de Miolans, du Bouschaige, d’Aubigny, de Lislegrant, maistre des caues et forestz de France, et De Grimault senechal de Beaucaire et autres prèsens. Robert. ANNUNZI BIBLIOGRAFICI La Lucciola, antico canto popolare genovese.— Vicenza, Paroni 1881 (Nozze Piovene-Malvezzi). Al Signor F. M. « ricercando alcuni rapporti linguistici fra i nostri dialetti italici Scadde sott’ occhio un antico canto popolare in dialetto genovese, che risale al millequattrocento, indirizzato alla Lucciola », e lo pubblicò in occasione^di nozze. Peccato che l’editore non ci dia contezza del codice donde l’ha tratto, e delle ragioni che lo consigliarono ad assegnarlo al secolo XV ; perchè noi avremmo subito accusato di furto letterario Gian Giacomo Cavalli, notissimo poeta vernacolo del Seicento, nella Chittara Zeneixe del quale trovasi stampato. Questa graziosa anacreontica viene oggi riprodotta con un’ ortografia al tutto sbagliata ; alla vocale 0 si sostituisce sempre I’m, come ad es.: umù (humò), ru (ro), amii (amò),'"viaggili, giujellu, aneliti, furnu, giurnu, ecc. ; è scritto chellu invece di quello; foga, Idgu, notte invece di léugu, féugu, néutte; aspira, stizza, invece di aspissa, stissa. L’ ultima strofa poi, nel modo che è stampata, non ha senso. Ecco cosa dice il poeta: ■ Figatella Ferma, aspissa Un-na stissa A ra tò ra mae faxella ; Perchè a luxe , Ma no bruxe , A ra crua chi ha tanta sae Dro mae mà , e no ro crae. * 37§ GIORNALE LIGUSTICO L’editore recente mette punto a bruxe, e dopo un poco di spazio gli ultimi due versi così conciati : A ra coüa chi ha tanta sae Dru mae mà , e nu ru crae. E fa una nota alla parola Dru, che dice: « Voce antica del dialetto genovese ». Dopo ciò mi pare inutile, rilevare le inesattezze di una sua traduzione italiana, che l’editore, non so con quanta opportunis, vi ha messa a fronte. Bibliografìa Ariostesca del Prof. Comm. Giuseppe Jacopo Ferraci.— Bas-sano, Pozzato 1881. « Con questo volume pongo fine all’ illustrazione de’ quattro maggiori poeti italiani ». Così dice il Ferrazzi, mettendo fuori il libro annunziato; e gli studiosi italiani debbono sapergli grado della fatica non lieve durata nel condurre a fine un’ opera tanto utile. Quest’ultimo lavoro non giunge per importanza a pareggiare gli antecedenti ; e se non farà paghi pienamente i desideri degli eruditi, non si deve però giudicare privo di merito. Forse l’autore fu preso da sconforto sopra lavoro, come si può argomentare dalla prefazione, ed ognun sa che sì fatto sentimento vince ogni maggior buon volere ; da ciò i difetti , le omissioni, le incertezze , non tali tuttavia da rèndere meno laudabile il volume. Duole bensì il sentire come a lui mancassero i « conforti materiali », specialmente pel suo Tasso, eh’ebbe pur tante lodi meritate; e duole assai più, perchè gli è tolto l’animo di porsi ad una nuova edizione del Manuale Dantesco, condotta secondo i consigli e gli intendimenti dei dotti. Se non che noi crediamo, che ove si ponesse al-1’ opera, non gli mancherebbero sovvenimenti e conforti. Table d’Hóte, di Partecipalo. — Genova , Sordo-muti. È un grazioso ed elegante volumetto, nel quale 1’ autore ha adunati racconti, novelle, schizzi, bozzetti, ecc. ecc. Egli dichiara che unica sua intenzione fu quella di presentare « al lettore un libro che gli servisse per passare un’ oretta senza affaticarsi lo spirito » e « senza amareggiarsi il cuore » ; un libro insomma, « che non disturbasse la digestione e conciliasse magari il sonno ». Il Sig. Parteciparlo potrà sempre vantarsi della prima cosa; quanto alla seconda, mettiamo pegno che non v’ è proprio riuscito. — Costa L.it. 2. Pasquale Fazio. Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 379 SAVERIO BETTINELLI A GENOVA Al nome di questo « satrapone gesuita », come lo chiama il Settembrini, siamo usi torcere il naso , ed un senso di ripugnanza si manifesta nell’ animo nostro. Donde avviene ciò ? Principalmente dal ricordo delle sue troppo celebri Lettere Virgiliane, nelle quali recava ingiuria al padre della nostra letteratura, Dante Alighieri. Eppure un illustre scrittore moderno , il De Sanctis , 'vi trova i primi germi della critica, che sciogliendosi dalle forme rettoriche , si fa nella sua audacia a combattere i pregiudizi e le superstizioni letterarie , trapassando per difetto di giusto criterio, ogni confine (i). L’opera del Bettinelli abbiamo veduto testé ripresa da Giuseppe Ricciardi nelle sue Brutte%%e di Dan tè ; ma come quella cadde incontanente sotto la sferza del Gozzi, questa, che non avendo neppure il merito della novità, mancava pur’ anco di forma spigliata e d’ingegnosa argomentazione , venne sepolta in un disdegnoso oblio. Andrebbe grandemente errato, chi non volesse riconoscere nel Bettinelli ingegno arguto e dottrina non comune, ma certo il grido eh’ ei levò nel secolo scorso fu maggiore del suo merito reale, e si deve in parte attribuire alla sua amicizia col Voltaire, e allo studio di comparire egli pure uno spirito forte. Onde a giudicarne con rettitudine, conviene prendere avvedutamente una via di mezzo fra le smodate lodi del conte Napione, e gli eccessivi biasimi di Camillo Ugoni (2). Basti per noi il riconoscere eh’ ei fu gran parte della letteratura settecentista, e che per la sua aspirazione alla supremazia (1) Storia della Leti. Ital., II, 375. (2) Napione, Vite ed elogi d'illustri ital., Ili, 226. — Ugoni, Letteratura ital., in continuazione al Corniani > I secoli della lett. ital., V, 302 (Torino 1855). Giorn. Ligustico , Anno VII e Vili. 24 380 GIORNALE LIGUSTICO letteraria, e più per la sua longevità, ebbe il dolce conforto di sentirsi celebrare come il Nestore dei letterati italiani. Trovavasi egli a Bologna quando Genova nel 1746 scuoteva il giogo straniero, ed inteso il memorabile avvenimento compose il seguente sonetto: Se Γ antico squalior, donna e reina , Italia un tempo e ancella vii dappoi , Còn nuovi fregi consolar or vuoi Della risorta'in te gloria latina, Qui mirar su la ligure marina Della Marzia città 1’ emula puoi, Qui de’ Camilli e de’ Scipioni tuoi Una verace imagine divina. Nuovo Annibai libera donna assalse, E benché in man n’ avea stretta la chioma, La regai fronte a soggiogar non valse ; Chè mentre della male afflitta e doma Lo spoglio in Capua di goder gli calse, Sentì il poter della seconda Roma. La memoria di questo glorioso fatto venne serbata, anche con medaglie, ed una se ne coniò per ricordare 1 aiuto pie-stato a Genova dalla Francia. In essa oltre la effigie di Luigi XV, si ha la leggenda Genua liberata, che sei ve a curioso riscontro delle superbe parole Genua Emendata e Genua Obsequens, che si leggono nelle medaglie fatte coniate pei casi del 1684 e 1685 del prepotente Luigi XIV (1). Innanzi di recarsi per la prima volta a Genova, il Bettinelli aveva già contratto amicizia con due genovesi alloia in gran fama, il Frugoni e il Granelli che illustrarono la patria, questi a Bologna e a Modena, quegli a Parma; la qual città, quasi a ricordare l’antica fama ond’ebbe nome di Crisopoli, « nei 25 anni dinanzi la rivoluzione ebbe, mercè al (i) Avignone , Medaglie dei Liguri e della Liguria, negli Atti della Soc. Lig. di Stor. Pnt.f Vili, 604, 615. GIORNALE LIGUSTICO 38i Dutillot, la sua piccola età dell’oro, di curiosa fioritura» (1). Non mi fermerò a dire di questa lunga ed amichevole consuetudine , e soltanto accennerò all’ affetto ond’ ei proseguì, ed alla stima in che ebbe il P. Granelli, del quale dettò un bell’ elogio, e poi ne pianse la morte con una poesia indirizzata all’ Imperatrice Regina. Era a Parma nell’ ottobre del 1753 , quando a distrarsi alquanto dagli studi se ne venne a Genova, « per mio sollazzo (coni'’ ei scrive all’ Algarotti) quasi non sapendo dove volgermi ». La lieta accoglienza che vi trovò, e la bellezza della città e dei dintorni tanto lo colpirono, che, eccitatogli 1’ estro poetico, dettò uno sciolto, a mio giudizio, dei suoi migliori. Mandandolo poco dopo all’Algarotti gli diceva: « Fu veramente un’ estasi , che mi prese all’ entrare in quel magno spettacolo di città, fu un’ invasione dell’ estro e del-l’inimico. Non ebbi pace prima d’ aver in furia e fretta sfogato l’impeto prepotente. Fu fatto in tre giorni, parte sul mare, parte per via, é visitando e ricevendo visite, e temerariamente al solito dato fuori. La novità della cosa, Γ amor della patria, qualche buon tratto fece fortuna ». La poesia girò manoscritta per la città, e pare si avesse in animo di stamparla, ma forse noi fu allora per riguardi politici, infatti 1’ autore stesso nella citata lettera pregava 1’ Algarotti a non volerla lasciare uscire dalle sue mani, « poiché ho tutti i miei parenti nelle mani dei nemici di Genova : non vorrei che mi si facesse quelque querelle d’Allemand » (2). Sceso il poeta da Parma per 1’ aspra tortuosa strada che ......in un congiunge Di natura a dispetto il suol Lombardo Col Ligustico mare, (1) Carducci, Lìrici dei sec. i8.° (Barbera, 1S7.1), LXXV. — Masi, Sludi c Ritratti, 225. (2) Algarotti, Opere (Venezia, 1791-94), XIV, 02 , 94. Il poemetto venne però stampato indi a poco in Genova come dice 1’ autore stesso nella nota 20 al Canto I del Giuoco delle cari;. ^82 GIORNALE LIGUSTICO e superata la bocca De Γ estrema pendice, onde la valle Si spalanca di sotto , e tra due gioghi L’ un per l’industre genovese ingegno Colto e ridente, e Γ altro orrido e irsuto, Guida lo sguardo alla marina azzurra, passa in mezzo ai giardini, che circondano i bei palazzi di Polcevera, ed attraversa . . . le marmoree torreggianti moli Onde 1’ Arena che da Piero ha nome , Alteramente al ciel leva la fronte, E nel soggetto mar tutta si specchia. Ammirata quindi ...... l’aerea torre Cara agli erranti marinai la notte, ecco che al suo sguardo si presenta, così improvvisamente come inaspettata scena all5 alzarsi della tela, . . . . . la maestosa immensa Città, che al mar le sponde, e il dorso ai monti Occupa tutta, e tutta a cerchio adorna ; e P occhio dapprima abbagliato e confuso da tanta bellezza, scorre a poco a poco riguardando partitamente e il mare e le torri e le chiese, e « l’ampie girevol mura triplicate », e le fortificazioni ; finalmente raccogliendosi in tanta vaghezza vede come . . :......bell’ intreccio fanno Col tremular de le frondose cime , Col torreggiar de l’appuntate moli, Lo sventolar de le velate antenne. giornale ligustico 383 Quand ecco gli si /a innanzi il Commercio, che, d’aspetto benigno e liberale , Su ’l mar porgeva un piè, 1’ altro sul lido; Cedri odorati , ed auree spiche ed uve Stringea ne 1’ una man , 1’ oro ne 1’ altra. Venuto da lidi stranieri, quivi fermò sua dimora, e ben presto per mezzo del suo potere fece cambiare aspetto alla inospita terra, e volle che fosse la sua reggia ed il suo trono, Ove in regale maestade assiso Con la Giustizia à un lato , e con 1’ antica Itala vera Nobiltade a 1’ altro , A la terra ed al mar leggi dispensa. Eccitò i cittadini alle magnanime imprese nei lontani mari, fece rifiorire Γ agricoltura, e sorgere le arti ; onde e tele e marmi e templi e palazzi adornano con stile nuovo ed antico la superba ligure donna. Ma egli vuol mostrare al poeta i monumenti illustri del suo potere , e lo conduce al porto, dove ferve il moto e la vita nello avvicendarsi di navigli e di gente : Altri approdar, altri incontrarli vedi, Quai vele ammainar , quai trarre antenne, E gettar funi, ed afferrarsi anella ; S’ affolla ai bordi il passeggero, e 1’ asse, Tragitto al piè, distendesi, nel mentre Che 1’ àncora lanciata il fondo morde, E ne 1’ arena si conficca e sta. Sul marmoreo Ponte Reale formicola la turba ; Chi va, chi vien, chi carica, chi porta, Di nautico clamor, di lieti viva L’ un molo e l’altro ed ogni riva echeggia. 384 GIORNALE LIGUSTICO Di qui si spargono per le vie , onde pare che la citta acquisti novella vita. Lo guida quindi al Porto Franco , A le cui soglie Provvidenza e Fede Son sempre assise ; quivi sono raccolte le diverse merci in gran copia : Profumar senti americane droghe, Senti sulfurea vaporar mistura ; Erbe mediche qui, là colorate Polveri e terre, ivi di guscio armate , Qua di buccia vestite estranie ghiande D’indistinti odor mille esalo fanno. E poi biade, grani, metalli, drappi, vini, pelli, e il tabacco tanto caro al poeta, il quale deliba in passando a larghe nari la fragranza dell’ alma Siviglia. Ma il Commercio lo invita ad alzare gli occhi, ed ei ravvisa l’immagine di S. Giorgo a tergo del celebre Palazzo, salvato fino a qui dalla inconsulta rabbia distruttrice degli ignavi. Il venerando monumento antico Riconosco ed onoro, a cui cotanta Parte di sue sostanze Europa affida ; Di mille genti e di speranze mille Sacrato erario, aperta ara, ed asilo Inviolabil sempre. E prendendo di qui argomento a ricordare le glorie antiche , e la grande - scoperta di Colombo, non si maraviglia se ognora nel cuore dei figli di quei grandi, splendono vive le scintille del ligure valore, ......a far sicura fede Che l’antica virtù non è ancor morta. GIORNALE LIGUSTICO 385 Ciò apparve manifesto di recente quando un nembo alem-manno, L’ estremo fato, e servitude, e morte Facea presente a la città commossa ; L’ orror frattanto passeggiava in lei Per le solinghe , taciturne vie, Seco lo sdegno che mordeasi il dito, E il rabbuffato disperar-venia. Allora narra la fama che ......surse dal marmo antico L’ombra del maggior Doria, e per man presa La patria libertà eh’ ei pose in trono , A lenti passi la guidò d’ intorno , E lei mostrando squallida e turbata Al popol fido , ai Cavalieri invitti, Il mal sopito ardor destò nell’ alme O di salvarla o di perir con lei. et Onde infiammati da nuova virtù, molti cittadini fecero olocausto della vita alla patria libertà. E ci avvisiamo che in questa opportunità , accompagnato da Giuseppe Doria (poi doge nel 1793 e che fondò l’opera pia di S. Giuseppe e largì un’ ingente somma all’ ospedale) visitasse le tombe dei Doria in S. Matteo, e vi trasse forse 1’ ispirazione al bello ed immaginoso ricordo del grande Andrea innanzi riferito ; del che ci porge argomento il seguente sonetto indiritto appunto al marchese Giuseppe : Signor , che sceso a venerar sei meco Del tuo grand’ avo 1’ onorata spoglia , Entro la sacra, inaccessibil soglia « Di taciturno sotterraneo speco , Giano te prega , che da 1’ aer cieco Alfin 1’ amato suo padre ritoglia , E ai guardi offrir de la sua patria il voglia, Che ancor tra 1’ ombre eterna vive seco ; 386 GIORNALE LIGUSTICO Tal che se ostil furor, se inique e crude Genti a ferirle il sen tornino mai, S’ apra agli occhi d’ ognun 1’ urna che il chiude, E il patrio amor, che tre secoli ornai Il muto cener guarda, e 1’ ossa ignude, Sorger dal marmo e trionfar vedrai. Anche un altro poeta, il marchese Spolverini, al ricordo del fatto glorioso del I746*sentì infiammarsi l’estro, e cessando un tratto dalle modulazioni georgiche, trasse dalla sua lira note più vibrate e più alte (i). Ricordato il sopravvenire degli Austro-Sardi per la via di terra, e degli Inglesi per mare, soggiunge: Qual fu allora il tuo cor, quale il consiglio , Quale il pianto e ’l dolor, Genova bella, Quando tanta vedesti armata gente Minacciar le tue porte, e importi acerba Da la terra e dal mar leggi e tributi? Cui poteasi eguagliar tuo tristo stato? O qual porger conforto al tempestoso Più del mar, che ti serra, aspro cordoglio? Qual più v’ era per te speranza o scampo, Donna altera de’ giochi, antico seggio Di ricchezza e splendor, di gloria e senno; Ognor avendo (ahi lassa!) innanzi a gli occhi L’ alma tua libertade antica e chiara Già vicina a piegarsi, e a le catene Di stranieri guerrier stender il piede ? Se non che tal di mezzo al foco e a l’armi, A i rischi, a la vergogna, a lo spavento Per te nuovo rifulse ordin di fati, Che da’ tuoi mali la tua gloria, e dalle Stesse tenebre tue nacque il tuo lume. Vittorio Alfieri dodici anni più tardi del Bettinelli (1765) recatosi a Genova lasciò scritto : « La vista del mare ini rapì (1) La Coltivazione del Riso, Lib. IV, vv. 363-382. CIORNALE LIGUSTICO 387 veramente 1’ anima, e non mi poteva mai saziare di contemplarlo. Così pure la posizione magnifica e pittoresca di quella superba città mi riscaldò molto la fantasia. E se io allora avessi saputa una qualche lingua , ed avessi avuti dei poeti per le mani, avrei certamente fatto dei versi ». Ma, ahimè! quando seppe far versi dimenticò quelle bellezze, che gli avevano allora ispirato 1’ entusiasmo, e nei due giorni che si trattenne a Genova 1' ottobre del 1783 dettò questo sonetto: Nobil città, che delle Liguri onde Siedi a specchio in sembiante altera tanto , E torreggiando al ciel da curve sponde Fai scorno a’ monti ond’hai da tergo ammanto; A tue moli superbe, a cui seconde Nuli’ altre Italia d’innalzare ha il vanto, Dei cittadini tuoi che non risponde L’aspetto il cor l’alma o l’ingegno alquanto? L’ oro sudato che adunasti e aduni Puoi seppellir con minor costo in grotte, Ove ascondon se stessi e i lor digiuni. Tue ricchezze non spese eppur corrotte Fan d’ignoranza un denso velo agli uni ; Superstizion tien gli altri : a tutti è notte. Più tardi poi, dopo aver dato a Genova il triste vanto d’esser maestra di cicisbeismo, rincarava la dose cantando con satira atroce (1) : Il Banco, e il Cambio, e sordidezza opima, E vigliacca ferocia e amaro gergo , Sovra ogni gergo che l’Italia opprima , E ignoranza, e mill’ altro eh’ io non vergo, Note anco ai ciechi, liguresche doti, Tosto a un tal Giano mi fan dare il tergo; E , bench’ un Re non mi piacesse, io voti Non fea pur mai per barattarmi un Re In sessanta parrucche d’ idioti. (1) Salire e poesie minori (Barbera, 1858), 10, 61, 425 — Cfr. anche la sua commedia II Divorzio. 388 GIORNALE LIGUSTICO I versi dei Bettinelli debbono essere di certo tornati alla mente della Silvia Curtoni Verza , quando nell’ autunno del 1788 si recò a visitare Genova. Che se per sorte non li avesse ricordati, possiamo credere che le ne abbia rinfrescata la memoria la Paolina Grismondi, aneli’ essa fermatasi in quei dì medesimi per breve tempo in quella città. Infatti scriveva al Vannetti nel dicembre: « Non vi saprei esprimere quanto m* abbia ripiena di meraviglia quella superba ligure regina. Sovveniami del maestoso poemetto in lode della medesima del nostro vivace Bettinelli, e mi *s’ offrivano allo sguardo tutti quegli oggetti da lui sì pittorescamente cantati; ma non vidi quel gran gigante , non avendo dal cielo ricevuta una fantasia, nemmeno in piccola parte, eguale a quella del valoroso nostro amico » (1). Ma non gli mancò poi nè Γ estro nè Γ animo per ricordare con viva efficacia poetica le impressioni ricevute. Per veder modo (essa dice) di riacquistare la salute affranta da lunga e crudele malattia, L’ orride schiene ad affrontar mi accinsi Dell’ altero Apennino , e le beate Della bella Liguria a veder corsi A Libertà diletta illustri piaggie. All’ ampia scena , eh’ oltre all’ arduo giogo Inaspettata innanzi a me si aperse Di colli digradanti, cui superba Fanno corona verdi selve ombrose, Giardin ridenti, e splendidi palagi ; All’ aura dolce che d’intorno olezza E quelle apriche bea vaghe pendici ; All’ affacciarsi dell’ auguste mura , Cui fa tremulo specchio il mar soggetto , Pur apparve repente, e a me benigna Con rosea faccia la salute arrise, Cui tante io porte avea preghiere invano (1) V Epistolario, I, ηι. GIORNALE LIGUSTICO 389 Io volli allora de’ miei carmi un serto Alla invitta offerir Figlia di Giano , E gli avvivati studi, e 1’ arti tutte D’ intensa gara accese , e l’indefesso Commercio che da tanti estrani climi A man piena le reca ampi tesori, E la sovrana Libertà, che intatti I suoi vessilli addittar gode , e Γ alte Sue magnanime imprese, e il sangue sparso De’ Canevari, e de’ Pinelli suoi, Tutto io volgea nell’agitata mente, Ed al mio plettro già stendea la mano ; Ma d’improvviso l’Ombra a me davanti Stette di sacro Vate, che silenzio Imperiosa , e di cotanto ardire Quasi sdegnata, alle mie labbra impose. Ombra del Savonese, a’ verdi allori Che velavanti il crine, all’ aurea cetra Che in man reggevi, e più a quel vivo aspetto Di cui sovente io venerai la imago Ben ti conobbi, e ben sentii che a pochi Sol più cari ad Apollo eletti Spirti Lice il canto tentar, là ve sì spesso E le marine, e le silvestri Dive Corsero a udirti, e di stupor ripiene De’ focosi inni tuoi fer plauso al suono. Oh dì felici, che di quello in seno Trassi Ubero suol d’ affanni sgombra , E novella bevendo aura di vita ! Ma da sì cara sede ahi ! troppo presto Allontanarmi è forza, e già su lieve Legno salpando al mar mi affido, e parto, E sol col guardo fiso il lido amato Io seguo ancor, che fugge , e si dilegua (1). La Curtoni Verza però si trattenne assai più, visitando tutto quanto porge la città di bello e d’importante ; si commosse (1 ) Grismondi, Potsie (Bergamo, 1822), p»£. 171. 390 GIORNALE LIGUSTICO quando le additarono il luogo ove il Bonfadio fu tratto all’ultimo supplizio, e venerò la camera dove soleva abitare il Chiabrera nel palazzo di Giuseppe Giustiniani a Fassolo. Si condusse quindi a Savona desiderosa di vedere la casa del poeta, e si fermò poi a Voltri ospitata nella villa Brignole da quell’ Anna , che s’ acquistò il sopranome di Regina. Quivi si (( villeggiava con una sontuosità con che molti principi non villeggiano ; quaranta commensali ogni giorno e alle volte il doppio ; teatro in casa con opera buffa, tragedie e commedie rappresentate dai padroni e dagli ospiti »; ne sempre si recitava in italiano chè la Silvia v’ intese, negli intermezzi dell’ opera, Les deux ballets, L’Impatient, L’amant de soi même, Le consentement forcé. Ma « il valore teatrale di quei dilettanti, non andava del pari nè colla magnificenza della villeggiatura, nè coll’ospitalità, gentilezza e amabilità dei padroni » ; soltanto la bella marchesa « recitava meglio degli altri ». Essa stessa volle condurre la sua ospite ad ammirare la villa d’Agostino Lomellino a Pegli; quella in Italia « che desse meno imperfetta idea dei così detti giardini inglesi » (i) come la disse il Pindemonte, venuto appunto in Genova quell’anno stesso, e che scriveva da Torino al Fontana : « Non le dirò quanto mi sia piaciuto Genova, perchè sarei infinito » (2). Ma torniamo al Bettinelli; il quale nel 1759, dopo il suo viaggio a Parigi, si trattenne alcuni giorni in Genova, e colpito dallo spettacolo della processione detta delle Casale, dettò una poesia in cui manifesta un singolare affetto per questa città. Pur ti riveggio, o bella Genova , e in te conforto , In te ritrovo un porto Dopo i miei lunghi errori in terra e in mar. (1) Montanari, Vita di Silvia Cartoni Ver ça, 96 e seg. (2) Lettere inedite d’ illustri italiani (Milano, 1835), 333. GIORNALE LIGUSTICO Per te d’Italia ai cari Torno lidi felici, Per te ai diletti amici Che Francia non potè farmi obliar. Ricorda aver già cinque anni innanzi sciolto un carme in sua lode , ed aggiunge : Quanto mi piace anch’oggi Di riconoscere quella , Che ognor mi par più bella Tra l’industria e le leggi, Libertà. Quanto godo su 1’ orme Di sì dolci memorie, Ripeter le tue glorie O tra 1’ Itale tutte alma città. Loda Giovan Francesco Brignole Sale già doge nei fortunosi anni 1746-47, a cui venne presentata la poesia, che .......eccelso Fu in campo, ed in Senato , Or principe , or soldato Al gran bisogno, e al bel successo egual. È degna poi di speciale ricordanza la sua dimestichezza col marchese Paolo Girolamo Grimaldi, in encomio del quale compose uno dei suoi sciolti, in cui ne celebra il valore politico. Te, non per anco al sesto lustro aggiunto, Libero cittadin , vide 1’ Europa De la libera Patria e de le genti Portare i diritti, e Γ alte cure in petto Tra i labirinti de le corti arcane, E con sicuro filo infra le mille Fallaci vie del cupido interesse , Del mascherato onor, del finto zelo , Spesso aggirarti e vincitore uscirne Lasciando rotti a la doppiezza in mano 39 2 GIORNALE LIGUSTICO I tesi lacci, e stupide e confuse D’ assai canuti Nestori ed Ulissi Quelle ad altrui non penetrabil alme. E gli dà quindi vanto di Mecenate, chè più volte il vide .......i titoli deposti E P accigliata gravità del fasto, Famigliare alle Muse , amico ai dotti Farsi sovente, e meritili· tributo Di giusta laude volontaria. Uomo veramente famoso fu questo genovese, che educato presso al cardinale Gerolamo suo zio, e passato in seguito nella Spagna, servì quella Corona per ben trent anni; prima in qualità d’ambasciatore a molte corti d Europa, poi di Ministro di Stato, e fu quegli che concluse il celebre concordato tra la Francia e la Spagna, noto coll appellativo di Paltò di Famiglia. Ritiratosi poi in patria nel 1786, cessò di vivere tre anni più tardi, lasciando buona parte della sua fortuna in pubblico benefìcio. Nè mancava il Bettinelli anche lontano di ricordarsi dei genovesi, segno certo eh’ ei manteneva con essi corrispondenza continua; varie opportunità gli si porsero di farne pubblica testimonianza. Nel 1773 diresse una canzonetta al suo Deimiro, nome arcadico di Pier Francesco Grimaldi assunto in quel-1’ anno al trono ducale, in cui gli narra le afflizioni sotto le quali era accasciato ; contento bensì di vedere irradiate di « fausta luce » le sue « selve », e di ammirare « oggi Liguria qual 1’ antica Arcadia », Serbar suoi prischi onori Di cetre e di pastori ; mentre . ... in valle di Polcevera Non iscemato e macro GIORNALE LIGUSTICO 393 va abbeverandosi Γ armento In limpido lavacro. Si rallegra per Γ alto ufficio a cui venne innalzato Γ amico, e perchè, ben diversamente da lui, gode « un secolo beato »; Secol verace immagine D’ alto valor sovrano , Che di regai propagine Grimaldi adduce a Giano , A ravvivar d’ Augusto Il secolo vetusto. Poco tempo dopo Anton Giulio Raggi, presso il quale soleva abitare il mantovano quando si riduceva a Genova, sposava 1* Ersilia Carega, ed il poeta tirava fuori dal suo scrittoio , dove era giaciuto « da gran tempo celato per rispetto agli usi ed alle persone », il poemetto: Il giuoco delle carte, mandandolo in luce a festeggiare quelle nozze. Oltre ad alcune memorie della famiglia Raggi, sebbene assai sobrie, (poiché dichiara: « non essendo nè la poesia mercenaria, nè il poeta, il suo linguaggio dell’amicizia, non dell’adulazione dee accompagnare questi versi »), anche qui vi sono diversi accenni a Genova e alla sua storia. ' Ricordando come la Libertà mise il suo seggio nelle città lombarde, soggiunge : Ma fu Genova fra le più possenti Ove il regai suo trono ella ripose. * E la cieca Fortuna lagnandosi coll’ Ozio dell’ impero perduto sui popoli d’ Italia, esce a dire : La Ligustica invano onda sedea Senz’ arti, e senza onor tacita, e lenta ; Genoa, che prima a Marte sol piacea, Un emporio a nostr’ onta ornai diventa. 394 GIORNALE LIGUSTICO Ecco Palla , e Giunon, Febo, ed Astrea Vi pongon sede a nostri danni intenta , E genti, e studi accumulan là dentro, Sin la Liguria, ahi ! dell’ industria è centro. Il Toscan non bastava, e il Messinese Con tante vele, e ardire a far tesori, Se da quell’ erma spiaggia Savonese Noli, e Colombi non uscivan fuori , Per trar sin qua dall’ Indico paese Per inospito mare argenti, ed ori, Per far a questo ignobile confine Tributarie le genti oltramarine ? Ohimè ! Che a regger quelle spiagge venne Un popol troppo tuo nemico, e mio , Che fama, e onor colla giustizia ottenne, Che a me far onta, e al mio potere ardìo : -Tutta la forza mia non lo ritenne, Mai non posò ; non v’ ha tormento rio , Che non minacci a me, che a te non faccia, E nel pubblico ben sempre s’impaccia. Nè a me cotanto, e a te costor rubelli Soli fur già dell’ odiosa schiatta ; Ahi ! che 1’ esempio , e la virtù di quelli Non vedrem forse mai spenta, o disfatta ; Poiché padri ad altrui fatti, e fratelli Tutta l’Italia in su quell’ orme han tratta, Ond’è a temer, che Europa anco in poch’anni L’ empio Italian non volga a’ nostri danni. I quali accenni poetici sono confortati da note stoiiche non sempre esatte, e desunte in massima parte dalla storia del l’Accinelli. Osservo poi che qui egli afferma Colombo sa vonese, mentre più tardi, come si vedrà, modifico la sua opinione. Cade però in erróre là dove afferma che Fur Genova e Torin sordi a ogni patto del giuoco; di Torino non so, ma quanto a Genova nulla valsero le leggi proibitive, perchè si continuò a giuocare a GIORNALE LIGUSTICO 395 rotta di collo, e il malo esempio veniva dall’ alto; onde più appropriati sarebbero questi altri versi : Ma non del tutto tra noi manco venne Per le vicende di molt’anni e lustri: Cadde e risorse, e sempre si sostenne Con arti nuove e con rigiri industri. Arrivava in Genova nel 1776, sposa di Giacomo Filippo Durazzo , erudito, cortese e liberale patrizio, la Teresa Valenti Gonzaga, e la lira del Bettinelli risuonava di quelle note , onde avea saputo tanti anni innanzi cantare le lodi della metropoli ligure. Egli la invita ad ammirare lietamente le bellezze di Genova, . . . ch’io mercé l’ospite amico Raggio Godo, non sazio mai d’alto il soggetto Porto mirando e i circostanti colli, Onde bevo propizie aure, e 1’ afflitta Dai lunghi studi sanità restauro. Se non che ricordevole d’ aver percorsa più volte quella strada, che attraversando Γ Apennino corre nella valle di Pol-cevera e conduce alla città ; compreso ancora di maraviglia sapendola aperta mercè 1’ opera coraggiosa e benefica di un solo patrizio, Gio. Batta Cambiaso, rivolge alla sposa il suo dire cosi: Lasciata a tergo la Lombarda valle, Qual ti fu incontro 1’ arduo monte alpestro Re dell’ Italia in maestà superbo, Che su lei tutta imperioso stende Le spalle i fianchi e 1’ una e 1’ altra fronte, Il tremendo Apennin, sbarra e muraglia Tra ’l Ligure e l’Insubro e l’onda e il piano. Eppur vedesti in su le vie del ghiaccio, Squarciati i fianchi della dura rupe, Gran calle aperto dalla ferrea mano Giorh. Ligustico, Anno VII e VIIL 25 396 GIORNALE LIGUSTICO Dell’ ostinata domatrice possa D’ invitte Genovesi anime audaci. Tu là corresti quasi in Ietto molle, Molle fanciulla trasvolando in cocchio ; Ma teco là vedesti in lunghe file Scorrer su quadre spalle e schiene enormi Or d’uomo or di giumento enormi incarchi ; Onde ad ogni bisogno ogni delizia Lungo Adda e Mincio e Pò la Patria nostra, La più pingue d’Italia amena parte, Gode in sue larghe mense, e in lusso esulta , Onde Bacco e Nettun, Cerere e Teti, Onde nocchieri e agricoltor disgiunti, E gli uni agli altri per natura ignoti, Giungono insiem la mano amica, e fanno Per industria cambiar merci e ricolte. Ma superate poi 1’ ultime cime Al varco estremo , onde mirasti al basso Gran valle aprirsi e ’l mar da lunge, oh! quale Nimico aspetto offrì l’imo torrente Per naufragi e rapine, ahi ! troppo infame, Che tortuoso va da sponda a sponda ? Invan però le minacciose corna, Onde i campi predavi, e tronchi e sassi Con armenti e pastor traevi al mare, O Polcevera infesto, armi ed arruoti ; Poiché un sol Cittadino, Appio novello, E Flaminio ed Emilio, a te buon freno D’ argin possenti e di gran ponti oppose , A cui fremendo invano, invan sdegnando L’ imposto giogo, il piede urti e corrodi; Te vid’io vinto alfin, che già tre volte Tremando valicai, quante mi trasse Qui genio ed amistà , te i biechi sguardi Sanguigni inutilmente in me volgendo Chino la fronte andar, mentre d'intorno Tra i conquistati campi, i rotti scogli, L appianate pendici io scorrea lieto GIORNALE LIGUSTICO 397 Su le rapide rote in largo e fermo D’ arbor di sponde e di ben pinti alberghi, Quale in chiuso giardin, viale adorno. Pareami intanto di veder su 1’ alto De’ gioghi soprastanti, e delle mura, Difenditrici per immenso giro Dell’ alma invitta Libertà, 1’ antiche Ombre di lor, che le dier seggio e scudo D’ eterne moli e di guerresche rocche, Qua contro il mar, là contro 1’ armi ostili, E udir pareami 1’ immortai tra loro Suonar nome Cambiaso, e alla feconda Patria anc’ oggi d’ Eroi plauder contente. La invita quindi a restaurare i disagi del lungo cammino, entrando nell’ « ampio, marmoreo, eccelso, ricco palagio » grandioso per « atrii vasti », e mirabile per le « pinte aurate stanze ». Ora è noto che quivi si accoglievano i migliori ingegni della città ; e il Durazzo , uomo coltissimo, vi andava formando una molto ricca biblioteca , mentre dotava il palazzo di Cornigliano di un museo di storia naturale pregiato anche dagli stranieri (i). In questo tempo manifestavasi in Genova un certo risveglio nella generale coltura; poiché si distinguevano e il Biamonti e il Laviosa ; il Pialmieri e il Saporiti; il Ratti e il Cantoni; il Batt e il Canefri ; il Remondini, il Doria, 1’ Oderico e P Accinelli ; il Maggiolo , il Massola e il Fasce; il Coreard, il Sanxay e il Multedo; il Lomellino e il Pallavicini. Vi uscivano stampate le opere del Rollin, del Sacy, del Muratori , del Fleury , del Buonamici, del Chambers. Nè vi mancava la Colonia di Arcadia, la quale teneva sue adunanze più specialmente nelle incoronazioni dei nuovi dogi : onde il conte Gorani, che vi assistè, la disse non senza ragione (i) Cfr. Giornale Lig. (a 1881), p. 3. GIORNALE LIGUSTICO « un assemblage de gens dont l’unique occupation est de louer le doge en très-mauvais vers ». Inesattamente tuttavia affermava lo stesso scrittore: « il faut avouer qu’en général les Génois ne se livrent point à l’étude avec cette ardeur comme des autres peuples.......Les soins continuels qu’exige le commerce absorbent le temps et les pensées des Génois. Les senateurs sont occupés des devoirs qu’ils ont à remplir; les autres des spéculations qui peuvent aumenter leurs richesses particulières. Tous, enfin, s’accordent à negliger l’étude des sciences et'celle des arts » (i). Ma fra i chiari uomini accennati spiccavano due giovani patrizi, che l’uniformità del genio e degli studi legò in salda famigliarità. Parlo di Niccolò Grillo Cattaneo e di Ippolito Durazzo, i quali senza iattanza e con sufficiente dottrina, dettero insigne esempio del come si debbano onorare i grandi cittadini, componendo e facendo stampare dal celebre Bodoni gli elogi di Cristoforo Colombo e di Andrea Doria. E mentre il Cattaneo intendeva a ricordare le gesta del famoso capitano , non tralasciando i suoi studi poetici; il Durazzo rivendicando a Genova il sommo navigatore, non dimenticava la sua botanica. Il citato Gorani venuto a Genova alcuni anni più tardi, ci lascio onorevole memoria di questi due giovani patrizi. « J’ai fait connaissance » egli scrive « avec un jeune noble , auteur d un éloge d’Andrè Doria. Il me procura celle d'un de ses amis, qui avoit rendu le même hommage a Christophe Colomb. Ces deux jeunes gens ne se quittaient jamais. Liés par une ressemblance de goûts, d’humeur, de caractère, ils avoient loué à frais communs une maison de campagne, à quelque distance de la ville, où ils se retiroient fréquemment pour jouir en paix du plaisir d’être ensemble, et se com- (i) Mémoires secrets et critique des cours etc., III, 416, 417. GIORNALE LIGUSTICO 399 muniquer leurs lumières (i). Plus je les voyois, plus j’enviois leur sort » (2). Il Durazzo ed il Cattaneo si giovarono dei consigli del Bettinelli, tantoché prima di licenziare alle stampe i ricordati elogi, vollero sottoporli alla correzione del letterato mantovano (3). Il quale nel vedere come nell’ elogio del Colombo si contraddiceva a chi lo voleva savonese, rifiutando Γ erronea opinione già da lui espressa , forse fu mosso a comporre il seguente sonetto : Vanta pur del tuo cigno , alma Savona, La culla illustre , e la sacrata tomba, Per cui tra 1’ Alpe e il mar dolce risuona Anacreonte , e Pindaro rimbomba. Mirti e lauri a te fan degna corona , Degna di sì gran cetra e sì gran tromba, Ond’ ei poggiò sì alto in Elicona Or d’ aquila con penne or di colomba ; Ma non vantar chi del lontan diviso Mondo sott’ altre stelle ebbe vittoria , Ch’ ei tra figli di Giano è nell’ Eliso. Tra i duo lo vidi eroi Spinola e Doria Con pari lauro in pari seggio assiso : Chiabrera 1’ opre lor canta e la gloria. Inoltre quando il Bettinelli veniva a dimorar alcun tempo in Genova, « non isdegnava rinnovare in certa guisa col Grillo Cattaneo le tenzoni poetiche degli antichi provenzali, proponendosi a vicenda i temi da trattare e assegnando il metro e le rime » (4). E forse ad uno di loro fu indiritta quella lettera stampata negli Avvisi del 1778, dove faceva alcune esplicite dichiarazioni a proposito dell’ opera dal Lampillas (1) Forse intende qui parlare di quella che fu poi Villetta di Negro. Cfr. Spotorno , Della vita e delle opere del march. Niccolò Grillo Cattaneo, nel Nuovo Giornale Ligustico, vol. Ili, 165. (2) Op. cit., Ili, 420. (3) Spotorno, Vita cit. (4) Ivi. 400 GIORNALE LIGUSTICO edita a Genova, in cui criticando il Tiraboschi attaccava anche il Bettinelli. Siffatte furono le relazioni eh’ ebbe con Genova e coi genovesi quest’uomo, tanto famoso un tempo ed oggi quasi interamente dimenticato ; al quale, per concludere con un giudizio del Cereseto, « nessuno può negare un ingegno .acuto , e la potenza di far bene , se la falsa scuola non lo avesse cacciato fuor di via chiudendogli gli occhi, tanto da non vedere ed accorgersi della propria infermità » (i). A. Neri. STORIA DEI GIUSTINIANI DI GENOVA del prof. Carlo Hopf, trad. da A. Wolf (Continuaz. v. pag. 373)· In tal guisa Scio passò in possesso della Maona, detta vecchia per distinguerla dalla nuova che si costituì più tardi. La Repubblica vi mandò un podestà e giudice, ed il Vignosi stesso vi prese stanza amministrando le entrate e distribuendole tra i soci. Ma ai Greci non andava guari a sangue il pensiero di rassegnarsi ai fatti compiuti, e tosto vennero in Genova ambasciatori dell’ imperatore con la missione di rivendicare l’isola. La Repubblica ricorse a sotterfugi : essere vero che la conquista non era troppo legittima, ma non potersi dar carico al Governo del mal fatto da privati, nè essere ora facile cosa il tórre l’isola ai Maonesi ; sarebbe quindi savio consiglio che l’imperatore desse tempo al tempo, aspettando un momento più opportuno. Incalzati dall’ imperatore di fissare un termine preciso, i Governanti genovesi proposero di lasciare la Maona un (1) Storia della poesia in Italia, I, 20$. GTORNALE LIGUSTICO 4ΟΙ decennio in possesso di Scio, con P obbligo di pagare nel frattempo all’ imperatore un annuo tributo di 22000 scudi , d’inalberare sul castello la bandiera imperiale, di ricordare l’imperatore come sovrano nell’ orazione domenicale , e di accettare un governatore da lui nominato. L’imperatore aderì a queste proposte ; ma s’avvide ben presto che erano state fatte per tenerlo a bada e che nessuno pensava sul serio a mantenerle. Allora entrò in pratiche segrete con Cibo governatore di Focea Vecchia, e riuscì a subornarlo; e questi, unitosi al sempre irrequieto Leone Kalotete, passò con un esercito in Scio e vi spiegò la bandiera della ribellione. Il Vignosi e il debole presidio si sostenevano a stento , ed erano già messi alle strette; quando li salvò Andrea Petrila, che giunse in buon punto con due galee e ruppe i Greci, costringendoli a sgombrare l’isola. Cibo, essendo caduto nel combattimento Kalotete, tornò a Focea Vecchia, dove assunse il governo a nome dell’imperatore. Appena uscita da questo pericolo, Scio fu involta nella guerra che in quel punto scoppiò tra Genova e Venezia. Tren-tacinque galee venete assalirono, in settembre 1350, quattordici triremi genovesi capitanate dal popolare Nicolò de’ Maineri, affondandone dieci. Le altre quattro si ricoverarono nel porto di Scio, dove il Vignosi, nonché perdersi d’ animo , le unì ad altre quattro armate da lui e ne affidò il comando a Filippo D’Oria. Questi salpò li 10 ottobre, prese venti navi venete, espugnò il castello di Caristo, diede il guasto all’ isola di Ceo, e tornò a Scio carico di bottino, con ventitré nobili veneziani prigioni, e con le chiavi diNegroponte, stategli consegnate dietro una semplice intimazione dal codardo bailo Tommaso Odario, e che furono poi sospese come trofei sopra la porta del castello di Scio (1). Venezia, avida di vendetta, mandò tosto (1) G. Stella 1. c. p. 1091. — Caresiui in Murat. XII, 420. — Sanudo in Murat. XXII, 620. — Matt. Villani lib. 1, c. 83-84, in Murat. XIV, 402 GIORNALE LIGUSTICO un’ altra flotta, che approdò all’ isola e condusse molti Scioti prigioni a Negroponte. Fu solo nel 1351, che il conflitto tra Venezia e la Maona fu composto, mercè gli sforzi degli ambasciatori genovesi Oberto Gattilusio e Raffo Erminio (1). Tornati in pace, entrarono presto in relazioni cordialissime; tanto che Venezia, non solo respinse (2) l’invito fattole dal-l’imperatore Giovanni Cantacuzeno di aiutarlo a ricuperare Scio e Focea nuova (3) , ma volle i Maonesi alleati nella nuova lega progettata contro i Turchi (24 luglio 1352) (.4)· Quanto a Focea vecchia, Kaloteto ne aveva assunto il governo nel 1348, come vassallo dell’imperatore (5), e vi si manteneva con 1’ aiuto di mercenari Turchi. I traditori lo misero anche in possesso di Focea nuova; ma il Vignosi gliela ritolse nel medesimo anno. Nel 1355 Leone fu spodestato e bandito dal proprio figlio Giovanni Kalotele, che in quel torno fece prigione Schalil figlio di Orkhàn sultano degli Osmani, le cui minacce ne ottennero però presto la liberazione (6). Nel -1357 Giovanni Paleologo gli rinnovò l’investitura di Focea vecchia, lo creò barone dell’impero, e gli fece un donativo 118. — Ag. Giustin. lib. IV, fol. CXXXV a. — P. Interiano lib. IV, fol. 109 a. — Folieta 1. VII, p. 448. — Bi^ar. De bell. ven. lib. II, P· 745- (1) Atto del 26 maggio 1351, nell’Archivio di Stato in Genova. Trattati diversi. (2) Commem, lib. IV, fol. 531 a. — Gregor. 1. XXVI, c. 12, T. Ili, p. 78. (3) Notulario di Tommaso Casanova. — Pand. Rich. fogl. A, fase. 44, c. i. 8. — Li 16 febbr. v’andò castellano Domenico de Garibaldo. (4) Misti T. XXVI, fol, 95 b. (5) Cantacu\. lib. IV, c. 12, T. III, p. 81-85. — Gregor. 1. XVII, c. 1, 3. Tom. II, p. 842-851. (6) Cantaci^. 1· IV. c. 44, 48. Tom. Ili, p. 320-321. — Gregor, lib. XXXVI, c. 6-8, T. Ili, p. 504-505. — Matt. Villani lib. VII, c. 71, ed. Murat. XIV, 417. CIORNALE LIGUSTICO 403 di 60,000 perperi (1). Ma una spedizione mandata dalla Maona nel 1350, sotto il prode Pietro Recanelli, ritolse Focea ai Greci, e pose fine al dominio dei Kaloteti, che l’avevano governata come pirati anziché come patroni (2). Essendo intanto mancato ai vivi Simone Vignosi, capo dell’impresa, i soci della Maona, quasi tutti residenti in Genova, trovarono il loro tornaconto ad appaltare la riscossione delle rendite dell’ isola ad un’ altra Società che si era costituita nel 1349 sotto la direzione di Pasquale Fornito e Giovanni Oliverio per 1’ estrazione del mastice, e che assunse poco dopo il nome di Maona nuova. I compartecipi della Compagnia vecchia cominciarono ad un tempo a vendere poco a poco le loro azioni, di modo che l’isola si trovò nel 1358 nel possesso di otto soci tutti estranei all’ antica Maona, tranne Lanfranco Drizza-corne (3). Contestazioni gravi sorte tra essi ed i loro dodici appaltatori (4) per il pagamento dei fitti, provocarono 1 intervento della Repubblica, e mercè gli sforzi del doge Simone Boccanegra, si addivenne li 8 marzo 1362 ad un compromesso tra la Maona vecchia e la nuova, essendo quest’ ultima rappresentata dai suoi massari Raffaello Forneto e Pietro Oliverio (5). (1) Matt. Villani lib. VII, c. 71. Murat. XIV. 417. (2) Gregor, lib. XXXVII, c. 56-63, T. Ili, c. 559 seg. (3) Cod. Giust. T. I. fol. 20 a., 38 b. (4.) Cod. Giust. T. I, fol. 16 a-19 b. (S) Cod. Giust. T. I, fol. 39 a-46 b. T. II, fol. 15 a-20 b. — Cod. Belg. fol. 17 a-21 b. — Fatti storici ove si parla delJ’isola di Scio dal 1346.-1566, doc. i , nell’Archivio Giustin. in Genova. — Lib. Jur. B. fol. 371 ; ed. Ricotti, T. II, p. 714-720. η· 234· — Pagano, l c. p. 285-291. — Istoria della nobile famiglia Giustiniani di Genova. MS. 490, pag. 4, nell’Archivio Giustiniani in Roma, p. 1 seg. — Istoria della nobile famiglia Giustiniani di Genova lib. 1, 1362-1462, nell’Archivio Giustiniani in Genova, fol. 1. — Federici Scrutinio 1. c. fol. 151a- 162 b. Od. Ganducio. Origine delle famiglie nobili di Genova, nell’Archivio di Stato ivi, fol. 80 a. 404 GIORNALE LIGUSTICO Con tale compromesso venne stabilito, che Scio sarebbe appaltata per 12 anni a dodici popolari genovesi accetti al Doge ed ai protettori della Maona vecchia, e che gli appaltatori godrebbero in parti eguali le entrate dell’ isola, obbligandosi in solido di rimborsare alla Maona vecchia il credito che questa aveva verso il Governo. Alla Repubblica rimarrebbe salvo il diritto di riscattare l’isola sino a tutto il 26 febbraio 1367, mediante lo sborso delle 203,000 lire avute in imprestito nel 1347; ma anche in caso di riscatto, la Maona godrebbe i suoi diritti sino ai 14 febbraio 1374· Era poi fatto divieto assoluto ai Maonesi di vendere le azioni in tutto od in parte. Al rimborso del debito verrebbero erogati dalla Repubblica i prodotti delle gabelle già date in pegno alla Maona vecchia. Per tutto il rimanente resterebbero in vigore le disposizioni dell’atto del 1347. Alla sottoscrizione del compromesso tenne dietro, il medesimo giorno, Γ atto solenne con cui il Doge investì Γ isola di Scio alla nuova Maona (1) ; e questa, li 14 novembre (2), adottò il nome dei Giustiniani (3), già stato assunto nel 1359 dai Maonesi vecchi. Non consta quale sia 1’ origine e la ragione di tale denominazione; ma ad ogni modo è certo, e risulta dagli stessi atti che abbiamo citati, che essa, anziché (1) Cod. Giust. T. i. fol. 47 b-57. — Agost. Giustin. lib. IV, fol. 137 a· (2) Cod. Giust. T. I, fol, 58 a-60 b. — Federici Collectanea, nell’Archivio di Stato di Genova, T. I, fol. 239 b. (3) Non si hanno buone genealogie stampate delle varie famiglie che adottarono il nome di Giustiniani. Le notizie del testo sono compilate da atti notarili genovesi, e dai seguenti manoscritti : Richeri, Genealogie Genovesi nell’Archivio di Stato in Genova, vol. IV, fol. 31-50, vol. V, fol. 37-40, 56-57, 68, 193, 204, 288, 303, 313, 320, 338, 340, 399. — A. M. Buonarotti Alberi genealogici, nella Bibl. Berio, T. II, fol. 1 seg. Felic. Da Passano Liber genealogiarum , T. Ili, nella Bibl. dei Missionari Urbani.— Genealogia della famiglia Giustiniani, nell’Archiv. Giust. in Genova. GIORNALE LIGUSTICO 405 nome di famiglia genovese , fu nei suoi primordi un titolo commerciale equivalente a « Società anonima per P amministrazione di Scio e di Focea ». Come soci, ricompaiono in questi atti tutti quanti quei popolari che dopo la morte del Vignosi avevano prese in appalto le entrate dell’isola; cioè: Nicolò de Caneto (1), ricco popolano imparentato con i Fieschi di Lavagna, Giovanni Campi, Francesco Arangio (2), Nicolò di S. Teodoro, Gabriele Adorno (3), Paolo Banca, Tommaso Longo (4), Andriolo Campi, Raffaello de Forneto, Lacchino Negro (5), Pietro Oliverio e Francesco Garibaldi. Questi si unirono ad un tempo a formare un albergo, chiamandosi (ad eccezione degli A-dorni) Giustiniani anche individualmente, con abbandono dei loro antichi nomi di famiglia (6). Il numero delle azioni (duodena) era fissato a dodici, e il duodeno era diviso in tre frazioni, le quali subirono più tardi una suddivisione, anch’ esse in otto frazioni minori ciascuna, talché (1) Notulario di Teramo di Maggiolo e di Oberto Foglietta: Pand. Rich. fogl. B, fase. 65, c 7, fase. 52, c. 6. — Stella 1. c. p. 1095. Ag. Giustiniani, lib. IV, fol. 137 a. — Interiano lib. IV, fol. 42 a· 55· (2) Chi vuol vedere una genealogia favolosa, fatta risalire fino all anno 261 p. Chr., consulti: Gio Frane. Spinalba, Compendio di gloria et ascendenti della famiglia Giustin. (Modena 1697, 4). (3) Genealogia Ms. nella Bibl. dell’ Università in Genova, a cui è attinta quella pubblicata dal Litta nelle Fam. cel. — Bonaventura de Rossi, Istoria genealogica e cronologica delle due nobilissime case Adorno e Botta (Firenze 1718 fol.). (4) Genealogia incompleta, nel Teatro araldico di Tettoni e Saladmt (Lodi 1844-1850, 4). (5) Batt. da Dieci. Storia *della nobile famiglia Giustiniani (Roma 1644, 4). . (6) Marietta, figlia di Ansaldo Campi, morta li 28 giugno 1366, si chiama già semplicemente Maria Giustiniani sulla sua pietra sepolcrale esistente nella chiesa di S. Maria di Castello. 40 6 GIORNALE LIGUSTICO la somma delle frazioni minime montava a 308. Alle dodici azioni originarie se ne aggiunse in corso di tempo una deci-materza posseduta da Pietro di S. Teodoro, divisa in due frazioni maggiori e sedici minori (karatti). Ma già nell* anno susseguente si ritirarono parecchi degli azionisti vendendo le loro azioni ad altri popolari, però senza abbandonare il nome nuovo di Giustiniani: nella quale occasione due duodene intiere (sei karatti grossi) furono acquistate dal prode Pietro Recaneìli, succeduto al Vignosi nella luogotenenza di Scio, che diventò presto Γ animo di tutta la Maona, e fu lo stipite dei Giustiniani ancora fiorenti in Genova al giorno d’ oggi. Luogotenente papale di Smirne nel 1361 (1), egli aveva in allora progettato un matrimonio con Fiorenza Sanudo, vedova di Giovanni delle Carceri (morto nel 1359) e figlia ed erede del duca Giovanni di Nasso e dell’ Arcipelago. Ma il disegno fu frastornato da Venezia (2); la quale, per quanto apprezzasse i suoi titoli di benemerenza verso i Cristiani in Oriente, e tenesse cara la di lui ami-cizia (3), non voleva per nessun patto che i Genovesi prendessero piede in Nasso. Egli continuò ad amministrare Smirne per la Chiesa sino al 1365 (4); nel quale anno tornò a Genova e tolse in moglie Margherita Adorno figlia del doge Gabriele. Si segnalò poi come Ammiraglio della Repubblica nella repressione dei tumulti dei D’Oria (1365, 1366) (5); (1) Raynaldi ad. ann. 1369 n. 25. — Bosio Istoria della religione di S. Giov. Gerosolomit. lib. 3. t. 2, Roma 1594 fol. — Baudouin Histoire des chevaliers de l’ordre de St. Jean de Hiérusalem. Paris 1659, fol. lib. 2, c. 6, p. 135-137. (2) Misti, t. 30, fol. 52 a. — Commemoriali lib. VI, fol. 415 a. b. (3) Lettere secrete cod. Capponi in Firenze η. 142, fol. 32 b. (4) Malta. Liber Bullarum, 1365-1367, fol. 216 a. (5) Stella lib. cit. p. 1096-1098. —Ag. Giustin. 1. 4, fol. 137 b -138 a. — Folieta, 1. 7, p. 456. — Βϊχμτ. 1. η, p. 138, 141. — Commemoriali 1. 7, fol. 380. GIORNALE LIGUSTICO 407 tornò nel 1367 a Smirne, dove avea lasciato come suo vicario Ottobuono Cattaneo. Nel 1367 trattò in Cipro la pace coi Mamelucchi (1), e morì nel 1380 lasciando ai suoi figli un ricco retaggio. Il suo testamento è dell’11 maggio 1380. La Maona perdette in lui un benemerito, non solo come coscienzioso amministratore, ma anche come capitano e statista, dovendosi a lui la riconquista di Focea ed il crisobullo dell’8 giugno 1363, con cui l’imperatore Giovanni Paleologo, rinunziando alle antiche pretese, le cedette Scio definitivamente, a condizione che pagasse per tale investitura al tesoro imperiale un annuo tributo di 500 perperi d’oro. Questi patti sottoscritti a nome della Maona da Pietro lle-canelli, Giovanni Oliverio e Raffaelle Forneto (2), e poscia riconfermati dalla convenzione che Tommaso Giustiniani Longo (m. 1384) conchiuse coi Greci (3), assicurarono alla Maona il diffinitivo possesso legale non solo di Scio, ma anche di Samo, Enussas, Santa Panagia e Focea; la quale ultima poscia, riappaltata dalla Maona ai suoi soci ed anche ad altri genovesi, divenne sotto la loro amministrazione uno degli empori più fiorenti dell’ Asia minore. Intanto stavano per finire i dodici anni entro i quali la Repubblica s’ era obbligata a rimborsare alla Mr.ona 1 imprestito del 1362; ma esaurito qual’era dalla guerra di Cipro (4;, il (1) Ms. in greco nell’Archivio Giust. in Genova ; latinamente (in Roma) nell’istoria della nobile famiglia. Stampato in Mieli. Giustiniani, Scio Sacra, nell’introduzione; in Gongora, Reai grandezza ecc., p. 206-207; in Wlastos, tom. II, car. 228-229. (2)'Nella convenzione conchiusa nel 1352 col Cantacuzeno, fu lasciato libero alla Maona di mandare a Costantinopoli ambasciatori per proporre un accomodamento; ma le trattative non ebbero poi seguito. Il tributo stipulato nel 1363 fu pagato ancora nel 1412 all’imperatore Manuele. Ved. Wlastos, T. II. 133. (3) Gongora, p. 207-208; Pagano, p. 128. (4) Cod. Giust. T. I, f. 74 b ; T. U, f. 21 a. - Cod. Belg. fol. 216, 22 b. GIORNALE LIGUSTICO governo previde che non avrebbe potuto far fronte all impegno, mentre dall’ altra parte importava di non lasciare scadere il termine del riscatto. Per uscire dall’ angustia la Repubblica ricorse al ripiego di farsi imprestare dai singoli capi della Maona, come banchieri, la somma di lire 152,250 (1), con la quale estinse il debito verso la Società e liacquisto il dominio utile di Scio (21 novembre 1373). Quanto al debito nuovo così contratto con i singoli Maonesi, il Governo s’obbligò di saldarlo previa disdetta, nel 1394» appaltando loro per un ventennio i proventi dell’ isola (2), che essi godrebbero a titolo d’interesse del capitale anticipato. E siccome il prodotto annuo ed i proventi superavano di molto la somma degli interessi stipulati, s’ obbligava la Maona di compensare tale eccedenza mediante il pagamento annuo di 2,000 fiorini d’oro, sborsando subito in contanti fiorini 14,000 per gli anni 1373-1380. Tolte infine alcune restrizioni imposte alla Maona in ordine alla sua ingerenza nelle cose interne di Scio, rimarrebbero d’altronde in vigore le disposizioni della convenzione del 1347 (3). Ma le strettezze dell’ erario, anziché scemare, andavano crescendo; e presto si era da capo. Già nel 1380 (16 marzo) il Governo si vide costretto a vendere ai Protettori (1) Il valore originario dei luoghi (L. 100) era allora, per effetto delle vicissitudini del piede monetario, ridotto a lire 75. Al quale corso la somma dei 2030 luoghi equivaleva non più a 1. 203,000, ma a lire 152,250. Cod. Giust. T. I, fol. 78 a.-102 b. T. II, fol. 25-28 b. — Codice Belg. fol. 25 b-34a. — Federici. Collectanea. T. I, ad an. 1373· — Lib. Jur. B. fol. 372 v. ed. Ricotti, T. II, p. 782-790, n. 246. (2) Cod. Giust. Tom. I, fol. 75 a-77 b. — T. II, f. 216-246. — Cod. Belg. fol. 22 b-25 a. — Fatti storici ecc., doc. η. 4. Lib. Jur. B. fol. 375» ed. Ricotti, T. II, p. 790-806, n. 247. (3) Cod. Giust. T. I, fol. 88 a - 99 b. — T. II, f. 29 a 36 b. Cod. Belg. f.' 34 b-48 b. GIORNALE LIGUSTICO 409 delle Compere del Capitolo, pel prezzo di lire 100,000, assieme ad altri proventi, anche quel censo annuo costituito dai Mao-nesi (1). E mentre le grandi case degli Spinola, Grimaldi, Fieschi, Doria, Adorno e Fregosi, nonché sopperire alle angustie della patria, posero loro studio a cavarne sordidi guadagni, i Giustiniani offrirono spontaneamente di portare quel censo da 2000 a 2500 lire per anno, oltre un imprestito di altre 25,000 occorrenti a far fronte a varie spese di guerra. 11 Governo accettò la generosa offerta, mediante la convenzione dei 28 giugno 1385, e colse tale occasione per prolungare sino ai 21 novembre 1418 il termine del riscatto di Scio (2). (Continua). ANNUNZI BIBLIOGRAFICI Archivio storico per Trieste, l’Istria ed il Trentino. Roma 1881. Due egregi uomini, S. Morpurgo ed A. Zenatti, hanno impreso la pubblicazione di questo periodico, che si propone « di raccogliere quanto può servire alta conoscenza della storia di Trieste, dell’Istria e^del Trentino », mettendo in luce « memorie originali e documenti inediti, che illustrino la storia civile, letteraria ed artistica delle regioni onde s’intitola » , e facendo anche larga parte « alla rassegna bibliografica di quelle opere, che direttamente od indirettameute si occupassero di quelle provincie , o ne rappresentassero il movimento letterario ». Noi facciamo plauso a questo nuovo giornale, che conta fra 1 su°j collaboratori 1’ Ascoli, il D’Ancona, il Brunialti, il Carducci, il Cipolla, 11 Malfatti, il Milanesi, il Monaci, lo Schupfer, il Renier. (Pubblicazione trimestrale, di 256 pagine, il volume L. 8. Direzione Via del Corallo, 12, p. 1.° Roma). G. Salvo-Cozzo. Giunte e correzioni alla lettera A della « Bibliografia Siciliana » di G. M. Mira. Palermo 1881. _ _ . Questo volume è un Saggio di opera maggiore a cui intende il signor Salvo-Cozzo, e ci sembra buon argomento della sua attitudine in si fatti (1) Lib. magnus contractuum, fol. 51 a. nell’Archivio di S. Giorgio. Fatti storici ecc. doc. n. 5. (2) Cod. Giust. Tom. I, fol. I23a-i30b. Tom. II, fol. 39 a - 43 a- — Cod. Belg. fol. 50 b-58 b. — Federici, Collect. T. I; ad an. 1385. Liber Jurium B. fol. 379, ed. Ricotti T. II, p. 1016-1021, n. 287. 410 GIORNALE LIGUSTICO ^Alcune &lettere*’del cardinale Ippolito Aldobrandini a Carlo Emanuele I V CllCZla· ± (JLU 111 VC1 U vi e · \»/"\· prova della devozione « che per obblighi volontari , e per pi opria \ ^ lontà » serbò sempre la famiglia Aldobrandini verso casa Savoia , c i qui la sollecitudine nello adoprarsi in suo favore, e curarne le auccn e presso la Corte di Roma. La lettera infatti del 31 Agosto 1621, accenna alle pratiche fatte, perchè 1’ ambasciatore di Savoia ottenesse a apa quanto desiderava in ordine ad un negozio di qualche importanza , c ìe però non è qui chiarito, e potrebbe forse rilerirsi ahe turbolenze ce a Valtellina. Del medesimo anno è una commendatizia^ a favore 1 uc Waddingo, che si recava a Torino come visitatore dei^ Francescani. a più curiosa assai è una lettera del primo luglio 1629 d Odoardo arnese nipote dell’Aldobrandino, divenuto allora allora Duca di Parma, c le forma quasi un’ appendice alle sei sopraindicate. Lo zio , preveden o 1 fuoco che stava per sollevarsi a cagione della successione di Mantova, gli aveva proposto il Generalato dipendente dalla S. Sede. Egli accetta , ma soggiunge: « Ben è vero eh’ io desidererei farlo in modo, che seguisse con minor disgusto de’ Spagnuoli che fosse possibile, convenendomi ci haver sempre gran riguardo a non eccitargli senza necessità, per la mol a potenza che tengono, et particolarmente in Lombardia, dove hanno o stato di Milano, tanto contiguo a questi miei ». Desidera però una risoluzione sollecita, affinchè « habbia tempo di poter trattare opportunamente i » suoi « interessi unde occorrerà, dando orecchio ad altri partiti che » gli «fossero proposti». E mostrando come questo ufficio a lui contento debba tornare per più rispetti altresì utile agli Stati della Chiesa, * parlare di sè : « Nè doverà sminuire la reputatione alle armi della Si 1’ essere governate da un Principe della mia Classe , che per_ grazia di Dio ho gioventù et salute da poter sopportare ogni fatica et disaggio, et in modo da poter incontrare ogni grave pericolo; e per dirlo a V. o. 111.ma con quella confidenza che posso usar seco, non mi stimarei degno descendente de’ miei maggiori, se non portassi dentro al mio petto quei stimoli di gloria, che hanno reso loro ammirabili appresso la posterità». Quindi detto del modo prudente onde ha creduto dover mandare la lettera soggiunge : « So che è superfluo di pregare V. S. III.ma a compiacersi di trattare sempre il negotio come da se, portando tutti li pensieri, che le somministrarà la àua prudenza, come suoi proprii, sin che vegga qualche probabile speranza di buona riuscita ». Questa lettera è tratta dalla Borghesiana, come 1’ editore ci dice in un acconcia avvertenza. Pasquale Fazio. Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO DI UNA ISCRIZIONE GALLO-LATINA DELLA CISALPINA (MONZA) L’inedita lapide su cui stimo prezzo dell'opera richiamare 1’ attenzione di coloro i quali tanno soggetto di studio la disciplina della romana antichità, mentre ha il merito apprezzabilissimo di arricchire d’ un nuovo nome P elenco dei numina peregrina, il cui culto si collega sì intimamente alla storia del pantheon romano, ha d’altra parte una peculiare importanza, in quanto testo il latino vi è preceduto da una leggenda che, così dal punto di vista filologico come dal paleografico, sembra potersi connettere alle scarse reliquie d’un prezioso gruppo epigrafico già altrove da me segnalato come riferibile, vuoi per ragion di provenienza, vuoi per le forme alfabetiche e per la struttura dei vocaboli, alle antiche popolazioni galliche della valle del Po, e più precisamente a quelle a cui fu sede la regione che da esse appunto ebbe il nome di Gallia Cisalpina. Trattasi, è vero, d’uno di que’ monumenti che sembrano ofFrirsi allo sguardo piuttosto per provocare e irritare la curiosità dell’osservatore che per soddisfarla: nè punto mi dissimulo che l’interpretazione cui non senza peritanza mi accingo a proporne, lungi dall’essere suscettibile d una rigorosa dimostrazione, appena è se può aspirare al grado di congettura attendibile, a lato della quale la via è ancot larga, come dicevano i Greci. Ma l’essere il monumento di non facile interpretazione, e il fatto che quella da me proposta non esclude per avventura il caso di altra più plausibile, co- Giorn. Ligustico, iAnno VII e Y III. ^I2 giornale ligustico stituiscono altrettanti motivi a non ritardare per pai te mia la pubblicazione del monumento stesso: unico obbiettivo d ogni scientifica inchiesta esser dovendo la scoperta del vero; ne potendo io nutrire miglior desiderio che quello di porgere argomento e occasione a chi è più competente di me nella soggètta materia di rettificare gli errori in cui fossi incorso, o dare alla mia spiegazione quella sanzione autorevo e 1 cui abbisogna. Debbo la conoscenza di questa, come di tante altre iscrizioni, alla nota gentilezza di quell’ esimio cultore di are ìeo-logia preistorica che è il prof. Pompeo Castelfranco, il quale con raro acume ed instancabile attività, a cui non mane peranno il suffragio e la riconoscenza dei dotti, va da par anni indagando e additando a prò della scienza le tracce non prima avvertite delle antiche popolazioni galliche sovrapposi alle etrusche nell’ Italia superiore. La lapide fu trovata nel 1856 in un fondo contiguo a a canonica bassa della Basilica di S. Giovanni in Monza , alla distanza di circa 60 metri dalla parte posteriore della chiesa, mentre si scavava il fosso per le fondamenta d un muro di cinta. Nella stessa occasione venne pure esumato un capitello corinzio di marmo bianco lavorato a trapano nelle pai ti prò fonde; e tanto la lapide quanto il capitello trovansi ora nel Museo di Monza, per grazioso dono del proprietario signor prof. Aguilhon. Il monumento ha forma di stele arrotondata all estremità superiore : la sua altezza è di circa 0,78; la larghezza di 0,38. Sulla facciata anteriore, il campo epigrafico è limitato da una orlatura, e sormontato da una figura di luna falcata colle corna all’insù, fiancheggiata a sinistra da due astri (?) i cui raggi intersecano l’incurvatura dell’orlo. Le lettere misurano in media l’altezza di circa 0,055; e ^ test0 epigrafico inciso a caratteri rozzi, però chiari ad eccezione della prima linea, è GIORNALE LIGUSTICO 4T3 del seguente tenore : vixi naaqi SPARENO FECERV VSLEON VSDON DIMAN La prima riga, a prescindere anche dalla differenza d’alfabeto, apparisce di mano diversa da quella che ha tracciate le susseguenti, sia che si guardi alla minore altezza, larghezza e profondità delle lettere, sia che si tenga conto della loro posizione rispetto al resto della leggenda; imperocché dove questo si svolge entro un campo determinato, come si è detto, da una orlatura, le lettere della prima riga in parte tagliano e alcune persino oltrepassano i limiti che determinano a destra l’area epigrafica. Le due voci onde consta la prima riga sono scritte da destra a sinistra con lettere desunte dall’alfabeto etrusco, ma riferibili a quel tipo speciale a cui s’ informa la grafia galloitalica in noti monumenti (i). Il rimanente è in latino vergato da mano barbarica, chè tale l’accusa, non tanto la forma (i) Citerò fra questi le lapidi di Aranno . di Davesco, di Sorengo, di S. Pietro in Stabio, nel Canton Ticino (Fabretti, Corp. inscr. ital. ant. acvi, i, 2, 2 bis, 2 bis a, 2 ter; Suppl. _j.°, i. — V. Poggi, Di una nuova iscrizione a lettere etrusche , nel Bull. dell’Inst. ài corr. arch., 1875, p. 200); quelle di Briona (Corp. inscr. it., 14 bis), di Todi (ib., 86) etc.; le monete così dette salassiche (ib., 3-5, 52-54, 56, 63-65. — Revue numismat., 1861 , p. 333 sgg.); le cisalpine (Dictionn. archêol. de la Gaule, Monn. Gauloises, 48. — P. Castelfranco, Tombe gallo-italiche rinvenute al Soldo, nel Bull, di Paletnol. ital., τ8η^, n. 1. — P. D. L. Bruzza , Iscr. antiche vercellesi, p. CVI sgg. — Fabretti, Suppl. i.°, 104) etc. ; i vasF graffiti di Milano (id., C. i. it., 11), di Cernusco, di Alzate, di Como etc. (V. Poggi, Contribuzioni allo studio dell’epigrafia etnisca, 38-56). 4H GIORNALE LIGUSTICO dei caratteri in generale, quanto l’anormalità delle note, ossia il modo di compendiare troppo disforme dalle regole della romana epigrafia. Siamo dunque in presenza d’una epigrafe gallo-latina, spettante, cioè, come le analoghe etrusco-romane, ad un periodo in cui sebbene la lingua e la scrittura dei conquistatori fossero ormai di uso officiale, non solo, ma da lungo tempo prevalenti, anzi generalizzate nelle provincie soggiogate, pur tuttavia non erasi nell’universalità dei vinti ancor siffattamente obliterata la nozione dei parlari e degli alfabeti patrii che voci e forme proprie di questi ultimi non ricomparissero tratto tratto, o sole o promiscuamente alle nuove , anche in iscrizioni di carattere pubblico; timida espressione di sterili velleità etniche, a cui precludeva ogni altro sfogo 1 azione dissolvente ad un tempo e assimilatrice del romano dominio. Per quanto risguarda il soggetto dell’ iscrizione in esame, la struttura epigrafica, in generale, e le ripetute forinole votive e dedicatorie non lasciano dubbio trattarsi d’ un titolo sacro. Ma a quale classe di divinità dovrà egli assegnarsi 1 ignoto titolare, il cui nome al terzo caso fa qui la sua prima apparita nella seconda linea del testo ? Un apprezzabile indizio può per avventura desumersi dalla voce LEON con cui si chiude la quarta riga; voce che richiama il noto appellativo degli iniziati al quarto grado dei misteri di Mitra, derivato, per quanto asserisce Tertulliano, dall’ effigie leonina ; caratteristico attributo del simulacro di quel nume (i). (i) « Et quia statua leonina effigie erat, iidem mystae Leones vocitabantur » (De corona mil.). Anche l’antico scoliaste della Tehaide di Stazio, Lutazio Placidio, accenna ad una consimile imagine : « Persae in spelaeis Solem colunt, et he Sol proprio nomine vocatur Mithra: est autem ipse Sol leonis vultu, cum GIORNALE LIGUSTICO 415 All’ ipotesi di una divinità del ciclo mitriaco convengono, infatti, mirabilmente le sigle dell’ultima linea; nè le disdice il simbolo della luna crescente, sia che alluda ad Ecate , la cui associazione al culto mitriaco è attestata da tanti monumenti (1), sia che si riferisca a Selene, nella sua ovvia qualità di πάρεδρον del Sole invitto Mitra (2); come non le sconvengono gli astri, se pur tali sono, in ordine ai quali thiara , persico habitu, et utrisque manibus bovis cornua comprimens » (ad v. ult. lib. I) : dove è ad avvertire che questa rappresentazione leontoce-fala di Mitra era propria del culto arcano o acroamatico, ed oggetto, come pare, di peculiari cerimonie e divozioni per parte degli iniziati al quarto grado dei misteri ; mentre il Mitra del culto pubblico ed essoterico veniva rappresentato, quale ce lo mostrano 1 noti monumenti esprimenti il sagrificio mitriaco, sotto la figura di un efebo taurociono in costume orientale. Il tipo leontocefalo è certo più antico dell’altro, e ricorda il gruppo prediletto dell’arte orientale, del Leone, simbolo solare, atterrante il Toro; laddove il Mitra efebo dei prefati bassorilievi è piuttosto un prodotto del sincretismo. I due simulacri leontocefali e serpicinti di Mitra oggi nella biblioteca vaticana provengono dallo speleo ostiense riservato all’ esercizio del culto arcano (Zoega, Abhandlungen, p. 193-198). (1) Orelli, Inscr. lat. select, ampi, coll., 1901, 2335, 2331-2353, etc. (2) Orelli-Henzen, op. cit., 1925, 5856 etc. — C. i. l., VI, 755. Molti sono i monumenti mitriaci sui quali il testo epigrafico è sormontato o fiancheggiato dalla luna variamente figurata. Per accennarne alcuni, C. i. I., VI, 81, 719, 721, 737, 3730. In lapide di Hrastnik (C. i. III, 5121), Eutiche, Iulior(um) c(onductorum) p(ortorit) p(ublici) ser(vus contra) scr(iptor) stat(ionis) Boiod(urensis) exvik(ario) Benigni vil(ici) Atrant(inae), dedica al dio invitto Mitra aram cnm signo Lunae. Di vero, nel concetto di molti la vittima del sacrificio mitriaco, ossia il Toro mitriaco, identificavasi appunto colla Luna : l’atterramento di esso per opera di Mitra simboleggiava la prevalenza del Sole sulla Luna, vale a dire la vittoria del dio della luce sulle potenze della notte di cui la luna è l’emblema. Noti sono in proposito i versi onde si chiude l’invocazione di Adrasto GIORNALE LIGUSTICO basti ricordare l’iscrizione C. i. /., VI, 754, dove un cultore di Mitra viene appunto qualificato « coelo devotus et aslns ». Ciò posto, sembra potersi proporre l’infrascritta lezione : IAERII ITIV S (aerum) P A RENO FECERVty) V(oto) S(uscepto) LEON(^) V (0/0) S(oluto) DON posuerunt) D (ei) I (nvicti) M (ithrae) AN (tistites) Per quanto concerne le due voci della prima riga, già ho accennato più sopra come paleograficamente spettino ad una varietà del tipo etrusco, propria di alcune regioni dell’Italia superiore, da me chiamata gallo-italica, e di cui in altro lavoro ho tratteggiato i contrassegni più caratteristici (V. Poggi, Contribuzioni allo studio dell’epigrafia etnisca, 38 sgg.). Similmente, parmi doversi arguire, così dalla fonetica come dalla forma ortografica, e in generale, dalle analogie che presentano con altre voci di indubbia classificazione, che sotto il rispetto filologico essi appartengano ai dialetti celtici della Cisalpina. Esprimono probabilmente due nomi propri: il primo dei al Sole nella Tebaide di Stazio (I, vv. 716-720): « Adsis, 0 memor hospitii, Junonaque arva Dexter ames, seu te roseum Titana vocari Gentis Achemeniae ritu, seu praestat Osirin Frugiferum, seu Persei sub rupibus antri Indignata sequi torquentem cornua Mithram ». ; " V 11 qual ultimo passo afferma il precitato antico scoliaste Lutazio Pla-cidio doversi riferire alla Luna « quae indignata sequi fratrem, occurrit illi, et lucem ei obscurat...... Sol ergo Lunam minorem potentia sua et humiliorem docens, taurum insidens cornibus torquet; quibus dictis Statius Lunam bicornem intelligi voluit ». CIORNALE LIGUSTICO quali, che trascrivo «iaerii», è caratterizzato dal doppio i, ortografia che ricorre nelle forme «tituiiu», «fasiiu» etc., di leggende galliche della suddetta regione da me pubblicate (i), e fa riscontro al nome «iairisiu» della stessa famiglia e provenienza (2); l’altro, «itiu», mentre ha comune la desinenza colle forme ora citate, nonché colle congeneri « iouriu » (Poggi, op. cit., 54), « koliuetu » (ib., 52), « tisiu » (C. i. it., 2), «rninuku» (ib.,2bisfl), « k a r n i t u » (ib. 86) etc. , di iscrizioni parimente gallo-italiche (3), trova nn- (1) V. Poggi, op, cit., 53, 55, 56. Da confrontarsi colle forme « caliidu » (Dictionn. archèol. de la Gaule. Monti. Gaul., 130), « ciciidu » (ib., 134)) * osnaii » (ib., 146), «vandiilos» (ib., 157), « vii potalo » (ib., 152), « caliaciii » (ib., 158), « atpilii » (Duchalais, Descr. ces monn. Gaul., 373 )» « siinui » (ib., 617), « iipomiilos » (ib., 30 5 ) * alabrodiios » ( ib., 32), « tasgiitoc » (ib., 371), « iankoveii » (Revue numism., 1839, P· 33°)» etc· > monete galliche; nonché con « baiiorix » ( H. Monin, Monum. des anciens idiomes Gaul., p. 132); « dugiiontiio » (ib., p. 43), « alisiia » (ib.) etc., di epigrafi spettanti allo stesso gruppo filologico. Non tacerò in proposito come anche recentemente il prefato H. Monin (op. cit., p. 162) abbia espresso l’opinione che nelle leggende galliche la doppia asta II equivalga alla lettera e, come talora nelle latine ; sebbene sia poi costretto ad ammettere che alcune volte, come in « boiiorix » etc., non possa contestarsi a quel segno il valore di doppia i. Cosi pure il ch. G. Oriani (Urna Contarena, Venezia, 1880, p. 18) è di parere che, per quanto riguarda l’alfabeto euganeo, le due aste corrispondano all « impropriamente detta e latina ». (2) V. Poggi, op. cit., 53. Il secondo elemento potrà sembrare ad altri un digamma, nel qual caso la voce suonerebbe « i v e r i i » : preferisco peraltro la prima lezione come più consona alla fonetica, e sopratutto allo stile paleografico delle leggende gallo-italiche , dove la lettera a affetta quasi sempre la forma del digamma. (3) Cf. le voci « vartiu », « ratiu », « frontu », « ieuru », « al i-sanu », etc. di note leggende galliche (Dictionn. arch. de la Gaule. Inscr. Gaul., 6, 6 bis, 7, etc.). 4i8 GIORNALE LIGUSTICO inerose parentele fra i nomi propri gallici, tanto d oltralpe, quali « itto » (C. i. /., III, 47&4> 5242)> a ittu » (ib·, 5^4°)> « itu 1 us » (ib., 4934, 5425» 54δ9)> «itillicus» (Revue archéol., 1880, p. 138), proferti da epigrafi della valle del Danubio e di altre regioni, quanto della stessa Cisalpina, dove già ho segnalato i nomi di persona « i t i 11 » (Poggi, op. cit., 45), e « itiusiulios » (ib., 50), nè vi dissuona il topografico «ictimuli», celebre per le miniere doro ìicoidate da Strabone (I, p. 299 ed. Meineke, Lipsia), e da Plinio (XXXIII, 2i, 12). La seconda riga contiene la dedicazione o consecrazione della lapide ad un dio, il cui nome inaudito induce sulle nostre labbra la domanda che ruminava fra sè D. Abbondio riguardo a quello di Cameade (miracolo che anche in archeologia non s’avessero a citare i Promessi sposi). Chi è questo Parenus (0 Sparenus) ? Qual seggio conviensi nel pantheon dell’orbe romano a questa divinità di cui tacciono gli scrittori non meno che i monumenti ? Abbiamo più sopra accennato i motivi che ci persuadono a riferire il nuovo nume al culto mitriaco. Se tale ipotesi è fondata, come havvi ragione di credere, l’iscrizione in esame non costituisce altrimenti un fenomeno isolato, bensì viene ad allacciarsi ad una serie di monumenti analoghi, e la nuova deità per essa rivelata trova il suo posto in una schiera di mistici enti ad essa congeneri, la ragione dei quali riposa del pari sull’unica fede di qualche testo epigrafico. Considerato quale membro del tiaso mitriaco, il dio Parenus entra in linea con Cautus Pates (1), con Nocturnus (2), con (1) « Deus invictus Mithras Cautus Pates » (talvolta Cautes), Orelli-Henzen, 184S, 2040-41, 5056, 5848-5853. — C. i. 1., II, 464, 1025; VI, 86, 748, 3730. — Cf. Labus, negli Ann dell’Inst. di corr. arch., 1846, p. 268 ; Monum. Bresciani, p. 48. (2) C. i. ]., III, 1956; V, 4287. CORNALE LIGUSTICO 419 Phosphorus ( 1), con Oriens (2), con Jao (3), con Abraxas (4), con Arimanius (5), con Navar\es (6), con Brontoli (7), con Serapis (8), con Ammudates (9), con Alagabalus (10), con Hierobolus (11), con A^us (12), con Malachibelus (13), (1) « Posphorus bonus deus «, « bonus puer », Or., 1934-1938, 4986. (2) C. i. l., VI, 556. Oriens Aug. è effigiato ed inscritto in ovvie monete di Aureliano (Milani, Monete della Venera, 1135-1167). (3) A questa divinità, oggetto di particolare devozione per parte dei Gnostici, e il cui nome ricorre su tante gemme e altri amuleti del II e del III secolo dell’èra cristiana, sarà lecito riferire il 10Al dell’Orelliana 1939. La sua rappresentazione identifìcavasi spesso su gemme con quella del Sol invictus (V. Poggi, Inscrizioni gemmarie, i.a*serie, 28). (4) L’ identità del gnostico Abraxas con Mitra risulta anche dal seguente passo di S. Gerolamo (in cap. 3, Amos) : « Basilides omnipotentem Deum portentoso nomine appellat Abraxas, et eumdem secundum Graecas li-ter as et anni cursus numerum, dicit in solis circulo contineri: quem Ethnici sub eodem numero literarum vocant Mithram ». Invero, tanto il nome di ΑΒΡΑΞΑΣ quanto quello di ΜΕΙΘΡΑΣ, risolti in numeri all’ uso greco, danno la cifra 365, numero dei giorni dell’anno. (5) « Deus Arimanius » C. i. I., III, 3415 i VI, 47. (6) « Navarzes invictus deus », C. i. l., VI, 742. Altrove, « Nabar^es invictus Mithras », ib., III, 3481 - (7) Si avea per sospetta l’Orelliana 1272, colla menzione di: « Brontoli bonus deus », ma l’analoga 733 del C. i. l-, VI, sulla cui legittimità non può cader dubbio, ne ha og7Ì ristabilito il credito. (8) « Deus invictus Serapis » ; « Sol Serapis » ; Or., 1887, 1891-92. Da non confondersi co prototipo egizio, e nè tampoco col « Jupiter Serapis ». (9) C. i. h, III, 4300. (10) « Sol Alagabalus », Or., 1940, 2161. — C. i. I, VI, 708, 2269. « Deus sol Alagabalus Ammudates », C. i. I., III, 4300· « Sol Elagabalus », Or., 1940, 5514-15. « Deus Sol Heelngabolus », id., 1941 - (11) « Deus Sol Hierobolus », C. i. I., Ili, 1108. Ίαρίβωλος, C. i. gr., 4483, 4502. (12) « Deus Axinus bonus puer », C. i. I., Ili, 875. (13) « Deus Sol invictus Malachibelus », Bull, della Comm. arch. comun. 420 GIORNALE LIGUSTICO con Austus (?i), etc.; colle deità, insomma, che esercitano, a così esprimermi, ufficio di asteroidi nel sistema del Sol invictus Mithras, e il cui numero viene di giorno in giorno aumentando quanto più va estendendosi il raggio delle osservazioni archeologiche. La forma FECERV per fecerunt vuoisi ritenere come una rappresentazione della pronuncia volgare, e una testimonianza dell’azione, lenta bensì ma incessante, onde i preesistenti dialetti tendevano a modificare l’idioma imposto dai vincitori. Di simile apocope nella terza plurale del perfetto troviamo esempi in iscrizioni di tempi e luoghi diversi, come « p r o-baru » in lapide pompeiana (Garrucci, Sylloge. inscr. latin., 1688), «emeru» in titolo di Cora (ib., 829), etc. Come esempio di votum susceptum contrapposto a votum solutum, può addursi fra le altre la lapide di Mariasaal, C. i. L, III, 403, in cui M. Ulpio Valerio « spccul(ator) leg(ionis) primae Nor(icae), votum a patre suscept (uni) solv(it), l(aetus), l(ibens) m(erito) ». Quanto è alle note LEON» DON e AN delle ultime tre linee, valgono a particolare conferma di quanto ho testé osservato circa i modi insoliti di compendiare che si riscontrano in questa lapide; d’onde è lecito arguire che 1 iscrizione sia stata vergata da mano barbarica , o poco famiglia-rizzata colle regole della latina epigrafia. Il supplemento DON (um posuerunt) è autorizzato dalle Orelliane 1927 e 1944; alle quali potrà all’uopo aggiungersi l’inscrizione del bassorilievo ostiense, del pari mitriaco, C. i. L, VI, 737, dove la stessa formola, di cui non man- di Roma, 1880, p. 13. Cf. l’ara capitolina bilingue C. i. I., VI, 710, di cui l’iscrizione in lettere palmirene, interpretata dal Gildemeister, dice appunto che fu consacrata a Malakbelo e agli altri Dei di Paimira. (1) « Mithras invictus deus Austus » (?), C. i. 1., II, 2705. GIORNALE LIGUSTICO 421 cano peraltro esempi in altri titoli sacri (1), espressa colle semplici sigle D · P, venne in ugual modo riconosciuta e supplita dal ch. C. L. Visconti (2). La lezione AN (tistites) è suggerita dal contesto epigrafico, e confermata dalla frequenza con cui la menzione di siffatta carica ricorre particolarmente sui titoli mitriaci (3). Sulle generalità di tempo e di luogo, appena è d’uopo qui ricordare come il culto del persico Mitra («Persidicus Mithras», Or., 2353) importato a Roma dai pirati della Cilicia fin dai tempi della Repubblica (Plutarco, Pomp.), si andasse di mano in mano estendendo sotto l’Impero, tanto che nel secolo III i suoi riti si praticavano su tutta la superficie dell’ orbe romano, oltre a costituire parte precipua del culto della famiglia imperiale; e come fatto segno nel secolo susseguente ad accanita persecuzione per parte del Cristianesimo trionfante, ond’ebbe distrutti i templi ed abbattuti i simulacri (4), si spegnesse finalmente nei primordi del secolo V ; trovandosi infatti, ancor menzione della pratica dei suoi riti nel poema di S. Paolino (5), scritto secondo il Muratori, nell’anno 394 o nel successivo. (1) Wil'manns, Exempla inscr. lat., 55. — C. i. I., VI, 630. (2) C. L. Visconti, Del Mitreo annesso alle terme ostiensi di Antonino Pio, negli Annali dell’Inst. di corr. arch. 1S64, pgg. 180, 182. (3) Orelli-Henzen, 2202, 2353, 5983. — C. i. I., VI, 716, 737, 3724; — G. B. De Rossi, nel Bull, di arch. crist., 1870, p. 156; — C. L. Visconti, op. cit., pgg. 160, 162. (4) Fu nell’anno 377 che Gracco, Prefetto di Roma, « specum Mithrae, et omnia portentosa simulacra, subvertit, fregit, excussit » (S. Girolamo, epist. 107, ad Laetam) ; al quale avvenimento si riferiscono appunto i versi 361-65 dei i.° libro di Prudenzio Contra Symmachum. È noto che questo speleo trovavasi presso l’odierna chiesa di S. Silvestro. (5) « Quid quod et Invidum spelaea sub antra recondunt, Quaeque tegunt tenearis audent hunc dicere Solem ». Paulini Nolani Opera, edit. Veron., p. 703. Ad un concetto analogo ^22 GIORNALE LIGUSTICO Fra i paesi^Tqw^w culto attecchì più prontamente ed ebbe poscia più rigoglioso sviluppo, vuoisi certamente annoverar la Gallia, alla quale è a credersi sia derivato direttamente per la via di Massalia, come a Roma per quella di Ostia (i). Numerosi, infatti, sono nelle provincie galliche 1 monumenti spettanti al culto mitriaco nei diversi periodi del suo corso storico (2): nè la Cisalpina fu da meno della Gallia propria nel far buon viso al Mitriacismo, come ne fanno ampia fede monumenti di Brescia (C. i. /., V, 4287), di Bergamo (ib., 5116), di Milano (Or., 1909), di Angera (Biondelh, Rendiconti dell’Istit. Lomb., 1868, p. 523. Brambilla, Farese e il suo Circond., II, p. 258), di Vercelli (P. D. L. Bruzza, Iscr. ani. vercellesi, pgg. LXI e 382), etc. La lapide di Monza, come monumento mitriaco, trova pertanto la sua ragion d’essere nel fatto, comprovato da irrefragabili documenti epigrafici, che il Mitriacismo fu in gr^n voga presso le popolazioni gallo-italiche, o cisalpine che dii si vo gliano; connettendosi in tale qualità ad una cospicua serie di monumenti congeneri, di cui non si può disconoscere la speciale importanza dal punto di vista storico e religioso. s’inspira 1’ autore cristiano del carme illustrato del ch. G. B. De Rossi nel Bull, d’archeol. crist., 1877, P· 57> quando deride Flaviano il quale docuit sub terra quaerere solem. (1) Nell’iscrizione mitriaca di Haguenau, Or. 1910, il dio è chiamato Medru (Deo Medru. Matutina. Cobnert). Questa voce essendo al dativo, si può inferirne che il nome di Mitra suonasse in idioma gallico Medbras col th dell’odierno Inglese (H. Monin, op. cit., p. 186). (2) V. Lajard, Récherches sur le cuite public et les mysteres de Mithra, e l’Atlante della sua opera inedita. Posteriormente alla pubblicazione del Lajard, altri monumenti mitriaci furono .scoperti in Francia, a Labège presso Tolosa (Rossignol, nelle Revue arch. du midi de la France, 1868, II, p. 89-100) a Strasbourg (Bullettin archèol., Moutauban, 1869, p. 93 s8-)> a La Batie Mont-Saléon, nel dipartimento delle Hantes-Alpes (Florian Vallentin, Visite au musée epigraph. de Gap, Vienne 1880, p· 22), etc. GIORNALE LIGUSTICO 423 Rimane ora ad esaminare se nel monumento di cui ci occupiamo abbiasi a ravvisare nulla più che l’espressione d’una privata devozione, o se il contesto epigrafico porga argomento a dedurre 1’ esistenza in Monza d’un Mitreo , o Santuario in cui si esercitassero i mistici riti del culto mitriaco; e in questo caso , a quale classe di tali sacri edifizi possa il medesimo ritenersi assegnabile. Imperocché i Mitrei, usando questa parola nella sua più larga accezione di ambienti addetti all’esercizio del culto mitriaco, erano di diversa specie, secondo i diversi riti che in essi doveano compiersi. Ricorderò, anzitutto, il templum, propriamente detto, destinato alle pratiche spettanti alla parte esteriore (essoterica) e pubblica del culto, e come tale a tutti accessibile: la sua architettonica non differiva in generale da quella degli altri templi greco-romani; e come trovasi citato in molte lapidi (1), così se ne riscontrano numerosi i ruderi. Più caratteristico , sebbene comune ad altri culti coi quali il mitriaco avea comune la pratica dei Misteri, era un altro edifìzio (Sacrarium ? C. i. /., IH, 4413 j VI5 738) di cui son tornati a luce in più luoghi gli avanzi, inaccesso ai profani e riservato all’esercizio del culto acroamatico, e più precisamente dei riti arcani onde nella ricorrenza del solstizio d inverno, al punto in cui la luce riprende la sua prevalenza, si celebravano il combattimento e la vittoria del dio della luce sul toro, simbolo delle fosche potenze della notte (2), e le altre (1) Orelli-Henzen, 1064, 1921 , 2344. 2353, 6510 etc. — C. i. I, III, 4039, 4540, 4796, 4800; VI, 747, 749> etc· (2) Secondo il neoplatonico Porfirio (Των Νυμφών âvxpou), Mitra, considerato nella sua essenza cosmogonica, è generationis dominus; laonde il toro su cui risiede rappresenta il soggetto della generazione: « Quocirca Mithrae peculiarem sedem iuxta aequinotia attribuerunt: ideo arietis, Martii signi, gladium gestat; vehitur que tauro, signo Veneris: nam Mithra, aeque 424 GIORNALE LIGUSTICO mistiche gesta di Mitra considerato come principio cosmogonico. Tali appariscono il Mitreo ostiense illustrato da C. L. Visconti (op. cit.), i due scoperti nel 1826 a Heddernheim pi esso Wiesbaden e descritti dall’Habel (1), quello edito, oltre ai due precedenti, nell’Atlante del Lajard, alcuni della regione danubiana, etc.; fors’anche a questo speciale edificio accennano le iscrizioni mitriache quando adoperano la voce aedes (Or., 1911, 1917 etc.): infatti, prescindendo qui dall antiquata liturgica distinzione fra aedes e templum conservataci da alcuni scrittori (2), e nonostante che nell’ uso comune le due voci fossero spesso impiegate una per l’altra, ricorderò che appunto una lapide mitriaca di Roma nomina distintamente le voci stesse come relative a due diveisi edi- (3)‘ · Μ' · Singolarissimo, invece, ed esclusivamente proprio al Mitria- ut Taurus auctor productorque rerum est, et generationis dominus; positus autem est iuxta aequinoctialem circulum, habens a dextris partes septcmtno nales, a sinistris australes: adiuncto ipsi australi haemispbaerio a parte austri, eo quod calidum sit: versus boream vero boreali, ob venti eius frigiditatem » (Porphyr., De antro Nympharum, trad. di Luca Holsteim, Roma, MDCXXX, p. 124). È questa parimente la dottrina professata daH’eruditissimo vescovo di Adria, mons. Filippo Della Torre nell’aurea sua monografia: Monumenta veleris Antii (Romae, MDCC): « Hinc, ut opinor, Mithra gladium apud Porphyrium gestat, quo tn nostris tabulis (rappresentanti il sagrifizio mitriaco) taurum transfodit: ad significandum, scilicet, Solem vi et potentia radiorum subiectum generationis quod per Taurum figurari diximus, penetrare et, veluti inflicto vulnere, pervadere » p. 158. (1) Die Mithras-tempel in den romischen Ruinen bei Heddernheim. JVies-badcn, j8jo; citato dal eh. Visconti nella prelodata monografia sul Mitreo Ostiense. (2) Aulo Gellio,’ Noct. Att., XIV, 7. — Servio, Ad Aeneid., I, 44^> VII, 153, 174; IX, 4. (3) *.....templum, (aede)m. cum columnis, d.d. (C.i. L, VI, 747)· giornale ligustico 425 cismo era lo Speleum (1), ο Anlrum (2), detto anche Specus (3) e Spelunca (4), recesso trogloditico istituito primamente da Zoroastro nelle montagne della Persia, come afferma Porfirio sulla fede di Eubulo , in onore di Mitra padre ed autore di tutte le cose, ed a significazione del Cosmo da essolui plasmato (5). (1) Grutero, Inscr. ant., pgg. 33, 6; 34, 7. — Ordii, 1909, 2340, etc. — C. i. L, V, 810, 5795; VI, 733, 3723. (2) *......Persei sub rupibus antri » Stazio, Theb., I, v. 719. K......Invictum spelaea sub antra recondunt » S. Paolino, 1. c. Nell’iscrizione mitriaca di Tamesio Augenzio Olimpo Vittore, C.i. /., VI, 754, è posia in rilievo la differenza essenziale fra il templum e 1’antrum : « Olim Victor avus} coelo devotus et astris, Regali sumptu Phoebeia templa locavit. Hunc stiper at pietate nepos cui nomen avitum est; Antra facitsumptusque tuos nec, Roma, requirit ». (3) « Specum Mithrae et omnia portentosa simulacra » S. Girolamo, epist. 107, ad Laetam, passo cit. (4) « Hunc Mitbram dicunt. Sacra vero eius in speluncis abditis tradunt, ut semper obscuro tenebrarum squaliore demersi, gratiam splendidi ac sereni luminis non videant ». Giulio Firmico, De errore prof, relig., V. (5) « Eodem modo Persae descensum animae in inferiora et regressum eius mystice significantes, sacerdotem initiant, ipsi loco speluncae nomine imposito ; quandoquidem, auctore Eubulo, Zoroaster primus omnium in montibus Persidi vicinis, antrum nativum, floridum, fontibusque irriguum in honorem creatoris patrisque omnium Mithrae consecravit, ita ut antrum conditi a Mithra mundi figuram ei praeberet: ea vero quae intra antrum erant certis invicem intervallis disposita , elementorum climatumque mundanorum symbola seu figuras gererent. Dein post Zoroastrem apud alios quoque obtinuit, ut in antris atque specubus, sive nativis sive manu]'actis, initia et res sacras peragerent : n.am ut Diis coelestibus templa et delubra atque altaria 'ponebant; terrestribus vero et heroibus aras; subterraneis autem scrobes et aediculas; ita mundo antra et specus: itidem ei Nymphis, ob aquas in antris distillan'es et scaturientes, quibus Naiades nymphae, ut mox dicemus,praesunt. Nec mundi tantum , uti diximus, geniti scilicet ac sensibilis, symbolum fa- 426 GIORNALE LIGUSTICO Nello speleo naturale, o artificiato a imitazione del prototipo Zoroastrico adombrante il Teocosmo, compievansi le più auguste ed arcane cerimonie della religione di Mitra modificata col tempo, come tutti i culti orientali, dall’accessione di nuovi elementi, dal sincretismo, cioè, e dalla superfetazione delle forme simboliche ed ascetiche. Era il luogo riservato più specialmente alle funzioni « descensum animae in inferiora, et regressum eius mystice significantes », ossia alla celebrazione dei « sacratissima mysteria » (C. i. 1., VI, 736), a conferire e a ricevere le iniziazioni ai diversi gradi dei medesimi: ond’è che la sacramentale (1) denominazione di θ-εός έκ πέτρας non soltanto alludeva all’origine di Mitra in quanto « de petra natus » (2) come dalla selce percossa sprizzala scintilla ignea, simbolo purissimo della divinità creatrice, ma alla caratteristica celebrazione dei suoi riti entro le viscere delle rupi, sede naturale del sacro fuoco, e la cui oscurità emblemeggiava le tenebre caotiche donde era uscito il dio trionfante delle forze disordinate della natura, per rigenerare il mondo. Attesta infatti Porfirio nel luogo precitato, e altrove (3), come in osservanza dei Zoroastrici ' riti , le ciebant antrum; sed pro omnium quoque invisibilium virtutum symbolo idem accipiebant : quod antra quidem obscura; virtutum vero illarum essentia incognita sit ». (De antro Nymph., p. 107 sg.). (1) « Profanum sacramentum » la qualifica Giulio Firmico nel suo trattato De errore prof, relig. (2) « Invictus de petra natus, si deus habetur », etc. Commodiano, Instructiones, XIII. - Della natività di Mitra parlano parimente S. Gerolamo, lib. I, adv. Jo-vinianum, e S. Giustino martire nel Dialogo cum Tryphone, ambedue citati dal prelodato monsignor Della Torre ; e vi allude la petra genetrix menzionata da parecchie note iscrizioni, e il cui simulacro si rinvenne in diversi mitrei. (3) «... . ubicumque vero Mithram agnoverunt, eidem Deo in specubus sacra fecerint ». Op. cit., pag. 120. Cf. Giulio Finnico, 1. c. GIORNALE LIGUSTICO 427 cerimonie delle iniziazioni e della celebrazione dei misteri di Mitra, « mitia et res sacrae », si praticavano sempremai in tali antri naturali o artificiali: di che sarà lecito inferire che appunto in tali antri avessero luogo le ottanta prove preparatorie enumerate da Nonno a commento dell’ invettiva di S. Gregorio Nazianzeno in Julianum (1), e la serie degli esercizi ascetici che precedevano, accompagnavano e seguivano Γ iniziazione (2). L’antro veniva dunque considerato a buon dritto come la culla della religione mitriaca; laonde conservava sugli altri Mitrei quella preminenza che nella liturgia cristiana ha sulle altre chiese la primitiva Basilica. Circa Y apparato proprio di questi antri (3), non abbiamo finora dati abbastanza positivi, ma per quanto siavi ragione di ritenere che gli spelei mitriaci del mondo occidentale non uguagliassero a gran pezza Y «antrum nativum, floridum, J'on-tibusque irriguum » istituito da Zoroastro, e nettampoco le altre meravigliose grotte della Persia, i cui resti vennero nella prima metà di questo secolo segnalati e descritti dal Ker Porter (4) e dal Rawlinson (5), si può tuttavia plausibilmente congetturare che, nonostante le minori proporzioni, sì (1) « . . . . primum ei diebus multis aperienda est aqua. Deinde necessario ipsi faciendum est ut in ignem corniciai ; postea in solitudine versari, sibique ipsi inediam imperare necesse habet; atque ita ad alia pergere quousque LXXX suppliciorum genera defunctus fuerit. Quibus si supervixerit, tunc demum sacris mithriacis initiatur ». (2) Le prove e gli esercizi a cui venivano sottoposti gli aspiranti ai misteri di Mitra formano il soggetto di note rappresentanze monumentali (De Hammer, Mitriaca, Tb. V-VII, XIIII. Lajard, Rècherches sur le culte public et les mysteres de Mithra, pi. XCII-XCIV, XCVIII, XCIX). (3) L’ iscrizione di Aquileia, C. i. ì., V, 810, parla di uno « speleum factum cum omni apparata ». (4) Tr.avels, Lond., 1821, I, p. 510 sg.; II, p. 495-497» 540-5 53- (5)" Nel Journ. of thè geogr. roy. soc., Lond., X, p. 45. Giorn. Ligustico , Anno VII e Vili 27 428 GIORNALE LIGUSTICO per la loro oscurità misteriosa , sì pel loro spettacoloso apparato, fossero atti a colpire ed eccitare in sommo grado l’ima-ginativa dell’iniziato (μυστός). Come elementi più o meno noti di tale apparato si possono citare : « ea quae intra antrum, certis invicem intervallis disposita, elementorum climatumque mundanorum symbola seu figuras gererent » (Porfir., loco cit.); le are sulle quali ardeva il fuoco, che nella religione dei Magi costituiva la più pura manifestazione dell’essenza divina (1); il cratere, simbolo della fonte purificatrice (2) ; i podii gra* dinati, di cui offrono esempi lo speleo celimontano e i mitrei di Heddernheim, di Ostia e della regione danubiana, sia che servissero di posti d’onore per gli iniziati ai gradi superiori, sia che, come opina il chiarissimo De Rossi, vi si adagiassero sopra i compartecipanti al banchetto finale delle iniziazioni; i pozzi, dove, secondo la congettura espressa dallo stesso scrittore riguardo a quello che si trovò nel dianzi citato speleo, probabilmente gli iniziati ricevevano una specie di battesimo di cui è cenno in Tertulliano (De Bapt., V); i Genii faciferi, esprimenti gli equinozi di primavera e d’autunno (3); le stazioni del Cancro e del Capricorno, delle quali la prima nel linguaggio dei misteri chiamavasi porta della Luna, d’onde le anime scendevano sulla terra, l’altra era detta la porta del Sole, e per essa le anime risalivano al cielo (4) ; i pirei, (1) Or., 1916, 1918, 1920, 2352-53, 2355, etc. Quella del mitreo di Heddernheim è internamente vuota e contiene due bracieri con residui di spugne, le quali, imbevute d’alcool, servivano probabilmente a far scaturire una fiamma portentosa dal piano bucherellato dell’ara stessa. (2) «.....quemadmodum iuxta Mithram crater pro fonte ponitur ». Porfirio, De antro Nymph., p. 118. (3) C. L. Visconti, Del mitreo Ostiense, etc. (4) Virgilio, Aen., VI. — Macrobio, Somn. Scip., I, 12. — F. Della 1 orre, op. cit. — C. L. Visconti, op. cit. GIORNALE LIGUSTICO allusivi ai -gradini della mistica scala descritta da Origene (i), pei la quale le anime salivano dalla porta del Cancro a quella Capricorno; le ìmagini diverse del dio, e i « signa sacrorum », rappresentazioni allegoriche relative ai differenti gradi di iniziazione (2); i « bela domini insignia habentes » (3), i bassorilievi esprimenti le diverse prove per cui doveano passare gli iniziati (De Hammer, op. e 1. cit., Lajard, op. e 1. cit.), e simili altre rappresentazioni figurate; i « portentosa simulacra » °ëgett° di solenni ostensioni (S. Girol., epist. 107, ad Laetam), fra i quali non va dimenticata la conica « Petra genetrix » di cui è menzione nell’ iscrizione di Carnunto (4), e in altre della Spagna (5), e della quale si rinvennero esemplari nei Mitrei di Heddernheim, di Ostia, di Roma e altrove (C. L. Visconti, op. cit. C. i. 1., VI, 748; G. B. De Rossi nel Bull, di arch. crisi., 1870, III; Lajard, op. cit., pl. CIV, 1, 2). Non possiamo però, allo stato attuale dei documenti, che formarci un concetto assai vago degli artificii onde ammannivasi la scena per l’esecuzione delle prove dell’acqua, del fuoco, della neve etc. (6), colle quali l’iniziando dovea dimostrare di (1) « Mithrae sacris , apud Persas duplex stellarum circumactio praetenditur, affixarum et erronum, et per has animarum transitus. Ideo scala erigitur in septimae portae aditu ». Origen., contra Celsum, VI; cf. Visconti, op. cit. (2) La Gruteriana 34. 7 menziona uno « speleum cum signis ceterisque ». Cf. « Signum invicti Mithrae », C. i. I., VI,'743; v. simulacrum (Mithrae) exor natimi », Or. Henz., 6042 α. (3) C. i. I., VI, 746. Cf. Marini, Atti e mon. dei frat. Arv. , p. 406, 10. (4) «Petrae genetrici P. Ae. Nigrinus sacerd. v. s. ». Orelli-Henzen, 6809 a. (5) C. i. I., II, 4424, 4543, 6128. (6) Cf. la precitata orazione di S. Gregorio Nazianzeno in Julianum, e il passo allegato di Nonno. Il vescovo Niceta soggiunge sullo stesso argomento: « In ipso probationis ingressu per quinquaginta totos dies eos fames cruciant, deinde duos dies flagris caedunt, tum in nivem vigiliti dies immittunt ». Uno scoliaste del prefato Niceta in un passo allegato dal Della Torre, op. cit., p. 212 sgg., somministra nuovi e più minuti particulari intorno a queste prove a cui doveano assoggettarsi gli iniziandi. 430 GIORNALE LIGUSTICO essersi reso santo e immune da ogni perturbazione, giusta 1 espressione di Suida (alla voce Μίθ-ρου), nonché pel compimento dei tanti esercizi ascetici, e delle altre arcane cerimonie in cui gli iniziati erano ad un tempo spettatori ed attori (i). L’ubicazione di parecchi di tali antri è determinata da epigrafi e da passi di antichi scrittori (2) ; di altri si scopersero in tempi e luoghi diversi le interessanti vestigia (3): riè ceito (1) Ricorderò fra queste le trasfigurazioni belluine, di cui è cenno in un passo di Porfirio (De abstinentia, IV), dove è detto che colui il quale « illis sacris, quorum symbolum est Leo, initiatus est, omnimodis animalium figuris induitur ». (2) Or. 1909 (Milano); ib., 2341 (Aquileia); Grutero, 33, 6 (Cuma), Or., 2340 (Roma); C. i. ί., VI, 733, 754, 3723 . etc· Brambilla » Varese e il suo Circond., II, p. 258 (Angera), etc. Uno speleo mitriaco di Alessandria d’Egitto donato ai Cristiani dall’ imperatore Costanzo nel 361 è menzionato da Socrate (Hist. Eccles., Ili, 2; V, 16), e da Sozo-mene (Hist., V, 7). Altri spelei sono ricordati da Tertulliano (De cotona mil.), da S. Giustino martire nel Dialogo cum Triphone, da S. Girolamo nella più volte citata epistola a Leta. (3) Fra gli spelei mitriaci di cui vennero segnalati gli avanzi, citerò i.° il capitolino, scoperto nel 1548, veduto e descritto da Giusto Ricquio (De Capitol., 42), da Flaminio Vacca (Mem., 16) e da altri; 2° il celi-montano, sottostante all’abside della chiesa di S. Clemente in Roma, esplorato recentemente dal P. Mulleoly, e illustrato da G. B. De Rossi (I mo-num. scop. sotto la basii, di S. Clem., studiati nella loro successione stratigr. e cronol. nel Bull, di arch. crist., 1870, pgg. 129-168); 3.0 l’ostiense, trovato nel 1797 e descritto dal Zoega (Abhandlungen, p. 198); 4·° que^° scoperto nel secolo scorso in Francia e divulgato dal Conte di Caylus (Ree. d antiq., III> p. 343); 5 0 l’altro esumato nel 1853 a Deutsch-Altenburg e illustrato dal De Sacken, d’onde provengono le iscrizioni 4416-17, 4419-4421) 4424 etc· del C. i. I., III, fra cui la dianzi allegata alla Pietra genitrice. Ai predetti si potranno all’ uopo aggiungere : 6.° quello di Bourg-Saint-Andéol nel dipartimento dell’Isère in Francia; 7.0 il prussiano di Schwar-zenden (Lajard, Rêcherches sur le culte de Mithra, pl. LXXXVI, LXXXVII), l’ungherese scoperto nel 1867 a Kroissbach. l’antica Scarbantia (Mitthei-lungen der l·. k. Central-commission x_ur Erforschung der Baudenkmale, IVien i867> Pgg. n9-132). GIORNALE LIGUSTICO 43 1 sarebbe senza importanza poter fissare la topografia dei precipui centri di irradiamento d’un culto che estese le sue ramificazioni su tutta la superficie dell’orbe romano, e la cui storia si connette strettamente a quella delle prime lotte e dei primi trionfi del Cristianesimo , coi riti del quale i suoi misteri e sacramenti aveano, come è noto per attendibili testimonianze, singolari analogie e convenienze (i), tanto che un suo^sacerdote non si peritava di affermare esser Mitra cristiano (S. Agostino, in Joannem, Tract. VII). Or s’egli è vero che nell’ iscrizione in esame non è menzione di Hierocoracica, Leontica, Persica, Heliaca, Patrica etc. tradere (2) o suscipere, di Cryfios ostendere (3), di agere in lustratione (4), di arcanae perfusiones (5), di sacratissima mysteria (6), di taurobolium, criobolumque indicere, percipere o facere (7), nè di altri solenni riti del culto mitriaco, non è per contro men certo che l’esistenza in Monza di un Mitreo è abbastanza chiarita dall’appellativo di antistites che vi assumono i dedicanti, e che appunto equivale a custodi, curatori, soprintendenti del Mitreo stesso e dei riti che in esso si esercitavano. (1) Sulle consonanze ira i sacramenti mitriaci e i cristiani, v. Tertulliano, De Baptismo, V; S. Giustino martire, Apolog., I, 66; Dial. cum Tryph., 70; S. Agostino, in’cap. I Johan. tract. 7; De praescript., XL. (2) C. i. 1., VI, 749-754- (3) Ibid. Nell’iscriz. 753 è anche la formola tradere Cryfios. (4) C. i. I., V, 808. (5) Orelli-Henzen, 6041. (6) Ibid. (7) Ibid, 6040, etc. Le cruente purificazioni del Taurobolio e del Criobolio erano, è vero, proprie dei riti frigii, nla molte iscrizioni ci mostrano sullo scorcio del secolo IV il culto della Magna Mater Deutn e di Attis Meno-tyrannus, non pur congiunto, ma confuso con quello di Mitra (ib., 1900, 2351-2356). Del resto, è risaputo che il sagrificio del toro usitato nei misteri mitriaci avea del pari che il Taurobolio’valore di sacrifizio espiatorio. 43 2 GIORNALE LIGUSTICO A quale poi delle due categorie di Mitrei dianzi specificati appartenesse quello a cui si riferisce la lapide, non è dato determinar con certezza : però ove si consideri che i dedicanti di questa si appalesano insigniti del grado di Leone, non si potrà a meno di convenire che nel Mitreo di cui è questione si conferissero iniziazioni e si celebrassero misteri (i): nè la menzione dei Leoni può scompagnarsi dal concetto del sincrono funzionamento dei Corvi, degli Occulti, dei Militi, dei Persei, dei Soli, dei Cancri, dei Padri, ossia degli altri gradi tanto inferiori quanto superiori della mistica gerarchia ricordata da S. Gerolamo (2). Tuttociò porgerebbe materia a congetturare che nelle adiacenze del sito d’onde fu tratta alla luce la lapide fossevi un antro mitriaco : tanto più che da monumenti epigrafici viene attestata in modo non dubbio l’esistenza di altri consimili spelei nella stessa provincia, e più precisamente a Milano (3) e ad Angera (4). Se poi si pon mente al fatto che la lapide venne esumata a poca distanza dall’abside della Basilica di S. Giovanni in (1) Magi apud Persas sacrorum Mithrae participes symistas Leones vocabant, homines scilicet, feminas vero Leaenas, subministrantes antem Corvos». Porfir., De abstinentia, IV, 16. (2) « . . . . quibus corax, nymphus (l. cryphius), miles, leo, Perses, Helios, dromo, pater initiantur ». Epist. 107, ad Laetam. Non ignoro che, secondo una lezione oggi corrente, i gradi 6.° e 7. di tale gerarchia non ne formerebbero che un solo col titolo di Heliodromus. Osservo però che contro siffatta lezione sta il testo preciso dell Orel-liana 2343 [C. i. VI, 749-754) che denomina (h)eliaca le iniziazioni al 6.° grado; mentre milita in favore della lezione Dromo (cancro), anziché Bromius come altri preferirebbe, fra cui il Lajard, il fatto che la figura del cancro ricorre appunto, insieme a quella del corvo, sui monumenti esprimenti il sacrificio mitriaco. (3Ì Or., 1909. — Labus, presso Rosmini, Storia di Milano, IV, p. 465· (4) Rendiconti del R. Istit. Lomb., serie II, vol. I, fase. XI. GIORNALE LIGUSTICO 433 Monza, e si riflette in pari tempo all’uso costante del Cristianesimo trionfante di impiantare le proprie chiese sulle ruine dei templi pagani, apparirà vieppiù plausibile il presupposto che la lapide stessa provenga da un Mitreo già sottostante, o almen contiguo, all’area su cui si innalza la detta Basilica. Come nell’Indiarle Pagode ed i Tirti bramanici hanno spesso per base i ruderi degli Stupi buddistici, le antiche chiese cristiane riuniscono non di rado lungo una stessa sezione verticale le tracce del conflitto e del fato diverso di due o più culti. Così recenti scoperte hanno comprovato che nelle viscere del suolo che sopporta la chiesa di S. Clemente in Roma sorta nel medio evo sulla basilica dei tempi costantiniani sovrastante a sua volta a costruzioni laterizie dell’alto impero, al di sotto delle quali si sprofondano i massi di tufo d’un imponente edificio dei primi secoli della repubblica, se non forse del periodo etrusco dell’èra regia, internavasi per appunto uno speleo artificiale, sacro all’esercizio dei riti mitriaci; dove, ancora nel IV secolo, sagrificavasi al dio Cauto Paté e adoravasi la Pietra genitrice (i). Vittorio Poggi. DI UN AES-SIGNATUM SCOPERTO AD ORVIETO OSSERVAZIONI del P. Leopoldo De Feis B. Non è gran tempo che per dono gentile del signor Giovanni Pansa, giovane alunno del Collegio alla Querce presso Firenze e dilettante di Archeologia, è venuto in mio potere (i) C. i. I, VI, 748, 3725 sgg. 434 GIORNALE LIGUSTICO un singolarissimo cimelio, il quale a chi ben l’estima, può addimostrare la vera via da tenersi nelle ricerche storiche intorno al progresso dell’antica monetazione. Trattasi di un A es Signatum cubico e scoriforme a guisa dei tanti esemplari di Acs Rude, che riempiono i gabinetti numismatici. Esso proviene da Orvieto insieme a moltissimi altri monumenti, dei quali solo una parte potei acquistare, e fare testé di pubblica ragione nel Giornale Ligustico (i). È di rame purissimo, come dall’analisi fatta sopra tre milligrammi da esso limati, ho potuto persuadermi, e pesa grammi 27 meno qualche piccolissima frazione, il che mostra essersi voluta la vera oncia rappresentare (2). Sopra una piccola faccia, che nella massa scoriforme apparisce piana, ha incuso il segno della ruota a quattro raggi, quale si trova nelle frazioni dell’asse di tipo Etrusco (3); e sopra l’opposta faccia, come nel rovescio di una moneta comune, ha non incuso, ma malamente graffito, il noto simbolo dell’ àncora (4), stemma attribuito alla città di Chiusi. (1) Giugno 1881. (2) Secondo il Fiorelli (Ist. di Antic. Rom. c881 ) l’oncia romana equivarrebbe a gr. 27,286, mentre che da altri le si attribuisce il valore di gr. 26,55 [Bull. dell’Ist., 1879, p. 212). (3) V. 1 'Aes Grave del Museo Kirch., Cias. Ili, Tav. 8 e 9. (4) Se altri a prima vista non scorga chiaramente definito il segno del- 1 àncora, non si maravigli, chè da principio n’ebbero tenzone anche i miei GIORNALE LIGUSTICO 435 Ciò premesso, essendo unico il caso di questo ritrovamento, nn sia lecito fare alcune considerazioni (chè mai mi si addirebbe descrivere un trattato dopo le dotte opere di tanti che mi han preceduto), affine di rettificare o chiarire ciò che altri per avventura abbiano detto in siffatte materie. I· L’Aes nostro è vera moneta, avendo le doti richieste a costituirla tale, vo’ dire il metallo, Γ impronta ed il peso. In Numismate tria requiruntur, metallum, figura et pondus (i). H* — Essendo la figura ο l’impronta segno soltanto esteriore ed ufficiale a costituire il metallo vera moneta, non sostanziale, nessuno dubita che tutta quella grande serie di bronzo informe detto Aes Rude, la quale trovasi nei nostri Musei, non sia vera moneta, avendo valore proprio, e determinandosi il peso dalla bilancia. Tale fu sempre Γ opinione degli antichi scrittori, tra i quali primeggia Aristotele, e di cui, perchè meno citato, piacemi riferirne la sentenza. Egli, dopo aver ragionato del come nascesse l’uso della moneta, dal complicarsi cioè ed estendersi i rapporti commerciali per accumulare ove si avesse difetto, e sottrarre ove le cose sovrabbondassero, non essendo peraltro sempre agevoli a trasportarsi gli oggetti di primitivo e naturale bisogno, aggiunge: « Perciò gli uomini tra loro convennero di adottare nelle » scambievoli relazioni di compra e vendita un mezzo, il » qnale, oltre all’avere un intrinseco valore in se stesso, fosse » eziandio nell’uso quotidiano più maneggevole, come per » esempio ferro, argento o altro somigliante metallo. Il quale occhi ; ma dopoché l’ebbi bene scoperto, e mostrato a persona intelligente, mi sentii dire: « Basta: da per me non l’avrei mai più visto, ora lo veggo » chiarissimo, ed escludo qualunque idea di caso ». E per escluderla basti dare un’occhiata al disegno fatto con tutta scrupolosità dal Sig. Riccardo Balivian alunno del Collegio. (i) S. Isid., Orig., LXVI, cap. 17. — Chierici, S’Aes Signatum dei dui versatiti dell’Appennino, Reggio dell’Emilia 1879, p. 16. 436 GIORNALE LIGUSTICO » dapprima era semplicemente determinato dalla sua dimen-» sione e dal suo peso, ma in seguito si munì anche d im-» pronta, perchè non fosse più d’uopo misurarlo, essendo » quell’impronta scolpita come segno della sua quantità (i) ». Διό προς τάς άλλαγάς τοιοΰτόν τι συνέθεντο προς σφδς αυτους διδόναι και λαμβάνειν, δ των χρησίμων αυτό δν είχε την χρείαν ευμεταχείριστον πρός το ζην, otov σίδηρος καί άργυρος, κάν εί' τι τοιοΰτον ετερον, το μεν πρώτον άπλώς δρισθέν μεγέθ·ει καί σταθμφ, τό δε τελευταΐον κal χαρακτήρα έπιβαλλόντων, Γνα απόλυση της μετρήσεως αυτούς· δ γάρ χαρακτηρ λέτεθ-η του ποσοΰ σημεΐον (2). Secondo Aristotele adunque, dapprima si adoperò libero scambio di merci, poi, essendo questo sistema di molto incomodo , si cercò un mezzo a tale scopo, che determinandosi colla bilancia (forse anche dalla dimensione), fosse per valore proprio, equivalente alla merce che voleasi acquistare, e questo si trovò nel metallo; al metallo fu aggiunta una marca, χαρακτηρ, perchè fosse tolto eziandio il disagio del pesare. La qual parola χαρακτηρ non debbesi così intendere come se nella moneta si segnasse veramente il numero indicante dramme od oncie, essendo questo sistema di gran lunga posteriore, e non di tutti i luoghi; ma perchè dalla segnata figura legale unita alla dimensione (secondo i tempi) ciascuno di per se stesso fosse capace di conoscere ed assicurarsi come essa fosse per autorità pubblica già provata e pesata, in quella guisa che si fa anche oggi, marcando i metalli preziosi, i pesi e le misure. III. — Il più antico esempio di transizione, dietro il fin qui esposto, dall’Aes Rude al Signatum nella monetazione Etrusca è il nostro, mostrandoci esso il vero passaggio dall’ uno al- (1) E non è questo forse il caso della nostra moneta? (2) Arist., Polit., Lib. Ili, Paris, Edit. Ambr. Firmin-Didot, 1878, T. I, p. 490. giornale ligustico 437 1 altro sistema, perchè Γ impronta è fatta sopra un pezzo informe, e perchè più arcaico sim ostra lo stile della incusione, il quale probabilmente gli Etruschi presero dai popoli della Magna Grecia (i). Il peso stesso fa risalire alla prima origine la nostra moneta, sapendosi che tutta la serie àtWAes Grave coll’ impronta della ruota è di peso ridotto. Perciò giudicherei questo monumento contemporaneo o di poco posteriore al re Servio Tullio, il quale, al dire di Plinio, fu il primo dei Romani che segnò moneta (2). Nè stimo in questo punto dover dividere l’opinione col ch. Gamurrini, il quale, poggiandosi su monumenti finora conosciuti, fa agli Etruschi improntare la moneta di bronzo soltanto dopo il secolo IV di Roma (3). IV. —· Essendosi rinvenuto un Aes Signatum e di piccola dimensione, cadono i canoni stabiliti dal ch. Gennarelli nella premiata opera La moneta primitiva ecc. (4), ove a pag. 97 asserisce essere assai verisimile, per non dir certo, che YAes Rude, prima di essere segnato da un’ impronta qualunque, assumesse una forma determinata, varia forse secondo i paesi. Ed a pagina 95 avea detto: « Ci basterà stabilire che a questo Aes Rude succedendo il Signatum assunse una forma quadrangolare e di gravissimo peso per quello che si può congetturare dai monumenti ». Non è a dire come nello stesso errore cadessero tutti gli altri chiarissimi uomini che lo seguirono, dei quali basterà nominare il dottissimo Mommsen (5) (1) Prova evidente dell’antichità delle monete incuse sono quelle di Si-bari, fondata dagli Achei e Trezzenì nel 720 av. C. e distrutta nel 510 da quei di Crotone. (2) Servius Rex primus signavit Aes. XXXIII, cap. 3. (3) Di un antichissimo Aes Grave; V. Period. di Num. eSfrag., V. III, P· 3 sgg· (4) Atti della Pont. Accad. di Arch. Rom., T. XI, 1852. (5) Hist. de la Monn. Rom., V. I, p. 175 seg. 438 GIORNALE LIGUSTICO ed il cav. C. L. Visconti nelP erudita memoria che ha per titolo: II Quinipondio ed il Tresse del Medagliere Vaticano_(i)· V. — Intorno ai pani metallici di forma quadrangolaie, nulla si può stabilire per provarne P antichità superiore a quella àéiVAes Gravi, che, se si eccettui forse qualcuno segnato da una sola parte ed un Quinipondio veramente arcaico col bove in ambedue le faccie (2), gli altri appaiono tutti a questo contemporanei. Che se anche YAes Rude, secondo le osservazioni del ch. Pigorini, continuò ad usarsi dopo 1 introduzione delinei Signatum, ciò a mio avviso ebbe luogo come stipe funebre e sacra, non già come moneta legale, secondo i precetti stabiliti da Aristotele (3). Tale ci appare il deposito trovato nel tenimento di Vicarello presso il lago di Bracciano già Sabatino, ove erano delle terme dedicate ad Apollo ed alle Ninfe (4). Per contrario i quadrilateri o conservarono il valore di vera moneta nei contratti, ovvero, come osserva il cav. G. Chierici riguardo a quelli trovati al di là dell Appennino più rozzi di forma e più vaganti di peso, non furono mai moneta, ma semplici pani metallici, primi getti di miniera per mettere il metallo in commercio, ed il segno il quale può parere impronta legale di moneta, non sarebbe che marchio di fabbrica, e colle sue varietà indicherebbe fabbriche diverse (5). VI. — Giacché ci si è porta l’occasione, vale il pregio dell’opera aggiungere alle forme di Aes Rude già pubblicate (1) V. Studi e docum. di Storia e Diritto, Roma 1880, an. I, ρ· 6$. (2) Civ. Cattol., 18 settemb. 1880, p. 721. — Visconti, 1. c. (3) V. Poggi, Scoperte Etrusche nel Parmense, nel Bull, dell’Istil di corr. arch., 1875, p. 146. L'Aes Signatum scoperto nella prov. di Parma; V. Period. di Nurn. e Sfr., VI. p. 235. (4) Marchi, Civ. Cattol., V. Vili, p. 468 sgg. — Veggasi ancora del medesimo autore : La stipe tributata alle divinità delle acque Apollinari. Rom. 1852. (5) O. c., p. 16-25. GIORNALE LIGUSTICO 439 nella Civiltà Cattolica (i) quella che ci sembra più arcaica, perchè la più naturale e la più semplice, ottenendosi senza bisogno di alcun artificio o strumento, col versare cioè del metallo liquido sopra una superfìcie piana ; esso prende la forma di pizza schiacciata, e pizza la chiamano in questi luoghi. Tale è un esemplare di rame purissimo donatomi dal ch. P. Tonini, mio dotto e carissimo amico; ha forma rotondeggiante, interrotta come da seni e golfi di mare, ed il suo diametro in media è di io centimetri; pesa 504 grammi, ai quali, se aggiungessimo una frazione di recente sottratta, l’avremmo di gr. 520, equivalenti a 19 oncie. Fu trovato or sono pochi anni in una necropoli di Belora a Fitto di Cecina nelle Maremme toscane; ed è un nuovo esempio venuto a provare come gli antichi fondessero metallo del peso superiore ad una libbra anche senza alcuna impronta, siccome l’unico Aes Signatum d’Orvieto in queste pagine descritto mostra essersi dai medesimi marcati i pezzi anche alla libbra inferiori. VII. — Che dirò in ultimo intorno alla patria della nostra moneta ? La cosa più facile e semplice è farla nascere in Chiusi e morire in Orvieto. Di Chiusi infatti sono le monete dall’ impronta della ruota e dell’ àncora coll’epigrafe ΑΨ iniziale di Camars, come una volta Chiusi si nomava (2), ed a questa città si attribuiscono ancora le altre senza alcuna iscrizione o colla lettera isolata Infatti il ch. Gennarelli a pagina 28 dell’opera citata, così scriveva : « Niuno vorrà » credere che le due identiche serie, che portano la ruota e » l’àncora, debbano separarsi ed appartenere a due città di-» verse per la sola differenza che una è anepigrafe e l’altra » si adorna di due iniziali ». Ma io, senza punto voler essere od apparire tanto dommatico, proporrei ai dotti e studiosi (1) L’Aes Rude e l’Aes Signatum quali furono alle prime origini della moneta Italica di bronco, 18 Settembre 1880. (2) Livio, X, 25: Clusium quod Camars olim appellabant. 440 GIORNALE LIGUSTICO numofili, se si potessero separare in qualche modo da Chiusi quelle che portano la solitaria ^ e farle appartenere a qualche città che siffatta iniziale avesse. 11 caso poi non sarebbe tanto nuovo, essendosi pure attribuite a Luceria monete colla solitaria \r. Se così fosse, io non avrei difficolta di tener nata la nostra moneta nella stessa città di Orvieto, mettendola al pari di quelle fuse o coniate che riportano la lettera Oivieto infatti era l’antica città detta Volsinii, a differenza della nuova che sarebbe la moderna Bolsena, ed a questa città una volta potentissima fra le Etrusche, ed audacissima contro i Romani, mentre si addice lo stemma della ruota, simbolo di autorità, si confà ancora il segno ^ iniziale di (Velznani) come recentemente ha letto il" ch. Fabretti (i) contro Fried-lànder, Corssen, Poole, Gamurrini, Deecke e Bombois, i quali leggevano Fcl^papi sopra una moneta d’oro attribuita ai Vol-siniesi, e posseduta, per relazione fattami dal mio chiarissimo e dotto amico il cav. Vittorio Poggi, non già dal Museo Etrusco di Firenze, come afferma nella sua erudita memoria il Fabretti, bensì dal Museo Britannico e dall’ Ill.m0 marchese Carlo Strozzi nobile cultore di studii numismatici. Firenze - Dal Collegio alla Querce - i Sett. 1881. DELL’ ANTICO DEBITO PUBBLICO DENOMINATO MONTE (2) Come saggio dell’importantissimo Dizionario del linguaggio italiano storico ed amministrativo del comm. Giulio Rezasco, che uscirà sui primi del nuovo anno pei tipi dei successori Le Monnier, siamo lieti di pubblicare per i primi il dotto ardii) Atti della R. Accad. delle Se. di Torino, Vol. XV, Ad. 21 Dee. 1879. (2) Unione o Corpo di più debiti fruttiferi che aveva il Comune o lo Stato co’ cittadini, assicurato sopra rendite pubbliche, e fornito del pri- GIORNALE LIGUSTICO 441 colo intorno ai Monti; come quello che compendiando la storia del Debito Pubblico delle principali città italiane, rileva il posto onorevole, che spetta al nostro istituto di S. Giorgio di gloriosa memoria. Rendiamo il primo .onore a San Marco. Affermano molti, che la Camera degli Imprestiti di Venezia, fondata nell’anno 1171 per la guerra contro l’imperatore di Costantinopoli, il quale aveva fatto prigioni tutti i Veneziani dimoranti nel suo territorio e confiscato i loro averi, sia il primo Monte d’ Europa ; e dato un largo senso alla parola, non pare che sbaglino ; quantunque il Monte o Cumulo dei varj prestiti veneziani in un capitale complessivo e di cui s’ abbia memoria -seguitamente, non sembra compiuto od ordinato se non intorno alla metà del secolo tredicesimo. Quella Canora fruttava il cinque per centinaio, e fino nei primordj 1 suoi crediti si potevano vendere, cedere ed obbligare (1). Ma dietro i Veneziani dovrebbero venir subito, a mio parere, i Genovesi. Già tra il secolo tredicesimo ed il successivo si scorgono segnali di unione e di riordinamento dei loro debiti. In quello spazio la Società delle Compere del Capitolo sodisfaceva non solo agli obblighi suoi, ma sì ancora, notevolissimo a dire, alle spese della Repubblica ; essendoché questa, in pagamento de’ suoi debiti verso di quella, le avesse dato a maneggiare e godere ogni entrata del Comune, ser- vilegio di trasmettersi dall’ uno all’ altro, di. ricevere ipoteca quale ricchezza immobile, e di reggersi con ordini proprj quale instituzione speciale e compiuta : Monte contante, Monte della Pecunia, Massa, Cumulo, Camera degli Imprestiti. (1) Capitolari degli Ufficiali agli Imprestidi, Niger Magnus, A. 1171, Ms. Arch. Yen. Romanin, Stor. Ven., II, 83, 84, 85. 11 Romanin scrive che la Camera rendeva in su quei principj l’interesse del quattro ; io sto, col Niger Magnus che scrive il cinque. 442 GIORNALE LIGUSTICO bandosene solo quanto bastava alle spese ordinarie, notate distintamente nella carta di cessione, e risecate al possibile (i), ed i crediti della Società avevano già ottenuto la immunità da qualsivoglia sequestro (2). Certamente che quella Compagnia doveva essere salita in grande stato e riputazione, se il Comune le si dava così tutto in grembo; nè quella riputazione poteva venitle senza una qualche unione che avesse ingrossato la massa delle comuni ricchezze; non dirò senza un buon assetto, perchè questo ognuno può vederlo ed ammirare nelle minute Regole, ancora esistenti, e degnissime di pubblicarsi, di quelle Compere. La quale opinione nulla-dimeno chi non volesse accettare, resterebbero pure le unioni indubitate del secolo appresso; maggiore di tutte quella del 10 marzo 1346, quando le ventiquattro Compere, che erano allora tutto il Debito Pubblico genovese, si accozzarono e disposero in sei, compresa quella del Sale, intitolandosi del i onie generale* ed antico del Capitolo (3). Onde è che ad ogni modo il Monte o, come si chiamò, la Società delle Compere e de’ Banchi di San Giorgio, instituita nel I4°7> 9uaie tirò a sè le Compere vecchie e nuove di San Paolo, del Regime, della Moneta, di San Pietro, della Gazzaria e la Maona di Cipro, ed assegnò a tutta questa congerie di capitali 1 e-molumento del sette per centinaio, fu unione più perfetta e solenne, se vuoisi, ma non fu cosa nuova (4). Per non ritornarci, e pigliando alcuni passi innanzi, bisogna aggiungere, che questa unione famosa ebbe dalla Repubblica genovese in assegnazione, così per la ricompensa de’ frutti, come per la (1) Regulae Comperarum Capituli (1303), fol. 178 et seg., Ms. Arch. S. Giorg. (2) Id., loc. cit. (3) Regulae Comp. cit., fol. 233. (4) Decretorum Cod. 13, fol. 1; Carlularia Mahonae Cipri (1410-1413), fol. 1 ; Contractuum Cod. 8, fol. 77, Mss. Arch. S. Giorg. GIORNALE LIGUSTICO 443 restituzione del capitale ed anche per serbare una somma a bisogni straordinarj, grandissima quantità di gabelle, quelle delle possessioni e del mobile, quelle degli uffizj e delle arti e degli schiavi, quelle delle eredità e de’ commerci, quelle della zecca e del sale : le quali dovevano ritornare al Comune di mano in mano all’estinguersi dei debiti (i). Di Firenze non saprei dire se cotal congiunzione fosse nuova al tutto nel 1344. So che in quell’anno, essendo fallito l’ordinamento dell’anno innanzi di restituire, conforme s’ era disposto, mese per mese, a lira e soldo, col ritratto di alcune gabelle, i danari prestati al Comune e al Duca d’A-tene, e di ristorare ancora i cittadini per le case distrutte da esso Duca, quivi si fecero libri, uno per quartiere, ove descrivere i creditori del Comune; si chiarie fermò il Debito Pubblico, che montò in tutto a fiorini d’oro 203,864; si stanziò il dono danno ed interesse (cosi lo appellarono) del cinque; si decretò potersi quei" crediti vendere e trasmettere ancora in condannati e sbanditi, e non potersi sequestrare nè anche per delitto (2). Benedetto Varchi opinò che il primo Monte fiorentino, poi denominato Monte Comune, sorgesse negli anni 1222, 1224 e 1226; perciocché allora (egli scrive) la Repubblica, che aveva accattato grosse somme, deliberò che ciascuna persona avesse ogni anno di merito del credito suo a ragione di venticinque per centinaio (3). Ma finché non esca fuori la carta, donde egli si cavò quella notizia, da me cercata più volte vanamente, io posso durare a credere che il primo inizio del Monte fiorentino spuntasse nel predetto anno 1344, come narrai; e (1) Contractuum Cod. cit., fol. 75. (2) Provisioni Fiorentine del 29 dicembre 1343 e 22 febbraio 1344, Mss. Arch. Fior. (3) Varchi. Stor., Ili, 33. Giorn. Ligustico, Anno VII e Vili. 28 444 GIORNALE LIGUSTICO Matteo Villani tiene con me (i). Oltreché, e sia pur vera la cagione, onde messer Benedetto estima incominciato il Monte fiorentino in quei suoi anni ; ma il solo debito e la responsione dell’ interesse è egli forse un Monte ? Le Compere genovesi, la cui origine ricorda la prima metà del secolo dodicesimo, ancora nei loro principj e prima delle loro unioni, rendevano il frutto del sette, dell’ otto e del dieci a’ creditori, che si pagava ogni tre mesi ; avevano maniere peculiari di reggimento ; avevano privilegi e cartolarj ; e libri o registri di debiti pubblici, meglio o peggio fatti, non dovettero mancare ove furono debiti; e i debiti sono merce .troppo antica. Il Podestà di Vercelli, prima della metà del secolo tredicesimo, anch’ egli fu obbligato di raccogliere in un libro tutti i debiti del suo Comune, col nome de’ creditori e col guiderdone o frutto pattuito; e quel libro doveva far leggere due volte Γ anno nel Consiglio della Credenza (2). Ma non girò mai per la mente a nessuno, quelle vecchie Compere e quei libri, quali si fossero, contraffare in Monti ; pognamo che in appresso, essendo i libri senza dubbio parte assai rilevante dell’ instituzione, la frase Far Libro venisse finalmente ad equivalere a Far Monte. I debiti e i loro libri o registri speciali furono strumenti ed avviamento ai libri generali ed alla formazione de’ Monti, come è di tutte le cose umane, che nessuna nasce e si fa adulta di colpo, e come fra le altre città accade in Siena. Nella quale da prima si ebbero le Preste; poi nell’anno 1365 esse furono privilegiate di potersi vendere e donare; poi nei 1369, non essendosi potuta eseguire la restituzione promessa, vennero fuori tre libri, uno per terzo di città, per annotarvi i crediti antichi de cittadini verso il pubblico, da potersi ven- (1) Villani, III, 106. (2) Statut. Vercell. (1241), cap. CCCXV1II. GIORNALE LIGUSTICO 445 dere e donare come negli altri luoghi, e da provvedersi ciascun anno a ragione di dieci per cento mediante F assegnamento della gabella del sale (i); poi il bisogno del Monte, o d’ un corpo solo ed ordinato di tutti quei debiti, toccò più vivo, e si cominciò a parlarne specificato ne’ capitoli della dedizione di Siena al Duca di Milano nell’ anno 1398, ponendovisi 1’ obbligo di fare di tutte le Preste ordinarie pagate Libri di Monte, che non si fecero ancora (2); finalmente nel 1429 apparve il Monte Comune, col frutto uguale del cinque e collo stésso assegnato della rendita del sale che avevano le Preste antiche ; ma ancora con privilegi nuovi per la instituzione delle doti e de’ lasciti fatti per testamento, e con libri questa volta non tanto per accogliervi tutte insieme le Preste già pagate, quanto e più le ordinarie ed a balzi, che si sarebbero messe e pagate per l’avvenire, essendoci sempre buona speranza di metterne (3). Il Monte senese vuoisi adunque porre nell’anno 1429; perchè allora si conformò regolarmente, e prese stabilità e virtù estensiva, do-ventando uno degli ordini fondamentali della Repubblica. Quel medesimo si può dire di Pisa, nella quale città alle prestanze de’ cittadini faceva riscontro in singolarità questa o quella gabella ; ma di Monte, o Massa, qual si disse da’ Pisani, per qualche tratto non vi si vede orma. La Massa pisana s’incontra la prima volta nel 1349: dal quale punto tutte quelle assegnazioni particolari di gabelle e quei frutti svariati si trovano mancare, imperocché allora i debiti si rappresero in uno; del quale il Comune promise pagare a’ cre- (1) Provvisione del Consiglio della Campana di Siena, del 14. settembre 1369, Ms. Arch. Sen. (2) Malavolti, Ist. Sen., pag. 186: Venezia, 1599. (3) Prov.· Cons. Comp. Sen., 24 febbraio 1429, Ms. Arch. Sen. Questa Provvisione porta la rubrica marginale: Monte fiat in futurum, et reddat ad rationem V pro centenario. 446 GIORNALE LIGUSTICO ditori l’interesse del dieci, ridotto al cinque nel 1370, ed assicurato insieme col capitale, all* uso di cotali istituti, sopra alcuni proventi pubblici (1). Ma per ciò non si voglia conchiudere, che in tutte parti questa prima creazione de' Monti comprendesse o durasse lunga fiata a comprendere tutto il debito degli Stati, massimamente lo sciolto, nel quale, come le moderne, così le antiche Signorie solevano sbizzarrirsi. Per esempio, nel 1187, dopo solo ottantaquattro anni che in Venezia era stata aperta la Camera degl’Imprestiti, si cedettero in pagaménto, per un dato tempo, ai creditori d’ un prestito contratto nel 1164, alcune rendite pubbliche, senza nè anche menzionare quella Camera (2) ; non si menzionò il Monte di Firenze dopo undici anni che viveva, mentre alla Signoria si diede la facoltà di accattar danari col guiderdone dell’ otto, dove il Monte fruttava solo il cinque (3) ; e la Società di San Giorgio, checché se ne sia scritto, nè pur essa al suo cominciare abbracciò tutti i debiti del Comune, tanto è vero che penò quasi un mezzo secolo ad incorporarsi le Compere del Capitolo, formanti allora presso a poco la metà dell’intero debito della Repubblica genovese (4). Anche più innanzi, se frequente i Genovesi ricorrevano nelle loro distrtete a San Giorgio, e se questo, quando non po- (1) Provisioni Pisane del 28 marzo 1349 e 24 febbraio 13 70, Mss. Arch. Pis. (2) Cod. DLI, classe Ms. Bibl. Marc. (3) Statut. Cap. Pop. Fior. (1355), IV, 76, Ms. Arch. Fior. (4) Il Giustiniani (Ann. Gen., II, 242: Genova, 1834-1835), ed il Cuneo (Memorie sopra la Banca di San Giorgio, pag. 78: Genova, 1842) scrivono che il Monte di San Giorgio comprese, nel suo cominciamento, tutto il Debito Pubblico genovese. Me ne duole pel Giustiniani. Ma il Cuneo si doveva almeno ricordare dell’ iscrizione posta alla statua di Francesco Vivaldi nel Palazzo di San Giorgio, egli che la riportò distesa nel suo libro, nella quale si dice, che la traslazione delle Compere del Capitolo in San Giorgio, fu operata l’anno 1454. La Biblioteca dell’Economista GIORNALE LIGUSTICO 347 teva servirli de’ suoi avanzi, apriva i suoi libri a chi desiderava insieme aiutar la Repubblica ed esercitare ne’ traffici della Società i proprj danari , ciò nondimeno in Genova ed altrove lo Stato soleva ancora, non che valersi de’ Monti vecchi, rizzarne de’ nuovi, da riempierli i cittadini con loro prestanze volontarie o forzate (i). Quindi i Monti genovesi di San Bernardo, di San Giambattista, di Santa Maria; i veneziani Nuovo, Novissimo, e del Sussidio ; i Fiorentini del Sale, dei tre, quattro e sette per cento, e simigliami, chè sarebbe troppo lungo e noioso discorso a volerli riferir tutti o la maggior parte. Ma i più antichi e principali sempre primeggiavano; dal loro pregio si argomentava il credito pubblico, e da loro partivano le norme ai più moderni ed inferiori; i quali, alla per fine, come astri minori, erano attirati da quelli, e spesso cadevano e perdevansi entro il corpo loro. • Adunque tutti questi primi Monti vennero su ad un modo ; tutti da debiti spicciolati, ma di sorte, frutti, assegni e patti diversi, donde il bisogno dell' unione e dell’ uniformità ; da debiti, divisi in Genova in Luoghi di cento lire Γ uno, pure nelle antiche Compere, dalle quali per conseguente provenne il modello delle moderne Anioni; tutti redimibili, quantunque differenti le forme della redenzione; tutti privilegiati di mobilità e immunità; e tutti con assegnamenti temporanei di gabelle pubbliche. Quel che più singolarmente differenziò dai suoi compagni il Monte di San Giorgio e sopra tutti lo esaltò, fu 1’ ufficio che gli attribuirono dall’ origine, non solo di Monte, ma di Banco, per risecare, conforme si espressero, le prave consuetudini de’ banchieri privali, che fu la generale e prima ragione di tutti i Banchi pubblici. Così fino in quel- (V. pag. cxliv, Introd.) scrive che nel 1407 la Compera del Capitolo fu chiamata Banco di San Giorgio. E cosi si va innanzi di portante, sempre cogli stessi errori, che è una maraviglia di progresso. (1) Band. Tose., XIV, 37. 448 GIORNALE LIGUSTICO l’età intitolatosi il Monte genovese: Societas Coviperarum et Bancorum Sancti Georgii, egli praticò tutte le operazioni che a’ Banchi si convengono, depositi, sconti, prestiti, cambi, e simili; poco appresso pose a sovrintendente speciale delle operazioni bancarie un ufficio proprio, che fu appellato del XXXX1V (i). Però il Banco corrente del secolo decimoset-timo ed i Biglietti di Cartolario, i quali testificando il credito correvano in piazza come moneta, anche senza bisogno di girarli, non furono, chi ben nota, se non la corona dell’antico edifizio (2). La quale doppia natura mancò afflitto alla Camera degl’ Imprestiti di Venezia, con pace di chi la saluta pel primo Banco d’ Europa (3); di maniera che i depositi con interesse e gli esercizj pel giro e cambio de’ denari, incominciatisi in quella città pubblicamente intorno al secolo sedicesimo (non parlo de’ Banchi privati di scritta), si praticavano solo nella Zecca e ne’ Banchi della Pia^a e del Giro, indipendenti da essa Camera; la quale oltracciò, se riceveva prestiti come Monte, non ne faceva mai come Banco. La Tavola di Palermo, data solo ai depositi, è più moderna di San Giorgio di quarantacinque anni; e il Monte fiorentino de’ depositi, oltre ad essere posteriore di ventiquattro, non crebbe mai, eh’ io sappia, troppo alto, forse a cagione della ricchezza de’ banchieri privati, la cui ombra eccelsa doveva aduggiarlo. Nè si può trapassare Γ altra singolarità del Monte di San Giorgio, quale signore sovrano di provincie. Assiso Maometto sul Bosforo, la straziata Repubblica genovese aveva ben ragione di paventare, che dietro Galata già perduta non seguitassero le Colonie eusine malcondotte e (1) Cartulario. Bancorum (1408), fol. 1, Ms. Arch. S. Giorg. (2) Ma il Cuneo (Meni. S. Giorg,, pag. 142) non guarda più in là, e sostiene che il Banco corrente diede 1’ ufficio ed il nome di Banco alla Casa di San Giorgio. (3) Romanin, Jst. Ven., II, 85. giornale ligustico 449 disarmate. Però a San Giorgio le affidò e diede in proprio per lire cinquemilacinquecento, oltre alla Corsica ed a città e terre nelle due Riviere. Ed egli, benché fino allora alcuno de’ suoi reggitori prevedesse ed annunziasse profeticamente il danno gravissimo che si tirava addosso la Compagnia, le accettò, a cansare un pericolo anche più grave alla patria; le governò e difese non senza gloria e, salvo CaflFa rapita dal Turco formidabile, con modestia cittadina le ri-nunziò e restituì intere nel 1562 all’ antico Signore, quando egli, meno spossato dallo spendio e dalla discordia, poteva tenerle più agevolmente (1). Que’ Monti così fatti solevano, massime in Firenze ed in Siena, riformarsi ogni tanti anni dallo Stato. Riformare il Monte significava colà rivedere le entrate e le uscite e pareggiarle, determinando le imposizioni che si doveano volgere, per quello spazio, a suo uopo, e rinnovando i libri (2); lo stesso che in Venezia Saldare i Banchi. Laonde la riforma del Monte portava quasi sempre in quelle città la riforma delle imposizioni, ed altresì del modo di riscuoterle. La portava tanto di più, in quanto 1’ assegnamento dato, fra gli altri, al Monte Comune di Firenze non suppliva nel secolo quindicesimo solo alle paghe ed ai frutti correnti del Monte ed alle spese della sua amministrazione (fiorini 5500), ma sì, almeno in parte, anco a molte spese pubbliche, delle quali il Comune si era sgravato sovr’esso; alle spese, cioè, della mensa de’Signori, degli Studj di Firenze e di Pisa, de’ Provvisionati, delle Guardie del fuoco, de’ Castellani ed altre, in tutto circa 57,230 fiorini (3). Perciò l’ordinamento camerale s'intrecciava stretta- (1) Ait. Societ. Lig., VI, 26, 44. (2) In Siena questi libri rifatti si appellarono P Originale di due Monti, di tre Monti e così fino a Sei Monti, i quali numeri dinotavano le volte che i libri erano stati rinnovati 0 riformati. (3) Prov. Fior., 21 marzo 1474, Ms. Arch. Fior. 450 GIORNALE LIGUSTICO inente con quello de’ Monti. Anzi, poiché il Debito Pubblico ingrossò a dismisura e quasi tutte le gabelle ingombrò, si può dire che Monte e Camera riuscissero in fondo e col tempo la stessa cosa ; di che seguì, gli Ufficiali de’ Monti essere stati assai volte anche governatori delle pubbliche entrate. Giova quindi non trascurare, che quegli Ufficiali si eleggevano in Firenze dalla Signoria; in Firenze, dove il Monte, come notai, era riformato ogni tanti anni dello Stato a sua posta, e dove le gabelle assegnate restavano sempre in mano sua, che ne pagava il ritratto al Camarlingo delle Prestanze, non a quello del Monte (i). Si eleggevano pure in Siena quegli Ufficiali dalla Signoria, e le gabelle entravano similmente nelle casse dello Stato. Ma in Pisa detti Ufficiali, appellati Partitori dal partire o dividere fra i creditori i proventi di quelle gabelle, fino dal secolo quattordicesimo fu-1 ono chiamati da quaranta Partecipi del Monte eletti dagli Anziani ; ai quali, non a’ Camarlinghi del Comune, gli Esattori pagavano il ritratto delle gabelle date a sicurtà (2). In Genova poi all’ entrata del secolo quindicesimo, quando i Consoli reggenti le Compere già erano cessati di esser fattura del Governo, vegliava il Consiglio maggiore di San Giorgio di cinquantadue Partecipi, a cui secondò quello di quat-trocentottanta, signore delle eiezioni e d’ ogni altra maggiore faccenda del Monte e del Banco; vegliavano pure allora i Protettori di San Giorgio, magistrato supremo ed esecutore della Casa, costituito dagli stessi Partecipi, il quale definiva tutte le controversie provenienti dalle gabelle, le ministrava insieme con altri Ufficiali liberamente, giudicava civilmente e criminalmente i suoi sottoposti. Talmentechè in un contratto del 1458 fra la Repubblica genovese e i Protettori di (il Prov. Fior., 29 dicembre 1343, 22 febbraio 1344 e 21 marzo 1474, Mss. Arch. Fior. " (2) Prov. Pis., 24 febbraio 1370, Ms. Arch. Pis. giornale ligustico San Giorgio si legge, qualunque Ufficio di Balia o di Moneta nel suo ingresso dover giurare P osservanza de’ privilegi e ordinamenti di quel Banco (i); e in altro del 1488, questo giuramento doversi prestare da tutti gli Ufficiali della Repubblica, massime di non impedire alla Compagnia nè permettere che altri impedisse il maneggio delle gabelle e rendite deputate alle sue Compere (2). Ciò potrà spiegare molte vicissitudini e certe discipline, che toccheremo fra poco. Ora ragguardiamo il soggetto partitamente, per quanto si può in una nota come questa. De’ Monti per lungo tempo, e dei Fiorentini, eccetto quello dell’un quattro, fino al 1593, non era dato a forestieri, nè a descritti fra’ cittadini, i quali in Contado o fuori dimorassero, possedere alcuna parte senza grazia speciale (3) ; le quali concessioni, fra i forestieri, fatte per lo più a Genovesi e Portoghesi, montarono in Firenze l’anno 1470 a 1650 fiorini di Paghe (4). Ancora in Roma ed altrove non era permesso di possederne gli Ebrei (3); divieto che rispondeva alP altro del possedere beni stabili entro il dominio (6). Nè manco si rendevano le Paghe a chi, oltre al Tagliuolo, come chiamavano i Bolognesi del sedicesimo secolo il Coupon francese, od alla Polita 0 Cartella, non produceva la fede di aver soddisfatto le gravezze (7). Quindi, in Firenze, erano esclusi dal Monte i non sopportanti; non sopportante, rispetto al Monte, estimavasi e di-cevasi in quella città chi aveva di gravezza meno di soldi sei (1) Contractuum, n. 34, fol. 40, Ms. Arch. S. Giorg. (2) Id., n. 39, fol. 75, Ms. cit. (3) Libro Leona, fol. 197, Ms. Marc. Ven. Prov. Fior., 22 dicembre 1456 e 14 febbraio 1480, Mss. Arch. Fior. Ammirato, Isl. Fior., lib. XX. (4) Prov. Fior., 21 marzo 1474, Ms. Arch. Fior. (5) De Luca, De Loc. Mont., cap. V, η. 6 et 8. (6) Statuto di Lucca (1539), II, 74. Ammirato, Isl. Fior., lib. IV e XX. {7) Prov. Fior., 21 marzo 1474, Ms. Arch. Fior. 452 GIORNALE LIGUSTICO e danari otto (i). In Venezia, chi non faceva le fazioni del Comune poteva possedere capitali del Monte; ma riscoteva solo il tre per cento, quando gli altri tiravano il quattro (2). Questo per le generali. Conciossiachè ne’ bisogni pubblici non si guardasse anche in Firenze così pel sottile (3). Per altro, tosto che lo Stato si riaveva, i creditori non sopportanti erano tenuti in Firenze di rivendere pe’ pregi correnti agli Ufficiali del Monte i crediti lor consegnati in quelle necessità, o permutarli in cittadini sopportanti ; il che non si facendo da loro entro un termine, quei crediti erano dichiarati e trattati come de’ non sopportanti, e quindi non si rendevano più (4). Lo stesso si ordinava, quando per retaggio o per altra cagione perveniva alcuno di que’ crediti in persone non sopportanti; giacché in somma, senza una rifor-magione particolare o senza il partito degli Ufficiali del Monte approvato da’ Signori e Collegi, in Firenze ai non sopportanti non si facevano vive le Paghe ; cioè non si potevano soddisfare, se non per le vie strette , le quali erano le predette condizioni (5). Tenute, esecuzioni, sequestri non pativa il Monte, salvo contro a’ ribelli generalmente (6); in Venezia, a' ribelli si aggiungevano i falliti (7); in Genova, i debitori di doti e lasci costituiti per testamento (8); in Firenze, talora i debitori delle gravezze, e le fanciulle per le loro doti (9); non ammetteva obbligo nè (1) Prov. Fior., 4 gennaio 1451, Ms. Arch. Fior. (2) Miscellanea Ms. dell’Arch. Ven., intitolata: Monte Vecchio, Novo, Novissimo, Sussidio, A. 1383. (3) Prov. Fior., 20 aprile 1469, Ms. Arch. Fior. (4) Id., loc. cit. (5) Id., loc. cit., 22' maggio 1472 e 21 marzo 1474, Mss. cit. (6) Id., 16 giugno 1358, Ms. cit. (7) Romanin, op. cit., Vili, 367. (8) Cuneo, op. cit., pag. 79, (9) Cavalcanti G., Stor.. Il, 200. GIORNALE LIGUSTICO 453 condizione qualsivoglia d’ipoteca, se non espressa ne’ suoi libri e coll’assentimento o parola del Montista (i); non regresso su i luoghi obbligati, nè anche pe’ venditori (2) ; non veditura delle sue partite a chi non fosse padrone di quelle od erede o condizionario (3). Nè pure ammetteva gabelle ne primi tempi : e lo provano i Fiorentini, i quali nel secolo quattordicesimo, almeno pe’ trapassi di questi loro crediti, non pagavano nulla (4); e più di loro i Veneziani, i quali nello stesso secolo non permettevano assolutamente aggravio alcuno nè sul capitale, nè su gl’ interessi di quello (5). Ma questa franchigia sarà durata poco. Fatto è che in Pisa Pietro Gambacorta ordinò in quel medesimo secolo, si mettessero nello Stimo generale ancora i danari che l’uomo avesse in comune, cioè nella Massa, detratto il terzo, per alleviare l’imposizione (6). E scendendo giù per li tempi, ecco i Genovesi imporre nell’anno 1419 la ritenzione d’una Paga ogni tre (le Paghe correvano allora a trimestre), imporre pertanto il venticinque per cento su tutti i Luoghi delle Compere; provvedimento temporaneo che al solito rallignò in ordinario e fermo, convertendosi nella tassa d’ un fiorino, o di soldi venticinque per ogni Luogo di lire cento (7). Ecco (1) Cantini, Legislaz. Tose., XIV, 39; XVI, 548. (2) Cuneo, op. cit., pag. 81. (3) Varchi, Stor., lib. XIII. (4) Prov. Fior., 20 giugno 1347, Ms. Arch. Fior. (5) Parte del Maggior Consiglio Ven., del 20 febbraio 1350, Ms. Arch. Ven. (6) Sardo, Cron. Pis., pag. 210: Firenze, 1845. (7) Contractuum, A. 1453-1476, fol. 23-40, Ms. Arch. S. Giorg. Il Cuneo (op. cit., pag. 119), confondendo i termini, scrive che il frutto fu recato ad un solo fiorino, laddove questo non rappresentava che la tassa. Ma già egli era uso sprangare come gli veniva. De’ Cartularia Floreni Pa-garum si conserva nell’ Archivio di San Giorgio una serie dal 1420 fino al 1502 ; ma questa tassa si trova menzionata anche nel Contractus Magnus solidationis del 1539· 454 GIORNALE LIGUSTICO nello stesso secolo e nel susseguente i Veneziani altresì, po-gnamo per modo straordinario, tassare i Pro dei loro Imprestiti sottoponendoli alla Decima, che i Cassieri della Camera degl’Imprestiti ritenevano nel fare i pagamenti dei Pro e portavano ai Governatori delle entrate, talmente che in Venezia furono anche i Catasti de’ Monti (i). Ecco nel secolo sedicesimo i Senesi imporre nel predetto modo il dieci per migliaio su quelle rendite (2). Ma i Fiorentini vinsero tutti di gran lunga. Già essi avevano il Monte detto gabellato, opposto al libero fino nel 1380 (3); e poi le entrate di Monte turono in Firenze soggette al Catasto come tutte le altre sostanze. Anzi lo stesso autore del Catasto fiorentino, che fu Rinaldo degli Albizzi, propose di gravarle, facendo ragione che Γ un per cento di tassa sul loro valore potesse fruttare alla Repubblica trentamila fiorini Γ anno (4). Per assettare la quale imposizione, dacché conveniva ridurre le entrate di Monte a capitale, la Repubblica fiorentina prese 1’ uso di determinarne il pregio, ragguagliandolo, secondo la legge del 1433, all’adeguato de’valori corsi ne’mesi di aprile, agosto e dicembre, coll’ aggiunta di due fiorini per cento; però non valutando mai essa rendita meno di fiorini trenta due, compresi i due dell’aggiunta: e sopra a quella cosi stimata si distribuiva la tassa di mezzo fiorino (5). Ma Lorenzo il Magnifico, per procurare un cappello da Cardinale a Giovanni, suo secondo figliolo, fuori d’ ogni esempio , non avendo il fanciullo ancora tredici anni, e per empiere il suo sfondato appetito, fece ben altro ; chè si mise (1) Cons. X Veti. Delib., 27 novembre 1576, Ms. Arch. Ven. Malipiero, Ann. Ven., pag. 13. (2) Prov. Sen., 14 novembre 1553, Ms. Arch. Sen. (3) Prov. Fior., 12 dicembre 138e, Ms. Arch. Fior. (4) Giorn. Arch. Tose., IV, 43. (5) Canestrini, Scienza di Stalo, I, 425-26 : Firenze, 1862. GIORNALE LIGUSTICO 455 a rovesciar giù sul Monte alla disperata tanti balzelli e di tante generazioni, che le Paghe, le quali rendevano prima tre per cento , diminuirono a uno e mezzo, per forma che dove cento scudi di Monte valevano scudi ventisette, a quelle pressure calarono a poco più di undici (i). Il Monte ne fu quasi disfatto : e la ragione è quella che appunto intorno a quell’età insegnava Francesco Mannelli; quella, cioè, che quando i pregi de’ Monti sono rovinati o deboli il soprapporvi gravezze finisce di rovinarli e fargli valer nulla (2). Pregi de’ Monti o de’ Danari di Monte presso i nostri vecchi erano quello che oggi noi domandiamo Valore della Rendita. Ed essi pregi, come la Rendita nostra, montavano e calavano; rincaravano nella sicurezza e buono stato della Repubblica e nella riputazione degl’ istituti ; rinvilivano nelle sventure e nei pericoli (3). Notai al suo luogo lo stesso delle Compere genovesi, pure assai prima che fossero ammassate nel Monte di San Giorgio ; i cui Luoghi ebbero grandissima mobilità, salendo fino a 290 lire, cioè a quasi tre volte il prezzo che essi fnrono pagati in origine (4). Di qui la necessità del tassare que’ pregi per certe operazioni. In Venezia, si stava al corso loro nella piazza, pe’ contratti, tino dal 1291 (5). In Firenze, non si potevano mai computare meno del trentadue per cento, per la descrizione al Catasto, come vedemmo; ma si stava al corso della piazza, pel pagamento delle imposte ; giacché in Firenze ed in Genova esse si potevano soddisfare colle Paghe guadagnate (6). In- (1) Rinuccini J., Ricord., CXCVII : Firenze, 1840, Cambi G., Ist. Fior., II, 55. Machiavelli, Ist., lib. Vili. (2) Canestrini, op. cit., I, '488. (3) Villani M., Ili, 106. Morelli G., Ricord., pag. 108. (4) Peri, 11 Negotiante, II, 225: Genova, 1638-47. ' (5) Romanin, op. cit., II, 85. (6) Cuneo, op. cit., pag. 54. Canestrini, op. cit., I, 433. 45 6 GIORNALE LIGUSTICO vece in Pisa, a cassare un danaio d’imposizione se ne richiedono tre de’ crediti della Massa o del Monte, e ciò peggiorava per conseguenza gli stessi crediti di due terzi (i). In simil guisa essendo quei crediti pareggiati alla mercanzia, ma più di qualunque altra gelosi di tutto e facilissimi ad alterarsi, allora come oggi ci avea persone che, stando alle vedette e in su gli avvisi, facevano lor vantaggio ed arte della squisita variabilità del loro pregio, promutando e rigirando que’ crediti anco venti volte per anno (2). Se non che allora quest’ agonia di subiti guadagni, questo tristo giuoco non si portava in palma di mano* e i reggitori vollero dimostrare che esso non era accetto nè utile alla Repubblica. Imperocché nel 1371, apposta per imbrigliare la foga dei promutatori (i nostri giocatori di Borsa), i Fiorentini posero due per cento ai loro traffici (3); e poi rincalzarono, chi avesse compro beni di Comune con Paghe non sue, dovesse rifare il Comune del peggioramento di quelle (4). I Genovesi sui traffici dalle Paghe non so che mettessero mai gabella se non per indiretto; intendo la censeria de’ Luoghi, la quale percoteva la mediazione. E Genovesi e Veneziani a trattare questi mercati stabilirono per maggior cautela sensali speciali: due soli in Venezia, col titolo di Prudenti; abo liti in Genova nel 1633 (5). Veniamo a’ Luoghi. Questi, che si dicevano ancora Parti, Porzioni, e più modernamente Anioni, erano di numero fermo, o almanco si prefiggeva il massimo numero di quelli, quando lo Stato ordinava il Monte mediante prestanze volontarie; ed erano di fermo valore ri- (x) Prov. Pis., 24 febbraio 1370, Ms. Arch. Fior. (2) Stefani, Ist. Fior., Vili, 97. (3) Id., loc. cit. (4) Cambi G., op. cit., I, 350. (3) Compilaz- Legg., filza n. 378, Delib. 28 gennaio 1528. Ms. Arch. Ven. GIORNALE LIGUSTICO 457 spetto al Monte, ordinariamente di cento lire : de’ quali un cotal numero descritto sopra una stessa testa formava in Genova la Colonna; e tutti quanti insieme formavano il Corpo, il Fondo, o Capitale richiesto al pieno del Monte, corrispondente alla Dote (anch’ essa alle volte chiamata Fondo'), cioè all’ entrata pubblica obbligata ; le Sperature per usato non si permettevano in Firenze minori d’ un quarto di Luogo intero (i). I Luoghi, oltre di ciò, non convenivano col danaro pagato ne’ Monti, nei quali, per trovar piacevolezza, altra appariva la somma ricevuta, ed altra la scritta; questa in Firenze due, tre o quattro tanti più valente di quella; sicché le cento lire numerate contavansi dugento, trecento o quattrocento ne’ libri, secondo il Monte che fosse dell’ un due, dell’un tre, o dell’un quattro; con provvisione di cinque per cento de’ danari scritti, che tornava a ragione di dieci e quindici e venti de’ ricevuti : il Monte libero, pure in Firenze, pigliava quarantacinque e scriveva cento e rendeva quattordici, onde la Rendita vera passava il ventinove. In su questa occasione voglio narrare le prime vicende di cotai Monti, molto istruttive anche per noi. Erano in Firenze i Monti penali, i cui Ufficiali avevano la pena del restituire del proprio il capitale e l’interesse, donde contro agli ordini eglino avessero danneggiato i loro istituti; ed i primi Monti penali fiorentini minacciavano la morte chi solo parlasse di mutare il capitale o la ragione dell’ interesse, o chi desse o pigliasse più che il dovere (2). Ora egli avvenne che nella guerra co’ Pisani del 1362, al Comune dì Firenze, disagiato nelle sue entrate e bisognoso, nessuno volesse prestare danari al cinque per cento, che era il frutto guarentito dalla mannaia, e forzare paresse ingiuria. Di che, non sapendo la (1) Cantini, Legisl. Tose., XXIV. 192. (2) Stefani, op. cit., X, 46. 458 GIORNALE LIGUSTICO Signoria fiorentina come provvedersi, ricorse ad un tal Ser Piero di Ser Grifo, Notaio delle Riformagioni, molto saputo nell arte di torcer le leggi; ed egli ghiribizzò que’ Monti appellati dell’ un due e dell’ un tre, padri dell’ un quattro, che passarono ai Ser Pieri moderni; con che l’ordine antico, se non apparentemente, si fu sostanzialmente corrotto (i). Ma poco appresso, per la soma incomportabile, e pel latrocinio che segue ognora a siffatte lautezze e corruzioni, uscì la riforma, che venticinque voti, intendi le due parti de’ Priori e de Collegi, bastassero a sospendere la nuova legge (2). E lampo e tuono fu tutt’ uno. Poiché ivi a cinque giorni, i Monti dell un due e dell’ un tre ed il libero, che è che non è, furono recati alla vera sorte ed al frutto del cinque, eccettuati i crediti di alcuni Principi e d’ altri forestieri, a cui, per fuggir rappresaglie, si mantennero i patti (3); non è a dire con quanta iattura e rammarico de’ pòveri cittadini, i quali, allettati dalla grassa derrata, aveano venduto per farne Monte chi poderi e case, chi disfatto botteghe e traffici, e chi comprato di seconda mano le ragioni de’ crediti a prezzi altissimi, e in un punto si trovarono diserti (4). Ma chi ci rimase, suo danno; sempre avviene così. Se tale era de’ Monti penali, pensi il discreto Lettore quel che fosse degli altri. In effetto vediamo 1’ interesse de’ Monti, tuttoché appuntato per legge, viziarsi per altra legge tosto che i corpi loro prendevano buona forma. La Camera degl’Imprestiti di Venezia, fondata, come notammo, nel 1171, giunta al 1383, conciò i suoi Pro, o convertì la sua Rendita dal cinque al quattro per cento (2). E per queste mutazioni s’inalzavano spesso nuovi (1) Id., op. cit./X, 45, 46. (2) Id., loc. cit. (3) Prov. Fior., 12 dicembre 1380, Ms. Arch. Fior. (4) Stefani, loc. cit. (5) Misceli. Mont. Ven. loc. cit. GIORNALE LIGUSTICO 459 Monti d’interesse minore, ove si tramutavano i crediti de’ Monti antichi; però Tramuta il Monte valeva in sostanza ciò che altramente nominavasi Riduzione di Monte, ed oggi Conversione della Rendita; nè sempre volontaria operavasi colla scélta libera al Montista fra la tramuta e la restituzione (i). I Viceré di Napoli, quando, secondo la loro protesta, non volevano alcuna cosa per forza, comandavano che chi non abbassasse da sè non tirerebbe frutti; quantunque per la moneta corrente tagliata e falsa che i creditori non avrebbono saputo come spendere, massime fuori del Reame, i più senza mestieri del comando spagnuolo preferissero 1’ abbassamento alla restituzione (2). Per la qual cosa mi diletta fuor di misura il poter contrappore a quegli atti di rotta fede e di ladroneria prepotente l’esempio de’ Genovesi; i quali, allora che sotto la bandiera di San Giorgio raccolsero gran parte di loro Compere e ne ridussero 1’ interesse al sette, dovè le Compere antiche solevano rispondere fino al dieci, a cui non piaceva il nuovo frutto, proffersero civilmente la restituzione della sorte alla pari, cioè a cento lire per Luogo (3). Si debbono anche lodare i Lucchesi, che pei loro Censi restituivano interi i denari prestati a chi non accettava la riduzione degli interessi (4). I Genovesi poi provvidero con simigliante civiltà ed accorgimento anco pe’ casi avvenire. Erano que’ tempi splendidi di forti geste, e caldi di passioni ; in quell’ abbondanza di vita e in quelle nobilissime libertà, nulla era fermo ; e le scosse del corpo politico necessariamente ripercotevano su i commerci. Arroge che il Turco stava continuo colla scimitarra sguainata sopra le genovesi Colonie. Pertanto la (1) Rinuccini A., Ricord., CXXVI. Varchi, loc. cit. (2) Palermo, Narrai. e Docum. Stor. Nap., pag. 237, Firenze, 1846. (3) Decretorum et aliorum, A. 1407-1428, Cod. n. 13, fol. 4, Ms. Arch. S. Giorg. (4) Cons. Gen. Lucch. Delib., 8 aprile 1672, Ms. Arch. Lucch. Giorn. Ligustico, 1Anno VII e Vili. 29 460 GIORNALE LIGUSTICO Compagnia di San Giorgio non poteva avere fidanza che le sue entrate bastassero in ogni tempo a fornir Γ interesse pattuito. Piuttosto che troncarlo violentemente e fallire alla fede, ella adunque introdusse, verso il 1419, che non più l’interesse, ma sì il Provento della dote ο 1’ utile del rigiro del capitale (noi diciamo il Dividendo'), dedotte le spese e gli aggravj, partir si dovesse fra i creditori (1); laudevole innovazione non tanto alla Repubblica, quanto a’ Partecipi, perciò che scampava da estremi partiti 1’ una e gli altri, e questi nobilitava nel benefizio comune. Non che ridurre il frutto, se ne intermetteva il pagamento: si sospendevano, cioè (usiamo 1’ antico linguaggio), i monti, e sostenevano le Paghe, interamente od in parte, per mesi e per anni ; e del Monte così sospeso non potevasi disporre senza l’approvazione dei Consigli (2). Alcuna sospensione in Firenze fu tale, che i maggiorenti si pagavano, e solo alla vii turba si allegava la povertà del Comune per non pagare; il quale assassinio portava l’altro, di comprar le Polire de’ bisognosi un quarto 0 quinto del valore quei maggiorenti stessi privilegiati di riscuotere l’intero (3); e i maggiorenti tenevano lo Stato, e lo Stato dominava il Monte: altra prova che l’unione intima di questi due corpi, come di natura disformi, non ingenera che mostri. In Venezia tanto andarono innanzi le sospensioni, che al vivente di Donato Giannotti il Monte Vecchio si trovava indietro di quarant’anni (4). Nè la Società o Casa di San Giorgio andò esente da quella infermità. Travagliatis- (1) Nella tavolj del Provento de’ Luoghi di San Giorgio, riportata dal Cuneo (op. cit., pag. 307), dal 1419 in poi non si vede più l’interesse del 7, ma quello del 5, 3 e 2, e sempre vario ; al 7 non pare che ritornasse più mai. Ma il Lettore badi di ncn giurare su questi numeri del Cuneo : io li do, per non averne altri. (2) Prov. Fior., 20 marzo 1454, Ms. Arch. Fior. (3) Cavalcanti G. op. cit., II, 202-03. (4) Giannotti, op. cit., II, 163. GIORNALE LIGUSTICO 461 sima per la difesa di CafFa nel 1456, essa sostenne le Paghe tre anni; ma parve, quale era, tanto grave cosa ed insolita, che ci volle Γ autorità del Sommo Pontefice a tranquillare le coscienze (1). Poi i tre anni per le stesse calamità politiche si allungarono in cinque, e quattro mesi, e dieci giorni; poi altri prolungamenti; e in breve, il Provento non ritornò annuale prima del 1764. Dal che derivò, che non tutti i creditori potendo patire la dilazione, la Compagnia offrisse loro di pagare il Provento anticipato, mediante uno sconto proporzionato al tempo che restava al compimento ; la quale diminuzione in fine non si perdeva dal creditore, conciossiachè essa entrava e computavasi nel corpo comune, e nudriva e cresceva il Provento avvenire. Però ogni anno insieme colle Scuse, quali si chiamavano da’ Genovesi i saldi de’ conti, gli Amministratori di San Giorgio facevano per ciascuno Partecipe la valutazione della rata anticipata, chi la chiedesse ; e la scrivevano a sua ragione in libro da sè, il Cartolario delle Paghe. Quindi originò la Moneta di Paghe, la quale pel predetto sconto annoverava sedici, diciasette o diciotto soldi per lira soltanto ; e la Moneta di Numerato ò di Cartolario, la quale aveva tutto il pieno della lira, perchè a quel ragguaglio la Compagnia non pagava se non a termine perfetto, e dopo che il Provento era passato dal Cartolario delle Paghe nel Cartolario del Numerato. Nel 1746 accaddero altre e più terribili calamità; e la Compagnia sovvenne alla Repubblica col prestito di quindici milioni di Banco, pari, per le ragioni dette altrove, quasi a trenta di moneta córrente. La quale cosa addimostra, che anche allora i salvatori della Repubblica, abbandonata da’ suoi legali e neghittosi custodi, furono, oltre al popolo, non mai tralignante, i cittadini di San Giorgio. Ma lo sforzo magnanimo, come di leggieri si (1) Cuneo, op. cit., pag. 119. 462 GIORNALE LIGUSTICO comprende, levò il modo di dare riscontro alle Paghe e di restituire i Depositi. Il perchè gli stessi Protettori del Banco furono costretti di comporre, coi pagamenti decorsi, due Monti nuovi, Γ uno detto delle Paghe, Γ altro di Conservazione, i quali provvedessero studiosamente a quel debito, in quella forma sospeso o sostenuto a termine indefinito. E provvedevano di fatto, e senza distinzioni. Dovecchè in Firenze, quando le Paghe sostenute si rendevano, nessuno de’ non sopportanti, salvo i Luoghi Pii, poteva avere il suo credito se non per le vie strette non altrimenti che a riscuotere le Paghe ordinarie ; e, comunque, i non sopportanti dovevano venir dopo a’sopportanti ; per maniera che, se l’assegno non bastava a tutti, i non sopportanti venivano pagati col resto a lira e soldo; eccettuate, ben s’intende, le Paghe de’ Monti penali le quali andavano innanzi a tutte (1).* Ancora si usava di purgare il debito, o toglierne via una parte prima di mandarlo al Monte (2) ; e peggio assai, di smembrarlo dappoi, di tre quinti in Firenze (3), e del quaranta per cento in Milano, come incontrò al Monte di San Carlo nel 1726 (4); e di abolire gl’ interessi per sempre, massimamente se le paghe decorse fossero molte; così fermo il corso ai frutti avvenire, facevano del capitale un corpo cogl’ interessi passati, ed estinguevano a rate (5). In Venezia il creditore ebbe in ogni tempo, se non isbaglio, facoltà di recare gl’ interessi a capitale, se lo voleva (6). Più insana violenza di quella de’ (4) Prov. Fior., 4 gennaio 1451, 7 settembre 1458 e 24 marzo I474> Mss. Arch. Fior. (2) Villani Μ., Ili, 106. (3) Segni, Stor. Fior., lib. V. (4) Custodi, Ist. Mil,, cap. XXII: Milano, 1824-1825. (5) Giannotti, op. cit., II, 163. Ammirato, Ist. Fior., lib. XIV. Ferro, Dii· Dir. Com. Ven., II, 852. (6) Cons. Gen. Ven. Delib., 14 settembre 1389, filza Affrancazione de’ Monti, Ms. Arch. Ven. GIORNALE LIGUSTICO Pisani non credo che sia. Nel 1370, avendo eglino fondato una Massa novella, vollero bene che, per tener fede, vi si congregassero i capitali della iMassa vecchia ed anco i frutti contati in capitale ; ma (qui sta il buono) solo la metà ; e del-1 altia metà il Comune fosse libero ed assoluto (1). Non paghi a tanto, nove anni dopo, per l’utile e comodo del Comune (questo ben s’intende) ed anco delle singolari persone (almeno non di quelle che avevano danari nella Massa), aggiunsero, che il fiorino della Massa, o vogliamo 1 suoi crediti, non si potessero vendere per oltre la terza parte del primo valore ; con che il Debito Pubblico di netto fu scemato di due terzi; e che avesse la preferenza a comperarli lo Stato, a cui si dovessero vendere per quel prezzo e meno : per siffatta guisa stremato il debito, 1’ assegnamento suo, che era la gabella della vena del ferro, ritornò al Comune per pagare il soldo della Masnada (2). Onde io, in verità, devo esclamare di cuore : vivano i Ciompi di Firenze. I quali se nel loro pazzo tumulto , invasati da odi e da inganni, e punti dalla povertà, vennero al partito, vagheggiato pure oggi da certi strani riformatori, d’imporre, senza forse capirne, alla Signoria sbigottita, che il Monte non rendesse più Paghe, ma solo il capitale in anni dodici, ogni anno un danaro per lira; quando poi ebbero in mano la sconcia legge, essi, che per avventura non avevano un picciolo sul Monte, lasciaronla cadere e non ne fecero altro (3). Certo non bontà di studio nè di giustizia si ritrova in questi ed altri simili termini da spianare ed estinguere i Monti. Ma de’ regolari e degl’ingegnosi assai non ci ha difetto: mettendo dall’un de’ lati i Monti vitalizj che si risolvevano per condizioni ap- (1) Prov. Pis., 24 febbraio 1370, Ms. Arch. Pis. (2) Id., 25 agosto 1379. Ms. cit. (3) Capponi G, Tumulto de'Ciompi (R. 1. S., XVIII), pag. 1119. 464 GIORNALE LIGUSTICO poste alla vita del Montista. Per dire di alcuni di que’ modi, in Venezia si faceva una Cassa detta di francagione, ove si mettevano gli avanzi della Camera degl’ Imprestiti, quelli principalmente delle rendite obbligate al pagamento dei Pro, il ritratto dalla vendita delle pubbliche possessioni e quello dalle spese scansate ; vi si aggiungeva il getto di alcune tasse imposte a tal fine, a mo’ di esempio, di uno e mezzo sopra ogni mille ducati del capitale degl’ Imprestiti per anni cinque, del terzo dei Pro per lo stesso tempo, del cinque per cento sulle mutazioni di proprietà; e con que’danari si redimeva a rate, comprando i crediti al settanta ed all’ ottanta per centinaio, ed anco alla pari nella prima metà del secolo quattordicesimo : la quale compra o redenzione s’incominciava dalle partite più leggiere, talora da quelle inferiori a lire dieci (1). Il disegno veneziano più perfetto, che è quello immaginato da Francesco Priuli, nel 1577, richiese che la Cassa di Francazione si formasse dagl’interessi dei capitali di mano in mano affrancati e da centoventimila ducati levati dal provento di alcune gabelle ; la quale affrancazione si dovesse fare annualmente, per modo che il Debito Pubblico ogni anno scemasse di centoventiseimila ducati (2). I Fiorentini avevano il Monte di Diminuzione, poi chiamato Assegnamento d’ Estinzione, che mantenevano colle Paghe sostenute o ritenute a quell’ oggetto di estinguere il debito, con certe particolari gravezze messe ai sudditi, coll’imposte alle Paghe (anco del quarto), coi crediti di Monte confiscati, con certe multe, e cogli avanzi trovati al termine dell’ ultima riforma od al saldo (x) Delib. Cons. Magg. Ven., 8 Maggio 1316. (Capit. Impresi. Albus), 11 maggio 1339; (M.)> 17 aprile 1375; (Ceruleus), 26 gennaio 1381; (Niger Magnus), 19 giugno 1442; (Id.), 3 marzo 1444 > (D’Oro), 12 gennaio 1489: Mss. Arch. Ven. Romanin, op. cit., Vili, 367. (2) Filza Parti diverse circa V Affrancamento della Cecca, Ms. Arch. Ven. CIORNALE LIGUSTICO 465 del Monte (1) ; e con quell’ assegno facevano le fini; vo’ dire, pagavano i creditori 0 ricomprando crediti di Monte di cittadino sopportante, quali volessero, o traendone tanti a sorte, quanta era la somma accumulata, la quale ultima usanza già praticavano nel secolo quattordicesimo (2); si compravano ancora co’ danari del Monte de’ Composti. Venendo allo straordinario, i Fiorentini usarono alcuna volta che chiunque, per 1’ addietro, avesse comprato Danari di Monte, dovesse renderli al Comune per lo costo con due per cento più; il che avveniva ne’ passaggi de’ prezzi dal basso all’alto, per accalappiare chi aveva fatto buon mercato di quei Da-nari (3). Carte genovesi del suddetto secolo quattordicesimo m’insegnano, che in Genova i Mutui pubblici si rendevano, come in Firenze, alla ventura, ogni tre mesi, mandando innanzi le Spezzature minori di lire una, e pagandoli col sovrappiù del prestito, stantechè a tal uopo, nell’ imporli, quei mutui si domandassero assai vantaggiati (4). Parimente si pagavano alla ventura in Venezia, giusta il disegno del Priuli (5). Ma, del resto, fino da’ tempi più vetusti i Genovesi, assicurando i prestatori per certo tempo sopra alcuna gabella, costumarono di riserbarsene una parte: la parte così venduta od assegnata, chiamata Gabella di Cassa, forniva il pagamento degl’ interessi ; e quella riserbata, chiamata Coda ed anche Coda di Redenzione, amministrata dagli Ufficiali delle Compere, serviva all’ estinzione del debito ed alla re- (1) Prov. Fior., 22 gennaio 1431 ; Delib. Bai. Fior., 7 settembre 1458; Prov. Fior., 23 gennaio 1467, 21 marzo 1474 e 28 marzo 1476. Mss. Arch. Fior. Canestrini, op. cit., I, 127, 128, 242, 429. (2) Prov. Fior., 12 dicembre 1380 e 21 marzo 1474, Mss. Arch. Fior. (3) Boninsegni, Storia Fiorentina dai primi tempi fino all’anno 1410, pag. 722: Fiorenza, 1581. (4) Regulae Comperarum Capituli (1303), fol. 14, 144, Ms. Arch. S. Giorg. (5) Filza Parti diverse, ecc., cit. 466 GIORNALE LIGUSTICO denzione della gabella obbligata, distribuendosi al termine dell’anno a lira e soldo fra i Partecipi. S’introdusse poscia che gli Ufficiali suddetti non più pagassero l’assegno della Coda alla fin d’anno, ma 1’aumentassero, comprandone de’ Luoghi, e cogl’ interessi di questi ne acquistassero subito altri via via, infino a che veniva ad accumularsi la somma richiesta a liberare tutta quanta la gabella obbligata, la quale ritornava allora allo Stato, e quindi s’estingueva il debito. Questo è il Moltiplico, di cui fanno trovatore il genovese Francesco Vivaldi nel 1371; quantunque io non sia guari persuaso che prima di lui non si praticasse almeno alcun che di simigliante, se non quel desso. Sia che si voglia, dopo quell’ anno, il modo d’estinzione attribuito al Vivaldi si rese generale per tutta Italia ; ed oggi ancora, in tanta luce e pompa di scienza, benché paia cosi facile ed ovvio, forse non abbiamo di meglio; se non che noi ci travagliamo ad accendere, non ad estinguere. Il merito grandissimo che nessuno può tórre nè menomare a Francesco Vivaldi, è d’ essersi fatto capitano a quella generosa e nobilissima schiera di cittadini, i quali colle loro sostanze s’ adoprarono a diminuire il debito della Repubblica genovese e a confortare la cittadinanza bisognosa. Intendo parlare de’ fondatori delle Colonne, dette di pietra 0 lapide, dalle statue 0 lapidi che per memoria e gratitudine s’inalzavano a loro nel Palazzo di San Giorgio e negli altri instituti beneficati della città ; lasci o doni, quelle Colonne, di tanti Luoghi da moltiplicarsi dagli Ufficiali delle Compere infino a tanti; e poi convertirsi negli oggetti ordinati. La quale liberalità fu di tale efficacia, che i Luoghi novanta messi dal Vivaldi nell’anno 1371 a moltiplicare in sulle Compere del Capitolo per isdebitare il Comune, alla morte di quel benemerito montarono a quat-trocentoquarantotto; e nell’anno 1467 a settemila trecento- GIORNALE LIGUSTICO 467 settantasette (1), non ostante che si fossero quasi estinte con essi nel 1454 le Compere della Pace, ed assottigliate quelle del Capitolo, e non restasse intera che la Compera del Sale (2). E per fermo, come questo ordinamento fu capace di spegnere una parte del Debito Pubblico genovese, cosi avrebbe fatto del resto, se la Repubblica, troppo spesso necessitata, non avesse posto le mani sopra quei cumuli ; onde 1 estinzione si aveva sempre in cospetto, e non si arrivava mai. Quando ripenso agli urti di quelle avverse e prepotenti esigenze, io per me non veggo che si potesse opporre miglior riparo di quello del Contractus magnus solidationis; mediante il quale lo Stato, nel 1539, cedè in assoluta padronanza alla Compagnia di San Giorgio settantanove gabelle, e la Compagnia lo chetò d’ ogni suo credito ; con che il debito, prima redimibile, pel fatto volontario de’ creditori, do-ventò perpetuo (3). Da quindi in poi, in Genova non si parlò più d’estinzione; chè veramente non v’era più debito, ma sì un capitale comune da trafficarsi a utilità della Compagnia, non da restituirsi. Onde i Moltiplici delle Colonne di Pietra continuarono ad operare solo per gli altri oggetti di loro istituzione, edifizj pubblici, strade, ponti, moli, opere di beneficenza e di religione, e particolarmente per alleviar le gabelle più gravose alla povera plebe. Scomparvero perciò le tasse su i servi, su l’imbottatura, sul carreggio del vino, (1) Nella iscrizione alla statua del Vivaldi fu scritto che i suoi novanta Luoghi nel 1467 erano sbalzati a ottomila. Ma mi pare che non istia, poiché il Cartolario P. N. della Colonna per l’anno suddetto, riportando nel loglio 470 partitamente il conto di quell’assegno, lo ferma in Luoghi 7377, 21,04, 4. Trovo nello stesso conto che il provento nel-Γ anno 1467 fu di lire 3 e soldi 14 per Luogo; ed il Cuneo dice di sua testa lire 3 e soldi 3. (2) Contractuum Cod. 34, fol. 29, Ms. Arch. S. Giorg. (3) Contractus magnae solidationis, 11 jul. 1539, Ms. Arch. S. Giorg. 468 GIORNALE LIGUSTICO sulle piatte dell’arena, su i panicuocoli, sul peso e marca; scemossi quella del grano : e così levata una gabella, non poteva rimetterla lo Stato senza il sentimento della Compagnia (i). A me pare oggimai, benché degni di più agio e di maggior consulta, di avere, il meglio che ho potuto, ridotto in iscorcio, come lo consentiva l’asprezza della ma-teria, gli ordini e gli avvenimenti principali dei Monti. Mi sia lecito ancora di toccare lievemente le ultime vicende del Monte di San Giorgio, e del Monte Comune di Firenze, il quale comprese tutti gli altri Monti fiorentini nell’ anno T74^ (2); acciocché da que’ due, altissimi e memorandi, possa il Lettore far sue ragioni della fine degli altri. I Monti novelli delle Paghe e di Conservazione di Genova erano presso ad aver compiuto il loro'lavorio: rimanevano pochi debiti; nuova vita e vigorosa s’apparecchiava a San Giorgio; quando scoppiò la Rivoluzione francese. Il Segretario Fiorentino aveva scritto, che, se San Giorgio avesse occupato tutta Genova, ne sarebbe sorta una Repubblica più che la veneziana memorabile; perchè libertà e vita civile e giustizia e ogni bontà albergavano in lui, donde si manteneva la città piena di costumi antichi e venerabili (3). Or la prima riforma, soffiata dalla Rivoluzione, che pure, secondo 1’ usanza, di libertà e giustizia si proclamava, uccise San Giorgio. L’ uccise, imperocché gli tolse in un punto la giurisdizione civile e criminale, le sue entrate particolari, le sue Sagristie, e tutte le gabelle eh’ egli aveva avuto in satisfazione de’ suoi crediti verso la patria, da lui salvata più volte, non mai forzato, ma di grande e buono animo, col senno, colla borsa e colla spada. Il nuovo reggimento gli obbligò in iscambio la ren- (1) Iscrizioni alle statue di Luciano Spinola e di Battista Lomellino nel Palalo di San Giorgio. Cuneo, op. cit., pag. 138. (2) Cantini, Legisl. Tose., XXV; 316. (3) Machiavelli, Ist., lib. VITI. GIORNALE LIGUSTICO 469 dita delle gabelle ritolte, e dichiarò sacro il debito, mentre patti sacri violava (1). Ma la Compagnia ornai era esangue, chè il rompimento della fede Γ aveva ferita nel cuore. E tuttavia in quell’ estremo il Biglietto del suo Cartolario nel-l’anno terzo della Repubblica afforastierata peggiorava solo del dieci per cento; laddove i mandati della Tesoreria, chiamata pomposamente Nazionale, perdevano il quaranta (2). Il che dà chiaro a divedere che brutta e grande violenza uccise quella Compagnia, non ella mori di sua morte, avanzandole ancora tanta virtù nelle ultime ore; come uccise poco appresso la stessa Repubblica. Si poteva ben dire: Haec mera libertas, hanc nobis pilea donant (3); e voglia Dio che non ci apparecchino di peggio per Γ avvenire. Brevemente, le cose precipitarono a tale che alla fine parve grande ventura, e si tolse a grazia, che la Signoria forestiera, incamerati gli avanzi dell’ eredità gloriosa, si assumesse di pagarne Γ interesse alla norma del suo terzo Consolidato; a ragione, cioè, di franchi uno e centesimi venti, quando l’adeguato de’ proventi di San Giorgio dell’ ultimo decennio era salito a franchi tre e centesimi ottantatrè (4). Del Monte Comune fiorentino i Medici degli ultimi tempi avevano statuito che la Decima ne redimesse via via i crediti; e quindi la Decima si ap- * pellò Tassa di Redenzione·, ma non redense mai nulla (5). I Medici, divenuti Duchi e Granduchi, come di ben altro, ponno gloriarsi di avere trovato nel loro paese, ascesi al trono, un Debito Pubblico non maggiore di cinque milioni (1) Constitutione democratica dell’ anno 1797, articoli 388, 389. (2) Corvetto, Saggio sopra la Banca di San Giorgio, pag. 38: Genova, 1798. (3) Pers., Sat. V. (4) Legge del 15 messidoro, anno XIII (4 luglio 1805), tit. XV, § 31. (5) Zobi, Storia civile della Toscana dal 1737 al 1848, I, 25: Firenze, 18/0-53. 470 GIORNALE LIGUSTICO di ducati, e di avervene lasciato uno di quattordici (i). Leopoldo I non poteva non pensarvi nella sua riforma civile ed economica. Ordinò pertanto, si cancellassero ne’ libri del Monte i crediti delle Comunità, Vicarie e Popoli ed a ristoro si annullasse in perpetuo altrettanta Tassa di Redenzione, a tal ragguaglio che per ciascun Luogo di cento scudi di capitale di Comunità creditrici risparmiassero tre scudi e mezzo di Tassa; costrinse pure le Comunità di versare in sul Monte tutti i danari apparecchiati per rinvestire a cambio od a piestito, ìicevendo altra cassagione proporzionata di Tassa; colle quali somme divisava saldare e dimettere altrettanti singoli Logatari (2). Lascio stare se Γ importanza della Tassa \ alesse ad appareggiare per avventura quella del debito, di che dubitano molti; e se lo Stato alla lunga avrebbe potuto reggeisi senza gravezze prediali. Ma qualche benefizio ne sarebbe scatutito; se non era che il regno di Leopoldo non bastò a rendere intera Γ iniziata riforma; la quale subito fu dannata dal successore, ed il Monte ripristinato (3). Ma il successore anch egli bastò poco. E Napoleone sopraggiunto, venendo tosto alle corte, come soleva e poteva, con decreto del 9 aprile 1809, atterrò di tratto il Monte Comune, ìimovendone senza compenso le poste dell’antico Go-\erno e quelle degli Ordini religiosi e del cavalleresco di Santo Stefano aboliti; cassò parimente quelle de’ Luoghi Pii, Comunità, Collegi, Scuole, e quelle che gettavano una rendita minore di centoventi franchi, ma compensandole con altrettante rendite constituite dal Demanio pubblico; finalmente a creditori spicciolati consegnò tanti beni urbani e rustici, da distribuirsi e aggiudicarsi fra loro nella forma che avrebbe » (1) Zobi, Stor., cit., I, 25. (2) Editto del i° marzo 1788. (3) Editto del 20 settembre 1794. GIORNALE LIGUSTICO 47I egli accennato. Così anche questo Monte cadde e disparve. Tuttavia coi Monti non ebbe fine il debito. Subito rinacque e giganteggiò, con i suoi pericoli, le sue gelosie, i suoi inganni, con meno sicurezza, con meno civiltà e nobiltà ne’ suoi maneggiatori, gente di patrie diverse o senza patria ; con più potenza, la quale oggimai usurpa l’imperio. Solo i nomi nostrani e pochi ordini non de’ cattivi si cambiarono, alcuni de’ buoni si omisero ; poiché noi diciamo sempre di riformare, e spesso non facciamo che trasformare, se non peggioriamo. STORIA DEI GIUSTINIANI DI GENOVA del prof. Carlo Hopf, trad. da A. Wolf (Continuaz. v. pag. 400). Tornado alle vicende che durante .questi decennii modificarono la posizione della Maona verso i suoi vicini in Oriente, ci presentano anzitutto i suoi rapporti con Venezia un rapido avvicendarsi di guerra e di pace. Focea vecchia presa nel 1379 dalle galee venete, che nell'istesso anno abbruciarono i sobborghi di Scio (1); nel 1382 rapporti di pace e d’amicizia (2), agevolati e promossi mercè le cure che il podestà di Scio Bartolomeo Pellegrino prodigò ai Cristiani fatti prigioni presso Nicopoli (3); nel 1398 (4) e 1402 (5) negoziati per un’ alleanza contro i Turchi proposta da Venezia; nel 1403 guerra ancora (6), però presto sopita. Ed (1) Archivio municipale di Perugia. Bolle e diplomi del sec. XIV, n. 7. Ducale del 4 genn. 1380. (2) Misti. T. 37, fol. 210 a. (3) Chronique de Froissart. éd. Bûchons, Paris 1826-8. T. 5, p. 5; T. 6, p. 31, 43. (4) Misti T. 44, fol. 210 b. (5J Misti T. 45, fol. 443 b. (6) Stella p. 1200. — Ag. Giustin. 1. 4, fol. 186 b. — Interiano 1. 4, fol. 152 a. — Folieta. 1. 9, p. 525. — Bi\ar. 1. 10, p. 202. — Livre des '472 GIORNALE LIGUSTICO ebbero bea donde a capirla, che P onda dell’ invasione osmana batteva minacciosa alle porte. I Gianizzeri di Murâd I e Raja-sìd I (i) avevano già verso il 1380 spinto le loro scorrerie sino a Scio, e tolta alla Maona l’isola di Samo facendone un nido di pirati (2). Focea nuova e Focea vecchia (quest’ ultima era infeudata dalla Maona a Jacopo Gattilusio di Lesbo) avevano dovuto aprire le porte ai Turchi. Disfatto Rajasid nella battaglia di Angora, ebbero padroni i Mongoli; e fecero nel 1403 formale omaggio di sudditanza a Sha Rokh, nipote del gran Tamerlano (3). Spazzata l’Asia minore dai Mongoli, la Maona si vide di nuovo disturbata dai vicini principotti turchi, tanto che dovette comperare la pace, obbligandosi a pagare agli Osmani un tributo per Focea, ed al dinasta di Sarukhàn un censo di cento ducati. Nella pace conchiusa poco dopo tra il sultano Suleimàn e Venezia, rappresentata da Pietro Zenone duca di Andro, questi però interpose i suoi buoni uffizi a favore della Maona, ed ottenne che il Sultano la liberasse dal tributo dovuto a Sarukhàn e le rimettesse 500 ducati di quello di Focea (4). , Nel frattempo era caduto in Genova il governo popolare; la Repubblica s’era data al re di Francia, che aveva mandato a reggerla il maresciallo Bucicaldo. Facendosi fort' degli antichi patti, i Giustiniani dichiararono spezzati i vincoli che faits de messieur Jean le Maingre dit Bouciquant. éd. Buchon. 1836, P. 2, eh. 14, p. 426. (1) Chalcoc. 1. 10, p. 579. — Misti. T. 44, fol. 23 a. (2) Christ. Buondelmontii. Liber insularum ed. Sinner. c. 57. (3) Ducas c. 17, p. 75. — Stella p. 1198.—Ag. Giustin.\\b. 5, fol 148 a. lnteriano lib. 4, fol. 151b. — Bi^ar. 1. 9, fo lib. 198. D. Garcia de Silva. Comentarios lib. 5 (Noticias del gran Tamurlan), in Clavijo, Historia del gran Tamurlan. Madrid, 1782-4, p. 230. (4) Patti lib. 6. fol. 360b-361 a. — Sulle condizioni di Focea, ved. Ducas c. 25, p. 162. GIORNALE LIGUSTICO 473 legavano la Maona alla madre patria, deposero il Podestà e gli altri ufficiali, e proclamarono nel giorno di S. Tommaso (2i dee. 1408) la loro indipendenza col grido « viva il popolo, viva S. Giorgio ! » Nè posero tempo in mezzo per mettersi in istato di difesa. Imposto ai negozianti stabiliti nell’ isola un imprestito forzato di 15,000 monete d’ oro per le spese più urgenti, mandarono ambasciatori a Venezia per ottenere, oltre un altro imprestito di 20,000 ducati, la licenza di esportare armi dalla regnante (1), e vettovaglie da Candia e Negroponte. Non fu accordato l’imprestito, e le trattative per le armi andarono in lungo, tanto che il Bucicaldo, tolti 50,000 fiorini d’oro dal Banco di Giorgio (1 marzo 1409) (2), ebbe tempo di armare una poderosa flotta, che comparve avanti Scio li 18 giugno, comandata da Corrado D’ Oria. Il sobborgo aperto cadde l’indomani in potere dell’ammiraglio : il castello resistette, ma dopo una lunga e sanguinosa lotta tra i figli della stessa città e dello stesso sangue, gli Scioti dovettero capitolare (30 giugno). Il D’Oria fece il suo ingresso nel castello (1 luglio) come podestà, e prese possesso dell’ isola a nome del re di Francia. Non usò rigori coi ribelli, forse trattenuto dal-1’ aspetto di legalità che i patti antichi poteano dare alla sollevazione ; i Maonesi non ebbero pena alcuna, ed i capi greci pagarono il fio con 1’ esilio (3). Ma abusò della vittoria in altra guisa più ignominiosa, imponendo ai maggiori azionisti della Maona di cedergli nello stesso atto di capitolazione le loro azioni e dargli quitanza del prezzo di compra, (1) Secreti. T. IV. fol. 12 a. (2) Comperae Capituli, cod. nuni. VIII, fol. 350-351, nell’Archivio di San Giorgio. (3) Stella p. 1217-1220. — Ag. Giust. lib. 5, fol. 172 b.— Oh. Folieta lib. 9, p. 531. — Βίχατ. lib. 10, p. 205-206. 474 GIORNALE LIGUSTICO sebbene questo non fosse da lui sborsato. Le vittime del-1’ estorsione, Ottobuono, Battista, Gabriele e Raffaello, protestarono, domandando al Governo che annullasse la compra; ma passò qualche anno prima che fossero reintegrati nel pieno possesso delle loro azioni (i). La memoria della sommossa fu presto cancellata dalle prove di patriottismo che i Giustiniani diedero negli anni appresso, segnatamente nel 1411 (2), quando sette vascelli catalani approdati all’ isola ne aveano bombardata la capitale. Con cinque navi mercantili e soli 800 uomini assoldati a loro spese (per 3762 ducati), i Maonesi corsero dietro ai depredatori, li raggiunsero e sconfissero nelle acque di Alessandria, e tornarono trionfanti in Scio col bottino ritolto. Un altro attacco degli Osmani fu respinto nel 1412 dalla Maona (3), rinfotzata da soccorsi mandati da Genova (4) e da Rodi, dov era andato ambasciatore il maonese Bernardo Pater io (5). Li if marzo 1413 la convenzione del 1385, che doveva scadere nel 1418, venne prolungata per altri 29 anni, che è quanto dire sino ai 31 novembre 1447 e ciò mediante un nuovo imprestito di lire 18,000 che la Maona fece al Governo, oltre il solito tributo annuo di lire 2,500 (6). Tale proroga tu poi seguita da parecchie altre, cioè: li 17 dicembre 1436, pei altri 29 anni, sino ai 21 novembre 1476, mediante un (1) Cod. Giust. T. II, fol. 119b-122b. — Cod. Belg. f. 163-165 b. (2) Joannis Stellae Annales, in Murat. XVII, 1238 — Ag. Giustin. 1. 5, loi. 175 b. — Interiano. lib. 5, fol. 158 b. — Folieta lib. 9, p. 536. — Bi^ar. lib. 10, p. 213. (3) Malipiero. Annali Veneti, nell’ Archivio Stor. Ital. Serie I, T. VII, 1843, P· n. (4) Diversa plebis Januae, T. I. Decr. del 27 ott. 1412. (5) Bosio T. II, p. 132. (6) Cod. Giust. T. I, f. 180 a-184a. — T. II, f. 123 a-127 a. — Cod. Belg. f. 166 a-172 b. - Federici. Collect. T. II, ad an. 1436. GIORNALE LIGUSTICO 475 nuovo imprestito di lire 25,000 (1) ; li 19 novembre 1476, per altri 29 anni, sino al 1505 (2) , con qualche modificazione dello Statuto di Scio (3); li 16 novembre 1507 per anni due, cioè sino agli 11 novembre 1509. Avvicinandosi quest’ ultimo termine , il Governo ordinò (20 aprile 1509) all’ Uffizio di Scio di trovare i mezzi per soddisfare i Giustiniani e riscattare l’isola (4) ; ed ottenne difatti, l’anno seguente (22 ottobre), da dieci banchieri genovesi la somma richiesta di lire 152,250 in via d’imprestito (5). Ma quando si esibì a saldare il debito della Maona (6), i procuratori e governatori di questa (7) respinsero il pagamento, insistendo che nel valutare il loro credito si tenesse conto delle spese immense sostenute dai Maonesi per la difesa dell’ isola, e del deprezzamento che aveva subito il danaro. La convenzione fu dunque prolungata nuovamente in via provvisoria sino al 1513; nel quale anno (15 giugno) la Repubblica, per non addossarsi nuovi pesi (8), conchiuse con otto procuratori nominati ad hoc dalla Maona un altro accordo (24 settembre 1512), in forza del quale lasciava a questa l'isola sino ai 15 giugno 154α, sotto le condizioni antiche che si riconfermavano tutte, ed esigeva soltanto qualche nuova modificazione dello Statuto (9). Ma nemmanco questa (1) Cod. Giust. T. I, f. 194 a-201 a. — T. II, f. 196 a-202 a. — Codice Belg. f. 240 a - 248 b. — Federici, ibid. (2) Cod. Giust. T. I, f. 210 a-2x6 a. — T. II, f. 204-215 a. — T. Ili, fol. 23 b-25 a. — Cod. Belg. f. 250b-260b. — Federici, ibid. II, f. 155 a. (3) C. Giust. T. II, f. 252 a-259 b. — C. Belg. f. 291b-298 b. 4) C. Giust. T. I, f. 247 b-248 a. — C. Belg. f. 310 b-311 a. (5) C. Giust. T. II, f. 260 a-266 b. — C. Belg. f. 298 a-304 b. (6) C. Giust. T. II, f. 267 a.b. — Cod. Belg. fol. 305 a- 306 a. (7) Ved. le proteste dei « Gubernatores » della Maona in data del 5 e 12 nov., in C. Giust. T. II, f. 269b- 275 b. Cod. Belg. fol. 307a-310b. (8) Cod. Giust. T. II, f. 276 a-277 b. (9) C. Giust. T. I, f. 248b. seg. — T. II, f. 276 a-304 b. — C. Belg. f. 311b. 333 b. Giorn. Ligustico , Anno VII t Vili. 3° 476 GIORNALE LIGUSTICO convenzione era destinata a vivere inalterata sino al termine della scadenza: nel 1528, anno della gran riforma del Governo di Genova (nella quale occasione quasi tutti i Maonesi viventi vennero registrati nel Libro d’oro della Repubblica) (1), si convenne di passar sopra il termine stipulato, e di lasciare 1’ isola alla Maona in perpetuo, verso il censo annuo di lire 2,800 pattuito nel 1385. I conati dei Turchi per rendersi tributaria Scio s’erano intanto fatti sempre più insistenti: la Maona da sè sola era troppo debole per resistervi, la madre-patria lontana; ed una unione più stretta coi dinasti genovesi di Lesbo e d’Acaia (Gattilusi e Zaccaria), mentre prometteva pochi vantaggi commerciali, non offriva un appoggio militare abbastanza sicuro (2). In tali frangenti la Maona accolse volentieri le sollecitazioni fattele da Pietro Zenone, e conchiuse nel 1415 con Venezia e Rodi un’ alleanza contro il nemico cumune (3), accolse in Scio 1’ ammiraglio veneto Pietro Loredano (4), nè s’ oppose a che egli impiccasse i prigionieri Turchi sul Capo Mastice. Ma quest’alleanza dovea costar cara; nè andò molto che la Maona si vide costretta di comperare la sicurezza delle sue isole e la libertà di commercio nell’ Impero Osmano con un tributo annuo di 4000 monete d’ oro (5), condizione a cui furono allora ridotti anche gli altri principi Cristiani dell’Asia Minore, i quali mandarono tutti ambasciatori a Smirne per fare omaggio a Maometto I. Tra gli ambasciatori della Maona era anche Giovanni Adorno, (1) Negli anni 1528-1614, furono registrati 310 Giustiniani nel Libro d’oro, fol. 122-125-157-160 del Codice che si conserva nell’Archivio di Stato in Genova. (2) Secreti. T. 5, fol, 147 b. (3) Misti. T. 51, f. 172 a. (4) Guerner. Bernii Chronic. Eugubin. in Murat. XXI. 958. (5) Ducas. c. 21, p. 106-108. GIORNALE LIGUSTICO 477 figlio del doge Giorgio, ed allora per la seconda volta appaltatore di Focea Nuova (i), per la quale dovea obbligarsi verso il Turco ad un tributo annuo di 20,000 monete d’oro. Tanto conto si faceva ancora allora dei proventi di quelle cave d’ allume ! Minacciato dai pirati catalani, che infestavano tutto Γ Arcipelago (2) , dovette ritardare per qualche tempo il pagamento del tributo; ma appena morto Maometto (1421), fece subito omaggio al suo figlio e successore Murad II, estinse gli arretrati e lo aiutò con 800 guerrieri genovesi e sette navi (verso un sussidio di 50,000 ducati e la remissione di 9000 monete d’ oro del tributo) nella guerra contro il pretendente Mustafà (1422). Liberato dal rivale mercè l’opera dell’ Adorno e del suo integerrimo capitano Barnaba di Cornelia, Murad confermò al primo il possesso di Focea nuova a vita e gli donò il forte castello di Peritheorion sulla costa di Macedonia, in posizione vantaggiosissima pel suo commercio : le persone del suo seguito ebbero ricchi regali in vesti e stoffe (3). Anche il successore dell’ Adorno (morto nel 1414 senza prole), Percivalle Pallavicini, coltivò con successo i buoni rapporti coi Turchi, ed aiutò il Sultano nel 1425 con tre galee sciote a ridurre all’ ubbidienza i turbolenti dinasti di Smirne, Hypsela e Dschuneid (4). Nel 1440 Γ imperatore Giovanni rinnovò l’antica investitura del 1363: il che s’intende non tolse che la pace tra loro ed i Turchi (anche la colonia di Pera avea stretto amicizia con questi) durasse serena sino alla catastrofe del 1453 (5). (Continua). (1) Ducas. p. 434 della traduz. italiana. — Casoni. Annali di Genova, lib. 7, ad an. 1415. (2) Misti. T. 53, fol. 158 a. (3) Ducas. c. 25-27, p. 160-166-177-181. (4) Ducas. c. 28, p. 194-198. (5) Foliela. lib. 10, p. 582. 47 8 GIORNALE LIGUSTICO VARIETÀ La Cronaca degli Stella nella Raccolta del Muratori. Non è mio intendimento discorrere qui delle relazioni di L. A. Muratori coi genovesi, e tessere la storia aneddotica della pubblicazione da lui fatta dei cronisti genovesi nei suoi Scriptores Rerum Italicarum. A colorire questo mio disegno, non certo privo d interesse, debbo ancora raccogliere parecchie note e documenti; ora da quelli che già mi trovo a mano traggo i cenni intorno alla Cronaca degli Stella. Fino dal cadere del 1722 Scipione Maffei, che non ostante le intermittenti freddezze fra loro, si era palesato colla parola e coi fatti possente aiutatore nell’ impresa dello storico modenese, gli scriveva annunziandogli come il Saibante possedesse « un certo Stella delle cose dei Gienovesi » proferendosegli pronto, ove non lo avesse, a farlo trascrivere. Ma il Muratori era uomo che amava vedere gli originali da se, e forse fece intendere questo suo desiderio all’amico; il quale d’altra parte, doveva sapere per lunga pratica quanto importava averli sotto gli occhi, e farne poi trar la copia colla propria assistenza; onde ottenuto il manoscritto insieme ad alcuni altri, avvertiva : « io credo di servire assai meglio col mandarvi sotto l’occhio i codici stessi, perchè farveli copiare con nòn poca spesa, poi non vi servirebbero ». Il Muratori ne fu contentissimo , e dopo qualche indugio e in seguito alle ripetute sollecitazioni del Maffei, il codice alla metà del 1723 tornò a Verona, essendo stato però prima copiato (1). (1) Santi, Scipione Maffei e i R. 1. S. di L. A. Muratori nella Rivista. Europea, N. S. XXVI, 241, 243. \ GIORNALE LIGUSTICO 479 Ma il manoscritto dello Stella era tanto scorretto eh’ egli ■dovette arrovellarcisi attorno non poco per tenerlo in gambe, pur lasciando non medicate certe piaghe insanabili (i). Questa fu per avventura la cagione del non averlo mandato subito a Milano, per metterlo in torchio appena finito il Caffaro. Il quale era sotto stampa e già molto innanzi, quando nella primavera del 1725 Giuseppe Antonio Sassi si recava Ά Genova insieme alla Clelia Borromeo, nata della famiglia D’Oria, e tornato a Milano scriveva al Muratori delle larghe profferte dei genovesi a prò’ della cominciata impresa ; del che questi si mostrava ben lieto, sebben poco fidasse in quelle promesse : poiché la cronaca di Caffaro era al suo termine, « que signori » diceva « possono aiutare la nostra impresa col somministrare qualche buon testo per la storia di Giorgio Stella, . . . . che io ho, ma presa da un codice in non pochi luoghi scorretto ». Si rallegrava poi nel maggio perchè il Sassi aveva trovato nell’Ambrosiana un altro manoscritto della Cronaca (2). In seguito forse a quest’ avviso mandò la sua copia a Milano, perchè sembra fosse già nel gingno in mano del Trivulzio (3). Egli disegnava metter fuori quella cronaca di seguito al Caffaro uscito in quell’anno, ma è a credere indugiasse, per veder modo di dare il testo men difettoso. Intanto gli veniva un aiuto insperato da Genova. Bonaventura de Rossi in una sua lettera dell’ ottobre, gli accennava fra le altre cose, come nella libreria di Nicolò Domenico Muzio archivista del Collegio de’ Notari genovesi, « persona molco erudita, e delle antichità del genovesato peritissima », esistesse lo Stella, manoscritto in pergamena, (1) Cfr. la Prefazione del Muratori nel v. XVII, 949 dei R. I. S’ (2) Lettere inedite pubb. dal Ceruti nella Miscellanea di Storia Ital. Vili, 350, 3 5 3· (3) Vischi, La Società Palatina di Milano nell’Archivio Stor. Lombardo Ann. VII, 495. 480 GIORNALE LIGUSTICO di antico carattere. Era proprio quello che il Muratori voleva; perciò pregava il de Rossi affinchè gli procurasse il codice in prestito « per confrontarlo colla-copia » sua, « acciocché tale storia uscisse ben corretta ». « Basterebbe » soggiungeva « inviare esso testo a Milano, dove ho già mandato la mia copia, e sarebbe il signor Muzio sicuro della restituzione. Di grazia il preghi di questo favore, e in caso, siccome spero, che sia per graziarmi, allora mi prenderò la confidenza di scrivergli io a dirittura ; perchè stimerei molto la corrispondenza di un signore sì dotto, e sì amante dell’antichità ». Non è a dire quanto si compiacesse il Muzio di poter rendere servigio al già celebre istorico, e come si sentisse lusingato dalle parole benevoli da lui scritte al de Rossi. « Egli si gloria » replicava questi al Muratori « di avere litterario commercio con V. S. Ill.ma e con tutta puntualità la rende servita del codice dello Stella in carattere antico, che trasmetterà a Milano e darà avviso a V. S. Ill.ma della persona a cui sarà stato inviato, ad effetto che collazionato e corretto il libro, gli possa essere cautamente restituito , essendo gli originali unicamente preziosi ». Il manoscritto fu spedito a Milano a Goffredo Filippi per mezzo di Gian Luca Pallavicino, secondo le intenzioni del Muratori; al quale nel gennaio de] 1726 e il de Rossi e il Muzio e il Pallavicini stesso avvisavano P avvenuto invio ; perciò rispondendo al secondo gli diceva : « Mille grazie le rendo per questo favore al quale io corrispenderò con tutta fedeltà, con fare che il medesimo manoscritto sicuramente ritorni alle di lei mani ». La faccenda però della stampa andava in lungo, e al Muzio, che aveva fatta qualche prudente e cortese istanza circa il suo codice, egli nell’agosto replicava: « quando io mi credeva che la Cronica dello Stella fosse collazionata in Milano col buon testo, di cui V. S. per sua bontà mi favori, sento dal signor Goffredo de Filippi, a cui fu da me racco- GIORNALE LIGUSTICO 481 mandata, e al quale ultimamente ne scrissi per intendere se era anche stato restituito il di lei manoscritto, che non s’era per anche fatto, stante Γ andata a Roma del bibliotecario dell’ Ambrosiana, il quale dovea somministrare un altro testo di quella biblioteca; ma che s’intraprenderebbe il lavoro quanto prima. Mi sono doluto di tanta tardanza, e indarno mi sono augurato che il suo manoscritto fosse venuto a dirittura a Modena, che mi sarei fatto rimandare il mio da Milano, ed ora sarebbe terminata questa fatica. Son dunque a pregare la di lei bontà, che voglia condonare la soverchia tardanza, e riposarsi sulla certezza che il suo manoscritto sta in buone mani, e sarà puntualmente restituito, essendo a mio carico questo dovere ». Dobbiamo credere che eseguita poi la collazione il codice tornasse nelle mani del Muzio. Tuttavia la stampa venne ancora indugiata fino al 1730, perchè nel febbraio di quest'’ anno il Muratori scriveva al De Rossi : « Non tarderà a mettersi sotto il torchio la Cronaca di Giorgio Stella continuata dal fratello ; ma senza aver io saputo ben dire, dove termina il primo, e seguiti 1 altro. Due testi Ambrosiani finiscono verso il fine dell’ anno ΐ4°9> ^ Veronese, e quello del signor Mussi seguitano innanzi; un Vaticano termina nel fine del 1405. Farò menzione de favori compartitimi dal signor Mussi, che diro Archivio pubblico Ge~ nuensium Praefectum. Mi dica V. S. se sta così, e se ho da aggiugnere alcun altro grado » (1). La risposta del De Rossi non si conosce perchè la sua corrispondenza nell Archivio Muratoriano si arresta al 1727; la Cronaca di Giorgio e Giovanni Stella uscì però finalmente Γ ottobre del 1730 nel • · (1) Ho tratto tutto 1’ esposto dalle lettere inedite del de Rossi, del Pallavicino e del Muratori; le prime fatte copiare dal sempre generoso e dotto march. G. Campori nell’ Archivio Muratoriano ; le altre copiate da me sugli autografi presso Γ erudito amico comm. Santo Varni. 482 GIORNALE LIGUSTICO volume dedicato dalPArgelati (che fece la collazione dei testi) in nome della Società Palatina alla Repubblica Genovese. Le ragioni che consigliarono il Muratori di assegnare al 1409 il termine della parte che spetta a Giorgio, Je ha dette nella prefazione,, dove ha pur ricordato chi gli fu largo di aiuto ; onde invece di affermare che si deve alle premure del « Muzio se lo storico modenese potè stampare nella sua gran raccolta lo Stella » (1), diremo, che almeno alle sue sollecitudini ed al suo amore alla patria storia sia da ascriversi il merito, di aver concorso a darci un testo più corretto e più conforme all’originale. A. Neri. SPIGOLATURE E NOTIZIE Da una importante relazione del Brunialti sulla Esposizione geografica Internaxyotiale di \enezia, rileviamo P onorevole distinzione assegnata dalla giuria alla nostra Biblioteca della R. Università, e la considerazione in che furono tenuti i lavori di Desimoni, Belgrano e Canale. Così venne riconosciuta l’importanza grandissima delle antiche carte dei genovesi, le principali riprodotte dall’ Ongania, non che quella « dell’ ormai celebre portolano della fine del sec. XIII » posseduto dal professore T. Luxoro. [Nuova Antologia, 1 novembre). Il Barone Gaudenzio Claretta ha incominciato nella Rivista Europea la pubblicazione di un suo importante lavoro intorno a Negrone di Negro ministro di finanze di Emanuele Filiberto, con molti documenti affatto inediti. Per cura di Dante Catellacci è uscito nell’ Archivio storico italiano il Diario di Felice Brancacci ambasciatore con Carlo Federighi al Cairo per il Comune di Firenze (1422). Ai 9 agosto entrano nel porto di Rodi e vi "trovano oltre ad alcune galee « una nave di Catalani assediata da due navi di Genovesi e avella combattuta più giorni. La qual nave e galee avevan fatto danno in Alessandria, perochè n’ aveano arso una nave di (1) Cfr. Giornale Lig. An. VII-VIII, 75. GIORNALE LIGUSTICO 483 Genovesi ». Ai 28 in Alessandria « ci vene a vicitare il Consolo de’ Genovesi, cioè m. Bartolomeo Lomellino, e da lui pigliamo informazione circa le cose del paese ; e da lui fumo molto amorevolmente confortati e veduti, anco consigliati ». Tornati dal Cairo in Alessandria dopo eseguita la commissione presso il Soldano, agli 11 d’ ottobre « andatilo a mangiare co’ Genovesi, i quali ci convitorono; e da niun altro trovamo tanta buona raccoglienza e fraternità quanto da loro, più che se fossemo stati Genovesi : insino a lor famigli, non si poteano saziare d’o-norarci e servirci, e tutte masserizie ci prestorono ». Il Desimoni ha inserito nello stesso Archivio, una larga ed erudita rassegna del Codex Cumanicus, posto in luce dal conte Kuun. Rileviamo da essa che il Codice prima di appartenere al Petrarca fu di un Antonio da Finale, e che la compilazione nella sua essenza deve ritenersi genovese, poiché il latino in gran parte non è che la riproduzione del nostro dialetto. Il detto conte ha poi fatto delle aggiunte ai suoi Prolegomeni del Codex, inseriti negli Aiti del IV Congresso degli Orientalisti (T. II, 223) giovandosi anche di altro lavoro del Desimoni. Il conte di Mas Latrie nella Collection des Documents inédits ha pubblicato una serie di documenti intorno alle relazioni diplomatiche e commerciali della Francia con Venezia. Vi troviamo: « Facoltà data da Boucicaut governatore di Genova (1403). — Lettere di Carlo VII conte-tenenti la commissione per trattare colla Repubblica di Genova (1445).— Documenti sulla occupazione di Genova pei Francesi (1458) ». Nell’ Archivio storico per le provincie napoletane (Anno VI, fase. II) il Minieri Riccio pubblica : Alcuni fatti di Alfonso I d’Aragona , donde rileviamo che ai 20 ottobre 1446 quel re « spedisce per importanti negozi Innico d’Avalos a Genova », e nel medesimo mese « Bartolomeo Fazio istoriografo della corte riceve il pagamento di ducati cento per una rata della sua annua pensione di ducati 300 ». In una monografia di D. Spanò Bolani : I Giudei in Reggio di Calabria dal sec. XIII al primo decennio del XVI, troviamo che l’espulsione degli ebrei da quella città nel 1511 fu provocata dai genovesi, protetti valorosamente dal Gran Siniscalco Antonio di Guevara e da parecchi Baroni, a cagione del traffico della se.ta. Nella rassegna della Correspondance del Galiani edita di recente a Parigi, si producono estratti di lettere (alcune inedite) che riguardano la cessione della Corsica alla Francia. Nel Fase. Ili, continuaz. dell’art. di Minieri Riccio — « 1451 Giugno 484 GIORNALB LIGUSTICO 24. Re Alfonso fa comprare un cavallo del prezzo di ducati 70 e lo manda in dono al Capitano di Genova per mezzo di messer Giacomo Carlo (sic, 1. Curio) segretario del Doge di Genova, che si trova nella sua corte. — Luglio 20. Alfonso fa pagare ducati mille all’ illustre Pietro di Campofregoso Doge di Genova; e ducati 600 al magnifico Niccola di Campofregoso Capitano di Genova per la loro annua provvisione. Settembre 20. Spedisce suo ambasciatore a Genova messer Matteo Malferito dottore in legge. — 1453 Ottobre 10. Spedisce ambasciatore a Genova messer Antonio Beccadelli. — Tra gli scrittori della Biblioteca del Re vi era messer Giovanni di Leone cappellano genovese. 145 5 Set' tembre 14. Spedisce 1200 ducati a Genova per le paghe di tre mesi a 200 fanti eh’ egli tiene a difesa di quella città. — Novembre 30. Affida una missione per Genova a Giacomo Carlo (sic, l. Curio) genovese scrittore della sua biblioteca. — 1456 luglio 26. Compra dal negoziante genovese Simone Calder (?) per ducati 1800 due bolassi chiamati della vena vecchia, tagliati a forma di tavola ossia quadro, molto belli, ed incastrati in due montature di oro fino , che fa riporre nella sua guardaroba. E dall’ altro negoziante genovese Alacchese (?) Spinola per ducati 3000 un bel -diamante a forma di tomba incastrato in oro fino a 4 mezze lune, che mostra cosi 24 facce. — 1457 ottobre 22. Manda in dono a Bernabò Adorno una collana d’oro della divisa della giarrettiera di Nostra Donna con il grifo pendente davanti ». La Revista de Ciencias historicas (agosto e settembre) prende per buona moneta (preciosa carta) la lettera di Colombo alla Repubblica di \ enezia, sulla quale richiamò 1’ attenzione del Congresso geografico il Cantù, e che venne con validi argomenti dichiarata apocrifa. Intorno al qual proposito è da vedersi il discorso di B. Fulin: Dell’ attitudine di Venefici dinanzi ai grandi viaggi marittimi nel Sec. XV, negli Atti del R. Ist. Ven. VII, 1462. Dalle Annotazioni Bio-Bibliografiche dei musicisti modanesi del conte Val-drighi (Atti e Memorie delle RR. Dep. di Stor. Patr. per le Prov. dell E-milia N. S. vol. VI, P. 11) riferiamo a proposito di Pietro Bertacchini musicista di Carpi, quanto segue: « Giunse (in Genova) a’ 18 gennaio 1671, e di seguito, al giorno venti, si fece sentire a suonare di tiorba in casa del nobile Francesco Rebuffo. e fu tale 1’ incontro da lui fatto che dandosi nel carnevale d’ allora 1’ opera Argia del padre Marcantonio Cesti sotto la direzione del maestro Pier Simone Augustini (maestro di cappella GIORNALE LIGUSTICO 485 dei PP. Gesuiti in S. Ambrogio), fu pregato il Bertacchìni di eseguire colla tiorba 1 accompagnamento di quell’ opera, che fu replicata ventisei sere. L’ abilità spiegata nel tocco di questo strumento , gli aprì F adito a insegnare a molti dilettanti, ed artisti e nobili. Fra costoro ebbe a scolari un Grimaldi figlio del Doge, la serenissima dogaressa matrigna del suddetto, tre o quattro Doria , una donna Spinola , un Lercaro-lmpe-riale. Un nobile Lomellini di più gli diè alloggio e tavola , perchè gli desse lezione di suono e di canto alla sua signora ». ANNUNZI BIBLIOGRAFICI Cesare Campori. — Memorie patrie storiche e biografiche. Modena, .Vincenzi 1881. Il march. Giuseppe Campori pubblicando questo volume ha voluto rendere omaggio alla memoria del fratello, e adempiere insieme al divi-samento cui intendeva negli ultimi giorni di sua vita. L’ autore di queste monografie è già bastevolmente noto come istorico per la sua opera magistrale intorno a Raimondo Montecuccoli ; ma anche questi lavori più modesti rivelano 1’ amore suo per gli studi e l’acutezza del suo ingegno. Quelli che riguardano Cesare, Alfonso, e Ernesto Mon-tecuccoli possono servire di compimento all’ opera maggiore, alla quale altresì si riferisce 1’ altro che ragiona di Cristina di Svezia; specialmente importante perchè con nuovi e curiosi documenti chiarisce i maneggi di quella donna singolare, per indurre la Francia ad una impresa nel napoletano, a fine di francarla dalla soggezione spagnuola ; avvenimento taciuto od accennato appena dagli storici. Nè meno notabile ci è sembrato quel che egli narra intorno alla principessa Amalia d’Este, sposatasi segretamente ad un.marchese di Villeneuve accorto avventuriere, ma valoroso soldato, morto in seguito ad -una ferita toccata nella rotta di Belgrado; dove altresì ci manifesta la corruzione in che era caduta la corte di Modena, e l’impicci in cui si trovò il suo ambasciatore presso la imperatrice Amalia, costretto a dire e a disdire, ad affermare ed a negare nel medesimo tempo. Agli studi medioevali si riferiscono quegli scritti che trattano dei Longobardi e di S. Anseimo ; di Leodoino, Guido ed Eriberto vescovi di Modena ; nei quali noi riconosciamo le libere tendenze e lo spirito imparziale della scuola muratoriana : così a questi si annestano le notizie sopra gli statuti della Mirandola, di S. Martino in Rio e di Correggio le cui 486 GIORXALE LIGUSTICO precipue disposizioni porgono modo all’ autore di far brevi, ma acconcie considerazioni sul giure, onde erano governati quei comuni, e di rilevare alcune peculiari costumanze. Reputando il Campori giovevole « recare quanti più documenti si possa a conoscenza del pubblico, sia col metterli fuori intieri, sia facendo relazione in modo sommario dei medesimi, notando quà e colà le cose di maggior importanza », indica, spoglia ed illustra carte conservate nel-1’ archivio modenese o nella sua privata collezione ; ma perchè « documenti e croniche si completano a vicenda, e spargono, insieme confrontati, più securo lume negli avvenimenti succedutisi nel corso dei secoli », così egli fa conoscere le cose più importanti contenute nelle croniche modenesi dì Bartolomeo Lodi, di Leonello Beleardi, dell’Alberici, di suor Giulia Teresa Montecuccoli, di suor Lucia (al secolo Polissena Pioppi) la quale aveva la lingua sciolta e s’ occupava di cose profane assai più che a monaca non si conveniva. Certo assommando i fatti tanto del medio evo come dei secoli posteriori che ci sono schierati dinnanzi, anche noi consentiamo di gran cuore alle generose conclusioni colle quali 1’ autore chiude le sue acute Osservazioni sul buon tempo antico, professandoci « anziché dell’antico fautori del buon tempo moderno ». Spetta alla letteratura un breve studio intorno alle tragedie di Antonio Cavalierino, il quale nel Conte di Modena « aperse la via al dramma romantico prima di Shakspeare e degli spagnuoli », ed a questa maniera s’attenne anco nella Rosmunda ; mentre si manifesta classico nel Tele-sfonte, trattando primo « un simile argomento, al quale si provarono poscia non senza fortuna il Leviera, il Torelli, il Maffei, Voltaire e La Chapelle ». Le biografìe assai larghe ed accurate di Geminiano e Luigi Poletti, e di Giuseppe Obici, matematico il primo, l’altro architetto e scrittore d’ arte, scultore pregiato il terzo, chiudono degnamente questo volume. Lettere inedite di L. A. Muratori pubblicate da G. Biadego. Modena, Vincenzi 1881. Ecco un altro buon contributo per chi vorrà pur una volta mettere insieme 1’ epistolario muratoriano , opera utilissima, come quella che raccoglie gran parte della storia letteraria svoltasi nella prima metà del secolo passato. Le lettere edite dal Biadego sono per la maggior parte dirette all’arciprete Gian Francesco Muselli, e si riferiscono ai disegni del Muratori intorno alle pubblicazioni che andava meditando; alle ricerche fatte al- GIORNALE LIGUSTICO 487 1 uopo negli archivi e nelle biblioteche; non che alle ristampe di alcuni suoi lavori di minore importanza. Se già non si conoscesse, si potrebbe rilevare anche di qui un nuovo argomento della prodigiosa operosità dello storico modanese ; il quale ben spesso doveva superare ostacoli nuovi e impreveduti levatigli contro dalla censura e dall’ Inquisizione ; o combattere colla.ingordigia dei librai. A Brescia si sarebbe voluto ristampare il suo libro De ingeniorum moderatione, « ma io non condiscesi per timore di svegliare in Roma qualche nuovo torbido, da che passò bene il primo ». In Venezia vi era uno stampatore che voleva mandar fuori le sue Antichità Italiane; « quel solo che mi dà fastidio è l’una e l’altra Inquisizione di quel paese. In Milano si ha più libertà ». E poiché il Muselli gli proponeva di farle imprimere in Verona così replicava : « Le antichità Italiane, se posso , voglio stamparle in Milano , da dove stò aspettando le risoluzioni. Mi torna più il conto colà, che costì; perchè voi avete più Inquisitori, che troverebbono scrupoli e difficultà. In Milano v’ ha più libertà per la stamperia della Corte ». — Ma all’animo onesto del Muratori ripugnavano certi artifizi librari; onde facendosi in Verona una nuova edizione della Filosofia morale prometteva mandare « nota di qualche cosa da correggere, e di qualche cosetta da aggiugnere; ma non già alcuna giunta, c; e facesse credere più pregevole la ristampa », non piacendogli « simili burle a chi ha comperata la prima »; perciò alle istanze fattegli « di avvisare il pubblico di correzioni e giunte » non si volle piegare, « soffrendo » egli « mal volentieri chi stampa un libro, e poi fa delle giunte nella ristampa, perchè ciò cagiona delle maledizioni in chi ha comperata la prima edizione », nè egli si sentiva « di fare sì brutto giuoco al pubblico ». E in questo insisteva, contento poi di vedere sul frontispizio solamente Seconda edizione « alla cui verità niuno può opporre ». — Qualche volta egli vedeva mancargli quell’utile che sperava dalle dediche, contentandosi i dedicatari « di pagare » il suo «ossequio, e le copie legate e donate, con una sola lettera di ringraziamento ». Del suo studio per ottenere documenti ed antichità da pubblicarsi, non è a dire ; e neanche delle cure sollecite perchè i testi uscissero corretti : queste lettere ne porgono nuovi esempi. L’ editore con molto accorgimento vi ha preposto una importante prefazione, nella quale espone con larghezza « le attinenze che corsero » tra il Muratori ed il Maffei, toccando più specialmente, secondo gliene veniva porto il destro da queste lettere, « de’ momenti di sosta e di languore » che ebbe 1’ amicizia dei « due più grandi eruditi del secalo passato ». Sobrie, ma sempre opportune note illustrano le lettere; dopo le quali vi è una utilissima bibliografìa dell’ epistolario muratoriano, che se per avventura non è completa, può dirsi la più ampia e la più accurata. A proposito di lettere del Muratori proprio in questo punto me ne capitano altre dodici edite dal Mazzatinti e dal Ferrini in Perugia. Sono dirette a Giuseppe Tiraboschi e a Marcello Franciarini ; discorrono d’ e- 488 GIORNALE LIGUSTICO rudizione, specialmente di cose di Gubbio patria del secondo, che era un dotto archeologo. Nella lettera del 20 febbraio 1731 trovo queste parole: « La famiglia della Rovere orionda d’Augusta Praetoria Taurinorum , viene dai Longobardi. Autore se no crede Hermundo circa l’A. 700. Si-mone della Rovere passò a Savona e da lui venne la famiglia della Rovere. Favole, favole. Di questa nobiltà il Platina , che .fiorì a’ tempi di Sisto, nulla dice, solamente fa savonese Sisto, e il dice nato in una villa, dove per timore della peste s’ erano portati i suoi genitori ». La Cultura, Rivista di Sciente, Lettere ed Arti, diretta da R. Bonghi. — Roma 1881. L’intendimento di questo nuovo giornale è utilissimo, perchè, richiamando a nuova vita 1’ antico concetto di Apostolo Zeno, si propone di dare « sincero avviso dell’ intrinseco valore e della precisa contenenza » dei libri che man mano si pubblicano ; affinchè lo studioso « o di tanto solo appagato rimanga, o sappia di quel s’ ha a provvedere, senza restare ingannato da’ titoli ». Si riempirà così una lacuna veramente sentita in Italia, dove ben spesso mal si conosce, non dirò quello che si pubblica all’ estero, ma nelle nostre provincie. In Francia di sì fatte pubblicazioni periodiche si hanno più lodevoli esempi ; de’ quali basta nominare a cagion di lode la Revue Critique, donde poi nacque la Revue Historique. In generale le rassegne e gli annunzi bibliografici dei giornali letterari, salvo poche e nobili eccezioni, non danno un esatto concetto del libro, e molto meno un giudizio schietto ed imparziale; anzi molte volte sviano lo studioso e lo danneggiano, perchè crede un’ opera buona e da farne suo prò, e poi la trova cattiva. Aveva quindi ragione il Renier in quella sua coraggiosa lettera piena di molte verità, stampata nel Preludio, di richiamare alla sua dignità la critica letteraria, domandando in fine se la Cultura allora annunziata dal Bonghi, non dovesse segnare una nuova delusione. Da quel che ne è uscito ci'sembra di no ; perchè mantenendosi nei divisati principi, dice la verità a tutti, anco, se occorre, con crudezza. Ma la verità non è acerba di per se ? tuttavia digesta , è fonte di vital nutrimento. Eppoi la Cultura non ha che fare con bambini cui si debba indorare la pillola. Io spero acquisterà favore e potrà ingrandirsi ; anche per sopperire ad un altro bisogno; a darci cioè, ad esempio della Revue Historique, il Sommario dei giornali, specialmente esteri, con quei brevi giudizi, richiami e rilievi intorno agli articoli più importanti, che fanno tanto comodo agli studiosi. GIORNALE LIGUSTICO 489 INDICE DEL VOLUME MEMORIE ORIGINALI. Osservazioni sopra alcuni codici della Libreria di G. F. Durazzo (G. L. Oderico) pag. 2, 49, 95, 142, 190, 236, 273, 299, 331 >; \rittorio Amedeo II e la Repubblica di Genova (A. Neri), pag. 28 } /Una famiglia d’architetti genovesi (A. Neri) ...» 64 y La Raxone de la Pasca, Almanacco genovese del sec. XV (N. Giuliani) ......... » 81 >C, ) Della vita e degli scritti di G. B. Baliano (D. Giusto) . » 129, 16p «.Torquato Tasso e i Genovesi (A. Neri) .... » _2©4r Paolo Diacono e i suoi continuatori (E. Celesta) . . » 219 Alcune lettere di Domenico Sauli (A. Neri) ...» 215 2, Γ / Di alcune epigrafi etrusche e di un calice greco (L. De Feis)..........» l < • Storia dei Giustiniani di Genova (C. Hopf) . pag. 316, 362, 400, 47i>(, -—«—1 Saverio Bettinelli a Genova (A. Neri) . , . . » 379 Di una iscrizione Gallo-latina della Cisalpina Monza (V. Poggi)..........» 411 Di un Aes signatum, scoperto ad Orvieto (L'. De Feis) . » 433 Dell' Antico Debito Pubblico denominato Monte (G. Ricasco) .......... » 4.49 /·> 45)0 GIORNALE LIGUSTICO VARIETÀ. L' iscrizione dell’ antica Porta dell’Acquasola (A. N.) Pag- 37 Un antico ricordo genovese nel Novellino (A. N.) . » . 40 Due corrispondenti genovesi di Scipione Maffei [A. N.) . » 70 Necrologia del prof. Filippo Bruun (C. Desimoni) . » 78 Una lettera di Antonio Ivani a Donato Acciajoli (A. N.). » 120 La statua di Napoleone a Genova (L. T. B.) . » 297 v II Bilancio della Repubblica di Genova nel 1541 » 374 . Ricognizione e conferma del feudo di Genova e di Savona al Duca di Milano fatta da Carlo VIII , » 375 La Cronaca degli Stella nella Raccolta del Muratori (A. N.) » 478 Spigolature e Notizie........ » 482 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA. Studi di critica e storia letteraria di A. D’Ancona . » 43 ANNUNZI BIBLIOGRAFICI. Della vita e delle opere di Pietro Tenerani ecc. di O. Raggi, pag. 47. — Ser Lapo Mazzei Lettere di un notaro a un mercante del sec. XIV edite da C. Guasti, 48. — Ferrante Vitelli alla Corte di Savoia di G. Claretta, 80. — Notizie di Lorenzo e di Stagio Stagi da Pietrasanta raccolte da G. Milanesi, 125. — Narrazione dello stato della Repubblica di Geno\ra, scrittura del sec. XVI edita da I. G. Isola, 128. — Ricordi della famiglia Sforza di Montignoso, 156. — Chittarin Zeneize. Poesie inedite di M. Piaggio, 159. — Della introduzione della stampa in Genova di C. Loz\i, 160. — De vita Antonii Brignoli-Salii Commentarius auctore A. SommarivaT 208. — Epistola Peregrini de Belmesseris pon-tremulensis, 147. —- La Lucciola, antico canto popolare genovese, 377. — Bibliografia Ariostesca di G. I. Ferraz^i 378. — Table d Hôte di Partecipazio, ivi. — Archivio storico per Trieste, l’Istria ed il Trentino, 409. — Giunte e correzioni alla lettera A della « Bibliografia Siciliana » di G. M. Mira per G. Salvo-Cozzo , ivi. — Alcune lettere del card. Ippolito Aldobrandini, 410. — Memorie patrie storiche e biografiche di C. Campori, 485. — Lettere inedite di L. A. Muratori pubblicate da G. Biadego} 486. — Lu Coltura, rivista di scienze, lettere ed arti, 488. Pasquale Fazio. Responsabile.