GIORNALE LIGUSTICO DI ARCHEOLOGIA, STORIA E LETTERATURA FONDATO E DIRETTO DA L. T. cioè Nigellio fCecit). È il caso di ripetere lis sub indice pendet, nè la sentenza potrà essere pronunciata che in base ad ulteriori riscontri. L’iscrizione dei bolli, ottenuta a rilievo per mezzo di un punzone metallico inciso a cavo e a ritroso, come i conii onde si battono le monete, è più comunemente rettilinea, talvolta ad arco di circolo, non di rado duplicata in modo da presentare la figura di un T formata da due bolli identici disposti in senso perpendicolare F uno all’ altro. Alcuni bolli sono inscritti a puntolini, ossia a caratteri punteggiati. a) EPHAPRODl Ephaprodi(ti), per Epaphroditi. Due varietà di questo bollo, una delle quali caratterizzata da una ortografia anche più spropositata, furono rinvenute a Pompei (2) : di che si deduce che gli utensili in bronzo segnati collo stesso nome sono di necessità anteriori alla distruzione di detta città, avvenuta, come a tutti è noto, Γ anno 79 dell’ era volgare. Tutto concorre a far ritenere che il bronzista a cui spetta questo bollo sia quello stesso L. Ansius Epaphroditus la cui firma si legge variamente impressa su congeneri utensili trovati non solo in Italia (3), ma in Francia (4), in Inghilterra (5), e perfino nell’ « ultima Thule » , nella parte settentrionale della provincia di Helsingland in Svezia (6). (1) Ingvald Undset, ibid. (2) Corp. inscr. lat. X, 8071 (29). (3) C. i. 1., X, 8071 (28). Anche nel museo profano della Biblioteca Vaticana conservasi un bollo dello stesso bronzista. (4) Robert Mowat, Marques de hronxjers, Vienne, 1884, n. 4. Cf., p. 30. (5) Archaeologia, XI, p. 105, tv. 8; ibid. XXXIX*, p. 509, tv. 24, f. 2. (6) Ingvald Undset, op. cit., n. 20. GIORNALE LIGUSTICO 8)' Gli Ansii costituivano una famiglia assai numerosa di bronzisti , conoscendosi, oltre ai citati di Epaphroditus, analoghi bolli di L. Ansius Diodorus (1), L. Ansius Phoebus (2), An-sius EpicaprjH/ (Epicarpusì) (3) , Ansius Ephagatus (Epa-gathus) (4). Gli svariati bolli apposti ai molteplici prodotti delle loro officine attestano che gli Ansii erano assai più valenti nell’ arte industriale da essi esercitata che non nell’ applicazione delle regole ortografiche, e più particolarmente nel-Γ impiego dell’aspirata, che è, del resto, lo scoglio in cui inciampano più di frequente le scritture latine di questa classe e di altre affini. C · SENNI · BENI (la penultima lettera è incerta) C(aii) Senni(i) Beni(gni?). Questo bollo trova riscontro nel pompeiano //// ASENNI · C (5), col quale si scambia luce, non tanto però che basti a fissarne la lezione. 0 CHAVET C(aii) Havet(ii). Sarebbe prezzo dell’ opera riscontrare se Γ incerto pompeiano letto //// AVCTi (6) non debba per avventura riferirsi a questo C. Havetius, il cui nome viene ad aggiungersi al catalogo degli antichi bronzisti. d) CIPIPOLYBI e) CIPI · POLIBI (1) C. i. L, X, 8071 (27). Rob. Mowat, op. cit., 2. (2) C. i. X, 8071 (31). (3) Ib., 8071 (30). (4) Rob. Mowat, op. cit., 3. (5) C. i. L, X, 8071 (59). (6) Ibid., 8071 (60). 86 GIORNALE LIGUSTICO Noi conosciamo per numerosi quanto indubbi riscontri che Γ intiera denominazione del titolare di questi bolli era Publius Cipius Polybius. Egli è il più noto, per ragion di prodotti, fra i membri di una famiglia di bronzisti che non fu meno cospicua e numerosa di quella degli Ansii, potendosi citare i bolli di A. Cipius Hilarus (i), P. Cipius Hymnus (2), P. Cipius Ni~ comachus (3), Cipius Princeps (4), Cipius Saturinus (5), L. Cipius Tantalus (6). La famiglia dei Cipii fioriva verso la metà del secolo I, contemporaneamente a quella degli Ansii, e al par di questa sembra aver avuto per sede della propria officina una città della Campania, donde i suoi moltiformi prodotti si diffusero fino alle più remote regioni. Quelli, in specie, di P. Cipio Polibio sono penetrati nella Elvezia, nella Gallia, nella Germania, nella tìritannia (7), non solo, ma eziandio in paesi nei quali Γ assenza di ogni monumento lapidario sembra eliminare ogni presupposto di stabilimenti romani. Diversi esemplari del museo di Copenaghen provengono dallo Iütland, dal Seeland e dall’isola Falster; dove, del resto, a spiegar la loro presenza parmi non sia assolutamente necessario ricorrere coll’ illustre mio collega ed amico R. Mowat all’ ipotesi di bastimenti smarritisi 0 naufragati lunghesso le coste del Baltico , mentre la sola azione del commercio basta be- (1) Ibid., 8071 (34). R. Mowat, op. cit., 6, etc. (2) C. i. t., X, 8o7r (3 5). (3) Ibid., III, 6017 (9). (4) R. Mowat, op. cit., 8. (5) C. i. I, X, 8071 (37). (6) R. Mowat, op. cit., 9. (7) Ingvald Unset, op cit., 3. C. i. 1., VII, 1293 α·> c· Arcbaeologia , XLI, 1867, p. 325. Rob. Mowat, op. cit., 7. GIORNALE LIGUSTICO 87 riissimo a dar ragione della importazione e della diffusione di prodotti dell’industria meridionale, di cosi facile trasporto e generale utilità, anche in paesi situati al di là del limite settentrionale dell’ impero romano. Il commercio estende la sua azione al di là dei confini politici, ed è il veicolo della civiltà attraverso i barbari, prima che le armi abbiano ad essa dischiuso un varco più comodo. Per mezzo del commercio la civiltà romana già penetrava per lenta infiltrazione colà dove la conquista ancor non avea atterrate le barriere che si opponevano al suo ingresso trionfale. I bolli dei bronzisti campani disseminati nella regione scandinava provano come la coltura classica abbia esercitato un’ azione indiretta anche in contrade poste fuori del proprio orizzonte. Le migliaia di monete romane esumate in detta regione, e particolarmente nell’ isola Gottland, testimoniano in modo eloquente delle relazioni commerciali già esistenti fra le contrade del Nord e 1J orbe romano in tempi che per quelle contrade possono dirsi e sono realmente preistorici. /) MODESTI Iscrizione eseguita a punteggio. Anche il nome di Modesto sarà da aggiungersi alla ormai ricca serie di antichi bronzisti, alla cui compilazione attende con tanta diligenza il Mowat. Bolli di lucerne fittili. — Le iscrizioni delle lucerne in terracotta possono dividersi in tre classi, secondo che sono eseguite a stampo, colla stecca a creta molle, 0 a graffito dopo la cottura del fittile. Ognuna di tali classi risponde ad un diverso e peculiare ordine di idee, e costituisce una sezione a parte di questo ramo di epigrafia. Le iscrizioni della prima classe, ossia quelle eseguite a stampo, si suddividono a loro volta in due categorie ; una delle quali abbraccia le leggende a caratteri rilevati poste 88 GIORNALE LIGUSTICO sul tondino, cioè sul lato superiore della lucerna; Γ altra consta dei cosidetti bolli impressi a rilievo, e qualche rara volta a cavo, sotto il fondo della medesima. Le lucerne il cui tondino è fregiato di una leggenda sono generalmente di occasione, e portano sul tondino stesso una vignetta, ossia una rappresentazione figurata relativa ai fatti speciali in occasione dei quali la lucerna venne appositamente fabbricata. Le epigrafi a corredo della vignetta sono quasi sempre allusive all’ uso od alla persona a cui la lucerna era destinata. Alcune sono commemorative di aurighi e di ca-valli vincitori nei giuochi circensi; altre esprimono formole di acclamazione o di augurio, in occasione del Capodanno o delle Saturnalia etc. I bolli impressi sotto il fondo delle lucerne esibiscono sempre il nome del figulo, o meglio del padrone della officina in cui la lucerna fu fabbricata. Tali sono i seguenti trovati in molti esemplari a Muralto: Λ) ìegidi ) r0 , ,, i.° gruppo di tombe. b) OPTATI ί 6 C) comvnis 1 d) CERINTHI (NT in nesso) \ 2' glupP0 1 Sono tutti assai comuni in Italia e fuori, meno 1’ OPTATI, che è, per contro, rarissimo eziandio nell’Italia Superiore, dove appena ricordo averne veduto un esemplare nel Museo di Storia Patria di Reggio dell’ Emilia, che non so menzionare senza una profonda emozione, stante la recente perdita del non mai dimenticabile suo fondatore e direttore D. Gaetano Chierici, a cui mi legavano vincoli di antica e cordialissima amicizia (i). (i) V. Poggi, Una visita al Museo di Storia patria di Reggio dell’Emilia, Savona, 1877, p. 20. GIORNALE LIGUSTICO 89 Il bollo COMVNIS si trova a Pompei; di che emerge un criterio attendibile per determinare la cronologia delle tombe di Muralto (i.° gruppo). Riguardo all’ovvio CERINTHI, non sarà fuor di luogo che io qui faccia memoria del seguente bollo di lucerna dello stesso figulo , esistente nel Collegio dei PP. Barnabiti in Lodi, e che credo finora inedito: MVT ŒRINÏHVS F Bolli di stoviglie. — Anche per le iscrizioni che sono proprie delle figuline di altre classi, e più particolarmente delle stoviglie, vige la regola espressa , che è d’uopo distinguere le impressioni a stampa, le quali sono, di massima, bolli di fabbrica, da quelle eseguite sul fittile mediante la stecca a creta molle, nonché dalle leggende inscritte a graffito dopo la cottura. A differenza delle prime, le seconde hanno un carattere individuale e domestico, ed esprimono più spesso il nome del possessore del fittile inscritto ; mentre le ultime , in specie quando fregiano vasi 0 altri oggetti d’indole funebre, 0 rinvenuti entro tombe , hanno un carattere essenzialmente sepolcrale, ed esprimono il nome, non già del morto, giacché in tal caso tutti i fittili che fanno parte del contenuto di una stessa tomba dovrebbero esibire il medesimo nome, ciò che punto non si verifica, bensì quello del parente od amico che lo depose pietosamente sul rogo 0 nel sepolcro a testimonianza del suo affetto al defunto. Gli infratrascritti bolli, alcuno dei quali rappresentato da più varietà, ricorrono di frequente sul fondo interno di piatti, sottocoppe e altre stoviglie del genere così detto aretino, emerse a frammenti dalle necropoli di Tenero e di Muralto. Tutti hanno la ben nota forma di pianta di piede umano, 90 GIORNALE LIGUSTICO nudo o calzato, entro la quale è inscritto a rilievo il nome del figulo o del padrone dell’ officina. a) I ■ Μ · V. In massima, sono rari i bolli che esibiscono i tria nomina rappresentati da altrettante lettere singolari: più rari ancora quelli su cui i tre nomi, o il gentilizio e il cognome, sono enunciati in extenso. La prima lettera mi inspira sospetto d’ un errore di trascrizione, e propendo per la lezione [_ · Μ · V suggeritami dal bollo di congenere patella trovata a Libarna (i). Spetta probabilmente all’ officina Memmia, notissima in Arezzo, dove però i bolli di essa fin qui conosciuti non ostentano altro prenome che quello di Caio. b) SABINI Altro esemplare colla variante SABINVS su piatto della stessa tecnica e forma fu trovato a Pompei (2), dato questo da non trascurarsi per la determinazione cronologica, se non assoluta almeno relativa, così del bollo come della tomba donde emerse. Lo stesso nome SABIN ricorre su bollo di lucerna parimenti a Pompei (3) : ne è questo Γ unico indizio di figuli il cui nome figuri contemporaneamente su lucerne e su stoviglie del genere aretino. c) GELLI (1) C. i. I., V, 8115 (66). (2) C. i. l., X, 8055 (39). Una terza variante, OF · SABIN > é proferta da congenere vaso (patella) di Ferentino, C. i. I, X, 8056 (315). (3) Fiorelli, Notizie degli scavi di antichità, eomunic. alla R. Accad. dei Lincei, 1884, p. 162. GIORNALE LIGUSTICO 91 Comunissimo, sia a Muralto che a Tenero, come è assai ovvio, del resto, in altre parti di Italia, specie della regione transpadana, dove i prodotti dell’ officina Gellia furono assai ricercati, e le molte imitazioni e contraffazioni ebbero un grande smercio. d) Q · L · E Anche riguardo a questo bollo dubito essere occorso un errore di trascrizione, e doversi correggere la sua lezione in Q ■ L · F, come consiglia il riscontro dell’ esemplare di Pollenza edito dal compianto P. Bruzza e dal Detlefsen (1). e) C · T · P · F Sembra una varietà dell’ esemplare pubblicato dal G amurrini sotto al n. 451 della sua silloge (2), coll’aggiunta della lettera F iniziale del verbo fecit, la quale su bolli aretini potrebbe tuttavia avere anche il significato di figulus, come è lecito dedurre dai noti esemplari A · TIT|//FIGVL (3)? A · TITI // FIGVL// ARRET (4), etc. /) SEC · CT Sec(undus) C (ai 1) T(ettii?). A chi obbiettasse che i bolli della officina Tettia editi dal Gamurrini enunciano tutti il solo prenome di Lucio, ricorderò che ben due diversi esemplari spettanti ad un Caio Tettio vennero da me resi di pubblica ragione -in questi ultimi tempi (5). (1) C. i. 1. V, 8115 (59). (2) Iscrizioni dei vasi aretini, p. 67. (j) G. F. Gamurrini, op. cit., n. 61. Fiorelli, Noi. degli scavi, 1884’, p. 123, n. 88. (4) Gamurrini, op, cit., n. 62. (5) V. Poggi, Quisquilie epigrafiche, II, n. 103, 104. 92 GIORNALE LIGUSTICO Cade qui in acconcio di ricordare il bollo CVAFONT (NT in nesso) impresso a rilievo su tegolo trovato pochi anni addietro a Varallo Pombia, ossia a poca distanza dalla zona donde emerse il materiale epigrafico che diede occasione e argomento ai presenti appunti. Del suo testo ho già dato contezza agli studiosi in altra pubblicazione (i), non senza avvertire che la lezione del supposto monogramma , o nesso delle ultime due lettere , quale apparisce dall’ apografo favoritomi dall’ egregio amico Prof. Pompeo Castelfranco , non è però ben certa. Considerato la frequenza e varietà dei titoli, nonché lo esteso raggio di produzione delle officine figulinarie dei Varii, i cui tegoli e altri articoli doliari trovansi con frequenza in territorii attigui o non molto discosti da quello ove fu rinvenuto il presente (2), inclinerei a riferirlo ad un C(aius) Va(rius) Font(anus?). Graffiti su fittili. — Ho già accennato più sopra come le leggende inscritte a graffito su vasi e altre terrecotte depositate entro tombe, abbiano un carattere essenzialmente funebre, e sopratutto individuale, esprimendo il nome non già del morto, ma bensì del parente od amico che , secondo un rito antichissimo, comune a tutti i popoli di ceppo ariano, taceva omaggio del fittile così inscritto ai mani del defunto, a testimonianza della sua pietà e del suo affetto verso il medesimo. La maggior parte de’ graffiti di cui si tratta presentano un interesse quasi esclusivamente onomastico 0 paleografico : alcuni però si addimostrano degni di considerazione anche sotto altri punti di vista. (1) Id. ibid., n. 60. (2) C. ·/. I, V, 8110 (416, 436 sg.), 8112 (84, 85 etc.). GIORNALE LIGUSTICO 93 «) ATILI su patera proveniente dalla necropoli di Baveno. Atili(i) (donum). La forma della lettera coll’ asta mediana parallela alla laterale sinistra, comune alla maggior parte dei seguenti graffiti, è una reminiscenza, uno strascico dell’alfabeto nord-etrusco in uso presso i Galli italici, o Cisalpini, anteriormente al-Γ adozione della scrittura e della lingua latina. Questa lettera, infatti, più particolarmente nel gruppo da me denominato Gallo-italico, e del quale ho altrove determinato i caratteri (i), è appunto foggiata a mo’ di digamma alquanto inclinato dalla parte della direzione della scrittura: e siccome la grafia gallo-italica ebbe dapprima comune coll’ etrusca Γ andamento da destra a sinistra, la forma suddetta rimase poi come segno rappresentativo della vocale a anche nella scrittura latina , quando fu adottata dai Cisalpini; nè il suo uso restò poi limitato alla Cisalpina, chè, anzi, lo troviamo ben presto esteso alle altre regioni italiche e anche oltralpe. Tale e non altra parmi essere la genealogia della forma A ; la quale si trova eziandio assai di sovente espressa in senso opposto, cioè coll’ asta di mezzo parallela alla laterale destra, conforme al nuovo andamento da sinistra a destra che caratterizza la seconda fase della scrittura gallo-italica, rappresentata dalla famosa lapide di Briona (2), da quella di S. Pietro in Stabio da me edita (3) e da altri noti monumenti (4). (1) V. Poggi, Contribuzioni allo studio dell’ epigrafia etrusca, p. 82 segg. Id., Sullo svolgimento delle forme onomastiche presso i Cisalpini, etc., p. 6. (2) Cari Pauli, Die Inschriften nordetruskischen Alphabets, n. 25. (3) V. Poggi, Di una nuova iscri1. a lettere etr. scoperta nel Canton Ticino, nel Bull, dell’ Inst. di con. arch, 1875, p. 200. C. Pauli, op. cit., n. 15. (4) V. Poggi, Sullo svolgimento delle forme onomastiche presso i Cisalpini, II, p. 8. 94 GIORNALE LIGUSTICO La grafia della lettera l affetta in questa iscrizione la sua torma più aperta. Ammesso quanto ho dianzi esposto in ordine alla peculare natura ed ufficio delle iscrizioni eseguite a graffito su fittili depositati nelle tombe, ragion vuole che quando il nome espresso dalle medesime è flesso al genitivo, questo sia retto da un sottinteso donimi o simile. b) CARTVNIL C(aii) Artuni(i) 1 (iberti). Questa e le seguenti, fino alla lettera i) inclusiva, sono su patere provenienti dalla necropoli di Tenero. c) PRIMI Ho altrove dimostrato con esempi come fra i cognomi romani adottati dai Cisalpini i più ovvii siano stati dapprima quelli dedotti dai numeri ordinali e che servivano in origine a denotare Γ ordine di nascita dei figli. Se ne può raccogliere tutta la serie, dal Primus sino ali’ Octavus. d) AVX1I Può essere che Γ ultima lettera sia una L mal trascritta ; nel qual caso avremo o un gentilizio come Auxilius, o un cognome come Auxiliaris. Ma può darsi del pari che le due prime lettere rappresentino le iniziali del prenome e gentilizio del titolare, e le altre esprimano semplicemente la cifra XII significativa del numero di offerte fatte dal titolare stesso ai mani del defunto. 0 Lll Ecco un’ altra cifra numerale, e non sarà Γ ultima, atta scambiarsi luce coll' antecedente. GIORNALE LIGUSTICO 95 /) ATILLV (tIL in nesso) Atil(ii) Lu(cii), o Lu(crionis). 11 casato degli Atilii, o Attilli, un altro membro del quale già figura sotto la lettera a), è piuttosto largamente rappresentato fra i Cisalpini romanizzati (i), sia che un ramo di esso siasi trapiantato nella Cisalpina coi primi coloni colà dedotti, sia che molti indigeni sieno in esso entrati per clientela, secondo una pratica assai diffusa durante il periodo della romanizzazione. La sigla LV può essere compendio di Lucius, di che non mancano esempi, nel qual caso si avrebbe qui il prenome posposto al gentilizio, particolarità anche questa non senza esempio nell’ epigrafia cisalpina. Parmi però più probabile che abbia in essa da ravvisarsi la nota del cognome Lucrio assai comune in quella regione (2), e che forse, come già esposi nella più volte citata mia memoria sullo svolgimento delle forme onomastiche presso i Cisalpini, deriva dal nome gallico Leucuro. Si può aggiungere in proposito a quanto in quella memoria è detto circa all’ etimologia di Leucuro, che la radice di qnesto nome, ricorrente in molte voci galliche e in molti nomi gallici latinizzati col significato di « splendere » , apparisce esser stato comune collo stesso significato al ramo italo-greco, anche nella sua forma espansa λευκός; ondechè si ha buon argomento ad inferire 1’ esistenza di una intima relazione di radicale e di significazione tra il gallico Leucuro, trasformato più tardi in Lucrio, e il latino Lucius , etrusco luvci, osco luvkis. L’insolita forma di abbreviazione fu forse ad arte pre- (1) C. i. I, V, 5713, 7064, etc. (2) C. i. L, V, 3704, 6845, 6948, etc. V. Poggi, Quisquilie epigrafiche, II, 61. 96 GIORNALE LIGUSTICO scelta dal titolare, allo scopo di ostentare un prenome non posseduto, essendo noto come alT effetto di simulare la nomenclatura romana, i Cisalpini non ancora donati della sospirata romana cittadinanza usassero talvolta di camuffare sui titoli il proprio cognome barbarico, dandogli Γ apparenza di alcuno dei prenomi propri dei cittadini romani e la cui usurpazione era interdetta ai peregrini: diguisachè non è raro di trovar sulle lapidi nomi personali gallici, come Mo-geto o Castico , indicati colle sigle M e C, in modo da far credere che si tratti piuttosto dei prenomi romani Marco e Caio. I due elementi grafici di cui si tratta possono finalmente dar luogo ad un’ altra interpretazione, supponendo che i medesimi non debbano altrimenti riguardarsi quale compendio o nota di un nome personale, bensì esprimano semplice-mente la cifra numerica LV· Ho appena bisogno di accennare come a favore di quest’ ultima ipotesi militi il riscontro di parecchi esempi proferti dalla serie in esame. g) mavrae A chi abbia qualche famigliarità colle iscrizioni di questa classe non sarà certamente sfuggito come il numero dei nomi femminili in esse ricorrenti sia di gran lunga inferiore a quello dei maschili; particolarità questa non scevra d’interesse per lo studio dei riti funebri nell’ antichità. Questo nome di Maura ha tutta Γ aria di appartenere a persona di condizione servile. h) SVRI II personale Surus, ovvio nell’Italia Superiore e specialmente nella Cisalpina, non è a confondersi col lat. Surus = Syrus, proprio di individui di condizione servile libertina, e dedotto dal nome della loro patria, la Siria, ma è prettamente Gal- GIORNALE LIGUSTICO 97 lico, come si evince da un noto passo di G. Cesare (i), a cui, del resto, fanno riscontro numerose iscrizioni cosi al di qua come al di là delle Alpi (2). Da questo personale gallico fu plasmato più tardi il pseudo gentilizio Surins, (3), come dai congeneri Cottus, Mogetus, Donnas, Moccns, etc., si formarono analogamente Coltius, Mogelius, Donnius, Moccius, per ragioni e secondo un processo che nella più volte citata mia memoria è minutamente analizzato e svolto. 0 R X tagliata da asta verticale, ossia nota del denario. La nota del denario che segue l’iniziale del nome dell’offerente accennerebbe ella ad una stipe funeraria offerta ai mani del defunto? Le seguenti iscrizioni fino alla lettera n) inclusiva, sono graffite su patere provenienti dalle necropoli di Muralto presso Locamo (Canton Ticino). a) STATVLI IIX Leggerei: Sta(tii) Tul(l)i(i). HX. Dall’ antico onomastico italico, ove figurò dapprima nella doppia qualità di gentile ad un tempo e di individuale, tolsero i Cisalpini 1’ appellativo di Stalius, facendone un pseudo prenome, che, insieme a parecchi altri di analoga provenienza, rimase lungamente in uso presso i medesimi (4), insino a (1) « Labienus interim in Treveris equestre proelium Jacit secundum, com-pluribusque Treveris interfectis et Germanis, qui nullis adversus Romanos auxilia denegabant, principes eorum vivos redigit in suam potestatem , atque in his Surum Aeduum, qui et virtutis et generis summam nobilitatem habebat, solusque ex Aeduis ad id tempus permanserat in armis ». De bell. Gali. , Vili, 45· (2) C. Promis, Storia deli’ antica Torino, p. 146. (3) C. i. L, V, 7219. (4) Ibid. 7049, 7025, etc. Giork. Ligustico. Anno XJV. * 98 GIORNALE LIGUSTICO tanto che, entrati nel pieno possesso dei diritti inerenti alla romana cittadinanza, furono essi finalmente autorizzati dalla nuova condizione ad adoperare nella propria nomenclatura i prenomi caratteristici dei cittadini romani. Non diffettano esempi della sigla STA Per Statius (i), come non è senza autorità la forma Tulius per Tullius (2), di cui ricorre altro esempio in questa stessa serie. b) MN La lezione da me esibita non è del tutto certa, causa l’irregolarità e la rozzezza degli elementi grafici tracciati da mano inesperta. L’ andamento retrogrado della scrittura e la singolare configurazione della liquida, che si sprofonda sotto al livello delle altre lettere, danno alla paleografia dell’ iscrizione un carattere di arcaismo assai pronunziato. 0 CADN d) AMR Si osserverà la diversa forma dell’λ nelle due congeneri leggende; particolarità paleografica che accenna ad un periodo in cui le due forme erano tuttora di uso promiscuo; dove è a notarsi che mentre questo periodo termina per Roma, almen sulle monete, verso il 610, epoca nella quale l’uso dell’A a traversa orizzontale diviene esclusivo, in altre regioni italiche, invece, e specialmente nella Cisalpina, l’altra forma sembra aver continuato ad usarsi di preferenza per molto tempo ancora. La doppia asta || equivale qui probabilmente alla e di forma osca: nel qual caso, la leggenda a e r ( i i ? ) di questa patera (1) R. Garrucci, Sylloge inscript, latin., 650; Fabretti, Corp. inscr. ital., P· 75· (2) Garrucci, ibid. , 2247, 2333. GIORNALE LIGUSTICO 99 offre una peculiare analogia coll’ iaerii di lapide cisalpina da me edita (i). e) NOVI /) VII g) MICAHONIS Non è insolita la ricorrenza di questo enigmatico mi nell’ epigrafia dell’ Italia Superiore. Nelle tombe d’Este dette del IV periodo, il quale si stende dal 400 av. Cr. fino ai primordi dell’ impero romano, e più precisamente su ossuari spettanti a quello stadio di detto periodo, in cui la civiltà gallica , tuttoché ormai depressa e soppiantata dalla romana, continuava ad esercitare la sua efficacia promiscuamente a questa, e la lingua e la scrittura locali erano in uso contemporaneamente a quelle importate nella regione euganea dalla conquista romana, troviamo appunto: Ml TITINI (2) MI TITINI · MATIIR (3) MI · TITNI · VXOR···· (4)· Certamente, niuno vorrebbe oggi sostenere che il mi di queste ed altre iscrizioni dell’ Italia Superiore abbia alcunché di comune, dal suono infuori, coll’ovvio quanto controverso monosillabo delle epigrafi etnische (5); sebbene altri potrebbe per avventura osservare in proposito che precisamente (1) V. Poggi, Di una iscrizione Gallo-latina della Cisalpina (Μοηχα), Genova, 1881. (2) Notizie degli scavi di antichità, 1883, tv. XVII, 25. (3) Ibid., 24. (4) Ibid., 21. (5) Intorno alla più probabile interpretazione dell’etrusco mi, 111 base ai testi epigrafici fin qui conosciuti, ho a lungo ragionato nella recente memoria : Iscrizione etrusca su di un vaso fittile a forma di uccello, nel Museo italiano di antichità classica del Comparetti, vol. I, puntata 3.* 100 GIORNALE LIGUSTICO nei dialetti dell’ Italia Superiore , così detti celtici, la voce mi è tuttora in uso per esprimere il pronome di persona prima così al caso retto, come all’ accusativo. Esclusa, se così vuoisi, l’interpretazione mi = io, non tanto assurda , del resto, come può sembrare a prima vista, anzi non priva del suffragio di apprezzabili analogie, quali ECO · C · ANTONIOS (i); EQO K ANAIOS (2); etc., di note iscrizioni ; rimane che il monosillabo in questione abbia a ritenersi quale nota del prenome 0 nome personale del titolare. Il eh. prof. Gherardo Ghirardini, a proposito delle citate iscrizioni della necropoli d’Este , crede che sia da ravvisare in esso la nota del prenome Manius, dalla cui nota sigla in forma di m a cinque aste sì sarebbe per trascuranza del figulo, staccata 1’ asta ultima, così da farne risultare la forma Mi (3). Il dott. Hiilsen è, invece, di parere che abbia a pensarsi ad uno di quei prenomi locali, non infrequenti nelle iscrizioni delle provincie, che incominci veramente colla sillaba Mi (4). In quest’ordine di idee, io son piuttosto di credere che nel monosillabo di cui è caso si compendii il nome femminile Mino (Minor), di cui abbiamo altri esempi in titoli pre-nestini (5) ; tanto più che per appunto farebbe qui riscontro (1) A stecca su oggetto fittile, Roma. Dressel, La suppellettile della necropoli esquilina, negli Ann. dell’ Inst. di corr. arch., 1880, p. 301. (2) Graffita in fondo di vaso di bucchero ardeatino. Bull, dell'Inst. 1882^.72. (3) Not. degli scavi di antich., 1883, p. 406. (4) Ibid. (5) Mino. Colionia. Artoro. Mai (Garrucci Sylloge, 634); Mino. Cumia. L. f (ibid. 648); Mino. Matlia (ibid. 696); Min. Tutta (ibid. 777). Anche là troviamo come qui, a riscontro del nome Mino, quello di Maio, talvolta in ufficio di prenome maschile come in Tr. Mamio. Mai. f (ibid. 695), più spesso in quello di prenome o cognome femminile, Maio, Anicia. C. f. (ibid. 596), Maio. Fabricia (ibid. 663), Maio Fopturn {ib. 670), Maio. Orcevia. M. f. (ibid. 722), Maio. Tutia. Q. f. (ib. 776). GIORNALE LIGUSTICO ΙΟΙ al Maiu = Maio (Maior), dell’infrascritta lettera k) : at-talchè 1’ iscrizione in esame dovrebbe interpretarsi : Mi(no) Calionis (uxor), oppure, Mi(no) C(aii) Alionis (uxor), lasciando insoluto se trattisi di un Calio, o di un Caius Alio. h) MA i) CTVkl C(aii) Tul(l)i(i) h) MAIV Ho detto dianzi come Maiu stia qui per Maio = Maior , in contrapposto a Mino = Minor. La soppressione della r finale rappresenta la pronuncia locale, o almeno la pronuncia volgare del luogo. Potrebbe stare, del resto ugualmente anche per Maius, nome che ricorre sul raro bollo laterizio 2VIAM, con par-mula entro un cerchio, per marca di fabbrica, e di cui un esemplare si trovò testé a Marino. Il MA della lettera /;) è da interpretarsi similmente Maior, o Maius. I) Al1 La forma |i — f, frequente in bronzi, terrecotte e marmi romani provenienti dal Lazio, dall’ Etruria propria e dalla Campania, fa qui la sua comparita in analogia alla forma 11 = e, che abbiamo testé visto usata nel graffito riportato sotto la lettera d). È noto che ambedue queste forme ad aste verticali provennero nella scrittura latina non già dall’ alfabeto greco ma dall’ antichissima grafia italica, e più precisamente dalla osca, durante il secolo VI di Roma. È perciò interessante ritrovarne le traccie anche in monumenti dell’ Italia Superiore. m) AD n) qVINTI 102 GIORNALE LIGUSTICO Non è senza importanza, dal punto di vista paleografico, osservare che nel graffito originale il q iniziale affetta la forma più arcaica sotto cui questa lettera sia stata espressa nella latina scrittura, quella, cioè, di un circolo sovrapposto ad una linea verticale; che è per appunto la forma arcaica del koppa già in uso presso i popoli di stipite dorico, poi scomparso dalla scrittura dei Greci e trapassato in quella dei Romani, dove si incontra però assai raramente e in titoli molto antichi. Con ciò ho compiuto la rassegna del materiale epigrafico esumato dal sig. F. Ponti nelle necropoli verbanesi, secondo gli apografi che il benemerito scopritore ebbe la cortesia di comunicarmi. Non finirò senza aggiungere che lo stesso sig. Ponti, secondo rilevo da una sua lettera testé ricevuta, procedette in questi ultimi giorni a nuove esplorazioni nei dintorni di Tro-baso (Intra), esplorazioni che, nonostante le condizioni affatto speciali del terreno, il tempo limitatissimo di cui egli poteva disporre, e altre contrarietà, furono tuttavia coronate da un esito abbastanza soddisfacente , essendosi esumate diverse tombe affatto intatte, il cui contenuto, consistente in urne di rozzo impasto consimili ad altre dell’ agro Intrese, in bronzi frammentati, e in monete di Augusto, di Claudio e di Nerone, venne raccolto e inventariato coi più esatti appunti circa i dati di giacitura dal solerte suo scopritore. Queste ultime scoperte alle quali appena accenno, forniranno al sig. Ponti materia di un altro capitolo da aggiungere alla monografia delle necropoli verbanesi, la cui prossima pubblicazione procaccierà al suo autore un nuovo titolo di benemerenza verso la storia e l’archeologia. Vittorio Poggl GIORNALE LIGUSTICO IO5 NOTA SU DUE MONUMENTI CUMANI CON POSCRITTO RELATIVO AD UNA LAPIDE ROMANA INEDITA Negli anni 1884 e 1885 i lavori di sterro pel bonificamento del lago di Licola nell’agro curoano misero allo sco- esplorata in altri tempi dal Conte di Siracusa e del cui con-|j 104 GIORNALE LIGUSTICO tenuto archeologico la parte più ragguardevole andò più tardi ad arricchire il Museo Nazionale di Napoli. Alcuni mesi addietro, Γ amico prof. L. T. Belgrano mi comunicava per lettera un disegno a penna di due monumenti epigrafici provenienti da detti scavi, eseguito un anno prima, cioè nell’autunno del 1885, dal cav. Alberto Porro sui rispettivi originali. Trovandomi allora in campagna, non potei subito ottemperare al desiderio dell’ amico che mi pregava di dirne alcunché sul Ligustico: ma ora ben di buon grado mi arrendo al gentile invito, limitandomi a quel tanto che mi vien suggerito dall’ispezione del disegno comunicatomi, parte del quale appunto è riprodotta in testa a questi cenni informativi. I monumenti disegnati dal cav. Porro sono due. Il primo, di cui tralascio la riproduzione per le infraeposte ragioni, consiste in una iscrizione greca arcaica incisa a bei caratteri dipinti in rosso su due lastroni di tufo che formavano la parete settentrionale di una tomba a cassa rettangolare scompartita in quattro loculi, con coperchio di analoghi lastroni tufacei inclinati a due falde, del tipo così detto a schiena, che vien ritenuto per uno dei più antichi della necropoli cumana. L’iscrizione , non ignota al mondo scientifico per essere stata pubblicata con corredo di dotta illustrazione dal eh. prof. A. Sogliano (1), è del seguente tenore: HVnVTEIKUNEITOVTEIkENOSHVnV. L’ apografo del cav. Porro concordando perfettamente con quello del prof. Sogliano, nulla rimarrà a mutare nella scompartizione proposta da quest’ ultimo in HVnV TEI KMNEI TOVTEI kENO* HVnV che egli trascrive υπό Tifj κλίντ] τουτεϊ Αίνος [χείται] υπό..... (ι) Notizie degli scavi di antichità, 1884, pag. 352 e segg. GIORNALE LIGUSTICO 105 Ad altri sembrerà per avventura preferibile la lezione τούτει, = ταύττ,, del che non mancano esempi, come non parmi abbastanza giustificato il cambiamento del nome proprio Λένος proferto dalla lapide, sebbene senza riscontro nell’ onomastico greco, in quello di Αίνος. Checchenessia, l’epigrafe direbbe in italiano: « In questa tomba qui [giace] Leno. In..... » L’ υπό finale accenna al principio di un’ altra iscrizione rimasta così incompiuta : e invero, essendo la cassa divisa in quattro κλίνου, o loculi che dir si vogliano, ad ognuno di questi loculi dovea corrispondere una diversa epigrafe. Questa di Leno viene a prender posto nella serie finora non troppo ricca delle iscrizioni arcaiche cumane, dove si allaccia più specialmente alle due ben note di Critobulo e di Democharide, parimente su tufo e provenienti dalla stessa necropoli. Essa ci porge con queste e colle poche altre una testimonianza preziosa del dialetto che parlavasi nella Kyme campana: donde potrà emergere qualche apprezzabile indizio circa alle origini di questa colonia, della quale si disputa tuttavia se abbia a ritenersi fondata dagli abitanti di Calcide e di Kyme euboica, secondo Γ opinione più diffusa, o non piuttosto dedotta dalla Kyme eolica, giusta l’asserzione di Eforo. Intorno a questo, come ad altri punti, io rimando il lettore alla erudita memoria del prof. Sogliano: il quale, tenuto conto dell’ andamento della scrittura, della tecnica e della forma dei caratteri, della tessitura epigrafica , nonché della presenza del dittongo ου, giudica molto plausibilmente l’iscrizione riferibile alla prima metà del secolo V av. Cr., e quindi alquanto posteriore alle citate di Critobulo e di Democharide, a cui il Kirchhoff assegna una data anteriore alla 71 olimpiade. Veniamo ora al 2° monumento, consistente in una stele di tufo, alta m. 1, 10, larga m. 0,40, con rappresentazione a bassorilievo sormontata da una iscrizione osca. ιο6 GIORNALE LIGUSTICO Neppur questo può dirsi inedito, avendone data una breve notizia, non però corredata da verun disegno, lo stesso prof. Sogliano (i). Siccome, peraltro, la descrizione del Sogliano differisce in taluni particolari dal disegno del Porro, tornerà tanto più opportuna la riproduzione del disegno stesso nella vignetta qui unita, in quanto che il lettore sarà così posto in grado di giudicare della differenza che passa fra Γ uno e 1’ altra, e di farsi de visu un concetto del monumento indipendentemente da ogni esposizione sistematica. Il Sogliano vede nei bassorilievo « a sinistra, un flabellum in forma di foglia acuminata, con lungo manico, e a destra una specie di edicola con frontoncino, nella quale è uno specchio circolare con lungo manico, se pure non vi si voglia riconoscere un alabastron sormontato da un disco ». Ora, se il disegno che ho sottocchio è esatto, del che non ho ragione di dubitare, ciò che il Sogliano ha indicato come un flabello, o ventaglio, sarebbe invece semplicemente un albero di cipresso. Ho io bisogno di qui ricordare come il cipresso piramidale, considerato fin dalla più remota antichità presso la maggior parte dei popoli inciviliti come simbolo della fiamma, di cui riproduce la forma nelle sue linee, nonché delle idee di procreazione, di vita, di eternità, e, come tale, consacrato- alle divinità generatrici, di cui circondava i templi, sia poi divenuto, in virtù di una antitesi della quale l’antico simbolismo offre molti altri esempi, un attributo delle divinità infernali, un emblema della purificazione, della immortalità dell’ anima e della vita futura, e quindi Γ albero dei morti per eccellenza, adoperato, come continua ad esserlo anche oggidì, quale ornamento caratteristico dei monumenti (i) Notizie degli scavi di antichità, 1885, pag. 322. GIORNALE LIGUSTICO ΙΟ7 funerarii? Sotto questo punto di vista, niuno negherà che 1 imagine del cipresso convenga al carattere funerario della stele cumana assai meglio che non quella del preteso flabello. Nè questo è il solo particolare intorno al quale la citata descrizione non riscontra col disegno ora pubblicato. La destra del quadro è bensì costituita da un naos , o edicola, ad alto frontispizio: ma l’oggetto in essa effigiato sembra potersi piuttosto qualificare un disco sovrapposto a colonnetta in forma di balaustra. Che cosa poi rappresenti questo disco non si può con precisione affermare : però tutto induce a far credere che trattisi del cimbalo , oppure del timpano , strumenti mistici che avevano una parte molto importante nel culto delle divinità orientali. Noi sappiamo positivamente che ambedue questi strumenti erano usati nel culto di De-meter a Eieusi: e Clemente Alessandrino (1) ci ha tramandato la formola colla quale l’iniziato ai misteri di Cibele dichiarava di aver « mangiato nel τύμπανον , e bevuto nel κύμβαλοv », ciò che spiega il senso mistico dei due strumenti. È certamente a causa delle sue intime relazioni colle divinità dei misteri che troviamo specialmente il cimbalo adoperato in senso funerario. A Berlino e ad Atene se ne conservano esemplari votivi, con leggende dedicative a Cora e ad Artemide Limnate, in caratteri del VI o dei primordi del V secolo av. Cr.; altri se ne trovarono nel tempio di Giove a Dodona. È noto che le antichissime religioni italiche avevano delle divinità ctonie, strettamente affini per origine e concetto a Demeter, quali Ops, Bona Dea e sopratutto Cet es. Nota è del (1) Protrept. II, pag. 14. ιο8 GIORNALE LIGUSTICO pari la profonda influenza che fin dall’Vili o dal VII secolo av. Cr. esercitò sul culto di queste divinità la religione di Demeter, importata in Italia dalle colonie elleniche, sotto la duplice forma di culto Tesmoforico e dei Misteri dionisiaci della Magna Grecia. Fu allora che la Bona Dea assunse il nome greco di Dainia, che il sagrificio misterioso che le si offriva fu detto Damium la sua sacerdotessa Damiatrix (i), e la sua festa Dameia (2). Fu sopratutto nella Campania che il culto della Demeter ellenica si nazionalizzò definitivamente presso le popolazioni italiche, e la Dea ricevette il nome di cui la forma latina è Ceres, dall’ osco kerri. La Campania fu il punto dove la triade ellenica di Demeter, Persephone e Dionysos, o Demeter, Coros e Cora fu tradotta nella forma italica di Kerri, Lùvfrus e Lùvfri in osco, ciò che in latino è Ceres, Liber e Libera. La coscienza dell’influsso ellenico nel culto di Cerere si perpetuò in Roma, dove le sacerdotesse della Dea si facevano venire dall’ Italia meridionale, e più particolarmente da Napoli, colonia di Cuma, e da Elea, e la lingua, la terminologia del culto, il rito e perfino la decorazione, nonché l’architettura, del tempio conservarono il carattere greco per molti secoli. Per queste ed altre considerazioni, che potrei all’uopo moltiplicare, parmi assai plausibile l’induzione che la rappresentazione della stele cumana sia allusiva ai misteri di Demeter, il cui culto era in fiore a Cuma nell’ epoca a cui risale il monumento. L’ iscrizione osca incisa profondamente al disopra della rappresentazione è in parte obliterata, essendo la stele molto (1) Festo, presso Paolo Diacono (Muller), pag. 68. Placido, gloss. appresso Mai, Cl. auct., Ili, 451. (2) Hesych., Lexic., I, 883. GIORNALE LIGUSTICO IO9 danneggiata. Quel tanto che ne rimane, stando anche all’apografo del prof. Sogliano, sarebbe del seguente tenore: vstin -t-a.. danainsi.. re-tumafst ist La prima lettera della seconda riga non è certa; e se ha il valore della labiale spirante in forma di digamma, come fu da me trascritta, non sfuggirà all’occhio dell’osservatore la particolarità che essa è volta a destra, cioè in senso opposto all’ andamento del resto della scrittura, ciò che, del resto, non è senza esempio (1). Dal punto di vista paleografico si dovrà parimente notare che le lettere m ed a nella quarta linea sono in nesso: e che la forma quadrata, 0 meglio a doppio rombo, della semi-vocale $ coglie in fallo la tavola degli alfabeti antichi testé pubblibata dal Deecke nei Dmkmàhr des Klassischen Altertums del Baumeister (2), dove questa forma non è registrata fra i segni della scrittura osca, sebbene essa fosse già apparsa su altri monumenti affini a Capua e a Pompei (3). Uscirei dai limiti che mi sono prefisso se entrassi ora nel campo filologico per cercarvi l’interpretazione del testo epigrafico. Senza rinunciare in proposito ad ulteriori ricerche , il cui risultato potrebbe porgermi occasione e materia ad una speciale memoria, mi ristringo qui ad accennare che nel tenore delle prime linee dovrà indagarsi 1’ enunciazione della nomenclatura del defunto alla cui memoria fu eretta la stele, (1) Fabretti, j.° supplemento alla raccolta delle antichissime iscrizioni italiche, tv. XIII, 422. (2) 2.0 fascic., pag. $3. (3) Fabretti, 3.° supplemento, tv. XIII, 418, 422, 423, 427. I IO GIORNALE LIGUSTICO mentre le due ultime voci tùmafst ist esprimono molto probabilmente il senso di humatus est. Questa iscrizione è la quinta delle osche fin qui uscite dagli scavi di Cuma: nè è da tacersi che la sua pienezza di forma le dà il vantaggio di una maggiore importanza sulle altre, le quali enunciano nulla più che nomi propri personali o gentilizi (1). Vittorio Poggi. Poscritto. — Poiché mi trovo nel campo epigrafico , non ne uscirò senza aver dato notizia ai lettori di una curiosa lapide inedita , testé trovata nelle vicinanze di Roma lungo la via Portuense, e di cui ebbi comunicazione dall’ amico prof. P. Leopoldo De Feis. La lapide in discorso contiene parte del decreto di un collegio di cultori di Giove Beelefaro, del seguente tenore: iovi HiELEPARO QVIS .....DEO MORE PATRIO S - - - CERIT — NI QVIS IN *RA SE VELIT AB IS REBVS Q «AS IVS ADITO ITEM A SVILI OMNIS GENERIS MELLE NI ' MVNDATO IVS ANTE DIEM DEI INMOLATVM NI GVST PARTV ANTE DIEM X ACC LEONAS VILIC Le dimensioni della lapide, mancante com’è della parte superiore e di un lembo del lato sinistro, sono 0,38 χ 0,32; quelle dello spazio occupato dal testo epigrafico, 0,27 χ 0,30. La locuzione more patrio indica abbastanza che i membri del collegio erano forestieri, e se fosse lecito argomentare (1) W. Corssen, Supplementum inscriptionum Oscarum, 16-19, Zvetaieff, Sylloge inscriptionum Oscarum, 52-55, GIORNALE LIGUSTICO I I I da alcuni dati proferti da altre lapidi trovate nello stesso luogo e pubblicate dal comm. C. L. Visconti, si potrebbero credere Palmireni. Del predicato di BeheJepharus attribuito a Giove è questa la seconda menzione che si conosca, essendo già apparso, sebbene con diversa ortografia (Iovi Beellefaro), in altra epigrafe trovata parimente in Roma e pubblicata Γ anno scorso dal prof. G. Lignana nel Giornale italiano di filologia e linguistica classica (pag. 98). La sua fisionomia è evidentemente semitica, e reca meraviglia che un erudito della forza del Lignana abbia potuto per un momento pensare a identificarlo col greco Βελεηφόρο-; mentre salta all’occhio l’analogia, riconosciuta, del resto, poco dopo dallo stesso scienziato, con Baàlaphar = Dio elargitore di prosperità. Giove Beelefaro, affine all’lupiter Optimus Maximus Heliopo-litanns, alVIupiter Optimus Maximus Dolichenus, etc., appartiene al ciclo delle Divinità siriache e fenicie, il cui culto, infiltrato dapprima in Roma fra le canzoni e le danze delle baiadere orientali, poi allargatosi via via coll’ espandersi delle relazioni internazionali attivatesi per effetto delle conquiste dei generali, del governo dei proconsoli e dello stabilimento di grandi arterie commerciali , raggiunse un alto grado di incremento durante l’impero dei Flavii, e più ancora all’epoca degli Antonini, finché toccò 1’ apogeo della sua orbita sotto i due imperatori siriaci. Il decreto prescrive le astinenze rituali a cui dovevano assoggettarsi i membri del collegio, ed è sottoscritto, forse in qualita di Magister, dal villico Leonas, nome foggiato sul tipo di Alcimas, Aniipas, Apellas, Artemas, Demas, Onesas, Solonas, Zonas, etc. Il tenore di queste prescrizioni, di cui qualche punto non e però abbastanza chiaro, fornirà agli eruditi un interessante soggetto di studio. Vittorio Poggi. 112 GIORNALE LIGUSTICO VARIETÀ La Legazione del card. Benedetto Giustiniani a Bologna dal 1606 al 161 i. Il cardinale Benedetto Giustiniani, patrizio genovese, dopo avere ottenuto da Gregorio XIV e da Innocenzo IX la legazione della Marca e di Ascoli, che governò con plauso d’integrità e di giustizia fino al pontificato di Clemente VIII, fu nel 1606 da Paolo V inviato a Bologna, ove risiedè per lo spazio di cinque anni, nel corso de’ quali (scrive il Car-della (1) ) « studiossi di mantenere buona corrispondenza coi » popoli convicini, 1’ abbondanza nella città e la quiete fra i » cittadini, fra i quali, tranne qualche omicidio fortuito e ca-» suale, non succederono, attesa la sua industria e vigilanza, » altri disordini. Ebbe grande impegno per ritornare all’ an-» tico lustro quella celebre Università , che era assai deca-» duta, come ancora per mantenere 1’ ecclesiastica immunità » e giurisdizione e la dignità cardinalizia, di cui mostrossi » acerrimo difensore 0. Non mancò chi levasse a cielo cotesto cardinale legato come il più giusto, prudente, temperato e liberale che Bologna avesse mai avuto. Tra gli altri un Paolo Mazio modenese lo diceva « ab ipso Deus inventus, electus atque mis-» sus ut statum civitatis Bononiensis solidissime confirmaret, » afflicta recrearet, tumultuosa sedaret, cuncta denique ad » optatam tranquillitatem redigeret ». (2) (1) Memorie storiche de’ Cardinali della S. Romana Chiesa (Roma, Paglia-rini, 1793, tomo V, p. 261). (2) lllustriss. et Revevendiss. D. Benedict. Card. Iustiniano Bononiae de Latere Legato Paulli Matii Mutinentis Panegyricus (Bononiae, apud haered. Jo. Rossii, 1607, 4.0), GIORNALE LIGUSTICO II3 Ed in vero se le leggi, e i bandi pubblicati dal cardinale Giustiniani nel 1608 possono sembrare troppo severi e furono da alcuno creduti ingiuriosi al vivere civile di un popolo, che per lo innanzi avea saputo mantenersi ne’propri statuti e nelle patrie costituzioni, mostrano d’altra parte che la sicurezza e la tranquillità pubblica, allorché giunse a Bologna il card. Giustiniani, non erano in così floride condizioni come vorrebbe il Cardella; anzi, se si dovesse prestar fede al Ma-zio, Γ alma studiorum mater sarebbe stata nè più nè meno che una foresta di ladri, di assassini e di facinorosi d’ogni specie: « Vagabantur tota urbe facinorosi quidam miserorum civium » sanguinem sitientes, alienisque fortunis inhiances, qui iam » ad id audaciae atque temeritatis erant progressi, ut non » tantum noctu in locis abditis, sed meridie in frequentio-» ribus notis regionibus, modo in hos, modo in illo grassa-» rentur tantumque in summa licentia, impunitatesque sangui-» narii homines sibi arrogabant, ut vix intra domesticos pa-» rietes locus ullus periculo vacuus relinqueretur ». Comecché possano sembrare esagerate le parole del panegirista modenese, è certo però che Paolo Emilio Aldrovandi nella sua Cronaca di Bologna dal 1 gennaio 1601 fino al 2j agosto 1620 (1) ricorda non meno di cinquantaquattro persone, che per ordine del Legato furono fatte impiccare, tanagliare, o squartare per furto, per omicidio o per altro delitto dal 1606 al 1611. Dalla detta cronaca traggo alcune delle più curiose notizie relative al tempo della Legazione del card. Giustiniani, cominciando dalla data del suo ingresso in Bologna, che fu a dì 7 di novembre del 1606 la sera a 22 ore. (1) Una copia trascritta dal co. Carrati il 23 nov. 1766 esiste presso la Bibl. Comunale di Bologna, segn. 17 — G. I. 20. Giorn. Ligustico. Anno XIV. 8 114 GIORNALE LIGUSTICO « Arrivò in Bologna il Card. Benedetto Giustiniano no-» stro Legato e venne per la porta di strada S. Stefano » senza pompa, e con tutto ciò vi andò in contro quantità » grande di carrozze, di gentiluomini e si sonò a festa e la » sera.si fecero fuochi in piazza con quantità grande d’arti-» glierie. Il simile il giorno seguente si fece, avendo fatto » fare un castello di legno a similitudine della sua arma drieto » li Banchi a rincontro la porta del palazzo, con dentro fuochi » artificiali e girandole in quantità; cosa molto bella e vaga » da vedere ». Subito che ebbe pigliato il possesso della Legazione (continua il Ghiselli (i)) « fece conoscere di voler essere uomo » rigoroso; attese a perseguitare gli assassini e altri malfat-» tori, premiando con buone taglie chi li facea capitare in » potere della Corte, e così spesse volte era eseguita la giu-» stizia rigorosamente secondo che meritavano li gravi de-» fitti et enormi eccessi di quei ribaldi, facendo pubblicare » Editti e Bandi generali (2) per più timore del popolo, e (1) Memorie ani. mss. di Bologna, vol. XXI, pag. 475. Presso la feibl. Univ. di Bologna. (2) I bandi pubblicati dal card. Giustiniani, che esistono presso le due Biblioteche comunale ed universitaria di Bologna, sono i seguenti : Bando di revocazione di licenze e salvocondolti, con la confermazione di tutti li bandi (13 nov. 1606). Bando sopra l’estrattione degli Offitii utili, pubblicato in Bologna alli 16 dicembre 1606. Bando pei Trecoli e Polaroli e Revenderoli della città di Bologna (30 die. 1606). Decretum reformationis audientiae pauperum (10 febr. 1607). Edictum signaturae et audientiae (14 marzo 1607). Bando circa il dar per elemosina ai poveri e luoghi pii grano e farina (10 aprile, 1607). Decreto sopra il modo di gravare i debitori per via di frumento (13 agosto, 1607). GIORNALE LIGUSTICO » volle che fossero irremissibilmente osservati, per avere in-» teso che in Bologna vi era un abuso in proverbio, e dicono » che: bando bolognese dura giorni meno d’un mese ». Uno de’ primi bandi ch’egli pubblicò proibiva che nessuno potesse andare all’ osteria se non fuori della città lontano tre miglia; e per mostrare al popolo ch’egli non intimoriva solo con vane minaccie, il 22 novembre 1606 fece punire con tre tratti di corda due uomini perchè furono trovati di notte all’osteria con una femmina. Nè solamente usava tanto rigóre con chi avesse osato contravvenire a’ suoi ordini, ma anche con chi si fosse a lui rivolto per ottenere qualche licenza contraria a’ suoi editti. Narra 1’ Aldrovandi che ai 18 di novembre 1600 fece dare tre gran tratti di corda e condannare alla .galera per dieci anni un bravo giovine Vicentino, che seguitava il conte Alessandro Pepoli, solo perchè avea chiesto la licenza dell’armi molte volte negatagli e gli era tornato innanzi mutato di panni per non essere riconosciuto. Provisione circa le sementi sequestrate e modo per ottenere il ribasso di quelle (28 sett., 1607). Ordinanza circa li Decreti per citazioni soliti a farsi dai Notaj nelle cause civili (17 die., 1607). Ordini da osservarsi dalli Notari del Torrone cosi intorno alle cause come anco alle mercedi loro (1607). Bando generale pubblicato alli 24 di genti, e reiterato alli 29 dì febr. 1608 (Bologna, per V. Benacci, 1608, in - 4.0). Lo stesso pubbl. alli 23 di giugno 1610 e reiterato alli 24 di luglio (Bologna, Benacci, 1610, in-40). Nuova Provisione sopra le Drapperie di seta, con V inserzione d’altre Provisioni vecchie et confirmatione di esse (14 luglio, lóro). Additiones et declarationes ad novissimas Constitutiones civiles Fori Bononiensis (Bononiae, apud V. Benaccium, 1610, in - 4.0). GIORNALE LIGUSTICO Relativamente al divieto di portare armi in determinate circostanze di tempo, si riferisce il seguente aneddoto (i).- Nel Bando generale pubblicato ai 23 di giugno 1610 era proibito portare la spada di notte dopo il suono della campana; ora accadde che uno trovandosi fuori e lontano assai di casa sua e temendo d’incontrare i birri, se proseguisse il suo viaggio con la spada, risolse di porla entro la ferriata d’una cantina e, passato dalla parte opposta della strada, vi si pose a sedere dirimpetto. Arrivarono i birri e trovato costui li fermo, gli chiesero che facesse in tal’ora a quel luogo. Rispose che faceva la guardia alla sua spada, che ivi si trovava in quella cantina. I birri replicarono ch’egli si burlava della Corte e condottolo a sua Signoria Illustrissima, e riferito l’accaduto, il Legato rispose ch’egli era suddito ubbidiente e che, perciò non dovesse incontrare altri birri, fosse da loro accompagnato fino a casa. Era il card. Giustiniani cosi geloso dell’esecuzione de’ suoi ordini, che non si fidava nemmeno de’suoi ministri più fidi, e sempre temeva che non facessero il suo dovere. Un giorno mascheratosi si pose a lato due pistole e andò sul corso, dove incontrato il Bargello, fece in modo che veder le potesse. Subito gli furono addosso tutti i birri per arrestarlo, ma, fatto cenno al Bargello che lo conducesse in una bot-tega, non volle smascherarsi e gli disse: — guarda quello che fai, perchè, se mi smascheri e se mi fai prigione , hai da fare con uno che saprà vendicarsi e, se mi lasci, non mancheranno doppie al tuo volere. — Rispose il Bargello (1) Leggesi con varj altri aneddoti che riferirò in appresso in fine alla Relazione, 0 sia discorso sopra la Legazione e governo dell'lll.mo c R.mc Card, i Benedetto Giustiniano Genovese dall’ a. 1606 al 1611. Ms. in fol., di cc. 84, che appai tenne al conte II ario Nacumezoni di Bologna ed ora è presso la Bibl. Coni, di Bologna, segn. 17 — Κ. II. 21. GIORNALE LIGUSTICO iï7 volerlo assolutamente smascherare e condur prigione, non essendo tempo allora di fare alcuna sorte di servizio a causa del rigore del Legato. Dopo avere un pezzo conteso, risolsero di condurlo al palazzo del Legato, dove, giunto nell’an-ticamera, si levò la maschera e voltosi al Bargello, disse: — Tu l’hai indovinata; perchè, se piegavi a’ miei voleri, domattina ti facevo impiccare. Pare che il card. Giustiniani assai si compiacesse di fare simili sorprese, per mettere a prova la fedeltà de’ suoi sudditi; poiché lo stesso cronista, che ci tramandò l’aneddoto ora riferito, racconta che in tempo di grandissima carestia di vino aveva il Legato dato ordine che tutti dovessero vendere il superfluo al prezzo di lire 12 la corba. Ora essendogli stato riferito che certi Canutti, che stavano suLa collina verso S. Luca, ne avevano una buona quantità, volle chiarire da sè stesso la verità della cosa, e vestitosi tutto cencioso, provveduto di zazzera finta, con cappello tutto logoro e in abito da prete miserabile, si recò alla sacra immagine della B. V. di S. Luca, ove disse messa non conosciuto da alcuno, ma creduto un povero prete forestiero. Nell’ atto di partire chiese con modo ove stavano i Canutti e si recò a trovarli, dandosi a conoscere per povero sacerdote forestiere che era stato al santuario di S. Luca a dire la santa messa. Chiese loro per carità un poco da bere e con tanta destrezza che lo invitarono a sedere; e non solo gli fu accordato un po’ d’ alloggio tanto che si ristorasse, ma fu altresì invitato a bere e mangiare nella loro cantina. Allettati dal lodare eh’ egli faceva il vino bevuto, ebbero ambizione di fargliene sentire diversi altri che gelosamente custodivano , raccomandandogli il silenzio perchè non venisse a saperlo il Legato. Promise ogni segretezza e si partì. Il giorno seguente, mandato a chiamare questi Canutti, disse loro di avere inteso che essi tenevano buon numero di corbe di vino ai sopravanzo e che però lo 118 GIORNALE LIGUSTICO dovessero vendere al prezzo stabilito. Negarono quelli di non averne altrimenti ed egli replicò saperlo di certo e che guardassero bene non avesse a trovarli in bugia. Ma persistendo pure nel negare, soggiunse il Legato: — Orsù, perchè vediate eh’ io so tutto, sappiate che un prete che alloggiaste me l’ha riferito; e se vi ostinate a negare, io per convincer vi chiamerò il prete che me 1’ ha detto, al quale voi faceste la carità. Ritiratosi nella retrocamera si rivesti col capello e col medesimo abito e zazzera che aveva il giorno innanzi, tenendo pero il berrettino rosso sotto il capello ; onde al vederlo tutti confusi ed intimoriti se gli buttarono ai piedi e gli chiesero perdono: Egli perdonò loro a patto che vendessero il vino, « e ciò si stimò un miracolo da » scriversi in vita del detto, che egli avesse perdonato » cosi facilmente a chi aveva trasgredito a’ di lui ordini » e negatagli la verità; mentre di simili atti di miseri-» cordia pochi ne sono notati ne’ cinque anni di sua Le-» gazione rigorosissima. » Frequentissimi all’incontro sono gli atti di severità inaudita nell’amministrare la giustizia, che del Cardinal Giustiniani si leggono presso i cronisti bolognesi. Narra Paolo Emilio Aldrovandi che ai 23 di maggio del— 1 anno 1607, <( essendo stata ammazzata una cortigiana chia-» mata Pellegrina che stava in Gatta marza, fu certificato alla » corte essere autore del delitto un Gio. Battista Dal Pozzo » bolognese, che era fuggito a Mantova e con lui un Gis-') mondo che gli aveva prestata la mazza e una giovine sposa » chiamata Claudia che avevano sviata. Furono ricondotti » tutti e tre a Bologna e, avendo confessato il delitto, il detto » Gio. Battista iu posto sopra un carro nudo dal mezzo in » su, e condotto in Gatta marza in contro alla casa ove stava » la detta Pellegrina, e ivi tanagliatagli la mano destra fu » poscia condotto in piazza, ove fu accoppato colla stessa GIORNALE LIGUSTICO 119 » mazza che aveva servito per ammazzare la Pellegrina, e poi » fu scannato, e squartato in pezzi fu attaccato alle forche; » essendovi presenti, legati a due legni che erano sul palco, » il suddetto Gismondo e la suddetta Claudia vestita coi » panni della detta Pellegrina ». A coteste scene d’ orrore se ne alternavano altre meno lugubri, e che dovevano un poco esilarare l’animo della plebe atterrita dall’ eccessivo rigore del nuovo Legato. Accadde il 30 di giugno 1609 che, dovendosi scopare due donne, una giovine ed una vecchia, perchè facevano incantesimi e malie, la giovine dono al boja un vezzo di granatè e di perle purché scopasse solo la vecchia. Ma questa ritornata a S. Domenico assai se ne lamentò col Padre Inquisitore, il quale, per non mancare di giustizia, ordinò che fosse scopato dalla stessa donna che avealo accusato. « Ai 30 di giugno a ore 22 fu adunque legato mezzo » ignudo e fatto vestire da Zanio, la donna con maschera al » volto !o cominciò a battere aspramente, uscendo di S. » Domenico per la via larga in S. Mamolo sino in piazza » dietro le scale di S. Petronio, voltandosi dalle scuole sulla » piazzola e andando dritto fu ritornata a S. Domenico; e a » vedere tal cosa vi concorse tanto popolo che non si potea » andare per le strade. E nota che si disse che la donna » che 1’ avea scopato non era altrimenti la vecchia, ma una » che vi era prigione per certo tempo per penitenza d’incan-» tesimi e per esser liberata fece tale officio ; e, per quello » si potea vedere esteriormente, era donna di condizione ed » aveva una mano bellissima e bianca. Sopra tal fatto fu com-» posta la presente canzone : Lamento di Bucchino Mastro di giustizia di Bologna frustato per mano di donna Γ anno i6oy. 120 GIORNALE LIGUSTICO Sventurato me tapino ! In qual’ arte, in qual mestiero Si può fare e dire il vero Va fallito oggi il pensiero, O sia grande, o piccolino Sventurato me Bucchino ! Per non essere soggetto Alli colpi di fortuna Un mestiero avea eletto Da non temer cosa alcuna; Pur gran doglia in me s’aduna, Cosi vuole il mio destino Sventurato me Bucchino ! Per fuggir di lavorare Mi fo Mastro di giustizia, Mi credea di guadagnare Di denari una milizia, Ma la mia grand’ avarizia Mi ha assettato il tabarrino Sventurato me Bucchino ! » etc. (i). A dì 5 d’agosto 1611 il cardinal Giustiniani fu revocato dalla Legazione di Bologna ed ebbe per successore il card. Maffeo Barberini, che fu poscia papa Urbano Vili. Partì a dì 11 dello stesso mese e furono destinati ad accompagnarlo sino al confine due ambasciatori; Francesco Cospi ed Ercole Bonfìglioli, al quale rivoltosi il Legato disse : restate, che io non voglio tanti ambasciatori e chiamato Aurelio dell’ Armi senatore, che ivi si trovava, fecelo salire in carrozza. Rispose allora il Bonfìglioli, che egli era stato a ciò designato dal Reggimento, ma, se Sua Signoria Illustrissima non voleva la sua servitu, tanto meno avrebbe da fare; e ritornossene assai disgustato. (i) È una parodia dei Lamenti storici tanto frequenti nei secoli XV e XVI. Componesi di 29 strofe e leggesi nella Cronaca dell’ Aldrovandi più volte citata. GIORNALE LIGUSTICO 12 1 Questa partenza, seguita innanzi che fosse compiuto il termine della Legazione, diede non poca occasione a discorrere e se ne attribui la causa a due motivi. Il primo fu che, essendosi detto cardinale lasciato trasportare dal genio a favorire una dama di casa Bargellini, frequentandone le visite, fu dal marito fatto tagliare certo tassello di un corridojo per dove dovea passare, acciò vi restasse sotto il cardinale e la dama; ma fatto avvisato, non vi ritornò. L’ altro motivo (creduto da molti un pretesto per coprire la prima cagione) fu la morte avvenuta in Roma dei cardinali Ascoli e Pinelli , per la quale il card. Giustiniani fu chiamato a succedere nel loro ufficio. La sua partenza fu di gran giubilo a molti perchè, nonostante che governasse con molta (e forse troppa) giustizia, era universalmente odiato per F eccessivo suo rigore e per la poca stima che iacea de’ magistrati; il che, oltre le cause accennate, fu in gran parte cagione della sua improvvisa partenza da Bologna. Biasimavasi pure da alcuno la libertà presasi da un Legato di tre anni di modificare le antiche leggi, inceppando la libertà al popolo bolognese ed- aprendo la via ad altri Legati per restringerla maggiormente. Ed in vero il card. Giustiniani con si grande apparato di leggi non fece altro che rendere la sua memoria perpetua a spese dei Bolognesi e a profitto de’ Governatori; i quali, ambiziosi anch’ essi di accrescere il proprio nome, non si contentarono di restringersi alla sola osservanza dei bandi da lui pubblicati, ma si fecero lecito d’introdurre altri abusi nel governo con grave pregiudizio del pubblico e privato interesse. Sopra il famoso bando generale del card. Giustiniani (pubbl. il 24 gennaio 1606) furono in progresso di tempo, e particolarmente sotto la legazione del card. Pietro Vidoni da Lodi, fatte alcune osservazioni da Gio. Domenico Rainaldi ; 122 GIORNALE LIGUSTICO le quali, male interpretate da qualche suo malevolo, parve che potessero essere credute di danno al paese; il perchè si dispose egli di spiegarsi meglio e levare ai malevoli il modo di denigrare la sua retta intenzione, pubblicando un’opera in tre tomi (i), nella quale proponevasi di mostrare quanto era stato alieno dall’ aver voluto pregiudicare questa città ; ma pare che non riuscisse ad ottenere l’intento desiderato. Ludovico Frati. La statua e una medaglia di Andrea D’ Oria 1. Dopo che il grande capitano ebbe operato la mutazione di reggimento nella sua patria, ond’era instaurata l’oligarchia, i suoi concittadini, non paghi degli onori compartitigli, vollero ne venisse posta in luogo eminente Γ effigie, affinchè fosse pubblica testimonianza di riconoscenza e di memoria imperitura. E poiché Baccio Bandinelli, cui era stata commessa la statua grandiosa, fallito ai primi impegni, dopo i nuovi accordi indugiava soverchiamente a por mano al lavoro, nè v’ era modo per correr d’anni cavarne costrutto, si affidarono al valore di Angiolo Montorsoli, il quale non tardò molto a produrre in ogni sua parte compiuta la statua, riuscita per giudizio d’ esperti di fattura eccellente (2). Ed ecco che nel (1) Observationes criminales, civiles et mixtae. Liber primus. Divo Petronio inclitae civitatis Bononiae Antistiti, Patrono, Protectori, has aclnotationes D. Cardinalis Iustiniani ad profectum et utilitatem Gobernii collectas, velati monumentum perenne amoris erga civitatem et devotionis erga Protectorem ex sui intimo cordis dicat et vovet Jo. Dominicus Rainaldus (Romae, sumpt. Nicolai Chellini, 1688, et Venetiis, apud Paullum Bleonium, 1699). (2) Alizeri, Notizie dei profess. del disegno in Liguria, Genova, Sam-bolino, 1887, V, 311 e segg. GIORNALE LIGUSTICO 123 novembre del 1540 la piazza del Palazzo ducale s’adornava del singolare monumento, cui sessantadue anni più tardi, pur in grazia di pubblico decreto, era posto a riscontro il simulacro del nipote Giovanni Andrea, opera lodata di Taddeo Carlone (1). Ma vennero giorni, ne’ quali quelle statue e quei nomi rappresentavano un passato troppo disforme dai nuovi sentimenti di libertà; e il popolo nell’irriflessivo moto subitaneo dell’ animo, fatto dimentico de’ meriti individuali, irruppe contro quegli inanimati antesignani del governo oligarchico. Mentre da un lato s’innalzava 1’ albero della libertà, dall’ altro venivano abbattute e manomesse le statue dei due celebrati ammiragli; e fu fortuna che si chiudessero le porte del pubblico palazzo, perchè non fosse recata offesa a quelle che adornavano la sala del Consiglio (2). Il Faipoult, rappresentante della Repubblica francese, rendendo conto a Bonaparte, il 13 giugno 1797, della compiuta rivoluzione, aggiungeva: « Vous saurez que rien n’égale l’ardeur du peuple, et la rapidité des mesures qui tiennent aux progrès révolutionnaires. Les statues de Doria, fondateur de (1) D’Oria, La chiesa di S. Matteo, Genova, Sordo-Muti, 1860, pag. 105. (2) Avvisi, n. 24, p. 186. In un curioso diario della rivoluzione genovese compilato da Domenico Sbertoli e conservato autografo nella R. Biblioteca Universitaria (B. V. 20), e non rimasto ignoto a Jacopo d’Oria, trovo sotto il giorno 14 giugno 1797: « Al dopo pranzo in palazzo si voleva atterrare le statue dei due Doria. Non bastò a sedarli il Colonallo Menici, nè il Comandate Siri. A forza di funi furono gettate a terra, e rotte, e cancellate le inscrizioni. Essi sono stati reputati i fondatori dell’ Aristocrazia del 1528. In quella di Gio. Andrea è stato c......... addosso. Questi capi sebbene inanimati, avendo qualche cosa di venerabile, con due coscie porzione di tali statue furono collocati alle basi dell’ antenna che in Piazza Nuova, altissima più dell’ altre, sosteneva il Paviglion e berretto nazionale ». L inesatto ciò che a proposito della statua di Andrea dice il Petit nel suo recente libro André Doria, Paris, Quintin 1887, pag. 120. 1*24 GIORNALE LIGUSTICO l’aristocratie, viennent d’être brisées au palais » (i). Ma il Generale non partecipava all’ entusiasmo del ministro, e dolorosamente colpito dell’atto inconsulto, scriveva al Governo provvisorio la lettera seguente (2): Au Quartier Général de Monbello le Ier Messidor, An. 5. Citoyens, J apprends avec le plu grand déplaisir que dans un moment de chaleur l’on a renversé la statue d’André Doria. André Doria fut grand marin, et homme d’état; l’aristocratie était la Liberte de son temps. L’Europe entière envie à votre ville le précieux avantage d’avoir donné le jour a cet homme célèbre. Vous vous empresserez, je n’en doute pas, à relever sa statue. Je vous prie de vouloir m inscrire pour supporter una partie des frais que cela occasionnera, et que je desire partager avec les citoyens les plus zélés pour la gloire et pour le bonheur de votre patrie. Je vous prie de me croire avec les sentimens de considération avec lesquels je suis Bonaparte. Il Governo non s’aspettava questo rimprovero, e ne fu sulle prime alquanto turbato; ricorse immediatamente al Faipoult, affinchè lo aiutasse a persuadere Bonaparte che il fatto era accaduto improvviso, senza alcuna previsione , e quanto sarebbe stato pericoloso in quei momenti d’effervescenza popolare ripristinare la statua. Il rappresentante francese aderì ai desideri del Governo, e cercò scagionarlo presso il Generale, con la lettera seguente, che e per la sua singolarità, e per essere impressa in una raccolta non comune, reputo utile riferire (3): (1) Correspondance inédite offic. et confid. de Napoléon Bonaparte, Paris, Panckoucke, 1819, IV, 344. (2) Correspondance de Napoléon I, Paris 1859. ImP· Imper., ΙίΙ, 179. L’ho riscontrata con l’originale nell’archivio di Genova, Governo Provv. Mazzo 13. (3) Corresp. inèdite, cit., IV, 354. GIORNALE LIGUSTICO 125 Gènes, le 10 messidor an 5 (28 juin 1797). Au général en chef. Vous avez, mon général, écrit au Gouvernement de Gênes une lettre pour l’inviter à rétablir la statue d’André Doria. Le Gouvernement m’a communiqué cette lettre, et j’ai vu son embarras. Si d’un côté il voudrait avec empressement se rendre à votre invitation, de l’autre des considération très puissantes l’arrêtent. Je crois qu’il vous en écrira par le courrier prochain. Doria fut un grand homme, et il est digne de celui que ses belles actions feront regarder comme tel par la postérité, d’avoir éprouvé un premier mouvement de sensibilité pour l’injure qui vient d’être faite à la mémoire de ce restaurateur de l’indépendance génoise. Si le Gouvernement actuel pu prévoir un quart d’heure d avance l’impétuosité avec laquelle le peuple se porta sur les statues de Doria, il aurait essayé d’en détourner le cours, ne fût-ce que pour arrêter un mouvement irrégulier. Peut-être y eût-il réussi; mais ce peuple, dans tout le reste de sa conduite, s’est montré si sage et si réservé; il s’est si sérieusement enflammé contre ce Doria, qu’aujourd’hui il ne saurait à quel motif attribuer sa réhabilitation. Si Doria fut célèbre par ses talens, par l’adresse, avec laquelle il obtint l’indépendance de Gênes, et par la modération qui lui fit abdiquer le souverain pouvoir, les Génois se rappellent en même temps que, de son temps, il y eut un mouvement généreux en faveur du peuple, contre l’aristocratie. Un Fiesque voulut abattre le pouvoir des nobles : si dans ce temps les droits du peuple étaient peu définis, ils étaient bien sentis. On lisait l’histoire de la Grèce, de Rome et de Florence, le peuple avait ses amis comme ses ennemis : Doria fut du nombre des derniers. Fiesque échoua dans son entreprise contre les nobles par un accident imprévu, Doria usa cruellement d’une victoire qu’il n’avait pas gagnée: une multitude de ses compatriotes furent livrés au supplice ou proscrits. A Pise, un Rienzi, employé dans la marine génoise, fut enveloppé dans un sac et jeté à la mer. Ces exécutions sévères étaient peut-être inévitables pour soutenir le nouveau Gouvernement, et, avec lui, la tran^uilité publique, travaillée depuis si long-temps par les factions ; mais elles furent exercées corltre la faction populaire du temps, à laquelle, par une erreur pardonable à une multitude, s’identifie le parti démocratique d’aujourd’hui, si supérieur à cette faction par la régularité de ses mesures, et par l’hommage que rend à ses droits la philosophie ainsi que le vœu d’une immense majorité. 126 GIORNALE LIGUSTICO Les orateurs du peuple ne lui parlent aujourd’hui que des cruautés de Doria. Si le Gouvernement relevait en ce moment sa statue, ce peuple, moins susceptible encore que le nôtre d’un examen éclairé, se défierait de ses gouvernans, et ce serait une calamité publique. Il y a plus, quelques hommes (tout porte à le croire) sont payés pour agiter ce peuple, s’il est possible. Ces hommes, quoique agens du parti qui compte André Doria pour 1 un de ses saints, ne manqueraient pas, sous le masque qu’ils ont pris, de fortifier l’opinion qui lui est contraire, afin d’ameuter contre le Gouvernement. Voilà, mon général, l’effet que produirait probablement un retour actuel sur l’événement irrégulier qui a brisé la statue d’André Doria. Tout marche bien jusqu’ici : la révolution génoise est à signaler pour son calme et sa régularité. Par une combinaison assez adroite de moyens pris dans les circonstances passées et présentes, et spécialement dérivées de l’effet que nous produirons avec votre nom et celui de vainqueur de l’Italie, nous entretenons l’équilibre entre les petites intrigues des aristocrates, les exaltations des extra-patriotes, et les sages impulsions des démocrates, sensés et amis des lois. Pour éviter une des choses qui pourraient ébranler cet équilibre, je vous propose de remettre la réhabilitation de Doria à un autre temps. On aura ici un autel A élever à Christophe Colomb; dans quelque temps on s’en occupera. A côte de son nom comme Génois célèbre, on pourra mettre celui de Doria, à cause de ses talens et de ses services. On rectifiera en cette occasion la prévention du vulgaire : marquez-moi ce que vous pensez de cette idée, et agréez en même temps un reproche dont vous apprécierez aisément le motif, c’est que vous m’écrivez trop peu. Rendez-moi au moins deux lignes pour une page. Faypoult. P. S. Une circonstance à remarquer, c’est qu’il n’y a eu de brisé que les statues de Doria qui étaient sur le perron dans la cour du palais. Le Gouvernement a fait fermer a temps la salle du grand-conseil, ou les Doria ont d’autres statues, et depuis cette salle ne s’ouvre pas, pour éviter de nouvelles mutilations. Intanto i nuovi reggitori democratici, ancb’essi, secondo accennava il Faipoult, scrissero al Bonaparte in questo tenore (i): (i) R. Arch. di Genova, Governo Provv. Marzo 13. Questa lettera fu conosciuta dall’autore della Relation de la Revolution de G Ines, Gênes, Cai- GIORNALE LIGUSTICO I27 Il Governo provvisorio ha risentito per sè medesimo un grandissimo dispiacere, e prende nuovamente parte al vostro, per P abbattimento della statua di Andrea D’ Oria. Lo slancio improvviso di un popolo, forse il più energico dell’Italia, ha prevenuto qualunque misura. Questo popolo non ha saputo riconoscere in Andrea D’ Oria che il primo degli oligarchi, e gli è sembrato di esser debitore a lui solo di quasi tre secoli di oppressione. Invece di rammentarsi le di lui virtù guerriere e politiche, si è ricordato soltanto della popolarità di Luigi Fiesco, e dello esterminio crudele della sua infelice famiglia, e non ha perduto di vista che 1’ espiazione di questa vendetta implacabile ha costato nel secolo scorso alla patria poco meno d’ un milione. Quindi l’inalzare l’Albero della Libertà sulla piazza esteriore del palazzo nazionale, 1’ abbattere ed il mutilare la statua di Andrea D’Oria ed il rovesciarne gli avanzi a’ piedi di questo augusto emblema della nostra rigenerazione politica, non è stata che 1’ opera di un momento. Voi peserete perciò, o Generale, nella vostra saviezza, se le circostanze siano favorevoli al rialzamento di questa statua. La statua rovesciata di Andrea D’Oria e Γ Albero della Libertà non presentano attualmente al popolo genovese che l’idea indivisibile del dispotismo abbattuto, e della libertà riacquistata. Forse il rialzamento della statua potrebbe equivalere in questo momento all’ abattimento dell’ albero. Profondo conoscitore degli uomini, e saggio calcolatore delle circostanze, e de’ tempi, voi consigliereste senza dubbio al Governo quelle stesse misure, che formerebbero la regola della vostra personale condotta. Gradite intanto, per 1’ organo del Governo, la sempre nuova riconoscenza di un popolo, che si sentiva degno da tanto tempo della sua libertà. Genova, li 30 giugno 1797. Questa lettera dettata, come si vede, con assai buon senno, e spoglia di tutte quelle frasi ampollose e altisonanti così comuni a’ quei giorni, è scritta di pugno di Luigi Corvetto, uno degli uomini più temperati, e nello stesso tempo più noti farelli 1797 (pag. 36) che ne riferisce alcune parole, passate poi nel Deso-DOARD, Istoria della rivoluzioni francese, di Venezia e di Genova, Genova Delle Piane, 1799, XV, 65. :2δ GIORNALE LIGUSTICO per giusta celebrità, il quale, eletto dal Bonaparte fra i membri del Governo provvisorio, era allora presidente del Comitato delle relazioni estere. È notevole l’accenno al concetto storico, onde mosse l’ira popolare contro l’effìgie del D’Oria; poiché, il nome del Fieschi viene considerato semplicemente come segno di ribellione contro la nobiltà, senza tener conto delle diverse condizioni politiche e del fine cui intendeva quel moto. A mettere nell’animo del popolo questa animadversione al vecchio ammiraglio conferivano i pubblici oratori, i quali, lo sappiamo dal Faipoult, non parlavano « que des cruautés de Doria », prestandosi molto bene al loro uopo gli eccessi iniqui delle terribili vendette che seguitarono alla congiura. In sì fatta bisogna debbono certamente essersi distinti Gaspare Sauli e il minorità Cesare Cerniti, i quali furono in quei giorni « instancabili dicitori » delle turbe festanti (i). E fu appunto secondando questo spirito stesso che rividero la luce, con annotazioni adatte alle circostanze, i libelli dell’Ansaldo, il Dialogo del Foglietta, e V Artificio dell’ Accinelli, opuscoli volti a deprimere la parte doriesca, a benefìzio della fazione popolare, assai diversa e per uomini e per intenti da quella sollevatasi nel 1797, ma « à laquelle (come rilevava opportunamente il Faipoult) par une erreur perdonabìe à una multitude, s’identifie le parti démocratique d’aujourd’hui ». Bonaparte sì persuase che se il sentimento che gli aveva dettato la lettera era la conseguenza d’ un impeto naturale di generosità, l’insistere per innalzare nuovamente la statua, poteva riuscire in quel momento al tutto impolitico. Perciò, menando buone le ragioni del Governo provvisorio e quelle del ministro, non ne parlò più. I tronchi delle statue, rimasti assai tempo ludibrio della ^i) Avvisi cit., pag. 187. GIORNALE LIGUSTICO 129 plebe sulla pubblica piazza, vennero alla fine ricoverati in certe cantine, donde si trassero per opera de’ discendenti nel 1846, e furono collocati con opportune iscrizioni nei chiostri della chiesa gentilizia di San Matteo, dove oggi si vedono. II. Se è vero che al D’Oria, quantunque le lodi sieno stare in passato straodinarie ed eccessive, si debba ascrivere un’indole non sempre leale e generosa, specie rispetto alla ragion politica e all’ esercizio dell’ alto suo ufficio marinaresco ; pur è giusto riconoscere in lui il mecenate delle arti e degli artisti, non poche essendo le testimonianze che hanno virtù di procacciargli vanto sì fatto. L’aneddoto onde derivò una delle più belle medaglie coniate, lui vivo, in suo onore, ne porge una prova novella. Questa medaglia reca nel diritto 1’ effigie del D’ Oria con la leggenda Andreas Doria p.p.; ma nel rovescio presenta la singolarità di tre coni ben differenti. Nel primo si vede un busto volto a dritta rappresentante un giovane a testa nuda, con barba nascente, attorniato da catene di galeotti; nello sfondo a sinistra alla base del collo una galera, e quivi pure a guisa d’ ornamento un arnese, non indicato da alcuno, nè riprodotto dalle stampe, che a me sembra Indubbiamente uno scalmo. L’ altro ci presenta una galera remigante in alto mare con la bandiera imperiale, e più innanzi una barchetta, entro alla quale sono due uomini, condotta per mezzo di una-corda da una deità marina, particolare anche questo trascurato dai descrittori (1). Il terzo finalmente reca la libertà con la leggenda: Libertas Pvblica. (1) Ho dinanzi tre bellissimi esemplari di queste due varianti, che si conservano nella Biblioteca della Regia Università di Genova ; uno è d’oro, 1’ altro d’ argento, il terzo di rame. Giorn. Ligustico. Anno XIV. 9 130 GIORNALE LIGUSTICO Gli scrittori genovesi credono si debba riconoscere nel busto del primo il pirata Dragut ; non sanno poi a chi ne sia da attribute la fattura. Il Gandolfi suppose autore del disegno Alfonso Cittadella, mentre il Varni vi ravvisava la maniera del Montorsoli (1). Già alcuni anni or sono Alfredo Armand ne aveva indicato come vero autore Leone Leoni aretino (2); ma la recentissima opera e veramente insigne di Eugenio Plon (3), ci manifesta quanto e per quale opportunità fosse coniata questa singolare medaglia nei suoi diversi esemplari. Il celebre orefice, scultore ed incisore era in Roma nel 1540, quando gli accadde una di quelle avventure così comuni allora agli artisti, che dall’ invidia e dall’ indole manesca erano tenuti sempre in conflitto. Un tedesco « gioielliere del Papa », spinto da mal talento lo andava infamando « non pur di falsario e d’ altre assai cose men che oneste », ma lo pungeva altresì sull’ onore « della donna sua » , di che egli deliberò « farne perpetua vendetta ». Ed ecco « il primo marzo sul-1’ora dell’Avemaria gli dette un sì fatto sfregio sul viso », che lo rese « un brutto mostro ». Incarcerato venne sottoposto alla tortura; da prima sostenne con animo invitto i tormenti, poi, fattegli condurre dinanzi la vecchia madre e la moglie legate, con minaccia di dar pur ad esse la corda, « non sopportando 1’ amore materno e della mogliera , che le meschinelle avessero a purgare il suo peccato », confessò la colpa. Fu perciò condannato al taglio della mano destra ; (1) Olivieri, Monete, medaglie e sigilli dei Principi Doria, Genova, Sordo-muti, 185g, pag. 27 e seg. — Avignone , Medaglie dei Liguri e della Liguria, negli Atti Soc. Lig. di Stor. Pat., voi. VII, 499 e seg. Anche il Petit, op. cit. pag. 312, ripete coll’Olivieri trattarsi di Dragut. (2) Les mèdailleurs italiens des quinzième et seizième siècles, Paris, Pion, 1883, I, 164. (3) Leone Leoni sculpteur arètin, de Charles-Quint, etc., Paris, Pion, Nourrit et C. 1887, pag. 12 e seg. GIORNALE LIGUSTICO 131 ma quando stavasi per addivenire alla esecuzione , il Pontefice, a ciò sollecitato da monsignor Archinti e da monsignor Durante, mandò ordine si sospendesse; onde rifattosi il processo, la pena fu della galera (1). L’insigne artefice dovette acconciarsi al remo sopra la galera denominata San Paolo , sotto il comando del capitano Bartolomeo Peretti da Tala-mone (2). Poiché il fatto venne incontanente riferito a Pietro Aretino, compatriota ed amico del Leoni, vi sarebbe ragione di credere che egli, allora così potente e tanto temuto, si adoperasse per la liberazione, ricorrendo all’ autorità di Francesco Douarte provveditore generale, e di Andrea D’Oria ammiraglio dell’ armata di Carlo V. Certo è tuttavia che lo scultore nel marzo 1541, scrivendo all’ amico in Venezia, affermava di aver ricuperata « la libertà merce d’ Andrea Doria principe di Melfi », il quale aveva dato ordine senz’altro ch’egli restasse libero in Genova, dove appunto si trovava « pregando Dio che faccia crepare i tristi, e viver i buoni », mentre era in un tempo « amato da diversi gran gentiluomini », in ispecie « perchè il principe e capitano Giovanettino » (3) gli facevano « cera da fargli piacere » ; onde non è meraviglia s' ei rimase al servigio del D’Oria, legato dalla sua « cortesia » (4). Forse a questo fatto, quantunque non ve ne sia menzione debbono riferirsi le due lettere ripiene di lodi grandissime indirizzate dall’ Aretino nel maggio e nel luglio dell’ anno (1) Cifr. Leu. 16 maggio 1540 di Jacopo Giustiniano a Pietro Aretino nelle Lettere pittoriche (racc. Bottari e Ticozzi, ediz. Silvestri), V 247 (2) Guglielmotti, La guerra dei Pirati, Firenze, Lemonnier' 1876 II, 22. ’ ’ (3) Incise anche una medaglia per Giannettino D’ Oria qui nominato, come rileva il Plon da una lettera del vescovo d’Arras (Op. cit pa^ e 257), quantunque non se ne conoscano esemplari. * (4) Cfr. Lett. del Leoni nelle Lettere pittoriche, cit. V. 251. 13- GIORNALE LIGUSTICO stesso così al gran capitano genovese, come al Douarte (i); chè veramente a questi egli ascrive il merito d’ aver « disciolto » Γ amico suo « da quella catena », a cui Γ aveva fatto porre « P empietà pretesca » ; dopo di che venne « raccolto da la clementia del principe Doria » (2). A manifestare il suo grato animo verso quest’ ultimo, già nel luglio stava il Leoni lavorando alla medaglia in suo onore, poiché 1’Aretino, conscio di ciò appunto gli scriveva: «ricordatevi (s’egli è lecito) di mandarmi, tosto che l’haviate fornita, una medaglia di quelle che fate al divino huomo, acciò eh’ io nel vedere la sua gloriosa effigie, possa vantarmi d’ esser suto degno di vederla » (3). Ecco dunque il tempo e la cagione, ond’ ebbe origine questo bellissimo e curioso nummo, che ci presenta le indicate diversità nei rovesci, dove a mio parere, è da riconoscere Y accenno diretto all’aneddoto narrato. Quello che veniva affermato per tradizione, cioè che nel primo rovescio, anziché l’effigie di Dragut, come ritennero gli scrittori genovesi, fosse rappresentato 1’ autore, riceve oggi conferma dal confronto col suo ritratto inciso dieci anni più tardi in un’ altra medaglia conservata nell’ Ambrosiana, che reca il nome, e che può attribuirsi a lui stesso (4). Le catene da galeotto, lo scarmo, la galera determinano assai chiaramente la condizione del condannato al remo. La galera poi, che è qui un semplice attributo accessorio, diventa parte principale nel secondo rovescio, dove è molto significativa la barchetta guidata da una deità marina, come quella che ben rappresenta la liberazione del Leoni per opera di chi teneva la signoria del (1) Lettere di P. Aretino, Parigi, Del Maestro, 1609, II, c. 209, 215. (2) Ivi, c. 216 t. (3) Ivi, c. 217 r. (4) Plon, Op. cit. tav. 1.» e pag. 256. GIORNALE LIGUSTICO I33 mare. L’ ultimo rovescio, nel quale si vede Γ immagine della Libertà, è certo allusivo ai fatti che determinarono in Genova il cambiamento di governo del 1528 promosso dal D’Oria; ma in un tempo può ritenersi simbolo del potere, che a questi veniva attribuito, di ridonare la libertà a chi era costretto nelle catene della servitù. A. N. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA M. G. Canale, Tripoli e Genova, con un Discorso preliminare-sulle colonie degli antichi popoli e delle repubbliche italiane nel medio evo; Genova, Tip. di A. Ciminago, 1886. — In-8.°, di pp. xxvi-155, più 6 s. n. M. G. Canale. — Della spedizione in Oriente di Amedeo VI di Savoia, detto il Conte Verde, e suo trattato di pace come arbitro conchiuso tra Veneziani e Genovesi addì 8 agosto i}8i in Torino dopo la guerra di Chioggia; Genova, Tip. di A. Ciminago, 1887. — In-8.°, di pp. 48. M. G. Canale , Degli Annali Genovesi di Cajfaro e dei suoi continuatori; Genova, Tip. Ciminago, 1886. — In-8.°, di pp. 23. I. Veramente maravigliosa la costante operosità del eh. Storiografo; e vorremmo anche dirla degna di imitazione, se i tre lavori che chiameremo di circostanza, e ch’egli ha regalati al pubblico in brevissimo spazio di tempo , non si risentissero troppo della fretta con cui vennero dettati. Il limae labor esula addirittura. Provatevi un po’ a tenere in piedi questo periodo. L’Autore, dopo aver detto che bisogna convertir gli emigranti in coloni, cosi prosegue: « È quello , se io non erro, che ora tentano pure di fare le maggiori potenze d’Europa, la J34 GIORNALE LIGUSTICO Germania in ispecie, la quale, in gran parte di sterile, infruttuoso territorio, Γ altissimo intelletto che la governa, ne so-spinge la squallida e numerosa sua popolazione emigrante ad estendersi con largo fondamento di Colonie nel Sud Ovest del-1 Africa, così prende pure l’Italia ad imitarne l’esempio; il presente mio scritto pertanto è informato tutto a siffatto concetto, confortandone il disegno cogli insegnamenti della Storia » (P· 5 s. n.). Parlando di Amalfi, sembra ignorare gli studi del Camera, del Volpicella, dell’Alianelli, dell’Heyd; e per fermo non ne cava alcun frutto. Siam sempre a quel tanto che ne sapevano il Depping ed il Fanucci, e che lo stesso Canale ne disse già nelle precedenti variazioni sul medesimo tema (i). Per lui sta ancora (p. xvm) la lezione Muratoriana del verso di Guglielmo Pugliese (S. R. /., V. 267) : Hic Arabes, Indi, Siculi noscunlur et Afri; abbenchè si trovi corretta nel Pertz (Script. IX. 275): Hic Arabes, Libi etc., e sia così tolta di mezzo 1’ esistenza inesplicabile di rapporti diretti nel secolo XI tra Amalfi e P India. Dalla citazione del Breve Portus Kallarelani del 1318, «in Archiv. de’ Nobili Signori De Roncione di Pisa » (p. xix), si dovrebbe conchiudere che l’Autore ignori altresì le edizioni di quell’importante monumento fatte dal Pardessus, dal Tola, dal Bonaini : cosa per verità non ammissibile. Parimente dal cenno de’ Genovesi, i quali fino dal maggio 1291 andarono « rasentando la costa occidentale dell' Africa col mezzo di Tedisio Doria ed Ugolino Vivaldi » (p. xxv) , sarebbe (1) Cfr. Indicazioni di opere e documenti sopra i viaggi,... il commercio, le colonie degli italiani nel medio evo; Lucca, Baccelli, 1861. — Vita e viaggi di Cristoforo Colombo, preceduti da una storica narrazione del commercio, della navigazione e delle colonie degli antichi e degT italiani del m. e.; Firenze, Bettini, 1863. GIORNALE LIGUSTICO *35 da argomentare eh’ egli tuttavia persista nel credere Tedisio personalmente partecipe in una così memoranda navigazione. Chi erano i Moaddini rammentati nel trattato di Abu-Za-karia-Yahia con Genova? Non è dal Canale che a\rem lingua degli Almohadi. Nè il diploma e del 1216, come egli scrive (p. 4), ma del 1236 come si legge in un brano da lui riferito del Della-Cella (p. 34). A un libro che tratta ex-professo di Tripoli, si potrebbe poi, senza tema di indiscrezione, chiedere qualche precisa informazione di quel « ricco Sai aceno», cui Filippo D’Oria, impadronitosi della città, ne vendette il dominio. Ma che fosse Ahmed Ibn-Mekki, signor di Gabes e di Sfax, delle Gerbe e di Chercheni, attenderemmo invano di saperlo dal eh. Autore. Inoltre anche qui è sbagliata la data (p. 6-8); perocché il fatto va posto al 1355 e non al 57 , come del rimanente abbiamo da’ nostri annalisti, e come ce ne forniscono la riprova le convenzioni di A^enezia con Ahmed, segnate in Tripoli stessa addì 9 giugno del 1356 (ij. Nella narrazione dell5 impresa di Federico Fregoso contro il pirata Cortogoli (a. 1516), non pensino i lettori di veder messo a profitto quanto ne scrisse recentemente l’Amari (2); nè credano che al racconto della spedizione di Tunisi (1535) forniscano alcun sussidio, per es., le illustrazioni dello stesso Amari alle lettere di Muley Hassen (3) 0 la monografìa documentata del Muoni (4). (1) Mas Latrie, Traités.... avec les Arabes de l’Afrique septentrionale — Documents, p. 222. — Nè si dica che l’erronea data dipende da una svista tipografica. Si trova anche nel sunto della conferenza tenuta dal-1’ Autore alla Società di letture scientifiche. Cfr. il Giornale della Società medesima, anno IX, semestre 2.0, p. 183. (2) Nuovi ricordi arabici su la storia di Genova ; in Atti Soc. Lig. st. patria, V. 588 segg. (3) Negli Atti e Memorie della R. Deputaζ. di st. patr. per le provinole modenesi e parmensi, III, 115 segg. (4) Tunisi, spedizione di Carlo V, ecc.; Milano, Bernardoni, 1876. 13 6 GIORNALE LIGUSTICO Con tanta parsimonia di racconto si troveranno però non molto conciliabili le 36 pagine (14-45, 73'7^) impiegate a riassumere il noto viaggio scientifico del Della-Cella; e parrà anche eccessivo il numero dei documenti che illustrano la spedizione sarda del 1825 (Pag· 83-154). Qui una buona scelta non avrebbe proprio nociuto. II. Alla monografia sul Conte Verde ha data occasione la Festa Storica, promossa in Genova dalla Società Ginnastica « Cristoforo Colombo ». Però la prima parte, cioè quella che ha tratto alla spedizione d’ Oriente, potrebbe definirsi una scorsa rapida e saltellante attraverso il libro antiquato del Datta (1): libro non mai citato, ma una sola volta adombrato nella allegazione dei « registri del tesoriere di quella spedizione esistenti negli archivi di corte in Torino » (p. 16). I quali registri appunto furono dallo storico piemontese stampati a corredo del proprio lavoro, sebbene a brandelli e con tale insufficienza paleografica da disgradarne il più novellino degli alunni archivisti (2). Avverto del resto che gli archivi di corte, negli attuali ordinamenti archivistici, sono semplicemente un non senso. Perchè niuno abbia a sospettar d’esagerazione, si veda qui un piccolo saggio del come il nuovo racconto si rispecchi sovra 1’ antico, anche nelle semplici osservazioni e ne’ particolari affatto secondari; salvi qua e colà alcuni riempitivi, non sempre felicemente adattati. (1) Spedizione in Oriente di Amedeo VI, conte di Savoia, provata con inediti documenti; Torino, Alliana e Paravia, 1826. (2) I brani riguardanti la storia genovese, ripubblicati negli Atti Soc. Lig., XIII. 129-31, furono diligentemente riveduti sull’originale dalla squisita cortesia del comm. Vincenzo Promis. GIORNALE LIGUSTICO *37 DATTA. p. 34. — « Aveva il conte Amedeo VI di Savoia sortito dalla natura un animo dotato di tutte quelle virtù che a principe reale si accompagnano... La prudenza superava in lui l’età, e l’accortezza nell’agire, e la saggezza nel definire le controversie avevano fatto sì, che da diversi principi fu eletto arbitro delle loro sorti ». p. 39. — « Padre, Amedeo VI , dei popoli a lui sottoposti, non volle che essi avessero a sopportar le spese di questa spedizione— piuttosto fece vendere le cose di lusso da lui possedute. In Venezia fu venduto il suo vasellame d’argento.... , e se ne ricavò il prezzo di 778 ducati d’oro ». p. 41-42. — « Con bolle date da Avignone il giorno primo d’ aprile 1363, Urbano V concesse ad Amedeo.... per lo spazio di sei anni, e negli Stati sottoposti al suo dominio, le decime dei beni ecclesiastici solite pagarsi alla curia romana: i legati , e donazioni fatte a tutte le chiese, e luoghi pii: il denaro sborsato nelle mani de’ vescovi in restituzione delle usure, furti e mali acquisti : le elemosine che si ritrovassero nelle bussole poste nelle chiese in occasione della crociata». p. 44. — « La milizia dei principi di Savoia alla metà del secolo XIV era feudale , come in tutti gli altri principati: la milizia regolare, quale ai nostri giorni si usa, non fu 1ntrodotta che da Emanuele Filiberto ». CANALE. p. 13. — « Avea (Amedeo VI) da natura sortito indole retta, generosa , intrepida ; maggiore dell’ età in lui la prudenza; accorto mostra-vasi nell’ agire, nel definire ogni quistione; integro e sapiente, di guisa che diversi principi 1’ ebbero eletto ad arbitro delle loro controversie». p. cit. — « Ripugnando Γ animo ad Amedeo VI di opprimere i suoi popoli..., ricorse agli oggetti di lusso, e venne in Venezia venduto il suo vasellame d’ argento, ricavandone il prezzo di 778 ducati d’ oro ». p. cit. — « Col mezzo di bolle diverse, gli concedette, per lo spazio di sei anni , sui dominii a lui soggetti, le decime dei beni ecclesiastici, che doveansi pagare alla Curia Romana, i legati, le donazioni fatte a tutte le chiese e luoghi pii, il danaro sborsato nelle mani dei vescovi in restituzione delle usure, furti e mali acquisti, le elemosine ritrovate nelle bussole poste nelle chiese in occasione delle crociate » . p. 14. — « La milizia feudale di quei dì era di tempo e di fede incerta ed eventuale..; in Piemonte non fu che sotto Emanuele Filiberto, che si ebbe milizia regolare... ». 13» GIORNALE LIGUSTIGO p. 58. — « Radunatosi questo numero d’uomini armati, dovevasi pensare al loro trasporto nella Grecia... I conti di Savoia alla metà del secolo XIV, non avevano ancora marineria » ecc. ecc. p. 59. — « Carlo IV imperatore aveva promesso ad Urbano V, che a proprie spese avrebbe provveduto al trasporto delle truppe...: non mantenne egli la sua parola, ed il trasporto restò a carico di Amedeo VI». p. 82. — « Comandava il centro dell’ armata lo stesso principe Amedeo : aveva seco il maresciallo Gaspare di Monte-maggiore: montava galere veneziane: seguivano il conte i nobili colle loro truppe. Questa seconda della parte flotta era la più forte, e pel numero e pel valore dei soldati. Formavano la retroguardia le galere di Marsiglia: essa era diretta dal signor di Basset: in questa terza parte militavano i soldati della compagnia alemanna somministrati da Galeazzo Visconti ». p. 163. — « Urbano V era il sesto pontefice che avesse continuato a tener la sede pontificia in Avignone... Quantunque Urbano dal primo momento della sua esaltazione avesse concepito il disegno di trasportare la sede pontificia a Roma, tuttavia... » ecc. ecc. p. 14. — « Radunate tutte queste forze, si doveva quindi pensare a trasportarle nella Grecia. Non ancora i conti di Savoia nel secolo XIV aveano potenza marittima, privi per conseguenza trovavansi d’ ogni marineria » ecc. ecc. p. 15.— « L’imperatore Carlo IV avea promesso ad Urbano V che provveduto avrebbe a proprie spese a quello trasporto, ma la parola imperiale falli, e il Conte Amedeo VI dovette tutto sostenersene il carico ». p. 17. — « Alla parte che componeva il centro dell’ armata , dove erano le sei galee veneziane, comandava lo stesso principe Amedeo, montato sopra di quelle : seco aveva il maresciallo Gaspare di Monte maggiore, ed era seguito dai diversi nobili coi loro militi... Il retroguardo formavano le tre galere marsigliesi capitanate dal signor di Basset, e in esso militavano i soldati della Compagnia Alemanna, somministrati da Galeazzo Visconti ». p. 27. — « Urbano V formava il sesto pontefice residente in Avignone. Sebbene egli, fin dalla sua esaltazione al pontificato, avesse a-vuto il disegno di trasferirne la sede in Roma, non potè tuttavia... » ecc. ecc. Nè alla parte narrativa delle imprese del Conte PAutore ha aggiunto nuovo lume ; nè si è di regola occupato di chiarire i nomi de’ luoghi, che Amedeo ebbe a percorrere , o delle terre da questi espugnate, se la scarsa erudizione del Datta non vi avesse già provveduto. Di Lorfenal s’è arrischiato GIORNALE LIGUSTICO 139 a notare: « forse Selimbria » (pag. 24), e ha detto male; perchè il luogo risponde al Fanarium de’ nostri documenti di Pera (Aiti Soc. Lig. st. patr., XIII), o per dirla col De Amicis (Costantinopoli, I. 55), al moderno quartiere greco del Fanar, residenza del patriarca costantinopolitano (1). Tacque altresì il nome del castello su cui Giorgio Socico , colono di Pera, andò a piantare il vessillo del Conte, benché il tesoriere Antonio Barberis lo appellasse Eveacossia e il Datta macchinalmente così ripetesse. Nondimeno il nome, rettificato in Enacosia o Ennacosia, occorre più volte nelle Historiae del Cantacuzeno (ed. Venezia, pp. 108, 246, 513); il quale fissa anche 1’ ubicazione del castello non procul Rhegio, che è quanto dire l’odierna Bujuk Cekmege. È un punto strategico di somma rilevanza; e perciò sappiamo che già Orcane lo avea scelto come uno dei luoghi d’ approdo , nella spedizione da lui allestita l’anno 1357 contro Costantinopoli. Più prestamente ci sbrigheremo della seconda parte, che si ragguarda alla pace veneto-genovese. È detto tutto, quando si noti che essa riproduce semplicemente ciò che 1’ Autore aveva scritto nella Storia dei Genovesi (vol. V, ed. 1849) e ripetuto nella Nuova Istoria della Repubblica di Genova (IV, ed. 1864). L’analisi del trattato è sempre quella desunta dal Marin; non ostante il testo del documento stampato nel Liber Jurium, e la dovizia degli atti diplomatici inseriti dal Casati nella Guerra di Chioggia. Però, laddove si recano i nomi de’ personaggi intervenuti alla proclamazione dell’ arbitrato famoso, è tutta sua la peregrina versione : « Guidone abate di S. Michele di Chiusi » — Guidone abate S. Michaelis Clusini (pag. 37). (1) Anche il Delaville le Roulx non ha inteso bene, e propone come probabile la correzione di Lorfenal in Arsenal. — Ved. La France en Orient etc., I. 153. . 140 GIORNALE LIGUSTICO Un viaggio in Etruria, mentre bastava salire alla celebre Sagra, cui sogliono cosi spesso accorrere i buoni Torinesi! Eppure Guidone di Savargia (così propriamente chiamavasi) non è un personaggio ignoto alla storia ; fu il primo abate commendatario di Chiusa, dal 1381 al 1390, e vi han monumenti che lo dimostrano esperto e fido consigliere di Amedeo. III. Da che l’istituto Storico Italiano ha fatto buon viso alla proposta di mandare alle stampe gli Annales Genuenses, secondo il Codice autentico posseduto dalla Nazionale di Parigi, sembrò opportuno al eh. Canale di far « noto quante di fatiche si durarono, quanti di ostacoli occorsero, hanno più di 29 anni, per riuscire allora nello stesso assai più difficile intento » (p. 5). Ma che dico opportuno? « La cognizione di tutto ciò, ripiglia 1’ Autore, parmi di singolare necessità, sia come norma e indirizzo, dove non lo sdegnino , dei nuovi egregi editori (che egli protesta di ignorar quali sieno) ; sia per rendere palesi gli sforzi personali di chi, da più di sei lustri, si avventurò di per sè, senza aiuto collettivo al primo cimento; sia infine per rivendicare alla propria patria, ovvero all’ illustre Genovese Municipio , il diritto di priorità della medesima generosa pubblicazione, non per colpa sua, ma per singolare cagione fallita » (p. cit.). Come vedono i lettori, non si può immaginar più nobile e disinteressato proposito ; nè io temo di correr troppo affermando che gli editori accetterebbero con gratissimo animo e la norma e 1 ’indiri^o profferti, qualora questi si trovassero in armonia colle leggi dalle quali saviamente l’istituto vuol governate le proprie pubblicazioni. Li conosco bene; ed oserei dire che de’ lor sentimenti mi porto mallevadore. Nè manco penso che essi nel mandare il disegno ad effetto, non sieno per tri- GIORNALE LIGUSTICO I4I butare il debito omaggio alla coraggiosa iniziativa del comm. Canale; essendo per fermo degno d’encomio e patriottico 1 intendimento suo di precorrere con una edizion genovese la tedesca del Pertz. Da canto mio troverei petsino lodevole la somma parsimonia dell’ illustre Autore, il quale, avendo mestieri di collazionar diligentemente un suo apografo col Codice di Parigi, sarebbesi accontentato di viver tre mesi in quella capitale colla « modesta somma di L. 5 al giorno fra vitto ed alloggio » (p. 7). È vero che la soscrizione aperta a sì fatto scopo gli rispiarmiò d’esporsi al duro cimento, perchè non giunse a 140 lire : donde l’idea di \’olgersi per aiuti al patrio Municipio, il quale da prima sovvenne con mille lire all’ impresa, e poi ne assunse tutto l’onere pecuniario con quella prontezza e liberalità, che è uso porre in ogni cosa cui si connettano l’utile e il decoro di Genova. Ottimamente il comm. Canale ha perciò proclamato a favore della nostra Civica Rappresentanza un « diritto di priorità », che d’altra parte niuno sognò mai di misconoscere o di offendere come che sia. Ma. perchè non conviene mostrarsi generosi a mezzo, così egli, entrato una volta nella via delle dichiarazioni, non si trattenne nè meno dal confessare una grande verità, anzi la più grande , come a me sembra: cioè che se la pubblicazione fallì, il mancamento va tutto imputato ad una « singolare cagione ». Oh , il grido della coscienza! Premesse queste dichiarazioni, 1’ egregio Canale passa brevemente in rassegna i tentativi che vennero sin qui fatti per dotare la storia italiana di una completa edizione degli Annales ; e naturalmente vi pone a capo quelli del Muratori. Il quale « forse se ne aprì col Governo della Ligure Repubblica per averne il Codice più completo ed esatto, che sebbene anch’esso scompleto e scorretto, dovea conservarsi nell’Archivio segreto; n’ebbe probabilmente ripulsa, e allora 142 GIORNALE LIGUSTICO dovette servirsi di quello che fu del marchese Malaspina, il peggiore di tutti » (p. 6). In fede mia che, per averci studiato « più di sei lustri », comincia maluccio. Come mai il eh. Autore scrive così dubitativamente di ciò che è risaputo in modo positivo da un buon secolo e mezzo ? Come mai ha potuto dimenticare un certo articolo, nel quale il suo « dottissimo maestro fu il (sic) cav. P. Spotorno » — ed era dottissimo davvero — facendo eco alle considerazioni del Na-pione su le conseguenze politiche derivate dal viaggio diplomatico del Muratori per l’Italia, concludeva che « dobbiamo lodare la prudenza de’ ministri della Santa Sede, della Reai Casa di Savoia e della Repubblica di Genova, se ricusarono di trasmettergli e Annali e diplomi inediti, com* egli desiderava e chiedeva » (1)? Vedasi inoltre la bella monografia del Vischi, e se ne saprà dell’ altro: per es., che « da’Genovesi il Muratori non potè nemmeno ottenere un codice per semplice uso di confronto ; onde nella prefazione al Caffaro avea poste per loro queste parole : improvida sollicitudine et politico inani metu » ; le quali poi furono omesse per l’intromissione de’ soci Palatini. E si vedrà ancora quante diligenze adoperassero 1’ Argelati ed il Sassi per lo stesso argomento, ecc. ecc. (2). (1) Nuovo Giornale Ligustico, serie II, vol. I, a. 1837, p. 5. (2) Vischi, La Società Palatina di Milano; Milano, 1880; p. 105 passim. Nè il codice Malaspina era proprio * il peggiore di tutti », benché il suo possessore lo stimasse anche più del dovere. Ecco una lettera inedita che ce ne ragguaglia, e della quale io debbo copia alla gentilezza del eh. abate Antonio Ceruti, dottore dell’Ambrosiana di Milano, ove trovasi l’originale. Sig. Dottore Bibliotecario Sassi. — Milano. Riv.m° Sig. Sig.Pron. Col.™ —Mi è sempre nota la generalità delle sue molte letterarie occupazioni ; onde persuaso del suo gentilissimo affetto, mai mi tengo pregiudicalo nel medesimo per la dilazione de’ suoi sempre grati riscontri. Ora certamente la ricconosco più del solito occupata dalla GIORNALE LIGUSTICO r43 La collazione che il Canale avea divisato di fare con quel suo apografo che ho detto, venne eseguita da lui in Parigi cura della stampa delli successivi Tomi, e dal lavoro proprio dell’illustrare Autori, e intorno all’ illustrazione fatta da altri, come vedo del Morena. Io posso essere a segno delle mie annotazioni al Ventura; ma ho due punti importanti nella fissazione determinata delle fazioni Guelfa e Gibel-lina, sì oscurate dalle contradizioni de’ scrittori, andando ancora errati tutti li Critici Moderni ; e nella prole di Aleramo I marchese del Monferrato da una figlia di Ottone I ο II Imperadore, parendomi o certamente falsa, o tanto dubbia da non potersi asserire, come si asserisce e si crede Ho di poi molti punti decisivi contro le moderne idee contrarie alli diritti dell’ Imperio, e perciò bramo sapere quanto tempo può restarmi da lavorare, tanto più che nell’ altra settimana devo andare ai feudi Imperiali della Borbera con impegno di conferenza con alcuni di quei liberi Signori. Con essi discorrerò destramente del Caffaro, mentre so che molti gustauo della di lui stampa, e se non si è permesso il di lui confronto, parmi non ve ne sia bisogno, perchè la mia data Copia è trascritta da quella del fu sig. Gio. Lucca Durazzo, creduta la migliore, e procuratami dal di lui cugino sig. Ab. Raggi, come desiderata dal sig. Rossi mio copiatore invece dell’altra che ne aveva; essendo il Rossi uomo erudito in Genova fra primi, come si loda dal sig. Muratori nelle Antichità Estensi, e come provano le di lui opere, benché frettolose fra molti disaggi della fortuna. Circa li punti storici' del sig. Filippi bramo il tempo di poterne trattare a voce, bastando però a tanto bell’ opera l’essere accertata nel suo principale oggetto dell’ Imperialità fiorentina. Il cattivo carattere farà fede della straordinaria fretta, che mi necessita di finire e dirmi con tutta stima e rispetto Tortona per Monleale, 16 Luglio 1725. Obbl.m° Cord.™0 Ser.e vero Gius. Ab. Malaspina di S. Marzano. Gian Luca Durazzo, figlio di Marcello qm. Girolamo e di Clelia Balbi, morì nella sua villa di Pino il 24 settembre 1723, come leggesi nelle deposizioni testimoniali allegate al suo testamento, dettato il giorno avanti a Gian Girolamo Carniglia (atti esistenti presso il notaio Gian Carlo Besio). L’abate Raggi, a nome Lorenzo, era figlio di Gio. Antonio ; e Giambattista fratello di lui aveva in moglie Teresa Durazzo di Agostino qm. Girolamo. Per fermo poi Γ altra copia degli Annali, onde il Malaspina fa cenno, ha de esser quella che il Muratori cita nella prefazione (p. 244) : Erat mihi ad manus et alter (codex) minime absolutus, utpote ad annum tantummodo 1209 deductus. Ed è appunto da questa copia, che egli cavò le varianti poste appiè del testo. 144 GIORNALE LIGUSTICO nella prima metà del 1839; e tosto al suo ritorno il Municipio si commise in tre illustri cittadini, acciocché ricevute dal nostro Autore tutte le necessarie informazioni, trattassero col tipografo Ferrando i patti della edizione. Rimasero questi prestamente stabiliti; e fu principalissimo quello che determinava il costo d’ogni foglio di stampa nella somma di 95 lire. Se non che « la Commissione, non ancora del tutto soddisfatta di aver bene operato, proponeva che dall’ Amministrazione Municipale si facesse domanda del Codice Parigino, mediante formale promessa di restituirlo appena P e-dizione compiuta » (p. 12). Segno evidente, che i valentuomini testé rammentati non si sentivano troppo tranquilli rispetto al valore della collazione recata da Parigi ; e lo stesso Canale con bella lealtà ce lo afferma. « Nella ipotesi di un rifiuto » la Commissione dava infatti questo suggerimento : « S’incaricherebbe persona a Parigi, versata nella storia e nella paleografia, di confrontare colla più scrupolosa attenzione, una ad una, le bo^e di stampa che successivamente gli (sic) si manderebbero, le quali verrebbero a mano a mano ritornate, con appiè la dichiarazione da essa firmata della collazione eseguita e della perfetta conformità delle stesse, da lui (sic) munite, ove duopo, delle necessarie rettificazioni con il testo manoscritto del suddetto Codice » (p. 13). La « ipotesi » del resto era perfettamente giustificata ; nè ci fu verso che il Governo francese si movesse a concedere il manoscritto. « A mio giudizio, ripiglia il Canale, due ne furono le cagioni: la prima che dopo la pace di Villafranca le relazioni amichevoli tra Γ Italia e la Francia si erano di molto rallentate e volte a singolare dispiacenza; la seconda che il signor Pertz aveva pubblicati gli stessi Annali... del Codice Parigino nei Monumenti Storici della Germania, e il volume che gli conteneva inviato alla Biblioteca della nostra Università » (p. 16). D’accordo sui fatti, ma distin- GIORNALE LIGUSTICO *45 guiamo i tempi; chè il Pertz non già nel come si potrebbe dedurre dalle espressioni allegate, bensì nel '62 diede in luce col tomo XVIII de’ Monumenta Germaniae [Scriptores] gli Annales Genuenses Cafari et continuatorum. Ed ecco le precise note tipografiche di quel volume, ed anche della tiratura a parte di cui tutti possono vedere nella Beriana una copia: hannoverae EX BIBLIOPOLIO AVLICO HAHNIANG MDCCCLXII. Or dicano i discreti: fra il *59 e ’l 62 non vi sarebbe stato tutto il tempo di mandare innanzi al Pertz 1’ opera apprestata dal chiarissimo Istoriografo genovese, se proprio non ci si fosse messa di mezzo quella benedetta « singolare cagione » ? Nè il volume de’ Monumenta pervenne all’ Universitaria con molta sollecitudine; ma tardò, nientemeno, quattro anni! Me ne assicura lo stesso Canale, così scrivendo : « Appena mi fu noto che il volume dei Monumenti Storici della Germania contenente gli Annali del Caffaro... trovavasi nella Biblioteca della Università, lo chiesi a prestito addì 16 maggio 1866, e gentilmente da quel signor rettore comm. Tardy mi fu concesso » (p. 19). Veramente « già posta si era mano alla stampa (genovese) fino dalla metà di dicembre del 1859 ; e andavasi continuando » (p. 16) per guisa da averla « condotta, col foglio diciottesimo, al 1165 degli Annali di Caffaro, quando la morte improvvisa del tipografo signor Tommaso Ferrando, le quistioni fra i suoi eredi, la dispersione vandalica di tutta questa (sic) tipografia e i gravi avvenimenti politici, ne arrestarono il corso » (p. 20). Riservando a più tardi Γ esame delle ultime affermazioni, osservo subito che la memoria ha qui servito men fedelmente Γ Autore, facendogli anticipare di un buon triennio gli inizi Gjork. Ligustico. Anno VI. io 146 GIORNALE LIGUSTICO della edizione. Difatti, scrivendo io di questa, mentre ne era tuttavia freschissimo il ricordo, notai già che i primi undici fogli, contenenti la cronichetta dei re di Gerusalemme, quella della crociata e gli annali sino al 1158, furono « impressi fra la state e l’autunno del 1862 » (1). Nè feci sbaglio; perocché non è un mistero quanto Γ egregio Editore., allora mio buon collega nell’ archivio di S. Giorgio, scriveva al Vieusseux in data di Genova 3 settembre citato anno: « Non potendo certo far il tutto da per me solo, mi ho aggiunto a compagno nel lavoro il mio amico Tommaso Belgrano » e;c. (2). Perch’io non mi taccia d’alcun particolare, dirò altresì che la lettera del eh. Canale, scambio di undici togli, accenna genericamente a « parecchi »; ed avverte che questi, oltre gli interi annali dettati da Caffaro, comprendevano « anche i successivi del suo primo continuatore Oberto Cancelliere » (3). Ma la differenza sta in ciò, che io parlai soltanto de’ fogli già stampati; invece ΓAutore si die’ pur carico di quelli onde esisteva appena la composizion tipografica. Del resto posso esser preciso fino allo scrupolo, perchè tuttavia conservo le bozze che venivano da me rivedute, e coll’appoggio delle medesime dimostrare che il lavoro fu continuato in comune sino alla pagina 146, contrassegn?ta come ultima di mano di un impiegato del Ferrando. Il che torna esattamente a fogli 18 74> e S1 estende a buona parte di quell’anno 1165, rammentato appunto dal (1) Belgrano, Degli Annali genovesi di Caffaro e de' suoi continuatori editi da Giorgio Enrico Perii, e della discendenia di quel cronista; in Archivio Storico Italiano, serie III, tomo II, parte II (a. 1865), p. 122. — Per questa recensione mi valsi di un esemplare de’ Monumenta Germaniae di cui era provveduta la doviziosa biblioteca dell’ ora fu senatore Antonio Caveri. (2) Arch. Stor. Ital., serie II, tomo XVI, parte I (a. 1862), p. 186. (3) Id„ p. 184. GIORNALE LIGUSTICO 147 eh. Canale come le colonne d’Ercole della edizione. La quale (se a taluno pigliasse mai vaghezza di saperne alcuna cosa di più) dirò ancora, che per le due cronachette fu condotta non già su la scorta de’ riscontri che il Canale avea portati con sè, ma sovra la stampa fatta poc’ anzi dall’ Ansaldo, possessore di una trascrizione più corretta (i) ; sebbene anche di lui scrivesse poscia il Pertz, che lavorò subsidio apo-graphi non satis accurati (2). Sentenza luminosamente confermata, per la nuovissima edizione De liberatione civitatum Orientis dataci con mirabile accuratezza dal conte Riant negli Historiens Occidentaux des Croisades (3). Per gli Annales invece fu giuocoforza procedere innanzi coll’ unico sussidio dell’ apografo del Canale. Frattanto 1’ egregio Autore veniva trasferito dall’ archivio di S. Giorgio ad altri onorevoli uffici (1863), e da ultimo alla presidenza della Civico-Beriana (11 settembre ’66); nè io aveva più degli Annales alcuna novella. Ma non è da pensare che egli ne mandasse allora avanti senza indugio la stampa, essendosi tutto volto a dettare « per ordine » del Ferrando quella Storia dell’ origine e grandezza italiana della Reai Casa di Savoia (due volumi in-4.0 grande, pp. xxvm-1009), che insieme all’editore-tipografo presentò dipoi alla Corte in Genova il 17 maggio del ’68 (4). Quattro giorni appresso moriva il Ferrando (5); e certo la morte di lui e le dolorose sue conseguenze, che i lettori di già conoscono per le parole del eh. (1) Atti della Società Ligure di Storia Patria, vol. I (a. 1859), p. 1-75. (2) Prefazione agli Annales, p. 10. (3) Tomo V (a. 1885), p. 41-73. (4) Cfr. Gaietta di Genova del 18 maggio ’68. (5) Cfr. il giornale Stendardo Cattolico del 23 maggio '68, che dà la notizia della morte; ed il Movimento del 24, col ragguaglio dell’ accompagnamento funebre. Ι4§ GIORNALE LIGUSTICO Storiografo (sebbene non si manifestassero così immediate al luttuoso avvenimento, come da queste parole potrebbe sembrare), sarebbero da ritenere più che sufficienti cagioni per concludere che della edizione di Caffaro non si fecero più altri discorsi. Dico che tutto ciò è verisimile; ma il fatto è questo, che essendo nella paterna officina succeduto Emilio Ferrando, il eh. Canale si rimise di gran lena all’ impresa per alcun tempo intramessa. Vi ha chi ne dubiti? Ebbene, ascolti il caso strano e se ne abbia le prove. Da pochi mesi è pervenuto alla libreria della Società storica ligure un bel volume in-4.0, coll’ antiporto GENUENSIS MONUMENTA HISTORIAE e col frontispizio seguente: ANNALES GENUENSES CAFARI E JUSQUE CONTINUATORUM AB ANNO MC. AD ANNUM MCCLXXXXIV JUSTA CODICEM SINCRONUM QUI IN BIBLIOTHECA IMPERIALI PARISIENSI ADSERVATUR ALIOSQUE INTER VETERES MAJORI DILIGENTIA CONSCRIPTOS CURATORUM URBIS IUSSU EDIDIT MICHAEL JOSEPH CANALE PARS PRIMA GENUAE EX TYPIS EMILIJ FERRANDO M D CCC LXIX. GIORNALE LIGUSTICO 149 Qui i critici sottili troverebbero da pigliar colle molle quel-l’justa messo in luogo di iuxta\ e pretenderebbeo magari di riferire a Roma quell’ urbis così assoluto. Ma io tiro dritto, chè più m’importa di descrivere il volume, composto di fogli 47 ‘/2 e di pagine numerate 380; l’ultima delle quali, in perfetta rispondenza coll’ annuncio del frontispizio , porta in calce : FINIS PRIMAE PARTIS. Comprende oltre i testi già menzionati di Caffaro e del Cancelliere, i racconti di Ottobono Scriba (1174-96), d O-gerio Pane (1197-1219) e di Marchisio Scriba (1220-24). Come mai la memoria abbia potuto giocare all egregio Canale un tiro così mancino, io non arrivo ad intendere. Eppure, lettori miei, non basta ancora; ma nuove cagioni di maraviglia ci attendono, perchè, sissignori, alla prima succedette anche la Pars Secundae,, come dice un gioiello di concordanza nel frontispizio d’un altro volume, il quale porta del pari la data del ’69 ed il nome d’ Emilio Ferrando. Esistono ambe le parti nella Biblioteca del civico Museo Pedagogico, colle indicazioni di catalogo: A. Vili. 115; e ne esiste pure un altro esemplare in luogo che Oscar lo sa, Ma noi dirà. Tanto il eh. Canale lo conosce meglio di me. Piuttosto mi affretterò ad avvertire, che la Parte Seconda rimase veramente incompleta. Perocché i fogli 41 o pagine 1-328 che la compongono, movendo dal 1225 non vanno più in là del '79, e d’Jacopo D’Oria, il quale scrisse ultimo dall’ 80 al '94, non hanno salvo che un brano del proemio (pp. 327-28), arrestandosi alle parole: Igitur in Tito Livio...., anno ab Urbe con- Γ5° GIORNALE LIGUSTICO dita DXXXIV, qui est ante nativitatem Christi per annos CCXVII1, reperitur ut infra. Questi probabilmente, rispetto alla stampa degli Annales Genuenses, i miseri avanzi di una Tipografia che ebbe già meritata ed amplissima fama; ma più che bastevoli ad ogni modo,, per chi -voglia stimar 1’ opera dell’ egregio Editore in confronto del suo « resoconto sincero » (p. 21) : — « Se la nuova edizione...... non fosse stata da impreviste e imperiose cagioni interrotta, sarebbe senza dubbio riescita... per merito d integrità, correttezza ed esattezza superiore a quella del chiarissimo sig. Giorgio Enrico Pertz » (p. cit.). Ah questo no, proprio no; ma diciamo invece ehe sarebbe riescita ad imagine e somiglianza del Pertz, dal quale chiunque potrà agevolmente vedere che a partire dal 1166 fu, senza altre cure , levata tutta o quasi tutta di peso. Intendiamoci però ancora : a imagine e somiglianza si, ma con qualche altra imperfezione di giunta, e sopra tutto con una punteggiatura più arbitraria che mai, si da turbare e confondere bene spesso il chiaro senso del testo. Che disposizione razionale di parole in questi occhi: a) OTOBONI II scribae annales — b) MARCHISII || scribae annales (parte I, pp. 217 e 345)! E che fior di bellezza, « correttezza ed esattezza » quest’altro : BARTHOLOMEJ SCRIBAE ANNALES AB ANNO M CC XV AD ANNUM M CC XXXXVIII. Dove è da notare che ben due lustri sarebbero sottratti alle narrazioni di Marchisio Scriba e del suo predecessore' Ogerio Pane, per gravarne le spalle di Bartolomeo. O , povero Bartolomeo ! Voltiamo però la carta, come nelle favole pe’ bambini, e troveremo subito la verità ristabilita: Anno Dominicae Nativitatis MCCXXV (dico 1225), indictione XII. GIORNALE LIGUSTICO Fuit in regimine civitatis Januae· nobilis Branchaleo de Bonania, etc..... Ma, che male ci sarebbe, se dicessimo Bononia? Così appunto lesse e stampò il Pertz. E pensare poi, che tutti questi spropositi sono costati 95 lire ! Perche i lettori han da sapere, che giusto il foglio nel quale cadono fu impresso due volte (1) : la prima col numero di segnatura 49 e colla paginazione 383-4°°* Per comprenderlo nella Pai s Prima; la seconda, quando sopraggiunse l’idea di distribuir l’opera in due tomi, ossia, per dirla colla corretta latinità dell’ Editore, di formare la Pars Secundae. Eppure anche in quell’ occhio disgraziato vi era qualche cosa di vero: la fine cioè degli annali di Bartolomeo Scriba segnata al 1248. Ma, lo dicevano bene gli antichi, memoria non est in potestate hominis ; e difatti il eh. Canale, giunto che fu all’anno 1248, scambio di arrestarsi, seguitò di corsa stampando fino a tutto il 1264 come si fosse trattato sempre del medesimo annalista. Ebbene, questa svista, vorrebbe forse dirmi taluno, l’avrà commessa anche il suo modello? No : ' il Pertz segnò bravamente al luogo opportuno il cambiamento, scrivendo: annales ianuenses || a. 1249-1264. Così non fu già il dotto tedesco quegli che mostrò una vocazione spiccatissima per le sconcordanze, e stampo Lan-franci Pignolis (par. II, p. 219), invece di Pignolli ; nè fu sull’ esempio d’ alcuno che l’Editor genovese , dopo di aver più volte adoperato il segnacaso dell’ ablativo, finì per ismarrirlo tra via, riducendosi a scrivere: Annales anno 1264 ad annum 126;, Annales anno i2Óy ad annum 1269 (par. II, pp. 219, 251), ecc. Sicuramente « il sig. Giorgio Enrico Pertz, non essendo nè ligure nè italiano e... non avendo egli mai viaggiato nè dimorato nella Liguria, gli (sic) tornava assai difficile di com- (1) Si veda l’esemplare del Museo Pedagogico.: 152 GIORNALE LIGUSTICO prenderne, correggerne e renderne esatta la nomenclatura » — s’ intende degli Annali — (p. 20). Ma come 1’ ha egli compresa, corretta e resa esatta il Canale, italiano e ligure? Forse scambiando il nome personale di Verde , rettamente stampato dal Pertz (p. 84) fra i quattro chiavigeri del 1170, in quello di un ufficio , e gratificandone Guglielmo Callige-palli (1)? In verità c’è da diventar verdi senz’ altro. Nè manco è scomparso dall’a. 1211 quell’ usque Cremiam montis Cucelii (par. I, p. 316), che pur venne ripetutamente segnalato per essere corretto in Crennam montis Cuchi; nè è stato emendato quello svarione tipografico, che deturpa l’intitolazione premessa dal Pertz al libro X : nicolai guercii et WILIELMI DE MURTEDO JCTORUM, HENRICI DROCI ET BONIVASSALLI ususmaris laicorum annales, a. 1267-1269. L’ esistenza di quello sproposito — jctorum — nell’ edizione tedesca, è una prova di più per dimostrare che di essa il Pertz si diè poca cura, commettendola con soverchia, fiducia ad altre mani. Ma come non se ne avvide il eh. Canale , leggendo almeno il proemio, che succede immediatamente alla intitolazione ? Placuit... potestati viros quatuor nobiles et sapientes eligere, quorum, duo fuerunt juris periti, scilicet Nicolaus Guer-cius et Guilielmus de Murtedo etc., qui super hoc opere (gli Annali) providentes scriberent etc. Correggiamo dunque noi juris consultorum (giustamente abbreviato / ctorum) e facciamola finita. Inoltre che è avvenuto mai di tutto quell’apparato di varianti — « più di un migliaio » — delle quali il eh. Autore pro- (1) Par. I, p. 188. — In causis vero existenlibus quatuor consulibus etc. Clavigeris. Lanfranco Grancio Rubaldo Boleto. Viride. Gulielmo Caligis de Palio. GIORNALE LIGUSTICO '53 clamava alto alto la « necessità » , perocché « mutano il senso, trasformano e rendono irreconoscibile il nome delle persone, dei luoghi e delle date » (p. 20)? Neppur una , a pagarla un occhio del capo ! Anzi, scomparse affatto tutte quelle riscontrate dal Pertz sul codice del Museo Britannico; scomparsa la rispondenza notata dallo stesso Pertz ira le pagine dell’ edizione ed i fogli del Codice parigino ; scomparse tutte le avvertenze di indole paleografica; scomparsi e non sostituiti gli avvertimenti di qualsivoglia altra natura. In-somma seicentosessantanove pagine di testo, chè a tante ammontano complessivamente le due parti o volumi , senza nè meno Γ ombra di una nota. Ho parlato delle varianti, giacche queste, nel concetto del eh. Canale, parrebbero la chiave di volta del suo laborioso edifìcio. Ma, in coscienza, è giusto che la maggiore esattezza dell’ edizion genovese dovesse principalmente ottenersi mediante « la notizia e il confronto di tutti i codici che po-teano non solo trovarsi nelle pubbliche e private biblioteche di Genova, ma nelle altre eziandio d’ Italia e fuori » (p. 16)? Posto in sodo che tutti i buoni codici provengono direttamente dall’ autentico della Nazionale di Parigi o dal suo duplicato sincrono (questo completo sino al 1294, salva la lacuna del foglio 136, e quello integro sino al 1287), che bisogno vi ha egli di ricorrere ai più 0 meno tardi lor derivati? E dico proprio il duplicato sincrono; perchè se questo volume, rimasto nell’Archivio segreto genovese sino a’ principi del secolo volgente, e poi trasportato a Parigi, fu lunga pezza reputato smarrito, nel 1880 lo si rinvenne presso quel ministero degli esteri. È una circostanza di sommo rilievo, che il eh. Canale mostra tuttavia d’ignorare completamente (1). (1) Prima della scoperta di questo duplicato sincrono, del quale già il conte Riant si è egregiamente giovato nella citata edizione De liberatione civ. lS4 GIORNALE LIGUSTICO Accennando in principio alle generose offerte dell’ illustre Storiografo ho lasciato comprendere che mi paiono troppo; larghe, pensando come l’Istituto Storico abbia adottato per norma indeclinabile delle sue edizioni il semplice corredo di una breve prefazione. Ma per altro verso aggiungo ora che mi sembrano troppo scarse. Egli offre infatti non più che, « i fogli 18 stampati »; ed ora tutti sanno come e dove poterne invece consultare ottantotto e me^p. I quali, a 95 lire ciascuno, ci rappresentano la bella somma di lire 9337.50. Aggiungaci il foglio ristampato (95 lire) ; e le due assegnazioni pel viaggio a Parigi (1000 lire); e quando anche non vi fossero proprio altre spese da conteggiare, si avrà un totale rispettabile di 10,432 lire e 50 centesimi. Se sieno state utilmente impiegate , lascerò volentieri che lo giudichino gli imparziali. L. T. Belgrano. SPIGOLATURE E NOTIZIE Regia Deputazione sovra gli studi di storia patria per le antiche proviti·· eie e la Lombardia. — A norma dell’ innovazione decretatasi nell’ ultima adunanza dell’ anno decorso, fu 1’ assemblea generale presieduta dal consigliere di Stato barone Domenico Carutti di Cantogno, tenuta il dì 13 corrente, alle ore 2 pom., nella città di Genova. Intervennero nell’ aula massima delle adunanze di quel Municipio (palazzo Tursi), oltre a ven-tidue dei deputati delle provincie piemontesi, liguri e lombarde, il signor assessore per l’istruzione pubblica, in assenza del sindaco, distolto da altre cure del suo ufficio, il rettore della R. Università, il R. provveditore agli studi, il presidente della Società Ligure di Storia e varii altri ragguardevoli personaggi. Or., io aveva ammessa (Arch. Stor. Ital., serie III, vol. II, p. 124), contro l’esclusione del Pertz, l’utilità de’ riscontri sulle tre copie cartacee dedotte dal duplicato medesimo, indicate dall’ Ansaldo {Atti, I. 11), ed ora dal Canale, sotto i numeri 1, 7 e 8 (p. 17). Ma la scoperta dell’ originale rende vani anche questi riscontri. GIORNALE LIGUSTICO *55 Il signor presidente apre 1’ adunanza con un applaudito discorso in cui, rammentando il còmpito che si propose sin dal principio la Regia Deputazione nella sua missione di raccogliere e presentare elementi sicuri alla storia, accenna al cammino da essa percorso nei suoi cinquantacinque anni di vita. E ringraziando Genova e la Società Ligure di Storia del-P ospitalità data a quest’ assemblea, considera la serie dei fatti, che dal-1’annessione del Genovesato al Piemonte, man mano andaronsi svolgendo ed a poco a poco iniziarono il Risorgimento italiano e la costituzione della patria comune in un corpo solo sotto una gloriosa ed onorata dinastia, che ha la certezza dell’ avvenire. Il barone Antonio Manno, altro dei segretari della Regia Deputazione, con una elaborata relazione, in parte orale, dà particolareggiata notizia al Consesso dello stato soddisfacente delle attuali pubblicazioni del Sodalizio. Accenna minutamente ai cinque volumi dei Monumenta Histotiae Patriae in corso di stampa, contenenti il primo: le Leges di Genova, il secondo: II codice diplomatico cremonese ; il terzo: gli Atti e slamenti della Sardegna, e il quarto : Il liher Poteris di Brescia. In quanto poi al Codice diplomatico della Casa di Savoia, che formerà il volume quarto Chartarum, a cui sovrintende il presidente barone Carutti, 1 assemblea delibera, udite alcune osservazioni esposte dal medesimo signor presidente, che la sua pubblicazione debba iniziarsi cominciando dall o-rigine della dinastia, e giungendo all’anno 1253 (epoca della morte di Amedeo IV). Delibera altresì che a quel volume abbia a succedere un regesto della parte sostanziale dei documenti, colla loro bibliografia, che vedrà la luce in uno dei volumi della Biblioteca Storica Italiana. Lo stesso deputato segretario presenta il volume XXV della Miscellanea di Storia Italiana, pubblicatosi di questi giorni, e che contiene lavori dei deputati Carutti, Vignati, Cipolla e Calvi; dei corrispondenti Rondo-lino e Carrard, e dei conti Saraceno e di Vesme ; ed avverte esservi già parecchi lavori all’ ordine pel volume susseguente. Similmente il medesimo accenna alle tre pubblicazioni in corso della Biblioteca Storica Italiana, di cui è imminente la pubblicazione del volume secondo delle relazioni diplomatiche della monarchia di Savoia colla Francia, cui attendono, col riferente, i deputati Ferrerò e Vayra. Un altro volume di essa biblioteca conterrà i lavori preparatorii e le memorie raccolte per la compilazione della carta topografica del Piemonte sotto la dominazione romana, affidata al deputato Ferrerò. In quanto alla bibliografia storica degli Stati della monarchia di Savoia, 156 GIORNALE LIGUSTICO che viene compilata da esso riferente, avverte essere in corso di stampa i volumi secondo e terzo. Si danno indi speciali e particolareggiate, notizie dal deputato prof. Belgrano, sul codice genovese ; dal prof. Ferrerò, sul lavoro preparatorio per la compilazione della carta topografica sovr’ accennata ; e dal prof. Cipolla, sul metodo e sul lavoro preparatorio stabilitosi dagli studiosi che coadiuveranno il presidente nell’ edizione dei documenti del Codice diplomatico sabaudo. L’ assemblea applaude all’ udire l’esposizione di così considerevole serie di lavori, che denotano 1’ operosità dei membri della Regia Deputazione. Il signor presidente ricorda in appresso con parole di sentito rammarico la morte, avvenuta nel dicembre scorso, del deputato barone Giuseppe Manuel di San Giovanni; e proclama eletti, nell’adunanza tenutasi poco prima in Comitato privato, a soci corrispondenti, in Italia, i signori ingegnere Emilio Motta, direttore del Bollettino storico della Svinerà italiana, residente a Milano ; comm. avv. Giovanni Vidari, dottore aggregato alle Facoltà di legge e filosofia dell’Università di Pavia; e sacerdote prof. Fedele Savio, residente a Torino; all’estero i signori De Maulde, direttore della Revue d’Hìstorie diplomatique a Parigi; Francesco Mugnier, presidente della Société Savoisienne d’histoire et d'archeologie a Chambéry ; e Giacomo Filippo Tamizey de Larroque, corrispondente dell’ Istituto di Francia. Il deputato segretario Gaudenzio Claretta. * * * Archivio glottologico italiano (vol. X, pag. 109-140), il dott. E. G. Parodi pubblica la parte inedita delle Rime genovesi del noto codice Mol-fino, donde erano state tratte le altre già poste in luce dal Lagomaggiore nello stesso Archivio ^vol II., pag. 164-312). Seguitano pure in questo volume le Annotazioni sistematiche del Flechia sopra le rime e le prose genovesi. ♦ * * Nella sua erudita memoria II Teatro di Milano e i canti intorno ad Orlando e Ulivieri (Arch. Stor. Lomb., 31 marzo 1887, p. 5-29), il prof. Pio Rajna riduce al loro giusto valore le espressioni di un cronista anonimo del secolo XV, sulle quali si fondaron taluni per sostenere che a Milano in pieno medio evo si rappresentassero sul teatro le gesta degli eroi di Ron-cisvalle. Risalendo alle fonti cui attinse il citato cronista, tutto si riduce GIORNALE LIGUSTICO *57 al latto che di quegli eroi si cantava semplicemente al popolo raccolto su le piazze, e non solamente nel secolo XV, ma nel XIV , nel XIII e più addietro d’assai. Di che alle copiose prove già note, ci piace aggiungere quella che si deriva dalla seconda parte delle citate Rime genovesi, (pp. 127, vv. 75 segg.), laddove il poeta dice che gli uomini presti de oir assai pu son qualche iugolar o un bufon o un malvaxe inganaor ca un veraxe pricaor. romanzi, canzon e fore, e quarche arte croye parole de Rolando e de Oriver tropo ascotan vorunter. Si noti la parola romanci, e si pensi a quello di Darete su la guerra di Troia, rammentato da Renzo d’ Alessandria, autore di una cronaca mondiale ne’ principi del Trecento, in una sua dichiarazione riferita dallo stesso Rajna. Il romanzo correva communiter gallico idi ornate, anche a brani volgarizzato ut vicis cantitetur pariter et plateis. Nè il Darete, a giudizio del dotto professore, ha da essere altra cosa che il Roman de Troie di Benoit de Sainte More. * * * Nel Fanfulla della Domenica (13 marzo), il nostro collaboratore Giovanni Sforza racconta un’avventura ai Bagni di Lucca nel 1736 , della quale furono protagoniste donna Battinetta Raggi, moglie di Francesco Brignole (poi doge nel 1742), e Margherita Boccella moglie del lucchese cav. Antonio Tegrimi. Si tratta nient’ altro che di puntigli e dispetti volgari, piacendo alla Tegrimi aver l’acqua molto riscaldata e preferendola assai fresca la sua compagna di vasca. Ma dalle querele si passò a fatti gravi, e la peggio toccò al bagnaiuolo Pierruccetti, il quale, per a-aver favorite le ragioni della Tegrimi, ebbe da’ sicari del Brignole sfregiato il viso. La nobiltà genovese cessò allora dal frequentare i Bagni di Lucca, e mise invece alla moda quelli di S. Giuliano presso Pisa. Ma 10 Sforza ha ragione, affermando che alle terme lucchesi i cittadini di Genova usarono convenire da tempo antico. Possiamo addurne a prova un decreto del 4 giugno 1492, con cui la Signoria concede a Francesco Lercaro la facoltà di restare assente dallo Stato per lo spazio di due mesi e mezzo, essendo egli accessurus ad balnea Crosene de Luca, cum Mariola uxore qm. nobilis Gregorii Lercarii socru et Baptina uxore sua (Arch. di Stato: Cod. Diversorum Cancellariae a. 1491-92, num. 146). Corsena è il più antico degli stabilimenti onde si compongono i Bagni, come abbiamo dal Repetti, Dii- geogr. ecc. della Toscana, I, 213. * * * Nel Journal de Genève del 12 marzo p. p. (édition du soir), troviamo che 11 signor Briquet, dotto autore di varie monografìe sulla storia della carta, il quale fece nel decorso anno diligenti e fruttuose ricerche nel nostro Ar- GIORNALE LIGUSTICO chivio di Stato, ha fatto a quella Società di storia e d’archeologia (tornata del 10 marzo) delle comunicazioni su questa importante materia. « M. Moïse Briquet, dice il citato giornale, a lu la partie de son travail qui concerne les papeteries génoises, fruit de recherches originales faites par lui a Gènes, notamment dms les riches archives de Γ ancienne république, véritable trésor trop peu utilisé jusqu’ici parles savants. 1! a examiné entre autres les archives notariales du milieu du XIIe au milieu XIVe siècle, comparant les papiers employés, leurs qualités, leurs formats et leurs marques, et cherchant à reconnaître ceux qui étaient d’origine indigène. Il semble résulter d’un acte de 1235 qu’à cette époque déjà il existait à Gênes des fabricants de papier ; mais jusqu’ au commencement du XIVe siècle 11 est difficile de déterminer les caractères spèciaux de la fabrique génoise. C est alors que commencent les filigranes et même, de 1307 à 1316, on trouve beaucoup de noms de fabricants. Mais cette industrie prit surtout un grand essor depuis le XVe siècle , avec Γ invention de l’imprimerie , et M. Briquet entre dans des détails très circonstanciés sur la réglementation de la fabrication du papier, de son commerce et de celui des matières premières. Il montre enfin comment, malgré tous les efforts faits par le gouvernement de la Republique pour conserver à Gênes cette source de prospérité, la concurrence étrangère a fini par lui enlever la plus grande partie de ses débouchés ». * Il cav. Giulio de Terris ha pubblicato Les èvéques de Carpentras, Elude historique (Avignon, Seguin frères, 1886). L’autore tratta nella prima parte del suo lavoro delle origini della chiesa in Carpentras, e nella seconda tesse la serie di que’ vescovi, fino al 1802; porgendo notizie particolari di ciascuno, ed arricchendo il testo con fac-simili di lapidi, disegni di monumenti, sigilli e stemmi. I lettori sanno che tra i vescovi di Carpentras si annovera il nostro Giuliano della Rovere, che fu poi Giulio li sul trono papale. AGENORE GELLI. Consuetudine di colleglli e affetto d'amici ci consigliano, coll’animo dolorosamente contristato, a porgere un modesto tributo alla memoria di Agenore Gelli. L’egregio uomo, che abbiamo veduto operosamente sollecito all’ ultimo Congresso storico di Torino, non è più. Sentiamo ancora nell’animo 1’ eco vivace delle parole calde e gentili che gli traboccarono dal cuore allorché fu vinto il partito di raccogliere nella sua Firenze il futuro Congresso. Ahimè! le liete speranze, gli studiosi propositi, dovevano pur troppo, così inopinatamente ridursi a nulla. Non credevamo invero che quel festoso arrivederci, dovesse cambiarsi per noi nell’estremo saluto. Altri parlerà degnamente di lui, a noi giovi il ricordo della sua vita troppo breve, tutta spesa negli studi. Nato in Firenze il 27 settembre 1829, appena ventenne incominciò a scrivere in quel Giornaletto che pubblicava Pietro Thouar con l’intendimento di istruire e di educare il popolo; e GIORNALE LIGUSTICO J59 quando questo assunse maggior larghezza, e tolse il titolo di Letture di famiglia, egli v’ attese con grande assiduità, e specialmente si occupò dell’ Appendice alle letture dove, oltre ad articoli originali di storia, di letteratura e singolarmente di bibliografia, stampò opportunamente annotate ed illustrate con buon discernimento parecchie importanti scritture inedite.^ Lasciando stare i non pochi articoli da lui inseriti nel giornale Il Genio, importa ricordare l’opera sua continua, intelligente, amorosa per VArchivio Storico Italiano, la cui direzione gli venne affidata dalla Deputazione di Sloria patria fino dal 1867. Egli n’era stato prima collaboratore; poi continuò a scrivervi a quando a quando rassegne bibliografiche e necrologie, o a pubblicarvi cronache e documenti nuovi; ma è sua gran lode il modo fermo e sicuro, onde fece procedere il periodico, con soddisfazione degli studiosi e di quelli che vi cooperavano. Nè questo ufficio, nè l’insegnamento della storia affidatogli fino dal 1859 assorbivano in tutto la sua operosità, chè lavorò col Giorgini e col Fanfani alla compilazione del Novo vocabolario della lingua italiana, e fu curatore assai diligente di parecchi volumi editi dal Lemonnier, dei quali basterà ricordare le Opere di Giov. Batt. Gelli, le Storie fiorentine del Nardi, le Memorie del vescovo Scipione de Ricci. Ultimamente aveva arricchita la Biblioteca popolare del Barbera d’una pregevole monografia intorno alla spedizione di Carlo Vili, e raccolte in un volume alcune delle più importanti e compiute biografie d’uomini illustri contemporanei da lui pubblicate innanzi sparsamente. Moriva in Firenze la mattina del 25 aprile. D’animo buono, di cuor generoso, di modi cortesi, seppe cattivarsi l’affetto di quanti lo conobbero ed ora ne piangono la perdita immatura, mandando una parola di consolazione e di conforto alla desolata famiglia. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. I Domenicani illustri del convento di S. Maria di Castello in Genova pel P. .Raimondo Amedeo Vigna; Sampierdarena, Vernengo, 1886. E questo un utilissimo contributo alla storia delPOrdine, come lo sono i due altri volumi, che già furono da molto tempo pubblicati dallo stesso autore, nei quali viene ampiamente divisata in ogni sua parte la storia di quella antica ed insigne Collegiata, non che della chiesa, bella di ricche e pregevolissime opere artistiche, e di illustri memorie. L’ opera presente si divide in tre parti ; nella prima vengono notati gli uomini illustri in santità; nella seconda gli illustri iu uflici e dignità ι6ο GIORNALE LIGUSTICO dentro e fuori dell’ Ordine, onde si partisce in due distinte sezioni ; nella terza quelli che si levarono in qualche fama per dottrina. All’autore parve questa la divisione più adatta, e ne dice le ragioni nella prefazione discutendo appunto il metodo di questo suo lavoro; forse non converranno tutti con lui , e noi stessi siamo del novero ; ma è gicisto riconoscere come al più grave inconveniente che presentava questa disposizione abbia riparato con un copioso ed accurato indice generale alfabetico. Quanto sarebbe tornata più opportuna e più comoda, e diciamo più piacevole, allo studioso una serie di compiute biografìe disposte in ordine cronologico , e corredate da un semplice indice alfabetico ! Tuttavia, poiché a noi sembra buono il lavoro nel suo complesso, non sottilizziamo di troppo, e giudichiamolo per quell’ utile vero e proprio che se ne può ricavare. Il quale, a nostro parere, è assai notevole, perchè le notizie sono state raccolte con molta cura da fonti sicure, ed anche alcuna volta vagliate da buona critica. Parecchi nomi di Domenicani, usciti fuori dalla volgare schiera, appariscono qui per la prima volta; siccome di altri pur noti nuove e curiose notizie ci sono palesate. Ciò che lascia non poco a desiderare, è la parte bibliografica, così in generale, come e specialmente là dove si discorre degli scrittori ; qualche maggior sollecitudine di ricerca avrebbe dato modo all’ autore di indicare con più accuratezza le opere e le scritture accennate , e di aggiunegrne altre. Per questo lato è davvero a dolere che non sia stato tenuto nelle citazioni un metodo costante, e quale si richiede dalla moderna critica, la quale, e giustamente, tiene in moltissimo conto la bibliografìa, come quella che è fondamento d’ogni opera erudita. E facciamo tanto più apertamente questo rilievo, in quanto vediamo nella prefazione la promessa di altre opere d’ ugual ragione della presente ; in ispecie quelle che debbono darci contezza della biblioteca di S. Maria di Castello e degli scrittori domenicani liguri, le quali desideriamo veder presto alla luce spoglie anche di questo difetto. Rodolfo Renier, Gaspare Visconti; Milano, Bortolotti. 1886. Intorno a questo poeta , che fu fra le più spiccate individualità della corte letteraria di Ludovico il moro, ha raccolto il Renier, con la consueta sua dottrina, quanto di più accurato e di più ampio si possa desiderare. Quel che se ne sapeva era davvero ben poco, chè nessuno aveva attinto alle pure fonti dei documenti, delle opere sue, e dei contemporanei; onde in quella povertà, inesattezze e contraddizioni non poche. Ma il nostro autore snebbia queste tenebre, restaura le torte affermazioni, e restituisce nel suo lume la verità. Le rime di Gaspare, che hanno certamente un notevole valore storico, quantunque non manchino qua e colà neppure del letterario, sono qui studiate con illuminata larghezza rispetto al poeta, al tempo, alle condizioni, all’ambiente. Ed è stata davvero non piccola fortuna l’agevolezza eh’ egli ha avuto di giovarsi del manoscritto autografo preziosissimo, che si conserva nella Trivulziana. Ma un tratto importantissimo di storia letteraria felicemente riuscito si è quello dove sono ricercate ed esposte le relazioni del Visconti con i poeti contemporanei, di ciascheduno dei quali, vuoi nel testo, vuoi nelle numerose note erudite, dà buone e per lo più recondite notizie. Basta accennare a nostro uopo quella parte non breve eh’ ei consacra al genovese Antoniotto Fregoso, che è, si può dire senza tema d’errare, quanto di meglio intorno a lui sia stato scritto fino a qui. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 161 GRAMMATICA ETRUSCA § I. La lingua etnisca appartiene al ramo ariano: è affine al sabino , osco ed umbro a lei contemporanei, le sue parole si modificano per le finali; il suo alfabeto è uguale al latino, salvochè manca di B. D. G. O. Q. e vi supplisce col P. T. U. K. Ha poi le doppie lettere: Ch, Ph o PF e Th. Nello scritto etrusco si trovano pure diversi dittonghi e varianti quali sono i seguenti : Dittonghi. ae per e come A eli Eli Laa per La - Laani Lani ai » Ie » Caile Cele (Poggi) Ph 7> F 0 H - Phaalki, Faltu, Haltu i*· » Umaile Umil PF )) F - Pflave Flave. au » li » Aule Ule. (1) PH. )) F. V. - Fepe, Vepe, Phepe. eh » ( C » Chestes Ces tes. TH. )) T. - Thana, Tanas. ' k » Churcle Kurclu The » Te E - Therini, Terini, Erini. He » e » Hele Elus Thi )) Ti - Thiti, Titi Hi » i » Hilaru llu. Thu » Tu - Thun, Tunu. hi u )) / Riuties Ruties(Poggi) )) 1/ i Uhtave Utavi \ Aisiu (Gamurrini) Ht l Uctave Lue » Le » Laetun Letun (che torna ad ae ma interfisso) Uì )) i Tuine Tine (Po^gi) (2). (1) Forse au corrispondeva in pronunzia al nostro o come il latino ausum o aurum fu per noi oro, e così suonano in o l’etrusco Aufle — Ofelio, Auclina — Oclina, Aupusla— Oppiola, Sauracte — Soratte (nome di monte). (2) Chiediamo scusa agli scrittori il nome dei quali è citato senza premessa di onore, Pei francesi una semplice M basta alla cortesia, ma fra noi la S additerebbe la santità, talché chi è costretto a frequentissime citazioni non potendo disprezzare la economia di un centinaio di parole, che ripetano il chiaro, il signore, il cavaliere, il professore, è ridotto a scrivere i nudi nomi. Giorn. Ligustico. Ann ο XVI. 11 i62 GIORNALE LIGUSTICO Varianti. A per i 0 e F » V. S M 1) M P » V. R » AR V » P. ■ ΛΙ/'santrem Elrtchsantre. Felani Velani Malvi Salvi PuMpu (Fabretti) ■ Phelcial Velcial ■ Ramta Armtha Vipinanas, Pipinanas (Fabret. iscri: 2119 e 213°)· § 2· Interpunzione, numeri, generi. Lo scritto etrusco manca di segni puntuali, solo fra le parole o fra gl’ incisi vi sono due 0 tre punti verticali come indizio divisorio, nelle iscrizioni più antiche le parole si attaccano l’una all’altra senzachè nulla ne indichi la separazione. I numeri sono due: singolare come (Jmil, plurale come Umils, alcune voci anche al più finiscono in vocale, ma il distintivo comune del numero maggiore è la S, 0 M finale (1). I generi sono tre: maschile come Tile, Cica, Turms: femminile come Tita: comune come Afuna nome di donna e di uomo. § 3. Articoli segnacasi. La lingua etrusca declinandosi per finali a rigore non abbisogna di articoli, nè di segnacasi, pure essi si trovano in altre lingue che hanno il medesimo ordinamento. Notiamo i seguenti : (1) Iscriz. 802. Fabr. I. — In un piattello: Mentili rite = Scnulio (0 forse) i Sentili con rito (dedicarono). Lan. I. 242 ikuvini ò plurale. GIORNALE LIGUSTICO I 63 ar (finale) Gori, Lanzi e Fabr. dicono che in umbro vale a, ad (asamar ad aram) essa dunque corrisponde a cum e ad latino, forma di accusativo. In etrusco vi sono infiniti in ar e voci con tal finale propria come : nar (nera fiume), lavar (lavacro), ma nelle parole : arnthar, latar, thanar bisogna vedere la spettanza a, 0 ciò che spesso equivale, le dette forme a, ad, con. L (finale). Talora è pronome , come vedremo , ma può divenire articolo per la stessa corrispondenza che passa in italiano fra egli e il, lui e lo. Lo stesso vale pei seguenti. T. Ta. Tal. Tl. Th. (prefissi), sono tutti segnacasi e articoli , i quali come invariabili si prestano a diversi casi. In molte delle nostre iscrizioni furono commentati , ma basti citare la bilingue Fabr. 1. n. 967, ove jlesnal è tradotto: Leniae filia. Tu (finale) suona dal (e dopo, per, a causa): akrutu -dal campo (Fabretti). Altre finali, che possono vedersi alle declinazioni, additano altrettanti articoli e segnacasi: fra esse è da notarsi la finale asa (diversa da sa) , la quale è pertinenza rappresentante P ablativo , come Can^nasa - Casnazia , cioè da Canzio nata. § 4- Accrescitivi, diminutivi, vezzeggiativi, intensitivi. Un, finale, pel Tarquini è accrescitivo da tradursi grosso, otte finale, e questo scrittore non s’inganna, almeno per certe parole come Lucumun, Martin, Tlamun, ma vi sono pure nomi e voci nelle quali 1’ un finale non è accrescitivo, tali sono Charun Faun, Arun, Muti, ecc. Ne è altra finale, che quando non è attenenza può formare 164 GIORNALE LIGUSTICO l’accrescitivo, giacché certo se Craoze non è Gracconio bisogna che sia Graccone, Gracco maggiore. Però la vera forma del positivo, comparativo e superlativo-trovasi nelle voci mas, mai, mais, mach, maimas. Fabr. e Gamur. avendo trovato in un dado la parola mach la tradussero uno e s’ingannarono, come appare evidente dall’etrusco vocabolo: mach streuc, ossia magistrale. Lo stesso Fabr. peraltro traduce mais - più, maimas - grandemente, di fatto anche in umbro mes, in latino magis e in ispano mas, valgono più, dunque mas , mac, mach, machs - più (o grande) : maimac , maismac -più grande: maimas - massimo , grandissimo, machstreuc-magistrale o molto atto. Corss. 2. p. 496 dice che machs vale grande, macstru più grande, macistu grandissimo : però macstru e macistu, salva la radice, sono due creazioni del· Corssen, che non si trovano in alcun monumento (1). Quanto ai diminutivi e vezzeggiativi spesso si confondono con le attenenze , perchè gli etruschi usavano di quelli per indicare la giovane prole che non aveva ancora nome proprio, così Lusl - Lusuolo , è il figlio di Luso. Sono diminutivi e attenenze le finali seguenti completate da altre registrate al § 10. Eini, ina, ini (Lanzi ind. i.a) come: da Lecu - Lescini, da Vulsu il femminile Vulsutina. Nell’iscrizione perug.3 lin. 17 si trovò acnina, la quale viene da acna (agna), onde è agnella, agnellina. (1) Per conseguenza macslrna della iscr. I.-2169. — letto macstarna, epiteto dato al re Servio Tullio, e che i traduttori interpetrarono macchiato, imbrattato, perchè vedevano origine bassa nel nome di Servio, è invece composto di due voci : macs, già detto grande, c Tarna, che in sanse, significa torello, vitello, onde Corssen 2. p. 450 traduce Tarche — Forte, potente, perciò macstarna vuol dire gran toro, gran potente , e si noti che questo mito del toro per forza e potere regio è simbolo del tutto Assiro. GIORNALE LIGUSTICO 165 II, isule, isla, o L, sono diminutivi da tradursi ilio, illa, ilio, uolo, ecc. Cafatil - Cafatillo o Cafaziolo, Cafatilio. Larthialisule — Lanziadillo , lisuolo. Papalisla - Papalilla , Lusl (sopra citato) Lusuolo piccolo Luso. Lattes vede anche in Suthil un diminutivo. Il cortese e colto Vitt. Poggi cita pure la finale ih come : Larile - Larillo , che in altra forma è pii come : ■Viplis di Vibello (Fabr.). ine. (femminile ina) da tradursi ino, come da Vipe-Vipina, -da Vulsu-Yulsutina. inus, iscus, sono pure diminutivi notati dal Fabr., insieme z Paniscus (piccolo dio Pane) e Tuscinus (umbro) Toscanino. Iscus maschile è isca al femminile. Fabr. cita Apissa diminutivo di Apia. SI, sla da tradursi islo, isla hanno esempio in Apusla — Oppiola, nufresl - Nufrosiolo. Ta, da tradursi etta, come Tutnita- Tutinetta è un vezzeggiativo corrispondente allo ispanico Annita, Rosita (Annetta Rosetta) commentato alla nostra iscriz. 188. Uli, uh e altri diminutivi vedili al § io. In etrusco vi sono pure suffissi e prefissi atti ad esprimere duplicità, reiterazione, replica e spettanza. In ChisulicM della statua l’arringatore si vide il finale al e ics di spettanza inten-sitiva quasi civilicei. Re prefisso è pure intensitivo di duplicità, onde da cuv, cup (cubare latino), si ha Rechuva - rigiace. In o ins è altro intensitivo, veduto nell’iscriz. della lampada Cortonese, in-catmato. Fabretti cita en prefisso umbro da tradursi in, ma anche l’etrusco deve avere tal forma variata pure in an, come all’iscriz. 2335 F, an Mutbi, in sepolcro, nella tomba (insepolcrato). 166 GIORNALE LIGUSTICO § 5· Sostantivi. Dei numerosissimi sostantivi spettanti alla onomastica qui non si parlerà, perchè essi nella nostra raccolta occupano un vocabolario speciale. Quanto poi alle parole etnische indicanti un sostantivo, si può in genere affermare che esse non hanno forme o finali che le distinguano dalle altre voci, di fatto : aesar - nume, divo, asa - altare, clan- tribù, cuer - fanciullo, fruntac - fulguratore (auruspice) , hister - istrione , lua - lavacro, mestle - mastello, metilene - tavole, menze, pnia - vedova, sesna- cena, spelli - spelda, tamera - tempio, tuta - città, vius - figlio, ultar - ollario, hanno finali cosi varie da escludere la classazione. Invece i sostantivi astratti sono talvolta indicati dalla finale L come acil - fattura, avil- esistenza, cuti - legame, cui - reità, colpa, ecl - eclissazione, epl - il convito, escul - mangiareccio, nèsl - sepolcrale , rii - annualità (o aprili di più anni), asii -fiammante, per aurora, sole, ma bisogna rammentare che la finale L indica pure il matronomico, la pertinenza , il pronome. Alcuni sostantivi in etrusco, come in latino, altro non sono che modi verbali divenuti parola: così da ac radice di agire venne acil - fattura , opera, da cup - covare, giacere , venne chuup e cupe, - coppo, covo, da Thu - porgere, far sacrifizio, Thugal - donario, offerta, da ses - sedere, venne serse - sede e sesna - cena (perchè vi si siede), da ree - reggere , reke -reggitore o re, da epl (eplar ?) - banchettare, eplu - banchetto, da tus - torrefare, tuse - che è arso , ossia incenso , e tusus - secco, arrostito. Si osservi altresì che i sostantivi, e così gli aggettivi, GIORNALE LIGUSTICO 167 prendono la qualità di attributivi possessivi, di spettanza quando hanno i finali registrati al § 10. Veramente colà quei finali nel maggior numero appartengono ai sostantivi onomastici, ma nei sostantivi di vocabolo comune, frequentemente è il finale al quello che indica il possesso di, la pertinenza a. Per esempio : Muthinal - sepolcrale o destinato a una tomba, Truial - spettante a Troia, Troiano, - Hinthial - che é posseduto da Cinzia-Proserpina, che è fra gli spettri, Janual — dedicata, spettante a Giano, Jupetal — gioviale, che è di Giove, Rasnal - etrusco, che spetta all’ etruria. Anche il suffisso na, quando non è avverbio (V. § 9) diventa una forma modificante del sostantivo, il quale riceve da tal finale 0 una spettanza di famiglia che troveremo al § 10 , o un modo di essere il tema del quale è indicato dalla voce prefissa al na. Il latino e l’italico hanno anch’ essi vocaboli modificati dal na suffisso : cosi Terzana è la cosa alternata per divisione di tre (terza-na) : sovrana è la stante sopra (sovra - na) alla quale corrispjnde il latino Superna (s) -super-na; questi modi comprendono anche degli aggettivi. In etrusco dunque da nac - uccidere, morire, si ha nacna , persona morta 0 che fu uccisa , da felic - prospero, ricco , felice, si avrà felcna, che è in prosperità, che si trova felice, da fie o fient - piangere , deplorare, nasce flentna stante in duolo, che è 0 che è stato in pianto. Vi sono però delle voci nelle quali il suffisso na essendo finale propria di parola non ha alcun significato, come: acna, athena, alsina, cima, culchna, escuna, meina, mena, sirna, thana. Finalmente la desinenza R sebbene sia propria d’infiniti : (thur), di attenenze (carchar), e di parole (cuer), 0 nomi (castur), in altri casi esprime sostantivi e aggettivi di qualità spesso verbali, tali sono: tatr, 0 îa/λγ-datore (iscriz. 103 sup. 1.) , tular (accoglitore dei lari), ollario. Selur - illuminatore , Fehier - conduttore , Ucrer - montanaro , mihr - ama- ι6 8 GIORNALE LIGUSTICO trice per Venere (Visconti) , apcar - calcolatore, secondo Fabretti, che cita pure l’umbro: fertur - portatore ed emantur - compratore. § 6. Aggettivi. Gli aggettivi del pari nè per desinenza, nè peraltri segni nulla hanno che valga di norma ad aggrupparli in una classe speciale: ecco alcuni aggettivi: Alfa, alth, celer, eperthne, felic, helu, lane, laucmev, machs, minethn, nicethu, ruife (femm. rufra), sei (plurale seles), streuCj tarils. — Molti aggettivi hanno forma di pertinenza, come da eie - gloria , clenf^i - glorioso , che è nella grande iscrizione perugina e in quella dell’ arringatore. Altri sono assoluti come Alfa- albo, bianco, felic - felice, prospeio , ruife - fulvo. Per passare dall’aggettivo al vocabolo astratto la modalità non fu da alcuno segnalata, pure da felic, felca, o feheas sarà la prosperità : eisneuce varrà unicità, da eisneuc, che Fabretti traduce unico , questo scrittore cita ancora falae - cielo, altezza e falanium - altitudine : Vécu - vittoria e Vccue - vincitore , Her - volere ed Herinties -volontari. Da ciò si vede che come nel latino felice è felix-icis , felicita - felicitas-atis, così nell’ etrusco la voce aggettiva si declina con le stesse regole del nome e dovrà mettersi nel caso medesimo del vocabolo, il quale la regge, ogni volta che non sia in forma di attenenza. Cosi nella succitata iscriz. perugina si trova: arap\ pera^\, nell’arringatore vi è la concordanza plurale Tuthinety| Chisulichf^, nella iscrizione 266. I. (1) arianas’ ana^nies’, e altre che ometteremo, (1) Questa volta per sempre occorre dichiarare, che quando si trova citata un’iscrizione pel numero senza indicare l’opera da cui è tolta, s’intende eh’ ella appartenga alla collezione Fabretti GIORNALE LIGUSTICO 169 perchè questa delle corcondanze è una questione complessa, la quale per essere svolta con sicurezza esige studi speciali su traduzioni accertate (1). Diverse sono le classi a cui spettano gli aggettivi, cioè di comparazione già veduti al § 4, di possesso come mio, o di dimostrazione come cotesto, e questi appartengono ai pronomi § 7 , di qualità 0 epiteto come elvina - bionda (Fabr.) e siffatto epiteto di Cerere unito al nome proprio è aggettivo, solo, diventa onomastico e però torna fra i sostantivi ; di qualità indefinita come ogni, nessuno, tutti, molti, altri, parecchi, taluno, qualunque, chicchesia e questi ritornano alle voci o comuni o astratte già vedute : di spettanza come Lupercal, Truial e di queste oltre il detto al § 5. parleremo in modo speciale al § 10; avverbiali come da rite (rito) riter - ritualmente, o da lein leine, che secondo Fabretti può valere lievemente ; in fine numerali, come uno, primo; due, duplo, secondo, e di questi ultimi daremo un saggio nella forma etrusca accolta da noi, la quale in gran parte è presa dai monumenti 0 da altri scrittori. (1) Ecco alcuni esempi nei quali la concordanza sembra dubbia. Iscriz. 2223, che è un ticolo sepolcrale di Vulci — Puiarusana Lisinusias = Moglie Rossana Lisinusia, cioè di Lisinio, ma una volta che invece del genitivo fu usata 1’ attenenza, pareva che dovesse finire in ^4sia, giacché Lisina-sia è un maschile con finale femminile. Alla iscriz. 2^89 un vaso ha la scritta : Su Vi Ciru = Sono di Vibio Ciro — ma Ciru non è certo un genitivo, benché esso fosse conseguenza necessaria del — sono. Alla iscriz. 283 linea 11, è scritto : Pfave Setra timi = Favio di Setra figlio — però per dire di Setra doveva essere scritto setnzs; e qui invece si trova un nominativo che discorda con figlio. Queste discordanze sono non tanto rare, ma basti per adesso averne dato un cenno. • • ’G ο o «M Τ3 a • • O o • e , O _ 3 u 3 V 4J •5 *» Enti, a ce cr sei QJ otto nove f«f, di c 3 Lrt 3 c CO 3 cr 'G ί sf VJ vT *•4 »-Γ « del Pari ' stoilm siccome, oltre a ciò, del pari, così di nuovo, Hut Hnth) ancora> un’altra volta — iscr. perug. 16 — Huìhs ) Velthina hut - Veltinio come — iscr. 437 sup. I. \ — avils hiiths - vive di nuovo. ich. ... là, colà, ivi, in quel luogo, e abbia (Fabr. vale haheat) — iscr. per. 2. 20 — ich ca - abbia questa. inte . . . fra, tra, durante il, in quel tempo — iscr. perug. 18 — inte mamer - durante marzo. na ... . (attenenza, atto a, e vai pure) sta, 0 è qui, la sede, la presenza, la cosa fatta, e di presente, ora, adesso — iscr. 2095, c. — muthi na - la morte è qui — iscr. 2297 — flentna - fatto il pianto. nu .... forma di na, ora, oggi, adesso — iscr. 12 — navi nu- porta ora, adesso sostiene. nupp ... già prima, poco fa, da ultimo, di recente, nuovamente (nuper) — iscr. 1. sup. 1. — Upp nupp — dopo 1’ ultimo. r.....(finale), sebbene proprio di parole e d’infiniti, pure talvolta fa la voce avverbiale come rither - ritualmente. Uch, o Vch questa cosa, ciò, cotesto (Conestabile, iscr. etrus. lat. p. 170). GIORNALE LIGUSTICO I?? Up, Upa ( Presso> qu>, oltre, verso, per, per causa, dopo, Upi, Upp j sotto e S0Pra (Vedi a nupp-Upp-nupp) — iscr. f 2140 — Up = les- dopo i lai. Vch ... V. Uch. § IO. Attenenze. Tutte le lingue latine hanno delle voci di spettanza, ma nessuna come 1’ etnisca ne usa con tanta frequenza, in specie nella onomastica, escludendo la forma declinativa ; cosili latino, l’ispano, F italico per esprimere la paternità· nei nomi, modificherà il finale 0 userà il segnacaso, l’etrusco invece scrive: Purnei, Larthial e con questo Purneia, Larziala, intende dire che spetta a Purno, a Larzia, in tal modo con forme varie, ma tutte di pertinenza, enumerando altri nomi gentilizi, nuziali, di tribù. Quest’uso tanto frequente delle attenenze rese difficile distinguere da esse le finali declinative, talché è adesso necessario far conoscere la serie delle principali desinenze di spettanza. Finale etrusco ac 0 c . . ace .... ae..... ai . aia Giorh. Ligustico. Anno XVI. Italico aceo, esco. — Muthic mortaceo, della morte : Puiac, vetrovesca spettante a vedova. acia, ecia. — Asniace Annecia, Macrace Macracia. ia, ao, oo. — Caphmae Cammia, Vilae Vilao, Acblae Acheloo, (non sempre è spettanza , V. eae). aio, ia. — Ramthai Arunziaia, Spurenai Spuranw. aia, eia, ia. — Turchimenaia Turcumenia, Lei-feifaia Liviaia, Canaia Cananeia (forma dativa). 178 GIORNALE LIGUSTICO Finale etrusco aina. aini. al . . aie. . al eh . aie. . als. . alus . am . (ima . amia, an. . Italico iana. — Pupaina Pupiana, spettante a Pupo. ani e ania. — Sautlaini Sulliani e Sulliania, di Siila o Sullo. ale. — Lavisal Lavisale, 0 prole a Lavisa, Lupercal spettante al dio Pane (V. cal e nota 1). aldo. — Acnatrualc Agnatroalcio (di Agna Troa-prole). Rufialc Rufialcea o prole a Rufia. akio, esco. — Pumplialch Pompilialesco o da Pompilia venuto. aleo ale. — Atale Aziale, spettante ad Azia (Vedi la-le. ale, ali.·— Hathlials Aziali o Azialiali. aleo (e declinazione). Fabr. p. 2 supp. 2. Than-chuillus Titialus (Tanaquillo Tizialeo). arnio. — Lartiam Larziamio (e Larzia accusativo, forse Lartam). amia, inia. — Cauliama Caulinnia o Caulamia. V. pure mia. ana (e urne, 0 spettanza: che ha) Larthian Lar-ziano = ana. Puan, marciume o piaga che ha. Questo finale an, ean può valere il ge- (1) Mentre vi sono in etrusco tante voci ignote 0 mal note die offrono utile campo allo studio, vi è chi si compiace di porre in dubbio quelle la cui versione era generalmente accolta. Cosi sa non varebbe moglie nè al matronomico. Certo al, alus, ah, etrusco latino e italiano sono pertinenze e però ogni spetanza loro conviene, ma intanto da 3 iscrizioni bilingui, Fabr. 792, 794 e 1496 si ha: Casatial, Vantai, Cainal, tutte nella versione contemporanea tradotte al matronomico. Sa del pari esprimendo, con , insieme, parente non sempre sarà moglie, ma lo è nel più gran numero dei casi, perchè Tetinasa, o sua, di Tetina, suona moglie, e in sanse, sa vale con onde con , tetina suona moglie. GIORNALE LIGUSTICO I79 Finale etrusco ana .... ane .... ani .... ar..... ar, arti . . as..... asa . . . . asc ... . asi, asia. . asl..... at..... afe, ates. . Italico nitivo come da cis irlandese tributo, cisean, del tributo. ania, ana. — Civesana attenente ai Civii o Ci-vesana (V. anche Rana), ano, ana — Trepìane Trebolano (di Trebola) iueskane Giovescana (Tribù dei Giovii). ania. — Aelavenani, Elia Venania. ario, rea. — Iscriz. 1657 Larthinar Lartinario, .Carchar Carcarea, di Carco, giacché tal finale è anche un genitivo in: tutar della città, serfer dal servo, parole umbro-osche. Cosi nella iscriz. 343 si ha Ralinga Urinatiar rii 49 qui il 2. nome è Urinaziaria, o di Urinazio (figlia). aro, ario. — Hilar Hilaru Ilario (da Ilare) achuisl(z)r, aquilario (vento aquilone). asio, asia (e declinazione). — Aplunias Apol-lonasia, e genitivo. Pasini cita Larinas (Cicerone) Larinate e di Larino. V. § 3. acio, esco. — Matnlnasc matulnesco, coi matulni, strumentale. Italico, da fante, fantesca, asio, asia — Tethasi Tetasia, spettante a Tezio Crispinasias attenenza asi e as genitivo (di Crispinasió). sìea, eia. — Papsinaf^l Papinaslm (ο 1 eo). afe, a%io. — Thprtnat Tebronafe o a%io. ale, azio e coniugazione. — Pruiales Prusazio e di Pruso, Mehenate dovè essere attenenza poi nome proprio Mecenate. ι8ο GIORNALE LIGUSTICO Finale etrusco ali..... ave .... ....... cal..... chine. . . . chu .... chua. . . . chum . . . ci..... clu .... cu..... e...... ea..... eae .... eal..... ean . . . . ec, eca. . . Italico a%io, asio. — Sentinati Sentinazio e spettante a Sentino, nome e paese. (V. natis) avio (e avo non attenenza) L-thave, L-Tavio, o forse Ottavio. Aredi, ac, aie, a se, ec, uc, eie cea, aìcea. — Due spettanze ac, uc, eie ed al — Ruprucal Rossaceale, ossia prole (al) di Rossa-cea (V. Tial). cumio. — Lauchme Lucumio (V. Chum). ceo. — (Spesso non ha spettanza, ma Γ ha). Sentialchu Sensialceo, attenente a Sensia. acea, essa. — Marunuchua maronessa, maronica, maronacea (’marone, dignità antica). cumio e declinazione. — Silachum Silacuraio e accusativo (V. chine) ciò, eia. — Nuici Novizia-icia. Peteei Peticio. cilio — Lautchlu Laucilio (o Laudo, allora non attenenza). V. chu chua, forme equivalenti. V. ae, ne, ie, ec. — Poche volte è attenenza come Tite femminile cioè Titea, ma non l’è Vile Vilao. eia, ia, ea. — Phulefea Fulviea. ia, eia. — (variante di ae) Lepireae Lepiria o Lepireia. variante di al — iscr. 309 (b), supp. 3. Tunieal Turneale, 0 prole a Turna. Vedi an. ecio, icia. — TiasecThsecìo,HetnecEmeào-cia. Non è spettanza in Lee, Lacca, Leco 0 Laco,eLeca. GIORNALE LIGUSTICO 181 Finale etrusco Italico eoe. . . . ei ... . eie. .· . . eie. . . . «Μ, «Μ*. en ... . ena enas ene er . esa esi esi. etba F . ia, na ieio. — Pupleee Publicio, derivazione da Publio. eio, eia. — Anearnei Ancarneia (da Ancario). Vermig. iscr. perug. Allinei Aulinnia. eio — Seianeie Seianeio (da Seiano). ieio. — Atusneie Attonicio. esto, esi. — Atranef^i Atranesio, Tite[/\i Titesi. (V. anche Inni). ' enio, ino. — Feulten Veltenio , Apemeen Perugino (Perugenio). ana. — Cusperiena Gasperiana (Vedi nana). spettanza suddetta, più genitivo — Finueenas, di Vinucena (nome venuto da Vinucio). enio. — Fesene o Vesene Vesenio. Vedi ar. ese, afe. — Carpnatesa Carpenate, Carpenatese (e moglie di). V. fM*. Vedi si diminutivo. Fabr.-Glossa cita |v\uthinesl luculo (in senso sepolcrale). e^ja. — Luseenetha, Lucenezia. fio, fica. — Upif opifica, spettante a Opi (i). ia, eia. — Larlhiia Larzia. Vepia Febeia (vedi uia). In Valeria: 2, p. 225, si trova la iscrizione : Larthia Umria pitia, Larcia moglie Ombria, cioè di Ombrio, onde tal finale è (1) Corss. e Fabr. notano finali in P e in F, come proprie dell’accusativo plurale umbro, esse desinenze in etrusco sono rare e più che altro onomastiche, ma possono anche essere imitazione o importazione umbra col valore medesimo. i82 GIORNALE LIGUSTICO Finale etrusco ial..... iae..... ias..... ic..... ìcM .... ie..... Hs .... ina .... init inia. . isca .... isla .... ista .... isnle. . . . ita..... ite ..... Italico * di spettanza ma genitiva, e anche Larda, Febeia, suonano : di Larcio, di Febo. Vedi al e tial. Alla nostra iscriz. 86 si notò che al è matronomico, ial, forse, patronomico. aia. — Veivae, Veivaia (a Veivo, o di Velo, prole), attenenza di forma dativa o genitiva. Vedi sias. ido, ado. — Larthic Larziacio, Chisulic(M') , plurale, Civilicei. id, icei. — Vedi sopra, e Atinimici Adomici, ossia degli Adoni. Vedi eie, aie. Vedi, icf/\. ina. — Fulsutina Volsutina (da Volsio. V. diminutivi § 4). ina, eia — Aneinia Anneia o Anneinia, V. ani, aini. isia, isca. — Lartalisca Lartalisia, cioè donna Larziale, e anche piccola Larzia (V. § 4, diminutivo). isuola. — Attenenza patronomica e diminutivo. Vedi si, sle, isule. ista. — Far o Varnalista Varnalista (Varnale e ista, 2 attenenze, come il nostro criminal-ista). isuolo, ilio. — Attenenza e diminutivo, Larthialisule Larzialisuolo o Larziadillo. etta. — Tulnita, Tunnetta, diminutivo e attenenza patronomica. etto, ilio. — Ancarite, Ancarietto o Ancanizio, diminutivo e attenenza come sopra. GIORNALE LIGUSTICO Finale etrusco itie .... iup .... la, le .. . li..... lie..... Ium. .... lupu. . . . lus .... m..... Maim. . . me .... mele. . . . mia .... mia .... n, na . . . nal .... nam. . . . nana, nanal nas .... Italico V. Tie. Vedi. Up. le, leo. — Erclale, Ercoleo ; non è attenenza : Hercla, Hercle Ercole. (V. Ale), lio, li. — Iscr. 1-802 Menuli rile (è in un piattello) Senulio, o forse i Senuli con rito (donano). alio. — Cainilie Cainalio, viene da Caino col patronomico al, io. lumio. — Arnathilum Arnazialumio , o forse Ar-natillo accusativo. lupio. — Crapilupu Crapilupio, viene da Crapilu Carbilio 0 Crapilo. Vedi Alus. Vedi Ium, nam, saim um. Vedi Saim mio. — Lauchme Locumio. miolo — Lautnemele Lautemiolo. V. mia, am-. bedue vezzeggiativi. amia. — Felsinamia Velsinamia. miola. — Ulemla Aulendola. Vedi mele, nio, nia. — Setren Setrenio, Velecna Velciana (0 Velcz’wa, allora diminutivo V. ina), naie, ana. — Atunatnal Adonataie, o Adoniatana spettante ad Adonato. namio e accusativo. — Velthinam Veltinamio. niana, naie. — Ceinanal Cinnanale. Papuana, Pompiniana (V. ena e na). nasio, enio, e declinazione. — Pulenas Pollenio e di Pollena. GIORNALE LIGUSTICO Finale etrusco nasa. . . . nalis. . . . ne..... nei .... nena. . . . ni, nia . . I nui . ... , P..... pes, pei. . R..... SCI..... saim. . . . sc..... sias .... si..... sle..... sue .... Italico asia, e moglie. — Rathumsnasa Ratumenasia e sposa Ratumena. niate o niati. — Carcuniatis Carconiate, cioè genitivo di Carconio o Carconiati, plurale. (Vedi Tis). nia. — Freine Prilnia (Conestabile). nia, nesi e declinazione. — Resiumnei Restonia. Velcsnei Velcinesi. Vedi ei. nenia. — Etrusnena Etrusnenia, o spettante a Etrusa gente. ί F uhi Fullonia , Erinania Erenniana , nio, nia J Vr. ami, ani. ( TutnuiTutinio e Tutinia. pio, fio. — Juliiup Giuliufio. Vedi F, sua nota, e up. peo, pice. — Parthanapes Partenopeo , Harispe^ Auruspice. (Talora anziché spettanza è genitivo, o finale proprio). Vedi ar. sua, moglie. — Vedi nota ad al. moglie e a nia. — Cesuap/\aim sposa Cesua e Cesuasamia. Vedi use. asia. — Crispiniasias Crispinasia. siolo e per il. — Nufresl Nufresiolo (diminutivo). Selvansl per Silvano (V. esl, usi), iolo. — Rathsle Raziolo. Questi diminutivi sono attenenze perchè, in etrusco, additano il giovane figlio, snio, senia. — Vursne Vorsenio. GIORNALE LIGUSTICO 185 Finale etrusco Italico st..... Vedi ust. Te..... Vedi ate. Tha, Thii etta, zja. --- Laulhnitha Launnetta, Cisarthii Cisarzia. Tial. . . . ale e prole. --- Felcinalial Velcinaziale, 0 prole Velcinazia. Tie .... ψο, icia. --- Herinilie Erinicio-i^io. Tis .... Vedi natis. Tla. . . . iella, illa (diminutivo). --- Calumila Gallustella (prole Galla 0 Calla). uc..... ocia, ucio. --- Laesuc Lesucia. ui..... uia, anio --- Trepuniamui Treboniania-anio, 0 Trehonianuio. uia .... oia, asia. --- Setitia Setasia 0 Setoia, deriva da Seto. ula ... . uli, oli, diminutivi. --- Menidi Senuli (0 Senulia). ule, uli . . Vedi isule. ulm, um . uinio, ulmo. --- Amarulm Amarulmio. È pure accusativo: Vedi chum, lum. ume, u\Ae. umio, asio. --- Haretu^e Aretusio. un, una. . one, onia, onio. --- 11 primo è finale proprio. Laelnn Latona , Ichsium Issione. È attenenza Lautun Lautinio. Senna Seionia. Nuphrun, \ Nufronio. une .... onia. --- Ferirne· Feronia. Pelrime Petronio. uni .... onia e per le. --- Petruni Petronia. Lapuni Sab- bronia, 0 per le labbra, destinata alla bocca. unia. . . . onia, ea. --- Resthiunia Rostonia. Amatutunia Amatuntea up..... ofio, opeo, --- Parthenup Partenopeo. V. P. GIORNALE LIGUSTICO Finale etrusco use .... usi ... . USt ί . . . vi..... Italico esco. — Thanaclmilusc Tanaquillesco. uslo, lino (diminuì.). — Causi Causlo. V. si, sle. ineo. — Apulust Apollineo (Apollusteo). Vedi ui. § li. Modi declinativi. Ignoto era il numero delle declinazioni etnische ; incerte le forme, però di queste ultime si trovano dei saggi in diversi scrittori. Più esplicito il Corssen, nel Voi. 2° della sua opera sugli etruschi, propose di distinguere dalle finali a, ia, te, o, to, i, u, e consonante, altrettante declinazioni. Questa divisione però sembrò al tutto arbitraria e di fatto, omettendo ogn’ altra considerazione, basti osservare che le declinazioni in a, ia, i tornano ad A, giacché l’esempio di Titia addotto dal Corrs. non è che Titi scritto completo, ambedue attenenze di Tiia: del pari ie torna ad E, come o, io sono u, tu etruschi, ossia forme di u. La divisione suddetta è dunque senza dubbio errata. Nulladimeno sembrò a chi scrive che vi fosse un modo razionale capace di togliere le incertezze su questo tema, dacché in diversi monumenti, e negli specchi singolarmente, gli etruschi rappresentavano figure di eroi, di geni, di numi, e sotto esse ponevano il nudo lor nome. Ora è evidente che un nome isolato e senza seguito di altre parole non può esprimere che il caso retto, ossia il nominativo singolare , ed è evidente altresì che facendo una raccolta di questi nomi non solo verremo ad accertare la serie dei nominativi singolari, ma di più classandoli a seconda del loro GIORNALE LIGUSTICO finale otterremo in modo sicuro il numero e la forma delle declinazioni etnische. Ecco un saggio della scelta proposta : I· Finale in A. Aratha Pentasila Hinthia Merva M.irishalna Marishusrnana Clutmsta Amatutunià Matia Zirna T usua Calna Athena. 2. Finale in E. Vilae Fnfluns Ar ch as se \Eiasun Euterpe Aìnmth Urste Caslurì Puluctre Eris Perse Aivas Uthu^e Acns Achle. Priumnes 3. Finale in U. US. Alpnu Thamu Fabretti. Charu o Charmi Culp\u . Tarsu Tipanu Erus Tlamunus Nethunus o Nethuns. 4. Finale Umìl Vanth Thesan Turati Leinth in consonante. Turms Rutapis Fanti Sleparis Arati Ter asiani Atunis Meati Munthch A!pan Achuislr Thanr. 188 GIORNALE LIGUSTICO Come conviene alla lingua etrusca non al tutto dolce, le finali in consonante sono le più , benché alcune siano forse abbreviazioni, tale è Castur (Casture) la quale tornerebbe in E, ma infine non potendosi per ora decidere se questa ultima classe sia unica o capace di suddivisione, almeno si può dire con certezza che 4 sono le declinazioni etnische: in A, in E, in U o US e in consonante. Tutte queste declinazioni sono di genere comune; nel finale a predomina il femminile, ma ha pure nomi maschili come: Aratha, Velthina, Afuna, Papa. Nel finale e già qui sopra fu citata Euturpe, ossia Euterpe musa, e in Fabr. I.-iscr. 511 si ha un ossario con donna giacente e la scritta : VI Tile Svesi se Cusithial, ora Ti te (Tito) qui è la donna Velia Titea Svesia. Nel finale u si trova Aìpnu , che forse è Alfea (Diana), e Culsu, una specie di furia 0 di genio alato con la face, il cui sesso è femminile; nella quarta classe, consonante, si ha Vanth dea letale 0 parca, Thesan Aurora, Turan Venere, Eris Giunone. In fine bisogna dichiarare che la lingua etrusca essendo stata scritta (ma poco scritta) alcuni secoli dopoché era parlata, conservò più finali 0 varianti per lo stesso caso, come il succitato Charu, Charun pel nominativo e altri che vedremo ai paragrafi seguenti. § 12. Casi di declinazione. Stabilito in tal modo il numero delle declinazioni e il loro nominativo singolare, occorre parlare degli altri casi, in questa seconda indagine tenendo conto di altri studi e di quelli in specie del Corssen, il quale con senno, attinse confronti fra 1’ etrusco e Γ osco-egubino , lingue certamente affini perchè italiche, coeve, ordinate similmente. Facile è segnalare il ge- GIORNALE LIGUSTICO 189 nitivo dacché molti scrittori di cose etnische concordarono nell’ ammettere che le finali as, es, us, rappresentano tal caso, onde Atenas (di Minerva) sarà il genitivo di declinaz. in A; Achles (di Achille) varrà pei finali in E; Erus (di Amore) sarà il genitivo delle voci in u, ns e queste ultime hanno il secondo caso uguale al primo. Tuttavia esistono eccezioni. Tali sono quelle di attenenza già vedute al § 10 , poi nelle declinazioni in consonante si ha un ritorno a una delle tre antedette , onde il genitivo di Castur sarà Castures, ma da Nethuns dubitiamo se possa farsi Nethunses. Talché in questo 0 in simili casi il genitivo sarà i, is, ies, us, ecc. di fatto nella iscriz. 259-1 — un raschiatoio ha Serturies — di Sertorio, e Verm. cita Sertur — Sertorio. Del finale i, che è una forma speciale, si farà uno studio a parte nel § 17 , pure a proposito dei finali in discorso già da ora si noti che Fabretti traduce l’osco Tereis della terra, Kastrikiieis di Castricio, Pruni - sa Fruginii uxor, Laris genitivo di Lars pre-nome, Nari di Nario. Ma la lingua etrusca, poco regolare, ha tante varianti, che bisognerà appagarsi di prender nota delle principali (1). Pel dativo oltre la pertinenza al che vi corrisponde, vi sono le speciali desinenze ei, ai, ae, ui, citate anche dal Corssen, e siccome queste si risolvono in a, e. u, essi pure sono modi del dativo, il quale sciolto il dittongo torna alla desinenza del nominativo. Quanto ad al, è certo che per esempio Afunal può tradursi: prole di, 0 figlio a, 0 nato da Afuna, che sono tre diversi casi, ma il letterale Afunale indica, spettante ad Afuna, ossia un dativo. (i) Chi traduce dall’etrusco talora vedrà un nome proprio seguito da parola ambedue con finale del genitivo, talché si trova imbarazzato perchè il senso non corre, allora è duopo tradurre il nome non col segnacaso di ma come variante del nominativo 0 come attenenza : Velthinas Veltina 0 Veltin/o, Caines Cainio. 190 GIORNALE LIGUSTICO L’ accusativo come nel latino ha la finale in um, secondo il Corssen e il Fabretti, e pei citati scrittori le desinenze delPablativo sono, in a (0 as), e, u, us, cioè ritornano quasi sempre al caso retto delle diverse declinazioni. Circa al femminile, già si disse che tutte le declinazioni sono di genere comune, nondimeno nelle finali a, as, ai, am, e i abbreviazione di ia, da, predomina il femminile. Quanto poi alle forme declinative del plurale in qualche raro caso ci siamo scostati dagli scrittori antedetti. Difatto nell osco pressoché sempre, frequentemente nel latino e nel-1 umbro il plurale è costituito dalla s finale ; salvo dunque taluna eccezione come il genitivo plurale in m o um alla romana accolto dal Fabr. dal Lanzi e dal Corss. le desinenze in s e i (is, ais, ies, uis, nelle quali 1’/ è interfisso) sebbene abbiano qualche imitazione nel singolare formano il numero più tanto al mascolino che al femminile. Alla iscriz. perug. lin. 11, si ha: Larthals’ Afunes’, i Larziali Afoni. Cosi se Atunis-rum pel Lanzi è Attiniarum, Atuni 0 Atunis, bisogna che sia il nominativo plurale. I seguenti esempi pratici delle 4 coniugazioni suddette, avvalorate da qualche confronto renderanno più chiare le cose suesposte. § Γ3· Forme declinative. Declinazione in A. (per eccezione in as) Nome — Afonio : maschile e femminile. Sing. nom. Afun, Afuna, Afunaa (Afunas V. nota 1, p. seg.). — Verm. iscr. perug. Aphun Afun, Afonio. GIORNALE LIGUSTICO I9I Sin g. gen. Afunas, ni (V. § 17), Afunes. — Lanzi F eh a\s\, Veliae (1). dati. A funai, nei (2), Afune, Afuna (ae femmin.) ? — Fluusai Huusai, dativo singolare (Fabret.). acc. Afunam. — Lanzi, ufeperaknem, ovem annuam. — Corss. Aram accusat, ablat. Afuna,naa. —Lanzi I, p.235 Varnalisla, Varianatus. Plur. nom. Afunas, nis, nes, — Fabr. Urtas nom. plur. gen. Afunias, Afunum. — Corss. Abellanam degli Abellani. — Lanzi, Atunisrum Attiniarum, dati. Afunais, neis, nas. — Lanzi I, p. 237, ChusaiM libationibus. Lat. Musis. Fabr. fluusasiais dat. plur. acc. Afunas. AfuneM, nams. Aupenams di Vermig. ere-desi tal caso. — Lanzi Famerias familias, ablat. Afunas, is, Afunasa (V. § 3 in fine), lat. Musis. Parola — asa, ara : altare, focolare. Tana. Poggi Flae, Flavius. Tanas. Fabr. asas, Sing. nom. asa, asae, asas gen. asi, asas .... dat. asai, asae, asa . acc. asam, asama Corssen Tanaosco Voi. 2 p. 445. ablat. asa asae, osco, arae. Tanai. Fabr. ase lat. arae, fluusai dat. sing. Tanam. Fab. Glos. asama ad aram. Corss. ulam-ìama accus. Tanad. Lanz. 2,249. Papa, Papia natus. (1) Che non sempre le finali as, es, us, sono del genitivo sopra si disse, ma giova ancor notare che nella iscr. 1-69, bilingue Cafates è tradotto Cafatius. Del pari i nomi di origine greca, secondo il Lattes (Istit. Lombar. 1870, 11, 2), finiscono in s. — Vedi la nota seguente. (2) In qualche caso ai, ei, sono del genitivo. Fabr. e Cors. — Flusai di Flora. — Lanzi Comeniai Cominiae, nondimeno più spesso indicano il dativo. Vedi questo caso alla declinazione seguente con esempio osco. 192 GIORNALE LIGUSTICO Plur. nom. asas, ases . . . . \ I Eituas. gen. ases, asum . ... j Corssen L Eituarum. dat. asais, as-.es. . . . f Eituas osco] Eituais. acc. ases, asas, asames. [ Voi. 2, ] Eituas. Fab. aras, \ p. 441. I accus. plur. abl. asai, asais . ... ) \ Eituais. Appartengono a tale declinazione i nomi : Aletna Cicunia ? Merva Pfuluna Tetina Velsuna? Albina Evna Marina Pur sua Una Vensa Ascia Fuluna Musclena Pulena Umrana Vipina. Aratha Hinthia Numena Pulfna Varna Arica Larcna P entas ila Rusina Velimna Cansna Marena Pesna Sescatena Velthina E le parole : asa etera nica luta vaia es cuna ipa siva thana ecc. esta pika tlmra ula Alcune voci che si trovano scritte con finali vari come : Achia Ade, Euturpa Euturpe, Capire Kapiru, potranno forse modificarsi con le forme di ambedue le declinazioni. § 14· Declinazione in E. (per eccezione in ES) Nome. — Tito mascol. Sing. nom. Tite, Titae, Tites. — Lanzi, Cosuties, Cossutius; iscriz. 1804, (d.) Veliae Titì VetuM, — Velia di Tita (o Tizia) e di Vezio. — Femminile, Tita, Titi. giornale ligustico m Sing. gen. Tites, Tili, is, ies. Lan. TiteM, di Lito (i). — Poggi Creis di Greio. — Femm. Tilas, Tifi, ias, Fabr. Calias di Gallia. ji k dat. Titei, Tite, ie. — Corss. (in Fabr. sup. 3, p. 140) osco: inveì fiocini, jovi fulgurator , nostra iscr. 84: Multine a Molonio. — Femm. Tifai, Tita, ae, e. Fabr. Tuse (Dea, dat.). acc. Titem, itti, in. — Corss. Cietn, accusat, (itti, in, finali accusat, di lat. antico). — Femm. Titam, Titis. abl. Tite, Titu. — Lan. 1.236, Restiamo, dativo e ablativo. — Femm. Tita, Titi. Fabr. Vesti abl. sing. femmin. Piar. nom. Tites, is, Titas. — Latino, dies i giorni, Sermones, ecc. — Femm. Titas, tes, titie. Fabr. Urtas nom. plur. gen. Titnm, Tities, Tiiitn. — Lanz. Fitelim, italicorum (ant. lat. patrum). — Femm. Tituani, as. dat. Titeis, Tities, Tites. — Lanz. 1, p. 237, Teluries, decurialibus. — Fabr. Semenies, dat. o ablat. — Femm. Titais-tas. acc. Titiem, tejvj, titems, tis. — Corss. Manales, sims, ecc. — Femm. Titaw, ioni. (r) Che per norma regolare i genitivi seguono le tìnali as, es, us, secondo le declinazioni si vede da più iscrizioni come: Gamur, 755, vaso: mi lakenas sono di Lachena; gutto, Atranes di Atrantno. Fàbr.-Glos. ClmrinaM di Curina; Puntiis di Ponzio; or questo, osco, ha una variante in is ripetuta dalla iscr. etrusca 1, 203 : Rausia PupiliM Rosia di Popilio e nella iscr. 1370, sepolcro, TesvesiM (cioè Tite svesiM), Tito di Sveso. Quanto poi a Tites nominativo e genitivo, nel primo caso va tradotto non Tito, ma Τψο\ nel secondo di Tito. — Poggi, R uli es di Rodio, Giorn. Ligustico. Anno VI. 13 194 GIORNALE LIGUSTICO Plur. abl. Tites, Titesi, tis. — Poggi, Atranesi, ablat. (sing.) Fabr. Treplane, ablat. plur. — Femm. Titas, ais, Tifasi. Parola — lue, malattia. Sing. nom. lue. — Lanzi 2, p. 249, Cuelne, Coilnius. — Poggi, Tinte, Tutius. gen. lues, hier. — Fabr.-Gl. serfer, tuscer, genitivi singolari, e cosi saties di Sato. dat. lue, luci. Fabr.-Gl., osco, Hereclei, dat. sing. — Lanzi pone la finale ei anche al genitivo, e plaxei dativo. acc. luem, lueine (1). — Fabr. Viam (Veam?) accusat. Letem, Miglarini Letum. abl. lue, lume. — Fabr.-Glos., mesene, dal mese, ablat. singolare. plur. nom. lues. — Fabr.-Gl., umbro: puprises pubblici. gen. lueum, luers. — Lanzi, Petrunier Petruniarum. — Fabr.-Gl., osco, Cluvatiium Cìuvatiorum. — Passeri, Satier Saliorum, dat. lues, lueis. — Corss. Simeis (latino) ai Camusi, Ihuvines (umbro) agl’ Egubini. acc. luemes. — Fabr. Viass, accusat, plur., lat. parentes, res, ecc. abl. lues, luenes. — Fabr. pervaies, ablat. plur. e così termnes. Locativo (2). (1) Pel Fab. la finale me è pure un locativo come Ruseine in campagna, nei campi, ecc. (per gli Umbri). (■2) I locativi per ogni declinazione sono uguali 0 simili al dativo singolare, e però furono omessi, tanto più che al § 8 sono registrati i prefissi e suffissi coi quali si formano in composto non declinato. GIORNALE LIGUSTICO 19 5 Appartengono a tale declinazione i nomi : Ace Clauce Rare Annue Cucine Remue Afte Cuinte Satané Atne Cumere Spurine Ar ch as se Flave Setre Aule e Auleme Helie, Aelie, Elie Seie Aelie o Elie Hele Tetine Cae Herine Tite Cafaìe Jule Ucrislane Cai le Larce Uhtave Caine Larthe ? Ultace Carnate Leene Urp\te Casue Marce Velchie Cale Macrace Vipe Cheste Masue Vipine Churchle Fflave Vilae Ceise Plaute, Plute Vethe ? Caule Presnte Clante Puine e le parole : Ceptache Hece Lene Meule Tute Etre Jueskane Lue Nike Pue Falae Leine Natene Sure ? Ve. Felce Lethe Mele Tuse In questa declinazione pure si trovano voci con finali varie come : Eie, Hele Elu : Alce Alchu, ecc. 196 GIORNALE LIGUSTICO § IS-Declinazione in U, US. La finale u può riguardarsi come tipica etrusca: corrisponde alle desinenze italiche in 0, ispaniche 0, os, latine us, onde al plurale ha talora finali in a, come il latino fana, F umbro vina e 1’ osco dona. Nome — Cicu, Cico. Sing. nom. Cicu, Ciciu. — Gamur. iscr. 61 , elmo : Aisiu Himius, Aesius Himius, e iscr. 532, patera: Amilo Cianiti, Arnazio Clanio, gen. Cicus, Cici-ius. — Vetuft1, di Vezio, veduto al genitivo di Tite (1). dat. Cicui, Cicei, Cicu. — Flaciui. Veduto al dativo di Tite. acc. Cicum, Cicim (con variante in 11 secondo il Fabr. : come Ubturu) : Asum, Aram, abl. Cicu, Ciciu. — Lemnitru, da Lennitro. V. nota 1 in fine alla declinazione. Plur. nom. Cicis, Cicus, Cica, Cicu. — Corssen lat. actis punte, nemora boschi, gen. Cicum, Cicim. — Fabr.-Glos. Vinim, universorum, dat. Cicuis Cicis-eis-cus. — Corss. Larteis (latino) donois (osco) e patereìs. acc. Cicum-ums-cus. — Corss. acus lat. accusat, plur. abl. Cicis, Cicus, Cica-cuis. — Fabr. Vasus dai Vasi. (1) Anche questa declinazione ha nomi in R al genitivo, al quale pure corrisponde 1’ attenenza in N. Iscriz. 191 : Pupiina Plancun Cire, Publina Planconia Cira. Iscriz. 191 : Papi Planeur Lautnr.·.·., Papia di Plancuro Launpio.·.·.·. GIORNALE LIGUSTICO 197 — Erus, amore. Sing. nom. Erus. gen. Erus, Erui, Eris (1). dat. Erui, Erusi, Erei. — Fabr.: Titef^i, dat. acc. Erum, Eru (V. accusat, di Cicu). abl. Erus, Erusu. Plur. nom. Erusi-sis. gen. Erum, Erim. dat. Eruis. acc. Erum, Eruss. abl. Erusi-sis. Parola — anu 0 acnu (anno). Sing. nom. anu, acnu. — Passe. Voc. anu, annus. gen. anus. — iscr. 1. 1622 , Caia, puia Lacutf, Caia moglie di Laco, dat. anui, anu. — Fabr. Hurtni (sannito) dat. al tempio, acc. anum. — Fabr. runum (umbro) donum, abl. anu, us. (vedi nota 1 in fin a questa declinaz.). Plur. nom. anes-is, ana . . . . \ I dona e hortos J i (tempio'). I ( nrççpn * ί gen. aneum-ium anum . \ 1 donom. hortum. dat. anuis, anus.....(oico donai ^0n0lS' ^oriois' acc. anam, anius, ana . . \ f dona. hortoss. abl. anes, anis, anuis. . . 7 \ donois. hortoss. Appartengono a tale declinazione i nomi in u : Aitu Charu Facu Larlhu ? Menu Alpnu Ciru Ilarthu Lartlmru Manthu Arntiu Cneu Un Lechu Masutiu (1) Iscriz. i. 320, bis (V) : Lartbi Junici 5eiM, Larzia Giunicia di Seio, che suona per 3 genitivi: di Larcio, Giunio, Seio figlia. — Conest. p. 142 cita Puplis e traduce : di Popilio (moglie). 198 GIORNALE LIGUSTICO Pap a ? Papa Thamu T repu Vetru Petru ? Ranassu Farsa Uchu Viltà Pruda Rathu Tispa Unathu Veltha Pana Raanthu Turmu ? Velcialu Vipu. i nomi in : us : Alpus Petrus ? Tius Velscus Espus ThanchiìuM? Scunas Venelus (r). e le parole ana capiti cecus iasu rana temi caca cala chulmu paia s’uplti aia. § l6. Declinazione in consonante. Le abbreviazioni e le varianti usuali all’ etrusco rendono più difficile delle altre questa declinazione in quanto alla scelta delle voci che le spettano, così Arnth, benché sia nome usato frequentemente, non le appartiene, giacché sembra sincope di Arnthu. Le voci veramente di finale in consonante, — salvo il nominativo — si declinano come le altre che hanno la desinenza in a, e, u, ma a quale di queste tre forme esse spettino non sapremmo assegnarlo con una regola generale, giacché è la stessa lingua etrusca, la quale ripetendo (1) Alcuni dei citati nomi possono appartenere alla declinazione in consonante giacché trovasi ancora Charmi, Lartur, Tbanclmil, e quanto a Pietro, Valeria: 2, p. 220, iscr. 56 cita Putrii, che è pure in Fabr. iscr. 680, ma negli scavi di antichità, Lincei, 1877, p. 310 si ricorda una tomba ove è: Petrus Velthur Lemnitru, che vuoisi tradurre: Pietro Volturo da Lemnitro nato, mentrechè nell’ iscr. 680 vi è: Lr Petru Vipinal, che può anche valere: Lr da Petro e Vipina nato. GIORNALE LIGUSTICO 199 modificato il nome 0 la voce in questione, ci indica la declinazione a cui spetta. Trovasi a causa di esempio Casper e Caspres, Atuns e Atusnei, Avil e Aviles, Planeur e Planeur es, Peten e Petb.net, Velch-Velchei, e la parola Tular - Tuluru ; dunque i nomi : Casperio, Adone, Avilio, Plancuro, Petenio, Velcio sebbene appartengano alla declinazione in consonante si modificano con quella in E, mentre la parola Tular spetta a quella in U. Invece Eris Era, Tur an Turana, si declinano in a, e tornano a quella in u : Larth 0 Larthu-Lartìu, Alpan Alpanu. Come esempio declineremo Jurms o Turmus, che ha Tttrmu : Umil, che ha Umle e Um la femminile; e la parola Cuer della quale in etrusco non si conosce che il nominativo, ma le sue modificazioni debbono essere affini a quelle del puer latino. Nome — Tnrms, Mercurio. Sing. nom. Turms, Turmu. gen. Turmus-ms, Turmi. dat. Turinui, mu, Tur mue. acc. Turm-mum. abl. Turmus-mu, Turnisti (non ha plurale). Nome. — Umil, Eumelo. femm. — Umla, Eumela Sing. nom. Umil gen. Umils-iles, Umil-ili. dat. Umilei, Umile. acc. Umilem, im. abl. Umil, Umilu-ile. Plur. nom. Umiles. gen. Umilum-lies, liem. dat. Umileis- es, Umilis. acc. Umili^-lems. abl. Umiles, Umilesis. Umla, Umli. Umlas. Umlai, Umlct-li. Umlam. Umla. Umlas-les. Umlam-aam, Umlais-as-les. Umles, Umlems. Umlas-les-esas. 200 GIORNALE LIGUSTICO Parola. — Cuer fanciullo Sing. nom. Cuer. gen. Cueri-res, Cuers. dat. Cuer e. acc. Cuerem, im (voc. cuer ?) abl. Cuere. Appartengono a questa declinazione i nomi : Plur. nom. Cueres, Cueri. gen. Cuerum, Cuerim, iis. dat. Cuereis, Cueres. acc. Cuerem-eres. abl. Cueres-is. Aivasì (forse in a) Fufluns Sertur ΑΙριίζ Lart, Larth Treputi Aminth Laris Tur an Ancar Lzutn Thanachuil ? Aspr, o Casper Lautnit Venar Atuns Leinlh Felch Avil Lucir Vetur Castur Metur Vetrun (i) Eiasun Plancur Eris Peten e le parole: Alth Cuer Les Thin Vel Arun Fient Pu ac Silet Ven Chunp lar Pnln Tular È probabile che la lingua etrusca abbia come la latina parole indeclinabili : cosi per esempio : Rii} Suthi e Upis (Opi, dea) non hanno modificazioni note : Avil (evo) non ha che (i) Il nome del dio del mare veramente si trova scritto Netbuns, talché dovrebbe ascriversi a questa classe , ma è evidente che la finale uns è sincope di unus, onde lo riguardiamo come spettante alla terza declinazione. Non ostante è ben diffìcile accertare la declinazione cui spettano le parole, giaccnè nel latino stesso puer, secondo Plauto, in antico era Puerus. GIORNALE LIGUSTICO 201 la variante Avils, Lupa ha Lupum, talché queste sembrano semi-indeclinabili. È possibile del pari che altre parole si modifichino solo in qualche caso, o per eccezione prendano forme speciali differenti dagli esempi già dati, ma per adesso basti avere accennato in genere il tipo della declinazione etrusca, coloro che si trovassero paghi delle ragioni e degli esempi coi quali fu difesa la esperimentino in pratica e giudichino poi se chi scrive ebbe ragione di proporla dopo lunga esperienza. § 17· La finale in I. Le voci terminanti in i al femminile, tanto frequenti in etrusco, sarebbero una eccezione senza riscontro nelle vecchie favelle italiche, ma già il Lanzi nel saggio di lingua etrusca, (1-53) osservò che Larli vale Lartia. Tal forma devesi dunque considerare come un’ abbreviazione ripetuta in altre desinenze, quali sarebbero ai per aia, nei per mia, nui per nuia; a rigore tutte queste sono attenenze, perchè la figlia di Larta era Larda, la figlia di Setra, Setria , ma quei derivativi restati sempre a chi li aveva da infante, spesso divennero nomi al caso retto : cosi noi in italico conosciamo Pelrio quale attenenza di Pietro ma in Antonio, Petronio si hanno nomi assoluti. Gli etruschi usavano questa finale i per ambedue i generi, come può vedersi in molte iscrizioni della raccolta Fabretti. Esempi: iscr. 1278, ossario con donna giacente: ThauaPum-puni Plauti VeltmaM- — Iscr. 503, ossario con donna giacente : Pur nei Marcnisa. — Iscr. 534, ossario con uomo giacente: Larth Pumi Larthi.·.·. Rufiesa. — Iscr. 1166, ossar. con 202 GIORNALE LIGUSTIGO uomo giacente : Au Casni ar Caial — ossario con donna giacente, iscr. 1037 : Larthi Titi Teltiunia. In questi esempi non solo si vede Γ i finale di genere comune, ma di più, sia o no attenenza, equivale al caso retto pel maschile e pel femminile, di fiuto tale è la dama Pomponia Plauzia, la Purnea, la Larzia Tita, Larte Purnio e Aulo Casnio. Anche nella iscr. 792, notevole perchè bilingue, sebbene sia tradotta ad arbitrio, pure Alfni è interpretato Alfius. Per completare gli esempi del finale i al nominativo, si osservi ancora, che Lanzi cita Patrii, marzico, Pater: Fabretti ha Lecsutini, etrusco Laecatinius, e molte altre desinenze in i corrispondano a quelle in us e um latine, come: Suthi sepulcrum , Muni munimentum , Rithi ritus , Cei illius o illorum , Er ai sacrum , Fisi fidium, Lusui lucidus, Thiii filius. Nulladimeno in altri casi questa arbitraria finale i serve non solo pel genitivo, ma probabilmente anche pel dativo. Nella iscr. 353 si ha una tazza col motto: Mi F Ului, sono di F. Aulio, o spetto a F. Aulio; — nella iscr. 1018 un’urna ha: Thui Arnth Atini del figlio di Arnazio Atinio, o il figlio di Arnazio Atinio (qui giace). L’iscr. 2105, che è in un cippo , ha la sola voce Cumlnai : Comelina, di Commelina, o a Comelina. Valeriani I. p. 86 da un vaso cinerario copiò: Plautep\ Lautni, Plautes è certo genitivo e tale sarà Lautni, se deve concordare. Già si vide che la finale i oltre i nomi gentilizi è propria delle parole : la iscr. 1421 ha in un’urna: Pui. Spuites , che inter-petrata a caso retto sarà : moglie di Spuizio , e al genitivo (Ceneri) della moglie di Spuizio. In altra urna, n. 192: Thui Larth Petrni Larthaìisa, si ha egualmente (qui giace) il figlio, oppure (tomba) del figlio, oppure al figlio di Lardo Petronio e di donna nata Larzia. — Fabretti cita Tipi e traduce di Tippo: Serfer, Cervi, Servi, genitivi e dativi. Tite[J\i dat. sing., infine anche dall’ egubino si ha esempio di finali GIORNALE LIGUSTICO 203 in E ed in 1 che portano al dativo: Parcer sei ocre fisi, Propizio sii al monte Fisio (i). Dalle cose dette appare che la finale in I non può — come volle il Corssen — indicare una classe di voci declinative : Se fosse altrimenti la parola Suthi sarebbe il tipo di questa serie, ma invece tal vocabolo , benché frequentissimo nelle iscrizioni funebri, trovasi sempre invariato e ciò dimostra che ben lunge da esser tipo declinativo, è solo capace di alcuni composti forse verbali (Suthiti, Suthun) : ma come parola è probabile che Suthi altro non sia che abbreviazione di Suthiu, sepolto, da cui venne Suthi, sepolcro. § 18. Il verbo. Della lingua etrusca la parte meno nota è il verbo. Diversi scrittori ne accennarono alcuni modi, in specie la terza persona singolare del passato, come turce donò, fece dedicò, pose. Fabretti pure indica qualche persona del passato, del futuro, dell’ imperativo, ma sono verbi più frequentemente umbri e oschi che etruschi. Corssen credè che 4 fossero le coniugazioni etnische: in E breve, in E lunga, in A e in /, delle quali dettò al solito le terze persone dei passati, i participii e i gerundi, ma infine nonché una coniugazione, neppure un solo tempo di verbo non venne da alcuno dettato. Vediamo se ci verrà fatto di ravvivare questo buio con (1) Finalmente si può anche prender nota della leggenda, sebbene oscocapuana (Fabr. iscr. 133, suppl. 2.): Vibi Smintiis Vibi Smintis sum, che il Poggi traduce : Vibius Smintius Vibii Smintii (filius) sum e qui le finali i, iis, sono al nominativo e is al genitivo; mentre in Sersi di Fabr. (Sedem) tal finale sarebbe perfino all’ accusativo e così in Tefri nome. 204 GIORNALE LIGUSTICO qualche luce e incominciamo, a scopo di classazione, dal fare un elenco di alcuni verbi nella lor forma radicale. A eh. Can, o Cans. Canac. Car o Cara. Cer o Ker. Chup o Cup Cis. Cies o Clet. Fac. Her. Lue, ìauc (o lach Fabr et.) Mane. M as. Mu o Mus. Mun. Munth. Mut e Mur, Mar. Nac. Ninc. Put. Rac o Rach. Rat. Rer o Rere. Rese. Sac. Sal o Zal. San. Se o Ser. Ses. Sta o Stah. Ten o Then. Thnp. Trah T rut. Tus, o Thus. Up, o Ups. Vas (Fabret.). Veh. Vuls. La quasi totalità di coteste radici finisce in consonanti varie onde per esse non si avrebbe una guida capace a dividerle in classi : neppure sono note le forme del presente e degli infiniti, ignoranza che aumenta le difficoltà. Malgrado ciò poiché di qualche verbo si conosce taluna forma coniugativa isolata, dall’ esame di queste alcuno credè che si potesse giungere a trovare le declinazioni desumendole da esempi come i seguenti : Terze persone del preterito. — Truta spezzò, Cana dedicò. Cara chiamò, sono finali in A. GIORNALE LIGUSTICO 205 Tece pose, dedicò, Face fece, Here volle, Tuce condusse, operò (Poggi), sono finali in E. Canai raccolse, Enesci uccise, Murai o Muri morì, sono finali in I. Tetet diede, nuhut? assenti, %ec pose (Fabret.) sono finali in consonante. Se queste norme bastassero saremmo vicini alla divisione del Corssen, ma nell’ ispano , nell’italico, nel latino, tutti 1 preteriti finiscono in i, it: l’osco e l’umbro hanno pure in tal tempo Vi finale 0 interfissa: ecco dunque una norma che può indicare non già una classe coniugativa, ma sì un tempo di verbo, e però chi scrive non deve tacere, che sentirebbe ripugnanza ad accogliere in totalità le classazioni suesposte. Innanzi tutto gl’interpetri dell’etrusco furono, comesi disse, concordi nel giudicare le forme in a, ce, e, quali terze persone singolari del passato , e dinanzi a tale unanimità chi scrive sarebbe insorto mal volentieri, non già perchè non sappia imitare l’antico e al bisogno rifarsi « Orario sol contro VEtruria tutta », ma perchè mentre vi è tanto da fare nell’interpretazione di questa lingua, senza assoluta certezza , non occorre segnalare come errato ciò che fu da tutti tenuto per vero, talché sull’ attuale tema basti esprimere le considerazioni seguenti. i.° Tece, Turce, Tuce, saranno terze persone del preterito, ma senza dubbio allora in altri verbi, questa forma è eziandio quella della terza persona presente come : pone, offre, opera — e ciò dimostreremo, — però se P infinito di questi tre verbi fosse: Ter, Tur, Tue, allora nell’indicativo presente essi possono essere monosillabici: TV-do, Tes-dai, Ten-dà, e perciò nel passato Teci detti, Teces desti, Tece o Tecen dette, bene corrisponderebbero alle versioni finora accolte. La nota formula : Ten turce, se si traduce, dà il dono, avvalora tale ipotesi. L’infinito ed il presente (quando possono conoscersi) e non il passato, sono dunque le norme coniugative. 20 6 GIORNALE LIGUSTICO 2.° Gl’ interpetri, secondo le buone regole linguistiche, trovando un verbo di azione riferentesi a cosa già fatta dovevano interpetrarlo al passato, ma dai monumenti si vede che spesso gli etruschi mettevano al presente un fatto già avvenuto, e facevano parlare un morto o cose materiali. Iscr. 251, un cippo : mi ma Laris Muplu , io sono di Lariso sonatore di flauto (è il cippo che parla al presente); iscr. 354, in una tazza : Mi F. Uluial, spetto a F. nato da Ola (parla la tazza) ; iscr. 2405 : Mi Larthia, Larcia mi possiede (è un bicchiere d’ argento che parla). 3.0 Se Cam è la terza pers. indie, dedica, corrisponde nel suono del finale al latino ama(t), se tuce vale fa corrisponde al latino doce(t) meglio che a duxif, e allora con nuova analogia le finali in i anziché classe a parte saranno , come si disse, del passato : Canai raccolsi, simile ad amavi. Tlmpui stamburai, come docili, forme che possono variare in altre coniugazioni, se pure l’etrusco ha con l’osco: tetel, tetet, te% (die’, pose). Del pari se l’infinito di Thuce o Tuce fosse Thucer, come ducere o docere, allora tuce è terza pers. pres., se invece tosse thuc o tue, allora si avrà: ihu, thus, thue nelle tre persone del presente, e Ihnci, thuces, thuce in quelle del passato. In teoria prima bisogna classare i verbi poi coniugarli, ma in pratica per classarli occorre conoscerli e dei verbi etruschi quasi nulla si sa, onde ci appagheremo di concludere che per quanto appare dalle cose esposte e da altre che vedremo, le coniugazioni dei verbi etruschi sono almeno 4. — i.a in as alla seconda persona indie, presente ed in a o e alla 3.® — 2.a in es-e. — 3.a in us o is, a o e alla 3/ persona — 4.* in consonante nella r.a persona, che nella seconda e terza ritorna ad una delle tre antedette. Vi saranno pure eccezioni delle quali adesso non si può tener conto. GIORNALE LIGUSTICO § I* Tempi del verbo. Poste queste prime norme passiamo ad esaminare i tempi speciali del verbo. Presente indicativo. — Tre iscrizioni fortunatamente ci conservarono altrettante forme del verbo cup, il quale è il cubare latino, eccole: Iscr. 450: Thana Larci cup — (Io) damigella Larda giaccio (qui); il nudo nome Larci indica una femmina che non essendo maritata ha Γ onomastica paterna, cup è il cubo latino (in etrusco cupu) , ma qui è lasciato in forma radicale, secondo Γ uso etrusco assai frequente, il quale adesso può paragonarsi al nostro son per sono. — Iscr. 597’ Tha Lichnei cups — na. — Dama Licinia (tu') giaci qui, nel-P attuale epigrafe il verbo è declinato in cups o cupas, seconda persona. — Iscr. 2452 (questa è Falisca) : Vipia Zartena Loferta Marci Acarcelini mate He cupa, e secondo il Garucci: He cupa vale, qui giace. Adesso ognuno vede, che come conviene al legame di origine delle vecchie lingue italiche, cupar 0 cubare è verbo comune all’ etrusco, al falisco e al latino , quindi in etrusco le tre prime persone del presente indicativo sono : Cup 0 Cnpu giaccio. Cups, Cupas giaci, Cupa giace. Nel latino : cubo, cubas, cubat sono corrispondenti, perchè il P e il B, YO e U nelle due lingue equivalgono, onde tutta la differenza si riduce a una t finale fra cupa e cupat (1). Da tali premesse con logica deduzione si possono ricostruire le tre persone prurali del tempo stesso, le quali se nel latino suonano: cubamus, cubatis, cubant, nell’etrusco debbono essere: cupam (cupimu), cupats (cupates), cupan. È facile (1) Fabr.-Glossa cita urva e traduce circundat. 2θ8 GIORNALE LIGUSTICO pertanto comprendere, che insistendo con le stesse norme a conciliare le forme latine e le etnische sarebbe possibile di ottenere la coniugazione dell’intero verbo con probabile esito felice (i). Essendo della massima importanza il cercare esempi monumentali capaci di servire qual documento per la coniugazione del verbo etrusco, additeremo pure alcune modificazioni di Thu (porgere, sacrificare, fare olocausto). Nella iscr. 912, che è in un vaso citato dal Gannirmi, si inizia con queste parole : Ehi, thu. Al § 7 si disse che eca, eka è il pronome questo, ehi potrà forse essere un ablativo : da questo (vaso) : Thu sacrifico, prima persona presente. Da questo vaso faccio olocausto 0 sacrifico, secondo il già notato costume degli etruschi di scrivere al presente. Nella iscr. di S. Manno si ha : Cehen suthi hinthiu Thu£(VJ, la quale vuoisi tradurre : di co-testo sepolcro allo spettro sacrifichi, seconda persona del presente, e anche Vermig.-Lanzi, Fabret.-Connestab. se non determinano bene tal forma, almeno vedono in Thuef*\ il sacrifizio. Corssen, 2, p. 451, in Thue nota una terza persona che non bene qualifica, ma di cui noi già si parlò come terza dell’ indicativo al § 18. Finalmente nella iscr. 387 supp. I, si trovano le voci: Purtsuana thuns = pur Mucina, forse vale farina e acqua; thuns terza persona plurale del presente : fanno olo- (iì Rechuva è altra forma dello stesso verbo con la reiterazione prefissa Re, ed è pure una terza persona onde significa ricova, rigiace, ossia tramonta, perchè all’iscr. 912 Gamur. ov’è questa voce, si riferisce a unastro. Anche nella iscr. citata da Passeri, Coltellini e poi da Fabretti in aggiunta alla JO47 è scritto: Mi uni cup tuict = Io Uuia (qui) giaccio ed ebbi sacrifici. — Cup al solito radicale: Tuict da Thu 0 Tu sacrificare, e Tui o thui sacrificai, deve essere una forma di preterito perfetto: Tui tu o Tuiclu aveva od ho sacrificato , dal quale viene la parola verbale o la variante tuict: ebbi, aveva, ottenni sacrifizi, la quale è forse terza persona: ha avuto sacrifizi, malgrado che ciò non concordi col presente : mi uni. GIORNALE LIGUSTICO 209 causto, sacrificano. Lanzi cita tuer forma di dare (o porgere), ma omettendo ciò, i composti thunchulthe e altre voci, come si disse del verbo Cupar, si può ora rinnovare l’esempio e concludere, che del verbo in discorso il presente singolare sarà: thu, thues, tue: il plurale thum, o thuemu, thuets, thuns. Nella nota a pag. 208 di questo paragrafo sono pure accennati i tempi passati di thu. Un altro verbo etrusco ed osco, lue (che ha pure le forme lae, lauc), corrisponde al latino lucere, ma di esso se in etrusco vi sono molti modi nominali, dei verbali non si conosce se non se la radice, la quale dovrebbe svolgersi così: lue o lucu io brillo, luces brilli, luce brilla. Lo stesso dicasi di can celebrare (arma virumque cario), di cui in etrusco non conoscesi che can e cans, ma che si declinerà nel modo seguente: Can (0 Canu), Canes Cane, a differenza di Canas accogliere e Canac dedicare la cui terza persona è Cana (nostre iscr. n. 18, 148, 149). Finalmente il verbo Thuf 0 Thup colpire, stamburare, rimbombare, ha fra le sue forme note Thufar talché deve coniugarsi così : Thuf, Thufas, Thupa (0 Thufa) con un participio passato eccezionale Thuf variante di Thufu-Thupu, come Purtitaf, che pel Fabretti è participio perfetto. Pertanto Cup sarà coniugazione in a: Thu in e: Thus (torrefare) in us : Thuf in consonante. Resta da osservare quanto alle finali, considerate come argomento sia di cassazione coniugativa, sia di declinazione, che le forme delle 3 prime persone nominali corrispondono sovente a quelle verbali. Imperfetto. — Di questo tempo pochissimi esempi si hanno nelle vecchie lingue italiche e nessuno accertato in etrusco, nulladimeno seguendo, come si disse, gli esempi del latino, dovrebbe iniziarsi con la finale am. Ora in etrusco (iscr. 853), abbiamo per esempio: apam, che forse è la parola opera, ma presa come forma del verbo operare (giacché Tosco ha upsed Giorn. Ligustico. Anno XVI. 14 210 GIORNALE LIGUSTICO operò, fece) nell’imperfetto si svolgerebbe così: apam o apsam operava, apsas o apasas operavi, apsa o apasat operava, apasmu-mus, apasals, apasans, saranno le 3 persone plurali col riscontro di fufans, osco, erano, per l’ultima. Passati. — Al § 18 si osservò che molti scrittori segnalarono alcune torme di questo tempo, ma che esse in qualche caso riuscivano uguali a quelle dell’ indicativo , talché non potendosi concedere questo ritorno antigrammaticale occorreva che, come nelle lingue neolatine , il passato etrusco iniziasse con la finale i. Di fatto in diverse iscrizioni si trovano le parole: Tupui, Tbii, Canai, ecc. e però crediamo che il passato di Thufar o Thùphar sia Thupui, Thupuis, Thupuit o Thupuist come pehast umbro (Fabr.) e il passato perfetto sia Thufithi (o Thupuitu), Thupuithes, Tbupuithe. Nella iscr. 2441 bis, si legge: Lei Veli Thpui, Leio Velio fui stamburato, cioè ebbi gli onori funebri. Nel verbo canac lo stesso tempo sarà: Canai, Canais, Canac (Fabr. %ec pose, fec, umbro, fece), la iscr. 259 dice: Mena me canac, ecc., alla Luna me dedicò (consacrò). Quanto ai preteriti perfetti somigliando essi ai participi perfetti, credesi che come questi terminino in tu e tutu, secondo si osservò pocanzi e alla nota a pag. 208 dell’ attuale paragrafo. Però in alcuni verbi avviene uno s.ambio dacché il passato semplice può finire in 11, e il perfetto in i. Futuro. — Nessuna traccia certa si trova in etrusco di questo tempo, il quale pei latini inizia con le finali bc, am : la prima è composta di due lettere mancanti agli etruschi, la seconda fu già accolta nell’imperfetto e però sembra che ambedue si debbano rifiutare. Per altro il latino nel verbo essere, nei congiuntivi, nei passivi accoglie finali di R come ar, or, ro, e queste desinenze non solo accordano col futuro italico in ro e coll’ ispanico are, aras, ara, pure finali del futuro , ma il predominio della R si trova ancora nelle altre antiche lingue GIORNALE LIGUSTICO 211 italiche come : facurent, benurent, osco : faranno, verranno. Sembra dunque probabile che se in etrusco vi erano finali in am, um ciò fosse per eccezione , ma che in regola generale debba predominare nelle modificazioni del futuro la R vocalizzata, cosi questo tempo nel verbo cantare, che è pure celebrare, sarà : Caneru, Caneres, Canere-ret, pel singolare ■— Ca-nerum (o Cancrenilo), Canerets, Caneren-ens, pel plurale. Alla iscr. 799 della raccolta Gamurrini, fra la 3.* linea e la 4.* leggesi : Suurem (o Serem) lucair-ce (V. anche not. di scavi, 1879, ser. 3, voi. 3, p. 154). A noi sembrò che questo lucair con E finale elisa dal ce, fosse un futuro di Lucere, da svolgersi così: Lucerti o Lucairu (splenderò), Luceres (splenderai), Lucere o Lucair (splenderà), e tutta la frase dovrebbesi tradurre : il sere (signore) splenderà così (in questo modo). Imperativo. — Nel latino questo tempo è : ama , amato, amet, doce, doceto, decet, lego, legito, legat, audi, audito, audiet, ove la finale io è costante, e si ritrova nell’umbro : fututo siate, futa sii, ehi va (Fabr.-Glos.). In etrusco dunque il tempo in discorso può coniugarsi così : Cupa 0 Cupatu giaci, Cupe o Clipei giaccia : Cupemu giacciamo, Cupetute giacciate, Cupens giacciano. Infinito. — Giacere. Cupar (e Canr e Caner, Thufar, ecc.). Part. près. — Giacente. Cupan-nt (Canent o Cantiti. Corss. 2, 445, ent finale del part. près.). Part. pass. — Giaciuto. Cupatu (Canutti con varianti dette parlando del presente in fine). Gerundio. — Giacendo. Cupans (Canans. Iscr. 2069 ; ale cans, cioè: Aule canans, Aulo celebrando, cantando, rendendo gli onori funebri. 212 GIORNALE LIGUSTICO § 20. Coniugazione del verbo Essere. Per uare un esempio completo dei temi accennati nel § antecedente si detteranno adesso le principali forme coniuga-tive di uno dei verbi detti ausiliari. Giammai in etrusco ci venne fatto di trovar traccia del verbo avere, e forse esso non esisteva in quella lingua, come anche nello spagnuolo, salvo alcuni tempi semplici, muta in tenere. Del pari il verbo essere, benché completo nell ispano, pure talora è cambiato in Ìtare. Tali surroghe pero sono anche dell’ Italia antica e moderna: nell isci. 406, supp. 3, sopra un vaso osco è scritto: Mi cupe sta, a me il coppo sia, per Ho, mi appartiene, e mio il coppo : nell italico vivente si dice : viene amato per è amato, e cosi essere stato, ove il verbo stare surroga il participio di essere. In umbro e in osco molti sono gli esempi del verbo essere, ma in etrusco pochissimi. Fabretti cita se o ser, essere : si, sies, sii o sia. Altre poche voci si trovano in diversi scrittori, con traduzioni assai dubbie, e fra queste è degna di nota la irase Hethu segnalata dal Senat. Fiorelli (Scavi di Antichità, ser. 3, Voi. 3, p. 263 del 1879), e questa, che fu trovata in un sepolcro, pel citato antiquario deve tradursi : è bisotna (He è, thu duplice). Parlando al § antecedente del verbo Cupar, si vide, che pel Garrucci, in falisco he cupa vale qui giace, ma questo he falisco forse era forma di hec ('haec) con la c finale assorbita da Cupa, onde, tutto ponderato, sembra a noi pure che nell etrusco hethu vi sia un È verbo, e senza altri preliminari daremo la coniugazione proposta, con qualche confronto atto ad avvalorarla. GIORNALE LIGUSTICO 213 Presen. Su (sono). — Iscr. 2589, ter. b. : Mu Vi Ciru. Sono (mi ha) Vibio Ciro. Fabr. su, campano, sono. Ses, hes. — Lat. es. he. — Fiorel. iscr. succitata : He thu. Esumus, Sumu. — Ant latino: Esumus\ ant. italiano : Semo, spagn. : Somos. Esets, Seseis, hesles. — Greco: Este, ispano: sois amais (siete, amate). Sene, hene. — Sent, umbro (sono Fabr.), ant. ital. enno. Imperf. heram, esam, erum (Era). — Lat. eram, ant. ital. ero. heras, esas. — Spagn. eras. hera, ere. — Lat. erat. hermus, eramus. — Ant. ital. eramo, spagn. eramos. heres, erais. — Spagn. erais, ant. ital. era le. herenes, eran. — Spagn. eran, osco fufans (erano Corss. Fabr.). Passato. fui (fui)· — Latino fui, Gamurr. iscr. 765 : Phui, traduce : futui. fuis, fuies. — Spagn. fuis te. fuse, fust. — Iscr. 2345 : Picu fusi, Pico fu, o fosse. Iscr. 2301 : fèst lece. fusimi, fuimu. — Lat. fuimus, fuses, futes. — Francese futes (foste). fusen-ens. — Osco Uupsens, operarono (Fabr.). Teremnattens, terminarono (Corss.). Pass. Perf. futuì — (sono stato, coi modi accennati al § 21). Futuro. Erti, Uru (Sarò). — Latino Ero. Eres, eras, Urues. — Iscr. 1581 : Menis eres, della Luna sarai, spagn. seras. Ernst, urue, Ere. — Lanzi : Ere sarà, osco urust (Fabr.). 214 GIORNALE LIGUSTICO Futuro. Imperat. CoNGIUNT. Infinito. Gerundio. Part. Près. Etan. — (Essente e stante). Part. Pass. Ehi, sutu. — (Stato per essuio). Boccaccio: Suto per stato o essuto. Fabr. tetu, umbro, dato. Futu. — (Essendo stato). Salvo qualche possibile errore, queste debbono essere le forme declinative del verbo etrusco, le quali però non possono accertarsi che in parte, sia pel difetto di confronti, sia perche ai monumenti scritti mancano sovente le parole verbali coniugate, e come l’uso delle attenenze rendeva agli etruschi poco necessaiie le declinazioni, così la voce coniugata era spesso mutilata in una sincope abbreviativa, o anche radicale che spettava al lettore di svolgere. Questo straordinario modo di scrivere il verbo avrà avuto la sua scusa nella opportunità di mitigare il lavoro a chi con fatica doveva incidere la pietra, Eremu, Ururnus. — Spagn. seremos. Erets, Urets. — Lat. eritis. Eruns, Erun. —■ Lat. Erun = (t), eituns, ande-ranno, osco (Corssen). Se, see (sii tu). — Spag. se (sii). Se^, sea, seth. — Umbro ftiia sia (Fabr.) , spa-gnuolo sea. Sema. — Spagn. seainos. Seez, esets. — Spagn. sed, latino este. Sen, sean. — Kit. sint, spagn. seau. Zi (che io sia). I Zis' T · Zie. \ lscr· 2344: mr , mese su Ziem. \ (°i°è luna piena). (Simili alle Zies. / forme lat. : sim, sis, sit ecc.). Ziene. ( Es o ser. — (Essere, Fabr.). Estans, stari. — (Essendo, stando, e con essere, in essere). GIORNALE LIGUSTICO 215 e di fatto anche fra noi la stampa, benché più facile a comporsi, nei primi secoli di sua esistenza usò frequenti abbreviazioni. La lingua etrusca parlata dovè essere molto più ricca e completa di quello che appare dal suo scritto, il quale però essendo il primo modo di esternare le idee con segni nazionali che si creasse, non diremo in Italia, ma in Europa continentale, certo per appagare bastò che rappresentasse il pensiero, come oggi lo rappresentano le missive del telegrafo, monche non per difetto di lingua. § 21. I tempi principali di alcuni verbi. Si chiuderà la serie di queste teorie grammaticali dettando qualche modificazione verbale di tempo in tutte ie declinazioni. Le forme verbali che seguono, in parte sono prese dai monumenti, in parte sono induttive, suggerite dal presunto svolgimento che può subire un verbo secondo appare dai confronti e dalle deduzioni innanzi vedute. GIORNALE LIGUSTICO 217 § 22. Stile etrusco. Poste le norme principali della lingua occorre offrire un esempio del modo di scrivere degli etruschi. I poeti, i narratori, gli storici sono quelli che forbiscono le lingue e che scrivendole, letterariamente, le formano. Gli etruschi forse non ebbero vati, nè storici di qualche valore, e se scrissero la loro lingua fu nel tema più sterile, — quello epigrafico, — perciò il loro stile è arido , laconico, anzi incompleto. Ne daremo un breve saggio, avvertendo, che le parole aventi al disotto due linee, 0 le lettere chiuse fra parentesi, sono di quelle, le quali secondo Γ uso etrusco, erano omesse. Larcio lucumone Chiusinese fu generale etrusco negli anni Larth lucumun Clanisl = pursena (1) rasnac ril(/j) 246 — di Roma. Vittorioso di questa città venne esaltato ΙΛΧΧΧΧ)) Rumacs Nicetu ecas tutas salth(etue) quasi Γ uomo più splendido del suo tempo ; era di animo = = maslucmev avilsa = hinthas grande come noto è dal fatto di Clelia (2) e di Muzio Scevola, macs = urtu fetu Ceilia (en) Mutius Scevilas (1) In sanscr. pur è procedere, puri capo, re, e sena vale armata, onde pur-sena etrusco: colui che precede o è capo dell 'armata, il Generale. Gli storici latini parlarono di Lar Porsenna come se questi fossero i nomi di un Re etrusco, ma se una famiglia Porsena fosse esistita a Chiusi, o altrove, almeno nei sepolcri avrebbesi di tal nome qualche altro ricordo, che invece non fu mai trovato. (2) Iscr. 1405, urna: Ceilia Caiia. Questo Ceilia è un’attenenza di Cele (Celio 0 Clelio), il genitivo del quale sarà: Ceiles al mascolino, Celas o Ceilas al femm., se però il nome Cele Ceiles non è di genere comune. 218 GIORNALE LIGUSTICO pure fece espiare ai romani le molte guerre con toglier loro = ahte pianM(r) rumenies purus vels vertecu = l’uso dei metalli. Quando questo Porsenna morì il suo sepolcro uittiuf vetlum. Pum ce Pursena muthi suthisa fu magnifico fra i più lussureggianti (belli) di etruria (i), ma = macstreuc inte lusuer-(«) Thuscias = i Numi fecero che questa gloria nulla potesse (non potestà) Aesares aht^Mi) = ekcluthi nipenez di stabile, essendo da essi voluta la prosperità dei Laziali. La stakes stan cei{ehi?) heritu felicas Latialum. Fortuna però non ha regola nei suoi doni; dopo Porsenna, Nurthia = ni = rite thuzalsa up Pursna Chiusi e Toscana, infine Roma ancora cadde, e gli stranieri Claniu Turrenia = Rumac ekkum nika(ìV) = estrcnas abbattute città, leggi, costumi, posero l’Italia alla desolazione MupanM tutes likas uiitius tecen Vitelium erucal. (devastazione) (2). Adolfo Borromei. (1) Da Tuscia o Thuscia (Etruria), si ha: Tuscias di Etruria e Tuscer del Toscano. (2) Orto o Urtu, pum, ekkum, likas, uittiuf, sono voci umbro-osche e per adesso non si sa bene se possano annoverarsi fra quelle che vennero pure accolte dalla lingna etrusca. Del pari Estrcna (straniero) forse non è parola certa, ma il Corssen 2, p. 332. 505, dice che è vocabolo etrusco. Fabr. invece in EstrcnaM vede un nome proprio. GIORNALE LIGUSTICO 219 VARIETÀ Il Duca di Richelieu accademico della Crusca. grido che ha levato di sè quegli che il Voltaire chiamava « mon héros », ed anche, ben a ragione, « gran trompeur de femmes », gli ha concesso degno luogo fra gli uomini più noti del secolo passato, cosi fecondo di personaggi singolari. Coraggioso soldato, sagace guidatore d’eserciti, del pari abile e fortunato negli assedi di città come di donne ; astuto per intrighi cortigianeschi; felice più che destro nelle arti della diplomazia; salito per le sue doti naturali coadiuvate dall’audacia alle più alte cariche; amato dai re, temuto dagli emuli, carezzato dalle favorite, s’era acquistata tale potenza, che neppure le parziali disdette avevano avuto virtù di menomare. Quantunque non potesse dirsi in alcun modo fornito di quella cultura che è richiesta per aver nome nella repubblica letteraria, pure si faceva tanta stima del suo ingegno, donde gli era venuta Γ amicizia dei maggiori scrittori contemporanei, primo di tutti il Voltaire, che giovane ancora di soli 24 anni ottenne all’ Accademia di Francia, forse a reverente ricordo del suo grande antenato che ne fu Γ istitutore, ;1 posto rimasto vacante per la morte di Dangeau , e 12 anni più tardi venne eletto membro onorario dell’ Accademia delle iscrizioni e belle lettere. Con tutto ciò egli mostrava un certo disprezzo per i letterati in genere, e per i filosofi in ispecie; gli autori che scrivevano per la Commedia italiana, nel tempo in cui governò dispoticamente quel teatro, ebbero parecchie prove della sua durezza. Eppure, allorquando dovette recitare all’Accademia il discorso d’ingresso, ebbe bisogno 220 GIORNALE LIGUSTICO dell’aiuto di-ben noti scrittori, i quali gli si profersero volenterosi per compilarlo, quantunque egli poi, giovandosi del-l’opera di tutti, lo mettesse insieme da sè con una certa felicità; ma non avvenne così quando nel 1748, dopo la pace, per il suo ufficio di direttore dell’ Accademia fu obbligato a recitare al re quel complimento che s’era fatto comporre da Voltaire, il quale, sempre malizioso e un po’ malignetto anche con gli amici, lo aveva comunicato innanzi a qualcheduno; onde alla pubblica lettura il Richelieu ebbe prove evidenti del tiro e tenne per qualche tempo il broncio all’ amico. Egli era sceso in Italia circondato da una splendida aureola di gloria. Accolto onorevolmente a Genova, dove aveva sostituito il duca di Boufflers, ben presto seppe procacciarsi la stima ed il rispetto del Governo e dei cittadini, non che la sollecitudine delle donne, alle quali, secondo suo costume, fece una corte spietata, non senza, per quanto si afferma, lieti successi, sebbene amareggiati da qualche burla spiritosa (1). La storia ha serbato il ricordo delle operazioni militari, eh’ egli dovette compiere come suggello alla liberazione della Liguria dagli austro-sardi, incominciata per virtù di popolo; di che la Repubblica volle rimeritarlo con supremi onori, ascrivendo cioè la sua famiglia alla nobile cittadinanza genovese, ed innalzandogli una statua nel palazzo ducale (2). Ma prima d’ottenere simili onoranze d’indole politica, egli ebbe vivissimo desiderio di essere insignito d’ un titolo letterario certamente assai commendevole; quello cioè d’ accademico della Crusca, conceduto due anni prima a Vol- (1) Neri, Costumatile e soliari, Genova, Sordo-muti, 1883, pag. 72 e seg. (2) Accinelli, Compendio delle storie di Genova, Genova, Lertora, 1851, II, 153, 170 — R. Arch. di Genova, Confinium, Fil. 131. GIORNALE LIGUSTICO 221 taire. A tal fine se ne aprì col principe di Beauvau, che allora reggeva la Toscana in nome di Francesco di Lorena; e questi subitamente ne parlò all’ arciconsolo, il quale nell’ adunanza del 30 agosto « ne fece il partito stretto » insieme agli « ufficiali, e restò vinto con pieni voti » ; quindi dopo la consueta lezione propose pubblicamente il nome dei duca, « e in riguardo di sua distinta condizione, dispensando dalla legge della triplice proposta, il fe’ subito mandare a partito, ed egli restò vinto con voti tutti favorevoli », nella quale opportunità, perchè Γ elezione riuscisse più solenne, essendo stati ammessi al voto e il principe di Beauvau, e il conte Lorenzi, ministro del Re di Francia , ebbero il medesimo privilegio « tutti gli accademici, benché tra essi altri ve ne fossero privi di tal facoltà, per non aver fatta funzione accademica » (1). Or ecco in qual guisa il vice-segretario, detto in Crusca 10 Schernito, comunicava al Richelieu la sua nomina (2): Eccellenza, Fra i più prosperi avvenimenti, che render possano gloriosi i fasti dell’ Accademia della Crusca, ella conta certamente la bella opportunità, che le si è offerta di manifestare a V. E. la sua altissima venerazione, nel proporsele dall’ Eccellenza del sig. principe di Beauvan il riguardevole suo nome per essere ascritto al numero degli accademici. La sublimità della sua condizione, e de’ grandi titoli che adornano la sua degna persona; lo splendore delle sue chiarissime azioni; la stima speciale onde à voluto onorarlo il suo Augusto Sovrano nel commetterle 11 maneggio di gravissimi affari, e quella distintissima che unitamente al Monarca delle Spagne le à poscia dimostrata nel confidarle di concerto l’importante condotta delle loro armi, sono pregi così illustri, che non ànno mancato di tosto rappresentarsi all’ Accademia, per farle compren- (1) Arch. R. Accad. d. Crusca, Diario, cod. 26, pag. 7 e seg. (2) R. Arch. di Genova, Confinium, Fil. 131. 222 GIORNALE LIGUSTICO dere a qual gloria ella facevasi incontro nel ricevere fra’ suoi un personaggio di tanto merito. Aggiontisi poi a questi riflessi gli altri fortissimi, che nascono dall’ amore che V. E. conserva per le scienze più nobili e particolarmente per la favella toscana, e della reciproca azione, relazione d’affezione, e di oggetti, che passa fra 1’Accademia di Francia, che riconosce per suo fondatore il gran cardinale di Richelieu , e quella della Crusca, e finalmente della sicurezza, in cui questa è stata posta, che dal-1’ E. V. sarebbe stata accolta con gradimento una si fatta testimonianza del suo rispetto , a’ motivi di una onorata ambizione si sono in lei accresciuti quegli ancora di una tenera compiacenza, ed ella ha abbracciato col più sensibile piacere la propizia sorte , che le si presentava , e cui avrebbe anzi dovuto con ansietà grandissima ricercare. Appena dunque ascoltarono gli Accademici nell’ adunanza del dì 30 agosto prossimamente scorso una si lieta proposizione , che subito con universale consentimento ed applauso la riceverono, e il glorioso Nome di V. E. ordinarono che restasse nel loro Catalogo registrato. Io nel darle contezza per debito di mio officio di quest’ atto di ossequio del-1’Accademia, unisco al sentimento di lei il mio particolare , e all’E. V. offro riverentemente la mia servitù, dichiarandomi colla più profonda assegnazione Di V. H. Firenze, il dì 10 settembre 1748. Dev.mo et obb.mo servitore Andrea Alamanni Vice-segr. dell’ Accad. della Crusca. A questa lettera bisognava rispondere usando , per deferenza all’ istituto , la lingua italiana , sull’ esempio di altri francesi eletti già innanzi, ultimo il Voltaire, del quale il nostro nuovo accademico non voleva certo mostrarsi da meno. Onde bisognò cercare chi sapesse fare degnamente in tale occasione da segretario; gli fu agevole trovarlo, ed egli pose la sua firma alla risposta seguente (1) : (1) Ardi. d. Crusca, cod. 46, IX, n. 191, lett. 193. GIORNALE LIGUSTICO 223 Ill.m° sig.r Proiìe Col.mo, A misura della particolarissima stima, che ho sempre professata verso cotesta insigne Accademia della Crusca , mi è riuscito al sommo prezioso e sensibile 1’ onore che recentemente essa mi ha compartito nell’ ascrivermi fra ’l numero dei Soggetti degnissimi che la compongono. Se poi a questa per sè medesima sì preggievole (sic) distinzione qualche altro titolo poteva aggiungersi per me più vantaggioso , io confesso di ritrovarlo pienamente, nelle graziosissime circostanze, con cui l’Accademia ha ben voluto accompagnarla, e nelle cosi gentili obliganti espressioni, che col mezzo riguardevole di V. S. lll.ma si è compiaciuta di unirvi. Non è necessario di essere nato in Italia per aver concepita la più alta ammirazione di questo respettabile Consesso, il di cui nome risuona glorioso in ogni parte d’ Europa. Quindi, quanto è più grande l’idea che io devo formarmi del distinto favore, che vengo di ricevere, tanto più si avvivano in me le premure di corrispondervi, se non con la proporzione dei talenti , almeno in tutti quelli altri modi che sapranno presentarsi alla mia ri-conoscenza. Mi desidero bensì abilità non disuguale a quella di co-desti chiarissimi Accademici, onde potere almeno a tutti, e ad ognuno di essi, manifestare quali e quante siano per un così segnalato contrasegno della Loro bontà le mie obligazioni. Ma giacché i termini di cui potessi qui servirmi non adeguerebbero abbastanza la mia maniera di pensare in questo riscontro, io mi rivolgo a pregare V. S. lll.ma acciò si compiaccia di supplirvi con un nuovo effetto della singolare sua gentilezza verso di me, attestando in mio nome all’Accademia quanto siano altamenre impressi nell’ animo mio i motivi della più distinta obbligatissima gratitudine, la quale senza ristringersi ad una semplice azione di grazie, si manifesterà sempre nella brama vivissima che avrò, di darne in ogni tempo le prove più incontestabili. La eloquenza, di cui ella è dotata, può sola mettere nella vera sua luce questi miei sincerissimi sentimenti. Mi auguro poi che nel suo particolare voglia V. S. lll.ma gradire quelli della perfettissima considerazione con cui me le raffermo Di V. S. lll.ma Genova, li 14 settembre 1748. divot.mo et obbligammo serv.re Il Duca di Richelieu 224 GIORNALE LIGUSTICO Entrò così nel novero dei legislatori della lingua italiana quegli che, secondo fu notato, conosceva assai poco Γ ortografia della sua lingua nativa, e, come Voltaire, cui venne apposto lo stesso difetto, poteva a ragione esclamare: Tanto peggio per l’ortografia. A. N. Curiosità di Storia Genovese tratte Dall’Archivio di Stato in Milano (i). I. Tessitori di seta genovesi in Milano. Come è noto nel 1442 il duca Filippo M. Visconti aveva conceduti stipendi e privilegi a certi Fiorentini, per 1’ opera dei quali si erano introdotti nel Milanese alcuni particolari lavori di seta. Ma i Fiorentini trovarono emulatori ben presto in una compagnia di milanesi e genovesi, i quali con la medesima industria si sparsero nel ducato, e finirono per ottenere uguali agevolezze (2). Di uno di questi tessitori genovesi ricavo il fin qui ignorato nome nel Registro ducale n. 66, a fol. 88 t. dell’ Archivio Milanese. Era un tal « Magister Nicolaus de Ferodo, januensis ». Dal duca Francesco Sforza gli si concedeva la cittadinanza milanese con decreto 2 febbraio 1455, e da esso apprendiamo che il Perodo trovavasi da dodici anni in Milano quale « magister tessutorum », e che vi si era sposato (3). (1) L’egregio ed erudito collaboratore si propone inviarci successivamente le altre notizie che man mano andrà ritrovando ncll'Archivio. (2) Belgrano, Fila privala de’ Genovesi ecc. pag. 193. — Pavesi, Memorie per la storia del commercio di Milano ecc. p. 30. (3) Vedi il citato Registro ducale n. 66, loi. 88 tergo. GIORNALE LIGUSTICO 225 Altra cittadinanza milanese in favore di « M. Cristoforo de Insula fil. quondam Jacobi « che crediamo genovese di patria e <( tinctor sirici» in Milano, è dei 20 luglio 1485. Da 20 anni dimorava in quella città, e aveavi contratto matrimonio con una milanese (1). All’anno 1451 è menzione altresì di un Giovanne da Ser- 1 avalle « maistro di panno de seta », che si vantava creditore del trombetta ducale Giacomino da Carmagnola, alla corte di Milano, per certo velluto portatogli via. Pare che quel tessitore abitasse a Voghera (2). Aggiungiamo il nome di Nicolao da Chiavari « magister a batifoliis optimus » nel · 1471 (5). II. Genovesi all’ Università di Pavia. Nel 1451 « dominus Dominicus de Spinulis » rinunciava alla lettura « de feudis » allo studio di Pavia, e veniva rimpiazzato col cremonese Tommaso degli Aimi (4). Nel 1468 a bidello dell’ università degli artisti in Pavia figura un Felisio de Marcbatoribus, di Sarzana, specialmente raccomandato a quella carica dalla duchessa Bianca Maria Sforza (5). Surrogava un Giorgio de’ Busiati. (1) Lettere ducali 1478-1488, fol. 205 tergo, nell’Archivio Civico milanese. (2) Almeno la lettera ducale 18 maggio 1451 die lo concerne è diretta al podestà di Voghera. [Missive n. 4 fol 173. Arch. di Stato]. (3) Decreto 19 dicembre 1471 in Lettere ducali 1462-1472, fol. 219 tergo, Archivio Civico. (4) V. Lettera ducale 15 febbraio 1451 al Consiglio segreto in Missive n. 4 fol. 81 e 81 tergo. (5) V. Lettera 14 settembre 1468 del Consiglio segreto allo Sforza in Carteggio diplomatico. Giokm. Lioustico. Anno XIV. 15 226 GIORNALE LIGUSTICO Ed è dei 30 novembre 1478 il salva-condotto ducale per molti giovani genovesi che studiano a Pavia, perplessi a recarvisi per continuare i loro studi « dopo la ribellione » ben nota di Genova (1). III. . Negozianti Mantovani che tentano convergere il loro smercio verso Genova antiche a Venezia. La lettera che segue, in data 5 giugno 1451, dal duca di Milano diretta ai Protettori di S. Giorgio in Genova non abbisogna di altre spiegazioni. Mercadanti di panni in Mantova « quali solevano spaiare li soy panni a Venezia », desideravano ora dirigerli alla piazza di Genova, ed a tal uopo mandavano messi speciali in quella città per accordarsi. Naturalmente il duca di Milano, nemico sempre di Venezia, li incoraggiava nel loro divisam ento. Ma ecco la sua lettera: Protectoribus Sancti Georgij. Ve recommandassimo più dì passati certe cittadini et mercadanti Mantovani, quali solevano spazare li soy panni a Venexia, et adesso desideravano spazarli in quella cita, et per intenderse de questo, debono essere venuti 0 vero mandato li. Et intendiamo che da vuy hebcro grata et bona resposta, el che molto ne piaque. Et perchè desideramo che questa inteligentia et accordio habia loco per ben et utile de una parte et de laltra, sì etiandio per deviare quelle merchantie da Venesia, et per compiacere allo 111. Sig. Marchese de Mantua , al quale compiaceressimo in maiore cosa, ve recomandiamo strectamente questa tacenda, et pregamovi che per nostro amore ve piaza essere favorevolle alla votiva expedicione sua, et operare per essi in modo che intendono questa vostra recomendacione (1) Registro ducale n. 43 fol. 135 tergo. giornale ligustico 227 essergli stata utile, de la quale cosa ne fareti grandissimo piacere, appa-rechiati ad ogni vostro piaceri. Mediolani v junij 1451. In simili forma, mutatis mutandis, scriptum fuit domno duci Januensium (t Ancianis ibidem, Dat. ut supra (1). IV. Bando in Genova delle monete milanesi nel 14JI. Anche quest’altra missiva ducale 12 novembre 1451, al Doge di Genova, non abbisogna di schiarimenti. Genova non tollerava che le monete proprie; allo Sforza importava che in quella città, anche per il commercio, circolassero pure le monete di conio milanese, eh’ egli nella sua lettera affermava di buon peso e lega, e d’argento. Ma non fu sempre così delle monete uscite dalla zecca di Milano (2). Domino Duci Janue. Nuy siamo avisati conio la 111. Sig. V. ha facto bandire et proclamare novamente in la Cita de Zenoa, che non se possano spendere nè usare altre monete che monete zenoese, del che havimo preso uno puocho de admiracione che la prefacta Sig. V. habia facto fare questo bando così generale. Et questo dicimo per le monete nostre, le quali sono bone et juste de peso, et de argento et per li fempi passati sempre sono state spese, per quanto debitamente vagliano, etiam per li merchadanti nostri quali pratichano a Zenoa et fano condure de quà in là, et de là in quà le merchancie loro. Sentendo essi che in Zenoa non se possano spender altre monete che le zenoese, restarono de fare le merchancie sue, perchè de quà non se trovano tante monete zenoese che possano supplire et bastare per le cento parte loro di trafighi che fano lì, perchè ne seguiria grande danno et detrimento ale intrate nostre et anche ale vostre, corno pò chiaramente la S. V. cognoscere et tocare cum mano. Et pertanto (1) Missive n. 4, fol. 199. (2) Lo proveremo in un nostro lavoruccio sulla \ecca di Milano sotto gli Sforma, ora in preparazione. 228 GIORNALE LIGUSTICO preghamo la 111. Sig. V. voglia fare revocare questo bando , per respecto de le monete nostre, et ordinare che le nostre monete se possano spendere et habiano el suo debito corso, et preciso, corno sono spexe per li tempi passati, maxime essendo bone et juste de peso et de argento como havimo dicto de sopra. Parme n novembris 1451. Cichus (1). V. Schiavi fuggiti da Genova a Pavia. Nel novembre 145 1 cinque schiavi fuggiti da Genova eransi riparati a Pavia, ma corsevi per arrestarli il loro padrone, un tal Domenico de Acornerio, cittadino genovese. Il duca di Milano concedevagli la chiesta consegna dei fuggiaschi, che andò per le lunghe per parte del podestà di Pavia. Cui lo Sforza scriveva da Lodi ai 4 dicembre 1451: Ne ha scripto Domenico de Acornerio citadino zenoese, gravandose che non obstante te havimo scripto, che tu gli daghi et consegni nelle mani sue quelli cinque schiavi fogiti da Zenoa, pur recusi non volergli assignare tucti, ma retenerne uno el quale dice non essere schiavone ; del che ne siamo maravigliati, che havendote nuy scripto quanto havevi affare non dovevi ghiosare le nostre lettere. Et pertanto volimo che senza veruna exceptione tu ghe li consegni tucti cinque et cussi fà. In egual dì scriveva il duca di Milano al genovese Acornerio , d’ aver replicato al podestà di Pavia 1’ ordine di consegna degli schiavi riparati in quella città. Ma confortavalo ad « havere bona advertentia che conducendo quello che si dice non essere schiavo », non gli fosse fatto torto « del che ne poderia cadere manchamento del favore » e s’avrebbe detto lo Sforza essere stato il « suo becaro » ! (2). (1) Missive n. 5, fol. 312 tergo. (2) Lettere ducali in Missive, Registro n. 5, fol. 311 tergo. GIORNALE LIGUSTICO 229 VI. Gioie della duchessa di Savoia comperate da mercanti Genovesi. L’ Archivio di Stato milanese ci offre numerosi documenti per gioje e gioielli acquistati dai duchi Sforza!.. E ve n’ha per Genova; nè questo è l’unico che riprodurremo. Qui si tratta d’ una lettera al duca Galeazzo M. Sforza, 28 giugno 1470, di Francesco Pagnano (1), solito a trattar gli acquisti di oggetti preziosi per la casa ducale. Alcuni negozianti genovesi avevano comperato « le zioie de la ducessa de Savoglia »; nel punto di portarle a Roma per farne vendita al papa, il Pagnano li chiamava a Milano, ove giunger dovevano di que’ di. Essi portavano tante gioje per il valore di 20,000 ducati; ma se lo Sforza ne acquistasse parte 0 il tutto ignoriamo. 111. et Excell. Principe. Sono già molti giorni pasati, che havendo intesso corno alchuni merchadanti genovesi, et vostri servitori, haveano comperato le zioie de la ducessa de Savoglia, et stavauo per portarle al papa, jo gli scripse fecesero capo quà con ditte zioie. Novamente ho hauto risposta, che per tuto veneredi prosimo che vene o al più tardo sabato se retrovarano quà, con zoie per ducati vintimilia. Io li redrizarò a Vostra 111. Sig. aciò che quela prelibata possa prendere piacere de videre dicte zioie, et torre eletione di quelle essendoli cossa che li piacesse. Dat. Mediolani die xxvm Iunij 1470. Ejusdem 111. dominationis vestre fidelissimus servitos Francischus Pagnanus cum humili recomendatione (2). (1) Cari, diplomatico. (2) Per gioje dagli Sforza acquistate dai Campofregoso nel 1460 e 1463 vedi il Registro ducale n. 98, fol. 48 e 210 tergo. 23 ο GIORNALE LIGUSTICO VII. Una confraternita di battuti a Torriglia. Si pubblica senza commenti il documento che segue (i) ; una lettera diretta al duca di Milano da Leonello Villani. 111. Signore. Novamente in questo loco de Turrilia è principiata una sinagoga de batutti, quale in altri tempi non gli foe mai più, dove final presente gli sono congregati circa ottanta homini et tuttavia va crescendo. Intendo che altre volte volsero fare questo medesimo ma gli foe vetato .per quelli dal Fiescho, per suspictione che sotto pretesto de fare bene non facessero male. Multo magiore suspitione, al parere mio, gli doveria essere in questi tempi, essendo loro de la natura che sono etc. Non ho voluto dirli cosa alcuna che facino bene in male, finché non ho dato adviso ad V. Ex. Ma secundo lopinione mia, me pare cosa periculosa che tanti homini se debiano unire inscieme, quali ale volte parlano tramare et fare de le cose che non seriano ben facte. V. Sig. gli potrà fare quella provisione gli parerà conveniente. Me racomando a V. Sig. Turilie die xxii aprilis 1474. I. d. d. v. servus Leoneìlus Villanus. Vili. Un pittore sconosciuto?... Nel Registro ducale n. 50 a fol. 79 t. leggonsi le lettere di passo concesse ai 20 febbraio 1476 a Francesco de Gradi pictori favute, valevoli per 4 anni. È noto questo pittore?., era veramente genovese o abitava soltanto in Genova ? (2). (1) Erroneamente stava questo documento nel Carteggio diplomatico aprile 1475. (2) Francesco de Gradi potrebbe anche equivalere a Francesco de A grate, in Brianza. Sarebbe un caso come quello del medico sforzesco Giovanni Matteo de Gradi 0 d’Agrate. GIORNALE LIGUSTICO 23I VIIII, Medici nel Genovesato. Nel 1479 troviamo a Sarzana un medico nella persona di Giovanni de’ Villani (1). Egli era nativo di Pontremoli. Noi sappiamo che fin nel 1395, ai 17 giugno, erasi conceduta la cittadinanza milanese ai fratelli Fabiano ed Angelo Villani, pontremolesi, figli del defunto medico Guglielmo (2). Nel 1451 un « Magistro Giovanni di Marni » d’Arona sul Lago Maggiore, dottore in medicina, avanzava lamenti al duca di Milano per suo soldo arretrato, che doveva percepire dalla Comunità di Novi, per sue prestazioni (3). E abbiamo pure in Archivio una supplica, senza data, al duca Sforza di « Magister Johannes de Moni aldo fisicns », perchè siagli tolta Γinibizione di poter esercitare l’arte sua in Genova sua patria, dove ritornava, e dove già altre volte aveva figurato nell’ albo dei medici genovesi (4). Emilio Motta: SPIGOLATURE E NOTIZIE Scavi. — Ventimiglia. — (Rapporto dell’ ispettore prof. G. Rossi). Continuandosi gli scavi nella proprietà Porro, che fronteggia la Via de’ sepolcri, nella pianura di Nervia, sono venuti fuori alcuni nuovi titoli. (1) V. lettera ducale da Milano 12 gennaio 1479 a « Magistro Iohanni de Villanis physico Sarzane » onde ringraziarlo di aver fatto entrare delle carni salate nel Castello d’Elice (Lerici) [Classe Medici: Villa]. (2) Lettere ducali„ I fol. 156 tergo [Arch. Civico Milano]. (3) Cart. diplomatico 1451, cartella II. (4) Classe Medici, cartella L-M. 232 GIORNALE LIGUSTICO Uno di questi, posseduto dal sig. Labindo, orologiaro nel sestiere di S. Agostino, ha di pregevole che, sopra il rettangolo in cui fu incisa l’iscrizione, si vede in rilievo, entro un semicerchio, una figura avvolta in un manto e distesa, che ha la mano sinistra sopra un cane, ed ai suoi piedi un uccello, che pare una civetta. La leggenda dice: D · M · S · M · LOLLIO · HELIODORO · VIXIT ANNIS ·ΙΪ·ΜΕΝ· V· DIE -XX.FECERVNT T-FLAVIVS-EVTYCHVS ET · FLAVIA · CERINE Il rettangolo in cui è incisa l'iscrizione, misura m. 0,29 X 0,17. Un’altra lapide, proveniente dalla località medesima, reca l’epigrafe: M 'MALLO N I V S LALVS S I BI ET S VI S ET AVRELIAE SY NEMNE VXORI · V-F Dal medico Zelbi ebbi un frammento di lapide, di m. 0,14, X 0,11, nel quale in lettere rozzissime, che ricordano quelle dei titoli cemeteriali cristiani, vedesi : K fc t TIAE\ E R I C\ (Dagli Atti dei Lincei). * * * La Biblioteca Casanatense di Roma ha acquistato alcuni importanti mss. appartenenti al pontificato di Urbano VIII. Meritano speciale menzione per noi, l’autografo della descrizione che Tommaso Raggi fece della fuga dei Baraberini da Roma nel 1645, piena di molti e curiosi particolari; la vita dello stesso Raggi scritta da Pier Giovanni Capriata, e quella di Lorenzo Raggi dettata dal Baffico. GIORNALE LIGUSTICO 233 ♦ * Nelle Notizie storiche tratte dai Registri di Cancelleria di Carlo III di Duralo edite da Nicola Barone (Arch. Stor. Napol., anno XIII, Fase. I, pag. 20 e 23) troviamo le note seguenti: 1 1382, 25 maggio. Carlo tenendo presenti i meriti di Burgarino Amellotto di Portovenere , e le raccomandazioni a favore di costui fatte dal nobile Damiano Cachiani (Cattani?) di Genova, Io nomina console dei regnicoli, i quali dovevano portarsi de riparia Janue alla terra di Portovenere » — « 26 giugno. Ordina a favore dei cittadini e dei mercanti genovesi, dimoranti in Napoli, che si decidano i litigi che avessero con altri dagli uffiziali del regno, con giudizio sommario ; che dalle sentenze non possa appellarsi, nè possano decidetsi le controversie da arbitri; e finalmente che , giusta il desiderio di quei mercatanti, dovendosi proseguire qualche giudizio in Genova sia esso condotto nello stesso modo. — 27 detto. Il re permette che le cause civili dei Genovesi dimoranti nel regno sieno giudicate dal Console loro ». Filippo Bonazzi pubblica nello stesso giornale (pag. 41) l’atto della resa di Sorrento a Filippino d’ Oria dopo la vittoria di Capo d’ Orso. Il documento è de! 3 maggio, donde 1’ editore rileva, che fra le varie date attribuite dagli storici a quella battaglia navale, il 28 aprile sembra la più accettabile. * Nella Biblioteca Nazionale di Firenze fra i manoscritti che non figuravano ancora inscritti nel catalogo si ritrovò un portolano del nostro cartografo Visconte Maggiolo, intorno al quale discorsero in qualche Giornale il Desimoni e lo Staglieno. Speriamo in breve poterne dare una più diffusa notizia agli studiosi. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Angelo Borzelli, Note su Gaspare Stampa, Napoli 1866. L’ A. si è dimenticato del modesto titolo apposto al suo libro per fuorviarsi in considerazioni, che lo condussero a generalità oziose ed anche a parecchie inesattezze. Il suo lavoro sarebbe stato assai più utile e gradito se si fosse accontentato di dare in forma succinta, come prometteva, le poche conclusioni nuove e sicure a cui gli permettevano di arrivare le ri- 234 GIORNALE LIGUSTICO cerche da lui fatte. Non avrebbe allora, come nel cap. IV. messa a fascio la donna del medio evo maltrattata dai dottori ecclesiastici con quella del secolo XVI e con la donna moderna ingiuriata pazzamente da Vittorio Imbriani: non avrebbe neppure affermato che — « schiettamente la letterata o poetessa del Cinquecento è rimasta un fenomeno inqualificabile ». Si dica lo stesso di certe citazioni sulla Stampa del Crescimbeni, del Ce-reseto, del Maffei, deU’Emiliani-Giudici ecc. che stanno là per ingrossare il volume, ma che non fanno nè caldo nè freddo nella questione. Altri ha già rilevato le gravi deficenze di questo studio in cui 1’ A. si è fermato alle sole edizioni a stampa delle Rime, senza consultare i manoscritti che gli dovevano essere di capitale sussidio nelle ricerche intraprese (i). Anche lo spoglio del materiale critico intorno alla poetessa padovana è farraginoso, fatto senza discernimento e i giudizii se ne ìi-sentono. Come si può egli asseverare senza prove che « soltanto la grande coltura dello spirito, il ritenersi sempre come tenuta a vista (sic) dal suo Conte di altri tempi e la vanità femminina non fecero discendere la poetessa al livello della cortigiana »? Ed è questa la donna sulla \ita come sulla lirica della quale 1’ A. stesso attesta che influì pochissimo lei corruttela del secolo ? Di giudizii contradditorii o discutibili c’è larga messe nelle brevi pagine di questo volume, sicché un esame minuto ci trarrebbe troppo per le lunghe. Basti far cenno di alcuni. A p. 6o, ΓΑ. dice senz’ombra di dubbio, « i sonetti di pentimento della St. aver contribuito in buona parte alla facile formazione e allo spandersi (sic) della leggenda » — che cioè la poetessa morisse di mal d’amore. A noi pare che quei sonetti, modellati del resto su quelli del Peirarca, non ne abbiano proprio nessuna colpa, e la leggenda nell’ordinario dei casi non si fonda mai sopra dati positivi, ma sopra un’incerta e vaga nozione del fatto. A p. 62 annuncia con tono di oracolo l’opinione tutta moderna che la St. dopo l’amore per il Collalto, ne ebbe degli altri, 1 quali sono confermati da alquanti passi delle Rime, letti appena dal Gucrrini e non tutti accennati. Dio mio ! non si è inventata, per così poco, la polvere. Il Guerrini alla cui breve prefazione (2) l’A. in altro luogo annette per contro soverchia importanza, aveva meno modernamente certo, ma infine aveva detto egli pure che gli accenni a nuovi amori si vedono chiari in queste poesie. Una notizia inportante si trova a p. 59 in nota, da cui risulterebbe che il Collalto prese moglie nel 1557, ossia soltanto tre anni dopo la morte (1) Giorn.. St. della Lelt., Vili, 433. (2) Rime di tre gentildonne del sec. XVI; Milano, Sonzogno 1882. V GIORNALE LIGUSTICO 235 della poetessa. Ma vedete casi, questa notizia in mezzo a tante citazioni che schiettamente possono dirsi inutili, non- è documentata. Infine il valore che è assegnato alla lirica della St. parrà, forse non soltanto a noi, eccessivo. Per l’A. l’imitazione del Petrarca passa in queste rime inosservata, grazie alla loro grande schiettezza ed all’assimilazione perfetta. Come si possano conciliare questi due termini schiettezza e assimilazione non so : inoltre la situazione della St., tanto diversa da quella del Petrarca, ci permetterà di dubitare se veramente abbia, fatto lei il miracolo non tentato neppure dai tanti petrarchisti 0 petrarchevoli contemporanei : un'assimilar Zione perfetta. Di fatti il vecchio e sciupato armamentario sovrapposto e punto punto assimilato, si scopre fino alla sazietà anche in queste Rime: il viso leggiadro, il bel lume e chiaro, il fiorito e verde prato e il fiorito prato d’ amor, l’arcero, gli strali ecc. — Si scopre anche colà dove 1’ a-more geloso e tradito dovrebbe scattare con .più sincerità e veemenza, e cito in prova il Son. [83 (1). Ciò non toglie certamente nulla ai pregi indiscutibili della poetessa padovana, a confronto degli slombati melici contemporanei, ma ciò deve anche impedirci di esagerare quei pregi oltre misura. L’ A. dimostra senza dubbio una sufficiente attitudine alle ricerche, che è un prezioso ausiliare in lavori di questo genere, ma che da sola non basta. Occorre anche una conoscenza sicura dell’ambiente in cui vissero, sentirono, operarono i personaggi oggetto del nostro studio. Questa conoscenza manca all’A. Come si può parlare con .verità di Gaspara Stampa quando su! Rinascimento si pronunziano eresie così fatte: « L’arte fu pagana come la vita italiana del secolo per un accordo fortuito » ? Carlo Braggio. Firdusi; Il libro dei Re, recato in versi italiani da Italo Pizzi, Torino, V. Bona 1886. Il Prof. Pizzi ha condotto a termine la colossale opera cui attendeva da molto tempo, e fin dal giugno dello scorso anno essa esce regolarmente in dispense ormai pervenuta alla dodicesima. La versione del grande poema persiano di 120 mila versi è tale impresa che onora non soltanto il suo autore, ma anche il paese in cui essa ha potuto avere effetto. Così si avvera il voto modestamente espresso dal Pizzi che il suo lavoro possa trovare festosa accoglienza presso tutti i lettori colti, e i (1) Rime ecc. Sonzogno, 1882. 236 GIORNALE LIGUSTICO giovani segnatamente che dovrebbero attingere per tempo alle fonti della nobile poesia. Il meraviglioso poema che lo Schack diceva produrre l’impressione dell’incommensurabile, per la benemerita fatica dell’illustre autore diventa adesso accessibile non solo agli orientalisti, ma ad ogni classe di studiosi. Sarebbe superfluo Io spender parole sulla diligenza con cui la traduzione venne condotta. La profonda competenza dell’ A. negli studi iranici ci è certo pegno della sua fedeltà e maggior pegno, se è possibile, il coraggio da lui dimostrato nel rifare che è di pochi forti fortemente convinti. Il Pizzi acconsentendo ad un’ idea erronea, aveva tradotto dapprima molco liberamente, e una metà dell’opera seguendo cosi fatto metodo era ormai compiuta, 60 mila versi circa, quando si avvide dell’errore. — « Feci forza a me stesso, egli narra nella sua prefazione, distrussi tutto il già fatto e ricominciai da capo ». Non so a quanti darebbe l’animo di imitarlo. Riservandosi di pubblicare fra poco un suo volume di Studi intorno all Epopea persiana, il Pizzi fa precedere la versione da una succinta, ma completa biografia di Firdusi, e dà un sunto del libro dei Re. È un’utile sinopsi della grande epopea, intorno alla quale è difficile, dicendo poco, dire abbastanza. Potrebbe paragonarsi ad una gigantesca flora la cui lussureggiante vegetazione non torna però a scapito dei frutti, che maturati tra tanto insolito vigore e in un aere propizio, non sono punto da meno delle splendide promesse. L’Iliade si riduce ad anguste proporzioni al confronto di questo libro, gli episodii sono poemi : .....· Favellai di agresti Belve, di lupi e di leoni in giostra, D’ elefanti, di dèmoni e di pardi, Di draghi e mostri dell’ immenso mare , Dei dèmoni gl’ incanti e le malie Dei Devi e lo stridor che alzano al cielo. Parlai d' uomini in guerra illustri e forti, D’ antichi eroi, gagliardi entro la pugna, E i prenci tutti ricordai che nome Hanno e gloria e onor dei prischi tempi. Cosi il poeta stesso, e la citazione è un saggio della buona verseggiatura usata dal suo traduttore. Le difficoltà non eran poche, poiché la leggiadra poesia di Firdusi, conservandosi pur sempre uguale a se stessa, trascorre con mirabile facilità per tutti i toni: ora magniloquente, ora semplice e affettuosa come un bnon vecchio che narri i dì passati, come doveva essere quell’Azàd-sers nell’atto che descriveva al poeta la morte di Rustem, il più grande eroe dell’epopea. GIORNALE LIGUSTICO 237 Il verso italiano nelle mani del Pizzi è divenuto docile strumento atto a rappresentare una tale e tanta successione di fatti e di sentimenti e questa non ci pare piccola lode. C. B. D. Zuccarelli. Tra i Canneti, Novelle, A. Tocco e C. Napoli 1886. Queste novelle ci trasportano in mezzo al popolo abruzzeze, del quale descrivono i costumi, le credenze, 1θ superstizioni, quel misto di semplicità e di furberia, di gentilezza e di ferocia che forma una delle principali sue caratteristiche. Pasquinetto, Leprarello. Nicola, colle loro tempre granitiche, le ardenti gelosie e gli odi tempestosi, sono così maestrevolmente dipinti, che per poco non li credi forniti d’ anima e di ccrpo : la Lionessa, la Rita, tenere e audaci ad un tempo, passionate e crudeli, ci fanno tremare e piangere, fremere e rabbrividire, e come le loro sorelle della montagna non si dimenticano più. I fieri figli dell’ Abruzzo ci vengono presentati dall’Autore quali gli si mostrarono realmente nei lunghi rapporti che ebbe con essi, rozzi ed incolti, violenti ed impetuosi, ma eroici sempre e migliori assai della loro fama, la quale fu cagione che tanto spesso siano stati disconosciuti e calunniati. I giuochi e le feste popolari , le scene patetiche 0 terribili alle quali assistette fanciullo e che hanno lasciato nella sua anima un ricordo incancellabile, vengono da lui descritte con la stessa fedeltà e vivezza con cui descrive le consuetudini dei suoi compaesani, le loro bizzarre e pittoresche foggie di vestire, la selvaggia magnificenza delle sue montagne. Vinto dalla nostalgia, sogna egli i solitari canneti del suo paese e noi sogniamo con lui, accarezzata la fronte da un puro soffio d'aria montana. Intanto i picchi nervosi, le foreste di castagni e di faggi, le colline inghirlandate di viti ci sfilano davanti agli occhi e ci giunge distinto all’orecchio lo stormire malinconico de’ pioppi, lo scroscio rumoroso de’ torrenti, il ritornello lungo e beffardo delle gaie stornellatrici : « Me dice sempe: ohi ne’ te voglio bene; Ma a casa non ci viene a parla a tata. » Infine l’ambiente dà vita e serve di sfondo al quadro : e noi abbiamo la vera novella popolare, che riproduce cioè fedelmente la vita del popolo, studiata con diligenza ed amore. Niente di convenzionale e di retorico nelle descrizioni. L’Autore le usa opportunamente e sobriamente a lumeggiar meglio il racconto, e dare risalto alle situazioni. Sono tocchi larghi e sicuri che mostrano la rara maestria dell’artista. E come i caratteri, le u- 238 GIORNALE LIGUSTICO sanze, la lingua, che non è la lingua morta dei libri, ma il parlare caldo, colorito, imaginoso del popolo abruzzese, cosi anche il paesaggio è il paesaggio pittoresco proprio dell’Abruzzo. — « Quel bosco rivestiva tutto un fianco della montagna, ricca d’acque e di pascoli nella state, deserta e impraticabile nel verno. Il maggio vi andavano a cercare erbe e frescure le mandrie di capre, che, ai primi freddi, tornavano a svernare nelle Puglie, lasciando vuote e silenziose le capanne di paglia, dove avevano trascorso i giorni più belli e che rivedrebbero festanti alla novella primavera. Cadute le prime nevi, vi erravano liberamente le lupe affamate, cercandovi le loro tane, sgravandosi dei lupicini nel luogo stesso, ove il mandriano avea deposta secura la testa » (pag. 69). — Ma i lettori leggano e giudichino. Quanto a noi auguriamo al volume la lieta accoglienza che merita, aspettando impazienti le altre novelle che ci promette ΓAutore. A. G. F. Giovanni Franciosi, Carme, Tip. editrice S. Bernardino, Siena 1886. L’ autore che ama i voli robusti e audaci, s’innalza sino a tentar le più alte e inesplorate regioni dell’ ideale. A pag. 95 infatti egli dice : ......Quanto piace al mondo Fugge e scolora all’ occhio mio ; chè Γ alta Viitù della sventura alle più dolci Vedute di quaggiù m’ ebbe rapito; E sulle forti penne , acquila diva , Levato là dove non cade il sole ; Ma crepuscoli arcani e non intese Melodie si diffondono. Ma spesso il lettore non regge a seguirlo : le forze gli mancano : la stanchezza lo vince : e mentre il Poeta , inebriato dai novi orizzonti e dall’ arditezza medesima del suo volo seguita ad innalzarsi, egli vorrebbe scendere dalle fredde regioni in cui fu trasportato e rivedere la terra. In altri termini, PA. abbandona di rado il campo dell’astrazione e della metafisica: d’onde le nebulosità e l’aridezza che riscontra qualche volta il lettore. Il fantasma, non incarnato in una forma sensibile, gli sfugge e non gli è dato afferrarlo : l’homo sum non palpita al disotto di quei versi. Per altro bisogna convenire che se il Poeta ebbe il torto di dimenticar troppo la terra e perdersi soverchiamente nelle nubi, mostrò però di essere atto a sostenere gli eccelsi voli a cui ardi spingersi coll’audacia e la sicurezza dell’ aquila. E per verità egli ha risoluto il problema di dar veste poetica agli argomenti più astrusi, e che paiono prestarsi meno ad essere trattati poeticamente: La verità, La coscienza, L’aria, L’attimo, Il volere ecc. GIORNALE LIGUSTICO 239 Bisogna dunque tenergli conto della difficoltà superata e, in grazia dei molti pregi di cui sono ricchi i suoi Carmi, perdonargli la scarsità del-1’ affetto e la mancanza di calore e di vita che gli si potrebbero talvolta rimproverare. La brevità dello spazio non ci consente di citar molto : ma, convinti di far cosa grata al lettore, riporteremo alcuni dei versi che ci sembrano migliori. Generator del tempo, in sen ti guizza Un balen dell’ eterno. Appena il trepido Pensier ti coglie e tu ratto dilegui Ne* cupi abissi del passato, o t’ ergi Su dei futuro ne* remoti cieli. Eppur bello tu sei ; bello d’ arcana Rapidità , di lume e di baldanza. In te s’ apre la vita ; in te s’innova Il secolo mortale ; e , come P aura, Non visto seme , teco porti amore, 0 spirti procellosi, affanno 0 pace, Letizia 0 pianto. Così parla il poeta al fuggevole Attimo (p. 105). Ed al Pensiero dice (P· 57): Te, de’ miseri oppressi Invitta forza e non manchevol gioia, Che allo schiavo concedi occulta vista Di libertà beata ed al morente Esule i baci di lontana madre ; Te , dell’ età più tarda Unica fiamma, onde 1’ antico volto Di rinnovata gioventù si schiara ; Te che all’infermo rendi De' campi il vasto e de’ sonanti lidi; E al curvo cieco splendi Lieto chiaror di non veduti soli: Te invoco, o sempre altero Dominator delle fallaci cose; E al tuo vertice puro, Ove , germe gentil, s’ apre il futuro , Anelando rifuggo. Del rimanente, il miglior modo per convincersi che i versi del Professore Franciosi meritano un elogio speciale sotto molti rapporti, è quello di leggere l’intero volume. E da tale lettura non si potrà a meno di ritrarre la speranza, o, diremo meglio, la certezza che anche cui Bonetti 240 GIORNALE LIGUSTICO educativi di prossima pubblicazione, ΓAutore saprà darci un’opera egregia, da non confondersi cioè coll’ opere dei molti. A. G. F. Res Ligusticae — I.I Chirotteri trovati finora in Liguria per Giacomo Doria. — Genova Sordo-Muti - 1887. È per prepararci a solennemente festeggiare l’anniversario della scoperta del nostro gran Colombo, con la pubblicazione di una nuova Guida di Genova e del Genovesato, sul tenore di quella che vide la luce nel '46 iu occasione della riunione degli scienziati Italiani, arrichita di nuovi e più completi studi sulle produzioni della Liguria, che l’illustre autore con questa monografìa inaugura le Res Ligusticae, sotto il quale titolo coadiuvato da collaboratori conta di pubblicare una serie di lavori sulla fauna ligure. Quantunque non d’ indole degli studi cui è informato questo periodico è con vero piacere che facciam plauso a questa pubblicazione, resaci più pregevole in modo speciale dalla prefazione che la precede. — In essa infatti il chiaro autore, prendendo occasione da brevi ed accurati cenni sullo svolgimento degli studi delle scienze naturali in Liguria dall’ inizio del secolo circa fin a’ tempi nostri, ci dona alcune lettere inedite del gran Cuvier al Viviani che ci danno speranza vorrà far di pubblica ragione altri importanti carteggi del celebre Botanico con altri illustri scienziati de’ suoi tempi, di cui è fortunato possessore. E dicendo della storia delle scienze naturali in Liguria non poteva certo tacere del Museo Civico di Storia Naturale, che segnerà mai sempre in essa l’età dell’ oro, dal Doria con un ogni sorta di sacrifizi fondato e diretto , ricchissimo di libri e di collezioni illustrate colla pubblicazione degli Annali già pervenuta al suo 25,0 volume, che mette Genova a livello dei centri scientifici più colti d’ Europa e del mondo. Passa indi a svolgere alcune sue idee sulla utilità scientifica dei Musei, insistendo sullo sbagliato indirizzo degli studi zoologici in Italia, sulla necessità di fondare un gran Museo Nazionale in cui accogliere le collezioni' dei nostri esploratori e viaggiatori, idee che dividiamo pienamente e ci lusinghiamo dalla sua voce autorevole saranno accolte e valutate come si deve colà come si puote. Quanto al valore scientifico del lavoro basti dire che mentre le specie di Pipistrelli della Guida di Genova ammontavano a sole sei, le pazienti ricerche del Doria le aumenta fino al numero di 18. Accompagnando ciascuna specie con interessanti note sinonimiche e Osservazioni di distribuzione geografica. — Non ci resta che a far voti di veder presto arrichite le Res Ligusticae di nuovi lavori sulle restanti classi di vertebrati liguri. G. C. Pasquale Fazio, Responsabile. 241 ALCUNI NUOVI DOCUMENTI INTORNO A CRISTOFORO COLOMBO ED ALLA SUA FAMIGLIA (i) Ai documenti sulla famiglia di Cristoforo Colombo °ià da me tempo addietro trovati, e che or sono di pubblica ragione (2), devo aggiungerne alcuni altri, e non meno di quelli importanti, tanto più che due di essi si riferiscono particolarmente alla persona del sommo navigatore, e tutti poi concordano pienamente con i pubblicati, e con quanto i nostri scrittori dissero di Cristoforo Colombo e della sua famiglia. Questi documenti sono di tempo e di indole diversi, ed io li accennerò secondo Γ ordine cronologico, dicendo sopra ciascuno alcune parole, per farli apprezzare, e nello stesso tempo onde esporre alcune mie idee sulle controversie che tuttora si agitano relativamente alla famiglia ed a diverse circostanze della vita di lui. Il primo di essi già da qualche tempo venne a mia cognizione, e come feci per gli altri, immediatamente lo comunicai alFegregio amico mio, Sig. Henry Harrisse; ma egli non potè valersene, nè inserirlo assieme ai precedenti, nella sua grande opera sopra Cristoforo Colombo, perchè quando gli giunse, questa già era, quantunque da poco, pubblicata. (1) Comunicati alla Società Ligure di Storia Patria nella seduta del 27 maggio 1887. (2) Cfr. Giornale Ligustico 1885, pag. 218. Harrisse, Christophe Colomb etc., Paris 1884-1885. Gtorx. Ur.usTico. Anno XIV. 16 242 GIORNALE LIGUSTICO Io però in altro mio lavoro, ne feci cenno (1), ma bre-vissimatnente, chè l’indole del documento non si prestava a deduzioni consentanee alla materia trattata in quello scritto. Questo documento si trova nel nostro archivio notarile fra gli atti del notaro Paolo Recco, colla data del 13 marzo 1470, ed è in sostanza la ratifica data dalla corporazione dei tessitori di panni in Genova, radunati perciò sotto gli olmi che allora ombreggiavano la piazza di S. Stefano, come altre piazze della città, ad un convegno fatto a Savona, l’ultimo giorno di febbraio dell’ anno stesso, in atti del notaro Antonio de Rimero, da Antonio Garibaldo e da Domenico Colombo, a nome dei tessitori di panni genovesi, con Pellegrino de Retona, console di quei di tal arte, e con diversi di essi in Savona. Appare dal complesso dell’ atto come scopo di questo convegno fosse di stabilire diverse discipline relative ai famigli o garzoni dell’ arte istessa nelle due città, per cui detti contraenti genovesi si erano impegnati ad ottenere Γ approvazione della corporazione dei tessitori di Genova, entro quindici giorni; ma quali fossero le discipline concordate fra i tessitori delle due città, non è indicato, certo ce le potrebbe apprendere Γ atto del notaro Rimero. Per questo finora riusciron vane le ricerche fatte eseguire in Savona, e nemmeno il nome di questo notaro figura fra quelli dell’ elenco pubblicato dal Sig. Agostino Bruno (2). Ciò però non vorrebbe dire che non abbia esistito, giacché più accurate indagini potranno forse conseguire favorevole risultato. Come è noto, appunto dal 1470 data l’epoca del trasferimento di Domenico Colombo a Savona. Ignoti ci sono i O (1) Sulla casa abitata da Domenico Colombo in Genova, Tip. Sordo-muti 1884. estratto dal vol. XVII degli Atti della Società Ligure di Storia Patria. (2) Gli archivi del Comune di Savona, Savona 1884. GIORNALE LIGUSTICO 243 motivi che lo indussero a ciò; e poiché anche prima di questo tempo, altri del cognome Colombo esistevano in Savona, chè a *3 gennaio del 1327 un Columbus del quondam Giovanni, abitante colà prope S. Joannem, è citato negli atti del notaro Antonio Felloni (i), e una piazza, da tempi antichi, vi è designata col nome Columbi, quantunque non si sappia se questo derivasse dal noto volatile, 0 da cognome di famiglia, sarebbe mia congettura che vi si trasferisse per adire all’eredità di qualche suo lontano parente, 0 per rilevare qualche officina, o qualche negozio. Noi apprendiamo dai documenti che egli noi fece d’ un tratto, giacché in detto anno alternativamente abitò in Savona ed in Genova, finché definitivamente colà si stabiliva. Il più antico documento sulla presenza di Domenico Colombo a Savona che si conoscesse, era Γ atto del 2 marzo del 1470 in rogito del noraro Giovanni Gallo, già pubblicato nel 1602 dal Salinero (2), e recentemente dall’Harrisse (3), con cui egli, che si intitola Dominicus de Columbo, civis fanue quondam Joannis de Quinto, textor pannorum lane et tabernarius, prende al suo servizio Bartolomeo Castagnelli che già era stato suo garzone. Adesso però, come c’ insegna il nuovo documento da me trovato, più antico sarebbe il convegno coi lanieri di Savona, fatto l’ultimo di febbraio del 1470, il quale precederebbe di due giorni l’accordo di Domenico col Castagnelli; e certo quanto dai lanieri delle due città venne concertato a riguardo dei rispettivi garzoni, deve aver avuto influenza sull’accordo suddetto. Da tali atti è lecito argomentare che qualche disposizione (1) Registro 1322-1327, pag. 178. Archivio dei Notari. (2) Salinerii Julii, Annotationes ad Cornelium Tacitum, Genuae 1602, pag. 336. (3) Christophe Colomb, II, pag. 413. 244 GIORNALE LIGUSTICO fosse nei capitoli dell’arte de’ tessitori in Savona, che vietasse ad essi di prendere a servizio garzoni che non fossero del distretto della città, e che Domenico Colombo intenzionato di colà stabilirsi e di affidare a persona confidente la gestione de’ suoi affari, abbia prima di tutto voluto che 1’ o-diosa disposizione fosse revocata, e che tanto a Genova come a Savona venisse sancito il diritto reciproco a favore dei garzoni di entrambe le città. A proposito del citato atto del 2 marzo 1470, riportato, come dissi, dal Salinero e dall’ Harrisse, osserverò, come alcuni anni addietro il Reverendo Prospero Peragallo incalorito nella difesa di quanto dicono le Historié di Fernando Colombo, trovando che i documenti savonesi non concordavano con alcune asserzioni delle Historié medesime ne mise in dubbio Γ autenticità (1) ; e dopo di lui in un opuscolo pubblicato da Celsus (2) a Lisbona, in contraddizione di-altro stampato a Parigi da Sejus (3) si vollero dimostrare senz’altro, apocrifi tutti i documenti del Salinero riprodotti dall’ Harrisse. Non è mia intenzione di entrare nelle controversie fra Harrisse e Peragallo, fra Sejus e Celsus, tanto più che questi signori hanno buona lingua e buona penna per far valere le proprie ragioni. Mi limiterò solo ad osservare che se i signori Harrisse e Sejus, possono essere caduti in qualche errore nella citazione dei documenti, perdonabile facilmente a chi vive (1) L’autenticità delle Historié di Fernando Colombo, Genova, Tip. Sordo-muti 1880. (2) Origine, patria e gioventù di Cristoforo Colombo, studi critici e documentari, con ampia analisi dagli atti di Salinero per Celsus, Lisboa, Ty-pografia Elzeviriana, 1886. (3) L’origine de Christophe Colomb, démonstration critique et documentaire par Sejus, Paris 1885. Extrait de la Revue historique, tome XXIX, 1885. GIORNALE LIGUSTICO 245 lontano dal luogo ove essi si trovano, i signori Peragallo e Celsus corsero troppo volendo sostenere Γ assoluta falsità dei documenti savonesi, tanto più che gli argomenti addotti da loro non posano sopra solide basi, essendo tutti, come si dice, argomenti ad hominem, perchè cavati dalle inesattezze e contraddizioni in cui caddero Harrisse e Sejus, nella citazione dei documenti di cui è caso; e che questi furono riconosciuti ed accettati come autentici dal Ferreri, dal Salinero, dal Monti, dal Pollero, dai Belloro e da altri, che ne videro gli originali 0 le autentiche copie. Intanto a conferma di ciò posso asserire, che il citato atto del 2 marzo 1470, che Γ Harrisse pubblicò, e che per una di quelle sviste che non si possono spiegare, ma che sono così comuni agli scrittori nella stampa delle opere loro, diceva, riportare sulla fede del Salinero per non averne potuto trovare l’originale, egli invece aveva veduto in originale a Savona, e fatto trascrivere dal signor avvocato Didimo Grillo, impiegato nel nostro archivio di stato, che pure dall’originale del medesimo notaro Giovanni Gallo, trascriveva colà il documento 25 ottobre 1470, indicato anche esso per errore nell’ opera dell’ Harrisse come non potuto trovare. È da aggiungersi ancora, che Γ atto di investitura fatta addì 19 di agosto 1474 dai canonici della collegiata di Savona, della terra comprata da Domenico Colombo nella località di Legine, edito dall’ Harrisse sulla fede del Salinero, fu da non molto trovato in autentica forma, nell’ archivio della collegiata di Savona, e pubblicato dal Canonico Astengo, fra i documenti annessi al primo volume delle Memorie del Verzellino, a di lui cura rese di pubblica ragione (1); onde lice spe- (1) Verzellino Gio. Vincenzo, Delle Memorie particolari e degli uomini illustri della Città di Savona. — Savona 1886, Voi. i.°, pag._ 644. 24 6 GIORNALE LIGUSTICO rare che anche gli altri atti formanti Γ incarto di Legine, possano un giorno ο Γ altro venire alla luce. Ed a questo proposito mi auguro che gli studiosi di Savona, i quali vi fondarono una Società di storia patria, vogliano con tenacità di proposito rovistare nei loro archivi, giacché indubbiamente, oltre i già conosciuti, vi devono esistere altri documenti relativi al soggiorno fatto colà dalla famiglia di Cristoforo Colombo, i quali potranno spargere molta luce sopra la giovinezza di lui, ed essere per la storia di quella città, di maggior importanza che le dissertazioni compilate col vecchio metodo della citazione degli autori, con cui alcuni si affaticano a voler provare, contrariamente agli atti da loro posseduti, che la nascita di Cristoforo Colombo avvenne in quella città; dissertazioni sul genere di quella inserita come documento, nella citata edizione delle Memorie del Verzellino (i), ma che fa degno riscontro alla novella di Adelassia ed Aleramo, tratta di pianta dalla Rosalinda, romanzo amoroso morale e sacro del Cav. Bernardo Morando (2), la quale pur figura fra’ documenti nella medesima pubblicazione (3). Ora all’ altro dei nuovi documenti. Questo ha la data del 31 ottobre 1470, è fra gli atti del notaro Nicolò Raggi, e ci mostra Cristoforo Colombo figlio di Domenico, maggiore d’anni diecinove, dichiararsi debitore di L. 48 soldi 13, e danari 6, a favore di un Pietro Belesio di Porto Maurizio, per il resto del prezzo di una partita di vini comperata. Interviene all’ atto il di lui padre Domenico, il quale non solo lo autorizza alla stipulazione, essendo egli minore di (1) Cfr. Verzellino, Op. cit., pag. 476. (2) Morando, La Rosalinda, Venetia, MDCLXIX, appresso G. B. Ce-stari, pag. 355. (3) Cfr. Verzellino, op. cit., pag. 628. GIORNALE LIGUSTICO 247 venticinque anni, età legale perchè potesse validamente contrattare, sciente, patiente, et non contradicente eius patre, ma si fa garante di detta somma verso il venditore. La maggior parte degli scrittori, privi di dati positivi per stabilire 1’ anno preciso della nascita di Cristoforo, sono concordi nel porla verso il 1447. Alcuni però la vogliono anticipata di dieci anni. Ma ormai con questo documento sarebbe dilucidata molto la controversia. Ivi al 31 di ottobre del 1470, Cristoforo si dice maggiore di diecinove anni, che è quanto a dire entrato nel suo anno ventesimo. Ammesso ciò, Γ anno più a noi vicino in cui possa esser nato è il 1450. Il dirsi però maggiore d’ anni diecinove, 11011 esclude che egli potesse averne anche ventuno, ventidue e più, ma certo non aveva compiuto i venticinque, chè e sarebbe stato detto nell’ atto, ed avrebbe anche potuto far senza della paterna autorizzazione. Era allora dunque ira i venti ed i venticinque non compiuti, e questo ci fa stabilire il tempo della sua nascita tra il 1446 ed il 1450, e così rigettare in modo assoluto 1’ opinione di coloro che P anticipano di dieci anni. Il fatto poi dell’ importanza della somma , chè lire 48 , soldi 13 e danari 6 equivalgono a circa lire 300 dell’ attuale moneta, e sono il resto di partita maggiore, ci indica chiaro come il vino a cui si riferisce non fu comperato per uso di famiglia, ma per farne commercio. E pensando che appunto del 1470, Domenico in Savona, oltre ad esser laniere, era anche tabernarias, la prima idea che viene in mente è quella di una provvista per la sua taverna. Ma siccome nell’ atto il debito è posto in capo di Cristoforo, non figurando il padre che come autorizzante e fideiussore, sembrerebbe invece una compra di vino fatta per portarlo a rivendere in altri paesi. Questo poi viene confermato dalla clausola 0 patto con cui 248 GIORNALE LIGUSTICO Cristoforo e Domenico rinunziano a qualunque privilegio di foro, accettando e dichiarando di poter essere convenuti per Γ esecuzione del contratto, non solo in Genova, ma in Savona, Aìbenga, Pavia, Milano, nella Lombardia, in Provenza, Inghilterra, Francia, Pisa, Firenze, Venezia, Roma, e quindi in genere, in qualunque parte e luogo della terra. Egli è certo che tali disposizioni relative al benefizio del toro, non potevano applicarsi che a Cristoforo, giacché molti atti che abbiamo mostrano che Domenico non si mosse mai da Genova se non per andare a Savona, e viceversa, per gli affari che aveva nelle due città, mentre che di Cristoforo più nulla si conosce sino al 20 marzo del 1472, in cui appar testimonio ad un atto in Savona. Devesi pertanto ritenere che egli abbia accompagnato il suo vino sul bastimento ove sarà stato caricato, per rivenderlo in partita o alla spicciolata nei luoghi che aveva prefisso. Imperciocché 1’ uso d’ accompagnar le merci o proprie 0 di altri, sui bastimenti che le trasportavano, era comune a tutti i negozianti di allora, portato dalla necessità, sia per non lasciarle alla balia dei marinai e dei capitani, sia perchè non sempre avevano dei corrispondenti nei luoghi ove essi speravano poterle vendere con profitto, e questa operazione doveva esser fatta da essi o da un loro incaricato, che la eseguiva o no secondo la convenienza, nei porti dove approdava la nave. Spesso poi avveniva che un solo negoziante avesse in consegna le merci di diversi, le quali erano di natura disparatissima , per cui può esser stato benissimo che Cristoforo , oltre al vino, negoziasse merci, 0 sue 0 di altri, di genere diverso. L’atto col quale i negozianti affidavano in tal modo le mercanzie ad un loro incaricato, dicevasi accomenda, ed ivi si stabilivano le condizioni volute dal padrone delle stesse, con GIORNALE LIGUSTICO 249 P indicazione di quelle nelle quali doveva essere investito il prezzo ricavato. Noi troviamo che del 1475, addi i.° di agosto, un Giacomo Colombo figlio di Giovanni, a rogito del notaro Genesio Rapallo, addiviene ad un atto consimile con un Melchiono de Guirardis seatiere, per diverse manifatture in seta che si obbliga a portar seco in Provenza ed in Francia, onde venderle e negoziarle, secondo le istruzioni avute da Melchiono, salvo a rendergli esatto conto di tutto, e col patto espresso che non possa venderle 0 permutarle se non a danaro contante 0 con grano. Ed è a questo modo che si eseguiva la massima parte del commercio di quei tempi. Come già dissi, un atto accennato da Harrisse, ci mostra Cristoforo Colombo in Savona testimonio ad un atto del 20 marzo 1472, ove trovasi indicato come laniere, Christophoro Columbo lanerio de Janna, e questa qualità e la presenza sua in detto anno a Savona sembrarono ad alcuni una contraddizione a quanto si asserisce di lui, che cioè dalla sua prima giovinezza abbia sempre navigato. Io, a dire il vero, non trovo questa contraddizione, perchè sia che Cristoforo abbia cominciato la sua carriera da ragazzo come mozzo, sia più adulto come negoziante, egli è certo che non sarà stato sempre tutti i dodici mesi dell’anno sul mare, e che quando il bastimento toccava Genova od altro porto della Liguria, sarà andato a passare il tempo della sua inoperosità marittima presso i genitori. A quei tempi le operazioni di carico e di discarico dei bastimenti, ed in genere le transazioni tutte commerciali, non procedevano con quella celerità che adesso. Un bastimento giunto in un porto di qualche conto, e specialmente in quello della sua destinazione, vi si fermava per un pezzo onde dar tempo ai negozianti che avea seco di vendere e ricomprare le merci, ed allora quelli fra essi che erano del paese torna- 250 GIORNALE LIGUSTICO vano alle loro famiglie. Cristoforo Colombo, reduce da qualche viaggio, potè benissimo trovarsi allora in Savona, ed aiutare il padre nelle cose della sua professione, e così qualificarsi egli stesso lanerio, tanto più che questa parola non significa precisamente tessitore di panni, ma comprende in complesso tutte quante le professioni onde era divisa 1 arte della lana, ed in senso ristretto particolarmente i negozianti di essa. Nè qui sarà inopportuno un cenno sopra le diverse suddivisioni che formavano Γ arte suddetta. Primi in questa erano i negozianti, detti specialmente lanerii, i quali comperavano da altri, o facevano venir diretta-mente le lane dalla Provenza, dalla Spagna, dall’ Oriente e da altri luoghi, e che quindi rivendevano a tessitori, textores pannorum lane, onde esser ridotte in panni, o facevano essi stessi lavorare , o mettevano in commercio per esser usate gregge. Esse però prima della lavorazione, spesso passavano nelle mani dei lavatori, lavatores lanarum, che nelle pianure latistanti al torrente Bisagno le lavavano, e dei scardassieri, carminatores, che le nettavano dalle immondezze, quindi ai filatori per ridurle in filo, ed in ultimo ai tessitori che le ri-ducevano in panno. Intorno a questo poi, diversi generi di arti speciali tavolavano. Vi erano i cardatores che anticamente con un cardo, e poi con speciali spazzole toglievano quei peli che non fossero ben rimasti intrecciati nella filatura o nella tessitura, gli acimatores, che con certe forbici tagliavano il pelo al panno riducendolo ad uniforme lunghezza, i fullatores che bagnando le pezze e sottoponendole a non so che lavorio, le rendevano di una pastosità e flessibilità conveniente. Ove le lane non fossero state tinte prima della tessitura, le pezze passavano ai tinctores, che loro davano il colore voluto, e quindi agli scuratori, scnratores, i quali con acqua e sapone, essendo il ranno severamente proibito, toglievano GIORNALE LIGUSTICO 25I loro ogni sovrabbondanza di tinta che ancora potessero avere, onde adoperando il panno non tingesse. In ultimo le pezze andavano nelle botteghe dei patirli, venditori di panno al minuto. Oltre a tutti costoro vi erano i Macarolii artis lanarum, i quali non sono riescito ancora a sapere cosa fossero, ma che, da qualche indizio, sospetto tessitori di panno di infima qualità, forse di pel di capra 0 dei rifiuti delle lane, il quale non aveva bisogno di tante preparazioni prima di essere posto in vendita. Io non sono certo di aver enumerato le suddette professioni nell’ ordine in cui erano adoperate per la confezione del panno, nè di averle indicate tutte; quel che è certo però che tutte o quasi tutte avevano le loro loggie particolari per trattare i loro affari, ed i loro statuti. La loggia dei lanieri era presso alla riva del mare, non lungi dal ponte dei Chiavari, luogo acconcio, stante la vicinanza ai bastimenti ed a Banchi, centro del commercio. Quella dei tessitori, era in Ponticello, centro delle officine di costoro. Ma tornando a Cristoforo Colombo, supponiamo il caso che in uno de’ suoi viaggi fosse partito con un carico di vino o d’altre merci, ed avesse fatto ritorno con alcune balle di lana sia per 1’ officina di famiglia, sia per rivenderle, non poteva egli con tutta coscienza chiamarsi commerciante di lane, lanerius ? Imperocché non bisogna dimenticare che a’ quei tempi i Genovesi tutti, sia nobili che popolari, erano dediti al commercio, che passeggieri e marinai quando prendevano imbarco su qualche legno avevano tutti la loro paccotiglia di merci, da cui cercavano trar vantaggio col rivenderle nei paesi dove approdavano, onde il detto che Genovese equivaleva mercante, Genuensis ergo mercator. A questo si aggiunga che lunghi e lunghi mesi duravano 25 2 GIORNALE LIGUSTICO le navigazioni, ed erano soggette perciò a molte più peripezie di fortunali che non ora; senza parlar di quelle dei pirati, per cui non di rado i passeggieri dovevano concorrere colla ciurma alla salvezza della nave nell’ interesse comune. Per la qual cosa, coloro che erano giovani di ingegno svegliato, e coltivato da un po’ di istruzione, in poco tempo apprendevano tanto di scienza marinaresca da poter condurre e dirigere una nave. David de Stallano, mio antenato, cominciò molto giovane la sua carriera come scrivano su d’un bastimento, colla sua brava paccotiglia di coltelli. Più tardi tu in Caffa, notaro di S. Giorgio, in seguito a Costantinopoli e in Francia; poi a Genova notaro e cancelliere del governator regio, e nel luglio del 1501, quantunque vecchissimo, lo vediamo comandare una galera (1) nella spedizione capitanata da Filippo di Cleves, e mandata da Luigi XII in soccorso del re di Napoli. E questo spiega come un altro notaio, Biagio Assereto, possa essere stato l’ammiraglio dell armata genovese che nel 1435 vinse a Ponza Alfonso d Aragona. Tutto questo ho voluto accennare, perchè serve a provare come Cristoforo Colombo possa aver appreso la pratica marinaresca dalla sua prima gioventù, in viaggi eseguiti a scopo commerciale, senza aver bisogno di ricorrere a favolose guerresche intraprese, che non concordano coi dati che ci porge la storia, e di cui, come d’aureola presaga di fatti maggiori, si volle da alcuni circondare la giovinezza di lui. L’ultimo dei documenti nuovamente trovati ha la data deir undici di ottobre del 1496, e si legge fra quelli del no-taro Gio. Battista Pilosio. Ivi, i tre fratelli Giovanni, Matteo (1) Giustiniani, Annali, ad annum. GIORNALE LIGUSTICO 253 ed Amighetto Colombo, figli del fu Antonio di Quinto * si convengono per sopportare in comune, ciascuno per una terza parte, le spese del viaggio che il primo di essi deve fare per andare in Spagna, a trovare il Signor Cristoforo Colombo Ammiraglio del Re di Spagna: ad inveniendum dominum Christo/orum Columbum admiratum Regis Ispanie. Questo è il primo atto dei nostri archivi, che io mi sappia, dove si parla di Cristoforo Colombo come ammiraglio di Spagna; nè può sfuggire ad alcuno la importanza dello stesso, per le vertenze che alcuni si sforzano di tenere tuttor vive sulla condizione e famiglia di lui. Imperocché il fatto di tre individui genovesi, del cognome istesso del celebre scopritore, originari del picciol borgo di Quinto, d’ onde era nativo 1’ avo di lui, i quali fanno le spese in comune perchè uno di essi vada sino in Ispagna a trovarlo, non può aver altra spiegazione, che quella di tre parenti d’umil condizione, che vanno presso un altro di loro, il quale trovasi in elevata posizione, e che naturalmente credono potente e dovizioso. Da altri documenti sappiamo chi erano proprio costoro e le loro professioni. Giovanni, che certo è il maggiore, del 1460 ai 4 di. giugno è detto di anni 14, ed entra come garzone presso un sartore, certo Antonio Dellepiane (1). Più tardi, cioè il 28 aprile 1495, egli stesso si qualifica come tessitore di panno, ed appigiona un telaio ad un suo collega (2).. Matteo con atto del 3 settembre 1471, si accorda come tessitore in seta, con Tomaso de Levagio, quantunque sia giovanotto fatto, e dichiari di aver già appreso tal arte a Firenze (3). (1) Notaro Giovanni Valdettaro, Filza 1, N. LUI. Arch. uotari. (2) Notaro G. B. Peloso, Filza 4, N. 231. Arch. notari. (3) Notaro Giacomo Rond,mina, Filza 6, N. DLXII. Arch. notari. 254 GIORNALE LIGUSTICO Amighetto del 1470 a’ 7 di febbraio, è accordato con un tessitore, certo Varazino (1), con cui pure del 1471 a' 22 aprile si allogava un ultimo fratello, a nome Tomaso, che più non figura in seguito (2). Come si vede queste arti di tessitori, lanaiuoli, e setaiuoli, erano le stesse che esercitavano Domenico Colombo ed i figli di lui. Ma v’è di più. Quando Giovanni, quello che ora vuol andare in Ispagna a trovare P Ammiraglio, a’ 4 di giugno del 1460, essendo egli di quattordici anni, fu da Antonio suo padre collocato come apprendista sarto presso il Dellepiane, un Domenico Colombo, che si qualifica fratello di suo padre, si prestava mallevadore per lui. Molti altri documenti poi ci mostrano Domenico e Antonio come fratelli, entrambi figli di Giovanni, e del luogo di Quinto, e molti indizi concordano a far ritenere il primo come il padre dello scopritore del nuovo mondo, e 1’ altro dei tre fratelli che si convengono perchè uno di loro vada a trovarlo nelle Spagne, per cui i medesimi sarebbero i cugini germani dell’ ammiraglio. Ma se ciò non possiamo con tutta sicurezza affermare, giacché la ripetizione degli stessi nomi di Giovanni, Domenico ed Antonio, nella discendenza della famiglia Colombo, è tale che può facilmente condurre in errore , non potrassi negare che un grado non tanto lontano di parentela dovesse esistere fra questi poveri operai originarii di Quinto e l’Am-miraglio di Spagna, perchè uno di loro, uomo già sulla cinquantina, si decidesse ad abbandonare la patria e la famiglia, e si esponesse a’ rischi di un viaggio cosi lungo per andarlo a trovare. E ciò è quanto basta, per poter dire che tale atto conferma quanto dicono della famiglia e della con- (1) Notaro Giacomo Rondanina, Filza 7, N. VII. Arch. notari. (2) Notaro Giacomo Rondanina, Filza 6, N. CCXIIII. Arch. notari. GIORNALE LIGUSTICO 2S 5 dizione di lui i nostri storici, ed è attestato da tutti i documenti, genovesi e savonesi, a’ quali il nostro perfettamente si collega. Questo nella filza del notaro Pilosio è seguito immedia-mente dall’ atto di procura generale, che Giovanni fece lo stesso giorno e pochi momenti appresso, in capo di sua moglie, Bertonia figlia del quondam Giovanni de Figarolio, dei suoi fratelli, Matteo ed Amighetto, e di un amico, prova evidente della sua ferma intenzione di eseguire il viaggio progettato. Se poi lo abbia realmente fatto non consta da atto alcuno. Relativamente però a ciò una coincidenza di date mi ha colpito. Come vedemmo, gli atti di convegno fra i suddetti fratelli, e la procura di Giovanni, hanno la data dell’undici ottobre 1496. A questo tempo Cristoforo Colombo aveva già eseguito due viaggi in America, dall’ultimo dei quali era tornato il 10 marzo dell’anno stesso in Europa, donde poi a 30 maggio del 1498 ripartiva per la terza sua spedizione. È dunque nell’ intervallo fra la seconda e la terza spedizione, che Giovanni deve essere andato in Spagna a trovare l’ammiraglio. Sappiamo poi che in questa terza spedizione il comandante d’una delle tre caravelle era un Giovanni Antonio Colombo parente dell’ammiraglio (1). Sarebbe egli mai costui il nostro antico apprendista sarto, poi tessitore di panni, degli atti sopra accennati? La cosa potrà sembrare un po’ strana, ma in seguito a quanto ho esposto, mi pare che nulla abbia di impossibile. Qui avrei finito per quel che riguarda questi documenti ; ma credo bene aggiungere ancora alcune parole, per dire che ir) Colomro Fernando, Historié, cap. LXV. 25 6 GIORNALE LIGUSTICO di recente in questo nostro archivio di stato, si rinvenne il registro originale delle lettere spedite daH’Ufficio di San Giorgio, tenuto dal cancelliere Antonio Gallo, ove sotto la data dell’otto dicembre del 1502, sono trascritte quelle inviate al-F ammiraglio Cristoforo Colombo ed a Diego suo figlio. Queste lettere sono in risposta ad altra che l’ammiraglio scriveva da Siviglia il 2 aprile dello stesso anno 1502, con cui partecipava all’ Ufficio le disposizioni che aveva preso onde un decimo de’ suoi redditi tosse erogato dal figlio Diego, in esdebitazione delle gabelle del grano, vino, ed altre vettovaglie, a benefizio di Genova, e furono pubblicate assieme a questa del 2 aprile, per la prima volta nella edizione delle Historié di Fernando Colombo, fatta in Milano nel 1614 per cura del Bordoni. L’originale della lettera del 2 aprile 1502, rimasto ignorato in una filza del cancelliere Antonio Gallo, sino all’ anno 1829, venne trovato dall’archivista Antonio Lobero, e poco dopo, alla richiesta della Città di Genova, fu dal Governo a questa consegnato, che lo conserva assieme a due altre lettere autografe di Colombo, le quali fan parte del Codice dei suoi privilegi. Ma del registro originale, dove stavano le risposte dell’Ufficio di San Giorgio, nessuno più aveva dato notizie; onde alcuni, specialmente in questi ultimi tempi, emisero dei dubbi sull’ autenticità delle medesime. Di non poca importanza pertanto è l’accertata esistenza di questo registro, la semplice visura del quale basta a togliere qualunque dubbiezza. È questo è un volume abbastanza ben conservato, in carta solita da protocollo, scritto tutto dello stesso carattere del principio del secolo XVI, e di mano del cancelliere Antonio Gallo, il cui nome è segnato sulla prima pagina. Non ha numerazione, ma essendo composto di sei quaderni di 24 pagine ciascuno , dovrebbe essere in complesso di 144 fogli GIORNALE LIGUSTICO 257 ossia di 288 facciate, delle quali le ultime sei in bianco. Invece è di sole 287 facciate per esser stato lacerato e strappato 1’ ultimo foglio. La lettera a Cristoforo Colombo è nel sesto quaderno , e corrisponderebbe, ove il codice fosse numerato, alla facciata 256. Quella a Diego viene appresso immediatamente, dopo alcune righe della precedente, nella facciata 257. La prima segue subito le istruzioni che l’Ufficio dava allo spettabile Gerolamo De Nigro, il quale era per partire come ambasciatore del Comune presso i Reali di Spagna, e che portano la stessa data ; per cui puossi con fondamento ritenere che F Ufficio di S. Giorgio abbia a lui consegnate le lettere, per farle aver in Spagna alla loro destinazione. Del tenore di esse mi astengo dal dire, ma non posso a meno di osservare come le espressioni di amantissime concivis usate dall’ Ufficio verso Cristoforo Colombo , 1’ esservi Genova nominata come sua primigenia patria, la conferma che fanno della lettera scritta da Colombo in Siviglia, alla quale servono di risposta, infine Γ essere il registro scritto di mano di Antonio Gallo che è F autore del commentario de Navigatione Columbi, ove è detto che Cristoforo e Bartolomeo sono nativi di Genova e di professione lanaiuoli, spiegano benissimo gli sforzi fatti da coloro, i quali volendo sostenere essere tutt’ altra che Genova la patria di Cristoforo Colombo, cercarono di eliminarle per distruggerne la testimonianza. Ma ormai col rinvenimento del Manuale litterarum Antonii Galli questi sforzi sono resi impossibili, come dopo la scoperta di tanti nuovi documenti è ormai impossibile che si possa più ragionevolmente sostenere, che Genova non sia la patria del-F immortale scopritore. Marcello Stagliexo. Giorni. I IGUSTICO. An rie XIV. 258 GIORNALE LIGUSTICO I. Instrumentum ratifficationis pro consulibus et textoribus pannorum lane. In nomine Domini amen. Christoforus de Pentema et Antonius de Re-crosio, consules magistrorum artis textorum pannorum lane civitatis Janue, et Gulielmus de Pentema, Lazarinus Ricetus, Simon de Rossano, Leonel de Cigallis, Vesconte Cappellatius, Johannes Bojanus, Michael de Cella, Johannes de Vincelino, Angelinus de Bertegali, Christoforus de Rossano, Johannes Schinchinu? , Antonius de Garibaldo, Bertonus de Sarnio, Dominicus de Columbo, Jacobus de Favali, Uginus de Turrilia, Christoforus de Pentema, massarios dicte artis , Benedictus de Monteburgo, Johannes Garaventa et Baptista Zenogius. suis nominibus et nomine et vice aliorum magistrorum dicte artis textorum pannorum lane civitatis Janue, ac hominum artis predicte , et pro quibus hominibus suis propriis nominibus de rato promiserunt et promittunt, sub ypotheca et obligacione omnium bonorum suorum presentium et futurorum, habentes noticiam et certam scientiam de quodam publico instrumento pactorum composicionis, ordinationum et decretorum et omnium aliorum in dicto instrumento contentorum , celebrato in civitate Saone, hoc anno die ultima februari), et scripto manu Antonii de Rimere, notarii saonensis, per et inter Antonium de Garibaldo et Dominicum de Columbo, magistros textores pannorum lane civitatis Janue, suis nominibus et nomine et vice aliorum hominum dicte artis, ex una parte, et Peregrinum de Retona consulem artis textorum pannorum civitatis Saone ac aliorum textorum in dicto instrumento nominatorum ex parte altera, causa et occasione famulorum et discipulorum utriusque dictarum artium, et pro ut et sicut in dicto instrumento latius continetur, ad quod et omnia et singula in eo contenta habeatur relatio, et quod quidem instrumentum dicti homines textorum pannorum civitatis Janue tenentur illud et omnia in eo contenta ratificare et approbare in dies quindecim, a die dicti instrumenti proxime secuturis, per publicum instrumentum, manu notarii publici conficiendum, et ipsum instrumentum extractum in publicam formam mittere dicto consuli textorum pannorum civitatis Saone. Idcirco dicti Christoforus de Pentema et Antonius de Recrosio, consules textorum pannorum civitatis Janue, et alii textores pannorum dicte civitatis, suis propriis nominibus, et nomine et vice aliorum hominum dicte artis pro quibus ut supra de rato promisserunt, intendentes locum esse GIORNALE LIGUSTICO 259' dicto instrumento pactorum compositionis ordinationum ac decretorum et omnium aliorum in eo contentorum, omni modo, iure, via et forma quibus melius potuerunt et possunt, ex certa scientia dictum instrumentum confirmaverunt, approbaverunt, rattificaverunt, ac omnia et singula in eo contenta. Rogantes de predictis, per me notarium infrascriptum confici debere publicum instrumentum in robur et testimonium premissorum. Actum Janue in platea ecclesie sancti Stephani Januensis , sub urmis dicte platee, anno dominice nativitatis millesimo quadringentesimo septuagesimo, indicione secunda, secundum Janue cursum, die martis xm marcii in vesperis , presentibus testibus Rolando de Furno callegario quondam Luciani et Johanne de Lastrego pancogolo quondam Luchini, ad hec vocatis et rogatis. (Atti dei Notaro Paolo Recco filza 9, 1467-1470). i II. In nomine Domini amen. Christofforus de Columbo filius Dominici, maior annis decem novem, et in presentia, auctoritate, consilio et consensu dicti Dominici eius patris, presentis et autorizantis. Sponte et ex eius certa scientia et non per aliquem errorem juris vel facti. Confessus fuit et in veritate publice recognovit Petro Belexio de Portu Mauricio, filio Francisci, presenti, se eidem dare et solvere debere libras quadraginta octo, soldos tresdecim et danarios sex Janue, et sunt pro resto vinorum eidem Christofforo et dicto Dominico venditorum et consignatorum per dictum Petrum. Renuncians exceptioni dicte confessionis ut supra non tacte etc. Quas libras quadraginta octo, soldos tresdecim et danarios sex Janue, dictus Christofforus eidem Petro solemniter stipulanti, vel legiptime persone pro eo, dare et solvere promisit intra annum unum proxime venturum, omni exceptione remota. Sub pena dupli dicte quantitatis peccunie etc. Et cum restitutione damnorum omnium etc. Ratis manentibus suprascriptis etc. Et sub ypoteca et obligacione bonorum omnium ipsius Christoffori presentium et futurorum. Insuper pro dicto Christofforo. et eius precibus et mandato, de predictis omnibus et singulis etc. 26ο Intercessit et fideiussit dictus Dominicus eius pater, qui se inde proprium et principalem pagatorem et predictorum observatorem constituit et esse voluit. Sub ypotheca et obligatione bonorum omnium ipsius Dominici presentimi! et futurorum. Renuncians juri de principali primo conveniendo et omni alii juri. Acto et convento tam in principio et medio presentis instrumenti quam in fine et qualibet parte ipsius, quod dicti Dominicus et Christofforus, et uterque eorum pro predictis omnibus et singulis, realiter et personaliter, convenire capi et detineri possint Janue, Saone, Albingane, Papie, Medio-tani, in tota Lombardia et Provincia, Anglia ac Francia, Pisis, Florentie, Venetiis, in Roma et alibi ubique locorum et terrarum, et coram quocumque iudice, officio et magistratu, tam ecclesiastico quam seculari. et tam civili quam criminali, ita quod ubi ipsi Dominicus et Christofforus et uterque eorum, vel eorum et utriusque eorum bona, inventi vel reperti fuerint, ibi per pactum expressum promiserunt stare iuri et de iure respondere , et dictam quantitatem peccunie ut supra dare et solvere proinde ac si presens contractus et omnia et singula suprascripta ibidem celebratus et celebrata foret seu forent, et solucio ac satisfacio et observantia predictorum illuc foret destinata. Renunciantes exceptioni non sui seu non competentis judicis, privilegio fori, legi : si convenerit de Jurisdictione omnium judicum, omnique capitulo, conventioni, gratiis, privilegiis, decretis, feriis, et quibuscumque salvis conductibus impetratis vel impetrandis, concessis vel concedendis per quemvis, quibus et beneficio quorum per pactum expressum promisserunt non uti, nec se juvare in prejudicium contentorum in presenti instrumento, et omni alii juri. Jurantes dictus Dominicus et Christofforus ad sancta Dei evangelia, corporaliter tactis scripturis, non contravenire predictis, ymo predicta omnia attendere, complere, et observare etc. Actum Janue in Fossatello, ad baDcum Lazari Ragii notarii, anno Dominice nativitatis mcccclxx0, indicione tercia iuxta morem Janue, die mercurii ultima octobris, in terciis. Testes Raffael de Bisamne fornarius, Augustus de Pomta quandam Raffaelis, et Johannes Longus de Locarmo quandam Johannis , vocati et rogati. (Atti dei notaro Nicolò Raggio filza 2.a 1470, N. 905). GIORNALE LIGUSTICO 261 III. XI octobris. Promissio et pacla. In nomine Domini amen. Johannes de Columbo de Quinto, Matheus de Columbo et Amigetus de Columbo fratres quondam Antonii, scientes et cognoscentes dictum Johannem (1) ire debeat Ispaniam ad inveniendum dominum Christophorum de Columbo, armiratum Regis Ispanie, et quascumque expensas per dictum Johannem fiendas causa inveniendi dictum dominum Chistoforum, omnes tres fratres superius nominatos esse debeant, et esse pro tercia parte, et eas expensas partire debeant pro tercia parte inter eos occaxione predicta. Et si dictus Johannes recuperabit aliquam quantitatem peccunie pro eundo ad dictum locum Ispanie pro inveniendo dictum dominum Christoforum, dictam quantitatem peccuniarum recuperande per ipsum Johannem partire debeat cum dictis Matheo et Amigheto per terciam partem, et sic restant de acordio. Renunciantes etc. Que omnia etc. Sub pena dupli etc. Ratis etc. Et proinde etc. Actum Janue ad bancum mei notarii infrascripti, in platea Pùnticeli, anno a nativitate Domini millesimo quadringentesimo nonagesimo sexto, inditione decima quarta secundum Janue cursum, die martis undecima octobris, post nonam; presentibus testibus Francisco Lardono scuratore pannorum quondam Antonii, et Augustino Baioco lanerio quondam Baptiste ad premissa etc. (Atti dei notaro G. B. Piloso filza 5, N. 775). (1) Qui il documento zoppica nella sintassi, come più sotto nella grammatica e nella concordanza; ma il senso ne appare chiarissimo. 2Ó2 NOTIZIE ANEDDOTICHE SUL MATRIMONIO DELLA REGINA DI SPAGNA Luisa Maria Gabriella di Savoia e sulla principessa Orsini. Nell’anno 1866 il conte Federigo Sclopis pubblicava in francese un’ elegante monografia sulla regina di Spagna, Maria Luisa Gabriella, figlia del duca Vittorio Amedeo li di Savoia e di Maria d’Orleans, nata a Torino nel 1688. Sorella minore di Adelaide, consorte di Luigi duca di Borgogna (il padre di Luigi XV) , la quale tanto fu dalla posterità, non sempre equa ne’ suoi giudizi, esaltata dopo la sua morte, la nostra Maria Luisa, più negletta, ben si merita invece, per l’indole e virtù sua, quell’elogio, che assai contribui a renderle l’accurato lavoro del nostro illustre statista, il quale seppe su fonti inesplorate divulgare i particolari della sua vita pubblica e privata. Nel 1701 , avendo Maria di poco varcato il terzo lustro, veniva conchiuso il suo matrimonio, ned ambito, nè rifiutato da suo padre, con quel duca d’Anjous secondogenito del del-· fino Luigi e nipote di Luigi XIV, chiamato per testamento di Carlo II, ultimo dei monarchi austriaci di Spagna, a suo successore su quel trono, com’è noto, e che prese il nome di Filippo V. Questo principe, che aveva solo cinque anni di più della sua sposa, era dotato di carattere eccellente, generoso, veritiero: insomma possedeva ottime qualità per un privato, ma dimostrossi inetto a sedere su di un trono mal sicuro, qual era quello di Spagna, estenuata per la languida e spensierata amministrazione degli ultimi e tralignati successori di Carlo V. Il perchè, studio di Luigi XIV, che da Parigi intendeva timoneggiare quel regno, era di associare al nipote personaggi GIORNALE LIGUSTICO 263 che potessero moralmente fornirgli valido aiuto. Quindi conoscendo l’influenza della donna sul marito, a lato della regina, con istruzioni sue speciali egli pose persona, riputata capace a servirlo fedelmente. Questa fu Marianna, di Luigi della Tremouille, duca di Noirmoutier, vedova in prime nozze di Luigi Adriano Biagio di Talleyrand, principe di Cha-lais, morto nel 1670, che aveva soggiornato qualche tempo a Madrid profugo di Francia per cagione di un duello, ed in seconde del principe Flavio Orsini, duca di Bracciano e S. Gemini, grande di Spagna, cavaliere del toson d’ oro , mancato ai vivi nel 1698, ultimo del suo ramo. La scelta era vagheggiata da Luigi XIV, sia perchè la principessa Orsini già conosceva Madrid, sia perchè egli non avrebbe posto fiducia in una spagnola, essendo la Spagna divisa in fazioni; non in una piemontese, per gelosia di Stato; e nemmeno in una francese, essendo intendimento suo di comandar da Parigi bensì, ma salvarne le apparenze. Ora con questo espediente italo-franco egli sperava di poter pienamente raggiungere i suoi fini. Non bisogna peraltro credere che la scelta della principessa Orsini fosse tutt’ affatto spontanea, nè senza alcuna cooperazion sua. Imperocché la scaltra donna aveva saputo prepararsi il terreno col mezzo de’ maneggi suoi presso il potente cardinale Cesare d’Etrées, valendosi anche dell’influenza della Maintenon. E ben era atta a ciò colei, che lo Sclopis rettamente definisce: flatteuse, insinuante, mesurée, voulant plaire pour plaire: celle-ci avait des chai mes, dont il n’était pas possible de se defendre quand elle voulait gagner et séduire (1). Ora alcuni particolari su di lei riguardo all’ impressione (1) Marie Louise Gabrielle de Savoie reine d’Espagne. Etudes historiques. Turin 1866, pag. 40. 264 GIORNALE LIGUSTICO fatta allorché fu eletta camerera mayor della nuova regina di Spagna; alla condotta della corte di Roma in quei primi istanti, nonché alla partenza di Maria Luisa dalla sua patria, rimasti ignoti allo Sclopis e ad altri, ci faranno per qualche spiraglio intravedere alcunché intorno ai personaggi ch’ebbero una parte notevole nella storia contemporanea. Il trattato di matrimonio di Filippo V colla principessa di Savoia era stato conchiuso il sei di aprile (1701), e nel giugno già era conosciuta alla corte di Torino la scelta fatta della principessa Orsini a cameriera maggiore di Maria Luisa. E tosto Vittorio Amedeo dava incarico a Gian Giuseppe Martinetti, sue residente presso la corte di Roma, di recarsi a complimentarla. Il sedici di luglio il Martinetti, che già aveva eseguito il suo mandato, poteva ragguagliare il duca che la principessa ne aveva sentita molta gioia , e che oltre ogni dire contenta, erasi informata da lui se già era stabilita Fepoca precisa della partenza della sposa, e se già a Torino se ne sapesse alcunché. Anzi sembrando che cominciasse ad impensierirsene alquanto, non aveva potuto astenersi dal visitare il cardinale di Gian-sone (cioè Toussaint de Forbin de-Janson, vescovo di Digne, poi di Marsiglia, cardinale di S. Callisto, grand’elemosiniere di Francia), per intender bene qual risoluzione vi fosse in proposito; ma senza successo, poiché quel porporato non ne sapeva più di lei. Il carteggio del residente savoino ci rivela abbastanza quanto la principessa fosse faccendiera, poiché in quella prima visita cercava di persuaderlo, che a detta del cardinale d’Etrées non bisognava dar credito alle voci che si sarebbero potute disseminare sul ritardo del duca di Savoia a recarsi all’esercito, in quanto che essa ben sapeva rispondere alle ciarle, che il duca doveva attendere il marchese di Castelrodrigo , cioè Don Carlo Homodio marchese di Castelrodrigo eletto a GIORNALE LIGUSTICO 265 stipular in Torino il contratto di matrimonio e accompagnare la novella regina in Ispagna. Del resto in ciò ella cominciava a sbagliare, asserendo che non avrebbe il marchese potuto giungere a Torino sino verso il fine d’agosto, trovandosi allora a Milano per attendere il compimento dell’equipaggio che quivi si eseguiva; poiché invece, mentre ella di tal guisa discorreva, il marchese di Castelrodrigo giungeva a Torino, ove il ventotto luglio veniva stipulato il contratto. Quantunque già attempateli, pur la nostra principessa strug-gevasi della voglia ardente che si affrettasse il momento, che le avrebbe consentito di far parlar di sé, ed iniziar cosi la nuova sua carriera in una delle primarie corti d’Europa. Ed in quei giorni appunto ella stava tutta in faccende a ricevere e restituire le visite di congedo del patriziato romano. E già teneva per sicuro che fra non molto avrebbe potuto prendere il mare a Livorno, ed imbarcarsi su di una delle galere della repubblica di Genova. Se anche altrove le cose un po’ anormali, nè affatto comuni, e singolari, potevano attirarsi osservazioni o pungenti sarcasmi, unto più ciò avveniva in Roma, arena delle gare, delle censure e degli epigrammi i più spiritosi, che si manifestavano reconditamente col mezzo delle pasquinate, le quali godevano il privilegio dell’impunità. E Pasquino appunto, cominciava a rider per bene alle spalle di quella vecchia Circe, disseminando eh’ essa poneva ogni studio a crearsi una piccola corte di due dame, di quattro figlie d’onore, di quattro cavalieri cd altrettinti paggi, oltre una coda di staffieri ed un certo numero di servidorame più basso. E questo piccolo esercito lo si doveva raggranellare in Roma. Ma non basta: quei burloni ricamavano ancora il racconto, coll’aggiungere che arrivata a Nizza, la principessa avrebbe aumentato il corteo con altri servidori che le sarebbero stati spediti di Francia. 266 GIORNALE LIGUSTICO Essendo tali voci giunte alle orecchie dellOrsini, poco dopo ella procurava di accertar del vero il residente di Savoia, poiché all’ingegno accoppiando il buon senso, troppo sapeva quanto nuoce alla fama il ridicolo. Senonchè il vero delle cose stava come avea vociato Pasquino, e lievi modificazioni dovevano variarlo. Tant’è, che la principessa poteva solamente combattere le asserzioni sparse in quanto alle figlie d’onore, le quali non avrebbe tolte di Roma, ma scelte a Madrid; vera la notizia degli staffieri; vera quella dei gentiluomini d’ accompagnamento : non so però se senza scapito della riputazione di costoro, essendo sempre vanitosa la comparsa di quanti si acconciano così facilmente ad indossare una livrea. Onde il residente savoino, poco dopo era già in grado di dar il nome di quei valorosi cavalieri, che dovevano quanto prima far il viaggio trionfale di Spagna, e bearsi quindi delle delizie e mollezze lusinghiere della vita madrilena. Essi erano il signor d’Aubigni, il marchese Gregorio siciliano, il conte S.issarelli d’Imola et un altro francese di cui non mi ricordo il nome (i). Qualche parente troppo zelante, o fors’anche emulo, aveva sciorinato alle orecchie della principessa che avrebbe potuto condur seco la nipote, cioè la figlia del duca Lami. Ma ella seppe accortamente risponder di botto, che ogni sua attenzione doveva essere rivolta a servir la regina: nè mai avrebbe potuto invigilare una giovin donzella in mezzo ai frastuoni di una corte, arena sempre ingombra di rose e spine per chi desidera di vivere onestamente e conservarsi fama illibata. Intanto Clemente XI, tuttoché avesse per l’innanzi osteggiata l’alleanza di Filippo V colla principessa sabauda, a fatto (i) Archivio di Stato di Torino. Lettere dei ministri di Savoia alla corte di Roma. Anno 1701. GIORNALE LIGUSTICO 267 compiuto volle comparire orrevolmente al cospetto d’Europa. Quindi a festeggiare quell’avvenimento nominava legato a latere per benedire a Nizza quelle nozze l’illustre cardinale Giuseppe Archinto, a lui congiunto per sangue, già nunzio a Firenze, Venezia e Madrid, arcivescovo di Milano, ecc. Ed il residente savoino la sera del lunedi otto agosto scriveva a Torino, che l’Archinto era stato nominato a quell’ufficio nel Concistoro tenutosi in quel mattino. Soggiungeva di essere stato presente a quella funzione, la quale finita, il cardinale Francesco Paolucci segretario di Stato avevaio avvicinato, per avvisarlo che il papa avrebbe regalato alla sposa la nota rosa d’oro « con alcuni corpi santi, preziose corone, casse di agntis dei e la consuete benedizioni et indulgenze in forma principesca ». E per abbondanza, Clemente volendo temperare l’agro, che per altre ragioni aveva colla corte di Savoia, commetteva ancora all’Archinto di delegare, giunto che fosse a Nizza, un gentiluomo per offrire al duca, di Savoia un breve speciale di congratulazione. Codeste erano le specialità della parte, come dicesi, uffiziale, che il residente di Savoia procurava di trasmettere fedelmente al governo. Ma i segreti delle quinte ci vengono rivelati con maggior soddisfazione dai giornalisti, i quali pei loro così detti avvisi solevano riscuotere dalla nostra corte regolare stipendio. Il tredici agosto pertanto Yawiso del gazzettiere c’ intorma, che la principessa Orsini aveva in quei giorni sentito non lieve dispetto del rifiuto ricevuto dai parenti di quelle donzelle scelte da lei per farle corte. Cosi pure, avendo l’Orsini voluto chiedere al papa di riceverla a palazzo, affine di poterlo inchinare, questi guardossi bene di cadere nel ginepraio delle emulazioni di cerimonie , che avrebbe potuto generare quell’atto nelle principesse e in tutto il patriziato romano. Il perchè l’accorto pontefice appigliossi ad una via di mezzo. 268 GIORNALE LIGUSTICO Una domenica dopo il meriggio, recatosi a visitare la chiesa di S. Maria in Trastevere, quindi il monastero di Regina Codi, alla Lungara, ivi ammise in una camera segregata dal chiostro la nostra principessa , che si trattenne , giusta Vavviso « mezzo quarto d’ora, che vale a dire minuti 7 e mezzo, ed in tal congiuntura fu ammessa la priora di cotesto monastero al bacio del piede di S. B. ». In tal guisa scriveva il gazzettiere romano stipendiato, che non aveva in quel negozio interesse nè di esaltare nè di deprimere la principessa Orsini. Il residente savoiardo invece, che trasmetteva alla nostra corte quanto aveva inteso dalla bocca della principessa medesima, se in ultima analisi viene a dirci su per giù le stesse cose, studiavasi per altro d’imbellettare alquanto il vero, per secondar la grande vanagloria della futura maggiordoma della nostra principessa. Secondo tale racconto adunque, il papa le avrebbe spedito un suo cameriere d onore, per complimentarla sull’elezione fatta dal re di Spagna della sua persona, per accompagnare la futura regina di Spagna. Poi alcuni giorni dopo le avrebbe inviato altro prelato per regalarla di corone e reliquie, avvisandola di doversi trovare presso le monache di Regina Coeli, dove Clemente aveva desiderio di darle udienza d’onore. Recatasi ella quivi, il papa ammetteva all’atto di ricevere la benedizione pontifìcia tutta la famiglia di corteggio « pendente la quale, che fu di quasi mezz’ora, il papa stette sempre in piedi trattandola di lei e parlandole in persona terza, col titolo di signora principessa. Le rinnovò quindi molte espressioni di stima e gradimento che già le aveva fatto significare, e le raccomandò particolarmente d’insinuare alla regina sposa vero sentimento di religione, con assicurarla del suo paterno affetto. La signora principessa gli rispose, che la S. S. si degnasse di riflettere alla nascita della regina medesima ed alla singolare pietà di lei e specialmente dei reali suoi genitori, per ripromettersi dalla di lei buona in- 269 dole ed ottima educazione tutta la disposizione più desiderabile, per i vantaggi della Chiesa ed una figliale devozione alla santa sede ». Che l’udienza si fosse protratta una mezz’ora, secondo la versione del residente, od avesse durato soli sette minuti, a detta del gazzettiere, poco monta alla storia; ma il silenzio del primo sul vero motivo di quell’udienza, seguita nel mo-nistero e non al Vaticano, c’ induce a prestar maggior fede al secondo, cioè al giornalista. Del resto, complimenti, dolcezze, esca delle corti, sono cose che fanno parte dell’educazione principesca; che soglionsi compiere in un fiato, e che non inducono conseguenza alcuna. Il residente poi, che cotanto anelava di esaltare la principessa, viene ancora a rivelarci che poco dopo, mentre un di il papa andava a diporto per la città in una carrozza, giunto che si fu al palazzo di quella principessa, « subito che la vide si levò egli in piedi nella sua carrozza, e così stando la benedisse più volte, il che è stato ammirato da tutti ». E quasi ciò non fosse ancor sufficiente, un bel giorno Clemente XI mandava ancora a lei lo stesso fratello Orazio Albani, a fine di complimentarla, ed egli « andò a dirittura nella di lei anticamera senza farle fare la solita ambasciata ». Ma questa volta il prudente nostro residente, che c’informa di tutte codeste minutaglie, forse imberciava nel segno, rivelandoci che tutti quei benigni trattamenti erano suggeriti dal cardinal del Giudice (cioè Francesco del Giudice cardinal di Giovenazzo, principe di Cellamare, napolitano, oriundo genovese, supremo inquisitore di Spagna ov’ebbe varie vicende, e cadde poi allo spuntar dell’ astro dell’Alberoni), nell’intento di conciliarci l’animo della Orsini, che si supponeva avrebbe avuto non lieve influenza presso la corte di Spagna. Senonchè fuvvi un momento terribile per l’ambiziosa principessa, poiché manifestossi il pericolo che tutto il vago ideale 270 eh’ erasi ella formato, dovesse sfumare in un atomo. Infatti il consueto gazzettiere viene ad informarci « che inverso la metà di settembre, trovandosi la principessa a Siena, riceveva un messaggero di Francia che trasmettevale l’ordine di trattenersi ovunque si trovasse, sino a nuovo avviso. Per la qual nuova (soggiunge il giornalista) molto si è rattristata, prevedendo non dover più inoltrarsi, ma ritornarsene a Roma e perdere si bella congiuntura di far conoscere e la generosità del suo cuore e la grandezza del suo spirito ». Non è possibile scoprir l’arcano de’ cuori altrui, e se la generosità consisteva nel far debiti, certo che il gazzettiere aveva ragione, poiché egli stesso poco dopo seguita ad informarci, che la principessa era stata costretta a ricorrere a monsignor Martino, uditore della Camera, per aver sei mila scudi, e ciò non bastando impegnar tutti i capitali ed anche i gioielli, affine di raggranellar il danaro occorrente. E trovandosi negli ultimi giorni ancora scarsa di questo, era costretta rivolgersi al Monte di pietà, e depositar ivi le argenterie della casa Orsini, per la somma di altri quattordici mila scudi. Ed a tal punto il gazzettiere stesso finiva per ricredersi, e correggere le doti di generosità e cuore eccellente affibbiate cosi facilmente allOrsini, poiché era costretto a soggiunger, che tutto quello spreco di danaro proveniva dalPardore ch’ella aveva « di far pompa della sua comparsa ». È ben vero che l’astuta donna sapeva assai bene, che all’ombra delle corti è facile risarcirsi di tali sacrifici, tanto più avendo a far con giovani sposi. Ma sul bel principio, e allorché l’avviso siniscro del citato messaggero sembrava dovesse giungere a guastar le uova nel paniere, la principessa dovette provare un vero sgomento. E che infatti fosse sovraggiunto qualche contrattempo momentaneo, ce lo rivela lo stesso ministro residente. Il quale avvisava a Torino, che alcune della dame principali di Madrid, adontate dell’essere state posposte ad una straniera, cotanto giornale ligustico avevano intrigato presso il nuovo re, da indurlo a far rimuo-vare Γ animo dello zio dalla scelta fatta della duchessa di Bracciano. Altri invece divulgavano che la novella regina aveva alquanto insistito per essere accompagnata da dame piemontesi sino a Barcellona, per ritenerle poi sempre a Madrid. Non è impossibile che fossero balenate quelle idee alla mente di quegli interessati, ma non garbava così colà dove si puote ciò che si vuole. Tant’è che dissipatosi ogni nembo , il diciotto del settembre la principessa già aveva approdato a Nizza di Provenza, dove pure trovavasi da alcuni giorni la novella regina. Ma crederebbe forse taluno dei leggitori, che la principessa Orsini si fosse affrettata ad inchinare e far conoscenza della sovrana, la quale doveva essere compagna della sua vita? Chi cosi la pensasse, si dimostrerebbe inesperto del- 1 indole e degli arcani delle corti principesche, tanto più nei tempi di cui discorriamo, ne’ quali ogni espansione di sentimento, ogni principio di spontanea ed onesta schiettezza dovevano cedere al manieroso ed umiliante cerimoniale, al freddo calcolo di politica o d’interesse particolare, e quasi sempre, per omaggio a quel prestigio, molla potentissima a conciliar rispetto alla sovranità al cospetto del volgo, così facile a lasciarsi abbindolare dalle apparenze. Vedremo quando doveva giungere il momento opportuno per la principessa Orsini di presentare i suoi omaggi alla futura sua sovrana, ma non pienamente sua padrona, come forse essa s’illudeva. Intanto, poiché lo Sdopis nell’anzidetto suo pregevole lavoro litnitavasi ad accennare in poche parole all’ arrivo del cardinale Archinto, il legato a latere di cui sovra, che doveva benedir le nozze della regina, ed alla partenza di questa da Nizza, accenneremo qui ad una relazione che c’informerà di qualche curioso particolare a quel riguardo. Ignoto me n’è l’autore, che rappresentò peraltro una delle prime parti nella cerimonia, ma la fedeltà del suo racconto 272 GIORNALE LIGUSTICO viene corroborata da quanto in proposito leggesi nel ceremo-niale del conte Robbio, che si conserva nella biblioteca palatina di Torino. Cita lo Sclopis (i), a corredo delle poche notizie da lui date, un Diario 0 sia relazione, di quanto è occorso in questa città (di Νΐζζα) dalli 28 agosto alli 29 di settembre, in oleasione della venuta e soggiorno della reai infanta Maria Gabriella di Savoia regina delle Spagne, ed accoglienza del signor cardinale Archinto legato a latere nel suo solennissimo ingresso in essa città... scritto da Carlo Francesco Torrini di Lantosca in Νΐζζα abitante, e che egli afferma manuscrit de la bibliothèque du Roi à Turin. Venutami alle mani la relazione manoscritta che qui vedrà la luce (2), lui naturalmente spinto dal desideiio di poter consultare il manoscritto in questione; ma venni assicu-sato da quell’egregio bibliotecario, signor commendatore Promis, non esistervi in quella libreria; il perche qui vuoisi rettificare l’asserzione del citato autore. Nè meno fui secondato nelle mie investigazioni, non essendomi stato possibile di consultare la rarissima stampa che ha per titolo: Distinta relatione del viaggio e funzione fatta nella città di Νΐζζα dal... cardinale Giuseppe Archinto, in occasione dello sposalizio fatto della signora sposa di Filippo V Re di Spagna... Roma pel Chracas - lyoi in 4. Il perchè, a fronte di opuscoli che con certezza non si possono affermare in dominio del pubblico, e che non esistono, quanto meno, nelle biblioteche di Torino, acquista pregio la relazione delle festività celebratesi in quell’ occasione a Nizza, e ch’era sollecito di trasmettere al duca il più volte accennato suo residente a Roma. In quanto alla principessa Orsini, di cui specialmente sin qui (1) Pag. 27 in nota* (2) V. Doc. in fine. giornale ligustico avemmo ad intrattenerci, la nostra relazione ci rivela, ch’essa fecesi ad ossequiare la regina solamente il giorno ventisette di quel mese, allorché Maria Luisa salì a bordo della galera reale di Napoli. Ecco le parole dell’autore di quella relazione : « Sopra un ponte fattosi apposta alla spiaggia per il comando de la Maestà Sua, si è trovata la signora principessa Orsini che «-on.plimentò S. M. per la prima volta, essendosi tutto questo^ tempo trattenuta a Villafranca senza vedere la regina, nè mai venire a Nizza, dicendo che tali erano i suoi ordini, forse per non incontrarsi con la signora principessa di Mas-serano (i), che ha servito la regina in qualità di cameriera maggiore insino al suo imbarco ». Potrebb essere appunto cosi, avvegnaché giunta la regai comitiva a Perpignano, venivano levati dal fianco della giovine sposa tutti i piemontesi; contrariamente alla data parola, tolta la baronessa di Noyer vecchia sua governante savoiarda, e il direttore spirituale ; e vociavasi che in quella determinazione avesse avuto parte la stessa principessa Orsini, a cui poco garbavano quelle savoiarde. Tutti questi particolari servono anche a persuaderci quanto calzi a capello il ritratto, già in parte riferito, che di quella principessa ci lasciò il conte Sclopis nella sua monografia: flatteuse, insinuante, mesurée, voulant plaire pour plaire: celle-ci avait des charmes dont il n’était pas possible de se défendre quand’ elle voulait gagner et seduire. Quoi-qu elle eut plus de soixante ans quand’elle commença ses services auprès de la reine, madame des Ursins conservait encor de la fraîcheur, de la grâce et des agrémens. Elle garda toujours cette vigueur d’esprit et cette aménité de causerie, qui la rendaient pro~ (i) Forse Ippolita Cristina, figlia naturale non legittima del duca Carlo Emanuele II di Savoia, consorte di Carlo Besso Ferrerò, principe di Mas-serano ch’ebbe molte contestazioni in Piemonte e andò poi a Madrid, dove Filippo V creollo grande di Spagna. Giorn. Ligustico. Anno XIV% j8 274 GIORNALE LIGUSTICO prc à traiter les affaires, et remplir le vide que l’étiquette faisait autour des souverains dans le triste palais du roi d’Espagne (i). Ad onta peraltro della sua ambizione e della passione di dominare, in molte cose essenziali essa dovette cedere al voler della regina, la quale, tuttoché, di gran lunga più giovine di lei e minore in potenza d’ingegno, sapeva colla dose di un gran buon senso, dote sempre all’ingegno superiore, far prevalere i suoi comandi, nè divenir cieco stromento delle voglie della sua cameriera maggiore. Degna figlia dell’imperterrito Vittorio Amedeo II, degno rampollo della stirpe dei forti guardiani dell’ Alpi ! Ma la fortuna non le sorrise benigna, poiché com’è noto, il quattordici febbraio del 1714 ella abbandonava questa vita, lasciando nella Spagna la più alta opinione sulla sua bontà d’animo ed esperienza nel timoneggiare lo Stato, come le avvenne due volte nell’assenza del re. La memoria di lei fu benedetta a lungo, e n’è la più gran prova lo esclamare ancora Viva la Savoyana che faceva il popolo madrileno, allorché aggiravasi per le vie della città Elisabetta Farnese, seconda consorte di Filippo. Pungente lezione agli ambiziosi ; omaggio sincero alla virtù! In quanto poi alla duchessa di Bracciano, le cui vicende e il cui carattere rimangono affatto palesi dopo recenti pubblicazioni intorno a lei (2), basterà, a conclusione di queste pagine, soggiungere come si avverasse alla lettera il gran detto : agli alti voli e repentini — sogliono i precipizi esser vicini. — Che se morta la Regina Luisa Maria, essa arrivò persino a vagheggiare un momento la corona di Spagna, la Farnese, che gliela (1) Luogo citato, pag. 40. (2) Combes, La princesse des Ursins, essai sur sa vie et son caractère politique, Paris, Didier 1858 — Lettres inédites de la princesse des Ursins par M. A. Geffroy, Paris, Didier 1859. GIORNALE LIGUSTICO 275 tolse, seppe anche farla duramente balzare dal suo seggio. Impostale la partenza dal regno, fu con poca umanità in breve volger di ore scortata da sessanta dragoni ai confini di Spagna, e abbandonata fra le nevose balze dei Pirenei. Andò a Parigi ; ma tosto s’accorse che non poteva dimorar quivi. Si rivolse allora a Roma; ma prima le convenne mendicare caramente la facoltà di potervi soggiornare, essendo venuta, in parte per ragioni politiche, in uggia ai potentati. Sin dal due febbraio 1715 l’abate del Maro, residente di Savoia a Roma, scriveva al re Vittorio Amedeo II, che il cardinale della Tremouille, molto alterato a cagion delle voci che disseminavansi sul conto della principessa Orsini, erasi messo sulle pretese che il re di Francia dovesse dichiarare , che la risoluzione di averla esigliata da Madrid non solamente non proveniva da quel re, ma neppure eragli stata partecipata. Invece a Roma, nei circoli informati, sussurravasi che quella gran determinazione non fosse effetto soltanto dell’indignazione della regina di Spagna, ma presa in accordo dalle due corti di Francia e Spagna (1). Comunque ne sia, alcuni mesi dopo, sempre giusta le notizie che l’abate del Maro trasmetteva alla nostra corte, essendo giunte a Clemente XI le istanze della principessa, perchè le fosse consentito il suo ritorno a Roma, semprechè ciò tosse per gradirgli, questi risposele bensì con parole obbliganti, ma in pari tempo ingiunse al nunzio in Francia di adoprare ogni arte per impedire 1’ esecuzione del suo disegno. Del resto, a forza di maneggi, il soggiorno di Roma non venivale diniegato. Ma quante amare disillusioni ella doveva ricevere nello stesso viaggio ed ai confini pure dello Stato di (i) Arch. di Stato: Roma. Lettere Ministri, M. 151. 276 GIORNALE LIGUSTICO Savoia, dal padre stesso di quella regina, a cui ella aveva servito mentre cingeva la corona di Spagna! Ecco la lettera che da Ciamberì, il 21 settembre (1720), il re stesso scriveva al marchese Ignazio Solaro del Borgo, per cavarsi senza tanti riguardi da ogni impegno con quella poco accetta principessa : <■< Nei giorni scorsi ricevemmo una lettera della principessa Orsini, scritta dal ponte Bonvicino, e mandata per via del suo scudiero, avendone presa l’occasione dal non aver voluto entrare nei nostri Stati senza compiere a questo dovere, avendo il medesimo scudiero detto al marchese di S. Tommaso che Tesserle caduto un catarro sulle ginocchia mentre si trovava in Lione per andare in Avignone le aveva fatto prendere la risoluzione di portarsi ai bagni d’Aix. Le abbiamo noi fatta una obbligante risposta, e siccome fra i compimenti della sua lettera vi era quello del piacere che essa avrebbe di vederci e la regina, il marchese di S. Tommaso ha spiegato allo scudiere la soddisfazione che ne avressimo avuta dal nostro canto, ma che ci trovavamo qui privatamente per pochi giorni, ove non vedevamo alcuno, e che le conservavamo gli stessi sentimenti di stima e di considerazione. Detto scudiero avendo però mostrato al medesimo marchese die la principessa Orsini avrebbe potuto torse pensare a passar qui l’inverno o in altro luogo della Savoia, stante la stagione avanzata, esso marchese gli rimostrò eh’ ella avrebbe potuto adoperare il rimedio de’ bagni, ed anco in tempo proprio passar la montagna, quando avesse usata diligenza, insinuandogli essere bene che così ella facesse. Il gentiluomo fece apparire qualche sorpresa, e disse che giunta in Aix la principessa Orsini, sarebbe egli ritornato qua per riparlargli, ma non è più comparso, nè la principessa è peranco passata. Abbiamo stimato di parlar naturalmente di questo al signor Amelot come di lei particolare amico, lasciandogli travedere che la presente contingenza della Francia e li legami che avevamo GIORNALE LIGUSTICO 277 col duca d’Orleans ci movevano a certi giusti riguardi com’egli ben conosceva » (1). Si è accennato ivi che la principessa aveva detto come un’indisposizione sovraggiuntale avevaie impedito di recarsi ad Avignone. Ma invece dal carteggio del S. Tommaso al marchese del Borgo si scorge che la principessa aveva bensì bussato aile porte di Avignone, ma che da quel vicelegato erale stato ricusato Γ ingresso e il soggiorno nello Stato del re di Francia. La disgraziata si trovava in un bivio terribile ; dubbiosa ancora dell’accoglienza sua a Roma, cacciata dalla Francia, unico scampo se le era parato di rivolgersi al nostro re. Ma il marchese di S. Tommaso, fedele esecutore degli ordini di Vittorio Amedeo II, scriveva tosto al presidente Gand comandante la Savoia, di far sapere alla principessa ben esplicitamente, che il re avrebbe avuto intenzione di usarle tutti i riguardi possibili, ma eh’ ella stessa non doveva ignorare come « un di lei maggior soggiorno ne’ Stati della M. S. non può accordarsi con certuni che non può che avere il re »; ma che peraltro se le usava ogni cortesia e finezza per assisterla nel passaggio di lei, diretta ad altre regioni d’Italia od altrove. Insomma il nostro governo stava sulle spine, temendosi che per essere già nell’ ottobre, una malattia od indisposizione simulata si togliesse a pretesto dall’Orsini per trascorrere l’inverno nella Savoia. Vinte le difficoltà, la principessa che aveva abbastanza di tempo per far un paragone tra i passati suoi tempi e le odierne sue angustie, giugneva a Roma, sommessa e disillusa. Il 26 ottobre (1720) il Degubernatis scriveva a Torino: « È giunta in questa settimana la signora principessa Orsini, qual si tratterrà incognita col motivo di sfuggire l’incontro del titolo che pretende sopra l’eccellenza ». Nè più di lei oc- (iì lb. 1. c. mazzo 159. 278 GIORNALE LIGUSTICO correva altra menzione per cura degli stessi agenti di Savoia, all' infuori di quella che lo stesso Degubernatis il cinque dicembre 1722 trasmetteva a Torino con queste laconiche parole : « Passò ieri all’ altra vita, dopo pochi giorni di malattia, la signora principessa Orsini » (1). Aveva raggiunto però la beH’etii di ottantadue anni. Gaudenzio Claretta. Relazione della partenza da ni'.za di Maria Luisa »1 Savoia. Νΐ^χα, 27 settembre ιηοχ. In questo punto, che sono ore ventuna, è partita la Regina, sposa del Re Cattolico Filippo V, da poi di essersi fermata dieci giorni con oggi 111 questa città; e non è stato poco che sia partita oggi, non già perchè il mare non fosse molto favorevole, ma per la solita flemma e lentezza de spagnoli, che ancora non avevano finito di far le provvisioni necessarie , all’opposto de’ francesi che sarebbero stati all’ordine per partire l’indomani dell’arrivo della Regina, e di servirla di tutto se avesse abbisognato. La Regina si è imbarcata sopra la galera reale di Napoli, et io mi sono trovato presente vicino alla sua persona, quando è salita in filuca per avvicinarsi alla galera, che veramente non può essere più bella nè più galante. S. M. è venuta a piedi dal suo palazzo alla spiaggia accompagnata non solamente da tutta la nobiltà, ma da tutto il popolo, le di cui acclamazioni facevano eco allo sparo generale di tutta 1 artiglieria della città e del castello. Sopra un ponte fattosi apposta alla spiaggia per il commodo della M. S., si è ritrovata la signora principessa Ursini, che complimentò S. M. per la prima volta, essendosi tutto questo tempo trattenuta a Villafranca senza vedere la Regina, nè venire mai a Nizza, dicendo die tali erano i suoi ordini, forse per non incontrarsi con la signora principessa di Masserano che ha servita la Regina in qualità di cameriera maggiore insino al suo imbarco. (1) Ib. 1. c. mazzo 161. GIORNALE LIGUSTICO 279 Quando la ,M. S. è stata per entrare in filuca, si è trovato il primo presidente di questo Senato (1) con un notaio per rogare con pubblico istromento l’atto di consegna fatto dal signor marchese di Dronero ambasciatore straordinario di S. A. R., e dalla signora principessa di Mas-serano della persona di S. M. al signor marchese di Castelrodrigo ambasciatore straordinario del Re di Spagna, ed alla signora principessa Ursini cameriera maggiore. Nella galera della Regina non sono entrate che la detta madama Ursini , madama di Noyers dama savoiarda in qualità di sotto cameriera maggiore ed il signor marchese di Castelrodrigo. L’equipaggio della M. S. non può essere nè più piccolo nè più ristretto, consistendo in cinque o sei donne per servirla, in quattro paggi, un maggiordomo, uno scudiero, un elemosiniere ed il confessore, che è il padre Giacinto Ferreri gesuita piemontese, ed alcuni altri aiutanti di camera et uffiziali di credenza e di cucina che ha bisognato condurre per pura necessità , essendone gli spa-gnuoli sprovveduti. E questi tutti, trattone il confessore, la devono solamente servire sino a Barcellona. Tutti questi della casa di S. A. R. che sono venuti servendo la Regina da Turino sino qua, non hanno avuto l’incomodo di ringraziare il signor marchese di Castelrodrigo di alcuna benché piccola ricognizione, avendola esso veramente fatta alla spagnuola, che vuol dire nei tempi d’oggi assai meschinamente. Le galere francesi sono quattro, e queste vanno alla vanguardia, come già pratiche di questo mare, e forse anche meglio in arnese. Poi segue la seconda di Napoli e poi la reale seguitata dalle altre cinque di Napoli. Il signor conte di Le-mos, generale di dette galere di Napoli, pretendeva che le sue andassero loro alla vanguardia, ma il comandante delle galere francesi protestò me presente, che sarebbe andato anche in quel modo trattandosi di servire la Regina, ma che non voleva restar contabile di ciò potesse mai succedere, e cosi il signor conte è stato obbligato di cedere. Gli spagnoli sono quelli che conducono la Regina, ma li francesi saranno quelli che le danno da mangiare, essendo questi ben provveduti di tutto quanto, e quelli male. Io ho pranzato due volte sopra le galere francesi con altri di S. E. il legato, ed è incredibile la pulizia, il buon gusto e la delicatezza e la magnificenza che vi ho trovato, e questa è sempre la medesima ogni giorno, e si è sempre bevuto alla salute di Sua Santità con 1’ accompagnamento di suoni, trombe e tamburi. (1) Della ragguardevole prosapia chcraschese dei conti Salinatoris di Lequio, Villa ecc., il conte Gian Secondo era in quell’ anno primo presidente del Senato di Nizza. 28ο Ieri poi finalmente il signor cardinale legato tece la sua funzione, ed 10 feci la mia come sentirà. Vi erano in abito di protonotari apostolici monsignor Archinto, monsignor Coardi e monsignor vescovo di Novara (i) in mezzo, non vi essendo per la gran fretta del viaggio di S. Eminenza potuto venire alcun altro vescovo di Lombardia nè del Piemonte. Con tutto ciò la {unzione è stata bellissima, la cavalleria usseri numerosa di nobiltà milanese venuta a servire S. E. e di quella di questa città. Sua Eminenza prima di partire ieri mattina dall’abbazia di S. Pontio, lontana un buon miglio dalla città, fu complimentato dal signor marchese di Sales (2) cavaliere savoiardo e scudiere della Regina;e S. E. corrispose colltì spedire immediato il signor conte Carlo Archinto suo nipote e cavaliere del toson d’oro, a complimentare per parte sua la Regina, e poi si pose in viaggio con una parte del suo corteggio alle ventisei ore irf ordinanza, cioè prima 24 muli con il bagaglio di S. E., le coperte di superbissimo ricamo. Seguivano quelli della famiglia dell’ E. S. e dei suoi camerati, e poi tutta la nobiltà forestiera e del paese. Dopo quelli andava 11 maestro di ceremonie della Regina, poi il crocifero, essi due che portavano ciascuno un mantello, et immediatamente dopo questi veniva S. E. sopra un cavallo bianco tra la guardia de’ svizzeri, e poi li tre sopraccennati prelati e lo scudiere della Regina, e poscia una carrozza vuota della M. S. e due lettiche assai belle et una sedia di S. E. Quando si arrivò alla porta della città si fece d’ordine di S. A. R., che ha fatto fare tutte le finezze possibili a S. E., uno sparo generale di tutta 1’ artiglieria della città e castello, e si trovarono li sindaci e consiglieri della città con un baldacchino di tela d’argento con otto aste portate dalli suddetti sopra la persona di S. E. Vi si trovò anche il vescovo accompagnato dal clero e dalle religioni, il quale presentò Li croce di baciare; e dette che furono alcune preci, il clero tanto regolare che secolare entrò anche in processione, restando il vescovo con mitra l’ultimo, e a piedi avanti S. E. alla chiesa cattedrale di Santa Reparata, che è un assai buon tratto di strada. S. E. diede tre benedizioni pontificali dall’altare, ed è incredibile la folla attorno la persona di S. E. cagionata dal gran desiderio che ognuno aveva (1) Giambattista Visconti. (2) Francesco III, marchese di Sales, dell'insigne famiglia savoina che generò il benigno òale-sio. Gentiluomo di Corte, e capitano delle guardie, divenne poi grande mastro, generale di cavalleria·, cavaliere dell’Annunziata. Lode a lui, perché, rara eccezione de’ nostri gentiluomini, concorse con un tal Duchosal ad istituire una fabbrica di vetri a Thorens. GIORNALE LIGUSTICO di arrivare a toccare la di lui veste, a tale che per quanto gli svizzeri e li soldati facessero per impedire la folla suddetta, non fu mai possibile di allontanarla. S. E. con somma benignità procurava di consolare la pietà di tutti, con dar loro campo di avvicinarseli e toccarli la veste. Le strade, le finestre ed i tetti erano tutti ripieni di gtnte, e S. M. volle vedere a passare S. E. da una finestra del palazzo episcopale. 11 popolo tutto non faceva altro che chiedere indulgenze e far segni di croce, come pure fece la nobiltà dalle finestre delle case, a segno che si comprende una somma venerazione verso la santa sede e verso il Papa in questi paesi, con positivo stupore di S. E. e di tutti. Usciti che furono dalla cattedrale, seguitò la cavalcata insino al palazzo della Regina, e S. E. entrò dentro insino al piede della scala con il suo cavallo, et ivi fu ricevuto dal maggiordomo della M. S. ed alla cima della scala dal maggiordomo maggiore, e poi alla porta dell’anticamera dal signor marchese di Dronero (i). La croce andò sempre innanti S. E. sino alla porta della camera della Regina, che stava sotto un gran baldacchino a sedere con tutte le dame della Corte in piedi venute sin qua ad accompagnarla al suo fianco destro, tutte in fila immediata fuori del baldacchino, e subito che S. E. comparve nella stanza, la Reina si alzò dalla sedia e si scostò due passi per incontrare S. E., a cui fu immediate portata un’altra sedia uguale in tutto a quella della Reina; e postosi a sedere si copri e allora si posero a sedere anche le dame suddette. Il complimento fu assai breve, perchè era molto tardi, e la Regina non aveva ancora pranzato, e Consistè unicamente in esporre l’attenzione avutasi da S. S. nell1 ordinargli tale incombenza. Finito questo, la Regina tornò ad accompagnarlo alla medesima distanza in cui Γ aveva ricevuto, e S. E. entrò nella caròzza di S. M., e andò alla casa del signor conte La-scaris preparatale per suo alloggio, dove vi fu sempre un corpo di guardia di svizzeri e guardie del corpo. Insomma onori che non si potevano far di più a qualunque gran principe, di modo che S. E. restò sopra modo soddisfattissima. Il signor cardinale pranzò solo, e poi vi era una tavola con trentasei posate per i cavalieri di suo seguito, con un'altra per 'altrettanti della famiglia più inferiori; ed a tutta la gente di livrea di S. E. e del suo se- (i) Carlo Filiberto d’Estc, marchese di Dronero, figlio di Filippo Francesco e di Margherita di Savoia, figlia legittima del duca Callo Emanuele I. 282 GIORNALE LIGUSTICO guìto furono dati quattro gitili per testa per il loro pranzo ed altrettanti per la loro cena. La tavola di S. E. fu servita lautamente e delicatamente in piatti e tondi dorati, e le altre tavole furono anche con la stessa nobiltà servite. Verso le ventitré ore S. E. ritornò per la seconda volta dalla Regina, a cui presentò il regalo pontifìcio (cioè la rosa d’oro e foglie e gierani pur d’oro con vago piedestallo d’argento dorato di tre piedi d’altezza; poi una infinità d’indulgenze ; più ancora un corpo santo: non basta; due bacili pieni di agnus Dei con altre galanterie di devozione e molte indulgenze) che fu sommamente gradito, come fu anche da S. E. quello inviatole dalla Regina subito dopo il pranzo, consistente in una rosa di diamanti, che è stata pagata quattro mila scudi effettivi ; ed in sogno del suo gradimento, cosi persuaso dal suo mastro di cérémonie, $. E. volle lui portarla nella I sua seconda visita attaccata alla testa di una bellissima croce di diamanti ch’egli già portava in petto. Verso un’ora di notte fece S. E. la sua terza visita di congedo, e perchè a causa del tempo le galere non poterono avvicinarsi alla spiaggia, furono dal signor marchese di Castelrodrigo presentati nell’anticamera della Regina tutti gli uffiziali delle galere, ai quali S. E. diede la benedizione per il loro prospero viaggio. Congedatasi S. £. dalla Regina, presentò alla medesima ad uno ad uno tutti li signori e cavalieri del suo seguito, e poi si ritirò alla medesima casa, dove avevi pranzato, e fu servita a cena con la stessa grandiosità, come si era praticato la mattina. Questa mattina S. E. ha mandato diversi regali agli uffiziali e persone che l’hanno servito, e poi verso le ventisette ore ha voluto ritornare all’abbazia di S. Ponzio suo primo alloggio, per irattenervisi anche un paio di giorni senza soggezione. VARIETÀ Cristalli t specchi alla veneziana in Genova. Due grandi innovazioni nell’ srie vetraria a Venezia ebbero luogo nei secoli XVI e XVIII; e ad entrambe rispondono le pratiche fatte da taluno di que’ maestri, per introdurre una industria cosi reputata e lucrosa nello Stato di 283 Geftova. Impresa, a dir vero , non scevra di pericoli ; chè fino dal secolo XIV la veneta Signoria avea bandite severe leggi , per impedire che la nobile arte uscisse da quel Dominio nel quale la introdussero i prischi abitatori delle lagune (1). I. Cosi nel Cinquecento, dopo che presero a fabbricarsi in Venezia gli specchij de vero cristalin, cossa preciosa et singular, come affermavano gl’ inventori fratelli Dal Gallo implorandone la privativa (2), comparve in Genova un maestro Plinio Cantalupo veneziano, figlio di Nicolò , a trattare col Governo pro introducenda fabrica vitreorum cristaloriim more veneto in presenti civitate (3), e ne ottenne sollecitamente un ampio privilegio del tenore che segue (4). MDXXXXVIIIl. die XVII maij. Illustrissimus Dux, magnifici Gubernatores et Procuratores etc. Intellecto tenore accordìi facti per magnificos viros Joannem Baptistam de Furnariis et Joannem Baptistam Doria deputatos etc. cum Plinio Cantalupo, sub iudicio calculorum, omni iure etc., decreverunt et decernunt in omnibus et per omnia pro ut in infrascripto privilegio continetnr. (1) Romanix , Storia documentata di Fenera, IU, 70; Lazari , Notitie delle opere d'arte ecc. della Raccolta Correr, pag. 89. (2) Cbcciietti , Sulle antiche memorie degli specchi in Venezia, in Archivio Veneto, fase. 61 (a. 1886), pag. 289 segg. Però si noti bene l’espressione de vero cristalin, giacché la riduzione del vetro in cristallo si era ottenuta non molto avanti, cioè nel secolo XV. Invece l’industria degli specchi di vetro semplice rimonta per documenti allegati dallo stesso prof. Cecchetti al secolo XIII almeno; e tra i maestri da lui citati , pel XIV riproduco volentieri il nome di un Genoese Spleger. (3) Alizeiìi , Notiae dei Professori del Disegno in Liguria, dalle origini al sec. XVI, II, .»96. (41 Archivio di Stato. — Senato, a. 1549, filza 59, num. part. doc. 216. 284 GIORNALE LIGUSTICO Duce, Governatori et Procuratori etc. Essendo stati richiesti da Plinio Cantalupo veneciano, perito in fabricar vedri christalini, che dando egli principio a lavorar in la presente città di detti vedri alle foggie et delle sorte che si lavorano in Venecia a Morano, et tenendo di continuo la città provista sotto li modi et forme secondo chi se dirà appresso, vo-lesimo concederli privilegio, inmunità et altre cose contenute in la richiesta sua. E desiderando noi che in la presente città s’introduca il me-stiero et arte di detti vedri christalini, data cura alli magnifici signori Gio. Battista Fornari e Gio. Battista Doria, doi delli magnifici signori Procuratori predetti, di accordare et appontare col detto Plinio secondo che a loro meglio paressi, in tutto come si vede in 1’ ordination nostra ricevuta per 1’ infrascritto segretario questo anno alli XV del presente mese, et inteso Γ appontamento et accordo fatto tra li prefati doi magnifici e Plinio predetto, scritto per il già detto segretario a' XVI di questo, in lo quale s’obliga il Plinio servar le cose contenute in li capitoli con lo detto accordo infillati, cioè che dentro da quattro mesi prossimi a vegnire darà principio in questa città a lavorar vedri christalini alle foggie et delle sorte che se lavorano a Morano in Venecia, perseverando in quel lavorerò et tenendo di continuo la città provista et fornita cosi di tutte le sorti de vedri christalini come di sopra (sic), come vedri da fenestra, quadri alla ponentina e tondi, et vendendo alli precii quali rispettivamente saranno da noi, 0 sia dalli preiati magnifici doi Diputati dichiarati, considerate le cose che debitamente considerar si devono, tal-menti che li precii predetti si riducano rispettivamente alla debita ho-nestà. Approvando et andando appresso all’accordo predetto, et accettando il soprascritto obligo, ordiniamo e decretiamo che per quindici anni prossimi a venire non sia licito a persona alcuna, sii chi se voglia, se non al detto Plinio 0 suoi eredi, dirizar fabrica nè lavorare di detti vedri christalini e vedri da fenestra christalini come di sopra in Genova nè sul Paese 0 sii Dominio di questa Rcpublica. Escluse perhò le sorte di vedri delle quali si lavora al presente, chi s'intendano a ciascaduno in 1’ avvenire restar concesse corno di presente sono. Per il detto tempo di detti XV anni si concede al detto Plinio 1' uso et habitatione de la casa della Republica, situata fuori et appresso la Porta di Santa Catherina, chi fu già del quondam Andrea de Facio, senza alcun suo carrico di fitto 0 pagamento di piggione. Si farà far franco dal Magnifico Ufficio di San Giorgio per il detto tempo de XV anni et essento dal datio del vino per cinquanta mezarole di vino per uso suo et della sua fameglia, se tanto ne consumerà ; chè GIORNALE LIGUSTICO 285 quando ne consumassi meno, s’intenderà esser solamente franco di quella somma eli el consumassi. E quando il consumo eccedessi la somma di cinquanta mezarole, s’intende che quel di più debba essere a carrico suo, non dovendo ecceder a niun modo la franchezza in li modi detti de mezarole cinquanta. E per il detto tempo di XV anni si farà far franco come di sopra et essento del datio delle legne eh’el consumerà in detta sua fabrica anno per anno, pur che non ecceda respetto della detta franchezza la somma di quattro millia cantara per ogni anno; et consumando nnnor somma, goda solamente la franchezza del consumo ; et eccedendo la detta somma, resti il sopra più a carrico suo. E perchè le dette cabelle di vino e legna già sono vendute, e perciò non concederà forsi il Magnifico Ufficio di San Georgio la franchezza et immunità predette se non passato i! tempo delle dette vendie fatte, s’intende che debba ogni modo restar franco come di sopra et godere della detta immunità XV anni intieri. Le quali tutte cose s’intendano come di sopra concesse e da esserle pienamente servate, servando esso Plinio quanto in lo detto accordio e capitoli, la sostanza delli quali è di sopra espressa si contiene (sic). Comandando a ciascaduno, sii chi se vogli, la intiera osservanza di tutto ciò che è di sopra contenuto, alla pena di perder li lavori et cose le quali fussero fatte contra la forma del presente privileggio. Da Palazzo alli XVII di maggio 1549. Una nota de’ Cartolari della Repubblica, prodotta dall’ Ali-zeri, ci mostra che già nel giugno successivo la Signoria iacea procedere a’ ristauri della casa conceduta al Canta-lupo (1); e un altro documento c’ informa che questi veramente non avea tardato a ridurvisi cogli operai e la propria famiglia. Ma nacquero poco stante delle brighe, fra lui ed un tale, che egli non nomina altrimenti se non come « uno di questa città », in conseguenza delle quali Plinio videsi costretto ad esular dallo Stato; probabilmente per isfuggire a qualche processo, perocché non è da credere che il maestro veneziano siasi nella lotta rimasto del tutto (1) Aljzeri, loc. cit. 286 GIORNALE LIGUSTICO passivo. Tornò dipoi nel 1560, invocando colla istanza che soggiungo, la rinnovazione del privilegio di cui non avea potuto che brevissimo tratto godere; salvo ciò che concerneva alla casa, la quale fino dal 1553 era stata assegnata dalla Signoria a maestro Dionigi da Brusselle, perchè vi stabilisse, come seguì difatti, una fabbrica d’arazzi (1). Illustrissimi et Molto Magnifici Signori, Essendo per altri tempi stato richiesto Plinio Cantalupo, venetiano, da questo Illustrissimo Senato che dovesse venir da Murano et condur de’ suoi lavoranti per adornare questa Illustrissima Cità della bellezza e del bisogno de cristalli, venne et condusse i suoi huoraini, et fu fatto tutto quello che in Murano si facessi, come ben vide lo Illustrissimo Senato che in quel tempo governava; et veduta l’opera esser bene riuscita, gli furono confermati quelli privileggii che gli mandò a promettere, et furono notati per man del quondam Georgio Ambrosio , essendo duce la fé: me: de Gasparo de Grimaldi da Bracelli; li quali privileggii erano de tenor sequente, cioè che per quindeci anni alcuna altra persona non potesse condur huomini di questo mestiero, nè fare fabriche di cristalli in questa Cità nè altri luoghi del suo Dominio. Et per haver anche esso Plinio ritrovato in questo territorio li sassi perfetti et buoni per questo cristallo, gli diedero la essentione et franchisia delle gabelle per tutte le cose che per tale fabrica acade comperar per el sopradetto tempo. Et inoltre gli dieder a godere quella casa ove fabricava li cristalli, quale poi le S. V. Illustrissime hanno donato a quelli delle Tapezzarie. Et più gli concessero che lui con dua delli suoi huomini potessero portar le loro arme, per le taglie che suole poner el Dominio veneto a quelli che vanno a far fuora de Venetia quest’arte de cristalli. Hora per esser stata data la ditta casa alli Tapezzieri, che tanto era accomodata, et sendo servite le S. V. Illustrissime confermarli le medesime gratie che gli suoi predecessori gli haveano concesso, potrano pagargli la pisone di un altra casa che ha trovato apresso san Lazaro, più comoda assai de la sopradetta, per esser sopra la riva del mare. Et per levar via qualche dubitatione de incarire le legne, già si è proveduto de un bosco che tenerà la fornace fornita, senza toccar quelle che le barche (x) Alizeri, II, 493. 287 e li muli portano per lo comodo della Gita.'Et avenga che nella Cità di Venetia siano almeno trenta fornace da crestalli, che di continuo lavorano, senza quelle da calcina et da mattoni, non mancano però mai di fabricar ancorché li boschi siano molto lontani ; et questo dice perchè una sola fornace non può dar nocumento alcuno, anzi gran comodo, util et honor a questa inclita Cita, la quale sarà servita ad ogni suo contento, et pretii più honesti che non si la al presente, per quanto il detto Plinio vede. Et più si offere, acciochè 1’ arte resti in perpetuo in questa Cità, de insegnar ad un par de giovani che gli siano dati dalle S. V. Illustrissime, dandogli però tale conveniente aiuto che li possi mantener, come hora intende che si dà a quelli che imparano le Tapezzarie. Et per esser questa arte di maggior peso che non è quella delle Tapezzarie, crederà che le S. V. Illustrissime ne debbiano restar contente, et che tale virtù fusse essercitata et ampliata. Del danno che el detto Plinio ha ricevuto da uno di questa Cità per haver batuto li soi homini et messi in tal desperatione che furono astretti fugirsene via et lui abandonar 1’ opera cosi ben indirizzata, crederà che alcuno delle S. V. Illustrissime ne possano esser ben informate. Però Dio gli perdoni per esser stato causa che questi anni sia andato disperso pel mondo, et haver sempre lasciato qua la sua povera fameglia con animo per ciò sempre de ritornarvi a far il suo mestiero , essendo qua la miglior scala del mondo. Pertanto confida in le bontà delle S. V. Illustrissime, che non manca-rano di far cercare le scritture delle gratie et concessione predette , et farle rinovar, acciochè con bono animo possa condur li suoi lavoranti già accordati a honor et grandezza di questa Cità et delle S. V. Illustrissime, alle quale con humiità si offere et raccomanda. Inchinava la Signoria a favorir la richiesta; e il dì 26 marzo del 1560 emanava questo decreto. Illustrissimus et excellentissimus dominus Dux et illustres domini Gubernatores excelsae Reipublicae Genuensis. Lecta coram Illustrissimis Dominationibus suis supplicatione supra-scripta, et toto eius tenore plene intelecto, Plinioque ipso supplicante verbo audito, cupiente et sibi concedi requirente quae in ipsa supplica-tionc continentur. Re examinata, ad calculos se absolventes, ellegerunt et deputaverunt... magnificos dominos Jacobum de Grimaldis et Raphaelem de Vivaldis, 288 GIORNALE LIGUSTICO duos ex prestantissimo Collegio... Procuratorum, qui tractare habeant cum dicto Plinio supplicante negocium de quo in ipsa supplicatione et illud per terminos convenientes concorditer reducere secundum et pro ut ipsis melius visum fuerit, et exinde referre habeant quaenam ipsis videantur esse concedenda et acceptanda. Presto anche le trattive si ridussero a conclusione; e fermati dalle parti i Capitoli dell’ accordio, con atto del 18 d’ a· prile dichiarò Plinio di obbligarsi alla loro osservanza; sicché nello stesso giorno vennero approvati con decreto della Signoria, e pubblicati in forma di privilegio. Il quale era in sostanza la ripetizione di quello del 1549, ma recava in aggiunta : « Che detto Plinio debba accettare doi giovani 0 garzoni genovesi, che li saran dati da l’illustrissima Signoria 0 soi agenti, per insegnarli intieramente detta arte ; et per tale effetto ne debba havere esso Plinio il suffragio tale quale hanno li fabricatori di tapezzarie qui in Genova per doi garzoni a’ quali insegnano detta arte » (1). Dopo di ciò, il Cantalupo aperse veramente nella casa presso San Lazzaro a Capo di faro la sua officina. Ma scorsi appena alquanti mesi, ecco che egli non vi comparisce più come padrone, sibbene in qualità di capo d’ opera, e il proprietario ci si rivela nella persona del nobile Agostino Lo-mellino. Come e per quali ragioni accadesse la mutazione non mi fu dato di leggere; ma è probabile derivasse dallo avere il patrizio genovese fornito all’ impresa dell’artefice veneziano il capitale di cui era mestieri. Ad ogni modo fra i due non erano durate buone le intelligenze; perocché a dì 29 settembre 1560 il notaio Battista de Arexerio, a petizione di Plinio, ricevea ne’ suoi rogiti alcune deposizioni testimoniali, onde questi voleva far constare di certe sopcrchierie usategli dal Lomellino, e la dichiarazione dello stesso mae- (1) Archivio di Stato. — Senato, a. 1560, filza 119, num, part. 255. GIORNALE LIGUSTICO 289 stro che nominava procuratore Celestino D’Oria, per provvedere a’ suoi interessi. Ceco 1 estratto di questo documento (1) ; nel quale mi par notevole il titolo di domintts dato così a Plinio come al primo de’ suoi testimoni, Francesco Santo, anche lui faber cristallorum ed impiegato nella fabbrica del Lomellino; perchè senza fallo dimostra la considerazione in cui era tenuto il ior magistero E pire un loro collega è il secondo testimone, maestro Gian-qantonio di Lodi; ma di essi non mi è dato aggiungere altro. f Infrascripti sunt testes examinati ad instantiam domini Plinii Canta-lupi qm. Nicolai, labri cristallorum, veneti, probare volentis ad eternarli rei memoriam summarie de infrascriptis. Et primo, sicuti rei veritas fuit et est, quod cum mensibus proxime decursis ipse Plinius se convenerit cum nobili Augustino Lomelino qm. domini Philippi pro capite operis super fabrica cristalorum seu vasorum cristalli nuper imposita in suburbiis Janue prope ecclesiam sancti Lazari, ad scutos seu stipendio scutorum ducentum Italie in auro pro quolibet anno, et inter cetera contenta in eorum conventionibus actum fuerit quod durante tempore contento in inslrumento dictarum conventionum non posset aliqua ipsarum partium reccedere nec contravenire , et illa que reccederet et contraveniret iucurreret in penam scutorum ducentum apli-candam pro dimidia observanti et pro alia dimidia spectato Officio pauperum Janue, et ut latius in instrumento dictarum conventionum contineri dicitur, rogato per Laurentium Martignonum notarium (1) ; et cum dictus Augustinus contravenerit dictis conventionibus expulerit dictus Plinius a dicto suo exercitio et officio, dicendo contra ipsum Plinium : Pigliate la vostra cappa et andatevene con Dio et non habiate ardire de intrare più qui tu! de intromettervi in questo lavoro, et se gli intrerele vi darò tante bastonate che vi farò più negro che la vostra cappa, chè non voglio più che gli intrate; et quamvis dictus Plinius temtaret perseverare in dicto suo exercitio et pro sui parte dictas conventiones servare et facere fa- (1) Archivio Notarile di Stato. — Atti di Battista de Arexerio, a. 1556-64, filza unica; num. part. 394. (2) Gli atti di questo notaio sono abbruciati nell’ incendio del 1684. Gio**. Ligustico. Anno VI. 290 GIORN/VLB LIGUSTICO cienda, fuit coactus illico reccedere minis et opprobriis dicti Augustini, et ita reccessit culpa, facto et dolo dicti Augustini, et non in aliquo ipsius Plinii, qui cupiebat in dicto opere perseverare, et plus vel minus. Dominus Franciscus Santus qm. Nicolai, venetus, faber cristallorum, testis productus et examinatus ad instantiam dicti domini Plinii,.-·· suo iuramento , tactis scripturis , dixit vera esse contenta in dicto titulo instrumenti, ... quia presens fuit, vidit, audivit et intelexit ea omnia de quibus in dicto titulo, et de hoc possunt esse duo menses in circa, et est unus ex illis met qui tunc se exercebat et adhuc se exercet in dicta fabrica. Non attinet etc. Et est etatis annorum 47 vel circa Actum extra muros Janue , in villa Fassioli , in salia domus habitationis magnifici domini Celestini de Auria qm... (sic), anno Dominice Nativitatis mdlx , indictione in secundum Janue cursum , die dominico XXIII] septembris in terciis, presentibus Jacobo Guelfo de Mo.itobio qm... (sic) et Stephano Guelfo qm. Fiorini. f Ea die. Magister Johannes Antonius de Lodi qm. Augustini, venetus, faber cristalli, suo iuramento, tactis scripturis, dixit in omnibus ut supra dixit dictus Franciscus. x Ea die. Antonius de Agnola Forrini, clavonerius in Janua , testis, suo iuramento... dixit quod modo possunt esse duo menses vel circa: et eo die quo dictus Augustinus expulit dictum Plinium a dicto opere, dum ipse testis esset ibi prope dictam fabricam, dictus Augustinus Lomelinus dixit ipsi testi : Antonio, ho dato adesso licentia a maestro Plinio et mandatolo via, et se liavete a fart cosa alchuna seco ve ne aviso, et ho; est.. -j- Ea die. Guirardus qm. Orlandi de Arforiis (?), bergamascus, testis productus, suo iuramento.... dixit quod tempore de quo in titulo ipse testis morabatur in dicta fabrica tanquam servitor dicti Augustini, et eadem die qua dictus Augustinus expulit dictum Plinium a dicto opere et dedit ei licentiam, dictus Augustinus dixit ipsi testi tunc suo servitori : Ho mandato via el Plinio et datogli licentia.... -j- Die ea. Supradictus Plinius constituit suum procuratorem dominum Celestinum presentem et acceptantem... ad omnia etc., et specialitcr contra dictum Augustinum, tam pro stipendiis quam pro pena et interessibus etc. II. Non volse gran tempo, che l’industria de’ cristalli e degli specchi si propagò nell’ Inghilterra e nella Francia : lo stabilimento aperto da Colbert nel 1655 aTour-le-villc, salito in GIORNALE LIGUSTICO 291 grande riputazione, durò in piedi fino al 1808. Ma la Boemia a sua volta vinse a gran pezza le altre nazioni; e tenne la palma dell’eccellenza fino a che il muranese Giuseppe Briati, accomodatosi in quelle fabbriche nell’ umile condizione di facchino, s’impadronì di ogni più riposto artifizio. Allora le venete officine tornarono ad emulare gli antichi splendori; e la casa del Briati, fondata nel 1739 in Venezia nella contrada dell’ angelo Raffaele, produsse quanto di più aggraziato e perfetto uscì in vetri e cristalli. Gli specchi, già recati da Liberale Motta circa il 1680 a notevoli dimensioni, furono dal Briati arricchiti di cornici a colori, con in-tagli, fogliami e fiori di rilievo : egli stesso decorò di svariate invenzioni i lampadari che nelle ricche sale riflettevano iridi di luce, ed apprestò alle mense que’ finimenti dalle schiette forme cinquecentistiche, i quali, commisti al vasellame d’ oro e d’ argento, brillarono ne’ pubblici banchetti dei dogi (1). Giusto dopo le applaudite imprese del Briati, troviamo un suo concittadino desideroso di tentare in Genova la fortuna; e ne abbiamo un po’ di storia nella seguente lettera del console genovese presso la Signoria di S. Marco : Serenissimi Signori, Nell’anno 1766 fu costì un certo Lazaro Ruffo, capo maestro di questi fabbbicatori di lastre, vetri, specchi e cristalli ; e questo viaggio lo ha intrapreso con la sua famiglia, dice, perché qui non aveva modo di vivere. La di lui partenza, secondo le disposizioni di questo Governo per tali labbricatori, le tirò addosso la pubblica indignazione ; sicché, venendo preso, il suo delitto non potrebbe a lui costar meno che la libertà per tutto il resto di sua vita in una carcere, ed alla di lui famiglia 1’ eccidio. (1) Lazari, Notice ecc., pag. 95. 292 GIORNALE LIGUSTICO Dall’anno 1766 fin’ora, non avendo potuto intraprendere alcun stabilimento fuori del proprio paese, perchè solo e senza appoggi, ad onta del pericolo che gli sovrasta, ha risolto di ritornar qui incognito, e si è presentato a me, instando che faccia costi l’offerta della sua persona, e di qualche altro suo compagno ancora, per introdurre costì la fabbrica de’ vetri, lastre, specchij e cristalli della medesima perfezione come si fanno qui. L’oggetto dell’introduzione d’una fabbrica sempre utile allo Stato r perchè trattiene molto danaro eh’ esce, con l’impiego ancora de’ sudditi, mi ha animato ad ascoltar quest’uomo per rassegnare al Trono Augusto di VV. SS. Serenissime la di lui offerta , e per dipendere ciecamente da ciò che su questo proposito si degnarano di comandarmi. La gelos’a per la materia di cui si tratta fa che mi serva d' una via trasversale per far pervenire a VV. SS. Serenissime questa umilissima mia ; e frattanto ho 1’ onore di protestarmi col più prolondo rispetto Di VV. SS. Serenissime Venezia, li 12 marzo 1768. U/nilissimo Servitore Antonio Luigi Biffi Console. Ma ai Collegi non parve che le proposte fossero accompagnate da serie guarentigie; epperò nell’adunanza del 18 marzo convennero nella deliberazione, che al Biffi si dovesse « accusare la ricevuta del suo dispaccio « con lode e gradimento ». Frase consueta, e non altro. « E quanto al detto Ruffo, gli si segni di dovergli rispondere, che se stima di ritornare un’ altra volta qui, potrà farlo, ben inteso senza alcun aggravio o carico per parte della Repubblica, mentre il tutto deve dipendere dall’ esame che si dovrà fare non meno di quanto egli dice, che in quanto alla possibilità e vantaggio nella realizzazione. E quando stimasse che possa meglio convenirgli di ridurre il tutto in iscritto, per farlo qui pervenire, potrà pure farlo, bensì con esattezza, dettaglio e distinzione, onde se ne possa come sopra fare Γ esame ». Elesse il Ruffo il secondo mezzo; ed il Console porgendone notizia il 2 aprile ai Collegi, confidava di ricevere al GIORNALE LIGUSTICO 293 più presto « la promessa scrittura per rassegnarla al Trono Augusto di VV. SS. Serenissime » (i). Ma o sia che altre più vantaggiose offerte giungessero in quel torno di tempo al maestro (il quale è bene da supporre che non avrà limitato a Genova il suo progetto), o sia che la risposta gli lasciasse poca speranza di prospero esito , il fatto è questo che la scrittura non venne, e di lui non si fecero altri discorsi nei consigli della Repubblica. L. T. Belgrano. Di un Monile d’ oro antico SCOPERTO IN UNA TOMBA d’AmEGLIA in Provincia di Genova Un contadino d’ Ameglia, Francesco Giampedrone, mi ha fatto vedere cinque frammenti di lamina d’ oro da lui rinvenuti in una tomba a cassetta, scoperta nel 1846 in una terra appartenente ad un sig. Germi proprietario di quel luogo. Il frammento più grande misura centim. 10 nella sua lunghezza, e cent. 3 nella altezza. Sottoposto al saggio d’un distinto orefice, lo trovò del titolo superiore quasi eguale alla copella : ha la spessura d’ un grosso talco, ma è molto duttile e pieghevole, e d’un bel colore giallo rilucente. È frastagliato in tutta la sua superfìcie con tanti pertugi a forma di triangolo acuto, 0 dentelli, di circa quattro millimetri dalla base al vertice, disposti in quattro linee parallele equidistanti, ed il pezzo che ha la forma di questi triangoli o dentelli, è rialzato all’ infuori lasciando aperti in tal modo tanti fori (1) Archivio di Stato: Lettere Consoli — Venezia — mazzo 2.° GIORNALE L1GUSTIGO triangolari per far vedere il fondo su cui era sovrapposto, a guisa di trafori a giorno in uso anche oggidì. Avvicinando Γ uno all’ altro i cinque frammenti, si ha un monile completo , pieghettato in tutta la sua lunghezza in minutissime pieghe o crespe, ristrette da un lato ed allargate dall’altro, acciò tenesse la forma semi-circolare. Le due estremità sono tondeggianti, liscie, senza i pertugi sopraindicati , e munite di due forellini per parte da passarvi un cordoncino. Così ricomposto ha la lunghezza di cent. 20 ed il peso di gramma 8 ‘/a. Potrebbe essere un adornamento del collo od un’ armilla brachiale , non mollo dissimile da quelle che si veggono in alcune delle figure recumbenti dei sarcofagi etruschi. Questo cimelio è unico, a quanto sappia, nella storia delle nostre scoperte archeologiche, e credo possa avere non piccola importanza, avuto riguardo al luogo del suo rinvenimento, alla preziosità del metallo, ed alla semplicità della forma che accennerebbe ad un’ arte e ad una civiltà poco avanzate. L’Ameglia, diversamente dai comunelli del territorio lu-nense, che presero il nome dalle famiglie dei coloni romani tra i quali furono ripartiti i terreni , ha sempre mantenuto 1’ antico nome che rammenta 1’ Armeria degli Etruschi nel-Γ Umbria. E che possa avere una origine etrusca , si argomenta dalla tradizione, da memorie storiche, dalla sua ubicazione sulla vetta e sul fianco d’ un colle, che sorge dalla riva d’ un fiume navigabile ed in vicinanza del mare, dalla topografia della borgata colla necropoli sulla sommità del colle e l’abitato nella distesa verso il fiume, ed infine dalla necropoli che la circonda in vasta cerchia sui circostanti monti che fan corona al paesello, e che lo separano dal vicino Golfo della Spezia, il Portus Lunae tanto rammentato dagli storici antichi come emporio marittimo degli Etruschi. GIORNALE LIGUSTICO 295 In questa necropoli, a tempi nostri, praticandosi scavi per la coltivazione, si rinvennero tombe che per mancanza di osservazioni furono manomesse, e solo se ne conservò un’incerta memoria. Fra queste è quella in cui si rinvenne il monile ; ma disgraziatamente il Giampedrone non rammenta gli altri oggetti che l’accompagnavano; solo ricorda che il monile stava in un vaso deposto con altri nella stessa tomba; e da quanto può rilevarsi dàlie sue descrizioni, questa , con altre da lu: rinvenute contemporaneamente, non differirebbero per la forma ed il contenuto da quella recentemente scoperta nei terreni del Prof. Cav. Paci da me descritta (1). È ben vero però che questo paese d’origine etrusca, passò poi ai Liguri, i quali nel 560 di Roma ruppero nel passaggio tra il Magra ed il mare, e precisamente nel bosco poi detto Del Marzo poco discosto dall’ Ameglia, le legioni del Console L. Marzio che vi lasciò la vita; e successivamente fu diviso tra i coloni romani. Fu dunque soggetto a tre diverse genti, ed è questa una circostanza importante pel luogo in 'cui fu rinvenuto il monile. Non minore dovrebbe essere 1’ importanza del monile, in rapporto alla preziosità del metallo ed alla semplicità della sua forma. A Cenisola (2), a Ceparana (3), a Viara (4), non si trovò l’oro, ma col bronzo e col ferro, l’argento in fibule, armille ed anelli; solo a Barbarasco , nel Comune di Tresana (5), si rinvenne un paio d’orecchini in oro. E mentre questi dalla (1) Notizie degli scavi d’antichità, Roma, 1886, p. 114. (2) Notizie cit., 1879, p. 295. (3) Notizie cit., 1881, p. 339; 1882, p. 406. (4) Noti{ie cit., 1883, p. 220. (5) Notizie cit., 1884, p. 93. 296 GIORNALE LIGUSTICO eleganza della forma accennano ad un’ arte progredita, il monile d Ameglia consistente in una sottile lamina d’oro copella, senza saldature, riporti e nessuna opera di punsone, cesello o filigrano, decorato solo da una serie di triangoli a dente di lupo tagliati e rilevati sulla stessa lamina, dimostra essere il piodotto di un’ arte o nascente o in decadenza. Le tombe or menzionate e quelle di Monterosso (1) e di λ ernazza ambedue nelle Cinqueterre (2), del gruppo Cenisola, appartenenti tutte agli ultimi tre secoli della repubblica romana, ci manifestano come i nostri Liguri mantenessero strettamente 1 antico rito funebre degli avi di Bismantova, Velleia e delle live del Ticino con quelle modificazioni nella tecnica, risultanti per ragion del tempo dagli scambi commerciali e dalla piogiedita civiltà. Non è così ad Ameglia; e fa meraviglia come nello stesso estremo lembo della Liguria, sulla stessa riva destra del Magra, a pochi chilometri da Cenisola e nel paese abitato dai Liguri forse prima del secolo VI d. R., non si rendesse 1 estremo onore ai morti coll’ identico rito e colle costumanze comuni da secoli alle diverse schiatte della gente ligure. Ho accennato poc anzi , che in Ameglia si mise in luce recentemente, in un terreno del Prof. Paci, una tomba che conferma la memoria delle precedenti scoperte in quella necropoli. In essa però, eh’ ebbi luogo d’osservare attentamente, notai differenze tali dalle altre sopraindicate del gruppo Cenisola da crederla meritevole di speciale considerazione pel rapporto che possa avere col monile di cui si tratta (3). Ma le differenze che risultano dai confronti, consistenti (1) Notiiie cit., 1882, p. 409. (2) Notiiie cit., 1883, Ρ· 219. (3) Notiiie cit., 1886, p. 114. GIORNALE LIGUSTOICO 297 nella più accurata lavorazione della cassa sepolcrale , negli avanzi del rogo depostivi, nella assenza dei vasi accessori, e nelle armi, non dovrebbe sorprendere se si ritorna al fatto , che il paese d’ origine etnisca, passò poi ai Liguri, fu quindi diviso tra i coloni romani, ed infine assegnato ai legionari cesariani. Infatti nel 573 d. R. fu dedotta a Pisa una Colonia del nome latino, ed altra di Romani a Lucca nel 577 (i), e tai colonie destinate a frenare le scorrerie dei Liguri, si estesero senza dubbio al territorio lunese maggiormente esposto a quelle devastazioni. In ultimo il territorio lunese fu nuovamente diviso ed assegnato ai legionari di Ottaviano dedottivi circa quarant’ anni innanzi a. C. È quindi facile il ritenere che tra i primi e gli altri coloni fosse diviso anche questo territorio tolto ai Liguri, già posseduto dagli Etruschi come lo attesta lo stesso Livio : De Ligure captus bis ager erat. Etruscorum, antequam Ligurum, fuerat (2). Ciò posto ne viene che i Liguri, conquistato il paese posseduto uagli Etruschi, accettassero da questi qualche cosa che si riferiva al rito ed alle costumanze, e più ancora dai Romani per le seduzioni che offeriva una civiltà progrediente. Tenuto conto pertanto della identità del rito di seppellimento, della somiglianza della ceramica, delle fibule di tipo gallico tanto in uso tra i Liguri e della assenza delle lucerne e monete romane, parmi si possa ritenere che la tomba Paci scoperta ad Ameglia appartenga alla gente ligure, ammettendo però che le differenze sopranotate sieno la risultanza di modificazioni avvenute nelle costumanze in ragione del (1) Livii, Hist., XL, 43 ; XLI, 15, 17. (2) Lìvii, Hist., XLI, 13. 298 GIORNALI· LIGUSTICO tempo, delle tradizioni, del commercio e della invadente civiltà romana. Ma il monile non ha riscontri nei sepolcri del gruppo Cenisola; è scoperto in luogo ove per memorie tradizionali e storiche si succedettero tre diversi popoli; in una tomba che per rito e per costumanze si distacca dalle altre liguri ; costrutto con metallo prezioso non in uso tra i Liguri, ed in tale semplicità di forma da crederlo o d’ arte primitiva o decadente. Potrebbe però anche essere il prodotto dell’industria gallica , ed in tal supposto c’ indurrebbe la stessa rozza semplicità dell’ opera e Γ amore che aveano i Galli pei metalli preziosi. Ma per questo non perderebbe d’importanza, che anzi il suo trovamento in un paese ove non soggiornarono mai 1 Galli starebbe sempre più a dimostrare, che i Liguri con quelli mantenessero sempre relazioni, non solo d’ amicizia, ma anche di commercio. Ad ogni modo è importante questo cimelio pel luogo del trovamento, per la rarità del metallo e per la semplicità del arte. E questa singolarità lascia tale incertezza, tal dubbio sulla sua provenienza , che è bene chiarire nello interesse della nostra storia. La necropoli è ben conosciuta; le diverse scoperte accidentali 1’ hanno ampiamente tracciata in luoghi per la massima parte gerbidi e boschivi. In questi sarebbe utile praticare uno scavo regolare e sistematico , e non è fuori d’ ogni probabilità il pensare, che, come nel paese si succedettero tre diverse nazioni così nella necropoli si sieno sovraposti tre corrispondenti ordini di seppellimento, come si è verificato in altre importanti necropoli. E per facilitare una simile impresa, parmi se ne potrebbe far promotore il Municipio di Genova, il quale, giusta quanto è proposto in uno schema di legge di prossima discussione, GIORNALE LIGUSTICO 399 'L·qq dovrà provvedere ad un Museo di antichità liguri da erigersi in quel Capoluogo della Regione. È appunto in questo estremo lembo orientale della regione, cioè nel Circondario di Levante , che si sono fatte le più importanti scoperte d’antichità liguri. A Cenisola si misero in luce oltre a settanta sepolcri, e le scoperte di Ceparana, Viara, Monterosso, Vernazza, Barbarasco ed Ameglia, delle quali di mano in mano ho dato conto nelle Notizie degli scavi danno speranza che la raccolta sarà ricca ed abbondante. Importa dunque dar corso alle scientifiche esplorazioni, e m’auguro che queste possano togliere ogni incertezza sulla provenienza del monile d’ Ameglia. Paolo Podestà. Pue LETTERE INEDITE DI FaBRIZIO MARAMALDO. Nella vita di questo soldato, strano miscuglio di lussuria e di ferocia, dettata con gran diligenza dal De Blasis (i), oltre il finto capitale dell’ uxoricidio , messo poi in sodo dal Luzio (2), due altri punti di minor rilievo rimasero incerti e nel campo delle ipotesi. Il tempo cioè nel quale Fabrizio si ritrasse in patria, e la cagione (3). Ora la prima di queste lettere, che, come la seconda, è diretta a Ferrante Gonzaga (4), ce ne chiarisce: III”0 et Exra0 Sor mio ancora che oggi abbia scricto ad vostra Excil altre tre o quatro letere, non ò voluto con questa altra mancare de auisarla de alcune noue de la terra, et dirle corno in napole non ò trouata donna bella se non tucte (1) Fabrizio Maramaraldo e i suoi antenati, in Arch. Stor» Nap., I, 716, II, 501, III, 315, 759. (2) Fabrizio Maramaldo. Nuovi documenti, Ancona, Morelli, 1885, 13 e segg. (3) De Blasis, op. c loc. cit., Ili, 800 e seg. (4) Esistono autografe nella R. Bib. Nazionale di Firenze, Racc. Gonelli, Carte Gonzaga , cass. I. Queste carte divise in tre cassette provengono dall’archivio di Guastalla, miseramente manomesso, e sono di molta importanza per la storia 300 GIORNALE LIGUSTICO bructe et vecchie, che conio son venuto con poca luxuria per la grande tnalatia adesso me ê passata in tucto et per tucto : et per non liauere in che passare il tempo sino ad primauera son determinato armare una galera, che auendo ad venire in leuante con Sua Maestà, voglio portare vascello myo Vra Excia me ayuterà ad armarla de scìiiauy, che son certo ne auerà una bona sumraa, et ancora farme scriuere ally soy offy-ciali del stato aue in questo regnio, che delli soy vaxalli me taccia gratia quelli che ànno de andare in galera melli voglia er.biare ad me. va ad questa inpresa il S. don marco anton)^ de tocco gentilomo de Sua M(i, el quale, et per la sua virtù et per essere stato delli primi ad domandar licencya ad Sua per venire ad seruire Vra Exoia merita che Vra Ex01* 10 abbya per ricomandato, certificando Vra Excia che in quello che li co-mandarà li darà bon conto dy se, et resto basando lemano de Vra Excia. de napole a di 22 de agusto 1538. De V. Illma et Ex,na S. certo seruitore FABRICYO MARAMALDO Il tenore di questa lettera ci assicura che Fabrizio era tornato allora allora a Napoli, affetto da non lieve malore, per rinfrancarsi nell’ aria nativa. Donde consegue cosi la certezza che abbia domandato licenza ed avviatosi alla patria sciolto 1’ esercito imperiale, dopo la tregua stabilita il 18 giugno di quell’anno stessso; come la verità della malattia, creduta un pretesto dal Contile, il quale però anticipa i fatti a suo senno (1). Ma un’ altra particolarità ci insegna questa lettera, ed è che 11 Maramaldo non si era ridotto a Napoli con 1’ animo deliberato di cessare quella vita avventurosa delle armi ; poiché anzi disegnava prepararsi a seguire 1’ armata imperiale con galea propria, nella impresa contro i Turchi deliberata e poi non eseguita, per il seguente anno 1539 (2). 11 Gonzaga, al quale raccomanda Antonio Tocco, stava allora sul partirsi con le galere destinate a difendere le terre (1) La historia de’ fatti di Cesare Maggi, Pavia, Bartoli, 1564, 9ir. (2) De Leva, Storia doc. di Carlo V, ecc., Ili, 254. GIORNALE LIGUSTICO 3OI della Lega e a tenere in rispetto gl’ infedeli, i quali infestavano i mari minacciando, nè riuscì fortunato d’ opera e di consiglio, chè secondo ben altri accorgimenti, e non invero lodevoli, governava Andrea D’Oria, nella sua qualità di generalissimo, quell’impresa condotta a fine cosi infelice (1). Onde, messosi Ferrante per diversa via, si gittò sulla Dalmazia, ed espugnato Castelnuovo, tendeva a ferire per via di terra la potenza maomettana nella propria capitale, se ai caldeggiati disegni suoi avesse dato orecchio Γ imperatore , i cui intendimenti « particolari » invece « presero un altro cammino » (2). Ai dispiaceri onde venne contristato l’animo del Gonzaga per queste cagioni, devono certamente riferirsi le parole con le quali incomincia il Maramaldo la lettera seguente: 111"10 et Exra0 Sre mvo, à mille anny non ò scricto ad Vra Excia per pura pietà li ò tenuta et tengo deìli trauagly in che se è trouato et troua, però con la sua solita prudencya li rimedierrà et con lingegnio et con el suffrimento, et il tenpo tucto uenerà con lagiuto de dyo ad bon porto, deseo che Vr» Excia pigliasse alli soy servicy un figlio del s. Jacobo Seripano nominato mar-ccllo Seripano, del quale spero en dyo che Vra Excia ne serra ben seruito, et ad me farri a Vra Exoia una gratia segnalatissima, per il patre essere myo amicissimo et grande seruitore de Vra Excia, quella se degnarà, con-tentandose, mandare auisarme della sua volontà, et de auisarme Vra Excia alcuna noua della sua delliberatione, che cquase dicevo mille chiacchiare. et resto basando le mano de Vra Excift et della S. Prencipessa. de napole a di 17 de marczo 1539. De V. Illma et Exma S. certo seruitore FABRICYO MARAMALDO. (1) Db Leva, op. e loc. ut. — Guglielmotti, La guerra dei pirati, Firenze, 1876, II, 28 c segg. (2) Gosellimi, Vita di Fornudo Gonzaga, Milano, 1574, 11. 302 GIORNALE LIGUSTICO Era dunque sempre a Napoli nel marzo del 1539, donde, secondo giustamente afferma il De Blasis, non si mosse più mai. E quivi riacquistò quel vigore che rimpiangeva quasi perduto quando si ritrasse in patria; siccome nella vita epicurea e da scialaquatore che quindinnanzi condusse, si saranno in lui riaccesi gli ultimi guizzi dalla « luxnria » senile, e avrà forse veduto, meglio guardando, che le donne del suo paese non erano poi « tucte bructe et vecchie », secondo le avea in quel subito giudicate. A. N. Il forte di Sarzanello Il Castrum Sar^ance, ossia quella che dicesi oggi Fortezza di Sarzanello, situata sopra un colle a nord-est di Sarzana, comparisce già nel privilegio conceduto da Ottone Imperatore al Vescovo di Luni nell’anno 936(1), e si può ragionevolmente ritenere che fosse appunto edificato dal vescovo stesso, quando fra il IX e X secolo per l’irrompere di tanti stranieri Ungheri, Pannoni, Saraceni, ognuno procacciò difesa a sè ed a’ suoi con nuovi fortilizi, consentiti dal sovrano (2); e forse più precisamente, poco dopo l’anno 849 in cui i Saraceni quasi distrussero l’antica città (3). Quanto è della sua conformazione, si dee credere fosse quale ci è rappresentata da esempi e da documenti storici di consimili castelli medioevali , ne’ quali singolarmente spiccava la gran torre quadrata, e sott’ essa il palazzo, o la casa di abitazione del feudatario vuoi laico od (1) Ughelli, Italia sacra, I, 836. (2) Muratori, Antiq. It. M. AE, II, 464 e passim. (3) Muratori, Annali, ad annum. GIORNALE LIGUSTICO 303 ecclesiastico. E che in Lunigiana durasse questa maniera di foi tificazione, se ne ha prova in documenti del secolo XII. Infatti quando nel 1160 il Vescovo di Luni dava in feudo ai Signori di Burzone e di Bozano il poggio « quod dicitur castellione quod est desuper brinam », ordinava che- « debent edificare castrum in predicto podio et debent facere turrim », concorrendovi per metà della spesa il vescovo, il quale « debet abere ad pedem turris propriam domum in qua debet habitare si velit »; dieci anni più tardi nella concessione fatta dal vescovo Pipino agli uomini di Sarzana di trasportare il borgo « in loco ubi dicitur asianus », vietando che vi si fabbricassero dai terrazzani delle torri, riserva a sè o a’ suoi successori il diritto di edificare « in loco illo suum palatium et turrem » (1). Nè abbiamo i soli documenti, chè pur sempre di quella antica maniera di edificio ci rimane un esempio importante nella Rocca di Castelnuovo di Magra, fabbricata intorno al 1274 dal Vescovo Enrico, siccome si legge in una singolarissima carta: « Item incastronovo fecimus fieri Pallacium et Turrim magnam » (2). Ma torniamo al nostro Forte. La sentenza arbitrale di composizione fra il Vescovo Guglielmo e il Comune di Sarzana, allora denominato Burgum, emanata nel 1228 reca: « Acta in Castro Sarzane in palatio Domini Episcopi ». E una più precisa determinazione topografica si ha nel compromesso fatto l’anno 1319 dai due comuni del Castello e del Borgo, ossia di Sarzanello e di Sarzana, che venne rogato « in Cassario Castri sub logia que est iuxta Palacium »; nè si può supporre che si tratti di Palazzo comunale, perchè dello stesso anno si trova un altro istrumento « actum in Castro Sarzane, sub porticu Ecclesie S.t! Martini ubi pro dicto Communi Consilia (1) Moitum. Hist. Pat. (Torino) Chartarum, II, 618, 1020. (2) Cod. Pallavicino nell’ Arch. Capit. di Sarzana, c. 27 t. 304 GIORNALE LIGUSTICO fiunt », e del 1333 un secondo « actum sub porticu Ecclesie S." Martini dicti Castri, ubi consuevere fieri Parlamenta » (1). Rimane dunque fermo che nel Forte 0 Castrum vi era prima del secolo XIII il Palazzo del Vescovo, nella guisa medesima \ che, come è noto, esisteva pure in altri luoghi, per esempio .a Genova : di più apparisce evidentemente che nel secolo XIV non era avvenuta nella conformazione di quell’edificio alcuna mutazione importante. Della verità di tutto ciò si hanno altre prove nei documenti, che si riferiscono al tempo in cui Sarzanello fu sottoposto ai Pisani. Quivi riesce anche più chiaro Γ intendere come il palazzo fosse precisamente nel borte di Sarzanello, o, secondo dicono le carte, « in rocchia Castri Sarzane ». Infatti nell’aprile 1355 i Pisani mandano i maestri Stefano e Mattugio, affinchè provvedano a riattare la rocca, nella quale, fra le altre cose « murus palatii dicte rocche minatur ruinam », cosi nell’agosto del 1360 pagano alcune spese fatte « pro actatura palatii et domorum rocche Castri Sarzane » (2). Si deve dunque avere per cosa certa e provata che il Forte preesisteva a Castruccio, il quale nè lo fabbricò, nè vi aggiunse neppure una pietra, come ben rileva lo Sforza; ed io conforto la sua opinione, e mi trovo in tutto d’ accordo con lui, salvo là dove afferma, contro al vero, che « Sarzanello era unito a Sarzana, colla quale faceva insieme un comune solo » (3). L’importanza acquistata in seguito da quel fortilizio, gli fece dare la denominazione di Castrum magnum Sarrane., e così viene indicato nello istrumento del 1407, con il quale le comunità di Sarzana e Sarzanello si danno per via (1) Arch. Comunale di Sarzana, Registro vecchio, c. XII v., XIX v., XX r., XXV r. — Cfr. anche Sforza, Saggio di una Bibliog. Stor. d. Limi-giana, Modena, Vincenzi, 1874, I, 165, 166, 167, 171. (2) Sforza, Della Signoria di Castruccio e di Pisani sul Borgo e Forte di Sarzanello, Modena, Vincenzi, 1870, pag. 36, 43. (3) Op. cit., pag. 8. GIORNALE LIGUSTICO 305 di convenzione al re di Francia ed alla Repubblica di Genova; quivi anzi apparisce la turrim majorent (1), che risponde nel linguaggio militare al « Cassario » 0 Cassero dell’atto sopra citato. Cadono perciò le affermazioni di coloro che ritennero eretta questa torre vuoi da Tomaso, vuoi da Pietro o da Lodo-vico 1 ìegoso (2). Sta per il primo il Promis, fondandosi sopra queste parole di Flayio Biondo : « Est ad Macram dextram (sic) supia Lunam Sarzana, cujus arcem Sarzanellum appellatum , Thomas Fregosus Genuensis, vir illustris, egregie communivit et intus lautissime ac splendidissime exaedificavit ». Viene attribuita al secondo dal Tegrimi, biografo di Castruccio, là dove ascrivendo il Forte al capitano lucchese, segue a narrare: « quam (arcem) postea Perinus Campofregosus, vendito Florentinis Liburni portu, turri altissima erecta, marmore vario laquearibus aureis, et pictura, aedificio pulcherrimo cxtructo, ornavit, adauxitque ». Il Bertoloni, partendo da un manifesto errore, conclude opinando che il Forte e la torre siano opera di Castruccio, con ampliazioni fattevi poi successivamente dai Visconti e dai Fregoso; e poiché trova in una lettera di Antonio Ivani a Ludovico queste parole : « profundis, magnifice Princeps, magnam vim pecuniæ in rebus inanimatis, turribus videlicet extruendis, et erigendis tectis arcium », s’immagina vi sia un accenno all’ ingrandimento della torre di Sarzanello, la quale, nella parte superiore, gli sembra opera più recente, e perciò da attribuirsi al Fregoso. Se non che il Promis e il Bertoloni hanno parlato del Forte e della torre, come se la loro conformazione presente fosse precisamente quella del tempo di Castruccio, con i pretesi ampliamenti dei (1) Mon. Hist. Pat. Liber Jurium Reip. Gen., II, 1371, segg. (2) Promis, Storia del Forte di Sarzanello, Torino, Chirio e Mina, 1838, pag. 37 e segg. — Bertoloni, Lettere in Nuovo Giorn. Ligustico, Genova, 1838, Ser. 2.a, III, 68 e seg. — Tegrimi, Vita Castrucci in Muratori, R. I. S., XI, 1323. Giorn. Licustico. Anno XIV. io 3o6 GIORNALE LIGUSTICO Fregoso; anzi il secondo leggendo l’anno 1402 nel marmo che ricorda il Castellano Gregorio di Carmedino, e che è sovrapposto anche oggi alla porta della torre, mentre vi si legge chiaramente il 1502 (e in quest’anno v’era appunto castellano il Carmedino, come si vede dalle sue lettere nel-1’ Archivio di San Giorgio), ha dovuto fare una serie d’ ipotesi, le quali, riconosciuta la verità della data, vanno tutte a terra d’un tratto. Dall’altra parte il Biondo, ben interpretato, non afferma che Tommaso abbia innalzato la torre, bensì munito, e compiuto splendidamente il Forte all’interno: nè si può asserire che l’Ivani abbia voluto indicare Ludovico più tosto come fabbricatore, che semplice abbellitore di torri. Quello poi che dice il Tegrimi è, secondo il mio parere, in parte vero ed in parte falso: falsa la vendita di Livorno per opera di Pierino, fatta invece da Tomaso; falsa l’erezione della torre: veri, sebbene forse rettoricamente esagerati, i restauri e gli ornamenti. Sopra alla porta, parallela all’attuale ingresso della torre o maschio, la quale mette ad una stanza affatto disadorna, dalla parte interna a guisa d’architrave esiste un marmo che reca scolpita una croce in una specie di scudo con l’anno 1442, e queste parole: P. FR. R. C., lette rettamente dal Bertoloni così: Petrus Fregosius Restaurari Curavit. Ora questa iscrizione e per la data anteriore di oltre mezzo secolo alla fabbrica della torre odierna, secondo mostrerò in seguito, e per stare in quel luogo a disagio, ben manifesta come con i sottoposti stipiti di marmo dovesse già essere stata collocata altrove, ed è ovvio il ritenere esistesse nella torre antica a testimoniare i restauri fattivi da Pietro; donde forse l’equivoco del Tegrimi nell’affermarne questi fondatore. Dal fin qui detto mi par chiaro che il Forte con la torre ed il palazzo già costrutto dal Vescovo di Luni fin dal secolo X, passo senza sostanziali riforme in mano a Ca-struccio, ai Pisani, ai Visconti, al re di Francia, ai Fioren- GIORNALE LIGUSTICO 307 tini, alla Repubblica di Genova ed ai Fregoso; i quali ultimi, avendovi abitato per più di mezzo secolo , vi fecero dei restauri , ne ampliarono e ne abbellirono la dimora. Si capisce allora, mentre oggi non s’intende affatto, come vi fossero le camere cubiculari di Tommaso, di Spinetta, di Ginevra e degli altri di quella famiglia, ricordate ne’ documenti, ed anche quella Salici Magna che ha dato tanto da dire al Berto-loni. Ma dopo la guerra fra i Fiorentini ed i Genovesi, terminata colla peggio di questi, nei primi mesi del 1488, deliberò la Signoria di Firenze render forti quelle terre che aveva recuperate, e poiché già aveva pensato a Pietrasanta, e la Fortezza (oggi Cittadella) di Sarzana era assai innanzi (1), volse altresì Γ animo al Forte di Sarzanello. Onde a Piero Vettori, mandato commissario in Lunigiana, dava il carico, fra le altre cose, di andare « ancora a vedere la Fortezza di Sarzanello et examinare et riconoscere tutti i mancamenti et bisogni che vi sono », riparando alle cose più urgenti, e riferendo intorno a ciò che avrebbe dovuto farsi in seguito. Ma le cose andarono in lungo, un po’ per apparecchiare i disegni, un po’ per le dispute insorte sulla scelta del più accomodato modello , presentato alla Signoria dagli architetti Francesco di Giovanni detto il Francione e Luca del Caprina, e poi per i dispareri nati fra loro due in ordine alla esecuzione ; di guisa che si mise mano al lavoro soltanto verso la metà del 1493, incominciando « a murare il muro et delle tre torri et delli altri (1) Arch. Cent, di Stato in Firenze, Dieci di Balia 1482-1486 — Istruζ. e Lett. d. X, S.e 3.* 30, c. 107 t. — Deliberai, de' Dieci di Balia, c. 238 t. — Lett. a' Dieci di Balia i486, Fil. 36, c. 26, 38, 125. — Lett. a’ sig. Otto di Pratica 1483—87, c. 148, x68. — Delib. e Partiti degli Otto di Pratica 1487-89, c. 10, 21, 43. — Lett. agli Otto 1487-88, c. 104, 12? ; 1488-89 c. 14, 26. — Lett. degli Otto 1488, c. 46, 49, 64, 65; 1432-93 passim. Vasari, Vite (ed. Sansoni), III, 207, IV, 273. 3oS GIORNALE LIGUSTICO muri intorno intorno, et alzare tucto sopra il piano de’ fondi del fosso ». Secondo il disegno proposto si aveva « ad fare di nuovo » 1’ antico Forte in ragione delle mutate arti guerresche: ma poiché era « stato ricordato che mentre che la decta fortezza di Sarzanello si disfa, et finché la parrà ad essere ridocta in fortezza, e' sarebbe a proposito di lasciare in piè e separata da ogni altra parte di decta fortezza e suo circuito la Torre maestra », a questo partito s’appigliarono (i). Se non che il sopravvenire dei Francesi con Carlo Vili nel novembre del 1494, e la vile condotta di Piero de’ Medici, interruppero il proseguimento dell’ opera. Era a buon punto la parte che guarda tramontana, meno il maschio, e rimaneva ancora da coordinare al nuovo disegno il lato di mezzogiorno, dove appunto s’inalzava la torre coll’unito palazzo. Tornato in Francia re Carlo, per maneggi accortamente condotti, Sarzana e Sarzanello vennero nel 1496 in potere de’ Genovesi, ossia del Banco di S. Giorgio, al quale spettavano per la convenzione del 1484. Gli Ufficiali eletti a presiedere que luoghi rivolsero subito la loro attenzione alle fortificazioni, e per Sarzanello, Cristoforo Cattaneo avvertiva che « bisogneria di grande speiza a fare quello è stato disegnato a meterlo in totale fortezza », di che non gli pareva opportuno parlare al presente; ma proponeva alcuni urgenti lavori, nella parte restata incompiuta dove esisteva sempre la torre. Faceva poi osservare di quanto pericolo fosse il borgo superiore edificato sulla cresta del colle assai vicino alla fortezza, e in tale eminenza da potervisi afforzare i nemici con gravissimo danno, sulla qual cosa tornava sovente ad insistere. (1) Arch. cit. Otto di Pratica, Cartegg. Missive, 1489, I, c. 99; Lelt. d. Otto di Prat., 1492-93, XIX e XX. — Vasari, Vite cit. II, 664. IV, 273. Si citano le note e i commentari di Gaetano Milanesi, alla cortese liberalità del quale debbo i doc. dell’ Arch. Fiorentino, di che vivamente lo ringrazio. GIORNALE LIGUSTICO 309 Concedevano i Protettori si facessero quelle poche e più necessarie opere di difesa; alle quali si pose subito mano, prolungando però i lavori, condotti poco sollecitamente, fino alla primavera dell’anno successivo. Ben volle intanto il Cattaneo lasciare memoria duratura del ritorno di quel Forte in potere de’ Genovesi ; o fosse zelo verso la Repubblica, o ambizione di vedervi scolpito il proprio nome, ο 1’ una cosa e F altra insieme, fece « lavorare una petra marmorea cum Sancto Georgio scurpito per meter in dicto castello », la quale gli costò « ducati sei di lavorerio », eh’ei si proponeva sborsar del proprio, ove i Protettori non approvassero la spesa; e « revedendo lo loco » dove s’aveva a collocare, gli pareva « staria bene in lo torracho de la cortina ove est una petra marmorea cum l’arme del Christianissimo re », che alchuni lauderiano » fosse levata, per mettervi quella nuovamente scolpita. Della quale opinione si mostrarono per fermo anche i Protettori, perchè la scultura con il S. Giorgio esiste tuttavia nell’ indicato torrione, mentre non vi è traccia dell’ altra, e la iscrizione che vi si legge è la seguente: MCCCCLXXXXVI. quinto, die. martii. hvivs. arcis, potestatem. RESP. GENVENS. CONSECVTA. EST. A. FLORENTINIS. ANTEA. PERFIDIOSE. RETENTA. LVCHINVS. STELLA. PRIMVS. CASTELLANVS. FVIT. CHRISTOFHARO. CATTANEO. PATRITIO. SERGIANEN. HANC. REGIONEM. PRO. MAG.C0 OFFICIO. S.TI GEORGII. GVBERNANTE. Da tutto ciò abbiamo una maggior prova che i Fiorentini già avevauo condotto il lavoro del gran triangolo, onde si compone la parte più ampia e più notevole del Forte, alla quasi perfezione e quale anche oggi si vede; sebbene rimanessero ancora da eseguirsi, o fossero appena incominciate, le aire opere di difesa verso il mare, e la fabbrica del maschio sopra la porta d’ingresso. E mi pare altresì non si possa dubitare, che i Genovesi si proponevano di seguitare GIORNALE LIGUSTICO il disegno del Francione e del Caprina. Al che ci sono di conforto altri documenti degli anni successivi. Infatti il Capitano Gerolamo Giustiniani nel novembre del 1497 avvertendo che « la fortezza di Sarzanello non est anchora perfecta secondo el suo modelo, che seria cum grande speisa », consigliava « volessino provedere a la necessità che seria a fornire la torre grossa (cioè il maschio) et minare l’altra vecchia ». Ma per più mesi non se ne parlò , nè se ne fece altro, di guisa che le acque danneggiarono quelle opere lasciate cosi incompiute, e vi era pericolo di ruina; chiede perciò il Giustiniani nella primavera del 1498 un buon ingegnere, e va poco dopo a visitare il castello con maestro Pietro Biancardo, mandato all uopo da Genova. La visita e la relazione del maestro produsse qualche effetto, poiché venne finalmente deliberato di dare definitivo assetto al Forte, e nel febbraio dell’ anno seguente già si era messo mano al lavoro, per compiere prima di tutto le poche cose ancora da eseguirsi nel grande triangolo, come i parapetti, i mantelletti, la merlatura, le volte di alcune casematte, i tetti dei torrioni, e finire « tutto il muro dello fosso attorno attorno senza minare la torre per fino a qualche tempo, nè fare lo maschio, nè lo spontone ». Presiedeva a questo lavoro maestro Donato (1), ma poiché insorsero fra lui e il Capitano, che era allora Luca del Fiesco, alcuni dispareri circa al proseguimento dei lavori, venne chiamato da Carrara maestro Matteo, con alcuni altri, e fu « combinato il· tutto ». Nel quale maestro Matteo è agevole riconoscere il Civitali, dimorante appunto in quel tempo a Carrara, occupato a scolpire per commissione dei Protettori il S. Gior- (i) Era questi probabilmente quel Donatus de Santo Fideli q. Andree magister antelami, che nel 1508 ebbe carico di costrurre a Genova la fortezza della Lanterna denominata La Briglia (Arch. Not. Atti di Antonio Pastorino, Fil. 27, n. 606). giornale ligustico 311 gio innalzato più tardi sulla maggior piazza di Sarzana (1)! I lavori procedevano intanto con buon ordine ; nel luglio si cominciò a tirare innanzi il maschio, e nell’ agosto già si parlava del « modo di fare lo -spontone », quello cioè che il Promis denomina rivellino, e così egli, come il Bertoloni assegnano ai Fregoso. Ed ecco nel settembre si principiava « a ruinare la torre, con fare allargare dallo spontone allo castello ». « Del resto », avvertiva il Capitano, « siamo in tortezza, e secondo esso maestro Donato, e cosi pare ancora a me, non bisogna aver tanta fretta di cominciare lo spontone, che prima non abbiamo allargato dal castello allo spontone, e poi ogni cosa si argomenterà, e vedremo di prendere sempre il migliore ». La stagione andava propizia e 1 Optra era spinta innanzi alacremente; si lavorava « molto forte e con buon ordine », si era imbeccatellato « il maschio, il quale è presso li vero », veniva levato « il terreno da mezzo al spontone e al castello », mentre la torre era già « deruata dello quarto in circa ». L’inverno non permise di seguitare con tanta sollecitudine, ma tornata la primavera si ripigliò a lavorare intorno alla torre che in 18 giorni fu abbassata per tre buoni quarti: nel medesimo tempo si fermarono gli accordi con i maestri Donato e Gregorio per fabbricare lo spontone, il quale doveva principiarsi appena il taglio della torre tosse giunto al punto divisato, e ne fossero asportati i detriti. Quest’ ultima opera, e per la sua importanza e per la cura onde venne eseguita, richiese un tempo assai lungo, nè tu condotta a termine prima della metà del 1502. Rimaneva ancora da fare il lastrico allo spontone, per il quale si stette un po’ in forse se vi si dovessero impiegare pietre o mattoni, ma in seguito alle osservazioni del Capitano Ottobono Spi- (i) Cfr. Giorn. Ligustico, anno 1875, pag. 2\o e segg.; anno 1877, pag. 320 e segg. 3 12 GIORNALE LIGUSTICO noia, prevalse il secondo partito, e a questo scopo si dovette « prepararlo e spianarlo con minare ancora certo resto di torre vecchia, per far venire il lastrico uguale ». È dunque manifesto , che lo spuntone o rivellino si edificò là dove s innalzava accanto al palazzo la gran torre quadrata, parte della quale può vedersi anche oggi entro il rivellino stesso, tagliata fino alla volta dove fu eseguito il lastrico. Finalmente a dare assetto anche all’ esterno della fortezza, si deliberò di « mecteie lo terreno cosi dentro li fossi corno de fora a modo de scarpa ut sit difficilis accessus », secondo era stato fatto nel folte del Castelletto in Genova; ai che riuscì utile il molto « getto » raccolto ne’ fossi intorno allo spuntone, « per la ìuina delle superfluità uscite dal detto spontone e torre minata », poiché servì « a riempiere alcuni vuoti del terreno al di fuori dei parapetti ». Nel settembre tutto era ridotto a perfezione : « 1’ opera di Sarzanello hora Dio gratia è in tutto finita, ita et taliter che nè dentro nè de fora, nè a li tossi nè terreno di parapetti nè altro VV. SS. no ge han più cazone de spendere uno denaro: resta dieta fortezza ben li-veia et in gran forteza et bellezza ». Così scriveva il Castellano Gregorio di Carmedino, il quale volle lasciare rozzamente scolpito il suo nome e la data, nella pietra che forma architrave alla porta d’ingresso del maschio, così: Gregorio de Carmedino 1502 Castel.0 Dato compimento alla fortezza, tornava in campo più che mai la necessità di provvedere alla distruzione del borgo. A questo effetto furono mandati a Genova dagli uomini di Sarzanello due sindaci, per intendersi con i Protettori di S. Giorgio, e il Capitano di Sarzana Ottobono Spinola, dopo averli loro 1 accomandati affinché si degnassero « darge bona audientia et farge il possibile piacere che habia a revenire con- giornale ligustico 3x3 tenti », seguitava: « Et perchè principalis causa del loro venire è per intendere la mente di V. S. circa il fermare la stantia del loro habitare, vedendo la fortezza finita, a ciò che habino a fermarse in qualche loco senza stare in questa suspensione et pericolo de essere saccheggiati da ogni quantità de soldati chi passan, conforto in questo procedere con maturo pensamento, perchè è cosa chi importa assai a la segurtà de la fortezza de Sarzanello et ancora de cittadela. Et a ciò che V. S. intendan meglio ogni cosa per più ampla informatione, adviso dicti homini de Sarzanello habitare al presente in due parte, 1 una chiamato lo monte, che è quello borgo più alto, et quasi al pari del spontone et de la forteza, et dal quale solo se potrebbe alcunamenti batere dieta fortezza, et questo me pare se habi per certo che se debbi minare et in totum aspianare, et cossi pare ad ognuno più che necessario, et ancora a dicti homini. L’altro loco dove habitano è lo borgo di sotto : lo quale è a la banda verso Sarzana, tra la cittadela et la forteza de Sarzanello, et in questo saria lo desiderio loro fabbricare et stare, ma per ricordo ad ogni bon inditio questo non fa per loro, et manco per le forteze, per che loro porian essere sicuri che ad ogni guerra che occorresse sarian costrete V. S., 0 chi fusse per loro, a minarle et brusar le case per segurtà de le forteze, le quale case aliter resterian bastie contra le fortesse, et stantie da logiar li inimici. Essendo dunca tanto propinque cascun po intendere ciò eh’ importa lasargeli. Lo più sicuro saria che etiandio questo borgo de qua del tutto se aspianasse, et dicto monte da ogni canto se lavorasse et semenasse et facesse rabido quanto se può, ut sit difficilior ascensus, et a dicti homini concedere qualche altro loco da habitare secondo a V. S. piacerà ». Le ragioni dei Capitano furono tenute in conto solamente in parte; perchè dopo qualche tempo il borgo superiore venne distrutto, e data facoltà agli abitanti di prendere stanza in quello di GIORNALE LIGUSTICO sotto (i). Per volgere di oltre due secoli non avvennero guerre che mettessero a prova la fortezza; ma nel 1747 fu aneli’essa teatro di azioni guerresche: in questa opportunità si vide per esperienza con quanta ragione lo Spinola, ricordando certamente che nel 1487 la presa dei due borghi determinò quella della rocca, consigliasse d’abbattere l’uno e l’altro; onde anco il borgo inferiore venne allora e per le stesse ragioni distrutto (2). La tortezza di Sarzanello, come si vede anche oggi, è dunque nel suo complesso opera che appartiene alla fine del secolo XV, disegnata dal Francione e dal Caprina, ed eseguita in parte da essi, ma ridotta a termine dai genovesi. A. N, Il P. Gennaro D’ Afflitto. Di questo valente ingegnere militare (n. Napoli 1618, m. ivi 1673) poche notizie raccolse I’ illustre P. Marchese nella terza edizione delle Memorie dei più insigni pittori, scultori, e architetti Domenicani (vol. II p. 489-94); ed allegò un documento, donde sono palesi e la dimora del D’ Afflitto in Genova nel 1669, e la commissione eh’ egli ebbe a’ 24 aprile di quell’ anno dal Magistrato di guerra, d’ispezionare le fortificazioni di Savona e darne giudizio, si come fece. Ora quest’ altro documento, da me rinvenuto, dimostra che 1’ ingegnere domenicano stava fra noi in qualità di matematico della Repubblica; e varrebbe pure ad attestarci il torbido umore di (1) I documenti genovesi che mi hanno servito in quest’ ultima parte esistono nell’ Archivio di Genova, Sez. S. Giorgio, Divers. Cancell. Sarrana e Sarzanello ad annum. (2) Grassi, Notifie della guerra e distruzione del paese di Sarzanello in Sforza. Saggio cit. pag. 255 e segï. giornale ligustico lui, se potessimo viver sicuri che non ci fosse sotto qualche bizza di convento. Serenissimi signori, 1 fa Gennaro Maria d’ Afflitto de’ Predicatori, mattematico della Serenissima Repubblica, espone come havendo dimorato un anno, per ordine del Serenissimo Senato, nel convento di santo Domenico, desidererebbe passare a quello di Nostra Signora di Castello; e pertanto supplica VV. SS. Serenissime restino servite di dare quelli ordini opportuni che a VV. SS. Serenissime parerà; e le fa humilissima riverenza. Udita la supplica, i collegi addi ri dicembre 1669, decretarono: « Li eccellentissimi di Palazzo faccino chiamare il R. P. Priore del convento di santa Maria di Castello, e li raccomandino il detto R. Genaro Maria Afflitto, affinchè possa trasportarsi di residenza in esso convento, in quella maniera che sta in quello di santo Domenico ». Se non che il Priore, comparso a’ 17 dello stesso mese « nanti detti Eccellentissimi », mentre si protestava « pronto ad obbedire soggiungeva « che detto P. Afflitto è cervello torbido e che nel convento di santo Domenico si è portato inquieto »; e mettendo le mani avanti concludeva : « Ciò deduco a notizia di detti Eccellentissimi, perchè venendo esso Padre a rappresentare qualche cosa, si contentino far chiamare a sentire detto P. Priore » (1). Io non so se dopo queste poco benigne insinuazioni, il desiderio del frate sia stato esaudito. Ad ogni modo, lo tolse d’impiccio e da Genova, indi a non molto, il granduca di Toscana Ferdinando II, che lo volle alla sua corte, perchè v’ insegnasse le matematiche e 1’ architettura militare. L. T. B. (1) Arch. di Stato. — Residenti di Palano, a. 1669, ^ΖΛ I7- 316 GIORNALE LIGUSTICO La Zecca di Montebruno. Sapevamo già dall’ Olivieri, che 1’ esercizio di questa zecca venne conceduta nel 1668 dalla principessa Violante D’ Oria, vedova di Andrea III, a Paolo Valderone e Giorgio Avanzino, acciò vi fabbricassero gli Ottavetti o Luigini destinati al commercio orientale (i). Un documento presentato dipoi dal compianto Merli alla società Ligure di Storia patria (2), c’intornia altresì che la zecca dovea fabbricarsi appunto da’ predetti concessionari, a tutte loro spese, « attaccata al molino et ostaria che gode in affitto Pietro Molinaro » ; obbligandosi inoltre i medesimi, per atto stipulato in Garbagna il giorno 2 di novembre, a corrispondere alla principessa « la pigione di pezzi 1500 da 8 reali da soldi 96 l’anno ». Nè vi ha dubbio che il contratto avesse effetto; perocché a tergo del medesimo, con data del 2 febbraio 1669, si nota come il Valderone e 1’ Avanzino mandassero la « mostra » delle monete colà battute, della consueta « bontà di 5 ». Ma certo non eran solo quei maestri, nè sola era la principessa D’ Oria a usar della zecca di Montebruno pel conio degli ottavetti; ce ne attesta la seguente istanza ai collegi: Serenissimi Signori, Pietro La Failade e quattro altri operai francesi sono stati accordati dal nobile Lorenzo Viganego per la fabbrica di monete in la zecca di Montebruno; et restando creditori de’ loro rispettivi salari, come per conto che presentano, e venendole difficoltato il pagamento dal detto Viganego, supplicano hu-milmente VV. SS. Serenissime a degnarsi ordinare siano dal detto Viganego prontamente soddisfatti. Succede un decreto, in data del 22 maggio 1669, nel quale {i) Olivieri, Monete ecc. dei Principi D’ Oria, p. 23. (2) Adunanza del 17 febbraio 1872. giornale ligustico 317 è detto : Excellentissimi de Palatio super supplicatis partes componere curent; sin minus referant. E forse riescirono nel primo incarico, perchè del negozio non trovo più traccia. Del resto la rilutanza del Viganego nel soddisfare al proprio debito, trova facilmente la sua spiegazione, qualora si pensi che giusto al-Γ aprile del 1669, e così al tempo cui vuoisi attribuire l’istanza, è da riportare il divieto per cui rimase interdetta Γ introduzione e la spendita degli ottavetti in Levante. Di che non solo nella zecca di Montebruno, ma in più altre de’ feudatari liguri fu grandissimo turbamento, come s’intende per questo « biglietto trovato ne’ calici, mentre officiava il minor Consiglio », addi 26 d’aprile ridetto anno: Serenissimi Signori, Ho inteso da persona di molto credito, che quelli francesi che battevano in questi vicini castelli la moneta de’ luigini, siano hora, per le poche facende, quasi tutti venuti ad habitare in questa nostra città, e pare che si siano dati a coniare delle altre monete false, et in particolare delli scudi di argento della stampa vecchia del 1625 e 1626, cosa che merita rimedio, se non si vuole del tutto abbandonare F interesse della povera Republiça e delli poveri sudditi. Per fermo, nel novero di « quelli francesi », oltre al Fai-lade e a’ suoi compagni si voleano computare Onorato Blauet monsieur Solinhac, Francesco Perier, ed altri ancora, i quali, unitamente a vari italiani, aveano preso ad esercitare per conto dei principi d’Oria le zecche di Loano, Garbagna, Rovegno, ecc. 1 Collegi poi decretarono che del biglietto si rimettesse « copia al Prestantissimo Magistrato delle monete r perchè se ne vaglia come stimerà di bisogno » (2). L. T. B. (1) Arch. e filza cit. (2) Arch. e filza cit. 318 GIORNALH LIGUSTICO SPIGOLATURE E NOTIZIE Scavi — Ventimiglia. — L’ispettore prof. G. Rossi mandò i calchi cartacei di due nuove iscrizioni latine della necropoli intemeliese, rinvenute nei beni Porro nella pianura di Nervia. La prima in una lastrina marmorea, che misura in altezza m. o, o8, ed in larghezza m. o, 17, dice: ANTONIA ANOPTEN1S-L I SI A S L’altra pure in lastrina marmorea, aita m. 0,11, presenta: L'FLAVIVS L · L PRIMIGENIVS 11 contadino Giambattista Parodi, che le rinvenne nei primi dell’ anno, lece conoscere che erano messe in due modesti loculi, dove pochi oggetti comuni formavano la suppellettile funebre (Atti dei Lincei). * * * Nel Bibliofilo (1887, n. 6, p. 89) per cura di Costantino Arlia sono pubblicate due canzonette inedite di Gabriello Chiabrera, tratte da un cod. della Biblioteca Nazionale di Parigi. Eccole : Gran dolcezza in mezzo al cuore Deh 1 meco intere Pommi Amore; L’albe e le sere, Dunque io lieto canterò. Deh ! meco mena i giorni , Pur se Amor a cantar prendo , Deh ! meco siedi, Forse offendo ; Deh ! meco i piedi Dunque io lieto tacerò. Muovi su’ prati adorni, O d’amor strano divieto! E se, scherzando, Un cor lieto Io m’inghirlando Il suo ben cantar non dè. Di bei fior peregrini, Ma s’io taccio, in fra’ diletti, E tu sia vaga, Augelletti Mia dolce Maga , Un di voi canti per me. D’ inghirlandarti i crini. Sciolga note sì gentili, Quando in furore Nè sian vili, Mi spinge Amore, Qual più care il mondo udì. Di furor empi il seno. Ma, per grazia, non riveli, E quando lieto Anzi celi Indi m’ acqueto , Di che cosa il cor gioì. Acquetati non meno. Deh ! s’ è smarrita Tutta mia vita All’ hor eh’ i’ non sono teco , E , di te privo , Punto non vivo : Vita mia, vivi meco. giornale ligustico 319 * * Nel giornale di Monaco Hislorische Zeilschrift, anno 1887, n. 2, Cor-lado IIabler riassume lo stato delle ricerche intorno a Cristoforo Colombo, esaminando le molte pubblicazioni uscite in luce in questi ultimi anni. * * * A. De Morati pubblica nel Bullettin de la Société des sciences historiques et naturelles de la Corse (a. 1886, n. 67-68) una importante monografìa nella quale riprendendo la tesi del Livi sulle relazioni della Corsica con Cosimo I, estende le sue indagini più oltre, recando buon contributo di nuovi documenti. * * H stato pubblicato il libro seguente, che interessa la storia e la genea-logia ligure: Léonce de Villeneuve, Richerches sur la famille della Rovere: contribution pour servir à l'histoire du pape fulee IT, Rome, Befani 1887. Edizione di 100 esemplari. * * * Giacomo Rombaldi pubbiea uno studio importante intorno a Sampiero Corso colonnello generale della fanteria corsa al servizio della Francia (Paris, Lechevalier), e attende ad un lavoro sulla Corsica nel tempo della occupazione francese 1748-1752, confortato da documenti inediti. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Francesco Stefano Bartolomei. — Pensieri sopra T educazione delle fanciulle per la nazione genovese (ιη<)6) ora per la prima volta pubblicati, Bergamo, Mazza 1886. Ci avverte 1’ editore che il manoscritto autografo di questo opuscolo si conserva nella biblioteca della famiglia Bartolomei di Salcando presso Gorizia ; ma non è questa la prima volta che vede la luce. Infatti nel 1798 usciva in Genova dalla tipografìa Frugoni e Lobero un Piano d’educazione per le fanciulle d'una Cisalpina, che è precisamente la stessa cosa de’ Pensieri ora mandati in luce, quantunque questi sieno più compendiosi. Però la prima stampa non reca il nome del Bartolomei, bensì quello di Μ. M. Pastoni, che si legge in fine alla dedica in francese indirizzata « au citoyen Faipoult représentant d’une grande Nation qui s’est déclaré l’ami de l’humanité et le soutien du Teuple Génois ». Non abbiamo in vero prove sicure per affermare che il lavoro appar- 320 tenga più all’ uno che all’ altro, ma potrebbe credersi che il Bartolomei compendiasse l’opera del Pastoni. Ben è da rilevare che l’anno 1796 appostovi dal recente editore non è esatto, perchè la scrittura , secondo si rileva da argomenti intrinseci, è posteriore alla rivoluzione del 1797. Excerpta Colombiniana. Bibliographie de quatre cents pièce gothiques françaises, italiennes, et latines du commencement du XVI siècle non décrites jusqu’ici précédée d’une histoire de la bibliothèque Colombine et de son fondateur par Henry Harrisse, Paris, Welser 1887. È questo un notevole contributo alla bibliografia del secolo _ XVI, la quale riguarda singolarmente quella produzione letteraria e tipografica che fu detta popolare, e ehe ebbe tanta importanza a quel tempo, siccome oggi riesce di somma rarità appunto per la sua origine, e per il genere di lettori cui veniva destinata. L’Autore, che già conosciamo storico valentissimo, e diligente bibliografo, ha voluto mandare innanzi alla descrizione degli opuscoli, una serie di acute osservazioni intorno alla stampa de’ libretti popolari a Parigi, ed alle figure onde sono adornate, rilevando giustamente come siano queste guida opportuna a riconoscere il tempo , 1’ artefice , 1’ officina , quando, come spesso avviene , manca ogni altra indicazione. Seguono quindi le notizie biografiche di Fernando Colombo attinte dalle'fonti più attendibili, e per rispetto a’ suoi frequenti viaggi^ in diverse parti d’Europa, in Spagna, nel Belgio, in Francia e in Italia, con foriate dalle note singolari lasciate da lui stesso sopra i libri che man mano andava acquistando qua e colà. Donde si desume per via di giuste illazioni che seguì più volte 1’ imperatore Carlo V. Le quali annotazioni, oltre a darci buon indizio degli studi che faceva Fernando, ci rivelano altresì i prezzi di acquisto, importanti per stabilire le modalità del commercio librario.. Le vicende della Biblioteca raccolta da Fernando sono quindi narrate con sicurezza di documenti, e con largo corredo di particolari, e stringe il cuore la prova evidente del modo onde venne indegnamente manomessa una collezione di tanta importanza. Il catalogo si divide in tre parti ; nella prima sono registrati gli opuscoli francesi, nella seconda gli italiani, nella terza i latini e diversi. _ L’ autore ha creduto ben fatto aggiungere la descrizione di alcune di sì fatte rarità bibliografiche, le quali esistono nella Biblioteca Nazionale di Parigi e non furono anche indieate da altri. Nella compilazione di questo indice illustrato l’Harrisse si è attenuto al miglior metodo, che risponde pienamente a tutte le esigenze della letteratura , della storia e della tecnica, aggiungendo quelle dilucidazioni che meglio valevano a rilevare utili notizie e confronti. Delle quattro appendici che chiudono il volume, tre servono d’illustrazione alla storia della biblioteca, importante sopra tutte quella che discorre largamente dei cataloghi, donde si conosce Γ ordinamento interno della biblioteca stessa. L’ultima riassume con molta chiarezza le deduzioni che si possono trarre dai documenti manoscritti concernenti la storia della tipografia in Parigi nel secolo XVI. In fine non è da omettere che il volume è adorno di numerose riproduzioni xilografiche, e di parecchi fac-simili, necessari a dar rilievo alle deduzioni deìlo scrittore, e a mostrare alcuni caratteri speciali di quelle rarità tipografiche. Pasquale Fazio Responsabile. giornale ligustico 321 SULLA LEGAZIONE A ROMA DAL 1710 AL 1714 DEL MARCHESE ÈRCOLE DI PrIERO Studio storico-biografico di Gaudenzio Claretta Nella dispensa seconda (1886) dell’ Archivio storico italiano, il compianto signor di Rëumont pubblicava una Memoria sulla legazione nel Belgio del marchese di Prié, così denominandolo egli dal feudo Priero, nel vernacolo piemontese detto Prie; ed apprestava in tal guisa elementi notevoli alla biografia di quel diplomatico, la quale col mezzo di qualche nuovo documento ci sarà dato di perfezionare nella presente nota. Il nostro Ercole Giuseppe Luigi nasceva a Chieri, antica e nobile cittadella del Piemonte, ove fiorì sempre un patriziato ragguardevolissimo, da Giorgio Turinetti, divenuto intendente della casa di Madama Reale Cristina e primo presidente delle finanze del duca Carlo Emanuele II, e da Maria Violante Valperga di Rivara. Primo tra la sua famiglia, Giorgio aveva fatto acquisto di parecchi feudi, Cordova, Osterò, con punti giurisdizionali su Ceva e Priero, eh’ ebbe in titolo di marchesato (1). Suo padre, Ercole, primo di tal nome nella genealogia conosciuta de’ Turinetti, era stato F autore vero (1) Sin dal 3 marzo del 1666 il conte e p. p. di finanze Giorgio Turinetti riceveva investitura di tre quarti di Priero colla facoltà del riscatto dell’ altro quarto acquistato da lui col titolo marchionale dai canonici regolari di s. Salvatore in Laura di Roma, come eredi del fu marchese Marcello Doria, e dal conte Anastasio Germonio per atto 12 settembre 1665 e 25 gennaio 1666. Giorn. Ligustico. Anno XIV. 21 322 GIORNALE LIGUSTICO della fortuna della sua casa, giunta in breve volgere di tempo a conseguire ragguardevole stato. Fu scritto e ripetuto che quest’ Ercole fosse stato ne’ suoi principii maestro di grammatica a Chieri, ned io il voglio negare, ma nemmen oserei affermarlo, non avendo documenti nè pel sì nè pel no. Egli è però fuori dubbio che quella modesta professione non fornì mai mezzo ad arricchire, tanto meno poi in tempi in cui l’insegnamento elementare era molto negletto, e ne’ quali sebbene si avessero a lamentare privilegi speciali a persone , non però conoscevasi ancora il monopolio o privilegio per composizione di libretti didattici, onde parecchi s’ebbero ad arricchire oggidì. Risulta per contro che nell’anno 1616 Ercole Turinetti, abbandonata Chieri, partivasi alla volta del vicino Monferrato, dirigendosi in ispecie a Cunico, ove dedi-cossi al commercio della seta, esercitato prima su piccola scala, poi più largamente. Quest’ Ercole aveva impalmato Maria , figlia del banchiere Garagno pur di Chieri, di famiglia al pari dei Turinetti salita a nobile stato. I figli di Ercole cominciarono tosto a primeggiare in patria, poiché, oltre al Giorgio accennato, Francesco addottorossi in leggi, e divenne canonico di Chieri, e Gian Domenico aprì una rinomata banca a Torino, alla quale ricorse la nostra Corte, che creollo suo banchiere; ed ei la forniva altresì di pietre preziose, di cui faceva commercio. Arricchitosi notevolmente, non fu insensibile al vezzo comune di nobilitarsi ; e chi al mirar oggidì certe puerili contraddizioni allo stato presente oserebbe condannarlo? Colla agevolezza di cui poteva disporre ottenne egli altresì l’infeudazione di parte dei feudi di Pralormo, Bo-navalle, Bersano, Castelvairo, Cimena, Castiglione, Priero ecc. Ecco il vero stato della famiglia Turinetti da Chieri, venuta su col lavoro, senz'alito di fama sinistra, per quanto si possa sapere oggidì, poiché anzi questo Giorgio si valse delle sue dovizie a benefizio dell’ umanità. E nell’ Ospizio GIORNALE LIGUSTICO torinese di carità venivagli innalzata un’ epigrafe per ricordare legati con cui avevaio favorito. Oltre ciò nel duomo di Chieri aveva edificato la cappella della N. V. del suffragio, cui fece ornare di stucchi e pitture. E sebbene Γ Ercole, secondo di questo nome, a cui si riferisce la presente nota storica, fosse nato colla fortuna in grembo, tuttavia non isprecò in gozzoviglie gli anni suoi giovanili. Anzitutto dedicatosi felicemente agli studii, laureossi in leggi : poco di poi venne ascritto al collegio de’ giureconsulti dell’università di Torino. Senza dubbio tosto cominciarono i favori della Corte verso di lui, favori straordinari, poiché nel 1677, essendo ancora giovanissimo, la duchessa Giovanna Battista gli concedeva il primo posto vacante di cavaliere del Senato o della Camera dei Conti. Ma egli avviavasi a ben più gloriosa carriera che se gli schiudeva dinnanzi. Inviato in Germania, poi in Inghilterra , cominciò a risiedere a Londra come ministro, e poco dopo fu delegato ivi ambasciatore straordinario per ricevere il regio trattamento, concedutogli pei negoziati da lui felicemente maneggiati. Ancorché non attinente al nostro argomento, c’ intratteniamo apoditticamente su quell’ ambasciata del Turinetti, somministrandoci i particolari di questa narrazione materia a pen-nelleggiarne per benino il carattere, ed a meglio lumeggiare questa Memoria. L’ elezione sua ad ambasciatore presso la Corte britannica era una prova della più alta stima che il Turinetti avesse potuto ricevere dalla nostra Corte, la quale passando sopra la maggior 0 minore riguardevolezza del suo nascimento aveva voluto rendere omaggio al suo ingegno, più che ordinario, alla sua pronta parola, alla sua destrezza nel maneggiar gli affari e perizia nel corteggiare, talor efficace spediente dei diplomatici. E quando, non colle idee odierne, si ponga mente che in quella legazione egli aveva avuto pre- 324 GIORNALE LIGUSTICO decessori un marchese Pallavicini, i marchesi di Lullin e Mo-rozzo, i conti di S. Maurizio ed Alfieri di Magliano e va dicendo, tutti appartenenti alla primaria nobiltà savoina, apparirà subito quanta fosse la significazione d’ onore nell’ aver ricevuto quell5 ufficio. Non è però che la sua nomina in Corte si fosse ammessa così alla piana, poiché taluni degli aristocratici la disapprovavano. Fu ventura per lui che vinse il partito del marchese di S. Tommaso, amico della sua famiglia; e che in fatto di blasone ancor egli non aveva poi così schietta e pura quella prima vena di sangue onde la sua origine derivava, da potere allarmare soverchie pretese. Il S. Tommaso provò a fil di logica, essere conveniente che la famiglia Turinetti che é delle più nuove in Torino cominciasse ad insinuarsi negli onori maggiori della Corte, la quale avrebbe ricevuto vantaggi dai suoi servizi. Ma novellavasi in Torino, che il potente marchese di S. Tommaso avesse volato così, per rendere un contraccambio allo zio, banchiere Giovanni Antonio Turinetti , nella cui casa egli era stato ospitato per più d’un anno nel tempo di una sua certa infermità; facendo anche spiccare Γ assegnamento che si sarebbe potuto avere su quello zio , assai facoltoso, tanto più che le finanze dello Stato erano sempre nell’ imbarazzo a soddisfare adeguatamente i diplomatici, e perchè in un momento, in cui i già tenui risparmi dovevano sfumare a poco a poco per le spese del disegnato matrimonio portoghese. In quanto poi alla obbiezione mossa al S. Tommaso che il Turinetti era ancor troppo giovane, egli subito se ne sbarazzò osservando che la capacità del conte di Castelmelhor antico ministro del deposto Re di Portogallo, D. Alfonso, ed amico della famiglia di Savoia, esule a Londra, avrebbe potuto supplire ad ogni difetto del giovane diplomatico. Superate finalmente le esitanze e le obbiezioni, più o meno GIORNALE LIGUSTICO 325 fondate, il Turinetti, assunto il titolo di conte di Pertengo , partivasi alla volta di Londra. Tuttavia a lui, sebbene fornito di molta disinvoltura non mancarono punture assai acute nello stesso esordir della sua missione. Non tutti i colleghi della diplomazia dimostraron-segli cortesi ed officiosi, e fra gli altri il ministro di Spagna non temeva di vociare, eh’ egli aveva ribrezzo di trattar con un giovinetto in cui bolliva una gran vanità e mancava ogni sorta d’esperienza (1). Altri accampavano altre ragioni, ma nelle loro pungenti osservazioni aveva parte la politica; prima però di accettarle ad occhi chiusi devesi altresì tener conto della passione, nè ammettere piena veridicità in chi ce le ha in parte tramandate, sebben in quel momento questi percepisse sussidii dalla nostra Corte. Ma sia come si vuole, tanto il conte, quanto il suo segretario Arnò, che osava amplificare le cose, e far apparire molto, il poco, seppero destreggiarsi in modo che al giorno determinato si potè compiere 1’ entrata solenne diplomatica. Il Turinetti era seguito da ventisei carrozze a sei cavalli, da dodici staffieri, cinque paggi a cavallo, preceduto dalla grottesca figura del suo scudiere, un dì francescano, allora anglicano. Egli poi sedeva in carrozza molto splendida, con un moro a cassetta, atteggiato a tutta la gravità possibile, e indispensabile al cospetto dei milordi e delle lady dell’ alta società britannica. Cingeva una spada, col pomo e colla guardia tempestati di preziosi diamanti ; e sovratutto aveva dato nel-1’ occhio uno sfavillante anello alle dita, eh’ egli vantava del valore di trecento doppie, benché a Londra non lo si credesse. Ad onta di tutto questo, quello sfarzo si tenne a Londra appena appena sufficiente, e si trovò maniera di censurare ogni cosa : quantità non bastante di cocchi ; livree comuni ; (1) Leti, Teatro Britannico. 326 GIORNALE LIGUSTICO il numero dei paggi e staffieri, più che ordinario, i gentiluomini, gente non scelta, gli uffiziali pochi « et ordinarii, due cappellani d’impronta, et insomma in tutto non aveva trenta persone, e di queste ne furono licenziate la metà l’ottavo giorno dopo l’entrata (i) Che se ad ogni modo la prima difficoltà erasi superata, eranvene ben altre ancora che presentavano maggiori scogli. Quei benedetti diplomatici tenevansi sempre riservati; persino quel del Portogallo, don Giuseppe de Fara, che per le nuove relazioni della sua Corte con quella di Savoia, non la guardava poi tanto pel sottile, usava sotterfugi, per non concedere in fatto di cerimonie quel che il conte di Pertengo pretendeva ed ambiva. E sì che questi, per quanto si fosse divulgato a Londra, che in quella sua ambasciata si sarebbero avute più voci che noci, non aveva risparmiato certi dispendi. Affine di riuscire nelle mire del suo padrone egli aveva avuto il pensiero di tener in casa una specie di accademia di giuoco; e di quando a quando allestire scelti banchetti, invitandovi i colleglli della diplomazia. Eppure ad uno di essi lo stesso ministro di Portogallo, che come or ora dicemmo, aveva ragioni da chiudere un occhio sulla troppa rigidità del cere-moniale contestato, servissi di uno strano ripiego, per non urtare la estrema delicatezza altrui. Egli anzitutto, pratico com’ era dell’ appartamento di quel palazzo, seppe intro-durvisi quasi incognito, ed eludere la vigilanza de’ servi, per evitare il solito annunzio; e così comparve nella sala del banchetto al momento in cui i commensali stavano per assidersi a tavola. Non basta ancora, appena levate le mense, mentre la brigata in crocchi discorrendo, s’ accingeva a partirsi dalla sala, per mettersi al tavolo del giuoco, il porto- (i) Leti, 1. c. GIORNALE LIGUSTICO ghese trovò di nuovo mezzo di sgattaiolare destramente , e per iscale secondarie uscirne insalutato hospite. Nemmeno con questi ripieghi il conte di Pertengo riusciva affatto nel suo intento : quelle imbandigioni venivano censurate, come non affatto proprie, nè troppo in uso ; poi si divulgava che la sua mensa era alla fiorentina, pochi piatti con poche vivande. Lo si accusava di soverchio attaccamento al giuoco e di poca liberalità, dimostrandosi in esso non lai go, alla guisa de’ gentiluomini, ma taccagno , all esempio degli speculatori. Arrivato a Londra con fama esagerata di dovizia , amplificata ancora da lui e dal suo segretario ; allorché si vide che i fatti non vi corrispondevano punto, le censure gli piovvero addosso inesorabilmente. E pare che 1 assegnamento fattosi dal marchese S. Tommaso sullo zio banchiere, fosse anche stato un po’ fallace, poiché quando con qualche frequenza si voleva ricorrere alla sua botte fini per rispondei e che non voleva più curarsi «... di tutte quelle albagie e vanità, con protesta di non voler dare niente; e nulla diede o cosi poco che appena si vide ...» (i). E forse egli erasi sbrigato con qualche dono al nipote nel suo partir di Torino, e col regalo di quei superbi diamanti, negoziando egli, come dicemmo, in pietre preziose. Quindi in tale stato di cose il nostro conte scomparì affatto nel suo partir di Londra. Indebitato pel giuoco , fu ritenuto vero spilorcio pel modo tenuto nel regalare i gen· tiluomini della Corte britannica. Ma bisogna qui tener conto che colla parsimonia che soleva fare il nostro governo, non mai sollecito a soddisfare i diplomatici di quanto loro era tenuto, non era guari facile comparir orrevolmente in una Corte, in cui vigeva la consuetudine di regalare quei gen- (i) Leti, 1. c. 328 GIORNALE LIGUSTICO tiluomini di quaranta lire sterline ciascuno, ed almeno almeno dar sessanta ghinee al maestro di ceremonie. E siccome egli, cioè il nostro conte, aveva saputo ricevere dalla generosità del Re una cassetta di diamanti, «... fatta in forma lunghetta, del valsente di tre mila scudi incirca: così la sua riservatezza gli aizzò contro gli scherzi. I quali, raccolti dal citato autore, facevangli esclamare che se . . vi è sempre alcuno che si loda di aver ricevuto qualche gene-ioso atto di cortesia e gentilezza in fatti dall’ ambasciatore che parte, dal Pertengo non si trova nè pure un solo che se ne vanti, e piacesse a Dio che molti non se ne lamentassero ... ». Codesti appunti fatti da una penna venale , qual eia quella del Leti, dovrebbero senza dubbio essere accettati col beneficio dell’ inventario; ma nel nostro caso hanno qualche peso , poiché in quel momento, non giova dimenticare, che egli era in istretta relazione collo stesso marchese di S. Tommaso, dichiarato ed aperto mecenate del conte di Pei tengo, che valevasi pur del Leti in varie occorrenze politiche. E che del resto quest’ autore ne sapesse qualche cosa, noi si deve negare, essendo stato anch’egli uno dei commensali del conte a quei giorni. Siccome peraltro questi profili furono da noi delineati, quale introduzione all’ argomento designato, e valevoli a farci conoscere 1’ uomo, senza togliere i meriti del diplomatico, tuttoché giovine nella carriera, cosi non potremo a meno di affermare che nella sua ambasciata di Londra egli non die bastante saggio di quei tratti, che appunto servono a distinguere il vero gentiluomo da chi tiene sol ad imprestito una qualita , che difficilmente possono imprimere i diplomi dei principi, od i favori de’ mecenati ovvero delle fazioni. Ora questa nota la riconosceremo in tutta la carriera del nostro I urinetti, di cui avremo a discorrere. Ma i governi anche non vincolati a fazioni, allorché pos- GIORNALE LIGUSTICO sono ripromettersi vantaggi da un personaggio, che è beniamino di patroni potenti, non guardano tanto pel sottile, e così avvenne al favorito conte di Pertengo , che fece precipitosa carriera, ed in breve salì alle più alte cariche, ed ottenne le più ragguardevoli onorificenze. Già egli era insignito del titolo di marchese di Priero, che morto il padre prese ad usare regolarmente. Ed a questo poteva aggiungere quello ornai altisonante ancora di marchese di Pancalieri, gii feudo di alcuni de’ principi di Savoia, alienatogli dal duca il tredici novembre del 1655 con tutti i diritti annessi, che erano molti e lucrosi, e ciò per il prezzo di doppie venti mila pari a lire trecento mila! Ormai le novelle dignità molto considerevoli a quei dì, senza dubbio non si ritenevano nemmen più sufficienti: si appetiva la stessa collana dell’Annunziata, guiderdone, ed allora e per quasi due secoli ancora in appresso, riservato ai più nobili, benemeriti e fedeli gentiluomini della corona. Vittorio Amedeo II, ispirato dal S. Tommaso, inclinava a favorirlo, facendo anche assegnamento su di lui per inviarlo ambasciatore alle principali corti d’ Europa. Ma si opponevano gli statuti dell’ Ordine , che esigevano riguardevolezza tale di natali, da rendere nemmen necessario il noto ripiego delle provanze prescritte per la classe di giustizia dei cavalieri mauriziani. Eppure così volendosi, ancor qui si chiusero amendue gli occhi, e nel 1698 il duca, seguendo già qualche esempio precedente, di grazia sua speciale, e senz’attenersi alle formalità d’uso, annoverava il marchese di Priero fra i cavalieri dell’Annunziata, la quale immagine doveva associarsi al noto agnellino dell'’ Ordine pur insigne del Toson d’ oro, a cui del pari egli veniva ascritto. Quant’ è vero che .. . fulgente trahit constrictos gloria cursu Non minus ignotos generosis... (1). (1) Horat. Satyr. L. s. VI. 330 GIORNALE LIGUSTICO Adorno di tante prerogative il nostro marchese veniva inviato ambasciatore a Vienna. Ma in quanto a questa legazione, basterà notare, che nel 1705 egli conchiuse col conte di Aversperg il trattato segreto, in forza del quale il Piemonte, nella guerra della successione spagnuola, si staccò dall’ alleanza franco-ispana, e si uni all* Austria. Usando il nostro marchese coll’ imperatore Leopoldo, questi che conobbe quanto egli col mezzo delle molte sue cognizioni sull’Italia e delle relazioni tenute con varie Corti, avrebbe potuto servire alle sue mire, s’accordò col duca di Savoia per averlo al suo servizio. Vi annui Vittorio Amedeo II, cd il marchese di Priero fu nominato plenipotenziario, e commissario generale per l’esercito in Italia, a fianchi del celebre nostro principe Eugenio. Ma fu egli sempre ligio al suo naturai signore e serbogli sempre cieca fede? Ecco quanto avremo anche a chiarire col mezzo de’ nuovi documenti che or ora esamineremo: premettiamo però che i vanagloriosi hanno sol di mira di servire a’ loro fini, senz’ attaccamento deciso per alcuno ; senz’ ossequio a’ principii. Accetto a Giuseppe I, successore di Leopoldo, nel 1709 fu il marchese inviato ambasciatore a Roma, affine di porre termine alle gravi dissensioni con Clemente XI , che nella guerra per la successione di Spagna, aveva tenuto linea di condotta oscillante; e nicchiava nel concedere all* imperatore l’investitura del regno di Napoli. Il marchese giunse a Roma, colla fama bensì di fine ed abile diplomatico, ma con quella altresi di vanaglorioso; al qual difetto andava associato un far autocratico, cresciuto in lui, a misura eh’ egli crasi avanzato in grado. E tant’ è che conosciuta appena la sua nomina, l’agente di un principe tedesco tosto si fece ad esclamare : « ... Buon Dio, il marchese di Prié! L’amor suo è tale, che avendo da trattare GIORNALE LIGUSTICO 331 con un ministro intorno alle contribuzioni, egli lo rinchiuse in una camera, dichiarandogli che non lo avrebbe lasciato uscire prima che il trattato fosse firmato .... Già di questa missione evvi qualche notizia nei documenti diplomatici di Stato; e questi varranno a confermarci nel giudizio or ora dato su di esso marchese. Infatti noi lo vediamo subito destreggiarsi abilmente tra il professare in parole profonda deferenza al Duca di Savoia, e Γ agire solo conformemente a quanto richiedevano le sue mire, senza troppi altri riguardi. Il venticinque giugno, tutto sommesso cosi scriveva a Vittorio Amedeo II « . ... Io devo riverentemente esporle Γ intenzione in cui è entrata la maestà dell’ Imperatore di vestirmi del carattere di suo ambasciatore appresso S. Santità, affinchè si possano sostenere con più d'autorità e di decoro gli altri affari di maggiore importanza che restano tuttavia a discutersi in questa Corte, essendosene spiegata in tal forma in conferenza e nell’ ultimo suo dispaccio. Mi dovrebbero veramente ritrarre non solo le spese incredibili di questa incombenza, ma le difficoltà e le arti incredibili che incontrano in questa Corte, ove il minimo affare richiede maggiore attenzione che il massimo altrove. Per contro il maggior oggetto che io potessi proporne in questa incombenza , sarebbe di accreditare con tal carattere il mio zelo e renderlo meno inutile a V. A. R. a fine di meritarmi sempre più gli effetti della sua reale protezione----» (1). Vittorio Amedeo II avrebbe però dovuto far lieve assegnamento sulle sue dichiarazioni, poiché queste partivano soltanto dal mero uffizio di sdebitarsi con parole cortesi verso il suo vero sovrano ed insigne mecenate, ma non erano fon- (1) Archivio di Stato di Torino. — Lettere dei ministri residenti a Roma. 332 GIORNALE LIGUSTIGO date sulla leale inclinazione a giovargli davvero in una contingenza seria. E di tale indole era la premura che aveva il 2 gennaio del successivo 17 io d’informarlo di una recente esaltazione avuta dal Re Filippo V di Spagna «... Col-P ultimo corriere che mi ha recato le risposte della Corte di Barcellona sulla ricognizione fatta da Sua Santità ho ri-cevuto una pienissima approvazione dalla maestà del Re, il quale per maggiore dimostrazione del suo gradimento e per far risaltare la stessa ricognizione a vista di tutta la Spagna, ha voluto onorarmi col titolo di suo consigliere di Stato e Vice-re di Gallizia, ed ha nominato nello stesso tempo per suo ambasciatore in questa Corte il principe di Avellino... » (1). Vediamo un poco se il nostro marchese, così premuroso ad intertenere il duca su promozioni risguardanti la sola sua persona, ma che dovevano più o meno tornare insignificanti a Vittorio Amedeo, era poi ugualmente sollecito a servirlo, come questi avrebbe potuto ripromettersi da un cavalier del-l’Annunziata creato da lui, per istraordinario favore. Sin dal ventidue gennaio il duca avevaio incaricato di sollecitare alla Corte di Roma l’adempimento dei legati del-l’Infanta Maria di Savoia, figlia di Carlo Emanuele (2), morta a Roma nel 1656. E siccome quella principessa aveva nominato esecutore testamentario il papa allor vivente, Alessandro VII, che aveva ordinato al maggiordomo del suo palazzo di ritenere in deposito tutte le gioie e suppellettili di lei che ancora trovavansi presso il medesimo, cosi il duca (1) Luogo citato. (2) Nel suo testamento dell’undici giugno di quell'anno aveva disposto che il suo erede fosse tenuto ad aprire una biblioteca in Torino presso alla chiesa di S. Dalmazzo « nella quale faccia comprare et mettere tutte le sorti di buoni libri di tutte le scienze, perché serva ad ognuno che vorrà andarvi a studiarvi, e massime a religiosi et padri studenti commettendone la direzione ai Padri Barnabiti. GIORNALE LIGUSTICO 333 incaricava di tale missione il marchese di Priero. Cadendo or in acconcio, è pur bene render qui due parole d’elogio a Vittorio Amedeo II, che agiva in ciò con efficacia assai commendevole, poiché dimostrava di tenere non poco all’adempimento di una disposizione, che siccome esponevasi in quel documento, « . . . . riuscirebbe sì profittevole al pubblico , corrispondente al nostro desiderio di far rifiorire le scienze in questi nostri stati ... ». E notevol vantaggio senza dubbio avrebbero ricevuto gli studiosi di Torino, ove si fosse aperta la pubblica biblioteca, istituita con quel tesamento della suddetta principessa. Che se il marchese operava qualche cosa per secondare quel desiderio del duca, trattandosi in sostanza di materia di mero interesse, nè concernente la politica, scusavasi poi bellamente di compiere altri incarichi ricevuti dal suo sovrano. Egli limitavasi a scrivere unicamente al ministro .... « che Γ indisposizione di Sua Santità che rende più lenta la spedizione degli affari e della risposta e qualche allro motivo mio particolare non mi hanno finora permesso di ragguagliare S. A. R., non essendo potuto andare all’ udienza di Sua Santità per impegnarla maggiormente ad accertare quelle convenevoli condiscendenze già promesse a S. A. R., onde mi restringo all’ onore di ragguagliarla con due annesse toccanti la libreria e le commende vacate ultimamente... (i) ». E non poteva scrivere diversamente ned usare scuse così magre, colui che soleva corteggiare e servire buona parte dei sovrani d’ Europa, dai quali sperava favori, e che per contro potendo anche ricevere da lui cose ambite erano perciò disposti a secondarlo nei suoi disegni e capricci ? E fra costoro notiamo il vecchio granduca di Toscana Cosimo III, che precisamente aveva bisogno del nostro marchese, il quale (t) Luogo citato. 334 GIORNALE LIGUSTICO seppe profittarne in modo molto censurabile, tanto più giudicando il fatto col criterio di quei tempi. Lasciamo che ce ne informi Γ agente ducale di Savoia, Paolo Coardi (i) , il quale, anziché colorirci le notizie con tinte studiate, ce le dà colle vive e tresche delle linee dei dispacci giornalieri. Agli otto novembre pertanto egli scriveva di questa guisa al ministro del nostro duca « .... La premura con cui il signor marchese di Prié seguita a farsi merito con la corte di Toscana, comincia a rendersi osservabile in Roma e dà luogo a molti discorsi : volendo egli qualificare un certo Monsù Dova piemontese, che lo serve di scudiere, gli ha procurato la croce di Santo Stefano dal granduca di Toscana, il quale subito gliel* ha mandata con espressioni fine e .orrispondenti alla di lui attentione.... (2) ». Il favore ottenuto dal marchese era già insigne, tanto più poi, perchè pochi ignorano con quali norme si reggesse Γ Ordine Stefaniano, emulo di quel di Malta, e che per 1’ ammes-sione dei cavalieri di grazia richiedeva altresi una nobiltà personale, ovvero meriti reali, conosciuti e ragguardevoli. Ora non sappiamo se il Dova, nome ignoto fra noi, e che non mai comparì orrevolmente sotto alcun rispetto, avesse altri meriti, al di fuori di quelli ippici, a cui accennava il suo mestiere. E tanto più ignoriamo s’ci fosse quel Dova, che il Leti discorrendo dell’ ambascieria del Priero a Londra ci descrisse francescano, un dì, allor anglicano. Ma il vecchio granduca simulava d’ignorar tutto, e per soddisfare il marchese di Priero andava ancor più in là, ed il nostro Coardi (1) Era cameriere d’onore di Clemente XI e cavaliere mauriziano. Era nato da Domenico Coardi di Asti, conte di Portacomaro e Quarto, c da Antonia Gerolama Roero. Il suo fratello Niccolò fu il primo conte di Carpendo, e la famiglia non è ancora oggi estinta. (2) A. di Stato 1. c. 335 poco dopo si faceva a scrivere al duca... « Il granduca di Toscana per fare maggior finezza al signor marchese di Prié, oltre P avere accordata la croce di Santo Stefano al suo scudiere, conforme già le scrissi ha accordato ancora al medesimo scudiere una commenda di cento piastre P anno ». E sì che ci voleva la grinta del marchese di Priero, per chiedere a quei di tanti e così segnalati favori per un cavallerizzo ? Non credasi per altro tutto affatto disinteressati l’accondiscendenza del granduca a favorire così straordinariamente il nostro marchese. Già il dicemmo poco fa, ed or ce lo conferma nella suddetta lettera il Coardi «... Il detto granduca di Toscana è stato assicurato dal detto signor marchese, che venendo Sua, Santità a concedere il trattamento regio a S. A. R. lo concederà a lui ancora...» Ora questa rivelazione del Coardi è di grave momento, poiché essa ci rende istrutti come il marchese di Priero, il quale conosceva a menadito P infingimento, per affezionarsi principi, non camminasse tanto pel sottile, e s’immischiasse in un’aspra faccenda, toccando tasti di suono ben poco grato al suo sovrano. Imperocché quel signor marchese non doveva ignorare quali fossero le pretese dei nostri duchi di primeggiare sui granduchi, nò di essere tenuti alla pari con loro , come in effetto erano loro superiori. Egli non poteva a meno di non conoscere quanto sin dal 1565 la concessione fatta da Pio V, del granducato a Cosimo I, avesse punto Emmanuele Filiberto. Invero se quel duca fece allora sembianza di congratularsene con Cosimo, che umilmente avevagli partecipato quell’ elevazione; se consentì che l’ambasciatore ducale a Roma assistesse alla sua incoronazione, ne protestò poi altamente a Roma, Parigi e Madrid ed alla Dieta germanica. Nè il sistema aveva mutato, ed era notorio quanto per simili cure si arrovellassero i nostri principi. Per la qual cosa succedendo quanto aveva il Priero nei voti, egli avrebbe concorso 336 GIORNALE LIGUSTICO a far mettere in moto tutta la diplomazia sabauda, avvegnaché il duca non avrebbe mai accettato in pace quella nuova testimonianza onorifica nell’ emula casa pur regnante in Italia. Del resto, quanto all’ effetto di quelle cure vanitose, cioè all’ onorificenza del cavallerizzo, il Coardi ce ne informò esattamente, poiché anche negli archivi del nobile Ordine, ora estinto, evvi traccia di quella poco lodevole concessione (i). Ivi per altro dissimulandosi nel Dova la qualità di cavallerizzo, si accenna solamente alla sua nazionalità di piemontese in genere, ed al suo nome di Carlo Francesco, notandosi la concessione come motu proprio del tre dicembre. Quest’ annedoto ci ricorda i noti versi del Giusti, che ci presenta nella celebrata sua Vestizione altro cavaliere de’ suoi dì a un di presso pari al nostro. Infatti non s’attagliano forse perfettamente al cavallerizzo del marchese di Priero, i versi con cui quell’arguto poeta mordeva la funzione d’investitura del droghiere de* suoi giorni? D' organi e di campane un diavolio Chiamava a veder Becero agli altari A insudiciare il sacro ordine guerriero Che un tempo combatti contro i corsari. E bellino senza dubbio doveva comparire il cavallerizzo del nostro marchese, col manto di cavaliere; e recitare col togo addosso questa commedia del cencio rosso ... Ed ecco la critica giustissima, se non con que' memorabili versi, con parole che suonano lo stesso, pungere, e il nuovo cavaliere , e il più meritevole di biasimo, il marchese di (i) Grazie alla cortesia del ch."° sig. Commendatore G. B. di Crolla-lanza, che ne fece le opportune ricerche negli archivi dell’ Ordine. GIORNALE LIGUSTICO 337 Priero, che, profittandosi dell’ occasione, erasi abusato della compiacenza (sicuramente eccessiva) dello stesso vecchio gran maestro dall’Ordine insigne, e quindi anche un poco imputabile a lui e non senza suo sfregio «... Mercordi, scriveva il Coardi, tre del corrente, nella Chiesa nazionale de’ tedeschi, detta S. Maria dell’ anima, fu dato solennemente 1’ abito di Santo Stefano a monsù Dova nominato, non serica qualche pubblica critica derisoria, cavallerizzo del signor marchese di Priè, come 1’ E. V. vedrà dal viglietto d’invito a stampa mandato dal ministro del granduca di Toscana a tutti li cavaglieri del medesimo Ordine, che il signor conte Gubernatis mi disse di lasciarglielo, perchè voleva mandarlo a V. E. ». Si può ben dire che il marchese di Priero, che sino dai tempi della legazione di Londra ci vien dipinto vanaglorioso, dopo treni’ anni lo fosse divenuto nel grado superlativo. Invero non pago di estollere se, cercava di nobilitar persino i suoi dipendenti e clienti, per quanto in istato non adeguato a ricevere simili testimonianze, giudicando sempre le cose col criterio, non sicuramente odierno, in cui persone della condizione del Dova si possono ritenere aristocratiche e proprie a ricevere fra noi consimili onorificenze, che abbiam veduto talora dispensate a bettolieri, barattieri ed altri di simil conio. In quanto poi alla sua persona, scorgesi dai documenti che la passione non lasciavagli tregua, ed all’ esempio di quanti non sanno accorgersi come si possa facilmente divenir la favola dei retti pensatori cumulando uffizi su uffizi, egli non anelava che ad onoranze aggiungerne altre: marchese; cavalier del Toson d’oro e dell’ Annunziata, Vice-re di Gallizia ; ministro cesareo ecc. ; non n’ era ancor sazio. Infatti nel dicembre di quell’anno stesso giugnevagli per favore di Carlo VI (succeduto nel 1711 al suo fratello Giuseppe I) la sfavillante prerogativa di principe del Sacro Romano Impero. Non bisogna peraltro credere che tutte codeste onorificenze Cto»*. Ligüiticq. A*** XÌV. 12 338 GIORNALE LIGUSTICO gli fossero venute all’ impensata per ispontanea concessione sovrana. Invero è quasi sempre rarissimo il caso che i principi, distolti, o dai negozi o dagli svaghi, arrivino col loro discernimento senza impulso altrui , a premiar proprio i degni e meritevoli. Quindi imberciava affatto nel vero l’illustre conte Sclopis allorché scriveva ai suoi dì che... oh sait que la confiance des princes, e quindi l’inclinazione loro a favorire i benemeriti, se gagne plutôt par les soins qu'on prend de leur personne que par les services que l’on rend à leur dignité (x) ». Il marchese di Priero aveva sin’ allora resi segnalati servizi all’ Imperatore, e noi si può negare ; ma probabilmente anche ad onta di ciò , per le ragioni or ora allegate, quel Cesare non si prendeva troppa cura ad antivenire i suoi desiderii ambiziosi. Ma ci pensò bene egli per conto suo, come ce lo rivela il Coardi, il quale informava la nostra Corte, della voce divulgatasi appunto a Roma come avesse assai bene saputo insinuare all’ imperatore di dichiararlo con tutti i suoi successori principe del sacro romano impero. Ciò rimase sinora un segreto; e come, ove si potessero conoscere tutti i misteri di tal genere , 1’ aura effimera che irradia molti altarini si dileguerebbe in un istante qual nebbia al vento ? Proseguiamo nei profili biografici del Priero. Tuttoché foss’ egli fornito d’ ingegno e previdenza, tuttavia offuscato dal fumo dell' ambizione non ponderava abbastanza bene certi fatti, e ce lo rivelano queste altre parole dello stesso Coardi, il quale ancor essso usando coi magnati di quella Corte ed alta società, sentiva qua e là ad esclamare, clic quell’innalzamento suo non doveva ritenersi un felice accidente per lui, ma bensì un poco propizio suo ritrovato... « Udiamo dalla (i) Marie Louise Gabrielle de Savoie Reine d’Espagne, p. 125. GIORNALE LIGUSTICO 339 bocca del Coardi la grave conchiusione che ne faceva, col dire che «... ad altra infelicità della condotta del signor marchese si aggiunge anche questa di avere servito e di servire il papa, più che che se fosse suo ministro, e di essere riputato da tutta la casa Albani poco loro amico... ». Quindi Don Carlo Albani principe di Soriano, comandante i cavalleggeri della guardia papale, e degno cavaliere Steia-niano, nipote del resto di Clemente XI, appena seppe della concessione imperiale fatta al Priero, senza indugio prese a consigliare il fratello Alessandro (quel desso che edificò la celebrata villa Albani fuori porta Salara) allora nunzio straordinario a Vienna, che ove mai potesse balenargli al pensiero di chiedere un simil favore all’ Imperatore, avesse a scusarsene con destrezza, poiché quest’ onore porta seco dipendenza t soggezione. Ma è vero che la casa Albani di Roma non reggeva al paragone dei Turinetti piemontesi, a’ quali tali lustre potevano benissimo allora conferire, per avanzarsi sempre un passo di più nell’estimazione pubblica. Se non clic il nostro marchese, all’esempio de’ pari suoi, tetragono ad ogni colpo, non s’inquietava punto che gli fossè tagliato il giubbone addosso, poiché pur di riuscire ne' suoi intenti, poco allevagli delle ciance altrui, dicendo col poeta... - Populuf nu sibilai, al mihi plaudo Ipse domi... (i). Intanto cominciavano più che mai a rivolgersi su di lui, gli occhi de’ veggenti e retti pensatori, i quali facevansi a giudicare con isfavore le sue azioni. All’ agente Coardi faceva coro nella critica il presidente Dcgubernatis, nizzardo, che nella sua qualità di ministro di Savoia serviva ciecamente il governo, il quale peraltro il ventidue novembre avvertiva che «... si trova il marchese molto alle strette, mancandogli il tutto per questa sua com- f1) Horat. Satyr. I, II. 340 GIORNALE LIGUSTICO parsa, la quale si crede si farà more pauperum! » Il Deguber-natis voleva alludere ad un incontro che doveva avere col conestabile di Francia al momento della tregua pei noti dissidii politici, che pendente la guerra della successione spagnuola avevano diviso i due Stati. In quel momento F aura spirava tutta dalle rive dell’ Arno. Il nostro marchese abitava il palazzo Medici, che si faceva accomodare. A Firenze egli spediva i suoi dipendenti in cerca di stoffe, per arredare quella sua abitazione, e far acquisto di abiti per se, per la marchesa e per la figlia. E siccome il commesso recossi a Fi-renze col mezzo di una lettera di credenza del conte Fede, agente del granduca (e che il Degubernatis tutto ligio al governo, si guardava bene dall’ intitolar di tal guisa, chiamandolo semplicemente il duca), così egli argutamente si faceva a soggiungere che... la fede questa volta è andata accompagnata dalla carità .. . La corrispondenza intima che il marchese Priero teneva col granduca era poco ben accetta al Degubernatis, a cui dava fastidio lo scorgere che quegli non avesse ribrezzo a trattare quel principe in quel modo, che pure gli conveniva. Ed informandone Vittorio Amedeo II, osservava che «... gli scrive per quanto intendo ad ogni ordinario e sempre col titolo spiattellato di Altera reale nella sovrascritta, et il conte Fede non lascia passar giorno che non sia da lui, essendo sempre ricevuto con distinte accoglienze. Nel presente congresso, quando risposi nella forma che V. E. avrà veduto nella mia precedente a S. A. R. alla proposta fatta dall' auditore circa la nunziatura , e venuto a toccare li trattamenti regii che il medesimo auditore diceva sarebbero stati di troppo gravi conseguenze per altri principi che li pretendevano, e il signor marchese aggiunse un ben lungo e sollevato panegirico al signor duca! di Toscana. Sono sicuro che quando s’intavolasse questa materia, non lascierebbe il medesimo d’imbro- GIORNALE LIGUSTICO 341 gliarla come ha fatto delle altre, per guadagnarsi l’animo di quel principe col quale si vede che ha troppa confidenza, avendone ultimamente ottenuto 1’ abito di S. Stefano al suo cavallerizzo con una commenda del reddito di cento piastre... (1) ». Fumo ed arrosto: insomma dell’uno e dell’altro aveva il signor marchese pasciuto il suo cavallerizzo, il quale se avesse servito il duca di Savoia, a quei dì non avrebbe al certo ricevuto favori così singolari. Ma ad onta di tutto questo il Priero finì nella sua legazione di Roma per riuscire poco accetto a tutti, e per la sua albagia, e pe’ suoi modi, e per il contengo e mene tenute con i sovrani esteri. Essendo però astutissimo, tuttoché cadesse qualche volta in errori madornali, ben sapeva rialzarsi, e così avveniva che per la sua potenza, in parte per la sua destrezza, continuasse ad essere protetto dalla Corte, a cui aveva offerto i suoi servigi, qualche volta riusciti fecondi di prospere risultanze. Esaminiamo pertanto ancora quel che il diplomatico succeduto al Coardi ci consente di accennare sul suo conto. L’abate del Maro nel settembre 1711 c’informa che monsignor Albani aveva avuto mezzo di esaminare alcuni dispacci inviati dal marchese di Priero all’ imperatore, secondo i quali avrebbe egli frastornata la disposizione della Corte di Vienna a restituire Comacchio, avvenimento succeduto indipendentemente dalla sua insinuazione. Avuto sentore di tale scoperta, il marchese negò bensì ch’egli avesse agito di quella guisa, ma intanto pareva al nostro abate che già cominciasse ad eclissarsi alquanto la sua stella presso la stessa Corte di Roma. Il nostro abate del Maro voleva ad ogni costo scorgere pure che la sua fama si annebbiasse anche presso le corti di Bar- (1) Archivio di Stato, luogo citato. 342 GIORNALE LIGUSTICO cellona e Vienna, e che da un momento all’ altro avesse a venir richiamato. La notizia era prematura, poiché d’ ordinario avviene çhe ben tarda è la caduta dei bindoli, tuttoché già privi della stima altrui. Ad onta di questo ; ad onta della rivalità che vi era tra il Priero e il marchese d’Avellino, amendue studiosi di procacciarsi la stessa ambasciata, ad onta che, come si è or ora detto, sembrasse scadere la riputazione del marchese, Γ abate del Maro tenevasi ancor molto a' suoi panni, temendo dell’ inimicizia di lui, e del pregiudizio che avrebbe potuto apportare al nostro governo nei maneggi che facevansi a quei di a Roma per lo stabilimento dell’ Economato regio ed apostolico de’ benefizi ecclesiastici. E la condotta dell’ abate del Maro era consona affatto a convenienza , poiché in mezzo alle fluttuanti notizie del sì e del no, del rimanere cioè il Priero ambasciatore a Roma, ovvero dell’ essergli surrogato il principe di Avellino, dopo 1 arrivo nel dicembre di un corriere straordinario a Roma il papa mandava monsignor Rasponi suo segretario d’ambasciata a rallegrarsi colla marchesa di Priero della destinazione del marito a quella legazione. Il papa poteva adunque assicurarla che il marchese avrebbe avuto la qualità di unico ambasciatore Cesareo e di Spagna, col soldo di trenta mila ducati, da percepire sul regno di Napoli. La notizia era data a Torino dall abate del Maro : e sebbene simultaneamente si divulgasse che forse il marchese non avrebbe fatta lunga residenza alla Corte di Roma, poiché probabilmente se gli riservava il vice-regno di Napoli : tuttavia esso abate lo avvicinava per sapere se avrebbe potuto far assegnamento su di lui per le contestazioni del Governo Savoino colla corte di Roma. Ma il furbo andavasi scusando alla meglio, mettendo fuori dubbi su punti di coscienza e religione, quasi chè questi germoglino nel terreno degli ambiziosi. Comunque, il Priero erasi valso di tale scusa discorrendone coir abate, « quale, sapen- GIORNALE LIGUSTICO 343 dolo... non molto versato nelle materie teologiche, riuscì facile di sciogliere i suoi dubbii...» Pochi giorni dopo si dava ufficiale la notizia della sua elezione ad ambasciatore in Roma delle due potenze sovraccennate , collo stipendio annuale di trentasei mila scudi romani. Intanto fra quei cangiamenti il marchese di Priero faceva una gita a Torino sul principio del nuovo anno 1712. Il che appena inteso dall’abate del Maro, questi facevasi un dovere di dare i consigli, secondo lui, più opportuni a seguirsi sul modo di regolarsi con esso, uso a saper tener benissimo il piede in due staffe. Egli pertanto facevasi scrupolo di suggerire al duca stesso «... essere precisamente necessario ch’ella vada molto ristretta nelle spiegazioni con esso sopra le intenzioni che si hanno per la condotta di questi negozi ed anche intorno alle intenzioni eh’ ella può avere per facilitarne la conclusione, perchè è indubitatissimo che il marchese ne farà una piena confidenza al papa al suo arrivo, il che mi pare sarebbe di sommo pregiudizio alli interessi di V. A. R. Di più ella deve sapere che il marchese non perde mai occasione, trattandosi di queste materie, di dire che qualunque persona che sia per assumere il maneggio di questo negozio non spunterà mai dal papa maggiori facilità di quello che esso marchese ha spuntato. Egli si fa un punto di voler sempre mantenere in piedi il progetto di aggiustamento da esso minutato; onde può essere ben certa V. A. R. che il papa non ha ministro più zelante di esso, acciocché il medesimo non resti derogato in qualunque minima sua parte : tanto egli è appassionato e geloso di quel suo posto. Io non mi avanzo a dire a V. A. R. che quest’ uomo sia capace di volere sacrificare gli interessi di V. A. R., ad oggetto di rendere il papa più favorevole delle occorrenze del suo principale ministero, sebbene che simile concetto cammina 344 GIORNALE LIGUSTICO molto in questa corte; ma è pur troppo vero, sia per difetto di cognizione o di applicazione, egli si è lasciato talmente prevenire a favore delle pretese ragioni della Corte di Roma in queste nostre differenze , che non è possibile di rimuoverlo dalla sua prevenzione. Peraltro mi sono molto sospetti li raggiri praticati da questa Corte, per promuovere la conferma della sua ambasciata ed il giubilo che ne manifesta questo ministero : e lo stesso papa mi fa ragionevolmente dubitare che se ne attendino grandissimi avvantaggi alli propri interessi ». L abate del Maro esponeva in massima parte il vero stato delle cose, ma non bisogna dissimulare, che punto anche qualche poco dall’ emulazione d’impiego, formava castelli in aria e vedeva corpi ove non c erano che ombre. La grande meraviglia eh’ egli supponeva nella Corte di Roma per l'escursione in Piemonte del marchese di Priero era dall’ abate del Maro ingrandita al certo : senza dubbio che la Corte di Roma, la quale faceva assegnamento sull’accondiscendenza del marchese, poteva sempre temere che questi, trattando col suo sovrano, potesse lasciarsi di troppo guadagnare al suo, dirò così, regalismo, ma è ben anche vero che quel governo sapeva abbastanza trar partito del marchese, che colla sua ambizione aveva bisogno dell’ appoggio di tutti. Così del paro erano dubbiezze dell’ abate del Maro i timori supposti da lui nella marchesa di Priero, temente assai della presenza del marchese a Torino , che secondo lei avrebbe fatto bene ad esimersi da tale escursione , la quale poteva pregiudicare alla sua fortuna. Del resto 1’ abate del Maro poteva rifrancarsi sulla presenza del Priero alla nostra Corte, poiché se questa acconsentiva a discorrere con lui delle quistioni pendenti, teneva seco il massimo riserbo, e non lasciavasi trar dall’ orbita assegnatale dalla sua convenienza. E ce ne può persuadere GIORNALE LIGUSTICO 345 Γ informazione datane all’ abate suddetto dallo stesso Vittorio Amedeo II (i). Il soggiorno del marchese a Torino non fu del resto molto lungo, ed il primo di marzo faceva ritorno a Roma ; dove giunto, tosto 1’ abate del Maro lo visitava, facendosi illusione che avrebbe difese con vigore le ragioni del duca nelle controversie sue con Roma. Essendosi anche interessato l’imperatore, il del Maro formavasi buona idea e sperava che specialmente nella vertenza dell’ Economato , il Priero si sarebbe comportato come si desiderava. Senonchè codesti non dovevano essere che lucidi intervalli, poiché l’indole stessa del marchese, le sue inclinazioni non dovevano lasciar buon pronostico eh’ egli dovesse in ultima analisi conciliarsi troppo le simpatie delle corti presso cui era accreditato ; tant’ è che poco dopo il del Maro informava la nostra Corte, che sebbene il Priero fosse atteso a Roma come il Messia, tuttavia il papa non avevagli ancora ne’ quindici o sedici giorni dal suo arrivo conceduta udienza. (i) « Il marchese di Priè deve partire per costà a momento, dobbiamo dirvi che in diversi lunghi ragionamenti che abbiamo avuto con esso lui, dopo averci dato a divedere il suo rammarico che ci si potesse essere stata fatta qualche sinistra relazione in riguardo ai suoi operati costì , siamo entrati nelle materie controverse , non avendogli noi lasciato motivo di credere che vi sia in noi verun pensiero di riassumere minori trattazioni con cotesta Corte; che anzi siamo risoluti fra qualche mese di divenire all’ atto pratico nella materia dell’ immunità reale ad esempio di Milano, Venezia ed altri Stati d’Italia e particolarmente dello Stato Pontifìcio. Che in quanto alla materia benefiziarla non ci portassero più alla facilità data, che certamente pendente il nostro Governatore di questi Stati non cangieremo mai questo sistema. Quanto poi all’ affare dell’ Economato, se gli n1 è fatta un’ ampia relazione in un congresso dal Marchese di S. Tommaso di tutte le ragioni che l’appoggiano e dell’insussistenza di codeste asserzioni, andandone però egli istruttissimo, di qual relazione vi mandiano pur qui acclusa una memoria per vostra maggiore informazione... Roma, Lettere, Ministri — Mazzo 148. 346 GIORNALE LIGUSTICO Questo proveniva dalle solite pretese del cerimoniale ; infatti il marchese faceva difficoltà d’intervenire alle solennità, a cagione del posto preteso dal governatore, di Roma. Egli voleva che se gli desse una dichiarazione autentica, scritta, da cui risultasse che il posto di quel governatore, tuttoché più vicino al papa, non induceva precedenza sugli ambasciatori, risguardando la sola sua persona, come investita di quell’ufficio. Il papa trovava ostico a piegarsi, osservando che l’imperatore aveva ceduto su quel punto : ma noi lasciando che i due contendenti si dibattano fra loro, raccogliamo il frutto che proveniva da tali discrepanze, osservando col del Maro che «... l’inflessibilità del marchese di Prié sopra questi due capi ha molto pregiudicato all’ aura favorevole che egli ha sinqui avuta in questa Corte, e pare che qui si cominci a mutare linguaggio a suo riguardo... ». Il Priero agiva in queste pretese giusta le mire dell’ imperatore, il quale alieno dal cedere d’ un punto sulla ragione della precedenza dei suoi ambasciatori e disposto a sostenerla anzi col massimo vigore, approvava perfettamente 1’ operato suo. Il Papa sembra che cominciasse a piegare , e dopo vari mesi fosse disposto a concedere al Priero un’ udienza semipubblica. Ma ecco sollevarsi da lui altra pretesa in quanto all’ asilo. Egli già aveva dichiarato di non poter tollerare che innanzi alla porta del suo palazzo, dove stavano appese le armi dell’ Imperatore, avesse a passare il bargello. Quand’ecco il mattino del ventinove giugno alcuni birri osarono farsi vedere in quei luoghi vietati. Allora un di essi rimase subito maltrattato dai servitori di livrea del Priero, e maltrattato in modo che sembrava quasi esanime al suolo. La Curia ne mosse alti clamori, e pubblicando i soliti cedoloni e bandi di vita contro gli autori dell’ attentato, pareva minacciarsi un fiero nembo, che poi per convenienza si dileguava, allorché GIORNALE LIGUSTICO 347 scorgevansi i potenti armeggiarsi anch’ essi e farsi ad opporre gagliarda resistenza. Codesti attriti peraltro non erano favorevoli a conservare il marchese di Priero nelle buone relazioni con Roma, e persino collo stesso imperatore se dobbiamo già sin d’allora prestare piena fede alla asserzione dell’ abate del Maro « ... Posso assicurare V. A. R., egli scriveva il due luglio a Vittorio Amedeo,... di aver veduto lettere di più di un ministro di Vienna venute quest’ ultimo ordinario, che tutti uniformente assicurano che l’imperatore è così poco soddisfatto del maneggio del marchese di Priè in questa ambasciata, che sta determinato di rimuoverlo e che in sua vece verranno appoggiati gli affari al nuovo cardinale di Scherotombach vescovo di Olmitz , e di poi sarà facilmente conferta 1’ ambasciata al Conte di Staremberg per rimuoverlo con tale specioso pretesto dalla carica di presidente della Camera... Io vedo il marchese molto agitato e quasi costernato ...» (i). Le cagioni del malumore dell’ Imperatore contro il Priero erano queste : i. perchè avesse cotanto ritardato a presentarsi in pubblico, pregiudicando in tal guisa i suoi interessi, poiché a motivo di quegli indugi non aveva potuto essere ammesso all’ udienza del Papa ed intavolare i negoziati ond’ era stato incaricato; 2. perehè egli in molte cose avesse agito a suo arbitrio nè giusta le istruzioni ricevute; 3. perchè dimostravasi trascurato nell’attendere al carteggio, rimettendo a sole certe epoche assai distanti le notizie eh’ era tenuto di spedire giornalmente, il che a dir vero produceva il grave inconveniente che la sua corrispondenza riusciva troppo voluminosa in una volta, e la Corte non era informata di quel che le interessava di sapere a poco a poco. In quanto peraltro alle relazioni del marchese con Roma, (1) Luogo citato. 348 GIORNALE LIGUSTICO 1 abate del Maro, tuttoché avesse poca stima di lui, per non pregiudicare gli interessi del suo governo, intromettevasi a pacificare i due dissidenti, e rappatumarlo con essi pel grave dibattito a cagion dei maltrattamenti del bargello, come vedemmo poco fa. Quindi in grazia del nostro abate ai primi di luglio il Priero otteneva dal Papa quell’ udienza, da mesi e mesi sospirata, in cui, se è vero quanto questi assicurava all abate, aveva egli caldeggiato la concessione del- 1 Economato al duca, a cui il Papa non erasi in massima dimostrato alieno. Ma era un’ illusione, poiché poco dopo il del Maro ragguagliava la Corte che il marchese non si scorgeva più di quel sentimento , e che col mezzo di artificiose insinuazioni cercava d’indurlo a seguire certi appigli, suggeritigli dalla stessa Curia, che non avrebbero al certo approdato al fine che si desiderava. Quindi é che P abate giudiziosamente facevasi a rispondergli senz’ altro , che la sua condotta doveva regolarsi a tenore degli ordini eh’ egli aveva dalla Corte, i quali erano cosi precisi, da non lasciargli ammettere la benché menoma innovazione. Parendo poi poco dopo che il negozio dell’ Economato prendesse qualche buona piega, 1’ abate del Maro , affine di non creare il menomo incaglio, e non lasciar credere che ottenendosene il buon esito, tutto il merito non avesse ad ascriversi al marchese, il sei di agosto così scriveva al ministro. «... In riguardo poi del marchese di Prie io li ho fatto un intiero sacrificio di tutta la gloria che si può raccogliere dalla conciliazione di questa differenza, la quale io vado dicendo essere tutta opera sua, ςοη che senza invidia io consento eh egli se ne faccia merito con questa Corte; peraltro poi è stato in questo frangente, e temo che sarà sempre, molto equivoco 1 interno di questo uomo, ma per il bene del reai servizio io mi manterrò sempre con esso in quella esatta osservanza ed attenzione che si conviene : per questo motivo GIORNALE LIGUSTICO 349 sarei pure di parere nella prima congiuntura che S. A. R. desse in questo proposito qualche pastura alla di lui vanità, per mantenerlo al possibile in avvenire nel dovuto attaccamento, caso che io potessi procedere ad ulteriori trattazioni. .. (i) ». Senonchè era inutile faisi illusione : poiché il malfido marchese , a cui nessun’ offa poteva saziare ornai la sua immensa cupidigia ambiziosa, non lasciava più dubbio sulle sue mire di corteggiare chi poteva favorirlo ne’ suoi fini. Tant’ è che poco dopo 1’ abate del Maro doveva ammettere eh’ egli da qualche tempo non era più riconoscibile, e che se non avesse avuto moglie tale, che si poteva pronosticare sarebbe vissuta più di lui, si avrebbe dovuto credere «... che gli fosse entrato in corpo il catarro di diventare cardinale ; certo è che non potrebbe essere più zelante e parziale per questa Corte... » (2). Dei resto il marchese in quel momento era tutto intento a prepararsi per la pubblica udienza, in cui doveva sfolgoreggiare in cocchi, cavalli e livree. Anzi correva voce ehe 10 stesso Papa fosse quel desso che doveva fornirgli buona parte del danaro, affine di tenerselo afletto, per ottenere col suo intervento alle pubbliche funzioni il preteso trionfo della Corte sul punto della precedenza del governatore di Roma sugli altri ambasciatori. E quella pubblica comparsa seguiva 11 sette di settembre con grande sontuosità; e di poi il giorno seguente alla cappella pontificia, tenutasi alla Madonna del popolo, ove fu ammessa la precedenza del governatore di Roma sull’ ambasciatore Cesareo con grande soddisfazione di questa. Proseguendo le relazioni tra il marchese e Γ abate del Maro in un terreno cotanto franoso, e con mire affatto op- (1) Luogo citato. (2) Id. sso GIORNALE LIGUSTICO poste Γ uno dall’ altro , erano inevitabili gli attriti. Premesso che il Priero pareva vincolato colla stessa Corte di Roma, a cui favore avrebbe di mero suo arbitrio ammessa una facoltà di disporre di benefizi e vescovati controversi nel Napolitano, senza la stessa annuenza imperiale, sembra eh’ egli, per non pregiudicare menomamente l’imperatore, propugnasse il principio di escludere della concessione dell’ Economato savoino le provinole d’Asti e di Vercelli, come anticamente smembrate dal Ducato di Milano. E questa pretesa cagionava bisticci tra il Priero e l’abate del Maro, turbato di simile condotta in lui , siccome quella eh’ era in disaccordo colle intenzioni del suo governo e contraria alle sue istruzioni. L’ abate diedesi molto studio ad impugnare tal clausola, che definiva arbitraria affatto per parte del marchese; ma ebbe molta pena a farlo sbottoneggiare, sinché « una sera, egli scrive, ruppe il silenzio e con lungo discorso si accinse a persuadermi che il debito del suo ministerio per sua disgrazia Γ aveva costituito nella fatale necessità di attraversare il concepito accordo , sicché egli ne stava con grandissimo rammarico ...» Essendo presente al colloquio anche 1’ agente di Spagna a Roma , 1’ abate del Maro non lasciò persuadersi dalle effimere argomentazioni dei due disserenti, e tenne buono per non ammettere l’invocata esclusione di quelle due provincie , come contraria agli interessi del suo principe. E naturalmente quel colloquio, come torna ad onore dell’abate, così lascia sempre più radicar l’opinione che la situazione del marchese era molto imbarazzata, costretto qual era ad essere servitore di due, ed anche di tre padroni. E come succede, con quel modo d’ agire non si acquistava al certo credito; e coloro stessi con cui erasi confidato, quali il consigliere Laccini, monsignor Costantini, eletto arcivescovo di Traili, monsignor Sardini, e persino l’agente di Spagna non lasciavano di far commenti sulla condotta del marchese. GIORNALE LIGUSTICO 351 Discorrendone infatti coll’ abate del Maro, costoro lasciavangli intendere, che il Priero sperava con quel sistema di ritrarre notevole vantaggio, qual si era quello di fornire gagliarda riprova ai suoi nemici che avevano tentato di nuocergli sul fondamento del preteso suo attaccamento agli interessi del duca di Savoia. Il meglio sarebbe stato di lasciar il marchese guazzare nella sua broda, ma 1’ alto grado che teneva, e il timore , come già dicemmo, di averlo poi nemico dichiarato, inducevano il nostro governo a dissimulare ancora, maneggiandosi tuttavia con lui con quella diffidenza, infine richiesta dalla sua condotta. E qual prova maggiore si voleva, contro colui che quasi non bastasse a persuadere qual uomo egli si fosse, di continuo frequentava i più grandi emuli di Savoia, Venezia e Toscana, cioè gli agenti di questi Stati? Agendo da vero diplomatico P abate del Maro, per quanto ornai riconoscesse che il marchese tenevasi nella massima soggezione e diffidenza con lui, tuttavia dimostravasi ancor più assiduo a casa sua, affine di essere meglio in grado di scoprire i suoi raggiri e segreti maneggi, specialmente colla Corte di Roma. E duole veramente di dover sotto la data del dodici novembre leggere questo brano del dispaccio del-1’ abate «... Per essere bene accolto da quest’ uomo, è necessario applaudire a tutto ciò eh’ egli dice ed a tutto ciò eh’egli fa: sopra di questo capo non mi riesce difficile di soddisfarlo, ma il punto si è che egli non può patire che io abbia la benché minima relazione con certe persone eh’ egli dichiara sue nemiche, solo perchè non cedono ciecamente a tutti i suoi voleri, quantunque siano ministri e salariati dallo stesso imperatore. Il servizio di V. A. K. esige da me che io mantenga una esatta corrispondenza con questi soggetti, altrimenti starei troppo male delle notizie che mi sono necessarie per la mia condotta, se queste derivassero solo dalle 352 GIORNALE LIGUSTICO insinuazioni del detto marchese. Io non tralascio di frequentare la sua casa con la stessa regolarità, ma egli sfugge quanto può di lasciarsi vedere e di entrare in discorso con me ...» (i). Triste uffizio dell’abate del Maro, il quale peraltro ottemperava ai precetti avuti dalla Corte di Torino: poiché il duca già sin dall’ arrivo del marchese in Roma avevagli ingiunto di dover bensì continuare a mantenersi in buona corrispondenza col Priero «... ma senza confidargli i nostri affari ...» E più tardi cioè il 25 ottobre (1712) avevagli replicato «... Non è men proprio della vostra disinvoltura il maneggiarvi nella forma che fate col marchese di Prié, con cui è altresì conveniente che procuriate di mantenervi in quella prudente corrispondenza che si richiede... (2) ». L· vero che essendo dì quei di capitata a Roma quella testolina sventata del marchese di Susa, figlio adulterino di Vittorio Amedeo II e di Giovanna Scaglia contessa di Ver-rua, di nome Vittorio Francesco, che il suo padre poco convenientemente desiderava venisse, come poi ottenne, dalla Curia reso capace di benefizi ecclesiastici, il marchese di Priero avevagli offerto e alloggio e patrocinio ; ma codesti tratti di cortesia significavano ben poco; anzi Vittorio Amedeo non desiderava punto che il marchese se n’ impacciasse troppo, ed in tal senso facevasi a scrivere all’ abate del Maro. Il nostro duca aveva perfettamente ragione di tener lontano il Priero, poiché si seppe subito dopo che aveva tentato distogliere il vice-re di Napoli dal trattare con distinzione il marchese di Susa, come quel vice-re svelava al cardinale Barberini , da cui poteva saperlo Γ abate del Maro. Dopo tratti cosi accentuati la nostra Corte, salvando, come (1) Luogo citato. (2) là. GIORNALE LIGUSTICO 353 soleva, colla dignità che le era propria le apparenze, si tenne infine nel massimo riserbo con quel signor marchese. Quindi le notizie del residente di Roma su di lui si raggirano d’indi in poi unicamente sulle nuove voci che sino dal 1712 divul-gavansi sul suo richiamo, che 1’ abate del Maro si augurava non lontano , quantunque anche questa volta 1’ astuto marchese sapesse ancora distogliere da se quel colpo per qualche tempo. Il ventisei novembre 1’ abate informava Vittorio Amedeo II di aver inteso da monsignor Costantini, essere stata a pieni voti decisa dal Consiglio intimo dell’ Imperatore la rimozione sua da Roma. Egli soggiungeva che fra brevissimo tempo se ne sarebbero scorti gli effetti ; che già erano stese le istruzioni pel suo successore, che sarebbe stato un tedesco. Si diceva, essere già persino in predicamento tre candidati , capaci di tenere quel posto , ma che il nunzio a Vienna faceva il possibile per lasciar vivere in pace il marchese. Ma come già altra volta, anche questa, la notizia era precipitata e prematura. Il marchese di Priero aveva i suoi protettori compri, che sin allora lo avevano sostenuto. Ned egli perciò davasi troppo pena di quelle voci : tant’ è che richiamati dal collegio di Siena, ove stavano in educazione, due dei suoi figli, faceva loro vestire 1’ abito ecclesiastico in Roma, per affidarli al collegio romano. Abbiam detto giustamente che il marchese faceva assegnamento sui suoi protettori, che allontanavano pel momento da lui ogni danno. Infatti qual maggior protettore che lo stesso Clemente XI, il quale servillo al punto, da scrivere persino brevi premurosissimi all’ imperatore e all’ imperatrice. Ce ne informa 1’ abate del Maro, il quale peraltro nella sua lettera del quattro marzo 1713, illudevasi che quei buoni uffizi, anziché giovare al marchese, avessero invece a nuocergli. È vero che poco dopo spargevasi per Roma che il conte di Giokn. Ligustico. Anno XJV. 25 354 GIORNALE LIGUSTICO G alaseli era stato destinato a succedere al marchese ; ma è anche vero che la Curia non aveva molta soddisfazione di quella nomina, temendo 1’ umor suo e spiacendole di perdere il Priero « col quale ella sta bene intesa ». Se nel fondo l’abate del Maro questa volta dimostravasi buon profeta, dovevano ancora trascorrere parecchi mesi, prima che avessero ad effettuarsi i suoi disegni. Quindi è che solo dopo un anno, cioè il cinque maggio del 1714, poteva scrivere alla nostra Corte che «... il marchese di Priè vuole stabilire un picciol ghetto in questo paese, e però va facendo compra di quadri e stracci vecchi (perdoni il signor abate, ma forse il Priero aveva gusto artistico, ed i cimeli d’ arte onde poteva arricchirsi in quella Città, non vogliono essere confusi coi cenci). Priè ha ricevuto 1’ ordine replicato di partire, onde credesi che la dovesse finire una volta. Ha dato ordine di prendersi un casino dirimpetto al convento dei Trinitari, che è il più distante e solitario borgo della città, et intendo che il suo agente abbia preso quel medesimo che fu assegnato al duca Chalas nel principio di questo secolo nel suo ritirato esiglio, dove abitò tutto il tempo che non si dichiarò del nostro partito, onde crederei che il Priè volesse fare ristesso...». Finalmente la cotanto desiderata partenza del marchese avveniva il mattino del tre giugno , avendo egli saputo per lo spazio di un anno, alla mercè dell’appoggio pontificio, combattere contro chi lo voleva allontanato da Roma. Egli partivasi adunque colla moglie e figli, e dicevasi che muovesse direttamente alla volta di Vienna senza nessuna sosta altrove. E caso curioso , lo stesso mattino partivasi pur di Roma 1 inviato della Repubblica di Genova, essendosi rotti i negoziati che si maneggiavano allora per conciliare quella Corte colla Repubblica. Del resto se il Priero ritiravasi da Roma, non lasciando altro rammarico che quello dell’ interesse che di lui aveva GIORNALE LIGUSTICO 355 quella Corte, non era ancor suonata P ora di ricevere il premio dell’ indole sua poco conciliante, dispotica ed altera. L’imperatore Carlo VI lo presceglieva adunque alla cospicua dignità di governatore generale delle provincie del Belgio, a vece del principe Eugenio, dove fu bene accolto, perchè preceduto dalla fama di fortunato ed accorto diplomatico. Sulla legazione belga versa per 1’ appunto il citato lavoro del signor di Réumont, al quale rimandiamo il lettore che possa aver vaghezza di conoscere i particolari di quella legazione, che fu peraltro la tomba della sua fama «... La buona opinione ... e la fiducia con cui era stato ricevuto svanirono presto quando la gente s’accorse, che per quanto profondo politico ed abile e fine diplomatico , esso non possedeva quelle qualità che i Belgi apprezzano maggiormente in coloro che sono chiamati a governarli: gli mancavano franchezza e sincerità. L intrigo e 1’ astuzia erano i mezzi di cui amava servirsi. I suoi modi erano tutt’ altro che concilianti. Gelosissimo della propria autorità non soffriva contraddizione, nemmeno da parte di coloro che erano autorizzati a dargli consiglio... » (i). A compimento di questa Nota, altro or più non ci rimane che, a cornice del quadro, ricordare qui il fine della carriera diplomatica del marchese di Priero, che come talor avviene agli ambiziosi e prepotenti, ebbe un bel di, sebben assai tardi, a pagare il fio della sua passione. Egli è facile comprendere quanto in un paese, memore delle antiche liberta, 1 impopolarità sua dovesse tardi o tosto nuocergli e ripercuotersi persino sulla sua famiglia. Mentre una sera del luglio del 1717 la marchesa col marchesino, colla signorina ed akuni amici di casa faceva ritorno a Bruxelles da una passeggiata in carrozza, compiuta sui baluardi della città, per rinfiescarsi , non avendo voluto dar la parola d ordine ad un corpo di guardia (1) Apud Réumont, luogo citato. 356 GIORNALE LIGUSTICO della milizia cittadina, questa naturalmente impedì oltre il passo a quella brigata. Invece di giustificarsi, quei signori subito vollero metter mano alla spada; e così provocavano la sentinella che fece fuoco, senza però che alcuno di quei troppo premurosi spadaccini avesse a ricevere nemmeno una leggiera scalfittura. La marchesa e la figlia naturalmente, come donne, furono invase da un po’ di timor panico, ma tanto bastò perchè il marchese, per la qualità diplomatica di cui era investito, ne menasse grave rumore; e pretendendo subita riparazione, chiedesse la punizione del soldato che aveva sparato. Senonchè il consiglio di guerra non volle dar retta ai richiami del Priero, ed invece assolse i militi cittadini , s’immagini il lettore , con quale stizza di lui. Ma non era quello il solo boccone amaro che dovesse egli trangugiare nella sua legazione belga. Poco dopo, stando un dì nel suo legno presso la piazza, ebbe ad imbattersi nella stessa guardia cittadina, che avvia-vasi ad occupare il suo posto. L’uffiziale che capitanava quel drappello fece naturalmente passar la carrozza. Allora il marchese tosto mise fuori dallo sportello la sua testa, per ordinare di mal piglio al suo auriga di procedere innanzi ad ogni costo. Chi sa, se coi bei modi del perfetto gentiluomo avesse almeno fatta la raccomandazione col noto addante, Pedro, con juicio detto dal gran cancelliere Ferrer al suo cocchier Pietro, giusta il romanzo Manzoniano , forse egli avrebbe evitato quel eh’ ebbe invece a seguire. Infatti i soldati indispettiti, senz’ altro afferrarono i cavalli per la briglia, ed aiutati dal popolo, li fecero retrocedere. Anche questa volta non si die’ retta alle esclamazioni del marchese : anzi il volgo, mentre nel palazzo di città si stavano prendendo le deliberazioni opportune, non lasciava d’ingiuriarlo e schiamazzare per la piazza , lanciando amari epigrammi contro l’austro-subalpino diplomatico. GIORNALE LIGUSTICO 357 Non molto appresso egli ebbe parola di risentimento per un discorso fatto contro la regina Elisabetta di Spagna col conte di Bonneval, uomo battagliero, esule a Bruxelles, ma egregio soldato che aveva anche militato con onore nel-Γ assedio di Torino. Questi provocò il marchese a duello, ma il neo-gentiluomo fu contento assai che la qualità di diplomatico potesse servirgli di qualche scusa per non trar dalla vagina quella certa spada gioiellata, regalatagli, come dicemmo, dallo zio banchiere; e trovò anzi maniera di far chiudere il nobile suo competitore nella cittadella di Anversa. Senonchè Bruxelles doveva essere, come annunziammo, la tomba della sua riputazione : come talor succede ai vanagloriosi e prepotenti, la sua stella finalmente accennava a rapido tramonto. Nello stesso anno 1717 , sempre secondo il Réumont, brogliatosi colla borghesia della provincia, per dissensi sui privilegi delle arti, questa fini per darsi ad aperta ribellione. Chiamato P intervento delle milizie tedesche, si riuscì bensì a quetar la sedizione : costituivase del pari il processo, che terminava coll’ esilio di molti e la condanna a morte di un fabbricante di sedie, che fu giustiziato il 19 settembre del 1720. Ma codesti fatti colmarono P impopolarità del marchese di Priero, che s’ accrebbe la disistima anche de’ magnati, per la sua straordinaria negligenza e trascuratezza nel disbrigo degli affari, giunta al punto, da lasciare egli senza risposta le lettere e i dispacci dei ministri di Vienna, e persino del principe Eugenio di Savoia. Con tutto questo non si prendevano ancora risoluzioni definitive contro di lui, e solo nel 1724 il Consiglio supremo dei Paesi Bassi indirizzava all imperatore un’ istanza che riprovava la sua condotta. Nemmen quest’ atto scioglieva per anco il nodo ; e fu mestieri che il principe Eugenio, con un tratto di eroismo, degno di lui, si facesse a rinunziare alla carica di governatore generale, con 358 GIORNALE LIGUSTICO che veniva di sua natura meno 1’ ufficio del Priero. Il quale finalmente nel 1725 lasciava Bruxelles, accompagnato bensì da testimonianze dJ onore per parte del governo rese al suo grado, ma senza la menoma stima della popolazione, lieta anzi della sua partenza. Il suo successore, Ulrico Filippo Lorenzo di Daun, feld-maresciallo, già governatore di Vienna ed antico vice-re di Napoli, istituiva tosto una giunta per esaminare la condotta di lui. Ma egli non ebbe tempo di vederne il successo, poiché prostrato moralmente e fisicamente di forze, il 19 gennaio 1726 morivasi a Vienna, senza poter più rivedere la patria, Del resto, tuttoché il Priero, travagliato dal rovello del-1 ambizione, avesse finito per pagar il fio della sua passione, tuttavia in mezzo ai lucidi intervalli seppe rendersi utile al suo paese, che se può ad ogni modo, ad onta de’ suoi difetti , noverare in lui un valoroso diplomatico, che sino a certo punto acquistossi fama, per essersi adoperato nella pratica delle Corti, nella peregrinazione del mondo , nelle consulte de principi e nel governo difficile di provincie, deve anche sapergli grado di buone istituzioni da lui promosse. Non indifferente alle arti belle, onorò di sua protezione artisti ragguardevoli de’ suoi giorni, ed al celebre cav. Francesco Trevisani, insigne pittore di Capo d’Istria, i cui lavori onorano le gallerie di Roma, Pietroburgo, Parigi ecc., commise di dipingergli la sua rispettabile persona. Oltre a particolari istituzioni benefiche, provvide a che a proprie spese venisse eretto 1 altare, splendido per Torino, che adorna la cappella gentilizia dei Turinetti nella Chiesa del Carmine, dove un’ampollosa iscrizione ricorda tutte le sue qualità, colla litania delle sue geste, ed anche lo stabilimento per tutta la cristianità della festa della Concezione della B. V. istituita da Clemente X, ipso adbortante, se 1’ epigrafe non falla. All esempio di lui, i suoi discendenti non zelarono [meno GIORNALE LIGUSTICO 359 1’ innalzamento della lor famiglia. Giovanni Antonio suo figlio, divenne grande di Spagna, cavalier della chiave d oro, consigliere di Stato, ciambellano di Carlo VI, ecc. ecc. Del ramo del nostro marchese Ercole, Simone Ercole EpiUtto Flaviano Demetrio (era un solo personaggio) prese parte ai movimenti del 1821 , e condannato a morte in contumacia , e confiscatigli i beni, rituggiossi a Bruxelles. Il signor di Rëu-mont afferma che la sua discendenza esiste ancora oggi giorno. L’altro ramo della famiglia, procedente dal fratello del nostro Ercole II, cioè Antonio Maurizio, colonnello, e marito di Rosa Gabriella Doria, ebbe nel suo nipote Giuseppe Maurizio Francesco, conte di Pertengo, il marchesato di Cambiano nel 1772, nell’occasione eh’ erasi posto all’asta per ritrar danari, affine di concorrere all’ erezione del nuovo vescovato di Susa. A questo ramo appartenne il magnifico palazzo sulla piazza di S. Carlo di Torino, rinomato per una bella galleria di quadri, scelta biblioteca, ed anche eccellente canova ne sotterranei. Ultimo di questo ramo si fu il marchese Giuseppe Maurizio , che sebben si fosse ammogliato due volte, morì improle nel 1758, raccomandando all’erede di aver ben cura del dipinto del Trevisani sullodato, e del bel quadro del Coreggio rappresentante la sacra famiglia che e nel tremò della galleria. Allo stesso erede legava le proprietà di Chieri, Pino, Pe-cetto e Baldissero, «... desiderando che la mia agnazione continui ad aver parte fra i cittadini dì Chieri donde trae la sua origine, con quel lustro e rispettoso attaccamento che tramandatomi da miei maggiori, mi sono sempre studiato di conservare... (1) ». L’erede fu il suo cugino Giuseppe Maurizio Turinetti, (1) Dalle memorie manoscritte sulle famiglie nobili del Piemonte, presso 1’ autore. 360 GIORNALE LIGUSTICO divenuto così, marchese di Cambiano. I quali secondi marchesi di Cambiano si estinsero nel marchese Brunone , marito di Adelaide Rippa, che mori improle nel 1862. Siccome avviene di ogni cosa, galleria, libri ecc. dei Cambiano andò qua e là dispersa, e lo stesso palazzo, originatosi da un banchiere, strana vicenda, doveva divenir proprietà di altro non men dovizioso banchiere de’ giorni nostri. Le memorie quindi di questa famiglia in Torino si riducono alla cennata cappella del Carmine , ove nel frontone campeggia un enorme stemma gentilizio a varii cimieri, ed adorne di un gran collare dell’ Annunziata, del resto lavoro del valente bulino del Clemente. Comunque, questa breve Memoria varrà nondimeno ad assodare che l’innalzamento di questa famiglia dovuto alla Casa di Savoia, sarà sempre onorifico ai nostri principi. Infatti coll’ essersi essi dimostrati in tal guisa superiori ai pregiudizi de’ loro tempi, nell’esaltare i Turinetti giovarono al paese, poiché i Turinetti coi loro uffici, istituzioni e splendidezza di condizione conferirono non poco al decoro e ai vantaggi de’ loro concittadini ed all’ incremento delle arti belle. VARIETÀ SPIGOLATURE GENOVESI NELL’ARCHIVIO VATICANO (l). Martino V. — 1420, 18 martii — « Dilecto filio Antonio de Roncho de Janua, rectori ecclesie sancti Michaelis Caffensis, Apostolice Sedis nuntio ». Concerne la « collectoria Caphensis, Soldaye et Gotyc civitatum ». — « Dat. Florentie, xv kal. aprilis, pontificatus nostri anno tercio (Registro 349, fol. 18). (1) Ved. Giornale Ligustico, a. 1885, p. 53. GIORNALE LIGUSTICO 36X 1420, 15 maii — 1 Dilectis filiis priori monasterii sancti Mathei ianu- ensis..... et arcidiacono maioris ac preposito sancti Georgii ianuensium ecclesiarum ». Scomunichino gli usurpatori dei beni pertinenti alle suore benedettine « conventus monasterii sancti Nicolai de villa sancti Martini de Ircis (i), Romane Ecclesie immediate subiecti ». — Datum Florentie, idus maii, anno tercio » (Reg. 358, fol. 114). 1421, 6 decembris. — « Dilecto filio Baptiste quondam Symonis de Rapalo, preposito ecclesie sancte Marie de Vineis ianuensis, nostro et Apostolice Sedis nuncio, ac in provincia ianuensi et ceteris aliis civitatibus et diocesibus fructuum, reddituum et proventuum Camere Apostolice collectori. — Datum Rome, apud sanctum Petrum, vm idus decembris, pontificatus nostri anno quarto » (Reg. 349, fol. 239). 1422, 28 augusti — « Dilecto filio Francisco Spinule de Janua, ordinis minorum expresse professo...... Cum itaque, ut fide dignorum relatu percepimus, in insula Scios, in Pera ac Caffa et montibus Caspiis ac partibus circumvicinis, ubi christiani plurimum degunt, nonnulla loca ordinis minorum existant, ubi fratres iuxta qualitatem locorum satis in bono numero esse solebant, qui fidelibus multum profectum afferebant...., ipsaque loca adeo huiusmodi fratribus diminuta sunt.... Nos... te, cui multa dona virtutum largitor earum Dominus contulit..., humeris tuis aliquod onus duximus imponendum....... Tue igitur devocioni, cui dilectum filium Dominicum Bartholomei de Caffa dicti ordinis expresse professum, virtutibus ac moribus conspicuum, horum serie in socium damus, ut tecum continuo sit, eligendi et assumendi de partibus Italie et ipsius vicariis de pre-fato ordine usque in quadraginta viros religiosos sufficientes virtuosos ac probos....., inter presbiteros et conversos, pro ut tibi videbitur, pro trans- mictendo eosdem ad loca prefata (committimus)....... Datum Vicovari Tiburtine diocesis, quinto kal. septembris, pontificatus nostri anno quinto » (Reg. 358, (Reg. 354, fol. 87). 1423, 17 ianuarii. — 1 Dilectis filiis sancti Bartholomei de Fossato et sancti Stephani ianuensium abbatibus, ac archidiacono Ecclesie ianuensis ». Pronuncino la scomunica contro gli usurpatori dei beni pertinenti alla Chiesa di Scio, de’ quali si era querelato alla S. Sede t venerabilis frater noster Leonardus episcopus Chiensis » (2). — Datum Rome, apud sanctum Petrum, sextodecimo kal. februarii, anno sexto » fol. 145)· (x) Ora S. Chiara d* Albaro. (2) Secondo il Gams, Series episcoporum, p. 448, Leonardo Pallavicini fu vescovo di Scio dal 1408 al 1421 solamente; ma l’elenco dei vescovi latini di quell’isola lascia molto a desiderare. 362 GIORNALE LIGUSTICO *423, 17 iunii. — « Dilecto fìlio Symoni de Campionibus, olim Maraboto, civi ianuensi ». Salvocondotto per accedere agli stati papali e per dimorarvi liberamente. — « Datum Rome, apud sanctam Mariam Maiorem, xv kal. iulii, pontificatus nostri anno sexto » (Reg. 354, fol. 249). i423, 6 septembris. — « Dilecto fìlio Baptiste de Rappallo , preposito ecclesie beate Marie de Vineis ianuensis, fructuum et preventuum Camere Apostolice debitorum in ianuensi provincia collectori ». Tratta delle piraterie commesse da Giovanni Grimaldi di Monaco, « civis ianuensis » (1), fra le quali una in danno del vescovo di Città di Castello. — « Datum Rome, apud sanctam Mariam Maiorem, vin idus septembris, pontificatus nostri anno sexto » (Reg. 354, fol. 255). r427> 7 februarii. — « Dilecto filio Jacobino de Rubeis, canonico beate Marie de Castello ianuensis, ac fructuum, reddituum et proventuum in regno Polonie et quibusdam aliis partibus Apostolice Camere debitorum collectori et nuntio nostro. — Datum Rome, apud sanctos apostolos, vu idus februarii, pontificatus nostri anno nono » (Reg. 350, fol 183). 1427, 10 iunii. — « Martinus etc. Si nobis displicet presumptio et rebellio laycorum, quos quodammodo excusat consueta ignorantia literarum, non immerito prelatorum excessibus provocamur, qui sub iugo divine poten-tie specialiter constituti, quid sit Domino beneplacitum, quid alteri debitum in serie scripturarum speculantur, et laxando voluntatem habenas se immergunt, et in subditos exempla perniciosa transmittunt. Sane nuper diversorum perturbationes, molestationes et vexationes quibus venerabilis frater Leonardus episcopus Chiensis (2), si a nobis taliter nominari mereatur, dilectos filios Christi fideles et populum civitatis et insule Chiensis ilia-rumque rectores, nec non fratres ordinis fratrum predicatorum, per nonnullos annos preteritos opprimere presumpsit, causas, cum omnibus suis emergentibus, dependentibus et connexis, ne fideles ipsos inter infideles constitutos, ipsius episcopi insolentiis causantibus, prolabi contingeret in devia, venerabili fratri nostro episcopo Saonensi per alias nostras literas commisimus audiendas et tine debito terminandas , pro ut in literis ipsius latius continetur. Cum autem, sicut fide digna relatione didicimus, idem Leonardus episcopus sue et gregis sibi commissi salutis immemor, continuo mala malis addat et scelera sceleribus accumulet in anime sue pe- (x) Giovanni Grimaldi, primogenito di Ranieri, ai quale era succeduto nella Signoria di Monaco 1 anno 1422. — Ved. Rossi, Monete dei Grimaldi, Oneglia 1868, pag. 17. (2) Nel Gams citato il vescovo di Scio nel 1427 non sarebbe Leonardo, ma un frate Lodovico dell’ordine di S. Agostino. GIORNALE LIGUSTICO 3é3 nculum et iacturam, et scandala plurimorum multaque de suis iniquis operationibus intollerabilia Ecclesia sua Chiensis deplorare noscatur, que et nobis nuntiata fuere, et ex quibus fidelis populus, rectores et fratres pre-dicti, lite et controversiis huiusmodi pendentibus indecisis, per eundem Leo-nardum episcopum gravius timeant peiturbari. Nos igitur considerantes quod tam christiani nominis hostes quam scismatici ipsi, quibus dicta Ecclesia Chiensis propinqua est, talem animarum pastorem in Catholice fidei contemptum pro ridiculo habeant, huic detestabili rei, pro debito pastoralis officii nobis iniuncti, remedium adhibere volentes, ut idem Leonardus episcopus eo magis cum eisdem fidelibus populo et rectoribus ac fratribus ad pacis federa condescendat, quod exinde sentiat sibi utile profuturum, illum ab omni cura, administratione et regimine in spiritualibus et temporalibus ipsius Ecclesie, donec lites, discordie et controversie inter ipsum nec non fideles populum rectores et fratres predictos, coniunctim vel di-visim, quomodolibet suscitate, penitus sint extincte, seu alias amicabiliter super eis concordatum extiterit, auctoritate apostolica tenore presentiura suspendimus..... Datum Rome, apud sanctos apostolos, idus iunii, pontificatus nostri anno nono » (Reg. 350, fol. 256.) Eugenio IV. — 1434, n iulii. — « Gubernatori et Consilio civitatis Januensis ». Mariano di Nonza « diripuerat in mari multa bona corte-sanorum nostrorum in duobus navigiis », de’ quali uno patronizzato da un còrso, 1’ altro da un genovese. « Postmodum vero, certiori notitia rerum informati, cognovimus patronum navigii ianuensis, qui vocatur Michael de Levant (sic), subditus vester, proditorie antea convenisse cum ipso Mariano de spoliatione dictorum navigiorum; et cum navigia essent repleta viris qui se defendere possent et res tueri, suasisse illis ut arma deponerent, quoniam illi pirate essent amici. Itaque, suasu patroni proditoris, cum arma deposuissent et in navem suam piratas permisissent ascendere, captos spoliatosque et bona direpta fuisse. Hec Pascalis quidam et Antonius ipsius Michaelis frater, qui ipsam navem conducebant, cum essent Plumbini, in mortis articulo in salutem anime ipsorum publice confessi fuerunt ». Facciano dunque ogni possibile diligenza, e costringano Michele di Levanto alla restituzione. < Spectat enim ad vos precipue, cum ille patronus vester subditus sit et cum sitis potentissimi in illo mari et illud securum a piratis reddere soleatis..... Datum Florentie, xi die iulii, anno quarto » (Reg. 359, fol. 222). 1434, 11 iulii. — Lettere particolari del papa, che raccomanda quanto sopra a Oldrado di Lampugnano, governatore di Genova pel duca di 264 GIORNALE LIGUSTICO Milano, ad Opizzino d’Alzate commissario ducale in Genova stessa, e al duca Filippo Maria Visconti (Reg. 559, fol. 222-23). 1436, post 18 maii.— « Dilectis filiis nobili viro Thorae de Campolregoso duci ac Consilio antianorum civitatis Januensis.... Oratores magistri et conventus hospitalis sancti Johannis Jerosuliraitani Nobis conquesti sunt de quibusdam literis ad eos scriptis..... per quas inter alia mine expresse continentur de capiendis hominibus rhodiis, bonis et rebus eorum, nisi satisfaciant pro certis damnis in quibus vos asseritis ex diversis causis ab eis esse lesos ». Queste cose non possono che lar piacere ai saraceni, 1 quali dalle discordie fra cristiani pigliano allegrezza e giovamento grandi. Le vostre lettere, di cui ci tu mostrata copia, ci hanno meravigliati, * et desideravinus paulum gravitatem et sapientiam vestram; qui cum sitis viri prudentes, neque soleatis leviter ad aliorum offensam procedere,.... credimus vos illam (religionem) pro defensione fidei esse defensuros ». Voi avete scritte le minaccie, ma abbiamo fede non le eseguirete. Del resto i detti oratori, col nostro consenso, vengono a voi per comporre il pissidio. Noi vi esortiamo intanto, che * velitis primum revocare commissionem vestris officialibus de capiendis rhodiis, rebus ct bonis eorum per vos factam » ; poi speriamo che vi intenderete e accorderete con loro, t Quod si que essent inter vos et eos dilïeremie, aut si quo iure vos offensos putaretis, tunc placeat mittere ad Nos, qui sumus caput illius religionis et ad quos tutela illius insule spectat. Nam nos ita rem componemus, ut honor et utilitas vestra..... conservetur..... Datum Bononic », s. d. ; ma dopo il « xv kal. maii, anno sexto » (Rcg. 359, fol. *49)-1436,........— Agli stessi. » Ipsi oratores ad dos reversi asseruerunt se, cum apud vos diutius fuissent,......tamen nihil impetrasse a vobis ... De hoc satis admirati sumus, . . . cum sitis viri prudentes et discreti ». Perciò « stricte exhortamus in Domino devotionem vestram » a rimettere le differenze alla decisione di tre arbitri, uno eletto da voi, uno dalla Religione e uno dal papa. « De hac materia locuti sumus etiam cum Baptista Cicala milite, oratore nostro (sic, corr. vestro}), quem oneravimus ut stricte super hoc scriberet vobis intentionem nostram. — Datum Bononie » s. d. (Rcg. 359» 1 S0·)· 1436, 22 iulii. « Archiepiscopo ianuensi ct.... abbati monasterii sancti Syri ianuensis ». Poc’anzi, a petizione di Battista Ficschi », frater ct miles hospitalis sancti Johannis Jerosolimitani », il papa aveva loro commesso di annullare una certa locazione fatu a Pietro di Vcrnazza da Ravello di Lamo, precettore della casa di san Giovanni a in suburbiis ianuensibus » (cioè di Prè), sostituendo in essa al Vcrnazza il Fieschi. GIORNALE LIGUSTICO 365 Ma il Ravello ricorse alla S. Sede, sostenendo la legalità del proprio operato. Ascoltino dunque le ragioni delle parti, e dieno sentenza con- Lavori d'ampliamento al porto di Genova nel 1466. Certificato il duca di Milano che « portum inclyte urbis nostre Januae adeo repletum esse, quod paucis navibus repletur, et aliquando ex maris tempestatibus accidit ut melius sit navibus in mari quam in portu esse: Cumque bone civitatis predicte conditiones efficiant, ut in dies novae naves et navigia conficiantur in tantaque summa ut portus ipse ad illas recificndas et conservandas capax non existât: Nec ignari simus urbem illam nostram omni ex parte ex maritima navigacene omnem sitam sibi vendicare, quo fit summopere animadvertendam », pensando di provvedere a tutto ciò che giova alla miglior conservazione dei bastimenti, e soddisfacendo alle suppliche sporte dalla Comunità di Genova, vuol dar opera affinchè « portus predictus taliter augeatur et protrahatur, quod in illo navigia et naves, tum sua quam forensia tute et commode se recipere et tutari queant ». Alia quale spesa i cittadini largamente promettevano di contribuire; supplicando che anche quelli della Riviera avessero a contribuirvi. E lo Sforza trovando equo che gli « homines Ripparum Curiosità di Storia Genovese del secolo xv tratte dall’ Archivio di Stato in Milano (i). X. (1) Contili, da pag. 224. 366 GIORNALE LIGUSTICO et vallium predictarum », i quali « majori ex parte victum suum atque omnia fere eis necessaria ex maritima navigatione et navium exercitio sibi ipsis procurare, et sine huius-modi exercitio in illis adeo sterilibus partibus minime vivere posse » , partecipassero non che al frutto altresì al peso, anche perchè non insopportabile, ordinava che « quicunque homines masculi etatis ab annis xx usque ad lx habitantes intra Corvum et Monacum, et a Jugo usque ad Mare, quicunque sint, et qualicunque dignitate vel immunitate fruantur non attenta, debeant annuatim dicto operi de una giornata sive de una opera, aut de solidis quinque Januae, loco predicti operis, contribuere. Et quicunque navigia habentes intra dicta confinia pari modo cum dictis navigijs de una dicta ad ferendas lapides ad dictum opus annuatim contribuere teneantur ». Quest’ordinanza ducale, è in data 1.' febbraio 1466 (1). XI Peste e venti furiosi alla Spezia cd a Pagano nel i.fio C2)· Da lettera, in data 18 gennaio 1470, da Vezzano, di Giovanni Avvocato al duca di Milano (Cari, dipi), togliamo qualmente « sonno giorni Lj che mai non mori nò amalosse persona alchuna de peste in la Speza, nè in la vale, salvo una zovena dela quale ne dede notitia ala prelibata V. 111.“* Sig."1 che è liberata. Le caxc che erano infecte tute quante sono facte netezare et lavare li drapi, e ogni trey giorni me transferiva fin li apresso per fare che quilli de dentro et de fora servino lordine a lor deputato, et deliberai che persona alchuna de fora non intra in la terra perfino a nova luna ». (1) Nel Registro ducale BB, fol. 74. (2) Del 30 gennaio 1477 è un’ interessante elenco delle riparazioni necessarie a farsi al castello della Spezia, firmato da quel castellano Bcrtiabi la Landriano [Carteggio diplomatico]. GIORNALE LIGUSTICO 367 La lettera continua con l’informazione che « trey dì fa è espirato qui nel paexe uno vento grecho terribillissimo, el quale ha inferito grandissimj dannj al heradichare et spezare de le olive, et edam ha portato via a molte Case una grande parte deli tectj ». In lettera del 20 gennaio aggiungeva che il vento « lha zitato a terra circa braza 40 del muro de la rocha de Castel-novo di verso el borgo, dove era posto suso el palazo, et ha ruynato anchora mezo el castello de Verucolla del marchexe de Fivizano » [Cart. dipi.]. XII. Un Grimaldi che muore a Milano nel 1478. Evvi all’ Archivio Notarile di Milano, fra i registri del notaio Zonica, il testamento in data 22 gennaio 1478 di Bonello de'’ Grimaldi genovese, uno dei maestri delle entrate ducali milanesi e figlio del quondam giurisperito Ingone. Abitava in Porta Vercellina a Milano e nella parrocchia di S. Maria alla Port?. Moriva pochi giorni dopo fatto il testamento, cioè ai 31 gennaio, e negli elenchi mortuari, nell’ Archivio di Stato, è indicata a quel giorno (così come in margine del testamento a rogito Zonica), la di lui morte avvenuta, per giudizio del medico Sillano de’ Negri, « ex febre continua cum debilitate stomaci ac dolori ». Aveva 73 anni. Notiamo, giacché ce n’è offerta l’occasione, che il 12 dicembre 1485 venivano ammessi alla cittadinanza milanese Giorgio Grimaldi e Ansaldo Grimaldi, genero del consigliere ducale Luca Grimaldi (1). (1) Registro ducak Q. Q., fol. 44 t. c. 46. — Del 21 settembre 1487 è la cittadinanza milanese a favore dei nobili genovesi Moruelìo Cigala e Nicola Centurioni [Registro citato fol. 250 e 255 t.]. 368 GIORNALE LIGUSTICO XIII. Inventario della rocca di Borgo Valditaro nel 1488. Nel Registro ducale R R a fol. 176 t.° e seg. leggesi l’investitura feudale di Borgo di Valditaro nei fratelli Ibleto, pro-tonotario, e Giovanni Aloisio de’ Fiescbi (1). La data è del 31 gennaio 1483 (2). A quel documento segue l’istrumento di fedeltà prestato dagli uomini di Borgo Valditaro nelle mani del Fiesco il 2 ottobre 1488: ed i nomi di tutti gli abitanti del Borgo e ville sono annotati. L’interessante statistica omettiamo, facendo seguire invece l’inventario della rocca del Borgo, in data 4 ottobre 1488 (3). Le munizioni in essa esistenti venivano consegnate dal castellano sforzesco uscente di carica, e che era un Taddeo da Pisa , al nuovo castellano de’ Fieschi, Bernardino da Roma. Ecco l’inventario (4) : (1) Nessuno ci vorrà addossare la storia delle relazioni importantissime dei Fieschi, specie d’Ibleto con gli Sforza, signori di Milano. (2) A Carlo del Fiesco confermavasi al 1.* agosto 1481 l’investitura feudale di Castiglione Lodigiano [Rtg. durale citato R R, fol. 206]. (j) Ambedue in Reg. R R, fol. 182-189. — Nel 1472 i fratelli Antonio e Giorgio de Panini tenevano « scola da insegnare putti in grammatica » a Borgo Valditaro (V. loro supplica per crediti non ancora riscossi, in data 28 novembre 1472 nel Cari, diplomatico all' anno c mese ind.). (4) Nell’ Archivio di Stato milanese, specie nella classe Piane forti, si leggono notizie abbondanti per le fortezze del Genovcsato ed inventari relativi. Questo di Borgo Valditaro non è certo il più ricco c più interessante: ma a noi basta darne un saggio ed accennare dove trovare gli altri. Cfr. le pubblicazioni dell’ Angthuci per la tecnologia dei vocaboli. GIORNALE LIGUSTICO 369 Bombarde tre de ferro con li soy ccpi et chiave de ferro. Quatrj mortaleti con li soy cepi et chiave. Uno mortaletto senza cepo. Doy spingarde de ferro con li soy ceppi. Trey spingarde de ferro con li soy cavaleti. Tre banche da tirare balestre. Barilli de polvere da bombarde numero viginti duo. Archebuxi de ferro numero sedecim. Archebuxi de ferro rotti numero quatuor. Spingardella una de uno palmo con lo cepo. Schiopeti de ferro con li maneghi numero sex. Schiopeti de ferro senza ineneghi numero quinque. Schiopeti de ferro roti numero quinque. Code de spingarde de ferro numero octo. Bachete de ferro da archibuxi e da schiopeti numero septem. Balestre de azale lornite con soy telleri (telai), corde e noxete. Aspe da balestre numero sex. Una aspa da balestra rota. Centi da balestre forniti con ruzelle (ruotelle) e cordoni numero quinque. Balestre de legno fornite numero sex. Doy cent-' da balestre nudi. Balestre de legno con li telleri roti numero octo. Quattro telleri da balestre roti con trei stafe. Capsc de veretoni con li soy ferri numero septem. Veretoni senza c.ipse numero quinque con li soy ferri. Capse numero quinque. Coracine coperte numero quindecim. Una pancelara de maglia. Lance lunghe da sacomano senza ferro numero quinquaginta. Ferri per le diete lance numero vigintiduo. Sape numero sex. Doy pugnali torti, tristi et guasti. Partexanc triste e guaste numero quinque. Ferri da mortaleti numero quindecim. Tre ccpte (accette) de ferro da tagliare legno. Doe manare de ferro da tagliare legname. Uno martello de ferro da molino. Doy cavaleti de ferro da spingarde. Gio»». I.iourrico. XIV. 370 GIORNALE LIGUSTICO Doy cigognole de ferro da molino. Tri ineli de ferro da murare in una volta. Cadenazi de ferro con li soy anelli numero quinque. Una lima per conzare balestre. Tre coreze con una caviglia de ferro per bombarde. Tutto el feramento de una pioncheta da cavo a’ pedi. Cancari da le porte numero tredecim. Dove mape de ferro grande da la porta. Axe sive mape de ferro mezane numero duodecim. Quatro zape de ferro. Tre tinivelle grande da fare busi in legname. Doy tinivelle da schiopeti luna bona e laltra trista. Tinivella una granda rota per forare legname. Tinivelle picole rote numero sex. Tri marazi de ferro da tagliare. Tri badili sufficienti et altri tri badili roti. Doy pali de ferro avantagiati. Dove rexeghe grande fornite con li soy legnami. Rexegha una picola con legname rotto. Armadura una rotta. Banche da mangono numero cinque. Ferri tri grossi da mangono. Tre coreze de ferro da mangano, doe grosse et una picola. Chiavadure numero quinque. Una ferrata de ferro da finestra. Tre chiave de ferro da balestre. Ferri da veretoni numero trecentum. Ballote da archabuxi numero centum quadraginta quatuor. Ballote da schiopeti numero quadraginta. Ballote da spingarde de onze 21 numero septem. Due rochete de ferro da fare fallodij. Piombo inlate pexi sive rubi septem libre quindecim. Item altro piombo pexi sive rubi septem libre quindecim. Andegari doi grosi de corde. » doy mezani de corde. Doy zirelle sive taglie de legno. Canoni tri de banda da caricare archibuxi. Fillo da balestre gavete numero quadraginta. Uno martello, una tenaglia de ferro. GIORNALE LIGUSTICO Una cadena de ferro dal ροζο. Chiodi pexi tri libre viginti. Balote da spingarde da schiopeti et da archiabuxi pezi sive rubbi tren-tasei libre octo. Forma una da balote da spingarde de onze xviij. Forma una da fare balote da archiebuxi. Forma una da fare balote da schiopeti. Letere sive torchi da leti da tabula numero septem. Capsoni de tabole numero quatuor. Uno capsono da gubernare farina. Doye mastre, sive mexe da fare pane. Farina de furmento stara mj. Furmento stara decem. Uno molino con le sue mole et altri soy ferramenti. Una conca de legno grande da salare porci. Una canpana rota de p. x. Uno cepo de legno da prexone con le chiave. Botte nove da vino. Stara due de vino. Stara due de acceto. XIV. Consigli al duca di Milano per signoreggiare Genova, fortificandola (i) Nella classe Autografi, Architetti e Ingegneri leggesi la curiosa lettera che segue, senza data però, da Morello di Parma diretta (i) Quanto materiale dell’ epoca sforzesca nell’ Archivio milanese per le costruzioni e riparazioni alle fortezze genovesi ! Tema per un abbondante, importante studio, in cui figurerebbero i principali architetti ed ingegneri al soldo di Milano, quali in ispecie i lodigiani Bartolomeo da Cornalo e Serafino Gava{{i, i milanesi Giovanni da Solaro, i Maineri, il comasco Maffeo da Como, il cremonese Bartolomeo Godio, il fiorentino Benedetto da Firenze ed altri molti. Di Bartolomeo de Salvo da Genova, ingegnere militare del XV secolo, basato su documenti milanesi, fu scritto da Michele Caffi In questo medesimo Giornale, anno 1877, pag. 257. 372 GIORNALE LIGUSTICO al duca di Milano. Morello da Parma non era però un ingegnere militare, ma solo un guerriero e non dei più distinti (i). Ill.nio Principe. Come quello che longamente ò praticato a Zenova, fidelmente vi farò alcuno ricordo per lo quale el grande savere de la S. V. intenderà più oltra che non dirò io. Signor mio , Zenova si è la mazor citate de tuto ’l mondo e la più possente, perchè questa Zenova si ha per... miglia ducento, cioè da corvo a monacho. Corvo si è ala rivera da levante dove la magra intra in mare et che parte el Zenovese dal toschano, et Monacho si è su la rivera da ponente et confina con Niza da Provenza: et da Corvo a Monacho gli è miglia ducento et tuto abitato et tuto genovexe, et per largo gli è miglia x fino in xv, et farebe questa Zenova homeni xl fino in zinquanta milia tuti apti a le arme, cioè alle cosse di marina. Io dicho, quando la dieta Zenova havesse uno bono governo che fosse stabile, che fina a questo di non si gli è trovato per quanti re e duchi et doxi habiano haute el dominio di quella. Ma io fantasticando sopra de zò, considerando el grande nule che per questa instabilitate si è seguito, el grande bene che ne seguiria siando pigliato uno modo de farla stabile per tuti li tempi chi ano a venire. Ad me pare bavere trovato el modo ala sua stabilitate senza ajuto nè obligacione avere a nesuno zenovese, et senza far danno nè in-zuria a nesuno citadino di quella Zenova : et yuro la dieta citade sarà molto più bella et più forte, e questo si pò fare con poc'na spesa, e pocha spexa a guardarla. Io dicho con pocha spcxa per rispeto al grande bene che ne seguiria. Segnior mio, io dirò alcuno modo a fare questo e la S. V. farà il resto col suo savere et volere. Signor, io credo che credati che tuto el mondo si governa per amore et per industrii et per forza, et io credo che crediate che tuti li animali tanto raxonevoli quanto irraxo-nevoli vivano per la bocha, et chi è signore de le loro boche si è seguace de li loro corpi. Sichè Zenova si à doe boche, I’ una si è per la via del mare cioè per lo porto, laltra si è la via de terra. Et il porto de Zenova si è fondato in questo modo, che de verso il levante si è el molo che va grande peza in mare, et quaxi ala ponta del dicto molo si (i) Del 2} settembre 148} sono lettere ducali in di lui favore, come ad un armorum familiari, per l’esenzione e l’immunità della possessione sua giacente nel luogo del Belvedere, sul Parmigiano, per lire 16 imperiali soltanto però [Registro ducali R R fol. 53]. GIORNALE LIGUSTICO 373 li è una torre su la quale la note si li fa una grande lumera perchè le nave sapiano venire al porto, et de verso sera si li è Codefà, chi è uno schoio che va grandamente in mare, et li è una altra torre che de note si li fa una grande lumera perchè le diete nave sapiano venire al porto. Questo dicto schoio si è circondato dal mare da tri canti e non con gran spexa se yxolaria, e qui se pò fare la più forte rocha che sia in questo mondo : e qui soto questa rocha conviene passare a chi vene da Polcevera et de Lombardia, et qui voria essere una porta per la quale se intra in Zenova, et da laltro lato del dicto Codefà si è al bellissimo borgo de sancto Petro de rena per lo quale se vene a Codefà : et de Lombardia si pò venire in belle squadre per la pianura de polcevera fina al dicto Codefà tanto per la rena donde si fa le nave, quanto per lo dicto borgo, con che, che sia derivato la porta del borgo de sancto toma, e che intrato de la porta de la rocha de Codefà se possa andare in banchi et in piaza, et, signor mio, tutta volta che sia in forteza el dicto codefà per mare non si pò intrare in porto con nave nè con barche, nè con galere , ne non li possono stare che non siano profondati voiando queli de codefà. Anchora si pò fare in el dicto codefà una stalla per cavali quatrocento do poderli metere per uno bisognio. E ancura si pò fare uno granaro per meterli quatrocentomilia moza de fermento per passere Zenova et li rivere; perchè la Vostra Sig.ria si averà il modo de condure el dicto forraento de Lombardia a miliore mercato che persona del mondo et el sitnele de Calabria, et de Puglia et de Marema et de Provenza, et ciarlilo per miore mercato che persone del mondo. Et habiando in codefà poditi dire che habiate in el castello de Milano, et se la V. Signoria el vedesse con li vostri occhij intenderesti troppo melio de me ct altre cosse meliore che la mia fantaxia non po’ intendere: et anche poresti fare una rochata su la ponta del dicto molo, per avere pur el dicto porto in dominio. Et questo fazendo et altre cosse che sapenti fare averite il dominio de Zenova eternalmente et de quela farite tremare tute le terre di marina, et questo fazando tuti li zenovexi lassarano di loro partialitate et lambicione del stado et atendariano ale loro merca-dancie et a fare le loro armate, perché queli sono li loro mazori guadagni et io son certo che la vostra signoria terrà queste mie parole per una favola e ve ne farite beffe. Pur io fazo mio debito a porgervi questi tali avixi, e se de la mia domanda sporta in mane de la vostra signoria vene siti fato beffe me rincresse avere dito cossa che ve despiaza. Eiusdem dominationis vestre fidelissimus Morelus de Parma 374 GIORNALE LIGUSTICO Signore. Questo codefà se fu stabilito per la testa de la citade, et dal principio si fu ordinato che tuta la moneta che may se batesse che li fosse stampita el dicto codefà (i), cioè la tore del dicto, come quelo che semper fosse el capo di quela citade, sichè chi è signore de la testa è signore del busto de quelo casteleto per lo quale zamay la citade non lassò da fare novitade, ne poy che lano fata, may per quelo non si se-corse habere desfata uno quartero de la citade, et quela devotissima chiesia de sancto Francisco, la qual era una de le belle chesie del mondo de quelo convento. Et io credo che al mondo non poresti fare cossa che più nè tanto piacese a Zenovexi corno derivare el dicto casteleto, e son zerto che metando Zenovesi a partito, che se derivando casteleto fariano a loro spexe la dieta rocha de codefà, et da quela per la colina uno mare che se tenesse con quelo del borgo de sancto Lazaro et lì farli una altra rocheta et una porta per la quale se va in promentore et in polcevera, zoè per queli da pedi, perchè la ditta strata si è cativa et derupia, ma eia è pili curta a venire a rivarolo borgo de polcevera, et desfariono tute le altre fortexe che veneno in Lombardia, zoè la porta el muro del borgo de san thoma , et desfato quela si pó andare fina in banchi con la lanza su la resta ; et chi ha tempo non aspeta tempo. Eiusdem dominationis vestre fidelissimus Morelus, cum recomendatione Emilio Motta. Angelo Mazza e Vincenzo Monti. Allorquando il giovane fusignanese incominciava ad uscire dalla volgare schiera, il parmigiano, maggiore di lui di ben tredici anni, aveva già acquistata onorevole fama di poeta, ed erangli stati conferiti degni uffici nel pubblico insegnamento. Accetto al Duca e nelle grazie del ministro Du Tillot, si trovava in condizioni di far meglio risplendere il suo nome. Al Monti parve utile proccaciarsi la corrispondenza e Γ amicizia di un uomo così reputato. Gli si presentava agevole l’opportunità per i versi scritti ad una dama, che è forse la Cico- (O Q-ui scrittore confonde Capodifaro coll’ antico Castello, di cui presso Sarzano rimangono tuttora gli avanzi. GIORNALE LIGUSTICO 375 gnari, in altri tempi carissima al Mazza, del quale parlava tuttavia con dolce ricordo; onde a lui scrisse in questo tenore (i) : Ornatissimo signor Abbate. Ferrara, il i.° di Febbraio 1777-Il nome d’ una Dama, che era un tempo a voi cara, pregiatissimo mio signor Abbate, e che ora è stata il sostegno dei versi, che vi trasmetto, saprà giustificarmi abbastanza della libertà, che mi prendo di scrivervi. È molto, ch’io bramavo un’opportuna occasione di significarvi il desiderio mio d’entrare nel numero dei vostri amici, come lo sono già in quello de’ vostri ammiratori. Finalmente l’ho trovata di tutta mia soddisfazione. Voi stesso dovete compiacervene, perchè vi rinnova alla memoria l’idea d’una amabilissima persona, che con me parla frequentemente di voi, che vi stima al pari di me, che in somma confessa di amarvi, senza considerare, che mi rende geloso delle vostre fortune. Questo però non toglie, nè toglierà mai, che con tutta la venerazione dovuta al merito d un coltissimo e dolcissimo poeta, quale voi siete, io mi pregi sempre di essere Vostro obbl. servitore ed amico Vincenzo Monti. Rispose a questa lettera il Mazza « cortesemente », commendando « con molta misura e con schietto animo que’ versi », e accennò « con più larga lode la Visione d’ F.zechielle » (1) Lettera del signor Angelo Mazza al signor Abate Vincenzo Monti, Parma, Carmignani (1788), p. 9. — Questa lettera del Monti non l’ho trovata riprodotta altrove; rimase sconosciuta ai più recenti biografi del poeta, come ad Achille Monti (Cfr. Vincenzo Monti ricerche storiche e letterarie, Firenze, Barbèra 1873, p. 142 e segg.) e a Leone Vicchi (Cfr. Nuovo saggio del libro intitolato: Vincenzo Monti, le lettere e la politica in Italia dal 1750 al 1830) decennio i]8i-go, Faenza, Conti, 1883, p. 341), i quali non videro il raro opuscolo del Mazza, e non conobbero quanto, a proposito della contesa fra i due poeti, scrisse il Pezzana (Memorie degli scrittori Parmigiani in continuazione all’Affò, Parma, tipografia reale, voi. VII), donde già aveva attinto il Carducci (Cfr. La lirica classica nella seconda metà del secolo XVIII, in Lirici del secolo XVIII, p. xxvn e segg.). Oltre queste fonti mi sono giovato dell’Epistolario del Monti (ed. Resnati). 3 76 GIORNALE LIGUSTICO già letta da lui un anno prima. Qualche tempo dopo gli mandò alcune sue poesie per « effetto di gratitudine », sollecitato eziandio a ciò dal padre Lomellino, amico comune; ma non ebbe dal Monti alcun segno di gradimento o di giudizio. Passarono cosi parecchi anni senza che fra i due poeti fosse rotto il silenzio, quando la rappresentazione e la stampa del- 1 Aristodemo mosse ire improvise e violente (i). Le lodi date a questa tragedia in « una lettera strampalata » dal P. Guglielmo Della Valle dei conventuali, irritarono l’animo di Luigi Uberto Giordani, il quale mandò in giro manoscritte alcune (i) L’Aristodemo fu criticato più tardi da Giacinto Andrà; ne prese le difese Francesco Albergati Capacelli, del quale si legge in proposito una lettera nella Nuova Frusta Letteraria di Torino (n. 4) giornale redatto nel I797'98 dallo stesso Andrà (Cfr. anche Masi, Francesco Albergati, Bologna, Zanichelli, 1878, pag 453). Il Monti ne venne informato e scrisse al critico così : Bologna, iy giugno 1797. Mio Signore , Intendo che mi avete onorato delle vostre censure. Siccome io amo d illuminarmi, così vi prego di comunicarmi la vostra critica per riceverne i miei ringraziamenti, persuadendomi che le vostre opinioni facendo onore ai vostri costumi, lo faranno anche a me per la cui istruzione vi siete compiaciuto di adoperare la penna. Non vi offerisco la mia servitù, perchè le leggi della mia patria non permettono sentimenti servili: ma vi offerisco in vece, se l’offerta non è superba, l’amicizia di un uomo riconoscente e leale, a cui spero non negherete la grazia di un cortese riscontro. Vincenzo Monti. Questa lettera, credo, ignota è inserita nella citata Nuova Frusta, dove segue la risposta dell’ Andrà. Non conosco che pochi numeri saltuari del ricordato giornale ; ma forse qualche altra cosa montiana vi si può trovare. Vedo ad esempio nel n. 2 una lettera del redattore al Monti, per censurare i poemetti: Il Fanatismo e La Superstizione, alla quale forse l’autore rispose. GIORNALE LIGUSTICO 377 sue note, dove criticava qua e coiài’ opera del Monti; a lui fece tenore Giambatisra Fontana nel Giudizio critico di letteratura, specie di gazzetta manoscritta, nella quale assalì in seguito anche il Mazza. Tutto ciò produsse una certa agitazione in Parma, di guisa che favoreggiatori ed avversari si riscaldarono; e si trovò subito il zelante che ne scrisse a Roma al Della Valle, e pare fosse un francescano, aggiungendo essere il Mazza « autore d’ ogni critica uscita contro \’ Aristodemo e il suo panegirista ». Inoltre anche quelli che sapevano appartenere le note al Giordani, considerando come questi fosse cugino del Mazza, sospettarono forse muovesse da lui l’ispirazione. I maligni, i malevoli, i mettimale, gramigna pur troppo feconda nel campo letterario, soffiarono nel fuoco e aizzarono le ire. Pare certo tuttavia che il poeta parmigiano non avesse alcuna parte in questa faccenda ; egli stesso infatti dichiarava solennemente, e non vi è ragione per crederlo mentitore, non avere « nè letto, nè scritto, nè stampato, nè fatto scrivere, nè fatto stampare un ette contro » il Munti; ma invece « guardato una somma circospezione fin nel giudicare della tragedia, esaltandone le bellezze, e dissimulandone i difetti », di che chiamava in « testimonio il miglior numero de’ concittadini ». Se non che la macchina abilmente montata mosse le facili collere del Monti, il quale deve aver detto, scritto e fatto propositi di vendette, se già fino dal 1787 il padre Affò aveva cercato di calmarlo e comporre questo dissidio. Egli c’ era entrato in mezzo con tanta maggior sollecitudine, in quanto che, nella sua qualità di conventuale, venne accasato d’esser proprio quegli da cui il Monti aveva ricevuto le critiche e ie imprudenti informazioni; onde gli era stato forza scagionarsi con una lunga lettera al fratello del Mazza. Ma nè i suoi, nè gli uffici d’altri valsero ad acquietare il bollente abate. Convien dire però che vi fosse chi attizzasse il fuoco, perchè 378 GIORNALE LIGUSTICO nel marzo dell’'87 scriveva assai tranquillamente al Torti: « Poco mi sono addolorato per le critiche che mi sono state fatte. Ho osservato che queste censure non si riducono ad altro, che ad una diversa maniera di sentire, e questo non è criterio di critica, nè bisogna darsene pena. Succede nello spi-' rito quel che nel corpo : non a tutti gli stomachi riescono saporiti i medesimi cibi. Direi dunque : Signori letterati, combinate prima fra di voi le vostre teste, ed allora io avrò lo-bligo di piacere a tutti ». In seguito, questa calma scomparve, la bile gli fece velo alla mente, ed uscì nella nuova edizione della tragedia, con la violenta nota contro il Mazza da tutti conosciuta. Il dado era tratto, lo scandalo pubblico; se ne fece un gran parlare, e andarono su e giù lettere private di vario tono, secondo gli umori diversi; intanto il Mazza taceva, mentre molti amici gli domandavano spiegazione della novissima ingiuria, e forse i soliti maligni con la loro ipocrisia lo stimolavano a vendetta. Aveva letto la nota oltraggiosa, gli era stata da più parti additata, tutti riconoscevano in lui 1’ Omero vivente·, ma egli aveva « risoluto di non farne caso; e solo un comando di persona, cui » gli era « forza soggiacere, e la minaccia di un letterato » suo « amicissimo, che voleva snudare il brando Archilocheo, e percuotere senza pietà la riputazione di Monti a vendetta dell’ amico », lo determinarono a prendersi da se stesso « un civile e savio risarcimento ». Mandò quindi in luce la lettera del 28 marzo 1788 diretta all’abate stesso, la quale può dirsi « un esempio di moderazione contrapposto ad uno di sfacciataggine; una lettera ordita di ragioni che convincono e tessuta di facezie che destano riso, in contraccambio di contumelie che cavano sangue ». Alle quali parole dell’autore stesso, possiamo aggiungere che i contemporanei ed i posteri la riconobbero temperata e vittoriosa, sebbene non manchevole di pungi- GIORNALE LIGUSTICO 379 glione; e dire altresì che è scritta con molta dignità, e muove da un animo sincero ed onesto. Dopo aver convinto di patente falsità tutte le osservazioni del suo avversario, conchiude così: « Niente dunque di vero conterrà quella vostra nota? Sì, una verità essa contiene, nè voglio dissimularla. Ciò è eh’ io son uomo di molta pretensione. In questa, a dirvela apertamente, eccedo a segno, che mi persuado non aver punto mestieri di ristorarmi dalle imputazioni che mi apponete. Queste non possono parer vere a chi mi conosce; noi potrebbero a chi, non mi conoscendo, s’invogliasse pur di conoscermi; noi possono a niun uomo onesto, disarmate, come sono, d’ogni prova, e sospinte con sì stizzosa animosità; noi possono infine a niun uomo tristo, perche dettate col linguaggio de’ tristi; il quale linguaggio, credetelo, è forza di quell’intimo sentimento, che mai non mentisce, nè presso loro ritrova fede. Avvi, benché sepolta nel-1’ ultime linee di quella nota, un’ altra verità, oh quanto insigne ! che saprei ben io trarre in vista, e rilevare e scolpire a forti tratti evidenti, se l’indole mansueta di questa lettera mel consentisse. Per la qual cosa io rimangomi indeliberato: nè veggo a quale dei due appigliarmi, o dimenticar col silenzio quella vostra nota infelice, o renderla degna di non lodevole ricordanza coll’ ismentirla. Fornitemi di grazia voi stesso un acconcio suggerimento. Voi che tanto vi allontanaste dalla ragione per farmi oltraggio, non potrete accostar-vele una volta per soccorrermi di consiglio ? il compenso nè può essere più umano, nè più equo, nè più discreto; sebbene più ancora umano sarebbe stato il non offendere chi non v’ offese ». Il comando di rispondere, al quale accenna il Mazza, probabilmente gli fu dato dal Duca, che volle vedere la lettera prima della pubblicazione, e l’approvò; l’amicissimo letterato che minacciava percuotere il Monti, è forse da riconoscersi nel GIORNALE LIGUSTICO Giordani medesimo già ricordato. Le copie di questo scritto furono sparse da per tutto ; moltissime ne andarono a Roma. L’autore mandandone una al custode d’Arcadia, abate Pizzi, chiudeva con queste parole: « Mi spiace la miserabile figura in cui l’ho posto per mera necessità; che si ravveda il malaccorto, non badi a chiacchiere di malevoli, briganti, calunnia-tori; l’impeto con cui mi assale lo dichiara un dissennato; ond’ io lo compassiono e gli desidero di tutto cuore vera e costante resipiscenza. A voi lo raccomando : raddirizzategli il cervello, e rimmettetelo in via d’acquistarsi un nome fra gli onesti, come lo ha meritato fra i letterati ». A dar maggior pubblicità alla lettera conferì il giornalista di Venezia, che, o consigliato o spontaneamente, la riprodusse nel Nuovo giornale letterario d’Italia, aggiungendovi un preambolo tutt’ altro che benevolo per il Monti. Il quale imbizzito più che mai, appena veduto 1’ opuscolo prese la penna e scrisse privatamente così : Sig. Mazza Riv. rao, Imparo dalla vostra stampa speditami, che avete riacquistata 1’ amicizia del signor Bodoni. amicizia che non dovevate mai perdere, nè il potevate senza dar sospetto del vostro carattere. Io non ho dunque altro da dirvi, se non che avete avuto giudizio, e che mi riserbo a miglior tempo la briga di darvi una mentita, e di levarvi la maschera. Non dubitate, che sarò buon pagatore. Mi chiedete un consiglio ed io ve l'.e voglio dar tre: i.° di raccomandarvi al Signore perchè vi mantenga nella grazia del signor Bodoni; 2° di rinunziare solennemente alla vostra ridicola Apoteosi, castigando la suprema opinione che avete di voi medesimo, e quella santa invidia letteraria di cui concordemente v’ incolpano tutti quelli che vi conoscono ; 3.° di mettere in pratica quella virtù che finora non avete messo che in carta. Cosi al titolo, che qualche volta vi si può permettere, di poeta, aggiungerete anche Γ altro più raro di miglior galantuomo. A rivederci, sapete, a rivederci. Roma, 1.° aprile 1788. Vostro aff.mo Dev.mo servitore Vincenzo Monti. GIORNALE LIGUSTICO 3'8i Questa lettera, prodotta come inedita dal pronipote del poeta e suo apologista, venne giudicata da lui assai benignamente, poiché, secondo suo parere, « dimostra che lo sdegno del Monti s’era già spento in gran parte, e ch’egli non disconosceva il merito del suo nemico » ; e ciò fu per avventura in grazia delle notevoli varianti che presenta Γ autografo (nè si dice quale) donde la copiò Giovanni padre dello scrittore, le quali ne attenuano di molto il tono. Ma il Pezzana primo editore, donde io 1' ho trascritta, la trasse proprio da quello stesso originale mandato al Mazza; si dee quindi credere che il Monti, non contento forse della prima forma, che è probabilmente quella edita dal pronipote, abbia voluto renderla più oltraggiosa e più grave. Giustamente adunque il Carducci, che vide la prima stamp , ebbe a giudicarla minacciosa; siccome il Vicchi, pur riportando la redazione più benigna, non si tenne dal qualificarla poco « cavalleresca ». Se non che le minacce non ebbero effeto, specialmente perchè questa contesa addolorò il Bodoni, trattovi anch’egli in mezzo; il quale, avendo di certo veduta 1’ ultima lettera inconsulta del Monti, con un silenzio assai significativo, e forse anche per via d’ altri, dimostrò all’ amico il suo dispiacere, e come non approvasse il suo modo di condursi. Di che abbiamo sicura testimonianza nelle seguenti parole scrittegli dal poeta il 19 aprile: « È ben crudele il vostro silenzio, signor Giambattista amatissimo. Ma voi parlate tacendo, ed io vi comprendo perfettamente. Pazienza dunque e rassegnazione. Rimetto la spada nel fodero, e mi lascerò tagliare a pezzi piuttosto che trarla senza il vostro permesso ». Ma non gli domandò davvero il permesso d’inserire Γ anno appresso (ed è a credere il Bodoni non rilevasse Γ allusione) nella dedicatoria del-1’ Aminta i notissimi versi contro il suo avversario. Non era aduque andato « illanguidendo » il suo « rancore » verso il Mazza neppure un anno dopo; tanto meno assai più 382 GIORNALE LIGUSTICO presto, come sembra affermare il suo apologista. Infatti al Torti, che gli aveva domandato spiegazione dell’ Omero vivente rispondeva : « L· 1111 certo Mazza di Parma, col quale ho in campo una terribile guerra letteraria che non finirà cosi presto, ma ci rido e vo cantando: Tra male gatte era venuto il sorcio »; e mentre monsignor Marini scriveva all’Affo: « Monti in avvilire sara sicuramente più cauto e riserbato, e credo gli bastino le percosse ricevute » (1), l’erudito francescano aveva ri-pteso i più vivi uffici per ricondurre la pace negli animi esacerbati. Due se ne occuparono sollecitamente in Roma, Antonio Cerati di passaggio in quella città, alle istanze del quale il nostro poeta, pur dichiarando d’essere pentito d’aver pubblicata quella nota, non volle piegarsi; e Pier Antonio Se-rassi che non sortì miglior fortuna. Questi, amico, estimatore e non parco di lodi al Monti, siccome ne fanno bella prova alcuni tratti importanti delle sue lettere (2), richiesto dall Affò, si mise di buon grado alla difficile impresa; ma in breve si vide costretto a scrivergli così: « Io non ho mancato e prima e dopo ricevuta la vostra lettera di consigliarlo', e di (3) Probabilmente si riferisce al nostro poeta il seguente brano di lettera scritta da Gaetano Migliore (Ferrara, 18 maggio 1788) a dementino Vannetti: « Il nostro N. N. ha perduto la bussola. Si compra a contanti i nemici, e ne ha oggi più del bisogno. Giovane che potea brillare in Parnaso, se non gli fosse venuto il prurito di far da tragico, che non è pane pei suoi denti. Il P. mi fa pietà. Ma il S. mi fa rabbia. Ma sia pur dei talenti ciò che si voglia, salviamo almeno il cuore. Anche senza tragedie si può fare qualche cosa di grande in poesia. Ma il costume... oh Dio ! il costume decide dell’ uomo, ed i nemici anche non meritati non fanno prò allo stomaco. Lo stuzzicarli poi è un esser matto da catena ». Il Migliore era stato il « saggio Chirone » del Monti, ed il Vannetti fu tra i critici dell’^m-todemo. Si noti poi che il Rubbi, editore dÛV Epistolario ossia scelta di lettere inedite ecc. (Venezia, Graziosi 1795-96) dove trovasi il brano citato (vol. I, pag. 362), soleva nascondere per via di sigle le allusioni ai viventi. (2) Cfr. Epistolario cit. 1, 30, 68. GIORNALE LIGUSTICO 383 stringerlo con le più forti ragioni a por fine a questo litigio, che non può altro che tenerlo agitato, e dar materia da ridere a’ suoi poco ben affetti che pur son molti. Egli non si è mostrato alieno dall’ aderire alle mie insinuazioni, qualora si trovi il modo ch’ei possa farlo con suo onore, cui crede intaccato dal signor Mazza, e stima assolutamente necessario faccia una dichiarazione d’ essersi ingannato in diversi particolari, di tenere 1’ Abate Monti per leale ed onorata persona, e di desiderarlo amico. Mi ha soggiunto di aver ad un dipresso scritto il medesimo anhe a voi; onde non mi resta che seguitare a gettar acqua sopra questo fuoco, come farò sicuramente e per riguardo vostro , che me ne pregate, e per riguardo del signor Mazza, eh' io stimo grandemente ». Anche il Serassi capiva benissimo che le pretese del Monti erano inaccettabili; ma non avrà certo mancato all’ufficio suo sedativo, senza però riuscire, secondo il desiderio, a riavvici-nare i poeti; il che tuttavia avvenne per mero caso, a quanto si narra, alcuni anni più tardi. « Giunge il Monti all’Albergo della Posta di Parma, solo per cangiare i cavalli e passar oltre. V’ha chi riferisce la venuta di lui al Mazza: questo frantende e credelo il Pindemonte amicissimo suo, solito visitar lui qualunque volta passa per Parma; accorre alla porta dell’Albergo situato a pochi passi dalle case proprie, cercando il poeta. Il Monti, domanda chi sia il chieditore; Armonide s’affaccia al cocchio, e, riconosciutolo, gli dice : Eccovi un poeta che o-diate. — Io non odio nessuno; molto meno voi. — si abbracciano, si baciano, e dopo un breve dialogo, ciascuno a’ fatti suoi ». Di qui il seguente sonetto del Mazza: Te invase odio di me; fama bugiarda Il velen di vendetta in cor ti pose, Ed al fomite rio l’opra rispose D’ uom che ragion non sente, e al ver non guarda. 284 GIORNALE LIGUSTICO Ben la vocj romana e la lombarda Schermo a l’oltraggio immeritato oppose; E la infesta d’error rete scompose Schietta innocenza ad apparir non tarda. Ma lavor fu del caso il venturato Scontro, che i labri incerti al bacio spinse, D’ onde di noi ciascun tornò beato ; Chè il disinganno in un balen dipinse, Ne’ loquaci sembianti il ver celato, Ravvivando Amistà che l’odio estinse. Ma il fatto avvenisse fortuito, come dice l’aneddoto, 0 fosse procurato nel 1806 dalle amichevoli cure del Bodoni, quando il Monti si trattenne a Parma per ben due mesi attendendo alla stampa del Bardo, certo è che da quest’anno, e principalmente per opera del comune amico, i due poeti raffermarono i sentimenti di benevolenza. Il Mazza ne scrisse lietissimo e « in termini di calda amicizia, e di incredibile compiacenza » ai Cesarotti, il quale ne attestava al Monti « la più viva esultanza » ; e questi rispondeva : « scrivo al Mazza significandogli la mia riconscenza per l’avviso datovi della nostra leale ed amplissima riconciliazione. Ho un cuore facilmente aperto, allo sdegno, ma chiuso affatto ai sentimenti dell’odio. Ringrazio la natura di avermi fatto iracondo , perchè l’ira mi preserva dalla viltà, ma quando mi si stende la mano del-1’ amicizia, io pongo su quella il mio cuore, e le tempeste dell’animo si placano in un momento ». Da questo punto rimase ferma e sincera l’amistà dei due scrittori, nè per quanto « le gazzette milanesi della cricca » procedessero « sempre poco favorevoli alla fama del poeta parmense », v’ebbe cagione di nuovi dissidi. A. N, GIORNALE LIGUSTICO 385 Il Duca di Mantova a Genova nel 1592. La nascita di Cosimo, figlio di Ferdinando de’ Medici, assicurando la successione al granducato, venne accolta con moltissima letizia, e già si ordinavano pubbliche festività, quando una savia determinazione del Granduca, volle che, a restaurare in parte i danni cagionati al suo popolo da una mala amministrazione, dalla carestia e dalla peste, il danaro a quelle destinato fosse convertito in opere di beneficenza (1). Ma non ne fu smesso il pensiero, solamente vennero rimandate a tempo migliore. Intanto nell’ anno successivo nacque una femmina, mentre già andavano migliorando d’ assai le condizioni dello Stato; onde si pensò festeggiare in questa opportunità il battesimo di tutti e due. Per levare al fonte il principe primogenito si cercarono padrini altissimi, e furono fatte da un lato le pratiche necessarie presso l’Imperatore, affinchè accettasse l’ufficio, dall’altro verso il Principe di Spagna a fine gli fosse compagno. Accolsero ambedue la domanda, deputando questi a rappresentarlo 1’ ambasciatore Cattolico, quegli il Duca di Mantova; e fu onorevole (1) Per non moltiplicare le note, indico qui le fonti alle quali ho attinto. Galluzzi, Storia del Granducato di Toscana, lib. V, cap. II e III. — Roccatagiiata, Amali della Rep. di Genova, Genova, Canepa, 1873, p. 162. — Arch. di Stato di Genova, Ceremoniali, 1588-1614, c. 120 e seg.: Senato, Liter. fil. 158; Manuali Senato ad annum ; Lettere Principi, busta 8; Liter. Reg. 95, c. 47; Senato, Divers, fil. 335. — Archivio Gonzaga di Mantcva : * Lettere di Annibai Chieppio a Guidobono Gui-doboni, 5 21 e 25 maggio 1592; Corr. Toscana, E. XXVIII, 2; Copia lett., 1592. I documenti mantovani li debbo alla cortesia dell’egregio Stefano Davari. Giorn. Ligustico. A,.no XIV. 386 GIORNALE LIGUSTICO incarico e gentile pensiero, inquantochè egli era appunto nipote del Granduca; perciò scrisse all’imperatore così: Non ho cosa che mi sia di maggior contento che 1’ havere occa.ne di servire alla M.tà V. sì come non pretendo di poter essere honorato magg.te di qual si voglia cosa, che dall’ essere impiegato nelli comand.11 suoi ; però subito ricevuta la lett/* che V. M.,à è stata servita di scrivermi sotto li 9 del presente , ho fatto sapere al Gran Duca di Toscana 1’ ordine eh’ io tengo da V. M.tà d’intervenire al Battesimo del Principe suo fig.!o a nome di lei. A che perciò sarò pronto per inviarmi colà alla celebratione di tal sacramento, sempre che mi farà sapere esserne il tempo, così eseguirò puntualm.te la mente di V. M.Ho ricevuto dal med.mo corriero di V. M.tà il gioiello eh’ ella m’ ha mandato, il quale conforme all’ ordine di lei presentarò alla Granduchessa.... Di Mantova li 14 di Marzo 1592. Di V. M.tà Ces.ea Urnn:.m° et d.mo Ser.re il Duca di Mantova. All’avviso ricevutone Ferdinando rispondeva: Ser.mo Sig. Nipote. Di sommo contento è stato a me et alla Grand.88- 1’ avviso del mandato venuto a V. A. dalla M.tà dell’ lmper.re, per il Battesimo del Principe nostro tìgli.10. Però ho subito spedito a Genova et Roma per sollecitare 1’ Amb.” del Re et gli altri Sig.ri che vogliono intervenirvi, et con tutto che sia per passar quest’ atione assai positivamente, nondimeno veggo non potersi far prima, che fra li 26 et 30 d’Aprile prossimo, prima del qual tempo supplico V. A. a contentarsi di essere in Firenze dove dalla Grand."1 et da me è aspettata con infinito desiderio di servirla, et goderla, et ricevere il favore che ci vien fatto dalla M.t4 del-1’ Imp.re et da V. A.... Di Seraveza 27 di Marzo 1592. Di V. M. aff>° zio et ser.re il Granduca di Toscana. GIORNALE LIGUSTICO 387 Prima di partire da Mantova il Duca spediva il Prato suo segretario alla Repubblica di Genova, latore della seguente lettera: Ser.m° et Ill.mi Sig.ri Dovendo io trovarmi fra pochi giorni a Fiorenza, ho disegnato di là trasferirmi in Monferrato, con pensiere di passare per cotesta Città, il che mi servirà per occasione di visitare V. Altezza et VV. SS.r,e Ill.me certificandole di presentia del molto desiderio che tengo di servirle, del che ho voluto dar particolar conto a V.a Alt* et a VV. SS.ie Ill.me col mezzo di questa, et del Prot.io Prato mio segretario, che tiene ordine di visitarle fra tanto da parte mia, et d’ assicurale del sud.0 mio desiderio, onde pregandole a crederli intieramente come a me stesso, resto con desiderarle da S. Divina Μ.*1 ogni maggior prosperità. Di Mantova li 16 di Aprile 1592. Al ser.» di V. A. et di VV. SS.rie Ill.me Il Duca di Mantova. L’avviso riuscì oltre modo gradito al governo della Repubblica , il quale si reputava onorato di poter accogliere , secondo il suo merito, un tanto Principe. Pochi giorni dopo il suo arrivo in Firenze, avendo veduto come non gli sarebbe stato possibile giovarsi nel ritorno per la via di mare delle galere di suo zio, spedì incontanente a Genova il Prato, con questa sua credenziale: Ser.mo et Ill.mi Signori Il Prato mio Gentil’huomo se ne verrà con questa da V. A. et da VV. SS.rie Ill.me et esporrà loro a bocca certo mio desiderio, del quale in occorrenza di mio molto interesse desidero sommamente esserne compiaciuto dall’ A. V. et da VV. SS.r!e IU.“e Pregole perciò a prestargli intera fede, et assicurarsi che si come non potrei per hora da loro ricevere cosa più grata, così son per restarne sempre all’ A. V. et a VV. SS.rl0 Ill.me particolarmente obbligato, per corrisponder loro con pari effetti di amorevolezza sempre che mi si presenterà occasione di farlo. Et 388 GIORNALE LIGUSTICO rimettendomi a tutto ciò che il medesimo Prato dirà più diffusamente a bocca, resto augurando a V. A. et a VV. SS.rie Ill.me ogni maggior prosperità. Di Fiorenza a’ 22 d’ Aprile 1592. Al servizio di V. Alt.» et di VV. SS.™ III.™ Il Duca di Mantova. II Prato però non giunse così in fretta; ma la lettera venne consegnata da Ambrogio Di Negro, altro dei Procurator:, al quale forse era stata spedita dal segretario stesso, con il mandato di spiegare intanto al governo ciò che il Duca richiedeva, e cioè le galere necessarie a condurlo coi suoi da Livorno a Genova. A questo desiderio consentì subito la Repubblica , deliberando che quattro galere appena poste ad ordine , andassero a servirlo, di che davano avviso al Duca conchiudendo : « Attendiamo con molto desiderio il salvo arrivo suo , per ricevere 1’Altezza Vostra con quelle comodità tutte, che potranno venire dalla debolezza nostra, per darle qualche segno eifettuale della ottima volontà, che teniamo verso di lei ». Elessero al comando delle galere Giulio Spinola, generale dell Armata, al quale diedero ordine di spesare il Duca ed il seguito lungo tutto il viaggio. Ed egli per onorare maggiormente il Principe, la patria e sè stesso , fornì di suo la capitana, con tutte quelle più ricche suppellettili delle quali avea dovizie la sua casa ; fece fare « un letto di velluto e damasco cremisino guarnito d' oro », e « un portale pei seirare la poppa, del medesimo , con cossini e carreghe di brocato ». Intanto anche in città si apprestavano gli alloggiamenti. La scelta era caduta sul palazzo di Francesco Pallavicini, posto sulla piazza delle Fontane Morose, già di per sè assai adorno, e ora per la circostanza addobbato « con tutti quei velluti, damaschi e brocati d’ oro che si trovavano in guardarobba di Palazzo, e con altri belli de’ particolari »· Alle persone del seguito fu provveduto nelle case vicine. GIORNALE LIGUSTICO 389 Il Duca condottosi a Pisa in compagnia di Don Giovanni de’ Medici e d’ alcuni cavalieri fiorentini, essendo il mare turbato, ri recò a caccia verso Stagno, dove gli fu servito il pranzo; ma, calmatosi il mare, più tardi prese deliberazione d’imbarcarsi, come fece, sollecitando i suoi a mettersi in ordine per la partenza. Cenò in galera insieme a Don Giovanni ed ai gentiluomini della sua casa, quantunque a tavole separate, e, pur essendo le persone molte e il luogo non ampio « la cena fu regia, cosi del numero et qualità di vivande, come per la maniera con che fu servita et per la quantità degli argenti bellissimi che vi erano, tutti propri del Generale », il quale dimostrò « in ogni occorrenza desiderio grandissimo di servire et regalare » il Duca. La mattina seguente di primo mattino « si levarono le galere con assai buon vento, ma col mare non molto quieto, et per un pezzo si andò volando » , di guisa che la sera giunsero a Portofino, dove « ridottosi il mare a bonaccia » deliberarono di passare la notte. Scese il Duca a passeggiare un poco per quelle colline, e quindi dopo cena « levò alcune reti eh’ erano state poste dagli huomini di quel luogo » a dargli spasso, « ritrovandovi honesta quantità di pesci ». Il generale Spinola aveva intanto avvertito, per mezzo di un espresso, quel giorno stesso, il governo genovese come sulle xv ore, ossia circa le tre pomeridiane, si trovasse « sopra alle Cinque Terre, risoluto di fare ogni sforzo » per condurre il Duca a Genova la sera stessa, 0 almeno il · giorno dopo « avanti desinare », poiché non si trovava « provvisto da poterlo trattare bene in giorno di magro », cadendo appunto il 20 le tempora d’estate. Col sorgere del sole le galere si misero in via verso Genova, cominciandosi a scoprire col mare tranquillissimo la « riviera così bella et piena di grossi villaggi e habitationi, che par quasi un borgo perpetuo ». A circa tre miglia dalla 390 GIORNALE LIGUSTICO città furono ad incontrare il Duca otto gentiluomini in nome della Repubblica; poco dopo giunse sopra un’altra galera particolare il Principe di Massa col figliuolo, ed in una terza parecchi altri gentiluomini’ a fine di complimentare ed onorare il Signore di Mantova. Cosi « la compagnia era di sette galere., le quali con molte altre fregatte di gentil’ huomini principali della città, con bandiere spiegate et tutte in ordinanza camminando , facevano bellissima vista, massime in quel seno che fa il mare dinanti alla città ». Lo stuolo venne salutato dalle artiglierie delle fortezze e delle galere armate, cosi lungo il cammino come all’arrivo in porto, non mancando quivi « i soldati di fare anch’ essi in maniera di guerra navale le solite scaramuccie ». Alla punta « del molo era fermato un bucentoro assai vago et fabricato per questo effetto, nel quale da quattro altri gentil’ homini, pur mandati dalla Repubblica », venne ricevuto il Duca, insieme a tutti i cavalieri e gentiluomini del suo seguito. « Il bucentoro era coperto nel pavimento di panno cremesino, circondato da balaustri et con una cuppola nel mezzo sostenuta da quattro colonne, et sotto quella un baldacchino era attaccato di damasco cremesino, et era posta una sedia » per il Duca, che « però non se ne valse punto, standosene in piedi a ragionare con quei gentil’ homini che erano seco ; il resto del bucentoro era scoperto, et pieno di molte persone, dipinto vagamente, sì che rendeva vista bellissima, et era condotto in modo che non si vedevano remi nè vele, onde pareva che si movesse per sè stesso ». Scese dunque a terra la nobile comitiva mercoledì 20 maggio circa le ore due pomeridiane, e subito si fecero incontro al Duca quattro Procuratori perpetui a ciò special-mente deputati « vestiti in habito lungo di veluto nero, con berette all’ antica » ; uno dei quali, Bartolomeo Lomellino, così parlò : « Serenissimo Duca , li Doge et Signori della GIORNALE LIGUSTICO 39I nostra Serenissima Repubblica sentono tanta allegrezza, che V. A. habbi favorito et honorato con la sua presentia la nostra Città, che perciò ne hanno mandato a riceverla, et a prender scusa con lei, se non gli faranno quegli honori che merita, certificandola che soprabbonderà tanto più amore e desiderio per servirla, quando si degnerà di comandarci »j Al che il Duca rispose: « Io vengo volentieri a ricevere ogni favore e carezze che il Senato Serenissimo si degnerà di farmi, con altrettanto animo di havere a servire questa Serenissima Repubblica, et a spendere ogni mio potere pei honore et beneficio suo ». Dei cavalli preparati per condurlo all’ abitazione apprestatagli non volle servirsi, preterendo attraversare a piedi la città, a fine di seguire 1 esempio d altri principi, i quali, siccome intese, avevano fatto in questa guisa la loro entrata. Onde in mezzo a due Procuratori, pie-ceduto e seguito da molti nobili, e dai pubblici ufficiali , s’incamminò alla porta della città, sopra la quale in alto « era un concerto bellissimo di cornette et tromboni che sonavano con armonia molto vaga ». Il concorso del popolo per le strade fu sì grande « che a gran fatica, massime essendo elle assai strette, si poteva muovere il passo. Le finestre di tutte le case et palazzi, per propria architettura altissimi, erano fornite continovamente di numero infinito oi Signore et altre donne, in modo tale che si può dire che tutto il popolo di Genova fosse concorso a cosi fatta vista ». Le accoglienze furono veramente onorevoli e grandiose , quali si convenivano a Principe, che aveva ricevuto 1 alto mandato di rappresentare l’Imperatore, segno di considerazione e di fiducia singolare. Nè riuscì da meno il trattamento ordinato dalla Repubblica in casa Pallavicini, poiché quattro gentiluomini « deputati dal Senato » assistevano di continuo « per provedere ad ogni bisogno et deliberare sopra le spese occorrenti »; e il Duca coi suoi 392 GIORNALE LIGUSTICO venne sempre servito di « tavole compitissime, non tanto nella quantità delle vivande , quanto nella qualità et straordinarie delicatezza et conditura loro; gli vini solamente, che per se stessi sono bonissimi, parevano non sodisfare al gusto » del Duca, « nè degl’ altri avezzi alle bevande di Lombardia, perchè sono così grandi et potenti che temperandoli quanto conveniva con Γ acqua, la mescolanza si rendeva così insipida, che non si gustava nè Γ una, nè Γ altra ». Il che non diminuisce il merito del vino ligure, del quale aveva fatto buon esperimento, siccome delle « amorose donne », Sante Lancerio bottigliere di Paolo III, quando un mezzo secolo innanzi aveva seguito a Nizza il Pontefice, paciere de’ due gran contendenti (i). Non diro delle visite ufficiali e delle private, che furono paiecchie, nè dei frequenti passeggi del Duca a piedi ed a cavallo per la città e per i dintorni, o delle cose importanti che gli furono fatte osservare ; solamente mi piace riferire la visita al sacro Catino (il quale fino d’ allora era da alcuni « tenuto per vetro, o vero altra pasta artificiale ridotta con maestra mano in quella forma »), perchè volle il Duca « vederlo et palparlo per far paragone d’uno smiraldo grosso che haveva molto bello , come fece , e con effetto il suo pareva più chiaro per rispetto forsi che sotto di esso gli fusse la brilla d’ oro ». I divertimenti ai quali egli assistette furono una pesca, che non riuscì troppo bene, vuoi per l’ora inopportuna, vuoi per il turbamento del mare; un torneo, ed un ballo. Quest ultima festa ebbe luogo in casa di Ambrogio di Negro, preparata « per opera del signor Horatio suo figliolo » , e fu (( molto bella col numero di venti dame in circa delle (i) Fkrraro, I vini d Italia giudicati da S. L., Casale , Mazzucco, pag. 14. GIORNALE LIGUSTICO 393 più principali, fra le quali ve n’ erano ben sei che si potevano annoverare nel numero delle molto belle; ma tutte erano cosi gentilmente vestite, et con maniere spagnolissime si dimostravano così garbate et accorte, che era cosa gratiosissima da vedere. Durò la festa sino a sera di notte, con balli di diverse sorti, fatti da quelle dame con tanta attilatura che non pareva potersi desiderare di più ». Però quelle signore avevano un « mancamento » tenuto per « il maggiore » , e cioè « il soverchio uso de’ lisci et sbelettamenti, nelli quali si conosce così aperta l’arte, che pare cosa disdicevole a fatto » ; ma tolto questo, « si può conchiudere che le donne di Genova per bellezza, accortezza, maniera et garbo non siano inferiori alle altre d’ Italia ». Fino dal 4 di maggio i Collegi avevano dato il permesso di eseguire un torneo « sive belli simulacrum » nella venuta del Duca, concedendo facoltà a coloro che vi avrebbero partecipato di portare le armi, e di vestire « contra pragmaticam »; giunto poi il giorno stabilito, che fu il 23, ordinarono a 40 soldati tedeschi della guardia di Palazzo, d’ assistervi sulla piazza delle Fontane Morose, affinchè non fosse turbato il divertimento. Mantenitori del torneo furono Nicolò Pallavicino, e il marchese Malaspina degli Edifizi, probabilmente quel Pierfrancesco, ultimo del suo ramo , che fu ai servizi dei Farnesi, seguì Alessandro nelle guerre contro i Turchi, e si trovò alla battaglia di Lepanto. In nome loro uscì fuori il seguente cartello (1): La generosità di molti caviglieri, che con fatti heroici vuol abbracciar mai sempre la sua magnanima impresa di servir le dame, conoscendo che le leggi di Amore, 0 per colpa del tempo o per difetto degli huomini malamente adoperate sono, ha deliberato di usare ogni forza (1) Questo ed i seguenti recano il permesso per la stampa ; e forse furono impressi, ma non si sono mai veduti. 394 GIORNALE LIGUSTICO acciochè chi cavalerescamente vorrà amare, agli statuti suoi per Γ avvenire sia sottoposto. Per la qual cosa manda noi sottoscritti, cavaglieri di quel glorioso numero , facendoci comandamento che in ciascun luogo prendiamo carrico di sostener quelle leggi, alle quali per sua disavven-tora alcuno si troverà che contrasti. Et perchè dove le donne sono più belle quivi gl’ innamorati sono senza numero, et spesso per gran disio di vederle da lontane parti vi sogliono concorrere et quasi inondare valorosissimi cavaglieri, assai tosto ne cade in pensiero che nella Ser.ma Città di Genova , dove la beltà delle donne è senza comparatione maggiore di quella d’ ogni altro luogo, fusse gran copia di cavaglieri amanti, et che facilmente 1’ amorose determinazioni o schernite o cadute o rotte vi si trovassero. Nè falsa fu l’opinione nostra, perchè apena ci hab-biamo noi vedute le imagini loro non che gli ordini intieri, in guisa che, per non dire altro, in questa città, dove Amore con tanta gloria regnava ne petti degli huomini, hoggi non si sa amare nè essere amato. Quindi è che noi per ubidire fedelmente a coloro che comandar ci poteano, e parte della dirittura della querella sospinti, con lieto viso ci offeriamo di mantenere armati nello steccato con tre colpi di lancia, et cinque di stocco contro a qualunque ardirà di contraporsi, i sottoscritti statuti. Muovasi dunque tutta questa città, e chiunque fuora di lei si ritrova a nostra offesa , che essendo egli giustamante sfidato, sarà intrepidamente aspettato, e farà in un tempo medesimo palese l’error suo con la perdita, et glorioso il nome nostro con la vitoria. Il loco prefisso all’ abba-timento è in Genova nella Piazza delle tre fontane amorose il giorno i8 di Maggio 1592. Io cavaglier Costante prometto quanto di sopra. Io cavaglier Sincero prometto quanto di sopra. Falsa è 1’ opinione di coloro che troppo arditamente 0 con poca servitù stimano doversi palesare la donna amata. Niuno per qualsivoglia longa e fedel servitù si può stimar degno di essere amato. Tutte le altre offese sono soportabili in Amore, fuorché la giusta cagione di gelosia. Non è lecito levarsi dinanzi i rivali per via di forza. Seguirono incontanente le risposte : Se cosi giusta fosse, o Cavalieri Costante, e Sincero, la querela intrapresa da voi, che non si debbino levare i rivali davanti per via di forza, GIORNALE LIGUSTICO 395 come di dare la corona delle più belle d’ ogni altro luogo alle Donne Genovesi, a cui si conviene ancora d’ogni eccellenza, fra le quali la bella e gratiosa Dionea riluce, come il Sol fra le Stelle, in vero in questo abbattimento verrei meno baldanzoso e lieto, di quel eh’ io vengo. Ma poiché dalla ragione tanto vi appartate, con 1’ animo intrepido in questo giorno a voi ne vengo, oscurando oltre modo il nome di honorato e valoroso Cavaliero il comportar compagnia in Amore , quando che non sia concesso adoprar la forza. Adunque se pentendovi dell’ audace disfida vi confarete con la mia opinione, cara mi fia la vostra salute ; se pure persisterete nell’ impresa, non si tosto in voi scorgerò segno di ostinazione, come con la vostra rovina vi pentirete di si temerario ardire. Il Cavalier del Fermo Pensiero. Al Costante et al Sincero scelti da quel glorioso numero di Cavalieri da fatti heroici per portar a Genova leggi d’ amore Il Divisato. Niuna cosa è più contraria alla ragione, che trovar ragione in amore , et altro non essendo la legge che certa ragione, con troppa animosità parla chi parla.di leggi d’amore; che se pur amore reggesse il suo imperio con leggi, chi direbbe mai,SS.ri Cavalieri, che fossono leggi le vostre, che son fuori d’ ogni ragione ? Perchè volendo voi ingaggiar battaglia con tutta la Città, io, che per altro me ne sarei rimaso , intendo di mostrare alla generosità vostra con l’armi medesime c’ havete scelto, che 1’ amante etiandio con poca servitù si vuole palesare alla amata in ciò che la poca o molta servitù riguarda solamente al dimandarne, o non dimandarne premio, e non palesarsi. Appresso, che una longa e fe-del servitù dee poter fare che 1’ amante si stimi degno di essere amato , da che 1’ amore con altro non può sodisfarsi che con 1’ amore. Oltre a ciò che niuna offesa è più leggermente da sofferire in amore, che la giusta cagione di gelosia, anzi che Γ amante geloso dee più intensamente amar la donna che ’l fa geloso, in quant’ ella il viene destando ad acquistar tutte quelle virtù che ’l possano in un tratto render superiore al rivale, e più gratioso a gli occhi di lei, et ultimamente eh’ altri dee togliersi davanti il rivale per via di forza, poiché dove regna passion d’ a-more, quivi non ha luogo ragione. 396 GIORNALE LIGUSTICO F. F. F. F. La fama dell’ arrivo di tanto Principe m' ha tratto con tanti altri Cavalieri a questa Città, nella quale fra molte meraviglie c’ ho veduto due mi sono parute stranissime. La prima che sia chi tanto del proprio sapere e valore confidi eh’ osi dire che dove Amore è nato e nodrito non si sappia nè amare nè essere amato ; 1’ altra che delle donne così poca stima si faccia, che dove riverir si dovrebbono, siano sprezzate e schernite. Chè maggiore scorno non si può fare ad amorosa donna e gentile, che prendere a sostenere che per qual si voglia longa e fedel servitù niuno si possa stimare degno d’ essere amato, vedendosi ogni giorno che 1 infalìibile giudicio di esso riconosce que’ che in cotal guisa a rano meritevoli de 1’amor loro, come che poco per altro giovar potesse esser costante o sincero, se longa e fedel servitù non rendesse degno 1’ a-mante di essere riamato. Ne vengo io dunque sicurissimo della vitoria, per esser da tanta ragione accompagnato, ad oppugnare cotal proposta legge con le conditioni et armi offerte, sperando far conoscere al mondo, che la gloria che voi Cavalieri Costante e Sincero acquistata in altre Imprese havete , s’ ha più tosto ad ascrivere a sorte eh’ a v.alore, et che v ha chi frenando il suo ardente desiderio ama in quel vero modo che si deve. Il Cavaliero dal Frenato Desio. Il Cavaliero Astratto et il Vivace, a’ quali non n’ è nascosto che col favor delle loro SS.rie che sono 1’ ornamento del secol nostro, possono con fatti egregi acquistarsi chiaro et immortale honore, ninna cosa più aidentemente bramano che d’esser fatti degni della loro gratia, laonde considerando eh’ è antichissima legge d’ amore che chi ama sia amato, e in ogni regno dee il premio e la pena esser conforme all’opere, si sono sempre ingegnati di far tutte le cose che hanno pensato dover essere loro gradite, e poterle render certe che hanno i più saldi e leali amanti che sieno in terra, con ferma speranza d’ ottenere quando che sia la meritata mercede. Ma havendo i giorni a dietro veduto un Cartello publicato da’ Cavaglieri Costante e Sincero, nel quale dicono di voler mantenere che niuno per qualsivoglia longa e fedel servitù si può stimar degno d’ essere amato, il che se non fusse cognosciuto contrario alla ragione sopra la quale dee fondarsi la legge , sarebbe di non picciolo impedimento a 1’ amorose imprese, desiderano d’ essese ammessi nello ste-chato per provare che disconviensi a bella e gratiosa donna negare 1’honesto amor suo a chi amandola più che se stesso fedelmente la serve et a suo potere honorandola si sforza d’alzarla fino alle stelle. I Cavaglier d’ Amore. Che sia magnanima impresa il servir alle donne noi consentiamo, ma di troppo gran peso, Cavalier Costante, Sincero, vorreste gravare i veri amanti legandoli con nove leggi et del tutto contrarie alla volontà d’A-rnore, il quale come Signor Generoso non con la dura necessità delle leggi, ma con libertà gratiosa ad esserli riverenti, induce i suoi seguaci. GIORNALE LIGUSTICO 397 E qual fallo possi pensar maggiore come il dire che 1’ anima dell’ a-mante, gratissimo segio d’ amore , sii capace di freno et possa ricever forza? Laonde noi che veramente amando così cara et amorosa libertà si godiamo, havend’ inteso 1’ asprezza dagli statuti et la poca giustizia della querella, siam gioliti alle porte di questo steccato nella giornata prefissa con quell’ armi che furono accennate sotto la scorta d’ Amore , et pieni di coragiosc ardire accetiam volentieri l’impresa, sicuri che le sotto scritte risposte col giusto mezzo dell’ arivi faranno palese al mondo 1’ error di chi sfida, quando da voi SS.ri del campo ne sarà permesso Γ entrarvi. Dato in Genova il giorno i8 di Maggio 1592. Amor consente al vero amante il palesarsi in qualsivoglia manera. Amor vuole che l’amata riami, adunque, 0 non si ami o si stimi degno d’ esser amato. Sono i rivali giusta caggione di gelosia, adunque o la gelosa si so-porti 0 si vincano i rivali per forza. E quest’ ultimo finalmente in versi: Chi scende in questo periglioso campo, Contrasta in van per esser vincitore, Che s’ egli havrà dal fiero Marte scampo, Fia certissima preda almen d’ Amore ; Muove da voi, Donne leggiadre, un lampo , Cli’ abbaglia la veduta , et punge il core , Nè può col.po venir da bei vostri occhi, Che tosto mortalmente altrui non tocchi. Adopra qui per suo trastullo Marte , H per piacer a voi, 1’ armi homicide ; Ma da scherzo ferisce, e con bell’arte Spezza le lande e’I ferro apre e divide: Sol vero è ’l ferir vostro, e in ogni parte Di pari il vinto e ’l vincitore ancide, E trahe dalle ferite a poco a poco, Di sangue invece, un fiume ogn’hor di foco Et io che lieto a singular tenzone Espongo per Amor la propria vita, Della nimica mia già son prigione E non ho contro al male alcuna aita ; Alto la sua vittoria homai risuone E sia da lei come da me gradita, Ch’ io stimo gioia il mio crudele affanno E la perdita honore, acquisto il danno. 11 Duca assistè al torneo in « un palco appartato e ben ornato », godendo lo « spettacolo numerosissimo di dame et cavalieri et altra nobiltà ben disposta in gradi et palchi, che cingevano il campo, formato in ovata figura ». Durò il combattimento fino a notte, e i cavalieri, che furono diciotto, co’ loro famigli « comparvero molto garbatamente, se bene con semplici livree senza inventioni di alcuna sorte ». E 398 GIORNALE LIGUSTICO quantunque tutti si portassero valentemente, parve però che « i Signori genovesi nel particolare del combattere potessero migliorare assai , non mostrando quella compita disciplina che si vede altrove di così fatto esercitio ». La mattina del 25 assai per tempo partì il Duca da Genova, « con pensiero di non volere cerimonia alcuna » ; ma parecchi gentiluomini già erano pronti per accompagnarlo, e due Senatori giunsero in fretta alla porta della città a rendergli omaggio, nè si unirono alla brigata, secondo il mandato, avendoli il Duca pregati con molti ringraziamenti di ritornarsene. È superfluo aggiungere che anche in questo viaggio di ritorno egli venne onorato e spesato per tutto il dominio della Repubblica ; onde giunto a Novi, sul punto di uscire dallo Stato genovese , volle rendere grazie al governo con questa lettera : Sei·.™» et Ill.mi S.rì Poiché dal S.or Filippo da Passano è stato con molt’ honorevolezza es-seguito quello che haveva in commissione da V. A. et da VV. SS.ri® Ill.me, intorno gli honorati trattamenti, che si sono compiacciuti usarmi fuori anco di Genova sin qui, ove termina questo suo Stato, et dal medesimo S.or Filippo dovrà esser fatta in nome mio compita fede ali’ A. V. et alle SS.rie VV.re Ill.me quant’ io me li trovi obligato, non mi resta che ringraziarle, come faccio senza fine , di tutte le cortesie usatemi , et assicurarle che sì come ne serbarò sempre viva memoria, così mostrando segni di questa mia buona volontà, procurerò di farle conoscere in fatti Γ affetto col quale vivo di corrisponderle ottimamente in tutte 1’ occasioni di loro servitio. Intanto rimettendomi all’ istesso S.or Filippo auguro a V. A. ogni vera felicità, et a VV. Sig.rie Ill.me mi raccomando di tutto cuore. Di Nove a’25 di Maggio 1592. Al Servitio di V. A. et di VV. Sig.-« 111.™ Il Duca di Mantova. Sebbene i documeuti ufficiali non lascino intravedere nessun segno di poca soddisfazione da parte del Duca, pur le memorie contemporanee accennano ad un dissidio per il cerimoniale ; ma io non credo che ciò influisse punto sulla frettolosa e quasi improvvisa partenza, come venne affermato ; poiché queste subite risoluzioni erano nella consuetudine del Duca, il quale, secondo abbiamo veduto, voleva forse liberarsi da complimenti e cerimonie. Del resto non può negarsi eh’ ei rimanesse ampiamente soddisfatto dell’ accoglienze regali ricevute, e non fosse molto contento del dono di due schiavi turchi, da lui desiderati , che , « vestiti di veluto cremesino con oro » , lo avevano « servito in galera con straordinaria diligenza ». GIORNALE LIGUSTICO 399 SPIGOLATURE E NOTIZIE Nell’ Arte e Storia di Firenze, 15 settembre, il nostro collaboratore Girolamo Rossi ha pubblicato un articolo su L’antico Battistero della Cattedrale di Ventimiglia. Nella Rassegna Nazionale (fase. 16 sett., pp. 214-28) Luigi Hugues ragiona sopra un viaggio, poco noto, di Cristoforo Colombo, quello cioè eseguito l’anno 1477 nei mari polari del nord. * Nella rivista L’Università (agosto, pp. 447-64), Carlo Malagola ha incominciata la pubblicazione del Catologo dei rettori e vice-rettori dell’ Università di Bologna dal 1244 al 18S7. Notiamo frattanto ì seguenti : 1381-82. — D. Seguranus de Nigro, ianuensis, rector dominorum ultra-montanorum. 1403-04. — Nobilis vir dominus Gabriel de Justinianis, ianuensis, rector scholarium ultramontanorum. 1471-72. — D. magister facobus de Parentucellis de Sarrana, scholarium artistarum et medicorum rector. 1496-97. — D. magister Paulus de Celiis (Celsis?) de Sarrana, rector medicorum. * * * A Bruxelles, pei tipi dell’ Istituto Nazionale di Geografia , il signor Carlo Ruelens ha pubblicata una monografìa sulla Prima relazione di Cristoforo Colombo (1493), in cui commenta una rarissima edizione della Epistola Christophori Coloni, che si conserva nella Biblioteca Reale della stessa città di Bruxelles. * * * Il Prof. Antonio Favaro, dell’Università di Padova, incaricato di curare la nuova e completa edizione delle Opere di Galileo Galilei, da farsi a spese dello Stato e sotto gli auspici di S. M. il Re d’ Italia , rivolge caldissima preghiera agli archivisti, bibliotecari, raccoglitori d’ autografi ed agli studiosi in generale, affinchè vogliano, mediante la indicazione dei documenti galileiani da essi conosciuti, coadiuvarlo nell’adempimento del difficile assunto. « E per documenti galileiani, dei quali vuol farsi tesoro nella nuova edizione (cosi egli scrive), intendo non solo le scritture di Galileo, ma ancora le lettere da lui scritte e a lui indirizzate, quelle fra altre persone contemporanee, ma che in qualche modo risguar-dano la sua persona e le sue dottrine, e qualsiasi documento concernente la vita e le opere di lui. Gratissima tornerà la notizia di cose inedite ; ma grata del pari sarà la indicazione di autografi, originali o copie del tempo degli scritti editi, i quali non voglionsi riprodurre senza averli prima sottoposti a diligente collazione ». * * Nell’ Inventario dei Manoscritti italiani delle biblioteche di Francia di G. Mazzatinti (vol. II, p. 84 e 89) si legge la descrizione di due codici liguri. Il primo è membranaceo del secolo XIV-XV ; appartenne alla Fraternità di S. Bartolomeo del Convento di S. Maria di Castello in Genova, e contiene prose ascetiche dialettali studiate dal dott. Antonio Ive, e già da noi segnalate (Cfr. Gior. a. 1882, p. 341). L’altro, intitolato Affaires de Gênes IJ4J, contiene una raccolta di lettere originali della Repubblica al governo francese, relative all’ intervento della Francia nelle guerra genovese di quell’anno. 400 GIORNALE LIGUSTICO È degna di nota una lunga recensione di G. Bigoni intorno al lavoro di Max Büdinger, Arten %u Columbus’ Geschichte, von 14/3 bis 1492 eine Kritiscbe studie. Wien 1886 (nella Rivista slorica italiana, IV, 596). * Col nuovo anno s’incomincerà a Parigi presso 1’editore Alfonso Picard (Rue Bonaparte , 82) la pubblicazione di una Rivista mensile di storia e di filosofia sotto la direzione dei signori Marignan, Platon, Wilmotte, col titolo: Le Moyen-Age. Ecco ciò che si propone: « Son but est avant tout pratique , il entend fournir à ceux qui s’occupent de notre passé le moyen facile et peu coûteux de se tenir au courant, en ce qui concerne l’objet propre de leurs études, du mouvement général de la science. Pour cela, aussitôt après l’apparition d’ut; livre ou d’un article de Revue, sur un point quelconque de l’Europe, il s’efforcera d’en porter le contenu à la connaissance de ses lecteurs. Il publiera le sommaire de plus de six cents périodiques européens, des comptesj-rendus et des variétés dus à la plume des spécialistes les plus compétents. » Le Moyen-Age s’adresse au maître et à l’élève. Au maître, qui doit se tenir au courant de la science qu’il cultive, il épargnera une fatigue longue et inutile, en lui signalant sans retard les nouvelles pubblications en toute langue et en tous pays. A l’élève, qui tâtonne encore et n’est pas en possession de tous les avantages d’une éducation achevée, il offrira des renseignements variés sous une forme claire et concise, toujours abordable pour lui ; il lui permettra de tirer aussi un meilleur parti des ressources de nos bibliothèques, en lui signalant les manuscrits restés inédits, malgré leur intérêt, en lui indiquant même des sujets d’étude, en lui offrant enfin le concours de sa publicité et celui de ses rédacteurs, pour tous les éclarcissements dont il pourrait avoir un sérieux besoin ». Fra i nomi di coloro che incoraggiano questa pubblicazione, pur promettendo l’opera loro, troviamo i nomi dei Langlois, del Meyer, del Monaci, del Mussafia, del Paris, del Pool, del Rajna , del Sickel, del Thomas, del Tobler. Non può mancare a questo giornale il più lieto successo. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Dizionario di opere anonime e pseudonime, in supplemento a quello di Gaetano Melzj, compilato da Giambattista Passano. Ancona, Morelli, 1887. Tutti sanno quanta diligenza ponga l’egregio autore nelle opere bibliografiche , per le quali egli si è meritamente acquistato luogo distinto fra gli studiosi. E questo nuovo lavoro, che viene ad accrescere un’ opera tenuta in pregio, quantunque non priva di difetti, è nuova testimonianza della illuminata operosità del Passano. Ricercare la compiutezza e la perfezione in lavoii di bibliografia è cosa vana; nessuno può dire, specie ove si tratti d’ autori celati o travestiti, d’ aver visto o consultato tutto, oppure d’ aver colto sempre nel segno. Perciò anche in questo volume si possono trovare inesattezze e mancanze ; queste specialmente, che daranno certo modo all’ autore di aggiungere in breve un’ appendice. Con tuttociò importa rilevare che il libro è indispensabile agli studiosi, vuoi perchè discopre nomi d’ autori ignorati, vuoi perchè porge molteplici e interessanti notizie letterarie e bibliografiche opportunamente inserite a luogo a luogo nelle illustrazioni. Due indici copiosi e diligenti chiudono il volume accrescendone l’utilità, poiché agevolano assai le ricerchè. Pasquale Fazio Responsabile. GIORNALE LIGUSTICO 4OI L’AGOSTARO nel contrasto DI CIULLO D’ALCAMO La mia Nota sul Massamutino nominato dal poeta siciliano fu accolta con benevolenza dai filologi italiani, i quali pare considerino ora come sciolta definitivamente una quistione da non breve tempo agitata fra loro. Ciò mi ha incoraggiato a far questa nuova Nota intorno all’Agostaro, altra moneta nominata anch’ essa da Ciullo, e che forma più del Massamutino una quistione ardente fra i commentatori del poeta. Il eh. Vigo (1) fin dal 1870 andava faticosamente in traccia di chi lo informasse sull’ Agostaro ; e sebbene per amor di sistema tenesse tale moneta indubbiamente anteriore a Federico II, si lagnava tuttavia non averne potuto trovar lume dagli interrogati da lui, nemmeno dal Marchese Strozzi (?); onde, dopo averne cercato invano nel Dizionario del Fanfani od altri (che veramente poco gli potean giovare), finiva col-1’ abbandonare la ricerca stanco e scoraggiato. Mi sorprende non poco la notizia eh’ egli non abbia potuto trovare informazioni in Italia, dove fiorivano 0 fioriscono Promis, Brambilla , Tonini, Papadopoli, per tacere d’altri parecchi. Le sole Tavole Sinottiche delle monete italiane del ch. V. Promis figlio (2) gli avrebbero fornito ragguagli di diciotto autori (1) Ciullo d'Alcamo e la sua tendone; nel Propugnatore di Bologna, III, parte 2, p. 254 e segg. (2) Tavole sinottiche delle monete italiane; Torino, 1869, pp. 112. Giorn. Ligustico. Anno XIV. 26 402 GIORNALE LIGUSTICO che parlarono delle monete d’ oro di Federico II, la maggior parte colla giunta di disegni. Ad ogni modo non gli era necessario ricorrere a Torino, Pavia, Firenze e Venezia, quando avea sottomano un libro letto da tutto il mondo, scienziato o no , e dettato da un suo compaesano. Il Vespro dell’illustre Amari, nell’ultimo dei documenti aggiunti al Racconto, somministra ragguagli sufficienti e precisi ; P agostaro (o augustaìe come più correttamente dovrebbe dirsi) è una moneta d’oro del peso di grammi 5.30 almeno (1), del titolo di millesimi 833 a 854, del valore di Lire italiane 15.22; la quale correva nel secolo XIII nel paese (Napoli e Sicilia) e di cui quattro agostari equivalevano ad un’oncia, moneta di conto di quel regno. Il sig. Vigo avrebbe trovato il tipo 0 disegno dell’agostaro negli scrittori numismatici dell’Italia meridionale, per esempio nel Vergara (2). E se desiderava di conoscere meglio la storia di quella moneta, Pavrebbe rinvenuta dottamente trattata da Salvatore Fusco (3) in un opuscolo pubblicato a Napoli nel 1812, per non parlare dei più antichi, Muratori, Zanetti, Paruta ecc. Il Fusco spiega come P agostaro si potesse dire, e sia stato detto, eguale a un quarto d’oncia e nel tempo stesso eguale a un quinto d’essa : cioè eguale a un quinto nel peso suo effettivo, e ad un quarto nel suo valore, perchè il basso metallo 0 lega frammista all’ oro ne cresce il peso ma non si computa nel valore. Quell’ autore fornisce più altri schiarimenti e confronti ; specialmente ammette (e (1) Tale infatti è il peso dei pezzi conservati al Gabinetto presso la Nazionale di Parigi; ma il peso legale λ 5 a oncia del peso generale del Regno di Napoli salirebbe a gr. 5.J46: e l'oro fino in essi contenuto a gr. 4.45, 0 gr. 4.54, secondo che è il titolo a carati 20, o a 20. $0. (2) Monete del Regno di Napoli; Ivi, 1765, pag. 16 e tav. VI, nn. 6, 7. (3) Su di una motuta di Re Ruggero delta ducato : Napoli, 1812. pag- 9 e segg. GIORNALE LIGUSTICO 403 10 ammettono i numismatici in genere) che la creazione del-l’agostaro non viene da altri che da Federico II e nell’anno 1231 (1), sembrando un errore la data del 1222 accennata in un Codice particolare (2); ad ogni modo sempre sotto il medesimo imperatore. I chiari Vigo e De Giovanni (3) che desiderano far risalire, più in su che Federico II, il tempo in cui scrisse Ciullo d’Alcamo, hanno bisogno di farvi risalire anche l’esistenza dell’ agostaro conosciuto e nominato dal poeta. Essi quindi vanno cercando autori in appoggio e si trattengono più specialmente sul Borghini , il quale opina che il nome d’ augu-stale possa riferirsi all’aureo di Cesare Augusto. Di tale maniera questo nome avrebbe continuato a significare la moneta d’ oro in genere e cosi anche il solido di Costantino , 11 perpero dei bizantini, la doppia degli arabi ecc. Senonche sarebbe d’ uopo trovare (nè si è mai trovato) un documento scritto 0 un brano di autore che sia vissuto entro il lunghissimo periodo da Augusto a Federico, e che abbia accordato ad alcuna di tali monete il nome di augustale. Il perfetto silenzio su questo punto è una prova irrepugnabile ; come è chiaro, i nomi sono imposti dai contemporanei, nè si possono supplire dai posteri con induzioni. Non si nega che Vincenzo Borghini sia un autore serio , ma, fiorendo egli nel secolo XVI, gli mancavano tanti dati comparsi dopo di lui; e non è superbia il dire, che oggi di questo e di molte altre cose sappiamo più che non ne sapeva egli. Infatti, in quel tanto che dice dell’agostaro, mostra (1) Nel Chronicon pubblicato in R. I. S., VII, 1025; e in Ughelli, Italia sacra, 223, ediz. 1719. (2) Nella Giunta alla detta Cronaca in Vergara, loc. cit., p. 16. (3) La Defensa e il diritto nuovo nelle Costituzioni del Regno ; nel Propugnatore, vol. XVIII 1885, parte 1, pp. 225 e segg., e parte 2, pp. 43-46. 404 GIORNALE LIGUSTICO non averne mai veduto un esemplare (non correvano più al suo tempo) e non averne un’ idea esatta ; siccome li stima del peso di quattro danari (gr. 4.53) e del valore di mezza doppia, quando a un dipresso equivalgono a una doppia (1). Non giova nemmeno contro il nostro parere addurre le lodi che l’illustre Longperier dà nll’agostaro, siccome quello che per bellezza di metallo, di modulo, di tipo e di lavoro ricorda gli aurei imperiali di Roma. Certamente, nella grandezza de’ suoi concetti, Federico II volle una moneta bella e ben superiore per arte· e per modulo a quelle correnti al suo tempo: egli anche pensò certamente a Roma, imprimendo nella moneta il suo busto colla leggenda Fridericus Cesar Jiigustus, donde venne ad essa il nome di augustaìe. Ma nella esecuzione egli la adattò alle esigenze del suo tempo, come fanno tutti i buoni ordinatori, la pose cioè in ragguaglio colle altre monete sue o contemporanee, non già coll’ aureo d’ Augusto. Con quest’ ultimo non v’ è analogia se non nel modulo e nella testa imperiale volta a destra e nelle parole Cesar Augustus, disposte però diversamente e senza il dittongo (2). Nel resto 1 antica moneta è differente dall’agostaro sia nel rovescio, sia nel suo peso che è di gr. 8. 70 contro gr. 5· 3° (3)> sia nel titolo che è d’oro senza lega 0 quasi contro i milles. 850 dell agostaro; sia nel valore che è di lire italiane 26 e più contro le L. 15 che vale quello di Federico. Nel peso l’agostaro differisce pure dal solido di Costantino e dalla doppia degli arabi, sebbene non guari differenti nel valore: e ciò è naturale, trattandosi di metterlo in rapporto con valori correnti in commercio e i più pregiati. (1) Della Moneta Fiorentina, in Discorsi; Milano, Classici, HI, 321, 323. (2) Cohen, Monnaies impériales, I, p. 45 e 49, η. 59 e table IV. (3) Mommsen, Gesch. des rômischen Mtm\msen; Berlin, Weidmann, 1860, P· 894 ; e ivi citato Letronne per la finern del metallo. GIORNALE LIGUSTICO 405 Una osservazione apparentemente rispettabile è stata fatta dall’ab. De Giovanni (1); il quale dice che P agostaro, secondo Riccardo da san Germano, fu ordinato in dicembre del 1231, mentre le costituzioni di Federico emanate in agosto dello stesso anno parlavano già dell’ agostaro come di moneta corrente. Tale obbiezione non abbastanza sciolta dal eh. D’Ancona (2), ebbe soluzione dal sig. Salvo-Cozzo (3). Questi nota che le parole mense decembri non sono colà dove le vede il De Giovanni, ma sono più in su ed appartengono al brano e fatto precedente narrato dall’ annalista. Nè il trovarsi scritta dopo quel brano l’ordinazione della moneta nuova, implica punto che il decreto sia dello stesso mese di decembre. Il Salvo-Cozzo prova ciò con esempi tolti dallo stesso Annalista, e crede a buon dritto che il da san Germano volle collocare in fin d’anno un decreto di cui ignorava o non indicava il mese in cui era stato emanato. Gli autori a cui mi oppongo avrebbero potuto recare un’ altra apparente obbiezione in un pezzo d’ oro, pubblicato dall’Huillard-Breholles (4) e che questi dubitativamente attribuiva ad un agostaro di Enrico VI. Però la iscrizione su quel pezzo non è suscettiva della interpretazione datagli nè di altra ragionevole; ed al compianto Autore, che mi fece 1 onore di consultarmi a Parigi nel 1870, non potei a meno di rispondere che io non lo credevo nè un pezzo di Enrico VI nè un agostaro, e che se risultasse autentico , sarebbe tutto al più una medaglia non una moneta. (1) La Defensa ecc., loc. cit., parte I. p. 225. (2) 11 contrasto di Cielo Del Camo, in Studi sulla letteratura italiana; Ancona, 1884, p. 351 e segg. (3) La Defensa, l'imperatore e gli agostari nel Contrasto di Ciullo d’Alcamo, nel Propugnatore, XIX, 1886, p. 439. (4) Attribution a l’empereur Henry VI d’un augustale inéd., in Revue Numismat., 1861, p. S3'^!· GIORNALE LIGUSTICO L’autore parve acquetarsi alla mia risposta. Di un Enrico sappiamo il decreto che ordina l’emissione di un aureo, che dovrebbe essere un augustale ; ma questi fu Enrico VII e Γ anno il 1312 (1). È tanto vero che F agostaro non esisteva al tempo dei normanni antecessori di Federico, che questi aggiunse tale parola in una costituzione del re Guglielmo da lui rinnovata. Fu già notato dal Prof. D’Ancona , che la pena imius attgtl· stalis non si trova nella buona lezione, che reca il Carcano, della costituzione di Guglielmo. Federico II nel pubblicare il suo corpo di leggi, vi pose certamente parecchie costituzioni de suoi antecessori, come se fossero sue proprie , nia egli dovette accomodarle al suo tempo e linguaggio dove abbisognava; così fanno i legislatori. Chi desideri vedere il tipo dell’ augustale in un buon disegno alla moderna, può consultare la Revue Numismatique 'del 1847, tavola VII, n. 4: ove pure al n. 3 troverà il tipo del Massamutino, di cui parlai nella Nota precedente. Chiuderò con una avvertenza per rispetto ai dubbi manifestati dal eh. D’Ancona. Gli agostari non sono da confondere coi denari imperiali di Federico II ; i quali ultimi non sono d oro, ma di bassa lega, e correvano, come al solito, a dodici per soldo e a duecento quaranta a lira del Regno. Cornelio Desimoni. bibliografia chiabreresca supplemento Alla Bibliografia delle opere a stampa di Gabriello C h i a-b r e r a pubblicata già da me in questo Giornali , aggiungo (i) Doenniges, Acta Hanrici VU; Berlino, Nicolai, 1839, parte II, P· 29, n. 16. GIORNALE LIGUSTICO 407 ora un supplemento, nel quale sono descritte sino a trenta-cinque edizioni nuove. Le edizioni chiabreresche sommano cosi a duecento trentotto; nè certo si contenteranno di questa cifra. Ma le edizioni del Poeta savonese io non descrivo semplicemente per sommarle, sì le vo noverando per preparar degnamente una edizione critica di tutte le opere sue , e per aver modo di studiare lo svolgersi della sua mente, e il manifestarsi della sua svariata attività poetica. Niuno può disconoscere come una diligente bibliografia sia in ciò validissimo aiuto. E già avea preso a studiare la gioventù poetica di Gabriello, la sua maturità, e la vecchiezza non meno rigogliosa (giacché in lui, eh’ ebbe tranquillissimo stato, la vena del poetare si spense soltanto colla vita), quando me ne distolse il pensiero che la notizia tuttavia incerta di parecchie tra le edizioni originali delle rime del Nostro, mi avrebbe obbligato a rifare un lavoro soverchio affrettato. V’ è poi una mia promessa, inadempiuta ancora, ed è quella di dare un catalogo dei manoscritti del Poeta che tuttora rimangono. Non Γ ho dimenticata ; e se altre occupa-pazioni mi daranno tregua, lo pubblicherò nel prossimo anno. Intanto debbo render qui pubbliche grazie all egregio pro-tessor Guido Mazzoni, al quale piacque non solo giudicar benevolmente il mio modesto lavoro ; ma volle eziandio aiutarmi nel migliorarlo fornendomi appunti nuovi. Con questo supplemento non finiscono le cure che darò alla Bibliografia, che a me preme di lasciare perfetta. Excelsior! Roma, 8 dicembre 1887. Ottavio Varaldo. 4o8 GIORNALE LIGUSTICO i. — Schermi / e canzonette / morali / del sig. Gabriello / Chiabrera. / In Genova, / appresso Giuseppe Pavoni. / MDXCIC. Con licenza de’ Superiori. In 12. Questa edizione molto importante, che nessun bibliografo ricorda, parve a me di non poterla intravvedere nella descrizione che della raccolta delle Rime fatta dal Pavoni nel 1599 dà il Poggiali (i)· Nè mi ingannai. L esemplare eh' io ho veduto è all’ Alessandrina di Roma. È innanzi al volumetto una lettera di dedica di Lorenzo Fabri a Jacopo Doria del S. Agostino, colla data del 25 settembre 1599. Si hanno, poi, Pag· 7 a pag. 108 i tre libri degli scherzi; e da pag. 109 a 151 le canzonette morali. Due sono cosi le edizioni che si devono alle cure del Fabri: quella delle maniere dei versi toscani (2) e la presente. Venne poi il Pavoni a raccogliere in un sol volume i versi sin allora composti dal Chiabrera, eccettuando le canzoni edite nel 1586-87-88, che si farà a r.ic->_ogliere più tardi il Combi di Venezia, aiutato da Piergirolamo Gentile; ed eccettuato ancora il poema sulla Guerra dei Goti. Dopo la notizia del-1 edizione degli Scherzi e canzonette viene quindi a scemar d' importanza la raccolta fatta dal Pavoni nel 1599 (?)· 2· Rime cantate nel giardino di Riccardo Riccardi con la occasione di ima festa fatta quivi per la Reina. (In Firenze, appresso Giorgio Marescotti, 1600). (0 Bibliografia n. io. (a V. Bibliografia n. 9. (ì) Ecco il frontespizio e il preciso contenuto di quesu cJuiane . Rtmc I del signor / GabrUllo j Ciuirira, / rottola / fa Gimuff, Poro»,, / io Geno»i / *p-presso Giuseppe Pavoni, MD1C. / Con licenza de' Superiori. In Delle canzonette, libro primo e secondo; scherzi e canzonette nomi; degli tcl-crzi, libro *«- , egli scherzi, libro terzo ; canzonelle morali ; le maniere dei versi toscani ; poemetti la disfida di Golia, la liberazione di S. Pietro, il leone di David, il diluvio, U conversione di sanu Maddalena. Non è certamente da trascurare quanto seme il P.voni di questa tua edizione nella lettera di dedua a Marcantonio Grillo: . le presenti compmiiioni del i:,;>or Gabriello Chiabrera Poeu g 0, che sa il mondo, e della Joitnna, che conoscono tutu gli intendenti, io ho raccolto a questo picciolo volume, e risumpate per soddisfa .· gionnl studiosi della poesia, I quali siuera\a.*°. Nè uubito ponto, che 10 meriti 4’c»»tr ripreso deturparmi quello, che ti tpctta all altrui ; sapendo essere non meno lecito agli Stampatori dispon.re delle fatiche, le quali fanno nelle cose, che stampano, di quello che sia a gli Amori dril, - eh. compongono ..-Ma p one era quesu del Pavoni, e il Chiabrera avea ragione di dolertele più ia;Ji acerba-mente. 1 GIORNALE LIGUSTICO 409 La reina per la quale furono cantate le rime è Maria Medici, disposata nel 1600 ad Enrico IV. La notizia di questa edizione ho tratta dal voi. 7 delle Poesie del Chiabrera, pubblicate in Napoli dal Giordano nel 1831 (1). Ivi si leggono in un’appendice, da pag. 145 a pag. 168. Eccone i titoli e i capoversi: — ballata di ioresette del giardino che cantando e ballando guidano un carro coperto di frutti e di fiori; comincia: Qual sovrana bellezza; — madrigale cantato da villanelli del giardino che presentano gli uccelli presi nelle ragne alla presenza de’Principi ; comincia: Questi voraci ingordi, — canzone in persona di Pindaro che introduce eroi all’antica a correre; comincia: Qui dove il fiore delle virtù s'infiora; — rivolgimento di canto; comincia: Suona su mute note ombre di mio; — stanze in persona del Poliziano che introduce armeggiatori; cominciano : Io che in versi versai d'Arno alla riva; — canzone in persona di Diana innanzi che si cominci la caccia; comincia: Son la triforme Dea, la Luna in cielo; — canzone cantata in presenza della regina in lode del re suo marito ; comincia: Amor mi spinge e sprona; — canzone in lode della regina; comincia: Da sommo seggio scende. Avverto che le indicazioni tipografiche sono una semplice congettura mia, e perciò le ho poste tra parentesi. 3. — Rime I del signor / Gabriello / Chiabrera, / raccolte / per Giuseppe / Pavoni. / In Padoa. / Apreso Francescho bol-zeia. / 1604. (1) Accennai a questa edizione valendomi del Bertolotto c del Lampredi. L’averla potuta poi esaminare, e il giudicarla come ottima, mi fa desiderare d’accennare il contenuto di ciascun volume. Eccolo. Vol. i.·: canzonette giocose, canzonette morali, scherzi o madrigali ; voi. 2.0 canzoni eroiche; voi. $.° canzoni lugubri, sacre, morali, epitaffi; vol. 4.0 egloghe, vendemmie di Parnaso, il Battista, Scio; voi. $.° poemetti profani (la conquista di Rabicano, l’Erminia, l’AI-cina prigioniera, il Muzio Scevola, la lotta di Ercole e di Acheloo, il Chirone, le Meteore, le Stelle, il presagio dei giorni, il secolo d’oro, la caccia dell’ astore, il vivaio di Boboli, P ame-tisto, gli strali d* amore, il diaspro, il tesoro, il verno, le grotte di Fassolo, le perle, il rapi-rapimento di Proserpina, le nozze di zefiro), poemetti sacri (la disfida di Golia, la liberazione di S. Pietro, il leone di David, il diluvio, la conversione di s. M. Maddalena, i cinque tiranni di Gabaon, la pietà di Micole, per s. Carlo Borromeo, per s. Margherita, per s. Agnese, la Giuditta, la Giuditta in terza rima); voi. 6.0 il Foresto, le feste dell’anno cristiano, PAlcippo, il rapimento di Cefalo, vegghia delle Grazie, Ippodamia, riflessioni sopra l’Ippodamia (di Olimpo Fenicio) ; vol. 7.0 Orazione per Andrea Spinola, discorsi (sono i cinque recitati all’Accademia degli addormentati, ed editi gii dal Franchelli nel 1670, senonchè al Giordano parve di poter spezzare il quinto in due) ; sopra un sonetto del Petrarca ; elogi di illustri italiaui (sono quelli pubblicati nel 1794, meno quello del Tasso); appendice alle poesie; rime di diversi in lode del Chiabrera. 410 GIORNALE LIGUSTICO In 12.° Questo volumetto, senza alcuna dedica e senza alcuna prefazione, contiene i due libri delle canzonette; i tre libri degli seherzi; le maniere dei versi toscani; ed i poemetti: la disfida di Golia, la liberazione di S. Pietro, il leone di David, il diluvio e la conversione di s. Maddalena. Oltracciò contiene versi per Alfonso I d’Este , Enrico Dandolo, Marc’Antonio Colonna, Gian Giacomo Trivulzio e Francesco Sforza. Questa edizione, come l’altra del 1601 per lo stesso Bolzeta, è condotta su quella del 1559 uscita in Genova pel Pavoni (i). 4. — Ghirlanda / dell1 Aurora, / scelta di madrigali / de’ più famosi Autori di / questo secolo, fatta dal / signor Pietro / Pe-tracci. I Con privilegio e licenza de' Superiori. / In Venetia, MDCVIIII / appresso Bernardo Givnti et Gio. Batt. Ciotti. In 12.° Sette madrigali del Chiabrera sono compresi in questa raccolta, dei quali ecco i capoversi : Clì' io vi sia presso 0 htnge — Ha ne’ begli occhi il sole — 0 che sorga ΓAurora — Per colpa ingiusta di fortuna humile — S’a mia pena maggiore — Schiera d'aspri martiri — Volta a farmi felice. Di questi rimase sconosciuto agli editori delle opere il quinto, che qui ristampo : S'a mia pena maggiore Alcun dirà di mi; volubil fede; Da lei rivolse il piede, et i partito, Alhor dica per mi servo d’ Amore, Da lei rivolse il core, et i partito, Ma tradito e schernito. Si leggono da pag. 162 a pag. 165. 5. — Sciella I di varie poesie sacre / di diversi eccellenti / autori. I in lode di n. Signor, et di / Maria Vergine, et d’altri santi. Gabriello Chiabrera. Gabriello Fiamma. Giovanni Rolli. Bartolomeo Barco. Cornelio Tirabosco. Nicolò Negri. (1) V. Bibliografia, n. io e 16. GIORNALE LIGUSTICO 411 con gli argoiiienti. / con licenza el privilegio. / In Venetia / presso Bernardo Giunti, Gio: Batt: Ciotti /et compagni. 1608. In 12.° Il raccoglitore ha voluto far precedere le rime del Chiabrera dalla lettera di dedica a Marcantonio Grosso delle rime sacre pubblicate dal Bolzeta nel 1604 (1). La raccolta è quindi condotta su questa edizione. Non è di sole liriche, poiché vi sono anche compresi Γ Erodiade e i cinque tiranni di Gabaon. Ecco l’indice delle liriche : Fra cotanti peccati ond’ io vo’carco·, Provarsi a celebrar lingua mortale; Quando nel grembo al mar terge la fronte; Nel di che più dolente apparir fuore; Muse, che Pindo et Elicona insano ; Deh chi viole mie a par col giorno; Oro dolce diletto ; Se quel vago diletto; Se degli avi il tesor che si com' ombra; Chi è costui che avvinto. È a notare che l’Erodiade, nemmeno in questa edizione fu compiuta. 6. — Alcvne poesie / sopra la morie del principe / don Francesco / Medici, / con licenza de’ SS. Superiori. / In Firenze, / appresso Cosimo Giunti M.D.C.XV. In 4°. Sono nella raccolta due canzoni del Chiabrera , comprese poi tutt’e due nella raccolta delle opere. La prima é a pag. 34, e comincia: Ve’formidabile uso; 1' altra è a pag. 41: Già lieto a gli occhi tuoi venni sovente. Ma nelle opere trovasi questa seconda mancante di due strofe e nelle altre leggesi con alcune varianti. Ecco le due strofe mancanti, che sarebbero la quinta e la sesta. N011 fu pietà nel ciel, che fosse schermo A l’aspra piaga? et arrestasse il pianto, Che Ί cor dovea, benchi robusto, e fermo De l’alta madre tormentar cotanto? Sperossi indarno a nostro pro’ ; quel giorno Risorse a serenar barbaro impero Che per Francesco servitute, e scorno Già pur s’immaginava entro ’l pensiero. 7. — Firenze, / poema / di Gabriello / Chiabrera, / al serenissimo Gran Duca di Toscana / Cosmo secondo. / Con pri- (l) V. Bibliografia, n 412 GIORNALE LIGUSTICO vilegio. / In Firenze, / appresso Zanobì Pignoni, / con licenzia de’ Superiori / MDCXVI. In 4.0 II poema comincia subito a pag. 5. È diviso in nove canti, in ottava rima ; e manca a ciascun canto 1' argomento. Non è questa che una ristampa dell’ edizione del 1615, a cura dello stesso Pignoni (1). Il volume è di pag. 139 e 3 bianche. 8. — Per lo gioco / del pallone, / celebrato in Firenze j l e-state dell’anno 161S. / del signor Gabriello Chiabrera. / In Firenze, per Zanobi Pignoni, 1618. / Con licenzia de Superiori. In 12.0 Comincia: Se Ί fiero Marte armato; finisce: Cb a ragion si può dir gioco di Marte. Di pag. 8 non numerate. Soggiungo qui che l’edizione descritta dal Poggiali (Serie ecc. II, 23) e da me accennata al n. 66 della Bibliografia è un’ edizione diversa (2). (1) V. Bibliografia, n. 6l. (2) Eccone il frontispizio : / Per lo liceo iti (alle··.,, alteralo i·, Firenze. / Vinate bWt*»o 1618. I el ut,a lo Je a i giocatori idT itletio. / liol Jue »*{<«' iti si(. Gétrùllo / Cbiabreri / In Firen2e, per Zanobì Pignoni. i6t8. / Con licenxia «le* Superióri. In f° • La prima canzone comincii : Se 'I fiero Marte ormato; Γ »ltr» Care «iife Direee; c finisce: Xobile è quft, che nobil cose ad opra. Per la grande rariti di quest’ opuscolo chiedo il permetto di dire qui 1» primi canzone : Animai! sembianti, E fra sudori sparsi Esempi di destrezza. Se meno bumin s'apprêta Lungo Potute d’Eurota hanno a loJarii, H attenti rimiri Cosmo K t no tiro, o Dio par che 'I distri Ei le piaghe di guerra Sa consolar co' premi ; E nc la pace i valorosi honora ; Et oggidì, che in terra Estivi ardor supremi Struggono i campi, che ΓAprile infiora, Son sdegna far dimora Entro confini angusti Di popolato agone, Ma nobile hom brama di Pindo i canti; Ove più d'un campione Certo rapido piede, Utt sfidare in protra » più robusti; E braccia ben possenti, Ciascun fatto gagliardo E petti in travagliar non anhelanti; Sotto i cortesi rai del regio sguardo. Care Ninfe Dircee Voi già degno mi feste A celebrar d’Italia almi guerrieri, Hor non battaglie ree, Non insegne funeste, Non vuò cantar acciar sanguigni, e fieri, Giuochi di pace altieri, In cui l’altrui valore A* popoli risplende Novo disio m’accendc Por su la cetra, e coronar d'honore, Onde ne fian graditi Illustri giocator su i patrij liti. Vergine bella chiede Per sè vaghi ornamenti, GIORNALE LIGUSTICO 4-13 9. Ode I di Pindaro / antichissimo Poeta, / il principe de’greci lirici I cioè, I Olimpie Nemee Pithie Istmie / tradotte in parafrasi et in rima toscana / da Alessandro Adimari e dichiarate dal medesimo. / ecc. In Pisa, nella stamperia di Francesco Zagagli, M.DC.XXXI. / Con licenza de’ Superiori. In 4.0 L’editore nella prefazione stampa il seguente frammento di lettera che dice scritta dal Chiabrera all’Adimari da Savona nel 1623: «Per verità nian poeta poteva trasportarsi in Toscana dal quale i seguaci di poesia dovessero più avanzarsi in poetando et i lettori più maravigliarsi, si egli giungerà pieno di grandezza, Qual se gonfio le gote Austro d’orribil sdegno Fuor del campo affrican torbido spira ; E se lascia Boote, E per l'acrio regno 11 gelido Aquilon ver lui s’adira, All’ hor nube si mira, CH' instabile veloce Hora innanzi seti vola, Hora indietro rivola All'intiero soffiar del più feroce; E nel s.no dell'onde S’innalza mugghio, e fa sonar le sponde. Tal gioventù famosa In più coppie distinta Per contrasto d’honor palme procaccia ; E gran palla ventosa, E spinta, e risospinta Da la salda virtù de le lor braccia ; Totto cosparso in faccia Di dolce meraviglia 11 vago popol folto Quinci e volto, e rivolto, Ve’ sa stancarsi d’ inarcar le ciglia, E grida a’ le gran prove ; Che valor non usato altrui commove. Ben potrei coglier fiori In chiusa piaggia amena, E far ghirlande a la gentil fatica; Ma da si bei lavori Oggi lontan mi mena Α1Γ altrui dishonor musa nemica ; e di uno spirito altiero, al quale pa- 0 da la gloria antica Sviata gioventude. Che in fruir piume, et agi, Et in dadi malvagi Disperdi gli anni tuoi, come in virtute, Dimmi, si fatta è l’arte Di vibrare asta, e farsi caro a Marte? Cosi del Tebro in riva A gli honorati tempi Mon si videro alzar trofei Romani, Nè fra la turba argiva Diede cotali esempi Il magnanimo ardir de* cor Spartani, Ma duri giochi, e strani Sembrano giochi indegni Di vera nobiltate ; Ah neghittosa etate ; Ahi troppo schivi, e dilicati ingegni, E che? chiara non luce Fra noi sua fama, o fu villan Polluce? Costui sangue di Regi, Con popolare arnese, Usava armar la reverita destra ; E ricercò suoi pregi Ne l’acerbe contese, E nel sudor de la vulgar palestra ; Virtù sola maestra Di ben guidar la vita, E che n'impenna l’ali Per sentieri immortali 1 suoi seguaci a le fatiche invita ; 11 ver non si ricopra ; Nobile è quei, che nobil cose adopra. 414 GIORNALE LIGUSTICO ragonati agli altri, rimangono quasi plebei. V. S. adunque goda del suo studio, e ne colga prestamente la gloria, e diesi alla nostra Italia questa rinovata Fenice ». In questa sua traduzione 1' Adimari ha conservata la strofe pindarica, che il Chiabrera usò per la prima volta soltanto nel 1624. Sull’ imitazione che il Chiabrera lece di Pindaro dirò prossimamente, con licenza dei Direttori, in questo Giormle. io. — Poesie eroiche / di / Carlo Giuseppe / Orrigone, / In Genova, / per Giuseppe Pavoni. 1634· / Con licenza de Superiori. In 8.0 In fine al volume si legge un* ode del Chiabrera all' Orrigone , letterato milanese di cui possono leggersi notizie nell Argelati, rimasta sconosciuta a tutti i raccoglitori delle opere e ch’io ripubblicai nella Liguria occidentale di Savona (1). Comincia: Riderebbero aspersi ; finisce: E raggiralo a la vii plebe il tergo. Anche questa poesia do in nota (2). (2) Riderebbero aspersi Di nettarea rugiada Che da’ colli febei scende più pura, Orrigoni i mici versi, Se vedessi congiunta Al tuo vero valor lieta ventura : Qual se raccoglie usura Spino rapace si rallegra, tale Fian miei sembianti d’allegrezza adorni S’ unqua vedrò rasserenar tuoi giorni I bramât» dolcissimi viaggi, £ di ben mille oltraggi Pona sofferte, al suo camino intoppi E teppe d»re altrui, s* aspro tormento Porge il desir, quando a fomiti ir lento. Perchè non han potere Contro il filar di Cloto Le di Pindo al mio cor dilette Dive ? Che fervide preghiere Per te chiedendo aita Farei volar su per l’aonie rive? Ma ne Febo prescrive L’immensa forza a le severe Parche E contra rio tenor d’iniqua so ne Solo qua giù la sofferenza è forte. Ei rimirò mal fertnï Lo stuol de' suoi seguaci Incontro al totco de' licor circei: Ed ebbe a farsi schermo Verso Palme sirene ; Soavi canti ad ascoltarsi, e rei ; Ne gli antri ciclopei Lo smisurato ingolatore ei vinse ; E s’illustrò di singoiar virtute Con atto egregio di possanze astute. S’io col mio dire inganno De l’antico Laerte 11 si scaltro figliol facciane saggi: Ei dopo il decimo anno Verso la patria prese Quante preghiere, e quante Veno Calipso ei mosse Perchè gli aprisse a dipartir la vii ? Ma la rcina amante Si come alpestre scoglio Al di lui querelar non fu mai pia: Ha tanto di balia Bellezza sovra un cor quando l'accende, Ch'ei de gli ardori suoi mai non si pente, Nè mai sue fiamme allontanar consente. GIORNALE LIGUSTICO 415 11. — La I biblioteca / aprosiana / passatempo autunnale / di I Cornelio Aspasio / antivigilini / tra vagabondi di Tabbia detto / l’aggirato. / ali’ illustris, e generosissimo sig. / Gio : Nicolò Cavana / patrizio genovese. In Bologna, per li Manolessi, 1673. / Con licenza de’Superiori. In 12.0 A pag. 617-18 si leggono, insieme ad alcune notizie bibliografiche sulPOrrigone, le prime due strofe dell’ode a lui indirizzata dal Chiabrera, e che incomincia: Riderebbero aspersi. \ 12. — Le rime / del sig. / Balducci / in Roma per F. Moneta 1645. / ad istanza di Filippo de Rossi. In 12.0 Vi è a pag. 445-6, della parte prima, una canzone del Chiabrera che incomincia : 0 bella Euterpe, 0 dei miei versi honore ; e finisce : Qual già la sciolse in Mitelene Alceo. Credo sia questa la canzone inserita nell’edizione delle Rime del 1663, eh’ io citai sulla fede del Giornale dei letterati, non avendola potuta avere tra le mani (5). 13. — Lettere memorabili dell’abbate Michele Giustiniani, patrizio genovese / de’ Signori di Scio, e d’altri. / In Roma, per Nicolò Angelo Tinassi. MDCLXVII. Con licenza de’ Superiori. A che partir? mie note Son tanto aspre ad udirsi? Si rugosa la fronte? irti i capegli, Son si crespe le gote ? £ tanto tenebrati Questi occhi, che solcano esser si begli? Tal dicev’ essa, ed egli Con volto mesto riguardava in terra, F disprezzando della maga i detti Bramava il fumo de patemi tetti. Ma non lunga stagione Si sfortunato ci visse, Per ciascun su nel ciel regna mercede: Vide alfin sua magione £ de la moglie in grembo (5) Bibliografia, n. 129. Ei ritornò d’ogni dolcezza erede : Or tu non perder fede Ma fiorisca Orrigon la tua speranza, Placasi il mar, non è da lungi il porto, Ivi i sofferti guai ti 6an conforto. Fa che intanto si spanda 11 suon de l’aurea cetra, * Altiero arnese de* tebani egregi, Ed eterna ghirlanda Di Castali ligustri Tessi cortese su la fronte a regi ; Colmo fia de’ tuoi pregi Fra lunghi sdegni di fortuna acerba Avere in Pindo fabbricato albergo E raggirato a la vii plebe il tergo. 4i6 GIORNALE LIGUSTICO In i2.° Nella terza parte, da pag. 235 a pag. 250 si legge 1 autobiografia del Chiabrera. Segue ad essa il breve indirizzato da Urbano VIII al Chiabrera in occasione del Giubileo, l’anno 1623. In questa edizione dell’ autobiografia è la data vera del giorno di nascita del poeta, e cioè 18 giugno. 14. — Poesie scelte / di / Gabriello Chiabrera / con un discorso intorno alle medesime \ del p. d. Francesco Soave / c. r. s. .Milano / presso Gaetano Motta. / M.DCC.LXXXV. / Con permissione. In 8.° Questo volume fa parte d’una raccolta di lirici italiani, fatta dal p. Soave. Le poesie sono cosi disposte: canzoni eroiche, quarte rime, canzonette galanti e amorose, vendemmie di Parnaso, sermoni, poemetti, e capitoli. In capo al volume sta l’autobiografìa, e in fine un discorso del p. Soave intorno le poesie del Chiabrera. 15. — Componimenti lirici / dei più illustri / poeti d Italia / scelti da E. J. Mathias (inglese) / membro della Società reale ecc. I Nuova edizione / volume ter^o / Napoli 1S19 / presso Agnello Nobile libraio-stampatore / Strada Toledo, n. 186. In 8.° Nel tomo terzo di questa raccolta, della quale non sono riuscito a trovare la prima edizione, e che pure nella presente ristampa ebbi manca del tomo primo, dove sono altre poesie del Chiabrera, si leggono del Savonese le poesie di cui offro i capoversi: Già tornano le chiome agl arboscelli; Bella guancia che disdori; Di quel mar la bella calma; I.a violetta; Quando vuol sentir mia voce\ Belle rose porporine; Vagheggiando le bell’onde; Damigella. V. da pag. 17 a 31. 16. — Sonetti I di ogni secolo / della nostra letteratura / con note / pubblicati per cura / di Francesco Ambrosoli / Milano. Presso la libreria Branca e Dupuy / 1834. In 8.° A pag. 151 della sua raccolta P Ambrosoli pubblicò il sonetto che comincia: Allor che d’ira infuriato ardea. GIORNALE LIGUSTICO 4*7 !7· — Storia / del / sonetto italiano / corredata / di cenni biografici / di note / storiche, critiche e filologiche / Prato / dalla tipografia Guasti / 1839. In 8.° Nove sonetti del Chiabrera vi compresero i raccoglitori. Eccone i capoversi: Quando a' suoi gioghi Italia alma traea-, Che a Spagna orgoglio,e colla man possente; Che d’un guerriero al trapassar le voci; D’arabe gemme e dì tesor fregiarsi; Allor che d’ira infuriato ardea\ Calcasi ognor da rie vestigia immonde; Gran destrier.......; Fregiar d’ Olanda ed incresparsi i lini; Verrà stagion, voi, che tra dan\e e canti. 18. — Scelta j di / poesie liriche / dal primo secolo della lingua / fino al 1700 / volume unico / Firenze / Felice Le Monnier e compagni / 1839. In 8.° Sono in questo volume parecchie liriche del Chiabrera , delle quali ecco i capoversi : Quando il pensiero umano ; Quando nel grembo al mar terge lo fronte; Per me gtaceasi appesa-, Allor che l’oceàn, regno de'venti; Per la trascorsa etade; Fra duri monti alpestri; Poi eh’amor fra l'erbe e i fiori ; Quale appare Ire celeste; Se il mio Sol vien che dimori; Belle rose porporine; Vagheggiando le bell’onde. Le poesie stanno comprese tra le pag. 872-77. 19. — Schicksale und Beschaffenheit / des / weltlichen Ge-sanges / vom / frùhen Mittelalter / bi{ %ιι der / Erfindung des dramatischm Styles / und den / Anfàngen der Oper. / Fon R. G. Liesemetter. / Mit musikalischen Beclangen. / Leipzig, 1841, / Druck un Verlag von Breitkopf und Hartel. Da pag. 74 a 78 è recato l’ultimo coro del Rapimento di Cefalo (e cioè il coro dei cacciatori) accompagnato dalla musica. Credo sia questo l'unico pezzo musicato che ci rimanga del dramma. Il Liesemetter non dice di dove lo trasse, ma certamente ebbe innanzi le Nuove musiche di Giulio Caccini, edite in Firenze pel Marescotti nel 1601, in cui appunto si trova (1). Ciò affermo con tanta più sicurezza inquantochè nelle sue edi- ti) V. Bibliografia, n, 13. Gjoru. Ligustico. A*ric XIV. 4i8 GIORNALE LIGUSTIGO zioni che abbiamo del Rapimento uscite nel 1600, la poesia non è accompagnata dalla musica (1). Io voglio qui prender nota che le arie: Muove si dolce e si soave guerra; Caduca fiamma di leggiadri sguardi; Qual trascorrendo per gli eterei campi; fnrono cantate , la prima da Melchior Pa-lontrotti « Musico eccellente della Capella di N. S. » ; la seconda da Jacopo Peri * Musico eccellente stipendiato da queste Altezze Seren. »; e la terza da Francesco Raso « nobile aretino, molto grato servitore del-l’Al. Ser. di Mantova ». Nè mi piace lasciar d’accennare con più precisione del Fetis che di tutta la musica del dramma ebbe il carico Giulio Caccini; se non che il primo coro compose Stefano Venturi del Nibbio: il secondo € per maggiormente onorarsi musica, e scena reale, di fare compiacquesi il sig. Pietro Strozzi » ; il terzo e il quarto compose Messer Luca Bati. Il dramma poi non fu già rappresentato il 6 ma il 9 ottobre del 1600 (2). 20. — Monumenti / di / pittura, scultura / e architettura / della città di Savona / per f p. Tommaso Torter oli / savonese / Savona 1847. / Presso Giacomo Prudente libraio-editore. Nel retro: Tipografia Rossi. Con permissione. In quest’affannato volume di Tommaso Torteroli, uomo di molto buon volere, ma per più ragioni infelice, sono parecchie cose del Chiabrera. Da pag. 80 a 83 la canzone al Castello che incomincia: Nel divoto soggiorno. A pag. 215 il distico: Sul mare irato ecc.; a pag. 320-21-22 le iscrizioni per l’arrivo in Savona di Carlo Emanuele I di Savoia, reduce dalla Spagna dove s’ era stretto in matrimonio con l’infanta Caterina. A pag. 323, infine, è riferita una lettera scritta a nome del Comune di Savona a Giuliano Boccone per indurlo ad adoperarsi perchè secondo i desideri (1) Offro qui i frontispizi di queste due edizioni, ch'io descrissi gii (n. u e u) colli scort» del Gamba e del Poggiali. Il rapimento / di Cefalo / rappresentato nelle no^e f della crislianis, regina / di Francia e di Navarra / Maria Medici / di Gabriello Chiabrera. / In Firenze / appresso Giorgio Marescotti. / MDC. / Con licenza de* Superiori. In 4.0 di pag. 28. Il I rapimento / di Cefalo. / In Fiorenza / appresso Giorgio Marescotti. / M.DC. / con licenza de’ Superiori. In 4.0 di pag. 27 numerate. È questa l’edizione in caratteri corsivi notata dal Poggiali. (2)^Descrizione delle feste, in Buonarroti, Opere varie, Firenze, Le Monnier, 1863, pag. 412. GIORNALE LIGUSTICO 419 della cittadinanza, anche Savona potesse avere un collegio di Gesuiti. La lettera, dettata a quanto sembra dal Chiabrera, è la seguente : Molto Illustre Signore, Per lo desiderio che V. S. ha con noi di fondare un collegio dei Reverendi Padri di Gesù qui in patria, ci pare opportuno di farle parte di ciò che passa al presente sopra ciò. È qui venuto il R. P. Bartolomeo Marciano, e ne ha fatti certi, come costi in Sicilia non mancano cittadini nostri i quali daranno mano a quest’ impresa allora che sia per incominciarsi. Noi siamo sicuri che l’offerta già fattane da V. S. e l’espressione dell’animo suo gli abbia commossi; perciocché gli uomini cristiani, si lasciano volentieri commuovere dagli esempi della cristiana bontà. Eppure noi con questa occasione preghiamo V. S. a pensare di condurre a fine l’opera, la quale ha, per cosi dire, incominciata, e tirare innanzi quanto ha già mosso per la propria divozione. Con lungo pensamento non abbiamo trovato modo migliore di sollevare questa cittadinanza, e veramente di qui verrà beneficio ad ogni condizione di persone ; nè si fermerà tra gli uomini presenti, ma nei nostri successori andrà di mano in mano facendosi maggiore; onde per conseguenza verrà a V. S. ben ampia gloria, la quale fu in ogni tempo desiderata dalle persone bennate. Oltrecchè ci è dentro il grande servizio di Dio, da cui ogni creditore aspetta senza fallo sempiterna e grandissima usura. V. S. ha fatto di simili giovamenti nelle città dove Ella abita; facciane similmente in questa, dove Ella nacque, e manifesti non meno la sua bontà verso i cittadini, che verso gli stranieri. Noi ne la preghiamo, nè siamo soli a pregamela ; diasi ad intendere di sentire la voce di tutti, e creda di vederne infiniti che si rivolgono a lei, a’ quali avrà provveduto di sussidio e temporale e spirituale, non sarà per rincrescere mai a V. S. nella quale ecc. 21. — Versi alla patria / di / lirici italiani / dal secolo XIV al XVIII / raccolti per cura / di / Filippo Luigi Polidori / Firenze / presso Mariano Cecchi / tipografo-editore / 1847. In 24° Da pag. 134 a 146 si hanno rime del Chiabrera. Eccone i capoversi: Se per aJdietro in coraggiosa impresa; Tutti gli limati desiri; Gonfiatisi trovile, ed a provarsi in guerra ; Dovunque il vago piè talor vii mena ; Alta rocca munita (manca della fine); Certo è che, a sua gran pena (della canzone sono però date soltanto le ultime sette strofe) ; Quando a' suoi 420 GIORNALE LIGUSTICO gioghi Italia alma traea ; Che a Spagna orgoglio e con la man possen te ; Che d'itn guerriero al trapassar le voci; D’arabe gemme e di tesor fregiarsi. 22. — Florilegio / dei / lirici più insigni / d’Italia / preceduto da un discorso / di Paolo Emiliani Giudici / Firenze / poligrafia italiana / 1848. In 8.° È un volume unico, diviso in due parti. Nella seconda parte si leggono del Chiabrera : Quando il pensiero umano ; Quando nel grembo al mar terge la fronte; Per me giaceasi appesa; Allor che l'Oceàn regno de venti; Per la trascorsa etade ; Fra duri monti alpestri; Poi cl>’amor fra l’erbe e i fori; Se il mio Sol vien che dimori. Inoltre l’Emiliani Giudici v ha compreso nove dei sonetti volti a incitare gl’ Italiani contro i T urchi. 23. _ Poesie italiane / inedite / di dugento autori / dall’origine della lingua / infino al secolo dtcimostUimo / raccolte e illustrate / da Francesco Trucchi / socio di varie accademie. / volume quarto. / Prato, per Raineri Guasti / 1847. In 8.0 A pag. 103-5 il Trucchi ha pubblicato una cantata, dicendo di averla estratta dal codice magliabechiano 357 della raccolta malatestiana, e attribuendola a Ottavio Rinuccini. La cantata ha per soggetto gli amori di Rinaldo e Armida; comincia: Poi eh’ amor tra Terbe t ifiori, e finisce: Al ferir dei baci ardenti. Io non so qual possa essere l’autorità del codice di cui s’è valso il Trucchi; ma osservo che qualunque possa essere deve cedere innanzi all’ autorità di prove maggiori. La cantata infatti, che il Trucchi ci dà come inedita e di cui fa autore il Rinuccini, fu pubblicata fin dal 1605 a Venezia per cura di Piergirolamo Gentile c coi tipi di Sebastiano Combi. Veggasi la prima parte delle poesie del Chiabrera pubblicate in quest’ anno, e da pag. 76 a pag. 79 si troveranno per l’appunto i versi attribuiti al Rinuccini. Ora 1’ essere stata la cantata compresa tra le poesie del Chiabrera dal Gentile, amico al Savonese e più volte editore delle sue rime, mi pare argomento sufficiente, come dicevo, a togliere ogni autorità al codice magliabechiano. 24. — Opere I edite e postume / di / Ugo Foscolo / saggi di critica storico-letteraria / tradotti dall’inglese / raccolti ed ordinati da F. S. Orlandini e da E. Mayer, / volume primo. / Firenze. / Felice Le Monnier. / 1859. GIORNALE LIGUSTICO Nella sua Storia del Sonetto non parve al Foscolo di dover recare alcun esempio del Chiabrera. Ma all' ingiusta esclusione ripararono gli editori delle opere, sigg. Orlandini e Mayer, dando in nota quello che incomincia: Quando a’ suoi gioghi Italia alma traea. 25. — L’arpa del popolo / scelta / di poesie religiose morali e patriottiche / cavate dai nostri autori / e accomodate all’intelligenza del popolo I con annotazioni di G. C. / Edizione fatta su quella degli Opuscoli Scelti / annessi alle Letture di Famiglia I Firenze / dalla tipografìa Galileiana / di M. Cellini e C. / i«SS· In 8.° Sotto le iniziali G. C. si cela il nome del più gran poeta italiano vivente, Giosuè Carducci, che negli ardimenti metrici è pari certo al gran Savonese. Del Chiabrera sono qui (pag. 271-2) due sonetti: Quando a' suoi gioghi Italia alma traea; D'arabe gemme a di tesor fregiarsi, 26. — Autobiografie. / Petrarca, / Lorenÿno de’Medici, Chiabrera I Raffaello da Montelupo, / Vico, / Foscolo, Balbo. / Firenze, / G. Barbera, editore. / 1863. In 32.0 Le autobiografie sono raccolte da A. d’Ancona. Quella del Chiabrera si legge da pag. 115 a pag. 136; e per essa il d’Ancona s’è valso certo del testo del Paolucci non avendo corretto l’errore nel giorno della nascita, e avendo tralasciato il breve d’ Urbano Vili. 27. — I poeti della patria / canti italici / raccolti j da j Vincenzo Baffi / Napoli / Giosuè Rondinella editore / strada Trinità Maggiore 27. / 1863. In 8.0 Tre sonetti del Chiabrera comprese nella raccolta sua il Baffi : Quando a’ suoi gioghi Italia alma traea ; Che a Spagna orgoglio, e con la man possente; D'Arabe gemme t di tisor fregiarsi. I sonetti si leggono da pag. 29 a pag. 30. 28. — Il Baretli / giornale scolastico letterario / compilato c diretto / dal professore / Gian Severino Remino / dottore in Lettere. I Anno VII. / Torino, / tipografia A. Fina. 422 GIORNALE LIGUSTICO In 8.° Nel n. i il Perosino na pubblicato l’ode del Chiabrera promessa nel n. 51 del 1874: il Perosino dichiara d’averla avuta in dono da Vincenzo Promis, il quale ebbe cura di decifrare l’autografo dov’era men leggibile. La punteggiatura fu supplita dove mancava. L’ ode, indirizzata al duca Carlo Emanuele I, comincia : Del permesso in su le rive ; finisce : Che ’l defin nota in gran mare. 29. — Liriche inedite / di / Gabriello Chiabrera e Felice Romani / con un carme / di Costantino Nigra / Torino 1875 / Tommaso Vaccarino - editore / Via Cavour, n. 17. Il Bertolotto dando nuova prova della sua grandissima diligenza, ricordò al n. 80 della sua mirabile nota un sonetto e una canzone del Chiabrera pubblicati nel 1874 a Torino pel Vaccarino; e soggiunge che insieme vi hanno liriche del Romani e del Nigra. Ma questa edizione non esiste che nella sua fervida fantasia. Le liriche inedite del Chiabrera consistono nel sonetto in morte del principe di Piemonte, pubblicato nel n. 5 1 del giornale 11 Baretti (anno 1874) ; e in un’ ode per Carlo Emanuele, pubblicata pure nel Baretti (n. 1 del 1875) (1). 30. — Rime / di / Dante Alighieri, Giovanni Boccacci / Gabriele Chiabrera, Lorenzo Magalotti \ Orario Ruccellai, Francesco Baldovini / Eustachio Manfredi, Giampietro Zanotti / Cantillo Zampieri, Pietro Metastasio / tratte da’ manoscriti ed annotate / da / Litigi Maria Re^i / ora per la prima volta pubblicate / da Giuseppe Cugnoni. / Imola. / Tip. d’ Ignazio Galeati e figlio. / 1883. In 8.° A pag. 27 si legge una canzone del Chiabrera per D. Lorenzo de’ Medici che torneò mascherato contro Indamoro per la reina Lucinda. Comincia: Che gonfiar trombe? Che spronar destrieri? Il Rezzi in una lettera che sta in principio al volume scrive d’ aver avuto sotto agli occhi la canzone scritta di mano del Chiabrera stesso. E poiché vide che offriva lezione non solo diversa, ma che ammendava alcun errore corso nelle (Ο V* Pel sonetto Bibliografia n. 195. GIORNALE LIGUSTICO 423 stampe, ed oltre ciò una strofa eh’ ivi si cerca invano, volle trascriverla. Le varianti piacque al Cugnoni di collocarle in fine al volume; la strofa mancante nelle comuni edizioni è la seguente : 5u dunque, Euterpe, e da l'aonie cime. Cinta di laura fronde Le crespe chiome bionde, Deh! fa sentire al mio signor tue note: Giovine, per cui Flora or più sublime Appare a l’altrui ciglia, Ad altrui maraviglia, Di tanti veri eroi vero nipote. Per lo coro febeo V erculeo vanto Or d'Atlante si pregia, or d’ Erimanto. 31. — Rime amorose / inedite / ora pubblicate J da j Mariano Benditi j autori: / I. Cicognini, G. Cicognini, L. Pulci, / G. Della Casa, G. Chiabrera, / P. Metastasio. / Firenze-Roma, / tipografia dei fratelli Bencini / 1884. Fra le rime raccolte da Mariano Bencini v’ha in questo opuscoletto rarissimo (come, del resto, tutte le pubblicazioni per nozze) una canzonetta inedita del Chiabrera, che comincia : Aure placide e votanti ; finisce : Fia che impetri un dì mercede. Si legge a pag. 19-20; ed è tratta dal Codice Riccardiano 2833. Per la rarità dell’opuscolo la reco in nota (1). 32. — Sentente morali / di Gabriello Chiabrera / tolte dal poema / /' « Amedeide » / commentate dal / prof. Costantino (l) Aure pUcid' c volititi Mesuggiere dell’ Aurore Che di Rose ed Amaranti Ingemmate il seno a Flora, Chi di voi gl' eccelsi honori Canteri della mia Clori? S’io m'appresso a' lami ardenti Gran' timor* la lingua affrena, A lei dunque Aurette, e Venti Palesate ogni mia pena. Chi provò d’amor gli strali Moverà più ratte l’ali. Zeffiretti che scotete Poi se in Ciel portato avete 11 valor di quel bel viso, Vaghi fior di Paradiso, A lei dica i miei sospiri, Lungamente alta beltade .....d'aspri martiri. Chi diri eh' io taccio e moro Per cole» che in terra adoro? Chi dirà della mia fede, Fia che impetri un di mercede. 424 GIORNALE LIGÙSTICO Coda / Torino, / Vincenzo Bona, / tip. di S. M. e dei R.R. Principi. / 1885. In 8.0 II Coda dedicò la raccolta al conte Emanuele Chiabrera, e l’arricchì di note non senza importanza. In fine v’ ha un indice analitico, e alcuni documenti, cioè breve di Urbano Vili al poeta ; 1’ epitafio che si vuole dettato dallo stesso Urbano Vili; facoltà concessa da Bonifacio di Monferrato a Giovanni Chiabrera per un molendinum una cum duabus vel pluribus rotis (i486) ; l’investitura della terra e del fondo di Montraxconnex et Vongy a Giovanni Battista Ferdinando Chiabrera; concessione del titolo comitale; albero genealogico della famiglia Chiabrera. 33· — I poeti della patria / ricordati al popolo italiano / da / Raffaello Barbier a. / Firenze, / G. Barbera, editore, 1886. In 12.0 A pag. 16 di questa sua ben intesa raccolta di canti patriotici l’egreg'° Barbiera pubblicò del Chiabrera il sonetto così ammirato: Quando a’suoi gioghi Italia alma traea. 34. — Dott. Demetrio Ferrari / Storia / del / sonetto italiano / Modena / Domenico Tonietto editore, / 1887. In 16.0 In questa sua storia del sonetto italiano, lavoro per verità non molto accurato, il dott. Ferrari diede come saggio (v. pag. 72) dei sonetti del Chiabrera quello che incomincia : Quando a’ suoi gioghi Italia alma traea. 35. — Il Bibliofilo / giornale dell'arte antica e moderna ecc. I fondato da Carlo Lo%ji ecc. / Bologna / Società tipografica già compositori. 1887. In 8.0 Nel fascicolo di giugno C. Arlia vi ha pubblicato due canzonette del Chiabrera che si leggono a pag. 398 e 399 del Cod. n. 557 della Biblioteca Nazionale di Parigi, descritto già dal Mazzatinti (Manoscritti, ecc. I. pag. CXXXVII e 212). La prima delle canzonette comincia : Gran doi-ce^a in meno al cuore ; finisce : Di che cosa il cor gioì. L’ altra : Deh I meco intere; finisce: Vita mia, vivi meco. GIORNALE LIGUSTICO 425 36. — Giornale Ligustico / di archeologia, storia e letteratura / fondato e diretto / da L. T. Belgrano ed A. Neri / anno XIV. Fascicolo VI1-VIII. / Luglio-Agosto 1887. / Genova / tipografia del R. Istituto Sordo Muti. / 1887. In 8.° A pag. 318 si leggono ristampate le due canzonette, edite già dall’ Arlia nel Bibliofilo. AGGIUNTA Vrania / di Gabriello j Chiabrera / al Principe / D. Carlo Medici / Cardinale. / In Firenze. / Nella stamperia di Cosimo Giunti. 1626. ) Con licenza de’ Superiori. In 8.° Raro opuscolo composto di 14 carte non numerate, del quale do ora le più esatte indicazioni bibliografiche, quantunque già accennato nella Bibliografia n. 62 sulla fede altrui. Sebbene il titolo sembri di componimento non accolto nelle Opere, pur si deve avvertire che é quello stesso poemetto intitolato Le stelle, nè porge varianti di sorta. Gli amori / d’Aci, e di Galatea / Favola / marittima. / In Mantova, / Appresso Aurelio & Lodovico Osanna fratelli, / Stampatori Ducali 1617. / Con licenza de’ Superiori. In 8.0 Questa favola è quella stessa pubblicata nel 1614, Bibl. n. 55, salvo alcune cose tolte ed altre aggiunte. Di ciò dà largo conto il prof. Neri in un suo scritto : La * Gaiatta * di G. C., inserito nella Antologia Italiana (Genova, Sambolino 1887) A. I. pag. t$j e segg., dove con nuovi documenti e nuove argomentazioni intende provare come la citata favola sia veramente del Chiabrera. 426 GIORNALE LIGUSTICO VARIETÀ Un mazzetto di curiosità. I. Traggo fuori dai miei zibaldoni alcuni documenti curiosi che sono venuto sgranellando a Firenze, in quel grand’emporio dove ciascuno può cercare a sua posta, sicuro di trovar sempre cose nuove, curiose e non prive d’importanza, vuoi rispetto alla storia letteraria, vuoi alla civile, agli usi, alle costumanze. E senz’altro incomincio con una lettera del Rettor Magnifico della Università di Pisa scritta a’ Signori di Firenze. Sentiamo un po’ quello ch’ e’ dice: Έ XS. Magnifici domini offitiales domini mei precipuj : pochi di fanno scrisi ale uostre M. di unpocho dj scandalo era intrauenuto tra certi scolari per tore lj libri alj doctori, chôme è el consueto per li altri studi) djtalia per le feste di Carnauale: di che auixai le V. M. del tuto, dela qual cossa anchor non ho receuuto la risposta, qual con desiderio aspecto, per intender la uoluntà vostra, per poter asetar questo fato : auegna che fina qui li ò fato pacificare in parte, restami dj pacificar mis-ser Francesco de cicilia da una parte et dj laltra misser angnello di Si-scilia, fato questo sarà posto fine a questo fato del tuto. Io mi ho ingegnato fina quj dj asetarla cum più quiete che si à posuto: et questo perche quiuj sono parechi scolari di uarij studij uenuti per spaso a ue-der questo studio acaxon che non auesano reportare che lj scolari non tuseno riguardatj, che se non fuse per quisto respecto qualchuno saria sta in prexoneper qualche di, maxime chi ne he stato caxone per exemplo dj altri, che non aueseno a pigliare ardimento nel auenire: ma io fina quj mj som portato piaceuol mente, per dar questo nome allo studio che si posa dire che lj scolari stiano cum grande liberta : non he pero che non fuse bono acondenpnarlj in qualche fiorino et aplicarlj ala GIORNALE LIGUSTICO 427 vmuersità saltim pro forma azio nel auenire non si pongano si de facel far Ij scandalj, supersedero la coridempnaxione fina che auero risposta da le V. M. per intendere el parer di quele : Ceterum perche el loco del rectore quando si ritrouano questi magistrati asieme in qualche ato 0 processione doueria essere do poi el capetanio il qual die preceder per representnre la Signoria, et do poi luj el rectore nel secondo loco: perche cosi si costuma per luti li studij ditalia: et el potestà nelj con-sulj per niente uogliano dare el debito loco: per tanto per honor deio studio le V. M. uoglano obseruare quelo si obserua nelj altri studj ditalia Auixando le V. M. che nelj statutj dela Vniuersità sie uno statuto che el rectore quando staua a fiorenza se abatesse ad eser con la Signoria de-bia avuer el primo loco do poi el confalunier dela lustitia si che a fortiori quj apisa do poi el Capetanio : et per che Io studio di questo si agreua molto per tanto le V. M. uogliano proueder ad suficientia. Lo studio altramente sta bene; et le jacation sono fate ogi le quale lj scolari uoleuano ioseno parechi dj auantj secondo se fanno a padua et altroue. Io si feci legere a tuti doctori suto penna fina ogi perchè non voleuano leger per caxon che lj scolari con le mele ranze guastauano le scole; et ogj afato le anno guaste conaglj tanto che per forza lj e bisognato dare uacatione le quale aloro uoleuo dare sabato: ben che per tuti lj studij sono fate za 10 zorni, ma uoleuo poner in questo studio una usanza che non si aueseno afare più che x zorni auanti carnauale per utille deio studio lj scolari anno uoluto seguitare lj consuetudine delj altri studij si che anchor dj questo ho uoluto auixare le V. M. Amaistro bernardino lj ho dato licentia per 8 zorni uada fina fiorenza ad ognj modo sono ua-catione El quale feci l'altro dj una disputatione solempne in publico in san Francesco et a si portato multo bene merita ognj comendatione : Nec plura paratur me V. M. Comendo, datum Pisis die vili Februarij 1474. Benedictus de Pago Seruitor M. Vestrarum. Rector Uniuersitatis Pisarum. Si comincia a discorrere d’un certo scandalo avvenuto fra gli scolari in qual carnevale, per il costume di « tore li libri a li dotori », i quali dovevano riscattarli a contanti, dando così modo a’ discepoli di far baldoria. Di questo fatto e dei disordini che successero, ha discorso l’erudito 428 GIORNALE LIGUSTICO Alessandro Gherardi nell’ Archivio Storico (i). Egli non conobbe però questa lettera, per la semplice ragione che fu portata via chi sa quando dall’Archivio, dove si conservano gli altri documenti da lui citati, e adesso, avendo ripreso la via di casa sua insieme a molte altre compagne, invece di salire fino all’ultimo piano s’ è fermata a mezzo, e se ne sta nella Biblioteca Nazionale (2). Il rettore, come si vede, aveva cercato di pacificare gli animi; ma ci volle ben altro; se ne dovette occupare più che un tantino 1’ autorità, e non s’ è potuto sapere se il Capitano ottenne il suo intento ; tanto erano potenti e prepotenti gli scolari.... a’ quei dì. Però questo messer Benedetto non era uomo da lasciarsene imporre, e come si mostrava geloso delle onoranze dovute al suo grado, voleva del pari fosse rispettata la sua autorità in ciò che tocca la disciplina degli studi; onde per le vacanze carno-valesche tenne duro fino all’ ultimo, di guisa che gli scolari per finirla ricorsero alle melarancie, e poiché queste non giovarono, misero in opera gli agli. Capisco anch’io che quei poveri professori devono essere scappati turandosi il naso! a * * Ed ora ecco qua quello che scrive un di que’ signorotti del quattrocento, che appartenne ad una famiglia di gran nominanza (3) : (1) Ser. 4.1 Tom. VII, 116. Cfr. anche Neri, Passatempi letterari, Genova, Sordo-Muti, 1882, p. 10 e segg. (2) Cl. Vili, cod. 1487, n. 45. (}) Bibl. Nazionale di Firenze, Racc. Gomitili, Leti. Principi, Cart. Ili, n. 352. Di questa richissima collezione di autografi non sarà inutile dare qui un cenno. — Va sotto nome di collezione Gonnelli, essendo stata messa assieme da un dottore Giuseppe Gonnelli, non affatto ignoto in Toscana per qualche sua pubblicazione ; il quale vissuto nella prima metà del nostro secolo, dopo aver occupato non so che uffici amministrativi, ebbe intorno al 1825 l’ufficio di sotto-bibliotecario nella Riccardiana. Gli GIORNALE LIGUSTICO Magnifice tanquam frater honorandus. Vi pregho caramente che venendo li 11 Mag.co misser Theophilo : mi recomandati a la sua Mag.cia: et preghare quella mi voglia seruire et compiacerme de vno Dugho : perchio ho vno osellatore : che^no po osellare per non hauere Dugho: Et vogliandomene compiacere vi pregho me ne vogliati dare auiso : perchio mandaro per esso: Sio vi do questo Impacio Io vel do a segurtate: prima perche scio chel farite voluntiera: Laltra: perche mi poteristi adoperare per quanto posso et vaglio ad ogni vostro piacere : Ben mi doglio di vuy grandemente: et da vuy mi chiamo Inganato: che laltro dì quando mi promettesti de venire qui alandare a Ferrara da Modena, et non venesti: et vi expectai assai: et magiormente: che scio andasti per terra: che pur posseuati venire qui a casa vostra: Malo dirò cussi: chel dano sia II vostro : che se fusti venuto qui : ad vsare domesticamente le cose vostre: vuy haueristi hauuto bellissimo piacere: per dui autografi stanno in 45 cartelle, alle quali ne vanno aggiunte 3, con lettere di Santi, Pontefici e Principi; in tre distinte cassette si conservanole lettere dirette a Raffaello Morghenjdue contengono la corrispondenza di Ferrante e di Cesare Gonzaga, ed una terza diverse lettere appartenenti a questa famiglia: finalmente alcune altre cassette serbano una miscellanea di carte e documenti diversi, fra i quali ve ne sono pur di notevoli; importanti poi per la storia della collezione parecchie lettere dirette al Gonnelli stesso. In tutto mi pare vi siano circa diecimila nomi e presso a ventimila autografi. Dirò subito che un buon numero di lettere, specialmente dei secoli XV, XVI, XVII c XVIII, palesano in modo evidente la loro provenienza da archivi di Comune e di Governo; noto, fra gli altri, Firenze, Torino, Genova, Siena, Ferrara, Mantova; le carte tutte dei Gonzaga, insieme raccolte, sono parte del manomesso archivio di Guastalla. Noterò di passata la loro non piccola importanza per la storia, riconosciuta dall’illustre storico Giuseppe De Leva, al quale ebbi il grato piacere di farle conoscere. In tanta dovizia se vi sono lettere e documenti di poca o di nessuna importanza, e messi in novero solamente rispetto all’ autografo ed alla firma, molti hanno davvero un notevole interesse, sia che si guardi alla sostanza, sia alla persona che le ha scritte, sia a quella a cui sono indirizzate, sia ancora a tutte queste cose insieme. E siffatta importanza cresce assai se si considera che vi si trovano dei carteggi interi, completi, 430 GIORNALE LIGUSTICO o tri dì che fusti stato qui a quaglie : che In vero ce ne In quantitate : pur veneri et sabbato passato : che fu heri In quelli dui dì che sun stato fuora : cum cinque sparaueri ho preso ducentosexanta quaglie, adesso che horamai e II fine de le quaglie: pensati conio alhora se ne ritro-uaua: Siche non mi voglio laudare de vuy: de la Iniuria mi hauite facto. Ulterius : Aquisti di : remase a San Felice vna cagna pezata : quale mi e peruenuta a le mane per la via de vno mio homo darme: Et Intendo che le de corte: Vi pregilo mi vogliati aduisare, de chi le: perchè a dirue II vero la mi piace : et Intendendo de chi la si sia II poteria essere tale che pigliaria ardire a domandarglila In dono: perche secondo mi dice pinchiarolo: mi pare chel fusse facto commissione, che la vi fusse mandata a vuy : Mi recomando a vuy : Bene valete. Mirandole die viij oct. 1470. Galeotus de la Mirandula Concordie comes ac Armor. etc. o quasi. Onde dispiace l’ordinamento alfabetico di questa collezione, poiché si veggono sparse qua e colà le lettere dirette ad un solo, le quali riunite in un corpo, potrebbero dare argomento di studio, e riuscire più utili ed agevoli a consultare. Con buon consiglio vennero raccolte a parte tutte quelle che formano la corrispondenza del Morghen, sebbene parecchie ancora ne rimangano nelle altre cartelle; ma sarebbero buon complemento a questo carteggio artistico le altre indirizzate al Della Bella ed al Bardi, noti incisori e calcografi. Così, mettendo assieme le lettere scritte a Felice Fontana e a Giuseppe Raddi, si ricomporrebbe, a mio giudizio, un carteggio scientifico non ispregievole. Per ciò che tocca la letteratura e la storia, vedrei volentieri riordinate secondo questo intendimento le non poche lettere dirette a Melchiorre Missirini, e al tutto ricomposti (è invero una necessità in beneficio degli studi), i carteggi di Domenico Moreni e di Sebastiano Ciampi, che in questa collezione si trovano, sto per dire, compiuti. Nè riuscirebbe al tutto inutile radunare altresì le corrispondenze di alcuni della famiglia Riccardi, e per l’importanza scientifica, letteraria, aneddotica (si veggano ad esempio le lettere di Cesare Taglini e di Luigi Torrigiani), e per la storia della biblioteca Riccardiana. Infine esprimerò un desiderio, che mi sembra assai ragionevole, e cioè che le parecchie lettere dirette a Giovanni Lami, indegnamente sottratte al suo copioso carteggio, si restituiscano alla Riccardiana e si raccolgano in appendice ai volumi ivi già esistenti. GIORNALE LIGUSTICO 431 Anche questo Galeotto che è fratello del gran Giovanni, ha avuto la sua brava celebrità, non dirò nelle lettere e nelle scienze, ma nelle armi. Tu lo trovi in quasi tutti gli avvenimenti guerreschi dal 1467 in giù, là dove specialmente ebbero che fare veneziani e fiorentini a’ quali si tenne quasi sempre stretto (1). E mi piace ricordare che fu nel 1487 alla guerra di Sarzana contro i genovesi, come è riferito dal poeta (2) : Soldossi ancora per maggior potenza Un gran Signor, che presto cavalcava Colle sue gente armate com’ uom dotto, Della Mirandola el Signor Galeotto. Fu fatto prigioniero nella vilissima sconfitta toccata ai fiorentini l’anno 1479 al Poggio, per opera dell’esercito collegato del Papa e del duca di Calabria (3), ma venne poi messo in libertà. Egli, secondo ci manifesta la lettera, si spassava assai nella caccia. E avrebbe voluto a que’ di compagno dei suoi divertimenti Francesco degli Ariosti, al quale scrive la lettera dandogli delle commissioni venatorie ; a lui che , prima scalco di Borso di Este, era stato poi adoperato da’ Principi Estensi in cose politiche di gran momento ; in tanta lama era salito d’uomo grave, destro ed avveduto! Di guisa che donandogli Alfonso nel 1498 « uno terreno ditto il Castello di Zegonara, dove già fu uno Castello cum lo fosso », lo qualificava « spectabile et generoso Cavalliere, nostro gentilhomo, et famigliare dilectissimo », e scusandosi del modesto dono, soggiungeva : « se ben per la fede (1) Cfr. Litta, Famiglia Pico, Tav. 111. (2) La guerra di Scrrc{ana, Sarzana, Ravani, 1867, pag. 10. (3) Ammirato, Istorie fiorentine, Firenze, Massi e Landi, 1641, III, '138. 432 GIORNALE LIGUSTICO et devotione, ch’el ni porta lo è benemerito di multo magiore cosa » (i). Non è senza curiosità veder questi uomini, che ieri s’ avventuravano alle audacie delle armi, o discutevano sagacemente di negozi politici, occuparsi oggi di pacifici diletti, e discorrere quasi con gravità di dughi, di quaglie e di cagne. * 4 * Ma è più curioso e bizzarro lo scrittore della lettera seguente col relativo sonetto (2): Eccì.wo Sig.re Apud maiores magna erat cura fidei, adeo, che Porsena Re de Toscani, factis indutiis fra lui et i Romanj, i quali con numeroso essercito tenendogli assediati dentro la Città facendosi i giuochi Circensi, et Teatralj; i Cavalieri di Porsena inimici entravano in Roma, et non solamente a loro alloggiamentj illesi, ma spesse volte, per Ihavute vittorie coronati ritornavano. Dunque se a nimici, quanto maggiormente a servitori et amicj si dee osservar la fede ! Per lo passato non solamente havete dimostrato damarmj per molti, et memorandi segnali, ma per una letera vostra mi havete promesso la mia servitù et amicitia accrescer un numero a gli altri reverendi, et fedelissimi essempij degli intimi, et congiuntissimi amici. Hora mi pare, che così tostamente io vi sia uscito de lamente, come apparisce per evidenti segnj, havendo 0 nulla, o rarissime lctere vostre. Per questo non voglia iddio, chio me ne sdegnj, perche io lo pre^o sempre, che più tosto mi faccia morire che già maj un buon amico, et un molto amato Signore 0 per sua, o mia cagion io perda. La natura mia fu sempre damare poche persone, e quando jo amo, jo amo con tutto jl core, et con tutta la fede, et tutte le cose io saprei fare da fingere infuorj, et quanto più gli anni miei crescono jl cumulo del affetiione tuttavia vie più aumenta, ne sono amico de la fortuna. Il vostro bene e la vostra felicità, parimente lo exilio, et le tribulationj ho riputate essere (1) Cfr. Litta, Famiglia Ariosto, Tav. Ili — Cittadella, Appunti intorno agli Ariosli di Ferrara, Ferrara, Ambrosini, 1874, pag. 37 e 62. (2) Bibl. Nazionale Firenze, Race. GonntUi, Cart. 36, n. II. GIORNALE LIGUSTICO 433 mie, et poco meno di voj mhanno lacerato, et afflitto. Per tanto vi supplico a non mi porre in oblio; et ascrivermi spesse volte, perche fra i puochi conforti, che mi dona la mia scarsa fortuna, uno grand’é quando io ricevo una letera vostra: la quale io la mi tengo più cara, che non fa Io schiavo la carta de la sua franchezza, perche mentre leggo quella, oltra che mi pare di ragionare con voj, la niente mia concepe docile e recondito ne glintimi sacrarij de le Platoniche discipline, per voi rinovate, in a questa età incognite al nostro Cielo. Non tanto dispiacque a Turno la morte della Bellatrice conpagna, quanto a lej vivente dolse deio exilio, del suo profugo famigeratore, o quante volte porse prieghi a idej, che co fiorj, et co le rose ritornasse a la Città da Populj di Calcidia edificata. Io vi mando uno Sonetto ala morte del Molza e non occorrendo a'tro resto senza fine basciando le mani di V. S. E. Di Napolj 1544 il dj 6 di aprile, di V. S. H. Servitore affettionatis.mo Girolamo Schola. Piangete Muse el vostro Molza morto : E le sgualdrine faccian Io sabacco; Ch’ ann’ havuto in un punto un matto scacco D’haver perduto lor refugio atorto. Tardi ei pervenne al non sicuro Porto, Col legno suo tutto sdruscito e fiacco, Da longo errar tra scogli di Baldacco Nanzi aloccaso al patrio hostello sorto. Mentr' a lavela hebbe propitio il vento 1 cupi laghi, i torbidi torrenti Solcò di trancia, e dhcsperi ogni riva, Debole, e vechio, a passo tardo, e lento De la Consorte al fin stanca e mal viva Andò a far nel suo letto i lumi spenti. Scrive costui a un Diego Sandoval de Castro che si trovava a Firenze, ma eh’ io non so proprio dire chi sia. E lo Schola chi è? Se ne sa poco. Io non ho raccappezzato che questo. Era di Faenza, e il Mittarel'li, quell’ erudito ben noto, ne dice quattro parole miserissime e di nissuna impor- GlOU». I.1GUITICO. Anno XIV. >8 434 GIORNALE LIGUSTICO tanza (i). Compose delle poesie giocose e ce ne ha un volume intitolato Capituli sopra varii suggetti, in 8.° di 32 carte non numerate, senza alcuna nota tipografica, ma sicuramente del secolo XVI ; il quale contiene : « Capitulo del Capello — Vita de’ Zingari — de Loca (sic) — del Agresto — del Cavallo — del Berettino — de la Mostarda — del Sai-ciccione — contra le Calze — contra la Caccia ». Io non ho veduto, nè ho potuto aver in comunicazione questo libretto che si conserva fra i cimelii della Palatina di Firenze (2), ben conosco le curiose ottave dallo Schola indirizzate a Pasquale Caracciolo, ed inserite ne La seconda parte delle stante di diversi autori, Vinegia, Giolito, 1563 (3). Basta però tutto questo a farci capire, che il nostro faentino rientra e si perde nella grande schiera dei berneschi cinquecentisti. A proposito del sonetto c’è questo di singolare, che apparisce composto caldo caldo appena intesa la morte del povero Molza, avvenuta il 28 febbraio del 1544* *n seguito a malattia sifilitica. * * » Ed ora sostiamo un tratto ad ascoltare quel che scrive un illustre erudito (4): Molto mio hon.o Io vi mando quel concetto, che mi scrivesti da parte di S. Ecc.", fano latino il meglio che ho saputo. Quanto che alcuno di questi, che mi sono provato a dirlo in tre modi, torni bene, basti. Se non, contentandosene quella, mi vi metterò di nuovo. La sentenza mandatami da voi mi pare tanto a proposito, che non giudico sia da alterarla. (1) De Faventinorum litcratura, Venetiis, Fentium, 1775, col. 161. (2) Una copia fu venduta in un’asta recente del Franchi per lire 10; Catalogo* n. 57; cfr. Bibliofilo, anno VII, n. 12. (3) Pag· i83· (4) Bibl. Naz. cit. Racc. Gonntlli, Cart. 42, n. 27. giornale ligustico 435 Sendomi stati mandati 2 di fa dal Car.le Maffeo due ritratti di due bellissime teste di marmo antiche, 1’una d’Homero, l’altra d’Euripide, trovate nuovamente in Roma in una cava, m’è parso mandarvele incluse in questa, chè le mostriate a S. Ecc.”, chè sò si diletta molto di simili gentilezze. Et quando anche le vedesse Monsig.™ Iovio, se gli facessino a proposito per i suoi elogij, mi sarebbe charo. Desidero bene, che quanto che S. Ecc.“ non le voglia per sè, me le rimandiate : perchè ho grande amore all’ imagini di questi poeti per esser molto studioso degli scritti loro. Raccomandatemi a S. Ecc.za. Et state sano. Da Fiorenza alli X\ di Xmbre M. D. L. Piero Vettori. La lettera è diretta a Jacopo Guidi segretario del Duca Cosimo I, e dalle seguenti parole : « l’epigramma per il lago di Pucecchio », che si leggono a tergo, probabilmente di mano del segretario stesso, si rileva come nella prima parte si debba accennare alla iscrizione scolpita in marmo e apposta alle Calle di Coppiano, quando il padule venne ridotto in lago (1). È noto che pur al Vettori due anni innanzi era stata commessa l’iscrizione per la Loggia di Mercato Nuovo, ed egli ne aveva composte dieci, le quali con la prescelta e la lettera originale, rimangono in un manoscritto Magliabechiano (2). Non occorre aggiungere che il cardinal Maffeo ò quel Bernardino reputatissimo letterato, latinista elegante e versato nell’antiquaria, col quale il Vettori ebbe amichevole corrispondenza, secondo ci testimoniano le loro lettere a stampa (3). * + * Sentiamo un caso curioso (4) : (1) Cfr. Repetti, Dizionario della Toscana, IV, 17. (2) Bandinius,, Vita P. V. premessa alle Epistolae ad P. Victorium, Florentiae, 1758, I, XXXVIII; e Memorie per servire alla Vita di Pietro Vettori, nel Magazzino Toscano, III, $1. (3) Victorii, Epistolae, Florentiae, Juntas, 1586, pag. 42 — Epistolae ad P. Victorium, cit. I, 81. (4) Bibl. Naz. cit. Collez. Gonnelli, Carte Gonzaga, Cass. I. 43 6 GIORNALE LIGUSTICO 111.mo s.r Nipote Caris.m0. Per questa mia V. S. intenderà una cosa che in prima uista le parerà una burla o uogliam dire barreria si come è parsa ancora a me, nondemeno perchè in essa si tratta della salute dell’anima del Sig. mio Fratello di felice memoria suo Padre et si può anco per certe uie c'n’ io diro uerifkare se è uero che sia barreria, o nò, ho uoluto raccontarla a V. S. Ella adunque sapera che qui é una donna spiritata figliuola naturale del Padre del Todeschino mio sottocame-riero, la qual dice d’ hauere addosso l’anima del S.r mio Fratello: benche in questa parte essa dica la bugia, o, il diavolo che le è addosso da uero perche le anime de’ morti fanno la uolunta di Dio, o, in riceucre la pena de’ loro demeriti, o il premio delle buone lor opere subito che sono uscite de i corpi. Questo spirito adunque et non anima di quel S.r, dice ch’egli è nelle pene del Purgatorio per due cagioni, 1 una è che non si sono fatte dire trecento messe per 1’ anima di detto S.r et che non s’è maritata una donzella con dote di 400 fiorini di Fiandra, come si doueria fare per la penitenza che gli fu imposta dal confessore che lo confessò alla sua morte, 1’ altra che dice di più che il S.r Andrea è stato cagione di questo errore perche egli solo seppe eh’ esso S.r uoleva >.he 1’ una et 1’ altra di queste cose fosse essequita dopo la morte sua, et non ha mai detto alcuna cosa di questo. Questa Donna, 0 spirito che sia, ha fatto per due o tre uolte instanza di parlar con meco, ma io non ho mai uoluto udirla per dubbio che non mi mettesse qualche fantasia in capo che mi facesse stare malinconico un gran pezzo, ho nondimeno deputato un Frate di S. Domenico, uecchio buono et dotto, che lo scongiuri et intenda quel che potria intendere io se mi bastasse lo animo. Questa è la historia. Quello che ho detto di sopra che si può fare per chiarirsi del uero è che V. S. mandi 0 questa mia lettera , 0 copia d essa al S.r Cesare, col quale credo che si truoui il S.r Andrea, ct intenda da lui se è uero che sapesse la uoluntà di suo Padre intorno alle due cose dette di sopra. Io poi uado pensando, ma non ne son risoluto ancora, di chiarirmi dal confessore del Re N. S., il qual fu quello che confessò il S.r mio Fratello, per quanto mi ricordo, se è uero che gli desse in penitenza di maritar quella donzella con la dote sopradetta, et di far dire le trecento Messe, et quando dal S.r Andrea si sapera et dal confessore predetto ciò che sanno in questo particolare, si potrà credere quel che sia uero. Due cose sono che non mi lasciano credere che sia la uerita quella che dice lo spirito, la prima è, che propone che quella donzella che s’ ha da maritare sia la medesima che Γ ha addosso, 1’ altra perchè al Todeschino ha detto una manifestissima bugia cioè che la moglie di GIORNALE LIGUSTICO 437 lui che morì non fu figliuola di M.r<> Iachetto, ma mia, eh’è tanto uero quanto che M.ro Pasquino sia mio figliuolo. Auisero V. S. di tutto quello che ’l Frate cauerà, et ella dall'altro canto usera col S.r Andrea la diligenza che ho detta di sopra, acciochè si truoui la uerità di questa fa-cenda. Et con questo resto benedicendola. Di Mantoua il V di Dicembre del LV11I — A questo spirito si potrà dar la manza a questo natale perchè dice che V. S. serà cardinale: ella adonque gli potrà preparare un paro di calze, ma aucrta che gli tirino su galloni, per esser troppo strette, di V. S. Ill.raa Amoreuolis.’n° Zio e P.r‘ Her. Card, di Mant. Il cardinale scrive a Francesco, figlio del celebre capitano Ferrante Gonzaga, quegli stesso al quale, come si vede da questa lettera, già si preconizzava il cappello, che ebbe poi il 25 febbraio del 1561; e Cesare ed Andrea quivi ricordati sono appunto i fratelli di lui. Secondo sappiamo, Ferrante mori a Bruxelles il 16 novembre 1557 e i due ultimi figliuoli furono presenti al suo trapasso, che a testimonianza di contemporanei non ismentì il suo carattere e la sua mente. Il giorno 15 aveva disposto delle cose sue per testamento, lasciando suo esecutore il fratello Ercole (1), e la mattina successiva fatto chiamare il Reggente di Milano gli disse (sono parole di Annibaie Litolfi, scritte al cardinale il 16 stesso) (2): « Io I10 atteso al rassetto di queste cose mondane, acciochè miei figlioli non venghino alle mani fra loro, hora aggiungerete queste due parole al codicillo, ch’io voglio che tutti gli argenti che sono qui in casa mia et in casa di Cesare sieno di Andrea, et di più questo letto dove son io, et tre altri pur di seta che sono in casa mia ». Più tardi, e quando sentiva man- ti) Goselini, Vita di Don Ferrando Gonzaga, Milano, Pontio, 1574, pp. 441, 455. (2) Communicazione dell’egregio Stefano Davari, meritissimo conservatore dell' Arch. Gonzaga di Mantova. 43 8 GIORNALE LIGUSTICO care le forze e ben vedeva avvicinare il suo fine, rivolto al confessore del Re e al marchese di Pescara, che non lo abbandonarono mai negli ultimi momenti, soggiunse: « Signori, 10 ho servito fin qui alli Re di questo mondo, i quali sono huomini come noi altri, ma hora io me ne vado (et in quello riguardò un Crucifisso) a servire un altro Re, che è vero Re e patrone del cielo et della terra ». Ma nè dal testamento, nè dai particolari de’ suoi ultimi giorni si ha indizio alcuno di ciò che dice la lettera del cardinale, di lasciati cioè di messe od altro. E neppure si può credere che, dato le condizioni e i sentimenti de’ tempi, il figlio Andrea abbia taciuto intorno a queste presunte volontà paterne, tanto più considerando che dovevano essere penitenza imposta dal confessore, il quale avrebbe forse fatto intendere di qual peccato si gravasse la coscienza chi era in obbligo di eseguirle. Se non che, a quanto si rileva, Francesco non rispose a questa lettera, nè ve ne ha altra del cardinale intorno allo stesso argomento; e ciò vuol dire che la cosa non ebbe seguito, e fu chiarita per una «barreria », come agevolmente si rileva dal fatto che la donzella da maritare era proprio quella stessa posseduta dallo spirito, circostanza che scuopre 11 giuoco, siccome altresì l’asserire figliuola del cardinale la defunta moglie del Todeschino. Onde considerando che la presunta spiritata è sorella (comecché illegittima) del Todeschino stesso, si ha buona ragione di credere che fosse questa una trama architettata da lui o dai suoi, per spillare quattrini al cardinale, promovendo un pò di scandalo; ma non sembra riuscissero nell’ intento. Io non ho ragione per dubitare che la moglie del Todeschino fosse veramente figlia di M.ro Jachetto, che è il famoso musico al servigio del cardinale ; ma questi ebbe senza meno una figlia, della qual cosa, comune a quei dì, non faceva alcun mistero; infatti mentre egli era al concilio di Trento, Baldassare de Pretti gli scriveva da Man- GIORNALE LIGUSTICO 439 tova il 18 maggio 1561 (1): « Ogi S. A. si ha fatto acomodar la testa alla nostra fogia, la S.ra lnsabella fiolla di V. S. Ili,""1 et la S.r* Lavinia veni in pastello a bonora e a lor due ge la conciata e mi par stia benissimo ». * * * Ma non vai la pena di fermarci più oltre a discutere intorno a quel documento curioso, tanto più che richiama la nostra attenzione un principe, il quale scrive in questa guisa ad un grand’ uomo (2) : Londra li 18 d’Aprile 1668. Sig. Redi devo dire a V. S. la comparsa di 4 sue lettere che 2 con la nota da me chiesta della raantecha di Cachan, della quale io nela ringrazio. Veramente Sig. Redi è una bella cosa Γ andare per il mondo già che sempre si vede cose nuove et per chi è un pocho ipocondriac'no come sono io non ci è meglio ricetta poiché io son uno che adesso sto aiegro assai. Ho che obligo ho io al Padrone Ser.mo per la permissione che io faccia questo viaggio 1 Qua ricevo molte cortesie dalle Dame e cavalieri et molti di questi cavalieri che sono venuti a vedermi mi hanno detto che queste Dame del sicuro mi faranno innamorare, se lo fanno faranno una bella prova. Qui ho cominciato a far diligenza di trovare il magisterio di ochi di Granchi per mandarlielo ma fino adesso non lo trovo pure non mi stracherò, ma se non lo troverò qui lo troverò astutamente nel pasaggio che farò piacendo a Dio per la Olanda. Qui non ci è la temperia che era a Siviglia poi che ieri nevicò tutto il giorno. Le lettere che io ho ricevuto qui sono state più care che se me la vessi scritto la mia Dama poi che io ho pagato di porto 200 scudi tanto che io potrò dire: lettere mie care! Et per fine le prego da Dio benedetto ogni bene. Al piacere di V. S. Il Prencipe di Toscana. Cosimo, che fu poi III granduca del suo nome, era in giro per Γ Europa. Egli viaggiava per vedere se la lontananza (1) Communicazione Davari. (2) Bibl. Naz. cit. Racc. Gonnelli, Lett. Principi, cart. II, n. 114. 440 GIORNALE LIGUSTICO sua valeva a quietare certi spiriti capricciosi e ribelli della moglie, Margherita d’Orleans, facendole desiderare lontano quegli che vicino respingeva. Ma quando tornò fece un bel fiasco. Non dico che 1’ indole di quella francese non fosse alquanto nuova e bizzarra (i); ma pare c’entrasse dimezzo la gelosia, ed essa avesse tutte le ragioni di lagnarsi del marito ; nè, a quel che dicono le male lingue, causa mali tanti foemina sola fuit (2). Del resto questo principe, il quale, avendo necessità della manteca da lui detta scherzosamente di cachan (3), s’argomentava guarire l’ipocondria (poveretto, aveva ben ragione di averla addosso) con le cose nuove vedute nelle varie città che andava visitando, si reputa, pare, ben corazzato contro le arti d’amore di quelle dame inglesi, se quasi le sfida; a meno che invece di trovare il « magisterio» d’occhi di granchi (4) non gli abbia presi lui i granchi madornali. Tuttavia, diciamolo pure, non manca di un certo spirito, che gli mancò affatto in appresso, quando, salito sul trono, si regolò male e si dette mani e piedi ai gesuiti che diventarono strapotenti. * * * Invece non si può negare che lo spirito, il carattere, e Γ intelletto largo ed aperto mancasse mai a quell altro gran principe che fu Giuseppe II. Ho qui un biglietto che si af- (1) Galluzzi, Istoria dal Granducato di Toscana, lib. VII e Vili passim. (2) Vita di Cosimo III, nella Bibliotechina grassoccia, voi. Ili, Firenze 1887, pag. 5 e segg. (3) È quella « manteca gialla di rose della spezieria del Serenissimo Granduca di Toscana » consigliata dal Redi a chi pativa d’emorroidi. Cfr. Redi, Consulti ed Opuscoli, Firenze 1863, pag. 363. (4) Era questa una preparazione che facevasi con le concrezioni calcari che trovansi nello stomaco dei gamberi, e si adoperava quale assorbente, come oggi si fa della creta e delta magnesia. GIORNALE LIGUSTICO 441 ferma scritto di sua mano, e sta nella già mentovata collezione fra le lettere dei principi (i). Dice cosi : Vienna li 27 Aprile. Ho ricevuto, Signor Marchese, la sua lettera. Ignaro del fatto ne ho preso qualche informazione, e non posso dirli altro in conseguenza dei suoi motivati desiderj, che questi oltrepassano di molto le mie facoltà , per rendere il gran numero delle personne privo di pregiudizi , e unicamente ragionevoli, non lo può un mortale. Nè feudo , nè qualsivoglia ordine da emanare potrebbe bastar a far trovare alla Signora Marchesa nella Società del Ceto nobile quelle convenienze, nè quella amenità, che può ben meritare la sua Persona, ma ai quali si opporrebbe sempre !a rimembranza dello Stato suo primitivo. Nell’ impossibilità dunque di rendere raggionevoli tutti, almeno diventate raggionevoli voi due, e sottomettendovi alle circostanze , non desiderate quello, che non potete avere. Presa sta risoluzione, troverete sufficientemente in altri modi, ed in Società di altre persone da rifarvi delle eraldiche. Adio. Giuseppe. Nulla vieta di credere, che un uomo della sorte di Giuseppe II, si levasse il gusto di scrivere in questa maniera al marchese Bartolomeo Calderari, il cui nome figura negli elenchi dei patrizi milanesi della fine del secolo scorso, e dei primi del nostro (2). Pare che la moglie non avesse tutti quei quarti richiesti per essere ammessa nel concilio de' semidei terreni (il Parini li berteggia cosi), e aveva chiesto molto probabilmente una specie di sanatoria , o di passaporto. Ebbe invece una buona lezione, quantunque in una prosa poco grammaticale e meno ortografica; ma in compenso chiara, esplicita, e senza metafore. Io del resto non ho modo qui su due piedi di cercare la verità dell’aneddoto ; i milanesi studiosi ne sapranno qualche cosa, in ispecie il Calvi, che s’è largamente occupato delle famiglie patrizie. (1) Bibl. Naz. Firenze, Racc. Gonnelli, Lett. Principi, Cart. I, n. 9. (2) Calvi, Il patri{iah milanese, Milano, Mosconi, 1879, pag. 451,476. 442 GIORNALE LIGUSTICO ☆ * * Per finire con la nota allegra, ecco qua un curiosissimo avviso (i) : Al Gabinetto Migliaresi. Desidero che ancora in codesto Gabinetto si facciano quelle diligenze, che da Domenica in qua non cesso di far fare in questa Città, facendo stampare da codesto Prosperi, o Pieraccini il seguente Manifesto, di cui ho finite tutte le copie per averle fatte affiggere sopra tutte le cantonate del Porto e littorale sino a Civitavecchia da una parte , e per tutta la Riviera di Genova dall’ altra. Signori Chi avesse trovato un Luigi Migliaresi, uomo di mediocre statura, grasso, di bella carnagione, con perrucca ad uso di capelli naturali biondi, metà aristocratica, e metà democratica, pulitamente vestito, con occhi celesti molto chiari, con molta pancia, e con un ruotolo di lire ottocento in mano, perduto la mattina del di 25 marzo 1798 alle ore due di mattina, sulla Crociata delle vie ferdinanda, da una, e le vie — della Tazza e del Bastion della Cera, favorirà riportarlo al Sig. Sotto Sagrestano di questa Cattedrale di Livorno, dal quale gli sarà usata la cortesia di L. 1 : 13: 4, e non potendo subito restituirlo, si faccia almeno subito somministrare le richieste notizie per la nota novella. D. Batacchi. Era un gran capo ameno questo poeta toscano semplice, facile, vivace, elegante. Peccato che l’egregio Tribolati non abbia mantenuta la promessa di ristampare la bella monografia, che pubblicò parecchi anni or sono nella Nuova A11- (1) Bibl. Nazion. Firenze, Racc. G ornielli, Cart. 4.*. n. 226. — Esiste pur quivi una lettera del Batacchi ai fratello intorno ad affari di famiglia. Vi è unito un frammento nel quale si leggono queste parole: «che meriti qualche riguardo la mia religione onestà e diligenza dimostrata ne’ miei varj impieghi. Gradisca la stima perfetta di quello che sarà sempre dev.m0 obb.mo servitore P. Giuseppe Merciai ». La data è: «Di casa 20 gennaio 1818». È certamente parte di lettera con la quale il povero frate si lagnava delle beffe, onde gli era largo il nostro poeta. giornale ligustico 443 tologia, col corredo di nuove giunte e luculenti annotazioni (1)! Se queste mie parole servissero a farlo decidere !..... Il documento qui sopra prodotto, deve riferirsi al tempo nel quale si stavano stampando le celebri novelle, e a qualche gita fatta dal Migliaresi a Pisa, dove pur come a Livorno aveva gabinetto letterario, lasciando in asso e a denti asciutti Γ amico suo. Di che si ha una prova nella salace lettera scritta dal Batacchi al Migliaresi il 25 agosto di quest’ anno stesso 1798 (2). L avviso anzi, secondo apparisce dal contesto e dai nomi dei due tipografi Prosperi e Pieraccini, era proprio diretto al gabinetto di Pisa, dove lo dee aver spedito per rimproverare argutamente il libraio della sua inopinata scomparsa da Livorno. A. N. Una ballata romaica su la presa di Icaria pei genovesi. La ebbe il Rasmay dal Jontrier, che l’udi nel 1874 a Ni-caria, 0, come anticamente la dicevano, Icaria; per ricordanza della favolosa caduta d’Icaro; e la stampò nel Journal 1 ìf bclleiiic sludies (I. 293 segg.), dandone insieme al testo anche la versione inglese. Nè a me par dubbio ciò che l’editore annunziava come probabile: voglio dire che il fatto, da cui la ballata prende argomento, sia l’occupazione di quell’isola per parte de’ genovesi intorno al 1346. Io non ho bisogno di raccontar qui la storia della celebre impresa comandata da Simon Vignoso; la quale, sebbene generalmente nota per la conquista di Scio, si estese anche alle due Focee ed alle isolette di Samo, Nicaria, Santa Panagia ed Enussa. Però il concetto della poesia non è sempre chiaro; (1) Vol. XXVII, pag. 537. (2) Ivi, pag. 556. 444 GIORNALE LIGUSTICO e forse ha ragione il Ramsay, pensando che la ballata non ci sia pervenuta nella sua forma originale. Ascoltiamola. « Anatema sui genovesi e sull’orditore d’inganni, che vennero a sorprendere il castello d’ Icaria — castello famoso, e rinomato in ogni luogo ! » Allorché essi vennero, si fermarono in faccia a Panari — gittaron l’ancore a sinistra, le gomene a tergo; e verso Austro calarono le ancore più sicure. » Ivi trovaron la guida, che ben conosce (il castello) — nella notte lo ravvisarono, e tutta la notte marciarono. » L’alba spuntava, che Ipsele era già pieno — ed avanzandosi la luce del giorno, Atside era atfollato. » Quando essi comparvero nel campo di Filippo, mandarono un grido acciò li udissero quei del castello — ma di quei del castello niuno diede risposta. » Solo il vecchio Atside, l’uomo dai cupi stratagemmi, parlò così: Voi, genovesi, e tu, Criforafte (traditore), non pensare sicuramente che son le dodici isole quelle che voi soggiogate? voi catturate tutte le città, tutti i castelli? Qui è un terribile castello, celebrato dovunque; ne hanno dipinta l’immagine in Costantinopoli ed in Venezia ; lo hanno ritratto nelle camere dell’imperatore. Verranno qui una volta i nove fratelli, gli espugnatori di castella; allora gittatevi contro di essi a combattere. — E dove son essi, i nove fratelli, acciò che noi possiamo scagliarci contro di loro? — Essi stanno maritando la loro sorella, su in Langada. » Allora si avvicinarono solleciti (al castello) e per tre volte lo accerchiarono — ma (il castello) non si arrese. » Se non che, aveavi tra quei maledetti un piccolo uomo — assai più astuto degli altri. » Or egli trasse la spada, e li condusse ad una scala: — tutti lo seguirono, per dare l’assalto. GIORNALE LIGUSTICO 445 » Sedera alla sommità del castello una fanciulla, e con tutta l’ardenza del cuore pregava: 0 caro San Giorgio dor-ganh, grande è il nome Ino, son grandi la fua grafia e’I tuo santuario. Deh lascia ch'io scagli questa pietra, e ne atterri dieci! » E scagliò la pietra — e dieci stramazzarono al suolo. » Ripetè l’atto, e ne caddero trenta. — Lo replicò, e ne uccise cinquanta; lo rinnovò, e ne periron novanta. » Ma il maledetto ama la fanciulla — ed essa non gli corrisponde. » Or ecco, egli sporge il capo fuori della merlata (e grida agli assalitori): Al sommo del castello siede una fanciulla — datela a me, ed io v'insegnerò la via. » Promisero essi che darebbero a lui la fanciulla, se aprisse loro — con molti doni per giunta. » E ’l maledetto lanciò le chiavi dalla merlata — ed essi irruppero tutti in armi. » Allora cinque tra i figli della sposa di costa (i) — gli espugnatori di castella — presero seco la picciola mamma, e se ne andarono al monte ». Cosi il poeta, nel cui racconto la fantasia ha senza fallo una parte notevolissima. L’isola d’Icaria, che egli magnifica, non è in sostanza altro che un’aspra giogaia di monti, e va riguardata come la più sterile delle Egee. Fanari chiamasi uno dei tre distretti ne’ quali Icaria è divisa; e certamente derivò il nome dalla torre del faro, ivi costrutta sul promontorio Drepano, di che il Ross vide ancora gli avanzi (2). Gli altri due distretti sono Messaria e Parameria. L’Ipsele è parte della catena montuosa, e coperta di boschi, la quale si stende da Fanari a Messaria. Atside è il nome di un altro monte; ma diventa anche l’eponimo del vecchio misterioso, forse sceso (1) Nome comune di tutte le donne maritate. (2) Ross, Róseti auf den griech inseln, II. 6. 156. 44 6 GIORNALE LIGUSTICO di là ad apostrofare i nemici, e nel pensiero del poeta personifica l’eroismo sì come Crìforaflt personifica il tradimento. Langada, ossia la valle, è luogo nel sud-ovest dell’isola stessa. Del resto Icaria non ha porti, ma alcune rade; e migliore dell’altre è quella di Eudclo. Il castello sorgeva su la montagna di Coschina, proprio nel centro dell’isola ; e le sue rovine tuttodì vengono designate col nome di Paleocastro. Appunto nell’interno del castello era la chiesa intitolata a San Giorgio: delubro antico, da identificare probabilmente col Tauropodiou o tempio di Diana di cui parla Strabone. Forse a Fanari, o forse alla rada di Eudelo, i genovesi trovarono il traditore. Ma sarà poi vero che tradimento vi fosse? Infine, quali siano le isole cui allude il poeta, per formare il numero di dodici, oltre le già ricordate, e quale famiglia di prodi si asconda nei nove fratelli onde Atside minaccia lo sdegno a’ nemici, io non so indagare. Forse è da Langada che cinque di essi, dopo di avere assistito alle nozze della sorella, ricevuta nuova del tradimento, condussero a rifugio la madre loro sul monte. Ma in tal caso, siami permesso dire eh’essi mostrarono maggior pietà che valore; seppur non è da pensare che il nome di piccola mamma voglia designar 1’ eroina del castello, che que’ prodi sarebbero giunti in tempo a mettere in salvo. Icaria, seguendo le sorti di Scio, restò, come quest’isola, meglio di due secoli nel dominio della Maona genovese dei Giustiniani; e come Scio cadde in potere de’ turchi nel 1566. L. T. Belgrano. Usanze nuziali in Genova nel secolo xv. In un codice della Civico-Beriana, nel quale è parte del carteggio d’ Jacopo Bracelli, si legge del celebre umanista una epistola in versi, che dee riferirsi alle costumanze nuziali vigenti ancora in Genova nel secolo xv. GIORNALE LIGUSTICO 447 Ha ragione Γ amico prof. Braggio, laddove osserva che il rito del matrimonio seguitava a conservare in qualche particolarità la vecchia poesia delle nozze romane, non senza una pallida reminiscenza degli antichi fescennini (i); anzi la vecchia poesia non morì del tutto, se non allora in cui per gli ordinamenti del Concilio di Trento il matrimonio assunse un carattere strettamente religioso. Difatti, nel tempo di Bracelli, le feste nuziali si iniziavano tuttavia col banchetto, cui i patrii statuti attribuivano la identica significazione che avea presso i romani, di conferma cioè degli sponsali (2); indi seguiva la traducilo, ossia il passaggio della sposa dalla casa paterna a quella dello sposo, che tenea luogo, fra l’altro, delle odierne pubblicazioni e partecipazioni (3). E ben inteso, la sfilata del corteo facevasi a suon di musiche; e fors’anche avveniva dopo‘il tramonto, allorché nel cielo splendeva già 1’ auspicato astro di Venere bella, si come è detto nel carme lxii di Catullo. Inoltre, se il matrimonio era di quelli, che per la condizione degli sposi 0 per altre ragioni solleticavano la curiosità, le strade assiepavansi di spettatori e s’accendevano fuochi di gioia, per guisa che, a dirla con Stazio (Silvae, 231), effulgeant compita flammis. 0 pure, se alla celebrazion delle nozze voleasi con giuochi ed altri pubblici sollazzi partecipe il popolo, come accadde (1) Braggio, La donna genovese del secolo xv; in Giorn. Lig., a. 1885, pag. 279. (2) Statuti (inediti) del 1563, cap. 169. (3) Staglieno, Le donne nell'antica società genovese; in Giorn. Lig., a. 1878, pag. 293. — Curiosa la disposizione che si legge nel capitolo 89 degli Statuti (inediti) del 1383, la quale obbliga i proprietari e conduttori di bagni a non ricevere nessuna donna dopo il segnale del coprifoco, nixi forte.....transduci deberet ad nupiias infra tunc proximos dies octo. Se no, l’uno e 1’ altro verrebbero multati da io a 20 soldi. — Che sia una reminiscenza del bagno nuziale usato da’ greci antichi, e pel cui servigio gli ateniesi attingeano 1’ acqua alla fonte Calliroe ? 44§ GIORNALE LIGUSTICO giusto nel maggio del 1409 per quelle di Lorenzo degli Alberti, padre che fu del famosissimo Leon Battista (1), si formavano steccati ed alzavansi palchi e tribune, per modo da rammentare il noto verso di Giovenale (Sal. VI. 79): Long a per angustos figamus pulpita vicos. Nè mancavano su la via i giovini asserragliatori, contendenti audaci il passo alla comitiva, e simulanti il rapimento della traducta; finché questa riscattavasi abbandonando in pegno un monile od altro de’ suoi ornamenti. Nè si lasciavano desiderar le congiunte e le amiche, le quali, nello stesso domicilio del matrimonio (per usar 1’ espressione consacrata dal Digesto) si assumeano la impresa di tenere alquanti giorni in diligentissima custodia la sposa. Io non so dire se, come le pronubae antiche, doveano anch’ esse rispondere alla condizione di univiriae; ma per fermo lor si acconciava la Catulliana intimazione (carme xlix): Vos unis senibus bonae Cognite bene foeminae, Collocate puellulam. Appunto a coteste pronube (nè trovo di quali nozze) cosi festevolmente nella citata lettera scriveva il Bracelli.· A le done de la spozaa questa letera sea daa: Ve farò stà tanto alegrete, che lo cor ve farà galete. Spectabili done, lizadre e generoze, la vostra letera ò ricevuta, ben ornata e ben compita. Como è debito e raxun, ve farò presto responsiun. (1) Staglieno, op. cit., pag. 299. — Neri, La nascita di L. B. Alberti; in Giornale Ligustico, a. 1882, pag. 166. GIORNALE LIGUSTICO 449 E certo, in veritae, tute meritae d’ ese adorae ; E de la vostra goardia bonna meritae tute una coronna. State constante in bon proponimento de manteneir il vostro castello arditamente : Gloria e honor ne acquisterei da tuta gente. Dal canto nostro ve provederemo celeremente d'un nobil e valrozo capitan ben ardito, chi sarà ben fornito d’arme, cavalli e balestreri, e d’ogni cossa chi serà mesteri. Or vi convicn aver vulpina pelle, e con inzegno et arte acquisterei vitoria d’ogni parte. Perchè, done valroze, state allegramenti : Vi manderò presto doni, e boni prezenti. E rcceverei la scorta, corno lo debito importa. E state tute con allegra e bona jhera (i), Che venardi vi manderò bona pescherà. E non dormite: il cuco vcchia (2) ! E goardatevi bene dal marito, chi è fante ben uzato e ben ardito, chi non volza le spalle al tecto avanti tempo; (1) Ciera. (2) Veglia. filo»*. Ligvitico. Av.io XIV. 450 GIORNALE LIGUSTICO chè seria mal contento eh’ el mio e vostr’ honor non fosse resarvato; e conio serie e docte, aspetate a darla fin al sabo a nocte. Gaudeant feliciter viduae, gaudebunt feliciter coniugatae. Valete, et sponsam salutate. Jacobus totus vester. Sapevamo già per la novella cliv del Sacchetti, che nel secolo xiv a Genova « le nozze durano quattro dì, e sempre si balla e si canta », come anche affermava nella sua ingenuità Γ anonimo rimatore del noto codice Molfino : Encontenèntc, poi maniar, No s’ adementegan baiar Tute le done e li segnor, 0 inseme o per semo. Lì sì gran festa e bruda sona, Che ni’ aregorda quando trona; Per zò no case lo solar, Chi 1’ ha forte bordonar (i). Nè il periodo delle allegrezze accennate dal novelliere fiorentino si era accorciato ancora. Il Bracclli stesso ci lascia intendere che la vigilanza delle pronube non era di breve durata ; mentre promette loro del buon pesce pel convito del venerdì e le esorta a persistere non consegnando la sposa fino al sabbato. Ma più esplicito è un decreto del 1487, col quale il Doge e gli anziani, volendo toglierei maggiori indugi introdotti dall’abuso, richiamano all’osservanza della consuetudine antica, e dispongono che d’ora innanzi ninno, il quale non sia della fa- (1) Rime genovesi; in Archivio Glottologico, vol. II, pag. 232. — Senio vale separatamente. Bruda, da bruit, rumorosa GIORNALE LIGUSTICO 4SI miglia dello sposo, possa rimanere e mangiare nella casa di lui al di la di tre giorni, non compreso quello della traduzione della sposa, ni mai sia lecito di prolungare oltre questo tempo i festini nuziali. Prendo anche nota volentieri di un’ altra disposizione dello stesso decreto, la quale mostra che quanti intervenivano al corteo nella traductio, erano regalati di borse, colme probabilmente di confetti (1). I quali non doveano essere distribuiti se non al cadere della quarta giornata, « perocché dicono (ripiglia il Sacchetti) che proferendo.... e’ confetti è uno accomiatare altrui ». E ciò torna precisamente alla distribuzione fatta dai romani, in pari circostanza, de’ mustacea: pasticcini canditi al vino dolce e cotti con foglie di lauro , che i convitati non solamente mangiavano, ma portavano seco in memoriam. Dare i mustacea equivaleva pertanto al nostro dare i confetti, cioè farsi sposi; e così Giovenale dicea rettamente a Postumo, alieno dal contrar vincoli nuziali (Sat. vi, 202 seg.): / Si libi... ducendi (uxorem) nulla videtur causa, Ncc est quart coenam et mustacea perdus. A quanti si potrebbe oggi ripetere lo stesso consiglio ! L. T. Belgrano. Un curioso profeta. Tutti i tempi più 0 meno hanno veduto degli uomini strani, i quali s’argomentavano di conoscere, per loro arti misteriose, il futuro, di prevedere gli avvenimenti, o di possedere infallibili segreti per impadronirsi di città, debellare eserciti, trovar modo di accumular denari e cose simili. Ma in fin de’ fini tutto si riduceva a procacciarsi qualche sol- fi) Desimoni, Statuto dei Padri dii Comune, pag. 55 e 57. 452 GIORNALE LIGUSTICO darello, accattar favore dai grandi, perchè non mancasse il pane quotidiano, e magari anche un poco di pietanza. Eccone qua uno per esempio, che scriveva al duca di Milano in questo tenore (i) : Ill.me et Excellentissime Princeps et domine domine mi metuer.dis-sime etc. Semper sono stato vostro servitore e semper sarò e semper studio de servire la V. Ill.ma Sig."* Voriva venire da V. 111.'1'·' Sig.™ per conferire con ella de alcuni sacreti perchè passato lo anno de 1471 la vostra 111. Sig.ria è per acquistare per Zenoa ducati quatrocenti milia ogni anno. Ma bisogna fin alo presente fare certa opera corno ve dirò senza conscientia nè periculo di V. IH. Sig.rm etc. Ancura corno la V. I. S. alo presente baveri ducati mille milia sive uno millione de ducati senza conscientia nè periculo de V. I. S. Bisogna che faciati bono conceto de Zenoa. Dapoi che Zenoa he Zenoa non fo may Signore tanto amato corno hè la V. I. S. Voi aviti tuti li gentilhomeni per amici salvo zirca doze sive xiij. Tuto lo popolo grasso richi, amici de li minuti, quelli che sono habitanti che non sono de le rimerie sono vostri amici. Quelli de le ripcrie habitanti in Zenoa isay più inimici che amici. Da poi che Zenoa hè Zenoa non fo mai miglior guberno como alo presente per lo λ ostro Gubernatore. E così corno hè, trovo in astrologia, lo odo dire an la logia de sancto petro barene, e tenitelo fermo in Zenoa o voglia 0 non vogla. Ancora haviti bono podestà, e vicari, soi judice de lo maleficio, e cosi iiè homo bono lo vicario de lo gobernatore, tuti utilissimi a teneire qui. La fine de messer Lamberto de Grimaldo, per quanto bene voi li facessi, quando porrà ve offenderà. Sichè voi e rei l’errante haviti a pro-vedeire a levargli Monacho. E sarà salvatione de Vostro Stato e rei Ferrante, corno dirò ala V. I. S. E questa parte sia ben secreta, perchè mi stago a sancto petro harene, che non fosse amazato. Ancora tenere secreto lo tesoro de soprascripto per venire fato. De meisi 13 avanti che la bonna memoria de lo J. d. d. vostro padre havesse Zenoa, andai da lo officio de sancto georgio e intragli e cescaduno a quello tempo se credeva lo duca vostro padre e lo Arcevesco duce fossero carne e ungia, e precipua contra francesi, si li dissi allo offitio de sancto georgio: (ij R. Arch. di Milano, Carteggio diplom. Comunicazione dell’ingegnere Emilio Motta. GIORNALE LIGUSTICO 453 lo Duca de Milan sarà dacordio coni Rey de franza et bavera Saona lo talle dij e lo talle haverà Zenoa, che sarà sarvatione de Zenoa e Zenoa de lo stato deio duca de Milano, onda me misi a grande periculo ; se lo arcevesco havesse saputo me haverevia fato morire. Ma lo amore che sempre ve habio havuto non ha may extimato periculo. Ancora dixi a lo dicto offitio : lo mariagio de lo figlo de lo duca a Signor di Mantoa non haverà loco, ma se aparenterà per via de Rey di franza in una soa parente. Ancora ho dito che lo papa non haverà Rimini e da mezo zugno passato le cosse sareviono desfavoreive contro lo papa. Ancora dixi a lo Sig. Bonifacio in Zenoa, chi vegne per vostra sorella: 10 marchese non averà mogie franceisa, haverà la sorella de lo duca de Milano: si lo dixi a Pero de gallarà : tu farai lo mariagio de la sorella del duca a lo Marchese. E lui me respose : lo Marchese hè de tempo e la puta tropo zovena. E mi gle resposi : tu lo faray ; poi lo dixi alo Marchese in Casale aura hè uno anno. Prego la vostra I. S. che piace de provedeire che habia uno cavallo in presto e ducati sex per venire da V. I. S. Avisando V. I. S. che non domanderiva questo , ma sono torà de li mei beni de Asti e non posso stare in Asti perchè lo duca de Orliense dixe chè restato che non hè duca de Milano per mi. Datum Janue die xvmj septembris Mcccclxviiij. Ejusdem vestre dominationis totus vester subditus SiFRONUS rex, milex etc. Tutte belle cose, delle quali Galeazzo Maria si dovea molto compiacere, in ispecie quell’ affermazione del grandissimo affetto per lui dei genovesi, di che ebbe luminose prove indi a poco : tanto più che egli era uomo proprio da farsi amare. Ma il nostro Sifrono (i) voleva andare a Milano per aprirgli 11 suo miracoloso segreto finanziario, sperandone chi sa quali grandi compensi ; intanto si contentava, e anche in prestito, d’un cavallo e di sei ducati per fare il viaggio. In verità mi pare assai discreto ; ma forse al duca parve domanda ecces- (i) Si chiamava Sifrono Re, vedendosi cosi ricordato in una lettera anonima al marchese di Monferrato del 9 luglio 1451 (Arch. Milano, Missive, n, 4, c. 251 t.°). 454 GIORNALE LIGUSTICO siva rispetto a quel che ne poteva sperare, e credo non gli mandasse niente; onde il povero astrologo restò probabilmente con il suo segreto in corpo. Un matrimonio e un ballo a Cipro nel secolo passato. Uno di quelli opuscoli, che fanno qnalche volta la disperazione dei raccoglitori, e la cui rarità deriva in massima parte dalle poche pagine onde sono composti, mi dà modo di far note certe curiose costumanze dei cipriotti del secolo passato, la descrizione delle quali vien fatta da un viaggiatore toscano, in una lettera scritta da Cipro nel 1786, e stampata lo stesso anno a Livorno. Nel viaggiatore vuole il Melzi si debba riconoscere Giovanni Mariti , notissimo e assai reputato scrittore di viaggi in Oriente; sebbene a dir vero questo breve lavoro non comparisca nella più diligente biografia di lui (1), dalla quale si rileva altresì che nell’anno indicato egli era a Livorno in ufficio di capitano del Lazzaretto. Di più le parole con cui si apre la lettera, appariscono piuttosto dirette al Mariti stesso. « Voi faceste », dice l’anonimo, « pochi anni or sono il giro di questo regno, e ne descriveste quasi Γ istoria..... Che cosa avrei mai d’ aggiungere di nuovo a quello che avete già detto? » Dove, secondo me, si vede ben chiaro 1’ accenno alla nota sua opera (2). Nè si trova in armonia col racconto della sua vita, ciò che dice più innanzi: « Adesso siamo fra noi separati che son degli anni. Una vostra lusinga vi ricondusse in Europa, e un’ idea diversa dalla vostra mi trattiene tuttavia in Asia ». Può darsi nonostante che tutte queste fossero finzioni per nascondersi meglio, e la lettera appartenga al Mariti, al quale sia venuto in animo di narrare alcune particolarità, che (1) Giuli in Tipaldo, Biog. degli Ital. ili. VI, 331. (2) Viaggi per V isola di Cipro e per la Soria e Paies lina, Lucca, 1769. GIORNALE LIGUSTICO 455 forse non gli era piaciuto parecchi anni prima inserire nel maggior lavoro. Mi fa però non poca meraviglia il vedere come il compilatore delle Novelle letterarie di Firenze, nel dar conto con parole di lode di questa pubblicazione, non ne sveli, secondo suo costume, l’autore, mentre molte volte e con gran benevolenza aveva avuto opportunità di parlare del Mariti: tanto più che poteva qui rilevare un nuovo lato del suo versatile ingegno, quello cioè dei versi; cosa neppure accennata dal suo biografo. Infatti, qua e colà nella lettera introduce piacevolmente qualche brano poetico. Ma, chiunque ne sia 1’ autore, veniamo alle particolarità degne di ricordanza, che vi si trovano. Giunto il viaggiatore a Limassol Nuova è subito invitato ad uno sposalizio; perchè gli abitanti reputano a grande o-nore la presenza degli europei a quella festa di famiglia. In una sala assai capace erano raccolti il clero, i parenti e i convitati: le donne stavano tutte riunite in fondo, formando un semicerchio, nel cui mezzo si trovava la Nifi, cioè la sposa, colle Paraniffi accanto. Essa chiamavasi Sofia, aveva diciotto anni, ed era « ben formata, grande, e di volto avvenente ». Stava con gli occhi bassi, e di modestia L’immagine direste eh’ essa fosse ; Ond’ in mirarla, amor mi fe’ molestia. Purpurea rosa, eh’ il suo brio produsse Fra i gigli sul mattin; tale il bel volto L’ ammirabil rossore in sè ridusse. Dentro la bella bocca stea raccolto Sigaleonte il taciturno Dio, Ch’ impediva al bel labbro d’ esser sciolto. Ond’era un simulacro, al parer mio, Eretto sull aitar dell’illusione Per dimorarci immobile e restio. All’ aspetto, alla forma e proporzione Appagar si potea 1’ uman desio, Ma la Vener parea di Pigmalione. 456 GIORNALE LIGUSTICO La verecondia rende in quel momento le spose greche immobili, sorde e mute. Ecco Γ abbigliamento della sposa: « Era riccamente vestita, ad avea la testa ornata di fazzoletti di finissimo velo ricamati in oro. Dalla parte sinistra stava composta con arte, e semema una copia di fiori, la freschezza dei quali faceva allusione alle fresche rose del suo volto. Un fazzoletto grande, e più risplendente degli altri, partendosi di dietro la testa andava a posare con i lembi sulle sue spalle. Una collana d’ oro arricchita di perle ornava il suo collo. Una camicia di seta finissima e trasparente ne copriva per discretezza il petto, colle grazie che in sè ascondeva. Le rotonde e candide sue braccia erano ornate di ricchi monili, e le mani, che insieme raccolte teneva alla zona, erano ricoperte da un bianco velo ricamato con oro, e con seta di color bissino ». Distribuito un cero acceso a ciascheduno degli astanti, quattro musici o cantori, cominciarono in tono allegro un certo loro canto, gridando così spietatamente, che Era d’ inverno, e mi sembrava il Maggio, Quando i Rosignoli a lunghe orecchie Coi lor canti ad Amor rendono omaggio. Allora il parroco, gli sposi, le paranifle, il compare, la comare, il padre, la madre e i parenti più stretti, formarono nel mezzo della sala un cerchio, per compiere il rito religioso. Intanto che i papàs, vestiti degli abiti sacri, intonavano una monotona cantilena, il parroco pose gli Stefani (corone di fiori) sul capo agli sposi (i), che si presero per mano, e Sofia mostrò la sua d’ammirabile bellezza. (i) Cfr. per le modalità delle costumanze ed i riscontri, De Gubernatis, Storia comp. degli usi nuziali in Italia, Milano, Treves, 1878, pag. 159. GIORNALE LIGUSTICO 457 Videsi allora quella bianca mano Delle grazie formata sul modello, E si videro spandere pian piano Rose novelle sul suo volto bello; Intatte rose, a cui labbro profano Non osò approssimar P ardor gemello , Ed unite dei gigli al bel candore, Facean corona al virginal pudore. Il parroco data poi la benedizione nuziale, li comunicò col pane e col vino secondo il rito greco (i). Quindi tutti si mossero facendo un giro per la sala, mentre i parenti « gettavano per aria dei pugni di grano, in maniera che nel discendere cadesse sopra gli sposi » (2), e cantavano in un tempo delle strofe il cui significato era questo : Deh concedi ai fidi sposi, Giusto ciel, con larga mano Beni, e figli virtuosi, Ed in copia eguale al grano. A questo punto una vecchia tutta commossa, sospinta dalla folla, accostatasi troppo al parroco col cero acceso, gli appiccò il fuoco alla lunga capellatura. Il prete grida ; tutti gli fanno ressa d’intorno, e, come accade, per troppo zelo succede una strana confusione; onde mentre da una parte gli pestano la testa senza misericordia, dall’ altra lo bagnano senza discrezione; a a segno tale che il povero papàs principiò a gridare: Basta mi sento affogare, povera la mia testa, ha sofferto più sotto la furia delle vostre mani, che al disastro dei due elementi ». Il fuoco fu spento, e il prete ebbe soltanto i capelli, i cigli, e mezza barba bruciata, senz’altro malanno; tuttavia non se ne partì, e passato il naturai sentimento di (1) De Gubernatis, op. cit., pag. 166. (2) De Gubernatis, op. cit., pag. 174. 45 S GIORNALE LIGUSTICO compassione, vedendolo concio a quel modo, si destò in tutti irrisistibilmente Γ ilarità, di guisa Che la pietosa, e venerabil scena Si converse in grandissima risata, Tantoché ognun potea parlare appena. La faccia del Papàs arsa, e strinata, Ridotta nera a guisa di un carbone Era da far orror a una brigata. Con mezza barba e i cigli in combustione, Con la testa percossa, ed abbruciata, Il ritratto parea del gran Plutone L’ ora tarda consigliò la brigata a separarsi, e la mattina seguente il viaggiatore ebbe in regalo da parte degli sposi una camicia e un paio di mutande di seta, unitamente a una cintura di velo bianco ricamata alle estremità; speciale « dimostrazione di stima, che i Cipriotti sogliono fare in tale occasione alle persone le più distinte, che si trovano fra i convitati ». Proseguendo il suo cammino giunse nel villaggio di Pi-scopia, luogo amenissimo e molto fertile. Quivi fu accolto in casa del Papàs; e la sera le più distinte ragazze del luogo, nelle quali ammirò « la semplicità unita ad un’aria di rispetto, la beltà sostenuta dai puri doni di natura, la gioventù unita a una virtuosa audacia », vennero ad offrirgli dei regali. Chi di pollastri, e chi di biscottini, Chi don mi fece dei più rari erbaggi, Chi dei frutti più scelti, e sopraffini. Chi mi portò ricotte , e chi formaggi, Chi dei Culuri (i), e chi dell'uva fresca, Chi vin di Cipro, e chi vari altri omaggi. La più bella di lor, non vi rincresca, M’ offerse un panierin di Granchi teneri, Ch’ era il pregio maggior della sua pesca. Vi ringrazio, allor dissi, o belle Veneri, Di tanta cortesia sì rara e amabile, Che mi ricorderò fino alle ceneri. (i) Ciambelle GIORNALE LIGUSTICO 459 Ma egli desiderava vedere alcuni dei loro balli. Alla vostra beltà schietta, e ammirabile Una sol grazia ardisco domandare, Che spero troverete irrecusabile. Bramo vedervi innanzi a me ballare Coi savi vostri giovinetti amici, Questo è il favor, che mi dovete fare. Impiegate vi prego i vostri uffici, Dissi alla donna del Papàs, e fate, Ch’ io risenta il favor dei vostri auspici. L'amabil Papadìa disse: lasciate Di questo a me la cura, e in pochi istanti Ecco tutte le figlie radunate. Già son concorsi i giovani e gli amanti Alla fama del ballo inaspettato, Ma lungi dalle Ninfe tutti quanti. V’ eran due Lire ed un strumento a fiato, Che formavan 1’ orchestra melodiosa, E due candele accese in un sol lato. Il Papàs ne partì per far qualcosa ; Credo eh’ andasse a leggere 1’ ufizio, Perchè dove si balla egli non posa. « Allora principiò il ballo con una contraddanza nominata Roméga, la quale non è altro che una specie di catena, in cui i giovani colle ragazze tenendosi per la mano fanno vari, giri figurati seguitando con precisione Γ aria della musica, che è molto allegra e festosa ». Durato cosi un quarto d’ ora il ballo, fu stesa una stoia in mezzo alla sala per farne un altro. Si chiamava questo YA-grism'eni ossia la Sdegnata. « Era figurato da due persone. Una giovine, la più ben fatta dell’ adunanza, entrò sulla stoia ballando. L’ aria degli strumenti era un andantino patetico. Dopo aver fatto un giro, si presentò un giovine ancor esso ballando, che con un movimento smanioso, e tenendo un fazzoletto alla mano, procurava di avvicinarsele. La ragazza con gesti, e con aria sdegnosa lo disprezza e lo fugge. Egli se 460 GIORNALE LIGUSTICO ne inquieta, minaccia il destino, si avvicina di nuovo al suo oggetto, vuole offerire la pace, procura d’intenerirla, ma essa lo respinge, e lo insulta. Mi pare Alfeo mirar tutto affannato Dietro Aretusa, che crudel lo fugge, E correndo lagnarsi del suo fato. Tutti i passi e i movimenti dei due andavano perfettamente in cadenza, ed esprimevano con vivacità e giustezza gli effetti dello sdegno e dell’ amore. Finalmente il giovine vedendosi così fieramente rigettato, freme e non sa più a qual partito doversi prendere; essa lo fissa con uno sguardo fiero e minaccevole, egli disperato sospira, riguarda il cielo con sdegno, si annoda un fazzoletto al collo, lo stringe, e s’abbandona. Corre la bella allora, e lo sostiene ; Morto le sembra, e piange il suo rigore, Gli slaccia il collo, il chiama e già si sviene. Ei si sveglia alle voci del dolore, E vedendosi in braccio alla sua Diva, La smarrita virtù richiama al core. Di tutti e due la gioia si ravviva, Si prendon per la man, fanno la pace, E la danza divien lieta, e festiva. Allora gli strumenti cambiarono 1’ aria loro patetica in un’ altra molto più allegra, e vivace, ed il ballo terminò con un trescone, che fu eseguito a tempo, e con la maggior precisione ». Il divertimento finì con una lauta cena. A. N. RASSEGNA BIBLIOGRAFICA P. Ristelhuber. — Deux dialo gius du nouveau langage françois italianise et autrement desgui%e, principalement entre les courtisans de ce temps, par Henri Estienne , avec Introduction et notes. — Paris, Lemerre, 1885; 2 voli, di pp. xxxi 378; 338. Ediz. di 400 esemplari in carta a mano, numerati a penna. GIORNALE LIGUSTICO 461 Il sig. Ristelhuber, già noto per altre sue pubblicazioni e sopratutto per l’ accurata ristampa dell’ Apologie pour Hérodote dell’Estienne, satira vivace della società francese del sec. XVI, continuando nel suo lodevole intento di rimettere in luce i capolavori del grande erudito, ha recentemente offerto ai dotti questa nuova e curiosa opera di lui. Una buona introduzione, ricca di documenti se non tutti nuovi, tutti interessantissimi, mette in grado ciascuno di apprezzare giustamente la satira dell’ Estienne, gettando anche qualche luce sulla vita di lui; numerose e dotte note illustrano poi il testo da capo a fondo. Il sec. XVI segna il più alto punto dell’ influenza italiana all’ estero. La maravigliosa fioritura letteraria ed artistica , che rende quel secolo nel suo insieme unico nella storia moderna, congiunta alla squisita coltura ed eleganza delle nostre corti, che era in parte un prodotto delle medesime cagioni, facevano sì che l’Italia apparisse maestra di civiltà, di sapere e di raffinatezza all’Europa. Quindi l’imitazione di tutto ciò ch’era italiano riguardavasi come segno di squisitezza di gusto; e certo non si potrebbe negare che insieme alle cose buone non se n’adottassero buona parte di cattive, come qua e là si lamenta Γ Estienne. Osserviamo tuttavia che fa un poco sorridere, applicato all’Italia da un francese, il nome di maestra d’ogni esagerazione, di cui il sig. Ristelhuber la gratifica, in un momento ch’egli dimentica la sua solita correttezza di espressione. Uno dei trattati più curiosi e più caratteristici di questa mania d’imitazione da cui sopratutto i Francesi erano presi per le cose nostre, riscontrasi appunto nel fenomeno di cui i due dialoghi dell’ Estienne fanno la satira vivace e pungente. Le relazioni immediate tra la Francia e l’Italia, sempre state numerose e frequenti, s’erano via via fatte più strette e più intime perle spedizioni militari di Carlo VIII, di Luigi XII, 462 GIORNALE LIGUSTICO di Francesco I; sopratutto poi per Γ assunzione al regno di Francia di Caterina dei Medici. Con essa Γ imitazione delle cose italiane, oltre a rispondere a quel bisogno che tutti in certo modo sentiamo di riconoscere la nostra supremazia intellettuale, diveniva pure un efficace mezzo di adulazione, che i cortigiani francesi non si sarebbero lasciato facilmente sfuggire. Così anche la lingua se ne risentì; e l’introduzione di parole e modi italiani, cominciata fin dai tempi di Francesco I, come il R. afferma, si fece via via più frequente ed intensa, così da giungere al punto che il linguaggio della corte avrebbe potuto chiamarsi con ragione un linguaggio ibrido, una confusa miscela di elementi francesi ed italiani, cozzanti insieme nella più strana maniera. Ne bastino per saggio le prime righe della breve introduzione in cui Filausono, il personaggio che sostiene la convenienza dell’ imitazione italiana, spiega « aux Lecteurs tutti quanti » Γ occasione dei due dialoghi (vol. I, pag. 3-6): « Messieurs, il n’y a pas long temps qu’ayant quelque martel in teste (ce qui m’advient souvent pendant que je fay ma stanse en la cour) et à cause de ce estant sorti après le past pour aller un peu spaceger, je trouvai par la strade un mien ami, nommè Celtophile. Or voyant qu’il se monstret estre tout sbigotit de mon langage (qui est toutesfois le langage courtisanesque, dont usent aujourdhuy les gentils-hommes Francés qui ont quelque garbe, et aussi desirent ne parler point sgarbatement) je me mis à ragionner avec luy touchant iceluy, en le soustenant le mieux qu’il m’estet possible... » Che i varii vocaboli italiani, che in queste poche righe si trovano così bizzarramente usati e camuffati alla francese, non suonassero veramente sulle labbra dei ben parlanti della corte, insieme ad altri ben più numerosi e non meno straor-dinarii, noi non abbiamo alcun motivo di dubitarne. Anzi Filausono narra garbatamente come i più spietati e strava- GIORNALE LIGUSTICO 463 ganti italianeggiatori riportassero e s’arrogassero il vanto « dei meglio parlanti fra i ben parlanti », cadendo non di rado in equivoci così curiosi, che ognuno si sarebbe all’udirli smascellato dalle risa, se il saper ridere o non ridere a tempo opportuno non fosse stata una delle doti più necessarie al cortigiano. Ma il sorriso non può mancare di venir anche a noi sulle labbra, leggendo certe curiose trasfigurazioni di parole e di frasi: far professione d’una cosa in faire perfection de quelque chose, di é in acconcio in il est en bon conche o en bonne conche e il est bien de conche e perfino il est bien inconche, di fare scorta in faire escorce, di grande scorno in grande corne, etc. etc. Oltre a porgerci modo di studiare il curioso ed interessante fenomeno linguistico, di cui siam venuti toccando, i due dialoghi dell’ Estienne sono anche importanti per una quantità di piccole notizie che ci forniscono intorno ai costumi della corte di Francia, e sopratutto intorno alla tendenza di adottare le mode italiane, anche le meno ragionevoli. Si veggano per esempio a pagg. 216, 218, 239, 242-44, 246, 254-56 del primo volume gli accenni alle curiose foggie di abbigliamento di signore e di dame; e non si trascuri il mordace ritratto che l’Estienne fa del perfetto cortigiano a pagg. 290-91 : « Recipé trois livres d’impudence (mais de la plus fine, qui croist en un rocher, qu’on appelle Front d’airain). Deux livres d’hipocrisie. Une livre de dissimulation. Trois livres de la science de flatter. Deux livres de bonne mine. Le tout cuict au jus de Bonne grâce etc. etc. ». Ciò che abbiamo fin qui detto basterà per dare un' idea dell’ interesse che il libro di cui trattiamo presenta, e della riconoscenza che ognuno deve al sig. Ristelhuber della cura eh’ egli si prese di ripubblicare quest’opera dell’ Estienne. Giacché le edizioni antecedenti erano ornai divenute pressoché irreperibili per la loro rarità, e non mai ad ogni modo avrebbero offerto i molteplici aiuti di questa, cui rende anche 464 GIORNALE LIGUSTICO più gradita e preziosa la squisita eleganza dei tipi del Le-merre. Qualche osservazione si potrebbe certamente fare qua e là, sopratutto (lasciando da parte certi evidenti errori di punteggiatura) riguardo alle note, dove si tradisce un po’ spesso il difetto d’ una dottrina divenuta proprio intimo e vivo possesso deir A., e che quindi è sostituita da un’erudizione un po’ farraginosa ed accattata, con errori non del tutto rari, specialmente quando s’ entra nel dominio linguistico. Ma noi tuttavia, memori del detto del poeta latino « ubi plura nitent, non ego paucis offendar maculis », non vogliamo insistere più oltre e preferiamo finire congratulandoci novamente col sig. Ristelhuber dell’ opera sua. D: E. G. Parodi. SPIGOLATURE E NOTIZIE II prof. Girolamo Rossi di Ventimiglia, prendendo argomento dall’essere stato inscritto Γ antico battistero della cattedrale di Ventimiglia fra i monumenti nazionali, ne porge nell’ Arte e Storia (num. 26) una breve illustrazione, accennando allo stato deplorevole in cui ora si trova, ed augurandosi che il governo provveda a riparare tanto sconcio. * * * Nella Nuova Antologia (16 ottobre 1887 pag. 605) si legge un importante articolo di Luisa Saredo : La Repubblica di Genova e la famiglia di Vittorio Amedeo II. E il capitolo di un libro testé uscito (ed. Unione Tipografica Torino) intorno a La regina Anna di Savoia; del quale libro parleremo. * * * Il giorno 11 marzo 1383 il Re di Napoli Carlo III concede ad Ottaviano Doria capitano della città di Napoli alcune prerogative e grazie, fra le quali il potere giudicare cause civili e criminali, non ostante la consuetudine della città stessa (Arch. Stor. Napolet. a. XII, Fase. 2, p. 195). * * * Nel cod. CCLIII delle Carte Strox^iane custodite nell’ Archivio di Stato di Firenze si conserva in copia una « Lettera de Gioneuosi (sic) adducta di Milano » data » Ianue, die xxviij decenbris 1435 ». E la GIORNALE LIGUSTICO 465 « Copia di una lettera di Andrea Doria al Marchese del Guasto a Napoli, di Genova delli ij di febbraio 1528 » contenente « Avvisi della città ». * * * Venne pubblicato da C. Desimoni neli’Archivio Storico Italiano (xx, 161) il « Trattato dei Genovesi col Chan dei Tartari nel 1380-1381 scritto in lingua volgare». Questi documenti pubblicati dal De Sacy e. dall’Oli-vieri furono creduti tutt’uno, or essendo editi più esattamente desunti dagli originali ed a riscontro, si vede la ragione delle diversità. * * * Nel Giornale Araldico Genealogico Diplomatico della R. Accademia Araldica Italiana (novembre 1887, p. 76), Girolamo Rossi pubblica un articolo sulla Famiglia Monleone, genovese. Inoltre lo stesso Rossi produce nell 'Arte e Storia (15 dicembre, p. 270) e commenta una Iscrizione inedita dell’ antico castello dei Grimaldi in Mentone. L’iscrizione è del 1504, e in distici latini; stava murata sovra la porta del detto castello, e commemora la costruzione del medesimo fatta da Giovanni di Lamberto Grimaldi, signore di Monaco e Roccabruna. * * * Antonino Bertolotti ha pubblicato nel Bulletin Rubens (Anversa, 1887) una sua lettera dal titolo : P. P. Rubens, Corneille de Wael, Jean Roos, Antoine van Dyck. Ne rileviamo che nel 1630 il Wael dimorava in Genova presso la Porta di S. Caterina; che Fabrizio Valguarnera (un furfante matricolatoì avea comperati nella nostra città, per 50 scudi d’ oro , due grandi tavole del Roos, rappresentanti fiori ed uccelli ; e che altri quadri gli avea venduti Gio. Stefano Roccatagliata, amatore di cose d’arte, fra i quali un Re Mida del Pussino. Del resto Cornelio Wael e Luca suo fratello, come ha già detto lo Scheilber (Journal des beaux arts, 1883) , erano stabiliti in Genova sino dal 1623, in cui il Wan Dyck dipinse i loro ritratti in una tela, che trovasi nel Museo Capitolino ; nè è vero che Cornelio morisse nella nostra città l’anno 1658, perchè sì fatta asserzione è contraddetta dal suo testamento datato di Roma il 6 marzo 1667. — Neil’ appendice segnaliamo due lettere scritte da Genova al Valguarnera nel 1631 : l’una di Cornelio Wael, del 20 aprile; l’altra del Roos, del 7 di giugno. * * * Troviamo descritti nelle Carte Stro^iane (vol. Il, 464 e segg.) tre manoscritti di cose genovesi, dei quali crediamo utile prender nota : I._ Antico n. 928 A. Y. Filza, di c. 83, numerate fino a 60 da Carlo Strozzi. La c. i è duplicata. Luigi Strozzi nel 1670 fece sopra due delle Giorn. Ligustico. Anno XIV. 50 466 GIORNALE LIGUSTICO quattro carte che precedono , e non sono comprese nella numerazione , un Indice delle Scritture, e questo titolo : « Notizie attenenti a Genova ».. 1. —Annalium rerum Genuensium post constitutam Libertatem, nondum emendatus neque expolitus Liber primus ». Comincia: « Magna quaedam res est, magnaeque facultatem foelicitatis continet, civilis hominum soeietas atque co.niunctio.... » — Ac. 1-10. 2. — « Annalium rerum Genuensium post constitutam libertatem Liber quartus nondum emendatus atque expolitus ». Comincia : « Omnes homines qui tranquillam beatamque in terris consectantur vitam ... ». Sono ambedue questi Libri deila stessa mano. Sec. XVI. — c. 12-23. 3. — a Modo che si tiene nella ellettione del Duca di Genova ». A tergo: « Li sei mandati dal Consiglio minore al Gran Consiglio ». Vi è la data del 3 novembre 1583. — c. 24. 4· — K Trattato del magnifico messer Francesco Spinola amiraglio ». È la istruzione data da Bartolommeo arcivescovo di Milano, governatore ducale nelle parti di Genova, e dal Consiglio degli Anziani e ufficio della Balia allo Spinola ammiraglio « contro a’ Viniziani e Fiorentini nostri inimici conducente l’armata». È data « in Genova, 1431 »; e sottoscritta da « Iachopo de Bracelli cancelliere ». — c. 25-26. 5* — * Dei nomine. Questi sono gli Capitoli fatti , e stabiliti fra lo I. S. P. Doria Capitano generale della armata marittima di S. C. M.à e Generale dello esercito deputato alla recuperatione di Corsica per la I. S.na di Genova, e Mag.c° Uficio di S.° Giorgio, e fra gl’altri S.or Giordano Orsino ». In fine: « Data nella mia galea cap.na sopra S.° Firenze alli 19 di febbraio m. d. liiij ». — c. 28-29. 6. — * Parte di discorso per regolare la Nobiltà vecchia e nuova, acciò vi sia unione ». Titolo di Luigi Strozzi. Frammento di più mani. Sec. XVI. — c. 30-31 e 33-42. 7· — « Discorso del Sig.r di Sabran dato al Ser.m0 Sig.r Doge di Genova e Sig.rl suoi Assistenti ». Comincia: « Havendo inteso da qualche giorni in qua le false impressioni che si davano a questa Ser.ma Rep., nè potendo io venire da V. S. Ser.ma per non essere ricevuto da loro con 1’ honore dovuto al Re mio signore... » — c. 43-48. 8. — Stampato). « Fedelissimi amici, | e Signori miei sempre carissimi, I osseruandissimi. | — Non tutto quello c’ha faccia di male è sempre male... ». A tergo della seconda carta: « A tutto l’Ordine Fortissimo, Fedelissimo, | Generosissimo, che intende di reprimer | le insolenze , e ripararsi dalle ingiustizie | di quelli, che male operano, e male | gouernano in Genoua. Salute, | et auiso ». In foglio. — c. 49-50. GIORNALE LIGUSTICO 467 9· — « Informazione al Ri Cattolico sopra quelli che si sono partiti da Genova per la legge del 1528 ». Titolo dello Strozzi. — c. 51-55- 10. — Lettera anonima al Re Cattolico , con la data del 19 luglio. Comincia : « [Per] buona via ritruovo messer Andrea Doria haver chiarito la mente sua di non più perseverare al servizio del Cristianissimo...». Copia sincrona, rosa dall’ umidità. — c. c. 56-57. 11. — « Informatione per il Maestro delle Poste di Genova in Roma per il porto delle lettere che fa il suo ordinario per Lucca, qual si piglia il Maestro delle Poste di Pisa ». — c. 58-59. 12. — « Copia delle Capitolationi concesse il Duca di Parma a’ Genovesi ». c. 60-63. 13. — Codicetto coperto di cartapecora con qualche filetto d’oro, e due nastri rossi per tenerlo legato : « Breve Relattione de felici progressi fatti dalla Ser."'* Repub.3 di Genova contro il Duca di Savoia 1’ anno 1625 ». È dedicata da Michele Fondora, con lettera data di Genova 29 novembre 1626, a Monsignor Gandulfo vescovo di Ventimiglia. — c. 66-83. II. — Antico n. 730, già 1012 cancellato. Codicetto in foglio piccolo, di c. 114 modernamente numerate. Luigi Strozzi nel 1670 lo intitolò : « Relazione della Rep.ca di Genova, suo Governo e leggi, fatta V anno 1/97 ». — Ma il titolo della scrittura è « Relatione compitissima della Rep.cl di Genova con discorsi del suo governo et leggi fatta dell’ anno 1597 ». È copia del tempo. Sono capitoli 56. Comincia: « Dua grandissime difficoltà mi si parano dinanzi in questa presente relatione, 1’ una di sapere la verità di quello che si cerca, 1’ altra il farvi sopra discorsi... » III. — Antico n. 1317 T. V. Filza, di c. 124 modernamente numerate. Luigi Strozzi scrisse sopra la seconda di due carte che precedono : « Genova », — e cominciò un Indice dei documenti. 1. — « In nomine Domini nostri Iesu Christi etc. Gli Ill.mi Signori Ministri delli tre Principi et qui sottoscritti etc. Havendo con ogni diligenza considerato il modo di provedere alla pace et quiete della città di Genova per le discordie civili che sono state, et che di presente in essa si ritrovano, hanno maturamente et tutti tre concordi unitamente risso-luto di proporre il decreto qui sotto scritto, come unico et presentaneo rimedio alla pace , acciochè da tutti sia riccevuto , accettato , et esse-quito.... ». Sono undici articoli. In fine: « Dato in Genova alli 3 di ottobre 1575 >. — A c. 1-2. 2. — Altra copia. — c. 71-72. 3. — Capitolazione dei tre Ministri. « Dato in Finale, 14 d’ ottobre 1575 ». — c. 75-76. 468 GIORNALE LIGUSTICO 4· — 11 Sopra le cose di Genova ». Scrittura, che comincia: « Erono in Lombardia state molti mesi 1’ armi del Re Cattolico in numero di xij mila fanti fra Italiani e Todeschi.... ». — c. 4-10. 5. « Minuta della lettera al S.r Giovanni Andrea Doria de’ 25 di sett. 1575 ». « Al signor don Giovanni d’Austria de’ 27 d’ott. 1575 ». « Minuta della lettera al Papa de’ 29 di sett. 1575 ». « Minuta della lettera al Re Cattolico de’ 12 d’ottobre 1575 ». « A messer Giulio del Caccia delli 12 d’ottobre 1575 ». « Inserto a l’Ambasciatore Caccia delli xij d ottobre 1575 ». Sono tutte del Granduca di Toscana. — c. 11-23. 6· Sunto di notizie relative ai moti di Genova , mandato al Granduca, forse da un suo agente in quella città, leggendosi verso la fine: « che quando si venisse all' arme , direbbono che si voglion conservare liberi o chiamar V. Altezza per lor patrone et protettore, et all’hora unitamente manderebbono ambasciatori publici a chiamarla ». — e. 24. 7· (< Copia del Decreto della Signoria di Genova ». — c. 25 e 27. 8· « Copia di avisi hautti da Genova delli 19 di ottobre da Ott.no Rido ». — c. 26. 9- Lettera al Granduca di Pietro Gio. Gazzo, da Firenze 25 ottobre 1576. Forse originale. — c. 29-33. I0· Lettera di Antonio Serguidi, in risposta alla precedente. « Dal Poggio, il di 27 di ottobre 1576 ». —■' c. 35-36. 11. — « Memoria sopra le cose di Corsica ». (Settembre 1575). - c. 37-41. 12. — « Io. Aloysius Fliscus. Ligur. — Quae a nobis hactenus allata sunt nostrorum temporum , aut superiorum fortitudinis robora... ». — c. 94-99. 13· — 1 Intercetera. Contra 1’ordinario de’ Turchi, che non sogliono alterar gli loro ordini, venero ad incontrarne due giornate discosto dalla città ad un loco dimandato Pontepicciolo diece chiaussi con molte genti... » — c. III. 14. — « Ordinanza di S. Maestà contra la Rep.ca di Genova ». « Data a Fontanableo il 4.0 giorno d’ottobre 162$ ». — c. 113-114. 15. — « Raggioni che s’adducono per la Republica di Genova, come più meritevole delli honori appresso il Pontefice della Republica di Venetia ». — c. 115-120. 16. — « Scrittura presentata al Collegio de Cardinali intorno alla mutazione del luogo delle fiere per causa della peste ». Titolo dello Strozzi. È scrittura sottoscritta da « Ant. Francesco Deti ». — c. 121-125. 17. — Avvisi, a) Di Genova, 22 luglio 1575. b) Di Milano, 20 detto. c) Di Roma, 30. d) Di Venezia, 6 agosto, e) Di Genova, 5 agosto. /) Di Roma, 13 detto, g) Di Parigi, 27 luglio, h) Di Augusta, 6 agosto. GIORNALE LICUSTICO 469 i) Di Venezia, 20. I) Di Roma, 6. ni) Di Venezia, 13. n) Di Roma, 20. 0) Di Venezia, 22. p) Di Anversa, 14 luglio, q) Di Roma, 27 agosto, r) Di Anversa, 6 detto, s) Di Lione, 19 detto, t) Di Venezia, 3 settembre. u) Di Milano, 7 detto, v) Di Genova, 20. x) Di Roma, 24. y) Di Milano, 28. 1) Di Spagna, 15 detto, aa) Di Venezia, 1 ottobre, bb) Di Milano, 12. co) Di Roma, 15. di) Di Milano, 19, ee) Di Roma , 22. ff) Di Venezia, 22 e 29. gg) Di Milano, 22 e 26. bh) Di Venezia, 29. ii) Di Roma, 29. Il) Di Milano, 2 novembre, mm) Di Roma, 5. nn) Di Venezia , 6 e 12. 00) Di Roma, 12. pp) Di Anversa, 23 ottobre, qq) Di Venezia, 19 novembre, rr) Di Roma, 19 novembre, ss) Di Costantinopoli, 24 ottobre. tt) Di Venezia, 26 novembre, uu) Di Roma , 26. vv) Di Venezia , 3 dicembre. — c. 42-70, 73-74, 77,80, 82-90, 92-93, 102-109. * * * Nel Bollettino della Società Geografica Italiana (fase, di settembre, pp. 717-36), il nostro collaboratore 0. Varaldo ha stampata una Nota su Γ origine di Cristoforo Colombo, nella quale dopo aver detto molto assennatamente il fatto suo al Garbarini, che, « ignorando quanto fu scritto prima di lui », credette, con « ingenuità per altro ammirabile », d’ aver finalmente scoperta in Albissola Marina la patria dell’ Eroe, tratta la questione alla stregua sicura dei documenti. I lettori troveranno sommamente giudizioso e lodevole il raffronto istituito dall’ A. nel § V, degli « atti esistenti originalmente negli archivi di Genova con quelli che tuttora esistono, pure originalmente , negli archivi di Savona » ; e troveranno altresì nel § VI incontrovertibilmente provata 1’ esistenza di quel notaio Giovanni Rogero, la cui mancanza nel catalogo dell’ archivio savonese fornì già l’argomento achilie agli oppugnatori della legittimità delle carte prodotte dal Salinero. Da ultimo il Varaldo discorre in appendice dei documenti pubblicati dal march. Staglieno nel fascicolo di luglio-agosto del nostro Giornale, convenendo sulla « singolare importanza » degli stessi e delle notizie onde li corredò il eh. Editore, non senza esporre la sua diversa opinione rispetto a qualche apprezzamento particolare. Tutto però concorre (cosi l’autore) a troncare le opposizioni; « e rafferma sempre più quella verità eh’ io, savonese, ho proclamato sinceramente : Genova essere la vera patria di Cristoforo Colombo ». * * * Sempre Colombo. — Nel num. 136 del Corriere Ticinese è comparso un articolo anonimo, per sostenere la vecchia sentenza : Cristoforo Colombo studiò in Pavia; e dell’articolo fu fatta anche una tiratura a parte (Pavia, Succ. Bizzoni ; in 16.° di pp. 12). — Ne pigliatn nota per la storia. 470 GIORNALE LIGUSTICO * * * Il sac. Bartolomeo Botto ha pubblicato i Cenni storici di Moneglia, San Pier d’Arena, Tip. Salesiana, 1887; in 16.0 , pp. 20. * * * Nella Strenna a beneficio del Pio Istituto dei Rachitici ( Genova Sordo-Muti 1887, pag. 139) Giuseppe Chinazzi discorre di due documenti inediti intorno al poeta genovese Bartolomeo Gentile Fallamonica. Il primo è il testamento di Pancrazio, padre del poeta, rogato il 25 febbraio 1469, « in contrata S. Pancracii in domo solite abitationis ipsius testatoris », nel quale il figlio viene nominato fra gli eredi; 1’ altro è il testamento della sorella Pellegrina, moglie di Giannotto Calvi, del 10 luglio 1511, dove si ricorda Bartolomeo come sempre in vita, onde si chiarisce erronea 1 opinione degli scrittori nostrani che lo asserivano mancato circa il 1492. * * + Nella Revue des questions historiques (fascicolo di ottobre, pp. 321-S2), il sig. de Beaucourt ha pubblicato: Une entreprise de Charles VII sur Gênes et sur Asti, 1445-47. L’ autore si è giovato delle fonti che stanno in Francia e di quelle già divulgate da pubblicazioni italiane e straniere, alle quali, per fermo è tuttavia molto di inedito da aggiungere. Ed egli stesso ha veduto il lato debole dell’ opera sua, e quasi intende a prevenir le censure, con questa nota messa in principio: « Nous saisissons cette occasion de solliciter le concours des érudits qui ont exploré les archives de 1’ Alemagne, de l’Italie, de la Suisse, etc., et de les prier de vouloir bien nous donner connaissance des documents qu’ils auraient rencontré, permettant d’élucider soit l’histoire personelle de Charles VII, soit l’histoire de ses relations diplomatiques avec les puissances étrangères durant les quinze dernieres années de son regne. Ces communications nous seront fort précieuses pour l’achèvement de notre Histoire de Charles VII, dont trois volumes restent encore à paraître, et verront le jour prochainement ». Segnaliamo il trattato del 21 dicembre 1446, di cui nella collezione Du Puy, vcl 760, si conserva l’originale, colle soscrizioni autografe. Per esso Gian Luigi Fieschi, conte di Lavagna, ed i suoi tìgli Antonio Maria e Gian Filippo si impegnavano, come fedeli sudditi e vassalli, ad aiutare con tutte le loro forze il re Carlo e il Delfino nel tentativo, che questi farebbero, di occupare lo Stato di Genova, a patto di averne una pensione mensile di 200 ducati ed altri vantaggi. È un atto importante, e un argomento di più, valevole a confermare 1’ antichità delle buone intelligenze e la comunanza degli interessi tra la monarchia francese ed i Fieschi. È un GIORNALE LIGUSTICO 47 1 anello che si aggiunge alla catena di una lunga tradizione domestica, alla quale doveva poscia ispirarsi intorno alla metà del secolo XVI il famoso congiuratore Gian Luigi: tradizione però, di cui non ci sembra che siensi reso a bastanza conto gli scrittori che della congiura del Fiesco ebbero, come il Petit, anche recentemente a trattare. Donde avviene che il fine di essa continui a rimanere disconosciuto, e tutto quasi si stringa nella breve cerchia degli odi e delle rivalità di due case, anzi di due persone. Del resto i nostri lettori possono vedere nel Giorn. a. 1883, pag. 472 , riprodotto il trattato fra il Delfino e il Duca di Savoia pur del 1446 , edito prima nella Bibl. de l’Ecoìe des chartes. Nuove Pubblicazioni — Sotto la direzione del prof. Gentile Pagani, archivista storico e bibliotecario del Municipio di Milano, e dell architetto Luca Beltrami, regio delegato pei monumenti nazionali della Lombardia, la Libreria Levino Roiecchi (Milano, via S. Paolo, 19) pubblicherà col nuovo anno un periodico mensile illustrato, intitolato : Raccolta Milanese, avente per iscopo di studiare la storia, la geografia e 1’ arte di Milano e del suo territorio storico. L’associazione annua costerà L. 6,60 fuori e L. 7,50 negli Stati dell’Unione postale. Agli associati verrà anticipato in premio il K limerò di saggio. * * L’editore A. G. Morelli di Ancona pubblica un importante volume dell’ avv. Domenico Gaspari, nel quale è narrata con molti particolari attinti da ottime fonti, la vita di Terenzio Mamiani (L. 5). * * * Nel mese di Gennaio 1888 1’ editore Carlo Cazzamalli di Crema incomincerà la pubblicazione del Dizionario Biografico Cremasco di F. Sforza Benvenuti. L’Autore è già noto ai cultori degli studi storici per una sua pregevole Storia di Crema. Ora, con questo lavoro, egli intese di rilare la detta istoria, continuandola fino ai nostri giorni, e di arricchirla con recenti ed accurate indagini che rettificano, svolgono e completano molte delle notizie da lui precedentemente pubblicate. L’opera conterrà 382 biografie. Avrà due indici: uno metodico, l’altro cronologico-analatico, col sussidio del quale ognuno potrà avere il nesso dei fatti storici, essendo che nello scrivere le vite degli uomini insigni usciti da Crema, 1’Autore ebbe di mira la dipintura dei tempi nei quali essi vissero. Il volume si comporrà di 6 fascicoli in ottavo grande di pagine 64 472 GIORNALE LIGUSTICO ciascuno. — Il prezzo d’associazione è di L. 6, pagabili alla consegna del primo fascicolo. Terminata la pubblicazione, l’opera non si troverà più in Commercio, poiché la tiratura viene fatta per esemplari numerati e limitatamente al numero dei soci. * * * Il solerte editore Ermanno Loescher ha messo in pubblico un importante volume dovuto alle cure del prof. Rodolfo Renier : I sonetti del Pistoia giusta 1 apografo Trivulxfano. È il II volume della Biblioteca di testi inediti o rari alla quale presiede lo stesso prof. Renier, e che, incominciata dall editore Triverio, ora per intervenuti accordi venne assunta , e sarà continuata dal Loescher. * % * La Casa G. C. Sansoni di Firenze ha incominciato la pubblicazione importantissima delle Consulte della Repubblica Fiorentina per la prima \olta edite da Alessandro Gherardi, Archivista del R. Archivio di Stato in Firenze , socio ordinario della R. Deputazione di Storia Patria Toscana. La prima serie (dal 1280 al 1300 circa) comprenderà due volumi in quarto di pagine tra le cinque e le seicento ciascuno. Con gli ultimi fogli del primo volume si darà uno studio illustrativo dei documenti, da porre in fronte al volume stesso ; ed in fine del secondo uno o più Indiai , quanti si stimeranno necessari a bene e prontamente usare tutta la mateiia. Dell opera uscirà ogni due mesi almeno un fascicolo di 40 pagine in quarto (L. 4). Son già stati pubblicati i primi 3 fascicoli. Lo stesso editore ha pubblicato il notevole volume del medesimo Alessandro Gherardi , Nuovi documenti e studi intorno a Girolamo Savonarola (L· 5)· * * * I fratelli Dumolard hanno dato fuori 1’ opera di Giovanni De Castro: Milano nel settecento giusta le poesie, le caricature ed altre testimonianze del tempo (L. 4). * * * In Roma dall editore L. Pasqualucci e sotto la direzione di Domenico Gnoli si pubblica col nuovo anno V Archivio storico dell' arte. La Direzione espone lo scopo e gli intendimenti così: « Ci proponiamo di raccogliere le forze dei critici e degli eruditi d’ arte sparsi pel nostro paese, d aprire un campo ad ogni studio, ad ogni ricerca che valga a gettar lume su qualche pagina della nostra storia artistica, lasciando libertà ad ogni opinione, purché proseguita con studio coscienzioso e con rigore di metodo; e ci proponiamo pure di associare al lavoro degli GIORNALE LIHUSTICO 473 studiosi italiani, quello degli stranieri che con amore e profitto s’ occupano dell’ arte italiana. Gli scritti saranno accompagnati e chiariti da incisioni e riproduzioni fotomeccaniche, corredo ormai necessario a siffatto genere di studii. L’Archivio pubblicherà documenti e notizie inedite o ignorate, come pure riprodurrà monumenti e opere d’ arte inedite. Si occuperà della conservazione e restauro dei monumenti, e raccoglierà tutte le notizie che possano interessare gli studiosi dell’ arte. E poiché il principal difetto di tali studi in Italia è la poca conoscenza di quel che da altri si è scritto, massime all’estero, porremo una speciale cura alla bibliografia, annunziando le pubblicazioni relative alla storia artistica, e dando accurate recensioni delle più importanti fra esse. Vi sarà inoltre una cronaca dell’arte contemporanea ». Il primo numero contiene: Testo: Il Cupido di Michelangelo, A. Venturi - L’oreficeria sotto Clemente VII, E. Muntz - Le opere di Donatello in Roma, D. Gnoli - Il restauro della Chiesa di S. Francesco in Bologna, L. Bel-trami - Società internazionale di calcografia, R. C. Fisher — Nuovi documenti. sul Mantegna, A. Venturi - Nuovi documenti su Giorgione, A. Luzio -Bibliografia, Tschudi - Notizie e Varietà, ecc. — Illustrazioni : Il Cupido del Museo di Torino - Il Cupido di Mantova - Un S. Giovanni attribuito a Donatello - Il sepolcro del Crivelli di Donatello - Chiesa di S. Francesco in Bologna ecc. - Prospetto architettonico del frontespizio - da un codice membranaceo dedicato a Leoni X. BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO Novelle del « Mambriano u del Cieco da Ferrara, esposte ed illustrate da Giuseppe Rua. Torino, Loescher, 1888. Nella introduzione l’autore ha raccolto con molta diligenza tutte quante le notizie che ha potuto mettere assieme intorno al poeta ferrarese, il cui nome era, secondo è noto, Francesco Bello. Quantunque non fosse agevole discorrere della sua vita, perchè in generale mancano i documenti da ciò, e le fonti edite sono invero povera cosa, pure il Rua rifacendosi ad accenni ritrovati qua e colà, a quel che dice il Bello di se nel poema, e ad alcuni documenti inediti, ha saputo esporci di lui quanto di meglio, in tanta povertà, si poteva pretendere. Egli è stato bensì costretto assaij volte a ricorrere alle ipotesi ed alle induzioni , ma lo ha tatto con buon criterio e con lodevole circospezione. Toccando infine del Mambriano, mentre riconosce non privi di fondamento i giudizi poco benevoli del Ginguené e del Panizzi, discorre alquanto delle giustificazioni che si potrebbero produrre a prò’ del poeta, rilevandole specialmente da 474 GIORNALE LIGUSTICO una più razionale disposizione della materia, da miglior partizione del poema e dalla condizione dell’uomo e dei tempi; considerazioni che non appariscono, come avviene sovente nelle apologie, tirate dentro per forza, ma dedotte assai bene dai fatti. Le novelle tratte dal poema e qui illustrate sono sette. L’ autore non le riproduce, ma ne dà un sunto, o per dir meglio, una esposizione fedele, facendo poi seguire le copiosissime illustrazioni; e ci dà così, seguendo il metodo oggimai accettato dagli erediti, un utile esempio di letteratura novellistica comparata. In studi sì fatti si deve certamente tener conto d’ogni rassomiglianza, ed anche di qualsivoglia riferimento parziale; ma converrebbe non eccedere, facendosi innanzi un esatto concetto della giusta misura. Questa è colpa di gioventù, noi vecchi impenitenti volentieri potrem dirla a doppia ragione felix culpa. Del resto il lavoro presente prova quanto sia vasto ed abbondante il campo della novellistica ; e rispetto alle novelle narrate dal Bello afferma che egli, aggiungendo di suo, e rifacendo e trasformando a suo uopo, trasse il fondo de’ fatti dalla tradizione orale e scritta derivata dal popolo ; siccome altri dopo di lui, ricorrendo alle stesse fonti ed anco all’ opera sua, si piacquero ripetere que’casi per lo più festevoli, e, secondo portavano i tempi, non troppo castigati. Contributo agli studi sul Boccaccio, con documenti inediti, per Vincenzo Crescini. Torino, Loescher, 1887. Questo libro, che noi qui ci contentiamo di brevemente annunziare, ci sembra de’ più notevoli e dei meglio pensati. La materia che Γ autore prende a svolgere è davvero assai difficile, poiché parecchie opinioni già espresse da uomini di vaglia si manifestarono disformi e contradditorie, ed è necessario spazzare il cammino da non pochi ostacoli per giungere alla meta. Il fine che si è proposto il Crescini si è quello di dimostrare come il Boccaccio ha voluto dar valore autobiografico ai racconti delle sue opere romanzesche, e come queste tutte s’accordino nel rispecchiare la giovinezza e gli amori del gran novellatore. Infatti ne’ due primi capitoli ricerca per entro alle allegoriche finzioni del Filocolo e dell’Milito quanto si possa riferire ai natali, ai primi passi, agli studi ed alla passione amorosa di lui, non che alle condizioni di famiglia. E rileva con rara acutezza come in alcuni singolari luoghi egli abbia chiaramente accennato alla sua nascita illegittima avvenuta a Parigi, quando da Certaldo per ragione di commerci vi si recò il padre ; il quale ingannata una giovane di non ignobile famiglia, chiamata Gannai, facile anagramma di Gianna, n’ebbe il figliuolo Giovanni, cui forse venne imposto questo nome in memoria della madre, e poi abbandonata la ingenua tradita si fece sposo a Gharermita, annagramma puro di Margherita che sappiamo essere stata de’ Martoli. Seguendo questo metodo, noi siamo introdotti dallo stesso Boccaccio a conoscere con maggior certezza alcuni spiccati particolari della sua prima età, non lieta per la condizione in che egli si trova rispetto GIORNALE LIGUSTICO 475 alla matrigna; costretto ad avviarsi controvoglia alla mercatura, fuori della casa paterna, non allietato dal” amore di famiglia. Ed eccolo a Napoli, dove ascolta le lezioni di Calmeta « pastore solennissimo » o sia di Andatone di Negro, e prende amore a quegli studi che lo condurranno poi ad alto segno. Qui s’accende di una donna nascosta nel racconto sotto il nome di Alleiram, secondo dicono i manoscritti ricercati dall’autore, che letto a rovescio dà Mariella vezzeggiativo della Maria d’ Aquino, nota bastarda di re Roberto e amante del Boccaccio, più conosciuta sotto le spoglie di Fiammetta. Gli altri capitoli del libro sono volti ad illustrare questo amore di Giovanni, in tutti gli atteggiamenti onde a lui piacque di adombrarlo nelle molteplici finzioni del Filocolo, àtWAmeto, dell’Amorosa visione, della Fiammetta, delle Rime, del Filostrato, della Teseide, del Ninfale Fiesolano, toccandone finalmente anche nell’esordio del Proemio al Decameron, col quale, e con le rime in morte di Fiammetta, si chiude questo periodo amoroso dello scrittore. L’esame particolare di ciascüna delle accennate opere in ordine alla sua tesi è veramente importante per ricchezza di confronti, di ragguagli, di rilievi e di savie e convincenti deduzioni, desunte con felice acutezza critica, accompagnate da largo corredo di erudizione.^ La quale ben si pare da tutta l’opera, come quella che fa fede della piena conoscenza di tutta la storia e la letteratura boccacesca, e dimostra con che piena ed intera preparazione abbia il Crescini posto mano al suo lavoro. Si contradirebbe al vero se si dicesse che ogni parte è uguale e perfetta, chè non mancano appunto quà e colà ridondanze ed anco disuguaglianze; ma la natura dal lavoro e il modo onde nacque giustificano forse questi difetti; i quali d’altra parte sono abbastanza compensati con tali e tante cose buone, nuove ed originali, da indurre chi legge a passarsene quietamente. Come giunta sono pubblicati in fine tre nuovi documenti, che si riferiscono alla vita già inoltrata dal Boccaccio. Ferruccio Ferrari. Ricerche bibliografiche sul giuoco di ηιαζχα-scudo o del Fonte di Pisa, con documenti inediti. Pisa, Mariotti, 1888. Intorno a questo divertimento spettacoloso, avanzo medioevale, scrisse dottamente nel secolo passato il noto erudito Ranieri Borghi, e recentemente con la consueta piacevole e festosa dottrina Felice Tribolati. Ora il Ferrari, cultore diligente della bibliografia, di che ha dato prova con altre pubblicazioni, ha voluto raccogliere le indicazioni di tutto quanto v’ha di manoscritto e di stampato sopra questo giuoco. Egli ricercando in biblioteche ed archivi pubblici e privati, o nelle opere di coloro , che ci lasciarono scritture speciali intorno a sì fatto argomento, è riuscito, a mettere insieme una doviziosa suppellettile, la quale ci dimostra quanta importanza si dava a questo spettacolo dai Pisani, siccome quello chç costituiva una delle più spiccate caratteristiche della città. L’ autore ha corredato alcune indicazioni bibliografiche di note opportune , che valgono a meglio chiarire la qualità dello scritto, e porgono particolari notizie. Sono utile corredo a questo lavoro condotto con buon metodo, alcuni documenti tratti dall’ archivio pisano e dalla Nazionale di Firenze. Essi riguardano più specialmente gli inconvenienti a cui dava luogo il giuoco, e i provvedimenti volti a farli cessare. GIORNALE LIGUSTICO I Codici Ashburnhamiani della R. Biblioteca Mediceo-Laurentiam di Firenze. Vol. I. fase. i.° Roma 1887. Si deve la pubblicazione di questo catalogo illustrato al prof. Cesare Paoli, il quale vi ha posto quell’ amore, quella diligenza e dottrina che oggimai riscontrano gli studiosi in tutte le cose sue. Non ci fermeremo quindi a notare con quanta cura egli ci fa conoscere intanto i primi 53 manoscritti di quella importante collezione , così dal lato esterno come dall’ intrinseco. Ben si vede coni’ egli sia padrone della materia, vuoi rispetto alla paleografia, vuoi rispetto alla erudizione storica e bibliografica. Le descrizioni sono fatte con molta diligenza e con rigoroso metodo costante ; e il contenuto d’ogni manoscritto viene indicato con chiarezza, tenendo conto di tutte le modalità che man mano s’incontrano. Gli utili ed opportuni riscontri ci richiamano a collezioni dove alcune delle scritture videro la luce, o ad autori che ne fecero soggetto di studio. Parecchi sono i codici che appariscono degni di nota, e fra questi vogliosi ricordare i non pochi provenzali e francesi (sec. XIII-XIV), nei quali si contengono scritture assai singolari. Non voglio omettere di ricordare per conto nostro che un cod. francese del sec. XV ha la copertura di antica pergamena, nella parte interna della quale è un inventario fatto a Beaucaire nel sec. XIV, e scritto per mano di «Johannes Pulcri clericus substitutus magistri Luquini de Clavaro notarii ». Bibliotechina grassoccia. Firenze, Stianti, 1886-87. Con questo titolo non si propongono gli editori Giuseppe Baccini e Filippo Orlando di metter fuori una raccolta di scritti osceni, ma dare nella loro integrità e nella crudezza del loro linguaggio documenti curiosi in servigio della storia e della letteratura. S’ intende eh’ essi destinano agli studiosi la presente raccolta , e ne pubblicano un ristretta numero d’ esemplari, ad un prezzo non accessibile a giovanetti. Noi senza entrare a discutere della bontà ed opportunità dell’impresa, la quale non ha riscosso il suffragio di uomini valorosi, ci terremo paghi di indicare la contenenza dei volumetti usciti fino a qui. Il primo contiene la Vita di Ferdinando 11, quinto Granduca di Toscana; Lo sconcio sposalizio, ottave di Francesco Furino; Novella di Pietro Fortini — Il 2.° Vita di G io. Gastone 7, settimo ed ultimo Granduca. — Il 3.0 Vita di Cosimo 111, sesto Granduca di Toscana; Vita del principe Francesco Maria già Cardinale; Vita del gran principe Ferdinando di Toscana. — Il 4.0 Vita di tre principesse di Casa Medici; Tre face\ie del Piovano Arlotto; Il vecchio preferito, scherzo comico di Agostino Coltellini — Il 5.° e 6.° Il parentado fra la principessa Eleonora de’ Medici e il principe don Vincenzo Gonzaga. Le scritture non sono tutte importanti a un modo; ma vi si trovano notizie che altrove invano si cercherebbero. Forse i testi lasciano qualche volta alcun che a desiderare, così dal lato della riproduzione come della illustrazione. Giason del Maino e gli scandali universitari del quattrocento — Studio di Ferdinando Gabotto — Torino, presso il giornale « La letteratura » 1888. Nel ritrarci la figura del giureconsulto lombardo , Giason del Maino , pesarese o milanese eh’ei si fosse, il che poco monta, nato nel 1435, e figlio di Andrea od Andretto, di cospicua famiglia milanese e da una costui concubina, e morto, carico di onori ed anche di dovizie nel 1519, non ammogliato , ed ancor egli all’ esempio paterno , padre di Polida-manto suo figlio d’ amore, (che fu poi anche a suo tempo podestà di GIORNALE LIGUSTICO 477 Genova), il nostro autore spiegò molta erudizione e grande amore allo studio. 11 suo lavoro ricco di annotazioni e citazioni , ci presenta lo spoglio fatto con pazienza notevole di tutte le opere immaginabili , da cui egli supponeva poter attingere notizie pel suo argomento. Quindi noi vi troviamo curiosi aneddoti e particolari poco noti , non solamente intorno alla vita ed alle azioni del giureconsulto lombardo, ma sì ancora sui giurisperiti ch’ebbero relazioni, o benigne, o malevoli con lui. Il signor Gabotto delineando il ritratto del Maino non ci lasciò al-l’oscuro sulle qualità sue morali, le quali pur troppo ritraggono assai dell’ epoca in cui egli è vissuto, epoca corrotta ne’ costumi , guasta dalla lascivia, poco lodevole per tante e tante azioni contrarie alla dignità del carattere. Con tutto questo pe’ suoi scritti, per le sue missioni , per le sue relazioni, Giasone acquistò rinomanza; ebbe numero straordinario di discepoli ed invogliò persino Luigi XII a recarsi personalmente a Pavia ad udire una delle sue lezioni. Ma in quanto a Genova, 1’ autore accenna a due fatti che la riguardano, e ne’ quali c’ entra Giason del Maino. La prima volta è nell’ agosto del 1487, in cui il Maino, richiesto dai Genovesi, compilò un’orazione o dissertazione in elogio e sostegno dei Barcellonesi nelle loro lotte per la conservazione della libertà propria, contro Ferdinando d’ Aragona. Ed in tale occasione il giureconsulto lombardo die’ pure consulti legali per primati appartenenti alle più cospicue famiglie genovesi, che eransi approfittati della presenza di lui a Genova, per valersene. Altro fatto che concerne le relazioni del Maino con Genova , si riferisce all’ anno 1495, in cui la Repubblica passando sotto la signoria di Lodovico il Moro, Giasone fu da questi prescelto a perorare la óausadi Carlo VIII contro Firenze. Convinto o no, il Maino questa volta, vestito Γ abito del cortigiano, faceva 1’ apologia della monarchia ; e prescindendo dalla moralità del fatto , la sua orazione riusciva forbitissima. In essa ei si valse dei noti versi virgiliani nell’ arringare che fece gli ambasciatori genovesi innanzi al Moro, introducendovi questa ingegnosa variante : Tu regere imperio Ligures , Lu lovice memenio. Hae libi erunt artes pacisque imponae viorem , Parcere subiectis et debellare superbos. In mezzo ai trambusti gjerreschi di quegli anni , il Maino percorse mezza Italia. Nel 1508 fu a Sarzana, ove patrocinò una causa tra quelle monache di S. Chiara e due sarzanesi. Nel 1505 passa di nuovo a Genova, dove 1’ anno prima aveva pure dato pareri legali. Insomma si può dire non esservi quasi stata causa di qualche momento a quei tempi in Italia, senza che le parti dissidenti non abbiano fatto ricorso alla sua autorità. Quindi importante si fa senza dubbio il tema assunto dal sig. Gabotto, tanto più ancora ove si consideri che il Maino segue 1’ epoca della transizione tra le due scuole, la vecchia di giurisperito, avversa all’ umanesimo, ingombra ancora del vecchio e capzioso formalismo, e la nuova che coltivava il classicismo, prenunciando il rinascimento, di cui fu grande altore l’Alciato, discepolo appunto del Maino. G. G. Crislopbe Colomb et Savone — Verzellino et ses « Memorie » — Etudes d’histoire critique et documentaire par Henry Harrisse — Gênes, A. Donath, éditeur, 1887. Le quatrième centenaire de la découverte du nouveau monde, lettre adressée GIORNALE LIGUSTICO a S. E. le Ministre de l’Inst. Pub. du Royaume d’Italie par un Citoyen Américain. — Gênes, Donath , 1887. Il lavoro dell’illustre scrittore americano, comparso la prima volta nella Revue Historique, riprodotto ora in elegante volume con aggiunte e note copiose, si compone di due parti. Verzellino et ses « Memorie », che dal frontispizio parrebbe la seconda, è invece la prima, e costituisce una buona recensione dell’opera del Verzellino, il cui primo volume venne pubblicato con cura nella città di Savona del canonico Astengo ; 1’ altra, nella quale sono passate in disamina le ragioni accampate dai Savonesi per volere loro concittadino Cristoforo Colombo, costituisce la seconda parto, ed è, per noi, la più importante. Il capo III è una stringente confutazione degli argomenti raccolti dal- 1 avv. Giambattista Belloro in una lettera al barone di Zach, per dimostrare che Colombo ebbe i natali in Savona; il capo IV è poi una dimostrazione chiara e, a mio avviso, inoppugnabile dell’origine prettamente genovese dello Scopritore del Nuovo Mondo, e questa dimostrazione riesce di tanto più importante in quanto che si basa quasi esclusivamente su documenti e atti notarili esistenti in Savona. È noto come il rev. Peragallo in un suo scritto pubblicato a Savona dichiarasse falsi, apocrifi, supposti gli atti pubblicati nel 1602 dal Salinero nelle sue Annotationes ad Cornelium Tacitum, e riprodotti dal- 1 Harrisse in quell’ opera monumentale che è la sua storia critica di Cristoforo Colombo ; ora il valente Americano, nel capo VI del lavoro di cui discorro, dimostra quanto sia infondata l’accusa del Peragallo, col provare come la massima parte degli originali degli atti del Salinero si trova negli Archivi di Savona. Dopo questo, io credo che la polemica tra Celsus e Sejus non possa più aver seguito. Nel suo complesso questo nuovo scritto dell’ Harrisse (nel quale hanno larga parte gl’ importanti documenti scoperti dal M. Staglieno, e in singoiar modo quei tre pubblicati nel fase. VII-V1II di questo giornale corr. anno) è importantissimo per noi, come quello che rinforza con un autorevole e imparziale giudizio il parere di tanti nostri storici, nel dichiarare di origine genovese Cristoforo Colombo; del che difficilmente , io ritengo, si possa scrivere una più esatta e stringente dimostrazione di quella testé fatta dall’ Harrisse. Il quale , non soddisfatto ancora del grande concorso da lui prestato agli studi colombiani, ha diretta in data 2 novembre 1887 (pubblicata pure dal libraio Donath in separato opuscolo) una lettera al nostro Ministro della Pubblica Istruzione, invitandolo a raccogliere in un volume tutti gli scritti del Grande Navigatore per la solenne occasione del 4. centanario della scoperta d’America, e ad ordinare nuove ricerche negli archivi di Savona, tenuti, come si sa, quasi nascosti, per non dire segreti, agli studiosi. Di questo doppio invito del chiaro Americano noi gli dobbiamo essere grati ; dobbiamo far voti che dal Ministro sia accolto con favore, nel-l’interesse degli studi colombiani. E poiché sono sull’ argomento, mi associo alla proposta fatta già dal Caffaro, che il Governo voglia incaricare lo stesso Harrisse della direzione di quel lavoro da lui progettato e idi e tanto contribuirebbe a festeggiare il quattrocentesimo anniversario della scoperta memoranda. F. D. Pasquale Fazio Responsabile. INDICE DEL VOLUME DOCUMENTI ILLUSTRATI. .Alcuni nuovi documenti intorno a Cristoforo Colombo ed alla sua famiglia (M. Stagliino)....... Pag. 241 MEMORIE ORIGINALI, I genovesi alla Corte di Roma (1678-1685). Nota storica ed aneddotica (G. Claretto)...... » 3 À'S. Maria della Visitazione in Genova (V. Poggi) )) 28 Sulla sponda destra del Verbano. Spigolature epigrafiche (V. Poggi) » 81 Nota su due monumenti Cumani, con poscritto relativo ad una lapide romana inedita (V. Poggi)...... )) i°3 Grammatica etrusca (A. Borromei) .... . » 161 Notizie aneddotiche sul matrimonio della Regina di Spagna e sulla principessa Orsini (G. Claretta) . )) 262 La legazione a Roma del march. Ercole di Priero (G. Claretto,) )) 321 L’ Agostaro nel contrasto di Ciullo d’ Alcamo (C. Desimoni) . )) 401 Bibliografia Chiabreresca. Supplemento (0. Varaldo) )) 406 VARIETÀ. Spinola a Como (C. Poggi)..... )) 42 Come i Gualdo scrivevano la storia (A. N.) .... )) 53 Torneo fatto in Genova nel 1562 (A. N.). .... » 57 Uno scampato dal terremoto di Lisbona (A. N.) )) 66 La legazione del card. Benedetto Giustiniani a Bologna dal 1606 al 1611 (L Frati)....... . » 112 La statua e una medaglia di Andrea D’Oria (A. N.) » 122 Il duca di Richelieu accademico della Crusca (A. N.) )) 219 Curiosità di storia genovese tratte dall’ Archivio di Stato in Milano (E. Motta)........Pag. 224, 365 Cristalli e specchi alla Veneziana in Genova (L. T. Belgrano). Pag. 282 0 Di un monile d’oro antico scoperto in una tomba d’Ameglia (P. Podestà)........ » Ì9Ì Due lettere inedite di Fabrizio Maramaldo (A. N.) . » 499 Il forte di Sarzanello (A. N.) .... . » 302 Il P. Gennaro d’Afflitto (L. T. B.)..... )) 3!4 La zecca di Montebruno (L. T. B.) . ... )) 316 Spigolature genovesi tratte dall’Archivio Vaticano (L. T. B.) » 360 - • 480 GIORNALE LIGUSTICO Angelo Mazza e Vincenzo Monti (A. N.)..... Pag. 374 0 Il duca di Mantova a Genova nel 1592 (A. N.). » 3S5 Un mazzetto di curiosità (A. Ar.)...... » 426 Una ballata romaica su la presa di Icaria (L. T. Belgrano) . )) 443 Usi nuziali in Genova nel sec. XV (L. T. Belgrano) » 446 * ■ Un curioso profeta......... » 4SI Un matrimonio e un ballo a Cipro nel secolo passato (A. N.) . » 454 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA. M. G. Canale. Tripoli e Genova , con un discorso preliminare sulle colonie degli antichi popoli e delle repubbliche italiane nel medio evo. --- Della spedizione in Oriente di Amedeo VI di Savoia, e suo trattato di pace come arbitro tra Veneziani e Genovesi. --- Degli Annali genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori (L. T. Belgrano)....... » 133 P. Risielhuber. Deux dialogues du nouveau langage françois ita- lianizè et autrement desguizè, par Henri Estienne. » 460 Spigolature e notizie . . . Pag. 70, 154, 231, 318, 399» 464 Necrologia. --- Agenore Gelli....... Pag. 158 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO. V. Casagrandi. Lo spirito della Storia d’ Occidente, 74. — Annetta Gar-della Ferraris. Manine bianche, 76. — Quattro poemetti del professore F. Baldassari (A. G. F.), 78. — I domenicani illustri del convento di S. M. di Castello in Genova pel P. R. A. Vigna, 159. — R■ Renier. Gaspare Visconti, 160. — Angelo Bor^elU. Note su Gaspara Stampa (C. Braggio), 233. — Firdusi. Il Libro dei Re, recato in versi italiani da I. Pini. (C. B.), 235. — D. Zuccarelli. Tra i Canneti, Novelle (A. G. F.), 237. — G. Franciosi. Carmi (A. G. F.), 238. — Res Ligusticae. I Chirotteri trovati finora in Liguria per Giacomo Doria (G. C.), 240. — F. S. Bartolomei. Pensieri sopra l'educazione delle fanciulle per la nazione genovese, 319. — Excerpta Colombiniana par Henry Harrisse, 320. — Dizionario di opere anonime e pseudomine per G. B. Passano, 400. — Novelle del « Mambriano » del Cieco da Ferrara esposte ed illustrate da G. Rua, 473. — Contributo agli studi sul Boc- ■ ’ caccio con documenti inediti per V. Crescini, 474. — F. Ferrari. Ri- " ' cerche bibliografiche sul giuoco di mazza-scudo 0 del Ponte di Pisa, 475. — I codici Ashburnhamiani della R. Bib. Mediceo-Laurenziana, 476. — Bibliotechina grassoccia, 476. — Giason del Maino, studio di F. Gabotlo, 476. — Cristophe Colomb et Savone par Henry Harrisse; Le quatrième centenaire de la découverte du nouveau monde (F. Μ.) 477·